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Isaia
era appena uscito dall’abitazione di Monsignor Castello, era già sera e dunque
avrebbe dovuto aspettare il giorno seguente per potersi recare alla sede
dell’associazione della quale aveva trovato numerosi volantini a casa del
povero ecclesiastico defunto. A ben pensarci, perché gli era stato detto che
Monsignor Castello era stato ucciso? Era morto cadendo dalle scale! Certo, le
circostanze non erano ben chiare, ma nessuno aveva mai detto ci fossero indizi
importanti che facessero pensare ad un omicidio … avrebbe chiarito la questione
al più presto.
Quello
non era neppure l’unico dei pensieri che gli vorticavano per la testa e che non
riusciva a spiegarsi. L’incontro con Serventi lo aveva profondamente colpito.
La vostra caccia
contro di me è solo un piccolo tassello di un grande destino che si compie,
Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia.
Quelle
parole tornavano ripetutamente ad affiorare nella sua mente e trascinavano i
suoi pensieri da un lato e dall’altro, senza che lui se ne rendesse conto.
Un grande
destino ….
… anche tu,
Isaia …
Un grande
destino …
Ne fai parte
anche tu.
Cosa
intendeva dire con quelle parole? Che la lotta contro la profezia era già
prevista dalla profezia stessa e che lui, casualmente, era finito avviluppato
in un conflitto inevitabile? O c’era qualcosa di più? … No, certo che no.
Quelle erano solo parole a caso, dette apposta per confonderlo, per creare
confusione nella sua testa e distrarlo dai suoi reali obbiettivi. Sì, doveva
essere per forza così!
Eppure
… Un anno prima avevano tentato di ucciderlo. Serventi aveva fatto molto per
cercare di eliminarlo: l’Alchimista gli aveva rifilato veleno al posto di
medicine, poi aveva provato ad iniettargli dell’aria nelle vene … ma per
fortuna lui era riuscito ad evitare entrambi gli stratagemmi e a mettersi in
salvo … o almeno così aveva creduto in un primo momento. Lì per lì non ci aveva
pensato e non lo aveva ancora fatto, prima di quel momento, ma che cos’era
stato a renderlo così sospettoso? Quale istinto gli aveva sussurrato
all’orecchio per metterlo in guardia dal medico? Non lo sapeva. Forse la visita
di Serventi, appena dopo la consegna del pranzo e le medicine, e quella sua
frase: presto uscirai da qui, lo
avevano messo d’allarme però … Non sapeva, era certo ci fosse qualcos’altro che
non riusciva ad identificare.
Dopo
la fuga dalla clinica, era stato tradito da Monsignor Demetrio ed era stato
consegnato a Serventi … Diamine, aveva quasi ucciso un uomo in quel momento.
Uccidendo il tuo
corpo, ti libererò dall’oppressione di Satana.
Così
aveva risposto alle suppliche, così si era giustificato. Poi, per fortuna, non
lo aveva fatto. Ottenute le chiavi, lui e l’altro prigioniero, avevano potuto
mettersi in salvo senza bisogno di uccidere l’Alchimista. Quante volte, però,
si era domandate che cosa avrebbe fatto davvero, se non ci fossero state quelle
chiavi. Sarebbe stato davvero in grado di uccidere un uomo? Si trattava di
legittima difesa: mors tua, vita mea,
si diceva, ma non ne era poi così sicuro. Gli sarebbe bastato privarlo dei suoi
arnesi e nessuno avrebbe più rischiato la vita. Lui, Isaia, aveva abbrancato il
suo boia, lo aveva in un certo senso disarmato e reso inoffensivo, eppure era
lì, in procinto di ucciderlo. Sapeva bene che non c’era sonnifero in quella
siringa, eppure la stava per affondare nel collo di quell’uomo. Perché? Che
cosa aveva provato in quel momento? Rabbia? Paura? Forse entrambe, forse
qualcos’altro, forse una sorta di vendetta, celata dal senso di giustizia: in
fondo quell’uomo aveva tentato di ucciderlo già due volte, probabilmente aveva
ammazzato molte altre persone, meritava di morire. Questo, però, non è un
pensiero da prete, questo è il pensiero di chi non conosce la misericordia di
Dio. Dio, che non perdona mai, perché non è mai arrabbiato. Era un pensiero non
proprio ortodosso, ma ci credeva profondamente. Il perdono è qualcosa di umano,
per questo Gesù ha detto che a chi noi rimetteremo i peccati, saranno rimessi
nel Regno dei Cieli. Quando si chiede il perdono a Dio, dopo un sincero
pentimento, si sta chiedendo perdono a sé stessi e si allontanano da noi tutte
le negatività. È la nostra rabbia, il nostro odio che condanna gli altri e poi
anche noi stessi.
Isaia
non ripensava spesso a quel momento, ne era spaventato e si vergognava, era
profondamente deluso da sé stesso. Adesso lo aveva perdonato, l’Alchimista? Sì,
lo aveva perdonato, ma non aveva perdonato sé stesso per quella debolezza e per
le altre che lo avevano accompagnato quell’anno: denunciare Gabriel, seppure in
forma anonima … credere che Immanuel fosse davvero il Messia … Chissà come
stava,ora, quel bambino? Sperò bene, sinceramente, si era affezionato a lui e
doveva anche a lui la sua salvezza, lo aveva favorito nello scappare da
Serventi.
Già,
era riuscito a sfuggire a Serventi.
All’epoca
si era detto che volevano ucciderlo poiché aveva scoperto il segreto di Gabriel
e non voleva lo rivelasse. Ora si chiedeva se non ci fosse qualche altro
motivo.
Un grande
destino che sta per compiersi, Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia. … Isaia
... Isaia.
Inutile
allontanare quella voce, trovava ugualmente la maniera di riecheggiargli nella
mente.
Un
dubbio aveva iniziato già da qualche ora ad affiancarsi a quel ricordo: forse
lui era quello che avrebbe potuto impedire alla profezia di compiersi. In che
modo però?
No,
via, via, questi erano pensieri superbi! Non doveva credersi diverso dagli
altri. Su una cosa Serventi aveva ragione: lui era un uomo e solo un uomo! Non
aveva poteri, non aveva nascite strane, era solo un semplice uomo, eppure non
avrebbe mai più vacillato nella propria fede, non avrebbe esitato a compiere
qualsiasi gesto, anche il supremo sacrificio, se sarebbe servito a difendere
Dio e la Chiesa.
La divinità,
quella che tu credi di pregare e cercare è tutt’altra cosa.
Ecco
che ora queste parole gli tornavano alla mente, come a sfidare la sua fede,
come a deridere tutte le sue convinzioni.
Serventi
lo aveva anche accusato di non vedere la verità.
I
suoi occhi erano dunque velati?
Serventi
non aveva mai detto nulla contro Dio, solo contro la Chiesa, come se essa
adorasse un falso idolo. Serventi non era satanista, non invocava il potere del
demonio, ma parlava di Dio.
Questo
turbava parecchio Isaia, ma egli, d’altronde, sapeva bene che il male indossa
spesso la maschera del buono, per compiere meglio e più facilmente la propria
opera.
Serventi
era il male, la profezia era qualcosa di diabolico, Gabriel era in pericolo e
con lui l’intera Chiesa. Questo era ciò che doveva bastare ad Isaia.
Isaia
non si sarebbe tirato indietro. Aveva giurato fedeltà a Dio, conosceva il
proprio dovere. Troppe volte in passato non era stato integro, non avrebbe
ripetuto quegli errori né ora, né mai. Avrebbe difeso Dio, la Chiesa e ogni
animo buono di questo mondo; li avrebbe protetti dalle insidie di Serventi e
del diavolo. Lui era un esorcista, lui sapeva scacciare i demoni dai corpi,
allora avrebbe potuto scacciarli anche dal mondo, se sarebbero venuti,
ovviamente con l’aiuto di Dio.
Lo
sapeva, era assolutamente consapevole e lo aveva ribadito e giurato anche di
fronte a Serventi qualche ora prima: Sì! … Sì, lui sarebbe andato fino in
fondo, avrebbe fatto il proprio dovere.
È questo il tuo
compito?
Riecheggiò
allora la voce di Serventi.
È questo il mio
compito?
Si domandava Isaia.
“Padre
Morganti!?”
Lo
chiamò qualcuno. Isaia si scosse da quella tempesta di pensieri e tornò presente
alla realtà. Si guardò intorno e si accorse di essere arrivato presso il parco
di villa Borghese, cinque chilometri più in là del Vaticano, di dove doveva
andare. Talmente assorto nelle sue riflessioni non aveva fatto caso alla strada
ed era finito fin lì. Gli era capitato altre volte di camminare soprapensiero,
ma ciò non gli aveva mai fatto perdere la via di casa, quella sera, invece, i
suoi piedi lo avevano condotto così fuori mano.
Si
guardò attorno e subito vide chi lo aveva chiamato: a qualche passo da lui,
sulla sinistra, c’era una ragazza sulla ventina più o meno, ammantata in un
cappotto verde oliva, col doppio petto, in testa portava un basco, forse
grigio, la luce dei lampioni era fioca e non si riuscivano a distinguere bene i
colori. Quella ragazza aveva i capelli sciolti e mossi, decisamente scuri. I suoi
occhi erano grandi, castani, ma parevano pervasi da un certo ardore
indefinibile.
Isaia
ebbe subito l’impressione di conoscerla, anzi ne era certo, tuttavia non
avrebbe saputo dire chi ella fosse, forse una sua vecchia studentessa.
“Padre
Isaia Morganti? È lei?” chiese nuovamente quella
giovane, dopo alcuni momenti di silenzio.
“Sì.”
rispose il prete, ancora confuso praticamente da tutto “Ci conosciamo?”
“
… Più o meno.” rispose l’altra, sorridendo. Si avvicinò all’uomo, come divisa
tra contentezza e timidezza.
Isaia
le leggeva in volto la gioia, ma anche incertezza, una vaga paura; riusciva ad
avvertire la sua emozione, era certo che in quel momento il cuore della ragazza
stesse battendo molto forte, come quando si incontra per la prima volta una
persona che si è ammirata e stimata da sempre. Non capiva.
“Nel
senso che tu sai chi sono io, ma io non so chi sei tu?” ipotizzò il prete,
cercando di avere delle spiegazioni.
“Sì
… più o meno è così.” rispose la giovane, dopo averci pensato per qualche
momento e comunque non proprio convinta.
“Come
mi conosci? Hai seguito le mie lezioni all’università?” Isaia era comunque
calmo e conciliante.
“No.”
la ragazza era evidentemente in difficoltà, cercava le parole “È difficile da
spiegare … forse un’altra volta … Non so che dire …” nel farfugliare quest’ultime
cose, si era lasciata prendere da una certa agitazione, come se si fosse
innervosita per il fatto di non riuscire a parlare.
“Calma,
tranquilla.” la confortò Isaia, intenerito, attraverso gli occhiali la guardo
con occhi rassicuranti e pazienti “Prenditi il tempo che ti serve. Potresti iniziare
col dirmi come ti chiami, è una buona idea, non credi?”
“Bene,
Michela, potresti continuare col dirmi che cosa ci fai in giro da sola, di
notte, non è prudente.”
“So
difendermi.” precisò subito la giovane e poi cercò di spiegare: “Però non
saprei dirle perché sono qui. Ho sentito che dovevo venire e sono uscita.”
“Sentito?”
si accigliò il prete.
“Sì.
Ho avvertito dentro di me una forza che mi diceva di venire in questo posto e
io ho obbedito, non sapevo perché, non me lo sono chiesta, ho obbedito e basta.”
c’era una nota onirica nella sua voce “Ora, però, penso di sapere perché sono
stata guidata fin qui.”
“Ah,
sì? E perché?” Isaia era decisamente incuriosito, sia da quella ragazza, sia
dal fatto che entrambi si erano ritrovati lì spinti da qualcosa di indefinibile.
Michela
lo guardò, forse si sentì stringere la gola, era tornata ad emozionarsi, e disse
a mezza voce: “Per incontrare lei.”
“Per
incontrare me?” ripeté interdetto l’uomo, irrigidendosi e nella mente gli
balenò il terribile dubbio che quella donna potesse essere stata mandata da Serventi,
ma a che scopo? Se volevano uccidere, non era necessaria quella sceneggiata.
“Sì,
credo che entrambi ci siamo ritrovati qui, in questo momento, perché era giunto
il tempo di conoscerci dal vivo, personalmente.” disse ciò con maggiore
sicurezza rispetto a tutto il resto.
“Non
capisco.”
“Lo
so, ma capirà. Ora, mi scusi, è meglio che io vada.”
“No!”
ordinò Isaia, irritato “Tu, ora, mi spieghi chi sei e per chi lavori.”
“Adesso
non è il caso, non capirebbe. Lo troverebbe assurdo!” replicò la ragazza.
“Assurdo?
Dubito fortemente che riterrei qualcosa assurdo, dopo tutto quello che ho già
visto.”
“Lo
so cosa ha visto.”
“Com’è
possibile?” sbalordì il prete.
“Visto?
Ritiene già questo assurdo. Perdonami, ma se le raccontassi tutto adesso, non
solo non mi crederebbe, ma probabilmente potrebbe decidere di non fidarsi di
me.”
Isaia
non riusciva a provare avversione per quella ragazza, nonostante la ragione gli
suggerisse che poteva essere pericolosa, e dovette sforzarsi per mantenere un
tono duro, nel ribadire: “Per chi lavori? Cosa vuoi da me?”
Se
fino a quel momento c’era stato circa un metro di distanza tra di loro, Michela
si avvicinò moltissimo e guardandolo dritto negli occhi, come chiedendo scusa,
si limitò a dire: “Per ora le basti sapere che sono consacrata a qualcuno che
ha il mio stesso nome, ma al maschile.”
Isaia
corrugò la fronte: quella frase non voleva dire assolutamente nulla!
La
ragazza, esitò un attimo, poi timidamente appoggiò il proprio palmo sinistro
sul petto del prete.
A
Isaia sembrò di sentire una sorta di energia in quel punto di contatto.
“Sei
molto agitato in questo periodo, stai correndo dietro a mille pensieri e mille
preoccupazioni. Prenditi il tempo di sgombrare la mente da tutto, ritrovati. Senti
il tuo calore interno, il tapas, il prana, il ki, lo Spirito Santo. L’hai sempre fatto, ma ora la troppa
fretta ti ha distolto da ciò. Prenditi il tempo.”
Il
prete era rimasto colpito da quelle parole. Effettivamente tra la
congregazione, le verifiche effettuate e il problema di Gabriel, era già da
diverse settimane che non si raccoglieva più in preghiera o contemplazione come
invece era solito fare. Sì, diceva le sue orazioni, andava a messa, ma aveva
sempre la mente assorbita in altri pensieri, o era troppo stanco. Erano passati
parecchi giorni dall’ultima volta che si era rivolto al Signore con animo
quieto e libero. Sì, doveva davvero riprendere le sue sane e benefiche
meditazioni.
Come
faceva, però, quella ragazza a saperlo? Forse aveva solo tirato ad indovinare
.. Ehi, ma … dov’era finita? Non era più lì. Ce l’aveva davanti agli occhi ed
era sparita senza che lui se ne accorgesse, mentre rifletteva sulle strane
parole.
Isaia
sospirò e si diresse verso il Vaticano, la strada era lunga.
Dopo aver visto la penultima puntata,
questi prossimi capitoli saranno una raccolta di momenti mancanti di isaia o di suoi
pensieri.
[fanfic
approvata dal “comitato in difesa delle motivazioni di isaia”
xd]
Gabriel
era appena uscito dalla porta. Aveva appena comunicato all’amico la sua volontà
di abbandonare la chiesa e gli aveva dato la spilla simbolo della congregazione
della verità.
Questa è la tua
più grande vittoria.
Ecco
tutto ciò che era riuscito a dirgli. Isaia era scontento di sé. Non era mai
stato una persona emotiva e l’educazione gesuitica gli aveva ben insegnato a
nascondere le sue emozioni, inoltre quello non era certo stato un addio,
tuttavia Isaia sapeva di essere stato troppo freddo. Sapeva anche che Gabriel
non gliene avrebbe certo fatto una colpa, lo aveva abbracciato, gli aveva detto:
sei un amico, lo sei sempre stato.
Lui, invece, non era riuscito a dire nulla.
Eppure
di cose ne avrebbe volute dire parecchie.
Qui tutto
cambierà, non sarà lo stesso senza di te, questa era la frase che aveva tenuta
serrata tra le proprie labbra, nonostante essa premesse per uscire.
La
verità era che non voleva far capire a Gabriel, quanto quella decisione lo
addolorasse, in ambito personale. Gabriel non era il solo a fra un sacrificio
con quell’atto, anzi, pareva quasi che per lui fosse una liberazione, che fosse
ciò che volesse davvero. Anche Isaia sentiva di stare sacrificando qualcosa d’importante.
Guardava
la spilla che gli aveva consegnato l’amico, la guardava, ma non la vedeva, la
sua mente era da tutt’altra parte, persa in ricordi lunghi più di vent’anni. Si
erano conosciuti alle scuole medie, nel collegio dei gesuiti e lì avevano avuto
un’ottima formazione; dopo alcuni anni avevano deciso di prendere i voti: castità, povertà e obbedienza. Isaia
ricordava ancora perfettamente quella serata: erano all’osservatorio astronomico per una ricerca scolastica,
divertiti e intimoriti allo stesso tempo dal busto in marmo di don Angelo
Secchi che li sorvegliava.
“Gabriel” aveva
esordito Isaia, dopo un lungo tempo passato in silenzio ad annotare coordinate “Uno
dei prossimi giorni, potrei parlare con tuo zio, monsignor Demetrio?”
“Certamente,
perché?” si era stupito Gabriel.
“Vorrei
diventare prete e ho bisogno di essere guidato e consigliato.”
“Prete? Tu? E
perché?”
“E perché no?”
aveva ribattuto Isaia “Sento che è la mia strada, sento che Dio mi chiama e non
desidero far altro che obbedire a Dio, compiere la sua volontà e difendere le
persone dalle insidie del male. Sento che è questo che voglio fare e se non lo
facessi non sarei felice e mi odierei.”
Un lungo
silenzio era rimasto tra i due, poi Gabriel disse: “Sono contento che tu abbia
preso questa decisione. Sai, anch’io ho la vocazione, anch’io so che è questo
che devo diventare per potermi realizzare e che non potrei star bene in nessun
altro ruolo, però ero spaventato. Temevo di essere solo, ora, invece, che so
che ci sarai anche tu, non ho più paura. Tu sei il mio migliore amico e saperti
al mio fianco è un gran sollievo per me.”
Erano
quindi entrati in seminario e contemporaneamente avevano iniziato il loro
percorso all’interno della Compagnia di Gesù, erano ovviamente partiti dal
basso: da Coadiutori Temporali si erano occupati delle mansioni più semplici
come cucinare o pulire, poi Coadiutori Spirituali, per divenire Professi dei
Tre Voti e, infine, Professi dei Quattro voti, aggiungendo ai tre classici
quello di obbedienza al Papa circa le missioni. Tutto questo sempre insieme.
Una
volta approdati nella Congregazione della Verità, avevano iniziato ad
allontanarsi. Isaia aveva seguito il percorso dell’esorcista, Gabriel no;
inoltre le verifiche li portavano spesso in posti diversi e per lungo tempo non
si vedevano. Non aveva importanza, non per Isaia, almeno, che era contento
della certezza di ritrovare sempre l’amico, prima o poi.
Tornò
a vergognarsi moltissimo del tiro mancino delle foto che gli aveva giocato l’anno
prima, ma ancora non era certo di aver agito davvero male. La sua coscienza era
divisa tra la lealtà all’amico o alla Chiesa. Leggermente diverso, invece, era
il conflitto che lo agitava in quel momento. Se fosse stato di carattere
diverso, Isaia forse avrebbe davvero potuto esternare tutto il suo dispiacere a
Gabriel, dirgli che da allora si sarebbe sentito solo e privato di un affetto
importante, in fondo l’unico affetto che manteneva da anni. Non avrebbe saputo
dire perché, ma gli tornarono in mente le letture fatte da ragazzino e pensò
che Sandokan aveva dovuto sentirsi proprio come lui, quando Yanez
aveva deciso di vivere nell’Assam con Surama.
Anche
se fosse stato meno chiuso e introverso, Isaia non avrebbe comunque detto
nulla, si sarebbe tenuto ugualmente tutto dentro, per un motivo ben preciso:
temeva che il suo dispiacere avrebbe potuto far cambiare idea a Gabriel.
Gabriel
doveva uscire dalla Chiesa, per poterla proteggere. Isaia doveva perdere il suo
migliore amico per proteggerla. Questo era il sacrificio che stava compiendo
Isaia.
Il
prete rimase a lungo a osservare la spilletta e a
ricordare una moltitudine di momenti trascorsi con Gabriel, le verifiche
compiute assieme e altro ancora. Tornò presente alla realtà solo quando udì una
campana suonare, allora sospirò, infilò la spilla in tasca e si rimise al
lavoro.
Appena
dopo l’ora di pranzo, durante la pausa concessa a tutti. Isaia era nel proprio
appartamento, era composto da tre stanze, sarebbero dovute essere un salotto,
una cucina e una camera da letto, effettivamente espletavano tali funzioni, ma
parevano collocate in mezzo ad una biblioteca. Accostati alle pareti c’erano vari
scaffali traboccanti di libri di vario genere, volumi antichi e moderni, la
maggior parte era ovviamente in italiano o latino, ma c’era un cospicuo numero
di testi anche in greco antico, ebraico, copto, egizio demiotico.
Sopra
alle finestre c’erano immagini sacre, immagini di Santi; certamente non poteva
mancare un ovale col ritratto di Sant’Ignazio di Loyola,
il fondatore della Compagnia di Gesù, l’ordine a cui apparteneva Isaia; poi
c’era anche Sant’Antonio Abate, che aveva passato gran parte della propria vita
in meditazione e penitenza nel deserto, resistendo alle tentazioni e
provocazioni del demonio; un altro quadretto raffigurava San Ciriaco, altrove
c’era San Benedetto; l’ultima icona era quella di San Michele, il principe
della milizia celeste, che col suo piede schiaccia Lucifero.
La
giornata era stata faticosa, inoltre Isaia era ancora molto affranto per la
decisione di Gabriel di lasciare la Chiesa. Era sinceramente dispiaciuto che il
suo amico, il suo migliore amico, forse il suo unico amico, presto lo avrebbe
abbandonato. Sarebbe rimasto solo. Per quanto nutrisse simpatia o stima per gli
altri confratelli, con nessuno aveva il medesimo rapporto che aveva con
Gabriel: erano cresciuti assieme! Avevano condiviso così tanto …!
Basta!
Non era questo il momento di pensarci. Per quanto la questione lo addolorasse,
doveva accantonarla, almeno per adesso. Aveva rimandato e dimenticato troppo a
lungo il proprio raccoglimento davanti a Dio, ne aveva decisamente bisogno. Per
troppi giorni si era lasciato dominare dalle proprie preoccupazioni, ora era
davvero necessario che accantonasse tutto quanto, che si concedesse qualche ora
di mentre sgombra da ogni pensiero che non fosse Dio, aveva bisogno di pregare
e di meditare.
Meditare
come gli aveva insegnato, più di dieci anni prima, il suo maestro: padre
Samuele Costa.
Andò
in camera da letto, si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino, poi si
sdraiò sul letto, senza disfarlo, incrociò le mani sotto all’ombelico e chiuse
gli occhi. Innanzitutto, nella sua mente recitò un versetto della lettere ai
Romani: Lo Spirito sovviene alle nostre
debolezze, perché non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere in preghiera, come si conviene,
ma lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili.
Si
lasciò poi andare a un dialogo con Dio, chiese perdono per i propri peccati,
elencando tutte le mancanze che aveva avuto dall’ultima volta che si era
confessato, poi ringraziò per ogni cosa buona che gli era capitata, compresi il
fatto di aver potuto sfamarsi e dissetarsi. Di solito avrebbe invocato l’aiuto
del Signore per sé e per chi si affidava alle sue preghiere, ma quel giorno si
sentiva troppo distante da Dio per permettersi di chiedergli qualcosa.
Prima
di dedicarsi alla meditazione di padre Samuele, decisamente non ortodossa per i
canoni cattolici occidentali, Isaia preferì ripetere una delle meditazioni
presenti negli Esercizi Spirituali di
Sant’Ignazio, testo fondamentale per la direzione spirituale dei Gesuiti.
Quella che gli sembrò più adatta per quel frangente fu quella dei due vessilli:
iniziò a immaginare una vasta pianura
con due città: una brutta, disordinata, sporca, chiassosa; l’altra bella,
ordinata, pulita, silenziosa. La prima è Babilonia; la seconda, Gerusalemme.
Fuori le mura di Babilonia c’è un mostro seduto su un trono fumante; il suo
viso è terrificante, gli occhi fiammeggianti. È Satana che, sotto il suo
stendardo infernale, chiama a raccolta i suoi. Presso le mura di Gerusalemme,
invece, c’è Gesù, bello, ordinato, pulito, che sotto lo stendardo celestiale
chiama anche Lui a raccolta i suoi. Costruì le immagini nella propria mente con
precisione e attenzione, arricchendole con dovizia di dettagli. Infine sentì la
voce di Sant’Ignazio porgli questa terribile domanda: “E tu, sotto quale
stendardo decidi di combattere?”
Decise
che era il momento di passare alla meditazione insegnatagli da Samuele. Le
meditazioni cristiane normalmente si basano sul riflettere circa alcuni passi
biblici, quella dispensata da Samuele invitava a non pensare. Moltissimi
cattolici occidentali avevano deprecato tale tecnica, considerandola una
tradizione pagana a cui i loro confratelli orientali non avevano ancora saputo
rinunciare. Effettivamente padre Samuele aveva elaborato quel tipo di
raccoglimento proprio durante il suo periodo di missionariato
in India. Questa forma di meditazione, però, non sconvolgeva i Gesuiti i quali
già nei loro Esercizi Spirituali
avevano qualcosa di simile: la terza parte della preghiera invitava a
rivolgersi a Dio non più con i pensieri, bensì col cuore per riuscire a
partecipare dell’Amore di Dio, che non è comprensibile per la mente umana.
Ecco,
in questo la meditazione gesuitica e quella di Samuele si rassomigliavano: far
tacere la mente.
L’obbiettivo
ideale sarebbe stato quello di raccogliersi a tal punto di estraniarsi
completamente da sé, pur rimanendo consapevole di quel che accadeva attorno, ma
Isaia non ci era ancora mai riuscito.
Come
prima cosa doveva regolare il respiro, teneva la bocca semi aperta, ma
respirava col naso; inspirava a lungo, senza violenza e l’addome si sollevava,
tratteneva il fiato per qualche secondo e poi lo rilasciava adagio. Lasciava che
il respiro lo attraversasse completamente e, dopo pochi minuti, aveva preso il
ritmo, senza più bisogno di stare attento a regolarlo. A quel punto cominciò la
parte più difficile: smettere di pensare. Era un’operazione complessa, anche
per il semplice fatto che a volte gli veniva da pensare: Sto non pensando?
Riuscì
comunque ad acquietare la mente e nessun pensiero lo andò a turbare. Avvertì allora
una piacevole sensazione di tranquillità, serenità, si sentiva vicino a Dio e
avrebbe voluto poter non uscire più da quello stato. Era molto tempo che non
provava quella sensazione decisamente rigenerante. Alla fine di quella
meditazione, Isaia si sentì fortemente ritemprato e ricordò perché era così
fondamentale dedicarcisi quotidianamente e non
trascurarla. Si rese anche conto che quell’esercizio gli donava energia o,
meglio, risvegliava in lui una forza non fisica. Non era la prima volta che lo
notava, aveva percepito quella forza fin dalle prime pratiche e, chiedendo
delucidazioni a padre Samuele, aveva imparato che quella era la forza che dona
lo Spirito Santo.
Isaia
rimise gli occhiali, si guardò rapidamente allo specchio ed uscì dall’appartamento
piuttosto rapidamente: padre Vargas lo aveva
convocato per le quattro e rischiava di arrivare in ritardo.
“Per
me non c’è compito più grande che difendere la chiesa.” aveva ribadito ancora
una volta Isaia e ci credeva davvero, nulla era più importante per lui che
difendere il bene ed era orgoglioso di poter consacrare la sua vita a questa
missione.
Aveva poi rassicurato Vargas
circa il fatto che Gabriel avrebbe abbandonato la Chiesa, lo aveva già deciso,
quindi la profezia non si sarebbe più potuta avverare. Isaia era convinto che
finalmente quella questione fosse stata risolta, che ora ci si poteva
concentrare solo su Serventi, senza più la minaccia del prescelto. Per un
attimo credette che anche quello sul volto sfregiato
di Vargas fosse un sorriso di sollievo. In un certo
senso lo era, ma molto diverso da quel che lui credeva.
Le
parole che aveva udito dopo lo avevano fatto rabbrividire: Vargas
non voleva Gabriel fuori dalla Chiesa per tutelarla dalla profezia, bensì per
poter essere libero di ucciderlo, cosa che il suo Ordine gli impediva di fare,
finché fosse stato un prete.
Le
persone con facoltà paranormali, nonostante non avessero nulla di demoniaco,
per Vargas e i Templari, dovevano essere eliminati
tutti. Compreso Gabriel.
Isaia
capì di essersi di gran lunga sbagliato. Preso dal primo entusiasmo di un nuovo
e più potente Ordine che proteggeva la Chiesa, si era lasciato coinvolgere e
aveva ascoltato Vargas.
In
quel momento, però, si sentiva tradito e ingannato. Gli avevano detto di volere
Gabriel fuori dalla Chiesa, ma non immaginava certo fosse per poterlo uccidere
e ora che lo aveva scoperto provava una gran rabbia. Avrebbe voluto ringhiare
qualche parola contro Vargas, ma si guardò bene dal
farlo; non poté nascondere il proprio stupore, ma finse di capire.
Di
una cosa era certo: se si fosse tirato indietro, i Templari avrebbero trovato
la maniera di fargliela pagare, pur non potendo ucciderlo direttamente. Stare al
loro gioco gli conveniva e anche per un altro motivo: volevano uccidere
Gabriel, lui era l’unico che lo sapeva e che poteva fare qualcosa per
impedirlo. Non poteva denunciarli alla Congregazione, non sarebbe stato
creduto. Doveva, quindi, fingersi fedele alla causa dei Templari, assecondarli,
essere credibile in questo e, allo stesso tempo, trovare la maniera di
proteggere Gabriel. Se lui si fosse allontanato da loro, quelli avrebbero
potuto agire indisturbati, lui invece poteva cercare di mitigare le situazioni
ed escogitare una soluzione. Inoltre non avrebbe potuto farne parola con
alcuno: la situazione era troppo confusa, la gente troppo ambivalente, per
potersi fidare di qualcuno.
Ora
Isaia era solo, non poteva contare sull’appoggio di nessuno, ma ce l’avrebbe
fatta.
Era
passato qualche giorno, Isaia aveva scoperto che Padre Alonso e una certa
Rebecca, una studentessa di Gabriel, stavano conducendo una ricerca su un
Ordine che contrastava quello di Serventi, aveva cercato di troncare la
questione, ma aveva a che fare con gente ostinata. Era quasi impossibile, ma
temeva potessero risalire all’Ordine Templare e questo non lo poteva permettere:
scoprire la sua esistenza, avrebbe messo tutti e due in pericolo e lui non
poteva permettere che ciò accadesse. Cercò, dunque, di scoraggiare le loro
ricerche, per convincerli a cessarle. Non poteva, però, esimersi dal riferire
le loro attività a padre Vargas. Isaia era certo di
essere sorvegliato: era impossibile che si fidassero ciecamente di lui, che
ancora non era entrato nell’Ordine. Forse lo stesso monsignor Sartori, che lo
aveva indirizzato su quella strada, lo stava osservando. Per mantenere la
copertura e la credibilità, anzi per guadagnarne di maggiore, decise di
riferire di quella ricerca a Vargas.
“Ho
intenzione di sorvegliare e agire, se necessario.”
Questo
aveva detto Isaia, diplomatico ma fedele alla causa: voleva avere la totale
fiducia di Vargas.
Pensò
di averla ottenuta, quando il Templare gli disse che, allora, era necessario
che lui sapesse ciò per cui essi combattevano e quando tirò fuori un grosso
scrigno, dicendo che al suo interno c’era ciò su cui si basava la Chiesa.
Quando
vide il contenuto, Isaia rimase alquanto turbato e si convinse che Vargas gli aveva mostrato ciò non per fiducia, ma in un
certo senso per obbligarlo ad aderire totalmente alla causa. Una simile verità,
non poteva permettere che ci fossero profani vivi, con o senza tonaca. Isaia a
quel punto era ancora più sicuro che sarebbe morto, se avesse osato tirarsi
indietro.
“Bene,
Isaia.” disse Vargas con un sorriso “Sei dunque certo
di volere entrare nell’Ordine del Tempio? Di voler proteggere la Chiesa da ogni
minaccia?”
“Sì.”
rispose il prete, ma quel sì era nettamente meno vigoroso di quello che aveva
pronunciato davanti a Serventi la settimana prima.
“Allora
procediamo con la tua iniziazione.” annunciò con naturalezza l’altro.
“Ora?”
si lasciò sfuggire un tono un po’ troppo sorpreso e forse con un cenno di
insicurezza.
“Qualche
ripensamento?”
“No,
certo che no. Semplicemente mi stupivo che si facesse così, in forma privata e
non dinnanzi agli altri confratelli.” si giustificò Isaia.
“Ci
sarà anche la cerimonia ufficiale, ma mi servi operativo subito, per cui ti
inizieremo ora.”
Vennero
altri due preti nella stanza per cominciare il rituale. Uno di loro aveva
portato dentro una scultura che rappresentava la testa di un uomo barbuto, la
appoggiò sul tavolo.
“Isaia.”
disse Vargas “Inginocchiati davanti al Signore.”
Isaia
si accigliò e, piuttosto che commettere blasfemia, preferì mandare all’aria
tutto ed esclamò scandalizzato: “Ma quello è Bafometto!
Non lo adorerò mai!”
Vargas sorrise e
disse: “Avresti pienamente ragione ad indignarti, se davvero ti avessimo
chiesto di adorare un idolo o, peggio, il demonio, ma questa statua rappresenta
Gesù. I Templari recuperarono la Sacra Sindone e per un secolo la hanno
adorata, esponendola piegata in modo tale che si vedesse solo il capo. Questa testa
che ti abbiamo messo davanti è quella di nostro Signore e non di un falso Dio.”
Isaia
si convinse, non era certo della sincerità di quelle parole, ma effettivamente
non ha importanza l’oggetto che si adora, bensì il significato che gli si
attribuisce, e il prete decise di vedere in quel volto, il volto di Cristo,
quindi si inginocchiò e chinò il capo.
“Padre
Morganti, tu sei un peccatore!” lo accusò uno degli
altri due.
“Sei
un pessimo cristiano, ti sei macchiato mi molti peccati!” aggiunse l’altro.
“Hai
ingannato, hai tradito!”
“Sei
ambizioso e superbo!”
Mille
accuse gli furono rivolte contro, ma lui non proferì verbo: aveva capito che
quello era parte integrante del rituale.
Padre
Vargas prese il crocefisso che c’era sul muro, si
avvicinò all’iniziando, glielo mise davanti al viso e gli disse: “Tu sei un miserabile,
un traditore di Gesù.” e poi ordinò: “Nel tuo cuore, tu sputi sulla croce,
fallo apertamente: sputa! Sputa tre volte sulla croce!”
Isaia
era sconvolto da quella richiesta: quella gente era anche peggio di come gli
era sembrato.
Vedendo
l’esitazione, Vargas intimò ancora: “Sputa tre volte,
ho detto! San Pietro rinnegò il Cristo per ben tre volte, sei forse talmente
superbo da crederti migliore del primo pontefice?”
Isaia
capì il simbolismo e, pur controvoglia, eseguì quel terribile gesto sacrilego.
“Non
temere, oh peccatore!” la voce di Vargas si fece
dolce a quel punto “Noi siamo qui per aiutarti, per sollevarti dalla polvere in
cui giaci. Noi ti mostreremo la strada della verità, ti aiuteremo a ripulire la
tua anima dai tuoi peccati e assieme a noi combatterai per proteggere la Santa
Romana Chiesa.”
Isaia
venne poi fatto alzare in piedi e abbracciato prima da Vargas,
poi dagli altri due Templari.
Quando
uscì dall’edificio, Isaia era sconvolto: quel che aveva visto nello scrigno,
quell’orrida cerimonia …
Salì
in auto, vide una busta appoggiata sul cruscotto. Ricordò allora della verifica
che si era assunto l’incarico di fare. Che stupido! Con tutto quello a cui
aveva da pensare: Templari, Serventi, Gabriel, Alonso, ci mancava solo che
andasse a perdere tempo ed energie anche in una verifica. Avrebbe potuto
rifiutarla, naturalmente, o rimandarla ad un altro giorno, ma qualcosa dentro
di lui gli aveva imposto di scegliere quella e ora lo stava spronando ad andare
subito.
Ma sì –si disse- Forse mi servirà a staccare da tutto questo
e mi rilasserà.
Guardò
l’indirizzo, mise in moto l’automobile e partì.
Isaia
aveva parcheggiato l’auto poco distante dall’abitazione in cui avrebbe dovuto
fare la verifica. Diede un’occhiata rapida al fascicolo; non era un caso
difficile: telecinesi ad opera di un bambino di tre anni, la madre negava
l’accaduto, a segnalare la vicenda erano state le suore che gestivano l’asilo
frequentato dal bimbo. Probabilmente si sarebbe risolto con un nulla di fatto.
Il
prete tornò a considerare quella verifica una perdita di tempo, ma ormai era lì,
conveniva chiudere la faccenda. Suonò il campanello di una casetta modesta, ma
indipendente dalle altre, sita in via Veneto. Gli aprì la porta una giovane
poco più che ventenne. Quei capelli, quel viso, quegli occhi…
erano rimasti impressi nella mente di Isaia che subito riconobbe la ragazza che
aveva conosciuto alcune sere prima.
La
donna si era stupita nel vederlo, ma subito si fece sorridente e salutò:
“Buongiorno, padre Morganti. Prego, entri, si
accomodi.”
“Buon
pomeriggio.” ricambiò l’altro, varcando la soglia: che strana combinazione.
Si
ritrovò in un salotto arredato senza seguire un preciso criterio: c’erano un
divano, dei tappeti e cuscini, un tavolo, un comò e alle pareti mensole con
libri o quadretti con le più disparate immagini, ma Isaia non si soffermò a
guardarle, la prima cosa che lo colpì, entrando, fu il forte odore di incenso.
“Ti
chiami Michela, giusto?” chiese conferma Isaia e si accomodò un una sedia a
dondolo: era tanto tempo che non ne vedeva una.
“Sì,
esatto. A cosa debbo la sua visita?” chiese la ragazza, richiudendo la porta.
“Credo
di dover parlare con tua madre.” rispose il prete, levandosi gli occhiali.
“Temo
sia impossibile” replicò, forse con un po’ di delusione, la giovane “È morta da
molti anni.”
“Oh,
mi spiace, non immaginavo. Tua zia, allora?”
“Padre,
in questa casa abito solo io … con mio figlio.”
Ah!
Dunque era lei la persona con cui doveva parlare. Isaia si rimise gli occhiali
e guardò la ragazza con attenzione e confermò la sua prima impressione: era
troppo giovane per essere madre. Il prete, però, sapeva bene che a volte le
cose vanno in questa maniera, per cui decise di non indagare al riguardo, per
il momento.
Con
tono assai formale, iniziò a dire: “Mi manda la Congregazione della Verità, per
…”
“Per
quello che ha fatto il mio Giorgio, immagino.”
“Precisamente.
Nei documenti che mi hanno dato, però, c’è scritto che tu neghi che tuo figlio
abbia fatto alcun ché, ora hai cambiato idea?”
Michela
scrollò le spalle e rispose: “Non volevo che mi mandassero in casa gente della
Congregazione, non potevo immaginare sarebbe venuto lei.”
“Strano”
fu l’ironica reazione di Isaia “L’altra volta pareva che tu sapessi tutto su di
me.”
“Posso
sapere le cose che ha fatto, non quelle che farà. Posso offrirle una tisana? Un
infuso di miscela di passiflora, camomilla e biancospino sarebbe l’ideale per
lei, teso com’è in questi giorni.”
“Sì,
grazie, l’accetto volentieri. Posso, nel frattempo, vedere il bambino?”
“Certo.”
rispose la donna, sorridendo “Giorgio! Vieni in sala, c’è un signore che
vorrebbe la tua compagnia.” poi andò in cucina
C’erano
due porte, oltre a quella d’ingresso, in quel salotto, una conduceva in cucina,
laltra era l’inizio di un corridoietto; da lì spuntò
un bambino riccioluto e dall’aria vivace, si avvicinò al prete e salutò:
“Ciao!”
“Ciao.”
contraccambiò Isaia, in realtà non si sentiva del tutto a proprio agio davanti
a un bambino così piccolo “Ti chiami Giorgio, vero?”
“Sì.”
“È
un bel nome … deriva dal greco, significa uomo della terra.” Isaia decisamente
non ci sapeva fare coi bambini “Sai, invece, cos’ha fatto San Giorgio?”
Il
piccolo annuì e disse gioioso: “Ha ucciso il drago cattivo!”
“Esatto,
bravo!” il prete constatò che, almeno, il bambino sembrava cresciuto in un
ambiente cristiano, il fatto che frequentasse un asilo gestito da suore non
poteva bastare come elemento per stabilirlo, poiché spesso famiglie in
difficoltà economiche, anche se atee, mettevano i loro figli in asili
parrocchiali per risparmiare.
“Mi
hanno detto che sai spostare le cose senza toccarle, è vero?” il piccolo annuì
“Mi fai vedere, per favore?”
Giorgio
si guardò attorno, poi fissò gli occhi verso una mensola coi libri; un volume
iniziò a muoversi, poi si sfilò e, levitando, andò pian piano a posarsi sulle
ginocchia del prete. Il bambino lo guardò per avere la sua approvazione.
Isaia
era rimasto meravigliato: il fenomeno esisteva davvero, quindi ora doveva
verificarne la natura.
“Sono
bravo?” chiese Giorgio, impaziente.
“Oh,
sì, certo.” farfugliò Isaia, sovrappensiero.
“La
mamma è bravissima.”
Queste
parole catturarono l’attenzione del sacerdote.
“Anche
la tua mamma sa fare volare le cose?”
“Sì.
Fa anche altre cose.”
Ecco
che cosa c’era che non andava in quella donna! Aveva qualche potere e
probabilmente lo usava per spiarlo. Probabilmente era coinvolta nei complotti
di Serventi.
Isaia
si alzò in piedi e osservò le immagini alle pareti, c’erano alcuni disegni su
stoffa: uno rappresentava un uomo blu che suonava un flauto, un altro era un
uomo con dieci teste: alcune di animale!; poi c’era un uomo addormentato su un
serpente. Quelli erano dei indiani: idolatria e paganesimo!
Su
un’altra parete il prete vide un’icona che raffigurava San Michele Arcangelo in
tutto il suo splendore, con la spada alzata nella mano destra, con lo sguardo
controllava da che parte pendesse la bilancia che teneva con la sinistra, il
piede era calcato su un demone sconfitto.
Quella
presenza lo rassicurò un poco, ma poi Isaia inorridì vedendo un ultimo quadro.
Questa volta si trattava di una stampa che rappresentava due teste di vecchio,
una bianca, sopra e al dritto, e una nera, sotto e alla rovescia. La prima era
inserita in un triangolo nero che si intersecava col triangolo bianco che
incorniciava la testa scura. Isaia conosceva quel simbolo e sapeva anche che da
molti lo interpretavano in maniera manichea e vi
vedevano il Dio buono e il Dio cattivo; chi accettava tale simbolo in casa
propria, era solitamente un adoratore del diavolo. Questo, però, non aveva
senso: perché tenere San Michele anche? Perché chiamare un bambino Giorgio?
Voleva
vederci meglio in quella faccenda.
“Ecco
la tisana!” annunciò la voce della donna, che rientrò in salotto, portando un vassoietto con due tazze fumanti.
“Che
cosa significa quest’immagine?” domandò molto duramente Isaia, senza voltarsi a
guardare la giovane.
Michela
appoggiò il vassoio sul tavolo, si avvicinò al prete e disse: “Ciò che è sopra
è come sotto. Sulla Terra non può che esservi solo l’ombra del Regno dei Cieli.
Oppure può rappresentare anche la forza attiva e quella passiva, la cui collaborazione
è necessaria affinché la Creazione esista; la scienza ha dato ragione al
pensiero di Eraclito: alla base di tutto non c’è forse il conflitto tra
elettroni e positroni? Peccato, ho sempre preferito Plotino,
col suo principio dell’emanazione, molto gnostico, a dire il vero. Tornando
alla figura, può essere pure la religione. La testa bianca è Dio, assoluto,
supremo, solo amore, che le nostre menti non possono comprendere e dunque
dobbiamo accontentarci delle sua ombra; la lanterna anziché la luce, il
riflesso nel pozzo e non la Luna. Il Dio che sentono i consacrati e il Dio che
si mostra al popolo che non è in grado di arrivare alla sublimità. La verità
non vuole essere volgarizzata; è misericordiosa e dà il suo amore a tutti, ma
rimane coperta da mille veli e bisogna toglierli pian, piano per giungere a
Dio.”
“Non
è la risposta che darebbe la Chiesa.” osservò Isaia.
“Non
è la risposta che la Chiesa dà alle moltitudini, perché alla maggior parte
degli uomini serve un Dio che rassomigli ad essi, tremendo come quello del
Vecchio Testamento. Se un maestro non si adirasse con i discepoli che fanno del
male, essi crederebbero che il male resti impunito e non avrebbero più freno le
loro azioni. Per la maggior parte, gli uomini sono ancora infanti che hanno bisogno
di un padre severo, per essere poi indirizzati sul retto cammino.”
“Tu
non credi al giudizio divino?”
“Dio
è amore, non si arrabbia e non condanna. Gli uomini deturpano le proprie anime
e attirano su di sé le negatività, con le loro azioni, i loro pensieri e le
loro passioni.”
“Questo
non è l’insegnamento della Chiesa.” ribadì molto aspramente il prete,
nonostante quelle parole rispecchiassero il suo sentire.
“Isaia,
sa che le mie parole sono vere. Sono ciò che prima le hanno insegnato e poi si
sono raccomandati di tenere segreto. Che male c’è, se io so?”
“Potrei
anche confermare le tue parole, ma ciò non cambia nulla. Tuo figlio ha lasciato
intendere che tu fai molto più che spostare oggetti col pensiero.” si fece
minaccioso “Sei una strega, non è così?”
Michela
si fece molto seria, si rivolse al figlio e lo invitò ad andare in camera a
giocare, poi guardò Isaia e gli disse: “No, le streghe sono vittime di
fanatismo e superstizione, seguono idoli e passioni, scambiano i simboli coi
significati e viceversa, io non ho nulla a che fare con loro. Se proprio vuole
usare un termine simile, maga è più adatto, perché quella che pratico io è
l’arte degli antichi Magi. Gli stessi Magi che sono venuti ad adorare Gesù come
Salvatore. Se condanna me, condanna pure Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.”
Isaia
non disse nulla, ma continuò a guardarla severamente. La ragazza sedette al
tavolo e invitò il prete a fare altrettanto e a bere la tisana.
“Che
veleno ci hai messo dentro?”
“Così
mi offende. Non potrei mai fare del male a qualcuno, men
che mai a lei.”
Isaia
la guardò con freddezza e, come a voler dimostrare di avere capito tutto,
domandò: “Non vuoi uccidermi? Allora che cosa ti ha ordinato Serventi?”
Gli
occhi della giovane divennero quelli di una belva; pur non essendo cambiato
nulla, Isaia credette di vedere fulmini attorno alla
ragazza che con una voce carica di ira e di imperio, scandì: “Non nomini mai
più quell’uomo in mia presenza!”
Isaia
rimase come intimorito per qualche istante, deglutì. Lasciò passare più di un
minuto di silenzio, prima di riprendere la conversazione.
“Dici
di essere fedele a Dio, ma vedo molti idoli pagani in questa stanza.”
“Quello
è Visnu, in varie sue forme. Ho qualche icona anche di Vajrapani e Manjusri”
“Una
divinità indiana …” disse il prete con un certo disprezzo.
“Un
altro modo di definire la forza di Dio che si oppone al male.” lo corresse la
ragazza “Hanno dato il nome Visnu a quello che noi
chiamiamo Michele o Giorgio, a quella forza di Dio che si incarna per
combattere i demoni. Nomi e simboli diversi per la medesima sostanza. Protegge
il bene, la verità e lotta contro il male, proprio come lei.”
“Questa
è una blasfemia!”
“Non
lo è e lei sa che ho ragione.” bevve un lungo sorso di tisana.
“Tu
ti occupi di magia ed è sempre e solo un’arte del demonio, non importano le
parole che usi per cercare di addolcirla.”
“Isaia,
lei stesso usa la magia, solo che non la considera tale.”
“Che
cosa stai dicendo?”
“I
suoi esorcismi non sono altro che magia.”
“No,
è il potere della fede e della forza di Dio.” ribatté con decisione il prete.
“Sì,
è questo, ma sa come funziona? Certo che lo sa, solo che non se lo ricorda.
Conosce anche lei lo Spirito che permea tutto e sa che ci sono modi per agire
su di esso. La nostra immaginazione, la nostra mente, interagisce con questo
fluido cosmico ed è in grado di temprarlo, manipolarlo, oppure ne può essere
distrutta. Paura, rabbia e desiderio sono i punti di forza dei corrotti che
finiscono in balia del male, per mezzo di queste tre passioni essi più o meno
consapevolmente manipolano quest’energia universale. Voi della Congregazione vi
ritrovate spesso ad indagare su persone che, per un qualche trauma, hanno una
vaga e inconsapevole con la luce astrale e in questo modo ottengono un qualche
potere. I veri Maghi li sanno usare tutti. I servi di Dio hanno l’animo puro e
non soggetto a vizi e usano solo la propria volontà per piegare questo flusso.
La magia, come ogni altro strumento, non è di per sé né buona, né cattiva, è e
basta. È l’animo di chi la pratica che conduce a Dio o al Demonio.”
“Basta,
non ascolterò oltre questi oltraggiosi vaneggiamenti.”
Isaia
si voltò e mosse verso la porta, fortemente adirato. Michela, che fino a quel
momento era rimasta calma, si preoccupò.
“Aspetta!”
supplicò, alzandosi in piedi; poi si avvicinò a lui dicendo: “Non essere fanatico.
La superstizione subentra alla religione allorché rimane il rito senza ragione,
è il segno che sopravvive all’idea, la fede rimasta isolata e il fanatismo è il
Tempio messo al posto di Dio, è l’interesse umano e temporale del prete
sostituito all’onore del sacerdozio. La superstizione è la religione
interpretata dalla scioccaggine; il fanatismo è la
religione che serve di pretesto al furore. È questa la direzione verso cui ti
stanno tirando, ti prego, sottraiti! Non condannarmi per fanatismo, ricordati della
carità cristiana! La carità, l’amore, il fondamento della vera Chiesa, del bene
e di Dio.”
Isaia
rimase interdetto, effettivamente quelle parole circa il fanatismo si
addicevano perfettamente a Vargas e ai suoi Templari.
Michela
gli si accostò ulteriormente, gli prese le mani e le strinse, lo guardò negli
occhi e disse: “Se volessi, potrei cancellare dalla sua memoria quest’incontro,
oppure potrei costringerla a cambiare idea, ma non è questo che voglio, io non
impongo nulla. Voglio che lei capisca da solo, solo così potrà salvarsi dal
male e dal suo ego.”
Isaia
la guardò, la paura delle sue certezze minate gli consigliavano di allontanare
quella donna, una forza maggiore, forse una consapevolezza quiescente, gli
imponeva di ascoltare.
“Cos’ha
intenzione di fare, ora? Denunciarmi al Direttorio o, peggio, ai Templari?”
“Come
fai a sapere …?”
“Me
l’ha detto lei. Noi due parliamo spesso, solo che lei non ne è consapevole. Mi
ascolti, la prego, io so che lei, tra i tanti libri che possiede, ha anche Il
libro degli Splendori e La Chiave dei grandi misteri; la prego, li
rilegga, ritrovi la verità che già conosce. Poi, se vorrà ancora denunciarmi,
se lo riterrà ancora la cosa giusta da fare, lo faccia pure, ma prima, la
prego, rilegga quei testi!” poi gli lasciò le mani e andò ad aprire la porta.
Isaia
non disse nulla e uscì. Camminò rapidamente verso l’automobile, ripensando a
tutto ciò che quella ragazza gli aveva detto. Effettivamente non c’era nulla di
sbagliato nelle parole che aveva ascoltato, effettivamente erano tutte cose che
aveva studiato, ma una delle cose che gli era stata insegnata era anche che la
magia corrompe sempre, che nonostante la buona volontà, avere un simile potere
induceva sempre ad assecondare i propri interessi e non quelli di Dio. Non
poteva credere all’esistenza di maghi buoni, di maghi servi di Dio.
Isaia
ricordava bene i libri che la ragazza gli aveva consigliato di rileggere, erano
trattati esoterici di un abate francese che si firmava con lo pseudonimo di Eliphas Levi. Era stato padre Samuele a consigliarglieli.
Questi
testi ti serviranno molto –gli aveva detto il suo maestro- spiegano
perfettamente come agisce il male, come il magnetismo del male seduca gli
animi, ma soprattutto illustra come si resiste alle tentazioni, in maniera
molto stoica indica come deve essere l’animo di un uomo per poter attingere al
potere della magia, dominandola, senza caderne in balia. Leggili con attenzione,
ti faranno conoscere i modi di agire dai corrotti dal male, ti insegneranno a
resistere ai loro poteri. Limitati ad apprendere questo, per il momento. Quando
il tuo animo sarà temprato e totalmente sotto il controllo di Dio, allora
potrai provare ad imparare tu stesso a ricorrere alla magia ... ma non dire che
ti consiglio queste cose!
Isaia
aveva dunque seguito il consiglio di padre Samuele, aveva appreso tutto ciò che
era necessario per considerare la magia manifestazione del male e aveva
dimenticato di imparare ad impiegarla per il bene.
Era
questo a cui si riferiva quella ragazza? Come poteva quella giovinetta sapere
quelle cose? Chi era veramente? Era ovvio che non gli avesse raccontato tutto,
che gli stava nascondendo molte cose, tuttavia Isaia, nonostante il suo
scetticismo, non era riuscito ad avvertire nulla di demoniaco in lei o nella
sua casa.
C’era
poi quella strana frase! Lui le avrebbe parlato senza accorgersene? Che razza
di sciocchezza era mai quella? Come poteva essere? Che centrasse col fatto che
lei gli aveva praticamente detto che lei poteva manipolare la sua mente? Bah,
probabilmente era una menzogna! Perché non usare davvero quel potere, se lo
aveva davvero? Isaia doveva credere che quella donna fosse così corretta da
lasciare il libero arbitrio, potendo negarlo? No di certo.
Accidenti
Isaia si era lasciato decisamente troppo impressionare da quella situazione!
Probabilmente quella ragazzina aveva solo letto qualche libretto esoterico e ne
aveva memorizzato alcune frasi; forse davvero sapeva fare qualche trucchetto magico, ma di certo lui l’aveva sopravvalutata.
In fondo non l’aveva vista fare nulla. Il bambino sì, aveva manifestato un
potere, ma quella donna non aveva fatto nulla se non preparare il tè e parlare.
Il
ciarlatano è appariscente, il vero mago si nasconde.
Riecheggiò
questa frase nella testa di Isaia. Chi l’aveva detta? Quando l’aveva sentita?
Non ricordava.
E
poi, la reazione tremenda della ragazza al solo sentire nominare Serventi! Lo conosceva
dunque. Non doveva averlo in simpatia, quindi forse lei non era da considerarsi
una nemica. A meno che non fingesse. In ogni caso la questione della magia non
gli piaceva affatto.
Che
fare, dunque? Il Direttorio avrebbe voluto un resoconto della verifica.
Non
ebbe il tempo di decidere: una chiamata. Gabriel aveva bisogno d’aiuto nella
sua ricerca indipendente circa le catacombe. Isaia sospirò, si ripromise di non
dimenticare quella faccenda, di non sottovalutarla, di studiarla con la dovuta
attenzione, nonostante la grave e delicata situazione in cui si trovava
coinvolto.
La
faccenda della setta satanica si era conclusa felicemente, quegli adoratori del
diavolo erano stati consegnati alla giustizia, Isaia sperò che fossero
condannati, almeno i più anziani di loro, per omicidio e non solo di tentato
omicidio.
Quella
preoccupazione era finita. Ora Isaia poteva tornare a concentrarsi
sull’impedire ad Alonso di risalire all’Ordine Templare. Accidenti! Vargas aveva assicurato che si trattava di un Ordine
segretissimo, che non esistevano prove della loro esistenza e nemmeno la si
sospettava … certo! Eppure Alonso e Rebecca erano già giunti a risalire agli
Ospedalieri, il passo per collegarli ai Templari era davvero corto. Certo,
formulare quell’ipotesi era assurdo: i Templari erano ufficialmente estinti da
settecento anni, ma Isaia era abbastanza certo che Alonso o Gabriel avrebbero
avuto il coraggio di osare pensare a loro. Non doveva permettere che
arrivassero a quella conclusione, altrimenti Vargas
avrebbe iniziato a considerare anche Alonso un nemico e chissà come avrebbe
agito, pur di proteggere la segretezza dell’Ordine.
Che
orribile gente aveva conosciuto! Non poteva credere che persone così spregevoli
fossero così radicate nella Chiesa e godessero di un simile occulto potere. Non
era però dispiaciuto di essersi imbattuto in loro: conoscendoli poteva
osteggiarli.
Come
se tutto questo non bastasse, c’era anche la questione della ragazza che,
forse, praticava magia. Isaia ci aveva riflettuto e aveva deliberato di
ascoltare la preghiera della donna e di rimandare la decisione definitiva a
dopo che avesse riletto i trattati di Eliphas Levi.
Più ci pensava, più Isaia aveva l’impressione che le parole della giovane
assomigliassero a quelle di padre Samuele, gli veniva dunque da credere che la
donna non potesse essere seguace del diavolo e che forse davvero era in grado
di praticare la magia senza rimanerne vittima.
Era
mattino presto e stava pensando a queste cose, quando si ritrovò nella
biblioteca e vide Gabriel, che preparava gli ultimi documenti, e padre Alonso
che gli riferiva le ultime scoperte. Isaia tese le orecchie per scoprire se e
quali novità ci fossero, il bibliotecario spiegò che aveva individuato un
Ordine segreto derivato dai Benedettini, diverso da quello degli Ospedalieri, e
disse anche che stava per risalire ad una roccaforte in mano loro. Isaia
rassicurò Gabriel che avrebbe preso in mano lui la ricerca di Serventi e
dell’Ordine. Non appena lasciò l’amico da solo, Isaia si tolse gli occhiali e
sospirò, parecchio sconfortato. Perché il bibliotecario aveva voluto continuare
quella ricerca così ostinatamente? Questo non sarebbe dovuto accadere! Ora che
fare? Lasciare che Alonso scoprisse e indicasse a Gabriel il luogo dove andare
a ficcare il naso e così perdere la fiducia di Vargas,
oppure mantenere la copertura, ma non sapendo a quale costo?
Si
ricordò, però, che Vargas gli aveva detto che
l’Ordine aveva fatto voto di non uccidere i ministri di Dio, dunque padre
Alonso non correva pericolo di vita. Inoltre, forse conveniva trovare la
maniera di troncare definitivamente quelle indagini: se il bibliotecario non
fosse andato oltre, la situazione si sarebbe tranquillizzata per tutti.
Isaia
si recò alla sede dei Templari e si dimostrò alquanto preoccupato. Gli parve
che Vargas volesse testare la sua determinazione,
quando si dimostrò non preoccupato. Poi quella frase: “È pronto per compiere
questa scelta?”
Pure
quella era una prova. Isaia si rendeva perfettamente conto che Vargas gli stava tenendo il fiato sul collo e che lo
mettesse ripetutamente davanti a scelte e prove dure, per costringerlo o ad
abbandonare o ad abbracciare completamente la loro causa. Vargas
non accettava tiepidezze, voleva che Isaia subito si spingesse oltre, si
donasse completamente all’Ordine, solo così poteva essere certo di averlo
stretto a sé. Prima la richiesta di tradire Gabriel, poi l’avergli mostrato
quello scrigno, i sacrileghi gesti dell’iniziazione e ora anche quella scelta
da prendere. Era come se il Templare volesse trascinare il prete in un maelstorm di iniquità che trascinava sul fondo, senza
possibilità di uscirne se non morti. Isaia sapeva di starsi invischiando in
qualcosa che aveva ben poco a che spartire col bene, col Dio che aveva sempre
venerato, sapeva anche che forse non sarebbe mai stato perdonato da Gabriel, da
Alonso o da chiunque altro. Che importava? Meglio essere odiati, ma essere nel
giusto, piuttosto che non macchiarsi direttamente le mani, ma permettere che
altri facciano cose tremende. Non gli importava se gli altri non avessero
compreso le sue decisioni, ormai era solo. Solo in quella faccenda, solo in
tutto.
“Sì.”
rispose Isaia, fissando negli occhi l’interlocutore.
“Fatelo
entrare.” ordinò Vargas, il suo sguardo era
soddisfatto della propria opera, della propria creatura.
La
porta si aprì. Isaia si voltò a guardare.
“Vieni
pure avanti fratello Giona.” invitò Vargas.
Entrò
un uomo vestito di nero. Isaia lo riconobbe non appena lo sfiorò con lo
sguardo: era il sicario, l’uomo che aveva visto in casa di Agata e che aveva
tentato di ucciderla e che era riuscito ad ammazzare Gabriel. Non aveva dubbi,
era proprio lui. Provò rabbia verso quell’uomo e, soprattutto verso Vargas che gli stava imponendo una tremenda scelta. Non
lasciò trasparire nulla, nessuna emozione.
“È
ai suoi ordini, può dire a lui quello che vuole che sia fatto.” gli disse Vargas.
Il
vero messaggio di quella frase era: dimostra
fino a che punto ci appartieni.
Isaia
lo guardò, nascondendo la preoccupazione: non credeva lo avrebbero spinto ad
ordinare un omicidio. Sospirò impercettibilmente, chiuse la bocca e deglutì
prima di dire: “Voglio che tu vada nella biblioteca della Congregazione e
ferisca padre Alonso, non gravemente, poi prendi la sua documentazione e
portala qui.”
Giona fece un cenno
con la testa e uscì.
“Perché
questa scelta generosa?” lo interrogò Vargas.
“Lei
ha detto che il nostro Ordine ha fatto voto di non agire contro i ministri di
Dio e io mi sono attenuto a questo precetto.” rispose Isaia, nella maniera più
naturale possibile.
Vargas lo guardò e
sorrise in maniera indecifrabile. Isaia non avrebbe saputo dire se l’uomo fosse
soddisfatto delle sue parole, o del fatto di avere smascherato la sua
insicurezza.
Isaia
prese congedo e se ne tornò all’appartamento. Si pentì di non aver dato un orario
al sicario. Aveva specificato che ciò accadesse in biblioteca, per essere certo
che qualcuno si sarebbe presto accorto della ferita di Alonso e avrebbe
chiamato i soccorsi. Se quel sicario, però, fosse andato quando non c’era
nessun’altro? Per fortuna Isaia sapeva le ore in cui la biblioteca era vuota o
piena di gente, per cui, se non avesse avuto notizie, si sarebbe recato lui
stesso da quelle parti, pronto a soccorrere Alonso. Nel frattempo si sarebbe
dedicato alla lettura dei testi di Eliphas Levi. Non
avrebbe dovuto leggerseli da cima a fondo; Isaia, infatti, aveva l’abitudine di
segnarsi su un foglio i numeri delle pagine interessanti e li divideva anche
per argomento, in modo tale da avere le informazioni organizzate in maniera
organica e poterle reperire facilmente all’occorrenza. Per ciascun volume,
dunque, scorse l’indice che aveva stilato e andò a cercare i passi che potevano
essere più idonei.
Il nostro
mediatore plastico è una calamita che attira o che respinge la luce astrale
sotto la pressione della volontà.
La parola agisce
sulle anime e le anime reagiscono sui corpi; dunque si può spaventare,
consolare, render malati, guarire, uccidere e anche resuscitare con delle
parole.
La volontà umana
dirige la luce vitale per mezzo dell’apparato nervoso. Ciò si chiama ai nostri
giorni magnetizzare.
La magia è la
prima delle scienze, la più santa di tutte, poiché stabilisce in un modo più
sublime le grandi verità religiose. La più calunniata di tutte, perché il volgo
si ostina a confondere la Magia con la stregoneria superstiziosa.
L’agente
universale è la forza vitabile e subordinata
all’intelligenza. Abbandonato a sé stesso divora rapidamente tutto quel che
genera; ma se la saggezza di Dio gli mette il piede sulla testa, esaurisce le
fiamme che egli vomita e versa sulla terra a piene mani, una luce vivificante.
Osare e sapere
generano il successo, ma bisogna volerlo e agire, infine raccogliere i propri
frutti in silenzio. Sapere, osare, volere, tacere.
L’anima, agendo
su questa luce, con le sue volontà, può dissolverla o coagularla, proiettarla o
attirarla.
La verità è
l’idea identica con l’essere. L’assoluto è l’essere.
Il bene è
l’ordine. Il male è il disordine. Il godimento dell’ordine è l’unico piacere concesso.
Il godimento del disordine è un piacere proibito.
Ma come faceva, lui, a sapere quale fosse l’ordine?
Molte,
molte altre frasi ancora, tutte che tendevano a dimostrare che la magia è una
capacità di ogni anima, di ogni mente e che a renderla buona o malvagia,
fossero le inclinazioni umane.
Stava
leggendo e riflettendo, quando il suo cellulare squillò. Isaia rispose, lo
informarono che Alonso era stato ferito in biblioteca. Si precipitò a
controllare. Tirò un sospiro di sollievo, constatando che la ferita non era
grave e che il bibliotecario si sarebbe presto ripreso.
Lo
guardava disteso nel letto, ma cosciente. In fondo non stava male, ma Isaia si
sentì ugualmente molto in colpa. Ora voleva stargli accanto, per essere certo
non ci fossero complicazioni. Nella stanza della clinica c’era pure Rebecca,
che lo aveva trovato; presto arrivò anche Gabriel.
Quando
l’amico chiese chi fosse il responsabile dell’accaduto, Isaia provò una fitta
nel proprio animo, ma si mantenne calmo e continuò a fingere di non sapere
nulla e di credere che fosse stato Serventi. Gli sembrava che per il momento la
faccenda potesse dirsi chiusa e invece … invece Alonso, nonostante le sue
condizioni, ci aveva tenuto a dire a Gabriel dove fosse la rocca collegata con
l’ordine segreto e a spronarlo ad andare a cercare.
Gabriel,
volendo dare un senso alla sofferenza dell’amico e volendo consolarlo, aveva
deciso di andare; aveva chiesto ad Isaia di accompagnarlo, in nome dei vecchi
tempi, un’ultima missione assieme. Isaia accettò, doveva tenerlo d’occhio. Gli
venne quasi da ridere per l’ironia della sorte: Gabriel gli stava chiedendo
aiuto in una situazione che Isaia avrebbe di gran lunga preferito evitare e lo
stava facendo proprio nello stesso giorno in cui lo avrebbe abbandonato. Soltanto
ora che lo stava per lasciare, Gabriel si ricordava di lui. In quegli ultimi
mesi, da quando Gabriel aveva conosciuto Claudia, Isaia si era sentito sempre
più escluso dalla vita dell’amico che passava gran parte del proprio tempo con
quella donna e non lo coinvolgeva più. Forse era per questo che, in realtà,
aveva fatto scattare quelle foto incriminanti da Pietro e le aveva fatte avere
al Direttorio: aveva sperato che Gabriel si allontanasse da Claudia e tornasse
ad essere il suo migliore amico.
Inutile.
Quando la Munari si era allontanata per quasi un anno, Isaia aveva creduto che
le cose sarebbero tornate come prima, infatti Gabriel gli aveva raccontato
dell’incubo ricorrente, si era di nuovo aperto con lui. Poi quella donna era
ritornata e Gabriel aveva smesso di confidarsi.
Ah Gabriel! –esclamava
Isaia tra sé e sé- Perché non ti sei
fidato di me? Eri spaventato a quel punto? Io volevo solo che tu mi parlassi,
che mi facessi capire. Io volevo aiutarti, ma tu sei stato così evasivo e mi
respingevi e io, privo di risposte, ma impaziente di agire … guarda un po’ dove
sono finito!
Ora
Gabriel se ne sarebbe presto andato. Ora si ricordava di voler rivivere i
vecchi tempi con Isaia per un’ultima volta.
I
due gesuiti salirono in automobile e andarono verso la rocca indicata da
Alonso, si trattava di un castello abbandonato, ma ancora in discrete
condizioni, non era lontano. Prima di partire, Isaia aveva fatto una telefonata
a Vargas per riferirgli l’accaduto ed era stato
rassicurato circa il fatto che lì non ci fosse nulla. Isaia era lo stesso
sospettoso, era ancora assolutamente certo che i Templari sorvegliassero ogni
sua mossa per poterne appurare la lealtà; quando scese dall’auto si guardò
attorno, per vedere se ci fosse qualcuno, ma non gli parve. Isaia era
preoccupato, ma non che Gabriel scoprisse qualcosa, bensì di cadere in un
imboscata e di non poter far nulla per salvarlo; per questo insistette più
volte per tornare indietro. Non poté, però, persuadere Gabriel. Trovarono tre
vecchie tombe su cui vi erano le parole: Fides, Spes, Veritas.
Le tre virtù teologali, ma con la verità al posto della carità.
A
Isaia colpirono quelle due parole: la Verità era ciò che Serventi lo aveva
accusato di non vedere, la Carità era ciò che Michela aveva invocato come fondamento
di Dio. Non aveva, però, tempo di riflettere, doveva convincere Gabriel ad
andarsene.
Vano!
L’amico aveva avuto l’intuizione giusta e già lo invitava a scostare l’ultima
lastra tombale. Vi trovarono nascosta sotto una cassetta di legno, l’aprirono e
vi trovarono dei documenti. Li sfogliarono rapidamente: erano i resoconti della
guerra tra l’Ordine e la setta del Candelaio, guerra iniziata nel 1637.
Ora
Gabriel conosceva l’esistenza dell’Ordine, ora Gabriel lo avrebbe cercato,
sperando di trovare degli amici, dei sostenitori, senza sospettare di andare
incontro a nemici spietati. Se Gabriel avesse seguito quella traccia, si
sarebbe gettato spontaneamente nelle fauci dei leoni del Tempio. Isaia non lo
poteva permettere.
Isaia
provò dentro di sé un gran desiderio di rivelare tutto all’amico. Non voleva,
però, abbandonare il suo doppiogioco, credeva ancora di essere più utile alla
causa, rimanendo dentro ai Templari. Che fare allora? Non poteva parlargli, non
sarebbe stato sicuro: temeva sempre i mille occhi e le mille orecchie del
Tempio, inoltre Gabriel avrebbe cercato di dissuaderlo da quell’azione da
infiltrato.
Stava
pensando rapidamente, le idee vorticavano confuse. Isaia si disse che per
salvare Gabriel, doveva perderne l’amicizia, doveva farsi considerare un
nemico.
Depose
il libro che aveva in mano e afferrò una grossa pietra.
Avrebbe
colpito Gabriel, non per ucciderlo. Lo avrebbe aggredito, convincendolo di
volerne la morte, ma soprattutto lanciando qualche frase che avrebbe permesso
all’amico di capire che l’Ordine appena scoperto non era amico.
Si
portò la pietra al petto. Guardò Gabriel che gli dava le spalle. Avrebbe dovuto
colpirlo e forte, forse anche più di una volta. Che paradosso: picchiare un
uomo per salvarlo! Ma era l’unico modo per fargli sapere del pericolo che stava
correndo.
Era
nervoso, non gli piaceva quel che stava per fare, si sentiva disgustato da se
stesso. Il cuore gli batteva forte.
Doveva
agire e subito … E se qualcosa fosse andato storto? Se non avesse saputo
regolarsi? Se la finzione fosse diventata realtà?
No!
Non poteva correre il rischio.
Lasciò
cadere la pietra a terra e si tolse gli occhiali. Si piegò per la rabbia, per
l’impotenza e la vergogna per l’idea che aveva avuto. Si dispiacque di non
potere mettere in guardia Gabriel, ma non poteva rischiare di fargli davvero
male. Era confuso e i tormenti del suo animo gli avevano anche provocato un
certo malessere fisico.
Isaia
si ritrovò con in mano la cassetta di legno e sentì Gabriel raccomandarsi di
studiare quei documenti. Isaia tentò di mitigare l’entusiasmo dell’amico che,
tuttavia, rimaneva molto eccitato e più che essere soddisfatto da quel
ritrovamento, era incuriosito.
“Perché
non ci siamo mai imbattuti in quest’Ordine prima d’ora?” domandò Gabriel.
Quanto
avrebbe voluto potergli rispondere! In Isaia, però, si accese una speranza:
tutto quell’entusiasmo di Gabriel, quel ritrovato interesse grazie a documenti
decisivi che avrebbero dato una netta svolta all’indagine … forse tutto ciò
poteva servire a persuadere Gabriel a rimandare la sua decisione di spretarsi.
Isaia sperò che l’amico desiderasse scovare Serventi più di ogni altra cosa,
sperò che quella nuova pista convincesse Gabriel ad indagare ancora e quindi a
rimanere nella Chiesa e nella Chiesa sarebbe stato salvo e al riparo dai
Templari.
Fu
con una grande speranza che domandò: “Ma tu che intenzioni hai?”
Purtroppo
Gabriel non era intenzionato a tornare indietro circa la propria decisione e
nulla poteva amareggiare maggiormente Isaia.
Note!
Buongiorno a tutti! Spero che questa fanfic vi stia
piacendo.
Domani sera ci sarà l’ultima puntata di
questa stagione, in attesa dello scontro epico che il promo ci promette, ecco
un altro capitolo.
Grazie di seguirmi!
Appena
tornati a Roma, Isaia e Gabriel andarono a riferire le loro scoperte ad Alonso,
che fu contento di essere stato utile. Isaia ci teneva ad assicurarsi che il
bibliotecario stesse bene, ma appurato ciò non poteva trattenersi oltre, per
cui si scusò per la fretta e se ne andò. Ovviamente si recò da Vargas, era piuttosto irritato: il Templare gli aveva
assicurato che quella rocca non c’entrava nulla con loro, che non vi avrebbero
trovato niente e, invece … Un tremendo sospetto gli balenò per la mente: e se Vargas avesse voluto che lui e Gabriel si trovassero da
soli in quel luogo e che Gabriel recuperasse quei documenti, in modo tale che
lui, Isaia, fosse indotto ad ucciderlo per il bene e la segretezza dell’Ordine?
Se quella situazione fosse stata creata apposta per metterlo alle strette? Beh,
presto lo avrebbe scoperto.
Parlò
con Vargas che ribadì l’estraneità dei Templari a
quel luogo e sostenne che quei documenti fossero stati posti lì da Serventi,
poco ci mancava che sostenesse che quel castello glielo avevano comprato a sua
insaputa. A quel punto la spiegazione più logica che venne in mente al gesuita
fu che pure Rebecca, la ragazza che aveva fornito le informazioni ad Alonso,
fosse coinvolta nella setta del Candelaio.
“È
pronto allo scontro finale?” gli domandò il Templare.
Scontro
finale? Dunque si era già a questo? Isaia non aveva sospettato che la
situazione sarebbe precipitata così rapidamente. Poco male, ciò significava che
la sua finzione sarebbe presto finita. Adesso doveva restare alle costole di Vargas, conoscerne tutti i piani ed essere pronto ad
intervenire al momento più opportuno. Sperò pure che Gabriel riuscisse a tenere
a freno il suo lato oscuro, perché se non ne fosse stato capace, allora Isaia
avrebbe dovuto davvero affrontare l’amico.
“Sì,
sono pronto.”
“Ne
è sicuro?” insisté il Templare.
“Certo!”
esclamò Isaia, con un velo di apprensione, temendo di essersi tradito in una
qualche maniera.
“Oggi
avresti già potuto porre fine a tutto questo e non l’hai fatto, mettendo a
repentaglio la segretezza del nostro Ordine. Oggi, quando avete trovato la
cassetta, ora nelle mani della Congregazione, quando hai visto che Gabriel
aveva ormai scoperto la nostra esistenza, perché non lo hai ucciso? Credi forse
che noi non possiamo volatilizzare un cadavere? Ti mancavano i mezzi o il
coraggio e la fede?” Vargas era stato molto aspro e
accusatorio.
“Nessuno
dei due.” precisò Isaia, che aveva già pensato alla propria giustificazione
“Gabriel, per indagare su quel luogo, non si è presentato al Vescovo per la
revoca dei voti, dunque è ancora un ministro di Dio. Inoltre, lui è convinto
che noi gli saremmo alleati, dunque non ci vede come un pericolo e in ogni caso
ha lasciato l’indagine a me: mi occuperò personalmente di far sì che tutto si
risolva in un nulla di fatto.”
Vargas lo guardò,
forse non convinto, ma dovendo riconoscer di essere sconfitto da quella
dialettica; forse si rimproverò il fatto di essersi affidato a un gesuita,
dunque un esperto in quanto a finzione e sofismi; ad ogni modo non sembrò
preoccupato, probabilmente faceva parecchio affidamento sull’abnegazione di
padre Morganti e il suo desiderio di difendere la
Chiesa.
Isaia
tornò in appartamento, erano già passate le diciannove, ma non aveva voglia di
cenare, vide i libri di Eliphas Levi che aveva lasciato
sul tavolo, riguardò l’ultima frase che aveva letto: il bene è l’ordine, il
male è il disordine.
Si
pose nuovamente la stessa domanda di qualche ora prima: lui sapeva cos’era
l’ordine?
Se
fosse stato un semplice parroco, probabilmente non avrebbe avuto alcun dubbio.
In realtà non dubitava della Chiesa in sé, ma delle intenzioni degli uomini che
si dicevano ministri di Dio. Isaia, ingenuamente, aveva sempre creduto che
tutti i preti fossero puri servi di Dio, che tutti i loro sforzi tendessero
verso il vero bene. Ora, però, sapeva che non è così. Alcuni hanno l’animo
troppo grossolano, sono buoni, ma son lontani dalla verità, nonostante si
spingano verso di essa. Altri, invece, fraintendono, cadono vittime di orgogli,
superbie, paure e altre pulsioni e tanto più travisano la realtà, tanto più si
accostano, senza accorgersene, al diavolo.
Con
tanti pareri differenti, con tante opinioni che affermavano di essere vere,
come poteva lui, Isaia, sapere quale fosse la Verità?
Era
come perso in una giungla e non aveva con sé il machete necessario per aprirsi
la via.
No,
non era così, si era sbagliato. Il machete lo aveva, era Dio. Quale Dio? Anche
su di Lui la gente formulava mille e più concezioni differenti.
Dio è immutabile
e tali sono le sue leggi. Dio è l’Essere Assoluto, ciò che non può essere
conosciuto dall’intelletto, può essere solo amato. Egli ci parla per mezzo
dello Spirito Santo, indica alla nostra anima il cammino giusto, a noi la
scelta di obbedire o fuggire. Bisogna avere umiltà nel riconoscere la nostra
ignoranza, bisogna avere fede per sapere che Dio ci guida verso il meglio,
anche quando non sembra, bisogna avere coraggio per seguire la Sua volontà.
Ecco
quello che Isaia si sentiva di ritenere certo circa Dio. La mente umana, se
cercava di comprendere Dio, si perdeva in mille sofismi e non poteva arrivare
ad una conclusione. Dunque, se voleva schiarirsi le idee e sapere che cosa
fare, Isaia doveva meditare, meditare più spesso, per poter sentire la Voce di
Dio e poterla seguire.
Il
gesuita decise di raccogliersi in contemplazione e dunque si distese. Questa
volta non fece riflessioni di alcun tipo, né costruì nella propria mente gli
scenari che gli era stato insegnato ad immaginare vividamente per temprare il
suo animo; semplicemente regolò il respiro e lasciò che i suoi pensieri
tacessero. Era una sensazione che non è facile a spiegarsi; la gente tende ad
identificarsi coi propri pensieri è tramite di essi che si afferma; lo stato in
cui si trovava Isaia, invece, era una consapevolezza, una presenza a sé stesso,
priva di pensieri e proprio perché la normale logica era bandita da quello
stato, non si può narrarlo.
Di
solito, quando riattivava la mente, Isaia sapeva che cosa doveva fare, non si
spiegava da cosa gli venisse tale consapevolezza, ma era certo che ad averlo
ispirato fosse stato Dio.
Quella
sera, però, riaprendo gli occhi, non era affatto certo di avere avuto
l’ispirazione giusta, anzi temette di essersi addormentato e che l’idea che ora
aveva in testa gli venisse dal sonno e non dalla meditazione. Già, perché in
quel momento sentiva la necessità di andare da quella strana ragazza; com’era
possibile? Lui voleva avere una risposta circa come agire nei confronti di
Gabriel, della Chiesa, di Vargas, di Serventi, quella
maga era l’ultimo dei suoi pensieri, eppure c’era qualcosa in lui che lo
spronava a raggiungerla, non sapeva per quale motivo.
Guardò
l’orologio: erano passate le 20:30, era tardi per una visita, specie senza
preavviso, avrebbe aspettato.
No.
Già il mattino dopo si sarebbe trovato di nuovo immerso nel caos della faccenda
di Gabriel, avrebbe dovuto fare, disfare, brigare, sbrigare, sarebbe stato
chiamato da una parte e dall’altra, avrebbe avuto impegni e avrebbe dovuto fare
tutto di fretta … e poi Vargas aveva annunciato che
la guerra stava cominciando … Se davvero voleva scoprire perché mai la
meditazione lo spingesse ad andare da quella ragazza, doveva andarla a trovare
quella sera stessa.
Quando
concluse questo ragionamento, Isaia era già in automobile.
“Padre
Morganti! Che piacere!” esclamò Michela, quando aprì
la porta e se lo trovò dinnanzi “Qual buon vento?”
Isaia
ci pensò un attimo, sgranò un poco gli occhi e poi ammise: “Non lo so.”
La
giovane sorrise “Dai, entri!”
Il
prete si fece avanti, sentì ancora l’odore di incenso, vide che la tavola era
apparecchiata, il bambino era seduto e sbocconcellava un pezzo di mela.
“Scusa
il disturbo.” disse Isaia, sentendosi d’improvviso in imbarazzo, forse
rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva fatto.
“Nessun
disturbo.” lo rassicurò lei “Vuole mangiare qualcosa?”
Il
prete avrebbe accettato volentieri l’offerta, effettivamente non aveva cenato e
lo stomaco aveva borbottato, non voleva però dare quell’incomodo.
“Non
faccia complimenti, guardi: ho fatto le polpette, ce ne sono molte perché avevo
intenzione di congelare quelle avanzate. La prego, favorisca. Vado a prenderle
un piatto.”
La
donna scomparve in cucina e un attimo dopo tornò con un piatto, posate,
bicchiere e tovagliolo che collocò davanti al gesuita.
Cenarono,
Isaia quasi non parlò: era tutto così irreale … e poi stava accettando
ospitalità da una strega e non era ancora del tutto convinto che la magia fosse
di per sé neutrale. Osservò attentamente la donna, in cerca di qualche indizio
o informazione, ma non gli parve di notare nulla di strano: era una madre sola,
totalmente assorta nell’amore per il figlio.
“Scusi
se l’ho fatta aspettare.” disse un’ora più tardi Michela che aveva dovuto
assentarsi un quarto d’ora per mettere a letto il bambino.
“Scusami
tu, per essere piombato qui senza avvisare.” Isaia si era accomodato sulla
seggiola a dondolo e lentamente ondeggiava avanti e indietro.
La
donna guardò il tavolo ancora apparecchiato, sospirò e andò a sedersi sul
tappeto, dicendo tra sé e sé: “Li laverò domani.”
“Lavi
i piatti a mano?” chiese il prete “Non usi la magia?”
Michela
si mise a ridere, prima di rispondere: “Beh, sì, tecnicamente potrei farlo, ma
non ne vedo la necessità! E poi sarebbe un abbruttimento dell’arte magica, essa
si impiega per ben altre cose!”
“Quali?”
“Conoscere,
ad esempio, riuscire a capire le persone o le cose accadute in un luogo, oppure
vedere gli effetti nelle cause e dunque prevedere il futuro, almeno quello più
probabile. Questo è l’uso che mi piace farne per lo più. È possibile anche
sanare animi e corpi. Poi si possono fare molte altre cose: piegare la volontà
della gente, indurre allucinazioni, in un certo senso evocare gli elementi e
manipolarli e così via. Questo genere di cose, però, non rientra nelle mie
attività comuni. Sono capacità che, le poche volte in cui vi sono ricorsa, non
ho mai usato per me stessa, ma per un fine maggiore: preferisco il dovere, al
diritto.”
Poi
tacque e rimase a fissare Isaia che, da parte sua, non riusciva a crederla
pericolosa e la riteneva sincera.
“Per
chi agisci?” chiese infine.
“Per
Dio.” rispose lei, teneramente “Beh, in realtà mi sono consacrata ad un suo
intermediario. Ho deciso che la mia vita sarà per il servizio del Signore, un
servizio laico, ma non meno devoto.”
“E
chi sarebbe questo intermediario?”
La
ragazza ci pensò qualche istante, ruotò gli occhi per la stanza, poi rispose
vagamente: “Uno dei suoi angeli, una delle sue potenze manifestate.”
Questa
affermazione catturò parecchio l’attenzione di Isaia, era una frase che si
ricollegava facilmente alle sue molte esperienze di verifiche fatte per la
Congregazione e, dunque, gli risultava più semplice da gestire.
“Stai
dicendo che ti appare un angelo a dirti cosa fare?”
“No,
non è proprio un’apparizione.” Michela si trovò in difficoltà nello spiegare
“Lo vedo e dialogo con lui durante certi esercizi in cui mi proietto nella
corrente di luce astrale … Se ha riguardato i libri che le ho consigliato,
dovrebbe capire, più o meno, che cosa intendo.”
“Come
puoi essere certa che sia davvero un emissario del Signore?”
“Lo
so e basta.”
Isaia
sospirò: non avrebbe cavato un ragno dal buco! Decise di cambiare totalmente
argomento.
“Di
chi è questa casa?”
“Mia.
L’ho ereditata dai miei genitori.”
“Ti
hanno lasciato anche dei soldi per mantenerti?”
“Sì,
per fortuna, così posso studiare.”
“Frequenti
l’università?”
“Sì,
corso SARCO: Storia, Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali. Completamente
inutile per trovare lavoro, ma decisamente interessante: dà la possibilità di
conoscere molte culture e apre la mente.”
Isaia
sorrise, apprezzando l’entusiasmo che la giovane aveva messo in quelle parole.
La lasciò parlare a lungo dei suoi studi e intervenne anche lui negli argomenti
che conosceva. Forse chiacchierarono in quella maniera per più di un’ora, poi
la ragazza si assentò per andare in bagno e Isaia rimase da solo coi propri
pensieri. In quel momento si sentiva sereno e soddisfatto, aveva conversato di
materie a lui care, quella giovane si era mostrata molto colta e intelligente,
due doti che apprezzava parecchio. Grazie a quella compagnia, Isaia si era
dimenticato per un po’ di tutti i problemi di quei giorni; non aveva ancora
capito, però, perché mai Dio lo avesse mandato lì. Quando la donna tornò, prima
che riprendesse a parlare, Isaia la precedette e le chiese: “Tu sai perché sono
qui?”
“No,
ma è bello.”
“Peccato.
Nemmeno io so perché sono venuto; non me ne pento, ma non capisco.”
“Sono
giorni duri questi, per lei, e anche oggi è stato molto scosso, forse è qui
solo per rilassarti.” fu la comprensiva ipotesi di Michela.
“Ecco,
spiegami questa cosa del dialogo inconsapevole che, a tuo dire, farei con te!”
“Magari
un’altra volta. Per capire che è scosso, non è necessario parlarti: sprigioni
turbamento da tutti i pori!”
“Eh?”
“La
nostra anima è, per così dire, divisa in due, una parte interna attiva che
agisce e una esterna, passiva in cui rimangono traccia sia delle nostre azioni
compiute, sia di quelle subite e anche i pensieri e le emozioni. Io sono molto
sensibile e riesco a percepire facilmente l’anima esterna, il che mi crea
qualche problema quando sono in luoghi affollati. Se me ne accorda il permesso,
potrei esaminarla un po’ più attentamente e dirle qualcosa circa le persone con
cui è stato a contatto oggi.”
“Non
credo sia un’invasione opportuna. Inoltre non ho mai detto di avere cambiato
opinione sulla magia.” replicò seccamente Isaia, quasi scandalizzato.
“Eppure
sta passando la serata con me, non lo farebbe, se mi credesse davvero alleata
del maligno. Se lo credesse, ora brandirebbe il crocefisso, come ha fatto con Yuri, e tenterebbe di esorcizzarmi.”
“Forse
dovrei esorcizzare me stesso, per liberarmi da un incantesimo che mi hai
fatto.”
Michela
rise dolcemente, poi disse: “Si convinca, io non le ho fatto nulla. Il fatto è
che lei è consapevole di conoscermi da tempo, ma non lo sa.”
“Ancora
con questa storia che ti rifiuti di spiegare. Come potrei fidarmi, anche se
volessi?”
“Se
le spiegassi, non mi crederebbe, ma un giorno se ne accorgerà, fino ad allora
deve credere perché è assurdo.”
“Queste
parole sono di Tertulliano.” Isaia riconobbe la
citazione dell’autore paleocristiano.
Dopo
qualche momento di silenzio, la ragazza chiese: “Lei sa cosa sono i chakra?”
“Vagamente,
qualcuno dei monaci buddisti che girano per il vaticano me ne ha parlato
qualche volta.”
“Non
ci crede?”
“Sette
centri di energia all’interno del corpo e un serpente spirituale che li deve
risalire? È folklore!”
“No,
lasci perdere il serpente che è solo una metafora. I chackra
sono punti di coagulazione delle nostre energie interne, sono sette come i
pianeti nell’astrologia antica, come i minerali nella sceneggiata
dell’alchimia, sette come gli arcangeli e i doni dello Spirito Santo. In India
non sono legati alla religione, ma fanno parte della vita quotidiana di tutti,
anche di preti cattolici!” guardò un attimo Isaia, per capire se potesse
continuare con la spiegazione “Il primo di questi chakra è il nostro ancoraggio
alla terra, è la sessualità, il timor di Dio; il secondo è la creatività,
l’agire e la pietà; il terzo è la nostra autoaffermazione, la nostra volontà, è
l’origine della Magia, è la scienza!” fece una breve pausa, volendo che quel
concetto rimanesse ben impresso “Al quarto punto, qui dal cuore, ci sono gli
affetti e c’èil rapporto sentimentale
con gli altri, i quali però non devono prevalere su di noi e dunque qui c’è
anche la difesa e la fortezza; il quinto è il rapporto sociale, il saper
manifestare la nostra voce, è il consiglio. Il sesto è la nostra logica, che
ben sviluppata può produrre la preveggenza, è l’intelletto. Per ultimo c’è il
contatto col soprannaturale, la saggezza! Sono Saturno e Cassiele,
Marte e Samuele, Giove e Sachiele, Venere ed Anaele, Mercurio e Raffaele, la Luna e Gabriele, il Sole e
Michele.” fece un’altra breve pausa “Lei conosce la differenza tra significato
e significante, non mi faccia il torto di credere ch’io la ignori.”
“Una
teoria interessante, non c’è che dire.” si limitò a commentare Isaia, piuttosto
freddamente “È bello che tu cerchi di individuare come Dio abbia trasmesso gli
stessi messaggi del Cristianesimo ad altri popoli con parole differenti, ma
dove vuoi arrivare con questo discorso?”
“Da
nessuna parte in particolare. Deve sapere che per il nostro benessere fisico e
spirituale è necessario che questi punti energetici siano liberi e funzionanti,
vuole controllare come stanno i suoi?”
“E cosa dovrei fare?” il suo tono era
quello dello scettico divertito, non era affatto interessato a tale controllo.
“Nulla di che, si alzi semplicemente in
piedi, al resto penso io.”
“Ho detto che non voglio invasioni.” fu
secco.
“Nessuna invasione, glielo garantisco.”
Michela si era alzata ed era andata vicino ad una mensola e aprì una scatoletta
“Sarà questo pendolino a indicarci com’è la situazione. Io lo avvicinerò ai
punti dei chakra e saranno le sue stesse energie che
lo muoveranno. Allora vuole provare?”
Isaia non era molto convinto, voleva
mantenersi ligio ed evitare ogni procedura non cattolica, ma poi si disse che
non c’era nulla di male nell’assecondare quella donna, anzi forse gli sarebbe
stato utile per capire meglio l’origine di quei poteri che, tuttavia, non aveva
ancora visto manifesti.
“Ma sì, va bene.” disse, alzandosi in
piedi.
Michela si avvicinò tenendo col pollice
e l’indice l’estremità di un pendolino, poi posizionò la punta di fronte al
primo chakra e osservò l’ondeggiamento, poi pian,
piano risalì fino al settimo.
“Allora?” chiese Isaia, finita
l’operazione, per nulla curioso.
“Va abbastanza bene, ma il quarto chakra è completamente bloccato e anche il quinto e il
settimo dovrebbero essere più curati. Sì, il settimo lo dovrebbe davvero
seguire con cura, al momento è molto confuso.”
“Ora che cosa proporrai?” chiese quasi
con scherno Isaia “Incantesimi e rituali?”
“No. Determinati alimenti o bevande
possono aiutare un poco, incensi con determinati odori per stimolare alcuni
centri, così come tenere con sé certe pietre…”
“Cristalloterapia! Ora siamo davvero
alla superstizione!”
“No, anche le pietre hanno un loro campo
elettromagnetico che interagisce col nostro. Comunque ammetto che questi non
sono veri e propri rimedi, sono tutt’al più dei coadiuvanti; se veramente vuole
fare qualcosa, l’unica soluzione efficace è una meditazione sui chakra.”
“Una meditazione?” questa volta era una
domanda sincera.
“Sì, vuole che gliela insegni?”
Isaia pensò che forse aveva scoperto il
motivo per cui era stato spinto ad essere lì quella sera, per cui accettò la
proposta.
“Bene, si sieda a gambe incrociate,
oppure, se ha problemi causa tonaca, si metta in ginocchio, l’importante è che
la schiena sia dritta. Respiri con calma e inizi dapprima a concentrarsi sul
primo chakra, all’altezza del coccige, si figuri il
colore rosso; non che quest’energia sia davvero rossa, ma associare un colore a
ciascun punto aiuta a focalizzarsi, finché non si diventa pratici.”
Col respiro e la meditazione risalirono
i vari punti: sotto l’ombelico, arancione; bocca dello stomaco, giallo; petto,
verde; gola, indaco; fronte, blu; sommità del capo, viola.
“Bene, questa è una maniera per
prendersi cura dei chakra.” spiegò Michela, conclusa
la risalita “Io, però, preferisco stimolarli con delle vibrazioni. Una nota
musicale per ciascun punto, vuole provare?”
La ragazza e il prete erano ancora con
gli occhi chiusi uno di fronte all’altro, lei seduta a gambe incrociate, lui in
ginocchio. Isaia acconsentì e dunque ricominciarono il passaggio di chakra in chakra, ma questa volta
intonando una nota. Le loro voci vibravano all’unisono, tanto da sembrare una sola.
Finito anche quell’esercizio, Michela prese congedo per qualche momento. Isaia,
solo, continuava ad essere assorto in quella meditazione: si sentiva davvero
bene, era un metodo davvero efficace; sentiva davvero delle connessioni,
sentiva come un filo energetico che gli attraversava il corpo, ma che non si
esauriva in esso, sentiva che questa energia lo ancorava a terra e lo
proiettava verso il cielo. Era una sensazione meravigliosa.
Isaia sentì dei passi, capì che la donna
stava rientrando, sollevò un poco le palpebre e sobbalzò: la ragazza recava con
se una spada corta.
Isaia scattò in piedi, pronto a
difendersi anche se disarmato, guardò con ira la giovane.
Michela però avanzò con calma, senza
aggressività. Si inginocchiò a pochi passi da lui, sollevò gli avambracci,
tenendo la spada adagiata sui palmi rivolti verso l’alto.
“Per favore, puoi benedirla?”
Isaia sgranò gli occhi stupito, forse
era più sbigottito in quel momento che non quando l’aveva vista avanzare
armata. Decise di acconsentire a quella strana richiesta e fece il segno della
croce sulla spada, pronunciando la formula in latino. Non era la prima volta
che benediceva un’arma, lo aveva fatto qualche altra volta, quando si era
ritrovato a dover affrontare sette sataniche. La setta che aveva scoperto
Gabriel e che avevano fatto arrestare il giorno prima, era piuttosto placida;
Isaia si era trovato, in passato, a dover combattere anche con pugnali, ma solo
per difesa; già, di solito i settari, quando venivano colti sul fatto,
cercavano di reagire e di sbarazzarsi di chi li interrompesse.
Benedicendo quella spada, Isaia ricordò
quei momenti in cui si era ritrovato con un crocefisso in una mano e un pugnale
nell’altra; erano cose accadute per lo più ai tempi in cui agiva con padre
Samuele, ormai erano trascorsi diversi anni dall’ultima volta.
Sfiorò il filo della lama e si tagliò
lievemente. Portò il dito alla bocca per fermare il sangue. Guardò perplesso la
ragazza, che intanto si era alzata in piedi, scosse la testa e domandò in un sussurrò:
“Chi sei?”
“L’unica persona che sarà sempre fedele
al suo bene.”
Isaia la guardò con una certa amarezza,
sospirò. Non la capiva proprio e ciò gli dispiaceva. Ormai era certo che non
fosse pericolosa, che le sue intenzioni fossero buone, che era davvero fedele a
Dio, nonostante accettasse immagini non cristiane. Continuava, però, a
nascondergli delle cose, a non essere chiara e questo lo infastidiva parecchio,
avrebbe voluto sapere tutto, per potersi fidare tranquillamente di lei, senza
il sospetto che sotto quell’aria dolce e serena si celasse una minaccia. Tra
tutte le varie organizzazioni che agivano e i doppiogiochisti di cui si era
reso conto, Isaia non se la sentiva proprio di fidarsi del proprio istinto e
concedere fiducia a quella ragazza che praticamente neanche conosceva e che si
dimostrava troppo interessata a lui. Già, tutte quelle attenzioni e quella
benevolenza erano assolutamente ingiustificate, l’unico modo in cui Isaia se le
sarebbe potute spiegare era che quella donna avesse ricevuto da qualcuno
l’incarico di sorvegliarlo. Già, ma da chi? Vargas?
Serventi? Sartori? O c’era qualcun altro che ancora non conosceva?
“È tardi.” sentenziò Isaia severamente
“Devo andare.” poi si sforzò di essere un po’ meno brusco: “Grazie
dell’ospitalità.”
Michela andò alla porta, dicendo: “È
stato un piacere … e un onore la sua visita.”
Isaia considerava esagerata quell’ultima
affermazione, non rispose e si limitò ad abbozzare un mezzo sorriso. Fece per
uscire, ma quando passò accanto alla ragazza, lei lo chiamò.
“Isaia.” il tono mostrava una sincera
apprensione “Stia attento, la prego. Sento che presto accadrà qualcosa, non so
cosa di preciso, ma scuoterà molto fortemente la corrente astrale, ne avverto
già il perturbamento, tuttavia non è chiaro quali conseguenze porterà con sé.”
era come se cercasse di vedere nel futuro e che la spaventasse parecchio ciò
che vedeva “È tutto confuso, ci sono tante strade aperte, molte tremende.”
“Che cosa stai dicendo?” si accigliò il
prete.
Michela lo guardò con occhi lucidi, poi
gli gettò le braccia al collo, premette la fronte sul suo petto e, praticamente
in lacrime, supplicò: “Stai attento! Stai attento e non solo alla vita, ma
all’anima. Prego affinché tu possa udire la voce di Dio, in mezzo a tanto
chiasso; se non la ascolterai, potrebbe essere tremendo. Stai attento!”
Isaia si era irrigidito, non era affatto
avvezzo al contatto fisico, tanto meno da parte di donne; teneva le braccia
intirizzite stese lungo i fianchi. Non gradiva quel contatto, ma non se la
sentì nemmeno di scrollarsela via di dosso, per cui si limitò a chiedere: “Non
ti sembra di esagerare?”
“… Forse …” rispose lei, ricomponendosi
e passandosi una mano sugli occhi per tirar via le lacrime “Ma non so cosa
accadrà, non so se ti rivedrò, non so che decisioni prenderai … Presto potrebbe
essere tutto o il suo contrario.”
Isaia tornò in Vaticano, non aveva idea
di che cosa avesse concluso quella sera, ma si interrogò se le ultime parole
della ragazza potessero in un certo senso collegarsi con lo scontro imminente
annunciato da Vargas.
Vi chiedete: “Isaia! Che ti è passato
per la testa?”
Qui un’ipotesi, approvata dal “Comitato
in difesa di Isaia”
Spero gradiate, a presto!
Isaia
si svegliò, quella mattina, con l’amarezza nel cuore. Provò vergogna: era
andato da quella ragazza, si era divertito, mentre sapeva benissimo che in
quegli stessi momenti, Vargas si stava recando ad
uccidere Alonso.
Perché?
Alonso non era una reale minaccia, era un bravo studioso, un uomo capace!
Vargas probabilmente
aveva ucciso Alonso, senza un vero motivo, e lui lo aveva lasciato fare.
Davvero
quel che stava facendo valeva la vita di Alonso? Chi stava proteggendo davvero?
La Chiesa? Gabriel? Sé stesso?
Non
lo sapeva. Lui aveva un dovere: agire per il bene. Questo avrebbe fatto. Questo
sperava di fare.
Isaia
andò alla sede della Congregazione, avrebbe convinto il Direttorio a dargli
pieni poteri per riuscire ad agire liberamente, senza procedure, avrebbe
rivelato a Gabriel che Rebecca li aveva traditi … e l’avrebbe anche accusata
dell’aggressione ad Alonso.
Oh,
Alonso, Alonso!
Erano
molte le cose da fare, quel giorno, ma prima che tutto ciò iniziasse, Isaia
passò nello studiolo di padre Alonso. Era triste, si sentiva in colpa, con le
dita sfiorò i sigari … non avrebbe più sentito l’odore di quel tabacco, non li avrebbe
più visti stretti tra le labbra di Alonso che contemporaneamente, con placida
allegrezza, gli avrebbe raccontato per l’ennesima volta la stoica resistenza
del suo amico Pedro.
Perché?
Perché, Vargas, hai voluto ucciderlo?
E
perché lui lo aveva permesso? Era davvero indispensabile quella morte? Sì,
doveva convincersene, altrimenti il rimorso non lo avrebbe più lasciato. Doveva
convincersi della necessità di questa e molte altre cose.
Isaia
aveva adempito ai due compiti della mattina ed era andato da Vargas a riferire. Per fortuna padre Alonso era ancora vivo
e questo gli aveva fatto tirare un sospiro di sollievo.
Trovò
Vargas che stava dirigendo un trasloco. Lo vide
arrabbiarsi perché non aveva seguito Gabriel, gli ordinò di non perderlo d’occhio
un solo istante, di stargli appresso continuamente e di impedire ad ogni costo
che scoprisse la verità circa l’ordine.
Isaia
si era aspettato quella reazione, sapeva di non aver assecondato la volontà di Vargas, ma lo aveva fatto apposta proprio nella speranza
che Gabriel scovasse Serventi e scoprisse l’esistenza dei Templari. Lui, Isaia,
non aveva ancora deciso cosa fare, se farsi considerare un traditore fino in
fondo, o tenersi pronto a qualche intervento … non lo sapeva, avrebbe agito a
seconda della necessità.
Vargas probabilmente
si era accorto della sua incertezza e freddamente lo ammonì: “È un Templare,
ora; un cavaliere della Chiesa … sa come funziona: chi tradisce …”
“
... viene ucciso.” completò Isaia, consapevole di quanto fosse reale quella
minaccia.
Sentì
gli occhi di Vargas gravare su di lui, li sentì
affilati che gli intimavano di continuare.
Chi sbaglia,
viene ucciso.
Chi è sconfitto,
viene ucciso.
Quelle
parole uscirono dalla sua bocca con consapevolezza e timore, gli erano state
fatte dire proprio perché le ricordasse e gli rimanessero ben impresse nella
testa e nell’animo, perché si rammentasse che lui, ormai, non apparteneva più a
sé stesso, ma ai Templari. Si sentì come un bambino disobbediente davanti al maestro
Non
c’era possibilità di errore e lui ne aveva già commessi. Doveva stare attento,
non poteva disobbedire; un solo passo falso e sarebbe stato ucciso. Oh, non che
temesse la morte. Certo che no. Lui sarebbe stato disposto a qualsiasi
sacrificio per la Chiesa, a morire per Gabriel … ma ciò sarebbe dovuto avvenire
al momento giusto, non poteva farsi ammazzare per nulla, la morte era la
benvenuta, ma solo quando fosse stata necessaria. Non poteva farsi uccidere,
prima di poter essere utile!
Tentare
di trattenere Gabriel era stato inutile. Saputo dove si trovasse Claudia, era
stato irremovibile e aveva voluto andare dritto in bocca a Serventi. Isaia lo
aveva accompagnato, non solo perché quelli erano stati gli ordini di Vargas, ma soprattutto perché non voleva lasciare l’amico
solo in quel momento. Gabriel avrebbe avuto bisogno del suo aiuto! Gabriel rischiava
di cedere al suo lato oscuro. Isaia sapeva che l’amico era buono, che avrebbe
messo tutta la propria buona volontà per resistere, che non si sarebbe lasciato
trasportare dalla rabbia, dalla sofferenza, dalla paura, dall’odio … Isaia lo
sapeva, ma voleva essergli vicino lo stesso, voleva infondergli la sua fermezza
nel momento del bisogno. Le loro strade, però, si divisero. L’edificio era
troppo grande e Gabriel era convinto che il tempo fosse poco, per cui propose
di dividersi.
Isaia
si trovò presto davanti Jacopo e Rebecca. Il prete si irrigidì, scoccò un’occhiata
severa ad entrambi. Provò un grosso risentimento verso il giovane: poco prima
aveva provato ad esorcizzarlo, ma era stato inutile! Si era visto la croce
sciogliersi tra le mani. Si era accorto, poi, che ciò non era successo, ma
quella visione … quel che aveva visto nello scrigno …
“So
che sei un Templare.” lo richiamò la sprezzante voce di Jacopo “Sai cosa ti
aspetta …?”
Isaia
indurì il volto risoluto e disse apertamente di non temere la morte. Che altro
avrebbe potuto fare? Fuggire? Mai! Chiedere pietà? Men
che mai!
“Non
ti ucciderò.” replicò Jacopo con calma e scherno “Gabriel farà di te quel che
vorrà.”
Gabriel?
Certo … era il loro messia, dopo tutto. Avrebbe davvero ceduto? Che cosa stava
facendo in quel momento?
Resisti,
fratello mio, resisti! Implorò nella sua mente.
“Hai
passato la tua vita a combattere i demoni della legione … chissà che effetto ti
farà diventare uno di loro …”
Isaia
storse gli occhi. Quelle parole lo trafissero. Dunque era questo che sapeva
fare Gabriel? Rendere le persone dei demoni? Era quello che gli aveva visto
fare e che gli aveva quasi fatto? No, no! Non poteva essere! Non poteva essere
quello il suo potere! Non del suo amico, accidenti!
Diventare
un demone? Piuttosto la morte anche dell’anima! O che la sua anima fosse
dannata in eterno e gettata in balia di quei demoni stessi che lui aveva
scacciato e che, dunque, lo odiavano più degli altri.
Ricordò
la notte a Fontanefredde … quei lupi di fumo! Erano spuntati dal nulla, prima
pochi e poi sempre di più, a centinaia!
Lui
aveva sollevato il crocefisso, aveva invocato il nome del Signore, aveva
spronato la gente a non avere paura, ma quegli uomini, terrorizzati, avevano
iniziato a sparare scioccamente. Lui aveva continuato a pronunciare gli
esorcismi: doveva proteggere quelle persone!
Inutile!
Legioni intere erano state richiamate, lui le scacciava, ma altre giungevano,
sempre più affamate, sempre più feroci. Erano riuscite a prendere il possesso
già di alcuni abitanti.
Lui
pregava, invocava, le affrontava, le scacciava, ma non poteva bastare!
Era
stato assalito da loro, era stato ferito dai loro denti di fumo che
trafiggevano l’anima. Mai prima di allora gli era capitato qualcosa del genere.
Mai si era trovato ad affrontare una simile schiera. Era solo! Solo! Solo! Solo
in mezzo al male.
Non
dormì un solo momento, passò la notte in preghiera e guerra. Con le prime luci
del mattino, i demoni, che non avevano trovato un corpo da possedere, erano
svaniti e lui si era lasciato cadere sulle scale. Amareggiato, sconvolto …
Satana era così potente? Lui era così debole?
No.
Se c’era qualcosa che lo poteva terrorizzare, era proprio il rischio di
diventare una creatura del maligno. Ecco perché le parole di Jacopo erano state
un grosso colpo per lui. Non poteva tollerare neppure il pensiero di essere
demonizzato … lui! Lui che era un servo di Dio! E non poteva neppure sopportare
che altri uomini o donne fossero trasformati in quelle creature. Doveva fermare
chiunque avesse quel potere. Anche Gabriel, se necessario.
“Lo
senti?” gli domandò Jacopo, riferendosi a strani versi e ringhi che venivano da
altrove; sorrise: “È l’inizio della fine. Gabriel non tornerà più indietro …”
Gabriel
aveva dunque ceduto? Non era riuscito a controllare gli istinti che da sempre
aveva tenuti lontani da sé? Rabbia, odio? Quando mai lo avevano sfiorato? …
solo in concomitanza col suo potere … Possibile che l’attaccamento verso
Claudia fosse così forte da fargli perdere il controllo? No! Non era possibile!
Gabriel doveva sapersi controllare, in quanto a ministro di Dio e in quanto a
gesuita. Se non era in grado di farlo, voleva dire che quei sentimenti non gli
erano estranei, ma erano intrinsechi in lui, che
erano la sua vera natura, che erano lui.
Dunque
Serventi e Vargas avevano ragione? Dunque Vargas e Serventi avevano ragione.
Gabriel
era il male, poteva nasconderlo agli altri, a sé stesso … per quanto ancora?
Adesso
era in balia della sua oscurità, forse si sarebbe poi calmato, ma per quanto?
Se
quella era la sua vera natura, Gabriel avrebbe potuto sottrarsi? O sarebbe
irrimediabilmente diventato quello che la profezia annunciava?
Isaia,
dentro di sé, sperava che ci fosse ancora speranza, ma ogni sicurezza lo stava
abbandonando. Non avrebbe preso decisioni. Avrebbe aspettato che Dio gli
dicesse che cosa fare: Dio gli avrebe parlato, gli
avrebbe detto se fidarsi o temere Gabriel.
Intanto
erano sopraggiunti Alonso, Stefano e altri membri della Congregazione. Jacopo e
Rebecca erano fuggiti.
Isaia
fece appena in tempo a vedere Gabriel tornare normale. Serventi era steso a
terra, ma vivo e sano. Gabriel si era trattenuto … Claudia lo aveva trattenuto …
Dunque, se la donna non fosse intervenuta, Gabriel avrebbe potuto davvero …?
No! Non poteva crederci, no il suo amico!
Invece
era così. Gabriel si era abbandonato ad emozioni che sapeva essere vizi, non li
aveva dominati. Isaia iniziò a temere che non ci fosse una via d’uscita:
Gabriel era debole, prima o poi sarebbe stato sopraffatto. Tutti noi abbiamo il
nostro lato oscuro che cerca di prevalere, di perderci, di consegnarci al
diavolo; tutti noi abbiamo il dovere di controllarlo, metterlo a tacere, di
essere forti e liberi da queste passioni. Se un uomo comune, come spesso
accade, cede ai vizi, provoca molti danni, ma limitati. Se Gabriel, anzi,
quando Gabriel avrebbe ceduto ai suoi vizi, il mondo e l’umanità sarebbero
stati in pericolo.
Isaia
doveva aiutarlo! Doveva ricordargli come si resiste! Gli avrebbe dato ascolto?
Isaia,
quindi, non aveva ancora disperato del tutto, sebbene la speranza fosse ormai
una luce fioca, fioca, avvolta nelle tenebre. Per questo lontanissimo e vago
barlume, quando Vargas disse che bisognava uccidere
Gabriel per salvare la chiesa, il gesuita, con una decisione e un’aggressività
che poco si confaceva al ruolo di subordinato, rispose: “Non è ancora arrivato
il momento. Io starò accanto a Gabriel e poi sarò IO a fermare questo scontro!”
Isaia
stesso si stupì di quella veemenza: da dove gli era sorta?
Quasi
non si era accorto di pronunciare quella frase, la sentì come pronunciata da un
altro. Aveva sentito dentro di sé una certa vampa che lo aveva reso così deciso.
Era la stessa forza che sentiva spesso fuoriuscire da se stesso, quando compiva
un esorcismo particolarmente potente. Non sapeva spiegarselo.
Lanciò
un’occhiata a Vargas, per controllare se si fosse
irritato per la sua irriverenza. Stranamente lo vide sorridere, con una certa
soddisfazione e fierezza negli occhi. Che strano! Chissà perché …
Bah,
forse era solo una sua impressione, con tutto quello a cui stava pensando, ci
mancava solo che andasse ad interrogarsi sul perché delle espressioni facciali
di Vargas.
Era
un gesuita, però, comprendere la gente con un’occhiata era sua abitudine ed era
senza dubbio utile. Avrebbe dovuto ricorrervi prima, ormai era tardi!
Ormai
si era lasciato coinvolgere dai Templari!
Ormai
non aveva capito per tempo la vera natura del suo amico.
Isaia
maledì il destino e la profezia! Gabriel poteva essere il demonio. Lui, Isaia,
voleva supremamente bene a quello che sarebbe potuto divenire il figlio del
maligno. Accidenti!
Isaia
non avrebbe mai voluto fare del male a Gabriel, ma non poteva permettere che il
suo attaccamento mettesse in pericolo l’umanità. Se fosse stato necessario,
Isaia avrebbe dovuto sacrificare il suo affetto.
Isaia
lottava per il bene.
Isaia
conosceva il suo dovere.
Isaia,
sul letto di morte del suo maestro, aveva giurato: “Combatterò contro il
demonio fino alla morte!”
Gabriel
era arrivato alla giusta conclusione: un ordine antico, guerriero e
sanguinario, nascosto alla Chiesa stessa e che uccideva gli eretici. Questo
Gabriel ed Alonso avevano dedotto, circa i nemici di Serventi.
Isaia
aveva sperato che ci impiegassero più tempo e, invece … Accidenti! Perché le
cose stavano andando così? Perché Gabriel non gli aveva dato retta? Lui
gliel’aveva ripetuto più volte di non andare da Serventi, ma non c’era stato
verso … forse era stato meglio così: l’amico aveva rivelato la sua vera natura,
dalla quale non poteva sottrarsi.
Oh,
Isaia aveva visto non solo il lato oscuro di Gabriel, ma anche quello che
sarebbe presto accaduto: quando si era trovato davanti a Jacopo, lui aveva
visto! Davanti agli occhi gli era apparso il mondo in balia di Gabriel, degli
uomini dotati di poteri e dei demoni. Lui lo aveva visto! Aveva visto l’inferno
in Terra e ormai non aveva più dubbi: a causarlo sarebbe stato Gabriel.
Pregò.
Isaia pregò Dio perché gli desse un’altra opzione! Dio, dovevi assolutamente
avere un altro piano! Uccidere il suo amico non poteva essere l’unica soluzione
per stornare dal mondo e dall’umanità quella minaccia! Doveva esserci un’altra
possibilità, ne era certo, e Dio gliel’avrebbe mostrata!
C’erano
poi quelle parole di Serventi … Il tradimento di un amico era essenziale
affinché Gabriel ottenesse il suo pieno potere … Dunque era in questo modo che
anche lui, Isaia, faceva parte del grande destino che Serventi vagheggiava.
Quando gli aveva parlato, quindi, non era per scoraggiarlo da indagare su
Castello, ma per accertarsi che lo facesse, per essere sicuro che lui scoprisse
i Templari e vi entrasse dentro. Ah, dannato Serventi! Era anche colpa tua se
adesso lui si trovava in quella situazione!
Probabilmente
eri stato tu ad ordinare a Jacopo di mostrargli quelle orribili immagini,
volevi che lo impressionasse, che radicasse in lui paura e determinazione a tal
punto che non potesse più tirarsi indietro, neppure scoprendo che il tradimento
era ciò che avrebbe potuto perdere definitivamente Gabriel.
Serventi
voleva che lui tradisse, la profezia voleva che lui tradisse!
Era
dunque davvero tutto inevitabile, un fato scritto che si poteva solo rimandare,
ma non evitare.
Serventi
lo aveva indotto al tradimento, ma sicuramente Isaia lo avrebbe fatto in ogni
caso; di questo andava convincendosi il gesuita: fatalità, il destino di
Gabriel era già stato scritto, forse anche il suo; Isaia non poteva far altro
che combattere. Ne valeva la pena, però? Se la profezia era vera, allora si
sarebbe realizzata, indipendentemente dai suoi sforzi, allora forse era meglio
lasciar perdere quella lotta, restare al fianco di Gabriel e accettare …
Accettare cosa? Dio poteva realmente permettere che Satana trionfasse? E lui, Isaia,
poteva essere amico del demonio?
No,
non poteva.
Gabriel
non aveva voluto controllarsi, si era abbandonato alla paura e, soprattutto,
all’orgoglio. Aveva avuto la presunzione di sapere cosa fosse bene, di sapere
come agire e aveva rifiutato ogni aiuto per la salvezza della sua anima. Quante
volte, in quegli ultimi mesi, Isaia aveva cercato di stargli vicino? Di parlargli?
Di ascoltarlo? Di confortarlo? Di consigliarlo? Tante, troppe. Ogni volta il
suo amico lo aveva allontanato, respinto. Come poteva agire Isaia, in aiuto di
Gabriel, se il suo amico stesso non voleva quell’aiuto e si sentiva superiore
agli altri, l’unico a dover portare quel peso!
Gabriel
era orgoglioso ed egoista, si era macchiato dei due peccati più gravi. Gli
stessi di Lucifero.
La
speranza era sempre più debole, ormai non era che un’ombra. Gabriel sarebbe
diventato ciò che era, si sarebbe tolto la maschera, sarebbe stato sé stesso.
Lui,
Isaia, avrebbe forse dovuto rimanere leale a una persona che, in fondo, era
completamente diversa da quella a cui era stato amico per anni? No! Lui non
doveva più vedere in quel corpo il Gabriel che aveva conosciuto, bensì il più
grande nemico dell’umanità e di Dio; non era facile, ma doveva riuscirci. Non
poteva restare al suo fianco, nemmeno se fosse stato convinto che non c’era
possibilità di salvezza per il mondo.
Se
la vittoria di Gabriel era già stata decretata … perché mai Dio lo avrebbe
dovuto permettere? … Se tale vittoria era già stata decisa, ciò non doveva
essere una scusa per spingere Isaia a non combattere. Lui avrebbe lottato per
il bene, anche se la sconfitta fosse stata certa. Il male avrebbe trionfato nel
mondo, ma non nel suo cuore! Lui avrebbe lottato con tutte le sue forze e
quelle che Dio gli avrebbe donato, avrebbe fatto tutto ciò che era necessario e
doveroso, avrebbe sacrificato ogni cosa, anche la carriera e il suo ego, e, nel
caso, sarebbe morto come un martire!
Isaia
stava pensando a tutto ciò, mentre si dirigeva da Vargas
a riferire delle scoperte di Gabriel.
Vargas gli disse che
il suo ruolo nella Congregazione era finito.
“Il
mio unico ruolo è nell’ordine.” confermò Isaia, era sicuro di quello che
diceva, lo aveva accettato. In quelle parole, però, c’era un poco il rammarico
per tutto quello a cui stava rinunciando. Abbassò lo sguardo. Era concludere
definitivamente la vita che aveva condotto finora, era una morte. Prima era
Isaia il gesuita, il membro della Congregazione della Verità, l’insegnante, il
teologo, l’esorcista, lo studioso … e tanto, tanto altro ancora. Da quel
momento, invece, non sarebbe più esistito nient’altro che Isaia il Templare,
anzi, semplicemente il Templare. Era davvero pronto? Era disposto a questo?
Sarebbe potuto tornare indietro? Quanto quella era ancora una finzione? Molto
poco. Ormai si sentiva l’unico in grado di fermare il lato oscuro di Gabriel.
Doveva rinunciare a tutto. A tutto ciò che era decoro, lo doveva fare per
salvare la sua vera essenza: lui sentiva, sapeva che il suo ruolo era di
combattere per Dio contro il male. Questa era l’unica cosa importante e per
adempiere al suo dovere avrebbe indossato e mutato tutti i panni che sarebbero
stati necessari.
“Sarà
lei a guidare l’ordine, quando io non ci sarò più.”
Isaia
sollevò gli occhi, si era stupito: perché tanta fiducia? Perché nominare come
suo successore lui e non di qualcuno da più lungo tempo nei Templari? Beh,
certo non sarebbe accaduto dall’oggi al domani. Allora forse non era per
minaccia che Vargas gli aveva fatto ripetere il
codice etico dei Templari, bensì affinché sapesse come dirigere l’ordine.
La
meraviglia gli attraversò le iridi solo per qualche istante, per il resto si
mantenne assolutamente fermo e saldo, anzi, quella vampa misteriosa che già
aveva sentito e già aveva guidato le sue parole, gli fece pronunciare: “So bene
qual è il mio dovere.”
In
quel momento entrò Giona. Vargas
gli affidò il compito di uccidere Jacopo e Rebecca, poi annunciò che lui e
Isaia, si sarebbero occupati delle radici della setta del Candelaio.
Uccidere
Gabriel.
Era
necessario. Lui era pronto, non si sarebbe tirato indietro. Quel dovere a cui
doveva adempiere non lo rendeva felice, anzi lo rattristava; uccidere Gabriel
sarebbe stato uccidere una parte importante di sé stesso, lo avrebbe pianto per
sempre; non poteva, però, anteporre il proprio egoismo al bene del mondo.
“Vargas, perché io?” chiese poi Isaia, quando furono di
nuovo soli “Perché vuole che sia io a succederle? Non ho fatto nulla per meritarlo
e sono un novizio!”
“Non
ha fatto niente, dice? Lei ha sempre combattuto le forze del male. Ha
dimostrato di avere doti non comuni a qualsiasi esorcista.”
“È
solo la mia fede in Dio che mi ha dato la forza di scacciare i demoni.”
“No,
Isaia, è stata solo la sua forza di volontà.” lo informò Vargas
“Ha visto. Sa.” gli ricordò “Dio è troppo al di sopra di noi: il bene e il male
provengono parimenti da Egli stesso. A Lui non importa quel che accade qui, è
indifferente! Noi dobbiamo tutelare il bene, noi dobbiamo impedire al male di
trionfare, ad ogni costo.”
Isaia
non rispose. Sì, aveva appreso quella Verità, ma …
“Isaia,
lei è un gesuita, conosce bene i poteri della mente, l’energia che è dentro
ciascuno e che le hanno insegnato a sfruttare. Lei, in tutti questi anni ha
attinto a quell’energia, è a sé stesso e alla sua volontà che deve i suoi
successi, non a Dio!”
Dunque
aveva ragione Michela? I suoi esorcismi erano magia?
“Lei
ha una grande forza, quella che è necessaria per affrontate il male in tutte le
sue forme. Lei deve proteggere la Chiesa e il mondo da ogni minaccia. La
Chiesa, il messaggio di Gesù sono i simboli necessari per cercare di insegnare
agli uomini ad essere buoni: devono essere tutelati ad ogni costo.”
“Lo
so.” affermò Isaia “Ho giurato e non verrò meno alla mia parola.”
Questa
era la Verità dei Templari, la stessa di Zoroastro e
dunque dei Magi: il Dio Assoluto era un’entità al di sopra di ogni cosa, al di
fuori di tempo e spazio. Da questo Dio erano fuori uscite due forze, una
orinata e una caotica, il dio buono e il dio cattivo che avevano dato origine
al mondo, agli angeli e ai demoni, col solo scopo di combattersi. Due divinità
parimenti forti, nessuna ricompensa, nessuna condanna, solo l’avvicinarsi più o
meno a una di queste entità, trasformando il proprio corpo in quello di un
angelo o di un diavolo, in base alle proprie azioni, scelte, ma soprattutto
pensieri.
Questa
era una Verità troppo crudele da poter essere riferita alle moltitudini. Una simile
informazione avrebbe sprofondato il mondo nell’anarchia e nel caos, questa
ammissione di un’assenza di legge, avrebbe spinto la più parte degli uomini ad
assecondare i propri bassi istinti, ad essere dominati dalle passioni e ad
imbruttirsi sempre più. Questo avrebbe generato violenza, sofferenza,
sopraffazioni … mali che dilagavano già fin troppo nel mondo …
Isaia
non poteva permettere che la situazione peggiorasse ancora di più, lui voleva
migliorare la vita delle persone, voleva proteggerle e lasciar loro la
possibilità di migliorare, possibilità che solo la Chiesa poteva dare, nonostante
si reggesse su delle bugie: mentire era necessario per disciplinare gli uomini,
mantenere il segreto era necessario.
Che
farsa! Tutto quello in cui aveva sempre creduto non era altro che una facciata …
una facciata importantissima e indispensabile, ma non era la Verità. Ecco perché
Dio non aveva risposto alle sue suppliche di aiuto in quei giorni. Ecco perché
non aveva ricevuto risposta circa che cosa fare. Ecco perché non gli era stato
detto se Gabriel fosse o meno una reale minaccia. Lo era. Ora lo sapeva. Lo sapeva
ma non grazie al Vero Dio, bensì grazie a un’entità minore, al Bene, che nulla
aveva di divino. Al Vero Dio non importava nulla di loro umani.
Era
tutto così strano … Scoprire di aver sempre creduto di lottare per Dio e invece
lo faceva solo per il Bene e tutta la forza che credeva di attingere da Dio,
era in realtà solo sua, solo nelle sue mani. Nelle sue mani esattamente come la
giustizia divina.
Ora
sapeva. La sua volontà, la sua lealtà verso il Bene, l’Ordine e la Giustizia
non erano mutati, ma ora sapeva che tutto ciò non era divino, era solo una
fazione della creazione e sapeva anche che il Bene non era destinato alla
vittoria. La guerra tra il Bene e il Male era eterna ed inevitabile.
Era
molto arrabbiato con Dio per la sua indifferenza, era arrabbiato con la Chiesa
perché non era stata sincera. Ammetteva l’importanza di Gesù come simbolo e strumento,
ma non lo poteva più considerare figlio di Dio e si sentiva tradito da lui.
Era
arrabbiato, tantissimo, si sentiva solo e abbandonato, si sentiva solo in mezzo
a una lotta infinita. Vargas gli aveva aperto gli
occhi, gli aveva mostrato la Verità. Nonostante, inizialmente, avesse provato
ripugnanza verso i Templari e le loro pratiche, ora lui conosceva la Verità e
li avrebbe condotti nelle battaglie per il Bene. Ora lui era solo questo, era
nei Templari e null’altro se non la loro missione aveva importanza; aveva
sacrificato tutto per quel Bene, ma si sentiva tremendamente solo.
Tutti
questi pensieri ingombravano completamente la sua mente e il suo animo. Con queste
convinzioni aveva affiancato Vargas e aveva cercato
di uccidere Gabriel, tentando di convincerlo che fosse giusto così. Per questo
non aveva accettato la pace offerta dall’amico. Per questo aveva gridato che
Dio non c’entrava nulla.
“Come
devo, Gabriel, come devo!” aveva urlato, pieno di rabbia e dolore.
Aveva
fallito, aveva fallito su tutti i fronti: non aveva ucciso Gabriel e ne aveva
persa l’amicizia … No, la sua amicizia avrebbe potuto averla ancora, ma lui non
la poteva più accettare, non doveva!
Isaia
era sopraffatto dal dolore. Si mise a sedere per terra, cosa che non faceva da
anni. Vide la testa di Vargas che lui stesso aveva
mozzato. Aveva dovuto! Vargas si stava trasformando
in un demone!
Isaia
aveva avuto l’ennesima dimostrazione della pericolosità del potere di Gabriel,
che presto non si sarebbe più controllato. Per un attimo aveva creduto che si
sarebbe trasformato anche lui. Aveva sentito l’energia di Gabriel scaricarsi
contro di lui e cercare di penetrarlo. Era però accaduto qualcosa. Quella strana
vampa che si era fatta sentire nel suo animo in quei giorni, aveva vibrato
ancora una volta e si era rivoltata contro quella di Gabriel e lo aveva
protetto dalla trasformazione.
Di
cosa si trattava? Non lo sapeva e, in quel momento, non aveva voglia di cercare
spiegazioni. Doveva riprendere le energie, doveva calmarsi, era troppo agitato!
Fuori
dalla cripta, Gabriel se ne era andato, senza accorgersi che Serventi non si
era affatto allontanato ed era ancora nel cimitero. Stava aspettando qualcuno
che presto arrivò.
“Ben
trovata, Michela.” disse Serventi, non appena la vide.
La
ragazza, già trafelata, si bloccò e si voltò nella direzione della voce, non
appena vide quell’uomo, fu attraversata da un moto di paura. Non disse nulla.
“Non
mi saluti? Dopo quello che ho fatto per te?”
Michela
lo guardò con rancore, ma continuò a tacere.
Serventi
sorrise. “Non è pretenzioso, da parte tua, indossare una sciarpa rossa?”
La
giovane a quel punto rispose: “Me la sono guadagnata. Dio me l’ha fatta avere.”
“Oh,
parli ancora, allora. So perché sei qui, lui è ancora dentro, Gabriel non te l’ha
ucciso.”
“Hai
fallito, dunque?”
“No.
Gabriel ha fatto moltissimo, ormai ha abbracciato la sua vera natura, ancora
qualche passo ed è fatta. Sarà ciò che è. Cosa che non si può dire per il tuo
amico, ma non c’è bisogno che te lo dica, immagino saprai già di cosa gli hanno
riempito la testa.”
“Si
salverà e poi ti fermeremo.” dichiarò con forza Michela.
Serventi
si mise a ridere, prima di dire: “Ma guardati! Entrambi siete parecchio
distanti dal vostro sciocco ideale! È una menzogna, è una schiavitù perché
avete paura della libertà. Voi due siete come noi, se non lo riconoscerete, ne
morrete.”
“Sbagli.”
sibilò lei “Il diritto dev’essere sottomesso al
dovere, altrimenti è un delitto; solo il dovere ci rende liberi.”
“Tu
tornerai da me e, probabilmente, mi consegnerai anche lui.” Serventi sembrava molto
certo di quel che diceva.
“Lui
non sarà mai tuo.”
“Lo
siete già.”
Michela
guardò ancora Serventi con rabbia, incertezza e paura, poi lo lasciò perdere e
andò verso la cripta.
Isaia
era ancora seduto a terra nella cripta. Accanto a lui la spada con la lama
sporca di sangue, alcune gocce erano finite anche sulla sua tunica bianca. Non
sapeva da quanto fosse lì, era confuso, assorto nei suoi pensieri, pensava
all’avvenire, al suo dovere, a come avrebbe dovuto gestire l’ordine templare,
ora che Vargas era morto e lui ne era il Gran
Maestro. Lo avrebbero riconosciuto come tale?
“Isaia!”
lo chiamò una voce femminile.
Il
gesuita alzò il capo, si guardò attorno e vide, sotto uno degli archi che
conducevano nella sala circolare, Michela.
“Tu?
Che cosa ci fai qui?” se quel tono non era aggressivo, poco ci mancava, ma
d’altra parte Isaia aveva fin troppe cose a cui pensare, senza che si
aggiungesse quella ragazza.
Lei
subito non rispose, rapidamente si avvicinò a lui e si inginocchiò al suo
fianco; lo guardò rapidamente, parve tirare un sospiro di sollievo, prima di
sorridere, poi chiese: “Come si sente? Non sembra ferito, ma …”
“Si
può sapere chi sei e cosa vuoi da me?” la interruppe bruscamente Isaia.
La
ragazza lo guardò mortificata e rispose: “Per favore, le basti sapere che sono
dalla sua parte. Mi creda, io non ho a cuore niente di più importante che la
sua salvezza.”
“Perché?
Tu non mi conosci!” anche quelle erano state parole aspre, dicendole si rialzò
in piedi, raccogliendo la spada.
Lei
rispose pacatamente: “Isaia, noi due abbiamo il medesimo compito, ma declinato
in maniera leggermente diversa. Lei deve essere a capo, guidare le milizie del
bene. Io devo servire lei, proteggere il suo corpo e la sua anima, combattere
con e per lei.”
Isaia
aggrottò la fronte, esitò un attimo, poi chiese: “Te l’ha ordinato Vargas?”
La
giovane si stupì, poi rispose: “No, assolutamente. Io non c’entro nulla con i
Templari.”
“Peccato.”
nonostante mantenesse un’espressione ferma, si poteva intravedere il suo
dispiacere interiore.
“Perché?”
Isaia
sollevò la spada, alcune gocce del sangue di Vargas
caddero al suolo; spiegò: “Devo ucciderti. Vargas è
stato molto chiaro: ci possono essere Templari dotati di facoltà ultraumane, ma
non possono esserci persone simili al di fuori del Tempio. Queste doti vi
inorgogliscono, vi rendono superbi e le usate per prevalere in maniera indegna
sulle persone comuni. Voi portate caos, per questo dobbiamo eliminarvi, tutti.”
“Queste
sono le parole di una persona spaventata e sfiduciata.” replicò lei con
fermezza “So come si sente, so cosa le hanno detto e sono qui proprio per
questo. Le hanno raccontato una verità che si avvicina alla Verità, ma non è
corretta. Mi ero ripromessa di non raccontarle nulla, di lasciare che lei
scoprisse tutto da solo, ma sta prendendo una direzione che … non è del tutto
sbagliata, anzi, però potrebbe esserle fatale … qualcosina
glielo voglio dire, se me lo permetterà.”
Isaia
era un po’ perplesso, le fece cenno di proseguire e aspettò che continuasse.
“I
Templari, appena costituiti, si erano insediati presso le rovine del Tempio di
Gerusalemme, ne hanno esplorato i sotterranei e hanno trovato moltissime cose,
tra cui manoscritti importanti, contenenti una grande saggezza, ma loro sono
riusciti ad interpretarla solo parzialmente e questo li ha spinti ad avere una
condotta errata. Non abbia paura di me, non ne ha motivo.”
“Taci!”
ordinò, a denti stretti Isaia “Già una volta un bambino, con poteri, è arrivato
a confondermi le idee, a farmi credere falsità, tu non farai altrettanto!” alzò
di nuovo la punta della spada.
Michela
si levò in piedi e lo ammonì: “Deponga quella lama, non ho bisogno di alcun
potere, per difendermi da quella.” poi tornò ad essere conciliante: “Non le
racconterò nulla, se non sarà lei a chiedermelo, non le presenterò mai nulla
come verità, ma condividerò con lei le mie convinzioni … mie e non solo.”
vedendolo ancora molto arcigno, continuò: “Non abbia in odio un’intera
categoria di gente, anzi, non abbia in odio nessuno! L’odio è del male, lei lo
sa, e non ha nulla a che vedere con la giustizia e col suo dovere.”
“Io
non odio né te, né i tuoi simili, semplicemente faccio il necessario per
difendere il mondo.”
“E
come ha intenzione di farlo? Come Arnaldo di Citeaux
contro i catari e gli albigesi? Caediteeos! Novitenim
Dominus qui sunteius[1]?”
Isaia
non poté non provare un briciolo d’ammirazione per quella citazione in latino e
appropriata.
“Non
si possono correre rischi, meglio errare per eccesso di zelo, che per
leggerezza.”
“Perfino
il tribunale della Santa Vehme risulta più tollerante!” ribatté l’altra,
ironica “Nessuno dovrebbe ragionare in questa maniera, tanto meno lei! Lei, che
potrebbe benis…” si interruppe, accorgendosi di aver
detto troppo.
“Potrei
benissimo, cosa? Dì, mi interessa.” la incalzò lui, con una calma inquietante.
Michela
esitò, era indecisa, non voleva dire nulla, ma ormai era tardi, per cui decise
di rivelare qualcosa: “Lei potrebbe benissimo conoscere gli animi di tutti gli
uomini, potrebbe pesare su una bilancia i loro cuori e dunque sapere quali
condannare e quali salvare. Non si lasci quindi trasportare da un insensato
furore che ha tutto di demoniaco e nulla di buono.”
Isaia
rimase perplesso per quelle parole, gli sembrarono quasi una blasfemia; poi
domandò: “Non stai enfatizzando troppo la capacità dei gesuiti di conoscere i
loro diretti spirituali?”
“Non
è un potere di natura gesuitica.”
“E
allora che cos’è?”
Michela
rimase in silenzio e abbassò lo sguardo.
“Allora?”
insisté lui, ma ancora non ebbe risposta “Parla, ti conviene, finché parlerai,
rimarrai in vita.”
La
ragazza era molto combattuta, non poteva spiegare. Ragionò un poco, poi si
accostò ad Isaia, rapidamente gli afferrò il polso sinistro e si portò la sua
mano sulla propria testa, col palmo rivolto in basso, poi gli disse:
“Conoscimi!”
“Come?”
si stupì lui, tentò di ritrarre la mano, ma lei gliela tenne bloccata.
“Puoi
farlo, fallo!” lo esortò “La sinistra assorbe, permette di conoscere le cose e
di sottrarre, di assorbire. Usala!
Attraversa tutti i miei chakra, prendi tutto ciò che
vuoi, ma convinciti una volta per tutte che io non sono un pericolo!”
Isaia
era ancora esterrefatto, non capiva. Erano, però, così tante le cose che gli
erano capitate in quei giorni, che decise di fare un tentativo. Si calmò,
respirò profondamente, scacciò ogni pensiero dalla propria testa; si concentrò
sull’energia che sentiva dentro di sé, la canalizzò verso il palmo sinistro,
non gli fu difficile, lo faceva sempre quando esorcizzava. Provò una strana
sensazione, percepì l’energia della ragazza, la sentì interagire con la sua. Dovette
ammettere che c’era qualcosa di estremamente famigliare nello spirito della
giovane. Dopo qualche momento gli parve di sentire come una colonna di energia
che dal basso attraversava la ragazza e saliva fino alla sua mano e gli portava
immagini e sensazioni. Una miriade di informazioni lo raggiunsero, ma erano per
lo più futilità in quel momento, doveva eliminare i decori affinché rimanesse
la sostanza. La trovò, non sapeva come, non avrebbe neppure saputo descrivere
la sensazione, ma era certo di essere arrivato a toccare l’essenza della
ragazza e la conobbe come buona.
Isaia
ritrasse la mano e guardò la ragazza che gli domandò a quali conclusioni fosse
arrivato.
“Non
sei cattiva e, nonostante i difetti e le debolezze umane, protendi al bene e
non ti sei macchiata di gravi peccati.”
“Quindi?
Pensa ancora di dovermi uccidere?”
“No.”
ammise il prete, ritrovando un po’ di calma dentro di sé, felice di non dover
uccidere: era la prima buona notizia della giornata.
Aveva
due domande da porre a quella giovane, da quale iniziare? Visto che quella
personale avrebbe potuto irritarla, decise di cominciare da quella tecnica:
“Era questo che dovevo fare? Che cosa avrei dovuto sentire?”
“Non
ne ho idea.” rispose lei “Io le ho indicato il sistema che si usa per carpire
informazioni dagli altri, ma non ho idea di come si tocchi l’anima di una
persona. Nessuno, a parte lei, può conoscere il vero cuore delle creature.”
Isaia
sgranò gli occhi, era sbalordito: com’era possibile?
“Nessuno
a parte me? Perché? Non è frutto di magia?”
“Lo
scoprirà al momento opportuno. Potrei dirglielo, ma non va mai bene rivelare le
cose alla gente, è giusto che vengano apprese naturalmente, certe
consapevolezze devono nascere da dentro e non essere indotte ... e poi è così
vicino ormai! Adesso conosce entrambi i suoi poteri e dunque ...”
“Entrambi?”
si meravigliò il prete.
“Sì,
conoscere le anime e sconfiggere i demoni. Ora sa come padroneggiare entrambi,
ora ha una spada, il suo dovere lo ha sempre conosciuto.”
“Non
è vero! Non sono riuscito a respingere le legioni di Baal
e, mentr’ero davanti a lui, addirittura ha preso fuoco una Bibbia. Come puoi
dire ch’io abbia il potere di sconfiggere demoni? Prima avevo la fede in Dio
che mi dava forza, ora probabilmente non avrò più neppure quella!”
“Non
le basta la fiducia in se stesso? Deve per lo meno essere certo di poter
eguagliare quello che ha fatto in passato; ma sono certa che presto si renderà
conto di tutto ciò che può e deve fare. Basta davvero poco per capire … se non
si lascerà sopraffare da passioni indegne di lei. Non cerchi altrove, ha già
tutto quel che occorre nel suo animo.”
Isaia
sospirò: in quel momento non era cero di trovare risposte dentro di sé, ma
ormai sapeva di non poterle trovare neppure fuori, neppure in Dio, forse, forse
nel Bene.
Decise
di passare alla seconda questione: “Mentre …” non sapeva come definire l’azione
“… ti esaminavo … Mi sono arrivate dalla tua mente delle immagini di Serventi.
Come lo conosci?”
Isaia
non era né sorpreso, né felice di aver visto quell’uomo nei ricordi della
giovane. Se il suo giudizio sulla bontà d’animo della giovane era corretta,
perché allora conosceva Serventi? Assieme a quelle immagini aveva però recepito
una forte negatività, quindi era probabile che la ragazza non fosse in buoni
rapporti con quell’uomo. In ogni caso, il prete voleva sapere.
I
lineamenti del viso di Michela si erano induriti, comunque rispose seccamente:
“Gliene parlo ora, ma non voglio più tornare sull’argomento. Io vengo da una
famiglia di Magi, Serventi conobbe i miei genitori, tentò di convincerli a
sostenerlo ma essi rifiutarono, quindi li uccise. Prese me, che avevo sette
anni, e mi fece crescere con gli altri bambini dotati di poteri di cui si
occupava. Sperava ch’io lo servissi al posto dei miei genitori: non è andata
così. Io, fin dalla nascita, fin dal mio nome, sono stata consacrata a un
essere che è il naturale nemico di Serventi, tale sono rimasta e sono tutt’ora.
Sebbene non mi sia mai mancato nulla, non posso tollerare gli ideali di
quell’uomo. Avevo quindici anni, quando iniziai a preparare la mia fuga e la
mia vita indipendente; avrei voluto aspettare di finire gli studi, prima di
andarmene, ma poi scoprii di essere incinta e, non volendo che mio figlio
crescesse in quell’ambiente, sono scappata prima del previsto. Dapprima trovai
ospitalità presso dei Magi miei parenti, che mi avevano rintracciata e già da
qualche anno mi avevano esortata a raggiungerli, poi ho trovato la maniera di
arrangiarmi, ma sono sempre in contatto con loro.”
“Tu,
dunque, conosci i piani di Serventi?”
“No.
Ho le mie teorie al riguardo, ho abbastanza chiaro il suo obbiettivo finale, ma
non so come ci arriverà: è bravissimo a portare le cose nella direzione che
vuole, senza che gli altri se ne accorgano, li inganna, fa trapelare le notizie
che vuole, quando vuole; la gente pensa di combatterlo e, invece, fa solo il
suo gioco. Inoltre ha sempre molti piani di riserva e ogni cosa che fa, ha
almeno tre o quattro scopi ed utilità, a seconda delle pieghe che prenderà la
situazione. Temo di avere capito solo oggi, il vero motivo per cui mi ha
cresciuta … e, se ho ragione, è per quello che non mi ha fatta trovare e
uccidere, dopo la mia fuga.”
“Beh,
io posso essere certo che mi vuole morto: ha ordinato più volte a Gabriel di
uccidermi e non è la prima volta che ci prova.”
“Potrebbe
non essere l’unico progetto che ha su di lei.” gli fece osservare Michela,
ricordando quello che Serventi le aveva detto poco prima.
“È
molto temibile, dunque; troppo intelligente.”
“Ha
avuto molto tempo a disposizione per diventare quel che è.”
“Mi
aiuterai a combatterlo? Quel che sai può tornare utile.”
“Certo
che sarò al suo fianco, in questa e in tutte le battaglie giuste.”
Isaia
sorrise a labbra chiuse, poi spiegò: “Per ora studieremo la situazione e ci
organizzeremo. Io devo prendere il controllo dei Templari, informarmi a modo
circa le nostre attività e introdurre qualche norma per evitare assassinii
inutili. Posso far molto!” era contento e fiero di sé “Voglio che tu, però,
resti fuori da queste questioni, potrebbero non vederti di buon occhio, mi
aiuterai in altri modi.”
“Come
vuole lei.” acconsentì la ragazza, dolcemente.
“Non
capisco ancora perché lo fai, ma pazienza, è bello.” Isaia si stava un poco
rasserenando e riprendendo dai furori e le paure di quel giorno.
“Ha
un posto dove stare?” chiese lei con premura.
“Vargas mi ha detto dove andare e chi contattare.”
“Ah.”
si limitò a replicare l’altra, con un po’ di delusione.
“Non
andrò subito, prima voglio prendermi un paio di giorni per schiarirmi per bene
le idee. Troverò un albergo in cui stare, non posso di certo ripresentarmi in
Congregazione.”
“Potrebbe
venire da me, sarei lieta di ospitarla.” lo invitò la ragazza.
Isaia
si irrigidì, non credeva si sarebbe sentito a proprio agio a casa di una donna.
D’alta parte, però, aveva già trascorso una serata in compagnia di quella
giovane e non solo si era divertito, ma pure si era comportato con spontaneità
e naturalezza. Dormire lì, passare giornate intere era un altro paio di
maniche; era abituato a un tipo di quotidianità solitaria o collettiva, non
conosceva vie di mezzo. Chissà come sarebbe stata la sua vita, da quel momento
in avanti. Come viveva un Gran Maestro?
“Ho
una stanza per gli ospiti piena di libri.” gli fece osservare la ragazza.
Isaia
non poté trattenere un lieve riso, prima di ribattere: “Credi che sia una buona
argomentazione?”
“Ho
fatto un tentativo!” si difese, scherzosamente, lei “Se preferisce, provo a
prenderla per la gola, elencandole le mie specialità gastronomiche. Non le sono
forse piaciute le mie polpette? Ne ha presi due piatti, se ben ricordo.” e gli
sorrise.
Il
prete non poté fare a meno di ridere questa volta e dovette ammettere di avere
apprezzato la cucina della ragazza.
“Senta,
mettiamola in questi termini: in un albergo avrebbe questioni burocratiche da
sbrigare e poi sarebbe disturbato dal personale.” parlava con allegrezza “A
casa mia nessuno la disturberà, io penserò a qualsiasi cosa e non le costerà
nulla.”
Isaia
la guardò, per un certo verso, con tenerezza e poi sospirò, dicendo: “Immagino
di non avere molta scelta: insisterai finché non accetterò, vero?”
“No.
Mi farebbe molto piacere se lei accettasse, ma non voglio irritarla. Sa che da
me è e sarà sempre il benvenuto, poi faccia come meglio crede.”
Il
prete la guardò ancora. In fondo che male c’era? Effettivamente gli avrebbe
fatto comodo rimanere in un’abitazione, non dover uscire per i pasti,
rimanersene tranquillo in riflessione … Pensò anche che quella ragazza viveva
sola con un bambino di tre anni, forse faceva piacere anche a lei avere la
compagnia di un adulto. Pensò che in fondo era una vita piuttosto solitaria
anche quella condotta dalla giovane e che, quindi, accontentarla sarebbe stata
una buona azione. Inoltre c’era una forza, dentro di lui, che gli intimava di
non dare ascolto a formalità come il fatto che non era buona cosa che un prete
fosse ospite di una donna nubile. Già, che importava, poi? Ormai la sua vita
esisteva solo nell’ordine Templare: davanti a chi avrebbe dovuto mantenere la
rispettabilità?
Quella
forza gli diceva anche che non doveva importargli nulla il fatto che lei fosse
una donna. Uomo, donna, che differenza faceva? Nessuna per lui. Sotto
quell’aspetto era sicuro di sé e del proprio voto, per cui non doveva sentirsi
minimamente turbato nell’alloggiare presso quella ragazza.
“D’accordo,
visto che sei così gentile, approfitterò della tua ospitalità. Sarà solo per un
paio di giorni.”
Uscirono
dalla cripta (prima il Templare era andato in una stanzetta secondaria a
cambiarsi d’abito), recuperarono l’auto di Isaia e raggiunsero la casa di
Michela, era ormai sera.
“Tuo
figlio dov’è?” domandò il prete, accorgendosi che non c’era traccia di Giorgio.
“Non
sapevo come sarebbero andate le cose oggi, per cui l’ho portato dai miei
parenti, domani lo andrò a recuperare.” spiegò la giovane, appoggiando il
cappotto sull’attaccapanni.
Michela
accompagnò l’ospite nella stanza in cui avrebbe potuto dormire: effettivamente
era colma di libri. C’erano un paio di scaffali, un lettuccio e una scrivania.
“Vado
a prenderle lenzuola e coperte pulite.” lo informò la giovane.
Isaia
ringraziò mise in un angolo la sua valigia: lì aveva rinchiuso in fretta e
furia parte dei suoi abiti e poco altro, tutto ciò che restava della sua
vecchia vita. Del rammarico lo aveva, ma sapeva che era solo egoismo, vanità,
per cui doveva scacciarlo, abbandonare ogni attaccamento a qualsiasi cosa,
ruolo o persona … l’attaccamento per Gabriel, anche. Non avrebbe voluto
lanciarsi in quella guerra contro l’amico, gli voleva bene! Ma Gabriel era troppo
pericoloso, non poteva permettere che il piano di Serventi si realizzasse.
Si
guardò intorno, diede una scorsa veloce ai titoli dello scaffale: La fine del sacrificio; I misteri della
Bibbia perduta; Corpo Alchemico; Dai Veda ai Vangeli in cerca della realtà;
Simbologia Sacra … e molti altri che catturavano l’attenzione di Isaia. Il
suo occhio, poi, cadde su un foglio appoggiato sulla scrivania, c’erano scritte
alcune frasi a biro: Non siamo nati per
essere felici. Siamo nati anche per soffrire ed è giusto che ogni tanto ci
venga ricordato. Le sofferenze temprano l’animo. Le sofferenze sono un onore.
“Rieccomi!” annunciò Michela, entrando nella stanza col
necessario per preparare il letto.
“Oh
… ehm … Sono tue queste parole?” chiese Isaia, sperando di non aver invaso la
privacy.
“Sì.”
“Sono
molto dure e tristi.” commentò lui.
“Lo
so, in effetti mi sono resa conto che il termine sofferenza è scorretto,
intendevo dire avversità. Le avversità ci danno la possibilità di migliorare,
le dobbiamo accogliere con gioia, la sofferenza rivela la debolezza di un
animo. Lo diceva anche Seneca.”
“Questo
è innegabile.” confermò Isaia, gli piaceva quel modo di pensare “Ma, per quanto
riguarda la felicità? Sei anche tu del parere che spronare gli uomini ad essere
felici in Terra, anziché aspettare il paradiso, abbia provocato il consumismo,
la smania per inseguire obbiettivi, provocando più frustrazione e scontento che
gioia?”
“Sì,
sicuramente anche questo.” rispose lei stendendo il lenzuolo “In particolare lì
intendevo dire che è presuntuoso credere di essere nati per noi stessi e dunque
anteporre noi e le nostre soddisfazioni al di sopra di ogni altra cosa. Pure la
felicità può essere indice di passioni forvianti. Essere felici per qualcosa,
significa avere un attaccamento e l’attaccamento può generare anche rabbia e
cose peggiori. Io sono a favore di una serenità imperturbabile. Chissà, forse,
prima o poi, la raggiungerò.”
Isaia
si compiacque per quelle parole e volle mettere alla prova la ragazza,
chiedendo: “Allora, secondo te, per cosa si viene al mondo?”
Michela
sollevò il cuscino per metterlo nella federa, sospirò un attimo e poi spiegò:
“Io credo nella reincarnazione. Il nostro fine ultimo è uscire da questo mondo,
dal tempo, perdere tutto ciò che è immanente e restare solo nel trascendente.
Contemporaneamente, giacché siamo in questo mondo e nel suo gioco, o battaglia,
dipende dai pareri, la cosa più importante è capire quale sia il nostro dovere
e consacrarci ad esso, solo così daremo un senso alle nostre vite. Dobbiamo
agire perché è giusto così, indipendentemente dal risultato.”
“Alcuni
considererebbero questa una sorta di schiavitù.” Isaia concordava con lei, ma
voleva vedere fino a che punto si spingeva la convinzione della ragazza.
“Noi
possiamo scegliere se essere liberi dalle passioni e quindi trovare il nostro
scopo e realizzarci, oppure se essere schiavi delle passioni ed essere liberi
di decidere da cosa farci condizionare.”
Isaia
sorrise e annuì, approvava pienamente; poi disse: “Non avrei saputo trovare
parole migliori. Non credevo ci potesse essere qualcuno che mi capisse così
bene.”
“È
la filosofia dei Magi, le nostre tre parole basilari sono: dovere, ordine,
gerarchia.”
“Se
è così e riuscite a rispettarle, dovete essere una società ben funzionante.”
“Sì,
ce la caviamo. Le piace la stanza?”
“Sì,
grazie. Mi ricorda un po’ il mio appartamento, con tutti questi libri …”
sospirò “I miei libri! I miei libri rari, raccolti con tanta fatica … Chissà
dove andranno a finire!”
“Se
vuole, posso provare a recuperarli.” si propose Michela.
“Davvero
ti prenderesti questo impegno?”
“Certo!”
“Oh,
grazie! Grazie mille!” gli occhi gli brillarono di sincera gratitudine “Come
farai?”
“Ho
un amico che ha un furgoncino, mi aiuterà. Devo solo capire come entrare nei
suoi alloggi.”
Isaia
pensò rapidamente e poi disse: “Cerca Vairocana, è
uno dei buddisti che spesso vengono in visita al Vaticano, siamo in buoni
rapporti, abbiamo spesso passato serate a discutere di Dio e filosofia. Sono
certo ti aiuterà.”
“Perfetto,
grazie.”
“A
te.”
“Bene,
lascio che si sistemi; io vado di là, se ha bisogno di qualcosa, non esiti a
chiamarmi. Vuole, intanto, un infuso per rilassarsi?”
“D’accordo,
grazie.”
Isaia
la guardò uscire dalla stanza e pensò che era da molto tempo che nessuno si
prendeva cura di lui.
[1]
“Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi
Isaia
aveva cenato assieme a Michela, aveva chiacchierato un poco con lei, ma in
quella serata non aveva molta voglia di compagnia, era stata una giornata
troppo difficile per lui. Decisioni. Rinunce. Uccidere Vargas.
Abbandonare Gabriel.
Abbandonare
Gabriel … ma lo aveva abbandonato davvero? O era stato Gabriel ad abbandonare
lui?
È
vero, l’amico gli aveva proposto la pace, che tutto tornasse come prima, si era
mostrato disposto al perdono … ma non aveva capito nulla. Gabriel era così
dannatamente sicuro di avere ragione, di conoscere cosa fosse giusto, era
convinto che gli altri dovessero capire lui e non viceversa e dovevano capirlo
senza che lui spiegasse.
Nella
cripta gli aveva detto due o tre volte di riappacificarsi e, davanti al suo
rifiuto, se ne era semplicemente andato. Non si era neppure preso la briga di
domandargli come mai fosse così risoluto o da dove gli venisse quella
convinzione. Se ne era andato e basta.
Non
aveva sentito il dolore nella sua voce, quando gli aveva gridato: “Come devo,
Gabriel, come devo!” ?
Se
fosse capitato a lui, Isaia, di vivere una situazione del genere, lui non
avrebbe abbandonato l’amico, ma si sarebbe seduto accanto a lui e lo avrebbe
invitato a parlare avrebbe cercato di capire, di rassicurarlo. Ah, ma tanto Gabriel
era convinto che ognuno dovesse risolvere i propri dubbi e timori da solo,
senza che altri si interessassero.
D’accordo,
Isaia aveva forse avuto il torto di cercare di ucciderlo, ma indebolito
com’era, era palese che non fosse un reale pericolo e che dunque gli si sarebbe
potuto parlare davvero e non dire giusto un paio di frasi per acquietare la
coscienza, come invece era accaduto. Tanto più che anche Isaia aveva perdonato
Gabriel quando lo aveva quasi ammazzato, un anno prima.
Isaia
aveva sempre cercato di capire Gabriel, Gabriel non aveva mai cercato di capire
Isaia. Non aveva mai cercato di farsi capire, pretendeva che gli altri
capissero al volo o, peggio, accettassero senza fare domande. Isaia, però, non
era come Alonso, non prendeva per cosa buona e giusta qualsiasi parola uscita
dalla bocca di Gabriel. Questo non è essere buoni amici. Gli amici ti stanno
vicini, sì, ma non accettano tutto, tacendo, si preoccupano per te, cercano di
capire quel che ti preoccupa e vogliono aiutarti. Se tu, però, ti chiudi, come
puoi pretendere che gli altri ti capiscano e continuino a starti vicino?
Gabriel
era troppo concentrato su di sé e questa era una prova della sua pericolosità.
Isaia
aveva visto il suo lato oscuro, ne era rimasto molto scosso e spaventato. Dopo
averlo visto per la prima volta, non aveva però abbandonato del tutto la
speranza, aveva continuato a stargli vicino a tentare di capire, di aiutare …
inutile.
Quando
poi, il giorno prima, lo aveva visto di nuovo in quello stato furioso, aspetto
che aveva terrorizzato e allontanato perfino Claudia, Isaia aveva perso la
speranza. Possibile che Gabriel non si rendesse conto? O pensava solo a
Claudia? Non supponeva che come lei era rimasta scioccata, così poteva essere
stato anche per Isaia, che era presente? Non lo aveva sfiorato il dubbio che
anche lui era rimasto scosso, che anche lui avrebbe avuto bisogno di essere
rassicurato?
Gabriel
gli aveva detto che c’era una terza speranza, oltre alla morte e al volere di
Serventi. Forse era vero, ma come poteva crederlo Isaia? Come poteva avere fiducia
in lui se, invece di imparare a controllarsi, Gabriel peggiorava sempre più?
Isaia
sarebbe stato ben contento di salvare l’amico, ma non c’era modo di liberarlo.
Gabriel era il male. Lui, Isaia, era un emissario del Bene, non c’erano
alternative alla lotta a cui erano destinati.
Gabriel,
però, non lo aveva ucciso, non si era abbandonato a rabbia o vendetta, forse
c’era ancora speranza, o forse era l’ultimo barlume di bontà che gli era
rimasta, prima dell’inabissamento totale. Oh, Gabriel, se solo fossi rimasto
nella cripta ancora un poco, anziché abbandonarlo lì da solo, se gli avessi
parlato, se lo avessi rassicurato, chissà … forse le cose sarebbero potute
andare diversamente, forse avrebbe potuto convincersi o illudersi che davvero
esisteva quella terza via di cui parlavi … ma te ne eri andato, lo avevi
abbandonato …
Vederti
voltargli le spalle, vederti uscire, saper di averti perso … forse era più
doloroso della consapevolezza del proprio dovere. Forse era il medesimo dolore.
In
quel momento, però, aveva realizzato di essere solo. Si era già sentito solo
più e più volte, in quei giorni, in quel momento, invece, aveva capito di
essere solo.
Era
poi arrivata quella ragazza, così preoccupata per lui, così premurosa. Isaia
era certo che ci fosse una motivazione ben precisa per quel sentimento, ma
continuava a sfuggirgli quale fosse.
Comunque
era contento di averla conosciuta e che gli stesse vicino in quel momento: lui
aveva davvero bisogno di sostegno, di un po’ di conforto e quella ragazza si
stava sforzando tantissimo per lui. Benché non la comprendesse, apprezzava
quell’impegno e quel calore.
Isaia
si addormentò pensando a queste cose. Dormì a lungo, per molte ore, quando si
svegliò era già metà mattina, si sentiva un po’ più rilassato rispetto al giorno
prima. Si alzò, prese i propri abiti e andò nel bagno a lavarsi e vestirsi.
Aveva ancora la tonaca da prete; ne aveva diritto? Era ancora tale? Sì, lo era.
Lui non aveva rinunciato né ai voti, né ad altro, non era stato scomunicato
(almeno al momento) per cui aveva pieno diritto di vestirsi in quella maniera.
Andò
verso la cucina e vi trovò un biglietto con su scritto:
Buondì
Padre Isaia! Non ho voluto svegliarla, io sono andata a recuperare i suoi
libri. Se avesse fame, troverà vicino ai fornelli un piatto con alcune
frittelle (spero si tengano in caldo) e lì accanto ci sono il miele d’acacia e
la marmellata di ribes. In frigo troverà del latte, se gradisce un caffè, la
moka è già pronta, basta accendere la fiamma. Tornerò intorno all’ora di
pranzo. Un abbraccio.
Isaia
sorrise e dovette riconoscere che quella ragazza conosceva davvero molto di
lui: non erano in molti a sapere che preferiva buondì a buongiorno,
ancor meno sapevano quali fossero il suo miele o marmellata preferiti. Si mise
a fare colazione.
Contemporaneamente,
Michela era sul furgoncino del suo amico Massimo e con lui stava parcheggiando
nel piazzale su cui si affacciava la sede della Congregazione. La giovane non
voleva essere identificata, per cui aveva raccolto i capelli stretti, stretti,
li aveva chiusi in una cuffia e poi aveva indossato una parrucca bionda a
caschetto. Se avesse saputo padroneggiare bene la Magia, avrebbe potuto fare in
modo che nessuno si accorgesse o percepisse la sua presenza, ma ancora non
aveva raggiunto quei livelli di bravura, dunque si affidava in parte all’arte
del camuffarsi.
“Massimo,
resta qui, devo prima rintracciare una persona che ci aiuterà.”
L’uomo,
che aveva sui trent’anni, annuì e alzò il volume della radio. Michela iniziò ad
aggirarsi per il cortile interno e i portici della sede della Congregazione,
riuscendo a non attirare l’attenzione; la descrizione che Isaia aveva fatto di Vairocana era: non alto, tratti orientali,
pelato, sulla quarantina, abiti gialli e bordò. Queste informazioni non
erano sufficienti per distinguerlo dagli altri. Non appena vide un monaco
buddista, la ragazza lo avvicinò e gli chiese se sapesse dove si trovasse Vairocana; l’uomo annuì e l’accompagnò.
“Namasté!” la salutò lui “Cosa posso fare per lei?”
Michela
si guardò rapidamente attorno per essere certa che non ci fossero altri
attorno, poi disse sottovoce: “Mi manda padre Morganti.”
“Ah,
Isaia! Ho sentito cattive parole su di lui, questa mattina. Che cosa gli è
successo?”
“Beh,
diciamo che ha avuto qualche problema con la retta visione, il che ha reso
pericolosa la sua retta intenzione e l’ha indotto a non compiere la retta
azione. Ha dunque deciso di prendersi un periodo di pausa da dedicare alla
retta presenza mentale e la retta concentrazione.”
“Oh,
suppongo non siano state queste le sue precise parole, nonostante gliene abbia
più volte parlato, non ha mai dato grande importanza all’ottuplice sentiero.”
“Ha
ragione, Isaia non ha parlato in questo modo, ma il concetto è questo.”
“Beh,
che cosa l’ha mandata a fare?”
“Isaia
gradirebbe avere i propri libri, mi ha detto di chiedere aiuto a lei per
prelevarli.”
Vairocana annuì e disse:
“Ho le chiavi del suo appartamento, capitava spesso che fosse in giro e gli
insorgesse il bisogno di un volume o un altro che aveva in casa e mi chiedeva
di portarglieli. Venga, le mostro gli alloggi.”
La
ragazza seguì il monaco e arrivarono in un paio di minuti al vecchio
appartamento di Isaia. Vairocana aprì la porta.
Michela entrò e respirò profondamente e si aggirò per le stanze con un certo
brio.
“Qualcosa
non va?”
“No,
no, tutto bene … è che … questo posto è impregnato della sua energia … ovvio ha
vissuto qui … si percepisce molto, si sente che questo luogo è suo.”
Il
buddista annuì e osservò: “Non è il genere di frase che mi sarei aspettato da
un’amica di Isaia, ma fa piacere. Allora, cominciamo?”
“Sì,
certo. Accidenti, sarebbero utili degli scatoloni … pazienza.”
La
ragazza si avvicinò ad uno scaffale e iniziò a prendere qualche libro e poi
uscì e il monaco fece altrettanto; non chiusero la porta, certi che nessuno
sarebbe entrato nel frattempo. I libri erano diverse centinaia, la giovane e il
buddista riuscivano a trasportate non più di venti libri per giro, quindi
avrebbero dovuto fare avanti e indietro numerose volte. Massimo non poteva
aiutarli, perché doveva stare vicino al furgoncino a sorvegliarlo.
Quell’operazione non passò certo inosservata, infatti, di ritorno dal quarto
giro, si trovarono davanti padre Alonso, appoggiato alla porta, col sigaro
acceso in bocca.
“Holaamigos.” salutò il
bibliotecario “Que fate?”
Michela
prevenne il buddista, con aria molto severa e sicura di sé, si avvicinò al
prete, porse la mano e si presentò: “Francesca Rabitti.
Sono della ditta di trasloco Carri&Rabitti, siamo
stati incaricati di svuotare questo appartamento e trasferire gli oggetti
altrove. Avete qualcosa incontrario?”
“Ho
visto il vostro furgone, non siembraquelo d’una dita de trasloco.”
“Sarò
sincera con lei: lavoriamo in nero. Non abbiamo ancora il capitale base per
poter aprire la partita iva e metterci in regola, per cui adesso stiamo
svolgendo alcuni lavori in maniera illegale per poter mettere da parte un po’
di denaro.”
“Ah,
entiendo, entiendo.”
rispose Alonso, annuendo “Se vede che siete alle prime armi, non avete alcuno strumiento, vi stuferete priesto
a portare todo a mano.”
“Se
vuole, può aiutarci, infondo è piuttosto robusto.”
“Va
bien, facio una telefonada e poi ve aiuto!”
Alonso
si allontanò di qualche passo, prese il cellulare, parlottò un poco, poi si
aggregò alla ragazza e al monaco per trasportare i libri e nel mentre
commentava tra sé e sé i vari titoli che gli capitavano sott’occhio.
Meno
di una mezz’ora dopo, arrivò Gabriel, si accostò al bibliotecario che gli
indicò la ragazza e gli bisbigliò qualcosa. Il sopraggiunto si avvicinò alla
donna e le chiese: “Scusi, posso scambiare con lei alcune parole?”
Michela
si sentì un attimo incerta, doveva mantenere la calma e la copertura; per cui
si concentrò, si avvicinò all’interlocutore e con un falso sorriso gli domandò
come potesse essergli utile.
“Dove
portate queste cose?”
“Non
sono autorizzata a riferire quest’informazione.”
“Il
proprietario di questi oggetti è un mio amico, ho il diritto di sapere.”
“Che
lei sia o non sia amico del mio cliente, non mi interessa, devo tutelare la pivacy; se il suo amico non ha voluto riferirle i suoi
spostamenti, io non ho certo l’autorità di scavalcare il suo volere.”
“Voi
non siete una ditta in regola, ammesso che siate davvero una ditta. Quindi o mi
dice quello che voglio sapere, o chiamerò la polizia. Cosa ne dice?”
“Io
non ho commesso alcuna infrazione, ho avuto le chiavi per accedere
all’appartamento, di conseguenza non può accusarmi di nulla.”
“Non
siete in regola, per vostra stesa ammissione.”
“Lo
provi.” lo sfidò lei “Dirò che sto facendo un favore ad un amico. È la mia
parola contro la sua, sarà un nulla di fatto.”
“Quanta
arroganza! Fai parte anche tu dei Templari?”
“Signore,
lei guarda troppi film, lo sanno tutti che i Templari non esistono più da
secoli.”
“E
allora com’è che ieri hanno tentato di uccidermi?”
“Se
davvero qualcuno ha tentato di ucciderla, deve rivolgersi alla polizia, non a
dei traslocatori.”
Gabriel
si stava innervosendo! Ci teneva parecchio a parlare con Isaia e quella donna
glielo stava impedendo!
Michela,
da parte sua, non avrebbe voluto essere così antipatica, ma non doveva dire
nulla: per il momento era meglio che Isaia restasse lontano da Gabriel, nelle
condizioni in cui era, probabilmente lo avrebbe di nuovo aggredito e ciò era
meglio che non accadesse. Lei sapeva quanto fosse fondamentale l’amicizia di
Isaia e Gabriel, ma per il momento avrebbe giovato ad entrambi stare lontani, o
almeno così credeva lei.
“Senta,
ragazza, facciamo in questa maniera.” si calmò Gabriel “Io ora scriverò una
lettera e lei la consegnerà ad Isaia, d’accordo?”
La
ragazza ci pensò un attimo e poi acconsentì: “Sì, questo è possibile.”
L’ex
prete, allora, si allontanò e tornò dopo una ventina di minuti, portando una
busta chiusa che mise in mano alla giovane, raccomandandosi: “Gliela faccia
avere e … se davvero lei non è nei Templari e se per caso vuole bene ad Isaia,
lo aiuti e lo faccia tornare in sé.”
È assolutamente
in sé, ha solo fatto un errore di calcolo per ignoranza. Avrebbe voluto
rispondergli la ragazza, ma non lo fece.
Poco
dopo, tutti i libri erano stati caricati. Michela salutò il monaco e padre
Alonso e li ringraziò per l’aiuto; poi salì sul furgoncino e come prima cosa
disse: “Massimo, loro tenteranno di seguirci, fa in modo di seminarli, non
devono scoprire dove andiamo.”
“D’accordo.”
Girovagarono
per le strade di Roma per oltre mezz’ora e riuscirono a far perdere le proprie
tracce a Stefano che, contattato da Gabriel, aveva provato a pedinarli.
Arrivati in via Veneto, Massimo disse che sarebbe tornato il giorno dopo a
riprendere il furgoncino, poiché aveva impegni improrogabili in quella
giornata. Michela entrò in casa e si stupì nel trovare Isaia praticare la
meditazione sui chakra, che lei gli aveva insegnato.
Camminò dunque piano, in punta di piedi per non disturbarlo; essendo ormai le
tredici, scivolò in cucina e riempì una pentola d’acqua e la mise a bollire,
poi passò a preparare il sugo: ricotta, noci, un poco di miele, noce moscata e
due chiodi di garofano.
“Bentornata.”
la salutò Isaia, dopo qualche minuto, affacciandosi sulla soglia della cucina
“Grazie per non avermi interrotto.”
“Si
figuri, so bene quanto sia importante che una meditazione non sia disturbata.
Le è stata utile?” la sua dolcezza nel rivolgersi ad Isaia era qualcosa che non
può avere paragoni.
“Sto
bene.” rispose lui “Non so quanto durerà. Basterà ch’io ripensi a Dio, a quello
che credevo fosse Dio, a quello che ora so essere Dio … e subito tornerò ad
agitarmi.”
“Isaia,
solo perché ha imparato una cosmologia diversa da quella a cui era abituato,
non deve dubitare di Dio, né che esso sia il nostro fine ultimo, anzi il fine
eterno.”
“Se
bene e male sono entrambi provenienti da Lui e Lui è indifferente alle nostre
azioni … non vedo cosa c’entri Lui con noi. È davvero un bene che la Chiesa
nasconda questa verità: la gente perderebbe ogni freno e morale.”
“Sta
dunque dicendo che il mondo è in balia dell’ingiustizia e che Dio rimane
estraneo? Proprio lei che è un gesuita dà ragione a Giansenio?
Dio ci chiama costantemente a sé, Dio ci indica sempre la nostra strada
migliore, ma noi o non ce ne accorgiamo o la temiamo e spesso non la
intraprendiamo. Noi, con la ragione, possiamo conoscere solo il fantasma di Dio
e la sua ombra, che è il diavolo. Le lotte tra il bene e il male avvengono tra
queste due concezioni, una che ci guida verso il vero Dio, l’altra che ci
allontana da Lui. Il Dio Assoluto, quello che ci sembra indifferente, è sempre
presente e non ci abbandona mai. Questo, almeno, è quello ch’io credo.”
“È
bello, sembrerebbe anche giusto, credibile.”
“Spero
che anche lei, presto, tornerà a sentire la presenza di Dio; non c’è nulla di
peggio che credersi lontani da Lui. Ah! Cambiando argomento, là fuori c’è il
furgoncino coi suoi libri. Ne ha veramente tanti!”
“Ci
sono stati problemi?”
“Gabriel
ed Alonso hanno fatto domande, ma non hanno scoperto nulla. Ovviamente avevano
capito che questi libri le sarebbero arrivati, per cui Gabriel mi ha consegnato
una lettera da darle. Eccola.”
Isaia
l’afferrò rapidamente e in un lampo la estrasse dalla busta, poi chiese: “Ti
dispiace se la leggo subito? O è pronto il pranzo?”
“Faccia
pure con comodo.”
Isaia
andò in salotto e iniziò a leggere.
Isaia,
sono Gabriel, spero ti consegnino davvero questa mia, perché ho bisogno di parlarti.
Ieri eravamo entrambi molto agitati per tutto quello che stava accadendo, io
ero arrabbiato e stufo di tutta questa storia, tu probabilmente eri spaventato.
Spero che tu, come me, oggi sia più tranquillo e disposto ad ascoltare e a
spiegare. Non sei mai stato una persona violenta, le poche volte che hai dovuto
impugnare un’arma era solo per difesa, mai per attaccare.
Infatti
stavo difendendo il mondo –commentò, tra sé, Isaia.
Sei
stato molto ingiusto nei miei confronti! Hai avuto il coraggio di dire di
essere disposto a morire per me, mentre tentavi di uccidermi. Che cosa ti è
saltato in testa? Da quanto ti sei lasciato ingannare da Vargas?
Quali dei tuoi consigli, in questi giorni, erano sinceri? Io ti ho proposto la
pace, ma tu l’hai rifiutata, come hai potuto? Hai tradito me! L’unico che ti
fosse amico! Avrei avuto perfettamente diritto di assecondare la richiesta di
Serventi e ucciderti, ma non l’ho fatto poiché tutta questa guerra è insensata
e ingiusta, perché tu non lo capisci? Perché hai sputato sulla mia offerta di
pace? Hai detto più di una volta che questo è il nostro destino, che né io, né
te abbiamo scelta, perché ne sei così convinto?
Tu stesso hai detto di non avere scelta, quando ti
ho chiesto di non mettere in pericolo tutti quanti, solo per salvare Claudia e
non mi hai ascoltato.
Sei
sempre stato un fiero sostenitore del libero arbitrio, tanto da preferire
l’eretico Pelagio a Sant’Agostino o San Girolamo!
Esatto, il pelagianesimo:
ognuno ha piena responsabilità dei propri peccati. I peccatori non sono vittime
ma criminali! …. E hanno bisogno del perdono …
Perché
ora ti abbandoni a questo fatalismo? Non credi più che homo fabersuaefortunae?
Cosa ti hanno raccontato e chi? Perché non hai più fiducia in me? Posso
controllarmi, posso evitare di diventare quello che Serventi vuole, lo sento e
lo so! È Claudia, lei è la mia forza che mi permette di resistere ad ogni
cattivo sentimento.
Proprio
questo prova che sei un pericolo! –pensava Isaia-
Dipendere dagli altri non significa certo superare le proprie debolezze. Tu,
qui, stai ammettendo che l’unico freno che hai è la Munari; Serventi potrebbe
rapirla di nuovo, oppure lei potrebbe semplicemente mutare i suoi sentimenti
per te e, allora, che cosa sarà? Perderai di nuovo il controllo e senza poter
tornare indietro.
Isaia,
io non sono un pericolo! Hai ragione, c’è la possibilità ch’io lo diventi, ma
nessuno può punire preventivamente.
Prevenire
è meglio che curare. Specialmente se il tuo lato oscuro è potente come sostiene
Serventi. Una volta scatenato, come ti si potrebbe fermare?
Se
davvero mi trasformerò e inizierò a fare del male, allora avrai tutto il
diritto e il dovere di fermarmi e di uccidermi, ma non prima. Se mi uccidi ora,
che non ho ancora fatto nulla, allora sarai un assassino e non il giustiziere
che sogni di essere.
Meglio macchiarmi io di un peccato e condannare la
mia anima, piuttosto che condannare l’umanità intera!
Capisco
che tu possa essere spaventato, immagino che mentre ci hanno attaccati in
chiesa e io ho visto il mio doppio malvagio, anche tu abbia avuto tremende
visioni; Alonso mi ha detto che tu, nell’accademia astronomica, hai avuto di
nuovo a che fare con quel giovane. Che cosa ti ha mostrato? Dev’essere
stato tremendo per convincerti della necessità di uccidermi; non credi, però,
che possa essere stato un inganno di Serventi? Quante volte ci ha fatto credere
falsità per i propri scopi? Non capisci? Voleva che tu mi tradissi, così che
io, furioso, uccidendoti, diventassi ciò che lui vuole. Ma non l’ho fatto!
Visto? C’è ancora speranza! Noi possiamo decidere delle nostre azioni, la
scelta c’è, sempre!
Quanto vorrei fosse vero! … … Effettivamente, però,
Foschi sosteneva che Gabriel potesse scegliere come cambiare … e anche Rebecca
aveva detto che c’era un’altra possibilità …
Isaia, tu eri
mio amico, non è giusto che tu abbia deciso di considerarmi una minaccia e di
andartene. Se per caso ti sei pentito e vuoi tornare indietro, non provare vergogna
o timore, torna! Io sono qui che ti aspetto. Tutti facciamo errori, anch’io ne
ho fatti e tu mi hai perdonato. Credimi, non ho rancore verso di te, capisco
pure le tue ragioni. Lo so che tu non ce l’hai con me, ma col mio lato oscuro.
Ti garantisco che non prevarrà mai.
L’ha già fatto più di una volta! E sempre peggio!
Torna da noi,
Isaia, la Congregazione ha bisogno di te! Sei forse l’elemento più valido che
hanno! Cosa possono realmente fare quei Monsignori, da soli? Torna a combattere
contro il diavolo assieme alla Chiesa e non abbandonarti a quell’ordine
sanguinario che ha molto poco di cristiano. Isaia, torna, la mia amicizia non
ti è venuta meno.
Se non c’è modo
di farti cambiare idea, allora ti auguro ogni bene e spero che Dio non ti
abbandoni, fratello.
Isaia rilesse quelle righe più e più volte. Davvero
vi trovava speranza, davvero gli pareva che le cose non fossero più così o
bianche o nere come gli era sembrato il giorno prima, eppure aveva paura di
illudersi, temeva che fosse il suo affetto a farlo ragionare in quel modo e non
la sua razionalità. Gli dispiacque, però, vedere che Gabriel non aveva detto
neppure una volta mi dispiace, come se in realtà la perdita dell’amico non gli fosse poi molto
dolorosa. Isaia lo conosceva bene, sapeva che Gabriel esprimeva la sofferenza
non con le lacrime, ma con la rabbia (e di quella ne aveva trovata nella
lettera), aveva però sperato di leggere qualche espressione di rammarico.
“Dove
metterà tutti i suoi libri, adesso?” domandò Michela ad Isaia, mentre stavano
pranzando.
L’uomo,
dopo la lettura della missiva dell’amico, era rimasto silenzioso, ragionava su quelle
parole. La ragazza aveva rispettato il suo tacere per alcuni minuti, poi,
vedendolo malinconico, aveva tentato di distrarlo con quella domanda.
“Sinceramente
non lo so. Ti ho detto di prenderli, ma non ho idea di dove tenerli. Non so
neppure dove abiterò … se avrò una casa fissa o se sarò costretto a cambiare …”
“Le
proporrei di lasciarli qua, così sarei sicura che tornerà a trovarmi, ma
purtroppo ho già i miei volumi che prendono tutto lo spazio disponibile.”
“Peccato,
sarebbe stato bello avere un posto in cui tornare, in cui riposare tra una
missione e l’altra … ma ormai non ho più diritto a un luogo del genere. Sono un
Templare, la mia vita sarà errante, immagino.” c’era dispiacere in quelle
parole. Isaia sapeva che l’attaccamento a un luogo è sbagliato, che è
un’illusione quella delle radici, eppure gli dispiaceva diventare un vagabondo,
senza che nessun posto gli appartenesse.
Michela
azzardò a protrarsi un poco in avanti e fare una carezza su una guancia al
prete, che sollevò lo sguardo stupito, ma non disse nulla; poi la giovane
parlò: “Beh, se le può fare piacere, questa casa può essere a sua disposizione,
io sarò sempre felice di accoglierla.”
“Grazie,
sei molto gentile.” rispose lui, sorridendo e piacevolmente sorpreso “Me ne
ricorderò.”
“Per
i suoi libri, ho un’idea!” annunciò, raggiante, lei.
“Sentiamo.”
“I
miei nonni abitano in una villa, qui in campagna, sono certa che avranno una
stanza per la sua biblioteca. Poi, ovviamente, se troverà un posto dove
abitare, glieli faremo recapitare.”
“Per
il momento è la soluzione migliore, ti ringrazio ancora.”
“Perfetto,
allora, li porterò dai miei parenti tra poco; ne approfitterò che devo
recuperare Giorgio.”
“Ti
accompagnerò.”
Michela
si irrigidì e disse: “Non preferisce starsene qui, tranquillo? Non sarà un
affare breve, starò via almeno un paio d’ore, forse più, non è il caso che lei
perda tutto questo tempo.”
“E
cosa dovrei rimanere a fare qui?”
“Beh,
pensavo avesse bisogno di meditare e ragionare …” la giovane era un po’ in
difficoltà.
“No,
ho pensato che devo distrarmi. Hai presente quando ragioni talmente tanto su un
problema che non riesci più a vederlo con lucidità e, appena lo lasci perdere e
ti rilassi, la soluzione sorge quasi spontaneamente? Ecco, penso che sia il mio
caso. Sono sicuro che non appena smetterò di pensare ai giorni scorsi e mi
rilasserò, ecco che capirò come agire.”
“Sì,
è giusto quello che dice, ma non preferirebbe distrarsi in altra maniera? Sa,
temo potrebbe annoiarsi a casa dei miei nonni.”
“Sono
Magi anche loro?”
“Sì.”
“Allora
voglio venire. Da come ieri mi hai parlato dei Magi e della loro
organizzazione, penso siano persone interessanti da conoscere.”
Michela
capì che trovare altre scuse sarebbe stato inutile, per cui sospirò e disse:
“Va bene, mi accompagni pure, ma a una condizione: qualsiasi cosa succeda,
qualunque cosa veda, in qualsiasi maniera la trattino, lei non dovrà mai
chiedere perché? né a me, né a nessun
altro.”
Il
gesuita acconsentì e dunque, un’ora e mezzo più tardi, si trovarono davanti alla
villa in stile liberty, nella campagna romana, in cui vivevano i nonni e gli
zii di Michela.
C’era
il Sole, l’aria era calda, per cui trovarono subito in giardino alcuni bambini
che giocavano e una signora che leggeva, seduta su un dondolo, indossava una
sciarpa rossa come quella che stava portando anche Michela in quel momento.
“Ciao,
zia!” salutò la ragazza.
La
donna, che pareva avere poco più di trent’anni, si alzò in piedi ed andò a
salutare la nipote che fece le presentazioni: “Zia, ti presento Padre Morganti. Isaia, questa è mia zia Camilla.”
“Lieto
di conoscerla.” disse il prete.
“Piacere
mio.” disse la signora, poi spostò gli occhi sulla nipote e chiese: “Ma, per
caso è …?”
“Sì.”
annuì la ragazza.
“Oh,
è davvero un piacere conoscerla!” ribadì Camilla al gesuita “È un vero onore
averla qui …”
“No!
No, zia! Lascia stare.” la zittì in fretta Michela.
“Ma
come?” si stupì l’altra.
“Vieni
un momento. Ci scusi, Isaia.”
La
ragazza si allontanò di qualche passo con la zia e le sussurrò: “Cerca di
contenere l’entusiasmo, lui ancora non sa.”
“Ohu, peccato.”
“Non
volevo venisse, ma ha insistito per seguirmi. Quindi adesso non metterti a
chiamare mezzo mondo.”
“No,
certo … avverto solo un paio di persone.”
“No!”
ribadì la ragazza.
“Si
offenderanno se scopriranno che lui è stato qua e io
non li ho avvisati.”
“Quando
finalmente Isaia avrà trovato la sua consapevolezza, potrai invitare chi ti
pare. Adesso no.”
“Non
ha importanza se non sa: basta la sua sola presenza! Dai, non ti preoccupare,
non chiamerò tutti, solo pochissimi intimi … Su, vai dentro a chiamare tuo
nonno e gli altri, ci penso io a fargli compagnia.”
Michela
alzò gli occhi al cielo e sospirò: era stata una pessima idea permettergli di
venire. Ormai, però, era lì. La ragazza andò verso il portone. Camilla,
intanto, si era avvicinata ad Isaia e gli aveva domandato: “Potrebbe
benedirmi?”
Il
prete sollevò le sopracciglia un po’ stupito: non era una richiesta comune, ma
accettò. Sollevò la mano destra con il mignolo e l’anulare piegati e poi
disegnò una croce per aria, pronunciando in latino la frase di rito.
“Oh,
grazie! Grazie!” fu tutta contenta la donna e poi aggiunse: “Potrebbe benedire
anche i bambini?”
Avuta
risposta affermativa, da un Isaia sempre più perplesso, Camilla chiamò i bimbi
perché ricevessero anche loro la benedizione dal prete.
L’uomo
pur non dandolo a vedere, era un poco in imbarazzo: di solito, quando benediva
persone, era perché erano possedute o rischiavano di diventarlo, dunque lo
aveva sempre fatto solo per proteggere da un pericolo imminente. Benedire come
gesto propiziatorio era qualcosa a cui non era abituato; inoltre si domandava
come mai chiedessero una benedizione a lui: un semplice prete. Quello era il
genere di cose che si chiedeva a un vescovo o monsignore, qualcuno che avesse
un alone di santità maggiore del suo.
Poco
dopo varia gente iniziò ad uscire dalla villa, erano uomini e donne di varie
età e anche giovani, alcuni indossavano sciarpe azzurre, altri rosse, qualcuno
nere, un paio bianche. Sembravano tutti alquanto contenti. Michela, che era con
loro, si affrettò a superare gli altri e ad affiancare Isaia.
“Questi
sono tutti tuoi parenti?” domandò il prete, stupito.
“Sì.
Essendo una villa molto grande, mio nonno e sua sorella hanno deciso di vivere
tutti assieme qui, con anche i loro figli, tutti alquanto prolifici.”
“Buon
pomeriggio! Ben venuto, ben venuto!” lo accolse un uomo che sembrava avere non
più di cinquant’anni “Io sono Corinno, il nonno di
Michela. Siamo felici di averla qui.”
“Nonno,
veramente noi siamo qui solo per prendere Giorgio e lasciare dei libri.”
intervenne, un po’ frettolosamente, la ragazza.
“Lo
so, ma giacché siete qui non rifiuterete certo la nostra ospitalità!” insisté Corinno “Tra poco arriverà anche mia moglie, sta preparando
tè per tutti. Mentre l’aspettiamo, Padre Morganti
potrebbe benedirmi. Sa, alla mia età è sempre meglio approfittare di tutte
queste occasioni!”
“È
vero che non possiamo sapere quando Dio ci chiamerà a sé” rispose pacatamente
Isaia “Ma lei non mi pare anziano e sembra decisamente in forma.”
“Eh,
l’apparenza inganna!” replicò Corinno “Io sono vicino
ai novanta!”
Isaia
sgranò gli occhi, incredulo! Quell’uomo dimostrava la metà degli anni che
sosteneva di avere!
“Poi,
magari, potrebbe anche confessarmi.” continuò l’uomo “Ho l’immodestia di
pensare di non aver troppi peccati sulla schiena, ma una bella assoluzione
generale è sempre cosa buona e giusta, lei cosa ne dice?”
“Certo
si può fare.” acconsentì Isaia.
“Anch’io
voglio la sua benedizione e confessarmi!” esclamò qualcuno.
“Anch’io!
Anch’io!” gli fecero eco altri.
“No!”
Michela cercò di frenarli “Non potete tutti …”
“Tranquilla!”
la interruppe Isaia “La confessione è uno dei ministeri principali dei gesuiti,
sarò felice di accontentarli.”
“Ma
ha visto quanti sono? Impiegherà delle ore!”
“Non
ha importanza.”
“D’accordo,
come vuole lei.” si rassegnò Michela, che poi si rivolse ai parenti: “Mentre
aspettate il vostro turno per la confessione datemi una mano a portare in casa
i libri e a sistemarli!”
Così
avvenne. Isaia fu condotto in una stanza e uno alla volta tutti quegli uomini e
quelle donne; erano all’incirca una ventina di adulti (tra zii e cugini), per
cui il prete rimase occupato per circa tre ore.
“Mi
spiace che la abbiano presa d’assalto in questa maniera.” si scusò Michela,
quando il prete ebbe finito. Erano rimasti un poco soli in un salotto, stava
ormai scendendo la sera.
“Oh,
non è stato un disturbo, è mio dovere anche questo. Non capisco, però, una
cosa: i tuoi parenti hanno avuto un atteggiamento molto religioso, questo
farebbe supporre che siano credenti praticanti, ma allora perché si sono
rivolti a me e non al parroco della loro chiesa?”
“Non
è una questione religiosa, per loro, ma puramente spirituale.”
“In
che senso?”
“Non
si sarebbero comportati in questa stessa maniera con un altro prete.”
“Perché?”
“Come
le ho detto, non risponderò a nessun perché riguardo a quel che capita
qui.”
“Non
mi puoi dire neppure perché tutti portate sciarpe?”
“Oh
questo sì, glielo posso spiegare. La sciarpa è un simbolo per indicare il grado
di progressione spirituale. Si parte dall’azzurra, poi c’è la rossa, la nera e
la bianca. Non vengono attribuite da nessuno di noi, ma sono doni in cui ci
imbattiamo casualmente, quando le meritiamo, può capitare che ci vengano
regalate da qualcuno che non conosce le nostre tradizioni, o di vincerla o
trovarla dimenticata da qualche parte. Magari ogni tanto la sciarpa azzurra,
che indica l’inizio del percorso, o la nera vengono fatte trovare dagli anziani
ai più giovani, ma non oltre.”
“Il
rosso è dunque un grado avanzato.”
“Abbastanza
infatti è insolito che una persona giovane come me l’abbia; di solito i primi
insegnamenti vengono iniziati ad essere impartiti attorno ai dodici anni, ma si
ottiene la sciarpa azzurra a diciotto; per quella rossa non ci sono tempi
specifici.”
“Capisco.
Un’altra domanda. Come mai tuo nonno dice di avere novant’anni?”
“Perché
li ha.”
“Non
sembrerebbe affatto.”
“Lo
so, benefici della magia. Una buona vita spirituale mantiene più a lungo anche
il corpo.”
Entrò
allora nel salotto la nonna di Michela, spingendo un carrellino con sopra una
teiera, alcune tazze, biscotti e il necessario per prendere il tè. La seguiva Corinno e tutti e quattro assieme bevvero l’infuso e
scambiarono alcune parole, sarebbero andati avanti a lungo, se non fosse stato
che, dopo pochi minuti, sopraggiungesse un altro uomo dall’aria entusiasta, che
subito chiese: “Padre Morganti, vorrebbe concedermi
di esercitarmi con lei con la spada?”
“Zio!”
lo rimproverò veementemente Michela.
“Non
useremo spade vere, ma quelle di bambù.” garantì, quasi fosse un bambino che
vuole rassicurare il genitore.
“Zio,
no! Isaia non sa usare le spade.” fu irremovibile la ragazza.
“Ma
come?” si sbalordì l’altro “Impossibile! Non dire sciocchezze.”
“Ne
ha impugnata una ieri per la prima volta.”
“Davvero?
Ma allora devo insegnargli assolutamente qualcosa! Venga, venga, Padre Morganti!”
Si
aggiunse Corinno: “Sì, mi pare un’ottima idea, vada!”
“Ma,
veramente …”
Le
rimostranze di Michela o Isaia furono ignorate e il prete venne quasi
trascinato fuori dalla stanza, senza avere modo di reagire. La ragazza guardò
il nonno con rimprovero e lui le disse: “Su, su, non fare così, vedrai che si
divertirà e gli farà bene.”
“Non
lo potete traumatizzare comportandovi in questa maniera” protestò lei “Non sa
ancora.”
“Eh,
va beh! Piuttosto, tu sai che cosa sia successo circa la questione di Gabriel?
Abbiamo tutti avvertito la minaccia che incombeva, il pericolo sfiorato, ora
sembra tornato tutto di nuovo in uno stato quiescente, puoi darci qualche
dettaglio in più sui fatti?”
Michela
raccontò tutto quello che aveva saputo circa Gabriel, Isaia e i Templari.
“Quindi
gli ha risparmiato la vita? Ha represso il lato oscuro e ha dato più valore
all’amicizia che al tradimento …” osservò Corinno
“Questo è un ottimo segnale, direi. Sai bene quanto sia importante il loro
legame.”
“Purtroppo
non siamo i soli a saperlo.” sospirò con preoccupazione Michela.
“Cosa
intendi?”
“Ho
rivisto Serventi …”
“Ti
ha fatto del male?!” si preoccuparono quasi all’unisono i nonni.
“No.
Mi ha solo detto alcune cose …” era cupa e pensierosa.
“Quali?
Dicci.” la esortò Corinno, comprensivo.
“Serventi
ha sempre messo al centro del proprio piano Gabriel, tanto che noi pensavamo
gli interessasse solo lui e da come ha agito in questi giorni pare sia
effettivamente così: ha tentato di uccidere sia Claudia che Isaia! Eppure temo
che in realtà non escluda di poter realizzare la stella nera. Non so quando
abbia capito la vera natura di Isaia … È chiaro che per Serventi la figura
chiave è Gabriel e che è disposto ad uccidere chiunque sia un ostacolo, ma
credo che possa avere, come al solito, depistato le nostre impressioni e che
voglia fare almeno un tentativo di formare la stella nera. In fondo mettere in
pericolo Claudia gli serviva per provocare Gabriel; mentre spingere Isaia verso
i Templari non era solo un modo per indurlo al tradimento, ma anche per
spingerlo su una strada lontana da Dio. Sa che con solo Gabrielil successo del suo piano non potrà essere
definitivo e rimarrà sempre in pericolo; per la sua vittoria definitiva gli
occorre anche Isaia. Non avevo mai supposto che Serventi fosse così ambizioso,
pensavo temesse la piega alternativa che potrebbero prendere le cose, invece,
da quello che mi ha detto ieri, sembra proprio che abbia in mente questo. Forse
è per questo che, in realtà, ha ucciso i miei genitori e mi ha cresciuta:
voleva usarmi per consegnargli Isaia, in una qualche maniera.”
“Se
fosse vero, sarebbe ben terribile.” osservò la nonna “Dobbiamo fare in modo che
Isaia ritrovi Dio.” ragionò un attimo, poi aggiunse: “Restate a cena qui,
stasera, gli faremo ripassare un po’ di cosmologia.”
Così
avvenne, intorno alle ventuno si ritrovarono a tavola assieme oltre trenta
persone, tutte di buon umore. Isaia aveva qualche livido, ma il suo compagno
d’armi era molto soddisfatto di come avesse imparato rapidamente a maneggiare
la spada.
“Scusi
mi è sorto un dubbio.” disse ad un certo punto Isaia, rivolto a Corinno “Ma voi non siete Zoroastriani? Perché avete voluto
avere la mia benedizione?” era una domanda studiata apposta nella speranza di
scoprire finalmente qualcosa.
“Lei
è un ministro di Dio, la rispettiamo in quanto tale, non ci importa quale rito
esterno pratica.” rispose pacatamente l’uomo.
“Ma
voi in che cosa credete?” insisté il gesuita.
“In
Dio.”
“Quale?”
Corinno rise poi
rispose: “Nell’unico Dio. Se intende invece, sapere la mia opinione circa la
cosmologia, allora è un altro tipo di domanda a cui sarò ben lieto di
rispondere.”
“Sì,
grazie, vorrei sentire il vostro parere.”
“Allora
io credo che il Dio decise di creare il tempo e lo spazio e di mettervi a capo
un proprio figlio (o emanazione) e si mise a fare ciò che era necessario.”
iniziò a spiegare Corinno “Ma mentre eseguiva il rito,
ebbe un dubbio e dunque nacquero due figli: uno generato dal rito e quindi
dall’ordine, l’altro sorto dal dubbio e quindi dal caos. Essi fin da subito
iniziarono a disputarsi il mondo in cui si trovavano e del quale erano nati
entrambi per esserne sovrani.”
“Io
non concordo.” intervenne sua moglie “Dio non può avere dubbi. Egli creò subito
due emanazioni di sé, una scelse di seguire l’ordine dato da Dio, l’altra di
disobbedire e da lì è nato il loro contrasto.”
Un’altra
donna che aveva ascoltato disse la propria: “Perché dev’essere
per forza una guerra e non un gioco? La vita è solo un gioco, non importa
vincere o perdere, ma solo partecipare. Come in tutti i giochi, però, ci sono
delle regole, altrimenti non ci sarebbe gusto, da qui le leggi morali.”
“La
vita un gioco?” si meravigliò Isaia.
“Certo.”
gli disse Michela “Lei che è un gesuita dovrebbe ben sapere qual è l’importanza
del gioco per l’educazione di un bambino, affinché prenda le cose sul serio e
capisca l’importanza delle leggi e il loro rispetto.”
“Per
me la questione è ancora più semplice.” si aggiunse un altro “Tutto questo
universo, tutti i nostri ego non sono altro che una grande rappresentazione e
dei personaggi e Dio è il grande attore che interpreta ogni ruolo ed è talmente
bravo da ingannare perfino sé stesso.”
Una
donna rise e disse: “Vi racconto la mia idea, allora. Dio creò spazio e tempo e
vi mise una propria emanazione a governarlo, essa a propria volta emanò altri
spiriti e vissero assieme senza problemi per lungo tempo, finché alcuni di loro
non iniziarono ad essere insofferenti a quello stato di eguaglianza e
gerarchia. Divennero egoisti, superbi, anarchici e si rivoltarono. Per questo
la prima emanazione creò altri due mondi, uno dove stessero i più corrotti ed è
quello che viene chiamato inferno, e uno dove le anime potessero espiare le
proprie colpe fino ad innalzarsi per tornare presso la prima emanazione.
All’inferno ci stanno i demoni e gli ostinati che non riconoscono il proprio
errore e la propria ignoranza, ma ciò non significa che non possano essere
salvati, essi possono guadagnarsi di diventare umani ed espiare. Ad ogni modo,
i demoni mandano spesso loro emissari sulla Terra per trarre a sé altre anime;
allora la prima emanazione ha deciso di manifestarsi con alcune delle sue potenze
sulla terra per guidare le anime verso Dio. Purtroppo, però, come i demoni
possono purificarsi, anche gli angeli possono corrompersi.”
Isaia
rimase a riflettere un po’ su quelle parole in particolare e in generale sugli
altri racconti, poi domandò: “Ma qual è la verità?”
La
moglie di Corinno gli rispose: “Potrebbero essere
tutte false queste storie, ma non ha importanza. L’unica cosa che conta è
credere al vero Dio, infinito e indicibile, al di sopra del Bene e del Male, e
tendere ad esso … e sapere che è il Bene e l’ordine che ci avvicinano a Lui.”
Isaia
tacque, assimilava quell’informazione nel proprio animo, cercando di accettare
quella realtà delle cose: che la Verità non era comprensibile.
“Isaia.”
gli disse Michela con dolcezza “Non so se ti possa aiutare o meno, ma sappi che
io credo che Dio non sia in noi, ma che noi siamo in Dio.”
Isaia sentiva un tremendo fischio nelle
orecchie, molto acuto e forte; la testa gli doleva a tal punto che avrebbe
voluto rompersela da solo; aveva un senso di nausea; gli occhi gli bruciavano e
la vista era annebbiata e sfocata. Vedeva attorno a lui una decina di corpi
stesi sul pavimento. Si sentiva debole, svuotato di ogni energia. Le ginocchia
gli cedettero, si afflosciò e accasciò al suolo. Era ancora un
vagamente cosciente, vedeva il soffitto, gli pareva lontano chilometri. Sentì
una porta aprirsi e poi una voce: “Isaia!”
Era il suo
maestro Samuele che lo chiamava.
“Cos’è
successo?!” il prete si era guardato un attimo attorno, poi si era precipitato
sull’allievo.
“Isaia?! Isaia!”
Lui mosse un
poco gli occhi, o almeno ci provò. Vedeva, curvo su di lui, il maestro, che
tentava di svegliarlo; Isaia vedeva la bocca di Samuele muoversi, ma non
sentiva nulla. Il prete si guardò attorno, sembrava sconvolto od esterrefatto;
poi tornò a concentrarsi sul discepolo, gli prese il polso e controllò il
battito, parve sollevato. Samuele lo guardò di nuovo e mormorò, convinto di non
essere udito: “Isaia, hai fatto tu, questo? Hai davvero un gran potere …
l’esorcismo è davvero la tua strada … se ti eserciterai con impegno, i demoni
impareranno a temerti.”
Le palpebre si
chiusero e Isaia perse totalmente i sensi.
Isaia
si svegliò. Era nel letto degli ospiti della casa di Michela. Prese il
cellulare e controllò l’orario: le sette e quarantacinque, decise di alzarsi.
Sentiva il vociare del piccolo Giorgio venire da una delle stanze vicine. Il
prete prese la sua tonaca e andò in bagno per lavarsi, radersi e vestirsi;
dopodiché andò in cucina e trovò la ragazza che stava facendo colazione col
figlioletto.
“Buondì!”
lo accolse lei, sorridente “Scusi se non l’ho aspettata, ma devo portare
Giorgio all’asilo e quindi ho degli orari da rispettare.”
“Figurati!”
la rassicurò lui “Capisco benissimo.”
Isaia
sedette e prese una fetta di pane e del burro, nel mentre Michela gli versò una
tazza di caffèlatte.
“Ho
fatto un sogno strano stanotte.” disse il gesuita, togliendosi le lenti per
stropicciarsi gli occhi.
“Mi
dica pure, se vuole.”
“Non
so. È iniziato con io che mi sentivo malissimo e c’erano forse dei cadaveri
attorno a me. Dopo sono svenuto, però ho fatto in tempo a vedere il mio maestro
raggiungermi e dire … non mi ricordo la frase precisa, ma era qualcosa legato
alla mia abilità nell’esorcizzare, come se fosse fuori dal comune. Non so cosa
centrasse col resto.” aveva tenuto lo sguardo basso mentre parlava, come se
stesse rimuginando su quelle immagini, mentre ne parlava.
“Forse
c’era una parte prima nel sogno che non si ricorda.”
“Può
essere.”
“Mi
sembra comunque un buon auspicio, lei non crede?”
“Potrebbe
semplicemente essere un brutto sogno.”
“I
sogni ci mostrano immagini impresse nella luce astrale, c’è sempre un motivo
per cui attiriamo certe visioni anziché altre. L’arte di interpretare i sogni è
molto utile, se la si sa usare … ammesso che si tratti di sogni.”
“Che
cosa credi che sia?” era un tono di sfida.
“Il
suo amico Gabriel non aveva dei ricordi in sogno?”
“Sì,
ma lui ha un’amnesia totale di ciò che gli è capitato prima dei dieci anni, io
non ho di questi problemi.”
“Sarà.”
La
donna si voltò a mettere le tazze nel lavello.
“Non
mi convinci, sei troppo di buon umore.” ribatté il prete.
“Le
ho dato ragione e ora non è più convinto di averla?” scherzò lei.
“Ci
rinuncio a discutere con te!” si arrese il gesuita, ma era sereno.
“Scusami,
ora devo proprio andare di fretta: devo portare Giorgio e poi correre in
Università che ho un paio di lezioni da seguire. Tornerò nel pomeriggio, spero
non le dispiaccia; per quanto riguarda il pranzo …”
“Tranquilla”
la rassicurò Isaia, un poco divertito oltre che intenerito per le premure della
donna “Posso prepararmelo da solo.”
Rimasto
solo, Isaia decise di meditare un poco, sentiva il bisogno di restare solo con
se stesso e, sperava, con Dio, senza l’interferenza dei pensieri. Dopo di
questo, pregò. Da quando si era sfogato, urlando contro il Crocefisso, non si
era più rivolto a Dio con le preghiere, ma in quel momento ne sentiva il
bisogno. Effettivamente il Bene era un principio sommamente più grande di lui, multipotente, e Gesù era stato un suo profeta; in fondo il
Padre Nostro esisteva, era un po’ meno del Dio che lui credeva prima, ma era
ugualmente un’entità suprema, rispetto agli uomini, e dunque era assolutamente
degno del suo rispetto e della sua devozione.
Isaia
pregò, chiese perdono, ringraziò per tutto ciò che di positivo aveva avuto e
supplicò di poter avere la scienza di sapere come agire e la forza di fare ciò
che è giusto, rimanendo in equilibrio, senza che la clemenza diventasse
pigrizia e senza che lo zelo diventasse furore.
Isaia
sapeva di aver lasciato passare troppo tempo, un giorno era troppo tempo per un
Templare, specialmente nelle sue condizioni; si era rilassato, si era ripreso,
ora doveva prendere il proprio posto nell’ordine e fare il necessario. Aveva
rimandato di alcune ore quell’inizio, ma adesso doveva abbracciare la sua nuova
vita da uomo che non esiste. Il suo sguardo si perse un attimo per la casa in
cui si trovava e per qualche momento si disse che, dovendo cambiar vita,
rimanere lì sarebbe stato molto più gradevole della vita che invece lo
aspettava, ma non poteva essere egoista: quella era una tentazione, il diavolo
gli aveva fatto intravedere una vita placida e piacevole affinché lui
scegliesse quella, più semplice, piuttosto che la strada del guerriero del
Bene, sicuramente più dura quanto più giusta. Isaia, però, non sarebbe venuto
meno al proprio dovere, non avrebbe rinunciato a compiere grandi cose in nome
del Bene; era consapevole, anche, che Dio disdegna sopra ogni cosa la
tiepidezza, Egli accoglie i buoni, ha pietà dei malvagi, ma non ha nulla per
gli ignavi. Inoltre, anche se era bello e concreto l’affetto che quella ragazza
gli aveva dimostrato, lui non lo poteva certo preferire all’amore di Dio che
aveva sempre avuto in tutti quegli anni.
Isaia
era deciso, prese il telefono, prese la rubrica lasciatagli da Vargas e fece la prima telefonata.
“Si,
pronto, chi parla?” domandò una voce maschile dall’altro capo.
“Sono
Padre Morganti, sto cercando un cavallo per due.” era
una frase di riconoscimento, ispirata al fatto che uno dei simboli dei Templari
fossero due cavalieri su un unico destriero, per indicare la loro povertà.
“Una
telefonata che si è fatta aspettare.” osservò l’interlocutore, era piuttosto
seccato “Abbiamo trovato il cadavere di Vargas, cos’è
successo e lei dov’è? Perché non si è fatto sentire prima?”
“Vargas era stato demonizzato e io ho dovuto ucciderlo.”
rispose Isaia con una certa altezzosità “Io sono il suo successore alla guida
dell’ordine, lui stesso lo ha detto; dunque ho pieno diritto di prendermi un
giorno o due di riflessione, senza doverne rispondere a te.”
“So
cosa aveva stabilito Vargas, ma ciò non significa che
sia tradotto in realtà. Lei il titolo di Gran Maestro se lo deve guadagnare
anche ai nostri occhi.”
“Per
questo ho chiamato te. Vargas mi ha lasciato detto
che tu ti occuperai della faccenda del riconoscimento, per cui spiegami la
procedura.”
Isaia
era stato molto saldo nel parlare, autoritario, ma assolutamente calmo, il
volume era stato basso e la voce non si era macchiata d’ira; questo dimostrava
la sua sicurezza e il suo potere: il potere non ha bisogno di alzare la voce.
Effettivamente
l’altro Templare ebbe maggior paura di quella tranquillità, più che se lo
avesse sentito urlare, rivendicando il suo ruolo.
“Radunerò
un capitolo generale ad Istanbul, dove c’è la nostra Casa Madre. Tra due
settimane ci sarà l’assemblea dove, se nessuno avrà rimostranze, lei verrà
riconosciuto e accettato come Gran Maestro dell’ordine dei Templari, le
giureremo fedeltà e avrà pieni poteri.”
“Molto
bene. Prenotami l’aereo e dammi il contatto del nostro provinciale ad Istanbul.
Entro un paio d’ore mi comunicherai il tutto.”
“Come
ordina.”
Era
fatta. Ora non sarebbe più stato nulla come prima. Se prima di quella
telefonata, avrebbe potuto forse tornare alla sua vita antecedente, ora non era
più possibile. Ora aveva pienamente accettato il suo ruolo alla guida dei
Templari, la sua abnegazione era totale.
Nel
frattempo, presso la sede della Congregazione della Verità, Gabriel stava
uscendo dalla chiesa, quando incrociò Alonso, con un grosso sigaro in bocca,
che lo salutò e gli domandò: “Hermano, que te priende? Non t’est nervoso
per parlare al Diretorio, immagino.”
“No,
infatti, non sono preoccupato.”
“Allora
porché giri come un’anima in pena da achì agli appartamenti e dagli apparamenti
a chì?”
Gabriel
sospirò e rispose tristemente: “Speravo di trovare Isaia. Se ha letto la mia
lettera e non è impazzito del tutto, dovrebbe tornare.”
“Dajetiempo.” consigliò il
bibliotecario con un sorriso.
“Vorrei
capire perché ha deciso di considerarmi una minaccia: siamo amici, dovrebbe
avere fiducia!”
“Hombre, lo conosci, sai che ha sempre anteposto ad ogni
cosa il dovere verso la Chiesa.”
“Sì,
la sua ambizione, il suo attaccamento alla posizione …” inveì Gabriel.
“Non
hai mai pensato che lui creda davvero nel suo dovere, al di là dei
riconoscimenti?”
Gabriel
stava per replicare, ma gli tornò alla mente quando Isaia non aveva riferito al
Direttorio che lui, Gabriel, aveva usato il suo potere oscuro su un uomo, quella
volta senza fermarsi in tempo.
Non è una
questione di lealtà tra me e te, o di obbedienza al Direttorio: è qualcosa di
più grave. Non ti senti di dirmi altro? Io lo fatto un passo verso di te e mi
aspetto che tu faccia altrettanto. –gli aveva detto.
Dovrei sentirmi
in colpa perché hai mentito al Direttorio? –gli aveva risposto.
Solo
in quel momento comprese che all’ora non aveva capito nulla. Isaia lo aveva voluto
proteggere, aveva voluto lasciargli il tempo di capire, senza pressioni
maggiori di quelle che già aveva, voleva aiutarlo … e lui, invece, gli aveva
risposto con una tale arroganza!
Gabriel
si sentì in colpa.
Non
era neppure l’unica volta in cui, in quei mesi, aveva trattato l’amico con
superbia, sufficienza e rabbia. Gabriel aveva frainteso! Aveva considerato
aggressioni quelle che invece erano le semplici e genuine preoccupazioni e
premure di un amico.
Ma qualcuno
dovrà pur dirti che non sei più in grado di controllare ciò che sei.
Non
era forse quella una proposta d’aiuto?
E' proprio
questo che mi preoccupa, come puoi controllarti se non sai cosa sei in grado di
fare?
Con
queste parole Isaia non aveva in fondo chiesto di essere rassicurato?
“Probabilmente
hai ragione, Alonso. Ero talmente impaurito da me stesso che non ho capito
nulla di quello che Isaia stava facendo. Isaia ha visto chiaramente il mio lato
oscuro; se io stesso lo temevo, perché mai lui avrebbe dovuto essere
tranquillo? L’ho trattato male, povero fratello! Sa che pericolo potrei essere
e sapeva che sarebbe stato costretto a combattermi.”
“Tode le sue domande erano por poter avere fiducia in te!”
esclamò Alonso, soffiando via il fumo del sigaro “Pensavo l’avessi enteso!”
“E
invece no …” scosse il capo Gabriel, profondamente amareggiato da quella
scoperta “Isaia voleva che gli assicurassi che ero padrone di me, per essere
certo di potermi difendere e non essere costretto a considerarmi un nemico e
io, invece di tranquillizzarlo, ho solo peggiorato le cose!”
“Cosa
entiendi?”
“Alonso,
io gli ho ripetuto mille volte che non sapevo cosa fosse il mio potere, gli ho
detto che non riuscivo a controllarlo, ho riconosciuto più di una volta di
essere una minaccia! Lo ribadivo quotidianamente, è chiaro che anche Isaia se
ne sia convinto! Ora non mi stupisco che abbia tentato di uccidermi!”
“Non
essere triste, hermano, dimostra che puoi controllarte e Isaia si tranquillizzerà.”
“Come
posso farglielo capire, se non mi vuole parlare?”
“Coi
fatti, hombre, sono securo
che te terrà d’occhio.”
“Già,
probabilmente hai ragione.” lo sguardo di Gabriel era ancora basso.
“Su,
non esere triste, presto se resolverà
ogni cosa. Adesso, però, andiamo, elDiretorio te aspieta.”
Gabriel
annuì ed assieme all’archivista andò verso la sala delle riunioni.
Michela
era rientrata a casa dopo le quattro del pomeriggio, riportando anche Giorgio.
“Posso
parlarti un attimo?” le chiese Isaia appena la vide “Non è urgente, posso
aspettare.”
“Solo
un momento.” gli disse lei.
Michela
aiutò il figlio a togliersi la giacca e le scarpe, poi lo mandò nella sua
stanza a disegnare, dandogli fogli e pennarelli, dopo tornò da Isaia, lo invitò
a seguirla in cucina per parlare; quindi, mentre lei metteva su l’acqua per il
tè, il prete iniziò a spiegare: “Volevo rassicurarti circa il fatto che non
dovrai disturbarti per me ancora a lungo.”
“Dovrebbe
avere capito, ormai, che non è un disturbo.”
“Tra
tre giorni parto.” disse seccamente lui.
“Ah.”
si limitò a replicare la ragazza, certamente non entusiasta.
“Apprezzo
molto quello che hai fatto per me, non me ne dimenticherò.” accorgendosi che la
donna continuava a tacere, aggiunse: “Se me ne vado non è perché non gradisca
te o questo posto, ma perché il mio dovere mi chiama altrove.”
“Sì,
lo so.” rispose Michela “Non ho certo intenzione di impedirle di obbedire a
Dio.”
“Sembri,
però, piuttosto rattristata.” le fece osservare lui, che quasi avrebbe potuto
sentirsi in colpa, se non fosse stato consapevole che non si è responsabili
delle emozioni altrui, specie quando sono dettate da quella debolezza chiamata
attaccamento.
“Sarò
sincera: ho paura che lei possa smarrirsi. Quello dei Templari è un ordine
troppo accecato e fanatico per …”
“Io
ne sono Gran Maestro, adesso!” ribadì con forza Isaia, interrompendola “Ho
visto come si comportano e ho avuto modo di rimproverarli, dentro di me. Ora ho
la possibilità di redarguirli, di renderli consapevoli dei loro sbagli, di
riformarli e renderli finalmente ciò che dovrebbero essere! Non capisci che ho l’occasione
di fare davvero qualcosa di importante per il Bene? Potrò migliorarli!”
“Ammesso
che non siano loro a traviare lei!” si spazientì Michela “Sono bastate poche
parole di Vargas per mettere in crisi la sua fede!”
“Non
accadrà di nuovo!” dichiarò Isaia, veemente.
“Ne
è certo?” domandò l’altra, calmata e speranzosa.
“Sì.”
Isaia parve poi un po’ incerto, ma alla fine decise di continuare: “Quello che
mi hai detto tu … e i tuoi parenti … circa il rapporto tra il Vero Dio e il
Bene e poi anche il Male … mi ha permesso di inquadrare meglio, di capire ciò
che Vargas mi aveva detto senza sapere. Ora sono
saldo in Dio, te lo garantisco. Quando medito lo sento e ora sto tornando a
percepirLo al mio fianco.”
Michela
si sforzò di sorridere e sospirò: “Spero davvero che sia così.”
Intanto
l’acqua bolliva, la ragazza spense il fornello e la versò nelle tazze; dopo
aver messo i colini con le erbe, ne diede una all’ospite, dicendogli: “Mi
dispiace solo non potere esserle vicina se avrà bisogno.”
“Non
credi più nei nostri dialoghi a distanza?” cercò di sdrammatizzare il prete.
“Ah,
se lei ne fosse consapevole, non avrei nessuna preoccupazione.”
Isaia
rimase pensoso un attimo, poi prese un foglietto e con una biro scrisse
rapidamente qualcosa, poi lo allungò alla ragazza e le disse: “Questo è il mio
numero di telefono, usalo solo in caso di estrema necessità. Tu mi darai il tuo
e, quando mi sarà possibile, mi farò sentire.”
Michela
provò una grande gioia e ringraziò per quella possibilità e quella promessa,
tanto che lo colse di sorpresa con un abbraccio.
Gabriel
era stato eletto capo del Direttorio e aveva accettato tale carica, quando gli
era stato assicurato che poteva svolgere la mansione pur da laico.
Questo
onere lo teneva molto occupato: infatti, oltre agli insegnamenti in università
(che aveva ripreso per motivi economici), doveva occuparsi delle decisioni più
importanti per la Congregazione e, soprattutto, condurre le indagini sui
Templari e sulla setta di Serventi. Per fortuna, Alonso gli era di grande aiuto
e anche Stefano si stava dimostrando un valido apprendista; tuttavia, si sentiva
la mancanza di una figura competente come quella di Isaia: non c’erano altri,
nella Congregazione, che avessero una conoscenza vasta e interdisciplinare come
la sua, per non parlare, poi, del gruppo degli esorcisti che non riusciva a far
fronte a casi gravi di possessioni.
Tutte
queste difficoltà costringevano Gabriel a trascorrere poco tempo con Claudia,
ma ben presto ebbe un’idea per rimediare.
“Claudia,
stavo pensando di dare una nuova linea di atteggiamento alla Congregazione rispetto
alle persone dotate di poteri.”
“Era
ora!” commentò la donna.
Erano
seduti sul divano della loro casa, mangiando cibo cinese.
“Noi
non dobbiamo solo accertarci che siano ben inseriti nella società, ma dobbiamo
fare di più. Tu mi hai insegnato che molti di loro hanno subito traumi e hanno
bisogno di aiuto. Ecco, la mia idea è quella di creare un Centro di Ascolto e
Sostegno per gente dotata di poteri. Ovviamente dapprima ci saranno solo i casi
individuati dalla Congregazione, ma presto potrebbero arrivare altre persone,
spontaneamente.”
“Vorresti
quindi fornire loro una consulenza psicologica specializzata. Sembra un po’
ghettizzante …”
“No,
non è affatto così! Loro hanno bisogno di aiuto, magari non solo per i traumi
avuti in passato, ma anche per come gestire il loro potere nella quotidianità,
controllare le proprie emozioni per controllare il proprio potere. È necessario
che possano rivolgersi a persone che li capiscano davvero! Non verrebbero
creduti se si rivolgessero a psicologi normali, bisogna che ci siano persone
che riconoscano l’esistenza di questi fenomeni. Sarebbe bello se imparassero a
trovare un’utilità alle loro facoltà e che non corressero il rischio, per
rabbia o solitudine o chessò io, di diventare
pericolosi.”
“Gabriel,
penso che sia davvero un bel gesto da parte tua. Volerli aiutare e prenderti
cura di loro, anziché sorvegliarli e basta, è la cosa migliore da fare. Io ti
aiuterò molto volentieri.”
“Grazie!”
lui la baciò.
A
molti chilometri di distanza, a Istanbul, nei sotterranei segreti di Santa
Sofia, vi erano radunati un paio di centinaia di uomini vestiti di bianco. Lo stanzone aveva la forma di
una basilica a tre navate, con tanto di transetto e abside; gli uomini erano
posizionati in file ordinate, erano in piedi, composti, fermi immobili, tutti
rivolti verso quello che poteva equivalere al presbiterio, sollevato di alcuni
gradini rispetto al resto della stanza. Là vi erano un grande seggio in legno
al centro e scranni più piccoli a semicerchio, seguendo il coro. Quest’ultimi
erano occupati, mentre quello grosso rimaneva vuoto. Al centro dell’attenzione
generale era un uomo in piedi al centro del presbiterio: Isaia. Il
tutto era illuminato da lunghe lampade al neon, ma per gusto scenografico erano
accesi anche dei fuochi dentro a grandi bracieri.
Accanto
a Isaia, un uomo barbuto, dai tratti vicinorientali, uno dei provinciali,
stava dichiarando in latino: “Io dico che non c’è motivo di protesta!
Tutti noi provinciali abbiamo ricevuto notifica dal Gran Maestro Vargas che Padre Morganti sarebbe
stato il suo successore, per cui lo dobbiamo riconoscere come tale e
conferirgli l’autorità che gli si deve.”
Concluso
il suo intervento, l’uomo si rimise a sedere nei seggi a semicerchio. Si alzò.
allora, un altro dalla pelle lattea e i capelli ramati, a propria volta espose
in latino: “Riconosco che questa è la procedura consueta e nessuno di noi
avrebbe ragione a contestare, se non fosse che il titolo di Gran Maestro, in
questo modo, verrebbe conferito a un novizio che è Templare da sì e no un mese.
Come può essere all’altezza di tale compito?”
“Se
Il Gran Maestro Vargas lo ha ritenuto degno di
guidarci, chi siamo noi per disobbedire?” intervenne un altro provinciale,
sempre parlando in latino “Tutti noi abbiamo giurato fedeltà al Gran Maestro. E'
nostro dovere sottometterci alla sua volontà, anche quando non capiamo. Il
fatto che Vargas sia morto non ci autorizza a venire
meno al nostro giuramento.”
“Il
Consiglio dei provinciali è però autorizzato, se concorde all’unanimità, ad
annullare una decisione presa da un Gran Maestro, se egli si è rivelato un
traditore o insano mentalmente.” fu la provocazione di un altro “Io dico che,
con questa decisione, Vargas ha dimostrato di aver
perso il senno e dunque il diritto di comandarci.”
“Il
tuo è un discorso da anarchico!” lo contraddisse un altro ancora “Non possiamo
andare contro alla gerarchia solo perché tu non capisci le motivazioni del
Gran Maestro.”
“Non
è il solo!” balzò in piedi un tale “Siamo in molti a nutrire seri dubbi sulla
legittimità e la competenza di padre Morganti.”
“Fratelli,
calmatevi!” riprese la parola AbdelNassen, il primo che aveva parlato “Sentiamo cos’ha da dire
a questo proposito il diretto interessato. Padre Morganti,
lei ha idea del perché il Gran Maestro Vargas abbia
scelto come suo successore proprio lei?”
Isaia,
avendo immaginato di dover rispondere a una simile domanda, si era dunque
preparato un discorso. Rimase calmo, imperturbabile, assolutamente dominatore
di sé e della situazione. Parlò con decisione, senza prendersi il disturbo di
sembrare modesto: “Vargas conosceva la mia
determinazione nella difesa della Chiesa; sapeva che io ho giurato di
proteggerla e che nulla può infrangere il mio giuramento. Gli erano note la mia
totale abnegazione alla causa e la mia risolutezza. È vero, sono Templare da
pochissimo tempo, ma ciò non deve farvi dubitare della mia devozione: ho
servito e protetto la Chiesa fin dalla giovinezza, sebbene con abiti diversi da
quelli che indosso ora.”
“Ammesso
che questo sia vero.” lo interruppe l’uomo dai capelli rossi, padre Fylan “La sua lealtà non garantisce che lei possa essere
una buona guida. Ha attitudine al comando e intelligenza nel governo?”
“Sono
un gesuita.”
Questa
dichiarazione impedì a chiunque di obiettare alcunché a proposito delle sue
capacità di leader.
“Io
ho una sconfinata conoscenza dei demoni, delle sette, dell’occulto e di tutto
ciò che riguarda le nostre battaglie; la mia competenza al riguardo mi
permetterà di prendere sempre la decisione più oculata.”
“Le
conoscenze tecniche sono apprezzabili.” ribatté il rosso “Ma noi Templari siamo
un ordine guerriero e il nostro Gran Maestro deve essere pronto a guidarci
nelle battaglie, lei ne sarebbe capace?”
“Il
pericolo non mi spaventa. Ho combattuto sette sataniche. Ho esorcizzato più
creature io, finora, di quante tu, padre Fylan, potrai
mai immaginare nella tua vita. Mi sono trovato di fronte a Baal,
signore delle mosche, e ho avuto più di uno scontro diretto con quello che
potrebbe diventare l’anticristo. È un curriculum sufficiente?”
Un
brusio si levò tra i presenti, alcuni erano ammirati, altri dubitavano di
quelle parole, comunque presto i sussurri divennero un vociare concitato e ci
fu una gran confusione tra chi sosteneva la legittimità di Isaia e chi la
negava.
Uno
dei provinciali, per richiamare gli altri alla compostezza, si avvicinò a una
corda e la tirò, così suonò una campana, i cui rintocchi fecero acquietare gli
animi e tutti si ammutolirono.
“Fratelli,
questo comportamento non è degno di noi!” riprese a parlare il provinciale AbdelNassen “Non possiamo dividerci
per così poco. Tutti noi dovremmo fidarci del volere del Gran Maestro Vargas e accettare padre Morganti
come nostra guida, ma se in alcuni si annida il dubbio, allora io dico che essi
stessi decidano una prova che il candidato dovrà superare e, se vi riuscirà,
dovranno accettarlo.”
Tutti
quanti furono d’accordo. I provinciali che avevano sollevato più obiezioni, si
raggrupparono tra di loro per consultarsi e stabilire quale prova avrebbe
dovuto superare Isaia. Impiegarono molto poco a decidere, dopo una manciata
minuti, padre Fylan si fece portavoce di quel gruppo
e domandò: “Visto che ha fatto tanto vanto della sua conoscenza, immagino saprà
a cosa è dedicato il sacro luogo sopra le nostre teste, vero?”
“Santa
Sophia, inteso come Sapienza, ovvio.”
“Bene.
Il nome lo trae anche dal fatto che ci fosse una camera sotterranea piena di
manoscritti, reliquie e altri oggetti di varia natura, eredità del mondo
classico. Una volta ci era libero l’accesso a quella stanza, ma purtroppo, da
oltre tre secoli, essa ci è inaccessibile poiché un demone la presidia. Lui e
le sue legioni hanno occupato il vestibolo che gira attorno alla stanza. Se ne
resta lì tranquillo, non ci attacca, a meno che non tentiamo di avvicinarci, in
pratica gli è stato ordinato di impedirci di accedere alle conoscenze là
custodite. Se gli episodi di cui ti sei vantato sono veri, immagino non ci
saranno difficoltà per te a scacciarlo.”
Isaia
deglutì impercettibilmente, poi disse con ostentata sicurezza: “Certo! Mi
occorrono i miei strumenti, li prendo in un attimo, poi mi condurrete dove
questi demoni risiedono.”
“Non
lo faccia!” tentò di dissuaderlo il barbuto provinciale “Questo è un suicidio!
Nessuno, prima d’ora è uscito vivo da là dentro!”
Il
rosso gli rispose: “È il modo migliore per risolvere il nostro problema: se ne
uscirà vittorioso, la sua autorità sarà indiscutibile, altrimenti … beh saremmo
comunque costretti a scegliere tra di noi il nuovo Grande Maestro.”
“Non
ho paura di nessun demone.” quasi ringhiò Isaia, accorgendosi che ad aver
parlato era stata la sua vampa interna.
Il
gesuita andò a recuperare la propria valigetta, dove teneva il crocefisso, la
bibbia e alcuni altri strumenti del mestiere, prese anche la spada e, senza un
minimo cenno di esitazione, si fece accompagnare presso il portone che separava
il loro territorio da quello dei demoni. Dietro di lui tutti i provinciali lo
seguivano per assistere all’esorcismo, ma, arrivati all’uscio, rimasero
piuttosto distanti e incoraggiarono a gran voce.
Isaia
si concentrò per trovare la forza dentro di sé e appellarsi a Dio, poi aprì il
portone ed entrò. Era buio, non si vedeva nulla, entrava un poco di luce
dall’uscio alle sue spalle, ma molto poca, per cui prese una torcia e illuminò
da una parte e dall’altra, in cerca di indizi. Sembrava che non ci fosse nulla;
niente si mostrava agli occhi, fuorché le pareti scavate, ma il gesuita
riusciva a percepire la presenza del male in quel luogo. Appoggiò la borsa a
terra, ne tirò fuori un carboncino con cui disegnò due cerchi concentrici, nel
mezzo di quello più interno tracciò un asterisco che aveva i bracci terminanti
con dei triangoli, poi pronunciò a gran voce alcuni versi del salmo XIII:
“Illumina gli occhi miei, affinché io non dorma giammai sonno di morte;
affinché non dica una volta il mio nemico: Io lo ho vinto.”
Com’ebbe
finito di pronunciare quelle parole, una luce soffusa si spanse per l’antro, un
venticello l’attraversò e cumuli di polvere iniziarono a sollevarsi per aria e
si compattarono e presero forme umanoidi, ma più grandi, robuste e rozze di
quelle delle persone normali: erano le legioni infernali. Isaia sollevò il
crocefisso e iniziò a recitare: “In nóminePatrisetFíliietSpíritusSancti. Amen. Príncepsgloriosíssimecœléstismilítiæ, sancteMichaëlArchángele, deféndenos in prœlioadvérsuspríncipesetpostestátesadvérsus mundi rectórestenebrárumharum, contra spirituálianequitiæ, in cœléstibus.In
nómineIesuChristi Dei etDómini nostri, intercedénte immaculataVírgine Dei Genitríce
Maria, beátoMichaëleArchángelo, beátisApóstolisPetroet Paulo etómnibusSanctis, et sacra ministérii nostri auctoritáteconfisi,, ad infestatiónesdiabólicæfraudisrepelléndassecúriaggrédimur.”
Alcuni
legionari infernali si dissolsero, sentendo quelle invocazioni, altri invece
presero d’assalto Isaia che, passato il crocefisso nella mano sinistra, impugnò
con la destra la spada e iniziò ad abbattere fendenti e trapassare i demoni,
mentre continuava con le formule in latino. Se la cavava piuttosto bene con la
spada, dopo che lo zio di Michela lo aveva costretto ad esercitarsi una prima
volta, aveva poi preso il gusto di allenarsi un’oretta ogni giorno e aveva
scoperto di essere particolarmente dotato.
I
demoni delle legioni erano però molto numerosi e lo aggredivano da tutte le
parti. Si sentiva molto più sicuro, rispetto a quando si era trovato a Fontanefredde (allora, forse, la paura dei cittadini lo
aveva ostacolato), tuttavia non poteva tenerla per le lunghe, era comunque solo
contro centinaia. La cosa migliore da fare era costringere il loro signore a
mostrarsi, per cui si concentrò per riuscire a raccogliere una gran quantità di
energia e proiettarla fuori di sé, ordinando: “Ostende! Imperattibi Deus Altíssimus; imperattibi Deus Pater; imperattibi Deus Fílius; imperattibi Deus Spíritus
Sanctus. ImperattibiChristus,
ætérnum Dei Verbum caro
factum.”
Ecco
apparire in fondo allo stanzone un essere mostruoso: un uomo alto tre metri, la
sua testa era affiancata da un capo da gatto e uno di serpente, cavalcava un
enorme vipera.
Il
demone disse: “Sei più abile di chi ti ha preceduto, prete. Nessuno era
riuscito a costringermi a mostrarmi. Hai avuto l’onore di vedermi, ma morirai
comunque.” detto ciò portò in avanti la propria mano destra da cui uscì una
palla di fuoco che quasi raggiunse Isaia, il quale però riuscì ad evitarla.
Il
gesuita lo guardò con sfida e gli disse: “Sbagli! Io conosco il tuo nome e
posso dominarti. Tu sei Aini!”
Il
demone parve sorpreso, ma subito si riprese ed esclamò: “Quest’informazione non
ti permetterà di battermi!” e scagliò un’altra sfera infuocata.
I
legionari, galvanizzati dal loro signore, rinnovarono con maggior ferocia
l’attacco e Aini vi prese parte con le sue fiamme.
Intanto
gli altri Templari, da fuori, sbirciavano che cosa accadesse dentro lo stanzone
e vedevano Isaia battersi contro quegli innumerevoli demoni. Qualcuno sentì il
dovere di correre ad aiutarlo, ma padre Fylan lo
impedì, dicendo che non avrebbe considerato la prova superata, se qualcuno lo
avesse soccorso.
Isaia
si destreggiava, sentiva la vampa dentro di se che gli dava forza per attaccare
e resistere; lui continuava a vorticare la spada e a pronunciare esorcismi. Le
legioni, però, erano troppo numerose. Presto due demoni, assalendolo da dietro,
riuscirono ad atterrarlo e a togliergli la spada; allora Aini
scese dalla vipera e la mandò a finire l’opera. L’enorme serpente strisciò fino
ad Isaia e lo avvolse nelle sue spire e inizio a stringere, per ucciderlo prima
di divorarlo.
Il
prete sentiva il fiato venirgli meno e provava dolore per quello stritolamento.
Mentre cercava di mantenere la concentrazione e di pronunciare invocazioni a
Dio, gli tornò in mente il sogno che aveva fatto alcune settimane prima: quello
col suo maestro Samuele. Si rese conto che si trattava di un ricordo e che
c’era dell’altro … Sì, sì, ora le immagini precise gli stavano tornando alla
memoria: lui aveva da poco iniziato il suo apprendistato da esorcista, Samuele
era entrato in una stanza da solo, perché il demone da affrontare era troppo
potente per un novizio; lui dunque era rimasto in un corridoio dove c’erano i
parenti dell’indemoniato … ma poi si erano rivelati essi stessi posseduti,
erano una decina che lo avevano preso d’assalto, lui aveva sollevato il
crocefisso e mormorato qualcosa: ancora non sapeva nulla! Aveva però avvertito
qualcosa dentro di sé, uno strano calore … una vampa! Sì, la stessa vampa che
si era fatta sentire in quei giorni … All’epoca aveva lasciato che la vampa lo
attraversasse liberamente, si era lasciato guidare da essa, non ricordava cosa
fosse accaduto dopo. Doveva aver avuto la meglio, visto che l’immagine
successiva che aveva nella mente mostrava i posseduti stesi a terra.
Anche
in quel momento, stretto dal serpente, sentì la vampa crescergli nel petto, la
riconobbe come qualcosa di intimamente suo, la liberò. Si sentì vibrare, come
se per la prima volta attingesse ad un’energia che aveva sempre tenuto
quiescente o quasi. Il suo volto iniziò a risplendere di luce propria, tutto il
suo corpo emanava luce, una luce talmente potente che spezzò la presa della
vipera e la costrinse a fuggire.
Gli
occhi di Isaia fiammeggiarono, il suo volto aveva assunto un tono solenne,
pacifico e terrifico al medesimo tempo. Si sentiva come risvegliato da un
lunghissimo sonno, era come se si conoscesse per la prima volta.
Recuperò
la spada e con maestosa eleganza iniziò a maneggiarla, abbattendo i nemici con
ottima perizia, ma senza il furore della battaglia. Alcuni li sconfiggeva con
la lama, altri li disperdeva e dissolveva con un semplice imperativo: “Via!”,
alcuni anche solo con lo sguardo.
I
provinciali erano rimasti basiti. Avevano temuto per la sua vita, vedendolo
stretto dall’enorme serpente, ma poi quell’improvviso riscatto! Quella luce che
fuoriusciva da lui …! Provarono gran soggezione verso il loro futuro Gran
Maestro. Perfino Fylan era rimasto senza parole.
Presto
le legioni furono annientate. Rimaneva solo Aini con
la sua vipera. Il demone era spaventato, indietreggiò chiedendo: “Chi sei tu?”
Isaia,
che ora sapeva chi fosse, rispose con una voce ultraumana: “Io sono il custode
indefettibile delle anime.”
Avanzò
di qualche passo.
“Modello
di salda giustizia, difensore del popolo di Dio e della Chiesa, valoroso
oppositore delle forze del male.”
Si
era avvicinato fulmineamente al serpente e ora levava in alto la spada.
“Io
ho sconfitto il dragone scacciandolo dai cieli e precipitandolo sulla Terra.”
Con
un fendente troncò di netto il capo della vipera.
“Io
ho il compito di pesare le anime dopo la morte.”
Avanzò
verso Aini che, iniziando a capire, indietreggiò
spaventato.
“Sono
il difensore indomito nei pericoli contro la Dottrina.”
Aveva
raggiunto il demone, che provò a investirlo con le fiamme.
“Angelo
di luminosa intelligenza e di mirabile carità.”
Troncò
il braccio del diavolo.
“Angelo
svelante gli inganni subdoli del demonio e le sue imboscate.”
Colpì
alle gambe per costringere Aini ad inginocchiarsi.
“Terror
degli angeli apostati.”
Anche
il braccio sinistro cadde.
“Angelo
avvolto dall’eterna luce di Cristo.”
Mozzò
il capo da serpente.
“Angelo
guerriero di Dio in perenne lotta contro il demonio.”
La
testa da gatto volò via.
“Angelo
che infonde speranza negli oppressi.”
Immerse
la spada nel petto di Aini, fino all’elsa.
I
Templari erano rimasti ammutoliti. Non sapevano se ciò che aveva detto Isaia
fosse vero o meno, ma erano certi di trovarsi davanti a qualcuno di gran lunga
superiore a tutti loro. Lo guardarono uscire dallo stanzone, intanto l’alone di
luce si affievoliva e tornava in lui.
“La
camera delle conoscenze è di nuovo accessibile.” annunciò Isaia pacatamente;
non aveva accennato al fatto che la prova era stata superata e non si era rivolto
a Fylan, per sottolineare quanto poco gli importasse
di lui e della sua opinione.
“Voi
.. voi siete stato straordinario!” riuscì ad esclamare il provinciale barbuto,
quando fu in grado di riprendersi dalla sorpresa; l’emozione per lui era
troppa, non poté fare a meno di gettarsi in ginocchio davanti al gesuita,
baciargli la mano e poi dire: “Voi siete davvero degno d’essere il nostro
Grande Maestro. Voi ci siete stato mandato per guidarci in questo periodo
oscuro della nostra storia. Venticinque anni fa fummo costretti a chiuderci in
uno stato di inattività per colpa di Serventi e del suo demone, ma ora voi ci
guiderete a nuove glorie e sarete capace di stornare la grave minaccia che
incombe sulla Terra tutta.” poi si rialzò in piedi, si voltò verso gli altri
provinciali e domandò con sfida: “Fratelli! C’è ancora qualcuno di voi che osa
dubitare della sua legittimità?”
Nessuno
osò negarla, almeno apertamente. Tutti quanti si inginocchiarono per dimostrare
la propria sottomissione. Tornarono nella chiesa sotterranea, dove attendevano
i templari semplici. Isaia poté sedere sul grande seggio nel mezzo del
presbiterio e AbdelNassen annunciò
il suo successo poi, coadiuvato da un altro paio, procedette con la cerimonia
di riconoscimento. Riconoscimento, non investitura, poiché si riteneva che il
Grande Maestro avesse già dentro di sé il diritto di governare e bisognava
riconoscerlo e dunque non si trattava di un potere che gli venisse conferito.
I
provinciali si ricongiunsero coi loro diretti sottoposti e i singoli gruppi
sfilarono uno per volta davanti ad Isaia; i provinciali presentavano sé stessi
e coloro che guidavano, poi baciavano la mano del Gran Maestro, mentre gli
adepti semplici ne baciavano l’orlo del mantello rosso con ricamate croci d’argento.
Isaia
si mostrava sicuro, forse un poco distaccato, ma dentro di sé era piuttosto
emozionato. Tremava quasi davanti alla nuova consapevolezza. Era l’Arcangelo
Michele, era il braccio armato di Dio contro i demoni, in difesa delle anime,
il giustiziere. Per questo, dunque, aveva sempre
avuto una naturale predisposizione verso gli esorcismi? Probabilmente sì.
Quella era la sua natura che latente aveva sempre pulsato in lui, indicandogli
il suo dovere, dandogli la forza di agire, ma lui non l’aveva mai impiegata pienamente;
ora, invece, sapeva come scatenarla, come essere totalmente sé stesso, non che
prima fosse una persona diversa, anzi era sempre il medesimo, però era come se
prima fosse solo una parte di sé, ora era completo, o almeno così gli sembrava.
Se prima, da imperfetto, aveva avuto paure, insicurezze che lo avevano bloccato
e limitato, se aveva sentito il bisogno di indossare costantemente una maschera
di freddezza e rigidità, ora invece si sentiva sicuro e non temeva gli altri.
Si sentiva pacifico, sereno, aveva già provato una simile emozione … Quando? …
Ma certo! A San Tomaso! Immanuel ..! Era stato quel bambino che, in passato,
gli aveva permesso di trovare quella consapevolezza, quella tranquillità, che
poi aveva perso … Isaia era sempre stato certo di non essere stato plagiato da
quella setta, ma di aver sentito davvero qualcosa, di fronte ad Immanuel; ora
era certo che quel bambino aveva risvegliato in lui parte della sua essenza …
chi era, dunque, quel bambino? Avrebbe dovuto indagare di più su di lui.
C’era
però un’altra consapevolezza che si faceva largo nell’animo di Isaia.
Michela.
Lui
la conosceva! Cioè, la conosceva da tanto tempo, la conosceva profondamente,
ora sapeva che cosa intendesse lei, quando si riferiva alle conversazioni
inconsapevoli con lui: davvero le parlava da anni!
In
quel momento sentiva l’esigenza di contattarla, di dirle che finalmente non era
più assopito. Aspettò che tutta la cerimonia fosse finita e di tornare nella
casa del provinciale barbuto che lo ospitava; chiusosi nella sua stanza, Isaia
si mise in ginocchio sulla stuoia su cui dormiva (non c’era il letto) e iniziò
a meditare, ma questa volta sarebbe stato un raccoglimento del tutto diverso,
si sarebbe focalizzato per riuscire a parlare con la ragazza. Nessuno gli aveva
mai spiegato come poter fare qualcosa del genere, ma sapeva istintivamente come
concentrarsi e come agire, come proiettarsi nella luce astrale senza perdersi.
“Michela
…” la chiamò quando gli parve di sentire l’energia della ragazza, l’aveva
riconosciuta istintivamente.
“Michele?!”
rispose sorpresa la donna.
“Sì,
direi di sì.”
“Come
…? Non mi hai mai contattato tu per primo …”
“Lo
so. Sono Isaia, ho scoperto!” le spiegò il gesuita, non riuscendo a nascondere
la grande soddisfazione, unita ad un pizzico di incredulità.
“Davvero?”
fu la gioiosa replica della ragazza, speranzosa.
Isaia
le raccontò dello scontro con Aini, del ricordo che
si era ricomposto e della sua essenza che si era liberata.
“Tu
lo hai sempre saputo, vero?” le domandò poi “Ora capisco perché non hai mai
voluto spiegare nulla: non ti avrei creduta, se mi avessi detto la verità.
Anche i tuoi parenti lo sapevano, vero? È per questo che si sono comportati con
tanta devozione?”
“Sì
… ma loro lo sapevano perché io gli ho parlato di te molte volte, altrimenti
non se ne sarebbero resi conto.”
“E
ti hanno creduta?”
“Certo
… loro sapevano che io sono legata all’arcangelo Michele.”
“Ma
sì, ovvio!” ancora una volta gli parve di ricordare o riscoprire qualcosa che
già sapeva “Il tuo nome! Ti chiami così perché sei stata consacrata a me! Ecco
perché sei stata così gentile con me, perché hai detto che mi sarai sempre
leale … tu sei nata per me!” era al tempo stesso sbalordito e contento da
quella scoperta.
“Sì,
esatto, è così!” rispose lei, felice di poter finalmente non dover nascondere
più nulla “Non credere ch’io faccia tutto ciò per forza, io lo faccio
volentieri! Non c’è uomo più felice di chi conosce il proprio dovere e lo fa
coincidere col proprio volere. Io so che questo è il mio compito, ma non lo
sento come tale, per me è un piacere, non potrei essere felice in altra
maniera.”
“Le
tue sono parole molto forti, sono davvero importanti per me: avere la certezza
di non essere solo a dover far fronte a tutte le minacce che incombono, mi
conforta.”
“Che
cosa hai intenzione di fare, adesso?”
“Qua
devo ancora sistemare alcune cose, poi …” ragionò, come se stesse prendendo una
decisione “Poi concentrerò i miei sforzi su Serventi … Forse sbaglio, dovrei
intervenire subito, ma voglio dare ancora fiducia a Gabriel … non è cattivo …
potrebbe davvero esserci una terza via, lo spero … perché se non ci fosse, io
non potrei perdonarmi quest’indulgenza.”
“C’è
un’altra possibilità, non ne dubitare … ma non possiamo sapere quale delle
opzioni si realizzerà.”
Isaia
continuò a pensare, poi domandò: “Posso affidarti un compito?”
“Certamente.”
“Potresti
trovare la maniera di avvicinare Gabriel? Di tenerlo d’occhio e riferirmi come
si comporta?”
“Va
bene, non ti deluderò.”
“Grazie.”
Michela,
dopo alcune considerazioni, aveva pensato che il sistema migliore per
avvicinare Gabriel era quello di attirarne l’attenzione in università.
Nonostante lei fosse iscritta in un altro istituto, iniziò a seguire le lezioni
tenute dal professor Antinori e si fece notare più di una volta con domande
argute, risposte corrette e osservazioni opportune. Non passarono neppure dieci
giorni e le sue azioni diedero i propri frutti.
“Qualcuno
di voi ha qualche ipotesi sul perché sia così comune il mito delle quattro epoche
in quasi tutte le religioni antiche?”
Michela
alzò la mano e, avuta la parola, espose: “Io ritengo che il mito delle quattro
epoche sia il racconto, rielaborato ed abbellito, del passaggio tra lo stato
nomade e lo stato sedentario dei popoli, da un periodo in cui l’uomo viaggiava
e mangiava quanto raccolto e quanto cacciava, senza troppo altro impegno, fino
ad arrivare, dopo vari passaggi, ad un periodo in cui era necessario coltivare,
costruire elaborati utensili e così via. Molte mitologie, da quelle a noi più
vicine come quella greca, a quelle più lontane, ad esempio l’indiana, parlano
di una leggendaria epoca dell’oro che altro non è se non il paradiso terrestre
della tradizione giudaica. In quest’era vagheggiata, non esistevano animali
carnivori, non c’era alcun tipo di violenza e la terra produceva spontaneamente
tutto il cibo che era necessario. In quei tempi favolosi l’uomo e la natura
erano in perfetta armonia, ma poi accadde qualcosa. Alcune culture parlano di
un naturale degeneramento, altre della punizione subita dagli uomini per
qualche disobbedienza o mancanza, altri ancora imputano il cambiamento ad
un’entità demoniaca e malvagia. Da allora in poi la situazione peggiorò sempre
più e l’uomo fu costretto a lavorare e certi animali divennero carnivori.
Nell’antichità il pensiero era rovesciato rispetto al nostro: noi crediamo di
essere in un’ottima epoca e che si può solo migliorare; nel passato si riteneva
che fossero ormai trascorsi e perduti i momenti di felicità e che da lì in
avanti sarebbe stato sempre peggio. Il numero era generalmente fissato a
quattro, poiché era sottesa l’idea che esse fossero come le stagioni e che
dunque si sarebbe verificato sempre un eterno ritorno di ciascuna di esse.”
“Un’ipotesi
davvero molto interessante.” ammise Gabriel, stupito che una studentessa del
primo anno fosse così preparata e capace nel rielaborare le informazioni
“Secondo lei quali altre implicazioni religiose può aver avuto questo
passaggio?”
Michela, che sapeva bene quanto quel
frangente fosse cruciale, fu ben pronta a rispondere: “Il mito delle quattro
epoche evidenzia come l’uomo abbia percepito il passaggio alla sedentarietà
come la conseguenza dello spezzarsi del legame di amicizia, di devozione che
aveva stretto con la natura, badate bene che dico conseguenza e non causa.
Prima c’era un’alleanza e dunque la pace, poi essa si è spezzata e si è
originata la lotta tra l’uomo e l’ambiente. Ambiente che l’uomo temeva a tal
punto da arrivare a deificarlo, passando così da una religiosità di tipo
sciamanico al sistema dei pantheon con divinità meteorologiche.”
“La venerazione della natura è, a suo
parere, sintomo di paura e guerra?” domandò Gabriel, che voleva testare la
logica e la profondità della studentessa.
“Si venera e si cerca di carpire la
benevolenza di chi si teme e può far male. Il paganesimo riflette il senso di
separazione che avvertiva l’uomo tra sé e la natura e nelle forme di devozione
si può intravedere un tentativo di dominare la natura. Le preghiere non erano
altro che un modo per piegare gli elementi alle proprie necessità, ma siccome
esisteva uno stato di guerra, o almeno di indifferenza tra natura-dei e uomini,
non bastava chiedere o mostrare il bisogno per ottenere, bensì era necessario
un atto violento, un sacrificio: gli dei-natura non erano benevoli e
compassionevoli nel confronto dei mortali e non concedevano nulla per nulla. Il
sacrificio di sementi, di animali e di persone era dunque necessario per
influire sul mondo. In centro-america era molto forte
il concetto di scambio tra dei e uomini: i primi producevano per i secondi e i
secondi per i primi. Nell’area mediterranea il sacrificio era una sorta di
tributo che veniva pagato per indicare la sottomissione e la modestia degli
uomini, anche quando chiedevano alla divina natura di cambiare i suoi progetti
a loro favore. In oriente il sacrificio assunse una valenza ancor più potente:
per certuni il sacrificio era necessario per sostenere il mondo stesso (la
nostra parola “rito” ha la stessa radice della parola vedica
“ṛta” che significa “sostenere, reggere” e che
nei testi sacri hindu indica l’ordine cosmico); per altri il sacrificio ottiene
una connotazione magica poiché, se celebrato bene, obbliga la divinità ad
esaudire la richiesta, esisteva addirittura un rituale per costringere il Sole
a sorgere. Così nelle antiche civiltà il potere era spesso consegnato a chi
dimostrava di essere in grado di parlare con gli dei e di convincerli, ossia a
chi era in grado di piegare la natura.”
“Molto bene. Adesso stiamo uscendo
dall’argomento della lezione, ma la prego di fermarsi qui, dopo, vorrei
discutere con lei di alcune questioni.”
Michela fece cenno di sì. Suonata la
campanella, mentre gli altri studenti uscivano, la ragazza si fermò presso il
professore.
“Avevo già notato nei giorni scorsi la
sua ottima preparazione e oggi la sua teoria mi ha davvero colpito. Lei, però,
mi pare molto giovane, quanti anni ha?”
“Ventuno.”
“Ed è al primo anno?”
“Sì, non ho potuto iscrivermi prima
all’università. Ho avuto però occasione di seguire corsi e seminari di filosofia
orientale e comparativa, di religioni, di mitologia e mistica.”
“Mistica? … interessante.” Gabriel si
era ripromesso di non coinvolgere più studenti nelle sue ricerche, però quella
ragazza sembrava molto dotata, sarebbe potuta tornare utile in quel periodo
così difficoltoso “Le è mai capitato di occuparsi di occultismo?”
“Certamente, occultismo ed esoterismo
sono due argomenti che mi interessano parecchio; mi ci sono approcciata quando
ho voluto approfondire i culti misterici.”
“Quanto pensa di essere competente in
materia?”
“Abbastanza. Sono argomenti molto
delicati, è sempre difficile riuscire a valutare se i testi siano seri e da
prendersi in considerazione o se si tratti dei deliri di qualche fanatico ed
esaltato (che sono la più parte); sono però riuscita a crearmi una discreta
biblioteca con testi appropriati. Perché mi pone questa domanda?”
“Io non lavoro solo per l’Università, ma
anche per una Congregazione che si occupa di esoterismo e fenomeni paranormali;
ultimamente siamo a corto di personale, mi chiedo se lei possa essere adatta.”
“Beh, non so che attività svolgiate, ma
se posso dare una mano lo faccio ben volentieri.”
Gabriel le spiegò dove e a che ora
presentarsi nel pomeriggio. Michela era decisamente sollevata per il fatto di
non essere stata riconosciuta da Gabriel; era stata davvero una buona idea
quella di camuffarsi, quando era andata a recuperare i libri. Ora, forse,
avrebbe avuto la possibilità di infiltrarsi nella Congregazione e di osservare
con maggiore attenzione Gabriel: doveva quindi stare molto attenta e non
commettere passi falsi. Arrivò puntuale all’appuntamento e trovò Gabriel che la
aspettava, in compagnia dell’archivista.
“Ecco, Alonso, questa è la studentessa
di cui ti ho parlato. Nelle mie materie universitarie è molto preparata,
vediamo se supera anche il tuo esame.”
“Ma che esame, hermano?
Est na semplice chiachierata!”
“Bene” disse Gabriel “Ora vi lascio,
devo sbrigare alcune questioni col Direttorio, tornerò più tardi.”
L’uomo si allontanò. Il prete guardò
Michela e le chiese: “Allora, donde vojamo
cominciare? Dime i testi che hai studiato.”
La ragazza iniziò ad elencarne alcuni,
Alonso annuiva; si accese un sigaro e dopo aver ascoltato per un po’, iniziò a
farle domande, molte, pareva soddisfatto delle risposte; dopo oltre mezzora la
condusse in biblioteca e lì le mostrò varie immagini di simboli, pentacoli
oggetti vari, mettendo alla prova le sue capacità di riconoscimento. Trascorse
più di due ore a testare le conoscenze della giovane, poi la lasciò da sola su
una panchina dei giardini della Congregazione, dicendole di aspettare Gabriel
con la decisione definitiva.
“Allora, cosa ne dici?” domandò Gabriel,
dopo aver raggiunto l’amico in biblioteca “È brillante anche nell’ambito
dell’occulto, o è una di quelle che pensa di sapere tutto, solo perché ha
frequentato un po’ di ambiente wicca?”
“Quelachica est muypreparada,
tropo! Se Isaia l’aveseconsciuda,
seguramente se sarebeinamorado de hela!” scherzò
Alonso.
“Eh, esagerato!”
“Te dico che hela
conosce talmente bienesti
argomenti che per fino Isaia ne remarebemuysodisfato.”
“Mi pare incredibile! Ma se è davvero
così, allora è bene averla nella nostra squadra.”
“Est seguro?”
“Sì, ci serve ogni aiuto possibile,
gente competente! Se il tuo giudizio è vero, si dimostrerà una grande risorsa!”
“Il fatto che hela
est muy istruita me preocupa:
non est normale che una chicasapiatodeeste cose.”
Nel frattempo Claudia uscì da un piccolo
edificio presso la sede della Congregazione, era ormai passata una settimana da
quando con Gabriel aveva avviato il Centro d’Ascolto e Sostegno per gente coi
poteri. Finora non avevano avuto modo di fare granché, si erano presentati
Leonardo e Alice, che avevano molto bisogno di aiuto, l’aveva seguita lì per le
sue sedute anche la sua vecchia amica Francesca; per il momento Claudia si
stava occupando di contattare tutti i casi seguiti dalla Congregazione negli
ultimi anni, per informare le persone di questo nuovo servizio. Quel pomeriggio
aveva parlato coi tre fratelli che avevano avuto allucinazioni nella grotta e
che avevano creduto di vedere la Madonna; lei non credeva che loro avessero
effettivamente dei poteri, ma loro sostenevano che le loro capacità psichiche
erano più che naturali e, dunque, volevano presentarsi da lei per qualche
chiacchiera. Claudia, comunque, per quel giorno aveva finito di lavorare, aveva
richiuso l’uscio ed era andata verso la sede della Congregazione per incontrare
Gabriel. Passò per il giardino e subito notò la giovane ragazza, seduta sulla
panchina e trovò la cosa insolita, perché era difficile trovare delle donne da
quelle parti, quindi si avvicinò ed esordì: “Piacere, sono Claudia Munari.”
Michela sollevò lo sguardo e fissò la
mano che le era porsa, poi la strinse e si presentò.
“Come mai ti trovi qui?”
“Sono una studentessa del professor
Antinori che, forse, mi farà collaborare con questa organizzazione. Sto
aspettando la risposta.”
“Oh! Sei una studentessa di Gabriel!”
Claudia intavolò una conversazione e
Michela rispondeva con naturalezza. Presto Gabriel le raggiunse, salutò Claudia
con un abbraccio e un bacio, poi si rivolse alla ragazza: “Alonso è stato molto
soddisfatto delle tue conoscenze, per cui abbiamo deciso che ti contatteremo al
bisogno.”
Michela si disse felice, ringraziò e se
ne andò.
“State reclutando nuove leve?” chiese
Claudia.
Gabriel sospirò e poi spiegò: “Dobbiamo
far fronte a Serventi, ai Templari e portare avanti la consueta missione della
Congregazione della Verità … ci occorre gente competente e noi siamo rimasti
senza varie risorse, dopo l’attacco subito dal Direttorio. Si sente molto anche
la mancanza di Isaia …”
“Chi ne sente la mancanza, tu o la
Congregazione?”
“Entrambi. Il gruppo di esorcisti è un
po’ allo sbando senza la sua guida … E anch’io lo vorrei ancora qui.”
“Gabriel!” lo richiamò la donna “Ha
tentato di ucciderti!”
“Aveva le sue buone ragioni a cui ho
creduto anch’io!”
“Tu, al suo posto, ti saresti comportato
così?”
“No … e forse avrei sbagliato.” sospirò
di nuovo e cadde il silenzio.
Claudia pensò fosse meglio cambiare
argomento e chiese: “Beh, quindi, quella tua studentessa vi darà una mano,
adesso?”
“Sì, anche se Alonso è un po’
preoccupato … Forse ha ragione, l’ultima studentessa preparata che ha
collaborato con noi era figlia di Serventi.”
“Rebecca era stata molto aggressiva, intraprendente,
per riuscire a convincerti a riprendere l’insegnamento e starti vicino. Ha
fatto così anche questa ragazza?”
“No. Sono stato io a proporle la
collaborazione.”
“Ecco, questo va a suo favore. Poi, non devi credere che tutti gli studenti diligenti stiano complottando
contro di te. A me è parsa una ragazza simpatica, mi ha fatto una buona
impressione.”
“Avete parlato molto?”
“Una decina di minuti.”
“E ti è bastato per tracciarne il
profilo psicologico?” scherzò Gabriel.
“Certo che no, ma ho avuto un buon
presentimento.”
Era
mattina, Isaia era nella cucina del provinciale che lo ospitava; stavano
facendo colazione, seduti su stuoie, bevevano latte di capra e mangiavano uova.
Il gesuita non pensava di adattarsi così facilmente a quelle condizioni.
“Abdel Nasser” disse Isaia, rivolto all’altro, in arabo
“Oggi entreremo nella stanza che fino a ieri era presidiata da Aini e vedremo che cosa contiene. Avete parlato di
manoscritti e reliquie, vedremo cosa c’è di preciso e decideremo come
comportarci.”
“Certamente.
Sono sicuro ci saranno reliquie e informazioni che ci torneranno utili nella
guerra che presto affronteremo.”
“Tu
sai chi sarà il nostro principale obbiettivo?”
“L’eletto,
Gabriel.”
“No.”
AbdelNassen diede segno di meraviglia, ma non replicò.
“Gabriel
ha la volontà di resistere al suo potere. Serventi, invece, punta a provocarlo.
Dobbiamo innanzitutto fermare Serventi, con lui neutralizzato, potremo
affrontare il problema di Gabriel con più serenità e calma.”
“Capisco.
In effetti è questo Serventi il nostro secolare nemico, è lui che manovra tutto
e che crea le minacce e i pericoli. Se anche fermassimo Gabriel, lui troverà un
altro modo per minare l’integrità della Chiesa, per cui è necessario occuparsi
prima di tutto di lui. Siete saggio, Maestro Morganti.
Non so se, però, tutti gli altri capiranno … soprattutto padre Fylan, ha sempre ambito al vostro seggio.”
“Si
adatterà e obbedirà come tutti e se non lo farà … chi tradisce, muore; giusto?”
“Spero
davvero che, dopo la vostra impresa di ieri, nessuno abbia più a dubitare di
voi. Comunque terrò d’occhio Fylan, se me lo
ordinerete, purtroppo ha molte simpatie e si è sempre vantato di incarnare il
vero ideale templare.”
“D’accordo,
tieni le orecchie aperte circa come si muoverà. Ah, un’altra questione, il mio
primo atto da Grande Maestro sarà di ripristinare il nostro vero nome. Templari
è un nome travisato, dobbiamo ricordarci sempre che noi siamo i PauperescommilitonesChristitempliqueSalomonis[1].”
“Un
gesto che ha indubbiamente la sua importanza.” concordò l’altro.
Isaia
si interrogò circa la sincerità dell’uomo che si trovava davanti. Pensò che
forse poteva ricorrere alla sua facoltà di conoscere le anime, ma come poteva
fare? Era necessario il contatto con la mano sinistra o poteva fare in altro
modo? Non lo sapeva; doveva ancora mettersi alla prova e capire come ricorrere
alle sue capacità. Provò a concentrarsi, abbassò le palpebre, non sapeva che
cosa stesse facendo. Infatti, poco dopo …
“Maestro
Morganti?!” lo richiamò il provinciale.
“Eh?”
tornò presente il gesuita.
“Si
sente bene?”
“Oh
… sì, sì … stavo solo pregando.” si giustificò Isaia.
Più
tardi si recarono nella sede templare. I provinciali presenti aspettavano le
istruzioni su cosa fare, quale linea di condotta adottare, su quali punti
concentrarsi e così via. Isaia fece qualche discorso, ma rimase sul vago: prima
di qualsiasi cosa voleva esplorare la stanza con le reliquie.
Finalmente
gli vennero consegnate le vecchie chiavi dell’uscio, poi tutti assieme si
recarono presso la grande camera. Una volta entrati si trovarono davanti a
numerosissime reliquie, la sua conoscenza permetteva ad Isaia di identificare
immediatamente tutti gli oggetti: l’elmo di Costantino con infisso uno dei
chiodi della Sacra Croce, la vera lancia di Longino,
la testa di San Giovanni Battista come fosse stata appena mozzata, con il
sangue che grondava, senza cadere per terra, svanendo a mezz’aria; vi erano
anche il bastone, la veste di pelle di cammello e la ciotola del Battista;
c’erano le corone e gli scettri dei Re Magi. C’erano molte reliquie scomparse
durante il sacco di Costantinopoli … in realtà esse non avevano mai abbandonato
la città, i Templari le avevano messe in salvo là sotto, sottraendole
all’avidità dei crociati: il velo della Madonna, un ampolla con il sangue di
Cristo (usato come inchiostro per occasioni molto rare e sempre piena), il
trono di Salomone, la verga di Mosè … E infine, nei due posti di massimo onore
c’erano la Sacra Croce, quella scomparsa dopo la sconfitta di Hattin, e l’Arca dell’Alleanza, che i Templari avevano
ritrovato nei sotterranei del Tempio di Gerusalemme.
Isaia
si sentiva sopraffatto da cotanta santità, non sapeva dove posare lo sguardo, i
suoi occhi guizzavano da un lato all’altro della stanza, si accostava agli
oggetti per vederli nel dettaglio, poi correva da un’altra parte e attorno a sé
riusciva a percepire chiaramente l’energia emanata da quei manufatti, l’energia
pura e santa di cui li avevano impregnati i loro possessori, era come se un
frammento dell’anima di quei santi fosse rimasta attaccata alle reliquie.
I
provinciali avvertivano quell’alone sacro? O era una consapevolezza solo sua?
Li
osservò e comunque li vide abbastanza entusiasti.
Le
reliquie, tuttavia, non erano gli unici preziosi lì custoditi, vi si trovavano
anche numerosi rotoli di papiro o pergamena. Isaia, calmatosi un poco
dall’euforia iniziale (gli occorse più o meno un’ora), si infilò un paio di
guanti (non avrebbe mai voluto rovinare i manoscritti!) e iniziò a srotolare i
testi per osservarli. C’erano molte raffigurazioni che accompagnavano lunghe
scritte nelle lingue più antiche del Vicino Oriente e del Mediterraneo. Isaia
tradusse al volo qualche frase delle lingue che conosceva, per poter capire di
cosa trattassero i manoscritti, era interessatissimo e non vedeva l’ora di
poterli studiare. Non sapeva da che parte cominciare!
“AbdelNassen” chiese rivolto al
provinciale “Di quanti traduttori disponiamo?”
“Con
esattezza non saprei, penso che una decina li troveremo.”
“Mmmm” Isaia pareva un po’ deluso dall’esiguo numero “Li
voglio tutti all’opera. Passerò i prossimi giorni qui, con loro, finché non
avrò una traduzione di ciascuno di questi testi.”
Alcuni
dei provinciali si scambiarono qualche occhiata incerta, come stupiti che il
loro Grande Maestro avesse intenzione di dedicarsi a quegli studi, piuttosto
che all’azione, ma non dissero nulla. L’unico che manifestò il suo disappunto
fu padre Fylan.
Isaia
gli scoccò una tremenda occhiata, poi, con estrema calma, spiegò: “Non
conosciamo i contenuti di questi testi, potrebbero rivelarci segreti importanti
per la nostra missione, non dobbiamo trascurarli.”
Nel
mentre che Isaia trascorreva intere giornate a studiare gli antichi
manoscritti, a Roma Michela era riuscita ad avvicinare Gabriel e ora attendeva
solo di essere chiamata per aiutarlo. Non erano passati molti giorni quando il
professor Antinori la fermò dopo lezione, per dirle di presentarsi in
Congregazione, nel primo pomeriggio, per una prima verifica.
“Come
già ti ho detto, non ti manderemo mai da sola a fare delle verifiche.” le
rispiegò più tardi Gabriel “Il tuo compito è quello di consulente per i nostri
padri.”
Erano
nell’ufficio di Gabriel, quello che era stato di suo zio prima e di Isaia poi.
L’ex gesuita era in piedi, poiché non gli piaceva stare dietro ad una scrivania
a dare ordini: non era adatto per lui un simile atteggiamento; seduti su sedie
c’erano la ragazza e un prete biondo, di circa ventotto anni.
“Lui
è padre Sebastiano, uno dei migliori esorcisti che ci sono rimasti, lo aiuterai
in una verifica. Un parroco, don Taddei, stava
accompagnando il gruppo di boyscout della sua parrocchia in un’escursione in un
bosco; arrivati in una raduna si sono imbattuti in una sorta di altare
blasfemo, sembra ci fossero disegnati pentacoli, han trovato anche carboni e
cenere di focolari con in mezzo ossa bruciate. Pensiamo sia una setta. Voglio
che voi due andiate a dare un’occhiata: fatevi un’idea di quel che succede ma
non intervenite, a meno che non strettamente necessario, prima di aver riferito a me e
aver ricevuto istruzioni, d’accordo?”
Venti
minuti più tardi i due giovani erano presso la parrocchia di don Taddei per farsi condurre nel luogo del ritrovamento.
“Oh,
buongiorno!” li salutò il prete “Vi manda la Congregazione? Speravo inviassero
Isaia: la situazione è grave!”
“Mi
spiace, ma padre Morganti è in un periodo di pausa,
tuttavia non si preoccupi sono stato il suo migliore allievo.”
Don
Taddei non sembrò troppo convinto ma non protestò e
li condusse verso il bosco. Mentre camminavano, Michela si affiancò a
Sebastiano e sottovoce gli chiese: “Chi è questo padre Morganti?”
“È
stato il mio maestro, il miglior esorcista della Congregazione … dopo Samuele
Costa, ovviamente.” Parlava con viva ammirazione e gratitudine “È un esperto di
demonologia e le sue conoscenze circa l’esoterismo e l’occulto sono sconfinate:
gli bastava un’occhiata per capire tutto di un culto o una presenza maligna. Il
suo allontanamento dalla Congregazione ha reso evidente come noi dipendessimo
abbastanza da lui. Alonso è ottimo, ma non può bastare lui.”
“Come
mai questo padre Morganti se n’è andato?” ovviamente
erano cose che lei sapeva benissimo, si comportava così perché era quello che
riteneva essere il comportamento più naturale per una persona in quella
situazione.
“Non
ce l’hanno spiegato.” rispose cupamente Sebastiano “Ci hanno detto che gli è
stato affidato un compito complesso, lungo e lontano da qui. Non so se credere
a queste parole.”
“Perché
avrebbero dovuto mentirvi?”
“Non
lo so, ma Isaia mi avrebbe avvertito e salutato!”
Intanto
giunsero nella radura e subito balzò alla loro vista un grosso masso squadrato,
lavorato in parte per richiamare un altare, attorno ad esso non c’era erba;
quando i due giovani si avvicinarono per meglio vedere, si accorsero che il
pietrone era al centro di un grosso cerchio, dapprima scavato, poi riempito di
pietre e reso uniforme con della calce. Michela fece un giro attorno alla
circonferenza e vi trovò tracce di sale e incenso.
“Guarda:
un pentacolo!” esclamò con disappunto Sebastiano, che si era avvicinato
all’altare.
Nella
superficie della lastra di pietra era stato scavato un cerchio e vi era stato
incastrato un disco di rame su cui era stata scolpita a sbalzo una stella a
cinque punte e in corrispondenza di ogni punta c’era una piccola conca. Sulla
pietra c’erano anche tracce di colatura di cera di candele e di sale bruciato.
“Non
credo siano pericolosi.” disse infine Michela, dopo aver guardato tutto con
attenzione.
“Ah
no?” domandò, scettico, Sebastiano “Mi pare evidente che qui vengano effettuati
rituali di dubbia natura.”
“Nulla
di demoniaco, però, è solamente un gruppo wicca.”
“Neopagani.”
borbottò con disprezzo il prete.
“Già,
comunque sono innocui.”
“Questo
lo deciderà Antinori. Tu come fai ad essere certa che si tratti di wicca e non di altro?”
“Avremmo
trovato simboli e pentacoli ben peggiori se ci fossimo imbattuti in una setta
satanica.”
“Sì,
in effetti i satanisti usano lasciare attivi sigilli e pentacoli di protezione
e sventura per gli intrusi; qui non ve n’è traccia.” ricordò, non senza un
certo raccapriccio, un paio di ispezioni fatte assieme ad Isaia. Aveva visto
decisamente di peggio.
“Inoltre,
se noti, sul pentacolo in rame sono incise delle lettere che fanno capire che
il modo in cui de’essere guardato è con le due punte rivolte verso l’officiante
e la punta unica orientata altrove, questo lo rende un simbolo positivo; le
sette sataniche usano la stella rovesciata.”
“Giusto
anche questo. Ma le piccole conche? Non servono forse per raccogliere sangue?”
“No,
sono per le pietre legate agli elementi, necessarie per evocare i guardiani.”
“Non
sono del tutto convinto. Sentiremo cosa consiglia Antinori.”
Tornarono
in Congregazione e fecero rapporto a Gabriel che, dopo un’attenta riflessione,
concluse: “Per capire la vera natura di quel che fanno, bisognerà spiarli
durante un rituale, sappiamo quando celebrano?”
“Con
la prossima luna piena ci sarà un esbat.” spiegò
Michela “In particolare si festeggerà la Luna del fiore: l’unione tra il dio e
la dea, aiuta a concretizzare i percorsi spirituali.”
“Sai
in cosa consista questo rito?” domandò Gabriel.
“Sono
più o meno sempre gli stessi: purificazione, evocazione dei guardiani, lettura
di qualche preghiera, danze e poi il Gran Rito: una ierogamia.”
“Un’orgia,
quindi.” commentò Sebastiano.
“Dipende
dallo stile del gruppo, a volte l’atto sessuale tra i sacerdoti e le
sacerdotesse è sostituito da una certa coreografia in cui si muovono e si
uniscono un coltello e un calice … esattamente come nel buddismo tantrico,
epurato dalla sessualità, si fanno congiungere il vajra
e la campana. Comunque il tutto è accompagnato da vino e, alla fine, si
congedano i guardiani.”
“Non
sembra nulla di terribile.” commentò Gabriel.
“Ammesso
che si tratti di questo.” puntualizzò il prete “E comunque, se davvero evocano
spiriti, allora c’è da intervenire comunque.”
“Quando
ci sarà la luna piena?” domandò Antinori “Andremo noi tre a sincerarci di quel
che accade. Se si tratta di una setta pericolosa, interverremo; altrimenti, se
sono davvero wicca, li lasceremo fare: in fondo sono
sceneggiate senza effetto.”
“Mi
permetta di dissentire.” disse la ragazza “Quel luogo vibrava di magia, non si
tratta di riti senza sostanza: quel che fanno è efficace.”
“Se
è così, allora li dobbiamo fermare in ogni caso.” disse Gabriel “Cioè … non
fermare, ma dobbiamo trovare la maniera di avvicinarli e convincerli a
usufruire del nostro Centro d’Ascolto.”
“Vuole
dare loro assistenza psicologica, anziché ricondurli alla vera religione?”
storse il naso Sebastiano.
“Non
possiamo obbligare qualcuno a convertirsi, ma possiamo comprendere il perché
delle sue scelte e quindi capire come parlare loro per ricondurli a noi.”
spiegò Gabriel.
Qualche
notte più tardi, dunque, con la Luna piena, Gabriel si recò sul posto
accompagnato da Michela e Sebastiano. Quando arrivarono, i wiccan
erano già entrati nel cerchio.
“Che
cosa stanno facendo?” domandò Antinori, mentre con gli altri due era nascosto
nella boscaglia.
“Stanno
per evocare gli spiriti guardiani” spiegò Michela “È una versione degiudaizzata dello scongiuro dei quattro. Nella tradizione
cabalistica pratica, quando si evocano questi spiriti, si esorcizzano i loro
habitat con invocazioni a Michele, Gabirele,
Raffaele, Uriele, Stabtabiele,
Hochmaele, Samuele e Anaele;
ci si affida ai principi neshta, hod
e jesod per allontanare tutto ciò che è negativo o
potrebbe sopraffare la volontà del Mago. Per come lo praticano loro, invece,
non c’è nessuna forma di controllo, gli spiriti possono ribellarsi.”
“Si
stanno voltando verso di noi! Forse ci hanno visti!” esclamò, sussurrando,
Sebastiano, tenendo i muscoli come pronto ad uno scatto in avanti per reagire
ad un attacco.
Michela
osservò un attimo, poi disse: “No, tranquilli, siamo ad est; si sono rivolti
nella nostra direzione perché è verso oriente che devono evocare le Silfidi.”
Spirito
di luce, spirito di saggezza, il cui soffio dà e riprende la forma di ogni cosa
… Si
sentiva in lontananza.
“Gli
spiriti dell’aria.” constatò Gabriel.
I
praticanti si volsero poi a ovest.
Re
terribile del mare, Voi che tenete le chiavi delle cateratte del cielo e che
serrate le acque sotterranee …
“Adesso
è il momento delle Ondine.”
Immortale,
Eterno, Increato Padre di tutte le cose, che sei incessantemente trasportato
sul carro roteante dei mondi in perpetuo giro …
“Le
Salamandre, gli spiriti del fuoco; sono a sud.”
Oh
Re invisibile che avete preso la terra per appoggia e ne avete scavati gli
abissi per riempirli della vostra onnipotenza …
“Gnomi,
si trovano a nord.”
Finite
quelle evocazioni effettivamente apparvero attorno al cerchio spiriti umanoidi,
dai contorni più o meno definiti, alcuni snelli e flessibili, altri tozzi e
robusti, alcuni guizzanti, altri saldi.
Sebastiano
inorridì e mise mano al Crocefisso; Gabriel fece altrettanto e disse: “Dobbiamo
agire!”
Entrambi
balzarono fuori dal nascondiglio, portando dinnanzi la croce e pronunciando
esorcismi.
Michela
non ebbe modo di trattenerli, quando disse: “Non sono demoni, non temono la
croce!” gli altri due erano già in prossimità del cerchio.
I
wiccan se ne accorsero immediatamente e risero dei
loro sforzi e incitarono gli spiriti a compiere il loro dovere di guardiani;
così Gabriel e Sebastiano si ritrovarono ad essere assaliti da frotte si
silfidi, gnomi, ondine e salamandre.
Michela,
tra sé e sé, tirò qualche accidente a tale situazione; si mise al collo un
medaglione con un pentacolo inciso sopra, accarezzò la spada che si era
portata, appesa in vita, poi afferrò un bastone a forcella che trovò lì vicino
e strinse nell’altra mano un bicchiere che aveva con sé. Si fece avanti con
animo calmo, saldo e concentrato e iniziò a pronunciare: “Michael, Gabriel, Raphael, Anael. FluatUdor per spiritumEloim. Maneat Terra per AdamIot-Chavah. Fiat Firmamentum per Iahuvehu-Zebaoth. Fiat Iudicium
per ignem in virtutem
Michael!”
Alzò
la coppa: “L’acqua torni all’acqua!”
Toccò
il pentacolo: “L’aria circoli!”
Batté
il bastone per terra: “Il fuoco si estingua!”
Brandì
la spada: “La terra ricada sulla terra.”
Con
la mano destra tracciò una croce per aria, mentre diceva: “In nome del
tetragramma divino che sta scritto al centro della croce luminosa!”
Gli
spiriti si dissolsero nel nulla in un istante.
I
wiccan si stupirono, si spaventarono, iniziarono a
bisbigliare tra di loro: come potevano essere stati scacciati così facilmente
gli spiriti che loro evocavano con fatica e che dovevano obbedire a loro?
Pure
Gabriel e Sebastiano erano alquanto perplessi e guardarono incerti la giovane.
Michela
non se ne curò. Percepiva bene gli animi di quei wiccan,
li riconobbe come abituati a subire la luce astrale anziché dominarla, i loro
riti richiamavano le larve vaganti nel flusso astrale che approfittavano di
loro e non erano minimamente controllate.
Bene –pensò la
ragazza- Sarà facile persuaderli.
Lasciando
che il messaggio agisse più col flusso magnetico che non con la voce, Michela
disse: “Amici e amiche, la dea e il dio ci mandano a voi perché vogliono che
voi raggiungiate nuove consapevolezze, che siate padroni delle vostre emozioni,
che non subiate le vostre passioni. Affidatevi a noi, obbedite a questi uomini,
vi faranno presto conoscere un luogo dove potrete recarvi per evolvere assieme,
per conoscer meglio voi stessi, dominare le vostre debolezze e rendervi
migliori.”
Quelle
parole erano improvvisate e non molto chiare, ma la voce era calma e
penetrante, la sua energia era riuscita a soggiogare l’animo dei wiccan che si lasciarono persuadere.
Il
gruppo contava una quindicina di adolescenti e preadolescenti, maschi e femmine
tra i dodici e i vent’anni. Gabriel si stupì che ci fossero genitori che
permettessero a ragazzini così piccoli di uscire da casa. Quella sera non
furono celebrati rituali. Gabriel e Michela passarono in chiacchiere un paio
d’ore con quei ragazzi, mentre Sebastiano se ne stava un po’ più sulle sue.
Salutarono i wiccan e si raccomandarono di
presentarsi presto al Centro d’Ascolto.
Quando
furono in macchina e tornavano indietro, Sebastiano domandò, un po’ sospettoso:
“Perché i nostri esorcismi non hanno funzionato e mentre le tue parole hanno
scacciato quegli esseri?”
“Non
erano demoni, non avevano motivo di temere Cristo. Bastavano le leggi della
natura per farli tornare nei loro luoghi.”
“Hai
nominato però gli arcangeli e hai invocato la croce.” osservò il prete.
“Erano
i quattro arcangeli legati ai quattro elementi e anche la croce rappresenta
l’equilibrio; la potenza di Dio manifestata attraverso l’ordine, semplicemente
questo.”
“E
dove hai imparato questo genere di cose?” chiese sospettoso Sebastiano “Sembra
qualcosa di più simile all’esoterico, piuttosto che al cristiano.”
“Semplicemente
è una branca dell’angeologia; sì ha tradizione
medievale, ma rimane nei tracciati della Chiesa.”
Il
giorno dopo, Michela si presentò presso il Centro d’Ascolto per parlare con
Claudia.
“Ciao!”
la salutò sorridente la psicologa “Gabriel mi ha raccontato quel che avete
fatto ieri sera, hai avuto un buon approccio nel parlare con quei ragazzi. È
bello vedere che non sei aggressiva e impaurita da questa gente. Quell’esaltato
di Sebastiano, stando alle parole di Gabriel, avrebbe tentato di esorcizzare
tutti quanti, ma d’altra parte non ci si può aspettare di meglio da un allievo
di Isaia … Probabilmente quei ragazzi non hanno mai fatto nulla di concreto.”
“Se
esegui bene un rituale, qualcosa lo ottieni, il problema è che molti non hanno
il controllo di quel che fanno ed esso gli si ritorce contro. Ieri sera i
guardiani sono stati evocati per davvero.”
“Gabriel
ha fatto di tutto per cercare di convincermi che si trattava di apparizioni
vere e non di allucinazioni dovute al buio, i fumi di incenso e la paura. Una
volta l’avrei ritenuto impossibile, ma poi ho visto una vampira …. ho dovuto
accettare che certe cose esistono. Poco tempo fa mi è capitato anche di
imbattermi nell’uomo nero … è stato strano, era una suggestione psicologica,
eppure era reale … non saprei spiegarmelo e poi ho come avuto una visione per
riuscire a capire che trauma avesse avuto la mia amica … non mi riesco ancora a
spiegare quel che è successo.”
Erano
sedute su un divanetto in quella che sarebbe dovute essere la stanza comune del
Centro d’Ascolto, accessibile sempre a tutti e dedicata allo svago.
“Esiste
un’energia universale che permea tutto; su di essa si fissano le immagini di
ogni azione, pensiero ed emozione, è quello che voi psicologi chiamate
inconscio collettivo. Queste informazioni non rimangono immobili, ma vengono
agitate da sentimenti, emozioni che coagulano, addensano o dissolvono
quest’energia. Pensare costantemente a qualcosa, esserne ossessionati, può produrre
allucinazioni, lei lo sa bene. A volte, però, o l’ossessione e la convinzione è
estrema, o il legame con questa energia è talmente forte, che il frutto del
nostro pensiero non si limita ad apparire come immagine davanti ai nostri
occhi, ma si concretizza in maniera solida e palese a tutti.”
“Stai
dicendo che c’è un legame tra psiche e magia?” si stupì Claudia.
“Precisamente.
Il pensiero, la nostra immaginazione è fondamentale per la magia. Il problema è
che quando siamo vittime di paure, rabbia, manie, dipendenze e così via, essa
non è controllabile, a volte agisce contro di noi e a volte rivela ciò che il
nostro inconscio desidera.”
“È
esattamente come l’uomo nero che ha generato la mia amica!”
“Sono
in pochi a riuscire ad appellarsi solo alla propria volontà per dare
concretezza alle proprie fantasie e il più delle volte attingono lo stesso
almeno un poco ad altri sentimenti.”
“Mi
piace questa visione delle cose … mi riesce ancora difficile da credere, però
davanti a certe evidenze che ho avuto di fronte agli occhi, non posso negarle.”
Rimasero
in silenzio per qualche attimo; Claudia stava ripensando a qualcosa … fu un po’
titubante, poi chiese: “In questi termini, però, non è plausibile la
resurrezione, vero?”
Michela
sapeva a cosa si riferiva, glielo aveva raccontato Isaia in una delle
conversazioni inconsapevoli, tuttavia ovviamente fece segno di stupirsi e
domandò: “Ti è capitato?”
Claudia
non voleva certo parlare del potere di Gabriel, per cui si limitò a quel che la
riguardava direttamente: “ … Qualche mese fa, Gabriel è stato pugnalato e i
medici avevano detto fosse morto, tanto che avevano composto la salma … Io ho
avvertito a distanza che gli era successo qualcosa, sono corsa da lui e … l’ho
baciato e lui si è risvegliato … lo so che sembra assurdo, è il classico finale
di molte fiabe … ma è andata così. I medici hanno detto che evidentemente si
trattava di un caso di morte apparente ma … io non ne sono convinta.” si sentì
in imbarazzo e aggiunse: “Non ne ho parlato a nessuno, prima d’ora, perché da
una parte non volevo creare difficoltà a Gabriel e dall’altra sapevo che non mi
avrebbero creduta … Tu, però, ti dimostri molto addentro a queste cose e senza
i pregiudizi che hanno molti qua … la tua spiegazione della magia pare quasi
scientifica e dunque ho pensato che, forse, potevo parlarne con te.”
“Una
morte che cessa è una letargia, ma la morte inizia sempre come letargia.
L’anima si trova in uno stato di quiete profonda assai più desiderabile
rispetto alle agitazioni della vita, per risvegliarla occorre eccitarne
violentemente tutti i suoi affetti, legami e desideri. Dev’esserci
un’altra anima che richiami quella assopita, che la solleciti mostrandole tutte
le gioie e i piaceri terreni, in quest’operazione il contatto è necessario;
inoltre quest’azione diviene un po’ più semplice se il defunto aveva dei conti
in sospeso sulla Terra.”
“Perché
sembra sensato?”
“Perché
lo è.”
“Quindi
era davvero morte apparente …”
“Che
si sarebbe trasformata in morte reale, se tu non fossi intervenuta.”
Claudia
rimase pensierosa un poco, si guardò attorno e si rese conto che quel posto era
molto spoglio e triste: tutte le pareti bianchi rendevano l’ambiente molto
serioso e formale e non era quella l’impressione che doveva trasmettere ai
futuri frequentatori.
“Senti,
Michela, ti andrebbe di raccontarmi ancora un po’ delle connessioni tra psiche
e magia? E mi daresti dei consigli su come decorare questo posto?”
“Certo,
molto volentieri.” rispose sorridente la ragazza.
Le
due donne rimasero a parlare a lungo e iniziarono anche a fare qualche bozza
dei disegni da fare alle pareti.
Buondì! ^.^
Ne approfitto per salutare e
ringraziare i miei affezionati lettori. Spero davvero che questa storia vi
piaccia, nonostante il numero spropositato di spiegoni.
Nei prossimi capitoli la presenza di Isaia sarà un poco marginale, ma presto
tornerà padrone della scena, non temete.
In questo capitolo ho parlato delle wicca. Mi voglio scusare con loro per le inesattezze e gli
errori che avrò sicuramente commesso. Per parlare dell’argomento mi sono
documentata rapidamente, per cui gli sbagli sono dovuti ad ignoranza mia, non a
cattiveria.
Un saluto e un grazie a tutti e a
presto! J
[1]
Poveri Compagni d’armi di Cristo e del Tempio di Salomone
Da
quasi due settimane, Isaia trascorreva le sue intere giornate nella stanza
delle reliquie a tradurre manoscritti, ma soprattutto a studiarseli. Era
entusiasta per quella fonte di conoscenza che stava facendo pian, piano sua. In
prevalenza erano testi gnostici o cabalistici, tutte teorie che andavano a
rafforzare quelle esposte da Eliphas Levi e che erano
tanto care a Michela.
Il
Grande Maestro aveva dovuto perdere alcune ore a dare istruzioni ai provinciali
e assistere al congedo di alcuni di loro che facevano ritorno nelle loro zone
d’azione; padre Fylan era stato uno dei primi ad
andarsene e questo aveva decisamente messo di buon umore Isaia. Buon umore che
non era destinato a durare. Una sera infatti, AbdelNassen dovette comunicare delle notizie non gradevoli:
“Maestro Morganti, c’è una questione di una certa urgenza
di cui dovreste occuparvi, temo dovrete rimandare a più avanti lo studio dei
rotoli.”
“Di
cosa si tratta?” domandò Isaia con tono assolutamente responsabile e per nulla
seccato.
“Delle
bande armate hanno iniziato a prendere d’assalto le comunità cristiane qui in
Turchia. Hanno bruciato delle chiese e massacrato fedeli.”
“Da
quanto va avanti questa storia?”
“Sono
fatti recenti, il primo attacco è stato quattro giorni fa a Uskudar,
il quartiere dall’atra parte dello stretto, e un paio di giorno dopo a Izmit. Sono arrivati, hanno massacrato e saccheggiato per
diverse ore e poi si sono ritirati, senza lasciare traccia.”
“Le
autorità civili non sono intervenute?”
“Non
hanno potuto; i soggetti in questione hanno perimetrato
l’area delle loro razzie e hannoimpedito a chiunque di potersi avvicinare, uccidendolo. La cosa
paradossale è che loro utilizzano solo armi bianche e sono riusciti a tener
testa a poliziotti armati di pistole!”
“Quanta
gente è morta?” inorridì Isaia.
“Troppa,
i giornali non concordano sui numeri.”
“Immagino
che non abbiano neppure idea di chi ci sia dietro a questi attacchi. Noi
possiamo avere indizi?”
“Nulla
al momento. Niente simboli, niente invocazioni particolari. Sappiamo solo che
erano vestiti tutti di rosso e bianco e che hanno usato esclusivamente armi da
taglio: sciabole, pugnali, scimitarre, ma nessun esplosivo o arma da fuoco.”
“Beh,
direi che l’unica cosa da fare sia quella di andare ad Uskudar
e a Izmit a raccogliere informazioni tra i
superstiti, sperando che ce ne siano.”
“Non
credo avranno ucciso tutti … mi auguro. Partirete anche voi?”
“Certo
e anche tu. Partiamo in una decina, per il momento, voglio i più abili nel
combattere; gli altri siano pronti a raggiungerci al primo segnale.”
“Darò
precise istruzioni. Per l’equipaggiamento?”
“Tu
vivi qui, sai meglio di me cosa sia necessario; comunque lo stretto
indispensabile, in modo tale che, se raccoglieremo informazioni utili e dovremo
spostarci, saremo già pronti per farlo, però non voglio troppi bagagli o
impicci che ci rallentino. Ah, un’ultima cosa, solo armi bianche, voglio
affrontarli a pari condizioni.”
Così,
mentre Isaia iniziava ad indagare su quella banda selvaggia e le dava la
caccia, in quel di Roma le cose parevano procedere in maniera molto più
tranquilla. Il Centro d’Ascolto era stato ben avviato, i wiccan
si erano presentati, anche in maggior numero rispetto a quelli che erano stati
trovati da Gabriel a celebrare il rito. Molte delle persone in cui si era
imbattuta la Congregazione, seppure inizialmente titubanti, erano passate a
dare un’occhiata e poi quasi tutte si erano convinte a frequentare
costantemente quel luogo. Alcuni, come Daniele e i suoi fratelli,passavano pomeriggi interi là dentro, altri
passavano due o tre volte a settimana; non si trattava solo di parlare con Claudia,
confidarsi con lei e avere i suoi consigli, bensì era uno stare assieme con
persone simili a sé, confrontarsi con loro su tutti gli aspetti della vita, da
quelli paranormali, a quelli quotidiani. Il Centro d’Ascolto era diventato
presto anche un centro ricreativo. Specialmente i ragazzi avevano iniziato ad
aiutarsi tra di loro, per esempio con i compiti e lo studio; Agata insegnava a
disegnare, oppure faceva quadretti per abbellire le stanze o da regalare;
Leonardo aveva conosciuto un signore che gli aveva trovato un lavoro. Si
percepiva che quelle persone si consideravano come una minoranza e sentivano il
bisogno e il dovere di sostenersi vicendevolmente e questa comunanza, questo
reciproco aiuto non solo creava un forte affiatamento, ma rendeva tutti quanti
più sicuri, tranquilli e gioiosi.
Stefano
si presentava spesso al Centro, specialmente quando c’era anche Gabriel, come
al solito lo osservava con grande attenzione, pronto ad imparare qualsiasi cosa.
Pure Sebastiano si era fatto vedere qualche volta, ma il suo atteggiamento era
alquanto freddo, come se fosse lì ad osservare alla ricerca di qualcosa di
sbagliato, o forse quello era semplicemente il suo sguardo nel cercare di
capire; comunque di certo non apprezzò l’arrivo dei buddisti che, scoperto quel
posto, iniziarono a recarvicisi quasi
quotidianamente, per dare una mano, per condividere riflessioni e avevano
sempre l’attenzione di tutti quando creavano mandala con la sabbia colorata e
poi li distruggevano. Erano stati introdotti da Michela, che sosteneva
potessero essere un grande aiuto per il gruppo wiccan,
che anche lei aveva preso parecchio a cuore.
Claudia
si era stupita nel vedere quella gente così felicemente coesa in così pochi giorni,
immaginava ci sarebbe voluto più tempo; comunque, dato che la situazione era quella,
attivò subito delle spicie di terapie di gruppo, dove
poter costruire qualcosa assieme; un’altra strategia utile che aveva iniziato
ad impiegare era di affiancare persone più o meno complementari che potessero
bilanciarsi ed aiutarsi l’un, l’altro.
Claudia
aveva trovato anche un grande aiuto in Michela, che collaborava volentieri.
Avevano decorato le pareti della sala principale disegnando ad est un leone
alato, a nord un’aquila, a ovest un angelo, a sud un toro alato. Questi animali
avevano accolto il benestare del Direttorio, che li aveva considerati solo
nell’accezione di simboli degli evangelisti, senza conoscerne l’occulto
significato esoterico.
Le
due donne erano entrate rapidamente in confidenza, nonostante il divario di
età, si consideravano amiche. A Claudia un po’ dispiaceva che la ragazza
dovesse sempre avere i minuti contati per fermarsi al Centro, poiché doveva
sempre andarsene a un preciso orario per recuperare Giorgio e stare con lui,
ovviamente. La psicologa pensò che dovesse essere molto dura per la giovane,
sola, frequentare l’università, dare una mano a lei e a Gabriel e pure
prendersi cura del figlio; vedeva in lei quella che sarebbe potuta diventare la
sua vita, se all’università non avesse abortito: all’epoca le era sembrato
impossibile poter gestire studio e bambino, ora vedeva che c’era chi ce la
faceva.
Nonostante
gli impegni, Claudia riuscì lo stesso ad organizzare, un sabato, una serata tra
donne, invitando sia Michela che Teresa.
Un
pomeriggio molti dei giovani, che avevano preso l’abitudine di frequentare il
Centro d’Ascolto, e anche qualche adulto si erano ritrovati perché desideravano
organizzare un’escursione, oppure una gita di un paio di giorni, per divertirsi
assieme. Erano indecisi se impostare una sorta di viaggio turistico, magari in
una città d’arte, oppure andare in un posto isolato dove essere liberi di
sbizzarrirsi con le loro capacità, oppure fare un pellegrinaggio in un
santuario importante per compiacere il Direttorio; i buddisti insistevano per
andare alla Casa del Tibet a Votigno,
nell’Appennino Emiliano.
Si
stava discutendo vivacemente e le proposte fioccavano, in realtà si era creata
un po’ di confusione. Michela sentì il bisogno di allontanarsi, quella quantità
di emozioni e di flussi astrali che venivano a contatto col suo la mettevano a
disagio, non sopportava la vicinanza di troppe persone, men
che meno quando espandevano tanta energia. La ragazza si alzò, fece due passi e
decise di andare fuori, nel giardinetto del Centro, dove stavano giocando
alcuni bambini. Lei si sdraiò a terra, chiuse gli occhi, lasciò che il caldo
Sole di giugno la riscaldasse e che la Terra assorbisse tutte le sue energie
negative e la rigenerasse. Un ragazzino di undici o dodici anni le si avvicinò.
Lei percepì la sua presenza, aprì gli occhi e lo guardò, era Immanuel, lo aveva
già conosciuto, la stava fissando con attenzione. Michela era a disagio di
fronte a quel bambino, fin dalla prima volta, aveva percepito una straordinaria
energia provenire da lui, ma non era ancora riuscita a comprenderla, era come
se attorno a lui ci fosse una sorta di protezione che neutralizzava ogni tipo
di azione della giovane verso di lui.
“Tu
sei amica di Isaia.” disse candidamente Immanuel.
Michela
scattò a sedere e lo guardò con preoccupazione, istintivamente avrebbe voluto
mentire, negare quell’affermazione, ma si disse subito che sarebbe stato
sciocco e inutile, evidentemente quel bambino sapeva già, tanto valeva essere
onesti. Tacque e attese che lui dicesse qualcosa.
“Non
aver paura.” la rassicurò il bimbo, che per anni era stato circondato da gente
intimorita da lui “So che gli altri sono arrabbiati con lui, ma noi no.”
“Anche
tu gli vuoi bene?” domandò sottovoce la ragazza e guardandosi attorno, per
paura che qualcuno li sentisse.
“Sì.
L’ho riconosciuto subito quando l’ho visto: lo aspettavo. Aspettavo anche Gabriel
… e Claudia e te.” la osservò coi suoi grandi occhi scuri.
Michela
si stupì parecchio per quelle parole e riuscì solo a farfugliare: “Tu sai!?!”
“Io
vi conosco, so chi siete e quello che potreste fare.”
“Allora
sai anche che non è detto finisca bene.”
“Non
so come finirà, ma presto le tenebre arriveranno e per te e per Isaia sarà
difficile non esserne inghiottiti. Potrebbe finire male.”
“No,
non è vero!” ribatté la giovane, preoccupata “Gabriel potrà anche cedere al suo
lato oscuro, ma Isaia non lo farà mai. Nel peggiore dei casi Isaia lo
ucciderà.”
“Bonifacio
vi vuole tutti e quattro e lui è bravo ad ottenere ciò che vuole.” non sembrava
turbato.
“Lo
so, purtroppo … Ma, Immanuel, chi sei? Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Sono
semplicemente quel che sono.” alzò le spalle come per dire: sono un bambino, nulla di più!
“Se
il pericolo è imminente, forse dovremmo raccontare tutto a Gabriel, il sapere
potrebbe aiutarlo a reagire nel modo migliore.”
“Ho
provato a parlargli, ma non riesce a riconoscere la saggezza nelle mie parole.
Non ascolterebbe nemmeno te: ora più che mai è convinto di sé stesso,
dell’amore e della forza dell’amore.”
“Ah,
se non ci credesse lui, chi potrebbe?”
“Ma
al momento il suo amore non è puro e dove arde un amore così appassionato,
facilmente brucia anche l’odio. Presto lo scoprirai e, se non scivolerai nella
follia, allora starà a te, con la forza della saggezza, ad impedire che la
giustizia si trasformi in vendetta e violenza. Se ci riuscirai, forse c’è
ancora speranza per l’amore.”
“Ci
sono troppi se! Ma l’intelligenza non farà nulla? È lei che dovrebbe pensare all’amore!”
“È
vero, a patto che l’intelligenza non diventi dogmatismo che, pur di non
rinunciare alle proprie convinzioni, neghi fatti e realtà. Se accadesse, la
saggezza dovrà ricondurla sulla giusta via.”
“Stai
dando troppi compiti alla saggezza!”
“Le
cose non sono semplici, quando si vuole l’ordine e il bene, devono collaborare
Amore e Giustizia, Intelligenza e Saggezza, Amore e Intelligenza, Giustizia e
Saggezza.”
“Lo
so, uno in meno e la perfezione non può realizzarsi.”
“È
un obbiettivo alto, nessuno ti obbliga a realizzarlo, ma, se deciderai di
tentare, le difficoltà saranno molte. Sinceramente, io sarei felice anche con
il solito pareggio.”
“Beh,
come in molte cose, si punta al massimo, sperando di riuscire ad ottenere
almeno il minimo ...., pazienza, tanto io ho la mia convinzione: fare il mio
dovere, indipendentemente dal risultato finale.”
“Il
dovere va abbracciato, sì, ma bisogna sempre ricordarsi di portarlo avanti con
serenità e non deve diventare un’ossessione, altrimenti anch’esso ci porterà dolore
e non la gioia che dovrebbe e potrebbe consumarci e distoglierci da esso
stesso.” lo diceva candidamente, puro, senza saccenza.
“Quanta
saggezza nelle tue parole! È vero, allora, che Dio ci parla con la bocca dei
bambini.”
Poco
dopo suonò una campanella che annunciava che era pronta la merenda, quasi
sempre a base di succo e pane e marmellata, Immanuel si alzò e corse a
prenderla, Michela invece rimase dov’era, pensierosa su ciò che le era stato
detto.
La
richiamò alla realtà Sebastiano che, recandosi al Centro per sorvegliare, si
era accorto che lei era lì in disparte e dunque si era avvicinato.
“Che
la pace del Signore sia con te.” la salutò, mentre i raggi del sole risaltavano
il biondo paglia dei suoi capelli.
“E
con il tuo spirito.” rispose lei, alzando lo sguardo.
“Come
mai non sei dentro? Pensavo ti piacesse paganeggiare con le streghe.”
Michela
rise, anche se non era certa si trattasse di una battuta, poi scrollò le spalle
e si difese: “E dire che cerco solo di separare le superstizioni dai concetti
cabalistici che, inconsapevolmente, hanno. Non ti piace proprio quella gente?”
“Checché
ne dica Antinori, io rimango convinto che i loro poteri siano manifestazioni
del demonio, non mi importa se essi lo sappiano o meno.” fu la secca e severa
risposta del giovane prete.
“In
un certo senso potrei essere d’accordo con te.” ammise, ragionando, la ragazza.
“Non
si direbbe, data la maniera amichevole in cui li tratti.”
“Gesù
non ha forse detto di essere venuto per i peccatori? Bisogna sconfiggere il
male, non i cattivi e ad esso non va contrapposto altro male, ma il bene. Effettivamente
si potrebbe dire che loro sono in balia del diavolo, mentre i maghi lo
comandano, ma credo che non sia la metafora più adatta da usare, parlando con
te. I loro poteri sono generati dalle forti emozioni sorte a causa di qualcosa
che patiscono, nel senso greco di subire.” cercò le parole “Quella è
semplicemente gente che ha bisogno di liberarsi delle proprie debolezze,
fragilità, brame, come tutti noi.”
“E
credi che una psicologa li possa aiutare?” era ironico “La psicologia non fa
altro che dire: non è colpa tua se sei così, è dovuto a fattori esterni, a
quello che hanno fatto altri. Sciocchezze! Non possiamo attribuire le
nostre colpe e i nostri vizi agli altri, essi sono in noi e solo noi li
possiamo estirpare, con l’aiuto e la grazia di Dio, ovviamente. Preferirò
sempre un direttore spirituale ad uno strizzacervelli.”
“L’uno
o l’altro poco importa, sono entrambi efficaci per il problema: follia, in
maniera più o meno evidente. Tutti noi siamo in parte folli.”
“La
follia come manifestazione del male?” rifletté Sebastiano “Sì, ci può stare,
nell’accezione che l’intelligenza ci avvicina a Dio, poiché solo in lui risiede
la vera felicità e dunque è da folli non desiderarla e non protendere verso di
essa.”
“Se
l’argomento ti interessa, posso prestarti un libro che analizza tutti i comportamenti
di Arimane, il dio nero degli zoroastriani, come
patologie psicologiche. È veramente interessante!”
Sebastiano
non rispose, fece un cenno con la testa che poteva essere sia un sì che un no;
poi disse, con velate malinconia e ira: “Dovrebbe esserci Isaia alla guida del
Direttorio, non Antinori!”
“Nutri
molta stima per questo Isaia, devessere un grande
prete.” a Michela piaceva sentir parlare
di Isaia, specie da chi lo apprezzava.
“La
sua conoscenza è vastissima e ha sempre tenuto una condotta ineccepibile.
Sempre pronto ad intervenire, ovunque, in ogni momento! Certo, è piuttosto
solitario ed è alquanto selettivo nelle sue frequentazioni, so bene anch’io che
non era il genere di prete adatto ad avere una parrocchia, ma è comunque molto
importante quel che fa.”
“Non
tutti la pensano così” volle provocarlo la ragazza “Stefano storce sempre il
naso, quando lo nomini.”
“Stefano
non capisce nulla, fosse per lui istaurerebbe una religione basata su
Antinori.”
Michela
non poté fare a meno di ridere e poi gli diede ragione: effettivamente
l’atteggiamento di Stefano aveva un sapore quasi fanatico.
“Molti
lo giudicano troppo freddo e insensibile.” Sebastiano riprese il discorso su
Isaia “È vero che è sempre composto e misurato, ma questo non vuol certo dire
che sia privo di emozioni, anzi! Le considera qualcosa di estremamente
personale, le ritiene troppo preziose e intime per riversarle sugli altri, su
gente che non saprebbe davvero capirle. Quando si è tra amici, poi, non è
necessario essere teatrali, ci si comprende e ci si sente ugualmente. Quando si
è arrabbiati con una persona e quindi la si sente distante da noi, si urla
anche se fisicamente è a due passi; allo stesso modo ci lasciamo travolgere
dall’emotività quando ci troviamo davanti a persone che non ci conoscono e
davanti alle quali, dunque, dobbiamo esternare e sottolineare ogni cosa. Quando
si è amici e le anime sono sorelle tra loro, non occorre nulla di tutto ciò per
comunicare.”
“Sono
parole veramente belle!” esclamò la ragazza, che concordava parecchio con esse.
“È
una delle tante cose che mi ha insegnato Isaia.”
“Come
mai ne parli con me, che neppure lo conosco?”
“Proprio
per questo te ne parlo! Tu non hai pregiudizi su di lui. Se lo nomino davanti
ad altri, iniziano a dirne male e non è giusto! Fino al mese scorso tutti
quanti nutrivano grande rispetto per lui, poi c’è stato quel che c’è stato, lui
è partito per questa fantomatica missione e ora l’intero Direttorio pare averlo
in odio! Lui, che ne è membro, lui che era tanto elogiato per la scrupolosità,
efficienza, fede ed obbedienza. Ora tutti i suoi meriti sembrano essersi
dissolti davanti agli occhi del Direttorio. Non si merita questo trattamento,
per nulla! Io sono ben determinato a mantenere l’onorabilità e la
rispettabilità del suo nome.” sospirò, diviso tra l’orgoglio e l’amarezza.
“Trovo
che sia ammirabile il tuo impegno.” riconobbe la giovane, commossa da quelle
parole “Sono certa che il tuo maestro te ne sarà grato.”
Sebastiano
sospirò di nuovo e disse: “Lo spero e spero di non sbagliarmi. Vedi, è per
questo che credo ci mentano, quando dicono che Isaia è in missione per conto
della Congregazione: se così fosse, perché cambiare totalmente opinione su di
lui? Non ha senso! Dev’essere successo qualcosa … Dev’essergli successo qualcosa …” era diventato molto cupo
e si chiuse nelle proprie riflessioni.
“Beh,
ora scusami.” disse Michela, dopo un paio di minuti di silenzio “Si sta facendo
tardi e io devo tornare a casa. Ti auguro buona serata.”
“Grazie,
anche a te. E sia lode a Gesù Cristo.”
“Sempre
sia lodato!”
La
ragazza recuperò le sue cose dentro al Centro, salutò tutti e se ne andò.
Michela
era appena uscita da lezione, le sembrava buffo seguire i corsi in
un’università e dare gli esami in un’altra, ma le necessità erano quelle. Si
recò subito al Centro d’Ascolto, dove Claudia stava sistemando le cartelle
delle persone che usufruivano del servizio, poi avrebbe preparato il materiale
per un’attività del pomeriggio. La ragazza arrivò e si mise a darle una mano e
intanto chiacchieravano del più e del meno.
“Simpatici
i buddisti.” commentò dopo un po’ Claudia “Peccato che in questi giorni siano
via.”
Alla
fine i monaci buddisti avevano deciso di andare a Votigno
da soli.
“Hanno
un tipo di religione e religiosità totalmente diversa da quella dei cattolici.”
Michela
trattenne un riso e la contraddisse: “Su questi che sono monaci, posso darti
ragione, ma le moltitudini di credenti …” scosse negativamente il capo “A parte
che il Dalai Lama, tutti lo guardano come un santone, ma in realtà aveva una
funzione prettamente politica. Il Tibet era uno stato teocratico, dove il
potere politico era in mano al potere religioso; ora vorrei tanto chiedere a
tutti quelli che vogliono il Tibet libero e pre-invasione
cinese, perché mai il Dalai Lama possa avere uno stato e il Papa no. Questo a
parte, il buddismo contempla numerosissime entità semidivine che vengono
venerate esattamente come da noi i santi; i credenti laici non meditano, si
limitano a recitare mantra e a portare offerte di cibo, stoffe e incenso ai
piedi delle statue; inoltre, per acquisire meriti spirituali e annullare karma
negativo, può bastare fare offerte ai templi; ah, infine, tutte le famiglie
mandavano almeno uno o due figli a farsi monaci in tenera età, per non doverli
mantenere. Direi, quindi, che, sia per cristiani che per buddisti che per
qualsiasi altra corrente, sia necessario distinguere tra la religione e la
teologia.”
Claudia
era rimasta un po’ stupita per quelle informazioni che prima ignorava, comunque
cambiarono argomento e continuarono le chiacchiere, finché non sopraggiunse
Gabriel.
“Allora,
come vanno le cose qui?” domandò l’uomo, raggiante.
“Tutto
bene!” rispose Claudia, andandogli incontro “Siamo quasi pronte per accogliere
i ragazzi.” gli diede un bacio.
“Certo
che voi due state diventando proprio amiche!” esclamò Gabriel.
Claudia
si limitò a sorridere e l’uomo continuò: “Di solito, a questo punto, io dovrei
trovare un amico da presentare a lei” indicò la ragazza “Così da poter fare
uscite a quattro, peccato che per il momento tutti i miei amici siano preti.”
Claudia
scoppiò a ridere, accortasi della maniera interrogativa con cui la guardava il
compagno, cercò di tornare seria e spiegò: “Scusa, ma mi è venuto da immaginare
tu che presenti Isaia ad una donna.”
“Non
essere così cattiva!” la riprese Gabriel, per nulla arrabbiato, forse un poco
scherzoso “Tanto più che ogni volta che Alonso collabora con lei, alla fine del
resoconto commenta sempre con: e d’altra parte penso che lei sarebbe la
donna ideale per Isaia. Giuro, lo dice ogni volta!”
“Peggio
del ego puto Cataghodelenda
esse di Catone.” commentò a mezza voce Michela.
Claudia
continuò a guardare teneramente Gabriel e mantenendo il tono gioviale, replicò:
“Non metto in dubbio che ci sia qualche donna che possa essere ideale per
Isaia, ammesso e non concesso che sia ancora sensibile a questo genere di cose,
ma non credo che Isaia possa essere l’ideale per alcun genere di donna.”
Questa
volta fu Gabriel a mettersi a ridere, per poi dire: “Un giorno dovrò farti
conoscere le suore di San Giuseppe e del Sacro Cuore di Gesù! Pendevano dalle
sue labbra, quando predicava e com’erano deluse quando andavo in convento io da
solo. Io lo prendevo in giro, sostenendo che le suore commettevano apposta
peccati, per il gusto di farsi confessare da lui; quando lo dicevo, lui
arrossiva e si imbarazzava.”
“E
tu, che suore facevi impazzire? Di chi devo essere gelosa?”
“Di
nessuno!” rispose Gabriel e baciò Claudia.
Michela
si voltò dall’altra parte, non sopportando tutte quelle romanticherie.
A
spezzare quell’atmosfera fu l’arrivo di Stefano, molto trafelato, si vedeva che
aveva corso e che era preoccupato, col fiato corto disse: “Gabriel! Presto,
devi intervenire!”
“Cos’è
accaduto?” si allarmò Gabriel, temendo un attacco di Serventi.
“Un
mostro!” esclamò Stefano, visibilmente spaventato “Dev’essere
un demone, si aggira per la Congregazione, lo abbiamo visto nel giardino.”
“Cosa
sta facendo?”
“Lo
abbiamo lasciato in pace e ci siamo allontanati, sta correndo avanti e
indietro, salta, si rotola per terra … ha sradicato alberi, li ha scaraventati
… non so, si comporta in maniera strana … come se si stesse sfogando dopo tempo
di inattività.”
“Quando
è saltato fuori?”
“Adesso,
praticamente! Sono subito corso da te, cosa dobbiamo fare?”
“Bisogna
fermarlo prima che inizi a fare seri danni. Chiama Sebastiano, io vado a dare
un’occhiata.”
“Gabriel,
sta attento!” si raccomandò Claudia, che non era proprio entusiasta che lui si
occupasse direttamente di quelle questioni, nonostante se la fosse sempre
cavata.
“Non
ti preoccupare, ho sicuramente visto di peggio.” la rassicurò Gabriel, prima di
baciarla.
Ma prima eri
solo e non stavi certo per diventare padre; fu il pensiero di Claudia.
“Vengo
anch’io.” disse Michela, andando verso la porta.
“Forse
è meglio se resti qui.” cercò di fermarla Gabriel, stufo di vedere studenti
morire.
“No,
no, è per questo genere di cose che mi avete chiesto consulenze e che non mi
pagate.” replicò scherzosamente la ragazza, determinata ad andare a scuriosare.
Gabriel
e Michela dunque andarono verso il giardino, mentre Stefano corse a cercare
Sebastiano, pur certo che fosse già stato avvertito e infatti l’esorcista si
trovava già sul luogo.
Il
demone che si trovarono davanti era alto circa tre metri, era corpulento e grigio,
aveva artigli nelle mani (che erano quattro) e nei piedi, una grossa e robusta
coda che faceva schioccare per aria, corna appuntiteuscivano da una sorta di corona o elmetto
d’oro, posto sopra agli ispidi capelli neri; grossi e folti baffi crescevano sopra
alla bocca da cui spuntavano tremende zanne. Sarebbe stato nudo che non avesse
avuto una specie di gonnellino legato alla vita. Saltellava, facendo tremare il
terreno.
“Non
ho mai visto nulla di simile.” si stupì Gabriel.
“Non
c’è nulla del genere nei libri di demonologia.” confermò Sebastiano, per niente
intimorito, anzi piuttosto tranquillo e deciso “Ma non mi importa, lo scaccerò
lo stesso.” e strinse forte il crocefisso, pronto a piazzarsi davanti al demone
per esorcizzarlo.
“Aspetta!”
lo fermò Michela “Non è una figura poi così sconosciuta.”
“Ne
vedi spesso?” fu ironico Sebastiano.
“Basta
sfogliare un libro d’arte Indiana o Tibetana per vederne a bizzeffe!”
“E
quindi?” domandò Gabriel “Dici che non sia un demone?”
“Oh,
no, no, lo è e conviene fermarlo.” spiegò la ragazza.
“E
allora vado!” si fece di nuovo avanti Sebastiano, l’ardore che lo attraversava
lo faceva fremere dentro la tunica, un po’ stretta per il suo fisico abbastanza
muscoloso.
Michela
sbuffò, poi gli afferrò il polso per trattenerlo e gli disse: “Fermati! Ma sei
in astinenza da esorcismo? A meno che tu non abbia una straordinaria forza di
volontà che ti permetta di incanalare nel crocefisso una quantità spropositata
di energia divina, non credo che riuscirai a concludere granché.”
“Perché
dubiti di me?”
“Non
è che dubiti di te, il fatto è che quello è un demone che non è abituato ad
avere paura delle croci. I demoni non hanno paura di due bastoni messi a x,
bensì di ciò che essi rappresentano. Quell’essere là non sa che cosa sia una
croce, quel simbolo non ti aiuterà in questo esorcismo.”
“Hai
idee migliori?” era abbastanza un tono di sfida.
“Avessi
la mia spada … Vieni, credo che dare una sbirciata alle stanze dei buddisti sia
una buona idea. Quel demone dev'essere venuto da quelle parti.”
“Cosa
pensi di trovare?” si informò Gabriel.
“Come
minimo, un kila.”
“Un
che?” fece Sebastiano.
“Un
pugnale rituale. Forse capiremo anche come si è materializzato.”
“Va
bene.” acconsentì Gabriel “Voi due andate a dare un’occhiata, io rimango qui a
tenere d’occhio la situazione e a trattenerlo, se dovesse capitare qualcosa.”
Sebastiano
sbuffò, avrebbe preferito rimanere lui, lì, ma non poteva disobbedire all’ordine
di un superiore.
“Nel
caso dovessi intervenire” precisò Michela ad Antinori “Con la mano destra fa il
simbolo delle corna e cerca di sembrare il più feroce possibile, urla in
maniera aggressiva: OmVajrapanihumpath. Te lo ricordi o te lo
scrivo?”
Gabriel,
per sicurezza, se lo appuntò su un foglietto, poi incitò i giovani a sbrigarsi.
Michela
e Sebastiano raggiunsero rapidamente il salone occupato dai buddisti.
“Ma
questi hanno l’horror vacui?”
commentò il prete, guardando come i monaci avevano decorato la stanza,
ricomprendo le pareti con pannelli di legno dipinti. Era spettacolare
l’atmosfera che erano riusciti a creare sfruttando la pittura e le sculture,
che erano perfettamente integrate con lo sfondo. C’erano diverse statue di bodhisattva e i loro abiti erano decorati con medaglioni in
cui erano miniati o santuari o episodi legati a leggende.
Dopo
un’occhiata generale, l’attenzione di Michela cadde su una statua che
rappresentava un essere corpulento blu, con tre occhi, coi fianchi avvolti da
una pelle di tigre, avvolto da un alone di fuoco e che teneva schiacciato
qualcuno sotto i piedi.
“Ecco
un nostro amico!” esclamò la ragazza.
Sebastiano
guardò lei, guardò la statua e di nuovo lei, pieno di perplessità,
poi chiese: “Si tratta del demone che c’è là fuori?”
“No,
questo è Vajrapani, un difensore della dottrina.
Quello che sta calpestando è un peccatore … Credo che stesse custodendo il
demone che infesta il giardino.”
La
statua era posta su un piedistallo che in realtà era una specie di armadietto
in pietra e in quel momento lo sportello era aperto.
“Scommetto
che qualcuno ha voluto frugarci dentro alla ricerca di denaro e ha liberato il
demone.” sospirò la ragazza, scuotendo la testa.
“Possiamo,
ora, andare ad esorcizzarlo?” la sollecitò Sebastiano.
“Certo!
Ora so cosa dobbiamo fare. Vuoi svolgere la parte più scenografica, o quella
più schiva? Sono entrambe fondamentali.”
“In
cosa consistono?” domandò lo scettico.
La
statua di Vajrapani teneva in mano un doppio
tridente; Michela a fatica riuscì a sfilarlo e spiegò: “Compito scenografico:
reggere questo vajra nella stessa maniera in cui lo
tiene la statua, quindi solo con pollice, medio e anulare, mentre l’indice e il
mignolo sono sollevati e ben dritti; contemporaneamente recitare un inno in
sanscrito.”
“Il
mio sanscrito è un po’ arrugginito. Qual è il secondo compito?”
La
ragazza aprì del tutto lo sportello e indicò un’incisione strana e complessa
che era disegnata sul fondo e disse: “Tracciare per terra, con un kila, quel mandala, in modo che il demone sia al centro del
cerchio. Lavoro di precisione. Allora, cosa scegli?”
Sebastiano
soffio dal naso e, rassegnato, chiese: “Il testo in sanscrito me lo scrivi,
vero?”
Due
minuti dopo, Michela gli mise in mano un foglietto su cui aveva scritto rapidamente
il testo; Sebastiano iniziò a leggerselo sottovoce per sciogliere la pronuncia.
“Finché
non avrò finito di tracciare il cerchio, dovrai ripetere quello, però con molta
concentrazione, la stessa che impieghi quando fai un esorcismo cristiano; poi,
appena ti farò cenno, pronuncerai il mantra che ho insegnato prima a Gabriel.”
“Com’era?”
“Om Vajrapani hum
path. Ti
scrivo anche quello.”
“Bene.
Cosa dovrebbe accadere in pratica?”
“Il
demone verrà rinchiuso nuovamente in questo cubo … finché qualche idiota non lo
aprirà di nuovo.”
I
due giovani uscirono dal salone, ma non che prima Michela rimediasse un kila, sfilandolo da una statua di Padmasabhava.
Andarono verso il cortile e Sebastiano si domandava come avesse fatto, quella
ragazzina, a convincerlo a fare qualcosa di così poco cristiano e al limite
dello stregonesco.
“Allora,
avete una qualche idea?” domandò loro Gabriel che, fortunatamente, non era
dovuto intervenire: il demone aveva trovato una bicicletta e si era concentrato
sui vari modi di deformarla.
“Spero
di non essere scomunicato, per quello che sto per fare.” disse quasi ringhiando
l’esorcista.
“Oh,
la Chiesa non può scomunicare, ma solo rendere nota la scomunica.” precisò con
noncuranza Michela.
Sebastiano
la fissò con quasi orrore, poi scosse la testa e pensò che avrebbe tanto voluto
avere la sua fiaschetta di whiskey, in quel momento.
Rassicurato
un attimo Gabriel, i due giovani si diressero verso il demone. Michela si tenne
un attimo in disparte, per non essere notata mentre tracciava il mandala al
suolo. Sebastiano, invece, senza paura alcuna, si piazzò dritto di fronte al
mostro e, impugnato con la mano destra il vajra e
stringendo nella sinistra il foglietto, lo chiamò a gran voce per averne l’attenzione,
poi iniziò a invocare, con molta risolutezza, concentrazione e pathos: “Namas te narasiḿhāyaprahlādāhlāda-dāyinehiraṇyakaśiporvakṣaḥśilā-ṭańka-nakhālayeitonaṛasiḿhaḥ parato naṛasiḿhoyatoyatoyāmitatonaṛasiḿhaḥbahirnaṛasiḿhohṛdayenaṛasiḿhonaṛasiḿhamādiḿśaraṇaḿprapadyetavakara-kamala-arenakhamadbhuta-śṛńgaḿdalita-hiraṇyakaśipu-tanu-bhṛńgamkeśavadhṛta-narahari-ūpajayajagadīśahare.”
Continuò a ripetere quella litania a lungo,
più e più volte. Chi fosse stato sensibile a certe cose, avrebbe percepito la
grande energia che lui emanava. Intanto, Michela aveva iniziato a tracciare il
mandala, mentre eseguiva i segni, concentrava la propria mente sull’arcangelo
guerriero per attingere alla sua forza.
Non passarono molti minuti e la ragazza aveva
finito il proprio compito, fece un cenno a Sebastiano che capì subito e
pronunciò il mantra di Vajrapani.
Il demone scomparve.
Tutti i preti che stavano nascosti ad osservare,
si fecero avanti stupiti e sollevati e andarono a complimentarsi. Ovviamente, il primo a
sopraggiungere fu Gabriel, decisamente soddisfatto per come fossero
andate le cose. Non sapeva, però, se tutto ciò doveva fargli accrescere la
fiducia o il sospetto verso quella ragazza che, come Alonso diceva, sapeva
troppe cose per non nascondere qualcosa. Come stava diventando assurda la sua
vita, se era costretto a considerare pericoloso chi molto sapeva.
Michela non se la sentiva di rimanere lì a
dover rispondere alle domande di mezza Congregazione, per cui, rapidamente,
scivolò via tra la folla, si fermò un attimo nel salone buddista per
risistemare il vajra e il kila
e per assicurarsi che lo scompartimento che imprigionava il demone fosse ben
chiuso. Inosservata se ne andò, recuperò Giorgio e poi tornò a casa per stare
col figlioletto.
Alla sera, sentì che Isaia la stava
contattando, per cui si raccolse in meditazione per parlare tranquillamente con
lui.
“Michela, come stai? Tutto bene?” c’era una
malcelata preoccupazione nelle sue parole “Ho sentito che oggi ti sei appellata
a me per un esorcismo. Cos’è successo?”
“Oh, nulla di grave.” lo rassicurò lei “Un
demone buddista ha creato un po’ di scompiglio, per fortuna sapevo cosa fare,
ho collaborato con Sebastiano.”
“Ah sì? Ottimo, è un esorcista promettente;
come sta?”
“Bene, un po’ troppo conservatore ed
esagitato, ma è una brava persona. Parla spesso di te, ti ammira moltissimo e
ti è molto grato per tutto ciò che gli hai insegnato.”
“Oh, caro amico!” era felice di quelle parole
“Forse mi ha sempre capito più lui che Gabriel … per lo meno del Gabriel
dell’ultimo anno.” e qui si fece un poco malinconico.
Michela, allora, cercò di sviare il discorso:
“Piuttosto, tu come te la stai cavando? L’ultima volta, mi hai parlato della
banda di assassini che stava perseguitando i cristiani, sei riuscito a
fermarli?”
“Non ancora, purtroppo. Saranno dieci giorni,
ormai, che li inseguiamo, ma è inutile! Ci siamo allontanati molto da Istanbul,
spostandoci di città in città, verso l’Iraq. Arriviamo sempre in ritardo!”
“Oh, mi dispiace.” era davvero triste per
quelle delusioni.
“Spiace anche a me, per tutta questa gente
che non stiamo riuscendo a salvare.” era molto affranto e sentiva il peso del
fallimento “Adesso, però, le cose potrebbero migliorare. Siamo riusciti a
raggiungere una delle loro retroguardie. Quando hanno visto che li stavamo
sopraffacendo, quei dannati, piuttosto che essere catturati, si sono uccisi.
Per fortuna siamo riusciti a prenderne prigioniero almeno uno.”
“Siete riusciti a scoprire qualcosa?”
“Non proprio. Temo che dovrò ricorrere alla
tecnica di estrazione delle informazioni che mi hai fatto sperimentare su di
te, quella volta nella cripta. Com’era? Mano sinistra sulla testa e poi
attraversare i chakra?”
“Sì, esattamente.”
“Dovrò agire prima che si ammazzi. Se ho
avuto l’intuizione giusta circa questa setta, è molto pericolosa e il nostro
prigioniero potrebbe già essersi ucciso.”
“Di cosa sospetti?”
“Il Vegliardo della Montagna.”
“Cosa? Quello che faceva tremare perfino
Filippo Augusto?” sbalordì la ragazza.
“Proprio lui, cioè non proprio HassanSabbah, ma i suoi eredi.”
“Impossibile!” era incredula, esterrefatta
“Quello della rocca di Alamut? La setta degli
assassini?”
“Sì. Il loro modo di vestire, il fatto che
usino solo armi bianche … l’essere così pronti a morire … E poi, le loro azioni
sono insensate proprio come quelle degli assassini del Vegliardo della
Montagna: hanno come unico scopo successo e spavento. Non mirano ad altro.
Aggrediscono per il gusto di massacrare e di farsi temere, infatti praticamente non
hanno rubato nulla!”
“Potrebbero essere semplici fanatici, ce ne
sono parecchi, di invasati.”
“Ho avuto modo di perquisire i cadaveri.
Ognuno di loro aveva un cilindro con alcuni anellini infilati dentro, ma in
numero diverso. Lo spazio è per sette anellini, quindi mi fa supporre
un’iniziazione su sette gradi, proprio come quella degli assassini. Inoltre,
qualcuno di loro aveva addosso dei libricini con preghiere e inni. Sono
chiaramente di dottrina ismaelita nizarita, tanto più
che su una pagina c’era pure il loro simbolo: il felino con le lettere scritte
sul corpo.”
“Beh, preferirei non fossero loro.” replicò Michela,
usando il disappunto, per nascondere la preoccupazione “È gente disposta a
tutto! Si gettano dalle torri senza altro motivo che quello di essergli stato
ordinato dal Vegliardo!”
“So bene quanto siano temibili.”
“Allora sta attento! Per favore …” si
raccomandò lei, dispiaciuta.
“Ti preoccupi troppo.” la rimproverò lui, che
non voleva farla stare in pensiero.
“Pensi, forse, di risolvere la faccenda,
andando da loro e dicendo: Ehi,
settecento anni fa eravamo amici! Potreste smetterla di ammazzare i nostri correligioniani?” era decisamente sarcastica.
“Ti sbagli, i Poveri Compagni d’arme di Gesù
e del Tempio di Salomone non sono mai stati amici della setta degli assassini,
è stata una delle tante invenzioni di Filippo il Bello. Noi eravamo se mai in
buoni rapporti coi drusi … anzi, temo che i drusi abbiano molto influenzato le
concezioni templari.”
“Va beh, questo a parte, mi raccomando,
raccogli tutte le informazioni che puoi e prendi ogni precauzione possibile.
Capisco che quella setta, al momento, sia la tua priorità, ma non devi
scordarti che è qui che potrebbe scatenarsi il peggio. Se a te dovesse capitare
qualcosa, chi potrebbe fermare Gabriel, qualora perdesse il controllo?”
“Si è comportato in maniera strana?” si
allarmò Isaia “Ha dato segni di rabbia?”
“No, al momento sembra tranquillo, ma … Ho
parlato con Immanuel.”
“Davvero?” Isaia provò un moto di contentezza
“Sta bene?”
“Certo, certo. Sapeva che sono tua amica.”
“Oh, quel ragazzino è straordinario!”
“Ha però detto che Gabriel, anche se non
sembra, è molto vicino a perdere il controllo. Io ho provato a eseguire qualche
divinazione e, effettivamente, sembra incombere qualcosa di negativo. Non è
chiaro, ho percepito solo dolore e confusione. Accadrà qualcosa. Tu devi
esserci.”
“Ci sarò, promesso: non preoccuparti.” non lo
aveva detto tanto per dire e nemmeno solo per il senso del dovere “Appena avrò
concluso questa faccenda con gli assassini, tornerò a Roma. Tu, ora, rimani
tranquilla e se Gabriel dovesse iniziare a dare segni di squilibrio,
allontanati da lui.” era un misto tra una premura e un ordine.
“D’accordo, come vuoi tu.” si rassegnò la
ragazza.
“Adesso, scusami, ma è meglio che vada a
prendere le informazioni, prima che il prigioniero ci faccia un brutto scherzo.
Ciao! A presto!”
“Ciao … ti voglio bene …” ma forse lui non la sentì.
Giugno
stava finendo. Il caldo afoso spingeva chiunque ne avesse la possibilità a
lasciare la città per andare al mare a rilassarsi e rinfrescarsi. Le strade
della capitale erano quasi deserte, poiché chi era rimasto doveva lavorare,
oppure preferiva restarsene in casa con ventilatore o aria condizionata a
massima potenza. Tra la poca gente di buona volontà che rimaneva all’aperto,
c’erano anche alcuni preti seduti al tavolino di un bar, erano di varie
nazionalità, lo si capiva al primo sguardo, per comunicare tra di loro
utilizzavano il latino. Quello con la parlantina più sciolta era un tale con la
carnagione lattea e i capelli ramati, stava dicendo: “Fratelli, vi ringrazio
per essere venuti, sapevo di poter far affidamento su di voi.”
“Padre
Fylan” gli disse uno dei presenti “Poche cerimonie e
ci dica perché ci ha convocati.”
“Pensavo
fosse evidente.” replicò l’interpellato “La follia sta regnando tra gli altri
provinciali. Io confido che in voi, come in me, alberghi ancora la ragione e
che mi aiuterete a ristabilire le cose come debbono essere.”
“Ci
stai proponendo un tradimento, in pratica.”
“No,
un salvataggio.” precisò Fylan “Quel presuntuoso che
ci ritroviamo come Grande Maestro, come già supponevamo, non si sta dimostrando
una degna guida per i Templari.”
“Ma
si sta occupando di quella banda che perseguita i cristiani, è cosa giusta.”
“Da
quanto li sta inseguendo, ormai? Due settimane? E ancora non ne è venuto a capo!
Sono una combriccola di disgraziati armati di coltello e lui ancora non è stato
in grado di fermarli! Il nostro codice etico parla chiaro: chi sbaglia muore,
chi viene sconfitto muore.”
Un
vociare sommesso si diffuse trai presenti, ma padre Fylan
lo smorzò subito, riprendendo: “Ma non è di questo che voglio parlarvi, non temete.”
“Allora
di cosa?”
“Mi
sono documentato, ho raccolto informazioni e ho scoperto qual è il vero motivo
per cui il … Grande Maestro” lo disse con una certa riluttanza, gli pesava
doverlo riconoscere come tale “Non vuole occuparsi della minaccia di Gabriel
Antinori: è un suo amico.”
Si levò di nuovo un brusio di scontento e indignazione.
“Morganti sa bene qual è il pericolo e, deliberatamente, non
vuole prendere provvedimenti.” proseguì Fylan “Non è
fedele all’ordine come vuole farci credere e, a questo punto, non mi stupirei
se fosse in combutta col Candelaio stesso.”
I
presenti, che già inizialmente nutrivano alcuni dubbi sull’autorità di Isaia,
ormai principiavano a convincersi pienamente della sua indegnità.
“Ho
avuto prova certa” continuò Fylan “Che lui è a
conoscenza dell’esistenza di due gruppi di persone con poteri, presenti qui a
Roma, e nonostante ciò non ha ordinato nessun intervento!”
“È
scandaloso! Inaccettabile” fu il commento di tutti.
“Non
so se sia un’indegna amicizia o una inadatta paura a spingere Morganti a non intervenire qui; ad ogni modo, non è così che
dovrebbe comportarsi un Grande Maestro degno di rispetto e obbedienza. Al
momento, però, non è di lui che dobbiamo occuparci; porteremo questa questione
all’attenzione degli altri provinciali più avanti. Adesso, la cosa più
importante è quella di trovare questi due gruppi di eretici e di sterminarli,
prima che siano loro ad aggredire noi. È per questo che vi ho chiesto di
incontrarci: credo che anche voi condividiate la mia convinzione che
intervenire, ora, sia una priorità. Vi ho esposto come stanno i fatti, ora
chiedo l’aiuto vostro e dei vostri sottoposti.”
Tutti
si dissero pienamente disponibilicollaborare e ad entrare in azione. Alcuni sembrarono pure impazienti.
“Tranquilli,
fratelli miei, presto avremo tutte le informazioni che ci occorrono. Domani
incontrerò il mio contatto che mi dirà tutto ciò che voglio, poi potremo
organizzare il nostro duplice attacco a sorpresa e non lasceremo viva una sola
persona dotata di poteri.”
30
giugno.
Nel giardino davanti al Centro di Ascolto, erano stati organizzati dei
giochi d’acqua per divertire bambini, ragazzi e anche qualche adulto; erano
presenti tutti quanti, mancavano solo le tre ragazzine più piccole del gruppo wiccan. C’erano gavettoni, mastelli pieni d’acqua, bottiglioni
e quant’altro. Teoricamente erano state organizzate sfide precise, ma ben
presto nessuno fece più caso alle regole e iniziarono a bagnarsi
vicendevolmente e a farsi la guerra. Si stavano divertendo parecchio, sia i
giovani a giocare, sia gli altri ad osservarli e a chiacchierare,
sbocconcellando tartine. Alonso fumava un sigaro e si rilassava seduto su una
sedia, all’ombra di una tettoia; Gabriel aveva preso parte attiva ai giochi e
allora Stefano lo aveva imitato; Claudia e Michela un po’ davano un’occhiata,
ma soprattutto giocavano a carte tra di loro; Sebastiano leggeva un libro,
avrebbe potuto rimanere in biblioteca, ma nonostante tutto gli piaceva quella
compagnia.
A
giudizio di molti, quella sarebbe stata una di quelle giornate che ci rendono
tanto felici, ma che poi si dimentica facilmente. Quella giornata, però, doveva
essere ricordata e sarebbe rimasta nelle memorie per motivi ben diversi dai
giochi d’acqua e decisamente più tristi.
Erano
da poco passate le sedici, quando un paio di poliziotti e una donna in tallieur, accompagnati da un prete, sopraggiunsero. Il
prete si avvicinò a Gabriel e lo informò che i due agenti volevano parlare con
lui.
“Buon
pomeriggio, come posso esservi utile?” chiese Antinori, tranquillo e ignaro.
“Lei
è in arresto.” disse uno dei poliziotti, prendendo le manette.
“Come,
scusi?” sbalordì Gabriel.
“Lei
è accusato del reato di pedofilia.”
“È
uno scherzo, vero?” Antinori era giustamente sconvolto.
Claudia,
che si era subito avvicinata, chiese che cosa stesse succedendo.
“Il
signor Antinori Gabriel è in stato di arresto per il reato di pedofilia e abuso
sessuale.” ribadì la donna che era un p.m.
“Ma
questa è un’assurdità!” esclamò la psicologa.
“Non
secondo le vittime.” ribatté la p.m.
“E
chi sarebbero?” domandò Gabriel.
“DeRossi Clarissa, Occitani Anna, Crotti
Silvia.”
“Le
wiccan?” si stupirono sia Gabriel che Claudia.
La
psicologa poi chiese, piuttosto concitata: “Ma sono stati effettuati esami
medici per appurare se il fatto sussista?”
“Non
si tratta di penetrazione.” specificò la p.m. “Le accuse sono di toccamenti. Le
vittime sono state costrette a toccare le parti intime del signor Antinori e a
loro volta sono state palpate.”
“Non
le sembra, allora, esagerato, parlare di abuso sessuale?” protestò Gabriel “E
comunque sono tutte menzogne!”
“Il
codice penale non prevede una diversificazione di reato.” precisò la p.m.
“Scusi.”
Claudia intervenne di nuovo “Le cosiddette vittime frequentavano il nostro
Centro fino a due giorni fa, quando sarebbe avvenuta la denuncia?”
“Nella
mattinata di ieri.”
Claudia
sgranò gli occhi e, scandalizzata, quasi gridò, nel domandare: “Quale razza di
genio avete, come consulente psicologo? Deve essere dannatamente dotato, se in
una giornata riesce ad ascoltare tre ragazzine e a stabilire che siano
attendibili e riesce pure a scrivere il rapporto!”
“Signora,
si calmi.” le ordinò seccamente la p.m. “Lei rischia una denuncia per oltraggio
a pubblico ufficiale e già siamo indecisi se arrestarla per complicità in reato
sessuale, per cui si faccia da parte e ci lasci fare il nostro dovere.”
La
psicologa era basita, senza parole.
“Claudia,
non ti preoccupare” cercò di rassicurarla Gabriel “È ovvio che ci sia un
errore, presto tutto si chiarirà. Occupati tu del necessario, qui.” riuscì a
darle un bacio, prima di venire portato via dai poliziotti.
Claudia
lo guardò mentre veniva allontanato e, sconvolta, scoppiò a piangere. Michela le si
avvicinò, non poteva dire nulla di confortante: che parole potevano dirsi in un
simile frangente? Sperò che la sua presenza potesse bastare a infondere un po’
di coraggio.
Tutti
quanti i presenti erano rimasti sbalorditi, increduli.
“Chissà
quale complotto c’è dietro!” esclamò tra sé Alonso “Templari? O Serventi?”
Gabriel
era furioso! Apparentemente, si era comportato in maniera controllata e calma;
aveva obbedito senza protestare agli agenti, si era fatto prendere le impronte
digitali, scattare le foto segnaletiche e condurre in cella, senza mai
rispondere alle provocazioni di qualche secondino idiota. Non voleva peggiorare
le cose, ma era furioso. Com’era possibile che tutto ciò stesse accadendo
proprio a lui? Perché si ritrovava investito da quelle calunnie? Che cosa aveva
fatto di male? Era forse stato scortese con quelle ragazzine? Aveva in qualche
modo attirato su di sé la loro rabbia? No di certo! Era sempre stato buono e
gentile con tutti! Ecco, ecco qual era la ricompensa di tanti sforzi, di tanta
premura per gli altri! Uno si fa in quattro o anche più per creare qualcosa di
buono, per aiutare gli altri a stare meglio e ad essere felici, concentra tutte
le proprie energie in un progetto e poi arriva qualche disgraziato
irriconoscente a rovinare tutto. Chi diamine si credevano di essere, quelle
bugiarde, per poter mandare all’aria il suo progetto e la sua vita? Come
potevano essere così superficiali, cattive e stupide da accusare di cose simili
un innocente? Accuse che non si sarebbero mai cancellate neppure con
un’assoluzione in formula piena. Gli avevano rovinato la vita! Avevano
distrutto ogni cosa, quelle dannate oche. Dannate, sì, questo dovevano essere:
dannate!
Gabriel
sentì dentro di sé l’ira montare, sentì le sue mani riempirsi di energia. Sì,
se le avesse avute davanti, non avrebbe esitato a demonizzarle.
Si
guardò allo specchio: i suoi occhi erano diventati neri e di fiamme, i suoi
lineamenti erano marcati come quelli del suo lato oscuro. Che gli
importava? Eccolo, eccolo il mostro di cui, il giorno dopo, tutti i giornali ne
avrebbero parlato. Già si figurava i titoloni: Orco in Vaticano! Ecco
che cosa avrebbero scritto quelle masse di ignoranti, approfittatori che
ricamano a non finire sulle disgrazie altrui. Avrebbe fatto la fine di quel
povero prete di Mirandola, don Govoni, accusato di sacrificare bambini, quando
nessun bambino era scomparso. Si era parlato di messe nere, satanismo e
quant’altro, arrivando a coinvolgere vari preti della zona e un numero
indefinito di abitanti. Lui e Isaia erano stati mandati dalla Congregazione ad
indagare e si erano accorti, molto prima della giustizia civile, che non si
trattava altro che fantasie di una bambina disturbata. Quanto aveva sofferto
quel povero prete! Tanto da morire di crepacuore! Sarebbe capitato anche a lui?
Quanto fantasiose sarebbero diventate le accuse?
Orco,
mostro … così lo avrebbero additato d’ora in avanti.
Era
molto tentato di darglielo davvero, il mostro. Quegli sciocchi patetici non
avevano idea di cosa fosse un vero mostro. Non avevano idea di cosa lui fosse
capace di fare. Era molto, molto tentato di accontentarli. Già, sarebbe stato
così semplice e liberatorio lasciarsi andare e prendere quei maledetti che lo
accusavano, che stavano per distruggere la sua intera vita, e schiacciarli.
Oh,
aveva creduto di non temere la morte, per la sicurezza della Chiesa, e invece
l’aveva temuta e aveva liberato il suo potere. Ora si trovava davanti a
qualcosa di ben peggio che la morte: una calunnia che lo avrebbe accompagnato
per sempre, che avrebbe attirato su di lui le diffidenze di tutti, che lo
avrebbe costretto ad allontanarsi dal suo Centro, forse anche da Claudia, da
tutto ciò che stava costruendo con tanta fatica e amore. No! Non poteva
permettere che delle ragazzine egoiste distruggessero così ogni cosa!
“Ehi,
prete!” lo chiamò un secondino, con fare un po’ sprezzante e tenendo in mano un tablet.
“Non
sono più un prete.” rispose Gabriel.
“Ah,
giusto, altrimenti non saresti qui.” commentò la guardia “Dà un’occhiata qua!”
mostrò il tablet “Stanno parlando di te e del tuo
Centro per bimbi speciali! Bah, che schifoso che sei, approfittare così di ragazzine
disagiate. Fosse per me, altro che galera! Ti chiuderei in una stanza coi padri
di quelle povere stelle e poi … addio!”
L’ira
di Gabriel non ebbe controllo. Avvicinatosi alle sbarre per vedere, passò il
braccio attraverso l’inferriata, afferrò il collo del secondino e in pochi
istanti lo spezzò. Poi afferrò le sbarre, le spezzò con facilità, uscì,
raccolse il tablet da terra e guardò. Era un
notiziario speciale: l’inviata era davanti al palazzo della Congregazione e
diceva: “Siamo qui davanti a uno dei palazzi vaticani. Secondo le prime
indiscrezioni, circa un quarto d’ora fa, alle 19-07, sono sopraggiunti qui un
gruppo di uomini vestiti di bianco e armati di spade. Non sappiamo bene per
quale scopo. Poche ore fa, la polizia ha arrestato Gabriel Antinori, un ex
sacerdote, accusato di abuso sessuale su ragazzine tra gli undici e i tredici
anni. Alcuni sostenitori di quest’orco (pare se ne siano contati una
cinquantina tra adulti e bambini) hanno dato origine ad un sit-in in sua difesa
presso il Centro d’Ascolto per bambini speciali che lui gestiva e presso il
quale si sono compiuti gli abusi.”
Ecco!
Non avevano fatto in tempo ad accusarlo che già le televisioni lo dichiaravano
colpevole e davano per certe le presunte accuse. Meno male che Claudia,
Stefano, Alonso e i suoi amici stavano protestando in suo nome.
“Non
sappiamo ancora se il gruppo di uomini vestiti di bianco e armati, una ventina, secondo alcuni testimoni,
ecco non sappiamo se questi individui centrino con la protesta oppure no. Ecco,
ecco vediamo della gente uscire, verifichiamo subito cosa sta accadendo.”
Dal
palazzo della Congregazione stavano uscendo di corsa alcune persone, dall’aria
spaventata. Alcuni urlavano. La giornalista cercò di affiancare qualcuno e
chiese che cosa accadesse. Qualcuno gridava: “Scappate! Scappate tutti!”
“Dei
pazzi! È una strage!” urlarono altri.
“A
quanto pare, è in atto un’aggressione! Non si vedono, però, le forze
dell’ordine.” comunicò, impassibile, la giornalista ai telespettatori.
Tra
la gente che scappava, c’era pure Stefano, col viso insanguinato e gli occhi
colmi d’orrore. Quando la giornalista lo fermò e lo sollecitò a raccontare, il giovane
balbettò: “I templari … quei ragazzi … Fermateli!”
“Ecco,
vediamo come la situazione dev’essere sconvolgente...”
commentava la reporter “Questo pover’uomo parla addirittura di templari. Ciò
indica che lo shock è stato molto forte.”
L’ira,
che già dominava Gabriel, crebbe a dismisura. Il tablet
andò in frantumi sotto la stretta delle sue mani. I suoi amici erano sotto
l’attacco di quei maledetti templari, quella stupida gente così piena di odio e
paura per ciò che era più grande di loro. Stupidi e patetici. Avreste dovuto
rimanervene buoni e nascosti, ma non l’avete fatto. Avete commesso il vostro
ultimo errore. Gabriel non ve lo avrebbe perdonato.
L’uomo
corse verso l’uscita, scaraventò da un lato e dall’altro tutti i secondini che
tentavano di fermarlo. La sua rabbia e il suo potere gli davano una forza
sovrumana. Sfondò la parete, rubò una moto della polizia e sfrecciò verso la
Congregazione. Diavolo, gliel’avrebbe fatta pagare cara, molto cara. La gente
coi poteri non vi aveva mai fatto nulla, ma voi li volete massacrare lo stesso.
Bene, adesso avrete un vero motivo per temere. Ci avete perseguitati per troppo
tempo, ora è il momento, per noi, di alzare la testa e farvi rimpiangere la
vostra idiozia e superbia.
Gabriel
arrivò in Congregazione e, senza problemi, si fece largo trai giornalisti e le
forze di polizia che perimetravano l’area, ma non
avevano il coraggio d’entrare: i pochi che si erano azzardati erano usciti
feriti.
Gabriel
sperò che non fosse troppo tardi. Stefano si accorse di lui; notò il suo volto
anomalo, ma non si preoccupò, anzi, si allontanò dai medici che gli avevano
disinfettato la ferita e che stavano per mettergli i punti. Si infilò a forza e in fretta una
garza nel taglio e seguì il suo idolo.
Gabriel
lo vide a propria volta, ma non gli disse nulla, procedette per la sua strada.
Arrivato al Centro d’Ascolto, trovò alcuni dei suoi frequentatori riversi a
terra in giardino, nel sangue e marchiati con la croce catara. Entrò e nella
stanza principale: lo spettacolo era forse anche peggiore. Tra la gente stesa per
terra, c’erano anche Leonardo, Alice e Sebastiano, ma pure alcuni templari. Non
tutti erano morti, qualcuno rantolava ancora, ma Gabriel non se ne curò: al
momento il suo unico obbiettivo era quello di annientare chi aveva causato
tutto quel male. In fondo al corridoio, infatti, i templari stavano cercando di
sfondare una porta, dietro la quale si erano rifugiati i superstiti. Se
quell’uscio stava resistendo così a lungo, probabilmente era anche merito di
qualche incantesimo o sigillo creato dalle wiccan.
Gabriel
avanzò, carico di rabbia, ringhiò e poi con un urlo scaraventò tutta la sua
furia contro gli aggressori, attraverso l’energia che scaturiva dalle sue mani.
I
templari furono tutti quanti, contemporaneamente, investiti da quel potere
infernale. Si contorsero e urlarono per il dolore; alcuni caddero morti, altri
si trasformarono in demoni. Soltanto uno di loro, dai capelli rossi, che era il
più vicino alla porta, riuscì ad evitare di essere colpito da quell’energia,
poiché gli altri gli fecero da scudo: era padre Fylan.
Si gettò a terra, fingendosi morto, in attesa del momento giusto per fuggire
inosservato.
Gabriel
ammirò la propria opera completarsi, poi andò alla porta, la scardinò senza
fatica e con gioia annunciò: “Tranquilli! Non vi faranno più nulla! Li ho puniti
per il loro male.”
In
quella stanza si erano rifugiati Claudia, tutti i bambini, Alonso e i ragazzi e
gli adulti che erano riusciti a correre abbastanza velocemente. Qualcuno di
loro indicò i templari indemoniati, manifestando paura.
“Non
preoccupatevi.” Gabriel li rassicurò “Questi, ora, obbediscono a me.”
“Gabriel!”
lo chiamò Stefano, che era rimasto nella stanza principale “Presto, vieni! Io
chiamo i soccorsi, ma tu salva quelli che puoi!”
Ora
che la furia vendicativa era stata soddisfatta, Gabriel corse nella stanza e
iniziò a controllare chi fosse già morto e chi poteva essere ancora salvato.
Riuscì a recuperare Leonardo e Alice e anche altri tre giovani. Intanto, erano
arrivati i medici e gli infermieri delle ambulanze e auto mediche che erano
fuori dal palazzo già da tempo. Un dottore aveva appena finito di controllare
Sebastiano e stava scuotendo il capo tristemente, facendo intendere che non lo
si poteva rianimare. Stefano se ne accorse e, parecchio dispiaciuto,
chiamò Gabriel e lo supplicò: “Ti prego, fa qualcosa anche per lui! Non lasciarlo
morire.”
Gabriel
si fece arcigno e domandò: “Per chi ha combattuto? Lui odiava la nostra gente.”
“Era
dubbioso, certo, ma qui, stasera, li ha difesi senza esitazione!” rispose Stefano
“Io sono fuggito via per la paura, lui è rimasto a cercare di proteggere i
nostri ragazzi, nonostante i templari gli avessero assicurato salva la vita se
se ne fosse andato. Salvalo.”
Gabriel
non era molto convinto, ma accettò: prese la mano del giovane prete, si
ritrovò davanti alla porta nera, l’aprì. Quando l'aprì e trovò nella stanza bianca Sebastiano, lo prese per mano e
lo riportò indietro.
Il
prete aprì di colpo gli occhi, ansimando. Stefano richiamò il medico che, stupito, fece arrivare
una barella e trasportarono via il ferito che continuava a rimanere comunque in gravi
condizioni.
Gabriel
continuò a guardare i soccorritori che portavano via i feriti e i cadaveri;
continuava ad essere arrabbiato, a dirsi che bisognava fare di più.
“Gabriel.”
Sentì
chiamarsi: era la voce di Serventi. Si voltò di scatto e si accorse che tutta
la gente era sparita. Davanti a lui c’era solo l’uomo che lo considerava
l’eletto.
“Dove
sono tutti? Che hai fatto?”
“Non
preoccuparti per i tuoi amici, questo è solo un modo per parlare tra di noi
senza essere disturbati.”
“Lasciami
in pace, ho altro a cui pensare!” gli ringhiò Gabriel.
“Davvero?
Eppure, stai pensando esattamente a ciò che volevo io. Ti sei preso cura di chi
ha i poteri, li hai fatti trovare, aggregare … erano felici, finché non sono
arrivati i templari del tuo amico Isaia. Sapevi che è lui il loro capo, adesso?
Io te lo avevo detto di ucciderlo, ma tu non lo hai fatto e queste sono le
conseguenze della tua clemenza. Prima, ha tradito te, poi ha mandato i suoi
seguaci a distruggere tutto ciò che stavi facendo, tutto ciò in cui stavi
mettendo il cuore. Avresti potuto evitare queste morti, se avessi accettato
prima il tuo destino.”
Gabriel
abbassò gli occhi, fremette di rabbia: sentiva quelle parole così tremendamente
vere.
“Lo
capisci, ora? Capisci qual è il tuo destino? La tua grande missione.”
“Sì.”
Effettivamente, Gabriel aveva appena trovato una nuova visione delle cose. Fino a quel
momento, aveva sempre guardato i fatti come gli era stato insegnato dalla
Congregazione, dalla gente comune, come gli era stato imposto. L’ira che lo
aveva travolto, aveva bruciato anche tutte quelle convenzioni e bugie che gli
impedivano di capire realmente Serventi e la sua missione. La gente comune è
debole, stupida e paurosa, attacca e distrugge tutto ciò che non conosce, non
riesce a sopportare la felicità o la grandezza altrui e quindi vuole
distruggerla: tagliare le spighe più alte, questo era il motto della mediocrità.
Peccato che la legge di natura dica ben altro: il più forte domina, il più
debole soccombe.
La
gente dotata di poteri era più forte della gente comune, per questo venivano
divisi, isolati e perfino uccisi. Cosa c’era di più temibile che quelle persone,
già da sole superiori agli altri, si unissero e prendessero ciò che il diritto
di natura concedeva loro?
Era
giunto il momento che l’umanità si evolvesse, che diventasse qualcosa di più e
chi non riusciva a stare al passo coi tempi, chi voleva impedire questo
sviluppo, doveva morire.
Le
persone coi poteri non dovevano più nascondersi, dovevano uscire allo scoperto.
Lui le avrebbe trovate, radunate e poi guidate verso la conquista del potere a
cui avevano pieno diritto.
“So
qual è la mia missione.” disse Gabriel, con ardore “Schiacciare chi impedisce
alla grandezza di trionfare; dare ai nostri simili ciò che spetta loro.”
“Esattamente,
Gabriel. Finalmente, ti sei liberato da tutte le catene con cui ti avevano
avvolto e sei in atto ciò che eri in potenza.”
“Raduna
i tuoi, li uniremo ai miei e inizieremo a reclamare ciò che è nostro.”
“Certamente.”
Serventi sorrise, poi con tono insinuante, chiese: “Non trovi sia strano che
delle false denunce ti piovano addosso e poi i templari assaltino il tuo Centro
nel medesimo giorno? È evidente che volevano allontanarti per compiere questo
attacco.”
“Già
…”
“Evidentemente,
qualcuno ti ha tradito: ha detto ad Isaia quello che stavi facendo. Altrimenti
come lo avrebbe potuto sapere?”
Gabriel
fremette e intimò: “Dimmi il nome!”
“E
come posso saperlo? Prova a pensare se manca qualcuno all’appello.”
Serventi
si allontanò e la gente riapparve. Gabriel li scrutò tutti con
attenzione: doveva capire chi mancasse. La faccenda risultava un po’
difficoltosa, visto che molti erano stati portati via. Ripercorse con la mente
i ricordi, le figure stese a terra e improvvisamente gli venne un dubbio. Cercò
Stefano e, trovatolo, gli chiese: “Quando siete stati attaccati, Michela era
ancora qua?”
Il
ragazzo pensò un attimo e poi rispose: “No, mi pare sia andata via prima delle
sei, non so l’ora precisa.”
“Allora
è lei che ci ha traditi.”
Gabriel
non gli diede il tempo di aggiunger altro, si precipitò fuori e prese la moto.
Claudia,
che si stava occupando dei bambini e di rassicurare loro, i genitori e
qualsiasi altro superstite (mentre Alonso teneva a bada i giornalisti che
stavano cercando di ottenere informazioni), non si accorse subito che Gabriel
se ne fosse andato. Non appena, però, lo cercò con lo sguardo e non lo vide, si
scusò con le persone con cui stava parlando e si mise a cercarlo meglio.
Vedendo Stefano, gli chiese se sapesse dove si trovasse, il giovane le riferì la
breve conversazione. Claudia alzò gli occhi al cielo, sospirò e mormorò: “Si
sta lasciando travolgere dalla rabbia, lei non centra!”
Risoluta
a fermare l’amato, la donna si raccomandò con Alonso e Stefano per gestire la
situazione lì, poi corse all’automobile.
Michela
era a casa propria e stava cenando col figlioletto. Avrebbe preferito rimanere
vicino a Claudia, in quel momento, ma non poteva certo lasciare Giorgio da
solo, né portarlo al Centro, perché doveva dormire. Si consolava, pensando che
con la psicologa erano rimasti tutti gli altri e in più l’aveva raggiunta l’amica
Teresa.
Sottosera,
la ragazza aveva percepito una grande forza oscura, caotica, che aveva fatto il
suo ingresso nel flusso astrale. Alla luce di quel che era successo quel giorno
e di ciò che le aveva detto Immanuel, la giovane aveva immediatamente capito
che l’unica spiegazione era proprio Gabriel e il suo lato oscuro. Se avesse
avuto la televisione, la donna l’avrebbe accesa, certa di sentire qualche
notizia su di lui. Non si preoccupò subito; aveva creduto che potesse
essere solo un momento, come l’ultima volta. Quando, però, sentì che la sua
rabbia era indirizzata verso di lei, Michela, allora, decise di prendere le
proprie precauzioni. Andò in salotto, spostò il tappeto e, velocemente, tracciò
sul pavimento, con un carboncino, il quarto sigillo di Marte che proteggeva
dagli attacchi nemici, poi prese Giorgio e glielo mise al centro. Avrebbe
voluto disegnare anche il quinto sigillo, che le avrebbe permesso di
evocare spiriti guerrieri per proteggerla, ma non ne ebbe il tempo. Gabriel era
arrivato. Sfondò la porta ed entrò nel salotto.
La
ragazza balzò all’indietro, si mise a propria volta nel cerchio e strinse a sé
Giorgio. Era molto preoccupata: non capiva perché quella furia.
Gabriel
la squadrò. Con un ghigno che metteva i brividi e lo sguardo tremendo, iniziò
a dire: “Cos’è quella faccia? Non credevi mi sarei liberato così facilmente?
Ecco perché sei rimasta qui, anziché fuggire.”
La
ragazza si stava riempiendo di paura, ma cercò di apparire più o meno calma nel
replicare: “Io non ho motivo di temerti. Non so neppure perché tu sia adirato
con me.”
“Ah
no?” Gabriel si sentì offeso “Non dovrei essere arrabbiato, dopo che hai
architettato tutto questo contro di me?”
“Cos’avrei
fatto?” per un momento, la paura aveva lasciato spazio a stupore e perplessità assoluti.
“Mamma,
ho paura!” piagnucolò Giorgio.
“Tranquillo.”
gli disse lei, cercando di essere il più dolce possibile “Pensa a Michele e non
capiterà nulla.” tornò poi a volgersi verso Gabriel, in attesa di una risposta.
“Eri
sempre vicino alle wiccan. Sei stata tu a convincerle
a lanciare false accuse contro di me!” le ringhiò contro l’uomo.
“No!
Non è vero!” era basita da quell’insensata deduzione “Sono sconvolta quanto te
per questa faccenda!”
“TACI!”
intimò Gabriel e, protese le mani in avanti, scagliò le sue saette di fuoco
contro la ragazza, ma esse si arrestarono e si dissolsero nel punto in cui era
tracciata la circonferenza.
“Com’è
possibile?” rimase interdetto, per qualche istante, l’uomo.
“Sono
dentro a un sigillo protettivo: finché resto qui, non puoi farmi del male.” gli
spiegò Michela, con una certa sicurezza.
In
realtà, non era affatto vero. I sigilli sono solo un simbolo magnetizzato per
aiutare chi li traccia a focalizzare e imbrigliare meglio la propria luce
astrale; sono un supporto per potenziare l’atto volitivo necessario per la
magia. Ciò che aveva arrestato il potere di Gabriel non era dunque il sigillo
in sé, bensì l’energia stessa della ragazza che, però, ne aveva dovuta
sfruttare molta per proteggersi e, probabilmente, non sarebbe riuscita a
resistere ad un secondo attacco. Sperò, dunque, di essere riuscita a convincere
l’uomo di essere al sicuro e quindi a scoraggiarlo.
“Aspetterò.
Non ho fretta. Non puoi stare lì in eterno.” annunciò Gabriel con un certo
disprezzo, accomodandosi sulla sedia a dondolo.
Giorgio
lo guardò con stupore e rabbia e lo sgridò, urlando: “Scendi subito da lì! Non è
la tua seggiola! È la seggiola di Isaia!”
Gabriel
rimase piacevolmente stupito, nella sua rabbia, e mostrò i denti nel suo sorriso
terrifico. Poi retoricamente domandò: “Isaia?”
Michela
si rese conto che, ormai, era costretta a giocare a carte scoperte, per cui
ammise: “Sì, padre Isaia Morganti, il nostro comune
amico.”
Gabriel
si lasciò sfuggire un verso di rabbia e disprezzo.
“È
stato mio ospite qui, tempo fa.”
“Ti
ha ordinato di spiarmi?”
“Non
proprio, non era uno spiare. Mi ha chiesto se avessi potuto sincerarmi che tu
non ti stessi avvicinando troppo al tuo lato oscuro … a quanto pare non ho
capito nulla. L’idea del farmi notare in università e così via è stata comunque
mia. Isaia non aveva specificato come comportarmi.”
“E
l’idea di uccidere la gente coi poteri, di chi è stata?”
“Di
cosa stai parlando?” la donna era alquanto perplessa.
“Dei
templari che hanno preso d’assalto il mio Centro d’Ascolto!” la furia si
manifestò.
“Cosa?
Templari al Centro d’Ascolto?” era sbigottita, non aveva nemmeno sentito la
notizia “Quando? Come? Che è successo?”
“Non
fingere di non saperlo!” fu minaccioso Gabriel “Isaia ha mandato i suoi
templari a tentare di uccidere i miei ragazzi!”
“No!”
protestò lei, esterrefatta “Non è vero! Isaia non può averlo fatto!”
“Ah,
no?”
“No.
Lui mi ha assicurato che non avrebbe ucciso indiscriminatamente le persone coi
poteri, ma solo quelle che avrebbe riconosciuto come malvagie e pericolose! Mi ha
promesso che avrebbe deciso caso per caso!” era sconvolta, era come se stesse
rassicurando se stessa con quelle parole.
“Beh,
ti ha mentito.” le notificò Gabriel, non senza una certa soddisfazione “Ho
appena ucciso una ventina di templari che hanno aggredito i miei ragazzi,
alcuni dei quali sono morti: persone che conoscevi anche tu. Isaia ne è il
responsabile.”
“No!
Non è possibile!” la ragazza stava quasi piangendo “Isaia è buono, non potrebbe
…”
“Teme
la gente coi poteri, come tutti voi, del resto. Voi ci volete tutti morti,
poiché sapete che siamo meglio di voi. Per questo Isaia ha ordinato quello
stupido attacco.”
“Non
può essere! Io stessa ho dei poteri. Lui l’ha visto, ha capito e mi ha
accettata.”
Gabriel
si abbandonò ad una lunga risata di compatimento e poi disse: “Non capisci? Non
ti ha uccisa subito perché aveva intenzione di sfruttarti.”
Michela
riteneva impossibile una simile cosa, ma in effetti non le sembrava troppo
irreale: se davvero c’era stato un assalto al Centro d’Ascolto, allora probabilmente
lei non aveva capito proprio nulla!
“Cos’è
questa storia che anche tu avresti dei poteri?” domandò Gabriel con
tranquillità, aver sconvolto quella ragazza lo aveva messo di buon umore e gli
aveva fatto passare la voglia di ucciderla, benché non credesse ancora alla sua
innocenza “Ti ho vista fare cose strane, in questo periodo, ma credevo
rientrasse nel normale esorcismo.”
“Beh,
quella è una specifica area, ma so far altro.” rispose lei, tirando su col
naso.
“Voglio
vedere. Sono curioso.”
Michela
si limitò a della telecinesi: non era dell’umore per dare spettacolo.
In
quel momento sopraggiunse Claudia che, dopo essersi preoccupata, vedendo la
porta scardinata, si tranquillizzò, accorgendosi che stavano tutti bene.
“Gabriel,
perché te la stai prendendo con lei? È una nostra amica.” Claudia cercò di
farlo ragionare.
“No,
è un’amica di Isaia, lo ha ammesso.” spiegò Gabriel, con una calma follia “Lo
ha pure ospitato qua. Che ipocrita! Era tanto arrabbiato con me perché
frequentavo te e poi, invece … Da quant’è che lo frequenti?”
“L’ho
conosciuto circa due mesi e mezzo fa.”
“Oh,
poco.” rimase deluso Gabriel; tornò a rivolgersi a Claudia: “È stata lei a
consegnarci ai templari, lo dimostra il fatto che lei, stasera, se ne è andata
via prima dell’attacco.”
“Gabriel!”
lo rimproverò la psicologa “Lei non si ferma mai di sera, non l’hai mai notato?
Ha un figlio piccolo e deve stare con lui: è sempre andata via presto!”
L’uomo
ci pensò un po’ su e parve un po’ riluttante ad accettare la cosa, poi incrociò
le braccia al petto e sbuffò: “Comunque rimane il fatto che è amica di quel
topo di biblioteca smaronato di Isaia.”
Claudia
rimase basita per la colorita espressione che non avrebbe mai immaginato poter
sentire da Gabriel.
Michela,
che ancora non credeva possibile che Isaia avesse fatto assaltare il Centro
d’Ascolto, domandò conferma a Claudia che, ancora sconvolta, non poté far altro
che annuire e guardarla con occhi che palesavano l’atrocità di ciò che avevano
visto. La ragazza, a quel punto, scoppiò a piangere. Claudia, istintivamente,
avrebbe voluto raggiungerla e piangere assieme a lei, ma Gabriel la trattenne.
La afferrò per un polso e le disse: “Lasciala stare. Indipendentemente dalla
gravità della sua colpa, non merita la tua compassione.”
Si alzò in piedi per
andarsene, ma prima lanciò un’ultima occhiata alla ragazza e l’avvertì: “Ti
lascio vivere, per il momento. Se ora stai fingendo e in realtà sapevi tutto,
beh, potrai vedere l’inizio della nuova era e poi ti ucciderò sotto gli occhi
del tuo amico; se, invece, sei stata sincera, ci penserà quello sciacallo
bigotto del calvario di Isaia ad ucciderti.”
Claudia
guardò Michela, come per dire: scusalo;
poi uscì col suo amato, lasciando la ragazza sola e stravolta.
Come
poteva essere accaduto? Lei era così convinta della bontà di Isaia! Lui era
stato così gentile e comprensivo … E poi, si era finalmente riconosciuto come
Michele Arcangelo! Come poteva essere malvagio e ordinare una simile strage, se
aveva ritrovato la sua essenza pura? Che fosse cambiato qualcosa? Che lo
scontro con gli assassini avesse provocato un drastico mutamento? O forse era
stata tutta una finzione e lei era stata davvero ingannata per tutto quel
tempo? Non lo sapeva, non voleva crederlo. Se, però, le cose stavano così, lei
non era al sicuro in quella casa. Inoltre, era troppo sconvolta per starsene
tranquilla lì, per cui raccolse rapidamente tutto l’indispensabile e ciò che
poteva e lo caricò in auto e poi partì con Giorgio per raggiungere la villa dei
suoi nonni.
Quando
Michela vi giunse, tutto era troppo silenzioso; anche se erano già passate da un
po’ le ventidue, teoricamente ci sarebbe dovuta essere più vivacità tra quelle
mura, le luci dovevano essere accese e, invece, era tutto spento. La ragazza
ebbe il terribile sospetto che i templari fossero giunti fin lì. Disse al
figlioletto di aspettarla in macchina, poi corse verso la porta e la trovò chiusa,
ma con sopra una croce catara dipinta di fresco. Allungò la mano per afferrare
la maniglia ed entrare, ma una voce la trattenne.
“Non
farlo.” le disse Serventi, come spuntato dal nulla a pochi passi da lei nella
veranda “Quel che vedresti, ti porterebbe solo dolore.”
“Che
cosa ci fai qui? Come …?” era più indispettita che spaventata.
“Non
è un mistero dove viveva il tuo clan. Appena ho saputo di quel che è successo
al Centro di Gabriel, ho temuto per loro e sono venuto qui con alcuni dei miei
ragazzi, ma i templari erano già arrivati.”
“Da
quando sei così caritatevole?” chiese lei, sprezzante.
“Bisogna
essere solidali tra noi che sappiamo impiegare la magia, anche se si hanno
opinioni differenti.”
“Dove
sono i miei parenti?”
Serventi
non rispose, si limitò a fissarla col suo sguardo inquietante.
“Vorresti
farmi credere che i miei parenti, magi provetti, molti esperti in spade, siano stati
uccisi da un manipolo di templari?”
“Quando
sono arrivato, molti erano morti, non so come sia stato possibile. Li ho
vendicati.”
“I
tuoi sgherri sarebbero stati capaci dove i miei parenti hanno fallito? È
ridicolo!”
L’altro non replicò; la rabbia si acquietò un attimo e fece spazio
alla speranza: “Hai detto che molti sono morti, quindi ci sono dei superstiti?
Chi?”
“I
bambini e i ragazzi: tutte le vostre sciarpe azzurre in pratica. Non ti
preoccupare per loro: li ho accolti nella mia comunità. Erano all’interno di un
sigillo molto potente, è probabile che gli altri non siano riusciti a far
fronte ai templari, poiché si stavano preoccupando di alimentare quella
protezione.”
“O,
magari, tu hai aspettato che fossero massacrati tutti quelli che non avrebbero
mai accettato di assecondarti. Probabilmente, hai contribuito alla loro morte e
poi hai ucciso i templari e praticamente hai costretto i miei cugini a
seguirti.”
“Perché
devi essere sempre così malfidente nei miei confronti?”
Giorgio,
intanto, era sceso dal’auto, da solo, e si era avvicinato alla madre chiedendo:
“Dov’è il nonno?”
Serventi
si meravigliò e, con fare interessato, domandò: “E questo da dove salta fuori?”
Michela prese
velocemente in braccio il figlio e lo strinse a sé, poi scoccò
un’occhiataccia all’uomo e gli disse: “Non è affare che ti riguardi.”
Serventi
la ignorò, continuò ad osservare il bambino e gli chiese: “Quanti anni hai?”
“Tre.”
disse il piccolo mostrando la manina con tre dita sollevate.
“Interessante.”
scandì l’uomo che, poi, tornò a rivolgersi alla giovane: “Allora, vieni con me?
Acquieterò io Gabriel nei tuoi confronti. Gli farò capire come anche tu sia
stata ingannata e tradita da Isaia. Ti perdonerà e ti accoglierà nella nostra
nuova comunità che rigenererà il mondo.”
“No.
Qualsiasi cosa sarebbe meglio che assecondarti.”
“Perché
hai così paura della libertà? Vieni con noi: potrai essere libera di essere e
fare tutto ciò che vuoi, protetta e al sicuro. Altrimenti,
rimarrai sola. Non potrai usare la magia e dovrai nasconderti. Gabriel ha
finalmente accettato di liberarci tutti! Ci condurrà contro questi deboli
oppressori. Ci sarà la guerra. Il tuo Isaia e i suoi templari tenteranno di
opporsi, ma alla fine li annienteremo; sta pur certa che quei patetici omuncoli
uccideranno quanta più gente potranno, compresa te e tuo figlio. E nemmeno
Gabriel avrà pietà di chi si oppone al cambiamento: come risparmierà tutta la
gente comune che accetterà la propria nuova condizione, come accoglierà tutti i
sacerdoti che accetteranno di celebrare il nuovo culto, così ucciderà tutti i
dotati di potere che non vogliono dominare. Ci sarà la guerra. Moriranno tutti
quelli che non sono abbastanza forti o umili. I cadaveri dei vostri falsi preti
serviranno da monito a chi non vuole chinare la testa e tu morirai per mano
nostra o dei templari. Non è un bello scenario, vero?”
Michela
rimase interdetta e alquanto inorridita da quell’immagine che Serventi le
stava imprimendo a forza nella mente.
“Non
mi credi.” constatò “Preferisci, prima vederlo un poco coi tuoi occhi. Come
vuoi, tu.” si voltò e iniziò ad allontanarsi “Ricorda che la porta della mia
comunità è sempre aperta, sia per te, sia per tuo figlio.”
Michela
era troppo addolorata e stravolta dall’aver scoperto di essere stata ingannata
per poter reagire in una qualche maniera. Entrò nella villa, coprì gli occhi a
Giorgio per non fargli vedere i cadaveri, poi raggiunse una camera, si stese sul
letto a due piazze col figlio e lo fece addormentare; avrebbe voluto riposare
anche lei, ma faticò a prendere sonno, pianse a lungo in silenzio.
Il
mattino seguente, la ragazza decise di ricorrere alla magia per preparare una
grossa pira funebre in giardino, porvi sopra tutti i cadaveri e darle fuoco. Il
dolore di quelle perdite era troppo forte per lei: non avrebbe potuto occuparsi
direttamente di ciascuno di loro, non poté neppure sopportare di guardare i
corpi e piangere su di essi. Sempre ricorrendo alla telecinesi, sistemò nella
villa ciò che si era portata via dalla casa in città. Che cosa sarebbe accaduto,
ora? Che cosa avrebbe fatto? Era sola, con un figlio di cui prendersi cura.
Finché aveva creduto Isaia buono, aveva nutrito grandi speranze, ora sembrava
non esserci altra possibilità che il restare nascosta, dissociarsi da quella
guerra. Proprio come le aveva spiegato Serventi … Le parole di quell’uomo
l’avevano parecchio impressionata, anche perché lui era così abile
nell’inculcare visioni e ancorarle nella mente delle persone, affinché si
convincessero delle sue verità.
Lei
vedeva davanti ai propri occhi le immagini di quel che sarebbe stato, della
guerra … Erano davvero solo creazioni di Serventi, oppure alcune di esse erano
premonizioni?
Era
poi rimasta impressionata da quell’idea di un nuovo culto. Quello era un
concetto del tutto nuovo, non gliene aveva mai sentito parlare, prima.
Costringere il clero a una nuova devozione e uccidere chi rimaneva fedele a Dio
… Bah, Stefano avrebbe di certo accettato, era talmente affascinato da Gabriel
che lo avrebbe continuato a seguire ciecamente anche nella sua oscurità.
Alonso, invece, mah! Ora che ci pensava, aveva sempre visto l’archivista in
biblioteca a fare ricerche o fumare o bere mojto, mai
a pregare; forse anche lui, per amicizia verso Gabriel, lo avrebbe assecondato
in quella follia. Il Direttorio come avrebbe preso la faccenda? Gabriel ne era
a capo, teoricamente avrebbero dovuto obbedirgli, però non avrebbero mai potuto
accettare un’eresia! Mah, chi poteva dirlo come sarebbero andate le cose?
Alcuni sarebbero morti; certuni avrebbero accettato il nuovo culto per paura;
atri sarebbero fuggiti. A Michela veniva in mente un solo prete che, sicuramente,
non avrebbe mai e poi mai accettato un affronto simile alla cristianità e alla
cattolicità e che dunque sarebbe presto morto. Volle provare a salvarlo, ad avvertirlo.
Forse non c’era fretta: forse la trasformazione sarebbe avvenuta lentamente o
comunque non subito, nel dubbio le conveniva sbrigarsi. Prese il telefonino,
cercò il numero di Sebastiano e lo chiamò. Squillò diverse volte prima che
qualcuno rispondesse.
“Pronto!”
“Pronto
… Stefano?? Perché rispondi tu al cellulare di Sebastiano?” si meravigliò
Michela.
“Come?!
Non hai saputo?” si stupì l’altro “Credevo che Gabriel ti avesse raccontato,
ieri sera.”
“Gabriel
mi ha accusata di molte cose, ma mi ha spiegato molto poco.”
Stefano
raccontò brevemente quanto accaduto. Non sembrava per niente sconvolto per il
fatto che Gabriel avesse ucciso o trasformato circa una ventina di persone con
un’unica scarica di potere, come se fosse giusto e normale.
“Tremendo
… Ma questo ancora non spiega perché ho telefonato a Sebastiano e hai risposto
tu.”
“Sebastiano
è rimasto gravemente ferito: ha avuto lesioni ad organi interni, ora è qui,
nell’ospedale della Congregazione, ma i medici non danno molte speranze. Ho risposto
io, perché è bene che non si sforzi. Di cosa hai bisogno?”
“Non
ha importanza. Vi raggiungo massimo nel giro di un’ora.”
La
ragazza prese il figlioletto, salì in auto e si diresse verso la città.
Arrivata in ospedale, sperando che Gabriel non fosse nei paraggi, si affrettò a
raggiungere la stanza dove Sebastiano era ricoverato. Lì davanti, trovò anche Stefano
che, dopo un rapido saluto, le disse: “Io stavo per andare via. Gli altri
ragazzi sono ricoverati altrove: questa è una clinica solo per ordinati. Ti ho
aspettata un attimo; ora, però, devo lasciarti.”
“Aspetta
qualche minuto ancora, per favore.” gli disse la ragazza “Puoi tenere d’occhio
Giorgio finché sono dentro a parlare con Sebastiano? Non voglio che mio figlio
lo veda in quelle condizioni.”
Il
giovane accettò e Michela entrò sola nella stanza. Vide il prete disteso nel
letto, con la flebo e altri apparecchi attaccati al corpo. L’uomo ruotò un poco
il capo biondo, mise a fuoco la ragazza, si sforzo a sorridere e, a fatica,
bisbigliò: “Ciao … è bello ricevere … visite.”
Michela
gli si accostò, gli prese una mano e gli disse: “È bello vederti cosciente. Mi
han detto che sei molto grave, che ancora non sei fuori pericolo, che le ferite
sono ancora aperte e necessiti di frequenti trasfusioni! Credevo di trovarti privo
di sensi.”
“Ieri
mi avevano dato per morto … Vorrebbero tenermi in coma farmacologico …”
Era
evidente che era molto debole e sofferente, ogni parola pronunciata era un
calvario, ma ci teneva a dirla “Ma io ho detto no … come potrei pregare?”
sorrise e sollevò appena l’altra mano per far vedere il rosario che stringeva.
Michela
sospirò, si era affezionata a quel prete, nonostante la sua rigidità e chiusura
mentale. Non voleva vederlo così sofferente e tanto meno lasciarlo in balia
del Gabriel oscuro. Ragionò un attimo: in altre occasioni avrebbe usato più
cautele, ma ormai la situazione stava precipitando, quindi al diavolo le
prudenze.
“Sebastiano,
vorresti guarire e rimetterti in sesto rapidamente?”
“Certamente.”
“Ti
sta bene qualsiasi mezzo per recuperare alla svelta la salute?”
“Come
…?”
“Mi
autorizzi ad usare tecniche al momento non riconosciute come scientifiche dalla
comunità medica?”
“D’accordo,
come vuoi.” rispose lui, in realtà poco fiducioso.
Michela
tirò fuori un carbone e iniziò a tracciare un cerchio per terra.
“Ehi,
che stai facendo?” protestò il prete che prima non aveva capito si stesse
parlando di magia.
“Il
sesto sigillo di Saturno, aiuta nelle operazioni di guarigione.”
“Saturno?!”
ebbe la forza di scandalizzarsi.
“Sesto
sigillo di Cassiele Arcangelo ti fa stare più
tranquillo?”
Sebastiano
fece un cenno affermativo.
“Pensi
di riuscire ad avere fede in quel che sto per fare, oppure è meglio se ti
induco un sonno magnetico?”
“Come?”
“Una
sorta di ipnosi.”
Sebastiano
ci pensò un po’ su, poi sospirò e scelse la seconda opzione. Michela iniziò a
fissarlo negli occhi, gli disse di rilassarsi, di sentirsi tranquillo e di
cercare di abbattere tutte le sue naturali difese nei rapporti con gli altri.
La debolezza fisica pesava anche sullo spirito e dunque non fu difficile per la
ragazza riuscire a magnetizzare il gesuita e sprofondarlo in uno stato di sonno
lucido. Iniziò a dargli istruzioni su come regolare il respiro, ma non solo
quello che avveniva attraverso le narici, ma soprattutto quello che passava per
ogni poro del corpo e che non riguardava solo l’aria, ma la stessa luce
astrale. A sua volta, poi, la ragazza alternò soffi caldi e freddi sulle ferite
e sul corpo del malato. Inoltre, attraverso i palmi delle mani, assorbì, disperse e
incanalò luce astrale.
Trascorse
una mezzoretta, ma, alla fine, quando si risvegliò dal sonno
magnetico, Sebastiano era completamente guarito.
“Com’è
possibile?” si meravigliò il prete constatando che tutti i tagli erano stati
sanati e non c’era neppure una cicatrice “Che stregoneria è mai questa?!”
“Diciamo
miracolo, così non ti vengono scrupoli morali, va bene?” tentò di rassicurarlo
la donna.
“Miracolo?
È una definizione un po’ arrogante, non credi?”
“Oh,
no, Dio agisce in Cielo per mezzo degli angeli e agisce in Terra per mezzo
degli uomini.”
“Solo
per grazia divina e per mezzo dello Spirito Santo!” specificò Sebastiano.
“Sì,
si possono usare anche questi termini.” ammise Michela che poi protestò: “Oh,
insomma, non è affatto diverso dal reiki che vi siete reinventati voi gesuiti,
perché non lo capisci e ti lamenti?”
Il
prete strabuzzò gli occhi e poi replicò: “Primo: non si deve parlare in giro
del legame che la Compagnia di Gesù ha col reiki. Secondo: non mi risulta che
il reiki possa rimarginare ferite e lesioni ad organi interni, tanto meno in
tempi così brevi!”
La
ragazza lo guardò, quasi divertita, poi gli domandò: “Non vedi di buon occhio
la magia, però ieri sei stato disposto a correre il rischio di farti ammazzare
pur di difendere quelli che ritieni in balia del demonio, perché?”
“Devono
essere liberati, salvati, non uccisi! Uccidere uno in quelle condizioni è come
condannarlo all’Inferno! Non lo potevo permettere, anche perché non sono
malvagi, sono solo un po’ confusi. E, comunque, non posso tollerare assassinii,
tanto meno in nome di Dio. Egli ci ama, ama anche il diavolo: se uccidiamo lo
facciamo per il demonio, non per Dio.”
“Concordo
con ogni tua parola.” la ragazza si sentì sollevata nel sentirgli fare quel bel
discorso; lei, però, non voleva perdere tempo, per cui cambiò nettamente tono e
lo avvisò: “Sei, o presto sarai, in pericolo.”
“Perché?”
“È
complesso da spiegare … Per farla breve: hai presente in Guerre Stellari, quando
il maestro Yoda che dice che l’ira conduce al lato oscuro? Ecco, Gabriel sì è
molto adirato per i fatti di ieri, ha perso il controllo e nonpuò tornare indietro, almeno al momento.”
“Cosa
centra con me, se Gabriel è arrabbiato?”
“Gabriel
si è preoccupato così tanto per le persone coi poteri perché anche lui è uno di
loro. C’è una profezia che dice che lui guiderà questa gente alla conquista del
mondo, rovesciando la Chiesa, la religione e la politica.”
“Aspetta!”
la interruppe Sebastiano “Isaia mi aveva raccontato di una profezia del genere,
legata a una setta che si ispira al Candelaio di Giordano Bruno, ma non
mi ha mai detto che la persona in questione fosse Antinori!”
“Per
forza, era il suo migliore amico e sperava di salvarlo dal suo destino.
Purtroppo, ormai, alea iacta est: il compimento della profezia ha avuto inizio e noi non abbiamo
molto da fare. Gabriel, presto, comincerà a far sentire la propria presenza e
vorrà riformare la Chiesa. Ucciderà chiunque non concorderà con lui, a partire
dai preti che non accetteranno di assecondare il suo nuovo culto. Io so che tu
moriresti fieramente da martire, piuttosto che rinnegare Cristo, per cui ti
chiedo di non farti ammazzare inutilmente. Vieni con me. Ho un posto dove
stare, una base sicura; da lì potremo restare aggiornati sulla situazione,
studiarla e accogliere altri esuli e cercare di capire come agire per il bene e
non solo in nome di Dio, come quei pazzi di ieri, ma secondo la volontà di
Dio.”
“Quel
che mi racconti è al limite dell’assurdo.” commentò Sebastiano, pensieroso “Per
fortuna conoscevo già la storia della profezia e meno male che Stefano, mentre mi
vegliava, ha fatto discorsi strani che ora però iniziano ad avere senso. Ti
credo e voglio assecondarti. Che si fa?”
Michela
uscì dalla stanza, recuperò Giorgio e salutò Stefano che se ne andò tranquillamente.
Sebastiano, allora, uscì a propria volta e seguì la ragazza. Con l’auto
passarono prima in Congregazione e poi nella casa di via Veneto per recuperare
abiti, libri e quanto più riuscissero a caricare in auto, ma lasciarono
molto, sperando di avere occasione di recuperarlo presto. Infine, andarono
verso la villa in campagna.
Nota dell'autore: per i curiosi, cercate l'articolo sul Reiki, considerato "l'arma occulta" dei gesuiti; è divertente/interessante a seconda del vostro livello di "complottismo"
Isaia
aveva ottenuto le informazioni che voleva dal prigioniero. Saputa con esattezza
l’ubicazione della nuova roccaforte della setta degli assassini, che, ovviamente,
si trovava su una piccola altura, in rispetto al nome del loro capo, ovvero il
Vegliardo della Montagna, Isaia aveva ordinato che tutti i templari che aveva
lasciato ad Istanbul lo raggiungessero e fossero pronti allo scontro. Il
gesuita aveva pure scoperto qual era la comunità cristiana che avrebbe subito
il successivo attacco della setta e dunque si era portato là con il suo
drappello e aveva difeso il quartiere, mettendo in fuga gli assassini, anche
grazie all’aiuto dei cristiani, che reagirono dando man forte ai propri
protettori. Arrivato il resto delle forze, circa un centinaio di uomini, si
erano messi in movimento con jeep e cavalli. La rocca si trovava in una zona
isolata, dove non arrivavano né strade né ferrovie. Il denaro non mancava
all’Ordine del Tempio, tuttavia, in una zona così povera e ancora abbastanza
rurale, non avrebbero potuto trovare un numero sufficiente dijeep in così poco tempo e poi c’era il
problema della benzina che avrebbero dovuto portarsi dietro perché nei pressi
della montagna degli assassini non c’erano distributori. Il terreno era brullo
e dissestato, le vetture non potevano certo raggiungere grandi velocità e
quindi motori e cavalli procedevano di pari passo. Impiegarono due giorni per
raggiungere la rocca. Lasciando le auto alle pendici, impiegarono meno di
un’ora per salire in cima all’altura. Isaia diede ordine di schierarsi a
battaglia, ma prima di dare il via all’attacco, prese una bandiera bianca e la
sventolò, segnalando di voler parlamentare per vedere se fosse possibile
evitare un massacro. Si presentò a lui, accompagnato da una nutrita scorta, un
uomo sulla cinquantina, dal fisico robusto e tonico, era barbuto e portava in
testa un turbante rosso, decorato con una spilla su cui brillava un grosso
diamante.
Isaia,
in fluente persiano, disse: “Arrendetevi e verrete consegnati alla giustizia
turca per rispondere dei vostri crimini. Ciò salverà chi di voi non ha preso
parte agli assalti. Se non lo farete, allora vi attaccheremo noi stessi e vi
uccideremo dal primo all’ultimo.”
Il
Vegliardo della Montagna non rispose. Fece un cenno a uno degli uomini che lo
accompagnavano e costui, sfoderato il pugnale, se lo portò al collo, si recise
la giugulare e cadde a terra morto. Il capo della setta lanciò ad Isaia uno
sguardo di sfida, accompagnato da un sorriso feroce, poi si voltò e tornò nella
rocca con la sua scorta.
Isaia
guardò il cadavere, poi tornò dai suoi uomini e, in latino, disse: “Non hanno
paura della morte. Si combatterà. Mi raccomando, fate più prigionieri e meno
morti possibili: dev’essere la giustizia a fare il
suo dovere.”
Poco
dopo iniziarono a piovere frecce dalle mura. I templari levarono gli scudi e
cercarono riparo; alcuni risposero all’attacco con balestre. Non avevano
macchine d’assedio: dunque, tecnicamente, erano in netto svantaggio, ma gli
assedianti avevano dalla loro parte Michele Arcangelo.
Al
grido di NON NOBIS DOMINE, NON NOBIS, SED NOMINE TUO DA GLORIA, Isaia
avanzò tranquillo e determinato, incurante delle frecce che gli sibilavano attorno,
poiché esse non potevano colpirlo. Non risplendeva come quando aveva affrontato
Aini, forse perché lì erano all’aperto ed era pieno
giorno e dunque la luce non si notava, o forse perché, in presenza di soli
umani e non demoni, non era necessario che l’intera vampa si manifestasse.
Isaia
avanzò verso il portone e poi vi abbatté con forza la propria spada, di piatto,
ed esso si scardinò e volò via. Lui sentiva che gli sarebbe bastato protendere
la mano destra in avanti per proiettare fuori da sé l’energia necessaria per
spalancare il portone, ma sapeva che ciò avrebbe troppo impressionato i suoi
uomini e dunque aveva pensato di incanalare l’energia attraverso la spada.
Il
Grande Maestro entrò nel cortile della rocca e i templari lo seguirono,
lanciando urla di guerra.
La
battaglia divampò: le lame cozzarono le une con le altre e si colorarono di
rosso, i corpi cadevano a terra indistintamente. I templari non si curarono
molto dell’ordine di fare prigionieri, anche perché si trovavano a dover far
fronte a nemici che avrebbero tentato di ucciderli fino all’ultimo. Isaia
stesso, che vorticava la spada con maestria, in maniera molto composta, privo
del furore della battaglia, era costretto ad uccidere, mormorando frasi di
assoluzione dai peccati per coloro che cadevano sotto i suoi fendenti.
Gli
assassini erano piuttosto stupiti di trovarsi ad affrontare sì degni avversari,
ma combattevano strenuamente; uno di loro, rimasto azzoppato e senza mani,
strisciando tra i cadaveri si avvicinò a un templare e gli morse il polpaccio,
nella speranza che qualcuno lo uccidesse mentr’era distratto.
Gli
assalitori compresero il perché di tanta ferocia e lealtà, soltanto quando
raggiunsero la parte più interna della rocca: un vero eden, un giardino
meraviglioso, pieno di ogni piacere, c’erano anche delle bellissime donne
spaventate (furono lasciate in pace). Corrispondeva esattamente al paradiso
promesso agli ismaeliti. Ecco perché tutti quegli uomini erano disposti a
morire, piuttosto che a rinunciare a vivere in un simile posto.
La
battaglia, però, non era ancora finita. Isaia individuò, in mezzo ai
combattimenti, il Vegliardo della Montagna e si fece largo verso di lui e,
quando fu a portata di voce, gli lanciò la propria sfida. L’uomo l’accettò
subito e fece scostare i propri uomini per andare ad affrontare il Grande
Maestro. Gli occhi del Vegliardo scintillavano di ferocia. Il duello ebbe
inizio. L’assassino aveva una tecnica veramente spietata ed efficace, basata su
assalti e affondi fulminei, ma Isaia riusciva a difendersi perfettamente da quegli
attacchi. Non gli fu neppure difficile riuscire ad infliggere un paio di ferite
mortali al fianco e al petto del suo avversario.
Il
Vegliardo della Montagna si stupì, ma non parve dispiaciuto e nemmeno arrabbiato,
anzi, con un sorriso disse: “Poco importa. Ho fatto ciò per cui mi hanno
pagato.”
Isaia
si meravigliò e chiese: “Chi ti ha pagato? Per cosa?”
Il
morente continuò a guardarlo, ghignando senza rispondere. Isaia, allora, gli
mise in testa la mano sinistra e si affrettò ad attingere informazioni, prima
che spirasse. Cercò rapidamente: c’erano moltissime immagini, per fortuna tra
quelle più recenti c’era anche quella che spiegava il perché di quegli
attacchi. Isaia vide, tra i ricordi di quell’uomo, la figura di Serventi che
ordinava: “Distrai i templari, tienili occupati il più a lungo possibile. Io
devo pensare a Roma e a risolvere un paio di faccende lì, prima che questi
patetici invasati vengano a metterci il naso. Fa' in modo che ti seguano e che
si concentrino solo su di voi e che non abbiano modo di scoprire quel che sta
accadendo a Roma. Pensi di farcela?”
Isaia
inveì! Avevano abboccato in pieno! Da giorni i templari concentravano
tutte le loro attenzioni e sforzi sulla setta degli assassini e non avevano la
minima idea di quel che stesse accadendo altrove. Accidenti! Chissà che diavolo
stava combinando Serventi! Oh, Gabriel, che ti avrebbero combinato questa
volta? Come avrebbe cercato di provocarti il Candelaio? Forse, però, non era
ancora accaduto nulla, forse Isaia era ancora in tempo per fermare qualsiasi
macchinazione in atto. In fondo, mica tutti i templari erano impegnati contro
gli assassini, se fosse accaduto qualcosa di grave, ci sarebbe stato
sicuramente qualcuno che avrebbe fatto in modo di avvertire il Grande Maestro.
Era, però, anche vero che da due o tre giorni erano in una zona dove non c’era
segnale per i telefonini e dunque non si potevano avere comunicazioni con
Istanbul. C’era però un altro fattore che rassicurava Isaia: Michela, l’ultima
volta che le aveva parlato, gli aveva detto che tutto era tranquillo e normale,
che non stava accadendo nulla di particolare. E se gli avesse mentito? Se fosse
stata in combutta con Serventi? No, non vedeva nessuna motivazione per mettergli
alle costole quella ragazzina. E poi, suvvia, lui aveva visto la sua anima,
l’aveva conosciuta e poi, dopo aver ritrovato sé stesso, aveva anche riscoperto
la sua amicizia con lei: escludeva a priori che lei potesse avergli mentito,
per cui allontanò quel pensiero.
Isaia
lasciò perdere la questione assassini: ormai era risolta. Doveva scoprire che
cosa stesse accadendo a Roma e impedire il peggio. Chiamò AbdelNassen e gli affidò il comando delle ultime questioni
da sbrigare e del rientro; lui si scelse un paio di templari che lo
riaccompagnassero ad Istanbul velocemente. Recuperarono una delle jeep e si
misero subito in viaggio, alternandosi alla guida per non doversi fermare
neppure la notte. Il secondo giorno, Isaia sentì il telefono squillare, lo
prese e vide che la chiamata veniva dalla Casa Madre sotto Santa Sophia. Temette. Sperando che volessero solo sincerarsi del
buon esisto dello scontro con gli assassini, rispose in latino: “Ecce!”
“Gran
Maestro, buongiorno. Finalmente riusciamo a prendere contatto con voi. La
questione del Vegliardo della Montagna?” l’interlocutore era piuttosto nervoso.
“Risolta.
Dimmi perché hai chiamato.” Isaia aveva perfettamente capito che c’era
qualcos’altro sotto e temeva di sapere di cosa si trattasse.
“Ci
arrivano pessime notizie da Roma. Serventi è riuscito a scatenare l’eletto.”
Gabriel!
“Dai
giornali online che stiamo consultando e dai blog, pare essere tutto iniziato
tre giorni fa. Antinori ha subito accuse di pedofilia.”
“Lo
stesso giorno è stato assaltato una specie di centro d’assistenza che lui aveva
recentemente aperto. Ci sono stati diversi morti.”
“Chi
è stato?”
“Questa
è la cosa più strana: non si sa. I testimoni parlano di gente vestita di
bianco, uno nomina addirittura i templari! Ma voi non avete ordinato nulla di
tutto ciò.”
“No,
infatti. Il nostro nemico ha voluto far ricadere la colpa su di noi per ciò che
lui stesso ha fatto, per essere certo che il suo demone si scatenasse, questa
volta definitivamente.”
“Che
cosa dobbiamo fare?”
“Per
ora prenotatemi un biglietto aereo per Roma. Poi mi farete raggiungere dagli
altri. Sto rientrando praticamente solo, ma voglio ripartire subito:
devo vedere di persona cosa stia accadendo.”
La
conversazione al telefono proseguì ancora un poco; per lo più furono riportate
frammentarie e confuse notizie su ciò che stava accadendo a Roma. Isaia era
alquanto preoccupato per le informazioni ricevute: se le cose stavano davvero
così, allora si prospettava un terribile scontro. Ma perché Michela non lo
aveva avvisato? Le era successo qualcosa? Forse Gabriel aveva scoperto il suo
legame con lei … Oh, questo sarebbe stato tremendo!
Isaia
decise di mettersi il cuore in pace e di avere risposte, contattando lui stesso
la ragazza. Si concentrò e cercò l’energia dell’amica: gli parve di trovarla,
però non gli rispondeva; lui la chiamava, cercava di avvicinarsi, ma era come se
lei non lo sentisse. Perché?
Forse,
mentre era in viaggio, non riusciva a concentrarsi sufficientemente, per cui
decise di aspettare di tornare ad Istanbul. Il viaggio con la jeep sarebbe,
infatti, finito da lì a poche ore, poi Isaia avrebbe preso un treno che lo
avrebbe condotto piuttosto rapidamente a destinazione.
La
mattina di due giorni dopo, il Gran Maestro entrò nella sede sotterranea. Era
arrivato in città nella notte. Si fece aggiornare sulle novità: non molte,
purtroppo. Da due giorni Roma era isolata, i politici erano fuggiti e non si
avevano notizie del Papa.
Isaia
non pensava che la situazione potesse diventare talmente grave in così poco tempo.
Il suo aereo sarebbe partito nel tardo pomeriggio e sarebbe arrivato a Milano;
da lì, avrebbe dovuto arrangiarsi con treni e automobili per arrivare nell’Urbe
Immortale. Purtroppo non si aveva idea di come fosse la viabilità in quel
momento.
Isaia
aveva già pronta la valigia, era piuttosto impaziente. Doveva trovare la
maniera di far passare quelle ore che gli rimanevano ad Istanbul. Gli venne in
mente che, forse, avrebbe potuto portarsi dietro alcune delle traduzioni dei
testi che aveva fatto. Immaginava che a Michela avrebbe fatto piacere leggerli
e studiarli … sperando che stesse bene! Era certo che fosse viva, poiché ne
percepiva l’energia, tuttavia non era ancora riuscito a parlarle. Lei non reagiva
alle sue chiamate, era come diventata insensibile, sorda. Perché? Le era
successo qualcosa o non gli voleva parlare?
Che
non gli volesse parlare, ad Isaia pareva impossibile!
Si
diceva, quindi, che doveva esserle capitato qualcosa e questo pensiero lo preoccupava.
Se fosse stata catturata da Serventi? Beh sarebbe stato un motivo in più per
scovare quell’uomo. Forse, ormai, la setta del Candelaio non era più
clandestina.
Ad
ogni modo sperò che quella ragazza stesse bene, poiché lui, purtroppo, non poteva
metterla in cima alle proprie priorità. Arrivato a Roma, avrebbe fatto qualche
tentativo di rintracciarla e questo, diceva a se stesso, non era per egoismo,
ma solo perché lei probabilmente avrebbe potuto aggiornarlo sui fatti ed
aiutarlo.Non avrebbe, però, potuto
perdere tempo per cercare lei: fermare Gabriel era più importante che ritrovare
la giovane e Michela sarebbe stata assolutamente d’accordo su questo.
Isaia
andò, quindi, nella stanza delle reliquie e iniziò a sfogliare le varie
traduzioni, indeciso su quali portarsi dietro: avrebbe voluto prenderle tutte!
Avrebbe però dovuto accontentarsi di sceglierne tre o quattro da prelevare
subito, mentre le altre se le sarebbe fatte portare successivamente dai
rinforzi.
Mentre
era lì che sceglieva, ebbe l’impressione che ci fosse qualcun altro, nella
stanza. Si voltò per guardare se fosse entrato qualcuno, ma non sembrava ci
fosse nessuno. Isaia riprese la propria faccenda, ma non fu abbandonato dalla
fastidiosa sensazione di essere osservato. Era certo di avere degli occhi
puntati contro, ma non capiva chi e come lo stava spiando. Spazientito si alzò
in piedi e per perlustrare la sala. Passò vicino alla testa di San Giovanni,
che lo impressionava parecchio: insomma, vedere carne viva su un cranio mozzato
da duemila anni, con tanto di sangue che sgocciolava, non è uno spettacolo a
cui ci si abitua con facilità.
Per
la prima volta, notò che la testa aveva le palpebre sollevate e mostrava gli
occhi saggi del Battista. Tra l’altro, per come era posizionato, aveva le
pupille rivolte ad Isaia, il quale si disse che, probabilmente, anche quello era un
elemento che rendeva ancor più fastidiosa quella reliquia.
L’uomo
girò per la stanza ma non trovò nessuno, tornò verso lo scrittoio e si accorse
che pure da quel lato aveva l’impressione che la testa mozzata lo guardasse. Si
mise ad osservarla e a spostarsi dalla sua destra alla sua sinistra e viceversa
e notò che gli occhi di San Giovanni erano come quelli di certi quadri che ti
fissano sempre, indipendentemente dalla tua posizione. La cosa lo inquietò
ancor di più.
“Beh,
perché mi guardi e non favelli?!”
Isaia
trasalì, istintivamente fece un balzo all’indietro e si mise in guardia,
fortunatamente, nonostante la sorpresa e lo spavento, riuscì a non urlare e quindi non
attirò l’attenzione d’altri. Fissò la testa morta e si chiese se fosse stata
davvero quella a parlare o se si fosse trattata di un’allucinazione.
“Che
razza di Gran Maestro sei, se ti inquieta tanto fare due chiacchiere col buon
vecchio Giovanni?”
Isaia
era basito, rimase in silenzio qualche momento, poi farfugliò: “No, beh è che
non ho … Non me lo aspettavo, ecco, sono solo meravigliato.”
“Cos’è
che non ti quadra?”
“È
normale che tu parli?” si avvicinò alla testa per osservarla meglio: era viva,
gli occhi guizzavano e la bocca si muoveva per parlare.
“Senti,
sono San Giovanni il Battista, cugino di Gesù il Nazareno: se voglio
chiacchierare, lo faccio, punto!”
“Oh,
sì, ne hai pienamente diritto …” era ancora alquanto sconcertato.
“Beh,
sì, poi c’è quella questione che da quando sono qui, forse da prima, non
ricordo,non ho mai potuto dialogare con
nessuno o quasi.”
“Perché?
Va bene che sono tre secoli che nessuno entrava qui, ma prima?”
“Beh,
ecco, io posso anche parlare, ma non è semplice trovare qualcuno che mi senta.
Insomma, sono morto! Posso comunicare solo con medium o magi che abbiano un
forte legame con la dimensione dei defunti, oppure con manifestazioni di entità
psicopompe come te!”
Isaia
pensò che ciò era plausibile: in fondo, secondo la liturgia tradizionale,
caduta in disuso negli ultimi decenni, l’Arcangelo Michele aveva il compito di
condurre le anime dei morti nell’aldilà e di pesarle sulla bilancia per vedere
se erano destinate al Paradiso o all’Inferno; ecco perché lui era in grado di
toccare e conoscere le anime delle persone!
“Come
mai hai deciso di parlarmi e perché solo ora?” domandò l’uomo, con grande
rispetto verso il Santo.
“Se
ti avessi parlato, mentre qua c’erano gli altri tuoi amici traduttori, ti
avrebbero preso per pazzo! Comunque, io mi trovo in queste condizioni perché
voglio aiutare e consigliare gli uomini. È sempre stato questo il mio compito:
predicare, annunciare, profetare e così via. Sono la voce che urla ne deserto,
no?”
“Chi
hai guidato con la tua saggia parola?” ormai Isaia non era più stupito, provava
solo reverenza di fronte al Battista.
“Eh,
purtroppo poca gente: le persone ascoltano solo fintanto che dici quel che
vogliono sentire. Se non lo fai ti insultano e ti dimenticano, ma poi, dopo un po’,
tornano piangendo a chiedere scusa. Da quando mi hanno chiuso qua, poi, il
mio intervento è stato molto limitato. Il massimo ascendente lo ebbi appena
morto, quando c’erano ancora i miei seguaci!” iniziò a parlare in maniera
alquanto concitata “Devi capire che, ai miei tempi, io ero molto più popolare
di mio cugino. Quando mi hanno decollato, i miei discepoli erano pronti alla
rivolta, a prendere le armi ed assaltare Erode e tutto il castello! E lo
avrebbero fatto, se non avessi parlato loro e li avessi acquietati! Ti
garantisco che avevo molti più discepoli io e la mia influenza era vastissima,
insomma, ci sarà pur stato un motivo se Giuseppe Flavio ha parlato di me e non
di mio cugino, ti pare? A quei tempi dicevano che la seconda distruzione del
tempio di Gerusalemme era una punizione per la mia ingiusta morte!” si
avvertiva, nel suo modo di esprimersi, un certo innocente orgoglio “Poi va beh,
mio cugino ha avuto più successo e man, mano io sono passato sempre più in
secondo piano, però ti faccio notare che la mia nascita è festeggiata il 24
giugno, sono speculare a Gesù! Il fatto è che io e mio cugino eravamo come le
due colonne del tempio, dovevamo collaborare e coesistere. Se la religione che
è saltata fuori dopo non fosse stata solo Cristianesimo, ma avesse capito
appieno il mio ruolo, allora sì che tutto sarebbe andato diversamente! Ma va
beh, tant’è che mio cugino ha avuto molto più successo di me. Quanti milioni di
seguaci ha? A me ne rimangono solo sessantamila, i Mandei,
e hanno le idee parecchio confuse.” sospirò! Era molto accorato nel parlare, si
lasciava trasportare dall’incredulità e rabbia verso l’incomprensione degli
umani.
Isaia
rimase molto interdetto e chiese: “Quindi, sei stato tu a raccontare ai
templari la vera storia di Gesù che sta alla base della loro dottrina?”
“Sì,
sì e sono stato io a permettere che trovassero ciò che nascondete così
gelosamente nello scrigno … Bah! Anche voi non avete capito granché, non avete
colto il punto della faccenda. Perché voi uomini fraintendete sempre tutto e vi
complicate le cose? Come i Massoni! Accidenti! Avevano capito la mia importanza
e poi vanno a sostituire il mio buon cugino Gesù e al suo posto ci mettono
Giovanni l’Evangelista; ma, dico io, come si può? Che accidenti è saltato in
testa a quelli? Le cose sono semplici: io e mio cugino, punto! Beh e poi tutte
quelle faccende di Dio, Bene e Male eccetera, eccetera, ma non è difficile, se
non vi complicate le cose da soli!”
Isaia
provava ammirazione per quelle verità, ma non poteva fare a meno di considerare
buffo il risentimento (privo di cattiveria) con cui parlava San Giovanni.
“Io
sarò felicissimo e mi riterrò onorato, se tu vorrai guidarmi e consigliarmi, in
questo frangente molto pericoloso per tutto il mondo.” disse l’uomo,
rivolgendosi con grande devozione al Santo.
“Sì,
sì, lo so in che guai vi state cacciando.” si espresse con non curanza, come se
l’imminente catastrofe non fosse altro che normale routine “Tu sei davvero
risoluto ad intervenire?”
“Certamente!”
avrebbe lottato fino alla morte.
“D’accordo.”
si convinse il Battista “Vediamo che si può combinare, questa volta.”
“Grazie,
la tua presenza sarà una risorsa davvero importante per tutti noi.”
“Beh,
direi che se devi affrontare Gabriele oscuro, ti converrà procurarti un
arsenale adeguato.”
“Gabriel,
si chiama Gabriel, non Gabriele.” lo corresse Isaia.
San
Giovanni aggrottò le sopracciglia poi disse: “Va beh, non cambia nulla. Tu
avrai bisogno dell’elmo di Costantino e della lancia di Longino.”
si era messo a parlare come un generale “Hai dei magi a disposizione, o
continuate a bruciarli?”
“Penso
che ne avremo almeno una dalla nostra parte … almeno me lo auguro.”
“Una?!”
si meravigliò la testa “Scusa, ma tu non sei un gesuita?”
“Sì,
perché?” si stupì Isaia.
“Beh,
la vostra formazione si basa molto sul magnetismo e vi avvicina tantissimo alla
magia! Uff… Dovrò spiegarvi un sacco di cose! Fa'
così, prendi anche gli scettri dei Re Magi, la verga di Mosè e il mio bastone e
la mia ciotola, sperando di riuscire a preparare qualcuno di voi per poterli
usare. Ah, e anche l’ampolla col sangue di mio cugino: tracciare un sigillo con
quello, lo rende efficacissimo. Su, su, presto! Non c’è tempo da perdere e devo
insegnarti un sacco di cose! Sperando che tu sia meno zuccone e fantasioso dei
tuoi predecessori!”
Michela
e Sebastiano si erano sistemati nella villa. Il prete, fin dal primo momento,
si era messo ad ispezionare l’edificio in ogni minimo dettaglio e, avendo
notato la moltitudine di simboli esoterici, testi d’occultismo e oggetti di uso
magico (si faceva il segno della croce ogni volta che ne vedeva uno), protestò
con la ragazza: “In che posto infernale mi hai portato? Questo è il covo di
stregoni e adoratori del demonio!”
“Guai
a te se ripeti una cosa del genere!” Lo disse con un tono che non ammetteva repliche
“Questa è la casa della mia famiglia. Erano tutti bravissime persone.”
“Erano?”
si dispiacque Sebastiano.
Alla
ragazza tornarono le lacrime agli occhi e riuscì a dire: “Sì, sono venuti qui i
colleghi di quelli che ti han ridotto in fin di vita …”
“Tu
sai chi sono quegli uomini?” chiese, convinto che la risposta fosse sì.
“Folli.
Sono più servi del demonio loro, che la gente che combattono.”
La voce era
forzatamente imbrigliata per sembrare normale, ma si potevano avvertire
chiaramente in essa note di dolore e rabbia.
Cadde
il silenzio, per un po’, finché Sebastiano spezzò la tensione, osservando:
“Immagino che non mi permetterai di esorcizzare le stanze.”
“Immagino
che lo faresti lo stesso. Fai pure, se vuoi, tanto quel che ha lasciato la mia
famiglia non aveva nulla di diabolico.” sospirò e trattenne la malinconia
“Anzi, probabilmente un esorcismo è davvero necessario: con tutti i morti che
ci sono stati e il sangue che è scorso, l’aria sarà piena di larve, che è
meglio allontanare.”
“Bene!”
esclamò il prete, felicissimo “Allora, prendi una bacinella, riempila d’acqua e
poi seguimi!”
I
due giovani si misero a girare di stanza in stanza; Michela reggeva una terrina
di plastica, riempita di acqua che Sebastiano benedisse e poi, intingendovi il
proprio pennello, il sacerdote aspergeva le camere, pronunciando frasi in
latino. Giorgio li seguì per una decina di minuti, poi si annoiò e se ne andò a
giocare altrove.
Girovagando
per la villa, i due arrivarono anche nel piccolo arsenale e, lì, Sebastiano andò
in brodo di giuggiole! Non appena vide le lame, si scordò dell’esorcismo e si
mise a prenderle in mano, accarezzarle, provarne il bilanciamento e a fendere
l’aria con serie di fendenti e affondi fluidi e tecnicamente impeccabili. Aveva
la medesima abilità nello stringere sia spade, sia alabarde, sia mazze e non
ebbe difficoltà con asce, piccole o bipenni non sembravano fare differenza per
lui. Poi afferrò uno spadino ed esclamò con emozione: “Ho sempre voluto usare
uno di questi!” schiacciò un pulsante e la lama si divise in tre parti “Sai,
quant’è crudele affondarlo nelle carni di qualcuno e poi aprirlo?”
Michela
era rimasta sconcertata da tutto quell’entusiasmo e trasporto; per non parlare,
poi, dello stupore nel vedere il prete maneggiare con tanta dimestichezza ogni
tipo di arma; infatti, gli chiese: “Sebastiano, com’è che hai tanta famigliarità
con le lame?”
“Eh?”
era talmente concentrato sull’arsenale che impiegò qualche secondo per capire
la domanda, poi ribatté: “Scusa, secondo te, com’è che mi son ridotto in fin di
vita? Ho strappato di mano una spada a uno di quei tizi vestiti di bianco e ho
iniziato a fronteggiarli! Ne ho lasciati almeno un paio sul pavimento, Dio possa
perdonare me e avere pietà di loro! Comunque, hanno capito con chi avevano a
che fare e mi hanno assalito in tre o quattro e mi hanno ridotto … beh, l’hai
visto anche tu.”
“D’accordo”
la donna era un po’ perplessa “Ma tu sei un prete, non dovresti essere contrario
alla violenza?”
Sebastiano
alzò le spalle e rispose: “Oh, beh, io sono cresciuto così! Ovviamente, da
piccolo, come tutti i bambini, giocavo con le spade di legno o anche solo i
bastoni. Poi c’erano i miei fratelli più grandi che praticavano scherma
medievale e facevano parte di un gruppo celta di rievocazione storica, quindi a
undici anni iniziai ad allenarmi anch’io e li accompagnavo alle fiere e
partecipavo pure io alle battaglie tra Galli o contro i Romani, a seconda del
tipo di festa che era. Di giorno si combatteva, ma bisognava seguire il copione
della battaglia originale, alla sera si duellava internos molto più liberamente; quanti lividi, quanti
tagli …. Bei ricordi! Mi divertivo parecchio!”
La
ragazza era sbalordita e commentò: “Non mi aspettavo che, ligio come sei alla
cristianità, apprezzassi le arti del combattimento.”
“Ma
non era finalizzata a farsi male o a sopraffarsi, era semplicemente un gioco,
un esercizio. Pratico ancora, sai? Anche se con meno frequenza e non prendo più
parte alle rievocazioni.”
“Ma,
scusa, quelle fiere non sono piene anche di pseudodruidi
e cerimonie pagane? Come facevi a tollerarle? Oggi, come oggi, probabilmente li
prenderesti a crocefissate.”
“Un
crocefisso con lama nascosta sarebbe geniale!” ragionò un attimo, tra sé, il
prete, per poi rispondere: “Iniziai ad allontanarmi dall’ambiente delle
rievocazioni proprio quando più o meno presi i voti, ma non fu colpa di
pregiudizi. Anzi, all’epoca non ne avevo, sono stati loro a farmeli venire,
quindi non sono nemmeno pregiudizi. Vedi, alla sera si bivaccava attorno ai
falò e si chiacchierava di ogni cosa. Ogni tanto capitava che qualcuno,
appartenente agli altri gruppi, mi chiedesse che cosa studiassi, io gli
rispondevo che ero seminarista e allora iniziavano a piovere insulti e
bestemmie, cominciavano a trattarmi male, a fare scherzi cattivi e anche ad
assalirmi in due o tre per volta, per il semplice fatto che disprezzavano ciò
in cui io credo. Io non sono mai stato obbediente al porgi l’altra guancia
e quindi reagivo e loro hanno avuto di che pentirsi. Quando mi resi conto che
quella era diventata la normalità, smisi di andare.” si avvertiva, nella sua
voce, il dispiacere circa come erano andate le cose.
Michela
aspettò qualche attimo, poi gli disse: “Se vuoi prendere qualche arma, fa pure.
Temo che presto ne avremo bisogno. Quando vuoi, possiamo allenarci con le spade
di legno.”
“Allora
anche tu le sai usare! Bene, bene, ci sarà da divertirsi!”
La
ragazza scosse la testa, considerando la scena al tempo stesso sia tenera che
buffa. Lasciò, poi, solo Sebastiano e andò a controllare che Giorgio fosse
tranquillo, infine, data l’ora che si era fatta, cominciò a cucinare.
Già
quella sera iniziarono ad esserci notizie circa le azioni di Gabriel. I
telegiornali parlavano di un gruppo di misteriosi individui, non si sapeva
quanti, che aveva occupato il Vaticano. Non si conoscevano i loro obbiettivi,
ma per il momento stavano facendo una strage: cadaveri di preti, suore e
guardie svizzere erano ammucchiati in piazza San Pietro.
Sebastiano
spense la televisione: non voleva vedere o sapere altro, per il momento.
Iniziava ad avere la consapevolezza della terribilità di ciò che stava
accadendo.
Nei
giorni seguenti, infatti, la situazione peggiorò. Serventi aveva raccolto a
Roma tutta la sua comunità, Gabriel aveva creato molti demoni; un simile
esercito, seppure non avesse grandi numeri, riuscì facilmente a scacciare
l’intero governo e parlamento. A quanto pareva, il loro primo obbiettivo era di
sottomettere l’Urbe immortale: Roma caput mundi, conquistata lei, tutto il
mondo è soggiogato. Per ottenere ciò, aggredivano principalmente clero e forze
dell’ordine, accogliendo chi accettava di obbedire alla nuova autorità e
uccidendo chi vi si opponeva. Alcuni civili avevano tentato di opporsi, ma non
era finita bene. Centinaia di demoni proteggevano i nuovi confini dalle minacce
dell’esercito italiano.
Michela
e Sebastiano ascoltavano le notizie e non potevano far altro che prendere atto
di quel che accadeva. Non sarebbero, però, rimasti a lungo inattivi, anzi,
presto sarebbero stati raggiunti da altri, pronti a sostenere il Bene. Ad
esempio, una delle prime cose che la ragazza aveva fatto, era stata quella di
telefonare al buddista Vairocana e dirgli di
prolungare il loro soggiorno a Votigno e di non
ritornare a Roma, come programmato. Il monaco le rispose che avrebbe informato
gli altri, ma che lui e chi avesse voluto, l’avrebbero raggiunta. Non
sarebbero, però, stati gli unici aiuti.
Erano
trascorsi un paio di giorni, quando Michela vide attraversare il salotto
Sebastiano, armato fino ai denti.
“Cos’hai
intenzione di fare?” lo richiamò la ragazza.
Il
prete, con aria molto grave e solenne, rispose: “Dei miei confratelli sono in
pericolo, sono sotto assedio: devo andare ad aiutarli!”
“Come?
Dove?” si stupì la giovane, alzandosi in piedi ed avvicinandosi.
“All’Istituto
Massimo. È un collegio gestito da gesuiti, si sono barricati lì sia i miei
confratelli che abitualmente ci lavoravano, sia quelli che sono riusciti a
fuggire dal Pontificio Istituto Orientale. Ora, però, li hanno trovati, voglio
andare ad aiutarli!”
“Uno:
come fai a saperlo?” tentò di farlo ragionare.
“Lo
sento!” scandì, imperturbato, Sebastiano.
Michela
lo guardò un attimo perplessa e poi disse: “Sì, è assolutamente plausibile.
Comunque, pensi che il tuo intervento possa essere decisivo e salvarli? Suvvia,
è inutile che ti faccia ammazzare!”
“Meglio
morire lì, per e coi miei fratelli, piuttosto che starmene qui a non far nulla!”
era risoluto e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.
“Non
sei un po’ troppo bardato?” domandò lei, notando che le lame che il prete aveva
con sé superavano la decina.
“No.
Devo armare i miei confratelli, così potranno difendersi.”
Michela
lo osservò, vide la sua determinazione, quindi disse: “Va bene, vengo anch’io.”
“No.”
la fermò lui “Non puoi lasciare tuo figlio da solo e non puoi neppure
portartelo dietro. Resta qui e aspettaci, magari prepara qualche medicamento,
perché ci saranno di sicuro dei feriti.”
La
ragazza sospirò e acconsentì: “D’accordo, come vuoi tu, Rambastiano.”
lo prese in giro, per poi aggiungere seriamente: “Aspetta solo un attimo, però,
ti do la mia spada: è stata benedetta da qualcuno di veramente speciale.”
La
donna si allontanò un paio di minuti e tornò, porgendo al prete la lama
benedetta da Isaia e gli disse: “Ricorda anche una cosa: voi gesuiti siete
predisposti per la magia. Siete formati esercitando la vostra volontà e la
vostra immaginazione, vi istruiscono nelle basi del magnetismo, conoscete le
energie del reiki. Ad aumentare la vostra forza c’è anche il fatto che la
vostre menti sono in contatto le une con le altre e vi date forza a vicenda.
Per questo, ora, hai la certezza che i tuoi amici siano in pericolo: senti quel
che essi percepiscono o provano. Sei così determinato a salvarli, non solo per
lealtà e affetto, ma perché, inconsciamente, sai che senza di loro, tu stesso
ti indeboliresti.”
“Devo
andare. Dio mi assista e ci benedica tutti quanti.” tagliò corto Sebastiano, che riconosceva delle verità in quelle parole,
ma non voleva ammetterlo.
“Va!
E quando sarai con loro, appellatevi al vostro potere e alla vostra unione, è
il solo modo che avete per salvarvi: il gesuita è in comunione con un
circolo di volontà esercitate come la sua: così ognuno dei padri è forte come
la società e la società è più forte del mondo.”
Sebastiano
uscì con queste parole nelle orecchie. La tenne a mente per tutto il tragitto.
Quando arrivò nei pressi dell’edificio, vide aggirarsi attorno ad esso ronde di
demoni a due a due. Il prete li studiò con attenzione: non aveva mai visto dei
demoni veri e propri, ma solo gente posseduta, in realtà quelli erano uomini
demonizzati, una categoria ancora diversa; ad ogni modo si fece il segno della
croce e poi continuò l’ispezione. Davanti all’ingresso principale, invece c’era
un nutrito gruppetto di demoni, che parevano prendere ordini da un paio di
uomini. Sebastiano li osservò da lontano: parevano suoi coetanei, uno aveva
capelli lunghi e trasandati, la barba e vestiva abiti strani con elementi
vittoriani e di altre epoche; l’altro aveva i capelli color miele, mossi, vaporosi,
lasciati crescere un poco.
Il
prete stabilì che non li conosceva. Si domandò come mai l’Istituto non fosse
stato già preso d’assalto: che aspettavano? Bah, era meglio non perdere tempo a
ragionare su queste cose, ma agire e in fretta! Parcheggiò l’auto vicino a
quello che era un ingresso secondario, poi, rimanendo nascosto, cronometrò
quanto tempo trascorresse tra il passaggio di una pattuglia e l’altra.
Constatatolo con certezza, attese il momento esatto per lanciarsi in una corsa
rapidissima verso l’ingresso, s’arrampicò sul cancello (che non era poi alto),
balzò dentro il cortile, raggiunse la porta e la trovò chiusa a chiave.
Controllò l’orario e si gettò dietro ad un cespuglio per non essere visto dalla
pattuglia in arrivo, la guardò passare, poi afferrò una delle mazze che si era
portato dietro e la usò per fracassare una finestra. A quel punto poté entrare
nell’edificio e corse a cercare i propri confratelli. L’istinto lo guidò e gli
permise di raggiungerli subito, senza girare a vuoto per il grande palazzo.
“Sebastiano!”
esclamò qualcuno, vedendolo entrare nella stanza “Che cosa ci fai, qui?”
“Sono
venuto a salvarvi, ovvio!” rispose con naturalezza il sopraggiunto.
“E
come? Ti sei messo in trappola anche tu!” gli fece notare uno dei gesuiti.
Sebastiano
lo guardò trucemente, poi rispose: “Intanto, prendete queste!” e iniziò a
distribuite armi ai suoi confratelli, tenendo per sé la spada benedetta.
“Le
pattuglie di demoni passano, davanti all’ingresso del liceo scientifico, ogni
centocinque secondi, un minuto e quarantacinque.” spiegò il giovane con fare
sicuro “Io ho lasciato nel vicolo di fronte un auto col navigatore impostato
per un luogo sicuro. È abbastanza grande, se vi stringete, ci state anche in
sette. Per cui, ora, ci collochiamo presso quell’ingresso, uscirete a coppie e
raggiungerete l’auto; quando sarà piena partirete, uno di voi lascerà gli altri
alla villa e poi tornerà qui a recuperare me e chi è rimasto. Il piano è
semplice, no?”
I
gesuiti concordarono, erano più o meno giovani, in tutto quattordici, contando
anche il loro liberatore. Sebastiano si mise a capo del manipolo e condusse gli
altri nell’ingresso che aveva individuato, nonostante tutti sapessero dove
fosse. Arrivati davanti al portone, l’esorcista chiese se qualcuno di loro
avesse le chiavi, ovviamente sì: erano stati loro a chiudersi lì dentro.
“Allora,
i primi due corrano al cancello, lo aprano e corrano all’auto, i tempi sono
stretti e bisogna essere rapidi, per cui è meglio se partono i due più veloci.
Se venissero scoperti, l’intera fuga sarebbe compromessa. Chi va?”
Si
fecero avanti due giovani che erano stati in seminario con Sebastiano, presero
le chiavi e, atteso il momento giusto, si gettarono fuori dall’uscio e fecero
quanto era stato loro detto, scomparendo nel vicolo di fronte, proprio un
attimo prima che i sorveglianti girassero l’angolo.
“Io
e padre Gregorio non sappiamo usare queste.” disse un prete, riferendosi alle
armi “Andremo noi al prossimo giro.” e così fu.
Sebastiano
guardò i confratelli rimasti e decise che i prossimi a dover raggiungere l’auto
fossero il corpulento padre Loreto e l’anziano monsignor Eleuterio,
che di certo sarebbero stati in grossa difficoltà, se si fosse verificato uno
scontro. Purtroppo avevano problemi anche con la velocità: se Loreto riusciva a
mantenere un passo svelto, lo stesso non si poteva dire per Eleuterio,
che normalmente usava il bastone per camminare. Mancavano venti secondi al
passaggio dei demoni e i due preti erano ancora in mezzo alla strada, poiché
Loreto non voleva lasciare da solo, indietro, l’amico. Sebastiano, allora, si
precipitò fuori dalla porta, corse in strada, si mise attorno al collo un
braccio dell’anziano e disse all’altro: “Aiutami a portarlo alla macchina!”
così lo trasportarono di peso.
Il
tempo, però, era trascorso e la pattuglia in arrivo fece in tempo a scorgerli.
Sebastiano, accortosi che erano stati scoperti, fece cenno ai suoi confratelli
di far correre all’auto l’ultimo che sarebbe partito; lui, invece, si scagliò
verso i demoni per impedir loro di dare l’allarme. Gli bastò sfoderare la spada
per vederli indietreggiare: evidentemente era stata benedetta da qualcuno di
molto potente. Approfittando di quel momento di sorpresa, affondò la lama
nell’addome di uno di loro e poi con forza la spostò di lato per squarciarlo
per bene. L’altro demone lanciò un richiamo, con un verso strano a metà tra
l’ululato e il ringhio; poi si avventò sul giovane, gli afferrò le spalle e vi
conficcò i suoi artigli. Sebastiano urlò per il dolore, ma mantenne la
lucidità, col pomo della spada colpì sotto il mento il demone che lasciò la
presa e indietreggiò, il giovane, allora ripeté lo stesso attacco che aveva
ucciso l’altro mostro e anche questa volta ebbe successo.
Ormai,
però, era tardi: i demoni avevano lanciato l’allarme e già si sentivano pesanti
passi sopraggiungere. Sebastiano corse verso l’ingresso e riuscì ad entrare
nell’edificio, prima di essere raggiunto dai demoni che ormai stavano
arrivando.
“Barricate
le finestre, presto!” ordinò Sebastiano, ma non era necessario: i suoi
confratelli stavano già radunando banchi e sedie vicino alle finestre e anche
al portone.
“Quanto
dovremo resistere?” domandò uno dei presenti.
“Nel
migliore dei casi, un’ora.”
“Se
fossero umani, le barricate resisterebbero abbastanza.” osservò uno dei gesuiti
“Ma questi esseri hanno una forza straordinaria, presto entreranno! Fratelli, è
stato un piacere e un onore servire il Signore assieme a voi!”
“Non
fare il tragico!” lo richiamò Sebastiano “Sono demoni, la nostra fede li sconfiggerà!
Hai visto come ne ho sistemati un paio, no? E allora potete fare altrettanto!
Siamo gesuiti e abbiamo già visto l’Inferno! Proprio per questo non
permetteremo che esso dilaghi sulla Terra!”
Quelle
parole galvanizzarono parecchio i confratelli.
“Ora
dobbiamo fare in modo che il portone non venga abbattuto!” li esortò
l’agguerrito prete biondo “Mettiamoci in cerchio, prendiamoci per mano e
preghiamo!”
I
gesuiti non ebbero obiezioni e fecero quanto richiesto; questo, infatti, non
era un comportamento anomalo, accadeva spesso che si raccogliessero in
preghiera in questa maniera.
Sebastiano
continuò a dirigere la situazione: “Fratelli, confidiamo in Dio, concentriamoci
sulla sua forza. Possiamo farcela, siamo pure in numero benaugurale: sette,
proprio come Sant’Ignazio e i suoi primi compagni. Iniziamo col salmo 30.”
Liberami
dalla mano dei miei nemici. In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso;
per la tua giustizia salvami. Porgi a me l’orecchio, vieni presto a liberarmi.
Sii per me rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva. Liberami
dalla mano dei nemici. Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, per il tuo nome
dirigi i miei passi. Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché tu sei la
mia difesa. Liberami dalla mano dei miei nemici. Esulterò di gioia per la tua
grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce;
non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i miei passi.
Il
salmo continuava ancora a lungo, tutti lo conoscevano a memoria e lo
pronunciavano perfettamente sincronizzati, non uno aveva un ritmo diverso, e
anche le loro voci avevano tutte la medesima sonorità, tanto che pareva un solo
unico uomo che recitasse. Il salmo vibrava intensamente nell’aria ed era
davvero efficace: il portone resisteva ad ogni colpo dei demoni e anche le
finestre reggevano.
Intanto,
vicino al cancello, erano arrivati i due umani, che guidavano i demoni. Dopo
oltre un quarto d’ora, in cui il portone continuava a rimanere bloccato, il
tizio dai capelli lunghi e vestito in maniera eccentrica, si stufò. Avanzò
verso l’uscio e ordinò ai demoni di spostarsi, quelli si divisero da un lato e
dall’altro, lasciando un varco nel mezzo. L’uomo si posizionò a pochi metri dal
portone, unì i palmi delle mani, iniziò a sfregarli rapidamente, sempre più
veloce, per creare il maggior calore possibile con l’attrito, quando sentì un
crepitio, stese le bracci in avanti e dai suoi palmi uscirono fiamme che
incendiarono il portone; poi tornò indietro, dal suo compare, con un sorriso di
disprezzo per gli assaliti. I demoni lanciarono versi di gioia e si avventarono
sull’ingresso, che ormai potevano sfondare.
I
gesuiti si accorsero di quel che stava accadendo, per cui sciolsero il cerchio,
recuperarono alcuni banchi dietro cui ripararsi e impugnarono le armi.
“Fratelli!”
disse Sebastiano che, nonostante non fosse il più anziano o alto in grado,
ormai dominava la situazione “Sono demoni, le nostre preghiere sono più
efficaci delle lame. Io consiglio il salmo 3, il 53, il 70. Oppure le formule
d’esorcismo, io prediligo quelle per l’Arcangelo Michele, poi fate vobis, anzi, siamo corretti: facitevos.”
I
demoni fecero irruzione e si scagliarono contro i gesuiti che cercarono di
respingerli, accompagnando i fendenti alle preghiere. Tuttavia le creature
infernali erano numerose, mentre i gesuiti erano solo sette e, escluso Sebastiano,
nessuno di loro padroneggiava una qualsiasi arte di combattimento. La sola
presenza di Sebastiano, tuttavia, la sua mente legata con quella dei suoi
confratelli, bastava a coordinare i movimenti degli altri, era come se stesse
trasmettendo parte della propria abilità ai suoi compagni. Questo, però, non
poteva bastare.
Nella
foga del combattimento, iniziarono ad udirsi degli spari.
Chi
sparava? Perché? Contro chi?
Sebastiano,
mormorando tra sé e sé: “Tu, Signore, sei mia difesa. Hai colpito sulla guancia
i miei nemici, hai spezzato i denti ai peccatori …” e così via, cercò di farsi
largo e di guardare oltre al portone. Vide che c’erano uomini in camicia bianca
e completo nero che sparavano contro i demoni, con scarsi risultati in realtà:
Sebastiano intuì che le armi avevano efficacia sui demoni, solo se sostenute
dalla fede e dal potere divino.
Il
giovane vide, in mezzo alla schermaglia che era in atto nel cortile, padre
Alonso che, col sigaro in bocca, osservava lo scontro senza intervenire, almeno
apparentemente. Sebastiano decise di fare un azzardo e, abbandonato il suo
posto sicuro in mezzo ai confratelli, si lanciò allo scoperto, corse in mezzo
ai demoni, vorticando la spada benedetta che già da sola induceva gli infernali
ad allontanarsi. Raggiunse Alonso e, pur continuando a menar fendenti, lo
salutò e gli disse: “È bello vederti vivo e in buona salute! Come te la sei
cavata, quando hanno attaccato il Vaticano?”
“Gabriel
non se l’es presa con me. Ho visto che la situation
era desperada e alora ho
preso gli agenti laici della Congregasione e me sono nascondito ne le catacombe! Avemo
avuto notisia de questo ataco
e semo venuti ad ajutarve.
Ma tu, com’è che te meso a novo? Tre giorni fa stavi
per morire!”
“Se
sopravvivo anche a questo, ti racconterò. Hai voglia di sistemarti in un posto
più comodo delle catacombe?”
“Seguro!”
“Quanti
uomini hai?”
“Siamo
in dieci.”
“Allora
procura tre automobili!”
Alonso
guardò il viale: vi erano parcheggiate diverse macchine. “Va bene!” disse poi,
uscendo dal cancello, mentre Sebastiano lo copriva dai demoni che tentavano di
aggredirlo.
Intanto
i due umani, che capeggiavano i demoni, scuotevano la testa, seccati da
quell’inconveniente. Quello coi capelli lunghi diede segno di voler
intervenire, ma l’altro lo bloccò, dando ad intendere che se ne sarebbe
occupato lui.
D’improvviso,
il numero di demoni crebbe a dismisura e i nuovi arrivati parevano insensibili
a qualsiasi tipo di arma o preghiera.
A
Sebastiano sembrò impossibile! Si disse che probabilmente erano solo illusioni,
allungò una mano per constatarne la vacuità e invece scoprì che erano
assolutamente tangibili. Continuò, però, a dirsi che non potevano essere reali!
Ricordò gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio, ricordò quando li aveva
praticati (guidato da Isaia) e come le visioni che costruiva nella propria
mente assumessero quasi dimensioni fisiche, come lui avvertiva vivamente il
caldo, il freddo, la sete, la fame, la fatica e tutto il resto.
“Fratelli!”
gridò a gran voce Sebastiano “Non fatevi vincere dalle illusioni di Satana!
Questi demoni non sono reali! Concentriamo le nostre menti in Dio e nella
Verità!”
I
gesuiti si ricomposero. Sebastiano poteva avvertire che stavano scacciando la
paura, ormai aveva la certezza che le parole che gli aveva detto Michela, prima
che lui uscisse, fossero vere. Lui e i suoi confratelli erano davvero in
contatto gli uni con gli altri, poteva intensificare o diminuire il legame con
loro, poteva soccorrere chi avesse dei dubbi, poteva guidarli. Il giovane, pure
nel furor della battaglia, mantenne una profonda concentrazione, cercò di
aggregare le menti dei gesuiti, di trasformare le loro sette volontà in
un’unica volontà. Vi riuscì! O almeno credette di esserne stato capace, ad ogni
modo, molti demoni scomparvero così come erano apparsi.
L’uomo
dai capelli color miele inveì e si mostrò molto sorpreso e arrabbiato, mentre
il suo compare dai capelli lunghi rideva.
Sebastiano
ordinò a due degli uomini della Congregazione di aiutare Alonso. In meno di
cinque minuti, tre auto erano davanti al cancello.
“Presto!
Alle auto!” urlò Sebastiano e si gettò nella mischia, per dare agli altri la
possibilità di correre ai veicoli.
Laici
e preti si diedero alla ritirata, nonostante i tentativi di impedirglielo, e
presto le auto furono piene. I due umani che guidavano i demoni, invece, non
parevano particolarmente interessati a fermarli. Sebastiano fu l’ultimo a
salire sull’auto, quella guidata da Alonso, e continuò a guardarsi alle spalle,
finché non fu certo che non fossero inseguiti. Avevano lasciato a terra due
gesuiti e quattro laici.
“Allora,
hermano” gli chiese l’archivista “Donde vamos?”
Sebastiano,
Alonso e i loro compagni arrivarono alla villa. Avevano telefonato a uno dei
gesuiti del primo gruppo che era partito, per avvertire di non tornare
indietro. C'erano diversi feriti, tra di loro; Michela aveva già tirato fuori
bende, disinfettanti e quant’altro servisse per le cure. Loreto era, per
fortuna, laureato in medicina (aveva fatto a lungo il missionario in Africa,
dove aveva fondato un centro ospedaliero, gestito poi da frati e suore
competenti). Lui si preoccupò dei feriti più gravi. Alonso, grazie alle sue
esperienze passate nella jungla con l’amico Pedro, durante il periodo della
guerriglia, aveva imparato a ricucire le ferite con ago e filo e quindi, ora,
stava dando una mano. La padrona di casa avrebbe voluto aiutare a propria
volta, ma Sebastiano l’avvicinò e le disse: “È meglio che non ti faccia notare.
Già io, che ti conosco, fatico ad accettare questa tua capacità, figurati come
potrebbero reagire loro. Nessuno è grave, Loreto e Alonso se la caveranno
egregiamente. Se vuoi renderti utile, pensa alle mie ferite e basta. E,
comunque, andiamo in un’altra stanza.”
Si
spostarono in una saletta attigua. Sebastiano si sbottonò la parte superiore
della tonaca e sfilò le braccia dalle maniche; quel gesto fu faticoso e
doloroso. La camicia bianca che indossava era macchiata di sangue, specialmente
attorno alle scapole.
“Non
puoi farti dissanguare così, ogni tre giorni!” lo sgridò la ragazza, in un
misto di ironia e apprensione.
Lo
aiutò, poi, a togliere la camicia e questo fece ancora più male, poiché il
tessuto si era attaccato alle ferite.
“Mi
hanno artigliato per bene, non trovi?” chiese lui con leggerezza “Non so
nemmeno come ho fatto a combattere: con queste ferite non potrei neppure
reggere una qualsiasi arma per più di un minuto. A proposito, si può sapere da
chi è stata benedetta quella spada?”
“Dall’Arcangelo
Michele.”
“Mi
prendi in giro?”
“No.
È una storia che ti racconterò, quando sarai meno scettico. Adesso, hai
intenzione di collaborare per la guarigione, o devo magnetizzarti di nuovo?”
“No,
voglio provare a comprendere come si fa. Sul potere e il legame gesuita avevi
ragione, sono quindi curioso di capire come funziona quest’altra cosa.”
La
ragazza iniziò la medicazione e spiegò, con precisione e passo per passo tutto ciò che
faceva e il perché e come agivano quelle forze. Sebastiano ascoltava con molta
attenzione, forse con la preoccupazione di capire, soprattutto, se tutto ciò
fosse demoniaco o meno.
“Ecco
fatto!” disse infine la giovane, prese in mano la camicia, la guardò un attimo
“Te ne vado a prendere una pulita.”
Più
tardi, si ritrovarono, in un salotto, la giovane, Sebastiano e Alonso col
sigaro. Tenevano consiglio.
“Alora, questa est tu casa!”
esclamò l’archivista.
“Non
proprio, io abitavo in centro, qui ci stavano i miei parenti.”
Ovviamente,
la giovane si rattristò.
Alonso
si fece un attimo scuro in volto e chiese: “Sono stati matatianco loro dai templari?”
Michela
sbalordì e chiese: “Perché lo pensi?”
Sebastiano
sbalordì e chiese: “Templari? Quelli erano templari?!”
Il
bibliotecario prima guardò il prete e rispose: “Seguro.”
poi si volse alla ragazza: “Ho dato un’ochiata per le
stanze e me è sembrato ovio che achighefosero dei magi.
Vedendo la tofacia trista
e alla luce deji ultimi fati, me è venuto naturale
pensare che …”
“Sì,
è andata così.” troncò freddamente la ragazza “Capisci bene che non ho voglia
di parlarne.”
“Seguro.” annuì Alonso e diede un lungo tiro di sigaro.
“Templari?!”
esclamò di nuovo Sebastiano, incredulo “Da dove saltano fuori?! Sono soppressi
da secoli! Chi li ha ripristinati?! Perché non ne sono stato informato?!”
“Sono
dei fanatici che agiscono sensaelpermeso de la Chiesa.” spiegò l’archivista.
“Da
dove saltano fuori, perché ora?” chiese con insistenza il giovane.
Alonso
lo guardò mestamente e lo avvertì: “Io te posoracontar, ma non te piacerebe.”
Sebastiano
rimase perplesso per quelle parole, rimase in silenzio alcuni lunghi momenti:
stava riflettendo. Poi chiese, con un amaro sospetto: “C’entra con la presunta
missione speciale di Isaia?”
L’uomo
annuì col capo, rimanendo in silenzio. Il giovane tacque per qualche altro
momento colmo di tensione, poi si decise e disse: “Dimmi tutto. Voglio sapere
come siano andate le cose, anche se mi dovesse far male.”
Alonso
sospirò e si mise a raccontare brevemente quel che era accaduto.
“Beh,
Isaia non aveva certo tutti i torti!” esclamò Sebastiano, dopo aver ascoltato
attentamente “Se aveva capito quel che Antinori avrebbe fatto, non ha di certo
sbagliato a tentare di ucciderlo.”
L’archivista
si portò una mano alla fronte, poi sospirò: “Ma non era obligatorio
che Gabriel deventase così!”
“Però
lo è diventato.” sottolineò Sebastiano, con un misto di rabbia e amarezza
generale.
Stava
pensando al suo maestro e a come era stato trattato e mal considerato da tutti,
negli ultimi tempi. Lui lo aveva capito subito che tutto quell’improvviso astio
non era normale e, ora, aveva scoperto che era pure immotivato! Tutti avevano
sostenuto il ‘povero’ Antinori, la cui vita era stata minacciata ed avevano
voltato le spalle ad Isaia. Branco di ipocriti! Chi era sempre stato ligio al
dovere e non aveva mai commesso infrazioni? Isaia! Chi aveva più volte infranto
le regole e si stava allontanando dalla Chiesa? Antinori. Bene, alla luce di
tutto ciò, a chi avete dato maggior credito?!
Stupidi!
Quasi, quasi, ve lo meritavate davvero di essere stati uccisi dal vostro cocco.
“L’ultima
volta che ho visto Gabriel” continuò Alonso “Ha deto
che è stato Isaia a ordenare l’assalto del Centro. No
pososaher se è vero. Se fose così, alorasarebe colpa sua el mutamento de Gabriel.”
Michela
era indecisa se rivelare quel che sapeva, oppure no. In fondo, era una verità
che non voleva accettare.
“È
impossibile!” dichiarò Sebastiano, irremovibile “Lui non avrebbe mai fatto una
cosa del genere! Isaia esorcizza, non uccide. È stato lui a insegnarmi il
rispetto per la vita, anche quando è corrotta dal male. Solo rarissime volte,
ha detto, si può accettare la necessità di uccidere qualcuno, ma di certo non
era il caso delle persone del Centro. Lui non c’entra nulla con quel che è
accaduto!”
“Por
el momiento, non diremo niente a li altri.”
Vedendo
il giovane così saldo e attaccato al ricordo del maestro buono, la ragazza non
se la sentì di confessare. Cercò di cambiare argomento: “Al di là di colpe e di
quel che si sarebbe potuto fare od evitare, perché coi 'se' e coi 'ma', la storia
non si fa, voi che avete intenzione di fare? Questa casa ospitava più di
quaranta persone, quindi abbiamo scorte alimentari per diversi giorni; in più,
Sebastiano ha già visto, abbiamo stalla, pollaio, conigliera, orto e frutteto.
Possiamo essere abbastanza autosufficienti, se ognuno farà la sua parte. Spero
collaborerete. Dopotutto, San Benedetto diceva: ora etlabora.”
“Veramente,
nell’originale, includeva anche il leggere.” precisò Sebastiano.
“Tranquillo: qui, circa le letture, hai solo l’imbarazzo della scelta!” lo tranquillizzò
lei, vivacemente “Ad ogni modo, logistica a parte, cosa avete intenzione di
fare? Combattere contro Gabriel e Serventi? Recuperare i preti fedeli alla
Chiesa? Opere di carità verso chi subirà angherie?”
“Lo
decederemo.” propose Alonso “Ora siamo pochi, se salviamo altri hermani e hermane, forse potremo
poi pensare ad agire sul serio.”
Sebastiano
concordò: salvare chi rischiava la morte era una priorità.
“Mi
sembra giusto.” convenne Michela, ma poi scoccò un’occhiata al giovane e lo
ammonì: “Tu, però, evita di fare il Rambo!”
I
due preti si misero a ridere.
I
gesuiti e i laici della Congregazione iniziarono dunque a vivere nella villa e,
dopo un paio di giorni, arrivò anche Vairocana con
altri tre monaci buddisti.
Sebastiano,
che grazie allo scontro all’Istituto Massimo era divenuto consapevole del
potere che, effettivamente, possedevano i gesuiti, aveva iniziato a fare esercizi,
preghiere e meditazioni assieme ai confratelli per scoprire quanto potessero
realmente fare. Michela gli dava occasionalmente consigli e delucidazioni.
In
uno di quei primi giorni, la ragazza si trovava nella stalla a mungere, quando
si recò da lei padre Alonso che, dopo averla saluta, disse: “Segundo me, te non
es stadamuy sincera con
noi.”
“Perché?”
chiese la ragazza, continuando ad essere concentrata sul proprio lavoro.
“Se
è vero quel che c’hai deto, che la tufamija era de magi ed es
stata matata dai templari, porchéghe sono in esta casa i
libri di Isaia? Sono seguro che siano i suoi: dentro
hanno i sommari personalisatiscriti
de suo pugno. Penso che i templari abianomatato li abitanti de la vila e
poi l’abianoocupada e che
tu es una de loro.”
La
donna prese il secchio col latte, lo andò a versare in un barile, si spostò ad
un’altra mucca e nel frattempo disse solo: “Ammetto solo la presenza dei libri
di Isaia qua. Tutto il resto lo nego.”
“Como
es finida aquiachì la su biblioteca?”
La
ragazza sospirò e iniziò a raccontare: “Ho conosciuto padre Isaia poco tempo
fa. Venne da me per una verifica della vostra Congregazione. Parlammo a lungo e
lui decise di non dire nulla né al Direttorio, né ai Templari a cui già
apparteneva. Non mi ritenne un pericolo, nonostante usassi la magia, o almeno
così interpretai il suo gesto. Quando dovette sparire dalla circolazione, lo
ospitai alcuni giorni in casa mia e provvidi a recuperare i suoi libri.”
“Eri
tu la traslocatrice endesponiente?” si meravigliò
Alonso “Hai usato la magia per non farterecognosere?”
“No,
una semplice parrucca. Con le trasmutazioni non me la cavo ancora bene.”
“Trasmutacioni?”
“Sì,
a dire il vero non si cambia realmente il proprio aspetto o quello degli altri,
ma è più una questione di manifestazione esteriore dell’immagine interiore ….
Ma non è questo il punto.”
“Sai
donde sta Isaia, adesso? Hai contactos con lui?”
Michela
sospirò, tenne il capo chino e controvoglia riferì: “Si è fermato da me pochi giorni,
è poi andato a Istanbul per essere riconosciuto come Grande Maestro.”
“Quindi
es probabile che veramente es stado lui a ordenar l’assalto al Centro.”
“E
ai miei parenti in questa villa.” precisò la ragazza “A parte lui, chi avrebbe
potuto informare i templari?”
“Forse
è stato obligado ad ablar.”
ipotizzò Alonso, accorgendosi che la giovane provava una grande delusione.
“No.”
scosse il capo lei, amareggiata “Ero in contatto telepatico con lui. Mi ha
raccontato che è stato riconosciuto come Gran Maestro e mi ha chiesto di tenere
d’occhio Gabriel. Lui mi aveva promesso che non avrebbero più ucciso
indiscriminatamente, io mi sono fidata e gli ho raccontato tutto. E poi …”
“E
poi?”
“Beh,
è stato quel che è stato.” dalla voce si avvertiva che la ragazza stava
trattenendo un pianto imminente.
“L’hai
più sentido?”
“No.
Dopo quella notte di stragi, ho troncato i rapporti con lui. Ha cercato di
contattarmi, più di una volta, in questi ultimi giorni, ma non gli ho risposto.
Non voglio più essere ingannata da lui.”
“Porqué hai nascosto todo quanto e
non ce l’hai deto subito?”
“Cambia
qualcosa? Credi di poter ragionare coi templari, a questo punto?”
“No. È vero che, por molti di noi,
la situacion non cambia, ma non pensi a Sebastiano?
Lui ha diritto de sahere la verità!”
“Certo! E, nel migliore dei casi,
si deprimerebbe; nel peggiore, si unirebbe anche lui ai templari.” rispose
seccamente la donna.
“Lo scoprirà comunque, prima o
poi, e si arabierà, se saprà che noi ne eravamo
consapevoli e non gli abbiamo detto nula.”
“L’hai visto anche tu, però: è
così convinto che Isaia non possa aver ordinato quelle stragi! Lasciamolo nella
sua illusione ancora per un po’! E poi, anche a me sembra strano che mi abbia
mentito così bene! D’accordo, è un gesuita, dunque è addestrato anche
all’inganno, ma sono piuttosto certa che a me non possa dire bugie, senza ch'io me ne accorga.”
“Se pensi que ci sia stato un
malinteso, porqué non gli rispondi, quando tenta de ablarte? Hai forse paura che lui, envece di smentire,
confermi i sospetti?”
Michela esitò. Poi, lasciando
trasparire al quanto la sua preoccupazione, ammise: “Sì, voglio alimentare la
speranza, finché non mi saranno sbattuti in faccia fatti ancora più evidenti di
quelli che si sono già verificati. Isaia è l’unico che può fermare questo
Gabriel. Se, però, si è abbandonato a una cieca furia e violenza, allora le
speranze di ripristinare lo status quo sono quasi nulla! Io ho bisogno di
sperare!”
“Queentiendi?”
“Intendo dire che se Isaia è
diventato un folle sanguinario, Serventi troverà la maniera di farlo riappacificare
con Gabriel e loro, unendo le forze … beh, hai visto cosa può fare Gabriel da
solo, prova ad immaginarlo aiutato da un Isaia parimenti pericoloso.”
“La vedo grigia!” constatò
Alonso, accendendosi un sigaro.
“Non è neppure lo scenario
peggiore.” lo informò lei, prendendo il secchio di latte.
“Quepuòeserce de pejo?” si stupì l’archivista.
“Se saranno quattro, anziché due,
l’Inferno sarà sulla Terra.”
“Ghe
sono altri dospotensialiminace?”
“Ebbene, sì!”
“Chi?”
Michela esitò qualche momento, poi
mentì: “Non ne ho idea.”
Isaia era finalmente arrivato in
Italia con indosso di nuovo la sua tonaca nera da gesuita. Era arrivato di
notte, dopo il breve viaggio in aereo, non aveva voluto riposarsi, ma aveva
preso un taxi e si era fatto portare nella stazione centrale di Milano. Lì,
aveva controllato orari e tragitti dei treni, ovviamente nessuno arrivava più
fino a Roma, al massimo si fermavano a Viterbo o Rieti e poi c’erano alcuni
trenini regionali che portavano fino ai comuni limitrofi ai nuovi confini. Il
gesuita non batté ciglio, fece il biglietto e si preparò al lungo viaggio.
Arrivato fino alla località più estrema, l’uomo noleggiò un’automobile e si
diresse verso Roma. La sua valigia e le reliquie erano adagiate con cura nel
bagagliaio o nel sedile posteriore.
Isaia era alquanto impensierito:
dalla Urbe non c’erano notizie certe da diversi giorni. I giornalisti erano
praticamente spariti; tutto ciò che si sapeva lo si poteva desumere dai profili
facebook o di altri social network, ciò rendeva le
cose ancora più caotiche. Ognuno poteva scrivere quel che gli pareva, postare
foto più o meno ritoccate e dunque era impossibile capire quale fosse la verità
e comprendere la gravità della situazione. Nel migliore dei casi, ognuno
esprimeva il proprio punto di vista e la medesima situazione assumeva almeno
una ventina di sfumature diverse. Nel peggiore, invece, la gente si inventava
le cose per attirare l’attenzione, o per il semplice gusto di prendere in giro
gli assenti.
Isaia, inoltre, era preoccupato per
Michela. Ancora non gli rispondeva! Lui riusciva a percepire la sua energia,
però lei non reagiva. Ormai aveva rinunciato a contattarla, si limitava a
controllare di riuscire sempre a individuare la sua presenza. Cosa le era
successo? Stava bene? Gabriel le aveva fatto qualcosa? Oppure era finita nelle
mani di Serventi?
Voleva scoprirlo al più presto,
così da potersi poi dedicare al proprio dovere senza distrazioni o
preoccupazioni minori.
Isaia vide, in mezzo alla
carreggiata, un posto di blocco: tre demoni sorvegliavano la strada,
probabilmente per evitare a chi era dentro la loro zona di uscirne.
L’uomo fermò l’auto e scese:
anche se aveva fretta, non poteva esimersi dal provvedere a sbarazzare il mondo
dagli esseri infernali. Inoltre, era piuttosto certo che non lo avrebbero
lasciato passare tranquillamente.
“Un prete.” osservò uno di loro
“Sei venuto ad abbracciare il nuovo culto? In tal caso sei il ben venuto.
Altrimenti, vattene, o troverai la morte!”
“Facciamogliela trovare
comunque.” propose un altro.
Isaia, impassibile, estrasse il
crocefisso, lo ostentò davanti a sé, verso quei demoni, e gridò: “In nomine
Pater etFiliusetSpiritus Santo, ego vos ire impero. Ite! Ite!”
Il gesuita stava facendo appello
alla sua vampa interiore. Il suo corpo iniziò a risplendere e bastò quella luce
a impaurire i demoni, che cercarono di fuggire, ma lui, velocemente, con la
mano sinistra li toccò uno dopo l’altro ed essi si trasformarono. Il lato
demoniaco scomparve e loro tornarono ad essere semplici esseri umani. I tre
uomini si guardarono stupefatti, ricordavano perfettamente quel che era loro
successo: come Gabriel li avesse trasformati e quel che avevano fatto dopo;
erano stupefatti, increduli.
Isaia non si curò ulteriormente
di loro, tornò in auto e ripartì.
“Ottimo lavoro!” gli disse la
testa di San Giovanni, collocata dentro a uno scatolone, sistemato sul posto
accanto a quello del guidatore.
“Come hai fatto a vedere da lì?”
“Mio cugino avrebbe potuto
vederti?”
“Sì, certo.”
“Ecco, io non sono da meno!
Quando ti abituerai a quest’idea? A questo proposito, non è che al prossimo
esorcismo, potresti aggiungere anche il mio nome, nell’invocazione? Sai, così
la gente inizia ad abituarsi all’idea che sarò parificato a Gesù.”
“Va bene, va bene, ma con calma!”
Il Battista storse il naso e disse:
“Ecco, mi sa che, anche questa volta, la verità non salterà fuori.”
Isaia sospirò e concluse: “Prima
evitiamo l’Inferno in Terra, poi provvediamo alla riforma religiosa.”
Il gesuita continuava a guidare.
Non sapeva di preciso dove stesse andando: aveva focalizzato il suo spirito
verso l’energia di Michela e ora si lasciava condurre dall’istinto, nella
speranza che lo conducesse da lei. La buona riuscita di ciò ebbe conferma,
quando l’uomo riconobbe le zone in cui stava passando, come quelle in cui si trovava
la villa dei parenti della ragazza. Infatti, dopo non molto, parcheggiò l’auto
proprio davanti a quella casa. Notò che c’erano altre macchine ferme, ma non
ci fece caso. Sentiva che la ragazza era lì dentro, per cui, al momento, gli
interessava solo ottenere spiegazioni sul suo non rispondere. Arrivò alla porta
e bussò un paio di volte, prima che qualcuno gli aprisse. Isaia si sorprese nel
trovarsi davanti, dall’altra parte dell’uscio, l’anziano don Eleuterio. Il gesuita rimase un poco perplesso, ma vinse
subito l’incredulità, entrò e chiese solo: “Buongiorno padre, lei dov’è?”
L’altro gesuita capì che si stava
riferendo alla padrona di casa e dunque gli rispose: “È al piano di sopra.
Credo sia con padre Alonso e Sebastiano.”
Isaia quasi non ascoltò la
seconda frase: corse verso le scale e le salì in gran fretta, sollevando un
poco la tonaca, affinché non gli fosse d’intralcio. Mentre saliva, ebbe il timore che
la ragazza fosse in pericolo: se i gesuiti erano arrivati fin lì e tra loro
c’era pure Sebastiano, non era certo al sicuro!
Si trovò in un corridoio su cui
si aprivano varie porte; istintivamente andò verso sinistra e varcò la terza
porta.
Sentendo dei passi così
frettolosi rimbombare nel corridoio, Michela si era avvicinata alla soglia per
vedere chi stesse arrivando così agitatamente.
Isaia, vedendosela davanti, tirò
un sospiro di sollievo: “Grazie a Dio stai bene!”
Di istinto la abbracciò, ma fu
solo per pochi secondi. Si ricompose quasi immediatamente.
Sebastiano osservò stranito, non
capendo come mai il suo maestro conoscesse la ragazza.
Michela guardò dritto negli occhi
Isaia e, con voce rotta, supplicò: “Ti prego, dimmi che non hai dato ordine di
attaccare il Centro di Gabriel e questa casa.”
“Mai fatto.” assicurò lui, ricambiando
lo sguardo, attraverso le lenti degli occhiali.
“Ti credo.”
Michela gettò le braccia al collo
dell’uomo, appoggiò la fronte sul suo petto. Isaia rimase un attimo freddo, ma
poi la strinse e con una mano le carezzò i capelli.
Alonso, col sigaro tra le labbra,
li guardò qualche istante e, tra sé e sé, sorrise e scosse bonariamente la
testa.
“Gli assassini avevano il compito
di distrarmi, dando così la possibilità a Serventi di agire qui. Appena ho
saputo, sono tornato indietro.”
“Scusami, se ho dubitato di te.”
Michela stava piangendo per il sollievo, rimanendo accoccolata con lui “Avrei
dovuto capire che è stato Serventi ad architettare tutto! Ci ha guadagnato solo
lui! Ha ottenuto Gabriel, ha ucciso chi poteva essergli d’ostacolo, s’è preso i
miei cugini ed è riuscito a farmi essere arrabbiata con te, per fortuna solo
per qualche giorno. Scusami, scusami davvero!”
“Non ci pensare, l’importante è
che ci siamo chiariti.”
Fu necessario che Sebastiano si
avvicinasse e richiamasse l’attenzione: “Maestro!”
Isaia si scosse, lasciò la
ragazza e abbracciò il discepolo, dicendosi molto lieto di vederlo sano e
salvo. Dopo di ciò si accostò ad Alonso e mestamente gli disse: “Mi spiace per
l’aggressione che hai subito, un paio di mesi fa, e mi scuso per la parte che
ne ho avuto.”
“Non ci pensar, hermano!” lo perdonò l’archivista con un sorriso, ma poi si
fece serio e chiese: “Como posoesere
certo che davero non tieni colpa con l’agresione al Centro? E bada che non pòiconvinserme con un abraciocomo hai fato con la chica. Me
sembra strano che Serventi abiaordenato
de matar la gente dotata de potere che lui sostiene.”
“Gli premeva scatenare Gabriel.”
si difese Isaia “Qualche sacrificio lo poteva ammettere, specialmente se di
gente che ancora non era nella sua cerchia.”
“Avrebesacrificadopore i suos: quelli che Gabriel ha matato!”
fece notare Alonso.
“Non so.” ammise l’altro “Mi è
stato riferito che si è parlato di Templari, ma non ho idea di chi fossero.”
“Beh, erano tizi poco
raccomandabili!” borbottò Sebastiano “Mi hanno quasi ucciso! C’era quel tizio
coi capelli rossi che …”
“Capelli rossi, hai detto?” lo
interruppe Isaia, attraversato da un dubbio.
“Sì.”
“Descrivimelo.”
“Beh, ero un po’ impegnato a
difendermi, non sono stato a guardarlo. Aveva i capelli rossi ed era pallido,
insomma, aveva la faccia da Irlandese, anche il nome lo era. I suoi compagni lo
hanno nominato un paio di volte, si chiamava … Fu .. Fi
…?”
“Fylan?”
“Sì, esatto! Lo conosci?”
“Ho avuto il dispiacere di
conoscerlo, sì.” spiegò Isaia “Era il capo della fazione che si è opposta alla
mia nomina a Grande Maestro. Probabilmente, Serventi ha saputo del suo
risentimento verso di me e ha deciso di sfruttare lui e gli altri scontenti,
per attuare il suo piano. Così, si è liberato pure di un po’ di templari. È troppo
astuto quell’uomo!”
“Cos’hai intencione de fare,
ahora?” domandò Alonso “Clamare i templari e fare guera a Gabriel?”
“No, se si può evitare.” rispose
Isaia “Voglio parlare con Gabriel, vedere se riesco a farlo rinsavire. Se lui
dovesse rimanere nell’oscurità, allora sarò costretto a convocare l’Ordine, per
proteggere i cittadini … e prendere provvedimenti più drastici.” si vedeva che
quell’ipotesi lo dispiaceva “Alonso, posso contare su di te per parlare con
Gabriel? Io mi presenterò a lui, tenterò di capire e di farmi capire, ma lui
sarà molto arrabbiato con me. A te non ha nulla da rimproverare, per cui, forse,
ti darà maggiormente ascolto.”
“Seguro,
hermano, sarò muyfelize de colaborar!”
“Maestro!” intervenne Sebastiano,
con gravità “Io ho dovuto scontrarmi con i nuovi seguaci di Antinori, so quanto
sono pericolosi. Permettimi di accompagnarti: voglio proteggerti, nel caso ti
aggredissero.”
Isaia ragionò qualche momento,
poi acconsentì: “Grazie. Se per caso porti un pugnale, tienilo ben nascosto,
non voglio che pensino che andiamo lì con cattive intenzioni.”
Michela sospirò e disse: “Beh, Rambastiano non può certo difenderti dagli attacchi di chi
è dotato di poteri, almeno per il momento. Verrò anch’io con voi, per pensare a
quel fronte, se sarà necessario.”
Isaia
avrebbe preferito non interporre altro tempo e andare subito a fare
l’ambasciata, ma era molto stanco: da prima di raggiungere la setta degli
assassini, lui era costantemente in viaggio e non riusciva a riposare
decentemente. Pensò che, per la buona riuscita della diplomazia, gli convenisse
fare una bella dormita, in un letto vero, e rifocillarsi, per cui decise che
sarebbero andati a parlare con Gabriel il giorno dopo.
Sebastiano
era davvero entusiasta di riavere il proprio maestro e lo investì di domande
circa dove fosse stato, cosa avesse fatto e perché conoscesse la ragazza che li
ospitava. Isaia rispose e, man, mano che spiegava, si rendeva conto che forse
non era il caso di raccontare tutto agli altri gesuiti e ai buddisti quindi
lui, Alonso, Sebastiano e Michela concordarono sulla versione dei fatti a cui
attenersi, almeno per il momento.
Il
mattino seguente, dopo una colazione all’italiana (di cui Isaia sentiva la
mancanza), i quattro presero l’auto e si diressero verso la città per la loro
missione di pace. Non avevano una precisa idea di dove avessero potuto trovare
Gabriel, ma parcheggiarono nei pressi del Vaticano, con l’intenzione di
passeggiare in quella zona, finché non si fossero imbattuti in qualcuno a cui
chiedere. Non dovettero cercare a lungo: s’imbatterono subito in un drappello
di uomini demonizzati.
Sebastiano
avrebbe immediatamente messo mano allo spadino, che nascondeva sotto la tonaca,
e al crocefisso, ma un’occhiata di Isaia lo fermò. Il templare si rivolse ai
dannati e disse loro: “Buondì, vorremmo parlare con Gabriel, se è possibile. A
chi possiamo rivolgerci?”
Sebastiano
era alquanto perplesso per quel tipo di approccio che, però, fu efficace. I
demoni non attaccarono; forse, il solo sentire il nome del loro padrone li
rendeva meno aggressivi. Uno di loro si allontanò, mentre gli altri rimasero a
guardare in cagnesco gli umani. Trascorsero una ventina di minuti, prima che
qualcuno si presentasse. Il demone tornò con un uomo che aveva superato i
trent’anni: aveva un fisico molto possente e i muscoli di un intenso
allenamento quotidiano. Costui si portò davanti ad Isaia e si presentò:
“Davide, capo della sicurezza. Almeno, finché l’esercito non sarà meglio
definito. Allora sarò un Generalissimo.” porse la mano.
Davide
voltò il viso verso la ragazza e la rimproverò: “Perché hai rovinato la mia
sorpresa?”
Lei
si fece alquanto severa e con decisione chiese: “Gabriel ha intenzione di
riceverci, o ha mandato te ad occuparsi di noi?”
“Seguitemi,
vi aspetta nel palazzo della vostra Congregazione.”
I
quattro furono condotti nell’edificio che ben conoscevano. I quadri di santi
alle pareti erano stati tutti tolti. In una delle salette attigue alla
biblioteca, si trovava Gabriel, seduto, in maniera tutt’altro che solenne, su
uno dei seggi usati nei loro uffici dai Monsignori.
Isaia
lo guardò e, vedendo i lineamenti del Gabriel oscuro, si ricordò di quanto
grave fosse la situazione e deglutì.
L’eletto
li guardò coi tizzoni dei suoi occhi, in un misto di scherno e disprezzo. Si
passò la punta della lingua sotto i denti e disse: “Isaia, sorcio, non credevo
saresti stato così gentile, o stupido, da venire qui spontaneamente, evitandomi
la fatica di darti la caccia. Così, non c’è divertimento!” poi spostò gli occhi
sull’archivista e gli disse severamente: “Alonso, amico mio, dissociati da
questa feccia e vieni con me a ricostruire il mondo.”
“Hermano, ascoltame, io e Isaia volemoablarte.” era conciliante
e bonario “Fa’ due chiacchiere coi tu amigos.”
Gabriel
alzò il mento, dilatò le narici, dopo aver pensato qualche momento, accettò:
“Va bene. Sono curioso di vedere che illusioni avete; ma prima …” guardò
Michela e le disse: “Ti avevo promesso che, se ti avessi trovata in amicizia
con Isaia, ti avrei uccisa sotto i suoi occhi. Io mantengo le promesse.”
Sebastiano,
in un lampo, portò la mano sull’elsa; anche Isaia era pronto ad intervenire.
Tuttavia, afrenare Gabriel, che si era
alzato in piedi, fu la voce di qualcun altro: “Anche se il capo sei tu, ti
proibisco di farle del male, almeno finché non avrò risolto una vecchia
faccenda che ho in sospeso con lei.”
Sbucò,
da dietro una colonna, lo stesso uomo coi capelli lunghi e i vestiti eccentrici
presente allo scontro all’Istituto Massimo.
Gabriel
parve riflettere, poi concesse: “E sia! Alonso, tu e il cane traditore venite
con me in un’altra sala, dove parleremo tranquillamente, anche se in realtà
dovrei ucciderlo qui, su due piedi. Tu, Niklos,
invece, sei libero di risolvere la tua questione come meglio credi.”
Isaia
non era certo entusiasta di quella divisione. Lanciò un’occhiata a Sebastiano,
come per dire: Pensaci tu!; il giovane capì e annuì. Michela colse quella
preoccupazione e, telepaticamente, riuscì a rassicurare il templare: Non
temere per me, Niklos non vuole uccidermi e dubito
voglia farmi del male.
Appena
che gli altri furono spariti dietro una porta, Sebastiano chiese alla ragazza:
“Prima il tizio che ci ha accolti, ora questo. Com’è che conosci tutti, qua?”
“Vecchie
e forzate frequentazioni.” tagliò corto lei.
“Ah,
è così che definisci le persone con cui sei cresciuta?” domandò l’eccentrico,
avvicinandosi a lei “Non hai un minimo di riconoscenza neppure verso di me, il
tuo maestro?”
La
ragazza si mise a ridere e poi disse: “Certo, Bonifacio ti aveva chiesto di
prendermi sotto la tua ala e di istruirmi. Grazie al Cielo, sei tremendamente
scostante e volubile. Ti limitavi a dirmi sì e no un paio di frasi a
settimana. Ho potuto così provvedere, da sola, alla mia formazione ed evitare di
diventare come te.”
“Bah.”
Niklos scrollò le spalle “Eri piccola … Quando, poi,
hai iniziato ad avere l’età adatta, ti ho dedicato tutto il tempo e le
attenzioni necessarie.”
“Anche
eccessivamente.”
Michela
sostenne l’intenso e sgranato sguardo dell’uomo.
“Quattro
anni fa non la pensavi così.” le ricordò Niklos,
allungò una mano per farle una carezza.
La
ragazza si ritrasse e disse seccamente: “Sono cresciuta, nel frattempo.”
“Lo
vedo.” si soffermò a guardarla qualche istante, prima di chiedere: “Ma puoi
forse dire di essertene pentita?”
“No.”
dovette ammettere Michela, ma i suoi occhi furono attraversati da un balenio di
furore. Poi si voltò verso il prete e gli disse: “Vedi, Sebastiano, lui è
uno stregone. È fondamentale che tu impari la differenza fra magi e stregoni.
Il mago è padrone di sé: tramite la volontà piega la luce astralee pratica le virtù. Gli stregoni, come questo
tale, sono in balia dei vizi che li trascinano da una parte e dall’altra. È la
basilare differenza tra volere una cosa ed essere voluti da una cosa.”
Niklos fu indispettito
da quella ostentata noncuranza. Con veleno nella voce, disse: “Bonifacio ha
detto che hai qualcosa che mi appartiene.”
“Bonifacio
mente spesso e lo sai.” fu la sbrigativa risposta.
“Non
questa volta.”
Lo
stregone era alquanto arrabbiato. Afferrò il mento della ragazza e la costrinse
a guardarlo, poi l’avvisò: “Lo reclamerò, siine certa!” e svanì.
Sebastiano
si accorse della preoccupazione che si fece largo sul viso dell’amica, per cui
le chiese: “A cosa si stava riferendo?”
“Niente.
Non preoccuparti.”
Nel
frattempo, nella stanza vicina, era in atto una conversazione molto più
importante.
“Cos’è
successo, Isaia?” lo schernì Gabriel “L’ultima volta, volevi uccidermi e ora
vuoi parlare. Hai paura? Ti sei accorto di aver fatto una colossale cazzata e
ora speri di inebetirmi di nuovo con qualche vana blatera?”
“Gabriel
…”
“Sta'
zitto! Non mi interessa! Un vigliacco traditore come te deve solo tacere!”
Isaia
decise di rimanere in silenzio, per il momento, osservando se Alonso sarebbe
stato in grado di mitigare un poco l’animo dell’amico.
“Alora, hermano, te vedo informa!”
voleva prendere la conversazione molto alla larga, per non indisporre l’altro
“Como te la pasi?”
“Bene,
molto bene! Sto gettando le basi di quel che sarà il grande cambiamento del mondo!
Una nuova umanità che viva secondo natura, senza più che i deboli si rifugino
sotto quella stupida bugia e invenzione, chiamata moralismo.”
A
quelle parole, Alonso capì che non c’erano molte speranze di arrivare ad una
conclusione positiva; non quel giorno, almeno. L’archivista, però, non si diede
subito per vinto: “Ma non es un’invension,
è el volere de Dio!”
Gabriel
scoppiò in una risata davvero divertita e non riuscì a fermarsi per quasi un
minuto, quando poi disse: “Dio ha creato il mondo, la natura e le sue leggi.
Secondo te, vorrebbe che noi andassimo contro alle sue stesse regole? Guarda la
natura! Guarda come sono così semplici le cose in essa: il più forte domina; il
maschio alfa guida il branco; l’animale forte mangia il debole, quello ancora
più debole si nasconde. È così che vanno le cose! Tutte quelle fanfaronate
sulla giustizia, non sono altro che frottole inventate dai deboli! Ed erano
cose talmente assurde che hanno dovuto spacciarle per leggi divine, per
ingannare i più forti e costringerli ad obbedire. Ora, però, non sarà più così!
Il mondo uscirà dall’ombra in cui la Chiesa l’ha gettato e ognuno scoprirà come
la moralità non sia altro che la scusa per la paura!”
“Ma
noi hombresemo animali racionali.” gli fece osservare Alonso, che non sapeva più a
quali argomenti ricorrere.
“E
allora? La natura ad alcuni animali ha dato grande forza fisica, ad altri
velocità, alcuni hanno artigli, altri corna, ci sono esseri alati o quelli che
si sanno rigenerare. Noi abbiamo l’intelligenza e con essa possiamo dominare.
Essere intelligenti non significa imporsi dei limiti, ma superarli.”
“L’intelighensia è un dono de Dio, quindi …”
Lo
interruppe un’altra risata di Gabriel, che poi disse: “Se rimarrai qua, ti
spiegherò alcune verità su Dio. Se, invece, te ne andrai, potrà raccontartele
questo cane.”
Accennò
ad Isaia, che era molto scuro in volto, preoccupato anche lui per la gravità
della situazione.
“Anzi,
no, non potrà farlo!” si corresse Gabriel “Tra poco, sarà morto.”
Isaia
decise di parlare e, con calma, prese a dire: “Fratello, è vero che nella
natura possiamo leggere il messaggio divino, comprendere quali sono le forze e
le regole che lo governano, ma tu stai usando delle chiavi di lettura totalmente
sbagliate!”
“Non
ho bisogno dei tuoi piagnistei!”
“Come
non avevi bisogno dei miei giudizi e delle mi paure?” reagì con forza Isaia,
stancatosi di rimanere sempre in silenzio a subire “Se tu mi avessi dato retta
anche una sola volta, adesso non saresti qui a farneticare! Ma tu sei sempre
stato troppo orgoglioso e superbo per ascoltare parole che non fossero le tue o
che non ti facesse comodo sentire! Ogni volta che ho tentato di farti
ragionare, tu mi hai ignorato o addirittura accusato di interessarmene per lavoro, quando lo facevo soprattutto per amicizia! Mi rendevo conto di quel che sarebbe potuto accadere. Volevo evitarlo non solo per il bene comune, ma perché non volevo dover affrontare te, mio amico!”
“Non
voglio ascoltarti nemmeno adesso!” lo gelò Gabriel “Non mi importa nulla di
quello che può pensare un patetico omuncolo come te, che se l'è presa con
chi è diverso, perché ha paura.”
“Io
non ho fatto un bel nulla! Serventi ha fatto ricadere la colpa su di me perché
voleva che tu ti riducessi in questo stato!” ribadì Isaia, risoluto e fermo.
“Coniglio!
Non hai nemmeno le palle per ammettere le tue colpe!”
Lo
sguardo di Alonso guizzava da un amico all’altro, attentissimo a quel botta e
risposta. Era un po’ stupito: non aveva mai visto Isaia rispondere alle parole
istintive di Gabriel.
“Sei
così ottenebrato o non mi hai mai conosciuto davvero?” stava rispondendo Isaia
“Dovresti sapere bene che io soppeso sempre attentamente le conseguenze di
tutto ciò che faccio, in modo tale da non dovermene pentire. Io mi assumo
sempre le mie responsabilità, ma l’attacco al tuo centro non rientra in esse.”
“Se
anche non fossi stato tu, ciò non toglie che una banda di uomini deboli e
impauriti ha cercato di uccidere gente che è di gran lunga superiore a loro!
Per secoli, siamo rimasti nell’ombra, rispettosi e timorosi, abbiamo lasciato
che bruciassero i nostri fratelli per paura che capitasse anche a noi. Non ci
rendevamo conto della nostra reale forza e di come la forza può tutto. Ora le
cose cambieranno: sto insegnando agli uomini ad essere liberi davvero.” poi si
volse all’archivista “Alonso, resta qui, lascia ch’io spezzi le catene che ti
imprigionano e ti impediscono di essere ciò che sei.”
“Muchasgrasias, hermano, ma preferisco remaner
così. Io non te combaterò, ma non poso nemenoasecondarte in esta follia.”
Gabriel
parve rattristato. Per qualche istante, parve che guardasse con malinconia non
solo Alonso, ma pure Isaia. Presto, però, la rabbia tornò ad impadronirsi di
lui.
“Isaia,
cane dei falliti, per favore, dimmi che sei così vigliacco da temere la morte a
tal punto da accettare di essere mio schiavo, piuttosto che morire. In fondo,
ti è sempre riuscito benissimo obbedire.”
“Non
c’è gioia maggiore della consapevole e volontaria obbedienza a Dio.”
“Quale
Dio? Non prendiamoci in giro, entrambi sappiamo che a Dio non importa nulla di
quel che capita qui. Tu segui pure l’idolo dei deboli, se vuoi, ma io mi
ispirerò all’idolo dei potenti.”
“Gabriel,
ti prego, torna in te! Tu stesso hai definito inutile questa guerra; tu stesso
in realtà non vuoi, come me, che qualcuno di noi due muoia. Ho giurato di
fermarti a costo della mia vita o della tua, ma preferirei che non ci
spingessimo a tanto. Ritrova la tua pace.”
“Le
mie catene, vorrai dire! No. Non sarò più il servo di nessuno, sarò io il
padrone! E tu, mio falso amico, che ora fai questi discorsi ipocriti, stai pur
certo che nessuno dei due morirà. Ti trasformerò in demone e allora sarai in
mio potere. Prima, però, dovrai guardarmi mentre ucciderò la tua amichetta:
sarà un lungo spettacolo.”
“Si
può sapere perché ce l’hai tanto con lei?”
“Ti
ha permesso di assalire il mio Centro! Ha tradito!”
“Noi
non centriamo nulla con quella storia! Te lo vuoi mettere in testa?”
“Beh,
allora la ucciderò solo per il gusto di farti soffrire!”
“Perché
dovrebbe dispiacermi una sola vita, quando l’intero mondo è in pericolo?”
Gabriel
lo guardò prima perplesso, poi deluso; infine si voltò verso Alonso e gli
disse: “Ti sei sbagliato.”
Il
bibliotecario, capendo a cosa si riferisse, si mise a ridere, forse in parte nella speranza di smorzare la tensione che si andava creando, sicuramente divertito dal vedere Gabriel così deluso per il mancato successo della minaccia.
Gabriel
tornò a rivolgersi ad Isaia e lo provocò: “Illuso io a credere che tu potessi
intrattenere un qualche rapporto con una donna, che non passasse per la grata
del confessionale! Hai mai preso in considerazione che non hai nemmeno un’amica,
perché sei tremendamente noioso e bigotto, sempre immerso in tomi vecchi e
polverosi?”
Isaia
pensò: Ma che diamine centra?
Era
decisamente sbigottito, poi osservò: “Fratello, al momento, la mia vita sociale
non ha importanza.”
“Per
forza! Non ne hai una!”
“Gabriel,
cerchiamo di non divagare. Perché d’improvviso ti sta a cuore la mia cerchia di
amicizie? Non ti sembra che ci siano questioni ben più importanti a cui
pensare?”
“Ti
riferisci ai tuoi compari templari, quei bastardi assassini? Perché, se è così,
hai ragione: è una questione importante a cui pensare, come ad esempio
eliminarli dalla faccia della terra, come hanno fatto loro con quelle persone.”
“I
Poveri Compagni d’armi di Gesù e del Tempio di Salomone sono un mio problema e
posso pensarci io a cambiare il loro atteggiamento. Tu, però, devi darmi una
mano! Dimostra che siete persone ragionevoli, civili, che non siete un pericolo
e io riuscirò a dare un nuovo e diverso indirizzo all’attività templare.”
La
risata di Gabriel, priva di gioia, fece rabbrividire perfino Alonso.
“Parli
proprio tu? Comandare un esercito di assassini ti sembra ragionevole e civile?”
“Ti
ho detto che sto cercando di rimediare!”
“Se
proprio vuoi essere utile, proponi ai tuoi amici l’arte stoica del suicidio.”
Isaia
scosse il capo, parecchio scoraggiato e dispiaciuto.
“A
proposito, invece di ammazzare gente, avresti fatto meglio a combinare qualcosa
con quella ragazzina. Sa un sacco di cose, forse riuscirebbe a non annoiarsi,
ascoltandoti. Credimi: è divertente. Te lo dico come amico! Lascia perdere i
templari, fammeli sterminare. Tu ti ritiri da qualche parte con quella, non ci
crei problemi, e noi vi lasciamo in pace. Che ne dici? Non è forse meglio per
tutti? Beh, ammesso e non concesso che tu sia in grado ci costruire un rapporto
con una donna."
Alonso
pensò che fosse meglio intervenire e deviare il discorso, tornando sulla
questione principale. Con fare tranquillo, domandò: “Ma com’è che d’improviso t’è venuta todaesta smania por al poder?”
“Se
uno ha un dono, è giusto che lo sfrutti e che non lo nasconda. Gesù stesso ha
raccontato la parabola dei talenti: chi li ha fatti fruttare è stato premiato,
chi li ha tenuti sepolti è stato punito.”
“Seguro! Ma i servi hanno fato frudareldinero por al loro
padrone, non por sé.”
“Infatti,
Gesù non era davvero figlio di Dio. Ha predicato una falsa dottrina ed è stato
ucciso dal più forte.”
“Ma
esresuscitado! E da lui è
nata una religione che esdifusisima!”
“Solo
perché alcuni uomini forti hanno saputo sfruttare una dottrina che piaceva ai
deboli per farli rimanere nella loro impotenza e ridurre alla stessa maniera i
loro degni avversari!”
“Sembri
un marxista dell’800!” disse con disprezzo Isaia, profondamente indignato.
Nella
stanza accanto, Michela e Sebastiano continuavano ad aspettare, quand’ecco che
arrivò Claudia. La psicologa, come li vide, si rallegrò e li salutò: “Ciao!
Sono contenta di vedervi qui! Come state?”
I
due giovani furono sorpresi di vederla così gioiosa, comunque risposero e
ricambiarono la domanda.
“Oh,
bene, benissimo! Gabriel sta per avviare una rivoluzione straordinaria e io lo
aiuterò! Sono proprio entusiasta, non vedo l’ora di cominciare!”
“Claudia,
ma sei sicura di quello che dici?” si stupì Michela “Non mi pare che …”
“Come?”
la interruppe l’altra, stupendosi “Non siete qui per unirvi a noi? Beh, vedrete
che, quando vi avranno spiegato tutto, sarete d’accordo con noi.”
“D’accordo
un accidente!” proruppe Sebastiano “Siete voi che dovete schiarirvi le idee,
non noi! Infatti, Isaia e Alonso stanno tentando di far rinsavire Antinori!”
“Isaia?!”
sbalordì Claudia e fremette di rabbia “Che cos’è venuto a fare qui?! È così
pazzo da volere ancora uccidere il mio Gabriel?! Ah, ma questa volta Gabriel
reagirà!”
“Ehi,
noi non siamo qui per uccidere nessuno!” precisò Sebastiano “Vogliamo solo
ricondurre Antinori alla ragione! Tutto questo disprezzo e odio che nutre, non
sono degni di nessuno!”
“Sfogarsi
fa molto bene!” ribatté la psicologa e spiegò: “Non è affatto salutare tenersi
tutto dentro e reprimere le proprie emozioni. Bisogna esternarle e reagire alle
oppressioni altrui. È quello che ho sempre consigliato ai miei pazienti:
esternare!”
“Un
conto è non farsi mettere i piedi in testa …” iniziò a replicare Michela.
“Umiltà
e pazienza sono virtù basilari!” fece una parentesi Sebastiano.
“Un
altro conto è uccidere o demonizzare persone solo per il gusto di esercitare la
propria forza!”
“Gabriel
è buono e quello che fa è per il bene di questa gente. Io, da psicologa, ho
sempre aiutato le persone a liberarsi dalle proprie paure, ossessioni,
debolezza, inibizioni. Adesso Gabriel sta facendo la stessa cosa! Io e lui
stiamo unendo le nostre energie per un progetto comune, proprio come una vera
coppia! Finalmente siamo uniti e ci impegneremo per creare un mondo migliore
dove nostro figlio possa crescere e vivere.”
“Un
mondo dove ognuno può fare quel che gli pare, ti sembra migliore? Quante
sopraffazioni ci saranno? Le leggi esistono per un motivo!” ribatté la ragazza.
“Non
sono altro che un patto sociale che può essere annullato!”
Michela,
in quelle parole, avvertì l’influenza di Serventi. Dannazione!
Quell’uomo era riuscito a manipolarla!
La
psicologa continuava: “Le leggi variano da stato a stato e questo dimostra come
siano relative e che non esistano di per sé. Inoltre, già adesso, vengono
calpestate e aggirate da chi è potente. Allora, va più che bene gettare questa
maschera di ipocrisia! Prima neanch’io lo capivo.
Poi, il mio Gabriel mi ha aperto gli occhi! È così saggio! E così buono, da
voler liberare l’intera umanità!”
“Claudia,
non ti rendi conto che il tuo amore per Gabriel ti sta ottenebrando?” cercò di
farla ragionare la ragazza “Lo ami a tal punto da negare i fatti e da
giustificarlo in tutto, pur di non dover ammettere a te stessa che sta
sbagliando e che stai amando un uomo, al momento, malvagio, che ha bisogno di
aiuto! Non vuoi litigare con lui e accetti tutto quel che fa, anche se sai che
non è giusto!”
“Sei
tu in errore! Hai troppa paura; di cosa, però? Se sei debole e hai paura della
forza altrui, l’obbedienza e la sottomissione ti salveranno. Se, invece, temi
un potere che hai, sei solo un’ingenua. Anche Gabriel ha temuto a lungo il
proprio potere e stava male, ora che lo ha accettato è finalmente contento.”
“La
paura non c’entra nulla.”
In
quel momento, la porta della stanza affianco si aprì e i tre uomini, che erano
là dentro a parlare, uscirono. Gabriel diceva: “La vostra ambasceria è stata
totalmente inutile. Alonso, te lo chiedo per l’ultima volta, vuoi restare qui
con noi?”
“Muydespiaciudo, hermano, ma non poso aiutarte in esto progetto, ma non te ostacolerò: el
mio dovere è quelo de socorere
i bisognosi ed è quel che farò. Nula me vieta de venirte a trovar, qualche volta.”
“Tu
sei sempre il benvenuto.” gli rispose Gabriel, amichevolmente; poi si rivolse ad
Isaia: “Essendo tu venuto qui come un ambasciatore, non ti farò male, adesso,
ma se fra cinque minuti non te ne sarai andato, la considererò un’aggressione e
reagirò di conseguenza.”
Isaia
non disse nulla, era molto mesto, deluso dal fallimento e preoccupato all’idea
della guerra imminente.
Claudia
andò subito a gettarsi tra le braccia di Gabriel e lanciò un’occhiataccia ad
Isaia.
I
due giovani guardarono la loro guida e compresero quanto fosse andato male il
dialogo.
“Ehi,
Sebastiano!” provocò Gabriel “Mi hanno riferito di come ti sei battuto
egregiamente qualche giorno fa. Potresti unirti a noi! Anche se non hai poteri,
non meriti di stare in mezzo ai deboli.”
Il
prete rispose citando versetti di vari salmi: “La mia debolezza, Dio, tu ami!
Mia forza e mio canto è il Signore. Rivestiamo la forza di Dio per resistere al
male.”
Gabriel
fece un verso di disprezzo e ricordò: “Avete cinque minuti per andarvene!”
I
quattro si avviarono verso l’uscita, in silenzio. Scesa la scala, sotto al
portico, incrociarono Teresa che stava entrando. Michela la riconobbe e si
avvicinò per salutarla e provare a scoprire qualcosa.
“Oh,
ciao!” rispose la donna “Come mai da queste parti? Gabriel e Claudia hanno
voluto parlarvi?”
“A
dire il vero, siamo stati noi a contattare loro.”
“Siete
riusciti a farli ragionare?” domandò Teresa, speranzosa.
“No.”
L’altra
donna parve dispiacersi.
“Ma,
quindi, anche tu concordi sul fatto che stiano esagerando?”
“Esagerando?
In città sembra di essere in stato di guerra!” replicò Teresa “Voi dove state,
per non esservene accorti? È il caos! Non giudicatemi male, ma quando Claudia
mi ha invitata qua e mi sono resa conto che qui potevo starmene tranquilla,
senza persecuzioni e con cibo e tutto garantito, ho accettato ben volentieri di
trasferirmi. Non condivido i loro ideali o i loro piani, ma a fare l’indignata
ci rimetto e basta. Visto che ho questa possibilità, non voglio sprecarla.”
“Non
ti biasimo.” rispose l’altra, più che altro per ispirare fiducia “Almeno, così,
puoi stare vicino a Claudia e cercare di farla tornare in sé.”
“Ho
provato a parlarle, ma non è facile. Ormai, i suoi pensieri sono solo per
Gabriel e il loro bambino, non riesce a vedere altro.” Teresa era molto
dispiaciuta.
“Hai
il mio numero di telefono?” domandò la ragazza “Potresti tenermi informata su
quel che accade, per favore? Ma solo se te la senti e se sei certa che nessuno
se ne accorga … sai, potrebbero non gradirlo.”
Teresa
concordò e rapidamente se ne andò.
“Stato di guerra, ha detto?” ragionò
Isaia “Dovremo ben capire che cosa stiano facendo.”
“Noi
ci siamo ritirati subito in campagna.” disse Sebastiano “Non ho avuto occasione
di sapere che cosa accadesse in città. Tu, Alonso, sei stato qui qualche giorno
in più: sai qualcosa?”
“Sono
stado ne le catacombe, hermano!
Abiamosentidoablare di raduni forzati nelle piaze,
ma non so de cosa se tratase.”
“Pessima
idea, chiacchierare nell’androne.” li informò la voce di Gabriel, alle loro
spalle “I cinque minuti sono scaduti.”
I
quattro si voltarono e videro Gabriel, sul gradino più basso delle scale,
accompagnato da sei demoni.
Sebastiano,
di riflesso, impugnò lo spadino: si era portato dietro quello crudele che
poteva aprirsi in tre.
“Alonso,
per favore, staccati da quei tre. Non mi importa se non vuoi aiutarmi, ma sta
lontano da loro che presto scopriranno cosa significa
mettersi contro chi ha il potere.”
Detto
ciò, Gabriel fece un cenno e i demonizzati iniziarono ad avanzare.
Isaia
non diede tempo ai suoi compagni di reagire. Tese il braccio destro, con la
mano aperta, verso Sebastiano e gli chiese lo spadino. Il giovane si stupì:
solitamente, quando avevano dovuto affrontare scontri, in passato, il suo
maestro lo aveva sempre fatto andare avanti; tuttavia non protestò e gli
cedette l’arma immediatamente.
Isaia
si voltò un attimo verso Michela: era certo che lei avesse capito le sue
intenzioni e voleva vedere se le approvava. Comunque, non avrebbe cambiato
idea.
“Gabriel,
da quando sono arrivato, non ti ho sentito parlare d’altro che di potere.
Credi davvero di essere l’unico ad averlo?”
Isaia
fece appello alla propria vampa, risvegliò il sé stesso quiescente, iniziò a
risplendere.
I
due preti rimasero basiti, con gli occhi sgranati, a guardarlo assolutamente
interdetti.
A
Michela, invece, brillarono le pupille, sia per la soddisfazione, sia per la
consapevolezza di chi avesse di fronte.
Gabriel
rimase sorpreso, in un primo momento, ma poi fu incuriosito e divertito.
Isaia
avanzò da solo. I demonizzati si avventarono su di lui che, imperturbabile, usò
lo spadino per difendersi dagli attacchi, mentre, col palmo sinistro, toccava
gli esseri, restituendoli alla condizione umana.
“Tornate
alle vostre case!”
Isaia
esortò i sei uomini che si guardavano increduli e felici. Essi se ne andarono.
Il
templare guardò dritto negli occhi il vecchio amico e sorrise.
Gabriel
fremette. Com’era possibile che Isaia potesse fare ciò? Senza neppure un
crocefisso o un’invocazione di esorcismo? Isaia era un semplice essere umano!
Non aveva mai dimostrato doti particolari, al di fuori dello studio e della
pedanteria. Da dove veniva quel potere? Da quanto lo aveva? Perché non gli
aveva mai detto nulla? Insomma, diceva tanto di essere suo amico e poi non gli
parlava di queste cose? Inoltre, da solo, aveva affrontato sei demoni senza
battere ciglio e li aveva liberati! Diavolo! Era il potere opposto al suo! Ecco
perché Isaia, nella cripta, gli aveva detto che combattersi era il loro
destino! Erano opposti, erano fatti per fronteggiarsi l’un l’altro!
Ma,
se lui, Gabriel, era l’eletto, chi era Isaia? La profezia parlava anche di lui?
Perché nessuno lo aveva avvertito che ci sarebbe potuto essere qualcuno in
grado di opporsi a lui?
Gabriel
celò la preoccupazione e lo stupore e, con un ghigno deforme, disse sprezzante:
“Non male, Templare. Credo proprio che mi farai divertire.” il suo sorriso era
terrificante “Schiacciare i deboli umani è fin troppo facile, non dà grandi
soddisfazioni, ma annientare te mi darà gloria! Assapora pure la tua speranza,
pienamente: sarà più gustoso privartene.” i suoi occhi brillarono di malvagità
“E ora andatevene!”
Isaia
si voltò e incrociò lo sguardo orgoglioso e contento di Michela.
I
quattro uscirono dal palazzo della Congregazione. Alonso era ammutolito per
l’enorme stupore. Sebastiano, invece, era febbricitante e domandò: “Maestro,
come ci sei riuscito? Mi insegnerai questo esorcismo?”
“Temo
di non poterlo fare. Non si tratta di un esorcismo, ma della mia natura.”
“Queentiendi?”
Isaia
arrossì, si sentì in imbarazzo e borbottò: “Sono l’Arcangelo Michele.”
“Que?”
“Cosa?”
“Sebastiano”
intervenne Michela “Ricordi, vero, quando ti dissi che la spada che ti avevo
prestata era stata benedetta dall’Arcangelo Michele? Ecco era a lui che mi
riferivo.”
“Tu
lo sapevi?” protestò il giovane “Perché? Non è giusto!”
“Tranquillo!”
lo rassicurò lei, scherzosa “Non è che lui lo abbia detto a me e non a te. Io
lo sapevo prima ancora che lui se ne accorgesse.”
“Se
non ve despiace, vorei
proprio capir por bene esta historia.”
“Ah,
di sicuro ne sa più lei che me.” disse Isaia “Io so solo che sono l’Arcangelo
Michele, ma mi restano un mistero il come, il perché e così via.”
“Se
es vero, esto vuol dire que tu, Isaia, es l’unico que può fermare todosesto caos!”
Isaia
sospirò e disse: “Me ne rendo conto. Un compito gravoso, ne sono onorato. Spero
di non fallire.”
“Ricordati
che non sei solo ad affrontare tutto questo.” gli disse Michela “Noi ti
aiuteremo.”
Nota dell’Autore.
Un grazie a tutti i miei lettori! Spero
che la trama vi soddisfi e che ci sia il giusto equilibrio tra spiegoni esoterici, introspezione e azione.
Un GRAZIE speciale va ad Alex Piton che (oltre a tutto il resto) oggi mi ha dato un
grande aiuto per i dialoghi tra Gabriel e Isaia!
Gabriel,
dopo aver visto Isaia liberarsi con così tanta facilità dai demoni, si era
diretto da Serventi. Lo trovò in uno dei salotti del palazzo pontificio, mentre
si rilassava suonando il pianoforte.
“Bonifacio!”
lo chiamò, urlando.
“Gabriel,
cosa c’è?” chiese Serventi, continuando l’esecuzione di un brano di Bach.
“Com’era
quel discorso, secondo cui la nostra strada è spianata e non c’è nulla che ci
possa arrestare?”
“È
così, Gabriel. Chi può fermarti? Il tuo potere è inarrestabile.” continuava la
melodia “Nessuno oserà opporsi a noi; tranne, ovviamente, quegli sciocchi
templari, ma non sono certo un problema.”
“Su
questo ho qualcosa da ridire.” Gabriel era alterato.
“Dimmi.”
“Isaia.”
Serventi
sbagliò una nota.
“È
ricomparso!” annunciò l’eletto “Ha ritrasformato in umani sei demoni. Com’è
possibile?”
Serventi
interruppe la musica, si voltò e chiese: “Davvero?”
“Sì,
l’ho visto con i miei occhi! Ti pare che mi inventi le cose? Ti ripeto: com’è
possibile?”
L’altro
uomo si alzò in piedi e iniziò a passeggiare, meditabondo.
“Allora?”
lo incalzò Gabriel “Non sembri molto sorpreso! Che cosa ne sai di questa
faccenda?”
Serventi
finalmente si fermò, si mise a sedere su un divanetto ottocentesco e disse:
“Sapevo che potenzialmente avrebbe potuto farlo, sì. Non mi aspettavo, però, lo
scoprisse, specialmente in mezzo ai templari. Scommetto che è colpa di quella
maga ostinata.”
“Chi?”
“Aveva
una ragazzetta appresso?”
“Sì,
la traditrice.”
“Ecco,
quella potrebbe dare dei problemi.”
“Lo
sapevo che dovevo ammazzarla!”
Serventi
alzò gli occhi al cielo, poi disse: “Basterebbe tenerla lontana da Isaia.”
“Beh,
mi ha seccato abbastanza! La prossima volta che mi capita, la uccido, così non
se ne parla più. Questo risolverà anche il problema con Isaia, giusto?”
“No.”
“Ma
hai detto che è colpa sua, se quel vigliacco, ora, può contrastare il mio
potere!”
“Sì,
ma la capacità è in Isaia, punto e basta. Lei può solo averlo aiutato a
trovarla.”
“Quindi
non c’è modo di neutralizzarlo?”
“Perché
ti preoccupi, Gabriel?” chiese Serventi, molto calmo.
“Quel
cane potrebbe riumanizzare l’esercito che stiamo
formando! La cosa dovrebbe lasciarmi indifferente? Che tu sappia, può riservare
altre sorprese, o posso andare tranquillo ad affrontarlo?”
Serventi
lo guardò quasi severamente e, dopo qualche istante, lo apostrofò: “Tu devi
pensare al piano principale. Isaia è un impiccio secondario.”
“Non
mi sembra.”
“Lui
è uno. I suoi templari non hanno alcun tipo di potere, se non qualche esorcismo
che, però, sarà vanificato dalla forza che infonderai nei nostri eserciti. Tu
pensa a quelli e lascia che sia io a pensare a come risolvere la faccenda
'Isaia' .”
“E
come farai?”
“Il
suo potere riguarda solo i demoni. Basterà mandare uno dei miei ragazzi, per
metterlo in difficoltà.”
“Fa’
in modo che davvero non possa crearci problemi! E alla svelta! Le spine nel
fianco vanno tolte subito, perché altrimenti rischiano di dissanguarci.”
“Non
temerlo, Gabriel, il suo fato non sarà quello di fermarci.”
L’eletto
si mise a sedere su una seggiola imbottita e rimase pensieroso. Serventi,
invece, si alzò in piedi e, prima di rimettersi a suonare, si versò un
bicchiere di brandy e chiese all’altro se ne volesse.
“Che
cosa ti turba?” chiese poi l’uomo, riprendendo la melodia interrotta prima.
“Sono
contento che hai deciso di occupartene tu. Io non ce la farei.”
“Perché
dici questo?”
Gabriel
bevve un sorso dal proprio bicchiere, prima di rispondere: “Prima, mentre gli
parlavo, mi sono reso conto che gli voglio ancora bene, nonostante tutto quello
che ha fatto.”
“Due
minuti fa, lo stavi condannando a morte.” gli ricordò Serventi, intento a
suonare.
“Lo
so. Infatti, mi devo ripetere costantemente che è stato lui a ordinare la strage
al mio Centro: devo ricordare quelle immagini, per poter essere adirato.
Nonostante questo, non riesco ad odiarlo.”
Serventi,
tra sé e sé, sorrise.
“Sai,
Bonifacio, per un attimo, prima, gli ho offerto addirittura la salvezza, a
patto che non disturbasse. Ovviamente, testardo com’è, ha rifiutato.”
“Quindi,
non lo vuoi più morto?”
“No...
Sì... Non lo so, dannazione!” Gabriel scagliò il bicchiere contro la parete “È un
pericolo per il nostro progetto, lo so! Non lo voglio ammazzare, però! Sai
cosa penso, Bonifacio?”
“Cosa?”
non sembrava minimamente turbato dalla furia dell’altro.
“Mi
piacerebbe se lui cambiasse idea e decidesse di collaborare con noi. Ma questo
è impossibile. È un nemico e come tale dobbiamo trattarlo.”
“Vedremo,
vedremo.” sussurrò Serventi, mentre la sua voce si perdeva tra le note.
Nel
frattempo, Isaia e i suoi amici erano tornati nella Villa e, riunitisi in un
salotto assieme anche a Vairocana, tennero consiglio,
sorseggiando un infuso caldo.
“Lo
scontro es inevitabile!” osservò Alonso, amareggiato
“Ma io non poso prendervi parte. Combattere non es
por me.”
“Non
ti chiederemo di farlo.” Isaia assicurò “Per le battaglie, ci sono i Poveri
Compagni d’armi di Gesù e del Tempio di Salomone. Mi preoccupa maggiormente la
situazione in città! Voglio capire che cosa stia accadendo e come possiamo
aiutare i civili.”
“Non
ti preoccupare, maestro.” intervenne Sebastiano “In questi giorni, ho avuto
occasione di rafforzare il legame con i nostri confratelli gesuiti e abbiamo
rispolverato un po’ delle tecniche e gli insegnamenti che ci trasmettono
durante il noviziato e che una volta impiegavamo spesso, mentre in questi
ultimi decenni stanno andando in declino. Permettimi di andare con loro in
città: riusciremo a studiare la situazione, carpire informazioni e, allo stesso
tempo, passare inosservati, impercettibili da chiunque non vogliamo si accorga
di noi. Potremo anche venirci in soccorso, in caso di pericolo, poiché possiamo
distintamente capire quando uno di noi corre dei rischi. Siamo spie ideali. La
tua benedizione, se ce la concederai, ci proteggerà.”
Isaia
guardò con orgoglio il suo discepolo; era fiero della sua determinazione e
della sua totale adesione alla causa.
“D’accordo,
Sebastiano, ammiro il tuo coraggio. Scegli chi vuoi e vai in ricognizione, però
portati dietro il telefono per potermi tenere aggiornato e darmi la possibilità
di intervenire, nel caso abbiate bisogno.”
“Noi,
invece, che cosa possiamo fare?” domandò Vairocana, a
nome dei propri correligioniani “Siamo qui da una
settimana, ormai, ma ancora non abbiamo fatto nulla!”
“Che
cosa vi sentite di fare?” domandò Isaia.
“Noi
possiamo medicare, ma anche scacciare i demoni.”
“Bene,
allora, appena avremo chiara la situazione in città, ne terremo conto per
l’organizzazione.” rifletté per qualche istante “Io dovrò convocare i templari.
Ormai staranno iniziando arrivare in Italia. Quando ho lasciato Istanbul, ho
lasciato predisposizioni perché mi raggiungessero al più presto.”
“Io
non vojo aver a que fare
con quejhombres.”
“Non
ti preoccupare, Alonso, non li farò venire qui. Voglio tenere aperti due
fronti: uno qui, con voi, con valenza soprattutto caritativa, per aiutare la
gente; l’altro, altrove, coi templari, in aperta ostilità con Serventi.”
“Quindi
ci lascerai?” domandò il suo discepolo.
“Cercherò
di passare di qua frequentemente. Tu, Sebastiano, mi farai da tramite: a volte
sarai qui, a volte mi seguirai dai templari per tenermi aggiornato sul vostro
operato e ricevere istruzioni. Alonso, che tu sappia, c’è possibilità che altri
membri della Congregazione si siano salvati?”
“Muydespiasudo, ma non poso
averne idea.” diede una lunga boccata di sigaro “Seguro
che altri religiososes
nasconditi in qualche luogo. Penso che potrei provar a telefonar ai mi amigos e vedere se esposibile radunarli.”
“Ottima
idea, Alonso” concordò Isaia “Grazie della collaborazione. Sarà difficile,
temo, riuscire a coordinare tutto e tutti: il vostro impegno è importante.”
“Beh,
nonostante todos, in fin dei conti, hai ancora i
pieni poteri della Congregacione.” osservò
bonariamente Alonso.
Per
come stavano le cose in quel momento, Isaia avrebbe decisamente preferito
tornare ai tempi in cui era solo un novizio.
“Ci
sono altre precisazioni da fare, o aspettiamo di avere raccolto informazioni?”
chiese il templare, scrupolosamente.
Non
parvero esserci altre questioni aperte, non risolvibili al momento; per cui
sciolsero la riunione. Isaia rimase nella stanza assieme a Vairocana
per chiacchierare un poco: era tanto che non si vedevano. Alonso e Michela si
diressero verso il cortile per lavorare nella zona fattoria e lì trovarono i
buddisti intenti a curare l’orto e il frutteto.
Sebastiano,
invece, si precipitò a convocare i gesuiti per organizzare la ricognizione.
Escludendo Eleuterio, Loreto e alcuni altri che
avrebbero potuto avere difficoltà, nel caso di pericolo, furono in otto a
partire. Pensarono fosse più prudente vestirsi in borghese, per non attirare
l’attenzione, per cui rovistarono negli armadi e trovarono senza difficoltà
abiti adeguati. Presero due automobili, affinché la fuga fosse più facile, se
fosse stata necessaria.
Avvisarono
della partenza e si diressero in città, senza altri indugi.
Decisero
di non avvicinarsi al Vaticano, dove c’era maggior rischio, ma di rimanere ad
est del Tevere. Parcheggiarono vicino all’Altare della Patria; un gruppo
avrebbe perlustrato la zona che andava verso il Colosseo e oltre, l’altro
invece si sarebbe diretto in direzione opposta.
Non
fu semplice trovare gente per le strade. Molti erano chiusi nelle case: la
maggior parte degli uffici era chiusa, i negozi erano aperti solo quelli i cui
padroni volevano difendere la propria merce dai ladri. I gesuiti erano
perplessi ma, quando riuscirono a parlare finalmente con qualcuno, capirono il
perché di tutto ciò: la legge, ogni legge, era stata abrogata. I criminali
erano stati liberati dalle prigioni: Sono le poche persone che si sono già
liberate dall’oppressione della menzogna della morale! –era stato detto.
Non
c’era più una forza amministrativa che facesse rispettare la giustizia e le forze
dell’ordine erano state per lo più cooptate da Gabriel e Serventi per imporre
il loro potere. I ricchi avevano subito provveduto a costituirsi dei propri
corpi armati per difendere sé stessi e le loro proprietà; non avrebbero, però,
potuto controllare a lungo i loro sgherri: avevano soldi per pagarli, ma loro
difficilmente avrebbero avuto possibilità di spenderli. Infatti, la maggior
parte delle risorse alimentari era stata sequestrata da Serventi. Evidentemente
era non solo un modo per indebolire la popolazione, ma anche per indurre le
persone a mettersi l’una contro l’altra, a combattersi, sopraffarsi per la
sopravvivenza, operando così una sorta di selezione naturale che avrebbe fatto
sopravvivere i più forti e i meno misericordiosi. Per incentivare tutto questo,
erano spesso organizzati in piazza combattimenti: demoni e gente coi poteri
entravano nelle case e obbligavano la gente a uscire per prendervi parte. Erano
risse miste, finalizzate a indurre la gente ad incattivirsi e ad abituarsi a
seguire l’unica legge ammessa: quella del più forte.
Se
i cittadini erano spronati a dominarsi l’un, l’altro, ben diverso era
l’atteggiamento che dovevano tenere nei confronti di coloro che erano dotati di
poteri. Quand’essi passavano, la popolazione doveva chinare la testa,
ammutolirsi e obbedire a qualsiasi ordine. Qualcuno aveva provato a ribellarsi,
a reagire, ma ciò aveva provocato rappresaglie.
La
cosa più spregevole di tutte, però, si era verificata negli ospedali: anche lì
vigeva la supremazia del più forte, le cure venivano impartite non a chi ne
avesse maggiormente bisogno, ma a chi ni riuscisse a
‘impadronirsi’ di un medico. Per fortuna, molte persone conservavano il buon
senso e, in barba alle disposizioni dei nuovi governanti, rispettavano l’ordine
che veniva loro assegnato dagli infermieri. Quel che però non si era potuto
fermare era stata la selezione, perpetrata dagli uomini di Serventi che,
guardando i ricoverati, avevano stabilito chi era abbastanza forte per essere
utile alla società e, quindi, potesse sopravvivere, e chi, invece, era troppo
vecchio o indebolito o menomato e andasse soppresso.
Quelle
erano le prove generali di Serventi, consolidata la situazione lì, avrebbe
iniziato a espandere il proprio potere e il proprio modello di società.
Ritrovatisi
alle automobili, i gesuiti constatarono, tristemente, che le informazioni
ricavate erano le stesse e non c’erano barlumi di speranza. Erano lì a
consultarsi, quando udirono un gran fra casso poco lontano e delle urla.
Sebastiano, senza consultarsi coi confratelli, iniziò a correre in quella
direzione e qualcuno lo seguì lestamente, altri con più calma.
Le
grida provenivano dal fondo della scalinata dell’Ara Coeli.
Sebastiano,
forse, si pentì della sua foga: un nutrito drappello di demonizzati, capeggiati
da un paio di umani, aveva costretto a radunarsi un discreto numero di umani,
chissà per quale motivo.
Il
giovane gesuita non ci teneva a scoprire che cosa sarebbe accaduto: voleva
sventarlo e basta. In fondo la sua filosofia era sempre stata: prima lo
esorcizzo, poi mi faccio domande. In quel frangente si trattava di impedire
qualche atrocità, per cui, afferrato il crocefisso con la sinistra, si gettò
verso i demoni gridando: “Oh Dio, nostro protettore, volgi lo sguardo e vedi
quanto sono numerosi i nemici che tormentano i tuoi servi! Accorri a difenderli
con la tua potenza e fa’ scendere su di loro la tua benedizione, perché nella
vittoria sul demonio ti riconosca Salvatore. Per Cristo, nostro Signore!”
“Amen!” gli fecero eco i suoi
confratelli sopraggiunti.
Sebastiano continuò le proprie
invocazioni ed esorcismi, aveva anche estratto la spada benedetta da Isaia e la
usava con la sua solita bravura. Dei suoi compagni, alcuni permettevano ai
poveri cittadini di fuggire e impedivano ai demonizzati di inseguirli; tre,
invece, si erano sistemati in modo tale da essere ai vertici di un triangolo e
ripetevano l’esorcismo di Papa Leone XIII; quella disposizione permetteva alle
loro forze di congiungersi ed essere maggiormente efficaci, nonché di
focalizzarsi meglio all’interno dell’area che stavano perimetrando
e al cui centro cercava di rimanere Sebastiano, che calibrava e indirizzava il
potere divino che si stava invocando con le preghiere.
I demoni, in questa maniera, erano messi
molto in difficoltà e risentivano pienamente degli effetti dell’esorcismo e
subivano facilmente le ferite inferte dai gesuiti.
Uno dei due uomini che guidavano i
demonizzati, era l’erculeo Davide che riconobbe Sebastiano, come uno di quelli
che qualche ora prima era passato in Vaticano; capì anche che proprio quel
giovane era quello che coordinava le azioni dei gesuiti e che rendeva le loro
menti salde ed unite. Davide, allora, afferrò un paio di demoni e ne assorbì
completamente le forze vitali, uccidendoli, ma caricando sé stesso di una forza
e un’energia straordinarie, le quali, nel suo corpo, non potevano neppure
essere indebolite dagli esorcismi. Si fece largo tra i suoi, raggiunse
Sebastiano e lo sfidò.
Il prete, molto corretto, vedendo
l’altro disarmato, diede la propria spada ad un confratello, poi si fece
avanti.
I due uomini si fronteggiarono.
Inizialmente Davide volle divertirsi e combatté normalmente, in un misto tra
colpi e stile lotta greco-romana, poi si stufò. Dapprima ricorse all’energia
che aveva appena sottratto ai demoni e aumentò notevolmente la forza dei propri
colpi, facendo gran male a Sebastiano, che ne risentì parecchio, poi lo atterrò
e, chino su di lui, messagli una mano sul petto, cominciò a risucchiargli
l’energia.
Il giovane provò a reagire, ma era
schiacciato al suolo, sentiva un gran dolore al torace e gli ultimi colpi
incassati lo avevano parecchio fiaccato. Inoltre, avvertiva una stanchezza
generale, si sentiva sempre più debole, i rumori gli parvero prima estremamente
insopportabili, poi li percepì come rombi lontani e la sua vista perdeva
nitidezza.
I gesuiti mantennero la calma e si
sforzarono di non perdere né la concentrazione, né la comunione mentale, ma la
apprensione per chi, in fin dei conti, li guidava contribuiva a indebolire i
loro sforzi. Questo momento di smarrimento, però, per fortuna, durò solo pochi
momenti (in quel frangente, ogni istante era essenziale!), un’altra presenza si
unì a loro e rinsaldò il legame fondamentale che rischiava di perdersi. Così
rincuorati, i gesuiti continuarono la loro opera d’esorcismo.
D’improvviso, Davide, concentrato solo
sull’assorbire l’energia del prete fino ad ucciderlo, venne sbalzato via di
parecchi metri. Nessuno capì da cosa fosse stato colpito o cosa fosse successo.
Presto, però, i gesuiti sentirono il loro potere aumentare a dismisura e lo
percepirono pure i demoni, che iniziarono a correre via, scappando
terrorizzati.
L’altro umano che guidava i demonizzati,
sbuffò seccato, rapidamente rimise in piedi Davide e scomparve.
I gesuiti si guardarono soddisfatti e
qualcuno andrò a controllare Sebastiano. I cittadini, ripresisi dalla paura,
ringraziarono calorosamente e si allontanarono in fretta, temendo che
giungessero altri demoni.
“Il polso è debole e pare aver perso i
sensi!” osservò uno dei preti che si stava accertando delle condizioni di
Sebastiano.
“Portiamolo in Villa e speriamo il
bene!”
“Un momento!” li fermò una voce.
I preti si voltarono e videro un uomo
minuto, circa sui cinquanta anni, scendere i gradini dell’Ara Coeli. Non si turbarono, poiché riconobbero subito in lui
la fonte di energia che li aveva aiutati.
“Non preoccupatevi per lui, non
necessita di cure urgenti.” li rassicurò l’uomo “Per lo più ha bisogno di
riposo, per il resto può aspettare cinque minuti. Voi siete gesuiti, giusto?
Sì. Vi riconoscerei ovunque. È bello vedere che, con tanti ordinati che ora si
nascondono, voi invece mantenete il vostro impegno, senza timore. Vorrei venire
con voi.”
“Ma lei è Delrio!”
osservò un prete.
“Sì.” confermò l’altro.
Tutti si scambiarono qualche occhiata e
rimasero un po’ perplessi, finché uno di loro disse: “Va bene.”
L’uomo si avvicinò a Sebastiano, gli
appoggiò una mano sulla fronte, mormorò una preghiera.
Il giovane aprì gli occhi. Con fatica si
rimise in piedi e, aiutato da un paio di confratelli, andò con loro alle auto e
partirono per la Villa.
Tutti furono al quanto stupiti di vedere
chi accompagnasse i gesuiti.
I suoi confratelli volevano lasciarlo
nella sua camera a riposare, ma Sebastiano insisté per andare anch’egli a
riferire ad Isaia e Alonso quel che avessero scoperto.
Come lo vide entrate, malfermo e
appoggiato alla spalla di un altro, Michela esclamò: “Rambastiano
è di nuovo andato in Berserk!”
“Non potevo fare altrimenti!” dichiarò
il giovane con fierezza e senza rimpianto.
I gesuiti raccontarono tutto per filo e
per segno e tutti quanti rimasero alquanto preoccupati per quel che accadeva:
intervenire in un qualche modo era assolutamente necessario.
“Ora che abbiamo le informazioni,
potremo organizzarci e procedere.” disse Isaia, cogitabondo “Prima di
continuare, però, vorrei ringraziare il signore che vi ha aiutati nello scontro
e sapere qualcosa di più su di lui.”
Delrio si fece avanti,
stava per presentarsi, ma Michela lo prevenne, chiedendogli: “Delrio … Martin Antoine?”
L’uomo fu piacevolmente stupito e disse:
“Sì, in persona! Da molto tempo non sentivo questo nome.”
“Sei tornato ad occuparti di politica?”
“I piaceri della giovinezza, ogni tanto,
vanno rievocati.”
“Credevo foste tutti scappati!”
“Oh, non io. Qui non si tratta più di
bisticci sofitici. Io so quel che sta accadendo, non
potevo certo rimanere indifferente.”
“Scusate se interrompo” intervenne Isaia
“Ma, dunque, lei sarebbe il fiammingo Martin Antoine, il gesuita autore di Disquisitionummagicarum libri sex, nato nel 1551
e morto nel 1608?”
“No. Non sono affatto morto nel 1608,
dovrebbe essere evidente, dato che mi trovo qua!”
“Ma il resto non lo nega? Lei è proprio
…?”
“Sì.” lo interruppe l’altro “Il
procuratore generale di Belzebù! Almeno secondo l’opinione di Voltaire. Mi
piace pensare che mi abbia chiamato così, non perché fossi in accordo con lui,
ma poiché ho mandato a morte un sacco di streghe e i miei scritti hanno
contribuito molto alla causa, in questo modo ho consegnato alla dannazione e al
demonio una gran quantità di anime. Me ne sono pentito, ho capito solo tardi
che avrei dovuto pensare a purificarle. Beh, penso di aver rimediato negli
ultimi quattro secoli.”
“Hombre, porti
muybien i tu anni!”
“Lo so, ma non chiedetemi il segreto
della mia longevità, non lo dirò. Piuttosto, Signorina” ovviamente si stava
rivolgendo alla ragazza “Come hai fatto a capire chi sono?”
“Intuito. Inoltre, lei emana una grande
energia, ho capito che era qualcuno di speciale.” spostò poi lo sguardo sul
giovane ferito “Sebastiano, lui ti potrà spiegare molto meglio di me il potere
gesuitico.”
Delrio esclamò: “Oh,
sì, volentieri! Ho osservato con attenzione il metodo d’azione di questo giovinotto, devo dire che erano ormai vari decenni che non
trovavo qualche gesuita capace di attingere discretamente alle nostre risorse.
Certo, non eguaglia quel che sapeva fare la SocietasIesu ai tempi d’oro, ma promette davvero bene. Sarò ben
felice di occuparmi della sezione gesuitica di questo …. Cosa siete? Una banda?
Una brigata?”
“Siamo servi di Dio, null’altro.”
rispose Isaia, a nome di tutti.
“Figli di Dio, ricorda, non servi, ma
figli!” gli ricordò l’uomo pluricentenario.
“Ha perfettamente ragione.” rispose
Isaia, confortato “Mi piacerebbe molto poter ascoltare la sua saggezza, le
andrebbe di dire Messa, questa sera? Credo che tutti noi abbiamo bisogno di
parole ispirate, ma temo che le preoccupazioni e le difficoltà di questi giorni
ci offuschino la mente.”
“Sarò ben lieto di celebrare.” rispose
Martin.
“Grazie.” Isaia poi si rivolse a tutti:
“Ora che abbiamo chiara la situazione in cui versa Roma, lasciamoci qualche ora
per pensare, poi domani mattina ci ritroveremo e ognuno esporrà le proprie idee
e potremo finalmente definire la nostra azione.”
I presenti iniziarono a disperdersi per
la casa. Alonso si avvicinò subito a Delrio, per
chiedergli qualcosa e anche Michela rimase ad ascoltare un poco. Isaia si
avvicinò a Sebastiano, seduto su una poltroncina, con un’espressione
sofferente.
“Come ti senti? Hai bisogno di un
medico? Chiamo Loreto?” si preoccupò il maestro.
“No, grazie.” rispose l’allievo “Credo
di avere qualche costola, se non rotta, almeno incrinata. Le cure di Loreto mi
costringerebbero a letto per giorni, preferisco evitarle. Chiama Michela, lei
mi rimetterà a nuovo in un baleno.”
“Usa arti magiche per guarire la gente?”
chiese con sospetto Isaia, che non aveva ancora conosciuto quell’aspetto della
giovane.
“Sì. Ho controllato con attenzione il
suo metodo, mi pare davvero puro. Non è stregoneria. È una versione più potente
del nostro reiki.”
Michela, così, si occupò di risanare il
giovane. Isaia volle assistere all’operazione per accertarsi che davvero fosse
tutto cristianamente accettabile. Rimasti soli, Isaia le disse, piuttosto
severamente: “Non avevo idea sapessi fare questo genere di cose.”
“Te l’ho detto, la gamma di ciò che
posso fare è varia.”
“Cos’altro sai fare?” domandò lui, forse
con aria un po’ troppo inquisitoria.
“Perché lo vuoi sapere?”
“Se vuoi aiutarmi in questa vicenda,
devo sapere che cosa sei in grado di compiere!”
“Principalmente, in situazioni di
scontro, ricorro ai sigilli dei corpi celesti, oppure posso evocare gli spiriti
elementari.”
“Non voglio che si sappia in giro.”
“Tranquillo, a parte Sebastiano, nessuno
sa nulla.” Michela sembrò seccata.
“Non è per questo.” spiegò Isaia,
rendendosi conto che la preoccupazione generale lo aveva fatto risultare un po’
troppo arcigno “Tra pochi giorni arriveranno i templari. Non so che rapporti ci
saranno tra questo posto e loro, ad ogni modo non devono sapere che cosa sei in
grado di fare. Al momento sono molto arrabbiati con la gente coi poteri: lo
erano già prima, figurati adesso che Gabriel e Serventi hanno combinato questo
macello! Se dovessero accorgersi che hai queste capacità, non sarà facile
convincerli che non sei una minaccia.”
L’uomo le si avvicinò e le mise le mani
sulle spalle e la guardò per farle capire l’importanza della questione e disse:
“Nella peggiore delle ipotesi, potrebbero assalirti e ucciderti, prima ancora
ch’io possa avere il tempo di sapere quel che sta accadendo. Mi prometti che
non farai niente di strano in presenza di qualcuno diverso da me e Sebastiano?”
“Penso che anche Delrio
possa comprendere.”
Isaia sospirò e accennò: “D’accordo,
includiamo anche lui, ma non devi fare nulla di magico quando ci saranno
altri.”
“Va bene.” acconsentì lei, sorridendo,
cercando di rasserenarlo.
“Questo vale anche per tuo figlio.
Badagli ed evita che attiri l’attenzione. La situazione è già difficile e
tragica di suo, senza bisogno che ai tanti morti ti ci aggiunga anche tu o lui.”
Era preoccupato per lei, non poteva
sopportare il pensiero che lei morisse, o che soffrisse, nel caso fosse successo qualcosa a Giorgio.
Lo stesso lo pensava anche per
Sebastiano, Alonso, Vairocana……
Gabriel …. Ma lei era quella che, al momento, poteva correre maggiore pericolo.
“Tranquillo, non mi scopriranno.”
Michela continuò a sorridergli, gli
strinse le mani poi si mise in punta di piedi per dargli un bacio sulla fronte.
Isaia si calmò.
Era forse opera di magia? –si chiese.
Per chi fosse interessato: http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Delrio
Il
giorno seguente, erano di nuovo tutti radunati per prendere finalmente qualche
decisione. Il primo a parlare fu Alonso che disse: “Hermani,
mi sembra ovio che in città esnecesarie due cose: cibo e cure mediche. Io ho
sentito molti mi amigos che sono vivi e che vojono aiutare; ahora se
nascondono, ma basta ch’io dica dove e quando e loro sarano
lì por far quel che sarà necesario. Alcuni de loro
sono medicos o infermieres
dell’hospedale della Congregacione.
Io credo che loro, più padre Loreto e me e chi vorà
dare una mano, potremo alestire una specie de hospedale per todos coloro che
non posono avere asistencia
nel regime de Serventi.”
“Mi
unisco anch’io, volentieri, a quest’iniziativa.” disse Delrio
“Sono pure medico! Sapete, in quattrocentocinquanta anni si imparano tantissime
cose. Tranquilli, ho fatto corsi di aggiornamento, di recente: ho smesso di
usare le sanguisughe e conosco l’importanza di sterilizzare gli strumenti e no,
non mi metto neppure la maschera nera col becco. Vi garantisco che sono un
dottore in medicina competente.”
Calò,
per qualche attimo, il silenzio, come capitava ogni volta che Martin facesse
riferimento alla propria età.
“Te
ne siamo molto grati.” gli disse Isaia, per poi osservare: “Certo, però, non
possiamo allestire qui un ospedale. È troppo distante dalla città! Di ambulanze
non ne abbiamo e, comunque, sia noi che i cittadini, rimarremo presto senza
benzina. Non potrebbero portare i malati qua, bisogna trovare un’altra soluzione.”
“Lo
so e ci avevo piensado.” riprese Alonso, togliendosi
il sigaro dalle labbra “L’unica solucioneque mi è venuta in mente esquela de sfrutare le catacombe.”
“Un
posto umido, freddo e buio.” fece notare Sebastiano “Non mi pare l’ideale per
gente malata.”
“Ne
sono consapevole, ma altrove esmuy
rischioso. In un edificio normale daremo muy nell’ocio!”
“Se
non mi fate domande sul come sia possibile” si offrì Delrio
“Ci penserò io a rimediare a questi inconvenienti.”
Isaia
si massaggiò un attimo la fronte: si era raccomandato con la ragazza di non
dare nell’occhio, usando la magia, e ora Martin Antoine se ne usciva con quella
frase. Pazienza! Tanto lui era già pluricentenario,
che avesse qualcosa di anomalo era già noto.
“D’accordo.”
acconsentì il templare “Alonso e Delrio, io
delegherei a voi il compito di gestire la faccenda ospedale, se siete
d’accordo. Vi lascio carta bianca!”
I
due uomini accettarono ben volentieri. Vairocana,
pure, si aggregò, assieme agli altri buddisti, al gruppo ospedaliero.
“Bene,
una faccenda è risolta. Come risolviamo, invece, la questione cibo?” continuò Isaia.
“Questo
è molto complesso.” osservò il vecchio Eleuterio “Da
quel che è emerso ieri, i produttori locali sono costretti a consegnare tutto
agli uomini di Serventi. Possono vendere solo ciò che quest’ultimi decidono di
lasciargli. Noi dovremmo cercare di convincere i produttori a consegnarci
clandestinamente parte degli alimenti, per poterli distribuire tra la gente.”
“Beh,
per questo mi offro io.” alzò la mano Sebastiano “Mi faccio un elenco delle
aziende e le vado a visitare una per una.”
“Sperando
mettano da parte, per una volta, l’avidità e decidano di collaborare.” osservò
qualcuno.
“Saprò
essere persuasivo.” dichiarò con sicurezza il giovane.
Michela
gli lanciò un’occhiataccia e lui precisò: “Con arti gesuitiche, s’intende: non
picchierò nessuno!”
“Ad
ogni modo, temo che non basterà.” affermò la ragazza, impensierita “Roma non è
comunque autosufficiente, ha sempre importato scorte alimentari. Dovremmo
trovare la maniera di far arrivare cibo dall’esterno. Mancheranno i soldi,
però!”
“E
ugualmente dovremo farlo da clandestini.” aggiunse Sebastiano “Se Antinori ci
scoprisse, cercherebbe in tutti i modi di ostacolarci.”
“Pensiamo
prima a comootenere
rifornimenti da fori e poi a como portarli dentro.”
Ancora
una volta fu Delrio ad avere la soluzione, seppure
vaga: “Datemi tempo fino a sera. Prendo la bicicletta, vado a parlare con un
paio di persone e, per l’ora di cena, vi dirò se abbiamo accesso a scorte
alimentari oppure no.”
Detto
ciò, Martin uscì dalla stanza e nessuno lo rivide fino a sera.
“Aspettiamo
che ritorni, per deliberare sulla faccenda cibo?” chiese Isaia e tutti furono
d’accordo.
“C’è
un’altra questione, però, che mi sta a cuore.” parlò di nuovo Sebastiano “Non
mi piace che demoni e gente violenta si aggirino per Roma a spadroneggiare.
Dovremmo occuparci anche di difendere la popolazione.”
“Sebastiano,
la tua compassione è lodevole.” gli disse il maestro “Ma cerca di essere
realistico: siamo sì e no in nove, a poter affrontare i demoni.”
“Dodici,
con noi!” puntualizzò Vairocana.
“Dodici
con loro” concesse Isaia “I quali, però, hanno detto che si occuperanno anche
dell’ospedale. Per affrontare la gente coi poteri o criminali comuni, ci siamo
solamente io e te. Sarebbe assolutamente inutile. Pazienta qualche giorno,
arriveranno i Poveri Commilitoni di Gesù e del Tempio di Salomone e ci penserò
con loro ad arginare la violenza.”
“Ma
nel frattempo? E poi, voi, pattuglierete le strade o vi limiterete a muovere
guerra?” Sebastiano era vivamente preoccupato per la sorte dei civili.
“Non
lo so. La mia speranza è di riuscire a sottrarre al controllo di Serventi la
maggior parte possibile di Roma; nel migliore dei casi, costringerlo in
Vaticano e basta. Da lì, poi, assediarlo. Vedremo cosa ci sarà possibile.”
“Maestro,
io non posso rimanere indifferente e starmene tranquillo, quando so che altrove
gli agenti del male sono liberi di agire. La gente patirà! E gli uomini, così
fragili, non comprendendo le sublimità di Dio, si chiederanno dove sia il
Signore, perché non li protegga; scoraggiati, poi, si faranno corrompere dal
male. Noi non lo possiamo permettere!”
Isaia
era sempre più orgoglioso del proprio allievo, ma continuava a ritenerlo troppo
irruente. Gli disse: “Se riusciremo davvero ad allestire un ospedale e a
procurare cibo, la popolazione si accorgerà che Dio non l’ha abbandonata. Se
vuoi, però, fare ancora di più, ammesso che ce ne sia il tempo, ti propongo
questo: tu, assieme a chi vorrà imitarti, visiterai le case ad amministrare i
sacramenti e a riportare la buona novella del Signore. Se ti capiterà di
incrociare demoni, potrai comportarti come meglio riterrai, ma ricorda: una
volta morto, non puoi essere utile. Siamo pochi, abbiamo bisogno di tutte le
forze possibili. Inoltre, non dimenticare che ci hanno già parlato di
rappresaglie, come risposta ai tentativi di opposizione: sei sicuro che per
salvare una vita, valga la pena di rischiare di perderne dieci?”
Sebastiano
aveva ascoltato con grande attenzione e capì il proprio errore, per cui disse:
“Grazie, maestro. Mi hai permesso ancora una volta di non concentrarmi su ciò
che ho immediatamente davanti, ma sull’intero orizzonte. Spero di aver capito
come agire.”
Parlarono
ancora diversi minuti per definire alcune cose, ma ormai il più era fatto.
Scioltosi
il consiglio e divisi trai presenti i compiti da svolgere in casa e
l’organizzazione delle varie cose, Isaia andò nella propria stanza.
“Oh,
salve!” lo salutò la testa di San Giovanni, appoggiata sulla scrivania “Allora,
di cosa avete discusso? Hai parlato di me?”
“Non
ancora. Ho, però, un’idea per iniziare a rilanciare la tua importanza.”
“Sentiamo.
Devo approvartela io!”
“Stasera
parlerò dell’importanza della tua figura, nei Vangeli, poi spiegherò che ti ho
come reliquia e infine ti collocherò in un luogo dove chiunque possa vederti e
renderti lode. Va bene?”
“Mi
pare un inizio accettabile.” convenne Giovanni, ma solo dopo aver riflettuto
qualche momento.
Qualcuno
bussò alla porta. L’uomo andò ad aprire e si trovò davanti Michela.
“Ciao,
hai bisogno?” chiese lui.
“Che
cosa posso fare io?” chiese la giovane, seccamente, entrando nella stanza
“Tutti hanno un ruolo, hanno qualcosa di occuparsi, tranne me! Mi hai vietato
di usare i miei poteri; che cosa dovrei fare, allora? Aspettare che Rambastiano si scateni e poi guarirlo? Sinceramente, vorrei
essere più utile.”
“Beh,
a te cosa piacerebbe fare?” domandò Isaia, seguendola con lo sguardo, mentre
lei si aggirava, nervosa, per la stanza.
Trovandosi davanti alla testa del
santo, la ragazza inorridire chiese: “E questo chi è?”
“Michela, ho il piacere di
presentarti Giovanni il Battista.” spiegò lui, avvicinandosi, pronto a
intervenire, nel caso la testa si fosse messa a parlare e la giovane si fosse
spaventata.
Lei
tornò a guardare il santo, questa volta senza ribrezzo, ma con devozione e
iniziò a pregare: “O glorioso San Giovanni Battista, che fra i nati di donna
fosti il profeta più grande. Benché santificato sin dal seno materno, tu
volesti ritirarti nel deserto per dedicarti alla preghiera e alla penitenza.”
Isaia
si unì alla preghiera.
“Ottienici
dal Signore il distacco da ogni ideale terreno per avviarci versoil raccoglimento del dialogo con Dio e la
mortificazione delle passioni. O martire invitto che per fedeltà alla Legge di
Dio e per la santità del matrimonio ti opponesti agli esempi di vita dissoluta
a costo della libertà e della vita, ottienici da Dio una volontà forte e
generosa affinché, vincendo ogni umano timore, osserviamo la Legge di Dio,
professiamo apertamente la fede e seguiamo gli insegnamenti del Maestro
Divino.”
“Questa
ragazza, mi sta simpatica!” esclamò il Battista.
Michela
alzò il volto, strabuzzò gli occhi, poi si volse verso Isaia e chiese: “Lui
parla?”
Giovanni
si mostrò parimenti stupito, si volse verso Isaia e chiese: “Lei può sentirmi?”
“A
quanto pare, sì!” rispose il gesuita, che sinceramente riteneva di essere
quello che ne capiva meno in tutta la faccenda.
“Sì,
in effetti c’è qualcosa in lei.” ragionò il Battista, concentrandosi sulla
ragazza, poi le domandò: “Tu, a parte Giovanni,
come mi chiameresti?”
La
ragazza rispose immediatamente: “Hod.”
La
testa guardò Isaia e gli disse: “È più sveglia di te!”
“Ma
no!” esclamò la giovane “Abbiamo studiato cose diverse.”
“Mmmh” parve dubbioso il santo “Con quel che si è letto
nelle ultime settimane, il nostro amico dovrebbe aver ormai capito. A
proposito!” si rivolse di nuovo all’uomo “I testi che ti sei portato fin qua,
li volevi far leggere a lei, immagino.”
“Quali
testi?” domandò la ragazza.
“Oh,
giusto, me ne stavo dimenticando, con tutto quel che c’è da pensare!” esclamò
Isaia “Li tiro fuori subito.” e si mise a frugare nella sua valigia.
“Vedrai,
ti piaceranno.” assicurò Giovanni, convinto di quel che diceva; poi consigliò
al gesuita: “Mi raccomando: dalle anche il mio bastone! Sono certo che lei
sappia come usarlo: mi pare più competente lei di te, circa la magia.”
“Questo
è sicuro.” rispose Isaia, tornando alla scrivania con i quaderni su cui aveva
trascritto la traduzione dei manoscritti “Tuttavia, per il momento, non se ne
parla.”
“Non
ce la farai mai ad ostacolare Gabriele e quell’altro che chiamate Serventi,
affidandoti ai templari. Massacrarvi con le spade non è la soluzione!” lo
informò il Battista.
“Lo
so, ma, visto che la faccenda è lunga, serviranno a proteggere la popolazione,
mentre io capirò come far rinsavire il mio amico.” replicò il prete.
“Ecco,
giusto!” si intromise Michela “Tornando al motivo per il quale sono passata di
qua: come posso contribuire?”
“Non
vorrei sembrare maschilista” disse Isaia “Ma, se adesso tutti saranno impegnati
in altri affari, temo dovrai occuparti tu, da sola, di cibo, orto, fattoria e
bucato … Dovrò trovare qualcun altro che ti aiuti, non puoi certo pensare da
sola di tutto quanto questo.”
“Isaia”
gli fece la giovane “Scommettiamo che, offrendo un luogo sicuro e del cibo,
troverai volontari a bizzeffe, in città, per aiutarci in queste faccende? Fosse
anche solo per riconoscenza nei confronti dell’ospedale.” era dispiaciuta,
soprattutto per il fatto di non sapersi accontentare “So che il sostentamento e
il buon ordine di questo posto e del futuro ospedale sono essenziali e
contribuirò, come ho sempre fatto. Perdona il mio orgoglio, ma io voglio fare
di più! No, dire di più non è corretto. Vorrei aiutare anche in altro modo. Mi
sento molto inutile, senza poter usare la magia.”
Isaia
la guardò con tenerezza: comprendeva la voglia, quasi frenetica, di rendersi
utili, ma unita al voler anche dare sfoggio delle proprie migliori qualità,
magari pure il desiderio di arrogarsi il merito di qualche azione risolutiva.
Era un piccolo peccato di vanità di cui anche Sebastiano aveva dato prova poco
prima; anche lui stesso, Isaia, era inciampato in quell’errore, in passato.
Standole
di fronte, appoggiò una mano sulla spalla della giovane e le chiese: “Come
pensi di poter servire la causa? Se hai delle idee, proponile.”
“Propaganda.”
rispose lei “Come dice Sebastiano, non possiamo permettere che la gente si
scoraggi. Dobbiamo stimolare le persone, invaderle di pensieri ed energie
positivi, esortare i loro sentimenti in modo da far emergere i loro ideali e
valori più nobili.”
“Mi
pare un giusto proposito, raggiungere la maggior parte dei cittadini possibili,
ci sarà utile, ma in quale modo? Che mezzi pensi si possano utilizzare?”
“Dovremmo
trovare qualche copisteria che ci sia complice e, magari, trovare un modo per
comunicare via etere. Se potessimo avere una stazione radio sarebbe l’ideale:
potremmo raggiungere tantissime persone, senza bisogno di stampare enormi
quantità di opuscoli e senza metterci in pericolo per distribuirli. Il problema
è che Serventi ha provveduto fin da subito a interrompere le comunicazioni
ufficiali e usa un ripetitore per disturbare ogni segnale, per cui non ho idea
di come si possa realizzare questo progetto.”
“Penso
che non sia impossibile, anzi! La Chiesa ha dalla propria parte un potente
mezzo, che non credo Serventi possa sabotare. Un mezzo di comunicazione inarrestabile:
Radio Maria.”
“Radio
Maria?” domandò San Giovanni “Esiste anche Radio Elisabetta?”
“Non
credo …”
“Lo
considererò un affronto personale!” protestò il Battista.
“Se
pure la vostra radio fosse davvero ancora funzionante” chiese Michela “Come
possiamo utilizzarla? Nel senso: non possiamo accamparci alla stazione radio,
dobbiamo trovare un metodo per poter parlare di qua, ma sfruttando il vostro
ripetitore.”
“Io,
a livello pratico, non me ne intendo di queste cose.” disse Isaia “A livello
teorico, invece, penso che, al giorno d’oggi, specie con le web radio, qualcuno
di competente possa trovare un sistema per poter avere in villa un computer che
comunichi col nostro ripetitore. Sai che ti dico? Andiamo a dare un’occhiata io
e te, adesso, così ci rendiamo conto di com’è la situazione e se è possibile
sfruttarla.”
I
due, dunque, presero un’auto e si diressero verso la sede di Radio Maria.
Parlarono per tutto il tempo del viaggio, non avrebbero però saputo dire di
cosa. Fu una di quelle conversazioni in cui si passa rapidamente da argomento
ad argomento, senza neppure accorgersene. Isaia, poi, ripensandoci, si stupì
della naturalezza con cui aveva chiacchierato: supponeva di essere molto più
teso in una situazione complessa com’era quella generale e per di più
aggirandosi in campo ostile. Quando arrivarono nei pressi della sede, che per
fortuna era in periferia, fecero un giro di perlustrazione per accertarsi che
non ci fossero pericoli. Non videro niente che li insospettisse, per cui
parcheggiarono l’automobile ed si avvicinarono all’edificio. Trovarono la porta
chiusa a chiave, girarono attorno alla struttura e si accorsero che tutte le
serrande erano abbassate; pareva impossibile poter entrare senza rompere
qualcosa. Decisero, allora, di cercare una finestra che fosse il più nascosta
possibile, rispetto alla strada.
“Come
l’apriamo?” domandò Isaia, dopo aver esaminato la saracinesca, calata al
massimo.
“Essere
un arcangelo ti concede una forza straordinaria, oltre a vari altri poteri.
Potresti farla saltar via, senza neppure sfiorarla.” gli ricordò la ragazza,
quasi a rimproverarlo.
“Non
userò le mie capacità per cose di questo tipo!”
“Dobbiamo
entrare” ribadì lei, spazientita “Se non attingi tu al tuo potere, allora uso
il mio. Qui non c’è nessun altro, per cui non infrango la mia promessa.”
“Aspetta!”
la fermò lui, prendendola per l’avambraccio per trattenerla “Si può sapere che
ti prende? È da ieri sera che mi sembri irritata.”
“Lo
so, scusami.” disse la giovane, calmandosi “È che, diamine, non sopporto la
paura e l’avversione di tutti verso i poteri! Aveva, allora, ragione Serventi,
a dire che avrei dovuto solo nascondermi, se non lo avessi seguito.”
“Hai
parlato con lui?” si meravigliò Isaia.
“Sì,
lo stesso giorno in cui Gabriel ha ceduto all’oscurità. Detesto doverlo
ammettere, ma ha ragione! Il suo operato, unito ai pregiudizi già radicati, ha
fatto sì che si provi solo sospetto e odio verso chi sa usare la luce astrale.
Non è giusto! Perché non posso essere libera di attingere al mio potere? Dici
che non sono i tempi adatti, ma quando lo saranno? Finché la gente vedrà il
sovrannaturale solo tra le schiere dei nemici, è chiaro che lo avrà sempre in
odio.”
Più
che ira, c’era sofferenza, nella sua voce. Isaia se n’era accorto e la guardava
dispiaciuto.
“E
poi mi fa rabbia il fatto che tu non voglia attingere al tuo potere.” si fece
incalzante “Perché? Hai paura? No: sai che se i templari ti conoscessero
davvero (e probabilmente, dopo che ti hanno visto sconfiggere Aini, ti conoscono già), allora non oserebbero criticare il
tuo potere, che è indiscutibilmente di natura divina. Ti vergogni, forse,
allora? Certo che no. Per te è un onore essere l’Arcangelo Michele.” lo guardò
con tenera comprensione “Forse un onore un po’ troppo grosso?”
Isaia,
dentro di sé, si sorprese di essere stato capito perfettamente. Fu un misto di
gravità e contentezza lo sguardo che rivolse alla ragazza, dicendole: “Sì, hai
ragione. Mi sembra una responsabilità eccessiva, essere il principe delle
milizie celesti.”
Avvicinandosi,
Michela gli disse: “Non è una responsabilità. Essere nel Direttorio della
Congregazione è una responsabilità. Essere magister
templi è una responsabilità. Essere la guida dei preti e dei religiosi, rimasti
vivi a Roma, è una responsabilità. Essere San Michele è la tua natura. Non puoi
dire di non esserne degno o di non esserne capace: sei tu! Potresti, forse,
dire di non essere in grado di essere Isaia?”
“No.”
rispose lui, colpito e interessato da quelle parole, ma un po’ a disagio per il
fatto che la ragazza si trovasse a pochi centimetri da lui.
“Vale
lo stesso discorso per l’Arcangelo.” la sua voce divenne un sussurro “Isaia può
aver paura delle responsabilità che ha, ma Michele no. Proprio perché hai così
tanti doveri, è necessario che tu sia te stesso, senza timori.” gli appoggiò
sul petto la mano sinistra, proprio come aveva fatto la prima volta che si
erano visti “Tu lo senti il tuo potere, ne percepisci la grandezza. Temi che ti
possa sopraffare? Ma esso non ha una sua volontà. È come un tuo braccio o la
tua intelligenza, è parte integrante di te e tu, tu solo, puoi decidere come
usarlo. Gabriel è così, ora, non per colpa del suo potere, ma per la sua
debolezza, per l’essersi abbandonato al male. Parla di libertà, ma è
prigioniero.”
Isaia,
attraverso le lenti degli occhiali, teneva lo sguardo dritto in quello della
ragazza. Era rapito dalla saggezza di quelle parole.
“Tu
lo sai bene che cattivo deriva dal
latino captivus
che significa essere prigioniero e servo.
Quale migliore definizione per chi, invece di essere libero in Dio, si fa
schiavo e servitore delle pulsioni e dei desideri che come parassiti cercano di
vivere, attaccandosi all’anima degli esseri?”
Lei
ricambiava quello sguardo; fu indecisa circa se spezzarlo oppure no, per
mormorargli all’orecchio, ma poi decise di non muoversi e continuò: “Tu sei
libero. Non c’è niente in Malkuth, nel mondo terreno,
che tu anteporresti a Dio e questo ti rende …” si perse a cercare la parola.
“Cosa?”
domandò il prete per inerzia.
“Ammirevole
… venerabile … colendo.”
“Colendo?”
sorrise lui “È una parola che anch’io, quasi, considero desueta.”
“La
tua totale abnegazione è la tua forza! Essa ti permetterà di manifestare tutto
il tuo potere, senza pericolo di scivolare nell’oscurità, anzi! Attingere al
tuo potere ti è doveroso, non solo per poter servire completamente Dio, ma
anche per evitare di cadere vittima delle tenebre.”
“Che
vuoi dire? Cosa potrebbe deviarmi dal giusto cammino?”
“La
sconfitta, il senso di impotenza. Disperato in questa maniera, potresti
diventare violento eferoce e
rassomigliare al Gabriel che agisce adesso.”
“È
ciò che ha traviato Gabriel?” il suo sguardo non si era mai mosso e lui non
pareva più turbato da quella vicinanza, quasi non si fosse accorto di quel
contatto.
“No.
Lui è stato vittima dell’attaccamento. Il suo amore e i suoi affetti sono
diventati un legame in grado di farlo soffrire a tal punto da dimenticare Dio e
così si è scatenato. Lo stesso attaccamento che impedisce a Claudia di vedere
la realtà dei fatti. È come alienata in un suo mondo ideale … e potrebbe
capitare anche a me, se non riuscissi più a scorgere possibilità di salvezza.
Se vedessi il male dilagare incontrastato, potrei impazzire, pur di non accettare
una simile realtà.”
La
giovane era spaventata al solo pensiero. Isaia se ne accorse e provò
l’irrefrenabile impulso di confortarla: non sopportava di vederla così
affranto. Probabilmente non si di averle messo le braccia attorno alla vita,
quando la rassicurò: “C’è sempre una speranza di salvezza. Possiamo diventare
sordi alla voce di Dio, ciechi alle Sue opere, insensibili alla Sua presenza,
ma Lui ci sarà sempre. Possiamo non accorgerci di Lui, ma Lui non ci abbandona
mai, aspetta solo di essere ritrovato. Anzi, neppure! Dio continua a
consigliarci anche quando noi ne neghiamo l’esistenza e i suoi doni sono lì che
aspettano che la foschia ci abbandoni e possiamo finalmente trovarli e
apprezzarli.”
“Possa
la nebbia non calare mai su nessuno e, in particolare, nessuno di noi due.”
“Nessuno.”
ripeté, mormorando, il prete.
Rimasero
in silenzio a scrutarsi ancora un poco; poi Michela spostò la mano dal suo
petto e lo abbracciò. Il distogliere lo sguardo fece ritornare Isaia presente a
sé stesso e solo dopo qualche secondo lui si accorse che la ragazza lo stava
stringendo.
Il
gesuita si sentì gratificato, ma non fece in tempo a chiedersi come mai, poiché
qualcuno li chiamò: “Ehi, voi!”
I
due si guardarono attorno e scorsero, dietro un angolo, una suora che accennava
loro di avvicinarsi e contemporaneamente si guardava attorno con circospezione.
“Oh,
salve!” salutò Isaia, avvicinandosi per primo “Noi cercav…”
“Shhh.” lo interruppe la monaca “Dopo! Seguitemi, e veloci!”
La
suora li condusse rapidamente ad un ingresso secondario, fece una bussata
particolare e l’uscio si aprì in uno stretto spiraglio, il minimo necessario
per far entrare una persona con le spalle rasenti al muro. Appena furono
dentro, la porta venne chiusa nuovamente a chiave.
Dentro
alla stazione, erano rimasti rifugiati i preti, i frati e le suore che stavano
lavorando alla radio, durante le ore che consacrarono il potere di Gabriel. I
collaboratori laici avevano fatto ritorno alle loro case, mentre gli ordinati
avevano preferito rimanere nascosti lì: avevano saputo delle persecuzioni verso
i religiosi e non avevano un posto sicuro dove stare e non volevano farsi
ospitare da amici o parenti, per paura di metterli in pericolo. Si trattava di
poco più di una decina di persone, finora erano sopravvissute, poiché i loro
colleghi avevano provveduto a procurar loro qualche razione di cibo.
Isaia
raccontò dettagliatamente quel che i gesuiti stavano organizzando e spiegò
anche per quale motivo si era recato lì. Tutti quanti vibrarono di speranza,
furono felici per quelle notizie e si dissero disposti a collaborare in ogni
maniera.
Il
templare, allora, telefonò a Sebastiano e gli disse di raggiungerlo con alcune
automobili per poter trasportare alla villa, sia le persone, sia il materiale
che sarebbe loro servito per gestire la radio.
Nel
giro di un paio d’ore, tutto era pronto per abbandonare la stazione radio e
potersi trasferire.
Stavano
caricando in auto gli ultimi scatoloni, quando Isaia si accorse d’aver perso di
vista Michela; la andò a cercare e la trovò in una stanza di regia, dove
venivano fatti partire i brani trasmessi in radio.
“È
tutto pronto, vieni.” la esortò il prete.
“Un
momento, solo.” rispose lei “Voglio mandare in onda un brano già adesso.” si
sbrigò col computer “Ecco, fatto. Andiamo.”
“Che
cosa hai messo?”
“Lo
scoprirai in auto. Non è un canto di chiesa.” e abbozzò un sorriso furbo.
La
questione circa dove procurarsi scorte alimentari si era risolta felicemente.
Martin Antoine aveva spiegato di aver convinto il governo italiano a procurare
i rifornimenti gratuitamente, sia di cibo che di benzina (questa limitata solo
al loro gruppo d’intervento). Il fatto sbalordì parecchio tutti quanti.
Rimaneva, comunque, la difficoltà di portarle a Roma, senza che gli scagnozzi
di Serventi se ne accorgessero. Una prima precauzione era quella di
immagazzinare le camionate di cibo in Villa, poi organizzare turni di
automobili (che davano meno nell’occhio) per trasferire le scorte in città, cos
se anche qualcuno fosse stato scoperto, sarebbe stata sequestrata solo una
piccola parte e nonl’intero carico. Il
problema principale era dunque proprio quello di introdurre camion all’interno
del territorio. Il gesuita pluricentenario si era
offerto di partecipare ai trasporti e rendere invisibili i grossi mezzi, così
era accaduto diverse volte. Martin, però, non poteva occuparsene sempre: il suo
ruolo in ospedale era indispensabile. Era già avvenuto un paio di volte,
quindi, che Sebastiano e altri sei gesuiti che aveva selezionato personalmente,
si occupassero di guidare i camion e scortarli fino alla villa e poi al
ritorno. Erano, però, alquanto vistosi e l’arte gesuitica, non ancora
padroneggiata pienamente, non consentiva loro di stornare completamente da sé
l’attenzione dei demoni nei posti di blocchi in cui si imbattevano. Erano, però
sempre stati capaci di ingannarli, facendo loro credere che quei camion fossero
diretti a Serventi.
Sebbene,
dunque, le cose fossero sempre filate lisce, quella sera, Sebastiano aveva un
pessimo presentimento. Sedeva al posto del passeggero, col volto serio, era concentrato:
voleva assicurarsi che fosse ben saldo il legame mentale con gli altri gesuiti.
Arrivarono
a un posto di blocco. Il giovane vide già qualcosa che non gli piacque: degli
umani; riconobbe subito Niklos, ormai lo aveva
impresso nella memoria, l’altro, invece, non gli pareva di averlo mai visto:
aveva capelli lunghi, in parte intrecciati con spighe, foglie, forse piccoli
rametti, per lo più spettinati e pieni di nodi, il volto era ricoperto di
cenere e sangue, i suoi occhi brillavano come quelli di un felino nella notte.
Sebastiano
strinse l’elsa dello spadino crudele (se lo era fatto benedire da Isaia),
quando il suo confratello fermò il camion.
“Scendo
io a parlare.” disse il giovane al guidatore, sperando di non essere
riconosciuto da Niklos “Appena vedi che la strada è
un po’ sgomberata, parti. Sei un camion grande e grosso, non possono far molto
per fermarti.”
“Ma
tu?”
“Non
ti preoccupare: dubito che siano venuti a piedi fin qui.”
Il
giovane uscì dall’abitacolo e, con naturalezza, si avvicinò verso i demoni e i
due uomini.
“Ohilà!
Buona sera!” salutò, era vestito con la tonaca nera: non avevano usato abiti
borghesi, perché erano consapevoli del fatto che alcuni preti avessero
accettato di entrare nelle fila di Serventi, per cui credevano che l’abito
talare potesse maggiormente convincere i demoni che quei camion fossero diretti
in Vaticano.
“Allora!
Che cosa accade, amici?” domandò Sebastiano, cercando di manifestare
familiarità coi demonizzati che aveva già incontrato, durante le importazioni
precedenti “Qualche problema? Credevo avessimo risolto.”
“Basta
con la sceneggiata!” ordinò Niklos “Voi non centrate
nulla con noi! Chi siete e cosa trasportate?”
“Siamo
gesuiti e portiamo cibo alla gente a cui lo negate.”
Sebastiano
rispose senza indugi: ormai, a che sarebbe servito mentire? Scoperti lo erano
stati.
“Credo
che questo non sia possibile.” rispose lo stregone.
“Perché?
Voi avete abolito le leggi, dunque, non c’è neppure nulla che ci vieti di
importare alimenti.” ribatté Sebastiano, assolutamente sicuro.
“Beh,
a dire il vero una legge c’è.” precisò l’altro. “Vige la legge che il più forte
ha sempre ragione. Per cui, se volete portare quei camioncini dove vi pare,
dovete prima impedirci di impedirvelo. Fa scendere i tuoi colleghi, così
risolviamo la faccenda.”
“Non
ho bisogno di loro, per liberarmi di voi.”
“Vedremo.”
L’altro
uomo diede una gomitata allo stregone e gli disse: “Niklos,
fammi andare. Scommetto che ha un sangue delizioso: il suo odore promette
qualcosa di molto gustoso.”
“Calmati,
Arthur. Non credo sia necessario che tu intervenga.”
“Ma
voglio giocare!”
“Tu
rompi sempre i tuoi giocattoli. Potrai divertirti coi suoi compari, appena
avranno il coraggio di uscire e farsi avanti. Lui non è da ammazzare, per il
momento.”
“Fortunello! Imbattersi in noi e cavarsela così.”
“Deve
rimanere vivo.” precisò Niklos “Non mi pare, però,
che sano sia tra i requisiti
richiesti.” guardò i demonizzati che attendevano un suo ordine e disse loro:
“Schiaritegli le idee sul concetto di forza e potere.”
Gli
esseri infernali, contenti, fieri della loro possanza, avanzarono, ringhiando e
mostrando gli artigli.
Sebastiano,
con movimento rapido e secco del polso, sfoderò lo spedino, che brillò alla
luce dei fari del camion alle sue spalle.
Invocò:
“San Michele Arcangelo, spada di Dio, prega per noi.”
Guardò
gli avversari con occhi di guerriero e proseguì: “San Michele Arcangelo,
condottiero degli Angeli, prega
per noi.”
Avanzò anche lui, verso gli avversari, continuando:
“San
Michele Arcangelo, spirito invincibile, prega per noi. San Michele Arcangelo, armato di forza
divina, prega per noi.”
Niklos e Arthur risero tra di loro con disprezzo.
“San
Michele Arcangelo, difensore di Dio, prega per noi.” Sebastiano, con la spada, tracciò per aria un semicerchio
davanti a sé “S. Michele Arcangelo, vincitore contro Lucifero, prega per noi.”
I demoni si bloccarono, avvertivano nell’aria il
potere divino dell’Arcangelo che li sferzava.
“San
Michele Arcangelo, potente contro tutti i demoni, prega per noi. San Michele Arcangelo, potente contro ogni
male, prega per noi.”
“Muovetevi, idioti!” urlò Niklos,
che iniziava ad innervosirsi.
“San
Michele Arcangelo, potente contro le persone malefiche, prega per noi.”
“Non spaventatevi per così poco!” gridava lo stregone
“Avete forse dimenticato chi vi ha dato questa natura? Conoscete il suo potere:
non è minore di quello del templare! Dimostrate a questi schiavi chi è il più
forte!”
I demoni, galvanizzati, si decisero a dare
l’assalto a Sebastiano.
Il
gesuita non tenette neppure per un momento e li affrontò con determinazione,
trafiggendoli e continuando ad invocare: “San Michele Arcangelo, nelle nostre
disgrazie, prega per noi. San
Michele Arcangelo, nelle nostre malattie, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle guerre tra famiglie
e tra popoli, prega per noi.
San Michele Arcangelo, nelle lotte per la difesa della Chiesa, prega per noi. San Michele Arcangelo,
nelle lotte intime contro le tentazioni, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle lotte,
dell'agonia, prega per noi. Dalle
insidie del diavolo liberaci, oh
Signore!”
Sebastiano riuscì ad abbattere i demoni,
cavandosela con graffi di poco conto. Si voltò verso il suo confratello sul
camion e gli gridò: “Vai! Parti!”
Si udì il rombo dei motori in partenza. Il giovane,
sempre spadino alla mano, si lanciò in carica contro i due sgherri di Serventi.
In particolare, mirava a Niklos: lo sapeva essere uno
stregone, per cui lo considerava il pericolo maggiore.
Niklos se ne accorse ed evitò l’attacco, scagliando una sorta di sfera d’aria
compressa contro il gesuita che venne sbalzato via.
I camion, intanto, erano però riusciti a passare.
Arthur si mise a inseguirli, correndo, ma non riuscì a raggiungerli.
Sebastiano si rialzò e cercò di attaccare
nuovamente, ma lo stregone lo immobilizzò.
Niklos si avvicinò al gesuita, gli sfilò di mano lo spadino di mano.
“Volevi uccidermi con questo?” gli domandò,
divertito.
Poi conficcò la lama orizzontalmente, nella gamba
del giovane, in modo da provocare un taglio lungo, ma non profondo; gli disse:
“Dovrei farti prigioniero, questi sono gli ordini, ma in realtà non mi ritengo
uno sgherro di Bonifacio, bensì un libero collaboratore che decide di volta in
volta cosa fare. Penso che il tornare a piedi da qui al vostro covo, possa essere
una bella lezione per te, specie in queste condizioni. Per la ferita, non
preoccuparti: Michela la saprà guarire senza problemi; so quel che dico:
gliel’ho insegnato io. A proposito, ricordale, da parte mia, che verrò a
prendere ciò che è mio e che, se non vorrà perderlo, io la riaccoglierò
volentieri.” fece per andarsene, ma poi ci ripensò, tornò vicino al gesuita e
gli disse: “Ho da darti un altro incarico! È piacevole, non ti preoccupare.
Dopo che ti avrà curato, dà alla ragazza un bel bacio, sempre da parte mia.”
Sebastiano non disse niente e, dolorante, rimase a
guardare in cagnesco lo stregone che si avvicinava a un’automobile, aspettava
il suo compare e poi li vide andarsene. Passarono dieci minuti, prima che il
giovane riuscisse a tornare a muoversi. Come prima cosa, estrasse lo spadino
dalle proprie carni e cercò di trovare qualcosa con cui tamponare la ferita;
alla fine, fu costretto a tagliare la propria tonaca e fasciarsi alla bene
meglio. Poi, con grande fatica, iniziò ad avviarsi, lungo la strada, verso la
Villa, trascinando la gamba. Il taglio gli bruciava tremendamente e si sentiva
indebolito, per il sangue che stava perdendo. Era un grande sforzo, ma non
poteva fare altrimenti. Per fortuna, dopo una mezzoretta, scorse i fari di
un’auto che si avvicinava a grande velocità, che però rallentò avvicinandosi a
lui. La macchina si fermò, venne abbassato il finestrino e così comparve il
viso di Alonso, sigaro in bocca, che disse: “Hai bisogno di un pasagio, hermano?”
“Non sono mai stato così felice di vederti!”
mormorò Sebastiano, sorridendo, poi avanzò verso l’auto.
Il bibliotecario, accorgendosi che l’amico era
ferito, scese dalla macchina e lo aiutò a salire.
“Meno male che avemo
pensato de venirte a recuperare! In estecondicioni, non credo, con toda la tu bona volontà, che
saresti riuscito ad arrivare ala villa. Ti porto all’hospedale.”
disse l’archivista, rimettendo in moto l’automobile.
“No, Alonso.” si oppose il giovane “La Villa andrà
benissimo.”
“Ma el tu tajo? Es grave!”
“Grazie, ma non ti preoccupare. In Villa mi
cureranno benissimo.”
Alonso: “Se lo dici tu.”
Rimasero in silenzio: il dolore per la ferita
impediva al giovane di chiacchierare. Dopo un po’ il bibliotecario iniziò a
canticchiare: “Sebastiano fu ferito, fu ferito in una gamba, Sebastiano che
comanda, che comanda i gesuiti.”
“Non ci sta metricamente.” protestò il ragazzo, con
la testa appoggiata al finestrino e gli occhi semichiusi.
Arrivarono alla Villa in poco tempo. Alonso
sorresse il giovane e lo portò nella sua stanza.
“Sveglia Michela e falla venire qui.” si raccomandò
Sebastiano.
L’archivista sospirò, probabilmente penso che
l’amico stesse delirando, ma non protestò e fece quanto richiesto. Dovette
bussare per cinque minuti, prima che la ragazza si svegliasse e prima di lei si
svegliò Giorgio, ovviamente piangendo.
La donna, insonnolita e in camicia da notte, aprì
la porta e, trovandosi davanti Alonso, chiese solo: “Rambastiano?”
Vedendo l’altro annuire, lei scosse la testa e andò
velocemente dal ferito, chiedendo al bibliotecario di aspettare fuori.
Si mise subito al lavoro e, una volta risanato il
taglio, domandò: “Come te lo sei fatto? Avevi detto che eravate riusciti a
raggirare i demonizzati.”
“Si vede che si sono accorti che i camion non
arrivavano in Vaticano. La ferita, comunque, è stata opera dello stregone.”
“Niklos!” sbuffò lei.
“Sì, quello. Ha detto alcune cose interessanti.”
“Ad esempio?” si preoccupò lei.
“Per il momento, non mi vogliono morto ma solo
prigioniero. Mi pare una notizia rassicurante, anche se non ne capisco il
perché.”
“Posso immaginarlo.”
“Davvero? Quale?”
Michela valutò, per qualche istante, se fosse il
caso di spiegare o meno, poi optò per il sì e disse: “Serventi vuole far
perdere la ragione anche ad Isaia. È probabile che, venuto a sapere da Gabriel
dell’ottimo rapporto che hai col tuo maestro, abbia ritenuto fosse bene usarti,
in una qualche maniera, per provocare Isaia.”
Sebastiano rimase a riflettere su quelle parole
qualche momento; poi riprese: “Lo stregone mi ha detto anche un paio di cose
che ti riguardano.”
“Cosa?”
La ragazza tornò a non essere affatto tranquilla.
“Ha ribadito quel che già ti disse quando abbiamo
tentato l’ambasceria: che vuole riprendersi ciò che è suo.”
Fece una pausa, per osservare la reazione
dell’amica, che parve farsi ancor più scura; proseguì: “Mi ha anche incaricato
di darti un bacio in sua vece, ma spero che mi dispenserai dal farlo.”
“Sì, sì, sei dispensato …” mormorò lei, mentr’era
con la testa da tutt’altra parte.
“Michela” chiese Sebastiano, dopo un lungo silenzio
“Vuoi raccontarmi di preciso quel che c’è stato tra te e quell’uomo, o mi
accontento delle mie congetture?”
“Che
cos’hai ipotizzato?”
“Che
lui sia il padre di Giorgio, non è così? E ora lo vuole … Mi piacerebbe, però,
sapere, che tipo di rapporto sia stato il vostro.” con un pizzico di
apprensione, domandò: “Tu eri consenziente?”
“Sì.
Una storia che iniziò e si concluse in due anni. Fin da subito Niklos ebbe il compito di farmi diventare una strega
(anziché la maga che sono), ma non si curò minimamente di me, finché il mio
corpo non iniziò ad avere le prime forme da donna. Avevo circa quindici anni e,
ovviamente, rimasi affascinata da lui, da quel che sapeva fare, dal suo modo di
porsi. È certamente un uomo carismatico e sa tantissime cose, credo più per
esperienza, che per studio: pure lui ha sicuramente più di un centinaio d’anni.
Ero rapita dalla sua persona e lo assecondavo e contentavo in tutto. Rimanere
incinta mi fece maturare tutto d’un colpo e, grazie anche ai miei studi
personali e ai contatti che ero riuscita ad avere con dei miei parenti, capii e
decisi di sparire e non dissi nulla a Niklos.”
“Mi
spiace. Soprattutto perché ora sei preoccupata per tuo figlio.” disse
Sebastiano.
“Lo
proteggerò. Tu, però, non dire nulla in giro, nemmeno ad Isaia, per favore.”
“D’accordo.
A proposito, chissà cosa starà facendo?!”
Isaia,
infatti, da un paio di giorni non si trovava in Villa, bensì al momento
stanziava in una palazzina abbandonata, non troppo distante, in cui si stavano
radunando i templari. Il loro maestri li aveva richiamati: aveva loro ordinato
di lasciare Istanbul e raggiungerlo a Roma. Erano poco più di un centinaio, un
numero forse risibile, in confronto a quello dell’esercito che Serventi e
Gabriel andavano creandosi.
Isaia
guardava i suoi monaci guerrieri e si convinceva che non erano la soluzione del
problema. Li avrebbe usati per proteggere la gente, ma non poteva crederli
davvero capaci di sconfiggere tutti quei demoni e, soprattutto, le persone
dotate di poteri. Inoltre, era pure piuttosto certo che una sconfitta in
battaglia non sarebbe servita a far rinsavire Gabriel, quindi avrebbe dovuto
trovare la maniera per avvicinarsi all’amico e lavorare pian, piano alla
purificazione della sua anima … sperando che, nel frattempo, Gabriel la smettesse
di demonizzare folle e uccidere gente: se avesse perseverato su quella strada,
sarebbe stato necessario ucciderlo.
Organizzare
i templari gli richiedeva molto tempo e attenzioni. Nella palazzina aveva
dovuto far allestire un dormitorio, un refettorio e le cucine, arsenale (e in
questo fu in parte rifornito anche dalle armi della Villa) e poi questioni
organizzative: dividere gli uomini in pattuglie, scegliere il responsabile per
ciascuna di essa, fare esercitazioni e mettere i provinciali al corrente di
tutto ciò che stava accadendo a Roma.
Un
pomeriggio, Isaia era assieme ad AbdelNassen, che ormai considerava il proprio luogotenente, e ad
alcuni provinciali; stavano studiando sulle mappe l’idrografia, i sotterranei,
la topografia di Roma e qualsiasi altro elemento sarebbe potuto loro tornare
utile per progettare un attacco o, per lo meno, per consentire loro di muoversi
nella maniera migliore possibile. Erano occupati in questo affare, quando bussò
alla porta un capopattuglia che, con una certa sorpresa, annunciò: “È appena
arrivato padre Fylan!”
“Cosa?!”
fu il commento generale “Ma non era morto?”
“Vuole
parlare col Magister Templi.” comunicò il messaggero.
“Va
bene, fallo passare.” disse Isaia, incupito: tra tutti i problemi che già
c’erano, ora si aggiungeva pure quello stupido borioso che lo odiava.
Il
templare irlandese entrò nella stanza e salutò con la dovuta formula, ma quando
tentò di iniziare un discorso, Isaia lo prevenne.
“Rispondi
solo alle mie domande.” gli intimò il Gran Maestro.
Fylan per un attimo
si imbronciò, ma non disse nulla; probabilmente si era preparato un gran
discorso e gli dispiacque non pronunciarlo, ma sapeva di essere nel torto, per
cui non volle peggiorare la propria situazione.
“È
vero che tu, di tua iniziativa, senza consultarmi, hai preso d’assalto il
centro d’ascolto fondato da Gabriel Antinori.”
“Sì.”
“È
vero che, per far ciò, hai indotto altri nostri confratelli ad agire a mia
insaputa?”
“Sì.”
“Questo
è tradimento?”
Fylan tremò di rabbia
e paura e dopo un paio di secondi, disse di malavoglia: “Sì.”
“Qual
è stato l’esito di questa azione?”
“Un
fallimento. Ho perso tutti i confratelli che mi avevano seguito.”
“Dunque,
sei stato sconfitto.” osservò Isaia, severo e distaccato. Non mostrava rabbia.
“Sì.”
ammise Fylan, chinando la testa.
“Come
ti sei salvato?”
“La
furia di Antinori non arrivò fino a me e ho potuto mettermi in salvo. Sono
vissuto nascosto finché dei confratelli non mi hanno avvertito che vi stavate
radunando qua, allora sono venuto.”
“Bene.
Un’ultima domanda: quali conseguenze ha portato la tua aggressione
sconsiderata?”
“Ha
scatenato il demone di Antinori.”
“Quindi
hai sbagliato ad agire così.” sentenziò Isaia, era calmo, ma guardava
l’irlandese con uno sguardo tremendo.
“Ma
io …”
“Taci!”
lo zittì il Magister Templi “Io avevo dato un
espresso ordine! Non combattere Antinori. Avevo piena cognizione di causa. Ero
assolutamente consapevole di ciò che sarebbe accaduto, provocandolo, e tu non
hai obbedito. Hai tradito l’ordine, venendo meno ai miei comandi. Hai
sbagliato, compiendo un’azione insensata. Infine, sei stato sconfitto.” fissò i
propri occhi decisi su Fylan e gli disse: “Tu sai
cosa comporta tutto ciò. Tu conosci il nostro codice etico.”
L’Irlandese,
credendosi ormai finito, recitò: “Chi tradisce muore. Chi sbaglia muore. Chi
viene sconfitto muore.”
“Esatto.”
una lunga pausa, peggiore della morte stessa “Ringrazia il Signore, ch’io
decido di perdonarti. Per il momento combatterai con noi, nel tuo rango. Finito
lo scontro, se avrai dimostrato la tua devozione, il tuo zelo e la tua
obbedienza, metterò definitivamente una pietra sopra alla faccenda. Se, invece,
ci darai motivo di lamentarci di te, deciderò che provvedimenti prendere.”
“Grazie.”
disse Fylan, non proprio riconoscente.
“E
ora va! Sistema le tue cose e poi torna qui. Se davvero sei stato in Roma tutto
questo tempo, forse puoi fornirci informazioni utili.”
Così
fece. Le ore del pomeriggio trascorsero, dunque, nello studio logistico di
eventuali attacchi, incursioni etsimila.
La
sera cenarono frugalmente e dissero tutti assieme i vespri e altre preghiere,
come erano soliti fare.
Isaia
si coricò dopo una giornata che gli pareva essere durata un anno, così come
quelle precedenti. Da quando era rientrato in Italia, aveva sempre tantissime
cose di cui occuparsi e quasi non aveva un minuto libero per sé e le
meditazioni. Era a capo di tutto: dei templari e della gente alla Villa e nelle
catacombe. Quando sorgevano problemi, reali o insignificanti, si rivolgevano a
lui e lui doveva occuparsi di ogni cosa. Non era stressante, perché lui era
abituato ad essere sotto pressione e ad avere una miriade di incarichi;
riusciva a mantenere la calma, nonostante fosse chiamato da ogni lato.
Semplicemente era tutto pesante! E lui avrebbe tanto voluto distrarsi un poco,
ogni tanto.
Da
quando, poi, si trovava coi templari, si sentiva ancor più oppresso dalla
situazione.
Non
capiva come mai, in Villa si sentisse più sereno. Forse perché i templari erano
da riformare anche eticamente e, quindi, erano un impegno maggiore. Forse
perché in Villa c’erano i suoi amici a sostenerlo e a svagarlo: Sebastiano,
Alonso, Vairocana, Michela … Sì, probabilmente dai
templari era meno rilassato perché si sentiva in mezzo ad estranei, mentre alla
Villa si sentiva in famiglia, nonostante tutto, nonostante l’assenza di Gabriel.
C’era
qualcosa, in quella casa, che lo faceva stare bene. Forse era il clima
totalmente diverso: tra i templari c’era fratellanza, ma erano tutti
concentrati sulla guerra, sulla violenza e questo lo infastidiva; alla Villa,
invece, si lottava, sì, ma in maniera totalmente differente. Poi c’era qualcos’altro.
Di certo gli ambienti erano meglio arredati e anche il paesaggio circostante
era decisamente più ameno, attorno alla Villa; ma davvero dava così tanta
importanza all’apparenza?
Ebbe
voglia di parlare con Michela. In fondo, da un paio di giorni non aveva
contatti con la Villa o con la catacombe, era doveroso assicurarsi che tutto
procedesse bene. Certo che, contattare telepaticamente la ragazza, a quell’ora,
forse non sarebbe stato troppo educato. Già, avrebbe potuto benissimo
telefonare ad Alonso o Sebastiano il giorno seguente.
Aveva
voglia, però, di fare due chiacchiere. D’accordo, con AbdelNassen riusciva a parlare tranquillamente sia in
arabo che in latino, ma si discuteva solo di lavoro e, nonostante la continua
stretta vicinanza, non lo considerava ancora un amico, ma solo un ottimo
collaboratore. Gli altri provinciali li conosceva appena. Insomma, che male c’era
se aveva voglia di conversare con una persona amica?
Voglia o
desiderio?
–si chiese.
La
differenza è sottile ma importantissima.
Dopo
averci rimuginato un poco, stabilì che era voglia. Non sentiva un impulso
irrefrenabile che lo avrebbe tormentato se non lo avesse assecondato; semplicemente,
aveva constatato che gli avrebbe fatto piacere una bella chiacchierata con la
ragazza. Epicuro lo avrebbe considerato un piacere naturale non necessario, che
può essere ben accolto e realizzato, purché non ci provochi fatica o ansia.
Si
decise, così, a contattare telepaticamente la ragazza. Vi riuscì senza
problemi.
“Ciao,
che sorpresa!” esclamò lei.
Isaia
sorrise, nel sentirla così raggiante.
“Come
va? Procedono bene le cose, lì coi Poveri Commilitoni di Gesù e del Tempio di
Salomone?”
L’uomo
gradì che l’amica si fosse ricordata di usare il nome per esteso e non si fosse
limitata a dire templari; rispose: “Facciamo
quel che possiamo. Per favore, però, non ho voglia di parlare di tutta questa
faccenda.”
“Capisco.
Effettivamente, ci devi già pensare tutto il giorno, avrai voglia di svagarti.”
“Esatto.
Fingiamo, per un’ora, che tutto sia a posto e tranquillo, dimentichiamo i
problemi. Raccontami qualcosa.”
Michela
lo contentò e andarono avanti a conversare per ben più di un’ora.
La
cosa che stupì maggiormente Isaia fu che, per la prima volta, si accorse che
quel tipo di comunicazione non era come parlare al telefono; infatti non gli
sembrava che l’amica fosse lontana, ma la sentiva lì, accanto a sé, quasi ne
sentisse la presenza fisica, l’energia, il calore.
Alla
Villa c’era un po’ d’agitazione nell’aria. I vertici dell’organizzazione erano
tutti rientrati, sospendendo per qualche ora le loro attività. C’erano, quindi,
Alonso, Vairocana e Delrio,
che generalmente risiedevano nelle catacombe; Sebastiano, dopo aver guidato
l’ultima distribuzione di alimenti al popolo, era tornato subito in campagna,
senza il suo solito giro di casa in casa per amministrare i sacramenti; Michela
era già in Villa, si limitò ad affidare la conduzione della radio a uno dei
suoi collaboratori per il tempo in cui sarebbe stata in riunione.
Riunione,
sì. Isaia aveva telefonato ad Alonso e lo aveva informato che, nel pomeriggio,
sarebbe passato in Villa per una riunione della massima importanza, poi si sarebbe
fermato lì fino al mattino successivo.
Si
ritrovarono, dunque, tutti e sei nel salotto che ormai era diventato la loro
sala riunioni. Si erano tutti seduti, su un tavolino basso c’era una grande
teiera e delle tazze per chi avesse gradito bere un infuso. Sul tavolo grande,
invece, Isaia aveva appoggiato alcune cose, ma coperte da un panno, per cui
tutti erano curiosi di scoprire di cosa si trattasse.
Sebastiano
sembrava molto scontento, infatti, prima ancora che qualcuno avesse modo di
parlare, lui chiese, con una certa irritazione, al proprio maestro: “Avevi
detto che i templari si sarebbero occupati di proteggere i cittadini. Sono
arrivati da una settimana, ormai, e ancora non hanno fatto un accidente!”
“Lo
so che ti aspettavi qualcosa di eclatante fin da subito.” esordì il Magister Templi.
“No,
nulla di eclatante, mi sarebbe bastato vederli almeno al nostro fianco, o
scorgerne almeno uno, per le strade, a difendere gli innocenti.” ribatté
l’allievo.
“C’è
sempre il problema rappresaglie, ricorda.” sottolineò Isaia “Inoltre, non ho
che poco più di un centinaio d’uomini, lo stesso numero che si è ormai
raggiunto anche qui, considerando tutta la gente che lavora e collabora o qua
in Villa, o nella catacomba. Ad ogni modo, non siamo rimasti inattivi. Abbiamo
studiato la situazione, i numeri degli avversari e le loro risorse; abbiamo
setacciato ogni mappa della città e abbiamo ipotizzato non so quante strategie.
Siamo troppo pochi per fare i giustizieri in un territorio così vasto; un
simile progetto è eccessivamente dispersivo. Bisognerebbe limitare l’area
d’azione di Serventi, ma l’unico modo possibile è attaccarli apertamente. I
numeri ci sarebbero estremamente sfavorevoli anche in questo caso, benché tra i
Poveri Commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone ci sia molto entusiasmo
per questa proposta.”
“La
situazione è dunque in stalo? Non potete fare nada?”
“Da
soli e solo con le spade, seppure accompagnate da preghiere, non possiamo
andare molto lontano. Se vogliamo sperare di compiere qualcosa di concreto,
dobbiamo affidarci a ogni tipo di manifestazione del potere divino.”
Isaia
tacque qualche momento e guardò i volti dei suoi compagni: erano tutti molto
attenti e non osavano fiatare, in attesa di scoprire quale fosse il suo
progetto.
“Sebastiano,
mi farebbe piacere se tu e la tua squadra di gesuiti combattenti vorrete
affiancarci nello scontro.”
Il
giovane sorrise e annuì: “Sarò con te, maestro, su ogni campo di battaglia:
fisica o spirituale che sia.”
“Grazie.”
Isaia si rivolse, poi, al buddista: “Vairocana, tu
potresti occuparti di scacciare i demoni, oppure tracciare mandala che
trasmettano energia positiva ai combattenti. Quello che preferisci, quello che
ritieni più utile, magari hai qualche asso nella manica che non conosco.”
Il
monaco annuì e disse che avrebbe meditato su cosa sarebbe stato più efficace.
Isaia,
allora, posò lo sguardo su Alonso che subito lo prevenne, dicendo: “Non chiederme de pugnar! Te ho già deto
che non es mi compito. Anche quand’ero ne la jungla
con Pedro non ho mai tocato un’arma.”
“Lo
so, infatti, voglio chiederti qualcosa di diverso.”
“Abla pure, alora, hermano.”
“Ti
affiderei due compiti della massima importanza. Il primo è di organizzare tutti
i preti, frati e suore che abbiamo radunato, in modo tale che le loro preghiere
ci aiutino in questa battaglia e che, soprattutto, proteggano i cittadini. Sarà
uno scontro tra le strade della città: la popolazione è in pericolo, potrebbe
essere coinvolta. Potremo far dire alla radio, di nascondersi, di rifugiarsi
nelle cantine o che so io, ma non basterà. Bisognerà pregare per proteggere le
persone.”
“Consideralo
fato.” assicurò Alonso, portandosi il sigaro alla bocca “Il segundo?”
Isaia
si alzò, andò al tavolo, sollevò un poco il telo e tirò fuori una scodella, che
aveva la forma di una mezza noce di cocco, ma era in ceramica e con decorazioni
particolari. Si portò davanti ad Alonso e, mostrandogli l’oggetto, gli disse
con grande solennità: “Questa è la ciotola con cui San Giovanni il Battista
battezzava la gente nel Giordano. Ti chiedo di aggirarti per le strade, durante
la battaglia (avrai una scorta, non ti preoccupare) e di aspergere i
demonizzati con l’acqua che verserai in essa; questa sorta di battesimo
dovrebbe farli tornare umani.”
L’archivista
guardò la scodella con grande venerazione e, sentendo davvero dentro di sé
l’onore per quel compito, disse: “Sono muyfeliz de esta missione. Conta
puro su di me, hermano.”
“Bene,
veniamo, ora, a una faccenda un po’ più delicata.” disse Isaia e andò a
rivolgersi al pluricentenario “Martin, io ti sarei
molto grato se tu decidessi di intervenire, attingendo alle tue vaste
conoscenze e ai tuoi poteri … Ti lascio libero di agire come preferisci, puoi
fare quel che vuoi, senza alcuna limitazione.”
L’uomo
sorrise e disse: “Credo proprio che rimarrai entusiasta.”
“Lo
spero proprio. Per esserne certo, ti affido uno strumento che, sono certo,
gradirai parecchio.”
Isaia
tornò al tavolo e, questa volta, da sotto il telo, tirò fuori due alti bastoni;
uno terminava in una forcola, l’altro aveva una sorta di pomo naturale in cima
ed era molto nodoso. Il templare li mostrò all’interessato e gli chiese: “Verga
di Mosè, o bastone del Battista, a te la scelta.”
Delrio chiuse un
attimo gli occhi, per poi spalancarli, colmi di meraviglia, quasi sconvolti dal
potere che l’uomo aveva percepito; constatò: “Non menti! Sono proprio ciò che
dici! Userò la verga di Mosè; per il bastone di San Giovanni, c’è qualcuno di
più idoneo.”
Isaia
gli diede la verga e ripose il bastone, domandandosi a chi si riferisse l’anziano
gesuita.
“Sebastiano,
ho una cosa anche per te.”
L’allievo
balzò subito in piedi e raggiunse il maestro, vicino al tavolo.
“Ecco!
Questo è lo scettro di Gaspare. Come vedi, è più una mazza. Sono sicuro che saprai
sfruttarlo sia come arma, sia per aumentare il potere gesuitico.”
Sebastiano
guardò lo scettro con infinito rispetto, lo prese in mano e sentì l’immensa
energia che era stata accumulata lì dal precedente possessore; lo vibrò in aria
un paio di volte e constatò come fosse adattissimo alle battaglie.
“Lo
scettro di Gaspare …” Michela era rimasta allibita “È un oggetto magico di
grandissima potenza! Gaspare deriva dal nome persiano Gondhopharn, che significa Portatore di potenza
divina, non era certo il nome di nascita di quel Re Mago, bensì quello che
gli venne attribuito in virtù delle sue doti. È straordinario!”
Isaia
confermò: “Esattamente e, per questo, lo affido a Sebastiano, che sarà la guida
della squadra di gesuiti.” poi continuò a rivolgersi al proprio discepolo: “Ho
anche gli scettri di Baldassare e Melchiorre, scegli
con attenzione a chi li vuoi affidare.”
Martin
Antoine domandò: “E tu, che cosa ti sei tenuto per te? Sono certo che hai già
scelto quale reliquia ti accompagnerà in battaglia. Son proprio curioso di
scoprire quale sia.”
Isaia,
allora, scoprì anche la lancia di Longino e l’elmo di
Costantino: quelle sarebbero state le sue armi.
Isaia
proseguì, poi, coll’illustrare il piano di attacco che aveva messo a punto coi
provinciali; in esso non si faceva menzione della parte che avrebbero avuto i
religiosi della Villa e della catacomba. Mostrò, poi, un piano integrativo che
aveva elaborato con AbdelNassen,
in questo era spiegato con precisione come i gesuiti, i buddisti e gli altri
avrebbero potuto agire. Chiese, poi, pareri e consigli su come migliorare la
strategia; rimasero, dunque, diverse ore in riunione a studiare la situazione.
Venne poi l’ora di cena e andarono a tavola con tutti gli altri, decidendo di
ritrovarsi il mattino seguente per vedere se fossero emerse ulteriori idee.
Isaia
rimase fino alle ventidue e trenta a chiacchierare allegramente con Vairocana e Sebastiano, poi pensò che fosse meglio andare a
dormire. Salì al piano di sopra e, per andare alla propria camera, passò
accanto alla porta semichiusa della stanza in cui si gestiva la radio. Sentì
provenire da lì la voce di Michela, si fermò ad ascoltare, curioso.
“La povertà cristiana, allora, non può avere
senso se non come un impegno di solidarietà coi poveri, con quelli che soffrono
miseria e ingiustizia, al fine di testificare del male che esse, frutto del
peccato, rottura di comunione, rappresentano. La povertà cristiana, espressione
d'amore, è solidale coi poveri ed è protesta contro la povertà. Questo è il
significato concreto e attuale che rivestirà la testimonianza di povertà
vissuta non per se stessa, ma come un'autentica imitazione di Cristo che assume
la condizione di peccato dell'uomo, per liberarlo dal peccato e da tutte le sue
conseguenze. Queste parole sono di Gustavo Gutiérrez
Merino. Ora, vi lascio per qualche minuto, sulle splendide strofe de Il proclama di Camilo
Torres, cantate da Fausto Amodei.”
Michela
si tolse le cuffie con il microfono, si voltò e vide Isaia, con un sorriso
d’approvazione, fermo sulla porta. La ragazza fece un cenno a uno dei propri
collaboratori, gli sussurrò qualcosa, poi andò verso il gesuita e gli fece
cenno di uscire nel corridoio.
“Mi
devo complimentare con te.” esordì l’uomo “Ho avuto modo di sentire le tue
trasmissioni in radio, in questi giorni, riesci a mescolare molto bene
cristianesimo e concetti etico-morali condivisibili
anche dagli atei di buon senso. Adesso, ho sentito, hai tirato fuori la Teologia della Liberazione, è un’ottima
scelta, davvero calzante.”
“Il
merito è di Alonso.” confessò la giovane “Lui mi ha ricordato dell’esistenza di
questa corrente.”
“Ovviamente.
Lui l’ha vista nascere ed è stato a lungo a stretto contatto coi suoi
esponenti.”
La
ragazza si fece un po’ severa e disse: “Isaia, prima non ho detto nulla, perché
non era il caso di discuterne in mezzo a tutti, però c’è una cosa, nel tuo
piano d’attacco, che mi scontenta parecchio.”
“Ossia?”
“Mi
hai completamente esclusa.”
L’uomo
alzò gli occhi al cielo.
“Hai
dato a Delrio il permesso di usare la magia
pienamente, a me non hai chiesto nulla.”
Lui
rispose con calma: “Delrio ha più di quattrocento
anni, presumo che se la possa cavare egregiamente, se dovessero vederlo e
dargli fastidio i Poveri Commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone.”
“Posso
cavarmela anch’io. A me, credimi, dispiace parecchio disobbedirti, ma quando
attaccherete, io ci sarò.”
“Cosa
intendi con ti dispiace disobbedirmi?”
Lei
fu dolce nel rispondere: “Che vorrei, sempre, renderti contento … e soddisfatto
di me.” tornò energica “Questa volta, però, hai torto. Hai detto tu stesso che
la situazione è molto difficile e che è necessario ricorrere ad ogni risorsa,
se vogliamo sperare di contrastare Serventi e Gabriel; perché non chiedi anche
a me di fare del mio meglio? Non credi ch’io sia pronta a sacrificarmi per la causa,
se occorre?”
“Supponevo
non volessi rischiare di lasciare orfano tuo figlio. Tu conosci meglio degli
altri la potenza e la pericolosità dei nostri avversari. Sei assolutamente
consapevole che rischi sia a causa dei miei uomini, sia per i nemici comuni; se
te la senti, sul campo di battaglia c’è posto anche per te.”
“Grazie!”
si rilassò la ragazza, sorridendo “Hai creduto ch’io potessi anteporre Giorgio
al mio dovere? Al bene?” notò l’espressione sorpresa dell’amico, per cui gli
parlò con serenità: “Pensi che solo a voi preti o ai monaci, sia permesso di
servire Dio, sopra ogni altra cosa? È raro, sì, ma ci sono anche dei laici,
persone con famiglie, consapevoli che, per quanto possano amare il proprio
compagno o i propri figli, il Bene è sempre più importante della felicità del
singolo.”
Isaia
non disse nulla: effettivamente non aveva mai supposto che qualcuno, con forti
legami affettivi, potesse sottomettersi totalmente a Dio. Lui, in passato,
aveva dovuto prendere decisioni dolorose, poiché in contrasto coi suoi affetti
d’amico (soprattutto per quanto riguardava Gabriel); non osava immaginarsi che
sofferenze potevano patire coloro che, amando, erano costretti ad abbandonare o
sacrificare la persona amata, perché il Bene lo richiedeva. Gabriel non c’era
riuscito, difatti. D’altra parte, però, se la comunione con Dio era totale,
questi effimeri dispiaceri terreni, potevano essere sopportabili.
Michela
lo fissò negli occhi e non distolse più lo sguardo, mentre diceva: “Io, nel mio
piccolo, combattevo contro il male e le sue forme, prima che ci incontrassimo.
Avevo una spada affilata in casa, ricordi? Non era certo una precauzione contro
i ladri. Te l’ho già detto: io sono consacrata all’Arcangelo Michele, a te! Il
mio dovere è essere al tuo fianco, farti da scudiero. Il negarmi la possibilità
di agire secondo il mio dovere e la mia natura, equivale all’uccidermi. È vero,
potrei morire nella battaglia, Giorgio rimarrebbe solo, potrebbe non capire e
non perdonarmi, ma che importa? Sarò morta per dare a lui e ad ogni altro
essere, la possibilità di vivere in un mondo con un po’ meno male.”
Isaia
provò un grande rispetto per quelle parole: dimostravano un’abnegazione quasi
pari alla sua. Fu curioso di scoprire quanto fosse abnegata, per cui disse: “Un
conto è essere disposti a sacrificare se stessi, un altro paio di maniche è
riuscire a sacrificare un proprio affetto. Nell’ipotetico caso fosse necessario
per il Bene, saresti disposta a permettere la morte di Giorgio?”
“Abramo
non fu forse pronto ad uccidere Isacco, senza neppure sapere il perché, ma solo
perché Dio lo aveva voluto? Sarebbe doloroso, ne soffrirei, ma non potrei
essere egoista.”
Isaia
accennò un lieve sorriso: almeno a parole, lei aveva le sue stesse priorità. Se
anche Gabriel fosse stato di quel pensiero, si sarebbe fatto uccidere nella
cripta e non sarebbe accaduto tutto quel macello. Il templare non era certo di
essere felice o meno, di non averlo ucciso: sia la ragazza che San Giovanni gli
avevano detto che Gabriel non era di natura cattiva che poteva ancora liberarsi
e tornare ad essere almeno quello di prima, se non migliore.
Isaia
aveva deciso di lottare per salvare l’anima dell’amico. In realtà, subito, si
era detto che non fosse giusto pensare alla salvezza spirituale di Gabriel,
mentre la gente soffriva. San Giovanni, però, gli aveva spiegato che, se non
avesse redento il suo amico, egli sarebbe tornato di nuovo e ancora e ancora a
portare innanzi lo stendardo del male. Per evitare questa prospettiva, era necessario
permettere qualche morto in più al momento, ma neutralizzare il male.
Michela
aveva continuato a guardare il gesuita negli occhi per tutto il tempo del
dialogo e anche qualche momento dopo. Poi lei distolse lo sguardo, mosse
qualche passo e si fermò a guardare un quadro appeso alla parete, era un
paesaggio più o meno boschivo, dove si intravedevano vestigia avvolte dai
vegetali.
“Sai,
ho sempre pensato che, se mi capiterà di amare un uomo e di essere ricambiata,
non vorrei mai che mi anteponesse al suo dovere.”
“Com’era
il padre di Giorgio?”
“Perché?”
si irrigidì la giovane, continuando a dargli le spalle.
“Beh,
lo amavi, vero? Se hai avuto un figlio con lui, dovevi amarlo.”
Michela
non rispose, rimase in silenzio per un circa un minuto, poi, voltandosi,
esclamò, cambiando argomento: “Ho trovato la soluzione perfetta per poter
scendere in battaglia, senza temere nessuna delle due fazioni.”
“Ovvero?”
“Il
bastone di San Giovanni! Da una parte sarà un ottimo potenziamento alla mia
magia, dall’altra, se i tuoi provinciali dovessero fare domande, si attribuirà
ogni cosa alla sacra reliquia.”
Isaia
sollevò un sopracciglio, perplesso, sia per la mancata risposta, sia per quella
richiesta. Osservò: “Martin non si è ritenuto degno di usarlo, pensi forse di
esserlo tu?”
“Ha
detto idoneo, non degno.” gli ricordò la ragazza “Se non sei convito, chiedi a
lui se posso o, meglio ancora, domandiamo il permesso direttamente al
Battista.”
“A
quest’ora?” improvvisò il gesuita, non troppo entusiasta.
“Per
lui non è certo un problema.”
“Sì.
Io, però, domattina mi devo svegliare presto e Giovanni sarebbe capace di
tenerci alzati a farci la predica fino all’alba.”
“Troveremo
il modo per farlo essere breve.”
Senza
aspettare altre repliche, la ragazza si incamminò verso la reliquia e Isaia non
poté fare a meno che sospirare e seguirla.
Arrivati
presso la testa di San Giovanni, entrambi recitarono una breve preghiera di
devozione; poi il gesuita disse: “Tu mi hai consigliato quali reliquie portare
qua, mi hai illustrato le loro caratteristiche e mi hai indicato come affidarle
ai miei amici; ti prego di risolvere un ulteriore quesito: lei può usare il tuo
bastone?”
“Che
domande! Certo che sì!”
Isaia
rimase un poco perplesso non solo per la risposta, ma anche per il tono
gioviale con cui era stata data.
“Te
l’avevo detto!” scherzò la ragazza, contenta.
“Non
gli è ancora chiaro l’albero sephirotico e le sue
implicazioni?”domandò, con rimprovero, Giovanni alla donna.
“Ha
altro a cui pensare, in questi giorni.” lo giustificò lei.
“Se
studiasse quel che gli consiglio, saprebbe certamente agire meglio di come sta
facendo. Ma tanto, cosa parlo a fare! Qualcuno mi ha mai dato retta? Certo che
no! In fondo sono solo Giovanni il Battista, il cugino tapino di Gesù, perché
mai dovrei sapere qualcosa? Sono solo in grado di tenere in vita la mia testa
da duemila anni, cosa potrebbe indurvi a credere ch’io abbia cognizione di
causa?!” e continuava.
Isaia
guardò l’amica e telepaticamente le disse: “E io ti avevo detto che avrebbe
iniziato a fare un sermone infinito.”
“Ci
penso io.” gli rispose Michela, che poi disse ad alta voce, rivolgendosi al
Battista: “Hai assolutamente ragione. Se mi permetti, anche subito, gli
mostrerò una precisa immagine dell’albero delle sephirot
e glielo spiegherò, comprese tutte le corrispondenze.”
San
Giovanni approvò pienamente e li lasciò andare.
Quando
si furono allontanati, Isaia domandò: “Davvero hai intenzione di spiegarmi
tutte quelle cose, a quest’ora?”
“Certo
che no. Ho pure la radio che mi aspetta.”
“Quindi
hai mentito a San Giovanni il Battista?”
“Pare
di sì.” rispose lei, con un sorriso.
Arrivarono
davanti alla stanza della radio.
“Beh,
se tu ti fermi qua, allora ti do la buona notte.” disse l’uomo, sentendosi,
d’un tratto, incerto sul cosa dire e fare.
“Grazie.
Buonanotte a te! E sogni d’oro!” ricambiò lei e gli diede un bacio sulla
guancia.
Nei
giorni successivi, vennero definiti gli ultimi dettagli del piano. Per prendere
i propri nemici di sorpresa, erano indecisi circa se attaccare al mattino
presto, oppure verso l’ora di pranzo. In entrambi i casi, sarebbero stati
costretti ad approssimarsi al Vaticano e avrebbero poi dovuto affrontare i
nemici compatti e uniti. Scartarono dunque l’idea: era un attacco troppo
scoperto e li avrebbe costretti ad essere pochi ad assediare molti. Dopo alcune
discussioni si era arrivati ad optare per una strategia da guerriglia, ma
accelerata. Avrebbero attaccato contemporaneamente in svariati punti. Con una
strategia a rete, procedendo, nella vasta area del centro, a coppie in
direzioni parallele, avrebbero cercato di avanzare il più possibile, uccidendo
tutti coloro che avrebbero trovato dotati di poteri e i demonizzati (questo
dispiacque parecchio a Isaia, che avrebbe preferito farli tornare umani, ma
purtroppo le circostanze richiedevano questa violenza, si consolò pensando che
almeno Alonso avrebbe salvato qualcuno).
Molti
civili che, avendo avuto notizia, nelle catacombe, del progetto, avevano deciso
di prendere parte alla battaglia. Isaia nutriva qualche titubanza al riguardo,
ma in molti insistettero, sostenendo che era giusto che avessero il diritto di
proteggere sé, i propri cari e la legge; inoltre, un discreto numero dei
volontari, apparteneva alle forze dell’ordine e avevano armi da fuoco (non
sarebbero servite contro i demoni, ma contro i dotati di poteri sì).
Templari,
gesuiti e volontari avrebbero preso parte alla strategia a rete, ma per quanto
il loro numero fosse superiore alle aspettative, non potevano certo battere a
tappeto l’intera città. Loro sarebbero stati il nervo centrale e maggiore
dell’esercito, mentre alle ali ci sarebbero stati Michela e Delrio
o, più precismante, gli spiriti che avrebbero invocati. In particolare la
ragazza aveva avuto il compito di spingere i demonizzati in direzione della
fontana di Trevi, dove era in posizione Alonso, pronto ad attingere l’acqua con
la ciotola di San Giovanni e ad aspergere tutti quanti.
Il
piano era quello di uccidere il maggior numero di seguaci di Serventi, prima
che potessero dare l’allarme e organizzare una controffensiva. Quando ciò
sarebbe avvenuto, a seconda della tattica scelta da Serventi e Gabriel, Isaia e
i suoi avrebbero deciso quale, delle strategie preparate, usare.
Venne
dunque il giorno stabilito.
Dopo
un momento comune di preghiera, tutte le forze a disposizione si schierarono
come pianificato. Nelle catacombe, suore e frati pregavano incessantemente,
guidati da padre Eleuterio, per proteggere i civili e
dare forza ai combattenti.
Loreto
e il personale medico erano pronti ad intervenire: erano riusciti a
rintracciare molti medici e infermieri che si erano resi disponibili per
aiutare; inoltre, molti ospedali, insofferenti alle nuove direttive, per quel
giorno avevano messo a disposizione ambulanze, barelle e quant’altro. Infatti,
era stato necessario organizzare un sistema di pronto intervento per poter
recuperare e medicare rapidamente i feriti.
Isaia,
era stato chiaro: soccorso anche alla gente dotata di poteri (e sperò
fortemente che il risentimento non facesse dimenticare ai medici il loro giuramento
di Ippocrate) e se qualcuno si fosse arreso, andava preso prigioniero, senza
fargli ulteriore male.
Non
era sicuro sarebbe stato obbedito, ma purtroppo di più non poteva fare: non
poteva certo controllare ogni suo singolo soldato.
Ebbe
inizio.
Le
strade furono attraversate da Templari e volontari e non dovettero attendere a
lungo, prima di iniziare ad imbattersi nei primi demoni o in gente coi poteri.
Molti cittadini non avevano seguito il consiglio di nascondersi e avevano
iniziato ad affacciarsi alle finestre per guardare gli scontri e, soprattutto,
per indicare ai guerrieri dove potessero trovare i loro nemici. In tanti
avevano pieno gusto a segnalare non solo i demoni, ma pure le persone dotate di
capacità speciali (anzi, forse additando queste con maggior ferocia). In
diversi scesero a propria volta nelle strade, alcuni prendevano parte agli
assalti, altri si limitavano a infierire su quelli già caduti.
Isaia
combatteva assieme agli altri, si era scelto una zona che, secondo le
informazioni, pullulava in particolar modo di demonizzati, in questo modo aveva
la possibilità di evitare di uccidere. Il che non era del tutto vero: assalito
da molti, era costretto a trafiggerne qualcuno, per difendersi, ma si sforzava
al massimo per poterli attraversare col proprio potere e salvare.
Sebastiano,
invece, aveva meno scrupoli e col suo gruppo di gesuiti si muoveva rapidamente,
cercando di fruttare al massimo il potere comune, per neutralizzare la gente
dotata e per indebolire i demoni. Agitava lo scettro-mazza di Gaspare con
grande veemenza, ma cercava di stordire e non uccidere, per quanto fosse
difficile fare certe valutazioni, nel mezzo di un combattimento.
Per
circa un’ora, l’esercito avanzò indisturbato, ma poi, in un modo o nell’altro,
gli sgherri di Serventi erano riusciti a mettersi in guardia l’un l’altro, per
cui erano stati mandati avanti un buon numero demoni per rallentare l’avanzata,
mentre i dotati di poteri si ritiravano verso il Vaticano per poter organizzare
un’adeguata controffensiva e riunirsi: sparsi com’erano, per la città, avevano
difficoltà a difendersi o reagire, ma uniti sarebbero stati molto pericolosi.
I
templari e i volontari, sebbene il numero fosse diminuito, continuarono ad
avanzare finché, giunti al Tevere, non si trovarono davanti una muraglia di
demoni, pronti a respingere ogni attacco.
Isaia,
allora, decise di fermare momentaneamente l’assalto e tenere consiglio coi suoi
uomini di fiducia.
Nota dell’Autrice
Saluti a tutti! Vi ringrazio sempre di
cuore per seguire la mia fanfic.
Perdonatemi se l’attacco è stato descritto solo per sommi capi, ma non ho
grande ispirazione per descrivere scontri epici: li lascio alla vostra
immaginazione ^.^
Sperando di non avervi delusa, un altro
ringraziamento e un saluto!
In
quello che fino a poche settimane prima era stato un Caffè, si erano riuniti
per discutere della strategia, Isaia e i suoi uomini di fiducia, ossia AbdelNassen, Alonso, Sebastiano,
Vairocana e Michela. Sarebbe dovuto esserci pure Delrio, ma ancora non era arrivato e questo preoccupava un
poco i presenti che, però, iniziarono a consultarsi anche senza di lui.
Fuori
dal locale, i templari e i volontari si riposavano, pur mantenendo la guardia
pronta e avendo piazzato delle sentinelle. Alcuni si rifocillavano, altri
piangevano la morte di qualche amico, altri ancora si raccontavano a vicenda
gli eroismi negli scontri.
“I
nostri esploratori parlano chiaro.” disse Abdel in
latino (la ragazza traduceva per il buddista) “I demoni sono in fittissimo
numero e stanno perimetrando tutto il Tevere.”
“Evidentemente,
Antinori ha iniziato a demonizzare ogni umano in quel lato della città, per
potersi difendere, maledetto!” inveì Sebastiano, piuttosto veementemente.
“Esimposibile por voi, continuare
a pugnar! Temo che estaacione
sia stata un azardo! Se loro atacherano,
noi non potremo resistere molto, ce tocheràritirarce e saremo punto e a capo, con la diferencia che ora Serventi ci cercherà per matarci! Sahevoquesarebe stato muy meglio remaner ne le
catacombe!”
“No,
no, non è vero!” esclamò Sebastiano “Abbiamo fatto ciò che andava fatto e ora
continueremo: non ci faremo intimidire da nessuno.”
“Alora moriremo todos in bataja, ma non resolveremonada!” Alonso era alquanto sconfortato e si accese uno dei
suoi sigari più pregiati, per sicurezza, nel caso avesse dovuto lasciare presto
il mondo.
“Non
potevi esprimere le tue perplessità, prima?” lo rimbeccò il giovane.
“Io
non sono mai stato d’acordo con estoprogeto.” ricordò Alonso, ma forse era lui a non
rammentare di non aver mai protestato o sconsigliato apertamente.
“Sentite,
è inutile che discutiate di questo.” li interruppe Isaia “Abbiamo preparato le
nostre varie alternative, giusto? Riguardiamole, vediamo se c’è una tattica
adeguata, mescoliamo elementi dell’una o dell’altra, insomma: qualcosa verrà
fuori. Abbiamo deciso di attaccare, consapevoli che sarebbe stata dura, non
possiamo ritirarci. Tornare indietro equivarrebbe a farci sterminare, ormai
siamo qui e dobbiamo andare fino in fondo.”
“E
se moriremo non avremo ferite sulla schiena, come i vili che fuggono, ma solo
sul petto!” sentenziò Sebastiano, ricordando i suoi studi di epica classica,
probabilmente avrebbe voluto aggiungere pure un: O noi daremo gloria al nemico, o lui la darà a noi! –ma si
trattenne, ritenendo che non fosse l’ambiente più adatto per pronunciarla.
Iniziarono,
allora, a consultare gli appunti e le osservazioni dei giorni precedenti e le
mappe. Sebastiano stava per proporre di usare i collegamenti tra le catacombe
per addentrarsi nel territorio difeso dai demoni e prenderli nuovamente di
sorpresa; in quel momento, però, entrò Delrio, coi
capelli un po’ in disordine: era evidente che avesse avuto qualche scontro.
“Scusate
per l’attesa.”
“Figurati,
Martin.” lo rassicurò Isaia “Che cos’è capitato? Difficoltà?”
L’uomo
sbuffò e spiegò: “Bah, uno stregone ha voluto fronteggiarmi a tutti i costi,
dicendo di voler vendicare dei suoi amici e … famigliari? Boh, suoi conoscenti,
morti a causa mia … non ho idea di cosa parlasse: è dal Seicento che non me la
prendo più con gente del genere!”
“Era
Niklos?” domandò la ragazza.
“Non
lo so, non mi ha detto il nome! Sta di fatto che sarei ancora lì a
fronteggiarlo, se non fossero arrivati dei suoi compagni a imporgli di tornare
indietro. Allora, com’è la situazione, qui?”
Gli
spiegarono cosa gli esploratori avessero visto ed esposero le idee che erano
emerse in sua assenza, ma nessuna di esse li convinceva. Poi, tornarono tutti a
riflettere e parlottare.
Michela
affiancò Martin Antoine, gli fece cenno di mettersi in disparte a discutere e
confabularono per alcuni minuti. La ragazza aveva avuto un’idea ma voleva
definirla meglio col gesuita pluricentenario e voleva
anche il suo sostegno per esporla: era certa che, se ne avesse parlato da sola,
Isaia non sarebbe mai stato d’accordo. I due esperti di magia, quindi,
confrontarono le proprie opinioni; l’uomo annuì, era decisamente concorde con
quella soluzione. Definito il tutto, invitarono Isaia ad avvicinarsi a loro.
“Allora,
qualche idea?” chiese il templare, un po’ sconfortato dal fatto che finora non
fosse emerso nulla: nei loro piani non avevano mai preso in considerazione una
simile quantità di demoni e ora erano molto in difficoltà per quella schiacciante
maggioranza numerica.
“Sì.”
annuì Delrio “La nostra preoccupazione maggiore è che
loro non possano aggredirci in massa, giusto? Quindi, più che a pensare ad un
attacco, dovremmo curare le difese.”
“In
quale modo?”
“Sigilli
protettivi che impediscano ai demoni di accedere ad un’area.” spiegò Michela
“Tracciati a una certa distanza gli uni dagli altri, genereranno un campo di
energia non attraversabile per le creature infernali.”
Isaia
rifletté per diversi istanti, non era completamente convinto, ma gli pareva
un’ottima precauzione; domandò: “Come avreste intenzione di posizionarli?”
Fu
Martin Antoine a rispondere: “La cosa più logica è tracciare un cerchio o un
perimetro attorno al Vaticano, così che siano loro ad essere confinati e non
noi. Inoltre, preferirei che includessimo nella loro area anche la nostra
catacomba principale, così da poter mantenere attivi i nostri servizi.”
“D’accordo,
prendete una mappa e circostanziate la zona, poi richiamatemi e fatemi vedere.
Ovviamente sarà un’azione segreta, gli altri non devono saperlo.” puntualizzò
Isaia.
“Come
vuoi.” assentì Martin, poi aggiunse: “Se vogliamo rendere massimamente efficaci
i sigilli, ci farebbe comodo poter attingere all’ampolla col sangue di Cristo,
l’hai portata dietro, come avevi detto?”
“Sì.
Ve la porto.”
“Meglio
se trovi un’altra boccetta e ne travasi una parte.”
“Perché?”
“Non
andremo assieme.” continuò a dire il pluricentenario
“L’area sarà comunque ampia e noi siamo a piedi: per risparmiare tempo,
conviene dividerci.”
Lì
per lì, Isaia non disse nulla, ma, quando tornò con le due ampolle e per
controllare quale area avessero scelto di sigillare, disse: “Martin, tu puoi
andare solo: nessuno oserà dirti alcunché, se ti vedessero tracciare segni
strani. Michela, io ti accompagnerò. I miei uomini non vedranno nulla di male,
nella tua azione, se ci sarò anch’io. Se riuscissimo, però, ad evitare che
anche solo una persona se ne accorga, sarà meglio.”
“E
poi, come giustificherai il fatto che i demoni rimangano bloccati?” domandò la
ragazza, perplessa.
“Sono
l’Arcangelo Michele, no? Potrò ben fare una cosa del genere!” abbozzò un
sorrisetto.
“Ah!
Noi facciamo il lavoro e tu ti prendi il merito!” scherzò la maga, per nulla
infastidita, poi tornò seria, nel dirgli: “Il fatto è che davvero tu potresti
riuscirci a fare una simile cosa, se solo ti decidessi ad attingere a tutto il
tuo potere.”
“Non
ricominciare …” la rimproverò lui, che non aveva voglia di discutere, in quel
momento.
“Va
bene, ti faccio solo presente che Gabriel usa appieno il suo potere, se tu non
farai altrettanto, non potrai vincere.”
Isaia
la guardò, per alcuni secondi, come per dire: Probabilmente è così, ma non ci riesco; la sua espressione era un
misto tra scusa e severità. Infine disse: “Aspettatemi fuori. Invento una scusa
per il nostro allontanamento e poi vi raggiungo.”
Contemporaneamente,
in Vaticano, anche Serventi e Gabriel stavano tenendo il loro Consiglio di Guerra,
proprio nella sala con l’affresco L’Accademia
di Atene.
Erano
presenti circa una ventina di uomini e uno alla volta esponevano le capacità
dei drappelli che capeggiavano ed eventualmente qualche suggerimento tattico. Ogni
drappello era composto da un certo numero di gente dotata di poteri e varie
decine di demonizzati.
Al
Consigli c’era pure Stefano che, in tutto quel tempo, dall’assalto al Centro ad
ora, non aveva mai smesso di seguire il suo maestro.
Non
erano, però, al completo: mancava Niklos, lo avevano
mandato a chiamare, ma ancora non li aveva raggiunti e questo seccava parecchio
Gabriel.
Infatti,
non appena lo stregone varcò la soglia, Antinori si lo fulminò con lo sguardo e
con una certa rabbia lo apostrofò: “Accidenti! Dove ti eri cacciato?”
“Stavo
risolvendo una mia faccenda personale!” gli ringhiò Niklos,
che non amava doversi giustificare “I tuoi galoppini mi hanno impedito di
portare a termine una vendetta che aspetto da decenni, ma che dico: secoli!”
“Devi
smetterla di fare di testa tua!” lo rimproverò Gabriel e gli ricordò: “Io sono
il Capo!”
Niklos soffiò tediato
e replicò: “Io ti ripeto per l’ennesima volta che non obbedisco a nessuno:
faccio favori, se mi va. Voi mi volete nel vostro gruppo e io ci sto
volentieri: mi fornite vitto, alloggio e siete pure simpatici. Bonifacio ed io
siamo buoni amici da sempre e sono ben contento di aiutarlo, ma tu, caro mio,
hai un bel da pretendere la mia obbedienza! Non mi impressioni di certo con le
tue palle di fuoco e io ho sicuramente molte più esperienza e saviezza di te.
Pare che tu sia l’Eletto e allora ti do retta, ma non pretendere ch’io sia come
questa marmaglia che ti venera e ti segue ciecamente.”
“E
allora non so che farmene di te!”
Gabriel
iniziò a formare una sfera di fuoco nella mano, ma intervenne Serventi, con la
solita pacatezza: “Gabriel, fermati. Ha comunque risposto alla tua
convocazione, inoltre è uno stregone molto potente, ci fa comodo.”
Antinori
si calmò, ma continuò a guardare di sbieco Niklos.
“Ad
ogni modo” proseguì Serventi “Potrai ucciderlo dopo aver eliminato i templari e
questi testardi oppositori. Hai un’idea su come rispondere all’attacco?”
“Certo.
Vado là, sfido Isaia, lo concio per bene, i suoi soldatini si spaventano e si
danno allo sbando, vedendo il loro capo praticamente finito. I nostri valorosi
compagni li inseguono e li sterminano. Fine.”
“Gabriel,
te l’ho già detto, non puoi batterti con Isaia.”
“Perché,
Bonifacio, perché? D’accordo, è notevolmente migliorato; abbiamo sentito le
descrizioni fatte da chi l’ha visto ed è riuscito a mettersi in salvo: bravo,
eccezionale! Certo che, se fosse davvero così, non ci sarebbero superstiti.
Evidentemente il suo caro Sebastiano gli ha insegnato qualcosa. Ma, insomma,
Bonifacio, non hai fiducia in me? Nel mio potere? Lo dici sempre anche tu: io
sono l’Eletto.”
“Anche
Isaia ha un potere, lo sai, potreste combattervi fino allo sfinimento reciproco
e non è ciò che deve accadere.”
Gabriel,
molto contrariato, guardò di sbieco Serventi; poi scrollò le spalle e borbottò:
“Beh, allora fattelo tu il piano di difesa e reazione, io me ne vado a fare due
passi.”
Serventi
sospirò impercettibilmente e lo lasciò andare.
Gabriel
se ne uscì dal palazzo, non andò neppure da Claudia, ma si diresse il più
lontano possibile. Aveva voglia di starsene un po’ da solo: ormai viveva
circondato da gente coi poteri. Non gli dispiaceva essere in compagnia di
persone superiori all’umano e neppure l’avere attorno così tanti individui
pronti ad obbedirlo, servirlo e riverirlo, tuttavia a lungo andare la cosa
risultava, talvolta, asfissiante, e lui desiderava isolarsi. Tanto più che con
nessuno di loro era riuscito a formare un legame d’amicizia e lui sentiva molto
la mancanza di Alonso e pure di Isaia.
Aveva
sperato, con quella sfuriata e uscita sgarbata, di avere trovato il pretesto
giusto per prendersi un’oretta di rilassamento, lontano da tutto e tutti, ma
presto fu affiancato da due demoni.
“Non
ho bisogno di scorta.” li avvertì lui, seccato.
“Serventi
ci ha ordinato di seguirti.” rispose uno di loro.
Gabriel,
sebbene molto contrariato, non disse altro: Bonifacio era troppo apprensivo nei
suoi confronti e non c’era modo di liberarsi dalle guardie del corpo che gli
affibbiava.
Comunque
continuò ad allontanarsi il più possibile dai punti di aggregazione dei suoi
seguaci. Mentre camminava per le strade, i civili, spaventati, si rinchiudevano
nelle case. Lui ne era ben consapevole e, tra sé e sé, rideva di quei patetici
omuncoli che guardava con disprezzo.
Proseguiva
e si guardava attorno, in cerca di qualcosa che lo distraesse e finalmente lo
trovò. Vide in lontananza due figure umane: quella maschile indossava una
tonaca bianca, quella femminile aveva una sciarpa rossa.
Gabriel
li riconobbe subito per Isaia e Michela; stavano facendo qualcosa vicino ad un
muro: non gli interessava, voleva divertirsi un poco e basta.
Si
avvicinò rapidamente e senza farsi notare e, quando fu a pochi metri, esclamò:
“Ma guarda un po’ chi si rivede: il sorcio templare!” poi fece cenno di
meravigliarsi e continuò: “E addirittura è in dolce compagnia … della strega …
di nuovo.” calcò quest’ultima parola.
Per
qualche istante fissò la ragazza con ira; poi, sebbene lo sguardo e il ghigno
rimanessero terribili, parve rilassarsi e, quasi in un sorriso, disse: “Bene!
Avevo bisogno di svagarmi. Recita le tue ultime preghiere, traditrice: ho
promesso che ti avrei uccisa e non penserò ad altro, finché non ti avrò tolta
di mezzo.”
Gabriel
tese il braccio destro davanti a sé e scintille elettriche iniziarono a
crepitare attorno alla sua mano.
“Fossi
in te, non lo farei.” lo ammonì Isaia, deciso e calmo, stringendo un poco più
saldamente la lancia, ma senza assumere una posizione d’attacco.
Antinori
abbassò il braccio e, quasi lagnandosi, disse: “Andiamo, Isaia, sii realistico!:
che differenza ti farebbe, se la uccidessi?” e qui si fece derisorio: “Tanto
non sapresti godertela … sai cosa intendo.” e scoppiò a ridere; quando smise,
osservò: “Le uniche donne con cui hai mai avuto a che fare sono suore!”
Isaia
aveva già alzato gli occhi al Cielo, pensando: Di nuovo con questa storia!
Ma perché ha in testa solo questo?
Avrebbe
preferito lasciar perdere l’argomento ma, dal momento che la questione aveva
distolto Gabriel dall’intento di uccidere la ragazza, il templare decise di
dargli corda e replicò: “Ti ricordo che pure tu avevi a che fare solo con le
suore, finché non hai incontrato la dottoressa Munari. Hai trovato
un’appassionata di casi umani che ti considera interessante … ma questo
non fa di te un don Giovanni.”
“Almeno,
però, ho imparato, anche nella pratica, il secondo significato del termine scopare,
come tutte le persone di buon senso.” si vantò Antinori.
“Non
la considero un’esperienza rilevante.” replicò Isaia, pacato “Specialmente se
esposta in questi termini.”
Gabriel
si irritò parecchio per quell’ostinato e inutile perbenismo, si accigliò e
disse: “Mi hai veramente stufato!”
Poi
si rivolse ai demoni: “Voi due, rendetevi utili e date una lezione a
quest’insolente.” spostò lo sguardo sulla ragazza, fece uno dei suoi terribili
ghigni e disse: “Io mi occuperò della strega.”
I
demoni si scagliarono su Isaia, mentre Gabriel avanzò con calma verso la
giovane: voleva godersi appieno il terrore nei suoi occhi. Rimase deluso nel
vederla allarmata, ma non impaurita. Decise di stuzzicarla con qualche
provocazione, ma non ne ebbe il tempo: gli piombò, tra i piedi, il cadavere di
uno dei demoni. Si voltò verso Isaia e si accorse che pure l’altro demone era
stato ucciso. Dapprima sembrò meravigliarsi, poi parve assumere un’espressione
soddisfatta e appunto disse: “Ottimo lavoro! Complimenti! Mi hai davvero tolto
un peso, anzi, due. Ora posso fare la mia passeggiata tranquillo, senza la
scorta a rompere le scatole! Mi pare incredibile che, proprio tu, sia diventato
un così abile combattente, coraggioso per di più. Mi han detto che eri in prima
fila, stamattina. Bravo, complimenti! Sono contento di quel che stai diventando.”
il suo tono era sincero: nulla, nella sua voce, pareva ironico “Perché non
vieni dalla mia parte? Te l’ho detto fin da subito, quando eravamo nella
cripta: io non voglio combatterti, io non voglio ucciderti. Ho trovato la vera
libertà e la felicità e voglio che tu, il mio migliore amico, ne goda assieme a
me.”
Isaia
era allibito, rimase ad ascoltare senza dire nulla.
“Pensaci:
non più vincoli, non più doveri, solo diritti e piaceri!”
Gli occhi di Gabriel si illuminarono di
gioia al solo pensiero, quando disse: “Immagina che cosa potremmo fare unendo
le nostre forze!” si era avvicinato all’altro, gli poggiò una mano sulla spalla
e, guardandolo, proseguì: “Combattere insieme, fianco a fianco, come solo due
amici come te ed io possono fare. Saremmo praticamente invincibili,
inarrestabili, temuti e soprattutto rispettati. Pensaci, Isaia, io e te potremo
rigenerare il mondo.” era assolutamente convinto di quel che diceva.
Isaia, a sua volta, mise la mano
sinistra sulla spalla dell’amico e gli disse: “Gabriel, so che assieme possiamo
fare molto. Non è questo, però, il progetto che mi interessa.”
“Ah no?” fu aspro l’altro, forse si
sentì offeso “Mi sembrava che il potere ti interessasse e parecchio. Cosa non
hai fatto per entrare nel Direttorio?”
“Ho sbagliato, lo so. Ho cercato di
migliorare. Tu mi stai proponendo di mettere noi stessi al centro di tutto, ma
io non lo posso accettare: bisogna amare soltanto Iddio e odiare soltanto sé
stessi!”
“A te riesce
benissimo di odiarti. Continui a disprezzarti, a non fare ciò che ti
contenterebbe e rifiuti la mia offerta di dominio e godimento … e per cosa?”
“Per il Bene,
per Dio che tu pure conosci. La tua nuova filosofia è fallita: molti uomini che
avrebbero potuto profittare della loro posizione, come i medici, o dei loro
mezzi, gente armata, hanno preferito combattere, stamattina, per il bene comune
e non secondare i propri interessi. Questo dimostra che da noi sta la ragione e
la vera forza.”
Gabriel lo
fissò con estrema ira e ringhiò: “Ci avrete anche colti di sprovvista,
stamattina, ma questo non significa nulla. Presto lo scontro sarà vero, vi
mostreremo la vera forza, il vero potere e a quel punto non avrete che due sole
scelte: convertirvi alla legge del più
forte o soccombere.”
Gabriel fissò
l’amico, come per osservarne la reazione e poi proseguì: “Tornando in
argomento, se venissi con noi, potresti concederti quell’esperienza che ora dici
di non considerare rilevante.” indicò la ragazza e assunse un tono
provocatorio: “Ammettilo che non ti dispiacerebbe provare quell’esperienza con lei. Su,
puoi confidarti col tuo migliore amico. E non provare a negarlo: quei due
demoni, avresti potuto ritrasformarli in umani, prendendoti qualche momento in
più di tempo, invece hai preferito ucciderli, per far prima e poter proteggere
lei.”
Gabriel mosse
qualche passo verso la giovane e osservò: “Non ti sei scelto male l’amichetta,
suvvia non sprecarla. Possibile che tu non senta il richiamo della specie? Non
ci credo. Dammi retta: ti farà bene uscire dalla biblioteca. È un’esperienza inebriante,
dopo la prima volta, non ne potrai più fare a meno; credimi ci sono passato
anch’io. Insomma, è ora che ti decida a conoscerla in senso biblico.”
Gabriel era
vicinissimo alla ragazza, bruscamente le afferrò il volto con la mano,
piantandole le unghie nella carne, e le chiese: “È vero o no?”
“Lasciala
stare!” esclamò Isaia.
L’altro si
voltò un momento verso di lui per dirgli: “Sto parlando con lei, se non ti
dispiace.”
Il templare
sarebbe avanzato, ma Michela gli disse telepaticamente: “Tranquillo, ho in
tasca l’ampolla col sangue di Cristo, l’userò per proteggermi, se sarà
necessario.”
Gabriel tornò
a rivolgersi a lei: “Dicevamo: è vero che sarebbe ora che lui iniziasse a usare
l’uccello?” strinse ancora più forte la mano attorno al viso; attese una
risposta per qualche momento, non ottenendola, abbozzò un ghigno e disse: “Beh,
come si dice in questi casi: chi tace
acconsente.”
Lasciò la
presa e le passò la mano, con le punte delle dita macchiate di sangue, sotto i
capelli e le afferrò fortemente la nuca; si voltò verso Isaia e gli disse: “Per
ringraziarti del favore che mi hai fatto” accennò ai demoni morti “Non ucciderò
la tua amichetta.” la spintonò con violenza addosso all’uomo, che,
istintivamente, con un braccio la strinse a sé, come per proteggerla.
“Fatti
insegnare da lei il secondo uso di quel che hai tra le gambe. Magari, spezzando
questo vincolo che ti imponi, imparerai a fare a meno di molte altre catene che
ti porti dietro eallora capirai che ho
ragione e tornerai ad essere il mio compagno di giochi.”
“Ci si vede
piccioncini!” scoppiò a ridere; si allontanò di qualche passo, prima di
voltarsi verso di loro e raccomandarsi a gran voce: “Dacci dentro, fratello!”
fissò l’amico finché non lo vide diventare rosso in viso, rise di nuovo e
finalmente se ne andò.
“Tutto bene?”
domandò Isaia, un po’ preoccupato “Ti ha fatto male?”
“No, nulla di
che, grazie.”
Le passò la
mano, che non la cingeva, sulla guancia, arrossata per la stretta di Gabriel,
oltre ai segni delle unghiate, da cui usciva sangue, c’erano anche molti
capillari rotti; le chiese: “Sei sicura?”
“Certo.”
“Perdonalo,
per favore, non si rende conto di quello che fa.”
“Lo so.”
“Non è
davvero cattivo.” lo giustificò ancora Isaia “Quando l’ho toccato con la mia
mano, ho provato a toccare la sua anima … Non vuole fare del male o
distruggere, semplicemente vuole tenere tutto il bene per sé e i suoi cari. È
un bene minore, ma pur sempre bene è. Ha solo la mente offuscata, bisogna solo
restituirgli una visione completa.”
“Riuscirai a
salvarlo Isaia, non ne dubito.” disse lei dolcemente, ma con decisione.
“Grazie della
fiducia.” la guardò negli occhi, così vicini ai suoi e le sorrise “Se ci
riuscirò, però, sarà anche grazie a te: mi hai impedito di essere travolto dal
credo limitato di Vargas e mi hai suggerito dove
cercare la comprensione.”
“Era mio
dovere.” rimasero in silenzio alcuni secondi “Ehm … Credo che sia bene finire
di tracciare il sigillo e poi proseguire.”
“Ah …! Sì,
giusto.” si scosse lui, togliendo il braccio che la stringeva.
Michela
riprese l’ampolla e il suo pennino e finì di disegnare un simbolo sopra la
parete di una casa, dovette concentrarsi per tenere ferma la mano che,
stranamente, le tremava leggermente.
Isaia,
visibilmente nervoso, si guardava attorno, per sincerarsi che non ci fossero
altri nei paraggi e sospirò: “Meno male che Gabriel era così preso dai suoi
vaneggiamenti, da non accorgersi o curarsi di quel che stiamo facendo. Se
l’avesse scoperto, avrebbe potuto mandare a monte tutto il nostro progetto.”
Nonostante lo
spiccato autocontrollo che mai lo abbandonava, Isaia lasciò trapelare, dalla
sua voce, un certo disagio, forse imbarazzo. Si passò il palmo sulla nuca.
“Ecco, qua è
finito. Procediamo.” disse lei, risistemando il materiale in tasca e
riprendendo il cammino, passando davanti ad Isaia senza guardarlo.
L’uomo la
seguì, ma prima lanciò un’ultima occhiata amareggiata ai cadaveri dei due demonizzati,
pentito di averli uccisi.
Proseguirono
per la via, misurando bene la distanza, ma senza parlare. Prima avevano
chiacchierato a lungo, ora rimanevano in silenzio e non perché non avessero più
cose da dirsi, semplicemente non se la sentivano. L’incontro con Gabriel li
aveva un po’ scombussolati, nonostante non lo dicessero apertamente.
Tracciarono
altri due sigilli senza rivolgersi neppure una parola. Isaia ne aveva
approfittato per qualche riflessione, ma ora trovava quel silenzio
insopportabile. Avrebbe voluto spezzare quella tensione che, almeno da parte
sua, era generata per le squallide parole di Gabriel.
Non sapeva,
però, cosa dire. La osservava in cerca di un’idea. Ora lei stava tracciando un
simbolo su una parete. L’occhio di Isaia cadde sui segni delle unghie di
Gabriel, per cui le domandò: “Sicura che non ti bruci il viso dove ti ha
afferrata? C’è del sangue, te ne sei accorta? Se-se
vuoi, dopo, te li disinfetto.”
Lei ebbe un
sussulto interno, poi voltò il viso verso di lui e, sorridente, rispose:
“Volentieri, grazie! … È un onore essere medicati dall’Arcangelo Michele.”
“Oh, è il
minimo che potrei fare, specialmente per chi mi è consacrato.”
Isaia era
riuscito nel suo intento: aveva spezzato il silenzio e ora riuscivano di nuovo
a discorrere tranquillamente, senza più pensare all’incontro con Gabriel.
Tornati
presso il Caffè che avevano sfruttato per il Consiglio militare, lo trovarono
vuoto: Sebastiano, Alonso e gli altri si erano mescolati col resto dei
volontari. Il Magister Templi pensò che fosse il
momento ideale per disinfettare le ferite dell’amica, come promesso, senza dare
nell’occhio.
“Qua
abbiamo alcol e cotone.” disse l’uomo, prendendo gli oggetti che erano stati
portati lì, prima della precedente riunione, per permettere ai valorosi di
ripulirsi i tagli.
Isaia
si avvicinò alla giovane e l’avvertì: “Brucerà un poco.”
“Non
sono una bambina, un po’ di alcol non mi spaventa.” sorrise lei.
Il
prete passò il batuffolo imbevuto sui graffi. Per quel paio di minuti rimasero
in silenzio.
“Ecco fatto.”
disse lui, appoggiando il cotone sul tavolino lì accanto “Abbiamo scongiurato
ogni pericolo di infezione.”
“Grazie!” gli
sorrise lei.
Erano l’uno
di fronte all’altro, a pochissimi centimetri di distanza, quasi attaccati.
Michela si alzò un poco in punta di piedi, sollevò il capo e premette le
proprie labbra su quelle di Isaia, fu un bacio a stampo, rapidissimo. Fu
talmente veloce che l’uomo non ebbe il tempo di ritrarsi.
Il prete
guardò con turbamento la donna; era interdetto. Forse, con qualche secondo in
più di tempo, avrebbe detto qualcosa, ma la ragazza lo prevenne, esclamando:
“Non dirmi che non hai ma letto Erodoto!?!”
“Certo che
l’ho letto.” replicò Isaia, tra il confuso e l’irritato “Che cosa c’entra?”
“Gli antichi
persiani usavano salutarsi con un bacio a fior di labbra.[2]”
spiegò candidamente lei.
“E allora?”
ora era solamente perplesso.
“I Magi sono
sorti nell’antica Persia, ricordi?”
Isaia si
accigliò un attimo e chiese: “Intendi dire che voi Magi vi salutate ancora
così?”
Michela lo
guardò in silenzio qualche istante e poi si limitò a dire: “Scusami, non volevo
turbarti. Ancora grazie per la medicazione.” si voltò e uscì.
Isaia rimase
in piedi, con la mente sottosopra. Poco dopo entrò Delrio,
di ritorno dal suo giro, per riferire che tutto era proceduto tranquillamente.
[2]«Quando i
Persiani si trovano per la strada, si può capire, nel modo che segue, se le
persone che si incontrano sono dello stesso livello sociale. Se sono pari, si
baciano sulla bocca senza pronunciare una sola parola di saluto; se uno è
leggermente inferiore all'altro, egli è il solo a baciare l'altro sulla
guancia; se invece è di gran lunga inferiore, si inchina e tributa laproskýnesisal suo superiore» (Erodoto)
Il
progetto di limitare l’area di azione dei demoni, tramite i sigilli, andò a
buon fine senza intralci.
Isaia
e Delrio avevano anche pensato a una bella
sceneggiata per impressionare i nemici e galvanizzare i propri alleati. Non
appena i demoni fecero cenno d’avanzare, Martin si nascose, invece Isaia si
mostrò innanzi a tutti e iniziò a recitare un salmo in latino. A quel punto, il
gesuita centenario fece in modo che apparisse una circonferenza luminosa che
corrispondesse all’incirca all’area che avevano circoscritto coi sigilli.
Tutti
quanti, da ambo le parti si stupirono dell’evento e rimasero perplessi quando
la luce si affievolì fino a spegnersi. I comandanti delle forze di Gabriel e
Serventi ordinarono ai demoni di avanzare, di non farsi intimorire da qualche trucchetto. Gli esseri infernali avanzarono fino al
confine, ma più avanti non riuscirono ad andare: arrivati in prossimità
dell’area protetta dai sigilli, venivano respinti all’indietro e le prime file
cadevano addosso ai retrostanti. Confusione, stupore e rabbia riempirono le
fila dei demoni e dei loro condottieri.
La
meraviglia era presente anche presso i templari e i loro alleati, ma loro
gridarono di gioia e felicità, gridando a gran voce di Isaia, ma egli fu lesto
a dire: “Non nobisDomine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Così facciano anche gli uomini! Non lodate
i semplici mortali, ma il Signore nostro Dio, poiché tutte le opere che
compiamo hanno radici in lui. È Dio che ci protegge, io sono solo strumento per
il Suo Verbo.”
Quando finalmente i demoni e i loro capitani
capirono che non c’era niente da fare per poter avanzare, la più parte di loro
si ritirò, lasciando solo delle sentinelle.
Vedendo la minaccia stornata, anche i templari e i
volontari fecero altrettanto. I volontari, per lo più, si misero a correre per
le strade, proclamando la liberazione e invitando la gente ad uscire dalle case
e a festeggiare. Molti così fecero e le vie si popolarono di gente che gioiva:
alcuni stapparono bottiglie pregiate, altri comuni birre, vini o liquori; chi
sapeva suonare la chitarra scese con essa per suonare e cantare, mentre gli
amici intonavano con lui o ballavano, alcuni avevano portato in strada pianole,
alcuni avevano trombe o sassofoni; c’era chi faceva scoppiare mortaretti,
petardi e miccette. Insomma, era una gran festa.
I templari, invece, ben sapevano che quella non era
certo una vittoria definitiva e che, anzi, in futuro ci sarebbero stati altri
scontri aspri e che molti sarebbero ancora morti. A questo proposito, Isaia si consultò con Abdel
e gli altri provinciali per scegliere dove trasferire il loro quartiere
generale, in modo che fosse più addentro alla città affinché potessero
intervenire rapidamente; ovviamente non sarebbe neppure stato, però, proprio
sul confine col territorio ostile. Inoltre, tra i compiti che erano da portare
immediatamente a buon termine, c’era anche quello di sbarazzarsi dei
demonizzati che sorvegliavano i confini esterni del territorio che fino al
giorno prima era sotto il controllo di Gabriel e Serventi. Isaia voleva andare
personalmente a riumanizzare tutti quanti. Padre Fylan e altri templari protestarono, dicendo che il Magister Templi doveva occuparsi della direzione di tutte
le operazioni e non concentrarsi su una sola questione. Isaia fu, però
irremovibile: sapeva bene che i templari non gli avrebbero consegnato
prigionieri i demonizzati, ma li avrebbero uccisi. Delegate le questioni
logistiche ad AbdelNassen,
Isaia chiamò Alonso e gli chiese se avesse voglia di usare ancora la ciotola di
San Giovanni; il bibliotecario ne fu molto contento e andò a caricare
bottiglioni d’acqua in auto.
Essendo occupato in questa missione, Isaia aveva
delegato a Martin Antoine e Sebastiano il compito di verificare come fosse la
situazione nelle catacombe. Delrio aveva molto a
cuore la situazione ospedaliera: le forze mediche erano infatti state divise
per l’attacco, parte di esse erano rimaste nelle catacombe, parte si erano
dislocate altrove per dare soccorso ai feriti dello scontro. Ora, per Martin,
era necessario verificare quanto personale era effettivamente ancora nella zona
sotto il controllo di Serventi e quanto materiale avessero, per poter poi
decidere come riorganizzare il servizio ospedaliero.
A Sebastiano, invece, premeva di appurare che fosse
ancora possibile introdurre clandestinamente scorte alimentari.
Sebbene le catacombe principali delle loro attività
si trovassero dentro al territorio di Serventi, esse erano collegate,
attraverso a passaggi sotterranei, ad altre collocate, invece, nella zona
liberata.
Isaia e i suoi stavano dunque gestendo in questa
maniera la nuova situazione.
In Vaticano, pure, si stava discutendo animatamente
sulla faccenda. In molti parlottavano tra loro, ma non stavano tenendo un
Consiglio di Guerra, in quanto non erano presenti né Serventi, né Gabriel.
L’Eletto, infatti, non era ancora tornato dalla sua
passeggiata e questo infastidiva parecchio Bonifacio e un po’ lo preoccupava.
Quando lo vide rientrare, gli lanciò un’occhiata a metà tra il sollevato e il
rimprovero, lo avvicinò e gli chiese: “Dove sei stato, finora?”
“In giro.”
“La tua scorta?”
“È morta.”
Serventi sbuffò sommessamente, contrariato
dall’atteggiamento del suo Eletto, ma mantenne la flemma e si limitò ad
aggiungere una punta di rimprovero, quando chiese: “Sai che cos’è successo?”
“No.” rispose il giovane, ancora seccamente.
“Isaia ha creato un confine di potere divino che
impedisce ai demoni di attraversarlo.”
“Oh, allora non ha seguito il mio consiglio.”
considerò Gabriel, un po’ irritato e un po’ deluso.
“Quale consiglio?” pur non dandolo troppo a vedere,
l’uomo era alquanto sorpreso.
“Di essere un po’ più umano. Ostinato come pochi!”
“Gabriel, quando gli avresti dato questo
consiglio?” Serventi aveva intuito la situazione, ma stentava a crederci.
“Un paio d’ore fa? Su per giù, non ricordo di
preciso, non sono mica stato a cronometrare!”
“Non l’avrai mica sfidato, vero?”
“No, no, tranquillo! Non c’era nessuno a guardare,
per cui gli ho fatto un discorsetto, ma probabilmente non ha capito un
accidente!”
“Che ci faceva in giro da solo?” si interrogò
Serventi, pensando fosse importante trovare la risposta a quel quesito.
“Non era solo, era con quella traditrice che pure Niklos vuole. Bah, che avrà di speciale, proprio non so!
Comunque, ora ti racconto cos’è successo.”
Gabriel riferì la conversazione e, alla fine,
commentò, piuttosto arrabbiato: “Come può essere così ottuso? Ti rendi conto,
Bonifacio? Io gli ho offerto di venire qui e dividere il potere alla pari e lui
ha rifiutato! È così schiavo! Mi dispiace per lui, io vorrei liberarlo, vorrei
che finalmente fosse felice! Come può dirsi contento se non ha mai fatto nulla
per sé stesso?”
“Gabriel, sei molto buono a volere che Isaia, nonostante
non lo meriti, possa godere del tuo trionfo.” gli disse Serventi, in realtà
molto soddisfatto della piega che stavano prendendo le cose “Se davvero vuoi
che apra gli occhi e si scuota via di dosso il giogo che lo opprime, allora
posso spiegarti quale strada intraprendere per riuscirci.”
“Dimmela!” lo interruppe l’altro.
“Va bene.” acconsentì Bonifacio “Ma, prima, dimmi
se sei disposto davvero a qualsiasi cosa pur di salvarlo.”
“Qualsiasi cosa.”
“Lo spero. Per vincere l’animo di Isaia, dovrai
renderlo disperato, annientare la sua voglia di lottare, farlo sentire
impotente. Il tuo errore, Gabriel, è di avere pietà di lui.”
“Non dovrei?”
“Oh, sì, certo, ma la devi concentrare in odio e
disprezzo: quello che hai davanti non è Isaia, ma il suo oppressore. Devi
combatterlo, odiarlo e annichilirlo, per poter liberare il tuo amico.”
“Ho capito. Ci sbrigheremo ad annientare il suo
esercito, tanto era lo stesso sulla lista delle cose da fare.”
“Non basterà questo. Dovrai farlo sentire solo,
privo di forze proprie ed altrui. Dovrai farlo soffrire e umiliarlo. Sei
disposto a fare tutto ciò? Odi abbastanza l’oppressore di Isaia?”
“Sì. Patirà tremendamente, finché non lascerà che
il mio fratello sia libero e felice.”
“Molto bene, Gabriel.” si compiacque Serventi,
sperando che il suo pupillo potesse davvero agire secondo tali intenti.
“Bene; ora scusami, Bonifacio, ma vado da Claudia.”
“Aspetta!” lo fermò l’altro “Stai dimenticando che
c’è la questione coi templari da risolvere. I nostri demoni non possono
avanzare. Dovresti prendere parte al Consiglio di guerra.”
“Bah, andiamo finalmente a fare una visita alla
loro catacomba! Pensano che non ce ne siamo ancora accorti, stupidi! Andiamo là
e mostriamo il nostro disappunto.”
“A meno che tu non abbia intenzione di demonizzare
l’intera popolazione, cosa che non mi sembra affatto opportuna, in questo
momento, quel che fanno nella catacomba ci è utile: dà sollievo alla rabbia
della gente, che dunque non pensa seriamente a una rivolta.”
“Allora non facciamo nulla.” rispose Gabriel
“Vorranno venire a salvare la povera gente indifesa e noi li aspetteremo al
varco. Se tra qualche giorno i templari non si saranno ancora dati una mossa,
sarà facile provocarli.”
“Devo quindi dire ai nostri uomini che non
reagiremo?”
“Esattamente. Che si tengano pronti in caso di
aggressione, ma non saremo noi ad attaccare, almeno in questi primi giorni.”
Serventi non contestò e lasciò che Gabriel andasse
da Claudia.
La psicologa si trovava nel salotti di quello che
era l’appartamento in cui viveva con Gabriel. In realtà, a quell’ora,
normalmente, avrebbe dovuto essere al lavoro. Claudia, infatti, continuava la
sua attività di psicologa anche in quell’ambiente; il suo ruolo era quello di
aiutare le persone a superare tutte le costrizioni, le convenzioni e
imposizioni con cui erano cresciute, li aiutava ad essere liberi, spontanei e
naturali. Aiutava soprattutto i più giovani o, per essere corretti, coloro che
avevano da poco scoperto di avere poteri e dovevano accettarli. Lavorava anche
con quelli che non sapeva essere i cugini di Michela.
Quel giorno però, per via dello scontro e
dell’agitazione che ne era conseguita, tutte le attività erano state sospese,
comprese quelle del sostegno psicologico e, quindi, Claudia si trovava in casa,
assieme all’amica Teresa, approfittando di quelle ore libere per poter guardare
alcuni cataloghi per scegliere l’arredamento per la cameretta del figlio che
stava aspettando.
Erano intente in ciò,
quando arrivò Gabriel. L’uomo salutò entrambe, poi si avvicinò a Claudia e le
diede un bacio.
“Come mai sei qui? Credevo stessi pensando allo
scontro. Avete vinto?!”
“Per qualche giorno non ci daranno fastidio.”
Claudia parve un po’ delusa, infatti disse:
“Avresti dovuto ucciderli o catturarli: finché sono vivi e liberi, quegli uomini
continueranno a prendersela con i poveretti dotati di poteri. Immagino ci siano
molti che non sono arrivati da noi: sono in pericolo con quegli esaltati in
giro!”
“Beh, se si lasciano scoprire e uccidere dai
templari, non so se li vorrei nelle nostre fila: non mi piacciono i deboli.”
“Per quanto uno sia forte” commentò Teresa “Se in
venti lo assaltano o gli sparano un colpo da lontano, c’è poco da fare.”
“Inoltre ci sono poteri molto importanti che, però,
non danno capacità in combattimento.” osservò Claudia “Pensa, ad esempio, al
povero signor Muster: le sue previsioni erano
straordinarie, tuttavia era piuttosto indifeso.”
“Vero.” parve ammettere Gabriel “Ma se uno sa
prevedere il futuro, può evitare che accada, prendere le proprie misure di sicurezza,
o non presentarsi nel luogo in cui dovrebbero verificarsi.”
“Era un esempio!” protestò Claudia, poi tornò
dolce, nel dire: “Comunque, sarebbe bello avere un veggente qui da noi: mi
piacerebbe davvero molto conoscere che cosa ci riserva il futuro!”
Teresa si stupì ed esclamò: “Claudia! È la prima
volta che ti sento parlare in questa maniera! Capisco che dobbiamo rivedere il
nostro rapporto con i fenomeni che finora consideravamo inesistenti, poiché è
innegabile che queste persone siano dotate di poteri fuori dall’ordinario, ma,
credere addirittura alle previsioni del futuro, mi sembra eccessivo.”
“Oh, suvvia, non fare la guastafeste!”
Si sentì suonare il campanello. Gabriel andò ad
aprire e trovò sull’uscio Stefano.
“Oh, vieni, entra.” lo invitò “Ti manda Bonifacio?”
“No, volevo solo vedere se ti eri calmato. È stato
davvero ingiusto, prima, Serventi, a difendere quel presuntuoso di Niklos e a impedirti di scontrarti direttamente con Isaia.
Come se potessero esserci dubbi sulla tua vittoria!”
“Bah, guarda, per favore, non nominarmi nessuno di
quei due, che è meglio! Non so se è più falso Isaia a dirsi mio amico e poi
volermi uccidere, oppure Bonifacio che mi chiama Eletto, che dice che
sono qui a guidarvi e poi le decisioni le prende lui.”
“Sì,
molto scorretto.” concordò il ragazzo.
“Ehi
Claudia!” esclamò Gabriel, illuminato da un’idea “Volevi una previsione del
futuro? Chiedi a Stefano! Potrebbe riuscirci.”
Intanto
i due uomini erano andati a sedersi sulle poltrone vicino al divano su cui
erano le due psicologhe.
“Ma
lui non è un veggente.” fece notare Claudia.
“Vero.”
confermò Gabriel “Ma sono sicuro che può costringere l’anima di qualche
veggente morto a reincarnarsi in lui e, quindi, potrà attingere alle sue
capacità. È così che funziona il tuo potere, vero?”
“Sì,
precisamente.”
Stefano,
l’anno prima, aveva inconsapevolmente attivato il proprio potere, facendo
reincarnare in sé un soldato nazista ed era stato aiutato da Gabriel a
liberarsi; dopo questo fenomeno, però, era stato contattato dalla setta del
Candelaio e, affiancato da altri, aveva compreso la natura del proprio potere e
aveva imparato ad usarlo a proprio piacere. In pratica lui era capace di
evocare l’anima di un defunto, fissarla nel proprio corpo, sfruttarne le
capacità senza difficoltà e poi rilasciarla. Era pure un ottimo modo per
interrogare la gente dopo averla uccisa.
“Quindi
puoi davvero prevederci il futuro?!” domandò Claudia, entusiasta.
“Posso
provarci.” rispose Stefano “Devo sperare di riuscire a trovare un vero veggente
e non un ciarlatano. Lasciami qualche minuto di tempo per concentrarmi.”
Gli
lasciarono il tempo necessario e poi iniziarono a riempirlo di domande e
trascorsero così più di un’ora.
La
situazione, dunque, continuava a rimanere paralizzata, in Vaticano aspettavano
che i templari si decidessero ad agire, mentre i templari per il momento si
stavano riorganizzando e ricollocando nel nuovo quartier generale. Isaia vi
arrivò ben dopo l’ora di cena: aveva girato tutto il giorno con Alonso alla
ricerca di demonizzati (per fortuna riusciva a percepirne la presenza entro una
certa distanza) e a riumanizzarli. Aveva poi
accompagnato Alonso in Villa, avrebbe voluto ripartire subito, ma l’archivista
lo convinse a fermarsi a mangiare un boccone, dato il tardo orario. Trovarono
della zuppa di farro e verdure avanzata, che si stava raffreddando sul fondo di
un pentolone: gli altri avevano già cenato. In Villa trovarono Sebastiano e
Michela che fecero loro compagnia e li aggiornarono: la ragazza riassunse
brevemente quanto stavano organizzando i templari e i volontari, mentre
Sebastiano raccontò l’esito dell’ispezione alla catacomba (era piuttosto
soddisfatto) e spiegò che Delrio aveva preferito
fermarsi là.
Nonostante
l’invito a fermarsi per la notte, Isaia ripartì appena ebbe vuotato il piatto.
Gli
abitanti della Villa non restarono svegli a lungo quella sera: era stata una
giornata intensa per tutti. Il mattino seguente, in un momento in cui era certa
di non essere vista da nessuno, andò da San Giovanni per riferirgli quanto fosse
successo.
Il
Battista fu contento di essere informato, ma borbottò qualcosa circa il fatto
che non gli avessero parlato subito.
“Dunque
questo è tutto?” domandò la testa, dopo aver ascoltato attentamente il
resoconto.
“Sì.
Lo scontro si è risolto in una serie di scaramucce e poi si è finiti in una
situazione di stallo.”
“Spero
che quel testone di Isaia si decida a seguire la mia strategia! Combattere non
serve a nulla, ma lui si ostina per questa strada! Spero solo che ciò non si
debba considerare un’avvisaglia di una sua propensione verso il male.” si
impensierì Giovanni.
“No!”
esclamò subito la ragazza “Assolutamente no!”
“Come
puoi esserne certa? Da quanto mi avete raccontato, già qualche mese fa l’hai
dovuto salvare da se stesso.”
“Appunto.”
ribatté lei “È tornato sulla retta via e non ha più abbandonato il selciato. Ne
sono sicura! Come potrebbe smarrirsi ancora, specialmente ora che sa di essere
l’Arcangelo Michele!?”
“Sai
bene, quanto me, come il confine tra giustizia e vendetta, o ferocia, sia sottile.”
la ammonì pazientemente Giovanni.
“Appunto
per questo ci sono io!” dichiarò la donna con estrema risolutezza “Io devo
stargli vicino e impedire che vacilli. Finché sarò al suo fianco non c’è
pericolo che si lasci sopraffare dagli eventi e, in ogni caso, sono sicura che,
anche senza di me, lui non avrebbe alcuna difficoltà e rimanere nella luce.”
“Idealmente
è così, non sono certo lo sia pure nei fatti.” borbottò il Battista.
“Perché
non hai fiducia in lui?”
“Mi
fido, mi fido … ma sono più tranquillo quando sei con lui. Si vede lontano un
miglio che, quando è con te, Isaia è più sereno e che, nonostante questa guerra
(perché è così che va chiamata), non corre il rischio di farsi vincere dallo
sconforto.”
Giovanni
si fece imperativo nell’intimare: “Prometti che gli starai vicino ogni secondo
che ti sarà possibile.”
“Lo
prometto.” disse lei con decisione, poi però arrossì e chinò lo sguardo.
“Che
cosa ti prende adesso?” domandò il Battista, perplesso “Credevo saresti stata
entusiasta e invece ti stai imbarazzando. Hai omesso di dirmi qualcosa?”
Se,
forse, prima, Michela non era imbarazzata, ora lo era di certo. Si portò una
mano al collo e iniziò a grattarselo nervosamente. Era indecisa: raccontare o
tenere la questione per sé?
“Allora?
Sto aspettando.” la esortò Giovanni.
“E
va bene!” si arrese la ragazza che, in realtà, sentiva il bisogno di
confidarsi, ma non sapeva con chi “Quando siamo andati a tracciare i sigilli,
ci siamo imbattuti in Gabriel, che ha detto una marea di cose.”
“Di
che genere?”
“Fondamentalmente
erano tutti tentativi mirati a convincere Isaia a seguire desideri, passioni,
ambizioni, perché lo vuole dalla sua parte.”
“Ovviamente.
Quindi? Qual è il problema?”
A
questo punto la vergogna crebbe nella giovane che cercò le parole, ma era in
difficoltà, poi disse con fatica: “Gabriel ha insistito sull’ipotesi che Isaia
possa provare per me qualcosa di più che amicizia …”
Michela
si interruppe, in difficoltà a proseguire.
Giovanni
non diede cenno di stupirsi, né di trovare assurda la questione e rimase in
attesa del resto.
“Ecco
…” riprese la ragazza “Io ho fatto l’errore di credergli …”
“Perché
errore?”
“Perché
evidentemente aveva torto.”
“Ne
dubito. Comunque!, continua.”
La
giovane era parecchio nervosa, continuava a martoriarsi il collo nel tentativo
di rilassarsi; si guardò attorno per essere certa non ci fosse nessuno nei
paraggi, poi si decise e d’un fiato disse: “L’ho baciato.” e subito precisò: “A
stampo.”
“Ne
sarà stato contento.”
“No,
per niente. Era, anzi, piuttosto arrabbiato.”
“Stupido!”
e se avesse potuto, avrebbe scosso il capo.
“Per
fortuna avevo pronta la scusa della tradizione persiana.”
“Ah-ah-ah” rise Giovanni “La tattica dell’uso persiano! Non
credevo si funzionasse ancora! A Gerusalemme, ai miei tempi, la usavano già da
secoli! L’avevano appresa appena dopo la cattività Babilonese, quando Ciro li
liberò ed Ebrei e Persiani erano in ottimi rapporti.”
“Va
beh, comunque non credo si sia molto convinto di quest’usanza.” era preoccupata
e dispiaciuta “Ho paura che sia ancora arrabbiato con me.”
“Perché
lo pensi?”
“Non
solo ieri sera si è fermato qui sì e no un quarto d’ora, il tempo di mangiare
qualcosa e poi è ripartito (questo avrei potuto comprenderlo), ma anche non mi ha
parlato telepaticamente, prima di dormire. Da quando sono arrivati i templari,
lui conversava sempre con me, le notti in cui dormiva da loro, ieri, invece,
non ha detto nulla.”
“Questo
non vuol dire che sia arrabbiato. Ci sono altre possibilità: forse ha dovuto
lavorare fino a tarda notte e non voleva disturbarti, oppure potrebbe avere
pensato che tu fossi in imbarazzo e non ha voluto metterti in difficoltà. Ad
ogni modo, se anche avessi ragione tu, sono certo che non potrà tenerti il
broncio a lungo.”
“Come
mai?” la sua voce era stata un misto di perplessità e speranza.
“Io
sono convinto che Gabriele non ci abbia visto male in questa faccenda e, tu
pure lo sai, i cuori delle persone non possono avere segreti per lui.”
“Allora,
forse, è anche peggio!” ribatté lei che aveva una gran confusione in testa “Se
Isaia si accorgesse di nutrire per me qualche sentimento diverso dall’amicizia,
molto probabilmente erigerebbe un muro insormontabile e allora addio al mio
compito di stargli vicino e assicurarmi che non si smarrisca.”
“Che
cosa pensi di fare?” era la domanda di chi sa bene come sia necessario agire,
ma è curioso di sentire il parere di qualcun altro, fosse anche solo per farsi
due risate.
“Nulla.
Continuerò a comportarmi da amica, come ho sempre fatto e terrò a bada i miei
sentimenti. Isaia ha già da pensare a questa dannata faccenda con Gabriel,
Serventi e così via, non posso complicargli le cose e metterlo in difficoltà
con le mie ingiuste pretese sentimentali, per cui mi comporterò come devo, per
il Bene.”
“Se
davvero vuoi eseguire il tuo dovere” la ammonì Giovanni “Allora dovresti
deciderti ad usare il tuo potere.”
“Impossibile!
Isaia è già seccato che io e Martin usiamo la magia di tanto in tanto; ha pure
voluto tenere segreti i sigilli; hai idea di come reagirebbe, se mi mettessi a
risvegliare la Luce Astrale nella gente? Ecco, questo lo potrebbe far adirare e
scivolare verso il male. Non è pronto, ancora. Ho dovuto usare il mio potere su
di lui, per riuscire a farlo essere più consapevole di sé e delle sue
potenzialità e ancora non è stato sufficiente. Su Sebastiano, almeno, ha avuto
maggiore effetto: lui ha riscoperto il potere gesuitico e lo sta impiegando
egregiamente.”
“Già
ma potresti potenziare un po’ di più il gruppo dei gesuiti, non credi?”
“Sì,
va bene.” acconsentì la ragazza “Li guiderò un po’, ma farò in modo che
riscoprano le proprie forze da soli.”
“Mi
pare giusto. Comunque, non dovresti nascondere così tanto la magia: sai quanto
è fondamentale, non dovresti negarla solo per compiacere Isaia.”
“Non
è per compiacerlo.” si difese la ragazza “Benché io non le comprenda, lui avrà
le sue buone ragioni per volere che non si sbandieri la magia … forse vuole
tenerla come sorpresa contro Serventi.”
“Sai
che non è così, sai che lui continua ad avere paura di non saperla gestire e
sai che non ha ancora abbracciato completamente il suo essere: lui attinge alla
propria natura, ma deve imparare a viverla, sempre!”
“Farò
del mio meglio per indicargli la strada.”
“Conviene
anche a te e non solo per il mondo.” la informò Giovanni, con un tono
benevolmente divertito.
“In
che intendi?”
“Beh,
liberato dalle sue paure ed essendo ciò che ho, probabilmente accetterà
benevolmente i vostri sentimenti.”
Michela
divenne di nuovo rossa. Si affrettò a ringraziare e congedarsi dal Santo e poi
si allontanò.
Era
ancora piena di vergogna. D’accordo, forse non aveva detto chissà che cosa ma,
parlare di certe questioni con San Giovanni!?! Era impazzita? Specialmente in
una situazione come quella!
Va
bene, in realtà tutto ciò che avevano detto era rimasto strettamente legato al
buon esito della lotta contro il male, però …
Non
era facile, per nulla. Si era tanto sforzata di reprimere il sentimento che
provava, per non compromettere il buon esito della vicenda, e ora tutto era forse
andato a rotoli!
No,
forse stava esagerando. Tutto a rotoli, perché? In fondo non era successo
nulla.
Beh,
non proprio nulla, per lo meno in lei.
Fin
dalla prima volta in cui aveva visto Isaia, Michela aveva intuito che la sua
devozione per l’Arcangelo si sarebbe presto trasformata in amore verso l’uomo. La
certezza le era nata al loro terzo incontro, quella sera in cui lui era
capitato a casa sua d’improvviso e lei aveva condiviso con lui la cena e la
meditazione. Fin d’allora lei aveva compreso che era lui la persona con cui
voleva praticare l’esercizio della vita.
Oh,
aveva anche capito che le sue fantasticherie sarebbero sempre e solo rimaste
nei suoi sospiri e, soprattutto, sapeva che, in quel periodo, non erano né
salutari, né utili. Aveva dunque preso tutte quelle emozioni e se le era
proibite, le aveva come chiuse in una sorta di vaso di Pandora, per evitare che
la disturbassero. Ora, però, il coperchio era stato sollevato e, si sa, è
sempre difficile richiuderlo.
Michela
si accorse che stava girando per la Villa senza meta. Guardò l’orologio:
mancava ancora un’oretta, prima del suo turno in radio. Decise, allora, di
approfittarne per stare con Giorgio. Dov’era?
Si
mise a cercare il figlioletto e a chiedere in giro di lui. Padre Eleuterio le disse di averlo visto giocare in giardino con
un giovanotto che non gli pareva di aver mai visto prima. La donna andò a
controllare e rabbrividì: Giorgio stava giocando con Niklos.
Come
li aveva trovati?
“Giorgio!
Vieni subito qua!” si affrettò a dire la donna.
Il
bambino corse dalla mamma, sorridente.
“Ti
ho detto molte volte che non devi parlare con gli sconosciuti.”
“Lui
ha detto di essere papà.” si giustificò il bimbo.
La
donna fremette, si morse il labbro inferiore, poi disse al figlioletto: “Vai
dentro casa, ora. Non fare i capricci.”
Il
bambino obbedì. Michela rimase in piedi, braccia conserte, con uno sguardo
furioso verso Niklos.
Lo
stregone, rilassato o addirittura svagato, si avvicinò alla ragazza ed esordì: “Parla
bene il nostro piccolo, per la sua
età, quanto ha?”
“L’hai
visto? Sei contento?” replicò aspramente la ragazza “Bene, ora vattene e non
avvicinarti più né a me, né a lui.”
“No,
no, no!” la contraddì lui “Io ho tutto il diritto di
occuparmi di mio figlio e di volere che cresca nel modo migliore. Questo ambiente
non mi sta affatto bene!” la sua voce si caricò d’ira “Non voglio che Giorgio
abiti sotto lo stesso tetto di Martin Antoine Delrio,
che è il responsabile della morte di alcuni dei suoi fratelli.”
“Cosa
stai dicendo?”
Facendole
una carezza, Niklos rispose: “Donnola mia …”
“Non
chiamarmi così!” sibilò lei e scostò la mano dell’uomo.
“Lo
sai che ho qualche secolo alle mie spalle e che ho avuto molte altre donne,
prima di te. Erano il 1601, quando con la mia famiglia mi trasferii nelle
Fiandre, per la precisione proprio a Douai. All’epoca
avevo davvero i trent’anni che dimostro. Io, i miei famigliari, e altri nostri
parenti, che eravamo già stregoni, cercammo una congrega in cui entrare per
continuare i nostri riti e le nostre pratiche. La trovammo e per un paio d’anni
vivemmo serenamente, ma poi …” nonostante la voce non fosse alterata, sul suo
volto comparve la sofferenza “Poi fummo scoperti dagli inquisitori, capeggiati
da Delrio. La nostra congrega fu aggredita a
tradimento durante un sabba: molti morirono quella notte stessa, compresi i
miei figli. Sai, non era accettabile, per l’opinione pubblica, che dei bambini
fossero processati per eresia o stregoneria e torturati, quindi venivano uccisi
immediatamente e i loro corpi erano dati in pasto ai cani di quei bastardi! Quella
notte riuscii a fuggire, non sapendo, non rendendomi conto. Ma l’ho sognata e risognata migliaia di volte e ogni volta spero che qualcuno
mi uccida, perché avrei preferito infinitamente essere morto anch’io. Sono sopravvissuto,
però, e ora ho su di me il dovere della vendetta. Da secoli disprezzo la Chiesa
e la sua ipocrisia, per questo mi sono trovato in perfetta amicizia con
Bonifacio. Da secoli cerco Delrio per vendicare la
mia famiglia, i miei amici, la mia comunità. Ora l’ho trovato e lo ucciderò. Intanto,
però, non voglio che stia di nuovo così vicino a un mio figlio.”
Michela
provò una grande compassione e non poté essere più arrabbiata; placidamente gli
disse: “Il tuo dolore è naturale, immagino sia esso a darti potere nella
stregoneria. Al di là di ogni discorso moralistico che si potrebbe fare contro
il sentimento di vendetta, ti voglio dire soltanto che l’uomo responsabile
della morte dei tuoi cari, non esiste più. Lui, ora, ha abbracciato la magia, è
pentito del male che ha fatto.”
“Non
mi interessa. Non si può cancellare quello che ha fatto e io mi vendicherò. Ora,
chiama nostro figlio ed o me lo consegni, oppure vieni anche tu con noi.
Giorgio, però, non resterà di più sotto questo tetto.”
Il
volto di Michela era deciso e risoluto; lei, con cipiglio autoritario, disse: “No.
Tu te ne andrai senza di me e senza mio figlio. Se provi a protestare o a
prenderlo con la forza, ti trasformo in un onagro e sai che posso farlo
facilmente.”
Niklos la guardò con
ira per qualche secondo, poi scosse la testa e con disprezzo borbottò: “Siete
tutti uguali. Minacciate e basta.”
Lo
stregone si voltò e se ne andò dissolvendosi pian piano in nebbia, nel mentre,
pensava: Ti conviene badare bene a quel
bambino, perché, appena ti distrarrai, io me lo prenderò.
Erano
trascorsi un paio di giorni dagli scontri. Sebastiano e Alonso, dopo aver
trascorso una notte in Villa, avevano coordinato i lavori dei volontari per il
buon funzionamento e sostentamento delle attività, in seguito erano tornati
nella catacomba e da lì, poi, sia aggiravano con altri gesuiti per la città a
svolgere la loro funzione di sostegno spirituale clandestino alle persone che
ancora vivevano sotto il regime di Gabriel e Serventi.
Sebastiano
era stato sollecitato da Michela a fare, il prima possibile, una visita alla Villa
con l’intera squadra di gesuiti, per un esercizio particolare. Il giovane,
dunque, il terzo giorno radunò il suo gruppo e, tramite i passaggi sotterranei,
tornarono nella parte di città liberata, portandosi dietro alcuni sacchi pieni
di lenzuoli, bende e garze dell’ospedale da lavare e sterilizzare. Caricarono
le auto e, prima di partire, si fermarono presso il quartier generale dei
Templari per ritirare anche alcune loro cose da portare in Villa. Sebastiano si
recò subito a salutare il proprio maestro e, tra una chiacchiera e l’altra,
Isaia decise di andare anche lui a trascorrere la giornata in campagna: lì in
città non capitava nulla e lui aveva decisamente bisogno di allontanarsi da Fylan e persone simili, inoltre era tranquillo, poiché
lasciava tutto nelle mani di Abdel; era certo che
qualche ora in Villa sarebbe stato un toccasana, era sicuro che là avrebbe
trovato un po’ di serenità.
Le
macchine partirono e,dopo il consueto
tragitto, arrivarono a destinazione. Isaia e Sebastiano non fecero in tempo a
scendere dalle automobili che Giorgio corse loro incontro e si mise a
scorrazzare attorno e a raccontare cose. Maestro e allievo rimasero lì con lui,
mentre gli altri gesuiti cominciarono a scaricare le auto.
Pochi
minuti dopo uscì Michela, dapprima sembrò preoccupata, ma appena vide Giorgio
si rilassò. Andò vicino ai due preti, li salutò velocemente, poi guardò con
rimprovero il figlioletto e gli disse: “Giorgio, che cosa ti ho detto l’altro
giorno?”
“Non
ho disobbedito.” si lamentò il piccolo “Con loro posso giocare!”
“Sì.”
rispose pazientemente la madre “Ma ti ho anche detto che devi sempre e, ripeto,
sempre, stare vicino o a me o a uno dei nostri amici e chiedere sempre di
accompagnarti in qualsiasi posto vuoi andare.”
“Lo
so.”
“Allora
perché sei uscito senza dire nulla? Mi hai fatto avere paura.”
“Scusa.”
disse il bambino e abbracciò la madre che subito si intenerì e cacciò via
l’aria severa.
Isaia
osservò, bisbigliando all’amico: “Non è mai stata così apprensiva.”
“Ha
i suoi buoni motivi.” replicò Sebastiano, sempre sottovoce.
La
donna, dopo che Niklos si era allontanato, colma di
preoccupazione, aveva subito avvisato l’amico, l’unico a cui avesse confidato
l’identità del padre di Giorgio. Il prete l’aveva rassicurata e le aveva
promesso che lo avrebbe protetto lui, quando si fosse trovato in Villa.
Sebastiano
guardò il bambino e gli chiese: “Allora, Giorgetto, hai imparato ad usare la
spada, oppure no?”
“Sì!”
esclamò allegro il bambino.
“Non
ci credo.” scherzò Sebastiano.
“Non
è un po’ piccolo per le spade?” chiese Isaia, perplesso.
“Sono
finte, di legno.” si premurò di spiegare il discepolo “Bisogna che prendano la
mano e l’istinto fin da piccoli, se si vuole che diventino bravi a combattere.
Dai, Giorgetto, fammi vedere.” sollevò il bambino e si allontanò con lui.
“Allora,
come va?” chiese Isaia alla ragazza, dopo qualche momento di silenzio.
“Bene,
grazie, tu?”
“Non
vedo l’ora che tutto sia finito.” sospirò l’uomo, poi chiese: “Come mai sei
stata così dura con tuo figlio? In fondo è solo venuto in giardino.”
“Ho
i miei buoni motivi.” tagliò corto la ragazza.
“Questo
l’ha detto anche Sebastiano. Non vuoi espormeli?” la sua voce era rimasta
pacata.
“No.”
“Ti
fidi più di lui che di me?” si poteva sentire un vago sapore di delusione in
quel tono.
“Non
è questione di fiducia, ma di circostanze.”
“Io
credo sia sempre una questione di fiducia.”
“E
io credo che questo possa definirsi tentativo di manipolazione. Cercare di
farmi venire i sensi di colpa non ti servirà per ottenere informazioni. Per
favore, rispetta la mia scelta e non insistere e non chiedere neppure a
Sebastiano. Adesso, scusami, ma devo andare a preparare la stanza per
l’esercizio coi gesuiti.”
Mosse
qualche passo, arrabbiandosi con sé stessa per essere stata così fredda e
secca: per la paura di essere troppo calorosa, si era comportata in maniera quasi
sgarbata.
“Aspetta!”
Michela
si fermò, temendo che Isaia la stesse per rimproverare.
“Posso
darti una mano?”
Che
sollievo sentirgli dire quelle parole!
La
ragazza si voltò verso di lui e, sorridendo, gli rispose: “Certamente!”
Lui
la raggiunse e poi camminarono fianco a fianco. Salirono fino all’ultimo piano
della Villa e, lì, Michela aprì una porta che permetteva di accedere a un vasto
salone con un paio di pareti a vetrata e le altre ricoperte di lastre a specchio,
il pavimento era in parquet.
“Che
posto particolare.” constatò Isaia, mettendosi al centro della stanza “Sembra
quasi di essere sospesi nel vuoto.”
“Eh,
questa è la stanza per le meditazioni, viaggi astrali e così via. Nei giorni
scorsi, ho dovuto lavorare parecchio per poter far defluire tutte le energie
dei miei parenti che si erano accumulate qua.”
“Cosa
c’è da fare?”
“Beh,
possiamo cominciare col sistemare gli incensi.” prese diversi bastoncini
d’incenso “Questi li devi mettere nell’angolo a nord, questi altri ad est. Io
penserò agli altri.”
Nel
giro di pochi minuti avevano collocato incensi, pietre e avevano sistemato
l’impianto audio.
“Bene”
disse la ragazza “Ora non resta altro che attendere Sebastiano e gli altri.”
guardò l’orologio “Tra una decina di minuti dovrebbero essere qui.”
La
ragazza si sdraiò a terra: gamba destra stesa, mentre la sinistra era piegata e
col piede affiancava il ginocchio dell’altra; i palmi delle mani erano
congiunti sopra la testa; gli occhi erano chiusi e la bocca semiaperta.
“Che
fai?” le chiese lui.
“Aspetto.”
“In
questa maniera?”
“Perché
no?”
Isaia
trovò buffa la cosa; la osservò: era rilassata, sul suo volto era dipinta una
serena tranquillità. Si accorse che pure lui stesso era molto più calmo; come
aveva immaginato, gli erano bastati pochi minuti in Villa affinché tutto il
tedio e le difficoltà nel gestire i templari e lo scontro gli sembrassero
decisamente più sopportabili e meno gravosi. Era certo che, se avesse potuto
gestire tutto quanto da lì, il suo sistema nervoso gliene sarebbe stato davvero
grato. Che strano! Chissà cosa c’era, in quel posto, a renderlo tanto
tranquillo e quieto.
Dopo
qualche lungo momento di silenzio Isaia parlò di nuovo: “Sebastiano mi ha
riferito che oggi farete una meditazione dinamica, che cosa vuol dire?”
“La
meditazione normale serve a congiungersi col divino, ma il più delle volte è
inutile, poiché non conosciamo abbastanza noi stessi, abbiamo dei blocchi,
accumuli di energie oppure ce ne mancano. È dunque necessario fare un lavoro su
di sé per riscoprirsi, per attivare tutte le nostre energie e poterle, pian,
piano conoscere, imparare ad usarle e, soprattutto, ad ascoltarle per capire
meglio noi, i nostri bisogni e il rapporto col mondo che c’è attorno.”
“Messa
in questi termini, sembra quasi psicologia. Chissà cosa ne direbbe la
dottoressa Munari.”
“È
qualcosa di più.”
“Posso
partecipare anch’io? Mi hai messo curiosità, adesso.”
“Certo
che puoi. Anzi, mi fa molto piacere. Ti avverto, però, essendo la prima volta
che lo fai, potresti trovarlo traumatico. L’esercizio si basa sull’abbandono
del corpo alle proprie energie, impedire alla mente di avere il controllo. Può
non essere facile, specialmente per te che sei abituato ad essere sempre
pienamente padrone di te stesso; tu devi però sforzarti di non controllarti per
la prossima ora, lascia che il corpo vada per conto suo.”
“Ci
proverò.”
Pochi
minuti dopo arrivarono Sebastiano e i suoi confratelli, per cui si poté dare
inizio alla meditazione dinamica. Michela spiegò che essa era composta da
cinque fase: una di respiro, una di abbandono, una di salti, una di immobilità
e in fine una di danza abbandonata. Ogni stadio era accompagnato da una precisa
e particolare musica, studiata per favorirlo. Tutto ciò doveva essere eseguito
con gli occhi chiusi.
Fase Prima.
La
respirazione che bisognava eseguire consisteva nel soffiare col naso il più
forte e caoticamente possibile. Bisognava cacciare via l’aria con violenza
quasi, senza seguire un ritmo preciso. Inoltre ci si accompagnava col movimento
della testa e le braccia erano tenute ad ali di gallina e si muovevano
in modo tale da sembrare un mantice che, chiudendosi, faceva uscire l’aria. Le
gambe dovevano essere sciolte e non irrigidirsi.
Isaia
eseguiva l’esercizio. Dapprima non gli piacque per nulla, stava quasi male. Non
solo gli sembrò di andare in iperventilazione (cosa che non era possibile in
quella maniera) ma iniziarono pure a dolergli gli addominali laterali. Ogni
espirazione era una fitta ai fianchi. Poi il male sparì.
Effettivamente gli pareva che qualcosa fermentasse
o scoppiettasse in lui. All’improvviso si accorse che il movimento su-giù della testa aveva preso anche il resto del corpo: la
sua schiena e le sue ginocchia, accompagnavano il moto della testa e del
respiro in maniera del tutto volontaria. Si sentiva quasi come un pallone da
basket che viene palleggiato. Il movimento era sempre più forte, sempre più
energico, tanto che ad un certo punto lui cadde a terra.
Era strano. Sentiva il suo corpo che
iniziava a muoversi per conto proprio e non si spiegava come ciò fosse
possibile: quando lo aveva avvertito la ragazza, lui non le aveva creduto.
Fase
Seconda.
Quando si sentì il suono del tamburo che
sanciva il passaggio da una fase all’altra, Isaia, contrariamente a quanto
avesse creduto, non ebbe alcuna difficoltà a lasciare che il suo corpo si
abbandonasse. Anzi, sul finale della respirazione, aveva dovuto trattenerlo per
mantenere il moto prescritto. Ora ecco che le sue spalle e il suo bacino si
agitavano da soli, ruotavano, ondeggiavano. I piedi iniziarono a muoversi
freneticamente e in modo contradditorio, non lo volevano portare da nessuna
parte, si agitavano e basta. Poi i passi si fecero lenti e pesanti, i piedi si
calavano a terra con forza, tanto che le piante vibravano e gli fecero male.
Poi si sentì come afferrato al petto e tirato a terra. Cadde sul pavimento e
dalla sua bocca iniziarono ad uscire versi lamentosi, di tristezza e dolore.
Per fortuna c’erano anche altri che urlavano o mugugnavano, per cui non ebbe da
vergognarsi.
Ancora a terra, le sue braccia e le sue
gambe iniziarono a dimenarsi come se stesse nuotando; le sbatteva sul pavimento
e non poteva impedirlo.
Finalmente si rialzò in piedi e le sue
braccia cominciarono a fare movimenti circolari, sempre più rapidi. Le sue
spalle ruotavano a una tale velocità che l’uomo temette di decollare da un
momento all’altro.
Ora capiva perché la ragazza lo aveva
avvertito circa il fatto di trovare traumatizzante quell’esperienza. Sentiva la
mente completamente separata dal corpo. Era come se la sua mente fosse stata
rinchiusa da qualche parte e come se spiriti o energie, che non conosceva,
avessero preso possesso del suo corpo.
Più tardi avrebbe sentito Sebastiano
definire quell’esperienza come un pogo con gli
spettri.
Tutto quanto ciò era abbastanza sconvolgente
per Isaia, ma ciò che lo impressionò di più fu questo: per tutto il tempo aveva
sentito forze, energie che gli guizzavano nel corpo e, quindi, nonostante non
ne avesse il controllo, lo sentiva vivo; ad un certo punto, però, si sentì
spegnersi a partire dal basso e poi, pian, piano, sempre più in alto. Tutto il
suo corpo si paralizzava e si irrigidiva; lui non lo sentiva più. Soltanto
dalla parte del collo in su si sentiva ancora vivo, percepiva tutta l’energia
concentrata nel collo e nella testa, poi forse più neppure nel collo. Tutto era
condensato nella testa, quasi stesse per esplodere. Si mise in ginocchio e poi
premette la testa a terra, ma non la fronte, proprio la sommità, come nella
prima parte di una capriola e spinse, premette a terra in cerca di sollievo.
Fino a quel momento, le urla e i versi
altrui non lo avevano disturbato; adesso, però, c’era il lamento di qualcuno
che lo infastidiva. Era davvero tedioso, insopportabile.
Isaia si rizzò in piedi e iniziò a
ruggire!
Non un ringhio. Non un versaccio. Un
vero e proprio ruggito.
C’era questo suono, questa forza che
esplodeva nel suo bassoventre e saliva e fuoriusciva dalle sue fauci nel
bestiale verso di una tigre.
Isaia era impressionato. Spaventato. Era
suo quel ruggito?
Tutta quell’energia furiosa che lo
riempiva era stranissima e insospettata.
Fase
Terza.
Finalmente suonò il tamburo. Ora
dovevano saltare. Bisognava sempre atterrare con tutta la pianta del piede.
Ulteriore difficoltà era quella di tenere le braccia sollevate e tenute ad
angolo retto. In più, ad ogni salto bisognava gridare: “HUH!”
Isaia, dapprima, provò sollievo, credette che quell’esercizio regolato lo avrebbe fatto
stare meglio e invece no. Dopo un primo momento, iniziò ad avvertire un
tremendo mal di testa, come un muto ronzio che gli vibrava dentro il cranio e
gli faceva male. Aveva voglia di gettarsi a terra e rimanere lì, finché non
fosse tutto passato. Invece, doveva continuare l’esercizio e questo lo
innervosiva parecchio. Sentiva della rabbia agitarsi in lui, rabbia per il non
potersi concedere quel riposo di cui sentiva il bisogno, ma che non poteva
prendersi.
Fase
Quarta.
Ecco il tanto agognato momento di
quiete. Dovevano rimanere fermi immobili e ascoltarsi, ascoltare il proprio
corpo, ascoltare le proprie energie, ascoltare i propri pensieri. In pratica:
ascoltarsi.
Già, quante volte o per la fretta, o per
i doveri, o per abitudine, o per pregiudizi, non abbiamo la più pallida idea di
cosa vogliamo davvero? Di cosa ci stia rendendo felici? Delle nostre risorse?
Isaia, quindi, si stava ad ascoltare, ad
essere testimone di se stesso, del vero se stesso.
Sentì il potere dell’Arcangelo, lo sentì
chiaro nitido come quando vi aveva attinto per combattere Aini,
ma riuscì a percepirlo in maniera più profonda, più completa: non era semplicemente
l’Arcangelo, era qualcosa di più, gli parve di sentire come molte altre
presenze che provenivano da un’unica fonte, quale?
Giustizia
Isaia rabbrividì e si spaventò: si stava
certamente macchiando di ubris[1].
Bruscamente si allontanò da quella
consapevolezza: era certamente una menzogna, un inganno.
Il suo ascolto doveva concentrarsi
allora su qualcos’altro, su cosa?
Dannazione! Il mal di testa era ancora
lì a tormentarlo.
Ecco! Percepiva qualcos’altro, si mise
in ascolto. Era una sensazione piacevole, di benessere e serenità. Era la
stessa forza che lo attraeva sempre verso la Villa. Forse avrebbe capito da
cosa fosse motivata.
Attese. Ascoltò.
Nella sua mente iniziò a dipingersi
l’immagine del volto di Michela.
Possibile? E perché? Non capiva.
Il tamburo suonò.
Fase
Quinta.
La musica che si diffuse nell’aria era
molto leggera, larga, elegante e si teneva su tonalità alte. Non era più
necessario ascoltarsi, bensì bisognava abbandonarsi ad una danza, sempre
sciolta, libera e non controllata.
Il corpo di Isaia non fu più colmato da
una forza prepotente, come quella della seconda fase, ma da un’energia più
aggraziata che muoveva il suo corpo in movimenti fluidi e abbastanza composti.
Isaia volle rimanere col pensiero sulla
sensazione piacevole che aveva percepito poco prima e cercare di capire perché
mai fosse collegata con la ragazza.
Effettivamente il legame poteva essere
logico: lei era sempre buona, gentile, premurosa con lui. Quando si era
ritrovato in confusione per le dottrine rivelate dai Templari ed era rimasto
solo, dopo lo scontro con Gabriel, lei gli era stata vicina, si era preoccupata
per lui, si era pure data la pena di recuperare i suoi libri.
Lui non aveva mai avuto motivo di
lamentarsi di lei; anzi, a ben pensarci, si sentiva sempre più sereno e sicuro
di sé, quando c’era lei.
Era davvero un’amica preziosa e voleva
averla vicina il più possibile, il più che i suoi doveri gli avrebbero
permesso.
La meditazione finì.
Il mal di testa era ancora tremendo per
Isaia che, non curandosi minimamente degli altri, si sdraiò a terra per
aspettare che passasse. A quel punto i suoi pensieri divennero un flusso
confuso e strano, come in una sorta di dormiveglia, del quale non riuscì a
capire nulla.
Ritornò un poco lucido quando sentì
qualcuno avvicinarsi. Capì che era la ragazza.
Michela si sdraiò a propria volta ma non
proprio accanto a lui, si mise in modo tale che le sommità delle loro teste
fossero a contatto e i loro corpi formassero una linea.
Non dissero nulla per alcuni minuti,
finché lei non chiese con un filo di voce: “Lo senti?”
“Cosa?”
“Non lo senti.” fu un po’ delusa lei.
“Che cosa?” insisté lui.
“Il flusso … La kundalini,
la Luce Astrale che risale per tutti i sette chackra,
fino alla testa e, lì, invece di proiettarsi nell’etere come dovrebbe, incontra
la mia, si fonde con essa ed entra in me e discende i miei chackra.
Contemporaneamente anche la mia kundalini che risale
in me, incontra la tua, entra in te e arriva fino al tuo primo chackra.”
Tra sé e sé, la ragazza sperò che
l’amico non sapesse o non ricordasse le tradizioni tantriche in cui avveniva un
processo del tutto simile che si differenziava solo perché nel tantra il
contatto avveniva presso il primo chakra e che lo
scambio di energie da far risalire non era meramente spirituale.
“Io so solo che ho mal di testa.”
borbottò Isaia.
“Lo percepisco: hai una congestione di
Luce Astrale. È naturale che capiti a una persona celebrale come sei tu.”
Tacquero ancora diversi minuti; poi, fu
il turno di Isaia a infrangere il silenzio e disse: “Scusa.”
“Per cosa?”
“Per non averti parlato queste sere.”
“Non fa niente.” lo rassicurò lei.
“Non ce l’ho con te … Ero a disagio.”
“Isaia …!” provò ad interromperlo lei.
“No, fammi parlare. Non mi piace essere
a disagio nei tuoi confronti e quindi voglio chiarire.”
“Isaia.” tentò ancora lei, ma
inutilmente.
“Lasciami finire. È stata colpa di quel
bacio. Mi ha confuso e fatto paura … non che sia stato spiacevole, però …”
Michela si era sollevata e messa in
ginocchio, si affrettò a porre l’indice sulle labbra dell’uomo e gli disse:
“Non parlare.”
Isaia aveva ancora gli occhi chiusi e
sentì distintamente il proprio battito accelerare; perché?
“Non sei consapevole di quello che
dici.” lo ammonì lei, dolcemente “Ti trovi in una fase in cui non ti sei ancora
ripreso dalla meditazione, non sei ancora tornato padrone di te.”
In effetti, l’uomo aveva l’impressione
che, se si fosse alzato in piedi, avrebbe barcollato come dopo il quarto o
quinto bicchiere di liquore.
La ragazza assunse, poi, un tono
scherzoso, nel raccomandarsi: “Quindi, ora, non dica cose di cui potrebbe poi
pentirsi, signor Arcangelo.”
Isaia sorrise e si ripeté era davvero
piacevole la letizia che provava in sua compagnia; stava talmente bene con lei
che, quand’erano soli, si sentiva esattamente come quando aveva incontrato
Immanuel a San Tomaso.
Trascorsero altri minuti nel silenzio,
alla fine Isaia si riprese. Si mise prima seduto e poi si alzò in piedi. Lui e
la ragazza uscirono dalla stanza e iniziarono a scendere.
Isaia stava ripensando a tutta la
meditazione e c’era qualcosa che lo disturbava parecchio, per cui domandò: “Mi
hai sentito ruggire?”
“Sì, era impossibile non sentirti.”
“Oh …” parve dispiaciuto e, come a
scusarsi, disse: “Non so proprio da dove mi sia uscita tutta quella bestialità:
io non sono così.”
“E, invece, sei anche quello. Non fare
l’errore di Gabriel: non aver paura di ciò che sei, bensìscoprilo, accettalo e dominalo. Se lo ignori
e lo neghi, gli dai la possibilità di agire indisturbato su di te.”
“Potrei mettere al servizio del Signore
un forma così ferina?”
“Certo.” rispose lei con tranquillità
“L’hai già fatto tante volte in passato. Sai cos’ho pensato, quando ti ho
sentito ruggire?”
“Cosa?”
“Ho pensato che stessi rivivendo quel
periodo in cui fosti Narasimma.”
“L’avatara di Visnu?”
chiese, perplesso Isaia, per poi aggiungere scherzoso: “Credevo di essere
l’Arcangelo Michele.”
“Una cosa non esclude l’altra.” ribatté lei,
imperturbabile; accorgendosi dello basito dell’altro, gli disse: “Se vuoi,
stasera ti spiegherò.”
“Sì; sono alquanto curioso. Adesso,
penso che andrò da Giovanni, credo che mi voglia vedere.”
“È probabile. Ti accompagno.”
Raggiunsero la testa del Santo. Michela
riverì il Battista e poi se ne andò a cercare Giorgio.
Isaia la guardò allontanarsi e si voltò
solo quando sentì Giovanni esclamare: “Allora ti piace davvero tanto!”
“Eh?!” si sorprese l’uomo, per poi
chiedere: “Cosa ti consente di fare simili deduzioni?”
“Sono il Battista, la gente non ha
segreti per me! E, poi, andiamo, è palese!”
“Palese?” ripeté, incredulo, il gesuita,
rendendosi conto che sarebbe stata una lunga discussione.
“Certo. Non saresti rimasto a fissare in
quel modo Sebastiano o Alonso che se ne andavano.”
“Va beh, ma non vuol dir niente!”
protestò l’altro.
“Secondo me, dovresti deciderti a fare
qualcosa.”
“Sì, sì, sto pensando alla strategia per
costringere Gabriel ad arrendersi …”
“Ma che c’entra Gabriele, adesso?!” lo
interruppe Giovanni, energicamente sconcertato “Intendo dire che dovresti
chiarirti le idee su di lei e agire di conseguenza.”
“Non capisco.”
Il Battista si accigliò: “Vorresti farmi
credere che ti sta bene il rapporto che hai con lei e non lo vorresti
approfondire?”
“È una mia amica.” Isaia era alquanto
perplesso “Che cosa c’è di più da fare? Ovvio che adesso, con tutto il
trambusto della guerra, abbiamo altro a cui pensare, ma …”
“Sì, sì … amici, come no!”
“Ma si può sapere che vi prende a tutti
quanti?!” esclamò Isaia, quasi esasperato “Prima Gabriel e ora tu ad insinuare
che … Sono l’unico a preoccuparsi del mondo, della Chiesa e della povera
gente?”
“Certo che no.” rispose pazientemente
Giovanni “Ma non puoi neppure trascurare te stesso.”
“Io vengo dopo.”
“Sì, questo è vero, ma devi capire che
per servire al meglio Dio, devi essere in forma sia fisica che mentale e devi
essere felice, quindi devi concederti qualche piacere, altrimenti poi ti
immusonisci. È scientificamente dimostrato che i depressi sono molto meno produttivi
delle persone contente. Quindi, se vuoi dare il meglio di te al servizio di
Dio, puoi concederti un rapporto diverso dall’amicizia con quella ragazza.”
Isaia sospirò e disse: “Io sono un
prete. Non ho bisogno di nulla all'infuori di Dio!”
“Dio è il pane, questo lo sai bene, per
via di quella cosa, la transustanziazione. Il pane è necessario per il
sostentamento, però, come diceva mio cugino: Non di solo pane vive l’uomo! Ci vogliono anche i condimenti. Lei è
il tuo companatico: puoi fare a meno di lei, poiché l’essenziale è il pane, ma,
se c’è, è meglio. Afferri?”
“Gesù disse: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola del Signore.”
puntualizzò Isaia e poi aggiunse: “Io sono solo di Dio! Non potrei servirlo
degnamente se mi legassi ad una donna! Il servizio di Dio deve occupare tutto
me stesso, non posso distrarmi, né tanto meno anteporre qualcosa!”
Giovanni sbuffò e poi disse: “Puoi
servire Dio e amare una donna allo stesso tempo. In alcune religioni, i preti
si possono sposare, lo fanno anche i cattolici di rito orientale! Amano la loro
metà e servono Dio. E poi non devi anteporre nulla. Puoi fare il tuo dovere e
allo stesso tempo sapere che vicino a te hai una persona che ti ama. E quella
persona, se davvero ti ama, rispetterà la tua scelta. Inoltre, non hai mai
pensato che una donna devota al Signore quanto te, possa rivelarsi un aiuto per
il tuo stesso compito, anziché un ostacolo?”
Isaia rimase in silenzio per oltre un
minuto, riflettendo su quelle parole, poi disse seccamente: “Non è questo il
punto. Pur ammettendo che possa essere vero e corretto quello che hai detto, io
ho fatto dei voti e non ne verrò a meno.”
“Eh, i voti si possono sciogliere.”
“I voti sono delle promesse e dei doni
che ho fatto a Dio, io ho consacrato me stesso a lui, non posso e non voglio
tirarmi indietro.”
“Pensi che Dio se ne faccia qualcosa
della tua castità?”
Isaia lo guardò malissimo.
“E poi, comunque, mantenere 3 voti su 4
è un buon risultato, non credi? Puoi tranquillamente rimanere povero,
obbediente ai gesuiti e obbediente al Papa.”
“Tu sei un Santo, non dovresti
incoraggiarmi su questa strada.”
“Avevo moglie e figli, io.”
“Non avevi però fatto voto di castità.”
“Non è solo di celibato il voto dei
preti? Sono i frati che fanno voto di castità.”
“Ma tu non eri stato imprigionato e poi
decapitato perché pubblicamente condannavi l’impudicizia di Erode?”
“Impudicizia?!” si infuriò Giovanni
“Erode esagerava proprio, altro che Olgettine!”
“D’accordo, d’accordo!” cercò di
placarlo l’altro “Non perdere la testa!”
“Mi stai prendendo in giro?”
“No, scusami, non ci ho pensato!” si
corresse Isaia, accorgendosi della gaffe.
“Ora, non farmi arrabbiare, altrimenti
inizio una speculazione sofistica sul concetto di castità.”
“Per l’amor di Dio no. Chiudiamo qui la
questione e pensiamo a quel che sta accadendo in Vaticano; va bene?”
“Sì, sì.” parve concedere Giovanni, per
poi osservare: “Comunque non hai negato il fatto di essere innamorato.”
Isaia strabuzzò gli occhi, si passò una
mano fra i capelli e si allontanò: non ne poteva più di quella storia.
Giovanni gli gridò: “È inutile che te ne
vai! Sai che ho ragione!”
Note
dell’Autrice
Grazie a
tutti i miei lettori.
Spero
che non vi siano sembrati troppo accelerati gli eventi in questi ultimi
capitoli.
Ringrazio
Alex Piton per alcuni consigli e spunti. Ci tengo a
precisare che i dialoghi di Gabriel oscuro nel capitolo 27 devono moltissimo a
lei.
[1] Parola
greca di difficile traduzione: tracotanza, superbia, orgoglio, vanità
Isaia
si era allontanato a passo svelto dalla testa di San Giovanni, sperando di non
aver mancato troppo di rispetto. Sinceramente, proprio non capiva perché
quell’ostinazione da parte del santo. C’erano problemi ben più gravi! Anzi,
quello non era neppure un problema.
Già,
perché mai voler bene a una persona avrebbe dovuto essere un problema?
Ama.
Ama il prossimo tuo.
Questo diceva Gesù, quindi era più che legittimo volere bene agli altri, anzi
era un dovere.
Giusto.
Amare. Amare tutti allo stesso modo.
Lui,
però, non si stava, forse, affezionando un po’ troppo alla ragazza?
Se
effettivamente stavano così le cose, allora lui non stava amando tutti allo
stesso modo.
Gesù,
però, aveva differenziato amici e nemici, dunque, implicitamente, stava dicendo
che, nonostante bisognasse prodigarsi per il bene di tutti, era comunque
legittimo avere simpatie ed antipatie.
Lui,
quindi, non stava peccando se riconosceva di prediligere la compagnia di quella
giovane a quella di altre persone. In fondo, Giovanni aveva ragione nel dire
che non c’era nulla di male nel concedersi qualche piacevolezza, se le
circostanze lo consentivano, se non c’erano questioni più importanti di cui
occuparsi.
Non
c’erano, però, sempre questioni più importanti?
Sì,
però, d’altra parte, lui mica trascorreva ogni minuto della sua vita a sbrigare
faccende per la Congregazione, aveva anche del tempo libero, quindi non ci
sarebbe stato nulla di male se, dopo aver ripristinato la normalità, lui si
sarebbe concesso di trascorrere qualche ora con la sua amica di tanto in tanto.
Esatto!
Amica. Di amicizia si trattava, era tutto assolutamente legittimo.
Amicizia
… amicizia … Era certo si trattasse solo di questo?
Certo
che sì!
E
allora, perché si era dato tanta fatica per trovare delle giustificazioni che
lo rassicurassero circa quell’affetto?
Perché
… perché era colpa di Gabriel e Giovanni e delle loro insinuazioni, ecco tutto!
Se loro non si fossero messi a fare commenti maliziosi, lui mica ci avrebbe
pensato!
C’era,
però, qualcosa che non gli quadrava, ancora, in tutti i suoi conti: il bacio.
Già,
quel gesto lo aveva parecchio scombussolato, al punto che in quei due, tre
giorni lo aveva considerato un’aggressione, un tradimento.
Lei
sapeva benissimo che lui aveva fatto dei voti, per cui perché mai gli aveva
fatto quello sgarbo? Lei era consapevole che lo avrebbe messo in difficoltà:
non era stata affatto corretta. Lei aveva sempre dimostrato di capirlo
perfettamente, possibile che non si fosse resa conto che quel gesto non avrebbe
mai dovuto esserci?
Certo,
però, forse era davvero per l’usanza persiana …
Al
di là di quali fossero le reali intenzioni e consapevolezze della ragazza, il
vero problema era però un altro: lui stesso.
Già,
se davvero lui fosse stato puro e libero, avrebbe dovuto non curarsi di quel
fatto, avrebbe vissuto il momento e poi lo avrebbe lasciato andare,
dimenticandoselo. Insomma quel bacio non lo avrebbe dovuto turbare e, invece,
erano giorni che ci pensava.
Detestava
pensarci! Ciò significava che realmente c’era qualche cosa che non andava in
lui, qualche debolezza, qualche sentimento di troppo.
Se
fosse stato distaccato, come avrebbe dovuto, avrebbe subito scordato quel gesto
e, invece …
Tra
l’altro, appena dopo la meditazione, stava dicendo che quel bacio gli aveva
fatto piacere … meno male che Michela stessa lo aveva trattenuto dal dire
altro!
Perché
stava dicendo una simile cosa? Non era affatto vero. Lui per giorni era stato
arrabbiato per quel bacio, come poteva dire che gli aveva fatto piacere?
Forse
che la sua rabbia non era verso quel che aveva fatto la ragazza, ma per la
propria reazione?
Era
arrabbiato con se stesso per essersi sentito gratificato?
Gratificato
… e perché mai? Non aveva senso!
Beh,
forse un po’ di senso lo aveva. A parte Sebastiano, chi c’era che lo capiva?
Gabriel? Alonso? Vairocana?
Sì, abbastanza, ma tutti loro, pur essendo servi di Dio (anche il monaco
buddista lo era, nonostante seguisse un’apparenza differente) non riuscivano a
comprendere la sua totale abnegazione. Lo rimproveravano in maniera più o meno
scherzosa; gli erano amici, ma faticavano a capirlo. Chi non gli aveva mai
detto: Basta studiare! Esci! Ma non hai hobby?
Lui
aveva dedicato l’intera sua vita alla conoscenza e a Dio, al Bene, perché non
lo capivano? Perché non l’accettavano? Trovava piacere in attività diverse dalle
loro, e allora? Perché insistevano per farlo cambiare?
Lui
si rilassava pregando o leggendo un buon libro o cantando nel coro gregoriano;
oppure, questo lo sapevano in pochi, intagliava il legno, per lo più scolpiva
statuette di santi. Quella pratica lo aiutava molto a calmarlo e a liberargli
la mente per poter pensare con tranquillità. Che c’era di sbagliato in tutto
ciò?
Addirittura,
tal volta, aveva avuto l’impressione che Gabriel lo compatisse, specialmente
nell’ultimo tempo.
Michela,
invece, aveva pienamente capito il suo modo di essere e ne era orgogliosa, lo
approvava totalmente.
Quel
bacio, in fondo, era stato per lui il riconoscimento che la sua vita non era
sbagliata, che, nonostante avesse una moralità estremamente elevata (tanto che
molti lo disprezzavano), almeno una persona che lo capiva esisteva.
Era
però davvero necessario quel bacio, per sapere che lei gli era solidale? No di
certo. Quante cose aveva fatto per lui? Quanto era stata buona, gentile e
affettuosa? Tanto, tanto, tanto …
Lui
lo sapeva già che lei lo comprendeva.
Allora
che cosa c’era stato di piacevole in quel bacio?
Forse
ciò che esso simboleggiava? In fondo, il bacio è il suggello tra due persone
che si appartengono. Forse lui, in quel gesto, aveva visto la garanzia che lei
non lo avrebbe mai abbandonato e questo lo aveva rassicurato?
Rassicurato?
Perché aveva bisogno di rassicurazioni?
Dio
era il suo unico riferimento e rifugio, non aveva bisogno di altri.
Beh,
però poteva accettarlo un compagno, una compagna, di viaggio nel cammino del
Signore.
Questo,
inoltre, non comprometteva certo i suoi voti. Loro due potevano stare vicini,
volersi bene, senza che lui infrangesse il suo voto. Lui avrebbe potuto
addirittura amarla, un amore platonico, certo, ma pur sempre amore.
Isaia
rimase con questi pensieri più o meno tutto il giorno, neppure una buona
lettura riuscì ad allontanarli completamente.
Alla
sera, dopo cena, trovandosi in un salottoassieme sia a Michela che a Sebastiano, il templare chiese alla ragazza:
“Mi avevi promesso che stasera mi avresti spiegato la questione di Narasimma.”
“Narasimma?”
ripeté Sebastiano e domandò a propria volta alla donna: “Non è la figura indù
che mi hai fatto nominare, quando abbiamo scacciato il demone buddista?”
“Sì,
esatto.” gli confermò lei, prima di guardare Isaia e dirgli: “Forse è bene
raccontarti tutto; penso che ormai tu possa capire.”
La
ragazza prese un foglio e una penna. Al centro della pagina, distanziandoli
differentemente, scrisse in colonna: Keter, Tipheret, Yessod, Malkuth.
I
primi due nomi erano molto lontani tra di loro. In quello spazio, la donna
scrisse altre quattro parole: Binah e Gedulah a destra della colonna; Chokhmah
e Geburah a sinistra.
Hod
e Netzah furono scritte ai lati tra il secondo e il terzo nome della colonna.
“È
l’albero sephirotico.” osservò Sebastiano.
“Giusto.”
confermò Michela “Sono le dieci sephirot, le dieci manifestazioni del divino,
secondo la tradizione cabalistica. Quel che non si sa è che queste potenze
divine non sono astrazioni, sono reali, esistono! Esse sono gli attributi del
Dio Vero, quello che è al di sopra di luce e tenebre, per questo possono essere
sia pure, eallora hanno connotazioni
positive, sia corrotte, e dunque assumono toni negativi; fatta eccezione per
Malkuth, che è il mondo materiale ed è un’entità molto particolare, infatti lo
vedete isolato e senza due forze ad affiancarlo. Dividiamo quindi l’albero in
due sezioni: una che contiene solo Malkuth, l’altra col resto. Ora lavoriamo
sulla seconda parte e uniamo i punti.”
Michela
tracciò alcune linee in modo che Hod, Netzah e Yessod formassero un triangolo
isolato, mentre Gedulah, Geburah e Keter componessero un triangolo che si
intersecasse con quello formato da Binah, Chohmah e Tipheret.
Keter
BinahChohmah
GedulahGeburah
Tipheret
HodNetzah
Yessod
Malkuth
“Che
cosa significa?” domandò Sebastiano.
Isaia
taceva e ascoltava con estrema attenzione, mentre nella sua mente riaffioravano
i ricordi di ciò che aveva letto nei manoscritti rinvenuti sotto Santa Sophia.
“Semplice:
Hod, la Gloria, la Maestà, se collabora con Netzah, l’Eternità, la Vittoria,
generano Yessod, il fondamento. Vedete, in realtà ho detto male, prima, queste
sephirot sono pure e incorruttibili e formano il contrappeso di Malkuth. Yessod
e Malkuth sono un binomio, quasi sempre in guerra, anche se ci sono stati
tentativi di conciliarli e far sì che queste forze contrapposte collaborassero.
Comunque, Malkuth esiste di per sé, mentre Yessod deve essere originato da Hod
e Netzah, i quali, però, essendo sempre puri, non hanno problemi a fare il loro
dovere per originare il fondamento. L’alternativa tra bene e male, in questa
sezione, non concerne le singole potenze, bensì il rapporto tra il regno
materiale e il fondamento divino.”
“Quindi
la divisione di questo schema potrebbe anche consistere in una parte che
comprende questi quattro principi e una seconda con gli altri sei.” osservò
sempre Sebastiano.
“Precisamente.
Ora vi illustro gli altri che è ciò che più ci interessa, ossia le sephirot
soggette singolarmente alla corruzione o purezza. Partiamo da Gedulah: essa può
essere sia Amore, sia Odio, l’odio considerato come degenerazione
dell’amore a causa dell’attaccamento, della morbosità, della dipendenza e
dell’ossessione. Troviamo poi Geburah: Giustizia
oppure Violenza, Vendetta. La
giustizia deve seguire la saggezza e non l’ira, le punizioni devono essere
inflitte cum grano salis e prive di emozioni, per emendare e non per
vendicarsi. Si possono verificare tre possibilità: o queste due sephirot sono
alternativamente una corrotta e l’altra pura e, dunque, sono in conflitto tra
di loro, oppure hanno lo stesso allineamento e collaborano; se sono pure
generano l’Autorità, il Buon Governo, avete capito
il concetto. Se, invece, sono corrotte, allora c’è l’Anarchia, il
Cattivo Governo.”
“Questo
si riflette anche effettivamente sul mondo?” domandò il giovane gesuita “Quel
che è accaduto nel corso della storia, è stato influenzato da queste entità?”
“Certamente.”
annuì la donna “Proseguiamo con l’altro triangolo. Binah è l’Intelligenza e la Conoscenza che però può degradarsi in Dogmatismo o Inettitudine. Chohmah è, invece, la Saggezza che può trasformarsi in
Follia. Se opposte si combattono,
se allineate, possono portare all’Armonia o al Caos.”
“Nel
Settecento Binah si è fatta molto sentire.” osservò Sebastiano “Peccato che
poi, sul finire del secolo, abbia preso il sopravvento la versione cattiva di
Geburah.”
Isaia
era molto serio in volto: un dubbio, una consapevolezza stava avanzando in lui.
“C’è
però un’ulteriore cosa da dire.” il tono della ragazza si fece ancor più grave
“Come puoi vedere, questi due triangoli sono intersecati.”
“Sì,
sembrano la stella di Salomone.”
“Questo
perché le quattro sephirot generatrici sono in stretta connessione tra di loro,
sono unite. Ad esempio, Geburah ha appunto la collaborazione di Gedulah e il
sostegno di Chohmah, mentre non ha nessun legame con Binah, se non tramite
Gedulah; lo stesso meccanismo vale per gli altri elementi, ma è poco rilevante.
La questione importante è un’altra: che io sappia, mai nella storia è capitato
che queste quattro potenze avessero il medesimo allineamento
contemporaneamente, per cui non hanno mai realizzato nel mondo il loro totale
potenziale. Se Amore e Giustizia riescono ad originare l’Autorità e, contemporaneamente,
Intelligenza e Saggezza formano Armonia, queste sei forze, unite e
collaboranti, realizzano in terra la Città Celeste; se, al contrario, Violenza
e Odio creano Anarchia, mentre Follia e Dogmatismo generano Caos, allora viene
edificata la Città Infernale. Giacomino da Verona illustra bene, nel suo
poemetto, queste possibilità. In gergo occulto, però, vengono semplicemente
chiamate la Stella Bianca e la Stella Nera.”
“Michela.”
intervenne Isaia “Queste entità, sono personificate nelle varie religioni,
giusto? Geburah, era Mithra per gli zoroastriani; Narasimma … anzi, Visnu per
gli induisti; Michele per ebraici, cristiani e musulmani e così via. Ho intuito
bene?”
“Precisamente.”
“Mentre
Gedulah è l’Arcangelo Gabriele? Shiva, l’amante e il distruttore, per gli
indù?”
“È
così.” confermò la ragazza, contenta che Isaia avesse capito da solo e che non
ci fosse bisogno di persuaderlo della verità di quelle parole.
“Queste
entità” continuò ad ipotizzare l’uomo “Si manifestano sui vari piani della
realtà a volte più eterei e sublimi, tanto da apparire appunto come divinità od
angeli; altre volte, invece, informando corpi umani. Correggimi se sbaglio.”
“Per
ora il discorso è ineccepibile.”
“Dunque,
quando io ho avuto per la prima volta coscienza di essere una manifestazione
umana della potenza Geburah, non conoscendo tutto ciò, l’ho associata alla sua
altra manifestazione che conoscevo meglio: l’Arcangelo Michele.” fissò negli
occhi la ragazza e le chiese: “E anche questo tu l’hai sempre saputo. Vero?”
lei annuì e lui proseguì: “Ora, se non vado errando, posso affermare che
Gedulah si è incarnato in Gabriel e Serventi questo lo sa molto bene. Gedulah
aveva già tendenze a trasformarsi in odio, Serventi ne ha approfittato per
farlo oggetto della sua profezia e ha manipolato ogni cosa, affinché si
corrompesse. Per riuscire in ciò, si è ben guardato dal divulgare il fatto che
Gedulah può essere anche amore, compassione. Serventi, quindi, mi ha sempre
voluto morto perché sa che sono l’unico vero rivale del suo Eletto, in quanto
io e Gabriel siamo un binomio destinato alla cooperazione o alla guerra.”
Michela
sospirò, si alzò in piedi, andò accanto ad Isaia, seduto su una poltrona, gli
mise una mano sulla spalla e, guardandolo negli occhi, gli disse amaramente:
“Qui, devo contraddirti. Se in passato ha tentato di ucciderti, era perché lo
richiedeva il suo obbiettivo di far scatenare Gabriel. In realtà, conoscendo il
suo modus operandi, potrei anche credere che non abbia mai cercato davvero di
ucciderti, ma l’abbia solo voluto far credere.”
“Il
dottor Gaslini, il loro alchimista, mi pareva abbastanza convinto nel volermi
somministrare veleni.”
“Non
hai la certezza che fossero veleni! Magari volevano solo rapirti e trovare la
maniera di portare anche te al male.”
“Non
può essere: Serventi ha detto chiaramente che serviva il mio tradimento per far
scatenare Gabriel.”
“Appunto!
All’epoca Gabriel considerava Serventi il nemico, se ti avessero portato dalla
loro parte, Gabriel si sarebbe sentito tradito. Ad ogni modo, non credo che
tutto ciò sia fondamentale. Quel che conta sono le intenzioni che hanno adesso.
Te l’ha detto chiaramente anche Gabriel: ti vogliono dalla loro parte.”
“Sì,
Gabriel senza dubbio. Serventi, non so.”
“Te
lo assicuro io.” ribadì la ragazza, che però non se la sentì di riferire anche
che Bonifacio glielo aveva detto esplicitamente e che le aveva detto che
sarebbe stata lei stessa a consegnarglielo.
“Ne
sono certa: Serventi vuole realizzare la Stella Nera.”
“Ma
per farlo” osservò Sebastiano “Non gli basterebbero Isaia e Antinori, avrebbe bisogno
anche dell’Intelligenza e della Saggezza. Bisognerebbe ritrovare le persone in
cui si sono manifestate e tenerle lontane da Serventi.”
“Purtroppo
Binah è già stata corrotta, non so, però, se conosce il suo potere. Chohmah,
invece, sa cosa può fare, ma è ben salda nel bene.”
“Come
fai a saperlo?” domandò il giovane.
“Studio
questa faccenda da anni, conosco tutti i suoi protagonisti. Non voglio però
dire i nomi di Binah e Chohmah, per evitare che prendiate provvedimenti
avventati.”
Isaia
sorrise, come se in realtà avesse capito ciò che lei non voleva dire, e poi le
chiese: “Puoi almeno dirci quali poteri hanno loro? I miei e quelli di Gabriel
li conosciamo, sono curioso di sapere quelli di queste altre due entità.”
“In
realtà, tu non lo conosci il tuo potere oscuro. Come Gedulah trasforma in
demoni, così tu potresti trasformare la gente in erinni.”
“Spettri
della vendetta?!” Isaia si impressionò alla prospettiva di poter fare qualcosa
del genere.
“Esatto
e solo Gabriel potrebbe farli tornare umani. Vedi: l’amore placa la vendetta,
così come la giustizia evita l’odio.”
“E
questo ribadisce il legame stretto tra le due entità.” constatò Sebastiano,
prima di esortare l’amica a continuare l’esposizione.
“I
poteri principali legati a Chohmah sono, in positivo, il risvegliare la magia e
gli alti valori nelle persone, mentre, in negativo, ha il trasformare la gente
in animali.”
“Interessante.”
“Per
quanto riguarda Binah, invece, come potere oscuro ha quello di riuscire a
privare le persone delle loro capacità, dei loro talenti e delle conoscenze; in
positivo, invece, quello di infondere abilità, oppure aiutare a rimuovere paure
irrazionali e traumi.”
Rimasero a riflettere alcuni momenti, poi
Sebastiano domandò: “Beh, invece, Hod e Netzah, che fine hanno fatto?”
“Loro
sono un discorso a parte, sono qualcosa di ancora maggiore.”
“Dimmi,
per favore. Si sono mai incarnati?”
Michela
stava per rispondere, ma sentì la voce di Isaia tuonarle nella mente,
intimandole: “Non dirglielo!”
“Non
saprei.” rispose la ragazza.
Rimasero
tutti e tre nel salotto ancora un poco; Sebastiano fece alcune altre domande
per capire al meglio, poi si congedò per andare a dormire.
“Perché
non hai voluto che gli spiegassi Hod e Netzah?” domandò Michela ad Isaia,
quando furono soli.
“Ammetto
che, detta in questi termini, sarebbe molto più comprensibile e accettabile,
rispetto a come è stata presentata a me la questione; preferisco, tuttavia,
che, almeno per adesso, Sebastiano e gli altri continuino a ritenere Gesù,
Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo. Non saprei neanche io come spiegare la
realtà delle cose.”
“C’è
una notevole differenza tra dire, come i templari: Gesù e Giovanni erano due
uomini mortali, appartenenti alla setta degli esseni, ed erano dotati di
poteri; e il dire: Hod, Netzah e Yessod sono le tre potenze più grandi e simili
a Dio, corrispondono alla Trinità e sono il Dio del Bene.”
“A
lui non abbiamo ancora fatto il discorso sul dio bianco e il dio nero. Adesso
la situazione è delicata, come ripeto ogni volta a Giovanni: spiegheremo la
Verità, quando il conflitto sarà finito e potremo rigenerare la Chiesa.”
Michela
lo guardò non troppo convinta e Isaia, allora, sorridendo, le ricordò: “Tu non
hai voluto rivelare l’identità dell’intelligenza e della saggezza, invece
avresti potuto proprio dirlo.”
“Mantengo
la privacy.” replicò lei, piuttosto scherzosa.
“Vana
precauzione, sono certo di aver visto giusto e di sapere in quali corpi
albergano.” era sicuro di sé, ma per nulla austero; era forse la prima volta
che, pur parlando di questioni serie, non aveva un atteggiamento gravoso.
Michela
lo guardò con attenzione, era speranzosa: se lui aveva capito anche quello,
allora la sua consapevolezza aveva fatto passi da gigante e forse avrebbe
finalmente accettato il proprio essere.
“Siete
tu e la dottoressa Munari, vero?” in risposta ricevette un grande sorriso,
quindi proseguì sicuro “Ovviamente tu sei la saggezza, mentre lei è
l’intelligenza.” il suo sguardo rimase su di lei per alcuni istanti di silenzio
e dalla sua bocca sfuggì: “Ecco perché sei così speciale.”
E
tra sé e sé si sentì sollevato: si era innamorato, ma della saggezza, cosa
poteva esserci di peccaminoso in ciò? Anzi, era qualcosa di nobilissimo!
Ammesso e non concesso che si fosse innamorato.
La
ragazza arrossì e poi farfugliò: “No, sono ancora ben lontana dell’essere ciò
che dovrei.”
“Beh,
è comunque magnifico avere per amica la saggezza.”
“Anche
essere amici e consacrati alla giustizia è un privilegio.”
Restarono
a fissarsi in silenzio per alcuni lunghi momenti; poi Isaia osservò: “Dunque
anche la Munari potrebbe rivelarsi un problema?”
“Sì,
ma credo che per il momento possiamo stare tranquilli: Serventi sta facendo
fatica a controllare Gabriel e sa che, se i suoi piani dovessero realizzarsi,
presto potrebbe avere anche te da gestire, dunque dubito che cercherà di far
rendere consapevole Claudia, per il momento.”
“Di
te sa?”
“Sì,
evidentemente da sempre. Crede ch’io non sia un problema e che, solo perché mi
ha costretta a vivere in quell’ambiente, sia già praticamente da considerare
dei loro. Non si rende conto che saldamente percorro tutt’altra strada.”
Rimasero
ancora in silenzio, finché Isaia non sospirò: “Queste nuove informazioni non
spiegano come risolvere la situazione, ma spiegano meglio le forze in campo …
Michela, tu davvero non hai idea di cosa posso fare per far ragionare Gabriel?”
“No,
mi dispiace. Sono l’intelligenza e la giustizia che possono aiutarlo, io no e
non so nemmeno cosa potreste fare voi. Parlargli, mostrargli fatti, cercare di
arrivare in profondità nel suo cuore e nel suo animo e qualsiasi altra cosa vi
venga in mente per farsì che l’amore universale soppianti quello specifico che
ora prevale.”
“Bisogna
quindi trovare la maniera di avvicinarlo, senza farsi ammazzare.” ragionò, tra
sé, l’uomo.
Michela
gli si avvicinò di nuovo, si chinò su di lui e gli disse: “Ma soprattutto,
stando attento a che non sia lui a far mutare idea a te. Sono sicura, però, che
questo non accadrà.”
Isaia
si irrigidì un poco, era leggermente imbarazzato da quella vicinanza, ma non
era il solito disagio che provava, quando qualcuno invadeva i suoi spazi, era
qualcosa di diverso, come se sentisse il bisogno di trattenersi, dal far cosa
non lo sapeva.
Dopo
qualche secondo di perplessità, replicò: “Ne sono sicuro anch’io: non appena
rischio di deviare, ci sei tu a prendermi per un orecchio per farmi stare nel
seminato. Sono felice che tu lo faccia.”
“Io
non faccio niente, cerco solo di ricordarti le cose quando le dimentichi. Le
tue decisioni, buone o cattive, sono solo tue.”
“Gli
uomini, tal volta, fanno il male solo perché non vedono il bene, non sanno che
c’è e non vedono altre strade. Io ne sono certo: se non avessi incontrato te,
ora sarei esattamente come Vargas. Chissà, forse anche Gabriel è diventato quel
che è adesso, solo perché non è riuscito a trovare il sentiero del vero bene.
In fondo, è quel che hai appena detto anche tu: bisogna riuscire ad allargare
le sue prospettive.”
“Claudia
doveva essere la sua guida ma, si sa, un farmaco assunto in dosi errate, può
diventare un veleno.”
“Ah,
sì, farmaco, in greco, significava sia medicina che veleno.”
Lei
gli sorrise, poi gli disse: “Si è fatto tardi. Io mi ritiro. Buona notte.” gli
diede un bacio sulla fronte “Ci vediamo domattina.”
Isaia
la guardò uscire dal salotto e, tra sé e sé, pensò: “Avrei preferito l’usanza
persiana.”
Note dell’Autrice.
Grazie a tutti i miei lettori, spero
che questa fanfic continui a piacervi, nonostante in questi capitoli abbia toni
un po’ differenti dai precedenti.
Tra gli hobby di Isaia ho inserito l’intagliare
il legno, ripensando a quell’episodio della setta, nella prima stagione, in cui
Gabriel lo trova che sta lavorando il legno.
Più sopra avevo provato a fare lo schemino, ma qui non mi ha preso le linee, mi spiace.
Capitolo 31 *** Amor, ch'a nullo amato, amar perdona ***
“La
questione del peccato originale es, oviamente, una metafora. In parte es
un surogato del mito delle quatro
epoche, che spiega elpasagio
tra uno stadio de vita nomade e in armonia con la natura a uno stile de vita
sedentario, in cui esnecesario
dominare l’ambiente e lavorare. In parte, però, il racconto de la Genesi,
illustra anche come Dio sia superiore alla concecione
de Bene e de Male e de come l’uomo può essere beato, solo uniformando la
propria volontà a quella de Dio. Agire in maniera diferente
da la volontà di Dio è separarsi da lui e dunque perdere la pieneccia.
Solo nell’essere uniti a Dio c’è el nostro
compimento: Dio è lo sposo de la nostra anima. Fuori da lui siamo monchi,
spesso non sappiamo cosa ci manca e andiamo a la ricerca di palliativi e, non sodisfacendoci mai abastancia, o
solo por un breve tempo, ne cerchiamo sempre de novi e ci smarriamo in esto mondo, inseguendo beni non necessari. Fuori da Dio o,
meglio, ridotti a piccola parte in Dio, ma non consapevoli de la Sua e de la
nostra interezza, c’è bisogno de devidere la realtà
in bene e male e di affidarsi a la ragione, all’intelligencia e alla sapiencia,
che però sono grandi doti solo in esta dimensione
mondana, ma sono miseri mezsi che non permetono la comunione con Dio, poiché Dio trascende la
nostra logica e va conosciuto con lo Spirito e non con la mente. Infatti, Gesù es il Logos, ossia Dio che racionalmente
si mostra agli uomini, Egli si è fato uomo por mostrarsi ai sensi degli uomini
e rendersi in parte conoscibile a le menti. La vera potencia
de Dio, però, è lo Spirito Santo, infatti è lo Spirito Santo che investe di
autorità Gesù, al momento del battesimo.” Alonso fece una pausa e guardò i
fedeli riuniti ad ascoltare la sua predica “Tornando alla Genesi, el serpente che tenta Adamo ed Eva, simboleggia il richiamo
che el mondo materiale esercita su todos noi; egli mente, dice bugie, esatamentecomo le attrattive di esto
mondo ci ingannano circa cosa sia davvero bene e cercano di allontanarci da Dio.
Esto non vole dire che il
mondo materiale vada despreciato o considerato como un male, esso è un’oportunità
che ce viene data da Dio, por provare un altro genere de piaceri ed è un’ocasione por esercitare le nostre virtù, ma è anche uno
rischio de abandonarce ai vizi se non siamo capaci de
reconoscere che el nostro
fine ultimo non è esto mondo, ma Dio. La materia deventa male, quando noi la anteponiamo a Dio, allora a
causa de essa (e non por colpa de essa) ci afatichiamo
e sofriamo, poiché consederiamo
massimamente desiderabili de le shiocheccie. Dopo la
perdita del paradiso terestre, l’uomo non conosceva
più Dio, aveva davanti a li occhi l’imagine che el serpente, el mondo aveva dato
all’umanità di Dio: pensate al paganesimo ove se adoravano non solo li elementi
de la natura, ma puro le devenità de la richeccia, del potere e cossì
via. Dio, allora, s’è fatto uomo! Gesù es nato por
restituire all’umanità el volto de Dio, l’amore
supremo de Dio. Amore talmente grande che non muore su la croce, anzi, lì se
manifesta più forte e più buono che mai! Gesù muore per colpa de la nostra ignorancia e non se arabia con
noi, ma ce perdona! L’amore de Dio, però, non sarebesuficiente a salvarce, se non ce fose anche la resurrecione! La resurrecione, non rianimazione! Quela
de Lazaro è una rianimacione,
quela de Gesù è una resurrezione, lui renasce nell’eternità e cossì
sarà por todo noi.”
Alonso
sorrideva e i suoi occhi brillavano di fede e gioia al pensiero di Dio. I credenti
riuniti lì, in quella palestra abbandonata (usare le chiese sarebbe stato
pericoloso), si sentivano il cuore riscaldato e avvertivano la presenza del
Signore in mezzo a loro.
Quella
era una messa clandestina, come tante ne venivano celebrate, negli ultimi
tempi. Erano in molti a prediligere quelle presiedute da Alonso: adoravano le
sue prediche, erano quelle che colpivano maggiormente i loro animi e che
permettevano loro di comprendere meglio il Signore.
“Gesù
non era un dio, ma solo un uomo!” risuonò la voce di Gabriel, dal fondo del
salone.
Tutti
furono sorpresi, si voltarono per vedere chi avesse parlato e, quando scorsero
l’Eletto, si spaventarono. Egli avanzò, si gustò per qualche istante quegli
sguardi impauriti, e continuò: “Era solo un uomo. Non un uomo come voi, ma un
uomo come me: dotato di poteri, poteri straordinari, di natura trascendentale.
È facile capire come possa essere stato scambiato per il figlio di Dio.” con lo
sguardo di bragia abbracciò la folla “Voi siete
l’espressione più bassa di questa vita! Deboli, vi rendete schiavi gli uni
degli altri,vi imponente vincoli per paura e per limitare le vostre reciproche
forze. Inutile: homo homini lupus! Voi,
questo, lo avete sempre dimostrato. Vi rifugiate sotto false dottrine per
garantire un po’ di tranquillità alla vostra debolezza e alla vostra
vigliaccheria. E, come tutti i tiranni che si rispettano, tagliate le spighe
più alte: i migliori tra gli uomini, quelli dotati di poteri, apparentemente
sovrannaturali, sono stati da voi uccisi, perché sapevate che vi avrebbero,
prima o poi sopraffatti. I vostri tentativi di soffocare il mio popolo, sono
stati tremendi e feroci. Voi siete i mostri, la paura vi ha reso intolleranti e
crudeli. Parlate d’amore, ma non amate che voi stessi e la vostra piccolezza.
Il debole, però, è destinato a perdere, lo schiavo è destinato alle catene.
Avete tentato di difendervi, come avete potuto, in questi secoli, ma è tempo,
ormai, che sia il forte a tornare a regnare. In tempi antichi, gli stregoni e
gli uomini dotati di poteri naturali erano le guide della società: re
taumaturghi, sacerdoti maghi, guerrieri che erano detti figli di dei, erano
legittimamente i signori di questa terra e, giustamente, esercitavano la loro
forza e il loro potere, poiché è giusto che la potenza domini e la debolezza si
sottometta. Chi ha potere non ha da rispondere a nessuno ed è giusto che tratti
come preferisca chi gli è inferiore.”
Gabriel
fece una breve pausa, rimase in ascolto: silenzio! La paura riempiva l’animo di
quasi tutti i presenti e li ammutoliva.
“Poi,
è nato il vostro Gesù … l’uomo peggiore di tutti! Aveva nelle proprie mani un
grande potere e, invece di usarlo per ciò che era nato, ossia riscattare il
proprio popolo e annientare l’oppressore, si è mostrato mite e raccomandava la
sottomissione. Gli Ebrei hanno ucciso il loro Messia, poiché sono stati traditi
da lui: lui avrebbe dovuto liberarli e, invece, promosse le loro catene. Gente
desiderosa, giustamente, di potere, ne approfittò: sfruttò la figura di Gesù e
la sua predicazione per forgiare un nuovo straordinario giogo per l’umanità:
questa religione. È tempo ormai, però, che questo grande inganno finisca e che
i veri potenti tornino a regnare. È questa la profezia che si sta compiendo. Io
sono l’Eletto e ristabilirò in questo mondo il giusto ordine delle cose.”
Gabriel
iniziò a creare una palla di fuoco fulminoso tra le
proprie mani.
Tra
la folla si alzarono e distaccarono i suoi sgherri che si erano mescolati trai
credenti.
“Il
dominio sarà di chi ha il potere e gli altri accettino di mutare padrone o
periscano!”
Scagliò
la palla di fuoco contro un gruppo di persone che, contorcendosi, iniziarono a
trasformarsi in demoni.
A
quel punto, Sebastiano, che stava celebrando assieme ad Alonso, si tolse i
paramenti e la tonaca bianca, gridando: “Antinori! Il tuo vaneggiare sacrilego
è figlio del demonio. Io non ti permetterò di fare del male a questa gente!”
tirò fuori il suo spadino crudele “Né ad altra.”
Detto
ciò, il giovane si scagliò contro Gabriel: il suo obbiettivo era di prendere
tempo. Infatti, mentre l’Eletto parlava, lui, da sotto la tonaca bianca, era
riuscito a prendere il cellulare e a scrivere un sms ad Isaia, avvertendolo di
quel che stava accadendo e pregandolo di mandare i templari a difendere quella
gente.
Prima
che potesse raggiungere il suo obbiettivo, tuttavia, il giovane si trovò
davanti i nuovi demonizzati, che si frapposero fra lui e Gabriel. Erano cinque
o sei e presto lo circondarono. Il giovane sì sentì artigliare, ma non demorse
e si difese al meglio riuscì anche ad affondare fino all’elsa il proprio
spadino nel fianco di un demonizzato e poi lo aprì: la lama, che si divise in
tre parti, dilaniò l’addome del demonizzato. Questo fu, tuttavia, solo un
misero successo, gli avversari erano ancora molti.
“Non
uccidetelo!” si raccomandò Gabriel, prima di raggiungere l’altare e salirvi in
piedi sopra, dopo aver salutato con un cenno Alonso, che lo ricambiò con
gentilezza.
“Ascoltatemi
bene!” annunciò alla folla, mentre il combattimento di Sebastiano proseguiva
“Decidete di adeguarvi alle nuove regole e uscite da qui. Avete due minuti di
tempo per scegliere e andarvene: chi deciderà di non abbandonare questa vecchia
religione menzognera e resterà qui, scoprirà che cosa sia il vero potere, per
mano mia e dei miei uomini. I due minuti iniziano da ora.” Scese dall’altare e
chiese ad Alonso: “Tu, che farai?”
Il
bibliotecario, sorridente, rispose ad alta voce, in modo da essere ben sentito
da tutti: “Hermano, io non me sposterò d’achì! Esti uomini ed este donne, forse, hanno una famija
e decederanno de andarsene por difenderla, por non lassiare
soli i propri cari o solo por paura de la muerte, ma
anche se a l’aparenciaavranorinegato, l’abiura non ariverà
ai loro cuori. E anche se por caso cederanodavero al tuo credo, Dio non li abbandonerà: mai. Proprio
come non ha abandonato te! Dio t’è vicino, hermano, aspeta solo che tu sia
de novo desposto ad ascoltarlo!”
Gabriel
scosse il capo, poi, rivolto alla folla, disse: “I minuti diventano cinque:
voglio fare due chiacchiere col mio amico.” poi tornò a guardare Alonso
“Allora, che cosa c’è di così divertente nell’opporsi al futuro e nel venire
schiacciati? Dimmelo, sul serio, non capisco! Specialmente tu e Isaia che, se
solo cambiaste idea, sareste accolti a braccia aperte da me!”
“Io
te potrei chiedere cosa c’è de devertente nel far
male a la gente. So che i templari te hano fato sofrire: te hano fato acusare de reati gravisimi che tu
non avresti mai comeso e hanno uciso
persone a te care, tentando de matar anche altre, ma esto non è un buon motivo por sfogare el
tuo dolore e la tua rabia su gente inocente.”
“È
semplice prevenzione. Se noi dotati di poteri non prenderemo il sopravvento e
insegneremo a questa gentaglia a stare sotto il nostro calcagno, allora saranno
questi deboli ad opprimere noi. La questione è semplicemente questa: non può
esserci convivenza pacifica ed egalitaria, un gruppo deve dominare sull’altro
e, allora, che siano i più forti ad avere la meglio.”
“Non
c’è nada che pote farti
cambia idea? Io credo che es possibile vivere todo assieme, sencia superbia o
paura. Se todos i nostri cuori fosero
puri e liberi, rivolti a Dio, alora non ce sareberoguere!”
Gabriel
parve riflettere su quelle parole e, forse, c’era del rammarico, nella sua
voce, nel replicare: “No, mio buon Alonso, non è possibile! Gesù ci ha provato
e la Chiesa ha fallito, anzi ha rovesciato il suo insegnamento. So qual è il
segreto dei Templari, Bonifacio me lo ha spiegato: loro uccidono tutti coloro
che hanno dei poteri, perché non vogliono che la gente si accorga che queste
doti sono naturali e, soprattutto, che non si renda conto che anche Cristo era
solo un uomo dotato di poteri. Se questo si scoprisse, l’intero castello di
carte della Chiesa crollerebbe!”
“Por
esto la Verità viene nascosta e revelata
pian, piano a li uomini che demostranosaggeccia e de poter comprendere. Recordate,
hermano, le metafore sono necessarie porché la Verità non vole essere volgaricciata.”
“Elogiate
la Verità come la cosa più sublime e poi la nascondete, perché temete cosa
potrebbe fare la gente, conoscendola.”
Alonso
stava per rispondere, ma non ne ebbe il tempo: una ventina di templari,
capitanati da Fylan, fece irruzione nel salone e
iniziarono a dar battaglia.
Gabriel
chinò la testa in avanti e sbuffò, poi si volse ad Alonso e gli disse: “Per
favore, nasconditi da qualche parte o scappa; i miei uomini sanno che non
devono farti del male, ma la gente che demonizzerò ora, non avrò il tempo
d’avvertirla, per cui mettiti al riparo.”
Detto
ciò, scavalcò l’altare e iniziò a lanciare fiamme fulminanti dalle mani,
trasformando molta gente in demoni. Alonso si dispiacque per non avere con sé
la ciotola di San Giovanni, per cui si inginocchiò e iniziò a pregare.
Tra
la folla di credenti, chi poté, si diede alla fuga; molti poterono mettersi in
salvo, poiché i demonizzati e la gente coi poteri, combatteva soprattutto i
templari. Presto, soltanto Gabriel e i suoi scherani rimasero in piedi nel
salone e quindi l’Eletto diede ordine di andarsene.
Sebastiano
era riuscito ad uccidere i suoi assalitori, ma era conciato piuttosto
malamente: aveva sicuramente qualche osso spezzato e aveva perso non poco
sangue.
Gabriel
gli si avvicinò, si chinò su di lui per accertarsi fosse ancora vivo e se ne
compiacque, poi gli disse: “Ragazzo mio, tu sei un leone. Hai avuto il fegato
di sfidare me, quando tutti tremano e scappano!” era davvero soddisfatto “Sai
bene che la tua ferocia in battaglia non si addice per niente alla tua pretesa
di essere sacerdote cristiano. Isaia, il tuo caro maestro, combatte in maniera
ben differente: anche mentre trafigge le persone, è imperturbabile e, da quel
che mi è stato detto, evita di uccidere, quando gli è possibile. Tu, invece,
vivi pienamente la foga della battaglia, non ti fai scrupoli ad uccidere i
nemici e, confessalo, ti piace l’odore del sangue e il suo calore quando ti
bagna le mani. Ti piace la sensazione che provi nell’uccidere qualcuno.”
“Non
è vero!” lo contraddisse in un fiato Sebastiano “Ogni sera invoco il perdono di
Dio e spero non mi danni per quel che sto facendo. Preferisco, però, finire
all’Inferno io stesso, piuttosto che altri soffrano.”
“Che
bel discorso!” lo schernì Gabriel “Te lo sei imparato a memoria? È questa la
retorica di cui vi infarcisce Isaia? Sarete tutti martiri.” lo fissò con
disprezzo “Sei tu il miglior amico di Isaia, adesso? Non ti conviene, sai? Lui
ha uno strano modo di dimostrare la sua amicizia: più tiene ad una persona e
più la tradisce. Quindi è probabile che, se ti prendessi prigioniero, ignorerebbe
la cosa. Inoltre, il ritrovarti in cella, potrebbe spingere te a pregare tutto
il giorno e renderti ancora più ostinato verso di me. No. Niente prigione per
te e neppure la morte. Davvero, io ti rispetto tantissimo: un comune umano che
riesce a fare tutto questo merita ammirazione e di certo si è guadagnato il
diritto di stare coi potenti. Ti lascerò vivere e ti permetterò di uccidere i
miei demoni, finché non ti accorgerai e accetterai che il tuo animo è più
conforme alla nostra dottrina che alla vostra.”
Gabriel
si volò e mosse qualche passo, poi ci ripensò. Disse: “Già che ci sei, potresti
riferire una cosa al mio amichetto del cuore?”
Si
voltò di scatto. Afferrò i capelli del ragazzo e gli tirò indietro la testa.
Sebastiano
urlò per il dolore: ci mancava solo quello; il movimento brusco gli aveva fatto
dolere tutte le fratture.
Antinori
avvicinò il proprio volto al suo e, con voce inquietante, gli sibilò
all’orecchio: “Digli che il prossimo della vostra combriccola che oserà
sfidarmi, finirà in pasto ai cani e prima non mi accerterò che sia morto.”
Si
avviò di nuovo verso la porta e, con le spalle voltate, aggiunse sbadatamente:
“Ah, ricordagli anche che la mia proposta di unirsi a noi è sempre valida, sia
per te che per lui.”
Finalmente
uscì. Alonso, allora, si alzò in piedi e andò a controllare se ci fossero altri
superstiti, oltre al giovane. Trovò alcuni civili feriti, ma vivi e un paio di
templari in fin di vita. Si sentì un lamento: era Fylan,
aveva ricevuto un colpo in testa ed era svenuto e ora si stava riprendendo.
Trovandolo
abbastanza in buono stato, Alonso lo esortò a dargli una mano a trovare i
superstiti e dedicarsi a qualche prima medicazione, per poi trovare la maniera
di trasportarli altrove.
“Perché
sei venuto tu e non Isaia?” domandò Sebastiano, con un filo di voce.
“Non
siete stati gli unici ad essere attaccati.” spiegò il templare “Si sono
verificati assalti in tutta l’area sotto l’influsso di Antinori. Abbiamo dovuto
dividerci su più fronti.”
“La
catacomba?” si preoccupò Alonso.
“Per
quel che ne so, non è stata violata. Abbiamo deciso di non portare i feriti là
sotto, per evitare che venga scoperta: li stiamo trasportando tutti
all’infermeria templare. Faremo così anche per questi.”
“Non
va bene!” imprecò Sebastiano “Avete sì e no il pronto soccorso e ormai sarete
già pieni di feriti. Dobbiamo andare in Villa: là c’è padre Loreto, che oggi
aveva giorno di riposo dall’ospedale, e i buddisti che potranno medicarci e
hanno anche vario materiale.”
Alonso
non sembrò affatto entusiasta dell’idea, ma padre Fylan
l’appoggiò subito e quindi si sbrigarono a procurarsi un paio di auto e a
caricarci i feriti e poi partire.
Arrivarono
alla Villa. Alonso aveva già avvertito per telefono dell’arrivo dei feriti,
quindi trovarono ad aspettarli diverse persone, pronte a trasportare dentro la
gente e con i ferri pronti per qualsiasi intervento fosse stato necessario: per
fortuna si trattava solo di suture da eseguire e ossa da raddrizzare e
ingessare. I casi più gravi erano i templari: necessitavano di trasfusioni, ma
lì non c’erano riserve di sangue; inoltre, anche pur sapendo il loro gruppo
sanguigno e trovando qualcuno, tra i presenti sani, che avesse potuto donare,
non avrebbero avuto gli strumenti per effettuare la trasfusione. Dovevano
dunque aspettare che qualcuno, dalla catacomba, portasse l’occorrente …
sperando non arrivasse troppo tardi.
In
realtà, quello conciato peggio, era ovviamente Sebastiano, ma lui non aveva
voluto vedere né Loreto, né altri, e si era fatto portare immediatamente da Michela
che, avuta notizia dell’imminente arrivo, aveva supposto che l’amico avrebbe
avuto bisogno delle sue cure e, quindi, aveva predisposto tutto il necessario.
Lo fece deporre su un tavolo, su cui aveva steso un lenzuolo bianco, poi
allontanò gli altri e si chiuse nella stanza per oltre un’ora.
“Rambastiano, Rambastiano! Questa
volta sei ridotto peggio del solito: chi è stato?”
“Demoni.”
rispose lui, mantenendo la concentrazione per stimolare l’autoguarigione,
per aiutare l’amica “Me ne sono trovato sei addosso. E poi Antinori mi ha
tirato i capelli.”
“Ti
ha tirato i capelli?” rimase perplessa lei “Crudelissimo!” ironizzò.
“È
che gli sto simpatico. Se non altro, è ancora abbastanza ragionevole da
riconoscere il valore dell’avversario.”
Continuarono
a chiacchierare, durante la fase di cura e alla fine Sebastiano si ritrovò in
ottima forma. Uscirono dalla stanza e scesero al piano di sotto per controllare
come stessero gli altri. Lo stupore pervase tutti. Chiunque aveva visto le
pessime condizioni in cui vessava il giovane e biondo gesuita, rivederlo
completamente sanato, suscitò grande sorpresa e dubbi.
“Sebastiano,
che cosa ti è successo?” domandò immediatamente Fylan
“Eri ridotto peggio dei miei templari e ora … Com’è possibile?”
Il
gesuita non sapeva che cosa rispondere: non voleva mettere nei guai un’amica
che non solo era preziosa, ma a cui era affezionato.
Michela
comprese quella difficoltà e decise di essere onesta, si fece avanti e
chiaramente disse: “Sono stata io a guarirlo.”
“Tu?!”
si meravigliò Fylan che, seppure avesse visto qualche
volta la ragazza, non aveva idea di chi fosse “Come puoi avere fatto qualcosa
del genere?”
La
maga decise di scoprirsi: in fondo stava curando delle persone, che male
avrebbero potuto vederci i templari, in ciò?
“In
questo modo!” si avvicinò ai due templari in fin di vita, tracciò per terra un
sigillo e iniziò coi suoi riti. Dopo mezzora i due monaci guerrieri non erano
in perfetta forma, ma avevano ritrovato il sangue necessario.
Tutti
i presenti erano attoniti, non sapevano che cosa pensare. Il primo a rompere il
silenzio fu Sebastiano che provò a volgere la situazione a favore della
ragazza, esclamando: “Miracolo! Sia lode al Signore che per mezzo di questa
giovane, ha salvato i nostri fratelli!”
Qualcuno
parve approvare, ma subito ogni possibile vocio venne smorzato dalle parole
ruvide di Fylan: “Ma che miracolo! Questa non è opera
di Dio, ma del diavolo! Guardate i segni che ha tracciato per terra! Non
lasciatevi ingannare, essi non hanno nulla di santo, ma solo di stregonesco!”
Effettivamente
il sigillo tracciato a terra non aveva nulla di cristiano. I presenti
iniziarono ad indignarsi e a mostrare cenni e voci di rabbia verso di lei.
“Tu
sei una strega!” accusò Fylan.
“No!”
protestò lei.
“Osi
negare che questa sia opera occulta?”
“È
magia e non c’è nulla di più divino!” insisté lei, incredula di essere trattata
in quella maniera, dopo che aveva semplicemente curato delle persone.
“Bestemmia!
Non osare proferire altre parole sacrileghe con la tua bocca da strega. Confessa:
sei un’infiltrata, vero?”
Sebastiano
intervenne: “Non ti permetto di lanciare queste accuse a vanvera! Lei è stata
la prima a permettere una resistenza contro Antinori. Lei è …”
“Sebastiano!”
lo interruppe la ragazza, prima che il giovane potesse rivelare l’amicizia che
correva tra lei e Isaia “Ti ringrazio per questa accorata difesa, ma non è
necessaria.” si rivolse al templare: “Fylan, che cosa
vuoi, dunque?”
“Voglio
che tu mi segua al quartier generale dei templari: là sarai giudicata dal Gran
Maestro.”
Michela
rimase indecisa per alcuni, momenti, poi acconsentì: “Va bene, accetto.”
Fylan ghignò
soddisfatto: evidentemente sperava di riguadagnare un po’ di fama e di rispetto
con quella cattura.
Michela
si volse verso Sebastiano, come per salutarlo e sussurrò: “Giorgio.” lasciando
intendere la richiesta di proteggere il piccolo. Dopo di ché seguì Fylan.
La
ragazza venne condotta alla base dei templari e venne chiusa in una cantina
interrata.
Un
paio d’ore più tardi, Isaia rientrò al quartier generale: era stato occupato
quasi tutto il pomeriggio a contrastare un nutrito gruppo di demoni.
Sebastiano
lo aveva già informato di tutto, ma egli finse di nulla sapere.
“Gran
Maestro” annunciò Fylan, con un gran sorriso “Sono
lieto di annunciarvi che abbiamo catturato una strega che, probabilmente, da
tempo ci stava spiando per conto di Antinori.”
“Ah
sì? E chi?”
Fylan raccontò per
filo e per segno. Isaia ascoltò, mostrò estremo disappunto e disse: “So
benissimo che cosa è in grado di fare quella ragazza! È un’allieva di Martin Delrio! Ci ha sempre aiutati!”
“Mi
dispiace contraddirvi, ma non è così! Il potere di Delrio
è palesemente di natura divina. Questa donna, invece, ricorre a simboli
satanici per le sue operazioni.”
“Io
sono un esperto nel settore di demonologia e azioni del maligno e, ti posso
assicurare, che i suoi sigilli non hanno natura infernale.”
“Menzogna!
Allora vi siete lasciato ingannare anche voi! Quella strega ha ammaliato voi
come ha fatto pure col vostro discepolo Sebastiano.”
Isaia
trattenne il nervosismo: l’ottusità di Fylan lo
irritava parecchio. Intuì, però, che anche gli altri templari erano ottusi e,
soprattutto, capì che quello dell’ammaliamento era un pretesto valido
per poterlo accusare di inadeguatezza e, dunque, mettere a rischio la sua
posizione di Magister Templi: questo non doveva
accadere.
Isaia
decise di assecondare il volere di Fylan e disse:
“No, niente affatto. Sospettavo di lei, ma avevo bisogno che qualcun altro
confermasse i miei dubbi. Procederò come necessario. Che cosa prevede il nostro
Ordine, in casi come questi?”
Fylan, contento del
trionfo, spiegò: “Bisognerà formare una commissione che giudichi la colpa della
strega e poi deciderà quali provvedimenti prendere: dal momento che si tratta
di stregoneria e non di poteri naturali, non è obbligatoria la pena di morte.
Innanzitutto, però, è necessario purificarla.”
“Un
esorcismo?”
“Una
specie, ma non di quelli che siete solito compiere.” Fylan
assunse un’espressione strana, indecifrabile “Le streghe, si sa, si sono congiunte
col demonio …”
“Questo
mi pare un concetto medievale.” lo interruppe Isaia, perplesso.
“La
democrazia è un concetto ancora più vecchio, ma vigente ancora.” si difese il
templare e poi proseguì: “Le streghe hanno avuto rapporti sessuali con Lucifero,
dunque, l’unico mezzo che esiste per salvare la loro anima è quella che un
sant’uomo si unisca a loro per scacciare, quindi, la presenza del demonio.”
“Uno
stupro, dunque?” Isaia era sempre più basito.
“Dipende.
Di solito le streghe non oppongono resistenza.”
Isaia
rabbrividì e capì che, ostinati com’erano, non c’era modo e tempo di convincere
i templari che quel concetto era privo di qualsiasi logica. Sapendo, dunque,
che avrebbero insistito e non avrebbero accettato rifiuti, l’uomo decise di
ingannarli e disse: “Molto bene, allora me ne occuperò io stesso.” accorgendosi
che Fylan stava per borbottare qualcosa, lo prevenne:
“Sono l’Arcangelo Michele e, quindi, sono il più idoneo per un simile compito.”
Detto
ciò, si fece indicare dove fosse la ragazza e, solo, vi si recò. Aprì la porta,
si guardò attorno nel corridoio, per essere certo che non ci fosse nessuno, poi
la richiuse a chiave da dentro.
Michela
si era sdraiata a terra, ma non appena aveva sentito la porta aprirsi, si era
alzata in piedi. Mosse qualche passo verso di lui, ma si fermò quando notò la
sua aria severa. Abbassò lo sguardo e disse: “Scusami, ti ho disobbedito e ora
ti ho messo in difficoltà. Scusami …” era seriamente dispiaciuta, stava quasi
piangendo, nel dire: “Io … io non credevo che avrebbero … Scusami, avevi
ragione …”
Isaia,
vedendola così affranta, si dispiacque a propria volta e non poté fare a meno
di abbracciarla: la prese tra le braccia e se la strinse al petto e, paziente,
le disse: “Ti perdono, ma adesso non pensare a questo. Prometti che in futuro
mi darai retta?”
“Sì,
certo!” disse immediatamente lei, sollevata nel vedere che si era calmato.
“Tu
stai bene?” si preoccupò lui, pur vedendo che lei non aveva segni addosso “Ti
han trattata male?”
“No.
Non ho creato problemi e loro non hanno avuto motivo di prendersela con me.
Piuttosto, Giorgio? È al sicuro?”
“Sì,
tranquilla. Sebastiano lo sta portando alla catacomba: abbiamo pensato che lì
faranno meno caso a lui e, se anche gli scapperà di usare un qualche potere,
non dovrebbero notarlo. Appena uscirai di qui, lo raggiungerai e rimarrai anche
tu lì. C’è un pessimo clima in città: c’è odio totale verso la gente che ha
poteri, dovrai stare ancora più attenta pure tu! Non sei al sicuro.”
“D’accordo,
non userò la magia per un po’.”
“Spero
che la userai almeno per evadere. Io non credo di poterli persuadere a
lasciarti andare. Perché li hai assecondati? Avresti dovuto scappare.”
“Non
volevo peggiorare la situazione. C’era gente in giro, non volevo fosse
coinvolta e, poi, supponevo che un atteggiamento mite mi avrebbe favorita.”
“Non
credo che con questa gente si possa ragionare …” sospirò Isaia, malinconico
“Sapessi che cosa mi hanno incaricato di fare adesso!”
“Cosa?”
“Tu
pensa che hanno ancora la convinzione che le streghe si uniscano con il diavolo
… e pensano che l’unico modo per salvare le loro anime sia …” si imbarazzò, ma
nonostante ciò non sciolse l’abbraccio“… sia unirsi carnalmente con loro … Ma non ti preoccupare, non ho certo
intenzione di … Per questo sono venuto qui, qualsiasi altro avrebbe … Ma non
io.”
Michela
lo guardò con un poco di delusione e, scrutandolo negli occhi, sospirò:
“Peccato … Tu saresti stato l’unico con cui l’avrei fatto volentieri.”
Isaia
la guardò in un misto di tenerezza, dolcezza e anche rammarico e disse: “Oh,
Michela …! Credimi, s’io potessi scegliere una cosa di questo mondo da avere
garantita, sarebbe la tua compagnia, nella buona o avversa sorte, per ogni
giorno della vita … e anche dopo.”
Avvicinò
ulteriormente il viso a quello della ragazza, con le labbra le sfiorò la bocca
e le diede un bacio alla persiana. Poi ritrasse il volto e la guardò come a
scusarsi.
Lei
non capì quegli occhi. Li fraintese. O finse di nonaver compreso.
Con
le mani strinse le spalle dell’uomo, quasi si volesse aggrappare a lui. Si
protese verso la sua bocca e lo baciò. Questa volta un bacio vero, lungo.
Isaia,
lì per lì, forse perché colto di sorpresa, contraccambiò come poté, mai poi si
rese conto di quel che stava facendo, si irrigidì e si ritrasse, lasciano anche
l’abbraccio, dicendo: “No.”
“Ma
…” provò a dire lei.
“Michela,
davvero, se tu deciderai di non abbandonarmi e di stare al mio fianco, io ne
sarò felicissimo. Se vorrai, ti amerò: ma senza carnalità. Sono un prete ho
fatto un voto.”
“Il
tuo non è un voto di celibato perpetuo, anziché di castità?”
“No.
Per i gesuiti è castità.” lo disse con risolutezza, ma, senza accorgersene,
aveva preso le mani della ragazza tra le proprie.
“Questa
tua fermezza ti rende ancora più ammirabile …” sospirò lei.
Isaia,
che parlava in un modo, ma il cui corpo agiva in tutt’altra maniera, quasi si
trovasse ancora in meditazione, la strinse di nuovo a sé e le disse: “Se mi
ammiri per questo, se io cedessi, non perderesti forse il rispetto per me?”
“No
di certo.” gli carezzò il viso “Io lo so cosa ti trattiene: hai paura di
tradire Dio, in questo modo. Vedi, però, negarsi ciò che è piacevole per paura,
è rendere schiava la volontà; questo non ti fa di certo onore.”
“Che
uomo di Dio sarei, se cedessi alla carne?” ma intanto aveva appoggiato la
propria fronte a quella della ragazza.
“La
carnalità non è un peccato. Non è l’unione di due corpi che degrada l’amore, ma
come esso lo si vive. Vi sono due amori: quello del cuore e quello della testa.
Quello del cuore non si esalta mai, ma si espande, tramite prove e sacrifici.
L’amore della testa è passionale e vive solo d’entusiasmo, nega i doveri e
tratta l’oggetto amato come una conquista e una proprietà.” aveva, intanto,
fatto scivolare le mani sulle spalle dell’uomo e gli stava slegando il rosso
mantello da Gran Maestro; continuò: “Il problema non è fare l’amore, ma lo
stato d’animo in cui ci si trova, quando ci si unisce con l’amato. Bisogna
evitare la vertigine delle passioni, che è la schiavitù. Solo la saggezza è
libera, tutto il resto è pazzia e fatalità.”
Isaia
sorrise, non si oppose allo sfilare del mantello, le carezzò i capelli e le
disse: “La saggezza sei tu, è questo un modo in più per cercare di convincermi
della legittimità di … questo? Non funzionerà. Io non devo. Io non sarò vittima
di questi piaceri terreni.”
“Piaceri
terreni …” ripeté lei, scuotendo il capo, intanto aveva fatto scivolare le mani
lungo la schiena di Isaia, per sbottonare la tunica “Sì, finché l’amore non è
che un desiderio ed un godimento, è mortale. Per eterizzarsi occorre che
divenga un sacrificio, perché allora diventa una forza ed una virtù.”
Isaia
spostò leggermente il capo e le sussurrò ad un orecchio: “Infatti, è quello che
sto facendo: sacrifico l’amore.” ma poi iniziò a baciarle il collo.
“No,
non è questo. Vincere l’amore e sottometterlo alla giustizia è ottenere
l’immortalità, ma questo non significa rinunciare all’atto fisico, anzi!
Significa riconoscerne la sacralità, la grandezza e valorizzarlo e compierlo
non per appagare i sensi, ma perché consapevoli della santità di questo
momento.”
“Non
sembra che tu stia parlando di … sesso.” disse lui, con una mano tornò ad
accarezzarle i capelli, con l’altra, posta su un fianco, la strinse
maggiormente a sé.
“Infatti
non parlo di fare sesso, quello lo fanno le bestie e gli uomini e le donne che
non comprendono e seguono solo gli stinti del godimento e scelgono il partner
solo in base all’aspetto fisico o agli ormoni e che uniscono i loro corpi per
mero piacere, senza sapere quello che stanno facendo. Io parlo di amore.” aveva
finito di sbottonare le tunica e ora accarezzava la schiena nuda di Isaia,
sentendone il calore e trasmettendo il proprio “Spogliamoci dei nostri ego,
uniamoci! Le nostre anime si fonderanno l’una con l’altra, per qualche momento né
io, né te esisteremo più. Le nostre anime non saranno più distinte, saranno,
saremo, un’entità a parte. Non ci saranno differenze tra me e te.”
“Giustizia
e saggezza che si fondono assieme?” domandò Isaia, iniziando a fare dei
grattini dietro l’orecchio destro della ragazza.
Lei
fece le fusa per qualche istante, prima di proseguire: “Sì! Non lo trovi
meraviglioso? Non ti chiederei mai di rinunciare alla tua vita o fare chissà
cosa. Ti chiedo soltanto, per una volta, un’unica volta, di permettere che le nostre
anime si congiungano e si fondano, per presentarsi a Dio in un aspetto nuovo.
Uniamoci e che la nostra estasi sia una preghiera a Dio, consacriamo a lui
questo momento. È questo che è l’amore: abbandonarsi l’uno all’altro e assieme
abbandonarsi a Dio.”
Isaia
sospirò, ma non era un sospiro di rassegnazione, ma di piacere, disse: “Oh,
davanti a una visione così sublimata … come posso considerarlo un peccato?”
Allora
baciò la ragazza. Non l’aveva mai fatto prima di quel giorno, ma l’istinto lo
guidò e già percepiva le loro anime, i loro flussi astrali che si sarebbero
fusi assieme, come le acque di due fiumi che, incontrandosi, formano un’unica
corrente e non si può più sapere quale acqua venga da dove e, se dovessero poi
dividersi, non si separerebbero come in origine, ma rimarrebbe qualcosa
dell’una, nell’altra.
Michela,
allora, sfilò la tunica ad Isaia e, vedendolo un attimo in imbarazzo, onde
evitare che avesse ripensamenti, gli prese una mano e se la infilò sotto la
maglia e la guidò fino al seno. La mano dell’uomo, dapprima rigida, presto si
sciolse ed iniziò ad accarezzare, tastare e stringere quel seno grosso, tondo e
pieno.
Lei,
intanto, aveva iniziato a baciargli il petto, leccarlo, fargli succhiotti.
A
poco a poco, si abbandonarono l’uno all’altra. Si strinsero, si presero, si
avvinghiarono, si baciarono, si esplorarono …
Un’ora
più tardi, erano distesi a terra, nudi, usando i loro abiti come lenzuolo per
non stare a contatto col pavimento.
Michela
era rannicchiata su un fianco, con la testa sul petto di Isaia, occhi chiusi,
seguiva il suo respiro, e le braccia attorno a lui.
Isaia
le carezzava i capelli e guardava quel viso così dolce e innocente. Se lui
avesse dovuto dare un volto alla bontà, sarebbe stato quello. Lei era il suo
angelo consolatore.
Lui,
però, non era sereno. Per la prima volta, accanto a lei, non era tranquillo.
Si
era già pentito di quel che aveva fatto. Al momento gli era sembrato
ragionevole ciò che Michela gli aveva detto, ora, invece … Che cosa gli era
preso? Aveva fatto ciò che la ragione gli proibiva tassativamente di fare.
Perché?
Ora
lui aveva tradito Dio. Dio lo avrebbe abbandonato? No, certamente. Dio era
sempre lì, accanto a lui. Era lui che si vergognava e che non avrebbe voluto
presentarsi davanti al Signore, poiché i sensi di colpa lo pervadevano e lui si
chiedeva con quale coraggio e sfacciataggine avrebbe osato rivolgere preghiere
a Dio, ora che era venuto meno alla sua parola?
Guardò
ancora lei. Lei. Perché lo aveva trascinato in quel vortice? Se lei lo
conosceva davvero così bene, non aveva previsto che lui si sarebbe sentito così
male? Perché coinvolgerlo, allora? Era stata un’egoista.
Non
poteva, però, certo incolpare lei. Lui aveva fatto quella scelta, lui aveva
deciso di non opporsi, lui aveva ceduto.
“Che
cos’hai?” domandò dolcemente lei, aprendo gli occhi e guardandolo.
Forse
la rabbia di Isaia aveva accelerato il suo respiro e aveva disturbato la quiete
di lei.
L’uomo
sospirò e disse: “Avrei dovuto immaginarlo che mi sarei sentito così ...”
“Inquieto?”
Isaia
annuì. Lentamente si scostarono l’una dall’altro e si misero a sedere.
“È
stato sublime, ho davvero sentito le nostre anime unirsi e anche a livelli
meramente fisici è stato un vero piacere, ma …” sospirò, la guardò “Mi sento in
colpa.” era triste “Non ce l’ho certo con te. Ce l’ho con me stesso. Tu hai
fatto quello che ritenevi giusto e io …”
“Anche
tu l’hai ritenuto giusto, in quel momento.” gli fece notare lei,
accarezzandogli il viso, per tranquillizzarlo.
Isaia
le prese le mani, le abbassò, ma non le lasciò andare. Mormorò: “Immagino tu
sia adirata con me.”
Lei
gli riprese il viso e gli chiese: “Perché dovrei esserlo?”
“Beh,
suppongo non sia stato molto gentile, da parte mia, rovinare questo momento,
dicendo che mi sento in colpa.”
“Sarebbe
stato peggio se non lo avessi detto. Ho sbagliato io.”
Lui
la guardò sorpreso.
“Ho
creduto che fossi pronto e, invece, non lo eri. Scusami.”
Isaia
voleva dire qualcosa ma non ne ebbe il tempo.
“Non
c’è bisogno che cerchi giustificazioni. Ti comprendo.”
Gli
sguardi di entrambi erano amareggiati, ma avrebbero voluto contemplarsi in
eterno.
Michela
si sforzò di fare un sorriso. Isaia, riconoscente, l’abbracciò forte un’ultima
volta.
Iniziarono
a rivestirsi e l’uomo lo fece in gran fretta, sentendosi improvvisamente in
imbarazzo.
“Riuscirai
ad evadere, o hai bisogno di un aiuto?” domandò Isaia, una volta tornati alla
normalità.
“Non
sarà un problema.” lo rassicurò lei.
“Temo
che per un po’ non potremo vederci, mi dispiace … Ma ci sentiremo
telepaticamente, chiamami pure quando vuoi.”
“No,
non voglio esserti di disturbo. Chiamami tu quando ne hai voglia e tempo.”
“Lo
farò. Mi mancherebbero troppo le nostre chiacchierate.” si avvertiva che era un
pensiero sincero, ma che l’uomo aveva dovuto sforzarsi per esprimerlo a voce.
“Non
saremo mai soli o separati.”
Isaia
sorrise; poi le disse: “Buona fortuna.”
Le
diede un bacio sulla fronte e uscì.
Note dell’Autrice.
Grazie a tutti i miei lettori! Spero
che la storia continui a piacervi. Grazie per il tempo che mi dedicate. Penso
che questo capitolo, alcuni di voi, lo stessero aspettando da un po’ di tempo,
per cui spero sia piaciuto.
Per quanto riguarda il titolo del
capitolo “Amor, ch’a nulla amato, amar perdona”, ecco la parafrasi: “L'amore,
che a nessuno perdona, se amato, di non riamare”; è un verso di Dante che penso
calzi a pennello.
Grazie a tutti ancora e grazie ad Alex Piton per le sue imbeccate! ^.^
Michela
era rimasta sola nella cantina, passò diversi minuti a rievocare nella mente
quei bei momenti appena trascorsi con Isaia. Nonostante l’ultima conversazione,
lei aveva ancora l’animo colmo di letizia e voleva inebriarsene, fintanto che
l’avrebbe pervasa. Quando, a poco a poco, la sensazione di serenità andò
scemando, la ragazza si decise ad evadere. Era riuscita a tenersi un paio dei
suoi carboncini, senza che le venissero sequestrati dai templari. Tracciò
dunque il primo pentacolo della Luna, quello che serviva ad aprire le porte;
una volta nel corridoio,tracciò il quarto sigillo del Sole, che permetteva di
essere trasportati dagli spiriti ovunque si desiderasse. Non lo aveva usato fin
da subito, per evitare che Fylan o altri
sospettassero che fosse stato Isaia a farla evadere: quello sarebbe stato
davvero dannoso.
Evocati
gli spiriti, ordinò loro di trasportarla fin quasi davanti all’entrata della
catacomba. Vi arrivò quasi istantaneamente; ringraziò gli spiriti e li congedò.
Si guardò attorno e, certa di non essere vista, il buio la favoriva in questo,
corse fino alla catacomba e vi entrò. Scese una lunga scalinata. Trovò molta
gente che si aggirava in quei sotterranei, affaccendata in varie occupazioni.
Non le pareva di vedere volti conosciuti, per cui non sapeva a chi chiedere
informazioni; non aveva più con sé il telefono (sequestrato dai templari)
dunque non poteva contattare direttamente gli amici. Incrociando un gruppo di
suore, le fermò e cortesemente domandò loro se conoscessero padre Alonso o
padre Sebastiano e se li avessero visti di recente. Le monache non seppero
rispondere circa dove si trovassero in quel momento i sacerdoti; per fortuna,
però, un signore lì vicino aveva sentito la conversazione e disse alla ragazza
di sapere dove fosse il giovane gesuita e l’accompagnò verso l’infermeria del
pronto soccorso per ferite leggere.
Entrata
nella stanza, Michela notò che c’erano diversi pazienti, spostò lo sguardo alla
ricerca dell’amico e lo trovò seduto su una sedia, molto cupo, con una
fasciatura al braccio e un taglio sul viso. Già il fatto di trovarlo lì aveva
insospettito la ragazza, vedere il giovane così fosco, aveva accresciuto la sua
paura. Gli si avvicinò e con voce rotta lo chiamò: “Sebastiano …!”
Il
gesuita alzò lo sguardo: i suoi occhi erano colmi di tristezza e rabbia. Con
una voce di pari emozioni, si sforzò di dire: “Ti sei liberata, bene …”
“Sebastiano,
che cos’è successo? Dov’è Giorgio?”
Il
sacerdote si alzò in piedi, si accostò a lei, le mise su una spalla la mano del
braccio sano e, affranto per averla delusa, sospirò: “Perdonami!”
Michela
sgranò gli occhi, una miriade di preoccupazioni la invasero, temette il peggio
ed esortò: “Giorgio?”
“Lo
hanno preso …”
“I
templari?” lo interruppe lei, con viva preoccupazione.
“No.”
la rassicurò lui.
“Chi,
allora?” temeva la risposta che si stava dando da sola, nella propria testa.
“Suo
padre, Niklos.”
La
ragazza vide concretizzata la sua paura. Rimase sconvolta. Aprì la bocca due o
tre volte per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Il timore, la disperazione e il
pianto imminente la bloccavano. Suo figlio! Il suo piccolo Giorgio, finito
nelle mani di Niklos!
Non
che temesse che Niklos potesse fare del male al
bambino. No, questo era da escludere a priori. Lo stregone aveva tanti difetti,
ma non quello di essere un padre snaturato, avrebbe trattato bene il
figlioletto e non gli avrebbe fatto mancare nulla. Quel che lei non poteva
accettare, però, era l’ambiente della setta del candelaio,
“Com’è
successo?” riuscì a chiedere soltanto.
“Credo
che Niklos ci tenesse d’occhio da un po’ e ci ha teso
una trappola.” spiegò il gesuita “Ero in auto da solo con Giorgio. A un certo
punto ho dovuto frenare di colpo perché della gente si era gettata in mezzo
alla strada: sembrava una rissa. Mi sono, però, accorto che c’erano almeno un
paio di persone dotate di poteri, sicuramente scagnozzi di Antinori. Non
immaginavo avessero scatenato quella lite per distrarre me, per cui ho spento
l’auto, sono sceso e sono andato a prendere le difese degli indifesi … poco
dopo ho sentito la voce di Niklos che mi chiamava. Mi
sono voltato e l’hovisto con Giorgio in
braccio. Mi ha detto di riferirti che stava semplicemente facendo il suo dovere
di padre, scegliendo ciò che era meglio e così via, poi mi pare abbia aggiunto
che sarebbe contento se tu volessi raggiungerlo per formare una vera famiglia …
Non ricordo molto bene, visto che poi ho ricevuto una botta sulla nuca e sono
svenuto. Quando mi sono risvegliato ero sull’auto, ferma ancora in mezzo alla strada;
allora sono venuto qua. Perdonami!”
Michela
era molto preoccupata, ma non poteva certo prendersela con Sebastiano, nemmeno
lei avrebbe mai immaginato che lo stregone potesse ricorrere a quegli
stratagemmi.
“Non
ti preoccupare. Adesso andrò a riprendermelo.”
“Perfetto:
vengo con te.” il giovane scattò in piedi.
“No.”
rispose seccamente lei.
“Ma
come? Io sono responsabile di quel che è successo e quindi mi è doveroso
aiutarti!”
“Grazie,
ma andrò da sola.”
“Non
puoi! Loro sono tanti e sicuramente …”
“Con
te la situazione non migliorerebbe di molto. Se andassimo in due, non
torneremmo in due, anziché non tornare uno e basta. Sebastiano, tu sei molto
utile per Isaia, per Alonso e per tutto quello che stiamo facendo, devi
rimanere qui e continuare a combattere Antinori e a portare la speranza e la
parola di Dio tra la gente. Io, invece, qui, non posso più far nulla o quasi.
Sarei solo un impiccio, perché ormai devo nascondermi dai templari e
probabilmente anche dalla gente normale. La nostra causa non ne risentirà, se
non dovessi ritornare. Certo, io farò di tutto per riprendere il mio Giorgio e
poi tornare qua. Non so se ci riuscirò, ma che io sia qui o meno, non ha
rilevanza.”
“Allora
temo che, nel migliore dei casi, dovrò aggiungere alla lista delle cose da fare
un nuovo punto: liberare te.”
“Troppo
premuroso!”
“Ah,
è il minimo, dato che è colpa mia! Se avessi aspettato che Fylan
se ne fosse andato, prima di farmi guarire, probabilmente, anzi, sicuramente,
tutto questo non sarebbe accaduto … E chi lo sente Isaia, adesso!”
“Perché?”
“Era
già abbastanza preoccupato e seccato, quando gli ho riferito di Fylan, figuriamoci cosa mi dirà, ora, quando gli racconterò
che ti ho lasciata andare in Vaticano da sola!”
“Capirà
perfettamente.”
“Sì,
hai ragione. Forse si rammaricherà, come dispiace a me, ma anche lui saprà che
era la cosa giusta da fare.”
“Credimi,
neppure io andrei, se la mia presenza, qui, fosse importante. Salutami tutti
quanti, nel caso non dovessimo rivederci presto.”
“Non
mancherò di farlo.”
I
due amici si salutarono, poi Michela se ne andò, tornò in superficie e, senza
bisogno di farsi coraggio, poiché la risolutezza non le mancava, si diresse
verso il Vaticano. Arrivata là, fece un respiro profondo: pensava a quello che
sarebbe stato l’esito più probabile di quell’azione e quindi si preparò
psicologicamente a tirar fuori il vecchio carattere.
Crescere
nella cerchia del Candelaio le aveva forgiato un carattere forte, autoritario,
a tratti freddo e superbo, era l’unico modo che aveva trovato per non finire al
seguito di qualcuno degli altri membri della setta. Quando era poi scappata e
si era rifugiata dai propri parenti, aveva imparato ad essere più fiduciosa
negli altri e aveva riscoperto il proprio lato dolce e gentile, senza però mai
dimenticare il proprio aspetto veemente che, all’occorrenza, tirava ugualmente
fuori.
Ecco,
entrando ora in Vaticano, avrebbe dovuto cacciare fuori gli artigli e
rimpadronirsi totalmente della propria sicurezza e spavalderia.
Si
guardò attorno e notò che c’erano demoni di guardia e, di tanto in tanto, degli
umani. Li scrutò attentamente e finalmente individuò Davide, quello col potere
di assorbire energie. Lo conosceva da tempo ed era stato lui ad insegnarle le
basi della lotta corpo a corpo. Si avvicinò a lui e salutò.
“Ohilà!”
rispose lui, allegramente “Questa volta vieni sola? Dovresti farti vedere più
spesso.”
“Eh,
sono stata piuttosto impegnata a ostacolarvi.”
“Sì,
ti ho sentita alla radio.”
“Ah,
allora non siamo abbastanza criptati. Comunque, non sono qui in via ufficiale
da parte di Isaia, sono venuta per motivi privati.”
“Dimmi
tutto.”
“Puoi
portarmi da Bonifacio?”
“Certamente,
anche se pensavo mi chiedessi di Niklos.”
“Se
voglio ottenere qualcosa da Niklos, dovrò prima trattare
con Bonifacio, temo.”
“D’accordo,
vieni. Prima però …” contrasse il braccio destro, per mostrare i muscoli “Senti
un po’ qua; è da anni che non hai simile spettacolo.”
Michela
lo assecondò, gli toccò l’avambraccio e disse che era davvero perfetto. Davide
gongolò e poi volle mostrarle anche il nuovo tatuaggio sul petto … in realtà
voleva farle vedere i pettorali perfettamente scolpiti.
La
ragazza pensò che lui non fosse cambiato di una virgola, da quando lo aveva
conosciuto; si disse che in fondo non era cattivo ed era soprattutto un
bambinone. Beh, no. Cattivo lo era, credeva fortemente negli ideali di
supremazia della gente coi poteri e non si faceva remore nell’uccidere chi
ritenesse inferiore.
Finalmente
Davide finì di mettersi in mostra e si decise a far strada alla donna. Prima,
però, fece cenno a uno dei suoi subalterni, Arthur, di sostituirlo durante la
sua assenza. Arthur non protestò, salutò la ragazza, che anche lui conosceva e
l’annusò, osservando che aveva un odore diverso dal solito.
Davide
accompagnò la ragazza dentro a un palazzotto e l’accompagnò fino a una porta di
legno bianco, decorata con stucchi in oro. Bussò.
Avanti.
–disse
una voce da dentro.
L’uomo
aprì la porta e annunciò: “Bonifacio, guarda chi è venuta a trovarci!”
Serventi,
che era seduto dall’altro lato della sala e suonava a un pianoforte, si
interruppe e si voltò per guardare. Prima che potesse dire qualcosa, però,
scattò in piedi Gabriel, poiché nella stanza erano presenti anche lui, Stefano,
Claudia e Teresa.
Antinori,
quindi, si era subito avvicinato alla ragazza e, ghignando, esclamò: “Ma bene:
l’amichetta di Isaia! Devo dire che è una giornata piena di soddisfazioni:
prima, abbiamo messo in riga un po’ di ostinati della città e ci siamo liberati
dei soldatini che tentavano di difenderli; ora, vieni qui proprio tu. Dimmi, da
Isaia vuoi tornarci a pezzi o indemoniata?”
“No,
Capo.” protestò Davide “Lasciala così com’è. È una tigrotta
simpatica.”
Gabriel
si accigliò e chiese, rivolto alla ragazza: “Prima Niklos
e ora pure Davide. L’hai data pure a lui, puttanella?”
“No,
no!” rispose l’uomo palestrato “Lei non rientra tra le 164 donne che mi sono
fatto. Le ho sempre detto che può aggiungersi alla lista quando vuole, ma
finora ha sempre rifiutato.”
Gabriel
spostò lo sguardo, esterrefatto, sul suo subordinato e gli domandò incredulo:
“Ti sei davvero fatto 164 donne diverse? Come fai a tenere il conto?”
“Eh,
io ci tengo! Ogni cinquanta, compro una torta gigante per festeggiare coi miei
amici.”
A
quel punto intervenne Serventi che, nel frattempo, aveva lasciato il pianoforte
e li aveva raggiunti; congedò Davide, poi disse: “Gabriel, non è questa
l’accoglienza giusta per i nostri ospiti. Lei non è una nemica, nonostante
creda di esserlo.” la guardò coi suoi occhi profondi e terrificanti e la
salutò: “Bentornata.”
“Non
mi tratterrò: prendo mio figlio e tolgo l’incomodo.” dichiarò lei, con cipiglio
fiero.
“Non
puoi.”
“Dov’è?”
“Sta
dormendo.”
“Allora
aspetterò domattina.”
Gabriel
si era già seccato di ascoltarli, per cui se ne tornò sul divano con Claudia.
Serventi
continuò: “Sei sicura di volerlo portare via? Solo con noi può crescere felice
e libero di essere sé stesso.”
“Sai
bene che abbiamo idee nettamente divergenti circa cosa sia la libertà. Tu fai
vivere queste persone in balia delle passioni e dei desideri.” la voce era
macchiata di rimprovero e ira “Tu non li aiuti, sfrutti i loro poteri e non
insegni loro la verità, non li informi sulle loro reali potenzialità, perché
vuoi essere tu al vertice. Giorgio è mio figlio e non voglio che rimanga qui.”
Bonifacio
era calmo, imperturbabile come al solito, replicò: “Quel bambino ha anche un
padre, a cui lo hai tenuto nascosto per tre anni. Ti sembra corretto? Niklos vuole che suo figlio cresca con lui. Ora, tu hai due
possibilità: o rimani qua anche tu, sarai ben accetta, oppure te ne vai e per
tre anni non ti farai vedere, in questo modo i conti saranno pareggiati.”
guardò l’espressione furiosa della ragazza “Suvvia, non fare la scontrosa: ti
perdoniamo la tua defezione. Sei nostra e lo sai.”
“Non
credo affatto. Io non rinuncerò a mio figlio, ma nemmeno accetterò di rimane
qua, con l’assassino della mia famiglia.”
“Sono
stati i templari, ti ricordo.”
“Con
un discreto aiuto tuo e dei tuoi uomini. Inoltre, non mi pare tu ti sia servito
di loro, per sbarazzarti dei miei genitori.”
“Quanta
ira! Non la consideravi un peccato?” il suo tono era leggermente beffardo
“Credevo fossi superiore a certe pulsioni.”
“Purtroppo
per te, non ho raggiunto la perfezione.”
“Allora
non conosci la Verità, essa la si raggiunge solo con la perfezione. Come puoi,
dunque, credere che la tua opinione sia migliore della mia? In fondo, io sono
più potente di te e vivo da molto, molto più tempo, questo indica che sono io
quello che meglio conosce questo mondo e ciò che lo anima. Tu conosci già i
valori della gerarchia, dell’obbedienza e del segreto, ma purtroppo in un
contesto incompleto. I tuoi genitori erano esattamente come sei tu ora:
intrappolati in un inganno limitante, che costringe a stare nascosti. Io vedo
più in là; io intende espandere la gerarchia a tutta l’umanità.”
“La
tua gerarchia è malata e contraddittoria! Inciti la gente all’anarchia e alla
sottomissione.” non era più arrabbiata, anzi, pareva cercare un confronto
costruttivo “Vuoi che ognuno sia dominato dai vizi e li assecondi, ma che
obbedisca ai superiori. E i superiori, anziché aiutare chi sta sotto, lo
sfruttano. Non ha senso: è caos!”
“Non
mi importa ciò che pensi.” la troncò Serventi.
La
stanza parve vuotarsi all’improvviso, gli altri quattro erano come spariti
d’improvviso. Michela era consapevole che ciò significava che il resto della
conversazione non avrebbe potuto essere sentito da nessuno.
Bonifacio
diede l’ultimatum: “Decidi: o con noi e con tuo figlio, o fuori di qua, senza
il bambino … non dovrebbe dispiacerti più di tanto: presto ne avrai un altro.”
“Cosa?”
sbalordì lei.
“Come?
Non lo sai ancora?” era il solito tono monotono, ma si avvertiva un senso
beffardo “Dev’essere una cosa molto recente allora.
Sì, sì, a ben sentire, si nota che è una novità, ma, fidati, ti assicuro che
c’è un’altra vita in te. Lo sai ch’io posso percepire chiaramente queste cose e
molte altre. È del tuo caro Isaia, vero? Certo; sei ancora imbrattata della sua
energia, quasi se ne sente l’odore. Per come mi ha parlato Gabriel di Morganti, immagino sia stata una vera impresa, per te,
riuscire a convincerlo ad accontentarti almeno una volta. Chissà che cosa ti
sarai dovuta inventare. Perché complicarti la vita? La soluzione è semplice:
vivi secondo la mia guida, portami lui e potrete vivere assieme, felici, senza
più stupidaggini come i voti.”
“Nemmeno
questo può corrompermi.”
“Fa
come preferisci. Ad ogni modo, ti esorto ancora una volta a rimanere qua: non
vorrai mica affrontare una gravidanza da sola, vero? I tuoi amici sono troppo
impegnati a farsi sterminare dai miei uomini, per potersi occupare di te.
L’intera città e, probabilmente, tutta la nazione sono furiose con la gente
dotata di poteri. Non sei al sicuro, altrove, ti scopriranno
e uccideranno. Resta con noi, solo così avrai garantita la sicurezza.”
Michela
era furente nel dover ammettere che ciò era vero. Si morse un labbro, poi
chiese: “Mi garantisci anche indipendenza?”
“Risponderai
solo a me e a Gabriel.”
La
cosa non le piacque granché, ma alla fine accettò: “D’accordo. Rimango.” mentre
lo diceva, gli altri quattro presenti ricomparvero e sentirono quell’ultima
frase.
“Ne
sono felice.” disse Bonifacio “Presto ti renderai conto di dove sta la ragione
e, allora, tutti assieme, realizzeremo qualcosa di grande.”
Michela
lo guardò torvamente.
“Ora,
dammi i tuoi carboncini.” tese in avanti il palmo destro.
Il
tono dell’uomo non ammetteva repliche, tuttavia Michela esitò, prima di
mettersi una mano in tasca e tirar fuori gli unici due carboncetti
che le rimanevano e metterli in mano all’altro.
“Tutto
qui?” domandò lui, sospettoso.
“Sì,
gli altri me li hanno sequestrati i templari.”
Gabriel,
sentendo ciò, si mise a ridere e domandò, beffardamente: “E come mai? Isaia si è
accorto che sei una strega e ha tradito pure te?”
“Purtroppo
per il tuo umore, no!”
“Gabriel”
lo chiamò Bonifacio “Perquisiscila per vedere se nasconde altri carboncini.”
“Perché?
Che ci importa di quei cosi? Domani te ne prendo quanti ne vuoi!”
“Non
è che servano a me. È lei che non ne deve avere, così non può ricorrere all’uso
dei sigilli e la sua magia sarà limitata. O vuoi ritrovarti il Vaticano pieno
di spiriti di Marte? Quindi, perquisiscila.”
“Non
potrei mai! Io non tocco altre donne, diverse da Claudia. Stefano, pensaci tu
che così ti diverti anche un poco.”
Il
giovane annuì, si alzò, raggiunse la ragazza, piuttosto indispettita, e iniziò
a frugarle nelle tasche dei pantaloni.
Gabriel
lo osservava e lo incoraggiava: “Cerca bene, eh Stefanino,
conto su di te. Prova a vedere anche nella tasca segreta lì in mezzo … e pure dentro
l'altro buco.” rise, guardando il discepolo mettere la mano tra le cosce della
giovane; continuò: “Mi raccomando, la stagionatura del culatello: stringi bene
e vedi a che punto è con la stagionatura!”
Stefano
non se lo fece ripetere, mise le mani sulle natiche della ragazza e strinse coi
polpastrelli.
Serventi
osservava: non sembrava approvare, ma non intervenne.
Gabriel
continuava: “Una bella controllata anche a quei bomboloni, lì davanti, poi,
sarebbe l'ideale. Spremi bene e vedi se esce un po' di crema!”
Stefano
indugiò ancora in basso, prima di spostare le mani sul seno.
Michela
stava fremendo di rabbia: in altre circostanze, avrebbe reagito furiosamente,
dimostrando l’abilità nella lotta, appresa da Davide. In quel momento, però,
era in un ambiente ostile e, soprattutto, non aveva ancora ritrovato suo
figlio, quindi non voleva irritare nessuno, almeno in quel frangente.
La
ragazza, però, si sentiva umiliata e il suo malumore e la sua ira si poteva
leggere distintamente sul suo volto.
Gabriel
se ne accorse e le disse: “Non capisco perché quella faccia, strega. Dovresti
ringraziarmi, piuttosto, del fatto che ti faccio tastare da un vero uomo, visto
che quell'imbranato di Isaia non è capace di farti divertire.” ridacchiò “Un
minimo di gratitudine, dannazione!”
Si
sentì la voce di Claudia che, evidentemente, stava rispondendo ad un’obiezione
di Teresa: “E poi, per Stefano, è un toccasana. Il seminario gli ha causato
molte inibizioni. Ha bisogno di sciogliersi!”
Non
sembra
–pensò Michela.
“Allora?”
chiese l’Eletto.
Il
giovane diede un’altra controllata generale, soffermandosi nelle solite due
zone; infine disse: “Non ha altro.”
Bonifacio
parlò: “Bene, Gabriel, hai finito di far divertire il tuo discepolo? Possiamo
tornare seri?”
L’Eletto
fissò la ragazza e l’avvertì: “Quanto a te, patti chiari e amicizia lunga: se
proprio devi rimanere qui, non osare usare i tuoi squallidi trucchi da strega; non
prendere iniziative e obbedisci ai miei ordini, se tieni alla tua incolumità.”
Serventi
si avvicinò al divano e chiese: “Claudia, per favore, potresti accompagnare la
nostra nuova amica in una stanza che possa occupare?”
“Certo!”
La
psicologa sembrava felice e amichevole, fece un cenno a Teresa ed entrambe si
alzarono e andarono con la ragazza fuori dalla porta alla ricerca di una
camera.
Antinori,
poi, un po’ irritato, si rivolse a Serventi: “Per quale accidenti di motivo hai
deciso di ospitarla qui? Al massimo come prigioniera! Dovremmo sfruttare la
cosa per far soffrire Isaia! Invece tu la accogli a braccia aperte e i nostri
sottoposti prendono pure le sue difese! Non va bene così, diamine!”
“Gabriel,
tu conosci il tuo amico meglio di me: non cederebbe di certo a ricatti e
sicuramente non si precipiterà mai qua per salvarla.”
“Lo
so, quindi uccidiamola.”
“No.
Penso che la si possa sfruttare ugualmente come esca per Isaia.”
“Come?”
si accigliò Gabriel.
“Una
trappola col miele. Fare del male a lei, radicherebbe ancora di più l’ostilità
del tuo amico. Portiamo, invece, lei dalla nostra parte … sono sicuro che
questo sarebbe ben più sconvolgente per Isaia.”
Gabriel
non pareva molto convinto.
“Credimi,
sarà lei ad aiutarti a liberare il tuo amico.”
“Io
dico che lei porterà solo problemi.”
“Tienila
d’occhio allora, ma non ammazzarla, né esagerare in altri versi. Lei è basilare
per Isaia, proprio come Claudia è fondamentale per te.”
Gabriel
fu alquanto stupito.
“Ho
un progetto in mente e per realizzarlo è necessario siate tutti e quattro votati
a me.”
“Che
stai dicendo?! Io sono l’Eletto!”
“Certamente.
Inizialmente, il mio piano prevedeva te solo, perché non speravo fossero così
vicini anche loro tre. È su di te che faccio maggiore affidamento; se sarà
necessario, sono disposto a sacrificare gli altri, lo dimostrano le mie azioni
passate; tuttavia, da quando hai detto di volere che Isaia ti affianchi, ho
iniziato a sperare di realizzare un progetto che non ha eguali.”
“Quale?”
“Lo
stesso che stiamo già portando avanti noi, solo che, con anche lui e il suo
potere, il nostro dominio sarà ancora più saldo.”
“Sì,
io e Isaia, assieme, ritempreremo il mondo … spero capisca.”
“Capirà.
Una sola persona è riuscita a resistere alle mie lusinghe e il tuo amico non è
certo alla sua altezza.”
Nel
frattempo, Claudia e Teresa avevano trovato una stanza in cui far alloggiare la
terza donna.
“Sono
felice che tu sia qui!” disse la Munari “Ti troverai bene, ne sono certa! Io e
Teresa abbiamo sempre qualcosa da fare, o per aiutare Gabriel o per rilassarci
e divertirci. C’è posto anche per te, non ti annoierai! Adesso ti spiego dov’è
la sala dove mangiamo noi, così stai in compagnia di noi al vertice e non con i
subordinati.”
“Forse
è meglio se non mi faccio vedere troppo in giro: Gabriel non è molto ben
disposto, verso di me.”
“Beh,
non ha tutti i torti. Sei rimasta amica di Isaia, nonostante abbia fatto
attaccare il Centro d’Ascolto, è naturale che Gabriel ti guardi con sospetto.
Non ti preoccupare, però, cercherò di mitigarlo.”
“Grazie.”
rispose Michela, indecisa se difendere o meno l’amico; aveva paura di
inimicarsi pure Claudia, per cui cercò di usare una via di mezzo: “Isaia non
sapeva dell’attacco al centro. Ha agito di testa sua un tale che ora ha messo
nei guai pure me. È vero, però, che sono stata al fianco di chi vi sta
osteggiando, per cui capisco di non essere la benvenuta.”
“Oh,
andiamo! L’importante è che tu, ora, sia qui e aderisca alla nostra causa.”
“Claudia,
io sono qui solo per mio figlio.”
La
psicologa fece una faccia dispiaciuta, ma subito riprese brio e disse: “Sono
sicura che tra qualche giorno avrai cambiato idea. Adesso sei ancora
condizionata dalle frottole che ti avrà raccontato quell’insulso traditore di
Isaia, ma ti basterà vivere un po’ qui con noi e capirai, apprezzerai il nostro
impegno e desidererai collaborare!”
So
bene come si vive sotto Serventi e, sì, è un ambiente gradevole, ma ti lascia
in balia del vizio.
Questa era la risposta naturale che avrebbe dato la ragazza, ma non voleva
discutere con Claudia, quindi annuì, ringraziò.
Le
tre donne chiacchierarono per alcuni minuti, poi Michela espresse il desiderio
di rimanere sola per riposarsi: era stata una giornata faticosa. Le due
psicologhe la salutarono e se ne andarono.
Rimasta
sola, Michela si sdraiò sul letto e cercò Isaia nella luce astrale, per
potergli parlare telepaticamente.
“Michela!”
esclamò l’uomo in un misto di sollievo e preoccupazione “Dove sei? Sebastiano
mi ha riferito del vostro dialogo nella catacomba. Stai bene?”
“Sì,
non ti preoccupare per me, sono qui in Vaticano, resterò alcuni giorni, pare.”
“Sei
prigioniera?”
“Ospite.
Mi hanno pure dato una bella stanza.”
“Com’è
possibile? Gabriel ti odia!”
“Su
questo non ci piove.”
Ripensò alla perquisizione e decise che non era affatto il caso di riferire quell'esperienza: avrebbe inutilmente infastidito Isaia.
“Temevo
ti avesse già aggredita.”
“L’avrebbe
fatto, ma ho due vantaggi. Primo, Serventi vuole realizzare la città infernale,
quindi ha bisogno di me e te vivi. Secondo, molte delle persone, che sono qui,
sono le stesse con cui sono cresciuta: mi vogliono bene, mi proteggeranno, se
necessario, anche andando contro Gabriel.”
“Lo
spero bene … Io non posso far nulla.” era amareggiato.
“Lo
so.” rispose rapidamente lei “Ne ero consapevole, quando ho deciso di venire
qui. Sapevo che probabilmente sarebbe finita in questa maniera.”
“Speriamo
di trovare una soluzione per tutto questo al più presto.”
“Isaia,
credo che potremo ricavare un vantaggio da questa situazione; in fondo, sono
nel covo del nemico e loro non sanno che posso comunicare con te.”
“Non
credo che Gabriel ti verrà a riferire i suoi piani, per cui non so che cosa
porterebbe una tua azione di spionaggio.”
“No,
Gabriel non mi dirà nulla, è vero, ma tutti gli altri sì. Credimi, i miei amici
mi racconteranno e qualche informazione utile spero di ricavarla. Altrimenti,
mi limiterò a ritrovare i miei cugini e a cercare di impedire che vengano
corrotti. Potrei espandere la mia propaganda anche ad altri.”
“Di
primo acchito mi verrebbe da dirti: evita di metterti nei guai e di irritare
Gabriel o Serventi. Mi rendo però conto che minare la loro unità interna
potrebbe essere un ottimo aiuto per noi. Ti sono grato, se ti sobbarchi di
questo impegno e rischio.”
“Farò
del mio meglio, lo sai che non mi piace rimanere inoperosa!”
Isaia
sospirò e disse: “Spero di poter far affidamento su di te anche in futuro.”
“È
un modo per dirmi che non devo farmi ammazzare?” chiese lei, contenta di quella
premura, ma con tono scherzoso per alleggerire la situazione.
“Sì.”
rispose lui e sorrise; poi un pensiero gli balenò per la testa e si raccomandò:
“Quello che abbiamo fatto oggi pomeriggio …” il solo ricordo lo imbarazzava
“Non dirlo a Gabriel, ti prego. Non dirlo a nessuno.”
“D’accordo,
come vuoi tu.”
“Grazie.”
Michela
aveva provato tenerezza nel sentire Isaia ancora così in imbarazzo per quella
faccenda. Se fosse stata vicina a lui, in quel momento, lo avrebbe senza dubbio
abbracciato o carezzato, per infondergli un po’ di sicurezza.
La
ragazza si era comunque già resa conto che non si sarebbe ripetuto ciò che
avevano fatto quel pomeriggio. Le circostanze, le emozioni avevano preso il
sopravvento. Non sarebbe riaccaduto. Isaia non si sarebbe lasciato vincere una
seconda volta. Lei non voleva dispiacere l’amico o metterlo di nuovo in
difficoltà, si sentiva già abbastanza in colpa per come si sentiva, ora, Isaia,
quindi aveva deciso di accontentarsi di quell’unica esperienza.
Accontentarsi
… Sì, non si sarebbe più congiunta carnalmente con lui, ma le loro anime erano
intrecciate ancor più di prima e, in fondo, era quell’unione spirituale che lei
voleva e che la gratificava.
Inoltre,
quell’unica volta era stata sufficiente per concepire un figlio: sarebbe stata
una gran gioia.
Ammesso
che realmente fosse rimasta incinta e che Serventi non l’avesse ingannata,
inventando un pretesto per farla restare lì. Già, c’era anche il caso che
Bonifacio le avesse mentito. Le sarebbe davvero dispiaciuto molto, scoprire che
quella era stata soltanto una bugia. Al momento, comunque, non poteva saperlo,
avrebbe dovuto aspettare qualche giorno, prima di conoscere la verità.
Michela
si svegliò attorno alle otto e il suo primo pensiero fu quello di andare a
cercare il figlioletto, quindi doveva rintracciare innanzitutto Niklos. Dal momento che non aveva idea di come fosse
distribuita la gente all’interno di quei palazzi, ritenne che il modo ideale di
procedere fosse quello di cercare la mensa comune e guardare se si trovasse lì;
in caso contrario, avrebbe certamente trovato gente a cui chiedere informazioni
circa dove potesse trovarsi lo stregone.
Non
le fu difficile trovare il refettorio; c’erano circa una cinquantina di persone
a far colazione, molti erano visi noti, di certo non erano le forze al completo
di Serventi, evidentemente o c’erano dei turni, oppure quella non era la sola
mensa.
Niklos, comunque, non
era tra i presenti. La ragazza, allora, preso qualcosa da mangiare, si avvicinò
ad un gruppo di cinque o sei giovanotti che conosceva e li salutò solare. Loro
si stupirono di vederla, ma ne furono felici e le dissero di sedersi lì,
assieme a loro.
“Allora,
dove sei stata in questi anni? Perché te ne sei andata?” chiese uno di loro;
era un trentenne, forse un po’ più giovane, coi capelli vaporosi e color del
miele, era lo stesso che, qualche settimana prima, assieme a Niklos, aveva stretto d’assedio i gesuiti presso l’Istituto
Massimo.
“Marco,
Marco, Marco!” esclamò la ragazza, sorridente “Ho voluto progredire altrove,
ora ho uno stile totalmente diverso da quello del buon Niklos.”
L’altro
ridacchiò bonariamente, prima di dire: “È vero che sei anche tu di quei
fortunati che potrebbero ricorrere ad ogni potere, purché studino. Il vantaggio
di avere un solo potere è che non c’è bisogno di sforzarsi chissà quanto: basta
scoprirlo e capire un attimo come funziona e non ci sono problemi. Voi, invece,
avete gran varietà, ma impiegate tantissimo tempo per ottenerli e, comunque,
non sono mai potenti come i nostri. La mia arte di impressionare i sensi della
gente, non la eguaglia nessuno.”
“Ah,
so bene che tu hai una delle doti più straordinarie. Ricordo bene le bravate
tue e di Jacopo. Certo, le capacità erano totalmente diversa: lui agiva su
immaginazione e paura, invece, tu puoi proiettare qualsiasi immagine e farla
sembrare reale, indipendentemente da quali siano le paure degli altri.”
“E
non dimenticare che ciò mi permette di trasmutare pure il mio aspetto, o quello
degli altri! Sono contento che ti ricordi così bene!”
“Ho
capito il meccanismo di come funziona il tuo potere, mi sto esercitando per
imparare a padroneggiarlo, ma è una delle cose più difficili.”
“Eh,
dovrai faticare parecchio, prima di potermi eguagliare!”
“Oh,
questo senza dubbio.”
“Cosa
ci fai qua?” domandò un altro “Quando sei tornata?”
“Ieri
sera. circostanze particolari, molto particolari. Devo capire ben anch’io come
sarà la mia presenza qua, ora.”
Continuarono
a chiacchierare per diversi minuti, intanto gli altri presenti nel refettorio
iniziarono ad uscire per andare a svolgere le proprie mansioni. Dopo un po’
Michela decise di andare a ciò che le premeva e, quindi, chiese: “Ma, come mai Niklos non è qui con voi?”
“Non
si fa vedere molto spesso.” spiegò Marco “Si presenta ai consigli d guerra e
poco altre volte. Non va affatto d’accordo con Antinori, discutono spesso. Credo
che Bonifacio si sia stufato di fare sempre da paciere e abbia consigliato a Niklos di starsene in disparte.”
“Sapete
dove posso trovarlo?”
Le
indicarono una decina di posti diversi, ma nessuno certo.
“Comunque
non cercarlo: non credo sarà felice di rivederti.”
“Perché?”
Marco
spiegò: “Ci è rimasto molto male, quando te ne sei andata, senza avvisarlo, per
di più.”
Fu
allora che fece capolino nel refettorio, ormai quasi vuoto, Gabriel che a gran
voce richiamò l’attenzione dei pochi presenti: “Ehi, voi! Che cosa ci fate
ancora qua, scansafatiche?! Muovetevi ad andare ad occuparvi delle vostre
faccende e non perdete ulteriore tempo, o prenderò provvedimenti.”
“Sì,
perdonate.” dissero più o meno tutti quanti e si alzarono e se ne andarono.
Marco
e gli altri, prima di uscire, fecero un rapido cenno di saluto a Michela che
rimase seduta, sostenendo lo sguardo dell’Eletto che, da in piedi, la guardava
con grande avversione.
“Già
non è che mi entusiasmi l’idea di trovarmi te davanti di primo mattino, ma se
poi ti trovo pure a far perdere tempo ai miei uomini … allora mi irrito
parecchio, strega.”
“Quante
storie! Stavo semplicemente chiacchierando con dei vecchi amici che non vedevo
da anni. Chissà, poi, che cosa devono fare! Non mi pare abbiate la possibilità
di procurarvi molti impegni.”
“Quel
che facciamo non è affar tuo, strega. Tu non devi disturbare la gente che
lavora, tu non devi infastidire, tu devi farti i fatti tuoi e non rompere in
giro.”
“Non
ti agitare, volevo solo capire dov’è Giorgio.”
“Mettiamo
subito le cose in chiaro: tu mi devi portare rispetto. Non usare quel tono con
me, perché la prossima volta, ti faccio passare la voglia di fare l’insolente.
Tu guarda! Uno è così gentile da offrire riparo, cibo e protezione a un’insulsa
traditrice e al suo moccioso e questa ha pure la sfrontatezza di parlare con
arroganza.”
“Siete
voi che ci state trattenendo qui. Dipendesse da me, avrei già preso mio figlio
e me ne sarei andata.”
Gabriel
si avvicinò al tavolo, vi appoggiò le mani sopra, si sporse verso la ragazza e,
puntandole i suoi occhi di brace, le sibilò: “Considera, però, attentamente le
tue condizioni. Hai una tua stanza, hai assicurati tre pasti al giorno e sei
libera di girare dove ti pare, purché non disturbi e non disobbedisca ai miei
ordini. Le cose potrebbero andare molto peggio, non credi?” e qui il tono si
fece minaccioso, pur rimanendo tranquillo, quasi candido “Avresti potuto essere
chiusa in una cella minuscola, senza nemmeno un bagno, mangiare un tozzo di
pane ogni due giorni e farti bastare l’acqua piovana. Lo stesso sarebbe potuto
capitare al tuo bimbetto. Non è accaduto, però.”
Gabriel
la guardò severamente. La ragazza tremò, dentro di sé, temendo quella sorte,
niente affatto ipotetica.
“Non
pensi che dovresti dire qualcosa, a questo punto?” la esortò con una calma
tremenda.
Michela
lo guardò torvamente e poi disse: “Grazie, Gabriel.”
“Esatto!
Ricordalo bene e impara a dirlo il più spesso possibile, perché qui devi tutto
a me. Il bene e il male che riceverai hanno un’unica origine: me.”
La
fissò per qualche lungo istante, in modo che il concetto si radicasse
profondamente nella giovane; poi le disse: “Claudia è stata così amorevole da
ricordarsi che tu non hai portato valigie con te e che, dunque, ti manca qualsiasi
cosa. Ha quindi deciso di venire, assieme a Teresa, con te a procurarti degli
abiti. Raggiungila immediatamente e non perdere altro tempo e ringrazia pure
lei delle sue premure!”
Michela
non se lo fece ripetere: non desiderava certo stare in compagnia di Gabriel, né
irritarlo. Cercò le due donne e le trovò quasi subito. Dopo i convenevoli le
seguì: uscirono dal Vaticano e, rimanendo nella zona circostante, entro il
perimetro dei sigilli, cercarono alcuni negozi di abbigliamento e iniziarono a
provare vestiti di ogni modello e stile. Indossarono, si guardarono allo
specchio, si diedero consiglio tra loro e, scelto cosa prendere, se lo
portarono a casa, senza pagare: chi avrebbe osato chiedere denaro alla donna
del terribile Gabriel?
Antinori,
infatti, era ormai noto in tutta Roma e chiunque tremava, conoscendo bene la
sua ferocia e le sue capacità.
Tornarono
in Vaticano che era ora di pranzo, depositarono i loro acquisti nelle camere e
poi andarono assieme a tavola, dove le aspettavano Gabriel, Serventi e Stefano.
Michela
avrebbe preferito starsene nel refettorio comune, ma le altre due donne avevano
insistito parecchio affinché rimanesse con loro e lei, alla fine, aveva
acconsentito. Non fu un pranzo piacevole; lei rimase in silenzio tutto il
tempo, salvo per rispondere a qualche di domanda di Serventi. Gabriel la
fissava malamente, quelle poche volte che si rivolgeva verso di lei, visto che
per la maggior parte del tempo fu concentrato su Claudia. A mettere a disagio
la giovane c’era lo sguardo malizioso di Stefano, seduto davanti a lei, continuava a fissarla con uno strano luccichio negli occhi verdi, che non faceva presagire nulla di buono. Evidentemente
ripensava alla perquisizione.
Che
vergogna provava ancora! Michela non sopportava di guardarlo e, quindi, tenne
gli occhi bassi, verso il piatto, finché il pranzo non fu concluso.
La
ragazza poté finalmente alzarsi da tavola e iniziare la ricerca del suo
figlioletto di cui non aveva ancora notizie. Vagò per i palazzi del Vaticano e
della Congregazione a lungo, chiedendo in giro se qualcuno avesse visto Niklos, ma ricevette solo risposte negative. In compenso,
però, scoprì dove fossero i propri cugini, scampati alla strage, assieme a
loro, nello stesso edificio, vivevano anche molti dei giovani che frequentavano
il centro d’Ascolto. Rimase lì, coi cugini, per almeno un’ora, doveva
rassicurarli, consolarli (stavano ovviamente ancora soffrendo per la morte dei
loro genitori, nonni e zii) e doveva pure assicurarsi che non avessero iniziato
ad avere inclinazioni verso la stregoneria. Nonostante le chiedessero di
rimanere con loro ancora, Michela dovette poi congedarsi e spiegò che, una
volta ritrovato Giorgio, sarebbe tornata da loro.
La
ragazza si rimise dunque alla ricerca. Assurdo! Il posto era grande, ma non
enorme, possibile che non trovasse né il figlio, né Niklos
da nessuna parte?
Era
quasi sera e lei continuava ad aggirarsi per i palazzi, piena di
preoccupazione, quando vide, in fondo al corridoio in cui era appena sbucata,
il dottor Gaslini uscire da una stanza e chiudere la porta semplicemente
accostandola, senza chiave.
La
donna riconobbe all’istante l’Alchimista della setta del Candelaio, del quale
conosceva bene le pratiche e gli interessi: sicuramente quell’uomo era
l’addetto alle torture, oltre ad essere il medico di Serventi, Gabriel e gli
altri vertici.
Michela,
senza pensare minimamente ai pericoli che avrebbe potuto correre, si precipitò
verso la stanza da cui era uscito Gaslini, vi entrò e scoprì che quello era il
laboratorio del dottore. Vi si trovavano una scrivania, un lettino, un lavello,
un tavolo a lato con sopra i vari alambicchi di armadietti colmi di farmaci.
“Farmaco
proprio come nell’accezione greca di medicina, ma anche veleno.”
Si
avvicinò agli armadietti e iniziò a guardare le boccette, la maggior parte di
loro, si poteva leggere in etichetta, conteneva derivati della ketamina, delle fenotiazine, di butirrofenoni, di
benzamidi, mascalina, psilocibina, LSD, oppiacei e altre sostanze psicotrope e
psicoattive.
Sapendo
bene che tutte quelle sostanze erano usate per tormentare eventuali
prigionieri, istintivamente Michela prese qualche boccetta e andò al lavandino
per rovesciargliele dentro. Ne versò una, poi un’altra …
“E
tu che ci fai, qui?” tuonò la voce di un sorpreso e irato Gabriel.
Michela,
sobbalzando per lo spavento e lo stupore, lasciò cadere la bottiglietta che
teneva in mano e che si infranse a terra.
Gabriel
si avvicinò furiosamente, la prese bruscamente per un braccio e la spinse senza
riguardi davanti a sé, per farla uscire. Giunti in corridoio, la guardò con
profonda ira e osservò: “Evidentemente, megera ficcanaso, non hai ancora ben
afferrato il concetto: non puoi fare come ti pare e piace! In quale diamine di
lingua morta devo dirtelo?”
Lei
lo guardò con aria di sfida e gli chiese, fingendosi sorpresa: “Ma come? Non
predichi tanto la libertà? Non vai dicendo, ovunque, che ognuno deve agire come
gli pare? È quello che sto facendo.”
“Certo.”
sorrise malignamente l’Eletto “Ma se quello che fai liberamente tu, irrita me,
io ho pienamente diritto di reagire e, allora, la libertà rimane al più forte,
che di certo non sei tu, strega. Dimmi cosa stavi facendo lì dentro, con quelle
bottiglie, e non rispondermi che ti piace la chimica perché non la bevo, quindi
vedi di dirmi la verità.”
“Mi
pare fosse piuttosto evidente quel che facevo.”
“Voglio
sentirti ammettere la tua colpa. Hai disobbedito ai miei ordini?”
“No.”
rispose lei, spavalda “Non mi hai mai ordinato di non sabotare Gaslini.” sapeva
bene di non potersi salvare con la dialettica, ma qualche soddisfazione voleva
prendersela.
Gabriel
respirò profondamente, espirò ed accennò col capo: “E va bene...”
Con
una mossa fulminea afferrò la mano destra della giovane, tenendo il polso ben
fermo. Lei cercò di librarsi ma inutilmente. Dapprima Gabriel la strinse con
maggior vigore, poi la lasciò per una frazione di secondo, giusto il necessario
perché la ragazza cadesse a terra da sola; l’uomo riprese stretto il polso,
mentre con l’altra mano carezzava il dorso.
Cominciò
a parlare: “Essendo tu una mamma, dovresti conoscere la filastrocca dei
porcellini. No? Bene, te la insegno! Potresti cantarla a tuo figlio, qualche
volta!”
Sul
suo volto comparve un sorriso terribilissimo, poi lui si schiarì la voce, le
prese il mignolo e disse: “Questo porcellino è andato al mercato.” lo spezzò
alla base.
Un
gridò di dolore riecheggiò nel corridoio e non sarebbe stato il solo
“Questo
porcellino a casa è restato.” ruppe l’anulare a metà.
“Questo
porcellino ha mangiato il prosciutto.” le ruotò violentemente il medio.
Michela
urlò per la terza volta, sollevò il capo; gli occhi bagnati di lacrime si
rivolsero, supplicanti, verso Gabriel che, implacabile, andò avanti
serenamente: “Questo porcellino è rimasto all'asciutto.” storse in fuori
l’indice e si gustò il grido.
Prese
infine il pollice, guardò la ragazza con gioia e le chiese: “E questo
porcellino sai che cosa ha fatto? Ha fatto Oeeeoeeeoeee dappertutto.”
piegò all’indietro il dito, finché non si spezzò.
Michela,
col dolore che le pulsava nelle vene e nella mano, si sforzava di non piangere,
ma aveva già il volto bagnato di lacrime.
Gabriel
la guardò in un misto di divertimento e disprezzo; le lasciò la mano e la ragazza
l’adagiò su quella sana.
L’uomo
non le diede tregua e le intimò tranquillamente: “Adesso, ripeti: Grazie,
Gabriel …”
Michela,
sofferente, non avendo certo la forza o la voglia di protestare, balbettò
sottovoce: “G-Grazie, G-Gabriel.”
“Puoi
ripetere? Non ho sentito.”
La
ragazza cercò di non pensare al dolore e si sforzò ad alzare un poco la voce: “Grazie
... Gabriel ...”
“Per
essere così buono da non uccidermi.”
“P-per essere così... buono da non uccidermi.” ripeté il più
velocemente che le fu possibile.
“E
per avermi insegnato una cosa nuova.”
Michela
sospirò “E per avermi... insegnato una cosa nuova.”
“Bene.
Ora che sai la frase, la ripeterai tutta assieme, ma ti prostrerai per bene a
terra: mostrami la tua umiltà.”
Desiderosa
che tutto ciò finisse e alla svelta, la ragazza obbedì: si mi se in ginocchio e
poi chinò la schiena, fino a toccare con la fronte per terra, sostenendosi
appena con gli avambracci e subito disse: “Grazie, Gabriel, per essere così
buono da non uccidermi e per avermi insegnato una cosa nuova.”
L’uomo
guardò compiaciuto, poi sollevò il piede sinistro e lo premette sulla mano
fratturata e schiacciò per bene e, coprendo l’urlo straziante, ammonì: “Che ti
sia di lezione. Ci penserai due volte, d'ora in poi, prima di fare di testa
tua. E ora, via da qua.”
La
ragazza balzò in piedi e se ne andò via di corsa, sentendo alle proprie spalle
la risata di Gabriel.
Spaventata
e tormentata dal dolore, la ragazza si precipitò nella propria stanza e si
sforzò a lungo per trovare la giusta concentrazione, necessaria per operare una
magia di guarigione sulla sua stessa mano. Per fortuna vi riuscì: il dolore
scomparve e la sua mano tornò perfetta.
Decise
di rimanere chiusa lì dentro per il resto della serata: non aveva affatto
voglia di correre i rischio di incontrare di nuovo Gabriel. Non aveva nulla con
cui distrarsi, neppure un libro, per cui decise di meditare un poco e poi
dormire, per riprendere la ricerca del figlio il giorno seguente.
Era
in dormiveglia, quando sentì che Isaia la stava chiamando telepaticamente.
La
ragazza ebbe un sussulto di gioia: la prima cosa bella della giornata!
Lo
salutò festosa e gli domandò come stesse.
“Tutto
a posto. Oggi ho dovuto mostrarmi sdegnato e irritato per a tua evasione, ma
per il resto non c’è nessuna novità. Tu, piuttosto, come hai passato il primo giorno
lì? Hai rivisto Giorgio?”
La
donna esitò: era il caso di raccontare quanto accaduto ad Isaia? No di certo. Lo
avrebbe rattristato inutilmente e lei questo non lo voleva. Per cui inventò: “Sì,
l’ho rivisto stamattina ed è stato con me tutto il giorno, sta bene, non gli
hanno fatto nulla. Adesso sta dormendo.”
“Perché
lo avevano rapito?”
Decise
di continuare a mentire: “Per costringermi a venire qui, ovvio. Gabriel è
convinto di potermi usare come esca per indurti a venire qua; il parere di
Serventi è simile, ma si basa sulla questione delle sephirot.”
“Quindi
sei lì a causa mia.” si dispiacque il templare.
“No,
la colpa non è tua. La colpa è semplicemente loro. Non turbarti, non mi faranno
del male.”
Isaia,
probabilmente, aveva capito che lei non era sincera, ma non insisté. Decise di
cambiare argomento e la loro conversazione si involò e chiacchierarono a lungo,
finché non furono vinti dal sonno.
Il
mattino seguente, Michela stava facendo di nuovo il giro dei palazzi Vaticani e
di quelli occupati dai seguaci di Serventi. Era circa metà mattina, quando si
trovò nell’edificio della Congregazione e, nel giardino interno, trovò
finalmente il figlioletto.
Giorgio
stava giocando col padre, seduto nel prato. Lo stregone aveva fatto comparire
una fiammella e il bambino si divertiva a spostarla o a cambiarle forma, con la
magia, ovviamente. La ragazza s'incamminò verso di loro. Niklos
avvertì la sua presenza nelle vicinanze e alzò lo sguardo. Vedendola, fece una
carezza al bambino e, indicando la direzione, gli disse dolcemente: “Guarda,
Giorgio, c'è la mamma.” e sorrise.
Il
bimbo guardò e gridò gioioso; poi, contento, si alzò in piedi e corse dalla
madre esclamando: “Mamma! Mamma!”
Michela
tese le braccia e, ancora in corsa, lo prese e lo sollevò, dicendo felice:
“Ciao, piccolo mio!” lo strinse in braccio e gli riempì il viso di baci “Stai
bene?”
Il
bambino annuì: “Si! Papà e io stiamo giocando con la magia, è bravissimo!”
Niklos, che si stava
avvicinando con calma, sentendolo parlare così, sorrise soddisfatto.
“Davvero?”
cercò di nascondere il disappunto.
La
donna non aveva nulla in contrario al fatto che il figlio familiarizzasse con
la magia, purché fosse magia! Lo aveva lasciato varie volte giocare in quel
modo coi cugini o con gli zii; con loro era tranquilla, sapeva che erano
consapevoli. Niklos, invece, praticava la
stregoneria! E lei non voleva certo che il figlio si abituasse a far
affidamento sulle emozioni, anziché sulla volontà, per impiegare la luce
astrale.
Ad
ogni modo, non voleva litigare o arrabbiarsi davanti al bambino, sia perché lo
aveva appena ritrovato, sia per non sembrare cattiva ai suoi occhi. Si sforzò
di ricambiare il sorriso di Niklos.
“Mamma!”
la richiamò Giorgio “Tu, papà e io staremo tutti insieme, vero? Come i miei
amici e i loro papa e mamme?” lo chiese molto speranzoso.
Michela
guardò di sfuggita Niklos, un po’ torvamente,
domandandosi se fosse stato lui a mettere quella falsa speranza in testa al
bambino, sospirò.
“Vedremo,
angelo mio...” disse mestamente.
Giorgio
fece una faccia delusa, allora Michela gli accarezzò i ricci e lo rassicurò: “Anche
se io e papà non vogliamo vivere assieme, tutti e due ti vogliamo molto bene!
Ti amiamo tantissimo! Potrai giocare con tutti e due e ci saremo sempre per
te.”
Niklos accennò,
concordando e guardando il figlio; si accostò alla donna e fece una carezza
sulla schiena del bimbo che sorrise.
Michela,
con tono molto dolce, disse: “Adesso, la mamma e il papà devono parlare. Ci
puoi lasciare un pochino soli? Torna a giocare, poi ti raggiungo.” gli diede un
bacetto sulla guancia.
Giorgio
annuì. La madre lo fece scendere e il bimbo tornò ai suoi giochi un po’ più in
là.
Niklos passò un
braccio attorno alle spalle di lei e, con sguardo buono, le disse: “Tentar non
nuoce.” le fece una carezza e tenne la mano sulla sua guancia “Possiamo
riprendere da dove abbiamo interrotto. Non abbiamo mai litigato, siamo sempre
stati bene assieme. Io non so neppure perché te ne sia andata e perché non vuoi
permettermi di stare con nostro figlio.”
“Niklos, come tu non vuoi che Giorgio cresca vicino a Martin
Antoine, io non voglio che cresca qui …”
“D’accordo.” la interruppe lui “Andiamocene via, tanto da quando è saltato
fuori l’Eletto, inizio a detestare questo posto; mi dispiace per il mio amico Bonifacio,
ma …”
“No.
Non è solo questo. È la stregoneria che …”
Gabriel,
che aveva deciso di sorvegliare la ragazza, per evitare che sabotasse qualcosa,
come stava facendo il giorno prima, stava assistendo a quella rimpatriata.
Vedendo Niklos stringere in quel modo la ragazza,
decise di intervenire. Andò verso di loro, esclamando: “Niklos,
buono a nulla che non sei altro, stalle alla larga!” li aveva raggiunti;
assunse un tono calmo che nascondeva la derisione: “Questa è del mio amico
Isaia; gliela sto tenendo in caldo per benino, così quando si deciderà a
prenderla la troverà pronta. Come? Non ti ha detto che ama un altro, ora? Non
ne vuole sapere nulla di te, perciò piantala di fare il nostalgico, gira i
tacchi e torna dal bambino, d'accordo?” e sorrise con fare accondiscendente.
Niklos lo guardò
furibondo, posò lo sguardo sulla ragazza e, vedendo che lei non accennava ad
intervenire, si voltò di scatto, dirigendosi verso il bambino, borbottando
insulti verso Antinori.
Vedendo
lo stregone abbastanza lontano, Gabriel inclinò la testa verso la ragazza e,
portando coll’indice avanti l'orecchio sinistro, le chiese: “Come si dice, in
questi casi?”
“Grazie,
Gabriel?” borbottò lei in un misto di dispetto e scherno.
L’uomo
stava per dire qualcosa, ma lo sguardo gli cadde sulle mani della ragazza e,
con stupore e disappunto, notò che la mano, che le aveva rotto solo il giorno
prima, era perfettamente guarita e funzionante. Aggrottò le ciglia e strabuzzò
gli occhi di brace, perplesso e, incredulo, le afferrò la mano (la ragazza ebbe
paura si ripetesse la dolorosa esperienza), l’esaminò da vicino e infine chiese:
“Ma... Come può essere...? Ti avevo spezzato tutte le dita! Come hai fatto a
guarire così velocemente?”
“Magia!”
rispose lei, abbozzando un sorrisetto, contenta di vederlo così smarrito;
continuò: “Vedi, Eletto, è questa la differenza tra avere un potere e
avere il potere.”
Quella
risposta non piacque a Gabriel, anzi lo irritò parecchio e, vincendo la rabbia
sullo stupore, ringhiò: “Ah, la metti così, allora? Va bene. Evidentemente, ami
le maniere forti. Ti accontento, nessun problema, quindi sappi questo: ogni
volta che mi disobbedirai, in futuro, o semplicemente mi irriterai, oltre a
infliggerti io stesso molto male fisico, ti obbligherò ad assecondare
ogni desiderio o perversione sessuale che Stefano s'inventerà e vorrà sperimentare
sul tuo corpo morbido e formoso. Sì, hai capito bene, dovrai dargliela, se non
impari a stare al tuo posto. Al mio discepolo è piaciuto un mondo toccarti per
perquisirti, pensa che quasi gli è venuto duro! Giustamente, è ansioso di
ripetere l'esperienza e divertirsi il doppio, povero ragazzo. Gli voglio bene,
voglio che sia felice, per cui non vedo perché non dovrei lasciargli fare
pratica su un’insolente, ingrata e ostinata come sei tu.”
Michela
lo guardò con ira, poi con tono saccente gli rispose: “Ti faccio notare che
questa minaccia contraddice ciò che hai detto a Niklos
poco fa.” e incrociò le braccia al petto.
Gabriel,
sempre con grande irritazione, spiegò: “Odio Niklos. L'ho
detto apposta per farlo arrabbiare e mandarlo via. Capisco come mai, una volta,
siete stati assieme: testardi contestatori come voi, non ce ne sono molti! A
lui non faccio favori, al mio devoto discepolo, invece, sì. Inoltre, ho detto
che ti stavo tenendo in caldo per Isaia: quando si deciderà ad essere uomo,
dovrà trovarti focosa, passionale e in esercizio.” fissò la ragazza e,
vedendola spaventarsi e ammansirsi, si calmò a propria volta e, con la sua
dolcezza inquietante e minacciosa, domandò: “Tornando a prima, come si dice?”
Mise
una mano dietro l'orecchio e inclinò la testa verso di lei, non sentendole dire
nulla, la imbeccò: “Grazie, Gabriel.”
Michela
sospirò e, in modo atono, ripeté: “Grazie, Gabriel.”
“Per
avermi allontanato Niklos.”
“Per
avermi allontanato Niklos.”
Gabriel
sogghignò: “E per essere così clemente da educarmi e punirmi quando sbaglio."
“E
per essere così clemente da educarmi e punirmi quando sbaglio.”
“Bene,
ora lo ripeti per intero. Ah, un po' di vitalità non guasterebbe.”
La
ragazza lo guardò torvamente e, sempre atona, ripeté “Grazie, Gabriel, per
avermi allontanato Niklos e per essere così clemente
da educarmi e punirmi quando sbaglio.”
L’uomo
scosse la testa, contrariato: “Non ci siamo, mi hai disobbedito! Evidentemente non
mi prendi sul serio, ma ti ricrederai. Adesso, avrai una piccola punizione,
così forse la prossima volta ti ricorderai di mettere sentimento nel
ringraziarmi. A pranzo, mangerai con noi, anzi, d’ora in poi starai sempre a
pasto con noi: non voglio che tu ti metta a propagare le tue idee sediziose tra
i miei uomini, per cui non farti più vedere nel refettorio. Mangerai sempre con
noi e, ogni volta, a fine pasto, mi ringrazierai per aver condiviso il mio cibo
anche con te. Tornando alla punizione: oggi, a pranzo, indosserai i pantaloni
più stretti, sottili e aderenti che hai e, per tutta la durata del pasto e,
poi, per il resto della giornata, che trascorrerai con Stefano, il mio pupillo
potrà controllare la stagionatura del culatello ogni volta che vorrà.”
Scrutò
malignamente la ragazza, consapevole di come lei si stesse sentendo umiliata;
aggiunse: “Gli spiegherò che la stagionatura, oltre che stringendo, si può
controllare anche con le patacche. Quando Stefano farà le sue constatazioni,
tu lo ringrazierai per averti dato attenzioni. Vedi di attenerti a queste
istruzioni, o la punizione diverrà più severa. Hai capito?”
Michela
lo guardò, furiosa, e non disse nulla.
“Hai
capito?” si fece minaccioso lui.
“Sì,
è tutto cristallino.”
“Molto
bene, a più tardi, strega: ti tengo d'occhio!”
Se
ne andò, dandole una spallata passandole accanto.
Fremente
di rabbia, Michela andò verso Giorgio, che aveva ripreso a giocare col padre,
ma Niklos lasciò il bambino e le andò incontro.
“Lo
odi quanto me.” le disse.
“Non
odio nessuno. Voglio che si salvi e torni normale, non ucciderlo e lasciarlo smarrito
nel male e nell’ignoranza.”
“Intanto,
però, soffri. Non ti capisco più. Potremmo davvero andarcene senza lasciare
traccia e trovare un posto tranquillo dove vivere, invece rifiuti quest’idea di
essere felice e preferisci stare qua a patire. Perché? Per Isaia? Davvero lo
ami, come dice Antinori?”
“Ecco,
vedi perché noi non possiamo stare assieme? Tu ragioni solo coi sentimenti. Le tue
emozioni sono l’unica motivazione alle tue azioni. Io, invece, subordino il mio
agire al dovere. Ho delle responsabilità che non posso ignorare. Se ora me ne
andassi, non solo prima o poi, questo male che credo di abbandonare, mi
raggiungerebbe, ma non potrei mai perdonarmi di aver potuto fare qualcosa per
fermarlo e non averlo fatto per paura, per l’egoismo di non soffrire.”
“Queste
macchine moderne funzionano solo con la logica e per eseguire ciò per cui sono
fatte. Tu se una persona, hai dei sentimenti e non puoi ignorarli.”
Si
scambiarono uno sguardo amaro.
Niklos disse: “È giusto
che tu faccia quel che ritieni meglio, ma non essere arrabbiata con me, perché
la penso diversamente. Io ti sono, almeno, amico e sono sicuramente l’unico
alleato che puoi trovare, qua dentro.”
“Grazie.”
rispose lei, veramente riconoscente.
“Giochiamo
tutti e due assieme a nostro figlio?” propose l’uomo.
Michela
acconsentì e raggiunsero Giorgio che li guardò contento.
Fylan stava
pattugliando, assieme ad altri due templari, i confini dell’area libera. Era
parecchio seccato dall’impossibilità di attaccare e di come la situazione fosse
di stallo. Lo rendeva furioso anche il ricordo delle sconfitte subite cinque
giorni prima: nessuno si aspettava che Antinori e i suoi attaccassero i punti e
i gruppi di sostegno alla popolazione; nonostante fossero intervenuti sui vari
fronti abbastanza rapidamente, non era servito granché a proteggere la gente e,
per di più, molti templari erano stati uccisi: ormai il loro numero era esiguo.
Un’altra
cosa che lo irritava era la fuga della strega: non solo quella pagana era di
nuovo libera di agire in chissà quali atroci maniere, ma, per di più, era stato
incolpato lui della scarsa sorveglianza alla cella.
Ormai
il Gran Maestro lo aveva in odio! –si diceva- Certo lui non era stato
bendisposto verso di lui, all’inizio, e aveva cercato di ostacolarlo, per cui
aveva la sua parte di colpa. Voleva, quindi, riscattarsi agli occhi del Magister Templi e riacquisire la propria influenza di
provinciale.
Stava,
dunque, tenendo ben viva l’attenzione alla ricerca di un’ispirazione circa come
sbloccare la situazione. Era intento in ciò, quando, per la prima volta,
l’occhio gli cadde su uno dei sigilli. Non li aveva mai notati prima d’allora e
tanto meno sapeva che cosa fossero. Per quel che ne sapeva lui, era il potere
di Isaia ad impedire che i demoni varcassero il confine, mentre quei simboli
strani avevano, ai suoi occhi, un aspetto del tutto malvagio.
Preoccupato,
poiché supponeva fossero opera dei maghi di Antinori, diede ordine di pulire
immediatamente il muro su cui era stato tracciato il sigillo e, dunque,
cancellarlo.
Intuì
che ce ne fossero altri e, quindi, si affrettò a cercarli e ne trovò uno, poi
un secondo, un terzo e così via. Diede ordine di cercare e cancellare tutti
quei simboli certamente infernali. I templari ai suoi ordini obbedirono subito
e a loro si unirono molti volontari che, incuriositi da quel fermento, avevano
chiesto che cosa accadesse e subito si erano offerti per aiutare.
Soddisfatto
del proprio agire, certo di essere apprezzato ed elogiato, Fylan
si recò al quartier generale per riferire al Grande Maestro la propria scoperta
e rassicurarlo circa come avesse già dato predisposizioni per risolvere il
problema.
Quanto
era distante dalla realtà!
Isaia,
sentendo quelle parole, impallidì: i demoni sarebbero presto arrivati e
avrebbero distrutto e ucciso.
“Fylan! Cosa non ti è chiaro del concetto che io sono il Magister Templi e che le decisioni spettano a me?!”
“Ma
io …”
“Niente
ma! Hai visto dei sigilli, avresti dovuto venire a riferire a me e aspettare i
miei ordini, non agire di testa tua, senza neppure sapere di cosa si trattasse!
Quei sigilli li ha tracciati Delrio per mantenere
attivo il mio potere protettivo, ma ora che tu li hai fatti cancellare siamo
senza difese!”
“Perdonate!”
tentò di difendersi Fylan “Non lo sapevo! Se voi ci
aveste informato, noi non li avremmo certo scambiati per opera del nemico.
Comunque, se li ha fatti Martin, potete chiedergli di ridisegnarli.”
“Sperando
ci sia tempo e Serventi non si accorga che siamo scoperti. Intanto allerta
tutti quanti, fa radunare in armi quanti più puoi, sia templari che volontari e
manda qui AbdelNassen.”
“Subito.”
“Ah,
dato che, ultimamente, sei una delusione continua e ci stai mettendo parecchio
nei guai, voglio che tu oggi sia in prima fila e non dovrai avere esitazioni.
Se affronterai la morte e sopravvivrai, potrei perdonarti di nuovo. Se, però,
scamperai dalla battagli per codardia o incapacità, allora sarò io stesso a
mandarti al giudizio divino.”
Fylan uscì dalla
stanza, mordendosi le dita per aver sbagliato per l’ennesima volta.
Isaia
prese il telefono e chiamò in Villa e si fece subito passare Delrio, a cui espose la situazione.
“Arrivo
subito, ma mi ci vorrà molto tempo, questa volta sono pure solo.”
“Appunto
per questo devi sbrigarti! Puoi portare anche la ciotola di San Giovanni e lo
scettro di Gaspare, quello che usa Sebastiano, per favore? Ovviamente fa venire
anche il mio discepolo.”
“Certamente.
Altro, finché sono qui?”
“Dì
a quelli della radio che avvertano la gente di un probabile imminente scontro e
che, dunque, conviene loro evacuare, oppure unirsi alla battaglia.”
“Perfetto,
sarà fatto.”
Isaia
chiuse la telefonata, sospirò, poi chiamò Alonso che era nelle catacombe.
“Demetodo, hermano.”
“Allerta
tutti i medici, gli infermieri e i volontari: presto probabilmente avranno
molto da lavorare. Uno scontro si avvicina, dovranno essere pronti a prestare
soccorso ai feriti. Tu, però, raggiungimi qua, voglio che, come l’altra volta,
tu ti servissi della ciotola di San Giovanni per riumanizzare
i demoni.”
“Seguro, hermano, farò de mi mejo.”
“Grazie
e, se i templari venissero sconfitti, occupati tu di Roma. Fai quel che devi.”
“Certamente,
continuerò ad ajutare li hombre.”
Concluse
sbrigativamente la conversazione, poiché era appena entrato nella stanza AbdelNassen.
“Gran
Maestro, che cosa posso fare? Fylan mi ha spiegato la
situazione, preparonostri uomini?”
“No.”
Abdel si sorprese e
guardò interrogativo il proprio superiore.
“Mi
hai detto che qui non ci sono tutti i templari, abbiamo ancora dei novizi, che
abbiamo lasciato indietro, al momento, perché non volevamo coinvolgerli in
questa guerra. Bene, io voglio che tu ora te ne vada, li raggiunga e pensi a
loro. Lo domando a te perché sei quello di maggior buon senso, tra i
provinciali, e so che seguiresti la linea di condotta che ho deciso di
assumere. Voglio che tu trasmetta i nostri nuovi e antichi valori ai nostri
novizi e che siate pronti, nel caso noi perissimo, ad assumervi la
responsabilità di fermare Serventi. Se io dovessi morire, sarai tu a prendere
il mio posto.”
“Dio
non lo voglia e vi protegga! Farò quanto mi chiedete. Mi spiace lasciarvi solo,
ma non vi disobbedirò. Sarò con tutti voi, con la preghiera.”
Altrove,
in uno dei cortili interni del Vaticano, Niklos e Michela
stavano giocando col figlioletto. La donna
era seduta sul prato e guardava Giorgio che rincorreva il padre e, quando lo
raggiungeva, scappava a propria volta per essere preso dal genitore e rideva,
felice. Dopo un po’ che andava avanti quel gioco, il bambino corse verso la
madre e l’abbracciò e le disse: “Ti voglio tanto bene, così!” e aprì le braccia
più che poté.
La
ragazza sorrise, gli scompigliò i capelli, dicendo: “Anch’io te ne voglio
tantissimo.” e gli diede un bacio sulla fronte.
“Mi
cerchi?” chiese il piccolo.
“D’accordo,
adesso conto fino a dieci e tu ti nascondi.”
Giorgio
annuì e disse, indicando un cespuglio: “Mi nascondo lì.”
Niklos si mise a
ridere e cercò di spiegargli: “Non devi dire dove ti nascondi, non è così il
gioco.”
“Per
lui è importante essere ritrovato, non vincere.” replicò la donna.
In
quel momento, Gabriel arrivò nel giardino e, avanzando verso di loro, esclamò a
gran voce: “Niklos! Il fatto che tu sia un incapace
non ti autorizza ad ignorare le convocazioni al Consiglio militare, o essere
padre ti rimbecillisce al punto di non accorgerti del segnale d’adunata?”
“Gli
ultimi due consigli di guerra si sono ridotti ad essere un cazzeggio totale,
con metà dei presenti che si ubriacava e tutti a giocare a freccette, braccio
di ferro e non so che altro, come se vi trovaste in una taverna. Sinceramente,
preferisco impiegare il mio tempo in un modo assai migliore.”
Gabriel,
che presto sarebbe diventato padre, capì l’atteggiamento di Niklos,
almeno in questo, quindi fu meno irritato, nel dire: “Oggi è diverso. Il confine
che impediva a demoni di uscire si è infranto. Siamo in procinto di attaccare,
prima che venga riattivato.”
Michela
sussultò: com’era possibile? Poco importava! Se le cose stavano così, doveva
preoccuparsi per altro! Sarebbe stata una strage: l’esercito di Antinori era
troppo grande e composto da esseri superiori! Forse, l’unico modo per fermarlo
era che ogni abitante di Roma impugnasse un’arma e combattesse. I cittadini
sarebbero stati così valorosi? Sarebbero stati dispost
a morire pur di difendere la libertà?
“C’è
una strategia da studiare?” domandò Niklos, annoiato.
“Non
per te. Ti faccio un regalo: tu non sarai legato all’agire del mio esercito,
potrai cercare il tuo odiato Delrio e concentrarti
unicamente su di lui ed ucciderlo. Non ti chiedo altro che compiere la tua sospirata
vendetta.”
Niklos sorrise, i suoi
occhi si illuminarono e disse: “Antinori, non sono mai stato così felice di
ricevere un ordine da te.”
Lo
stregone si voltò verso la donna e il bambino, li salutò con emozione e
dolcezza e si allontanò.
Gabriel
guardò la ragazza e le chiese: “Non ti starai riaffezionando a Niklos, spero. Tu sei di Isaia, non te lo scordare.”
“Non
capisco questa tua ostinazione.” ribatté lei “Isaia è un uomo di Dio, non verrà
meno ai suoi voti; mi considera una buona amica, tutto qui.”
“No,
no. Il fatto che lui sia un iceberg, non significa che non abbia sentimenti più
profondi. Giacché l’imminente battaglia mi mette di buon umore, voglio essere
gentile e spiegarti una cosa: ci sono molte cose che posso fare col mio potere,
una tra queste è il conoscere i sentimenti e le emozioni della gente. Mi basta
appoggiare una mano su una persona ed ecco che il suo cuore mi rivela ogni
cosa: odi, amori, affetti, malinconie …”
Sì,
Michela sapeva bene del fatto che Gabriel potesse conoscere i cuori della
gente, esattamente come Isaia poteva conoscerne le anime.
“Quando
vi ho visti assieme, mi sono premurato di mettere toccare entrambi e ho
conosciuto i vostri sentimenti: vi amate, lo so bene. In quel momento, però,
non ne eravate granché consapevoli, ho dovuto trasmettervi qualche stimolo, per
incoraggiarvi. Non dirmi nulla circa cosa è successo dopo, lo chiederò
direttamente ad Isaia, quando l’avrò finalmente catturato.”
“Vi
affronterete?” si preoccupò la donna.
“Sì,
andrò a cercarlo subito, appena inizia la battaglia. Avete tre soli combattenti
validi: Delrio, che sarà ucciso da Niklos; Sebastiano, che verrà sconfitto da Stefano …”
Michela
scoppiò a ridere e osservò: “Stefano contro Sebastiano? Devi odiare il tuo
discepolo, allora! Rambastiano lo annienterà in un
attimo!”
“Oh,
non ne sarei così scuro.” replicò l’uomo col suo finto candore derisorio “Il
nostro caro Stefano ha il potere di prendere un’anima a scelta e di farla
reincarnare in sé, in questo modo acquisisce tutte le capacità che quella
persona aveva in vita. Sceglierà con attenzione un grande guerriero e il
valoroso Sebastiano verrà sconfitto. Forse questo gli basterà per convincersi
che gli conviene abbracciare la nostra dottrina.”
“Non
lo farà mai!”
“Vedremo.
Ad ogni modo, mentre il mio discepolo e quello di Isaia si affronteranno, io
starò dando una lezione al tuo templare.”
Michela
fremette: Isaia non doveva essere né sconfitto, né catturato. Lei doveva
assolutamente inventarsi qualcosa per distogliere l’attenzione di Gabriel dall’amico.
“Sei
scuro di volerti accanire su Isaia? Penavo ti stesse più a cuore punire chi ha
preso d’assalto il tuo Centro d’Ascolto.”
Il
solo ricordo riaccese l’ira in Gabriel e il volto si fece furioso, disse: “Isaia
è il responsabile.”
“No.
Te lo abbiamo sempre ripetuto: Isaia non ne sapeva nulla! È stato un
provinciale dei templari a raccogliere informazioni e ad agire, rivolgendosi
anche contro i miei parenti.”
Gabriel
iniziò ad ascoltare con attenzione.
“Tu
credi ch’io potrei amare Isaia, se fosse stato lui ad ordinare lo sterminio
della mia famiglia? Voi, qui, state ospitando i miei cuginetti; loro potranno
ben confermarti che i loro genitori sono stati uccisi dai templari. Non era,
però, Isaia il mandante, altrimenti lo avrei ucciso io stessa. Non la senti la
rabbia e l’odio dentro di me?”
Michela
sperò che l’uomo si limitasse a constatare la sua ira, poiché di odio non ne
avrebbe trovato.
“Dimmi
chi è stato e lo ucciderò per primo!” Gabriel si era convinto della verità di
quelle parole.
“Si
chiama Fylan. Ora te lo mostrerò.”
Michela
si concentrò e pian, piano a mezz’aria iniziò a comporsi l’immagine del volto
di Fylan.
“Perfetto.
Non ti preoccupare” d’improvviso era diventato solidale con la ragazza “Morirà
atrocemente e lascerò quel che resta di lui ad Arthur.”
“Non
chiedo di meglio.”
Gabriel
sorrise e osservò: “Allora non sei così candida e pura come vuoi far credere;
forse Bonifacio ha ragione a dire che potresti liberarti anche tu dai vincoli
della falsa morale. Comunque continuo a non fidarmi di te. Non voglio che tu
trovi la maniera di intrometterti nella battaglia, per cui ora seguimi, che ti porto da Claudia, Teresa e Bonifacio. Tu e
il marmocchio starete in loro compagnia finché non avremo vinto.”
Lo
scontro ebbe presto inizio. Antinori non aveva perso tempo e aveva fatto
riversare orde di demoni in tutte le strade. I suoi uomini, per galvanizzarsi,
cantavano a gran voce: Venite a bere il sangue finché è rosso, venite a bere
il sangue assieme a noi! Quanto sangue …! Mangeremo a sazietà, tutti ci si
abbufferà e l’infanzia ingrasserà … Quanto sangue … Il mercante fornirà tutta
quanta la città di bistecche a volontà! Quanto sangue! E si affilino i
coltelli, si concino le pelli, si friggano i cervelli … Quanto sangue. È il
tango dei soldati d’oggi e ieri, dei vincitori sempre tanto allegri. Il tango die famosi condottieri, il tango dei felici macellai!
Quanto sangue! … Scanna, scanna finché puoi tutti gli avversari tuoi, dalli in
pasto agli avvoltoi, quanto sangue! La vittoria arriderà a chi più ne
ammazzerà, senza mai provar pietà, quanto sangue.
Questo
canto, unito all’aspetto dei demoni, terrorizzava parecchio tutti quanti.
Gli
scontri si fecero immediatamente violenti e sanguinosi. I demoni e i loro
comandanti, gli uomini dotati di poteri, imperversavano sui templari e i
volontari senza pietà, avanzavano come un uragano che non può essere fermato,
ma solo temuto.
Delrio stava cercando
di ripristinare alcuni sigilli, quando venne trovato da Niklos.
Lo stregone lanciò subito la propria sfida di duello mortale. Martin lo ignorò,
volendo portare a termine il proprio compito. Niklos non
lo lasciò di certo in pace e provocò una grandinata sulla testa dell’uomo che
dovette, quindi, reagire quel tanto necessario per proteggersi, tuttavia cercò
di non distrarsi. Lo stregone, allora, ricorse a una saetta: dal cielo cadde un
fulmine proprio sulla testa di Delrio, che, questa
volta, non fece in tempo a difendersi. Per fortuna, non era certo la scarica di
qualche volt a poter fermare il gesuita che si decise a evocare alcuni spiriti
per tenere occupato Niklos. Sforzo vano! Lo stregone
li scacciò senza difficoltà e tornò alla carica, questa volta appiccò fuoco
alle mani di Martin che, colto evidentemente alla sprovvista, lasciò cadere l’ampolla
col sangue di Cristo che cadde a terra e si frantumò.
Delrio, vedendo così
svanire la speranza di protezione, si decise a combattere seriamente contro lo
stregone.
Erano
due uomini di pari età ed entrambi avevano dedicato tutta la loro vita allo
studio della magia, ma su fronti completamente opposti. Se ci fosse stato
qualcuno, a vederli fronteggiarsi, lo avrebbe sicuramente definito uno
spettacolo sublime. Gli elementi della natura venivano invocati e si
scontravano tra di loro in un superbo balletto.
Fu
un lungo scontro, sicuramente si protrasse anche mentre gli altri erano già
finiti, alla fine, però, ebbe un unico vincitore: Niklos.
Egli, infatti, evocò una colonna di fuoco che partiva da sotto i piedi dell’avversario
e si innalzava per diversi metri.
Quando
fu certo di averlo ucciso, Niklos richiamò il fuoco e
se ne tornò in Vaticano.
Poco
dopo, passò di lì un preoccupatissimo Alonso. Vide il corpo steso al suolo, si
avvicinò e lo vide completamente ustionato, ma ancora vivo. Lo sollevò con
attenzione e lo portò via.
Mentre
questo regolamento di conti avveniva in una zona un po’ defilata rispetto a
quella della battaglia, altri duelli si stavano svolgendo.
Quello
più coreografico era sicuramente quello tra Sebastiano e Stefano.
Il
pupillo di Antinori aveva studiato attentamente il proprio avversario, prima di
decidere quale anima obbligare a reincarnarsi in lui, per poter combattere al
meglio. Infine aveva optato per Sargon, re di Akkad, riconosciuto come un grande condottiero e
formidabile guerriero, solo a pochi era noto che fosse anche pratico di arti
magiche.
La
maestria nel combattere da parte di entrambi era eccezionale e ricorrevano ad
attacchi e parate impeccabili. Nella foga della lotta, però, Sebastiano si
distrasse per qualche momento, non più di un paio di secondi, forse aveva
sentito un grido che lo aveva sorpreso, forse aveva avvertito un po’ di
stanchezza; ad ogni modo, in battaglia, anche un solo attimo può essere fatale,
proprio come in quel caso. Stefano riuscì a ferirlo, trapassandolo con la spada
poco sotto la spalla destra, probabilmente recidendo dei tendini. A Sebastiano
cadde di mano la mazza. Stefano la raccolse e l’abbatté con forza sul capo dell’altro
giovane che cadde a terra, privo di sensi, sanguinando copiosamente anche dal
capo. Stefano si sentiva dannatamente soddisfatto della sua vittoria, gli occhi
verdi gli brillavano di compiacimento. Fece cenno ad alcuni sgherri di prendere
il ferito e portarlo via.
Isaia,
che era poco lontano a riumanizzare demoni, si
accorse di quel che stava accadendo, quindi chiamò a sé alcuni dei suoi e corse
verso il discepolo per sottrarlo alle grinfie dei nemici. Si fece largo con la
lancia di Longino tra gli avversari. Riuscì a
strappare Sebastiano alle mani degli altri e riuscì ad affidarlo a due dei
suoi, per trasportarlo nel più vicino punto di soccorso. Questa volta avrebbe
dovuto accontentarsi delle cure tradizionali: non ci sarebbe stata Michela a
guarirlo magicamente. Isaia aveva notato che le ferite erano molto gravi e
pregò che il suo allievo potesse riprendersi.
Stefano
rivolse la propria attenzione sul Gran Maestro: chissà quanto avrebbe fatto
felice Gabriel, se avesse sconfitto il templare. Con ferocia si lanciò all’assalto
e Isaia dovette essere ben pronto a difendersi.
Il
loro duello non durò però a lungo. Infatti, a tradimento, Davide, che anche lui
combatteva in quella zona, eseguì il compito che gli era stato affidato da
Antinori: afferrare Isaia e assorbirne tutte le energie, fino a farlo svenire;
non doveva ucciderlo, ma solo renderlo inoffensivo e così fece.
Mentre
Isaia era intento a difendersi dagli attacchi di Stefano, si sentì abbrancare
alle spalle. Due braccia possenti lo cinsero e lo strinsero quasi volessero
stritolarlo, poi iniziò a sentirsi pian, piano indebolito e ad avvertire le
forze che lo abbandonavano; i suoni si facevano distanti, la vista offuscata,
svenne.
I
templari, credendolo morto, iniziarono a disperarsi, i volontari, pure, persero
di coraggio. Con i difensori in quelle condizioni, fu facilissimo per i
demonizzati e la gente coi poteri, massacrare gli avversari e riconquistare l’intera
Roma.
Bastò
una sola mattina e Gabriel e Serventi erano di nuovo i padroni indiscussi della
Urbe immortale.
Furono
organizzati festeggiamenti e soprusi per celebrare la vittoria; sarebbero
durati fino a tarda notte.
Innanzitutto,
nel primo pomeriggio fu organizzata una cerimonia per sancire la definitiva
sconfitta dei templari. In piazza San Pietro, si raccolse numerosissima folla,
ma non abbastanza per farla sembrare piena. Su un palchetto stavano Gabriel,
Claudia, Bonifacio, Stefano, Niklos, Davide e alcuni
altri membri dello Stato Maggiore; attendevano che fosse pubblicamente consegnato
a loro il Grande Maestro, incatenato.
Dall’altro
capo della piazza, Isaia, mani legate dietro la schiena, fu spintonato in
avanti, avrebbe dovuto giungere al cospetto di Gabriel, passando in mezzo a
tutta quella gente. Ai lati, decine e decine, forse centinaia, tra uomini e
demonizzati, acclamavano la sconfitta dei templari e ne insultavano il Grande
Maestro e gli lanciavano addosso verdura marcia o quel che capitava loro
sottomano. Se fosse stato in forze, lui avrebbe potuto attingere al proprio
potere per impedire che tutte quelle cose lo raggiungessero, ma ora era troppo
debole.
Isaia
non si faceva, però, intimidire da tutto ciò. Avanzava con la schiena dritta,
la testa alta e lo sguardo fiero, per nulla turbato da ciò che accadeva attorno
a lui.
In
mezzo alla folla c’era anche Michela. Da giorni non lo vedeva e ne sentiva la
mancanza, ma certo quelle non erano le circostanze in cui avrebbe voluto reincontrarlo. Era senza dubbio dispiaciuta, ma ancor più
preoccupata: cosa gli avrebbero fatto? Lo avrebbero trattato come stavano
facendo con lei? Lo avrebbero imprigionato? Avrebbe subito torture? Lei avrebbe
potuto vederlo, parlargli? Troppi dubbi. Troppe incertezze. Non sapendo quello
che sarebbe accaduto, non voleva perdere quell’occasione.
La
ragazza si fece largo tra la gente.
“Isaia!”
lo chiamò.
Lui
si fermò: aveva riconosciuto quella voce. La cercò con lo sguardo. La vide.
Lei
riuscì a raggiungerlo e lo abbracciò. Lui non poteva ricambiare, anche se avrebbe
voluto.
“Mi
dispiace.” riuscì solo a dire la ragazza, quasi aggrappandosi a lui “Mi
dispiace.”
“Tranquilla.”
la confortò l’uomo, inclinando un poco la testa verso quella della ragazza: era
il solo modo che aveva per farle sentire la sua presenza.
“Siamo
vivi.” continuò lui “Possiamo ancora tentare qualcosa: non disperare!”
“Non
ci sei riuscito con un esercito!” replicò la giovane, amareggiata.
“I
templari dovevano arginare l’azione dei demoni, lo sai bene. L’obbiettivo era
raggiungere Gabriel ed ora sono qui.”
“Prigioniero.”
“Questa
è l’occasione che mi è stata concessa, devo forse rifiutarla perché non è la
migliore?”
Michela
si rasserenò. L’emotività dei primi momenti scemò e lei disse: “Hai ragione.
Darsi per vinti è inutile: continueremo a lottare, in qualsiasi condizione.”
Gli
diede un rapido bacio alla persiana.
Isaia
pensò fosse più prudente continuare la conversazione telepaticamente.
“Non
tutte le nostre forze sono andate distrutte. Nella tua villa e nelle catacombe
ci sono molti che possono intervenire.”
“Eh,
Serventi ne conosce l’esistenza. Se siamo fortunati, li considera solo un
centro per cibo e assistenza sanitaria e non li andrà a disturbare.”
“Ci
sono Sebastiano e Delrio coi gesuiti: ci
soccorreranno! Anche Alonso non si arrenderà.”
“Ah,
affidiamoci a Rambastiano! Chissà, forse, se gli
avessimo lasciato carta bianca fin da subito, ora sarebbe tutto risolto!”
In
quel momento, la ragazza si sentì afferrare da una strana forza che la costrinse
a sciogliere l’abbraccio; fu trascinata all’indietro, fino al palchetto su cui
stavano Gabriel coi suoi vertici.
Era
stato Bonifacio, coi suoi poteri, a staccare la ragazza dal prigioniero e a
portarla lì. La guardò coi suoi occhi enigmatici, le mise una mano sulla testa
e le disse: “Per un po’ dovrai rinunciare alle chiacchierate telepatiche.”
La
giovane sentì un tremendo mal di testa che la lasciò stordita.
Intanto
un soldato aveva spintonato Isaia per farlo riprendere a camminare.
Il
templare arrivò davanti all’Eletto. Guardò l’amico dritto negli occhi, con
estrema fierezza.
Gabriel
lo squadrò, poi gli sputò in faccia, prima di dire: “I tuoi valorosi soldatini
sono caduti uno dopo l'altro come mele marce. I loro cadaveri stanno bruciando
proprio adesso.”
Il
silenzio era calato tra la folla, tutti volevano ascoltare le parole dell’Eletto.
“Non
c'è altro da dire, a questo punto, se non che tu e tutti quei disgraziati che
ti sono fedeli avete miseramente perso. E' finita, non c'è più nulla per cui
combattere. La vostra resistenza è definitivamente crollata!” fece una piccola
pausa “In quanto vincitore dello scontro, mi spetta una piccola gratificazione.”
Isaia
si chiese che cosa intendesse, ma non lo diede a vedere e rimase impassibile.
“In
ginocchio.” gli ordinò Gabriel.
Isaia
rimase ritto al proprio posto, quasi con aria di sfida.
Gabriel
sogghignò e lo avvertì quasi dolcemente: “In ginocchio, o sarà qualcun altro a
pagare per la tua disobbedienza.”
Isaia
non poteva permettere che venisse fatto del male ad altra gente, per cui eseguì
l’ordine.
“Bene,
adesso ci intendiamo.” si compiacque Gabriel “Ora, baciami i piedi.”
Il
gesuita fissò qualche istante l’altro, non fremette di rabbia, non mostrò di
sentirsi umiliato; con viso imperturbato, si prostrò a fatica (con le mani
legate non era molto comodo) e portò la bocca alle scarpe dell’amico.
Gabriel,
allora, tronfio per la vittoria, sollevò un piede e lo calcò sulla testa
dell’altro, mentre tutti i suoi seguaci lo acclamavano. Si rivolse ai suoi
ufficiali: “Pulitevi pure le suole su questa candida tunica.”
Non
se lo fecero ripetere. Stefano fu il primo a strofinare il proprio piede sulla
schiena del templare; subito fu imitato da Niklos,
Bonifacio, Davide e pure Claudia ed altri.
Isaia
sentiva il piede dell’amico schiacciargli la nuca; si tratteneva dal mugugnare
per il male che comunque gli facevano le pesanti scarpate. Claudia aveva
perfino i tacchi e forse era quella che ci metteva più forza: detestava quell’uomo
che, a suo credere, aveva sempre tentato di fare del male al suo amato Gabriel.
Michela
non sopportava di vedere Isaia trattato come uno zerbino. Con gli occhi pieni
di lacrime si allontanò, non voleva assistere ad altro, né piangere in
pubblico. Scappò il più lontano possibile, si rifugiò in uno dei cortili e
iniziò a piangere. Come poteva credere alle parole di Isaia, che c’era ancora
speranza, se lo vedeva accettare tutto ciò? Certo, Gabriel aveva minacciato di
uccidere gente, se non fosse stato obbedito, però … Che strazio vederlo così! Chissà
che cosa gli sarebbe spettato nei giorni a seguire! Povero Isaia!
Inoltre,
se davvero Serventi le aveva bloccato la telepatia, come avrebbe potuto parlare
con lui? Confortarlo o essere confortata?
“Michela,
perché piangi?”
La
ragazza alzò lo sguardo e vide Immanuel, in piedi accanto a lei. Si sfregò gli
occhi con le mani per asciugare le lacrime, poi, sforzandosi di non piangere,
ma con la voce mal ferma, chiese: “Non hai visto quel che sta accadendo? Non ho
ragione di soffrire? Serventi sta vincendo, Isaia si fa trattare così, la gente
muore … e io non so che cosa fare!”
“La
notte è sempre più buia, prima dell’alba. Ogni notte, Apopi
prova a divorare Ra, ma viene sconfitto da Seth.”
A
Michela sorse spontaneo un lieve sorriso, disse: “Sai tante cose, le hai
studiate a scuola? Nelle ore di letteratura vi hanno fatto studiare anche i
miti antichi?”
“Sì.
Sai, anche, che cosa mi hanno insegnato a catechismo?”
“Cosa?”
“Che
tutti i profeti hanno subito insulti, umiliazioni e persecuzioni, che i primi
cristiani hanno affrontato il martirio con il sorriso. Se perfino Giovanni e
Gesù hanno sopportato prigione, torture, scherno e, infine, la morte; credi che
Isaia non debba passare per queste forche caudine? Gesù e Giovanni avrebbero
avuto il potere per sterminare i loro persecutori, ma non l’hanno fatto, perché
erano stati chiamati a realizzare qualcosa di più grande.”
“Cristo
Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini. Apparve in forma umana, umiliò se stesso,
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” mormorò la
ragazza, citando una delle lettere di Paolo.
“Se
anche loro, che sono di natura superiore, hanno accettato di sottostare a tutto
ciò, Isaia non può avere l’arroganza di volerlo evitare e tu non devi piangere
per lui, anzi! Devi gioire nel vedere come queste umiliazioni non turbino il
suo animo.”
Michela
lo guardò con grande ammirazione. Si era calmata e, quelle parole, l’avevano
consolata e le avevano fatto ricordare ciò che, per colpa dei sentimenti, aveva
dimenticato.
“Prima
o poi mi dirai chi sei?”
“Te
l’ho detto, sono un bambino.”
“Che
sa rincuorare la saggezza …”
“Vieni,
andiamo a cercare tuo figlio, scommetto che vuole stare un po’ con te.”
La
ragazza, ormai rasserenata, si alzò e con Immanuel tornò indietro.
Michela
era ritornata presso il vecchio palazzo della Congregazione, andò nelle stanze
occupate dai suoi cuginetti e da parte degli ospiti del Centro, poiché aveva
lasciato con loro Giorgio, quando era andata ad assistere a quell’orribile
cerimonia in cui Gabriel aveva ribadito pubblicamente la propria vittoria.
Non
poté, però, fermarsi lì a lungo. Infatti, dopo circa un’ora, passò da quelle
parti Marco che, vedendola, le si avvicinò ed esclamò: “Eccoti, finalmente!
Gabriel mi ha incaricato di cercarti: vuole che tu sia presente ai
festeggiamenti.”
“Cosa?
Odia vedermi!”
“Davvero?
Beh, non saprei, io ho fatto quanto mi è stato detto. Dice che non puoi
assolutamente mancare.”
Michela
sbuffò rabbiosamente e borbottò: “Lo fa soltanto per innervosirmi. Sa
sicuramente quanto sto male e vuole infierire sbattendomi in faccia il suo
trionfo. Ah, beh, siamo a Roma e sai come si festeggiavano i trionfi
nell’antica Roma? L’eroe sfilava in corteo con tutti gli onori e il bottino, ma
sul carro, assieme a lui, c’era qualcuno che gli ripeteva: ricordati che sei
solo un uomo. Gabriel mi vuole alla festa? Benissimo, ma io sarò quella
fastidiosa voce.”
“Non
ti conviene.” l’ammonì l’amico “Se davvero ti odia, sai bene quali sono le sue
maniere, per cui non dovresti volere metterti nei guai.”
“Sì,
ho già avuto occasione di sperimentare le sue punizioni, ma, sinceramente,
preferisco dire quel che penso e pagarne le conseguenze, piuttosto che stare
zitta ed essere accondiscendente. Allora, dove sono questi festeggiamenti?”
“Ti
ci accompagno io, ma prima devi passare dalle tue stanze e cambiarti d’abito.”
La
ragazza lo guardò perplessa.
“Sì,
il capo vuole che tu indossi il vestito migliore che hai. Dice che deve essere
scollato e il più possibile sexy, non so perché, ma ridacchiava con Stefano,
mentre lo diceva.”
Michela
sospirò, prevedendo una pessima serata: ecco un altro motivo per cui Gabriel la
voleva ai festeggiamenti, non solo per celebrare la vittoria dei suoi nemici,
ma anche per permettere a Stefano di gingillarsi con lei!
Va
bene, sarebbe andata, si sarebbe pure vestita benissimo e non avrebbe perso
occasione per far maledire la sua presenza lì!
Era
parecchio indispettita.
Quaranta
minuti dopo, Michela, accompagnata da Marco, si presentò nella Cappella
Sistina, poiché era lì che stava avvenendo la festicciola. Ai lati c’erano due
lunghi tavoli, uno di cibarie, l’altro di bevande, più sedie sparse. Gli
invitati, lo Stato Maggiore di Gabriel e alcuni ospiti speciali, giravano per
la sala e parlottavano tra di loro e mangiavano a buffet.
Fu Claudia a notare, per prima, l’arrivo
della ragazza e lo disse a Gabriel che le fece cenno di avvicinarsi e, con un
sorriso decisamente di scherno, la accolse: “Oh, eccoti finalmente! Ma dove te
ne eri andata? Hai perso un po’ di cose!”
“Quel che ho visto, mi è bastato.”
rispose seccamente la ragazza.
“Beh, effettivamente, i miei amici che
si pulivano le scarpe su Isaia, è stata la parte migliore.”
L’Eletto sapeva bene di ferirla, in quel
modo, lo faceva apposta, nella speranza che il sopportare le insegnasse la
sottomissione. Vano. La ragazza lo apostrofò: “E dire che continui a
dichiararlo il tuo migliore amico!”
Intervenne Claudia: “Su questo non lo
capisco neppure io! Bisognerebbe ammazzarlo, quell’infame.”
“Quello che faccio è per il suo bene.”
ribadì Gabriel “Bonifacio è stato molto chiaro: umiliarlo finché il suo dannato
orgoglio non verrà fuori. A quel punto, si sarà liberato dalle catene della
vecchia società ed entrerà nelle nostre schiere, assumendo il suo legittimo
posto di dominatore, appena sotto di me.” notò lo sguardo contrariato della
giovane “Non credi convenga anche a te che Isaia diventi mio alleato? Potrai
startene tranquilla assieme a lui, senza dover più far la gioia di Stefanino. Benché non capisca perché non ti piaccia
trascorrere tempo con il mio discepolo. Inoltre,penso che anche tu preferisca essere educata
dal tuo caro templare, piuttosto che da me.”
“Hai ragione, la mia situazione
migliorerebbe, ma non ho interesse a stare bene, se è a discapito del benessere
di altri.”
Fu Claudia a replicare: “Come se gli
altri fossero disposti a soffrire per te. Il mondo è pieno di vigliacchi e
deboli che pensano solo a sopravvivere, non meritano la tua pietà e il tuo
stoicismo.”
Gabriel decise di cambiare argomento e
disse: “Scommetto che vuoi sapere com’è morto quel bastardo di un templare che
ha attaccato il Centro e fatto sterminare la tua famiglia.”
Non le interessava granché, ma Michela
ritenne che, forse, era l’argomento meno doloroso di cui avrebbe parlato
l’uomo, quindi lo invitò a raccontare.
“Come promesso, è stato il primo che ho
ucciso; gli altri li ho demonizzati. Non è stato facile trovare quel cane
miserabile, ma quando me lo sono trovato davanti … è sbiancato e, sicuramente,
ha recitato ogni preghiera che gli sia passata per la testa. Ha alzato la spada
e si è fatto avanti. Io l’ho stordito immediatamente col mio potere, poi l’ho
afferrato e ho iniziato a smembrarlo, mentr’era ancora vivo. Così, con questa
mano, gli ho afferrato una caviglia e gli ho staccato un piede, poi l’altro e
così via. Ho gettato i pezzi ad Arthur che li ha rosicchiati e ha bevuto
parecchio. Contenta? Ha avuto la fine che meritava, o tu l’avresti fatto
soffrire di più?”
Era incredibile come quell’argomento
fosse l’unico che facesse sparire in Gabriel l’avversione per quella ragazza.
Michela si sforzò di sorridere e fece un
vago cenno con la testa.
Gabriel allora, le disse: “Tu non hai
ancora visto il nostro bottino di guerra di pregio: è esposto più in là,
vieni.”
L’Eletto, tenendo a braccetto la
psicologa, fece strada e fece cenno al suo allievo, poco distante, di
aggregarsi a loro. Stefano trotterellò immediatamente verso di loro; aveva
tenuto i suoi occhi verdi fissi su Michela, fin da quando l’aveva vista entrare,
più che su di lei, li teneva sul seno, abbastanza esposto; fremeva, nell’attesa
che il suo maestro lo autorizzasse a toccarla.
Gabriel s fermò davanti ad una teca, in
fondo alla Capella, vicino alla parete su cui Michelangelo aveva affrescato il
Giudizio Universale. In quella vetrinetta erano state collocati la lancia di Longino, il mazza-scettro di Gaspare e l’elmo di
Costantino.
“Bonifacio le ha riconosciute come
reliquie importanti per la Cristianità, quindi le bruceremo in un bel rogo
dimostrativo, quando avremo espanso il nostro impero, per sottolineare come
un’era finisca e ne inizi una nuova, più forte.”
Michela guardò quelle armi con amarezza:
si aspettava di trovarci quelle usate da Isaia ma non capiva come poteva
esserci pure lo scettro. Cos’era successo a Rambastiano?
Isaia aveva detto che li avrebbe aiutati!
“Quello lo usa Sebastiano!” esclamò la
ragazza, in un misto di dispiacere e preoccupazione.
“Oh, il tuo amico non è imbattibile,
come credevi tu.” replicò Gabriel, fingendo rammarico.
“Di solito servono almeno cinque demoni
per fargli male.” ribatté lei.
“Beh, Stefano, da solo, gli ha quasi
staccato un braccio e, con quella stessa mazza, gli ha fracassato la testa.
Ora, noi volevamo portarlo nel nostro ospedale e curarlo, ma i vostri soldatini
ce lo hanno sottratto, non so se nella vostra catacomba avete il necessario per
salvarlo.” guardò la giovane e la schernì: “Adesso non ridi più come
stamattina, eh?” e si abbandonò a una risata, poi si ricompose e disse, dando
una pacca sulle spalle al discepolo: “È un fenomeno! Non lo avrei sospettato,
fino al mese scorso! Ha tenuto nascosto il suo potere finché non fossi stato in
grado di apprezzarlo. Per questo l’ho scelto per affrontare Sebastiano! Tu”
puntò l’indice verso la giovane “Devi sentirti onorata nel prenderti cura di un
uomo così potente, mentre aspetti che Isaia si decida a liberarsi.”
Michela, allora, lanciò un’occhiataccia
e si allontanò, sdegnata.
La ragazza s rifugiò presso Marco,
Davide e altri che conosceva; c’era pure Niklos, ma
non voleva parlargli, dopo che pure lui si era pulito le scarpe su Isaia.
Ad un certo punto, venne distribuito a
ciascuno un grosso balloon colmo di champagne pregiato. Quando tutti ebbero in
mano il bicchiere, Claudia sollevò il proprio e disse semplicemente:
“All’inizio di una nuova era, priva di inibizioni, preconcetti, paure!” poi si
voltò e baciò Gabriel.
I presenti risposero al brindisi e
iniziarono a sorseggiare, lentamente.
“Ci starebbe bene un po’ di musica.”
osservò Serventi.
Allora a Gabriel venne un’idea e, a gran
voce, poiché era distante, disse: “Ehi strega, fa' qualcosa di utile a tutti,
per una volta: cantaci qualcosa! Mettiti al centro della sala, così l’acustica
è migliore.”
Michela fece un cenno d’assenso, sorrise
e andò a posizionarsi. Nella sala calò il silenzio, per ascoltarla. Lei era ben
consapevole che sarebbe stata punita, ma ugualmente decise di intonare: “Tiranni
e Generali, Marescialli e Imperatori, Uomini del Destino, Colonnelli e
Dittatori! Quanti di voi non sentono timori ed apprensioni, solo perché
posseggono le bombe ed i cannoni, quanti di voi non temono nemici e congiurati,
perché son ben sicuri di averli già ammazzati, … faran
la parte, prima o dopo, non più del gatto, ma del topo, con una corda al collo
stretta, come una marionetta. Quel che di voi si sente potente ed importante,
solo perc…”
Sì interruppe bruscamente, poiché le
arrivò addosso un bicchiere.
Gabriel, infatti, resosi conto di che
tipo di canzone fosse, aveva scagliato il proprio balloon contro di lei.
Vedendola sorpresa e un poco spaventata per quel gesto, l’Eletto con molta
calma inquietante, la ammonì: “Sei pregata di non cantare roba simile, bensì
qualcosa di più appropriato e, possibilmente, non contro i vincitori!!!”
Michela, che era molto arrabbiata per
quel che era capitato ad Isaia e non aveva nessuna voglia di compiacere quella
gente, anche a rischio di pesanti ritorsioni, finse di pensare e poi rispose:
“Come disse Verdi al feldmaresciallo Radetzky, che
gli chiedeva di comporre una marcia per le sue truppe: Io non ho che arie di
ritirata.” e sostenne lo sguardo di brace di Gabriel.
L’Eletto era furioso: come osava quella
ragazzina rivolgersi così a lui? Per di più nel giorno del suo trionfo e in
mezzo a tutti!
Gabriel le si avvicinò, irritatissimo.
Lei non si ritrasse e lo aspettò. Lui l’afferrò per i capelli e li tirò in modo
tale da costringerla ad abbassare la tesa e avvicinarla a lui.
Niklos, che stava
assistendo come tutti gli altri, vedendo quel gesto brutale, ebbe un fremito
d’ira, m non fece nulla.
Gabriel, intanto, era rivolto a lei:
“Credo, ormai, tu sappia cosa dire, in questi casi: Scusa, Gabriel”
La giovane non ripeté, rimase muta.
Gabriel dapprima si innervosì, poi
sbuffò una risata, si voltò verso il suo discepolo e gli disse: “Stefanino, ecco il tuo premio per aver sconfitto
Sebastiano! Fino a domattina, lei è nelle tue mani, farà tutto ciò che vorrai.
Hai, però, una limitazione, dal momento che non sei riuscito a portare il
prigioniero qua. Potrai, sfruttarla solo dai fianchi in su … più il culatello,
s’intende. Sono certo che saprà comunque farti contento.”
Stefano sorrise e confermò: “Sì, anche
così, sarà ugualmente una goduria.”
L’Eletto tornò a rivolgersi alla ragazza
piuttosto tranquillo: “Ora, se non vuoi che lo autorizzi a fare di più, ripeti:
Scusa, Gabriel”
“Scusa, Gabriel...” si rassegnò lei.
“ … per aver fatto irritare te e
tutti i presenti con quell’orribile ed inappropriata cantilena...”
“ … per aver fatto
irritare te e tutti i presenti con quell’orribile ed inappropriata
cantilena...”
“... e per esser stata la solita
insolente.”
“… e per esser stata la solita
insolente.”
Gabriel la guardò compiaciuto: gli
piaceva molto quella tecnica educativa. Ritenne, tuttavia, che non fosse ancora
abbastanza, per cui aggiunse: “Ora, invece, di' Grazie, Gabriel”
Michela si chiese dove volesse andare a
finire, comunque ripeté: “Grazie, Gabriel...”
“ … per aver vendicato la mia
famiglia...”
“ … per aver vendicato la mia
famiglia...”
Gabriel a quel puntò ghignò: “ … ma,
soprattutto, per rendermi uno strumento di piacere di un uomo importante quale
è Stefano.”
Michela provò, in quel momento, la
massima vergogna e umiliazione; non senza disgusto nella voce, ripeté: “… ma,
soprattutto, per rendermi uno strumento di piacere di un uomo importante quale
è Stefano.”
Niklos, in cui l’ira
era aumentata, man, mano che quello spettacolo andava avanti, esclamò seccato:
“Dacci un taglio, mi stai irritando.”
Gabriel, con fare un poco meravigliato,
si voltò verso lo stregone: “Ti ho chiesto qualcosa, per caso, buono a nulla?
Non mi pare.”
“Non puoi trattarla così!”
L’Eletto si mise a ridere e poi lo
guardo compatendolo: “Oh, Niklos, non essere egoista!
Tu ci hai già giocato, ora devi lasciare giocare anche gli altri.”
Niklos tacque ma
rivolse a quell’uomo il suo peggiore sguardo, carico di furore.
Gabriel ricambiò con uno sguardo
divertito e di trionfo, per averlo zittito. Sentì, poi, uno strano calore
attorno ai piedi. Chinò il capo per guardare: i suoi pantaloni avevano preso
fuoco.
Gabriel lanciò un breve grido di stupore
e spavento, poi iniziò a cercare di spegnerle a pedate, poiché erano
circoscritte al solo orlo inferiore, per il momento.
Michela guardò Niklos
che ricambiò con un’occhiata che la invitava a dargli man forte.
Oh, non sarebbe affatto dispiaciuto,
alla ragazza, lasciare che la rabbia e la frustrazione guidassero la sua
fantasia e la sua magia. Lei e lo stregone, assieme, avrebbero davvero potuto
provocare un bel subbuglio: se avessero dato libero sfogo ai loro poteri, ci
sarebbe voluto parecchio impegno per fermarli. Magari avrebbero potuto
provocare un po’ di caos e poi fuggire, prendere Giorgio e scappare lontano.
Quanto avrebbe voluto, la ragazza,
mostrare la propria potenza all’Eletto, fargli capire che se lei non reagiva
non era per debolezza, ma per buon senso.
Se si fosse lasciata guidare dalla
propria furia, che sentiva strepitare nel proprio petto, non avrebbe neppure
dovuto ricorrere ai carboncini e ai sigilli, per evocare e dominare gli
elementi. Esattamente come agiva Niklos.
No, non poteva farlo. La rabbia era un
vizio, lei non poteva accettarlo. Inoltre, o avrebbe dovuto sfogarla tutta (e
non aveva idea di fino a cosa sarebbe potuta arrivare), oppure una reazione più
moderata, le avrebbe fatto subire punizioni tremende. Il rischio peggiore, però,
era quello di non tornare indietro, se in quel momento si fosse abbandonata
all’ira, il suo lato oscuro avrebbe potuto prendere il sopravvento su di lei.
Questo non doveva accadere!
Tutti questi pensieri attraversarono la
mente della giovane in un paio di secondi. Guardò, quindi, Niklos
con rammarico, come a scusarsi per non sostenerlo in quel gesto che lui aveva
fatto per lei.
Il fuoco era stato appiccato da pochi
secondi, quando Bonifacio intervenne, sospirando ma con tono perentorio: “Niklos, cortesemente, spegni le fiamme.” il fuoco svanì
“Gabriel, pure tu, smettila, questa volta hai esagerato.”
“Esagerato?!” replicò l’Eletto “Sono
stato fin troppo tenero con lei! Una prigioniera, praticamente, che nel giorno
della sua sconfitta definitiva, tenta di deridere e minacciare i vincitori,
meriterebbe ben peggio.”
“La conosci e l’hai voluta apposta
provocare.” ribatté Serventi “Comunque non mi riferivo a come tratti lei, ma
come hai parlato con Niklos: ha ucciso Martin
Antoine, merita maggior rispetto.”
“Ammesso che lo abbia fatto davvero; non c’erano testimoni.” sottolineò
Gabriel.
Lo stregone, pieno di sdegno, esclamò:
“Questo è oltraggioso! Non rimarrò a questa festa un minuto di più.” guardò
ancora una volta la ragazza e le chiese: “Vieni con me? Andiamo da Giorgio.”
Si intromise Gabriel: “Il premio di
Stefano non esce da qui, se non sarà il mio pupillo a deciderlo. Vattene pure, Niklos, ma solo, vedrai che farai un grande favore a
tutti.”
Lo stregone non disse altro e se ne andò
furioso.
L’Eletto, allora, si rivolse alla
giovane e le ordinò sottovoce: “Ora fili immediatamente da Stefano e gli
obbedirai e lo lascerai fare qualsiasi cosa vorrà, entro i limiti che gli ho
imposto. Fidati, non vuoi che lui si lamenti con me del tuo atteggiamento.
Muoviti.”
Michela, con dignitosa rassegnazione,
raggiunse il giovane che la guardò con gli affamati occhi verdi. La strinse
accanto a sé, tenendole un braccio attorno alla vita e appoggiando la mano su
uno dei fianchi che tastò a lungo, prima di rivolgere le proprie attenzioni un
po’ più in basso.
Finché rimasero in mezzo agli altri,
Stefano si limitò a qualche palpata, abbastanza frequente. Quando, poi, ci
furono i fuochi artificiali (organizzati e offerti dalle persone dotate di
poteri legati al fuoco), Gabriel, Claudia, Bonifacio, Stefano e Teresa, per
assistere allo spettacolo, si accomodarono su seggi predisposti proprio nella
posizione da cui c’era la migliore visuale. Allora, Stefano aveva fatto sedere
la ragazza vicino a sé, poi le aveva messo una mano davanti al volto e le aveva
ordinato di baciargliela, leccargliela e succhiargli le dita; le aveva detto:
“Esercitati così, intanto, perché poi, quando restiamo soli …” e aveva fatto
una risatina, pregustando quel che sarebbe stato.
Contemporaneamente, nei sotterranei
della Congregazione, proprio nella stessa cella in cui era stato rinchiuso
Serventi pochi mesi prima, Isaia pregava in silenzio, chiedeva a Dio la forza
di resistere alle tentazioni e alle provocazioni del demonio. Sapeva che,
quelli a venire, sarebbero stati giorni molto duri e che la tentazione di
cedere sarebbe stata assai forte, dunque pregava Dio e pensava al saldo esempio
di Sant’Antonio che nel deserto non si lasciò mai corrompere dalle mille
insidie dei diavoli.
La cella era un po’ diversa dall’ultima
volta che l’aveva vista: completamente spoglia e vuotata da ogni decorazione o
mobile. Non c’era più neppure il letto, ma un semplice giaciglio di paglia,
senza neppure un telo sopra, in modo che il fieno provocasse grandi irritazioni
alla pelle.
Isaia non ci fece caso. Pregava e
l’unico pensiero che ogni tanto veniva a tormentarlo era la preoccupazione per
l’incertezza: non sapeva che cosa ne sarebbe stato di lui, per cui non poteva
fare progetti. Inoltre non riusciva neppure a contattare telepaticamente
Michela e, questo, lo disturbava: come mai non funzionava? Le era successo
qualcosa?
Alla fine decise di ricorrere a una
delle meditazione degli Esercizi
Spirituali e pian, piano si
addormentò. Il mattino seguente, fu svegliato dal calcio che il secondino gli
sferrò nello stomaco.
“Ti ho
portato la colazione.” gli mise in mano una mezza mela “Là, invece, c’è
l’acqua” gli indicò una bottiglia “Ti dovrà bastare per tre giorni.” poi uscì
senza aggiungere altro.
Isaia mangiò
lentamente il frutto: aveva parecchia fame, il giorno prima lo avevano tenuto a
digiuno, tuttavia se lo avesse mangiato in un paio di morsi, lo stomaco,
anziché calmarsi, avrebbe borbottato ancora di più.
Rimase poi ad
attendere che qualcosa accadesse, seduto per terra, con le spalle al muro. Non
sapeva quanto tempo fosse passato, quando la porta si aprì di nuovo ed entrò
Gabriel, con un grande sorriso stampato in faccia.
“Ecco il
coraggioso granmaestro! Chiedo venia per non esserti venuto a trovare, ieri.” lo disse con
finto dispiacere, portandosi una mano sul petto “Avevo da fare cose importanti,
come ordinare di appiccar fuoco al vostro improvvisato e pidocchioso quartier
generale e bruciare i cadaveri di quella feccia di templari, per non parlare,
poi, dei festeggiamenti per la vittoria. Tu come hai trascorso la giornata? Hai
dormito bene? Ti sei ripreso dalle fatiche della sconfitta?” ovviamente era
ironico.
Isaia lo
fissò severamente, senza rispondere.
Gabriel,
allora, si avvicinò e si chinò su di lui e chiese, sempre schernendolo: “Che è
successo, le gambe hanno iniziato a fare Giacomo-Giacomo e ti sei fatto
catturare dopo aver visto i cadaveri dei tuoi uomini fatti a pezzi? Come mai
non hai fatto fuori i miei demoni, stavolta?”
Isaia non
proferì una sola parola, manteneva il suo sguardo duro. Gabriel si innervosì,
lo afferrò per i vestiti e lo sollevò dal muro, avvicinandolo a sé.
“Perché non
parli, adesso? Quella volta, quando c'era lei, avevi la parlantina, quella tua
impeccabile dialettica, e ora fai il muto? Volevi farti bello ai suoi occhi,
eh? Mh, niente male come idea... Aah, già, volevo
chiederti: alla fine, sei riuscito a combinarci qualcosa?”
Gabriel
ghignò con malizia, questa volta la domanda era assolutamente seria e
interessata. Continuando a non ricevere risposta, l’Eletto spinse indietro
l’amico, con una certa violenza, facendogli battere la testa e la schiena
contro il muro; e lo rimproverò: “Bah!, sangue di cane, Isaia, sei un coglione
imbranato!!!”
Gabriel era
davvero arrabbiato e dispiaciuto, si rialzò di colpo e si mise a passeggiare
per la cella. Isaia, intanto, si massaggiava la nuca, dolorante per la botta.
“Voglio
vedere quando ti deciderai ad essere uomo! Se non ne approfitti ora, quando ti
ricapiterà più di avere vicino una donna vera che ti rivolge la parola? Ho
visto come ti ha salutato ieri! Mi ero illuso che ti fossi liberato almeno di
quello stupido dogma e, invece … Però lei ti piace, lo so, ho notato, ieri, gli
occhi con cui la guardavi. Sono il tuo migliore amico, ti conosco, non puoi mentirmi.
Se vuoi rivederla, ti consiglio di riconsiderare a fondo la mia offerta di
convertirti alla nostra dottrina, visto che sei qui. Ora devo andare. Tu, nel
frattempo...” gli assestò un poderoso calcio sul fianco destro, tanto da farlo
piegare “Medita! Tra poco, arriverà Gaslini. Non sai quanto è ansioso di
rivederti.” concluse con un sorrisone.
Gaslini?
Isaia deglutì
preoccupato. Non aveva idea di che cosa fosse in grado di fare l’Alchimista.
Aveva solo sentito i racconti di Foschi; in realtà erano stati solo vaghi cenni
ed allusioni, ma erano bastati ad impressionarlo.
Tu,
Isaia, sei fortunato, non sai cosa voglia dire essere schiavo delle droghe
dell’Alchimista, sentirsi morire ogni giorno.
Queste erano
state le parole del Pittore.
Sentirsi
morire ogni giorno … chissà che cosa volesse dire. Sofferenze atroci?
Stati catatonici vagamente coscienti? O forse intendeva semplicemente dire che,
subire quel trattamento, era come morire un poco alla volta, giorno dopo
giorno?
Presto lo
avrebbe scoperto.
Un altro
pensiero lo preoccupò: se quelle sostanze erano riuscite a rendere sconfitto
l’animo di Foschi, al punto che era disposto ad accettare la morte, senza
neppure che ci fosse un nobile ideale dietro, allora forse quelle stesse
sostanze avrebbero potuto infiacchire lui, fino a farlo cedere.
Non
sia mai! Pensò vigorosamente.
Poco dopo
entrò Gaslini, lo guardò con un sorriso brillante e gli disse: “Buongiorno,
padre Morganti. Sta bene? Da quando hai tentato di
uccidermi, ho lavorato a un siero speciale, appositamente per te.”
“Ti ricordo
che eri al terzo tentativo di ammazzarmi, quel giorno.”
“Facevo il
mio dovere.”
“E io
obbedivo all’istinto di sopravvivenza.”
“Ti farai
fare l’iniezione senza storie, o devo chiamare delle guardie?”
Isaia si
sollevò la manica e tese in avanti il braccio, in attesa della puntura. Gaslini
si avvicinò e inserì l’ago.
Dapprima
Isaia non sentì nulla, poi un formicolio e un bruciore che si espanse in tutto
il corpo, gli parve di sentirsi irrigidire, cominciò a sudare, il respiro si
fece affannoso, poi i contorni di ciò che vedeva iniziarono a farsi sempre meno
nitidi e i colori si mescolavano tra loro. Poi più nulla. O, meglio, qui si
fermava il suo ricordo. Quando tornò in sé, molte ore più tardi, non ricordava
altro che questo, ma una sensazione di ansia e terrore lo pervadeva.
Non fu facile
tornare padrone di sé, calmarsi, asciugarsi il sudore e tornare a muovere i
propri arti senza difficoltà. Aveva una gran sete, per cui prese la bottiglia e
iniziò a bere a lunghi sorsi, finché non si ricordò che quella era l’acqua per
tre giorni, controllò: era quasi a metà. La richiuse e l’allontanò. Si accorse
che era stata portata una scodella con del cibo: della mollica e un po’ di
macinato crudo. Mangiò, senza disdegnare quel poco. Poi si sdraiò sul
giaciglio: era stanchissimo. Cercò di meditare, ma aveva la mente troppo stanca
e si addormentò.
Il mattino
seguente fu svegliato sempre con un calcio alle reni. La colazione consisté in
una manciata di fragole. Più tardi passò Gabriel a trovarlo: “Buondì, amico!
Come andiamo? Il primo giorno di soggiorno è stato di tuo gradimento?”
“Non lo so,
non ricordo granché.”
“Uhm, lo dirò
a Gaslini, effettivamente era indeciso su un certo dosaggio di non so cosa,
temeva, a ragion veduta, che non rimanesse impresso il ricordo delle visioni.
Pazienza, oggi o domani andrà meglio. Suppongo, quindi, che tu sia ancora fermo
nella tua decisione di rifiutare la mia amicizia.”
“No, Gabriel,
la tua amicizia l’accetto volentieri, tuttavia, non posso sostenerti in questo
progetto.”
“Evidentemente
non ti è chiara una cosa. Io non mi rassegno: come tu volevi uccidermi per
salvare la mia anima, così io ti torturerò finché non ti sarai liberato dalla
tua condizione di schiavo in cui il menzognero moralismo ti ha sprofondato. I
miei uomini non vedono l’ora di ripagare l’Inquisizione con la sua stessa
moneta. Gaslini vuole anche sperimentare alcune malattie di sua invenzione: le
ha create giocando coi batteri, è un genio! Sei certo di voler essere tu la
cavia di tutto ciò?”
Isaia si mise
in piedi, alzò gli occhi al Cielo e iniziò a invocare: “O Segnor, per cortesia, manname la malsania, a me la freve quartana, la contina e la
terzana. A me venga mal de denti, mal de capo e mal de ventre, mal degli occhi
e doglia de fianco e l’apostema al canto manco. Aia
‘l fecatorescaldato, la
milza grossa, el ventre enfiato, lo polmone sia
piagato con gran tossa e parlasia. A me lo morbo
caduco de cadere en acqua e ‘n fuoco, e ià mai non
trovi luoco che io affritto
non ce sia. Gelo, granden, tempestate, fulgor, troni,
oscuritate, e non sia nulla avversitate
che me non aia en sua balia. La demoniaenfernali sì me sian dati a
ministrali, che m’essercitin li mali c’aio guadagnati a mia follia. Signor mio, non è vendetta
tutta la pena c’ho ditta: ché me creasti en tua diletta e io t’ho morto a
villania.”
“Bene, bravo,
ma a cosa ti è servito citare Jacopone da Todi?”
“Pensavo ti
fosse chiaro, fratello. Puoi minacciarmi tutti i mali che vuoi, non c’è
problema, poiché io stesso li ho domandati a Dio per me.”
Gabriel lo
guardò con furore e gli ringhiò: “Molto bene: sarai accontentato!” uscì
sbattendo la porta.
Quel giorno
non fu affatto facile per Isaia: davvero giunsero in tre o quattro,
trasportando alcuni strumenti di tortura e sadicamente lo tormentarono tutto il
giorno. Un dolore e una sofferenza indicibili. Urlò per il male, ma non
supplicò che finisse, non mostrò il minimo cenno ad assentire al convertirsi.
Come se tutto ciò non bastasse, alla sera venne pure Gaslini e gli iniettò
un’altra sostanza. Stranamente, Isaia non sentì nessun cambiamento, non gli
capitò assolutamente nulla. Andò a sdraiarsi sulla paglia, si concentrò per
curarsi un poco, come Michela aveva insegnato a lui e Sebastiano, nei giorni
trascorsi in Villa. Chissà come stava la ragazza. Come stava Sebastiano? E
Alonso? E Delrio? Che accadeva in Villa o nella
Catacomba? Che ne era dei cittadini? Come avrebbe agito, ora, Serventi,
esauriti i nemici? Ma, soprattutto, come stava Michela?
Il mattino
seguente, solita sveglia, un frutto per colazione e Gabriel venne a fargli
visita, aveva un bicchiere in mano.
“Bene, Isaia,
mi hanno riferito che la tua dannata ostinazione bigotta non ha confini. Chi
l’avrebbe detto che un ratto di biblioteca come te, potesse sopportare così
egregiamente il dolore? Beh, noi le abbiamo provate tutte, con te. Ieri hai
sofferto come il cane che sei e stanotte ti hanno tenuto sveglio gli incubi
degli intrugli di Gaslini.”
No. Non aveva
avuto incubi, era stato benissimo … per quanto lo potesse essere uno nelle sue
condizioni. Ciò gli confermò il dubbio che ci fosse stato un disguido circa il
siero che gli era stato iniettato. Ovviamente, si guardò bene dal farne parola.
“Ora, se non
sei convinto con questo, mi rendo conto che non potremo convincerti in altri
modi, dunque: noi, o la morte?”
“Preferisco
morire, piuttosto che farmi corrompere dal male. Uccidimi pure.”
Isaia rispose
d’istinto, senza riflettere: se le opzioni erano solo quelle, lui non aveva
dubbi. Non sarebbe mai diventato un servo del male.
“Troppo
facile, amico mio, essere uccisi.” ghignò Gabriel, appoggiando per terra il
bicchiere “Suicidati. Mostra di essere così convinto di non voler essere dei
nostri, da toglierti la vita da solo. È cicuta, dovrebbe farti piacere morire
allo stesso modo di Socrate.”
Isaia ancora
una volta non tentennò, l’unico rimpianto che aveva era di non poter salutare
un’ultima volta Michela, ma era certo che lei lo avrebbe capito e approvato.
Prese il bicchiere, lo alzò verso Gabriel e gli disse: “Alla tua salute,
fratello!” e bevve tutto in un fiato.
Guardò poi
l’amico e rimase in attesa della morte.
L’Eletto fece
una smorfia e poi scoppiò a ridere e, tra una risata e l’altra, disse: “Non ci
credo! Ahaha! L’hai bevuto sul serio!? Ahahaa, oddio! Non credevo l’avresti fatto … ahahahaha…”
Isaia, che
non capiva, guardò interrogativamente l’altro che, finalmente, si ricompose e,
trattenendo ancora il riso, spiegò: “Amico, scusa, ma davvero non credevo lo avresti
bevuto. La scena me l’ero immaginata diversa. Quella non era cicuta ma urina! È
stata un’idea d Claudia. Ho pisciato in quel bicchiere prima di venire qua.” si
abbandonò ad un’altra risata “Va beh, dai, così oggi hai avuto più acqua da
bere. Io torno domani e mi fermo a chiacchierare un po’ con te. Per oggi, ti
lascio con Gaslini.”
L’Alchimista
aveva preparato un programma differente dal solito. Si fermò tutto il giorno
nella cella, somministrando farmaci a piccole dosi, divertendosi a vedere le
reazioni e a decidere di volta in volta, seguendo l’ispirazione, quale sostanza
introdurre. Pranzò e cenò pure lì dentro e i suoi avanzi furono il pasto di
Isaia: il più abbondante da quando era stato imprigionato.
Appena fu
lasciato solo, si addormentò, ancora troppo sconvolto dalle miscele psicotrope
di Gaslini.
Il giorno
seguente, come promesso, Gabriel si recò da Isaia, con la ferma intenzione di
fare una lunga chiacchierata col suo amico. Si era portato dietro un sacco, che
lanciò addosso al prigioniero dopo averlo salutato, e gli disse: “Lì dentro ci
sono alcune delle scarpe mie, di Claudia, di Bonifacio, di Teresa e di Stefano:
devi pulirle per bene. Lì c’è pure il pannetto, il lucido e quant’altro
occorre. Sai, mantenerti qui in prigione è una spesa, per cui devi renderti pur
utile in una qualche maniera. Su, mettiti al lavoro, quando avrò finito di
parlarti, dovranno essere pronte.”
Isaia obbedì
in silenzio.
Gabriel lo
osservò per alcuni momenti, poi prese a dire: “Certo che sei davvero strano! È
assurdo! Io ti sto chiedendo di essere felice, di essere libero di fare ciò che
ti piace, qualsiasi cosa sia, senza limiti; ti sto offrendo la possibilità di
essere ai vertici di un mondo privo di quella menzogna che è la morale, quindi
senza confini al tuo volere; ti sto porgendo lo scettro del dominio e tu
rifiuti tutto ciò. A questo potere e libertà preferisci … cosa di preciso?
Divieti e obblighi imposti non si sa da chi e perché, beh, no, il perché lo si
sa: per tenere in catene la gente. Preferisci sottostare a regole prive di
fondamenta, per seguire le quali hai provocato morti, ti sei messo contro di
me, il tuo migliore amico, e ora sei pure finito in prigione. Ti sembra giusto?
Ti sembra giusto che un uomo potente come te, sia qui a pulire le mie scarpe,
invece di essere al mio fianco, là fuori a governare i veri schiavi: i deboli?”
“Gabriel, la
felicità non è di questo mondo! Il tuo è un errore di calcolo, cerchi qui, in
questo mondo, qualcosa che non gli appartiene. La materia e i piaceri terreni
non sono il male e, se capitano, vanno ben accettati, ma allo stesso tempo non
devono essere il nostro ultimo obiettivo e i mali che qui ci accadono, non
devono turbarci, poiché sono di poco conto.” Isaia aveva parlato con tono calmo
e tranquillo, mentre continuava a pulire le scarpe.
“Bah! Vedo
che hai ancora la testa piena di quelle sciocchezze! Isaia, io lo so, tu lo
sai: Dio è al di fuori di tutto e non gli importa nulla. Per noi uomini c’è
solo questo mondo, nient’altro, ed è nostro sacrosanto diritto renderci felici.
Dammi retta, dimentica queste cazzate e prova a seguire il mio esempio. È ora
che tu ti liberi da quelle catene arrugginite e inizi a vivere davvero.
Potrai fare quello che vuoi, senza pentimenti!”
Studiò per
qualche istante l’amico, sperando di vederlo reagire. Nulla. Isaia continuava a
svolgere il lavoretto affidatogli e non mostrava interesse per quelle parole.
“Lo dico per
te! Non posso credere che per te la felicità stia nel leggere libri e
nient’altro. Su, smettila di reprimerti! Abbandona ciò che la società e la
Chiesa ti hanno imposto e lascia sfogare il vero Isaia, lascialo emergere.
Scommetto che ci sarebbero un sacco di cose che vuoi fare, ma ti proibisci.
Fosse anche solo mandare al diavolo chi ti tratta male. Diamine, fratello,
quando ero ancora vincolato alla morale, perfino io ti trattavo sgarbatamente e
tu muto a subire … Già, capisco che le tue catene sono molto strette e sarà
difficile farle saltare, ma con un po’ di pazienza ci riusciremo.”
Gabriel
tacque ancora e si dondolò sulla sedia che si era portato dietro per rimanere
comodo. Dopo un po’ riprese: “Davvero, pensa a tutto quello che potresti fare!
Avere servi. Prendere ciò che vuoi senza che nessuno possa fiatare. Viaggiare i
lungo e in largo. Punire chi non usa i congiuntivi, visto che ti piace tanto la
grammatica. Sono sicuro che ti verranno in mente un sacco di cose che vuoi fare
e che, per ora, ti vieti. Credo che, innanzitutto, penserai a ciò che puoi fare
con quella ragazzina.”
Isaia sollevò
un attimo lo sguardo: non sopportava che Gabriel parlasse di Michela, tanto
meno nei suoi termini volgari.
“So che ti
piace e tu dovresti deciderti ad assecondare il tuo istinto. Evita il
corteggiamento, conoscendoti, ci impiegheresti decadi e, poi, lei è già
innamorata di te; quindi vai subito al sodo. Lei non aspetta altro!”
Gabriel
ghignò nel vedere come l’argomento innervosisse l’amico, per cui si fece più
insistente: “Devi affrettarti! Vedi, giacché è tra i piedi, ho pensato di
trovarle una mansione occasionale, ossia divertire Stefano.”
Isaia si
bloccò per un istante, ma subito riprese il lavoro, senza proferir verbo.
“Stefano era
ancora totalmente inesperto, proprio come sei tu, quindi ha iniziato a godersi
le cose pian, pianino, un poco per volta … ma ormai ha sperimentato tutto e
vuole finalmente assaggiare la mela di Eva … se capisci cosa intendo. C’è solo
la mia parola ad impedirgli di toglierle le mutande. Se non gliel’ho ancora
permesso è perché so che tu ci tieni tanto a lei e, suppongo, che la cosa ti
infastidirebbe parecchio. Dì, soffriresti, vero, nel saperla a letto con un
altro?”
“La faccenda
non mi riguarda. Lei può fare quello che ritiene sia meglio.” troncò,
seccamente Isaia; in realtà lo stava dicendo più che altro a sé stesso, poiché
si era accorto di trovare davvero fastidiosa l’idea che lei fosse tra le
braccia di qualcun altro. Avendole però detto di non voler rinunciare ai voti
per lei, non si doveva stupire se lei si rivolgesse altrove. Ma, diamine, così
presto? E poi con Stefano!
“Oh, non l’ha
scelto lei.” lo informò Gabriel, accorgendosi che l’argomento era efficace “È
il modo che ho deciso di adottare per punirla, quando mi fa arrabbiare.”
“Sarà
consolata. Ogni sofferenza rende migliore la gioia che ci verrà donata quando
saremo in contemplazione di nostro Signore.”
“Ah sì!?!” si
arrabbiò Gabriel “Molto bene! Allora farò in modo che sia felicissima, una
volta morta. Non solo, alla prossima occasione, autorizzerò Stefano a farci
tutto, ma proprio tutto, ma anche attenderò con ansia il momento in cui il tuo
caro Sebastiano verrà finalmente dalla nostra parte, perché così potrò far
divertire pure lui con la tua amata ragazzina. È questo che vuoi?!”
Isaia rimase
muto.
“A quanto
pare sì. Non ti basta soffrire tu stesso, vuoi far patire anche chi ami. Sei un
mostro! Ma, d’altra parte, che mi dovrei aspettare da uno che ha cercato di uccidere
il proprio migliore amico, dopo averlo tradito?”
Gabriel
aspettò un poco: detestava che l’amico non reagisse. Doveva escogitare
qualcos’altro. Ebbe poi un’ispirazione: “Forse capisco. Sopporti perché, in
fondo, tutto ciò riguarda solo il corpo, la materia (che tanto disprezzi) e ti
dici che la sua anima sarà comunque solo tua. Beh, potresti avere una brutta
sorpresa.”
Ghignò nel
vedere Isaia sollevare lo sguardo, perplesso, verso di lui.
“La tua
fiamma ti ha mai parlato di Niklos? Non so se te lo
ricordi, è quello che mi ha impedito di farla fuori davanti ai tuoi occhi,
quando sei venuto con la tua combriccola a fare ambasceria.” rise al ricordo
“Beh, devi sapere che è a dir poco interessato a lei e parecchio intenzionato a
riprendersela, insieme al moccioso. Perché dico riprendersela? Semplice: i due si conoscono da molto tempo e sono stati insieme, in
passato. Un rapporto serio, profondo, completo.” sottolineò malignamente questi
tre aggettivi “Il padre del marmocchio è proprio Niklos
e non è affatto da escludere (anzi, credo sia più che certo) che tra i due
possa scoccare nuovamente la scintilla del romanticismo. Dopotutto, hanno sempre un figlio in comune e, in quanto padre, Niklos ha diritto di riavere il bambino e lei.” lo disse
con un tono di finta dolcezza “Lui si sta impegnando tantissimo per
riconquistarla, addirittura la difende, quando mi sente trattarla un po’ a male
parole. Quando, poi, giocano col piccolo, sembrano una vera coppia.” si chinò
su Isaia, per essere ben incisivo “La domanda che ti faccio è questa: vuoi
davvero perdere l'unica cosa che ti è rimasta? La tua resistenza è finita. I
tuoi alleati sono morti o si sono arresi alla realtà. Dov’è il tuo Dio? Non hai
più nulla, specie finché rimani ostinatamente attaccato alla tua cara morale.
Ormai, hai soltanto lei e, ricordatelo questo, perché stai rischiando di
tornare in quel dannato baratro di solitudine che ti sei costruito da solo per
anni.”
Isaia lo
fissò per qualche istante, deglutì anche, poi lasciò cadere il panno e il
lucido da scarpe e annunciò: “Ho finito.”
Gabriel lo
guardò malamente e gli disse sgarbatamente: “Bene, allora rimetti tutto nel
sacco. Subito!”
Rimase
imbronciato per quel paio di minuti che restò ancora, poi, mentre usciva, si
rilassò e disse: “Pensaci a modo a se vuoi che quella ragazzina sia tua o di Niklos.”
Isaia rimase
solo con quel pensiero, nonostante non lo desiderasse. Aveva ormai capito e
accettato il fatto di amarla. Aveva pure stabilito che ciò non avrebbe cambiato
la sua vita. Non poteva, quindi, pretendere che lei rinunciasse ad avere una
famiglia, una famiglia vera. Forse era meglio così, che lei ritornasse dal suo
primo compagno, che Giorgio avesse un padre. Sì, era giusto così.
Se era
giusto, allora perché lui non era contento? Perché si sentiva, in un certo
senso, tradito?
Tentò di
contattare telepaticamente la ragazza, ma ancora non vi riuscì. Perché? Che era
successo? Non capiva. Era confuso su molte cose al riguardo della giovane, ma
su una cosa era certo: lei lo amava, esattamente come lui amava lei.
Presto
sopraggiunse Gaslini, questa volta fece un’iniezione massiccia e se ne andò,
raccomandandosi con Isaia, affinché gli riferisse ciò che avrebbe visto. Il
prigioniero, però, non subì nessun effetto. Si disse che doveva esserci stato
un altro disguido con i sieri. Era certo fosse stata opera di Michela. Sì,
doveva essere per forza così. Nonostante fossero separati e non potessero
comunicare, erano vicinissimi; anzi, Isaia era certo che quella distanza e
ignoranza circa le reciproche sorti, li rendeva ancora più uniti di prima.
Rassicurato e
confortato in quel modo, il gesuita si stese a meditare e pregare.
Era assorto
in una delle meditazioni degli Esercizi
Spirituali; era una pratica riservata ai gesuiti più esperti,
consisteva nel ricreare nella propria mente, il palazzo di Dio. Ovviamente sapevano
che non era un palazzo vero, bensì tutti gli elementi architettonici, gli
elementi con cui era costruito, i numeri, erano solo simboli di virtù e
concetti. Visualizzato attentamente il palazzo, avvertendolo concreto anche al
tatto, dovevano entrarci e, arrivati in una certa sala, avrebbero dovuto aprire
una porta, dietro la quale sarebbe apparso un santo, o un defunto a parlare al
meditante. Non si sarebbe trattato di un dialogo, l’apparizioni si sarebbe
limitata a una frase illuminante.
Quella volta,
oltre la porta vide Samuele. Non era l’uomo vecchio, affaticato, guercio,
stravolto che Isaia aveva visto morire, bensì era giovane e senza età e
risplendeva.
Samuele guardò
con amorevole compassione il discepolo e gli disse, citando la lettera ai
Romani: “Lo stolto pensa: Non c’è Dio.
Sono corrotti, fanno cose abominevoli: nessuno più agisce bene. Tutti hanno
traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno. Non
invocano Dio: tremeranno di spavento, perché Dio è con la stirpe del giusto.
Volete confondere le speranze del misero, ma il Signore è il suo rifugio.” poi aggiunse un pezzo tratto dalla lettera agli Efesini: “Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande
gioia nei suoi comandamenti.”
Isaia avrebbe
voluto parlargli, ma sapeva che, se avesse aperto bocca, il suo maestro avrebbe
taciuto.
Samuele, poi,
parlò spontaneamente, senza citazioni: “Isaia, stai servendo bene il Signore,
la tua mente è libera e queste sofferenze non ti turbano. Molti chiederebbero a
Dio perché permette queste sofferenze, ma tu hai con te la saggezza che ti
permette di sapere che come agisce il Signore. Non c’è nulla per cui
apostrofarti; questa è la strada, persevera e che il tuo animo non venga meno.”
Poi tutto
svanì.
Il giorno
seguente, Gabriel fece la propria visita verso metà mattina. Entrò con aria un
po’ irritata, teneva in mano un paio di scarpe femminili e le gettò davanti ad
Isaia. Esordì: “Claudia non è affatto soddisfatta. Ha detto che non sono pulite
accuratamente. Vedi di rimediare e subito anche. Andrà a fare un giro con
Teresa e la tua pseudofidanzatina tra non più di
mezz’ora e vuole mettere proprio quelle scarpe, che sarebbero le sue preferite,
quindi mettici olio di gomito e fai in fretta!” Isaia scosse il capo e sospirò,
poi si mise a cercare il pannetto che aveva lasciato a terra il giorno prima.
Gabriel si
mise a ridere a chiese con finta curiosità: “Che stai facendo?”
“Prendo ciò
che serve per pulire?” nonostante la retoricità,
rimase pacato.
L’altro
scosse il capo, ghignando: “Ho dimenticato di dirti un dettaglio.” raccolse una
scarpa e la mise davanti bocca dell’amico “Devi usare la lingua, questa volta.
Lecca lo sporco.”
Isaia lo
guardò assai perplesso.
“Non mi dirai
che ti fa schifo?! Claudia è stata esplicita: Dì
a quell’incapace che dovrà usare la sua lingua biforcuta per ripulire le mie
scarpe.”
“Andiamo, non
se ne accorgerà.”
“Non mi
interessa.” fu irremovibile l’Eletto “Claudia ha espresso un desiderio e io lo
realizzerò.”
Isaia si
preoccupò, ma non per sé stesso, bensì per come ragionasse l’amico; tentò di
fargli capire: “Fratello, non puoi esaudire tutti i capricci di quella donna.
Non è amore,
questo, lo capisci?”
Gabriel rise
stupito e divertito: “Ma che dici? È la mia donna e la amo alla follia, quindi,
sì, posso esaudire ogni suo capriccio, piccolo o grande che sia.”
“Ne sei
proprio sicuro?”
L’Eletto
ghignò e allargò le braccia: “Ehi, ora che me lo posso permettere, non vedo per
quale motivo dovrei negarle ciò che vuole. Voglio che sia felice, voglio
vederla sorridere in ogni momento e io farò tutto ciò che vuole. In passato,
per colpa del colletto bianco, l’ho fatta soffrire, ma non accadrà mai più, la renderò
felice ad ogni costo.” il suo volto era illuminato dalla gioia dell’amore; poi
come confuso, domandò: “Tu non faresti lo stesso per la tua Michela?”
“No, Gabriel,
ma questo lo capisce benissimo anche lei, senza bisogno di dirglielo. Per di
più non mi chiederebbe mai cose tanto assurde.”
“Oh, certo,
dimenticavo che la tua ragazza è una fastidiosissima So-Tutto-Io ...”
Isaia si alzò
e si avvicinò tranquillamente all’amico, dicendo flemmaticamente: “Il punto è
che non si può avere tutto. Devi iniziare a...”
Alla parola devi, Gabriel lo
allontanò, spintonandolo bruscamente, facendogli quasi perdere l'equilibrio;
gli ringhiò: “Devo?? Cosa? Non devo proprio un accidente, Isaia. Sono io che comando e sono sempre io
a decidere se e quante volte voglio assecondare Claudia, senza che ci metta
bocca tu con quel tuo dannatissimo perbenismo da due soldi.” era
arrabbiatissimo “E non provare a fare il sapientone anche in materia d'amore,
perché non sai nulla al riguardo. Aggiungo, poi, un dato fondamentale: non
l'hai mai provato.” mostrò un briciolo di calma “Fossi in te, starei
muto. Adesso, mi pulisci bene quelle scarpe, dannazione? Ho aspettato fin
troppo tempo!”
Indicò le
scarpe a terra, poi ne prese una la mise nuovamente davanti alla bocca
dell’amico e lo esortò: “Forza, pulisci. Dai, fuori la lingua!”
Isaia con la
solita rassegnazione, unita al disgusto, ma senza rabbia; afferrò la prima
scarpa e iniziò a leccarla, poi fece altrettanto con la seconda. Per tutto il
tempo non staccò gli occhi da Gabriel che lo osservava compiaciuto. Finita
l’operazione, l’Eletto prese le scarpe, le osservò, parve soddisfatto ed
esclamò: “Ooooh, adesso si ragiona! Vedi che se
t'impegni ottieni risultati? E bravo Isaino!” gli
scompigliò i capelli, poi si fece severo: “Non provare mai più a dirmi cosa
devo o non devo fare, sei avvisato!”
Se ne andò
contento alla porta, dopo averla chiusa, si affacciò alla guardiola e disse:
“C’è una questione che mi devi spiegare. Porto le scarpe a Claudia e poi torno
subito: aspettami qui!”
Isaia alzò
gli occhi al Cielo e iniziò a domandarsi se ci fosse davvero una qualche
possibilità di salvare Gabriel.
Antinori
ritornò davvero dopo una decina di minuti. Si era portato una sedia, la posizionò
davanti al prigioniero e ci si sedette sopra al contrario, tenendo le braccia
incrociate sullo schienale. Fissò per un po’ l’amico senza dire nulla finché,
d’improvviso, proruppe: “Mi spieghi come accidenti fai?”
“Di che
parli?” si meravigliò Isaia.
Il tono di
Gabriel era un misto di emozioni confuse: rabbia, perplessità, disprezzo,
dispiacere, incredulità: “Parlo del tuo modo di essere, ecco di cosa. In tanti
anni che ti conosco, non ti ho mai, e ripeto mai, visto veramente furioso, nemmeno quando qualcuno ti trattava da
schifo. Nemmeno quando io, il tuo migliore amico, ti ho accusato di pensare
solo al Direttorio e non a me e, nel migliore dei casi, ti facevo le peggio
battute. Può essere che non ti salga l'ira più assoluta quando qualcuno ti
calpesta? Come prima, per esempio, quando ti ho fatto leccare quelle scarpe!
... Perché non ti sei alzato e non mi hai preso a schiaffi? Non hai un benché
minimo briciolo d'orgoglio e rispetto per te stesso? Dovresti far paura a chi
ti secca e infastidisce! Guardati: il fisico non ti manca e poi ora sai
brandire una spada; perché ti sottometti, invece di reagire e pretendere ciò
che ti spetta? Il rispetto innanzitutto!”
“Non è con la
sopraffazione e la prevaricazione che si ottiene il bene. Non è questo ciò in cui
credo.”
Gabriel
scosse il capo e anche con l’indice negò.
“No, no! Il
tuo più grande difetto, lo sai benissimo, è che sei troppo mite, amico mio.
Vergognosamente mite!” rise “Questo perché? Per le catene che continui a
portarti dietro. Tu vorresti reagire. Tu vorresti rendere pan per focaccia.
Senti però il peso del moralismo che ti paralizza. Ti disprezzi per questo, lo
odi. Lasci che gli altri ti calpestino perché sai di meritarlo e vorresti farlo
tu stesso. Devi liberarti, Isaia, se vuoi vivere davvero. Guarda me: io sono
rinato, e sono più che sicuro che dirai la stessa cosa anche tu, una volta
riuscitoci.”
“L’unica
rinascita che mi interessa è quella a vita eterna, presso Dio.”
Gabriel tornò
ad infuriarsi: “E va bene, visto che non vuoi comportarti da uomo, continuerai
a fare il cane ed essere trattato come tale. Sì, perché solo i cani, e neppure
tutti, sono così stupidi da farsi bastonare e non reagire. Hai sbagliato ad
entrare nei gesuiti, dovevi stare coi domeni-cani. Sei un cane, per il momento,
e, finché non ti deciderai a cambiare, ti tratterò come tale.” andò alla porta
e salutò: “A presto, cane!”
Il resto
della giornata e anche il dì seguente, Isaia rimase sotto la custodia e le
sperimentazioni di Gaslini che ripeté il metodo delle piccole e varie
somministrazioni, lui presente.
Furono ore
molto difficili per Isaia, si sentiva devastato, sia mentalmente che
fisicamente. I dolori e le allucinazioni che aveva erano terribili. Si sentiva
impotente, sopraffatto, stava malissimo.
Il secondo
giorno, l’Alchimista si ritirò intorno alle diciassette. Isaia ebbe così modo
di riprendersi un poco prima di cena e quando gli arrivò il piatto con un poco
di riso scondito, riuscì a mangiarlo, senza che le mani gli tremassero
eccessivamente e gli facessero uscire il poco cibo dal piatto.
Sperò di
passare una notte migliore della precedente, durante la quale si era svegliato
scosso da brividi di freddo che sembravano spasmi.
Si stupì
quando vide la porta aprirsi e Gabriel entrare. Scorse un’altra figura dietro
di lui, era famigliare, ma non fece in tempo a metterla a fuoco, poiché rimase
fuori e l’uscio venne richiuso.
“Buonasera,
cane! Piaciuta la cena?” rise, poi si piazzò davanti al prigioniero e gli
annunciò: “Sono venuto per metterti al corrente di una notizia alquanto
incresciosa... Oddio, dipende dai punti di vista. Per noi non lo è, ma andiamo
al nocciolo: il tuo impavido discepolo ha finalmente deciso di schierarsi dalla
giusta fazione. A quanto pare, sei il solo a credere ancora in quella falsa
morale; perfino quel povero ragazzo, a cui hai riempito la testa delle tue vane
ciance per anni, alla fine ha capito quale sia la verità!”
Isaia guardò
il vuoto, affranto. Non era tanto il sentirsi tradito, né la perdita di un
appoggio dall’esterno, né l’avere un nuovo temibile avversario; era
semplicemente il dispiacere per l’anima di Sebastiano, il vederlo corrotto dal
male, così sordo alla grazia di Dio. Ecco questo gli faceva male: un amico che
si perdeva. Chiuse gli occhi.
“Ammettilo,
Isaia: un talento nel combattimento come lui era sprecato nelle tue fila. Nel
nostro esercito sarà più che valorizzato. Ah, ho voluto portarlo con me,
pensando che avresti voluto vederlo. Entra pure, Sebastiano.” sfoggiò uno dei
suoi ghigni più terribili.
La porta si
aprì ed entrò la seconda figura: proprio Sebastiano, coi suoi riccioli d’oro.
Isaia guardò
il giovane e il suo sguardo divenne triste e deluso. Con tono pacato, ma
incapace di nascondere completamente il dolore, domandò: “Perché? Dimmi almeno
questo!”
Sebastiano,
con sguardo affranto, gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, mi ascolti: è la
scelta più logica da fare. Solo così possiamo sopravvivere. La prego, mi dia
retta. La faranno uscire da questo postaccio se passa dalla nostra parte. Qui
dentro rischia solo la salute e la vita. Pensi che cosa potremmo fare per il
mondo: se noi avremo il potere, potremo migliorarlo, non crede?”
Isaia scosse
il capo e disse solo: “Sono contento di vederti così perfettamente guarito in
pochissimi giorni.”
Sebastiano lo
guardò tristemente.
Gabriel
approfittò del silenzio che si era creato, per dire: “Ora dovresti sapere come
ci si sente ad essere traditi, bastardo. È la stessa cosa che ho provato io
vedendoti insieme a quel pazzo di Vargas, o quando ho
scoperto che avevi ricattato Pietro per le foto!”
Isaia non ce
la fece a rispondere in nessuna maniera. Era troppo. Troppo.
Dal momento
che nessuno parlava, Antinori decise di chiudere la breve visita: “Beh, direi
che è tutto. Andiamo, Sebastiano, devo presentarti ancora a tutti gli
ufficiali. Saranno onorati di averti tra loro.”
Si erano
incamminati verso l’uscita, Gabriel si voltò verso Isaia, il quale si teneva la
testa tra le mani, e gli augurò, ironicamente: “Sogni d'oro, maestro.” scoppiò a
ridere e se ne andò, seguito dal ragazzo.
Rimasto solo,
Isaia si concedette di sfogare un po’ di rabbia. Strinse i pugni e li batté contro la parete: tutto tremò. Stava soffrendo. Vedere quanto
fosse forte il male lo aveva tremendamente scosso. Come poteva esserci speranza
per la bontà in questo mondo?
Lui,
tuttavia, avrebbe resistito; anche a costo di rimanere l’unico servo di Dio
sulla faccia della Terra, lui non avrebbe mai seguito le regole del male.
Note dell’Autrice.
Innanzitutto grazie a tutti i miei lettori. Il mio ego è molto felice e
ringrazia a propria volta ^.^
Un grazie speciale ad Alex Piton (che mi sono
scordata di ringraziare nei capitoli precedenti) che mi aiuta a gestire la
versione oscura di Gabriel.
Per quanto riguarda questo capitolo, chiedo venia per la lunghezza e forse
monotonia, ma era necessario per sottolineare la pesantezza della situazione in
cui vessa Isaia.
Spero che le scene un po’ più aspre circa le umiliazioni (sia qui che
nei capitoli precedenti) non abbiano turbato nessuno. Questo sarà l’andamento
(anzi, peggiorerà) per i prossimi due capitoli, credo, per cui se volete che smorzi
un po’ il tiro, fatemelo sapere. Per ora ho assunto questi toni, perché mi
pareva logico sottolineare la malvagità: insomma, anche se abbiamo visto poco
il Gabriel oscuro nella serie tv, non credo agirebbe in maniera più tenera.
Erano
ormai dieci giorni che Michela alloggiava presso i conquistatori. Il pensiero
che più le arrovellava la mente era se Bonifacio le avesse mentito o meno la
prima sera che era arrivata. Per convincerla a rimanere, l’uomo le aveva detto
che lei era rimasta incinta; ma era vero? Oh, lei si era convinta che lo fosse,
sentiva che non era una bugia. Comunque ancora non ne poteva avere la certezza;
mancavano ancora una decina di giorni, prima che le dovesse venire il mestruo,
per cui doveva ancora aspettare un poco, prima di saperlo.
Avendo
sconfitto gli oppositori, Gabriel aveva iniziato a progettare l’espansione del
suo dominio. Su richiesta di Claudia, aveva facilmente conquistato Ostia e la costa,
per poter avere a disposizione il mare, dove rilassarsi un po’ finché era
estate. Iniziarono poi a rivolgere le proprie mire verso la Campania.
Gabriel,
tuttavia, stava mandando avanti i suoi ufficiali, lui voleva rimanere di base a
Roma almeno finché Isaia non fosse passato dalla sua parte.
Michela
cercava di evitare il più possibile di incrociare l’Eletto; lo vedeva ai pasti
poiché obbligata, ma poi cercava sempre di stargli alla larga. Fatta eccezione
per quando Claudia e Teresa la invitavano ad intrattenersi con loro, la ragazza
per lo più o giocava con Giorgio, oppure di nascosto si aggirava per la città a
dare una mano, per quel che le fosse possibile, alla povera gente. Un paio di
volte, però, Gabriel l’aveva sorpresa intenta in ciò e … beh non era stato
piacevole.
Un’altra
attività che portava avanti clandestinamente era di parlare coi propri cugini.
Non che parlare con loro le fosse vietato, il problema era ciò che spiegava
loro e presto lo scoprì.
Un
pomeriggio era in un giardino coi cuginetti un po’ più grandi, quelli che
avevano già più di dieci anni e avevano la sciarpa azzurra. Erano seduti in
cerchio, formazione basilare per creare una catena di flussi astrali, e la
ragazza parlava tranquillamente, non come se stesse insegnando, ma semplicemente
stesse chiacchierando: “Qualcuno di voi sa dirmi che cosa significa L.·.D.·.P.·.?”
Intanto,
con un pennarello, aveva disegnato, su una lavagnetta bianca, le tre lettere
disposte a triangolo con la L e la D alla base.
“Libertà
di passare!”
“Libertà
di parola!”
“Libertà
di pensare!”
Furono
le voci che si alzarono trai ragazzini.
“Nì. Vogliono dire anche queste cose, ma il loro vero
significato è diverso: Libertà, Dovere, Potere. Qualcuno intuisce perché li
abbia scritti così?”
“Perché
il potere si deve poggiare sulla libertà e il dovere?” disse una dodicenne.
“Bravissima!
Ricordate: l’Uno è sempre un ternario, in cui il terzo elemento è sempre dato
dalla cooperazione dei due elementi del binario.” guardò i cugini più grandi,
quelli che avevano già sui diciotto anni “Qualcuno di voi ha già studiato Hegel? Tenete sempre ben a mente il suo concetto di tesi,
antitesi e tesi.”
“Come
possono collaborare e essere sullo stesso piano libertà e dovere?” chiese uno
dei cugini.
“Se
non si è liberi, non si può fare il proprio dovere.” spiegò Michela “So che, da
quando siete qui, sentite parlare sempre di libertà, ma vi stanno mentendo.
Questa libertà obbligatoria, non è affatto Libertà. La libertà non è fare tutto
ciò che si vuole, ma non dipendere da nulla. Il piacere non deve essere il
vostro fine: tutto in questo mondo è vacuo, inconsistente.”
“Cantiamo
la canzone della vanità?” chiese uno dei bambini e si aggregarono a quella
richiesta anche gli altri.
La
ragazza sorrise e assieme si misero a cantare Vanità di vanità, di
Branduardi.
Gabriel
stava passando da quelle parti, vedendo quel gruppetto e che lì in mezzo c’era
Michela, decise di avvicinarsi per vedere quel che stava accadendo; arrivò a
portata d’orecchio, quando c’era la strofa: tutto è vanità, solo vanità,
lodate il Signore con umiltà, a lui date tutto l’amore, tutto il resto è
vanità!
“Se
per Signore, vi riferite a me, allora continuate pure, altrimenti chiudete il
becco.” interruppe bruscamente Gabriel.
I ragazzini si zittirono immediatamente: avevano
paura dell’Eletto.
Michela, invece, con cipiglio fiero, replicò: “Sto
chiacchierando coi miei cugini e stiamo cantando una canzone che cantavamo
sempre con la nostra famiglia.”
“E quello schemino lì?”
accennò alla lavagna, era irritato “Strega, non provare a fare il lavaggio del
cervello a questi bambini con le tue stupide idee da schiavi. Non pensi al loro
bene? Credi che sia una buona idea rendermeli avversi?”
La ragazza rimase calma, nel dire: “Non sto
cercando di metterli contro di te; semplicemente, ricordo loro qual è la via
che segue la nostra famiglia.”
“Beh, stai solo sprecando le tue energie e il tuo
tempo, perché a loro non interessa. Fossi in te, piuttosto, mi ricorderei che,
giù nei sotterranei, è imprigionato il tuo caro Templare. Se non inizi a rigare
dritto, ragazzina, le condizioni di Isaia potrebbero peggiorare di gran lunga.
Devi sapere che il cibo che gli viene dato non è altro che avanzi. Ovviamente
c'è anche l'acqua, ma è sempre poca. Ecco, se non abbassi la cresta, gli toglierò
entrambe le cose a partire da oggi, e ordinerò al buon Gaslini di
somministrargli dosi più massicce dei suoi cocktail di psicofarmaci che crea di
solito.” la vide già fremere e decise di rincarare la dose: “Per quanto
riguarda il moccioso, invece, potrei anche dire a Niklos
di non farti avvicinare mai più al bambino. Potrai vederlo solo usando un
telescopio, mi spiego? E questo perché sono di buon umore.” ghignò.
Michela era furiosa! Non solo per le minacce, ma
pure per il divieto di poter parlare, praticamente e tutto l’insieme di quei
giorni. Si lasciò offuscare dall’ira per qualche momento e, prima ancora di
accorgersene, aveva portato una mano al piede, si era tolta una scarpa e
l’aveva tirata verso Gabriel.
L’uomo la schivò senza difficoltà e si mise a
ridere per la pateticità del gesto; ma poi, di colpo, tornò serio.
“Oh, vuoi la guerra, quindi!”
Gabriel mise le mani l’una di fronte all’altra e
creò la sfera di fuoco elettrizzato. Non aveva davvero intenzione di usare quel
potere, al massimo una breve scarica per fare un po’ male e un po’ paura; si
sarebbe moderato.
Non appena, però, alzò gli occhi verso la ragazza,
ebbe un sussultò si stupore: anche lei aveva una strana sfera tra le mani,
quella era di acqua elettrizzata.
“Ma che...?” era basito.
Michela non gli permise di aggiungere altro, al
momento, tuonando: “Le vedi le loro sciarpe azzurre? La vedi la mia sciarpa
rossa? Sai cosa significa? Significa che io e soltanto io ho il diritto e il
dovere di insegnare qualcosa a questi ragazzi. Né tu, né Bonifacio, né nessun
altro potete avanzare pretese su di loro. Sono quel che rimane della mia
famiglia e sono mia responsabilità. Ora non disturbare le mie lezioni o ti
trasformerò in un galletto e ti ritroverai a beccare chicchi di grano turco in men che non si dica!”
Gabriel la guardò con odio, ma poi scoppiò a ridere
e disse: “A chi credi di far paura, santarellina? Piantala, per favore; tanto,
non hai il coraggio di lanciarla!”
“Vogliamo scoprirlo?”
“D’accordo. Io, però, miro ai tuoi cuginetti.”
inclinò le braccia verso i ragazzini più vicini.
Michela, che aveva placato la propria rabbia, fece
svanire la sfera, ma non smise di guardare severamente l’Eletto.
Gabriel, tuttavia, anche se non lo dava a vedere,
era un po’ agitato, perché aveva intuito che la ragazza avesse usato un potere
simile al suo; le chiese: “A parte gli scherzi, cos'era quella roba?”
Michela si stupì per quella domanda, poi abbozzò un
sorrisetto e chiese: “Ma come? Bonifacio non ti ha spiegato?”
“Cosa?”
“Che anche se sei l’Eletto, non sei proprio unico.”
“Come osi?!” sbottò lui “Bonifacio ha detto che
Isaia può essere quasi mio pari, nessun altro può …”
“Lascia che ti spieghi una cosa.”
Michela pulì la lavagnetta e tracciò le quattro sephirot che si personificano e le due risultanti, poi
illustrò velocemente e senza omettere nulla, nemmeno i nomi delle altre
incarnazioni delle sephirot.
“No! non è possibile!” Gabriel era furioso “Non è
vero, stai mentendo, sporca megera! Io sono unico, io sono l’Eletto! Il potere
è mio e di nessun’altro. Tu hai la sfacciataggine di dire una bugia simile!”
“Mi spiace deluderti, ma non è come pensi tu.”
provava un certo gusto nel vederlo così arrabbiato dall’infrangersi della sua
illusione; forse, adesso, si sarebbe sentito un po’ meno onnipotente.
Gabriel, invece, era di tutt’altro avviso. Le si
avvicinò minaccioso e sibilò: “Attenta: stai firmando la condanna a morte del
tuo fidanzatino e dei tuoi cuginetti, qui. Guarda, sono perfettamente a portata
di saetta.” protese verso i ragazzini la mano con le scintille attorno “Basta
un breve elettroshock. Niente d'impegnativo.”
I bambini, terrorizzati, si strinsero ai fianchi e
dietro alla loro cugina maggiore che allungò le braccia ai lati, come per
proteggerli.
L’Eletto continuò a guardarla minacciosamente con
gli occhi di brace.
Lei sostenne lo sguardo per qualche secondo, poi si
arrese e, rassegnata, chinò la testa.
Gabriel sorrise e quasi dolcemente le ordinò: “Ora,
da brava, ripeti: Scusa, Gabriel.” attese qualche secondo in cui ci fu silenzio “Allora?!”
Michela, quella volta, faticò parecchio a
sottomettersi: erano presenti i suoi cugini peri quali avrebbe dovuto essere
una guida, un riferimento; ma alla fine era per il loro bene, guardando altrove
disse: “Scusa, Gabriel.”
“Per aver osato
paragonarmi a te, quando io sono nettamente inferiore, anzi, una nullità.”
La ragazza, sentendosi addosso gli sguardi dei
cuginetti, chiuse gli occhi per la vergogna, nel ripetere: “Per aver osato
paragonarmi a te ... quando io sono nettamente inferiore...”
“Manca un pezzo.”
Lei soffiò dal naso e aggiunse: “Anzi, una
nullità.”
“Oh, no, così non vale!” disse Gabriel,
sogghignando e scuotendo la testa “Devi ripeterla tutta intera! Lo scopo è di
insegnarti la lezione, sciacquetta. Così non funziona. Avanti, ripeti tutta la
frase.”
Michela fremette di rabbia, nonostante tutto, non
si era ancora sentita così umiliata: “Scusa, Gabriel, per aver osato
paragonarmi a te, quando io sono nettamente inferiore, anzi, una nullità.”
“Molto bene!” si compiacque Gabriel, dicendolo come
se si stesse complimentando con uno studente per una corretta risposta;
comunque non gli bastava: “E per averti
tirato la scarpa.”
“E per averti tirato la scarpa.”
Gabriel decise che quell’impudente doveva essere
addomesticata ulteriormente: “Devo anche
ringraziarti per aver risparmiato i miei cuginetti...”
“Devo anche ringraziarti per aver risparmiato i
miei cuginetti...”
“...e Isaia,
continuando a dargli cibo ed acqua tutti i giorni.”
“...e Isaia, continuando a dargli cibo ed acqua
tutti i giorni.” Michela sperò vivamente che finalmente la sua umiliazione
fosse finita.
Gabriel annuì, sorrise, la guardò malignamente e
disse: “Bene, ora vieni con me: ti porto da Stefano. Sarà contentissimo di
vederti!”
La ragazza ebbe un sobbalzo, si impaurì e cercò di
mantenere la fermezza, nel protestare: “No … no, te lo puoi scordare. Inventati
qualcos’altro, ma questo no!”
“Devo trascinarti per i capelli?” ringhiò Gabriel,
poi la prese per i vestiti e la spinse davanti a sé “Andiamo e sbrigati!”
Michela avanzò, aspettò che si fossero allontanati
dei cuginetti, quando furono dentro a un palazzo, tentò di nuovo di protestare.
Era preoccupatissima e cercò di difendersi: “Gabriel, per favore, ascoltami:
ammetto di aver sbagliato, ma non è certo questa, la punizione che merito.
L’altra volta avevo fatto ben peggio! Suvvia, tre giorni fa, mancava poco che
Stefano mi spogliasse completamente.”
Gabriel si fermò e scoppiò a ridere; quand’ebbe
finito, ancora piuttosto divertito, le disse: “Non mi verrai a dire che non ti
è piaciuto, puttanella! E poi la colpa è pure di Isaia, che preferisce starsene
in prigione, piuttosto che con te. Sentirai la sua mancanza, immagino … Io ti
sto solo permettendo di...” trattenne la risata “ … colmare il vuoto, se mi
permetti la metafora.” riprese a spintonarla e a procedere.
La ragazza non voleva perdere le speranze, per cui
insisté: “Gabriel, ti prego! Stefano, ormai, pretende ben più che una
spagnola!”
Gabriel, insensibile a quelle suppliche, commentò:
“Beh, penso che sia il momento di accontentarlo. In fondo, questa potrebbe
essere l’ultima occasione di Stefano, con te. Ormai Isaia è in procinto di
liberarsi, presto tornerà ad essere il mio degno amico e, allora, io mi
libererò finalmente di te e sarà affar suo, tenerti in riga.”
Lei tentò ancora d fargli cambiare idea, ma fu
inutile; anzi, probabilmente Gabriel era pure compiaciuto nel sentirla
pregarlo.
Arrivarono alla porta della stanza di Stefano,
l’Eletto bussò e il giovane aprì. Appena vide il proprio maestro, Stefano
esordì: “Gabriel, dimmi tutto!”
“Guarda chi c'è!” annunciò l’uomo, spintonando la
ragazza dentro la stanza “Divertiti pure!” ghignò “Non la voglio vedere fino
alla grigliata in programma per domani sera, quindi tienila qua dentro. Per
questi due giorni è tutta tua. Tutta. Nessuna parte esclusa. Fa qualsiasi cosa
ti passi per la testa.”
Stefano stava già squadrando la ragazza, con gli
occhi verdi che rivelavano la sua bramosia; annuì: “Sì. Ho molte idee, devo
solo decidere da quale iniziare.” si avvicinò a lei, l’accarezzò e le disse:
“Ci divertiremo in questi due giorni … per lo meno io.”
Gabriel esclamò: “Ah, giusto, se provi a mettere in
pratica quella fantasia di cui mi hai parlato, quella della panna montata sulle
tette, fammi sapere com’è, che poi voglio provarci pure io con Claudia!”fece per andarsene, ma sì ricordò di una
cosa: “Se lei dovesse crearti dei problemi, fosse anche solo non essere
abbastanza calorosa, me lo riferirai, che prenderò provvedimenti.” lanciò un’occhiataccia
minatoria alla ragazza e se ne andò.
Gabriel aveva voluto punire soprattutto la
sfrontatezza della ragazza, l’ardire di voler contraddire la sua dottrina
all’interno del suo stesso palazzo!
Comunque era rimasto impressionato dalla sfera
d’acqua elettrizzata che le aveva visto generare e anche il discorso sulle sephirot lo aveva turbato. Non era davvero convinto che lei
avesse mentito. Effettivamente Bonifacio non era stato molto chiaro circa la
posizione e il ruolo di Isaia. Gli venne allora in mente un altro discorso di
Serventi: a ben pensarci, effettivamente, gli aveva detto che era necessario
gli fossero votati tutti e quattro. Certo, però, non aveva immaginato volesse
equiparare a lui anche gli altri tre!
Decise quindi di andare da Bonifacio a chiedere
spiegazioni, ma incrociò Claudia che gli chiese di andarle a procurare una
torta gelato al gianduia per quella sera; Gabriel allora decise di rimandare le
domande a Serventi a quella sera e uscì per cercare ciò che la psicologa gli
aveva chiesto.
A cena, un po’ contro voglia, Bonifacio confermò le
parole della ragazza e Gabriel rimase un po’ confuso: credeva di essere il più
forte e di non poter avere concorrenti … Ora capiva perché Serventi insisteva
tanto sulla necessità di convertire anche Isaia e la ragazzetta.
Claudia era invece entusiasta, chiedeva: “Quindi anch’io
ho dei poteri?! Posso infondere o revocare capacità e talenti? Ma è
straordinario! E poi giocare con la psiche della gente” le brillavano gli occhi
per la contentezza “Ecco perché ho sempre adorato la psicologia e il mio
mestiere.”
Claudia era decisamente felice per quella scoperta,
si voltò verso Gabriel e gli chiese: “Amore, abbiamo dei prigionieri su cui
posso sperimentare i miei poteri?”
“No, lo sai che li oppositori o li uccido o li
demonizzo. Domani pomeriggio, però, torna Davide dagli avamposti verso la
Campania, sicuramente porterà qualche testa calda che ha creato problemi,
potrai esercitarti con loro.”
“Ma io voglio provare già stasera!” si lagnò la
psicologa.
“D’accordo, allora vado a fare due passi: qualche
contravventore lo troverò di certo.”
“Grazie, Gabriel, ti amo!”
“Oh, lo sai che per te farei qualsiasi cosa!”
E si scambiarono un lungo bacio.
Il mattino seguente, Gabriel si recò nelle prigioni
a trovare Isaia, portava con se un pacchetto regalo. Sembrava piuttosto
esuberante; era evidente che aveva escogitato qualcosa che non vedeva l’ora di
mettere in atto.
“Buongiorno, cane! Sai, essendo molto di buon
umore, oggi, ho pensato che, forse, ti sarebbe piaciuto un piccolo pensierino
da parte del tuo caro fratello. Ho quindi pensato di farti un regalino.” agitò a
mezz’aria il pacchetto “Essendo tu un essere d'intelligenza notevole, avrai
sicuramente intuito cosa c'è qui dentro.”
Isaia lo guardò di sbieco ma non disse nulla. Gabriel
gli mise in mano il regalo.
“Dai, scartalo, voglio vedere la tua faccia: sono
certo ti piacerà!”
Il prigioniero sospirò, aprì il pacchetto e tirò
fuori il regalo: un collare nero, altro tre dita, con una targhetta circolare
con inciso il suo nome.
Isaia rimase a guardarlo e non disse nulla.
“Bello, eh?” chiese Gabriel, con tono soddisfatto “Vale
un sacco di soldi solo per la targa, credo. Tanto io non l’ho pagato nulla:
quel che voglio, lo prendo.”
L’altro rimase imperturbabile.
Vedendo l’altro tranquillo, l’Eletto continuò a
provocarlo: “Davvero non c'avevi pensato!? Strano. Per uno molto acuto come te,
era impossibile non arrivarci! Beh, non lo provi, non vuoi vedere come ti sta?”
Isaia, senza battere ciglio, se lo mise attorno al
collo.
Gabriel fremette: possibile che neppure quello
servisse a scuotere il suo amico? La sua calma gli dava sui nervi.
Decise di insistere: “Pensavo di procurarmi anche
il guinzaglio abbinato, ma credevo fosse meglio aspettare che ti fossi abituato
al collare, ma vedo che non ti dà fastidio, quindi, forse, già domani ...”
Osservò la reazione del prigioniero, ma non ci fu,
allora aggiunse: “Diavolo! Volevo prenderti l'osso di gomma, ecco cosa mi ero
scordato! Pazienza, poco male, stasera ci sarà una bella grigliata, ti terrò da
parte qualche osso vero da spolpare domani. Contento?”
Isaia rimaneva muto, il volto tranquillo, senza che
nessuna espressione lo alterasse. Gabriel si infuriò e prese ad urlare: “Beh,
non dici nulla? Un Grazie, Gabriel sarebbe gradito, per esempio. ti faccio un regalo e tu te ne resti lì,
zitto! Ami tanto le buone maniere, usale, no? Stronzo...!! Forse, quel tipo di
collare non rientra nel tuo genere? Ne volevi uno più elegante?”
A quel punto, Isaia non poté fare a meno di scoppiare
a ridere.
Gabriel lo guardò stupefatto e chiese, basito (e
forse un poco preoccupato): “Che ti prende? Sei impazzito?”
“No, assolutamente.” rispose Isaia, ricomponendosi “È
divertente! Tu vieni qui a provocare me e, invece, sei sempre tu quello che si
arrabbia e ci sta male.”
Gabriel fremette, era furioso: non sopportava tutto
ciò! Perché le umiliazioni non servivano? Perché continuava ad essere
tranquillo?
Era sicuramente un trucco, una facciata: si
comportava così per non dargli soddisfazioni, ma in realtà soffriva; ne era
certo! Oppure, appunto, il dolore e l’umiliazione avevano già corrotto la sua
mente, al punto di farlo blaterare!
Sì, doveva essere per forza di cose così. Quella
era l’ultima disperata difesa, prima di crollare.
Gabriel si avvicinò pericolosamente ad Isaia,
seduto per terra, con una mano gli prese la testa e tirò i capelli
all'indietro; poi, dall’alto lo guardò negli occhi e lo avvertì: “Sappi che questo
tuo atteggiamento mi sta facendo imbestialire e non poco! Se non vuoi che
utilizzi metodi ancor più umilianti (come pisciarti addosso, ad esempio), ti
conviene collaborare o la tua insignificante vita da ratto di biblioteca la
passerai in questa lurida cella, torturato e umiliato a seconda del mio umore. Quando
sarò nervoso o irritato, verrò qui e me la prenderò con te.”
Si alzò e
andò verso la porta, per uscire. Sentì allora, alle proprie spalle, la voce di
Isaia dire: “Gabriel, grazie.”
“Ecco, bravo.” replicò l’Eletto, fermandosi e
accennando col capo.
Isaia proseguì: “Capisco che, nella tua mente
contorta, tutto questo lo stai facendo per quello che credi essere il mio bene.
Nell’inganno, pensi di aver trovato il meglio e, per amicizia, lo vuoi
condividere con me. Pensi di essere felice e vuoiche anch’io lo sia, diventando come te.
Paradossalmente, tutto queste torture e umiliazioni me le stai facendo per
affetto, come potrei non apprezzare?”
Gabriel fremette, ma questa volta non per rabbia,
ma per dolore: se il suo amico lo capiva, allora perché non gli dava retta? Perché
preferiva stare lì, anziché con lui?
Represse il dispiacere, si voltò verso di lui e
chiese con alcuni accenti di rabbia: “Allora, se apprezzi, potresti anche
essere così gentile da mandarmi un dannato segnale che mi faccia capire che ciò
che faccio per te è ben accolto? Ti è così dannatamente difficile?”
Isaia si alzò in piedi, si avvicinò all’amico e lo
abbracciò, mormorandogli all’orecchio: “Mi dispiace per te, fratello.”
Gabriel era incredulo e furioso, si ritrasse dall’abbraccio
e urlò: “Come sarebbe a dire che ti dispiace per me?! Sei prigioniero,
torturato, umiliato, lasciato alla fame e dici che ti dispiace per me? Gaslini
deve averti somministrato roba forte!”
“No, Gabriel, sono lucidissimo. Guardaci: io sono
sereno, tu furioso. Non dovrebbe essere il contrario, nei tuoi piani? La realtà
è che il male non può tangere il bene e si riduce col ferire sé stesso.”
Gabriel fissò l’amico con uno sguardo che tradiva
tutte le sue emozioni di rabbia, sofferenza, nervosismo, odio (diretto a chi?)
e altro ancora.
Provò a dire qualcosa ma non ci riuscì, si voltò e
se ne andò alla svelta, sforzandosi di non piangere.
La
grande grigliata era stata organizzata e allestita nel cortile più grande del
Vaticano ed erano stati invitati tutti coloro che fossero dotati di poteri,
doveva essere una grande festa. Erano presenti su per giù duecento persone. La
carne cuoceva su cinque barbecue diversi e se ne occupavano Davide, Marco e
alcuni altri di quegli uomini, che ritenevano un vero rilassamento pensare alla
griglia. Erano stati poi reclutati alcuni cittadini comuni per fare da
camerieri; i volontari per questo lavoretto erano stati molti, poiché avrebbero
potuto mangiare a propria volta e portare a casa gli avanzi.
C’erano
lunghe tavolate, ma gli invitati non erano seduti attorno ad esse, bensì
stavano in piedi, giravano, chiacchieravano tra loro, si divertivano e, quando
ne avevano voglia, si sedevano a mangiare qualcosa e poi di nuovo in mezzo alla
festa. Ovviamente la birra scorreva a fiumi ed era stato allestito un impianto
audio per la musica.
I
vertici e lo stato maggiore di quella società, erano in uno spazio del cortile
riservato per loro. Erano circa le otto di sera, la festa era all’inizio.
Gabriel e Claudia, in quel momento, erano seduti ad un tavolino e ricevevano
gli omaggi degli invitati che arrivavano; una cerimonia che richiese una
mezz’ora abbondante. Tra gli ultimi arrivati ci furono Stefano e Michela. Il
ragazzo si giustificò col maestro: “Perdona il ritardo, Gabriel, ma stavamo
finendo un giochino e, poi, ho voluto che lei indossasse un abito adeguato alla
situazione.”
Stefano
accennò verso la ragazza che vestiva un abito blu, lungo, con una scollatura a
vu e uno spacco altissimo. Lei aveva lo sguardo basso, un’espressione triste,
si avvertiva il senso di vergogna, umiliazione e amarezza che provava
“Hai
fatto benissimo!” lo tranquillizzò Gabriel, poi ordinò a lei: “Ehi, tu, vedi di
sorridere e di dimostrare la tua contentezza nel poter far compagnia a
Stefano.”
Claudia,
provando solidarietà verso la giovane, chiese: “Amore, non la costringerai mica
a passare anche tutta questa serata assieme al tuo discepolo, spero.”
“Perché?”
ribatté l’Eletto.
Gli
occhi verdi di Stefano brillarono ancor di più, al pensiero di poter continuare
a giocare con la ragazza.
“Ti
stai accanendo troppo con lei.” osservò Claudia, mentre Teresa faceva cenno di
concordare.
“Dici?”
si meravigliò Gabriel “Eppure le sto riservando un trattamento coi guanti! Ci è
apertamente ostile, disobbedisce ai miei ordini e sono sicuro che cerca di
sabotare i miei progetti: meriterebbe la morte o un carcere peggiore di quello
del suo amico. Dovrebbe essermi grata per la clemenza che le uso.”
“Caro,
sono certa che quest’ultima punizione le sia stata più che sufficiente: non
creerà problemi. Lasciala tranquilla, per questa sera.”
“E
va bene.” acconsentì l’uomo “Non credo lo meriti, ma se me lo chiedi tu, amore,
non posso di certo dire di no.” guardò la ragazza “Sei fortunata che Claudia
sia così sensibile, per cui non farmi pentire della decisione.” poi si rivolse
a Stefano: “Dai, non prendertela a male. Anzi, segui il mio consiglio: questa
sera cercati qualche ragazza che ti possa interessare; a breve Isaia si unirà a
noi e tu dovrai trovarti una tua donna, per cui ti conviene iniziare a
guardarti attorno già da ora.”
“Certamente,
come vuoi tu, Gabriel.” annuì il ragazzo che non sembrava dispiaciuto.
Michela
guardò Claudia con estrema gratitudine e si avvicinò a lei e Teresa e si mise a
chiacchierare con loro. In realtà avrebbe voluto cercare Giorgio e stare con
lui, ma le sembrava sgarbato allontanarsi immediatamente e non rimanere per un
poco assieme a chi l’aveva in un certo senso salvata, evitandole di passare
altre ore con addosso le mani di Stefano.
Non
trascorse molto tempo che anche Niklos si fece vedere
in quella zona riservata alle autorità, era assieme a Serventi e al bambino;
evidentemente i due uomini avevano fatto una buona chiacchierata e una
passeggiata da vecchi amici quali erano e lo stregone aveva portato con sé il
piccolo.
Vedendo
la madre, Giorgio corse immediatamente verso di lei, salutandola festoso, e si
fece prendere in braccio. La donna lo strinse con affetto, lo riempì di baci,
era contentissima di vederlo: era praticamente la sua unica gioia in quel
posto.
“Dove
eri, mamma?” chiese il bambino.
“Te
l’ho detto” intervenne Niklos, avvicinandosi “La
mamma ha dovuto lavorare ieri e oggi.”
“Perché
non mi hai salutato?” chiese il piccolo, guardando la madre un po’ deluso.
“Scusami,
ma sono dovuta partire di fretta.” inventò la ragazza, grata allo stregone di
non aver detto al figlio la verità.
Michela
chiese al bambino di andare a prendere un piatto con la carne; stava per dire
qualcosa a Niklos, ma lui la precedette: “Perché al
galoppino di Antinori permetti di farti quel che gli pare, mentre rifiuti a me
anche semplici carezze? Non mi sembra affatto corretto.”
La
donna sgranò gli occhi, incredula, e poi chiese: “Credi davvero ch’io sia
contenta e che gli consenta di …? Se dipendesse dalla mia volontà, non oserebbe
neppure pensarlo.”
“Allora,
perché non reagisci? Potresti fargli passare un pessimo quarto d’ora e
vedresti, allora, che smetterebbe …”
“Non
posso.” lo interruppe lei “Sai benissimo che non se la prenderebbero con me.”
“Potresti
benissimo non dare il tempo a nessuno di loro di pr…”
“Basta,
Niklos. So io cosa posso o non posso, devo o non devo
fare. Quel che tu proponi sarebbe facile, ma non giusto.”
Michela
si allontanò e andò dal figlioletto e poi, con lui, tornò ad avvicinarsi alle
due psicologhe e a chiacchierare con loro.
Gabriel
si era allontanato da Claudia per parlare con Serventi, ma dopo un quarto d’ora
tornò dalla sua amata. Intanto, passando vicino a un gruppetto dei suoi, si
raccomandò: “Non gettate gli avanzi. Li tengo per il cane nei
sotterranei!” e sghignazzò.
Accostatosi
a Claudia le domandò se fosse tutto di suo gradimento e lei si lamentò: la carne
non era ben condita, ci voleva qualche spezia in più.
“Mando
qualcuno ad avvisare i cuochi.” la rassicurò immediatamente Antinori.
“Vado
io.” si offrì subito Michela “Ho visto che ci sono i miei amici a tenere dietro
alla griglia, ne approfitterò per salutarli.”
Detto
ciò, la ragazza si allontanò rapidamente. Arrivò vicino ai barbecue e si mise a
chiacchierare con Davide e Marco. Non era andata lì solo per rivedere gli
amici. Fin da quando aveva visto le braci ardere, la ragazza aveva avuto
un’idea; doveva solo avvicinarsi alla zona cottura per poterla attuare.
Ronzando attorno ai bracieri, la ragazza si accostò anche ai sacchi pieni di
carbone, necessari per le grigliate, e, tra una chiacchiera e l’altra, riuscì a
prenderne un pezzo: ora poteva tornare a tracciare i suoi sigilli.
L’unico
problema era tenerlo nascosto: l’abito non aveva tasche; si disse, poi, che in
fondo non era necessario occultarlo, poiché i suoi amici non glielo avrebbero
certo tolto e lei non aveva alcuna intenzione di tornare da Serventi, Gabriel e
gli altri quella sera.
Rimase
a conversare un poco, per non destare sospetti, poi riempì abbondantemente un
paio di piatti, sia di carne che di verdure, disse che uno era per sé e l’altro
doveva portarlo a Niklos, infine si allontanò in
fretta. Si precipitò a cercare un posticino tranquillo, isolato e lontano da
tutti. Certa di non essere vista, tracciò il sigillo per invocare gli spiriti
che permettevano di viaggiare e spostarsi in qualsiasi posto praticamente
istantaneamente. Come ebbe davanti agli occhi quelle entità, chiese loro di
trasportarla da Isaia. In un battibaleno si ritrovò nella cella.
Il
prigioniero era seduto per terra, come al solito, ormai iniziava davvero a
trovare insopportabile stare chiuso lì dentro. Le meditazioni lo aiutavano
parecchio, ma era comunque difficile starsene rinchiuso, senza niente da fare.
Isaia,
quando vide comparire dinnanzi a sé la ragazza, dapprima gli parve impossibile,
poi la credé un’allucinazione.
Michela
provò gioia nel vedere l’uomo, ma anche compassione nel vederlo in quelle
condizioni.
“Isaia!”
esclamò lei, appoggiò i piatti a terra e si precipitò ad abbracciarlo.
Il
perplesso prigioniero ebbe così la conferma che la donna era realmente lì,
quindi la strinse fortemente tra le proprie braccia.
“Michela!”
disse poi, continuando a tenerla stretta a sé “Non dovresti essere qui … ma
sono contento che tu sia venuta a trovarmi.”
“Scusami,
se non sono potuta venire prima, ma non ho potuto …”
“Tranquilla,
so che non è facile neppure per te … Gabriel si è divertito a raccontarmi come
ti tratta … mi ha detto pure di Stefano …” riferendosi al ragazzo, il tono
malinconico, assunse una lieve sfumatura di ira “… mi dispiace … Avrei voluto
parlarti, ma la telepatia non funziona.”
Michela
volle subito rassicurare l’amico che non si trattava di una sua decisione: “Lo
so. È stato Serventi a bloccarla … non voleva che ci confortassimo a vicenda.”
“Capisco.
Io avevo ipotizzato fosse colpa dei sieri di Gaslini.” guardò la ragazza, accoccolata
tra le sue braccia “Ogni tanto le sue punture non facevano effetto. Tu ne sai
qualcosa?”
Lei
lo fissò con occhi da gatta e, sorridendo, gli rispose: “L’Alchimista, qualche
volta, lascia in giro i suoi giocattoli e si possono facilmente sostituire
alcuni intrugli con soluzione fisiologica o glucosio.”
“Oh,
sei un tesoro!” le diede un bacio sulla fronte, perché sapeva che se glielo
avesse dato alla persiana … beh, non sarebbe riuscito a limitarsi alla
persiana.
“Ti
sei messa in pericolo per me … e pure ora stati rischiando di essere punita
...” era malinconico; contento per la premura dell’amica, ma dispiaciuto e
preoccupato al pensiero che fosse scoperta.
“Isaia,
lo sai, io ti amo e per te sono pronta a fare tutto ciò che Dio mi consente.”
Michela
si ricordò dei piatti col cibo, si alzò, li prese e li portò a Isaia che,
piuttosto affamato, senza troppi complimenti, mangiò con soddisfazione.
“Dimmi”
chiese l’uomo, mentre ancora mangiava, ma aveva placato i morsi della fame
“Sebastiano?”
La
ragazza lo guardò con stupore e disse: “Non lo vedo da quando sono qui. Mi
hanno detto che è stato gravemente ferito durante lo scontro, ma non so altro.
Perché?”
“Gabriel
ha detto che Sebastiano si era unito a lui … l’ho visto, anche se mi è sembrato
strano che fosse perfettamente guarito e, soprattutto, che mi desse del lei,
non l’ha più fatto da dopo il primo giorno in cui gli son stato maestro.”
“Marco!”
sospirò lei.
“Chi?”
“Marco,
un giovane che ha il talento della trasfigurazione. Sono sicura abbiano
sfruttato lui per ingannarti.”
“Oh!
Meno male! Non sai che sollievo mi dai con questa notizia!”
Isaia
finì di mangiare e poi chiese: “Adesso che farai? Torni dagli altri?”
“No.
Voglio restare ancora con te.” stava spostando i piatti “Ho bisogno di stare con
te e, anche se la telepatia è momentaneamente fuori uso, sono certa che anche
tu hai bisogno di me.”
“Sarò
felicissimo se rimarrai un po’ a farmi compagnia, ma non voglio che Gabriel ti
trovi qui, per cui tra qualche ora dovrai andare via.”
“Sì,
come vuoi tu.”
Michela si mise in ginocchio
vicino a lui e lo invitò ad appoggiare la nuca sulle sue gambe; poi gli disse
di rilassarsi, gli appoggiò le punta delle dita sulle tempie e gli iniziò a
fare un massaggio ed intonò alcuni dolci inni.
Isaia provò grande sollievo e
piacere per tutto ciò e, quand’ella ebbe finito e loro due si rimisero seduti
vicini, lui le disse: “Sono proprio fortunato. Io sono Boezio
e tu la Filosofia che mi consola nella mia prigionia.”
“Oh, Isaia” sospirò lei lusingata
“Non c’è nulla di più bello che potessi dirmi.” gli mise le braccia al collo e
appoggiò la testa sul suo petto.
Parlarono e si scambiarono
carezze fino ad addormentarsi, seduti e accoccolati l’una all’altro.
“Bene, bene, bene!”
L’euforica esclamazione di
Gabriel svegliò entrambi.
L’Eletto era ancora fuori dalla
porta e li aveva osservati dalla piccola graticola.
Appena si rese conto di quel che
stava accadendo, Michela si allontanò di scatto da Isaia, per non metterlo
ancor più in difficoltà o imbarazzo. Lui, tuttavia, non sembrava essere turbato
dall’essere stato sorpreso in quella affettuosa posa che era del tutto
innocente.
Gabriel, intanto, entrò e prese a
dire: “A quanto pare, abbiamo avuto visite durante la notte! Quando il
secondino mi ha riferito che, mentre stava per portarti la colazione, si è
accorto che c’era una donna nella cella, ho stentato a crederci. Predichi male
e razzoli bene; sì, l’inversione dei termini è assolutamente voluta.”
Fissò per qualche momento Isaia,
che aveva un’espressione leggermente cupa, poi si rivolse alla ragazza:
“Buongiorno, strega! Ecco dov’eri sparita, ieri sera! Tuo figlio c’è rimasto
molto male: sei scomparsa, di nuovo, senza dirgli nulla. Si è messo a piangere
e non c’è stato verso di farlo smettere, tanto che Niklos
l’ha dovuto portare via e poi non si è più fatto vedere. In effetti hai fatto
qualcosa doppiamente utile: ci hai indirettamente liberati di Niklos per qualche ora e sei venuta qui.” la guardò
enigmatico “Iniziavo a disperare di trovarti qui, prima o poi. Sai, pensavo
saresti venuta molto prima. Va beh, meglio tardi che mai. Spero tanto,
soprattutto per lui, che non vi siate limitati a bacetti e abbracci, stanotte!
Eravate solo voi, qui nei sotterranei; avevate totale privacy per darvi al
pazzo sesso...” spostò lo sguardo su Isaia e con tono deluso concluse: “Ma a
giudicare dalla faccia del tuo amichetto, direi di no.”
Gabriel sospirò rassegnato,
rovesciando il capo all'indietro; dispiaciuto e stanco, disse: “Senti, Isaia,
io non so più che diavolo consigliarti, a questo punto. Ci rinuncio.” il tono
si fece seccato “Parlare con te è come parlare ad un muro! E pensare che sono
stato anche così premuroso da ordinare a Niklos di
stare lontano da lei perché ti piace, ma visto che non ti decidi a comportarti
di conseguenza ... Non vedo perché dovrei continuare a negare allo stregone di
avere riunita la sua cara famigliola … Magari, per riconoscenza, smetterà di
rompere le scatole e inizierà ad obbedire.”
ghignò guardando i due “Lo vado a
chiamare subito.”
Gabriel uscì di passo svelto
dalla cella.
Isaia guardò dispiaciuto l’amica,
si avvicinò a lei, le mise la mani sulle spalle e la esortò: “Vattene! Fuggi,
finché puoi.”
“A che servirebbe? Mi
ritroverebbero in un attimo.”
“Avresti fatto meglio a non
venire qua …”
La ragazza gli fece una carezza,
sussurrandogli: “Stare qualche ora con te, vale qualsiasi castigo stia
escogitando Antinori.”
Isaia, per tristezza, per
riconoscenza, per sensi di colpa, o forse per semplice affetto, accostò il
proprio volto a quello della giovane e la baciò.
“Se l’avessi fatto due minuti fa,
con Gabriel presente, forse non saremmo in questa situazione, ora.”
Poco dopo, L’Eletto tornò con
assieme Niklos. Si diressero verso gli altri due: lo
stregone verso la ragazza, Gabriel verso Isaia.
Antinori stava dicendo all’altro:
“Fa’ con lei tutto quello che vuoi, mentre tu...” si rivolse al prigioniero.
Raggiunse l’amico, lo afferrò
saldamente per un braccio per alzarlo e farlo spostare un poco: “Mentre tu ti
godi lo spettacolo insieme a me, eh?” lo prese per i capelli con una mano e per
la mandibola con l'altra, per costringerlo a guardare “Che ne dici, amicone?
Forse, sarà la volta buona che ti decidi a prendere posizione, in tutti i
sensi.”
Niklos si era chinato
sulla ragazza e le accarezzava voluttuosamente il volto e il collo.
“Andiamo, Isaia, so che sei
infuriato da morire nel vederla con un altro.”
Le mani dello stregone erano
arrivate al seno e lui baciava e mordicchiava il volto della donna, che aveva
chiuso gli occhi.
“Guardalo, sta usurpando quello che
è tuo di diritto! Lei vorrebbe te. Tu vuoi lei. Sarebbe perfetto, se tu non ti
immaginassi ostacoli. Non solo stai negando ad entrambi il diritto di essere
felici, ma stai pure venendo meno al tuo dovere di proteggerla.”
Niklos aveva fatto
scivolare via gli spallini dell’abito e faceva
correre le proprie mani sulla ragazza.
“Se davvero la vuoi, devi fare
solo tre cose: andare là, prendere Niklos e
schiantarlo contro il muro con tutta la tua forza... o riempirlo di botte...
Insomma, fai come meglio credi.”
Lo sguardo di Isaia si stava
facendo feroce.
“So che non vedi l'ora di farlo,
Isaia; ti leggo negli occhi l'odio che provi per lui. Devi farlo uscire. Solo
così, il tuo vero io, la parte migliore, può prevalere.”
L’ira si faceva largo sempre più
sul volto di Isaia e anche il suo respiro si era fatto rapido e dimostrava
furia. Il templare si lasciò sfuggire un ringhio, un verso di rabbia. Si
divincolò dalla presa dell’amico, scattò contro lo stregone, lo afferrò, lo
guardò un attimo con odio e poi lo scaraventò contro la parete. L’impatto fu
talmente violento che il muro si ruppe e Niklos finì
nella stanza a fianco.
Gabriel esultò.
Michela guardò con
preoccupazione.
Isaia fissò lo stregone e gli
ringhiò: “Toccala ancora e l’ultimo suono che sentirai, sarà quello del tuo
collo che si rompe.”
Gabriel applaudì soddisfatto ed
esclamò: “Parole sante! Sono felice di vederti così, fratello.”
L’Eletto aveva sperato che
l’amico reagisse in quella maniera, per questo aveva chiamato Niklos e non Stefano.
Isaia, intanto, si era chinato
sulla ragazza, l’aveva abbracciata e le stava mormorando: “Tranquilla, nessuno
ti farà più del male. Ora ci sono io e non ti abbandonerò mai.”
Gabriel gli chiese, come per
testarlo: “Che farai adesso?”
“Ora, vorrei rimanere un po’ solo
con la mia amata, poi ascolterò i tuoi progetti e vedrò come poterti essere
utile, fratello.”
“Sei dei nostri, quindi?”
“Certamente!”
“Ottimo, allora ti aspetto a
pranzo; la strega sa dove.”
Gabriel andò verso la spaccatura
nella parete e urlò: “Niklos! Datti una mossa! Alzati
e vieni via: il mio amico ha bisogno di privacy.”
Lo stregone si alzò a fatica e si
allontanò con l’Eletto, verso la porta. Prima che uscissero, Isaia disse:
“Fratello, grazie per aver insistito e avermi fatto liberare.”
“Era il minimo. A dopo.”
Appena uscito da lì, Gabriel
iniziò a dare la buona notizia a tutti quelli che incontrava; non poté avvisare
Claudia e Teresa, perché erano uscite.
Isaia rimase solo con la ragazza
per oltre due ore, poi uscirono dalla cella e, mano nella mano, si diressero
verso la stanza di lei. Lì si salutarono. Entrambi volevano cambiarsi d’abito;
Michela aveva lì il suo guardaroba, mentre Isaia doveva procurarsi vestiti
nuovi. Si diedero appuntamento nel cortile della Congregazione quaranta minuti
più tardi.
Aggirandosi per i corridoi, Isaia
incrociò Stefano. Il ragazzo era stato avvertito da Gabriel della conversione
del gesuita, per cui non si stupì di vederlo. Camminavano in direzioni opposte,
si scambiarono un cenno di saluto col capo, si sorpassarono; poi Isaia si fermò
d’improvviso e chiamò l’altro: “Ehm … Coso!”
Anche il ragazzo si fermò, si
voltò verso l’uomo, osservando: “Mi chiamo St…”
“Non me ne frega un accidente di
come diamine ti chiami.” lo troncò Isaia, voltandosi.
L’uomo si avvicinò al giovane,
folgorandolo con lo sguardo.
Stefano ebbe un brivido di paura,
ma rimase fermo e cercò di non darlo a vedere.
Isaia parlò con tono calmo, ma
reso estremamente inquietante dall’ira che emanava: “Chiariamoci subito: non mi
importa per niente se è stato Gabriel a decidere di portarti Michela per
divertirti. Conoscendoti, gli hai obbedito senza obiezione e hai approfittato
di lei fin troppo.” socchiuse gli occhi e, proprio in quel momento, un fascio
di luce solare, entrato da una finestra, gli attraversò le iridi castane.
Stefano cercò di farsi coraggio e
sostenne lo sguardo con i propri occhi verdi che, però, lasciavano trapelare la
paura; si difese: “Ho... Ho solo eseguito gli ordini del mio maestro.
Isaia fece una risatina senza
gioia e ripeté, guardando il vuoto: “Ho solo eseguito gli ordini...”
sporse il capo verso il ragazzo e gli chiese: “Sai chi diceva esattamente
questa frase?”
Stefano deglutì. Ora aveva
davvero paura. Non ribatté, pur conoscendo la risposta.
Isaia continuò tranquillamente:
“Lo dicevano i gerarchi nazisti al Processo di Norimberga sperando di salvarsi
la pelle. Non ce l'hanno fatta comunque.” scosse la testa e ghignò “Tornando a
noi: se ti trovo a ronzare attorno alla mia donna, ti darò una lezione che
ricorderai finché avrai vita e fiato.”
Isaia sollevò un poco il braccio
destro, avvicinò il palmo al viso del giovane. Una sorta di fumo nero e
crepitii elettrici si stavano formando attorno alla mano.
Stefano capì al volo e annuì
spaventatissimo.
“Ora, fila.”
Il ragazzo non se lo fece
ripetere e corse via in gran fretta.
In sala da pranzo, Isaia e
Michela si presentarono assieme.
Claudia, che appunto non era
ancora stata informata, come vide l’uomo andò su tutte le furie. Si concentrò e
formò nelle proprie mani una sfera di aria elettrizzata.
“Come sei uscito dalla tua cella?
Come osi mostrarti qui?!” chiese la psicologa, aspramente e minacciosa.
“Calmati, Claudia!” intervenne
immediatamente Gabriel “L’ho liberato io, in tutti i sensi. È dei nostri, ora.”
La donna fece sparire la sfera,
ma rimaneva imbronciata e guardava con sospetto Isaia, tanto che gli disse: “Io
non mi fido di lui e non dovresti farlo nemmeno tu, Gabriel, hai scordato
quante volte ti ha tradito?”
“Quante storie, Munari.” borbottò
Isaia “Ora che ci troviamo sotto la stessa bandiera, dovremmo essere amici, non
credi?”
“Non credo che la parola amicizia
esista nel tuo vocabolario.”
“E io che ero partito con le
migliori intenzioni!”
Claudia stava per ribattere, ma
Gabriel intervenne a troncare la discussione: “Claudia, fidati, me ne sono
accertato personalmente. Lui è dei nostri.”
“A questo proposito, Isaia, ho
una domanda da farti, ma prima accomodatevi tutti.” disse Serventi, già seduto
a capotavola.
Gabriel e Isaia si misero alla
destra e alla sinistra di Bonifacio; accanto a loro c’erano la psicologa e la
maga. Solitamente Teresa sedeva vicino a Claudia, ma quel giorno si sedette al
fianco di Michela, poiché Stefano, l’ultimo membro della tavolata, non aveva
alcuna voglia di sedersi accanto alla ragazza, col rischio di subire le ire
dell’ex templare.
“Isaia, raccontami un po’ com’è
andata.” sollecitò Serventi “Gabriel mi ha detto che hai conciato piuttosto
male il mio buon amico Niklos, con un semplice
spintone e, poco fa, ho sentito dire che hai già messo in guardia Stefano.
Com’è che questa ragazzina ti ha abbindolato? Fino alla settimana scorsa,
difendevi letteralmente a spada tratta la tua fede, la tua morale i tuoi voti.
Adesso, invece, con quella lì vicino a te, sei pronto a sbranare chiunque
provasse a toccartela.”
“La prigione costringe a rivedere
le proprie priorità.” spiegò tranquillamente l’interpellato “Già normalmente fa
piacere avere qualcuno che si prenda cura di noi; quando, poi, uno ha provato
le asprezze di una cella, privo di tutto, beh apprezza ancora di più l’avere
accanto una persona che si preoccupi per lui.” prese la mano della maga “Sopra
ogni cosa mi sono mancate le sue premure e il suo affetto. Inoltre, non era
l’unica cosa che mi sarei potuto finalmente concedere, una volta liberato.”
“Che cosa ci trovi in lei, non
so.” osservò Bonifacio “È così limitata! Dice di saper usare la magia, ma,
senza i suoi carboni e, quindi, i sigilli, non sa fare praticamente nulla. Per
quanto riguarda l’intelligenza … mah. Ha una buona memoria, glielo concedo, ma
non mi è mai sembrata granché, intellettualmente; di certo tu sei nettamente
superiore a lei, da questo punto di vista e non solo.”
Michela si accigliò un poco; in
quel discorso c’era qualcosa di strano: Serventi l’aveva sempre apprezzata,
l’aveva sempre tenuta in discreta considerazione, perché, ora, parlava di lei
in quella maniera?
“Insomma, sei più vicino ai
quaranta che ai trenta e ti sei lasciato abbindolare da una ragazzetta che è
praticamente poco più che una bambina, totalmente inesperta della vita e di
tutto, non ha né arte, né parte. Credevo che un uomo come te volesse al proprio
fianco una vera donna, matura e consapevole.”
Isaia bevve un sorso di vino, si
pulì le labbra e rispose: “Concordo solo parzialmente con te. È vero che questa
bimbetta mi è nettamente inferiore, ma non la vorrei certo mia pari: non potrei
accettarla come mia donna. Vedi, più che essere stato abbindolato, mi sono
lasciato prendere dall’entusiasmo.” con una mano prese ad accarezzare i capelli
della giovane “Lei, ora, -come giustamente hai detto- non è nulla, non ha né
arte, né parte, ma ha il potenziale per diventare qualcosa di grande. La mia
superiorità mi permette di essere il dominatore tra i due e lei è come un
foglio bianco su cui posso disegnare. Mi risulta che nessuno di voi l’abbia
ancora addomesticata, ora potrò occuparmene personalmente e modellarla in modo
che corrisponda al mio ideale.” iniziò a muovere una mano, come se stesse
giocando con della cera “Una donna così giovane e semplice, la posso istruire
tranquillamente secondo le mie regole e le mie convinzioni e posso plasmarla a
mio piacere. È proprio come lavorare l’argilla, Bonifacio, ma puoi farlo solo
finché è fresca.”
Serventi parve alquanto
compiaciuto e lanciò uno sguardo alla ragazza, poi a Gabriel che era sorpreso
per quell’aspetto dell’amico, tanto che commentò: “Che differenza, da ligio e
obbediente, a dominatore!”
“Fratello, avresti dovuto ben
capirlo che l’obbedienza era solo uno dei metodi per fare carriera all’interno della
Congregazione. Obbedivo, per arrivare a comandare.”
Michela, indispettita, osservò:
“Mi spiace per te, ma qui non c’è argilla, bensì marmo. Una splendida scultura
in marmo.”
“Esistono sempre scalpello e
martello, mia cara.” Isaia guardò intensamente la ragazza “Lavorare il marmo è
più difficile, ma dà molte più soddisfazioni e il risultato finale è ancora più
gradevole. Se volevi cercare di farmi desistere, hai sbagliato strategia. Non
rinuncerò. Sarebbe facile cercare qualcuna più arrendevole, lo so, ma io non ho
interesse a plasmare altre, perché è te che voglio.”
“Se vuoi me, perché vuoi
cambiarmi?”
“Per rimanere nella nostra
metafora: adesso il marmo è solo sbozzato e la forma è ancora piuttosto
grossolana, perché c’è stata solo la prima scolpitura. La linea mi piace
parecchio, ma ci sono appunto molti tratti da affinare, dettagli da definire,
panneggi da sottolineare, insomma a me spetta tutta la parte di livellatura e
rifinitura. Ora sei una statua che va bene per i giardini di qualche borghese,
ma quando avrò finito il mio lavoro con te, sarai un capolavoro degno dei più
prestigiosi musei. Voglio renderti migliore e ci riuscirò.”
Michela sospirò e, malinconica e
dolce, disse: “Non confido molto nella tuaidea di migliore, ora
che ti sei fatto vincere dell’egoismo.” sospirò di nuovo, sorrise e aggiunse:
“Apprezzò, però, il pensiero: vuoi prenderti cura di me … prima non era così.”
“Dici che non ti piace il mio nuovo
egoismo, ma è proprio questo che ti permette di avere ciò che tanto
desideri. Fingi di condannare la mia scelta, ma in realtà ne sei felice, perché
sai che è l’unico modo che abbiamo per stare assieme. Dici che ho sbagliato a
dare ascolto al mio buon amico Gabriel, ma non vorresti stare un solo istante
lontana da me. Tu mi ami, hai bisogno di me ed è per questo che mi permetterai
di ritemprarti.”
Gabriel fu molto soddisfatto nel
sentirlo parlare in quella maniera: finalmente era libero, finalmente poteva
essere felice. Avrebbero fatto grandi cose assieme, nessuno avrebbe potuto
resistere a loro due, ora che erano di nuovo dalla medesima parte. Collaborando
assieme, anche quand’erano nella Congregazione avrebbero potuto compiere grandi
cose, effettivamente in alcuni casi la loro collaborazione aveva portato ad
ottimi risultati, tuttavia, sotto il giogo d’altri, erano estremamente limitati
e non avevano mai neppure capito che cosa il loro potenziale avrebbe potuto
realizzare. Adesso, invece, non c’erano più vincoli, nessun limite da
rispettare, erano liberi e la loro libertà li avrebbe innalzati sopra ogni
cosa.
Isaia
si era procurato soltanto una camicia e un paio di braghe. Gabriel dunque
decise di mostrargli, nel pomeriggio, il negozio dove lui stesso andava a
procurarsi i capi d’abbigliamento, ovviamente a costo zero. Voleva prendere
qualche indumento anche l’Eletto e decise di far venire anche le donne per
avere i loro pareri.
Isaia
prese diverse camicie, tutte monocolore, senza fantasia, neppure righe; alcune
bianche, altre comunque con toni tenui, come il celeste e l’ocra, oppure colori
più vivi, ma tutti tonalità di grigio. L’unica un po’ diversa che prese fu una
camicia cremisi, ma solo poiché l’aveva fatta scegliere a Michela.
I
pantaloni che prese erano tutti o neri o beige. Aggiunse infine tre completi
eleganti, con tanto di cravatta, da indossare durante cerimonie od occasioni
speciali.
Accettare
la filosofia di Gabriel non aveva stravolo la personalità di Isaia che aveva
optato, quindi, per un abbigliamento classico a cui comunque non era
particolarmente abituato, visto che erano ormai anni che indossava quasi
esclusivamente la tonaca.
Quando
i due uomini ebbero finito di scegliere il vestiario, la compagnia se ne uscì
dal negozio; rimase dentro Michela che, sperando di non essere vista, aprì lo
zainetto che si era portata dietro e tirò fuori delle pagnotte e delle
scatolette di cibo e disse ai commercianti: “Scusate, lo so che questo non vi
ripaga di quel che hanno preso loro, ma di più non ho potuto portarvi. Magari,
nei prossimi giorni, se mi sarà possibile, tornerò con altro.”
“Oh,
signorina, gliene saremo molto grati.” replicò il proprietario del negozio “Già
questo è molto. Vede, il denaro non manca, è il cibo che non si trova! Se mi
avessero pagato, non avrei saputo come spendere i soldi, specialmente ora che
non ci sono neppure più quei bravi preti che ci portavano scorte alimentari.
Poveretti! Chissà che sorte gli è toccata!”
Michela
sospirò guardando con aria mesta. Forse avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ne
ebbe il tempo; alle proprie spalle sentì la voce di Gabriel ringhiare: “Ecco,
visto?! Te lo avevo detto!” stava parlando ad Isaia “È a fare la carità a
questi mentecatti! Non è la prima volta che la sorprendo a farlo! Ehi tu! Cosa
non ti è chiaro nell’ordine: Non dare da mangiare agli animali?”
“Non vedo animali, qui, ma solo uomini.” ribatté la
ragazza voltandosi.
Se possibile, gli occhi di Gabriel si fecero ancora
più di brace, soffiò dalle narici un paio di volte, poi si controllò e disse:
“Amico mio, la lascio a te. Io l’ho sopportata abbastanza, adesso è una tua
responsabilità, io me ne lavo le mani.” detto ciò l’Eletto si voltò e se ne
andò.
Isaia guardò severamente la ragazza e si limitò a
dirle perentoriamente: “Vieni, andiamo!”
Michela velocemente raggiunse l’uomo, lasciando i
viveri sul bancone, e assieme a lui si allontanò.
Tornati in Vaticano, Gabriel si ricordò di un’altra
questione da affrontare: l’alloggio di Isaia. Non ci aveva ancora pensato,
decise quindi di far scegliere all’amico stesso dove avrebbe preferito
insediarsi. Girovagarono per l’edificio in cui anche Gabriel e Serventi
risiedevano e Isaia trovò presto un appartamentino di suo gradimento. L’uomo
fece portare lì le sue cose e anche quelle di Michela: ora che potevano,
avrebbero vissuto assieme.
Passarono il resto della giornata in maniera
tranquilla e così fu anche il dì seguente, con l’unica differenza che Isaia si
fece procurare un piccolo furgoncino per andare a recuperare i suoi libri nella
villa fuori città.
Sembrava una giornata tranquilla pure quella
successiva, la mattinata era strascorsa serenamente, avevano pranzato tutti
assieme e poi si erano separati, dedicandosi ognuno alle proprie attività.
Gabriel si era ritirato in un salotto con Claudia alla quale, però, venne una
voglia di ananas, l’uomo quindi uscì per procurargliene una.
Gabriel stava camminando per le vie vicino al
Vaticano, cercando qualcuno che possedesse il frutto, ma non c’erano molte
possibilità di trovarlo. Gli dispiaceva parecchio deludere Claudia, per cui
stava tentando di farsi venire in mente una buona alternativa, quando si
accorse che, poco distante, c’era un signore sulla sessantina che avanzava
dolorante, reggendosi un braccio sanguinante. Gabriel decise di divertirsi un
poco, si avvicinò rapidamente all’uomo e lo afferrò proprio per l’arto ferito e
chiese con sguardo spaventoso: “Dove pensi di andare, nonnetto?”
Il cittadino, spaventato e sofferente, borbottò:
“D- Devo andare urgentemente in ospedale! Mi sono tagliato con una lamiera,
cercando di recuperare delle cose dalle macerie di casa mia. Io sono un uomo
sano, posso essere utile alla società, ve lo garantisco! Non sono affatto un nonnetto come avete detto voi: pensate che per lo stato italiano non ho neppure
diritto alla pensione, per il momento. Vi prego, lasciatemi, mi state facendo
male!”
Gabriel lasciò il braccio, guardò, come fosse un
piccolo taglietto, la ferita che sanguinava copiosamente e, probabilmente, si
stava infettando. Rise e lo ammonì: “Non ci provare, vecchio, non hai bisogno
di nessun ospedale, quindi sgombra.”
L’uomo si spazientì e la rabbia prese il
sopravvento sulla paura: “Che vuol dire che non ne ho bisogno? Siete cieco, per
caso? Guardate che taglio!”
A Gabriel non piacque per nulla
quell’atteggiamento, afferrò di nuovo il braccio, ma questa volta talmente
violentemente che l’uomo si accasciò per il dolore. Antinori disse con
pacatezza: “Vedi di abbassare il tono, con me! Comunque, per una cosa così non
ti serve l'ospedale! Non frignare!”
A qualche centinaia di metri da lì, per fortuna,
stava camminando pure Michela, che era in giro a cercare Giorgio che era da
qualche parte col padre. La ragazza aveva sentito l’urlo di dolore del povero
malcapitato, si era quindi avvicinata un poco e stava assistendo alla scena.
Scosse la testa, sospirò e decise di intervenire. Si accostò ai due uomini,
lanciò un’occhiata alla ferita, poi domandò: “Che cosa succede?”
“Nulla che ti riguardi, perciò vedi di sparire!” fu
aspro Gabriel.
Il ferito, sperando di trovare qualcuno che lo
sostenesse, si sforzò di dire: “Signorina, mi sono tagliato gravemente e ho
bisogno di andare al Pronto Soccorso..!”
“E io ti ripeto che non ti serve.” replicò Gabriel
con naturalezza, quasi ridendo.
Michela guardò di sbieco l’Eletto, poi osservò di
nuovo la ferita e disse: “Ha ragione Gabriel, lei non ha bisogno di andare
all’ospedale: la curerò io!”
Gabriel la guardò furioso, ma effettivamente non
poteva accusarla di averlo contraddetto o di avergli disobbedito.
La ragazza guarì il signore, il quale rimase
piacevolmente colpito dal potere della giovane e si disse che, forse, non tutte
le persone dotate di poteri fossero cattive.
Una volta rimarginata la ferita, l’uomo ringraziò
con le lacrime agli occhi e se ne andò via frettolosamente, ma felice.
Gabriel, piuttosto seccato, disse alla giovane:
“Adesso tu mi spieghi chi accidenti ti credi di essere per parlarmi in quel
modo davanti a quell'essere inferiore! Tu che non potresti nepp…”
“Sono una persona che aiuta il prossimo, al
contrario di te!” lo interruppe lei, piuttosto fieramente.
Gabriel, sprezzante al massimo, ribatté: “Sei una sporca
strega e, a quanto ne so, quelle come voi non hanno mai aiutato nessuno. Le
uniche cose che sapete fare sono rapire i bambini, come hai fatto col figlio di
Niklos, e fare stregonerie ovunque vi capiti, come
hai fatto esattamente un minuto fa.”
“Oh, vedo che hai letto tutto il libro di fiabe,
bravo! Erano dei fratelli Grimm, o quelle sono troppo difficili e ti sei
accontentato di Nonna Papera?”
Michela fece per andarsene, sapeva di aver
esagerato, per cui pensò fosse meglio defilarsi al più presto, ma non fece in
tempo: Gabriel, irato, le aveva afferrato il polso e lo strinse fino a farle
male, poi le sibilò: “Vedi di portarmi rispetto, vermiciattolo ingrato, e
smettila di opporti a me e alle mie decisioni! Fa’ quello che ti viene detto o
mi costringerai a fare arrabbiare il mio amico. Isaia è troppo buono con te e
fa male, perché, se continui ad ostinarti ad infastidirmi, uno dei prossimi
giorni lui ritroverà qualcosa di molto lontano dalla bella ragazza che conosce:
la tua carcassa mangiucchiata dai cani.”mollò bruscamente la presa, facendo cadere a terra la giovane; la
ammonì: “A te la scelta.”
Gabriel se ne andò, dimenticandosi totalmente
dell’ananas per Claudia, tornò dentro al palazzo, girò a caso per i corridoi,
poi entrò in un salottino, diede un calcio ad una sedia, tirò fuori una
bottiglia di whisky e un bicchiere. Si mise a sedere su una poltroncina e
bevve.
Da lì a poco entrò pure Isaia, cha andò ad
accomodarsi di fronte all’amico, chiedendo: “Eccoti finalmente! Dov’eri finito?
È un pezzo che ti sto cercando!”
“Ero a discutere con la tua ragazzina, che ancora
non si mette in testa che qui comando io e non può fare come diamine le pare!”
era parecchio nervoso e arrabbiato “Non puoi immaginare quanto mi fa
imbestialire questa cosa, ma ciò che soprattutto non riesco a capire è come mai
non ti sei ancora deciso a convertirla!
Isaia si rilassò sulla propria poltrona e, molto
tranquillamente, rispose: “Amico mio, non c'è fretta! Gli avversari li hai già
tolti dai piedi; Roma, anzi quasi tutto il Lazio, è nelle nostre mani, mentre i
pochi ribelli rimasti non possono più nulla, ormai. C'è sempre tempo per
convertirla, non ti preoccupare. Quando succederà, sarai il primo a saperlo.”
“Spero succeda il più presto possibile, fratello,
perché, tra non molto, la pazienza che mi rimane andrà a farsi friggere. Nel
frattempo che ti decidi, potresti dirle di non agire di testa propria e fare
quanto le viene detto? Almeno questo, maledizione!”
Isaia sbuffò: “Sì, sì, glielo dirò. In cambio,
però, potresti dire alla tua, di donne, di calmarsi, visto che non le ho mai
fatto nulla.”
“È incinta, ha gli ormoni sballatissimi, non è
colpa sua se è nervosa! Devi solo assecondarla, in questi casi. Comunque,
ormai, lo sa che sei dei nostri. Non proverà mai più a scagliartisi
contro, ne sono sicuro.”
L’altro alzò le sopracciglia, guardò altrove e
sospirò: “Sarà...!”
“Non dirmi che non ti fidi del tuo migliore amico.
Mi offenderesti a morte!” sorrise, mettendosi una mano sul petto “Parlando di
cose serie: intanto che decidi come convertirla, potresti farla tua schiava.
Visto che non ha interesse a liberarsi, dovresti trattarla come tale, non
credi?”
“Sì...” Isaia non pareva molto convinto “Ma, sai,
mi piace parecchio aver in mio potere una tipetta
come lei: ostinata. Insomma, mi ama ed è la mia donna, nonostante non approvi
ciò che faccio, e non posso essere più felice di così. Mi eccita da morire
vederla arrabbiata e sapere che vincerò comunque io.”
Gabriel sospirò: “Ci manderà a monte i piani,
Isaia. È questo che vuoi? Te lo chiedo per favore: trova un dannatissimo modo
per farla passare dalla nostra parte. Oltre a mandarci a ramengo i progetti,
manderà me in manicomio, prima o poi! La donna è tua, amico, hai carta bianca,
in merito, ma trova una soluzione a questo maledetto problema!”
“Ti ricordo che non abbiamo nessun piano a rischio,
visto che quando ci siamo riuniti per progettare qualcosa, abbiamo finito col
cazzeggiare, senza concludere nulla.”
Rimasero in silenzio per un poco, poi Gabriel tornò
a dire: “Mah... Non lo so. Dubito che l'avrai sempre vinta: dovrai trovare
nuovi stratagemmi con una rompiscatole come lei. Segui il mio consiglio di
renderla a tutti gli effetti una schiava e vedi come ti ci trovi, ma sono
sicuro che non avrai problemi.”
Isaia pensò per qualche istante, poi chiese: “Ma
cosa intendi per schiava, scusa?”
“Cosa vuoi che intenda, secondo te?” replicò
l’altro, quasi esasperato “Sottomissione! Potere totale su di lei. Puoi
decidere qualsiasi cosa e lei dovrà obbedire e stare zitta. Che so, baciarti i
piedi, pulirti le scarpe... puoi decidere quando può aprire bocca e quando
invece no, per esempio e tutto ciò che ti passa per la testa!”
“Oh..!! Beh, devo ammettere che è piuttosto
interessante, come consiglio.” Isaia annuì col capo “Sì, perché no? Vado a
sperimentare subito.” si alzò in piedi.
“Fammi sapere come va.”
“Vedrai coi tuoi stessi occhi stasera, a cena. Fa
apparecchiare con un coperto in meno.”
Di fatti, poche ore più tardi, si ritrovarono a
cena. La tavola era apparecchiata per sei e non per sette. Quando Michela ed
Isaia arrivarono, erano già accomodati Serventi e Gabriel a capotavola e
Claudia alla destra dell’amato.
Isaia si sedette accanto all’amico. Michela fece
per sedersi al suo fianco, ma lui la fermò: “Cosa credi di fare, tu?” la
fulminò con lo sguardo, ma era calmo “A terra, qui!” indicò col dito il
pavimento, nello spazio fra sé e Gabriel che ghignò compiaciuto.
Arrivarono presto anche Stefano e poi Teresa.
Iniziarono a mangiare tutti quanti, tranne Michela che aspettò che Isaia le
mettesse in mano qualche avanzo.
Gabriel osservava soddisfatto e, vedendo il
malumore sul volto della ragazza, prese a dirle: “Che c'è, strega, non ti piace
il posto o non gradisci la cena?” ridacchiò “Eppure, è ciò che ti meriti per
esserti sempre voluta opporre ad ogni mio ordine. Tanta ostinazione è stata
ripagata ed è giusto che così sia. Non per essere ripetitivo, ma è lo stesso
discorso che feci a lui durante la sua prigionia: è solo superando i propri
vincoli che si ottiene la libertà, il potere. Se, come il mio confratello, tu
ti liberassi da quelle catene, saresti davvero te stessa e quindi anche
felice.” guardò Isaia in cerca di approvazione e la ricevette “Potresti fare
qualsiasi cosa con i poteri che possiedi. Non capisco perché così tanta cecità!
E va beh, finché il tuo animo sarà schiavo, questa è la condizione che più ti
si addice.” sbuffò risata, scosse il capo e mangiò un boccone, prima di
proseguire:“Comunque, Isaia ti darà una
bella raddrizzata alla schiena, puttanella, dopo di ché voglio proprio vedere
se continuerai a irritarmi.”
La ragazza stava per replicare, ma Isaia l’afferrò
per i capelli e con fermezza, priva di ira, le ordinò: “Non osare rispondergli,
né reagire in alcun modo. Ha perfettamente ragione, non pensi?” poi, si volse
all’uomo: “Ti ringrazio, amico mio. Non avrei potuto dire di meglio.”
La cena proseguì, arrivò il secondo e Isaia prese
una porzione abbondante di carne, poi ne tolse qualche pezzo dal piatto e lo
passò alla ragazza.
Gabriel decise di contribuire a suo modo: prese
qualche verdura di contorno e la buttò per terra. Disse, poi: “Ehi, schiavetta
da due soldi, qui c'è qualcosa per te! Poi, non venire a dirmi che non ti
voglio bene.” ghignò derisorio.
Michela lo ignorò completamente e questo fece
infuriare l’Eletto.
“Ehi!!” scattò in piedi, facendo cadere la sedia
all'indietro “Parlo con te, strega dei miei stivali! Sei soltanto una schifosa
ingrata, nel rifiutare i miei avanzi!! Diavolo, non solo che te li ho dati, fai
pure la schizzinosa?” vedendosi ancora ignorato, batté il pugno sul tavolo:
“OH, MI RISPONDI???”
Serventi, seccato, appoggiò le posate e lo
richiamò, pazientemente: “Gabriel, siamo a tavola, perciò fammi la cortesia di
mostrare un briciolo di educazione!”
Gabriel era decisamente stizzito dal fatto che quella
ragazza gli fosse stata causa di rimprovero, comunque non disse nulla, raccolse
la sedia e si rimise a mangiare.
Isaia intervenne: “Temo sia colpa mia, in parte. Ha
preso troppo sul serio l’ordine di non risponderti e non reagire.” si rivolse
alla ragazza: “Mangia ciò che ti ha offerto e ringrazialo.”
Michela obbedì.
Finita la cena, si trasferirono tutti quanti in un
salotto, tutti si sedettero attorno ad un tavolino a chiacchierare, tranne
Serventi che andò al pianoforte. Chiacchierarono, bevvero liquore. Ad un certo
punto, Michela chiese ad Isaia il permesso di andare ad ascoltare meglio la
musica, ma appena si alzò e fece un paio di passi, Gabriel le si parò davanti e
le afferrò con le mani il collo, stringendo fortissimamente, tanto che alla
ragazza subito mancò il fiato e sbiancò. Isaia, preoccupato, scattò verso
l’amico con espressione feroce e gli strinse forte il braccio. Gabriel sorrise
e lasciò andare la ragazza, la quale si massaggiò il collo tossendo.
“Tranquillo, Isaia, non te la rompo, la bambolina.
Volevo solo farle un po’ di paura, tanto per ricordarle chi e cosa sono io.”
La ragazza guardò malissimo l’Eletto, poi si
affrettò ad avvicinarsi al pianoforte, prese una sedia e si accomodò per
ascoltare meglio. Concluso il minuetto che stava suonando, Serventi, senza
neppure voltarsi, con la mano le fece cenno si avvicinarsi e, mentre sfogliava
gli spartiti per scegliere la melodia successiva, le chiese: “A chi dei due, è
venuta in mente l’idea di questa sceneggiata?”
“Come?” si stupì la giovane.
“Suvvia, potete ingannare Gabriel, ma non me. Mi
pare evidente che Isaia stia fingendo.”
Michela si accigliò, poi sospirò: “Magari fosse
così!”
Bonifacio iniziò a suonare Piccola Musica Notturna di Mozart e disse: “Non sei convincente, io continuo a ritenere che il
templare stia cercando di raggirarci. Poco male, non ha molte possibilità e io
sono sempre del parere che, a lungo andare, si finisce sempre col diventare ciò
che si finge di essere.”
La ragazza non disse nulla e rimase ad ascoltare la
musica.
Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, Gabriel
era particolarmente di buon umore: aveva appena portato a termine una delle sue
bravate e non vedeva l’ora di raccontarla al suo amico Isaia. Gli aveva
promesso che sarebbe andato a trovarlo attorno alle diciassette, nel suo
appartamento, e così fece. Gabriel bussò alla porta, si sentì dire: Avanti; aprì
l’uscio ed entrò.
Gli piacque parecchio la scena che si trovò
davanti: Isaia, seduto in poltrona, leggeva, tenendo le gambe distese
appoggiate sulla schiena di Michela, a carponi davanti a lui.
“Oh diamine...!” esclamò e rise.
Senza considerare la ragazza, Gabriel si sedette
sulla poltrona di fronte all’amico e gli disse: “A quanto pare, le vecchie
abitudini sono dure a morire! Non vivi proprio senza i libri, eh? Non ti
rintanerai di nuovo in biblioteca, spero.”
“No, ma che c'entra? Il fatto che mi sia liberato
non vuol dire che abbia perso il piacere della lettura. Anche la sete di
cultura può essere un desiderio inestinguibile, che a volte ho dovuto accantonare
per dare la precedenza ai compiti della Congregazione.”
“Contento tu... Oh, non puoi immaginare dove sono
stato oggi, ma prima volevo sapere come si comporta la strega, qui.” indicò la
ragazza, ghignando, contento di vederla usata come poggiapiedi.
Isaia sospirò e scosse il capo: “È sempre la
solita. Questa è la sua punizione per una questione di stamattina.”
“Hai fatto bene, le permetterà di capire quale
vuole sia il suo posto.” Gabriel si guardò un attimo attorno, poi riprese:
“Tornando a prima, non ti ho chiamato, oggi, perché pensavo che volessi stare
da solo con la strega, ma, credimi, ti saresti divertito un casino. Hai
presente quell'ospedale riabilitativo per anziani, come cacchio si chiama...?”
Isaia, perplesso, abbassò il libro e chiese: “Intendi
l'RSA? Sì, ce l'ho presente...”
“Sì, quella... Non mi ricordavo le lettere. Beh,
adesso non esiste più!” ghignò, soddisfatto.
Isaia chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolinetto
alla propria destra, basito, guardò l’amico e domandò: “In che senso non esiste più?”
L’altro rispose tranquillamente: “Nel senso che io
e quattro dei nostri uomini siamo andati a prendere ciò che serviva a Gaslini:
medicine, roba per l'ospedale e altro e abbiamo fatto fuori chiunque fosse lì
dentro. Tanto non sarebbero serviti a nulla. Erano quasi tutti infermi. È stata
eutanasia.”
Isaia rimase interdetto, guardando l'amico, senza
sapere che cosa dire. Levò le gambe da sopra la schiena di Michela, la quale,
intanto, fremette di rabbia.
Gabriel notò l’espressione della ragazza, la fissò
con derisione e chiese: “Che c'è, strega? Perché quella faccia? Qualcosa in
contrario, per caso? Non ti piace il resoconto?”
Isaia sbottò: “Te la potevi risparmiare, un'atrocità
simile. Pensi ti faccia onore fare stragi di gente innocua a destra e
sinistra?”
Gabriel si stupì, poirise un attimo e chiese, in un misto di
stupore, irritazione e divertimento: “No, aspetta, mi stai rimproverando,
fratello?”
“Non è certo un complimento.”
Gabriel fu pervaso dall’ira, poi guardò Michela con
occhi di brace. Si alzò di scatto e si avvicinò a lei; avrebbe voluto prenderla
calci, ma non voleva neppure litigare ancor di più con Isaia, per cui si limitò
a calpestarle una mano, mentre le urlava: “Sei stata tu, vero, megera? Stai
traviando di nuovo il mio amico, ammettilo!”
Isaia si levò in piedi, irritato, ma senza
arrabbiarsi; seccamente disse: “Smettila! Lei non ha fatto niente. Questa è una
cosa che penso io, lei non c'entra nulla. Non è pietà verso quei vecchi o
chissà che, la mia; semplicemente dico solo che non c'è gloria nel trucidare
gli indifesi. La fama e gli onori si conquistano annientando degni avversari.”
Gabriel, furioso, se ne andò via, sbattendo la
porta. Camminò un poco, andò in giardino e trovò Serventi che gli chiese il
perché di tanta ira. L’Eletto riferì della discussione.
“Non mi stupisco che abbia reagito così.” disse
Bonifacio “Ha uno spirito più incline alle grandi imprese, quel che hai fatto
deve essergli sembrata una perdita di tempo. Sono sicuro che, se gli chiederai
di occuparsi di qualche oppositore, non si tirerà certo indietro.”
“Dici? Bene, mi procurerò qualche cane ribelle come
prigioniero e vedremo.”
“Sono sicuro che non esiterà a giustiziarli.” confermò
Serventi, poi suggerì: “Fa in modo che ci sia anche Michela a guardare; credo
che lei non abbia ancora accettato la vera natura del tuo amico. Spaventala,
mostrale il vero Isaia e anche lei cederà.”
“Speriamo. Domani avremo qualche risultato.”
Gabriel, ritrovato un po’ di buon umore, si
precipitò a cercare i suoi scherani per ordinare loro di cercare qualche
sedizioso da imprigionare.
Il mattino dopo, tutto era pronto per la prova del
nove. Gabriel era passato ad assicurarsi che ogni cosa fosse in ordine, poi
andò a cercare l’amico, lo trovò sul ponte di fronte a Castel
Sant’Angelo, mentre stava passeggiando con Michela, tenendole un braccio
attorno alle spalle.
Gabriel li raggiunse, salutando rapidamente, dando
un’occhiata prima all’uno e poi all’altra: “Isaia... Schiava.” poi si rivolse
esclusivamente all’amico; con un inquietante luccichio negli occhi, domandò:
“Ti va di divertirti un po’ con la feccia della feccia?”
“E me lo chiedi? Non aspettavo altro! Dimmi tutto.”
Gabriel ghignò e spiegò, stando ben attento alle
reazioni dell’amico: “Abbiamo dei prigionieri: manifestanti e oppositori
politici di cui dobbiamo disfarci. Ho pensato che la cosa potesse interessarti.
È anche un'occasione per esercitarti, sgranchire le braccia e vedere un po’ che
cosa sei in grado di fare, adesso che il tuo potere non ha più stupide
limitazioni morali. Ovviamente, la tua amichetta è invitata ad assistere.”
guardò la ragazza e le disse: “Avrai l'onore di conoscere il vero potere
del mio migliore amico, strega! Dovresti essere emozionata.”
Isaia, intanto, rispose: “La cosa m'interessa
eccome! Ne ho abbastanza di certa gente, mi ha fatto sprecare un sacco di
tempo. Dove sono questi seccatori?”
“Ho scelto un posto perfetto per l’esecuzioni,
scommetto che indovinerai subito. Pensaci un attimo, qual è il luogo che unisce
morte e divertimento?”
L’interpellato pensò per una frazione di secondo,
prima di rispondere: “L’Anfiteatro Flavio: il Colosseo.”
“Precisamente! Andiamo?”
“Andiamo.” Isaia annuì.
I tre si incamminarono, i due uomini parevano
tranquilli e svagati, mentre la ragazza era incupita. Arrivarono all'interno
del Colosseo, per terra e sui muri si potevano vedere chiazze e schizzi di
sangue. Gabriel condusse gli altri due presso il gruppetto di prigionieri,
circa una decina, per lo più uomini di varie età.;
Isaia li scrutò, aggrottò la fronte e con tono
neutro osservò: “Mh, sono loro, dunque.”
“Sono ansioso di vederti all'opera, fratello mio,
dico sul serio.”
Gabriel mise una mano sulla spalla dell’amico,
guardandolo con sguardo allucinato.
“Adesso che la tua natura si è finalmente
manifestata, è arrivato il momento che lo faccia anche il tuo vero potere.
Fatti conoscere, Isaia; devono sapere con chi avranno a che fare, d'ora in
avanti. Con te in giro, ci penseranno non due ma cento volte prima di
contestare. Gli faremo passare la voglia di romperci le palle.”
Isaia guardò negli occhi, l’amico; sul suo volto si
mostrò un ghigno terribile ed impaziente. Gabriel ricambiò e lo esortò: “Fammi
vedere di cosa sei capace! A te l'onore d'iniziare per primo.”
Isaia mosse qualche passo verso i prigionieri.
Michela, che era rimasta un paio di metri indietro, esclamò, supplichevole:
“NO!”
La ragazza corse, si mise davanti all’amato, gli
prese le mani, le strinse, lo guardò con occhi tristi e disse con voce rotta:
“Isaia, ti prego, non farlo! Tu non sei così, non stare al suo gioc...”
Gabriel, intanto, si era portato alle spalle della
giovane, le aveva messo una mano davanti alla bocca per interromperla, poi la
tirò indietro.
“Procedi pure, fratello!”
Isaia scrutò i prigionieri, come per scegliere da
quale cominciare.
Gabriel teneva stretta la ragazza, in modo tale da
costringerla a guardare. Le bisbigliò: “È inutile che ti illudi. Isaia ha fatto
la sua scelta, la migliore. Non lo credi capace di uccidere? Io scommetto che
lo farà.”
Isaia tese le mani davanti a sé, l’aria attorno ad
esse iniziò a crepitare; poi dalle punte delle sue dita iniziarono a fuori
uscire saette di sabbia che andarono a colpire uno dei prigionieri, il quale su
attraversato da fremiti, urlò e dopo poco cadde a terra morto.
Michela gridò un altro No, poi ne bisbigliò altri, incredula, sconvolta, con le lacrime agli
occhi.
Gabriel rise di gusto.
Isaia tese le mani verso un altro e colpì di nuovo.
La ragazza si disperò ancor di più. Vedendola non
più in grado di interferire, Gabriel mollò la presa, lasciandola accasciare a
terra, poi, mentre si avvicinava all’amico, gli disse: “Ehi, non te li vorrai
finire tutti da solo?! Fai divertire anche me!” rise e a propria volta scagliò
il suo fuoco elettrizzato con un povero prigioniero.
Caddero a terra alcuni altri, poi Isaia si
raccomandò, indicando un paio di tizi: “Quei due, però, no. Voglio
trasformarli.”
“Demonizzi anche tu?” si stupì Gabriel “Claudia si
limita a privare la gente delle sue capacità.”
“Non demonizzo. In realtà, non ho ancora
sperimentato, ma se ciò che ho saputo è vero, allora tra poco, qui, ci saranno
delle erinni.”
Gabriel andò in visibilio alla sola idea e lo
esortò ad agire. Isaia afferrò un prigioniero, si concentrò. L’uomo iniziò a
boccheggiare, a poco a poco la sua carnagione divenne grigiastra, gli occhi si
rovesciarono all’indietro, mostrando solo il bianco nelle orbite, il corpo si
fece di fumo e polvere.
Isaia mostrò il volto soddisfatto all’amico che
gioì entusiasta.
“Qual è l’altro che vuoi trasformare? Dimmelo, così
non mi sbaglio, mentre finisco il lavoro.”
Isaia indicò uno, poi aggiunse: “Tienine vivo
almeno un altro, da lasciare libero, in modo tale che racconti alla gente
quello che è successo, altrimenti, come farà a sapere cosa rischia a farci
innervosire?”
“Hai ragione, errore mio. La prossima esecuzione,
la faremo con un vero pubblico.”
I due amici completarono l’opera, poi Isaia rimase
in silenziosa contemplazione del lavoro compiuto. Gabriel dapprima gli si
avvicinò, espirò rumorosamente col naso, gli diede due pacche sulla spalla, con
espressione fiera in volto, commentò: “Che posso dire? Sbalorditivo, fratello
mio. Mai visto nulla di simile. Sapevo che non mi avresti deluso!”
Dopo di ciò, l’Eletto andò verso i corpi, staccò la
testa ad uno dei cadaveri, schizzandosi le mani di sangue, e, lanciata come una
palla da bowling, la fece rotolare fino a dove si trovava Michela.
La ragazza era per terra, in ginocchio, il capo
chino tenuto tra le mani. Quando si accorse della testa, urlò inorridita e si
allontanò rapidamente di qualche metro.
Isaia, ancora assorto nei suoi pensieri, girò
appena il capo, quanto necessario per vedere con la coda dell'occhio la
ragazza, alla quale si stava avvicinando l’altro uomo.
Gabriel raggiunse Michela. Sorrise terribilmente,
guardandola piangere seduta con la schiena contro la parete. Era esattamente
quella, la reazione che sperava di suscitarle ed aveva raggiunto il suo scopo.
Le domandò con scherno: “Allora, piaciuto lo spettacolo pirotecnico?”
Lei continuò a piangere, coprendosi il volto con le
mani. Gabriel l’afferrò, la costrinse ad alzarsi e a guardare i cadaveri; poi
le disse con soddisfazione e veemenza: “Beh, come hai potuto vedere, è questo
il vero potere di Isaia, la sua vera natura: uno sterminatore
spietato e creatore di Spettri della Vendetta!” indicò le due erinni.
“Se lo ami, devi accettarlo per quello che è,
strega, non hai alternative. Se lo ami, ami anche tutto questo e anche tu dovrai
abbracciare la mia dottrina. Dici che è sbagliata, eppure la ami.”
Michela non rispose e neppure degnò l’uomo di uno
sguardo, ostentava indifferenza che non aveva.
Gabriel si infuriò e iniziò a minacciarla: “Anche
perché, se continuerai di questo passo, piccola ingrata, il tuo status di
schiava peggiorerà notevolmente: potresti essere usata come zerbino, o come
poggiapiedi, essere costretta a muoverti a gattoni senza mai poterti alzare...”
sbuffò una risata “Ma sì, farti mettere collare e guinzaglio … e, già che ci
siamo, mangiare dalla ciotola. Tanto, gli avanzi li mangi, quindi il problema sporco si risolve.”
rise “E poi, perché no? Sarai la sua schiava sessuale.” indicò Isaia “Dovrai
essere sempre pronta a soddisfare i suoi istinti ogni volta che ne ha bisogno.
C’è una netta differenza tra questo e l’essere la sua donna, non credi? Adesso
è una questione di sentimento, lui sta attento a te, dovete averne entrambi
voglia, concordare e un sacco di altre cose … se, invece, sarai la sua schiava,
anziché la sua donna, allora il tuo piacere, il tuo consenso, non avranno alcun
valore. Dipende tutto da te, carina...” concluse ghignando.
Isaia, che stava ascoltando, pur distante, aggiunse
freddamente: “Inoltre, considera che se non ti decidi a cambiare questo irritante
atteggiamento e non accetterai la vera dottrina, puoi scordarti che ti
permetterò di crescere ed educare i nostri figli. Non ti permetterò di
traviarli con la tua filosofia d’arrendevolezza ed inibizione.”
Questa minaccia parve disperare la ragazza molto
più delle altre.
Gabriel, che intanto aveva raccolto la testa da
terra e se la stava passando tra le mani, insisté: “Ma tra le cose ancor
peggiori c'è la possibilità che Isaia si trovi un'altra donna che lo ami per ciò
che è tu sarai costretta a servirla. Oppure, un’altra possibilità, potrebbe
essere quella di farti dimenticare per sempre qualsiasi cosa tu abbia studiato
e che conosci. Dopo una visitina alla mia ragazza, l'integrità intellettuale
non saprai neanche più cos'è, inutile strega, visto che sarai una totale
inetta, e tutti i tuoi fottuti talenti di magia spariranno per sempre.”
“Gabriel!” lo richiamò Isaia “Basta così, credo sia
più che sufficiente.”
L’Eletto, forse, avrebbe voluto proseguire, ma
accontentò l’amico; lasciò cadere la testa a terra e si limitò a usare i
capelli della ragazza come un asciugamano per pulirsi le mani dal sangue,
mentre l’ammoniva: “Ti consiglio di adeguarti alle regole del gioco, se vuoi
vivere dignitosamente.”
“Gabriel, ho detto basta!” ribadì Isaia, che
finalmente si mosse.
Andò vicino alla ragazza, la strinse a sé in un
tentativo di confortarla; con fare severo, forse più verso Gabriel che non alla
giovane, disse: “Soffre già dovendo dividere il bambino con Niklos,
non credo proprio voglia vedersi sottratti altri figli.” chinò il volto accanto
a quello della giovane “Vero? Noi avremo tanti figli, tu vuoi che crescano con
te, vero? Allora dovrai essere una brava madre, crescerli con i giusti
principi, i nostri.” le carezzò i capelli “Prometti che lo farai? Inizierai a
fare la brava? È semplice, devi fare solo quello che ti dico e non sbaglierai.”
Michela si divincolò, disse: “Lasciami!” poi si
diresse verso l’uscita “Ho bisogno di stare un po’ sola …”
Prima che l’amico potesse dire o fare alcunché,
Isaia disse: “Hai circa due ore;torna
per pranzo! Se non sarai a tavola con noi, ucciderò una persona ogni mezz’ora,
finché non tornerai.”
Gabriel sorrise e approvò pienamente.
Michela continuò ad allontanarsi, con gli occhi
colmi di lacrime.
Michela
uscì rapidamente dal Colosseo e con passo molto svelto, il tempo era poco, si
diresse verso l’entrata della catacomba. Per risparmiare tempo, avrebbe potuto
ricorrere a uno dei sigilli, ma non lo fece, per timore di essere vista. Arrivò
alla catacomba e iniziò a discendervi, la trovò con molta meno gente, rispetto
all’ultima visita. La ragazza era ancora parecchio scombussolata per quel che
era successo all’anfiteatro, questo, unito al poco tempo, la induceva ad
abbandonare le buone maniere. Scesa la scalinata, arrivata nella prima stanza,
domandò a gran voce: “Dov’è Sebastiano?”
La
gente rimase piuttosto perplessa; un uomo chiese: “Chi lo vuole sapere?”
La
giovane andò verso di lui, dicendo: “Poche domande e portami da lui.”
“Ma
…” provò a ribattere il tizio.
Un
altro tale intervenne: “L’ho vista in Villa, era quella della radio; possiamo
fidarci.”
Michela,
quindi, fu accompagnata da Sebastiano. Il gesuita era in una camera più o meno
d’ospedale, sebbene fosse in buona via di guarigione, era tenuto sotto
osservazione costante da parte dei medici: ormai era l’unica guida, oltre ad
Alonso, che fosse rimasta.
Sebastiano
fu parecchio contento di rivedere la giovane in salute, ma si accorse
immediatamente che era parecchio turbata.
“Come
mai sei qua?” chiese il giovane “Sei fuggita? Hai notizie di Isaia?”
“Ti
racconterò tutto, ma prima dimmi tu, come stai?”
“I medici sono stupiti dalla
rapidità della mia ripresa. Sono stato in coma per una settimana, più di là che
di qua. Poi ho ripreso conoscenza e, in questi ultimi giorni, ho cercato di
usare il più possibile il reiki e quel che mi hai insegnato tu per accelerare
l’autoguarigione ed evidentemente un po’ ha
funzionato, presto non avrò più bisogno di cure, anche se … non potrò più
essere operativo in battaglia.” sospirò e col capo accennò al braccio destro,
completamente immobile.
“Perché? Non te lo possono
curare?”
“Hanno provato ad operarmi ma non
possediamo gli strumenti adatti, non siamo un vero ospedale. Sono stati recisi
tutti i tendini che avevo da queste parti.” con la sinistra indicò la ferita,
non ancora rimarginata completamente “Non sono riusciti a ricucirli assieme.
Posso muovere la mano, ma il resto è fuori uso.”
“Vuoi che ci pensi io?” si offrì
la ragazza.
“L’ultima volta che ti ho chiesto
di guarirmi, ti ho messa in pericolo, non voglio che si ripeta.”
“Dubito che le cose possano
andare peggio di così. Per favore, permettimi di curarti, ho bisogno di fare
qualcosa di buono!”
Sebastiano sorrise e annuì, le
era molto grato. Michela si diede subito d’impegno e nell’arco di una mezz’ora
il gesuita era come nuovo, in perfetta salute e col braccio funzionante.
“Oh, grazie, grazie! Temevo di
dover imparare ad usare la spada di mancino.”
Il gesuita era decisamente
contento.
“Beh, suppongo che questa non sia
una visita di piacere; che cosa volevi dirmi?” si fece poi serio il giovane.
“Ecco, il fatto è che ero molto
sconvolta e avevo bisogno di allontanarmi, di stare un poco tranquilla e questo
è l’unico posto che mi sia venuto in mente.”
“Cos’è successo?” si allarmò
Sebastiano.
Una viva agitazione si dipinse
sul viso della ragazza che voleva parlare, ma non trovava le parole e il
coraggio per incominciare.
“Cos’è successo?!”
“Isaia …”
“Cosa?!”
Michela sentì gli occhi riempirsi
di nuovo di lacrime, si mise a sedere sul letto, si portò le mani al volto e
tra i singhiozzi di pianto e il tirar su col naso, tentò di spiegare: “Era
prigioniero. Gabriel lo trattava malissimo. Isaia provava a farlo ragionare, ma
era inutile. Allora Isaia ha deciso di fingere di fingere di passare dalla sua
parte, in modo tale da potergli stare più vicino e, pian, piano ricondurlo al
Bene, a Dio, ma …” si abbandonò al pianto.
Sebastiano le mise una mano sulla
schiena, l’accarezzò cercando di calmarla e, quando sentì che il pianto stava
un poco scemando, la esortò a proseguire col racconto.
“Poco fa l’ho visto uccidere dei
prigionieri, freddo, calmo, spietato. Non ho visto del rimorso sul suo volto. Io
non credevo che potesse arrivare a tanto, solo per mantenere la sua copertura
e, comunque, anche se così fosse, mi sembra impossibile che sappia recitare
talmente bene e nascondere così perfettamente le sue vere emozioni. Io ho
paura, Sebastiano, ho paura che abbia davvero ceduto al male.”
“No, non Isaia, è impossibile!”
“Anch’io non ci crederei, se me
lo raccontassero, ma l’ho visto così dannatamente nel personaggio che, temo,
non stia più fingendo.”
“Ricordati che la recitazione
rientra nella formazione gesuitica, la impartiscono anche ai bambini e ragazzi
nei loro collegi, pure a quelli che non diventeranno gesuiti. Isaia è stato
istruito fin da piccolo nell’arte teatrale, è un attore provetto.”
“Lo spero, Sebastiano, lo spero …
tra poco lo scoprirò.”
“Te ne vai subito?”
La ragazza guardò l’ora e disse:
“Tra un’ora devo essere in Vaticano, posso fermarmi ancora un poco.”
Il gesuita stava per dire
qualcosa, quando Alonso entrò d’improvviso nella stanza. L’archivista dapprima
si stupì sia di trovare il giovane in piena salute, sia nel vedere la donna;
poi si felicitò, infine disse: “Hermano, c’è una quescione de cui devi ocuparte
con noi. Es tornado un hombre
de quelicaturati ieri
sera, voleablar con todos.”
“Intanto parli a noi, il nostro
consiglio è riunito?”
“Manchiamo io e te, hermano.”
“Bene, allora raggiungiamo gli
altri. Michela vieni anche tu?”
La ragazza annuì e andò coi due
gesuiti in un’altra stanza, dove si trovavano anche Vairocana
coi buddisti, padre Eleuterio e padre Loreto, un paio
di suore e alcune altre persone. Erano seduti in cerchio su sedie e panche, al
centro c’era l’uomo che voleva parlare. Era l’unico superstite dell’esecuzione
al Colosseo, quello lasciato vivo affinché raccontasse ciò che era accaduto.
Michela lo riconobbe subito, per questo decise di rimanersene un poco in
disparte, in ombra per non essere riconosciuta.
L’uomo raccontò di come lui e i
suoi compagni fossero stati catturati la sera prima, proprio mentre svolgevano
un compito affidato loro da quello stesso consiglio. Riferì dell’esecuzione e
del nuovo collaboratore dei Antinori (per fortuna non lo aveva riconosciuto).
In ultimo concluse il suo discorso così: “Signori, è finita! Non possiamo più
combattere od opporci, dobbiamo accettare che questo è il nuovo ordine delle
cose e dobbiamo adeguarci. Ognuno faccia quello che ritiene meglio, ma io dirò
a tutti che è finita.”
Molti dei presenti parvero
concordare: troppi morti, troppi pericoli, meglio non opporsi, piuttosto che
soffrire, essere torturati e uccisi, quando tutti gli sforzi erano vani.
Piuttosto che morire, era meglio accettare la situazione.
Ognuna di quelle parole era come
un pugnale che trafiggeva il cuore di Michela (e forse non solo il suo) ma fu
lei quella che perse la pazienza. Dapprima fece rimbombare per la stanza un
tremendo tuono che ammutolì tutti quanti, poi si fece avanti, dicendo: “Unica
speranza di salvezza è baciare quella mano lordata di sangue. Ma se anche mille
spade rispondono a nuovi segnali di morte, non è degno d’uomini, o popolo
degenere, conquistarsi in tal modo lunghi secoli di vita, tanto meno una vita
breve, in attesa di Silla.”
Tutti rimasero ammutoliti e in
silenzio; probabilmente solo i gesuiti avevano colto la citazione.
“Questo è quello che scrisse
Lucano nella sua Farsaglia, poema dove non
elogiò Cesare e l’ascesa dell’impero, no egli disprezzò quel fulmine, ma esaltò
Pompeo: una salda quercia e poi Catone l’Uticense. Pompeo che lottò fino
alla morte, Catone che preferì gettarsi sulla propria spada, piuttosto che
vivere sotto una dittatura: Catone non poté sopravvivere alla morte della
Libertà e la Libertà non poté sopravvivere alla morte di Catone.” guardò con
disprezzo i presenti “Dite che siete sconfitti? Che non c’è più possibilità di
vivere e di sottrarsi a questa oppressione? Allora, se foste veri uomini,
dareste fuoco alla città, piuttosto che lasciarla al nemico e uccidereste le
vostre famiglie e voi stessi, per evitare di cadere schiavi.”
“Ma cosa stai dicendo?!” esclamò
qualcuno, scandalizzato.
Il superstite dell’esecuzione,
che a quel punto l’aveva riconosciuta, l’additò: “C’era anche lei al Colosseo!
È nelle fila di Antinori, nonostante abbia cercato di opporsi e abbia pianto
mentre i miei amici venivano giustiziati.”
“Sono costretta a rimanere da
loro. Potrei vivere nel lusso e comandando a bacchetta chiunque. Ho rinunciato
a tutto ciò per continuare a lottare per voi, a sostenervi! Per essere stata
scoperta, mentre portavo del cibo a della gente come voi, ho subito punizioni
molto aspre. Sapevo a cosa andavo incontro, ma non mi sono tirata indietro.
Sapevo che mi stavo sacrificando per il bene comune, per la lotta per la
libertà e il diritto veri e non quelli di cui blaterano gli oppressori. E ora
voi volete rinunciare? A che è servita la mia resistenza, allora? A cosa è
servita la morte di quegli uomini e quelle donne che hanno dato la vita in
questi giorni affinché chi sarebbe sopravvissuto alla lotta, avrebbe potuto
vivere senza tiranni e soprusi? Voi non solo state degradando voi stessi con
questa decisione, ma state offendendo chi ha dato la vita per voi e i loro
cari!”
“Io sarò solo contento, se potrò
risparmiare ad altri il mio dolore!” esclamò uno dei presenti, che
evidentemente aveva perso qualcuno in quegli scontri.
Altri fecero cenno di approvare
quest’ultimo parere e si dicevano inclini alla rinuncia.
Michela fremette d’ira, alzò gli
occhi al cielo ed esclamò: “Mameli, tu, che a 22 anni moristi per difendere la
Repubblica Romana, che sapevi essere sconfitta già in partenza, perdona la
codardia di questi uomini.” poi si voltò verso Sebastiano ed Alonso, a cui
stava dando le spalle e disse: “Domani ripasso da qui, mi consegnerete
Giovanni.”
“Che?”
“La testa del Battista. Domani
vengo a prenderla, non posso ora, perché è tardi e devo andare.”
In realtà, più che per mancanza
di tempo, non prese Giovanni subito, perché prima voleva sincerarsi che Isaia
fosse ancora buono.
Michela uscì di gran fretta,
provando una rabbia immensa, decise di mandare al diavolo le cautele e tracciò
il sigillo per il trasporto istantaneo e tornò subito in Vaticano.
Mancava ancora un quarto d’ora
all’ora di pranzo; la ragazza andò subito nella sala da pranzo e vi trovò già
Gabriel, Claudia e Stefano.
L’Eletto notò la furia che permeava
la giovane e quindi la guardò a metà tra il curioso e il divertito. Gli altri
due, invece, provarono un poco di inquietudine.
Michela, rivolgendosi ad
Antinori, disse seccamente: “Dì di aggiungere un posto a tavola. Pranzo con
voi.”
“Isaia è d’accordo?”
“Lo sarà. Ho preso la mia
decisione.”
“Sarebbe?”
Michela tentennò un attimo e, si
capiva, le fu difficile dire: “Non mi metterò più contro di te, non
contravverrò alle tue disposizioni e smetterò fin da subito di cercare di
aiutare la gente comune.” tacque un attimo, poi aggiunse: “Ma non farò loro del
male.”
“Mh, è
già qualcosa.” annuì Gabriel “Come mai questa scelta? Quale delle minacce ha
fatto più effetto?”
“Nessuna. Quelle non mi
spaventano. Mi sono resa conto, però, che non ha senso ch’io patisca tutto
questo per dei vigliacchi che non sono disposti a lottare fino alla morte. Hai
ragione tu: chi non vuole la libertà, merita la schiavitù. Loro preferiscono
essere oppressi, piuttosto che morire per difendere i propri diritti. Io,
allora, non vedo più il motivo di patire per quelli.”
“Quindi smetterai di cercare di
procurar loro cibo e cure clandestine? E di intrometterti mentre io mi
diverto?”
Non fu facile, ma Michela ricordò
le parole che aveva sentito nella catacomba e trovò lo sdegno per dire: “Non
avranno più nessun aiuto da me. Se ti vedrò prendertela con loro, non mi
permetterò di dire neppure una mezza parola per ammansirti. Ho finito di
inguaiarmi per dei vigliacchi.”
Gabriel ragionò tra sé e sé e poi
disse: “Ma sì, direi che ti sei meritata di poter tornare a sederti a tavola,
Isaia ne converrà.” guardò il discepolo “Stefano, va a dire di aggiungere un
coperto.”
Il ragazzo andò subito.
Presto arrivò anche Isaia e,
informato della nuova posizione della ragazza, se ne rallegrò e la ricompensò
con un bacio.
Pranzarono tranquillamente e
nulla fu diverso dal solito. Finito di mangiare, Isaia disse che era sua
intenzione ritirarsi nel suo appartamento con la ragazza e così fece.
Rimasti soli nelle loro stanze,
Isaia e Michela rimasero per lunghi momenti in piedi l’uno davanti all’altra a
fissarsi, senza dire nulla. Erano entrambi dubbiosi, non sapevano quale fosse
il pensiero e l’animo reciproco, non sapevano come cominciare.
Infine si decise a parlare Isaia:
“Cosa ti ha fatto arrabbiare così tanto?”
“Esattamente quello che ho detto:
sono disgustata dalla gente che non vuole più resistere e combattere.”
Michela tremò nell’animo, guardò
Isaia, temeva la risposta alla domanda che stava per fargli forse il dubbio era
meglio che una risposta dolorosa. Era divisa tra la speranza e la paura di
illudersi. Doveva sapere. Con voce stridula per l’apprensione, iniziò a
chiedere: “Isaia … tu … tu non volevi … vero?”
Isaia usò un tono grave:
“Sapevamo che si sarebbe presentata una simile evenienza. Mi hai spiegato tu
come evocare il mio potere oscuro per sembrare credibile … Ho dovuto … Io … non
credevo di trovarmi in una situazione del genere …”
Nelle sue ultime parole si
percepiva la sua sofferenza.
Michela si vergognò di avere
dubitato di lui. Gli si avvicinò gli prese le mani e disse: “Lo so. Nemmeno io
l’avevo supposto. Pensavamo che, al massimo, ti avrebbe coinvolto in qualche
scontro e che, nella confusione generale, avresti potuto evitare di uccidere o
almeno limitarti … Stai anche lavorando per rimandare le battaglie …”
“Io non lo sapevo!” sbottò lui.
Sapeva di non dovere convincere
la ragazza, ma aveva bisogno di sfogarsi. I sensi di colpa lo tormentavano fin
da prima di entrare nel Colosseo e aveva dovuto fingere, in quelle ore, di
essere tranquillo, sereno, anzi felice, mentre il dolore e il rimorso
dilaniavano il suo animo.
Ora che era solo con lei, poteva
finalmente gettare la maschera e soffrire apertamente.
“Mi ha fatto uccidere della gente
per dimostrargli che fossi davvero passato dalla sua parte! Ed è stata colpa
mia! È colpa mia!”
“No! Perché dici così?” lei gli
fece una carezza sul volto.
Isaia si scostò, si sentiva
indegno di quell’affetto, perfino voltò le spalle all’amica; spiegò: “Se ieri
non avessi rimproverato Gabriel per la strage all’RSA, lui non avrebbe dubitato
di me e non avrebbe pensato a questa crudele prova. Ne sono sicuro.”
Michela tornò ad avvicinarsi, lo
abbracciò da dietro e cercò di confortarlo: “Hai fatto il tuo dovere. Se non lo
rimproverassi e lo mitigassi, a cosa servirebbe la tua recita? In prigione, non
hai aggredito Niklos per salvare me. Hai solo voluto
rendere il più credibile possibile la tua falsa conversione. Hai voluto stare
vicino a Gabriel per tentare di fargli ritrovare il nume della ragione. Se non
facessi nulla per salvarlo, allora non staresti semplicemente fingendo di
essere cattivo, ma lo saresti.”
“Già …” sospirò l’uomo,
malinconico, avvilito; non si mosse “Ma, se per impedire a lui di fare del male,
devo fingere e, per fingere, devo fare io del male, che cosa cambia? Quelle
persone sono morte e io non ho salvato nessuno!” c’era frustrazione in queste
domande.
“Beh, hai fatto graziare l’uomo
che testimoniasse l’esecuzione agli altri … e le due erinni torneranno umane,
quando tutto questo sarà finito.” tentò di consolarlo lei, affranta per non
poter aiutare di più l’amato.
“E gli altri? Quelli che ho
ucciso?” ora era in procinto di piangere “Prima di ucciderli, io li ho assolti
dai loro peccati, tra me e me; dopo quel massacro ho recitato l’eterno
riposo, ma non posso sapere se è stato sufficiente per salvarli, per
mandare le loro anime in paradiso … ma, anche qualora siano state accolte da
Dio, i loro cari, qui, soffriranno. Ho privato delle famiglie intere dei loro
cari … So che era necessario per un bene superiore, ma io non posso fare a meno
di sentirmi in colpa.”
“Lo immagino ed è giusto che tu,
ora, ti senta così. Mi preoccuperei se non provassi rimorso, tuttavia devi a
poco a poco perdonarti: hai tolto qualche vita, ma per salvarne molte altre e
soprattutto per salvare molte anime dalla corruzione. È stato un sacrificio
necessario.”
“Preferirei sacrificare la mia,
di vita, e non quella degli altri.”
“Al momento non abbiamo nessun
piano che possa far risultare la tua morte efficace per la salvezza del mondo,
per cui … Tu non sei certo un privilegiato perché vivi. Tu ha il peso di dover
fare cose che vanno contro i tuoi principi, pur di raggiungere l’obiettivo e
questo è un grande sacrificio da parte tua. Inoltre, hai la responsabilità di
non vanificare le loro morti. Per di più, se riuscirai a salvare Gabriel e
fermare Serventi, agli occhi del mondo rimarrai un assassino, un malvagio.
Comunque finirà la faccenda, non ricaverai né gloria, né onori e dovrai passare
il resto della tua vita a nasconderti.”
“No.” disse Isaia, calmatosi, con
tono solenne “Quando tutto questo sarà finito, io mi consegnerò alla Giustizia,
verrò processato e giudicato per le mie azioni.”
Michela si portò davanti a lui e
gli disse: “Preferirei ti affidassi alla giustizia di Dio e non a quella umana
… temo che qui non sarai giudicato con saggezza, ma con rancore e vendetta.”
“Se Geburah
e Chohmah saranno puri, influenzeranno positivamente
gli animi umani … Comunque, non pensiamo al dopo, per il momento. Dobbiamo
prima capire come agire adesso; è necessario studiare una vera strategia e non
lasciarci andare all’improvvisazione, come avevamo pensato inizialmente.
Peccato non poter fare come Astolfo e andare sulla
Luna a recuperare il senno di Gabriel, magari proprio di fianco a quello di
Orlando.”
“Beh, abbiamo anche noi, però un
San Giovanni che può consigliarci e, abbiamo appurato, il Battista è meglio
dell’Evangelista.”
La ragazza riuscì a strappare una
lieve risata ad Isaia che poi disse: “Hai ragione, dobbiamo trovare il modo di
portarlo qui … ma non so neppure dov’è! Quando sono andato a prendere i libri,
in Villa, non c’era più e neppure ho trovato il resto delle reliquie e i
manoscritti!”
“Credo sia tutto nella catacomba.
Domani andrò a recuperare Giovanni.”
“Perfetto. Io terrò occupato
Gabriel, in modo che, per un qualsiasi motivo, non ti trovi nei paraggi della
catacomba. Ah, già che ci sei, potresti controllare come sta Sebastiano, per
favore?”
La ragazza si affrettò a rassicurarlo
circa la salute dell’amico, poi gli raccontò con precisione la sua visita alla
catacomba.
“Siamo rimasti soli a quanto
pare.” sospirò Isaia “Abbiamo sbagliato: non avremmo mai dovuto cercare di
combattere. Alonso ha scelto bene di non usare la forza … proprio come ci
consigliava Giovanni … ma sinceramente credevo sarebbe andata diversamente e,
finché si sono mantenuti i sigilli, le cose andavano piuttosto bene … Ho troppi
morti sulla coscienza, a causa delle mie scelte sbagliate.”
Michela prese le mani di Isaia e,
commossa da tanta bontà, cercò di rassicurarlo: “Isaia, non eri preparato!
Nessuno lo sarebbe stato. Sono situazioni difficili e qualsiasi scelta avrebbe
portato dolore e morte in un senso o nell’altro. Siamo nel mondo, siamo in Malkuth, la perfezione non è possibile, qualsiasi scelta
sarà in parte sbagliata. Sai che cosa ha detto Krishna?
Si può uccidere, per il bene. Non c’è nulla di proibito o sbagliato, quando
agisci per Dio. Qualsiasi cosa tu faccia, la devi dedicare a Dio, la compi non
per te, non per altri, ma solo poiché quello è il tuo dovere. Indipendentemente
dal risultato, tu devi agire. Vittoria e sconfitta si equivalgono, ciò che
conta è fare il proprio dovere. Sei rimasto sconvolto quando ti sei reso conto
che Dio, quello vero, è al di sopra di ciò che noi chiamiamo bene o male, ma
poi hai accettato la realtà. Non devi quindi spaventarti se obbedire a Dio ti
richiede di fare qualcosa che generalmente definiresti male.”
Isaia capiva. Non era convinto.
Apprezzò quello sforzo. Abbracciò strettamente la giovane.
La ragazza, rimanendo
nell’abbraccio, carezzò il capo dell’uomo e continuò a dirgli: “So cosa pensi:
sei Geburah e, quindi, credi di non aver il diritto
di sbagliare. Purtroppo le nostre sephiroth non sono
pure, pendono verso il bene o il male, non siamo infallibili. Non puoi neppure
rimproverarti di non aver ascoltato Dio, so che tu chiedi sempre consiglio a
Lui.” gli diede un bacio sulla guancia “Hai dovuto fare cose che avresti
preferito non compiere e so quanto è doloroso. Ho sofferto io che ho solo
assistito stamattina, non oso immaginare quanto abbia fatto male a te.”
“Ti ho spaventata?” c’era
apprensione nella sua voce.
“Sì. Ho temuto avessi ceduto per
davvero … scusami per averlo pensato e per essermene andata, avrei dovuto
rimanerti vicino, in quel momento.” era molto triste “Perdona la mia mancanza
di fiducia e il mio egoismo: mi sono preoccupata per me e non per te. Scusami.”
stava piangendo.
Isaia la strinse ancora più forte
a sé. Sentire quanto lei gli volesse bene, gli alleggeriva il peso di tutte le
altre preoccupazioni. Tutto il rimorso, l’incertezza, la prospettiva della
giusta punizione … tutto ciò sembrava molto più sopportabile, al pensiero che
quella ragazza gli volesse bene e che sarebbe stata al suo fianco e avrebbe
condiviso qualsiasi cosa con lui … Sarebbe stata al suo fianco? Lui lo sperava,
lo voleva, ma come poteva esserne certo? In fondo lui non avrebbe potuto
offrirle ciò che lei voleva. Sarebbe però stato tutto più aspro, senza di lei.
“Michela …”
“Dimmi.”
“Tu starai sempre con me? Qualunque
cosa accadrà l’affronteremo assieme, anche se …?”
“Isaia!” lo interruppe lei,
sollevò un poco il capo, lo guardò dritto negli occhi e, come se stesse facendo
un giuramento, gli disse: “Ubi tu Caius, ego Caia.”
Isaia la guardò in un misto di
stupore, gratitudine e altre emozioni simili, mescolate assieme. Deglutì e le
chiese: “Sei sicura di non aver esagerato? Era la formula di matrimonio degli
antichi Romani …”
“So esattamente che cos’è.” replicò
lei, sorridendo “E sono assolutamente certa di quello che ho detto. Io ti amo e
sarò felicissima se mi permetterai di starti accanto e di renderti felice e se
vorrai condividere le tue gioie e le tue sofferenze con me. Non mi importa se
non potremo avere rapporti sessuali, non sono fondamentali. Non mi arrabbierò
quando i tuoi doveri ti terranno lontano. Io amo te e adoro la tua abnegazione
e il tuo essere integerrimo. Te lo ripeto. Ubi
tu Caius, ego Caia e
nulla lo potrà cambiare.”
Isaia provava un’immensa
riconoscenza verso di lei: lo amava così profondamente!
L’uomo aveva le lacrime agli
occhi nel dirle: “Perdonami, se non ti amo come meriteresti.”
“Va bene così.”
“Non dubitare, però, del fatto
ch’io ti ami.”
“Queste parole bastano a rendermi
felice.”
Michela appoggiò nuovamente la
testa al petto di Isaia. L’abbraccio fu ancora più forte, da parte di entrambi.
Confortati dal reciproco calore e affetto, si sentivano più calmi; erano ancora
malinconici e rattristati per gli avvenimenti della mattina, ma non c’era più
la disperazione nei loro animi.
Rimasero abbracciati a lungo, si
separarono solo quando ebbero l’idea di recitare una novena in suffragio dei
giustiziati.
Dopo aver pregato a lungo,
assieme, i due uscirono dal loro appartamento, andarono a cercare Giorgio e,
quando lo trovarono, giocarono a lungo con lui, con un certo disappunto di Niklos, il quale ovviamente avrebbe preferito non ci fosse
Isaia: lo considerava un intruso. Lo stregone, comunque non protestò e fece buon
viso a cattivo gioco, non perché avesse paura del gesuita, ma solo per non
indispettire la donna. Non aveva ancora rinunciato all’idea di riconquistarla
e, quindi, voleva dimostrare di essere ragionevole e buono.
Il bambino era felice, si
divertiva con tutti e tre e non ebbe perplessità fino al momento in cui non
arrivò l’ora di cena. A quel punto, quando la madre fece per salutarlo e andare
via, Giorgio domandò: “Perché non mangi mai con noi e te ne vai con Isaia?”
Un certo imbarazzo riempì
l’atmosfera. La donna non sapeva cosa dire.
Niklos rispose: “La mamma
e Claudia sono amiche e quindi Claudia invita sempre la mamma a pranzo e a
cena. Io non ci posso andare perché con Gabriel litigo sempre e, quindi, non mi
vuole vedere.”
Michela ringraziò, tra sé e sé,
lo stregone per quella bugia.
“Perché litigate?” chiese il
bambino.
“Perché lui è brutto e cattivo.
Quindi, se tu andassi con la mamma a cena, io rimarrei solo.”
“Non devi stare solo, papà!”
esclamò il piccolo, abbracciando il genitore.
Isaia si accorse del dispiacere
negli occhi della ragazza, dunque disse, in modo da essere sentito da tutti e
tre: “Michela, credo che per una volta, la dottoressa Munari non si arrabbierà
se non verrai a cena con noi; per cui, se lo vuoi, resta pure con tuo figlio. Spiegherò
io agli altri.”
La donna gioì e si rallegrò.
Ringraziò il gesuita e, per quella sera, rimase con Giorgio e Niklos. Dopo la cena, il bambino rimase sveglio un poco,
fino alle ventuno, poi andò a dormire nel lettino che lo stregone si era
procurato e aveva sistemato nelle proprie stanze: aveva fatto una bella
cameretta per il figlio e gli aveva procurato molti giocattoli.
I due genitori raccontarono una
fiaba al bambino e rimasero con lui finché non si addormentò. Usciti dalla
cameretta, Michela ringraziò di tutto cuore Niklos
per come si stava prendendo cura di Giorgio e del bene che gli voleva.
“È naturale, è mio figlio!” aveva
risposto lo stregone.
Chiacchierarono circa una
mezz’ora, poi Michela rientrò nel proprio appartamento. Isaia ancora non c’era,
evidentemente era ancora in salotto con Gabriel e gli altri. La ragazza,
allora, da un armadio tirò fuori lenzuola e cuscino e li sistemò con cura sul
divano, poi prese carta e penna e scrisse un biglietto di buona notte per
l’uomo e glielo lasciò sul cuscino, infine lei andò a dormire nel letto.
Fin dalla prima sera in cui
avevano dovuto dormire assieme in quell’appartamento, Isaia era stato chiaro:
la Michela avrebbe dormito nel letto, mentre lui sarebbe stato sul divano.
Quando tornò, appena si accorse
che la donna stava gi dormendo, Isaia stette ben attento a non fare rumore.
Lesse con piacere il semplice messaggio, lo piegò e lo mise nel portafogli,
poi, prima di coricarsi, in punta di piedi andò sulla soglia della camera da
letto e guardò la ragazza per alcuni minuti.
Il mattino seguente, dopo aver
fatto colazione assieme agli altri, Michela uscì dal Vaticano e raggiunse la
catacomba, dove incontrò nuovamente Sebastiano ed Alonso. Si informarono
reciprocamente delle novità: la ragazza li rassicurò circa la bontà di Isaia,
mentre loro le confermarono quel che già aveva sentito il giorno prima: la
gente era stufa di lottare. La donna chiese anche di Delrio,
le dissero che lo avevano recuperato dopo la battaglia, ma poi degli esseri
piuttosto eterei e luminosi lo avevano portato via e di lui non si era più
saputo nulla. Michela si affidò alle loro preghiere, poi salutò e tornò
indietro con la testa del Battista, dentro uno scatolone ben chiuso. Ciò, però,
non impedì a Giovanni di parlare per tutto il tempo, senza tacere un solo
istante: si lamentava soprattutto di non essere stato considerato da nessuno
dei suoi amici, in quegli ultimi dieci giorni. A poco valse spiegargli che sia
lei che Isaia erano praticamente prigionieri di Serventi. Giovanni continuò a
lamentarsi del fatto che, come al solito, non era stato ascoltato e ciò aveva
causato la morte di tutte quelle persone. Continuo a borbottare a lungo, tra le
varie cose, disse anche che l’unico che lo ascoltava e non lo aveva abbandonato
era Alonso. La donna si stupì nello scoprire che anche il bibliotecario
riusciva a parlare col Battista, comunque non si crucciò per questo e non fece
domande.
Rientrando, la ragazza incrociò
Gabriel ed Isaia. Antinori parve subito sospettoso, vedendola con un pacco in
mano, ma l’amico lo rassicurò subito, dicendogli che era stato lui a mandare la
ragazza a prendergli una cosuccia.
“Anzi, vado a controllare che sia
tutto a posto e, magari la provo.” disse Isaia, che voleva interpellare subito
Giovanni e, quindi, necessitava di una scusa per allontanarsi dall’amico.
Arrivati nell’appartamento,
tirarono subito fuori la testa sacra e la adagiarono su un tavolino. Giovanni
guardò con grande disappunto Isaia, stava per dire qualcosa, ma Michela lo
prevenne: “Gli riassumo io la ramanzina, più tardi. Adesso, per favore,
aiutaci.”
“Ecco! Esattamente come al
solito! Prima fate sciocchezze, aggravate le situazioni e poi tornate a
piagnucolare da Giovanni.”
“Lo so, mi dispiace.” intervenne
Isaia “Tu lo avevi detto fin da subito che guerreggiare era inutile e avevi
ragione. Io, però, non avevo idea di come fare ad avvicinarmi a Gabriel. Ora
sono qua, a stretto contatto con lui, dimmi come devo comportarmi.”
“Ecco, ora ti aspetti ch’io abbia
la soluzione a portata di mano!”
“Giovanni, ti prego! Io ci provo
a parlargli, tento di farlo ragionare, di fargli ricordare ciò in cui una volta
credeva, ma mi pare assolutamente inutile! Sto sbagliando strategia,
evidentemente. Non posso neppure tirare troppo la corda, altrimenti si accorgerebbe
che gli sto mentendo e non so se questa volta si limiterebbe a chiudermi in una
cella.”
“Ti aveva imprigionato?” domandò
il Battista.
“Sì.”
“E come ti sei comportato?”
“Ho sopportato stoicamente,
quindi in realtà non si potrebbe usare il termine sopportare; ad ogni
modo sono rimasto imperturbabile, nonostante tutto.”
“E com’è che ora stai fingendo di
essere dalla sua parte?” quasi lo sgridò Giovanni “L’essere prigioniero ed
irremovibile sarebbe stata un’ottima tattica per far vacillare le certezze di
Gabriele.”
Isaia ripensò agli ultimi giorni
di prigionia: effettivamente aveva avvertito qualcosa di diverso nell’amico, ma
non ci aveva fatto caso, non aveva sospettato che potesse essere un segnale
positivo. Si rimproverò con sé stesso, ma poi si giustificò: “Mentr’ero in
carcere, Gabriel stava portando avanti rapidamente la sua conquista; da quando
sono tornato libero, sono riuscito a rallentarlo e mitigarlo un poco. Sono,
però, sempre escamotage da poco e provvisori, non so come sottrarre il suo animo
al male.”
“Isaia, è ora che tu ti renda
conto della verità.” disse Giovanni con estrema solennità “Il male non esiste.
Ci sono solo tanti tipi di beni, più o meno grossolani, più o meno spirituali.
Ogni nostra azione è a fin di bene, il problema è riuscire a ordinare ogni cosa
in base alla vera e giusta priorità. Gabriele non sta infliggendo del male per
il gusto di farlo, bensì perché nella sua ottica è ciò che deve essere fatto
per il bene.”
“A me pare che ci provi parecchio
gusto ad uccidere e tormentare.” ribatté il gesuita.
“Scommetto che non lo fa in
maniera indiscriminata, ma solo con certe categorie di persone, segue dei
criteri.” ribatté il Battista “Unisce l’utile al dilettevole. Comunque, se vuoi
salvarlo, devi capire quali siano le sue priorità e i suoi valori adesso e, in
parte partendo da quelli, devi comprendere come agire per far sì che riacquisti
una visione chiara della realtà. Mi sono spiegato?”
“Sì, perfettamente.” Isaia
sospirò “Spero di riuscirci al più presto anche se … non sarà facile.”
“Perché?” chiese Michela “È il
tuo migliore amico, dovresti già conoscerlo molto bene! Dov’è la difficoltà?”
“Io conoscevo Gabriel fino a due,
tre anni fa, prima che tutto questo avesse inizio, poi è cambiato. Mi sta
trattando con più affetto, rispetto e confidenza adesso a confronto con gli
ultimi mesi in Congregazione. Lui è sempre stato un po’ superbo ed arrogante,
per via di come l’ha cresciuto monsignor Demetrio, ma negli ultimi tempi era
nettamente peggiorato e, ora, poi …! Non accettava critiche o consigli da nessuno,
era convinto di sapere tutto e, contemporaneamente, mi diceva di essere confuso
e smarrito perché non sapeva chi fosse. Mi diceva di non sapersi controllare,
di essere in balia del suo potere e poi rifiutava il mio aiuto o consiglio e mi
trattava con sdegno. Si confidava sempre meno e mi teneva lontano … pareva dare
ascolto solo alla Munari, ancora adesso pare obbedire ciecamente a lei. È
ridicolo a volte!”
Giovanni stava ascoltando e
riflettendo; sentendo ciò, consigliò: “Iniziate da lei, allora, riconducete Binah alla luce e poi servitevi anche di lei.” spostò lo
sguardo sulla ragazza “Te ne devi occupare tu.”
Michela
ragionò a lungo sul come far tornare in sé Claudia. Non era semplice capire ciò
che l’aveva fatta cambiare davvero. La psicologa si era ostinata a credere che
Gabriel non potesse agire male e che, dunque, qualsiasi cosa facesse fosse
giusta. Prima che tutto quel caos avesse inizio, quando le due donne avevano
trascorso varie ore assieme presso il Centro d’Ascolto, Claudia si era
confidata qualche volta con la ragazza e aveva detto più di una volta: io amo
Gabriel e non mi importa chi è, io sarò con lui comunque, qualsiasi cosa accada.
Era
una devozione cieca, dunque, quella della donna: l’amore che rende invisibili i
difetti. Evidentemente aveva avuto un’enorme paura di perdere Gabriel, aveva
sofferto e, non volendo che ciò si ripetesse, aveva deciso di non giudicare più
nulla dell’amato e assecondarlo e difenderlo sempre; per questo Claudia stava
accettando che accadesse tutto ciò.
Michela
era però certa che ci fosse un modo per scuotere la psicologa e risvegliarne la
coscienza. La ragazza aveva notato che Gabriel cercava di limitare le uscite
della donna. Ogni volta che Claudia diceva di voler procurarsi qualcosa in
città, lui era pronto a dirle che ci avrebbe pensato lui o che avrebbe mandato
qualcuno. Giustificava il proprio comportamento, dicendo che non era giusto che
la donna si affaticasse durante la gravidanza.
A
proposito di gravidanze! – pensò Michela. Mancavano ormai pochissimi giorni,
due o tre, prima di sapere se fosse anche lei incinta oppure no. Se lo fosse
stata, che avrebbe fatto? Lo avrebbe detto ad Isaia? No. Di certo non in quel
momento, almeno. Ora non era sicuramente il caso di dargli pure quel pensiero.
Forse non sarebbe mai stato il caso. Lui non avrebbe abbandonato la sua strada.
Lei non voleva metterlo in difficoltà, né fargli sentire colpe o
responsabilità. Forse la cosa migliore sarebbe stata tenerlo all’oscuro della
faccenda. Questo, però, l’avrebbe costretta ad allontanarsi da lui, ma lei gli
aveva promesso di non abbandonarlo … e poi non poteva scappare ogni volta che
rimaneva incinta. Oh, insomma, non sapeva neppure se fosse vero, per cui ci
avrebbe pensato a tempo debito, anche se non sarebbe stato facile.
Comunque,
tornando a pensare ai fatti contingenti, era evidente che Gabriel non avesse
gran piacere che Claudia uscisse dal Vaticano e voleva sempre sapere con
anticipo quando sarebbe uscita e dove sarebbe andata.
Michela,
inoltre, si ricordò che aveva notato, quelle volte in cui era uscita con la
psicologa, che tutti quanti si comportavano in maniera assai differente, quando
c’era lei nei paraggi. C’era sempre il senso di dominazione da parte della
gente coi poteri e della sottomissione degli altri, tuttavia gli sgherri di
Gabriel non commettevano angherie in presenza di Claudia e anche i popolani si
sforzavano di sorridere.
Un
dubbio, quindi, sorse nella mente della ragazza ma, prima di prendere
decisioni, decise di averne un riscontro, parlando con Teresa. Riuscì a
trovarsi a quattr’occhi con l’altra donna, poco prima del pranzo. Le chiese se
anche lei avesse notato una differenza di atteggiamento da parte della gente,
tra quando usciva da sola e quando girava con Claudia.
“Certo!”
esclamò Teresa e scosse la testa “Inizialmente credevo fosse una sorta di forma
di rispetto, ma fin da subito Gabriel ha messo le cose in chiaro. Una volta mi
ha presa in disparte e mi ha detto netto e limpido che non dovevo azzardarmi a
raccontare a Claudia che cosa accadesse realmente in città. Lei non ha idea di
tutti i soprusi che ci sono, ha un’immagine più pacifica e benevola della
realtà. Penso che Gabriel non le voglia far sapere quel che accade davvero, per
paura che lei si spaventi e si allontani. Effettivamente credo anch’io che
Claudia non potrebbe tollerare certi eccessi, neppure nelle condizioni in cui è
ora.”
“Teresa,
sarò franca e diretta: vuoi che tutto questo finisca?”
“Sì,
certamente!”
“Bene,
allora, devi darmi ascolto: dobbiamo mostrare a Claudia il mondo reale. Solo
quando lei sarà rinsavita, potremo sperare di far ragionare anche Gabriel.”
“D’accordo.”
evidentemente Teresa, pur non avendo
fatto nulla fino a quel momento, non aspettava altro che l’opportunità di
aiutare in una qualche maniera “Come facciamo? La gente, fuori, ormai la
riconosce e non vuole certo incorrere nelle ire di Gabriel!”
“Parrucche!”
fu l’immediata risposta “Trucco e parrucco andranno
benissimo per camuffarci e non farci riconoscere.”
“E
come la convinciamo Claudia a mascherarsi per uscire?”
“Il
tempo ci è alleato. Tra pochi giorni sarà il compleanno di Gabriel, quindi le
proporremo di andare a comprare un regalo per lui, spiegandole, però, che per
non rovinare la sorpresa, sarà meglio travestirsi, così nessuno la vedrà
scegliere il dono …”
“Mi
pare un ragionamento contorto e poco convincente.” la interrupe l’altra donna.
“Mal
che vada un po’ di mesmerismo la persuaderà.” tagliò corto la ragazza.
“Mesmerismo?!”
sbalordì la psicologa “Ma … ma … è una cialtroneria!”
Michela
sbuffò e si limitò a dire: “Tu lascia fare a me.”
“Sarà
…! Ma quando hai intenzione di proporglielo?”
“Appena
dopo pranzo: non c’è tempo da perdere.” guardò l’orario “Ecco, a proposito,
dobbiamo andare a tavola. Mi raccomando, non una parola a questo riguardo.”
Le
due donne raggiunsero gli altri presso la sala da pranzo. Si misero a tavola.
Claudia sfoggiava una collana di diamanti che, quella mattina, aveva chiesto in
dono a Gabriel e lui era andato immediatamente a procurarsela.
Tutti
assieme iniziarono a mangiare. Gabriel sembrava piuttosto di buon umore. Dopo
un poco che era stato servito il primo, l’Eletto esclamò: “Certo che, da ieri,
si sta veramente bene!”
Tutti
si interrogarono su cosa intendesse e attesero che proseguisse.
“Isaia,
da ventiquattro ore, minuto più, minuto meno, la tua ragazzina ha smesso di
infastidirmi. I miei nervi sono già più rilassati.”
Michela
si sforzò di sorridere. Gabriel la fissò e le disse: “Sai, sono davvero molto
stupito che tu sia riuscita a smettere di rompere le scatole così
repentinamente. Devo ammettere che il tuo non voler più aiutare gli esseri
inferiori mi rallegra parecchio, sono serio.” bevve un sorso di vino “Il fatto
che tu stia cambiando come voglio io è positivo, ma non sufficiente.” mangiò un
boccone “Vedi, non capisco perché non ti converti del tutto alla nostra
dottrina. Hai già fatto un piccolo, grande passo in avanti con questa tua
decisione; devi solo farne un altro e sarai finalmente una di noi.”
Michela
dovette trattenersi dall’informarlo che non ci teneva affatto ad entrare nel
suo circolo.
“Non
capisco che divertimento ci possa essere nell’essere trattata come una schiava.
Fossi stato in te, mi sarei convertito non appena Bonifacio mi avesse accolto.”
Isaia
decise di intervenire: “Gabriel, con calma: Roma non è stata costruita in un
giorno. Se adesso calcassi la mano, rischieremmo che questa qui, testarda
com’è, ritorni sulle sue posizioni peggio di prima.” iniziò ad accarezzare i
capelli e il viso della ragazza “Pian, pianino la istruirò. Una lezione al
giorno.”
Serventi
scosse il capo e sorrise e poi osservò: “Potresti farle impartire qualche
insegnamento anche da qualcun altro … Claudia, ad esempio, oppure Gabriel …”
“O
io!” saltò su Stefano, ironico e malizioso, puntando gli occhi verdi sulla
ragazza “Mi offro volontario.”
Isaia
lo fulminò con lo sguardo: “Coso, hai dimenticato quel che ti ho detto a questo
proposito?!”
Gabriel
ridacchiò e disse: “Bonifacio, lascia perdere certe proposte: Isaia è gelosissimo
della sua Michela.”
“Non
preoccuparti.” aggiunse Isaia, rivolto a Serventi “Mi occuperò io della sua
conversione.” passò un braccio attorno alle spalle della ragazza e la strinse a
sé “Nessun altro ci metta becco.”
Bonifacio
lanciò un’impercettibile occhiata a Michela, come a volerle ricordare che lui
aveva intuito che Isaia stava fingendo.
“Gabriel!”
saltò su Claudia, dopo qualche minuto “Vorrei un quadro nel nostro salotto, per
dare un po’ di tono all’ambiente.”
“Ma
certo, tutto quello che vuoi, amore mio.” rispose l’uomo, sorridendo, lieto di
poter farla felice “Dimmi cosa vuoi e lo trovo.”
“Penso
che l’ideale sarebbe il Romolo e Remo di Rubens.” rispose la donna.
“D’accordo,
il tempo di capire dov’è e te lo porto.”
Intervenne
Isaia: “Se ben ricordo è ai musei capitolini.”
“Oh,
perfetto!” si rallegrò Gabriel “Lo vado a prendere appena dopo pranzo.”
Finito
il pranzo, Isaia, che era stato informato del piano, offrì a Gabriel la propria
compagnia per andare a prelevare il quadro: in questo modo lo avrebbe tenuto
d’occhio e avrebbe fatto il possibile per impedire che si imbattesse nelle tre
donne. Infatti, Michela e Teresa, invece, presero da parte Claudia e facilmente
la convinsero ad andare in giro con loro per la città e non ebbero difficoltà neppure
per convincerla ad indossare una parrucca. La maga usò le sue capacità per
evocare degli spiritelli e inviarli a recuperare tre parrucche.
Così
travestite, le tre donne uscirono dal Vaticano e iniziarono a girare per le vie
circostanti.
Claudia
ebbe molto di che stupirsi fin da subito. Come prima tappa, passarono davanti
al retro delle cucine, dove alcuni degli uomini di Antinori “distribuivano” gli
avanzi al popolo. Quest’operazione consisteva nel gettare il cibo, un poco alla
volta, in mezzo alla folla e godersi lo spettacolo degli uomini e delle donne
che si spintonavano, calpestavano e picchiavano per accaparrarsi un poco di
cibo.
Claudia
guardò incredula: non era certo così che aveva immaginato le elargizioni dei
pasti ai poveri. Sarebbe voluta andare a dire qualcosa a quegli uomini, ma le
altre due donne la trattennero e la informarono che l’ispezione era appena
cominciata.
Iniziarono
ad aggirarsi per le vie e così Claudia poté constatare come fosse trattata la
gente comune:insulti e sputi erano
ordinari, così come le appropriazioni indebite, poi si notavano punizioni
inflitte alle persone se non obbedivano o se non erano abbastanza leste, c’era
ancora la caccia a chi non poteva essere utile alla società … e tanti altri
soprusi.
Tutto
ciò scosse molto Claudia. Non sospettava nulla di tutto ciò. Iniziò a
spaventarsi, agitarsi, innervosirsi: voleva tornare indietro, ma ancora una
volta le due amiche la trattennero e continuarono a mostrarle tutte le atrocità
e angherie che venivano perpetrate a Roma.
Dopo
aver visto un cameriere preso a calci per aver impiegato troppo tempo a portare
al tavolo delle bevande che non sarebbero state pagate, Claudia scoppiò a
piangere.
“Allora,
ha visto cosa accade realmente? Hai visto quali sono le leggi del tuo
caro Gabriel che difendi senza remora?” la voce di Michela era stata aspra e
rude.
“Io
non lo sapevo!”
“No.
Tu non hai voluto vedere, è diverso.” insisté la maga.
“Non
è vero.” intervenne Teresa “Gabriel le nascondeva queste cose, l’hai notato tu
stessa.”
“Le
sarebbe stato facile vedere oltre l’apparenza, se avesse voluto, ma le faceva
più comodo non farsi domande, accettare di credere che Gabriel fosse nel
giusto.”
Michela
guardò severamente Claudia e le disse: “Tu lo ami e lo hai idealizzato, per non
essere costretta a discutere con lui o addirittura a rinunciare a lui, vedendo
ciò che è in questo momento. Adesso, però, sei stata messa davanti alla cruda
realtà: Gabriel non solo permette tutto ciò, ma lo incoraggia. Dicci, che cosa
hai intenzione di fare, ora? Continuerai a difendere le sue posizioni e ad
andare avanti come hai fatto finora, oppure cercherai di aiutarci a trovare la
maniera di far rinsavire Gabriel?”
“Certo
che voglio aiutare Gabriel a tornare lucido e far cessare tutto ciò …” rispose
Claudia, ancora sbalordita e basita, poi aggiunse un poco indispettita: “Ma,
scusa, perché dici di far rinsavire solo Gabriel? Non dobbiamo, forse,
recuperare anche Isaia?”
Michela,
con una certa punta d’orgoglio, ribatté: “Isaia non si è affatto lasciato
corrompere. Sta fingendo per poter limitare l’azione di Gabriel in questo
periodo e sta cercando, a poco, a poco, di farlo ragionare, ma è tutto molto
difficile.”
“Sono
certa che a me darà retta.” disse Claudia, sorridendo “Lo farò ragionare, non
temete.”
“Dovremo
elaborare una strategia.” specificò la maga “Dobbiamo trovarci noi con anche
Isaia e studiare a modo la situazione, per capire come e su cosa far leva per
scuotere Gabriel.”
“Cosa?!”
protestò Claudia “Vuole intromettersi anche Isaia? No, per favore, lasciate
fare a me e lasciate lui fuori dalla faccenda: ha già causato troppi problemi,
per non parlare del fatto che non mi sopporta e mi tratta sempre con
sufficienza.”
Michela
fu irremovibile: “Isaia parteciperà all’elaborazione del piano. Se in passato avete
avuto degli alterchi, sono sicura che non sia stato per colpa sua, o almeno non
solo sua.”
“Avresti
dovuto vederlo, mentre lavoravamo al caso dei tre fratelli che avevano avuto
l’allucinazione nella grotta! Mi trattava come fossi un’intrusa e mi parlava
con falsa condiscendenza, come si fa con i bimbi piccoli o gli ottusi.”
“Lei
si stava intromettendo in un caso delicato!”
“Stavo
solamente dando una mano.”
“Isaia
è mai venuto nel suo studio, durante una seduta, a dirle come psicanalizzare i
suoi pazienti? E in quanto gesuita e direttore spirituale, avrebbe pieno
diritto di dare consulenze a chi ha disagi.”
“Vogliamo
parlare del fatto che abbia tentato di uccidere Gabriel?”
“Vogliamo
parlare del fatto che Isaia aveva intuito quel che è poi effettivamente
successo?”
Teresa
guardava esterrefatta le altre due donne che discutevano così animatamente.
“Non
credi anche tu che sarebbe stato meglio se Gabriel fosse morto in quella
cripta, piuttosto che combinasse tutto questo?”
Claudia
la guardò con una certa ira: non voleva ammetterlo, ma sapeva che aveva ragione
l’altra.
“Beh,
allora, se nella cripta aveva il coraggio per ucciderlo, perché, ora, non lo
fa? Perché è sbagliato!”
“Perché
ucciderlo nella cripta avrebbe significato salvare la sua anima, se lo ammazzasse
ora, invece, non solo Gabriel finirebbe all’Inferno, ma Gedulah,
la sephirot che dovrebbe essere dell’amore,
rimarrebbe dell’odio e continuerebbe lo stesso a causare problemi. È un
principio universale non lo si può imprigionare od uccidere, è eterno, potente,
lo si può solamente tirare da un lato o dall’altro. Uccidere Gabriel, ora, non
metterà il mondo in salvo: bisogna, appunto, farlo rinsavire.”
“Eh
va bene, se è per questo, posso accettare di collaborare ancora una volta con
Isaia.”
“Perfetto,
mi sa che dovremo aspettare domattina, prima di riunirci a discutere.
Ovviamente, non dovremo farci notare, per cui, a colazione, chiederai a Gabriel
di andarti a procurare non so che, inventa quel che ti pare, basta che lo tenga
lontano dal Vaticano per qualche ora, giusto il tempo per elaborare la nostra
tattica.”
Claudia
sorrise ed annuì.
Il
mattino seguente, riuscirono quindi a riunirsi le tre donne ed Isaia, al
cospetto della testa di San Giovanni. La reliquia impressionò alquanto le due
psicologhe. Il gesuita iniziò a parlare: “Dottoressa Munari, mi è stato
riferito che lei nutre una certa avversione nei miei confronti, antecedente sia
all’attacco al Centro d’Ascolto, a me ascritto, ma rispetto al quale sono del
tutto estraneo, sia alle vicende della cripta. Ci tengo a precisare che io non
ho nulla contro di lei. Certo, non mi fa piacere la sua totale mancanza di
fede, nonché il fatto che lei abbia cercato di trovare cause più
fantascientifiche che non scientifiche a diversi dei casi che abbiamo analizzato;
sottolineo che la presenza dei fenomeni paranormali è rimasta anche dopo le sue
soluzioni. Nonostante le divergenze nella metodologia d’approccio, se
sono stato scortese con lei in passato, la motivazione è presto spiegata: lei
era fonte di distrazione per Gabriel che ha fatto il tremendo errore di cercare
in lei quello che solo Dio può dargli e ciò l’ha portato … beh lo sappiamo
tutti.”
“Cosa?
Stai dicendo che è colpa mia se Gabriel è diventato così?” protestò Claudia,
confusa ed indignata, in quanto si era aspettata delle scuse.
“No.
La colpa è solo di Gabriel che ha confuso i fini, i mezzi e molto altro. Ha
lasciato che l’attaccamento per lei lo vincesse e, soprattutto, nel momento di
sfiducia e disordine, ha preferito accontentarsi di chi gli poteva dare
risposte immediate e concrete, ma non esaustive, piuttosto che affidarsi a
Dio.”
Isaia
avrebbe potuto aggiungere anche il fatto che si era sentito totalmente escluso
e messo da parte, che lo aveva ferito il fatto che Gabriel, una volta
conosciuta Claudia, lo aveva praticamente tagliato fuori dalla propria vita;
tuttavia non gli sembrò opportuno farne parola.
Claudia
sbottò: “Oh, insomma, siamo qui per trovare una soluzione, sì o no?”
“Certo,
dottoressa Munari e, infatti, lo stiamo già facendo. Bisogna conoscere le cause
per poter risolvere, anziché eliminare, il problema. Ho ragionato a lungo e
sono arrivato a una conclusione, ve la espongo e poi mi direte i vostri pareri.
Gabriel ha commesso l’errore di anteporre gli interessi di un gruppo al
ben’essere comune e non si fa molti scrupoli nell’agire. Il suo vero punto
debole, tuttavia, è l’amore-passione, l’amore-ossessione che nutre per la
dottoressa Munari. Se mi permettete l’espressione colorita: è più rimbecillito
di Rinaldo nel giardino di Armida. Penso che abbiate visto tutti quanti come
Gabriel sia praticamente alle dipendenze della Munari e di come l’assecondi in
tutto e per tutto. Io credo, dunque, che la soluzione sia riuscire a far sì che
Gabriel anteponga il bene ai capricci della dottoressa.”
“I
miei non sono affatto capricci!” Claudia era piuttosto indispettita.
“Mi
lasci finire. Il punto è che per far dir dei no a Gabriel, dopo tutto quello
che ha già fatto, ci vogliono davvero delle richieste esagerate; dunque, se voi
siete d’accordo con questa tattica, dobbiamo metterci a pensare qualcosa di
sufficientemente orribile, crudele ed insensato che perfino Gabriel non
potrebbe tollerare. Ovviamente, lei, dottoressa Munari, dovrà rendersi il più
insopportabile possibile.” e nella propria mente aggiunse: non le sarà
difficile.
Discussero
per un’oretta e decisero di mettere in atto il progetto quel pomeriggio stesso:
meno tempo si perdeva, meglio era, inoltre sarebbe stato più semplice trovare
la maniera di ritrovarsi senza Serventi e Stefano ad intralciare la loro opera.
“Funzionerà?”
chiese Michela ad Isaia, quando rimasero soli nel loro appartamento.
“Lo
spero, in ogni caso, noi saremo lì, pronti a fermarlo, se dovesse andar male.”
poi si volse verso la reliquia “Tu, Giovanni, cosa ne pensi?”
Il
Battista sembrò annuire con le sopracciglia e rispose: “Sembra una buona idea.
Se le tue intuizioni circa le motivazioni di Gabriele sono giuste, allora
dovrebbe essere certa la buona riuscita. Vedremo più tardi.”
“Come
fai ad essere così tranquillo?!” si stupì Isaia.
“Oh,
quando avrai la mia età e ne avrai viste di cose passare su questa terra, avrai
un atteggiamento del tutto diverso, te lo assicuro. Ora, scusa, puoi andare ad
aprire la porta, che sta arrivando un mio amico?”
Michela
e Isaia si scambiarono un’occhiata stupita e perplessa. L’uomo andò ad aprire
l’uscio e si trovò davanti il piccolo Immanuel che stava per bussare; sapeva
che era anche lui in Vaticano, lo aveva gi rivisto e gli aveva parlato.
Il
ragazzino sorrise e disse: “Ciao Isaia. Ieri pomeriggio sono venuto a
chiacchierare con Giovanni, senza avvertirti, spero che la cosa non ti dispiaccia.”
“No,
figurati …!” l’uomo era abbastanza sorpreso.
“Era
da molto tempo che non lo vedevo, quando ho sentito che era qui, sono dovuto
venire a salutarlo.”
“Non
confondergli le idee!” esclamò il Battista “Adesso deve concentrarsi sul
recuperare Gedulah. Dopo, risolta questa faccenda,
potremo parlargli di altro.”
“Ma
…” tentò di dire Isaia.
“Visto?
Lo hai già lasciato basito. Vieni qui e parla con me, loro due lasciamoli
andare.”
“Sì,
solo un momento.” disse Immanuel, poi guardò gli altri due “Venite, prendiamoci
per mano e stiamo in cerchio.”
Né
Isaia, né Michela fecero domande e si avvicinarono.
Giovanni
borbottò: “Ecco gli svantaggi di non avere le mani.”
Immanuel
lo guardò come per dire: non ti escludo mica!
I
tre formarono il cerchio attorno al tavolino su cui era posta la testa del
Battista.
Il
ragazzino disse: “Io so che in questi giorni siete molto tesi e preoccupati.
Scossi da sentimenti non sempre puri, come la rabbia, l’impotenza, la fretta e
simili. Siete circondati da falsità, ovunque vedete solo gente lontana dalla
verità e, in un simile clima, è difficile rimanere sul retto sentiero anche per
voi, nonostante stiate facendo il possibile. Ricordate, per quanto la bontà e
l’onestà possano deludervi nei risultati e vedrete all’apice gente indegna e
malvagia, non abbandonatevi. So che sapete queste cose, ma ogni tanto vanno
ricordate. Voi state difendendo Hod e Netzah, quindi anche Yessod, loro
sono con voi, loro vi sostengono e vi aiutano ad accostarvi a Dio. Non abbiate
timore. Andate avanti.”
Chiusero
poi gli occhi e avvertirono un’energia pura e luminosa … dapprima la sentirono
scaturire in sé stessi e poi diffondersi, ma poi incrociò quelle degli altri,
poi percepirono quella di Giovanni che nasceva nel centro del cerchio e poi
dall’alto, dal basso, da est, nord, ovest, sud, da ogni parte! Un’energia che
permeava tutto. Quando sciolsero il cerchio, Isaia e Michela non si sentirono
più forti, bensì più leggeri o puliti, come se avessero fatto un bagno
purificatore che aveva lavato via tutte le energie negative scaturite dai loro
pensieri e dalle loro emozioni negli ultimi giorni. Come un battesimo.
I
due, poi, uscirono dalla stanza, lasciando soli Giovanni ed Immanuel. Si
recarono da Niklos e Giorgio e rimasero con loro fino
all’ora di pranzo; ovviamente giocarono col bambino, ma soprattutto parlarono a
lungo con lo stregone.
A
tempo debito, si ritrovarono con gli altri a pranzo e fu allora che il piano
iniziò ad essere messo in atto: Claudia espresse il desiderio di trascorrere il
pomeriggio con Gabriel e i loro amici in giardino, a rilassarsi.
“È
da tanto che non trascorriamo una giornata tranquilla!” spiegò “Tu sei sempre
preso da tuoi impegni! Resta un po’ con me oggi … In cortile ho fatto preparare
le sedie a sdraio, stiamo lì, tranquilli, a goderci il Sole, prima che la
stagione peggiori, io, te, Teresa, Isaia e la sua amichetta …”
“E
io?!” protestò Stefano.
“Non
ti voglio tra i piedi, Coso.” disse seccamente Isaia.
“Esatto.”
Claudia non diede al ragazzo il tempo di replicare “Già tu ed Isaia vi
sopportate a mala pena a pranzo e cena, non voglio che vi mettiate a discutere,
rovinandomi il pomeriggio. Quindi tu non verrai.”
Stefano
si dispiacque un poco, ma Gabriel rimediò affidandogli un compito di una certa
importanza.
Nel
primissimo pomeriggio, appena finito il pasto, i cinque si recarono nel
giardino preparato per il pomeriggio e si misero comodi. Gabriel prese due
sedie a sdraio e le accostò, per poter stare vicino, attaccato a Claudia. Isaia
lo imitò e, una volta preso posto, allargò le braccia per accogliere e
stringere a sé Michela, la quale aveva intenzione di godersi appieno quel
momento: se fosse andato tutto come programmato, probabilmente quella sarebbe
stata l’ultima volta che l’uomo l’avrebbe coccolata.
Teresa
si mise a sedere da sola, vicino al tavolino con i bicchieri e un secchiello di
ghiaccio per tenere in fresco le bevande.
Dopo
non molto, Claudia sospirò e disse: “Sì, ora si sta davvero bene, mica come
stamattina!”
“Cos’è
successo stamattina, amore?” chiese Gabriel, apprensivo.
La
donna indicò Michela e con sdegno disse: “I suoi cugini hanno schiamazzato in
cortile per tutto il tempo! Io ero in casa, al terzo piano, tentavo di leggere
e non riuscivo a concentrarmi, per via della confusione che facevano: mi è
venuta un’emicrania tremenda.”
La
ragazza scosse il capo e ribatté: “Che ci vuoi fare? Sono ragazzi, giocano, è
normale!”
Isaia,
continuando ad accarezzarle i capelli, borbottò: “Si, ma se abbassassero il
volume non farebbero male.”
Gabriel
allora disse, tra lo sprezzante e l’ordine: “Hai capito, ragazzina? Sia Claudia
che Isaia sono infastiditi da quegli schiamazzi, per cui, visto che ripeti
sempre che sono una tua responsabilità, vedi di farli stare più calmi.”
Claudia
intervenne piuttosto veemente: “No! Devono smettere per sempre, devono essere
uccisi. Questo posto sarebbe la pace dei sensi senza le loro urla e la mia
testa ringrazierebbe all'infinito.”
“Non
stai esagerando?” si stupì Gabriel “Michela dirà loro di calmarsi, non c'è
motivo di ucciderli.”
“Si,
invece, che c'è!” insisté la psicologa “C'è eccome! Da quando ci sono loro, ho
un'emicrania pazzesca che nonaccenna ad
andarsene e non posso nemmeno prendere farmaci perché sono incinta, quindi non
rimane altra scelta che farli fuori, Gabriel! Se davvero mi ami e faresti
qualsiasi cosa per me, poni rimedio a questo problema!”
“Potremmo
semplicemente trasferirli altrove.” fece osservare Michela.
“Non
si risolvono i problemi, trasferendoli altrove.” Claudia mise una mano sulla
spalla dell’amato “Gabriel, tu sai cosa fare e come.”
“Claudia,
amore, proprio perché sei incinta non dovresti neanche lontanamente pensare di
uccidere bambini.” era piuttosto basito.
“Gabriel,
per caso ti stai rifiutando di soddisfare una mia richiesta?” lo apostrofò lei
e poi aggiunse: “Io non voglio che mio figlio cresca in mezzo a quei bambini,
che gli faranno dispetti con quei brutti trucchi.”
“Ma,
Claudia, questa non sarà la nostra sistemazione fissa per il futuro. Appena la
situazione sarà più consolidata, smetteremo di usare il Vaticano come quartier
generale o caserma. Potremo decidere se rimanere qui, oppure vivere altrove,
che so, il Quirinale o il Campidoglio o quel che preferirai! Quei bambini non
verranno certo con noi, tutt’al più dovrà sopportarli Isaia.”
“Oh,
andiamo! Tu vorrai sempre che il tuo caro amico abiti al massimo dal l'altro
lato della strada. Isaia si porterà dietro Michela che sicuramente vorrà avere
vicino i suoi cugini e noi ce li ritroveremo tra i piedi.”
“Veramente,
pensavamo di andare a vivere nella villa dei suoi parenti.” li informò Isaia.
Gabriel
si rivolse a Claudia: “Visto? Le tue preoccupazioni sono infondate. Ora, per
favore, smettila.”
Isaia
e Michela si guardarono, lieti che il piano fosse avviato bene e che i primi
effetti fossero quelli attesi.
Claudia
non si diede per vinta e, piagnucolando, disse: “Gabriel, accidenti, ho bisogno
di una cosa e tu...”
Gabriel
era dispiaciuto nel vederla così, meno convinto disse: “Claudia, ho detto no.
Tutto questo noi lo stiamo facendo per la gente coi poteri, non è giusto che ci
mettiamo ad ucciderci tra di noi. Noi dobbiamo essere uniti contro i gli
inferiori, che sono molto più numerosi di noi.”
Claudia
continuò a tenere il broncio, allora Gabriel si lasciò un poco vincere e disse:
“Facciamo così: adesso Michela farà in modo di tenerli più buoni. Se non ci
riuscirà, prenderò provvedimenti come vuoi tu.”
Claudia
fece una smorfia per far capire che si strava accontentando; poi si voltò verso
l’amato, gli mise le braccia attorno al collo e con voce seducente, chiese:
“Tu, come nuovo signore del mondo, vorrai avere la donna migliore, vero?”
“Certo!
Ce l'ho già!” rispose lui e la baciò.
Claudia
si sollevò e si mise a sedere, commentando: “Mh, non
credo proprio...non esteticamente, almeno …”
Gabriel
le carezzò la schiena e la rassicurò: “Non mi dirai che ti manca qualcosa?! Sei
bellissima!”
“Oh,
dici così solo per compiacermi.”
“No,
non è vero! Dico sul serio. C'è qualche problema?”
Intervenne
Teresa: “Claudia, della chirurgia plastica non hai proprio bisogno. Stai bene
così.”
“No,
Teresa, non pensavo alla chirurgia plastica; non voglio innesti su di me,
pensavo a qualcosa di diverso...
“Cioè?”
chiese l’altra psicologa, perplessa.
Con
una certa noncuranza, Claudia disse: “Penso che qualche cicatrice su un visetto
troppo carino, non guasterebbe.”
Gabriel
ragionò un attimo e concordò: “Questo è anche ragionevole.”
“A
dir poco!” continuò Claudia “Ho sempre sognato di vedere quei bei faccini, che fanno
le pubblicità di rossetti e creme, sfigurati, che so, da ustioni di terzo
grado, graffi..., mi spiego?” rise.
L’Eletto
annuì: “D'accordo, quando vedi una che ti sembra troppo carina, tu me lo dici e
io agisco.”
“No,
non in questo modo...” puntualizzò Claudia “Dovrai andare tu in giro e
uccidere o sfigurare qualunque donna più bella di me.”
“Ho
la conquista del mondo a cui pensare! E poi come faccio a sapere se una è più
bella, se tu mi sembri la migliore?!”
“Oh
insomma, Gabriel io non voglio avere rivali, lo vuoi capire?!”
Gabriel,
perplesso, disse: “Ma non hai rivali, per me ci sei solo tu!”
Claudia,
con una certa malinconia, preoccupazione, piagnucolando, ribatté: “Non è
vero!!! Sai che non sarà sempre così! Un giorno troverai una più bella di me e
mi tradirai e non dire a me che non succederà mai, perché la crisi di mezz'età
viene a tutti gli uomini se non lo so io che sono psicologa...!”
“Amore,
questa è semplicemente una tua fissazione.”
“Non
è una fissazione, Gabriel, è la pura e sacrosanta verità. Non ce la faccio a
vivere con questo terrore che mi opprime!!!” sembrava isterica.
Gabriel
l’abbracciò e con tono comprensivo e dispiaciuto, chiese: “Mi spieghi di quale
terrore parli? Amo te e basta. Le altre donne possono essere sensuali quanto
vogliono, ma non prenderanno mai il tuo posto!”
Isaia
ghignò e disse: “Munari, devi capire che Gabriel davvero non considera il
fattore bellezzafondamentale. C'eri
anche tu quando ha rifiutato di perquisire la mia donna, perché interessato
solo a te, rinunciando così a toccare delle tette vere.”
Claudia
sgranò gli occhi, furiosa e basita.
Michela,
sorpresa pure lei, lanciò un’occhiataccia ad Isaia.
La
psicologa si riprese e minacciò: “Allora spera ch'io non chieda a Gabriel di
tagliare i seni alla tua ragazza.”
“Glielo
impedirei con tutte le mie forze. Le tette della mia donna non si toccano.”
dicendo ciò Isaia strinse così gelosamente la giovane a sé che quasi le fece
male.
Claudia
lo prese in giro: “Mi pare che Niklos e Stefano le
abbiano toccate più di te!”
L’uomo
ribatté severamente: “Non mi toccare questo tasto, per favore, soprattutto
riguardo Coso!”
Claudia
lo rimbeccò: “Così impari a fare certe osservazioni.” poi guardò Gabriel e gli
chiese: “Allora, mi farai stare più tranquilla e farai in modo che non ci sia
donna più bella di me?”
“Sfigurare o uccidere qualche passante
non è un problema, ma non posso metterlo come priorità.”
Michela e Teresa si scambiarono
un’occhiata poco convinta, vedendo Gabriel troppo incline ad assecondare
Claudia in quella follia; dovevano aspettare che la donna esasperasse ancor di
più la richiesta, per sperare in un rifiuto da parte dell’Eletto.
“Perché
ce l'hai con me, oggi? Dici che non devo preoccuparmi, che mi ami, ma non si
direbbe affatto, visto che è il secondo favore che mi rifiuti, nell’arco di
pochi minuti.”
Gabriel
sospirò non poteva vederla triste! Quindi disse: “Claudia, ascoltami, so che
spesso le donne, durante la gravidanza, dicono cose che non pensano. Se, dopo
che sarà nato il bambino, sarai ancora di questo parere, rivaluterò la
faccenda.”
Claudia
non sembrava entusiasta, ma si rassegnò. Si rimise sdraiata accanto a Gabriel
ma, dopo poco, arricciò le labbra, si guardò intorno e sospirò: “Ecco, ho di
nuovo una voglia... questo bambino mi farà diventare un pallone!
“Dolci?”
chiese Gabriel, premurosamente.
“No,
qualcosa di diverso …”
“Ovvero?”
“Carne.
Qualcosa di tenero, tenero …”
“Tagliata
al sangue con rucola e parmigiano?”
“No,
sono stufa di manzo e della solita roba.” rispose lei, seccamente “Qualcosa tipo
agnello, ma diverso.”
“Pollo?”
“No,
stavo pensando...” Claudia si mordicchiò il labbro inferiore “Arthur dice che
la carne umana è squisita …”
“Cioè,
adesso stai pensando di diventare cannibale?!” si stupì Gabriel “Arthur è un
pazzo, più belva che uomo, non devi dargli retta!”
“Uffa!
È solo una curiosità, uno sfizio! E poi avremmo risolto il problema di dove
mettere i cadaveri delle donne più belle. Perché mi guardate cosi? Non è detto
che mi piacerà. Potrà anche farmi schifo! Voglio comunque provare.” era ferma e
irremovibile “Ma niente adulti, al momento, troppo stopposi, credo.”
“Vuoi
metterti a mangiare bambini?” Gabriel non riusciva a credere possibile che
Claudia pretendesse una cosa del genere.
“Sì:
la carne è più tenera, però dev'essere sotto i cinque
anni, altrimenti poi è troppo grosso.”
“Quindi...
bimbi appena nati?” non si capiva se Gabriel fosse ancora basito, oppure se
cercasse di capire che cosa doveva procurare all’amata.
“No,
non proprio appena nati, se no non c'è sostanza.” Claudia ragionò qualche
momento e arrivò a una conclusione: “Tre anni vanno più che bene! Sì, direi che
sono l’ideale.”
Un’ombra
di preoccupazione per Giorgio si dipinse sul volto di Michela che cercò la mano
di Isaia per stringerla e sentirsi un poco rassicurata.
“Tre
anni?” ripeté Gabriel, basito.
“Sì,
sono teneri e pasciuti.”
“Dove
pensi che possiamo prenderlo un bambino di tre anni per fartelo mangiare? È
assurdo!”
Claudia
si voltò su un lato, guardò subito Michela, la indicò e disse: “Beh, c'è suo
figlio. Ha tre anni... ed è tenerissimo!”
“Quindi
vuoi spezzatino di bambino, per cena, stasera?” non si capiva se Gabriel fosse
ironico o serio.
“Precisamente,
il suo.”
Claudia
continuava guardare fissa Michela, che era molto preoccupata e si stava
agitando, mentre Isaia la stringeva forte al proprio petto, molto forte, quasi
da farle male.
Gabriel
aggrottò la fronte chiese: “Vorresti che uccida il moccioso di Niklos? Ma dopo dovrò averlo sempre tra i piedi! Almeno,
adesso, si distrae e non mi irrita di continuo, come faceva i primi tempi!”
Claudia
sbuffò e gli fece notare: “Niklos, magari, senza
bambino se ne andrà finalmente via e suppongo che a Isaia non dispiacerà
levarsi dai piedi un marmocchio non suo.”
“Puoi
ben dirlo, Munari!” disse con una certa soddisfazione Isaia.
“Cosa?!”
chiese Michela, sconvolta, voltandosi verso l’uomo.
Isaia
con semplicità spiegò: “Non mi dispiacerà affatto togliermi dai piedi quel
moccioso: voglio solo figli miei, del mio stampo.”
Claudia
tranquillamente concluse: “Perfetto, allora, Gabriel ha carta bianca.”
“Certo.
Fai pure, fratello!”
“Non
capisco questa ritrosia.” constatò Claudia “Odi lei, odi Niklos,
dovresti averci un certo gusto nell’uccidere quel moccioso.”
Gabriel
si fece alquanto serio e disse: “Ragazzi, questo discorso è... assurdo. Non sta
né in cielo, né in terra ch’io mi metta ad uccidere bambini.”
“Su
sono d'accordo pure io!” si spazientì Isaia.
Michela
provò a protestare, ma l’uomo le intimò di tacere con fare aggressivo e lei era
sull’orlo di piangere.
“Non
esagerare con la cottura, così la carne rimane tenera.” si raccomandò Claudia.
“Vuoi
farlo anche al sangue?!” Gabriel era incredulo.
“Se
non lo fai tu, ci penserò io.”
“Ma
che fai , la incoraggi??? Volete davvero che uccida un bambino?!”
Isaia,
pacatamente, gli ricordò: “Hai ucciso tante persone, anche quegli innocui
vecchi, che problemi ti fai per un bambino?”
“Quella
è tutt'altra cosa!”
“Perché?
Giorgio sarà mangiato, c'è pure un motivo, mentre i vecchi sono morti per il
solo tuo gusto.”
“Quelli
non sarebbero serviti a nulla! Vuoi mettere un bambino che ha tutta la vita
davanti?”
“Sì,
voglio metterlo, visto che non è mio! Ora, se non hai altro da aggiungere, vado
a prendere il moccioso.”
Isaia
si alzò e velocemente se ne andò; fu tanto rapido che Michela non fece in tempo
a fermarlo e le sue urla non servirono a nulla. La ragazza, disperata, si
rivolse alla psicologa: “Claudia, ti prego, non il mio Giorgio … ce ne sono
tanti di bambini, prendine un altro, ma lasciami il mio!”
Gabriel
si infuriò: “Come?! Protesti solo perché è tuo figlio? Dovresti dirle che non
si possono mangiare bambini, punto e basta!”
“Sei
stato tu, Gabriel, a costringermi, con le tue punizioni, a smettere di
difendere gli altri.” gli ricordò la ragazza.
Poco
dopo Isaia tornò tenendo in braccio il bambino, gli sussurrò qualcosa
all’orecchio, poi lo fece scendere davanti a Gabriel; mentre lui tornò a
sedersi, serrando tra le proprie braccia la ragazza che stava già per alzarsi
in piedi per andare dal figlioletto.
Gabriel
rimase fermo, in silenzio: non poteva fare una cosa del genere.
Claudia
lo esortò: “Dai, sbrigati!”
Isaia
aggiunse: “Guarda che non scherzavo, poco fa. Se sei troppo buonista, lo farò
io.”
Michela
cercò di divincolarsi, disperata, ma Isaia la trattenne, strinse ancora più
forte l’abbraccio in cui la imprigionava e le disse all’orecchio: “Stai buona,
tu. Non crederai mica che cresca un figlio non mio, spero!”
“Gabriel,
muoviti!”
“Gabriel,
io lo farò soffrire atrocemente, questo moccioso, se non ci pensi prima tu.”
Gabriel
sentiva addosso tutta la pressione che gli stavano facendo quei due. Sarebbe
stato facile porre fine a tutto ciò, facendo ciò che gli chiedevano, ma lui non
voleva! Non sapeva cosa fare, non voleva neppure deludere Claudia, si portò le
mani alla testa e chiuse gli occhi.
Isaia
lo apostrofò: “Perderai il mio rispetto, Gabriel. Ti dico solo questo. Sei
stato tu ad insegnarmi la vera libertà, quella priva di scrupoli, quella senza
alcuna morale … e ora ti tiri indietro?!”
Claudia
gli fece eco: “E, soprattutto, perderai anche il mio di rispetto, che è ben
peggio, non credi?”
Gabriel
tese le mani in avanti, verso il piccolo, ma gli tremavano.
“NO!
GIORGIO NO, VI PREGO!!!” si disperava Michela.
“Non
la ascoltare! Fai ciò che devi!” insisté Isaia.
“Gabriel,
so che ne sei capace! Friggi il moccioso che ho fame, maledizione!”
Giorgio
iniziò a piangere a dirotto, spaventato.
L’uomo
non si decideva.
Claudia
lo esortò ancora: “Gabriel entro l'anno, magari, o almeno prima che mi torni
l'emicrania!”
Gabriel
guardava il bimbo piangere e, a sua volta con le lacrime agli occhi, non ce la
faceva proprio a scatenare il potere.
Isaia
lo schernì: “Non ti farai mica intenerire dal pianto di un moccioso?!”
Gabriel
serrò i pugni, tremante, le lacrime iniziarono a rigargli le guance. Non
riusciva proprio. Sapeva che quello che gli stavano chiedendo i suoi amici era
amorale, insensato, folle ai limiti dell'immaginazione: perché uccidere un
bambino per mangiarlo? Perché uccidere un bambino, poi?
Anche
se è figlio delle persone che detestava di più, era comunque, un gesto privo di
logica ed etica. Perché, allora, non si stava opponendo di più? Perché si stava
lasciando convincere?
“Gabriel,
conto fino a tre.”
Gabriel
chinò il capo, cercando di trattenere le lacrime ma senza riuscirvi.
“Uno
...”
Gabriel
riprovò, aprì la mano, ma essa tremava più di prima.
“Due
…”
“NO!”
urlò Gabriel, abbassando le braccia “Non... posso farlo... è un bambino! Non
potete chiedermi di fare una cosa simile! È sbagliato … è tutto sbagliato …”
Gli
altri quattro, che avevano gli occhi puntati su di lui, notarono che i tratti
di Gabriel stavano cambiando, tornando ad essere delicati, tondi, umani, senza
alterazioni strane e anche la carnagione si fece più naturale.
Gabriel
piangeva e diceva: “È tutto sbagliato! Uccidere quella gente …! … le torture,
le punizioni … Tutto, tutto sbagliato!” era come se per la prima volta si
rendesse conto di ciò che aveva fatto nell’ultimo periodo “Non è giusto! No,
no! Non è così che si fa … Che ho fatto?! Che ho fatto … ?!” pianse ancora più
disperatamente, si accasciò a terra, pieno di orrore e vergogna per ciò che
aveva compiuto “È colpa mia, solo mia! Dei crudeli egoisti e superbi al governo
per colpa mia! La gente morta e quella sofferente: colpa mia! E ora … e ora anche
Isaia e Claudia sono malvagi per colpa mia. Io, io li ho costretti a diventare
così! È tutta una mia responsabilità …” batté i pugni sul suolo.
Claudia,
intenerita e certa che ormai fosse tutto passato, si avvicinò a Gabriel e lo
abbracciò, invece Isaia gli si mise accanto e gli disse: “Sei salvo, fratello
mio!”
Gabriel
alzò gli occhi, stupito, confuso, chiese: “Ma voi …?”
Isaia
gli sorrise e spiegò: “Ho finto di essere cattivo. Faceva tutto parte del piano
per risolvere la questione, senza ucciderti. Dovevo farti rinsavire … è stato
necessario fingere …”
“Ma
la strage di oppositori al Colosseo? Abbiamo ucciso quegli uomini, non solo
io!”
Isaia
si incupì: “Non potevo far saltare la copertura e...” sospirò “Ho dovuto
farlo...”
Gabriel,
già colmo di sensi di colpa, sentì pure il rammarico per aver costretto l’amico
a compiere una simile atrocità.
“Tutto
il resto è stata una sceneggiata pianificata a tavolino da me e lei.” Isaia
indicò Michela, che non aveva voluto avvicinarsi, anzi aveva preso Giorgio e lo
stava calmando.
“Per
quella di oggi, Claudia e Teresa hanno dato il loro contributo, per escogitare
le idee più crudeli possibili.”
Claudia
aiutò Gabriel a rialzarsi e iniziò a raccontargli come fosse tornata in sé e
varie altre cose.
Isaia
si accostò a Michela, che ancora coccolava il figlio, accarezzò i ricci del
bambino, dicendogli: “È tutto finito, Giorgetto, non piangere... Te lo avevo
detto che lo scherzo sarebbe andato bene.”
Infatti,
già dal mattino, avevano parlato di quella faccenda sia con Niklos
che col bambino, per spiegargli che quel che sarebbe successo era soltanto un
gioco, uno scherzo, in modo tale che non si spaventasse e non rimanesse
traumatizzato.
“Io
non ero in me …” sospirò Gabriel.
Michela
lo contraddisse: “No, eri assolutamente consapevole di quel che stavi facendo.”
“Ma io non sono quello!” protestò l’altro.
“E invece sì che lo sei e devi smettere
di negarlo.” ribatté la ragazza con decisione “Quando hai scoperto questo tuo
aspetto, ormai due anni fa, ne hai avuto paura lo hai avvertito come qualcosa
di estraneo da te, dunque con una sua volontà e incontrollabile. Lo hai negato,
non ti sei preso cura di lui, non hai conosciuto una parte di te stesso e ora
continui a dire che non ti appartiene. Invece tu sei anche quello. Provi ira,
sei orgoglio e superbo: devi accettarlo. Non è disconoscendo i problemi, che li
si risolvono, penso che Claudia ne convenga: devi ammettere di avere difetti e
problemi, solo così potrai iniziare a correggerli. Solo conoscendoti a fondo e
in ogni tuo aspetto, piacevole o disdicevole che sia, potrai imparare a
governarti e a non lasciarti sopraffare dalle debolezze. Se ora fingerai di non
essere stato realmente tu a fare ciò che hai fatto, ci sarà ancora il rischio
che tu ceda all’egoismo, a Malkuth e che tutto ciò si
ripeta. Riconosci le tue mancanze, accetta quel che sei, solo così potrai
diventare padrone di te stesso.”
Claudia prese per mano Gabriel e gli
disse: “Non so se realmente il tuo potere centri con questo, però il
ragionamento che ha fatto è corretto. Io ti aiuterò, stanne certo.”
“Eh no!” esclamò Teresa, ridendo “Tu no
di certo, visto che l’amore rende ciechi e ne abbiamo avuto una gran prova
nelle ultime settimane.”
“Sta pur certa che ora ho imparato a non
idealizzare.” rispose Claudia.
Isaia intervenne: “Scusate, ma penso che
questa faccenda possa considerarsi secondaria. Ora c’è un problema di una certa
rilevanza: come usciamo da questa situazione? Dobbiamo risolvere al più presto,
prima che Serventi si accorga che il suo Eletto è rinsavito. Se permettete io
vorrei che andassimo ad interpellare una persona.”
Guardò Michela e lei non ebbe bisogno
della telepatia per capire che si stava riferendo a Giovanni, per cui disse: “Sì,
hai ragione. Seguiteci.”
Così tutti e cinque e pure Giorgio
andarono verso l’appartamento di Isaia e Michela.
I
due gesuiti e le tre donne andarono nell’appartamento, dove c’era la testa di
San Giovanni. Michela teneva in braccio Giorgio; si era accorta che Niklos li stava osservando e seguendo da lontano:
evidentemente aveva avuto paura per il figlio e li aveva spiati, per essere
pronto ad intervenire, nel caso Gabriel non fosse rinsavito. La ragazza avrebbe
potuto lasciare il bambino con lo stregone, dal momento che non era l’ideale
tenerlo con sé, mentre pianificavano come agire; tuttavia temeva che Niklos, accorgendosi che presto le cose sarebbero cambiate,
scappasse col piccolo: non poteva rischiare.
Durante
il tragitto, Isaia appoggiò la mano sinistra sulla spalla di Gabriel e
controllò la sua anima, per assicurarsi che fosse realmente rinsavito del tutto
e che non ci fosse di che preoccuparsi al momento. Trovò l’amico di nuovo
incline e propenso al bene e questo gli bastò.
Entrati
nell’appartamento si accorsero che c’era ancora Immanuel, in realtà era come se
il bambino li stesse aspettando.
Isaia
fu il primo a salutarlo e, dopo che gli altri avevano fatto altrettanto, gli
disse: “Scusaci, ma dovremmo parlare con Giovanni, potresti lasciarci soli con
lui?”
“Voglio
aiutare anch’io.” disse il bambino.
Isaia
stava per dire: va bene, grazie, ma Gabriel fu più rapido: “Ti
ringraziamo, ma non credo che tu, ora, possa …”
“Visto?!”
esclamò Giovanni.
Gabriel
e le due psicologhe sobbalzarono per lo stupore.
Il
Battista continuò: “Te lo avevo detto, sono tutti così duri di comprendono!”
“Sei
un bambino, non dovresti pensare a queste faccenda da adulti.” ribadì Antinori.
Intervenne
Giovanni: “Gabriele, fammi il piacere di stare zitto. Con quel che hai fatto
ultimamente, non sei di certo la persona più adatta per dire cosa sia meglio o
sbagliato.”
“Veramente
mi chiamo Gabriel, non Gabriele …” osservò, basito l’Eletto.
“Ti
chiami Gabriele e non protestare.” ribadì il Battista.
Isaia
disse all’amico: “Non farci caso e non irritarlo: ha le sue manie, ma è di una
saggezza e conoscenza inequiparabili.”
“Bravo,
Michele!”
“Perché
ti ha chiamato Michele?” sbalordì Antinori.
Gabriel
era già stupito per la testa parlante, poi i suoi discorsi lo stavano
abbastanza meravigliando.
“Sai
tutto il discorso delle sephirot?”
“Sì,
me ne ha parlato la tua amica e poi pure Serventi. Che c’entra?”
“Ecco,
i nostri principi, Geburah e Gedulah,
nelle tradizioni giudica e cristiana si manifestano nell’aspetto degli
arcangeli Michele e Gabriele, per questo Giovanni ci chiama così.”
“Aspetta!
Ma, quindi, quella testa parlante è Giovanni il Battista di cui mi hai
parlato?”
“Non
è molto sveglio.” borbottò il santo “Strano che Alonso me ne abbia parlato così
bene.”
“Scusate!”
richiamò l’attenzione Michela “Potremmo saltare i convenevoli e andare al
punto? Serventi potrebbe saltare fuori da un momento all’altro e io preferirei
avere un’idea di come agire.”
“Giusto!”
esclamò Giovanni “Se vogliamo rimediare alla svelta al caos causato da
Gabriele, dobbiamo, non dico ottenere la stella bianca, per quello ci vorrà
tempo, ma per lo meno far sì che tra di voi ci sia armonia. Al momento è
palpabile il disagio e la tensione che ci sono tra alcuni di voi, per cui è
essenziale, come prima cosa, che voi vi chiariate e riappacificate l’un
l’altro.”
I
quattro si guardarono, effettivamente c’era imbarazzo. Le uniche che non
avevano bisogno di chiarirsi tra di loro erano le due donne.
Cominciò
Isaia, rivolgendosi a Claudia: “Dottoressa Munari, prima, forse, non sono stato
molto cortese con lei, nel cercare di motivare i miei atteggiamenti, me ne
scuso. La verità è che, a parte il caso di Nadia e quello dei tre fratelli, ho
sempre considerato utile la sua collaborazione con la Congregazione, avevo
letto il suo libro e l’avevo considerato molto interessante, provando anche
stima per l’intelletto che lo aveva elaborato. Restando nell’ambito lavorativo,
i nostri dissapori sono stati originati dal fatto che entrambi vedevamo le due
facce opposte della stessa medaglia e non volevamo venirci incontro; ora,
grazie a quel che Michela ha insegnato ad entrambi, io so quanto la psiche
possa influenzare e determinare i poteri e i fenomeni paranormali, mentre lei
ha compreso come la mente possa agire al di fuori della normale scienza. Spero
sinceramente che in futuro, anziché scontrarci, potremo trovare la maniera di
far cooperare le nostre conoscenze, così come ha già fatto in passato con
Gabriel.”
Claudia
apprezzò molto e disse: “Grazie, Isaia, sono sicura che ci riusciremo. Io mi
scuso per essermi talvolta introdotta in faccende che rientravano maggiormente
nel vostro ambito e mi sono presa la libertà di comportarmi come da vostra
collega, quando invece sarebbe stato meglio se mi fossi limitata ad osservare e
fare domande con toni più modesti. Mi scuso anche per averti trattato talvolta
con sufficienza perché ti credevo un bigotto legato solo alla forma e alla
superstizione, senza rendermi conto della profonda consapevolezza e passione
con cui agisci e ignorando gli orrori che devi aver visto e vissuto in qualità
di esorcista.”
Isaia
sentì una sorta di gratificazione per essere stato infine compreso, si sentì in
dovere di aggiungere: “Dottoressa Munari, la divergenza di vedute non è stata
la sola causa del mio atteggiamento freddo e distaccato. Confermo quanto detto
stamane, ossia che la vedevo come una tentazione per Gabriel, ma oltre ciò devo
confessare che io mi sono lasciato vincere dalla gelosia e l’invidia, in quanto
Gabriel aveva smesso di consultarsi, confrontarsi e confidarsi con me, ma per
qualsiasi questione, lavorativa o di coscienza, si rivolgeva solo a lei,
lasciandomi fuori dalla sua vita.” queste ultime parole erano state dette con
fatica e reprimendo sofferenza “Per cui mi scuso per aver scaricato su di lei
il malumore causatomi da Gabriel e dal mio ego.”
Claudia
rimase un attimo perplessa: non aveva sospettato che Isaia potesse sentirsi in
quel modo, per cui riuscì a dire solo: “Mi dispiace, non credevo …”
Rimasero
tutti in silenzio per qualche momento, poi fu Gabriel a parlare, rivolgendosi a
Michela: “Penso di dovermi decisamente scusare per tutto ciò che è capitato da
quando ho ceduto all’ira. Innanzitutto ti ho accusata ingiustamente di averci
tradito e aver permesso l’attacco al Centro d’Ascolto. Inoltre, temo non ci sia
modo di rimediare a quel che ti ho fatto patire qui, nelle ultime settimane.
Spero mi perdonerai, sia per la questione delle dita spezzate, sia per …” si
vergognava tremendamente e non riusciva a dirlo “Sia per … la questione di
Stefano … Non c’è nessuna giustificazione per quello che ti ho costretta a
subire … sono stato crudele … dimmi tu cosa posso fare per farmi perdonare!”
aveva le lacrime agli occhi per il dispiacere.
La
ragazza non riusciva a guardarlo con durezza: il passato non si poteva cambiare
e Gabriel non avrebbe più fatto niente del genere; gli disse quindi: “Non è
necessario che tu faccia nulla. Hai riconosciuto il tuo sbaglio, sei pentito …
non posso volere di più.”
“Grazie
…” rispose l’uomo, per nulla convinto; si rivolse poi all’amico: “Fratello,
perdonami, ti ho umiliato tremendamente, mentre eri in cella … e ti ho fatto
torturare … e praticamente ti ho costretto ad uccidere delle persone … sono
stato tremendo ed odioso … scusami!”
Isaia
vide nettamente l’amico in difficoltà e contrito; si ricordò quanto bene gli
avessero fatto, in passato, in situazioni delicate e dolorose, gli abbracci di
Gabriel, per cui si sforzò di stringerlo e gli disse: “Non ti preoccupare …
Come ti ho detto in prigione, so che lo stavi facendo non per crudeltà, ma per
amicizia.”
“Un
amico non si comporta a questa maniera.”
“Ti
stavi preoccupando e interessando a me, alla mia felicità, per quanto ne avessi
un’idea distorta … Sai da quanto tempo non ti sentivo così vicino?”
“Che
dici, Isaia?” si stupì Gabriel.
Claudia
intervenne: “Ma come, non hai sentito quel che mi ha detto prima? Si è sentito
trascurato.”
Gabriel
aggrottò le sopracciglia e chiese: “Davvero?”
Per
un attimo, Isaia lo guardò con malinconia, poi si sforzò di sorridere e disse:
“Non ci pensare.”
“No,
per favore, dimmi!”
“Ma,
niente … Ti sei comportato come molti neoinnamorati fanno: sei stato tutto
assorto nella Munari e hai trascurato i tuoi amici … e io ci sono rimasto male,
perché mi pareva di non valere più nulla per te …”
“È
per questo che insistevi affinché rimanessi nella Chiesa?”
“A
parte che sono stato il primo a consigliarti di lasciare la Chiesa, benché
abbia subito mutato idea e quando hai preso la tua decisione l’ho rispettata.
Per il resto, quando ti consigliavo di affidarti alla Chiesa, intendevo dire di
affidarti a Dio. Solo Lui può darci la pienezza, tutte le altre felicità sono
riflessi di quella che Lui ci offre. Dio solo può indicarci sempre il giusto
agire.”
“Te
l’ha detto Dio di tentare di uccidermi, nella cripta?” aveva il suo solito tono
arrogante di quando si sentiva seccato o provava un poco di risentimento.
“In
parte. Lo so che per te è stato difficile affrontare tutta questa faccenda:
scoprire il tuo potere, la sua doppia natura, la profezia e tutto il resto. Non
è stato arduo solo per te. Io vedevo il mio migliore amico sempre più
spaventato, sempre più chiuso in sé. Quando provavo a parlarti, o ti disperavi
perché non capivi chi fossi, o sembravi prendere la questione alla leggera e mi
offendevi e trattavi con sufficienza. Non hai ascoltato uno solo dei miei
consigli. Il Direttorio faceva pressione. Tu stesso hai detto di ritenerti un
pericolo e, nella cripta, almeno per un momento hai continuato a crederlo e per
questo stavi lasciando che ti uccidessimo. Ho sperato fino all’ultimo che tu mi
dessi un segnale per scorgere una possibilità di salvezza differente, ma non
c’è stato e io avevo un dovere da compiere. Non mi avrebbe reso felice, non
sarei stato orgoglioso, ma in quel momento non vedevo altre possibilità, era
necessario per la salvezza comune.”
Gabriel
sorrise e disse: “Avresti dovuto parlarne con Alonso e lui ti avrebbe detto una
massima davvero importante: Quando ci si trova in un vicolo cieco, bisogna
ricordarsi che non è il vicolo ad essere cieco, ma chi guarda.”
“Devo
quindi chiederti scusa per il fatto di non aver avuto fiducia in te.” disse
Isaia.
Gabriel
ripensò a quel che l’amico gli aveva detto, ripensò ai mesi precedenti, al
proprio atteggiamento e poi disse: “E tu scusa me per non averti dato motivo di
averne. Hai ragione: ero terrorizzato da me stesso e detestavo parlarne,
ignoravo ciò che avevo dentro di me, per paura di affrontarlo e di scoprirlo
più forte. Mi sono comportato male e, totalmente concentrato su di me, non mi
sono reso conto di come ti sentissi tu, delle tue difficoltà e di come la
faccenda riguardasse non solo me, ma anche altri. Scusami per non essermi
preoccupato anche di te, mettendoti in una pessima situazione.”
Non
si dissero altro, si abbracciarono e basta.
“Bene!”
esclamò Giovanni “Ora che vi siete pacificati tra di voi, è necessario che
ciascuno di voi faccia pace con sé stesso e sia tranquillo, senza rimorsi o
rimpianti. Dovete essere sereni per davvero e non solo perché state accantonando
i vostri malumori.”
Claudia
non sembrò molto convinta e osservò: “Per questo genere di cose occorrono mesi
di psicoterapia, non vedo come adesso, in pochi minuti …”
“Ora
capisco perché Isaia ti sopporta a stento.” la interruppe il Battista “Sei Binah! Hai un potere che ti permette di rimuovere i traumi,
stai tranquilla che riuscirai anche a quietare gli animi di tutti voi. In più
anche Chohmah contribuirà, vero?”
Michela
annuì e affermò: “Dicci cosa dobbiamo fare di preciso.”
“Formate
una croce, ognuno al suo punto cardinale, mi raccomando! Al centro ci saremo io
ed Immanuel; poi rilassatevi e … bah, guidali tu in una delle meditazioni che
conosci e trova la maniera di coinvolgere attivamente anche Binah
e il suo potere.”
I
quattro si disposero secondo le istruzioni, Immanuel prese tra le proprie mani
la testa di San Giovanni e si mise al centro; Teresa rimaneva in disparte a
guardare, tenendo Giorgio. Michela pensò che l’ideale potesse essere la
meditazione sui chackra, per aprirli totalmente e
sciogliere ogni nodo interiore.
Claudia
aveva già usato la versione positiva del proprio potere per acquietare ed
aiutare alcune delle persone dotate di poteri; non le fu, dunque, difficile
fare appello ad esso per esercitarlo su di sé e gli altri, in modo tale che la
pacificazione con sé stessi fosse totale.
Rimasero
così assorti per oltre un’ora, ma alla fine erano sereni, si erano perdonati
ogni errore.
“E
ora, che si fa?” chiese Gabriel, quand’ebbero concluso.
“Penso
che l’ideale sia neutralizzare Serventi e quelli che gli sono troppo leali o
che credono fermamente in questa causa e in questi principi, dopo si può
provare a ragionare con gli altri.” propose Isaia e gli altri accolsero bene il
progetto.
Uscirono
dalla stanza e si misero a cercare Bonifacio, con loro andò pure Immanuel,
tenendo in mano la testa di Giovanni. Passarono vicino al grande cortile dove
solitamente si esercitavano le persone coi poterei, circoscritto da un
porticato dove ci si riposava e ristorava. Lo trovarono gremito di gente come
al solito; stavano per passare oltre, quando andò loro incontro Stefano.
“Gabriel!”
salutò il giovane “Dove state andan…” notò la testa,
sgranò gli occhi ed esclamò, inorridito: “E quello?! Cos’è?!”
“È
San Giovanni il Battista e, nonostante sia logorroico, suscettibile e molto
altro ancora, è decisamente più simpatico di te.” spiegò Isaia.
“Ah,
quindi questo è Coso!” esclamò la testa.
“Come?!”
si offese il ragazzo “Hai parlato di me al Battista, chiamandomi Coso?”
“Sì, com’altro avrei dovuto chiamarti?”
Stefano si voltò verso Antinori per protestare:
“Gabriel …!” si stupì di nuovo “Il tuo viso! È tornato … normale? Che cosa …?”
era perplesso, forse un poco preoccupato o rattristato.
Gabriel mise una mano sulla spalla del discepolo e gli
disse: “Stefano, abbiamo sbagliato tutto.”
“No.” scosse la testa il ragazzo “Non è vero …”
“Sì, invece: tutto questo è sbagliato.”
Michela intuì che stava per essere detto qualcosa
di importante, dunque usò la sua magia per far sì che la voce di Gabriel
risuonasse per tutta Roma, come se migliaia di altoparlanti fossero stati
disposti per tutta la città; avrebbe voluto diffonderla anche oltre, ma non era
abbastanza potente per riuscirci.
“Come puoi dire una cosa simile? Io credo in te, in
questo progetto! Ti ho seguito, ti ho preso come guida e tu, ora …”
“Stefano!” lo interruppe Gabriel “Tu mi hai
apprezzato prima che diventassi così, tu sei stato salvato dalla parte migliore
di me; avevi preso a modello quel che sono anche ora e non come mi sono comportato
nelle ultime settimane.”
“Non è vero! Tu non capisci, non sai nulla!” era
offeso, deluso, smarrito “Dopo che mi hai aiutato a liberarmi dal tedesco che
si era reincarnato in me, Serventi mi ha contattato, mi ha insegnato come usare
il mio potere e mi ha parlato di te, della profezia e dei grandi destini a cui
ci avresti condotto. Io gli ho creduto, io sono rimasto affascinato, ho visto
in te l’uomo dato dal Fato all’umanità per progredire verso il meglio. Ti ho
adorato come salvatore, ho visto in te la nuova speranza e nulla mi sembrava
più bello che starti vicino e aiutarti, accompagnarti verso questa grandezza.
Per questo mi sono iscritto nell’università in cui insegnavi, per questo avevo
deciso di diventare sacerdote, per esserti accanto quando finalmente avresti
capito quale fosse il tuo ruolo e avresti fatto tutto quello che hai
effettivamente realizzato. Io credo in tutto questo, io credo in questo nuovo
mondo e tu, tu che dovresti essere l’apostolo di tutto questo, dici che è
sbagliato?! Non può essere … non capisco!”
“Stefano, se è questo folle dominio che desideri,
allora non sono io la tua guida. Non sono la guida di nessuno! Io ho la mia
vita, le mie esperienze, parlo tranquillamente ai miei studenti, ma non
pretendo di essere seguito, né di essere preso come modello. Ognuno di noi ha
la propria strada, i maestri ci aiutano a capire come superare gli ostacoli,
come orientarci, ma la direzione la sceglie e la decide ciascuno di noi. Io non
voglio essere un capopopolo o un leader che approfitta delle insicurezze, delle
incertezze, delle paure, dei furori della gente e facendo leva su questi
semplici istinti conduce le folle nella direzione che più gli fa comodo,
facendole schiave della propria volontà, soggiogandole. Tu hai ragionato su
quel che stava accadendo? Qualcuno di questi uomini e donne l’ha fatto? Avete
riflettuto su quel che dicevo, sulle assurdità e crudeltà di cui mi riempivo la
bocca? No; altrimenti qualcuno avrebbe protestato o se ne sarebbe andato.
Siete, invece, rimasti qui ad obbedire in tutto e per tutto. Vi credevate
liberi e, invece, eravate schiavi: schiavi delle mie parole. Avete preso per
oro colato qualsiasi cosa da me detta, l’avete raccolta, custodita gelosamente
in voi e poi ripetuta come tanti pappagalli, senza avere la minima idea di che
cosa significasse davvero, senza vedere le reali implicazioni di tutto ciò.
Avete deciso di seguire la strada più semplice, avete deciso di accettare tutto
ciò che dicevo, senza prendervi la responsabilità di valutare quel che
accadeva, di essere coscienti e consapevoli. Quel che vi proponevo era
semplice, aboliva qualsiasi scrupolo e voi subito mi avete seguito, perché agli
uomini fa piacere avere scuse per cedere alle tentazioni, senza rimpianti.
Abbiamo sbagliato, abbiamo sbagliato tutti quanti. Io sono stato provocato, mi
hanno incastrato in una pessima situazione, hanno ucciso persone a me care e ho
ceduto all’ira. La colpa, però, non la posso imputare a chi mi ha fatto questi
torti; la colpa è mia che non ho saputo resistere al dolore: sopportare la
sofferenza era molto più difficile che cedere alla rabbia e vendicarmi, agire
con violenza e continuare ad aggredire chiunque fosse per me ricollegabile a
chi mi ha fatto soffrire. Il dolore a cui non ho retto, si è sfogato in questa
orribile maniera. Ho sbagliato a credere che questo fosse giusto e voi avete
sbagliato ad avere fiducia cieca in me.”
“Quindi non credi che il nostro dono ci renda
superiore agli altri?” protestò Stefano, ancora smarrito.
“No, Stefano, assolutamente no. I nostri poteri
sono doti che ci distinguono e che ci caratterizzano, ma che non ci rendono
migliori rispetto a chi non ne ha. Essere un genio in matematica non è forse un
potere? Imparare oltre venti lingue, non è un potere? Saper scrivere, recitare,
aggiustare un auto od operare una persona, non sono forse poteri? La pratica e
l’esercizio non bastano. Ognuno di noi è speciale in qualcosa, ha una virtù che
lo differenzia da ogni altro, che lo rende unico. È facile dividere il mondo in
fazioni, razze o religioni, così abbiamo un supposto nemico da usare come
pretesto per sfogare il nostro malumore per addossargli le colpe che non
vogliamo riconoscere come nostre. La verità, però, è quella che tutti gli animi
puri e sereni hanno indicato: siamo tutti fratelli. Siamo fratelli e i fratelli
tra di loro si accettano, si conoscono pregi e difetti e l’affetto non viene
mai meno, ci si aiuta l’un l’altro. Così dobbiamo imparare ad essere noi
uomini: fratelli, per quanto diversi, per quanto disaccordi, siamo pur sempre
fratelli e dobbiamo essere pronti a darci una mano nelle difficoltà. L’unione e
l’amore rivelano le vie di Dio: se siamo divisi, se ci combattiamo a vicenda,
che cosa ci può essere a parte la distruzione? Collaborare, essere in armonia,
invece ci conducono verso il progresso: gli opposti non devono combattersi, ma
unirsi e generare il futuro. Non ci devono essere padroni, a questo mondo, ma
solo servi. Ognuno sia servo di ogni altro e l’amore trionferà e la giustizia
albergherà. Lasciate che l’intelligenza e la saggezza vi illumino e ognuno
saprà come comportarsi per il bene.”
Tutti quanti avevano ascoltato quelle parole, tutti
erano rimasti affascinati, ammirati e, ragionando su esse, si rendevano conto
che davvero quella era la descrizione di un mondo puro ed ideale.
Quella voce giunse anche nelle catacombe Alonso e
Sebastiano capirono che la guerra era finita e i loro cuori esultarono.
Isaia era stato felicissimo di sentire parlare in
quella maniera l’amico: lui stesso non avrebbe saputo trovare parole migliori.
Michela si sentiva sollevata, pensando che tutto il male fosse ormai alle
spalle. Claudia era orgogliosa di quell’insegnamento.
Stefano sorrise, i suoi occhi verdi brillavano di
una nuova luce, stava per dire qualcosa, quando improvvisamente Serventi
comparve in mezzo a loro.
“Gabriel, che sciocchezze stai dicendo?” chiese
seccamente Bonifacio, pur mantenendo la calma “Tu sei l’Eletto. Stamattina
parlavi di dominazione totale e ora ti metti a predicare come l’ultimo dei
deboli. Queste sono le parole di chi non ha potere e vuole impedire a chi ce
l’ha di usarlo.”
“No.” replicò Gabriel “Queste sono le parole di chi
sa che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Ognuno di noi è
responsabile del benessere di tutti e non può esserci bene individuale che possa
essere anteposto a quello comune. Isaia lo ha sempre saputo e io, non riuscendo
a concepire ciò, l’ho accusato di essere un traditore. Gli ho sempre fatto
battutine arroganti, perché in fondo ero invidioso di lui: lui era davvero
liberò dalle passioni, io invece no.”
Serventi spostò lo sguardo sul gesuita e gli disse:
“Quindi è opera tua, Isaia: sempre legato e pronto ad imporre quell’assurda
serie di norme, totalmente arbitrarie, che chiamate giustizia. Questa è stata la tua ultima azione.” in un baleno appoggiò la mano
sul petto di Isaia e diede alcuni tocchi coi polpastrelli “Quando Gabriel
dimostrò di non volerti uccidere, mi sono illuso di poter realizzare un grande
progetto, sfruttando anche te. Mi sono sbagliato ma, poco male, mi basterà la
profezia.”
Isaia iniziò a tossire, si portò le mani al petto,
avvertendo dolori lancinanti.
Serventi, poi, in una frazione di secondo fu
davanti a Claudia e replicò quanto fatto al gesuita, dicendo: “L’altra volta ti
ho lasciato qualche giorno di tempo, oggi invece la morte sarà quasi
istantanea.”
La donna lanciò un urlo di dolore, tentò di
appoggiarsi a Gabriel, ma poi cadde a terra.
“Che cosa hai fatto?! Perché stanno così male?”
Bonifacio sorrise e disse: “Hai tempo per usare il
tuo potere soltanto su uno di loro. Scegli bene e alla svelta.” si voltò e si
incamminò per andare via “In realtà poco importa la tua scelta, qualsiasi essa
sia, il rimorso e il dolore ti ricorderanno chi sei veramente.”
Gabriel era esterrefatto: non si sarebbe mai
aspettato nulla di tutto ciò! Guardò l’amata che gemeva, stesa a terra; guardò
l’amico, anche lui accasciato, con Michela che si era chinata su di lui per
aiutarlo.
Isaia guardò Gabriel e gli disse, tra i dolori:
“Salva lei! È incinta, salverai due vite. Non pensare a me, sarò ben lieto di
morire per tuo figlio.”
Gabriel lo guardò per ringraziarlo e dirgli addio,
poi si chinò su Claudia.
Teresa trattiene Giorgio che vorrebbe andare dalla
madre e dal gesuita.
Stefano si chiede se il proprio potere possa
servire a qualcosa.
“Isaia …” sospirò Michela, stringendo tra le
proprie braccia l’amato e tenendogli una mano.
“Grazie …” disse lui, concedendosi di guardarla con
occhi innamorati “Hai mantenuto fede alla tua promessa: mi sei stata vicina
fino alla morte …” sorrideva.
“Non dire sciocchezze!” esclamò lei, tristemente.
“Forse è meglio così … il nostro amore non avrebbe
potuto essere coronato … avremmo sofferto … tu ora potrai essere felice …”
Michela scoppiò a piangere.
“No, ti prego, non piangere.” chiese Isaia “Voglio
morire, vedendo il tuo bel sorriso.”
Lei rapidamente si asciugò le lacrime e si sforzò
di sorridere.
“Sono felice di averti incontrata. Essere amato
dalla saggezza … cosa si può volere di più?”
Michela non sapeva che dire, era grata per tutto
quell’amore. Avvicinò il viso a quello di Isaia, lo baciò. Un ultimo bacio. Lui
scosta indietro il capo, la guarda e la sua testa cade all’indietro. È morto.
Ora la donna può piangere.
Intanto Claudia si era ripresa; Gabriel la stava aiutando
a rialzarsi e si stava premurando che stesse bene. Accertatosi che la psicologa
fosse perfettamente guarita, si voltò per vedere se fosse in tempo per salvare
anche Isaia, ma lo trovò già privo di vita: Michela lo stringeva a sé,
piangendo. Gabriel provò ugualmente ad usare il proprio potere, ma non riuscì
neppure ad avere la visione della porta.
“Scusa … scusa …” balbettò lui, piangendo a propria
volta.
Claudia si avvicinò all’amato per consolarlo.
Si fece avanti Immanuel, con un cenno disse alla ragazza
di adagiare il corpo per terra, poi si chinò su di lui, avvicinò le proprie
labbra all’orecchio sinistro del cadavere. Non si capì se gli sussurrò qualcosa
o se si limitò a soffiare. Pochi istanti dopo, le palpebre di Isaia iniziarono
a sollevarsi.
Isaia aprì gli occhi, sorpreso. Si mise a sedere,
si guardò attorno, si rese conto di essere vivo e di stare bene. Vide Michela
guardarlo con gioia e meraviglia, l’abbracciò forte e le disse: “Sono vivo …
non so come, ma sono vivo.”
Gabriel era esterrefatto, riuscì a dire solo:
“Immanuel! Com’è possibile che tu …?”
“Non fateci caso.” disse il bambino “Non potevo
permettere che Isaia morisse.”
Immanuel fu ringraziato a non finire.
Si accorsero, poi, di avere tutti gli occhi dei
presenti fissati su di loro. Gabriel sapeva che doveva ancora parlare: essi si
aspettavano ancora che lui indicasse loro cosa fare.
“Chi ritiene che io abbia parlato giustamente, nel
mio ultimo discorso e, come me, è pentito di ciò che ha fatto in queste ultime
settimane, mi segua e andiamo a chiedere scusa ai nostri fratelli. Chi, invece,
non è d’accordo, se ne vada: qua non c’è più spazio per la violenza e le sopraffazioni.”
Detto questo, Gabriel fece cenno ai suoi amici di
seguirlo e assieme uscirono dal Vaticano, seguiti da tutti gli altri. Appena
fuori, trovarono una folla già riunita: la gente era sorpresa, ma anche molto
arrabbiata.
Gabriel si fermò e disse agli amici: “Restate qui,
io vado a rimettermi al giudizio popolare.”
“No!” tentò di fermarlo Claudia “Ti linceranno! Non
è giusto, tu, ora, non farai più del male.”
“Claudia, ho commesso degli errori e ogni azione ha
delle conseguenze: devo subirle.”
“Fratello, vengo con te.” disse Isaia, avanzando di
un passo.
“Non ne hai motivo!” replicò Antinori.
“La gente al Colosseo, le erinni …”
“Ti ho costretto io a farlo! Non è giusto che …”
“Fratello, quelle azioni sono state comunque mie.”
I due uomini avanzarono e si posizionarono a metà
dello spazio che separava i cittadini dalla gente coi poteri. Sguardi d’odio e
di furore provenivano dalla folla. Gabriel disse: “So che sono stato crudele e atroce
con voi. Sono qui per subire qualsiasi pena vogliate infliggermi.”
Borbottii si levarono da una parte e dall’altra, ma
non fece in tempo a formularsi nessun pensiero preciso. Giunsero infatti d’improvviso,
come richiamati da qualcuno, i demoni e le erinni che erano stati creati.
Il panico iniziò a diffondersi tra tutti o quasi.
Gabriel guardò Isaia che gli disse: “Io ritrasformerò in uomini i demoni, tu
dovresti riuscire a fare altrettanto con le erinni.”
L’altro annuì col capo. I due uomini si gettarono
in mezzo a quelle creature ed eseguirono egregiamente il proprio dovere. Nell’arco
di un quarto d’ora circa, tutti i demoni e le erinni erano tornati umani. Erano
stupiti di essere nuovamente nei propri naturali panni, ma sicuramente ne erano
felici; alcuni di loro videro tra la folla dei loro parenti o amici e si
affrettarono a raggiungerli.
Quel gesto mitigò parte degli animi della folla, ma
non bastava certo ad assolvere Gabriel e i suoi sostenitori agli occhi dei
cittadini, molti dei quali erano pronti a vendicarsi.
Fu allora che giunsero i gesuiti, le monache e
buona parte degli occupanti della catacomba. Sebastiano corse a frapporsi tra i
due gesuiti e la folla. Molti dei presenti riconobbero il giovane come uno dei
loro più strenui difensori e si meravigliarono nel vederlo schierarsi a
protezione di chi aveva, fino a quel momento combattuto.
Si fece poi avanti anche Alonso e prese a dire: “Hermani … hermane!”
Michela decise di applicare anche con lui la magia
per far risuonare la sua voce in ogni dove.
“Non abbiate odio per questi uomini, ma pietà! Non todo voi sono Cristiani o credono in Dio, quindi non ve ablerò de giusticia o misericordia
de Dio, bensì vi ablerò del dolore de todos li hombre. Gesù disse: qui es senza pecato scagli la prima petra. Ora io ve domando, vi es tra voi qualcuno
che non ha mai pecato? Ma, sopratodo,
voi siete pentiti dei vostri pecati? O non li recognoscete come errori e ne andate fieri? Quanti di voi
hanno sbaliato, mentito, se sono arabiati,
hanno pichiato, rubato senza necessità, hanno
anteposto i propri interessi a li affetti, a la fiducia d’altri e non sono afatodespiaciuti di este azioni? Voi sapete quante persone avete fato soffrire?
Quando guardate con odio e sospeto chi es diverso e lo tratatemuy male … e non dite che non lo fate, porché
non es vero. Todos voi maltratate continuamente moltisime
persone e non ve ne rendete conto, siete fieri e pensate di esere
buoni.”
Molti, tra la gente, si riconobbero in quelle
parole e si vergognarono.
“Chi fa il male e non se ne acorge
va fermato, ma es stupido, inutile e malvagio
prendersela con chi es pentito.” indicò i due gesuiti
“I mi hermani sono pentiti di ciò che hano fatto e il rimorso es
qualcosa di atroce. Quanti de voi hanno provato sensi di colpa? Su, alzi la mano
chi conosce il rimorso.”
Molti tra la folla sollevarono le braccia.
“Muybien.
Voi conoscete alora il male del rimorso, le soferenze che se provano por la consapevolecia
di aver sbaliato e non poter remediare;
conoscete la vergogna e l’impotencia. Recordate la vostra soferencia
per il senso de colpa por picole cose: es tremendo, vero? Imaginate, alora, quanto patiscono estihombre por todoquelo che hano fato! Scometo che molti de voi non saprebero
convivere con un simile remorso e si materebero. Quanti de voi, presi dai sensi di colpa, non
volevano altro che il perdono di chi avevano ofeso e,
otenutolo, continuavano a stare male? Se voi, ora, voretevendecarvi e matereteestihombre,
che cosa oterete? Nada! Lasciateli vivere afinché posano servire la comunità e rimediare in parte ai
loro erori.”
Quasi tutti sembravano convinti da quelle parole. Rimaneva
un solo ostacolo: i morti. Tutti quei morti invocavano vendetta, i loro cari
non potevano tollerare, nonostante quei discorsi, che i loro assassini
rimanessero impuniti.
Ed ecco il miracolo.
Centinaia di persone, arrivando da innumerevoli
stradine, sopraggiunsero.
Grida di stupore, grida di gioia, svenimenti, il
caos.
I cittadini, nei nuovi arrivati, avevano visto e riconosciuto
tutti i loro cari defunti.
Incredibilmente, inspiegabilmente, ogni uomo,
donna, vecchio, malato che era stato ucciso nelle ultime settimane, era
resuscitato e andava ad abbracciare i propri cari. Inoltre, chi aveva malattie
o infermità ora era assolutamente sano.
La gioia e il gaudio erano indicibili. Tutti si
scordarono di Gabriel e di Isaia, non pensavano più alla vendetta: non era
necessaria.
Michela era rimasta incredula come tutti gli altri,
poi voltò il capo verso Immanuel: era certa fosse opera sua, ma lui appariva
calmo.
Gabriel e Isaia furono abbastanza sollevati per
quel miracolo. Ringraziarono calorosamente Alonso per le sue parole. Isaia
abbracciò Sebastiano, lieto di rivederlo sano e salvo. Poi tornarono dagli
altri, fu felicità e festa anche per loro.
Tutto era distrutto, tutto era da ricostruire. Ci avrebbero
pensato il giorno dopo, quelle ore erano solo per la gioia.
Nei
giorni successivi a Roma e nel Lazio ci fu gran fermento per riprendere la vita
di prima. Arrivarono i rifornimenti, tornarono le autorità, i politici ne
approfittarono per farsi pubblicità; autorità di ogni religioni
reinterpretarono in innumerevoli chiavi ciò che era accaduto.
Anche
vescovi, monsignori e cardinali cattolici raggiunsero il Vaticano per decidere
il da farsi, dopo che erano stati uccisi così tanti alti prelati. La prima cosa
che fecero fu convocare un conclave per eleggere il nuovo pontefice.
Nell’attesa
della proclamazione, Gabriel pensò fosse bene non farsi vedere in giro. Michela
ospitò lui, Claudia, Isaia, Immanuel, Niklos e alcuni
altri nella Villa della propria famiglia. I suoi parenti erano resuscitati
assieme a tutti gli altri ed erano stati ben contenti di accogliere tutta
quella gente.
Anche
i Templari erano risorti, essi erano ben accolti da tutti; sì, era tornato in
vita pure Fylan, ma passare qualche giorno all’Inferno
gli aveva fatto cambiare decisamente atteggiamento e modo di vedere le cose.
Sebastiano si occupava di tenere le comunicazioni tra loro ed Isaia.
Sebastiano
ed Alonso erano ormai due figure di riferimento a cui tutti i religiosi (e non
solo) si affidavano per la riorganizzazione; inoltre erano coloro che si erano
contrapposti al male fino in ultimo e, quindi, erano considerati un po’ santi,
un po’ eroi.
La
fumata bianca non si fece attendere, incredibilmente ci fu appena dopo il primo
scrutinio: quasi all’unanimità era stato eletto come nuovo papa Alonso.
Il
suo modo pacifico di operare, la sua saggezza, la sua fede avevano
impressionato tutti quanti e in lui si ravvisò la nuova guida per una Chiesa
che doveva riprendersi da una dura ferita.
Alonso
fu molto onorato da questo incarico. Chiamò allora Gabriel, Isaia, Michela,
Claudia ad aiutarlo nel decidere quale impulsi e direttive dare alla nuova
Chiesa; ovviamente non mancò alle riunioni San Giovanni che si dilungò
parecchio e alla fine venne scelto come Consigliere ufficiale di ogni Papa che
sarebbe venuto da lì in avanti.
Gabriel
insisté parecchio affinché fosse abolito l’obbligo di celibato per i preti e
l’ottenne, tuttavia non tornò a fare il sacerdote. Si costruì una finta
identità (dopo quel che aveva fatto, non sarebbe stato certamente ben visto
dalla gente, nonostante il perdono) e con Claudia aprì un nuovo Centro
d’Ascolto per la gente dotata di poteri e col passare degli anni aprirono varie
succursali, sia in Italia che all’estero.
Stefano
aveva abbandonato gli studi di teologia e del seminario, aveva conseguito una
laurea in psicologia e una in antropologia e aveva collaborato fin da subito
con Gabriel e Claudia.
Isaia,
invece, rimandò la decisione circa la vita affettiva a più avanti. Per oltre un
anno si occupò di riformare i Templari e rivedere il loro tipo e metodo di
intervento, rendendoli guerrieri di Dio, contro il demonio, ma senza uccidere
indiscriminatamente, anzi cercando di indirizzare i malvagi fermati verso i
Centri d’Ascolto.
Si
tenne in contatto telepatico quotidiano con Michela che non gli disse di essere
incinta.
Riorganizzati
e riformati i Templari, Isaia tornò a Roma per rivederla. Si stupì nel trovarla
con in braccio un bambino di pochi mesi, con gli occhi verdi. Credette, temette, che lei avesse ripreso la propria
relazione con Niklos, che era rimasto nella Villa,
volendo diventare un mago e smettere di essere uno stregone.
La
ragazza, allora, gli spiegò che il bambino (chiamato Samuele) era frutto della
loro prima unione e che lei non gli aveva detto nulla, perché non voleva
condizionarlo.
Isaia,
però, aveva preso già la propria decisione: sposare la ragazza.
Isaia
e Michela si sposarono, fecero celebrare il rito ad Alonso e come testimoni
c’erano Gabriel, Claudia e Sebastiano (che era stato pure il padrino di
Samuele). Il loro, però, non fu un matrimonio ordinario: lei, coi vari figli,
viveva nella Villa assieme al resto della sua famiglia; Isaia restava lì quando
gli era concesso, altrimenti era spesso in missione per i Templari. Il loro
rapporto, però, non ne risentì, anche grazie alla telepatia che li rendeva
sempre vicini, a parte un periodo di un paio d’anni in cui Isaia era rimasto
bloccato in una dimensione a parte ed era stato dato per morto, ma questa è
un’altra storia.
Michela,
oltre a prendersi cura dei figli, si tenne occupata collaborando spesso con la
Congregazione della Verità.
Sebastiano
divenne nel giro di pochi anni il più giovane Generale della Compagnia di Gesù
(più giovane anche di Acquaviva), nonostante ciò gli
conferisse molte responsabilità, trovò sempre il tempo per occuparsi
direttamente degli esorcismi e per trascorrere del tempo con la moglie e i
figli del suo maestro. Si prendeva cura di loro quando Isaia era lontano e si
divertiva soprattutto ad addestrarli nell’uso delle spade e si teneva sempre in
allenamento con gli abitanti della Villa.
In
Villa viveva appunto anche Niklos che rimaneva non
solo per apprendere la magia, ma anche perché si era innamorato (ricambiato) di
una zia di Michela.
Passarono
vent’anni, si tennero sempre in contatto tutti quanti tra di loro, vedendosi
quando ce ne fosse l’occasione, nonostante gli impegni li tenessero molto
occupati e li portassero in vari posti differenti.
Un
giorno una brutta notizia venne annunciata dai telegiornali di tutto il mondo:
un malore aveva colpito il Santo Padre, ormai più che ottantenne.
Gli
amici della combriccola ricevettero tutti una telefonata che li informava di
come Alonso li desiderava al proprio capezzale. Qualsiasi fosse la loro occupazione
in quel momento, trovarono il modo di sospenderla per andare a Roma.
Isaia
arrivò dopo un viaggio in aereo, senza perdere tempo era subito andato in
Vaticano, dove Alonso era tenuto sotto stretta osservazione dai medici ed erano
state portate tutte le apparecchiature necessarie.
Nell’anticamera
davanti all’ingresso degli appartamenti del Pontefice, Isaia trovò Gabriel e
Claudia che stavano aspettando. Si salutarono calorosamente, si guardarono con
preoccupazione.
Erano
tutti e tre vicini ai sessant’anni, ma non avevano certo l’aria di essere
vecchi. Certo le rughe avevano segnato, seppur non eccessivamente, fronti e
contorno occhi, Isaia era completamente brizzolato e del grigio spuntava anche
trai capelli di Gabriel, che era un po’ ingrassato, ma la giovialità illuminava
i loro volti e li faceva apparire più giovani. Claudia era magrissima come
sempre, si tingeva i capelli e ricorreva a molti prodotti per limitare le
rughe.
“Come
mai siete qua e non dentro?” chiese il templare.
“Ci
hanno detto di aspettare, ora c’è il medico che lo sta visitando.” spiegò
Antinori.
“Le
televisioni sono state molto vaghe circa che cosa lo abbia colpito e neppure su
internet ho trovato maggiori approfondimenti, voi sapete qualcosa di più?”
“No,
rimangono tutti molto sul vago e questo mi fa temere ancora di più.”
Presto
sopraggiunsero assieme Michela e Sebastiano. Isaia subito raggiunse la moglie,
l’abbracciò, la baciò e poi le chiese: “I ragazzi?”
“Non
sono venuti, li vedrai dopo: ti aspettano trepidanti.” gli sorrise lei.
“Forse
anche Alonso avrebbe voluto vederli …”
“No,
ha detto solo noi.” intervenne Gabriel “Quando ha ci ha fatto convocare, ha
fatto dire che oggi voleva solo noi; i nostri figli un’altra volta.”
“Sì,
è bene non affaticarlo.” aggiunse Claudia.
Nel
giro di breve giunsero anche Stefano e poi Immanuel.
Stefano
salutò con un certo trasporto e abbracciò Gabriel e Claudia (che negli ultimi
cinque anni aveva visto raramente, poiché l’apertura dei Centri d’Ascolto
all’estero li aveva tenuti lontani), salutò piuttosto calorosamente anche
Sebastiano (che non provava affatto del risentimento per essere stato quasi
ucciso in battaglia da lui, anzi probabilmente ciò gli aveva fatto nutrire
stima per l’altro giovane), infine passò a salutare Isaia e Michela. La ragazza
gli sorrise e si diedero due baci sulle guance, il templare, invece, lo guardò
con freddezza e si limitò ad una rapida stretta di mano.
Dopo
qualche altro minuto d’attesa, il medico uscì dalle stanze, disse che il
pontefice poteva ricevere visite, ma non disse nulla circa il suo stato di
salute. Andarono tutti quanti assieme dentro la stanza dove si trovava Alonso.
Il
pontefice era seduto a letto, tutti quanti gli si strinsero attorno e lo
salutarono uno alla volta, con viva commozione. Alonso li guardò sorridente e
iniziò a dire: “Esmuy belo
revederve de nuovo todosasieme. Non recordo l’ultima
volta che ci siamo riuniti todos quanti. Siamo sempre
lontani, ognuno ha i suoi impegni … Ci siamo impegnati por megliorare
la Chiesa ma, sopratodos, per ascoltare più atentamente la voce de Dio por compiere il suo volere e
aiutare la gente a trovare la pace e la salvecia!”
guardò Sebastiano “I gesuiti sono tornati ad esere
ambasciatori de Dio ne i cuori de li hombre,
sostengono centinaia de persone con la loro Direcione
Spirituale e il loro impegno ne li esorcismi e ne il combatere
il demonio es indispensabile!”
Alonso
spostò poi lo sguardo su Gabriel, Claudia e Stefano e si complimentò anche con
loro: “Gracie a voi, ormai, in ogni città c’è un
Centro d’Ascolto e Sostegno por la gente dotata de poteri. Avete aiutato muyhombre a trovare la pace con
sé stessi e a trovare un impiego utile por le loro doti, li avete aiutati a sentirse parte della comunità e non de li esclusi e avete
insegnato a le altre persone a non temerli. Esmuy importante esto lavoro, avete
permeso all’umanità de fare un gran passo avanti.”
Spostò
gli occhi su Isaia: “E tu, hermano, hai reformato i templari e hai trasformato un ordine
sanguinario, nei difensori del bene, nei punitori del male, ma non dei malvagi.
Avete sconfito demoni; avete mandato a monte i progeti di chi era immerso nell’oscurità e lo avete aiutato
a tornare a la luce. Bravissimi.” respirò profondamente “Bravissimi a todos quanti noi! Non dobiamo
però scordare che todos questo es
stato possibile porché nessuno de noi era solo, bensì
poteva contare su l’aiuto de li altri. Nessuno ha agito por il proprio prestigio,
nessuno l’ha consederata una competizione; ciascuno
de noi ha portato avanti il proprio progeto come
parte de qualcosa de più grande non solo necessario a li altri, ma pure dependente da li altri. È stata la nostra amicizia, la nostra
unione a permetere che todos
questo si potesse realizzare, quindi non permetete
che i vostri impegni posano indebolire la nostra coesione, trovate sempre del
tempo da dedicare ai vostri amici ed hermani!”
“Alonso!”
esclamò Gabriel “Noi non ce lo scorderemo mai! Io ho due famiglie: quella
piccola, con Claudia e i nostri figli, e quella grande, con tutti voi!”
“Ne
li ultimi anni, non siamo mai riusciti a trovarcetodosasieme. Una volta vedevo
Isaia, un’altra te … Sebastiano, por fortuna, abita qui vicino! Cossì anche tra di voi: ogni tanto incontri uno o l’altro,
ma sempre separati dal resto del grupo! Guarda! Por poterverevedere finalmente todosasieme, ho dovuto fingere
de stare male!”
“Fingere?!”
sbalordirono quasi tutti i presenti.
Alonso
scoppiò a ridere: “Sì. Avevo muy voglia de revedervetodos quanti, ma avevo
paura che, per un problema o per l’altro, qualcuno de voi sarebe
sicuramente mancato. Alora mi sono conultato con Sebastiano e con Michela e abiamo pensato che l’unica maniera d’esere
certi che non ci foserodefecioni,
fosse quela de simulare un malore.” si alzò in piedi “Tranquilli!
Come vedete, sto benissimo!”
I
due complici si scusarono per l’inganno, ma furono subito perdonati, tanta era
la gioia di vedere Alonso in piena salute.
“E
ora, hermani, si va todos a
casa di Isaia e Michela, dove es una grigliata che ce
aspeta, asieme ai vostri
figli e a qualche altro invitato.”
Tutti
quanti andar dunque alla villa, dove appunto trovarono tutto pronto per un
ottimo pranzo all’aperto; i ragazzi avevano pensato ad apparecchiare, mentre di
cuocere la carne e le verdure se ne erano occupati i più grandi come Giorgio,
Samuele e Clara (la prima figlia di Gabriel e Claudia), coordinati da Niklos, che avrebbe preso parte alla riunione anche lui
alla riunione.
Appena
scese dall’auto e si fece vedere, Isaia fu circondato, salutato e abbracciato
dai suoi otto figli (contando anche Giorgio); oltre a Samuele (unico ad avere
gli occhi verdi), erano nate tre femmine (tra cui la più piccola che aveva
appena quattro anni), un altro maschio e due gemelli biondi.
Gabriel
e Claudia, invece, furono accolti dai loro soli tre figli.
Pure
le altre famiglie si radunarono. Si misero a tavola e iniziarono l’allegro
pranzo, riconoscendo che, in fondo, era stata una felice idea, quella di
Alonso, di costringerli a riunirsi.
Nessuno
aveva il posto fisso a tavola, si alzavano e si scambiavano di sedia, per poter
parlare un po’ con tutti. Ovviamente i ragazzi e i bambini stavano volentieri
tra di loro, a parte i figli di Isaia che facevano a gara per stare col padre,
organizzando dei turni per avere le sue attenzioni.
Claudia,
Michela e Teresa parlarono a lungo assieme, prima di rivolgersi ad altri.
Alonso
si divertiva a spostarsi da un amico all’altro e raccontò almeno tre volte la
storia di Pedro, rammaricandosi che il vecchio amico fosse ormai morto e non
potesse essere anche lui lì.
Sebastiano
era brioso e conversava con tutti, col suo solito modo di fare esplosivo, e
aveva iniziato a chiedere chi volesse partecipare ad un torneo di spada, dopo
pranzo.
Stefano
stette abbastanza in compagnia della sua famiglia oppure vicino a Gabriel che,
comunque, non vedeva da mesi, visto che lavoravano in città diverse e lontane. Quando,
però, i suoi occhi verdi caddero sul giovane Samuele, solo al barbecue, lo
raggiunse e intavolò una conversazione con lui. Il ragazzo fu felice di parlargli;
non si vedevano molto spesso, anzi quasi raramente, tuttavia avevano istaurato
un buon rapporto. Stefano era sempre stato gentile e comprensivo con Samuele che
si fidava di lui e, diventato adolescente, aveva preso l’abitudine a scrivergli
abitualmente delle mail e a confidarsi e chiedergli consiglio. Il ragazzo, in
fondo, vedeva poche volte Isaia, come i suoi fratelli poteva sempre contare su
Sebastiano, tuttavia il gesuita, appunto, doveva prendersi cura un po’ di tutti
e otto (prediligeva soprattutto i gemelli) e, comunque, era molto occupato come
Generale della Compagnia di Gesù.
Samuele,
quindi, aveva trovato un sostegno importante in Stefano e ne era contento,
nonostante sapesse che suo padre non provava gran simpatia per quell’uomo,
nonostante ne ignorasse il motivo. Una volta, il ragazzo aveva chiesto a
Stefano come mai si interessasse solo a lui e non ai suoi fratelli, l’uomo
aveva risposto vagamente: “In te rivedo qualcosa di mio.”
La
grigliata fu dunque un successo, tutti erano soddisfatti. Mentr’erano più o
meno al caffè, Immanuel vide una figura aggirarsi più in là nel parco, non
disse nulla a tal proposito, ma si scusò e si alzò da tavola. Camminò nella
direzione doveva aveva visto passere un uomo, che poi vide vicino al frutteto. Lo
raggiunse. Era Serventi, non invecchiato di un solo giorno.
“Ciao,
Bonifacio.” disse con tranquillità Immanuel “Sei venuto a vedere il tuo
successo?”
“Successo?
Non mi pare proprio … È andato tutto alla rovescia!”
“Perché?
La Chiesa è stata rovesciata dal suo interno, proprio come diceva la profezia.”
“Ma
non doveva andare in questa maniera!”
“Che
cosa non ti piace? Finalmente non c’è più guerra. È venuto il tempo della
comprensione, dell’armonia, dell’accettazione. La gente coi poteri può vivere
tranquillamente, senza nascondersi, senza essere temuta. La nuova umanità che
aspettavi sta nascendo.”
“Fai
presto, tu, ad essere tranquillo, hai vinto tu! Ha vinto lo spirito. Mentre io
e la terra abbiamo perso!”
“Bonifacio,
sei tu che hai voluto la guerra, io non l’ho mai desiderata e non ti ho mai
combattuto. Hai lottato contro te stesso e non te ne sei neppure accorto! Cielo
e terra non sono in contrapposizione, ma sono un’unica cosa: quel che è sopra
è come sotto, come in Cielo così in Terra, ciò che qui unirete sarà unito nel
Regno. Queste frasi mostrano la via. Malkuth e Yessod, soli, sono aridi, devono diventare un’unica cosa
per ottenere la floridezza.”
Serventi
si sentì illuminato, quasi dandosi dello stupido come quando ci si arrovella a
lungo a trovare la soluzione di un problema e, quando la si trova, ci si
accorge di quanto fosse semplice e ci si chiede come mai non la si sia
individuata subito.
Bonifacio
annuì, guardò con gratitudine Immanuel ed entrambi si strinsero la mano.
La
stella bianca aveva portato pace e armonia nel Mondo, riconciliandolo così con
il Cielo.