Terror degli angeli apostati

di DirceMichelaRivetti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro notturno ***
Capitolo 2: *** Consapevolezze ***
Capitolo 3: *** Verifica ***
Capitolo 4: *** Perché Isaia prese quel sasso ***
Capitolo 5: *** Chakra ***
Capitolo 6: *** Resistere ***
Capitolo 7: *** Dovere ***
Capitolo 8: *** La pesa delle anime ***
Capitolo 9: *** Lettera ***
Capitolo 10: *** I parenti ***
Capitolo 11: *** Sogni, pensieri e telefoni ***
Capitolo 12: *** Terror degli angeli apostati ***
Capitolo 13: *** Infiltrarsi ***
Capitolo 14: *** altare nel bosco ***
Capitolo 15: *** Il Centro d'Ascolto ***
Capitolo 16: *** Demone Buddista ***
Capitolo 17: *** Ira funesta! ***
Capitolo 18: *** Che fare? ***
Capitolo 19: *** San Giovanni il Battista ***
Capitolo 20: *** Rambastiano ***
Capitolo 21: *** Rientro ***
Capitolo 22: *** Ambasceria ***
Capitolo 23: *** In quel di Roma ***
Capitolo 24: *** Cosa si può fare ***
Capitolo 25: *** Rispunta Fylan ***
Capitolo 26: *** Scontro ***
Capitolo 27: *** Sigilli ***
Capitolo 28: *** Post scontro ***
Capitolo 29: *** Accettare quel che c'è in noi ***
Capitolo 30: *** Le Sephirot ***
Capitolo 31: *** Amor, ch'a nullo amato, amar perdona ***
Capitolo 32: *** Da Serventi ***
Capitolo 33: *** Grazie, Gabriel ***
Capitolo 34: *** L'ultima battaglia ***
Capitolo 35: *** Prigionia ***
Capitolo 36: *** Umiliazioni ***
Capitolo 37: *** Cambiamento ***
Capitolo 38: *** Colosseo ***
Capitolo 39: *** Ubi te Caius, ego Caia ***
Capitolo 40: *** Rinsavire ***
Capitolo 41: *** Riconciliazione ***
Capitolo 42: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Incontro notturno ***


Isaia era appena uscito dall’abitazione di Monsignor Castello, era già sera e dunque avrebbe dovuto aspettare il giorno seguente per potersi recare alla sede dell’associazione della quale aveva trovato numerosi volantini a casa del povero ecclesiastico defunto. A ben pensarci, perché gli era stato detto che Monsignor Castello era stato ucciso? Era morto cadendo dalle scale! Certo, le circostanze non erano ben chiare, ma nessuno aveva mai detto ci fossero indizi importanti che facessero pensare ad un omicidio … avrebbe chiarito la questione al più presto.

Quello non era neppure l’unico dei pensieri che gli vorticavano per la testa e che non riusciva a spiegarsi. L’incontro con Serventi lo aveva profondamente colpito.

La vostra caccia contro di me è solo un piccolo tassello di un grande destino che si compie, Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia.

Quelle parole tornavano ripetutamente ad affiorare nella sua mente e trascinavano i suoi pensieri da un lato e dall’altro, senza che lui se ne rendesse conto.

Un grande destino ….

… anche tu, Isaia …

Un grande destino …

Ne fai parte anche tu.

Cosa intendeva dire con quelle parole? Che la lotta contro la profezia era già prevista dalla profezia stessa e che lui, casualmente, era finito avviluppato in un conflitto inevitabile? O c’era qualcosa di più? … No, certo che no. Quelle erano solo parole a caso, dette apposta per confonderlo, per creare confusione nella sua testa e distrarlo dai suoi reali obbiettivi. Sì, doveva essere per forza così!

Eppure … Un anno prima avevano tentato di ucciderlo. Serventi aveva fatto molto per cercare di eliminarlo: l’Alchimista gli aveva rifilato veleno al posto di medicine, poi aveva provato ad iniettargli dell’aria nelle vene … ma per fortuna lui era riuscito ad evitare entrambi gli stratagemmi e a mettersi in salvo … o almeno così aveva creduto in un primo momento. Lì per lì non ci aveva pensato e non lo aveva ancora fatto, prima di quel momento, ma che cos’era stato a renderlo così sospettoso? Quale istinto gli aveva sussurrato all’orecchio per metterlo in guardia dal medico? Non lo sapeva. Forse la visita di Serventi, appena dopo la consegna del pranzo e le medicine, e quella sua frase: presto uscirai da qui, lo avevano messo d’allarme però … Non sapeva, era certo ci fosse qualcos’altro che non riusciva ad identificare.

Dopo la fuga dalla clinica, era stato tradito da Monsignor Demetrio ed era stato consegnato a Serventi … Diamine, aveva quasi ucciso un uomo in quel momento.

Uccidendo il tuo corpo, ti libererò dall’oppressione di Satana.

Così aveva risposto alle suppliche, così si era giustificato. Poi, per fortuna, non lo aveva fatto. Ottenute le chiavi, lui e l’altro prigioniero, avevano potuto mettersi in salvo senza bisogno di uccidere l’Alchimista. Quante volte, però, si era domandate che cosa avrebbe fatto davvero, se non ci fossero state quelle chiavi. Sarebbe stato davvero in grado di uccidere un uomo? Si trattava di legittima difesa: mors tua, vita mea, si diceva, ma non ne era poi così sicuro. Gli sarebbe bastato privarlo dei suoi arnesi e nessuno avrebbe più rischiato la vita. Lui, Isaia, aveva abbrancato il suo boia, lo aveva in un certo senso disarmato e reso inoffensivo, eppure era lì, in procinto di ucciderlo. Sapeva bene che non c’era sonnifero in quella siringa, eppure la stava per affondare nel collo di quell’uomo. Perché? Che cosa aveva provato in quel momento? Rabbia? Paura? Forse entrambe, forse qualcos’altro, forse una sorta di vendetta, celata dal senso di giustizia: in fondo quell’uomo aveva tentato di ucciderlo già due volte, probabilmente aveva ammazzato molte altre persone, meritava di morire. Questo, però, non è un pensiero da prete, questo è il pensiero di chi non conosce la misericordia di Dio. Dio, che non perdona mai, perché non è mai arrabbiato. Era un pensiero non proprio ortodosso, ma ci credeva profondamente. Il perdono è qualcosa di umano, per questo Gesù ha detto che a chi noi rimetteremo i peccati, saranno rimessi nel Regno dei Cieli. Quando si chiede il perdono a Dio, dopo un sincero pentimento, si sta chiedendo perdono a sé stessi e si allontanano da noi tutte le negatività. È la nostra rabbia, il nostro odio che condanna gli altri e poi anche noi stessi.

Isaia non ripensava spesso a quel momento, ne era spaventato e si vergognava, era profondamente deluso da sé stesso. Adesso lo aveva perdonato, l’Alchimista? Sì, lo aveva perdonato, ma non aveva perdonato sé stesso per quella debolezza e per le altre che lo avevano accompagnato quell’anno: denunciare Gabriel, seppure in forma anonima … credere che Immanuel fosse davvero il Messia … Chissà come stava,ora, quel bambino? Sperò bene, sinceramente, si era affezionato a lui e doveva anche a lui la sua salvezza, lo aveva favorito nello scappare da Serventi.

Già, era riuscito a sfuggire a Serventi.

All’epoca si era detto che volevano ucciderlo poiché aveva scoperto il segreto di Gabriel e non voleva lo rivelasse. Ora si chiedeva se non ci fosse qualche altro motivo.

Un grande destino che sta per compiersi, Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia. … Isaia ... Isaia.

Inutile allontanare quella voce, trovava ugualmente la maniera di riecheggiargli nella mente.

Un dubbio aveva iniziato già da qualche ora ad affiancarsi a quel ricordo: forse lui era quello che avrebbe potuto impedire alla profezia di compiersi. In che modo però?

No, via, via, questi erano pensieri superbi! Non doveva credersi diverso dagli altri. Su una cosa Serventi aveva ragione: lui era un uomo e solo un uomo! Non aveva poteri, non aveva nascite strane, era solo un semplice uomo, eppure non avrebbe mai più vacillato nella propria fede, non avrebbe esitato a compiere qualsiasi gesto, anche il supremo sacrificio, se sarebbe servito a difendere Dio e la Chiesa.

La divinità, quella che tu credi di pregare e cercare è tutt’altra cosa.

Ecco che ora queste parole gli tornavano alla mente, come a sfidare la sua fede, come a deridere tutte le sue convinzioni.

Serventi lo aveva anche accusato di non vedere la verità.

I suoi occhi erano dunque velati?

Serventi non aveva mai detto nulla contro Dio, solo contro la Chiesa, come se essa adorasse un falso idolo. Serventi non era satanista, non invocava il potere del demonio, ma parlava di Dio.

Questo turbava parecchio Isaia, ma egli, d’altronde, sapeva bene che il male indossa spesso la maschera del buono, per compiere meglio e più facilmente la propria opera.

Serventi era il male, la profezia era qualcosa di diabolico, Gabriel era in pericolo e con lui l’intera Chiesa. Questo era ciò che doveva bastare ad Isaia.

Isaia non si sarebbe tirato indietro. Aveva giurato fedeltà a Dio, conosceva il proprio dovere. Troppe volte in passato non era stato integro, non avrebbe ripetuto quegli errori né ora, né mai. Avrebbe difeso Dio, la Chiesa e ogni animo buono di questo mondo; li avrebbe protetti dalle insidie di Serventi e del diavolo. Lui era un esorcista, lui sapeva scacciare i demoni dai corpi, allora avrebbe potuto scacciarli anche dal mondo, se sarebbero venuti, ovviamente con l’aiuto di Dio.

Lo sapeva, era assolutamente consapevole e lo aveva ribadito e giurato anche di fronte a Serventi qualche ora prima: Sì! … Sì, lui sarebbe andato fino in fondo, avrebbe fatto il proprio dovere.

È questo il tuo compito?

Riecheggiò allora la voce di Serventi.

È questo il mio compito? Si domandava Isaia.

 

“Padre Morganti!?”

Lo chiamò qualcuno. Isaia si scosse da quella tempesta di pensieri e tornò presente alla realtà. Si guardò intorno e si accorse di essere arrivato presso il parco di villa Borghese, cinque chilometri più in là del Vaticano, di dove doveva andare. Talmente assorto nelle sue riflessioni non aveva fatto caso alla strada ed era finito fin lì. Gli era capitato altre volte di camminare soprapensiero, ma ciò non gli aveva mai fatto perdere la via di casa, quella sera, invece, i suoi piedi lo avevano condotto così fuori mano.

Si guardò attorno e subito vide chi lo aveva chiamato: a qualche passo da lui, sulla sinistra, c’era una ragazza sulla ventina più o meno, ammantata in un cappotto verde oliva, col doppio petto, in testa portava un basco, forse grigio, la luce dei lampioni era fioca e non si riuscivano a distinguere bene i colori. Quella ragazza aveva i capelli sciolti e mossi, decisamente scuri. I suoi occhi erano grandi, castani, ma parevano pervasi da un certo ardore indefinibile.

Isaia ebbe subito l’impressione di conoscerla, anzi ne era certo, tuttavia non avrebbe saputo dire chi ella fosse, forse una sua vecchia studentessa.

“Padre Isaia Morganti? È lei?” chiese nuovamente quella giovane, dopo alcuni momenti di silenzio.

“Sì.” rispose il prete, ancora confuso praticamente da tutto “Ci conosciamo?”

“ … Più o meno.” rispose l’altra, sorridendo. Si avvicinò all’uomo, come divisa tra contentezza e timidezza.

Isaia le leggeva in volto la gioia, ma anche incertezza, una vaga paura; riusciva ad avvertire la sua emozione, era certo che in quel momento il cuore della ragazza stesse battendo molto forte, come quando si incontra per la prima volta una persona che si è ammirata e stimata da sempre. Non capiva.

“Nel senso che tu sai chi sono io, ma io non so chi sei tu?” ipotizzò il prete, cercando di avere delle spiegazioni.

“Sì … più o meno è così.” rispose la giovane, dopo averci pensato per qualche momento e comunque non proprio convinta.

“Come mi conosci? Hai seguito le mie lezioni all’università?” Isaia era comunque calmo e conciliante.

“No.” la ragazza era evidentemente in difficoltà, cercava le parole “È difficile da spiegare … forse un’altra volta … Non so che dire …” nel farfugliare quest’ultime cose, si era lasciata prendere da una certa agitazione, come se si fosse innervosita per il fatto di non riuscire a parlare.

“Calma, tranquilla.” la confortò Isaia, intenerito, attraverso gli occhiali la guardo con occhi rassicuranti e pazienti “Prenditi il tempo che ti serve. Potresti iniziare col dirmi come ti chiami, è una buona idea, non credi?”

“Oh, sì, giusto, mi chiamo Michela.” rispose velocemente lei, tornando sorridente.

“Bene, Michela, potresti continuare col dirmi che cosa ci fai in giro da sola, di notte, non è prudente.”

“So difendermi.” precisò subito la giovane e poi cercò di spiegare: “Però non saprei dirle perché sono qui. Ho sentito che dovevo venire e sono uscita.”

“Sentito?” si accigliò il prete.

“Sì. Ho avvertito dentro di me una forza che mi diceva di venire in questo posto e io ho obbedito, non sapevo perché, non me lo sono chiesta, ho obbedito e basta.” c’era una nota onirica nella sua voce “Ora, però, penso di sapere perché sono stata guidata fin qui.”

“Ah, sì? E perché?” Isaia era decisamente incuriosito, sia da quella ragazza, sia dal fatto che entrambi si erano ritrovati lì spinti da qualcosa di indefinibile.

Michela lo guardò, forse si sentì stringere la gola, era tornata ad emozionarsi, e disse a mezza voce: “Per incontrare lei.”

“Per incontrare me?” ripeté interdetto l’uomo, irrigidendosi e nella mente gli balenò il terribile dubbio che quella donna potesse essere stata mandata da Serventi, ma a che scopo? Se volevano uccidere, non era necessaria quella sceneggiata.

“Sì, credo che entrambi ci siamo ritrovati qui, in questo momento, perché era giunto il tempo di conoscerci dal vivo, personalmente.” disse ciò con maggiore sicurezza rispetto a tutto il resto.

“Non capisco.”

“Lo so, ma capirà. Ora, mi scusi, è meglio che io vada.”

“No!” ordinò Isaia, irritato “Tu, ora, mi spieghi chi sei e per chi lavori.”

“Adesso non è il caso, non capirebbe. Lo troverebbe assurdo!” replicò la ragazza.

“Assurdo? Dubito fortemente che riterrei qualcosa assurdo, dopo tutto quello che ho già visto.”

“Lo so cosa ha visto.”

“Com’è possibile?” sbalordì il prete.

“Visto? Ritiene già questo assurdo. Perdonami, ma se le raccontassi tutto adesso, non solo non mi crederebbe, ma probabilmente potrebbe decidere di non fidarsi di me.”

Isaia non riusciva a provare avversione per quella ragazza, nonostante la ragione gli suggerisse che poteva essere pericolosa, e dovette sforzarsi per mantenere un tono duro, nel ribadire: “Per chi lavori? Cosa vuoi da me?”

Se fino a quel momento c’era stato circa un metro di distanza tra di loro, Michela si avvicinò moltissimo e guardandolo dritto negli occhi, come chiedendo scusa, si limitò a dire: “Per ora le basti sapere che sono consacrata a qualcuno che ha il mio stesso nome, ma al maschile.”

Isaia corrugò la fronte: quella frase non voleva dire assolutamente nulla!

La ragazza, esitò un attimo, poi timidamente appoggiò il proprio palmo sinistro sul petto del prete.

A Isaia sembrò di sentire una sorta di energia in quel punto di contatto.

“Sei molto agitato in questo periodo, stai correndo dietro a mille pensieri e mille preoccupazioni. Prenditi il tempo di sgombrare la mente da tutto, ritrovati. Senti il tuo calore interno, il tapas, il prana, il ki, lo Spirito Santo. L’hai sempre fatto, ma ora la troppa fretta ti ha distolto da ciò. Prenditi il tempo.”

Il prete era rimasto colpito da quelle parole. Effettivamente tra la congregazione, le verifiche effettuate e il problema di Gabriel, era già da diverse settimane che non si raccoglieva più in preghiera o contemplazione come invece era solito fare. Sì, diceva le sue orazioni, andava a messa, ma aveva sempre la mente assorbita in altri pensieri, o era troppo stanco. Erano passati parecchi giorni dall’ultima volta che si era rivolto al Signore con animo quieto e libero. Sì, doveva davvero riprendere le sue sane e benefiche meditazioni.

Come faceva, però, quella ragazza a saperlo? Forse aveva solo tirato ad indovinare .. Ehi, ma … dov’era finita? Non era più lì. Ce l’aveva davanti agli occhi ed era sparita senza che lui se ne accorgesse, mentre rifletteva sulle strane parole.

Isaia sospirò e si diresse verso il Vaticano, la strada era lunga.

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Capitolo 2
*** Consapevolezze ***


Dopo aver visto la penultima puntata, questi prossimi capitoli saranno una raccolta di momenti mancanti di isaia o di suoi pensieri.

[fanfic approvata dal “comitato in difesa delle motivazioni di isaiaxd]

 

Gabriel era appena uscito dalla porta. Aveva appena comunicato all’amico la sua volontà di abbandonare la chiesa e gli aveva dato la spilla simbolo della congregazione della verità.

Questa è la tua più grande vittoria.

Ecco tutto ciò che era riuscito a dirgli. Isaia era scontento di sé. Non era mai stato una persona emotiva e l’educazione gesuitica gli aveva ben insegnato a nascondere le sue emozioni, inoltre quello non era certo stato un addio, tuttavia Isaia sapeva di essere stato troppo freddo. Sapeva anche che Gabriel non gliene avrebbe certo fatto una colpa, lo aveva abbracciato, gli aveva detto: sei un amico, lo sei sempre stato. Lui, invece, non era riuscito a dire nulla.

Eppure di cose ne avrebbe volute dire parecchie.

Qui tutto cambierà, non sarà lo stesso senza di te, questa era la frase che aveva tenuta serrata tra le proprie labbra, nonostante essa premesse per uscire.

La verità era che non voleva far capire a Gabriel, quanto quella decisione lo addolorasse, in ambito personale. Gabriel non era il solo a fra un sacrificio con quell’atto, anzi, pareva quasi che per lui fosse una liberazione, che fosse ciò che volesse davvero. Anche Isaia sentiva di stare sacrificando qualcosa d’importante.

Guardava la spilla che gli aveva consegnato l’amico, la guardava, ma non la vedeva, la sua mente era da tutt’altra parte, persa in ricordi lunghi più di vent’anni. Si erano conosciuti alle scuole medie, nel collegio dei gesuiti e lì avevano avuto un’ottima formazione; dopo alcuni anni avevano deciso di prendere i voti: castità, povertà e obbedienza. Isaia ricordava ancora perfettamente quella serata: erano all’osservatorio astronomico per una ricerca scolastica, divertiti e intimoriti allo stesso tempo dal busto in marmo di don Angelo Secchi che li sorvegliava.

“Gabriel” aveva esordito Isaia, dopo un lungo tempo passato in silenzio ad annotare coordinate “Uno dei prossimi giorni, potrei parlare con tuo zio, monsignor Demetrio?”

“Certamente, perché?” si era stupito Gabriel.

“Vorrei diventare prete e ho bisogno di essere guidato e consigliato.”

“Prete? Tu? E perché?”

“E perché no?” aveva ribattuto Isaia “Sento che è la mia strada, sento che Dio mi chiama e non desidero far altro che obbedire a Dio, compiere la sua volontà e difendere le persone dalle insidie del male. Sento che è questo che voglio fare e se non lo facessi non sarei felice e mi odierei.”

Un lungo silenzio era rimasto tra i due, poi Gabriel disse: “Sono contento che tu abbia preso questa decisione. Sai, anch’io ho la vocazione, anch’io so che è questo che devo diventare per potermi realizzare e che non potrei star bene in nessun altro ruolo, però ero spaventato. Temevo di essere solo, ora, invece, che so che ci sarai anche tu, non ho più paura. Tu sei il mio migliore amico e saperti al mio fianco è un gran sollievo per me.”

Erano quindi entrati in seminario e contemporaneamente avevano iniziato il loro percorso all’interno della Compagnia di Gesù, erano ovviamente partiti dal basso: da Coadiutori Temporali si erano occupati delle mansioni più semplici come cucinare o pulire, poi Coadiutori Spirituali, per divenire Professi dei Tre Voti e, infine, Professi dei Quattro voti, aggiungendo ai tre classici quello di obbedienza al Papa circa le missioni. Tutto questo sempre insieme.

Una volta approdati nella Congregazione della Verità, avevano iniziato ad allontanarsi. Isaia aveva seguito il percorso dell’esorcista, Gabriel no; inoltre le verifiche li portavano spesso in posti diversi e per lungo tempo non si vedevano. Non aveva importanza, non per Isaia, almeno, che era contento della certezza di ritrovare sempre l’amico, prima o poi.

Tornò a vergognarsi moltissimo del tiro mancino delle foto che gli aveva giocato l’anno prima, ma ancora non era certo di aver agito davvero male. La sua coscienza era divisa tra la lealtà all’amico o alla Chiesa. Leggermente diverso, invece, era il conflitto che lo agitava in quel momento. Se fosse stato di carattere diverso, Isaia forse avrebbe davvero potuto esternare tutto il suo dispiacere a Gabriel, dirgli che da allora si sarebbe sentito solo e privato di un affetto importante, in fondo l’unico affetto che manteneva da anni. Non avrebbe saputo dire perché, ma gli tornarono in mente le letture fatte da ragazzino e pensò che Sandokan aveva dovuto sentirsi proprio come lui, quando Yanez aveva deciso di vivere nell’Assam con Surama.

Anche se fosse stato meno chiuso e introverso, Isaia non avrebbe comunque detto nulla, si sarebbe tenuto ugualmente tutto dentro, per un motivo ben preciso: temeva che il suo dispiacere avrebbe potuto far cambiare idea a Gabriel.

Gabriel doveva uscire dalla Chiesa, per poterla proteggere. Isaia doveva perdere il suo migliore amico per proteggerla. Questo era il sacrificio che stava compiendo Isaia.

Il prete rimase a lungo a osservare la spilletta e a ricordare una moltitudine di momenti trascorsi con Gabriel, le verifiche compiute assieme e altro ancora. Tornò presente alla realtà solo quando udì una campana suonare, allora sospirò, infilò la spilla in tasca e si rimise al lavoro.

 

Appena dopo l’ora di pranzo, durante la pausa concessa a tutti. Isaia era nel proprio appartamento, era composto da tre stanze, sarebbero dovute essere un salotto, una cucina e una camera da letto, effettivamente espletavano tali funzioni, ma parevano collocate in mezzo ad una biblioteca. Accostati alle pareti c’erano vari scaffali traboccanti di libri di vario genere, volumi antichi e moderni, la maggior parte era ovviamente in italiano o latino, ma c’era un cospicuo numero di testi anche in greco antico, ebraico, copto, egizio demiotico.

Sopra alle finestre c’erano immagini sacre, immagini di Santi; certamente non poteva mancare un ovale col ritratto di Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, l’ordine a cui apparteneva Isaia; poi c’era anche Sant’Antonio Abate, che aveva passato gran parte della propria vita in meditazione e penitenza nel deserto, resistendo alle tentazioni e provocazioni del demonio; un altro quadretto raffigurava San Ciriaco, altrove c’era San Benedetto; l’ultima icona era quella di San Michele, il principe della milizia celeste, che col suo piede schiaccia Lucifero.

La giornata era stata faticosa, inoltre Isaia era ancora molto affranto per la decisione di Gabriel di lasciare la Chiesa. Era sinceramente dispiaciuto che il suo amico, il suo migliore amico, forse il suo unico amico, presto lo avrebbe abbandonato. Sarebbe rimasto solo. Per quanto nutrisse simpatia o stima per gli altri confratelli, con nessuno aveva il medesimo rapporto che aveva con Gabriel: erano cresciuti assieme! Avevano condiviso così tanto …!

Basta! Non era questo il momento di pensarci. Per quanto la questione lo addolorasse, doveva accantonarla, almeno per adesso. Aveva rimandato e dimenticato troppo a lungo il proprio raccoglimento davanti a Dio, ne aveva decisamente bisogno. Per troppi giorni si era lasciato dominare dalle proprie preoccupazioni, ora era davvero necessario che accantonasse tutto quanto, che si concedesse qualche ora di mentre sgombra da ogni pensiero che non fosse Dio, aveva bisogno di pregare e di meditare.

Meditare come gli aveva insegnato, più di dieci anni prima, il suo maestro: padre Samuele Costa.

Andò in camera da letto, si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino, poi si sdraiò sul letto, senza disfarlo, incrociò le mani sotto all’ombelico e chiuse gli occhi. Innanzitutto, nella sua mente recitò un versetto della lettere ai Romani: Lo Spirito sovviene alle nostre debolezze, perché non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere in preghiera, come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri ineffabili.

Si lasciò poi andare a un dialogo con Dio, chiese perdono per i propri peccati, elencando tutte le mancanze che aveva avuto dall’ultima volta che si era confessato, poi ringraziò per ogni cosa buona che gli era capitata, compresi il fatto di aver potuto sfamarsi e dissetarsi. Di solito avrebbe invocato l’aiuto del Signore per sé e per chi si affidava alle sue preghiere, ma quel giorno si sentiva troppo distante da Dio per permettersi di chiedergli qualcosa.

Prima di dedicarsi alla meditazione di padre Samuele, decisamente non ortodossa per i canoni cattolici occidentali, Isaia preferì ripetere una delle meditazioni presenti negli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio, testo fondamentale per la direzione spirituale dei Gesuiti. Quella che gli sembrò più adatta per quel frangente fu quella dei due vessilli: iniziò a immaginare una vasta pianura con due città: una brutta, disordinata, sporca, chiassosa; l’altra bella, ordinata, pulita, silenziosa. La prima è Babilonia; la seconda, Gerusalemme. Fuori le mura di Babilonia c’è un mostro seduto su un trono fumante; il suo viso è terrificante, gli occhi fiammeggianti. È Satana che, sotto il suo stendardo infernale, chiama a raccolta i suoi. Presso le mura di Gerusalemme, invece, c’è Gesù, bello, ordinato, pulito, che sotto lo stendardo celestiale chiama anche Lui a raccolta i suoi. Costruì le immagini nella propria mente con precisione e attenzione, arricchendole con dovizia di dettagli. Infine sentì la voce di Sant’Ignazio porgli questa terribile domanda: “E tu, sotto quale stendardo decidi di combattere?”

Decise che era il momento di passare alla meditazione insegnatagli da Samuele. Le meditazioni cristiane normalmente si basano sul riflettere circa alcuni passi biblici, quella dispensata da Samuele invitava a non pensare. Moltissimi cattolici occidentali avevano deprecato tale tecnica, considerandola una tradizione pagana a cui i loro confratelli orientali non avevano ancora saputo rinunciare. Effettivamente padre Samuele aveva elaborato quel tipo di raccoglimento proprio durante il suo periodo di missionariato in India. Questa forma di meditazione, però, non sconvolgeva i Gesuiti i quali già nei loro Esercizi Spirituali avevano qualcosa di simile: la terza parte della preghiera invitava a rivolgersi a Dio non più con i pensieri, bensì col cuore per riuscire a partecipare dell’Amore di Dio, che non è comprensibile per la mente umana.

Ecco, in questo la meditazione gesuitica e quella di Samuele si rassomigliavano: far tacere la mente.

L’obbiettivo ideale sarebbe stato quello di raccogliersi a tal punto di estraniarsi completamente da sé, pur rimanendo consapevole di quel che accadeva attorno, ma Isaia non ci era ancora mai riuscito.

Come prima cosa doveva regolare il respiro, teneva la bocca semi aperta, ma respirava col naso; inspirava a lungo, senza violenza e l’addome si sollevava, tratteneva il fiato per qualche secondo e poi lo rilasciava adagio. Lasciava che il respiro lo attraversasse completamente e, dopo pochi minuti, aveva preso il ritmo, senza più bisogno di stare attento a regolarlo. A quel punto cominciò la parte più difficile: smettere di pensare. Era un’operazione complessa, anche per il semplice fatto che a volte gli veniva da pensare: Sto non pensando?

Riuscì comunque ad acquietare la mente e nessun pensiero lo andò a turbare. Avvertì allora una piacevole sensazione di tranquillità, serenità, si sentiva vicino a Dio e avrebbe voluto poter non uscire più da quello stato. Era molto tempo che non provava quella sensazione decisamente rigenerante. Alla fine di quella meditazione, Isaia si sentì fortemente ritemprato e ricordò perché era così fondamentale dedicarcisi quotidianamente e non trascurarla. Si rese anche conto che quell’esercizio gli donava energia o, meglio, risvegliava in lui una forza non fisica. Non era la prima volta che lo notava, aveva percepito quella forza fin dalle prime pratiche e, chiedendo delucidazioni a padre Samuele, aveva imparato che quella era la forza che dona lo Spirito Santo.

Isaia rimise gli occhiali, si guardò rapidamente allo specchio ed uscì dall’appartamento piuttosto rapidamente: padre Vargas lo aveva convocato per le quattro e rischiava di arrivare in ritardo.

 

“Per me non c’è compito più grande che difendere la chiesa.” aveva ribadito ancora una volta Isaia e ci credeva davvero, nulla era più importante per lui che difendere il bene ed era orgoglioso di poter consacrare la sua vita a questa missione.

 Aveva poi rassicurato Vargas circa il fatto che Gabriel avrebbe abbandonato la Chiesa, lo aveva già deciso, quindi la profezia non si sarebbe più potuta avverare. Isaia era convinto che finalmente quella questione fosse stata risolta, che ora ci si poteva concentrare solo su Serventi, senza più la minaccia del prescelto. Per un attimo credette che anche quello sul volto sfregiato di Vargas fosse un sorriso di sollievo. In un certo senso lo era, ma molto diverso da quel che lui credeva.

Le parole che aveva udito dopo lo avevano fatto rabbrividire: Vargas non voleva Gabriel fuori dalla Chiesa per tutelarla dalla profezia, bensì per poter essere libero di ucciderlo, cosa che il suo Ordine gli impediva di fare, finché fosse stato un prete.

Le persone con facoltà paranormali, nonostante non avessero nulla di demoniaco, per Vargas e i Templari, dovevano essere eliminati tutti. Compreso Gabriel.

Isaia capì di essersi di gran lunga sbagliato. Preso dal primo entusiasmo di un nuovo e più potente Ordine che proteggeva la Chiesa, si era lasciato coinvolgere e aveva ascoltato Vargas.

In quel momento, però, si sentiva tradito e ingannato. Gli avevano detto di volere Gabriel fuori dalla Chiesa, ma non immaginava certo fosse per poterlo uccidere e ora che lo aveva scoperto provava una gran rabbia. Avrebbe voluto ringhiare qualche parola contro Vargas, ma si guardò bene dal farlo; non poté nascondere il proprio stupore, ma finse di capire.

Di una cosa era certo: se si fosse tirato indietro, i Templari avrebbero trovato la maniera di fargliela pagare, pur non potendo ucciderlo direttamente. Stare al loro gioco gli conveniva e anche per un altro motivo: volevano uccidere Gabriel, lui era l’unico che lo sapeva e che poteva fare qualcosa per impedirlo. Non poteva denunciarli alla Congregazione, non sarebbe stato creduto. Doveva, quindi, fingersi fedele alla causa dei Templari, assecondarli, essere credibile in questo e, allo stesso tempo, trovare la maniera di proteggere Gabriel. Se lui si fosse allontanato da loro, quelli avrebbero potuto agire indisturbati, lui invece poteva cercare di mitigare le situazioni ed escogitare una soluzione. Inoltre non avrebbe potuto farne parola con alcuno: la situazione era troppo confusa, la gente troppo ambivalente, per potersi fidare di qualcuno.

Ora Isaia era solo, non poteva contare sull’appoggio di nessuno, ma ce l’avrebbe fatta.

 

Era passato qualche giorno, Isaia aveva scoperto che Padre Alonso e una certa Rebecca, una studentessa di Gabriel, stavano conducendo una ricerca su un Ordine che contrastava quello di Serventi, aveva cercato di troncare la questione, ma aveva a che fare con gente ostinata. Era quasi impossibile, ma temeva potessero risalire all’Ordine Templare e questo non lo poteva permettere: scoprire la sua esistenza, avrebbe messo tutti e due in pericolo e lui non poteva permettere che ciò accadesse. Cercò, dunque, di scoraggiare le loro ricerche, per convincerli a cessarle. Non poteva, però, esimersi dal riferire le loro attività a padre Vargas. Isaia era certo di essere sorvegliato: era impossibile che si fidassero ciecamente di lui, che ancora non era entrato nell’Ordine. Forse lo stesso monsignor Sartori, che lo aveva indirizzato su quella strada, lo stava osservando. Per mantenere la copertura e la credibilità, anzi per guadagnarne di maggiore, decise di riferire di quella ricerca a Vargas.

“Ho intenzione di sorvegliare e agire, se necessario.”

Questo aveva detto Isaia, diplomatico ma fedele alla causa: voleva avere la totale fiducia di Vargas.

Pensò di averla ottenuta, quando il Templare gli disse che, allora, era necessario che lui sapesse ciò per cui essi combattevano e quando tirò fuori un grosso scrigno, dicendo che al suo interno c’era ciò su cui si basava la Chiesa.

Quando vide il contenuto, Isaia rimase alquanto turbato e si convinse che Vargas gli aveva mostrato ciò non per fiducia, ma in un certo senso per obbligarlo ad aderire totalmente alla causa. Una simile verità, non poteva permettere che ci fossero profani vivi, con o senza tonaca. Isaia a quel punto era ancora più sicuro che sarebbe morto, se avesse osato tirarsi indietro.

“Bene, Isaia.” disse Vargas con un sorriso “Sei dunque certo di volere entrare nell’Ordine del Tempio? Di voler proteggere la Chiesa da ogni minaccia?”

“Sì.” rispose il prete, ma quel sì era nettamente meno vigoroso di quello che aveva pronunciato davanti a Serventi la settimana prima.

“Allora procediamo con la tua iniziazione.” annunciò con naturalezza l’altro.

“Ora?” si lasciò sfuggire un tono un po’ troppo sorpreso e forse con un cenno di insicurezza.

“Qualche ripensamento?”

“No, certo che no. Semplicemente mi stupivo che si facesse così, in forma privata e non dinnanzi agli altri confratelli.” si giustificò Isaia.

“Ci sarà anche la cerimonia ufficiale, ma mi servi operativo subito, per cui ti inizieremo ora.”

Vennero altri due preti nella stanza per cominciare il rituale. Uno di loro aveva portato dentro una scultura che rappresentava la testa di un uomo barbuto, la appoggiò sul tavolo.

“Isaia.” disse Vargas “Inginocchiati davanti al Signore.”

Isaia si accigliò e, piuttosto che commettere blasfemia, preferì mandare all’aria tutto ed esclamò scandalizzato: “Ma quello è Bafometto! Non lo adorerò mai!”

Vargas sorrise e disse: “Avresti pienamente ragione ad indignarti, se davvero ti avessimo chiesto di adorare un idolo o, peggio, il demonio, ma questa statua rappresenta Gesù. I Templari recuperarono la Sacra Sindone e per un secolo la hanno adorata, esponendola piegata in modo tale che si vedesse solo il capo. Questa testa che ti abbiamo messo davanti è quella di nostro Signore e non di un falso Dio.”

Isaia si convinse, non era certo della sincerità di quelle parole, ma effettivamente non ha importanza l’oggetto che si adora, bensì il significato che gli si attribuisce, e il prete decise di vedere in quel volto, il volto di Cristo, quindi si inginocchiò e chinò il capo.

“Padre Morganti, tu sei un peccatore!” lo accusò uno degli altri due.

“Sei un pessimo cristiano, ti sei macchiato mi molti peccati!” aggiunse l’altro.

“Hai ingannato, hai tradito!”

“Sei ambizioso e superbo!”

Mille accuse gli furono rivolte contro, ma lui non proferì verbo: aveva capito che quello era parte integrante del rituale.

Padre Vargas prese il crocefisso che c’era sul muro, si avvicinò all’iniziando, glielo mise davanti al viso e gli disse: “Tu sei un miserabile, un traditore di Gesù.” e poi ordinò: “Nel tuo cuore, tu sputi sulla croce, fallo apertamente: sputa! Sputa tre volte sulla croce!”

Isaia era sconvolto da quella richiesta: quella gente era anche peggio di come gli era sembrato.

Vedendo l’esitazione, Vargas intimò ancora: “Sputa tre volte, ho detto! San Pietro rinnegò il Cristo per ben tre volte, sei forse talmente superbo da crederti migliore del primo pontefice?”

Isaia capì il simbolismo e, pur controvoglia, eseguì quel terribile gesto sacrilego.

“Non temere, oh peccatore!” la voce di Vargas si fece dolce a quel punto “Noi siamo qui per aiutarti, per sollevarti dalla polvere in cui giaci. Noi ti mostreremo la strada della verità, ti aiuteremo a ripulire la tua anima dai tuoi peccati e assieme a noi combatterai per proteggere la Santa Romana Chiesa.”

Isaia venne poi fatto alzare in piedi e abbracciato prima da Vargas, poi dagli altri due Templari.

Quando uscì dall’edificio, Isaia era sconvolto: quel che aveva visto nello scrigno, quell’orrida cerimonia …

Salì in auto, vide una busta appoggiata sul cruscotto. Ricordò allora della verifica che si era assunto l’incarico di fare. Che stupido! Con tutto quello a cui aveva da pensare: Templari, Serventi, Gabriel, Alonso, ci mancava solo che andasse a perdere tempo ed energie anche in una verifica. Avrebbe potuto rifiutarla, naturalmente, o rimandarla ad un altro giorno, ma qualcosa dentro di lui gli aveva imposto di scegliere quella e ora lo stava spronando ad andare subito.

Ma sì –si disse- Forse mi servirà a staccare da tutto questo e mi rilasserà.

Guardò l’indirizzo, mise in moto l’automobile e partì.

 

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Capitolo 3
*** Verifica ***


Isaia aveva parcheggiato l’auto poco distante dall’abitazione in cui avrebbe dovuto fare la verifica. Diede un’occhiata rapida al fascicolo; non era un caso difficile: telecinesi ad opera di un bambino di tre anni, la madre negava l’accaduto, a segnalare la vicenda erano state le suore che gestivano l’asilo frequentato dal bimbo. Probabilmente si sarebbe risolto con un nulla di fatto.

Il prete tornò a considerare quella verifica una perdita di tempo, ma ormai era lì, conveniva chiudere la faccenda. Suonò il campanello di una casetta modesta, ma indipendente dalle altre, sita in via Veneto. Gli aprì la porta una giovane poco più che ventenne. Quei capelli, quel viso, quegli occhi… erano rimasti impressi nella mente di Isaia che subito riconobbe la ragazza che aveva conosciuto alcune sere prima.

La donna si era stupita nel vederlo, ma subito si fece sorridente e salutò: “Buongiorno, padre Morganti. Prego, entri, si accomodi.”

“Buon pomeriggio.” ricambiò l’altro, varcando la soglia: che strana combinazione.

Si ritrovò in un salotto arredato senza seguire un preciso criterio: c’erano un divano, dei tappeti e cuscini, un tavolo, un comò e alle pareti mensole con libri o quadretti con le più disparate immagini, ma Isaia non si soffermò a guardarle, la prima cosa che lo colpì, entrando, fu il forte odore di incenso.

“Ti chiami Michela, giusto?” chiese conferma Isaia e si accomodò un una sedia a dondolo: era tanto tempo che non ne vedeva una.

“Sì, esatto. A cosa debbo la sua visita?” chiese la ragazza, richiudendo la porta.

“Credo di dover parlare con tua madre.” rispose il prete, levandosi gli occhiali.

“Temo sia impossibile” replicò, forse con un po’ di delusione, la giovane “È morta da molti anni.”

“Oh, mi spiace, non immaginavo. Tua zia, allora?”

“Padre, in questa casa abito solo io … con mio figlio.”

Ah! Dunque era lei la persona con cui doveva parlare. Isaia si rimise gli occhiali e guardò la ragazza con attenzione e confermò la sua prima impressione: era troppo giovane per essere madre. Il prete, però, sapeva bene che a volte le cose vanno in questa maniera, per cui decise di non indagare al riguardo, per il momento.

Con tono assai formale, iniziò a dire: “Mi manda la Congregazione della Verità, per …”

“Per quello che ha fatto il mio Giorgio, immagino.”

“Precisamente. Nei documenti che mi hanno dato, però, c’è scritto che tu neghi che tuo figlio abbia fatto alcun ché, ora hai cambiato idea?”

Michela scrollò le spalle e rispose: “Non volevo che mi mandassero in casa gente della Congregazione, non potevo immaginare sarebbe venuto lei.”

“Strano” fu l’ironica reazione di Isaia “L’altra volta pareva che tu sapessi tutto su di me.”

“Posso sapere le cose che ha fatto, non quelle che farà. Posso offrirle una tisana? Un infuso di miscela di passiflora, camomilla e biancospino sarebbe l’ideale per lei, teso com’è in questi giorni.”

“Sì, grazie, l’accetto volentieri. Posso, nel frattempo, vedere il bambino?”

“Certo.” rispose la donna, sorridendo “Giorgio! Vieni in sala, c’è un signore che vorrebbe la tua compagnia.” poi andò in cucina

C’erano due porte, oltre a quella d’ingresso, in quel salotto, una conduceva in cucina, l’altra era l’inizio di un corridoietto; da lì spuntò un bambino riccioluto e dall’aria vivace, si avvicinò al prete e salutò: “Ciao!”

“Ciao.” contraccambiò Isaia, in realtà non si sentiva del tutto a proprio agio davanti a un bambino così piccolo “Ti chiami Giorgio, vero?”

“Sì.”

“È un bel nome … deriva dal greco, significa uomo della terra.” Isaia decisamente non ci sapeva fare coi bambini “Sai, invece, cos’ha fatto San Giorgio?”

Il piccolo annuì e disse gioioso: “Ha ucciso il drago cattivo!”

“Esatto, bravo!” il prete constatò che, almeno, il bambino sembrava cresciuto in un ambiente cristiano, il fatto che frequentasse un asilo gestito da suore non poteva bastare come elemento per stabilirlo, poiché spesso famiglie in difficoltà economiche, anche se atee, mettevano i loro figli in asili parrocchiali per risparmiare.

“Mi hanno detto che sai spostare le cose senza toccarle, è vero?” il piccolo annuì “Mi fai vedere, per favore?”

Giorgio si guardò attorno, poi fissò gli occhi verso una mensola coi libri; un volume iniziò a muoversi, poi si sfilò e, levitando, andò pian piano a posarsi sulle ginocchia del prete. Il bambino lo guardò per avere la sua approvazione.

Isaia era rimasto meravigliato: il fenomeno esisteva davvero, quindi ora doveva verificarne la natura.

“Sono bravo?” chiese Giorgio, impaziente.

“Oh, sì, certo.” farfugliò Isaia, sovrappensiero.

“La mamma è bravissima.”

Queste parole catturarono l’attenzione del sacerdote.

“Anche la tua mamma sa fare volare le cose?”

“Sì. Fa anche altre cose.”

Ecco che cosa c’era che non andava in quella donna! Aveva qualche potere e probabilmente lo usava per spiarlo. Probabilmente era coinvolta nei complotti di Serventi.

Isaia si alzò in piedi e osservò le immagini alle pareti, c’erano alcuni disegni su stoffa: uno rappresentava un uomo blu che suonava un flauto, un altro era un uomo con dieci teste: alcune di animale!; poi c’era un uomo addormentato su un serpente. Quelli erano dei indiani: idolatria e paganesimo!

Su un’altra parete il prete vide un’icona che raffigurava San Michele Arcangelo in tutto il suo splendore, con la spada alzata nella mano destra, con lo sguardo controllava da che parte pendesse la bilancia che teneva con la sinistra, il piede era calcato su un demone sconfitto.

Quella presenza lo rassicurò un poco, ma poi Isaia inorridì vedendo un ultimo quadro. Questa volta si trattava di una stampa che rappresentava due teste di vecchio, una bianca, sopra e al dritto, e una nera, sotto e alla rovescia. La prima era inserita in un triangolo nero che si intersecava col triangolo bianco che incorniciava la testa scura. Isaia conosceva quel simbolo e sapeva anche che da molti lo interpretavano in maniera manichea e vi vedevano il Dio buono e il Dio cattivo; chi accettava tale simbolo in casa propria, era solitamente un adoratore del diavolo. Questo, però, non aveva senso: perché tenere San Michele anche? Perché chiamare un bambino Giorgio?

Voleva vederci meglio in quella faccenda.

“Ecco la tisana!” annunciò la voce della donna, che rientrò in salotto, portando un vassoietto con due tazze fumanti.

“Che cosa significa quest’immagine?” domandò molto duramente Isaia, senza voltarsi a guardare la giovane.

Michela appoggiò il vassoio sul tavolo, si avvicinò al prete e disse: “Ciò che è sopra è come sotto. Sulla Terra non può che esservi solo l’ombra del Regno dei Cieli. Oppure può rappresentare anche la forza attiva e quella passiva, la cui collaborazione è necessaria affinché la Creazione esista; la scienza ha dato ragione al pensiero di Eraclito: alla base di tutto non c’è forse il conflitto tra elettroni e positroni? Peccato, ho sempre preferito Plotino, col suo principio dell’emanazione, molto gnostico, a dire il vero. Tornando alla figura, può essere pure la religione. La testa bianca è Dio, assoluto, supremo, solo amore, che le nostre menti non possono comprendere e dunque dobbiamo accontentarci delle sua ombra; la lanterna anziché la luce, il riflesso nel pozzo e non la Luna. Il Dio che sentono i consacrati e il Dio che si mostra al popolo che non è in grado di arrivare alla sublimità. La verità non vuole essere volgarizzata; è misericordiosa e dà il suo amore a tutti, ma rimane coperta da mille veli e bisogna toglierli pian, piano per giungere a Dio.”

“Non è la risposta che darebbe la Chiesa.” osservò Isaia.

“Non è la risposta che la Chiesa dà alle moltitudini, perché alla maggior parte degli uomini serve un Dio che rassomigli ad essi, tremendo come quello del Vecchio Testamento. Se un maestro non si adirasse con i discepoli che fanno del male, essi crederebbero che il male resti impunito e non avrebbero più freno le loro azioni. Per la maggior parte, gli uomini sono ancora infanti che hanno bisogno di un padre severo, per essere poi indirizzati sul retto cammino.”

“Tu non credi al giudizio divino?”

“Dio è amore, non si arrabbia e non condanna. Gli uomini deturpano le proprie anime e attirano su di sé le negatività, con le loro azioni, i loro pensieri e le loro passioni.”

“Questo non è l’insegnamento della Chiesa.” ribadì molto aspramente il prete, nonostante quelle parole rispecchiassero il suo sentire.

“Isaia, sa che le mie parole sono vere. Sono ciò che prima le hanno insegnato e poi si sono raccomandati di tenere segreto. Che male c’è, se io so?”

“Potrei anche confermare le tue parole, ma ciò non cambia nulla. Tuo figlio ha lasciato intendere che tu fai molto più che spostare oggetti col pensiero.” si fece minaccioso “Sei una strega, non è così?”

Michela si fece molto seria, si rivolse al figlio e lo invitò ad andare in camera a giocare, poi guardò Isaia e gli disse: “No, le streghe sono vittime di fanatismo e superstizione, seguono idoli e passioni, scambiano i simboli coi significati e viceversa, io non ho nulla a che fare con loro. Se proprio vuole usare un termine simile, maga è più adatto, perché quella che pratico io è l’arte degli antichi Magi. Gli stessi Magi che sono venuti ad adorare Gesù come Salvatore. Se condanna me, condanna pure Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.”

Isaia non disse nulla, ma continuò a guardarla severamente. La ragazza sedette al tavolo e invitò il prete a fare altrettanto e a bere la tisana.

“Che veleno ci hai messo dentro?”

“Così mi offende. Non potrei mai fare del male a qualcuno, men che mai a lei.”

Isaia la guardò con freddezza e, come a voler dimostrare di avere capito tutto, domandò: “Non vuoi uccidermi? Allora che cosa ti ha ordinato Serventi?”

Gli occhi della giovane divennero quelli di una belva; pur non essendo cambiato nulla, Isaia credette di vedere fulmini attorno alla ragazza che con una voce carica di ira e di imperio, scandì: “Non nomini mai più quell’uomo in mia presenza!”

Isaia rimase come intimorito per qualche istante, deglutì. Lasciò passare più di un minuto di silenzio, prima di riprendere la conversazione.

“Dici di essere fedele a Dio, ma vedo molti idoli pagani in questa stanza.”

“Quello è Visnu, in varie sue forme. Ho qualche icona anche di Vajrapani e Manjusri”

“Una divinità indiana …” disse il prete con un certo disprezzo.

“Un altro modo di definire la forza di Dio che si oppone al male.” lo corresse la ragazza “Hanno dato il nome Visnu a quello che noi chiamiamo Michele o Giorgio, a quella forza di Dio che si incarna per combattere i demoni. Nomi e simboli diversi per la medesima sostanza. Protegge il bene, la verità e lotta contro il male, proprio come lei.”

“Questa è una blasfemia!”

“Non lo è e lei sa che ho ragione.” bevve un lungo sorso di tisana.

“Tu ti occupi di magia ed è sempre e solo un’arte del demonio, non importano le parole che usi per cercare di addolcirla.”

“Isaia, lei stesso usa la magia, solo che non la considera tale.”

“Che cosa stai dicendo?”

“I suoi esorcismi non sono altro che magia.”

“No, è il potere della fede e della forza di Dio.” ribatté con decisione il prete.

“Sì, è questo, ma sa come funziona? Certo che lo sa, solo che non se lo ricorda. Conosce anche lei lo Spirito che permea tutto e sa che ci sono modi per agire su di esso. La nostra immaginazione, la nostra mente, interagisce con questo fluido cosmico ed è in grado di temprarlo, manipolarlo, oppure ne può essere distrutta. Paura, rabbia e desiderio sono i punti di forza dei corrotti che finiscono in balia del male, per mezzo di queste tre passioni essi più o meno consapevolmente manipolano quest’energia universale. Voi della Congregazione vi ritrovate spesso ad indagare su persone che, per un qualche trauma, hanno una vaga e inconsapevole con la luce astrale e in questo modo ottengono un qualche potere. I veri Maghi li sanno usare tutti. I servi di Dio hanno l’animo puro e non soggetto a vizi e usano solo la propria volontà per piegare questo flusso. La magia, come ogni altro strumento, non è di per sé né buona, né cattiva, è e basta. È l’animo di chi la pratica che conduce a Dio o al Demonio.”

“Basta, non ascolterò oltre questi oltraggiosi vaneggiamenti.”

Isaia si voltò e mosse verso la porta, fortemente adirato. Michela, che fino a quel momento era rimasta calma, si preoccupò.

“Aspetta!” supplicò, alzandosi in piedi; poi si avvicinò a lui dicendo: “Non essere fanatico. La superstizione subentra alla religione allorché rimane il rito senza ragione, è il segno che sopravvive all’idea, la fede rimasta isolata e il fanatismo è il Tempio messo al posto di Dio, è l’interesse umano e temporale del prete sostituito all’onore del sacerdozio. La superstizione è la religione interpretata dalla scioccaggine; il fanatismo è la religione che serve di pretesto al furore. È questa la direzione verso cui ti stanno tirando, ti prego, sottraiti! Non condannarmi per fanatismo, ricordati della carità cristiana! La carità, l’amore, il fondamento della vera Chiesa, del bene e di Dio.”

Isaia rimase interdetto, effettivamente quelle parole circa il fanatismo si addicevano perfettamente a Vargas e ai suoi Templari.

Michela gli si accostò ulteriormente, gli prese le mani e le strinse, lo guardò negli occhi e disse: “Se volessi, potrei cancellare dalla sua memoria quest’incontro, oppure potrei costringerla a cambiare idea, ma non è questo che voglio, io non impongo nulla. Voglio che lei capisca da solo, solo così potrà salvarsi dal male e dal suo ego.”

Isaia la guardò, la paura delle sue certezze minate gli consigliavano di allontanare quella donna, una forza maggiore, forse una consapevolezza quiescente, gli imponeva di ascoltare.

“Cos’ha intenzione di fare, ora? Denunciarmi al Direttorio o, peggio, ai Templari?”

“Come fai a sapere …?”

“Me l’ha detto lei. Noi due parliamo spesso, solo che lei non ne è consapevole. Mi ascolti, la prego, io so che lei, tra i tanti libri che possiede, ha anche Il libro degli Splendori e La Chiave dei grandi misteri; la prego, li rilegga, ritrovi la verità che già conosce. Poi, se vorrà ancora denunciarmi, se lo riterrà ancora la cosa giusta da fare, lo faccia pure, ma prima, la prego, rilegga quei testi!” poi gli lasciò le mani e andò ad aprire la porta.

Isaia non disse nulla e uscì. Camminò rapidamente verso l’automobile, ripensando a tutto ciò che quella ragazza gli aveva detto. Effettivamente non c’era nulla di sbagliato nelle parole che aveva ascoltato, effettivamente erano tutte cose che aveva studiato, ma una delle cose che gli era stata insegnata era anche che la magia corrompe sempre, che nonostante la buona volontà, avere un simile potere induceva sempre ad assecondare i propri interessi e non quelli di Dio. Non poteva credere all’esistenza di maghi buoni, di maghi servi di Dio.

Isaia ricordava bene i libri che la ragazza gli aveva consigliato di rileggere, erano trattati esoterici di un abate francese che si firmava con lo pseudonimo di Eliphas Levi. Era stato padre Samuele a consigliarglieli.

Questi testi ti serviranno molto –gli aveva detto il suo maestro- spiegano perfettamente come agisce il male, come il magnetismo del male seduca gli animi, ma soprattutto illustra come si resiste alle tentazioni, in maniera molto stoica indica come deve essere l’animo di un uomo per poter attingere al potere della magia, dominandola, senza caderne in balia. Leggili con attenzione, ti faranno conoscere i modi di agire dai corrotti dal male, ti insegneranno a resistere ai loro poteri. Limitati ad apprendere questo, per il momento. Quando il tuo animo sarà temprato e totalmente sotto il controllo di Dio, allora potrai provare ad imparare tu stesso a ricorrere alla magia ... ma non dire che ti consiglio queste cose!

Isaia aveva dunque seguito il consiglio di padre Samuele, aveva appreso tutto ciò che era necessario per considerare la magia manifestazione del male e aveva dimenticato di imparare ad impiegarla per il bene.

Era questo a cui si riferiva quella ragazza? Come poteva quella giovinetta sapere quelle cose? Chi era veramente? Era ovvio che non gli avesse raccontato tutto, che gli stava nascondendo molte cose, tuttavia Isaia, nonostante il suo scetticismo, non era riuscito ad avvertire nulla di demoniaco in lei o nella sua casa.

C’era poi quella strana frase! Lui le avrebbe parlato senza accorgersene? Che razza di sciocchezza era mai quella? Come poteva essere? Che centrasse col fatto che lei gli aveva praticamente detto che lei poteva manipolare la sua mente? Bah, probabilmente era una menzogna! Perché non usare davvero quel potere, se lo aveva davvero? Isaia doveva credere che quella donna fosse così corretta da lasciare il libero arbitrio, potendo negarlo? No di certo.

Accidenti Isaia si era lasciato decisamente troppo impressionare da quella situazione! Probabilmente quella ragazzina aveva solo letto qualche libretto esoterico e ne aveva memorizzato alcune frasi; forse davvero sapeva fare qualche trucchetto magico, ma di certo lui l’aveva sopravvalutata. In fondo non l’aveva vista fare nulla. Il bambino sì, aveva manifestato un potere, ma quella donna non aveva fatto nulla se non preparare il tè e parlare.

Il ciarlatano è appariscente, il vero mago si nasconde.

Riecheggiò questa frase nella testa di Isaia. Chi l’aveva detta? Quando l’aveva sentita? Non ricordava.

E poi, la reazione tremenda della ragazza al solo sentire nominare Serventi! Lo conosceva dunque. Non doveva averlo in simpatia, quindi forse lei non era da considerarsi una nemica. A meno che non fingesse. In ogni caso la questione della magia non gli piaceva affatto.

Che fare, dunque? Il Direttorio avrebbe voluto un resoconto della verifica.

Non ebbe il tempo di decidere: una chiamata. Gabriel aveva bisogno d’aiuto nella sua ricerca indipendente circa le catacombe. Isaia sospirò, si ripromise di non dimenticare quella faccenda, di non sottovalutarla, di studiarla con la dovuta attenzione, nonostante la grave e delicata situazione in cui si trovava coinvolto.

Si sbrigò a raggiungere l’amico.

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Capitolo 4
*** Perché Isaia prese quel sasso ***


La faccenda della setta satanica si era conclusa felicemente, quegli adoratori del diavolo erano stati consegnati alla giustizia, Isaia sperò che fossero condannati, almeno i più anziani di loro, per omicidio e non solo di tentato omicidio.

Quella preoccupazione era finita. Ora Isaia poteva tornare a concentrarsi sull’impedire ad Alonso di risalire all’Ordine Templare. Accidenti! Vargas aveva assicurato che si trattava di un Ordine segretissimo, che non esistevano prove della loro esistenza e nemmeno la si sospettava … certo! Eppure Alonso e Rebecca erano già giunti a risalire agli Ospedalieri, il passo per collegarli ai Templari era davvero corto. Certo, formulare quell’ipotesi era assurdo: i Templari erano ufficialmente estinti da settecento anni, ma Isaia era abbastanza certo che Alonso o Gabriel avrebbero avuto il coraggio di osare pensare a loro. Non doveva permettere che arrivassero a quella conclusione, altrimenti Vargas avrebbe iniziato a considerare anche Alonso un nemico e chissà come avrebbe agito, pur di proteggere la segretezza dell’Ordine.

Che orribile gente aveva conosciuto! Non poteva credere che persone così spregevoli fossero così radicate nella Chiesa e godessero di un simile occulto potere. Non era però dispiaciuto di essersi imbattuto in loro: conoscendoli poteva osteggiarli.

Come se tutto questo non bastasse, c’era anche la questione della ragazza che, forse, praticava magia. Isaia ci aveva riflettuto e aveva deliberato di ascoltare la preghiera della donna e di rimandare la decisione definitiva a dopo che avesse riletto i trattati di Eliphas Levi. Più ci pensava, più Isaia aveva l’impressione che le parole della giovane assomigliassero a quelle di padre Samuele, gli veniva dunque da credere che la donna non potesse essere seguace del diavolo e che forse davvero era in grado di praticare la magia senza rimanerne vittima.

Era mattino presto e stava pensando a queste cose, quando si ritrovò nella biblioteca e vide Gabriel, che preparava gli ultimi documenti, e padre Alonso che gli riferiva le ultime scoperte. Isaia tese le orecchie per scoprire se e quali novità ci fossero, il bibliotecario spiegò che aveva individuato un Ordine segreto derivato dai Benedettini, diverso da quello degli Ospedalieri, e disse anche che stava per risalire ad una roccaforte in mano loro. Isaia rassicurò Gabriel che avrebbe preso in mano lui la ricerca di Serventi e dell’Ordine. Non appena lasciò l’amico da solo, Isaia si tolse gli occhiali e sospirò, parecchio sconfortato. Perché il bibliotecario aveva voluto continuare quella ricerca così ostinatamente? Questo non sarebbe dovuto accadere! Ora che fare? Lasciare che Alonso scoprisse e indicasse a Gabriel il luogo dove andare a ficcare il naso e così perdere la fiducia di Vargas, oppure mantenere la copertura, ma non sapendo a quale costo?

Si ricordò, però, che Vargas gli aveva detto che l’Ordine aveva fatto voto di non uccidere i ministri di Dio, dunque padre Alonso non correva pericolo di vita. Inoltre, forse conveniva trovare la maniera di troncare definitivamente quelle indagini: se il bibliotecario non fosse andato oltre, la situazione si sarebbe tranquillizzata per tutti.

Isaia si recò alla sede dei Templari e si dimostrò alquanto preoccupato. Gli parve che Vargas volesse testare la sua determinazione, quando si dimostrò non preoccupato. Poi quella frase: “È pronto per compiere questa scelta?”

Pure quella era una prova. Isaia si rendeva perfettamente conto che Vargas gli stava tenendo il fiato sul collo e che lo mettesse ripetutamente davanti a scelte e prove dure, per costringerlo o ad abbandonare o ad abbracciare completamente la loro causa. Vargas non accettava tiepidezze, voleva che Isaia subito si spingesse oltre, si donasse completamente all’Ordine, solo così poteva essere certo di averlo stretto a sé. Prima la richiesta di tradire Gabriel, poi l’avergli mostrato quello scrigno, i sacrileghi gesti dell’iniziazione e ora anche quella scelta da prendere. Era come se il Templare volesse trascinare il prete in un maelstorm di iniquità che trascinava sul fondo, senza possibilità di uscirne se non morti. Isaia sapeva di starsi invischiando in qualcosa che aveva ben poco a che spartire col bene, col Dio che aveva sempre venerato, sapeva anche che forse non sarebbe mai stato perdonato da Gabriel, da Alonso o da chiunque altro. Che importava? Meglio essere odiati, ma essere nel giusto, piuttosto che non macchiarsi direttamente le mani, ma permettere che altri facciano cose tremende. Non gli importava se gli altri non avessero compreso le sue decisioni, ormai era solo. Solo in quella faccenda, solo in tutto.

“Sì.” rispose Isaia, fissando negli occhi l’interlocutore.

“Fatelo entrare.” ordinò Vargas, il suo sguardo era soddisfatto della propria opera, della propria creatura.

La porta si aprì. Isaia si voltò a guardare.

“Vieni pure avanti fratello Giona.” invitò Vargas.

Entrò un uomo vestito di nero. Isaia lo riconobbe non appena lo sfiorò con lo sguardo: era il sicario, l’uomo che aveva visto in casa di Agata e che aveva tentato di ucciderla e che era riuscito ad ammazzare Gabriel. Non aveva dubbi, era proprio lui. Provò rabbia verso quell’uomo e, soprattutto verso Vargas che gli stava imponendo una tremenda scelta. Non lasciò trasparire nulla, nessuna emozione.

“È ai suoi ordini, può dire a lui quello che vuole che sia fatto.” gli disse Vargas.

Il vero messaggio di quella frase era: dimostra fino a che punto ci appartieni.

Isaia lo guardò, nascondendo la preoccupazione: non credeva lo avrebbero spinto ad ordinare un omicidio. Sospirò impercettibilmente, chiuse la bocca e deglutì prima di dire: “Voglio che tu vada nella biblioteca della Congregazione e ferisca padre Alonso, non gravemente, poi prendi la sua documentazione e portala qui.”

Giona fece un cenno con la testa e uscì.

“Perché questa scelta generosa?” lo interrogò Vargas.

“Lei ha detto che il nostro Ordine ha fatto voto di non agire contro i ministri di Dio e io mi sono attenuto a questo precetto.” rispose Isaia, nella maniera più naturale possibile.

Vargas lo guardò e sorrise in maniera indecifrabile. Isaia non avrebbe saputo dire se l’uomo fosse soddisfatto delle sue parole, o del fatto di avere smascherato la sua insicurezza.

Isaia prese congedo e se ne tornò all’appartamento. Si pentì di non aver dato un orario al sicario. Aveva specificato che ciò accadesse in biblioteca, per essere certo che qualcuno si sarebbe presto accorto della ferita di Alonso e avrebbe chiamato i soccorsi. Se quel sicario, però, fosse andato quando non c’era nessun’altro? Per fortuna Isaia sapeva le ore in cui la biblioteca era vuota o piena di gente, per cui, se non avesse avuto notizie, si sarebbe recato lui stesso da quelle parti, pronto a soccorrere Alonso. Nel frattempo si sarebbe dedicato alla lettura dei testi di Eliphas Levi. Non avrebbe dovuto leggerseli da cima a fondo; Isaia, infatti, aveva l’abitudine di segnarsi su un foglio i numeri delle pagine interessanti e li divideva anche per argomento, in modo tale da avere le informazioni organizzate in maniera organica e poterle reperire facilmente all’occorrenza. Per ciascun volume, dunque, scorse l’indice che aveva stilato e andò a cercare i passi che potevano essere più idonei.

Il nostro mediatore plastico è una calamita che attira o che respinge la luce astrale sotto la pressione della volontà.

La parola agisce sulle anime e le anime reagiscono sui corpi; dunque si può spaventare, consolare, render malati, guarire, uccidere e anche resuscitare con delle parole.

La volontà umana dirige la luce vitale per mezzo dell’apparato nervoso. Ciò si chiama ai nostri giorni magnetizzare.

La magia è la prima delle scienze, la più santa di tutte, poiché stabilisce in un modo più sublime le grandi verità religiose. La più calunniata di tutte, perché il volgo si ostina a confondere la Magia con la stregoneria superstiziosa.

L’agente universale è la forza vitabile e subordinata all’intelligenza. Abbandonato a sé stesso divora rapidamente tutto quel che genera; ma se la saggezza di Dio gli mette il piede sulla testa, esaurisce le fiamme che egli vomita e versa sulla terra a piene mani, una luce vivificante.

Osare e sapere generano il successo, ma bisogna volerlo e agire, infine raccogliere i propri frutti in silenzio. Sapere, osare, volere, tacere.

L’anima, agendo su questa luce, con le sue volontà, può dissolverla o coagularla, proiettarla o attirarla.

La verità è l’idea identica con l’essere. L’assoluto è l’essere.

Il bene è l’ordine. Il male è il disordine. Il godimento dell’ordine è l’unico piacere concesso. Il godimento del disordine è un piacere proibito.

Ma come faceva, lui, a sapere quale fosse l’ordine?

Molte, molte altre frasi ancora, tutte che tendevano a dimostrare che la magia è una capacità di ogni anima, di ogni mente e che a renderla buona o malvagia, fossero le inclinazioni umane.

Stava leggendo e riflettendo, quando il suo cellulare squillò. Isaia rispose, lo informarono che Alonso era stato ferito in biblioteca. Si precipitò a controllare. Tirò un sospiro di sollievo, constatando che la ferita non era grave e che il bibliotecario si sarebbe presto ripreso.

Lo guardava disteso nel letto, ma cosciente. In fondo non stava male, ma Isaia si sentì ugualmente molto in colpa. Ora voleva stargli accanto, per essere certo non ci fossero complicazioni. Nella stanza della clinica c’era pure Rebecca, che lo aveva trovato; presto arrivò anche Gabriel.

Quando l’amico chiese chi fosse il responsabile dell’accaduto, Isaia provò una fitta nel proprio animo, ma si mantenne calmo e continuò a fingere di non sapere nulla e di credere che fosse stato Serventi. Gli sembrava che per il momento la faccenda potesse dirsi chiusa e invece … invece Alonso, nonostante le sue condizioni, ci aveva tenuto a dire a Gabriel dove fosse la rocca collegata con l’ordine segreto e a spronarlo ad andare a cercare.

Gabriel, volendo dare un senso alla sofferenza dell’amico e volendo consolarlo, aveva deciso di andare; aveva chiesto ad Isaia di accompagnarlo, in nome dei vecchi tempi, un’ultima missione assieme. Isaia accettò, doveva tenerlo d’occhio. Gli venne quasi da ridere per l’ironia della sorte: Gabriel gli stava chiedendo aiuto in una situazione che Isaia avrebbe di gran lunga preferito evitare e lo stava facendo proprio nello stesso giorno in cui lo avrebbe abbandonato. Soltanto ora che lo stava per lasciare, Gabriel si ricordava di lui. In quegli ultimi mesi, da quando Gabriel aveva conosciuto Claudia, Isaia si era sentito sempre più escluso dalla vita dell’amico che passava gran parte del proprio tempo con quella donna e non lo coinvolgeva più. Forse era per questo che, in realtà, aveva fatto scattare quelle foto incriminanti da Pietro e le aveva fatte avere al Direttorio: aveva sperato che Gabriel si allontanasse da Claudia e tornasse ad essere il suo migliore amico.

Inutile. Quando la Munari si era allontanata per quasi un anno, Isaia aveva creduto che le cose sarebbero tornate come prima, infatti Gabriel gli aveva raccontato dell’incubo ricorrente, si era di nuovo aperto con lui. Poi quella donna era ritornata e Gabriel aveva smesso di confidarsi.

Ah Gabriel! –esclamava Isaia tra sé e sé- Perché non ti sei fidato di me? Eri spaventato a quel punto? Io volevo solo che tu mi parlassi, che mi facessi capire. Io volevo aiutarti, ma tu sei stato così evasivo e mi respingevi e io, privo di risposte, ma impaziente di agire … guarda un po’ dove sono finito!

Ora Gabriel se ne sarebbe presto andato. Ora si ricordava di voler rivivere i vecchi tempi con Isaia per un’ultima volta.

I due gesuiti salirono in automobile e andarono verso la rocca indicata da Alonso, si trattava di un castello abbandonato, ma ancora in discrete condizioni, non era lontano. Prima di partire, Isaia aveva fatto una telefonata a Vargas per riferirgli l’accaduto ed era stato rassicurato circa il fatto che lì non ci fosse nulla. Isaia era lo stesso sospettoso, era ancora assolutamente certo che i Templari sorvegliassero ogni sua mossa per poterne appurare la lealtà; quando scese dall’auto si guardò attorno, per vedere se ci fosse qualcuno, ma non gli parve. Isaia era preoccupato, ma non che Gabriel scoprisse qualcosa, bensì di cadere in un imboscata e di non poter far nulla per salvarlo; per questo insistette più volte per tornare indietro. Non poté, però, persuadere Gabriel. Trovarono tre vecchie tombe su cui vi erano le parole: Fides, Spes, Veritas. Le tre virtù teologali, ma con la verità al posto della carità.

A Isaia colpirono quelle due parole: la Verità era ciò che Serventi lo aveva accusato di non vedere, la Carità era ciò che Michela aveva invocato come fondamento di Dio. Non aveva, però, tempo di riflettere, doveva convincere Gabriel ad andarsene.

Vano! L’amico aveva avuto l’intuizione giusta e già lo invitava a scostare l’ultima lastra tombale. Vi trovarono nascosta sotto una cassetta di legno, l’aprirono e vi trovarono dei documenti. Li sfogliarono rapidamente: erano i resoconti della guerra tra l’Ordine e la setta del Candelaio, guerra iniziata nel 1637.

Ora Gabriel conosceva l’esistenza dell’Ordine, ora Gabriel lo avrebbe cercato, sperando di trovare degli amici, dei sostenitori, senza sospettare di andare incontro a nemici spietati. Se Gabriel avesse seguito quella traccia, si sarebbe gettato spontaneamente nelle fauci dei leoni del Tempio. Isaia non lo poteva permettere.

Isaia provò dentro di sé un gran desiderio di rivelare tutto all’amico. Non voleva, però, abbandonare il suo doppiogioco, credeva ancora di essere più utile alla causa, rimanendo dentro ai Templari. Che fare allora? Non poteva parlargli, non sarebbe stato sicuro: temeva sempre i mille occhi e le mille orecchie del Tempio, inoltre Gabriel avrebbe cercato di dissuaderlo da quell’azione da infiltrato.

Stava pensando rapidamente, le idee vorticavano confuse. Isaia si disse che per salvare Gabriel, doveva perderne l’amicizia, doveva farsi considerare un nemico.

Depose il libro che aveva in mano e afferrò una grossa pietra.

Avrebbe colpito Gabriel, non per ucciderlo. Lo avrebbe aggredito, convincendolo di volerne la morte, ma soprattutto lanciando qualche frase che avrebbe permesso all’amico di capire che l’Ordine appena scoperto non era amico.

Si portò la pietra al petto. Guardò Gabriel che gli dava le spalle. Avrebbe dovuto colpirlo e forte, forse anche più di una volta. Che paradosso: picchiare un uomo per salvarlo! Ma era l’unico modo per fargli sapere del pericolo che stava correndo.

Era nervoso, non gli piaceva quel che stava per fare, si sentiva disgustato da se stesso. Il cuore gli batteva forte.

Doveva agire e subito … E se qualcosa fosse andato storto? Se non avesse saputo regolarsi? Se la finzione fosse diventata realtà?

No! Non poteva correre il rischio.

Lasciò cadere la pietra a terra e si tolse gli occhiali. Si piegò per la rabbia, per l’impotenza e la vergogna per l’idea che aveva avuto. Si dispiacque di non potere mettere in guardia Gabriel, ma non poteva rischiare di fargli davvero male. Era confuso e i tormenti del suo animo gli avevano anche provocato un certo malessere fisico.

Isaia si ritrovò con in mano la cassetta di legno e sentì Gabriel raccomandarsi di studiare quei documenti. Isaia tentò di mitigare l’entusiasmo dell’amico che, tuttavia, rimaneva molto eccitato e più che essere soddisfatto da quel ritrovamento, era incuriosito.

“Perché non ci siamo mai imbattuti in quest’Ordine prima d’ora?” domandò Gabriel.

Quanto avrebbe voluto potergli rispondere! In Isaia, però, si accese una speranza: tutto quell’entusiasmo di Gabriel, quel ritrovato interesse grazie a documenti decisivi che avrebbero dato una netta svolta all’indagine … forse tutto ciò poteva servire a persuadere Gabriel a rimandare la sua decisione di spretarsi. Isaia sperò che l’amico desiderasse scovare Serventi più di ogni altra cosa, sperò che quella nuova pista convincesse Gabriel ad indagare ancora e quindi a rimanere nella Chiesa e nella Chiesa sarebbe stato salvo e al riparo dai Templari.

Fu con una grande speranza che domandò: “Ma tu che intenzioni hai?”

Purtroppo Gabriel non era intenzionato a tornare indietro circa la propria decisione e nulla poteva amareggiare maggiormente Isaia.

 

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Capitolo 5
*** Chakra ***


Note!
Buongiorno a tutti! Spero che questa fanfic vi stia piacendo.

Domani sera ci sarà l’ultima puntata di questa stagione, in attesa dello scontro epico che il promo ci promette, ecco un altro capitolo.

Grazie di seguirmi!

 

Appena tornati a Roma, Isaia e Gabriel andarono a riferire le loro scoperte ad Alonso, che fu contento di essere stato utile. Isaia ci teneva ad assicurarsi che il bibliotecario stesse bene, ma appurato ciò non poteva trattenersi oltre, per cui si scusò per la fretta e se ne andò. Ovviamente si recò da Vargas, era piuttosto irritato: il Templare gli aveva assicurato che quella rocca non c’entrava nulla con loro, che non vi avrebbero trovato niente e, invece … Un tremendo sospetto gli balenò per la mente: e se Vargas avesse voluto che lui e Gabriel si trovassero da soli in quel luogo e che Gabriel recuperasse quei documenti, in modo tale che lui, Isaia, fosse indotto ad ucciderlo per il bene e la segretezza dell’Ordine? Se quella situazione fosse stata creata apposta per metterlo alle strette? Beh, presto lo avrebbe scoperto.

Parlò con Vargas che ribadì l’estraneità dei Templari a quel luogo e sostenne che quei documenti fossero stati posti lì da Serventi, poco ci mancava che sostenesse che quel castello glielo avevano comprato a sua insaputa. A quel punto la spiegazione più logica che venne in mente al gesuita fu che pure Rebecca, la ragazza che aveva fornito le informazioni ad Alonso, fosse coinvolta nella setta del Candelaio.

“È pronto allo scontro finale?” gli domandò il Templare.

Scontro finale? Dunque si era già a questo? Isaia non aveva sospettato che la situazione sarebbe precipitata così rapidamente. Poco male, ciò significava che la sua finzione sarebbe presto finita. Adesso doveva restare alle costole di Vargas, conoscerne tutti i piani ed essere pronto ad intervenire al momento più opportuno. Sperò pure che Gabriel riuscisse a tenere a freno il suo lato oscuro, perché se non ne fosse stato capace, allora Isaia avrebbe dovuto davvero affrontare l’amico.

“Sì, sono pronto.”

“Ne è sicuro?” insisté il Templare.

“Certo!” esclamò Isaia, con un velo di apprensione, temendo di essersi tradito in una qualche maniera.

“Oggi avresti già potuto porre fine a tutto questo e non l’hai fatto, mettendo a repentaglio la segretezza del nostro Ordine. Oggi, quando avete trovato la cassetta, ora nelle mani della Congregazione, quando hai visto che Gabriel aveva ormai scoperto la nostra esistenza, perché non lo hai ucciso? Credi forse che noi non possiamo volatilizzare un cadavere? Ti mancavano i mezzi o il coraggio e la fede?” Vargas era stato molto aspro e accusatorio.

“Nessuno dei due.” precisò Isaia, che aveva già pensato alla propria giustificazione “Gabriel, per indagare su quel luogo, non si è presentato al Vescovo per la revoca dei voti, dunque è ancora un ministro di Dio. Inoltre, lui è convinto che noi gli saremmo alleati, dunque non ci vede come un pericolo e in ogni caso ha lasciato l’indagine a me: mi occuperò personalmente di far sì che tutto si risolva in un nulla di fatto.”

Vargas lo guardò, forse non convinto, ma dovendo riconoscer di essere sconfitto da quella dialettica; forse si rimproverò il fatto di essersi affidato a un gesuita, dunque un esperto in quanto a finzione e sofismi; ad ogni modo non sembrò preoccupato, probabilmente faceva parecchio affidamento sull’abnegazione di padre Morganti e il suo desiderio di difendere la Chiesa.

Isaia tornò in appartamento, erano già passate le diciannove, ma non aveva voglia di cenare, vide i libri di Eliphas Levi che aveva lasciato sul tavolo, riguardò l’ultima frase che aveva letto: il bene è l’ordine, il male è il disordine.

Si pose nuovamente la stessa domanda di qualche ora prima: lui sapeva cos’era l’ordine?

Se fosse stato un semplice parroco, probabilmente non avrebbe avuto alcun dubbio. In realtà non dubitava della Chiesa in sé, ma delle intenzioni degli uomini che si dicevano ministri di Dio. Isaia, ingenuamente, aveva sempre creduto che tutti i preti fossero puri servi di Dio, che tutti i loro sforzi tendessero verso il vero bene. Ora, però, sapeva che non è così. Alcuni hanno l’animo troppo grossolano, sono buoni, ma son lontani dalla verità, nonostante si spingano verso di essa. Altri, invece, fraintendono, cadono vittime di orgogli, superbie, paure e altre pulsioni e tanto più travisano la realtà, tanto più si accostano, senza accorgersene, al diavolo.

Con tanti pareri differenti, con tante opinioni che affermavano di essere vere, come poteva lui, Isaia, sapere quale fosse la Verità?

Era come perso in una giungla e non aveva con sé il machete necessario per aprirsi la via.

No, non era così, si era sbagliato. Il machete lo aveva, era Dio. Quale Dio? Anche su di Lui la gente formulava mille e più concezioni differenti.

Dio è immutabile e tali sono le sue leggi. Dio è l’Essere Assoluto, ciò che non può essere conosciuto dall’intelletto, può essere solo amato. Egli ci parla per mezzo dello Spirito Santo, indica alla nostra anima il cammino giusto, a noi la scelta di obbedire o fuggire. Bisogna avere umiltà nel riconoscere la nostra ignoranza, bisogna avere fede per sapere che Dio ci guida verso il meglio, anche quando non sembra, bisogna avere coraggio per seguire la Sua volontà.

Ecco quello che Isaia si sentiva di ritenere certo circa Dio. La mente umana, se cercava di comprendere Dio, si perdeva in mille sofismi e non poteva arrivare ad una conclusione. Dunque, se voleva schiarirsi le idee e sapere che cosa fare, Isaia doveva meditare, meditare più spesso, per poter sentire la Voce di Dio e poterla seguire.

Il gesuita decise di raccogliersi in contemplazione e dunque si distese. Questa volta non fece riflessioni di alcun tipo, né costruì nella propria mente gli scenari che gli era stato insegnato ad immaginare vividamente per temprare il suo animo; semplicemente regolò il respiro e lasciò che i suoi pensieri tacessero. Era una sensazione che non è facile a spiegarsi; la gente tende ad identificarsi coi propri pensieri è tramite di essi che si afferma; lo stato in cui si trovava Isaia, invece, era una consapevolezza, una presenza a sé stesso, priva di pensieri e proprio perché la normale logica era bandita da quello stato, non si può narrarlo.

Di solito, quando riattivava la mente, Isaia sapeva che cosa doveva fare, non si spiegava da cosa gli venisse tale consapevolezza, ma era certo che ad averlo ispirato fosse stato Dio.

Quella sera, però, riaprendo gli occhi, non era affatto certo di avere avuto l’ispirazione giusta, anzi temette di essersi addormentato e che l’idea che ora aveva in testa gli venisse dal sonno e non dalla meditazione. Già, perché in quel momento sentiva la necessità di andare da quella strana ragazza; com’era possibile? Lui voleva avere una risposta circa come agire nei confronti di Gabriel, della Chiesa, di Vargas, di Serventi, quella maga era l’ultimo dei suoi pensieri, eppure c’era qualcosa in lui che lo spronava a raggiungerla, non sapeva per quale motivo.

Guardò l’orologio: erano passate le 20:30, era tardi per una visita, specie senza preavviso, avrebbe aspettato.

No. Già il mattino dopo si sarebbe trovato di nuovo immerso nel caos della faccenda di Gabriel, avrebbe dovuto fare, disfare, brigare, sbrigare, sarebbe stato chiamato da una parte e dall’altra, avrebbe avuto impegni e avrebbe dovuto fare tutto di fretta … e poi Vargas aveva annunciato che la guerra stava cominciando … Se davvero voleva scoprire perché mai la meditazione lo spingesse ad andare da quella ragazza, doveva andarla a trovare quella sera stessa.

Quando concluse questo ragionamento, Isaia era già in automobile.

 

“Padre Morganti! Che piacere!” esclamò Michela, quando aprì la porta e se lo trovò dinnanzi “Qual buon vento?”

Isaia ci pensò un attimo, sgranò un poco gli occhi e poi ammise: “Non lo so.”

La giovane sorrise “Dai, entri!”

Il prete si fece avanti, sentì ancora l’odore di incenso, vide che la tavola era apparecchiata, il bambino era seduto e sbocconcellava un pezzo di mela.

“Scusa il disturbo.” disse Isaia, sentendosi d’improvviso in imbarazzo, forse rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva fatto.

“Nessun disturbo.” lo rassicurò lei “Vuole mangiare qualcosa?”

Il prete avrebbe accettato volentieri l’offerta, effettivamente non aveva cenato e lo stomaco aveva borbottato, non voleva però dare quell’incomodo.

“Non faccia complimenti, guardi: ho fatto le polpette, ce ne sono molte perché avevo intenzione di congelare quelle avanzate. La prego, favorisca. Vado a prenderle un piatto.”

La donna scomparve in cucina e un attimo dopo tornò con un piatto, posate, bicchiere e tovagliolo che collocò davanti al gesuita.

Cenarono, Isaia quasi non parlò: era tutto così irreale … e poi stava accettando ospitalità da una strega e non era ancora del tutto convinto che la magia fosse di per sé neutrale. Osservò attentamente la donna, in cerca di qualche indizio o informazione, ma non gli parve di notare nulla di strano: era una madre sola, totalmente assorta nell’amore per il figlio.

“Scusi se l’ho fatta aspettare.” disse un’ora più tardi Michela che aveva dovuto assentarsi un quarto d’ora per mettere a letto il bambino.

“Scusami tu, per essere piombato qui senza avvisare.” Isaia si era accomodato sulla seggiola a dondolo e lentamente ondeggiava avanti e indietro.

La donna guardò il tavolo ancora apparecchiato, sospirò e andò a sedersi sul tappeto, dicendo tra sé e sé: “Li laverò domani.”

“Lavi i piatti a mano?” chiese il prete “Non usi la magia?”

Michela si mise a ridere, prima di rispondere: “Beh, sì, tecnicamente potrei farlo, ma non ne vedo la necessità! E poi sarebbe un abbruttimento dell’arte magica, essa si impiega per ben altre cose!”

“Quali?”

“Conoscere, ad esempio, riuscire a capire le persone o le cose accadute in un luogo, oppure vedere gli effetti nelle cause e dunque prevedere il futuro, almeno quello più probabile. Questo è l’uso che mi piace farne per lo più. È possibile anche sanare animi e corpi. Poi si possono fare molte altre cose: piegare la volontà della gente, indurre allucinazioni, in un certo senso evocare gli elementi e manipolarli e così via. Questo genere di cose, però, non rientra nelle mie attività comuni. Sono capacità che, le poche volte in cui vi sono ricorsa, non ho mai usato per me stessa, ma per un fine maggiore: preferisco il dovere, al diritto.”

Poi tacque e rimase a fissare Isaia che, da parte sua, non riusciva a crederla pericolosa e la riteneva sincera.

“Per chi agisci?” chiese infine.

“Per Dio.” rispose lei, teneramente “Beh, in realtà mi sono consacrata ad un suo intermediario. Ho deciso che la mia vita sarà per il servizio del Signore, un servizio laico, ma non meno devoto.”

“E chi sarebbe questo intermediario?”

La ragazza ci pensò qualche istante, ruotò gli occhi per la stanza, poi rispose vagamente: “Uno dei suoi angeli, una delle sue potenze manifestate.”

Questa affermazione catturò parecchio l’attenzione di Isaia, era una frase che si ricollegava facilmente alle sue molte esperienze di verifiche fatte per la Congregazione e, dunque, gli risultava più semplice da gestire.

“Stai dicendo che ti appare un angelo a dirti cosa fare?”

“No, non è proprio un’apparizione.” Michela si trovò in difficoltà nello spiegare “Lo vedo e dialogo con lui durante certi esercizi in cui mi proietto nella corrente di luce astrale … Se ha riguardato i libri che le ho consigliato, dovrebbe capire, più o meno, che cosa intendo.”

“Come puoi essere certa che sia davvero un emissario del Signore?”

“Lo so e basta.”

Isaia sospirò: non avrebbe cavato un ragno dal buco! Decise di cambiare totalmente argomento.

“Di chi è questa casa?”

“Mia. L’ho ereditata dai miei genitori.”

“Ti hanno lasciato anche dei soldi per mantenerti?”

“Sì, per fortuna, così posso studiare.”

“Frequenti l’università?”

“Sì, corso SARCO: Storia, Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali. Completamente inutile per trovare lavoro, ma decisamente interessante: dà la possibilità di conoscere molte culture e apre la mente.”

Isaia sorrise, apprezzando l’entusiasmo che la giovane aveva messo in quelle parole. La lasciò parlare a lungo dei suoi studi e intervenne anche lui negli argomenti che conosceva. Forse chiacchierarono in quella maniera per più di un’ora, poi la ragazza si assentò per andare in bagno e Isaia rimase da solo coi propri pensieri. In quel momento si sentiva sereno e soddisfatto, aveva conversato di materie a lui care, quella giovane si era mostrata molto colta e intelligente, due doti che apprezzava parecchio. Grazie a quella compagnia, Isaia si era dimenticato per un po’ di tutti i problemi di quei giorni; non aveva ancora capito, però, perché mai Dio lo avesse mandato lì. Quando la donna tornò, prima che riprendesse a parlare, Isaia la precedette e le chiese: “Tu sai perché sono qui?”

“No, ma è bello.”

“Peccato. Nemmeno io so perché sono venuto; non me ne pento, ma non capisco.”

“Sono giorni duri questi, per lei, e anche oggi è stato molto scosso, forse è qui solo per rilassarti.” fu la comprensiva ipotesi di Michela.

“Ecco, spiegami questa cosa del dialogo inconsapevole che, a tuo dire, farei con te!”

“Magari un’altra volta. Per capire che è scosso, non è necessario parlarti: sprigioni turbamento da tutti i pori!”

“Eh?”

“La nostra anima è, per così dire, divisa in due, una parte interna attiva che agisce e una esterna, passiva in cui rimangono traccia sia delle nostre azioni compiute, sia di quelle subite e anche i pensieri e le emozioni. Io sono molto sensibile e riesco a percepire facilmente l’anima esterna, il che mi crea qualche problema quando sono in luoghi affollati. Se me ne accorda il permesso, potrei esaminarla un po’ più attentamente e dirle qualcosa circa le persone con cui è stato a contatto oggi.”

“Non credo sia un’invasione opportuna. Inoltre non ho mai detto di avere cambiato opinione sulla magia.” replicò seccamente Isaia, quasi scandalizzato.

“Eppure sta passando la serata con me, non lo farebbe, se mi credesse davvero alleata del maligno. Se lo credesse, ora brandirebbe il crocefisso, come ha fatto con Yuri, e tenterebbe di esorcizzarmi.”

“Forse dovrei esorcizzare me stesso, per liberarmi da un incantesimo che mi hai fatto.”

Michela rise dolcemente, poi disse: “Si convinca, io non le ho fatto nulla. Il fatto è che lei è consapevole di conoscermi da tempo, ma non lo sa.”

“Ancora con questa storia che ti rifiuti di spiegare. Come potrei fidarmi, anche se volessi?”

“Se le spiegassi, non mi crederebbe, ma un giorno se ne accorgerà, fino ad allora deve credere perché è assurdo.”

“Queste parole sono di Tertulliano.” Isaia riconobbe la citazione dell’autore paleocristiano.

Dopo qualche momento di silenzio, la ragazza chiese: “Lei sa cosa sono i chakra?”

“Vagamente, qualcuno dei monaci buddisti che girano per il vaticano me ne ha parlato qualche volta.”

“Non ci crede?”

“Sette centri di energia all’interno del corpo e un serpente spirituale che li deve risalire? È folklore!”

“No, lasci perdere il serpente che è solo una metafora. I chackra sono punti di coagulazione delle nostre energie interne, sono sette come i pianeti nell’astrologia antica, come i minerali nella sceneggiata dell’alchimia, sette come gli arcangeli e i doni dello Spirito Santo. In India non sono legati alla religione, ma fanno parte della vita quotidiana di tutti, anche di preti cattolici!” guardò un attimo Isaia, per capire se potesse continuare con la spiegazione “Il primo di questi chakra è il nostro ancoraggio alla terra, è la sessualità, il timor di Dio; il secondo è la creatività, l’agire e la pietà; il terzo è la nostra autoaffermazione, la nostra volontà, è l’origine della Magia, è la scienza!” fece una breve pausa, volendo che quel concetto rimanesse ben impresso “Al quarto punto, qui dal cuore, ci sono gli affetti e c’è  il rapporto sentimentale con gli altri, i quali però non devono prevalere su di noi e dunque qui c’è anche la difesa e la fortezza; il quinto è il rapporto sociale, il saper manifestare la nostra voce, è il consiglio. Il sesto è la nostra logica, che ben sviluppata può produrre la preveggenza, è l’intelletto. Per ultimo c’è il contatto col soprannaturale, la saggezza! Sono Saturno e Cassiele, Marte e Samuele, Giove e Sachiele, Venere ed Anaele, Mercurio e Raffaele, la Luna e Gabriele, il Sole e Michele.” fece un’altra breve pausa “Lei conosce la differenza tra significato e significante, non mi faccia il torto di credere ch’io la ignori.”

“Una teoria interessante, non c’è che dire.” si limitò a commentare Isaia, piuttosto freddamente “È bello che tu cerchi di individuare come Dio abbia trasmesso gli stessi messaggi del Cristianesimo ad altri popoli con parole differenti, ma dove vuoi arrivare con questo discorso?”

“Da nessuna parte in particolare. Deve sapere che per il nostro benessere fisico e spirituale è necessario che questi punti energetici siano liberi e funzionanti, vuole controllare come stanno i suoi?”

“E cosa dovrei fare?” il suo tono era quello dello scettico divertito, non era affatto interessato a tale controllo.

“Nulla di che, si alzi semplicemente in piedi, al resto penso io.”

“Ho detto che non voglio invasioni.” fu secco.

“Nessuna invasione, glielo garantisco.” Michela si era alzata ed era andata vicino ad una mensola e aprì una scatoletta “Sarà questo pendolino a indicarci com’è la situazione. Io lo avvicinerò ai punti dei chakra e saranno le sue stesse energie che lo muoveranno. Allora vuole provare?”

Isaia non era molto convinto, voleva mantenersi ligio ed evitare ogni procedura non cattolica, ma poi si disse che non c’era nulla di male nell’assecondare quella donna, anzi forse gli sarebbe stato utile per capire meglio l’origine di quei poteri che, tuttavia, non aveva ancora visto manifesti.

“Ma sì, va bene.” disse, alzandosi in piedi.

Michela si avvicinò tenendo col pollice e l’indice l’estremità di un pendolino, poi posizionò la punta di fronte al primo chakra e osservò l’ondeggiamento, poi pian, piano risalì fino al settimo.

“Allora?” chiese Isaia, finita l’operazione, per nulla curioso.

“Va abbastanza bene, ma il quarto chakra è completamente bloccato e anche il quinto e il settimo dovrebbero essere più curati. Sì, il settimo lo dovrebbe davvero seguire con cura, al momento è molto confuso.”

“Ora che cosa proporrai?” chiese quasi con scherno Isaia “Incantesimi e rituali?”

“No. Determinati alimenti o bevande possono aiutare un poco, incensi con determinati odori per stimolare alcuni centri, così come tenere con sé certe pietre…

“Cristalloterapia! Ora siamo davvero alla superstizione!”

“No, anche le pietre hanno un loro campo elettromagnetico che interagisce col nostro. Comunque ammetto che questi non sono veri e propri rimedi, sono tutt’al più dei coadiuvanti; se veramente vuole fare qualcosa, l’unica soluzione efficace è una meditazione sui chakra.”

“Una meditazione?” questa volta era una domanda sincera.

“Sì, vuole che gliela insegni?”

Isaia pensò che forse aveva scoperto il motivo per cui era stato spinto ad essere lì quella sera, per cui accettò la proposta.

“Bene, si sieda a gambe incrociate, oppure, se ha problemi causa tonaca, si metta in ginocchio, l’importante è che la schiena sia dritta. Respiri con calma e inizi dapprima a concentrarsi sul primo chakra, all’altezza del coccige, si figuri il colore rosso; non che quest’energia sia davvero rossa, ma associare un colore a ciascun punto aiuta a focalizzarsi, finché non si diventa pratici.”

Col respiro e la meditazione risalirono i vari punti: sotto l’ombelico, arancione; bocca dello stomaco, giallo; petto, verde; gola, indaco; fronte, blu; sommità del capo, viola.

“Bene, questa è una maniera per prendersi cura dei chakra.” spiegò Michela, conclusa la risalita “Io, però, preferisco stimolarli con delle vibrazioni. Una nota musicale per ciascun punto, vuole provare?”

La ragazza e il prete erano ancora con gli occhi chiusi uno di fronte all’altro, lei seduta a gambe incrociate, lui in ginocchio. Isaia acconsentì e dunque ricominciarono il passaggio di chakra in chakra, ma questa volta intonando una nota. Le loro voci vibravano all’unisono, tanto da sembrare una sola. Finito anche quell’esercizio, Michela prese congedo per qualche momento. Isaia, solo, continuava ad essere assorto in quella meditazione: si sentiva davvero bene, era un metodo davvero efficace; sentiva davvero delle connessioni, sentiva come un filo energetico che gli attraversava il corpo, ma che non si esauriva in esso, sentiva che questa energia lo ancorava a terra e lo proiettava verso il cielo. Era una sensazione meravigliosa.

Isaia sentì dei passi, capì che la donna stava rientrando, sollevò un poco le palpebre e sobbalzò: la ragazza recava con se una spada corta.

Isaia scattò in piedi, pronto a difendersi anche se disarmato, guardò con ira la giovane.

Michela però avanzò con calma, senza aggressività. Si inginocchiò a pochi passi da lui, sollevò gli avambracci, tenendo la spada adagiata sui palmi rivolti verso l’alto.

“Per favore, puoi benedirla?”

Isaia sgranò gli occhi stupito, forse era più sbigottito in quel momento che non quando l’aveva vista avanzare armata. Decise di acconsentire a quella strana richiesta e fece il segno della croce sulla spada, pronunciando la formula in latino. Non era la prima volta che benediceva un’arma, lo aveva fatto qualche altra volta, quando si era ritrovato a dover affrontare sette sataniche. La setta che aveva scoperto Gabriel e che avevano fatto arrestare il giorno prima, era piuttosto placida; Isaia si era trovato, in passato, a dover combattere anche con pugnali, ma solo per difesa; già, di solito i settari, quando venivano colti sul fatto, cercavano di reagire e di sbarazzarsi di chi li interrompesse.

Benedicendo quella spada, Isaia ricordò quei momenti in cui si era ritrovato con un crocefisso in una mano e un pugnale nell’altra; erano cose accadute per lo più ai tempi in cui agiva con padre Samuele, ormai erano trascorsi diversi anni dall’ultima volta.

Sfiorò il filo della lama e si tagliò lievemente. Portò il dito alla bocca per fermare il sangue. Guardò perplesso la ragazza, che intanto si era alzata in piedi, scosse la testa e domandò in un sussurrò: “Chi sei?”

“L’unica persona che sarà sempre fedele al suo bene.”

Isaia la guardò con una certa amarezza, sospirò. Non la capiva proprio e ciò gli dispiaceva. Ormai era certo che non fosse pericolosa, che le sue intenzioni fossero buone, che era davvero fedele a Dio, nonostante accettasse immagini non cristiane. Continuava, però, a nascondergli delle cose, a non essere chiara e questo lo infastidiva parecchio, avrebbe voluto sapere tutto, per potersi fidare tranquillamente di lei, senza il sospetto che sotto quell’aria dolce e serena si celasse una minaccia. Tra tutte le varie organizzazioni che agivano e i doppiogiochisti di cui si era reso conto, Isaia non se la sentiva proprio di fidarsi del proprio istinto e concedere fiducia a quella ragazza che praticamente neanche conosceva e che si dimostrava troppo interessata a lui. Già, tutte quelle attenzioni e quella benevolenza erano assolutamente ingiustificate, l’unico modo in cui Isaia se le sarebbe potute spiegare era che quella donna avesse ricevuto da qualcuno l’incarico di sorvegliarlo. Già, ma da chi? Vargas? Serventi? Sartori? O c’era qualcun altro che ancora non conosceva?

“È tardi.” sentenziò Isaia severamente “Devo andare.” poi si sforzò di essere un po’ meno brusco: “Grazie dell’ospitalità.”

Michela andò alla porta, dicendo: “È stato un piacere … e un onore la sua visita.”

Isaia considerava esagerata quell’ultima affermazione, non rispose e si limitò ad abbozzare un mezzo sorriso. Fece per uscire, ma quando passò accanto alla ragazza, lei lo chiamò.

“Isaia.” il tono mostrava una sincera apprensione “Stia attento, la prego. Sento che presto accadrà qualcosa, non so cosa di preciso, ma scuoterà molto fortemente la corrente astrale, ne avverto già il perturbamento, tuttavia non è chiaro quali conseguenze porterà con sé.” era come se cercasse di vedere nel futuro e che la spaventasse parecchio ciò che vedeva “È tutto confuso, ci sono tante strade aperte, molte tremende.”

“Che cosa stai dicendo?” si accigliò il prete.

Michela lo guardò con occhi lucidi, poi gli gettò le braccia al collo, premette la fronte sul suo petto e, praticamente in lacrime, supplicò: “Stai attento! Stai attento e non solo alla vita, ma all’anima. Prego affinché tu possa udire la voce di Dio, in mezzo a tanto chiasso; se non la ascolterai, potrebbe essere tremendo. Stai attento!”

Isaia si era irrigidito, non era affatto avvezzo al contatto fisico, tanto meno da parte di donne; teneva le braccia intirizzite stese lungo i fianchi. Non gradiva quel contatto, ma non se la sentì nemmeno di scrollarsela via di dosso, per cui si limitò a chiedere: “Non ti sembra di esagerare?”

“… Forse …” rispose lei, ricomponendosi e passandosi una mano sugli occhi per tirar via le lacrime “Ma non so cosa accadrà, non so se ti rivedrò, non so che decisioni prenderai … Presto potrebbe essere tutto o il suo contrario.”

 

Isaia tornò in Vaticano, non aveva idea di che cosa avesse concluso quella sera, ma si interrogò se le ultime parole della ragazza potessero in un certo senso collegarsi con lo scontro imminente annunciato da Vargas.

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Capitolo 6
*** Resistere ***


Ciao a tutti!

Vista la ultima puntata?

Sconvolti?!

Vi chiedete: “Isaia! Che ti è passato per la testa?”

Qui un’ipotesi, approvata dal “Comitato in difesa di Isaia”

Spero gradiate, a presto!

 

Isaia si svegliò, quella mattina, con l’amarezza nel cuore. Provò vergogna: era andato da quella ragazza, si era divertito, mentre sapeva benissimo che in quegli stessi momenti, Vargas si stava recando ad uccidere Alonso.

Perché? Alonso non era una reale minaccia, era un bravo studioso, un uomo capace!

Vargas probabilmente aveva ucciso Alonso, senza un vero motivo, e lui lo aveva lasciato fare.

Davvero quel che stava facendo valeva la vita di Alonso? Chi stava proteggendo davvero? La Chiesa? Gabriel? Sé stesso?

Non lo sapeva. Lui aveva un dovere: agire per il bene. Questo avrebbe fatto. Questo sperava di fare.

Isaia andò alla sede della Congregazione, avrebbe convinto il Direttorio a dargli pieni poteri per riuscire ad agire liberamente, senza procedure, avrebbe rivelato a Gabriel che Rebecca li aveva traditi … e l’avrebbe anche accusata dell’aggressione ad Alonso.

Oh, Alonso, Alonso!

Erano molte le cose da fare, quel giorno, ma prima che tutto ciò iniziasse, Isaia passò nello studiolo di padre Alonso. Era triste, si sentiva in colpa, con le dita sfiorò i sigari … non avrebbe più sentito l’odore di quel tabacco, non li avrebbe più visti stretti tra le labbra di Alonso che contemporaneamente, con placida allegrezza, gli avrebbe raccontato per l’ennesima volta la stoica resistenza del suo amico Pedro.

Perché? Perché, Vargas, hai voluto ucciderlo?

E perché lui lo aveva permesso? Era davvero indispensabile quella morte? Sì, doveva convincersene, altrimenti il rimorso non lo avrebbe più lasciato. Doveva convincersi della necessità di questa e molte altre cose.

 

Isaia aveva adempito ai due compiti della mattina ed era andato da Vargas a riferire. Per fortuna padre Alonso era ancora vivo e questo gli aveva fatto tirare un sospiro di sollievo.

Trovò Vargas che stava dirigendo un trasloco. Lo vide arrabbiarsi perché non aveva seguito Gabriel, gli ordinò di non perderlo d’occhio un solo istante, di stargli appresso continuamente e di impedire ad ogni costo che scoprisse la verità circa l’ordine.

Isaia si era aspettato quella reazione, sapeva di non aver assecondato la volontà di Vargas, ma lo aveva fatto apposta proprio nella speranza che Gabriel scovasse Serventi e scoprisse l’esistenza dei Templari. Lui, Isaia, non aveva ancora deciso cosa fare, se farsi considerare un traditore fino in fondo, o tenersi pronto a qualche intervento … non lo sapeva, avrebbe agito a seconda della necessità.

Vargas probabilmente si era accorto della sua incertezza e freddamente lo ammonì: “È un Templare, ora; un cavaliere della Chiesa … sa come funziona: chi tradisce …”

“ ... viene ucciso.” completò Isaia, consapevole di quanto fosse reale quella minaccia.

Sentì gli occhi di Vargas gravare su di lui, li sentì affilati che gli intimavano di continuare.

Chi sbaglia, viene ucciso.

Chi è sconfitto, viene ucciso.

Quelle parole uscirono dalla sua bocca con consapevolezza e timore, gli erano state fatte dire proprio perché le ricordasse e gli rimanessero ben impresse nella testa e nell’animo, perché si rammentasse che lui, ormai, non apparteneva più a sé stesso, ma ai Templari. Si sentì come un bambino disobbediente davanti al maestro

Non c’era possibilità di errore e lui ne aveva già commessi. Doveva stare attento, non poteva disobbedire; un solo passo falso e sarebbe stato ucciso. Oh, non che temesse la morte. Certo che no. Lui sarebbe stato disposto a qualsiasi sacrificio per la Chiesa, a morire per Gabriel … ma ciò sarebbe dovuto avvenire al momento giusto, non poteva farsi ammazzare per nulla, la morte era la benvenuta, ma solo quando fosse stata necessaria. Non poteva farsi uccidere, prima di poter essere utile!

 

Tentare di trattenere Gabriel era stato inutile. Saputo dove si trovasse Claudia, era stato irremovibile e aveva voluto andare dritto in bocca a Serventi. Isaia lo aveva accompagnato, non solo perché quelli erano stati gli ordini di Vargas, ma soprattutto perché non voleva lasciare l’amico solo in quel momento. Gabriel avrebbe avuto bisogno del suo aiuto! Gabriel rischiava di cedere al suo lato oscuro. Isaia sapeva che l’amico era buono, che avrebbe messo tutta la propria buona volontà per resistere, che non si sarebbe lasciato trasportare dalla rabbia, dalla sofferenza, dalla paura, dall’odio … Isaia lo sapeva, ma voleva essergli vicino lo stesso, voleva infondergli la sua fermezza nel momento del bisogno. Le loro strade, però, si divisero. L’edificio era troppo grande e Gabriel era convinto che il tempo fosse poco, per cui propose di dividersi.

Isaia si trovò presto davanti Jacopo e Rebecca. Il prete si irrigidì, scoccò un’occhiata severa ad entrambi. Provò un grosso risentimento verso il giovane: poco prima aveva provato ad esorcizzarlo, ma era stato inutile! Si era visto la croce sciogliersi tra le mani. Si era accorto, poi, che ciò non era successo, ma quella visione … quel che aveva visto nello scrigno …

“So che sei un Templare.” lo richiamò la sprezzante voce di Jacopo “Sai cosa ti aspetta …?”

Isaia indurì il volto risoluto e disse apertamente di non temere la morte. Che altro avrebbe potuto fare? Fuggire? Mai! Chiedere pietà? Men che mai!

“Non ti ucciderò.” replicò Jacopo con calma e scherno “Gabriel farà di te quel che vorrà.”

Gabriel? Certo … era il loro messia, dopo tutto. Avrebbe davvero ceduto? Che cosa stava facendo in quel momento?

Resisti, fratello mio, resisti! Implorò nella sua mente.

“Hai passato la tua vita a combattere i demoni della legione … chissà che effetto ti farà diventare uno di loro …”

Isaia storse gli occhi. Quelle parole lo trafissero. Dunque era questo che sapeva fare Gabriel? Rendere le persone dei demoni? Era quello che gli aveva visto fare e che gli aveva quasi fatto? No, no! Non poteva essere! Non poteva essere quello il suo potere! Non del suo amico, accidenti!

Diventare un demone? Piuttosto la morte anche dell’anima! O che la sua anima fosse dannata in eterno e gettata in balia di quei demoni stessi che lui aveva scacciato e che, dunque, lo odiavano più degli altri.

Ricordò la notte a Fontanefredde … quei lupi di fumo! Erano spuntati dal nulla, prima pochi e poi sempre di più, a centinaia!

Lui aveva sollevato il crocefisso, aveva invocato il nome del Signore, aveva spronato la gente a non avere paura, ma quegli uomini, terrorizzati, avevano iniziato a sparare scioccamente. Lui aveva continuato a pronunciare gli esorcismi: doveva proteggere quelle persone!

Inutile! Legioni intere erano state richiamate, lui le scacciava, ma altre giungevano, sempre più affamate, sempre più feroci. Erano riuscite a prendere il possesso già di alcuni abitanti.

Lui pregava, invocava, le affrontava, le scacciava, ma non poteva bastare!

Era stato assalito da loro, era stato ferito dai loro denti di fumo che trafiggevano l’anima. Mai prima di allora gli era capitato qualcosa del genere. Mai si era trovato ad affrontare una simile schiera. Era solo! Solo! Solo! Solo in mezzo al male.

Non dormì un solo momento, passò la notte in preghiera e guerra. Con le prime luci del mattino, i demoni, che non avevano trovato un corpo da possedere, erano svaniti e lui si era lasciato cadere sulle scale. Amareggiato, sconvolto … Satana era così potente? Lui era così debole?

No. Se c’era qualcosa che lo poteva terrorizzare, era proprio il rischio di diventare una creatura del maligno. Ecco perché le parole di Jacopo erano state un grosso colpo per lui. Non poteva tollerare neppure il pensiero di essere demonizzato … lui! Lui che era un servo di Dio! E non poteva neppure sopportare che altri uomini o donne fossero trasformati in quelle creature. Doveva fermare chiunque avesse quel potere. Anche Gabriel, se necessario.

“Lo senti?” gli domandò Jacopo, riferendosi a strani versi e ringhi che venivano da altrove; sorrise: “È l’inizio della fine. Gabriel non tornerà più indietro …”

Gabriel aveva dunque ceduto? Non era riuscito a controllare gli istinti che da sempre aveva tenuti lontani da sé? Rabbia, odio? Quando mai lo avevano sfiorato? … solo in concomitanza col suo potere … Possibile che l’attaccamento verso Claudia fosse così forte da fargli perdere il controllo? No! Non era possibile! Gabriel doveva sapersi controllare, in quanto a ministro di Dio e in quanto a gesuita. Se non era in grado di farlo, voleva dire che quei sentimenti non gli erano estranei, ma erano intrinsechi in lui, che erano la sua vera natura, che erano lui.

Dunque Serventi e Vargas avevano ragione? Dunque Vargas e Serventi avevano ragione.

Gabriel era il male, poteva nasconderlo agli altri, a sé stesso … per quanto ancora?

Adesso era in balia della sua oscurità, forse si sarebbe poi calmato, ma per quanto?

Se quella era la sua vera natura, Gabriel avrebbe potuto sottrarsi? O sarebbe irrimediabilmente diventato quello che la profezia annunciava?

Isaia, dentro di sé, sperava che ci fosse ancora speranza, ma ogni sicurezza lo stava abbandonando. Non avrebbe preso decisioni. Avrebbe aspettato che Dio gli dicesse che cosa fare: Dio gli avrebe parlato, gli avrebbe detto se fidarsi o temere Gabriel.

Intanto erano sopraggiunti Alonso, Stefano e altri membri della Congregazione. Jacopo e Rebecca erano fuggiti.

Isaia fece appena in tempo a vedere Gabriel tornare normale. Serventi era steso a terra, ma vivo e sano. Gabriel si era trattenuto … Claudia lo aveva trattenuto … Dunque, se la donna non fosse intervenuta, Gabriel avrebbe potuto davvero …? No! Non poteva crederci, no il suo amico!

Invece era così. Gabriel si era abbandonato ad emozioni che sapeva essere vizi, non li aveva dominati. Isaia iniziò a temere che non ci fosse una via d’uscita: Gabriel era debole, prima o poi sarebbe stato sopraffatto. Tutti noi abbiamo il nostro lato oscuro che cerca di prevalere, di perderci, di consegnarci al diavolo; tutti noi abbiamo il dovere di controllarlo, metterlo a tacere, di essere forti e liberi da queste passioni. Se un uomo comune, come spesso accade, cede ai vizi, provoca molti danni, ma limitati. Se Gabriel, anzi, quando Gabriel avrebbe ceduto ai suoi vizi, il mondo e l’umanità sarebbero stati in pericolo.

Isaia doveva aiutarlo! Doveva ricordargli come si resiste! Gli avrebbe dato ascolto?

Isaia, quindi, non aveva ancora disperato del tutto, sebbene la speranza fosse ormai una luce fioca, fioca, avvolta nelle tenebre. Per questo lontanissimo e vago barlume, quando Vargas disse che bisognava uccidere Gabriel per salvare la chiesa, il gesuita, con una decisione e un’aggressività che poco si confaceva al ruolo di subordinato, rispose: “Non è ancora arrivato il momento. Io starò accanto a Gabriel e poi sarò IO a fermare questo scontro!”

Isaia stesso si stupì di quella veemenza: da dove gli era sorta?

Quasi non si era accorto di pronunciare quella frase, la sentì come pronunciata da un altro. Aveva sentito dentro di sé una certa vampa che lo aveva reso così deciso. Era la stessa forza che sentiva spesso fuoriuscire da se stesso, quando compiva un esorcismo particolarmente potente. Non sapeva spiegarselo.

Lanciò un’occhiata a Vargas, per controllare se si fosse irritato per la sua irriverenza. Stranamente lo vide sorridere, con una certa soddisfazione e fierezza negli occhi. Che strano! Chissà perché …

Bah, forse era solo una sua impressione, con tutto quello a cui stava pensando, ci mancava solo che andasse ad interrogarsi sul perché delle espressioni facciali di Vargas.

Era un gesuita, però, comprendere la gente con un’occhiata era sua abitudine ed era senza dubbio utile. Avrebbe dovuto ricorrervi prima, ormai era tardi!

Ormai si era lasciato coinvolgere dai Templari!

Ormai non aveva capito per tempo la vera natura del suo amico.

Isaia maledì il destino e la profezia! Gabriel poteva essere il demonio. Lui, Isaia, voleva supremamente bene a quello che sarebbe potuto divenire il figlio del maligno. Accidenti!

Isaia non avrebbe mai voluto fare del male a Gabriel, ma non poteva permettere che il suo attaccamento mettesse in pericolo l’umanità. Se fosse stato necessario, Isaia avrebbe dovuto sacrificare il suo affetto.

Isaia lottava per il bene.

Isaia conosceva il suo dovere.

Isaia, sul letto di morte del suo maestro, aveva giurato: “Combatterò contro il demonio fino alla morte!”

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Capitolo 7
*** Dovere ***


Gabriel era arrivato alla giusta conclusione: un ordine antico, guerriero e sanguinario, nascosto alla Chiesa stessa e che uccideva gli eretici. Questo Gabriel ed Alonso avevano dedotto, circa i nemici di Serventi.

Isaia aveva sperato che ci impiegassero più tempo e, invece … Accidenti! Perché le cose stavano andando così? Perché Gabriel non gli aveva dato retta? Lui gliel’aveva ripetuto più volte di non andare da Serventi, ma non c’era stato verso … forse era stato meglio così: l’amico aveva rivelato la sua vera natura, dalla quale non poteva sottrarsi.

Oh, Isaia aveva visto non solo il lato oscuro di Gabriel, ma anche quello che sarebbe presto accaduto: quando si era trovato davanti a Jacopo, lui aveva visto! Davanti agli occhi gli era apparso il mondo in balia di Gabriel, degli uomini dotati di poteri e dei demoni. Lui lo aveva visto! Aveva visto l’inferno in Terra e ormai non aveva più dubbi: a causarlo sarebbe stato Gabriel.

Pregò. Isaia pregò Dio perché gli desse un’altra opzione! Dio, dovevi assolutamente avere un altro piano! Uccidere il suo amico non poteva essere l’unica soluzione per stornare dal mondo e dall’umanità quella minaccia! Doveva esserci un’altra possibilità, ne era certo, e Dio gliel’avrebbe mostrata!

C’erano poi quelle parole di Serventi … Il tradimento di un amico era essenziale affinché Gabriel ottenesse il suo pieno potere … Dunque era in questo modo che anche lui, Isaia, faceva parte del grande destino che Serventi vagheggiava. Quando gli aveva parlato, quindi, non era per scoraggiarlo da indagare su Castello, ma per accertarsi che lo facesse, per essere sicuro che lui scoprisse i Templari e vi entrasse dentro. Ah, dannato Serventi! Era anche colpa tua se adesso lui si trovava in quella situazione!

Probabilmente eri stato tu ad ordinare a Jacopo di mostrargli quelle orribili immagini, volevi che lo impressionasse, che radicasse in lui paura e determinazione a tal punto che non potesse più tirarsi indietro, neppure scoprendo che il tradimento era ciò che avrebbe potuto perdere definitivamente Gabriel.

Serventi voleva che lui tradisse, la profezia voleva che lui tradisse!

Era dunque davvero tutto inevitabile, un fato scritto che si poteva solo rimandare, ma non evitare.

Serventi lo aveva indotto al tradimento, ma sicuramente Isaia lo avrebbe fatto in ogni caso; di questo andava convincendosi il gesuita: fatalità, il destino di Gabriel era già stato scritto, forse anche il suo; Isaia non poteva far altro che combattere. Ne valeva la pena, però? Se la profezia era vera, allora si sarebbe realizzata, indipendentemente dai suoi sforzi, allora forse era meglio lasciar perdere quella lotta, restare al fianco di Gabriel e accettare … Accettare cosa? Dio poteva realmente permettere che Satana trionfasse? E lui, Isaia, poteva essere amico del demonio?

No, non poteva.

Gabriel non aveva voluto controllarsi, si era abbandonato alla paura e, soprattutto, all’orgoglio. Aveva avuto la presunzione di sapere cosa fosse bene, di sapere come agire e aveva rifiutato ogni aiuto per la salvezza della sua anima. Quante volte, in quegli ultimi mesi, Isaia aveva cercato di stargli vicino? Di parlargli? Di ascoltarlo? Di confortarlo? Di consigliarlo? Tante, troppe. Ogni volta il suo amico lo aveva allontanato, respinto. Come poteva agire Isaia, in aiuto di Gabriel, se il suo amico stesso non voleva quell’aiuto e si sentiva superiore agli altri, l’unico a dover portare quel peso!

Gabriel era orgoglioso ed egoista, si era macchiato dei due peccati più gravi. Gli stessi di Lucifero.

La speranza era sempre più debole, ormai non era che un’ombra. Gabriel sarebbe diventato ciò che era, si sarebbe tolto la maschera, sarebbe stato sé stesso.

Lui, Isaia, avrebbe forse dovuto rimanere leale a una persona che, in fondo, era completamente diversa da quella a cui era stato amico per anni? No! Lui non doveva più vedere in quel corpo il Gabriel che aveva conosciuto, bensì il più grande nemico dell’umanità e di Dio; non era facile, ma doveva riuscirci. Non poteva restare al suo fianco, nemmeno se fosse stato convinto che non c’era possibilità di salvezza per il mondo.

Se la vittoria di Gabriel era già stata decretata … perché mai Dio lo avrebbe dovuto permettere? … Se tale vittoria era già stata decisa, ciò non doveva essere una scusa per spingere Isaia a non combattere. Lui avrebbe lottato per il bene, anche se la sconfitta fosse stata certa. Il male avrebbe trionfato nel mondo, ma non nel suo cuore! Lui avrebbe lottato con tutte le sue forze e quelle che Dio gli avrebbe donato, avrebbe fatto tutto ciò che era necessario e doveroso, avrebbe sacrificato ogni cosa, anche la carriera e il suo ego, e, nel caso, sarebbe morto come un martire!

Isaia stava pensando a tutto ciò, mentre si dirigeva da Vargas a riferire delle scoperte di Gabriel.

Vargas gli disse che il suo ruolo nella Congregazione era finito.

“Il mio unico ruolo è nell’ordine.” confermò Isaia, era sicuro di quello che diceva, lo aveva accettato. In quelle parole, però, c’era un poco il rammarico per tutto quello a cui stava rinunciando. Abbassò lo sguardo. Era concludere definitivamente la vita che aveva condotto finora, era una morte. Prima era Isaia il gesuita, il membro della Congregazione della Verità, l’insegnante, il teologo, l’esorcista, lo studioso … e tanto, tanto altro ancora. Da quel momento, invece, non sarebbe più esistito nient’altro che Isaia il Templare, anzi, semplicemente il Templare. Era davvero pronto? Era disposto a questo? Sarebbe potuto tornare indietro? Quanto quella era ancora una finzione? Molto poco. Ormai si sentiva l’unico in grado di fermare il lato oscuro di Gabriel. Doveva rinunciare a tutto. A tutto ciò che era decoro, lo doveva fare per salvare la sua vera essenza: lui sentiva, sapeva che il suo ruolo era di combattere per Dio contro il male. Questa era l’unica cosa importante e per adempiere al suo dovere avrebbe indossato e mutato tutti i panni che sarebbero stati necessari.

“Sarà lei a guidare l’ordine, quando io non ci sarò più.”

Isaia sollevò gli occhi, si era stupito: perché tanta fiducia? Perché nominare come suo successore lui e non di qualcuno da più lungo tempo nei Templari? Beh, certo non sarebbe accaduto dall’oggi al domani. Allora forse non era per minaccia che Vargas gli aveva fatto ripetere il codice etico dei Templari, bensì affinché sapesse come dirigere l’ordine.

La meraviglia gli attraversò le iridi solo per qualche istante, per il resto si mantenne assolutamente fermo e saldo, anzi, quella vampa misteriosa che già aveva sentito e già aveva guidato le sue parole, gli fece pronunciare: “So bene qual è il mio dovere.”

In quel momento entrò Giona. Vargas gli affidò il compito di uccidere Jacopo e Rebecca, poi annunciò che lui e Isaia, si sarebbero occupati delle radici della setta del Candelaio.

Uccidere Gabriel.

Era necessario. Lui era pronto, non si sarebbe tirato indietro. Quel dovere a cui doveva adempiere non lo rendeva felice, anzi lo rattristava; uccidere Gabriel sarebbe stato uccidere una parte importante di sé stesso, lo avrebbe pianto per sempre; non poteva, però, anteporre il proprio egoismo al bene del mondo.

Vargas, perché io?” chiese poi Isaia, quando furono di nuovo soli “Perché vuole che sia io a succederle? Non ho fatto nulla per meritarlo e sono un novizio!”

“Non ha fatto niente, dice? Lei ha sempre combattuto le forze del male. Ha dimostrato di avere doti non comuni a qualsiasi esorcista.”

“È solo la mia fede in Dio che mi ha dato la forza di scacciare i demoni.”

“No, Isaia, è stata solo la sua forza di volontà.” lo informò Vargas “Ha visto. Sa.” gli ricordò “Dio è troppo al di sopra di noi: il bene e il male provengono parimenti da Egli stesso. A Lui non importa quel che accade qui, è indifferente! Noi dobbiamo tutelare il bene, noi dobbiamo impedire al male di trionfare, ad ogni costo.”

Isaia non rispose. Sì, aveva appreso quella Verità, ma …

“Isaia, lei è un gesuita, conosce bene i poteri della mente, l’energia che è dentro ciascuno e che le hanno insegnato a sfruttare. Lei, in tutti questi anni ha attinto a quell’energia, è a sé stesso e alla sua volontà che deve i suoi successi, non a Dio!”

Dunque aveva ragione Michela? I suoi esorcismi erano magia?

“Lei ha una grande forza, quella che è necessaria per affrontate il male in tutte le sue forme. Lei deve proteggere la Chiesa e il mondo da ogni minaccia. La Chiesa, il messaggio di Gesù sono i simboli necessari per cercare di insegnare agli uomini ad essere buoni: devono essere tutelati ad ogni costo.”

“Lo so.” affermò Isaia “Ho giurato e non verrò meno alla mia parola.”

Questa era la Verità dei Templari, la stessa di Zoroastro e dunque dei Magi: il Dio Assoluto era un’entità al di sopra di ogni cosa, al di fuori di tempo e spazio. Da questo Dio erano fuori uscite due forze, una orinata e una caotica, il dio buono e il dio cattivo che avevano dato origine al mondo, agli angeli e ai demoni, col solo scopo di combattersi. Due divinità parimenti forti, nessuna ricompensa, nessuna condanna, solo l’avvicinarsi più o meno a una di queste entità, trasformando il proprio corpo in quello di un angelo o di un diavolo, in base alle proprie azioni, scelte, ma soprattutto pensieri.

Questa era una Verità troppo crudele da poter essere riferita alle moltitudini. Una simile informazione avrebbe sprofondato il mondo nell’anarchia e nel caos, questa ammissione di un’assenza di legge, avrebbe spinto la più parte degli uomini ad assecondare i propri bassi istinti, ad essere dominati dalle passioni e ad imbruttirsi sempre più. Questo avrebbe generato violenza, sofferenza, sopraffazioni … mali che dilagavano già fin troppo nel mondo …

Isaia non poteva permettere che la situazione peggiorasse ancora di più, lui voleva migliorare la vita delle persone, voleva proteggerle e lasciar loro la possibilità di migliorare, possibilità che solo la Chiesa poteva dare, nonostante si reggesse su delle bugie: mentire era necessario per disciplinare gli uomini, mantenere il segreto era necessario.

Che farsa! Tutto quello in cui aveva sempre creduto non era altro che una facciata … una facciata importantissima e indispensabile, ma non era la Verità. Ecco perché Dio non aveva risposto alle sue suppliche di aiuto in quei giorni. Ecco perché non aveva ricevuto risposta circa che cosa fare. Ecco perché non gli era stato detto se Gabriel fosse o meno una reale minaccia. Lo era. Ora lo sapeva. Lo sapeva ma non grazie al Vero Dio, bensì grazie a un’entità minore, al Bene, che nulla aveva di divino. Al Vero Dio non importava nulla di loro umani.

Era tutto così strano … Scoprire di aver sempre creduto di lottare per Dio e invece lo faceva solo per il Bene e tutta la forza che credeva di attingere da Dio, era in realtà solo sua, solo nelle sue mani. Nelle sue mani esattamente come la giustizia divina.

Ora sapeva. La sua volontà, la sua lealtà verso il Bene, l’Ordine e la Giustizia non erano mutati, ma ora sapeva che tutto ciò non era divino, era solo una fazione della creazione e sapeva anche che il Bene non era destinato alla vittoria. La guerra tra il Bene e il Male era eterna ed inevitabile.

Era molto arrabbiato con Dio per la sua indifferenza, era arrabbiato con la Chiesa perché non era stata sincera. Ammetteva l’importanza di Gesù come simbolo e strumento, ma non lo poteva più considerare figlio di Dio e si sentiva tradito da lui.

Era arrabbiato, tantissimo, si sentiva solo e abbandonato, si sentiva solo in mezzo a una lotta infinita. Vargas gli aveva aperto gli occhi, gli aveva mostrato la Verità. Nonostante, inizialmente, avesse provato ripugnanza verso i Templari e le loro pratiche, ora lui conosceva la Verità e li avrebbe condotti nelle battaglie per il Bene. Ora lui era solo questo, era nei Templari e null’altro se non la loro missione aveva importanza; aveva sacrificato tutto per quel Bene, ma si sentiva tremendamente solo.

 

Tutti questi pensieri ingombravano completamente la sua mente e il suo animo. Con queste convinzioni aveva affiancato Vargas e aveva cercato di uccidere Gabriel, tentando di convincerlo che fosse giusto così. Per questo non aveva accettato la pace offerta dall’amico. Per questo aveva gridato che Dio non c’entrava nulla.

“Come devo, Gabriel, come devo!” aveva urlato, pieno di rabbia e dolore.

Aveva fallito, aveva fallito su tutti i fronti: non aveva ucciso Gabriel e ne aveva persa l’amicizia … No, la sua amicizia avrebbe potuto averla ancora, ma lui non la poteva più accettare, non doveva!

Isaia era sopraffatto dal dolore. Si mise a sedere per terra, cosa che non faceva da anni. Vide la testa di Vargas che lui stesso aveva mozzato. Aveva dovuto! Vargas si stava trasformando in un demone!

Isaia aveva avuto l’ennesima dimostrazione della pericolosità del potere di Gabriel, che presto non si sarebbe più controllato. Per un attimo aveva creduto che si sarebbe trasformato anche lui. Aveva sentito l’energia di Gabriel scaricarsi contro di lui e cercare di penetrarlo. Era però accaduto qualcosa. Quella strana vampa che si era fatta sentire nel suo animo in quei giorni, aveva vibrato ancora una volta e si era rivoltata contro quella di Gabriel e lo aveva protetto dalla trasformazione.

Di cosa si trattava? Non lo sapeva e, in quel momento, non aveva voglia di cercare spiegazioni. Doveva riprendere le energie, doveva calmarsi, era troppo agitato!

 

Fuori dalla cripta, Gabriel se ne era andato, senza accorgersi che Serventi non si era affatto allontanato ed era ancora nel cimitero. Stava aspettando qualcuno che presto arrivò.

“Ben trovata, Michela.” disse Serventi, non appena la vide.

La ragazza, già trafelata, si bloccò e si voltò nella direzione della voce, non appena vide quell’uomo, fu attraversata da un moto di paura. Non disse nulla.

“Non mi saluti? Dopo quello che ho fatto per te?”

Michela lo guardò con rancore, ma continuò a tacere.

Serventi sorrise. “Non è pretenzioso, da parte tua, indossare una sciarpa rossa?”

La giovane a quel punto rispose: “Me la sono guadagnata. Dio me l’ha fatta avere.”

“Oh, parli ancora, allora. So perché sei qui, lui è ancora dentro, Gabriel non te l’ha ucciso.”

“Hai fallito, dunque?”

“No. Gabriel ha fatto moltissimo, ormai ha abbracciato la sua vera natura, ancora qualche passo ed è fatta. Sarà ciò che è. Cosa che non si può dire per il tuo amico, ma non c’è bisogno che te lo dica, immagino saprai già di cosa gli hanno riempito la testa.”

“Si salverà e poi ti fermeremo.” dichiarò con forza Michela.

Serventi si mise a ridere, prima di dire: “Ma guardati! Entrambi siete parecchio distanti dal vostro sciocco ideale! È una menzogna, è una schiavitù perché avete paura della libertà. Voi due siete come noi, se non lo riconoscerete, ne morrete.”

“Sbagli.” sibilò lei “Il diritto dev’essere sottomesso al dovere, altrimenti è un delitto; solo il dovere ci rende liberi.”

“Tu tornerai da me e, probabilmente, mi consegnerai anche lui.” Serventi sembrava molto certo di quel che diceva.

“Lui non sarà mai tuo.”

“Lo siete già.”

Michela guardò ancora Serventi con rabbia, incertezza e paura, poi lo lasciò perdere e andò verso la cripta.

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Capitolo 8
*** La pesa delle anime ***


Isaia era ancora seduto a terra nella cripta. Accanto a lui la spada con la lama sporca di sangue, alcune gocce erano finite anche sulla sua tunica bianca. Non sapeva da quanto fosse lì, era confuso, assorto nei suoi pensieri, pensava all’avvenire, al suo dovere, a come avrebbe dovuto gestire l’ordine templare, ora che Vargas era morto e lui ne era il Gran Maestro. Lo avrebbero riconosciuto come tale?

“Isaia!” lo chiamò una voce femminile.

Il gesuita alzò il capo, si guardò attorno e vide, sotto uno degli archi che conducevano nella sala circolare, Michela.

“Tu? Che cosa ci fai qui?” se quel tono non era aggressivo, poco ci mancava, ma d’altra parte Isaia aveva fin troppe cose a cui pensare, senza che si aggiungesse quella ragazza.

Lei subito non rispose, rapidamente si avvicinò a lui e si inginocchiò al suo fianco; lo guardò rapidamente, parve tirare un sospiro di sollievo, prima di sorridere, poi chiese: “Come si sente? Non sembra ferito, ma …”

“Si può sapere chi sei e cosa vuoi da me?” la interruppe bruscamente Isaia.

La ragazza lo guardò mortificata e rispose: “Per favore, le basti sapere che sono dalla sua parte. Mi creda, io non ho a cuore niente di più importante che la sua salvezza.”

“Perché? Tu non mi conosci!” anche quelle erano state parole aspre, dicendole si rialzò in piedi, raccogliendo la spada.

Lei rispose pacatamente: “Isaia, noi due abbiamo il medesimo compito, ma declinato in maniera leggermente diversa. Lei deve essere a capo, guidare le milizie del bene. Io devo servire lei, proteggere il suo corpo e la sua anima, combattere con e per lei.”

Isaia aggrottò la fronte, esitò un attimo, poi chiese: “Te l’ha ordinato Vargas?”

La giovane si stupì, poi rispose: “No, assolutamente. Io non c’entro nulla con i Templari.”

“Peccato.” nonostante mantenesse un’espressione ferma, si poteva intravedere il suo dispiacere interiore.

“Perché?”

Isaia sollevò la spada, alcune gocce del sangue di Vargas caddero al suolo; spiegò: “Devo ucciderti. Vargas è stato molto chiaro: ci possono essere Templari dotati di facoltà ultraumane, ma non possono esserci persone simili al di fuori del Tempio. Queste doti vi inorgogliscono, vi rendono superbi e le usate per prevalere in maniera indegna sulle persone comuni. Voi portate caos, per questo dobbiamo eliminarvi, tutti.”

“Queste sono le parole di una persona spaventata e sfiduciata.” replicò lei con fermezza “So come si sente, so cosa le hanno detto e sono qui proprio per questo. Le hanno raccontato una verità che si avvicina alla Verità, ma non è corretta. Mi ero ripromessa di non raccontarle nulla, di lasciare che lei scoprisse tutto da solo, ma sta prendendo una direzione che … non è del tutto sbagliata, anzi, però potrebbe esserle fatale … qualcosina glielo voglio dire, se me lo permetterà.”

Isaia era un po’ perplesso, le fece cenno di proseguire e aspettò che continuasse.

“I Templari, appena costituiti, si erano insediati presso le rovine del Tempio di Gerusalemme, ne hanno esplorato i sotterranei e hanno trovato moltissime cose, tra cui manoscritti importanti, contenenti una grande saggezza, ma loro sono riusciti ad interpretarla solo parzialmente e questo li ha spinti ad avere una condotta errata. Non abbia paura di me, non ne ha motivo.”

“Taci!” ordinò, a denti stretti Isaia “Già una volta un bambino, con poteri, è arrivato a confondermi le idee, a farmi credere falsità, tu non farai altrettanto!” alzò di nuovo la punta della spada.

Michela si levò in piedi e lo ammonì: “Deponga quella lama, non ho bisogno di alcun potere, per difendermi da quella.” poi tornò ad essere conciliante: “Non le racconterò nulla, se non sarà lei a chiedermelo, non le presenterò mai nulla come verità, ma condividerò con lei le mie convinzioni … mie e non solo.” vedendolo ancora molto arcigno, continuò: “Non abbia in odio un’intera categoria di gente, anzi, non abbia in odio nessuno! L’odio è del male, lei lo sa, e non ha nulla a che vedere con la giustizia e col suo dovere.”

“Io non odio né te, né i tuoi simili, semplicemente faccio il necessario per difendere il mondo.”

“E come ha intenzione di farlo? Come Arnaldo di Citeaux contro i catari e gli albigesi? Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius[1]?”

Isaia non poté non provare un briciolo d’ammirazione per quella citazione in latino e appropriata.

“Non si possono correre rischi, meglio errare per eccesso di zelo, che per leggerezza.”

“Perfino il tribunale della Santa Vehme risulta più tollerante!” ribatté l’altra, ironica “Nessuno dovrebbe ragionare in questa maniera, tanto meno lei! Lei, che potrebbe benis…” si interruppe, accorgendosi di aver detto troppo.

“Potrei benissimo, cosa? Dì, mi interessa.” la incalzò lui, con una calma inquietante.

Michela esitò, era indecisa, non voleva dire nulla, ma ormai era tardi, per cui decise di rivelare qualcosa: “Lei potrebbe benissimo conoscere gli animi di tutti gli uomini, potrebbe pesare su una bilancia i loro cuori e dunque sapere quali condannare e quali salvare. Non si lasci quindi trasportare da un insensato furore che ha tutto di demoniaco e nulla di buono.”

Isaia rimase perplesso per quelle parole, gli sembrarono quasi una blasfemia; poi domandò: “Non stai enfatizzando troppo la capacità dei gesuiti di conoscere i loro diretti spirituali?”

“Non è un potere di natura gesuitica.”

“E allora che cos’è?”

Michela rimase in silenzio e abbassò lo sguardo.

“Allora?” insisté lui, ma ancora non ebbe risposta “Parla, ti conviene, finché parlerai, rimarrai in vita.”

La ragazza era molto combattuta, non poteva spiegare. Ragionò un poco, poi si accostò ad Isaia, rapidamente gli afferrò il polso sinistro e si portò la sua mano sulla propria testa, col palmo rivolto in basso, poi gli disse: “Conoscimi!”

“Come?” si stupì lui, tentò di ritrarre la mano, ma lei gliela tenne bloccata.

“Puoi farlo, fallo!” lo esortò “La sinistra assorbe, permette di conoscere le cose e di sottrarre, di  assorbire. Usala! Attraversa tutti i miei chakra, prendi tutto ciò che vuoi, ma convinciti una volta per tutte che io non sono un pericolo!”

Isaia era ancora esterrefatto, non capiva. Erano, però, così tante le cose che gli erano capitate in quei giorni, che decise di fare un tentativo. Si calmò, respirò profondamente, scacciò ogni pensiero dalla propria testa; si concentrò sull’energia che sentiva dentro di sé, la canalizzò verso il palmo sinistro, non gli fu difficile, lo faceva sempre quando esorcizzava. Provò una strana sensazione, percepì l’energia della ragazza, la sentì interagire con la sua. Dovette ammettere che c’era qualcosa di estremamente famigliare nello spirito della giovane. Dopo qualche momento gli parve di sentire come una colonna di energia che dal basso attraversava la ragazza e saliva fino alla sua mano e gli portava immagini e sensazioni. Una miriade di informazioni lo raggiunsero, ma erano per lo più futilità in quel momento, doveva eliminare i decori affinché rimanesse la sostanza. La trovò, non sapeva come, non avrebbe neppure saputo descrivere la sensazione, ma era certo di essere arrivato a toccare l’essenza della ragazza e la conobbe come buona.

Isaia ritrasse la mano e guardò la ragazza che gli domandò a quali conclusioni fosse arrivato.

“Non sei cattiva e, nonostante i difetti e le debolezze umane, protendi al bene e non ti sei macchiata di gravi peccati.”

“Quindi? Pensa ancora di dovermi uccidere?”

“No.” ammise il prete, ritrovando un po’ di calma dentro di sé, felice di non dover uccidere: era la prima buona notizia della giornata.

Aveva due domande da porre a quella giovane, da quale iniziare? Visto che quella personale avrebbe potuto irritarla, decise di cominciare da quella tecnica: “Era questo che dovevo fare? Che cosa avrei dovuto sentire?”

“Non ne ho idea.” rispose lei “Io le ho indicato il sistema che si usa per carpire informazioni dagli altri, ma non ho idea di come si tocchi l’anima di una persona. Nessuno, a parte lei, può conoscere il vero cuore delle creature.”

Isaia sgranò gli occhi, era sbalordito: com’era possibile?

“Nessuno a parte me? Perché? Non è frutto di magia?”

“Lo scoprirà al momento opportuno. Potrei dirglielo, ma non va mai bene rivelare le cose alla gente, è giusto che vengano apprese naturalmente, certe consapevolezze devono nascere da dentro e non essere indotte ... e poi è così vicino ormai! Adesso conosce entrambi i suoi poteri e dunque ...”

“Entrambi?” si meravigliò il prete.

“Sì, conoscere le anime e sconfiggere i demoni. Ora sa come padroneggiare entrambi, ora ha una spada, il suo dovere lo ha sempre conosciuto.”

“Non è vero! Non sono riuscito a respingere le legioni di Baal e, mentr’ero davanti a lui, addirittura ha preso fuoco una Bibbia. Come puoi dire ch’io abbia il potere di sconfiggere demoni? Prima avevo la fede in Dio che mi dava forza, ora probabilmente non avrò più neppure quella!”

“Non le basta la fiducia in se stesso? Deve per lo meno essere certo di poter eguagliare quello che ha fatto in passato; ma sono certa che presto si renderà conto di tutto ciò che può e deve fare. Basta davvero poco per capire … se non si lascerà sopraffare da passioni indegne di lei. Non cerchi altrove, ha già tutto quel che occorre nel suo animo.”

Isaia sospirò: in quel momento non era cero di trovare risposte dentro di sé, ma ormai sapeva di non poterle trovare neppure fuori, neppure in Dio, forse, forse nel Bene.

Decise di passare alla seconda questione: “Mentre …” non sapeva come definire l’azione “… ti esaminavo … Mi sono arrivate dalla tua mente delle immagini di Serventi. Come lo conosci?”

Isaia non era né sorpreso, né felice di aver visto quell’uomo nei ricordi della giovane. Se il suo giudizio sulla bontà d’animo della giovane era corretta, perché allora conosceva Serventi? Assieme a quelle immagini aveva però recepito una forte negatività, quindi era probabile che la ragazza non fosse in buoni rapporti con quell’uomo. In ogni caso, il prete voleva sapere.

I lineamenti del viso di Michela si erano induriti, comunque rispose seccamente: “Gliene parlo ora, ma non voglio più tornare sull’argomento. Io vengo da una famiglia di Magi, Serventi conobbe i miei genitori, tentò di convincerli a sostenerlo ma essi rifiutarono, quindi li uccise. Prese me, che avevo sette anni, e mi fece crescere con gli altri bambini dotati di poteri di cui si occupava. Sperava ch’io lo servissi al posto dei miei genitori: non è andata così. Io, fin dalla nascita, fin dal mio nome, sono stata consacrata a un essere che è il naturale nemico di Serventi, tale sono rimasta e sono tutt’ora. Sebbene non mi sia mai mancato nulla, non posso tollerare gli ideali di quell’uomo. Avevo quindici anni, quando iniziai a preparare la mia fuga e la mia vita indipendente; avrei voluto aspettare di finire gli studi, prima di andarmene, ma poi scoprii di essere incinta e, non volendo che mio figlio crescesse in quell’ambiente, sono scappata prima del previsto. Dapprima trovai ospitalità presso dei Magi miei parenti, che mi avevano rintracciata e già da qualche anno mi avevano esortata a raggiungerli, poi ho trovato la maniera di arrangiarmi, ma sono sempre in contatto con loro.”

“Tu, dunque, conosci i piani di Serventi?”

“No. Ho le mie teorie al riguardo, ho abbastanza chiaro il suo obbiettivo finale, ma non so come ci arriverà: è bravissimo a portare le cose nella direzione che vuole, senza che gli altri se ne accorgano, li inganna, fa trapelare le notizie che vuole, quando vuole; la gente pensa di combatterlo e, invece, fa solo il suo gioco. Inoltre ha sempre molti piani di riserva e ogni cosa che fa, ha almeno tre o quattro scopi ed utilità, a seconda delle pieghe che prenderà la situazione. Temo di avere capito solo oggi, il vero motivo per cui mi ha cresciuta … e, se ho ragione, è per quello che non mi ha fatta trovare e uccidere, dopo la mia fuga.”

“Beh, io posso essere certo che mi vuole morto: ha ordinato più volte a Gabriel di uccidermi e non è la prima volta che ci prova.”

“Potrebbe non essere l’unico progetto che ha su di lei.” gli fece osservare Michela, ricordando quello che Serventi le aveva detto poco prima.

“È molto temibile, dunque; troppo intelligente.”

“Ha avuto molto tempo a disposizione per diventare quel che è.”

“Mi aiuterai a combatterlo? Quel che sai può tornare utile.”

“Certo che sarò al suo fianco, in questa e in tutte le battaglie giuste.”

Isaia sorrise a labbra chiuse, poi spiegò: “Per ora studieremo la situazione e ci organizzeremo. Io devo prendere il controllo dei Templari, informarmi a modo circa le nostre attività e introdurre qualche norma per evitare assassinii inutili. Posso far molto!” era contento e fiero di sé “Voglio che tu, però, resti fuori da queste questioni, potrebbero non vederti di buon occhio, mi aiuterai in altri modi.”

“Come vuole lei.” acconsentì la ragazza, dolcemente.

“Non capisco ancora perché lo fai, ma pazienza, è bello.” Isaia si stava un poco rasserenando e riprendendo dai furori e le paure di quel giorno.

“Ha un posto dove stare?” chiese lei con premura.

Vargas mi ha detto dove andare e chi contattare.”

“Ah.” si limitò a replicare l’altra, con un po’ di delusione.

“Non andrò subito, prima voglio prendermi un paio di giorni per schiarirmi per bene le idee. Troverò un albergo in cui stare, non posso di certo ripresentarmi in Congregazione.”

“Potrebbe venire da me, sarei lieta di ospitarla.” lo invitò la ragazza.

Isaia si irrigidì, non credeva si sarebbe sentito a proprio agio a casa di una donna. D’alta parte, però, aveva già trascorso una serata in compagnia di quella giovane e non solo si era divertito, ma pure si era comportato con spontaneità e naturalezza. Dormire lì, passare giornate intere era un altro paio di maniche; era abituato a un tipo di quotidianità solitaria o collettiva, non conosceva vie di mezzo. Chissà come sarebbe stata la sua vita, da quel momento in avanti. Come viveva un Gran Maestro?

“Ho una stanza per gli ospiti piena di libri.” gli fece osservare la ragazza.

Isaia non poté trattenere un lieve riso, prima di ribattere: “Credi che sia una buona argomentazione?”

“Ho fatto un tentativo!” si difese, scherzosamente, lei “Se preferisce, provo a prenderla per la gola, elencandole le mie specialità gastronomiche. Non le sono forse piaciute le mie polpette? Ne ha presi due piatti, se ben ricordo.” e gli sorrise.

Il prete non poté fare a meno di ridere questa volta e dovette ammettere di avere apprezzato la cucina della ragazza.

“Senta, mettiamola in questi termini: in un albergo avrebbe questioni burocratiche da sbrigare e poi sarebbe disturbato dal personale.” parlava con allegrezza “A casa mia nessuno la disturberà, io penserò a qualsiasi cosa e non le costerà nulla.”

Isaia la guardò, per un certo verso, con tenerezza e poi sospirò, dicendo: “Immagino di non avere molta scelta: insisterai finché non accetterò, vero?”

“No. Mi farebbe molto piacere se lei accettasse, ma non voglio irritarla. Sa che da me è e sarà sempre il benvenuto, poi faccia come meglio crede.”

Il prete la guardò ancora. In fondo che male c’era? Effettivamente gli avrebbe fatto comodo rimanere in un’abitazione, non dover uscire per i pasti, rimanersene tranquillo in riflessione … Pensò anche che quella ragazza viveva sola con un bambino di tre anni, forse faceva piacere anche a lei avere la compagnia di un adulto. Pensò che in fondo era una vita piuttosto solitaria anche quella condotta dalla giovane e che, quindi, accontentarla sarebbe stata una buona azione. Inoltre c’era una forza, dentro di lui, che gli intimava di non dare ascolto a formalità come il fatto che non era buona cosa che un prete fosse ospite di una donna nubile. Già, che importava, poi? Ormai la sua vita esisteva solo nell’ordine Templare: davanti a chi avrebbe dovuto mantenere la rispettabilità?

Quella forza gli diceva anche che non doveva importargli nulla il fatto che lei fosse una donna. Uomo, donna, che differenza faceva? Nessuna per lui. Sotto quell’aspetto era sicuro di sé e del proprio voto, per cui non doveva sentirsi minimamente turbato nell’alloggiare presso quella ragazza.

“D’accordo, visto che sei così gentile, approfitterò della tua ospitalità. Sarà solo per un paio di giorni.”

Uscirono dalla cripta (prima il Templare era andato in una stanzetta secondaria a cambiarsi d’abito), recuperarono l’auto di Isaia e raggiunsero la casa di Michela, era ormai sera.

“Tuo figlio dov’è?” domandò il prete, accorgendosi che non c’era traccia di Giorgio.

“Non sapevo come sarebbero andate le cose oggi, per cui l’ho portato dai miei parenti, domani lo andrò a recuperare.” spiegò la giovane, appoggiando il cappotto sull’attaccapanni.

Michela accompagnò l’ospite nella stanza in cui avrebbe potuto dormire: effettivamente era colma di libri. C’erano un paio di scaffali, un lettuccio e una scrivania.

“Vado a prenderle lenzuola e coperte pulite.” lo informò la giovane.

Isaia ringraziò mise in un angolo la sua valigia: lì aveva rinchiuso in fretta e furia parte dei suoi abiti e poco altro, tutto ciò che restava della sua vecchia vita. Del rammarico lo aveva, ma sapeva che era solo egoismo, vanità, per cui doveva scacciarlo, abbandonare ogni attaccamento a qualsiasi cosa, ruolo o persona … l’attaccamento per Gabriel, anche. Non avrebbe voluto lanciarsi in quella guerra contro l’amico, gli voleva bene! Ma Gabriel era troppo pericoloso, non poteva permettere che il piano di Serventi si realizzasse.

Si guardò intorno, diede una scorsa veloce ai titoli dello scaffale: La fine del sacrificio; I misteri della Bibbia perduta; Corpo Alchemico; Dai Veda ai Vangeli in cerca della realtà; Simbologia Sacra … e molti altri che catturavano l’attenzione di Isaia. Il suo occhio, poi, cadde su un foglio appoggiato sulla scrivania, c’erano scritte alcune frasi a biro: Non siamo nati per essere felici. Siamo nati anche per soffrire ed è giusto che ogni tanto ci venga ricordato. Le sofferenze temprano l’animo. Le sofferenze sono un onore.

Rieccomi!” annunciò Michela, entrando nella stanza col necessario per preparare il letto.

“Oh … ehm … Sono tue queste parole?” chiese Isaia, sperando di non aver invaso la privacy.

“Sì.”

“Sono molto dure e tristi.” commentò lui.

“Lo so, in effetti mi sono resa conto che il termine sofferenza è scorretto, intendevo dire avversità. Le avversità ci danno la possibilità di migliorare, le dobbiamo accogliere con gioia, la sofferenza rivela la debolezza di un animo. Lo diceva anche Seneca.”

“Questo è innegabile.” confermò Isaia, gli piaceva quel modo di pensare “Ma, per quanto riguarda la felicità? Sei anche tu del parere che spronare gli uomini ad essere felici in Terra, anziché aspettare il paradiso, abbia provocato il consumismo, la smania per inseguire obbiettivi, provocando più frustrazione e scontento che gioia?”

“Sì, sicuramente anche questo.” rispose lei stendendo il lenzuolo “In particolare lì intendevo dire che è presuntuoso credere di essere nati per noi stessi e dunque anteporre noi e le nostre soddisfazioni al di sopra di ogni altra cosa. Pure la felicità può essere indice di passioni forvianti. Essere felici per qualcosa, significa avere un attaccamento e l’attaccamento può generare anche rabbia e cose peggiori. Io sono a favore di una serenità imperturbabile. Chissà, forse, prima o poi, la raggiungerò.”

Isaia si compiacque per quelle parole e volle mettere alla prova la ragazza, chiedendo: “Allora, secondo te, per cosa si viene al mondo?”

Michela sollevò il cuscino per metterlo nella federa, sospirò un attimo e poi spiegò: “Io credo nella reincarnazione. Il nostro fine ultimo è uscire da questo mondo, dal tempo, perdere tutto ciò che è immanente e restare solo nel trascendente. Contemporaneamente, giacché siamo in questo mondo e nel suo gioco, o battaglia, dipende dai pareri, la cosa più importante è capire quale sia il nostro dovere e consacrarci ad esso, solo così daremo un senso alle nostre vite. Dobbiamo agire perché è giusto così, indipendentemente dal risultato.”

“Alcuni considererebbero questa una sorta di schiavitù.” Isaia concordava con lei, ma voleva vedere fino a che punto si spingeva la convinzione della ragazza.

“Noi possiamo scegliere se essere liberi dalle passioni e quindi trovare il nostro scopo e realizzarci, oppure se essere schiavi delle passioni ed essere liberi di decidere da cosa farci condizionare.”

Isaia sorrise e annuì, approvava pienamente; poi disse: “Non avrei saputo trovare parole migliori. Non credevo ci potesse essere qualcuno che mi capisse così bene.”

“È la filosofia dei Magi, le nostre tre parole basilari sono: dovere, ordine, gerarchia.”

“Se è così e riuscite a rispettarle, dovete essere una società ben funzionante.”

“Sì, ce la caviamo. Le piace la stanza?”

“Sì, grazie. Mi ricorda un po’ il mio appartamento, con tutti questi libri …” sospirò “I miei libri! I miei libri rari, raccolti con tanta fatica … Chissà dove andranno a finire!”

“Se vuole, posso provare a recuperarli.” si propose Michela.

“Davvero ti prenderesti questo impegno?”

“Certo!”

“Oh, grazie! Grazie mille!” gli occhi gli brillarono di sincera gratitudine “Come farai?”

“Ho un amico che ha un furgoncino, mi aiuterà. Devo solo capire come entrare nei suoi alloggi.”

Isaia pensò rapidamente e poi disse: “Cerca Vairocana, è uno dei buddisti che spesso vengono in visita al Vaticano, siamo in buoni rapporti, abbiamo spesso passato serate a discutere di Dio e filosofia. Sono certo ti aiuterà.”

“Perfetto, grazie.”

“A te.”

“Bene, lascio che si sistemi; io vado di là, se ha bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi. Vuole, intanto, un infuso per rilassarsi?”

“D’accordo, grazie.”

Isaia la guardò uscire dalla stanza e pensò che era da molto tempo che nessuno si prendeva cura di lui.



[1] “Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi

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Capitolo 9
*** Lettera ***


Isaia aveva cenato assieme a Michela, aveva chiacchierato un poco con lei, ma in quella serata non aveva molta voglia di compagnia, era stata una giornata troppo difficile per lui. Decisioni. Rinunce. Uccidere Vargas. Abbandonare Gabriel.

Abbandonare Gabriel … ma lo aveva abbandonato davvero? O era stato Gabriel ad abbandonare lui?

È vero, l’amico gli aveva proposto la pace, che tutto tornasse come prima, si era mostrato disposto al perdono … ma non aveva capito nulla. Gabriel era così dannatamente sicuro di avere ragione, di conoscere cosa fosse giusto, era convinto che gli altri dovessero capire lui e non viceversa e dovevano capirlo senza che lui spiegasse.

Nella cripta gli aveva detto due o tre volte di riappacificarsi e, davanti al suo rifiuto, se ne era semplicemente andato. Non si era neppure preso la briga di domandargli come mai fosse così risoluto o da dove gli venisse quella convinzione. Se ne era andato e basta.

Non aveva sentito il dolore nella sua voce, quando gli aveva gridato: “Come devo, Gabriel, come devo!” ?

Se fosse capitato a lui, Isaia, di vivere una situazione del genere, lui non avrebbe abbandonato l’amico, ma si sarebbe seduto accanto a lui e lo avrebbe invitato a parlare avrebbe cercato di capire, di rassicurarlo. Ah, ma tanto Gabriel era convinto che ognuno dovesse risolvere i propri dubbi e timori da solo, senza che altri si interessassero.

D’accordo, Isaia aveva forse avuto il torto di cercare di ucciderlo, ma indebolito com’era, era palese che non fosse un reale pericolo e che dunque gli si sarebbe potuto parlare davvero e non dire giusto un paio di frasi per acquietare la coscienza, come invece era accaduto. Tanto più che anche Isaia aveva perdonato Gabriel quando lo aveva quasi ammazzato, un anno prima.

Isaia aveva sempre cercato di capire Gabriel, Gabriel non aveva mai cercato di capire Isaia. Non aveva mai cercato di farsi capire, pretendeva che gli altri capissero al volo o, peggio, accettassero senza fare domande. Isaia, però, non era come Alonso, non prendeva per cosa buona e giusta qualsiasi parola uscita dalla bocca di Gabriel. Questo non è essere buoni amici. Gli amici ti stanno vicini, sì, ma non accettano tutto, tacendo, si preoccupano per te, cercano di capire quel che ti preoccupa e vogliono aiutarti. Se tu, però, ti chiudi, come puoi pretendere che gli altri ti capiscano e continuino a starti vicino?

Gabriel era troppo concentrato su di sé e questa era una prova della sua pericolosità.

Isaia aveva visto il suo lato oscuro, ne era rimasto molto scosso e spaventato. Dopo averlo visto per la prima volta, non aveva però abbandonato del tutto la speranza, aveva continuato a stargli vicino a tentare di capire, di aiutare … inutile.

Quando poi, il giorno prima, lo aveva visto di nuovo in quello stato furioso, aspetto che aveva terrorizzato e allontanato perfino Claudia, Isaia aveva perso la speranza. Possibile che Gabriel non si rendesse conto? O pensava solo a Claudia? Non supponeva che come lei era rimasta scioccata, così poteva essere stato anche per Isaia, che era presente? Non lo aveva sfiorato il dubbio che anche lui era rimasto scosso, che anche lui avrebbe avuto bisogno di essere rassicurato?

Gabriel gli aveva detto che c’era una terza speranza, oltre alla morte e al volere di Serventi. Forse era vero, ma come poteva crederlo Isaia? Come poteva avere fiducia in lui se, invece di imparare a controllarsi, Gabriel peggiorava sempre più?

Isaia sarebbe stato ben contento di salvare l’amico, ma non c’era modo di liberarlo. Gabriel era il male. Lui, Isaia, era un emissario del Bene, non c’erano alternative alla lotta a cui erano destinati.

Gabriel, però, non lo aveva ucciso, non si era abbandonato a rabbia o vendetta, forse c’era ancora speranza, o forse era l’ultimo barlume di bontà che gli era rimasta, prima dell’inabissamento totale. Oh, Gabriel, se solo fossi rimasto nella cripta ancora un poco, anziché abbandonarlo lì da solo, se gli avessi parlato, se lo avessi rassicurato, chissà … forse le cose sarebbero potute andare diversamente, forse avrebbe potuto convincersi o illudersi che davvero esisteva quella terza via di cui parlavi … ma te ne eri andato, lo avevi abbandonato …

Vederti voltargli le spalle, vederti uscire, saper di averti perso … forse era più doloroso della consapevolezza del proprio dovere. Forse era il medesimo dolore.

In quel momento, però, aveva realizzato di essere solo. Si era già sentito solo più e più volte, in quei giorni, in quel momento, invece, aveva capito di essere solo.

Era poi arrivata quella ragazza, così preoccupata per lui, così premurosa. Isaia era certo che ci fosse una motivazione ben precisa per quel sentimento, ma continuava a sfuggirgli quale fosse.

Comunque era contento di averla conosciuta e che gli stesse vicino in quel momento: lui aveva davvero bisogno di sostegno, di un po’ di conforto e quella ragazza si stava sforzando tantissimo per lui. Benché non la comprendesse, apprezzava quell’impegno e quel calore.

Isaia si addormentò pensando a queste cose. Dormì a lungo, per molte ore, quando si svegliò era già metà mattina, si sentiva un po’ più rilassato rispetto al giorno prima. Si alzò, prese i propri abiti e andò nel bagno a lavarsi e vestirsi. Aveva ancora la tonaca da prete; ne aveva diritto? Era ancora tale? Sì, lo era. Lui non aveva rinunciato né ai voti, né ad altro, non era stato scomunicato (almeno al momento) per cui aveva pieno diritto di vestirsi in quella maniera.

Andò verso la cucina e vi trovò un biglietto con su scritto:

Buondì Padre Isaia! Non ho voluto svegliarla, io sono andata a recuperare i suoi libri. Se avesse fame, troverà vicino ai fornelli un piatto con alcune frittelle (spero si tengano in caldo) e lì accanto ci sono il miele d’acacia e la marmellata di ribes. In frigo troverà del latte, se gradisce un caffè, la moka è già pronta, basta accendere la fiamma. Tornerò intorno all’ora di pranzo. Un abbraccio.

Isaia sorrise e dovette riconoscere che quella ragazza conosceva davvero molto di lui: non erano in molti a sapere che preferiva buondì a buongiorno, ancor meno sapevano quali fossero il suo miele o marmellata preferiti. Si mise a fare colazione.

Contemporaneamente, Michela era sul furgoncino del suo amico Massimo e con lui stava parcheggiando nel piazzale su cui si affacciava la sede della Congregazione. La giovane non voleva essere identificata, per cui aveva raccolto i capelli stretti, stretti, li aveva chiusi in una cuffia e poi aveva indossato una parrucca bionda a caschetto. Se avesse saputo padroneggiare bene la Magia, avrebbe potuto fare in modo che nessuno si accorgesse o percepisse la sua presenza, ma ancora non aveva raggiunto quei livelli di bravura, dunque si affidava in parte all’arte del camuffarsi.

“Massimo, resta qui, devo prima rintracciare una persona che ci aiuterà.”

L’uomo, che aveva sui trent’anni, annuì e alzò il volume della radio. Michela iniziò ad aggirarsi per il cortile interno e i portici della sede della Congregazione, riuscendo a non attirare l’attenzione; la descrizione che Isaia aveva fatto di Vairocana era: non alto, tratti orientali, pelato, sulla quarantina, abiti gialli e bordò. Queste informazioni non erano sufficienti per distinguerlo dagli altri. Non appena vide un monaco buddista, la ragazza lo avvicinò e gli chiese se sapesse dove si trovasse Vairocana; l’uomo annuì e l’accompagnò.

Namasté!” la salutò lui “Cosa posso fare per lei?”

Michela si guardò rapidamente attorno per essere certa che non ci fossero altri attorno, poi disse sottovoce: “Mi manda padre Morganti.”

“Ah, Isaia! Ho sentito cattive parole su di lui, questa mattina. Che cosa gli è successo?”

“Beh, diciamo che ha avuto qualche problema con la retta visione, il che ha reso pericolosa la sua retta intenzione e l’ha indotto a non compiere la retta azione. Ha dunque deciso di prendersi un periodo di pausa da dedicare alla retta presenza mentale e la retta concentrazione.”

“Oh, suppongo non siano state queste le sue precise parole, nonostante gliene abbia più volte parlato, non ha mai dato grande importanza all’ottuplice sentiero.”

“Ha ragione, Isaia non ha parlato in questo modo, ma il concetto è questo.”

“Beh, che cosa l’ha mandata a fare?”

“Isaia gradirebbe avere i propri libri, mi ha detto di chiedere aiuto a lei per prelevarli.”

Vairocana annuì e disse: “Ho le chiavi del suo appartamento, capitava spesso che fosse in giro e gli insorgesse il bisogno di un volume o un altro che aveva in casa e mi chiedeva di portarglieli. Venga, le mostro gli alloggi.”

La ragazza seguì il monaco e arrivarono in un paio di minuti al vecchio appartamento di Isaia. Vairocana aprì la porta. Michela entrò e respirò profondamente e si aggirò per le stanze con un certo brio.

“Qualcosa non va?”

“No, no, tutto bene … è che … questo posto è impregnato della sua energia … ovvio ha vissuto qui … si percepisce molto, si sente che questo luogo è suo.”

Il buddista annuì e osservò: “Non è il genere di frase che mi sarei aspettato da un’amica di Isaia, ma fa piacere. Allora, cominciamo?”

“Sì, certo. Accidenti, sarebbero utili degli scatoloni … pazienza.”

La ragazza si avvicinò ad uno scaffale e iniziò a prendere qualche libro e poi uscì e il monaco fece altrettanto; non chiusero la porta, certi che nessuno sarebbe entrato nel frattempo. I libri erano diverse centinaia, la giovane e il buddista riuscivano a trasportate non più di venti libri per giro, quindi avrebbero dovuto fare avanti e indietro numerose volte. Massimo non poteva aiutarli, perché doveva stare vicino al furgoncino a sorvegliarlo. Quell’operazione non passò certo inosservata, infatti, di ritorno dal quarto giro, si trovarono davanti padre Alonso, appoggiato alla porta, col sigaro acceso in bocca.

Hola amigos.” salutò il bibliotecario “Que fate?”

Michela prevenne il buddista, con aria molto severa e sicura di sé, si avvicinò al prete, porse la mano e si presentò: “Francesca Rabitti. Sono della ditta di trasloco Carri&Rabitti, siamo stati incaricati di svuotare questo appartamento e trasferire gli oggetti altrove. Avete qualcosa incontrario?”

“Ho visto il vostro furgone, non siembra quelo d’una dita de trasloco.”

“Sarò sincera con lei: lavoriamo in nero. Non abbiamo ancora il capitale base per poter aprire la partita iva e metterci in regola, per cui adesso stiamo svolgendo alcuni lavori in maniera illegale per poter mettere da parte un po’ di denaro.”

“Ah, entiendo, entiendo.” rispose Alonso, annuendo “Se vede che siete alle prime armi, non avete alcuno strumiento, vi stuferete priesto a portare todo a mano.”

“Se vuole, può aiutarci, infondo è piuttosto robusto.”

“Va bien, facio una telefonada e poi ve aiuto!”

Alonso si allontanò di qualche passo, prese il cellulare, parlottò un poco, poi si aggregò alla ragazza e al monaco per trasportare i libri e nel mentre commentava tra sé e sé i vari titoli che gli capitavano sott’occhio.

Meno di una mezz’ora dopo, arrivò Gabriel, si accostò al bibliotecario che gli indicò la ragazza e gli bisbigliò qualcosa. Il sopraggiunto si avvicinò alla donna e le chiese: “Scusi, posso scambiare con lei alcune parole?”

Michela si sentì un attimo incerta, doveva mantenere la calma e la copertura; per cui si concentrò, si avvicinò all’interlocutore e con un falso sorriso gli domandò come potesse essergli utile.

“Dove portate queste cose?”

“Non sono autorizzata a riferire quest’informazione.”

“Il proprietario di questi oggetti è un mio amico, ho il diritto di sapere.”

“Che lei sia o non sia amico del mio cliente, non mi interessa, devo tutelare la pivacy; se il suo amico non ha voluto riferirle i suoi spostamenti, io non ho certo l’autorità di scavalcare il suo volere.”

“Voi non siete una ditta in regola, ammesso che siate davvero una ditta. Quindi o mi dice quello che voglio sapere, o chiamerò la polizia. Cosa ne dice?”

“Io non ho commesso alcuna infrazione, ho avuto le chiavi per accedere all’appartamento, di conseguenza non può accusarmi di nulla.”

“Non siete in regola, per vostra stesa ammissione.”

“Lo provi.” lo sfidò lei “Dirò che sto facendo un favore ad un amico. È la mia parola contro la sua, sarà un nulla di fatto.”

“Quanta arroganza! Fai parte anche tu dei Templari?”

“Signore, lei guarda troppi film, lo sanno tutti che i Templari non esistono più da secoli.”

“E allora com’è che ieri hanno tentato di uccidermi?”

“Se davvero qualcuno ha tentato di ucciderla, deve rivolgersi alla polizia, non a dei traslocatori.”

Gabriel si stava innervosendo! Ci teneva parecchio a parlare con Isaia e quella donna glielo stava impedendo!

Michela, da parte sua, non avrebbe voluto essere così antipatica, ma non doveva dire nulla: per il momento era meglio che Isaia restasse lontano da Gabriel, nelle condizioni in cui era, probabilmente lo avrebbe di nuovo aggredito e ciò era meglio che non accadesse. Lei sapeva quanto fosse fondamentale l’amicizia di Isaia e Gabriel, ma per il momento avrebbe giovato ad entrambi stare lontani, o almeno così credeva lei.

“Senta, ragazza, facciamo in questa maniera.” si calmò Gabriel “Io ora scriverò una lettera e lei la consegnerà ad Isaia, d’accordo?”

La ragazza ci pensò un attimo e poi acconsentì: “Sì, questo è possibile.”

L’ex prete, allora, si allontanò e tornò dopo una ventina di minuti, portando una busta chiusa che mise in mano alla giovane, raccomandandosi: “Gliela faccia avere e … se davvero lei non è nei Templari e se per caso vuole bene ad Isaia, lo aiuti e lo faccia tornare in sé.”

È assolutamente in sé, ha solo fatto un errore di calcolo per ignoranza. Avrebbe voluto rispondergli la ragazza, ma non lo fece.

Poco dopo, tutti i libri erano stati caricati. Michela salutò il monaco e padre Alonso e li ringraziò per l’aiuto; poi salì sul furgoncino e come prima cosa disse: “Massimo, loro tenteranno di seguirci, fa in modo di seminarli, non devono scoprire dove andiamo.”

“D’accordo.”

Girovagarono per le strade di Roma per oltre mezz’ora e riuscirono a far perdere le proprie tracce a Stefano che, contattato da Gabriel, aveva provato a pedinarli. Arrivati in via Veneto, Massimo disse che sarebbe tornato il giorno dopo a riprendere il furgoncino, poiché aveva impegni improrogabili in quella giornata. Michela entrò in casa e si stupì nel trovare Isaia praticare la meditazione sui chakra, che lei gli aveva insegnato. Camminò dunque piano, in punta di piedi per non disturbarlo; essendo ormai le tredici, scivolò in cucina e riempì una pentola d’acqua e la mise a bollire, poi passò a preparare il sugo: ricotta, noci, un poco di miele, noce moscata e due chiodi di garofano.

“Bentornata.” la salutò Isaia, dopo qualche minuto, affacciandosi sulla soglia della cucina “Grazie per non avermi interrotto.”

“Si figuri, so bene quanto sia importante che una meditazione non sia disturbata. Le è stata utile?” la sua dolcezza nel rivolgersi ad Isaia era qualcosa che non può avere paragoni.

“Sto bene.” rispose lui “Non so quanto durerà. Basterà ch’io ripensi a Dio, a quello che credevo fosse Dio, a quello che ora so essere Dio … e subito tornerò ad agitarmi.”

“Isaia, solo perché ha imparato una cosmologia diversa da quella a cui era abituato, non deve dubitare di Dio, né che esso sia il nostro fine ultimo, anzi il fine eterno.”

“Se bene e male sono entrambi provenienti da Lui e Lui è indifferente alle nostre azioni … non vedo cosa c’entri Lui con noi. È davvero un bene che la Chiesa nasconda questa verità: la gente perderebbe ogni freno e morale.”

“Sta dunque dicendo che il mondo è in balia dell’ingiustizia e che Dio rimane estraneo? Proprio lei che è un gesuita dà ragione a Giansenio? Dio ci chiama costantemente a sé, Dio ci indica sempre la nostra strada migliore, ma noi o non ce ne accorgiamo o la temiamo e spesso non la intraprendiamo. Noi, con la ragione, possiamo conoscere solo il fantasma di Dio e la sua ombra, che è il diavolo. Le lotte tra il bene e il male avvengono tra queste due concezioni, una che ci guida verso il vero Dio, l’altra che ci allontana da Lui. Il Dio Assoluto, quello che ci sembra indifferente, è sempre presente e non ci abbandona mai. Questo, almeno, è quello ch’io credo.”

“È bello, sembrerebbe anche giusto, credibile.”

“Spero che anche lei, presto, tornerà a sentire la presenza di Dio; non c’è nulla di peggio che credersi lontani da Lui. Ah! Cambiando argomento, là fuori c’è il furgoncino coi suoi libri. Ne ha veramente tanti!”

“Ci sono stati problemi?”

“Gabriel ed Alonso hanno fatto domande, ma non hanno scoperto nulla. Ovviamente avevano capito che questi libri le sarebbero arrivati, per cui Gabriel mi ha consegnato una lettera da darle. Eccola.”

Isaia l’afferrò rapidamente e in un lampo la estrasse dalla busta, poi chiese: “Ti dispiace se la leggo subito? O è pronto il pranzo?”

“Faccia pure con comodo.”

Isaia andò in salotto e iniziò a leggere.

 

Isaia, sono Gabriel, spero ti consegnino davvero questa mia, perché ho bisogno di parlarti. Ieri eravamo entrambi molto agitati per tutto quello che stava accadendo, io ero arrabbiato e stufo di tutta questa storia, tu probabilmente eri spaventato. Spero che tu, come me, oggi sia più tranquillo e disposto ad ascoltare e a spiegare. Non sei mai stato una persona violenta, le poche volte che hai dovuto impugnare un’arma era solo per difesa, mai per attaccare.

 

Infatti stavo difendendo il mondo –commentò, tra sé, Isaia.

 

Sei stato molto ingiusto nei miei confronti! Hai avuto il coraggio di dire di essere disposto a morire per me, mentre tentavi di uccidermi. Che cosa ti è saltato in testa? Da quanto ti sei lasciato ingannare da Vargas? Quali dei tuoi consigli, in questi giorni, erano sinceri? Io ti ho proposto la pace, ma tu l’hai rifiutata, come hai potuto? Hai tradito me! L’unico che ti fosse amico! Avrei avuto perfettamente diritto di assecondare la richiesta di Serventi e ucciderti, ma non l’ho fatto poiché tutta questa guerra è insensata e ingiusta, perché tu non lo capisci? Perché hai sputato sulla mia offerta di pace? Hai detto più di una volta che questo è il nostro destino, che né io, né te abbiamo scelta, perché ne sei così convinto?

 

Tu stesso hai detto di non avere scelta, quando ti ho chiesto di non mettere in pericolo tutti quanti, solo per salvare Claudia e non mi hai ascoltato.

 

Sei sempre stato un fiero sostenitore del libero arbitrio, tanto da preferire l’eretico Pelagio a Sant’Agostino o San Girolamo!

 

Esatto, il pelagianesimo: ognuno ha piena responsabilità dei propri peccati. I peccatori non sono vittime ma criminali! …. E hanno bisogno del perdono …

 

Perché ora ti abbandoni a questo fatalismo? Non credi più che homo faber suae fortunae? Cosa ti hanno raccontato e chi? Perché non hai più fiducia in me? Posso controllarmi, posso evitare di diventare quello che Serventi vuole, lo sento e lo so! È Claudia, lei è la mia forza che mi permette di resistere ad ogni cattivo sentimento.

 

Proprio questo prova che sei un pericolo! –pensava Isaia- Dipendere dagli altri non significa certo superare le proprie debolezze. Tu, qui, stai ammettendo che l’unico freno che hai è la Munari; Serventi potrebbe rapirla di nuovo, oppure lei potrebbe semplicemente mutare i suoi sentimenti per te e, allora, che cosa sarà? Perderai di nuovo il controllo e senza poter tornare indietro.

 

Isaia, io non sono un pericolo! Hai ragione, c’è la possibilità ch’io lo diventi, ma nessuno può punire preventivamente.

 

Prevenire è meglio che curare. Specialmente se il tuo lato oscuro è potente come sostiene Serventi. Una volta scatenato, come ti si potrebbe fermare?

 

Se davvero mi trasformerò e inizierò a fare del male, allora avrai tutto il diritto e il dovere di fermarmi e di uccidermi, ma non prima. Se mi uccidi ora, che non ho ancora fatto nulla, allora sarai un assassino e non il giustiziere che sogni di essere.

 

Meglio macchiarmi io di un peccato e condannare la mia anima, piuttosto che condannare l’umanità intera!

 

Capisco che tu possa essere spaventato, immagino che mentre ci hanno attaccati in chiesa e io ho visto il mio doppio malvagio, anche tu abbia avuto tremende visioni; Alonso mi ha detto che tu, nell’accademia astronomica, hai avuto di nuovo a che fare con quel giovane. Che cosa ti ha mostrato? Dev’essere stato tremendo per convincerti della necessità di uccidermi; non credi, però, che possa essere stato un inganno di Serventi? Quante volte ci ha fatto credere falsità per i propri scopi? Non capisci? Voleva che tu mi tradissi, così che io, furioso, uccidendoti, diventassi ciò che lui vuole. Ma non l’ho fatto! Visto? C’è ancora speranza! Noi possiamo decidere delle nostre azioni, la scelta c’è, sempre!

 

Quanto vorrei fosse vero! … … Effettivamente, però, Foschi sosteneva che Gabriel potesse scegliere come cambiare … e anche Rebecca aveva detto che c’era un’altra possibilità …

 

Isaia, tu eri mio amico, non è giusto che tu abbia deciso di considerarmi una minaccia e di andartene. Se per caso ti sei pentito e vuoi tornare indietro, non provare vergogna o timore, torna! Io sono qui che ti aspetto. Tutti facciamo errori, anch’io ne ho fatti e tu mi hai perdonato. Credimi, non ho rancore verso di te, capisco pure le tue ragioni. Lo so che tu non ce l’hai con me, ma col mio lato oscuro. Ti garantisco che non prevarrà mai.

 

L’ha già fatto più di una volta! E sempre peggio!

 

Torna da noi, Isaia, la Congregazione ha bisogno di te! Sei forse l’elemento più valido che hanno! Cosa possono realmente fare quei Monsignori, da soli? Torna a combattere contro il diavolo assieme alla Chiesa e non abbandonarti a quell’ordine sanguinario che ha molto poco di cristiano. Isaia, torna, la mia amicizia non ti è venuta meno.

Se non c’è modo di farti cambiare idea, allora ti auguro ogni bene e spero che Dio non ti abbandoni, fratello.

 

Isaia rilesse quelle righe più e più volte. Davvero vi trovava speranza, davvero gli pareva che le cose non fossero più così o bianche o nere come gli era sembrato il giorno prima, eppure aveva paura di illudersi, temeva che fosse il suo affetto a farlo ragionare in quel modo e non la sua razionalità. Gli dispiacque, però, vedere che Gabriel non aveva detto neppure una volta mi dispiace, come se in realtà la perdita dell’amico non gli fosse poi molto dolorosa. Isaia lo conosceva bene, sapeva che Gabriel esprimeva la sofferenza non con le lacrime, ma con la rabbia (e di quella ne aveva trovata nella lettera), aveva però sperato di leggere qualche espressione di rammarico.

Il gesuita sospirò e andò a pranzo.

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Capitolo 10
*** I parenti ***


“Dove metterà tutti i suoi libri, adesso?” domandò Michela ad Isaia, mentre stavano pranzando.

L’uomo, dopo la lettura della missiva dell’amico, era rimasto silenzioso, ragionava su quelle parole. La ragazza aveva rispettato il suo tacere per alcuni minuti, poi, vedendolo malinconico, aveva tentato di distrarlo con quella domanda.

“Sinceramente non lo so. Ti ho detto di prenderli, ma non ho idea di dove tenerli. Non so neppure dove abiterò … se avrò una casa fissa o se sarò costretto a cambiare …”

“Le proporrei di lasciarli qua, così sarei sicura che tornerà a trovarmi, ma purtroppo ho già i miei volumi che prendono tutto lo spazio disponibile.”

“Peccato, sarebbe stato bello avere un posto in cui tornare, in cui riposare tra una missione e l’altra … ma ormai non ho più diritto a un luogo del genere. Sono un Templare, la mia vita sarà errante, immagino.” c’era dispiacere in quelle parole. Isaia sapeva che l’attaccamento a un luogo è sbagliato, che è un’illusione quella delle radici, eppure gli dispiaceva diventare un vagabondo, senza che nessun posto gli appartenesse.

Michela azzardò a protrarsi un poco in avanti e fare una carezza su una guancia al prete, che sollevò lo sguardo stupito, ma non disse nulla; poi la giovane parlò: “Beh, se le può fare piacere, questa casa può essere a sua disposizione, io sarò sempre felice di accoglierla.”

“Grazie, sei molto gentile.” rispose lui, sorridendo e piacevolmente sorpreso “Me ne ricorderò.”

“Per i suoi libri, ho un’idea!” annunciò, raggiante, lei.

“Sentiamo.”

“I miei nonni abitano in una villa, qui in campagna, sono certa che avranno una stanza per la sua biblioteca. Poi, ovviamente, se troverà un posto dove abitare, glieli faremo recapitare.”

“Per il momento è la soluzione migliore, ti ringrazio ancora.”

“Perfetto, allora, li porterò dai miei parenti tra poco; ne approfitterò che devo recuperare Giorgio.”

“Ti accompagnerò.”

Michela si irrigidì e disse: “Non preferisce starsene qui, tranquillo? Non sarà un affare breve, starò via almeno un paio d’ore, forse più, non è il caso che lei perda tutto questo tempo.”

“E cosa dovrei rimanere a fare qui?”

“Beh, pensavo avesse bisogno di meditare e ragionare …” la giovane era un po’ in difficoltà.

“No, ho pensato che devo distrarmi. Hai presente quando ragioni talmente tanto su un problema che non riesci più a vederlo con lucidità e, appena lo lasci perdere e ti rilassi, la soluzione sorge quasi spontaneamente? Ecco, penso che sia il mio caso. Sono sicuro che non appena smetterò di pensare ai giorni scorsi e mi rilasserò, ecco che capirò come agire.”

“Sì, è giusto quello che dice, ma non preferirebbe distrarsi in altra maniera? Sa, temo potrebbe annoiarsi a casa dei miei nonni.”

“Sono Magi anche loro?”

“Sì.”

“Allora voglio venire. Da come ieri mi hai parlato dei Magi e della loro organizzazione, penso siano persone interessanti da conoscere.”

Michela capì che trovare altre scuse sarebbe stato inutile, per cui sospirò e disse: “Va bene, mi accompagni pure, ma a una condizione: qualsiasi cosa succeda, qualunque cosa veda, in qualsiasi maniera la trattino, lei non dovrà mai chiedere perché? né a me, né a nessun altro.”

Il gesuita acconsentì e dunque, un’ora e mezzo più tardi, si trovarono davanti alla villa in stile liberty, nella campagna romana, in cui vivevano i nonni e gli zii di Michela.

C’era il Sole, l’aria era calda, per cui trovarono subito in giardino alcuni bambini che giocavano e una signora che leggeva, seduta su un dondolo, indossava una sciarpa rossa come quella che stava portando anche Michela in quel momento.

“Ciao, zia!” salutò la ragazza.

La donna, che pareva avere poco più di trent’anni, si alzò in piedi ed andò a salutare la nipote che fece le presentazioni: “Zia, ti presento Padre Morganti. Isaia, questa è mia zia Camilla.”

“Lieto di conoscerla.” disse il prete.

“Piacere mio.” disse la signora, poi spostò gli occhi sulla nipote e chiese: “Ma, per caso è …?”

“Sì.” annuì la ragazza.

“Oh, è davvero un piacere conoscerla!” ribadì Camilla al gesuita “È un vero onore averla qui …”

“No! No, zia! Lascia stare.” la zittì in fretta Michela.

“Ma come?” si stupì l’altra.

“Vieni un momento. Ci scusi, Isaia.”

La ragazza si allontanò di qualche passo con la zia e le sussurrò: “Cerca di contenere l’entusiasmo, lui ancora non sa.”

Ohu, peccato.”

“Non volevo venisse, ma ha insistito per seguirmi. Quindi adesso non metterti a chiamare mezzo mondo.”

“No, certo … avverto solo un paio di persone.”

“No!” ribadì la ragazza.

“Si offenderanno se scopriranno che lui è stato qua e io non li ho avvisati.”

“Quando finalmente Isaia avrà trovato la sua consapevolezza, potrai invitare chi ti pare. Adesso no.”

“Non ha importanza se non sa: basta la sua sola presenza! Dai, non ti preoccupare, non chiamerò tutti, solo pochissimi intimi … Su, vai dentro a chiamare tuo nonno e gli altri, ci penso io a fargli compagnia.”

Michela alzò gli occhi al cielo e sospirò: era stata una pessima idea permettergli di venire. Ormai, però, era lì. La ragazza andò verso il portone. Camilla, intanto, si era avvicinata ad Isaia e gli aveva domandato: “Potrebbe benedirmi?”

Il prete sollevò le sopracciglia un po’ stupito: non era una richiesta comune, ma accettò. Sollevò la mano destra con il mignolo e l’anulare piegati e poi disegnò una croce per aria, pronunciando in latino la frase di rito.

“Oh, grazie! Grazie!” fu tutta contenta la donna e poi aggiunse: “Potrebbe benedire anche i bambini?”

Avuta risposta affermativa, da un Isaia sempre più perplesso, Camilla chiamò i bimbi perché ricevessero anche loro la benedizione dal prete.

L’uomo pur non dandolo a vedere, era un poco in imbarazzo: di solito, quando benediva persone, era perché erano possedute o rischiavano di diventarlo, dunque lo aveva sempre fatto solo per proteggere da un pericolo imminente. Benedire come gesto propiziatorio era qualcosa a cui non era abituato; inoltre si domandava come mai chiedessero una benedizione a lui: un semplice prete. Quello era il genere di cose che si chiedeva a un vescovo o monsignore, qualcuno che avesse un alone di santità maggiore del suo.

Poco dopo varia gente iniziò ad uscire dalla villa, erano uomini e donne di varie età e anche giovani, alcuni indossavano sciarpe azzurre, altri rosse, qualcuno nere, un paio bianche. Sembravano tutti alquanto contenti. Michela, che era con loro, si affrettò a superare gli altri e ad affiancare Isaia.

“Questi sono tutti tuoi parenti?” domandò il prete, stupito.

“Sì. Essendo una villa molto grande, mio nonno e sua sorella hanno deciso di vivere tutti assieme qui, con anche i loro figli, tutti alquanto prolifici.”

“Buon pomeriggio! Ben venuto, ben venuto!” lo accolse un uomo che sembrava avere non più di cinquant’anni “Io sono Corinno, il nonno di Michela. Siamo felici di averla qui.”

“Nonno, veramente noi siamo qui solo per prendere Giorgio e lasciare dei libri.” intervenne, un po’ frettolosamente, la ragazza.

“Lo so, ma giacché siete qui non rifiuterete certo la nostra ospitalità!” insisté Corinno “Tra poco arriverà anche mia moglie, sta preparando tè per tutti. Mentre l’aspettiamo, Padre Morganti potrebbe benedirmi. Sa, alla mia età è sempre meglio approfittare di tutte queste occasioni!”

“È vero che non possiamo sapere quando Dio ci chiamerà a sé” rispose pacatamente Isaia “Ma lei non mi pare anziano e sembra decisamente in forma.”

“Eh, l’apparenza inganna!” replicò Corinno “Io sono vicino ai novanta!”

Isaia sgranò gli occhi, incredulo! Quell’uomo dimostrava la metà degli anni che sosteneva di avere!

“Poi, magari, potrebbe anche confessarmi.” continuò l’uomo “Ho l’immodestia di pensare di non aver troppi peccati sulla schiena, ma una bella assoluzione generale è sempre cosa buona e giusta, lei cosa ne dice?”

“Certo si può fare.” acconsentì Isaia.

“Anch’io voglio la sua benedizione e confessarmi!” esclamò qualcuno.

“Anch’io! Anch’io!” gli fecero eco altri.

“No!” Michela cercò di frenarli “Non potete tutti …”

“Tranquilla!” la interruppe Isaia “La confessione è uno dei ministeri principali dei gesuiti, sarò felice di accontentarli.”

“Ma ha visto quanti sono? Impiegherà delle ore!”

“Non ha importanza.”

“D’accordo, come vuole lei.” si rassegnò Michela, che poi si rivolse ai parenti: “Mentre aspettate il vostro turno per la confessione datemi una mano a portare in casa i libri e a sistemarli!”

Così avvenne. Isaia fu condotto in una stanza e uno alla volta tutti quegli uomini e quelle donne; erano all’incirca una ventina di adulti (tra zii e cugini), per cui il prete rimase occupato per circa tre ore.

“Mi spiace che la abbiano presa d’assalto in questa maniera.” si scusò Michela, quando il prete ebbe finito. Erano rimasti un poco soli in un salotto, stava ormai scendendo la sera.

“Oh, non è stato un disturbo, è mio dovere anche questo. Non capisco, però, una cosa: i tuoi parenti hanno avuto un atteggiamento molto religioso, questo farebbe supporre che siano credenti praticanti, ma allora perché si sono rivolti a me e non al parroco della loro chiesa?”

“Non è una questione religiosa, per loro, ma puramente spirituale.”

“In che senso?”

“Non si sarebbero comportati in questa stessa maniera con un altro prete.”

“Perché?”

“Come le ho detto, non risponderò a nessun perché riguardo a quel che capita qui.”

“Non mi puoi dire neppure perché tutti portate sciarpe?”

“Oh questo sì, glielo posso spiegare. La sciarpa è un simbolo per indicare il grado di progressione spirituale. Si parte dall’azzurra, poi c’è la rossa, la nera e la bianca. Non vengono attribuite da nessuno di noi, ma sono doni in cui ci imbattiamo casualmente, quando le meritiamo, può capitare che ci vengano regalate da qualcuno che non conosce le nostre tradizioni, o di vincerla o trovarla dimenticata da qualche parte. Magari ogni tanto la sciarpa azzurra, che indica l’inizio del percorso, o la nera vengono fatte trovare dagli anziani ai più giovani, ma non oltre.”

“Il rosso è dunque un grado avanzato.”

“Abbastanza infatti è insolito che una persona giovane come me l’abbia; di solito i primi insegnamenti vengono iniziati ad essere impartiti attorno ai dodici anni, ma si ottiene la sciarpa azzurra a diciotto; per quella rossa non ci sono tempi specifici.”

“Capisco. Un’altra domanda. Come mai tuo nonno dice di avere novant’anni?”

“Perché li ha.”

“Non sembrerebbe affatto.”

“Lo so, benefici della magia. Una buona vita spirituale mantiene più a lungo anche il corpo.”

Entrò allora nel salotto la nonna di Michela, spingendo un carrellino con sopra una teiera, alcune tazze, biscotti e il necessario per prendere il tè. La seguiva Corinno e tutti e quattro assieme bevvero l’infuso e scambiarono alcune parole, sarebbero andati avanti a lungo, se non fosse stato che, dopo pochi minuti, sopraggiungesse un altro uomo dall’aria entusiasta, che subito chiese: “Padre Morganti, vorrebbe concedermi di esercitarmi con lei con la spada?”

“Zio!” lo rimproverò veementemente Michela.

“Non useremo spade vere, ma quelle di bambù.” garantì, quasi fosse un bambino che vuole rassicurare il genitore.

“Zio, no! Isaia non sa usare le spade.” fu irremovibile la ragazza.

“Ma come?” si sbalordì l’altro “Impossibile! Non dire sciocchezze.”

“Ne ha impugnata una ieri per la prima volta.”

“Davvero? Ma allora devo insegnargli assolutamente qualcosa! Venga, venga, Padre Morganti!”

Si aggiunse Corinno: “Sì, mi pare un’ottima idea, vada!”

“Ma, veramente …”

Le rimostranze di Michela o Isaia furono ignorate e il prete venne quasi trascinato fuori dalla stanza, senza avere modo di reagire. La ragazza guardò il nonno con rimprovero e lui le disse: “Su, su, non fare così, vedrai che si divertirà e gli farà bene.”

“Non lo potete traumatizzare comportandovi in questa maniera” protestò lei “Non sa ancora.”

“Eh, va beh! Piuttosto, tu sai che cosa sia successo circa la questione di Gabriel? Abbiamo tutti avvertito la minaccia che incombeva, il pericolo sfiorato, ora sembra tornato tutto di nuovo in uno stato quiescente, puoi darci qualche dettaglio in più sui fatti?”

Michela raccontò tutto quello che aveva saputo circa Gabriel, Isaia e i Templari.

“Quindi gli ha risparmiato la vita? Ha represso il lato oscuro e ha dato più valore all’amicizia che al tradimento …” osservò Corinno “Questo è un ottimo segnale, direi. Sai bene quanto sia importante il loro legame.”

“Purtroppo non siamo i soli a saperlo.” sospirò con preoccupazione Michela.

“Cosa intendi?”

“Ho rivisto Serventi …”

“Ti ha fatto del male?!” si preoccuparono quasi all’unisono i nonni.

“No. Mi ha solo detto alcune cose …” era cupa e pensierosa.

“Quali? Dicci.” la esortò Corinno, comprensivo.

“Serventi ha sempre messo al centro del proprio piano Gabriel, tanto che noi pensavamo gli interessasse solo lui e da come ha agito in questi giorni pare sia effettivamente così: ha tentato di uccidere sia Claudia che Isaia! Eppure temo che in realtà non escluda di poter realizzare la stella nera. Non so quando abbia capito la vera natura di Isaia … È chiaro che per Serventi la figura chiave è Gabriel e che è disposto ad uccidere chiunque sia un ostacolo, ma credo che possa avere, come al solito, depistato le nostre impressioni e che voglia fare almeno un tentativo di formare la stella nera. In fondo mettere in pericolo Claudia gli serviva per provocare Gabriel; mentre spingere Isaia verso i Templari non era solo un modo per indurlo al tradimento, ma anche per spingerlo su una strada lontana da Dio. Sa che con solo Gabriel  il successo del suo piano non potrà essere definitivo e rimarrà sempre in pericolo; per la sua vittoria definitiva gli occorre anche Isaia. Non avevo mai supposto che Serventi fosse così ambizioso, pensavo temesse la piega alternativa che potrebbero prendere le cose, invece, da quello che mi ha detto ieri, sembra proprio che abbia in mente questo. Forse è per questo che, in realtà, ha ucciso i miei genitori e mi ha cresciuta: voleva usarmi per consegnargli Isaia, in una qualche maniera.”

“Se fosse vero, sarebbe ben terribile.” osservò la nonna “Dobbiamo fare in modo che Isaia ritrovi Dio.” ragionò un attimo, poi aggiunse: “Restate a cena qui, stasera, gli faremo ripassare un po’ di cosmologia.”

Così avvenne, intorno alle ventuno si ritrovarono a tavola assieme oltre trenta persone, tutte di buon umore. Isaia aveva qualche livido, ma il suo compagno d’armi era molto soddisfatto di come avesse imparato rapidamente a maneggiare la spada.

“Scusi mi è sorto un dubbio.” disse ad un certo punto Isaia, rivolto a Corinno “Ma voi non siete Zoroastriani? Perché avete voluto avere la mia benedizione?” era una domanda studiata apposta nella speranza di scoprire finalmente qualcosa.

“Lei è un ministro di Dio, la rispettiamo in quanto tale, non ci importa quale rito esterno pratica.” rispose pacatamente l’uomo.

“Ma voi in che cosa credete?” insisté il gesuita.

“In Dio.”

“Quale?”

Corinno rise poi rispose: “Nell’unico Dio. Se intende invece, sapere la mia opinione circa la cosmologia, allora è un altro tipo di domanda a cui sarò ben lieto di rispondere.”

“Sì, grazie, vorrei sentire il vostro parere.”

“Allora io credo che il Dio decise di creare il tempo e lo spazio e di mettervi a capo un proprio figlio (o emanazione) e si mise a fare ciò che era necessario.” iniziò a spiegare Corinno “Ma mentre eseguiva il rito, ebbe un dubbio e dunque nacquero due figli: uno generato dal rito e quindi dall’ordine, l’altro sorto dal dubbio e quindi dal caos. Essi fin da subito iniziarono a disputarsi il mondo in cui si trovavano e del quale erano nati entrambi per esserne sovrani.”

“Io non concordo.” intervenne sua moglie “Dio non può avere dubbi. Egli creò subito due emanazioni di sé, una scelse di seguire l’ordine dato da Dio, l’altra di disobbedire e da lì è nato il loro contrasto.”

Un’altra donna che aveva ascoltato disse la propria: “Perché dev’essere per forza una guerra e non un gioco? La vita è solo un gioco, non importa vincere o perdere, ma solo partecipare. Come in tutti i giochi, però, ci sono delle regole, altrimenti non ci sarebbe gusto, da qui le leggi morali.”

“La vita un gioco?” si meravigliò Isaia.

“Certo.” gli disse Michela “Lei che è un gesuita dovrebbe ben sapere qual è l’importanza del gioco per l’educazione di un bambino, affinché prenda le cose sul serio e capisca l’importanza delle leggi e il loro rispetto.”

“Per me la questione è ancora più semplice.” si aggiunse un altro “Tutto questo universo, tutti i nostri ego non sono altro che una grande rappresentazione e dei personaggi e Dio è il grande attore che interpreta ogni ruolo ed è talmente bravo da ingannare perfino sé stesso.”

Una donna rise e disse: “Vi racconto la mia idea, allora. Dio creò spazio e tempo e vi mise una propria emanazione a governarlo, essa a propria volta emanò altri spiriti e vissero assieme senza problemi per lungo tempo, finché alcuni di loro non iniziarono ad essere insofferenti a quello stato di eguaglianza e gerarchia. Divennero egoisti, superbi, anarchici e si rivoltarono. Per questo la prima emanazione creò altri due mondi, uno dove stessero i più corrotti ed è quello che viene chiamato inferno, e uno dove le anime potessero espiare le proprie colpe fino ad innalzarsi per tornare presso la prima emanazione. All’inferno ci stanno i demoni e gli ostinati che non riconoscono il proprio errore e la propria ignoranza, ma ciò non significa che non possano essere salvati, essi possono guadagnarsi di diventare umani ed espiare. Ad ogni modo, i demoni mandano spesso loro emissari sulla Terra per trarre a sé altre anime; allora la prima emanazione ha deciso di manifestarsi con alcune delle sue potenze sulla terra per guidare le anime verso Dio. Purtroppo, però, come i demoni possono purificarsi, anche gli angeli possono corrompersi.”

Isaia rimase a riflettere un po’ su quelle parole in particolare e in generale sugli altri racconti, poi domandò: “Ma qual è la verità?”

La moglie di Corinno gli rispose: “Potrebbero essere tutte false queste storie, ma non ha importanza. L’unica cosa che conta è credere al vero Dio, infinito e indicibile, al di sopra del Bene e del Male, e tendere ad esso … e sapere che è il Bene e l’ordine che ci avvicinano a Lui.”

Isaia tacque, assimilava quell’informazione nel proprio animo, cercando di accettare quella realtà delle cose: che la Verità non era comprensibile.

“Isaia.” gli disse Michela con dolcezza “Non so se ti possa aiutare o meno, ma sappi che io credo che Dio non sia in noi, ma che noi siamo in Dio.”

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Capitolo 11
*** Sogni, pensieri e telefoni ***


 Isaia sentiva un tremendo fischio nelle orecchie, molto acuto e forte; la testa gli doleva a tal punto che avrebbe voluto rompersela da solo; aveva un senso di nausea; gli occhi gli bruciavano e la vista era annebbiata e sfocata. Vedeva attorno a lui una decina di corpi stesi sul pavimento. Si sentiva debole, svuotato di ogni energia. Le ginocchia gli cedettero, si afflosciò e accasciò al suolo. Era ancora un vagamente cosciente, vedeva il soffitto, gli pareva lontano chilometri. Sentì una porta aprirsi e poi una voce: “Isaia!”

Era il suo maestro Samuele che lo chiamava.

“Cos’è successo?!” il prete si era guardato un attimo attorno, poi si era precipitato sull’allievo.

“Isaia?! Isaia!”

Lui mosse un poco gli occhi, o almeno ci provò. Vedeva, curvo su di lui, il maestro, che tentava di svegliarlo; Isaia vedeva la bocca di Samuele muoversi, ma non sentiva nulla. Il prete si guardò attorno, sembrava sconvolto od esterrefatto; poi tornò a concentrarsi sul discepolo, gli prese il polso e controllò il battito, parve sollevato. Samuele lo guardò di nuovo e mormorò, convinto di non essere udito: “Isaia, hai fatto tu, questo? Hai davvero un gran potere … l’esorcismo è davvero la tua strada … se ti eserciterai con impegno, i demoni impareranno a temerti.”

Le palpebre si chiusero e Isaia perse totalmente i sensi.

 

Isaia si svegliò. Era nel letto degli ospiti della casa di Michela. Prese il cellulare e controllò l’orario: le sette e quarantacinque, decise di alzarsi. Sentiva il vociare del piccolo Giorgio venire da una delle stanze vicine. Il prete prese la sua tonaca e andò in bagno per lavarsi, radersi e vestirsi; dopodiché andò in cucina e trovò la ragazza che stava facendo colazione col figlioletto.

“Buondì!” lo accolse lei, sorridente “Scusi se non l’ho aspettata, ma devo portare Giorgio all’asilo e quindi ho degli orari da rispettare.”

“Figurati!” la rassicurò lui “Capisco benissimo.”

Isaia sedette e prese una fetta di pane e del burro, nel mentre Michela gli versò una tazza di caffèlatte.

“Ho fatto un sogno strano stanotte.” disse il gesuita, togliendosi le lenti per stropicciarsi gli occhi.

“Mi dica pure, se vuole.”

“Non so. È iniziato con io che mi sentivo malissimo e c’erano forse dei cadaveri attorno a me. Dopo sono svenuto, però ho fatto in tempo a vedere il mio maestro raggiungermi e dire … non mi ricordo la frase precisa, ma era qualcosa legato alla mia abilità nell’esorcizzare, come se fosse fuori dal comune. Non so cosa centrasse col resto.” aveva tenuto lo sguardo basso mentre parlava, come se stesse rimuginando su quelle immagini, mentre ne parlava.

“Forse c’era una parte prima nel sogno che non si ricorda.”

“Può essere.”

“Mi sembra comunque un buon auspicio, lei non crede?”

“Potrebbe semplicemente essere un brutto sogno.”

“I sogni ci mostrano immagini impresse nella luce astrale, c’è sempre un motivo per cui attiriamo certe visioni anziché altre. L’arte di interpretare i sogni è molto utile, se la si sa usare … ammesso che si tratti di sogni.”

“Che cosa credi che sia?” era un tono di sfida.

“Il suo amico Gabriel non aveva dei ricordi in sogno?”

“Sì, ma lui ha un’amnesia totale di ciò che gli è capitato prima dei dieci anni, io non ho di questi problemi.”

“Sarà.”

La donna si voltò a mettere le tazze nel lavello.

“Non mi convinci, sei troppo di buon umore.” ribatté il prete.

“Le ho dato ragione e ora non è più convinto di averla?” scherzò lei.

“Ci rinuncio a discutere con te!” si arrese il gesuita, ma era sereno.

“Scusami, ora devo proprio andare di fretta: devo portare Giorgio e poi correre in Università che ho un paio di lezioni da seguire. Tornerò nel pomeriggio, spero non le dispiaccia; per quanto riguarda il pranzo …”

“Tranquilla” la rassicurò Isaia, un poco divertito oltre che intenerito per le premure della donna “Posso prepararmelo da solo.”

Rimasto solo, Isaia decise di meditare un poco, sentiva il bisogno di restare solo con se stesso e, sperava, con Dio, senza l’interferenza dei pensieri. Dopo di questo, pregò. Da quando si era sfogato, urlando contro il Crocefisso, non si era più rivolto a Dio con le preghiere, ma in quel momento ne sentiva il bisogno. Effettivamente il Bene era un principio sommamente più grande di lui, multipotente, e Gesù era stato un suo profeta; in fondo il Padre Nostro esisteva, era un po’ meno del Dio che lui credeva prima, ma era ugualmente un’entità suprema, rispetto agli uomini, e dunque era assolutamente degno del suo rispetto e della sua devozione.

Isaia pregò, chiese perdono, ringraziò per tutto ciò che di positivo aveva avuto e supplicò di poter avere la scienza di sapere come agire e la forza di fare ciò che è giusto, rimanendo in equilibrio, senza che la clemenza diventasse pigrizia e senza che lo zelo diventasse furore.

Isaia sapeva di aver lasciato passare troppo tempo, un giorno era troppo tempo per un Templare, specialmente nelle sue condizioni; si era rilassato, si era ripreso, ora doveva prendere il proprio posto nell’ordine e fare il necessario. Aveva rimandato di alcune ore quell’inizio, ma adesso doveva abbracciare la sua nuova vita da uomo che non esiste. Il suo sguardo si perse un attimo per la casa in cui si trovava e per qualche momento si disse che, dovendo cambiar vita, rimanere lì sarebbe stato molto più gradevole della vita che invece lo aspettava, ma non poteva essere egoista: quella era una tentazione, il diavolo gli aveva fatto intravedere una vita placida e piacevole affinché lui scegliesse quella, più semplice, piuttosto che la strada del guerriero del Bene, sicuramente più dura quanto più giusta. Isaia, però, non sarebbe venuto meno al proprio dovere, non avrebbe rinunciato a compiere grandi cose in nome del Bene; era consapevole, anche, che Dio disdegna sopra ogni cosa la tiepidezza, Egli accoglie i buoni, ha pietà dei malvagi, ma non ha nulla per gli ignavi. Inoltre, anche se era bello e concreto l’affetto che quella ragazza gli aveva dimostrato, lui non lo poteva certo preferire all’amore di Dio che aveva sempre avuto in tutti quegli anni.

Isaia era deciso, prese il telefono, prese la rubrica lasciatagli da Vargas e fece la prima telefonata.

“Si, pronto, chi parla?” domandò una voce maschile dall’altro capo.

“Sono Padre Morganti, sto cercando un cavallo per due.” era una frase di riconoscimento, ispirata al fatto che uno dei simboli dei Templari fossero due cavalieri su un unico destriero, per indicare la loro povertà.

“Una telefonata che si è fatta aspettare.” osservò l’interlocutore, era piuttosto seccato “Abbiamo trovato il cadavere di Vargas, cos’è successo e lei dov’è? Perché non si è fatto sentire prima?”

Vargas era stato demonizzato e io ho dovuto ucciderlo.” rispose Isaia con una certa altezzosità “Io sono il suo successore alla guida dell’ordine, lui stesso lo ha detto; dunque ho pieno diritto di prendermi un giorno o due di riflessione, senza doverne rispondere a te.”

“So cosa aveva stabilito Vargas, ma ciò non significa che sia tradotto in realtà. Lei il titolo di Gran Maestro se lo deve guadagnare anche ai nostri occhi.”

“Per questo ho chiamato te. Vargas mi ha lasciato detto che tu ti occuperai della faccenda del riconoscimento, per cui spiegami la procedura.”

Isaia era stato molto saldo nel parlare, autoritario, ma assolutamente calmo, il volume era stato basso e la voce non si era macchiata d’ira; questo dimostrava la sua sicurezza e il suo potere: il potere non ha bisogno di alzare la voce.

Effettivamente l’altro Templare ebbe maggior paura di quella tranquillità, più che se lo avesse sentito urlare, rivendicando il suo ruolo.

“Radunerò un capitolo generale ad Istanbul, dove c’è la nostra Casa Madre. Tra due settimane ci sarà l’assemblea dove, se nessuno avrà rimostranze, lei verrà riconosciuto e accettato come Gran Maestro dell’ordine dei Templari, le giureremo fedeltà e avrà pieni poteri.”

“Molto bene. Prenotami l’aereo e dammi il contatto del nostro provinciale ad Istanbul. Entro un paio d’ore mi comunicherai il tutto.”

“Come ordina.”

Era fatta. Ora non sarebbe più stato nulla come prima. Se prima di quella telefonata, avrebbe potuto forse tornare alla sua vita antecedente, ora non era più possibile. Ora aveva pienamente accettato il suo ruolo alla guida dei Templari, la sua abnegazione era totale.

 

Nel frattempo, presso la sede della Congregazione della Verità, Gabriel stava uscendo dalla chiesa, quando incrociò Alonso, con un grosso sigaro in bocca, che lo salutò e gli domandò: “Hermano, que te priende? Non t’est nervoso per parlare al Diretorio, immagino.”

“No, infatti, non sono preoccupato.”

“Allora porché giri come un’anima in pena da achì agli appartamenti e dagli apparamenti a chì?”

Gabriel sospirò e rispose tristemente: “Speravo di trovare Isaia. Se ha letto la mia lettera e non è impazzito del tutto, dovrebbe tornare.”

Daje tiempo.” consigliò il bibliotecario con un sorriso.

“Vorrei capire perché ha deciso di considerarmi una minaccia: siamo amici, dovrebbe avere fiducia!”

Hombre, lo conosci, sai che ha sempre anteposto ad ogni cosa il dovere verso la Chiesa.”

“Sì, la sua ambizione, il suo attaccamento alla posizione …” inveì Gabriel.

“Non hai mai pensato che lui creda davvero nel suo dovere, al di là dei riconoscimenti?”

Gabriel stava per replicare, ma gli tornò alla mente quando Isaia non aveva riferito al Direttorio che lui, Gabriel, aveva usato il suo potere oscuro su un uomo, quella volta senza fermarsi in tempo.

Non è una questione di lealtà tra me e te, o di obbedienza al Direttorio: è qualcosa di più grave. Non ti senti di dirmi altro? Io lo fatto un passo verso di te e mi aspetto che tu faccia altrettanto. –gli aveva detto.

Dovrei sentirmi in colpa perché hai mentito al Direttorio? –gli aveva risposto.

Solo in quel momento comprese che all’ora non aveva capito nulla. Isaia lo aveva voluto proteggere, aveva voluto lasciargli il tempo di capire, senza pressioni maggiori di quelle che già aveva, voleva aiutarlo … e lui, invece, gli aveva risposto con una tale arroganza!

Gabriel si sentì in colpa.

Non era neppure l’unica volta in cui, in quei mesi, aveva trattato l’amico con superbia, sufficienza e rabbia. Gabriel aveva frainteso! Aveva considerato aggressioni quelle che invece erano le semplici e genuine preoccupazioni e premure di un amico.

Ma qualcuno dovrà pur dirti che non sei più in grado di controllare ciò che sei.

Non era forse quella una proposta d’aiuto?

E' proprio questo che mi preoccupa, come puoi controllarti se non sai cosa sei in grado di fare?

Con queste parole Isaia non aveva in fondo chiesto di essere rassicurato?

“Probabilmente hai ragione, Alonso. Ero talmente impaurito da me stesso che non ho capito nulla di quello che Isaia stava facendo. Isaia ha visto chiaramente il mio lato oscuro; se io stesso lo temevo, perché mai lui avrebbe dovuto essere tranquillo? L’ho trattato male, povero fratello! Sa che pericolo potrei essere e sapeva che sarebbe stato costretto a combattermi.”

Tode le sue domande erano por poter avere fiducia in te!” esclamò Alonso, soffiando via il fumo del sigaro “Pensavo l’avessi enteso!”

“E invece no …” scosse il capo Gabriel, profondamente amareggiato da quella scoperta “Isaia voleva che gli assicurassi che ero padrone di me, per essere certo di potermi difendere e non essere costretto a considerarmi un nemico e io, invece di tranquillizzarlo, ho solo peggiorato le cose!”

“Cosa entiendi?”

“Alonso, io gli ho ripetuto mille volte che non sapevo cosa fosse il mio potere, gli ho detto che non riuscivo a controllarlo, ho riconosciuto più di una volta di essere una minaccia! Lo ribadivo quotidianamente, è chiaro che anche Isaia se ne sia convinto! Ora non mi stupisco che abbia tentato di uccidermi!”

“Non essere triste, hermano, dimostra che puoi controllarte e Isaia si tranquillizzerà.”

“Come posso farglielo capire, se non mi vuole parlare?”

“Coi fatti, hombre, sono securo che te terrà d’occhio.”

“Già, probabilmente hai ragione.” lo sguardo di Gabriel era ancora basso.

“Su, non esere triste, presto se resolverà ogni cosa. Adesso, però, andiamo, el Diretorio te aspieta.”

Gabriel annuì ed assieme all’archivista andò verso la sala delle riunioni.

 

Michela era rientrata a casa dopo le quattro del pomeriggio, riportando anche Giorgio.

“Posso parlarti un attimo?” le chiese Isaia appena la vide “Non è urgente, posso aspettare.”

“Solo un momento.” gli disse lei.

Michela aiutò il figlio a togliersi la giacca e le scarpe, poi lo mandò nella sua stanza a disegnare, dandogli fogli e pennarelli, dopo tornò da Isaia, lo invitò a seguirla in cucina per parlare; quindi, mentre lei metteva su l’acqua per il tè, il prete iniziò a spiegare: “Volevo rassicurarti circa il fatto che non dovrai disturbarti per me ancora a lungo.”

“Dovrebbe avere capito, ormai, che non è un disturbo.”

“Tra tre giorni parto.” disse seccamente lui.

“Ah.” si limitò a replicare la ragazza, certamente non entusiasta.

“Apprezzo molto quello che hai fatto per me, non me ne dimenticherò.” accorgendosi che la donna continuava a tacere, aggiunse: “Se me ne vado non è perché non gradisca te o questo posto, ma perché il mio dovere mi chiama altrove.”

“Sì, lo so.” rispose Michela “Non ho certo intenzione di impedirle di obbedire a Dio.”

“Sembri, però, piuttosto rattristata.” le fece osservare lui, che quasi avrebbe potuto sentirsi in colpa, se non fosse stato consapevole che non si è responsabili delle emozioni altrui, specie quando sono dettate da quella debolezza chiamata attaccamento.

“Sarò sincera: ho paura che lei possa smarrirsi. Quello dei Templari è un ordine troppo accecato e fanatico per …”

“Io ne sono Gran Maestro, adesso!” ribadì con forza Isaia, interrompendola “Ho visto come si comportano e ho avuto modo di rimproverarli, dentro di me. Ora ho la possibilità di redarguirli, di renderli consapevoli dei loro sbagli, di riformarli e renderli finalmente ciò che dovrebbero essere! Non capisci che ho l’occasione di fare davvero qualcosa di importante per il Bene? Potrò migliorarli!”

“Ammesso che non siano loro a traviare lei!” si spazientì Michela “Sono bastate poche parole di Vargas per mettere in crisi la sua fede!”

“Non accadrà di nuovo!” dichiarò Isaia, veemente.

“Ne è certo?” domandò l’altra, calmata e speranzosa.

“Sì.” Isaia parve poi un po’ incerto, ma alla fine decise di continuare: “Quello che mi hai detto tu … e i tuoi parenti … circa il rapporto tra il Vero Dio e il Bene e poi anche il Male … mi ha permesso di inquadrare meglio, di capire ciò che Vargas mi aveva detto senza sapere. Ora sono saldo in Dio, te lo garantisco. Quando medito lo sento e ora sto tornando a percepirLo al mio fianco.”

Michela si sforzò di sorridere e sospirò: “Spero davvero che sia così.”

Intanto l’acqua bolliva, la ragazza spense il fornello e la versò nelle tazze; dopo aver messo i colini con le erbe, ne diede una all’ospite, dicendogli: “Mi dispiace solo non potere esserle vicina se avrà bisogno.”

“Non credi più nei nostri dialoghi a distanza?” cercò di sdrammatizzare il prete.

“Ah, se lei ne fosse consapevole, non avrei nessuna preoccupazione.”

Isaia rimase pensoso un attimo, poi prese un foglietto e con una biro scrisse rapidamente qualcosa, poi lo allungò alla ragazza e le disse: “Questo è il mio numero di telefono, usalo solo in caso di estrema necessità. Tu mi darai il tuo e, quando mi sarà possibile, mi farò sentire.”

Michela provò una grande gioia e ringraziò per quella possibilità e quella promessa, tanto che lo colse di sorpresa con un abbraccio.

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Capitolo 12
*** Terror degli angeli apostati ***


Gabriel era stato eletto capo del Direttorio e aveva accettato tale carica, quando gli era stato assicurato che poteva svolgere la mansione pur da laico.

Questo onere lo teneva molto occupato: infatti, oltre agli insegnamenti in università (che aveva ripreso per motivi economici), doveva occuparsi delle decisioni più importanti per la Congregazione e, soprattutto, condurre le indagini sui Templari e sulla setta di Serventi. Per fortuna, Alonso gli era di grande aiuto e anche Stefano si stava dimostrando un valido apprendista; tuttavia, si sentiva la mancanza di una figura competente come quella di Isaia: non c’erano altri, nella Congregazione, che avessero una conoscenza vasta e interdisciplinare come la sua, per non parlare, poi, del gruppo degli esorcisti che non riusciva a far fronte a casi gravi di possessioni.

Tutte queste difficoltà costringevano Gabriel a trascorrere poco tempo con Claudia, ma ben presto ebbe un’idea per rimediare.

“Claudia, stavo pensando di dare una nuova linea di atteggiamento alla Congregazione rispetto alle persone dotate di poteri.”

“Era ora!” commentò la donna.

Erano seduti sul divano della loro casa, mangiando cibo cinese.

“Noi non dobbiamo solo accertarci che siano ben inseriti nella società, ma dobbiamo fare di più. Tu mi hai insegnato che molti di loro hanno subito traumi e hanno bisogno di aiuto. Ecco, la mia idea è quella di creare un Centro di Ascolto e Sostegno per gente dotata di poteri. Ovviamente dapprima ci saranno solo i casi individuati dalla Congregazione, ma presto potrebbero arrivare altre persone, spontaneamente.”

“Vorresti quindi fornire loro una consulenza psicologica specializzata. Sembra un po’ ghettizzante …”

“No, non è affatto così! Loro hanno bisogno di aiuto, magari non solo per i traumi avuti in passato, ma anche per come gestire il loro potere nella quotidianità, controllare le proprie emozioni per controllare il proprio potere. È necessario che possano rivolgersi a persone che li capiscano davvero! Non verrebbero creduti se si rivolgessero a psicologi normali, bisogna che ci siano persone che riconoscano l’esistenza di questi fenomeni. Sarebbe bello se imparassero a trovare un’utilità alle loro facoltà e che non corressero il rischio, per rabbia o solitudine o chessò io, di diventare pericolosi.”

“Gabriel, penso che sia davvero un bel gesto da parte tua. Volerli aiutare e prenderti cura di loro, anziché sorvegliarli e basta, è la cosa migliore da fare. Io ti aiuterò molto volentieri.”

“Grazie!” lui la baciò.

 

A molti chilometri di distanza, a Istanbul, nei sotterranei segreti di Santa Sofia, vi erano radunati un paio di centinaia di uomini vestiti di bianco. Lo stanzone aveva la forma di una basilica a tre navate, con tanto di transetto e abside; gli uomini erano posizionati in file ordinate, erano in piedi, composti, fermi immobili, tutti rivolti verso quello che poteva equivalere al presbiterio, sollevato di alcuni gradini rispetto al resto della stanza. Là vi erano un grande seggio in legno al centro e scranni più piccoli a semicerchio, seguendo il coro. Quest’ultimi erano occupati, mentre quello grosso rimaneva vuoto. Al centro dell’attenzione generale era un uomo in piedi al centro del presbiterio: Isaia. Il tutto era illuminato da lunghe lampade al neon, ma per gusto scenografico erano accesi anche dei fuochi dentro a grandi bracieri.

Accanto a Isaia, un uomo barbuto, dai tratti vicinorientali, uno dei provinciali, stava dichiarando in latino: “Io dico che non c’è motivo di protesta! Tutti noi provinciali abbiamo ricevuto notifica dal Gran Maestro Vargas che Padre Morganti sarebbe stato il suo successore, per cui lo dobbiamo riconoscere come tale e conferirgli l’autorità che gli si deve.”

Concluso il suo intervento, l’uomo si rimise a sedere nei seggi a semicerchio. Si alzò. allora, un altro dalla pelle lattea e i capelli ramati, a propria volta espose in latino: “Riconosco che questa è la procedura consueta e nessuno di noi avrebbe ragione a contestare, se non fosse che il titolo di Gran Maestro, in questo modo, verrebbe conferito a un novizio che è Templare da sì e no un mese. Come può essere all’altezza di tale compito?”

“Se Il Gran Maestro Vargas lo ha ritenuto degno di guidarci, chi siamo noi per disobbedire?” intervenne un altro provinciale, sempre parlando in latino “Tutti noi abbiamo giurato fedeltà al Gran Maestro. E' nostro dovere sottometterci alla sua volontà, anche quando non capiamo. Il fatto che Vargas sia morto non ci autorizza a venire meno al nostro giuramento.”

“Il Consiglio dei provinciali è però autorizzato, se concorde all’unanimità, ad annullare una decisione presa da un Gran Maestro, se egli si è rivelato un traditore o insano mentalmente.” fu la provocazione di un altro “Io dico che, con questa decisione, Vargas ha dimostrato di aver perso il senno e dunque il diritto di comandarci.”

“Il tuo è un discorso da anarchico!” lo contraddisse un altro ancora “Non possiamo andare contro alla gerarchia solo perché tu non capisci le motivazioni del Gran Maestro.”

“Non è il solo!” balzò in piedi un tale “Siamo in molti a nutrire seri dubbi sulla legittimità e la competenza di padre Morganti.”

“Fratelli, calmatevi!” riprese la parola Abdel Nassen, il primo che aveva parlato “Sentiamo cos’ha da dire a questo proposito il diretto interessato. Padre Morganti, lei ha idea del perché il Gran Maestro Vargas abbia scelto come suo successore proprio lei?”

Isaia, avendo immaginato di dover rispondere a una simile domanda, si era dunque preparato un discorso. Rimase calmo, imperturbabile, assolutamente dominatore di sé e della situazione. Parlò con decisione, senza prendersi il disturbo di sembrare modesto: “Vargas conosceva la mia determinazione nella difesa della Chiesa; sapeva che io ho giurato di proteggerla e che nulla può infrangere il mio giuramento. Gli erano note la mia totale abnegazione alla causa e la mia risolutezza. È vero, sono Templare da pochissimo tempo, ma ciò non deve farvi dubitare della mia devozione: ho servito e protetto la Chiesa fin dalla giovinezza, sebbene con abiti diversi da quelli che indosso ora.”

“Ammesso che questo sia vero.” lo interruppe l’uomo dai capelli rossi, padre Fylan “La sua lealtà non garantisce che lei possa essere una buona guida. Ha attitudine al comando e intelligenza nel governo?”

“Sono un gesuita.”

Questa dichiarazione impedì a chiunque di obiettare alcunché a proposito delle sue capacità di leader.

“Io ho una sconfinata conoscenza dei demoni, delle sette, dell’occulto e di tutto ciò che riguarda le nostre battaglie; la mia competenza al riguardo mi permetterà di prendere sempre la decisione più oculata.”

“Le conoscenze tecniche sono apprezzabili.” ribatté il rosso “Ma noi Templari siamo un ordine guerriero e il nostro Gran Maestro deve essere pronto a guidarci nelle battaglie, lei ne sarebbe capace?”

“Il pericolo non mi spaventa. Ho combattuto sette sataniche. Ho esorcizzato più creature io, finora, di quante tu, padre Fylan, potrai mai immaginare nella tua vita. Mi sono trovato di fronte a Baal, signore delle mosche, e ho avuto più di uno scontro diretto con quello che potrebbe diventare l’anticristo. È un curriculum sufficiente?”

Un brusio si levò tra i presenti, alcuni erano ammirati, altri dubitavano di quelle parole, comunque presto i sussurri divennero un vociare concitato e ci fu una gran confusione tra chi sosteneva la legittimità di Isaia e chi la negava.

Uno dei provinciali, per richiamare gli altri alla compostezza, si avvicinò a una corda e la tirò, così suonò una campana, i cui rintocchi fecero acquietare gli animi e tutti si ammutolirono.

“Fratelli, questo comportamento non è degno di noi!” riprese a parlare il provinciale Abdel Nassen “Non possiamo dividerci per così poco. Tutti noi dovremmo fidarci del volere del Gran Maestro Vargas e accettare padre Morganti come nostra guida, ma se in alcuni si annida il dubbio, allora io dico che essi stessi decidano una prova che il candidato dovrà superare e, se vi riuscirà, dovranno accettarlo.”

Tutti quanti furono d’accordo. I provinciali che avevano sollevato più obiezioni, si raggrupparono tra di loro per consultarsi e stabilire quale prova avrebbe dovuto superare Isaia. Impiegarono molto poco a decidere, dopo una manciata minuti, padre Fylan si fece portavoce di quel gruppo e domandò: “Visto che ha fatto tanto vanto della sua conoscenza, immagino saprà a cosa è dedicato il sacro luogo sopra le nostre teste, vero?”

“Santa Sophia, inteso come Sapienza, ovvio.”

“Bene. Il nome lo trae anche dal fatto che ci fosse una camera sotterranea piena di manoscritti, reliquie e altri oggetti di varia natura, eredità del mondo classico. Una volta ci era libero l’accesso a quella stanza, ma purtroppo, da oltre tre secoli, essa ci è inaccessibile poiché un demone la presidia. Lui e le sue legioni hanno occupato il vestibolo che gira attorno alla stanza. Se ne resta lì tranquillo, non ci attacca, a meno che non tentiamo di avvicinarci, in pratica gli è stato ordinato di impedirci di accedere alle conoscenze là custodite. Se gli episodi di cui ti sei vantato sono veri, immagino non ci saranno difficoltà per te a scacciarlo.”

Isaia deglutì impercettibilmente, poi disse con ostentata sicurezza: “Certo! Mi occorrono i miei strumenti, li prendo in un attimo, poi mi condurrete dove questi demoni risiedono.”

“Non lo faccia!” tentò di dissuaderlo il barbuto provinciale “Questo è un suicidio! Nessuno, prima d’ora è uscito vivo da là dentro!”

Il rosso gli rispose: “È il modo migliore per risolvere il nostro problema: se ne uscirà vittorioso, la sua autorità sarà indiscutibile, altrimenti … beh saremmo comunque costretti a scegliere tra di noi il nuovo Grande Maestro.”

“Non ho paura di nessun demone.” quasi ringhiò Isaia, accorgendosi che ad aver parlato era stata la sua vampa interna.

Il gesuita andò a recuperare la propria valigetta, dove teneva il crocefisso, la bibbia e alcuni altri strumenti del mestiere, prese anche la spada e, senza un minimo cenno di esitazione, si fece accompagnare presso il portone che separava il loro territorio da quello dei demoni. Dietro di lui tutti i provinciali lo seguivano per assistere all’esorcismo, ma, arrivati all’uscio, rimasero piuttosto distanti e incoraggiarono a gran voce.

Isaia si concentrò per trovare la forza dentro di sé e appellarsi a Dio, poi aprì il portone ed entrò. Era buio, non si vedeva nulla, entrava un poco di luce dall’uscio alle sue spalle, ma molto poca, per cui prese una torcia e illuminò da una parte e dall’altra, in cerca di indizi. Sembrava che non ci fosse nulla; niente si mostrava agli occhi, fuorché le pareti scavate, ma il gesuita riusciva a percepire la presenza del male in quel luogo. Appoggiò la borsa a terra, ne tirò fuori un carboncino con cui disegnò due cerchi concentrici, nel mezzo di quello più interno tracciò un asterisco che aveva i bracci terminanti con dei triangoli, poi pronunciò a gran voce alcuni versi del salmo XIII: “Illumina gli occhi miei, affinché io non dorma giammai sonno di morte; affinché non dica una volta il mio nemico: Io lo ho vinto.”

Com’ebbe finito di pronunciare quelle parole, una luce soffusa si spanse per l’antro, un venticello l’attraversò e cumuli di polvere iniziarono a sollevarsi per aria e si compattarono e presero forme umanoidi, ma più grandi, robuste e rozze di quelle delle persone normali: erano le legioni infernali. Isaia sollevò il crocefisso e iniziò a recitare: “In nómine Patris et Fílii et Spíritus Sancti. Amen. Prínceps gloriosíssime cœléstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde nos in prœlio advérsus príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in cœléstibus. In nómine Iesu Christi Dei et Dómini nostri, intercedénte immaculata Vírgine Dei Genitríce Maria, beáto Michaële Archángelo, beátis Apóstolis Petro et Paulo et ómnibus Sanctis, et sacra ministérii nostri auctoritáte confisi,, ad infestatiónes diabólicæ fraudis repelléndas secúri aggrédimur.

Alcuni legionari infernali si dissolsero, sentendo quelle invocazioni, altri invece presero d’assalto Isaia che, passato il crocefisso nella mano sinistra, impugnò con la destra la spada e iniziò ad abbattere fendenti e trapassare i demoni, mentre continuava con le formule in latino. Se la cavava piuttosto bene con la spada, dopo che lo zio di Michela lo aveva costretto ad esercitarsi una prima volta, aveva poi preso il gusto di allenarsi un’oretta ogni giorno e aveva scoperto di essere particolarmente dotato.

I demoni delle legioni erano però molto numerosi e lo aggredivano da tutte le parti. Si sentiva molto più sicuro, rispetto a quando si era trovato a Fontanefredde (allora, forse, la paura dei cittadini lo aveva ostacolato), tuttavia non poteva tenerla per le lunghe, era comunque solo contro centinaia. La cosa migliore da fare era costringere il loro signore a mostrarsi, per cui si concentrò per riuscire a raccogliere una gran quantità di energia e proiettarla fuori di sé, ordinando: “Ostende! Imperat tibi Deus Altíssimusimperat tibi Deus Pater; imperat tibi Deus Fíliusimperat tibi Deus Spíritus Sanctus. Imperat tibi Christus, ætérnum Dei Verbum caro factum.”

Ecco apparire in fondo allo stanzone un essere mostruoso: un uomo alto tre metri, la sua testa era affiancata da un capo da gatto e uno di serpente, cavalcava un enorme vipera.

Il demone disse: “Sei più abile di chi ti ha preceduto, prete. Nessuno era riuscito a costringermi a mostrarmi. Hai avuto l’onore di vedermi, ma morirai comunque.” detto ciò portò in avanti la propria mano destra da cui uscì una palla di fuoco che quasi raggiunse Isaia, il quale però riuscì ad evitarla.

Il gesuita lo guardò con sfida e gli disse: “Sbagli! Io conosco il tuo nome e posso dominarti. Tu sei Aini!”

Il demone parve sorpreso, ma subito si riprese ed esclamò: “Quest’informazione non ti permetterà di battermi!” e scagliò un’altra sfera infuocata.

I legionari, galvanizzati dal loro signore, rinnovarono con maggior ferocia l’attacco e Aini vi prese parte con le sue fiamme.

Intanto gli altri Templari, da fuori, sbirciavano che cosa accadesse dentro lo stanzone e vedevano Isaia battersi contro quegli innumerevoli demoni. Qualcuno sentì il dovere di correre ad aiutarlo, ma padre Fylan lo impedì, dicendo che non avrebbe considerato la prova superata, se qualcuno lo avesse soccorso.

Isaia si destreggiava, sentiva la vampa dentro di se che gli dava forza per attaccare e resistere; lui continuava a vorticare la spada e a pronunciare esorcismi. Le legioni, però, erano troppo numerose. Presto due demoni, assalendolo da dietro, riuscirono ad atterrarlo e a togliergli la spada; allora Aini scese dalla vipera e la mandò a finire l’opera. L’enorme serpente strisciò fino ad Isaia e lo avvolse nelle sue spire e inizio a stringere, per ucciderlo prima di divorarlo.

Il prete sentiva il fiato venirgli meno e provava dolore per quello stritolamento. Mentre cercava di mantenere la concentrazione e di pronunciare invocazioni a Dio, gli tornò in mente il sogno che aveva fatto alcune settimane prima: quello col suo maestro Samuele. Si rese conto che si trattava di un ricordo e che c’era dell’altro … Sì, sì, ora le immagini precise gli stavano tornando alla memoria: lui aveva da poco iniziato il suo apprendistato da esorcista, Samuele era entrato in una stanza da solo, perché il demone da affrontare era troppo potente per un novizio; lui dunque era rimasto in un corridoio dove c’erano i parenti dell’indemoniato … ma poi si erano rivelati essi stessi posseduti, erano una decina che lo avevano preso d’assalto, lui aveva sollevato il crocefisso e mormorato qualcosa: ancora non sapeva nulla! Aveva però avvertito qualcosa dentro di sé, uno strano calore … una vampa! Sì, la stessa vampa che si era fatta sentire in quei giorni … All’epoca aveva lasciato che la vampa lo attraversasse liberamente, si era lasciato guidare da essa, non ricordava cosa fosse accaduto dopo. Doveva aver avuto la meglio, visto che l’immagine successiva che aveva nella mente mostrava i posseduti stesi a terra.

Anche in quel momento, stretto dal serpente, sentì la vampa crescergli nel petto, la riconobbe come qualcosa di intimamente suo, la liberò. Si sentì vibrare, come se per la prima volta attingesse ad un’energia che aveva sempre tenuto quiescente o quasi. Il suo volto iniziò a risplendere di luce propria, tutto il suo corpo emanava luce, una luce talmente potente che spezzò la presa della vipera e la costrinse a fuggire.

Gli occhi di Isaia fiammeggiarono, il suo volto aveva assunto un tono solenne, pacifico e terrifico al medesimo tempo. Si sentiva come risvegliato da un lunghissimo sonno, era come se si conoscesse per la prima volta.

Recuperò la spada e con maestosa eleganza iniziò a maneggiarla, abbattendo i nemici con ottima perizia, ma senza il furore della battaglia. Alcuni li sconfiggeva con la lama, altri li disperdeva e dissolveva con un semplice imperativo: “Via!”, alcuni anche solo con lo sguardo.

I provinciali erano rimasti basiti. Avevano temuto per la sua vita, vedendolo stretto dall’enorme serpente, ma poi quell’improvviso riscatto! Quella luce che fuoriusciva da lui …! Provarono gran soggezione verso il loro futuro Gran Maestro. Perfino Fylan era rimasto senza parole.

Presto le legioni furono annientate. Rimaneva solo Aini con la sua vipera. Il demone era spaventato, indietreggiò chiedendo: “Chi sei tu?”

Isaia, che ora sapeva chi fosse, rispose con una voce ultraumana: “Io sono il custode indefettibile delle anime.”

Avanzò di qualche passo.

“Modello di salda giustizia, difensore del popolo di Dio e della Chiesa, valoroso oppositore delle forze del male.”

Si era avvicinato fulmineamente al serpente e ora levava in alto la spada.

“Io ho sconfitto il dragone scacciandolo dai cieli e precipitandolo sulla Terra.”

Con un fendente troncò di netto il capo della vipera.

“Io ho il compito di pesare le anime dopo la morte.”

Avanzò verso Aini che, iniziando a capire, indietreggiò spaventato.

“Sono il difensore indomito nei pericoli contro la Dottrina.”

Aveva raggiunto il demone, che provò a investirlo con le fiamme.

“Angelo di luminosa intelligenza e di mirabile carità.”

Troncò il braccio del diavolo.

“Angelo svelante gli inganni subdoli del demonio e le sue imboscate.”

Colpì alle gambe per costringere Aini ad inginocchiarsi.

“Terror degli angeli apostati.”

Anche il braccio sinistro cadde.

“Angelo avvolto dall’eterna luce di Cristo.”

Mozzò il capo da serpente.

“Angelo guerriero di Dio in perenne lotta contro il demonio.”

La testa da gatto volò via.

“Angelo che infonde speranza negli oppressi.”

Immerse la spada nel petto di Aini, fino all’elsa.

“Io sono l’Arcangelo Michele!”

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Capitolo 13
*** Infiltrarsi ***


Io sono l’Arcangelo Michele.

I Templari erano rimasti ammutoliti. Non sapevano se ciò che aveva detto Isaia fosse vero o meno, ma erano certi di trovarsi davanti a qualcuno di gran lunga superiore a tutti loro. Lo guardarono uscire dallo stanzone, intanto l’alone di luce si affievoliva e tornava in lui.

“La camera delle conoscenze è di nuovo accessibile.” annunciò Isaia pacatamente; non aveva accennato al fatto che la prova era stata superata e non si era rivolto a Fylan, per sottolineare quanto poco gli importasse di lui e della sua opinione.

“Voi .. voi siete stato straordinario!” riuscì ad esclamare il provinciale barbuto, quando fu in grado di riprendersi dalla sorpresa; l’emozione per lui era troppa, non poté fare a meno di gettarsi in ginocchio davanti al gesuita, baciargli la mano e poi dire: “Voi siete davvero degno d’essere il nostro Grande Maestro. Voi ci siete stato mandato per guidarci in questo periodo oscuro della nostra storia. Venticinque anni fa fummo costretti a chiuderci in uno stato di inattività per colpa di Serventi e del suo demone, ma ora voi ci guiderete a nuove glorie e sarete capace di stornare la grave minaccia che incombe sulla Terra tutta.” poi si rialzò in piedi, si voltò verso gli altri provinciali e domandò con sfida: “Fratelli! C’è ancora qualcuno di voi che osa dubitare della sua legittimità?”

Nessuno osò negarla, almeno apertamente. Tutti quanti si inginocchiarono per dimostrare la propria sottomissione. Tornarono nella chiesa sotterranea, dove attendevano i templari semplici. Isaia poté sedere sul grande seggio nel mezzo del presbiterio e Abdel Nassen annunciò il suo successo poi, coadiuvato da un altro paio, procedette con la cerimonia di riconoscimento. Riconoscimento, non investitura, poiché si riteneva che il Grande Maestro avesse già dentro di sé il diritto di governare e bisognava riconoscerlo e dunque non si trattava di un potere che gli venisse conferito.

I provinciali si ricongiunsero coi loro diretti sottoposti e i singoli gruppi sfilarono uno per volta davanti ad Isaia; i provinciali presentavano sé stessi e coloro che guidavano, poi baciavano la mano del Gran Maestro, mentre gli adepti semplici ne baciavano l’orlo del mantello rosso con ricamate croci d’argento.

Isaia si mostrava sicuro, forse un poco distaccato, ma dentro di sé era piuttosto emozionato. Tremava quasi davanti alla nuova consapevolezza. Era l’Arcangelo Michele, era il braccio armato di Dio contro i demoni, in difesa delle anime, il giustiziere. Per questo, dunque, aveva sempre avuto una naturale predisposizione verso gli esorcismi? Probabilmente sì. Quella era la sua natura che latente aveva sempre pulsato in lui, indicandogli il suo dovere, dandogli la forza di agire, ma lui non l’aveva mai impiegata pienamente; ora, invece, sapeva come scatenarla, come essere totalmente sé stesso, non che prima fosse una persona diversa, anzi era sempre il medesimo, però era come se prima fosse solo una parte di sé, ora era completo, o almeno così gli sembrava. Se prima, da imperfetto, aveva avuto paure, insicurezze che lo avevano bloccato e limitato, se aveva sentito il bisogno di indossare costantemente una maschera di freddezza e rigidità, ora invece si sentiva sicuro e non temeva gli altri. Si sentiva pacifico, sereno, aveva già provato una simile emozione … Quando? … Ma certo! A San Tomaso! Immanuel ..! Era stato quel bambino che, in passato, gli aveva permesso di trovare quella consapevolezza, quella tranquillità, che poi aveva perso … Isaia era sempre stato certo di non essere stato plagiato da quella setta, ma di aver sentito davvero qualcosa, di fronte ad Immanuel; ora era certo che quel bambino aveva risvegliato in lui parte della sua essenza … chi era, dunque, quel bambino? Avrebbe dovuto indagare di più su di lui.

C’era però un’altra consapevolezza che si faceva largo nell’animo di Isaia.

Michela.

Lui la conosceva! Cioè, la conosceva da tanto tempo, la conosceva profondamente, ora sapeva che cosa intendesse lei, quando si riferiva alle conversazioni inconsapevoli con lui: davvero le parlava da anni!

In quel momento sentiva l’esigenza di contattarla, di dirle che finalmente non era più assopito. Aspettò che tutta la cerimonia fosse finita e di tornare nella casa del provinciale barbuto che lo ospitava; chiusosi nella sua stanza, Isaia si mise in ginocchio sulla stuoia su cui dormiva (non c’era il letto) e iniziò a meditare, ma questa volta sarebbe stato un raccoglimento del tutto diverso, si sarebbe focalizzato per riuscire a parlare con la ragazza. Nessuno gli aveva mai spiegato come poter fare qualcosa del genere, ma sapeva istintivamente come concentrarsi e come agire, come proiettarsi nella luce astrale senza perdersi.

“Michela …” la chiamò quando gli parve di sentire l’energia della ragazza, l’aveva riconosciuta istintivamente.

“Michele?!” rispose sorpresa la donna.

“Sì, direi di sì.”

“Come …? Non mi hai mai contattato tu per primo …”

“Lo so. Sono Isaia, ho scoperto!” le spiegò il gesuita, non riuscendo a nascondere la grande soddisfazione, unita ad un pizzico di incredulità.

“Davvero?” fu la gioiosa replica della ragazza, speranzosa.

Isaia le raccontò dello scontro con Aini, del ricordo che si era ricomposto e della sua essenza che si era liberata.

“Tu lo hai sempre saputo, vero?” le domandò poi “Ora capisco perché non hai mai voluto spiegare nulla: non ti avrei creduta, se mi avessi detto la verità. Anche i tuoi parenti lo sapevano, vero? È per questo che si sono comportati con tanta devozione?”

“Sì … ma loro lo sapevano perché io gli ho parlato di te molte volte, altrimenti non se ne sarebbero resi conto.”

“E ti hanno creduta?”

“Certo … loro sapevano che io sono legata all’arcangelo Michele.”

“Ma sì, ovvio!” ancora una volta gli parve di ricordare o riscoprire qualcosa che già sapeva “Il tuo nome! Ti chiami così perché sei stata consacrata a me! Ecco perché sei stata così gentile con me, perché hai detto che mi sarai sempre leale … tu sei nata per me!” era al tempo stesso sbalordito e contento da quella scoperta.

“Sì, esatto, è così!” rispose lei, felice di poter finalmente non dover nascondere più nulla “Non credere ch’io faccia tutto ciò per forza, io lo faccio volentieri! Non c’è uomo più felice di chi conosce il proprio dovere e lo fa coincidere col proprio volere. Io so che questo è il mio compito, ma non lo sento come tale, per me è un piacere, non potrei essere felice in altra maniera.”

“Le tue sono parole molto forti, sono davvero importanti per me: avere la certezza di non essere solo a dover far fronte a tutte le minacce che incombono, mi conforta.”

“Che cosa hai intenzione di fare, adesso?”

“Qua devo ancora sistemare alcune cose, poi …” ragionò, come se stesse prendendo una decisione “Poi concentrerò i miei sforzi su Serventi … Forse sbaglio, dovrei intervenire subito, ma voglio dare ancora fiducia a Gabriel … non è cattivo … potrebbe davvero esserci una terza via, lo spero … perché se non ci fosse, io non potrei perdonarmi quest’indulgenza.”

“C’è un’altra possibilità, non ne dubitare … ma non possiamo sapere quale delle opzioni si realizzerà.”

Isaia continuò a pensare, poi domandò: “Posso affidarti un compito?”

“Certamente.”

“Potresti trovare la maniera di avvicinare Gabriel? Di tenerlo d’occhio e riferirmi come si comporta?”

“Va bene, non ti deluderò.”

“Grazie.”

 

Michela, dopo alcune considerazioni, aveva pensato che il sistema migliore per avvicinare Gabriel era quello di attirarne l’attenzione in università. Nonostante lei fosse iscritta in un altro istituto, iniziò a seguire le lezioni tenute dal professor Antinori e si fece notare più di una volta con domande argute, risposte corrette e osservazioni opportune. Non passarono neppure dieci giorni e le sue azioni diedero i propri frutti.

“Qualcuno di voi ha qualche ipotesi sul perché sia così comune il mito delle quattro epoche in quasi tutte le religioni antiche?”

Michela alzò la mano e, avuta la parola, espose: “Io ritengo che il mito delle quattro epoche sia il racconto, rielaborato ed abbellito, del passaggio tra lo stato nomade e lo stato sedentario dei popoli, da un periodo in cui l’uomo viaggiava e mangiava quanto raccolto e quanto cacciava, senza troppo altro impegno, fino ad arrivare, dopo vari passaggi, ad un periodo in cui era necessario coltivare, costruire elaborati utensili e così via. Molte mitologie, da quelle a noi più vicine come quella greca, a quelle più lontane, ad esempio l’indiana, parlano di una leggendaria epoca dell’oro che altro non è se non il paradiso terrestre della tradizione giudaica. In quest’era vagheggiata, non esistevano animali carnivori, non c’era alcun tipo di violenza e la terra produceva spontaneamente tutto il cibo che era necessario. In quei tempi favolosi l’uomo e la natura erano in perfetta armonia, ma poi accadde qualcosa. Alcune culture parlano di un naturale degeneramento, altre della punizione subita dagli uomini per qualche disobbedienza o mancanza, altri ancora imputano il cambiamento ad un’entità demoniaca e malvagia. Da allora in poi la situazione peggiorò sempre più e l’uomo fu costretto a lavorare e certi animali divennero carnivori. Nell’antichità il pensiero era rovesciato rispetto al nostro: noi crediamo di essere in un’ottima epoca e che si può solo migliorare; nel passato si riteneva che fossero ormai trascorsi e perduti i momenti di felicità e che da lì in avanti sarebbe stato sempre peggio. Il numero era generalmente fissato a quattro, poiché era sottesa l’idea che esse fossero come le stagioni e che dunque si sarebbe verificato sempre un eterno ritorno di ciascuna di esse.”

“Un’ipotesi davvero molto interessante.” ammise Gabriel, stupito che una studentessa del primo anno fosse così preparata e capace nel rielaborare le informazioni “Secondo lei quali altre implicazioni religiose può aver avuto questo passaggio?”

Michela, che sapeva bene quanto quel frangente fosse cruciale, fu ben pronta a rispondere: “Il mito delle quattro epoche evidenzia come l’uomo abbia percepito il passaggio alla sedentarietà come la conseguenza dello spezzarsi del legame di amicizia, di devozione che aveva stretto con la natura, badate bene che dico conseguenza e non causa. Prima c’era un’alleanza e dunque la pace, poi essa si è spezzata e si è originata la lotta tra l’uomo e l’ambiente. Ambiente che l’uomo temeva a tal punto da arrivare a deificarlo, passando così da una religiosità di tipo sciamanico al sistema dei pantheon con divinità meteorologiche.”

“La venerazione della natura è, a suo parere, sintomo di paura e guerra?” domandò Gabriel, che voleva testare la logica e la profondità della studentessa.

“Si venera e si cerca di carpire la benevolenza di chi si teme e può far male. Il paganesimo riflette il senso di separazione che avvertiva l’uomo tra sé e la natura e nelle forme di devozione si può intravedere un tentativo di dominare la natura. Le preghiere non erano altro che un modo per piegare gli elementi alle proprie necessità, ma siccome esisteva uno stato di guerra, o almeno di indifferenza tra natura-dei e uomini, non bastava chiedere o mostrare il bisogno per ottenere, bensì era necessario un atto violento, un sacrificio: gli dei-natura non erano benevoli e compassionevoli nel confronto dei mortali e non concedevano nulla per nulla. Il sacrificio di sementi, di animali e di persone era dunque necessario per influire sul mondo. In centro-america era molto forte il concetto di scambio tra dei e uomini: i primi producevano per i secondi e i secondi per i primi. Nell’area mediterranea il sacrificio era una sorta di tributo che veniva pagato per indicare la sottomissione e la modestia degli uomini, anche quando chiedevano alla divina natura di cambiare i suoi progetti a loro favore. In oriente il sacrificio assunse una valenza ancor più potente: per certuni il sacrificio era necessario per sostenere il mondo stesso (la nostra parola “rito” ha la stessa radice della parola vedicaṛta” che significa “sostenere, reggere” e che nei testi sacri hindu indica l’ordine cosmico); per altri il sacrificio ottiene una connotazione magica poiché, se celebrato bene, obbliga la divinità ad esaudire la richiesta, esisteva addirittura un rituale per costringere il Sole a sorgere. Così nelle antiche civiltà il potere era spesso consegnato a chi dimostrava di essere in grado di parlare con gli dei e di convincerli, ossia a chi era in grado di piegare la natura.”

“Molto bene. Adesso stiamo uscendo dall’argomento della lezione, ma la prego di fermarsi qui, dopo, vorrei discutere con lei di alcune questioni.”

Michela fece cenno di sì. Suonata la campanella, mentre gli altri studenti uscivano, la ragazza si fermò presso il professore.

“Avevo già notato nei giorni scorsi la sua ottima preparazione e oggi la sua teoria mi ha davvero colpito. Lei, però, mi pare molto giovane, quanti anni ha?”

“Ventuno.”

“Ed è al primo anno?”

“Sì, non ho potuto iscrivermi prima all’università. Ho avuto però occasione di seguire corsi e seminari di filosofia orientale e comparativa, di religioni, di mitologia e mistica.”

“Mistica? … interessante.” Gabriel si era ripromesso di non coinvolgere più studenti nelle sue ricerche, però quella ragazza sembrava molto dotata, sarebbe potuta tornare utile in quel periodo così difficoltoso “Le è mai capitato di occuparsi di occultismo?”

“Certamente, occultismo ed esoterismo sono due argomenti che mi interessano parecchio; mi ci sono approcciata quando ho voluto approfondire i culti misterici.”

“Quanto pensa di essere competente in materia?”

“Abbastanza. Sono argomenti molto delicati, è sempre difficile riuscire a valutare se i testi siano seri e da prendersi in considerazione o se si tratti dei deliri di qualche fanatico ed esaltato (che sono la più parte); sono però riuscita a crearmi una discreta biblioteca con testi appropriati. Perché mi pone questa domanda?”

“Io non lavoro solo per l’Università, ma anche per una Congregazione che si occupa di esoterismo e fenomeni paranormali; ultimamente siamo a corto di personale, mi chiedo se lei possa essere adatta.”

“Beh, non so che attività svolgiate, ma se posso dare una mano lo faccio ben volentieri.”

Gabriel le spiegò dove e a che ora presentarsi nel pomeriggio. Michela era decisamente sollevata per il fatto di non essere stata riconosciuta da Gabriel; era stata davvero una buona idea quella di camuffarsi, quando era andata a recuperare i libri. Ora, forse, avrebbe avuto la possibilità di infiltrarsi nella Congregazione e di osservare con maggiore attenzione Gabriel: doveva quindi stare molto attenta e non commettere passi falsi. Arrivò puntuale all’appuntamento e trovò Gabriel che la aspettava, in compagnia dell’archivista.

“Ecco, Alonso, questa è la studentessa di cui ti ho parlato. Nelle mie materie universitarie è molto preparata, vediamo se supera anche il tuo esame.”

“Ma che esame, hermano? Est na semplice chiachierata!”

“Bene” disse Gabriel “Ora vi lascio, devo sbrigare alcune questioni col Direttorio, tornerò più tardi.”

L’uomo si allontanò. Il prete guardò Michela e le chiese: “Allora, donde vojamo cominciare? Dime i testi che hai studiato.”

La ragazza iniziò ad elencarne alcuni, Alonso annuiva; si accese un sigaro e dopo aver ascoltato per un po’, iniziò a farle domande, molte, pareva soddisfatto delle risposte; dopo oltre mezzora la condusse in biblioteca e lì le mostrò varie immagini di simboli, pentacoli oggetti vari, mettendo alla prova le sue capacità di riconoscimento. Trascorse più di due ore a testare le conoscenze della giovane, poi la lasciò da sola su una panchina dei giardini della Congregazione, dicendole di aspettare Gabriel con la decisione definitiva.

“Allora, cosa ne dici?” domandò Gabriel, dopo aver raggiunto l’amico in biblioteca “È brillante anche nell’ambito dell’occulto, o è una di quelle che pensa di sapere tutto, solo perché ha frequentato un po’ di ambiente wicca?”

Quela chica est muy preparada, tropo! Se Isaia l’avese consciuda, seguramente se sarebe inamorado de hela!” scherzò Alonso.

“Eh, esagerato!”

“Te dico che hela conosce talmente bien esti argomenti che per fino Isaia ne remarebe muy sodisfato.”

“Mi pare incredibile! Ma se è davvero così, allora è bene averla nella nostra squadra.”

“Est seguro?”

“Sì, ci serve ogni aiuto possibile, gente competente! Se il tuo giudizio è vero, si dimostrerà una grande risorsa!”

“Il fatto che hela est muy istruita me preocupa: non est normale che una chica sapia tode este cose.”

 

Nel frattempo Claudia uscì da un piccolo edificio presso la sede della Congregazione, era ormai passata una settimana da quando con Gabriel aveva avviato il Centro d’Ascolto e Sostegno per gente coi poteri. Finora non avevano avuto modo di fare granché, si erano presentati Leonardo e Alice, che avevano molto bisogno di aiuto, l’aveva seguita lì per le sue sedute anche la sua vecchia amica Francesca; per il momento Claudia si stava occupando di contattare tutti i casi seguiti dalla Congregazione negli ultimi anni, per informare le persone di questo nuovo servizio. Quel pomeriggio aveva parlato coi tre fratelli che avevano avuto allucinazioni nella grotta e che avevano creduto di vedere la Madonna; lei non credeva che loro avessero effettivamente dei poteri, ma loro sostenevano che le loro capacità psichiche erano più che naturali e, dunque, volevano presentarsi da lei per qualche chiacchiera. Claudia, comunque, per quel giorno aveva finito di lavorare, aveva richiuso l’uscio ed era andata verso la sede della Congregazione per incontrare Gabriel. Passò per il giardino e subito notò la giovane ragazza, seduta sulla panchina e trovò la cosa insolita, perché era difficile trovare delle donne da quelle parti, quindi si avvicinò ed esordì: “Piacere, sono Claudia Munari.”

Michela sollevò lo sguardo e fissò la mano che le era porsa, poi la strinse e si presentò.

“Come mai ti trovi qui?”

“Sono una studentessa del professor Antinori che, forse, mi farà collaborare con questa organizzazione. Sto aspettando la risposta.”

“Oh! Sei una studentessa di Gabriel!”

Claudia intavolò una conversazione e Michela rispondeva con naturalezza. Presto Gabriel le raggiunse, salutò Claudia con un abbraccio e un bacio, poi si rivolse alla ragazza: “Alonso è stato molto soddisfatto delle tue conoscenze, per cui abbiamo deciso che ti contatteremo al bisogno.”

Michela si disse felice, ringraziò e se ne andò.

“State reclutando nuove leve?” chiese Claudia.

Gabriel sospirò e poi spiegò: “Dobbiamo far fronte a Serventi, ai Templari e portare avanti la consueta missione della Congregazione della Verità … ci occorre gente competente e noi siamo rimasti senza varie risorse, dopo l’attacco subito dal Direttorio. Si sente molto anche la mancanza di Isaia …”

“Chi ne sente la mancanza, tu o la Congregazione?”

“Entrambi. Il gruppo di esorcisti è un po’ allo sbando senza la sua guida … E anch’io lo vorrei ancora qui.”

“Gabriel!” lo richiamò la donna “Ha tentato di ucciderti!”

“Aveva le sue buone ragioni a cui ho creduto anch’io!”

“Tu, al suo posto, ti saresti comportato così?”

“No … e forse avrei sbagliato.” sospirò di nuovo e cadde il silenzio.

Claudia pensò fosse meglio cambiare argomento e chiese: “Beh, quindi, quella tua studentessa vi darà una mano, adesso?”

“Sì, anche se Alonso è un po’ preoccupato … Forse ha ragione, l’ultima studentessa preparata che ha collaborato con noi era figlia di Serventi.”

“Rebecca era stata molto aggressiva, intraprendente, per riuscire a convincerti a riprendere l’insegnamento e starti vicino. Ha fatto così anche questa ragazza?”

“No. Sono stato io a proporle la collaborazione.”

“Ecco, questo va a suo favore. Poi, non devi credere che tutti gli studenti diligenti stiano complottando contro di te. A me è parsa una ragazza simpatica, mi ha fatto una buona impressione.”

“Avete parlato molto?”

“Una decina di minuti.”

“E ti è bastato per tracciarne il profilo psicologico?” scherzò Gabriel.

“Certo che no, ma ho avuto un buon presentimento.”

“Suona strano, detto da te.”

“Oh, non prendermi in giro!”

“Va bene, scusa. Dai torniamo a casa.”

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Capitolo 14
*** altare nel bosco ***


Era mattina, Isaia era nella cucina del provinciale che lo ospitava; stavano facendo colazione, seduti su stuoie, bevevano latte di capra e mangiavano uova. Il gesuita non pensava di adattarsi così facilmente a quelle condizioni.

Abdel Nasser” disse Isaia, rivolto all’altro, in arabo “Oggi entreremo nella stanza che fino a ieri era presidiata da Aini e vedremo che cosa contiene. Avete parlato di manoscritti e reliquie, vedremo cosa c’è di preciso e decideremo come comportarci.”

“Certamente. Sono sicuro ci saranno reliquie e informazioni che ci torneranno utili nella guerra che presto affronteremo.”

“Tu sai chi sarà il nostro principale obbiettivo?”

“L’eletto, Gabriel.”

“No.”

Abdel Nassen diede segno di meraviglia, ma non replicò.

“Gabriel ha la volontà di resistere al suo potere. Serventi, invece, punta a provocarlo. Dobbiamo innanzitutto fermare Serventi, con lui neutralizzato, potremo affrontare il problema di Gabriel con più serenità e calma.”

“Capisco. In effetti è questo Serventi il nostro secolare nemico, è lui che manovra tutto e che crea le minacce e i pericoli. Se anche fermassimo Gabriel, lui troverà un altro modo per minare l’integrità della Chiesa, per cui è necessario occuparsi prima di tutto di lui. Siete saggio, Maestro Morganti. Non so se, però, tutti gli altri capiranno … soprattutto padre Fylan, ha sempre ambito al vostro seggio.”

“Si adatterà e obbedirà come tutti e se non lo farà … chi tradisce, muore; giusto?”

“Spero davvero che, dopo la vostra impresa di ieri, nessuno abbia più a dubitare di voi. Comunque terrò d’occhio Fylan, se me lo ordinerete, purtroppo ha molte simpatie e si è sempre vantato di incarnare il vero ideale templare.”

“D’accordo, tieni le orecchie aperte circa come si muoverà. Ah, un’altra questione, il mio primo atto da Grande Maestro sarà di ripristinare il nostro vero nome. Templari è un nome travisato, dobbiamo ricordarci sempre che noi siamo i Pauperes commilitones Christi templique Salomonis[1].”

“Un gesto che ha indubbiamente la sua importanza.” concordò l’altro.

Isaia si interrogò circa la sincerità dell’uomo che si trovava davanti. Pensò che forse poteva ricorrere alla sua facoltà di conoscere le anime, ma come poteva fare? Era necessario il contatto con la mano sinistra o poteva fare in altro modo? Non lo sapeva; doveva ancora mettersi alla prova e capire come ricorrere alle sue capacità. Provò a concentrarsi, abbassò le palpebre, non sapeva che cosa stesse facendo. Infatti, poco dopo …

“Maestro Morganti?!” lo richiamò il provinciale.

“Eh?” tornò presente il gesuita.

“Si sente bene?”

“Oh … sì, sì … stavo solo pregando.” si giustificò Isaia.

Più tardi si recarono nella sede templare. I provinciali presenti aspettavano le istruzioni su cosa fare, quale linea di condotta adottare, su quali punti concentrarsi e così via. Isaia fece qualche discorso, ma rimase sul vago: prima di qualsiasi cosa voleva esplorare la stanza con le reliquie.

Finalmente gli vennero consegnate le vecchie chiavi dell’uscio, poi tutti assieme si recarono presso la grande camera. Una volta entrati si trovarono davanti a numerosissime reliquie, la sua conoscenza permetteva ad Isaia di identificare immediatamente tutti gli oggetti: l’elmo di Costantino con infisso uno dei chiodi della Sacra Croce, la vera lancia di Longino, la testa di San Giovanni Battista come fosse stata appena mozzata, con il sangue che grondava, senza cadere per terra, svanendo a mezz’aria; vi erano anche il bastone, la veste di pelle di cammello e la ciotola del Battista; c’erano le corone e gli scettri dei Re Magi. C’erano molte reliquie scomparse durante il sacco di Costantinopoli … in realtà esse non avevano mai abbandonato la città, i Templari le avevano messe in salvo là sotto, sottraendole all’avidità dei crociati: il velo della Madonna, un ampolla con il sangue di Cristo (usato come inchiostro per occasioni molto rare e sempre piena), il trono di Salomone, la verga di Mosè … E infine, nei due posti di massimo onore c’erano la Sacra Croce, quella scomparsa dopo la sconfitta di Hattin, e l’Arca dell’Alleanza, che i Templari avevano ritrovato nei sotterranei del Tempio di Gerusalemme.

Isaia si sentiva sopraffatto da cotanta santità, non sapeva dove posare lo sguardo, i suoi occhi guizzavano da un lato all’altro della stanza, si accostava agli oggetti per vederli nel dettaglio, poi correva da un’altra parte e attorno a sé riusciva a percepire chiaramente l’energia emanata da quei manufatti, l’energia pura e santa di cui li avevano impregnati i loro possessori, era come se un frammento dell’anima di quei santi fosse rimasta attaccata alle reliquie.

I provinciali avvertivano quell’alone sacro? O era una consapevolezza solo sua?

Li osservò e comunque li vide abbastanza entusiasti.

Le reliquie, tuttavia, non erano gli unici preziosi lì custoditi, vi si trovavano anche numerosi rotoli di papiro o pergamena. Isaia, calmatosi un poco dall’euforia iniziale (gli occorse più o meno un’ora), si infilò un paio di guanti (non avrebbe mai voluto rovinare i manoscritti!) e iniziò a srotolare i testi per osservarli. C’erano molte raffigurazioni che accompagnavano lunghe scritte nelle lingue più antiche del Vicino Oriente e del Mediterraneo. Isaia tradusse al volo qualche frase delle lingue che conosceva, per poter capire di cosa trattassero i manoscritti, era interessatissimo e non vedeva l’ora di poterli studiare. Non sapeva da che parte cominciare!

Abdel Nassen” chiese rivolto al provinciale “Di quanti traduttori disponiamo?”

“Con esattezza non saprei, penso che una decina li troveremo.”

Mmmm” Isaia pareva un po’ deluso dall’esiguo numero “Li voglio tutti all’opera. Passerò i prossimi giorni qui, con loro, finché non avrò una traduzione di ciascuno di questi testi.”

Alcuni dei provinciali si scambiarono qualche occhiata incerta, come stupiti che il loro Grande Maestro avesse intenzione di dedicarsi a quegli studi, piuttosto che all’azione, ma non dissero nulla. L’unico che manifestò il suo disappunto fu padre Fylan.

Isaia gli scoccò una tremenda occhiata, poi, con estrema calma, spiegò: “Non conosciamo i contenuti di questi testi, potrebbero rivelarci segreti importanti per la nostra missione, non dobbiamo trascurarli.”

 

Nel mentre che Isaia trascorreva intere giornate a studiare gli antichi manoscritti, a Roma Michela era riuscita ad avvicinare Gabriel e ora attendeva solo di essere chiamata per aiutarlo. Non erano passati molti giorni quando il professor Antinori la fermò dopo lezione, per dirle di presentarsi in Congregazione, nel primo pomeriggio, per una prima verifica.

“Come già ti ho detto, non ti manderemo mai da sola a fare delle verifiche.” le rispiegò più tardi Gabriel “Il tuo compito è quello di consulente per i nostri padri.”

Erano nell’ufficio di Gabriel, quello che era stato di suo zio prima e di Isaia poi. L’ex gesuita era in piedi, poiché non gli piaceva stare dietro ad una scrivania a dare ordini: non era adatto per lui un simile atteggiamento; seduti su sedie c’erano la ragazza e un prete biondo, di circa ventotto anni.

“Lui è padre Sebastiano, uno dei migliori esorcisti che ci sono rimasti, lo aiuterai in una verifica. Un parroco, don Taddei, stava accompagnando il gruppo di boyscout della sua parrocchia in un’escursione in un bosco; arrivati in una raduna si sono imbattuti in una sorta di altare blasfemo, sembra ci fossero disegnati pentacoli, han trovato anche carboni e cenere di focolari con in mezzo ossa bruciate. Pensiamo sia una setta. Voglio che voi due andiate a dare un’occhiata: fatevi un’idea di quel che succede ma non intervenite, a meno che non strettamente necessario, prima di aver riferito a me e aver ricevuto istruzioni, d’accordo?”

Venti minuti più tardi i due giovani erano presso la parrocchia di don Taddei per farsi condurre nel luogo del ritrovamento.

“Oh, buongiorno!” li salutò il prete “Vi manda la Congregazione? Speravo inviassero Isaia: la situazione è grave!”

“Mi spiace, ma padre Morganti è in un periodo di pausa, tuttavia non si preoccupi sono stato il suo migliore allievo.”

Don Taddei non sembrò troppo convinto ma non protestò e li condusse verso il bosco. Mentre camminavano, Michela si affiancò a Sebastiano e sottovoce gli chiese: “Chi è questo padre Morganti?”

“È stato il mio maestro, il miglior esorcista della Congregazione … dopo Samuele Costa, ovviamente.” Parlava con viva ammirazione e gratitudine “È un esperto di demonologia e le sue conoscenze circa l’esoterismo e l’occulto sono sconfinate: gli bastava un’occhiata per capire tutto di un culto o una presenza maligna. Il suo allontanamento dalla Congregazione ha reso evidente come noi dipendessimo abbastanza da lui. Alonso è ottimo, ma non può bastare lui.”

“Come mai questo padre Morganti se n’è andato?” ovviamente erano cose che lei sapeva benissimo, si comportava così perché era quello che riteneva essere il comportamento più naturale per una persona in quella situazione.

“Non ce l’hanno spiegato.” rispose cupamente Sebastiano “Ci hanno detto che gli è stato affidato un compito complesso, lungo e lontano da qui. Non so se credere a queste parole.”

“Perché avrebbero dovuto mentirvi?”

“Non lo so, ma Isaia mi avrebbe avvertito e salutato!”

Intanto giunsero nella radura e subito balzò alla loro vista un grosso masso squadrato, lavorato in parte per richiamare un altare, attorno ad esso non c’era erba; quando i due giovani si avvicinarono per meglio vedere, si accorsero che il pietrone era al centro di un grosso cerchio, dapprima scavato, poi riempito di pietre e reso uniforme con della calce. Michela fece un giro attorno alla circonferenza e vi trovò tracce di sale e incenso.

“Guarda: un pentacolo!” esclamò con disappunto Sebastiano, che si era avvicinato all’altare.

Nella superficie della lastra di pietra era stato scavato un cerchio e vi era stato incastrato un disco di rame su cui era stata scolpita a sbalzo una stella a cinque punte e in corrispondenza di ogni punta c’era una piccola conca. Sulla pietra c’erano anche tracce di colatura di cera di candele e di sale bruciato.

“Non credo siano pericolosi.” disse infine Michela, dopo aver guardato tutto con attenzione.

“Ah no?” domandò, scettico, Sebastiano “Mi pare evidente che qui vengano effettuati rituali di dubbia natura.”

“Nulla di demoniaco, però, è solamente un gruppo wicca.”

“Neopagani.” borbottò con disprezzo il prete.

“Già, comunque sono innocui.”

“Questo lo deciderà Antinori. Tu come fai ad essere certa che si tratti di wicca e non di altro?”

“Avremmo trovato simboli e pentacoli ben peggiori se ci fossimo imbattuti in una setta satanica.”

“Sì, in effetti i satanisti usano lasciare attivi sigilli e pentacoli di protezione e sventura per gli intrusi; qui non ve n’è traccia.” ricordò, non senza un certo raccapriccio, un paio di ispezioni fatte assieme ad Isaia. Aveva visto decisamente di peggio.

“Inoltre, se noti, sul pentacolo in rame sono incise delle lettere che fanno capire che il modo in cui de’essere guardato è con le due punte rivolte verso l’officiante e la punta unica orientata altrove, questo lo rende un simbolo positivo; le sette sataniche usano la stella rovesciata.”

“Giusto anche questo. Ma le piccole conche? Non servono forse per raccogliere sangue?”

“No, sono per le pietre legate agli elementi, necessarie per evocare i guardiani.”

“Non sono del tutto convinto. Sentiremo cosa consiglia Antinori.”

Tornarono in Congregazione e fecero rapporto a Gabriel che, dopo un’attenta riflessione, concluse: “Per capire la vera natura di quel che fanno, bisognerà spiarli durante un rituale, sappiamo quando celebrano?”

“Con la prossima luna piena ci sarà un esbat.” spiegò Michela “In particolare si festeggerà la Luna del fiore: l’unione tra il dio e la dea, aiuta a concretizzare i percorsi spirituali.”

“Sai in cosa consista questo rito?” domandò Gabriel.

“Sono più o meno sempre gli stessi: purificazione, evocazione dei guardiani, lettura di qualche preghiera, danze e poi il Gran Rito: una ierogamia.”

“Un’orgia, quindi.” commentò Sebastiano.

“Dipende dallo stile del gruppo, a volte l’atto sessuale tra i sacerdoti e le sacerdotesse è sostituito da una certa coreografia in cui si muovono e si uniscono un coltello e un calice … esattamente come nel buddismo tantrico, epurato dalla sessualità, si fanno congiungere il vajra e la campana. Comunque il tutto è accompagnato da vino e, alla fine, si congedano i guardiani.”

“Non sembra nulla di terribile.” commentò Gabriel.

“Ammesso che si tratti di questo.” puntualizzò il prete “E comunque, se davvero evocano spiriti, allora c’è da intervenire comunque.”

“Quando ci sarà la luna piena?” domandò Antinori “Andremo noi tre a sincerarci di quel che accade. Se si tratta di una setta pericolosa, interverremo; altrimenti, se sono davvero wicca, li lasceremo fare: in fondo sono sceneggiate senza effetto.”

“Mi permetta di dissentire.” disse la ragazza “Quel luogo vibrava di magia, non si tratta di riti senza sostanza: quel che fanno è efficace.”

“Se è così, allora li dobbiamo fermare in ogni caso.” disse Gabriel “Cioè … non fermare, ma dobbiamo trovare la maniera di avvicinarli e convincerli a usufruire del nostro Centro d’Ascolto.”

“Vuole dare loro assistenza psicologica, anziché ricondurli alla vera religione?” storse il naso Sebastiano.

“Non possiamo obbligare qualcuno a convertirsi, ma possiamo comprendere il perché delle sue scelte e quindi capire come parlare loro per ricondurli a noi.” spiegò Gabriel.

Qualche notte più tardi, dunque, con la Luna piena, Gabriel si recò sul posto accompagnato da Michela e Sebastiano. Quando arrivarono, i wiccan erano già entrati nel cerchio.

“Che cosa stanno facendo?” domandò Antinori, mentre con gli altri due era nascosto nella boscaglia.

“Stanno per evocare gli spiriti guardiani” spiegò Michela “È una versione degiudaizzata dello scongiuro dei quattro. Nella tradizione cabalistica pratica, quando si evocano questi spiriti, si esorcizzano i loro habitat con invocazioni a Michele, Gabirele, Raffaele, Uriele, Stabtabiele, Hochmaele, Samuele e Anaele; ci si affida ai principi neshta, hod e jesod per allontanare tutto ciò che è negativo o potrebbe sopraffare la volontà del Mago. Per come lo praticano loro, invece, non c’è nessuna forma di controllo, gli spiriti possono ribellarsi.”

“Si stanno voltando verso di noi! Forse ci hanno visti!” esclamò, sussurrando, Sebastiano, tenendo i muscoli come pronto ad uno scatto in avanti per reagire ad un attacco.

Michela osservò un attimo, poi disse: “No, tranquilli, siamo ad est; si sono rivolti nella nostra direzione perché è verso oriente che devono evocare le Silfidi.”

Spirito di luce, spirito di saggezza, il cui soffio dà e riprende la forma di ogni cosa … Si sentiva in lontananza.

“Gli spiriti dell’aria.” constatò Gabriel.

I praticanti si volsero poi a ovest.

Re terribile del mare, Voi che tenete le chiavi delle cateratte del cielo e che serrate le acque sotterranee …

“Adesso è il momento delle Ondine.”

Immortale, Eterno, Increato Padre di tutte le cose, che sei incessantemente trasportato sul carro roteante dei mondi in perpetuo giro …

“Le Salamandre, gli spiriti del fuoco; sono a sud.”

Oh Re invisibile che avete preso la terra per appoggia e ne avete scavati gli abissi per riempirli della vostra onnipotenza …

“Gnomi, si trovano a nord.”

Finite quelle evocazioni effettivamente apparvero attorno al cerchio spiriti umanoidi, dai contorni più o meno definiti, alcuni snelli e flessibili, altri tozzi e robusti, alcuni guizzanti, altri saldi.

Sebastiano inorridì e mise mano al Crocefisso; Gabriel fece altrettanto e disse: “Dobbiamo agire!”

Entrambi balzarono fuori dal nascondiglio, portando dinnanzi la croce e pronunciando esorcismi.

Michela non ebbe modo di trattenerli, quando disse: “Non sono demoni, non temono la croce!” gli altri due erano già in prossimità del cerchio.

I wiccan se ne accorsero immediatamente e risero dei loro sforzi e incitarono gli spiriti a compiere il loro dovere di guardiani; così Gabriel e Sebastiano si ritrovarono ad essere assaliti da frotte si silfidi, gnomi, ondine e salamandre.

Michela, tra sé e sé, tirò qualche accidente a tale situazione; si mise al collo un medaglione con un pentacolo inciso sopra, accarezzò la spada che si era portata, appesa in vita, poi afferrò un bastone a forcella che trovò lì vicino e strinse nell’altra mano un bicchiere che aveva con sé. Si fece avanti con animo calmo, saldo e concentrato e iniziò a pronunciare: “Michael, Gabriel, Raphael, Anael. Fluat Udor per spiritum Eloim. Maneat Terra per Adam Iot-Chavah. Fiat Firmamentum per Iahuvehu-Zebaoth. Fiat Iudicium per ignem in virtutem Michael!”

Alzò la coppa: “L’acqua torni all’acqua!”

Toccò il pentacolo: “L’aria circoli!”

Batté il bastone per terra: “Il fuoco si estingua!”

Brandì la spada: “La terra ricada sulla terra.”

Con la mano destra tracciò una croce per aria, mentre diceva: “In nome del tetragramma divino che sta scritto al centro della croce luminosa!”

Gli spiriti si dissolsero nel nulla in un istante.

I wiccan si stupirono, si spaventarono, iniziarono a bisbigliare tra di loro: come potevano essere stati scacciati così facilmente gli spiriti che loro evocavano con fatica e che dovevano obbedire a loro?

Pure Gabriel e Sebastiano erano alquanto perplessi e guardarono incerti la giovane.

Michela non se ne curò. Percepiva bene gli animi di quei wiccan, li riconobbe come abituati a subire la luce astrale anziché dominarla, i loro riti richiamavano le larve vaganti nel flusso astrale che approfittavano di loro e non erano minimamente controllate.

Bene –pensò la ragazza- Sarà facile persuaderli.

Lasciando che il messaggio agisse più col flusso magnetico che non con la voce, Michela disse: “Amici e amiche, la dea e il dio ci mandano a voi perché vogliono che voi raggiungiate nuove consapevolezze, che siate padroni delle vostre emozioni, che non subiate le vostre passioni. Affidatevi a noi, obbedite a questi uomini, vi faranno presto conoscere un luogo dove potrete recarvi per evolvere assieme, per conoscer meglio voi stessi, dominare le vostre debolezze e rendervi migliori.”

Quelle parole erano improvvisate e non molto chiare, ma la voce era calma e penetrante, la sua energia era riuscita a soggiogare l’animo dei wiccan che si lasciarono persuadere.

Il gruppo contava una quindicina di adolescenti e preadolescenti, maschi e femmine tra i dodici e i vent’anni. Gabriel si stupì che ci fossero genitori che permettessero a ragazzini così piccoli di uscire da casa. Quella sera non furono celebrati rituali. Gabriel e Michela passarono in chiacchiere un paio d’ore con quei ragazzi, mentre Sebastiano se ne stava un po’ più sulle sue. Salutarono i wiccan e si raccomandarono di presentarsi presto al Centro d’Ascolto.

Quando furono in macchina e tornavano indietro, Sebastiano domandò, un po’ sospettoso: “Perché i nostri esorcismi non hanno funzionato e mentre le tue parole hanno scacciato quegli esseri?”

“Non erano demoni, non avevano motivo di temere Cristo. Bastavano le leggi della natura per farli tornare nei loro luoghi.”

“Hai nominato però gli arcangeli e hai invocato la croce.” osservò il prete.

“Erano i quattro arcangeli legati ai quattro elementi e anche la croce rappresenta l’equilibrio; la potenza di Dio manifestata attraverso l’ordine, semplicemente questo.”

“E dove hai imparato questo genere di cose?” chiese sospettoso Sebastiano “Sembra qualcosa di più simile all’esoterico, piuttosto che al cristiano.”

“Semplicemente è una branca dell’angeologia; sì ha tradizione medievale, ma rimane nei tracciati della Chiesa.”

Il giorno dopo, Michela si presentò presso il Centro d’Ascolto per parlare con Claudia.

“Ciao!” la salutò sorridente la psicologa “Gabriel mi ha raccontato quel che avete fatto ieri sera, hai avuto un buon approccio nel parlare con quei ragazzi. È bello vedere che non sei aggressiva e impaurita da questa gente. Quell’esaltato di Sebastiano, stando alle parole di Gabriel, avrebbe tentato di esorcizzare tutti quanti, ma d’altra parte non ci si può aspettare di meglio da un allievo di Isaia … Probabilmente quei ragazzi non hanno mai fatto nulla di concreto.”

“Se esegui bene un rituale, qualcosa lo ottieni, il problema è che molti non hanno il controllo di quel che fanno ed esso gli si ritorce contro. Ieri sera i guardiani sono stati evocati per davvero.”

“Gabriel ha fatto di tutto per cercare di convincermi che si trattava di apparizioni vere e non di allucinazioni dovute al buio, i fumi di incenso e la paura. Una volta l’avrei ritenuto impossibile, ma poi ho visto una vampira …. ho dovuto accettare che certe cose esistono. Poco tempo fa mi è capitato anche di imbattermi nell’uomo nero … è stato strano, era una suggestione psicologica, eppure era reale … non saprei spiegarmelo e poi ho come avuto una visione per riuscire a capire che trauma avesse avuto la mia amica … non mi riesco ancora a spiegare quel che è successo.”

Erano sedute su un divanetto in quella che sarebbe dovute essere la stanza comune del Centro d’Ascolto, accessibile sempre a tutti e dedicata allo svago.

“Esiste un’energia universale che permea tutto; su di essa si fissano le immagini di ogni azione, pensiero ed emozione, è quello che voi psicologi chiamate inconscio collettivo. Queste informazioni non rimangono immobili, ma vengono agitate da sentimenti, emozioni che coagulano, addensano o dissolvono quest’energia. Pensare costantemente a qualcosa, esserne ossessionati, può produrre allucinazioni, lei lo sa bene. A volte, però, o l’ossessione e la convinzione è estrema, o il legame con questa energia è talmente forte, che il frutto del nostro pensiero non si limita ad apparire come immagine davanti ai nostri occhi, ma si concretizza in maniera solida e palese a tutti.”

“Stai dicendo che c’è un legame tra psiche e magia?” si stupì Claudia.

“Precisamente. Il pensiero, la nostra immaginazione è fondamentale per la magia. Il problema è che quando siamo vittime di paure, rabbia, manie, dipendenze e così via, essa non è controllabile, a volte agisce contro di noi e a volte rivela ciò che il nostro inconscio desidera.”

“È esattamente come l’uomo nero che ha generato la mia amica!”

“Sono in pochi a riuscire ad appellarsi solo alla propria volontà per dare concretezza alle proprie fantasie e il più delle volte attingono lo stesso almeno un poco ad altri sentimenti.”

“Mi piace questa visione delle cose … mi riesce ancora difficile da credere, però davanti a certe evidenze che ho avuto di fronte agli occhi, non posso negarle.”

Rimasero in silenzio per qualche attimo; Claudia stava ripensando a qualcosa … fu un po’ titubante, poi chiese: “In questi termini, però, non è plausibile la resurrezione, vero?”

Michela sapeva a cosa si riferiva, glielo aveva raccontato Isaia in una delle conversazioni inconsapevoli, tuttavia ovviamente fece segno di stupirsi e domandò: “Ti è capitato?”

Claudia non voleva certo parlare del potere di Gabriel, per cui si limitò a quel che la riguardava direttamente: “ … Qualche mese fa, Gabriel è stato pugnalato e i medici avevano detto fosse morto, tanto che avevano composto la salma … Io ho avvertito a distanza che gli era successo qualcosa, sono corsa da lui e … l’ho baciato e lui si è risvegliato … lo so che sembra assurdo, è il classico finale di molte fiabe … ma è andata così. I medici hanno detto che evidentemente si trattava di un caso di morte apparente ma … io non ne sono convinta.” si sentì in imbarazzo e aggiunse: “Non ne ho parlato a nessuno, prima d’ora, perché da una parte non volevo creare difficoltà a Gabriel e dall’altra sapevo che non mi avrebbero creduta … Tu, però, ti dimostri molto addentro a queste cose e senza i pregiudizi che hanno molti qua … la tua spiegazione della magia pare quasi scientifica e dunque ho pensato che, forse, potevo parlarne con te.”

“Una morte che cessa è una letargia, ma la morte inizia sempre come letargia. L’anima si trova in uno stato di quiete profonda assai più desiderabile rispetto alle agitazioni della vita, per risvegliarla occorre eccitarne violentemente tutti i suoi affetti, legami e desideri. Dev’esserci un’altra anima che richiami quella assopita, che la solleciti mostrandole tutte le gioie e i piaceri terreni, in quest’operazione il contatto è necessario; inoltre quest’azione diviene un po’ più semplice se il defunto aveva dei conti in sospeso sulla Terra.”

“Perché sembra sensato?”

“Perché lo è.”

“Quindi era davvero morte apparente …”

“Che si sarebbe trasformata in morte reale, se tu non fossi intervenuta.”

Claudia rimase pensierosa un poco, si guardò attorno e si rese conto che quel posto era molto spoglio e triste: tutte le pareti bianchi rendevano l’ambiente molto serioso e formale e non era quella l’impressione che doveva trasmettere ai futuri frequentatori.

“Senti, Michela, ti andrebbe di raccontarmi ancora un po’ delle connessioni tra psiche e magia? E mi daresti dei consigli su come decorare questo posto?”

“Certo, molto volentieri.” rispose sorridente la ragazza.

Le due donne rimasero a parlare a lungo e iniziarono anche a fare qualche bozza dei disegni da fare alle pareti.

 

 

 

Buondì! ^.^

Ne approfitto per salutare e ringraziare i miei affezionati lettori. Spero davvero che questa storia vi piaccia, nonostante il numero spropositato di spiegoni. Nei prossimi capitoli la presenza di Isaia sarà un poco marginale, ma presto tornerà padrone della scena, non temete.

In questo capitolo ho parlato delle wicca. Mi voglio scusare con loro per le inesattezze e gli errori che avrò sicuramente commesso. Per parlare dell’argomento mi sono documentata rapidamente, per cui gli sbagli sono dovuti ad ignoranza mia, non a cattiveria.

Un saluto e un grazie a tutti e a presto! J



[1] Poveri Compagni d’armi di Cristo e del Tempio di Salomone

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Capitolo 15
*** Il Centro d'Ascolto ***


Da quasi due settimane, Isaia trascorreva le sue intere giornate nella stanza delle reliquie a tradurre manoscritti, ma soprattutto a studiarseli. Era entusiasta per quella fonte di conoscenza che stava facendo pian, piano sua. In prevalenza erano testi gnostici o cabalistici, tutte teorie che andavano a rafforzare quelle esposte da Eliphas Levi e che erano tanto care a Michela.

Il Grande Maestro aveva dovuto perdere alcune ore a dare istruzioni ai provinciali e assistere al congedo di alcuni di loro che facevano ritorno nelle loro zone d’azione; padre Fylan era stato uno dei primi ad andarsene e questo aveva decisamente messo di buon umore Isaia. Buon umore che non era destinato a durare. Una sera infatti, Abdel Nassen dovette comunicare delle notizie non gradevoli: “Maestro Morganti, c’è una questione di una certa urgenza di cui dovreste occuparvi, temo dovrete rimandare a più avanti lo studio dei rotoli.”

“Di cosa si tratta?” domandò Isaia con tono assolutamente responsabile e per nulla seccato.

“Delle bande armate hanno iniziato a prendere d’assalto le comunità cristiane qui in Turchia. Hanno bruciato delle chiese e massacrato fedeli.”

“Da quanto va avanti questa storia?”

“Sono fatti recenti, il primo attacco è stato quattro giorni fa a Uskudar, il quartiere dall’atra parte dello stretto, e un paio di giorno dopo a Izmit. Sono arrivati, hanno massacrato e saccheggiato per diverse ore e poi si sono ritirati, senza lasciare traccia.”

“Le autorità civili non sono intervenute?”

“Non hanno potuto; i soggetti in questione hanno perimetrato l’area delle loro razzie e hanno  impedito a chiunque di potersi avvicinare, uccidendolo. La cosa paradossale è che loro utilizzano solo armi bianche e sono riusciti a tener testa a poliziotti armati di pistole!”

“Quanta gente è morta?” inorridì Isaia.

“Troppa, i giornali non concordano sui numeri.”

“Immagino che non abbiano neppure idea di chi ci sia dietro a questi attacchi. Noi possiamo avere indizi?”

“Nulla al momento. Niente simboli, niente invocazioni particolari. Sappiamo solo che erano vestiti tutti di rosso e bianco e che hanno usato esclusivamente armi da taglio: sciabole, pugnali, scimitarre, ma nessun esplosivo o arma da fuoco.”

“Beh, direi che l’unica cosa da fare sia quella di andare ad Uskudar e a Izmit a raccogliere informazioni tra i superstiti, sperando che ce ne siano.”

“Non credo avranno ucciso tutti … mi auguro. Partirete anche voi?”

“Certo e anche tu. Partiamo in una decina, per il momento, voglio i più abili nel combattere; gli altri siano pronti a raggiungerci al primo segnale.”

“Darò precise istruzioni. Per l’equipaggiamento?”

“Tu vivi qui, sai meglio di me cosa sia necessario; comunque lo stretto indispensabile, in modo tale che, se raccoglieremo informazioni utili e dovremo spostarci, saremo già pronti per farlo, però non voglio troppi bagagli o impicci che ci rallentino. Ah, un’ultima cosa, solo armi bianche, voglio affrontarli a pari condizioni.”

 

Così, mentre Isaia iniziava ad indagare su quella banda selvaggia e le dava la caccia, in quel di Roma le cose parevano procedere in maniera molto più tranquilla. Il Centro d’Ascolto era stato ben avviato, i wiccan si erano presentati, anche in maggior numero rispetto a quelli che erano stati trovati da Gabriel a celebrare il rito. Molte delle persone in cui si era imbattuta la Congregazione, seppure inizialmente titubanti, erano passate a dare un’occhiata e poi quasi tutte si erano convinte a frequentare costantemente quel luogo. Alcuni, come Daniele e i suoi fratelli,  passavano pomeriggi interi là dentro, altri passavano due o tre volte a settimana; non si trattava solo di parlare con Claudia, confidarsi con lei e avere i suoi consigli, bensì era uno stare assieme con persone simili a sé, confrontarsi con loro su tutti gli aspetti della vita, da quelli paranormali, a quelli quotidiani. Il Centro d’Ascolto era diventato presto anche un centro ricreativo. Specialmente i ragazzi avevano iniziato ad aiutarsi tra di loro, per esempio con i compiti e lo studio; Agata insegnava a disegnare, oppure faceva quadretti per abbellire le stanze o da regalare; Leonardo aveva conosciuto un signore che gli aveva trovato un lavoro. Si percepiva che quelle persone si consideravano come una minoranza e sentivano il bisogno e il dovere di sostenersi vicendevolmente e questa comunanza, questo reciproco aiuto non solo creava un forte affiatamento, ma rendeva tutti quanti più sicuri, tranquilli e gioiosi.

Stefano si presentava spesso al Centro, specialmente quando c’era anche Gabriel, come al solito lo osservava con grande attenzione, pronto ad imparare qualsiasi cosa. Pure Sebastiano si era fatto vedere qualche volta, ma il suo atteggiamento era alquanto freddo, come se fosse lì ad osservare alla ricerca di qualcosa di sbagliato, o forse quello era semplicemente il suo sguardo nel cercare di capire; comunque di certo non apprezzò l’arrivo dei buddisti che, scoperto quel posto, iniziarono a recarvicisi quasi quotidianamente, per dare una mano, per condividere riflessioni e avevano sempre l’attenzione di tutti quando creavano mandala con la sabbia colorata e poi li distruggevano. Erano stati introdotti da Michela, che sosteneva potessero essere un grande aiuto per il gruppo wiccan, che anche lei aveva preso parecchio a cuore.

Claudia si era stupita nel vedere quella gente così felicemente coesa in così pochi giorni, immaginava ci sarebbe voluto più tempo; comunque, dato che la situazione era quella, attivò subito delle spicie di terapie di gruppo, dove poter costruire qualcosa assieme; un’altra strategia utile che aveva iniziato ad impiegare era di affiancare persone più o meno complementari che potessero bilanciarsi ed aiutarsi l’un, l’altro.

Claudia aveva trovato anche un grande aiuto in Michela, che collaborava volentieri. Avevano decorato le pareti della sala principale disegnando ad est un leone alato, a nord un’aquila, a ovest un angelo, a sud un toro alato. Questi animali avevano accolto il benestare del Direttorio, che li aveva considerati solo nell’accezione di simboli degli evangelisti, senza conoscerne l’occulto significato esoterico.

Le due donne erano entrate rapidamente in confidenza, nonostante il divario di età, si consideravano amiche. A Claudia un po’ dispiaceva che la ragazza dovesse sempre avere i minuti contati per fermarsi al Centro, poiché doveva sempre andarsene a un preciso orario per recuperare Giorgio e stare con lui, ovviamente. La psicologa pensò che dovesse essere molto dura per la giovane, sola, frequentare l’università, dare una mano a lei e a Gabriel e pure prendersi cura del figlio; vedeva in lei quella che sarebbe potuta diventare la sua vita, se all’università non avesse abortito: all’epoca le era sembrato impossibile poter gestire studio e bambino, ora vedeva che c’era chi ce la faceva.

Nonostante gli impegni, Claudia riuscì lo stesso ad organizzare, un sabato, una serata tra donne, invitando sia Michela che Teresa.

Un pomeriggio molti dei giovani, che avevano preso l’abitudine di frequentare il Centro d’Ascolto, e anche qualche adulto si erano ritrovati perché desideravano organizzare un’escursione, oppure una gita di un paio di giorni, per divertirsi assieme. Erano indecisi se impostare una sorta di viaggio turistico, magari in una città d’arte, oppure andare in un posto isolato dove essere liberi di sbizzarrirsi con le loro capacità, oppure fare un pellegrinaggio in un santuario importante per compiacere il Direttorio; i buddisti insistevano per andare alla Casa del Tibet a Votigno, nell’Appennino Emiliano.

Si stava discutendo vivacemente e le proposte fioccavano, in realtà si era creata un po’ di confusione. Michela sentì il bisogno di allontanarsi, quella quantità di emozioni e di flussi astrali che venivano a contatto col suo la mettevano a disagio, non sopportava la vicinanza di troppe persone, men che meno quando espandevano tanta energia. La ragazza si alzò, fece due passi e decise di andare fuori, nel giardinetto del Centro, dove stavano giocando alcuni bambini. Lei si sdraiò a terra, chiuse gli occhi, lasciò che il caldo Sole di giugno la riscaldasse e che la Terra assorbisse tutte le sue energie negative e la rigenerasse. Un ragazzino di undici o dodici anni le si avvicinò. Lei percepì la sua presenza, aprì gli occhi e lo guardò, era Immanuel, lo aveva già conosciuto, la stava fissando con attenzione. Michela era a disagio di fronte a quel bambino, fin dalla prima volta, aveva percepito una straordinaria energia provenire da lui, ma non era ancora riuscita a comprenderla, era come se attorno a lui ci fosse una sorta di protezione che neutralizzava ogni tipo di azione della giovane verso di lui.

“Tu sei amica di Isaia.” disse candidamente Immanuel.

Michela scattò a sedere e lo guardò con preoccupazione, istintivamente avrebbe voluto mentire, negare quell’affermazione, ma si disse subito che sarebbe stato sciocco e inutile, evidentemente quel bambino sapeva già, tanto valeva essere onesti. Tacque e attese che lui dicesse qualcosa.

“Non aver paura.” la rassicurò il bimbo, che per anni era stato circondato da gente intimorita da lui “So che gli altri sono arrabbiati con lui, ma noi no.”

“Anche tu gli vuoi bene?” domandò sottovoce la ragazza e guardandosi attorno, per paura che qualcuno li sentisse.

“Sì. L’ho riconosciuto subito quando l’ho visto: lo aspettavo. Aspettavo anche Gabriel … e Claudia e te.” la osservò coi suoi grandi occhi scuri.

Michela si stupì parecchio per quelle parole e riuscì solo a farfugliare: “Tu sai!?!”

“Io vi conosco, so chi siete e quello che potreste fare.”

“Allora sai anche che non è detto finisca bene.”

“Non so come finirà, ma presto le tenebre arriveranno e per te e per Isaia sarà difficile non esserne inghiottiti. Potrebbe finire male.”

“No, non è vero!” ribatté la giovane, preoccupata “Gabriel potrà anche cedere al suo lato oscuro, ma Isaia non lo farà mai. Nel peggiore dei casi Isaia lo ucciderà.”

“Bonifacio vi vuole tutti e quattro e lui è bravo ad ottenere ciò che vuole.” non sembrava turbato.

“Lo so, purtroppo … Ma, Immanuel, chi sei? Come fai a sapere tutte queste cose?”

“Sono semplicemente quel che sono.” alzò le spalle come per dire: sono un bambino, nulla di più!

“Se il pericolo è imminente, forse dovremmo raccontare tutto a Gabriel, il sapere potrebbe aiutarlo a reagire nel modo migliore.”

“Ho provato a parlargli, ma non riesce a riconoscere la saggezza nelle mie parole. Non ascolterebbe nemmeno te: ora più che mai è convinto di sé stesso, dell’amore e della forza dell’amore.”

“Ah, se non ci credesse lui, chi potrebbe?”

“Ma al momento il suo amore non è puro e dove arde un amore così appassionato, facilmente brucia anche l’odio. Presto lo scoprirai e, se non scivolerai nella follia, allora starà a te, con la forza della saggezza, ad impedire che la giustizia si trasformi in vendetta e violenza. Se ci riuscirai, forse c’è ancora speranza per l’amore.”

“Ci sono troppi se! Ma l’intelligenza non farà nulla? È lei che dovrebbe pensare all’amore!”

“È vero, a patto che l’intelligenza non diventi dogmatismo che, pur di non rinunciare alle proprie convinzioni, neghi fatti e realtà. Se accadesse, la saggezza dovrà ricondurla sulla giusta via.”

“Stai dando troppi compiti alla saggezza!”

“Le cose non sono semplici, quando si vuole l’ordine e il bene, devono collaborare Amore e Giustizia, Intelligenza e Saggezza, Amore e Intelligenza, Giustizia e Saggezza.”

“Lo so, uno in meno e la perfezione non può realizzarsi.”

“È un obbiettivo alto, nessuno ti obbliga a realizzarlo, ma, se deciderai di tentare, le difficoltà saranno molte. Sinceramente, io sarei felice anche con il solito pareggio.”

“Beh, come in molte cose, si punta al massimo, sperando di riuscire ad ottenere almeno il minimo ...., pazienza, tanto io ho la mia convinzione: fare il mio dovere, indipendentemente dal risultato finale.”

“Il dovere va abbracciato, sì, ma bisogna sempre ricordarsi di portarlo avanti con serenità e non deve diventare un’ossessione, altrimenti anch’esso ci porterà dolore e non la gioia che dovrebbe e potrebbe consumarci e distoglierci da esso stesso.” lo diceva candidamente, puro, senza saccenza.

“Quanta saggezza nelle tue parole! È vero, allora, che Dio ci parla con la bocca dei bambini.”

Poco dopo suonò una campanella che annunciava che era pronta la merenda, quasi sempre a base di succo e pane e marmellata, Immanuel si alzò e corse a prenderla, Michela invece rimase dov’era, pensierosa su ciò che le era stato detto.

La richiamò alla realtà Sebastiano che, recandosi al Centro per sorvegliare, si era accorto che lei era lì in disparte e dunque si era avvicinato.

“Che la pace del Signore sia con te.” la salutò, mentre i raggi del sole risaltavano il biondo paglia dei suoi capelli.

“E con il tuo spirito.” rispose lei, alzando lo sguardo.

“Come mai non sei dentro? Pensavo ti piacesse paganeggiare con le streghe.”

Michela rise, anche se non era certa si trattasse di una battuta, poi scrollò le spalle e si difese: “E dire che cerco solo di separare le superstizioni dai concetti cabalistici che, inconsapevolmente, hanno. Non ti piace proprio quella gente?”

“Checché ne dica Antinori, io rimango convinto che i loro poteri siano manifestazioni del demonio, non mi importa se essi lo sappiano o meno.” fu la secca e severa risposta del giovane prete.

“In un certo senso potrei essere d’accordo con te.” ammise, ragionando, la ragazza.

“Non si direbbe, data la maniera amichevole in cui li tratti.”

“Gesù non ha forse detto di essere venuto per i peccatori? Bisogna sconfiggere il male, non i cattivi e ad esso non va contrapposto altro male, ma il bene. Effettivamente si potrebbe dire che loro sono in balia del diavolo, mentre i maghi lo comandano, ma credo che non sia la metafora più adatta da usare, parlando con te. I loro poteri sono generati dalle forti emozioni sorte a causa di qualcosa che patiscono, nel senso greco di subire.” cercò le parole “Quella è semplicemente gente che ha bisogno di liberarsi delle proprie debolezze, fragilità, brame, come tutti noi.”

“E credi che una psicologa li possa aiutare?” era ironico “La psicologia non fa altro che dire: non è colpa tua se sei così, è dovuto a fattori esterni, a quello che hanno fatto altri. Sciocchezze! Non possiamo attribuire le nostre colpe e i nostri vizi agli altri, essi sono in noi e solo noi li possiamo estirpare, con l’aiuto e la grazia di Dio, ovviamente. Preferirò sempre un direttore spirituale ad uno strizzacervelli.”

“L’uno o l’altro poco importa, sono entrambi efficaci per il problema: follia, in maniera più o meno evidente. Tutti noi siamo in parte folli.”

“La follia come manifestazione del male?” rifletté Sebastiano “Sì, ci può stare, nell’accezione che l’intelligenza ci avvicina a Dio, poiché solo in lui risiede la vera felicità e dunque è da folli non desiderarla e non protendere verso di essa.”

“Se l’argomento ti interessa, posso prestarti un libro che analizza tutti i comportamenti di Arimane, il dio nero degli zoroastriani, come patologie psicologiche. È veramente interessante!”

Sebastiano non rispose, fece un cenno con la testa che poteva essere sia un sì che un no; poi disse, con velate malinconia e ira: “Dovrebbe esserci Isaia alla guida del Direttorio, non Antinori!”

“Nutri molta stima per questo Isaia, dev’essere un grande prete.” a Michela piaceva sentir  parlare di Isaia, specie da chi lo apprezzava.

“La sua conoscenza è vastissima e ha sempre tenuto una condotta ineccepibile. Sempre pronto ad intervenire, ovunque, in ogni momento! Certo, è piuttosto solitario ed è alquanto selettivo nelle sue frequentazioni, so bene anch’io che non era il genere di prete adatto ad avere una parrocchia, ma è comunque molto importante quel che fa.”

“Non tutti la pensano così” volle provocarlo la ragazza “Stefano storce sempre il naso, quando lo nomini.”

“Stefano non capisce nulla, fosse per lui istaurerebbe una religione basata su Antinori.”

Michela non poté fare a meno di ridere e poi gli diede ragione: effettivamente l’atteggiamento di Stefano aveva un sapore quasi fanatico.

“Molti lo giudicano troppo freddo e insensibile.” Sebastiano riprese il discorso su Isaia “È vero che è sempre composto e misurato, ma questo non vuol certo dire che sia privo di emozioni, anzi! Le considera qualcosa di estremamente personale, le ritiene troppo preziose e intime per riversarle sugli altri, su gente che non saprebbe davvero capirle. Quando si è tra amici, poi, non è necessario essere teatrali, ci si comprende e ci si sente ugualmente. Quando si è arrabbiati con una persona e quindi la si sente distante da noi, si urla anche se fisicamente è a due passi; allo stesso modo ci lasciamo travolgere dall’emotività quando ci troviamo davanti a persone che non ci conoscono e davanti alle quali, dunque, dobbiamo esternare e sottolineare ogni cosa. Quando si è amici e le anime sono sorelle tra loro, non occorre nulla di tutto ciò per comunicare.”

“Sono parole veramente belle!” esclamò la ragazza, che concordava parecchio con esse.

“È una delle tante cose che mi ha insegnato Isaia.”

“Come mai ne parli con me, che neppure lo conosco?”

“Proprio per questo te ne parlo! Tu non hai pregiudizi su di lui. Se lo nomino davanti ad altri, iniziano a dirne male e non è giusto! Fino al mese scorso tutti quanti nutrivano grande rispetto per lui, poi c’è stato quel che c’è stato, lui è partito per questa fantomatica missione e ora l’intero Direttorio pare averlo in odio! Lui, che ne è membro, lui che era tanto elogiato per la scrupolosità, efficienza, fede ed obbedienza. Ora tutti i suoi meriti sembrano essersi dissolti davanti agli occhi del Direttorio. Non si merita questo trattamento, per nulla! Io sono ben determinato a mantenere l’onorabilità e la rispettabilità del suo nome.” sospirò, diviso tra l’orgoglio e l’amarezza.

“Trovo che sia ammirabile il tuo impegno.” riconobbe la giovane, commossa da quelle parole “Sono certa che il tuo maestro te ne sarà grato.”

Sebastiano sospirò di nuovo e disse: “Lo spero e spero di non sbagliarmi. Vedi, è per questo che credo ci mentano, quando dicono che Isaia è in missione per conto della Congregazione: se così fosse, perché cambiare totalmente opinione su di lui? Non ha senso! Dev’essere successo qualcosa … Dev’essergli successo qualcosa …” era diventato molto cupo e si chiuse nelle proprie riflessioni.

“Beh, ora scusami.” disse Michela, dopo un paio di minuti di silenzio “Si sta facendo tardi e io devo tornare a casa. Ti auguro buona serata.”

“Grazie, anche a te. E sia lode a Gesù Cristo.”

“Sempre sia lodato!”

La ragazza recuperò le sue cose dentro al Centro, salutò tutti e se ne andò.

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Capitolo 16
*** Demone Buddista ***


Michela era appena uscita da lezione, le sembrava buffo seguire i corsi in un’università e dare gli esami in un’altra, ma le necessità erano quelle. Si recò subito al Centro d’Ascolto, dove Claudia stava sistemando le cartelle delle persone che usufruivano del servizio, poi avrebbe preparato il materiale per un’attività del pomeriggio. La ragazza arrivò e si mise a darle una mano e intanto chiacchieravano del più e del meno.

“Simpatici i buddisti.” commentò dopo un po’ Claudia “Peccato che in questi giorni siano via.”

Alla fine i monaci buddisti avevano deciso di andare a Votigno da soli.

“Hanno un tipo di religione e religiosità totalmente diversa da quella dei cattolici.”

Michela trattenne un riso e la contraddisse: “Su questi che sono monaci, posso darti ragione, ma le moltitudini di credenti …” scosse negativamente il capo “A parte che il Dalai Lama, tutti lo guardano come un santone, ma in realtà aveva una funzione prettamente politica. Il Tibet era uno stato teocratico, dove il potere politico era in mano al potere religioso; ora vorrei tanto chiedere a tutti quelli che vogliono il Tibet libero e pre-invasione cinese, perché mai il Dalai Lama possa avere uno stato e il Papa no. Questo a parte, il buddismo contempla numerosissime entità semidivine che vengono venerate esattamente come da noi i santi; i credenti laici non meditano, si limitano a recitare mantra e a portare offerte di cibo, stoffe e incenso ai piedi delle statue; inoltre, per acquisire meriti spirituali e annullare karma negativo, può bastare fare offerte ai templi; ah, infine, tutte le famiglie mandavano almeno uno o due figli a farsi monaci in tenera età, per non doverli mantenere. Direi, quindi, che, sia per cristiani che per buddisti che per qualsiasi altra corrente, sia necessario distinguere tra la religione e la teologia.”

Claudia era rimasta un po’ stupita per quelle informazioni che prima ignorava, comunque cambiarono argomento e continuarono le chiacchiere, finché non sopraggiunse Gabriel.

“Allora, come vanno le cose qui?” domandò l’uomo, raggiante.

“Tutto bene!” rispose Claudia, andandogli incontro “Siamo quasi pronte per accogliere i ragazzi.” gli diede un bacio.

“Certo che voi due state diventando proprio amiche!” esclamò Gabriel.

Claudia si limitò a sorridere e l’uomo continuò: “Di solito, a questo punto, io dovrei trovare un amico da presentare a lei” indicò la ragazza “Così da poter fare uscite a quattro, peccato che per il momento tutti i miei amici siano preti.”

Claudia scoppiò a ridere, accortasi della maniera interrogativa con cui la guardava il compagno, cercò di tornare seria e spiegò: “Scusa, ma mi è venuto da immaginare tu che presenti Isaia ad una donna.”

“Non essere così cattiva!” la riprese Gabriel, per nulla arrabbiato, forse un poco scherzoso “Tanto più che ogni volta che Alonso collabora con lei, alla fine del resoconto commenta sempre con: e d’altra parte penso che lei sarebbe la donna ideale per Isaia. Giuro, lo dice ogni volta!”

“Peggio del ego puto Catagho delenda esse di Catone.” commentò a mezza voce Michela.

Claudia continuò a guardare teneramente Gabriel e mantenendo il tono gioviale, replicò: “Non metto in dubbio che ci sia qualche donna che possa essere ideale per Isaia, ammesso e non concesso che sia ancora sensibile a questo genere di cose, ma non credo che Isaia possa essere l’ideale per alcun genere di donna.”

Questa volta fu Gabriel a mettersi a ridere, per poi dire: “Un giorno dovrò farti conoscere le suore di San Giuseppe e del Sacro Cuore di Gesù! Pendevano dalle sue labbra, quando predicava e com’erano deluse quando andavo in convento io da solo. Io lo prendevo in giro, sostenendo che le suore commettevano apposta peccati, per il gusto di farsi confessare da lui; quando lo dicevo, lui arrossiva e si imbarazzava.”

“E tu, che suore facevi impazzire? Di chi devo essere gelosa?”

“Di nessuno!” rispose Gabriel e baciò Claudia.

Michela si voltò dall’altra parte, non sopportando tutte quelle romanticherie.

A spezzare quell’atmosfera fu l’arrivo di Stefano, molto trafelato, si vedeva che aveva corso e che era preoccupato, col fiato corto disse: “Gabriel! Presto, devi intervenire!”

“Cos’è accaduto?” si allarmò Gabriel, temendo un attacco di Serventi.

“Un mostro!” esclamò Stefano, visibilmente spaventato “Dev’essere un demone, si aggira per la Congregazione, lo abbiamo visto nel giardino.”

“Cosa sta facendo?”

“Lo abbiamo lasciato in pace e ci siamo allontanati, sta correndo avanti e indietro, salta, si rotola per terra … ha sradicato alberi, li ha scaraventati … non so, si comporta in maniera strana … come se si stesse sfogando dopo tempo di inattività.”

“Quando è saltato fuori?”

“Adesso, praticamente! Sono subito corso da te, cosa dobbiamo fare?”

“Bisogna fermarlo prima che inizi a fare seri danni. Chiama Sebastiano, io vado a dare un’occhiata.”

“Gabriel, sta attento!” si raccomandò Claudia, che non era proprio entusiasta che lui si occupasse direttamente di quelle questioni, nonostante se la fosse sempre cavata.

“Non ti preoccupare, ho sicuramente visto di peggio.” la rassicurò Gabriel, prima di baciarla.

Ma prima eri solo e non stavi certo per diventare padre; fu il pensiero di Claudia.

“Vengo anch’io.” disse Michela, andando verso la porta.

“Forse è meglio se resti qui.” cercò di fermarla Gabriel, stufo di vedere studenti morire.

“No, no, è per questo genere di cose che mi avete chiesto consulenze e che non mi pagate.” replicò scherzosamente la ragazza, determinata ad andare a scuriosare.

Gabriel e Michela dunque andarono verso il giardino, mentre Stefano corse a cercare Sebastiano, pur certo che fosse già stato avvertito e infatti l’esorcista si trovava già sul luogo.

Il demone che si trovarono davanti era alto circa tre metri, era corpulento e grigio, aveva artigli nelle mani (che erano quattro) e nei piedi, una grossa e robusta coda che faceva schioccare per aria, corna appuntite  uscivano da una sorta di corona o elmetto d’oro, posto sopra agli ispidi capelli neri; grossi e folti baffi crescevano sopra alla bocca da cui spuntavano tremende zanne. Sarebbe stato nudo che non avesse avuto una specie di gonnellino legato alla vita. Saltellava, facendo tremare il terreno.

“Non ho mai visto nulla di simile.” si stupì Gabriel.

“Non c’è nulla del genere nei libri di demonologia.” confermò Sebastiano, per niente intimorito, anzi piuttosto tranquillo e deciso “Ma non mi importa, lo scaccerò lo stesso.” e strinse forte il crocefisso, pronto a piazzarsi davanti al demone per esorcizzarlo.

“Aspetta!” lo fermò Michela “Non è una figura poi così sconosciuta.”

“Ne vedi spesso?” fu ironico Sebastiano.

“Basta sfogliare un libro d’arte Indiana o Tibetana per vederne a bizzeffe!”

“E quindi?” domandò Gabriel “Dici che non sia un demone?”

“Oh, no, no, lo è e conviene fermarlo.” spiegò la ragazza.

“E allora vado!” si fece di nuovo avanti Sebastiano, l’ardore che lo attraversava lo faceva fremere dentro la tunica, un po’ stretta per il suo fisico abbastanza muscoloso.

Michela sbuffò, poi gli afferrò il polso per trattenerlo e gli disse: “Fermati! Ma sei in astinenza da esorcismo? A meno che tu non abbia una straordinaria forza di volontà che ti permetta di incanalare nel crocefisso una quantità spropositata di energia divina, non credo che riuscirai a concludere granché.”

“Perché dubiti di me?”

“Non è che dubiti di te, il fatto è che quello è un demone che non è abituato ad avere paura delle croci. I demoni non hanno paura di due bastoni messi a x, bensì di ciò che essi rappresentano. Quell’essere là non sa che cosa sia una croce, quel simbolo non ti aiuterà in questo esorcismo.”

“Hai idee migliori?” era abbastanza un tono di sfida.

“Avessi la mia spada … Vieni, credo che dare una sbirciata alle stanze dei buddisti sia una buona idea. Quel demone dev'essere venuto da quelle parti.”

“Cosa pensi di trovare?” si informò Gabriel.

“Come minimo, un kila.”

“Un che?” fece Sebastiano.

“Un pugnale rituale. Forse capiremo anche come si è materializzato.”

“Va bene.” acconsentì Gabriel “Voi due andate a dare un’occhiata, io rimango qui a tenere d’occhio la situazione e a trattenerlo, se dovesse capitare qualcosa.”

Sebastiano sbuffò, avrebbe preferito rimanere lui, lì, ma non poteva disobbedire all’ordine di un superiore.

“Nel caso dovessi intervenire” precisò Michela ad Antinori “Con la mano destra fa il simbolo delle corna e cerca di sembrare il più feroce possibile, urla in maniera aggressiva: Om Vajrapani hum path. Te lo ricordi o te lo scrivo?”

Gabriel, per sicurezza, se lo appuntò su un foglietto, poi incitò i giovani a sbrigarsi.

Michela e Sebastiano raggiunsero rapidamente il salone occupato dai buddisti.

“Ma questi hanno l’horror vacui?” commentò il prete, guardando come i monaci avevano decorato la stanza, ricomprendo le pareti con pannelli di legno dipinti. Era spettacolare l’atmosfera che erano riusciti a creare sfruttando la pittura e le sculture, che erano perfettamente integrate con lo sfondo. C’erano diverse statue di bodhisattva e i loro abiti erano decorati con medaglioni in cui erano miniati o santuari o episodi legati a leggende.

Dopo un’occhiata generale, l’attenzione di Michela cadde su una statua che rappresentava un essere corpulento blu, con tre occhi, coi fianchi avvolti da una pelle di tigre, avvolto da un alone di fuoco e che teneva schiacciato qualcuno sotto i piedi.

“Ecco un nostro amico!” esclamò la ragazza.

Sebastiano guardò lei, guardò la statua e di nuovo lei, pieno di perplessità, poi chiese: “Si tratta del demone che c’è là fuori?”

“No, questo è Vajrapani, un difensore della dottrina. Quello che sta calpestando è un peccatore … Credo che stesse custodendo il demone che infesta il giardino.”

La statua era posta su un piedistallo che in realtà era una specie di armadietto in pietra e in quel momento lo sportello era aperto.

“Scommetto che qualcuno ha voluto frugarci dentro alla ricerca di denaro e ha liberato il demone.” sospirò la ragazza, scuotendo la testa.

“Possiamo, ora, andare ad esorcizzarlo?” la sollecitò Sebastiano.

“Certo! Ora so cosa dobbiamo fare. Vuoi svolgere la parte più scenografica, o quella più schiva? Sono entrambe fondamentali.”

“In cosa consistono?” domandò lo scettico.

La statua di Vajrapani teneva in mano un doppio tridente; Michela a fatica riuscì a sfilarlo e spiegò: “Compito scenografico: reggere questo vajra nella stessa maniera in cui lo tiene la statua, quindi solo con pollice, medio e anulare, mentre l’indice e il mignolo sono sollevati e ben dritti; contemporaneamente recitare un inno in sanscrito.”

“Il mio sanscrito è un po’ arrugginito. Qual è il secondo compito?”

La ragazza aprì del tutto lo sportello e indicò un’incisione strana e complessa che era disegnata sul fondo e disse: “Tracciare per terra, con un kila, quel mandala, in modo che il demone sia al centro del cerchio. Lavoro di precisione. Allora, cosa scegli?”

Sebastiano soffio dal naso e, rassegnato, chiese: “Il testo in sanscrito me lo scrivi, vero?”

Due minuti dopo, Michela gli mise in mano un foglietto su cui aveva scritto rapidamente il testo; Sebastiano iniziò a leggerselo sottovoce per sciogliere la pronuncia.

“Finché non avrò finito di tracciare il cerchio, dovrai ripetere quello, però con molta concentrazione, la stessa che impieghi quando fai un esorcismo cristiano; poi, appena ti farò cenno, pronuncerai il mantra che ho insegnato prima a Gabriel.”

Com’era?”

Om Vajrapani hum path. Ti scrivo anche quello.”

“Bene. Cosa dovrebbe accadere in pratica?”

“Il demone verrà rinchiuso nuovamente in questo cubo … finché qualche idiota non lo aprirà di nuovo.”

I due giovani uscirono dal salone, ma non che prima Michela rimediasse un kila, sfilandolo da una statua di Padmasabhava. Andarono verso il cortile e Sebastiano si domandava come avesse fatto, quella ragazzina, a convincerlo a fare qualcosa di così poco cristiano e al limite dello stregonesco.

“Allora, avete una qualche idea?” domandò loro Gabriel che, fortunatamente, non era dovuto intervenire: il demone aveva trovato una bicicletta e si era concentrato sui vari modi di deformarla.

“Spero di non essere scomunicato, per quello che sto per fare.” disse quasi ringhiando l’esorcista.

“Oh, la Chiesa non può scomunicare, ma solo rendere nota la scomunica.” precisò con noncuranza Michela.

Sebastiano la fissò con quasi orrore, poi scosse la testa e pensò che avrebbe tanto voluto avere la sua fiaschetta di whiskey, in quel momento.

Rassicurato un attimo Gabriel, i due giovani si diressero verso il demone. Michela si tenne un attimo in disparte, per non essere notata mentre tracciava il mandala al suolo. Sebastiano, invece, senza paura alcuna, si piazzò dritto di fronte al mostro e, impugnato con la mano destra il vajra e stringendo nella sinistra il foglietto, lo chiamò a gran voce per averne l’attenzione, poi iniziò a invocare, con molta risolutezza, concentrazione e pathos: “Namas te narasiḿhāya prahlādāhlāda-dāyine hiraṇyakaśipor  vakṣaḥśilā-ṭańka-nakhālaye ito naṛasiḿhaḥ parato naṛasiḿho yato  yato yāmi tato naṛasiḿhaḥ bahir  naṛasiḿho  hṛdaye naṛasiḿho naṛasiḿham ādiḿ śaraṇaḿ prapadye tava kara-kamala-are nakham  adbhuta-śṛńgaḿ dalita-hiraṇyakaśipu-tanu-bhṛńgam keśava dhṛta-narahari- ūpa  jaya jagadīśa hare.”

Continuò a ripetere quella litania a lungo, più e più volte. Chi fosse stato sensibile a certe cose, avrebbe percepito la grande energia che lui emanava. Intanto, Michela aveva iniziato a tracciare il mandala, mentre eseguiva i segni, concentrava la propria mente sull’arcangelo guerriero per attingere alla sua forza.

Non passarono molti minuti e la ragazza aveva finito il proprio compito, fece un cenno a Sebastiano che capì subito e pronunciò il mantra di Vajrapani.

Il demone scomparve.

Tutti i preti che stavano nascosti ad osservare, si fecero avanti stupiti e sollevati e andarono a complimentarsi. Ovviamente, il primo a sopraggiungere fu Gabriel, decisamente soddisfatto per come fossero andate le cose. Non sapeva, però, se tutto ciò doveva fargli accrescere la fiducia o il sospetto verso quella ragazza che, come Alonso diceva, sapeva troppe cose per non nascondere qualcosa. Come stava diventando assurda la sua vita, se era costretto a considerare pericoloso chi molto sapeva.

Michela non se la sentiva di rimanere lì a dover rispondere alle domande di mezza Congregazione, per cui, rapidamente, scivolò via tra la folla, si fermò un attimo nel salone buddista per risistemare il vajra e il kila e per assicurarsi che lo scompartimento che imprigionava il demone fosse ben chiuso. Inosservata se ne andò, recuperò Giorgio e poi tornò a casa per stare col figlioletto.

Alla sera, sentì che Isaia la stava contattando, per cui si raccolse in meditazione per parlare tranquillamente con lui.

“Michela, come stai? Tutto bene?” c’era una malcelata preoccupazione nelle sue parole “Ho sentito che oggi ti sei appellata a me per un esorcismo. Cos’è successo?”

“Oh, nulla di grave.” lo rassicurò lei “Un demone buddista ha creato un po’ di scompiglio, per fortuna sapevo cosa fare, ho collaborato con Sebastiano.”

“Ah sì? Ottimo, è un esorcista promettente; come sta?”

“Bene, un po’ troppo conservatore ed esagitato, ma è una brava persona. Parla spesso di te, ti ammira moltissimo e ti è molto grato per tutto ciò che gli hai insegnato.”

“Oh, caro amico!” era felice di quelle parole “Forse mi ha sempre capito più lui che Gabriel … per lo meno del Gabriel dell’ultimo anno.” e qui si fece un poco malinconico.

Michela, allora, cercò di sviare il discorso: “Piuttosto, tu come te la stai cavando? L’ultima volta, mi hai parlato della banda di assassini che stava perseguitando i cristiani, sei riuscito a fermarli?”

“Non ancora, purtroppo. Saranno dieci giorni, ormai, che li inseguiamo, ma è inutile! Ci siamo allontanati molto da Istanbul, spostandoci di città in città, verso l’Iraq. Arriviamo sempre in ritardo!”

“Oh, mi dispiace.” era davvero triste per quelle delusioni.

“Spiace anche a me, per tutta questa gente che non stiamo riuscendo a salvare.” era molto affranto e sentiva il peso del fallimento “Adesso, però, le cose potrebbero migliorare. Siamo riusciti a raggiungere una delle loro retroguardie. Quando hanno visto che li stavamo sopraffacendo, quei dannati, piuttosto che essere catturati, si sono uccisi. Per fortuna siamo riusciti a prenderne prigioniero almeno uno.”

“Siete riusciti a scoprire qualcosa?”

“Non proprio. Temo che dovrò ricorrere alla tecnica di estrazione delle informazioni che mi hai fatto sperimentare su di te, quella volta nella cripta. Com’era? Mano sinistra sulla testa e poi attraversare i chakra?”

“Sì, esattamente.”

“Dovrò agire prima che si ammazzi. Se ho avuto l’intuizione giusta circa questa setta, è molto pericolosa e il nostro prigioniero potrebbe già essersi ucciso.”

“Di cosa sospetti?”

“Il Vegliardo della Montagna.”

“Cosa? Quello che faceva tremare perfino Filippo Augusto?” sbalordì la ragazza.

“Proprio lui, cioè non proprio Hassan Sabbah, ma i suoi eredi.”

“Impossibile!” era incredula, esterrefatta “Quello della rocca di Alamut? La setta degli assassini?”

“Sì. Il loro modo di vestire, il fatto che usino solo armi bianche … l’essere così pronti a morire … E poi, le loro azioni sono insensate proprio come quelle degli assassini del Vegliardo della Montagna: hanno come unico scopo successo e spavento. Non mirano ad altro. Aggrediscono per il gusto di massacrare e di farsi temere, infatti praticamente non hanno rubato nulla!”

“Potrebbero essere semplici fanatici, ce ne sono parecchi, di invasati.”

“Ho avuto modo di perquisire i cadaveri. Ognuno di loro aveva un cilindro con alcuni anellini infilati dentro, ma in numero diverso. Lo spazio è per sette anellini, quindi mi fa supporre un’iniziazione su sette gradi, proprio come quella degli assassini. Inoltre, qualcuno di loro aveva addosso dei libricini con preghiere e inni. Sono chiaramente di dottrina ismaelita nizarita, tanto più che su una pagina c’era pure il loro simbolo: il felino con le lettere scritte sul corpo.”

“Beh, preferirei non fossero loro.” replicò Michela, usando il disappunto, per nascondere la preoccupazione “È gente disposta a tutto! Si gettano dalle torri senza altro motivo che quello di essergli stato ordinato dal Vegliardo!”

“So bene quanto siano temibili.”

“Allora sta attento! Per favore …” si raccomandò lei, dispiaciuta.

“Ti preoccupi troppo.” la rimproverò lui, che non voleva farla stare in pensiero.

“Pensi, forse, di risolvere la faccenda, andando da loro e dicendo: Ehi, settecento anni fa eravamo amici! Potreste smetterla di ammazzare i nostri correligioniani?” era decisamente sarcastica.

“Ti sbagli, i Poveri Compagni d’arme di Gesù e del Tempio di Salomone non sono mai stati amici della setta degli assassini, è stata una delle tante invenzioni di Filippo il Bello. Noi eravamo se mai in buoni rapporti coi drusi … anzi, temo che i drusi abbiano molto influenzato le concezioni templari.”

“Va beh, questo a parte, mi raccomando, raccogli tutte le informazioni che puoi e prendi ogni precauzione possibile. Capisco che quella setta, al momento, sia la tua priorità, ma non devi scordarti che è qui che potrebbe scatenarsi il peggio. Se a te dovesse capitare qualcosa, chi potrebbe fermare Gabriel, qualora perdesse il controllo?”

“Si è comportato in maniera strana?” si allarmò Isaia “Ha dato segni di rabbia?”

“No, al momento sembra tranquillo, ma … Ho parlato con Immanuel.”

“Davvero?” Isaia provò un moto di contentezza “Sta bene?”

“Certo, certo. Sapeva che sono tua amica.”

“Oh, quel ragazzino è straordinario!”

“Ha però detto che Gabriel, anche se non sembra, è molto vicino a perdere il controllo. Io ho provato a eseguire qualche divinazione e, effettivamente, sembra incombere qualcosa di negativo. Non è chiaro, ho percepito solo dolore e confusione. Accadrà qualcosa. Tu devi esserci.”

“Ci sarò, promesso: non preoccuparti.” non lo aveva detto tanto per dire e nemmeno solo per il senso del dovere “Appena avrò concluso questa faccenda con gli assassini, tornerò a Roma. Tu, ora, rimani tranquilla e se Gabriel dovesse iniziare a dare segni di squilibrio, allontanati da lui.” era un misto tra una premura e un ordine.

“D’accordo, come vuoi tu.” si rassegnò la ragazza.

“Adesso, scusami, ma è meglio che vada a prendere le informazioni, prima che il prigioniero ci faccia un brutto scherzo. Ciao! A presto!”

“Ciao … ti voglio bene …” ma forse lui non la sentì.

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Capitolo 17
*** Ira funesta! ***


Giugno stava finendo. Il caldo afoso spingeva chiunque ne avesse la possibilità a lasciare la città per andare al mare a rilassarsi e rinfrescarsi. Le strade della capitale erano quasi deserte, poiché chi era rimasto doveva lavorare, oppure preferiva restarsene in casa con ventilatore o aria condizionata a massima potenza. Tra la poca gente di buona volontà che rimaneva all’aperto, c’erano anche alcuni preti seduti al tavolino di un bar, erano di varie nazionalità, lo si capiva al primo sguardo, per comunicare tra di loro utilizzavano il latino. Quello con la parlantina più sciolta era un tale con la carnagione lattea e i capelli ramati, stava dicendo: “Fratelli, vi ringrazio per essere venuti, sapevo di poter far affidamento su di voi.”

“Padre Fylan” gli disse uno dei presenti “Poche cerimonie e ci dica perché ci ha convocati.”

“Pensavo fosse evidente.” replicò l’interpellato “La follia sta regnando tra gli altri provinciali. Io confido che in voi, come in me, alberghi ancora la ragione e che mi aiuterete a ristabilire le cose come debbono essere.”

“Ci stai proponendo un tradimento, in pratica.”

“No, un salvataggio.” precisò Fylan “Quel presuntuoso che ci ritroviamo come Grande Maestro, come già supponevamo, non si sta dimostrando una degna guida per i Templari.”

“Ma si sta occupando di quella banda che perseguita i cristiani, è cosa giusta.”

“Da quanto li sta inseguendo, ormai? Due settimane? E ancora non ne è venuto a capo! Sono una combriccola di disgraziati armati di coltello e lui ancora non è stato in grado di fermarli! Il nostro codice etico parla chiaro: chi sbaglia muore, chi viene sconfitto muore.”

Un vociare sommesso si diffuse trai presenti, ma padre Fylan lo smorzò subito, riprendendo: “Ma non è di questo che voglio parlarvi, non temete.”

“Allora di cosa?”

“Mi sono documentato, ho raccolto informazioni e ho scoperto qual è il vero motivo per cui il … Grande Maestro” lo disse con una certa riluttanza, gli pesava doverlo riconoscere come tale “Non vuole occuparsi della minaccia di Gabriel Antinori: è un suo amico.”

Si levò di nuovo un brusio di scontento e indignazione.

Morganti sa bene qual è il pericolo e, deliberatamente, non vuole prendere provvedimenti.” proseguì Fylan “Non è fedele all’ordine come vuole farci credere e, a questo punto, non mi stupirei se fosse in combutta col Candelaio stesso.”

I presenti, che già inizialmente nutrivano alcuni dubbi sull’autorità di Isaia, ormai principiavano a convincersi pienamente della sua indegnità.

“Ho avuto prova certa” continuò Fylan “Che lui è a conoscenza dell’esistenza di due gruppi di persone con poteri, presenti qui a Roma, e nonostante ciò non ha ordinato nessun intervento!”

“È scandaloso! Inaccettabile” fu il commento di tutti.

“Non so se sia un’indegna amicizia o una inadatta paura a spingere Morganti a non intervenire qui; ad ogni modo, non è così che dovrebbe comportarsi un Grande Maestro degno di rispetto e obbedienza. Al momento, però, non è di lui che dobbiamo occuparci; porteremo questa questione all’attenzione degli altri provinciali più avanti. Adesso, la cosa più importante è quella di trovare questi due gruppi di eretici e di sterminarli, prima che siano loro ad aggredire noi. È per questo che vi ho chiesto di incontrarci: credo che anche voi condividiate la mia convinzione che intervenire, ora, sia una priorità. Vi ho esposto come stanno i fatti, ora chiedo l’aiuto vostro e dei vostri sottoposti.”

Tutti si dissero pienamente disponibili  collaborare e ad entrare in azione. Alcuni sembrarono pure impazienti.

“Tranquilli, fratelli miei, presto avremo tutte le informazioni che ci occorrono. Domani incontrerò il mio contatto che mi dirà tutto ciò che voglio, poi potremo organizzare il nostro duplice attacco a sorpresa e non lasceremo viva una sola persona dotata di poteri.”

 

30 giugno. Nel giardino davanti al Centro di Ascolto, erano stati organizzati dei giochi d’acqua per divertire bambini, ragazzi e anche qualche adulto; erano presenti tutti quanti, mancavano solo le tre ragazzine più piccole del gruppo wiccan. C’erano gavettoni, mastelli pieni d’acqua, bottiglioni e quant’altro. Teoricamente erano state organizzate sfide precise, ma ben presto nessuno fece più caso alle regole e iniziarono a bagnarsi vicendevolmente e a farsi la guerra. Si stavano divertendo parecchio, sia i giovani a giocare, sia gli altri ad osservarli e a chiacchierare, sbocconcellando tartine. Alonso fumava un sigaro e si rilassava seduto su una sedia, all’ombra di una tettoia; Gabriel aveva preso parte attiva ai giochi e allora Stefano lo aveva imitato; Claudia e Michela un po’ davano un’occhiata, ma soprattutto giocavano a carte tra di loro; Sebastiano leggeva un libro, avrebbe potuto rimanere in biblioteca, ma nonostante tutto gli piaceva quella compagnia.

A giudizio di molti, quella sarebbe stata una di quelle giornate che ci rendono tanto felici, ma che poi si dimentica facilmente. Quella giornata, però, doveva essere ricordata e sarebbe rimasta nelle memorie per motivi ben diversi dai giochi d’acqua e decisamente più tristi.

Erano da poco passate le sedici, quando un paio di poliziotti e una donna in tallieur, accompagnati da un prete, sopraggiunsero. Il prete si avvicinò a Gabriel e lo informò che i due agenti volevano parlare con lui.

“Buon pomeriggio, come posso esservi utile?” chiese Antinori, tranquillo e ignaro.

“Lei è in arresto.” disse uno dei poliziotti, prendendo le manette.

“Come, scusi?” sbalordì Gabriel.

“Lei è accusato del reato di pedofilia.”

“È uno scherzo, vero?” Antinori era giustamente sconvolto.

Claudia, che si era subito avvicinata, chiese che cosa stesse succedendo.

“Il signor Antinori Gabriel è in stato di arresto per il reato di pedofilia e abuso sessuale.” ribadì la donna che era un p.m.

“Ma questa è un’assurdità!” esclamò la psicologa.

“Non secondo le vittime.” ribatté la p.m.

“E chi sarebbero?” domandò Gabriel.

DeRossi Clarissa, Occitani Anna, Crotti Silvia.”

“Le wiccan?” si stupirono sia Gabriel che Claudia.

La psicologa poi chiese, piuttosto concitata: “Ma sono stati effettuati esami medici per appurare se il fatto sussista?”

“Non si tratta di penetrazione.” specificò la p.m. “Le accuse sono di toccamenti. Le vittime sono state costrette a toccare le parti intime del signor Antinori e a loro volta sono state palpate.”

“Non le sembra, allora, esagerato, parlare di abuso sessuale?” protestò Gabriel “E comunque sono tutte menzogne!”

“Il codice penale non prevede una diversificazione di reato.” precisò la p.m.

“Scusi.” Claudia intervenne di nuovo “Le cosiddette vittime frequentavano il nostro Centro fino a due giorni fa, quando sarebbe avvenuta la denuncia?”

“Nella mattinata di ieri.”

Claudia sgranò gli occhi e, scandalizzata, quasi gridò, nel domandare: “Quale razza di genio avete, come consulente psicologo? Deve essere dannatamente dotato, se in una giornata riesce ad ascoltare tre ragazzine e a stabilire che siano attendibili e riesce pure a scrivere il rapporto!”

“Signora, si calmi.” le ordinò seccamente la p.m. “Lei rischia una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale e già siamo indecisi se arrestarla per complicità in reato sessuale, per cui si faccia da parte e ci lasci fare il nostro dovere.”

La psicologa era basita, senza parole.

“Claudia, non ti preoccupare” cercò di rassicurarla Gabriel “È ovvio che ci sia un errore, presto tutto si chiarirà. Occupati tu del necessario, qui.” riuscì a darle un bacio, prima di venire portato via dai poliziotti.

Claudia lo guardò mentre veniva allontanato e, sconvolta, scoppiò a piangere. Michela le si avvicinò, non poteva dire nulla di confortante: che parole potevano dirsi in un simile frangente? Sperò che la sua presenza potesse bastare a infondere un po’ di coraggio.

Tutti quanti i presenti erano rimasti sbalorditi, increduli.

“Chissà quale complotto c’è dietro!” esclamò tra sé Alonso “Templari? O Serventi?”

Gabriel era furioso! Apparentemente, si era comportato in maniera controllata e calma; aveva obbedito senza protestare agli agenti, si era fatto prendere le impronte digitali, scattare le foto segnaletiche e condurre in cella, senza mai rispondere alle provocazioni di qualche secondino idiota. Non voleva peggiorare le cose, ma era furioso. Com’era possibile che tutto ciò stesse accadendo proprio a lui? Perché si ritrovava investito da quelle calunnie? Che cosa aveva fatto di male? Era forse stato scortese con quelle ragazzine? Aveva in qualche modo attirato su di sé la loro rabbia? No di certo! Era sempre stato buono e gentile con tutti! Ecco, ecco qual era la ricompensa di tanti sforzi, di tanta premura per gli altri! Uno si fa in quattro o anche più per creare qualcosa di buono, per aiutare gli altri a stare meglio e ad essere felici, concentra tutte le proprie energie in un progetto e poi arriva qualche disgraziato irriconoscente a rovinare tutto. Chi diamine si credevano di essere, quelle bugiarde, per poter mandare all’aria il suo progetto e la sua vita? Come potevano essere così superficiali, cattive e stupide da accusare di cose simili un innocente? Accuse che non si sarebbero mai cancellate neppure con un’assoluzione in formula piena. Gli avevano rovinato la vita! Avevano distrutto ogni cosa, quelle dannate oche. Dannate, sì, questo dovevano essere: dannate!

Gabriel sentì dentro di sé l’ira montare, sentì le sue mani riempirsi di energia. Sì, se le avesse avute davanti, non avrebbe esitato a demonizzarle.

Si guardò allo specchio: i suoi occhi erano diventati neri e di fiamme, i suoi lineamenti erano marcati come quelli del suo lato oscuro. Che gli importava? Eccolo, eccolo il mostro di cui, il giorno dopo, tutti i giornali ne avrebbero parlato. Già si figurava i titoloni: Orco in Vaticano! Ecco che cosa avrebbero scritto quelle masse di ignoranti, approfittatori che ricamano a non finire sulle disgrazie altrui. Avrebbe fatto la fine di quel povero prete di Mirandola, don Govoni, accusato di sacrificare bambini, quando nessun bambino era scomparso. Si era parlato di messe nere, satanismo e quant’altro, arrivando a coinvolgere vari preti della zona e un numero indefinito di abitanti. Lui e Isaia erano stati mandati dalla Congregazione ad indagare e si erano accorti, molto prima della giustizia civile, che non si trattava altro che fantasie di una bambina disturbata. Quanto aveva sofferto quel povero prete! Tanto da morire di crepacuore! Sarebbe capitato anche a lui? Quanto fantasiose sarebbero diventate le accuse?

Orco, mostro … così lo avrebbero additato d’ora in avanti.

Era molto tentato di darglielo davvero, il mostro. Quegli sciocchi patetici non avevano idea di cosa fosse un vero mostro. Non avevano idea di cosa lui fosse capace di fare. Era molto, molto tentato di accontentarli. Già, sarebbe stato così semplice e liberatorio lasciarsi andare e prendere quei maledetti che lo accusavano, che stavano per distruggere la sua intera vita, e schiacciarli.

Oh, aveva creduto di non temere la morte, per la sicurezza della Chiesa, e invece l’aveva temuta e aveva liberato il suo potere. Ora si trovava davanti a qualcosa di ben peggio che la morte: una calunnia che lo avrebbe accompagnato per sempre, che avrebbe attirato su di lui le diffidenze di tutti, che lo avrebbe costretto ad allontanarsi dal suo Centro, forse anche da Claudia, da tutto ciò che stava costruendo con tanta fatica e amore. No! Non poteva permettere che delle ragazzine egoiste distruggessero così ogni cosa!

“Ehi, prete!” lo chiamò un secondino, con fare un po’ sprezzante e tenendo in mano un tablet.

“Non sono più un prete.” rispose Gabriel.

“Ah, giusto, altrimenti non saresti qui.” commentò la guardia “Dà un’occhiata qua!” mostrò il tablet “Stanno parlando di te e del tuo Centro per bimbi speciali! Bah, che schifoso che sei, approfittare così di ragazzine disagiate. Fosse per me, altro che galera! Ti chiuderei in una stanza coi padri di quelle povere stelle e poi … addio!”

L’ira di Gabriel non ebbe controllo. Avvicinatosi alle sbarre per vedere, passò il braccio attraverso l’inferriata, afferrò il collo del secondino e in pochi istanti lo spezzò. Poi afferrò le sbarre, le spezzò con facilità, uscì, raccolse il tablet da terra e guardò. Era un notiziario speciale: l’inviata era davanti al palazzo della Congregazione e diceva: “Siamo qui davanti a uno dei palazzi vaticani. Secondo le prime indiscrezioni, circa un quarto d’ora fa, alle 19-07, sono sopraggiunti qui un gruppo di uomini vestiti di bianco e armati di spade. Non sappiamo bene per quale scopo. Poche ore fa, la polizia ha arrestato Gabriel Antinori, un ex sacerdote, accusato di abuso sessuale su ragazzine tra gli undici e i tredici anni. Alcuni sostenitori di quest’orco (pare se ne siano contati una cinquantina tra adulti e bambini) hanno dato origine ad un sit-in in sua difesa presso il Centro d’Ascolto per bambini speciali che lui gestiva e presso il quale si sono compiuti gli abusi.”

Ecco! Non avevano fatto in tempo ad accusarlo che già le televisioni lo dichiaravano colpevole e davano per certe le presunte accuse. Meno male che Claudia, Stefano, Alonso e i suoi amici stavano protestando in suo nome.

“Non sappiamo ancora se il gruppo di uomini vestiti di bianco e armati, una ventina, secondo alcuni testimoni, ecco non sappiamo se questi individui centrino con la protesta oppure no. Ecco, ecco vediamo della gente uscire, verifichiamo subito cosa sta accadendo.”

Dal palazzo della Congregazione stavano uscendo di corsa alcune persone, dall’aria spaventata. Alcuni urlavano. La giornalista cercò di affiancare qualcuno e chiese che cosa accadesse. Qualcuno gridava: “Scappate! Scappate tutti!”

“Dei pazzi! È una strage!” urlarono altri.

“A quanto pare, è in atto un’aggressione! Non si vedono, però, le forze dell’ordine.” comunicò, impassibile, la giornalista ai telespettatori.

Tra la gente che scappava, c’era pure Stefano, col viso insanguinato e gli occhi colmi d’orrore. Quando la giornalista lo fermò e lo sollecitò a raccontare, il giovane balbettò: “I templari … quei ragazzi … Fermateli!”

“Ecco, vediamo come la situazione dev’essere sconvolgente...” commentava la reporter “Questo pover’uomo parla addirittura di templari. Ciò indica che lo shock è stato molto forte.”

L’ira, che già dominava Gabriel, crebbe a dismisura. Il tablet andò in frantumi sotto la stretta delle sue mani. I suoi amici erano sotto l’attacco di quei maledetti templari, quella stupida gente così piena di odio e paura per ciò che era più grande di loro. Stupidi e patetici. Avreste dovuto rimanervene buoni e nascosti, ma non l’avete fatto. Avete commesso il vostro ultimo errore. Gabriel non ve lo avrebbe perdonato.

L’uomo corse verso l’uscita, scaraventò da un lato e dall’altro tutti i secondini che tentavano di fermarlo. La sua rabbia e il suo potere gli davano una forza sovrumana. Sfondò la parete, rubò una moto della polizia e sfrecciò verso la Congregazione. Diavolo, gliel’avrebbe fatta pagare cara, molto cara. La gente coi poteri non vi aveva mai fatto nulla, ma voi li volete massacrare lo stesso. Bene, adesso avrete un vero motivo per temere. Ci avete perseguitati per troppo tempo, ora è il momento, per noi, di alzare la testa e farvi rimpiangere la vostra idiozia e superbia.

Gabriel arrivò in Congregazione e, senza problemi, si fece largo trai giornalisti e le forze di polizia che perimetravano l’area, ma non avevano il coraggio d’entrare: i pochi che si erano azzardati erano usciti feriti.

Gabriel sperò che non fosse troppo tardi. Stefano si accorse di lui; notò il suo volto anomalo, ma non si preoccupò, anzi, si allontanò dai medici che gli avevano disinfettato la ferita e che stavano per mettergli i punti. Si infilò a forza e in fretta una garza nel taglio e seguì il suo idolo.

Gabriel lo vide a propria volta, ma non gli disse nulla, procedette per la sua strada. Arrivato al Centro d’Ascolto, trovò alcuni dei suoi frequentatori riversi a terra in giardino, nel sangue e marchiati con la croce catara. Entrò e nella stanza principale: lo spettacolo era forse anche peggiore. Tra la gente stesa per terra, c’erano anche Leonardo, Alice e Sebastiano, ma pure alcuni templari. Non tutti erano morti, qualcuno rantolava ancora, ma Gabriel non se ne curò: al momento il suo unico obbiettivo era quello di annientare chi aveva causato tutto quel male. In fondo al corridoio, infatti, i templari stavano cercando di sfondare una porta, dietro la quale si erano rifugiati i superstiti. Se quell’uscio stava resistendo così a lungo, probabilmente era anche merito di qualche incantesimo o sigillo creato dalle wiccan.

Gabriel avanzò, carico di rabbia, ringhiò e poi con un urlo scaraventò tutta la sua furia contro gli aggressori, attraverso l’energia che scaturiva dalle sue mani.

I templari furono tutti quanti, contemporaneamente, investiti da quel potere infernale. Si contorsero e urlarono per il dolore; alcuni caddero morti, altri si trasformarono in demoni. Soltanto uno di loro, dai capelli rossi, che era il più vicino alla porta, riuscì ad evitare di essere colpito da quell’energia, poiché gli altri gli fecero da scudo: era padre Fylan. Si gettò a terra, fingendosi morto, in attesa del momento giusto per fuggire inosservato.

Gabriel ammirò la propria opera completarsi, poi andò alla porta, la scardinò senza fatica e con gioia annunciò: “Tranquilli! Non vi faranno più nulla! Li ho puniti per il loro male.”

In quella stanza si erano rifugiati Claudia, tutti i bambini, Alonso e i ragazzi e gli adulti che erano riusciti a correre abbastanza velocemente. Qualcuno di loro indicò i templari indemoniati, manifestando paura.

“Non preoccupatevi.” Gabriel li rassicurò “Questi, ora, obbediscono a me.”

“Gabriel!” lo chiamò Stefano, che era rimasto nella stanza principale “Presto, vieni! Io chiamo i soccorsi, ma tu salva quelli che puoi!”

Ora che la furia vendicativa era stata soddisfatta, Gabriel corse nella stanza e iniziò a controllare chi fosse già morto e chi poteva essere ancora salvato. Riuscì a recuperare Leonardo e Alice e anche altri tre giovani. Intanto, erano arrivati i medici e gli infermieri delle ambulanze e auto mediche che erano fuori dal palazzo già da tempo. Un dottore aveva appena finito di controllare Sebastiano e stava scuotendo il capo tristemente, facendo intendere che non lo si poteva rianimare. Stefano se ne accorse e, parecchio dispiaciuto, chiamò Gabriel e lo supplicò: “Ti prego, fa qualcosa anche per lui! Non lasciarlo morire.”

Gabriel si fece arcigno e domandò: “Per chi ha combattuto? Lui odiava la nostra gente.”

“Era dubbioso, certo, ma qui, stasera, li ha difesi senza esitazione!” rispose Stefano “Io sono fuggito via per la paura, lui è rimasto a cercare di proteggere i nostri ragazzi, nonostante i templari gli avessero assicurato salva la vita se se ne fosse andato. Salvalo.”

Gabriel non era molto convinto, ma accettò: prese la mano del giovane prete, si ritrovò davanti alla porta nera, l’aprì. Quando l'aprì e trovò nella stanza bianca Sebastiano, lo prese per mano e lo riportò indietro.

Il prete aprì di colpo gli occhi, ansimando. Stefano richiamò il medico che, stupito, fece arrivare una barella e trasportarono via il ferito che continuava a rimanere comunque in gravi condizioni.

Gabriel continuò a guardare i soccorritori che portavano via i feriti e i cadaveri; continuava ad essere arrabbiato, a dirsi che bisognava fare di più.

“Gabriel.”

Sentì chiamarsi: era la voce di Serventi. Si voltò di scatto e si accorse che tutta la gente era sparita. Davanti a lui c’era solo l’uomo che lo considerava l’eletto.

“Dove sono tutti? Che hai fatto?”

“Non preoccuparti per i tuoi amici, questo è solo un modo per parlare tra di noi senza essere disturbati.”

“Lasciami in pace, ho altro a cui pensare!” gli ringhiò Gabriel.

“Davvero? Eppure, stai pensando esattamente a ciò che volevo io. Ti sei preso cura di chi ha i poteri, li hai fatti trovare, aggregare … erano felici, finché non sono arrivati i templari del tuo amico Isaia. Sapevi che è lui il loro capo, adesso? Io te lo avevo detto di ucciderlo, ma tu non lo hai fatto e queste sono le conseguenze della tua clemenza. Prima, ha tradito te, poi ha mandato i suoi seguaci a distruggere tutto ciò che stavi facendo, tutto ciò in cui stavi mettendo il cuore. Avresti potuto evitare queste morti, se avessi accettato prima il tuo destino.”

Gabriel abbassò gli occhi, fremette di rabbia: sentiva quelle parole così tremendamente vere.

“Lo capisci, ora? Capisci qual è il tuo destino? La tua grande missione.”

“Sì.”

Effettivamente, Gabriel aveva appena trovato una nuova visione delle cose. Fino a quel momento, aveva sempre guardato i fatti come gli era stato insegnato dalla Congregazione, dalla gente comune, come gli era stato imposto. L’ira che lo aveva travolto, aveva bruciato anche tutte quelle convenzioni e bugie che gli impedivano di capire realmente Serventi e la sua missione. La gente comune è debole, stupida e paurosa, attacca e distrugge tutto ciò che non conosce, non riesce a sopportare la felicità o la grandezza altrui e quindi vuole distruggerla: tagliare le spighe più alte, questo era il motto della mediocrità. Peccato che la legge di natura dica ben altro: il più forte domina, il più debole soccombe.

La gente dotata di poteri era più forte della gente comune, per questo venivano divisi, isolati e perfino uccisi. Cosa c’era di più temibile che quelle persone, già da sole superiori agli altri, si unissero e prendessero ciò che il diritto di natura concedeva loro?

Era giunto il momento che l’umanità si evolvesse, che diventasse qualcosa di più e chi non riusciva a stare al passo coi tempi, chi voleva impedire questo sviluppo, doveva morire.

Le persone coi poteri non dovevano più nascondersi, dovevano uscire allo scoperto. Lui le avrebbe trovate, radunate e poi guidate verso la conquista del potere a cui avevano pieno diritto.

“So qual è la mia missione.” disse Gabriel, con ardore “Schiacciare chi impedisce alla grandezza di trionfare; dare ai nostri simili ciò che spetta loro.”

“Esattamente, Gabriel. Finalmente, ti sei liberato da tutte le catene con cui ti avevano avvolto e sei in atto ciò che eri in potenza.”

“Raduna i tuoi, li uniremo ai miei e inizieremo a reclamare ciò che è nostro.”

“Certamente.” Serventi sorrise, poi con tono insinuante, chiese: “Non trovi sia strano che delle false denunce ti piovano addosso e poi i templari assaltino il tuo Centro nel medesimo giorno? È evidente che volevano allontanarti per compiere questo attacco.”

“Già …”

“Evidentemente, qualcuno ti ha tradito: ha detto ad Isaia quello che stavi facendo. Altrimenti come lo avrebbe potuto sapere?”

Gabriel fremette e intimò: “Dimmi il nome!”

“E come posso saperlo? Prova a pensare se manca qualcuno all’appello.”

Serventi si allontanò e la gente riapparve. Gabriel li scrutò tutti con attenzione: doveva capire chi mancasse. La faccenda risultava un po’ difficoltosa, visto che molti erano stati portati via. Ripercorse con la mente i ricordi, le figure stese a terra e improvvisamente gli venne un dubbio. Cercò Stefano e, trovatolo, gli chiese: “Quando siete stati attaccati, Michela era ancora qua?”

Il ragazzo pensò un attimo e poi rispose: “No, mi pare sia andata via prima delle sei, non so l’ora precisa.”

“Allora è lei che ci ha traditi.”

Gabriel non gli diede il tempo di aggiunger altro, si precipitò fuori e prese la moto.

Claudia, che si stava occupando dei bambini e di rassicurare loro, i genitori e qualsiasi altro superstite (mentre Alonso teneva a bada i giornalisti che stavano cercando di ottenere informazioni), non si accorse subito che Gabriel se ne fosse andato. Non appena, però, lo cercò con lo sguardo e non lo vide, si scusò con le persone con cui stava parlando e si mise a cercarlo meglio. Vedendo Stefano, gli chiese se sapesse dove si trovasse, il giovane le riferì la breve conversazione. Claudia alzò gli occhi al cielo, sospirò e mormorò: “Si sta lasciando travolgere dalla rabbia, lei non centra!”

Risoluta a fermare l’amato, la donna si raccomandò con Alonso e Stefano per gestire la situazione lì, poi corse all’automobile.

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Capitolo 18
*** Che fare? ***


Michela era a casa propria e stava cenando col figlioletto. Avrebbe preferito rimanere vicino a Claudia, in quel momento, ma non poteva certo lasciare Giorgio da solo, né portarlo al Centro, perché doveva dormire. Si consolava, pensando che con la psicologa erano rimasti tutti gli altri e in più l’aveva raggiunta l’amica Teresa.

Sottosera, la ragazza aveva percepito una grande forza oscura, caotica, che aveva fatto il suo ingresso nel flusso astrale. Alla luce di quel che era successo quel giorno e di ciò che le aveva detto Immanuel, la giovane aveva immediatamente capito che l’unica spiegazione era proprio Gabriel e il suo lato oscuro. Se avesse avuto la televisione, la donna l’avrebbe accesa, certa di sentire qualche notizia su di lui. Non si preoccupò subito; aveva creduto che potesse essere solo un momento, come l’ultima volta. Quando, però, sentì che la sua rabbia era indirizzata verso di lei, Michela, allora, decise di prendere le proprie precauzioni. Andò in salotto, spostò il tappeto e, velocemente, tracciò sul pavimento, con un carboncino, il quarto sigillo di Marte che proteggeva dagli attacchi nemici, poi prese Giorgio e glielo mise al centro. Avrebbe voluto disegnare anche il quinto sigillo, che le avrebbe permesso di evocare spiriti guerrieri per proteggerla, ma non ne ebbe il tempo. Gabriel era arrivato. Sfondò la porta ed entrò nel salotto.

La ragazza balzò all’indietro, si mise a propria volta nel cerchio e strinse a sé Giorgio. Era molto preoccupata: non capiva perché quella furia.

Gabriel la squadrò. Con un ghigno che metteva i brividi e lo sguardo tremendo, iniziò a dire: “Cos’è quella faccia? Non credevi mi sarei liberato così facilmente? Ecco perché sei rimasta qui, anziché fuggire.”

La ragazza si stava riempiendo di paura, ma cercò di apparire più o meno calma nel replicare: “Io non ho motivo di temerti. Non so neppure perché tu sia adirato con me.”

“Ah no?” Gabriel si sentì offeso “Non dovrei essere arrabbiato, dopo che hai architettato tutto questo contro di me?”

“Cos’avrei fatto?” per un momento, la paura aveva lasciato spazio a stupore e perplessità assoluti.

“Mamma, ho paura!” piagnucolò Giorgio.

“Tranquillo.” gli disse lei, cercando di essere il più dolce possibile “Pensa a Michele e non capiterà nulla.” tornò poi a volgersi verso Gabriel, in attesa di una risposta.

“Eri sempre vicino alle wiccan. Sei stata tu a convincerle a lanciare false accuse contro di me!” le ringhiò contro l’uomo.

“No! Non è vero!” era basita da quell’insensata deduzione “Sono sconvolta quanto te per questa faccenda!”

“TACI!” intimò Gabriel e, protese le mani in avanti, scagliò le sue saette di fuoco contro la ragazza, ma esse si arrestarono e si dissolsero nel punto in cui era tracciata la circonferenza.

“Com’è possibile?” rimase interdetto, per qualche istante, l’uomo.

“Sono dentro a un sigillo protettivo: finché resto qui, non puoi farmi del male.” gli spiegò Michela, con una certa sicurezza.

In realtà, non era affatto vero. I sigilli sono solo un simbolo magnetizzato per aiutare chi li traccia a focalizzare e imbrigliare meglio la propria luce astrale; sono un supporto per potenziare l’atto volitivo necessario per la magia. Ciò che aveva arrestato il potere di Gabriel non era dunque il sigillo in sé, bensì l’energia stessa della ragazza che, però, ne aveva dovuta sfruttare molta per proteggersi e, probabilmente, non sarebbe riuscita a resistere ad un secondo attacco. Sperò, dunque, di essere riuscita a convincere l’uomo di essere al sicuro e quindi a scoraggiarlo.

“Aspetterò. Non ho fretta. Non puoi stare lì in eterno.” annunciò Gabriel con un certo disprezzo, accomodandosi sulla sedia a dondolo.

Giorgio lo guardò con stupore e rabbia e lo sgridò, urlando: “Scendi subito da lì! Non è la tua seggiola! È la seggiola di Isaia!”

Gabriel rimase piacevolmente stupito, nella sua rabbia, e mostrò i denti nel suo sorriso terrifico. Poi retoricamente domandò: “Isaia?”

Michela si rese conto che, ormai, era costretta a giocare a carte scoperte, per cui ammise: “Sì, padre Isaia Morganti, il nostro comune amico.”

Gabriel si lasciò sfuggire un verso di rabbia e disprezzo.

“È stato mio ospite qui, tempo fa.”

“Ti ha ordinato di spiarmi?”

“Non proprio, non era uno spiare. Mi ha chiesto se avessi potuto sincerarmi che tu non ti stessi avvicinando troppo al tuo lato oscuro … a quanto pare non ho capito nulla. L’idea del farmi notare in università e così via è stata comunque mia. Isaia non aveva specificato come comportarmi.”

“E l’idea di uccidere la gente coi poteri, di chi è stata?”

“Di cosa stai parlando?” la donna era alquanto perplessa.

“Dei templari che hanno preso d’assalto il mio Centro d’Ascolto!” la furia si manifestò.

“Cosa? Templari al Centro d’Ascolto?” era sbigottita, non aveva nemmeno sentito la notizia “Quando? Come? Che è successo?”

“Non fingere di non saperlo!” fu minaccioso Gabriel “Isaia ha mandato i suoi templari a tentare di uccidere i miei ragazzi!”

“No!” protestò lei, esterrefatta “Non è vero! Isaia non può averlo fatto!”

“Ah, no?”

“No. Lui mi ha assicurato che non avrebbe ucciso indiscriminatamente le persone coi poteri, ma solo quelle che avrebbe riconosciuto come malvagie e pericolose! Mi ha promesso che avrebbe deciso caso per caso!” era sconvolta, era come se stesse rassicurando se stessa con quelle parole.

“Beh, ti ha mentito.” le notificò Gabriel, non senza una certa soddisfazione “Ho appena ucciso una ventina di templari che hanno aggredito i miei ragazzi, alcuni dei quali sono morti: persone che conoscevi anche tu. Isaia ne è il responsabile.”

“No! Non è possibile!” la ragazza stava quasi piangendo “Isaia è buono, non potrebbe …”

“Teme la gente coi poteri, come tutti voi, del resto. Voi ci volete tutti morti, poiché sapete che siamo meglio di voi. Per questo Isaia ha ordinato quello stupido attacco.”

“Non può essere! Io stessa ho dei poteri. Lui l’ha visto, ha capito e mi ha accettata.”

Gabriel si abbandonò ad una lunga risata di compatimento e poi disse: “Non capisci? Non ti ha uccisa subito perché aveva intenzione di sfruttarti.”

Michela riteneva impossibile una simile cosa, ma in effetti non le sembrava troppo irreale: se davvero c’era stato un assalto al Centro d’Ascolto, allora probabilmente lei non aveva capito proprio nulla!

“Cos’è questa storia che anche tu avresti dei poteri?” domandò Gabriel con tranquillità, aver sconvolto quella ragazza lo aveva messo di buon umore e gli aveva fatto passare la voglia di ucciderla, benché non credesse ancora alla sua innocenza “Ti ho vista fare cose strane, in questo periodo, ma credevo rientrasse nel normale esorcismo.”

“Beh, quella è una specifica area, ma so far altro.” rispose lei, tirando su col naso.

“Voglio vedere. Sono curioso.”

Michela si limitò a della telecinesi: non era dell’umore per dare spettacolo.

In quel momento sopraggiunse Claudia che, dopo essersi preoccupata, vedendo la porta scardinata, si tranquillizzò, accorgendosi che stavano tutti bene.

“Gabriel, perché te la stai prendendo con lei? È una nostra amica.” Claudia cercò di farlo ragionare.

“No, è un’amica di Isaia, lo ha ammesso.” spiegò Gabriel, con una calma follia “Lo ha pure ospitato qua. Che ipocrita! Era tanto arrabbiato con me perché frequentavo te e poi, invece … Da quant’è che lo frequenti?”

“L’ho conosciuto circa due mesi e mezzo fa.”

“Oh, poco.” rimase deluso Gabriel; tornò a rivolgersi a Claudia: “È stata lei a consegnarci ai templari, lo dimostra il fatto che lei, stasera, se ne è andata via prima dell’attacco.”

“Gabriel!” lo rimproverò la psicologa “Lei non si ferma mai di sera, non l’hai mai notato? Ha un figlio piccolo e deve stare con lui: è sempre andata via presto!”

L’uomo ci pensò un po’ su e parve un po’ riluttante ad accettare la cosa, poi incrociò le braccia al petto e sbuffò: “Comunque rimane il fatto che è amica di quel topo di biblioteca smaronato di Isaia.”

Claudia rimase basita per la colorita espressione che non avrebbe mai immaginato poter sentire da Gabriel.

Michela, che ancora non credeva possibile che Isaia avesse fatto assaltare il Centro d’Ascolto, domandò conferma a Claudia che, ancora sconvolta, non poté far altro che annuire e guardarla con occhi che palesavano l’atrocità di ciò che avevano visto. La ragazza, a quel punto, scoppiò a piangere. Claudia, istintivamente, avrebbe voluto raggiungerla e piangere assieme a lei, ma Gabriel la trattenne. La afferrò per un polso e le disse: “Lasciala stare. Indipendentemente dalla gravità della sua colpa, non merita la tua compassione.” Si alzò in piedi per andarsene, ma prima lanciò un’ultima occhiata alla ragazza e l’avvertì: “Ti lascio vivere, per il momento. Se ora stai fingendo e in realtà sapevi tutto, beh, potrai vedere l’inizio della nuova era e poi ti ucciderò sotto gli occhi del tuo amico; se, invece, sei stata sincera, ci penserà quello sciacallo bigotto del calvario di Isaia ad ucciderti.”

Claudia guardò Michela, come per dire: scusalo; poi uscì col suo amato, lasciando la ragazza sola e stravolta.

Come poteva essere accaduto? Lei era così convinta della bontà di Isaia! Lui era stato così gentile e comprensivo … E poi, si era finalmente riconosciuto come Michele Arcangelo! Come poteva essere malvagio e ordinare una simile strage, se aveva ritrovato la sua essenza pura? Che fosse cambiato qualcosa? Che lo scontro con gli assassini avesse provocato un drastico mutamento? O forse era stata tutta una finzione e lei era stata davvero ingannata per tutto quel tempo? Non lo sapeva, non voleva crederlo. Se, però, le cose stavano così, lei non era al sicuro in quella casa. Inoltre, era troppo sconvolta per starsene tranquilla lì, per cui raccolse rapidamente tutto l’indispensabile e ciò che poteva e lo caricò in auto e poi partì con Giorgio per raggiungere la villa dei suoi nonni.

Quando Michela vi giunse, tutto era troppo silenzioso; anche se erano già passate da un po’ le ventidue, teoricamente ci sarebbe dovuta essere più vivacità tra quelle mura, le luci dovevano essere accese e, invece, era tutto spento. La ragazza ebbe il terribile sospetto che i templari fossero giunti fin lì. Disse al figlioletto di aspettarla in macchina, poi corse verso la porta e la trovò chiusa, ma con sopra una croce catara dipinta di fresco. Allungò la mano per afferrare la maniglia ed entrare, ma una voce la trattenne.

“Non farlo.” le disse Serventi, come spuntato dal nulla a pochi passi da lei nella veranda “Quel che vedresti, ti porterebbe solo dolore.”

“Che cosa ci fai qui? Come …?” era più indispettita che spaventata.

“Non è un mistero dove viveva il tuo clan. Appena ho saputo di quel che è successo al Centro di Gabriel, ho temuto per loro e sono venuto qui con alcuni dei miei ragazzi, ma i templari erano già arrivati.”

“Da quando sei così caritatevole?” chiese lei, sprezzante.

“Bisogna essere solidali tra noi che sappiamo impiegare la magia, anche se si hanno opinioni differenti.”

“Dove sono i miei parenti?”

Serventi non rispose, si limitò a fissarla col suo sguardo inquietante.

“Vorresti farmi credere che i miei parenti, magi provetti, molti esperti in spade, siano stati uccisi da un manipolo di templari?”

“Quando sono arrivato, molti erano morti, non so come sia stato possibile. Li ho vendicati.”

“I tuoi sgherri sarebbero stati capaci dove i miei parenti hanno fallito? È ridicolo!” L’altro non replicò; la rabbia si acquietò un attimo e fece spazio alla speranza: “Hai detto che molti sono morti, quindi ci sono dei superstiti? Chi?”

“I bambini e i ragazzi: tutte le vostre sciarpe azzurre in pratica. Non ti preoccupare per loro: li ho accolti nella mia comunità. Erano all’interno di un sigillo molto potente, è probabile che gli altri non siano riusciti a far fronte ai templari, poiché si stavano preoccupando di alimentare quella protezione.”

“O, magari, tu hai aspettato che fossero massacrati tutti quelli che non avrebbero mai accettato di assecondarti. Probabilmente, hai contribuito alla loro morte e poi hai ucciso i templari e praticamente hai costretto i miei cugini a seguirti.”

“Perché devi essere sempre così malfidente nei miei confronti?”

Giorgio, intanto, era sceso dal’auto, da solo, e si era avvicinato alla madre chiedendo: “Dov’è il nonno?”

Serventi si meravigliò e, con fare interessato, domandò: “E questo da dove salta fuori?”

Michela prese velocemente in braccio il figlio e lo strinse a sé, poi scoccò un’occhiataccia all’uomo e gli disse: “Non è affare che ti riguardi.”

Serventi la ignorò, continuò ad osservare il bambino e gli chiese: “Quanti anni hai?”

“Tre.” disse il piccolo mostrando la manina con tre dita sollevate.

“Interessante.” scandì l’uomo che, poi, tornò a rivolgersi alla giovane: “Allora, vieni con me? Acquieterò io Gabriel nei tuoi confronti. Gli farò capire come anche tu sia stata ingannata e tradita da Isaia. Ti perdonerà e ti accoglierà nella nostra nuova comunità che rigenererà il mondo.”

“No. Qualsiasi cosa sarebbe meglio che assecondarti.”

“Perché hai così paura della libertà? Vieni con noi: potrai essere libera di essere e fare tutto ciò che vuoi, protetta e al sicuro. Altrimenti, rimarrai sola. Non potrai usare la magia e dovrai nasconderti. Gabriel ha finalmente accettato di liberarci tutti! Ci condurrà contro questi deboli oppressori. Ci sarà la guerra. Il tuo Isaia e i suoi templari tenteranno di opporsi, ma alla fine li annienteremo; sta pur certa che quei patetici omuncoli uccideranno quanta più gente potranno, compresa te e tuo figlio. E nemmeno Gabriel avrà pietà di chi si oppone al cambiamento: come risparmierà tutta la gente comune che accetterà la propria nuova condizione, come accoglierà tutti i sacerdoti che accetteranno di celebrare il nuovo culto, così ucciderà tutti i dotati di potere che non vogliono dominare. Ci sarà la guerra. Moriranno tutti quelli che non sono abbastanza forti o umili. I cadaveri dei vostri falsi preti serviranno da monito a chi non vuole chinare la testa e tu morirai per mano nostra o dei templari. Non è un bello scenario, vero?”

Michela rimase interdetta e alquanto inorridita da quell’immagine che Serventi le stava imprimendo a forza nella mente.

“Non mi credi.” constatò “Preferisci, prima vederlo un poco coi tuoi occhi. Come vuoi, tu.” si voltò e iniziò ad allontanarsi “Ricorda che la porta della mia comunità è sempre aperta, sia per te, sia per tuo figlio.”

Michela era troppo addolorata e stravolta dall’aver scoperto di essere stata ingannata per poter reagire in una qualche maniera. Entrò nella villa, coprì gli occhi a Giorgio per non fargli vedere i cadaveri, poi raggiunse una camera, si stese sul letto a due piazze col figlio e lo fece addormentare; avrebbe voluto riposare anche lei, ma faticò a prendere sonno, pianse a lungo in silenzio.

Il mattino seguente, la ragazza decise di ricorrere alla magia per preparare una grossa pira funebre in giardino, porvi sopra tutti i cadaveri e darle fuoco. Il dolore di quelle perdite era troppo forte per lei: non avrebbe potuto occuparsi direttamente di ciascuno di loro, non poté neppure sopportare di guardare i corpi e piangere su di essi. Sempre ricorrendo alla telecinesi, sistemò nella villa ciò che si era portata via dalla casa in città. Che cosa sarebbe accaduto, ora? Che cosa avrebbe fatto? Era sola, con un figlio di cui prendersi cura. Finché aveva creduto Isaia buono, aveva nutrito grandi speranze, ora sembrava non esserci altra possibilità che il restare nascosta, dissociarsi da quella guerra. Proprio come le aveva spiegato Serventi … Le parole di quell’uomo l’avevano parecchio impressionata, anche perché lui era così abile nell’inculcare visioni e ancorarle nella mente delle persone, affinché si convincessero delle sue verità.

Lei vedeva davanti ai propri occhi le immagini di quel che sarebbe stato, della guerra … Erano davvero solo creazioni di Serventi, oppure alcune di esse erano premonizioni?

Era poi rimasta impressionata da quell’idea di un nuovo culto. Quello era un concetto del tutto nuovo, non gliene aveva mai sentito parlare, prima. Costringere il clero a una nuova devozione e uccidere chi rimaneva fedele a Dio … Bah, Stefano avrebbe di certo accettato, era talmente affascinato da Gabriel che lo avrebbe continuato a seguire ciecamente anche nella sua oscurità. Alonso, invece, mah! Ora che ci pensava, aveva sempre visto l’archivista in biblioteca a fare ricerche o fumare o bere mojto, mai a pregare; forse anche lui, per amicizia verso Gabriel, lo avrebbe assecondato in quella follia. Il Direttorio come avrebbe preso la faccenda? Gabriel ne era a capo, teoricamente avrebbero dovuto obbedirgli, però non avrebbero mai potuto accettare un’eresia! Mah, chi poteva dirlo come sarebbero andate le cose? Alcuni sarebbero morti; certuni avrebbero accettato il nuovo culto per paura; atri sarebbero fuggiti. A Michela veniva in mente un solo prete che, sicuramente, non avrebbe mai e poi mai accettato un affronto simile alla cristianità e alla cattolicità e che dunque sarebbe presto morto. Volle provare a salvarlo, ad avvertirlo. Forse non c’era fretta: forse la trasformazione sarebbe avvenuta lentamente o comunque non subito, nel dubbio le conveniva sbrigarsi. Prese il telefonino, cercò il numero di Sebastiano e lo chiamò. Squillò diverse volte prima che qualcuno rispondesse.

“Pronto!”

“Pronto … Stefano?? Perché rispondi tu al cellulare di Sebastiano?” si meravigliò Michela.

“Come?! Non hai saputo?” si stupì l’altro “Credevo che Gabriel ti avesse raccontato, ieri sera.”

“Gabriel mi ha accusata di molte cose, ma mi ha spiegato molto poco.”

Stefano raccontò brevemente quanto accaduto. Non sembrava per niente sconvolto per il fatto che Gabriel avesse ucciso o trasformato circa una ventina di persone con un’unica scarica di potere, come se fosse giusto e normale.

“Tremendo … Ma questo ancora non spiega perché ho telefonato a Sebastiano e hai risposto tu.”

“Sebastiano è rimasto gravemente ferito: ha avuto lesioni ad organi interni, ora è qui, nell’ospedale della Congregazione, ma i medici non danno molte speranze. Ho risposto io, perché è bene che non si sforzi. Di cosa hai bisogno?”

“Non ha importanza. Vi raggiungo massimo nel giro di un’ora.”

La ragazza prese il figlioletto, salì in auto e si diresse verso la città. Arrivata in ospedale, sperando che Gabriel non fosse nei paraggi, si affrettò a raggiungere la stanza dove Sebastiano era ricoverato. Lì davanti, trovò anche Stefano che, dopo un rapido saluto, le disse: “Io stavo per andare via. Gli altri ragazzi sono ricoverati altrove: questa è una clinica solo per ordinati. Ti ho aspettata un attimo; ora, però, devo lasciarti.”

“Aspetta qualche minuto ancora, per favore.” gli disse la ragazza “Puoi tenere d’occhio Giorgio finché sono dentro a parlare con Sebastiano? Non voglio che mio figlio lo veda in quelle condizioni.”

Il giovane accettò e Michela entrò sola nella stanza. Vide il prete disteso nel letto, con la flebo e altri apparecchi attaccati al corpo. L’uomo ruotò un poco il capo biondo, mise a fuoco la ragazza, si sforzo a sorridere e, a fatica, bisbigliò: “Ciao … è bello ricevere … visite.”

Michela gli si accostò, gli prese una mano e gli disse: “È bello vederti cosciente. Mi han detto che sei molto grave, che ancora non sei fuori pericolo, che le ferite sono ancora aperte e necessiti di frequenti trasfusioni! Credevo di trovarti privo di sensi.”

“Ieri mi avevano dato per morto … Vorrebbero tenermi in coma farmacologico …” Era evidente che era molto debole e sofferente, ogni parola pronunciata era un calvario, ma ci teneva a dirla “Ma io ho detto no … come potrei pregare?” sorrise e sollevò appena l’altra mano per far vedere il rosario che stringeva.

Michela sospirò, si era affezionata a quel prete, nonostante la sua rigidità e chiusura mentale. Non voleva vederlo così sofferente e tanto meno lasciarlo in balia del Gabriel oscuro. Ragionò un attimo: in altre occasioni avrebbe usato più cautele, ma ormai la situazione stava precipitando, quindi al diavolo le prudenze.

“Sebastiano, vorresti guarire e rimetterti in sesto rapidamente?”

“Certamente.”

“Ti sta bene qualsiasi mezzo per recuperare alla svelta la salute?”

“Come …?”

“Mi autorizzi ad usare tecniche al momento non riconosciute come scientifiche dalla comunità medica?”

“D’accordo, come vuoi.” rispose lui, in realtà poco fiducioso.

Michela tirò fuori un carbone e iniziò a tracciare un cerchio per terra.

“Ehi, che stai facendo?” protestò il prete che prima non aveva capito si stesse parlando di magia.

“Il sesto sigillo di Saturno, aiuta nelle operazioni di guarigione.”

“Saturno?!” ebbe la forza di scandalizzarsi.

“Sesto sigillo di Cassiele Arcangelo ti fa stare più tranquillo?”

Sebastiano fece un cenno affermativo.

“Pensi di riuscire ad avere fede in quel che sto per fare, oppure è meglio se ti induco un sonno magnetico?”

“Come?”

“Una sorta di ipnosi.”

Sebastiano ci pensò un po’ su, poi sospirò e scelse la seconda opzione. Michela iniziò a fissarlo negli occhi, gli disse di rilassarsi, di sentirsi tranquillo e di cercare di abbattere tutte le sue naturali difese nei rapporti con gli altri. La debolezza fisica pesava anche sullo spirito e dunque non fu difficile per la ragazza riuscire a magnetizzare il gesuita e sprofondarlo in uno stato di sonno lucido. Iniziò a dargli istruzioni su come regolare il respiro, ma non solo quello che avveniva attraverso le narici, ma soprattutto quello che passava per ogni poro del corpo e che non riguardava solo l’aria, ma la stessa luce astrale. A sua volta, poi, la ragazza alternò soffi caldi e freddi sulle ferite e sul corpo del malato. Inoltre, attraverso i palmi delle mani, assorbì, disperse e incanalò luce astrale.

Trascorse una mezzoretta, ma, alla fine, quando si risvegliò dal sonno magnetico, Sebastiano era completamente guarito.

“Com’è possibile?” si meravigliò il prete constatando che tutti i tagli erano stati sanati e non c’era neppure una cicatrice “Che stregoneria è mai questa?!”

“Diciamo miracolo, così non ti vengono scrupoli morali, va bene?” tentò di rassicurarlo la donna.

“Miracolo? È una definizione un po’ arrogante, non credi?”

“Oh, no, Dio agisce in Cielo per mezzo degli angeli e agisce in Terra per mezzo degli uomini.”

“Solo per grazia divina e per mezzo dello Spirito Santo!” specificò Sebastiano.

“Sì, si possono usare anche questi termini.” ammise Michela che poi protestò: “Oh, insomma, non è affatto diverso dal reiki che vi siete reinventati voi gesuiti, perché non lo capisci e ti lamenti?”

Il prete strabuzzò gli occhi e poi replicò: “Primo: non si deve parlare in giro del legame che la Compagnia di Gesù ha col reiki. Secondo: non mi risulta che il reiki possa rimarginare ferite e lesioni ad organi interni, tanto meno in tempi così brevi!”

La ragazza lo guardò, quasi divertita, poi gli domandò: “Non vedi di buon occhio la magia, però ieri sei stato disposto a correre il rischio di farti ammazzare pur di difendere quelli che ritieni in balia del demonio, perché?”

“Devono essere liberati, salvati, non uccisi! Uccidere uno in quelle condizioni è come condannarlo all’Inferno! Non lo potevo permettere, anche perché non sono malvagi, sono solo un po’ confusi. E, comunque, non posso tollerare assassinii, tanto meno in nome di Dio. Egli ci ama, ama anche il diavolo: se uccidiamo lo facciamo per il demonio, non per Dio.”

“Concordo con ogni tua parola.” la ragazza si sentì sollevata nel sentirgli fare quel bel discorso; lei, però, non voleva perdere tempo, per cui cambiò nettamente tono e lo avvisò: “Sei, o presto sarai, in pericolo.”

“Perché?”

“È complesso da spiegare … Per farla breve: hai presente in Guerre Stellari, quando il maestro Yoda che dice che l’ira conduce al lato oscuro? Ecco, Gabriel sì è molto adirato per i fatti di ieri, ha perso il controllo e non  può tornare indietro, almeno al momento.”

“Cosa centra con me, se Gabriel è arrabbiato?”

“Gabriel si è preoccupato così tanto per le persone coi poteri perché anche lui è uno di loro. C’è una profezia che dice che lui guiderà questa gente alla conquista del mondo, rovesciando la Chiesa, la religione e la politica.”

“Aspetta!” la interruppe Sebastiano “Isaia mi aveva raccontato di una profezia del genere, legata a una setta che si ispira al Candelaio di Giordano Bruno, ma non mi ha mai detto che la persona in questione fosse Antinori!”

“Per forza, era il suo migliore amico e sperava di salvarlo dal suo destino. Purtroppo, ormai, alea iacta est: il compimento della profezia ha avuto inizio e noi non abbiamo molto da fare. Gabriel, presto, comincerà a far sentire la propria presenza e vorrà riformare la Chiesa. Ucciderà chiunque non concorderà con lui, a partire dai preti che non accetteranno di assecondare il suo nuovo culto. Io so che tu moriresti fieramente da martire, piuttosto che rinnegare Cristo, per cui ti chiedo di non farti ammazzare inutilmente. Vieni con me. Ho un posto dove stare, una base sicura; da lì potremo restare aggiornati sulla situazione, studiarla e accogliere altri esuli e cercare di capire come agire per il bene e non solo in nome di Dio, come quei pazzi di ieri, ma secondo la volontà di Dio.”

“Quel che mi racconti è al limite dell’assurdo.” commentò Sebastiano, pensieroso “Per fortuna conoscevo già la storia della profezia e meno male che Stefano, mentre mi vegliava, ha fatto discorsi strani che ora però iniziano ad avere senso. Ti credo e voglio assecondarti. Che si fa?”

Michela uscì dalla stanza, recuperò Giorgio e salutò Stefano che se ne andò tranquillamente. Sebastiano, allora, uscì a propria volta e seguì la ragazza. Con l’auto passarono prima in Congregazione e poi nella casa di via Veneto per recuperare abiti, libri e quanto più riuscissero a caricare in auto, ma lasciarono molto, sperando di avere occasione di recuperarlo presto. Infine, andarono verso la villa in campagna.

Nota dell'autore: per i curiosi, cercate l'articolo sul Reiki, considerato "l'arma occulta" dei gesuiti; è divertente/interessante a seconda del vostro livello di "complottismo"

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Capitolo 19
*** San Giovanni il Battista ***


La fine della setta degli assassini era vicina.

Isaia aveva ottenuto le informazioni che voleva dal prigioniero. Saputa con esattezza l’ubicazione della nuova roccaforte della setta degli assassini, che, ovviamente, si trovava su una piccola altura, in rispetto al nome del loro capo, ovvero il Vegliardo della Montagna, Isaia aveva ordinato che tutti i templari che aveva lasciato ad Istanbul lo raggiungessero e fossero pronti allo scontro. Il gesuita aveva pure scoperto qual era la comunità cristiana che avrebbe subito il successivo attacco della setta e dunque si era portato là con il suo drappello e aveva difeso il quartiere, mettendo in fuga gli assassini, anche grazie all’aiuto dei cristiani, che reagirono dando man forte ai propri protettori. Arrivato il resto delle forze, circa un centinaio di uomini, si erano messi in movimento con jeep e cavalli. La rocca si trovava in una zona isolata, dove non arrivavano né strade né ferrovie. Il denaro non mancava all’Ordine del Tempio, tuttavia, in una zona così povera e ancora abbastanza rurale, non avrebbero potuto trovare un numero sufficiente di  jeep in così poco tempo e poi c’era il problema della benzina che avrebbero dovuto portarsi dietro perché nei pressi della montagna degli assassini non c’erano distributori. Il terreno era brullo e dissestato, le vetture non potevano certo raggiungere grandi velocità e quindi motori e cavalli procedevano di pari passo. Impiegarono due giorni per raggiungere la rocca. Lasciando le auto alle pendici, impiegarono meno di un’ora per salire in cima all’altura. Isaia diede ordine di schierarsi a battaglia, ma prima di dare il via all’attacco, prese una bandiera bianca e la sventolò, segnalando di voler parlamentare per vedere se fosse possibile evitare un massacro. Si presentò a lui, accompagnato da una nutrita scorta, un uomo sulla cinquantina, dal fisico robusto e tonico, era barbuto e portava in testa un turbante rosso, decorato con una spilla su cui brillava un grosso diamante.

Isaia, in fluente persiano, disse: “Arrendetevi e verrete consegnati alla giustizia turca per rispondere dei vostri crimini. Ciò salverà chi di voi non ha preso parte agli assalti. Se non lo farete, allora vi attaccheremo noi stessi e vi uccideremo dal primo all’ultimo.”

Il Vegliardo della Montagna non rispose. Fece un cenno a uno degli uomini che lo accompagnavano e costui, sfoderato il pugnale, se lo portò al collo, si recise la giugulare e cadde a terra morto. Il capo della setta lanciò ad Isaia uno sguardo di sfida, accompagnato da un sorriso feroce, poi si voltò e tornò nella rocca con la sua scorta.

Isaia guardò il cadavere, poi tornò dai suoi uomini e, in latino, disse: “Non hanno paura della morte. Si combatterà. Mi raccomando, fate più prigionieri e meno morti possibili: dev’essere la giustizia a fare il suo dovere.”

Poco dopo iniziarono a piovere frecce dalle mura. I templari levarono gli scudi e cercarono riparo; alcuni risposero all’attacco con balestre. Non avevano macchine d’assedio: dunque, tecnicamente, erano in netto svantaggio, ma gli assedianti avevano dalla loro parte Michele Arcangelo.

Al grido di NON NOBIS DOMINE, NON NOBIS, SED NOMINE TUO DA GLORIA, Isaia avanzò tranquillo e determinato, incurante delle frecce che gli sibilavano attorno, poiché esse non potevano colpirlo. Non risplendeva come quando aveva affrontato Aini, forse perché lì erano all’aperto ed era pieno giorno e dunque la luce non si notava, o forse perché, in presenza di soli umani e non demoni, non era necessario che l’intera vampa si manifestasse.

Isaia avanzò verso il portone e poi vi abbatté con forza la propria spada, di piatto, ed esso si scardinò e volò via. Lui sentiva che gli sarebbe bastato protendere la mano destra in avanti per proiettare fuori da sé l’energia necessaria per spalancare il portone, ma sapeva che ciò avrebbe troppo impressionato i suoi uomini e dunque aveva pensato di incanalare l’energia attraverso la spada.

Il Grande Maestro entrò nel cortile della rocca e i templari lo seguirono, lanciando urla di guerra.

La battaglia divampò: le lame cozzarono le une con le altre e si colorarono di rosso, i corpi cadevano a terra indistintamente. I templari non si curarono molto dell’ordine di fare prigionieri, anche perché si trovavano a dover far fronte a nemici che avrebbero tentato di ucciderli fino all’ultimo. Isaia stesso, che vorticava la spada con maestria, in maniera molto composta, privo del furore della battaglia, era costretto ad uccidere, mormorando frasi di assoluzione dai peccati per coloro che cadevano sotto i suoi fendenti.

Gli assassini erano piuttosto stupiti di trovarsi ad affrontare sì degni avversari, ma combattevano strenuamente; uno di loro, rimasto azzoppato e senza mani, strisciando tra i cadaveri si avvicinò a un templare e gli morse il polpaccio, nella speranza che qualcuno lo uccidesse mentr’era distratto.

Gli assalitori compresero il perché di tanta ferocia e lealtà, soltanto quando raggiunsero la parte più interna della rocca: un vero eden, un giardino meraviglioso, pieno di ogni piacere, c’erano anche delle bellissime donne spaventate (furono lasciate in pace). Corrispondeva esattamente al paradiso promesso agli ismaeliti. Ecco perché tutti quegli uomini erano disposti a morire, piuttosto che a rinunciare a vivere in un simile posto.

La battaglia, però, non era ancora finita. Isaia individuò, in mezzo ai combattimenti, il Vegliardo della Montagna e si fece largo verso di lui e, quando fu a portata di voce, gli lanciò la propria sfida. L’uomo l’accettò subito e fece scostare i propri uomini per andare ad affrontare il Grande Maestro. Gli occhi del Vegliardo scintillavano di ferocia. Il duello ebbe inizio. L’assassino aveva una tecnica veramente spietata ed efficace, basata su assalti e affondi fulminei, ma Isaia riusciva a difendersi perfettamente da quegli attacchi. Non gli fu neppure difficile riuscire ad infliggere un paio di ferite mortali al fianco e al petto del suo avversario.

Il Vegliardo della Montagna si stupì, ma non parve dispiaciuto e nemmeno arrabbiato, anzi, con un sorriso disse: “Poco importa. Ho fatto ciò per cui mi hanno pagato.”

Isaia si meravigliò e chiese: “Chi ti ha pagato? Per cosa?”

Il morente continuò a guardarlo, ghignando senza rispondere. Isaia, allora, gli mise in testa la mano sinistra e si affrettò ad attingere informazioni, prima che spirasse. Cercò rapidamente: c’erano moltissime immagini, per fortuna tra quelle più recenti c’era anche quella che spiegava il perché di quegli attacchi. Isaia vide, tra i ricordi di quell’uomo, la figura di Serventi che ordinava: “Distrai i templari, tienili occupati il più a lungo possibile. Io devo pensare a Roma e a risolvere un paio di faccende lì, prima che questi patetici invasati vengano a metterci il naso. Fa' in modo che ti seguano e che si concentrino solo su di voi e che non abbiano modo di scoprire quel che sta accadendo a Roma. Pensi di farcela?”

Isaia inveì! Avevano abboccato in pieno! Da giorni i templari concentravano tutte le loro attenzioni e sforzi sulla setta degli assassini e non avevano la minima idea di quel che stesse accadendo altrove. Accidenti! Chissà che diavolo stava combinando Serventi! Oh, Gabriel, che ti avrebbero combinato questa volta? Come avrebbe cercato di provocarti il Candelaio? Forse, però, non era ancora accaduto nulla, forse Isaia era ancora in tempo per fermare qualsiasi macchinazione in atto. In fondo, mica tutti i templari erano impegnati contro gli assassini, se fosse accaduto qualcosa di grave, ci sarebbe stato sicuramente qualcuno che avrebbe fatto in modo di avvertire il Grande Maestro. Era, però, anche vero che da due o tre giorni erano in una zona dove non c’era segnale per i telefonini e dunque non si potevano avere comunicazioni con Istanbul. C’era però un altro fattore che rassicurava Isaia: Michela, l’ultima volta che le aveva parlato, gli aveva detto che tutto era tranquillo e normale, che non stava accadendo nulla di particolare. E se gli avesse mentito? Se fosse stata in combutta con Serventi? No, non vedeva nessuna motivazione per mettergli alle costole quella ragazzina. E poi, suvvia, lui aveva visto la sua anima, l’aveva conosciuta e poi, dopo aver ritrovato sé stesso, aveva anche riscoperto la sua amicizia con lei: escludeva a priori che lei potesse avergli mentito, per cui allontanò quel pensiero.

Isaia lasciò perdere la questione assassini: ormai era risolta. Doveva scoprire che cosa stesse accadendo a Roma e impedire il peggio. Chiamò Abdel Nassen e gli affidò il comando delle ultime questioni da sbrigare e del rientro; lui si scelse un paio di templari che lo riaccompagnassero ad Istanbul velocemente. Recuperarono una delle jeep e si misero subito in viaggio, alternandosi alla guida per non doversi fermare neppure la notte. Il secondo giorno, Isaia sentì il telefono squillare, lo prese e vide che la chiamata veniva dalla Casa Madre sotto Santa Sophia. Temette. Sperando che volessero solo sincerarsi del buon esisto dello scontro con gli assassini, rispose in latino: “Ecce!”

“Gran Maestro, buongiorno. Finalmente riusciamo a prendere contatto con voi. La questione del Vegliardo della Montagna?” l’interlocutore era piuttosto nervoso.

“Risolta. Dimmi perché hai chiamato.” Isaia aveva perfettamente capito che c’era qualcos’altro sotto e temeva di sapere di cosa si trattasse.

“Ci arrivano pessime notizie da Roma. Serventi è riuscito a scatenare l’eletto.”

Gabriel!

“Dai giornali online che stiamo consultando e dai blog, pare essere tutto iniziato tre giorni fa. Antinori ha subito accuse di pedofilia.”

Impossibile! Devono averlo incastrato! Maledetto Serventi!

“Lo stesso giorno è stato assaltato una specie di centro d’assistenza che lui aveva recentemente aperto. Ci sono stati diversi morti.”

“Chi è stato?”

“Questa è la cosa più strana: non si sa. I testimoni parlano di gente vestita di bianco, uno nomina addirittura i templari! Ma voi non avete ordinato nulla di tutto ciò.”

“No, infatti. Il nostro nemico ha voluto far ricadere la colpa su di noi per ciò che lui stesso ha fatto, per essere certo che il suo demone si scatenasse, questa volta definitivamente.”

“Che cosa dobbiamo fare?”

“Per ora prenotatemi un biglietto aereo per Roma. Poi mi farete raggiungere dagli altri. Sto rientrando praticamente solo, ma voglio ripartire subito: devo vedere di persona cosa stia accadendo.”

La conversazione al telefono proseguì ancora un poco; per lo più furono riportate frammentarie e confuse notizie su ciò che stava accadendo a Roma. Isaia era alquanto preoccupato per le informazioni ricevute: se le cose stavano davvero così, allora si prospettava un terribile scontro. Ma perché Michela non lo aveva avvisato? Le era successo qualcosa? Forse Gabriel aveva scoperto il suo legame con lei … Oh, questo sarebbe stato tremendo!

Isaia decise di mettersi il cuore in pace e di avere risposte, contattando lui stesso la ragazza. Si concentrò e cercò l’energia dell’amica: gli parve di trovarla, però non gli rispondeva; lui la chiamava, cercava di avvicinarsi, ma era come se lei non lo sentisse. Perché?

Forse, mentre era in viaggio, non riusciva a concentrarsi sufficientemente, per cui decise di aspettare di tornare ad Istanbul. Il viaggio con la jeep sarebbe, infatti, finito da lì a poche ore, poi Isaia avrebbe preso un treno che lo avrebbe condotto piuttosto rapidamente a destinazione.

La mattina di due giorni dopo, il Gran Maestro entrò nella sede sotterranea. Era arrivato in città nella notte. Si fece aggiornare sulle novità: non molte, purtroppo. Da due giorni Roma era isolata, i politici erano fuggiti e non si avevano notizie del Papa.

Isaia non pensava che la situazione potesse diventare talmente grave in così poco tempo. Il suo aereo sarebbe partito nel tardo pomeriggio e sarebbe arrivato a Milano; da lì, avrebbe dovuto arrangiarsi con treni e automobili per arrivare nell’Urbe Immortale. Purtroppo non si aveva idea di come fosse la viabilità in quel momento.

Isaia aveva già pronta la valigia, era piuttosto impaziente. Doveva trovare la maniera di far passare quelle ore che gli rimanevano ad Istanbul. Gli venne in mente che, forse, avrebbe potuto portarsi dietro alcune delle traduzioni dei testi che aveva fatto. Immaginava che a Michela avrebbe fatto piacere leggerli e studiarli … sperando che stesse bene! Era certo che fosse viva, poiché ne percepiva l’energia, tuttavia non era ancora riuscito a parlarle. Lei non reagiva alle sue chiamate, era come diventata insensibile, sorda. Perché? Le era successo qualcosa o non gli voleva parlare?

Che non gli volesse parlare, ad Isaia pareva impossibile!

Si diceva, quindi, che doveva esserle capitato qualcosa e questo pensiero lo preoccupava. Se fosse stata catturata da Serventi? Beh sarebbe stato un motivo in più per scovare quell’uomo. Forse, ormai, la setta del Candelaio non era più clandestina.

Ad ogni modo sperò che quella ragazza stesse bene, poiché lui, purtroppo, non poteva metterla in cima alle proprie priorità. Arrivato a Roma, avrebbe fatto qualche tentativo di rintracciarla e questo, diceva a se stesso, non era per egoismo, ma solo perché lei probabilmente avrebbe potuto aggiornarlo sui fatti ed aiutarlo.  Non avrebbe, però, potuto perdere tempo per cercare lei: fermare Gabriel era più importante che ritrovare la giovane e Michela sarebbe stata assolutamente d’accordo su questo.

Isaia andò, quindi, nella stanza delle reliquie e iniziò a sfogliare le varie traduzioni, indeciso su quali portarsi dietro: avrebbe voluto prenderle tutte! Avrebbe però dovuto accontentarsi di sceglierne tre o quattro da prelevare subito, mentre le altre se le sarebbe fatte portare successivamente dai rinforzi.

Mentre era lì che sceglieva, ebbe l’impressione che ci fosse qualcun altro, nella stanza. Si voltò per guardare se fosse entrato qualcuno, ma non sembrava ci fosse nessuno. Isaia riprese la propria faccenda, ma non fu abbandonato dalla fastidiosa sensazione di essere osservato. Era certo di avere degli occhi puntati contro, ma non capiva chi e come lo stava spiando. Spazientito si alzò in piedi e per perlustrare la sala. Passò vicino alla testa di San Giovanni, che lo impressionava parecchio: insomma, vedere carne viva su un cranio mozzato da duemila anni, con tanto di sangue che sgocciolava, non è uno spettacolo a cui ci si abitua con facilità.

Per la prima volta, notò che la testa aveva le palpebre sollevate e mostrava gli occhi saggi del Battista. Tra l’altro, per come era posizionato, aveva le pupille rivolte ad Isaia, il quale si disse che, probabilmente, anche quello era un elemento che rendeva ancor più fastidiosa quella reliquia.

L’uomo girò per la stanza ma non trovò nessuno, tornò verso lo scrittoio e si accorse che pure da quel lato aveva l’impressione che la testa mozzata lo guardasse. Si mise ad osservarla e a spostarsi dalla sua destra alla sua sinistra e viceversa e notò che gli occhi di San Giovanni erano come quelli di certi quadri che ti fissano sempre, indipendentemente dalla tua posizione. La cosa lo inquietò ancor di più.

“Beh, perché mi guardi e non favelli?!”

Isaia trasalì, istintivamente fece un balzo all’indietro e si mise in guardia, fortunatamente, nonostante la sorpresa e lo spavento, riuscì a non urlare e quindi non attirò l’attenzione d’altri. Fissò la testa morta e si chiese se fosse stata davvero quella a parlare o se si fosse trattata di un’allucinazione.

“Che razza di Gran Maestro sei, se ti inquieta tanto fare due chiacchiere col buon vecchio Giovanni?”

Isaia era basito, rimase in silenzio qualche momento, poi farfugliò: “No, beh è che non ho … Non me lo aspettavo, ecco, sono solo meravigliato.”

“Cos’è che non ti quadra?”

“È normale che tu parli?” si avvicinò alla testa per osservarla meglio: era viva, gli occhi guizzavano e la bocca si muoveva per parlare.

“Senti, sono San Giovanni il Battista, cugino di Gesù il Nazareno: se voglio chiacchierare, lo faccio, punto!”

“Oh, sì, ne hai pienamente diritto …” era ancora alquanto sconcertato.

“Beh, sì, poi c’è quella questione che da quando sono qui, forse da prima, non ricordo,  non ho mai potuto dialogare con nessuno o quasi.”

“Perché? Va bene che sono tre secoli che nessuno entrava qui, ma prima?”

“Beh, ecco, io posso anche parlare, ma non è semplice trovare qualcuno che mi senta. Insomma, sono morto! Posso comunicare solo con medium o magi che abbiano un forte legame con la dimensione dei defunti, oppure con manifestazioni di entità psicopompe come te!”

Isaia pensò che ciò era plausibile: in fondo, secondo la liturgia tradizionale, caduta in disuso negli ultimi decenni, l’Arcangelo Michele aveva il compito di condurre le anime dei morti nell’aldilà e di pesarle sulla bilancia per vedere se erano destinate al Paradiso o all’Inferno; ecco perché lui era in grado di toccare e conoscere le anime delle persone!

“Come mai hai deciso di parlarmi e perché solo ora?” domandò l’uomo, con grande rispetto verso il Santo.

“Se ti avessi parlato, mentre qua c’erano gli altri tuoi amici traduttori, ti avrebbero preso per pazzo! Comunque, io mi trovo in queste condizioni perché voglio aiutare e consigliare gli uomini. È sempre stato questo il mio compito: predicare, annunciare, profetare e così via. Sono la voce che urla ne deserto, no?”

“Chi hai guidato con la tua saggia parola?” ormai Isaia non era più stupito, provava solo reverenza di fronte al Battista.

“Eh, purtroppo poca gente: le persone ascoltano solo fintanto che dici quel che vogliono sentire. Se non lo fai ti insultano e ti dimenticano, ma poi, dopo un po’, tornano piangendo a chiedere scusa. Da quando mi hanno chiuso qua, poi, il mio intervento è stato molto limitato. Il massimo ascendente lo ebbi appena morto, quando c’erano ancora i miei seguaci!” iniziò a parlare in maniera alquanto concitata “Devi capire che, ai miei tempi, io ero molto più popolare di mio cugino. Quando mi hanno decollato, i miei discepoli erano pronti alla rivolta, a prendere le armi ed assaltare Erode e tutto il castello! E lo avrebbero fatto, se non avessi parlato loro e li avessi acquietati! Ti garantisco che avevo molti più discepoli io e la mia influenza era vastissima, insomma, ci sarà pur stato un motivo se Giuseppe Flavio ha parlato di me e non di mio cugino, ti pare? A quei tempi dicevano che la seconda distruzione del tempio di Gerusalemme era una punizione per la mia ingiusta morte!” si avvertiva, nel suo modo di esprimersi, un certo innocente orgoglio “Poi va beh, mio cugino ha avuto più successo e man, mano io sono passato sempre più in secondo piano, però ti faccio notare che la mia nascita è festeggiata il 24 giugno, sono speculare a Gesù! Il fatto è che io e mio cugino eravamo come le due colonne del tempio, dovevamo collaborare e coesistere. Se la religione che è saltata fuori dopo non fosse stata solo Cristianesimo, ma avesse capito appieno il mio ruolo, allora sì che tutto sarebbe andato diversamente! Ma va beh, tant’è che mio cugino ha avuto molto più successo di me. Quanti milioni di seguaci ha? A me ne rimangono solo sessantamila, i Mandei, e hanno le idee parecchio confuse.” sospirò! Era molto accorato nel parlare, si lasciava trasportare dall’incredulità e rabbia verso l’incomprensione degli umani.

Isaia rimase molto interdetto e chiese: “Quindi, sei stato tu a raccontare ai templari la vera storia di Gesù che sta alla base della loro dottrina?”

“Sì, sì e sono stato io a permettere che trovassero ciò che nascondete così gelosamente nello scrigno … Bah! Anche voi non avete capito granché, non avete colto il punto della faccenda. Perché voi uomini fraintendete sempre tutto e vi complicate le cose? Come i Massoni! Accidenti! Avevano capito la mia importanza e poi vanno a sostituire il mio buon cugino Gesù e al suo posto ci mettono Giovanni l’Evangelista; ma, dico io, come si può? Che accidenti è saltato in testa a quelli? Le cose sono semplici: io e mio cugino, punto! Beh e poi tutte quelle faccende di Dio, Bene e Male eccetera, eccetera, ma non è difficile, se non vi complicate le cose da soli!”

Isaia provava ammirazione per quelle verità, ma non poteva fare a meno di considerare buffo il risentimento (privo di cattiveria) con cui parlava San Giovanni.

“Io sarò felicissimo e mi riterrò onorato, se tu vorrai guidarmi e consigliarmi, in questo frangente molto pericoloso per tutto il mondo.” disse l’uomo, rivolgendosi con grande devozione al Santo.

“Sì, sì, lo so in che guai vi state cacciando.” si espresse con non curanza, come se l’imminente catastrofe non fosse altro che normale routine “Tu sei davvero risoluto ad intervenire?”

“Certamente!” avrebbe lottato fino alla morte.

“D’accordo.” si convinse il Battista “Vediamo che si può combinare, questa volta.”

“Grazie, la tua presenza sarà una risorsa davvero importante per tutti noi.”

“Beh, direi che se devi affrontare Gabriele oscuro, ti converrà procurarti un arsenale adeguato.”

“Gabriel, si chiama Gabriel, non Gabriele.” lo corresse Isaia.

San Giovanni aggrottò le sopracciglia poi disse: “Va beh, non cambia nulla. Tu avrai bisogno dell’elmo di Costantino e della lancia di Longino.” si era messo a parlare come un generale “Hai dei magi a disposizione, o continuate a bruciarli?”

“Penso che ne avremo almeno una dalla nostra parte … almeno me lo auguro.”

“Una?!” si meravigliò la testa “Scusa, ma tu non sei un gesuita?”

“Sì, perché?” si stupì Isaia.

“Beh, la vostra formazione si basa molto sul magnetismo e vi avvicina tantissimo alla magia! Uff… Dovrò spiegarvi un sacco di cose! Fa' così, prendi anche gli scettri dei Re Magi, la verga di Mosè e il mio bastone e la mia ciotola, sperando di riuscire a preparare qualcuno di voi per poterli usare. Ah, e anche l’ampolla col sangue di mio cugino: tracciare un sigillo con quello, lo rende efficacissimo. Su, su, presto! Non c’è tempo da perdere e devo insegnarti un sacco di cose! Sperando che tu sia meno zuccone e fantasioso dei tuoi predecessori!”

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Capitolo 20
*** Rambastiano ***


Michela e Sebastiano si erano sistemati nella villa. Il prete, fin dal primo momento, si era messo ad ispezionare l’edificio in ogni minimo dettaglio e, avendo notato la moltitudine di simboli esoterici, testi d’occultismo e oggetti di uso magico (si faceva il segno della croce ogni volta che ne vedeva uno), protestò con la ragazza: “In che posto infernale mi hai portato? Questo è il covo di stregoni e adoratori del demonio!”

“Guai a te se ripeti una cosa del genere!” Lo disse con un tono che non ammetteva repliche “Questa è la casa della mia famiglia. Erano tutti bravissime persone.”

“Erano?” si dispiacque Sebastiano.

Alla ragazza tornarono le lacrime agli occhi e riuscì a dire: “Sì, sono venuti qui i colleghi di quelli che ti han ridotto in fin di vita …”

“Tu sai chi sono quegli uomini?” chiese, convinto che la risposta fosse sì.

“Folli. Sono più servi del demonio loro, che la gente che combattono.”

La voce era forzatamente imbrigliata per sembrare normale, ma si potevano avvertire chiaramente in essa note di dolore e rabbia.

Cadde il silenzio, per un po’, finché Sebastiano spezzò la tensione, osservando: “Immagino che non mi permetterai di esorcizzare le stanze.”

“Immagino che lo faresti lo stesso. Fai pure, se vuoi, tanto quel che ha lasciato la mia famiglia non aveva nulla di diabolico.” sospirò e trattenne la malinconia “Anzi, probabilmente un esorcismo è davvero necessario: con tutti i morti che ci sono stati e il sangue che è scorso, l’aria sarà piena di larve, che è meglio allontanare.”

“Quindi posso esorcizzare?!” chiese conferma Sebastiano, alquanto entusiasta.

“Sì.”

“Bene!” esclamò il prete, felicissimo “Allora, prendi una bacinella, riempila d’acqua e poi seguimi!”

I due giovani si misero a girare di stanza in stanza; Michela reggeva una terrina di plastica, riempita di acqua che Sebastiano benedisse e poi, intingendovi il proprio pennello, il sacerdote aspergeva le camere, pronunciando frasi in latino. Giorgio li seguì per una decina di minuti, poi si annoiò e se ne andò a giocare altrove.

Girovagando per la villa, i due arrivarono anche nel piccolo arsenale e, lì, Sebastiano andò in brodo di giuggiole! Non appena vide le lame, si scordò dell’esorcismo e si mise a prenderle in mano, accarezzarle, provarne il bilanciamento e a fendere l’aria con serie di fendenti e affondi fluidi e tecnicamente impeccabili. Aveva la medesima abilità nello stringere sia spade, sia alabarde, sia mazze e non ebbe difficoltà con asce, piccole o bipenni non sembravano fare differenza per lui. Poi afferrò uno spadino ed esclamò con emozione: “Ho sempre voluto usare uno di questi!” schiacciò un pulsante e la lama si divise in tre parti “Sai, quant’è crudele affondarlo nelle carni di qualcuno e poi aprirlo?”

Michela era rimasta sconcertata da tutto quell’entusiasmo e trasporto; per non parlare, poi, dello stupore nel vedere il prete maneggiare con tanta dimestichezza ogni tipo di arma; infatti, gli chiese: “Sebastiano, com’è che hai tanta famigliarità con le lame?”

“Eh?” era talmente concentrato sull’arsenale che impiegò qualche secondo per capire la domanda, poi ribatté: “Scusa, secondo te, com’è che mi son ridotto in fin di vita? Ho strappato di mano una spada a uno di quei tizi vestiti di bianco e ho iniziato a fronteggiarli! Ne ho lasciati almeno un paio sul pavimento, Dio possa perdonare me e avere pietà di loro! Comunque, hanno capito con chi avevano a che fare e mi hanno assalito in tre o quattro e mi hanno ridotto … beh, l’hai visto anche tu.”

“D’accordo” la donna era un po’ perplessa “Ma tu sei un prete, non dovresti essere contrario alla violenza?”

Sebastiano alzò le spalle e rispose: “Oh, beh, io sono cresciuto così! Ovviamente, da piccolo, come tutti i bambini, giocavo con le spade di legno o anche solo i bastoni. Poi c’erano i miei fratelli più grandi che praticavano scherma medievale e facevano parte di un gruppo celta di rievocazione storica, quindi a undici anni iniziai ad allenarmi anch’io e li accompagnavo alle fiere e partecipavo pure io alle battaglie tra Galli o contro i Romani, a seconda del tipo di festa che era. Di giorno si combatteva, ma bisognava seguire il copione della battaglia originale, alla sera si duellava inter nos molto più liberamente; quanti lividi, quanti tagli …. Bei ricordi! Mi divertivo parecchio!”

La ragazza era sbalordita e commentò: “Non mi aspettavo che, ligio come sei alla cristianità, apprezzassi le arti del combattimento.”

“Ma non era finalizzata a farsi male o a sopraffarsi, era semplicemente un gioco, un esercizio. Pratico ancora, sai? Anche se con meno frequenza e non prendo più parte alle rievocazioni.”

“Ma, scusa, quelle fiere non sono piene anche di pseudodruidi e cerimonie pagane? Come facevi a tollerarle? Oggi, come oggi, probabilmente li prenderesti a crocefissate.”

“Un crocefisso con lama nascosta sarebbe geniale!” ragionò un attimo, tra sé, il prete, per poi rispondere: “Iniziai ad allontanarmi dall’ambiente delle rievocazioni proprio quando più o meno presi i voti, ma non fu colpa di pregiudizi. Anzi, all’epoca non ne avevo, sono stati loro a farmeli venire, quindi non sono nemmeno pregiudizi. Vedi, alla sera si bivaccava attorno ai falò e si chiacchierava di ogni cosa. Ogni tanto capitava che qualcuno, appartenente agli altri gruppi, mi chiedesse che cosa studiassi, io gli rispondevo che ero seminarista e allora iniziavano a piovere insulti e bestemmie, cominciavano a trattarmi male, a fare scherzi cattivi e anche ad assalirmi in due o tre per volta, per il semplice fatto che disprezzavano ciò in cui io credo. Io non sono mai stato obbediente al porgi l’altra guancia e quindi reagivo e loro hanno avuto di che pentirsi. Quando mi resi conto che quella era diventata la normalità, smisi di andare.” si avvertiva, nella sua voce, il dispiacere circa come erano andate le cose.

Michela aspettò qualche attimo, poi gli disse: “Se vuoi prendere qualche arma, fa pure. Temo che presto ne avremo bisogno. Quando vuoi, possiamo allenarci con le spade di legno.”

“Allora anche tu le sai usare! Bene, bene, ci sarà da divertirsi!”

La ragazza scosse la testa, considerando la scena al tempo stesso sia tenera che buffa. Lasciò, poi, solo Sebastiano e andò a controllare che Giorgio fosse tranquillo, infine, data l’ora che si era fatta, cominciò a cucinare.

Già quella sera iniziarono ad esserci notizie circa le azioni di Gabriel. I telegiornali parlavano di un gruppo di misteriosi individui, non si sapeva quanti, che aveva occupato il Vaticano. Non si conoscevano i loro obbiettivi, ma per il momento stavano facendo una strage: cadaveri di preti, suore e guardie svizzere erano ammucchiati in piazza San Pietro.

Sebastiano spense la televisione: non voleva vedere o sapere altro, per il momento. Iniziava ad avere la consapevolezza della terribilità di ciò che stava accadendo.

Nei giorni seguenti, infatti, la situazione peggiorò. Serventi aveva raccolto a Roma tutta la sua comunità, Gabriel aveva creato molti demoni; un simile esercito, seppure non avesse grandi numeri, riuscì facilmente a scacciare l’intero governo e parlamento. A quanto pareva, il loro primo obbiettivo era di sottomettere l’Urbe immortale: Roma caput mundi, conquistata lei, tutto il mondo è soggiogato. Per ottenere ciò, aggredivano principalmente clero e forze dell’ordine, accogliendo chi accettava di obbedire alla nuova autorità e uccidendo chi vi si opponeva. Alcuni civili avevano tentato di opporsi, ma non era finita bene. Centinaia di demoni proteggevano i nuovi confini dalle minacce dell’esercito italiano.

Michela e Sebastiano ascoltavano le notizie e non potevano far altro che prendere atto di quel che accadeva. Non sarebbero, però, rimasti a lungo inattivi, anzi, presto sarebbero stati raggiunti da altri, pronti a sostenere il Bene. Ad esempio, una delle prime cose che la ragazza aveva fatto, era stata quella di telefonare al buddista Vairocana e dirgli di prolungare il loro soggiorno a Votigno e di non ritornare a Roma, come programmato. Il monaco le rispose che avrebbe informato gli altri, ma che lui e chi avesse voluto, l’avrebbero raggiunta. Non sarebbero, però, stati gli unici aiuti.

Erano trascorsi un paio di giorni, quando Michela vide attraversare il salotto Sebastiano, armato fino ai denti.

“Cos’hai intenzione di fare?” lo richiamò la ragazza.

Il prete, con aria molto grave e solenne, rispose: “Dei miei confratelli sono in pericolo, sono sotto assedio: devo andare ad aiutarli!”

“Come? Dove?” si stupì la giovane, alzandosi in piedi ed avvicinandosi.

“All’Istituto Massimo. È un collegio gestito da gesuiti, si sono barricati lì sia i miei confratelli che abitualmente ci lavoravano, sia quelli che sono riusciti a fuggire dal Pontificio Istituto Orientale. Ora, però, li hanno trovati, voglio andare ad aiutarli!”

“Uno: come fai a saperlo?” tentò di farlo ragionare.

“Lo sento!” scandì, imperturbato, Sebastiano.

Michela lo guardò un attimo perplessa e poi disse: “Sì, è assolutamente plausibile. Comunque, pensi che il tuo intervento possa essere decisivo e salvarli? Suvvia, è inutile che ti faccia ammazzare!”

“Meglio morire lì, per e coi miei fratelli, piuttosto che starmene qui a non far nulla!” era risoluto e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.

“Non sei un po’ troppo bardato?” domandò lei, notando che le lame che il prete aveva con sé superavano la decina.

“No. Devo armare i miei confratelli, così potranno difendersi.”

Michela lo osservò, vide la sua determinazione, quindi disse: “Va bene, vengo anch’io.”

“No.” la fermò lui “Non puoi lasciare tuo figlio da solo e non puoi neppure portartelo dietro. Resta qui e aspettaci, magari prepara qualche medicamento, perché ci saranno di sicuro dei feriti.”

La ragazza sospirò e acconsentì: “D’accordo, come vuoi tu, Rambastiano.” lo prese in giro, per poi aggiungere seriamente: “Aspetta solo un attimo, però, ti do la mia spada: è stata benedetta da qualcuno di veramente speciale.”

La donna si allontanò un paio di minuti e tornò, porgendo al prete la lama benedetta da Isaia e gli disse: “Ricorda anche una cosa: voi gesuiti siete predisposti per la magia. Siete formati esercitando la vostra volontà e la vostra immaginazione, vi istruiscono nelle basi del magnetismo, conoscete le energie del reiki. Ad aumentare la vostra forza c’è anche il fatto che la vostre menti sono in contatto le une con le altre e vi date forza a vicenda. Per questo, ora, hai la certezza che i tuoi amici siano in pericolo: senti quel che essi percepiscono o provano. Sei così determinato a salvarli, non solo per lealtà e affetto, ma perché, inconsciamente, sai che senza di loro, tu stesso ti indeboliresti.”

“Devo andare. Dio mi assista e ci benedica tutti quanti.” tagliò corto Sebastiano, che riconosceva delle verità in quelle parole, ma non voleva ammetterlo.

“Va! E quando sarai con loro, appellatevi al vostro potere e alla vostra unione, è il solo modo che avete per salvarvi: il gesuita è in comunione con un circolo di volontà esercitate come la sua: così ognuno dei padri è forte come la società e la società è più forte del mondo.

Sebastiano uscì con queste parole nelle orecchie. La tenne a mente per tutto il tragitto. Quando arrivò nei pressi dell’edificio, vide aggirarsi attorno ad esso ronde di demoni a due a due. Il prete li studiò con attenzione: non aveva mai visto dei demoni veri e propri, ma solo gente posseduta, in realtà quelli erano uomini demonizzati, una categoria ancora diversa; ad ogni modo si fece il segno della croce e poi continuò l’ispezione. Davanti all’ingresso principale, invece c’era un nutrito gruppetto di demoni, che parevano prendere ordini da un paio di uomini. Sebastiano li osservò da lontano: parevano suoi coetanei, uno aveva capelli lunghi e trasandati, la barba e vestiva abiti strani con elementi vittoriani e di altre epoche; l’altro aveva i capelli color miele, mossi, vaporosi, lasciati crescere un poco.

Il prete stabilì che non li conosceva. Si domandò come mai l’Istituto non fosse stato già preso d’assalto: che aspettavano? Bah, era meglio non perdere tempo a ragionare su queste cose, ma agire e in fretta! Parcheggiò l’auto vicino a quello che era un ingresso secondario, poi, rimanendo nascosto, cronometrò quanto tempo trascorresse tra il passaggio di una pattuglia e l’altra. Constatatolo con certezza, attese il momento esatto per lanciarsi in una corsa rapidissima verso l’ingresso, s’arrampicò sul cancello (che non era poi alto), balzò dentro il cortile, raggiunse la porta e la trovò chiusa a chiave. Controllò l’orario e si gettò dietro ad un cespuglio per non essere visto dalla pattuglia in arrivo, la guardò passare, poi afferrò una delle mazze che si era portato dietro e la usò per fracassare una finestra. A quel punto poté entrare nell’edificio e corse a cercare i propri confratelli. L’istinto lo guidò e gli permise di raggiungerli subito, senza girare a vuoto per il grande palazzo.

“Sebastiano!” esclamò qualcuno, vedendolo entrare nella stanza “Che cosa ci fai, qui?”

“Sono venuto a salvarvi, ovvio!” rispose con naturalezza il sopraggiunto.

“E come? Ti sei messo in trappola anche tu!” gli fece notare uno dei gesuiti.

Sebastiano lo guardò trucemente, poi rispose: “Intanto, prendete queste!” e iniziò a distribuite armi ai suoi confratelli, tenendo per sé la spada benedetta.

“Le pattuglie di demoni passano, davanti all’ingresso del liceo scientifico, ogni centocinque secondi, un minuto e quarantacinque.” spiegò il giovane con fare sicuro “Io ho lasciato nel vicolo di fronte un auto col navigatore impostato per un luogo sicuro. È abbastanza grande, se vi stringete, ci state anche in sette. Per cui, ora, ci collochiamo presso quell’ingresso, uscirete a coppie e raggiungerete l’auto; quando sarà piena partirete, uno di voi lascerà gli altri alla villa e poi tornerà qui a recuperare me e chi è rimasto. Il piano è semplice, no?”

I gesuiti concordarono, erano più o meno giovani, in tutto quattordici, contando anche il loro liberatore. Sebastiano si mise a capo del manipolo e condusse gli altri nell’ingresso che aveva individuato, nonostante tutti sapessero dove fosse. Arrivati davanti al portone, l’esorcista chiese se qualcuno di loro avesse le chiavi, ovviamente sì: erano stati loro a chiudersi lì dentro.

“Allora, i primi due corrano al cancello, lo aprano e corrano all’auto, i tempi sono stretti e bisogna essere rapidi, per cui è meglio se partono i due più veloci. Se venissero scoperti, l’intera fuga sarebbe compromessa. Chi va?”

Si fecero avanti due giovani che erano stati in seminario con Sebastiano, presero le chiavi e, atteso il momento giusto, si gettarono fuori dall’uscio e fecero quanto era stato loro detto, scomparendo nel vicolo di fronte, proprio un attimo prima che i sorveglianti girassero l’angolo.

“Io e padre Gregorio non sappiamo usare queste.” disse un prete, riferendosi alle armi “Andremo noi al prossimo giro.” e così fu.

Sebastiano guardò i confratelli rimasti e decise che i prossimi a dover raggiungere l’auto fossero il corpulento padre Loreto e l’anziano monsignor Eleuterio, che di certo sarebbero stati in grossa difficoltà, se si fosse verificato uno scontro. Purtroppo avevano problemi anche con la velocità: se Loreto riusciva a mantenere un passo svelto, lo stesso non si poteva dire per Eleuterio, che normalmente usava il bastone per camminare. Mancavano venti secondi al passaggio dei demoni e i due preti erano ancora in mezzo alla strada, poiché Loreto non voleva lasciare da solo, indietro, l’amico. Sebastiano, allora, si precipitò fuori dalla porta, corse in strada, si mise attorno al collo un braccio dell’anziano e disse all’altro: “Aiutami a portarlo alla macchina!” così lo trasportarono di peso.

Il tempo, però, era trascorso e la pattuglia in arrivo fece in tempo a scorgerli. Sebastiano, accortosi che erano stati scoperti, fece cenno ai suoi confratelli di far correre all’auto l’ultimo che sarebbe partito; lui, invece, si scagliò verso i demoni per impedir loro di dare l’allarme. Gli bastò sfoderare la spada per vederli indietreggiare: evidentemente era stata benedetta da qualcuno di molto potente. Approfittando di quel momento di sorpresa, affondò la lama nell’addome di uno di loro e poi con forza la spostò di lato per squarciarlo per bene. L’altro demone lanciò un richiamo, con un verso strano a metà tra l’ululato e il ringhio; poi si avventò sul giovane, gli afferrò le spalle e vi conficcò i suoi artigli. Sebastiano urlò per il dolore, ma mantenne la lucidità, col pomo della spada colpì sotto il mento il demone che lasciò la presa e indietreggiò, il giovane, allora ripeté lo stesso attacco che aveva ucciso l’altro mostro e anche questa volta ebbe successo.

Ormai, però, era tardi: i demoni avevano lanciato l’allarme e già si sentivano pesanti passi sopraggiungere. Sebastiano corse verso l’ingresso e riuscì ad entrare nell’edificio, prima di essere raggiunto dai demoni che ormai stavano arrivando.

“Barricate le finestre, presto!” ordinò Sebastiano, ma non era necessario: i suoi confratelli stavano già radunando banchi e sedie vicino alle finestre e anche al portone.

“Quanto dovremo resistere?” domandò uno dei presenti.

“Nel migliore dei casi, un’ora.”

“Se fossero umani, le barricate resisterebbero abbastanza.” osservò uno dei gesuiti “Ma questi esseri hanno una forza straordinaria, presto entreranno! Fratelli, è stato un piacere e un onore servire il Signore assieme a voi!”

“Non fare il tragico!” lo richiamò Sebastiano “Sono demoni, la nostra fede li sconfiggerà! Hai visto come ne ho sistemati un paio, no? E allora potete fare altrettanto! Siamo gesuiti e abbiamo già visto l’Inferno! Proprio per questo non permetteremo che esso dilaghi sulla Terra!”

Quelle parole galvanizzarono parecchio i confratelli.

“Ora dobbiamo fare in modo che il portone non venga abbattuto!” li esortò l’agguerrito prete biondo “Mettiamoci in cerchio, prendiamoci per mano e preghiamo!”

I gesuiti non ebbero obiezioni e fecero quanto richiesto; questo, infatti, non era un comportamento anomalo, accadeva spesso che si raccogliessero in preghiera in questa maniera.

Sebastiano continuò a dirigere la situazione: “Fratelli, confidiamo in Dio, concentriamoci sulla sua forza. Possiamo farcela, siamo pure in numero benaugurale: sette, proprio come Sant’Ignazio e i suoi primi compagni. Iniziamo col salmo 30.”

Liberami dalla mano dei miei nemici. In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; per la tua giustizia salvami. Porgi a me l’orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me rupe che mi accoglie, la cinta di riparo che mi salva. Liberami dalla mano dei nemici. Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi. Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché tu sei la mia difesa. Liberami dalla mano dei miei nemici. Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce; non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i miei passi.

Il salmo continuava ancora a lungo, tutti lo conoscevano a memoria e lo pronunciavano perfettamente sincronizzati, non uno aveva un ritmo diverso, e anche le loro voci avevano tutte la medesima sonorità, tanto che pareva un solo unico uomo che recitasse. Il salmo vibrava intensamente nell’aria ed era davvero efficace: il portone resisteva ad ogni colpo dei demoni e anche le finestre reggevano.

Intanto, vicino al cancello, erano arrivati i due umani, che guidavano i demoni. Dopo oltre un quarto d’ora, in cui il portone continuava a rimanere bloccato, il tizio dai capelli lunghi e vestito in maniera eccentrica, si stufò. Avanzò verso l’uscio e ordinò ai demoni di spostarsi, quelli si divisero da un lato e dall’altro, lasciando un varco nel mezzo. L’uomo si posizionò a pochi metri dal portone, unì i palmi delle mani, iniziò a sfregarli rapidamente, sempre più veloce, per creare il maggior calore possibile con l’attrito, quando sentì un crepitio, stese le bracci in avanti e dai suoi palmi uscirono fiamme che incendiarono il portone; poi tornò indietro, dal suo compare, con un sorriso di disprezzo per gli assaliti. I demoni lanciarono versi di gioia e si avventarono sull’ingresso, che ormai potevano sfondare.

I gesuiti si accorsero di quel che stava accadendo, per cui sciolsero il cerchio, recuperarono alcuni banchi dietro cui ripararsi e impugnarono le armi.

“Fratelli!” disse Sebastiano che, nonostante non fosse il più anziano o alto in grado, ormai dominava la situazione “Sono demoni, le nostre preghiere sono più efficaci delle lame. Io consiglio il salmo 3, il 53, il 70. Oppure le formule d’esorcismo, io prediligo quelle per l’Arcangelo Michele, poi fate vobis, anzi, siamo corretti: facite vos.”

I demoni fecero irruzione e si scagliarono contro i gesuiti che cercarono di respingerli, accompagnando i fendenti alle preghiere. Tuttavia le creature infernali erano numerose, mentre i gesuiti erano solo sette e, escluso Sebastiano, nessuno di loro padroneggiava una qualsiasi arte di combattimento. La sola presenza di Sebastiano, tuttavia, la sua mente legata con quella dei suoi confratelli, bastava a coordinare i movimenti degli altri, era come se stesse trasmettendo parte della propria abilità ai suoi compagni. Questo, però, non poteva bastare.

Nella foga del combattimento, iniziarono ad udirsi degli spari.

Chi sparava? Perché? Contro chi?

Sebastiano, mormorando tra sé e sé: “Tu, Signore, sei mia difesa. Hai colpito sulla guancia i miei nemici, hai spezzato i denti ai peccatori …” e così via, cercò di farsi largo e di guardare oltre al portone. Vide che c’erano uomini in camicia bianca e completo nero che sparavano contro i demoni, con scarsi risultati in realtà: Sebastiano intuì che le armi avevano efficacia sui demoni, solo se sostenute dalla fede e dal potere divino.

Il giovane vide, in mezzo alla schermaglia che era in atto nel cortile, padre Alonso che, col sigaro in bocca, osservava lo scontro senza intervenire, almeno apparentemente. Sebastiano decise di fare un azzardo e, abbandonato il suo posto sicuro in mezzo ai confratelli, si lanciò allo scoperto, corse in mezzo ai demoni, vorticando la spada benedetta che già da sola induceva gli infernali ad allontanarsi. Raggiunse Alonso e, pur continuando a menar fendenti, lo salutò e gli disse: “È bello vederti vivo e in buona salute! Come te la sei cavata, quando hanno attaccato il Vaticano?”

“Gabriel non se l’es presa con me. Ho visto che la situation era desperada e alora ho preso gli agenti laici della Congregasione e me sono nascondito ne le catacombe! Avemo avuto notisia de questo ataco e semo venuti ad ajutarve. Ma tu, com’è che te meso a novo? Tre giorni fa stavi per morire!”

“Se sopravvivo anche a questo, ti racconterò. Hai voglia di sistemarti in un posto più comodo delle catacombe?”

Seguro!”

“Quanti uomini hai?”

“Siamo in dieci.”

“Allora procura tre automobili!”

Alonso guardò il viale: vi erano parcheggiate diverse macchine. “Va bene!” disse poi, uscendo dal cancello, mentre Sebastiano lo copriva dai demoni che tentavano di aggredirlo.

Intanto i due umani, che capeggiavano i demoni, scuotevano la testa, seccati da quell’inconveniente. Quello coi capelli lunghi diede segno di voler intervenire, ma l’altro lo bloccò, dando ad intendere che se ne sarebbe occupato lui.

D’improvviso, il numero di demoni crebbe a dismisura e i nuovi arrivati parevano insensibili a qualsiasi tipo di arma o preghiera.

A Sebastiano sembrò impossibile! Si disse che probabilmente erano solo illusioni, allungò una mano per constatarne la vacuità e invece scoprì che erano assolutamente tangibili. Continuò, però, a dirsi che non potevano essere reali! Ricordò gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio, ricordò quando li aveva praticati (guidato da Isaia) e come le visioni che costruiva nella propria mente assumessero quasi dimensioni fisiche, come lui avvertiva vivamente il caldo, il freddo, la sete, la fame, la fatica e tutto il resto.

“Fratelli!” gridò a gran voce Sebastiano “Non fatevi vincere dalle illusioni di Satana! Questi demoni non sono reali! Concentriamo le nostre menti in Dio e nella Verità!”

I gesuiti si ricomposero. Sebastiano poteva avvertire che stavano scacciando la paura, ormai aveva la certezza che le parole che gli aveva detto Michela, prima che lui uscisse, fossero vere. Lui e i suoi confratelli erano davvero in contatto gli uni con gli altri, poteva intensificare o diminuire il legame con loro, poteva soccorrere chi avesse dei dubbi, poteva guidarli. Il giovane, pure nel furor della battaglia, mantenne una profonda concentrazione, cercò di aggregare le menti dei gesuiti, di trasformare le loro sette volontà in un’unica volontà. Vi riuscì! O almeno credette di esserne stato capace, ad ogni modo, molti demoni scomparvero così come erano apparsi.

L’uomo dai capelli color miele inveì e si mostrò molto sorpreso e arrabbiato, mentre il suo compare dai capelli lunghi rideva.

Sebastiano ordinò a due degli uomini della Congregazione di aiutare Alonso. In meno di cinque minuti, tre auto erano davanti al cancello.

“Presto! Alle auto!” urlò Sebastiano e si gettò nella mischia, per dare agli altri la possibilità di correre ai veicoli.

Laici e preti si diedero alla ritirata, nonostante i tentativi di impedirglielo, e presto le auto furono piene. I due umani che guidavano i demoni, invece, non parevano particolarmente interessati a fermarli. Sebastiano fu l’ultimo a salire sull’auto, quella guidata da Alonso, e continuò a guardarsi alle spalle, finché non fu certo che non fossero inseguiti. Avevano lasciato a terra due gesuiti e quattro laici.

“Allora, hermano” gli chiese l’archivista “Donde vamos?”

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Capitolo 21
*** Rientro ***


Sebastiano, Alonso e i loro compagni arrivarono alla villa. Avevano telefonato a uno dei gesuiti del primo gruppo che era partito, per avvertire di non tornare indietro. C'erano diversi feriti, tra di loro; Michela aveva già tirato fuori bende, disinfettanti e quant’altro servisse per le cure. Loreto era, per fortuna, laureato in medicina (aveva fatto a lungo il missionario in Africa, dove aveva fondato un centro ospedaliero, gestito poi da frati e suore competenti). Lui si preoccupò dei feriti più gravi. Alonso, grazie alle sue esperienze passate nella jungla con l’amico Pedro, durante il periodo della guerriglia, aveva imparato a ricucire le ferite con ago e filo e quindi, ora, stava dando una mano. La padrona di casa avrebbe voluto aiutare a propria volta, ma Sebastiano l’avvicinò e le disse: “È meglio che non ti faccia notare. Già io, che ti conosco, fatico ad accettare questa tua capacità, figurati come potrebbero reagire loro. Nessuno è grave, Loreto e Alonso se la caveranno egregiamente. Se vuoi renderti utile, pensa alle mie ferite e basta. E, comunque, andiamo in un’altra stanza.”

Si spostarono in una saletta attigua. Sebastiano si sbottonò la parte superiore della tonaca e sfilò le braccia dalle maniche; quel gesto fu faticoso e doloroso. La camicia bianca che indossava era macchiata di sangue, specialmente attorno alle scapole.

“Non puoi farti dissanguare così, ogni tre giorni!” lo sgridò la ragazza, in un misto di ironia e apprensione.

Lo aiutò, poi, a togliere la camicia e questo fece ancora più male, poiché il tessuto si era attaccato alle ferite.

“Mi hanno artigliato per bene, non trovi?” chiese lui con leggerezza “Non so nemmeno come ho fatto a combattere: con queste ferite non potrei neppure reggere una qualsiasi arma per più di un minuto. A proposito, si può sapere da chi è stata benedetta quella spada?”

“Dall’Arcangelo Michele.”

“Mi prendi in giro?”

“No. È una storia che ti racconterò, quando sarai meno scettico. Adesso, hai intenzione di collaborare per la guarigione, o devo magnetizzarti di nuovo?”

“No, voglio provare a comprendere come si fa. Sul potere e il legame gesuita avevi ragione, sono quindi curioso di capire come funziona quest’altra cosa.”

La ragazza iniziò la medicazione e spiegò, con precisione e passo per passo tutto ciò che faceva e il perché e come agivano quelle forze. Sebastiano ascoltava con molta attenzione, forse con la preoccupazione di capire, soprattutto, se tutto ciò fosse demoniaco o meno.

“Ecco fatto!” disse infine la giovane, prese in mano la camicia, la guardò un attimo “Te ne vado a prendere una pulita.”

Più tardi, si ritrovarono, in un salotto, la giovane, Sebastiano e Alonso col sigaro. Tenevano consiglio.

Alora, questa est tu casa!” esclamò l’archivista.

“Non proprio, io abitavo in centro, qui ci stavano i miei parenti.”

Ovviamente, la giovane si rattristò.

Alonso si fece un attimo scuro in volto e chiese: “Sono stati matati anco loro dai templari?”

Michela sbalordì e chiese: “Perché lo pensi?”

Sebastiano sbalordì e chiese: “Templari? Quelli erano templari?!”

Il bibliotecario prima guardò il prete e rispose: “Seguro.” poi si volse alla ragazza: “Ho dato un’ochiata per le stanze e me è sembrato ovio che achi ghe fosero dei magi. Vedendo la to facia trista e alla luce deji ultimi fati, me è venuto naturale pensare che …”

“Sì, è andata così.” troncò freddamente la ragazza “Capisci bene che non ho voglia di parlarne.”

Seguro.” annuì Alonso e diede un lungo tiro di sigaro.

“Templari?!” esclamò di nuovo Sebastiano, incredulo “Da dove saltano fuori?! Sono soppressi da secoli! Chi li ha ripristinati?! Perché non ne sono stato informato?!”

“Sono dei fanatici che agiscono sensa el permeso de la Chiesa.” spiegò l’archivista.

“Da dove saltano fuori, perché ora?” chiese con insistenza il giovane.

Alonso lo guardò mestamente e lo avvertì: “Io te poso racontar, ma non te piacerebe.”

Sebastiano rimase perplesso per quelle parole, rimase in silenzio alcuni lunghi momenti: stava riflettendo. Poi chiese, con un amaro sospetto: “C’entra con la presunta missione speciale di Isaia?”

L’uomo annuì col capo, rimanendo in silenzio. Il giovane tacque per qualche altro momento colmo di tensione, poi si decise e disse: “Dimmi tutto. Voglio sapere come siano andate le cose, anche se mi dovesse far male.”

Alonso sospirò e si mise a raccontare brevemente quel che era accaduto.

“Beh, Isaia non aveva certo tutti i torti!” esclamò Sebastiano, dopo aver ascoltato attentamente “Se aveva capito quel che Antinori avrebbe fatto, non ha di certo sbagliato a tentare di ucciderlo.”

L’archivista si portò una mano alla fronte, poi sospirò: “Ma non era obligatorio che Gabriel deventase così!”

“Però lo è diventato.” sottolineò Sebastiano, con un misto di rabbia e amarezza generale.

Stava pensando al suo maestro e a come era stato trattato e mal considerato da tutti, negli ultimi tempi. Lui lo aveva capito subito che tutto quell’improvviso astio non era normale e, ora, aveva scoperto che era pure immotivato! Tutti avevano sostenuto il ‘povero’ Antinori, la cui vita era stata minacciata ed avevano voltato le spalle ad Isaia. Branco di ipocriti! Chi era sempre stato ligio al dovere e non aveva mai commesso infrazioni? Isaia! Chi aveva più volte infranto le regole e si stava allontanando dalla Chiesa? Antinori. Bene, alla luce di tutto ciò, a chi avete dato maggior credito?!

Stupidi! Quasi, quasi, ve lo meritavate davvero di essere stati uccisi dal vostro cocco.

“L’ultima volta che ho visto Gabriel” continuò Alonso “Ha deto che è stato Isaia a ordenare l’assalto del Centro. No poso saher se è vero. Se fose così, alora sarebe colpa sua el mutamento de Gabriel.”

Michela era indecisa se rivelare quel che sapeva, oppure no. In fondo, era una verità che non voleva accettare.

“È impossibile!” dichiarò Sebastiano, irremovibile “Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Isaia esorcizza, non uccide. È stato lui a insegnarmi il rispetto per la vita, anche quando è corrotta dal male. Solo rarissime volte, ha detto, si può accettare la necessità di uccidere qualcuno, ma di certo non era il caso delle persone del Centro. Lui non c’entra nulla con quel che è accaduto!”

“Por el momiento, non diremo niente a li altri.”

Vedendo il giovane così saldo e attaccato al ricordo del maestro buono, la ragazza non se la sentì di confessare. Cercò di cambiare argomento: “Al di là di colpe e di quel che si sarebbe potuto fare od evitare, perché coi 'se' e coi 'ma', la storia non si fa, voi che avete intenzione di fare? Questa casa ospitava più di quaranta persone, quindi abbiamo scorte alimentari per diversi giorni; in più, Sebastiano ha già visto, abbiamo stalla, pollaio, conigliera, orto e frutteto. Possiamo essere abbastanza autosufficienti, se ognuno farà la sua parte. Spero collaborerete. Dopotutto, San Benedetto diceva: ora et labora.”

“Veramente, nell’originale, includeva anche il leggere.” precisò Sebastiano.

“Tranquillo: qui, circa le letture, hai solo l’imbarazzo della scelta!” lo tranquillizzò lei, vivacemente “Ad ogni modo, logistica a parte, cosa avete intenzione di fare? Combattere contro Gabriel e Serventi? Recuperare i preti fedeli alla Chiesa? Opere di carità verso chi subirà angherie?”

“Lo decederemo.” propose Alonso “Ora siamo pochi, se salviamo altri hermani e hermane, forse potremo poi pensare ad agire sul serio.”

Sebastiano concordò: salvare chi rischiava la morte era una priorità.

“Mi sembra giusto.” convenne Michela, ma poi scoccò un’occhiata al giovane e lo ammonì: “Tu, però, evita di fare il Rambo!”

I due preti si misero a ridere.

I gesuiti e i laici della Congregazione iniziarono dunque a vivere nella villa e, dopo un paio di giorni, arrivò anche Vairocana con altri tre monaci buddisti.

Sebastiano, che grazie allo scontro all’Istituto Massimo era divenuto consapevole del potere che, effettivamente, possedevano i gesuiti, aveva iniziato a fare esercizi, preghiere e meditazioni assieme ai confratelli per scoprire quanto potessero realmente fare. Michela gli dava occasionalmente consigli e delucidazioni.

In uno di quei primi giorni, la ragazza si trovava nella stalla a mungere, quando si recò da lei padre Alonso che, dopo averla saluta, disse: “Segundo me, te non es stada muy sincera con noi.”

“Perché?” chiese la ragazza, continuando ad essere concentrata sul proprio lavoro.

“Se è vero quel che c’hai deto, che la tu famija era de magi ed es stata matata dai templari, porché ghe sono in esta casa i libri di Isaia? Sono seguro che siano i suoi: dentro hanno i sommari personalisati scriti de suo pugno. Penso che i templari abiano matato li abitanti de la vila e poi l’abiano ocupada e che tu es una de loro.”

La donna prese il secchio col latte, lo andò a versare in un barile, si spostò ad un’altra mucca e nel frattempo disse solo: “Ammetto solo la presenza dei libri di Isaia qua. Tutto il resto lo nego.”

“Como es finida aqui achì la su biblioteca?”

La ragazza sospirò e iniziò a raccontare: “Ho conosciuto padre Isaia poco tempo fa. Venne da me per una verifica della vostra Congregazione. Parlammo a lungo e lui decise di non dire nulla né al Direttorio, né ai Templari a cui già apparteneva. Non mi ritenne un pericolo, nonostante usassi la magia, o almeno così interpretai il suo gesto. Quando dovette sparire dalla circolazione, lo ospitai alcuni giorni in casa mia e provvidi a recuperare i suoi libri.”

“Eri tu la traslocatrice endesponiente?” si meravigliò Alonso “Hai usato la magia per non farte recognosere?”

“No, una semplice parrucca. Con le trasmutazioni non me la cavo ancora bene.”

“Trasmutacioni?”

“Sì, a dire il vero non si cambia realmente il proprio aspetto o quello degli altri, ma è più una questione di manifestazione esteriore dell’immagine interiore …. Ma non è questo il punto.”

“Sai donde sta Isaia, adesso? Hai contactos con lui?”

Michela sospirò, tenne il capo chino e controvoglia riferì: “Si è fermato da me pochi giorni, è poi andato a Istanbul per essere riconosciuto come Grande Maestro.”

“Quindi es probabile che veramente es stado lui a ordenar l’assalto al Centro.”

“E ai miei parenti in questa villa.” precisò la ragazza “A parte lui, chi avrebbe potuto informare i templari?”

“Forse è stato obligado ad ablar.” ipotizzò Alonso, accorgendosi che la giovane provava una grande delusione.

“No.” scosse il capo lei, amareggiata “Ero in contatto telepatico con lui. Mi ha raccontato che è stato riconosciuto come Gran Maestro e mi ha chiesto di tenere d’occhio Gabriel. Lui mi aveva promesso che non avrebbero più ucciso indiscriminatamente, io mi sono fidata e gli ho raccontato tutto. E poi …”

“E poi?”

“Beh, è stato quel che è stato.” dalla voce si avvertiva che la ragazza stava trattenendo un pianto imminente.

“L’hai più sentido?”

“No. Dopo quella notte di stragi, ho troncato i rapporti con lui. Ha cercato di contattarmi, più di una volta, in questi ultimi giorni, ma non gli ho risposto. Non voglio più essere ingannata da lui.”

Porqué hai nascosto todo quanto e non ce l’hai deto subito?”

“Cambia qualcosa? Credi di poter ragionare coi templari, a questo punto?”

“No. È vero che, por molti di noi, la situacion non cambia, ma non pensi a Sebastiano? Lui ha diritto de sahere la verità!”

“Certo! E, nel migliore dei casi, si deprimerebbe; nel peggiore, si unirebbe anche lui ai templari.” rispose seccamente la donna.

“Lo scoprirà comunque, prima o poi, e si arabierà, se saprà che noi ne eravamo consapevoli e non gli abbiamo detto nula.”

“L’hai visto anche tu, però: è così convinto che Isaia non possa aver ordinato quelle stragi! Lasciamolo nella sua illusione ancora per un po’! E poi, anche a me sembra strano che mi abbia mentito così bene! D’accordo, è un gesuita, dunque è addestrato anche all’inganno, ma sono piuttosto certa che a me non possa dire bugie, senza ch'io me ne accorga.”

“Se pensi que ci sia stato un malinteso, porqué non gli rispondi, quando tenta de ablarte? Hai forse paura che lui, envece di smentire, confermi i sospetti?”

Michela esitò. Poi, lasciando trasparire al quanto la sua preoccupazione, ammise: “Sì, voglio alimentare la speranza, finché non mi saranno sbattuti in faccia fatti ancora più evidenti di quelli che si sono già verificati. Isaia è l’unico che può fermare questo Gabriel. Se, però, si è abbandonato a una cieca furia e violenza, allora le speranze di ripristinare lo status quo sono quasi nulla! Io ho bisogno di sperare!”

Que entiendi?”

“Intendo dire che se Isaia è diventato un folle sanguinario, Serventi troverà la maniera di farlo riappacificare con Gabriel e loro, unendo le forze … beh, hai visto cosa può fare Gabriel da solo, prova ad immaginarlo aiutato da un Isaia parimenti pericoloso.”

“La vedo grigia!” constatò Alonso, accendendosi un sigaro.

“Non è neppure lo scenario peggiore.” lo informò lei, prendendo il secchio di latte.

Que può eserce de pejo?” si stupì l’archivista.

“Se saranno quattro, anziché due, l’Inferno sarà sulla Terra.”

Ghe sono altri dos potensiali minace?”

“Ebbene, sì!”

“Chi?”

Michela esitò qualche momento, poi mentì: “Non ne ho idea.”

 

Isaia era finalmente arrivato in Italia con indosso di nuovo la sua tonaca nera da gesuita. Era arrivato di notte, dopo il breve viaggio in aereo, non aveva voluto riposarsi, ma aveva preso un taxi e si era fatto portare nella stazione centrale di Milano. Lì, aveva controllato orari e tragitti dei treni, ovviamente nessuno arrivava più fino a Roma, al massimo si fermavano a Viterbo o Rieti e poi c’erano alcuni trenini regionali che portavano fino ai comuni limitrofi ai nuovi confini. Il gesuita non batté ciglio, fece il biglietto e si preparò al lungo viaggio. Arrivato fino alla località più estrema, l’uomo noleggiò un’automobile e si diresse verso Roma. La sua valigia e le reliquie erano adagiate con cura nel bagagliaio o nel sedile posteriore.

Isaia era alquanto impensierito: dalla Urbe non c’erano notizie certe da diversi giorni. I giornalisti erano praticamente spariti; tutto ciò che si sapeva lo si poteva desumere dai profili facebook o di altri social network, ciò rendeva le cose ancora più caotiche. Ognuno poteva scrivere quel che gli pareva, postare foto più o meno ritoccate e dunque era impossibile capire quale fosse la verità e comprendere la gravità della situazione. Nel migliore dei casi, ognuno esprimeva il proprio punto di vista e la medesima situazione assumeva almeno una ventina di sfumature diverse. Nel peggiore, invece, la gente si inventava le cose per attirare l’attenzione, o per il semplice gusto di prendere in giro gli assenti.

Isaia, inoltre, era preoccupato per Michela. Ancora non gli rispondeva! Lui riusciva a percepire la sua energia, però lei non reagiva. Ormai aveva rinunciato a contattarla, si limitava a controllare di riuscire sempre a individuare la sua presenza. Cosa le era successo? Stava bene? Gabriel le aveva fatto qualcosa? Oppure era finita nelle mani di Serventi?

Voleva scoprirlo al più presto, così da potersi poi dedicare al proprio dovere senza distrazioni o preoccupazioni minori.

Isaia vide, in mezzo alla carreggiata, un posto di blocco: tre demoni sorvegliavano la strada, probabilmente per evitare a chi era dentro la loro zona di uscirne.

L’uomo fermò l’auto e scese: anche se aveva fretta, non poteva esimersi dal provvedere a sbarazzare il mondo dagli esseri infernali. Inoltre, era piuttosto certo che non lo avrebbero lasciato passare tranquillamente.

“Un prete.” osservò uno di loro “Sei venuto ad abbracciare il nuovo culto? In tal caso sei il ben venuto. Altrimenti, vattene, o troverai la morte!”

“Facciamogliela trovare comunque.” propose un altro.

Isaia, impassibile, estrasse il crocefisso, lo ostentò davanti a sé, verso quei demoni, e gridò: “In nomine Pater et Filius et Spiritus Santo, ego vos ire impero. Ite! Ite!”

Il gesuita stava facendo appello alla sua vampa interiore. Il suo corpo iniziò a risplendere e bastò quella luce a impaurire i demoni, che cercarono di fuggire, ma lui, velocemente, con la mano sinistra li toccò uno dopo l’altro ed essi si trasformarono. Il lato demoniaco scomparve e loro tornarono ad essere semplici esseri umani. I tre uomini si guardarono stupefatti, ricordavano perfettamente quel che era loro successo: come Gabriel li avesse trasformati e quel che avevano fatto dopo; erano stupefatti, increduli.

Isaia non si curò ulteriormente di loro, tornò in auto e ripartì.

“Ottimo lavoro!” gli disse la testa di San Giovanni, collocata dentro a uno scatolone, sistemato sul posto accanto a quello del guidatore.

“Come hai fatto a vedere da lì?”

“Mio cugino avrebbe potuto vederti?”

“Sì, certo.”

“Ecco, io non sono da meno! Quando ti abituerai a quest’idea? A questo proposito, non è che al prossimo esorcismo, potresti aggiungere anche il mio nome, nell’invocazione? Sai, così la gente inizia ad abituarsi all’idea che sarò parificato a Gesù.”

“Va bene, va bene, ma con calma!”

Il Battista storse il naso e disse: “Ecco, mi sa che, anche questa volta, la verità non salterà fuori.”

Isaia sospirò e concluse: “Prima evitiamo l’Inferno in Terra, poi provvediamo alla riforma religiosa.”

Il gesuita continuava a guidare. Non sapeva di preciso dove stesse andando: aveva focalizzato il suo spirito verso l’energia di Michela e ora si lasciava condurre dall’istinto, nella speranza che lo conducesse da lei. La buona riuscita di ciò ebbe conferma, quando l’uomo riconobbe le zone in cui stava passando, come quelle in cui si trovava la villa dei parenti della ragazza. Infatti, dopo non molto, parcheggiò l’auto proprio davanti a quella casa. Notò che c’erano altre macchine ferme, ma non ci fece caso. Sentiva che la ragazza era lì dentro, per cui, al momento, gli interessava solo ottenere spiegazioni sul suo non rispondere. Arrivò alla porta e bussò un paio di volte, prima che qualcuno gli aprisse. Isaia si sorprese nel trovarsi davanti, dall’altra parte dell’uscio, l’anziano don Eleuterio. Il gesuita rimase un poco perplesso, ma vinse subito l’incredulità, entrò e chiese solo: “Buongiorno padre, lei dov’è?”

L’altro gesuita capì che si stava riferendo alla padrona di casa e dunque gli rispose: “È al piano di sopra. Credo sia con padre Alonso e Sebastiano.”

Isaia quasi non ascoltò la seconda frase: corse verso le scale e le salì in gran fretta, sollevando un poco la tonaca, affinché non gli fosse d’intralcio. Mentre saliva, ebbe il timore che la ragazza fosse in pericolo: se i gesuiti erano arrivati fin lì e tra loro c’era pure Sebastiano, non era certo al sicuro!

Si trovò in un corridoio su cui si aprivano varie porte; istintivamente andò verso sinistra e varcò la terza porta.

Sentendo dei passi così frettolosi rimbombare nel corridoio, Michela si era avvicinata alla soglia per vedere chi stesse arrivando così agitatamente.

Isaia, vedendosela davanti, tirò un sospiro di sollievo: “Grazie a Dio stai bene!”

Di istinto la abbracciò, ma fu solo per pochi secondi. Si ricompose quasi immediatamente.

Sebastiano osservò stranito, non capendo come mai il suo maestro conoscesse la ragazza.

Michela guardò dritto negli occhi Isaia e, con voce rotta, supplicò: “Ti prego, dimmi che non hai dato ordine di attaccare il Centro di Gabriel e questa casa.”

“Mai fatto.” assicurò lui, ricambiando lo sguardo, attraverso le lenti degli occhiali.

“Ti credo.”

Michela gettò le braccia al collo dell’uomo, appoggiò la fronte sul suo petto. Isaia rimase un attimo freddo, ma poi la strinse e con una mano le carezzò i capelli.

Alonso, col sigaro tra le labbra, li guardò qualche istante e, tra sé e sé, sorrise e scosse bonariamente la testa.

“Gli assassini avevano il compito di distrarmi, dando così la possibilità a Serventi di agire qui. Appena ho saputo, sono tornato indietro.”

“Scusami, se ho dubitato di te.” Michela stava piangendo per il sollievo, rimanendo accoccolata con lui “Avrei dovuto capire che è stato Serventi ad architettare tutto! Ci ha guadagnato solo lui! Ha ottenuto Gabriel, ha ucciso chi poteva essergli d’ostacolo, s’è preso i miei cugini ed è riuscito a farmi essere arrabbiata con te, per fortuna solo per qualche giorno. Scusami, scusami davvero!”

“Non ci pensare, l’importante è che ci siamo chiariti.”

Fu necessario che Sebastiano si avvicinasse e richiamasse l’attenzione: “Maestro!”

Isaia si scosse, lasciò la ragazza e abbracciò il discepolo, dicendosi molto lieto di vederlo sano e salvo. Dopo di ciò si accostò ad Alonso e mestamente gli disse: “Mi spiace per l’aggressione che hai subito, un paio di mesi fa, e mi scuso per la parte che ne ho avuto.”

“Non ci pensar, hermano!” lo perdonò l’archivista con un sorriso, ma poi si fece serio e chiese: “Como poso esere certo che davero non tieni colpa con l’agresione al Centro? E bada che non pòi convinserme con un abracio como hai fato con la chica. Me sembra strano che Serventi abia ordenato de matar la gente dotata de potere che lui sostiene.”

“Gli premeva scatenare Gabriel.” si difese Isaia “Qualche sacrificio lo poteva ammettere, specialmente se di gente che ancora non era nella sua cerchia.”

Avrebe sacrificado pore i suos: quelli che Gabriel ha matato!” fece notare Alonso.

“Non so.” ammise l’altro “Mi è stato riferito che si è parlato di Templari, ma non ho idea di chi fossero.”

“Beh, erano tizi poco raccomandabili!” borbottò Sebastiano “Mi hanno quasi ucciso! C’era quel tizio coi capelli rossi che …”

“Capelli rossi, hai detto?” lo interruppe Isaia, attraversato da un dubbio.

“Sì.”

“Descrivimelo.”

“Beh, ero un po’ impegnato a difendermi, non sono stato a guardarlo. Aveva i capelli rossi ed era pallido, insomma, aveva la faccia da Irlandese, anche il nome lo era. I suoi compagni lo hanno nominato un paio di volte, si chiamava … Fu .. Fi …?”

Fylan?”

“Sì, esatto! Lo conosci?”

“Ho avuto il dispiacere di conoscerlo, sì.” spiegò Isaia “Era il capo della fazione che si è opposta alla mia nomina a Grande Maestro. Probabilmente, Serventi ha saputo del suo risentimento verso di me e ha deciso di sfruttare lui e gli altri scontenti, per attuare il suo piano. Così, si è liberato pure di un po’ di templari. È troppo astuto quell’uomo!”

“Cos’hai intencione de fare, ahora?” domandò Alonso “Clamare i templari e fare guera a Gabriel?”

“No, se si può evitare.” rispose Isaia “Voglio parlare con Gabriel, vedere se riesco a farlo rinsavire. Se lui dovesse rimanere nell’oscurità, allora sarò costretto a convocare l’Ordine, per proteggere i cittadini … e prendere provvedimenti più drastici.” si vedeva che quell’ipotesi lo dispiaceva “Alonso, posso contare su di te per parlare con Gabriel? Io mi presenterò a lui, tenterò di capire e di farmi capire, ma lui sarà molto arrabbiato con me. A te non ha nulla da rimproverare, per cui, forse, ti darà maggiormente ascolto.”

Seguro, hermano, sarò muy felize de colaborar!”

“Maestro!” intervenne Sebastiano, con gravità “Io ho dovuto scontrarmi con i nuovi seguaci di Antinori, so quanto sono pericolosi. Permettimi di accompagnarti: voglio proteggerti, nel caso ti aggredissero.”

Isaia ragionò qualche momento, poi acconsentì: “Grazie. Se per caso porti un pugnale, tienilo ben nascosto, non voglio che pensino che andiamo lì con cattive intenzioni.”

Michela sospirò e disse: “Beh, Rambastiano non può certo difenderti dagli attacchi di chi è dotato di poteri, almeno per il momento. Verrò anch’io con voi, per pensare a quel fronte, se sarà necessario.”

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Capitolo 22
*** Ambasceria ***


Isaia avrebbe preferito non interporre altro tempo e andare subito a fare l’ambasciata, ma era molto stanco: da prima di raggiungere la setta degli assassini, lui era costantemente in viaggio e non riusciva a riposare decentemente. Pensò che, per la buona riuscita della diplomazia, gli convenisse fare una bella dormita, in un letto vero, e rifocillarsi, per cui decise che sarebbero andati a parlare con Gabriel il giorno dopo.

Sebastiano era davvero entusiasta di riavere il proprio maestro e lo investì di domande circa dove fosse stato, cosa avesse fatto e perché conoscesse la ragazza che li ospitava. Isaia rispose e, man, mano che spiegava, si rendeva conto che forse non era il caso di raccontare tutto agli altri gesuiti e ai buddisti quindi lui, Alonso, Sebastiano e Michela concordarono sulla versione dei fatti a cui attenersi, almeno per il momento.

Il mattino seguente, dopo una colazione all’italiana (di cui Isaia sentiva la mancanza), i quattro presero l’auto e si diressero verso la città per la loro missione di pace. Non avevano una precisa idea di dove avessero potuto trovare Gabriel, ma parcheggiarono nei pressi del Vaticano, con l’intenzione di passeggiare in quella zona, finché non si fossero imbattuti in qualcuno a cui chiedere. Non dovettero cercare a lungo: s’imbatterono subito in un drappello di uomini demonizzati.

Sebastiano avrebbe immediatamente messo mano allo spadino, che nascondeva sotto la tonaca, e al crocefisso, ma un’occhiata di Isaia lo fermò. Il templare si rivolse ai dannati e disse loro: “Buondì, vorremmo parlare con Gabriel, se è possibile. A chi possiamo rivolgerci?”

Sebastiano era alquanto perplesso per quel tipo di approccio che, però, fu efficace. I demoni non attaccarono; forse, il solo sentire il nome del loro padrone li rendeva meno aggressivi. Uno di loro si allontanò, mentre gli altri rimasero a guardare in cagnesco gli umani. Trascorsero una ventina di minuti, prima che qualcuno si presentasse. Il demone tornò con un uomo che aveva superato i trent’anni: aveva un fisico molto possente e i muscoli di un intenso allenamento quotidiano. Costui si portò davanti ad Isaia e si presentò: “Davide, capo della sicurezza. Almeno, finché l’esercito non sarà meglio definito. Allora sarò un Generalissimo.” porse la mano.

“Non stringerla!” Michela avvertì Isaia “Vuole sottrarti energia!”

Davide voltò il viso verso la ragazza e la rimproverò: “Perché hai rovinato la mia sorpresa?”

Lei si fece alquanto severa e con decisione chiese: “Gabriel ha intenzione di riceverci, o ha mandato te ad occuparsi di noi?”

“Seguitemi, vi aspetta nel palazzo della vostra Congregazione.”

I quattro furono condotti nell’edificio che ben conoscevano. I quadri di santi alle pareti erano stati tutti tolti. In una delle salette attigue alla biblioteca, si trovava Gabriel, seduto, in maniera tutt’altro che solenne, su uno dei seggi usati nei loro uffici dai Monsignori.

Isaia lo guardò e, vedendo i lineamenti del Gabriel oscuro, si ricordò di quanto grave fosse la situazione e deglutì.

L’eletto li guardò coi tizzoni dei suoi occhi, in un misto di scherno e disprezzo. Si passò la punta della lingua sotto i denti e disse: “Isaia, sorcio, non credevo saresti stato così gentile, o stupido, da venire qui spontaneamente, evitandomi la fatica di darti la caccia. Così, non c’è divertimento!” poi spostò gli occhi sull’archivista e gli disse severamente: “Alonso, amico mio, dissociati da questa feccia e vieni con me a ricostruire il mondo.”

Hermano, ascoltame, io e Isaia volemo ablarte.” era conciliante e bonario “Fa’ due chiacchiere coi tu amigos.”

Gabriel alzò il mento, dilatò le narici, dopo aver pensato qualche momento, accettò: “Va bene. Sono curioso di vedere che illusioni avete; ma prima …” guardò Michela e le disse: “Ti avevo promesso che, se ti avessi trovata in amicizia con Isaia, ti avrei uccisa sotto i suoi occhi. Io mantengo le promesse.”

Sebastiano, in un lampo, portò la mano sull’elsa; anche Isaia era pronto ad intervenire. Tuttavia, a  frenare Gabriel, che si era alzato in piedi, fu la voce di qualcun altro: “Anche se il capo sei tu, ti proibisco di farle del male, almeno finché non avrò risolto una vecchia faccenda che ho in sospeso con lei.”

Sbucò, da dietro una colonna, lo stesso uomo coi capelli lunghi e i vestiti eccentrici presente allo scontro all’Istituto Massimo.

Gabriel parve riflettere, poi concesse: “E sia! Alonso, tu e il cane traditore venite con me in un’altra sala, dove parleremo tranquillamente, anche se in realtà dovrei ucciderlo qui, su due piedi. Tu, Niklos, invece, sei libero di risolvere la tua questione come meglio credi.”

Isaia non era certo entusiasta di quella divisione. Lanciò un’occhiata a Sebastiano, come per dire: Pensaci tu!; il giovane capì e annuì. Michela colse quella preoccupazione e, telepaticamente, riuscì a rassicurare il templare: Non temere per me, Niklos non vuole uccidermi e dubito voglia farmi del male.

Appena che gli altri furono spariti dietro una porta, Sebastiano chiese alla ragazza: “Prima il tizio che ci ha accolti, ora questo. Com’è che conosci tutti, qua?”

“Vecchie e forzate frequentazioni.” tagliò corto lei.

“Ah, è così che definisci le persone con cui sei cresciuta?” domandò l’eccentrico, avvicinandosi a lei “Non hai un minimo di riconoscenza neppure verso di me, il tuo maestro?”

La ragazza si mise a ridere e poi disse: “Certo, Bonifacio ti aveva chiesto di prendermi sotto la tua ala e di istruirmi. Grazie al Cielo, sei tremendamente scostante e volubile. Ti limitavi a dirmi sì e no un paio di frasi a settimana. Ho potuto così provvedere, da sola, alla mia formazione ed evitare di diventare come te.”

“Bah.” Niklos scrollò le spalle “Eri piccola … Quando, poi, hai iniziato ad avere l’età adatta, ti ho dedicato tutto il tempo e le attenzioni necessarie.”

“Anche eccessivamente.”

Michela sostenne l’intenso e sgranato sguardo dell’uomo.

“Quattro anni fa non la pensavi così.” le ricordò Niklos, allungò una mano per farle una carezza.

La ragazza si ritrasse e disse seccamente: “Sono cresciuta, nel frattempo.”

“Lo vedo.” si soffermò a guardarla qualche istante, prima di chiedere: “Ma puoi forse dire di essertene pentita?”

“No.” dovette ammettere Michela, ma i suoi occhi furono attraversati da un balenio di furore. Poi si voltò verso il prete e gli disse: “Vedi, Sebastiano, lui è uno stregone. È fondamentale che tu impari la differenza fra magi e stregoni. Il mago è padrone di sé: tramite la volontà piega la luce astrale  e pratica le virtù. Gli stregoni, come questo tale, sono in balia dei vizi che li trascinano da una parte e dall’altra. È la basilare differenza tra volere una cosa ed essere voluti da una cosa.”

Niklos fu indispettito da quella ostentata noncuranza. Con veleno nella voce, disse: “Bonifacio ha detto che hai qualcosa che mi appartiene.”

“Bonifacio mente spesso e lo sai.” fu la sbrigativa risposta.

“Non questa volta.”

Lo stregone era alquanto arrabbiato. Afferrò il mento della ragazza e la costrinse a guardarlo, poi l’avvisò: “Lo reclamerò, siine certa!” e svanì.

Sebastiano si accorse della preoccupazione che si fece largo sul viso dell’amica, per cui le chiese: “A cosa si stava riferendo?”

“Niente. Non preoccuparti.”

 

Nel frattempo, nella stanza vicina, era in atto una conversazione molto più importante.

“Cos’è successo, Isaia?” lo schernì Gabriel “L’ultima volta, volevi uccidermi e ora vuoi parlare. Hai paura? Ti sei accorto di aver fatto una colossale cazzata e ora speri di inebetirmi di nuovo con qualche vana blatera?”

“Gabriel …”

“Sta' zitto! Non mi interessa! Un vigliacco traditore come te deve solo tacere!”

Isaia decise di rimanere in silenzio, per il momento, osservando se Alonso sarebbe stato in grado di mitigare un poco l’animo dell’amico.

Alora, hermano, te vedo informa!” voleva prendere la conversazione molto alla larga, per non indisporre l’altro “Como te la pasi?”

“Bene, molto bene! Sto gettando le basi di quel che sarà il grande cambiamento del mondo! Una nuova umanità che viva secondo natura, senza più che i deboli si rifugino sotto quella stupida bugia e invenzione, chiamata moralismo.”

A quelle parole, Alonso capì che non c’erano molte speranze di arrivare ad una conclusione positiva; non quel giorno, almeno. L’archivista, però, non si diede subito per vinto: “Ma non es un’invension, è el volere de Dio!”

Gabriel scoppiò in una risata davvero divertita e non riuscì a fermarsi per quasi un minuto, quando poi disse: “Dio ha creato il mondo, la natura e le sue leggi. Secondo te, vorrebbe che noi andassimo contro alle sue stesse regole? Guarda la natura! Guarda come sono così semplici le cose in essa: il più forte domina; il maschio alfa guida il branco; l’animale forte mangia il debole, quello ancora più debole si nasconde. È così che vanno le cose! Tutte quelle fanfaronate sulla giustizia, non sono altro che frottole inventate dai deboli! Ed erano cose talmente assurde che hanno dovuto spacciarle per leggi divine, per ingannare i più forti e costringerli ad obbedire. Ora, però, non sarà più così! Il mondo uscirà dall’ombra in cui la Chiesa l’ha gettato e ognuno scoprirà come la moralità non sia altro che la scusa per la paura!”

“Ma noi hombre semo animali racionali.” gli fece osservare Alonso, che non sapeva più a quali argomenti ricorrere.

“E allora? La natura ad alcuni animali ha dato grande forza fisica, ad altri velocità, alcuni hanno artigli, altri corna, ci sono esseri alati o quelli che si sanno rigenerare. Noi abbiamo l’intelligenza e con essa possiamo dominare. Essere intelligenti non significa imporsi dei limiti, ma superarli.”

“L’intelighensia è un dono de Dio, quindi …”

Lo interruppe un’altra risata di Gabriel, che poi disse: “Se rimarrai qua, ti spiegherò alcune verità su Dio. Se, invece, te ne andrai, potrà raccontartele questo cane.”

Accennò ad Isaia, che era molto scuro in volto, preoccupato anche lui per la gravità della situazione.

“Anzi, no, non potrà farlo!” si corresse Gabriel “Tra poco, sarà morto.”

Isaia decise di parlare e, con calma, prese a dire: “Fratello, è vero che nella natura possiamo leggere il messaggio divino, comprendere quali sono le forze e le regole che lo governano, ma tu stai usando delle chiavi di lettura totalmente sbagliate!”

“Non ho bisogno dei tuoi piagnistei!”

“Come non avevi bisogno dei miei giudizi e delle mi paure?” reagì con forza Isaia, stancatosi di rimanere sempre in silenzio a subire “Se tu mi avessi dato retta anche una sola volta, adesso non saresti qui a farneticare! Ma tu sei sempre stato troppo orgoglioso e superbo per ascoltare parole che non fossero le tue o che non ti facesse comodo sentire! Ogni volta che ho tentato di farti ragionare, tu mi hai ignorato o addirittura accusato di interessarmene per lavoro, quando lo facevo soprattutto per amicizia! Mi rendevo conto di quel che sarebbe potuto accadere. Volevo evitarlo non solo per il bene comune, ma perché non volevo dover affrontare te, mio amico!”

“Non voglio ascoltarti nemmeno adesso!” lo gelò Gabriel “Non mi importa nulla di quello che può pensare un patetico omuncolo come te, che se l'è presa con chi è diverso, perché ha paura.”

“Io non ho fatto un bel nulla! Serventi ha fatto ricadere la colpa su di me perché voleva che tu ti riducessi in questo stato!” ribadì Isaia, risoluto e fermo.

“Coniglio! Non hai nemmeno le palle per ammettere le tue colpe!”

Lo sguardo di Alonso guizzava da un amico all’altro, attentissimo a quel botta e risposta. Era un po’ stupito: non aveva mai visto Isaia rispondere alle parole istintive di Gabriel.

“Sei così ottenebrato o non mi hai mai conosciuto davvero?” stava rispondendo Isaia “Dovresti sapere bene che io soppeso sempre attentamente le conseguenze di tutto ciò che faccio, in modo tale da non dovermene pentire. Io mi assumo sempre le mie responsabilità, ma l’attacco al tuo centro non rientra in esse.”

“Se anche non fossi stato tu, ciò non toglie che una banda di uomini deboli e impauriti ha cercato di uccidere gente che è di gran lunga superiore a loro! Per secoli, siamo rimasti nell’ombra, rispettosi e timorosi, abbiamo lasciato che bruciassero i nostri fratelli per paura che capitasse anche a noi. Non ci rendevamo conto della nostra reale forza e di come la forza può tutto. Ora le cose cambieranno: sto insegnando agli uomini ad essere liberi davvero.” poi si volse all’archivista “Alonso, resta qui, lascia ch’io spezzi le catene che ti imprigionano e ti impediscono di essere ciò che sei.”

Muchas grasias, hermano, ma preferisco remaner così. Io non te combaterò, ma non poso nemeno asecondarte in esta follia.”

Gabriel parve rattristato. Per qualche istante, parve che guardasse con malinconia non solo Alonso, ma pure Isaia. Presto, però, la rabbia tornò ad impadronirsi di lui.

“Isaia, cane dei falliti, per favore, dimmi che sei così vigliacco da temere la morte a tal punto da accettare di essere mio schiavo, piuttosto che morire. In fondo, ti è sempre riuscito benissimo obbedire.”

“Non c’è gioia maggiore della consapevole e volontaria obbedienza a Dio.”

“Quale Dio? Non prendiamoci in giro, entrambi sappiamo che a Dio non importa nulla di quel che capita qui. Tu segui pure l’idolo dei deboli, se vuoi, ma io mi ispirerò all’idolo dei potenti.”

“Gabriel, ti prego, torna in te! Tu stesso hai definito inutile questa guerra; tu stesso in realtà non vuoi, come me, che qualcuno di noi due muoia. Ho giurato di fermarti a costo della mia vita o della tua, ma preferirei che non ci spingessimo a tanto. Ritrova la tua pace.”

“Le mie catene, vorrai dire! No. Non sarò più il servo di nessuno, sarò io il padrone! E tu, mio falso amico, che ora fai questi discorsi ipocriti, stai pur certo che nessuno dei due morirà. Ti trasformerò in demone e allora sarai in mio potere. Prima, però, dovrai guardarmi mentre ucciderò la tua amichetta: sarà un lungo spettacolo.”

“Si può sapere perché ce l’hai tanto con lei?”

“Ti ha permesso di assalire il mio Centro! Ha tradito!”

“Noi non centriamo nulla con quella storia! Te lo vuoi mettere in testa?”

“Beh, allora la ucciderò solo per il gusto di farti soffrire!”

“Perché dovrebbe dispiacermi una sola vita, quando l’intero mondo è in pericolo?”

Gabriel lo guardò prima perplesso, poi deluso; infine si voltò verso Alonso e gli disse: “Ti sei sbagliato.”

Il bibliotecario, capendo a cosa si riferisse, si mise a ridere, forse in parte nella speranza di smorzare la tensione che si andava creando, sicuramente divertito dal vedere Gabriel così deluso per il mancato successo della minaccia.

Gabriel tornò a rivolgersi ad Isaia e lo provocò: “Illuso io a credere che tu potessi intrattenere un qualche rapporto con una donna, che non passasse per la grata del confessionale! Hai mai preso in considerazione che non hai nemmeno un’amica, perché sei tremendamente noioso e bigotto, sempre immerso in tomi vecchi e polverosi?”

Isaia pensò: Ma che diamine centra?

Era decisamente sbigottito, poi osservò: “Fratello, al momento, la mia vita sociale non ha importanza.”

“Per forza! Non ne hai una!”

“Gabriel, cerchiamo di non divagare. Perché d’improvviso ti sta a cuore la mia cerchia di amicizie? Non ti sembra che ci siano questioni ben più importanti a cui pensare?”

“Ti riferisci ai tuoi compari templari, quei bastardi assassini? Perché, se è così, hai ragione: è una questione importante a cui pensare, come ad esempio eliminarli dalla faccia della terra, come hanno fatto loro con quelle persone.”

“I Poveri Compagni d’armi di Gesù e del Tempio di Salomone sono un mio problema e posso pensarci io a cambiare il loro atteggiamento. Tu, però, devi darmi una mano! Dimostra che siete persone ragionevoli, civili, che non siete un pericolo e io riuscirò a dare un nuovo e diverso indirizzo all’attività templare.”

La risata di Gabriel, priva di gioia, fece rabbrividire perfino Alonso.

“Parli proprio tu? Comandare un esercito di assassini ti sembra ragionevole e civile?”

“Ti ho detto che sto cercando di rimediare!”

“Se proprio vuoi essere utile, proponi ai tuoi amici l’arte stoica del suicidio.”

Isaia scosse il capo, parecchio scoraggiato e dispiaciuto.

“A proposito, invece di ammazzare gente, avresti fatto meglio a combinare qualcosa con quella ragazzina. Sa un sacco di cose, forse riuscirebbe a non annoiarsi, ascoltandoti. Credimi: è divertente. Te lo dico come amico! Lascia perdere i templari, fammeli sterminare. Tu ti ritiri da qualche parte con quella, non ci crei problemi, e noi vi lasciamo in pace. Che ne dici? Non è forse meglio per tutti? Beh, ammesso e non concesso che tu sia in grado ci costruire un rapporto con una donna."

Alonso pensò che fosse meglio intervenire e deviare il discorso, tornando sulla questione principale. Con fare tranquillo, domandò: “Ma com’è che d’improviso t’è venuta toda esta smania por al poder?”

“Se uno ha un dono, è giusto che lo sfrutti e che non lo nasconda. Gesù stesso ha raccontato la parabola dei talenti: chi li ha fatti fruttare è stato premiato, chi li ha tenuti sepolti è stato punito.”

Seguro! Ma i servi hanno fato frudar el dinero por al loro padrone, non por sé.”

“Infatti, Gesù non era davvero figlio di Dio. Ha predicato una falsa dottrina ed è stato ucciso dal più forte.”

“Ma es resuscitado! E da lui è nata una religione che es difusisima!”

“Solo perché alcuni uomini forti hanno saputo sfruttare una dottrina che piaceva ai deboli per farli rimanere nella loro impotenza e ridurre alla stessa maniera i loro degni avversari!”

“Sembri un marxista dell’800!” disse con disprezzo Isaia, profondamente indignato.

 

Nella stanza accanto, Michela e Sebastiano continuavano ad aspettare, quand’ecco che arrivò Claudia. La psicologa, come li vide, si rallegrò e li salutò: “Ciao! Sono contenta di vedervi qui! Come state?”

I due giovani furono sorpresi di vederla così gioiosa, comunque risposero e ricambiarono la domanda.

“Oh, bene, benissimo! Gabriel sta per avviare una rivoluzione straordinaria e io lo aiuterò! Sono proprio entusiasta, non vedo l’ora di cominciare!”

“Claudia, ma sei sicura di quello che dici?” si stupì Michela “Non mi pare che …”

“Come?” la interruppe l’altra, stupendosi “Non siete qui per unirvi a noi? Beh, vedrete che, quando vi avranno spiegato tutto, sarete d’accordo con noi.”

“D’accordo un accidente!” proruppe Sebastiano “Siete voi che dovete schiarirvi le idee, non noi! Infatti, Isaia e Alonso stanno tentando di far rinsavire Antinori!”

“Isaia?!” sbalordì Claudia e fremette di rabbia “Che cos’è venuto a fare qui?! È così pazzo da volere ancora uccidere il mio Gabriel?! Ah, ma questa volta Gabriel reagirà!”

“Ehi, noi non siamo qui per uccidere nessuno!” precisò Sebastiano “Vogliamo solo ricondurre Antinori alla ragione! Tutto questo disprezzo e odio che nutre, non sono degni di nessuno!”

“Sfogarsi fa molto bene!” ribatté la psicologa e spiegò: “Non è affatto salutare tenersi tutto dentro e reprimere le proprie emozioni. Bisogna esternarle e reagire alle oppressioni altrui. È quello che ho sempre consigliato ai miei pazienti: esternare!”

“Un conto è non farsi mettere i piedi in testa …” iniziò a replicare Michela.

“Umiltà e pazienza sono virtù basilari!” fece una parentesi Sebastiano.

“Un altro conto è uccidere o demonizzare persone solo per il gusto di esercitare la propria forza!”

“Gabriel è buono e quello che fa è per il bene di questa gente. Io, da psicologa, ho sempre aiutato le persone a liberarsi dalle proprie paure, ossessioni, debolezza, inibizioni. Adesso Gabriel sta facendo la stessa cosa! Io e lui stiamo unendo le nostre energie per un progetto comune, proprio come una vera coppia! Finalmente siamo uniti e ci impegneremo per creare un mondo migliore dove nostro figlio possa crescere e vivere.”

“Un mondo dove ognuno può fare quel che gli pare, ti sembra migliore? Quante sopraffazioni ci saranno? Le leggi esistono per un motivo!” ribatté la ragazza.

“Non sono altro che un patto sociale che può essere annullato!”

Michela, in quelle parole, avvertì l’influenza di Serventi. Dannazione! Quell’uomo era riuscito a manipolarla!

La psicologa continuava: “Le leggi variano da stato a stato e questo dimostra come siano relative e che non esistano di per sé. Inoltre, già adesso, vengono calpestate e aggirate da chi è potente. Allora, va più che bene gettare questa maschera di ipocrisia! Prima neanch’io lo capivo. Poi, il mio Gabriel mi ha aperto gli occhi! È così saggio! E così buono, da voler liberare l’intera umanità!”

“Claudia, non ti rendi conto che il tuo amore per Gabriel ti sta ottenebrando?” cercò di farla ragionare la ragazza “Lo ami a tal punto da negare i fatti e da giustificarlo in tutto, pur di non dover ammettere a te stessa che sta sbagliando e che stai amando un uomo, al momento, malvagio, che ha bisogno di aiuto! Non vuoi litigare con lui e accetti tutto quel che fa, anche se sai che non è giusto!”

“Sei tu in errore! Hai troppa paura; di cosa, però? Se sei debole e hai paura della forza altrui, l’obbedienza e la sottomissione ti salveranno. Se, invece, temi un potere che hai, sei solo un’ingenua. Anche Gabriel ha temuto a lungo il proprio potere e stava male, ora che lo ha accettato è finalmente contento.”

“La paura non c’entra nulla.”

In quel momento, la porta della stanza affianco si aprì e i tre uomini, che erano là dentro a parlare, uscirono. Gabriel diceva: “La vostra ambasceria è stata totalmente inutile. Alonso, te lo chiedo per l’ultima volta, vuoi restare qui con noi?”

Muy despiaciudo, hermano, ma non poso aiutarte in esto progetto, ma non te ostacolerò: el mio dovere è quelo de socorere i bisognosi ed è quel che farò. Nula me vieta de venirte a trovar, qualche volta.”

“Tu sei sempre il benvenuto.” gli rispose Gabriel, amichevolmente; poi si rivolse ad Isaia: “Essendo tu venuto qui come un ambasciatore, non ti farò male, adesso, ma se fra cinque minuti non te ne sarai andato, la considererò un’aggressione e reagirò di conseguenza.”

Isaia non disse nulla, era molto mesto, deluso dal fallimento e preoccupato all’idea della guerra imminente.

Claudia andò subito a gettarsi tra le braccia di Gabriel e lanciò un’occhiataccia ad Isaia.

I due giovani guardarono la loro guida e compresero quanto fosse andato male il dialogo.

“Ehi, Sebastiano!” provocò Gabriel “Mi hanno riferito di come ti sei battuto egregiamente qualche giorno fa. Potresti unirti a noi! Anche se non hai poteri, non meriti di stare in mezzo ai deboli.”

Il prete rispose citando versetti di vari salmi: “La mia debolezza, Dio, tu ami! Mia forza e mio canto è il Signore. Rivestiamo la forza di Dio per resistere al male.”

Gabriel fece un verso di disprezzo e ricordò: “Avete cinque minuti per andarvene!”

I quattro si avviarono verso l’uscita, in silenzio. Scesa la scala, sotto al portico, incrociarono Teresa che stava entrando. Michela la riconobbe e si avvicinò per salutarla e provare a scoprire qualcosa.

“Oh, ciao!” rispose la donna “Come mai da queste parti? Gabriel e Claudia hanno voluto parlarvi?”

“A dire il vero, siamo stati noi a contattare loro.”

“Siete riusciti a farli ragionare?” domandò Teresa, speranzosa.

“No.”

L’altra donna parve dispiacersi.

“Ma, quindi, anche tu concordi sul fatto che stiano esagerando?”

“Esagerando? In città sembra di essere in stato di guerra!” replicò Teresa “Voi dove state, per non esservene accorti? È il caos! Non giudicatemi male, ma quando Claudia mi ha invitata qua e mi sono resa conto che qui potevo starmene tranquilla, senza persecuzioni e con cibo e tutto garantito, ho accettato ben volentieri di trasferirmi. Non condivido i loro ideali o i loro piani, ma a fare l’indignata ci rimetto e basta. Visto che ho questa possibilità, non voglio sprecarla.”

“Non ti biasimo.” rispose l’altra, più che altro per ispirare fiducia “Almeno, così, puoi stare vicino a Claudia e cercare di farla tornare in sé.”

“Ho provato a parlarle, ma non è facile. Ormai, i suoi pensieri sono solo per Gabriel e il loro bambino, non riesce a vedere altro.” Teresa era molto dispiaciuta.

“Hai il mio numero di telefono?” domandò la ragazza “Potresti tenermi informata su quel che accade, per favore? Ma solo se te la senti e se sei certa che nessuno se ne accorga … sai, potrebbero non gradirlo.”

Teresa concordò e rapidamente se ne andò.

Stato di guerra, ha detto?” ragionò Isaia “Dovremo ben capire che cosa stiano facendo.”

“Noi ci siamo ritirati subito in campagna.” disse Sebastiano “Non ho avuto occasione di sapere che cosa accadesse in città. Tu, Alonso, sei stato qui qualche giorno in più: sai qualcosa?”

“Sono stado ne le catacombe, hermano! Abiamo sentido ablare di raduni forzati nelle piaze, ma non so de cosa se tratase.”

“Pessima idea, chiacchierare nell’androne.” li informò la voce di Gabriel, alle loro spalle “I cinque minuti sono scaduti.”

I quattro si voltarono e videro Gabriel, sul gradino più basso delle scale, accompagnato da sei demoni.

Sebastiano, di riflesso, impugnò lo spadino: si era portato dietro quello crudele che poteva aprirsi in tre.

“Alonso, per favore, staccati da quei tre. Non mi importa se non vuoi aiutarmi, ma sta lontano da loro che presto scopriranno cosa significa mettersi contro chi ha il potere.”

Detto ciò, Gabriel fece un cenno e i demonizzati iniziarono ad avanzare.

Isaia non diede tempo ai suoi compagni di reagire. Tese il braccio destro, con la mano aperta, verso Sebastiano e gli chiese lo spadino. Il giovane si stupì: solitamente, quando avevano dovuto affrontare scontri, in passato, il suo maestro lo aveva sempre fatto andare avanti; tuttavia non protestò e gli cedette l’arma immediatamente.

Isaia si voltò un attimo verso Michela: era certo che lei avesse capito le sue intenzioni e voleva vedere se le approvava. Comunque, non avrebbe cambiato idea.

“Gabriel, da quando sono arrivato, non ti ho sentito parlare d’altro che di potere. Credi davvero di essere l’unico ad averlo?”

Isaia fece appello alla propria vampa, risvegliò il sé stesso quiescente, iniziò a risplendere.

I due preti rimasero basiti, con gli occhi sgranati, a guardarlo assolutamente interdetti.

A Michela, invece, brillarono le pupille, sia per la soddisfazione, sia per la consapevolezza di chi avesse di fronte.

Gabriel rimase sorpreso, in un primo momento, ma poi fu incuriosito e divertito.

Isaia avanzò da solo. I demonizzati si avventarono su di lui che, imperturbabile, usò lo spadino per difendersi dagli attacchi, mentre, col palmo sinistro, toccava gli esseri, restituendoli alla condizione umana.

“Tornate alle vostre case!”

Isaia esortò i sei uomini che si guardavano increduli e felici. Essi se ne andarono.

Il templare guardò dritto negli occhi il vecchio amico e sorrise.

Gabriel fremette. Com’era possibile che Isaia potesse fare ciò? Senza neppure un crocefisso o un’invocazione di esorcismo? Isaia era un semplice essere umano! Non aveva mai dimostrato doti particolari, al di fuori dello studio e della pedanteria. Da dove veniva quel potere? Da quanto lo aveva? Perché non gli aveva mai detto nulla? Insomma, diceva tanto di essere suo amico e poi non gli parlava di queste cose? Inoltre, da solo, aveva affrontato sei demoni senza battere ciglio e li aveva liberati! Diavolo! Era il potere opposto al suo! Ecco perché Isaia, nella cripta, gli aveva detto che combattersi era il loro destino! Erano opposti, erano fatti per fronteggiarsi l’un l’altro!

Ma, se lui, Gabriel, era l’eletto, chi era Isaia? La profezia parlava anche di lui? Perché nessuno lo aveva avvertito che ci sarebbe potuto essere qualcuno in grado di opporsi a lui?

Gabriel celò la preoccupazione e lo stupore e, con un ghigno deforme, disse sprezzante: “Non male, Templare. Credo proprio che mi farai divertire.” il suo sorriso era terrificante “Schiacciare i deboli umani è fin troppo facile, non dà grandi soddisfazioni, ma annientare te mi darà gloria! Assapora pure la tua speranza, pienamente: sarà più gustoso privartene.” i suoi occhi brillarono di malvagità “E ora andatevene!”

Isaia si voltò e incrociò lo sguardo orgoglioso e contento di Michela.

I quattro uscirono dal palazzo della Congregazione. Alonso era ammutolito per l’enorme stupore. Sebastiano, invece, era febbricitante e domandò: “Maestro, come ci sei riuscito? Mi insegnerai questo esorcismo?”

“Temo di non poterlo fare. Non si tratta di un esorcismo, ma della mia natura.”

Que entiendi?”

Isaia arrossì, si sentì in imbarazzo e borbottò: “Sono l’Arcangelo Michele.”

Que?”

“Cosa?”

“Sebastiano” intervenne Michela “Ricordi, vero, quando ti dissi che la spada che ti avevo prestata era stata benedetta dall’Arcangelo Michele? Ecco era a lui che mi riferivo.”

“Tu lo sapevi?” protestò il giovane “Perché? Non è giusto!”

“Tranquillo!” lo rassicurò lei, scherzosa “Non è che lui lo abbia detto a me e non a te. Io lo sapevo prima ancora che lui se ne accorgesse.”

“Se non ve despiace, vorei proprio capir por bene esta historia.”

“Ah, di sicuro ne sa più lei che me.” disse Isaia “Io so solo che sono l’Arcangelo Michele, ma mi restano un mistero il come, il perché e così via.”

“Se es vero, esto vuol dire que tu, Isaia, es l’unico que può fermare todos esto caos!”

Isaia sospirò e disse: “Me ne rendo conto. Un compito gravoso, ne sono onorato. Spero di non fallire.”

“Ricordati che non sei solo ad affrontare tutto questo.” gli disse Michela “Noi ti aiuteremo.”

 

 

Nota dell’Autore.

Un grazie a tutti i miei lettori! Spero che la trama vi soddisfi e che ci sia il giusto equilibrio tra spiegoni esoterici, introspezione e azione.

 

Un GRAZIE speciale va ad Alex Piton che (oltre a tutto il resto) oggi mi ha dato un grande aiuto per i dialoghi tra Gabriel e Isaia!

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Capitolo 23
*** In quel di Roma ***


Gabriel, dopo aver visto Isaia liberarsi con così tanta facilità dai demoni, si era diretto da Serventi. Lo trovò in uno dei salotti del palazzo pontificio, mentre si rilassava suonando il pianoforte.

“Bonifacio!” lo chiamò, urlando.

“Gabriel, cosa c’è?” chiese Serventi, continuando l’esecuzione di un brano di Bach.

“Com’era quel discorso, secondo cui la nostra strada è spianata e non c’è nulla che ci possa arrestare?”

“È così, Gabriel. Chi può fermarti? Il tuo potere è inarrestabile.” continuava la melodia “Nessuno oserà opporsi a noi; tranne, ovviamente, quegli sciocchi templari, ma non sono certo un problema.”

“Su questo ho qualcosa da ridire.” Gabriel era alterato.

“Dimmi.”

“Isaia.”

Serventi sbagliò una nota.

“È ricomparso!” annunciò l’eletto “Ha ritrasformato in umani sei demoni. Com’è possibile?”

Serventi interruppe la musica, si voltò e chiese: “Davvero?”

“Sì, l’ho visto con i miei occhi! Ti pare che mi inventi le cose? Ti ripeto: com’è possibile?”

L’altro uomo si alzò in piedi e iniziò a passeggiare, meditabondo.

“Allora?” lo incalzò Gabriel “Non sembri molto sorpreso! Che cosa ne sai di questa faccenda?”

Serventi finalmente si fermò, si mise a sedere su un divanetto ottocentesco e disse: “Sapevo che potenzialmente avrebbe potuto farlo, sì. Non mi aspettavo, però, lo scoprisse, specialmente in mezzo ai templari. Scommetto che è colpa di quella maga ostinata.”

“Chi?”

“Aveva una ragazzetta appresso?”

“Sì, la traditrice.”

“Ecco, quella potrebbe dare dei problemi.”

“Lo sapevo che dovevo ammazzarla!”

Serventi alzò gli occhi al cielo, poi disse: “Basterebbe tenerla lontana da Isaia.”

“Beh, mi ha seccato abbastanza! La prossima volta che mi capita, la uccido, così non se ne parla più. Questo risolverà anche il problema con Isaia, giusto?”

“No.”

“Ma hai detto che è colpa sua, se quel vigliacco, ora, può contrastare il mio potere!”

“Sì, ma la capacità è in Isaia, punto e basta. Lei può solo averlo aiutato a trovarla.”

“Quindi non c’è modo di neutralizzarlo?”

“Perché ti preoccupi, Gabriel?” chiese Serventi, molto calmo.

“Quel cane potrebbe riumanizzare l’esercito che stiamo formando! La cosa dovrebbe lasciarmi indifferente? Che tu sappia, può riservare altre sorprese, o posso andare tranquillo ad affrontarlo?”

Serventi lo guardò quasi severamente e, dopo qualche istante, lo apostrofò: “Tu devi pensare al piano principale. Isaia è un impiccio secondario.”

“Non mi sembra.”

“Lui è uno. I suoi templari non hanno alcun tipo di potere, se non qualche esorcismo che, però, sarà vanificato dalla forza che infonderai nei nostri eserciti. Tu pensa a quelli e lascia che sia io a pensare a come risolvere la faccenda 'Isaia' .”

“E come farai?”

“Il suo potere riguarda solo i demoni. Basterà mandare uno dei miei ragazzi, per metterlo in difficoltà.”

“Fa’ in modo che davvero non possa crearci problemi! E alla svelta! Le spine nel fianco vanno tolte subito, perché altrimenti rischiano di dissanguarci.”

“Non temerlo, Gabriel, il suo fato non sarà quello di fermarci.”

L’eletto si mise a sedere su una seggiola imbottita e rimase pensieroso. Serventi, invece, si alzò in piedi e, prima di rimettersi a suonare, si versò un bicchiere di brandy e chiese all’altro se ne volesse.

“Che cosa ti turba?” chiese poi l’uomo, riprendendo la melodia interrotta prima.

“Sono contento che hai deciso di occupartene tu. Io non ce la farei.”

“Perché dici questo?”

Gabriel bevve un sorso dal proprio bicchiere, prima di rispondere: “Prima, mentre gli parlavo, mi sono reso conto che gli voglio ancora bene, nonostante tutto quello che ha fatto.”

“Due minuti fa, lo stavi condannando a morte.” gli ricordò Serventi, intento a suonare.

“Lo so. Infatti, mi devo ripetere costantemente che è stato lui a ordinare la strage al mio Centro: devo ricordare quelle immagini, per poter essere adirato. Nonostante questo, non riesco ad odiarlo.”

Serventi, tra sé e sé, sorrise.

“Sai, Bonifacio, per un attimo, prima, gli ho offerto addirittura la salvezza, a patto che non disturbasse. Ovviamente, testardo com’è, ha rifiutato.”

“Quindi, non lo vuoi più morto?”

“No... Sì... Non lo so, dannazione!” Gabriel scagliò il bicchiere contro la parete “È un pericolo per il nostro progetto, lo so! Non lo voglio ammazzare, però! Sai cosa penso, Bonifacio?”

“Cosa?” non sembrava minimamente turbato dalla furia dell’altro.

“Mi piacerebbe se lui cambiasse idea e decidesse di collaborare con noi. Ma questo è impossibile. È un nemico e come tale dobbiamo trattarlo.”

“Vedremo, vedremo.” sussurrò Serventi, mentre la sua voce si perdeva tra le note.

 

Nel frattempo, Isaia e i suoi amici erano tornati nella Villa e, riunitisi in un salotto assieme anche a Vairocana, tennero consiglio, sorseggiando un infuso caldo.

“Lo scontro es inevitabile!” osservò Alonso, amareggiato “Ma io non poso prendervi parte. Combattere non es por me.”

“Non ti chiederemo di farlo.” Isaia assicurò “Per le battaglie, ci sono i Poveri Compagni d’armi di Gesù e del Tempio di Salomone. Mi preoccupa maggiormente la situazione in città! Voglio capire che cosa stia accadendo e come possiamo aiutare i civili.”

“Non ti preoccupare, maestro.” intervenne Sebastiano “In questi giorni, ho avuto occasione di rafforzare il legame con i nostri confratelli gesuiti e abbiamo rispolverato un po’ delle tecniche e gli insegnamenti che ci trasmettono durante il noviziato e che una volta impiegavamo spesso, mentre in questi ultimi decenni stanno andando in declino. Permettimi di andare con loro in città: riusciremo a studiare la situazione, carpire informazioni e, allo stesso tempo, passare inosservati, impercettibili da chiunque non vogliamo si accorga di noi. Potremo anche venirci in soccorso, in caso di pericolo, poiché possiamo distintamente capire quando uno di noi corre dei rischi. Siamo spie ideali. La tua benedizione, se ce la concederai, ci proteggerà.”

Isaia guardò con orgoglio il suo discepolo; era fiero della sua determinazione e della sua totale adesione alla causa.

“D’accordo, Sebastiano, ammiro il tuo coraggio. Scegli chi vuoi e vai in ricognizione, però portati dietro il telefono per potermi tenere aggiornato e darmi la possibilità di intervenire, nel caso abbiate bisogno.”

“Noi, invece, che cosa possiamo fare?” domandò Vairocana, a nome dei propri correligioniani “Siamo qui da una settimana, ormai, ma ancora non abbiamo fatto nulla!”

“Che cosa vi sentite di fare?” domandò Isaia.

“Noi possiamo medicare, ma anche scacciare i demoni.”

“Bene, allora, appena avremo chiara la situazione in città, ne terremo conto per l’organizzazione.” rifletté per qualche istante “Io dovrò convocare i templari. Ormai staranno iniziando arrivare in Italia. Quando ho lasciato Istanbul, ho lasciato predisposizioni perché mi raggiungessero al più presto.”

“Io non vojo aver a que fare con quej hombres.”

“Non ti preoccupare, Alonso, non li farò venire qui. Voglio tenere aperti due fronti: uno qui, con voi, con valenza soprattutto caritativa, per aiutare la gente; l’altro, altrove, coi templari, in aperta ostilità con Serventi.”

“Quindi ci lascerai?” domandò il suo discepolo.

“Cercherò di passare di qua frequentemente. Tu, Sebastiano, mi farai da tramite: a volte sarai qui, a volte mi seguirai dai templari per tenermi aggiornato sul vostro operato e ricevere istruzioni. Alonso, che tu sappia, c’è possibilità che altri membri della Congregazione si siano salvati?”

Muy despiasudo, ma non poso averne idea.” diede una lunga boccata di sigaro “Seguro che altri religiosos es nasconditi in qualche luogo. Penso che potrei provar a telefonar ai mi amigos e vedere se es posibile radunarli.”

“Ottima idea, Alonso” concordò Isaia “Grazie della collaborazione. Sarà difficile, temo, riuscire a coordinare tutto e tutti: il vostro impegno è importante.”

“Beh, nonostante todos, in fin dei conti, hai ancora i pieni poteri della Congregacione.” osservò bonariamente Alonso.

Per come stavano le cose in quel momento, Isaia avrebbe decisamente preferito tornare ai tempi in cui era solo un novizio.

“Ci sono altre precisazioni da fare, o aspettiamo di avere raccolto informazioni?” chiese il templare, scrupolosamente.

Non parvero esserci altre questioni aperte, non risolvibili al momento; per cui sciolsero la riunione. Isaia rimase nella stanza assieme a Vairocana per chiacchierare un poco: era tanto che non si vedevano. Alonso e Michela si diressero verso il cortile per lavorare nella zona fattoria e lì trovarono i buddisti intenti a curare l’orto e il frutteto.

Sebastiano, invece, si precipitò a convocare i gesuiti per organizzare la ricognizione. Escludendo Eleuterio, Loreto e alcuni altri che avrebbero potuto avere difficoltà, nel caso di pericolo, furono in otto a partire. Pensarono fosse più prudente vestirsi in borghese, per non attirare l’attenzione, per cui rovistarono negli armadi e trovarono senza difficoltà abiti adeguati. Presero due automobili, affinché la fuga fosse più facile, se fosse stata necessaria.

Avvisarono della partenza e si diressero in città, senza altri indugi.

Decisero di non avvicinarsi al Vaticano, dove c’era maggior rischio, ma di rimanere ad est del Tevere. Parcheggiarono vicino all’Altare della Patria; un gruppo avrebbe perlustrato la zona che andava verso il Colosseo e oltre, l’altro invece si sarebbe diretto in direzione opposta.

Non fu semplice trovare gente per le strade. Molti erano chiusi nelle case: la maggior parte degli uffici era chiusa, i negozi erano aperti solo quelli i cui padroni volevano difendere la propria merce dai ladri. I gesuiti erano perplessi ma, quando riuscirono a parlare finalmente con qualcuno, capirono il perché di tutto ciò: la legge, ogni legge, era stata abrogata. I criminali erano stati liberati dalle prigioni: Sono le poche persone che si sono già liberate dall’oppressione della menzogna della morale! –era stato detto.

Non c’era più una forza amministrativa che facesse rispettare la giustizia e le forze dell’ordine erano state per lo più cooptate da Gabriel e Serventi per imporre il loro potere. I ricchi avevano subito provveduto a costituirsi dei propri corpi armati per difendere sé stessi e le loro proprietà; non avrebbero, però, potuto controllare a lungo i loro sgherri: avevano soldi per pagarli, ma loro difficilmente avrebbero avuto possibilità di spenderli. Infatti, la maggior parte delle risorse alimentari era stata sequestrata da Serventi. Evidentemente era non solo un modo per indebolire la popolazione, ma anche per indurre le persone a mettersi l’una contro l’altra, a combattersi, sopraffarsi per la sopravvivenza, operando così una sorta di selezione naturale che avrebbe fatto sopravvivere i più forti e i meno misericordiosi. Per incentivare tutto questo, erano spesso organizzati in piazza combattimenti: demoni e gente coi poteri entravano nelle case e obbligavano la gente a uscire per prendervi parte. Erano risse miste, finalizzate a indurre la gente ad incattivirsi e ad abituarsi a seguire l’unica legge ammessa: quella del più forte.

Se i cittadini erano spronati a dominarsi l’un, l’altro, ben diverso era l’atteggiamento che dovevano tenere nei confronti di coloro che erano dotati di poteri. Quand’essi passavano, la popolazione doveva chinare la testa, ammutolirsi e obbedire a qualsiasi ordine. Qualcuno aveva provato a ribellarsi, a reagire, ma ciò aveva provocato rappresaglie.

La cosa più spregevole di tutte, però, si era verificata negli ospedali: anche lì vigeva la supremazia del più forte, le cure venivano impartite non a chi ne avesse maggiormente bisogno, ma a chi ni riuscisse a ‘impadronirsi’ di un medico. Per fortuna, molte persone conservavano il buon senso e, in barba alle disposizioni dei nuovi governanti, rispettavano l’ordine che veniva loro assegnato dagli infermieri. Quel che però non si era potuto fermare era stata la selezione, perpetrata dagli uomini di Serventi che, guardando i ricoverati, avevano stabilito chi era abbastanza forte per essere utile alla società e, quindi, potesse sopravvivere, e chi, invece, era troppo vecchio o indebolito o menomato e andasse soppresso.

Quelle erano le prove generali di Serventi, consolidata la situazione lì, avrebbe iniziato a espandere il proprio potere e il proprio modello di società.

Ritrovatisi alle automobili, i gesuiti constatarono, tristemente, che le informazioni ricavate erano le stesse e non c’erano barlumi di speranza. Erano lì a consultarsi, quando udirono un gran fra casso poco lontano e delle urla. Sebastiano, senza consultarsi coi confratelli, iniziò a correre in quella direzione e qualcuno lo seguì lestamente, altri con più calma.

Le grida provenivano dal fondo della scalinata dell’Ara Coeli.

Sebastiano, forse, si pentì della sua foga: un nutrito drappello di demonizzati, capeggiati da un paio di umani, aveva costretto a radunarsi un discreto numero di umani, chissà per quale motivo.

Il giovane gesuita non ci teneva a scoprire che cosa sarebbe accaduto: voleva sventarlo e basta. In fondo la sua filosofia era sempre stata: prima lo esorcizzo, poi mi faccio domande. In quel frangente si trattava di impedire qualche atrocità, per cui, afferrato il crocefisso con la sinistra, si gettò verso i demoni gridando: “Oh Dio, nostro protettore, volgi lo sguardo e vedi quanto sono numerosi i nemici che tormentano i tuoi servi! Accorri a difenderli con la tua potenza e fa’ scendere su di loro la tua benedizione, perché nella vittoria sul demonio ti riconosca Salvatore. Per Cristo, nostro Signore!”

“Amen!” gli fecero eco i suoi confratelli sopraggiunti.

Sebastiano continuò le proprie invocazioni ed esorcismi, aveva anche estratto la spada benedetta da Isaia e la usava con la sua solita bravura. Dei suoi compagni, alcuni permettevano ai poveri cittadini di fuggire e impedivano ai demonizzati di inseguirli; tre, invece, si erano sistemati in modo tale da essere ai vertici di un triangolo e ripetevano l’esorcismo di Papa Leone XIII; quella disposizione permetteva alle loro forze di congiungersi ed essere maggiormente efficaci, nonché di focalizzarsi meglio all’interno dell’area che stavano perimetrando e al cui centro cercava di rimanere Sebastiano, che calibrava e indirizzava il potere divino che si stava invocando con le preghiere.

I demoni, in questa maniera, erano messi molto in difficoltà e risentivano pienamente degli effetti dell’esorcismo e subivano facilmente le ferite inferte dai gesuiti.

Uno dei due uomini che guidavano i demonizzati, era l’erculeo Davide che riconobbe Sebastiano, come uno di quelli che qualche ora prima era passato in Vaticano; capì anche che proprio quel giovane era quello che coordinava le azioni dei gesuiti e che rendeva le loro menti salde ed unite. Davide, allora, afferrò un paio di demoni e ne assorbì completamente le forze vitali, uccidendoli, ma caricando sé stesso di una forza e un’energia straordinarie, le quali, nel suo corpo, non potevano neppure essere indebolite dagli esorcismi. Si fece largo tra i suoi, raggiunse Sebastiano e lo sfidò.

Il prete, molto corretto, vedendo l’altro disarmato, diede la propria spada ad un confratello, poi si fece avanti.

I due uomini si fronteggiarono. Inizialmente Davide volle divertirsi e combatté normalmente, in un misto tra colpi e stile lotta greco-romana, poi si stufò. Dapprima ricorse all’energia che aveva appena sottratto ai demoni e aumentò notevolmente la forza dei propri colpi, facendo gran male a Sebastiano, che ne risentì parecchio, poi lo atterrò e, chino su di lui, messagli una mano sul petto, cominciò a risucchiargli l’energia.

Il giovane provò a reagire, ma era schiacciato al suolo, sentiva un gran dolore al torace e gli ultimi colpi incassati lo avevano parecchio fiaccato. Inoltre, avvertiva una stanchezza generale, si sentiva sempre più debole, i rumori gli parvero prima estremamente insopportabili, poi li percepì come rombi lontani e la sua vista perdeva nitidezza.

I gesuiti mantennero la calma e si sforzarono di non perdere né la concentrazione, né la comunione mentale, ma la apprensione per chi, in fin dei conti, li guidava contribuiva a indebolire i loro sforzi. Questo momento di smarrimento, però, per fortuna, durò solo pochi momenti (in quel frangente, ogni istante era essenziale!), un’altra presenza si unì a loro e rinsaldò il legame fondamentale che rischiava di perdersi. Così rincuorati, i gesuiti continuarono la loro opera d’esorcismo.

D’improvviso, Davide, concentrato solo sull’assorbire l’energia del prete fino ad ucciderlo, venne sbalzato via di parecchi metri. Nessuno capì da cosa fosse stato colpito o cosa fosse successo. Presto, però, i gesuiti sentirono il loro potere aumentare a dismisura e lo percepirono pure i demoni, che iniziarono a correre via, scappando terrorizzati.

L’altro umano che guidava i demonizzati, sbuffò seccato, rapidamente rimise in piedi Davide e scomparve.

I gesuiti si guardarono soddisfatti e qualcuno andrò a controllare Sebastiano. I cittadini, ripresisi dalla paura, ringraziarono calorosamente e si allontanarono in fretta, temendo che giungessero altri demoni.

“Il polso è debole e pare aver perso i sensi!” osservò uno dei preti che si stava accertando delle condizioni di Sebastiano.

“Portiamolo in Villa e speriamo il bene!”

“Un momento!” li fermò una voce.

I preti si voltarono e videro un uomo minuto, circa sui cinquanta anni, scendere i gradini dell’Ara Coeli. Non si turbarono, poiché riconobbero subito in lui la fonte di energia che li aveva aiutati.

“Non preoccupatevi per lui, non necessita di cure urgenti.” li rassicurò l’uomo “Per lo più ha bisogno di riposo, per il resto può aspettare cinque minuti. Voi siete gesuiti, giusto? Sì. Vi riconoscerei ovunque. È bello vedere che, con tanti ordinati che ora si nascondono, voi invece mantenete il vostro impegno, senza timore. Vorrei venire con voi.”

“Ma lei è Delrio!” osservò un prete.

“Sì.” confermò l’altro.

Tutti si scambiarono qualche occhiata e rimasero un po’ perplessi, finché uno di loro disse: “Va bene.”

L’uomo si avvicinò a Sebastiano, gli appoggiò una mano sulla fronte, mormorò una preghiera.

Il giovane aprì gli occhi. Con fatica si rimise in piedi e, aiutato da un paio di confratelli, andò con loro alle auto e partirono per la Villa.

Tutti furono al quanto stupiti di vedere chi accompagnasse i gesuiti.

I suoi confratelli volevano lasciarlo nella sua camera a riposare, ma Sebastiano insisté per andare anch’egli a riferire ad Isaia e Alonso quel che avessero scoperto.

Come lo vide entrate, malfermo e appoggiato alla spalla di un altro, Michela esclamò: “Rambastiano è di nuovo andato in Berserk!”

“Non potevo fare altrimenti!” dichiarò il giovane con fierezza e senza rimpianto.

I gesuiti raccontarono tutto per filo e per segno e tutti quanti rimasero alquanto preoccupati per quel che accadeva: intervenire in un qualche modo era assolutamente necessario.

“Ora che abbiamo le informazioni, potremo organizzarci e procedere.” disse Isaia, cogitabondo “Prima di continuare, però, vorrei ringraziare il signore che vi ha aiutati nello scontro e sapere qualcosa di più su di lui.”

Delrio si fece avanti, stava per presentarsi, ma Michela lo prevenne, chiedendogli: “Delrio … Martin Antoine?”

L’uomo fu piacevolmente stupito e disse: “Sì, in persona! Da molto tempo non sentivo questo nome.”

“Sei tornato ad occuparti di politica?”

“I piaceri della giovinezza, ogni tanto, vanno rievocati.”

“Credevo foste tutti scappati!”

“Oh, non io. Qui non si tratta più di bisticci sofitici. Io so quel che sta accadendo, non potevo certo rimanere indifferente.”

“Scusate se interrompo” intervenne Isaia “Ma, dunque, lei sarebbe il fiammingo Martin Antoine, il gesuita autore di  Disquisitionum magicarum libri sex, nato nel 1551 e morto nel 1608?”

“No. Non sono affatto morto nel 1608, dovrebbe essere evidente, dato che mi trovo qua!”

“Ma il resto non lo nega? Lei è proprio …?”

“Sì.” lo interruppe l’altro “Il procuratore generale di Belzebù! Almeno secondo l’opinione di Voltaire. Mi piace pensare che mi abbia chiamato così, non perché fossi in accordo con lui, ma poiché ho mandato a morte un sacco di streghe e i miei scritti hanno contribuito molto alla causa, in questo modo ho consegnato alla dannazione e al demonio una gran quantità di anime. Me ne sono pentito, ho capito solo tardi che avrei dovuto pensare a purificarle. Beh, penso di aver rimediato negli ultimi quattro secoli.”

Hombre, porti muy bien i tu anni!”

“Lo so, ma non chiedetemi il segreto della mia longevità, non lo dirò. Piuttosto, Signorina” ovviamente si stava rivolgendo alla ragazza “Come hai fatto a capire chi sono?”

“Intuito. Inoltre, lei emana una grande energia, ho capito che era qualcuno di speciale.” spostò poi lo sguardo sul giovane ferito “Sebastiano, lui ti potrà spiegare molto meglio di me il potere gesuitico.”

Delrio esclamò: “Oh, sì, volentieri! Ho osservato con attenzione il metodo d’azione di questo giovinotto, devo dire che erano ormai vari decenni che non trovavo qualche gesuita capace di attingere discretamente alle nostre risorse. Certo, non eguaglia quel che sapeva fare la Societas Iesu ai tempi d’oro, ma promette davvero bene. Sarò ben felice di occuparmi della sezione gesuitica di questo …. Cosa siete? Una banda? Una brigata?”

“Siamo servi di Dio, null’altro.” rispose Isaia, a nome di tutti.

“Figli di Dio, ricorda, non servi, ma figli!” gli ricordò l’uomo pluricentenario.

“Ha perfettamente ragione.” rispose Isaia, confortato “Mi piacerebbe molto poter ascoltare la sua saggezza, le andrebbe di dire Messa, questa sera? Credo che tutti noi abbiamo bisogno di parole ispirate, ma temo che le preoccupazioni e le difficoltà di questi giorni ci offuschino la mente.”

“Sarò ben lieto di celebrare.” rispose Martin.

“Grazie.” Isaia poi si rivolse a tutti: “Ora che abbiamo chiara la situazione in cui versa Roma, lasciamoci qualche ora per pensare, poi domani mattina ci ritroveremo e ognuno esporrà le proprie idee e potremo finalmente definire la nostra azione.”

I presenti iniziarono a disperdersi per la casa. Alonso si avvicinò subito a Delrio, per chiedergli qualcosa e anche Michela rimase ad ascoltare un poco. Isaia si avvicinò a Sebastiano, seduto su una poltroncina, con un’espressione sofferente.

“Come ti senti? Hai bisogno di un medico? Chiamo Loreto?” si preoccupò il maestro.

“No, grazie.” rispose l’allievo “Credo di avere qualche costola, se non rotta, almeno incrinata. Le cure di Loreto mi costringerebbero a letto per giorni, preferisco evitarle. Chiama Michela, lei mi rimetterà a nuovo in un baleno.”

“Usa arti magiche per guarire la gente?” chiese con sospetto Isaia, che non aveva ancora conosciuto quell’aspetto della giovane.

“Sì. Ho controllato con attenzione il suo metodo, mi pare davvero puro. Non è stregoneria. È una versione più potente del nostro reiki.”

Michela, così, si occupò di risanare il giovane. Isaia volle assistere all’operazione per accertarsi che davvero fosse tutto cristianamente accettabile. Rimasti soli, Isaia le disse, piuttosto severamente: “Non avevo idea sapessi fare questo genere di cose.”

“Te l’ho detto, la gamma di ciò che posso fare è varia.”

“Cos’altro sai fare?” domandò lui, forse con aria un po’ troppo inquisitoria.

“Perché lo vuoi sapere?”

“Se vuoi aiutarmi in questa vicenda, devo sapere che cosa sei in grado di compiere!”

“Principalmente, in situazioni di scontro, ricorro ai sigilli dei corpi celesti, oppure posso evocare gli spiriti elementari.”

“Non voglio che si sappia in giro.”

“Tranquillo, a parte Sebastiano, nessuno sa nulla.” Michela sembrò seccata.

“Non è per questo.” spiegò Isaia, rendendosi conto che la preoccupazione generale lo aveva fatto risultare un po’ troppo arcigno “Tra pochi giorni arriveranno i templari. Non so che rapporti ci saranno tra questo posto e loro, ad ogni modo non devono sapere che cosa sei in grado di fare. Al momento sono molto arrabbiati con la gente coi poteri: lo erano già prima, figurati adesso che Gabriel e Serventi hanno combinato questo macello! Se dovessero accorgersi che hai queste capacità, non sarà facile convincerli che non sei una minaccia.”

L’uomo le si avvicinò e le mise le mani sulle spalle e la guardò per farle capire l’importanza della questione e disse: “Nella peggiore delle ipotesi, potrebbero assalirti e ucciderti, prima ancora ch’io possa avere il tempo di sapere quel che sta accadendo. Mi prometti che non farai niente di strano in presenza di qualcuno diverso da me e Sebastiano?”

“Penso che anche Delrio possa comprendere.”

Isaia sospirò e accennò: “D’accordo, includiamo anche lui, ma non devi fare nulla di magico quando ci saranno altri.”

“Va bene.” acconsentì lei, sorridendo, cercando di rasserenarlo.

“Questo vale anche per tuo figlio. Badagli ed evita che attiri l’attenzione. La situazione è già difficile e tragica di suo, senza bisogno che ai tanti morti ti ci aggiunga anche tu o lui.”

Era preoccupato per lei, non poteva sopportare il pensiero che lei morisse, o che soffrisse, nel caso fosse successo qualcosa a Giorgio.

Lo stesso lo pensava anche per Sebastiano, Alonso, Vairocana …… Gabriel …. Ma lei era quella che, al momento, poteva correre maggiore pericolo.

“Tranquillo, non mi scopriranno.”

Michela continuò a sorridergli, gli strinse le mani poi si mise in punta di piedi per dargli un bacio sulla fronte.

Isaia si calmò.

Era forse opera di magia? –si chiese.

Per chi fosse interessato: http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Delrio

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Capitolo 24
*** Cosa si può fare ***


Il giorno seguente, erano di nuovo tutti radunati per prendere finalmente qualche decisione. Il primo a parlare fu Alonso che disse: “Hermani, mi sembra ovio che in città es necesarie due cose: cibo e cure mediche. Io ho sentito molti mi amigos che sono vivi e che vojono aiutare; ahora se nascondono, ma basta ch’io dica dove e quando e loro sarano lì por far quel che sarà necesario. Alcuni de loro sono medicos o infermieres dell’hospedale della Congregacione. Io credo che loro, più padre Loreto e me e chi vorà dare una mano, potremo alestire una specie de hospedale per todos coloro che non posono avere asistencia nel regime de Serventi.”

“Mi unisco anch’io, volentieri, a quest’iniziativa.” disse Delrio “Sono pure medico! Sapete, in quattrocentocinquanta anni si imparano tantissime cose. Tranquilli, ho fatto corsi di aggiornamento, di recente: ho smesso di usare le sanguisughe e conosco l’importanza di sterilizzare gli strumenti e no, non mi metto neppure la maschera nera col becco. Vi garantisco che sono un dottore in medicina competente.”

Calò, per qualche attimo, il silenzio, come capitava ogni volta che Martin facesse riferimento alla propria età.

“Te ne siamo molto grati.” gli disse Isaia, per poi osservare: “Certo, però, non possiamo allestire qui un ospedale. È troppo distante dalla città! Di ambulanze non ne abbiamo e, comunque, sia noi che i cittadini, rimarremo presto senza benzina. Non potrebbero portare i malati qua, bisogna trovare un’altra soluzione.”

“Lo so e ci avevo piensado.” riprese Alonso, togliendosi il sigaro dalle labbra “L’unica solucione que mi è venuta in mente es quela de sfrutare le catacombe.”

“Un posto umido, freddo e buio.” fece notare Sebastiano “Non mi pare l’ideale per gente malata.”

“Ne sono consapevole, ma altrove es muy rischioso. In un edificio normale daremo muy nell’ocio!”

“Se non mi fate domande sul come sia possibile” si offrì Delrio “Ci penserò io a rimediare a questi inconvenienti.”

Isaia si massaggiò un attimo la fronte: si era raccomandato con la ragazza di non dare nell’occhio, usando la magia, e ora Martin Antoine se ne usciva con quella frase. Pazienza! Tanto lui era già pluricentenario, che avesse qualcosa di anomalo era già noto.

“D’accordo.” acconsentì il templare “Alonso e Delrio, io delegherei a voi il compito di gestire la faccenda ospedale, se siete d’accordo. Vi lascio carta bianca!”

I due uomini accettarono ben volentieri. Vairocana, pure, si aggregò, assieme agli altri buddisti, al gruppo ospedaliero.

“Bene, una faccenda è risolta. Come risolviamo, invece, la questione cibo?” continuò Isaia.

“Questo è molto complesso.” osservò il vecchio Eleuterio “Da quel che è emerso ieri, i produttori locali sono costretti a consegnare tutto agli uomini di Serventi. Possono vendere solo ciò che quest’ultimi decidono di lasciargli. Noi dovremmo cercare di convincere i produttori a consegnarci clandestinamente parte degli alimenti, per poterli distribuire tra la gente.”

“Beh, per questo mi offro io.” alzò la mano Sebastiano “Mi faccio un elenco delle aziende e le vado a visitare una per una.”

“Sperando mettano da parte, per una volta, l’avidità e decidano di collaborare.” osservò qualcuno.

“Saprò essere persuasivo.” dichiarò con sicurezza il giovane.

Michela gli lanciò un’occhiataccia e lui precisò: “Con arti gesuitiche, s’intende: non picchierò nessuno!”

“Ad ogni modo, temo che non basterà.” affermò la ragazza, impensierita “Roma non è comunque autosufficiente, ha sempre importato scorte alimentari. Dovremmo trovare la maniera di far arrivare cibo dall’esterno. Mancheranno i soldi, però!”

“E ugualmente dovremo farlo da clandestini.” aggiunse Sebastiano “Se Antinori ci scoprisse, cercherebbe in tutti i modi di ostacolarci.”

“Pensiamo prima a como otenere rifornimenti da fori e poi a como portarli dentro.”

Ancora una volta fu Delrio ad avere la soluzione, seppure vaga: “Datemi tempo fino a sera. Prendo la bicicletta, vado a parlare con un paio di persone e, per l’ora di cena, vi dirò se abbiamo accesso a scorte alimentari oppure no.”

Detto ciò, Martin uscì dalla stanza e nessuno lo rivide fino a sera.

“Aspettiamo che ritorni, per deliberare sulla faccenda cibo?” chiese Isaia e tutti furono d’accordo.

“C’è un’altra questione, però, che mi sta a cuore.” parlò di nuovo Sebastiano “Non mi piace che demoni e gente violenta si aggirino per Roma a spadroneggiare. Dovremmo occuparci anche di difendere la popolazione.”

“Sebastiano, la tua compassione è lodevole.” gli disse il maestro “Ma cerca di essere realistico: siamo sì e no in nove, a poter affrontare i demoni.”

“Dodici, con noi!” puntualizzò Vairocana.

“Dodici con loro” concesse Isaia “I quali, però, hanno detto che si occuperanno anche dell’ospedale. Per affrontare la gente coi poteri o criminali comuni, ci siamo solamente io e te. Sarebbe assolutamente inutile. Pazienta qualche giorno, arriveranno i Poveri Commilitoni di Gesù e del Tempio di Salomone e ci penserò con loro ad arginare la violenza.”

“Ma nel frattempo? E poi, voi, pattuglierete le strade o vi limiterete a muovere guerra?” Sebastiano era vivamente preoccupato per la sorte dei civili.

“Non lo so. La mia speranza è di riuscire a sottrarre al controllo di Serventi la maggior parte possibile di Roma; nel migliore dei casi, costringerlo in Vaticano e basta. Da lì, poi, assediarlo. Vedremo cosa ci sarà possibile.”

“Maestro, io non posso rimanere indifferente e starmene tranquillo, quando so che altrove gli agenti del male sono liberi di agire. La gente patirà! E gli uomini, così fragili, non comprendendo le sublimità di Dio, si chiederanno dove sia il Signore, perché non li protegga; scoraggiati, poi, si faranno corrompere dal male. Noi non lo possiamo permettere!”

Isaia era sempre più orgoglioso del proprio allievo, ma continuava a ritenerlo troppo irruente. Gli disse: “Se riusciremo davvero ad allestire un ospedale e a procurare cibo, la popolazione si accorgerà che Dio non l’ha abbandonata. Se vuoi, però, fare ancora di più, ammesso che ce ne sia il tempo, ti propongo questo: tu, assieme a chi vorrà imitarti, visiterai le case ad amministrare i sacramenti e a riportare la buona novella del Signore. Se ti capiterà di incrociare demoni, potrai comportarti come meglio riterrai, ma ricorda: una volta morto, non puoi essere utile. Siamo pochi, abbiamo bisogno di tutte le forze possibili. Inoltre, non dimenticare che ci hanno già parlato di rappresaglie, come risposta ai tentativi di opposizione: sei sicuro che per salvare una vita, valga la pena di rischiare di perderne dieci?”

Sebastiano aveva ascoltato con grande attenzione e capì il proprio errore, per cui disse: “Grazie, maestro. Mi hai permesso ancora una volta di non concentrarmi su ciò che ho immediatamente davanti, ma sull’intero orizzonte. Spero di aver capito come agire.”

Parlarono ancora diversi minuti per definire alcune cose, ma ormai il più era fatto.

Scioltosi il consiglio e divisi trai presenti i compiti da svolgere in casa e l’organizzazione delle varie cose, Isaia andò nella propria stanza.

“Oh, salve!” lo salutò la testa di San Giovanni, appoggiata sulla scrivania “Allora, di cosa avete discusso? Hai parlato di me?”

“Non ancora. Ho, però, un’idea per iniziare a rilanciare la tua importanza.”

“Sentiamo. Devo approvartela io!”

“Stasera parlerò dell’importanza della tua figura, nei Vangeli, poi spiegherò che ti ho come reliquia e infine ti collocherò in un luogo dove chiunque possa vederti e renderti lode. Va bene?”

“Mi pare un inizio accettabile.” convenne Giovanni, ma solo dopo aver riflettuto qualche momento.

Qualcuno bussò alla porta. L’uomo andò ad aprire e si trovò davanti Michela.

“Ciao, hai bisogno?” chiese lui.

“Che cosa posso fare io?” chiese la giovane, seccamente, entrando nella stanza “Tutti hanno un ruolo, hanno qualcosa di occuparsi, tranne me! Mi hai vietato di usare i miei poteri; che cosa dovrei fare, allora? Aspettare che Rambastiano si scateni e poi guarirlo? Sinceramente, vorrei essere più utile.”

“Beh, a te cosa piacerebbe fare?” domandò Isaia, seguendola con lo sguardo, mentre lei si aggirava, nervosa, per la stanza.

Trovandosi davanti alla testa del santo, la ragazza inorridire chiese: “E questo chi è?”

“Michela, ho il piacere di presentarti Giovanni il Battista.” spiegò lui, avvicinandosi, pronto a intervenire, nel caso la testa si fosse messa a parlare e la giovane si fosse spaventata.

Lei tornò a guardare il santo, questa volta senza ribrezzo, ma con devozione e iniziò a pregare: “O glorioso San Giovanni Battista, che fra i nati di donna fosti il profeta più grande. Benché santificato sin dal seno materno, tu volesti ritirarti nel deserto per dedicarti alla preghiera e alla penitenza.”

Isaia si unì alla preghiera.

“Ottienici dal Signore il distacco da ogni ideale terreno per avviarci verso  il raccoglimento del dialogo con Dio e la mortificazione delle passioni. O martire invitto che per fedeltà alla Legge di Dio e per la santità del matrimonio ti opponesti agli esempi di vita dissoluta a costo della libertà e della vita, ottienici da Dio una volontà forte e generosa affinché, vincendo ogni umano timore, osserviamo la Legge di Dio, professiamo apertamente la fede e seguiamo gli insegnamenti del Maestro Divino.”

“Questa ragazza, mi sta simpatica!” esclamò il Battista.

Michela alzò il volto, strabuzzò gli occhi, poi si volse verso Isaia e chiese: “Lui parla?”

Giovanni si mostrò parimenti stupito, si volse verso Isaia e chiese: “Lei può sentirmi?”

“A quanto pare, sì!” rispose il gesuita, che sinceramente riteneva di essere quello che ne capiva meno in tutta la faccenda.

“Sì, in effetti c’è qualcosa in lei.” ragionò il Battista, concentrandosi sulla ragazza, poi le domandò: “Tu, a parte Giovanni, come mi chiameresti?”

La ragazza rispose immediatamente: “Hod.”

La testa guardò Isaia e gli disse: “È più sveglia di te!”

“Ma no!” esclamò la giovane “Abbiamo studiato cose diverse.”

Mmmh” parve dubbioso il santo “Con quel che si è letto nelle ultime settimane, il nostro amico dovrebbe aver ormai capito. A proposito!” si rivolse di nuovo all’uomo “I testi che ti sei portato fin qua, li volevi far leggere a lei, immagino.”

“Quali testi?” domandò la ragazza.

“Oh, giusto, me ne stavo dimenticando, con tutto quel che c’è da pensare!” esclamò Isaia “Li tiro fuori subito.” e si mise a frugare nella sua valigia.

“Vedrai, ti piaceranno.” assicurò Giovanni, convinto di quel che diceva; poi consigliò al gesuita: “Mi raccomando: dalle anche il mio bastone! Sono certo che lei sappia come usarlo: mi pare più competente lei di te, circa la magia.”

“Questo è sicuro.” rispose Isaia, tornando alla scrivania con i quaderni su cui aveva trascritto la traduzione dei manoscritti “Tuttavia, per il momento, non se ne parla.”

“Non ce la farai mai ad ostacolare Gabriele e quell’altro che chiamate Serventi, affidandoti ai templari. Massacrarvi con le spade non è la soluzione!” lo informò il Battista.

“Lo so, ma, visto che la faccenda è lunga, serviranno a proteggere la popolazione, mentre io capirò come far rinsavire il mio amico.” replicò il prete.

“Ecco, giusto!” si intromise Michela “Tornando al motivo per il quale sono passata di qua: come posso contribuire?”

“Non vorrei sembrare maschilista” disse Isaia “Ma, se adesso tutti saranno impegnati in altri affari, temo dovrai occuparti tu, da sola, di cibo, orto, fattoria e bucato … Dovrò trovare qualcun altro che ti aiuti, non puoi certo pensare da sola di tutto quanto questo.”

“Isaia” gli fece la giovane “Scommettiamo che, offrendo un luogo sicuro e del cibo, troverai volontari a bizzeffe, in città, per aiutarci in queste faccende? Fosse anche solo per riconoscenza nei confronti dell’ospedale.” era dispiaciuta, soprattutto per il fatto di non sapersi accontentare “So che il sostentamento e il buon ordine di questo posto e del futuro ospedale sono essenziali e contribuirò, come ho sempre fatto. Perdona il mio orgoglio, ma io voglio fare di più! No, dire di più non è corretto. Vorrei aiutare anche in altro modo. Mi sento molto inutile, senza poter usare la magia.”

Isaia la guardò con tenerezza: comprendeva la voglia, quasi frenetica, di rendersi utili, ma unita al voler anche dare sfoggio delle proprie migliori qualità, magari pure il desiderio di arrogarsi il merito di qualche azione risolutiva. Era un piccolo peccato di vanità di cui anche Sebastiano aveva dato prova poco prima; anche lui stesso, Isaia, era inciampato in quell’errore, in passato.

Standole di fronte, appoggiò una mano sulla spalla della giovane e le chiese: “Come pensi di poter servire la causa? Se hai delle idee, proponile.”

“Propaganda.” rispose lei “Come dice Sebastiano, non possiamo permettere che la gente si scoraggi. Dobbiamo stimolare le persone, invaderle di pensieri ed energie positivi, esortare i loro sentimenti in modo da far emergere i loro ideali e valori più nobili.”

“Mi pare un giusto proposito, raggiungere la maggior parte dei cittadini possibili, ci sarà utile, ma in quale modo? Che mezzi pensi si possano utilizzare?”

“Dovremmo trovare qualche copisteria che ci sia complice e, magari, trovare un modo per comunicare via etere. Se potessimo avere una stazione radio sarebbe l’ideale: potremmo raggiungere tantissime persone, senza bisogno di stampare enormi quantità di opuscoli e senza metterci in pericolo per distribuirli. Il problema è che Serventi ha provveduto fin da subito a interrompere le comunicazioni ufficiali e usa un ripetitore per disturbare ogni segnale, per cui non ho idea di come si possa realizzare questo progetto.”

“Penso che non sia impossibile, anzi! La Chiesa ha dalla propria parte un potente mezzo, che non credo Serventi possa sabotare. Un mezzo di comunicazione inarrestabile: Radio Maria.”

“Radio Maria?” domandò San Giovanni “Esiste anche Radio Elisabetta?”

“Non credo …”

“Lo considererò un affronto personale!” protestò il Battista.

“Se pure la vostra radio fosse davvero ancora funzionante” chiese Michela “Come possiamo utilizzarla? Nel senso: non possiamo accamparci alla stazione radio, dobbiamo trovare un metodo per poter parlare di qua, ma sfruttando il vostro ripetitore.”

“Io, a livello pratico, non me ne intendo di queste cose.” disse Isaia “A livello teorico, invece, penso che, al giorno d’oggi, specie con le web radio, qualcuno di competente possa trovare un sistema per poter avere in villa un computer che comunichi col nostro ripetitore. Sai che ti dico? Andiamo a dare un’occhiata io e te, adesso, così ci rendiamo conto di com’è la situazione e se è possibile sfruttarla.”

I due, dunque, presero un’auto e si diressero verso la sede di Radio Maria. Parlarono per tutto il tempo del viaggio, non avrebbero però saputo dire di cosa. Fu una di quelle conversazioni in cui si passa rapidamente da argomento ad argomento, senza neppure accorgersene. Isaia, poi, ripensandoci, si stupì della naturalezza con cui aveva chiacchierato: supponeva di essere molto più teso in una situazione complessa com’era quella generale e per di più aggirandosi in campo ostile. Quando arrivarono nei pressi della sede, che per fortuna era in periferia, fecero un giro di perlustrazione per accertarsi che non ci fossero pericoli. Non videro niente che li insospettisse, per cui parcheggiarono l’automobile ed si avvicinarono all’edificio. Trovarono la porta chiusa a chiave, girarono attorno alla struttura e si accorsero che tutte le serrande erano abbassate; pareva impossibile poter entrare senza rompere qualcosa. Decisero, allora, di cercare una finestra che fosse il più nascosta possibile, rispetto alla strada.

“Come l’apriamo?” domandò Isaia, dopo aver esaminato la saracinesca, calata al massimo.

“Essere un arcangelo ti concede una forza straordinaria, oltre a vari altri poteri. Potresti farla saltar via, senza neppure sfiorarla.” gli ricordò la ragazza, quasi a rimproverarlo.

“Non userò le mie capacità per cose di questo tipo!”

“Dobbiamo entrare” ribadì lei, spazientita “Se non attingi tu al tuo potere, allora uso il mio. Qui non c’è nessun altro, per cui non infrango la mia promessa.”

“Aspetta!” la fermò lui, prendendola per l’avambraccio per trattenerla “Si può sapere che ti prende? È da ieri sera che mi sembri irritata.”

“Lo so, scusami.” disse la giovane, calmandosi “È che, diamine, non sopporto la paura e l’avversione di tutti verso i poteri! Aveva, allora, ragione Serventi, a dire che avrei dovuto solo nascondermi, se non lo avessi seguito.”

“Hai parlato con lui?” si meravigliò Isaia.

“Sì, lo stesso giorno in cui Gabriel ha ceduto all’oscurità. Detesto doverlo ammettere, ma ha ragione! Il suo operato, unito ai pregiudizi già radicati, ha fatto sì che si provi solo sospetto e odio verso chi sa usare la luce astrale. Non è giusto! Perché non posso essere libera di attingere al mio potere? Dici che non sono i tempi adatti, ma quando lo saranno? Finché la gente vedrà il sovrannaturale solo tra le schiere dei nemici, è chiaro che lo avrà sempre in odio.”

Più che ira, c’era sofferenza, nella sua voce. Isaia se n’era accorto e la guardava dispiaciuto.

“E poi mi fa rabbia il fatto che tu non voglia attingere al tuo potere.” si fece incalzante “Perché? Hai paura? No: sai che se i templari ti conoscessero davvero (e probabilmente, dopo che ti hanno visto sconfiggere Aini, ti conoscono già), allora non oserebbero criticare il tuo potere, che è indiscutibilmente di natura divina. Ti vergogni, forse, allora? Certo che no. Per te è un onore essere l’Arcangelo Michele.” lo guardò con tenera comprensione “Forse un onore un po’ troppo grosso?”

Isaia, dentro di sé, si sorprese di essere stato capito perfettamente. Fu un misto di gravità e contentezza lo sguardo che rivolse alla ragazza, dicendole: “Sì, hai ragione. Mi sembra una responsabilità eccessiva, essere il principe delle milizie celesti.”

Avvicinandosi, Michela gli disse: “Non è una responsabilità. Essere nel Direttorio della Congregazione è una responsabilità. Essere magister templi è una responsabilità. Essere la guida dei preti e dei religiosi, rimasti vivi a Roma, è una responsabilità. Essere San Michele è la tua natura. Non puoi dire di non esserne degno o di non esserne capace: sei tu! Potresti, forse, dire di non essere in grado di essere Isaia?”

“No.” rispose lui, colpito e interessato da quelle parole, ma un po’ a disagio per il fatto che la ragazza si trovasse a pochi centimetri da lui.

“Vale lo stesso discorso per l’Arcangelo.” la sua voce divenne un sussurro “Isaia può aver paura delle responsabilità che ha, ma Michele no. Proprio perché hai così tanti doveri, è necessario che tu sia te stesso, senza timori.” gli appoggiò sul petto la mano sinistra, proprio come aveva fatto la prima volta che si erano visti “Tu lo senti il tuo potere, ne percepisci la grandezza. Temi che ti possa sopraffare? Ma esso non ha una sua volontà. È come un tuo braccio o la tua intelligenza, è parte integrante di te e tu, tu solo, puoi decidere come usarlo. Gabriel è così, ora, non per colpa del suo potere, ma per la sua debolezza, per l’essersi abbandonato al male. Parla di libertà, ma è prigioniero.”

Isaia, attraverso le lenti degli occhiali, teneva lo sguardo dritto in quello della ragazza. Era rapito dalla saggezza di quelle parole.

“Tu lo sai bene che cattivo deriva dal latino captivus che significa essere prigioniero e servo. Quale migliore definizione per chi, invece di essere libero in Dio, si fa schiavo e servitore delle pulsioni e dei desideri che come parassiti cercano di vivere, attaccandosi all’anima degli esseri?”

Lei ricambiava quello sguardo; fu indecisa circa se spezzarlo oppure no, per mormorargli all’orecchio, ma poi decise di non muoversi e continuò: “Tu sei libero. Non c’è niente in Malkuth, nel mondo terreno, che tu anteporresti a Dio e questo ti rende …” si perse a cercare la parola.

“Cosa?” domandò il prete per inerzia.

“Ammirevole … venerabile … colendo.”

“Colendo?” sorrise lui “È una parola che anch’io, quasi, considero desueta.”

“La tua totale abnegazione è la tua forza! Essa ti permetterà di manifestare tutto il tuo potere, senza pericolo di scivolare nell’oscurità, anzi! Attingere al tuo potere ti è doveroso, non solo per poter servire completamente Dio, ma anche per evitare di cadere vittima delle tenebre.”

“Che vuoi dire? Cosa potrebbe deviarmi dal giusto cammino?”

“La sconfitta, il senso di impotenza. Disperato in questa maniera, potresti diventare violento e  feroce e rassomigliare al Gabriel che agisce adesso.”

“È ciò che ha traviato Gabriel?” il suo sguardo non si era mai mosso e lui non pareva più turbato da quella vicinanza, quasi non si fosse accorto di quel contatto.

“No. Lui è stato vittima dell’attaccamento. Il suo amore e i suoi affetti sono diventati un legame in grado di farlo soffrire a tal punto da dimenticare Dio e così si è scatenato. Lo stesso attaccamento che impedisce a Claudia di vedere la realtà dei fatti. È come alienata in un suo mondo ideale … e potrebbe capitare anche a me, se non riuscissi più a scorgere possibilità di salvezza. Se vedessi il male dilagare incontrastato, potrei impazzire, pur di non accettare una simile realtà.”

La giovane era spaventata al solo pensiero. Isaia se ne accorse e provò l’irrefrenabile impulso di confortarla: non sopportava di vederla così affranto. Probabilmente non si di averle messo le braccia attorno alla vita, quando la rassicurò: “C’è sempre una speranza di salvezza. Possiamo diventare sordi alla voce di Dio, ciechi alle Sue opere, insensibili alla Sua presenza, ma Lui ci sarà sempre. Possiamo non accorgerci di Lui, ma Lui non ci abbandona mai, aspetta solo di essere ritrovato. Anzi, neppure! Dio continua a consigliarci anche quando noi ne neghiamo l’esistenza e i suoi doni sono lì che aspettano che la foschia ci abbandoni e possiamo finalmente trovarli e apprezzarli.”

“Possa la nebbia non calare mai su nessuno e, in particolare, nessuno di noi due.”

“Nessuno.” ripeté, mormorando, il prete.

Rimasero in silenzio a scrutarsi ancora un poco; poi Michela spostò la mano dal suo petto e lo abbracciò. Il distogliere lo sguardo fece ritornare Isaia presente a sé stesso e solo dopo qualche secondo lui si accorse che la ragazza lo stava stringendo.

Il gesuita si sentì gratificato, ma non fece in tempo a chiedersi come mai, poiché qualcuno li chiamò: “Ehi, voi!”

I due si guardarono attorno e scorsero, dietro un angolo, una suora che accennava loro di avvicinarsi e contemporaneamente si guardava attorno con circospezione.

“Oh, salve!” salutò Isaia, avvicinandosi per primo “Noi cercav…

Shhh.” lo interruppe la monaca “Dopo! Seguitemi, e veloci!”

La suora li condusse rapidamente ad un ingresso secondario, fece una bussata particolare e l’uscio si aprì in uno stretto spiraglio, il minimo necessario per far entrare una persona con le spalle rasenti al muro. Appena furono dentro, la porta venne chiusa nuovamente a chiave.

Dentro alla stazione, erano rimasti rifugiati i preti, i frati e le suore che stavano lavorando alla radio, durante le ore che consacrarono il potere di Gabriel. I collaboratori laici avevano fatto ritorno alle loro case, mentre gli ordinati avevano preferito rimanere nascosti lì: avevano saputo delle persecuzioni verso i religiosi e non avevano un posto sicuro dove stare e non volevano farsi ospitare da amici o parenti, per paura di metterli in pericolo. Si trattava di poco più di una decina di persone, finora erano sopravvissute, poiché i loro colleghi avevano provveduto a procurar loro qualche razione di cibo.

Isaia raccontò dettagliatamente quel che i gesuiti stavano organizzando e spiegò anche per quale motivo si era recato lì. Tutti quanti vibrarono di speranza, furono felici per quelle notizie e si dissero disposti a collaborare in ogni maniera.

Il templare, allora, telefonò a Sebastiano e gli disse di raggiungerlo con alcune automobili per poter trasportare alla villa, sia le persone, sia il materiale che sarebbe loro servito per gestire la radio.

Nel giro di un paio d’ore, tutto era pronto per abbandonare la stazione radio e potersi trasferire.

Stavano caricando in auto gli ultimi scatoloni, quando Isaia si accorse d’aver perso di vista Michela; la andò a cercare e la trovò in una stanza di regia, dove venivano fatti partire i brani trasmessi in radio.

“È tutto pronto, vieni.” la esortò il prete.

“Un momento, solo.” rispose lei “Voglio mandare in onda un brano già adesso.” si sbrigò col computer “Ecco, fatto. Andiamo.”

“Che cosa hai messo?”

“Lo scoprirai in auto. Non è un canto di chiesa.” e abbozzò un sorriso furbo.

Così, un paio di minuti dopo, appena acceso il motore, Isaia sintonizzò la radio e sentì: https://www.youtube.com/watch?v=NwiML8pCB7E

 

 

 

 

Grazie a tutti i miei lettori per seguirmi! J

Per questo capitolo un ringraziamento speciale va ad Alex Piton per un paio di spunti che mi ha dato ^.^

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Capitolo 25
*** Rispunta Fylan ***


La questione circa dove procurarsi scorte alimentari si era risolta felicemente. Martin Antoine aveva spiegato di aver convinto il governo italiano a procurare i rifornimenti gratuitamente, sia di cibo che di benzina (questa limitata solo al loro gruppo d’intervento). Il fatto sbalordì parecchio tutti quanti. Rimaneva, comunque, la difficoltà di portarle a Roma, senza che gli scagnozzi di Serventi se ne accorgessero. Una prima precauzione era quella di immagazzinare le camionate di cibo in Villa, poi organizzare turni di automobili (che davano meno nell’occhio) per trasferire le scorte in città, cos se anche qualcuno fosse stato scoperto, sarebbe stata sequestrata solo una piccola parte e non  l’intero carico. Il problema principale era dunque proprio quello di introdurre camion all’interno del territorio. Il gesuita pluricentenario si era offerto di partecipare ai trasporti e rendere invisibili i grossi mezzi, così era accaduto diverse volte. Martin, però, non poteva occuparsene sempre: il suo ruolo in ospedale era indispensabile. Era già avvenuto un paio di volte, quindi, che Sebastiano e altri sei gesuiti che aveva selezionato personalmente, si occupassero di guidare i camion e scortarli fino alla villa e poi al ritorno. Erano, però, alquanto vistosi e l’arte gesuitica, non ancora padroneggiata pienamente, non consentiva loro di stornare completamente da sé l’attenzione dei demoni nei posti di blocchi in cui si imbattevano. Erano, però sempre stati capaci di ingannarli, facendo loro credere che quei camion fossero diretti a Serventi.

Sebbene, dunque, le cose fossero sempre filate lisce, quella sera, Sebastiano aveva un pessimo presentimento. Sedeva al posto del passeggero, col volto serio, era concentrato: voleva assicurarsi che fosse ben saldo il legame mentale con gli altri gesuiti.

Arrivarono a un posto di blocco. Il giovane vide già qualcosa che non gli piacque: degli umani; riconobbe subito Niklos, ormai lo aveva impresso nella memoria, l’altro, invece, non gli pareva di averlo mai visto: aveva capelli lunghi, in parte intrecciati con spighe, foglie, forse piccoli rametti, per lo più spettinati e pieni di nodi, il volto era ricoperto di cenere e sangue, i suoi occhi brillavano come quelli di un felino nella notte.

Sebastiano strinse l’elsa dello spadino crudele (se lo era fatto benedire da Isaia), quando il suo confratello fermò il camion.

“Scendo io a parlare.” disse il giovane al guidatore, sperando di non essere riconosciuto da Niklos “Appena vedi che la strada è un po’ sgomberata, parti. Sei un camion grande e grosso, non possono far molto per fermarti.”

“Ma tu?”

“Non ti preoccupare: dubito che siano venuti a piedi fin qui.”

Il giovane uscì dall’abitacolo e, con naturalezza, si avvicinò verso i demoni e i due uomini.

“Ohilà! Buona sera!” salutò, era vestito con la tonaca nera: non avevano usato abiti borghesi, perché erano consapevoli del fatto che alcuni preti avessero accettato di entrare nelle fila di Serventi, per cui credevano che l’abito talare potesse maggiormente convincere i demoni che quei camion fossero diretti in Vaticano.

“Allora! Che cosa accade, amici?” domandò Sebastiano, cercando di manifestare familiarità coi demonizzati che aveva già incontrato, durante le importazioni precedenti “Qualche problema? Credevo avessimo risolto.”

“Basta con la sceneggiata!” ordinò Niklos “Voi non centrate nulla con noi! Chi siete e cosa trasportate?”

“Siamo gesuiti e portiamo cibo alla gente a cui lo negate.”

Sebastiano rispose senza indugi: ormai, a che sarebbe servito mentire? Scoperti lo erano stati.

“Credo che questo non sia possibile.” rispose lo stregone.

“Perché? Voi avete abolito le leggi, dunque, non c’è neppure nulla che ci vieti di importare alimenti.” ribatté Sebastiano, assolutamente sicuro.

“Beh, a dire il vero una legge c’è.” precisò l’altro. “Vige la legge che il più forte ha sempre ragione. Per cui, se volete portare quei camioncini dove vi pare, dovete prima impedirci di impedirvelo. Fa scendere i tuoi colleghi, così risolviamo la faccenda.”

“Non ho bisogno di loro, per liberarmi di voi.”

“Vedremo.”

L’altro uomo diede una gomitata allo stregone e gli disse: “Niklos, fammi andare. Scommetto che ha un sangue delizioso: il suo odore promette qualcosa di molto gustoso.”

“Calmati, Arthur. Non credo sia necessario che tu intervenga.”

“Ma voglio giocare!”

“Tu rompi sempre i tuoi giocattoli. Potrai divertirti coi suoi compari, appena avranno il coraggio di uscire e farsi avanti. Lui non è da ammazzare, per il momento.”

Fortunello! Imbattersi in noi e cavarsela così.”

“Deve rimanere vivo.” precisò Niklos “Non mi pare, però, che sano sia tra i requisiti richiesti.” guardò i demonizzati che attendevano un suo ordine e disse loro: “Schiaritegli le idee sul concetto di forza e potere.”

Gli esseri infernali, contenti, fieri della loro possanza, avanzarono, ringhiando e mostrando gli artigli.

Sebastiano, con movimento rapido e secco del polso, sfoderò lo spedino, che brillò alla luce dei fari del camion alle sue spalle.

Invocò: “San Michele Arcangelo, spada di Dio, prega per noi.

Guardò gli avversari con occhi di guerriero e proseguì: “San Michele Arcangelo, condottiero degli Angeli, prega per noi.”

Avanzò anche lui, verso gli avversari, continuando: “San Michele Arcangelo, spirito invincibile, prega per noi. San Michele Arcangelo, armato di forza divina, prega per noi.

Niklos e Arthur risero tra di loro con disprezzo.

“San Michele Arcangelo, difensore di Dio, prega per noi.” Sebastiano, con la spada, tracciò per aria un semicerchio davanti a sé “S. Michele Arcangelo, vincitore contro Lucifero, prega per noi.”

I demoni si bloccarono, avvertivano nell’aria il potere divino dell’Arcangelo che li sferzava.

“San Michele Arcangelo, potente contro tutti i demoni, prega per noi. San Michele Arcangelo, potente contro ogni male, prega per noi.”

“Muovetevi, idioti!” urlò Niklos, che iniziava ad innervosirsi.

“San Michele Arcangelo, potente contro le persone malefiche, prega per noi.”

“Non spaventatevi per così poco!” gridava lo stregone “Avete forse dimenticato chi vi ha dato questa natura? Conoscete il suo potere: non è minore di quello del templare! Dimostrate a questi schiavi chi è il più forte!”

I demoni, galvanizzati, si decisero a dare l’assalto a Sebastiano.

Il gesuita non tenette neppure per un momento e li affrontò con determinazione, trafiggendoli e continuando ad invocare: “San Michele Arcangelo, nelle nostre disgrazie, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle nostre malattie, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle guerre tra famiglie e tra popoli, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle lotte per la difesa della Chiesa, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle lotte intime contro le tentazioni, prega per noi. San Michele Arcangelo, nelle lotte, dell'agonia, prega per noi. Dalle insidie del diavolo liberaci, oh Signore!”

Sebastiano riuscì ad abbattere i demoni, cavandosela con graffi di poco conto. Si voltò verso il suo confratello sul camion e gli gridò: “Vai! Parti!”

Si udì il rombo dei motori in partenza. Il giovane, sempre spadino alla mano, si lanciò in carica contro i due sgherri di Serventi. In particolare, mirava a Niklos: lo sapeva essere uno stregone, per cui lo considerava il pericolo maggiore.

Niklos se ne accorse ed evitò l’attacco, scagliando una sorta di sfera d’aria compressa contro il gesuita che venne sbalzato via.

I camion, intanto, erano però riusciti a passare. Arthur si mise a inseguirli, correndo, ma non riuscì a raggiungerli.

Sebastiano si rialzò e cercò di attaccare nuovamente, ma lo stregone lo immobilizzò.

Niklos si avvicinò al gesuita, gli sfilò di mano lo spadino di mano.

“Volevi uccidermi con questo?” gli domandò, divertito.

Poi conficcò la lama orizzontalmente, nella gamba del giovane, in modo da provocare un taglio lungo, ma non profondo; gli disse: “Dovrei farti prigioniero, questi sono gli ordini, ma in realtà non mi ritengo uno sgherro di Bonifacio, bensì un libero collaboratore che decide di volta in volta cosa fare. Penso che il tornare a piedi da qui al vostro covo, possa essere una bella lezione per te, specie in queste condizioni. Per la ferita, non preoccuparti: Michela la saprà guarire senza problemi; so quel che dico: gliel’ho insegnato io. A proposito, ricordale, da parte mia, che verrò a prendere ciò che è mio e che, se non vorrà perderlo, io la riaccoglierò volentieri.” fece per andarsene, ma poi ci ripensò, tornò vicino al gesuita e gli disse: “Ho da darti un altro incarico! È piacevole, non ti preoccupare. Dopo che ti avrà curato, dà alla ragazza un bel bacio, sempre da parte mia.”

Sebastiano non disse niente e, dolorante, rimase a guardare in cagnesco lo stregone che si avvicinava a un’automobile, aspettava il suo compare e poi li vide andarsene. Passarono dieci minuti, prima che il giovane riuscisse a tornare a muoversi. Come prima cosa, estrasse lo spadino dalle proprie carni e cercò di trovare qualcosa con cui tamponare la ferita; alla fine, fu costretto a tagliare la propria tonaca e fasciarsi alla bene meglio. Poi, con grande fatica, iniziò ad avviarsi, lungo la strada, verso la Villa, trascinando la gamba. Il taglio gli bruciava tremendamente e si sentiva indebolito, per il sangue che stava perdendo. Era un grande sforzo, ma non poteva fare altrimenti. Per fortuna, dopo una mezzoretta, scorse i fari di un’auto che si avvicinava a grande velocità, che però rallentò avvicinandosi a lui. La macchina si fermò, venne abbassato il finestrino e così comparve il viso di Alonso, sigaro in bocca, che disse: “Hai bisogno di un pasagio, hermano?”

“Non sono mai stato così felice di vederti!” mormorò Sebastiano, sorridendo, poi avanzò verso l’auto.

Il bibliotecario, accorgendosi che l’amico era ferito, scese dalla macchina e lo aiutò a salire.

“Meno male che avemo pensato de venirte a recuperare! In este condicioni, non credo, con toda la tu bona volontà, che saresti riuscito ad arrivare ala villa. Ti porto all’hospedale.” disse l’archivista, rimettendo in moto l’automobile.

“No, Alonso.” si oppose il giovane “La Villa andrà benissimo.”

“Ma el tu tajo? Es grave!”

“Grazie, ma non ti preoccupare. In Villa mi cureranno benissimo.”

Alonso: “Se lo dici tu.”

Rimasero in silenzio: il dolore per la ferita impediva al giovane di chiacchierare. Dopo un po’ il bibliotecario iniziò a canticchiare: “Sebastiano fu ferito, fu ferito in una gamba, Sebastiano che comanda, che comanda i gesuiti.”

“Non ci sta metricamente.” protestò il ragazzo, con la testa appoggiata al finestrino e gli occhi semichiusi.

Arrivarono alla Villa in poco tempo. Alonso sorresse il giovane e lo portò nella sua stanza.

“Sveglia Michela e falla venire qui.” si raccomandò Sebastiano.

L’archivista sospirò, probabilmente penso che l’amico stesse delirando, ma non protestò e fece quanto richiesto. Dovette bussare per cinque minuti, prima che la ragazza si svegliasse e prima di lei si svegliò Giorgio, ovviamente piangendo.

La donna, insonnolita e in camicia da notte, aprì la porta e, trovandosi davanti Alonso, chiese solo: “Rambastiano?”

Vedendo l’altro annuire, lei scosse la testa e andò velocemente dal ferito, chiedendo al bibliotecario di aspettare fuori.

Si mise subito al lavoro e, una volta risanato il taglio, domandò: “Come te lo sei fatto? Avevi detto che eravate riusciti a raggirare i demonizzati.”

“Si vede che si sono accorti che i camion non arrivavano in Vaticano. La ferita, comunque, è stata opera dello stregone.”

Niklos!” sbuffò lei.

“Sì, quello. Ha detto alcune cose interessanti.”

“Ad esempio?” si preoccupò lei.

“Per il momento, non mi vogliono morto ma solo prigioniero. Mi pare una notizia rassicurante, anche se non ne capisco il perché.”

“Posso immaginarlo.”

“Davvero? Quale?”

Michela valutò, per qualche istante, se fosse il caso di spiegare o meno, poi optò per il sì e disse: “Serventi vuole far perdere la ragione anche ad Isaia. È probabile che, venuto a sapere da Gabriel dell’ottimo rapporto che hai col tuo maestro, abbia ritenuto fosse bene usarti, in una qualche maniera, per provocare Isaia.”

Sebastiano rimase a riflettere su quelle parole qualche momento; poi riprese: “Lo stregone mi ha detto anche un paio di cose che ti riguardano.”

“Cosa?”

La ragazza tornò a non essere affatto tranquilla.

“Ha ribadito quel che già ti disse quando abbiamo tentato l’ambasceria: che vuole riprendersi ciò che è suo.”

Fece una pausa, per osservare la reazione dell’amica, che parve farsi ancor più scura; proseguì: “Mi ha anche incaricato di darti un bacio in sua vece, ma spero che mi dispenserai dal farlo.”

“Sì, sì, sei dispensato …” mormorò lei, mentr’era con la testa da tutt’altra parte.

“Michela” chiese Sebastiano, dopo un lungo silenzio “Vuoi raccontarmi di preciso quel che c’è stato tra te e quell’uomo, o mi accontento delle mie congetture?”

“Che cos’hai ipotizzato?”

“Che lui sia il padre di Giorgio, non è così? E ora lo vuole … Mi piacerebbe, però, sapere, che tipo di rapporto sia stato il vostro.” con un pizzico di apprensione, domandò: “Tu eri consenziente?”

“Sì. Una storia che iniziò e si concluse in due anni. Fin da subito Niklos ebbe il compito di farmi diventare una strega (anziché la maga che sono), ma non si curò minimamente di me, finché il mio corpo non iniziò ad avere le prime forme da donna. Avevo circa quindici anni e, ovviamente, rimasi affascinata da lui, da quel che sapeva fare, dal suo modo di porsi. È certamente un uomo carismatico e sa tantissime cose, credo più per esperienza, che per studio: pure lui ha sicuramente più di un centinaio d’anni. Ero rapita dalla sua persona e lo assecondavo e contentavo in tutto. Rimanere incinta mi fece maturare tutto d’un colpo e, grazie anche ai miei studi personali e ai contatti che ero riuscita ad avere con dei miei parenti, capii e decisi di sparire e non dissi nulla a Niklos.”

“Mi spiace. Soprattutto perché ora sei preoccupata per tuo figlio.” disse Sebastiano.

“Lo proteggerò. Tu, però, non dire nulla in giro, nemmeno ad Isaia, per favore.”

“D’accordo. A proposito, chissà cosa starà facendo?!”

Isaia, infatti, da un paio di giorni non si trovava in Villa, bensì al momento stanziava in una palazzina abbandonata, non troppo distante, in cui si stavano radunando i templari. Il loro maestri li aveva richiamati: aveva loro ordinato di lasciare Istanbul e raggiungerlo a Roma. Erano poco più di un centinaio, un numero forse risibile, in confronto a quello dell’esercito che Serventi e Gabriel andavano creandosi.

Isaia guardava i suoi monaci guerrieri e si convinceva che non erano la soluzione del problema. Li avrebbe usati per proteggere la gente, ma non poteva crederli davvero capaci di sconfiggere tutti quei demoni e, soprattutto, le persone dotate di poteri. Inoltre, era pure piuttosto certo che una sconfitta in battaglia non sarebbe servita a far rinsavire Gabriel, quindi avrebbe dovuto trovare la maniera per avvicinarsi all’amico e lavorare pian, piano alla purificazione della sua anima … sperando che, nel frattempo, Gabriel la smettesse di demonizzare folle e uccidere gente: se avesse perseverato su quella strada, sarebbe stato necessario ucciderlo.

Organizzare i templari gli richiedeva molto tempo e attenzioni. Nella palazzina aveva dovuto far allestire un dormitorio, un refettorio e le cucine, arsenale (e in questo fu in parte rifornito anche dalle armi della Villa) e poi questioni organizzative: dividere gli uomini in pattuglie, scegliere il responsabile per ciascuna di essa, fare esercitazioni e mettere i provinciali al corrente di tutto ciò che stava accadendo a Roma.

Un pomeriggio, Isaia era assieme ad Abdel Nassen, che ormai considerava il proprio luogotenente, e ad alcuni provinciali; stavano studiando sulle mappe l’idrografia, i sotterranei, la topografia di Roma e qualsiasi altro elemento sarebbe potuto loro tornare utile per progettare un attacco o, per lo meno, per consentire loro di muoversi nella maniera migliore possibile. Erano occupati in questo affare, quando bussò alla porta un capopattuglia che, con una certa sorpresa, annunciò: “È appena arrivato padre Fylan!”

“Cosa?!” fu il commento generale “Ma non era morto?”

“Vuole parlare col Magister Templi.” comunicò il messaggero.

“Va bene, fallo passare.” disse Isaia, incupito: tra tutti i problemi che già c’erano, ora si aggiungeva pure quello stupido borioso che lo odiava.

Il templare irlandese entrò nella stanza e salutò con la dovuta formula, ma quando tentò di iniziare un discorso, Isaia lo prevenne.

“Rispondi solo alle mie domande.” gli intimò il Gran Maestro.

Fylan per un attimo si imbronciò, ma non disse nulla; probabilmente si era preparato un gran discorso e gli dispiacque non pronunciarlo, ma sapeva di essere nel torto, per cui non volle peggiorare la propria situazione.

“È vero che tu, di tua iniziativa, senza consultarmi, hai preso d’assalto il centro d’ascolto fondato da Gabriel Antinori.”

“Sì.”

“È vero che, per far ciò, hai indotto altri nostri confratelli ad agire a mia insaputa?”

“Sì.”

“Questo è tradimento?”

Fylan tremò di rabbia e paura e dopo un paio di secondi, disse di malavoglia: “Sì.”

“Qual è stato l’esito di questa azione?”

“Un fallimento. Ho perso tutti i confratelli che mi avevano seguito.”

“Dunque, sei stato sconfitto.” osservò Isaia, severo e distaccato. Non mostrava rabbia.

“Sì.” ammise Fylan, chinando la testa.

“Come ti sei salvato?”

“La furia di Antinori non arrivò fino a me e ho potuto mettermi in salvo. Sono vissuto nascosto finché dei confratelli non mi hanno avvertito che vi stavate radunando qua, allora sono venuto.”

“Bene. Un’ultima domanda: quali conseguenze ha portato la tua aggressione sconsiderata?”

“Ha scatenato il demone di Antinori.”

“Quindi hai sbagliato ad agire così.” sentenziò Isaia, era calmo, ma guardava l’irlandese con uno sguardo tremendo.

“Ma io …”

“Taci!” lo zittì il Magister Templi “Io avevo dato un espresso ordine! Non combattere Antinori. Avevo piena cognizione di causa. Ero assolutamente consapevole di ciò che sarebbe accaduto, provocandolo, e tu non hai obbedito. Hai tradito l’ordine, venendo meno ai miei comandi. Hai sbagliato, compiendo un’azione insensata. Infine, sei stato sconfitto.” fissò i propri occhi decisi su Fylan e gli disse: “Tu sai cosa comporta tutto ciò. Tu conosci il nostro codice etico.”

L’Irlandese, credendosi ormai finito, recitò: “Chi tradisce muore. Chi sbaglia muore. Chi viene sconfitto muore.”

“Esatto.” una lunga pausa, peggiore della morte stessa “Ringrazia il Signore, ch’io decido di perdonarti. Per il momento combatterai con noi, nel tuo rango. Finito lo scontro, se avrai dimostrato la tua devozione, il tuo zelo e la tua obbedienza, metterò definitivamente una pietra sopra alla faccenda. Se, invece, ci darai motivo di lamentarci di te, deciderò che provvedimenti prendere.”

“Grazie.” disse Fylan, non proprio riconoscente.

“E ora va! Sistema le tue cose e poi torna qui. Se davvero sei stato in Roma tutto questo tempo, forse puoi fornirci informazioni utili.”

Così fece. Le ore del pomeriggio trascorsero, dunque, nello studio logistico di eventuali attacchi, incursioni et simila.

La sera cenarono frugalmente e dissero tutti assieme i vespri e altre preghiere, come erano soliti fare.

Isaia si coricò dopo una giornata che gli pareva essere durata un anno, così come quelle precedenti. Da quando era rientrato in Italia, aveva sempre tantissime cose di cui occuparsi e quasi non aveva un minuto libero per sé e le meditazioni. Era a capo di tutto: dei templari e della gente alla Villa e nelle catacombe. Quando sorgevano problemi, reali o insignificanti, si rivolgevano a lui e lui doveva occuparsi di ogni cosa. Non era stressante, perché lui era abituato ad essere sotto pressione e ad avere una miriade di incarichi; riusciva a mantenere la calma, nonostante fosse chiamato da ogni lato. Semplicemente era tutto pesante! E lui avrebbe tanto voluto distrarsi un poco, ogni tanto.

Da quando, poi, si trovava coi templari, si sentiva ancor più oppresso dalla situazione.

Non capiva come mai, in Villa si sentisse più sereno. Forse perché i templari erano da riformare anche eticamente e, quindi, erano un impegno maggiore. Forse perché in Villa c’erano i suoi amici a sostenerlo e a svagarlo: Sebastiano, Alonso, Vairocana, Michela … Sì, probabilmente dai templari era meno rilassato perché si sentiva in mezzo ad estranei, mentre alla Villa si sentiva in famiglia, nonostante tutto, nonostante l’assenza di Gabriel.

C’era qualcosa, in quella casa, che lo faceva stare bene. Forse era il clima totalmente diverso: tra i templari c’era fratellanza, ma erano tutti concentrati sulla guerra, sulla violenza e questo lo infastidiva; alla Villa, invece, si lottava, sì, ma in maniera totalmente differente. Poi c’era qualcos’altro. Di certo gli ambienti erano meglio arredati e anche il paesaggio circostante era decisamente più ameno, attorno alla Villa; ma davvero dava così tanta importanza all’apparenza?

Ebbe voglia di parlare con Michela. In fondo, da un paio di giorni non aveva contatti con la Villa o con la catacombe, era doveroso assicurarsi che tutto procedesse bene. Certo che, contattare telepaticamente la ragazza, a quell’ora, forse non sarebbe stato troppo educato. Già, avrebbe potuto benissimo telefonare ad Alonso o Sebastiano il giorno seguente.

Aveva voglia, però, di fare due chiacchiere. D’accordo, con Abdel Nassen riusciva a parlare tranquillamente sia in arabo che in latino, ma si discuteva solo di lavoro e, nonostante la continua stretta vicinanza, non lo considerava ancora un amico, ma solo un ottimo collaboratore. Gli altri provinciali li conosceva appena. Insomma, che male c’era se aveva voglia di conversare con una persona amica?

Voglia o desiderio? –si chiese.

La differenza è sottile ma importantissima.

Dopo averci rimuginato un poco, stabilì che era voglia. Non sentiva un impulso irrefrenabile che lo avrebbe tormentato se non lo avesse assecondato; semplicemente, aveva constatato che gli avrebbe fatto piacere una bella chiacchierata con la ragazza. Epicuro lo avrebbe considerato un piacere naturale non necessario, che può essere ben accolto e realizzato, purché non ci provochi fatica o ansia.

Si decise, così, a contattare telepaticamente la ragazza. Vi riuscì senza problemi.

“Ciao, che sorpresa!” esclamò lei.

Isaia sorrise, nel sentirla così raggiante.

“Come va? Procedono bene le cose, lì coi Poveri Commilitoni di Gesù e del Tempio di Salomone?”

L’uomo gradì che l’amica si fosse ricordata di usare il nome per esteso e non si fosse limitata a dire templari; rispose: “Facciamo quel che possiamo. Per favore, però, non ho voglia di parlare di tutta questa faccenda.”

“Capisco. Effettivamente, ci devi già pensare tutto il giorno, avrai voglia di svagarti.”

“Esatto. Fingiamo, per un’ora, che tutto sia a posto e tranquillo, dimentichiamo i problemi. Raccontami qualcosa.”

Michela lo contentò e andarono avanti a conversare per ben più di un’ora.

La cosa che stupì maggiormente Isaia fu che, per la prima volta, si accorse che quel tipo di comunicazione non era come parlare al telefono; infatti non gli sembrava che l’amica fosse lontana, ma la sentiva lì, accanto a sé, quasi ne sentisse la presenza fisica, l’energia, il calore.

Che strana sensazione!

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Capitolo 26
*** Scontro ***


Alla Villa c’era un po’ d’agitazione nell’aria. I vertici dell’organizzazione erano tutti rientrati, sospendendo per qualche ora le loro attività. C’erano, quindi, Alonso, Vairocana e Delrio, che generalmente risiedevano nelle catacombe; Sebastiano, dopo aver guidato l’ultima distribuzione di alimenti al popolo, era tornato subito in campagna, senza il suo solito giro di casa in casa per amministrare i sacramenti; Michela era già in Villa, si limitò ad affidare la conduzione della radio a uno dei suoi collaboratori per il tempo in cui sarebbe stata in riunione.

Riunione, sì. Isaia aveva telefonato ad Alonso e lo aveva informato che, nel pomeriggio, sarebbe passato in Villa per una riunione della massima importanza, poi si sarebbe fermato lì fino al mattino successivo.

Si ritrovarono, dunque, tutti e sei nel salotto che ormai era diventato la loro sala riunioni. Si erano tutti seduti, su un tavolino basso c’era una grande teiera e delle tazze per chi avesse gradito bere un infuso. Sul tavolo grande, invece, Isaia aveva appoggiato alcune cose, ma coperte da un panno, per cui tutti erano curiosi di scoprire di cosa si trattasse.

Sebastiano sembrava molto scontento, infatti, prima ancora che qualcuno avesse modo di parlare, lui chiese, con una certa irritazione, al proprio maestro: “Avevi detto che i templari si sarebbero occupati di proteggere i cittadini. Sono arrivati da una settimana, ormai, e ancora non hanno fatto un accidente!”

“Lo so che ti aspettavi qualcosa di eclatante fin da subito.” esordì il Magister Templi.

“No, nulla di eclatante, mi sarebbe bastato vederli almeno al nostro fianco, o scorgerne almeno uno, per le strade, a difendere gli innocenti.” ribatté l’allievo.

“C’è sempre il problema rappresaglie, ricorda.” sottolineò Isaia “Inoltre, non ho che poco più di un centinaio d’uomini, lo stesso numero che si è ormai raggiunto anche qui, considerando tutta la gente che lavora e collabora o qua in Villa, o nella catacomba. Ad ogni modo, non siamo rimasti inattivi. Abbiamo studiato la situazione, i numeri degli avversari e le loro risorse; abbiamo setacciato ogni mappa della città e abbiamo ipotizzato non so quante strategie. Siamo troppo pochi per fare i giustizieri in un territorio così vasto; un simile progetto è eccessivamente dispersivo. Bisognerebbe limitare l’area d’azione di Serventi, ma l’unico modo possibile è attaccarli apertamente. I numeri ci sarebbero estremamente sfavorevoli anche in questo caso, benché tra i Poveri Commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone ci sia molto entusiasmo per questa proposta.”

“La situazione è dunque in stalo? Non potete fare nada?”

“Da soli e solo con le spade, seppure accompagnate da preghiere, non possiamo andare molto lontano. Se vogliamo sperare di compiere qualcosa di concreto, dobbiamo affidarci a ogni tipo di manifestazione del potere divino.”

Isaia tacque qualche momento e guardò i volti dei suoi compagni: erano tutti molto attenti e non osavano fiatare, in attesa di scoprire quale fosse il suo progetto.

“Sebastiano, mi farebbe piacere se tu e la tua squadra di gesuiti combattenti vorrete affiancarci nello scontro.”

Il giovane sorrise e annuì: “Sarò con te, maestro, su ogni campo di battaglia: fisica o spirituale che sia.”

“Grazie.” Isaia si rivolse, poi, al buddista: “Vairocana, tu potresti occuparti di scacciare i demoni, oppure tracciare mandala che trasmettano energia positiva ai combattenti. Quello che preferisci, quello che ritieni più utile, magari hai qualche asso nella manica che non conosco.”

Il monaco annuì e disse che avrebbe meditato su cosa sarebbe stato più efficace.

Isaia, allora, posò lo sguardo su Alonso che subito lo prevenne, dicendo: “Non chiederme de pugnar! Te ho già deto che non es mi compito. Anche quand’ero ne la jungla con Pedro non ho mai tocato un’arma.”

“Lo so, infatti, voglio chiederti qualcosa di diverso.”

Abla pure, alora, hermano.”

“Ti affiderei due compiti della massima importanza. Il primo è di organizzare tutti i preti, frati e suore che abbiamo radunato, in modo tale che le loro preghiere ci aiutino in questa battaglia e che, soprattutto, proteggano i cittadini. Sarà uno scontro tra le strade della città: la popolazione è in pericolo, potrebbe essere coinvolta. Potremo far dire alla radio, di nascondersi, di rifugiarsi nelle cantine o che so io, ma non basterà. Bisognerà pregare per proteggere le persone.”

“Consideralo fato.” assicurò Alonso, portandosi il sigaro alla bocca “Il segundo?”

Isaia si alzò, andò al tavolo, sollevò un poco il telo e tirò fuori una scodella, che aveva la forma di una mezza noce di cocco, ma era in ceramica e con decorazioni particolari. Si portò davanti ad Alonso e, mostrandogli l’oggetto, gli disse con grande solennità: “Questa è la ciotola con cui San Giovanni il Battista battezzava la gente nel Giordano. Ti chiedo di aggirarti per le strade, durante la battaglia (avrai una scorta, non ti preoccupare) e di aspergere i demonizzati con l’acqua che verserai in essa; questa sorta di battesimo dovrebbe farli tornare umani.”

L’archivista guardò la scodella con grande venerazione e, sentendo davvero dentro di sé l’onore per quel compito, disse: “Sono muy feliz de esta missione. Conta puro su di me, hermano.”

“Bene, veniamo, ora, a una faccenda un po’ più delicata.” disse Isaia e andò a rivolgersi al pluricentenario “Martin, io ti sarei molto grato se tu decidessi di intervenire, attingendo alle tue vaste conoscenze e ai tuoi poteri … Ti lascio libero di agire come preferisci, puoi fare quel che vuoi, senza alcuna limitazione.”

L’uomo sorrise e disse: “Credo proprio che rimarrai entusiasta.”

“Lo spero proprio. Per esserne certo, ti affido uno strumento che, sono certo, gradirai parecchio.”

Isaia tornò al tavolo e, questa volta, da sotto il telo, tirò fuori due alti bastoni; uno terminava in una forcola, l’altro aveva una sorta di pomo naturale in cima ed era molto nodoso. Il templare li mostrò all’interessato e gli chiese: “Verga di Mosè, o bastone del Battista, a te la scelta.”

Delrio chiuse un attimo gli occhi, per poi spalancarli, colmi di meraviglia, quasi sconvolti dal potere che l’uomo aveva percepito; constatò: “Non menti! Sono proprio ciò che dici! Userò la verga di Mosè; per il bastone di San Giovanni, c’è qualcuno di più idoneo.”

Isaia gli diede la verga e ripose il bastone, domandandosi a chi si riferisse l’anziano gesuita.

“Sebastiano, ho una cosa anche per te.”

L’allievo balzò subito in piedi e raggiunse il maestro, vicino al tavolo.

“Ecco! Questo è lo scettro di Gaspare. Come vedi, è più una mazza. Sono sicuro che saprai sfruttarlo sia come arma, sia per aumentare il potere gesuitico.”

Sebastiano guardò lo scettro con infinito rispetto, lo prese in mano e sentì l’immensa energia che era stata accumulata lì dal precedente possessore; lo vibrò in aria un paio di volte e constatò come fosse adattissimo alle battaglie.

“Lo scettro di Gaspare …” Michela era rimasta allibita “È un oggetto magico di grandissima potenza! Gaspare deriva dal nome persiano Gondhopharn, che significa Portatore di potenza divina, non era certo il nome di nascita di quel Re Mago, bensì quello che gli venne attribuito in virtù delle sue doti. È straordinario!”

Isaia confermò: “Esattamente e, per questo, lo affido a Sebastiano, che sarà la guida della squadra di gesuiti.” poi continuò a rivolgersi al proprio discepolo: “Ho anche gli scettri di Baldassare e Melchiorre, scegli con attenzione a chi li vuoi affidare.”

Martin Antoine domandò: “E tu, che cosa ti sei tenuto per te? Sono certo che hai già scelto quale reliquia ti accompagnerà in battaglia. Son proprio curioso di scoprire quale sia.”

Isaia, allora, scoprì anche la lancia di Longino e l’elmo di Costantino: quelle sarebbero state le sue armi.

Isaia proseguì, poi, coll’illustrare il piano di attacco che aveva messo a punto coi provinciali; in esso non si faceva menzione della parte che avrebbero avuto i religiosi della Villa e della catacomba. Mostrò, poi, un piano integrativo che aveva elaborato con Abdel Nassen, in questo era spiegato con precisione come i gesuiti, i buddisti e gli altri avrebbero potuto agire. Chiese, poi, pareri e consigli su come migliorare la strategia; rimasero, dunque, diverse ore in riunione a studiare la situazione. Venne poi l’ora di cena e andarono a tavola con tutti gli altri, decidendo di ritrovarsi il mattino seguente per vedere se fossero emerse ulteriori idee.

Isaia rimase fino alle ventidue e trenta a chiacchierare allegramente con Vairocana e Sebastiano, poi pensò che fosse meglio andare a dormire. Salì al piano di sopra e, per andare alla propria camera, passò accanto alla porta semichiusa della stanza in cui si gestiva la radio. Sentì provenire da lì la voce di Michela, si fermò ad ascoltare, curioso.

La povertà cristiana, allora, non può avere senso se non come un impegno di solidarietà coi poveri, con quelli che soffrono miseria e ingiustizia, al fine di testificare del male che esse, frutto del peccato, rottura di comunione, rappresentano. La povertà cristiana, espressione d'amore, è solidale coi poveri ed è protesta contro la povertà. Questo è il significato concreto e attuale che rivestirà la testimonianza di povertà vissuta non per se stessa, ma come un'autentica imitazione di Cristo che assume la condizione di peccato dell'uomo, per liberarlo dal peccato e da tutte le sue conseguenze. Queste parole sono di Gustavo Gutiérrez Merino. Ora, vi lascio per qualche minuto, sulle splendide strofe de Il proclama di Camilo Torres, cantate da Fausto Amodei.”

Michela si tolse le cuffie con il microfono, si voltò e vide Isaia, con un sorriso d’approvazione, fermo sulla porta. La ragazza fece un cenno a uno dei propri collaboratori, gli sussurrò qualcosa, poi andò verso il gesuita e gli fece cenno di uscire nel corridoio.

“Mi devo complimentare con te.” esordì l’uomo “Ho avuto modo di sentire le tue trasmissioni in radio, in questi giorni, riesci a mescolare molto bene cristianesimo e concetti etico-morali condivisibili anche dagli atei di buon senso. Adesso, ho sentito, hai tirato fuori la Teologia della Liberazione, è un’ottima scelta, davvero calzante.”

“Il merito è di Alonso.” confessò la giovane “Lui mi ha ricordato dell’esistenza di questa corrente.”

“Ovviamente. Lui l’ha vista nascere ed è stato a lungo a stretto contatto coi suoi esponenti.”

La ragazza si fece un po’ severa e disse: “Isaia, prima non ho detto nulla, perché non era il caso di discuterne in mezzo a tutti, però c’è una cosa, nel tuo piano d’attacco, che mi scontenta parecchio.”

“Ossia?”

“Mi hai completamente esclusa.”

L’uomo alzò gli occhi al cielo.

“Hai dato a Delrio il permesso di usare la magia pienamente, a me non hai chiesto nulla.”

Lui rispose con calma: “Delrio ha più di quattrocento anni, presumo che se la possa cavare egregiamente, se dovessero vederlo e dargli fastidio i Poveri Commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone.”

“Posso cavarmela anch’io. A me, credimi, dispiace parecchio disobbedirti, ma quando attaccherete, io ci sarò.”

“Cosa intendi con ti dispiace disobbedirmi?”

Lei fu dolce nel rispondere: “Che vorrei, sempre, renderti contento … e soddisfatto di me.” tornò energica “Questa volta, però, hai torto. Hai detto tu stesso che la situazione è molto difficile e che è necessario ricorrere ad ogni risorsa, se vogliamo sperare di contrastare Serventi e Gabriel; perché non chiedi anche a me di fare del mio meglio? Non credi ch’io sia pronta a sacrificarmi per la causa, se occorre?”

“Supponevo non volessi rischiare di lasciare orfano tuo figlio. Tu conosci meglio degli altri la potenza e la pericolosità dei nostri avversari. Sei assolutamente consapevole che rischi sia a causa dei miei uomini, sia per i nemici comuni; se te la senti, sul campo di battaglia c’è posto anche per te.”

“Grazie!” si rilassò la ragazza, sorridendo “Hai creduto ch’io potessi anteporre Giorgio al mio dovere? Al bene?” notò l’espressione sorpresa dell’amico, per cui gli parlò con serenità: “Pensi che solo a voi preti o ai monaci, sia permesso di servire Dio, sopra ogni altra cosa? È raro, sì, ma ci sono anche dei laici, persone con famiglie, consapevoli che, per quanto possano amare il proprio compagno o i propri figli, il Bene è sempre più importante della felicità del singolo.”

Isaia non disse nulla: effettivamente non aveva mai supposto che qualcuno, con forti legami affettivi, potesse sottomettersi totalmente a Dio. Lui, in passato, aveva dovuto prendere decisioni dolorose, poiché in contrasto coi suoi affetti d’amico (soprattutto per quanto riguardava Gabriel); non osava immaginarsi che sofferenze potevano patire coloro che, amando, erano costretti ad abbandonare o sacrificare la persona amata, perché il Bene lo richiedeva. Gabriel non c’era riuscito, difatti. D’altra parte, però, se la comunione con Dio era totale, questi effimeri dispiaceri terreni, potevano essere sopportabili.

Michela lo fissò negli occhi e non distolse più lo sguardo, mentre diceva: “Io, nel mio piccolo, combattevo contro il male e le sue forme, prima che ci incontrassimo. Avevo una spada affilata in casa, ricordi? Non era certo una precauzione contro i ladri. Te l’ho già detto: io sono consacrata all’Arcangelo Michele, a te! Il mio dovere è essere al tuo fianco, farti da scudiero. Il negarmi la possibilità di agire secondo il mio dovere e la mia natura, equivale all’uccidermi. È vero, potrei morire nella battaglia, Giorgio rimarrebbe solo, potrebbe non capire e non perdonarmi, ma che importa? Sarò morta per dare a lui e ad ogni altro essere, la possibilità di vivere in un mondo con un po’ meno male.”

Isaia provò un grande rispetto per quelle parole: dimostravano un’abnegazione quasi pari alla sua. Fu curioso di scoprire quanto fosse abnegata, per cui disse: “Un conto è essere disposti a sacrificare se stessi, un altro paio di maniche è riuscire a sacrificare un proprio affetto. Nell’ipotetico caso fosse necessario per il Bene, saresti disposta a permettere la morte di Giorgio?”

“Abramo non fu forse pronto ad uccidere Isacco, senza neppure sapere il perché, ma solo perché Dio lo aveva voluto? Sarebbe doloroso, ne soffrirei, ma non potrei essere egoista.”

Isaia accennò un lieve sorriso: almeno a parole, lei aveva le sue stesse priorità. Se anche Gabriel fosse stato di quel pensiero, si sarebbe fatto uccidere nella cripta e non sarebbe accaduto tutto quel macello. Il templare non era certo di essere felice o meno, di non averlo ucciso: sia la ragazza che San Giovanni gli avevano detto che Gabriel non era di natura cattiva che poteva ancora liberarsi e tornare ad essere almeno quello di prima, se non migliore.

Isaia aveva deciso di lottare per salvare l’anima dell’amico. In realtà, subito, si era detto che non fosse giusto pensare alla salvezza spirituale di Gabriel, mentre la gente soffriva. San Giovanni, però, gli aveva spiegato che, se non avesse redento il suo amico, egli sarebbe tornato di nuovo e ancora e ancora a portare innanzi lo stendardo del male. Per evitare questa prospettiva, era necessario permettere qualche morto in più al momento, ma neutralizzare il male.

Michela aveva continuato a guardare il gesuita negli occhi per tutto il tempo del dialogo e anche qualche momento dopo. Poi lei distolse lo sguardo, mosse qualche passo e si fermò a guardare un quadro appeso alla parete, era un paesaggio più o meno boschivo, dove si intravedevano vestigia avvolte dai vegetali.

“Sai, ho sempre pensato che, se mi capiterà di amare un uomo e di essere ricambiata, non vorrei mai che mi anteponesse al suo dovere.”

“Com’era il padre di Giorgio?”

“Perché?” si irrigidì la giovane, continuando a dargli le spalle.

“Beh, lo amavi, vero? Se hai avuto un figlio con lui, dovevi amarlo.”

Michela non rispose, rimase in silenzio per un circa un minuto, poi, voltandosi, esclamò, cambiando argomento: “Ho trovato la soluzione perfetta per poter scendere in battaglia, senza temere nessuna delle due fazioni.”

“Ovvero?”

“Il bastone di San Giovanni! Da una parte sarà un ottimo potenziamento alla mia magia, dall’altra, se i tuoi provinciali dovessero fare domande, si attribuirà ogni cosa alla sacra reliquia.”

Isaia sollevò un sopracciglio, perplesso, sia per la mancata risposta, sia per quella richiesta. Osservò: “Martin non si è ritenuto degno di usarlo, pensi forse di esserlo tu?”

“Ha detto idoneo, non degno.” gli ricordò la ragazza “Se non sei convito, chiedi a lui se posso o, meglio ancora, domandiamo il permesso direttamente al Battista.”

“A quest’ora?” improvvisò il gesuita, non troppo entusiasta.

“Per lui non è certo un problema.”

“Sì. Io, però, domattina mi devo svegliare presto e Giovanni sarebbe capace di tenerci alzati a farci la predica fino all’alba.”

“Troveremo il modo per farlo essere breve.”

Senza aspettare altre repliche, la ragazza si incamminò verso la reliquia e Isaia non poté fare a meno che sospirare e seguirla.

Arrivati presso la testa di San Giovanni, entrambi recitarono una breve preghiera di devozione; poi il gesuita disse: “Tu mi hai consigliato quali reliquie portare qua, mi hai illustrato le loro caratteristiche e mi hai indicato come affidarle ai miei amici; ti prego di risolvere un ulteriore quesito: lei può usare il tuo bastone?”

“Che domande! Certo che sì!”

Isaia rimase un poco perplesso non solo per la risposta, ma anche per il tono gioviale con cui era stata data.

“Te l’avevo detto!” scherzò la ragazza, contenta.

“Non gli è ancora chiaro l’albero sephirotico e le sue implicazioni?”domandò, con rimprovero, Giovanni alla donna.

“Ha altro a cui pensare, in questi giorni.” lo giustificò lei.

“Se studiasse quel che gli consiglio, saprebbe certamente agire meglio di come sta facendo. Ma tanto, cosa parlo a fare! Qualcuno mi ha mai dato retta? Certo che no! In fondo sono solo Giovanni il Battista, il cugino tapino di Gesù, perché mai dovrei sapere qualcosa? Sono solo in grado di tenere in vita la mia testa da duemila anni, cosa potrebbe indurvi a credere ch’io abbia cognizione di causa?!” e continuava.

Isaia guardò l’amica e telepaticamente le disse: “E io ti avevo detto che avrebbe iniziato a fare un sermone infinito.”

“Ci penso io.” gli rispose Michela, che poi disse ad alta voce, rivolgendosi al Battista: “Hai assolutamente ragione. Se mi permetti, anche subito, gli mostrerò una precisa immagine dell’albero delle sephirot e glielo spiegherò, comprese tutte le corrispondenze.”

San Giovanni approvò pienamente e li lasciò andare.

Quando si furono allontanati, Isaia domandò: “Davvero hai intenzione di spiegarmi tutte quelle cose, a quest’ora?”

“Certo che no. Ho pure la radio che mi aspetta.”

“Quindi hai mentito a San Giovanni il Battista?”

“Pare di sì.” rispose lei, con un sorriso.

Arrivarono davanti alla stanza della radio.

“Beh, se tu ti fermi qua, allora ti do la buona notte.” disse l’uomo, sentendosi, d’un tratto, incerto sul cosa dire e fare.

“Grazie. Buonanotte a te! E sogni d’oro!” ricambiò lei e gli diede un bacio sulla guancia.

 

Nei giorni successivi, vennero definiti gli ultimi dettagli del piano. Per prendere i propri nemici di sorpresa, erano indecisi circa se attaccare al mattino presto, oppure verso l’ora di pranzo. In entrambi i casi, sarebbero stati costretti ad approssimarsi al Vaticano e avrebbero poi dovuto affrontare i nemici compatti e uniti. Scartarono dunque l’idea: era un attacco troppo scoperto e li avrebbe costretti ad essere pochi ad assediare molti. Dopo alcune discussioni si era arrivati ad optare per una strategia da guerriglia, ma accelerata. Avrebbero attaccato contemporaneamente in svariati punti. Con una strategia a rete, procedendo, nella vasta area del centro, a coppie in direzioni parallele, avrebbero cercato di avanzare il più possibile, uccidendo tutti coloro che avrebbero trovato dotati di poteri e i demonizzati (questo dispiacque parecchio a Isaia, che avrebbe preferito farli tornare umani, ma purtroppo le circostanze richiedevano questa violenza, si consolò pensando che almeno Alonso avrebbe salvato qualcuno).

Molti civili che, avendo avuto notizia, nelle catacombe, del progetto, avevano deciso di prendere parte alla battaglia. Isaia nutriva qualche titubanza al riguardo, ma in molti insistettero, sostenendo che era giusto che avessero il diritto di proteggere sé, i propri cari e la legge; inoltre, un discreto numero dei volontari, apparteneva alle forze dell’ordine e avevano armi da fuoco (non sarebbero servite contro i demoni, ma contro i dotati di poteri sì).

Templari, gesuiti e volontari avrebbero preso parte alla strategia a rete, ma per quanto il loro numero fosse superiore alle aspettative, non potevano certo battere a tappeto l’intera città. Loro sarebbero stati il nervo centrale e maggiore dell’esercito, mentre alle ali ci sarebbero stati Michela e Delrio o, più precismante, gli spiriti che avrebbero invocati. In particolare la ragazza aveva avuto il compito di spingere i demonizzati in direzione della fontana di Trevi, dove era in posizione Alonso, pronto ad attingere l’acqua con la ciotola di San Giovanni e ad aspergere tutti quanti.

Il piano era quello di uccidere il maggior numero di seguaci di Serventi, prima che potessero dare l’allarme e organizzare una controffensiva. Quando ciò sarebbe avvenuto, a seconda della tattica scelta da Serventi e Gabriel, Isaia e i suoi avrebbero deciso quale, delle strategie preparate, usare.

Venne dunque il giorno stabilito.

Dopo un momento comune di preghiera, tutte le forze a disposizione si schierarono come pianificato. Nelle catacombe, suore e frati pregavano incessantemente, guidati da padre Eleuterio, per proteggere i civili e dare forza ai combattenti.

Loreto e il personale medico erano pronti ad intervenire: erano riusciti a rintracciare molti medici e infermieri che si erano resi disponibili per aiutare; inoltre, molti ospedali, insofferenti alle nuove direttive, per quel giorno avevano messo a disposizione ambulanze, barelle e quant’altro. Infatti, era stato necessario organizzare un sistema di pronto intervento per poter recuperare e medicare rapidamente i feriti.

Isaia, era stato chiaro: soccorso anche alla gente dotata di poteri (e sperò fortemente che il risentimento non facesse dimenticare ai medici il loro giuramento di Ippocrate) e se qualcuno si fosse arreso, andava preso prigioniero, senza fargli ulteriore male.

Non era sicuro sarebbe stato obbedito, ma purtroppo di più non poteva fare: non poteva certo controllare ogni suo singolo soldato.

Ebbe inizio.

Le strade furono attraversate da Templari e volontari e non dovettero attendere a lungo, prima di iniziare ad imbattersi nei primi demoni o in gente coi poteri. Molti cittadini non avevano seguito il consiglio di nascondersi e avevano iniziato ad affacciarsi alle finestre per guardare gli scontri e, soprattutto, per indicare ai guerrieri dove potessero trovare i loro nemici. In tanti avevano pieno gusto a segnalare non solo i demoni, ma pure le persone dotate di capacità speciali (anzi, forse additando queste con maggior ferocia). In diversi scesero a propria volta nelle strade, alcuni prendevano parte agli assalti, altri si limitavano a infierire su quelli già caduti.

Isaia combatteva assieme agli altri, si era scelto una zona che, secondo le informazioni, pullulava in particolar modo di demonizzati, in questo modo aveva la possibilità di evitare di uccidere. Il che non era del tutto vero: assalito da molti, era costretto a trafiggerne qualcuno, per difendersi, ma si sforzava al massimo per poterli attraversare col proprio potere e salvare.

Sebastiano, invece, aveva meno scrupoli e col suo gruppo di gesuiti si muoveva rapidamente, cercando di fruttare al massimo il potere comune, per neutralizzare la gente dotata e per indebolire i demoni. Agitava lo scettro-mazza di Gaspare con grande veemenza, ma cercava di stordire e non uccidere, per quanto fosse difficile fare certe valutazioni, nel mezzo di un combattimento.

Per circa un’ora, l’esercito avanzò indisturbato, ma poi, in un modo o nell’altro, gli sgherri di Serventi erano riusciti a mettersi in guardia l’un l’altro, per cui erano stati mandati avanti un buon numero demoni per rallentare l’avanzata, mentre i dotati di poteri si ritiravano verso il Vaticano per poter organizzare un’adeguata controffensiva e riunirsi: sparsi com’erano, per la città, avevano difficoltà a difendersi o reagire, ma uniti sarebbero stati molto pericolosi.

I templari e i volontari, sebbene il numero fosse diminuito, continuarono ad avanzare finché, giunti al Tevere, non si trovarono davanti una muraglia di demoni, pronti a respingere ogni attacco.

Isaia, allora, decise di fermare momentaneamente l’assalto e tenere consiglio coi suoi uomini di fiducia.

 

Nota dell’Autrice

Saluti a tutti! Vi ringrazio sempre di cuore per seguire la mia fanfic.
Perdonatemi se l’attacco è stato descritto solo per sommi capi, ma non ho grande ispirazione per descrivere scontri epici: li lascio alla vostra immaginazione ^.^

Sperando di non avervi delusa, un altro ringraziamento e un saluto!

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Capitolo 27
*** Sigilli ***


In quello che fino a poche settimane prima era stato un Caffè, si erano riuniti per discutere della strategia, Isaia e i suoi uomini di fiducia, ossia Abdel Nassen, Alonso, Sebastiano, Vairocana e Michela. Sarebbe dovuto esserci pure Delrio, ma ancora non era arrivato e questo preoccupava un poco i presenti che, però, iniziarono a consultarsi anche senza di lui.

Fuori dal locale, i templari e i volontari si riposavano, pur mantenendo la guardia pronta e avendo piazzato delle sentinelle. Alcuni si rifocillavano, altri piangevano la morte di qualche amico, altri ancora si raccontavano a vicenda gli eroismi negli scontri.

“I nostri esploratori parlano chiaro.” disse Abdel in latino (la ragazza traduceva per il buddista) “I demoni sono in fittissimo numero e stanno perimetrando tutto il Tevere.”

“Evidentemente, Antinori ha iniziato a demonizzare ogni umano in quel lato della città, per potersi difendere, maledetto!” inveì Sebastiano, piuttosto veementemente.

Es imposibile por voi, continuare a pugnar! Temo che esta acione sia stata un azardo! Se loro atacherano, noi non potremo resistere molto, ce tocherà ritirarce e saremo punto e a capo, con la diferencia che ora Serventi ci cercherà per matarci! Sahevo que sarebe stato muy meglio remaner ne le catacombe!”

“No, no, non è vero!” esclamò Sebastiano “Abbiamo fatto ciò che andava fatto e ora continueremo: non ci faremo intimidire da nessuno.”

Alora moriremo todos in bataja, ma non resolveremo nada!” Alonso era alquanto sconfortato e si accese uno dei suoi sigari più pregiati, per sicurezza, nel caso avesse dovuto lasciare presto il mondo.

“Non potevi esprimere le tue perplessità, prima?” lo rimbeccò il giovane.

“Io non sono mai stato d’acordo con esto progeto.” ricordò Alonso, ma forse era lui a non rammentare di non aver mai protestato o sconsigliato apertamente.

“Sentite, è inutile che discutiate di questo.” li interruppe Isaia “Abbiamo preparato le nostre varie alternative, giusto? Riguardiamole, vediamo se c’è una tattica adeguata, mescoliamo elementi dell’una o dell’altra, insomma: qualcosa verrà fuori. Abbiamo deciso di attaccare, consapevoli che sarebbe stata dura, non possiamo ritirarci. Tornare indietro equivarrebbe a farci sterminare, ormai siamo qui e dobbiamo andare fino in fondo.”

“E se moriremo non avremo ferite sulla schiena, come i vili che fuggono, ma solo sul petto!” sentenziò Sebastiano, ricordando i suoi studi di epica classica, probabilmente avrebbe voluto aggiungere pure un: O noi daremo gloria al nemico, o lui la darà a noi! –ma si trattenne, ritenendo che non fosse l’ambiente più adatto per pronunciarla.

Iniziarono, allora, a consultare gli appunti e le osservazioni dei giorni precedenti e le mappe. Sebastiano stava per proporre di usare i collegamenti tra le catacombe per addentrarsi nel territorio difeso dai demoni e prenderli nuovamente di sorpresa; in quel momento, però, entrò Delrio, coi capelli un po’ in disordine: era evidente che avesse avuto qualche scontro.

“Scusate per l’attesa.”

“Figurati, Martin.” lo rassicurò Isaia “Che cos’è capitato? Difficoltà?”

L’uomo sbuffò e spiegò: “Bah, uno stregone ha voluto fronteggiarmi a tutti i costi, dicendo di voler vendicare dei suoi amici e … famigliari? Boh, suoi conoscenti, morti a causa mia … non ho idea di cosa parlasse: è dal Seicento che non me la prendo più con gente del genere!”

“Era Niklos?” domandò la ragazza.

“Non lo so, non mi ha detto il nome! Sta di fatto che sarei ancora lì a fronteggiarlo, se non fossero arrivati dei suoi compagni a imporgli di tornare indietro. Allora, com’è la situazione, qui?”

Gli spiegarono cosa gli esploratori avessero visto ed esposero le idee che erano emerse in sua assenza, ma nessuna di esse li convinceva. Poi, tornarono tutti a riflettere e parlottare.

Michela affiancò Martin Antoine, gli fece cenno di mettersi in disparte a discutere e confabularono per alcuni minuti. La ragazza aveva avuto un’idea ma voleva definirla meglio col gesuita pluricentenario e voleva anche il suo sostegno per esporla: era certa che, se ne avesse parlato da sola, Isaia non sarebbe mai stato d’accordo. I due esperti di magia, quindi, confrontarono le proprie opinioni; l’uomo annuì, era decisamente concorde con quella soluzione. Definito il tutto, invitarono Isaia ad avvicinarsi a loro.

“Allora, qualche idea?” chiese il templare, un po’ sconfortato dal fatto che finora non fosse emerso nulla: nei loro piani non avevano mai preso in considerazione una simile quantità di demoni e ora erano molto in difficoltà per quella schiacciante maggioranza numerica.

“Sì.” annuì Delrio “La nostra preoccupazione maggiore è che loro non possano aggredirci in massa, giusto? Quindi, più che a pensare ad un attacco, dovremmo curare le difese.”

“In quale modo?”

“Sigilli protettivi che impediscano ai demoni di accedere ad un’area.” spiegò Michela “Tracciati a una certa distanza gli uni dagli altri, genereranno un campo di energia non attraversabile per le creature infernali.”

Isaia rifletté per diversi istanti, non era completamente convinto, ma gli pareva un’ottima precauzione; domandò: “Come avreste intenzione di posizionarli?”

Fu Martin Antoine a rispondere: “La cosa più logica è tracciare un cerchio o un perimetro attorno al Vaticano, così che siano loro ad essere confinati e non noi. Inoltre, preferirei che includessimo nella loro area anche la nostra catacomba principale, così da poter mantenere attivi i nostri servizi.”

“D’accordo, prendete una mappa e circostanziate la zona, poi richiamatemi e fatemi vedere. Ovviamente sarà un’azione segreta, gli altri non devono saperlo.” puntualizzò Isaia.

“Come vuoi.” assentì Martin, poi aggiunse: “Se vogliamo rendere massimamente efficaci i sigilli, ci farebbe comodo poter attingere all’ampolla col sangue di Cristo, l’hai portata dietro, come avevi detto?”

“Sì. Ve la porto.”

“Meglio se trovi un’altra boccetta e ne travasi una parte.”

“Perché?”

“Non andremo assieme.” continuò a dire il pluricentenario “L’area sarà comunque ampia e noi siamo a piedi: per risparmiare tempo, conviene dividerci.”

Lì per lì, Isaia non disse nulla, ma, quando tornò con le due ampolle e per controllare quale area avessero scelto di sigillare, disse: “Martin, tu puoi andare solo: nessuno oserà dirti alcunché, se ti vedessero tracciare segni strani. Michela, io ti accompagnerò. I miei uomini non vedranno nulla di male, nella tua azione, se ci sarò anch’io. Se riuscissimo, però, ad evitare che anche solo una persona se ne accorga, sarà meglio.”

“E poi, come giustificherai il fatto che i demoni rimangano bloccati?” domandò la ragazza, perplessa.

“Sono l’Arcangelo Michele, no? Potrò ben fare una cosa del genere!” abbozzò un sorrisetto.

“Ah! Noi facciamo il lavoro e tu ti prendi il merito!” scherzò la maga, per nulla infastidita, poi tornò seria, nel dirgli: “Il fatto è che davvero tu potresti riuscirci a fare una simile cosa, se solo ti decidessi ad attingere a tutto il tuo potere.”

“Non ricominciare …” la rimproverò lui, che non aveva voglia di discutere, in quel momento.

“Va bene, ti faccio solo presente che Gabriel usa appieno il suo potere, se tu non farai altrettanto, non potrai vincere.”

Isaia la guardò, per alcuni secondi, come per dire: Probabilmente è così, ma non ci riesco; la sua espressione era un misto tra scusa e severità. Infine disse: “Aspettatemi fuori. Invento una scusa per il nostro allontanamento e poi vi raggiungo.”

 

Contemporaneamente, in Vaticano, anche Serventi e Gabriel stavano tenendo il loro Consiglio di Guerra, proprio nella sala con l’affresco L’Accademia di Atene.

Erano presenti circa una ventina di uomini e uno alla volta esponevano le capacità dei drappelli che capeggiavano ed eventualmente qualche suggerimento tattico. Ogni drappello era composto da un certo numero di gente dotata di poteri e varie decine di demonizzati.

Al Consigli c’era pure Stefano che, in tutto quel tempo, dall’assalto al Centro ad ora, non aveva mai smesso di seguire il suo maestro.

Non erano, però, al completo: mancava Niklos, lo avevano mandato a chiamare, ma ancora non li aveva raggiunti e questo seccava parecchio Gabriel.

Infatti, non appena lo stregone varcò la soglia, Antinori si lo fulminò con lo sguardo e con una certa rabbia lo apostrofò: “Accidenti! Dove ti eri cacciato?”

“Stavo risolvendo una mia faccenda personale!” gli ringhiò Niklos, che non amava doversi giustificare “I tuoi galoppini mi hanno impedito di portare a termine una vendetta che aspetto da decenni, ma che dico: secoli!”

“Devi smetterla di fare di testa tua!” lo rimproverò Gabriel e gli ricordò: “Io sono il Capo!”

Niklos soffiò tediato e replicò: “Io ti ripeto per l’ennesima volta che non obbedisco a nessuno: faccio favori, se mi va. Voi mi volete nel vostro gruppo e io ci sto volentieri: mi fornite vitto, alloggio e siete pure simpatici. Bonifacio ed io siamo buoni amici da sempre e sono ben contento di aiutarlo, ma tu, caro mio, hai un bel da pretendere la mia obbedienza! Non mi impressioni di certo con le tue palle di fuoco e io ho sicuramente molte più esperienza e saviezza di te. Pare che tu sia l’Eletto e allora ti do retta, ma non pretendere ch’io sia come questa marmaglia che ti venera e ti segue ciecamente.”

“E allora non so che farmene di te!”

Gabriel iniziò a formare una sfera di fuoco nella mano, ma intervenne Serventi, con la solita pacatezza: “Gabriel, fermati. Ha comunque risposto alla tua convocazione, inoltre è uno stregone molto potente, ci fa comodo.”

Antinori si calmò, ma continuò a guardare di sbieco Niklos.

“Ad ogni modo” proseguì Serventi “Potrai ucciderlo dopo aver eliminato i templari e questi testardi oppositori. Hai un’idea su come rispondere all’attacco?”

“Certo. Vado là, sfido Isaia, lo concio per bene, i suoi soldatini si spaventano e si danno allo sbando, vedendo il loro capo praticamente finito. I nostri valorosi compagni li inseguono e li sterminano. Fine.”

“Gabriel, te l’ho già detto, non puoi batterti con Isaia.”

“Perché, Bonifacio, perché? D’accordo, è notevolmente migliorato; abbiamo sentito le descrizioni fatte da chi l’ha visto ed è riuscito a mettersi in salvo: bravo, eccezionale! Certo che, se fosse davvero così, non ci sarebbero superstiti. Evidentemente il suo caro Sebastiano gli ha insegnato qualcosa. Ma, insomma, Bonifacio, non hai fiducia in me? Nel mio potere? Lo dici sempre anche tu: io sono l’Eletto.”

“Anche Isaia ha un potere, lo sai, potreste combattervi fino allo sfinimento reciproco e non è ciò che deve accadere.”

Gabriel, molto contrariato, guardò di sbieco Serventi; poi scrollò le spalle e borbottò: “Beh, allora fattelo tu il piano di difesa e reazione, io me ne vado a fare due passi.”

Serventi sospirò impercettibilmente e lo lasciò andare.

Gabriel se ne uscì dal palazzo, non andò neppure da Claudia, ma si diresse il più lontano possibile. Aveva voglia di starsene un po’ da solo: ormai viveva circondato da gente coi poteri. Non gli dispiaceva essere in compagnia di persone superiori all’umano e neppure l’avere attorno così tanti individui pronti ad obbedirlo, servirlo e riverirlo, tuttavia a lungo andare la cosa risultava, talvolta, asfissiante, e lui desiderava isolarsi. Tanto più che con nessuno di loro era riuscito a formare un legame d’amicizia e lui sentiva molto la mancanza di Alonso e pure di Isaia.

Aveva sperato, con quella sfuriata e uscita sgarbata, di avere trovato il pretesto giusto per prendersi un’oretta di rilassamento, lontano da tutto e tutti, ma presto fu affiancato da due demoni.

“Non ho bisogno di scorta.” li avvertì lui, seccato.

“Serventi ci ha ordinato di seguirti.” rispose uno di loro.

Gabriel, sebbene molto contrariato, non disse altro: Bonifacio era troppo apprensivo nei suoi confronti e non c’era modo di liberarsi dalle guardie del corpo che gli affibbiava.

Comunque continuò ad allontanarsi il più possibile dai punti di aggregazione dei suoi seguaci. Mentre camminava per le strade, i civili, spaventati, si rinchiudevano nelle case. Lui ne era ben consapevole e, tra sé e sé, rideva di quei patetici omuncoli che guardava con disprezzo.

Proseguiva e si guardava attorno, in cerca di qualcosa che lo distraesse e finalmente lo trovò. Vide in lontananza due figure umane: quella maschile indossava una tonaca bianca, quella femminile aveva una sciarpa rossa.

Gabriel li riconobbe subito per Isaia e Michela; stavano facendo qualcosa vicino ad un muro: non gli interessava, voleva divertirsi un poco e basta.

Si avvicinò rapidamente e senza farsi notare e, quando fu a pochi metri, esclamò: “Ma guarda un po’ chi si rivede: il sorcio templare!” poi fece cenno di meravigliarsi e continuò: “E addirittura è in dolce compagnia … della strega … di nuovo.” calcò quest’ultima parola.

Per qualche istante fissò la ragazza con ira; poi, sebbene lo sguardo e il ghigno rimanessero terribili, parve rilassarsi e, quasi in un sorriso, disse: “Bene! Avevo bisogno di svagarmi. Recita le tue ultime preghiere, traditrice: ho promesso che ti avrei uccisa e non penserò ad altro, finché non ti avrò tolta di mezzo.”

Gabriel tese il braccio destro davanti a sé e scintille elettriche iniziarono a crepitare attorno alla sua mano.

“Fossi in te, non lo farei.” lo ammonì Isaia, deciso e calmo, stringendo un poco più saldamente la lancia, ma senza assumere una posizione d’attacco.

Antinori abbassò il braccio e, quasi lagnandosi, disse: “Andiamo, Isaia, sii realistico!: che differenza ti farebbe, se la uccidessi?” e qui si fece derisorio: “Tanto non sapresti godertela … sai cosa intendo.” e scoppiò a ridere; quando smise, osservò: “Le uniche donne con cui hai mai avuto a che fare sono suore!”

Isaia aveva già alzato gli occhi al Cielo, pensando: Di nuovo con questa storia! Ma perché ha in testa solo questo?

Avrebbe preferito lasciar perdere l’argomento ma, dal momento che la questione aveva distolto Gabriel dall’intento di uccidere la ragazza, il templare decise di dargli corda e replicò: “Ti ricordo che pure tu avevi a che fare solo con le suore, finché non hai incontrato la dottoressa Munari. Hai trovato un’appassionata di casi umani che ti considera interessante … ma questo non fa di te un don Giovanni.”

“Almeno, però, ho imparato, anche nella pratica, il secondo significato del termine scopare, come tutte le persone di buon senso.” si vantò Antinori.

“Non la considero un’esperienza rilevante.” replicò Isaia, pacato “Specialmente se esposta in questi termini.”

Gabriel si irritò parecchio per quell’ostinato e inutile perbenismo, si accigliò e disse: “Mi hai veramente stufato!”

Poi si rivolse ai demoni: “Voi due, rendetevi utili e date una lezione a quest’insolente.” spostò lo sguardo sulla ragazza, fece uno dei suoi terribili ghigni e disse: “Io mi occuperò della strega.”

I demoni si scagliarono su Isaia, mentre Gabriel avanzò con calma verso la giovane: voleva godersi appieno il terrore nei suoi occhi. Rimase deluso nel vederla allarmata, ma non impaurita. Decise di stuzzicarla con qualche provocazione, ma non ne ebbe il tempo: gli piombò, tra i piedi, il cadavere di uno dei demoni. Si voltò verso Isaia e si accorse che pure l’altro demone era stato ucciso. Dapprima sembrò meravigliarsi, poi parve assumere un’espressione soddisfatta e appunto disse: “Ottimo lavoro! Complimenti! Mi hai davvero tolto un peso, anzi, due. Ora posso fare la mia passeggiata tranquillo, senza la scorta a rompere le scatole! Mi pare incredibile che, proprio tu, sia diventato un così abile combattente, coraggioso per di più. Mi han detto che eri in prima fila, stamattina. Bravo, complimenti! Sono contento di quel che stai diventando.” il suo tono era sincero: nulla, nella sua voce, pareva ironico “Perché non vieni dalla mia parte? Te l’ho detto fin da subito, quando eravamo nella cripta: io non voglio combatterti, io non voglio ucciderti. Ho trovato la vera libertà e la felicità e voglio che tu, il mio migliore amico, ne goda assieme a me.”

Isaia era allibito, rimase ad ascoltare senza dire nulla.

“Pensaci: non più vincoli, non più doveri, solo diritti e piaceri!”

Gli occhi di Gabriel si illuminarono di gioia al solo pensiero, quando disse: “Immagina che cosa potremmo fare unendo le nostre forze!” si era avvicinato all’altro, gli poggiò una mano sulla spalla e, guardandolo, proseguì: “Combattere insieme, fianco a fianco, come solo due amici come te ed io possono fare. Saremmo praticamente invincibili, inarrestabili, temuti e soprattutto rispettati. Pensaci, Isaia, io e te potremo rigenerare il mondo.” era assolutamente convinto di quel che diceva.

Isaia, a sua volta, mise la mano sinistra sulla spalla dell’amico e gli disse: “Gabriel, so che assieme possiamo fare molto. Non è questo, però, il progetto che mi interessa.”

“Ah no?” fu aspro l’altro, forse si sentì offeso “Mi sembrava che il potere ti interessasse e parecchio. Cosa non hai fatto per entrare nel Direttorio?”

“Ho sbagliato, lo so. Ho cercato di migliorare. Tu mi stai proponendo di mettere noi stessi al centro di tutto, ma io non lo posso accettare: bisogna amare soltanto Iddio e odiare soltanto sé stessi!

“A te riesce benissimo di odiarti. Continui a disprezzarti, a non fare ciò che ti contenterebbe e rifiuti la mia offerta di dominio e godimento … e per cosa?”

“Per il Bene, per Dio che tu pure conosci. La tua nuova filosofia è fallita: molti uomini che avrebbero potuto profittare della loro posizione, come i medici, o dei loro mezzi, gente armata, hanno preferito combattere, stamattina, per il bene comune e non secondare i propri interessi. Questo dimostra che da noi sta la ragione e la vera forza.”

Gabriel lo fissò con estrema ira e ringhiò: “Ci avrete anche colti di sprovvista, stamattina, ma questo non significa nulla. Presto lo scontro sarà vero, vi mostreremo la vera forza, il vero potere e a quel punto non avrete che due sole scelte: convertirvi alla legge del più forte o soccombere.”

Gabriel fissò l’amico, come per osservarne la reazione e poi proseguì: “Tornando in argomento, se venissi con noi, potresti concederti quell’esperienza che ora dici di non considerare rilevante.” indicò la ragazza e assunse un tono provocatorio: “Ammettilo che non ti dispiacerebbe provare quell’esperienza con lei. Su, puoi confidarti col tuo migliore amico. E non provare a negarlo: quei due demoni, avresti potuto ritrasformarli in umani, prendendoti qualche momento in più di tempo, invece hai preferito ucciderli, per far prima e poter proteggere lei.”

Gabriel mosse qualche passo verso la giovane e osservò: “Non ti sei scelto male l’amichetta, suvvia non sprecarla. Possibile che tu non senta il richiamo della specie? Non ci credo. Dammi retta: ti farà bene uscire dalla biblioteca. È un’esperienza inebriante, dopo la prima volta, non ne potrai più fare a meno; credimi ci sono passato anch’io. Insomma, è ora che ti decida a conoscerla in senso biblico.”

Gabriel era vicinissimo alla ragazza, bruscamente le afferrò il volto con la mano, piantandole le unghie nella carne, e le chiese: “È vero o no?”

“Lasciala stare!” esclamò Isaia.

L’altro si voltò un momento verso di lui per dirgli: “Sto parlando con lei, se non ti dispiace.”

Il templare sarebbe avanzato, ma Michela gli disse telepaticamente: “Tranquillo, ho in tasca l’ampolla col sangue di Cristo, l’userò per proteggermi, se sarà necessario.”

Gabriel tornò a rivolgersi a lei: “Dicevamo: è vero che sarebbe ora che lui iniziasse a usare l’uccello?” strinse ancora più forte la mano attorno al viso; attese una risposta per qualche momento, non ottenendola, abbozzò un ghigno e disse: “Beh, come si dice in questi casi: chi tace acconsente.”

Lasciò la presa e le passò la mano, con le punte delle dita macchiate di sangue, sotto i capelli e le afferrò fortemente la nuca; si voltò verso Isaia e gli disse: “Per ringraziarti del favore che mi hai fatto” accennò ai demoni morti “Non ucciderò la tua amichetta.” la spintonò con violenza addosso all’uomo, che, istintivamente, con un braccio la strinse a sé, come per proteggerla.

“Fatti insegnare da lei il secondo uso di quel che hai tra le gambe. Magari, spezzando questo vincolo che ti imponi, imparerai a fare a meno di molte altre catene che ti porti dietro e  allora capirai che ho ragione e tornerai ad essere il mio compagno di giochi.”

“Compagno di merende …[1]” sussurrò Isaia.

“Ci si vede piccioncini!” scoppiò a ridere; si allontanò di qualche passo, prima di voltarsi verso di loro e raccomandarsi a gran voce: “Dacci dentro, fratello!” fissò l’amico finché non lo vide diventare rosso in viso, rise di nuovo e finalmente se ne andò.

“Tutto bene?” domandò Isaia, un po’ preoccupato “Ti ha fatto male?”

“No, nulla di che, grazie.”

Le passò la mano, che non la cingeva, sulla guancia, arrossata per la stretta di Gabriel, oltre ai segni delle unghiate, da cui usciva sangue, c’erano anche molti capillari rotti; le chiese: “Sei sicura?”

“Certo.”

“Perdonalo, per favore, non si rende conto di quello che fa.”

“Lo so.”

“Non è davvero cattivo.” lo giustificò ancora Isaia “Quando l’ho toccato con la mia mano, ho provato a toccare la sua anima … Non vuole fare del male o distruggere, semplicemente vuole tenere tutto il bene per sé e i suoi cari. È un bene minore, ma pur sempre bene è. Ha solo la mente offuscata, bisogna solo restituirgli una visione completa.”

“Riuscirai a salvarlo Isaia, non ne dubito.” disse lei dolcemente, ma con decisione.

“Grazie della fiducia.” la guardò negli occhi, così vicini ai suoi e le sorrise “Se ci riuscirò, però, sarà anche grazie a te: mi hai impedito di essere travolto dal credo limitato di Vargas e mi hai suggerito dove cercare la comprensione.”

“Era mio dovere.” rimasero in silenzio alcuni secondi “Ehm … Credo che sia bene finire di tracciare il sigillo e poi proseguire.”

“Ah …! Sì, giusto.” si scosse lui, togliendo il braccio che la stringeva.

Michela riprese l’ampolla e il suo pennino e finì di disegnare un simbolo sopra la parete di una casa, dovette concentrarsi per tenere ferma la mano che, stranamente, le tremava leggermente.

Isaia, visibilmente nervoso, si guardava attorno, per sincerarsi che non ci fossero altri nei paraggi e sospirò: “Meno male che Gabriel era così preso dai suoi vaneggiamenti, da non accorgersi o curarsi di quel che stiamo facendo. Se l’avesse scoperto, avrebbe potuto mandare a monte tutto il nostro progetto.”

Nonostante lo spiccato autocontrollo che mai lo abbandonava, Isaia lasciò trapelare, dalla sua voce, un certo disagio, forse imbarazzo. Si passò il palmo sulla nuca.

“Ecco, qua è finito. Procediamo.” disse lei, risistemando il materiale in tasca e riprendendo il cammino, passando davanti ad Isaia senza guardarlo.

L’uomo la seguì, ma prima lanciò un’ultima occhiata amareggiata ai cadaveri dei due demonizzati, pentito di averli uccisi.

Proseguirono per la via, misurando bene la distanza, ma senza parlare. Prima avevano chiacchierato a lungo, ora rimanevano in silenzio e non perché non avessero più cose da dirsi, semplicemente non se la sentivano. L’incontro con Gabriel li aveva un po’ scombussolati, nonostante non lo dicessero apertamente.

Tracciarono altri due sigilli senza rivolgersi neppure una parola. Isaia ne aveva approfittato per qualche riflessione, ma ora trovava quel silenzio insopportabile. Avrebbe voluto spezzare quella tensione che, almeno da parte sua, era generata per le squallide parole di Gabriel.

Non sapeva, però, cosa dire. La osservava in cerca di un’idea. Ora lei stava tracciando un simbolo su una parete. L’occhio di Isaia cadde sui segni delle unghie di Gabriel, per cui le domandò: “Sicura che non ti bruci il viso dove ti ha afferrata? C’è del sangue, te ne sei accorta? Se-se vuoi, dopo, te li disinfetto.”

Lei ebbe un sussulto interno, poi voltò il viso verso di lui e, sorridente, rispose: “Volentieri, grazie! … È un onore essere medicati dall’Arcangelo Michele.”

“Oh, è il minimo che potrei fare, specialmente per chi mi è consacrato.”

Isaia era riuscito nel suo intento: aveva spezzato il silenzio e ora riuscivano di nuovo a discorrere tranquillamente, senza più pensare all’incontro con Gabriel.

Tornati presso il Caffè che avevano sfruttato per il Consiglio militare, lo trovarono vuoto: Sebastiano, Alonso e gli altri si erano mescolati col resto dei volontari. Il Magister Templi pensò che fosse il momento ideale per disinfettare le ferite dell’amica, come promesso, senza dare nell’occhio.

“Qua abbiamo alcol e cotone.” disse l’uomo, prendendo gli oggetti che erano stati portati lì, prima della precedente riunione, per permettere ai valorosi di ripulirsi i tagli.

Isaia si avvicinò alla giovane e l’avvertì: “Brucerà un poco.”

“Non sono una bambina, un po’ di alcol non mi spaventa.” sorrise lei.

Il prete passò il batuffolo imbevuto sui graffi. Per quel paio di minuti rimasero in silenzio.

“Ecco fatto.” disse lui, appoggiando il cotone sul tavolino lì accanto “Abbiamo scongiurato ogni pericolo di infezione.”

“Grazie!” gli sorrise lei.

Erano l’uno di fronte all’altro, a pochissimi centimetri di distanza, quasi attaccati. Michela si alzò un poco in punta di piedi, sollevò il capo e premette le proprie labbra su quelle di Isaia, fu un bacio a stampo, rapidissimo. Fu talmente veloce che l’uomo non ebbe il tempo di ritrarsi.

Il prete guardò con turbamento la donna; era interdetto. Forse, con qualche secondo in più di tempo, avrebbe detto qualcosa, ma la ragazza lo prevenne, esclamando: “Non dirmi che non hai ma letto Erodoto!?!”

“Certo che l’ho letto.” replicò Isaia, tra il confuso e l’irritato “Che cosa c’entra?”

“Gli antichi persiani usavano salutarsi con un bacio a fior di labbra.[2]” spiegò candidamente lei.

“E allora?” ora era solamente perplesso.

“I Magi sono sorti nell’antica Persia, ricordi?”

Isaia si accigliò un attimo e chiese: “Intendi dire che voi Magi vi salutate ancora così?”

Michela lo guardò in silenzio qualche istante e poi si limitò a dire: “Scusami, non volevo turbarti. Ancora grazie per la medicazione.” si voltò e uscì.

Isaia rimase in piedi, con la mente sottosopra. Poco dopo entrò Delrio, di ritorno dal suo giro, per riferire che tutto era proceduto tranquillamente.



[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Compagni_di_merende

[2]  «Quando i Persiani si trovano per la strada, si può capire, nel modo che segue, se le persone che si incontrano sono dello stesso livello sociale. Se sono pari, si baciano sulla bocca senza pronunciare una sola parola di saluto; se uno è leggermente inferiore all'altro, egli è il solo a baciare l'altro sulla guancia; se invece è di gran lunga inferiore, si inchina e tributa la proskýnesis al suo superiore» (Erodoto)

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Capitolo 28
*** Post scontro ***


Il progetto di limitare l’area di azione dei demoni, tramite i sigilli, andò a buon fine senza intralci.

Isaia e Delrio avevano anche pensato a una bella sceneggiata per impressionare i nemici e galvanizzare i propri alleati. Non appena i demoni fecero cenno d’avanzare, Martin si nascose, invece Isaia si mostrò innanzi a tutti e iniziò a recitare un salmo in latino. A quel punto, il gesuita centenario fece in modo che apparisse una circonferenza luminosa che corrispondesse all’incirca all’area che avevano circoscritto coi sigilli.

Tutti quanti, da ambo le parti si stupirono dell’evento e rimasero perplessi quando la luce si affievolì fino a spegnersi. I comandanti delle forze di Gabriel e Serventi ordinarono ai demoni di avanzare, di non farsi intimorire da qualche trucchetto. Gli esseri infernali avanzarono fino al confine, ma più avanti non riuscirono ad andare: arrivati in prossimità dell’area protetta dai sigilli, venivano respinti all’indietro e le prime file cadevano addosso ai retrostanti. Confusione, stupore e rabbia riempirono le fila dei demoni e dei loro condottieri.

La meraviglia era presente anche presso i templari e i loro alleati, ma loro gridarono di gioia e felicità, gridando a gran voce di Isaia, ma egli fu lesto a dire: “Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Così facciano anche gli uomini! Non lodate i semplici mortali, ma il Signore nostro Dio, poiché tutte le opere che compiamo hanno radici in lui. È Dio che ci protegge, io sono solo strumento per il Suo Verbo.”

Quando finalmente i demoni e i loro capitani capirono che non c’era niente da fare per poter avanzare, la più parte di loro si ritirò, lasciando solo delle sentinelle.

Vedendo la minaccia stornata, anche i templari e i volontari fecero altrettanto. I volontari, per lo più, si misero a correre per le strade, proclamando la liberazione e invitando la gente ad uscire dalle case e a festeggiare. Molti così fecero e le vie si popolarono di gente che gioiva: alcuni stapparono bottiglie pregiate, altri comuni birre, vini o liquori; chi sapeva suonare la chitarra scese con essa per suonare e cantare, mentre gli amici intonavano con lui o ballavano, alcuni avevano portato in strada pianole, alcuni avevano trombe o sassofoni; c’era chi faceva scoppiare mortaretti, petardi e miccette. Insomma, era una gran festa.

I templari, invece, ben sapevano che quella non era certo una vittoria definitiva e che, anzi, in futuro ci sarebbero stati altri scontri aspri e che molti sarebbero ancora morti. A questo proposito,  Isaia si consultò con Abdel e gli altri provinciali per scegliere dove trasferire il loro quartiere generale, in modo che fosse più addentro alla città affinché potessero intervenire rapidamente; ovviamente non sarebbe neppure stato, però, proprio sul confine col territorio ostile. Inoltre, tra i compiti che erano da portare immediatamente a buon termine, c’era anche quello di sbarazzarsi dei demonizzati che sorvegliavano i confini esterni del territorio che fino al giorno prima era sotto il controllo di Gabriel e Serventi. Isaia voleva andare personalmente a riumanizzare tutti quanti. Padre Fylan e altri templari protestarono, dicendo che il Magister Templi doveva occuparsi della direzione di tutte le operazioni e non concentrarsi su una sola questione. Isaia fu, però irremovibile: sapeva bene che i templari non gli avrebbero consegnato prigionieri i demonizzati, ma li avrebbero uccisi. Delegate le questioni logistiche ad Abdel Nassen, Isaia chiamò Alonso e gli chiese se avesse voglia di usare ancora la ciotola di San Giovanni; il bibliotecario ne fu molto contento e andò a caricare bottiglioni d’acqua in auto.

Essendo occupato in questa missione, Isaia aveva delegato a Martin Antoine e Sebastiano il compito di verificare come fosse la situazione nelle catacombe. Delrio aveva molto a cuore la situazione ospedaliera: le forze mediche erano infatti state divise per l’attacco, parte di esse erano rimaste nelle catacombe, parte si erano dislocate altrove per dare soccorso ai feriti dello scontro. Ora, per Martin, era necessario verificare quanto personale era effettivamente ancora nella zona sotto il controllo di Serventi e quanto materiale avessero, per poter poi decidere come riorganizzare il servizio ospedaliero.

A Sebastiano, invece, premeva di appurare che fosse ancora possibile introdurre clandestinamente scorte alimentari.

Sebbene le catacombe principali delle loro attività si trovassero dentro al territorio di Serventi, esse erano collegate, attraverso a passaggi sotterranei, ad altre collocate, invece, nella zona liberata.

Isaia e i suoi stavano dunque gestendo in questa maniera la nuova situazione.

In Vaticano, pure, si stava discutendo animatamente sulla faccenda. In molti parlottavano tra loro, ma non stavano tenendo un Consiglio di Guerra, in quanto non erano presenti né Serventi, né Gabriel.

L’Eletto, infatti, non era ancora tornato dalla sua passeggiata e questo infastidiva parecchio Bonifacio e un po’ lo preoccupava. Quando lo vide rientrare, gli lanciò un’occhiata a metà tra il sollevato e il rimprovero, lo avvicinò e gli chiese: “Dove sei stato, finora?”

“In giro.”

“La tua scorta?”

“È morta.”

Serventi sbuffò sommessamente, contrariato dall’atteggiamento del suo Eletto, ma mantenne la flemma e si limitò ad aggiungere una punta di rimprovero, quando chiese: “Sai che cos’è successo?”

“No.” rispose il giovane, ancora seccamente.

“Isaia ha creato un confine di potere divino che impedisce ai demoni di attraversarlo.”

“Oh, allora non ha seguito il mio consiglio.” considerò Gabriel, un po’ irritato e un po’ deluso.

“Quale consiglio?” pur non dandolo troppo a vedere, l’uomo era alquanto sorpreso.

“Di essere un po’ più umano. Ostinato come pochi!”

“Gabriel, quando gli avresti dato questo consiglio?” Serventi aveva intuito la situazione, ma stentava a crederci.

“Un paio d’ore fa? Su per giù, non ricordo di preciso, non sono mica stato a cronometrare!”

“Non l’avrai mica sfidato, vero?”

“No, no, tranquillo! Non c’era nessuno a guardare, per cui gli ho fatto un discorsetto, ma probabilmente non ha capito un accidente!”

“Che ci faceva in giro da solo?” si interrogò Serventi, pensando fosse importante trovare la risposta a quel quesito.

“Non era solo, era con quella traditrice che pure Niklos vuole. Bah, che avrà di speciale, proprio non so! Comunque, ora ti racconto cos’è successo.”

Gabriel riferì la conversazione e, alla fine, commentò, piuttosto arrabbiato: “Come può essere così ottuso? Ti rendi conto, Bonifacio? Io gli ho offerto di venire qui e dividere il potere alla pari e lui ha rifiutato! È così schiavo! Mi dispiace per lui, io vorrei liberarlo, vorrei che finalmente fosse felice! Come può dirsi contento se non ha mai fatto nulla per sé stesso?”

“Gabriel, sei molto buono a volere che Isaia, nonostante non lo meriti, possa godere del tuo trionfo.” gli disse Serventi, in realtà molto soddisfatto della piega che stavano prendendo le cose “Se davvero vuoi che apra gli occhi e si scuota via di dosso il giogo che lo opprime, allora posso spiegarti quale strada intraprendere per riuscirci.”

“Dimmela!” lo interruppe l’altro.

“Va bene.” acconsentì Bonifacio “Ma, prima, dimmi se sei disposto davvero a qualsiasi cosa pur di salvarlo.”

“Qualsiasi cosa.”

“Lo spero. Per vincere l’animo di Isaia, dovrai renderlo disperato, annientare la sua voglia di lottare, farlo sentire impotente. Il tuo errore, Gabriel, è di avere pietà di lui.”

“Non dovrei?”

“Oh, sì, certo, ma la devi concentrare in odio e disprezzo: quello che hai davanti non è Isaia, ma il suo oppressore. Devi combatterlo, odiarlo e annichilirlo, per poter liberare il tuo amico.”

“Ho capito. Ci sbrigheremo ad annientare il suo esercito, tanto era lo stesso sulla lista delle cose da fare.”

“Non basterà questo. Dovrai farlo sentire solo, privo di forze proprie ed altrui. Dovrai farlo soffrire e umiliarlo. Sei disposto a fare tutto ciò? Odi abbastanza l’oppressore di Isaia?”

“Sì. Patirà tremendamente, finché non lascerà che il mio fratello sia libero e felice.”

“Molto bene, Gabriel.” si compiacque Serventi, sperando che il suo pupillo potesse davvero agire secondo tali intenti.

“Bene; ora scusami, Bonifacio, ma vado da Claudia.”

“Aspetta!” lo fermò l’altro “Stai dimenticando che c’è la questione coi templari da risolvere. I nostri demoni non possono avanzare. Dovresti prendere parte al Consiglio di guerra.”

“Bah, andiamo finalmente a fare una visita alla loro catacomba! Pensano che non ce ne siamo ancora accorti, stupidi! Andiamo là e mostriamo il nostro disappunto.”

“A meno che tu non abbia intenzione di demonizzare l’intera popolazione, cosa che non mi sembra affatto opportuna, in questo momento, quel che fanno nella catacomba ci è utile: dà sollievo alla rabbia della gente, che dunque non pensa seriamente a una rivolta.”

“Allora non facciamo nulla.” rispose Gabriel “Vorranno venire a salvare la povera gente indifesa e noi li aspetteremo al varco. Se tra qualche giorno i templari non si saranno ancora dati una mossa, sarà facile provocarli.”

“Devo quindi dire ai nostri uomini che non reagiremo?”

“Esattamente. Che si tengano pronti in caso di aggressione, ma non saremo noi ad attaccare, almeno in questi primi giorni.”

Serventi non contestò e lasciò che Gabriel andasse da Claudia.

La psicologa si trovava nel salotti di quello che era l’appartamento in cui viveva con Gabriel. In realtà, a quell’ora, normalmente, avrebbe dovuto essere al lavoro. Claudia, infatti, continuava la sua attività di psicologa anche in quell’ambiente; il suo ruolo era quello di aiutare le persone a superare tutte le costrizioni, le convenzioni e imposizioni con cui erano cresciute, li aiutava ad essere liberi, spontanei e naturali. Aiutava soprattutto i più giovani o, per essere corretti, coloro che avevano da poco scoperto di avere poteri e dovevano accettarli. Lavorava anche con quelli che non sapeva essere i cugini di Michela.

Quel giorno però, per via dello scontro e dell’agitazione che ne era conseguita, tutte le attività erano state sospese, comprese quelle del sostegno psicologico e, quindi, Claudia si trovava in casa, assieme all’amica Teresa, approfittando di quelle ore libere per poter guardare alcuni cataloghi per scegliere l’arredamento per la cameretta del figlio che stava aspettando.

Erano intente in ciò, quando arrivò Gabriel. L’uomo salutò entrambe, poi si avvicinò a Claudia e le diede un bacio.

“Come mai sei qui? Credevo stessi pensando allo scontro. Avete vinto?!”

“Per qualche giorno non ci daranno fastidio.”

Claudia parve un po’ delusa, infatti disse: “Avresti dovuto ucciderli o catturarli: finché sono vivi e liberi, quegli uomini continueranno a prendersela con i poveretti dotati di poteri. Immagino ci siano molti che non sono arrivati da noi: sono in pericolo con quegli esaltati in giro!”

“Beh, se si lasciano scoprire e uccidere dai templari, non so se li vorrei nelle nostre fila: non mi piacciono i deboli.”

“Per quanto uno sia forte” commentò Teresa “Se in venti lo assaltano o gli sparano un colpo da lontano, c’è poco da fare.”

“Inoltre ci sono poteri molto importanti che, però, non danno capacità in combattimento.” osservò Claudia “Pensa, ad esempio, al povero signor Muster: le sue previsioni erano straordinarie, tuttavia era piuttosto indifeso.”

“Vero.” parve ammettere Gabriel “Ma se uno sa prevedere il futuro, può evitare che accada, prendere le proprie misure di sicurezza, o non presentarsi nel luogo in cui dovrebbero verificarsi.”

“Era un esempio!” protestò Claudia, poi tornò dolce, nel dire: “Comunque, sarebbe bello avere un veggente qui da noi: mi piacerebbe davvero molto conoscere che cosa ci riserva il futuro!”

Teresa si stupì ed esclamò: “Claudia! È la prima volta che ti sento parlare in questa maniera! Capisco che dobbiamo rivedere il nostro rapporto con i fenomeni che finora consideravamo inesistenti, poiché è innegabile che queste persone siano dotate di poteri fuori dall’ordinario, ma, credere addirittura alle previsioni del futuro, mi sembra eccessivo.”

“Oh, suvvia, non fare la guastafeste!”

Si sentì suonare il campanello. Gabriel andò ad aprire e trovò sull’uscio Stefano.

“Oh, vieni, entra.” lo invitò “Ti manda Bonifacio?”

“No, volevo solo vedere se ti eri calmato. È stato davvero ingiusto, prima, Serventi, a difendere quel presuntuoso di Niklos e a impedirti di scontrarti direttamente con Isaia. Come se potessero esserci dubbi sulla tua vittoria!”

“Bah, guarda, per favore, non nominarmi nessuno di quei due, che è meglio! Non so se è più falso Isaia a dirsi mio amico e poi volermi uccidere, oppure Bonifacio che mi chiama Eletto, che dice che sono qui a guidarvi e poi le decisioni le prende lui.”

“Sì, molto scorretto.” concordò il ragazzo.

“Ehi Claudia!” esclamò Gabriel, illuminato da un’idea “Volevi una previsione del futuro? Chiedi a Stefano! Potrebbe riuscirci.”

Intanto i due uomini erano andati a sedersi sulle poltrone vicino al divano su cui erano le due psicologhe.

“Ma lui non è un veggente.” fece notare Claudia.

“Vero.” confermò Gabriel “Ma sono sicuro che può costringere l’anima di qualche veggente morto a reincarnarsi in lui e, quindi, potrà attingere alle sue capacità. È così che funziona il tuo potere, vero?”

“Sì, precisamente.”

Stefano, l’anno prima, aveva inconsapevolmente attivato il proprio potere, facendo reincarnare in sé un soldato nazista ed era stato aiutato da Gabriel a liberarsi; dopo questo fenomeno, però, era stato contattato dalla setta del Candelaio e, affiancato da altri, aveva compreso la natura del proprio potere e aveva imparato ad usarlo a proprio piacere. In pratica lui era capace di evocare l’anima di un defunto, fissarla nel proprio corpo, sfruttarne le capacità senza difficoltà e poi rilasciarla. Era pure un ottimo modo per interrogare la gente dopo averla uccisa.

“Quindi puoi davvero prevederci il futuro?!” domandò Claudia, entusiasta.

“Posso provarci.” rispose Stefano “Devo sperare di riuscire a trovare un vero veggente e non un ciarlatano. Lasciami qualche minuto di tempo per concentrarmi.”

Gli lasciarono il tempo necessario e poi iniziarono a riempirlo di domande e trascorsero così più di un’ora.

 

La situazione, dunque, continuava a rimanere paralizzata, in Vaticano aspettavano che i templari si decidessero ad agire, mentre i templari per il momento si stavano riorganizzando e ricollocando nel nuovo quartier generale. Isaia vi arrivò ben dopo l’ora di cena: aveva girato tutto il giorno con Alonso alla ricerca di demonizzati (per fortuna riusciva a percepirne la presenza entro una certa distanza) e a riumanizzarli. Aveva poi accompagnato Alonso in Villa, avrebbe voluto ripartire subito, ma l’archivista lo convinse a fermarsi a mangiare un boccone, dato il tardo orario. Trovarono della zuppa di farro e verdure avanzata, che si stava raffreddando sul fondo di un pentolone: gli altri avevano già cenato. In Villa trovarono Sebastiano e Michela che fecero loro compagnia e li aggiornarono: la ragazza riassunse brevemente quanto stavano organizzando i templari e i volontari, mentre Sebastiano raccontò l’esito dell’ispezione alla catacomba (era piuttosto soddisfatto) e spiegò che Delrio aveva preferito fermarsi là.

Nonostante l’invito a fermarsi per la notte, Isaia ripartì appena ebbe vuotato il piatto.

Gli abitanti della Villa non restarono svegli a lungo quella sera: era stata una giornata intensa per tutti. Il mattino seguente, in un momento in cui era certa di non essere vista da nessuno, andò da San Giovanni per riferirgli quanto fosse successo.

Il Battista fu contento di essere informato, ma borbottò qualcosa circa il fatto che non gli avessero parlato subito.

“Dunque questo è tutto?” domandò la testa, dopo aver ascoltato attentamente il resoconto.

“Sì. Lo scontro si è risolto in una serie di scaramucce e poi si è finiti in una situazione di stallo.”

“Spero che quel testone di Isaia si decida a seguire la mia strategia! Combattere non serve a nulla, ma lui si ostina per questa strada! Spero solo che ciò non si debba considerare un’avvisaglia di una sua propensione verso il male.” si impensierì Giovanni.

“No!” esclamò subito la ragazza “Assolutamente no!”

“Come puoi esserne certa? Da quanto mi avete raccontato, già qualche mese fa l’hai dovuto salvare da se stesso.”

“Appunto.” ribatté lei “È tornato sulla retta via e non ha più abbandonato il selciato. Ne sono sicura! Come potrebbe smarrirsi ancora, specialmente ora che sa di essere l’Arcangelo Michele!?”

“Sai bene, quanto me, come il confine tra giustizia e vendetta, o ferocia, sia sottile.” la ammonì pazientemente Giovanni.

“Appunto per questo ci sono io!” dichiarò la donna con estrema risolutezza “Io devo stargli vicino e impedire che vacilli. Finché sarò al suo fianco non c’è pericolo che si lasci sopraffare dagli eventi e, in ogni caso, sono sicura che, anche senza di me, lui non avrebbe alcuna difficoltà e rimanere nella luce.”

“Idealmente è così, non sono certo lo sia pure nei fatti.” borbottò il Battista.

“Perché non hai fiducia in lui?”

“Mi fido, mi fido … ma sono più tranquillo quando sei con lui. Si vede lontano un miglio che, quando è con te, Isaia è più sereno e che, nonostante questa guerra (perché è così che va chiamata), non corre il rischio di farsi vincere dallo sconforto.”

Giovanni si fece imperativo nell’intimare: “Prometti che gli starai vicino ogni secondo che ti sarà possibile.”

“Lo prometto.” disse lei con decisione, poi però arrossì e chinò lo sguardo.

“Che cosa ti prende adesso?” domandò il Battista, perplesso “Credevo saresti stata entusiasta e invece ti stai imbarazzando. Hai omesso di dirmi qualcosa?”

Se, forse, prima, Michela non era imbarazzata, ora lo era di certo. Si portò una mano al collo e iniziò a grattarselo nervosamente. Era indecisa: raccontare o tenere la questione per sé?

“Allora? Sto aspettando.” la esortò Giovanni.

“E va bene!” si arrese la ragazza che, in realtà, sentiva il bisogno di confidarsi, ma non sapeva con chi “Quando siamo andati a tracciare i sigilli, ci siamo imbattuti in Gabriel, che ha detto una marea di cose.”

“Di che genere?”

“Fondamentalmente erano tutti tentativi mirati a convincere Isaia a seguire desideri, passioni, ambizioni, perché lo vuole dalla sua parte.”

“Ovviamente. Quindi? Qual è il problema?”

A questo punto la vergogna crebbe nella giovane che cercò le parole, ma era in difficoltà, poi disse con fatica: “Gabriel ha insistito sull’ipotesi che Isaia possa provare per me qualcosa di più che amicizia …”

Michela si interruppe, in difficoltà a proseguire.

Giovanni non diede cenno di stupirsi, né di trovare assurda la questione e rimase in attesa del resto.

“Ecco …” riprese la ragazza “Io ho fatto l’errore di credergli …”

“Perché errore?”

“Perché evidentemente aveva torto.”

“Ne dubito. Comunque!, continua.”

La giovane era parecchio nervosa, continuava a martoriarsi il collo nel tentativo di rilassarsi; si guardò attorno per essere certa non ci fosse nessuno nei paraggi, poi si decise e d’un fiato disse: “L’ho baciato.” e subito precisò: “A stampo.”

“Ne sarà stato contento.”

“No, per niente. Era, anzi, piuttosto arrabbiato.”

“Stupido!” e se avesse potuto, avrebbe scosso il capo.

“Per fortuna avevo pronta la scusa della tradizione persiana.”

Ah-ah-ah” rise Giovanni “La tattica dell’uso persiano! Non credevo si funzionasse ancora! A Gerusalemme, ai miei tempi, la usavano già da secoli! L’avevano appresa appena dopo la cattività Babilonese, quando Ciro li liberò ed Ebrei e Persiani erano in ottimi rapporti.”

“Va beh, comunque non credo si sia molto convinto di quest’usanza.” era preoccupata e dispiaciuta “Ho paura che sia ancora arrabbiato con me.”

“Perché lo pensi?”

“Non solo ieri sera si è fermato qui sì e no un quarto d’ora, il tempo di mangiare qualcosa e poi è ripartito (questo avrei potuto comprenderlo), ma anche non mi ha parlato telepaticamente, prima di dormire. Da quando sono arrivati i templari, lui conversava sempre con me, le notti in cui dormiva da loro, ieri, invece, non ha detto nulla.”

“Questo non vuol dire che sia arrabbiato. Ci sono altre possibilità: forse ha dovuto lavorare fino a tarda notte e non voleva disturbarti, oppure potrebbe avere pensato che tu fossi in imbarazzo e non ha voluto metterti in difficoltà. Ad ogni modo, se anche avessi ragione tu, sono certo che non potrà tenerti il broncio a lungo.”

“Come mai?” la sua voce era stata un misto di perplessità e speranza.

“Io sono convinto che Gabriele non ci abbia visto male in questa faccenda e, tu pure lo sai, i cuori delle persone non possono avere segreti per lui.”

“Allora, forse, è anche peggio!” ribatté lei che aveva una gran confusione in testa “Se Isaia si accorgesse di nutrire per me qualche sentimento diverso dall’amicizia, molto probabilmente erigerebbe un muro insormontabile e allora addio al mio compito di stargli vicino e assicurarmi che non si smarrisca.”

“Che cosa pensi di fare?” era la domanda di chi sa bene come sia necessario agire, ma è curioso di sentire il parere di qualcun altro, fosse anche solo per farsi due risate.

“Nulla. Continuerò a comportarmi da amica, come ho sempre fatto e terrò a bada i miei sentimenti. Isaia ha già da pensare a questa dannata faccenda con Gabriel, Serventi e così via, non posso complicargli le cose e metterlo in difficoltà con le mie ingiuste pretese sentimentali, per cui mi comporterò come devo, per il Bene.”

“Se davvero vuoi eseguire il tuo dovere” la ammonì Giovanni “Allora dovresti deciderti ad usare il tuo potere.”

“Impossibile! Isaia è già seccato che io e Martin usiamo la magia di tanto in tanto; ha pure voluto tenere segreti i sigilli; hai idea di come reagirebbe, se mi mettessi a risvegliare la Luce Astrale nella gente? Ecco, questo lo potrebbe far adirare e scivolare verso il male. Non è pronto, ancora. Ho dovuto usare il mio potere su di lui, per riuscire a farlo essere più consapevole di sé e delle sue potenzialità e ancora non è stato sufficiente. Su Sebastiano, almeno, ha avuto maggiore effetto: lui ha riscoperto il potere gesuitico e lo sta impiegando egregiamente.”

“Già ma potresti potenziare un po’ di più il gruppo dei gesuiti, non credi?”

“Sì, va bene.” acconsentì la ragazza “Li guiderò un po’, ma farò in modo che riscoprano le proprie forze da soli.”

“Mi pare giusto. Comunque, non dovresti nascondere così tanto la magia: sai quanto è fondamentale, non dovresti negarla solo per compiacere Isaia.”

“Non è per compiacerlo.” si difese la ragazza “Benché io non le comprenda, lui avrà le sue buone ragioni per volere che non si sbandieri la magia … forse vuole tenerla come sorpresa contro Serventi.”

“Sai che non è così, sai che lui continua ad avere paura di non saperla gestire e sai che non ha ancora abbracciato completamente il suo essere: lui attinge alla propria natura, ma deve imparare a viverla, sempre!”

“Farò del mio meglio per indicargli la strada.”

“Conviene anche a te e non solo per il mondo.” la informò Giovanni, con un tono benevolmente divertito.

“In che intendi?”

“Beh, liberato dalle sue paure ed essendo ciò che ho, probabilmente accetterà benevolmente i vostri sentimenti.”

Michela divenne di nuovo rossa. Si affrettò a ringraziare e congedarsi dal Santo e poi si allontanò.

Era ancora piena di vergogna. D’accordo, forse non aveva detto chissà che cosa ma, parlare di certe questioni con San Giovanni!?! Era impazzita? Specialmente in una situazione come quella!

Va bene, in realtà tutto ciò che avevano detto era rimasto strettamente legato al buon esito della lotta contro il male, però …

Non era facile, per nulla. Si era tanto sforzata di reprimere il sentimento che provava, per non compromettere il buon esito della vicenda, e ora tutto era forse andato a rotoli!

No, forse stava esagerando. Tutto a rotoli, perché? In fondo non era successo nulla.

Beh, non proprio nulla, per lo meno in lei.

Fin dalla prima volta in cui aveva visto Isaia, Michela aveva intuito che la sua devozione per l’Arcangelo si sarebbe presto trasformata in amore verso l’uomo. La certezza le era nata al loro terzo incontro, quella sera in cui lui era capitato a casa sua d’improvviso e lei aveva condiviso con lui la cena e la meditazione. Fin d’allora lei aveva compreso che era lui la persona con cui voleva praticare l’esercizio della vita.

Oh, aveva anche capito che le sue fantasticherie sarebbero sempre e solo rimaste nei suoi sospiri e, soprattutto, sapeva che, in quel periodo, non erano né salutari, né utili. Aveva dunque preso tutte quelle emozioni e se le era proibite, le aveva come chiuse in una sorta di vaso di Pandora, per evitare che la disturbassero. Ora, però, il coperchio era stato sollevato e, si sa, è sempre difficile richiuderlo.

Michela si accorse che stava girando per la Villa senza meta. Guardò l’orologio: mancava ancora un’oretta, prima del suo turno in radio. Decise, allora, di approfittarne per stare con Giorgio. Dov’era?

Si mise a cercare il figlioletto e a chiedere in giro di lui. Padre Eleuterio le disse di averlo visto giocare in giardino con un giovanotto che non gli pareva di aver mai visto prima. La donna andò a controllare e rabbrividì: Giorgio stava giocando con Niklos.

Come li aveva trovati?

“Giorgio! Vieni subito qua!” si affrettò a dire la donna.

Il bambino corse dalla mamma, sorridente.

“Ti ho detto molte volte che non devi parlare con gli sconosciuti.”

“Lui ha detto di essere papà.” si giustificò il bimbo.

La donna fremette, si morse il labbro inferiore, poi disse al figlioletto: “Vai dentro casa, ora. Non fare i capricci.”

Il bambino obbedì. Michela rimase in piedi, braccia conserte, con uno sguardo furioso verso Niklos.

Lo stregone, rilassato o addirittura svagato, si avvicinò alla ragazza ed esordì: “Parla bene il nostro piccolo, per la sua età, quanto ha?”

“L’hai visto? Sei contento?” replicò aspramente la ragazza “Bene, ora vattene e non avvicinarti più né a me, né a lui.”

“No, no, no!” la contraddì lui “Io ho tutto il diritto di occuparmi di mio figlio e di volere che cresca nel modo migliore. Questo ambiente non mi sta affatto bene!” la sua voce si caricò d’ira “Non voglio che Giorgio abiti sotto lo stesso tetto di Martin Antoine Delrio, che è il responsabile della morte di alcuni dei suoi fratelli.”

“Cosa stai dicendo?”

Facendole una carezza, Niklos rispose: “Donnola mia …”

“Non chiamarmi così!” sibilò lei e scostò la mano dell’uomo.

“Lo sai che ho qualche secolo alle mie spalle e che ho avuto molte altre donne, prima di te. Erano il 1601, quando con la mia famiglia mi trasferii nelle Fiandre, per la precisione proprio a Douai. All’epoca avevo davvero i trent’anni che dimostro. Io, i miei famigliari, e altri nostri parenti, che eravamo già stregoni, cercammo una congrega in cui entrare per continuare i nostri riti e le nostre pratiche. La trovammo e per un paio d’anni vivemmo serenamente, ma poi …” nonostante la voce non fosse alterata, sul suo volto comparve la sofferenza “Poi fummo scoperti dagli inquisitori, capeggiati da Delrio. La nostra congrega fu aggredita a tradimento durante un sabba: molti morirono quella notte stessa, compresi i miei figli. Sai, non era accettabile, per l’opinione pubblica, che dei bambini fossero processati per eresia o stregoneria e torturati, quindi venivano uccisi immediatamente e i loro corpi erano dati in pasto ai cani di quei bastardi! Quella notte riuscii a fuggire, non sapendo, non rendendomi conto. Ma l’ho sognata e risognata migliaia di volte e ogni volta spero che qualcuno mi uccida, perché avrei preferito infinitamente essere morto anch’io. Sono sopravvissuto, però, e ora ho su di me il dovere della vendetta. Da secoli disprezzo la Chiesa e la sua ipocrisia, per questo mi sono trovato in perfetta amicizia con Bonifacio. Da secoli cerco Delrio per vendicare la mia famiglia, i miei amici, la mia comunità. Ora l’ho trovato e lo ucciderò. Intanto, però, non voglio che stia di nuovo così vicino a un mio figlio.”

Michela provò una grande compassione e non poté essere più arrabbiata; placidamente gli disse: “Il tuo dolore è naturale, immagino sia esso a darti potere nella stregoneria. Al di là di ogni discorso moralistico che si potrebbe fare contro il sentimento di vendetta, ti voglio dire soltanto che l’uomo responsabile della morte dei tuoi cari, non esiste più. Lui, ora, ha abbracciato la magia, è pentito del male che ha fatto.”

“Non mi interessa. Non si può cancellare quello che ha fatto e io mi vendicherò. Ora, chiama nostro figlio ed o me lo consegni, oppure vieni anche tu con noi. Giorgio, però, non resterà di più sotto questo tetto.”

Il volto di Michela era deciso e risoluto; lei, con cipiglio autoritario, disse: “No. Tu te ne andrai senza di me e senza mio figlio. Se provi a protestare o a prenderlo con la forza, ti trasformo in un onagro e sai che posso farlo facilmente.”

Niklos la guardò con ira per qualche secondo, poi scosse la testa e con disprezzo borbottò: “Siete tutti uguali. Minacciate e basta.”

Lo stregone si voltò e se ne andò dissolvendosi pian piano in nebbia, nel mentre, pensava: Ti conviene badare bene a quel bambino, perché, appena ti distrarrai, io me lo prenderò.

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Capitolo 29
*** Accettare quel che c'è in noi ***


Erano trascorsi un paio di giorni dagli scontri. Sebastiano e Alonso, dopo aver trascorso una notte in Villa, avevano coordinato i lavori dei volontari per il buon funzionamento e sostentamento delle attività, in seguito erano tornati nella catacomba e da lì, poi, sia aggiravano con altri gesuiti per la città a svolgere la loro funzione di sostegno spirituale clandestino alle persone che ancora vivevano sotto il regime di Gabriel e Serventi.

Sebastiano era stato sollecitato da Michela a fare, il prima possibile, una visita alla Villa con l’intera squadra di gesuiti, per un esercizio particolare. Il giovane, dunque, il terzo giorno radunò il suo gruppo e, tramite i passaggi sotterranei, tornarono nella parte di città liberata, portandosi dietro alcuni sacchi pieni di lenzuoli, bende e garze dell’ospedale da lavare e sterilizzare. Caricarono le auto e, prima di partire, si fermarono presso il quartier generale dei Templari per ritirare anche alcune loro cose da portare in Villa. Sebastiano si recò subito a salutare il proprio maestro e, tra una chiacchiera e l’altra, Isaia decise di andare anche lui a trascorrere la giornata in campagna: lì in città non capitava nulla e lui aveva decisamente bisogno di allontanarsi da Fylan e persone simili, inoltre era tranquillo, poiché lasciava tutto nelle mani di Abdel; era certo che qualche ora in Villa sarebbe stato un toccasana, era sicuro che là avrebbe trovato un po’ di serenità.

Le macchine partirono e,  dopo il consueto tragitto, arrivarono a destinazione. Isaia e Sebastiano non fecero in tempo a scendere dalle automobili che Giorgio corse loro incontro e si mise a scorrazzare attorno e a raccontare cose. Maestro e allievo rimasero lì con lui, mentre gli altri gesuiti cominciarono a scaricare le auto.

Pochi minuti dopo uscì Michela, dapprima sembrò preoccupata, ma appena vide Giorgio si rilassò. Andò vicino ai due preti, li salutò velocemente, poi guardò con rimprovero il figlioletto e gli disse: “Giorgio, che cosa ti ho detto l’altro giorno?”

“Non ho disobbedito.” si lamentò il piccolo “Con loro posso giocare!”

“Sì.” rispose pazientemente la madre “Ma ti ho anche detto che devi sempre e, ripeto, sempre, stare vicino o a me o a uno dei nostri amici e chiedere sempre di accompagnarti in qualsiasi posto vuoi andare.”

“Lo so.”

“Allora perché sei uscito senza dire nulla? Mi hai fatto avere paura.”

“Scusa.” disse il bambino e abbracciò la madre che subito si intenerì e cacciò via l’aria severa.

Isaia osservò, bisbigliando all’amico: “Non è mai stata così apprensiva.”

“Ha i suoi buoni motivi.” replicò Sebastiano, sempre sottovoce.

La donna, dopo che Niklos si era allontanato, colma di preoccupazione, aveva subito avvisato l’amico, l’unico a cui avesse confidato l’identità del padre di Giorgio. Il prete l’aveva rassicurata e le aveva promesso che lo avrebbe protetto lui, quando si fosse trovato in Villa.

Sebastiano guardò il bambino e gli chiese: “Allora, Giorgetto, hai imparato ad usare la spada, oppure no?”

“Sì!” esclamò allegro il bambino.

“Non ci credo.” scherzò Sebastiano.

“Non è un po’ piccolo per le spade?” chiese Isaia, perplesso.

“Sono finte, di legno.” si premurò di spiegare il discepolo “Bisogna che prendano la mano e l’istinto fin da piccoli, se si vuole che diventino bravi a combattere. Dai, Giorgetto, fammi vedere.” sollevò il bambino e si allontanò con lui.

“Allora, come va?” chiese Isaia alla ragazza, dopo qualche momento di silenzio.

“Bene, grazie, tu?”

“Non vedo l’ora che tutto sia finito.” sospirò l’uomo, poi chiese: “Come mai sei stata così dura con tuo figlio? In fondo è solo venuto in giardino.”

“Ho i miei buoni motivi.” tagliò corto la ragazza.

“Questo l’ha detto anche Sebastiano. Non vuoi espormeli?” la sua voce era rimasta pacata.

“No.”

“Ti fidi più di lui che di me?” si poteva sentire un vago sapore di delusione in quel tono.

“Non è questione di fiducia, ma di circostanze.”

“Io credo sia sempre una questione di fiducia.”

“E io credo che questo possa definirsi tentativo di manipolazione. Cercare di farmi venire i sensi di colpa non ti servirà per ottenere informazioni. Per favore, rispetta la mia scelta e non insistere e non chiedere neppure a Sebastiano. Adesso, scusami, ma devo andare a preparare la stanza per l’esercizio coi gesuiti.”

Mosse qualche passo, arrabbiandosi con sé stessa per essere stata così fredda e secca: per la paura di essere troppo calorosa, si era comportata in maniera quasi sgarbata.

“Aspetta!”

Michela si fermò, temendo che Isaia la stesse per rimproverare.

“Posso darti una mano?”

Che sollievo sentirgli dire quelle parole!

La ragazza si voltò verso di lui e, sorridendo, gli rispose: “Certamente!”

Lui la raggiunse e poi camminarono fianco a fianco. Salirono fino all’ultimo piano della Villa e, lì, Michela aprì una porta che permetteva di accedere a un vasto salone con un paio di pareti a vetrata e le altre ricoperte di lastre a specchio, il pavimento era in parquet.

“Che posto particolare.” constatò Isaia, mettendosi al centro della stanza “Sembra quasi di essere sospesi nel vuoto.”

“Eh, questa è la stanza per le meditazioni, viaggi astrali e così via. Nei giorni scorsi, ho dovuto lavorare parecchio per poter far defluire tutte le energie dei miei parenti che si erano accumulate qua.”

“Cosa c’è da fare?”

“Beh, possiamo cominciare col sistemare gli incensi.” prese diversi bastoncini d’incenso “Questi li devi mettere nell’angolo a nord, questi altri ad est. Io penserò agli altri.”

Nel giro di pochi minuti avevano collocato incensi, pietre e avevano sistemato l’impianto audio.

“Bene” disse la ragazza “Ora non resta altro che attendere Sebastiano e gli altri.” guardò l’orologio “Tra una decina di minuti dovrebbero essere qui.”

La ragazza si sdraiò a terra: gamba destra stesa, mentre la sinistra era piegata e col piede affiancava il ginocchio dell’altra; i palmi delle mani erano congiunti sopra la testa; gli occhi erano chiusi e la bocca semiaperta.

“Che fai?” le chiese lui.

“Aspetto.”

“In questa maniera?”

“Perché no?”

Isaia trovò buffa la cosa; la osservò: era rilassata, sul suo volto era dipinta una serena tranquillità. Si accorse che pure lui stesso era molto più calmo; come aveva immaginato, gli erano bastati pochi minuti in Villa affinché tutto il tedio e le difficoltà nel gestire i templari e lo scontro gli sembrassero decisamente più sopportabili e meno gravosi. Era certo che, se avesse potuto gestire tutto quanto da lì, il suo sistema nervoso gliene sarebbe stato davvero grato. Che strano! Chissà cosa c’era, in quel posto, a renderlo tanto tranquillo e quieto.

Dopo qualche lungo momento di silenzio Isaia parlò di nuovo: “Sebastiano mi ha riferito che oggi farete una meditazione dinamica, che cosa vuol dire?”

“La meditazione normale serve a congiungersi col divino, ma il più delle volte è inutile, poiché non conosciamo abbastanza noi stessi, abbiamo dei blocchi, accumuli di energie oppure ce ne mancano. È dunque necessario fare un lavoro su di sé per riscoprirsi, per attivare tutte le nostre energie e poterle, pian, piano conoscere, imparare ad usarle e, soprattutto, ad ascoltarle per capire meglio noi, i nostri bisogni e il rapporto col mondo che c’è attorno.”

“Messa in questi termini, sembra quasi psicologia. Chissà cosa ne direbbe la dottoressa Munari.”

“È qualcosa di più.”

“Posso partecipare anch’io? Mi hai messo curiosità, adesso.”

“Certo che puoi. Anzi, mi fa molto piacere. Ti avverto, però, essendo la prima volta che lo fai, potresti trovarlo traumatico. L’esercizio si basa sull’abbandono del corpo alle proprie energie, impedire alla mente di avere il controllo. Può non essere facile, specialmente per te che sei abituato ad essere sempre pienamente padrone di te stesso; tu devi però sforzarti di non controllarti per la prossima ora, lascia che il corpo vada per conto suo.”

“Ci proverò.”

Pochi minuti dopo arrivarono Sebastiano e i suoi confratelli, per cui si poté dare inizio alla meditazione dinamica. Michela spiegò che essa era composta da cinque fase: una di respiro, una di abbandono, una di salti, una di immobilità e in fine una di danza abbandonata. Ogni stadio era accompagnato da una precisa e particolare musica, studiata per favorirlo. Tutto ciò doveva essere eseguito con gli occhi chiusi.

Fase Prima.

La respirazione che bisognava eseguire consisteva nel soffiare col naso il più forte e caoticamente possibile. Bisognava cacciare via l’aria con violenza quasi, senza seguire un ritmo preciso. Inoltre ci si accompagnava col movimento della testa e le braccia erano tenute ad ali di gallina e si muovevano in modo tale da sembrare un mantice che, chiudendosi, faceva uscire l’aria. Le gambe dovevano essere sciolte e non irrigidirsi.

Isaia eseguiva l’esercizio. Dapprima non gli piacque per nulla, stava quasi male. Non solo gli sembrò di andare in iperventilazione (cosa che non era possibile in quella maniera) ma iniziarono pure a dolergli gli addominali laterali. Ogni espirazione era una fitta ai fianchi. Poi il male sparì.

Effettivamente gli pareva che qualcosa fermentasse o scoppiettasse in lui. All’improvviso si accorse che il movimento su-giù della testa aveva preso anche il resto del corpo: la sua schiena e le sue ginocchia, accompagnavano il moto della testa e del respiro in maniera del tutto volontaria. Si sentiva quasi come un pallone da basket che viene palleggiato. Il movimento era sempre più forte, sempre più energico, tanto che ad un certo punto lui cadde a terra.

Era strano. Sentiva il suo corpo che iniziava a muoversi per conto proprio e non si spiegava come ciò fosse possibile: quando lo aveva avvertito la ragazza, lui non le aveva creduto.

Fase Seconda.

Quando si sentì il suono del tamburo che sanciva il passaggio da una fase all’altra, Isaia, contrariamente a quanto avesse creduto, non ebbe alcuna difficoltà a lasciare che il suo corpo si abbandonasse. Anzi, sul finale della respirazione, aveva dovuto trattenerlo per mantenere il moto prescritto. Ora ecco che le sue spalle e il suo bacino si agitavano da soli, ruotavano, ondeggiavano. I piedi iniziarono a muoversi freneticamente e in modo contradditorio, non lo volevano portare da nessuna parte, si agitavano e basta. Poi i passi si fecero lenti e pesanti, i piedi si calavano a terra con forza, tanto che le piante vibravano e gli fecero male. Poi si sentì come afferrato al petto e tirato a terra. Cadde sul pavimento e dalla sua bocca iniziarono ad uscire versi lamentosi, di tristezza e dolore. Per fortuna c’erano anche altri che urlavano o mugugnavano, per cui non ebbe da vergognarsi.

Ancora a terra, le sue braccia e le sue gambe iniziarono a dimenarsi come se stesse nuotando; le sbatteva sul pavimento e non poteva impedirlo.

Finalmente si rialzò in piedi e le sue braccia cominciarono a fare movimenti circolari, sempre più rapidi. Le sue spalle ruotavano a una tale velocità che l’uomo temette di decollare da un momento all’altro.

Ora capiva perché la ragazza lo aveva avvertito circa il fatto di trovare traumatizzante quell’esperienza. Sentiva la mente completamente separata dal corpo. Era come se la sua mente fosse stata rinchiusa da qualche parte e come se spiriti o energie, che non conosceva, avessero preso possesso del suo corpo.

Più tardi avrebbe sentito Sebastiano definire quell’esperienza come un pogo con gli spettri.

Tutto quanto ciò era abbastanza sconvolgente per Isaia, ma ciò che lo impressionò di più fu questo: per tutto il tempo aveva sentito forze, energie che gli guizzavano nel corpo e, quindi, nonostante non ne avesse il controllo, lo sentiva vivo; ad un certo punto, però, si sentì spegnersi a partire dal basso e poi, pian, piano, sempre più in alto. Tutto il suo corpo si paralizzava e si irrigidiva; lui non lo sentiva più. Soltanto dalla parte del collo in su si sentiva ancora vivo, percepiva tutta l’energia concentrata nel collo e nella testa, poi forse più neppure nel collo. Tutto era condensato nella testa, quasi stesse per esplodere. Si mise in ginocchio e poi premette la testa a terra, ma non la fronte, proprio la sommità, come nella prima parte di una capriola e spinse, premette a terra in cerca di sollievo.

Fino a quel momento, le urla e i versi altrui non lo avevano disturbato; adesso, però, c’era il lamento di qualcuno che lo infastidiva. Era davvero tedioso, insopportabile.

Isaia si rizzò in piedi e iniziò a ruggire!

Non un ringhio. Non un versaccio. Un vero e proprio ruggito.

C’era questo suono, questa forza che esplodeva nel suo bassoventre e saliva e fuoriusciva dalle sue fauci nel bestiale verso di una tigre.

Isaia era impressionato. Spaventato. Era suo quel ruggito?

Tutta quell’energia furiosa che lo riempiva era stranissima e insospettata.

Fase Terza.

Finalmente suonò il tamburo. Ora dovevano saltare. Bisognava sempre atterrare con tutta la pianta del piede. Ulteriore difficoltà era quella di tenere le braccia sollevate e tenute ad angolo retto. In più, ad ogni salto bisognava gridare: “HUH!”

Isaia, dapprima, provò sollievo, credette che quell’esercizio regolato lo avrebbe fatto stare meglio e invece no. Dopo un primo momento, iniziò ad avvertire un tremendo mal di testa, come un muto ronzio che gli vibrava dentro il cranio e gli faceva male. Aveva voglia di gettarsi a terra e rimanere lì, finché non fosse tutto passato. Invece, doveva continuare l’esercizio e questo lo innervosiva parecchio. Sentiva della rabbia agitarsi in lui, rabbia per il non potersi concedere quel riposo di cui sentiva il bisogno, ma che non poteva prendersi.

Fase Quarta.

Ecco il tanto agognato momento di quiete. Dovevano rimanere fermi immobili e ascoltarsi, ascoltare il proprio corpo, ascoltare le proprie energie, ascoltare i propri pensieri. In pratica: ascoltarsi.

Già, quante volte o per la fretta, o per i doveri, o per abitudine, o per pregiudizi, non abbiamo la più pallida idea di cosa vogliamo davvero? Di cosa ci stia rendendo felici? Delle nostre risorse?

Isaia, quindi, si stava ad ascoltare, ad essere testimone di se stesso, del vero se stesso.

Sentì il potere dell’Arcangelo, lo sentì chiaro nitido come quando vi aveva attinto per combattere Aini, ma riuscì a percepirlo in maniera più profonda, più completa: non era semplicemente l’Arcangelo, era qualcosa di più, gli parve di sentire come molte altre presenze che provenivano da un’unica fonte, quale?

Giustizia

Isaia rabbrividì e si spaventò: si stava certamente macchiando di ubris[1].

Bruscamente si allontanò da quella consapevolezza: era certamente una menzogna, un inganno.

Il suo ascolto doveva concentrarsi allora su qualcos’altro, su cosa?

Dannazione! Il mal di testa era ancora lì a tormentarlo.

Ecco! Percepiva qualcos’altro, si mise in ascolto. Era una sensazione piacevole, di benessere e serenità. Era la stessa forza che lo attraeva sempre verso la Villa. Forse avrebbe capito da cosa fosse motivata.

Attese. Ascoltò.

Nella sua mente iniziò a dipingersi l’immagine del volto di Michela.

Possibile? E perché? Non capiva.

Il tamburo suonò.

Fase Quinta.

La musica che si diffuse nell’aria era molto leggera, larga, elegante e si teneva su tonalità alte. Non era più necessario ascoltarsi, bensì bisognava abbandonarsi ad una danza, sempre sciolta, libera e non controllata.

Il corpo di Isaia non fu più colmato da una forza prepotente, come quella della seconda fase, ma da un’energia più aggraziata che muoveva il suo corpo in movimenti fluidi e abbastanza composti.

Isaia volle rimanere col pensiero sulla sensazione piacevole che aveva percepito poco prima e cercare di capire perché mai fosse collegata con la ragazza.

Effettivamente il legame poteva essere logico: lei era sempre buona, gentile, premurosa con lui. Quando si era ritrovato in confusione per le dottrine rivelate dai Templari ed era rimasto solo, dopo lo scontro con Gabriel, lei gli era stata vicina, si era preoccupata per lui, si era pure data la pena di recuperare i suoi libri.

Lui non aveva mai avuto motivo di lamentarsi di lei; anzi, a ben pensarci, si sentiva sempre più sereno e sicuro di sé, quando c’era lei.

Era davvero un’amica preziosa e voleva averla vicina il più possibile, il più che i suoi doveri gli avrebbero permesso.

 

La meditazione finì.

Il mal di testa era ancora tremendo per Isaia che, non curandosi minimamente degli altri, si sdraiò a terra per aspettare che passasse. A quel punto i suoi pensieri divennero un flusso confuso e strano, come in una sorta di dormiveglia, del quale non riuscì a capire nulla.

Ritornò un poco lucido quando sentì qualcuno avvicinarsi. Capì che era la ragazza.

Michela si sdraiò a propria volta ma non proprio accanto a lui, si mise in modo tale che le sommità delle loro teste fossero a contatto e i loro corpi formassero una linea.

Non dissero nulla per alcuni minuti, finché lei non chiese con un filo di voce: “Lo senti?”

“Cosa?”

“Non lo senti.” fu un po’ delusa lei.

“Che cosa?” insisté lui.

“Il flusso … La kundalini, la Luce Astrale che risale per tutti i sette chackra, fino alla testa e, lì, invece di proiettarsi nell’etere come dovrebbe, incontra la mia, si fonde con essa ed entra in me e discende i miei chackra. Contemporaneamente anche la mia kundalini che risale in me, incontra la tua, entra in te e arriva fino al tuo primo chackra.”

Tra sé e sé, la ragazza sperò che l’amico non sapesse o non ricordasse le tradizioni tantriche in cui avveniva un processo del tutto simile che si differenziava solo perché nel tantra il contatto avveniva presso il primo chakra e che lo scambio di energie da far risalire non era meramente spirituale.

“Io so solo che ho mal di testa.” borbottò Isaia.

“Lo percepisco: hai una congestione di Luce Astrale. È naturale che capiti a una persona celebrale come sei tu.”

Tacquero ancora diversi minuti; poi, fu il turno di Isaia a infrangere il silenzio e disse: “Scusa.”

“Per cosa?”

“Per non averti parlato queste sere.”

“Non fa niente.” lo rassicurò lei.

“Non ce l’ho con te … Ero a disagio.”

“Isaia …!” provò ad interromperlo lei.

“No, fammi parlare. Non mi piace essere a disagio nei tuoi confronti e quindi voglio chiarire.”

“Isaia.” tentò ancora lei, ma inutilmente.

“Lasciami finire. È stata colpa di quel bacio. Mi ha confuso e fatto paura … non che sia stato spiacevole, però …”

Michela si era sollevata e messa in ginocchio, si affrettò a porre l’indice sulle labbra dell’uomo e gli disse: “Non parlare.”

Isaia aveva ancora gli occhi chiusi e sentì distintamente il proprio battito accelerare; perché?

“Non sei consapevole di quello che dici.” lo ammonì lei, dolcemente “Ti trovi in una fase in cui non ti sei ancora ripreso dalla meditazione, non sei ancora tornato padrone di te.”

In effetti, l’uomo aveva l’impressione che, se si fosse alzato in piedi, avrebbe barcollato come dopo il quarto o quinto bicchiere di liquore.

La ragazza assunse, poi, un tono scherzoso, nel raccomandarsi: “Quindi, ora, non dica cose di cui potrebbe poi pentirsi, signor Arcangelo.”

Isaia sorrise e si ripeté era davvero piacevole la letizia che provava in sua compagnia; stava talmente bene con lei che, quand’erano soli, si sentiva esattamente come quando aveva incontrato Immanuel a San Tomaso.

Trascorsero altri minuti nel silenzio, alla fine Isaia si riprese. Si mise prima seduto e poi si alzò in piedi. Lui e la ragazza uscirono dalla stanza e iniziarono a scendere.

Isaia stava ripensando a tutta la meditazione e c’era qualcosa che lo disturbava parecchio, per cui domandò: “Mi hai sentito ruggire?”

“Sì, era impossibile non sentirti.”

“Oh …” parve dispiaciuto e, come a scusarsi, disse: “Non so proprio da dove mi sia uscita tutta quella bestialità: io non sono così.”

“E, invece, sei anche quello. Non fare l’errore di Gabriel: non aver paura di ciò che sei, bensì  scoprilo, accettalo e dominalo. Se lo ignori e lo neghi, gli dai la possibilità di agire indisturbato su di te.”

“Potrei mettere al servizio del Signore un forma così ferina?”

“Certo.” rispose lei con tranquillità “L’hai già fatto tante volte in passato. Sai cos’ho pensato, quando ti ho sentito ruggire?”

“Cosa?”

“Ho pensato che stessi rivivendo quel periodo in cui fosti Narasimma.”

“L’avatara di Visnu?” chiese, perplesso Isaia, per poi aggiungere scherzoso: “Credevo di essere l’Arcangelo Michele.”

“Una cosa non esclude l’altra.” ribatté lei, imperturbabile; accorgendosi dello basito dell’altro, gli disse: “Se vuoi, stasera ti spiegherò.”

“Sì; sono alquanto curioso. Adesso, penso che andrò da Giovanni, credo che mi voglia vedere.”

“È probabile. Ti accompagno.”

Raggiunsero la testa del Santo. Michela riverì il Battista e poi se ne andò a cercare Giorgio.

Isaia la guardò allontanarsi e si voltò solo quando sentì Giovanni esclamare: “Allora ti piace davvero tanto!”

“Eh?!” si sorprese l’uomo, per poi chiedere: “Cosa ti consente di fare simili deduzioni?”

“Sono il Battista, la gente non ha segreti per me! E, poi, andiamo, è palese!”

“Palese?” ripeté, incredulo, il gesuita, rendendosi conto che sarebbe stata una lunga discussione.

“Certo. Non saresti rimasto a fissare in quel modo Sebastiano o Alonso che se ne andavano.”

“Va beh, ma non vuol dir niente!” protestò l’altro.

“Secondo me, dovresti deciderti a fare qualcosa.”

“Sì, sì, sto pensando alla strategia per costringere Gabriel ad arrendersi …”

“Ma che c’entra Gabriele, adesso?!” lo interruppe Giovanni, energicamente sconcertato “Intendo dire che dovresti chiarirti le idee su di lei e agire di conseguenza.”

“Non capisco.”

Il Battista si accigliò: “Vorresti farmi credere che ti sta bene il rapporto che hai con lei e non lo vorresti approfondire?”

“È una mia amica.” Isaia era alquanto perplesso “Che cosa c’è di più da fare? Ovvio che adesso, con tutto il trambusto della guerra, abbiamo altro a cui pensare, ma …”

“Sì, sì … amici, come no!”

“Ma si può sapere che vi prende a tutti quanti?!” esclamò Isaia, quasi esasperato “Prima Gabriel e ora tu ad insinuare che … Sono l’unico a preoccuparsi del mondo, della Chiesa e della povera gente?”

“Certo che no.” rispose pazientemente Giovanni “Ma non puoi neppure trascurare te stesso.”

“Io vengo dopo.”

“Sì, questo è vero, ma devi capire che per servire al meglio Dio, devi essere in forma sia fisica che mentale e devi essere felice, quindi devi concederti qualche piacere, altrimenti poi ti immusonisci. È scientificamente dimostrato che i depressi sono molto meno produttivi delle persone contente. Quindi, se vuoi dare il meglio di te al servizio di Dio, puoi concederti un rapporto diverso dall’amicizia con quella ragazza.”

Isaia sospirò e disse: “Io sono un prete. Non ho bisogno di nulla all'infuori di Dio!”

“Dio è il pane, questo lo sai bene, per via di quella cosa, la transustanziazione. Il pane è necessario per il sostentamento, però, come diceva mio cugino: Non di solo pane vive l’uomo! Ci vogliono anche i condimenti. Lei è il tuo companatico: puoi fare a meno di lei, poiché l’essenziale è il pane, ma, se c’è, è meglio. Afferri?”

“Gesù disse: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola del Signore.” puntualizzò Isaia e poi aggiunse: “Io sono solo di Dio! Non potrei servirlo degnamente se mi legassi ad una donna! Il servizio di Dio deve occupare tutto me stesso, non posso distrarmi, né tanto meno anteporre qualcosa!”

Giovanni sbuffò e poi disse: “Puoi servire Dio e amare una donna allo stesso tempo. In alcune religioni, i preti si possono sposare, lo fanno anche i cattolici di rito orientale! Amano la loro metà e servono Dio. E poi non devi anteporre nulla. Puoi fare il tuo dovere e allo stesso tempo sapere che vicino a te hai una persona che ti ama. E quella persona, se davvero ti ama, rispetterà la tua scelta. Inoltre, non hai mai pensato che una donna devota al Signore quanto te, possa rivelarsi un aiuto per il tuo stesso compito, anziché un ostacolo?”

Isaia rimase in silenzio per oltre un minuto, riflettendo su quelle parole, poi disse seccamente: “Non è questo il punto. Pur ammettendo che possa essere vero e corretto quello che hai detto, io ho fatto dei voti e non ne verrò a meno.”

“Eh, i voti si possono sciogliere.”

“I voti sono delle promesse e dei doni che ho fatto a Dio, io ho consacrato me stesso a lui, non posso e non voglio tirarmi indietro.”

“Pensi che Dio se ne faccia qualcosa della tua castità?”

Isaia lo guardò malissimo.

“E poi, comunque, mantenere 3 voti su 4 è un buon risultato, non credi? Puoi tranquillamente rimanere povero, obbediente ai gesuiti e obbediente al Papa.”

“Tu sei un Santo, non dovresti incoraggiarmi su questa strada.”

“Avevo moglie e figli, io.”

“Non avevi però fatto voto di castità.”

“Non è solo di celibato il voto dei preti? Sono i frati che fanno voto di castità.”

“Ma tu non eri stato imprigionato e poi decapitato perché pubblicamente condannavi l’impudicizia di Erode?”

“Impudicizia?!” si infuriò Giovanni “Erode esagerava proprio, altro che Olgettine!”

“D’accordo, d’accordo!” cercò di placarlo l’altro “Non perdere la testa!”

“Mi stai prendendo in giro?”

“No, scusami, non ci ho pensato!” si corresse Isaia, accorgendosi della gaffe.

“Ora, non farmi arrabbiare, altrimenti inizio una speculazione sofistica sul concetto di castità.”

“Per l’amor di Dio no. Chiudiamo qui la questione e pensiamo a quel che sta accadendo in Vaticano; va bene?”

“Sì, sì.” parve concedere Giovanni, per poi osservare: “Comunque non hai negato il fatto di essere innamorato.”

Isaia strabuzzò gli occhi, si passò una mano fra i capelli e si allontanò: non ne poteva più di quella storia.

Giovanni gli gridò: “È inutile che te ne vai! Sai che ho ragione!”

 

 

Note dell’Autrice

Grazie a tutti i miei lettori.

Spero che non vi siano sembrati troppo accelerati gli eventi in questi ultimi capitoli.

Ringrazio Alex Piton per alcuni consigli e spunti. Ci tengo a precisare che i dialoghi di Gabriel oscuro nel capitolo 27 devono moltissimo a lei.



[1] Parola greca di difficile traduzione: tracotanza, superbia, orgoglio, vanità

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Capitolo 30
*** Le Sephirot ***


Isaia si era allontanato a passo svelto dalla testa di San Giovanni, sperando di non aver mancato troppo di rispetto. Sinceramente, proprio non capiva perché quell’ostinazione da parte del santo. C’erano problemi ben più gravi! Anzi, quello non era neppure un problema.

Già, perché mai voler bene a una persona avrebbe dovuto essere un problema?

Ama. Ama il prossimo tuo. Questo diceva Gesù, quindi era più che legittimo volere bene agli altri, anzi era un dovere.

Giusto. Amare. Amare tutti allo stesso modo.

Lui, però, non si stava, forse, affezionando un po’ troppo alla ragazza?

Se effettivamente stavano così le cose, allora lui non stava amando tutti allo stesso modo.

Gesù, però, aveva differenziato amici e nemici, dunque, implicitamente, stava dicendo che, nonostante bisognasse prodigarsi per il bene di tutti, era comunque legittimo avere simpatie ed antipatie.

Lui, quindi, non stava peccando se riconosceva di prediligere la compagnia di quella giovane a quella di altre persone. In fondo, Giovanni aveva ragione nel dire che non c’era nulla di male nel concedersi qualche piacevolezza, se le circostanze lo consentivano, se non c’erano questioni più importanti di cui occuparsi.

Non c’erano, però, sempre questioni più importanti?

Sì, però, d’altra parte, lui mica trascorreva ogni minuto della sua vita a sbrigare faccende per la Congregazione, aveva anche del tempo libero, quindi non ci sarebbe stato nulla di male se, dopo aver ripristinato la normalità, lui si sarebbe concesso di trascorrere qualche ora con la sua amica di tanto in tanto.

Esatto! Amica. Di amicizia si trattava, era tutto assolutamente legittimo.

Amicizia … amicizia … Era certo si trattasse solo di questo?

Certo che sì!

E allora, perché si era dato tanta fatica per trovare delle giustificazioni che lo rassicurassero circa quell’affetto?

Perché … perché era colpa di Gabriel e Giovanni e delle loro insinuazioni, ecco tutto! Se loro non si fossero messi a fare commenti maliziosi, lui mica ci avrebbe pensato!

C’era, però, qualcosa che non gli quadrava, ancora, in tutti i suoi conti: il bacio.

Già, quel gesto lo aveva parecchio scombussolato, al punto che in quei due, tre giorni lo aveva considerato un’aggressione, un tradimento.

Lei sapeva benissimo che lui aveva fatto dei voti, per cui perché mai gli aveva fatto quello sgarbo? Lei era consapevole che lo avrebbe messo in difficoltà: non era stata affatto corretta. Lei aveva sempre dimostrato di capirlo perfettamente, possibile che non si fosse resa conto che quel gesto non avrebbe mai dovuto esserci?

Certo, però, forse era davvero per l’usanza persiana …

Al di là di quali fossero le reali intenzioni e consapevolezze della ragazza, il vero problema era però un altro: lui stesso.

Già, se davvero lui fosse stato puro e libero, avrebbe dovuto non curarsi di quel fatto, avrebbe vissuto il momento e poi lo avrebbe lasciato andare, dimenticandoselo. Insomma quel bacio non lo avrebbe dovuto turbare e, invece, erano giorni che ci pensava.

Detestava pensarci! Ciò significava che realmente c’era qualche cosa che non andava in lui, qualche debolezza, qualche sentimento di troppo.

Se fosse stato distaccato, come avrebbe dovuto, avrebbe subito scordato quel gesto e, invece …

Tra l’altro, appena dopo la meditazione, stava dicendo che quel bacio gli aveva fatto piacere … meno male che Michela stessa lo aveva trattenuto dal dire altro!

Perché stava dicendo una simile cosa? Non era affatto vero. Lui per giorni era stato arrabbiato per quel bacio, come poteva dire che gli aveva fatto piacere?

Forse che la sua rabbia non era verso quel che aveva fatto la ragazza, ma per la propria reazione?

Era arrabbiato con se stesso per essersi sentito gratificato?

Gratificato … e perché mai? Non aveva senso!

Beh, forse un po’ di senso lo aveva. A parte Sebastiano, chi c’era che lo capiva? Gabriel? Alonso? Vairocana?
Sì, abbastanza, ma tutti loro, pur essendo servi di Dio (anche il monaco buddista lo era, nonostante seguisse un’apparenza differente) non riuscivano a comprendere la sua totale abnegazione. Lo rimproveravano in maniera più o meno scherzosa; gli erano amici, ma faticavano a capirlo. Chi non gli aveva mai detto: Basta studiare! Esci! Ma non hai hobby?

Lui aveva dedicato l’intera sua vita alla conoscenza e a Dio, al Bene, perché non lo capivano? Perché non l’accettavano? Trovava piacere in attività diverse dalle loro, e allora? Perché insistevano per farlo cambiare?

Lui si rilassava pregando o leggendo un buon libro o cantando nel coro gregoriano; oppure, questo lo sapevano in pochi, intagliava il legno, per lo più scolpiva statuette di santi. Quella pratica lo aiutava molto a calmarlo e a liberargli la mente per poter pensare con tranquillità. Che c’era di sbagliato in tutto ciò?

Addirittura, tal volta, aveva avuto l’impressione che Gabriel lo compatisse, specialmente nell’ultimo tempo.

Michela, invece, aveva pienamente capito il suo modo di essere e ne era orgogliosa, lo approvava totalmente.

Quel bacio, in fondo, era stato per lui il riconoscimento che la sua vita non era sbagliata, che, nonostante avesse una moralità estremamente elevata (tanto che molti lo disprezzavano), almeno una persona che lo capiva esisteva.

Era però davvero necessario quel bacio, per sapere che lei gli era solidale? No di certo. Quante cose aveva fatto per lui? Quanto era stata buona, gentile e affettuosa? Tanto, tanto, tanto …

Lui lo sapeva già che lei lo comprendeva.

Allora che cosa c’era stato di piacevole in quel bacio?

Forse ciò che esso simboleggiava? In fondo, il bacio è il suggello tra due persone che si appartengono. Forse lui, in quel gesto, aveva visto la garanzia che lei non lo avrebbe mai abbandonato e questo lo aveva rassicurato?

Rassicurato? Perché aveva bisogno di rassicurazioni?

Dio era il suo unico riferimento e rifugio, non aveva bisogno di altri.

Beh, però poteva accettarlo un compagno, una compagna, di viaggio nel cammino del Signore.

Questo, inoltre, non comprometteva certo i suoi voti. Loro due potevano stare vicini, volersi bene, senza che lui infrangesse il suo voto. Lui avrebbe potuto addirittura amarla, un amore platonico, certo, ma pur sempre amore.

Isaia rimase con questi pensieri più o meno tutto il giorno, neppure una buona lettura riuscì ad allontanarli completamente.

Alla sera, dopo cena, trovandosi in un salotto  assieme sia a Michela che a Sebastiano, il templare chiese alla ragazza: “Mi avevi promesso che stasera mi avresti spiegato la questione di Narasimma.”

“Narasimma?” ripeté Sebastiano e domandò a propria volta alla donna: “Non è la figura indù che mi hai fatto nominare, quando abbiamo scacciato il demone buddista?”

“Sì, esatto.” gli confermò lei, prima di guardare Isaia e dirgli: “Forse è bene raccontarti tutto; penso che ormai tu possa capire.”

La ragazza prese un foglio e una penna. Al centro della pagina, distanziandoli differentemente, scrisse in colonna: Keter, Tipheret, Yessod, Malkuth.

I primi due nomi erano molto lontani tra di loro. In quello spazio, la donna scrisse altre quattro parole: Binah e Gedulah a destra della colonna; Chokhmah e Geburah a sinistra.

Hod e Netzah furono scritte ai lati tra il secondo e il terzo nome della colonna.

“È l’albero sephirotico.” osservò Sebastiano.

“Giusto.” confermò Michela “Sono le dieci sephirot, le dieci manifestazioni del divino, secondo la tradizione cabalistica. Quel che non si sa è che queste potenze divine non sono astrazioni, sono reali, esistono! Esse sono gli attributi del Dio Vero, quello che è al di sopra di luce e tenebre, per questo possono essere sia pure, e  allora hanno connotazioni positive, sia corrotte, e dunque assumono toni negativi; fatta eccezione per Malkuth, che è il mondo materiale ed è un’entità molto particolare, infatti lo vedete isolato e senza due forze ad affiancarlo. Dividiamo quindi l’albero in due sezioni: una che contiene solo Malkuth, l’altra col resto. Ora lavoriamo sulla seconda parte e uniamo i punti.”

Michela tracciò alcune linee in modo che Hod, Netzah e Yessod formassero un triangolo isolato, mentre Gedulah, Geburah e Keter componessero un triangolo che si intersecasse con quello formato da Binah, Chohmah e Tipheret.

 

Keter

 


Binah                 Chohmah

 

Gedulah                Geburah

 

Tipheret

 

Hod                 Netzah

 

Yessod

 

Malkuth

 

 

“Che cosa significa?” domandò Sebastiano.

Isaia taceva e ascoltava con estrema attenzione, mentre nella sua mente riaffioravano i ricordi di ciò che aveva letto nei manoscritti rinvenuti sotto Santa Sophia.

“Semplice: Hod, la Gloria, la Maestà, se collabora con Netzah, l’Eternità, la Vittoria, generano Yessod, il fondamento. Vedete, in realtà ho detto male, prima, queste sephirot sono pure e incorruttibili e formano il contrappeso di Malkuth. Yessod e Malkuth sono un binomio, quasi sempre in guerra, anche se ci sono stati tentativi di conciliarli e far sì che queste forze contrapposte collaborassero. Comunque, Malkuth esiste di per sé, mentre Yessod deve essere originato da Hod e Netzah, i quali, però, essendo sempre puri, non hanno problemi a fare il loro dovere per originare il fondamento. L’alternativa tra bene e male, in questa sezione, non concerne le singole potenze, bensì il rapporto tra il regno materiale e il fondamento divino.”

“Quindi la divisione di questo schema potrebbe anche consistere in una parte che comprende questi quattro principi e una seconda con gli altri sei.” osservò sempre Sebastiano.

“Precisamente. Ora vi illustro gli altri che è ciò che più ci interessa, ossia le sephirot soggette singolarmente alla corruzione o purezza. Partiamo da Gedulah: essa può essere sia Amore, sia Odio, l’odio considerato come degenerazione dell’amore a causa dell’attaccamento, della morbosità, della dipendenza e dell’ossessione. Troviamo poi Geburah: Giustizia oppure Violenza, Vendetta. La giustizia deve seguire la saggezza e non l’ira, le punizioni devono essere inflitte cum grano salis e prive di emozioni, per emendare e non per vendicarsi. Si possono verificare tre possibilità: o queste due sephirot sono alternativamente una corrotta e l’altra pura e, dunque, sono in conflitto tra di loro, oppure hanno lo stesso allineamento e collaborano; se sono pure generano l’Autorità, il Buon Governo, avete capito il concetto. Se, invece, sono corrotte, allora c’è l’Anarchia, il Cattivo Governo.”

“Questo si riflette anche effettivamente sul mondo?” domandò il giovane gesuita “Quel che è accaduto nel corso della storia, è stato influenzato da queste entità?”

“Certamente.” annuì la donna “Proseguiamo con l’altro triangolo. Binah è l’Intelligenza e la Conoscenza che però può degradarsi in Dogmatismo o Inettitudine. Chohmah è, invece, la Saggezza che può trasformarsi in Follia. Se opposte si combattono, se allineate, possono portare all’Armonia o al Caos.

“Nel Settecento Binah si è fatta molto sentire.” osservò Sebastiano “Peccato che poi, sul finire del secolo, abbia preso il sopravvento la versione cattiva di Geburah.”

Isaia era molto serio in volto: un dubbio, una consapevolezza stava avanzando in lui.

“C’è però un’ulteriore cosa da dire.” il tono della ragazza si fece ancor più grave “Come puoi vedere, questi due triangoli sono intersecati.”

“Sì, sembrano la stella di Salomone.”

“Questo perché le quattro sephirot generatrici sono in stretta connessione tra di loro, sono unite. Ad esempio, Geburah ha appunto la collaborazione di Gedulah e il sostegno di Chohmah, mentre non ha nessun legame con Binah, se non tramite Gedulah; lo stesso meccanismo vale per gli altri elementi, ma è poco rilevante. La questione importante è un’altra: che io sappia, mai nella storia è capitato che queste quattro potenze avessero il medesimo allineamento contemporaneamente, per cui non hanno mai realizzato nel mondo il loro totale potenziale. Se Amore e Giustizia riescono ad originare l’Autorità e, contemporaneamente, Intelligenza e Saggezza formano Armonia, queste sei forze, unite e collaboranti, realizzano in terra la Città Celeste; se, al contrario, Violenza e Odio creano Anarchia, mentre Follia e Dogmatismo generano Caos, allora viene edificata la Città Infernale. Giacomino da Verona illustra bene, nel suo poemetto, queste possibilità. In gergo occulto, però, vengono semplicemente chiamate la Stella Bianca e la Stella Nera.”

“Michela.” intervenne Isaia “Queste entità, sono personificate nelle varie religioni, giusto? Geburah, era Mithra per gli zoroastriani; Narasimma … anzi, Visnu per gli induisti; Michele per ebraici, cristiani e musulmani e così via. Ho intuito bene?”

“Precisamente.”

“Mentre Gedulah è l’Arcangelo Gabriele? Shiva, l’amante e il distruttore, per gli indù?”

“È così.” confermò la ragazza, contenta che Isaia avesse capito da solo e che non ci fosse bisogno di persuaderlo della verità di quelle parole.

“Queste entità” continuò ad ipotizzare l’uomo “Si manifestano sui vari piani della realtà a volte più eterei e sublimi, tanto da apparire appunto come divinità od angeli; altre volte, invece, informando corpi umani. Correggimi se sbaglio.”

“Per ora il discorso è ineccepibile.”

“Dunque, quando io ho avuto per la prima volta coscienza di essere una manifestazione umana della potenza Geburah, non conoscendo tutto ciò, l’ho associata alla sua altra manifestazione che conoscevo meglio: l’Arcangelo Michele.” fissò negli occhi la ragazza e le chiese: “E anche questo tu l’hai sempre saputo. Vero?” lei annuì e lui proseguì: “Ora, se non vado errando, posso affermare che Gedulah si è incarnato in Gabriel e Serventi questo lo sa molto bene. Gedulah aveva già tendenze a trasformarsi in odio, Serventi ne ha approfittato per farlo oggetto della sua profezia e ha manipolato ogni cosa, affinché si corrompesse. Per riuscire in ciò, si è ben guardato dal divulgare il fatto che Gedulah può essere anche amore, compassione. Serventi, quindi, mi ha sempre voluto morto perché sa che sono l’unico vero rivale del suo Eletto, in quanto io e Gabriel siamo un binomio destinato alla cooperazione o alla guerra.”

Michela sospirò, si alzò in piedi, andò accanto ad Isaia, seduto su una poltrona, gli mise una mano sulla spalla e, guardandolo negli occhi, gli disse amaramente: “Qui, devo contraddirti. Se in passato ha tentato di ucciderti, era perché lo richiedeva il suo obbiettivo di far scatenare Gabriel. In realtà, conoscendo il suo modus operandi, potrei anche credere che non abbia mai cercato davvero di ucciderti, ma l’abbia solo voluto far credere.”

“Il dottor Gaslini, il loro alchimista, mi pareva abbastanza convinto nel volermi somministrare veleni.”

“Non hai la certezza che fossero veleni! Magari volevano solo rapirti e trovare la maniera di portare anche te al male.”

“Non può essere: Serventi ha detto chiaramente che serviva il mio tradimento per far scatenare Gabriel.”

“Appunto! All’epoca Gabriel considerava Serventi il nemico, se ti avessero portato dalla loro parte, Gabriel si sarebbe sentito tradito. Ad ogni modo, non credo che tutto ciò sia fondamentale. Quel che conta sono le intenzioni che hanno adesso. Te l’ha detto chiaramente anche Gabriel: ti vogliono dalla loro parte.”

“Sì, Gabriel senza dubbio. Serventi, non so.”

“Te lo assicuro io.” ribadì la ragazza, che però non se la sentì di riferire anche che Bonifacio glielo aveva detto esplicitamente e che le aveva detto che sarebbe stata lei stessa a consegnarglielo.

“Ne sono certa: Serventi vuole realizzare la Stella Nera.”

“Ma per farlo” osservò Sebastiano “Non gli basterebbero Isaia e Antinori, avrebbe bisogno anche dell’Intelligenza e della Saggezza. Bisognerebbe ritrovare le persone in cui si sono manifestate e tenerle lontane da Serventi.”

“Purtroppo Binah è già stata corrotta, non so, però, se conosce il suo potere. Chohmah, invece, sa cosa può fare, ma è ben salda nel bene.”

“Come fai a saperlo?” domandò il giovane.

“Studio questa faccenda da anni, conosco tutti i suoi protagonisti. Non voglio però dire i nomi di Binah e Chohmah, per evitare che prendiate provvedimenti avventati.”

Isaia sorrise, come se in realtà avesse capito ciò che lei non voleva dire, e poi le chiese: “Puoi almeno dirci quali poteri hanno loro? I miei e quelli di Gabriel li conosciamo, sono curioso di sapere quelli di queste altre due entità.”

“In realtà, tu non lo conosci il tuo potere oscuro. Come Gedulah trasforma in demoni, così tu potresti trasformare la gente in erinni.”

“Spettri della vendetta?!” Isaia si impressionò alla prospettiva di poter fare qualcosa del genere.

“Esatto e solo Gabriel potrebbe farli tornare umani. Vedi: l’amore placa la vendetta, così come la giustizia evita l’odio.”

“E questo ribadisce il legame stretto tra le due entità.” constatò Sebastiano, prima di esortare l’amica a continuare l’esposizione.

“I poteri principali legati a Chohmah sono, in positivo, il risvegliare la magia e gli alti valori nelle persone, mentre, in negativo, ha il trasformare la gente in animali.”

“Interessante.”

“Per quanto riguarda Binah, invece, come potere oscuro ha quello di riuscire a privare le persone delle loro capacità, dei loro talenti e delle conoscenze; in positivo, invece, quello di infondere abilità, oppure aiutare a rimuovere paure irrazionali e traumi.”

 Rimasero a riflettere alcuni momenti, poi Sebastiano domandò: “Beh, invece, Hod e Netzah, che fine hanno fatto?”

“Loro sono un discorso a parte, sono qualcosa di ancora maggiore.”

“Dimmi, per favore. Si sono mai incarnati?”

Michela stava per rispondere, ma sentì la voce di Isaia tuonarle nella mente, intimandole: “Non dirglielo!”

“Non saprei.” rispose la ragazza.

Rimasero tutti e tre nel salotto ancora un poco; Sebastiano fece alcune altre domande per capire al meglio, poi si congedò per andare a dormire.

“Perché non hai voluto che gli spiegassi Hod e Netzah?” domandò Michela ad Isaia, quando furono soli.

“Ammetto che, detta in questi termini, sarebbe molto più comprensibile e accettabile, rispetto a come è stata presentata a me la questione; preferisco, tuttavia, che, almeno per adesso, Sebastiano e gli altri continuino a ritenere Gesù, Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo. Non saprei neanche io come spiegare la realtà delle cose.”

“C’è una notevole differenza tra dire, come i templari: Gesù e Giovanni erano due uomini mortali, appartenenti alla setta degli esseni, ed erano dotati di poteri; e il dire: Hod, Netzah e Yessod sono le tre potenze più grandi e simili a Dio, corrispondono alla Trinità e sono il Dio del Bene.”

“A lui non abbiamo ancora fatto il discorso sul dio bianco e il dio nero. Adesso la situazione è delicata, come ripeto ogni volta a Giovanni: spiegheremo la Verità, quando il conflitto sarà finito e potremo rigenerare la Chiesa.”

Michela lo guardò non troppo convinta e Isaia, allora, sorridendo, le ricordò: “Tu non hai voluto rivelare l’identità dell’intelligenza e della saggezza, invece avresti potuto proprio dirlo.”

“Mantengo la privacy.” replicò lei, piuttosto scherzosa.

“Vana precauzione, sono certo di aver visto giusto e di sapere in quali corpi albergano.” era sicuro di sé, ma per nulla austero; era forse la prima volta che, pur parlando di questioni serie, non aveva un atteggiamento gravoso.

Michela lo guardò con attenzione, era speranzosa: se lui aveva capito anche quello, allora la sua consapevolezza aveva fatto passi da gigante e forse avrebbe finalmente accettato il proprio essere.

“Siete tu e la dottoressa Munari, vero?” in risposta ricevette un grande sorriso, quindi proseguì sicuro “Ovviamente tu sei la saggezza, mentre lei è l’intelligenza.” il suo sguardo rimase su di lei per alcuni istanti di silenzio e dalla sua bocca sfuggì: “Ecco perché sei così speciale.”

E tra sé e sé si sentì sollevato: si era innamorato, ma della saggezza, cosa poteva esserci di peccaminoso in ciò? Anzi, era qualcosa di nobilissimo! Ammesso e non concesso che si fosse innamorato.

La ragazza arrossì e poi farfugliò: “No, sono ancora ben lontana dell’essere ciò che dovrei.”

“Beh, è comunque magnifico avere per amica la saggezza.”

“Anche essere amici e consacrati alla giustizia è un privilegio.”

Restarono a fissarsi in silenzio per alcuni lunghi momenti; poi Isaia osservò: “Dunque anche la Munari potrebbe rivelarsi un problema?”

“Sì, ma credo che per il momento possiamo stare tranquilli: Serventi sta facendo fatica a controllare Gabriel e sa che, se i suoi piani dovessero realizzarsi, presto potrebbe avere anche te da gestire, dunque dubito che cercherà di far rendere consapevole Claudia, per il momento.”

“Di te sa?”

“Sì, evidentemente da sempre. Crede ch’io non sia un problema e che, solo perché mi ha costretta a vivere in quell’ambiente, sia già praticamente da considerare dei loro. Non si rende conto che saldamente percorro tutt’altra strada.”

Rimasero ancora in silenzio, finché Isaia non sospirò: “Queste nuove informazioni non spiegano come risolvere la situazione, ma spiegano meglio le forze in campo … Michela, tu davvero non hai idea di cosa posso fare per far ragionare Gabriel?”

“No, mi dispiace. Sono l’intelligenza e la giustizia che possono aiutarlo, io no e non so nemmeno cosa potreste fare voi. Parlargli, mostrargli fatti, cercare di arrivare in profondità nel suo cuore e nel suo animo e qualsiasi altra cosa vi venga in mente per farsì che l’amore universale soppianti quello specifico che ora prevale.”

“Bisogna quindi trovare la maniera di avvicinarlo, senza farsi ammazzare.” ragionò, tra sé, l’uomo.

Michela gli si avvicinò di nuovo, si chinò su di lui e gli disse: “Ma soprattutto, stando attento a che non sia lui a far mutare idea a te. Sono sicura, però, che questo non accadrà.”

Isaia si irrigidì un poco, era leggermente imbarazzato da quella vicinanza, ma non era il solito disagio che provava, quando qualcuno invadeva i suoi spazi, era qualcosa di diverso, come se sentisse il bisogno di trattenersi, dal far cosa non lo sapeva.

Dopo qualche secondo di perplessità, replicò: “Ne sono sicuro anch’io: non appena rischio di deviare, ci sei tu a prendermi per un orecchio per farmi stare nel seminato. Sono felice che tu lo faccia.”

“Io non faccio niente, cerco solo di ricordarti le cose quando le dimentichi. Le tue decisioni, buone o cattive, sono solo tue.”

“Gli uomini, tal volta, fanno il male solo perché non vedono il bene, non sanno che c’è e non vedono altre strade. Io ne sono certo: se non avessi incontrato te, ora sarei esattamente come Vargas. Chissà, forse anche Gabriel è diventato quel che è adesso, solo perché non è riuscito a trovare il sentiero del vero bene. In fondo, è quel che hai appena detto anche tu: bisogna riuscire ad allargare le sue prospettive.”

“Claudia doveva essere la sua guida ma, si sa, un farmaco assunto in dosi errate, può diventare un veleno.”

“Ah, sì, farmaco, in greco, significava sia medicina che veleno.”

Lei gli sorrise, poi gli disse: “Si è fatto tardi. Io mi ritiro. Buona notte.” gli diede un bacio sulla fronte “Ci vediamo domattina.”

Isaia la guardò uscire dal salotto e, tra sé e sé, pensò: “Avrei preferito l’usanza persiana.”

 

 

 

Note dell’Autrice.

Grazie a tutti i miei lettori, spero che questa fanfic continui a piacervi, nonostante in questi capitoli abbia toni un po’ differenti dai precedenti.

Tra gli hobby di Isaia ho inserito l’intagliare il legno, ripensando a quell’episodio della setta, nella prima stagione, in cui Gabriel lo trova che sta lavorando il legno.

Più sopra avevo provato a fare lo schemino, ma qui non mi ha preso le linee, mi spiace.

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Capitolo 31
*** Amor, ch'a nullo amato, amar perdona ***


“La questione del peccato originale es, oviamente, una metafora. In parte es un surogato del mito delle quatro epoche, che spiega el pasagio tra uno stadio de vita nomade e in armonia con la natura a uno stile de vita sedentario, in cui es necesario dominare l’ambiente e lavorare. In parte, però, il racconto de la Genesi, illustra anche come Dio sia superiore alla concecione de Bene e de Male e de come l’uomo può essere beato, solo uniformando la propria volontà a quella de Dio. Agire in maniera diferente da la volontà di Dio è separarsi da lui e dunque perdere la pieneccia. Solo nell’essere uniti a Dio c’è el nostro compimento: Dio è lo sposo de la nostra anima. Fuori da lui siamo monchi, spesso non sappiamo cosa ci manca e andiamo a la ricerca di palliativi e, non sodisfacendoci mai abastancia, o solo por un breve tempo, ne cerchiamo sempre de novi e ci smarriamo in esto mondo, inseguendo beni non necessari. Fuori da Dio o, meglio, ridotti a piccola parte in Dio, ma non consapevoli de la Sua e de la nostra interezza, c’è bisogno de devidere la realtà in bene e male e di affidarsi a la ragione, all’intelligencia e alla sapiencia, che però sono grandi doti solo in esta dimensione mondana, ma sono miseri mezsi che non permetono la comunione con Dio, poiché Dio trascende la nostra logica e va conosciuto con lo Spirito e non con la mente. Infatti, Gesù es il Logos, ossia Dio che racionalmente si mostra agli uomini, Egli si è fato uomo por mostrarsi ai sensi degli uomini e rendersi in parte conoscibile a le menti. La vera potencia de Dio, però, è lo Spirito Santo, infatti è lo Spirito Santo che investe di autorità Gesù, al momento del battesimo.” Alonso fece una pausa e guardò i fedeli riuniti ad ascoltare la sua predica “Tornando alla Genesi, el serpente che tenta Adamo ed Eva, simboleggia il richiamo che el mondo materiale esercita su todos noi; egli mente, dice bugie, esatamente como le attrattive di esto mondo ci ingannano circa cosa sia davvero bene e cercano di allontanarci da Dio. Esto non vole dire che il mondo materiale vada despreciato o considerato como un male, esso è un’oportunità che ce viene data da Dio, por provare un altro genere de piaceri ed è un’ocasione por esercitare le nostre virtù, ma è anche uno rischio de abandonarce ai vizi se non siamo capaci de reconoscere che el nostro fine ultimo non è esto mondo, ma Dio. La materia deventa male, quando noi la anteponiamo a Dio, allora a causa de essa (e non por colpa de essa) ci afatichiamo e sofriamo, poiché consederiamo massimamente desiderabili de le shiocheccie. Dopo la perdita del paradiso terestre, l’uomo non conosceva più Dio, aveva davanti a li occhi l’imagine che el serpente, el mondo aveva dato all’umanità di Dio: pensate al paganesimo ove se adoravano non solo li elementi de la natura, ma puro le devenità de la richeccia, del potere e cossì via. Dio, allora, s’è fatto uomo! Gesù es nato por restituire all’umanità el volto de Dio, l’amore supremo de Dio. Amore talmente grande che non muore su la croce, anzi, lì se manifesta più forte e più buono che mai! Gesù muore per colpa de la nostra ignorancia e non se arabia con noi, ma ce perdona! L’amore de Dio, però, non sarebe suficiente a salvarce, se non ce fose anche la resurrecione! La resurrecione, non rianimazione! Quela de Lazaro è una rianimacione, quela de Gesù è una resurrezione, lui renasce nell’eternità e cossì sarà por todo noi.”

Alonso sorrideva e i suoi occhi brillavano di fede e gioia al pensiero di Dio. I credenti riuniti lì, in quella palestra abbandonata (usare le chiese sarebbe stato pericoloso), si sentivano il cuore riscaldato e avvertivano la presenza del Signore in mezzo a loro.

Quella era una messa clandestina, come tante ne venivano celebrate, negli ultimi tempi. Erano in molti a prediligere quelle presiedute da Alonso: adoravano le sue prediche, erano quelle che colpivano maggiormente i loro animi e che permettevano loro di comprendere meglio il Signore.

“Gesù non era un dio, ma solo un uomo!” risuonò la voce di Gabriel, dal fondo del salone.

Tutti furono sorpresi, si voltarono per vedere chi avesse parlato e, quando scorsero l’Eletto, si spaventarono. Egli avanzò, si gustò per qualche istante quegli sguardi impauriti, e continuò: “Era solo un uomo. Non un uomo come voi, ma un uomo come me: dotato di poteri, poteri straordinari, di natura trascendentale. È facile capire come possa essere stato scambiato per il figlio di Dio.” con lo sguardo di bragia abbracciò la folla “Voi siete l’espressione più bassa di questa vita! Deboli, vi rendete schiavi gli uni degli altri,vi imponente vincoli per paura e per limitare le vostre reciproche forze. Inutile: homo homini lupus! Voi, questo, lo avete sempre dimostrato. Vi rifugiate sotto false dottrine per garantire un po’ di tranquillità alla vostra debolezza e alla vostra vigliaccheria. E, come tutti i tiranni che si rispettano, tagliate le spighe più alte: i migliori tra gli uomini, quelli dotati di poteri, apparentemente sovrannaturali, sono stati da voi uccisi, perché sapevate che vi avrebbero, prima o poi sopraffatti. I vostri tentativi di soffocare il mio popolo, sono stati tremendi e feroci. Voi siete i mostri, la paura vi ha reso intolleranti e crudeli. Parlate d’amore, ma non amate che voi stessi e la vostra piccolezza. Il debole, però, è destinato a perdere, lo schiavo è destinato alle catene. Avete tentato di difendervi, come avete potuto, in questi secoli, ma è tempo, ormai, che sia il forte a tornare a regnare. In tempi antichi, gli stregoni e gli uomini dotati di poteri naturali erano le guide della società: re taumaturghi, sacerdoti maghi, guerrieri che erano detti figli di dei, erano legittimamente i signori di questa terra e, giustamente, esercitavano la loro forza e il loro potere, poiché è giusto che la potenza domini e la debolezza si sottometta. Chi ha potere non ha da rispondere a nessuno ed è giusto che tratti come preferisca chi gli è inferiore.”

Gabriel fece una breve pausa, rimase in ascolto: silenzio! La paura riempiva l’animo di quasi tutti i presenti e li ammutoliva.

“Poi, è nato il vostro Gesù … l’uomo peggiore di tutti! Aveva nelle proprie mani un grande potere e, invece di usarlo per ciò che era nato, ossia riscattare il proprio popolo e annientare l’oppressore, si è mostrato mite e raccomandava la sottomissione. Gli Ebrei hanno ucciso il loro Messia, poiché sono stati traditi da lui: lui avrebbe dovuto liberarli e, invece, promosse le loro catene. Gente desiderosa, giustamente, di potere, ne approfittò: sfruttò la figura di Gesù e la sua predicazione per forgiare un nuovo straordinario giogo per l’umanità: questa religione. È tempo ormai, però, che questo grande inganno finisca e che i veri potenti tornino a regnare. È questa la profezia che si sta compiendo. Io sono l’Eletto e ristabilirò in questo mondo il giusto ordine delle cose.”

Gabriel iniziò a creare una palla di fuoco fulminoso tra le proprie mani.

Tra la folla si alzarono e distaccarono i suoi sgherri che si erano mescolati trai credenti.

“Il dominio sarà di chi ha il potere e gli altri accettino di mutare padrone o periscano!”

Scagliò la palla di fuoco contro un gruppo di persone che, contorcendosi, iniziarono a trasformarsi in demoni.

A quel punto, Sebastiano, che stava celebrando assieme ad Alonso, si tolse i paramenti e la tonaca bianca, gridando: “Antinori! Il tuo vaneggiare sacrilego è figlio del demonio. Io non ti permetterò di fare del male a questa gente!” tirò fuori il suo spadino crudele “Né ad altra.”

Detto ciò, il giovane si scagliò contro Gabriel: il suo obbiettivo era di prendere tempo. Infatti, mentre l’Eletto parlava, lui, da sotto la tonaca bianca, era riuscito a prendere il cellulare e a scrivere un sms ad Isaia, avvertendolo di quel che stava accadendo e pregandolo di mandare i templari a difendere quella gente.

Prima che potesse raggiungere il suo obbiettivo, tuttavia, il giovane si trovò davanti i nuovi demonizzati, che si frapposero fra lui e Gabriel. Erano cinque o sei e presto lo circondarono. Il giovane sì sentì artigliare, ma non demorse e si difese al meglio riuscì anche ad affondare fino all’elsa il proprio spadino nel fianco di un demonizzato e poi lo aprì: la lama, che si divise in tre parti, dilaniò l’addome del demonizzato. Questo fu, tuttavia, solo un misero successo, gli avversari erano ancora molti.

“Non uccidetelo!” si raccomandò Gabriel, prima di raggiungere l’altare e salirvi in piedi sopra, dopo aver salutato con un cenno Alonso, che lo ricambiò con gentilezza.

“Ascoltatemi bene!” annunciò alla folla, mentre il combattimento di Sebastiano proseguiva “Decidete di adeguarvi alle nuove regole e uscite da qui. Avete due minuti di tempo per scegliere e andarvene: chi deciderà di non abbandonare questa vecchia religione menzognera e resterà qui, scoprirà che cosa sia il vero potere, per mano mia e dei miei uomini. I due minuti iniziano da ora.” Scese dall’altare e chiese ad Alonso: “Tu, che farai?”

Il bibliotecario, sorridente, rispose ad alta voce, in modo da essere ben sentito da tutti: “Hermano, io non me sposterò d’achì! Esti uomini ed este donne, forse, hanno una famija e decederanno de andarsene por difenderla, por non lassiare soli i propri cari o solo por paura de la muerte, ma anche se a l’aparencia avrano rinegato, l’abiura non ariverà ai loro cuori. E anche se por caso cederano davero al tuo credo, Dio non li abbandonerà: mai. Proprio come non ha abandonato te! Dio t’è vicino, hermano, aspeta solo che tu sia de novo desposto ad ascoltarlo!”

Gabriel scosse il capo, poi, rivolto alla folla, disse: “I minuti diventano cinque: voglio fare due chiacchiere col mio amico.” poi tornò a guardare Alonso “Allora, che cosa c’è di così divertente nell’opporsi al futuro e nel venire schiacciati? Dimmelo, sul serio, non capisco! Specialmente tu e Isaia che, se solo cambiaste idea, sareste accolti a braccia aperte da me!”

“Io te potrei chiedere cosa c’è de devertente nel far male a la gente. So che i templari te hano fato sofrire: te hano fato acusare de reati gravisimi che tu non avresti mai comeso e hanno uciso persone a te care, tentando de matar anche altre, ma esto non è un buon motivo por sfogare el tuo dolore e la tua rabia su gente inocente.”

“È semplice prevenzione. Se noi dotati di poteri non prenderemo il sopravvento e insegneremo a questa gentaglia a stare sotto il nostro calcagno, allora saranno questi deboli ad opprimere noi. La questione è semplicemente questa: non può esserci convivenza pacifica ed egalitaria, un gruppo deve dominare sull’altro e, allora, che siano i più forti ad avere la meglio.”

“Non c’è nada che pote farti cambia idea? Io credo che es possibile vivere todo assieme, sencia superbia o paura. Se todos i nostri cuori fosero puri e liberi, rivolti a Dio, alora non ce sarebero guere!”

Gabriel parve riflettere su quelle parole e, forse, c’era del rammarico, nella sua voce, nel replicare: “No, mio buon Alonso, non è possibile! Gesù ci ha provato e la Chiesa ha fallito, anzi ha rovesciato il suo insegnamento. So qual è il segreto dei Templari, Bonifacio me lo ha spiegato: loro uccidono tutti coloro che hanno dei poteri, perché non vogliono che la gente si accorga che queste doti sono naturali e, soprattutto, che non si renda conto che anche Cristo era solo un uomo dotato di poteri. Se questo si scoprisse, l’intero castello di carte della Chiesa crollerebbe!”

“Por esto la Verità viene nascosta e revelata pian, piano a li uomini che demostrano saggeccia e de poter comprendere. Recordate, hermano, le metafore sono necessarie porché la Verità non vole essere volgaricciata.”

“Elogiate la Verità come la cosa più sublime e poi la nascondete, perché temete cosa potrebbe fare la gente, conoscendola.”

Alonso stava per rispondere, ma non ne ebbe il tempo: una ventina di templari, capitanati da Fylan, fece irruzione nel salone e iniziarono a dar battaglia.

Gabriel chinò la testa in avanti e sbuffò, poi si volse ad Alonso e gli disse: “Per favore, nasconditi da qualche parte o scappa; i miei uomini sanno che non devono farti del male, ma la gente che demonizzerò ora, non avrò il tempo d’avvertirla, per cui mettiti al riparo.”

Detto ciò, scavalcò l’altare e iniziò a lanciare fiamme fulminanti dalle mani, trasformando molta gente in demoni. Alonso si dispiacque per non avere con sé la ciotola di San Giovanni, per cui si inginocchiò e iniziò a pregare.

Tra la folla di credenti, chi poté, si diede alla fuga; molti poterono mettersi in salvo, poiché i demonizzati e la gente coi poteri, combatteva soprattutto i templari. Presto, soltanto Gabriel e i suoi scherani rimasero in piedi nel salone e quindi l’Eletto diede ordine di andarsene.

Sebastiano era riuscito ad uccidere i suoi assalitori, ma era conciato piuttosto malamente: aveva sicuramente qualche osso spezzato e aveva perso non poco sangue.

Gabriel gli si avvicinò, si chinò su di lui per accertarsi fosse ancora vivo e se ne compiacque, poi gli disse: “Ragazzo mio, tu sei un leone. Hai avuto il fegato di sfidare me, quando tutti tremano e scappano!” era davvero soddisfatto “Sai bene che la tua ferocia in battaglia non si addice per niente alla tua pretesa di essere sacerdote cristiano. Isaia, il tuo caro maestro, combatte in maniera ben differente: anche mentre trafigge le persone, è imperturbabile e, da quel che mi è stato detto, evita di uccidere, quando gli è possibile. Tu, invece, vivi pienamente la foga della battaglia, non ti fai scrupoli ad uccidere i nemici e, confessalo, ti piace l’odore del sangue e il suo calore quando ti bagna le mani. Ti piace la sensazione che provi nell’uccidere qualcuno.”

“Non è vero!” lo contraddisse in un fiato Sebastiano “Ogni sera invoco il perdono di Dio e spero non mi danni per quel che sto facendo. Preferisco, però, finire all’Inferno io stesso, piuttosto che altri soffrano.”

“Che bel discorso!” lo schernì Gabriel “Te lo sei imparato a memoria? È questa la retorica di cui vi infarcisce Isaia? Sarete tutti martiri.” lo fissò con disprezzo “Sei tu il miglior amico di Isaia, adesso? Non ti conviene, sai? Lui ha uno strano modo di dimostrare la sua amicizia: più tiene ad una persona e più la tradisce. Quindi è probabile che, se ti prendessi prigioniero, ignorerebbe la cosa. Inoltre, il ritrovarti in cella, potrebbe spingere te a pregare tutto il giorno e renderti ancora più ostinato verso di me. No. Niente prigione per te e neppure la morte. Davvero, io ti rispetto tantissimo: un comune umano che riesce a fare tutto questo merita ammirazione e di certo si è guadagnato il diritto di stare coi potenti. Ti lascerò vivere e ti permetterò di uccidere i miei demoni, finché non ti accorgerai e accetterai che il tuo animo è più conforme alla nostra dottrina che alla vostra.”

Gabriel si volò e mosse qualche passo, poi ci ripensò. Disse: “Già che ci sei, potresti riferire una cosa al mio amichetto del cuore?”

Si voltò di scatto. Afferrò i capelli del ragazzo e gli tirò indietro la testa.

Sebastiano urlò per il dolore: ci mancava solo quello; il movimento brusco gli aveva fatto dolere tutte le fratture.

Antinori avvicinò il proprio volto al suo e, con voce inquietante, gli sibilò all’orecchio: “Digli che il prossimo della vostra combriccola che oserà sfidarmi, finirà in pasto ai cani e prima non mi accerterò che sia morto.”

Si avviò di nuovo verso la porta e, con le spalle voltate, aggiunse sbadatamente: “Ah, ricordagli anche che la mia proposta di unirsi a noi è sempre valida, sia per te che per lui.”

Finalmente uscì. Alonso, allora, si alzò in piedi e andò a controllare se ci fossero altri superstiti, oltre al giovane. Trovò alcuni civili feriti, ma vivi e un paio di templari in fin di vita. Si sentì un lamento: era Fylan, aveva ricevuto un colpo in testa ed era svenuto e ora si stava riprendendo.

Trovandolo abbastanza in buono stato, Alonso lo esortò a dargli una mano a trovare i superstiti e dedicarsi a qualche prima medicazione, per poi trovare la maniera di trasportarli altrove.

“Perché sei venuto tu e non Isaia?” domandò Sebastiano, con un filo di voce.

“Non siete stati gli unici ad essere attaccati.” spiegò il templare “Si sono verificati assalti in tutta l’area sotto l’influsso di Antinori. Abbiamo dovuto dividerci su più fronti.”

“La catacomba?” si preoccupò Alonso.

“Per quel che ne so, non è stata violata. Abbiamo deciso di non portare i feriti là sotto, per evitare che venga scoperta: li stiamo trasportando tutti all’infermeria templare. Faremo così anche per questi.”

“Non va bene!” imprecò Sebastiano “Avete sì e no il pronto soccorso e ormai sarete già pieni di feriti. Dobbiamo andare in Villa: là c’è padre Loreto, che oggi aveva giorno di riposo dall’ospedale, e i buddisti che potranno medicarci e hanno anche vario materiale.”

Alonso non sembrò affatto entusiasta dell’idea, ma padre Fylan l’appoggiò subito e quindi si sbrigarono a procurarsi un paio di auto e a caricarci i feriti e poi partire.

Arrivarono alla Villa. Alonso aveva già avvertito per telefono dell’arrivo dei feriti, quindi trovarono ad aspettarli diverse persone, pronte a trasportare dentro la gente e con i ferri pronti per qualsiasi intervento fosse stato necessario: per fortuna si trattava solo di suture da eseguire e ossa da raddrizzare e ingessare. I casi più gravi erano i templari: necessitavano di trasfusioni, ma lì non c’erano riserve di sangue; inoltre, anche pur sapendo il loro gruppo sanguigno e trovando qualcuno, tra i presenti sani, che avesse potuto donare, non avrebbero avuto gli strumenti per effettuare la trasfusione. Dovevano dunque aspettare che qualcuno, dalla catacomba, portasse l’occorrente … sperando non arrivasse troppo tardi.

In realtà, quello conciato peggio, era ovviamente Sebastiano, ma lui non aveva voluto vedere né Loreto, né altri, e si era fatto portare immediatamente da Michela che, avuta notizia dell’imminente arrivo, aveva supposto che l’amico avrebbe avuto bisogno delle sue cure e, quindi, aveva predisposto tutto il necessario. Lo fece deporre su un tavolo, su cui aveva steso un lenzuolo bianco, poi allontanò gli altri e si chiuse nella stanza per oltre un’ora.

Rambastiano, Rambastiano! Questa volta sei ridotto peggio del solito: chi è stato?”

“Demoni.” rispose lui, mantenendo la concentrazione per stimolare l’autoguarigione, per aiutare l’amica “Me ne sono trovato sei addosso. E poi Antinori mi ha tirato i capelli.”

“Ti ha tirato i capelli?” rimase perplessa lei “Crudelissimo!” ironizzò.

“È che gli sto simpatico. Se non altro, è ancora abbastanza ragionevole da riconoscere il valore dell’avversario.”

Continuarono a chiacchierare, durante la fase di cura e alla fine Sebastiano si ritrovò in ottima forma. Uscirono dalla stanza e scesero al piano di sotto per controllare come stessero gli altri. Lo stupore pervase tutti. Chiunque aveva visto le pessime condizioni in cui vessava il giovane e biondo gesuita, rivederlo completamente sanato, suscitò grande sorpresa e dubbi.

“Sebastiano, che cosa ti è successo?” domandò immediatamente Fylan “Eri ridotto peggio dei miei templari e ora … Com’è possibile?”

Il gesuita non sapeva che cosa rispondere: non voleva mettere nei guai un’amica che non solo era preziosa, ma a cui era affezionato.

Michela comprese quella difficoltà e decise di essere onesta, si fece avanti e chiaramente disse: “Sono stata io a guarirlo.”

“Tu?!” si meravigliò Fylan che, seppure avesse visto qualche volta la ragazza, non aveva idea di chi fosse “Come puoi avere fatto qualcosa del genere?”

La maga decise di scoprirsi: in fondo stava curando delle persone, che male avrebbero potuto vederci i templari, in ciò?

“In questo modo!” si avvicinò ai due templari in fin di vita, tracciò per terra un sigillo e iniziò coi suoi riti. Dopo mezzora i due monaci guerrieri non erano in perfetta forma, ma avevano ritrovato il sangue necessario.

Tutti i presenti erano attoniti, non sapevano che cosa pensare. Il primo a rompere il silenzio fu Sebastiano che provò a volgere la situazione a favore della ragazza, esclamando: “Miracolo! Sia lode al Signore che per mezzo di questa giovane, ha salvato i nostri fratelli!”

Qualcuno parve approvare, ma subito ogni possibile vocio venne smorzato dalle parole ruvide di Fylan: “Ma che miracolo! Questa non è opera di Dio, ma del diavolo! Guardate i segni che ha tracciato per terra! Non lasciatevi ingannare, essi non hanno nulla di santo, ma solo di stregonesco!”

Effettivamente il sigillo tracciato a terra non aveva nulla di cristiano. I presenti iniziarono ad indignarsi e a mostrare cenni e voci di rabbia verso di lei.

“Tu sei una strega!” accusò Fylan.

“No!” protestò lei.

“Osi negare che questa sia opera occulta?”

“È magia e non c’è nulla di più divino!” insisté lei, incredula di essere trattata in quella maniera, dopo che aveva semplicemente curato delle persone.

“Bestemmia! Non osare proferire altre parole sacrileghe con la tua bocca da strega. Confessa: sei un’infiltrata, vero?”

Sebastiano intervenne: “Non ti permetto di lanciare queste accuse a vanvera! Lei è stata la prima a permettere una resistenza contro Antinori. Lei è …”

“Sebastiano!” lo interruppe la ragazza, prima che il giovane potesse rivelare l’amicizia che correva tra lei e Isaia “Ti ringrazio per questa accorata difesa, ma non è necessaria.” si rivolse al templare: “Fylan, che cosa vuoi, dunque?”

“Voglio che tu mi segua al quartier generale dei templari: là sarai giudicata dal Gran Maestro.”

Michela rimase indecisa per alcuni, momenti, poi acconsentì: “Va bene, accetto.”

Fylan ghignò soddisfatto: evidentemente sperava di riguadagnare un po’ di fama e di rispetto con quella cattura.

Michela si volse verso Sebastiano, come per salutarlo e sussurrò: “Giorgio.” lasciando intendere la richiesta di proteggere il piccolo. Dopo di ché seguì Fylan.

La ragazza venne condotta alla base dei templari e venne chiusa in una cantina interrata.

Un paio d’ore più tardi, Isaia rientrò al quartier generale: era stato occupato quasi tutto il pomeriggio a contrastare un nutrito gruppo di demoni.

Sebastiano lo aveva già informato di tutto, ma egli finse di nulla sapere.

“Gran Maestro” annunciò Fylan, con un gran sorriso “Sono lieto di annunciarvi che abbiamo catturato una strega che, probabilmente, da tempo ci stava spiando per conto di Antinori.”

“Ah sì? E chi?”

Fylan raccontò per filo e per segno. Isaia ascoltò, mostrò estremo disappunto e disse: “So benissimo che cosa è in grado di fare quella ragazza! È un’allieva di Martin Delrio! Ci ha sempre aiutati!”

“Mi dispiace contraddirvi, ma non è così! Il potere di Delrio è palesemente di natura divina. Questa donna, invece, ricorre a simboli satanici per le sue operazioni.”

“Io sono un esperto nel settore di demonologia e azioni del maligno e, ti posso assicurare, che i suoi sigilli non hanno natura infernale.”

“Menzogna! Allora vi siete lasciato ingannare anche voi! Quella strega ha ammaliato voi come ha fatto pure col vostro discepolo Sebastiano.”

Isaia trattenne il nervosismo: l’ottusità di Fylan lo irritava parecchio. Intuì, però, che anche gli altri templari erano ottusi e, soprattutto, capì che quello dell’ammaliamento era un pretesto valido per poterlo accusare di inadeguatezza e, dunque, mettere a rischio la sua posizione di Magister Templi: questo non doveva accadere.

Isaia decise di assecondare il volere di Fylan e disse: “No, niente affatto. Sospettavo di lei, ma avevo bisogno che qualcun altro confermasse i miei dubbi. Procederò come necessario. Che cosa prevede il nostro Ordine, in casi come questi?”

Fylan, contento del trionfo, spiegò: “Bisognerà formare una commissione che giudichi la colpa della strega e poi deciderà quali provvedimenti prendere: dal momento che si tratta di stregoneria e non di poteri naturali, non è obbligatoria la pena di morte. Innanzitutto, però, è necessario purificarla.”

“Un esorcismo?”

“Una specie, ma non di quelli che siete solito compiere.” Fylan assunse un’espressione strana, indecifrabile “Le streghe, si sa, si sono congiunte col demonio …”

“Questo mi pare un concetto medievale.” lo interruppe Isaia, perplesso.

“La democrazia è un concetto ancora più vecchio, ma vigente ancora.” si difese il templare e poi proseguì: “Le streghe hanno avuto rapporti sessuali con Lucifero, dunque, l’unico mezzo che esiste per salvare la loro anima è quella che un sant’uomo si unisca a loro per scacciare, quindi, la presenza del demonio.”

“Uno stupro, dunque?” Isaia era sempre più basito.

“Dipende. Di solito le streghe non oppongono resistenza.”

Isaia rabbrividì e capì che, ostinati com’erano, non c’era modo e tempo di convincere i templari che quel concetto era privo di qualsiasi logica. Sapendo, dunque, che avrebbero insistito e non avrebbero accettato rifiuti, l’uomo decise di ingannarli e disse: “Molto bene, allora me ne occuperò io stesso.” accorgendosi che Fylan stava per borbottare qualcosa, lo prevenne: “Sono l’Arcangelo Michele e, quindi, sono il più idoneo per un simile compito.”

Detto ciò, si fece indicare dove fosse la ragazza e, solo, vi si recò. Aprì la porta, si guardò attorno nel corridoio, per essere certo che non ci fosse nessuno, poi la richiuse a chiave da dentro.

Michela si era sdraiata a terra, ma non appena aveva sentito la porta aprirsi, si era alzata in piedi. Mosse qualche passo verso di lui, ma si fermò quando notò la sua aria severa. Abbassò lo sguardo e disse: “Scusami, ti ho disobbedito e ora ti ho messo in difficoltà. Scusami …” era seriamente dispiaciuta, stava quasi piangendo, nel dire: “Io … io non credevo che avrebbero … Scusami, avevi ragione …”

Isaia, vedendola così affranta, si dispiacque a propria volta e non poté fare a meno di abbracciarla: la prese tra le braccia e se la strinse al petto e, paziente, le disse: “Ti perdono, ma adesso non pensare a questo. Prometti che in futuro mi darai retta?”

“Sì, certo!” disse immediatamente lei, sollevata nel vedere che si era calmato.

“Tu stai bene?” si preoccupò lui, pur vedendo che lei non aveva segni addosso “Ti han trattata male?”

“No. Non ho creato problemi e loro non hanno avuto motivo di prendersela con me. Piuttosto, Giorgio? È al sicuro?”

“Sì, tranquilla. Sebastiano lo sta portando alla catacomba: abbiamo pensato che lì faranno meno caso a lui e, se anche gli scapperà di usare un qualche potere, non dovrebbero notarlo. Appena uscirai di qui, lo raggiungerai e rimarrai anche tu lì. C’è un pessimo clima in città: c’è odio totale verso la gente che ha poteri, dovrai stare ancora più attenta pure tu! Non sei al sicuro.”

“D’accordo, non userò la magia per un po’.”

“Spero che la userai almeno per evadere. Io non credo di poterli persuadere a lasciarti andare. Perché li hai assecondati? Avresti dovuto scappare.”

“Non volevo peggiorare la situazione. C’era gente in giro, non volevo fosse coinvolta e, poi, supponevo che un atteggiamento mite mi avrebbe favorita.”

“Non credo che con questa gente si possa ragionare …” sospirò Isaia, malinconico “Sapessi che cosa mi hanno incaricato di fare adesso!”

“Cosa?”

“Tu pensa che hanno ancora la convinzione che le streghe si uniscano con il diavolo … e pensano che l’unico modo per salvare le loro anime sia …” si imbarazzò, ma nonostante ciò non sciolse l’abbraccio  “… sia unirsi carnalmente con loro … Ma non ti preoccupare, non ho certo intenzione di … Per questo sono venuto qui, qualsiasi altro avrebbe … Ma non io.”

Michela lo guardò con un poco di delusione e, scrutandolo negli occhi, sospirò: “Peccato … Tu saresti stato l’unico con cui l’avrei fatto volentieri.”

Isaia la guardò in un misto di tenerezza, dolcezza e anche rammarico e disse: “Oh, Michela …! Credimi, s’io potessi scegliere una cosa di questo mondo da avere garantita, sarebbe la tua compagnia, nella buona o avversa sorte, per ogni giorno della vita … e anche dopo.”

Avvicinò ulteriormente il viso a quello della ragazza, con le labbra le sfiorò la bocca e le diede un bacio alla persiana. Poi ritrasse il volto e la guardò come a scusarsi.

Lei non capì quegli occhi. Li fraintese. O finse di non  aver compreso.

Con le mani strinse le spalle dell’uomo, quasi si volesse aggrappare a lui. Si protese verso la sua bocca e lo baciò. Questa volta un bacio vero, lungo.

Isaia, lì per lì, forse perché colto di sorpresa, contraccambiò come poté, mai poi si rese conto di quel che stava facendo, si irrigidì e si ritrasse, lasciano anche l’abbraccio, dicendo: “No.”

“Ma …” provò a dire lei.

“Michela, davvero, se tu deciderai di non abbandonarmi e di stare al mio fianco, io ne sarò felicissimo. Se vorrai, ti amerò: ma senza carnalità. Sono un prete ho fatto un voto.”

“Il tuo non è un voto di celibato perpetuo, anziché di castità?”

“No. Per i gesuiti è castità.” lo disse con risolutezza, ma, senza accorgersene, aveva preso le mani della ragazza tra le proprie.

“Questa tua fermezza ti rende ancora più ammirabile …” sospirò lei.

Isaia, che parlava in un modo, ma il cui corpo agiva in tutt’altra maniera, quasi si trovasse ancora in meditazione, la strinse di nuovo a sé e le disse: “Se mi ammiri per questo, se io cedessi, non perderesti forse il rispetto per me?”

“No di certo.” gli carezzò il viso “Io lo so cosa ti trattiene: hai paura di tradire Dio, in questo modo. Vedi, però, negarsi ciò che è piacevole per paura, è rendere schiava la volontà; questo non ti fa di certo onore.”

“Che uomo di Dio sarei, se cedessi alla carne?” ma intanto aveva appoggiato la propria fronte a quella della ragazza.

“La carnalità non è un peccato. Non è l’unione di due corpi che degrada l’amore, ma come esso lo si vive. Vi sono due amori: quello del cuore e quello della testa. Quello del cuore non si esalta mai, ma si espande, tramite prove e sacrifici. L’amore della testa è passionale e vive solo d’entusiasmo, nega i doveri e tratta l’oggetto amato come una conquista e una proprietà.” aveva, intanto, fatto scivolare le mani sulle spalle dell’uomo e gli stava slegando il rosso mantello da Gran Maestro; continuò: “Il problema non è fare l’amore, ma lo stato d’animo in cui ci si trova, quando ci si unisce con l’amato. Bisogna evitare la vertigine delle passioni, che è la schiavitù. Solo la saggezza è libera, tutto il resto è pazzia e fatalità.”

Isaia sorrise, non si oppose allo sfilare del mantello, le carezzò i capelli e le disse: “La saggezza sei tu, è questo un modo in più per cercare di convincermi della legittimità di … questo? Non funzionerà. Io non devo. Io non sarò vittima di questi piaceri terreni.”

“Piaceri terreni …” ripeté lei, scuotendo il capo, intanto aveva fatto scivolare le mani lungo la schiena di Isaia, per sbottonare la tunica “Sì, finché l’amore non è che un desiderio ed un godimento, è mortale. Per eterizzarsi occorre che divenga un sacrificio, perché allora diventa una forza ed una virtù.”

Isaia spostò leggermente il capo e le sussurrò ad un orecchio: “Infatti, è quello che sto facendo: sacrifico l’amore.” ma poi iniziò a baciarle il collo.

“No, non è questo. Vincere l’amore e sottometterlo alla giustizia è ottenere l’immortalità, ma questo non significa rinunciare all’atto fisico, anzi! Significa riconoscerne la sacralità, la grandezza e valorizzarlo e compierlo non per appagare i sensi, ma perché consapevoli della santità di questo momento.”

“Non sembra che tu stia parlando di … sesso.” disse lui, con una mano tornò ad accarezzarle i capelli, con l’altra, posta su un fianco, la strinse maggiormente a sé.

“Infatti non parlo di fare sesso, quello lo fanno le bestie e gli uomini e le donne che non comprendono e seguono solo gli stinti del godimento e scelgono il partner solo in base all’aspetto fisico o agli ormoni e che uniscono i loro corpi per mero piacere, senza sapere quello che stanno facendo. Io parlo di amore.” aveva finito di sbottonare le tunica e ora accarezzava la schiena nuda di Isaia, sentendone il calore e trasmettendo il proprio “Spogliamoci dei nostri ego, uniamoci! Le nostre anime si fonderanno l’una con l’altra, per qualche momento né io, né te esisteremo più. Le nostre anime non saranno più distinte, saranno, saremo, un’entità a parte. Non ci saranno differenze tra me e te.”

“Giustizia e saggezza che si fondono assieme?” domandò Isaia, iniziando a fare dei grattini dietro l’orecchio destro della ragazza.

Lei fece le fusa per qualche istante, prima di proseguire: “Sì! Non lo trovi meraviglioso? Non ti chiederei mai di rinunciare alla tua vita o fare chissà cosa. Ti chiedo soltanto, per una volta, un’unica volta, di permettere che le nostre anime si congiungano e si fondano, per presentarsi a Dio in un aspetto nuovo. Uniamoci e che la nostra estasi sia una preghiera a Dio, consacriamo a lui questo momento. È questo che è l’amore: abbandonarsi l’uno all’altro e assieme abbandonarsi a Dio.”

Isaia sospirò, ma non era un sospiro di rassegnazione, ma di piacere, disse: “Oh, davanti a una visione così sublimata … come posso considerarlo un peccato?”

Allora baciò la ragazza. Non l’aveva mai fatto prima di quel giorno, ma l’istinto lo guidò e già percepiva le loro anime, i loro flussi astrali che si sarebbero fusi assieme, come le acque di due fiumi che, incontrandosi, formano un’unica corrente e non si può più sapere quale acqua venga da dove e, se dovessero poi dividersi, non si separerebbero come in origine, ma rimarrebbe qualcosa dell’una, nell’altra.

Michela, allora, sfilò la tunica ad Isaia e, vedendolo un attimo in imbarazzo, onde evitare che avesse ripensamenti, gli prese una mano e se la infilò sotto la maglia e la guidò fino al seno. La mano dell’uomo, dapprima rigida, presto si sciolse ed iniziò ad accarezzare, tastare e stringere quel seno grosso, tondo e pieno.

Lei, intanto, aveva iniziato a baciargli il petto, leccarlo, fargli succhiotti.

A poco a poco, si abbandonarono l’uno all’altra. Si strinsero, si presero, si avvinghiarono, si baciarono, si esplorarono …

 

Un’ora più tardi, erano distesi a terra, nudi, usando i loro abiti come lenzuolo per non stare a contatto col pavimento.

Michela era rannicchiata su un fianco, con la testa sul petto di Isaia, occhi chiusi, seguiva il suo respiro, e le braccia attorno a lui.

Isaia le carezzava i capelli e guardava quel viso così dolce e innocente. Se lui avesse dovuto dare un volto alla bontà, sarebbe stato quello. Lei era il suo angelo consolatore.

Lui, però, non era sereno. Per la prima volta, accanto a lei, non era tranquillo.

Si era già pentito di quel che aveva fatto. Al momento gli era sembrato ragionevole ciò che Michela gli aveva detto, ora, invece … Che cosa gli era preso? Aveva fatto ciò che la ragione gli proibiva tassativamente di fare. Perché?

Ora lui aveva tradito Dio. Dio lo avrebbe abbandonato? No, certamente. Dio era sempre lì, accanto a lui. Era lui che si vergognava e che non avrebbe voluto presentarsi davanti al Signore, poiché i sensi di colpa lo pervadevano e lui si chiedeva con quale coraggio e sfacciataggine avrebbe osato rivolgere preghiere a Dio, ora che era venuto meno alla sua parola?

Guardò ancora lei. Lei. Perché lo aveva trascinato in quel vortice? Se lei lo conosceva davvero così bene, non aveva previsto che lui si sarebbe sentito così male? Perché coinvolgerlo, allora? Era stata un’egoista.

Non poteva, però, certo incolpare lei. Lui aveva fatto quella scelta, lui aveva deciso di non opporsi, lui aveva ceduto.

“Che cos’hai?” domandò dolcemente lei, aprendo gli occhi e guardandolo.

Forse la rabbia di Isaia aveva accelerato il suo respiro e aveva disturbato la quiete di lei.

L’uomo sospirò e disse: “Avrei dovuto immaginarlo che mi sarei sentito così ...”

“Inquieto?”

Isaia annuì. Lentamente si scostarono l’una dall’altro e si misero a sedere.

“È stato sublime, ho davvero sentito le nostre anime unirsi e anche a livelli meramente fisici è stato un vero piacere, ma …” sospirò, la guardò “Mi sento in colpa.” era triste “Non ce l’ho certo con te. Ce l’ho con me stesso. Tu hai fatto quello che ritenevi giusto e io …”

“Anche tu l’hai ritenuto giusto, in quel momento.” gli fece notare lei, accarezzandogli il viso, per tranquillizzarlo.

Isaia le prese le mani, le abbassò, ma non le lasciò andare. Mormorò: “Immagino tu sia adirata con me.”

Lei gli riprese il viso e gli chiese: “Perché dovrei esserlo?”

“Beh, suppongo non sia stato molto gentile, da parte mia, rovinare questo momento, dicendo che mi sento in colpa.”

“Sarebbe stato peggio se non lo avessi detto. Ho sbagliato io.”

Lui la guardò sorpreso.

“Ho creduto che fossi pronto e, invece, non lo eri. Scusami.”

Isaia voleva dire qualcosa ma non ne ebbe il tempo.

“Non c’è bisogno che cerchi giustificazioni. Ti comprendo.”

Gli sguardi di entrambi erano amareggiati, ma avrebbero voluto contemplarsi in eterno.

Michela si sforzò di fare un sorriso. Isaia, riconoscente, l’abbracciò forte un’ultima volta.

Iniziarono a rivestirsi e l’uomo lo fece in gran fretta, sentendosi improvvisamente in imbarazzo.

“Riuscirai ad evadere, o hai bisogno di un aiuto?” domandò Isaia, una volta tornati alla normalità.

“Non sarà un problema.” lo rassicurò lei.

“Temo che per un po’ non potremo vederci, mi dispiace … Ma ci sentiremo telepaticamente, chiamami pure quando vuoi.”

“No, non voglio esserti di disturbo. Chiamami tu quando ne hai voglia e tempo.”

“Lo farò. Mi mancherebbero troppo le nostre chiacchierate.” si avvertiva che era un pensiero sincero, ma che l’uomo aveva dovuto sforzarsi per esprimerlo a voce.

“Non saremo mai soli o separati.”

Isaia sorrise; poi le disse: “Buona fortuna.”

Le diede un bacio sulla fronte e uscì.

 

 

 

Note dell’Autrice.

Grazie a tutti i miei lettori! Spero che la storia continui a piacervi. Grazie per il tempo che mi dedicate. Penso che questo capitolo, alcuni di voi, lo stessero aspettando da un po’ di tempo, per cui spero sia piaciuto.

Per quanto riguarda il titolo del capitolo “Amor, ch’a nulla amato, amar perdona”, ecco la parafrasi: “L'amore, che a nessuno perdona, se amato, di non riamare”; è un verso di Dante che penso calzi a pennello.

Grazie a tutti ancora e grazie ad Alex Piton per le sue imbeccate! ^.^

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Capitolo 32
*** Da Serventi ***


Michela era rimasta sola nella cantina, passò diversi minuti a rievocare nella mente quei bei momenti appena trascorsi con Isaia. Nonostante l’ultima conversazione, lei aveva ancora l’animo colmo di letizia e voleva inebriarsene, fintanto che l’avrebbe pervasa. Quando, a poco a poco, la sensazione di serenità andò scemando, la ragazza si decise ad evadere. Era riuscita a tenersi un paio dei suoi carboncini, senza che le venissero sequestrati dai templari. Tracciò dunque il primo pentacolo della Luna, quello che serviva ad aprire le porte; una volta nel corridoio,tracciò il quarto sigillo del Sole, che permetteva di essere trasportati dagli spiriti ovunque si desiderasse. Non lo aveva usato fin da subito, per evitare che Fylan o altri sospettassero che fosse stato Isaia a farla evadere: quello sarebbe stato davvero dannoso.

Evocati gli spiriti, ordinò loro di trasportarla fin quasi davanti all’entrata della catacomba. Vi arrivò quasi istantaneamente; ringraziò gli spiriti e li congedò. Si guardò attorno e, certa di non essere vista, il buio la favoriva in questo, corse fino alla catacomba e vi entrò. Scese una lunga scalinata. Trovò molta gente che si aggirava in quei sotterranei, affaccendata in varie occupazioni. Non le pareva di vedere volti conosciuti, per cui non sapeva a chi chiedere informazioni; non aveva più con sé il telefono (sequestrato dai templari) dunque non poteva contattare direttamente gli amici. Incrociando un gruppo di suore, le fermò e cortesemente domandò loro se conoscessero padre Alonso o padre Sebastiano e se li avessero visti di recente. Le monache non seppero rispondere circa dove si trovassero in quel momento i sacerdoti; per fortuna, però, un signore lì vicino aveva sentito la conversazione e disse alla ragazza di sapere dove fosse il giovane gesuita e l’accompagnò verso l’infermeria del pronto soccorso per ferite leggere.

Entrata nella stanza, Michela notò che c’erano diversi pazienti, spostò lo sguardo alla ricerca dell’amico e lo trovò seduto su una sedia, molto cupo, con una fasciatura al braccio e un taglio sul viso. Già il fatto di trovarlo lì aveva insospettito la ragazza, vedere il giovane così fosco, aveva accresciuto la sua paura. Gli si avvicinò e con voce rotta lo chiamò: “Sebastiano …!”

Il gesuita alzò lo sguardo: i suoi occhi erano colmi di tristezza e rabbia. Con una voce di pari emozioni, si sforzò di dire: “Ti sei liberata, bene …”

“Sebastiano, che cos’è successo? Dov’è Giorgio?”

Il sacerdote si alzò in piedi, si accostò a lei, le mise su una spalla la mano del braccio sano e, affranto per averla delusa, sospirò: “Perdonami!”

Michela sgranò gli occhi, una miriade di preoccupazioni la invasero, temette il peggio ed esortò: “Giorgio?”

“Lo hanno preso …”

“I templari?” lo interruppe lei, con viva preoccupazione.

“No.” la rassicurò lui.

“Chi, allora?” temeva la risposta che si stava dando da sola, nella propria testa.

“Suo padre, Niklos.”

La ragazza vide concretizzata la sua paura. Rimase sconvolta. Aprì la bocca due o tre volte per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Il timore, la disperazione e il pianto imminente la bloccavano. Suo figlio! Il suo piccolo Giorgio, finito nelle mani di Niklos!

Non che temesse che Niklos potesse fare del male al bambino. No, questo era da escludere a priori. Lo stregone aveva tanti difetti, ma non quello di essere un padre snaturato, avrebbe trattato bene il figlioletto e non gli avrebbe fatto mancare nulla. Quel che lei non poteva accettare, però, era l’ambiente della setta del candelaio,

“Com’è successo?” riuscì a chiedere soltanto.

“Credo che Niklos ci tenesse d’occhio da un po’ e ci ha teso una trappola.” spiegò il gesuita “Ero in auto da solo con Giorgio. A un certo punto ho dovuto frenare di colpo perché della gente si era gettata in mezzo alla strada: sembrava una rissa. Mi sono, però, accorto che c’erano almeno un paio di persone dotate di poteri, sicuramente scagnozzi di Antinori. Non immaginavo avessero scatenato quella lite per distrarre me, per cui ho spento l’auto, sono sceso e sono andato a prendere le difese degli indifesi … poco dopo ho sentito la voce di Niklos che mi chiamava. Mi sono voltato e l’ho  visto con Giorgio in braccio. Mi ha detto di riferirti che stava semplicemente facendo il suo dovere di padre, scegliendo ciò che era meglio e così via, poi mi pare abbia aggiunto che sarebbe contento se tu volessi raggiungerlo per formare una vera famiglia … Non ricordo molto bene, visto che poi ho ricevuto una botta sulla nuca e sono svenuto. Quando mi sono risvegliato ero sull’auto, ferma ancora in mezzo alla strada; allora sono venuto qua. Perdonami!”

Michela era molto preoccupata, ma non poteva certo prendersela con Sebastiano, nemmeno lei avrebbe mai immaginato che lo stregone potesse ricorrere a quegli stratagemmi.

“Non ti preoccupare. Adesso andrò a riprendermelo.”

“Perfetto: vengo con te.” il giovane scattò in piedi.

“No.” rispose seccamente lei.

“Ma come? Io sono responsabile di quel che è successo e quindi mi è doveroso aiutarti!”

“Grazie, ma andrò da sola.”

“Non puoi! Loro sono tanti e sicuramente …”

“Con te la situazione non migliorerebbe di molto. Se andassimo in due, non torneremmo in due, anziché non tornare uno e basta. Sebastiano, tu sei molto utile per Isaia, per Alonso e per tutto quello che stiamo facendo, devi rimanere qui e continuare a combattere Antinori e a portare la speranza e la parola di Dio tra la gente. Io, invece, qui, non posso più far nulla o quasi. Sarei solo un impiccio, perché ormai devo nascondermi dai templari e probabilmente anche dalla gente normale. La nostra causa non ne risentirà, se non dovessi ritornare. Certo, io farò di tutto per riprendere il mio Giorgio e poi tornare qua. Non so se ci riuscirò, ma che io sia qui o meno, non ha rilevanza.”

“Allora temo che, nel migliore dei casi, dovrò aggiungere alla lista delle cose da fare un nuovo punto: liberare te.”

“Troppo premuroso!”

“Ah, è il minimo, dato che è colpa mia! Se avessi aspettato che Fylan se ne fosse andato, prima di farmi guarire, probabilmente, anzi, sicuramente, tutto questo non sarebbe accaduto … E chi lo sente Isaia, adesso!”

“Perché?”

“Era già abbastanza preoccupato e seccato, quando gli ho riferito di Fylan, figuriamoci cosa mi dirà, ora, quando gli racconterò che ti ho lasciata andare in Vaticano da sola!”

“Capirà perfettamente.”

“Sì, hai ragione. Forse si rammaricherà, come dispiace a me, ma anche lui saprà che era la cosa giusta da fare.”

“Credimi, neppure io andrei, se la mia presenza, qui, fosse importante. Salutami tutti quanti, nel caso non dovessimo rivederci presto.”

“Non mancherò di farlo.”

I due amici si salutarono, poi Michela se ne andò, tornò in superficie e, senza bisogno di farsi coraggio, poiché la risolutezza non le mancava, si diresse verso il Vaticano. Arrivata là, fece un respiro profondo: pensava a quello che sarebbe stato l’esito più probabile di quell’azione e quindi si preparò psicologicamente a tirar fuori il vecchio carattere.

Crescere nella cerchia del Candelaio le aveva forgiato un carattere forte, autoritario, a tratti freddo e superbo, era l’unico modo che aveva trovato per non finire al seguito di qualcuno degli altri membri della setta. Quando era poi scappata e si era rifugiata dai propri parenti, aveva imparato ad essere più fiduciosa negli altri e aveva riscoperto il proprio lato dolce e gentile, senza però mai dimenticare il proprio aspetto veemente che, all’occorrenza, tirava ugualmente fuori.

Ecco, entrando ora in Vaticano, avrebbe dovuto cacciare fuori gli artigli e rimpadronirsi totalmente della propria sicurezza e spavalderia.

Si guardò attorno e notò che c’erano demoni di guardia e, di tanto in tanto, degli umani. Li scrutò attentamente e finalmente individuò Davide, quello col potere di assorbire energie. Lo conosceva da tempo ed era stato lui ad insegnarle le basi della lotta corpo a corpo. Si avvicinò a lui e salutò.

“Ohilà!” rispose lui, allegramente “Questa volta vieni sola? Dovresti farti vedere più spesso.”

“Eh, sono stata piuttosto impegnata a ostacolarvi.”

“Sì, ti ho sentita alla radio.”

“Ah, allora non siamo abbastanza criptati. Comunque, non sono qui in via ufficiale da parte di Isaia, sono venuta per motivi privati.”

“Dimmi tutto.”

“Puoi portarmi da Bonifacio?”

“Certamente, anche se pensavo mi chiedessi di Niklos.”

“Se voglio ottenere qualcosa da Niklos, dovrò prima trattare con Bonifacio, temo.”

“D’accordo, vieni. Prima però …” contrasse il braccio destro, per mostrare i muscoli “Senti un po’ qua; è da anni che non hai simile spettacolo.”

Michela lo assecondò, gli toccò l’avambraccio e disse che era davvero perfetto. Davide gongolò e poi volle mostrarle anche il nuovo tatuaggio sul petto … in realtà voleva farle vedere i pettorali perfettamente scolpiti.

La ragazza pensò che lui non fosse cambiato di una virgola, da quando lo aveva conosciuto; si disse che in fondo non era cattivo ed era soprattutto un bambinone. Beh, no. Cattivo lo era, credeva fortemente negli ideali di supremazia della gente coi poteri e non si faceva remore nell’uccidere chi ritenesse inferiore.

Finalmente Davide finì di mettersi in mostra e si decise a far strada alla donna. Prima, però, fece cenno a uno dei suoi subalterni, Arthur, di sostituirlo durante la sua assenza. Arthur non protestò, salutò la ragazza, che anche lui conosceva e l’annusò, osservando che aveva un odore diverso dal solito.

Davide accompagnò la ragazza dentro a un palazzotto e l’accompagnò fino a una porta di legno bianco, decorata con stucchi in oro. Bussò.

Avanti. –disse una voce da dentro.

L’uomo aprì la porta e annunciò: “Bonifacio, guarda chi è venuta a trovarci!”

Serventi, che era seduto dall’altro lato della sala e suonava a un pianoforte, si interruppe e si voltò per guardare. Prima che potesse dire qualcosa, però, scattò in piedi Gabriel, poiché nella stanza erano presenti anche lui, Stefano, Claudia e Teresa.

Antinori, quindi, si era subito avvicinato alla ragazza e, ghignando, esclamò: “Ma bene: l’amichetta di Isaia! Devo dire che è una giornata piena di soddisfazioni: prima, abbiamo messo in riga un po’ di ostinati della città e ci siamo liberati dei soldatini che tentavano di difenderli; ora, vieni qui proprio tu. Dimmi, da Isaia vuoi tornarci a pezzi o indemoniata?”

“No, Capo.” protestò Davide “Lasciala così com’è. È una tigrotta simpatica.”

Gabriel si accigliò e chiese, rivolto alla ragazza: “Prima Niklos e ora pure Davide. L’hai data pure a lui, puttanella?”

“No, no!” rispose l’uomo palestrato “Lei non rientra tra le 164 donne che mi sono fatto. Le ho sempre detto che può aggiungersi alla lista quando vuole, ma finora ha sempre rifiutato.”

Gabriel spostò lo sguardo, esterrefatto, sul suo subordinato e gli domandò incredulo: “Ti sei davvero fatto 164 donne diverse? Come fai a tenere il conto?”

“Eh, io ci tengo! Ogni cinquanta, compro una torta gigante per festeggiare coi miei amici.”

A quel punto intervenne Serventi che, nel frattempo, aveva lasciato il pianoforte e li aveva raggiunti; congedò Davide, poi disse: “Gabriel, non è questa l’accoglienza giusta per i nostri ospiti. Lei non è una nemica, nonostante creda di esserlo.” la guardò coi suoi occhi profondi e terrificanti e la salutò: “Bentornata.”

“Non mi tratterrò: prendo mio figlio e tolgo l’incomodo.” dichiarò lei, con cipiglio fiero.

“Non puoi.”

“Dov’è?”

“Sta dormendo.”

“Allora aspetterò domattina.”

Gabriel si era già seccato di ascoltarli, per cui se ne tornò sul divano con Claudia.

Serventi continuò: “Sei sicura di volerlo portare via? Solo con noi può crescere felice e libero di essere sé stesso.”

“Sai bene che abbiamo idee nettamente divergenti circa cosa sia la libertà. Tu fai vivere queste persone in balia delle passioni e dei desideri.” la voce era macchiata di rimprovero e ira “Tu non li aiuti, sfrutti i loro poteri e non insegni loro la verità, non li informi sulle loro reali potenzialità, perché vuoi essere tu al vertice. Giorgio è mio figlio e non voglio che rimanga qui.”

Bonifacio era calmo, imperturbabile come al solito, replicò: “Quel bambino ha anche un padre, a cui lo hai tenuto nascosto per tre anni. Ti sembra corretto? Niklos vuole che suo figlio cresca con lui. Ora, tu hai due possibilità: o rimani qua anche tu, sarai ben accetta, oppure te ne vai e per tre anni non ti farai vedere, in questo modo i conti saranno pareggiati.” guardò l’espressione furiosa della ragazza “Suvvia, non fare la scontrosa: ti perdoniamo la tua defezione. Sei nostra e lo sai.”

“Non credo affatto. Io non rinuncerò a mio figlio, ma nemmeno accetterò di rimane qua, con l’assassino della mia famiglia.”

“Sono stati i templari, ti ricordo.”

“Con un discreto aiuto tuo e dei tuoi uomini. Inoltre, non mi pare tu ti sia servito di loro, per sbarazzarti dei miei genitori.”

“Quanta ira! Non la consideravi un peccato?” il suo tono era leggermente beffardo “Credevo fossi superiore a certe pulsioni.”

“Purtroppo per te, non ho raggiunto la perfezione.”

“Allora non conosci la Verità, essa la si raggiunge solo con la perfezione. Come puoi, dunque, credere che la tua opinione sia migliore della mia? In fondo, io sono più potente di te e vivo da molto, molto più tempo, questo indica che sono io quello che meglio conosce questo mondo e ciò che lo anima. Tu conosci già i valori della gerarchia, dell’obbedienza e del segreto, ma purtroppo in un contesto incompleto. I tuoi genitori erano esattamente come sei tu ora: intrappolati in un inganno limitante, che costringe a stare nascosti. Io vedo più in là; io intende espandere la gerarchia a tutta l’umanità.”

“La tua gerarchia è malata e contraddittoria! Inciti la gente all’anarchia e alla sottomissione.” non era più arrabbiata, anzi, pareva cercare un confronto costruttivo “Vuoi che ognuno sia dominato dai vizi e li assecondi, ma che obbedisca ai superiori. E i superiori, anziché aiutare chi sta sotto, lo sfruttano. Non ha senso: è caos!”

“Non mi importa ciò che pensi.” la troncò Serventi.

La stanza parve vuotarsi all’improvviso, gli altri quattro erano come spariti d’improvviso. Michela era consapevole che ciò significava che il resto della conversazione non avrebbe potuto essere sentito da nessuno.

Bonifacio diede l’ultimatum: “Decidi: o con noi e con tuo figlio, o fuori di qua, senza il bambino … non dovrebbe dispiacerti più di tanto: presto ne avrai un altro.”

“Cosa?” sbalordì lei.

“Come? Non lo sai ancora?” era il solito tono monotono, ma si avvertiva un senso beffardo “Dev’essere una cosa molto recente allora. Sì, sì, a ben sentire, si nota che è una novità, ma, fidati, ti assicuro che c’è un’altra vita in te. Lo sai ch’io posso percepire chiaramente queste cose e molte altre. È del tuo caro Isaia, vero? Certo; sei ancora imbrattata della sua energia, quasi se ne sente l’odore. Per come mi ha parlato Gabriel di Morganti, immagino sia stata una vera impresa, per te, riuscire a convincerlo ad accontentarti almeno una volta. Chissà che cosa ti sarai dovuta inventare. Perché complicarti la vita? La soluzione è semplice: vivi secondo la mia guida, portami lui e potrete vivere assieme, felici, senza più stupidaggini come i voti.”

“Nemmeno questo può corrompermi.”

“Fa come preferisci. Ad ogni modo, ti esorto ancora una volta a rimanere qua: non vorrai mica affrontare una gravidanza da sola, vero? I tuoi amici sono troppo impegnati a farsi sterminare dai miei uomini, per potersi occupare di te. L’intera città e, probabilmente, tutta la nazione sono furiose con la gente dotata di poteri. Non sei al sicuro, altrove, ti scopriranno e uccideranno. Resta con noi, solo così avrai garantita la sicurezza.”

Michela era furente nel dover ammettere che ciò era vero. Si morse un labbro, poi chiese: “Mi garantisci anche indipendenza?”

“Risponderai solo a me e a Gabriel.”

La cosa non le piacque granché, ma alla fine accettò: “D’accordo. Rimango.” mentre lo diceva, gli altri quattro presenti ricomparvero e sentirono quell’ultima frase.

“Ne sono felice.” disse Bonifacio “Presto ti renderai conto di dove sta la ragione e, allora, tutti assieme, realizzeremo qualcosa di grande.”

Michela lo guardò torvamente.

“Ora, dammi i tuoi carboncini.” tese in avanti il palmo destro.

Il tono dell’uomo non ammetteva repliche, tuttavia Michela esitò, prima di mettersi una mano in tasca e tirar fuori gli unici due carboncetti che le rimanevano e metterli in mano all’altro.

“Tutto qui?” domandò lui, sospettoso.

“Sì, gli altri me li hanno sequestrati i templari.”

Gabriel, sentendo ciò, si mise a ridere e domandò, beffardamente: “E come mai? Isaia si è accorto che sei una strega e ha tradito pure te?”

“Purtroppo per il tuo umore, no!”

“Gabriel” lo chiamò Bonifacio “Perquisiscila per vedere se nasconde altri carboncini.”

“Perché? Che ci importa di quei cosi? Domani te ne prendo quanti ne vuoi!”

“Non è che servano a me. È lei che non ne deve avere, così non può ricorrere all’uso dei sigilli e la sua magia sarà limitata. O vuoi ritrovarti il Vaticano pieno di spiriti di Marte? Quindi, perquisiscila.”

“Non potrei mai! Io non tocco altre donne, diverse da Claudia. Stefano, pensaci tu che così ti diverti anche un poco.”

Il giovane annuì, si alzò, raggiunse la ragazza, piuttosto indispettita, e iniziò a frugarle nelle tasche dei pantaloni.

Gabriel lo osservava e lo incoraggiava: “Cerca bene, eh Stefanino, conto su di te. Prova a vedere anche nella tasca segreta lì in mezzo … e pure dentro l'altro buco.” rise, guardando il discepolo mettere la mano tra le cosce della giovane; continuò: “Mi raccomando, la stagionatura del culatello: stringi bene e vedi a che punto è con la stagionatura!”  

Stefano non se lo fece ripetere, mise le mani sulle natiche della ragazza e strinse coi polpastrelli.

Serventi osservava: non sembrava approvare, ma non intervenne.

Gabriel continuava: “Una bella controllata anche a quei bomboloni, lì davanti, poi, sarebbe l'ideale. Spremi bene e vedi se esce un po' di crema!”

Stefano indugiò ancora in basso, prima di spostare le mani sul seno.

Michela stava fremendo di rabbia: in altre circostanze, avrebbe reagito furiosamente, dimostrando l’abilità nella lotta, appresa da Davide. In quel momento, però, era in un ambiente ostile e, soprattutto, non aveva ancora ritrovato suo figlio, quindi non voleva irritare nessuno, almeno in quel frangente.

La ragazza, però, si sentiva umiliata e il suo malumore e la sua ira si poteva leggere distintamente sul suo volto.

Gabriel se ne accorse e le disse: “Non capisco perché quella faccia, strega. Dovresti ringraziarmi, piuttosto, del fatto che ti faccio tastare da un vero uomo, visto che quell'imbranato di Isaia non è capace di farti divertire.” ridacchiò “Un minimo di gratitudine, dannazione!”

Si sentì la voce di Claudia che, evidentemente, stava rispondendo ad un’obiezione di Teresa: “E poi, per Stefano, è un toccasana. Il seminario gli ha causato molte inibizioni. Ha bisogno di sciogliersi!”

Non sembra –pensò Michela.

“Allora?” chiese l’Eletto.

Il giovane diede un’altra controllata generale, soffermandosi nelle solite due zone; infine disse: “Non ha altro.”

Bonifacio parlò: “Bene, Gabriel, hai finito di far divertire il tuo discepolo? Possiamo tornare seri?”

L’Eletto fissò la ragazza e l’avvertì: “Quanto a te, patti chiari e amicizia lunga: se proprio devi rimanere qui, non osare usare i tuoi squallidi trucchi da strega; non prendere iniziative e obbedisci ai miei ordini, se tieni alla tua incolumità.”

Serventi si avvicinò al divano e chiese: “Claudia, per favore, potresti accompagnare la nostra nuova amica in una stanza che possa occupare?”

“Certo!”

La psicologa sembrava felice e amichevole, fece un cenno a Teresa ed entrambe si alzarono e andarono con la ragazza fuori dalla porta alla ricerca di una camera.

Antinori, poi, un po’ irritato, si rivolse a Serventi: “Per quale accidenti di motivo hai deciso di ospitarla qui? Al massimo come prigioniera! Dovremmo sfruttare la cosa per far soffrire Isaia! Invece tu la accogli a braccia aperte e i nostri sottoposti prendono pure le sue difese! Non va bene così, diamine!”

“Gabriel, tu conosci il tuo amico meglio di me: non cederebbe di certo a ricatti e sicuramente non si precipiterà mai qua per salvarla.”

“Lo so, quindi uccidiamola.”

“No. Penso che la si possa sfruttare ugualmente come esca per Isaia.”

“Come?” si accigliò Gabriel.

“Una trappola col miele. Fare del male a lei, radicherebbe ancora di più l’ostilità del tuo amico. Portiamo, invece, lei dalla nostra parte … sono sicuro che questo sarebbe ben più sconvolgente per Isaia.”

Gabriel non pareva molto convinto.

“Credimi, sarà lei ad aiutarti a liberare il tuo amico.”

“Io dico che lei porterà solo problemi.”

“Tienila d’occhio allora, ma non ammazzarla, né esagerare in altri versi. Lei è basilare per Isaia, proprio come Claudia è fondamentale per te.”

Gabriel fu alquanto stupito.

“Ho un progetto in mente e per realizzarlo è necessario siate tutti e quattro votati a me.”

“Che stai dicendo?! Io sono l’Eletto!”

“Certamente. Inizialmente, il mio piano prevedeva te solo, perché non speravo fossero così vicini anche loro tre. È su di te che faccio maggiore affidamento; se sarà necessario, sono disposto a sacrificare gli altri, lo dimostrano le mie azioni passate; tuttavia, da quando hai detto di volere che Isaia ti affianchi, ho iniziato a sperare di realizzare un progetto che non ha eguali.”

“Quale?”

“Lo stesso che stiamo già portando avanti noi, solo che, con anche lui e il suo potere, il nostro dominio sarà ancora più saldo.”

“Sì, io e Isaia, assieme, ritempreremo il mondo … spero capisca.”

“Capirà. Una sola persona è riuscita a resistere alle mie lusinghe e il tuo amico non è certo alla sua altezza.”

 

Nel frattempo, Claudia e Teresa avevano trovato una stanza in cui far alloggiare la terza donna.

“Sono felice che tu sia qui!” disse la Munari “Ti troverai bene, ne sono certa! Io e Teresa abbiamo sempre qualcosa da fare, o per aiutare Gabriel o per rilassarci e divertirci. C’è posto anche per te, non ti annoierai! Adesso ti spiego dov’è la sala dove mangiamo noi, così stai in compagnia di noi al vertice e non con i subordinati.”

“Forse è meglio se non mi faccio vedere troppo in giro: Gabriel non è molto ben disposto, verso di me.”

“Beh, non ha tutti i torti. Sei rimasta amica di Isaia, nonostante abbia fatto attaccare il Centro d’Ascolto, è naturale che Gabriel ti guardi con sospetto. Non ti preoccupare, però, cercherò di mitigarlo.”

“Grazie.” rispose Michela, indecisa se difendere o meno l’amico; aveva paura di inimicarsi pure Claudia, per cui cercò di usare una via di mezzo: “Isaia non sapeva dell’attacco al centro. Ha agito di testa sua un tale che ora ha messo nei guai pure me. È vero, però, che sono stata al fianco di chi vi sta osteggiando, per cui capisco di non essere la benvenuta.”

“Oh, andiamo! L’importante è che tu, ora, sia qui e aderisca alla nostra causa.”

“Claudia, io sono qui solo per mio figlio.”

La psicologa fece una faccia dispiaciuta, ma subito riprese brio e disse: “Sono sicura che tra qualche giorno avrai cambiato idea. Adesso sei ancora condizionata dalle frottole che ti avrà raccontato quell’insulso traditore di Isaia, ma ti basterà vivere un po’ qui con noi e capirai, apprezzerai il nostro impegno e desidererai collaborare!”

So bene come si vive sotto Serventi e, sì, è un ambiente gradevole, ma ti lascia in balia del vizio. Questa era la risposta naturale che avrebbe dato la ragazza, ma non voleva discutere con Claudia, quindi annuì, ringraziò.

Le tre donne chiacchierarono per alcuni minuti, poi Michela espresse il desiderio di rimanere sola per riposarsi: era stata una giornata faticosa. Le due psicologhe la salutarono e se ne andarono.

Rimasta sola, Michela si sdraiò sul letto e cercò Isaia nella luce astrale, per potergli parlare telepaticamente.

“Michela!” esclamò l’uomo in un misto di sollievo e preoccupazione “Dove sei? Sebastiano mi ha riferito del vostro dialogo nella catacomba. Stai bene?”

“Sì, non ti preoccupare per me, sono qui in Vaticano, resterò alcuni giorni, pare.”

“Sei prigioniera?”

“Ospite. Mi hanno pure dato una bella stanza.”

“Com’è possibile? Gabriel ti odia!”

“Su questo non ci piove.”

Ripensò alla perquisizione e decise che non era affatto il caso di riferire quell'esperienza: avrebbe inutilmente infastidito Isaia.

“Temevo ti avesse già aggredita.”

“L’avrebbe fatto, ma ho due vantaggi. Primo, Serventi vuole realizzare la città infernale, quindi ha bisogno di me e te vivi. Secondo, molte delle persone, che sono qui, sono le stesse con cui sono cresciuta: mi vogliono bene, mi proteggeranno, se necessario, anche andando contro Gabriel.”

“Lo spero bene … Io non posso far nulla.” era amareggiato.

“Lo so.” rispose rapidamente lei “Ne ero consapevole, quando ho deciso di venire qui. Sapevo che probabilmente sarebbe finita in questa maniera.”

“Speriamo di trovare una soluzione per tutto questo al più presto.”

“Isaia, credo che potremo ricavare un vantaggio da questa situazione; in fondo, sono nel covo del nemico e loro non sanno che posso comunicare con te.”

“Non credo che Gabriel ti verrà a riferire i suoi piani, per cui non so che cosa porterebbe una tua azione di spionaggio.”

“No, Gabriel non mi dirà nulla, è vero, ma tutti gli altri sì. Credimi, i miei amici mi racconteranno e qualche informazione utile spero di ricavarla. Altrimenti, mi limiterò a ritrovare i miei cugini e a cercare di impedire che vengano corrotti. Potrei espandere la mia propaganda anche ad altri.”

“Di primo acchito mi verrebbe da dirti: evita di metterti nei guai e di irritare Gabriel o Serventi. Mi rendo però conto che minare la loro unità interna potrebbe essere un ottimo aiuto per noi. Ti sono grato, se ti sobbarchi di questo impegno e rischio.”

“Farò del mio meglio, lo sai che non mi piace rimanere inoperosa!”

Isaia sospirò e disse: “Spero di poter far affidamento su di te anche in futuro.”

“È un modo per dirmi che non devo farmi ammazzare?” chiese lei, contenta di quella premura, ma con tono scherzoso per alleggerire la situazione.

“Sì.” rispose lui e sorrise; poi un pensiero gli balenò per la testa e si raccomandò: “Quello che abbiamo fatto oggi pomeriggio …” il solo ricordo lo imbarazzava “Non dirlo a Gabriel, ti prego. Non dirlo a nessuno.”

“D’accordo, come vuoi tu.”

“Grazie.”

Michela aveva provato tenerezza nel sentire Isaia ancora così in imbarazzo per quella faccenda. Se fosse stata vicina a lui, in quel momento, lo avrebbe senza dubbio abbracciato o carezzato, per infondergli un po’ di sicurezza.

La ragazza si era comunque già resa conto che non si sarebbe ripetuto ciò che avevano fatto quel pomeriggio. Le circostanze, le emozioni avevano preso il sopravvento. Non sarebbe riaccaduto. Isaia non si sarebbe lasciato vincere una seconda volta. Lei non voleva dispiacere l’amico o metterlo di nuovo in difficoltà, si sentiva già abbastanza in colpa per come si sentiva, ora, Isaia, quindi aveva deciso di accontentarsi di quell’unica esperienza.

Accontentarsi … Sì, non si sarebbe più congiunta carnalmente con lui, ma le loro anime erano intrecciate ancor più di prima e, in fondo, era quell’unione spirituale che lei voleva e che la gratificava.

Inoltre, quell’unica volta era stata sufficiente per concepire un figlio: sarebbe stata una gran gioia.

Ammesso che realmente fosse rimasta incinta e che Serventi non l’avesse ingannata, inventando un pretesto per farla restare lì. Già, c’era anche il caso che Bonifacio le avesse mentito. Le sarebbe davvero dispiaciuto molto, scoprire che quella era stata soltanto una bugia. Al momento, comunque, non poteva saperlo, avrebbe dovuto aspettare qualche giorno, prima di conoscere la verità.

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Capitolo 33
*** Grazie, Gabriel ***


Michela si svegliò attorno alle otto e il suo primo pensiero fu quello di andare a cercare il figlioletto, quindi doveva rintracciare innanzitutto Niklos. Dal momento che non aveva idea di come fosse distribuita la gente all’interno di quei palazzi, ritenne che il modo ideale di procedere fosse quello di cercare la mensa comune e guardare se si trovasse lì; in caso contrario, avrebbe certamente trovato gente a cui chiedere informazioni circa dove potesse trovarsi lo stregone.

Non le fu difficile trovare il refettorio; c’erano circa una cinquantina di persone a far colazione, molti erano visi noti, di certo non erano le forze al completo di Serventi, evidentemente o c’erano dei turni, oppure quella non era la sola mensa.

Niklos, comunque, non era tra i presenti. La ragazza, allora, preso qualcosa da mangiare, si avvicinò ad un gruppo di cinque o sei giovanotti che conosceva e li salutò solare. Loro si stupirono di vederla, ma ne furono felici e le dissero di sedersi lì, assieme a loro.

“Allora, dove sei stata in questi anni? Perché te ne sei andata?” chiese uno di loro; era un trentenne, forse un po’ più giovane, coi capelli vaporosi e color del miele, era lo stesso che, qualche settimana prima, assieme a Niklos, aveva stretto d’assedio i gesuiti presso l’Istituto Massimo.

“Marco, Marco, Marco!” esclamò la ragazza, sorridente “Ho voluto progredire altrove, ora ho uno stile totalmente diverso da quello del buon Niklos.”

L’altro ridacchiò bonariamente, prima di dire: “È vero che sei anche tu di quei fortunati che potrebbero ricorrere ad ogni potere, purché studino. Il vantaggio di avere un solo potere è che non c’è bisogno di sforzarsi chissà quanto: basta scoprirlo e capire un attimo come funziona e non ci sono problemi. Voi, invece, avete gran varietà, ma impiegate tantissimo tempo per ottenerli e, comunque, non sono mai potenti come i nostri. La mia arte di impressionare i sensi della gente, non la eguaglia nessuno.”

“Ah, so bene che tu hai una delle doti più straordinarie. Ricordo bene le bravate tue e di Jacopo. Certo, le capacità erano totalmente diversa: lui agiva su immaginazione e paura, invece, tu puoi proiettare qualsiasi immagine e farla sembrare reale, indipendentemente da quali siano le paure degli altri.”

“E non dimenticare che ciò mi permette di trasmutare pure il mio aspetto, o quello degli altri! Sono contento che ti ricordi così bene!”

“Ho capito il meccanismo di come funziona il tuo potere, mi sto esercitando per imparare a padroneggiarlo, ma è una delle cose più difficili.”

“Eh, dovrai faticare parecchio, prima di potermi eguagliare!”

“Oh, questo senza dubbio.”

“Cosa ci fai qua?” domandò un altro “Quando sei tornata?”

“Ieri sera. circostanze particolari, molto particolari. Devo capire ben anch’io come sarà la mia presenza qua, ora.”

Continuarono a chiacchierare per diversi minuti, intanto gli altri presenti nel refettorio iniziarono ad uscire per andare a svolgere le proprie mansioni. Dopo un po’ Michela decise di andare a ciò che le premeva e, quindi, chiese: “Ma, come mai Niklos non è qui con voi?”

“Non si fa vedere molto spesso.” spiegò Marco “Si presenta ai consigli d guerra e poco altre volte. Non va affatto d’accordo con Antinori, discutono spesso. Credo che Bonifacio si sia stufato di fare sempre da paciere e abbia consigliato a Niklos di starsene in disparte.”

“Sapete dove posso trovarlo?”

Le indicarono una decina di posti diversi, ma nessuno certo.

“Comunque non cercarlo: non credo sarà felice di rivederti.”

“Perché?”

Marco spiegò: “Ci è rimasto molto male, quando te ne sei andata, senza avvisarlo, per di più.”

Fu allora che fece capolino nel refettorio, ormai quasi vuoto, Gabriel che a gran voce richiamò l’attenzione dei pochi presenti: “Ehi, voi! Che cosa ci fate ancora qua, scansafatiche?! Muovetevi ad andare ad occuparvi delle vostre faccende e non perdete ulteriore tempo, o prenderò provvedimenti.”

“Sì, perdonate.” dissero più o meno tutti quanti e si alzarono e se ne andarono.

Marco e gli altri, prima di uscire, fecero un rapido cenno di saluto a Michela che rimase seduta, sostenendo lo sguardo dell’Eletto che, da in piedi, la guardava con grande avversione.

“Già non è che mi entusiasmi l’idea di trovarmi te davanti di primo mattino, ma se poi ti trovo pure a far perdere tempo ai miei uomini … allora mi irrito parecchio, strega.”

“Quante storie! Stavo semplicemente chiacchierando con dei vecchi amici che non vedevo da anni. Chissà, poi, che cosa devono fare! Non mi pare abbiate la possibilità di procurarvi molti impegni.”

“Quel che facciamo non è affar tuo, strega. Tu non devi disturbare la gente che lavora, tu non devi infastidire, tu devi farti i fatti tuoi e non rompere in giro.”

“Non ti agitare, volevo solo capire dov’è Giorgio.”

“Mettiamo subito le cose in chiaro: tu mi devi portare rispetto. Non usare quel tono con me, perché la prossima volta, ti faccio passare la voglia di fare l’insolente. Tu guarda! Uno è così gentile da offrire riparo, cibo e protezione a un’insulsa traditrice e al suo moccioso e questa ha pure la sfrontatezza di parlare con arroganza.”

“Siete voi che ci state trattenendo qui. Dipendesse da me, avrei già preso mio figlio e me ne sarei andata.”

Gabriel si avvicinò al tavolo, vi appoggiò le mani sopra, si sporse verso la ragazza e, puntandole i suoi occhi di brace, le sibilò: “Considera, però, attentamente le tue condizioni. Hai una tua stanza, hai assicurati tre pasti al giorno e sei libera di girare dove ti pare, purché non disturbi e non disobbedisca ai miei ordini. Le cose potrebbero andare molto peggio, non credi?” e qui il tono si fece minaccioso, pur rimanendo tranquillo, quasi candido “Avresti potuto essere chiusa in una cella minuscola, senza nemmeno un bagno, mangiare un tozzo di pane ogni due giorni e farti bastare l’acqua piovana. Lo stesso sarebbe potuto capitare al tuo bimbetto. Non è accaduto, però.”

Gabriel la guardò severamente. La ragazza tremò, dentro di sé, temendo quella sorte, niente affatto ipotetica.

“Non pensi che dovresti dire qualcosa, a questo punto?” la esortò con una calma tremenda.

Michela lo guardò torvamente e poi disse: “Grazie, Gabriel.”

“Esatto! Ricordalo bene e impara a dirlo il più spesso possibile, perché qui devi tutto a me. Il bene e il male che riceverai hanno un’unica origine: me.”

La fissò per qualche lungo istante, in modo che il concetto si radicasse profondamente nella giovane; poi le disse: “Claudia è stata così amorevole da ricordarsi che tu non hai portato valigie con te e che, dunque, ti manca qualsiasi cosa. Ha quindi deciso di venire, assieme a Teresa, con te a procurarti degli abiti. Raggiungila immediatamente e non perdere altro tempo e ringrazia pure lei delle sue premure!”

Michela non se lo fece ripetere: non desiderava certo stare in compagnia di Gabriel, né irritarlo. Cercò le due donne e le trovò quasi subito. Dopo i convenevoli le seguì: uscirono dal Vaticano e, rimanendo nella zona circostante, entro il perimetro dei sigilli, cercarono alcuni negozi di abbigliamento e iniziarono a provare vestiti di ogni modello e stile. Indossarono, si guardarono allo specchio, si diedero consiglio tra loro e, scelto cosa prendere, se lo portarono a casa, senza pagare: chi avrebbe osato chiedere denaro alla donna del terribile Gabriel?

Antinori, infatti, era ormai noto in tutta Roma e chiunque tremava, conoscendo bene la sua ferocia e le sue capacità.

Tornarono in Vaticano che era ora di pranzo, depositarono i loro acquisti nelle camere e poi andarono assieme a tavola, dove le aspettavano Gabriel, Serventi e Stefano.

Michela avrebbe preferito starsene nel refettorio comune, ma le altre due donne avevano insistito parecchio affinché rimanesse con loro e lei, alla fine, aveva acconsentito. Non fu un pranzo piacevole; lei rimase in silenzio tutto il tempo, salvo per rispondere a qualche di domanda di Serventi. Gabriel la fissava malamente, quelle poche volte che si rivolgeva verso di lei, visto che per la maggior parte del tempo fu concentrato su Claudia. A mettere a disagio la giovane c’era lo sguardo malizioso di Stefano, seduto davanti a lei, continuava a fissarla con uno strano luccichio negli occhi verdi, che non faceva presagire nulla di buono. Evidentemente ripensava alla perquisizione.

Che vergogna provava ancora! Michela non sopportava di guardarlo e, quindi, tenne gli occhi bassi, verso il piatto, finché il pranzo non fu concluso.

La ragazza poté finalmente alzarsi da tavola e iniziare la ricerca del suo figlioletto di cui non aveva ancora notizie. Vagò per i palazzi del Vaticano e della Congregazione a lungo, chiedendo in giro se qualcuno avesse visto Niklos, ma ricevette solo risposte negative. In compenso, però, scoprì dove fossero i propri cugini, scampati alla strage, assieme a loro, nello stesso edificio, vivevano anche molti dei giovani che frequentavano il centro d’Ascolto. Rimase lì, coi cugini, per almeno un’ora, doveva rassicurarli, consolarli (stavano ovviamente ancora soffrendo per la morte dei loro genitori, nonni e zii) e doveva pure assicurarsi che non avessero iniziato ad avere inclinazioni verso la stregoneria. Nonostante le chiedessero di rimanere con loro ancora, Michela dovette poi congedarsi e spiegò che, una volta ritrovato Giorgio, sarebbe tornata da loro.

La ragazza si rimise dunque alla ricerca. Assurdo! Il posto era grande, ma non enorme, possibile che non trovasse né il figlio, né Niklos da nessuna parte?

Era quasi sera e lei continuava ad aggirarsi per i palazzi, piena di preoccupazione, quando vide, in fondo al corridoio in cui era appena sbucata, il dottor Gaslini uscire da una stanza e chiudere la porta semplicemente accostandola, senza chiave.

La donna riconobbe all’istante l’Alchimista della setta del Candelaio, del quale conosceva bene le pratiche e gli interessi: sicuramente quell’uomo era l’addetto alle torture, oltre ad essere il medico di Serventi, Gabriel e gli altri vertici.

Michela, senza pensare minimamente ai pericoli che avrebbe potuto correre, si precipitò verso la stanza da cui era uscito Gaslini, vi entrò e scoprì che quello era il laboratorio del dottore. Vi si trovavano una scrivania, un lettino, un lavello, un tavolo a lato con sopra i vari alambicchi di armadietti colmi di farmaci.

Farmaco proprio come nell’accezione greca di medicina, ma anche veleno.”

Si avvicinò agli armadietti e iniziò a guardare le boccette, la maggior parte di loro, si poteva leggere in etichetta, conteneva derivati della ketamina, delle fenotiazine, di butirrofenoni, di benzamidi, mascalina, psilocibina, LSD, oppiacei e altre sostanze psicotrope e psicoattive.

Sapendo bene che tutte quelle sostanze erano usate per tormentare eventuali prigionieri, istintivamente Michela prese qualche boccetta e andò al lavandino per rovesciargliele dentro. Ne versò una, poi un’altra …

“E tu che ci fai, qui?” tuonò la voce di un sorpreso e irato Gabriel.

Michela, sobbalzando per lo spavento e lo stupore, lasciò cadere la bottiglietta che teneva in mano e che si infranse a terra.

Gabriel si avvicinò furiosamente, la prese bruscamente per un braccio e la spinse senza riguardi davanti a sé, per farla uscire. Giunti in corridoio, la guardò con profonda ira e osservò: “Evidentemente, megera ficcanaso, non hai ancora ben afferrato il concetto: non puoi fare come ti pare e piace! In quale diamine di lingua morta devo dirtelo?”

Lei lo guardò con aria di sfida e gli chiese, fingendosi sorpresa: “Ma come? Non predichi tanto la libertà? Non vai dicendo, ovunque, che ognuno deve agire come gli pare? È quello che sto facendo.”

“Certo.” sorrise malignamente l’Eletto “Ma se quello che fai liberamente tu, irrita me, io ho pienamente diritto di reagire e, allora, la libertà rimane al più forte, che di certo non sei tu, strega. Dimmi cosa stavi facendo lì dentro, con quelle bottiglie, e non rispondermi che ti piace la chimica perché non la bevo, quindi vedi di dirmi la verità.”

“Mi pare fosse piuttosto evidente quel che facevo.”

“Voglio sentirti ammettere la tua colpa. Hai disobbedito ai miei ordini?”

“No.” rispose lei, spavalda “Non mi hai mai ordinato di non sabotare Gaslini.” sapeva bene di non potersi salvare con la dialettica, ma qualche soddisfazione voleva prendersela.

Gabriel respirò profondamente, espirò ed accennò col capo: “E va bene...”

Con una mossa fulminea afferrò la mano destra della giovane, tenendo il polso ben fermo. Lei cercò di librarsi ma inutilmente. Dapprima Gabriel la strinse con maggior vigore, poi la lasciò per una frazione di secondo, giusto il necessario perché la ragazza cadesse a terra da sola; l’uomo riprese stretto il polso, mentre con l’altra mano carezzava il dorso.

Cominciò a parlare: “Essendo tu una mamma, dovresti conoscere la filastrocca dei porcellini. No? Bene, te la insegno! Potresti cantarla a tuo figlio, qualche volta!”

Sul suo volto comparve un sorriso terribilissimo, poi lui si schiarì la voce, le prese il mignolo e disse: “Questo porcellino è andato al mercato.” lo spezzò alla base.

Un gridò di dolore riecheggiò nel corridoio e non sarebbe stato il solo

“Questo porcellino a casa è restato.” ruppe l’anulare a metà.

“Questo porcellino ha mangiato il prosciutto.” le ruotò violentemente il medio.

Michela urlò per la terza volta, sollevò il capo; gli occhi bagnati di lacrime si rivolsero, supplicanti, verso Gabriel che, implacabile, andò avanti serenamente: “Questo porcellino è rimasto all'asciutto.” storse in fuori l’indice e si gustò il grido.

Prese infine il pollice, guardò la ragazza con gioia e le chiese: “E questo porcellino sai che cosa ha fatto? Ha fatto Oeee oeee oeee dappertutto.” piegò all’indietro il dito, finché non si spezzò.

Michela, col dolore che le pulsava nelle vene e nella mano, si sforzava di non piangere, ma aveva già il volto bagnato di lacrime.

Gabriel la guardò in un misto di divertimento e disprezzo; le lasciò la mano e la ragazza l’adagiò su quella sana.

L’uomo non le diede tregua e le intimò tranquillamente: “Adesso, ripeti: Grazie, Gabriel …”

Michela, sofferente, non avendo certo la forza o la voglia di protestare, balbettò sottovoce: “G-Grazie, G-Gabriel.”

“Puoi ripetere? Non ho sentito.”

La ragazza cercò di non pensare al dolore e si sforzò ad alzare un poco la voce: “Grazie ... Gabriel ...”

Per essere così buono da non uccidermi.”

P-per essere così... buono da non uccidermi.” ripeté il più velocemente che le fu possibile.  

E per avermi insegnato una cosa nuova.”

Michela sospirò “E per avermi... insegnato una cosa nuova.”

“Bene. Ora che sai la frase, la ripeterai tutta assieme, ma ti prostrerai per bene a terra: mostrami la tua umiltà.”

Desiderosa che tutto ciò finisse e alla svelta, la ragazza obbedì: si mi se in ginocchio e poi chinò la schiena, fino a toccare con la fronte per terra, sostenendosi appena con gli avambracci e subito disse: “Grazie, Gabriel, per essere così buono da non uccidermi e per avermi insegnato una cosa nuova.”

L’uomo guardò compiaciuto, poi sollevò il piede sinistro e lo premette sulla mano fratturata e schiacciò per bene e, coprendo l’urlo straziante, ammonì: “Che ti sia di lezione. Ci penserai due volte, d'ora in poi, prima di fare di testa tua. E ora, via da qua.”

La ragazza balzò in piedi e se ne andò via di corsa, sentendo alle proprie spalle la risata di Gabriel.

Spaventata e tormentata dal dolore, la ragazza si precipitò nella propria stanza e si sforzò a lungo per trovare la giusta concentrazione, necessaria per operare una magia di guarigione sulla sua stessa mano. Per fortuna vi riuscì: il dolore scomparve e la sua mano tornò perfetta.

Decise di rimanere chiusa lì dentro per il resto della serata: non aveva affatto voglia di correre i rischio di incontrare di nuovo Gabriel. Non aveva nulla con cui distrarsi, neppure un libro, per cui decise di meditare un poco e poi dormire, per riprendere la ricerca del figlio il giorno seguente.

Era in dormiveglia, quando sentì che Isaia la stava chiamando telepaticamente.

La ragazza ebbe un sussulto di gioia: la prima cosa bella della giornata!

Lo salutò festosa e gli domandò come stesse.

“Tutto a posto. Oggi ho dovuto mostrarmi sdegnato e irritato per a tua evasione, ma per il resto non c’è nessuna novità. Tu, piuttosto, come hai passato il primo giorno lì? Hai rivisto Giorgio?”

La donna esitò: era il caso di raccontare quanto accaduto ad Isaia? No di certo. Lo avrebbe rattristato inutilmente e lei questo non lo voleva. Per cui inventò: “Sì, l’ho rivisto stamattina ed è stato con me tutto il giorno, sta bene, non gli hanno fatto nulla. Adesso sta dormendo.”

“Perché lo avevano rapito?”

Decise di continuare a mentire: “Per costringermi a venire qui, ovvio. Gabriel è convinto di potermi usare come esca per indurti a venire qua; il parere di Serventi è simile, ma si basa sulla questione delle sephirot.”

“Quindi sei lì a causa mia.” si dispiacque il templare.

“No, la colpa non è tua. La colpa è semplicemente loro. Non turbarti, non mi faranno del male.”

Isaia, probabilmente, aveva capito che lei non era sincera, ma non insisté. Decise di cambiare argomento e la loro conversazione si involò e chiacchierarono a lungo, finché non furono vinti dal sonno.

Il mattino seguente, Michela stava facendo di nuovo il giro dei palazzi Vaticani e di quelli occupati dai seguaci di Serventi. Era circa metà mattina, quando si trovò nell’edificio della Congregazione e, nel giardino interno, trovò finalmente il figlioletto.

Giorgio stava giocando col padre, seduto nel prato. Lo stregone aveva fatto comparire una fiammella e il bambino si divertiva a spostarla o a cambiarle forma, con la magia, ovviamente. La ragazza s'incamminò verso di loro. Niklos avvertì la sua presenza nelle vicinanze e alzò lo sguardo. Vedendola, fece una carezza al bambino e, indicando la direzione, gli disse dolcemente: “Guarda, Giorgio, c'è la mamma.” e sorrise.

Il bimbo guardò e gridò gioioso; poi, contento, si alzò in piedi e corse dalla madre esclamando: “Mamma! Mamma!”

Michela tese le braccia e, ancora in corsa, lo prese e lo sollevò, dicendo felice: “Ciao, piccolo mio!” lo strinse in braccio e gli riempì il viso di baci “Stai bene?”

Il bambino annuì: “Si! Papà e io stiamo giocando con la magia, è bravissimo!”

Niklos, che si stava avvicinando con calma, sentendolo parlare così, sorrise soddisfatto.

“Davvero?” cercò di nascondere il disappunto.

La donna non aveva nulla in contrario al fatto che il figlio familiarizzasse con la magia, purché fosse magia! Lo aveva lasciato varie volte giocare in quel modo coi cugini o con gli zii; con loro era tranquilla, sapeva che erano consapevoli. Niklos, invece, praticava la stregoneria! E lei non voleva certo che il figlio si abituasse a far affidamento sulle emozioni, anziché sulla volontà, per impiegare la luce astrale.

Ad ogni modo, non voleva litigare o arrabbiarsi davanti al bambino, sia perché lo aveva appena ritrovato, sia per non sembrare cattiva ai suoi occhi. Si sforzò di ricambiare il sorriso di Niklos.

“Mamma!” la richiamò Giorgio “Tu, papà e io staremo tutti insieme, vero? Come i miei amici e i loro papa e mamme?” lo chiese molto speranzoso.

Michela guardò di sfuggita Niklos, un po’ torvamente, domandandosi se fosse stato lui a mettere quella falsa speranza in testa al bambino, sospirò.

“Vedremo, angelo mio...” disse mestamente.

Giorgio fece una faccia delusa, allora Michela gli accarezzò i ricci e lo rassicurò: “Anche se io e papà non vogliamo vivere assieme, tutti e due ti vogliamo molto bene! Ti amiamo tantissimo! Potrai giocare con tutti e due e ci saremo sempre per te.”

Niklos accennò, concordando e guardando il figlio; si accostò alla donna e fece una carezza sulla schiena del bimbo che sorrise.

Michela, con tono molto dolce, disse: “Adesso, la mamma e il papà devono parlare. Ci puoi lasciare un pochino soli? Torna a giocare, poi ti raggiungo.” gli diede un bacetto sulla guancia.

Giorgio annuì. La madre lo fece scendere e il bimbo tornò ai suoi giochi un po’ più in là.

Niklos passò un braccio attorno alle spalle di lei e, con sguardo buono, le disse: “Tentar non nuoce.” le fece una carezza e tenne la mano sulla sua guancia “Possiamo riprendere da dove abbiamo interrotto. Non abbiamo mai litigato, siamo sempre stati bene assieme. Io non so neppure perché te ne sia andata e perché non vuoi permettermi di stare con nostro figlio.”

Niklos, come tu non vuoi che Giorgio cresca vicino a Martin Antoine, io non voglio che cresca qui …”
“D’accordo.” la interruppe lui “Andiamocene via, tanto da quando è saltato fuori l’Eletto, inizio a detestare questo posto; mi dispiace per il mio amico Bonifacio, ma …”

“No. Non è solo questo. È la stregoneria che …”

Gabriel, che aveva deciso di sorvegliare la ragazza, per evitare che sabotasse qualcosa, come stava facendo il giorno prima, stava assistendo a quella rimpatriata. Vedendo Niklos stringere in quel modo la ragazza, decise di intervenire. Andò verso di loro, esclamando: “Niklos, buono a nulla che non sei altro, stalle alla larga!” li aveva raggiunti; assunse un tono calmo che nascondeva la derisione: “Questa è del mio amico Isaia; gliela sto tenendo in caldo per benino, così quando si deciderà a prenderla la troverà pronta. Come? Non ti ha detto che ama un altro, ora? Non ne vuole sapere nulla di te, perciò piantala di fare il nostalgico, gira i tacchi e torna dal bambino, d'accordo?” e sorrise con fare accondiscendente.

Niklos lo guardò furibondo, posò lo sguardo sulla ragazza e, vedendo che lei non accennava ad intervenire, si voltò di scatto, dirigendosi verso il bambino, borbottando insulti verso Antinori.

Vedendo lo stregone abbastanza lontano, Gabriel inclinò la testa verso la ragazza e, portando coll’indice avanti l'orecchio sinistro, le chiese: “Come si dice, in questi casi?”

Grazie, Gabriel?” borbottò lei in un misto di dispetto e scherno.

L’uomo stava per dire qualcosa, ma lo sguardo gli cadde sulle mani della ragazza e, con stupore e disappunto, notò che la mano, che le aveva rotto solo il giorno prima, era perfettamente guarita e funzionante. Aggrottò le ciglia e strabuzzò gli occhi di brace, perplesso e, incredulo, le afferrò la mano (la ragazza ebbe paura si ripetesse la dolorosa esperienza), l’esaminò da vicino e infine chiese: “Ma... Come può essere...? Ti avevo spezzato tutte le dita! Come hai fatto a guarire così velocemente?”

“Magia!” rispose lei, abbozzando un sorrisetto, contenta di vederlo così smarrito; continuò: “Vedi, Eletto, è questa la differenza tra avere un potere e avere il potere.”

Quella risposta non piacque a Gabriel, anzi lo irritò parecchio e, vincendo la rabbia sullo stupore, ringhiò: “Ah, la metti così, allora? Va bene. Evidentemente, ami le maniere forti. Ti accontento, nessun problema, quindi sappi questo: ogni volta che mi disobbedirai, in futuro, o semplicemente mi irriterai, oltre a infliggerti io stesso molto male fisico, ti obbligherò ad assecondare ogni desiderio o perversione sessuale che Stefano s'inventerà e vorrà sperimentare sul tuo corpo morbido e formoso. Sì, hai capito bene, dovrai dargliela, se non impari a stare al tuo posto. Al mio discepolo è piaciuto un mondo toccarti per perquisirti, pensa che quasi gli è venuto duro! Giustamente, è ansioso di ripetere l'esperienza e divertirsi il doppio, povero ragazzo. Gli voglio bene, voglio che sia felice, per cui non vedo perché non dovrei lasciargli fare pratica su un’insolente, ingrata e ostinata come sei tu.”

Michela lo guardò con ira, poi con tono saccente gli rispose: “Ti faccio notare che questa minaccia contraddice ciò che hai detto a Niklos poco fa.” e incrociò le braccia al petto.

Gabriel, sempre con grande irritazione, spiegò: “Odio Niklos. L'ho detto apposta per farlo arrabbiare e mandarlo via. Capisco come mai, una volta, siete stati assieme: testardi contestatori come voi, non ce ne sono molti! A lui non faccio favori, al mio devoto discepolo, invece, sì. Inoltre, ho detto che ti stavo tenendo in caldo per Isaia: quando si deciderà ad essere uomo, dovrà trovarti focosa, passionale e in esercizio.” fissò la ragazza e, vedendola spaventarsi e ammansirsi, si calmò a propria volta e, con la sua dolcezza inquietante e minacciosa, domandò: “Tornando a prima, come si dice?”

Mise una mano dietro l'orecchio e inclinò la testa verso di lei, non sentendole dire nulla, la imbeccò: “Grazie, Gabriel.”

Michela sospirò e, in modo atono, ripeté: “Grazie, Gabriel.”

Per avermi allontanato Niklos.”

“Per avermi allontanato Niklos.”

Gabriel sogghignò: “E per essere così clemente da educarmi e punirmi quando sbaglio."

“E per essere così clemente da educarmi e punirmi quando sbaglio.”

“Bene, ora lo ripeti per intero. Ah, un po' di vitalità non guasterebbe.”

La ragazza lo guardò torvamente e, sempre atona, ripeté “Grazie, Gabriel, per avermi allontanato Niklos e per essere così clemente da educarmi e punirmi quando sbaglio.”

L’uomo scosse la testa, contrariato: “Non ci siamo, mi hai disobbedito! Evidentemente non mi prendi sul serio, ma ti ricrederai. Adesso, avrai una piccola punizione, così forse la prossima volta ti ricorderai di mettere sentimento nel ringraziarmi. A pranzo, mangerai con noi, anzi, d’ora in poi starai sempre a pasto con noi: non voglio che tu ti metta a propagare le tue idee sediziose tra i miei uomini, per cui non farti più vedere nel refettorio. Mangerai sempre con noi e, ogni volta, a fine pasto, mi ringrazierai per aver condiviso il mio cibo anche con te. Tornando alla punizione: oggi, a pranzo, indosserai i pantaloni più stretti, sottili e aderenti che hai e, per tutta la durata del pasto e, poi, per il resto della giornata, che trascorrerai con Stefano, il mio pupillo potrà controllare la stagionatura del culatello ogni volta che vorrà.”

Scrutò malignamente la ragazza, consapevole di come lei si stesse sentendo umiliata; aggiunse: “Gli spiegherò che la stagionatura, oltre che stringendo, si può controllare anche con le patacche. Quando Stefano farà le sue constatazioni, tu lo ringrazierai per averti dato attenzioni. Vedi di attenerti a queste istruzioni, o la punizione diverrà più severa. Hai capito?”

Michela lo guardò, furiosa, e non disse nulla.

“Hai capito?” si fece minaccioso lui.

“Sì, è tutto cristallino.”

“Molto bene, a più tardi, strega: ti tengo d'occhio!”

Se ne andò, dandole una spallata passandole accanto.

Fremente di rabbia, Michela andò verso Giorgio, che aveva ripreso a giocare col padre, ma Niklos lasciò il bambino e le andò incontro.

“Lo odi quanto me.” le disse.

“Non odio nessuno. Voglio che si salvi e torni normale, non ucciderlo e lasciarlo smarrito nel male e nell’ignoranza.”

“Intanto, però, soffri. Non ti capisco più. Potremmo davvero andarcene senza lasciare traccia e trovare un posto tranquillo dove vivere, invece rifiuti quest’idea di essere felice e preferisci stare qua a patire. Perché? Per Isaia? Davvero lo ami, come dice Antinori?”

“Ecco, vedi perché noi non possiamo stare assieme? Tu ragioni solo coi sentimenti. Le tue emozioni sono l’unica motivazione alle tue azioni. Io, invece, subordino il mio agire al dovere. Ho delle responsabilità che non posso ignorare. Se ora me ne andassi, non solo prima o poi, questo male che credo di abbandonare, mi raggiungerebbe, ma non potrei mai perdonarmi di aver potuto fare qualcosa per fermarlo e non averlo fatto per paura, per l’egoismo di non soffrire.”

“Queste macchine moderne funzionano solo con la logica e per eseguire ciò per cui sono fatte. Tu se una persona, hai dei sentimenti e non puoi ignorarli.”

Si scambiarono uno sguardo amaro.

Niklos disse: “È giusto che tu faccia quel che ritieni meglio, ma non essere arrabbiata con me, perché la penso diversamente. Io ti sono, almeno, amico e sono sicuramente l’unico alleato che puoi trovare, qua dentro.”

“Grazie.” rispose lei, veramente riconoscente.

“Giochiamo tutti e due assieme a nostro figlio?” propose l’uomo.

Michela acconsentì e raggiunsero Giorgio che li guardò contento.

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Capitolo 34
*** L'ultima battaglia ***


Fylan stava pattugliando, assieme ad altri due templari, i confini dell’area libera. Era parecchio seccato dall’impossibilità di attaccare e di come la situazione fosse di stallo. Lo rendeva furioso anche il ricordo delle sconfitte subite cinque giorni prima: nessuno si aspettava che Antinori e i suoi attaccassero i punti e i gruppi di sostegno alla popolazione; nonostante fossero intervenuti sui vari fronti abbastanza rapidamente, non era servito granché a proteggere la gente e, per di più, molti templari erano stati uccisi: ormai il loro numero era esiguo.

Un’altra cosa che lo irritava era la fuga della strega: non solo quella pagana era di nuovo libera di agire in chissà quali atroci maniere, ma, per di più, era stato incolpato lui della scarsa sorveglianza alla cella.

Ormai il Gran Maestro lo aveva in odio! –si diceva- Certo lui non era stato bendisposto verso di lui, all’inizio, e aveva cercato di ostacolarlo, per cui aveva la sua parte di colpa. Voleva, quindi, riscattarsi agli occhi del Magister Templi e riacquisire la propria influenza di provinciale.

Stava, dunque, tenendo ben viva l’attenzione alla ricerca di un’ispirazione circa come sbloccare la situazione. Era intento in ciò, quando, per la prima volta, l’occhio gli cadde su uno dei sigilli. Non li aveva mai notati prima d’allora e tanto meno sapeva che cosa fossero. Per quel che ne sapeva lui, era il potere di Isaia ad impedire che i demoni varcassero il confine, mentre quei simboli strani avevano, ai suoi occhi, un aspetto del tutto malvagio.

Preoccupato, poiché supponeva fossero opera dei maghi di Antinori, diede ordine di pulire immediatamente il muro su cui era stato tracciato il sigillo e, dunque, cancellarlo.

Intuì che ce ne fossero altri e, quindi, si affrettò a cercarli e ne trovò uno, poi un secondo, un terzo e così via. Diede ordine di cercare e cancellare tutti quei simboli certamente infernali. I templari ai suoi ordini obbedirono subito e a loro si unirono molti volontari che, incuriositi da quel fermento, avevano chiesto che cosa accadesse e subito si erano offerti per aiutare.

Soddisfatto del proprio agire, certo di essere apprezzato ed elogiato, Fylan si recò al quartier generale per riferire al Grande Maestro la propria scoperta e rassicurarlo circa come avesse già dato predisposizioni per risolvere il problema.

Quanto era distante dalla realtà!

Isaia, sentendo quelle parole, impallidì: i demoni sarebbero presto arrivati e avrebbero distrutto e ucciso.

Fylan! Cosa non ti è chiaro del concetto che io sono il Magister Templi e che le decisioni spettano a me?!”

“Ma io …”

“Niente ma! Hai visto dei sigilli, avresti dovuto venire a riferire a me e aspettare i miei ordini, non agire di testa tua, senza neppure sapere di cosa si trattasse! Quei sigilli li ha tracciati Delrio per mantenere attivo il mio potere protettivo, ma ora che tu li hai fatti cancellare siamo senza difese!”

“Perdonate!” tentò di difendersi Fylan “Non lo sapevo! Se voi ci aveste informato, noi non li avremmo certo scambiati per opera del nemico. Comunque, se li ha fatti Martin, potete chiedergli di ridisegnarli.”

“Sperando ci sia tempo e Serventi non si accorga che siamo scoperti. Intanto allerta tutti quanti, fa radunare in armi quanti più puoi, sia templari che volontari e manda qui Abdel Nassen.”

“Subito.”

“Ah, dato che, ultimamente, sei una delusione continua e ci stai mettendo parecchio nei guai, voglio che tu oggi sia in prima fila e non dovrai avere esitazioni. Se affronterai la morte e sopravvivrai, potrei perdonarti di nuovo. Se, però, scamperai dalla battagli per codardia o incapacità, allora sarò io stesso a mandarti al giudizio divino.”

Fylan uscì dalla stanza, mordendosi le dita per aver sbagliato per l’ennesima volta.

Isaia prese il telefono e chiamò in Villa e si fece subito passare Delrio, a cui espose la situazione.

“Arrivo subito, ma mi ci vorrà molto tempo, questa volta sono pure solo.”

“Appunto per questo devi sbrigarti! Puoi portare anche la ciotola di San Giovanni e lo scettro di Gaspare, quello che usa Sebastiano, per favore? Ovviamente fa venire anche il mio discepolo.”

“Certamente. Altro, finché sono qui?”

“Dì a quelli della radio che avvertano la gente di un probabile imminente scontro e che, dunque, conviene loro evacuare, oppure unirsi alla battaglia.”

“Perfetto, sarà fatto.”

Isaia chiuse la telefonata, sospirò, poi chiamò Alonso che era nelle catacombe.

Deme todo, hermano.”

“Allerta tutti i medici, gli infermieri e i volontari: presto probabilmente avranno molto da lavorare. Uno scontro si avvicina, dovranno essere pronti a prestare soccorso ai feriti. Tu, però, raggiungimi qua, voglio che, come l’altra volta, tu ti servissi della ciotola di San Giovanni per riumanizzare i demoni.”

Seguro, hermano, farò de mi mejo.”

“Grazie e, se i templari venissero sconfitti, occupati tu di Roma. Fai quel che devi.”

“Certamente, continuerò ad ajutare li hombre.”

Concluse sbrigativamente la conversazione, poiché era appena entrato nella stanza Abdel Nassen.

“Gran Maestro, che cosa posso fare? Fylan mi ha spiegato la situazione, preparo  nostri uomini?”

“No.”

Abdel si sorprese e guardò interrogativo il proprio superiore.

“Mi hai detto che qui non ci sono tutti i templari, abbiamo ancora dei novizi, che abbiamo lasciato indietro, al momento, perché non volevamo coinvolgerli in questa guerra. Bene, io voglio che tu ora te ne vada, li raggiunga e pensi a loro. Lo domando a te perché sei quello di maggior buon senso, tra i provinciali, e so che seguiresti la linea di condotta che ho deciso di assumere. Voglio che tu trasmetta i nostri nuovi e antichi valori ai nostri novizi e che siate pronti, nel caso noi perissimo, ad assumervi la responsabilità di fermare Serventi. Se io dovessi morire, sarai tu a prendere il mio posto.”

“Dio non lo voglia e vi protegga! Farò quanto mi chiedete. Mi spiace lasciarvi solo, ma non vi disobbedirò. Sarò con tutti voi, con la preghiera.”

 

Altrove, in uno dei cortili interni del Vaticano, Niklos e Michela  stavano giocando col figlioletto. La donna era seduta sul prato e guardava Giorgio che rincorreva il padre e, quando lo raggiungeva, scappava a propria volta per essere preso dal genitore e rideva, felice. Dopo un po’ che andava avanti quel gioco, il bambino corse verso la madre e l’abbracciò e le disse: “Ti voglio tanto bene, così!” e aprì le braccia più che poté.

La ragazza sorrise, gli scompigliò i capelli, dicendo: “Anch’io te ne voglio tantissimo.” e gli diede un bacio sulla fronte.

“Mi cerchi?” chiese il piccolo.

“D’accordo, adesso conto fino a dieci e tu ti nascondi.”

Giorgio annuì e disse, indicando un cespuglio: “Mi nascondo lì.”

Niklos si mise a ridere e cercò di spiegargli: “Non devi dire dove ti nascondi, non è così il gioco.”

“Per lui è importante essere ritrovato, non vincere.” replicò la donna.

In quel momento, Gabriel arrivò nel giardino e, avanzando verso di loro, esclamò a gran voce: “Niklos! Il fatto che tu sia un incapace non ti autorizza ad ignorare le convocazioni al Consiglio militare, o essere padre ti rimbecillisce al punto di non accorgerti del segnale d’adunata?”

“Gli ultimi due consigli di guerra si sono ridotti ad essere un cazzeggio totale, con metà dei presenti che si ubriacava e tutti a giocare a freccette, braccio di ferro e non so che altro, come se vi trovaste in una taverna. Sinceramente, preferisco impiegare il mio tempo in un modo assai migliore.”

Gabriel, che presto sarebbe diventato padre, capì l’atteggiamento di Niklos, almeno in questo, quindi fu meno irritato, nel dire: “Oggi è diverso. Il confine che impediva a demoni di uscire si è infranto. Siamo in procinto di attaccare, prima che venga riattivato.”

Michela sussultò: com’era possibile? Poco importava! Se le cose stavano così, doveva preoccuparsi per altro! Sarebbe stata una strage: l’esercito di Antinori era troppo grande e composto da esseri superiori! Forse, l’unico modo per fermarlo era che ogni abitante di Roma impugnasse un’arma e combattesse. I cittadini sarebbero stati così valorosi? Sarebbero stati dispost a morire pur di difendere la libertà?

“C’è una strategia da studiare?” domandò Niklos, annoiato.

“Non per te. Ti faccio un regalo: tu non sarai legato all’agire del mio esercito, potrai cercare il tuo odiato Delrio e concentrarti unicamente su di lui ed ucciderlo. Non ti chiedo altro che compiere la tua sospirata vendetta.”

Niklos sorrise, i suoi occhi si illuminarono e disse: “Antinori, non sono mai stato così felice di ricevere un ordine da te.”

Lo stregone si voltò verso la donna e il bambino, li salutò con emozione e dolcezza e si allontanò.

Gabriel guardò la ragazza e le chiese: “Non ti starai riaffezionando a Niklos, spero. Tu sei di Isaia, non te lo scordare.”

“Non capisco questa tua ostinazione.” ribatté lei “Isaia è un uomo di Dio, non verrà meno ai suoi voti; mi considera una buona amica, tutto qui.”

“No, no. Il fatto che lui sia un iceberg, non significa che non abbia sentimenti più profondi. Giacché l’imminente battaglia mi mette di buon umore, voglio essere gentile e spiegarti una cosa: ci sono molte cose che posso fare col mio potere, una tra queste è il conoscere i sentimenti e le emozioni della gente. Mi basta appoggiare una mano su una persona ed ecco che il suo cuore mi rivela ogni cosa: odi, amori, affetti, malinconie …”

Sì, Michela sapeva bene del fatto che Gabriel potesse conoscere i cuori della gente, esattamente come Isaia poteva conoscerne le anime.

“Quando vi ho visti assieme, mi sono premurato di mettere toccare entrambi e ho conosciuto i vostri sentimenti: vi amate, lo so bene. In quel momento, però, non ne eravate granché consapevoli, ho dovuto trasmettervi qualche stimolo, per incoraggiarvi. Non dirmi nulla circa cosa è successo dopo, lo chiederò direttamente ad Isaia, quando l’avrò finalmente catturato.”

“Vi affronterete?” si preoccupò la donna.

“Sì, andrò a cercarlo subito, appena inizia la battaglia. Avete tre soli combattenti validi: Delrio, che sarà ucciso da Niklos; Sebastiano, che verrà sconfitto da Stefano …”

Michela scoppiò a ridere e osservò: “Stefano contro Sebastiano? Devi odiare il tuo discepolo, allora! Rambastiano lo annienterà in un attimo!”

“Oh, non ne sarei così scuro.” replicò l’uomo col suo finto candore derisorio “Il nostro caro Stefano ha il potere di prendere un’anima a scelta e di farla reincarnare in sé, in questo modo acquisisce tutte le capacità che quella persona aveva in vita. Sceglierà con attenzione un grande guerriero e il valoroso Sebastiano verrà sconfitto. Forse questo gli basterà per convincersi che gli conviene abbracciare la nostra dottrina.”

“Non lo farà mai!”

“Vedremo. Ad ogni modo, mentre il mio discepolo e quello di Isaia si affronteranno, io starò dando una lezione al tuo templare.”

Michela fremette: Isaia non doveva essere né sconfitto, né catturato. Lei doveva assolutamente inventarsi qualcosa per distogliere l’attenzione di Gabriel dall’amico.

“Sei scuro di volerti accanire su Isaia? Penavo ti stesse più a cuore punire chi ha preso d’assalto il tuo Centro d’Ascolto.”

Il solo ricordo riaccese l’ira in Gabriel e il volto si fece furioso, disse: “Isaia è il responsabile.”

“No. Te lo abbiamo sempre ripetuto: Isaia non ne sapeva nulla! È stato un provinciale dei templari a raccogliere informazioni e ad agire, rivolgendosi anche contro i miei parenti.”

Gabriel iniziò ad ascoltare con attenzione.

“Tu credi ch’io potrei amare Isaia, se fosse stato lui ad ordinare lo sterminio della mia famiglia? Voi, qui, state ospitando i miei cuginetti; loro potranno ben confermarti che i loro genitori sono stati uccisi dai templari. Non era, però, Isaia il mandante, altrimenti lo avrei ucciso io stessa. Non la senti la rabbia e l’odio dentro di me?”

Michela sperò che l’uomo si limitasse a constatare la sua ira, poiché di odio non ne avrebbe trovato.

“Dimmi chi è stato e lo ucciderò per primo!” Gabriel si era convinto della verità di quelle parole.

“Si chiama Fylan. Ora te lo mostrerò.”

Michela si concentrò e pian, piano a mezz’aria iniziò a comporsi l’immagine del volto di Fylan.

“Perfetto. Non ti preoccupare” d’improvviso era diventato solidale con la ragazza “Morirà atrocemente e lascerò quel che resta di lui ad Arthur.”

“Non chiedo di meglio.”

Gabriel sorrise e osservò: “Allora non sei così candida e pura come vuoi far credere; forse Bonifacio ha ragione a dire che potresti liberarti anche tu dai vincoli della falsa morale. Comunque continuo a non fidarmi di te. Non voglio che tu trovi la maniera di intrometterti nella battaglia, per cui ora seguimi, che ti porto da Claudia, Teresa e Bonifacio. Tu e il marmocchio starete in loro compagnia finché non avremo vinto.”

 

Lo scontro ebbe presto inizio. Antinori non aveva perso tempo e aveva fatto riversare orde di demoni in tutte le strade. I suoi uomini, per galvanizzarsi, cantavano a gran voce: Venite a bere il sangue finché è rosso, venite a bere il sangue assieme a noi! Quanto sangue …! Mangeremo a sazietà, tutti ci si abbufferà e l’infanzia ingrasserà … Quanto sangue … Il mercante fornirà tutta quanta la città di bistecche a volontà! Quanto sangue! E si affilino i coltelli, si concino le pelli, si friggano i cervelli … Quanto sangue. È il tango dei soldati d’oggi e ieri, dei vincitori sempre tanto allegri. Il tango die famosi condottieri, il tango dei felici macellai! Quanto sangue! … Scanna, scanna finché puoi tutti gli avversari tuoi, dalli in pasto agli avvoltoi, quanto sangue! La vittoria arriderà a chi più ne ammazzerà, senza mai provar pietà, quanto sangue.

Questo canto, unito all’aspetto dei demoni, terrorizzava parecchio tutti quanti.

Gli scontri si fecero immediatamente violenti e sanguinosi. I demoni e i loro comandanti, gli uomini dotati di poteri, imperversavano sui templari e i volontari senza pietà, avanzavano come un uragano che non può essere fermato, ma solo temuto.

Delrio stava cercando di ripristinare alcuni sigilli, quando venne trovato da Niklos. Lo stregone lanciò subito la propria sfida di duello mortale. Martin lo ignorò, volendo portare a termine il proprio compito. Niklos non lo lasciò di certo in pace e provocò una grandinata sulla testa dell’uomo che dovette, quindi, reagire quel tanto necessario per proteggersi, tuttavia cercò di non distrarsi. Lo stregone, allora, ricorse a una saetta: dal cielo cadde un fulmine proprio sulla testa di Delrio, che, questa volta, non fece in tempo a difendersi. Per fortuna, non era certo la scarica di qualche volt a poter fermare il gesuita che si decise a evocare alcuni spiriti per tenere occupato Niklos. Sforzo vano! Lo stregone li scacciò senza difficoltà e tornò alla carica, questa volta appiccò fuoco alle mani di Martin che, colto evidentemente alla sprovvista, lasciò cadere l’ampolla col sangue di Cristo che cadde a terra e si frantumò.

Delrio, vedendo così svanire la speranza di protezione, si decise a combattere seriamente contro lo stregone.

Erano due uomini di pari età ed entrambi avevano dedicato tutta la loro vita allo studio della magia, ma su fronti completamente opposti. Se ci fosse stato qualcuno, a vederli fronteggiarsi, lo avrebbe sicuramente definito uno spettacolo sublime. Gli elementi della natura venivano invocati e si scontravano tra di loro in un superbo balletto.

Fu un lungo scontro, sicuramente si protrasse anche mentre gli altri erano già finiti, alla fine, però, ebbe un unico vincitore: Niklos. Egli, infatti, evocò una colonna di fuoco che partiva da sotto i piedi dell’avversario e si innalzava per diversi metri.

Quando fu certo di averlo ucciso, Niklos richiamò il fuoco e se ne tornò in Vaticano.

Poco dopo, passò di lì un preoccupatissimo Alonso. Vide il corpo steso al suolo, si avvicinò e lo vide completamente ustionato, ma ancora vivo. Lo sollevò con attenzione e lo portò via.

Mentre questo regolamento di conti avveniva in una zona un po’ defilata rispetto a quella della battaglia, altri duelli si stavano svolgendo.

Quello più coreografico era sicuramente quello tra Sebastiano e Stefano.

Il pupillo di Antinori aveva studiato attentamente il proprio avversario, prima di decidere quale anima obbligare a reincarnarsi in lui, per poter combattere al meglio. Infine aveva optato per Sargon, re di Akkad, riconosciuto come un grande condottiero e formidabile guerriero, solo a pochi era noto che fosse anche pratico di arti magiche.

La maestria nel combattere da parte di entrambi era eccezionale e ricorrevano ad attacchi e parate impeccabili. Nella foga della lotta, però, Sebastiano si distrasse per qualche momento, non più di un paio di secondi, forse aveva sentito un grido che lo aveva sorpreso, forse aveva avvertito un po’ di stanchezza; ad ogni modo, in battaglia, anche un solo attimo può essere fatale, proprio come in quel caso. Stefano riuscì a ferirlo, trapassandolo con la spada poco sotto la spalla destra, probabilmente recidendo dei tendini. A Sebastiano cadde di mano la mazza. Stefano la raccolse e l’abbatté con forza sul capo dell’altro giovane che cadde a terra, privo di sensi, sanguinando copiosamente anche dal capo. Stefano si sentiva dannatamente soddisfatto della sua vittoria, gli occhi verdi gli brillavano di compiacimento. Fece cenno ad alcuni sgherri di prendere il ferito e portarlo via.

Isaia, che era poco lontano a riumanizzare demoni, si accorse di quel che stava accadendo, quindi chiamò a sé alcuni dei suoi e corse verso il discepolo per sottrarlo alle grinfie dei nemici. Si fece largo con la lancia di Longino tra gli avversari. Riuscì a strappare Sebastiano alle mani degli altri e riuscì ad affidarlo a due dei suoi, per trasportarlo nel più vicino punto di soccorso. Questa volta avrebbe dovuto accontentarsi delle cure tradizionali: non ci sarebbe stata Michela a guarirlo magicamente. Isaia aveva notato che le ferite erano molto gravi e pregò che il suo allievo potesse riprendersi.

Stefano rivolse la propria attenzione sul Gran Maestro: chissà quanto avrebbe fatto felice Gabriel, se avesse sconfitto il templare. Con ferocia si lanciò all’assalto e Isaia dovette essere ben pronto a difendersi.

Il loro duello non durò però a lungo. Infatti, a tradimento, Davide, che anche lui combatteva in quella zona, eseguì il compito che gli era stato affidato da Antinori: afferrare Isaia e assorbirne tutte le energie, fino a farlo svenire; non doveva ucciderlo, ma solo renderlo inoffensivo e così fece.

Mentre Isaia era intento a difendersi dagli attacchi di Stefano, si sentì abbrancare alle spalle. Due braccia possenti lo cinsero e lo strinsero quasi volessero stritolarlo, poi iniziò a sentirsi pian, piano indebolito e ad avvertire le forze che lo abbandonavano; i suoni si facevano distanti, la vista offuscata, svenne.

I templari, credendolo morto, iniziarono a disperarsi, i volontari, pure, persero di coraggio. Con i difensori in quelle condizioni, fu facilissimo per i demonizzati e la gente coi poteri, massacrare gli avversari e riconquistare l’intera Roma.

Bastò una sola mattina e Gabriel e Serventi erano di nuovo i padroni indiscussi della Urbe immortale.

Furono organizzati festeggiamenti e soprusi per celebrare la vittoria; sarebbero durati fino a tarda notte.

Innanzitutto, nel primo pomeriggio fu organizzata una cerimonia per sancire la definitiva sconfitta dei templari. In piazza San Pietro, si raccolse numerosissima folla, ma non abbastanza per farla sembrare piena. Su un palchetto stavano Gabriel, Claudia, Bonifacio, Stefano, Niklos, Davide e alcuni altri membri dello Stato Maggiore; attendevano che fosse pubblicamente consegnato a loro il Grande Maestro, incatenato.

Dall’altro capo della piazza, Isaia, mani legate dietro la schiena, fu spintonato in avanti, avrebbe dovuto giungere al cospetto di Gabriel, passando in mezzo a tutta quella gente. Ai lati, decine e decine, forse centinaia, tra uomini e demonizzati, acclamavano la sconfitta dei templari e ne insultavano il Grande Maestro e gli lanciavano addosso verdura marcia o quel che capitava loro sottomano. Se fosse stato in forze, lui avrebbe potuto attingere al proprio potere per impedire che tutte quelle cose lo raggiungessero, ma ora era troppo debole.

Isaia non si faceva, però, intimidire da tutto ciò. Avanzava con la schiena dritta, la testa alta e lo sguardo fiero, per nulla turbato da ciò che accadeva attorno a lui.

In mezzo alla folla c’era anche Michela. Da giorni non lo vedeva e ne sentiva la mancanza, ma certo quelle non erano le circostanze in cui avrebbe voluto reincontrarlo. Era senza dubbio dispiaciuta, ma ancor più preoccupata: cosa gli avrebbero fatto? Lo avrebbero trattato come stavano facendo con lei? Lo avrebbero imprigionato? Avrebbe subito torture? Lei avrebbe potuto vederlo, parlargli? Troppi dubbi. Troppe incertezze. Non sapendo quello che sarebbe accaduto, non voleva perdere quell’occasione.

La ragazza si fece largo tra la gente.

“Isaia!” lo chiamò.

Lui si fermò: aveva riconosciuto quella voce. La cercò con lo sguardo. La vide.

Lei riuscì a raggiungerlo e lo abbracciò. Lui non poteva ricambiare, anche se avrebbe voluto.

“Mi dispiace.” riuscì solo a dire la ragazza, quasi aggrappandosi a lui “Mi dispiace.”

“Tranquilla.” la confortò l’uomo, inclinando un poco la testa verso quella della ragazza: era il solo modo che aveva per farle sentire la sua presenza.

“Siamo vivi.” continuò lui “Possiamo ancora tentare qualcosa: non disperare!”

“Non ci sei riuscito con un esercito!” replicò la giovane, amareggiata.

“I templari dovevano arginare l’azione dei demoni, lo sai bene. L’obbiettivo era raggiungere Gabriel ed ora sono qui.”

“Prigioniero.”

“Questa è l’occasione che mi è stata concessa, devo forse rifiutarla perché non è la migliore?”

Michela si rasserenò. L’emotività dei primi momenti scemò e lei disse: “Hai ragione. Darsi per vinti è inutile: continueremo a lottare, in qualsiasi condizione.”

Gli diede un rapido bacio alla persiana.

Isaia pensò fosse più prudente continuare la conversazione telepaticamente.

“Non tutte le nostre forze sono andate distrutte. Nella tua villa e nelle catacombe ci sono molti che possono intervenire.”

“Eh, Serventi ne conosce l’esistenza. Se siamo fortunati, li considera solo un centro per cibo e assistenza sanitaria e non li andrà a disturbare.”

“Ci sono Sebastiano e Delrio coi gesuiti: ci soccorreranno! Anche Alonso non si arrenderà.”

“Ah, affidiamoci a Rambastiano! Chissà, forse, se gli avessimo lasciato carta bianca fin da subito, ora sarebbe tutto risolto!”

In quel momento, la ragazza si sentì afferrare da una strana forza che la costrinse a sciogliere l’abbraccio; fu trascinata all’indietro, fino al palchetto su cui stavano Gabriel coi suoi vertici.

Era stato Bonifacio, coi suoi poteri, a staccare la ragazza dal prigioniero e a portarla lì. La guardò coi suoi occhi enigmatici, le mise una mano sulla testa e le disse: “Per un po’ dovrai rinunciare alle chiacchierate telepatiche.”

La giovane sentì un tremendo mal di testa che la lasciò stordita.

Intanto un soldato aveva spintonato Isaia per farlo riprendere a camminare.

Il templare arrivò davanti all’Eletto. Guardò l’amico dritto negli occhi, con estrema fierezza.

Gabriel lo squadrò, poi gli sputò in faccia, prima di dire: “I tuoi valorosi soldatini sono caduti uno dopo l'altro come mele marce. I loro cadaveri stanno bruciando proprio adesso.”

Il silenzio era calato tra la folla, tutti volevano ascoltare le parole dell’Eletto.

“Non c'è altro da dire, a questo punto, se non che tu e tutti quei disgraziati che ti sono fedeli avete miseramente perso. E' finita, non c'è più nulla per cui combattere. La vostra resistenza è definitivamente crollata!” fece una piccola pausa “In quanto vincitore dello scontro, mi spetta una piccola gratificazione.”

Isaia si chiese che cosa intendesse, ma non lo diede a vedere e rimase impassibile.

“In ginocchio.” gli ordinò Gabriel.

Isaia rimase ritto al proprio posto, quasi con aria di sfida.

Gabriel sogghignò e lo avvertì quasi dolcemente: “In ginocchio, o sarà qualcun altro a pagare per la tua disobbedienza.”

Isaia non poteva permettere che venisse fatto del male ad altra gente, per cui eseguì l’ordine.

“Bene, adesso ci intendiamo.” si compiacque Gabriel “Ora, baciami i piedi.”

Il gesuita fissò qualche istante l’altro, non fremette di rabbia, non mostrò di sentirsi umiliato; con viso imperturbato, si prostrò a fatica (con le mani legate non era molto comodo) e portò la bocca alle scarpe dell’amico.

Gabriel, allora, tronfio per la vittoria, sollevò un piede e lo calcò sulla testa dell’altro, mentre tutti i suoi seguaci lo acclamavano. Si rivolse ai suoi ufficiali: “Pulitevi pure le suole su questa candida tunica.”

Non se lo fecero ripetere. Stefano fu il primo a strofinare il proprio piede sulla schiena del templare; subito fu imitato da Niklos, Bonifacio, Davide e pure Claudia ed altri.

Isaia sentiva il piede dell’amico schiacciargli la nuca; si tratteneva dal mugugnare per il male che comunque gli facevano le pesanti scarpate. Claudia aveva perfino i tacchi e forse era quella che ci metteva più forza: detestava quell’uomo che, a suo credere, aveva sempre tentato di fare del male al suo amato Gabriel.

Michela non sopportava di vedere Isaia trattato come uno zerbino. Con gli occhi pieni di lacrime si allontanò, non voleva assistere ad altro, né piangere in pubblico. Scappò il più lontano possibile, si rifugiò in uno dei cortili e iniziò a piangere. Come poteva credere alle parole di Isaia, che c’era ancora speranza, se lo vedeva accettare tutto ciò? Certo, Gabriel aveva minacciato di uccidere gente, se non fosse stato obbedito, però … Che strazio vederlo così! Chissà che cosa gli sarebbe spettato nei giorni a seguire! Povero Isaia!

Inoltre, se davvero Serventi le aveva bloccato la telepatia, come avrebbe potuto parlare con lui? Confortarlo o essere confortata?

“Michela, perché piangi?”

La ragazza alzò lo sguardo e vide Immanuel, in piedi accanto a lei. Si sfregò gli occhi con le mani per asciugare le lacrime, poi, sforzandosi di non piangere, ma con la voce mal ferma, chiese: “Non hai visto quel che sta accadendo? Non ho ragione di soffrire? Serventi sta vincendo, Isaia si fa trattare così, la gente muore … e io non so che cosa fare!”

“La notte è sempre più buia, prima dell’alba. Ogni notte, Apopi prova a divorare Ra, ma viene sconfitto da Seth.”

A Michela sorse spontaneo un lieve sorriso, disse: “Sai tante cose, le hai studiate a scuola? Nelle ore di letteratura vi hanno fatto studiare anche i miti antichi?”

“Sì. Sai, anche, che cosa mi hanno insegnato a catechismo?”

“Cosa?”

“Che tutti i profeti hanno subito insulti, umiliazioni e persecuzioni, che i primi cristiani hanno affrontato il martirio con il sorriso. Se perfino Giovanni e Gesù hanno sopportato prigione, torture, scherno e, infine, la morte; credi che Isaia non debba passare per queste forche caudine? Gesù e Giovanni avrebbero avuto il potere per sterminare i loro persecutori, ma non l’hanno fatto, perché erano stati chiamati a realizzare qualcosa di più grande.”

Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparve in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” mormorò la ragazza, citando una delle lettere di Paolo.

“Se anche loro, che sono di natura superiore, hanno accettato di sottostare a tutto ciò, Isaia non può avere l’arroganza di volerlo evitare e tu non devi piangere per lui, anzi! Devi gioire nel vedere come queste umiliazioni non turbino il suo animo.”

Michela lo guardò con grande ammirazione. Si era calmata e, quelle parole, l’avevano consolata e le avevano fatto ricordare ciò che, per colpa dei sentimenti, aveva dimenticato.

“Prima o poi mi dirai chi sei?”

“Te l’ho detto, sono un bambino.”

“Che sa rincuorare la saggezza …”

“Vieni, andiamo a cercare tuo figlio, scommetto che vuole stare un po’ con te.”

La ragazza, ormai rasserenata, si alzò e con Immanuel tornò indietro.

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Capitolo 35
*** Prigionia ***


Michela era ritornata presso il vecchio palazzo della Congregazione, andò nelle stanze occupate dai suoi cuginetti e da parte degli ospiti del Centro, poiché aveva lasciato con loro Giorgio, quando era andata ad assistere a quell’orribile cerimonia in cui Gabriel aveva ribadito pubblicamente la propria vittoria.

Non poté, però, fermarsi lì a lungo. Infatti, dopo circa un’ora, passò da quelle parti Marco che, vedendola, le si avvicinò ed esclamò: “Eccoti, finalmente! Gabriel mi ha incaricato di cercarti: vuole che tu sia presente ai festeggiamenti.”

“Cosa? Odia vedermi!”

“Davvero? Beh, non saprei, io ho fatto quanto mi è stato detto. Dice che non puoi assolutamente mancare.”

Michela sbuffò rabbiosamente e borbottò: “Lo fa soltanto per innervosirmi. Sa sicuramente quanto sto male e vuole infierire sbattendomi in faccia il suo trionfo. Ah, beh, siamo a Roma e sai come si festeggiavano i trionfi nell’antica Roma? L’eroe sfilava in corteo con tutti gli onori e il bottino, ma sul carro, assieme a lui, c’era qualcuno che gli ripeteva: ricordati che sei solo un uomo. Gabriel mi vuole alla festa? Benissimo, ma io sarò quella fastidiosa voce.”

“Non ti conviene.” l’ammonì l’amico “Se davvero ti odia, sai bene quali sono le sue maniere, per cui non dovresti volere metterti nei guai.”

“Sì, ho già avuto occasione di sperimentare le sue punizioni, ma, sinceramente, preferisco dire quel che penso e pagarne le conseguenze, piuttosto che stare zitta ed essere accondiscendente. Allora, dove sono questi festeggiamenti?”

“Ti ci accompagno io, ma prima devi passare dalle tue stanze e cambiarti d’abito.”

La ragazza lo guardò perplessa.

“Sì, il capo vuole che tu indossi il vestito migliore che hai. Dice che deve essere scollato e il più possibile sexy, non so perché, ma ridacchiava con Stefano, mentre lo diceva.”

Michela sospirò, prevedendo una pessima serata: ecco un altro motivo per cui Gabriel la voleva ai festeggiamenti, non solo per celebrare la vittoria dei suoi nemici, ma anche per permettere a Stefano di gingillarsi con lei!

Va bene, sarebbe andata, si sarebbe pure vestita benissimo e non avrebbe perso occasione per far maledire la sua presenza lì!

Era parecchio indispettita.

Quaranta minuti dopo, Michela, accompagnata da Marco, si presentò nella Cappella Sistina, poiché era lì che stava avvenendo la festicciola. Ai lati c’erano due lunghi tavoli, uno di cibarie, l’altro di bevande, più sedie sparse. Gli invitati, lo Stato Maggiore di Gabriel e alcuni ospiti speciali, giravano per la sala e parlottavano tra di loro e mangiavano a buffet.

Fu Claudia a notare, per prima, l’arrivo della ragazza e lo disse a Gabriel che le fece cenno di avvicinarsi e, con un sorriso decisamente di scherno, la accolse: “Oh, eccoti finalmente! Ma dove te ne eri andata? Hai perso un po’ di cose!”

“Quel che ho visto, mi è bastato.” rispose seccamente la ragazza.

“Beh, effettivamente, i miei amici che si pulivano le scarpe su Isaia, è stata la parte migliore.”

L’Eletto sapeva bene di ferirla, in quel modo, lo faceva apposta, nella speranza che il sopportare le insegnasse la sottomissione. Vano. La ragazza lo apostrofò: “E dire che continui a dichiararlo il tuo migliore amico!”

Intervenne Claudia: “Su questo non lo capisco neppure io! Bisognerebbe ammazzarlo, quell’infame.”

“Quello che faccio è per il suo bene.” ribadì Gabriel “Bonifacio è stato molto chiaro: umiliarlo finché il suo dannato orgoglio non verrà fuori. A quel punto, si sarà liberato dalle catene della vecchia società ed entrerà nelle nostre schiere, assumendo il suo legittimo posto di dominatore, appena sotto di me.” notò lo sguardo contrariato della giovane “Non credi convenga anche a te che Isaia diventi mio alleato? Potrai startene tranquilla assieme a lui, senza dover più far la gioia di Stefanino. Benché non capisca perché non ti piaccia trascorrere tempo con il mio discepolo. Inoltre,  penso che anche tu preferisca essere educata dal tuo caro templare, piuttosto che da me.”

“Hai ragione, la mia situazione migliorerebbe, ma non ho interesse a stare bene, se è a discapito del benessere di altri.”

Fu Claudia a replicare: “Come se gli altri fossero disposti a soffrire per te. Il mondo è pieno di vigliacchi e deboli che pensano solo a sopravvivere, non meritano la tua pietà e il tuo stoicismo.”

Gabriel decise di cambiare argomento e disse: “Scommetto che vuoi sapere com’è morto quel bastardo di un templare che ha attaccato il Centro e fatto sterminare la tua famiglia.”

Non le interessava granché, ma Michela ritenne che, forse, era l’argomento meno doloroso di cui avrebbe parlato l’uomo, quindi lo invitò a raccontare.

“Come promesso, è stato il primo che ho ucciso; gli altri li ho demonizzati. Non è stato facile trovare quel cane miserabile, ma quando me lo sono trovato davanti … è sbiancato e, sicuramente, ha recitato ogni preghiera che gli sia passata per la testa. Ha alzato la spada e si è fatto avanti. Io l’ho stordito immediatamente col mio potere, poi l’ho afferrato e ho iniziato a smembrarlo, mentr’era ancora vivo. Così, con questa mano, gli ho afferrato una caviglia e gli ho staccato un piede, poi l’altro e così via. Ho gettato i pezzi ad Arthur che li ha rosicchiati e ha bevuto parecchio. Contenta? Ha avuto la fine che meritava, o tu l’avresti fatto soffrire di più?”

Era incredibile come quell’argomento fosse l’unico che facesse sparire in Gabriel l’avversione per quella ragazza.

Michela si sforzò di sorridere e fece un vago cenno con la testa.

Gabriel allora, le disse: “Tu non hai ancora visto il nostro bottino di guerra di pregio: è esposto più in là, vieni.”

L’Eletto, tenendo a braccetto la psicologa, fece strada e fece cenno al suo allievo, poco distante, di aggregarsi a loro. Stefano trotterellò immediatamente verso di loro; aveva tenuto i suoi occhi verdi fissi su Michela, fin da quando l’aveva vista entrare, più che su di lei, li teneva sul seno, abbastanza esposto; fremeva, nell’attesa che il suo maestro lo autorizzasse a toccarla.

Gabriel s fermò davanti ad una teca, in fondo alla Capella, vicino alla parete su cui Michelangelo aveva affrescato il Giudizio Universale. In quella vetrinetta erano state collocati la lancia di Longino, il mazza-scettro di Gaspare e l’elmo di Costantino.

“Bonifacio le ha riconosciute come reliquie importanti per la Cristianità, quindi le bruceremo in un bel rogo dimostrativo, quando avremo espanso il nostro impero, per sottolineare come un’era finisca e ne inizi una nuova, più forte.”

Michela guardò quelle armi con amarezza: si aspettava di trovarci quelle usate da Isaia ma non capiva come poteva esserci pure lo scettro. Cos’era successo a Rambastiano? Isaia aveva detto che li avrebbe aiutati!

“Quello lo usa Sebastiano!” esclamò la ragazza, in un misto di dispiacere e preoccupazione.

“Oh, il tuo amico non è imbattibile, come credevi tu.” replicò Gabriel, fingendo rammarico.

“Di solito servono almeno cinque demoni per fargli male.” ribatté lei.

“Beh, Stefano, da solo, gli ha quasi staccato un braccio e, con quella stessa mazza, gli ha fracassato la testa. Ora, noi volevamo portarlo nel nostro ospedale e curarlo, ma i vostri soldatini ce lo hanno sottratto, non so se nella vostra catacomba avete il necessario per salvarlo.” guardò la giovane e la schernì: “Adesso non ridi più come stamattina, eh?” e si abbandonò a una risata, poi si ricompose e disse, dando una pacca sulle spalle al discepolo: “È un fenomeno! Non lo avrei sospettato, fino al mese scorso! Ha tenuto nascosto il suo potere finché non fossi stato in grado di apprezzarlo. Per questo l’ho scelto per affrontare Sebastiano! Tu” puntò l’indice verso la giovane “Devi sentirti onorata nel prenderti cura di un uomo così potente, mentre aspetti che Isaia si decida a liberarsi.”

Michela, allora, lanciò un’occhiataccia e si allontanò, sdegnata.

La ragazza s rifugiò presso Marco, Davide e altri che conosceva; c’era pure Niklos, ma non voleva parlargli, dopo che pure lui si era pulito le scarpe su Isaia.

Ad un certo punto, venne distribuito a ciascuno un grosso balloon colmo di champagne pregiato. Quando tutti ebbero in mano il bicchiere, Claudia sollevò il proprio e disse semplicemente: “All’inizio di una nuova era, priva di inibizioni, preconcetti, paure!” poi si voltò e baciò Gabriel.

I presenti risposero al brindisi e iniziarono a sorseggiare, lentamente.

“Ci starebbe bene un po’ di musica.” osservò Serventi.

Allora a Gabriel venne un’idea e, a gran voce, poiché era distante, disse: “Ehi strega, fa' qualcosa di utile a tutti, per una volta: cantaci qualcosa! Mettiti al centro della sala, così l’acustica è migliore.”

Michela fece un cenno d’assenso, sorrise e andò a posizionarsi. Nella sala calò il silenzio, per ascoltarla. Lei era ben consapevole che sarebbe stata punita, ma ugualmente decise di intonare: “Tiranni e Generali, Marescialli e Imperatori, Uomini del Destino, Colonnelli e Dittatori! Quanti di voi non sentono timori ed apprensioni, solo perché posseggono le bombe ed i cannoni, quanti di voi non temono nemici e congiurati, perché son ben sicuri di averli già ammazzati, … faran la parte, prima o dopo, non più del gatto, ma del topo, con una corda al collo stretta, come una marionetta. Quel che di voi si sente potente ed importante, solo perc…

Sì interruppe bruscamente, poiché le arrivò addosso un bicchiere.

Gabriel, infatti, resosi conto di che tipo di canzone fosse, aveva scagliato il proprio balloon contro di lei. Vedendola sorpresa e un poco spaventata per quel gesto, l’Eletto con molta calma inquietante, la ammonì: “Sei pregata di non cantare roba simile, bensì qualcosa di più appropriato e, possibilmente, non contro i vincitori!!!”

Michela, che era molto arrabbiata per quel che era capitato ad Isaia e non aveva nessuna voglia di compiacere quella gente, anche a rischio di pesanti ritorsioni, finse di pensare e poi rispose: “Come disse Verdi al feldmaresciallo Radetzky, che gli chiedeva di comporre una marcia per le sue truppe: Io non ho che arie di ritirata.” e sostenne lo sguardo di brace di Gabriel.

L’Eletto era furioso: come osava quella ragazzina rivolgersi così a lui? Per di più nel giorno del suo trionfo e in mezzo a tutti!

Gabriel le si avvicinò, irritatissimo. Lei non si ritrasse e lo aspettò. Lui l’afferrò per i capelli e li tirò in modo tale da costringerla ad abbassare la tesa e avvicinarla a lui.

Niklos, che stava assistendo come tutti gli altri, vedendo quel gesto brutale, ebbe un fremito d’ira, m non fece nulla.

Gabriel, intanto, era rivolto a lei: “Credo, ormai, tu sappia cosa dire, in questi casi: Scusa, Gabriel

La giovane non ripeté, rimase muta.

Gabriel dapprima si innervosì, poi sbuffò una risata, si voltò verso il suo discepolo e gli disse: “Stefanino, ecco il tuo premio per aver sconfitto Sebastiano! Fino a domattina, lei è nelle tue mani, farà tutto ciò che vorrai. Hai, però, una limitazione, dal momento che non sei riuscito a portare il prigioniero qua. Potrai, sfruttarla solo dai fianchi in su … più il culatello, s’intende. Sono certo che saprà comunque farti contento.”

Stefano sorrise e confermò: “Sì, anche così, sarà ugualmente una goduria.”

L’Eletto tornò a rivolgersi alla ragazza piuttosto tranquillo: “Ora, se non vuoi che lo autorizzi a fare di più, ripeti: Scusa, Gabriel

“Scusa, Gabriel...” si rassegnò lei.

“ … per aver fatto irritare te e tutti i presenti con quell’orribile ed inappropriata cantilena...”

“ … per aver fatto irritare te e tutti i presenti con quell’orribile ed inappropriata cantilena...”

“... e per esser stata la solita insolente.”

“… e per esser stata la solita insolente.”

Gabriel la guardò compiaciuto: gli piaceva molto quella tecnica educativa. Ritenne, tuttavia, che non fosse ancora abbastanza, per cui aggiunse: “Ora, invece, di' Grazie, Gabriel

Michela si chiese dove volesse andare a finire, comunque ripeté: “Grazie, Gabriel...”

“ … per aver vendicato la mia famiglia...”

“ … per aver vendicato la mia famiglia...”

Gabriel a quel puntò ghignò: “ … ma, soprattutto, per rendermi uno strumento di piacere di un uomo importante quale è Stefano.”

Michela provò, in quel momento, la massima vergogna e umiliazione; non senza disgusto nella voce, ripeté: “… ma, soprattutto, per rendermi uno strumento di piacere di un uomo importante quale è Stefano.”

Niklos, in cui l’ira era aumentata, man, mano che quello spettacolo andava avanti, esclamò seccato: “Dacci un taglio, mi stai irritando.”

Gabriel, con fare un poco meravigliato, si voltò verso lo stregone: “Ti ho chiesto qualcosa, per caso, buono a nulla? Non mi pare.”

“Non puoi trattarla così!”

L’Eletto si mise a ridere e poi lo guardo compatendolo: “Oh, Niklos, non essere egoista! Tu ci hai già giocato, ora devi lasciare giocare anche gli altri.”

Niklos tacque ma rivolse a quell’uomo il suo peggiore sguardo, carico di furore.

Gabriel ricambiò con uno sguardo divertito e di trionfo, per averlo zittito. Sentì, poi, uno strano calore attorno ai piedi. Chinò il capo per guardare: i suoi pantaloni avevano preso fuoco.

Gabriel lanciò un breve grido di stupore e spavento, poi iniziò a cercare di spegnerle a pedate, poiché erano circoscritte al solo orlo inferiore, per il momento.

Michela guardò Niklos che ricambiò con un’occhiata che la invitava a dargli man forte.

Oh, non sarebbe affatto dispiaciuto, alla ragazza, lasciare che la rabbia e la frustrazione guidassero la sua fantasia e la sua magia. Lei e lo stregone, assieme, avrebbero davvero potuto provocare un bel subbuglio: se avessero dato libero sfogo ai loro poteri, ci sarebbe voluto parecchio impegno per fermarli. Magari avrebbero potuto provocare un po’ di caos e poi fuggire, prendere Giorgio e scappare lontano.

Quanto avrebbe voluto, la ragazza, mostrare la propria potenza all’Eletto, fargli capire che se lei non reagiva non era per debolezza, ma per buon senso.

Se si fosse lasciata guidare dalla propria furia, che sentiva strepitare nel proprio petto, non avrebbe neppure dovuto ricorrere ai carboncini e ai sigilli, per evocare e dominare gli elementi. Esattamente come agiva Niklos.

No, non poteva farlo. La rabbia era un vizio, lei non poteva accettarlo. Inoltre, o avrebbe dovuto sfogarla tutta (e non aveva idea di fino a cosa sarebbe potuta arrivare), oppure una reazione più moderata, le avrebbe fatto subire punizioni tremende. Il rischio peggiore, però, era quello di non tornare indietro, se in quel momento si fosse abbandonata all’ira, il suo lato oscuro avrebbe potuto prendere il sopravvento su di lei. Questo non doveva accadere!

Tutti questi pensieri attraversarono la mente della giovane in un paio di secondi. Guardò, quindi, Niklos con rammarico, come a scusarsi per non sostenerlo in quel gesto che lui aveva fatto per lei.

Il fuoco era stato appiccato da pochi secondi, quando Bonifacio intervenne, sospirando ma con tono perentorio: “Niklos, cortesemente, spegni le fiamme.” il fuoco svanì “Gabriel, pure tu, smettila, questa volta hai esagerato.”

“Esagerato?!” replicò l’Eletto “Sono stato fin troppo tenero con lei! Una prigioniera, praticamente, che nel giorno della sua sconfitta definitiva, tenta di deridere e minacciare i vincitori, meriterebbe ben peggio.”

“La conosci e l’hai voluta apposta provocare.” ribatté Serventi “Comunque non mi riferivo a come tratti lei, ma come hai parlato con Niklos: ha ucciso Martin Antoine, merita maggior rispetto.”
“Ammesso che lo abbia fatto davvero; non c’erano testimoni.” sottolineò Gabriel.

Lo stregone, pieno di sdegno, esclamò: “Questo è oltraggioso! Non rimarrò a questa festa un minuto di più.” guardò ancora una volta la ragazza e le chiese: “Vieni con me? Andiamo da Giorgio.”

Si intromise Gabriel: “Il premio di Stefano non esce da qui, se non sarà il mio pupillo a deciderlo. Vattene pure, Niklos, ma solo, vedrai che farai un grande favore a tutti.”

Lo stregone non disse altro e se ne andò furioso.

L’Eletto, allora, si rivolse alla giovane e le ordinò sottovoce: “Ora fili immediatamente da Stefano e gli obbedirai e lo lascerai fare qualsiasi cosa vorrà, entro i limiti che gli ho imposto. Fidati, non vuoi che lui si lamenti con me del tuo atteggiamento. Muoviti.”

Michela, con dignitosa rassegnazione, raggiunse il giovane che la guardò con gli affamati occhi verdi. La strinse accanto a sé, tenendole un braccio attorno alla vita e appoggiando la mano su uno dei fianchi che tastò a lungo, prima di rivolgere le proprie attenzioni un po’ più in basso.

Finché rimasero in mezzo agli altri, Stefano si limitò a qualche palpata, abbastanza frequente. Quando, poi, ci furono i fuochi artificiali (organizzati e offerti dalle persone dotate di poteri legati al fuoco), Gabriel, Claudia, Bonifacio, Stefano e Teresa, per assistere allo spettacolo, si accomodarono su seggi predisposti proprio nella posizione da cui c’era la migliore visuale. Allora, Stefano aveva fatto sedere la ragazza vicino a sé, poi le aveva messo una mano davanti al volto e le aveva ordinato di baciargliela, leccargliela e succhiargli le dita; le aveva detto: “Esercitati così, intanto, perché poi, quando restiamo soli …” e aveva fatto una risatina, pregustando quel che sarebbe stato.

 

Contemporaneamente, nei sotterranei della Congregazione, proprio nella stessa cella in cui era stato rinchiuso Serventi pochi mesi prima, Isaia pregava in silenzio, chiedeva a Dio la forza di resistere alle tentazioni e alle provocazioni del demonio. Sapeva che, quelli a venire, sarebbero stati giorni molto duri e che la tentazione di cedere sarebbe stata assai forte, dunque pregava Dio e pensava al saldo esempio di Sant’Antonio che nel deserto non si lasciò mai corrompere dalle mille insidie dei diavoli.

La cella era un po’ diversa dall’ultima volta che l’aveva vista: completamente spoglia e vuotata da ogni decorazione o mobile. Non c’era più neppure il letto, ma un semplice giaciglio di paglia, senza neppure un telo sopra, in modo che il fieno provocasse grandi irritazioni alla pelle.

Isaia non ci fece caso. Pregava e l’unico pensiero che ogni tanto veniva a tormentarlo era la preoccupazione per l’incertezza: non sapeva che cosa ne sarebbe stato di lui, per cui non poteva fare progetti. Inoltre non riusciva neppure a contattare telepaticamente Michela e, questo, lo disturbava: come mai non funzionava? Le era successo qualcosa?

Alla fine decise di ricorrere a una delle meditazione degli Esercizi Spirituali e pian, piano si addormentò. Il mattino seguente, fu svegliato dal calcio che il secondino gli sferrò nello stomaco.

“Ti ho portato la colazione.” gli mise in mano una mezza mela “Là, invece, c’è l’acqua” gli indicò una bottiglia “Ti dovrà bastare per tre giorni.” poi uscì senza aggiungere altro.

Isaia mangiò lentamente il frutto: aveva parecchia fame, il giorno prima lo avevano tenuto a digiuno, tuttavia se lo avesse mangiato in un paio di morsi, lo stomaco, anziché calmarsi, avrebbe borbottato ancora di più.

Rimase poi ad attendere che qualcosa accadesse, seduto per terra, con le spalle al muro. Non sapeva quanto tempo fosse passato, quando la porta si aprì di nuovo ed entrò Gabriel, con un grande sorriso stampato in faccia.

“Ecco il coraggioso gran maestro! Chiedo venia per non esserti venuto a trovare, ieri.” lo disse con finto dispiacere, portandosi una mano sul petto “Avevo da fare cose importanti, come ordinare di appiccar fuoco al vostro improvvisato e pidocchioso quartier generale e bruciare i cadaveri di quella feccia di templari, per non parlare, poi, dei festeggiamenti per la vittoria. Tu come hai trascorso la giornata? Hai dormito bene? Ti sei ripreso dalle fatiche della sconfitta?” ovviamente era ironico.

Isaia lo fissò severamente, senza rispondere.

Gabriel, allora, si avvicinò e si chinò su di lui e chiese, sempre schernendolo: “Che è successo, le gambe hanno iniziato a fare Giacomo-Giacomo e ti sei fatto catturare dopo aver visto i cadaveri dei tuoi uomini fatti a pezzi? Come mai non hai fatto fuori i miei demoni, stavolta?”

Isaia non proferì una sola parola, manteneva il suo sguardo duro. Gabriel si innervosì, lo afferrò per i vestiti e lo sollevò dal muro, avvicinandolo a sé.

“Perché non parli, adesso? Quella volta, quando c'era lei, avevi la parlantina, quella tua impeccabile dialettica, e ora fai il muto? Volevi farti bello ai suoi occhi, eh? Mh, niente male come idea... Aah, già, volevo chiederti: alla fine, sei riuscito a combinarci qualcosa?”

Gabriel ghignò con malizia, questa volta la domanda era assolutamente seria e interessata. Continuando a non ricevere risposta, l’Eletto spinse indietro l’amico, con una certa violenza, facendogli battere la testa e la schiena contro il muro; e lo rimproverò: “Bah!, sangue di cane, Isaia, sei un coglione imbranato!!!”

Gabriel era davvero arrabbiato e dispiaciuto, si rialzò di colpo e si mise a passeggiare per la cella. Isaia, intanto, si massaggiava la nuca, dolorante per la botta.

“Voglio vedere quando ti deciderai ad essere uomo! Se non ne approfitti ora, quando ti ricapiterà più di avere vicino una donna vera che ti rivolge la parola? Ho visto come ti ha salutato ieri! Mi ero illuso che ti fossi liberato almeno di quello stupido dogma e, invece … Però lei ti piace, lo so, ho notato, ieri, gli occhi con cui la guardavi. Sono il tuo migliore amico, ti conosco, non puoi mentirmi. Se vuoi rivederla, ti consiglio di riconsiderare a fondo la mia offerta di convertirti alla nostra dottrina, visto che sei qui. Ora devo andare. Tu, nel frattempo...” gli assestò un poderoso calcio sul fianco destro, tanto da farlo piegare “Medita! Tra poco, arriverà Gaslini. Non sai quanto è ansioso di rivederti.” concluse con un sorrisone.

Gaslini?

Isaia deglutì preoccupato. Non aveva idea di che cosa fosse in grado di fare l’Alchimista. Aveva solo sentito i racconti di Foschi; in realtà erano stati solo vaghi cenni ed allusioni, ma erano bastati ad impressionarlo.

Tu, Isaia, sei fortunato, non sai cosa voglia dire essere schiavo delle droghe dell’Alchimista, sentirsi morire ogni giorno.

Queste erano state le parole del Pittore.

Sentirsi morire ogni giorno … chissà che cosa volesse dire. Sofferenze atroci? Stati catatonici vagamente coscienti? O forse intendeva semplicemente dire che, subire quel trattamento, era come morire un poco alla volta, giorno dopo giorno?

Presto lo avrebbe scoperto.

Un altro pensiero lo preoccupò: se quelle sostanze erano riuscite a rendere sconfitto l’animo di Foschi, al punto che era disposto ad accettare la morte, senza neppure che ci fosse un nobile ideale dietro, allora forse quelle stesse sostanze avrebbero potuto infiacchire lui, fino a farlo cedere.

Non sia mai! Pensò vigorosamente.

Poco dopo entrò Gaslini, lo guardò con un sorriso brillante e gli disse: “Buongiorno, padre Morganti. Sta bene? Da quando hai tentato di uccidermi, ho lavorato a un siero speciale, appositamente per te.”

“Ti ricordo che eri al terzo tentativo di ammazzarmi, quel giorno.”

“Facevo il mio dovere.”

“E io obbedivo all’istinto di sopravvivenza.”

“Ti farai fare l’iniezione senza storie, o devo chiamare delle guardie?”

Isaia si sollevò la manica e tese in avanti il braccio, in attesa della puntura. Gaslini si avvicinò e inserì l’ago.

Dapprima Isaia non sentì nulla, poi un formicolio e un bruciore che si espanse in tutto il corpo, gli parve di sentirsi irrigidire, cominciò a sudare, il respiro si fece affannoso, poi i contorni di ciò che vedeva iniziarono a farsi sempre meno nitidi e i colori si mescolavano tra loro. Poi più nulla. O, meglio, qui si fermava il suo ricordo. Quando tornò in sé, molte ore più tardi, non ricordava altro che questo, ma una sensazione di ansia e terrore lo pervadeva.

Non fu facile tornare padrone di sé, calmarsi, asciugarsi il sudore e tornare a muovere i propri arti senza difficoltà. Aveva una gran sete, per cui prese la bottiglia e iniziò a bere a lunghi sorsi, finché non si ricordò che quella era l’acqua per tre giorni, controllò: era quasi a metà. La richiuse e l’allontanò. Si accorse che era stata portata una scodella con del cibo: della mollica e un po’ di macinato crudo. Mangiò, senza disdegnare quel poco. Poi si sdraiò sul giaciglio: era stanchissimo. Cercò di meditare, ma aveva la mente troppo stanca e si addormentò.

Il mattino seguente fu svegliato sempre con un calcio alle reni. La colazione consisté in una manciata di fragole. Più tardi passò Gabriel a trovarlo: “Buondì, amico! Come andiamo? Il primo giorno di soggiorno è stato di tuo gradimento?”

“Non lo so, non ricordo granché.”

“Uhm, lo dirò a Gaslini, effettivamente era indeciso su un certo dosaggio di non so cosa, temeva, a ragion veduta, che non rimanesse impresso il ricordo delle visioni. Pazienza, oggi o domani andrà meglio. Suppongo, quindi, che tu sia ancora fermo nella tua decisione di rifiutare la mia amicizia.”

“No, Gabriel, la tua amicizia l’accetto volentieri, tuttavia, non posso sostenerti in questo progetto.”

“Evidentemente non ti è chiara una cosa. Io non mi rassegno: come tu volevi uccidermi per salvare la mia anima, così io ti torturerò finché non ti sarai liberato dalla tua condizione di schiavo in cui il menzognero moralismo ti ha sprofondato. I miei uomini non vedono l’ora di ripagare l’Inquisizione con la sua stessa moneta. Gaslini vuole anche sperimentare alcune malattie di sua invenzione: le ha create giocando coi batteri, è un genio! Sei certo di voler essere tu la cavia di tutto ciò?”

Isaia si mise in piedi, alzò gli occhi al Cielo e iniziò a invocare: “O Segnor, per cortesia, manname la malsania, a me la freve quartana, la contina e la terzana. A me venga mal de denti, mal de capo e mal de ventre, mal degli occhi e doglia de fianco e l’apostema al canto manco. Aia ‘l fecato rescaldato, la milza grossa, el ventre enfiato, lo polmone sia piagato con gran tossa e parlasia. A me lo morbo caduco de cadere en acqua e ‘n fuoco, e mai non trovi luoco che io affritto non ce sia. Gelo, granden, tempestate, fulgor, troni, oscuritate, e non sia nulla avversitate che me non aia en sua balia. La demonia enfernali sì me sian dati a ministrali, che m’essercitin li mali c’aio guadagnati a mia follia. Signor mio, non è vendetta tutta la pena c’ho ditta: ché me creasti en tua diletta e io t’ho morto a villania.”

“Bene, bravo, ma a cosa ti è servito citare Jacopone da Todi?”

“Pensavo ti fosse chiaro, fratello. Puoi minacciarmi tutti i mali che vuoi, non c’è problema, poiché io stesso li ho domandati a Dio per me.”

Gabriel lo guardò con furore e gli ringhiò: “Molto bene: sarai accontentato!” uscì sbattendo la porta.

Quel giorno non fu affatto facile per Isaia: davvero giunsero in tre o quattro, trasportando alcuni strumenti di tortura e sadicamente lo tormentarono tutto il giorno. Un dolore e una sofferenza indicibili. Urlò per il male, ma non supplicò che finisse, non mostrò il minimo cenno ad assentire al convertirsi. Come se tutto ciò non bastasse, alla sera venne pure Gaslini e gli iniettò un’altra sostanza. Stranamente, Isaia non sentì nessun cambiamento, non gli capitò assolutamente nulla. Andò a sdraiarsi sulla paglia, si concentrò per curarsi un poco, come Michela aveva insegnato a lui e Sebastiano, nei giorni trascorsi in Villa. Chissà come stava la ragazza. Come stava Sebastiano? E Alonso? E Delrio? Che accadeva in Villa o nella Catacomba? Che ne era dei cittadini? Come avrebbe agito, ora, Serventi, esauriti i nemici? Ma, soprattutto, come stava Michela?

Il mattino seguente, solita sveglia, un frutto per colazione e Gabriel venne a fargli visita, aveva un bicchiere in mano.

“Bene, Isaia, mi hanno riferito che la tua dannata ostinazione bigotta non ha confini. Chi l’avrebbe detto che un ratto di biblioteca come te, potesse sopportare così egregiamente il dolore? Beh, noi le abbiamo provate tutte, con te. Ieri hai sofferto come il cane che sei e stanotte ti hanno tenuto sveglio gli incubi degli intrugli di Gaslini.”

No. Non aveva avuto incubi, era stato benissimo … per quanto lo potesse essere uno nelle sue condizioni. Ciò gli confermò il dubbio che ci fosse stato un disguido circa il siero che gli era stato iniettato. Ovviamente, si guardò bene dal farne parola.

“Ora, se non sei convinto con questo, mi rendo conto che non potremo convincerti in altri modi, dunque: noi, o la morte?”

“Preferisco morire, piuttosto che farmi corrompere dal male. Uccidimi pure.”

Isaia rispose d’istinto, senza riflettere: se le opzioni erano solo quelle, lui non aveva dubbi. Non sarebbe mai diventato un servo del male.

“Troppo facile, amico mio, essere uccisi.” ghignò Gabriel, appoggiando per terra il bicchiere “Suicidati. Mostra di essere così convinto di non voler essere dei nostri, da toglierti la vita da solo. È cicuta, dovrebbe farti piacere morire allo stesso modo di Socrate.”

Isaia ancora una volta non tentennò, l’unico rimpianto che aveva era di non poter salutare un’ultima volta Michela, ma era certo che lei lo avrebbe capito e approvato. Prese il bicchiere, lo alzò verso Gabriel e gli disse: “Alla tua salute, fratello!” e bevve tutto in un fiato.

Guardò poi l’amico e rimase in attesa della morte.

L’Eletto fece una smorfia e poi scoppiò a ridere e, tra una risata e l’altra, disse: “Non ci credo! Ahaha! L’hai bevuto sul serio!? Ahahaa, oddio! Non credevo l’avresti fatto … ahahahaha…

Isaia, che non capiva, guardò interrogativamente l’altro che, finalmente, si ricompose e, trattenendo ancora il riso, spiegò: “Amico, scusa, ma davvero non credevo lo avresti bevuto. La scena me l’ero immaginata diversa. Quella non era cicuta ma urina! È stata un’idea d Claudia. Ho pisciato in quel bicchiere prima di venire qua.” si abbandonò ad un’altra risata “Va beh, dai, così oggi hai avuto più acqua da bere. Io torno domani e mi fermo a chiacchierare un po’ con te. Per oggi, ti lascio con Gaslini.”

L’Alchimista aveva preparato un programma differente dal solito. Si fermò tutto il giorno nella cella, somministrando farmaci a piccole dosi, divertendosi a vedere le reazioni e a decidere di volta in volta, seguendo l’ispirazione, quale sostanza introdurre. Pranzò e cenò pure lì dentro e i suoi avanzi furono il pasto di Isaia: il più abbondante da quando era stato imprigionato.

Appena fu lasciato solo, si addormentò, ancora troppo sconvolto dalle miscele psicotrope di Gaslini.

Il giorno seguente, come promesso, Gabriel si recò da Isaia, con la ferma intenzione di fare una lunga chiacchierata col suo amico. Si era portato dietro un sacco, che lanciò addosso al prigioniero dopo averlo salutato, e gli disse: “Lì dentro ci sono alcune delle scarpe mie, di Claudia, di Bonifacio, di Teresa e di Stefano: devi pulirle per bene. Lì c’è pure il pannetto, il lucido e quant’altro occorre. Sai, mantenerti qui in prigione è una spesa, per cui devi renderti pur utile in una qualche maniera. Su, mettiti al lavoro, quando avrò finito di parlarti, dovranno essere pronte.”

Isaia obbedì in silenzio.

Gabriel lo osservò per alcuni momenti, poi prese a dire: “Certo che sei davvero strano! È assurdo! Io ti sto chiedendo di essere felice, di essere libero di fare ciò che ti piace, qualsiasi cosa sia, senza limiti; ti sto offrendo la possibilità di essere ai vertici di un mondo privo di quella menzogna che è la morale, quindi senza confini al tuo volere; ti sto porgendo lo scettro del dominio e tu rifiuti tutto ciò. A questo potere e libertà preferisci … cosa di preciso? Divieti e obblighi imposti non si sa da chi e perché, beh, no, il perché lo si sa: per tenere in catene la gente. Preferisci sottostare a regole prive di fondamenta, per seguire le quali hai provocato morti, ti sei messo contro di me, il tuo migliore amico, e ora sei pure finito in prigione. Ti sembra giusto? Ti sembra giusto che un uomo potente come te, sia qui a pulire le mie scarpe, invece di essere al mio fianco, là fuori a governare i veri schiavi: i deboli?”

“Gabriel, la felicità non è di questo mondo! Il tuo è un errore di calcolo, cerchi qui, in questo mondo, qualcosa che non gli appartiene. La materia e i piaceri terreni non sono il male e, se capitano, vanno ben accettati, ma allo stesso tempo non devono essere il nostro ultimo obiettivo e i mali che qui ci accadono, non devono turbarci, poiché sono di poco conto.” Isaia aveva parlato con tono calmo e tranquillo, mentre continuava a pulire le scarpe.

“Bah! Vedo che hai ancora la testa piena di quelle sciocchezze! Isaia, io lo so, tu lo sai: Dio è al di fuori di tutto e non gli importa nulla. Per noi uomini c’è solo questo mondo, nient’altro, ed è nostro sacrosanto diritto renderci felici. Dammi retta, dimentica queste cazzate e prova a seguire il mio esempio. È ora che tu ti liberi da quelle catene arrugginite e inizi a vivere davvero. Potrai fare quello che vuoi, senza pentimenti!”

Studiò per qualche istante l’amico, sperando di vederlo reagire. Nulla. Isaia continuava a svolgere il lavoretto affidatogli e non mostrava interesse per quelle parole.

“Lo dico per te! Non posso credere che per te la felicità stia nel leggere libri e nient’altro. Su, smettila di reprimerti! Abbandona ciò che la società e la Chiesa ti hanno imposto e lascia sfogare il vero Isaia, lascialo emergere. Scommetto che ci sarebbero un sacco di cose che vuoi fare, ma ti proibisci. Fosse anche solo mandare al diavolo chi ti tratta male. Diamine, fratello, quando ero ancora vincolato alla morale, perfino io ti trattavo sgarbatamente e tu muto a subire … Già, capisco che le tue catene sono molto strette e sarà difficile farle saltare, ma con un po’ di pazienza ci riusciremo.”

Gabriel tacque ancora e si dondolò sulla sedia che si era portato dietro per rimanere comodo. Dopo un po’ riprese: “Davvero, pensa a tutto quello che potresti fare! Avere servi. Prendere ciò che vuoi senza che nessuno possa fiatare. Viaggiare i lungo e in largo. Punire chi non usa i congiuntivi, visto che ti piace tanto la grammatica. Sono sicuro che ti verranno in mente un sacco di cose che vuoi fare e che, per ora, ti vieti. Credo che, innanzitutto, penserai a ciò che puoi fare con quella ragazzina.”

Isaia sollevò un attimo lo sguardo: non sopportava che Gabriel parlasse di Michela, tanto meno nei suoi termini volgari.

“So che ti piace e tu dovresti deciderti ad assecondare il tuo istinto. Evita il corteggiamento, conoscendoti, ci impiegheresti decadi e, poi, lei è già innamorata di te; quindi vai subito al sodo. Lei non aspetta altro!”

Gabriel ghignò nel vedere come l’argomento innervosisse l’amico, per cui si fece più insistente: “Devi affrettarti! Vedi, giacché è tra i piedi, ho pensato di trovarle una mansione occasionale, ossia divertire Stefano.”

Isaia si bloccò per un istante, ma subito riprese il lavoro, senza proferir verbo.

“Stefano era ancora totalmente inesperto, proprio come sei tu, quindi ha iniziato a godersi le cose pian, pianino, un poco per volta … ma ormai ha sperimentato tutto e vuole finalmente assaggiare la mela di Eva … se capisci cosa intendo. C’è solo la mia parola ad impedirgli di toglierle le mutande. Se non gliel’ho ancora permesso è perché so che tu ci tieni tanto a lei e, suppongo, che la cosa ti infastidirebbe parecchio. Dì, soffriresti, vero, nel saperla a letto con un altro?”

“La faccenda non mi riguarda. Lei può fare quello che ritiene sia meglio.” troncò, seccamente Isaia; in realtà lo stava dicendo più che altro a sé stesso, poiché si era accorto di trovare davvero fastidiosa l’idea che lei fosse tra le braccia di qualcun altro. Avendole però detto di non voler rinunciare ai voti per lei, non si doveva stupire se lei si rivolgesse altrove. Ma, diamine, così presto? E poi con Stefano!

“Oh, non l’ha scelto lei.” lo informò Gabriel, accorgendosi che l’argomento era efficace “È il modo che ho deciso di adottare per punirla, quando mi fa arrabbiare.”

“Sarà consolata. Ogni sofferenza rende migliore la gioia che ci verrà donata quando saremo in contemplazione di nostro Signore.”

“Ah sì!?!” si arrabbiò Gabriel “Molto bene! Allora farò in modo che sia felicissima, una volta morta. Non solo, alla prossima occasione, autorizzerò Stefano a farci tutto, ma proprio tutto, ma anche attenderò con ansia il momento in cui il tuo caro Sebastiano verrà finalmente dalla nostra parte, perché così potrò far divertire pure lui con la tua amata ragazzina. È questo che vuoi?!”

Isaia rimase muto.

“A quanto pare sì. Non ti basta soffrire tu stesso, vuoi far patire anche chi ami. Sei un mostro! Ma, d’altra parte, che mi dovrei aspettare da uno che ha cercato di uccidere il proprio migliore amico, dopo averlo tradito?”

Gabriel aspettò un poco: detestava che l’amico non reagisse. Doveva escogitare qualcos’altro. Ebbe poi un’ispirazione: “Forse capisco. Sopporti perché, in fondo, tutto ciò riguarda solo il corpo, la materia (che tanto disprezzi) e ti dici che la sua anima sarà comunque solo tua. Beh, potresti avere una brutta sorpresa.”

Ghignò nel vedere Isaia sollevare lo sguardo, perplesso, verso di lui.

“La tua fiamma ti ha mai parlato di Niklos? Non so se te lo ricordi, è quello che mi ha impedito di farla fuori davanti ai tuoi occhi, quando sei venuto con la tua combriccola a fare ambasceria.” rise al ricordo “Beh, devi sapere che è a dir poco interessato a lei e parecchio intenzionato a riprendersela, insieme al moccioso. Perché dico riprendersela? Semplice: i due si conoscono da molto tempo e sono stati insieme, in passato. Un rapporto serio, profondo, completo.” sottolineò malignamente questi tre aggettivi “Il padre del marmocchio è proprio Niklos e non è affatto da escludere (anzi, credo sia più che certo) che tra i due possa scoccare nuovamente la scintilla del romanticismo. Dopotutto, hanno sempre un figlio in comune e, in quanto padre, Niklos ha diritto di riavere il bambino e lei.” lo disse con un tono di finta dolcezza “Lui si sta impegnando tantissimo per riconquistarla, addirittura la difende, quando mi sente trattarla un po’ a male parole. Quando, poi, giocano col piccolo, sembrano una vera coppia.” si chinò su Isaia, per essere ben incisivo “La domanda che ti faccio è questa: vuoi davvero perdere l'unica cosa che ti è rimasta? La tua resistenza è finita. I tuoi alleati sono morti o si sono arresi alla realtà. Dov’è il tuo Dio? Non hai più nulla, specie finché rimani ostinatamente attaccato alla tua cara morale. Ormai, hai soltanto lei e, ricordatelo questo, perché stai rischiando di tornare in quel dannato baratro di solitudine che ti sei costruito da solo per anni.”

Isaia lo fissò per qualche istante, deglutì anche, poi lasciò cadere il panno e il lucido da scarpe e annunciò: “Ho finito.”

Gabriel lo guardò malamente e gli disse sgarbatamente: “Bene, allora rimetti tutto nel sacco. Subito!”

Rimase imbronciato per quel paio di minuti che restò ancora, poi, mentre usciva, si rilassò e disse: “Pensaci a modo a se vuoi che quella ragazzina sia tua o di Niklos.”

Isaia rimase solo con quel pensiero, nonostante non lo desiderasse. Aveva ormai capito e accettato il fatto di amarla. Aveva pure stabilito che ciò non avrebbe cambiato la sua vita. Non poteva, quindi, pretendere che lei rinunciasse ad avere una famiglia, una famiglia vera. Forse era meglio così, che lei ritornasse dal suo primo compagno, che Giorgio avesse un padre. Sì, era giusto così.

Se era giusto, allora perché lui non era contento? Perché si sentiva, in un certo senso, tradito?

Tentò di contattare telepaticamente la ragazza, ma ancora non vi riuscì. Perché? Che era successo? Non capiva. Era confuso su molte cose al riguardo della giovane, ma su una cosa era certo: lei lo amava, esattamente come lui amava lei.

Presto sopraggiunse Gaslini, questa volta fece un’iniezione massiccia e se ne andò, raccomandandosi con Isaia, affinché gli riferisse ciò che avrebbe visto. Il prigioniero, però, non subì nessun effetto. Si disse che doveva esserci stato un altro disguido con i sieri. Era certo fosse stata opera di Michela. Sì, doveva essere per forza così. Nonostante fossero separati e non potessero comunicare, erano vicinissimi; anzi, Isaia era certo che quella distanza e ignoranza circa le reciproche sorti, li rendeva ancora più uniti di prima.

Rassicurato e confortato in quel modo, il gesuita si stese a meditare e pregare.

Era assorto in una delle meditazioni degli Esercizi Spirituali; era una pratica riservata ai gesuiti più esperti, consisteva nel ricreare nella propria mente, il palazzo di Dio. Ovviamente sapevano che non era un palazzo vero, bensì tutti gli elementi architettonici, gli elementi con cui era costruito, i numeri, erano solo simboli di virtù e concetti. Visualizzato attentamente il palazzo, avvertendolo concreto anche al tatto, dovevano entrarci e, arrivati in una certa sala, avrebbero dovuto aprire una porta, dietro la quale sarebbe apparso un santo, o un defunto a parlare al meditante. Non si sarebbe trattato di un dialogo, l’apparizioni si sarebbe limitata a una frase illuminante.

Quella volta, oltre la porta vide Samuele. Non era l’uomo vecchio, affaticato, guercio, stravolto che Isaia aveva visto morire, bensì era giovane e senza età e risplendeva.

Samuele guardò con amorevole compassione il discepolo e gli disse, citando la lettera ai Romani: “Lo stolto pensa: Non c’è Dio. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: nessuno più agisce bene. Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno. Non invocano Dio: tremeranno di spavento, perché Dio è con la stirpe del giusto. Volete confondere le speranze del misero, ma il Signore è il suo rifugio.” poi aggiunse un pezzo tratto dalla lettera agli Efesini: “Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti.

Isaia avrebbe voluto parlargli, ma sapeva che, se avesse aperto bocca, il suo maestro avrebbe taciuto.

Samuele, poi, parlò spontaneamente, senza citazioni: “Isaia, stai servendo bene il Signore, la tua mente è libera e queste sofferenze non ti turbano. Molti chiederebbero a Dio perché permette queste sofferenze, ma tu hai con te la saggezza che ti permette di sapere che come agisce il Signore. Non c’è nulla per cui apostrofarti; questa è la strada, persevera e che il tuo animo non venga meno.”

Poi tutto svanì.

Il giorno seguente, Gabriel fece la propria visita verso metà mattina. Entrò con aria un po’ irritata, teneva in mano un paio di scarpe femminili e le gettò davanti ad Isaia. Esordì: “Claudia non è affatto soddisfatta. Ha detto che non sono pulite accuratamente. Vedi di rimediare e subito anche. Andrà a fare un giro con Teresa e la tua pseudofidanzatina tra non più di mezz’ora e vuole mettere proprio quelle scarpe, che sarebbero le sue preferite, quindi mettici olio di gomito e fai in fretta!” Isaia scosse il capo e sospirò, poi si mise a cercare il pannetto che aveva lasciato a terra il giorno prima.

Gabriel si mise a ridere a chiese con finta curiosità: “Che stai facendo?”

“Prendo ciò che serve per pulire?” nonostante la retoricità, rimase pacato.

L’altro scosse il capo, ghignando: “Ho dimenticato di dirti un dettaglio.” raccolse una scarpa e la mise davanti bocca dell’amico “Devi usare la lingua, questa volta. Lecca lo sporco.”

Isaia lo guardò assai perplesso.

“Non mi dirai che ti fa schifo?! Claudia è stata esplicita: Dì a quell’incapace che dovrà usare la sua lingua biforcuta per ripulire le mie scarpe.

“Andiamo, non se ne accorgerà.”

“Non mi interessa.” fu irremovibile l’Eletto “Claudia ha espresso un desiderio e io lo realizzerò.”

Isaia si preoccupò, ma non per sé stesso, bensì per come ragionasse l’amico; tentò di fargli capire: “Fratello, non puoi esaudire tutti i capricci di quella donna. Non è amore, questo, lo capisci?”

Gabriel rise stupito e divertito: “Ma che dici? È la mia donna e la amo alla follia, quindi, sì, posso esaudire ogni suo capriccio, piccolo o grande che sia.”

“Ne sei proprio sicuro?”

L’Eletto ghignò e allargò le braccia: “Ehi, ora che me lo posso permettere, non vedo per quale motivo dovrei negarle ciò che vuole. Voglio che sia felice, voglio vederla sorridere in ogni momento e io farò tutto ciò che vuole. In passato, per colpa del colletto bianco, l’ho fatta soffrire, ma non accadrà mai più, la renderò felice ad ogni costo.” il suo volto era illuminato dalla gioia dell’amore; poi come confuso, domandò: “Tu non faresti lo stesso per la tua Michela?”

“No, Gabriel, ma questo lo capisce benissimo anche lei, senza bisogno di dirglielo. Per di più non mi chiederebbe mai cose tanto assurde.”

“Oh, certo, dimenticavo che la tua ragazza è una fastidiosissima So-Tutto-Io ...”

Isaia si alzò e si avvicinò tranquillamente all’amico, dicendo flemmaticamente: “Il punto è che non si può avere tutto. Devi iniziare a...”

Alla parola devi, Gabriel lo allontanò, spintonandolo bruscamente, facendogli quasi perdere l'equilibrio; gli ringhiò: “Devo?? Cosa? Non devo proprio un accidente, Isaia. Sono io che comando e sono sempre io a decidere se e quante volte voglio assecondare Claudia, senza che ci metta bocca tu con quel tuo dannatissimo perbenismo da due soldi.” era arrabbiatissimo “E non provare a fare il sapientone anche in materia d'amore, perché non sai nulla al riguardo. Aggiungo, poi, un dato fondamentale: non l'hai mai provato.” mostrò un briciolo di calma “Fossi in te, starei muto. Adesso, mi pulisci bene quelle scarpe, dannazione? Ho aspettato fin troppo tempo!”

Indicò le scarpe a terra, poi ne prese una la mise nuovamente davanti alla bocca dell’amico e lo esortò: “Forza, pulisci. Dai, fuori la lingua!”

Isaia con la solita rassegnazione, unita al disgusto, ma senza rabbia; afferrò la prima scarpa e iniziò a leccarla, poi fece altrettanto con la seconda. Per tutto il tempo non staccò gli occhi da Gabriel che lo osservava compiaciuto. Finita l’operazione, l’Eletto prese le scarpe, le osservò, parve soddisfatto ed esclamò: “Ooooh, adesso si ragiona! Vedi che se t'impegni ottieni risultati? E bravo Isaino!” gli scompigliò i capelli, poi si fece severo: “Non provare mai più a dirmi cosa devo o non devo fare, sei avvisato!”

Se ne andò contento alla porta, dopo averla chiusa, si affacciò alla guardiola e disse: “C’è una questione che mi devi spiegare. Porto le scarpe a Claudia e poi torno subito: aspettami qui!”

Isaia alzò gli occhi al Cielo e iniziò a domandarsi se ci fosse davvero una qualche possibilità di salvare Gabriel.

Antinori ritornò davvero dopo una decina di minuti. Si era portato una sedia, la posizionò davanti al prigioniero e ci si sedette sopra al contrario, tenendo le braccia incrociate sullo schienale. Fissò per un po’ l’amico senza dire nulla finché, d’improvviso, proruppe: “Mi spieghi come accidenti fai?”

“Di che parli?” si meravigliò Isaia.

Il tono di Gabriel era un misto di emozioni confuse: rabbia, perplessità, disprezzo, dispiacere, incredulità: “Parlo del tuo modo di essere, ecco di cosa. In tanti anni che ti conosco, non ti ho mai, e ripeto mai, visto veramente furioso, nemmeno quando qualcuno ti trattava da schifo. Nemmeno quando io, il tuo migliore amico, ti ho accusato di pensare solo al Direttorio e non a me e, nel migliore dei casi, ti facevo le peggio battute. Può essere che non ti salga l'ira più assoluta quando qualcuno ti calpesta? Come prima, per esempio, quando ti ho fatto leccare quelle scarpe! ... Perché non ti sei alzato e non mi hai preso a schiaffi? Non hai un benché minimo briciolo d'orgoglio e rispetto per te stesso? Dovresti far paura a chi ti secca e infastidisce! Guardati: il fisico non ti manca e poi ora sai brandire una spada; perché ti sottometti, invece di reagire e pretendere ciò che ti spetta? Il rispetto innanzitutto!”

“Non è con la sopraffazione e la prevaricazione che si ottiene il bene. Non è questo ciò in cui credo.”

Gabriel scosse il capo e anche con l’indice negò.

“No, no! Il tuo più grande difetto, lo sai benissimo, è che sei troppo mite, amico mio. Vergognosamente mite!” rise “Questo perché? Per le catene che continui a portarti dietro. Tu vorresti reagire. Tu vorresti rendere pan per focaccia. Senti però il peso del moralismo che ti paralizza. Ti disprezzi per questo, lo odi. Lasci che gli altri ti calpestino perché sai di meritarlo e vorresti farlo tu stesso. Devi liberarti, Isaia, se vuoi vivere davvero. Guarda me: io sono rinato, e sono più che sicuro che dirai la stessa cosa anche tu, una volta riuscitoci.”

“L’unica rinascita che mi interessa è quella a vita eterna, presso Dio.”

Gabriel tornò ad infuriarsi: “E va bene, visto che non vuoi comportarti da uomo, continuerai a fare il cane ed essere trattato come tale. Sì, perché solo i cani, e neppure tutti, sono così stupidi da farsi bastonare e non reagire. Hai sbagliato ad entrare nei gesuiti, dovevi stare coi domeni-cani. Sei un cane, per il momento, e, finché non ti deciderai a cambiare, ti tratterò come tale.” andò alla porta e salutò: “A presto, cane!”

Il resto della giornata e anche il dì seguente, Isaia rimase sotto la custodia e le sperimentazioni di Gaslini che ripeté il metodo delle piccole e varie somministrazioni, lui presente.

Furono ore molto difficili per Isaia, si sentiva devastato, sia mentalmente che fisicamente. I dolori e le allucinazioni che aveva erano terribili. Si sentiva impotente, sopraffatto, stava malissimo.

Il secondo giorno, l’Alchimista si ritirò intorno alle diciassette. Isaia ebbe così modo di riprendersi un poco prima di cena e quando gli arrivò il piatto con un poco di riso scondito, riuscì a mangiarlo, senza che le mani gli tremassero eccessivamente e gli facessero uscire il poco cibo dal piatto.

Sperò di passare una notte migliore della precedente, durante la quale si era svegliato scosso da brividi di freddo che sembravano spasmi.

Si stupì quando vide la porta aprirsi e Gabriel entrare. Scorse un’altra figura dietro di lui, era famigliare, ma non fece in tempo a metterla a fuoco, poiché rimase fuori e l’uscio venne richiuso.

“Buonasera, cane! Piaciuta la cena?” rise, poi si piazzò davanti al prigioniero e gli annunciò: “Sono venuto per metterti al corrente di una notizia alquanto incresciosa... Oddio, dipende dai punti di vista. Per noi non lo è, ma andiamo al nocciolo: il tuo impavido discepolo ha finalmente deciso di schierarsi dalla giusta fazione. A quanto pare, sei il solo a credere ancora in quella falsa morale; perfino quel povero ragazzo, a cui hai riempito la testa delle tue vane ciance per anni, alla fine ha capito quale sia la verità!”

Isaia guardò il vuoto, affranto. Non era tanto il sentirsi tradito, né la perdita di un appoggio dall’esterno, né l’avere un nuovo temibile avversario; era semplicemente il dispiacere per l’anima di Sebastiano, il vederlo corrotto dal male, così sordo alla grazia di Dio. Ecco questo gli faceva male: un amico che si perdeva. Chiuse gli occhi.

“Ammettilo, Isaia: un talento nel combattimento come lui era sprecato nelle tue fila. Nel nostro esercito sarà più che valorizzato. Ah, ho voluto portarlo con me, pensando che avresti voluto vederlo. Entra pure, Sebastiano.” sfoggiò uno dei suoi ghigni più terribili.

La porta si aprì ed entrò la seconda figura: proprio Sebastiano, coi suoi riccioli d’oro.

Isaia guardò il giovane e il suo sguardo divenne triste e deluso. Con tono pacato, ma incapace di nascondere completamente il dolore, domandò: “Perché? Dimmi almeno questo!”

Sebastiano, con sguardo affranto, gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, mi ascolti: è la scelta più logica da fare. Solo così possiamo sopravvivere. La prego, mi dia retta. La faranno uscire da questo postaccio se passa dalla nostra parte. Qui dentro rischia solo la salute e la vita. Pensi che cosa potremmo fare per il mondo: se noi avremo il potere, potremo migliorarlo, non crede?”

Isaia scosse il capo e disse solo: “Sono contento di vederti così perfettamente guarito in pochissimi giorni.”

Sebastiano lo guardò tristemente.

Gabriel approfittò del silenzio che si era creato, per dire: “Ora dovresti sapere come ci si sente ad essere traditi, bastardo. È la stessa cosa che ho provato io vedendoti insieme a quel pazzo di Vargas, o quando ho scoperto che avevi ricattato Pietro per le foto!”

Isaia non ce la fece a rispondere in nessuna maniera. Era troppo. Troppo.

Dal momento che nessuno parlava, Antinori decise di chiudere la breve visita: “Beh, direi che è tutto. Andiamo, Sebastiano, devo presentarti ancora a tutti gli ufficiali. Saranno onorati di averti tra loro.”

Si erano incamminati verso l’uscita, Gabriel si voltò verso Isaia, il quale si teneva la testa tra le mani, e gli augurò, ironicamente: “Sogni d'oro, maestro.” scoppiò a ridere e se ne andò, seguito dal ragazzo.

Rimasto solo, Isaia si concedette di sfogare un po’ di rabbia. Strinse i pugni e li batté contro la parete: tutto tremò. Stava soffrendo. Vedere quanto fosse forte il male lo aveva tremendamente scosso. Come poteva esserci speranza per la bontà in questo mondo?

Lui, tuttavia, avrebbe resistito; anche a costo di rimanere l’unico servo di Dio sulla faccia della Terra, lui non avrebbe mai seguito le regole del male.

 

 

 

Note dell’Autrice.

Innanzitutto grazie a tutti i miei lettori. Il mio ego è molto felice e ringrazia a propria volta ^.^
Un grazie speciale ad Alex Piton (che mi sono scordata di ringraziare nei capitoli precedenti) che mi aiuta a gestire la versione oscura di Gabriel.

Per quanto riguarda questo capitolo, chiedo venia per la lunghezza e forse monotonia, ma era necessario per sottolineare la pesantezza della situazione in cui vessa Isaia.

Spero che le scene un po’ più aspre circa le umiliazioni (sia qui che nei capitoli precedenti) non abbiano turbato nessuno. Questo sarà l’andamento (anzi, peggiorerà) per i prossimi due capitoli, credo, per cui se volete che smorzi un po’ il tiro, fatemelo sapere. Per ora ho assunto questi toni, perché mi pareva logico sottolineare la malvagità: insomma, anche se abbiamo visto poco il Gabriel oscuro nella serie tv, non credo agirebbe in maniera più tenera.

Grazie ancora a tutti e a presto!

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Capitolo 36
*** Umiliazioni ***


Erano ormai dieci giorni che Michela alloggiava presso i conquistatori. Il pensiero che più le arrovellava la mente era se Bonifacio le avesse mentito o meno la prima sera che era arrivata. Per convincerla a rimanere, l’uomo le aveva detto che lei era rimasta incinta; ma era vero? Oh, lei si era convinta che lo fosse, sentiva che non era una bugia. Comunque ancora non ne poteva avere la certezza; mancavano ancora una decina di giorni, prima che le dovesse venire il mestruo, per cui doveva ancora aspettare un poco, prima di saperlo.

Avendo sconfitto gli oppositori, Gabriel aveva iniziato a progettare l’espansione del suo dominio. Su richiesta di Claudia, aveva facilmente conquistato Ostia e la costa, per poter avere a disposizione il mare, dove rilassarsi un po’ finché era estate. Iniziarono poi a rivolgere le proprie mire verso la Campania.

Gabriel, tuttavia, stava mandando avanti i suoi ufficiali, lui voleva rimanere di base a Roma almeno finché Isaia non fosse passato dalla sua parte.

Michela cercava di evitare il più possibile di incrociare l’Eletto; lo vedeva ai pasti poiché obbligata, ma poi cercava sempre di stargli alla larga. Fatta eccezione per quando Claudia e Teresa la invitavano ad intrattenersi con loro, la ragazza per lo più o giocava con Giorgio, oppure di nascosto si aggirava per la città a dare una mano, per quel che le fosse possibile, alla povera gente. Un paio di volte, però, Gabriel l’aveva sorpresa intenta in ciò e … beh non era stato piacevole.

Un’altra attività che portava avanti clandestinamente era di parlare coi propri cugini. Non che parlare con loro le fosse vietato, il problema era ciò che spiegava loro e presto lo scoprì.

Un pomeriggio era in un giardino coi cuginetti un po’ più grandi, quelli che avevano già più di dieci anni e avevano la sciarpa azzurra. Erano seduti in cerchio, formazione basilare per creare una catena di flussi astrali, e la ragazza parlava tranquillamente, non come se stesse insegnando, ma semplicemente stesse chiacchierando: “Qualcuno di voi sa dirmi che cosa significa L.·.D.·.P.·.?”

Intanto, con un pennarello, aveva disegnato, su una lavagnetta bianca, le tre lettere disposte a triangolo con la L e la D alla base.

“Libertà di passare!”

“Libertà di parola!”

“Libertà di pensare!”

Furono le voci che si alzarono trai ragazzini.

. Vogliono dire anche queste cose, ma il loro vero significato è diverso: Libertà, Dovere, Potere. Qualcuno intuisce perché li abbia scritti così?”

“Perché il potere si deve poggiare sulla libertà e il dovere?” disse una dodicenne.

“Bravissima! Ricordate: l’Uno è sempre un ternario, in cui il terzo elemento è sempre dato dalla cooperazione dei due elementi del binario.” guardò i cugini più grandi, quelli che avevano già sui diciotto anni “Qualcuno di voi ha già studiato Hegel? Tenete sempre ben a mente il suo concetto di tesi, antitesi e tesi.”

“Come possono collaborare e essere sullo stesso piano libertà e dovere?” chiese uno dei cugini.

“Se non si è liberi, non si può fare il proprio dovere.” spiegò Michela “So che, da quando siete qui, sentite parlare sempre di libertà, ma vi stanno mentendo. Questa libertà obbligatoria, non è affatto Libertà. La libertà non è fare tutto ciò che si vuole, ma non dipendere da nulla. Il piacere non deve essere il vostro fine: tutto in questo mondo è vacuo, inconsistente.”

“Cantiamo la canzone della vanità?” chiese uno dei bambini e si aggregarono a quella richiesta anche gli altri.

La ragazza sorrise e assieme si misero a cantare Vanità di vanità, di Branduardi.

Gabriel stava passando da quelle parti, vedendo quel gruppetto e che lì in mezzo c’era Michela, decise di avvicinarsi per vedere quel che stava accadendo; arrivò a portata d’orecchio, quando c’era la strofa: tutto è vanità, solo vanità, lodate il Signore con umiltà, a lui date tutto l’amore, tutto il resto è vanità!

“Se per Signore, vi riferite a me, allora continuate pure, altrimenti chiudete il becco.” interruppe bruscamente Gabriel.

I ragazzini si zittirono immediatamente: avevano paura dell’Eletto.

Michela, invece, con cipiglio fiero, replicò: “Sto chiacchierando coi miei cugini e stiamo cantando una canzone che cantavamo sempre con la nostra famiglia.”

“E quello schemino lì?” accennò alla lavagna, era irritato “Strega, non provare a fare il lavaggio del cervello a questi bambini con le tue stupide idee da schiavi. Non pensi al loro bene? Credi che sia una buona idea rendermeli avversi?”

La ragazza rimase calma, nel dire: “Non sto cercando di metterli contro di te; semplicemente, ricordo loro qual è la via che segue la nostra famiglia.”

“Beh, stai solo sprecando le tue energie e il tuo tempo, perché a loro non interessa. Fossi in te, piuttosto, mi ricorderei che, giù nei sotterranei, è imprigionato il tuo caro Templare. Se non inizi a rigare dritto, ragazzina, le condizioni di Isaia potrebbero peggiorare di gran lunga. Devi sapere che il cibo che gli viene dato non è altro che avanzi. Ovviamente c'è anche l'acqua, ma è sempre poca. Ecco, se non abbassi la cresta, gli toglierò entrambe le cose a partire da oggi, e ordinerò al buon Gaslini di somministrargli dosi più massicce dei suoi cocktail di psicofarmaci che crea di solito.” la vide già fremere e decise di rincarare la dose: “Per quanto riguarda il moccioso, invece, potrei anche dire a Niklos di non farti avvicinare mai più al bambino. Potrai vederlo solo usando un telescopio, mi spiego? E questo perché sono di buon umore.” ghignò.

Michela era furiosa! Non solo per le minacce, ma pure per il divieto di poter parlare, praticamente e tutto l’insieme di quei giorni. Si lasciò offuscare dall’ira per qualche momento e, prima ancora di accorgersene, aveva portato una mano al piede, si era tolta una scarpa e l’aveva tirata verso Gabriel.

L’uomo la schivò senza difficoltà e si mise a ridere per la pateticità del gesto; ma poi, di colpo, tornò serio.

“Oh, vuoi la guerra, quindi!”

Gabriel mise le mani l’una di fronte all’altra e creò la sfera di fuoco elettrizzato. Non aveva davvero intenzione di usare quel potere, al massimo una breve scarica per fare un po’ male e un po’ paura; si sarebbe moderato.

Non appena, però, alzò gli occhi verso la ragazza, ebbe un sussultò si stupore: anche lei aveva una strana sfera tra le mani, quella era di acqua elettrizzata.

“Ma che...?” era basito.

Michela non gli permise di aggiungere altro, al momento, tuonando: “Le vedi le loro sciarpe azzurre? La vedi la mia sciarpa rossa? Sai cosa significa? Significa che io e soltanto io ho il diritto e il dovere di insegnare qualcosa a questi ragazzi. Né tu, né Bonifacio, né nessun altro potete avanzare pretese su di loro. Sono quel che rimane della mia famiglia e sono mia responsabilità. Ora non disturbare le mie lezioni o ti trasformerò in un galletto e ti ritroverai a beccare chicchi di grano turco in men che non si dica!”

Gabriel la guardò con odio, ma poi scoppiò a ridere e disse: “A chi credi di far paura, santarellina? Piantala, per favore; tanto, non hai il coraggio di lanciarla!”

“Vogliamo scoprirlo?”

“D’accordo. Io, però, miro ai tuoi cuginetti.” inclinò le braccia verso i ragazzini più vicini.

Michela, che aveva placato la propria rabbia, fece svanire la sfera, ma non smise di guardare severamente l’Eletto.

Gabriel, tuttavia, anche se non lo dava a vedere, era un po’ agitato, perché aveva intuito che la ragazza avesse usato un potere simile al suo; le chiese: “A parte gli scherzi, cos'era quella roba?”

Michela si stupì per quella domanda, poi abbozzò un sorrisetto e chiese: “Ma come? Bonifacio non ti ha spiegato?”

“Cosa?”

“Che anche se sei l’Eletto, non sei proprio unico.”

“Come osi?!” sbottò lui “Bonifacio ha detto che Isaia può essere quasi mio pari, nessun altro può …”

“Lascia che ti spieghi una cosa.”

Michela pulì la lavagnetta e tracciò le quattro sephirot che si personificano e le due risultanti, poi illustrò velocemente e senza omettere nulla, nemmeno i nomi delle altre incarnazioni delle sephirot.

“No! non è possibile!” Gabriel era furioso “Non è vero, stai mentendo, sporca megera! Io sono unico, io sono l’Eletto! Il potere è mio e di nessun’altro. Tu hai la sfacciataggine di dire una bugia simile!”

“Mi spiace deluderti, ma non è come pensi tu.” provava un certo gusto nel vederlo così arrabbiato dall’infrangersi della sua illusione; forse, adesso, si sarebbe sentito un po’ meno onnipotente.

Gabriel, invece, era di tutt’altro avviso. Le si avvicinò minaccioso e sibilò: “Attenta: stai firmando la condanna a morte del tuo fidanzatino e dei tuoi cuginetti, qui. Guarda, sono perfettamente a portata di saetta.” protese verso i ragazzini la mano con le scintille attorno “Basta un breve elettroshock. Niente d'impegnativo.”

I bambini, terrorizzati, si strinsero ai fianchi e dietro alla loro cugina maggiore che allungò le braccia ai lati, come per proteggerli.

L’Eletto continuò a guardarla minacciosamente con gli occhi di brace.

Lei sostenne lo sguardo per qualche secondo, poi si arrese e, rassegnata, chinò la testa.

Gabriel sorrise e quasi dolcemente le ordinò: “Ora, da brava, ripeti: Scusa, Gabriel.” attese qualche secondo in cui ci fu silenzio “Allora?!”

Michela, quella volta, faticò parecchio a sottomettersi: erano presenti i suoi cugini peri quali avrebbe dovuto essere una guida, un riferimento; ma alla fine era per il loro bene, guardando altrove disse: “Scusa, Gabriel.”

Per aver osato paragonarmi a te, quando io sono nettamente inferiore, anzi, una nullità.”

La ragazza, sentendosi addosso gli sguardi dei cuginetti, chiuse gli occhi per la vergogna, nel ripetere: “Per aver osato paragonarmi a te ... quando io sono nettamente inferiore...”

“Manca un pezzo.”

Lei soffiò dal naso e aggiunse: “Anzi, una nullità.”

“Oh, no, così non vale!” disse Gabriel, sogghignando e scuotendo la testa “Devi ripeterla tutta intera! Lo scopo è di insegnarti la lezione, sciacquetta. Così non funziona. Avanti, ripeti tutta la frase.”

Michela fremette di rabbia, nonostante tutto, non si era ancora sentita così umiliata: “Scusa, Gabriel, per aver osato paragonarmi a te, quando io sono nettamente inferiore, anzi, una nullità.”

“Molto bene!” si compiacque Gabriel, dicendolo come se si stesse complimentando con uno studente per una corretta risposta; comunque non gli bastava: “E per averti tirato la scarpa.”

“E per averti tirato la scarpa.”

Gabriel decise che quell’impudente doveva essere addomesticata ulteriormente: “Devo anche ringraziarti per aver risparmiato i miei cuginetti...”

“Devo anche ringraziarti per aver risparmiato i miei cuginetti...”

“...e Isaia, continuando a dargli cibo ed acqua tutti i giorni.”

“...e Isaia, continuando a dargli cibo ed acqua tutti i giorni.” Michela sperò vivamente che finalmente la sua umiliazione fosse finita.

Gabriel annuì, sorrise, la guardò malignamente e disse: “Bene, ora vieni con me: ti porto da Stefano. Sarà contentissimo di vederti!”

La ragazza ebbe un sobbalzo, si impaurì e cercò di mantenere la fermezza, nel protestare: “No … no, te lo puoi scordare. Inventati qualcos’altro, ma questo no!”

“Devo trascinarti per i capelli?” ringhiò Gabriel, poi la prese per i vestiti e la spinse davanti a sé “Andiamo e sbrigati!”

Michela avanzò, aspettò che si fossero allontanati dei cuginetti, quando furono dentro a un palazzo, tentò di nuovo di protestare. Era preoccupatissima e cercò di difendersi: “Gabriel, per favore, ascoltami: ammetto di aver sbagliato, ma non è certo questa, la punizione che merito. L’altra volta avevo fatto ben peggio! Suvvia, tre giorni fa, mancava poco che Stefano mi spogliasse completamente.”

Gabriel si fermò e scoppiò a ridere; quand’ebbe finito, ancora piuttosto divertito, le disse: “Non mi verrai a dire che non ti è piaciuto, puttanella! E poi la colpa è pure di Isaia, che preferisce starsene in prigione, piuttosto che con te. Sentirai la sua mancanza, immagino … Io ti sto solo permettendo di...” trattenne la risata “ … colmare il vuoto, se mi permetti la metafora.” riprese a spintonarla e a procedere.

La ragazza non voleva perdere le speranze, per cui insisté: “Gabriel, ti prego! Stefano, ormai, pretende ben più che una spagnola!”

Gabriel, insensibile a quelle suppliche, commentò: “Beh, penso che sia il momento di accontentarlo. In fondo, questa potrebbe essere l’ultima occasione di Stefano, con te. Ormai Isaia è in procinto di liberarsi, presto tornerà ad essere il mio degno amico e, allora, io mi libererò finalmente di te e sarà affar suo, tenerti in riga.”

Lei tentò ancora d fargli cambiare idea, ma fu inutile; anzi, probabilmente Gabriel era pure compiaciuto nel sentirla pregarlo.

Arrivarono alla porta della stanza di Stefano, l’Eletto bussò e il giovane aprì. Appena vide il proprio maestro, Stefano esordì: “Gabriel, dimmi tutto!”

“Guarda chi c'è!” annunciò l’uomo, spintonando la ragazza dentro la stanza “Divertiti pure!” ghignò “Non la voglio vedere fino alla grigliata in programma per domani sera, quindi tienila qua dentro. Per questi due giorni è tutta tua. Tutta. Nessuna parte esclusa. Fa qualsiasi cosa ti passi per la testa.”

Stefano stava già squadrando la ragazza, con gli occhi verdi che rivelavano la sua bramosia; annuì: “Sì. Ho molte idee, devo solo decidere da quale iniziare.” si avvicinò a lei, l’accarezzò e le disse: “Ci divertiremo in questi due giorni … per lo meno io.”

Gabriel esclamò: “Ah, giusto, se provi a mettere in pratica quella fantasia di cui mi hai parlato, quella della panna montata sulle tette, fammi sapere com’è, che poi voglio provarci pure io con Claudia!”  fece per andarsene, ma sì ricordò di una cosa: “Se lei dovesse crearti dei problemi, fosse anche solo non essere abbastanza calorosa, me lo riferirai, che prenderò provvedimenti.” lanciò un’occhiataccia minatoria alla ragazza e se ne andò.

Gabriel aveva voluto punire soprattutto la sfrontatezza della ragazza, l’ardire di voler contraddire la sua dottrina all’interno del suo stesso palazzo!

Comunque era rimasto impressionato dalla sfera d’acqua elettrizzata che le aveva visto generare e anche il discorso sulle sephirot lo aveva turbato. Non era davvero convinto che lei avesse mentito. Effettivamente Bonifacio non era stato molto chiaro circa la posizione e il ruolo di Isaia. Gli venne allora in mente un altro discorso di Serventi: a ben pensarci, effettivamente, gli aveva detto che era necessario gli fossero votati tutti e quattro. Certo, però, non aveva immaginato volesse equiparare a lui anche gli altri tre!

Decise quindi di andare da Bonifacio a chiedere spiegazioni, ma incrociò Claudia che gli chiese di andarle a procurare una torta gelato al gianduia per quella sera; Gabriel allora decise di rimandare le domande a Serventi a quella sera e uscì per cercare ciò che la psicologa gli aveva chiesto.

A cena, un po’ contro voglia, Bonifacio confermò le parole della ragazza e Gabriel rimase un po’ confuso: credeva di essere il più forte e di non poter avere concorrenti … Ora capiva perché Serventi insisteva tanto sulla necessità di convertire anche Isaia e la ragazzetta.

Claudia era invece entusiasta, chiedeva: “Quindi anch’io ho dei poteri?! Posso infondere o revocare capacità e talenti? Ma è straordinario! E poi giocare con la psiche della gente” le brillavano gli occhi per la contentezza “Ecco perché ho sempre adorato la psicologia e il mio mestiere.”

Claudia era decisamente felice per quella scoperta, si voltò verso Gabriel e gli chiese: “Amore, abbiamo dei prigionieri su cui posso sperimentare i miei poteri?”

“No, lo sai che li oppositori o li uccido o li demonizzo. Domani pomeriggio, però, torna Davide dagli avamposti verso la Campania, sicuramente porterà qualche testa calda che ha creato problemi, potrai esercitarti con loro.”

“Ma io voglio provare già stasera!” si lagnò la psicologa.

“D’accordo, allora vado a fare due passi: qualche contravventore lo troverò di certo.”

“Grazie, Gabriel, ti amo!”

“Oh, lo sai che per te farei qualsiasi cosa!”

E si scambiarono un lungo bacio.

 

Il mattino seguente, Gabriel si recò nelle prigioni a trovare Isaia, portava con se un pacchetto regalo. Sembrava piuttosto esuberante; era evidente che aveva escogitato qualcosa che non vedeva l’ora di mettere in atto.

“Buongiorno, cane! Sai, essendo molto di buon umore, oggi, ho pensato che, forse, ti sarebbe piaciuto un piccolo pensierino da parte del tuo caro fratello. Ho quindi pensato di farti un regalino.” agitò a mezz’aria il pacchetto “Essendo tu un essere d'intelligenza notevole, avrai sicuramente intuito cosa c'è qui dentro.”

Isaia lo guardò di sbieco ma non disse nulla. Gabriel gli mise in mano il regalo.

“Dai, scartalo, voglio vedere la tua faccia: sono certo ti piacerà!”

Il prigioniero sospirò, aprì il pacchetto e tirò fuori il regalo: un collare nero, altro tre dita, con una targhetta circolare con inciso il suo nome.

Isaia rimase a guardarlo e non disse nulla.

“Bello, eh?” chiese Gabriel, con tono soddisfatto “Vale un sacco di soldi solo per la targa, credo. Tanto io non l’ho pagato nulla: quel che voglio, lo prendo.”

L’altro rimase imperturbabile.

Vedendo l’altro tranquillo, l’Eletto continuò a provocarlo: “Davvero non c'avevi pensato!? Strano. Per uno molto acuto come te, era impossibile non arrivarci! Beh, non lo provi, non vuoi vedere come ti sta?”

Isaia, senza battere ciglio, se lo mise attorno al collo.

Gabriel fremette: possibile che neppure quello servisse a scuotere il suo amico? La sua calma gli dava sui nervi.

Decise di insistere: “Pensavo di procurarmi anche il guinzaglio abbinato, ma credevo fosse meglio aspettare che ti fossi abituato al collare, ma vedo che non ti dà fastidio, quindi, forse, già domani ...”

Osservò la reazione del prigioniero, ma non ci fu, allora aggiunse: “Diavolo! Volevo prenderti l'osso di gomma, ecco cosa mi ero scordato! Pazienza, poco male, stasera ci sarà una bella grigliata, ti terrò da parte qualche osso vero da spolpare domani. Contento?”

Isaia rimaneva muto, il volto tranquillo, senza che nessuna espressione lo alterasse. Gabriel si infuriò e prese ad urlare: “Beh, non dici nulla? Un Grazie, Gabriel sarebbe gradito, per esempio. ti faccio un regalo e tu te ne resti lì, zitto! Ami tanto le buone maniere, usale, no? Stronzo...!! Forse, quel tipo di collare non rientra nel tuo genere? Ne volevi uno più elegante?”

A quel punto, Isaia non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

Gabriel lo guardò stupefatto e chiese, basito (e forse un poco preoccupato): “Che ti prende? Sei impazzito?”

“No, assolutamente.” rispose Isaia, ricomponendosi “È divertente! Tu vieni qui a provocare me e, invece, sei sempre tu quello che si arrabbia e ci sta male.”

Gabriel fremette, era furioso: non sopportava tutto ciò! Perché le umiliazioni non servivano? Perché continuava ad essere tranquillo?

Era sicuramente un trucco, una facciata: si comportava così per non dargli soddisfazioni, ma in realtà soffriva; ne era certo! Oppure, appunto, il dolore e l’umiliazione avevano già corrotto la sua mente, al punto di farlo blaterare!

Sì, doveva essere per forza di cose così. Quella era l’ultima disperata difesa, prima di crollare.

Gabriel si avvicinò pericolosamente ad Isaia, seduto per terra, con una mano gli prese la testa e tirò i capelli all'indietro; poi, dall’alto lo guardò negli occhi e lo avvertì: “Sappi che questo tuo atteggiamento mi sta facendo imbestialire e non poco! Se non vuoi che utilizzi metodi ancor più umilianti (come pisciarti addosso, ad esempio), ti conviene collaborare o la tua insignificante vita da ratto di biblioteca la passerai in questa lurida cella, torturato e umiliato a seconda del mio umore. Quando sarò nervoso o irritato, verrò qui e me la prenderò con te.”

Si alzò e andò verso la porta, per uscire. Sentì allora, alle proprie spalle, la voce di Isaia dire: “Gabriel, grazie.”

“Ecco, bravo.” replicò l’Eletto, fermandosi e accennando col capo.

Isaia proseguì: “Capisco che, nella tua mente contorta, tutto questo lo stai facendo per quello che credi essere il mio bene. Nell’inganno, pensi di aver trovato il meglio e, per amicizia, lo vuoi condividere con me. Pensi di essere felice e vuoi  che anch’io lo sia, diventando come te. Paradossalmente, tutto queste torture e umiliazioni me le stai facendo per affetto, come potrei non apprezzare?”

Gabriel fremette, ma questa volta non per rabbia, ma per dolore: se il suo amico lo capiva, allora perché non gli dava retta? Perché preferiva stare lì, anziché con lui?

Represse il dispiacere, si voltò verso di lui e chiese con alcuni accenti di rabbia: “Allora, se apprezzi, potresti anche essere così gentile da mandarmi un dannato segnale che mi faccia capire che ciò che faccio per te è ben accolto? Ti è così dannatamente difficile?”

Isaia si alzò in piedi, si avvicinò all’amico e lo abbracciò, mormorandogli all’orecchio: “Mi dispiace per te, fratello.”

Gabriel era incredulo e furioso, si ritrasse dall’abbraccio e urlò: “Come sarebbe a dire che ti dispiace per me?! Sei prigioniero, torturato, umiliato, lasciato alla fame e dici che ti dispiace per me? Gaslini deve averti somministrato roba forte!”

“No, Gabriel, sono lucidissimo. Guardaci: io sono sereno, tu furioso. Non dovrebbe essere il contrario, nei tuoi piani? La realtà è che il male non può tangere il bene e si riduce col ferire sé stesso.”

Gabriel fissò l’amico con uno sguardo che tradiva tutte le sue emozioni di rabbia, sofferenza, nervosismo, odio (diretto a chi?) e altro ancora.

Provò a dire qualcosa ma non ci riuscì, si voltò e se ne andò alla svelta, sforzandosi di non piangere.

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Capitolo 37
*** Cambiamento ***


La grande grigliata era stata organizzata e allestita nel cortile più grande del Vaticano ed erano stati invitati tutti coloro che fossero dotati di poteri, doveva essere una grande festa. Erano presenti su per giù duecento persone. La carne cuoceva su cinque barbecue diversi e se ne occupavano Davide, Marco e alcuni altri di quegli uomini, che ritenevano un vero rilassamento pensare alla griglia. Erano stati poi reclutati alcuni cittadini comuni per fare da camerieri; i volontari per questo lavoretto erano stati molti, poiché avrebbero potuto mangiare a propria volta e portare a casa gli avanzi.

C’erano lunghe tavolate, ma gli invitati non erano seduti attorno ad esse, bensì stavano in piedi, giravano, chiacchieravano tra loro, si divertivano e, quando ne avevano voglia, si sedevano a mangiare qualcosa e poi di nuovo in mezzo alla festa. Ovviamente la birra scorreva a fiumi ed era stato allestito un impianto audio per la musica.

I vertici e lo stato maggiore di quella società, erano in uno spazio del cortile riservato per loro. Erano circa le otto di sera, la festa era all’inizio. Gabriel e Claudia, in quel momento, erano seduti ad un tavolino e ricevevano gli omaggi degli invitati che arrivavano; una cerimonia che richiese una mezz’ora abbondante. Tra gli ultimi arrivati ci furono Stefano e Michela. Il ragazzo si giustificò col maestro: “Perdona il ritardo, Gabriel, ma stavamo finendo un giochino e, poi, ho voluto che lei indossasse un abito adeguato alla situazione.”

Stefano accennò verso la ragazza che vestiva un abito blu, lungo, con una scollatura a vu e uno spacco altissimo. Lei aveva lo sguardo basso, un’espressione triste, si avvertiva il senso di vergogna, umiliazione e amarezza che provava

“Hai fatto benissimo!” lo tranquillizzò Gabriel, poi ordinò a lei: “Ehi, tu, vedi di sorridere e di dimostrare la tua contentezza nel poter far compagnia a Stefano.”

Claudia, provando solidarietà verso la giovane, chiese: “Amore, non la costringerai mica a passare anche tutta questa serata assieme al tuo discepolo, spero.”

“Perché?” ribatté l’Eletto.

Gli occhi verdi di Stefano brillarono ancor di più, al pensiero di poter continuare a giocare con la ragazza.

“Ti stai accanendo troppo con lei.” osservò Claudia, mentre Teresa faceva cenno di concordare.

“Dici?” si meravigliò Gabriel “Eppure le sto riservando un trattamento coi guanti! Ci è apertamente ostile, disobbedisce ai miei ordini e sono sicuro che cerca di sabotare i miei progetti: meriterebbe la morte o un carcere peggiore di quello del suo amico. Dovrebbe essermi grata per la clemenza che le uso.”

“Caro, sono certa che quest’ultima punizione le sia stata più che sufficiente: non creerà problemi. Lasciala tranquilla, per questa sera.”

“E va bene.” acconsentì l’uomo “Non credo lo meriti, ma se me lo chiedi tu, amore, non posso di certo dire di no.” guardò la ragazza “Sei fortunata che Claudia sia così sensibile, per cui non farmi pentire della decisione.” poi si rivolse a Stefano: “Dai, non prendertela a male. Anzi, segui il mio consiglio: questa sera cercati qualche ragazza che ti possa interessare; a breve Isaia si unirà a noi e tu dovrai trovarti una tua donna, per cui ti conviene iniziare a guardarti attorno già da ora.”

“Certamente, come vuoi tu, Gabriel.” annuì il ragazzo che non sembrava dispiaciuto.

Michela guardò Claudia con estrema gratitudine e si avvicinò a lei e Teresa e si mise a chiacchierare con loro. In realtà avrebbe voluto cercare Giorgio e stare con lui, ma le sembrava sgarbato allontanarsi immediatamente e non rimanere per un poco assieme a chi l’aveva in un certo senso salvata, evitandole di passare altre ore con addosso le mani di Stefano.

Non trascorse molto tempo che anche Niklos si fece vedere in quella zona riservata alle autorità, era assieme a Serventi e al bambino; evidentemente i due uomini avevano fatto una buona chiacchierata e una passeggiata da vecchi amici quali erano e lo stregone aveva portato con sé il piccolo.

Vedendo la madre, Giorgio corse immediatamente verso di lei, salutandola festoso, e si fece prendere in braccio. La donna lo strinse con affetto, lo riempì di baci, era contentissima di vederlo: era praticamente la sua unica gioia in quel posto.

“Dove eri, mamma?” chiese il bambino.

“Te l’ho detto” intervenne Niklos, avvicinandosi “La mamma ha dovuto lavorare ieri e oggi.”

“Perché non mi hai salutato?” chiese il piccolo, guardando la madre un po’ deluso.

“Scusami, ma sono dovuta partire di fretta.” inventò la ragazza, grata allo stregone di non aver detto al figlio la verità.

Michela chiese al bambino di andare a prendere un piatto con la carne; stava per dire qualcosa a Niklos, ma lui la precedette: “Perché al galoppino di Antinori permetti di farti quel che gli pare, mentre rifiuti a me anche semplici carezze? Non mi sembra affatto corretto.”

La donna sgranò gli occhi, incredula, e poi chiese: “Credi davvero ch’io sia contenta e che gli consenta di …? Se dipendesse dalla mia volontà, non oserebbe neppure pensarlo.”

“Allora, perché non reagisci? Potresti fargli passare un pessimo quarto d’ora e vedresti, allora, che smetterebbe …”

“Non posso.” lo interruppe lei “Sai benissimo che non se la prenderebbero con me.”

“Potresti benissimo non dare il tempo a nessuno di loro di pr…

“Basta, Niklos. So io cosa posso o non posso, devo o non devo fare. Quel che tu proponi sarebbe facile, ma non giusto.”

Michela si allontanò e andò dal figlioletto e poi, con lui, tornò ad avvicinarsi alle due psicologhe e a chiacchierare con loro.

Gabriel si era allontanato da Claudia per parlare con Serventi, ma dopo un quarto d’ora tornò dalla sua amata. Intanto, passando vicino a un gruppetto dei suoi, si raccomandò: “Non gettate gli avanzi. Li tengo per il cane nei sotterranei!” e sghignazzò.

Accostatosi a Claudia le domandò se fosse tutto di suo gradimento e lei si lamentò: la carne non era ben condita, ci voleva qualche spezia in più.

“Mando qualcuno ad avvisare i cuochi.” la rassicurò immediatamente Antinori.

“Vado io.” si offrì subito Michela “Ho visto che ci sono i miei amici a tenere dietro alla griglia, ne approfitterò per salutarli.”

Detto ciò, la ragazza si allontanò rapidamente. Arrivò vicino ai barbecue e si mise a chiacchierare con Davide e Marco. Non era andata lì solo per rivedere gli amici. Fin da quando aveva visto le braci ardere, la ragazza aveva avuto un’idea; doveva solo avvicinarsi alla zona cottura per poterla attuare. Ronzando attorno ai bracieri, la ragazza si accostò anche ai sacchi pieni di carbone, necessari per le grigliate, e, tra una chiacchiera e l’altra, riuscì a prenderne un pezzo: ora poteva tornare a tracciare i suoi sigilli.

L’unico problema era tenerlo nascosto: l’abito non aveva tasche; si disse, poi, che in fondo non era necessario occultarlo, poiché i suoi amici non glielo avrebbero certo tolto e lei non aveva alcuna intenzione di tornare da Serventi, Gabriel e gli altri quella sera.

Rimase a conversare un poco, per non destare sospetti, poi riempì abbondantemente un paio di piatti, sia di carne che di verdure, disse che uno era per sé e l’altro doveva portarlo a Niklos, infine si allontanò in fretta. Si precipitò a cercare un posticino tranquillo, isolato e lontano da tutti. Certa di non essere vista, tracciò il sigillo per invocare gli spiriti che permettevano di viaggiare e spostarsi in qualsiasi posto praticamente istantaneamente. Come ebbe davanti agli occhi quelle entità, chiese loro di trasportarla da Isaia. In un battibaleno si ritrovò nella cella.

Il prigioniero era seduto per terra, come al solito, ormai iniziava davvero a trovare insopportabile stare chiuso lì dentro. Le meditazioni lo aiutavano parecchio, ma era comunque difficile starsene rinchiuso, senza niente da fare.

Isaia, quando vide comparire dinnanzi a sé la ragazza, dapprima gli parve impossibile, poi la credé un’allucinazione.

Michela provò gioia nel vedere l’uomo, ma anche compassione nel vederlo in quelle condizioni.

“Isaia!” esclamò lei, appoggiò i piatti a terra e si precipitò ad abbracciarlo.

Il perplesso prigioniero ebbe così la conferma che la donna era realmente lì, quindi la strinse fortemente tra le proprie braccia.

“Michela!” disse poi, continuando a tenerla stretta a sé “Non dovresti essere qui … ma sono contento che tu sia venuta a trovarmi.”

“Scusami, se non sono potuta venire prima, ma non ho potuto …”

“Tranquilla, so che non è facile neppure per te … Gabriel si è divertito a raccontarmi come ti tratta … mi ha detto pure di Stefano …” riferendosi al ragazzo, il tono malinconico, assunse una lieve sfumatura di ira “… mi dispiace … Avrei voluto parlarti, ma la telepatia non funziona.”

Michela volle subito rassicurare l’amico che non si trattava di una sua decisione: “Lo so. È stato Serventi a bloccarla … non voleva che ci confortassimo a vicenda.”

“Capisco. Io avevo ipotizzato fosse colpa dei sieri di Gaslini.” guardò la ragazza, accoccolata tra le sue braccia “Ogni tanto le sue punture non facevano effetto. Tu ne sai qualcosa?”

Lei lo fissò con occhi da gatta e, sorridendo, gli rispose: “L’Alchimista, qualche volta, lascia in giro i suoi giocattoli e si possono facilmente sostituire alcuni intrugli con soluzione fisiologica o glucosio.”

“Oh, sei un tesoro!” le diede un bacio sulla fronte, perché sapeva che se glielo avesse dato alla persiana … beh, non sarebbe riuscito a limitarsi alla persiana.

“Ti sei messa in pericolo per me … e pure ora stati rischiando di essere punita ...” era malinconico; contento per la premura dell’amica, ma dispiaciuto e preoccupato al pensiero che fosse scoperta.

“Isaia, lo sai, io ti amo e per te sono pronta a fare tutto ciò che Dio mi consente.”

Michela si ricordò dei piatti col cibo, si alzò, li prese e li portò a Isaia che, piuttosto affamato, senza troppi complimenti, mangiò con soddisfazione.

“Dimmi” chiese l’uomo, mentre ancora mangiava, ma aveva placato i morsi della fame “Sebastiano?”

La ragazza lo guardò con stupore e disse: “Non lo vedo da quando sono qui. Mi hanno detto che è stato gravemente ferito durante lo scontro, ma non so altro. Perché?”

“Gabriel ha detto che Sebastiano si era unito a lui … l’ho visto, anche se mi è sembrato strano che fosse perfettamente guarito e, soprattutto, che mi desse del lei, non l’ha più fatto da dopo il primo giorno in cui gli son stato maestro.”

“Marco!” sospirò lei.

“Chi?”

“Marco, un giovane che ha il talento della trasfigurazione. Sono sicura abbiano sfruttato lui per ingannarti.”

“Oh! Meno male! Non sai che sollievo mi dai con questa notizia!”

Isaia finì di mangiare e poi chiese: “Adesso che farai? Torni dagli altri?”

“No. Voglio restare ancora con te.” stava spostando i piatti “Ho bisogno di stare con te e, anche se la telepatia è momentaneamente fuori uso, sono certa che anche tu hai bisogno di me.”

“Sarò felicissimo se rimarrai un po’ a farmi compagnia, ma non voglio che Gabriel ti trovi qui, per cui tra qualche ora dovrai andare via.”

“Sì, come vuoi tu.”

Michela si mise in ginocchio vicino a lui e lo invitò ad appoggiare la nuca sulle sue gambe; poi gli disse di rilassarsi, gli appoggiò le punta delle dita sulle tempie e gli iniziò a fare un massaggio ed intonò alcuni dolci inni.

Isaia provò grande sollievo e piacere per tutto ciò e, quand’ella ebbe finito e loro due si rimisero seduti vicini, lui le disse: “Sono proprio fortunato. Io sono Boezio e tu la Filosofia che mi consola nella mia prigionia.”

“Oh, Isaia” sospirò lei lusingata “Non c’è nulla di più bello che potessi dirmi.” gli mise le braccia al collo e appoggiò la testa sul suo petto.

Parlarono e si scambiarono carezze fino ad addormentarsi, seduti e accoccolati l’una all’altro.

“Bene, bene, bene!”

L’euforica esclamazione di Gabriel svegliò entrambi.

L’Eletto era ancora fuori dalla porta e li aveva osservati dalla piccola graticola.

Appena si rese conto di quel che stava accadendo, Michela si allontanò di scatto da Isaia, per non metterlo ancor più in difficoltà o imbarazzo. Lui, tuttavia, non sembrava essere turbato dall’essere stato sorpreso in quella affettuosa posa che era del tutto innocente.

Gabriel, intanto, entrò e prese a dire: “A quanto pare, abbiamo avuto visite durante la notte! Quando il secondino mi ha riferito che, mentre stava per portarti la colazione, si è accorto che c’era una donna nella cella, ho stentato a crederci. Predichi male e razzoli bene; sì, l’inversione dei termini è assolutamente voluta.”

Fissò per qualche momento Isaia, che aveva un’espressione leggermente cupa, poi si rivolse alla ragazza: “Buongiorno, strega! Ecco dov’eri sparita, ieri sera! Tuo figlio c’è rimasto molto male: sei scomparsa, di nuovo, senza dirgli nulla. Si è messo a piangere e non c’è stato verso di farlo smettere, tanto che Niklos l’ha dovuto portare via e poi non si è più fatto vedere. In effetti hai fatto qualcosa doppiamente utile: ci hai indirettamente liberati di Niklos per qualche ora e sei venuta qui.” la guardò enigmatico “Iniziavo a disperare di trovarti qui, prima o poi. Sai, pensavo saresti venuta molto prima. Va beh, meglio tardi che mai. Spero tanto, soprattutto per lui, che non vi siate limitati a bacetti e abbracci, stanotte! Eravate solo voi, qui nei sotterranei; avevate totale privacy per darvi al pazzo sesso...” spostò lo sguardo su Isaia e con tono deluso concluse: “Ma a giudicare dalla faccia del tuo amichetto, direi di no.”

Gabriel sospirò rassegnato, rovesciando il capo all'indietro; dispiaciuto e stanco, disse: “Senti, Isaia, io non so più che diavolo consigliarti, a questo punto. Ci rinuncio.” il tono si fece seccato “Parlare con te è come parlare ad un muro! E pensare che sono stato anche così premuroso da ordinare a Niklos di stare lontano da lei perché ti piace, ma visto che non ti decidi a comportarti di conseguenza ... Non vedo perché dovrei continuare a negare allo stregone di avere riunita la sua cara famigliola … Magari, per riconoscenza, smetterà di rompere le scatole e inizierà ad obbedire.”

ghignò guardando i due “Lo vado a chiamare subito.”

Gabriel uscì di passo svelto dalla cella.

Isaia guardò dispiaciuto l’amica, si avvicinò a lei, le mise la mani sulle spalle e la esortò: “Vattene! Fuggi, finché puoi.”

“A che servirebbe? Mi ritroverebbero in un attimo.”

“Avresti fatto meglio a non venire qua …”

La ragazza gli fece una carezza, sussurrandogli: “Stare qualche ora con te, vale qualsiasi castigo stia escogitando Antinori.”

Isaia, per tristezza, per riconoscenza, per sensi di colpa, o forse per semplice affetto, accostò il proprio volto a quello della giovane e la baciò.

“Se l’avessi fatto due minuti fa, con Gabriel presente, forse non saremmo in questa situazione, ora.”

Poco dopo, L’Eletto tornò con assieme Niklos. Si diressero verso gli altri due: lo stregone verso la ragazza, Gabriel verso Isaia.

Antinori stava dicendo all’altro: “Fa’ con lei tutto quello che vuoi, mentre tu...” si rivolse al prigioniero.

Raggiunse l’amico, lo afferrò saldamente per un braccio per alzarlo e farlo spostare un poco: “Mentre tu ti godi lo spettacolo insieme a me, eh?” lo prese per i capelli con una mano e per la mandibola con l'altra, per costringerlo a guardare “Che ne dici, amicone? Forse, sarà la volta buona che ti decidi a prendere posizione, in tutti i sensi.”

Niklos si era chinato sulla ragazza e le accarezzava voluttuosamente il volto e il collo.

“Andiamo, Isaia, so che sei infuriato da morire nel vederla con un altro.”

Le mani dello stregone erano arrivate al seno e lui baciava e mordicchiava il volto della donna, che aveva chiuso gli occhi.

“Guardalo, sta usurpando quello che è tuo di diritto! Lei vorrebbe te. Tu vuoi lei. Sarebbe perfetto, se tu non ti immaginassi ostacoli. Non solo stai negando ad entrambi il diritto di essere felici, ma stai pure venendo meno al tuo dovere di proteggerla.”

Niklos aveva fatto scivolare via gli spallini dell’abito e faceva correre le proprie mani sulla ragazza.

“Se davvero la vuoi, devi fare solo tre cose: andare là, prendere Niklos e schiantarlo contro il muro con tutta la tua forza... o riempirlo di botte... Insomma, fai come meglio credi.”

Lo sguardo di Isaia si stava facendo feroce.

“So che non vedi l'ora di farlo, Isaia; ti leggo negli occhi l'odio che provi per lui. Devi farlo uscire. Solo così, il tuo vero io, la parte migliore, può prevalere.”

L’ira si faceva largo sempre più sul volto di Isaia e anche il suo respiro si era fatto rapido e dimostrava furia. Il templare si lasciò sfuggire un ringhio, un verso di rabbia. Si divincolò dalla presa dell’amico, scattò contro lo stregone, lo afferrò, lo guardò un attimo con odio e poi lo scaraventò contro la parete. L’impatto fu talmente violento che il muro si ruppe e Niklos finì nella stanza a fianco.

Gabriel esultò.

Michela guardò con preoccupazione.

Isaia fissò lo stregone e gli ringhiò: “Toccala ancora e l’ultimo suono che sentirai, sarà quello del tuo collo che si rompe.”

Gabriel applaudì soddisfatto ed esclamò: “Parole sante! Sono felice di vederti così, fratello.”

L’Eletto aveva sperato che l’amico reagisse in quella maniera, per questo aveva chiamato Niklos e non Stefano.

Isaia, intanto, si era chinato sulla ragazza, l’aveva abbracciata e le stava mormorando: “Tranquilla, nessuno ti farà più del male. Ora ci sono io e non ti abbandonerò mai.”

Gabriel gli chiese, come per testarlo: “Che farai adesso?”

“Ora, vorrei rimanere un po’ solo con la mia amata, poi ascolterò i tuoi progetti e vedrò come poterti essere utile, fratello.”

“Sei dei nostri, quindi?”

“Certamente!”

“Ottimo, allora ti aspetto a pranzo; la strega sa dove.”

Gabriel andò verso la spaccatura nella parete e urlò: “Niklos! Datti una mossa! Alzati e vieni via: il mio amico ha bisogno di privacy.”

Lo stregone si alzò a fatica e si allontanò con l’Eletto, verso la porta. Prima che uscissero, Isaia disse: “Fratello, grazie per aver insistito e avermi fatto liberare.”

“Era il minimo. A dopo.”

Appena uscito da lì, Gabriel iniziò a dare la buona notizia a tutti quelli che incontrava; non poté avvisare Claudia e Teresa, perché erano uscite.

Isaia rimase solo con la ragazza per oltre due ore, poi uscirono dalla cella e, mano nella mano, si diressero verso la stanza di lei. Lì si salutarono. Entrambi volevano cambiarsi d’abito; Michela aveva lì il suo guardaroba, mentre Isaia doveva procurarsi vestiti nuovi. Si diedero appuntamento nel cortile della Congregazione quaranta minuti più tardi.

Aggirandosi per i corridoi, Isaia incrociò Stefano. Il ragazzo era stato avvertito da Gabriel della conversione del gesuita, per cui non si stupì di vederlo. Camminavano in direzioni opposte, si scambiarono un cenno di saluto col capo, si sorpassarono; poi Isaia si fermò d’improvviso e chiamò l’altro: “Ehm … Coso!”

Anche il ragazzo si fermò, si voltò verso l’uomo, osservando: “Mi chiamo St…

“Non me ne frega un accidente di come diamine ti chiami.” lo troncò Isaia, voltandosi.

L’uomo si avvicinò al giovane, folgorandolo con lo sguardo.

Stefano ebbe un brivido di paura, ma rimase fermo e cercò di non darlo a vedere.

Isaia parlò con tono calmo, ma reso estremamente inquietante dall’ira che emanava: “Chiariamoci subito: non mi importa per niente se è stato Gabriel a decidere di portarti Michela per divertirti. Conoscendoti, gli hai obbedito senza obiezione e hai approfittato di lei fin troppo.” socchiuse gli occhi e, proprio in quel momento, un fascio di luce solare, entrato da una finestra, gli attraversò le iridi castane.

Stefano cercò di farsi coraggio e sostenne lo sguardo con i propri occhi verdi che, però, lasciavano trapelare la paura; si difese: “Ho... Ho solo eseguito gli ordini del mio maestro.

Isaia fece una risatina senza gioia e ripeté, guardando il vuoto: “Ho solo eseguito gli ordini...” sporse il capo verso il ragazzo e gli chiese: “Sai chi diceva esattamente questa frase?”

Stefano deglutì. Ora aveva davvero paura. Non ribatté, pur conoscendo la risposta.

Isaia continuò tranquillamente: “Lo dicevano i gerarchi nazisti al Processo di Norimberga sperando di salvarsi la pelle. Non ce l'hanno fatta comunque.” scosse la testa e ghignò “Tornando a noi: se ti trovo a ronzare attorno alla mia donna, ti darò una lezione che ricorderai finché avrai vita e fiato.”

Isaia sollevò un poco il braccio destro, avvicinò il palmo al viso del giovane. Una sorta di fumo nero e crepitii elettrici si stavano formando attorno alla mano.

Stefano capì al volo e annuì spaventatissimo.

“Ora, fila.”

Il ragazzo non se lo fece ripetere e corse via in gran fretta.

In sala da pranzo, Isaia e Michela si presentarono assieme.

Claudia, che appunto non era ancora stata informata, come vide l’uomo andò su tutte le furie. Si concentrò e formò nelle proprie mani una sfera di aria elettrizzata.

“Come sei uscito dalla tua cella? Come osi mostrarti qui?!” chiese la psicologa, aspramente e minacciosa.

“Calmati, Claudia!” intervenne immediatamente Gabriel “L’ho liberato io, in tutti i sensi. È dei nostri, ora.”

La donna fece sparire la sfera, ma rimaneva imbronciata e guardava con sospetto Isaia, tanto che gli disse: “Io non mi fido di lui e non dovresti farlo nemmeno tu, Gabriel, hai scordato quante volte ti ha tradito?”

“Quante storie, Munari.” borbottò Isaia “Ora che ci troviamo sotto la stessa bandiera, dovremmo essere amici, non credi?”

“Non credo che la parola amicizia esista nel tuo vocabolario.”

“E io che ero partito con le migliori intenzioni!”

Claudia stava per ribattere, ma Gabriel intervenne a troncare la discussione: “Claudia, fidati, me ne sono accertato personalmente. Lui è dei nostri.”

“A questo proposito, Isaia, ho una domanda da farti, ma prima accomodatevi tutti.” disse Serventi, già seduto a capotavola.

Gabriel e Isaia si misero alla destra e alla sinistra di Bonifacio; accanto a loro c’erano la psicologa e la maga. Solitamente Teresa sedeva vicino a Claudia, ma quel giorno si sedette al fianco di Michela, poiché Stefano, l’ultimo membro della tavolata, non aveva alcuna voglia di sedersi accanto alla ragazza, col rischio di subire le ire dell’ex templare.

“Isaia, raccontami un po’ com’è andata.” sollecitò Serventi “Gabriel mi ha detto che hai conciato piuttosto male il mio buon amico Niklos, con un semplice spintone e, poco fa, ho sentito dire che hai già messo in guardia Stefano. Com’è che questa ragazzina ti ha abbindolato? Fino alla settimana scorsa, difendevi letteralmente a spada tratta la tua fede, la tua morale i tuoi voti. Adesso, invece, con quella lì vicino a te, sei pronto a sbranare chiunque provasse a toccartela.”

“La prigione costringe a rivedere le proprie priorità.” spiegò tranquillamente l’interpellato “Già normalmente fa piacere avere qualcuno che si prenda cura di noi; quando, poi, uno ha provato le asprezze di una cella, privo di tutto, beh apprezza ancora di più l’avere accanto una persona che si preoccupi per lui.” prese la mano della maga “Sopra ogni cosa mi sono mancate le sue premure e il suo affetto. Inoltre, non era l’unica cosa che mi sarei potuto finalmente concedere, una volta liberato.”

“Che cosa ci trovi in lei, non so.” osservò Bonifacio “È così limitata! Dice di saper usare la magia, ma, senza i suoi carboni e, quindi, i sigilli, non sa fare praticamente nulla. Per quanto riguarda l’intelligenza … mah. Ha una buona memoria, glielo concedo, ma non mi è mai sembrata granché, intellettualmente; di certo tu sei nettamente superiore a lei, da questo punto di vista e non solo.”

Michela si accigliò un poco; in quel discorso c’era qualcosa di strano: Serventi l’aveva sempre apprezzata, l’aveva sempre tenuta in discreta considerazione, perché, ora, parlava di lei in quella maniera?

“Insomma, sei più vicino ai quaranta che ai trenta e ti sei lasciato abbindolare da una ragazzetta che è praticamente poco più che una bambina, totalmente inesperta della vita e di tutto, non ha né arte, né parte. Credevo che un uomo come te volesse al proprio fianco una vera donna, matura e consapevole.”

Isaia bevve un sorso di vino, si pulì le labbra e rispose: “Concordo solo parzialmente con te. È vero che questa bimbetta mi è nettamente inferiore, ma non la vorrei certo mia pari: non potrei accettarla come mia donna. Vedi, più che essere stato abbindolato, mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo.” con una mano prese ad accarezzare i capelli della giovane “Lei, ora, -come giustamente hai detto- non è nulla, non ha né arte, né parte, ma ha il potenziale per diventare qualcosa di grande. La mia superiorità mi permette di essere il dominatore tra i due e lei è come un foglio bianco su cui posso disegnare. Mi risulta che nessuno di voi l’abbia ancora addomesticata, ora potrò occuparmene personalmente e modellarla in modo che corrisponda al mio ideale.” iniziò a muovere una mano, come se stesse giocando con della cera “Una donna così giovane e semplice, la posso istruire tranquillamente secondo le mie regole e le mie convinzioni e posso plasmarla a mio piacere. È proprio come lavorare l’argilla, Bonifacio, ma puoi farlo solo finché è fresca.”

Serventi parve alquanto compiaciuto e lanciò uno sguardo alla ragazza, poi a Gabriel che era sorpreso per quell’aspetto dell’amico, tanto che commentò: “Che differenza, da ligio e obbediente, a dominatore!”

“Fratello, avresti dovuto ben capirlo che l’obbedienza era solo uno dei metodi per fare carriera all’interno della Congregazione. Obbedivo, per arrivare a comandare.”

Michela, indispettita, osservò: “Mi spiace per te, ma qui non c’è argilla, bensì marmo. Una splendida scultura in marmo.”

“Esistono sempre scalpello e martello, mia cara.” Isaia guardò intensamente la ragazza “Lavorare il marmo è più difficile, ma dà molte più soddisfazioni e il risultato finale è ancora più gradevole. Se volevi cercare di farmi desistere, hai sbagliato strategia. Non rinuncerò. Sarebbe facile cercare qualcuna più arrendevole, lo so, ma io non ho interesse a plasmare altre, perché è te che voglio.”

“Se vuoi me, perché vuoi cambiarmi?”

“Per rimanere nella nostra metafora: adesso il marmo è solo sbozzato e la forma è ancora piuttosto grossolana, perché c’è stata solo la prima scolpitura. La linea mi piace parecchio, ma ci sono appunto molti tratti da affinare, dettagli da definire, panneggi da sottolineare, insomma a me spetta tutta la parte di livellatura e rifinitura. Ora sei una statua che va bene per i giardini di qualche borghese, ma quando avrò finito il mio lavoro con te, sarai un capolavoro degno dei più prestigiosi musei. Voglio renderti migliore e ci riuscirò.”

Michela sospirò e, malinconica e dolce, disse: “Non confido molto nella tua idea di migliore, ora che ti sei fatto vincere dell’egoismo.” sospirò di nuovo, sorrise e aggiunse: “Apprezzò, però, il pensiero: vuoi prenderti cura di me … prima non era così.”

“Dici che non ti piace il mio nuovo egoismo, ma è proprio questo che ti permette di avere ciò che tanto desideri. Fingi di condannare la mia scelta, ma in realtà ne sei felice, perché sai che è l’unico modo che abbiamo per stare assieme. Dici che ho sbagliato a dare ascolto al mio buon amico Gabriel, ma non vorresti stare un solo istante lontana da me. Tu mi ami, hai bisogno di me ed è per questo che mi permetterai di ritemprarti.”

Gabriel fu molto soddisfatto nel sentirlo parlare in quella maniera: finalmente era libero, finalmente poteva essere felice. Avrebbero fatto grandi cose assieme, nessuno avrebbe potuto resistere a loro due, ora che erano di nuovo dalla medesima parte. Collaborando assieme, anche quand’erano nella Congregazione avrebbero potuto compiere grandi cose, effettivamente in alcuni casi la loro collaborazione aveva portato ad ottimi risultati, tuttavia, sotto il giogo d’altri, erano estremamente limitati e non avevano mai neppure capito che cosa il loro potenziale avrebbe potuto realizzare. Adesso, invece, non c’erano più vincoli, nessun limite da rispettare, erano liberi e la loro libertà li avrebbe innalzati sopra ogni cosa.

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Capitolo 38
*** Colosseo ***


Isaia si era procurato soltanto una camicia e un paio di braghe. Gabriel dunque decise di mostrargli, nel pomeriggio, il negozio dove lui stesso andava a procurarsi i capi d’abbigliamento, ovviamente a costo zero. Voleva prendere qualche indumento anche l’Eletto e decise di far venire anche le donne per avere i loro pareri.

Isaia prese diverse camicie, tutte monocolore, senza fantasia, neppure righe; alcune bianche, altre comunque con toni tenui, come il celeste e l’ocra, oppure colori più vivi, ma tutti tonalità di grigio. L’unica un po’ diversa che prese fu una camicia cremisi, ma solo poiché l’aveva fatta scegliere a Michela.

I pantaloni che prese erano tutti o neri o beige. Aggiunse infine tre completi eleganti, con tanto di cravatta, da indossare durante cerimonie od occasioni speciali.

Accettare la filosofia di Gabriel non aveva stravolo la personalità di Isaia che aveva optato, quindi, per un abbigliamento classico a cui comunque non era particolarmente abituato, visto che erano ormai anni che indossava quasi esclusivamente la tonaca.

Quando i due uomini ebbero finito di scegliere il vestiario, la compagnia se ne uscì dal negozio; rimase dentro Michela che, sperando di non essere vista, aprì lo zainetto che si era portata dietro e tirò fuori delle pagnotte e delle scatolette di cibo e disse ai commercianti: “Scusate, lo so che questo non vi ripaga di quel che hanno preso loro, ma di più non ho potuto portarvi. Magari, nei prossimi giorni, se mi sarà possibile, tornerò con altro.”

“Oh, signorina, gliene saremo molto grati.” replicò il proprietario del negozio “Già questo è molto. Vede, il denaro non manca, è il cibo che non si trova! Se mi avessero pagato, non avrei saputo come spendere i soldi, specialmente ora che non ci sono neppure più quei bravi preti che ci portavano scorte alimentari. Poveretti! Chissà che sorte gli è toccata!”

Michela sospirò guardando con aria mesta. Forse avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo; alle proprie spalle sentì la voce di Gabriel ringhiare: “Ecco, visto?! Te lo avevo detto!” stava parlando ad Isaia “È a fare la carità a questi mentecatti! Non è la prima volta che la sorprendo a farlo! Ehi tu! Cosa non ti è chiaro nell’ordine: Non dare da mangiare agli animali?”

“Non vedo animali, qui, ma solo uomini.” ribatté la ragazza voltandosi.

Se possibile, gli occhi di Gabriel si fecero ancora più di brace, soffiò dalle narici un paio di volte, poi si controllò e disse: “Amico mio, la lascio a te. Io l’ho sopportata abbastanza, adesso è una tua responsabilità, io me ne lavo le mani.” detto ciò l’Eletto si voltò e se ne andò.

Isaia guardò severamente la ragazza e si limitò a dirle perentoriamente: “Vieni, andiamo!”

Michela velocemente raggiunse l’uomo, lasciando i viveri sul bancone, e assieme a lui si allontanò.

Tornati in Vaticano, Gabriel si ricordò di un’altra questione da affrontare: l’alloggio di Isaia. Non ci aveva ancora pensato, decise quindi di far scegliere all’amico stesso dove avrebbe preferito insediarsi. Girovagarono per l’edificio in cui anche Gabriel e Serventi risiedevano e Isaia trovò presto un appartamentino di suo gradimento. L’uomo fece portare lì le sue cose e anche quelle di Michela: ora che potevano, avrebbero vissuto assieme.

Passarono il resto della giornata in maniera tranquilla e così fu anche il dì seguente, con l’unica differenza che Isaia si fece procurare un piccolo furgoncino per andare a recuperare i suoi libri nella villa fuori città.

Sembrava una giornata tranquilla pure quella successiva, la mattinata era strascorsa serenamente, avevano pranzato tutti assieme e poi si erano separati, dedicandosi ognuno alle proprie attività. Gabriel si era ritirato in un salotto con Claudia alla quale, però, venne una voglia di ananas, l’uomo quindi uscì per procurargliene una.

Gabriel stava camminando per le vie vicino al Vaticano, cercando qualcuno che possedesse il frutto, ma non c’erano molte possibilità di trovarlo. Gli dispiaceva parecchio deludere Claudia, per cui stava tentando di farsi venire in mente una buona alternativa, quando si accorse che, poco distante, c’era un signore sulla sessantina che avanzava dolorante, reggendosi un braccio sanguinante. Gabriel decise di divertirsi un poco, si avvicinò rapidamente all’uomo e lo afferrò proprio per l’arto ferito e chiese con sguardo spaventoso: “Dove pensi di andare, nonnetto?”

Il cittadino, spaventato e sofferente, borbottò: “D- Devo andare urgentemente in ospedale! Mi sono tagliato con una lamiera, cercando di recuperare delle cose dalle macerie di casa mia. Io sono un uomo sano, posso essere utile alla società, ve lo garantisco! Non sono affatto un nonnetto come avete detto voi: pensate che per lo stato italiano non ho neppure diritto alla pensione, per il momento. Vi prego, lasciatemi, mi state facendo male!”       

Gabriel lasciò il braccio, guardò, come fosse un piccolo taglietto, la ferita che sanguinava copiosamente e, probabilmente, si stava infettando. Rise e lo ammonì: “Non ci provare, vecchio, non hai bisogno di nessun ospedale, quindi sgombra.”

L’uomo si spazientì e la rabbia prese il sopravvento sulla paura: “Che vuol dire che non ne ho bisogno? Siete cieco, per caso? Guardate che taglio!”

A Gabriel non piacque per nulla quell’atteggiamento, afferrò di nuovo il braccio, ma questa volta talmente violentemente che l’uomo si accasciò per il dolore. Antinori disse con pacatezza: “Vedi di abbassare il tono, con me! Comunque, per una cosa così non ti serve l'ospedale! Non frignare!”

A qualche centinaia di metri da lì, per fortuna, stava camminando pure Michela, che era in giro a cercare Giorgio che era da qualche parte col padre. La ragazza aveva sentito l’urlo di dolore del povero malcapitato, si era quindi avvicinata un poco e stava assistendo alla scena. Scosse la testa, sospirò e decise di intervenire. Si accostò ai due uomini, lanciò un’occhiata alla ferita, poi domandò: “Che cosa succede?”

“Nulla che ti riguardi, perciò vedi di sparire!” fu aspro Gabriel.

Il ferito, sperando di trovare qualcuno che lo sostenesse, si sforzò di dire: “Signorina, mi sono tagliato gravemente e ho bisogno di andare al Pronto Soccorso..!”

“E io ti ripeto che non ti serve.” replicò Gabriel con naturalezza, quasi ridendo.

Michela guardò di sbieco l’Eletto, poi osservò di nuovo la ferita e disse: “Ha ragione Gabriel, lei non ha bisogno di andare all’ospedale: la curerò io!”

Gabriel la guardò furioso, ma effettivamente non poteva accusarla di averlo contraddetto o di avergli disobbedito.

La ragazza guarì il signore, il quale rimase piacevolmente colpito dal potere della giovane e si disse che, forse, non tutte le persone dotate di poteri fossero cattive.

Una volta rimarginata la ferita, l’uomo ringraziò con le lacrime agli occhi e se ne andò via frettolosamente, ma felice.

Gabriel, piuttosto seccato, disse alla giovane: “Adesso tu mi spieghi chi accidenti ti credi di essere per parlarmi in quel modo davanti a quell'essere inferiore! Tu che non potresti nepp…

“Sono una persona che aiuta il prossimo, al contrario di te!” lo interruppe lei, piuttosto fieramente.

Gabriel, sprezzante al massimo, ribatté: “Sei una sporca strega e, a quanto ne so, quelle come voi non hanno mai aiutato nessuno. Le uniche cose che sapete fare sono rapire i bambini, come hai fatto col figlio di Niklos, e fare stregonerie ovunque vi capiti, come hai fatto esattamente un minuto fa.”

“Oh, vedo che hai letto tutto il libro di fiabe, bravo! Erano dei fratelli Grimm, o quelle sono troppo difficili e ti sei accontentato di Nonna Papera?”

Michela fece per andarsene, sapeva di aver esagerato, per cui pensò fosse meglio defilarsi al più presto, ma non fece in tempo: Gabriel, irato, le aveva afferrato il polso e lo strinse fino a farle male, poi le sibilò: “Vedi di portarmi rispetto, vermiciattolo ingrato, e smettila di opporti a me e alle mie decisioni! Fa’ quello che ti viene detto o mi costringerai a fare arrabbiare il mio amico. Isaia è troppo buono con te e fa male, perché, se continui ad ostinarti ad infastidirmi, uno dei prossimi giorni lui ritroverà qualcosa di molto lontano dalla bella ragazza che conosce: la tua carcassa mangiucchiata dai cani.”  mollò bruscamente la presa, facendo cadere a terra la giovane; la ammonì: “A te la scelta.”

Gabriel se ne andò, dimenticandosi totalmente dell’ananas per Claudia, tornò dentro al palazzo, girò a caso per i corridoi, poi entrò in un salottino, diede un calcio ad una sedia, tirò fuori una bottiglia di whisky e un bicchiere. Si mise a sedere su una poltroncina e bevve.

Da lì a poco entrò pure Isaia, cha andò ad accomodarsi di fronte all’amico, chiedendo: “Eccoti finalmente! Dov’eri finito? È un pezzo che ti sto cercando!”

“Ero a discutere con la tua ragazzina, che ancora non si mette in testa che qui comando io e non può fare come diamine le pare!” era parecchio nervoso e arrabbiato “Non puoi immaginare quanto mi fa imbestialire questa cosa, ma ciò che soprattutto non riesco a capire è come mai non ti sei ancora deciso a convertirla!

Isaia si rilassò sulla propria poltrona e, molto tranquillamente, rispose: “Amico mio, non c'è fretta! Gli avversari li hai già tolti dai piedi; Roma, anzi quasi tutto il Lazio, è nelle nostre mani, mentre i pochi ribelli rimasti non possono più nulla, ormai. C'è sempre tempo per convertirla, non ti preoccupare. Quando succederà, sarai il primo a saperlo.”

“Spero succeda il più presto possibile, fratello, perché, tra non molto, la pazienza che mi rimane andrà a farsi friggere. Nel frattempo che ti decidi, potresti dirle di non agire di testa propria e fare quanto le viene detto? Almeno questo, maledizione!”

Isaia sbuffò: “Sì, sì, glielo dirò. In cambio, però, potresti dire alla tua, di donne, di calmarsi, visto che non le ho mai fatto nulla.”

“È incinta, ha gli ormoni sballatissimi, non è colpa sua se è nervosa! Devi solo assecondarla, in questi casi. Comunque, ormai, lo sa che sei dei nostri. Non proverà mai più a scagliartisi contro, ne sono sicuro.”

L’altro alzò le sopracciglia, guardò altrove e sospirò: “Sarà...!”

“Non dirmi che non ti fidi del tuo migliore amico. Mi offenderesti a morte!” sorrise, mettendosi una mano sul petto “Parlando di cose serie: intanto che decidi come convertirla, potresti farla tua schiava. Visto che non ha interesse a liberarsi, dovresti trattarla come tale, non credi?”

“Sì...” Isaia non pareva molto convinto “Ma, sai, mi piace parecchio aver in mio potere una tipetta come lei: ostinata. Insomma, mi ama ed è la mia donna, nonostante non approvi ciò che faccio, e non posso essere più felice di così. Mi eccita da morire vederla arrabbiata e sapere che vincerò comunque io.”

Gabriel sospirò: “Ci manderà a monte i piani, Isaia. È questo che vuoi? Te lo chiedo per favore: trova un dannatissimo modo per farla passare dalla nostra parte. Oltre a mandarci a ramengo i progetti, manderà me in manicomio, prima o poi! La donna è tua, amico, hai carta bianca, in merito, ma trova una soluzione a questo maledetto problema!”

“Ti ricordo che non abbiamo nessun piano a rischio, visto che quando ci siamo riuniti per progettare qualcosa, abbiamo finito col cazzeggiare, senza concludere nulla.”

Rimasero in silenzio per un poco, poi Gabriel tornò a dire: “Mah... Non lo so. Dubito che l'avrai sempre vinta: dovrai trovare nuovi stratagemmi con una rompiscatole come lei. Segui il mio consiglio di renderla a tutti gli effetti una schiava e vedi come ti ci trovi, ma sono sicuro che non avrai problemi.”

Isaia pensò per qualche istante, poi chiese: “Ma cosa intendi per schiava, scusa?”

“Cosa vuoi che intenda, secondo te?” replicò l’altro, quasi esasperato “Sottomissione! Potere totale su di lei. Puoi decidere qualsiasi cosa e lei dovrà obbedire e stare zitta. Che so, baciarti i piedi, pulirti le scarpe... puoi decidere quando può aprire bocca e quando invece no, per esempio e tutto ciò che ti passa per la testa!”

“Oh..!! Beh, devo ammettere che è piuttosto interessante, come consiglio.” Isaia annuì col capo “Sì, perché no? Vado a sperimentare subito.” si alzò in piedi.

“Fammi sapere come va.”

“Vedrai coi tuoi stessi occhi stasera, a cena. Fa apparecchiare con un coperto in meno.”

Di fatti, poche ore più tardi, si ritrovarono a cena. La tavola era apparecchiata per sei e non per sette. Quando Michela ed Isaia arrivarono, erano già accomodati Serventi e Gabriel a capotavola e Claudia alla destra dell’amato.

Isaia si sedette accanto all’amico. Michela fece per sedersi al suo fianco, ma lui la fermò: “Cosa credi di fare, tu?” la fulminò con lo sguardo, ma era calmo “A terra, qui!” indicò col dito il pavimento, nello spazio fra sé e Gabriel che ghignò compiaciuto.

Arrivarono presto anche Stefano e poi Teresa. Iniziarono a mangiare tutti quanti, tranne Michela che aspettò che Isaia le mettesse in mano qualche avanzo.

Gabriel osservava soddisfatto e, vedendo il malumore sul volto della ragazza, prese a dirle: “Che c'è, strega, non ti piace il posto o non gradisci la cena?” ridacchiò “Eppure, è ciò che ti meriti per esserti sempre voluta opporre ad ogni mio ordine. Tanta ostinazione è stata ripagata ed è giusto che così sia. Non per essere ripetitivo, ma è lo stesso discorso che feci a lui durante la sua prigionia: è solo superando i propri vincoli che si ottiene la libertà, il potere. Se, come il mio confratello, tu ti liberassi da quelle catene, saresti davvero te stessa e quindi anche felice.” guardò Isaia in cerca di approvazione e la ricevette “Potresti fare qualsiasi cosa con i poteri che possiedi. Non capisco perché così tanta cecità! E va beh, finché il tuo animo sarà schiavo, questa è la condizione che più ti si addice.” sbuffò risata, scosse il capo e mangiò un boccone, prima di proseguire:  “Comunque, Isaia ti darà una bella raddrizzata alla schiena, puttanella, dopo di ché voglio proprio vedere se continuerai a irritarmi.”

La ragazza stava per replicare, ma Isaia l’afferrò per i capelli e con fermezza, priva di ira, le ordinò: “Non osare rispondergli, né reagire in alcun modo. Ha perfettamente ragione, non pensi?” poi, si volse all’uomo: “Ti ringrazio, amico mio. Non avrei potuto dire di meglio.”

La cena proseguì, arrivò il secondo e Isaia prese una porzione abbondante di carne, poi ne tolse qualche pezzo dal piatto e lo passò alla ragazza.

Gabriel decise di contribuire a suo modo: prese qualche verdura di contorno e la buttò per terra. Disse, poi: “Ehi, schiavetta da due soldi, qui c'è qualcosa per te! Poi, non venire a dirmi che non ti voglio bene.” ghignò derisorio.

Michela lo ignorò completamente e questo fece infuriare l’Eletto.

“Ehi!!” scattò in piedi, facendo cadere la sedia all'indietro “Parlo con te, strega dei miei stivali! Sei soltanto una schifosa ingrata, nel rifiutare i miei avanzi!! Diavolo, non solo che te li ho dati, fai pure la schizzinosa?” vedendosi ancora ignorato, batté il pugno sul tavolo: “OH, MI RISPONDI???”

Serventi, seccato, appoggiò le posate e lo richiamò, pazientemente: “Gabriel, siamo a tavola, perciò fammi la cortesia di mostrare un briciolo di educazione!”

Gabriel era decisamente stizzito dal fatto che quella ragazza gli fosse stata causa di rimprovero, comunque non disse nulla, raccolse la sedia e si rimise a mangiare.

Isaia intervenne: “Temo sia colpa mia, in parte. Ha preso troppo sul serio l’ordine di non risponderti e non reagire.” si rivolse alla ragazza: “Mangia ciò che ti ha offerto e ringrazialo.”

Michela obbedì.

Finita la cena, si trasferirono tutti quanti in un salotto, tutti si sedettero attorno ad un tavolino a chiacchierare, tranne Serventi che andò al pianoforte. Chiacchierarono, bevvero liquore. Ad un certo punto, Michela chiese ad Isaia il permesso di andare ad ascoltare meglio la musica, ma appena si alzò e fece un paio di passi, Gabriel le si parò davanti e le afferrò con le mani il collo, stringendo fortissimamente, tanto che alla ragazza subito mancò il fiato e sbiancò. Isaia, preoccupato, scattò verso l’amico con espressione feroce e gli strinse forte il braccio. Gabriel sorrise e lasciò andare la ragazza, la quale si massaggiò il collo tossendo.

“Tranquillo, Isaia, non te la rompo, la bambolina. Volevo solo farle un po’ di paura, tanto per ricordarle chi e cosa sono io.”

La ragazza guardò malissimo l’Eletto, poi si affrettò ad avvicinarsi al pianoforte, prese una sedia e si accomodò per ascoltare meglio. Concluso il minuetto che stava suonando, Serventi, senza neppure voltarsi, con la mano le fece cenno si avvicinarsi e, mentre sfogliava gli spartiti per scegliere la melodia successiva, le chiese: “A chi dei due, è venuta in mente l’idea di questa sceneggiata?”

“Come?” si stupì la giovane.

“Suvvia, potete ingannare Gabriel, ma non me. Mi pare evidente che Isaia stia fingendo.”

Michela si accigliò, poi sospirò: “Magari fosse così!”

Bonifacio iniziò a suonare Piccola Musica Notturna di Mozart e disse: “Non sei convincente, io continuo a ritenere che il templare stia cercando di raggirarci. Poco male, non ha molte possibilità e io sono sempre del parere che, a lungo andare, si finisce sempre col diventare ciò che si finge di essere.”

La ragazza non disse nulla e rimase ad ascoltare la musica.

Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, Gabriel era particolarmente di buon umore: aveva appena portato a termine una delle sue bravate e non vedeva l’ora di raccontarla al suo amico Isaia. Gli aveva promesso che sarebbe andato a trovarlo attorno alle diciassette, nel suo appartamento, e così fece. Gabriel bussò alla porta, si sentì dire: Avanti; aprì l’uscio ed entrò.

Gli piacque parecchio la scena che si trovò davanti: Isaia, seduto in poltrona, leggeva, tenendo le gambe distese appoggiate sulla schiena di Michela, a carponi davanti a lui.

“Oh diamine...!” esclamò e rise.

Senza considerare la ragazza, Gabriel si sedette sulla poltrona di fronte all’amico e gli disse: “A quanto pare, le vecchie abitudini sono dure a morire! Non vivi proprio senza i libri, eh? Non ti rintanerai di nuovo in biblioteca, spero.”

“No, ma che c'entra? Il fatto che mi sia liberato non vuol dire che abbia perso il piacere della lettura. Anche la sete di cultura può essere un desiderio inestinguibile, che a volte ho dovuto accantonare per dare la precedenza ai compiti della Congregazione.”

“Contento tu... Oh, non puoi immaginare dove sono stato oggi, ma prima volevo sapere come si comporta la strega, qui.” indicò la ragazza, ghignando, contento di vederla usata come poggiapiedi.

Isaia sospirò e scosse il capo: “È sempre la solita. Questa è la sua punizione per una questione di stamattina.”

“Hai fatto bene, le permetterà di capire quale vuole sia il suo posto.” Gabriel si guardò un attimo attorno, poi riprese: “Tornando a prima, non ti ho chiamato, oggi, perché pensavo che volessi stare da solo con la strega, ma, credimi, ti saresti divertito un casino. Hai presente quell'ospedale riabilitativo per anziani, come cacchio si chiama...?”

Isaia, perplesso, abbassò il libro e chiese: “Intendi l'RSA? Sì, ce l'ho presente...”

“Sì, quella... Non mi ricordavo le lettere. Beh, adesso non esiste più!” ghignò, soddisfatto.

Isaia chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolinetto alla propria destra, basito, guardò l’amico e domandò: “In che senso non esiste più?”

L’altro rispose tranquillamente: “Nel senso che io e quattro dei nostri uomini siamo andati a prendere ciò che serviva a Gaslini: medicine, roba per l'ospedale e altro e abbiamo fatto fuori chiunque fosse lì dentro. Tanto non sarebbero serviti a nulla. Erano quasi tutti infermi. È stata eutanasia.”

Isaia rimase interdetto, guardando l'amico, senza sapere che cosa dire. Levò le gambe da sopra la schiena di Michela, la quale, intanto, fremette di rabbia.

Gabriel notò l’espressione della ragazza, la fissò con derisione e chiese: “Che c'è, strega? Perché quella faccia? Qualcosa in contrario, per caso? Non ti piace il resoconto?”

Isaia sbottò: “Te la potevi risparmiare, un'atrocità simile. Pensi ti faccia onore fare stragi di gente innocua a destra e sinistra?”

Gabriel si stupì, poi  rise un attimo e chiese, in un misto di stupore, irritazione e divertimento: “No, aspetta, mi stai rimproverando, fratello?”

“Non è certo un complimento.”

Gabriel fu pervaso dall’ira, poi guardò Michela con occhi di brace. Si alzò di scatto e si avvicinò a lei; avrebbe voluto prenderla calci, ma non voleva neppure litigare ancor di più con Isaia, per cui si limitò a calpestarle una mano, mentre le urlava: “Sei stata tu, vero, megera? Stai traviando di nuovo il mio amico, ammettilo!”

Isaia si levò in piedi, irritato, ma senza arrabbiarsi; seccamente disse: “Smettila! Lei non ha fatto niente. Questa è una cosa che penso io, lei non c'entra nulla. Non è pietà verso quei vecchi o chissà che, la mia; semplicemente dico solo che non c'è gloria nel trucidare gli indifesi. La fama e gli onori si conquistano annientando degni avversari.”

Gabriel, furioso, se ne andò via, sbattendo la porta. Camminò un poco, andò in giardino e trovò Serventi che gli chiese il perché di tanta ira. L’Eletto riferì della discussione.

“Non mi stupisco che abbia reagito così.” disse Bonifacio “Ha uno spirito più incline alle grandi imprese, quel che hai fatto deve essergli sembrata una perdita di tempo. Sono sicuro che, se gli chiederai di occuparsi di qualche oppositore, non si tirerà certo indietro.”

“Dici? Bene, mi procurerò qualche cane ribelle come prigioniero e vedremo.”

“Sono sicuro che non esiterà a giustiziarli.” confermò Serventi, poi suggerì: “Fa in modo che ci sia anche Michela a guardare; credo che lei non abbia ancora accettato la vera natura del tuo amico. Spaventala, mostrale il vero Isaia e anche lei cederà.”

“Speriamo. Domani avremo qualche risultato.”

Gabriel, ritrovato un po’ di buon umore, si precipitò a cercare i suoi scherani per ordinare loro di cercare qualche sedizioso da imprigionare.

Il mattino dopo, tutto era pronto per la prova del nove. Gabriel era passato ad assicurarsi che ogni cosa fosse in ordine, poi andò a cercare l’amico, lo trovò sul ponte di fronte a Castel Sant’Angelo, mentre stava passeggiando con Michela, tenendole un braccio attorno alle spalle.

Gabriel li raggiunse, salutando rapidamente, dando un’occhiata prima all’uno e poi all’altra: “Isaia... Schiava.” poi si rivolse esclusivamente all’amico; con un inquietante luccichio negli occhi, domandò: “Ti va di divertirti un po’ con la feccia della feccia?”

“E me lo chiedi? Non aspettavo altro! Dimmi tutto.”

Gabriel ghignò e spiegò, stando ben attento alle reazioni dell’amico: “Abbiamo dei prigionieri: manifestanti e oppositori politici di cui dobbiamo disfarci. Ho pensato che la cosa potesse interessarti. È anche un'occasione per esercitarti, sgranchire le braccia e vedere un po’ che cosa sei in grado di fare, adesso che il tuo potere non ha più stupide limitazioni morali. Ovviamente, la tua amichetta è invitata ad assistere.” guardò la ragazza e le disse: “Avrai l'onore di conoscere il vero potere del mio migliore amico, strega! Dovresti essere emozionata.”

Isaia, intanto, rispose: “La cosa m'interessa eccome! Ne ho abbastanza di certa gente, mi ha fatto sprecare un sacco di tempo. Dove sono questi seccatori?”

“Ho scelto un posto perfetto per l’esecuzioni, scommetto che indovinerai subito. Pensaci un attimo, qual è il luogo che unisce morte e divertimento?”

L’interpellato pensò per una frazione di secondo, prima di rispondere: “L’Anfiteatro Flavio: il Colosseo.”

“Precisamente! Andiamo?”

“Andiamo.” Isaia annuì.

I tre si incamminarono, i due uomini parevano tranquilli e svagati, mentre la ragazza era incupita. Arrivarono all'interno del Colosseo, per terra e sui muri si potevano vedere chiazze e schizzi di sangue. Gabriel condusse gli altri due presso il gruppetto di prigionieri, circa una decina, per lo più uomini di varie età.;

Isaia li scrutò, aggrottò la fronte e con tono neutro osservò: “Mh, sono loro, dunque.”

“Sono ansioso di vederti all'opera, fratello mio, dico sul serio.”

Gabriel mise una mano sulla spalla dell’amico, guardandolo con sguardo allucinato.

“Adesso che la tua natura si è finalmente manifestata, è arrivato il momento che lo faccia anche il tuo vero potere. Fatti conoscere, Isaia; devono sapere con chi avranno a che fare, d'ora in avanti. Con te in giro, ci penseranno non due ma cento volte prima di contestare. Gli faremo passare la voglia di romperci le palle.”

Isaia guardò negli occhi, l’amico; sul suo volto si mostrò un ghigno terribile ed impaziente. Gabriel ricambiò e lo esortò: “Fammi vedere di cosa sei capace! A te l'onore d'iniziare per primo.”

Isaia mosse qualche passo verso i prigionieri. Michela, che era rimasta un paio di metri indietro, esclamò, supplichevole: “NO!”

La ragazza corse, si mise davanti all’amato, gli prese le mani, le strinse, lo guardò con occhi tristi e disse con voce rotta: “Isaia, ti prego, non farlo! Tu non sei così, non stare al suo gioc...”

Gabriel, intanto, si era portato alle spalle della giovane, le aveva messo una mano davanti alla bocca per interromperla, poi la tirò indietro.

“Procedi pure, fratello!”

Isaia scrutò i prigionieri, come per scegliere da quale cominciare.

Gabriel teneva stretta la ragazza, in modo tale da costringerla a guardare. Le bisbigliò: “È inutile che ti illudi. Isaia ha fatto la sua scelta, la migliore. Non lo credi capace di uccidere? Io scommetto che lo farà.”

Isaia tese le mani davanti a sé, l’aria attorno ad esse iniziò a crepitare; poi dalle punte delle sue dita iniziarono a fuori uscire saette di sabbia che andarono a colpire uno dei prigionieri, il quale su attraversato da fremiti, urlò e dopo poco cadde a terra morto.

Michela gridò un altro No, poi ne bisbigliò altri, incredula, sconvolta, con le lacrime agli occhi.

Gabriel rise di gusto.

Isaia tese le mani verso un altro e colpì di nuovo.

La ragazza si disperò ancor di più. Vedendola non più in grado di interferire, Gabriel mollò la presa, lasciandola accasciare a terra, poi, mentre si avvicinava all’amico, gli disse: “Ehi, non te li vorrai finire tutti da solo?! Fai divertire anche me!” rise e a propria volta scagliò il suo fuoco elettrizzato con un povero prigioniero.

Caddero a terra alcuni altri, poi Isaia si raccomandò, indicando un paio di tizi: “Quei due, però, no. Voglio trasformarli.”

“Demonizzi anche tu?” si stupì Gabriel “Claudia si limita a privare la gente delle sue capacità.”

“Non demonizzo. In realtà, non ho ancora sperimentato, ma se ciò che ho saputo è vero, allora tra poco, qui, ci saranno delle erinni.”

Gabriel andò in visibilio alla sola idea e lo esortò ad agire. Isaia afferrò un prigioniero, si concentrò. L’uomo iniziò a boccheggiare, a poco a poco la sua carnagione divenne grigiastra, gli occhi si rovesciarono all’indietro, mostrando solo il bianco nelle orbite, il corpo si fece di fumo e polvere.

Isaia mostrò il volto soddisfatto all’amico che gioì entusiasta.

“Qual è l’altro che vuoi trasformare? Dimmelo, così non mi sbaglio, mentre finisco il lavoro.”

Isaia indicò uno, poi aggiunse: “Tienine vivo almeno un altro, da lasciare libero, in modo tale che racconti alla gente quello che è successo, altrimenti, come farà a sapere cosa rischia a farci innervosire?”

“Hai ragione, errore mio. La prossima esecuzione, la faremo con un vero pubblico.”

I due amici completarono l’opera, poi Isaia rimase in silenziosa contemplazione del lavoro compiuto. Gabriel dapprima gli si avvicinò, espirò rumorosamente col naso, gli diede due pacche sulla spalla, con espressione fiera in volto, commentò: “Che posso dire? Sbalorditivo, fratello mio. Mai visto nulla di simile. Sapevo che non mi avresti deluso!”

Dopo di ciò, l’Eletto andò verso i corpi, staccò la testa ad uno dei cadaveri, schizzandosi le mani di sangue, e, lanciata come una palla da bowling, la fece rotolare fino a dove si trovava Michela.

La ragazza era per terra, in ginocchio, il capo chino tenuto tra le mani. Quando si accorse della testa, urlò inorridita e si allontanò rapidamente di qualche metro.

Isaia, ancora assorto nei suoi pensieri, girò appena il capo, quanto necessario per vedere con la coda dell'occhio la ragazza, alla quale si stava avvicinando l’altro uomo.

Gabriel raggiunse Michela. Sorrise terribilmente, guardandola piangere seduta con la schiena contro la parete. Era esattamente quella, la reazione che sperava di suscitarle ed aveva raggiunto il suo scopo. Le domandò con scherno: “Allora, piaciuto lo spettacolo pirotecnico?”

Lei continuò a piangere, coprendosi il volto con le mani. Gabriel l’afferrò, la costrinse ad alzarsi e a guardare i cadaveri; poi le disse con soddisfazione e veemenza: “Beh, come hai potuto vedere, è questo il vero potere di Isaia, la sua vera natura: uno sterminatore spietato e creatore di Spettri della Vendetta!” indicò le due erinni.

“Se lo ami, devi accettarlo per quello che è, strega, non hai alternative. Se lo ami, ami anche tutto questo e anche tu dovrai abbracciare la mia dottrina. Dici che è sbagliata, eppure la ami.”

Michela non rispose e neppure degnò l’uomo di uno sguardo, ostentava indifferenza che non aveva.

Gabriel si infuriò e iniziò a minacciarla: “Anche perché, se continuerai di questo passo, piccola ingrata, il tuo status di schiava peggiorerà notevolmente: potresti essere usata come zerbino, o come poggiapiedi, essere costretta a muoverti a gattoni senza mai poterti alzare...” sbuffò una risata “Ma sì, farti mettere collare e guinzaglio … e, già che ci siamo, mangiare dalla ciotola. Tanto, gli avanzi li mangi, quindi il problema sporco si risolve.” rise “E poi, perché no? Sarai la sua schiava sessuale.” indicò Isaia “Dovrai essere sempre pronta a soddisfare i suoi istinti ogni volta che ne ha bisogno. C’è una netta differenza tra questo e l’essere la sua donna, non credi? Adesso è una questione di sentimento, lui sta attento a te, dovete averne entrambi voglia, concordare e un sacco di altre cose … se, invece, sarai la sua schiava, anziché la sua donna, allora il tuo piacere, il tuo consenso, non avranno alcun valore. Dipende tutto da te, carina...” concluse ghignando.

Isaia, che stava ascoltando, pur distante, aggiunse freddamente: “Inoltre, considera che se non ti decidi a cambiare questo irritante atteggiamento e non accetterai la vera dottrina, puoi scordarti che ti permetterò di crescere ed educare i nostri figli. Non ti permetterò di traviarli con la tua filosofia d’arrendevolezza ed inibizione.”

Questa minaccia parve disperare la ragazza molto più delle altre.

Gabriel, che intanto aveva raccolto la testa da terra e se la stava passando tra le mani, insisté: “Ma tra le cose ancor peggiori c'è la possibilità che Isaia si trovi un'altra donna che lo ami per ciò che è tu sarai costretta a servirla. Oppure, un’altra possibilità, potrebbe essere quella di farti dimenticare per sempre qualsiasi cosa tu abbia studiato e che conosci. Dopo una visitina alla mia ragazza, l'integrità intellettuale non saprai neanche più cos'è, inutile strega, visto che sarai una totale inetta, e tutti i tuoi fottuti talenti di magia spariranno per sempre.”

“Gabriel!” lo richiamò Isaia “Basta così, credo sia più che sufficiente.”

L’Eletto, forse, avrebbe voluto proseguire, ma accontentò l’amico; lasciò cadere la testa a terra e si limitò a usare i capelli della ragazza come un asciugamano per pulirsi le mani dal sangue, mentre l’ammoniva: “Ti consiglio di adeguarti alle regole del gioco, se vuoi vivere dignitosamente.”

“Gabriel, ho detto basta!” ribadì Isaia, che finalmente si mosse.

Andò vicino alla ragazza, la strinse a sé in un tentativo di confortarla; con fare severo, forse più verso Gabriel che non alla giovane, disse: “Soffre già dovendo dividere il bambino con Niklos, non credo proprio voglia vedersi sottratti altri figli.” chinò il volto accanto a quello della giovane “Vero? Noi avremo tanti figli, tu vuoi che crescano con te, vero? Allora dovrai essere una brava madre, crescerli con i giusti principi, i nostri.” le carezzò i capelli “Prometti che lo farai? Inizierai a fare la brava? È semplice, devi fare solo quello che ti dico e non sbaglierai.”

Michela si divincolò, disse: “Lasciami!” poi si diresse verso l’uscita “Ho bisogno di stare un po’ sola …”

Prima che l’amico potesse dire o fare alcunché, Isaia disse: “Hai circa due ore;  torna per pranzo! Se non sarai a tavola con noi, ucciderò una persona ogni mezz’ora, finché non tornerai.”

Gabriel sorrise e approvò pienamente.

Michela continuò ad allontanarsi, con gli occhi colmi di lacrime.

 

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Capitolo 39
*** Ubi te Caius, ego Caia ***


Michela uscì rapidamente dal Colosseo e con passo molto svelto, il tempo era poco, si diresse verso l’entrata della catacomba. Per risparmiare tempo, avrebbe potuto ricorrere a uno dei sigilli, ma non lo fece, per timore di essere vista. Arrivò alla catacomba e iniziò a discendervi, la trovò con molta meno gente, rispetto all’ultima visita. La ragazza era ancora parecchio scombussolata per quel che era successo all’anfiteatro, questo, unito al poco tempo, la induceva ad abbandonare le buone maniere. Scesa la scalinata, arrivata nella prima stanza, domandò a gran voce: “Dov’è Sebastiano?”

La gente rimase piuttosto perplessa; un uomo chiese: “Chi lo vuole sapere?”

La giovane andò verso di lui, dicendo: “Poche domande e portami da lui.”

“Ma …” provò a ribattere il tizio.

Un altro tale intervenne: “L’ho vista in Villa, era quella della radio; possiamo fidarci.”

Michela, quindi, fu accompagnata da Sebastiano. Il gesuita era in una camera più o meno d’ospedale, sebbene fosse in buona via di guarigione, era tenuto sotto osservazione costante da parte dei medici: ormai era l’unica guida, oltre ad Alonso, che fosse rimasta.

Sebastiano fu parecchio contento di rivedere la giovane in salute, ma si accorse immediatamente che era parecchio turbata.

“Come mai sei qua?” chiese il giovane “Sei fuggita? Hai notizie di Isaia?”

“Ti racconterò tutto, ma prima dimmi tu, come stai?”

“I medici sono stupiti dalla rapidità della mia ripresa. Sono stato in coma per una settimana, più di là che di qua. Poi ho ripreso conoscenza e, in questi ultimi giorni, ho cercato di usare il più possibile il reiki e quel che mi hai insegnato tu per accelerare l’autoguarigione ed evidentemente un po’ ha funzionato, presto non avrò più bisogno di cure, anche se … non potrò più essere operativo in battaglia.” sospirò e col capo accennò al braccio destro, completamente immobile.

“Perché? Non te lo possono curare?”

“Hanno provato ad operarmi ma non possediamo gli strumenti adatti, non siamo un vero ospedale. Sono stati recisi tutti i tendini che avevo da queste parti.” con la sinistra indicò la ferita, non ancora rimarginata completamente “Non sono riusciti a ricucirli assieme. Posso muovere la mano, ma il resto è fuori uso.”

“Vuoi che ci pensi io?” si offrì la ragazza.

“L’ultima volta che ti ho chiesto di guarirmi, ti ho messa in pericolo, non voglio che si ripeta.”

“Dubito che le cose possano andare peggio di così. Per favore, permettimi di curarti, ho bisogno di fare qualcosa di buono!”

Sebastiano sorrise e annuì, le era molto grato. Michela si diede subito d’impegno e nell’arco di una mezz’ora il gesuita era come nuovo, in perfetta salute e col braccio funzionante.

“Oh, grazie, grazie! Temevo di dover imparare ad usare la spada di mancino.”

Il gesuita era decisamente contento.

“Beh, suppongo che questa non sia una visita di piacere; che cosa volevi dirmi?” si fece poi serio il giovane.

“Ecco, il fatto è che ero molto sconvolta e avevo bisogno di allontanarmi, di stare un poco tranquilla e questo è l’unico posto che mi sia venuto in mente.”

“Cos’è successo?” si allarmò Sebastiano.

Una viva agitazione si dipinse sul viso della ragazza che voleva parlare, ma non trovava le parole e il coraggio per incominciare.

“Cos’è successo?!”

“Isaia …”

“Cosa?!”

Michela sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime, si mise a sedere sul letto, si portò le mani al volto e tra i singhiozzi di pianto e il tirar su col naso, tentò di spiegare: “Era prigioniero. Gabriel lo trattava malissimo. Isaia provava a farlo ragionare, ma era inutile. Allora Isaia ha deciso di fingere di fingere di passare dalla sua parte, in modo tale da potergli stare più vicino e, pian, piano ricondurlo al Bene, a Dio, ma …” si abbandonò al pianto.

Sebastiano le mise una mano sulla schiena, l’accarezzò cercando di calmarla e, quando sentì che il pianto stava un poco scemando, la esortò a proseguire col racconto.

“Poco fa l’ho visto uccidere dei prigionieri, freddo, calmo, spietato. Non ho visto del rimorso sul suo volto. Io non credevo che potesse arrivare a tanto, solo per mantenere la sua copertura e, comunque, anche se così fosse, mi sembra impossibile che sappia recitare talmente bene e nascondere così perfettamente le sue vere emozioni. Io ho paura, Sebastiano, ho paura che abbia davvero ceduto al male.”

“No, non Isaia, è impossibile!”

“Anch’io non ci crederei, se me lo raccontassero, ma l’ho visto così dannatamente nel personaggio che, temo, non stia più fingendo.”

“Ricordati che la recitazione rientra nella formazione gesuitica, la impartiscono anche ai bambini e ragazzi nei loro collegi, pure a quelli che non diventeranno gesuiti. Isaia è stato istruito fin da piccolo nell’arte teatrale, è un attore provetto.”

“Lo spero, Sebastiano, lo spero … tra poco lo scoprirò.”

“Te ne vai subito?”

La ragazza guardò l’ora e disse: “Tra un’ora devo essere in Vaticano, posso fermarmi ancora un poco.”

Il gesuita stava per dire qualcosa, quando Alonso entrò d’improvviso nella stanza. L’archivista dapprima si stupì sia di trovare il giovane in piena salute, sia nel vedere la donna; poi si felicitò, infine disse: “Hermano, c’è una quescione de cui devi ocuparte con noi. Es tornado un hombre de queli caturati ieri sera, vole ablar con todos.”

“Intanto parli a noi, il nostro consiglio è riunito?”

“Manchiamo io e te, hermano.”

“Bene, allora raggiungiamo gli altri. Michela vieni anche tu?”

La ragazza annuì e andò coi due gesuiti in un’altra stanza, dove si trovavano anche Vairocana coi buddisti, padre Eleuterio e padre Loreto, un paio di suore e alcune altre persone. Erano seduti in cerchio su sedie e panche, al centro c’era l’uomo che voleva parlare. Era l’unico superstite dell’esecuzione al Colosseo, quello lasciato vivo affinché raccontasse ciò che era accaduto. Michela lo riconobbe subito, per questo decise di rimanersene un poco in disparte, in ombra per non essere riconosciuta.

L’uomo raccontò di come lui e i suoi compagni fossero stati catturati la sera prima, proprio mentre svolgevano un compito affidato loro da quello stesso consiglio. Riferì dell’esecuzione e del nuovo collaboratore dei Antinori (per fortuna non lo aveva riconosciuto). In ultimo concluse il suo discorso così: “Signori, è finita! Non possiamo più combattere od opporci, dobbiamo accettare che questo è il nuovo ordine delle cose e dobbiamo adeguarci. Ognuno faccia quello che ritiene meglio, ma io dirò a tutti che è finita.”

Molti dei presenti parvero concordare: troppi morti, troppi pericoli, meglio non opporsi, piuttosto che soffrire, essere torturati e uccisi, quando tutti gli sforzi erano vani. Piuttosto che morire, era meglio accettare la situazione.

Ognuna di quelle parole era come un pugnale che trafiggeva il cuore di Michela (e forse non solo il suo) ma fu lei quella che perse la pazienza. Dapprima fece rimbombare per la stanza un tremendo tuono che ammutolì tutti quanti, poi si fece avanti, dicendo: “Unica speranza di salvezza è baciare quella mano lordata di sangue. Ma se anche mille spade rispondono a nuovi segnali di morte, non è degno d’uomini, o popolo degenere, conquistarsi in tal modo lunghi secoli di vita, tanto meno una vita breve, in attesa di Silla.”

Tutti rimasero ammutoliti e in silenzio; probabilmente solo i gesuiti avevano colto la citazione.

“Questo è quello che scrisse Lucano nella sua Farsaglia, poema dove non elogiò Cesare e l’ascesa dell’impero, no egli disprezzò quel fulmine, ma esaltò Pompeo: una salda quercia e poi Catone l’Uticense. Pompeo che lottò fino alla morte, Catone che preferì gettarsi sulla propria spada, piuttosto che vivere sotto una dittatura: Catone non poté sopravvivere alla morte della Libertà e la Libertà non poté sopravvivere alla morte di Catone.” guardò con disprezzo i presenti “Dite che siete sconfitti? Che non c’è più possibilità di vivere e di sottrarsi a questa oppressione? Allora, se foste veri uomini, dareste fuoco alla città, piuttosto che lasciarla al nemico e uccidereste le vostre famiglie e voi stessi, per evitare di cadere schiavi.”

“Ma cosa stai dicendo?!” esclamò qualcuno, scandalizzato.

Il superstite dell’esecuzione, che a quel punto l’aveva riconosciuta, l’additò: “C’era anche lei al Colosseo! È nelle fila di Antinori, nonostante abbia cercato di opporsi e abbia pianto mentre i miei amici venivano giustiziati.”

“Sono costretta a rimanere da loro. Potrei vivere nel lusso e comandando a bacchetta chiunque. Ho rinunciato a tutto ciò per continuare a lottare per voi, a sostenervi! Per essere stata scoperta, mentre portavo del cibo a della gente come voi, ho subito punizioni molto aspre. Sapevo a cosa andavo incontro, ma non mi sono tirata indietro. Sapevo che mi stavo sacrificando per il bene comune, per la lotta per la libertà e il diritto veri e non quelli di cui blaterano gli oppressori. E ora voi volete rinunciare? A che è servita la mia resistenza, allora? A cosa è servita la morte di quegli uomini e quelle donne che hanno dato la vita in questi giorni affinché chi sarebbe sopravvissuto alla lotta, avrebbe potuto vivere senza tiranni e soprusi? Voi non solo state degradando voi stessi con questa decisione, ma state offendendo chi ha dato la vita per voi e i loro cari!”

“Io sarò solo contento, se potrò risparmiare ad altri il mio dolore!” esclamò uno dei presenti, che evidentemente aveva perso qualcuno in quegli scontri.

Altri fecero cenno di approvare quest’ultimo parere e si dicevano inclini alla rinuncia.

Michela fremette d’ira, alzò gli occhi al cielo ed esclamò: “Mameli, tu, che a 22 anni moristi per difendere la Repubblica Romana, che sapevi essere sconfitta già in partenza, perdona la codardia di questi uomini.” poi si voltò verso Sebastiano ed Alonso, a cui stava dando le spalle e disse: “Domani ripasso da qui, mi consegnerete Giovanni.”

“Che?”

“La testa del Battista. Domani vengo a prenderla, non posso ora, perché è tardi e devo andare.”

In realtà, più che per mancanza di tempo, non prese Giovanni subito, perché prima voleva sincerarsi che Isaia fosse ancora buono.

Michela uscì di gran fretta, provando una rabbia immensa, decise di mandare al diavolo le cautele e tracciò il sigillo per il trasporto istantaneo e tornò subito in Vaticano.

Mancava ancora un quarto d’ora all’ora di pranzo; la ragazza andò subito nella sala da pranzo e vi trovò già Gabriel, Claudia e Stefano.

L’Eletto notò la furia che permeava la giovane e quindi la guardò a metà tra il curioso e il divertito. Gli altri due, invece, provarono un poco di inquietudine.

Michela, rivolgendosi ad Antinori, disse seccamente: “Dì di aggiungere un posto a tavola. Pranzo con voi.”

“Isaia è d’accordo?”

“Lo sarà. Ho preso la mia decisione.”

“Sarebbe?”

Michela tentennò un attimo e, si capiva, le fu difficile dire: “Non mi metterò più contro di te, non contravverrò alle tue disposizioni e smetterò fin da subito di cercare di aiutare la gente comune.” tacque un attimo, poi aggiunse: “Ma non farò loro del male.”

Mh, è già qualcosa.” annuì Gabriel “Come mai questa scelta? Quale delle minacce ha fatto più effetto?”

“Nessuna. Quelle non mi spaventano. Mi sono resa conto, però, che non ha senso ch’io patisca tutto questo per dei vigliacchi che non sono disposti a lottare fino alla morte. Hai ragione tu: chi non vuole la libertà, merita la schiavitù. Loro preferiscono essere oppressi, piuttosto che morire per difendere i propri diritti. Io, allora, non vedo più il motivo di patire per quelli.”

“Quindi smetterai di cercare di procurar loro cibo e cure clandestine? E di intrometterti mentre io mi diverto?”

Non fu facile, ma Michela ricordò le parole che aveva sentito nella catacomba e trovò lo sdegno per dire: “Non avranno più nessun aiuto da me. Se ti vedrò prendertela con loro, non mi permetterò di dire neppure una mezza parola per ammansirti. Ho finito di inguaiarmi per dei vigliacchi.”

Gabriel ragionò tra sé e sé e poi disse: “Ma sì, direi che ti sei meritata di poter tornare a sederti a tavola, Isaia ne converrà.” guardò il discepolo “Stefano, va a dire di aggiungere un coperto.”

Il ragazzo andò subito.

Presto arrivò anche Isaia e, informato della nuova posizione della ragazza, se ne rallegrò e la ricompensò con un bacio.

Pranzarono tranquillamente e nulla fu diverso dal solito. Finito di mangiare, Isaia disse che era sua intenzione ritirarsi nel suo appartamento con la ragazza e così fece.

Rimasti soli nelle loro stanze, Isaia e Michela rimasero per lunghi momenti in piedi l’uno davanti all’altra a fissarsi, senza dire nulla. Erano entrambi dubbiosi, non sapevano quale fosse il pensiero e l’animo reciproco, non sapevano come cominciare.

Infine si decise a parlare Isaia: “Cosa ti ha fatto arrabbiare così tanto?”

“Esattamente quello che ho detto: sono disgustata dalla gente che non vuole più resistere e combattere.”

Michela tremò nell’animo, guardò Isaia, temeva la risposta alla domanda che stava per fargli forse il dubbio era meglio che una risposta dolorosa. Era divisa tra la speranza e la paura di illudersi. Doveva sapere. Con voce stridula per l’apprensione, iniziò a chiedere: “Isaia … tu … tu non volevi … vero?”

Isaia usò un tono grave: “Sapevamo che si sarebbe presentata una simile evenienza. Mi hai spiegato tu come evocare il mio potere oscuro per sembrare credibile … Ho dovuto … Io … non credevo di trovarmi in una situazione del genere …”

Nelle sue ultime parole si percepiva la sua sofferenza.

Michela si vergognò di avere dubitato di lui. Gli si avvicinò gli prese le mani e disse: “Lo so. Nemmeno io l’avevo supposto. Pensavamo che, al massimo, ti avrebbe coinvolto in qualche scontro e che, nella confusione generale, avresti potuto evitare di uccidere o almeno limitarti … Stai anche lavorando per rimandare le battaglie …”

“Io non lo sapevo!” sbottò lui.

Sapeva di non dovere convincere la ragazza, ma aveva bisogno di sfogarsi. I sensi di colpa lo tormentavano fin da prima di entrare nel Colosseo e aveva dovuto fingere, in quelle ore, di essere tranquillo, sereno, anzi felice, mentre il dolore e il rimorso dilaniavano il suo animo.

Ora che era solo con lei, poteva finalmente gettare la maschera e soffrire apertamente.

“Mi ha fatto uccidere della gente per dimostrargli che fossi davvero passato dalla sua parte! Ed è stata colpa mia! È colpa mia!”

“No! Perché dici così?” lei gli fece una carezza sul volto.

Isaia si scostò, si sentiva indegno di quell’affetto, perfino voltò le spalle all’amica; spiegò: “Se ieri non avessi rimproverato Gabriel per la strage all’RSA, lui non avrebbe dubitato di me e non avrebbe pensato a questa crudele prova. Ne sono sicuro.”

Michela tornò ad avvicinarsi, lo abbracciò da dietro e cercò di confortarlo: “Hai fatto il tuo dovere. Se non lo rimproverassi e lo mitigassi, a cosa servirebbe la tua recita? In prigione, non hai aggredito Niklos per salvare me. Hai solo voluto rendere il più credibile possibile la tua falsa conversione. Hai voluto stare vicino a Gabriel per tentare di fargli ritrovare il nume della ragione. Se non facessi nulla per salvarlo, allora non staresti semplicemente fingendo di essere cattivo, ma lo saresti.”

“Già …” sospirò l’uomo, malinconico, avvilito; non si mosse “Ma, se per impedire a lui di fare del male, devo fingere e, per fingere, devo fare io del male, che cosa cambia? Quelle persone sono morte e io non ho salvato nessuno!” c’era frustrazione in queste domande.

“Beh, hai fatto graziare l’uomo che testimoniasse l’esecuzione agli altri … e le due erinni torneranno umane, quando tutto questo sarà finito.” tentò di consolarlo lei, affranta per non poter aiutare di più l’amato.

“E gli altri? Quelli che ho ucciso?” ora era in procinto di piangere “Prima di ucciderli, io li ho assolti dai loro peccati, tra me e me; dopo quel massacro ho recitato l’eterno riposo, ma non posso sapere se è stato sufficiente per salvarli, per mandare le loro anime in paradiso … ma, anche qualora siano state accolte da Dio, i loro cari, qui, soffriranno. Ho privato delle famiglie intere dei loro cari … So che era necessario per un bene superiore, ma io non posso fare a meno di sentirmi in colpa.”

“Lo immagino ed è giusto che tu, ora, ti senta così. Mi preoccuperei se non provassi rimorso, tuttavia devi a poco a poco perdonarti: hai tolto qualche vita, ma per salvarne molte altre e soprattutto per salvare molte anime dalla corruzione. È stato un sacrificio necessario.”

“Preferirei sacrificare la mia, di vita, e non quella degli altri.”

“Al momento non abbiamo nessun piano che possa far risultare la tua morte efficace per la salvezza del mondo, per cui … Tu non sei certo un privilegiato perché vivi. Tu ha il peso di dover fare cose che vanno contro i tuoi principi, pur di raggiungere l’obiettivo e questo è un grande sacrificio da parte tua. Inoltre, hai la responsabilità di non vanificare le loro morti. Per di più, se riuscirai a salvare Gabriel e fermare Serventi, agli occhi del mondo rimarrai un assassino, un malvagio. Comunque finirà la faccenda, non ricaverai né gloria, né onori e dovrai passare il resto della tua vita a nasconderti.”

“No.” disse Isaia, calmatosi, con tono solenne “Quando tutto questo sarà finito, io mi consegnerò alla Giustizia, verrò processato e giudicato per le mie azioni.”

Michela si portò davanti a lui e gli disse: “Preferirei ti affidassi alla giustizia di Dio e non a quella umana … temo che qui non sarai giudicato con saggezza, ma con rancore e vendetta.”

“Se Geburah e Chohmah saranno puri, influenzeranno positivamente gli animi umani … Comunque, non pensiamo al dopo, per il momento. Dobbiamo prima capire come agire adesso; è necessario studiare una vera strategia e non lasciarci andare all’improvvisazione, come avevamo pensato inizialmente. Peccato non poter fare come Astolfo e andare sulla Luna a recuperare il senno di Gabriel, magari proprio di fianco a quello di Orlando.”

“Beh, abbiamo anche noi, però un San Giovanni che può consigliarci e, abbiamo appurato, il Battista è meglio dell’Evangelista.”

La ragazza riuscì a strappare una lieve risata ad Isaia che poi disse: “Hai ragione, dobbiamo trovare il modo di portarlo qui … ma non so neppure dov’è! Quando sono andato a prendere i libri, in Villa, non c’era più e neppure ho trovato il resto delle reliquie e i manoscritti!”

“Credo sia tutto nella catacomba. Domani andrò a recuperare Giovanni.”

“Perfetto. Io terrò occupato Gabriel, in modo che, per un qualsiasi motivo, non ti trovi nei paraggi della catacomba. Ah, già che ci sei, potresti controllare come sta Sebastiano, per favore?”

La ragazza si affrettò a rassicurarlo circa la salute dell’amico, poi gli raccontò con precisione la sua visita alla catacomba.

“Siamo rimasti soli a quanto pare.” sospirò Isaia “Abbiamo sbagliato: non avremmo mai dovuto cercare di combattere. Alonso ha scelto bene di non usare la forza … proprio come ci consigliava Giovanni … ma sinceramente credevo sarebbe andata diversamente e, finché si sono mantenuti i sigilli, le cose andavano piuttosto bene … Ho troppi morti sulla coscienza, a causa delle mie scelte sbagliate.”

Michela prese le mani di Isaia e, commossa da tanta bontà, cercò di rassicurarlo: “Isaia, non eri preparato! Nessuno lo sarebbe stato. Sono situazioni difficili e qualsiasi scelta avrebbe portato dolore e morte in un senso o nell’altro. Siamo nel mondo, siamo in Malkuth, la perfezione non è possibile, qualsiasi scelta sarà in parte sbagliata. Sai che cosa ha detto Krishna? Si può uccidere, per il bene. Non c’è nulla di proibito o sbagliato, quando agisci per Dio. Qualsiasi cosa tu faccia, la devi dedicare a Dio, la compi non per te, non per altri, ma solo poiché quello è il tuo dovere. Indipendentemente dal risultato, tu devi agire. Vittoria e sconfitta si equivalgono, ciò che conta è fare il proprio dovere. Sei rimasto sconvolto quando ti sei reso conto che Dio, quello vero, è al di sopra di ciò che noi chiamiamo bene o male, ma poi hai accettato la realtà. Non devi quindi spaventarti se obbedire a Dio ti richiede di fare qualcosa che generalmente definiresti male.”

Isaia capiva. Non era convinto. Apprezzò quello sforzo. Abbracciò strettamente la giovane.

La ragazza, rimanendo nell’abbraccio, carezzò il capo dell’uomo e continuò a dirgli: “So cosa pensi: sei Geburah e, quindi, credi di non aver il diritto di sbagliare. Purtroppo le nostre sephiroth non sono pure, pendono verso il bene o il male, non siamo infallibili. Non puoi neppure rimproverarti di non aver ascoltato Dio, so che tu chiedi sempre consiglio a Lui.” gli diede un bacio sulla guancia “Hai dovuto fare cose che avresti preferito non compiere e so quanto è doloroso. Ho sofferto io che ho solo assistito stamattina, non oso immaginare quanto abbia fatto male a te.”

“Ti ho spaventata?” c’era apprensione nella sua voce.

“Sì. Ho temuto avessi ceduto per davvero … scusami per averlo pensato e per essermene andata, avrei dovuto rimanerti vicino, in quel momento.” era molto triste “Perdona la mia mancanza di fiducia e il mio egoismo: mi sono preoccupata per me e non per te. Scusami.” stava piangendo.

Isaia la strinse ancora più forte a sé. Sentire quanto lei gli volesse bene, gli alleggeriva il peso di tutte le altre preoccupazioni. Tutto il rimorso, l’incertezza, la prospettiva della giusta punizione … tutto ciò sembrava molto più sopportabile, al pensiero che quella ragazza gli volesse bene e che sarebbe stata al suo fianco e avrebbe condiviso qualsiasi cosa con lui … Sarebbe stata al suo fianco? Lui lo sperava, lo voleva, ma come poteva esserne certo? In fondo lui non avrebbe potuto offrirle ciò che lei voleva. Sarebbe però stato tutto più aspro, senza di lei.

“Michela …”

“Dimmi.”

“Tu starai sempre con me? Qualunque cosa accadrà l’affronteremo assieme, anche se …?”

“Isaia!” lo interruppe lei, sollevò un poco il capo, lo guardò dritto negli occhi e, come se stesse facendo un giuramento, gli disse: “Ubi tu Caius, ego Caia.

Isaia la guardò in un misto di stupore, gratitudine e altre emozioni simili, mescolate assieme. Deglutì e le chiese: “Sei sicura di non aver esagerato? Era la formula di matrimonio degli antichi Romani …”

“So esattamente che cos’è.” replicò lei, sorridendo “E sono assolutamente certa di quello che ho detto. Io ti amo e sarò felicissima se mi permetterai di starti accanto e di renderti felice e se vorrai condividere le tue gioie e le tue sofferenze con me. Non mi importa se non potremo avere rapporti sessuali, non sono fondamentali. Non mi arrabbierò quando i tuoi doveri ti terranno lontano. Io amo te e adoro la tua abnegazione e il tuo essere integerrimo. Te lo ripeto. Ubi tu Caius, ego Caia e nulla lo potrà cambiare.”

Isaia provava un’immensa riconoscenza verso di lei: lo amava così profondamente!

L’uomo aveva le lacrime agli occhi nel dirle: “Perdonami, se non ti amo come meriteresti.”

“Va bene così.”

“Non dubitare, però, del fatto ch’io ti ami.”

“Queste parole bastano a rendermi felice.”

Michela appoggiò nuovamente la testa al petto di Isaia. L’abbraccio fu ancora più forte, da parte di entrambi. Confortati dal reciproco calore e affetto, si sentivano più calmi; erano ancora malinconici e rattristati per gli avvenimenti della mattina, ma non c’era più la disperazione nei loro animi.

Rimasero abbracciati a lungo, si separarono solo quando ebbero l’idea di recitare una novena in suffragio dei giustiziati.

Dopo aver pregato a lungo, assieme, i due uscirono dal loro appartamento, andarono a cercare Giorgio e, quando lo trovarono, giocarono a lungo con lui, con un certo disappunto di Niklos, il quale ovviamente avrebbe preferito non ci fosse Isaia: lo considerava un intruso. Lo stregone, comunque non protestò e fece buon viso a cattivo gioco, non perché avesse paura del gesuita, ma solo per non indispettire la donna. Non aveva ancora rinunciato all’idea di riconquistarla e, quindi, voleva dimostrare di essere ragionevole e buono.

Il bambino era felice, si divertiva con tutti e tre e non ebbe perplessità fino al momento in cui non arrivò l’ora di cena. A quel punto, quando la madre fece per salutarlo e andare via, Giorgio domandò: “Perché non mangi mai con noi e te ne vai con Isaia?”

Un certo imbarazzo riempì l’atmosfera. La donna non sapeva cosa dire.

Niklos rispose: “La mamma e Claudia sono amiche e quindi Claudia invita sempre la mamma a pranzo e a cena. Io non ci posso andare perché con Gabriel litigo sempre e, quindi, non mi vuole vedere.”

Michela ringraziò, tra sé e sé, lo stregone per quella bugia.

“Perché litigate?” chiese il bambino.

“Perché lui è brutto e cattivo. Quindi, se tu andassi con la mamma a cena, io rimarrei solo.”

“Non devi stare solo, papà!” esclamò il piccolo, abbracciando il genitore.

Isaia si accorse del dispiacere negli occhi della ragazza, dunque disse, in modo da essere sentito da tutti e tre: “Michela, credo che per una volta, la dottoressa Munari non si arrabbierà se non verrai a cena con noi; per cui, se lo vuoi, resta pure con tuo figlio. Spiegherò io agli altri.”

La donna gioì e si rallegrò. Ringraziò il gesuita e, per quella sera, rimase con Giorgio e Niklos. Dopo la cena, il bambino rimase sveglio un poco, fino alle ventuno, poi andò a dormire nel lettino che lo stregone si era procurato e aveva sistemato nelle proprie stanze: aveva fatto una bella cameretta per il figlio e gli aveva procurato molti giocattoli.

I due genitori raccontarono una fiaba al bambino e rimasero con lui finché non si addormentò. Usciti dalla cameretta, Michela ringraziò di tutto cuore Niklos per come si stava prendendo cura di Giorgio e del bene che gli voleva.

“È naturale, è mio figlio!” aveva risposto lo stregone.

Chiacchierarono circa una mezz’ora, poi Michela rientrò nel proprio appartamento. Isaia ancora non c’era, evidentemente era ancora in salotto con Gabriel e gli altri. La ragazza, allora, da un armadio tirò fuori lenzuola e cuscino e li sistemò con cura sul divano, poi prese carta e penna e scrisse un biglietto di buona notte per l’uomo e glielo lasciò sul cuscino, infine lei andò a dormire nel letto.

Fin dalla prima sera in cui avevano dovuto dormire assieme in quell’appartamento, Isaia era stato chiaro: la Michela avrebbe dormito nel letto, mentre lui sarebbe stato sul divano.

Quando tornò, appena si accorse che la donna stava gi dormendo, Isaia stette ben attento a non fare rumore. Lesse con piacere il semplice messaggio, lo piegò e lo mise nel portafogli, poi, prima di coricarsi, in punta di piedi andò sulla soglia della camera da letto e guardò la ragazza per alcuni minuti.

Il mattino seguente, dopo aver fatto colazione assieme agli altri, Michela uscì dal Vaticano e raggiunse la catacomba, dove incontrò nuovamente Sebastiano ed Alonso. Si informarono reciprocamente delle novità: la ragazza li rassicurò circa la bontà di Isaia, mentre loro le confermarono quel che già aveva sentito il giorno prima: la gente era stufa di lottare. La donna chiese anche di Delrio, le dissero che lo avevano recuperato dopo la battaglia, ma poi degli esseri piuttosto eterei e luminosi lo avevano portato via e di lui non si era più saputo nulla. Michela si affidò alle loro preghiere, poi salutò e tornò indietro con la testa del Battista, dentro uno scatolone ben chiuso. Ciò, però, non impedì a Giovanni di parlare per tutto il tempo, senza tacere un solo istante: si lamentava soprattutto di non essere stato considerato da nessuno dei suoi amici, in quegli ultimi dieci giorni. A poco valse spiegargli che sia lei che Isaia erano praticamente prigionieri di Serventi. Giovanni continuò a lamentarsi del fatto che, come al solito, non era stato ascoltato e ciò aveva causato la morte di tutte quelle persone. Continuo a borbottare a lungo, tra le varie cose, disse anche che l’unico che lo ascoltava e non lo aveva abbandonato era Alonso. La donna si stupì nello scoprire che anche il bibliotecario riusciva a parlare col Battista, comunque non si crucciò per questo e non fece domande.

Rientrando, la ragazza incrociò Gabriel ed Isaia. Antinori parve subito sospettoso, vedendola con un pacco in mano, ma l’amico lo rassicurò subito, dicendogli che era stato lui a mandare la ragazza a prendergli una cosuccia.

“Anzi, vado a controllare che sia tutto a posto e, magari la provo.” disse Isaia, che voleva interpellare subito Giovanni e, quindi, necessitava di una scusa per allontanarsi dall’amico.

Arrivati nell’appartamento, tirarono subito fuori la testa sacra e la adagiarono su un tavolino. Giovanni guardò con grande disappunto Isaia, stava per dire qualcosa, ma Michela lo prevenne: “Gli riassumo io la ramanzina, più tardi. Adesso, per favore, aiutaci.”

“Ecco! Esattamente come al solito! Prima fate sciocchezze, aggravate le situazioni e poi tornate a piagnucolare da Giovanni.”

“Lo so, mi dispiace.” intervenne Isaia “Tu lo avevi detto fin da subito che guerreggiare era inutile e avevi ragione. Io, però, non avevo idea di come fare ad avvicinarmi a Gabriel. Ora sono qua, a stretto contatto con lui, dimmi come devo comportarmi.”

“Ecco, ora ti aspetti ch’io abbia la soluzione a portata di mano!”

“Giovanni, ti prego! Io ci provo a parlargli, tento di farlo ragionare, di fargli ricordare ciò in cui una volta credeva, ma mi pare assolutamente inutile! Sto sbagliando strategia, evidentemente. Non posso neppure tirare troppo la corda, altrimenti si accorgerebbe che gli sto mentendo e non so se questa volta si limiterebbe a chiudermi in una cella.”

“Ti aveva imprigionato?” domandò il Battista.

“Sì.”

“E come ti sei comportato?”

“Ho sopportato stoicamente, quindi in realtà non si potrebbe usare il termine sopportare; ad ogni modo sono rimasto imperturbabile, nonostante tutto.”

“E com’è che ora stai fingendo di essere dalla sua parte?” quasi lo sgridò Giovanni “L’essere prigioniero ed irremovibile sarebbe stata un’ottima tattica per far vacillare le certezze di Gabriele.”

Isaia ripensò agli ultimi giorni di prigionia: effettivamente aveva avvertito qualcosa di diverso nell’amico, ma non ci aveva fatto caso, non aveva sospettato che potesse essere un segnale positivo. Si rimproverò con sé stesso, ma poi si giustificò: “Mentr’ero in carcere, Gabriel stava portando avanti rapidamente la sua conquista; da quando sono tornato libero, sono riuscito a rallentarlo e mitigarlo un poco. Sono, però, sempre escamotage da poco e provvisori, non so come sottrarre il suo animo al male.”

“Isaia, è ora che tu ti renda conto della verità.” disse Giovanni con estrema solennità “Il male non esiste. Ci sono solo tanti tipi di beni, più o meno grossolani, più o meno spirituali. Ogni nostra azione è a fin di bene, il problema è riuscire a ordinare ogni cosa in base alla vera e giusta priorità. Gabriele non sta infliggendo del male per il gusto di farlo, bensì perché nella sua ottica è ciò che deve essere fatto per il bene.”

“A me pare che ci provi parecchio gusto ad uccidere e tormentare.” ribatté il gesuita.

“Scommetto che non lo fa in maniera indiscriminata, ma solo con certe categorie di persone, segue dei criteri.” ribatté il Battista “Unisce l’utile al dilettevole. Comunque, se vuoi salvarlo, devi capire quali siano le sue priorità e i suoi valori adesso e, in parte partendo da quelli, devi comprendere come agire per far sì che riacquisti una visione chiara della realtà. Mi sono spiegato?”

“Sì, perfettamente.” Isaia sospirò “Spero di riuscirci al più presto anche se … non sarà facile.”

“Perché?” chiese Michela “È il tuo migliore amico, dovresti già conoscerlo molto bene! Dov’è la difficoltà?”

“Io conoscevo Gabriel fino a due, tre anni fa, prima che tutto questo avesse inizio, poi è cambiato. Mi sta trattando con più affetto, rispetto e confidenza adesso a confronto con gli ultimi mesi in Congregazione. Lui è sempre stato un po’ superbo ed arrogante, per via di come l’ha cresciuto monsignor Demetrio, ma negli ultimi tempi era nettamente peggiorato e, ora, poi …! Non accettava critiche o consigli da nessuno, era convinto di sapere tutto e, contemporaneamente, mi diceva di essere confuso e smarrito perché non sapeva chi fosse. Mi diceva di non sapersi controllare, di essere in balia del suo potere e poi rifiutava il mio aiuto o consiglio e mi trattava con sdegno. Si confidava sempre meno e mi teneva lontano … pareva dare ascolto solo alla Munari, ancora adesso pare obbedire ciecamente a lei. È ridicolo a volte!”

Giovanni stava ascoltando e riflettendo; sentendo ciò, consigliò: “Iniziate da lei, allora, riconducete Binah alla luce e poi servitevi anche di lei.” spostò lo sguardo sulla ragazza “Te ne devi occupare tu.”

“Certo, mi metterò subito al lavoro.”

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Capitolo 40
*** Rinsavire ***


Michela ragionò a lungo sul come far tornare in sé Claudia. Non era semplice capire ciò che l’aveva fatta cambiare davvero. La psicologa si era ostinata a credere che Gabriel non potesse agire male e che, dunque, qualsiasi cosa facesse fosse giusta. Prima che tutto quel caos avesse inizio, quando le due donne avevano trascorso varie ore assieme presso il Centro d’Ascolto, Claudia si era confidata qualche volta con la ragazza e aveva detto più di una volta: io amo Gabriel e non mi importa chi è, io sarò con lui comunque, qualsiasi cosa accada.

Era una devozione cieca, dunque, quella della donna: l’amore che rende invisibili i difetti. Evidentemente aveva avuto un’enorme paura di perdere Gabriel, aveva sofferto e, non volendo che ciò si ripetesse, aveva deciso di non giudicare più nulla dell’amato e assecondarlo e difenderlo sempre; per questo Claudia stava accettando che accadesse tutto ciò.

Michela era però certa che ci fosse un modo per scuotere la psicologa e risvegliarne la coscienza. La ragazza aveva notato che Gabriel cercava di limitare le uscite della donna. Ogni volta che Claudia diceva di voler procurarsi qualcosa in città, lui era pronto a dirle che ci avrebbe pensato lui o che avrebbe mandato qualcuno. Giustificava il proprio comportamento, dicendo che non era giusto che la donna si affaticasse durante la gravidanza.

A proposito di gravidanze! – pensò Michela. Mancavano ormai pochissimi giorni, due o tre, prima di sapere se fosse anche lei incinta oppure no. Se lo fosse stata, che avrebbe fatto? Lo avrebbe detto ad Isaia? No. Di certo non in quel momento, almeno. Ora non era sicuramente il caso di dargli pure quel pensiero. Forse non sarebbe mai stato il caso. Lui non avrebbe abbandonato la sua strada. Lei non voleva metterlo in difficoltà, né fargli sentire colpe o responsabilità. Forse la cosa migliore sarebbe stata tenerlo all’oscuro della faccenda. Questo, però, l’avrebbe costretta ad allontanarsi da lui, ma lei gli aveva promesso di non abbandonarlo … e poi non poteva scappare ogni volta che rimaneva incinta. Oh, insomma, non sapeva neppure se fosse vero, per cui ci avrebbe pensato a tempo debito, anche se non sarebbe stato facile.

Comunque, tornando a pensare ai fatti contingenti, era evidente che Gabriel non avesse gran piacere che Claudia uscisse dal Vaticano e voleva sempre sapere con anticipo quando sarebbe uscita e dove sarebbe andata.

Michela, inoltre, si ricordò che aveva notato, quelle volte in cui era uscita con la psicologa, che tutti quanti si comportavano in maniera assai differente, quando c’era lei nei paraggi. C’era sempre il senso di dominazione da parte della gente coi poteri e della sottomissione degli altri, tuttavia gli sgherri di Gabriel non commettevano angherie in presenza di Claudia e anche i popolani si sforzavano di sorridere.

Un dubbio, quindi, sorse nella mente della ragazza ma, prima di prendere decisioni, decise di averne un riscontro, parlando con Teresa. Riuscì a trovarsi a quattr’occhi con l’altra donna, poco prima del pranzo. Le chiese se anche lei avesse notato una differenza di atteggiamento da parte della gente, tra quando usciva da sola e quando girava con Claudia.

“Certo!” esclamò Teresa e scosse la testa “Inizialmente credevo fosse una sorta di forma di rispetto, ma fin da subito Gabriel ha messo le cose in chiaro. Una volta mi ha presa in disparte e mi ha detto netto e limpido che non dovevo azzardarmi a raccontare a Claudia che cosa accadesse realmente in città. Lei non ha idea di tutti i soprusi che ci sono, ha un’immagine più pacifica e benevola della realtà. Penso che Gabriel non le voglia far sapere quel che accade davvero, per paura che lei si spaventi e si allontani. Effettivamente credo anch’io che Claudia non potrebbe tollerare certi eccessi, neppure nelle condizioni in cui è ora.”

“Teresa, sarò franca e diretta: vuoi che tutto questo finisca?”

“Sì, certamente!”

“Bene, allora, devi darmi ascolto: dobbiamo mostrare a Claudia il mondo reale. Solo quando lei sarà rinsavita, potremo sperare di far ragionare anche Gabriel.”

“D’accordo.”  evidentemente Teresa, pur non avendo fatto nulla fino a quel momento, non aspettava altro che l’opportunità di aiutare in una qualche maniera “Come facciamo? La gente, fuori, ormai la riconosce e non vuole certo incorrere nelle ire di Gabriel!”

“Parrucche!” fu l’immediata risposta “Trucco e parrucco andranno benissimo per camuffarci e non farci riconoscere.”

“E come la convinciamo Claudia a mascherarsi per uscire?”

“Il tempo ci è alleato. Tra pochi giorni sarà il compleanno di Gabriel, quindi le proporremo di andare a comprare un regalo per lui, spiegandole, però, che per non rovinare la sorpresa, sarà meglio travestirsi, così nessuno la vedrà scegliere il dono …”

“Mi pare un ragionamento contorto e poco convincente.” la interrupe l’altra donna.

“Mal che vada un po’ di mesmerismo la persuaderà.” tagliò corto la ragazza.

“Mesmerismo?!” sbalordì la psicologa “Ma … ma … è una cialtroneria!”

Michela sbuffò e si limitò a dire: “Tu lascia fare a me.”

“Sarà …! Ma quando hai intenzione di proporglielo?”

“Appena dopo pranzo: non c’è tempo da perdere.” guardò l’orario “Ecco, a proposito, dobbiamo andare a tavola. Mi raccomando, non una parola a questo riguardo.”

Le due donne raggiunsero gli altri presso la sala da pranzo. Si misero a tavola. Claudia sfoggiava una collana di diamanti che, quella mattina, aveva chiesto in dono a Gabriel e lui era andato immediatamente a procurarsela.

Tutti assieme iniziarono a mangiare. Gabriel sembrava piuttosto di buon umore. Dopo un poco che era stato servito il primo, l’Eletto esclamò: “Certo che, da ieri, si sta veramente bene!”

Tutti si interrogarono su cosa intendesse e attesero che proseguisse.

“Isaia, da ventiquattro ore, minuto più, minuto meno, la tua ragazzina ha smesso di infastidirmi. I miei nervi sono già più rilassati.”

Michela si sforzò di sorridere. Gabriel la fissò e le disse: “Sai, sono davvero molto stupito che tu sia riuscita a smettere di rompere le scatole così repentinamente. Devo ammettere che il tuo non voler più aiutare gli esseri inferiori mi rallegra parecchio, sono serio.” bevve un sorso di vino “Il fatto che tu stia cambiando come voglio io è positivo, ma non sufficiente.” mangiò un boccone “Vedi, non capisco perché non ti converti del tutto alla nostra dottrina. Hai già fatto un piccolo, grande passo in avanti con questa tua decisione; devi solo farne un altro e sarai finalmente una di noi.”

Michela dovette trattenersi dall’informarlo che non ci teneva affatto ad entrare nel suo circolo.

“Non capisco che divertimento ci possa essere nell’essere trattata come una schiava. Fossi stato in te, mi sarei convertito non appena Bonifacio mi avesse accolto.”

Isaia decise di intervenire: “Gabriel, con calma: Roma non è stata costruita in un giorno. Se adesso calcassi la mano, rischieremmo che questa qui, testarda com’è, ritorni sulle sue posizioni peggio di prima.” iniziò ad accarezzare i capelli e il viso della ragazza “Pian, pianino la istruirò. Una lezione al giorno.”

Serventi scosse il capo e sorrise e poi osservò: “Potresti farle impartire qualche insegnamento anche da qualcun altro … Claudia, ad esempio, oppure Gabriel …”

“O io!” saltò su Stefano, ironico e malizioso, puntando gli occhi verdi sulla ragazza “Mi offro volontario.”

Isaia lo fulminò con lo sguardo: “Coso, hai dimenticato quel che ti ho detto a questo proposito?!”

Gabriel ridacchiò e disse: “Bonifacio, lascia perdere certe proposte: Isaia è gelosissimo della sua Michela.”

“Non preoccuparti.” aggiunse Isaia, rivolto a Serventi “Mi occuperò io della sua conversione.” passò un braccio attorno alle spalle della ragazza e la strinse a sé “Nessun altro ci metta becco.”

Bonifacio lanciò un’impercettibile occhiata a Michela, come a volerle ricordare che lui aveva intuito che Isaia stava fingendo.

“Gabriel!” saltò su Claudia, dopo qualche minuto “Vorrei un quadro nel nostro salotto, per dare un po’ di tono all’ambiente.”

“Ma certo, tutto quello che vuoi, amore mio.” rispose l’uomo, sorridendo, lieto di poter farla felice “Dimmi cosa vuoi e lo trovo.”

“Penso che l’ideale sarebbe il Romolo e Remo di Rubens.” rispose la donna.

“D’accordo, il tempo di capire dov’è e te lo porto.”

Intervenne Isaia: “Se ben ricordo è ai musei capitolini.”

“Oh, perfetto!” si rallegrò Gabriel “Lo vado a prendere appena dopo pranzo.”

Finito il pranzo, Isaia, che era stato informato del piano, offrì a Gabriel la propria compagnia per andare a prelevare il quadro: in questo modo lo avrebbe tenuto d’occhio e avrebbe fatto il possibile per impedire che si imbattesse nelle tre donne. Infatti, Michela e Teresa, invece, presero da parte Claudia e facilmente la convinsero ad andare in giro con loro per la città e non ebbero difficoltà neppure per convincerla ad indossare una parrucca. La maga usò le sue capacità per evocare degli spiritelli e inviarli a recuperare tre parrucche.

Così travestite, le tre donne uscirono dal Vaticano e iniziarono a girare per le vie circostanti.

Claudia ebbe molto di che stupirsi fin da subito. Come prima tappa, passarono davanti al retro delle cucine, dove alcuni degli uomini di Antinori “distribuivano” gli avanzi al popolo. Quest’operazione consisteva nel gettare il cibo, un poco alla volta, in mezzo alla folla e godersi lo spettacolo degli uomini e delle donne che si spintonavano, calpestavano e picchiavano per accaparrarsi un poco di cibo.

Claudia guardò incredula: non era certo così che aveva immaginato le elargizioni dei pasti ai poveri. Sarebbe voluta andare a dire qualcosa a quegli uomini, ma le altre due donne la trattennero e la informarono che l’ispezione era appena cominciata.

Iniziarono ad aggirarsi per le vie e così Claudia poté constatare come fosse trattata la gente comune:  insulti e sputi erano ordinari, così come le appropriazioni indebite, poi si notavano punizioni inflitte alle persone se non obbedivano o se non erano abbastanza leste, c’era ancora la caccia a chi non poteva essere utile alla società … e tanti altri soprusi.

Tutto ciò scosse molto Claudia. Non sospettava nulla di tutto ciò. Iniziò a spaventarsi, agitarsi, innervosirsi: voleva tornare indietro, ma ancora una volta le due amiche la trattennero e continuarono a mostrarle tutte le atrocità e angherie che venivano perpetrate a Roma.

Dopo aver visto un cameriere preso a calci per aver impiegato troppo tempo a portare al tavolo delle bevande che non sarebbero state pagate, Claudia scoppiò a piangere.

“Allora, ha visto cosa accade realmente? Hai visto quali sono le leggi del tuo caro Gabriel che difendi senza remora?” la voce di Michela era stata aspra e rude.

“Io non lo sapevo!”

“No. Tu non hai voluto vedere, è diverso.” insisté la maga.

“Non è vero.” intervenne Teresa “Gabriel le nascondeva queste cose, l’hai notato tu stessa.”

“Le sarebbe stato facile vedere oltre l’apparenza, se avesse voluto, ma le faceva più comodo non farsi domande, accettare di credere che Gabriel fosse nel giusto.”

Michela guardò severamente Claudia e le disse: “Tu lo ami e lo hai idealizzato, per non essere costretta a discutere con lui o addirittura a rinunciare a lui, vedendo ciò che è in questo momento. Adesso, però, sei stata messa davanti alla cruda realtà: Gabriel non solo permette tutto ciò, ma lo incoraggia. Dicci, che cosa hai intenzione di fare, ora? Continuerai a difendere le sue posizioni e ad andare avanti come hai fatto finora, oppure cercherai di aiutarci a trovare la maniera di far rinsavire Gabriel?”

“Certo che voglio aiutare Gabriel a tornare lucido e far cessare tutto ciò …” rispose Claudia, ancora sbalordita e basita, poi aggiunse un poco indispettita: “Ma, scusa, perché dici di far rinsavire solo Gabriel? Non dobbiamo, forse, recuperare anche Isaia?”

Michela, con una certa punta d’orgoglio, ribatté: “Isaia non si è affatto lasciato corrompere. Sta fingendo per poter limitare l’azione di Gabriel in questo periodo e sta cercando, a poco, a poco, di farlo ragionare, ma è tutto molto difficile.”

“Sono certa che a me darà retta.” disse Claudia, sorridendo “Lo farò ragionare, non temete.”

“Dovremo elaborare una strategia.” specificò la maga “Dobbiamo trovarci noi con anche Isaia e studiare a modo la situazione, per capire come e su cosa far leva per scuotere Gabriel.”

“Cosa?!” protestò Claudia “Vuole intromettersi anche Isaia? No, per favore, lasciate fare a me e lasciate lui fuori dalla faccenda: ha già causato troppi problemi, per non parlare del fatto che non mi sopporta e mi tratta sempre con sufficienza.”

Michela fu irremovibile: “Isaia parteciperà all’elaborazione del piano. Se in passato avete avuto degli alterchi, sono sicura che non sia stato per colpa sua, o almeno non solo sua.”

“Avresti dovuto vederlo, mentre lavoravamo al caso dei tre fratelli che avevano avuto l’allucinazione nella grotta! Mi trattava come fossi un’intrusa e mi parlava con falsa condiscendenza, come si fa con i bimbi piccoli o gli ottusi.”

“Lei si stava intromettendo in un caso delicato!”

“Stavo solamente dando una mano.”

“Isaia è mai venuto nel suo studio, durante una seduta, a dirle come psicanalizzare i suoi pazienti? E in quanto gesuita e direttore spirituale, avrebbe pieno diritto di dare consulenze a chi ha disagi.”

“Vogliamo parlare del fatto che abbia tentato di uccidere Gabriel?”

“Vogliamo parlare del fatto che Isaia aveva intuito quel che è poi effettivamente successo?”

Teresa guardava esterrefatta le altre due donne che discutevano così animatamente.

“Non credi anche tu che sarebbe stato meglio se Gabriel fosse morto in quella cripta, piuttosto che combinasse tutto questo?”

Claudia la guardò con una certa ira: non voleva ammetterlo, ma sapeva che aveva ragione l’altra.

“Beh, allora, se nella cripta aveva il coraggio per ucciderlo, perché, ora, non lo fa? Perché è sbagliato!”

“Perché ucciderlo nella cripta avrebbe significato salvare la sua anima, se lo ammazzasse ora, invece, non solo Gabriel finirebbe all’Inferno, ma Gedulah, la sephirot che dovrebbe essere dell’amore, rimarrebbe dell’odio e continuerebbe lo stesso a causare problemi. È un principio universale non lo si può imprigionare od uccidere, è eterno, potente, lo si può solamente tirare da un lato o dall’altro. Uccidere Gabriel, ora, non metterà il mondo in salvo: bisogna, appunto, farlo rinsavire.”

“Eh va bene, se è per questo, posso accettare di collaborare ancora una volta con Isaia.”

“Perfetto, mi sa che dovremo aspettare domattina, prima di riunirci a discutere. Ovviamente, non dovremo farci notare, per cui, a colazione, chiederai a Gabriel di andarti a procurare non so che, inventa quel che ti pare, basta che lo tenga lontano dal Vaticano per qualche ora, giusto il tempo per elaborare la nostra tattica.”

Claudia sorrise ed annuì.

Il mattino seguente, riuscirono quindi a riunirsi le tre donne ed Isaia, al cospetto della testa di San Giovanni. La reliquia impressionò alquanto le due psicologhe. Il gesuita iniziò a parlare: “Dottoressa Munari, mi è stato riferito che lei nutre una certa avversione nei miei confronti, antecedente sia all’attacco al Centro d’Ascolto, a me ascritto, ma rispetto al quale sono del tutto estraneo, sia alle vicende della cripta. Ci tengo a precisare che io non ho nulla contro di lei. Certo, non mi fa piacere la sua totale mancanza di fede, nonché il fatto che lei abbia cercato di trovare cause più fantascientifiche che non scientifiche a diversi dei casi che abbiamo analizzato; sottolineo che la presenza dei fenomeni paranormali è rimasta anche dopo le sue soluzioni. Nonostante le divergenze nella metodologia d’approccio, se sono stato scortese con lei in passato, la motivazione è presto spiegata: lei era fonte di distrazione per Gabriel che ha fatto il tremendo errore di cercare in lei quello che solo Dio può dargli e ciò l’ha portato … beh lo sappiamo tutti.”

“Cosa? Stai dicendo che è colpa mia se Gabriel è diventato così?” protestò Claudia, confusa ed indignata, in quanto si era aspettata delle scuse.

“No. La colpa è solo di Gabriel che ha confuso i fini, i mezzi e molto altro. Ha lasciato che l’attaccamento per lei lo vincesse e, soprattutto, nel momento di sfiducia e disordine, ha preferito accontentarsi di chi gli poteva dare risposte immediate e concrete, ma non esaustive, piuttosto che affidarsi a Dio.”

Isaia avrebbe potuto aggiungere anche il fatto che si era sentito totalmente escluso e messo da parte, che lo aveva ferito il fatto che Gabriel, una volta conosciuta Claudia, lo aveva praticamente tagliato fuori dalla propria vita; tuttavia non gli sembrò opportuno farne parola.

Claudia sbottò: “Oh, insomma, siamo qui per trovare una soluzione, sì o no?”

“Certo, dottoressa Munari e, infatti, lo stiamo già facendo. Bisogna conoscere le cause per poter risolvere, anziché eliminare, il problema. Ho ragionato a lungo e sono arrivato a una conclusione, ve la espongo e poi mi direte i vostri pareri. Gabriel ha commesso l’errore di anteporre gli interessi di un gruppo al ben’essere comune e non si fa molti scrupoli nell’agire. Il suo vero punto debole, tuttavia, è l’amore-passione, l’amore-ossessione che nutre per la dottoressa Munari. Se mi permettete l’espressione colorita: è più rimbecillito di Rinaldo nel giardino di Armida. Penso che abbiate visto tutti quanti come Gabriel sia praticamente alle dipendenze della Munari e di come l’assecondi in tutto e per tutto. Io credo, dunque, che la soluzione sia riuscire a far sì che Gabriel anteponga il bene ai capricci della dottoressa.”

“I miei non sono affatto capricci!” Claudia era piuttosto indispettita.

“Mi lasci finire. Il punto è che per far dir dei no a Gabriel, dopo tutto quello che ha già fatto, ci vogliono davvero delle richieste esagerate; dunque, se voi siete d’accordo con questa tattica, dobbiamo metterci a pensare qualcosa di sufficientemente orribile, crudele ed insensato che perfino Gabriel non potrebbe tollerare. Ovviamente, lei, dottoressa Munari, dovrà rendersi il più insopportabile possibile.” e nella propria mente aggiunse: non le sarà difficile.

Discussero per un’oretta e decisero di mettere in atto il progetto quel pomeriggio stesso: meno tempo si perdeva, meglio era, inoltre sarebbe stato più semplice trovare la maniera di ritrovarsi senza Serventi e Stefano ad intralciare la loro opera.

“Funzionerà?” chiese Michela ad Isaia, quando rimasero soli nel loro appartamento.

“Lo spero, in ogni caso, noi saremo lì, pronti a fermarlo, se dovesse andar male.” poi si volse verso la reliquia “Tu, Giovanni, cosa ne pensi?”

Il Battista sembrò annuire con le sopracciglia e rispose: “Sembra una buona idea. Se le tue intuizioni circa le motivazioni di Gabriele sono giuste, allora dovrebbe essere certa la buona riuscita. Vedremo più tardi.”

“Come fai ad essere così tranquillo?!” si stupì Isaia.

“Oh, quando avrai la mia età e ne avrai viste di cose passare su questa terra, avrai un atteggiamento del tutto diverso, te lo assicuro. Ora, scusa, puoi andare ad aprire la porta, che sta arrivando un mio amico?”

Michela e Isaia si scambiarono un’occhiata stupita e perplessa. L’uomo andò ad aprire l’uscio e si trovò davanti il piccolo Immanuel che stava per bussare; sapeva che era anche lui in Vaticano, lo aveva gi rivisto e gli aveva parlato.

Il ragazzino sorrise e disse: “Ciao Isaia. Ieri pomeriggio sono venuto a chiacchierare con Giovanni, senza avvertirti, spero che la cosa non ti dispiaccia.”

“No, figurati …!” l’uomo era abbastanza sorpreso.

“Era da molto tempo che non lo vedevo, quando ho sentito che era qui, sono dovuto venire a salutarlo.”

“Non confondergli le idee!” esclamò il Battista “Adesso deve concentrarsi sul recuperare Gedulah. Dopo, risolta questa faccenda, potremo parlargli di altro.”

“Ma …” tentò di dire Isaia.

“Visto? Lo hai già lasciato basito. Vieni qui e parla con me, loro due lasciamoli andare.”

“Sì, solo un momento.” disse Immanuel, poi guardò gli altri due “Venite, prendiamoci per mano e stiamo in cerchio.”

Né Isaia, né Michela fecero domande e si avvicinarono.

Giovanni borbottò: “Ecco gli svantaggi di non avere le mani.”

Immanuel lo guardò come per dire: non ti escludo mica!

I tre formarono il cerchio attorno al tavolino su cui era posta la testa del Battista.

Il ragazzino disse: “Io so che in questi giorni siete molto tesi e preoccupati. Scossi da sentimenti non sempre puri, come la rabbia, l’impotenza, la fretta e simili. Siete circondati da falsità, ovunque vedete solo gente lontana dalla verità e, in un simile clima, è difficile rimanere sul retto sentiero anche per voi, nonostante stiate facendo il possibile. Ricordate, per quanto la bontà e l’onestà possano deludervi nei risultati e vedrete all’apice gente indegna e malvagia, non abbandonatevi. So che sapete queste cose, ma ogni tanto vanno ricordate. Voi state difendendo Hod e Netzah, quindi anche Yessod, loro sono con voi, loro vi sostengono e vi aiutano ad accostarvi a Dio. Non abbiate timore. Andate avanti.”

Chiusero poi gli occhi e avvertirono un’energia pura e luminosa … dapprima la sentirono scaturire in sé stessi e poi diffondersi, ma poi incrociò quelle degli altri, poi percepirono quella di Giovanni che nasceva nel centro del cerchio e poi dall’alto, dal basso, da est, nord, ovest, sud, da ogni parte! Un’energia che permeava tutto. Quando sciolsero il cerchio, Isaia e Michela non si sentirono più forti, bensì più leggeri o puliti, come se avessero fatto un bagno purificatore che aveva lavato via tutte le energie negative scaturite dai loro pensieri e dalle loro emozioni negli ultimi giorni. Come un battesimo.

I due, poi, uscirono dalla stanza, lasciando soli Giovanni ed Immanuel. Si recarono da Niklos e Giorgio e rimasero con loro fino all’ora di pranzo; ovviamente giocarono col bambino, ma soprattutto parlarono a lungo con lo stregone.

A tempo debito, si ritrovarono con gli altri a pranzo e fu allora che il piano iniziò ad essere messo in atto: Claudia espresse il desiderio di trascorrere il pomeriggio con Gabriel e i loro amici in giardino, a rilassarsi.

“È da tanto che non trascorriamo una giornata tranquilla!” spiegò “Tu sei sempre preso da tuoi impegni! Resta un po’ con me oggi … In cortile ho fatto preparare le sedie a sdraio, stiamo lì, tranquilli, a goderci il Sole, prima che la stagione peggiori, io, te, Teresa, Isaia e la sua amichetta …”

“E io?!” protestò Stefano.

“Non ti voglio tra i piedi, Coso.” disse seccamente Isaia.

“Esatto.” Claudia non diede al ragazzo il tempo di replicare “Già tu ed Isaia vi sopportate a mala pena a pranzo e cena, non voglio che vi mettiate a discutere, rovinandomi il pomeriggio. Quindi tu non verrai.”

Stefano si dispiacque un poco, ma Gabriel rimediò affidandogli un compito di una certa importanza.

Nel primissimo pomeriggio, appena finito il pasto, i cinque si recarono nel giardino preparato per il pomeriggio e si misero comodi. Gabriel prese due sedie a sdraio e le accostò, per poter stare vicino, attaccato a Claudia. Isaia lo imitò e, una volta preso posto, allargò le braccia per accogliere e stringere a sé Michela, la quale aveva intenzione di godersi appieno quel momento: se fosse andato tutto come programmato, probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che l’uomo l’avrebbe coccolata.

Teresa si mise a sedere da sola, vicino al tavolino con i bicchieri e un secchiello di ghiaccio per tenere in fresco le bevande.

Dopo non molto, Claudia sospirò e disse: “Sì, ora si sta davvero bene, mica come stamattina!”

“Cos’è successo stamattina, amore?” chiese Gabriel, apprensivo.

La donna indicò Michela e con sdegno disse: “I suoi cugini hanno schiamazzato in cortile per tutto il tempo! Io ero in casa, al terzo piano, tentavo di leggere e non riuscivo a concentrarmi, per via della confusione che facevano: mi è venuta un’emicrania tremenda.”

La ragazza scosse il capo e ribatté: “Che ci vuoi fare? Sono ragazzi, giocano, è normale!”

Isaia, continuando ad accarezzarle i capelli, borbottò: “Si, ma se abbassassero il volume non farebbero male.”

Gabriel allora disse, tra lo sprezzante e l’ordine: “Hai capito, ragazzina? Sia Claudia che Isaia sono infastiditi da quegli schiamazzi, per cui, visto che ripeti sempre che sono una tua responsabilità, vedi di farli stare più calmi.”

Claudia intervenne piuttosto veemente: “No! Devono smettere per sempre, devono essere uccisi. Questo posto sarebbe la pace dei sensi senza le loro urla e la mia testa ringrazierebbe all'infinito.”

“Non stai esagerando?” si stupì Gabriel “Michela dirà loro di calmarsi, non c'è motivo di ucciderli.”

“Si, invece, che c'è!” insisté la psicologa “C'è eccome! Da quando ci sono loro, ho un'emicrania pazzesca che non  accenna ad andarsene e non posso nemmeno prendere farmaci perché sono incinta, quindi non rimane altra scelta che farli fuori, Gabriel! Se davvero mi ami e faresti qualsiasi cosa per me, poni rimedio a questo problema!”

“Potremmo semplicemente trasferirli altrove.” fece osservare Michela.

“Non si risolvono i problemi, trasferendoli altrove.” Claudia mise una mano sulla spalla dell’amato “Gabriel, tu sai cosa fare e come.”

“Claudia, amore, proprio perché sei incinta non dovresti neanche lontanamente pensare di uccidere bambini.” era piuttosto basito.

“Gabriel, per caso ti stai rifiutando di soddisfare una mia richiesta?” lo apostrofò lei e poi aggiunse: “Io non voglio che mio figlio cresca in mezzo a quei bambini, che gli faranno dispetti con quei brutti trucchi.”

“Ma, Claudia, questa non sarà la nostra sistemazione fissa per il futuro. Appena la situazione sarà più consolidata, smetteremo di usare il Vaticano come quartier generale o caserma. Potremo decidere se rimanere qui, oppure vivere altrove, che so, il Quirinale o il Campidoglio o quel che preferirai! Quei bambini non verranno certo con noi, tutt’al più dovrà sopportarli Isaia.”

“Oh, andiamo! Tu vorrai sempre che il tuo caro amico abiti al massimo dal l'altro lato della strada. Isaia si porterà dietro Michela che sicuramente vorrà avere vicino i suoi cugini e noi ce li ritroveremo tra i piedi.”

“Veramente, pensavamo di andare a vivere nella villa dei suoi parenti.” li informò Isaia.

Gabriel si rivolse a Claudia: “Visto? Le tue preoccupazioni sono infondate. Ora, per favore, smettila.”

Isaia e Michela si guardarono, lieti che il piano fosse avviato bene e che i primi effetti fossero quelli attesi.

Claudia non si diede per vinta e, piagnucolando, disse: “Gabriel, accidenti, ho bisogno di una cosa e tu...”

Gabriel era dispiaciuto nel vederla così, meno convinto disse: “Claudia, ho detto no. Tutto questo noi lo stiamo facendo per la gente coi poteri, non è giusto che ci mettiamo ad ucciderci tra di noi. Noi dobbiamo essere uniti contro i gli inferiori, che sono molto più numerosi di noi.”

Claudia continuò a tenere il broncio, allora Gabriel si lasciò un poco vincere e disse: “Facciamo così: adesso Michela farà in modo di tenerli più buoni. Se non ci riuscirà, prenderò provvedimenti come vuoi tu.”

Claudia fece una smorfia per far capire che si strava accontentando; poi si voltò verso l’amato, gli mise le braccia attorno al collo e con voce seducente, chiese: “Tu, come nuovo signore del mondo, vorrai avere la donna migliore, vero?”

“Certo! Ce l'ho già!” rispose lui e la baciò.

Claudia si sollevò e si mise a sedere, commentando: “Mh, non credo proprio...non esteticamente, almeno …”

Gabriel le carezzò la schiena e la rassicurò: “Non mi dirai che ti manca qualcosa?! Sei bellissima!”

“Oh, dici così solo per compiacermi.”

“No, non è vero! Dico sul serio. C'è qualche problema?”

Intervenne Teresa: “Claudia, della chirurgia plastica non hai proprio bisogno. Stai bene così.”

“No, Teresa, non pensavo alla chirurgia plastica; non voglio innesti su di me, pensavo a qualcosa di diverso...

“Cioè?” chiese l’altra psicologa, perplessa.

Con una certa noncuranza, Claudia disse: “Penso che qualche cicatrice su un visetto troppo carino, non guasterebbe.”

Gabriel ragionò un attimo e concordò: “Questo è anche ragionevole.”

“A dir poco!” continuò Claudia “Ho sempre sognato di vedere quei bei faccini, che fanno le pubblicità di rossetti e creme, sfigurati, che so, da ustioni di terzo grado, graffi..., mi spiego?” rise.

L’Eletto annuì: “D'accordo, quando vedi una che ti sembra troppo carina, tu me lo dici e io agisco.”

“No, non in questo modo...” puntualizzò Claudia “Dovrai andare tu in giro e uccidere o sfigurare qualunque donna più bella di me.”

“Ho la conquista del mondo a cui pensare! E poi come faccio a sapere se una è più bella, se tu mi sembri la migliore?!”

“Oh insomma, Gabriel io non voglio avere rivali, lo vuoi capire?!”

Gabriel, perplesso, disse: “Ma non hai rivali, per me ci sei solo tu!”

Claudia, con una certa malinconia, preoccupazione, piagnucolando, ribatté: “Non è vero!!! Sai che non sarà sempre così! Un giorno troverai una più bella di me e mi tradirai e non dire a me che non succederà mai, perché la crisi di mezz'età viene a tutti gli uomini se non lo so io che sono psicologa...!”

“Amore, questa è semplicemente una tua fissazione.”

“Non è una fissazione, Gabriel, è la pura e sacrosanta verità. Non ce la faccio a vivere con questo terrore che mi opprime!!!” sembrava isterica.

Gabriel l’abbracciò e con tono comprensivo e dispiaciuto, chiese: “Mi spieghi di quale terrore parli? Amo te e basta. Le altre donne possono essere sensuali quanto vogliono, ma non prenderanno mai il tuo posto!”

Isaia ghignò e disse: “Munari, devi capire che Gabriel davvero non considera il fattore bellezza  fondamentale. C'eri anche tu quando ha rifiutato di perquisire la mia donna, perché interessato solo a te, rinunciando così a toccare delle tette vere.”

Claudia sgranò gli occhi, furiosa e basita.

Michela, sorpresa pure lei, lanciò un’occhiataccia ad Isaia.

La psicologa si riprese e minacciò: “Allora spera ch'io non chieda a Gabriel di tagliare i seni alla tua ragazza.”

“Glielo impedirei con tutte le mie forze. Le tette della mia donna non si toccano.” dicendo ciò Isaia strinse così gelosamente la giovane a sé che quasi le fece male.

Claudia lo prese in giro: “Mi pare che Niklos e Stefano le abbiano toccate più di te!”

L’uomo ribatté severamente: “Non mi toccare questo tasto, per favore, soprattutto riguardo Coso!”

Claudia lo rimbeccò: “Così impari a fare certe osservazioni.” poi guardò Gabriel e gli chiese: “Allora, mi farai stare più tranquilla e farai in modo che non ci sia donna più bella di me?”

“Sfigurare o uccidere qualche passante non è un problema, ma non posso metterlo come priorità.”

Michela e Teresa si scambiarono un’occhiata poco convinta, vedendo Gabriel troppo incline ad assecondare Claudia in quella follia; dovevano aspettare che la donna esasperasse ancor di più la richiesta, per sperare in un rifiuto da parte dell’Eletto.

“Perché ce l'hai con me, oggi? Dici che non devo preoccuparmi, che mi ami, ma non si direbbe affatto, visto che è il secondo favore che mi rifiuti, nell’arco di pochi minuti.”

Gabriel sospirò non poteva vederla triste! Quindi disse: “Claudia, ascoltami, so che spesso le donne, durante la gravidanza, dicono cose che non pensano. Se, dopo che sarà nato il bambino, sarai ancora di questo parere, rivaluterò la faccenda.”

Claudia non sembrava entusiasta, ma si rassegnò. Si rimise sdraiata accanto a Gabriel ma, dopo poco, arricciò le labbra, si guardò intorno e sospirò: “Ecco, ho di nuovo una voglia... questo bambino mi farà diventare un pallone!

“Dolci?” chiese Gabriel, premurosamente.

“No, qualcosa di diverso …”

“Ovvero?”

“Carne. Qualcosa di tenero, tenero …”

“Tagliata al sangue con rucola e parmigiano?”

“No, sono stufa di manzo e della solita roba.” rispose lei, seccamente “Qualcosa tipo agnello, ma diverso.”

“Pollo?”

“No, stavo pensando...” Claudia si mordicchiò il labbro inferiore “Arthur dice che la carne umana è squisita …”

“Cioè, adesso stai pensando di diventare cannibale?!” si stupì Gabriel “Arthur è un pazzo, più belva che uomo, non devi dargli retta!”

“Uffa! È solo una curiosità, uno sfizio! E poi avremmo risolto il problema di dove mettere i cadaveri delle donne più belle. Perché mi guardate cosi? Non è detto che mi piacerà. Potrà anche farmi schifo! Voglio comunque provare.” era ferma e irremovibile “Ma niente adulti, al momento, troppo stopposi, credo.”

“Vuoi metterti a mangiare bambini?” Gabriel non riusciva a credere possibile che Claudia pretendesse una cosa del genere.

“Sì: la carne è più tenera, però dev'essere sotto i cinque anni, altrimenti poi è troppo grosso.”

“Quindi... bimbi appena nati?” non si capiva se Gabriel fosse ancora basito, oppure se cercasse di capire che cosa doveva procurare all’amata.

“No, non proprio appena nati, se no non c'è sostanza.” Claudia ragionò qualche momento e arrivò a una conclusione: “Tre anni vanno più che bene! Sì, direi che sono l’ideale.”

Un’ombra di preoccupazione per Giorgio si dipinse sul volto di Michela che cercò la mano di Isaia per stringerla e sentirsi un poco rassicurata.

“Tre anni?” ripeté Gabriel, basito.

“Sì, sono teneri e pasciuti.”

“Dove pensi che possiamo prenderlo un bambino di tre anni per fartelo mangiare? È assurdo!”

Claudia si voltò su un lato, guardò subito Michela, la indicò e disse: “Beh, c'è suo figlio. Ha tre anni... ed è tenerissimo!”

“Quindi vuoi spezzatino di bambino, per cena, stasera?” non si capiva se Gabriel fosse ironico o serio.

“Precisamente, il suo.”

Claudia continuava guardare fissa Michela, che era molto preoccupata e si stava agitando, mentre Isaia la stringeva forte al proprio petto, molto forte, quasi da farle male.

Gabriel aggrottò la fronte chiese: “Vorresti che uccida il moccioso di Niklos? Ma dopo dovrò averlo sempre tra i piedi! Almeno, adesso, si distrae e non mi irrita di continuo, come faceva i primi tempi!”

Claudia sbuffò e gli fece notare: “Niklos, magari, senza bambino se ne andrà finalmente via e suppongo che a Isaia non dispiacerà levarsi dai piedi un marmocchio non suo.”

“Puoi ben dirlo, Munari!” disse con una certa soddisfazione Isaia.

“Cosa?!” chiese Michela, sconvolta, voltandosi verso l’uomo.

Isaia con semplicità spiegò: “Non mi dispiacerà affatto togliermi dai piedi quel moccioso: voglio solo figli miei, del mio stampo.”

Claudia tranquillamente concluse: “Perfetto, allora, Gabriel ha carta bianca.”

“Certo. Fai pure, fratello!”

“Non capisco questa ritrosia.” constatò Claudia “Odi lei, odi Niklos, dovresti averci un certo gusto nell’uccidere quel moccioso.”

Gabriel si fece alquanto serio e disse: “Ragazzi, questo discorso è... assurdo. Non sta né in cielo, né in terra ch’io mi metta ad uccidere bambini.”

“Su sono d'accordo pure io!” si spazientì Isaia.

Michela provò a protestare, ma l’uomo le intimò di tacere con fare aggressivo e lei era sull’orlo di piangere.

“Non esagerare con la cottura, così la carne rimane tenera.” si raccomandò Claudia.

“Vuoi farlo anche al sangue?!” Gabriel era incredulo.

“Se non lo fai tu, ci penserò io.”

“Ma che fai , la incoraggi??? Volete davvero che uccida un bambino?!”

Isaia, pacatamente, gli ricordò: “Hai ucciso tante persone, anche quegli innocui vecchi, che problemi ti fai per un bambino?”

“Quella è tutt'altra cosa!”

“Perché? Giorgio sarà mangiato, c'è pure un motivo, mentre i vecchi sono morti per il solo tuo gusto.”

“Quelli non sarebbero serviti a nulla! Vuoi mettere un bambino che ha tutta la vita davanti?”

“Sì, voglio metterlo, visto che non è mio! Ora, se non hai altro da aggiungere, vado a prendere il moccioso.”

Isaia si alzò e velocemente se ne andò; fu tanto rapido che Michela non fece in tempo a fermarlo e le sue urla non servirono a nulla. La ragazza, disperata, si rivolse alla psicologa: “Claudia, ti prego, non il mio Giorgio … ce ne sono tanti di bambini, prendine un altro, ma lasciami il mio!”

Gabriel si infuriò: “Come?! Protesti solo perché è tuo figlio? Dovresti dirle che non si possono mangiare bambini, punto e basta!”

“Sei stato tu, Gabriel, a costringermi, con le tue punizioni, a smettere di difendere gli altri.” gli ricordò la ragazza.

Poco dopo Isaia tornò tenendo in braccio il bambino, gli sussurrò qualcosa all’orecchio, poi lo fece scendere davanti a Gabriel; mentre lui tornò a sedersi, serrando tra le proprie braccia la ragazza che stava già per alzarsi in piedi per andare dal figlioletto.

Gabriel rimase fermo, in silenzio: non poteva fare una cosa del genere.

Claudia lo esortò: “Dai, sbrigati!”

Isaia aggiunse: “Guarda che non scherzavo, poco fa. Se sei troppo buonista, lo farò io.”

Michela cercò di divincolarsi, disperata, ma Isaia la trattenne, strinse ancora più forte l’abbraccio in cui la imprigionava e le disse all’orecchio: “Stai buona, tu. Non crederai mica che cresca un figlio non mio, spero!”

“Gabriel, muoviti!”

“Gabriel, io lo farò soffrire atrocemente, questo moccioso, se non ci pensi prima tu.”

Gabriel sentiva addosso tutta la pressione che gli stavano facendo quei due. Sarebbe stato facile porre fine a tutto ciò, facendo ciò che gli chiedevano, ma lui non voleva! Non sapeva cosa fare, non voleva neppure deludere Claudia, si portò le mani alla testa e chiuse gli occhi.

Isaia lo apostrofò: “Perderai il mio rispetto, Gabriel. Ti dico solo questo. Sei stato tu ad insegnarmi la vera libertà, quella priva di scrupoli, quella senza alcuna morale … e ora ti tiri indietro?!”

Claudia gli fece eco: “E, soprattutto, perderai anche il mio di rispetto, che è ben peggio, non credi?”

Gabriel tese le mani in avanti, verso il piccolo, ma gli tremavano.

“NO! GIORGIO NO, VI PREGO!!!” si disperava Michela.

“Non la ascoltare! Fai ciò che devi!” insisté Isaia.

“Gabriel, so che ne sei capace! Friggi il moccioso che ho fame, maledizione!”

Giorgio iniziò a piangere a dirotto, spaventato.

L’uomo non si decideva.

Claudia lo esortò ancora: “Gabriel entro l'anno, magari, o almeno prima che mi torni l'emicrania!”

Gabriel guardava il bimbo piangere e, a sua volta con le lacrime agli occhi, non ce la faceva proprio a scatenare il potere.

Isaia lo schernì: “Non ti farai mica intenerire dal pianto di un moccioso?!”

Gabriel serrò i pugni, tremante, le lacrime iniziarono a rigargli le guance. Non riusciva proprio. Sapeva che quello che gli stavano chiedendo i suoi amici era amorale, insensato, folle ai limiti dell'immaginazione: perché uccidere un bambino per mangiarlo? Perché uccidere un bambino, poi?

Anche se è figlio delle persone che detestava di più, era comunque, un gesto privo di logica ed etica. Perché, allora, non si stava opponendo di più? Perché si stava lasciando convincere?

“Gabriel, conto fino a tre.”

Gabriel chinò il capo, cercando di trattenere le lacrime ma senza riuscirvi.

“Uno ...”

Gabriel riprovò, aprì la mano, ma essa tremava più di prima.

“Due …”

“NO!” urlò Gabriel, abbassando le braccia “Non... posso farlo... è un bambino! Non potete chiedermi di fare una cosa simile! È sbagliato … è tutto sbagliato …”

Gli altri quattro, che avevano gli occhi puntati su di lui, notarono che i tratti di Gabriel stavano cambiando, tornando ad essere delicati, tondi, umani, senza alterazioni strane e anche la carnagione si fece più naturale.

Gabriel piangeva e diceva: “È tutto sbagliato! Uccidere quella gente …! … le torture, le punizioni … Tutto, tutto sbagliato!” era come se per la prima volta si rendesse conto di ciò che aveva fatto nell’ultimo periodo “Non è giusto! No, no! Non è così che si fa … Che ho fatto?! Che ho fatto … ?!” pianse ancora più disperatamente, si accasciò a terra, pieno di orrore e vergogna per ciò che aveva compiuto “È colpa mia, solo mia! Dei crudeli egoisti e superbi al governo per colpa mia! La gente morta e quella sofferente: colpa mia! E ora … e ora anche Isaia e Claudia sono malvagi per colpa mia. Io, io li ho costretti a diventare così! È tutta una mia responsabilità …” batté i pugni sul suolo.

Claudia, intenerita e certa che ormai fosse tutto passato, si avvicinò a Gabriel e lo abbracciò, invece Isaia gli si mise accanto e gli disse: “Sei salvo, fratello mio!”

Gabriel alzò gli occhi, stupito, confuso, chiese: “Ma voi …?”

Isaia gli sorrise e spiegò: “Ho finto di essere cattivo. Faceva tutto parte del piano per risolvere la questione, senza ucciderti. Dovevo farti rinsavire … è stato necessario fingere …”

“Ma la strage di oppositori al Colosseo? Abbiamo ucciso quegli uomini, non solo io!”

Isaia si incupì: “Non potevo far saltare la copertura e...” sospirò “Ho dovuto farlo...”

Gabriel, già colmo di sensi di colpa, sentì pure il rammarico per aver costretto l’amico a compiere una simile atrocità.

“Tutto il resto è stata una sceneggiata pianificata a tavolino da me e lei.” Isaia indicò Michela, che non aveva voluto avvicinarsi, anzi aveva preso Giorgio e lo stava calmando.

“Per quella di oggi, Claudia e Teresa hanno dato il loro contributo, per escogitare le idee più crudeli possibili.”

Claudia aiutò Gabriel a rialzarsi e iniziò a raccontargli come fosse tornata in sé e varie altre cose.

Isaia si accostò a Michela, che ancora coccolava il figlio, accarezzò i ricci del bambino, dicendogli: “È tutto finito, Giorgetto, non piangere... Te lo avevo detto che lo scherzo sarebbe andato bene.”

Infatti, già dal mattino, avevano parlato di quella faccenda sia con Niklos che col bambino, per spiegargli che quel che sarebbe successo era soltanto un gioco, uno scherzo, in modo tale che non si spaventasse e non rimanesse traumatizzato.

“Io non ero in me …” sospirò Gabriel.

Michela lo contraddisse: “No, eri assolutamente consapevole di quel che stavi facendo.”

“Ma io non sono quello!” protestò l’altro.

“E invece sì che lo sei e devi smettere di negarlo.” ribatté la ragazza con decisione “Quando hai scoperto questo tuo aspetto, ormai due anni fa, ne hai avuto paura lo hai avvertito come qualcosa di estraneo da te, dunque con una sua volontà e incontrollabile. Lo hai negato, non ti sei preso cura di lui, non hai conosciuto una parte di te stesso e ora continui a dire che non ti appartiene. Invece tu sei anche quello. Provi ira, sei orgoglio e superbo: devi accettarlo. Non è disconoscendo i problemi, che li si risolvono, penso che Claudia ne convenga: devi ammettere di avere difetti e problemi, solo così potrai iniziare a correggerli. Solo conoscendoti a fondo e in ogni tuo aspetto, piacevole o disdicevole che sia, potrai imparare a governarti e a non lasciarti sopraffare dalle debolezze. Se ora fingerai di non essere stato realmente tu a fare ciò che hai fatto, ci sarà ancora il rischio che tu ceda all’egoismo, a Malkuth e che tutto ciò si ripeta. Riconosci le tue mancanze, accetta quel che sei, solo così potrai diventare padrone di te stesso.”

Claudia prese per mano Gabriel e gli disse: “Non so se realmente il tuo potere centri con questo, però il ragionamento che ha fatto è corretto. Io ti aiuterò, stanne certo.”

“Eh no!” esclamò Teresa, ridendo “Tu no di certo, visto che l’amore rende ciechi e ne abbiamo avuto una gran prova nelle ultime settimane.”

“Sta pur certa che ora ho imparato a non idealizzare.” rispose Claudia.

Isaia intervenne: “Scusate, ma penso che questa faccenda possa considerarsi secondaria. Ora c’è un problema di una certa rilevanza: come usciamo da questa situazione? Dobbiamo risolvere al più presto, prima che Serventi si accorga che il suo Eletto è rinsavito. Se permettete io vorrei che andassimo ad interpellare una persona.”

Guardò Michela e lei non ebbe bisogno della telepatia per capire che si stava riferendo a Giovanni, per cui disse: “Sì, hai ragione. Seguiteci.”

Così tutti e cinque e pure Giorgio andarono verso l’appartamento di Isaia e Michela.

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Capitolo 41
*** Riconciliazione ***


I due gesuiti e le tre donne andarono nell’appartamento, dove c’era la testa di San Giovanni. Michela teneva in braccio Giorgio; si era accorta che Niklos li stava osservando e seguendo da lontano: evidentemente aveva avuto paura per il figlio e li aveva spiati, per essere pronto ad intervenire, nel caso Gabriel non fosse rinsavito. La ragazza avrebbe potuto lasciare il bambino con lo stregone, dal momento che non era l’ideale tenerlo con sé, mentre pianificavano come agire; tuttavia temeva che Niklos, accorgendosi che presto le cose sarebbero cambiate, scappasse col piccolo: non poteva rischiare.

Durante il tragitto, Isaia appoggiò la mano sinistra sulla spalla di Gabriel e controllò la sua anima, per assicurarsi che fosse realmente rinsavito del tutto e che non ci fosse di che preoccuparsi al momento. Trovò l’amico di nuovo incline e propenso al bene e questo gli bastò.

Entrati nell’appartamento si accorsero che c’era ancora Immanuel, in realtà era come se il bambino li stesse aspettando.

Isaia fu il primo a salutarlo e, dopo che gli altri avevano fatto altrettanto, gli disse: “Scusaci, ma dovremmo parlare con Giovanni, potresti lasciarci soli con lui?”

“Voglio aiutare anch’io.” disse il bambino.

Isaia stava per dire: va bene, grazie, ma Gabriel fu più rapido: “Ti ringraziamo, ma non credo che tu, ora, possa …”

“Visto?!” esclamò Giovanni.

Gabriel e le due psicologhe sobbalzarono per lo stupore.

Il Battista continuò: “Te lo avevo detto, sono tutti così duri di comprendono!”

“Lo sapevo già.” sorrise il bambino “Gabriel, io posso restare, io devo restare.”

“Sei un bambino, non dovresti pensare a queste faccenda da adulti.” ribadì Antinori.

Intervenne Giovanni: “Gabriele, fammi il piacere di stare zitto. Con quel che hai fatto ultimamente, non sei di certo la persona più adatta per dire cosa sia meglio o sbagliato.”

“Veramente mi chiamo Gabriel, non Gabriele …” osservò, basito l’Eletto.

“Ti chiami Gabriele e non protestare.” ribadì il Battista.

Isaia disse all’amico: “Non farci caso e non irritarlo: ha le sue manie, ma è di una saggezza e conoscenza inequiparabili.”

“Bravo, Michele!”

“Perché ti ha chiamato Michele?” sbalordì Antinori.

Gabriel era già stupito per la testa parlante, poi i suoi discorsi lo stavano abbastanza meravigliando.

“Sai tutto il discorso delle sephirot?”

“Sì, me ne ha parlato la tua amica e poi pure Serventi. Che c’entra?”

“Ecco, i nostri principi, Geburah e Gedulah, nelle tradizioni giudica e cristiana si manifestano nell’aspetto degli arcangeli Michele e Gabriele, per questo Giovanni ci chiama così.”

“Aspetta! Ma, quindi, quella testa parlante è Giovanni il Battista di cui mi hai parlato?”

“Non è molto sveglio.” borbottò il santo “Strano che Alonso me ne abbia parlato così bene.”

“Scusate!” richiamò l’attenzione Michela “Potremmo saltare i convenevoli e andare al punto? Serventi potrebbe saltare fuori da un momento all’altro e io preferirei avere un’idea di come agire.”

“Giusto!” esclamò Giovanni “Se vogliamo rimediare alla svelta al caos causato da Gabriele, dobbiamo, non dico ottenere la stella bianca, per quello ci vorrà tempo, ma per lo meno far sì che tra di voi ci sia armonia. Al momento è palpabile il disagio e la tensione che ci sono tra alcuni di voi, per cui è essenziale, come prima cosa, che voi vi chiariate e riappacificate l’un l’altro.”

I quattro si guardarono, effettivamente c’era imbarazzo. Le uniche che non avevano bisogno di chiarirsi tra di loro erano le due donne.

Cominciò Isaia, rivolgendosi a Claudia: “Dottoressa Munari, prima, forse, non sono stato molto cortese con lei, nel cercare di motivare i miei atteggiamenti, me ne scuso. La verità è che, a parte il caso di Nadia e quello dei tre fratelli, ho sempre considerato utile la sua collaborazione con la Congregazione, avevo letto il suo libro e l’avevo considerato molto interessante, provando anche stima per l’intelletto che lo aveva elaborato. Restando nell’ambito lavorativo, i nostri dissapori sono stati originati dal fatto che entrambi vedevamo le due facce opposte della stessa medaglia e non volevamo venirci incontro; ora, grazie a quel che Michela ha insegnato ad entrambi, io so quanto la psiche possa influenzare e determinare i poteri e i fenomeni paranormali, mentre lei ha compreso come la mente possa agire al di fuori della normale scienza. Spero sinceramente che in futuro, anziché scontrarci, potremo trovare la maniera di far cooperare le nostre conoscenze, così come ha già fatto in passato con Gabriel.”

Claudia apprezzò molto e disse: “Grazie, Isaia, sono sicura che ci riusciremo. Io mi scuso per essermi talvolta introdotta in faccende che rientravano maggiormente nel vostro ambito e mi sono presa la libertà di comportarmi come da vostra collega, quando invece sarebbe stato meglio se mi fossi limitata ad osservare e fare domande con toni più modesti. Mi scuso anche per averti trattato talvolta con sufficienza perché ti credevo un bigotto legato solo alla forma e alla superstizione, senza rendermi conto della profonda consapevolezza e passione con cui agisci e ignorando gli orrori che devi aver visto e vissuto in qualità di esorcista.”

Isaia sentì una sorta di gratificazione per essere stato infine compreso, si sentì in dovere di aggiungere: “Dottoressa Munari, la divergenza di vedute non è stata la sola causa del mio atteggiamento freddo e distaccato. Confermo quanto detto stamane, ossia che la vedevo come una tentazione per Gabriel, ma oltre ciò devo confessare che io mi sono lasciato vincere dalla gelosia e l’invidia, in quanto Gabriel aveva smesso di consultarsi, confrontarsi e confidarsi con me, ma per qualsiasi questione, lavorativa o di coscienza, si rivolgeva solo a lei, lasciandomi fuori dalla sua vita.” queste ultime parole erano state dette con fatica e reprimendo sofferenza “Per cui mi scuso per aver scaricato su di lei il malumore causatomi da Gabriel e dal mio ego.”

Claudia rimase un attimo perplessa: non aveva sospettato che Isaia potesse sentirsi in quel modo, per cui riuscì a dire solo: “Mi dispiace, non credevo …”

Rimasero tutti in silenzio per qualche momento, poi fu Gabriel a parlare, rivolgendosi a Michela: “Penso di dovermi decisamente scusare per tutto ciò che è capitato da quando ho ceduto all’ira. Innanzitutto ti ho accusata ingiustamente di averci tradito e aver permesso l’attacco al Centro d’Ascolto. Inoltre, temo non ci sia modo di rimediare a quel che ti ho fatto patire qui, nelle ultime settimane. Spero mi perdonerai, sia per la questione delle dita spezzate, sia per …” si vergognava tremendamente e non riusciva a dirlo “Sia per … la questione di Stefano … Non c’è nessuna giustificazione per quello che ti ho costretta a subire … sono stato crudele … dimmi tu cosa posso fare per farmi perdonare!” aveva le lacrime agli occhi per il dispiacere.

La ragazza non riusciva a guardarlo con durezza: il passato non si poteva cambiare e Gabriel non avrebbe più fatto niente del genere; gli disse quindi: “Non è necessario che tu faccia nulla. Hai riconosciuto il tuo sbaglio, sei pentito … non posso volere di più.”

“Grazie …” rispose l’uomo, per nulla convinto; si rivolse poi all’amico: “Fratello, perdonami, ti ho umiliato tremendamente, mentre eri in cella … e ti ho fatto torturare … e praticamente ti ho costretto ad uccidere delle persone … sono stato tremendo ed odioso … scusami!”

Isaia vide nettamente l’amico in difficoltà e contrito; si ricordò quanto bene gli avessero fatto, in passato, in situazioni delicate e dolorose, gli abbracci di Gabriel, per cui si sforzò di stringerlo e gli disse: “Non ti preoccupare … Come ti ho detto in prigione, so che lo stavi facendo non per crudeltà, ma per amicizia.”

“Un amico non si comporta a questa maniera.”

“Ti stavi preoccupando e interessando a me, alla mia felicità, per quanto ne avessi un’idea distorta … Sai da quanto tempo non ti sentivo così vicino?”

“Che dici, Isaia?” si stupì Gabriel.

Claudia intervenne: “Ma come, non hai sentito quel che mi ha detto prima? Si è sentito trascurato.”

Gabriel aggrottò le sopracciglia e chiese: “Davvero?”

Per un attimo, Isaia lo guardò con malinconia, poi si sforzò di sorridere e disse: “Non ci pensare.”

“No, per favore, dimmi!”

“Ma, niente … Ti sei comportato come molti neoinnamorati fanno: sei stato tutto assorto nella Munari e hai trascurato i tuoi amici … e io ci sono rimasto male, perché mi pareva di non valere più nulla per te …”

“È per questo che insistevi affinché rimanessi nella Chiesa?”

“A parte che sono stato il primo a consigliarti di lasciare la Chiesa, benché abbia subito mutato idea e quando hai preso la tua decisione l’ho rispettata. Per il resto, quando ti consigliavo di affidarti alla Chiesa, intendevo dire di affidarti a Dio. Solo Lui può darci la pienezza, tutte le altre felicità sono riflessi di quella che Lui ci offre. Dio solo può indicarci sempre il giusto agire.”

“Te l’ha detto Dio di tentare di uccidermi, nella cripta?” aveva il suo solito tono arrogante di quando si sentiva seccato o provava un poco di risentimento.

“In parte. Lo so che per te è stato difficile affrontare tutta questa faccenda: scoprire il tuo potere, la sua doppia natura, la profezia e tutto il resto. Non è stato arduo solo per te. Io vedevo il mio migliore amico sempre più spaventato, sempre più chiuso in sé. Quando provavo a parlarti, o ti disperavi perché non capivi chi fossi, o sembravi prendere la questione alla leggera e mi offendevi e trattavi con sufficienza. Non hai ascoltato uno solo dei miei consigli. Il Direttorio faceva pressione. Tu stesso hai detto di ritenerti un pericolo e, nella cripta, almeno per un momento hai continuato a crederlo e per questo stavi lasciando che ti uccidessimo. Ho sperato fino all’ultimo che tu mi dessi un segnale per scorgere una possibilità di salvezza differente, ma non c’è stato e io avevo un dovere da compiere. Non mi avrebbe reso felice, non sarei stato orgoglioso, ma in quel momento non vedevo altre possibilità, era necessario per la salvezza comune.”

Gabriel sorrise e disse: “Avresti dovuto parlarne con Alonso e lui ti avrebbe detto una massima davvero importante: Quando ci si trova in un vicolo cieco, bisogna ricordarsi che non è il vicolo ad essere cieco, ma chi guarda.”

“Devo quindi chiederti scusa per il fatto di non aver avuto fiducia in te.” disse Isaia.

Gabriel ripensò a quel che l’amico gli aveva detto, ripensò ai mesi precedenti, al proprio atteggiamento e poi disse: “E tu scusa me per non averti dato motivo di averne. Hai ragione: ero terrorizzato da me stesso e detestavo parlarne, ignoravo ciò che avevo dentro di me, per paura di affrontarlo e di scoprirlo più forte. Mi sono comportato male e, totalmente concentrato su di me, non mi sono reso conto di come ti sentissi tu, delle tue difficoltà e di come la faccenda riguardasse non solo me, ma anche altri. Scusami per non essermi preoccupato anche di te, mettendoti in una pessima situazione.”

Non si dissero altro, si abbracciarono e basta.

“Bene!” esclamò Giovanni “Ora che vi siete pacificati tra di voi, è necessario che ciascuno di voi faccia pace con sé stesso e sia tranquillo, senza rimorsi o rimpianti. Dovete essere sereni per davvero e non solo perché state accantonando i vostri malumori.”

Claudia non sembrò molto convinta e osservò: “Per questo genere di cose occorrono mesi di psicoterapia, non vedo come adesso, in pochi minuti …”

“Ora capisco perché Isaia ti sopporta a stento.” la interruppe il Battista “Sei Binah! Hai un potere che ti permette di rimuovere i traumi, stai tranquilla che riuscirai anche a quietare gli animi di tutti voi. In più anche Chohmah contribuirà, vero?”

Michela annuì e affermò: “Dicci cosa dobbiamo fare di preciso.”

“Formate una croce, ognuno al suo punto cardinale, mi raccomando! Al centro ci saremo io ed Immanuel; poi rilassatevi e … bah, guidali tu in una delle meditazioni che conosci e trova la maniera di coinvolgere attivamente anche Binah e il suo potere.”

I quattro si disposero secondo le istruzioni, Immanuel prese tra le proprie mani la testa di San Giovanni e si mise al centro; Teresa rimaneva in disparte a guardare, tenendo Giorgio. Michela pensò che l’ideale potesse essere la meditazione sui chackra, per aprirli totalmente e sciogliere ogni nodo interiore.

Claudia aveva già usato la versione positiva del proprio potere per acquietare ed aiutare alcune delle persone dotate di poteri; non le fu, dunque, difficile fare appello ad esso per esercitarlo su di sé e gli altri, in modo tale che la pacificazione con sé stessi fosse totale.

Rimasero così assorti per oltre un’ora, ma alla fine erano sereni, si erano perdonati ogni errore.

“E ora, che si fa?” chiese Gabriel, quand’ebbero concluso.

“Penso che l’ideale sia neutralizzare Serventi e quelli che gli sono troppo leali o che credono fermamente in questa causa e in questi principi, dopo si può provare a ragionare con gli altri.” propose Isaia e gli altri accolsero bene il progetto.

Uscirono dalla stanza e si misero a cercare Bonifacio, con loro andò pure Immanuel, tenendo in mano la testa di Giovanni. Passarono vicino al grande cortile dove solitamente si esercitavano le persone coi poterei, circoscritto da un porticato dove ci si riposava e ristorava. Lo trovarono gremito di gente come al solito; stavano per passare oltre, quando andò loro incontro Stefano.

“Gabriel!” salutò il giovane “Dove state andan…” notò la testa, sgranò gli occhi ed esclamò, inorridito: “E quello?! Cos’è?!”

“È San Giovanni il Battista e, nonostante sia logorroico, suscettibile e molto altro ancora, è decisamente più simpatico di te.” spiegò Isaia.

“Ah, quindi questo è Coso!” esclamò la testa.

“Come?!” si offese il ragazzo “Hai parlato di me al Battista, chiamandomi Coso?”

“Sì, com’altro avrei dovuto chiamarti?”

Stefano si voltò verso Antinori per protestare: “Gabriel …!” si stupì di nuovo “Il tuo viso! È tornato … normale? Che cosa …?” era perplesso, forse un poco preoccupato o rattristato.

Gabriel mise una mano sulla spalla del discepolo e gli disse: “Stefano, abbiamo sbagliato tutto.”

“No.” scosse la testa il ragazzo “Non è vero …”

“Sì, invece: tutto questo è sbagliato.”

Michela intuì che stava per essere detto qualcosa di importante, dunque usò la sua magia per far sì che la voce di Gabriel risuonasse per tutta Roma, come se migliaia di altoparlanti fossero stati disposti per tutta la città; avrebbe voluto diffonderla anche oltre, ma non era abbastanza potente per riuscirci.

“Come puoi dire una cosa simile? Io credo in te, in questo progetto! Ti ho seguito, ti ho preso come guida e tu, ora …”

“Stefano!” lo interruppe Gabriel “Tu mi hai apprezzato prima che diventassi così, tu sei stato salvato dalla parte migliore di me; avevi preso a modello quel che sono anche ora e non come mi sono comportato nelle ultime settimane.”

“Non è vero! Tu non capisci, non sai nulla!” era offeso, deluso, smarrito “Dopo che mi hai aiutato a liberarmi dal tedesco che si era reincarnato in me, Serventi mi ha contattato, mi ha insegnato come usare il mio potere e mi ha parlato di te, della profezia e dei grandi destini a cui ci avresti condotto. Io gli ho creduto, io sono rimasto affascinato, ho visto in te l’uomo dato dal Fato all’umanità per progredire verso il meglio. Ti ho adorato come salvatore, ho visto in te la nuova speranza e nulla mi sembrava più bello che starti vicino e aiutarti, accompagnarti verso questa grandezza. Per questo mi sono iscritto nell’università in cui insegnavi, per questo avevo deciso di diventare sacerdote, per esserti accanto quando finalmente avresti capito quale fosse il tuo ruolo e avresti fatto tutto quello che hai effettivamente realizzato. Io credo in tutto questo, io credo in questo nuovo mondo e tu, tu che dovresti essere l’apostolo di tutto questo, dici che è sbagliato?! Non può essere … non capisco!”

“Stefano, se è questo folle dominio che desideri, allora non sono io la tua guida. Non sono la guida di nessuno! Io ho la mia vita, le mie esperienze, parlo tranquillamente ai miei studenti, ma non pretendo di essere seguito, né di essere preso come modello. Ognuno di noi ha la propria strada, i maestri ci aiutano a capire come superare gli ostacoli, come orientarci, ma la direzione la sceglie e la decide ciascuno di noi. Io non voglio essere un capopopolo o un leader che approfitta delle insicurezze, delle incertezze, delle paure, dei furori della gente e facendo leva su questi semplici istinti conduce le folle nella direzione che più gli fa comodo, facendole schiave della propria volontà, soggiogandole. Tu hai ragionato su quel che stava accadendo? Qualcuno di questi uomini e donne l’ha fatto? Avete riflettuto su quel che dicevo, sulle assurdità e crudeltà di cui mi riempivo la bocca? No; altrimenti qualcuno avrebbe protestato o se ne sarebbe andato. Siete, invece, rimasti qui ad obbedire in tutto e per tutto. Vi credevate liberi e, invece, eravate schiavi: schiavi delle mie parole. Avete preso per oro colato qualsiasi cosa da me detta, l’avete raccolta, custodita gelosamente in voi e poi ripetuta come tanti pappagalli, senza avere la minima idea di che cosa significasse davvero, senza vedere le reali implicazioni di tutto ciò. Avete deciso di seguire la strada più semplice, avete deciso di accettare tutto ciò che dicevo, senza prendervi la responsabilità di valutare quel che accadeva, di essere coscienti e consapevoli. Quel che vi proponevo era semplice, aboliva qualsiasi scrupolo e voi subito mi avete seguito, perché agli uomini fa piacere avere scuse per cedere alle tentazioni, senza rimpianti. Abbiamo sbagliato, abbiamo sbagliato tutti quanti. Io sono stato provocato, mi hanno incastrato in una pessima situazione, hanno ucciso persone a me care e ho ceduto all’ira. La colpa, però, non la posso imputare a chi mi ha fatto questi torti; la colpa è mia che non ho saputo resistere al dolore: sopportare la sofferenza era molto più difficile che cedere alla rabbia e vendicarmi, agire con violenza e continuare ad aggredire chiunque fosse per me ricollegabile a chi mi ha fatto soffrire. Il dolore a cui non ho retto, si è sfogato in questa orribile maniera. Ho sbagliato a credere che questo fosse giusto e voi avete sbagliato ad avere fiducia cieca in me.”

“Quindi non credi che il nostro dono ci renda superiore agli altri?” protestò Stefano, ancora smarrito.

“No, Stefano, assolutamente no. I nostri poteri sono doti che ci distinguono e che ci caratterizzano, ma che non ci rendono migliori rispetto a chi non ne ha. Essere un genio in matematica non è forse un potere? Imparare oltre venti lingue, non è un potere? Saper scrivere, recitare, aggiustare un auto od operare una persona, non sono forse poteri? La pratica e l’esercizio non bastano. Ognuno di noi è speciale in qualcosa, ha una virtù che lo differenzia da ogni altro, che lo rende unico. È facile dividere il mondo in fazioni, razze o religioni, così abbiamo un supposto nemico da usare come pretesto per sfogare il nostro malumore per addossargli le colpe che non vogliamo riconoscere come nostre. La verità, però, è quella che tutti gli animi puri e sereni hanno indicato: siamo tutti fratelli. Siamo fratelli e i fratelli tra di loro si accettano, si conoscono pregi e difetti e l’affetto non viene mai meno, ci si aiuta l’un l’altro. Così dobbiamo imparare ad essere noi uomini: fratelli, per quanto diversi, per quanto disaccordi, siamo pur sempre fratelli e dobbiamo essere pronti a darci una mano nelle difficoltà. L’unione e l’amore rivelano le vie di Dio: se siamo divisi, se ci combattiamo a vicenda, che cosa ci può essere a parte la distruzione? Collaborare, essere in armonia, invece ci conducono verso il progresso: gli opposti non devono combattersi, ma unirsi e generare il futuro. Non ci devono essere padroni, a questo mondo, ma solo servi. Ognuno sia servo di ogni altro e l’amore trionferà e la giustizia albergherà. Lasciate che l’intelligenza e la saggezza vi illumino e ognuno saprà come comportarsi per il bene.”

Tutti quanti avevano ascoltato quelle parole, tutti erano rimasti affascinati, ammirati e, ragionando su esse, si rendevano conto che davvero quella era la descrizione di un mondo puro ed ideale.

Quella voce giunse anche nelle catacombe Alonso e Sebastiano capirono che la guerra era finita e i loro cuori esultarono.

Isaia era stato felicissimo di sentire parlare in quella maniera l’amico: lui stesso non avrebbe saputo trovare parole migliori. Michela si sentiva sollevata, pensando che tutto il male fosse ormai alle spalle. Claudia era orgogliosa di quell’insegnamento.

Stefano sorrise, i suoi occhi verdi brillavano di una nuova luce, stava per dire qualcosa, quando improvvisamente Serventi comparve in mezzo a loro.

“Gabriel, che sciocchezze stai dicendo?” chiese seccamente Bonifacio, pur mantenendo la calma “Tu sei l’Eletto. Stamattina parlavi di dominazione totale e ora ti metti a predicare come l’ultimo dei deboli. Queste sono le parole di chi non ha potere e vuole impedire a chi ce l’ha di usarlo.”

“No.” replicò Gabriel “Queste sono le parole di chi sa che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Ognuno di noi è responsabile del benessere di tutti e non può esserci bene individuale che possa essere anteposto a quello comune. Isaia lo ha sempre saputo e io, non riuscendo a concepire ciò, l’ho accusato di essere un traditore. Gli ho sempre fatto battutine arroganti, perché in fondo ero invidioso di lui: lui era davvero liberò dalle passioni, io invece no.”

Serventi spostò lo sguardo sul gesuita e gli disse: “Quindi è opera tua, Isaia: sempre legato e pronto ad imporre quell’assurda serie di norme, totalmente arbitrarie, che chiamate giustizia. Questa è stata la tua ultima azione.” in un baleno appoggiò la mano sul petto di Isaia e diede alcuni tocchi coi polpastrelli “Quando Gabriel dimostrò di non volerti uccidere, mi sono illuso di poter realizzare un grande progetto, sfruttando anche te. Mi sono sbagliato ma, poco male, mi basterà la profezia.”

Isaia iniziò a tossire, si portò le mani al petto, avvertendo dolori lancinanti.

Serventi, poi, in una frazione di secondo fu davanti a Claudia e replicò quanto fatto al gesuita, dicendo: “L’altra volta ti ho lasciato qualche giorno di tempo, oggi invece la morte sarà quasi istantanea.”

La donna lanciò un urlo di dolore, tentò di appoggiarsi a Gabriel, ma poi cadde a terra.

“Che cosa hai fatto?! Perché stanno così male?”

Bonifacio sorrise e disse: “Hai tempo per usare il tuo potere soltanto su uno di loro. Scegli bene e alla svelta.” si voltò e si incamminò per andare via “In realtà poco importa la tua scelta, qualsiasi essa sia, il rimorso e il dolore ti ricorderanno chi sei veramente.”

Gabriel era esterrefatto: non si sarebbe mai aspettato nulla di tutto ciò! Guardò l’amata che gemeva, stesa a terra; guardò l’amico, anche lui accasciato, con Michela che si era chinata su di lui per aiutarlo.

Isaia guardò Gabriel e gli disse, tra i dolori: “Salva lei! È incinta, salverai due vite. Non pensare a me, sarò ben lieto di morire per tuo figlio.”

Gabriel lo guardò per ringraziarlo e dirgli addio, poi si chinò su Claudia.

Teresa trattiene Giorgio che vorrebbe andare dalla madre e dal gesuita.

Stefano si chiede se il proprio potere possa servire a qualcosa.

“Isaia …” sospirò Michela, stringendo tra le proprie braccia l’amato e tenendogli una mano.

“Grazie …” disse lui, concedendosi di guardarla con occhi innamorati “Hai mantenuto fede alla tua promessa: mi sei stata vicina fino alla morte …” sorrideva.

“Non dire sciocchezze!” esclamò lei, tristemente.

“Forse è meglio così … il nostro amore non avrebbe potuto essere coronato … avremmo sofferto … tu ora potrai essere felice …”

Michela scoppiò a piangere.

“No, ti prego, non piangere.” chiese Isaia “Voglio morire, vedendo il tuo bel sorriso.”

Lei rapidamente si asciugò le lacrime e si sforzò di sorridere.

“Sono felice di averti incontrata. Essere amato dalla saggezza … cosa si può volere di più?”

Michela non sapeva che dire, era grata per tutto quell’amore. Avvicinò il viso a quello di Isaia, lo baciò. Un ultimo bacio. Lui scosta indietro il capo, la guarda e la sua testa cade all’indietro. È morto. Ora la donna può piangere.

Intanto Claudia si era ripresa; Gabriel la stava aiutando a rialzarsi e si stava premurando che stesse bene. Accertatosi che la psicologa fosse perfettamente guarita, si voltò per vedere se fosse in tempo per salvare anche Isaia, ma lo trovò già privo di vita: Michela lo stringeva a sé, piangendo. Gabriel provò ugualmente ad usare il proprio potere, ma non riuscì neppure ad avere la visione della porta.

“Scusa … scusa …” balbettò lui, piangendo a propria volta.

Claudia si avvicinò all’amato per consolarlo.

Si fece avanti Immanuel, con un cenno disse alla ragazza di adagiare il corpo per terra, poi si chinò su di lui, avvicinò le proprie labbra all’orecchio sinistro del cadavere. Non si capì se gli sussurrò qualcosa o se si limitò a soffiare. Pochi istanti dopo, le palpebre di Isaia iniziarono a sollevarsi.

Isaia aprì gli occhi, sorpreso. Si mise a sedere, si guardò attorno, si rese conto di essere vivo e di stare bene. Vide Michela guardarlo con gioia e meraviglia, l’abbracciò forte e le disse: “Sono vivo … non so come, ma sono vivo.”

Gabriel era esterrefatto, riuscì a dire solo: “Immanuel! Com’è possibile che tu …?”

“Non fateci caso.” disse il bambino “Non potevo permettere che Isaia morisse.”

Immanuel fu ringraziato a non finire.

Si accorsero, poi, di avere tutti gli occhi dei presenti fissati su di loro. Gabriel sapeva che doveva ancora parlare: essi si aspettavano ancora che lui indicasse loro cosa fare.

“Chi ritiene che io abbia parlato giustamente, nel mio ultimo discorso e, come me, è pentito di ciò che ha fatto in queste ultime settimane, mi segua e andiamo a chiedere scusa ai nostri fratelli. Chi, invece, non è d’accordo, se ne vada: qua non c’è più spazio per la violenza e le sopraffazioni.”

Detto questo, Gabriel fece cenno ai suoi amici di seguirlo e assieme uscirono dal Vaticano, seguiti da tutti gli altri. Appena fuori, trovarono una folla già riunita: la gente era sorpresa, ma anche molto arrabbiata.

Gabriel si fermò e disse agli amici: “Restate qui, io vado a rimettermi al giudizio popolare.”

“No!” tentò di fermarlo Claudia “Ti linceranno! Non è giusto, tu, ora, non farai più del male.”

“Claudia, ho commesso degli errori e ogni azione ha delle conseguenze: devo subirle.”

“Fratello, vengo con te.” disse Isaia, avanzando di un passo.

“Non ne hai motivo!” replicò Antinori.

“La gente al Colosseo, le erinni …”

“Ti ho costretto io a farlo! Non è giusto che …”

“Fratello, quelle azioni sono state comunque mie.”

I due uomini avanzarono e si posizionarono a metà dello spazio che separava i cittadini dalla gente coi poteri. Sguardi d’odio e di furore provenivano dalla folla. Gabriel disse: “So che sono stato crudele e atroce con voi. Sono qui per subire qualsiasi pena vogliate infliggermi.”

Borbottii si levarono da una parte e dall’altra, ma non fece in tempo a formularsi nessun pensiero preciso. Giunsero infatti d’improvviso, come richiamati da qualcuno, i demoni e le erinni che erano stati creati.

Il panico iniziò a diffondersi tra tutti o quasi. Gabriel guardò Isaia che gli disse: “Io ritrasformerò in uomini i demoni, tu dovresti riuscire a fare altrettanto con le erinni.”

L’altro annuì col capo. I due uomini si gettarono in mezzo a quelle creature ed eseguirono egregiamente il proprio dovere. Nell’arco di un quarto d’ora circa, tutti i demoni e le erinni erano tornati umani. Erano stupiti di essere nuovamente nei propri naturali panni, ma sicuramente ne erano felici; alcuni di loro videro tra la folla dei loro parenti o amici e si affrettarono a raggiungerli.

Quel gesto mitigò parte degli animi della folla, ma non bastava certo ad assolvere Gabriel e i suoi sostenitori agli occhi dei cittadini, molti dei quali erano pronti a vendicarsi.

Fu allora che giunsero i gesuiti, le monache e buona parte degli occupanti della catacomba. Sebastiano corse a frapporsi tra i due gesuiti e la folla. Molti dei presenti riconobbero il giovane come uno dei loro più strenui difensori e si meravigliarono nel vederlo schierarsi a protezione di chi aveva, fino a quel momento combattuto.

Si fece poi avanti anche Alonso e prese a dire: “Hermanihermane!”

Michela decise di applicare anche con lui la magia per far risuonare la sua voce in ogni dove.

“Non abbiate odio per questi uomini, ma pietà! Non todo voi sono Cristiani o credono in Dio, quindi non ve ablerò de giusticia o misericordia de Dio, bensì vi ablerò del dolore de todos li hombre. Gesù disse: qui es senza pecato scagli la prima petra. Ora io ve domando, vi es tra voi qualcuno che non ha mai pecato? Ma, sopratodo, voi siete pentiti dei vostri pecati? O non li recognoscete come errori e ne andate fieri? Quanti di voi hanno sbaliato, mentito, se sono arabiati, hanno pichiato, rubato senza necessità, hanno anteposto i propri interessi a li affetti, a la fiducia d’altri e non sono afato despiaciuti di este azioni? Voi sapete quante persone avete fato soffrire? Quando guardate con odio e sospeto chi es diverso e lo tratate muy male … e non dite che non lo fate, porché non es vero. Todos voi maltratate continuamente moltisime persone e non ve ne rendete conto, siete fieri e pensate di esere buoni.”

Molti, tra la gente, si riconobbero in quelle parole e si vergognarono.

“Chi fa il male e non se ne acorge va fermato, ma es stupido, inutile e malvagio prendersela con chi es pentito.” indicò i due gesuiti “I mi hermani sono pentiti di ciò che hano fatto e il rimorso es qualcosa di atroce. Quanti de voi hanno provato sensi di colpa? Su, alzi la mano chi conosce il rimorso.”

Molti tra la folla sollevarono le braccia.

Muy bien. Voi conoscete alora il male del rimorso, le soferenze che se provano por la consapevolecia di aver sbaliato e non poter remediare; conoscete la vergogna e l’impotencia. Recordate la vostra soferencia per il senso de colpa por picole cose: es tremendo, vero? Imaginate, alora, quanto patiscono esti hombre por todo quelo che hano fato! Scometo che molti de voi non saprebero convivere con un simile remorso e si materebero. Quanti de voi, presi dai sensi di colpa, non volevano altro che il perdono di chi avevano ofeso e, otenutolo, continuavano a stare male? Se voi, ora, vorete vendecarvi e materete esti hombre, che cosa oterete? Nada! Lasciateli vivere afinché posano servire la comunità e rimediare in parte ai loro erori.”

Quasi tutti sembravano convinti da quelle parole. Rimaneva un solo ostacolo: i morti. Tutti quei morti invocavano vendetta, i loro cari non potevano tollerare, nonostante quei discorsi, che i loro assassini rimanessero impuniti.

Ed ecco il miracolo.

Centinaia di persone, arrivando da innumerevoli stradine, sopraggiunsero.

Grida di stupore, grida di gioia, svenimenti, il caos.

I cittadini, nei nuovi arrivati, avevano visto e riconosciuto tutti i loro cari defunti.

Incredibilmente, inspiegabilmente, ogni uomo, donna, vecchio, malato che era stato ucciso nelle ultime settimane, era resuscitato e andava ad abbracciare i propri cari. Inoltre, chi aveva malattie o infermità ora era assolutamente sano.

La gioia e il gaudio erano indicibili. Tutti si scordarono di Gabriel e di Isaia, non pensavano più alla vendetta: non era necessaria.

Michela era rimasta incredula come tutti gli altri, poi voltò il capo verso Immanuel: era certa fosse opera sua, ma lui appariva calmo.

Gabriel e Isaia furono abbastanza sollevati per quel miracolo. Ringraziarono calorosamente Alonso per le sue parole. Isaia abbracciò Sebastiano, lieto di rivederlo sano e salvo. Poi tornarono dagli altri, fu felicità e festa anche per loro.

Tutto era distrutto, tutto era da ricostruire. Ci avrebbero pensato il giorno dopo, quelle ore erano solo per la gioia.

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Capitolo 42
*** Epilogo ***


Nei giorni successivi a Roma e nel Lazio ci fu gran fermento per riprendere la vita di prima. Arrivarono i rifornimenti, tornarono le autorità, i politici ne approfittarono per farsi pubblicità; autorità di ogni religioni reinterpretarono in innumerevoli chiavi ciò che era accaduto.

Anche vescovi, monsignori e cardinali cattolici raggiunsero il Vaticano per decidere il da farsi, dopo che erano stati uccisi così tanti alti prelati. La prima cosa che fecero fu convocare un conclave per eleggere il nuovo pontefice.

Nell’attesa della proclamazione, Gabriel pensò fosse bene non farsi vedere in giro. Michela ospitò lui, Claudia, Isaia, Immanuel, Niklos e alcuni altri nella Villa della propria famiglia. I suoi parenti erano resuscitati assieme a tutti gli altri ed erano stati ben contenti di accogliere tutta quella gente.

Anche i Templari erano risorti, essi erano ben accolti da tutti; sì, era tornato in vita pure Fylan, ma passare qualche giorno all’Inferno gli aveva fatto cambiare decisamente atteggiamento e modo di vedere le cose. Sebastiano si occupava di tenere le comunicazioni tra loro ed Isaia.

Sebastiano ed Alonso erano ormai due figure di riferimento a cui tutti i religiosi (e non solo) si affidavano per la riorganizzazione; inoltre erano coloro che si erano contrapposti al male fino in ultimo e, quindi, erano considerati un po’ santi, un po’ eroi.

La fumata bianca non si fece attendere, incredibilmente ci fu appena dopo il primo scrutinio: quasi all’unanimità era stato eletto come nuovo papa Alonso.

Il suo modo pacifico di operare, la sua saggezza, la sua fede avevano impressionato tutti quanti e in lui si ravvisò la nuova guida per una Chiesa che doveva riprendersi da una dura ferita.

Alonso fu molto onorato da questo incarico. Chiamò allora Gabriel, Isaia, Michela, Claudia ad aiutarlo nel decidere quale impulsi e direttive dare alla nuova Chiesa; ovviamente non mancò alle riunioni San Giovanni che si dilungò parecchio e alla fine venne scelto come Consigliere ufficiale di ogni Papa che sarebbe venuto da lì in avanti.

Gabriel insisté parecchio affinché fosse abolito l’obbligo di celibato per i preti e l’ottenne, tuttavia non tornò a fare il sacerdote. Si costruì una finta identità (dopo quel che aveva fatto, non sarebbe stato certamente ben visto dalla gente, nonostante il perdono) e con Claudia aprì un nuovo Centro d’Ascolto per la gente dotata di poteri e col passare degli anni aprirono varie succursali, sia in Italia che all’estero.

Stefano aveva abbandonato gli studi di teologia e del seminario, aveva conseguito una laurea in psicologia e una in antropologia e aveva collaborato fin da subito con Gabriel e Claudia.

Isaia, invece, rimandò la decisione circa la vita affettiva a più avanti. Per oltre un anno si occupò di riformare i Templari e rivedere il loro tipo e metodo di intervento, rendendoli guerrieri di Dio, contro il demonio, ma senza uccidere indiscriminatamente, anzi cercando di indirizzare i malvagi fermati verso i Centri d’Ascolto.

Si tenne in contatto telepatico quotidiano con Michela che non gli disse di essere incinta.

Riorganizzati e riformati i Templari, Isaia tornò a Roma per rivederla. Si stupì nel trovarla con in braccio un bambino di pochi mesi, con gli occhi verdi. Credette, temette, che lei avesse ripreso la propria relazione con Niklos, che era rimasto nella Villa, volendo diventare un mago e smettere di essere uno stregone.

La ragazza, allora, gli spiegò che il bambino (chiamato Samuele) era frutto della loro prima unione e che lei non gli aveva detto nulla, perché non voleva condizionarlo.

Isaia, però, aveva preso già la propria decisione: sposare la ragazza.

Isaia e Michela si sposarono, fecero celebrare il rito ad Alonso e come testimoni c’erano Gabriel, Claudia e Sebastiano (che era stato pure il padrino di Samuele). Il loro, però, non fu un matrimonio ordinario: lei, coi vari figli, viveva nella Villa assieme al resto della sua famiglia; Isaia restava lì quando gli era concesso, altrimenti era spesso in missione per i Templari. Il loro rapporto, però, non ne risentì, anche grazie alla telepatia che li rendeva sempre vicini, a parte un periodo di un paio d’anni in cui Isaia era rimasto bloccato in una dimensione a parte ed era stato dato per morto, ma questa è un’altra storia.

Michela, oltre a prendersi cura dei figli, si tenne occupata collaborando spesso con la Congregazione della Verità.

Sebastiano divenne nel giro di pochi anni il più giovane Generale della Compagnia di Gesù (più giovane anche di Acquaviva), nonostante ciò gli conferisse molte responsabilità, trovò sempre il tempo per occuparsi direttamente degli esorcismi e per trascorrere del tempo con la moglie e i figli del suo maestro. Si prendeva cura di loro quando Isaia era lontano e si divertiva soprattutto ad addestrarli nell’uso delle spade e si teneva sempre in allenamento con gli abitanti della Villa.

In Villa viveva appunto anche Niklos che rimaneva non solo per apprendere la magia, ma anche perché si era innamorato (ricambiato) di una zia di Michela.

 

Passarono vent’anni, si tennero sempre in contatto tutti quanti tra di loro, vedendosi quando ce ne fosse l’occasione, nonostante gli impegni li tenessero molto occupati e li portassero in vari posti differenti.

Un giorno una brutta notizia venne annunciata dai telegiornali di tutto il mondo: un malore aveva colpito il Santo Padre, ormai più che ottantenne.

Gli amici della combriccola ricevettero tutti una telefonata che li informava di come Alonso li desiderava al proprio capezzale. Qualsiasi fosse la loro occupazione in quel momento, trovarono il modo di sospenderla per andare a Roma.

 

Isaia arrivò dopo un viaggio in aereo, senza perdere tempo era subito andato in Vaticano, dove Alonso era tenuto sotto stretta osservazione dai medici ed erano state portate tutte le apparecchiature necessarie.

Nell’anticamera davanti all’ingresso degli appartamenti del Pontefice, Isaia trovò Gabriel e Claudia che stavano aspettando. Si salutarono calorosamente, si guardarono con preoccupazione.

Erano tutti e tre vicini ai sessant’anni, ma non avevano certo l’aria di essere vecchi. Certo le rughe avevano segnato, seppur non eccessivamente, fronti e contorno occhi, Isaia era completamente brizzolato e del grigio spuntava anche trai capelli di Gabriel, che era un po’ ingrassato, ma la giovialità illuminava i loro volti e li faceva apparire più giovani. Claudia era magrissima come sempre, si tingeva i capelli e ricorreva a molti prodotti per limitare le rughe.

“Come mai siete qua e non dentro?” chiese il templare.

“Ci hanno detto di aspettare, ora c’è il medico che lo sta visitando.” spiegò Antinori.

“Le televisioni sono state molto vaghe circa che cosa lo abbia colpito e neppure su internet ho trovato maggiori approfondimenti, voi sapete qualcosa di più?”

“No, rimangono tutti molto sul vago e questo mi fa temere ancora di più.”

Presto sopraggiunsero assieme Michela e Sebastiano. Isaia subito raggiunse la moglie, l’abbracciò, la baciò e poi le chiese: “I ragazzi?”

“Non sono venuti, li vedrai dopo: ti aspettano trepidanti.” gli sorrise lei.

“Forse anche Alonso avrebbe voluto vederli …”

“No, ha detto solo noi.” intervenne Gabriel “Quando ha ci ha fatto convocare, ha fatto dire che oggi voleva solo noi; i nostri figli un’altra volta.”

“Sì, è bene non affaticarlo.” aggiunse Claudia.

Nel giro di breve giunsero anche Stefano e poi Immanuel.

Stefano salutò con un certo trasporto e abbracciò Gabriel e Claudia (che negli ultimi cinque anni aveva visto raramente, poiché l’apertura dei Centri d’Ascolto all’estero li aveva tenuti lontani), salutò piuttosto calorosamente anche Sebastiano (che non provava affatto del risentimento per essere stato quasi ucciso in battaglia da lui, anzi probabilmente ciò gli aveva fatto nutrire stima per l’altro giovane), infine passò a salutare Isaia e Michela. La ragazza gli sorrise e si diedero due baci sulle guance, il templare, invece, lo guardò con freddezza e si limitò ad una rapida stretta di mano.

Dopo qualche altro minuto d’attesa, il medico uscì dalle stanze, disse che il pontefice poteva ricevere visite, ma non disse nulla circa il suo stato di salute. Andarono tutti quanti assieme dentro la stanza dove si trovava Alonso.

Il pontefice era seduto a letto, tutti quanti gli si strinsero attorno e lo salutarono uno alla volta, con viva commozione. Alonso li guardò sorridente e iniziò a dire: “Es muy belo revederve de nuovo todos asieme. Non recordo l’ultima volta che ci siamo riuniti todos quanti. Siamo sempre lontani, ognuno ha i suoi impegni … Ci siamo impegnati por megliorare la Chiesa ma, sopratodos, per ascoltare più atentamente la voce de Dio por compiere il suo volere e aiutare la gente a trovare la pace e la salvecia!” guardò Sebastiano “I gesuiti sono tornati ad esere ambasciatori de Dio ne i cuori de li hombre, sostengono centinaia de persone con la loro Direcione Spirituale e il loro impegno ne li esorcismi e ne il combatere il demonio es indispensabile!”

Alonso spostò poi lo sguardo su Gabriel, Claudia e Stefano e si complimentò anche con loro: “Gracie a voi, ormai, in ogni città c’è un Centro d’Ascolto e Sostegno por la gente dotata de poteri. Avete aiutato muy hombre a trovare la pace con sé stessi e a trovare un impiego utile por le loro doti, li avete aiutati a sentirse parte della comunità e non de li esclusi e avete insegnato a le altre persone a non temerli. Es muy importante esto lavoro, avete permeso all’umanità de fare un gran passo avanti.”

Spostò gli occhi su Isaia: “E tu, hermano, hai reformato i templari e hai trasformato un ordine sanguinario, nei difensori del bene, nei punitori del male, ma non dei malvagi. Avete sconfito demoni; avete mandato a monte i progeti di chi era immerso nell’oscurità e lo avete aiutato a tornare a la luce. Bravissimi.” respirò profondamente “Bravissimi a todos quanti noi! Non dobiamo però scordare che todos questo es stato possibile porché nessuno de noi era solo, bensì poteva contare su l’aiuto de li altri. Nessuno ha agito por il proprio prestigio, nessuno l’ha consederata una competizione; ciascuno de noi ha portato avanti il proprio progeto come parte de qualcosa de più grande non solo necessario a li altri, ma pure dependente da li altri. È stata la nostra amicizia, la nostra unione a permetere che todos questo si potesse realizzare, quindi non permetete che i vostri impegni posano indebolire la nostra coesione, trovate sempre del tempo da dedicare ai vostri amici ed hermani!”

“Alonso!” esclamò Gabriel “Noi non ce lo scorderemo mai! Io ho due famiglie: quella piccola, con Claudia e i nostri figli, e quella grande, con tutti voi!”

“Ne li ultimi anni, non siamo mai riusciti a trovarce todos asieme. Una volta vedevo Isaia, un’altra te … Sebastiano, por fortuna, abita qui vicino! Cossì anche tra di voi: ogni tanto incontri uno o l’altro, ma sempre separati dal resto del grupo! Guarda! Por poterve revedere finalmente todos asieme, ho dovuto fingere de stare male!”

“Fingere?!” sbalordirono quasi tutti i presenti.

Alonso scoppiò a ridere: “Sì. Avevo muy voglia de revederve todos quanti, ma avevo paura che, per un problema o per l’altro, qualcuno de voi sarebe sicuramente mancato. Alora mi sono conultato con Sebastiano e con Michela e abiamo pensato che l’unica maniera d’esere certi che non ci fosero defecioni, fosse quela de simulare un malore.” si alzò in piedi “Tranquilli! Come vedete, sto benissimo!”

I due complici si scusarono per l’inganno, ma furono subito perdonati, tanta era la gioia di vedere Alonso in piena salute.

“E ora, hermani, si va todos a casa di Isaia e Michela, dove es una grigliata che ce aspeta, asieme ai vostri figli e a qualche altro invitato.”

Tutti quanti andar dunque alla villa, dove appunto trovarono tutto pronto per un ottimo pranzo all’aperto; i ragazzi avevano pensato ad apparecchiare, mentre di cuocere la carne e le verdure se ne erano occupati i più grandi come Giorgio, Samuele e Clara (la prima figlia di Gabriel e Claudia), coordinati da Niklos, che avrebbe preso parte alla riunione anche lui alla riunione.

Appena scese dall’auto e si fece vedere, Isaia fu circondato, salutato e abbracciato dai suoi otto figli (contando anche Giorgio); oltre a Samuele (unico ad avere gli occhi verdi), erano nate tre femmine (tra cui la più piccola che aveva appena quattro anni), un altro maschio e due gemelli biondi.

Gabriel e Claudia, invece, furono accolti dai loro soli tre figli.

Pure le altre famiglie si radunarono. Si misero a tavola e iniziarono l’allegro pranzo, riconoscendo che, in fondo, era stata una felice idea, quella di Alonso, di costringerli a riunirsi.

Nessuno aveva il posto fisso a tavola, si alzavano e si scambiavano di sedia, per poter parlare un po’ con tutti. Ovviamente i ragazzi e i bambini stavano volentieri tra di loro, a parte i figli di Isaia che facevano a gara per stare col padre, organizzando dei turni per avere le sue attenzioni.

Claudia, Michela e Teresa parlarono a lungo assieme, prima di rivolgersi ad altri.

Alonso si divertiva a spostarsi da un amico all’altro e raccontò almeno tre volte la storia di Pedro, rammaricandosi che il vecchio amico fosse ormai morto e non potesse essere anche lui lì.

Sebastiano era brioso e conversava con tutti, col suo solito modo di fare esplosivo, e aveva iniziato a chiedere chi volesse partecipare ad un torneo di spada, dopo pranzo.

Stefano stette abbastanza in compagnia della sua famiglia oppure vicino a Gabriel che, comunque, non vedeva da mesi, visto che lavoravano in città diverse e lontane. Quando, però, i suoi occhi verdi caddero sul giovane Samuele, solo al barbecue, lo raggiunse e intavolò una conversazione con lui. Il ragazzo fu felice di parlargli; non si vedevano molto spesso, anzi quasi raramente, tuttavia avevano istaurato un buon rapporto. Stefano era sempre stato gentile e comprensivo con Samuele che si fidava di lui e, diventato adolescente, aveva preso l’abitudine a scrivergli abitualmente delle mail e a confidarsi e chiedergli consiglio. Il ragazzo, in fondo, vedeva poche volte Isaia, come i suoi fratelli poteva sempre contare su Sebastiano, tuttavia il gesuita, appunto, doveva prendersi cura un po’ di tutti e otto (prediligeva soprattutto i gemelli) e, comunque, era molto occupato come Generale della Compagnia di Gesù.

Samuele, quindi, aveva trovato un sostegno importante in Stefano e ne era contento, nonostante sapesse che suo padre non provava gran simpatia per quell’uomo, nonostante ne ignorasse il motivo. Una volta, il ragazzo aveva chiesto a Stefano come mai si interessasse solo a lui e non ai suoi fratelli, l’uomo aveva risposto vagamente: “In te rivedo qualcosa di mio.”

La grigliata fu dunque un successo, tutti erano soddisfatti. Mentr’erano più o meno al caffè, Immanuel vide una figura aggirarsi più in là nel parco, non disse nulla a tal proposito, ma si scusò e si alzò da tavola. Camminò nella direzione doveva aveva visto passere un uomo, che poi vide vicino al frutteto. Lo raggiunse. Era Serventi, non invecchiato di un solo giorno.

“Ciao, Bonifacio.” disse con tranquillità Immanuel “Sei venuto a vedere il tuo successo?”

“Successo? Non mi pare proprio … È andato tutto alla rovescia!”

“Perché? La Chiesa è stata rovesciata dal suo interno, proprio come diceva la profezia.”

“Ma non doveva andare in questa maniera!”

“Che cosa non ti piace? Finalmente non c’è più guerra. È venuto il tempo della comprensione, dell’armonia, dell’accettazione. La gente coi poteri può vivere tranquillamente, senza nascondersi, senza essere temuta. La nuova umanità che aspettavi sta nascendo.”

“Fai presto, tu, ad essere tranquillo, hai vinto tu! Ha vinto lo spirito. Mentre io e la terra abbiamo perso!”

“Bonifacio, sei tu che hai voluto la guerra, io non l’ho mai desiderata e non ti ho mai combattuto. Hai lottato contro te stesso e non te ne sei neppure accorto! Cielo e terra non sono in contrapposizione, ma sono un’unica cosa: quel che è sopra è come sotto, come in Cielo così in Terra, ciò che qui unirete sarà unito nel Regno. Queste frasi mostrano la via. Malkuth e Yessod, soli, sono aridi, devono diventare un’unica cosa per ottenere la floridezza.”

Serventi si sentì illuminato, quasi dandosi dello stupido come quando ci si arrovella a lungo a trovare la soluzione di un problema e, quando la si trova, ci si accorge di quanto fosse semplice e ci si chiede come mai non la si sia individuata subito.

Bonifacio annuì, guardò con gratitudine Immanuel ed entrambi si strinsero la mano.

 

La stella bianca aveva portato pace e armonia nel Mondo, riconciliandolo così con il Cielo.

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