Forse per noi non è ancora finita.

di Sakura3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il passato che torna ***
Capitolo 2: *** Una strana inquietudine. ***
Capitolo 3: *** La scoperta. ***
Capitolo 4: *** L'interrogatorio ***
Capitolo 5: *** Arrivano gli alleati. ***
Capitolo 6: *** I primi tasselli tornano al loro posto. ***
Capitolo 7: *** Ho bisogno di te. ***
Capitolo 8: *** Voglio proteggere quella luce. ***
Capitolo 9: *** E se fosse...un ricordo? ***
Capitolo 10: *** La parte più oscura di me. ***
Capitolo 11: *** Che la guerra abbia inizio. ***
Capitolo 12: *** Chiarimenti e riappacificazioni. ***
Capitolo 13: *** E' una questione di fiducia. ***
Capitolo 14: *** Una realtà distorta. ***
Capitolo 15: *** Il mare e la roccia. ***
Capitolo 16: *** Odio e amore. ***
Capitolo 17: *** Il cacciatore e la preda. ***
Capitolo 18: *** Frammenti di un Nemico ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il passato che torna ***


TOBIAS

 
Che cosa diamine vogliono da me?
E’ tutta la mattina che questa domanda mi tormenta e la risposta è sempre la stessa: non ne ho idea.

Sono passati ormai tre anni da quando sono tornato nella mia vecchia città, quella che tutti chiamano Chicago, ma che io fatico ancora a considerare come tale: per me resterà la città all’interno della recinzione.
Quella stessa città in cui vivevamo divisi in fazioni, ognuno con un compito ben preciso da svolgere, con obblighi e leggi da seguire.
Io facevo parte degli Intrepidi, la fazione dei coraggiosi, o degli stolti secondo alcuni, dal momento che ogni occasione era buona per mettere in pericolo la nostra vita, come salire su un treno in corsa o gettarsi da un grattacielo.
Dovevamo garantire la sicurezza della città: supervisionarla tramite dei computer o assicurarci che nessuno oltrepassasse la recinzione.
Oltre a noi esistevano gli Eruditi, gli amanti del sapere, i Candidi, i persecutori della verità contro ogni menzogna, i Pacifici, che rifiutavano qualsiasi conflitto, e gli Abneganti, gli altruisti.
Abnegante. Ero questo prima di cambiare fazione e passare agli Intrepidi. Quando ancora vivevo con lui, Marcus Eaton, mio padre. E il mio peggior incubo.

Ma tutto questo ora mi sembra così lontano, come se fosse un passato che non appartiene più a me.
Tutto questo prima che Jeanine Matthews, capo degli Eruditi, stringesse un patto con gli Intrepidi per sterminare gli Abneganti ed impedire alla città di conoscere la verità.

La verità.

Sapere che in realtà siamo stati solo un esperimento compiuto dal Dipartimento di Sanità Genetica per purificare il nostro DNA corrotto a causa di test compiuti da loro stessi per creare un’umanità perfetta.
Che per tutto questo tempo siamo stati rinchiusi come delle cavie, spiati continuamente, manovrati o uccisi solo per aspettare il raggiungimento di un buon numero di Divergenti, cioè di persone Geneticamente Pure: il simbolo di una razza umana ormai pura da ogni contaminazione.

La verità non sempre dà vantaggi, non sempre migliora la situazione: questa nostra verità ci è costata fatica, sangue, e affetti.
Mi è costata lei. L’unica persona che ha dato un senso alla mia vita, che ha portato luce e calore là dove per me c’era solo freddo e solitudine.
Ogni giorno lotto contro il dolore e il vuoto che ho dentro da quando Tris Prior, la persona più forte e determinata che abbia mai conosciuto, è morta.

L’unica che abbia mai amato.

E ora, quando ormai ero sul punto di andare davvero avanti con la mia vita, di lasciarmi tutto alle spalle, ricevo una telefonata dal Dipartimento in cui mi chiedono di recarmi da loro a mezzogiorno per una questione molto importante e riservata.

Ero sul punto di chiudere il telefono senza troppi complimenti, ma alla fine un qualcosa mi ha spinto ad accettare.
Non so perché, non so cosa vogliano né tantomeno cosa sia questa faccenda riservata, ed è tutta la mattina che il dubbio mi tormenta. Ma sento che devo andare.
Il Dipartimento è solo dolore, rabbia…odio per me.
Ho cercato di dimenticarlo, di dimenticare tutto il male che ho provocato a causa sua e che mi ha provocato.

Forse il passato non ci abbandona mai, nemmeno quando cerchiamo con tutte le nostre forze di dimenticarlo.
Forse delle volte il passato ritorna e non possiamo far altro che accoglierlo.
Con tutte le sue conseguenze.
 
 

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Capitolo 2
*** Una strana inquietudine. ***


Cap 2 TOBIAS

Guardo l’orologio: sono le 11 del mattino.
Penso che ho giusto il tempo di arrivare a casa, farmi una doccia e recarmi al Dipartimento, così mi affretto e vado a cercare Johanna.

Johanna Reyes era il capofazione dei Pacifici, aveva scelto di abbandonare la sua fazione e combattere per riportare la pace in città quando mia madre, Evelyn Eaton Johnson, capo degli Esclusi ovvero coloro che non riuscivano a superare l’iniziazione della fazione scelta ed erano perciò esclusi dalla società, minacciava di dar inizio ad una guerra per il potere.
Ora Johanna è diventata una figura politica di spicco a Chicago, una delle più influenti, mentre io sono diventato il suo assistente; e devo ammettere che non mi lamento.
La trovo seduta dietro la sua scrivania, indaffarata con un paio di pratiche, i capelli neri raccolti sulla nuca e la cicatrice che le copre una parte del viso in mostra. Sono contento la faccia vedere più spesso, credo le dia un tocco di austerità ma allo stesso tempo di bellezza.

Non appena mi vede alza un dito e mi fa cenno di aspettare.
Mette giù delle carte, le firma e, dopo averle messe via, mi rivolge un largo sorriso:
“Scusa Tobias, ma dovevo assolutamente firmare queste pratiche burocratiche da spedire a Milwaukee. Dimmi pure.”
“Ho bisogno della giornata libera Johanna. Ho un impegno importante e non posso rimandarlo, spero non ci siano problemi per te.”
“Assolutamente no, ti meriti un po’ di riposo. Anche se son curiosa di sapere cosa potrà mai essere questo impegno tanto importante da spingerti per la prima volta a chiedere un permesso”.
Mi punta addosso il suo sguardo, non severo, ma sinceramente curioso.
Deglutisco a fatica: come posso dirle che dopo tre anni sto per tornare al Dipartimento?
Proprio in quel luogo che ha cambiato così drasticamente le nostre vite?
Ed inoltre non saprei nemmeno cosa dirle e il perché devo andarci, dato che non lo so nemmeno io.
“Niente di speciale, un piccolo impegno fuori città, nulla di importante.”
Faccio spallucce, come se non fosse davvero nulla di che. Ma la verità è che sono teso come una corda.
Mi guarda per un po’, senza dire nulla e poi lo vedo: un movimento impercettibile della bocca, come una smorfia. Sento il corpo irrigidirsi e ho la sensazione che abbia capito tutto, che sappia che le sto mentendo e di cosa si tratta.
Ma il secondo dopo non c’è già più nulla, e anzi mi rivolge un sorriso: forse l’ho solo immaginato.
“Va pure allora. Ci vediamo domani alle 9.” E dopo averla salutata, esco dal suo ufficio senza quasi voltarmi.
                                                             
                                                                                                                       ***

La doccia dura meno del solito, lascio i capelli bagnati e mi vesto semplice, con una maglia bianca e un paio di jeans chiari.
E’ quasi finita la primavera, ma le temperature sono calde quasi quanto quelle estive.
Arrivato in cucina, guardo l’orologio: le 11.40. Arriverò puntuale all’appuntamento e mi rendo conto che le cose non son cambiate poi tanto: anche tra gli Intrepidi  mi presentavo puntuale, sia quando dovevo monitorare la città sia quando dovevo addestrare gli iniziati.
Iniziati. Trasfazione. Tris.

Scaccio immediatamente il pensiero e mi rendo conto che anche Evelyn mi ha raggiunto: sembra sul punto di uscire anche lei.
“Dove vai di bello, così tirato a lucido e profumato?” mi canzona.
Non abbiamo mai avuto un rapporto madre e figlio, dal momento che l’ho ritenuta morta per molto tempo; ma da quando ha scelto me piuttosto che il potere ed è venuta ad abitare da me, le cose stanno migliorando.
“Niente di speciale, ogni tanto sento di dover mostrare la parte migliore di me.” Le sorrido timidamente, lei ricambia con sincerità e a quel punto so che a lei non posso mentire.
“Mi ha chiamato il Dipartimento stamattina, mi hanno chiesto di presentarmi da loro a mezzogiorno. Non so bene per cosa.”
La guardo ansioso e penso che stia per urlarmi contro: mi guarda con gli occhi sgranati e non mi aspetto la sua risposta.
“Hanno chiamato anche  me ma sono rimasti sul vago. E’ proprio là che sto andando”.
La guardo con gli occhi spalancati e ci metto un po’ a recepire quello che mi ha detto.
Perché mia madre? IO ho vissuto al Dipartimento, ho collaborato con una mitomane che voleva distruggerlo, ho causato con le mie azioni la morte di Uriah, il fratello del mio migliore amico, ho provocato feriti: vi è morta Tris là dentro.
Ma mia madre non c’entra nulla in tutto questo. Lei era a Chicago all’epoca e non vi ha mai messo piede. Cosa vogliono da lei?
La guardo e vedo che sta pensando la stessa cosa, ha gli stessi dubbi che ho io. Non è un buon segno.
La tensione che avevo questa mattina si fa sentire nuovamente e un peso mi scende sullo stomaco come fosse piombo. 

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Capitolo 3
*** La scoperta. ***


Cap 2 TOBIAS

Io ed Evelyn facciamo il viaggio in macchina in silenzio.
Dal momento che eravamo entrambi diretti al Dipartimento, le ho proposto di andare insieme. E lei ha accettato di buon grado.
Mentre usciamo dalla città guardo dal finestrino: com'è cambiata in questi tre anni; mi sembra di riconoscere ancora lo Spietato Generale, il quartier generale degli Eruditi, o il quartiere grigio degli Abneganti.
Abbasso il finestrino e respiro a grandi polmoni l'aria fresca: siamo ormai usciti dalla recinzione e la città che si apre davanti a noi è molto diversa da come l'ho conosciuta io.
Le strade erano sconnesse con grosse crepe grandi come fossati, lampioni sradicati ed edifici abbandonati: i segni della guerra di Purificazione.
Ora invece la strada si stende piana e ben asfaltata, gli edifici sono stati ristrutturati e tutto è tornato florido e vivo.
Tranne per la Periferia, abitata dai Geneticamente Danneggiati, che per lungo tempo hanno vissuto nella miseria e nella povertà, odiando il dipartimento per la loro condizione.
Ho sentito che ci sono stati focolai di rivolta , nonostante i tentativi di integrarli nella società: Johanna è stata impegnata a lungo nel patteggiare e tranquillizzare i rappresentanti di queste persone.
Per loro conta poco che il Dipartimento sia stato distrutto tre anni fa e che sia stata cancellata la memoria di coloro che ci avevano per così tanto tempo usato.
A noi e a queste povere persone.
Ora il Dipartimento si occupa della sicurezza nazionale: il sacrificio di Tris ha fatto si che la maggior parte si scordasse della distinzione tra GP e GD, ma loro no, non l'hanno scordato.
La loro memoria è ancora viva.
Penso a queste cose e non mi son accorto di essere arrivato ormai vicino alla meta: che la resa dei conti abbia inizio.

                                             ***

Entriamo nell'atrio del Dipartimento.
E' tutto come allora: persino la fontana vicino alla quale Uriah era stato colpito dall'esplosione, dove io e Tris ci siamo riappacificati sta al suo posto.
Pensare a Tris mi provoca ancora una fitta di dolore.
Quasi neanche mi rendo conto della figura che viene verso di noi: alta, slanciata, carnagione scura e capelli rigorosamente corti.
Christina. Non riesco a credere che anche lei sia qui e la tensione torna a farmi visita.
"Tobias! Evelyn! Non mi aspettavo di trovare anche voi qui! Che ci fate da queste parti? Siete stati convocati anche voi?"
Christina. La mia migliore amica. Con la sua schiettezza da Candida che per tanto tempo mi ha dato sui nervi.
Rivolge un largo sorriso a me e un cenno di saluto ad Evelyn.
La sua schiettezza mi ha messo ancora più in allarme.
Sono sempre più confuso e le parole mi escono di bocca prima ancora che riesca a controllarle:
"Anche noi? Intendi che hanno chiamato anche te? E chi altri?"
"Tutti! Cara, Matthew, Zeke, Shauna....Caleb".
S
ento pronunciare il nome di Caleb e mi blocco di colpo: che diamine ci fa lui qua? Se Tris è morta è anche causa sua.
Ho sempre pensato che Caleb avrebbe messo sè stesso al primo posto e così è sempre stato: ha consegnato Tris, sua SORELLA, a Jeanine, al nemico.
E' ha permesso che lei morisse al suo posto.
Riesco con grande sforzo a sopportare la sua vista ma certe volte vorrei solo dargli un pugno nello stomaco e spaccargli il naso.
A questo punto devo sapere. DEVO.

                                        ***

Christina ci spiega che è arrivata in anticipo e ha avuto modo di fare un giro per orientarsi; la seguiamo fino a che non ci conduce in uno studio.
Sembra quasi quello di Johanna, ma questo è molto più ampio, più lussuoso e tecnologico.
L'ampia scrivania in mogano sta al centro della stanza e sul muro alle sue spalle vi è un grande schermo: non so a cosa serva, forse a delle conferenze.
Ci sono proprio tutti: non appena mi vedano, si avvicinano per salutarci.
Zeke mi dà una pacca sulla spalla, Matthew mi saluta e lo stesso fanno Cara e Shauna, in piedi con le sue nuove protesi.
Vedo con mia sorpresa Johanna: ci guardiamo e capisco che lei sapeva sin dall'inizio. Ma c'è qualcosa in più in quello sguardo, come di dolore e di preoccupazione e capisco che sa più di tutti noi.
In un angolo Caleb: lo evito volontariamente.
Ma la mia attenzione è attirata da una donna: sta in piedi vicino alla scrivania e mi fissa, insistentemente.
E' una donna sulla cinquantina, capelli biondi raccolti: doveva essere una bella donna ma i segni del tempo l'hanno invecchiata e ne hanno sciupato la bellezza.
Si avvicina, mi tende la mano e gliela stringo.
"Per me è un piacere conoscerla, signor Eaton. Ma spero di poterti dare del tu, Tobias.
Io sono Caroline Palmer, e sono il direttore del nuovo Dipartimento".
N
on mi piace. Non so perchè ma non mi piace.
Stringe la mano a mia madre, torna alla scrivania e, dopo averci guardati uno ad uno, si prepara ad iniziare il discorso.
E io fremo dalla voglia di sapere.

"Lasciatemi per prima cosa porvi il mio ringraziamento per essere venuti tutti.
 Senza perderci in discorsi inutili, ecco il motivo per cui siete qui: avrete sentito sicuramente dei focolai che stanno scoppiando recentemente in città ad opera dei GD.
La loro frequenza e le loro modalità ci fanno pensare che non siano fortuiti: abbiamo la sensazione infatti che siano premeditati e che stiano perciò cercando di  dar il via ad una rivolta di massa.
Non vi abbiamo convocato per coinvolgervi in una nuova guerra ma per chiedervi un consulto: durante una di queste rivolte, tramite videocamere di sicurezza, siamo riusciti a  filmare alcuni tra coloro che riteniamo siano a capo di queste rivolte. Una in particolare ha attirato la nostra curiosità e vorremmo capire se i nostri dubbi sono fondati.
Vi farò vedere il filmato
così forse capirete meglio".

Mentre accende il grande schermo alle sue spalle mi passa per la mente un nome: Marcus.
Dopo la sventata guerra tra gli Esclusi e gli Alleanti, mio padre era stato cacciato dalla città col divieto di tornarvi.
Non sono mai stato sicuro avesse abbandonato l'idea di impossessarsi del potere, lui che è sempre stato abituato a comandare quando in città era a capo del governo affidato agli Abneganti.
Inizia il video e vengo strappato ai miei pensieri: un gruppo di GD  attacca un edificio, si muovono in massa, con pistole e fucili.
No, decisamente non è un caso fortuito.
Prontamente un gruppo di soldati interviene contro di loro.
Ha inizio lo scontro e ad un tratto si aggiungono alla guerriglia delle persone vestite di nero, armate dalla testa ai piedi e incappucciate: ma non aiutano i soldati, anzi sparano loro contro.
Aiutano i ribelli. Una volta aperto un varco nell'edificio vi si fiondano all'interno e spariscono dagli schermi.
Ad un certo punto però una delle figure incappucciate si ferma proprio davanti all'entrata per eliminare gli ultimi soldati rimasti.
Quando ormai ha ucciso anche l'ultimo soldato, si leva il cappuccio e guarda dritto verso la telecamera: e il mio cuore smette di battere.
Quella che vedo negli schermi non è una sconosciuta.
Non è una persona qualsiasi. E nemmeno dovrebbe trovarsi lì.
Quella persona dovrebbe essere morta.
"TRIS" dico, in un sussurro.

                                 

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Capitolo 4
*** L'interrogatorio ***


Cap 2 TOBIAS


Non respiro. O forse sono io che non ricordo come si respira.
Il video è ormai finito da un pezzo e io continuo a fissare il monitor.
Senza respirare.
Beatrice Prior. Tris. Ho visto TRIS, in carne e ossa, su quel monitor.
Ma tutto questo non ha senso, non ha decisamente senso.
Lei è morta, MORTA.
Quando ero tornato al Dipartimento, Cara mi aveva detto che si era sacrificata al posto Caleb per dare una speranza al mondo e per porre fine alle barbarie degli esperimenti.
David le aveva sparato due proiettili nella schiena e lei non ce l'ha fatta.
Ricordo ancora quando l'ho vista l'ultima volta, stesa sul lettino dell'obitorio, fredda come la neve.
Ricordo di averle stretto la mano sperando in un suo gesto, in un suo bacio.
Ma lei dormiva, e ha continuato a dormire.
Io stesso ne ho sparse le ceneri in cielo lungo la zip line: volevo fosse fiera di me. Volevo che le sue ceneri fossero libere come lo era lei nella sua vita. Libera come un uccello che si libra in volo. Come uno dei corvi che aveva tatuati sulla clavicola.
Ricordo che Caleb mi disse che Tris non voleva lasciarmi.
Se Tris fosse viva non sarebbe vissuta tre anni lontana da noi, i suoi amici.
Lontana da me. Lei mi amava. Mi AMAVA.
E' impossibile. Tutto dannatamente impossibile.

                                                        ***

Trovo il coraggio di guardare gli altri per capire le loro reazioni, se sono sotto shock come lo sono io, e mi viene solo una parola per descriverli: increduli.
Christina si guarda attorno, gli occhi vuoti e pieni di lacrime.
Cara balbetta e annaspa in cerca d'aria, Matthew ripete che è scientificamente impossibile, giocherellando con il cordoncino verde che porta sempre al collo.
Shauna e Zeke alternano momenti in cui si scambiano occhiate a momenti in cui mi fissano, Johanna ha lo sguardo basso e Evelyn mi guarda con tristezza e ansia.
So che quello sguardo è unicamente per me, Tris non le è mai piaciuta.
Caleb non merita un briciolo della mia attenzione.
Caroline si schiarisce la voce :
"Dalle vostre reazioni suppongo avessimo ragione.
Quella che avete visto è Tris Prior, considerata deceduta 3 anni fa proprio in questo stesso Dipartimento, mentre tentava di liberare il Siero della Memoria."
"E' impossibile."
Sbotta Christina in un urlo.
Le lacrime ormai le rigano il viso, gli occhi pieni di disperazione.
"Triss è morta, MORTA capisce? Lei non può essere viva. Non può".
Vorrebbe aggiungere altro ma è troppo per lei e i singhiozzi le impediscono di andare oltre.
Matthew, rigirandosi tra le mani il cordoncino, continua per lei:
"E' scientificamente impossibile che sia viva. L'autopsia ha rilevato due fori da proiettile nella sua schiena: uno poco sotto la scapola e uno sul fianco destro, sopra il bacino.
E' stata dichiarata morta, il suo cuore non batteva più.
E lei vorrebbe per caso sostenere che si sono sbagliati? O che magari è resuscitata? E' scientificamente impossibile."
Caroline, con molta calma, attende che Matt finisca e ribadisce:
"So che vi sembra impossibile e anche per noi lo è.
Per questo abbiamo avuto bisogno del vostro aiuto e tutti voi l'avete vista: Tris Prior è viva e vegeta."
"Abbiamo solo questo filmato o anche altre prove su cui basarci?" E
la voce di Johanna, bassa e calma.
Pacata e razionale. Da perfetta Pacifica.
"Ci stiamo lavorando."  dice Caroline con un sorriso. E son sempre più sicuro che non mi piaccia, nemmeno un po'.
"E come? COME? Sentiamo!!
E tu Tobias? Non dici nulla?"
C
hristina mi guarda con occhi accusatori e non continua per via di nuove lacrime e nuovi singhiozzi.
So che dovrei dire qualcosa, tutti aspettano che sia io a parlare.
Che reagisca in qualche modo.
Ma non so che fare, che dire, cosa pensare.
Arrabbiarmi? Con chi? Con Caroline che mi ha fatto vedere questo video? Con il fantasma di Triss?
Dovrei crederci? Ma come posso credere che l' unica persona che ho amato con ogni fibra del mio essere e che mi ha ricambiato, abbia potuto inscenare la sua morte e stare lontano da me?
So solo che tremo, un sudore freddo mi scende lungo la schiena e il peso che sullo stomaco ora è sul cuore ed è talmente pesante che sento potrei morire seduta stante.

Con voce ferma, cercando di non far trasparire lo shock, dico solo:
"Non ci credo. Non posso credere che lei sia viva: non avrebbe mai vissuto senza di noi per tutto questo tempo.
Finchè non avrò altre prove, per me Triss è morta".
G
uardo dritto negli occhi Caroline come per sfidarla, ma lei sostiene il mio sguardo e sorride.
Ma non di gioia: è sorriso arcigno, come se volesse sfidarmi e sconfiggermi.
"Abbiamo scoperto che un gruppo di ribelli aveva programmato un attacco proprio oggi, lungo la strada per Milwaukee.
Abbiamo quindi organizzato una trappola ad alcuni di loro, con la speranza di poterne catturare qualcuno.
Ne abbiamo presi solo due a dir la verità, ne ho ricevuto conferma via radio mezz'ora fa: uno dei due è proprio Beatrice Prior, ed è diretta proprio qui, al Dipartimento.
Avrai le tue prove molto presto Tobias Eaton."

E con poche parole mi manda al tappeto.

                                                 ***

Caroline ci ha avvisati che potrebbero esserci ritardi nella strada del ritorno per via di nuovi conflitti scoppiati nel pomeriggio e che il convoglio su cui viaggia Tris procede a rilento per lo stesso motivo.
Ci ha perciò consigliato di tornare a casa ed eventualmente ritornare al Dipartimento l'indomani per l'interrogatorio di Tris.
E' una sovversiva ai loro occhi, dopotutto.
Io ho insistito per restare: voglio esserci quando arriverà Tris.
Devo vedere se è reale o solo un sogno.
Zeke e Shauna sono tornati in città per accudire le rispettive famiglie.
Anche Christina, Cara, Matthew e Johanna sono tornati in città per via dei loro lavori: Christina si occupa dello smistamento dei GD o aiuta coloro che vogliono trasferirsi da una città all'altra mentre Cara e Matthew sono due scienziati.
Ci sono persone che dipendono da loro, ed è giusto che siano tornati ai loro rispettivi lavori.
Evelyn ha insistito per restare ma ho cortesemente rifiutato.
Ho bisogno di stare solo con i miei pensieri.
Ma apprezzo la sua preoccupazione, da buona madre.
"Triss non mi è mai piaciuta e continuo a non capire cosa ci trovi in lei. Ma tu sei mio figlio e tengo molto più a  te: perciò se è davvero tornata dal regno dei morti cercherò di farmela piacere, ma non ti prometto nulla."
M
i ha dato un bacio sulla fronte ed è uscita, prima che potesse vedere il rossore sulle mie guance.
Al Dipartimento con me è rimasto Caleb: ha fatto valere i suoi diritti di fratello e ha ottenuto il permesso di restare, come me.
Fratello. Mi viene quasi da ridere pensando a come possa usare ancora quella parola dopo quello che le ha fatto.
Un paio di pugni gli farebbero capire meglio il significato di quella parola.
Ottengo una stanza singola, per evitare di doverne sopportare la vista, mi sdraio sul letto,vestito, e chiudo gli occhi.
Troppi pensieri, troppe domande e nessuna risposta.
Sarei dovuto restare sveglio per aspettare l'arrivo di Tris e non so per quanto tempo mi sia rigirato nel letto: alla fine la spossatezza ha la meglio e mi addormento, col viso di Tris ben stampato nella mente.

                                             ***

La mattina  mi sveglio di soprassalto, come dopo un incubo.
E' l'alba: la riconosco dai tremoli bagliori che filtrano dalla finestra.
Mi alzo ed avendo dormito vestito, son già fuori dalla mia stanza.
Sono più lucido rispetto a ieri, il mio cervello ragiona, ma il peso dentro di me non accenna a diminuire.
Vado in cerca di Caroline e la trovo in quella che un tempo era ed è tuttora la sala dei monitor, con cui supervisionavano Chicago durante la mia permanenza al Dipartimento.
Non appena mi vede si avvicina e mi dà il buongiorno:
"Buongiorno Tobias, siamo mattinieri a quanto vedo.
A breve ci sarà l'interrogatorio, nella sala qui accanto: potrai assistervi dallo studio di controllo.
Chiedi a Miles, ti darà istruzioni."
S
i congeda da me e io non ho nemmeno il tempo di farle alcuna domanda perchè è già sparita.
Esco dalla sala e mi imbatto in un uomo: sulla quarantina, brizzolato, occhi blu come il cielo in primavera.
Dalla postura direi sia un soldato, massiccio e fiero nel portamento.
E mi fissa insistentemente: devo essere particolarmente interessante se tutti qua mi fissano come fossi un fantasma.
"Posso esserle utile?"  Dico, il più gentilmente che posso. Con scarsi risultati.
"Tu devi essere Tobias, giusto? Io sono Miles, sono il braccio destro di Caroline e comandante delle truppe di sicurezza, qua dentro. Molto piacere" .
M
i porge la mano e gliela stringo. Ha una presa forte, decisa, ma non violenta.
Sento di potermi fidare di lui, cosa che non posso dire del suo capo.
"Sei qui per l'interrogatorio di quella ragazza, giusto? Tris, se non sbaglio.
Che strana situazione. Un morto che cammina.
Perchè è morta, no? O almeno così dicevano.
Mia nonna mi raccontava di queste storie quando ero piccolo, per non rubare i biscotti dalla cucina, sai.
Vuoi vedere che in fondo non era poi così matta la povera nonna Agnes?! "
M
i chiedo perchè diamine dovrebbe interessarmi della nonna Agnes, ma lo seguo senza fare storie.
Entriamo in una sala là vicino e saliamo una piccola rampa di scale.
Percorriamo un lungo corridoio e arriviamo in fine alla sala degli interrogatori.
E' divisa in due lunghi spazi da un vetro che presumo sia oscurato dall'altra parte:  cosicchè noi potremo vedere Caroline e Triss senza  che loro vedano noi.
Ci sono altre persone nella sala: penso siano militari, medici o assistenti di Caroline, proprio come Miles che ,accanto a me, parla con un altro uomo.
Mi ricorda lo sala dello scenario della paura e ripenso a come il passato sia nuovamente entrato nella mia vita stravolgendo i pochi equilibri che avevo.
Ma tutto ammutolisce attorno a me ed è il momento che ho atteso.
E temuto alla stesso tempo.

                                           ***

La porta nell'altra saletta si apre ed entrano due guardie: si spostano per lasciar passare una terza figura e si posizionano ai lati per impedire ogni via di fuga.
Per un secondo non si muove nulla, non si sente nemmeno un respiro.
E poi finalmente la terza persona entra nella stanza e la fisso trattenendo il respiro: ed eccola là.
Ma davanti a me non ho la ragazzina mingherlina e debole che conoscevo.
Non ho la Beatrice Prior che è stata la prima a saltare, nè quella a cui ho lanciato addosso dei coltelli o che nello scenario della paura aveva solo sette paure.
Ma non ho di fronte a me nemmeno la Tris dell'ultimo periodo al Dipartimento.
No; quella era una ragazzina, piccola e mingherlina ma forte e determinata.
Quella che ho davanti a me è un'altra Tris.
E' una donna: è cresciuta molto, anche io sono diventato più alto, ma nonostante questo quasi mi raggiunge.
Il corpo, messo in risalto dal tuta aderente che porta, non è più magro e schelettrico ma forte e sviluppato, muscoloso e femminile.
Per un attimo mi soffermo sulle rotondità dei seni che fino a tre anni fa non esistevano e quasi potrei esplodere per il rossore e la vergogna che provo.
I capelli, biondi come grano, le sono cresciuti: ora le arrivano a metà schiena e le ricadono in morbide onde, come una distesa d'acqua illuminata dal tramonto.
Mi sembra così strano che quella donna sia Triss, la MIA Triss.
Poi un dettaglio attira la mia attenzione: il suo sguardo.
Quegli occhi blu così profondi, così intensi.
Sono la prima cosa che ho notato in lei la prima volta che la vidi.
E quello sguardo non è cambiato: scruta tutto intorno a sè, ma non è spaventanto.
E' spavaldo e determinato; e a quel punto so che è lei, perchè solo Triss aveva quello sguardo.

Procede dritta davanti a sè, i polsi legati da delle manette: si siede e aspetta senza battere ciglio.
Entra Caroline e sento che è arrivato qualcuno anche nella nostra stanza, ma non mi volto a guardare nessuno: sono troppo concentrato su quello che sta succedendo.
Caroline procede, si siede davanti a Triss: la studia, e dopo essersi schiarita la voce, inizia:
"Ti chiederai chi siamo e perchè sei stata portata qua, in manette e perchè ora ti stiamo interrogando.
Riteniamo da fonti e filmati di cui siamo in possesso che tu sia una rivoluzionaria, e che stia tentando di sovvertire la società appoggiando un gruppo di ribelli Geneticamente Danneggiati.
Prima di proseguire con l'interrogatorio ti farò delle domande molto semplici a cui dovrai rispondere.
Ti consiglio vivamente di collaborare: io non ho fretta, sappilo."
Sembra particolarmente fiera di questa frase. 
"Dunque: il tuo nome è Beatrice Prior?"
T
riss continua a guardarla senza battere ciglio.
Caroline prosegue:
"I tuoi genitori si chiamavano Natalie e Andrew Prior?
Come hai inscenato la tua morte?
E come mai collabori con i ribelli?"
N
oto che Caroline inizia a spazientirsi: non se ne accorgerebbe nessuno se non fosse per una smorfia impercettibile della sua bocca.
Deve averla colta anche Tris perchè le si avvicina mostrandole le manette, e con sguardo beffardo, risponde semplicemente:
"Mi permetta di ringraziarla per questa ottima accoglienza, Caroline.
Vede, mi piacerebbe ricambiare la sua cortesia rispondendo alle sue innocenti quanto stupide domande, ma non posso.
Questo genere di domande le può fare al suo vicino di casa o al primo sconosciuto che le passa a tiro; purtroppo non a me.
Io non ho un nome, non ho una casa, non ho una famiglia e non so se ne ho mai avuta una.
Non so chi io sia stata nei miei primi 16 anni della mia vita.
Gli unici ricordi che ho sono quelli degli ultimi tre anni.
Non ho memoria del mio passato, nè delle persone che ve ne facevano parte: ora sono solo una macchina da guerra."
E a quelle parole, il mio precario controllo si sgretola.
Cado sulle ginocchia, incapace di  fare qualsiasi cosa.
Il peso sul mio cuore diventa un macigno e distrugge con la sua mole tutto ciò che ne restava.
                                       
                                               ***


                                   

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Capitolo 5
*** Arrivano gli alleati. ***


Cap 5
TOBIAS


Sto precipitando.
Sono sul tetto dell'Hanckock, il palazzo più alto di Chicago: per la precisione sono sul bordo, sguardo rivolto verso il vuoto, con i polsi legati.
Cerco di scendere, di allontanarmi il più possibile dal cornicione ma non posso.
Non posso muovermi. Sono in trappola.
Improvvisamente sento dei passi dietro di me.
Passi decisi, per nulla esitanti.
Faccio per voltarmi e vedo lei.
Tris si avvicina a grandi falcate, la tuta che indossava durante l'interrogatorio riflette la luce del tramonto, ed è più nera di come la ricordassi.
Nera come la notte. Come i corvi sulla clavicola che si intravedono dal colletto.
Guarda fisso davanti a sè, guarda me.
Cerco i suoi occhi, così blu, così intensi, quegli occhi che mi avevano sfidato il giorno in cui era arrivata tra gli Intrepidi.
Sapevo che da quel momento non mi sarebbero più stati indifferenti. E nemmeno lei.
Ma più li guardo e più l'angoscia mi assale.
Non c'è amore in quello sguardo, nè dolcezza: sono occhi freddi, fissi, vuoti.
Gli occhi di una predatrice che ha scovato la sua vittima.
Quando è ormai davanti a me mi rivolge un sorriso beffardo, compiaciuto.
Si avvicina e sento il mio cuore fermarsi.
Poi, senza preavviso, mi spinge oltre il bordo.
Nel vuoto. Senza pietà.
E inizio a precipitare, rapidamente, troppo rapidamente.
Sono io a precipitare? O e quel po' di controllo che avevo a frantumarsi?
Precipito verso il nulla, buio e freddo.
Rapidamente. Troppo rapidamente.
 
                                        ***

Mi sveglio di soprassalto.
Sono in una stanza bianca, luminosa e calma; io sono sdraiato sul letto, le lenzuola sono pulite e profumano di fresco.
Niente grattacielo, niente vuoto, nessuna oscurità.
Qua sono al sicuro: e soprattutto non sto precipitando.
Tra gli Intrepidi ero conosciuto come Quattro: il leggendario, colui che ha solo quattro paure.
E una di queste è la paura delle altezze.
Il leggendario Quattro che soffre di vertigini. Sarebbe quasi comico.
Dopo l'interrogatorio ero talmente scosso che sono tornato nella stanza che il Dipartimento mi aveva messo a disposizione senza parlare con nessuno o prestare attenzione. Volevo stare solo.
Ho visto di sfuggita Christina, Cara e Matthew nella sala con me mentre uscivo: probabilmente sono entrati quando l'interrogatorio era già iniziato e non li ho notati, concentrato com'ero nel metabolizzare quello che aveva detto Triss.
Non si ricorda nulla.
Non ha memoria del suo passato, di nulla che sia precedente a questi tre anni passati lontano da noi.
Un sorriso amaro mi nasce spontaneo sul viso.
L'idea di averla di nuovo con me e di poter riprendere il nostro cammino insieme da dove l'avevamo lasciato era troppo bella per essere vera.
E noi cosa siamo ora per lei? Noi, che eravamo suoi amici, i suoi compagni, la sua famiglia? Ed io? Io che ero tutto per lei, ora sono il nulla? Un estraneo?
E' troppo da sopportare.
Ancora non me ne capacito: come può Tris aver perso la memoria?
Lei, che è sopravvissuta persino al Siero della Morte, ha perso i suoi ricordi?
E dov'è stata per tutto questo tempo se non aveva memoria del suo  passato?
Bussano alla porta e io vengo strappato alle mille domande che mi affollano la testa.
               
                                      ***


TRIS


E' passato quasi un giorno da quando sono stata portata in questo posto.
Dovevamo semplicemente aiutare un gruppo di ribelli a creare disordine sulla strada per Milwaukee e ostacolare i trasporti e la viabilità.
"E' una missione semplice Sette, vedrai. Sarà come mangiare una fetta di torta: semplice e piacevole." aveva detto Phil, il compagno di squadra che mi ha assegnato il Reggimento, l'organizzazione in cui vivo e lavoro da tre anni ormai.
E invece mi ritrovo con le manette ai polsi; devo ricordarmi di assestargli un bel pugno nello stomaco per questo.
Phil è un ragazzo in gamba, ha qualche anno in più di me ed è alto e ben piazzato.
Avrebbe un'ottimo fisico se fosse un bravo soldato: ma non lo è, decisamente.
Potrei batterlo ad occhi chiusi, se solo volessi.
Non sa maneggiare alcun tipo di arma: è più bravo con computer e  dispositivi tecnologici. Ha una mente brillante, questo lo devo ammettere.
Diciamo che tra noi lui è la mente ed io il braccio: ma in compenso se la cava con il corpo a corpo, per questo hanno deciso di metterlo accanto a me sin dall'inizio, dal momento che ho una mira impeccabile ma ero un po' troppo mingherlina per fare a botte seriamente.
E ammetto che da lui ho appreso molto e se ora sono così micidiale anche nei combattimenti, lo devo a lui.
Insomma è un tipo tranquillo, un po' strano delle volte, ma piacevole...quando sta zitto.
Il suo unico difetto è l'essere logorroico: vorrei colpirlo in mezzo agli occhi verde prato che si ritrova ogni volta che dice più di due frasi di segutio.
Ma penso sia anche un bene in fin dei conti, dato che io rispondo a monosillabi: non sono una persona particolarmente espansiva.
Ci compensiamo a vicenda ed è per questo che la nostra squadra è una delle più eccellenti nella struttura: è l'unico amico che ho.
Peccato che la sua "torta deliziosa" era in realtà una trappola e gli unici che ci hanno rimesso siamo io e lui.
Rinchiusi come topi. Ecco il suo dessert.
Ha detto di stare tranquilla, che le persone che ci hanno catturato sono nostri alleati, ma a me non sembra affatto. E la guardia che ho davanti ne è una conferma.
E poi l'interrogatorio: perchè interrogarmi se sono una loro alleata?
Quella donna , come si chiama? Caroline? Non mi piace per niente.
Il suo sguardo di superiorità. Il suo sorriso beffardo.
So io come risponderle a modo, con un pugno sul naso.
Ma c'è una cosa che non riesco a capire: perchè mi ha chiamato Beatrice Prior?
Io mi chiamo Sette da che ho memoria. O meglio, mi chiamavano così al Reggimento per via del tatuaggio col numero sette che ho sul braccio.
Non mi sono mai chiesta quale sia il mio vero nome.
Ne avevo uno?
Ci sono così tante cose che vorrei sapere su di me.
Chi ero? Avevo una famiglia? Mi amava? Ero una cattiva persona? Ho mai amato qualcuno?
Certe volte vorrei sapere di più. Vorrei la verità.
Altre volte ne sono terrorizzata.

                                              ***

"Alzati, sei stata convocata urgentemente da Caroline. A quanto pare sei più importante di quanto pensassimo.
Sbrigati, non abbiamo tutta la giornata."
Sbatto gli occhi un paio di volte, ancora mezzo intontita dal sonno.
E' mattina presto ma il sole è già sorto e riscalda l'aria primaverile: mi fermo un secondo ad annusarla, dato che entra nella stanza da una piccola finestra in alto.
Odore di erba appena tagliata e di fiori.
E' una sensazione piacevole, e mi fa dimenticare perchè volessi schiaffeggiare la guardia imponente che sta davanti a me.
Mi alzo senza dire una parola e lo seguo.
Mentre procediamo, ne approfitto per guardarmi attorno dal momento che qualche giorno fa non ne ho avuto l'occasione.
O forse era ieri? Non so, ho perso la cognizione del tempo.
Sembra un edificio ben curato, le pareti sono bianche candide e i corridoi sono ben illuminati.
Sembra di star in un laboratorio o qualcosa di simile.
Alla fine,  giungiamo ad una porta automatica.
La guardia estrae un tesserino e  la passa nella serratura; sentiamo uno scatto e la porta si apre.
Arriviamo in una sala abbastanza grande: ci sono dei monitor e delle persone che battono freneticamente le dita sulla tastiera.
Mi viene il mal di testa solo a guardarli.
Ma non sono le uniche persone nella sala: sul lato opposto c'è  un gruppo di persone e poco distante c'è Caroline che parla con una signora sulla quarantina, capelli scuri e una lunga cicatrice sul viso.
Non credo di averla mai vista.
Ciò che colpisce la mia attenzione è il gruppo di persone: stanno tutti in silenzio.
Si lanciano solo qualche occhiata fugace e tornano ad ammutolire, ognuno perso nei propri pensieri.
Una di loro mi nota: una ragazza carina, slanciata, con i capelli corti
e la carnagione scura.
Dal fisico tonico capisco che è, o è stata, una combattente; chissà se posso chiederle di combattere con me, per allenarmi un po'.
Mi guarda con gli occhi sbarrati, mi indica e vedo le sue labbra muoversi e pronunciare "Eccola"; tutti si voltano di scatto verso di me.
Non capisco tutto questo interesse per me dal momento che non li conosco.
Pensano forse che sia un fenomeno da circo solo perchè ho un paio di manette ai polsi?
Ma forse quelli non sono occhi di scherno. Sono occhi curiosi ma spaventati.
Come se volessero guardarmi ma avessero paura della mia reazione.
Non riesco a finire le mie congetture perchè sento un click e la porta dietro di me si apre di nuovo.
Entra una guardia, molto più simpatica della mia all'apparenza e dietro di lei procede Phil.
Non appena mi vede, i suoi occhi si illuminano, mi lancia un sorriso e corre verso di me.
Mi getta le braccia al collo, per quello che può dato che anche lui ha le manette ai polsi, e sorride di nuovo.
"Sono così contento di vedere che stai bene Sette, ero in pensiero per te.
Ti hanno fatto del male? Mi dispiace sia finita così.
Avevo detto che si trattava di una missione semplice, come mangiare un pezzo di torta. Torta non proprio però credimi, io..."
 Lo blocco con un gesto della mano: se lo lasciassi continuare, andrebbe avanti fino all' indomani. Ma sono davvero contenta di vedere che sta bene.
Perciò mi limito a dire "Già, vedrai sarà semplice e piacevole", e gli mollo una gomitata leggera sul fianco.
Ci guardiamo e ridiamo. Ogni tanto rido pure io, anche se non si direbbe.
Ci voltiamo per guardare Caroline e la mia attenzione è catturata da un ragazzo nel gruppo dei taciturni.
Un ragazzo alto, capelli castani corti ma non troppo e muscolatura tonica.
Dà l'impressione di essere un  ragazzo forte. E spaventoso.
No, spaventoso non è il termine corretto; ma ha un qualcosa nel suo portamento così austero e rigido da sembrare minaccioso.
Dà l'impressione di essere stato un soldato, o di esserlo anche ora: lo è molto più di Phil.
Ma ciò che mi colpisce è il suo sguardo.
Da questa distanza non riesco a capire di che colore siano i suoi occhi ma direi di un blu scuro, come l'oceano. Come la notte.
Il suo sguardo è così intenso che sento potrei iniziare a tremare; ed è quello che faccio perchè un brivido freddo mi percorre la schiena.
Mi guarda con un misto di sentimenti: sembra stanco e privo di forze, ma sembra anche molto preoccupato.
Colgo un'altra sfumatura e credo sia odio puro: e questo è rivolto a Phil, ne sono sicura, anche se non so perchè.
E poi torna a guardarmi e non c'è nulla di tutto questo.
C'è solo dolore, tanto dolore, e...qualcos'altro.
Penso alla parola "amore", ma non sono certa del suo significato. Eppure mi sembra l'unica adatta in questo momento.
Sento Caroline schiarirsi la voce e ritorno alla realtà: non so per quanto tempo siamo rimasti a fissarci l'un l'altra , ma non appena me ne rendo conto, mi volto subito da Caroline e cerco di mantenere un contegno, prima che il mio viso tradisca l'imbarazzo.

                                   ***

Caroline prende la parola, e dopo averci squadrati tutti, inizia a parlare.
Persino le persone ai monitor si fermano con le mani a mezz'aria sulla tastiera.
"Grazie a tutti per essere qui.
Vi chiederete il motivo di tanta urgenza: ce ne sono gli estremi, credetemi.
Giusto stamattina ho dato la comunicazione ai miei superiori dei gentili ospiti che sono con noi da ieri"
Sorrisetto compiaciuto. Devo tenere a bada il mio pugno.
"E quasi non credevano alle loro orecchie. Ma cosa veramente importante, aggiungerei sconcertante, ed è per questo che siete qui, ho ricevuto l'ordine dai piani alti di non torcervi un capello.
Nè di mettervi in prigione.
Non capisco perchè, ma a quanto pare siete dei sovversivi davvero pericolosi se l'assistente personale del Presidente degli Stati Uniti sta venendo qui a salvarvi la pelle."
Silenzio. Dopo un secondo iniziano a levarsi mormorii eccitati e chiacchiere a gran voce.
Evito di guardare di nuovo il ragazzo dagli occhi blu: sono ancora scossa dal precedente contatto visivo e non so che reazione potrebbe procurarmi questa volta.
Invece guardo dritta negli occhi Caroline:
nel suo viso non c'è traccia della sua solita superbia. Ma solo confusione e incredulità.
Un sorriso compiaciuto mi si stampa in faccia e un senso di potenza si impadronisce di me.
Sta venendo qui l'assistente personale del Presidente. Sondra.
Stanno arrivando gli Alleati. Ma quelli veri stavolta.

                                          ***

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Capitolo 6
*** I primi tasselli tornano al loro posto. ***


cap6 Premessa: mi scuso perchè nei due capitoli precedenti ho commesso un errore di battitura e il programma mi ha corretto in automatico la parola Tris in Triss. Ho provveduto a correggere tutto, vi chiedo ancora scua.
Ringrazio inoltre HOPE e Kat14(che mi ha anche fatto notare l'errore) per le belle parole e l'incoraggiamento che mi danno con le loro recensioni. :)


TRIS

Siamo in una stanza con un grande tavolo tondo al centro: tutto intorno ci sono schermi che proiettano diagrammi, numeri e non so cos'altro.
Stiamo tutti aspettando che arrivi l'assistente del Presidente, Sondra.
Me ne sto seduta su una sedia, in disparte, con le gambe stese in avanti e le braccia incrociate sul petto.
Finalmente mi son state tolte le manette: non ne potevo più di sentirmi stritolare i polsi dal metallo.
Tengo gli occhi chiusi volontariamente: se li aprissi mi ritroverei gli occhi di 10 persone puntati addosso.
E' davvero snervante. E mi viene voglia di incenerirli tutti.
E poi non voglio il SUO sguardo su di me.
Ripenso al ragazzo dagli occhi blu e alle sensazioni che ho provato quando i nostri occhi si sono incrociati.
Un brivido mi percorre nuovamente la schiena: inizio a chiedermi se non mi faccia davvero paura o ci sia sotto dell'altro.
Ecco quindi che me ne sto qua, su questa sedia, a cercare di passare il più inosservata possibile.
Quando sono ormai riuscita a scrollarmi di dosso la tensione e a rilassarmi, qualcuno interrompe il mio isolamento.
Voce profonda ma allegra, piena di voglia di vivere : Phil.
Quando è così allegro vuol dire solo una cosa: vuole parlare.
E io mi preparo a scollegare il cervello mentre lui inizia:
"Sette! Che fai? Dormi? E io che volevo parlare con te!
Sai è stato triste in quella cella, tutto solo, senza aver qualcuno con cui parlare.  Oh beh certo, non che quando siamo insieme tu sia molto loquace eh...però almeno ci sei e posso parlare con te perchè tu mi ascolti sempre e in silenzio, con attenzione.
E tu sei sempre molto attenta, non è così?Tris?"
Non appena sento il mio nome, capisco che ha finito la ramanzina ma non posso permettermi di affrontare il secondo round; sarebbe troppo.
Mi giro verso di lui e lentamente apro gli occhi.
Il mio sgurado dev' essere abbastanza truce perchè capisce subito che non è il momento di continuare, ma io voglio essere sicura e glielo ribadisco a voce:
"Ovviamente. Ma ora taci, Phil."
E lui obbedisce. A questo punto non posso richiudere gli occhi, il mio tentativo di evitare tutti sarebbe troppo palese.
Evitare persone che in realtà non conosco. Mi sembra assolutamente logico.
Come avevo previsto, i loro occhi sono puntati su di me.
Ma nessuno parla.
Alla fine uno di loro si fa coraggio: è un ragazzo con i capelli neri, scomposti e un po' lunghi.
Gli occhi sono di un verde intenso, il verde delle foglie sugli alberi in primavera.
Ha più o meno la mia età credo e dall' aspetto sembra che si curi poco del suo fisico.
Uno scienziato pazzo, ecco chi mi sembra.
Deglutisce e, dopo essersi fatto coraggio, mi guarda negli occhi:
"Ehm, ciao".
Modo davvero brillante di iniziare una conversazione.
"Come stai Beatrice? Ti...ricordi di me?"
Ecco che ci risiamo. Tutti che mi trattano come se fossi una mentecata. E mi fanno domande ovvie.
E' questo che mi rende così indisponente e mi spinge a voler evitare ogni contatto con qualcuno: sono stanca di essere commiserata, e di dover sentire sempre le solite domande stupide a cui non so dare una risposta se non la solita: non mi ricordo di te, sai, ho perso la memoria.
Inoltre il fatto che ci siano così tante persone ad ascoltarci non mi aiuta.
"Punto primo: non so chi sia questa Beatrice, l'ho già detto anche nell'interrogatorio.
Punto secondo: se ho perso la memoria tu che dici, che mi ricordo di te per caso?
E infine: che tipo di conversazione inizierebbe mai con ehm,ciao?!"
Sono consapevole di essere stata scorbutica, maleducata e sgarbata. Me ne pento: alla fine lui non ha colpa della mia memoria strana. Dovrei chiedere scusa ma non ce la faccio: sono troppo orgogliosa per farlo.
"Non dovresti trattarlo così: voleva solo essere cortese e rompere il silenzio." dice un uomo sulla cinquantina e brizzolato. Non l'ho mai visto prima.
"Diamoci una calmata tutti, su: non è il momento di litigare. Miles ha ragione: il ragazzo voleva solo essere gentile Sette."
Guardo Phil con occhi sgranati: ma nei suoi occhi non c'è accusa.
Ecco quello che apprezzo di Phil: non giudica mai nessuno, è  sempre pronto ad ascoltare senza mai criticare.
L'unico che mi tratta da persona normale.
"Credo sia il caso di fare le presentazioni: io sono Phil e questa è Sette, la mia compagna di squadra. Piacere di conoscervi."
Porge loro uno dei suoi sorrisi micidiali; io mi limito a fare un gesto con la mano e a guardarli in maniera amichevole. Spero di esserci riuscita.
Il ragazzo con i capelli neri prende la parola: "Chiedo scusa Beatrice, non era mia intenzione offenderti, davvero.
Io sono Caleb, tuo... oh beh sorvoliamo.
L'uomo qua accanto è Miles, mentre questi sono Christina"
la ragazza alta e carina,
"Matthew,  Cara, Johanna, Evelyn"
un ragazzo che giocherella con un cordoncino verde al collo, una ragazza bionda e distinta, la donna con la cicatrice e un'altra donna dalla mascella prorompente e i capelli ricci. Quest'ultima non mi piace proprio a dire la verità.
" e...Tobias" conclude.
Tobias.
Il ragazzo spaventoso. No, misterioso è più corretto.
Tobias. Che strano nome. Eppure non così estraneo.
Ma non conosco nessuno che si chiami così; devo essere suggestionata da tutto quello che mi è successo in questi giorni.
Il ragazzo trasalisce non appena sente il suo nome: forse anche lui si rende conto che è un nome un po' strano.
Per un secondo guarda il pavimento, ma solo per un secondo, perchè poi i suoi occhi incrociano i miei.
Sento nuovamente la tensione. I brividi.
Tutto questo non va bene.
Vorrei chiedere a Caleb che intendeva con quel "io sono tuo" ma veniamo interrotti da qualcuno che bussa alla porta; sono certa avrò modo di chiederglielo in un altro momento.
Entrano due guardie che scortano una terza figura: una donna bella, sulla trentina.
Sondra, l'assistente del Presidente.
Pelle olivastra, capelli ricci color mogano e occhi così scuri da sembrare neri: elegante come sempre, procede con passo semplice ma deciso.
Fa un cenno col capo a tutti e quando vede me e Phil si avvicina e ci stringe la mano, salutandoci.
Dalla presa e dal sorriso che ci rivolge, capisco che è davvero contenta di vederci: è qui perchè gliel'hanno ordinato, ma anche perchè fremeva dalla voglia di sapere se stavamo bene.
Ho molta stima di Sondra; in questi tre anni mi è stata molto vicina,  ed insieme a Phil, è la persona a cui tengo di più.
Sondra si avvicina a Caroline e le due si salutano; in realtà si studiano, come due leoni pronti a sfidarsi per capire chi comanda nel territorio.
Caroline fa una piccola presentazione e lascia la parola all'altra donna: si deve ritirare dal campo di battaglia, sconfitta. Ma solo per il momento.
 
                                      ***


TOBIAS

Sono a due passi da lei e non posso fare nulla.
Ci divide un tavolo.
No, non è corretto: ci divide un abisso.
Un abisso fatto di tempo, spazio e ricordi: talmente grande che sento mi risucchierà.
Ma il tavolo rappresenta comunque questa lontananza.
Così vicini eppure così lontani.
Non ricordo chi mi avesse detto questa frase, ma aveva ragione: e non c'è cosa che faccia più male.
Se devo dirla tutta quel Phil non m piace.
Che tipo di rapporto ha con lei? Così profondo al punto da abbracciarla senza curarsi di chi c'è intorno?
Per non parlare dei sorrisi che le lancia.
Vorrei dargli un pugno sui denti: forse la smetterebbe di sorriderle una buona volta.
Non ho avuto modo di parlare con Tris da quando è tornata.
I nostri sguardi si sono incrociati solo per due volte; ma sono state sufficienti.
Sufficienti a farmi capire che nulla è cambiato: non sono bastati tre anni a farmi scordare i suoi occhi, l'adrenalina che provavo ad ogni nostro contatto.
Poco importa che lei non si ricordi di me: farò in modo che riacquisti i suoi ricordi.
E se così non dovesse essere, riprenderemo da zero.
Perchè la sua mente potrà anche non ricordarsi di me, ma il suo corpo si.
Tra noi c'è ancora quell'alchimia che ci univa: un solo contatto ci trasmetteva rassicurazione e desiderio.
Nulla è cambiato.
L'aiuterò a riacquistare sè stessa.
L'aiuterò a trovare la strada per tornare da me.


                                              ***


TRIS

"Lasciate che mi presenti: mi chiamo Sondra Alvarez e sono l'assistente personale del Presidente degli Stati Uniti.
Sono qui perchè purtroppo credo ci sia stato un equivoco con Sette e Phil."
"Sono molto onorata di averti qua, Sondra. Così finalmente potrai spiegarci come i nostri ospiti siano potuti passare per dei sovversivi. Hanno ucciso dei soldati federali, aiutato i ribelli e ed erano armati dalla testa ai piedi: ma sarà tutto un equivoco, come dici tu."
Caroline pronuncia ogni singola parola con tono beffardo.
La mia impressione era giusta: non si sopportano.
Mi chiedo il perchè. E temo che il fatto di non aver saputo tenere la situazione sottocontrollo e di  esser stata rimpiazzata da una donna più bella e giovane di lei non aiuti.
Sondra la guarda senza batter ciglio: è un'ottima giocatrice.
Ama le sfide e questo è pane per i suoi denti.
"Data la tua curiosità Caroline, andrò subito al dunque" 
Ecco il momento che aspettavo.
"Phil e Sette sono due agenti federali sotto copertura.
Le rivolte non sono casuali: sono organizzate.
Teniamo d'occhio i Geneticamente Danneggiati da parecchio tempo e tre anni fa abbiamo scoperto che avevano stretto un patto con un'associazione chiamata  il Reggimento.
E' un'organizzazione segreta che agisce con un unico scopo: sovvertire il governo e l'equilibrio creatosi tra le città.
Purtroppo è davvero una delle organizzazioni più efficienti e top secret con cui abbiamo mai avuto a che fare.
Avevamo bisogno di alcuni agenti che si infiltrassero, per avere più informazioni e per anticipare le loro mosse.
Phil lavorava per noi da un anno quando gli abbiamo affiancato un  altro agente, Sette, e li abbiamo mandati in missione.
Dopo tre anni eravamo ormai sul punto di scoprire alcuni dettagli rilevanti sul capo del Reggimento,  fino a che non siete arrivati voi a rovinare tutto."
Silenzio tombale.
Tutti fissano Sondra con occhi spalancati, bocche aperte e l'incredulità stampata sui loro visi.
Tutti tranne Phil e me.
Phil  ascolta, diligente ed attento, scrutando gli altri per capirne le reazioni.
Io sono soddisfatta e compiaciuta.
Incrocio le gambe e appoggio un braccio sul tavolo con noncuranza.
E' il mio momento di gloria e me lo sto godendo completamente.
Dopo un paio di secondi, Cara non riesce a trattenere la curiosità e chiede:
"Come siete stati in grado di salvare Tris? David le aveva sparato: era morta e tutti noi l'abbiamo visto perchè eravamo presenti. Il medico stesso ce l'ha confermato."
Non appena finisce la frase un barlume di consapevolezza si accende nei suoi occhi.
Sondra lo coglie:
"Vedo dal tuo sguardo che hai già capito tutto, Cara.
Il medico era in realtà un nostro dipendente.
Ha somministrato a Tris una sostanza chimica affinchè il suo battito rallentasse fino a diventare talmente impercettibile da non essere rilevato.
La dose veniva iniettata ogni giorni durante il primo periodo della sua "morte" per non destare sospetti. Nel frattempo le abbiamo tolto i proiettili e ricucito le ferite: non vi siete accorti di nulla perchè i fori erano nella schiena, mentre nell'obitorio era adagiata sempre in posizione supina, con le ferite non visibili.
Appena è stato possibile, l'abbiamo portata via per curarla al meglio.
So che il siero non è nulla di nuovo per te dato che, come Caleb, vieni dalla fazione che l'ha prodotto: gli Eruditi."
Stavolta guardo Caleb e mi rendo conto che anche lui sa, esattamente come Cara.
Loro hanno prodotto il siero che mi ha permesso di vivere.
No, non loro: gli Eruditi.
Ma chi sono questi Eruditi? E cosa fanno? Perchè Cara e Caleb li hanno abbandonati?
Dopo essermi rimessa in sesto sono stata inviata subito al Reggimento.
Phil ha provato a raccontarmi qualcosa ma  non eravamo mai veramente al sicuro e preferivamo evitare l'argomento per non destare sospetti.
Lo stesso vale per i pochi contatti che avevo con Sondra: si trattava di messaggi brevi ed in codice.
Questo argomento ha tutta l'impressione invece di dover essere trattato in maniera molto approfondita.
Ora è la donna con la cicatrice sul viso: ha una voce calma e seria.
Ammiro il suo controllo.
"Non capisco perchè abbiate dovuto mandare proprio lei.
Era ferita ed inoltre sarebbe stata più al sicuro all'interno della recinzione."
"Permettimi di dissentire Johanna: è vero, Tris era ferita, ma l'abbiamo mandata in missione solo dopo che le ferite si erano rimarginate.
E ormai si era fatta troppi nemici: la sua vita stessa era un pericolo.
Abbiamo preferito farla considerare morta.
Non puoi uccidere un morto per due volte, semplicemente lo lasci in pace."
E' la prima volta che Sondra mi chiama Tris.
Pensavo fossero fantasie degli sconosciuti con cui mi trovo a condividere la stanza.
Che sia in realtà il mio vero nome?
Sondra non mi mentirebbe mai.
E' strano sentire il proprio nome ma non riuscire a considerarlo tale.
Mi sembra così estraneo, eppure mi appartiene.
E poi sento una voce.
Mi è nuova per cui alzo lo sguardo e mi blocco: Tobias.
La sua voce è bassa e profonda.
Una voce penetrate, che ti entra dentro e rimane là, senza più uscirne.
Fa di tutto per tenere la voce sotto controllo, calma e neutrale, ma dalla bocca gli esce un suono incrinato, strozzato da un turbinio di emozioni troppo difficili da decifrare.
"Non è possibile. Io l'ho vista, inerme, su quel letto.
Non respirava, era fredda come il marmo.
Io ho sparso le sue ceneri il giorno del funerale. Era una farsa anche quella? Cosa ho sparso al vento? Della comune polvere?
E c'è un'altra cosa: la sua memoria.
Tris ha combattuto e sconfitto qualsiasi avversità o siero nella sua vita.
Il siero della Paura, della Verità....Il Siero della Morte.
Com'è possibile che lei abbia sconfitto tutto questo ed improvvisamente non si ricordi più di noi? Non si ricordi più di ME?".
Sondra, lo sguardo ormai cupo e desolato, risponde semplicemente:
"Perchè non ha potuto combattere l'unico Siero che ancora non aveva affrontato.
La forza di volontà di Tris era la sua arma contro i sieri: finchè era cosciente , finchè era determinata nel suo scopo,  la sua volontà era più forte di tutto.
Ma quando David le ha sparato, ha perso conoscienza: il siero ha quel punto ha fatto il suo corso.
Ha avuto la meglio, senza incontrare alcuna resistenza da parte di Tris".
Quando finisce la frase piomba il silenzio.
Tutti sono impegnati a fare le loro considerazioni, a metabolizzare quanto appreso.
Persino Phil sta zitto: conosceva solo una parte della storia e sta metabolizzando le ultime rivelazioni.
Ma la mia concentrazione è rivolta a Tobias.
Ha parlato di sieri e dei pericoli che ho dovuto affrontare.
Ha parlato di me e del mio funerale.
La sua voce incrinata e le sue emozioni, così forti da farlo vacillare mi dicono che c'è di più.
Che lui mi conosce; mi conosceva.
E che forse mi conosceva più di chiunque altro.
Se voglio scoprire il mio passato, lui è la chiave per arrivarci.
Ne sono sicura.
E' in quel momento decido che non posso aspettare: stanotte andrò a far visita a Tobias.
E' l'ora della verità e non posso più rimandare il confronto con lui.

                                          ***


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Capitolo 7
*** Ho bisogno di te. ***


Cap7 Premessa: Veronica Roth ha rilasciato da poco un piccolo frammento di Allegiant che purtroppo ha dovuto cancellare dalla versione finale perchè spezzava il ritmo del racconto.
Prima di abbandonare Chicago per diriggersi al Dipartimento , gli Intrepidi decidono di fare una sorta di cerimonia di congedo e Tori tatua a tutti il numero delle loro paure sul braccio.
Ecco il perchè del numero sette sul braccio di Tris, mentre Tobias avrà il numero quattro e Christina avrà il numero tredici.


TRIS

"Allora, ditemi un po': come state?"
Io e Phil siamo nella stanza che il Dipartimento ha messo a disposizione di Sondra durante la sua permanenza qui.
Ora che la nostra copertura è saltata e tutti sanno dell'esistenza del Reggimento, il Governo ha deciso di rivelare tutti i dettagli al Dipartimento e di avvalersi del suo aiuto.
Dopo la riunione, Caroline ha insistito per avere le informazioni restanti ma Sondra l'ha congedata dicendole semplicemente che avevamo tutti bisogno di metabolizzare le ultime novità e che ne avremmo parlato a mente lucida l'indomani in una riunione straordinaria.
Avrei voluto fermare Tobias e parlargli in disparte: temevo che sarebbe potuto andar via dal momento che nulla lo tiene legato a questo luogo, che io sappia.
E non potevo permettermi di perdere l'unico legame che ho col mio passato.
Ma Sondra ha pregato tutti di restare: dice infatti che potrebbero esserci utili ai fini della missione, anche se non capisco come.
Ha concesso a Matthew, Johanna, Christina e Evelyn di tornare a Chicago a patto che partecipino alle varie riunioni.
Cara ha insistito per restare: vorrebbe occuparsi del Siero della Resurrezione, come lo chiamo io.
Alla fine è questo quello che ha fatto con me: mi ha riportato in vita dal regno dei morti.
Anche Caleb e Tobias hanno ricevuto il permesso di restare: e questo vuol dire che potrò parlare più tardi con lui, senza che nessuno ci punti gli occhi addosso.
Voglio parlargli da sola.
Sento la tensione tornare al suo pensiero e decido di concentrarmi sul presente: Sondra ha insistito per parlare da sola con noi, voleva assicurarsi che stessimo bene.
Ed eccoci qui: io seduta sul letto con le gambe incrociate, Phil in piedi col gomito appoggiato sulla cassettiera e Sondra sorseggia il thè su una poltrona al centro della stanza: ci guarda con ansia , aspettando una risposta.
"Stiamo benissimo come puoi notare; o meglio io sto davvero bene ora che sono di nuovo in compagnia.
Come dicevo a Tris odio la solitudine, ed è davvero frustrante parlare con il muro:  decisamente una brutta esperienza.
Oh ma quelli son biscotti? Posso?"
Phil assapora con gli occhi alcuni biscottini da thè sul tavolino.
E' da lui: non resiste ai dolci.
Sondra glieli porge e lui ringrazia con piacere.
"E tu, Sette? O vuoi che ti chiami Tris? Effettivamente eri conosciuta così, anche se il tuo nome per intero è Beatrice Prior."
"Chiamami Sette: Tris per il momento mi suona troppo estraneo.
Quando saprò qualcosa in più magari potrò farmelo piacere."
Non mi sono ancora abituata a quel nome. Al MIO nome.
Mi fa sentire vulnerabile. E io odio sentirmi vulnerabile. Debole.
Meglio Sette la micidiale: è così che mi conoscevano tutti al Reggimento.
Si, decisamente meglio.
"Come desideri, Sette. Sono felice di vederti."
Ed è sincera: glielo leggo negli occhi sollevati e nel bellissimo sorriso che mi rivolge.
Ricambio di cuore perchè per me è lo stesso.
"Lo so. Lo stesso vale per me."
Phil, con la bocca piena di biscotti, boffonchia:
"Sondra ma tu conoscevi già Caroline?
Sembra ti odi e non capisco il perchè.
Certo, tu sei più bella, meno vecchia, più alta e  meno rugosa.
Ah, e anche più magra di lei.
E non hai quel sorriso strano sul viso. Sembra un po' sadica.
O forse lo è davvero."
Ringrazio l'ennesimo biscotto che si mette in bocca perchè lo zittisce, ma in fondo lo ringrazio perchè ha posto a voce la stessa domanda che mi sono posta anche io.
Troppo astio da parte di Caroline verso una persona apparentemente sconosciuta: c'è qualcosa sotto.
E sono curiosa di saperlo.
Sondra sorseggia il suo thè e si scosta i capelli: chiude gli occhi e, quando li riapre, ci rivolge un sorriso compiaciuto:
"Caroline è una mia vecchia conoscenza.
Abbiamo fatto gli anni di apprendistato insieme al governo.
Eravamo talmente efficienti da essere diventate le pupille del Presidente.
Ma purtroppo ha un difetto:  è tutto fuorchè amichevole.
Perciò le son stata preferita io, con la mia bravura e la mia ironia, mentre lei è stata scartata e messa al comando del Dipartimento.
Credo non l'abbia ancora digerito."
"Ironia è un parolone con te Sondra: direi al massimo diversamente simpatica."
Phil lo dice con sincerità, spontaneamente; quando alza gli occhi, lo sguardo di Sondra lo incenerisce.
Lui tossisce e per poco non si strozza con i biscotti.
Ora capisco tutto: Caroline non sopporta la donna che le ha soffiato il posto di lavoro portandole via il successo.
Ora capisco il perchè del suo comportamento.
Scoppiano a ridere e le loro risate riempiono l'aria.
Decido di dimenticarmi per una volta di tutti i miei pensieri e mi unisco a loro.

                                             ***


TOBIAS

Mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno.
Troppi pensieri.
Tris un'agente federale.
Non mi sorprende più di tanto: era un'Intrepida dopotutto.
Quello che non riesco ad accettare è la questione del Siero della Memoria.
E' come se l'avesse pugnalata alle spalle, senza darle la possibilità di difendersi.
Di lottare con tutte le sue forze, come solo lei sa fare.
Ma quello che forse non riesco a digerire è il fatto che il Siero della Memoria appartenesse agli Abneganti, a quella fazione che ho sempre considerato come casa, come il luogo al quale appartenessi.
Me n'ero andato, è vero: alla cerimonia della scelta avevo cambiato fazione per diventare un Intrepido.
Ma non perchè non mi piacesse la mia fazione: era il mio posto.
Ma per colpa dell'uomo che mi ha rovinato la vita: Marcus Eaton.
Mio padre, sempre che lo possa ancora definire tale.
Che razza di padre è quello che nasconde il proprio figlio al mondo? Che per insegnargli quella che lui reputa educazione, frusta il figlio con la cintura dei pantaloni?
O lo picchia per poi rinchiuderlo in punizione nello sgabuzzino?
Ha costretto mia madre a fuggire, ad inscenare la sua morte, perchè non sopportava più quelle umiliazioni.Quel dolore.
Tre anni fa ho scelto di proteggere mia madre, di recuperare un rapporto con lei.
Ho rinunciato volontariamente a mio padre: mi avrebbe provocato solo altro dolore ed io ho ancora troppa rabbia per poter sotterrare l'ascia di guerra.
Probabilmente gliel'avrei lanciata addosso anzichè metterla via.
E' da tre anni che non lo vedo: non so che fine abbia fatto da quando ha abbandonato Chicago.
Non che mi interessi.
Pensare a lui in un momento come questo mi rende solo più furente; mi giro di lato, il viso rivolto verso il comodino.
La luce della luna filtra dalla finestra: è alta e circondata da un manto di stelle.
Mi tiene compagnia: illumina le tende rosso porpora, le piastrelle bianco avorio del pavimento, il comodino con una piccola lampada e la sveglia digitale...
C'è qualcosa di strano nella sveglia.
Mi sporgo un po' dal letto per guardare meglio: c'è un bigliettino lì accanto. E non l'avevo minimamente notato, preso com'ero dai miei pensieri.
Lo apro: una calligrafia chiara ed elegante.
Mi si blocca il respiro: la ricordo bene.
"Ti aspetto alla fontana nell'atrio, a mezzanotte.
Ho bisogno di parlarti.
VII"

Rileggo il biglietto tre volte: è Tris, non ho dubbi.
Mi viene in mente quando ci vedevamo di nascosto in città ai tempi in cui facevo finta di appoggiare il nuovo reggime degli Esclusi imposto da Evelyn.
All'epoca per guadagnarmi la fiducia di mia madre, le avevo detto di aver chiuso la mia relazione con Tris. Ma mentivo.
E comunicavo con lei proprio con bigliettini simili a questo.
Sorrido e un po' si rilassano anche i muscoli del mio corpo.
Ma solo quelli.
L'agitazione si impadronisce di me: devo incontrarla.
La rivedrò dopo tre anni.
Senza orecchie indiscrete ad ascoltarci o occhi curiosi a fissarci.
Solo io e lei.
Perdo il controllo sul mio battito cardiaco: finalmente avrò la possibilità di parlare con lei, di vederla da vicino.
Di stare semplicemente accanto a lei.
Guardo l'orologio: mancano cinque minuti alla mezzanotte.
Mi vesto in un baleno e il minuto dopo sto già uscendo dalla mia stanza.
Cammino spedito e sento il cuore martellarmi nel petto.

                                              ***

La vedo non appena arrivo nell'atrio: sta seduta sul bordo della vasca, proprio dove stava Uriah quando l'ha colpito l'esplosione.
Deglutisco, il gusto amaro della bile in bocca per via del ricordo.
Porta un paio di jeans e una canotta bianca.
Molto semplice. E molto più simile alla vecchia Tris rispetto a quando l'ho vista con quella tuta durante l'interrogatorio.
I capelli sciolti le ricadono di lato: sembrano quasi oro a contatto con la luce della notte.
Mi vede e si alza subito in piedi; fa un lungo respiro, i pugni serrati sui fianchi.
Non sono l'unico ad essere agitato.
Mi avvicino ma a questo punto non so che dirle.
Un ciao andrebbe bene? Oppure cosa?
Ma è lei la prima a parlare:
"Vedo che sei puntuale, complimenti."
Il suono della sua voce mi entra nelle orecchie e mi scorre dentro.
Son passati anni da quando l'ho sentita l'ultima volta: progettavamo una vita insieme.
E ora siamo al punto di partenza.
Accenno un sorriso e per non far morire la conversazione aggiungo:
"Come facevi a sapere qual'era la mia stanza?"
"Ho sentito una conversazione in cui Caroline diceva a Miles quali stanze dare a te, Cara e Caleb per il vostro soggiorno qui.
E sono brava a non farmi notare."
Annuisco; un silenzio imbarazzante cala tra noi.
Sono sul punto di parlare ma lei mi anticipa:
"Ti va se ci spostiamo? Andiamo fuori a prendere una boccata d'aria."
Ossigeno. Si, ne ho decisamente bisogno.
L'aria fresca della notte mi scompiglia i capelli, ma è una bella notte primaverile, solo un po' umida per via dell'estate alle porte.
Ci sediamo su un muretto vicino ad un prato: dietro di noi un grosso salice ci fa da copertura. Un piccolo angolo di paradiso nascosto.
Ne approfitto per guardarla meglio: è davvero cambiata e i suoi lineamenti sono ancor più asciutti e femminili di quanto avessi pensato all'inizio.
La mia attenzione è catturata dal tatuaggio sulla clavicola: tre corvi che volano verso il suo cuore. Uno per ogni membro della sua famiglia. E lei non lo sa.
Nota il mio sguardo fisso:
"Sai cosa vuol dire? Il tatuaggio intendo.
Sai se ha per caso un significato?"
 I suoi occhi sono fissi nei miei, decisi e ostinati; sono blu come l'oceano profondo, blu come il cielo prima che spunti la luna . Bellissimi.
Attende con ansia la mia risposta: lei vuole delle risposte.
Cerco di mantenermi calmo, e dopo aver acquistato un po' di autocontrollo dico:
"Te lo sei fatto tre anni fa, dopo essere diventata un'Intrepida.
Tre corvi, uno per ogni membro della tua famiglia.
E' stato il primo che ti sei fatta, prima del simbolo degli Intrepidi, degli Abneganti sulle spalle e del numero VII sul braccio".
Ascolta in silenzio, attenta ad ogni dettaglio. I suoi occhi sono ancora puntati su di me:
"Intrepidi? Abneganti? Chi erano? E perchè il Sette sul braccio?
Aspetta...quindi avevo una famiglia?"
Si blocca all'improvviso: arrossisce e si volta di scatto.
Giocherella con le mani e credo si senta in imbarazzo per aver fatto così tante domande.
Infatti poco dopo aggiunge:
"Scusa, non volevo farti così tante domande insieme".
Anche il primo giorno in cui l'ho vista aveva qualche domanda di troppo per un'ex Abnegante. Non è cambiata affatto.
Una vampata di desiderio mi nasce dentro: vorrei solo prenderla tra le mie braccia e annusarle i capelli.
Dirle che va tutto bene, che può chiedermi tutto quello che vuole: che io ci sarò sempre per lei.
Trattengo i miei istinti e mi limito a dirle, dolcemente:
"Stai tranquilla, puoi farmi tutte le domande che vuoi.
Il simbolo degli Abneganti è rappresentato da due mani che si aiutano e si stringono tra loro, quello degli Intrepidi sono le fiamme: ne hai uno per spalla.
Provenivi da una città in cui la popolazione era suddivisa in fazioni, ognuno con un compito ben preciso: gli Eruditi, gli amanti del sapere, erano scienziati e medici; i Candidi lavoravano per la giustizia e dicevano sempre la verità; i Pacifici  rifiutavano la guerra e vivevano in pace, dedicandosi alla cura dei prodotti che dava loro la terra; gli Abneganti, gli altruisti, aiutavano i bisognosi rifiutando qualsiasi forma di egoismo; e infine noi, gli Intrepidi, i coraggiosi, garantivamo la pace  e la sicurezza nella città."
"Eri anche tu un Intrepido?" mi chiede.
Pende dalle mie labbra e questo particolare mi fa stare bene.
Mi fa sentire sicuro di me.
"Si. A dirla tutta, ero il tuo istruttore." e le sorrido.
Arrossisce ma non abbassa lo sguardo, per cui continuo:
"A sedici anni, ogni cittadino era chiamato a fare un test attitudinale per capire a quale fazione era più propenso, e alla Cerimonia della Scelta, poteva decidere se restare nella sua fazione o sceglierne una nuova, iniziare una nuova vita, lontano dalla sua famiglia.
Dopo un breve periodo , tutti i nuovi iniziati dovevano svolgere un test di ammissione. Se si falliva, si diventava un Escluso, un emarginato, un senza fazione.
Il Sette che hai sul braccio indica il numero delle tue paure , le stesse che hai affrontato nello scenario della Paura, durante l'esame di ammissione tra gli Intrepidi."
Concludo e vedo che il suo sguardo è un po' assente: sta metabolizzando tutto quello che le ho raccontato.
"Scenario della Paura: suona interessante e spaventoso allo stesso tempo."
"Lo era, in fondo. Durante la prova, veniva iniettato un siero che stimolava la parte del cervello legata alla paura.
Lo chiamavamo il Siero della Paura.
Vivevi i tuoi più peggiori incubi in maniera amplificata."
Trasalisce. Qualcosa mi dice che ci sono delle esperienze che non vorrebbe vivere nello scenario della paura.
Forse sono legate al Reggimento.
Dopo essersi calmata, riprende:
"Solo Sette paure eh?Mica male.E tu quante paure avevi?"
"Quattro. Ed era così che mi chiamavano gli Intrepidi: il leggendario Quattro, colui che ha solo quattro paure".
Lo dico con un po' di enfasi, sperando di riuscire a farla sorridere, e ci riesco.
Ridacchiamo e continuo:
"Anche tu mi chiamavi così, sai? Prima che ti rivelassi il mio vero nome."
La guardo dritta negli occhi. Avevo deciso di rivelarle la parte più nascosta e vulnerabile di me, quella che tenevo nascosta al mondo.
A tutti, tranne lei.
Ricambia il mio sguardo così intensamente che lo sento in ogni parte di me. Come una scarica d'adrenalina nelle vene.
Restiamo così, immobili ed elettrizzati per non so quanto tempo.
Ogni contatto tra noi e speciale, anche se avviene a distanza.
E' sempre lei a rompere il silenzio, dopo un periodo che a me sembra interminabile.
"Sai davvero molte cose che io non so. E sembra anche che tu mi conosca molto bene."
Fa una lunga pausa:
"Non sono solita chiedere favori; meno che mai chiedere aiuto.
Son sempre stata abituata a badare a me stessa, a non far affidamento sugli altri.
A fidarmi solo di me stessa e delle mie capacità.
Ma ora sono costretta a chiederti aiuto.
Perchè ne ho bisogno.
Perchè ho bisogno di te ".

Altro respiro:
"Mi aiuterai a ricostruire il mio passato, Tobias?"
Sentirle pronunciare il mio nome fa vacillare il poco controllo che ho mantenuto durante tutto l'incontro.
Guardo le labbra che l'hanno appena pronunciato e la voglia di lei ritorna.
Faccio un respiro e con il sorriso migliore che ho rispondo:
"Sì, puoi contare su di me. Ti aiuterò a ritrovare tutti i tuoi ricordi".
Mi guarda con stupore e un sorriso di sollievo affiora dalle sue labbra.
Lei ha bisogno di me: e io ci sarò.
Ci alziamo perchè ormai si è fatto tardi e non vogliamo destare sospetti o allarmismi.
Abbiamo un sacco di tempo davanti a noi.
O almeno lo spero.
Ritorniamo nell'atrio in silenzio: ci salutiamo dandoci la buonanotte, ma dopo due passi si blocca.
"Posso farti un'ultima domanda per oggi?" dice, senza voltarsi.
"Hai detto che i corvi rappresentano la mia famiglia.
Loro..Mi amavano?"
Mi si stringe il cuore in petto: come posso dirle che i suoi genitori l'amavano al punto da essersi sacrificati per lei?
Che hanno dato la loro vita pur di concederle un futuro?
Decido perciò di dirle lo stretto necessario,la cosa più importante:
"Ti amavano con tutto il cuore, e avrebbero fatto di tutto pur di vederti felice."
Vedo i muscoli delle sue spalle rilassarsi.
Sussurra solo "Grazie" e  riprende a camminare.
Non ne sono certo, ma potrei dire di aver sentito un'incrinatura nella sua voce. Come un singhiozzo.

                                              ***

L'indomani mattina veniamo convocati per avere tutti i dettagli riguardo il Reggimento: siamo nella stanza con l'enorme tavolo tondo in cui Sondra ci ha rivelato la verità proprio ieri.
Ci siamo quasi tutti:  Phil e Tris sono in un angolo che discutono di qualcosa.
Tris si volta e mi fa un cenno con la testa e io ricambio con un sorriso.
Caroline dà ordini a Miles mentre io sono accanto a Christina; poco più in là Cara e Caleb parlano fitto. Sono certo si tratti del siero.
Ho accennato a Christina della discussione con Tris: non le ho detto i dettagli ma solo che avevamo parlato. Voglio tenere per me le emozioni e le parole che ci siamo detti, come fossero un segreto da custodire.
Lei è rimasta sinceramente contenta.
Evelyn e Matthew non ci sono e si sono scusati per l'assenza; mi chiedo cosa stia combinando mia madre.
Da quando è iniziata tutta questa storia l'ho vista di rado e non abbiamo avuto modo di parlare.
Mi domando cosa stia facendo di tanto urgente da non poter venire.
Johanna ha detto che farà tardi: inizieremo senza di lei.
Sondra si siede al tavolo e tutti noi facciamo lo stesso.
Si schiarisce la voce ed inizia:
"Il Presidente mi ha dato l'ordine di mettervi al corrente della situazione, come sapete.
In realtà, vi ho già raccontato tutto ieri mattina: pensiamo che il Reggimento sia stato creato qualche anno fa, ma le sue attività si son fatte più frequenti da tre anni a questa parte e, da ultimo, l'alleanza con i Geneticamente Danneggiati.
E' un gruppo terroristico, o almeno così pensiamo, che trama nell'ombra contro la nostra società , con l'obiettivo di distruggerci, probabilmente.
Ha basi disseminate per il paese: purtroppo non sappiamo se la base in cui si trovavano Phil e Sette fosse la base centrale o un surrogato, ma siamo propensi nel ritenerla una delle più importanti"
"Avete idea di chi sia il capo?" chiede Caroline con assoluta serietà.
"No, purtroppo.
Sono ben organizzati e siamo stati interrotti prima di poter capire chi comandi là dentro".
Caroline fa finta di non sentire la frecciatina lanciatale da Sondra.
"Tuttavia siamo venuti a conoscenza di un dettaglio interessante, ed è per questo che abbiamo voluto la vostra presenza".
Guarda verso noi quattro.
"Vi farò vedere di cosa si tratta".
Preme un pulsante e sull'enorme schermo dietro di lei parte un filmato.
E' lo stesso che ho visto nell'ufficio di Caroline, quando ho scoperto che Tris era ancora viva.
Ma il video viene fermato prima, quando i GD hanno attaccato l'ufficio ed è iniziato il conflitto con i soldati.
Ci sono anche i soldati del Reggimento: tute nere e armi di ogni tipo.
Sondra ingradisce l'immagine per mostrarci uno di questi soldati: più precisamente un lembo di pelle che fuorisce dalla manica della tuta, nella zona del polso.
Ingrandisce sempre di più fino a che non noto un macchia nera: no, non è una macchi.
Ma un tatuaggio.
Riconosco immediatamente il simbolo marchiato sulla pelle del soldato.
Un cerchio nero vuoto.
Il simbolo di quella che nessuno considerava come fazione, ma che aveva tanti membri da poterlo essere senza difficoltà.
Il simbolo degli Esclusi.
Capisco immediatamente perchè Sondra ha bisogno del nostro aiuto: tra le fila del Reggimento militano anche gli Esclusi e noi che proveniamo da Chicago li conosciamo meglio di tutti.
E a quel punto un nome si fa strada nella mia testa.
Evelyn.



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Capitolo 8
*** Voglio proteggere quella luce. ***


cap8
Premessa: chiedo scusa se nel fine settimana non ho aggiornato ma purtroppo avevo un impegno e sono stata occupata.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato delle recensioni positive in questi giorni: mi spingono a continuare questa storia e a migliorarmi sempre. Grazie :)


TOBIAS
E' impossibile.
Non posso crederci. O meglio: non voglio crederci.
Sto ancora fissando il monitor, gli occhi spalancati, ma in realtà non lo guardo davvero: la mia mente è da un'altra parte, impegnata a fare mille congetture. A tenere lontano il pensiero di mia madre.
Gli Esclusi collaborano con i ribelli.
E basta solo questo elemento per rendere questa storia impossibile.
Le fazioni sono state sciolte, tre anni fa.
Dopo la morte di Jeanine Matthews, gli Esclusi avevano instaurato un nuovo governo che escludeva questo sistema.
L'avevano abolito proprio loro.
Ma quel tatuaggio non lascia alcun dubbio: si tratta degli Esclusi, e Sondra ha escluso la possibilità che siano agenti infiltrati perchè nessuno dei loro ha tatuaggi simili e se qualche Escluso fosse stato inviato in missione, lei lo saprebbe.
No, su questo non ho dubbi: collaborano col nemico.
Ma ciò di cui dubito è che Evelyn possa collaborare con loro.
Che anche mia madre sia una ribelle alleata col Reggimento.
Dubitare forse non è il termine corretto: direi più temere.
Si, perchè ho paura.
Paura che mia madre non abbia mai veramente rinunciato agli Esclusi e alla possibilità di governare.
Di ottenere la sua rivincita dopo anni di sopprusi.
Anzi no, non è corretto nemmeno questo.
Ho paura che mia madre mi abbia mentito per la seconda volta in vita mia.
Che per tutto questo tempo abbia solo finto.
Che mi abbia tradito.
Il solo pensiero mi provoca un'ondata di panico: sento il terreno sgretolarsi sotto i miei piedi e il sapore amaro della bile mi riempie la bocca.
Sondra rompe il silenzio e dice:
"Abbiamo scoperto questo dettaglio ieri pomeriggio, dopo aver visionato e rivisionato il filmato.
Ho tentato di mettermi in contatto con Evelyn senza successo; non voglio avanzare accuse ma lei è l'unica che può spiegarci la situazione.
Forse ti chiedo tanto, Tobias, ma tu sei l'unico che può farsi dire la verità."
Sento gli occhi di tutti puntati su di me e so che pensano la stessa cosa che penso io.
Non hanno tutti i torti: lei è stata il loro capo per tanto tempo e se c'è una persona di cui si fidano, quella è Evelyn.
Da quando è successa tutta questa faccenda di Tris e del Dipartimento è diventata strana, sfuggente.
Non sono ancora riuscito a parlare con lei da solo.
E tutti questi dettagli, sommati, mi rendono irrequieto.
Sento che la testa potrebbe scoppiarmi da un momento all'altro; ma devo sapere.
Devo.
Per cui faccio un lungo respiro e mi limito a dire:
"Andrò in città e parlerò con Evelyn."


                                    ***

TRIS

Io e Tobias siamo in viaggio ormai da mezz'ora.
Direzione: Chicago, alla ricerca di Evelyn.
Sono un po' curiosa di vedere la città: non ci sono mai stata prima d'ora.
O almeno credo.
Dopo che Tobias aveva proposto di andare in città per cercare la madre, Sondra gli ha dato il suo consenso, fiduciosa che sarebbe riuscito a trovare informazioni.
Non sono venuta in città perchè nutro dei dubbi su di lui: è strano a dirsi, dal momento che lo conosco appena, ma sento che è una persona affidabile, con la testa sulle spalle.
Sono qui perchè l'ho guardato negli occhi, e mi è bastato per capire tutto.
Perchè vi ho visto il terrore e lo spaesamento: e io, purtroppo, ne so qualcosa.
So cosa voglia dire non avere certezze, non avere nessuno su cui poter fare affidamento.
So cosa vuol dire stare soli.
Non potevo lasciarlo solo. E non volevo nemmeno farlo.
Non dopo quello che sta facendo per me, per aiutarmi a capire chi sono.
Così mi sono alzata e ho detto "Vengo con te."
Non ha ribattuto e ho visto i suoi muscoli rilassarsi, ma solo un po'.
Sondra non ha avuto nulla da ribattere: ha detto che questa era la mia vecchia città, quindi potrebbe essere un modo per scoprire qualcosa in più su di me.
Ho la strana sensazione che sappia molto più sul mio conto; o forse no.
Magari il governo non le ha rivelato nulla sul mio passato ed è curiosa anche lei di sapere chi sono veramente.
Cancello dalla mente tutti questi pensieri e guardo Tobias.
Non abbiamo detto una parola da quando siamo saliti in macchina ed è meglio così: certe volte il silenzio è molto più importante di mille parole.
Ha un bel profilo: labbra normali, il labbro inferiore più carnoso di quello superiore, il naso perfetto, il profilo della mascella ben definito, i capelli scompigliati dal vento...
E quegli occhi: blu come il cielo in piena estate ma scuri come la notte senza stelle.
Non mi ero accorta di quanto fosse attraente: bello e forte.
Ora non mi fa più paura: dopo aver parlato con lui, l'altra notte, lo vedo sotto un'altra luce.
Dalla maglietta nera intravedo sul collo le linee di un tatuaggio: mi chiedo come possa essere e se l'abbia mai visto.
Improvvisamente sento la voglia di toccare la sua pelle, di sentirla forte sotto le mie dita.
Mi volto di scatto e guardo fuori dal finestrino, troppo imbarazzata da quel pensiero.
Sono sensazioni così insolite per me che ancora non riesco a capirle del tutto.
Vedo finalmente la città e decido di guardare tutto, per poter memorizzare il maggior numero di dettagli.
Passiamo per abitazioni curate, marciapiedi che pullulano di vita.
Un edificio altissimo, direi un centinaio di piani: l'Hancock.
Me ne ha parlato Sondra: chissà come sarebbe vedere la città dall'ultimo piano.
Ad un tratto la mia attenzione è catturata da un edificio enorme.
E' alto e mi sembra completamente fatto di vetro.
E'scuro ma riflette le luci del sole in modo quasi abbagliante: misterioso e affascinante allo stesso tempo.
Tobias coglie il mio sguardo assorto e mi spiega:
"Quella è la parte visibile dell'ex quartier generale degli Intrepidi.
Tu lo chiamavi sempre il palazzo di vetro".
Lo fisso: quante cose sa che invece io ignoro.
"Esiste anche una parte nascosta?"
"Sotteranea è più corretto: il Pozzo, scavato nella pietra con tanto di fiume che l'attraversa, era la nostra vera residenza. Là abitavamo e ci allenavamo ogni giorno.
Sia il Pozzo che il palazzo sono ora in disuso in attesa di ristrutturazioni.
Ad esempio all'interno del palazzo di vetro hai attraversato il tuo Scenario della Paura e sei diventata un'Intrepida.
A proposito: ti avevo già detto che nella graduatoria finale ti sei classificata prima tra gli iniziati?"
Lo dice con un sorriso enorme e canzonatorio.
Vorrei chiedergli di più ma ci fermiamo davanti ad un condominio e capisco che siamo arrivati.


                                                ***


TOBIAS

Mi dirigo direttamente all'appartamento che condivido con mia madre.
Ho chiamato nell'ufficio in cui lavora e mi hanno detto che si era presa un giorno di riposo.
Cattivo segno.
Mi sento teso e preoccupato.
Continuando di questo passo il mio stomaco si contorcerà fino a diventare grande quanto un pugno.
Parcheggio e scendiamo dall'auto: guardo la donna che ho al mio fianco e mi rilasso un po'.
Non importa quello che è successo e non importa se lei si ricorda di me o meno: Tris è al mio fianco, come se così dovesse andare, nonostante chi o cosa si metta sul nostro cammino.
Lei è accanto a me e io ci sarò per lei. Sempre.
Perchè lei è la mia ancora. Il mio punto di riferimento.
Mi guarda e mi sorride: è abbastanza per farmi ritrovare un po' di coraggio.
Saliamo le scale del condominio ed entriamo nell'appartamento: vuoto.
Altro brutto segno.
Tris si avvicina al mobile per guardare una statuetta: è in cristallo, trasparente e brillante. Come una goccia di rugiada riflette le luci del pomeriggio.
L'osserva in ogni suo dettaglio:
"E' davvero particolare. Bella, misteriosa e...tranquillizzante".
"Me l'ha regalata Evelyn quando ero piccolo". Deglutisco.
"Gli Abneganti non potevano avere nulla di personale: era ritenuta una forma di egoismo.
Ma mia madre decise di regalarmelo lo stesso: per ricordarmi sempre di lei, per permettermi di sognare nonostante tutto.
Nonostante mio padre."
Mi guarda, confusa e interdetta: vorrebbe chiedermi di più ma non osa farlo, come se temesse di potermi ferire.
Ma è Tris, la MIA Tris: ho deciso già una volta di rivelarmi a lei, con il mio passato, le mie debolezze.
E sono pronto a rifarlo: perchè è l'unica persona in grado di accettarmi così come sono.
Di amare Tobias Eaton, l'uomo, oltre che Quattro il Leggendario.
"Non ho avuto un'infanzia felice. A differenza della tua famiglia, che ti ha sempre amato, la mia famiglia non ha fatto lo stesso con me.
Mio padre aveva un modo tutto suo di dimostrarmi il suo concetto di educazione.
Il suo volermi bene implicava il nascondermi al mondo, rinchiudermi in sgabuzzini e..."
Ricordo ancora  il suono della cintura sulla mia schiena, le lacrime di dolore e di frustrazione.
Segni che son ormai guariti sul mio corpo ma indelebili dentro di me.
Tris non mi lascia il tempo di finire; credo abbia capito senza bisogno di aggiungere altro.
Fa una cosa che però non mi aspetto: si avvicina e, timidamente, mi prende la mano.
Proprio come quando al Pozzo Uriah aveva colpito il muffin sulla testa di Marlene e lei mi aveva stretto la mano.
Un gesto semplice, ma che per noi non è così tanto semplice e scontato. Non lo è mai stato.
Ci avviciniamo, come se una forza ci attirasse l'uno all'altra, gli occhi fissi nei suoi.
Siamo a pochi centimentri di distanza: sento il suo respiro, caldo e dolce.
Lo annuso a pieni polmoni: quanto mi era mancato questo suo respiro.
Siamo davvero vicinissimi tanto che distinguo l'iride blu intenso dalla pupilla, come se ci fossimo solo io e lei in questo mondo.
Sentiamo la serratura scattare e nello stesso istante finisce anche il nostro attimo magico.
Ci stacchiamo subito, imbarazzati e scombussolati, proprio mentre Evelyn apre la porta.
     
                                           ***

Evelyn rimane interdetta sulla porta.
Sposta lo sguardo da me a Tris e viceversa, palesemente confusa.
Guarda Tris, la fronte corrugata.
"Cosa ci fa lei qua? Avete per caso ripreso la vostra relazione e siamo già alla fase delle presentazioni in famiglia?
Risparmiatelo: la conosco già e non mi piace, nonostante  sia contenta per te che non sia morta.
Ad ogni modo è meno scialba di qualche anno fa."

Mi sale una rabbia feroce: non è nella situazione di poter giudicare nessuno, meno che mai Tris, ora che non ha memoria della sua vecchia vita.
E' come prendersela con un debole perchè si è consapevoli della propria forza.
Lei, con tutto quello che ha combinato, ha anche il coraggio di criticare Tris.
"Non sei nella posizione di poter criticare nessuno Evelyn."
Pronuncio quel nome con veemenza e lei rabbrividisce.
Mi irrigidisco e la mia espressione deve essersi fatta cupa e seria perchè mia madre mi guarda, preoccupata e in ansia.
"Non sai nulla della nuova Tris: è un'assassina che uccide a sangue freddo.
Non è più la donna che conoscevi tu, e dovresti fartene una ragione."
La mia ira ormai è implacabile.
"Siediti. Dobbiamo parlare." dico, senza nessuna espressione.
Si siede senza fare storie e aspetta.
Credo che in fondo sappia cosa voglio sapere da lei perchè dice:
"Senti Tobias, lasciami parlare e spiegarti."
"Si, sono proprio curioso di sapere, infatti.
Di sapere perchè la fazione degli Esclusi esiste ancora e perchè tu, per l'ennesima volta, sembri farne parte.
Spiegami perchè eviti le chiamate di Sondra e perchè non ti fai vedere al Dipartimento.
Spiegami perchè ho la sensazione che tu sia coinvolta dalla testa ai piedi.
Siegami perchè mi sento tradito da te per l'ennesima volta.
E mi auguro che sia una buona spiegazione."
Non volevo attaccarla, davvero.
Ma la voce mi è uscita dalla bocca severa e profonda, prima che potessi controllarmi.
Lei mi guarda incredula e scoppia in una risata.
Non è serena, allegra: questa è cupa, amara.
Delusa.
"Passa il tempo ma il passato non ci lascia mai del tutto, eh?
Nonostante questi tre anni passati insieme, continui a dubitare di me.
Riesci a vedermi solo come il capo degli Esclusi, non come una madre."
Il suo sguardo è così vuoto, segnato dalla tristezza e dall'amarezza.
Lei aveva creduto nel nostro nuovo rapporto.
Ci aveva creduto con tutta sè stessa.
E io ora, con le mie accuse, la pugnalo, dritta al petto.
La ho davanti a me e mi sento uno stupido e un ingrato.
Uno stupido per non aver prima aspettato la sua spiegazione e un ingrato perchè ho pensato potesse essere il capo dei ribelli.
Il capo del Reggimento addirittura.
Perchè ho distrutto tutti gli sforzi che lei ha fatto per tornare da me.
I suoi occhi mi dicono che è innocente, che non ha nulla a che fare con tutto questo.
E io sono uno stupido per non averle creduto.
Non ho avuto fiducia in lei.
Quando parla è fredda come il marmo.
"Ne so quanto te, Tobias. A differenza vostra però mi son accorta subito del tatuaggio, sin dal giorno in cui ho visto il filmato.
E mi sembrava strano.
Non riuscivo a capire.
Esistevano ancora gli Esclusi?
Ho contattato l'unica di cui mi fido: Therese.
Devo incontrarla domani: se ti và, puoi venire con me.
E toglierti ogni dubbio".
Sono invaso da una serie di emozioni ma l'unica cosa che riesco a dire è:
"Per me va bene. Passerò domani pomeriggio prenderti."
Cala un silenzio opprimente.
Non riesco a stare un attimo di più in quella stanza: l'aria si fa pesante e io ho un disperato bisogno d'ossigeno.
Esco dall'appartamento, Tris mi segue.

                                               ***

TRIS

Stiamo nuovamente in silenzio.
Non credo ci siano parole da dire in questo momento e sinceramente non saprei nemmeno quali usare.
Non immaginavo che l'incontro con Evelyn sarebbe andato a finire così.
Da un lato sono stata sollevata: sapere che non è implicata nel Reggimento, nel luogo così tetro in cui ho vissuto per questi tre anni è un sollievo.
Sono sollevata per Tobias perchè questo vuol dire che sua madre, nonostante tutto, l'ama davvero.
Eppure non riesco a cancellare dalla mente le parole che ha detto Evelyn.
Immaginavo che Tobias mi conoscesse bene, ma non che avessimo avuto una relazione.
E a giudicare da quello che ho sentito, doveva trattarsi di una relazione abbastanza seria. Ripenso a quando ha detto:
"Non sai nulla della nuova Tris: è un'assassina che uccide a sangue freddo.
Non è più la donna che conoscevi tu, e dovresti fartene una ragione."
Non ha tutti i torti: è quello che sono ora.
E sicuramente non sono la stessa persona che lui conosceva.
Ma allora perchè mi sento come se mi avesse colpito in mezzo allo stomaco e non riuscissi a respirare?
Ad un certo punto i miei pensieri sono troppi da tenere dentro di me e rompo il silenzio:
"Così io e te stavamo insieme?
Non me l'avevi rivelato la scorsa notte".
Sorride.
Un sorriso dolce, come se stesse pensando ad un ricordo piacevole.
"Tu non mi hai chiesto che tipo di rapporto avessimo."
"Giusta osservazione. Dimmi un po': che tipo di relazione era? Seria?"
Mi guarda così intensamente che quasi mi sento perforare l'anima.
"Decisamente seria."
Arrosisco. Lascia intendere molte più cose di quanto immaginassi.
Quando riesco a superare l'imbarazzo, azzardo:
"Beh, devo ammetere che avevo buon gusto allora.
E non fatico a credere che tra di noi ci fosse qualcosa di serio."
Mi lascio sfuggire più di quanto volessi in realtà dire e spero che non l'abbia colto.
Non so nemmeno io perchè penso queste cose: mi sento sottosopra, e su questo non ho dubbi.
Ma lui l'ha colto eccome: si apre in un sorriso, così sincero, così vivo da togliere il respiro.
E il mio cuore smette di battere.
Il suo sorriso è così luminoso che me lo sento fin dentro me.
In un secondo dissipa le ombre del mio cuore e della mia solitudine:
io stessa mi sento invadere dalla luce del suo sorriso.
In quel momento prendo la mia decisione: proteggerò quel sorriso, quella luce, quel calore, con tutta me stessa. A costo della mia vita.
"Non temere, vedrai che le cose con tua madre si sistemeranno.
Lei ti vuole bene, e anche tu gliene vuoi, più di quanto immaginiate."
Sta facendo così tanto per me in questo periodo: mi sta aiutando a riconquistare il mio passato, mi ha difeso dalle accuse di sua madre.
Per lui non sono Sette l'assassina, ma Tris. Una persona.
Mi rendo conto che da quando è lui a chiamarmi con questo nome lo trovo molto più attraente.
Non possiamo andare avanti così: non può essere solo lui a darmi così tanto mentre io sto qua, a ricevere senza ricambiare.
Senza fare niente per lui.
Non sarà mai un rapporto alla pari in questo modo e io sarò sempre in debito con lui.
E' ora che io faccia qualcosa per lui, affinchè mi conosca, affinchè possa capirmi meglio.
Per poter proseguire insieme.
Ecco perchè domani farò conoscere a Tobias la parte più oscura di me.

                                                   ***






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Capitolo 9
*** E se fosse...un ricordo? ***


cap9
TRIS


"Sette svegliati!"
Un po' intontita dal sonno, apro lentamente gli occhi ma li richiudo subito per via della luce che penetra dalla finestra.
Le ipotesi sono solo due: o qualcuno sta tentando di accecarmi volontariamente, oppure è mattino inoltrato.
Nonostante abbia una lunga lista di persone che vorrebbero la mia morte e propenderebbero volentieri per la prima ipotesi, penso sia più plausibile la seconda.
Dopo qualche secondo mi sforzo di riaprirli e questa volta sono preparata: li sbatto giusto un po' per scacciare gli ultimi resti di sonno.
Mi chiedo che ore siano: tardi, su questo non ho dubbi.
"Dai Sette, vuoi restare tutta la mattina a letto?
Di questo passo metterai le radici in quel materasso!"
Phil sta bussando alla porta da cinque minuti, insistentemente.
Mi ha svegliato di soprassalto: già questo è un valido motivo per  assestargli un pugno in fronte.
Ho tentato di far finta di nulla: mi sono girata dall'altra parte del letto e ho tentato di riprendere sonno.
Ma proprio mentre ci stavo riuscendo, ha dato l'ennesimo colpo alla porta.
Sembrava quasi la volesse sfondare con il suo peso.
E la mia precaria pazienza si è sgretolata.
Così ora mi ritrovo a fissare il soffitto, nervosa e di malumore senza che la giornata sia ancora iniziata.
Bel risveglio, non c'è che dire.
"Sette alzati!
Non mi dirai che ora sei diventata improvvisamente una lumaca, eh?!"
E' troppo.
Scendo dal letto e a grandi passi, mi diriggo verso la porta.
Quando la spalanco Phil per poco non perde l'equilibrio dato che vi era appoggiato sopra, pronto a caricarla con un nuovo pugno.
"Per prima cosa smettila di sbraitare come un venditore ambulante:  il mio udito è più che ottimo.
Secondo: se non ti rispondo evidentemente è perchè non ho voglia di alzarmi, chiaro? E grazie ai tuoi modi da osteria ora resterò con il malumore per tutta la giornata.
Ci sarebbero gli estremi per darti un pugno nel naso.
Ultima cosa: si può sapere perchè diamine continui a chimarmi Sette?".
Phil mi guarda dalla testa ai piedi: forse guardare non è il termine corretto perchè in realtà mi sta fissando.
Non batte ciglio e seguo il suo sguardo per capire cosa lo sconvolge così tanto: i suoi occhi si soffermano sulla leggera veste da notte che indosso e poi sulle gambe nude.
E in quel momento ricordo di essere stata talmente arrabbiata da non essermi messa nulla addosso.
Arrossisco ma Phil non è nulla in confronto a me: si volta di scatto per nascondere il viso ormai paonazzo.
Ora che ci penso, non mi ha mai visto così: le donne al Reggimento avevano alloggi separati rispetto agli uomini.
E sinceramente non mi sono mai soffermata a pensare a Phil come un possibile fidanzato: ero troppo impegnata ad uccidere per pensare alle questioni sentimentali.
Anzi, forse non mi sono mai posta il problema perchè io stessa alcune volte dimentico di essere una donna.
Ma suppongo che se me lo fossi ritrovata di fronte mezzo nudo avrei avuto la stessa reazione.
Avampo e scaccio il pensiero dalla testa: questa giornata sta iniziando decisamente male.
"Scusa, non volevo disturbarti.
Solitamente al Reggimento eri molto mattiniera: pensavo avessi mantenuto la stessa abitudine anche qui."
Le sue scuse e la sua voce così dispiaciuta fanno svanire una parte del malumore.
"Ero solo venuto a chiederti se ti andava di allenarti con me: Sondra ha detto che ci dovrebbe essere una sala che viene usata solitamente per le nuove reclute.
Possiamo usufruirne, se vogliamo.

Ultimamente non ti vedo spesso, sei sempre con quel ragazzo, Tobias.
Volevo solo passare un po' di tempo con la mia vecchia compagna di avventure, tutto qui."
La semplicità è la caratteristica di Phil che più amo: e allo stesso tempo che più odio.
Lui è fatto così: non è paranoico, non si preoccupa senza un motivo valido, non si fa condizionare da nulla.
Vive la sua vita giorno per giorno, assaporando ogni secondo, ogni minuto che gli è concesso.
Tutto quello che fa è genuino, senza secondi fini.
Ciò che dice è la semplice verità, nulla più e nulla meno.
E' sincero anche quando si tratta di sentimenti: non ha paura di dire ciò che sente o quello che gli passa per la testa.
Ed è per questo che la nostra squadra è così affiatata; è per questo che tengo tanto a lui.
Con la sua sincerità mi ricorda che la verità non sempre è un'arma a doppio taglio: spesso può essere anche un bene, può portare dei benefici
Con la sua semplicità mi mostra come spesso siamo noi stessi a metterci problemi inutili, a preoccuparci anche quando non è necessario.
Mi ricorda con la sua voglia di vivere che non posso sprecare nemmeno un secondo: la vita mi ha dato una seconda occasione e non posso buttarla via o passare anche un secondo più del necessario adirata con qualcuno.
La vita è troppo breve, troppo sottile, per non averne cura.
Guardo la sua schiena e tutta la mia rabbia sbollisce in un secondo: non posso avercela con Phil, non con la persona più vera che io conosca.
L'unica che non mi ha fatto mai sentire sola in questi tre anni.
La mia voce stavolta è dolce e comprensiva:
"Dammi un secondo. Avevo proprio voglia di fare un po' a botte col mio compagno d'avventure".
Si volta e gli sorrido: va a finire sempre così con lui.
Ricambia il mio sorriso, decisamente sollevato, e mi guarda: due fanali verdi, luminosi e sereni, mi trapassano il viso.
Come un prato illuminato dal sole in primavera.
Faccio per entrare in camera e quando sto per chiudere la porta dice:
"Continuo a chiamarti Sette perchè fino a qualche giorno fa volevi essere chiamata così.
Ma forse a furia di sentirti chiamare col tuo vero nome ci hai fatto l'abitudine e io non me ne sono accorto.
Ti aspetto qui fuori allora, Tris."
Mi è sembrato di avvertire un po' di amarezza nella sua voce.
                           
                                               ***


TOBIAS

Vago un po' per il Dipartimento: sono appena uscito dallo studio di Sondra dove mi ero recato per avvertirla dell'appuntamento di mia madre con Therese.
Mi ha proposto di portare con me qualcuno ma ho risposto che non c'era bisogno: so badare benissimo a me stesso.
E poi si tratta di mia madre e di Therese: non riuscirebbero a mettermi al tappeto nemmeno se mi attaccassero contemporaneamente.
Una fitta di dolore mi colpisce allo stomaco quando ripenso a Evelyn e al discorso che abbiamo avuto ieri.
A come io sia stato così avventato da dubitare di lei.
Il Dipartimento non è cambiato poi molto: è cambiata la funzione, sono cambiati gli impiegati, ma l'edificio è sempre lo stesso.
Passo per i corridoi senza neanche farci caso: i miei piedi procedono sicuri, come se sapessero già dove andare.
Passo vicino alla sala di controllo dove spesso ho tenuto sotto controllo la città della recinzione e i suoi cittadini.
Gli Alleanti, la guerra, mio padre, mia madre...
No, devo decisamente smettere di pensare a mia madre.
Passo accanto ai laboratori dove conobbi Nita e dove scoprii di essere un GD: chissà che fine avrà fatto.
Nita, che si era dimostrata così amichevole.
Nita, che mi ha spinto a prendere parte al piano che ha provacato la morte di Uriah.
No, non è corretto: sono io la causa del mio dolore, solo io.
Non so mai distinguere la verità dalla menzogna: quella era l'abilità di Tris.
E nonostante questo sono stato in grado di dubitare persino del suo giudizio: c'è qualcosa che non va in me e nella mia fiducia verso il prossimo.
Di questo passo diventerò paranoico.
Decido che ho bisogno di scaricare la tensione e perciò mi reco nel solo posto che è davvero terapeutico per me.

                                         ***

Arrivo nella sala degli allenamenti senza sapere che sarebbe stata proprio questa la mia meta.
La parte in me da Intrepido riesce ad avere sempre la meglio, in un modo o nell'altro.
Ma con mia grande sorpresa la sala è già occupata.
Mi avvicino un po' per capire chi sono le due figure al centro, ma senza espormi troppo.
Li riconosco subito: Phil a sinistra indossa una maglia bianca, leggera, e un paio di pantaloni grigi da tuta.
Saltella da un piede all'altro, per riscaldare i muscoli.
Dall'altra parte una donna lo fissa dritto negli occhi, i piedi puntati sul pavimento, gambe salde e braccia lungo i fianchi: indossa una tuta da ginnastica blu scuro, con i capelli raccolti in una treccia laterale.
Tris.
Anche quando era un' iniziata e si allenava nei combattimenti corpo a corpo portava i capelli raccolti in una treccia.
Un piccolo sospiro mi esce dalla bocca, involontario.
Si posiziano al centro e stanno fermi, immobili, per un po' di tempo.
Si stanno studiando: aspettano che sia l'altro a fare la prima mossa.
E' Phil il primo a lanciarsi all'attacco: carica Tris e fa per colpirla con un pugno ma  lei prontamente si abbassa, schiva il colpo e sguscia di lato.
Cerca di sferrargli un calcio all'altezza dell'addome indifeso, ma Phil con il braccio libero ferma il colpo e dà un calcio all'altra gamba di Tris, che cade sulle ginocchia.
Con uno strattone si divincola dalla presa del compagno e rotola indietro, bloccandosi con il peso sulle ginocchia  e con una gamba tesa di lato.
Una tigre pronta all'attacco.
Si lancia contro Phil, avvinghia le gambe attorno al suo collo e, con un colpo di reni, lo scaraventa dall'altra parte della sala.
Mi accorgo di star guardando il combattimento con occhi sgranati, la bocca aperta: sono sorpreso e affascinato allo stesso tempo.
La Tris che conoscevo io era una ragazza debole e mingherlina: ricordo ancora quando Peter l'aveva messa al tappeto senza troppe difficoltà.
Aveva vinto solo una volta, contro Molly: non perchè fosse forte, ma perchè la odiava a tal punto da volerla annientare e umiliare.
Aveva combattuto con la testa non con la forza del suo fisico.
La donna che ho davanti a me è un'altra cosa: è strategica, ma c'è di più.
E' forte, e non intendo caratterialmente: è proprio il suo fisico ad esserlo, i suoi muscoli.
Si muove con agilità e non pensa solo a colpire i punti deboli dell'avversario come un tempo.
Sa che, se lo colpisce, gli farà male, indipendentemente dal punto in cui arriverà il colpo.
Ora capisco cosa intendeva con : "macchina da guerra".
Continuano così per un po' fino a quando, concentrato sul combattimento, non urto un armadietto lì accanto, dove presumo ci siano le armi per gli allenamenti, tenute sotto chiave.
Tris e Phil si bloccano immediatamente e all'unisono si voltano verso di me: rimango spiazzato e un po' infastidito dal loro sincronismo.
Si nota che sono una squadra affiatata: una punta di gelosia e di amarezza mi fa invidiare Phil come non mai.
Si avvicinano e a parlare è proprio lui:
"Non ci eravamo accorti fossi qui Tobias!
Da quanto ci sei? Ti saresti potuto unire a noi!"
Decido di mentire e di non dire che ero venuto con l'obiettivo di allenarmi: non voglio dare l'impressione dell'idiota che è rimasto là a spiarli per tutto questo tempo senza motivo.
"Avevo un appuntamento con Sondra e stavo facendo un giro per l'edificio quando ho sentito dei rumori provenire da questa stanza.
Ero appena arrivato quando vi siete accorti di me.
Continuate pure, non vorrei avervi disturbato."
Finta cortesia. La mia voce è tutto fuorchè gentile.
Non credo di aver smaltito l'invidia.
Tris mi guarda come se si fosse ricordata di una cosa importante.
Dice solo:
"Non ti preoccupare Tobias, stavamo giusto per fare una pausa.
Ora che ci penso devo fare un cosa, ci vediamo più tardi" ed esce.
Restiamo io e Phil: siamo in piedi, uno di fronte all'altro, e ci guardiamo.
Ci sfidiamo, meglio: come due leoni  che devono marcare il territorio.
E' lui a rompere il silenzio e le sue parole non lasciano posto ad alcun dubbio:
"Voglio essere chiaro con te, Tobias.
So dei tuoi trascorsi con Tris; lo sanno tutti.
E so anche che probabilmente per lei stai diventando un punto di riferimento.
Ma io non ho intenzione di farmi da parte.
Detto più semplicemente: non voglio rinunciare a lei."

                                             ***
                                         
TRIS

Mi ero quasi dimenticata.
La mattinata è stata davvero frenetica: Phil, l'allenamento, Tobias...
E' stato quando  l'ho visto che mi sono ricordata di cosa dovessi fare.
Prendo l'ascensore e salgo al primo piano: è qua che si trovano tutti i laboratori.
Non so di preciso dove cercare quindi dò una sguardo in tutte le stanze, cercando di non dare nell'occhio; inutilmente.
Finalmente la trovo: circondata da una serie di provette e vetrini, china su un microscopio e concentrata ad analizzare non so cosa.
Capelli biondi raccolti in uno chignon: indossa un camice bianco e dei guanti.
Busso piano alla porta ma non mi sente.
Busso ancora ma nulla, e decido di chiamarla per nome:
"Ti disturbo, Cara?"
Si volta e non appena mi vede sgrana gli occhi:
"Io..tu..mi hai chiamata Cara o sbaglio?"
"Si. E' il tuo nome, o sbaglio?"
Annuisce e mi fa cenno di entrare.
"Non abbiamo avuto modo di parlare da quando sei ricomparsa, diciamo.
Sei cambiata parecchio."
Lo dice con un misto di dolcezza  e incredulità.
Mi chiedo che tipo di rapporto avessimo: eravamo amiche? o solo conoscenti?
"Mi conoscevi bene?"
"Mmm non direi.
Se devo essere sincera all'inizio ti odiavo.
E credimi: ne avevo tutti i motivi.
Ma poi mi sono accorta di averti giudicato troppo negativamente.
Ho avuto modo di conoscerti meglio, e mi sono ricreduta: ho capito perchè mio fratello aveva deciso di essere tuo amico."
"Tuo fratello? Non credo di averlo visto al Dipartimento, o mi sbaglio?"
La sua espressione è seria, imperscrutabile.
Credo di sapere già la risposta.
"No, non c'era.
E' morto. Gli hanno sparato."
Mi si stringe lo stomaco.
Ma devo chiederglielo lo stesso:
"Sono stata io a sparargli, non è vero?"
Lei mi guarda con uno sguardo che non necessita conferme.
La colpa è mia.
Sono io l'assassina di suo fratello. E non lo ricordo.
La morsa si fa ancora più stretta attorno al mio stomaco: succede sempre così.
E' questo quello che sono:  portatrice di dolore.
Porto morte e sofferenza a chi mi sta vicino.
Io ne sono la causa.
Ecco perchè cerco il mio passato così disperatamente: perchè spero con tutta me stessa di esser stata una persona migliore nella mia vecchia vita.
Spero di non essere stata lo stesso mostro che sono ora.
Ci deve essere del buono in me, deve. Spero.
Riesco solo a dire:
"Mi dispiace."
Lei mi guarda ma senza odio: non c'è accusa nei suoi occhi.
Solo tenerezza e sollievo.
Solo per un attimo la corruga la fronte e le si forma un solco tra le sopracciglia.
Ma per me è abbastanza.

                                       ***

Una fitta lancinante mi colpisce alla tempia.
Un attimo dopo lo vedo: un ragazzo alto, riccioli biondi come oro che gli ricadono scomposti sul viso.
Occhi verdi, ma non come quelli di Phil: più chiari, direi color sedano.
Mi sorride, ma c'è qualcosa di strano in quella visione: qualcosa che mi mette a disagio.
Non è la sua bellezza , e nemmeno il suo sorriso: c'è qualcosa che non va.
La visione cambia improvvisamente e ora capisco.
E' il fatto che mi sta puntando addosso una pistola a farmi irrigidire.
Siamo l'uno davanti all'altra: con le rispettive pistole puntate contro.
Non accenna ad abbassare l'arma: i suoi occhi sono vuoti, totalmente assenti.
Nessun sorriso, nessuna espressione.
Cerco di farlo ragionare ma nulla.
Non sento la mia voce, ma sento la bocca muoversi.
Lui bbassa la canna della pistola: il dito sul grilletto.
E il mio istinto di conservazione mi spinge a sparare, là in mezzo alla fronte, poco sopra il solco tra le sopracciglia.
Il suo nome mi muore in gola: WILL.

                                                ***

"Tutto bene Tris?"
Cara mi guarda preoccupata: mi sono appoggiata ad un tavolo e mi massaggio la tempia dolorante.
Che diamine era? Una visione?
 E chi era il ragazzo che ho visto?
Will. Il nome mi rieccheggia nel cervello.
Che fosse una memoria del mio passato?
Magari sono solo suggestionata da tutto quello che mi sta succedendo, o dal fatto che ho ucciso una persona.
L'ennesima della mia lunga lista.
Decido che non è il caso di raccontare quello che mi è successo:
ci manca solo che mi prenda per pazza oltre che per una maniaca omicida.
"No tutto bene Cara, solo un po' di mal di testa."
"Sono sollevata.
Comunque è passato tanto tempo ormai, non ha senso rivangare il passato.
Ho imparato ad apprezzarti e a perdonarti.
Ma dimmi: ti serve qualcosa in particolare?"
Faccio un lungo respiro e quando parlo, ho nuovamente il controllo di me.
"Si, a dir la verità ho bisogno che tu mi faccia un favore."

                                                 ***


TOBIAS

E' ormai pomeriggio inoltrato quando vado in città a prendere Evelyn per l'appuntamento con Therese.
Sono sceso dalla macchina e ho visto mia madre affacciata alla finestra: stava aspettando me.
Tempo due minuti e la vedo venirmi incontro.
"Ciao" dico, con aria seria ma visibilmente colpevole.
Colpevole per come mi son comportato con lei.
L'ho sempre accusata di essere una cattiva madre: stavolta sono stato io a comportarmi da cattivo figlio.
"Ciao Tobias."
Non ha smaltito la rabbia, lo vedo chiaramente, ma è sollevata.
Perchè ho mantenuto la parola che le avevo dato, le ho dimostrato di volerle credere e di tenere al nostro rapporto.
Ed è davvero quello che voglio fare.
Durante il viaggio cerco di instaurare una conversazione e per fortuna, anche lei è d'accordo.
Arriviamo ad una piccola casetta, una villettina semplice con un piccolo prato verde.
Umile e ordinata.
Therese viene ad accoglierci: è ancor più vecchia dell'ultima volta che in cui l'ho vista.
Ci fa accomodare nel soggiorno e ci chiede se gradiamo qualcosa.
Sia io che Evelyn rifiutiamo cortesemente.
"Therese, io e Tobias siamo qua per un motivo ben preciso.
So di averti messo un po' di fretta, ma purtroppo sono informazioni fondamentali e tu sei l'unica che mi è rimasta e di cui mi fidi dopo mio figlio."
Un'ondata di gioia e commozione mi pervade: mia madre si fida di me.
E per due come noi, con quello che abbiamo passato, è davvero tanto.
Ma allo stesso mi sento come se fossi stato pugnalato.
Lei si fida di me e io come la ricambio? Dandole della traditrice.
Il ragionamento non fa una piega.
Evelyn continua:
"Sai cosa è successo agli Esclusi dopo che le fazioni sono state sciolte?
Abbiamo motivo di credere che alcuni si siano messi nei guai e che stiano collaborando con dei sovversivi".
Therese ascolta con attenzione, gli occhi chiusi in segno di concetrazione; fa un lungo respiro e quando li riapre capisco che non è nulla di buono.
"Si Evelyn, purtroppo devo darti ragione: gli ex Esclusi si son cacciati davvero in un bel guaio."
Io e mia madre ci guardiamo, tesi, ma non osiamo interromperla.
"Qualche mese dopo la fine di tutto, siamo stati contattati da qualcuno.
Non so chi sia: ha sempre parlato tramite intermediari e la sua identità è un mistero per chiunque.
Diceva che eravamo stati usati dal Governo per lunghi anni e che tutto quello che sapevamo era una farsa, una menzogna.
Le fazioni, la città, la nostra stessa vita. Era tutto una bugia.
Ci hanno mostrato dei filmati, dei documenti, ci hanno dato tutte le prove di cui avevamo bisogno per credere.
Sembrava tutto così vero, così reale.
Hanno parlato di persone con i geni danneggiati e di persone pure e del fatto che i Divergeni erano il simbolo di un'umanità purificata.
Chiedeva il nostro aiuto per ribellarsi al Governo, per punirlo di averci usati e presi in giro per tutto questo tempo.
Ci offriva sul piatto d'argento la cosa che tutti volevano in quel momento: la vendetta.
E a quel punto è scoppiato il putiferio."
Therese è visibilmente agitata: le tremano le mani e gioca con una mela in un cesto lì accanto.
O meglio, la tortura.
"C'era chi voleva combattere per vendicare la proprio dignità, chi si sentiva diverso e inferiore per i propri geni deformi e chi, semplicemente, aveva sopportato talmente tanto nella vita che la guerra era l'unico modo per dar sfogo a questa frustrazione.
La maggior parte di noi ha accettato, anche perchè la posta in gioco era alta: distruggere il Governo, il nostro nemico comune e il colpevole delle nostre disgrazie.
In cambio, una vita migliore, più agiata.
Solo pochi di noi hanno rifiutato, tra cui io."
Prende la mano di Evelyn e la guarda con un po' di tristezza.
"Io sono vecchia ormai, non ho la forza di fare una guerra, di combattere.
Ma voi dovete stare attenti: non fatevi condizionare dal passato, l'esercito nemico che si sta formando è più pericoloso che mai.
Non combattono per caso.

Combattono per un solo motivo, con un solo obiettivo: distruggere."
La situazione è più grave di quanto pensassi.
Dobbiamo comunicarlo immediatamente agli altri, subito, e prepararci al peggio.
Ringraziamo Therese e quando ormai siamo vicini alla porta, Evelyn si lascia sfuggire un pensiero che probabilmente covava da un po' dentro di sè:
"Consideravo gli Esclusi come una famiglia.
Pensavo che tutti ci rispettassimo tra noi: non parlo d'affetto, ma di lealtà.
E invece si sono venduti al miglior offerente per la vendetta."

Therese la guarda con aria interrogativa.
Ci coglie totalmente alla sprovvista quando dice:
"Ma io non parlavo solo degli Esclusi.
Anche Eruditi, Intrepidi, Candidi e persino qualche ex Abnegante e Pacifico ha accettato la proposta.
Tutte le nostre vecchie fazioni ora sono il nostro nuovo nemico."

                                            ***

Questa storia sta diventando sempre più complicata.
E sempre più preoccupante.
Appena tornati al Dipartimento abbiamo raccontato tutto a Sondra e agli altri in una piccola riunione privata.
Caroline ha messo a disposizione tutte le risorse della struttura e tutte le unità sono state messe in allerta.
Ma questa facenda è sempre più strana: i GD non nascondevano il loro malcontento anche quando il vecchio Dipartimento era in vita.
Ma perchè le fazioni? Perchè proprio loro?
Magari avevano solo bisogno di più soldati nelle loro file.
Ma poi: loro chi?
Chi si nasconde dietro tutto questo? Come fa a sapere così tante cose?
Sui GD, sulle fazioni, su tutto.
La testa mi gira vorticosamente.
Sono venuto subito in camera, senza guardare nessuno, senza vedere nessuno.
Troppa confusione; e io ora necessito solo di pace.
Pace e silenzio.
E finalmente tutto tace e io crollo in un sonno profondo.

                                           ***

Mi sveglio all'improvviso perchè qualcuno ha bussato alla porta.
Guardo l'ora: mezzanotte in punto.
Bussano nuovamente alla porta.
Sguscio giù dal letto e quando sono ormai sono arrivato, vedo un biglietto passare sotto la porta.
Calligrafia chiara e inconfondibile come nell'altro bigliettino.
Tris.
"Ho sentito i tuoi passi.
Certo che ce ne vuole a svegliarti, pelandrone.
Per poco non butto giù la porta.
Vestiti, dobbiamo andare in un posto."
Sorrido.
Non ho bisogno di vestirmi: mi ero buttato sul letto con gli abiti indosso perciò son pronto.
Apro la porta e me la ritrovo davanti, poco meno alta di me: le mie labbra arrivano poco sotto la fronte.
"Ci hai messo poco, vedo".
Faccio per ribattere ma lei mi posa un dito sulle labbra, come per zittirmi.
Premo un po' di più le labbra contro il suo dito, giusto per sentire il contatto con la sua pelle.
Una scarica di adrenalina percorre entrambi e stiamo così, a fissarci, per un tempo interminabile.
Fa cenno di seguirla e io non obietto.
Percorriamo il Dipartimento e usciamo all'aperto.
Mi fa cenno di prendere la macchina e un attimo dopo sto guidando, con lei al mio fianco.
"Potrei abituarmi a questi nostri incontri clandestini, sai?" la canzono.
"Non ho dubbi data la rapidità con cui ti vesti quando devi vedermi."
"Veramente non l'ho fatto per quel motivo: ero già vestito."
"Decisamente romantica come frase."
Scoppiamo a ridere.
Era da tanto che non lo facevamo: una sana risata, felice, insieme.
Il suono della sua risata mi riempie ancora i polmoni quando continua:
"Ho pensato a lungo a quello che ha detto tua madre su di me."
Sto per parlare, per dirle che non si deve preoccupare perchè mia madre è fatta così e perchè non c'è stato mai un buon rapporto tra loro.
"Lasciami finire, Tobias.
Ci ho pensato e credo abbia ragione.
Tu non sai nulla di me: sai chi ero ma non chi sono ora. Cosa sono."
"Mi stai dicendo che dovrei smettere di preoccuparmi per te solo perchè non ci vediamo da tre anni e non so chi tu sia ora? Beh sappi che è una di quelle cose senza senso che tu mi avresti detto di fare e che io invece non avrei mai fatto".
Mi sorride, sollevata e incredula.
Per lei sono le parole di uno sconosciuto che, nonostante tutto, vuole darle fiducia.
Per me sono le parole che rivolgerei a Tris: a quella di un tempo come a quella di oggi.
Io non l'abbandonerò.
"Apprezzo le tue parole, davvero.
Ma tu devi sapere, devi.
Solo così non mi sentirò più in debito con te e tu potrai decidere liberamente se aiutarmi o meno.
Se ne vale davvero la pena."
Continuo a non capire.
"Cosa intendi di preciso?".
Dopo un lungo respiro, finalmente dice:
"Stiamo andando a conoscere la parte più oscura di me, Tobias.
Quella che cerco di reprimere ogni giorno della mia vita, ma che purtroppo fa parte di me.
Quella parte di me che non ho mai rivelato a nessuno in questi tre anni.
Stiamo andando ad affrontare il mio Scenario della Paura, Tobias."

                                            ***




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Capitolo 10
*** La parte più oscura di me. ***


cap10
Premessa: chiedo scusa se pubblico il capitolo solo oggi quando avevo precedentemente detto che sarebbe uscito ieri, ma ho avuto problemi con internet.
Grazie a tutti per seguire questa ff e per lasciarmi sempre recensioni stupende.




TOBIAS

Credo di non aver capito bene. 
Siamo davanti al Palazzo di Vetro, la vecchia sede degli Intrepidi.
"Non dire schiocchezze, Tris.
Questo palazzo è ormai in disuso da tre anni ed inoltre non sai nemmeno come si fa ad affrontare uno Scenario della Paura".
"E' uno dei motivi per cui sei qui anche tu, no? Dal momento che ti sto facendo questo grande dono potresti pure ricambiare il favore dandomi una mano."
La guardo incredulo:  possibile che stia dicendo sul serio?
Ma più la osservo, meno ho dubbi: è più determinata che mai.
Non voglio che si senta costretta per un qualche debito nei miei confronti.
Ma non posso nascondere che voglio sapere, voglio vedere: cosa avrà fatto in questi tre anni? Saranno stati difficili? E se sì, quanto difficili?
Me lo son chiesto sin da quando è ricomparsa nella mia vita e confesso che la curiosità e il bisogno di risposte aumenta sempre più.
Procediamo spediti, i nostri passi riecheggiano nel silenzio del palazzo abbandonato.
Non so se sono io a guidare lei o il contrario, ma siamo quasi arrivati oramai.
"Tris, per affrontare lo Scenario abbiamo bisogno del Siero della Paura.
Non ci sono più scorte che io sappia".
Mi guarda, spazientita:
"Mi credi davvero così idiota da proporre una cosa senza poi organizzarmi come si deve?
Ti ricordo che sono un soldato, sono abituata a programmare tutto.
Dopo l'allenamento con Phil, sono andata a parlare con Cara.
Molto carino il nostro incontro, educato direi, dal momento che le ho ucciso il fratello."
Mi blocco d'istinto: non le ho parlato di Will. Non ancora almeno.
Un pensiero, fulmineo, mi passa per la testa.
E se se ne fosse ricordata lei stessa? Se in realtà non fosse stata Cara a raccontarle tutto, ma fosse stata solo lei in grado di ricordarsi quell' episodio?
Scuoto la testa.
Si dice che quando qualcuno desidera qualcosa fortemente, quel desiderio finisce col realizzarsi.
Sto desiderando con tutto me stesso che Tris riacquisti la memoria, ma forse mi sto convincendo di qualcosa che è assolutamente impossibile.
Eppure no, prima o poi tornerà da me. E su questo non posso permettermi di avere dubbi.
Quando mi volto a guardarla sembra quasi che voglia aggiungere dell'altro, che voglia dirmi qualcosa, ma alla fine si limita a dire:
"Ho chiesto a Cara di prepararmi due dosi del Siero.
Stando a quello che mi hai detto, era un'Erudita no?
Ho solo pensato che per un'Erudita fosse una cosa semplice.
Mi ha aiutato senza fare domande.
Ma non sarà per caso che Quattro il Leggendario sia in realtà un fifone?"
Conclude strizzandomi l'occhio.
Ci rinuncio:  Tris è sempre stata testarda, niente e nessuno poteva farle cambiare idea.
Non è cambiata per niente.
Siamo arrivati nella sala dello Scenario: è tutto come allora.
Mi sembra di tornare indietro nel tempo: il mio arrivo tra gli Intrepidi, Amar che ci comunica che saremmo stati sottoposti subito alla prima prova da Iniziati,  lo Scenario.
E' grazie allo Scenario in un certo senso, se sono stato temuto e rispettato tra gli Intrepidi.
Che è iniziata la mia nuova vita come Quattro.
Imposto lo Scenario sulle frequenze di Tris in maniera tale che anche io possa vivere le sue stesse paure.
L'ho fatto anche in un'altra circostanza: quella volta erano le mie di paure. E anche in quel caso lei era con me.
Tris tira fuori dalla tasca della felpa due fialette e due siringhe accuratamente sigillate.
Mi passa una siringa e lei prende l'altra.
Ci guardiamo.
Alzo il braccio per iniettarmi il serio, ma lei mi ferma.
Noto il tremore del suo corpo: è terrorizzata.
Glielo leggo negli occhi.
Quasi le manca l'aria, tanto che riesce solo a pronunciare poche parole:
"Voglio solo dirti che non so cosa affronteremo.
Non so cosa vedremo.
Ti chiedo solo una cosa: non giudicarmi."
La guardo dritta negli occhi: non potrei mai giudicarla.
Non perchè l'amo o perchè è Tris.
Ma perchè tutti commettiamo degli sbagli.
Perchè io sono il primo ad aver la coscienza sporca.
Di alcuni miei sbagli non vado fiero e altri  vorrei solo poterli dimenticare.
"Anche io ho fatto delle cose di cui non vado fiero, Tris.
Ognuno di noi compie degli errori.
Non mi interessa se quello che andremo ad affrontare sarà orribile o cos'altro.
Voglio che tu sappia una cosa: io sarò al tuo fianco."
Le prendo la mano libera tra la mia: le nostre dita si incrociano involontariamente, come se fosse una cosa normalissima.
Come se le nostre mani avessero bisogno di quel contatto.
La paura nei suoi occhi svanisce, sento i suoi muscoli rilassarsi e  riacquistare fiducia.
Prendiamo coraggio e dopo esserci iniettati il serio, aspettiamo l'inizio degli incubi di Tris.

                                        ***


TRIS

Apro piano gli occhi e mi accorgo che ci troviamo all'interno del Reggimento.
Non ho bisogno di conferme, non potrei mai scordare questo posto.
Per la precisione ci troviamo in quello che noi tutti chiamavamo la Superficie: un edificio ben messo, moderno, che io ho sempre trovato simile ad un ospedale.
Le pareti sono bianche con delle luci a neon poste sul soffitto; il pavimento invece è di un nero lucido, come il vuoto.
Ogni volta che lo guardo mi dà l'impressione di assomigliare ad un grande buco nero e ho la sensazione di sprofondarci, senza possibilità di salvezza.
Nella Superficie si svolgeva la vita quotidiana: vi si trovavano i nostri alloggi, suddivisi per sesso, venivamo addestrati ad essere invincibili nei combattimenti, ad essere letali con le armi a distanza.
Ad essere bravi ad uccidere insomma.
Vi si trovavano anche i laboratori medici che tenevano sotto controllo le nostre prestazioni fisiche e anche un gruppo di scienziati affinchè ci analizzassero e studiassero.
Ma io e Phil non abbiamo mai capito per cosa.
Io e Tobias camminiamo per un lungo corridoio fino a che non troviamo delle scale.
Brutto segno.
Le scendiamo, fino a che non arriviamo in un'altra zona della struttura, totalmente diversa rispetto alla Superficie.
Deglutisco a fatica.
Siamo nei Sotterranei: pareti e pavimento completamente in pietra con solo qualche luce disseminata qua e là.
Corridoi bui, sudici e desolati.
Ogni dettaglio comunica dolore e desolazione: sono totalmente opposti rispetto alla Superficie.
Mi sono soffermata spesso a pensare come due ambienti così diversi possano convivere nella stessa struttura.
Come dietro l'apparenza si nasconda ben altro.
Procedo piano, cauta: troppi brutti ricordi.
Procediamo per altri tre metri e  ad un tratto lo sento: un urlo.
Straziante.
Deglutisco più forte di prima: tutto ma non questo.
L'urlo proveniva da una porta sulla destra: ci fermiamo fuori.
Tobias mi guarda preoccupato.
Sono io a doverla aprire, lo so, ma non voglio: so già cosa c'è là dietro e non ho nessuna voglia di riviverlo.
I battiti del mio cuore aumentano, il terrore è ovunque: lo sento in ogni piccola parte di me.
Ma devo aprire quella porta.
Metto la mano sulla maniglia e la tiro giù.
Ci troviamo in una stanza, un'infermeria per la precisione.
Due file di letti corrono lungo le pareti: le tendine divisorie sono aperte e lasciano intravedere gli ospiti dei vari letti.
C'è chi ha ustioni grandi e profonde da lasciar intravedere l'osso oltre la pelle ormai bruciata, chi si contorce per via di piaghe o ferite varie, chi ,sotto un lenzuolo bianco, sta semplicemente immobile.
Procedo senza guardare in faccia nessuno e vado dritta verso il mio obiettivo: ultimo letto a destra, l'unico con le tende chiuse.
Tobias mi raggiunge, il fiato corto per tutto quello che sta vedendo.
Per le urla di dolore che è costretto a sentire.
Scosto di scatto la tenda dopo l'ennesimo grido di supplizio.
Una ragazza, più giovane di me di qualche anno, giace agonizzante sul letto.
Ha entrambe le gambe amputate oltre il ginocchio, un braccio è dilaniato dalle bruciature mentre l'altro è privo della mano.
Ha una grossa fasciatura che le copre metà viso, compreso l'occhio: la bocca è deformata dal dolore.
Sento di dover dare delle spiegazioni a Tobias ma non ne ho la forza.
Alla fine mi faccio coraggio, ma parlo con un tono di voce così piatto e rauco che non sembra nemmeno mio, svuotato di qualsiasi cosa non sia il dolore.
"Questo posto era conosciuto come Mattatoio.
Dovrebbe essere una sorta di infermeria.
O almeno dovrebbe.
Qui venivano portati tutti i feriti delle simulazioni d'allenamento o delle varie guerriglie organizzate nella città.
Vige un'unica regola: la regola del più forte.
Se sei forte, abile e utile all'esercito, vieni rimesso in sesto.
Se sei debole, vieni semplicemente abbadonato al tuo destino oppure vieni soppresso.
Come fossimo carne da macello."
Ho bisogno di fermarmi, di riprendere fiato.
Tobias mi mette una mano sulla spalla: non lo guardo in viso, so che crollerei se solo lo facessi.
Non ho mai pianto per nessuno in questi tre anni: nessuno tranne per la ragazza col corpo deforme davanti a me.
"Lei è Delia.
E so solo che senza di lei e senza il suo sacrificio, ci sarei io su quel letto."
Delia è stata la mia unica amica qua dentro oltre a Phil.
Non so nemmeno se il termine amica sia corretto.
Era una ragazza solare, sempre gentile con tutti, persino con me che di certo non posso dirmi simpatica e cordiale.
Durante un'esercitazione di guerra non mi ero accorta di una mina nel terreno.
Era a due metri da me:  io non l'ho notata, ma Delia si.
E si è sacrificata per me.
Per l'unica persona che a suo dire l'aveva trattata da persona e non da soldato nel Reggimento.
Mi guarda con quell' unico occhio implorante e so cosa mi sta chiedendo: di ucciderla.
Di alleviare una volta per tutte quella sofferenza.
Le sue condizioni sono troppo gravi per poter anche solo minimamente pensare di poterla salvare.
La mia paura di perdere le poche persone che amo e che mi sono vicine.
La paura di essere costretta a far loro del male.
Mi ripeto nella mente che è solo per il suo bene, che lo faccio per lei.
Continuo a ripetermelo anche mentre la uccido, liberandola da quella prigionia.

                                         ***

Lo scenario cambia, ma non di molto.
Ci troviamo sempre nei Sotterranei ma nella zona opposta rispetto al Mattatoio.
Stesse pareti in pietra, stessa oscurità, stessa desolazione.
L'unica cosa che cambia sono io: mi ritrovo appesa, le mani legate da una catena che pende dal soffitto, i piedi penzolanti nel vuoto.
Tobias è davanti a me, con gli occhi sgranati, terrorizzati.
Si avventa su di me e cerca di liberarmi, ma improvvisamente delle guardie compaiono dal nulla e lo trattengono, impedendogli di avvicinarsi oltre.
So già quello che sta per succedere.
Una volta, durante il mio periodo di addestramento, ci avevano assegnato un compito: uccidere a sangue freddo una persona.
Era un modo per allenarci alla guerra, per ricordarci che là non ci saranno amici, nè parenti, nè innocenti.
Solo bersagli da uccidere per conseguire la vittoria.
A me era stata assegnata una ragazzina: non aveva più di tredici anni, ritenuta troppo debole per continuare l'addestramento.
Era davanti a me, a pochi metri di distanza: mi guardava con occhi vitrei.
Tirava su col naso e faceva fatica a trattenere le lacrime; la mia pistola era puntata su di lei.
Più la guardavo e più mi rendevo conto che non potevo farle del male:  aveva tutta una vita davanti.
La stessa che avevo vissuto anche io ma i cui ricordi mi erano stati strappati via.
Piangeva perchè voleva vivere, perchè aveva ancora tanto da affrontare e di cui godere.
Mi ero rivista in lei e avevo capito che ucciderla sarebbe stato come uccidere la me stessa del passato.
Impossibile.
Mi ero rifiutato ed ecco la conseguenza: ero stata punita per aver disobbedito agli ordini.
Ero troppo preziosa per l'esercito per essere uccisa, ma non così tanto da non poter essere torturata.
Il mio carnefice, volto coperto, si avvicina, in mano la frusta, pronto ad avventarsi su di me.
Inizia la tortura e ogni colpo è una pugnalata che mi toglie il fiato.
Credo che questa mia paura sia semplicemente quella di essere impotente.
Di non poter far nulla per difendermi.
Tobias ringhia di rabbia: è feroce, digrigna i denti.
Quasi non lo riconosco più, tanto è fuori di sè.
Da calci e pugni a tutte le guardie che ha accanto, stendendole in un attimo.
Il terrore si impadronisce di me: non per le frustate, non per le torture che mi verranno fatte poi, ma per lui.
Si farà del male di questo passo.
E non posso permetterlo.
Tortureranno anche lui: non lo posso sopportare.
Corre verso di me per proteggermi e viene colpito in pieno petto dalla frusta.
Non posso permetterlo.
Devo liberarmi.
Un altro colpo si vibra nell'aria.
Devo riuscire a liberarmi. Ora.
E ci riesco. Dò uno strattone alla catena e cado sulle ginocchia.
Ma non ho il tempo di stare in questa posizione a riprendere fiato.
Mi rimetto in piedi e faccio da scudo a Tobias proprio mentre un'altra frustata lo stava per colpire sulla coscia.
La frusta mi colpisce il collo e quasi perdo i sensi: riesco ad afferrarla e mi lancio all'attacco del mio assalitore.
Ma il colpo va a vuoto perchè è già svanito in una nuvola di fumo.

                                                 ***

"Sei stato uno sciocco, non ti saresti dovuto sacrificare per me."
Stai bene?"
Aiuto Tobias a rialzarsi: è ancora scombussolato per quello che è successo ma mi fa cenno di sì.
Stavolta siamo all'aperto, fuori dal Reggimento.
Questa paura mi è nuova: di cosa dovrei aver paura? Dell'aria?
Ma improvvisamento sentiamo un suono: assordante e ripetitivo.
Ci portiamo le mani alle orecchie ma il rumore non si è attutito.
L'allarme del Reggimento.
Un gruppo di soldati spalanca la porta principale e corre verso di noi.
Ho come l'impressione che ci reputino dei fuggitivi.
L'esercito nemico sta venendo proprio verso di noi per catturarci.
Ricordo di aver provato diverse volte questa sensazione: quella di voler fuggire.
Di mandare a monte tutto e di scappare per non dover sopportare altro, per poter essere libera.
La paura di non avere una via d'uscita, di esser prigioniera del Reggimento.
Prendo Tobias per mano e iniziamo a correre, più veloci che possiamo.
Proiettili colpiscono il terreno attorno a noi, ma facciamo del nostro meglio per evitarli.
Una voce ci intima di fermarci ma facciamo finta di non averla sentita.
Continuiamo a correre ma ci blocchiamo di colpo.
Siamo su una scogliera, il mare impetuoso si infrage sugli scogli e quasi ci bagna le caviglie con i suoi schizzi.
Siamo senza via d'uscita.
Io e Tobias ci guardiamo, i soldati alle costole.
Ci deve essere un modo per fuggire, verso la libertà.
C'è sempre una via d'uscita, mi ripeto, anche quando sembra impossibile.
Faccio la prima cosa che mi viene in mente, senza nemmeno chiedergli nulla.
E, dopo un lungo respiro, mi butto trascinandomi Tobias con me.

                                               ***

"Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere Tris.
Non provare mai più a trascinarmi giù da una scogliera alta più di dieci metri.
Qualsiasi altezza si tratti, evita."
Lo guardo allibita: mi guarda con occhi così terrorizzati e allo stesso tempo furiosi che quasi mi inceneriscono.
"Oh beh scusami tanto se un plotone di soldati ci stava per trivellare di proiettili e ho solo pensato di salvarci la vita."
Scuote la testa.
"Sto solo dicendo: la prossima volta cerchiamo un'altra via, preferibilmente nulla che implichi le altezze."
Soffre di vertigini: altro appunto su Quattro il Leggendario.
Non mi ero ancora resa conto di dove ci trovassimo: ovviamente lo scenario è cambiato, ma riconosco immediatamente il luogo.
E nemmeno questo è un bel ricordo.
Siamo in una sala della Superficie: non ci sono pareti bianche  stavolta. Solo pietra e metallo.
Ovunque.
E' una grande sala con pavimento in pietra liscia e pareti dello stesso identico materiale su cui ogni tanto si alternano dei pannelli di metallo: una sorta di bunker antiatomico, o una cella, a seconda di come la si veda.
Era la palestra in cui venivamo addestrati.
Combattere, ferire, uccidere erano le parole chiave del nostro addestramento.
Procedo verso il centro della sala: Tobias fa per seguirmi ma lo blocco con un gesto.
"E' una cosa che devo risolvere, da sola."
Si blocca senza obiettare.
So già cosa sta per succedere.
Quando sono arrivata al Reggimento ero tutto fuorchè una persona forte: non lo ero psicologicamente perchè mi sentivo sola, spaesata, come intrappolata in un mondo che non mi apparteneva.
Non sapevo nulla di me, della persona che ero.
Non sapevo nulla di quello che avrei affrontato.
E non lo ero nemmeno fisicamente: troppo bassa, troppo magra.
Semplicemente troppo debole.
All'inizio ci avevano sottoposto ad un test di selezione per capire se valesse la pena reclutarci o se era scartarci sin dall'inizio.
Sempre la legge del più forte.
Nonostante i miei pessimi risultati nelle prove fisiche, avevo ricevuto degli ottimi risultati nelle prove strategiche: avevo una mente brillante ed ero in grado con la mia lucidità di cavarmela anche in condizioni critiche.
Così avevano deciso di darmi fiducia e di addestrarmi.
Ma c'era un problema da risolvere: dovevo migliorare il mio fisico, le mie capacità nel combattimento corpo a corpo.
Una figura che non avevo notato prima entra nel mio campo visivo: ricordo bene quel viso così tirato, il ghigno beffardo, gli occhi ridotti a fessura per il piacere che provava nell'infliggere il dolore.
Edgar. Il mio vecchio istruttore.
"Quindi tu mi saresti dicendo che quello che mi hai appena dato è un pugno.
Non farmi ridere, bamboccia.
Questo è quello che si può definire un pugno."
Sento il dolore ancora prima che il colpo vada a segno: questa scena l'ho vissuta troppe volte.
Durante gli allenamenti, venivo sempre sconfitta dai miei avversari.
Il perdenti affrontavano una sessione intensiva di allenamento con Edgar.
Ci spiegava come dare pugni, quelli più micidiali in grado di togliere il respiro o calci in grado di fratturare costole, e io cercavo di imitarlo il meglio possibile.
Ma per lui non era mai abbastanza.
I miei pugni erano sempre troppo deboli, i miei calci facilmente parabili, la mia forza nulla.
Quello era il suo modo di dimostrarmi come le cose dovevano essere fatte: massacrandomi.
Ma in realtà quello non era l'unico motivo: trovava gusto nel picchiarmi. Nel picchiare ed uccidere chiunque.
E io l'ho odiato.
Lo odio anche ora a distanza di anni: per tutti i colpi che ho subito da lui, per l'umiliazione di venir picchiata davanti a dei perfetti estranei, per esser stata etichettata da tutti come "la Debole".
Il pugno mi colpisce dritta nel naso e un dolore lancinante mi attraversa la tempia.
Non ho il tempo di riprendermi perchè mi sferra un calcio nell'addome e cado sulle ginocchia, senza più aria nei polmoni.
"Guardati: frigni per un misero calcio.
Guardatela tutti! Mi chiedo perchè tu sia qua, quando dovresti essere con i tuoi simili, tra gli inutili."
Inizio a tremare: ma non per paura, per la rabbia.
Rabbia per tutto quello che questo'uomo mi ha fatto passare in questi anni, per il mio orgoglio ferito e calpestato come fosse polvere.
Mi sono allenata giorno e notte, di nascosto da tutti.
Ho aumentato la mia resistenza, la mia velocità, la mia precisione.
Mi sono fatta allenare da Phil per poter essere più forte.
Per impedire a chiunque altro nella mia vita di umiliarmi, di sottovalutarmi.
Non permetterò a nessuno, tanto meno a questa mia paura, di mandarmi al tappeto un'altra volta.
Sta per lanciarsi all'attacco ma gli blocco la mano a mezz'aria : lo tiro verso di me e con il braccio libero lo colpisco con tutta la forza che ho.
Indietreggia e cade su un fianco.
Lo guardo svanire in una nuvola di fumo.
"Guardami e portami rispetto."
 
                                           ***

Siamo nuovamente nella Superficie, in un piccolo ripostiglio.
Riconosco immediatamente il posto: è quello in cui solitamente io e Phil comunicavamo con Sondra.
E' qui che le davamo nuove informazioni, tutto quello che riuscivamo a scoprire durante la settimana mentre lei ci dava istruzioni su cosa era necessario fare in quella successiva.
Lo spazio è molto piccolo: io e Phil ci stavamo a malapena, ma era l'unico posto sicuro dove poter parlare liberamente con lei.
Sento Tobias irrigidirsi: boccheggia come se fosse alla ricerca d'aria.
L'unica parola che mormora è "Claustrofobia".
Paura degli spazi chiusi.
"Ce ne andremo subito, te lo prometto."
Cerco di avvicinarmi il più possibile a lui per far si che si liberi un pò di spazio, ma in quel momento il computer accanto a me si illumina.
Una chiamata in arrivo: Sondra.
Mi chiedo che tipo di paura possa essere questa.
"Sette, ho nuovi ordini per te.
A quanto pare domani è prevista una nuova rappresaglia da parte dei GD e tu e Phil siete stati assegnati alla squadra di supporto.
Il vostro compito sarà quello di uccidere tutte le guardie governative che incontrerete."
Uccidere le guardie governative? Senza un motivo?
Qualcosa non quadra.
"Perchè dovrei farlo?"
"Abbiamo motivo di pensare che qualcuno abbia sospetti su voi e sulla vostra lealtà.
Sacrificheremo un'unità per dimostrare che siete fedeli al Reggimento.
Tutto per la riuscita della missione."
Uno sterminio premeditato.
E per cosa? Per coprire me e Phil.
Il governo che decide a tavolino di uccidere degli innocenti solo per noi due.
Una cinquantina di vite sacrificate per proteggere due persone.
Non ha senso.
Ed inoltre io non uccido nessuno se non è strettamente necessario.
Non posso premeditare un massacro simile.
"Non posso farlo, mi dispiace."
"E' un ordine Sette. Non si discute".
Ordine. Questo non è un ordine.
E' impormi uno sterminio di massa senza prendere nessun'altra ipotesi in considerazione.
Senza nemmeno chiedermi se sono contraria o meno.
Non posso sottostare alle decisioni altrui senza che abbia voce in capitolo.
Non posso permettere che qualcun'altro decida al mio posto, che decida cosa io debba o non debba fare.
Paura di non poter decidere da me, di essere controllata e di non avere più un briciolo di libertà.
E' da quando mi sono svegliata senza più ricordi, tre anni fa, che me lo chiedo: sono ancora libera di decidere come vivere la mia vita?
Una cosa la so: sono stata addestrata ad uccidere,è vero, ma questo non vuol dire che uccida la prima persona che mi capiti sotto tiro solo perchè mi è stato ordinato.
No, mi rifiuto.
Se devo uccidere qualcuno, sarò io a deciderlo, e se potrò evitarlo, lo farò.
Accanto a me avverto la presenza di Tobias.
Mi ha insegnato così tante cose in questo poco tempo.
Mi ha fatto provare cose che non pensavo una persona come me potesse provare.
Mi ha fatto capire che posso ancora essere me stessa, fare ciò che desidero io e non gli altri.
Perchè sono viva, e non solo fisicamente.
Non permetterò a nessuno di decidere della mia vita al posto mio.
"Non ho nessuna intenzione di farlo" e chiudo la conversazione.

                                           ***

Questa volta siamo in una stanza che non ho mai visto prima: è una stanza completamente bianca, senza alcun tipo di arredamento.
Tranne un grande specchio posto al centro.
Tobias mi guarda ma faccio spallucce: non sono mai stata qui prima d'ora e non so nemmeno io cosa ci aspetta.
Non mi risulta di aver paura di guardarmi allo specchio dato che lo faccio quasi tutte le mattine.
Facciamo per avvicinarci.
Siamo a meno di due metri di distanza ,ma all'improvviso mi blocco: c'è qualcosa che non va in quello specchio.
Riflette la mia immagine: sono in piedi, Tobias è accanto a me, entrambi stanchi e provati dallo scenario.
Ma c'è qualcos'altro: la mia tuta da ginnastica è completamente coperta di sangue.
Guardo il mio riflesso e vedo che in realtà sono completamente ricoperta di sangue, non è solo la felpa ad esserlo.
Mi gocciola dalle dita della mano e crea una pozza di sangue ai miei piedi che pian piano si allarga sempre di più.
E' viscido, caldo...rosso.
E' il sangue delle persone che ho ucciso: vittime innocenti, che ho dovuto uccidere non perchè miei reali nemici, ma nemici delle persone per cui facevo finta di combattere.
Tutti morti. Uccisi senza pietà da me.
Per nient'altro che una menzogna da portare avanti.
Il Tobias dello specchio mi guarda inorridito e indietreggia: mi guarda come se fossi un mostro, la bocca in una smorfia di disgusto.
Cerco di fermarlo, di non farlo andare via da me.
Mi sta abbandonando, orripilato da me  e dal sangu di tutte le persone di cui mi sono macchiata.
L'unica persona che si è avvicinata a me e su cui ho fatto affidamento, mi sta abbandonando.
Al suo posto, affianco alla me riflessa compare un'altra figura: una ragazzina di non più di trecidi anni, i lineamenti simili ai miei.
La veste grigia che indossa, troppo abbondante per il suo piccolo corpo, è completamente insaguinata.
Anche le sue mani sanguinano, esattamente come le mie.
Cado sulle ginocchia, gli occhi sbarrati.
La disperazione si impossessa di me.
Quella ragazzina potrei essere io.
Potrei essere io a tredici anni, con le mani sporche del sangue di qualche altro innocente che ho ucciso e di cui non ho ricordo.
Cerco disperatamente, ogni giorno della mia nuova vita di dimenticarmi quello che ho fatto, quello che sono diventata.
Mi aggrappo ogni giorno al pensiero che ci deve essere stato del buono in me, che nel mio passato io sia stata diversa.
Ma ora ho paura.
Paura che in realtà mi sia convinta di una cosa che non è vera.
E se in realtà ero un mostro anche prima?
Se in realtà fossi la stessa persona di adesso per cui provo tanto ribrezzo?
La vita mi ha forse concesso una seconda opportunità non perchè fossi una brava persona, ma per continuare ad odiare me stessa per quello che potrei aver fatto?
Ho paura di guardarmi dentro, paura dei dubbi e dell'orrore che ci troverei.
Come se più mi guardassi e più scoprissi che per me non c'è speranza.
"Non è reale Tris.
Non è reale.
E io sono qui con te.
Sono al tuo fianco".
La voce di Tobias mi arriva lontana, come se provenisse da una parte remota del mio cervello.
No, non è così.
Lui è accanto a me, posso sentirne la presenza.
Tobias mi ha detto che avevo una famiglia che mi amava.
Avevo degli amici che mi volevano bene: per forza, se anche Cara è stata in grado di perdonarmi.
Se fossi stata una persona così orribile non sarebbero stati accanto a me.
Tobias è vicino a me e sento che , se lui c'è, non ho nulla da temere.
Non mi ha abbandonato, non è scappato quando ne ha avuto la possibilità.
E' rimasto al mio fianco. Mi conosce e sa che c'è del buono in me, altrimenti non farebbe tutto quello che sta facendo per me.
Lentamente mi rialzo e lo guardo fisso negli occhi.
Dico semplicemente quello che provo in questo momento:
"Se ci sei tu, posso affrontare qualsiasi cosa."
Quando mi volto nuovamente verso lo specchio ci siamo solo io e Tobias: e i miei vestiti sono puliti e immacolati.

                                         ***

Siamo nuovamente nella realtà.
Le finestre lasciano filtrare giusto qualche raggio di luna.
Ho concluso il mio Scenario della Paura.
Cadocon le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Sono esausta e mi rendo conto di avere il fiatone, come se avessi appena finito di correre.
Cerco disperatamente aria in maniera tale da riacquistare la calma e rallentare i battiti del mio cuore: sono sudata e stremata per la fatica.
Non immaginavo sarebbe stato così difficile ed estenuante, ma sono contenta di averlo percorso.
Ora Tobias mi conosce davvero, sa tutto quello che ho vissuto e quanto mi abbia segnato.
Ed inoltre ho avuto la possibilità di conoscermi, di conoscere le mie paure.
Non sono  solo un soldato: sono umana.
Tobias è in piedi, rigido e con i pugni serrati.
C'è un silenzio troppo carico di tensione, troppo opprimente.
Cerco di smaltire la tensione:
"Le ho contate: sono sei.
Le paure, intendo.
A quanto pare mi sono migliorata, anche se non sono ai tuoi livelli Quattro."
Ma non appena termino la frase, lui si inginocchia e mi attira a sè.
Mi abbraccia con così tanta forza che quasi mi blocca il respiro.
Sa di muschio e di sudore.
La sua presa è sicura, i suoi muscoli sono tesi e resistenti.
Il contatto con la sua pelle, col suo corpo mi provoca un miscuglio di emozioni: sento la testa girarmi.
E' un gesto così improvviso, così spontaneo e così carico di incoraggiamento e di emozioni che mi spiazza.
Mi tocco la guancia e sento qualcosa di umido scivolarmi sul viso: una lacrima.
Sto piangendo.
Non piango da quando ho visto morirmi sotto gli occhi Delia.
Le lacrime aumentano e inizio a singhiozzare.
Piango copiosamente, in preda ai singhiozzi, senza riuscire a controllarmi.
Sto liberando tutta la rabbia, la frustrazione, la solitudine e la sofferenza che ho accumulato in questi tre anni.
Non vorrei farmi vedere da lui in queste condizioni ma non riesco a fermarmi.
Piango tutte le lacrime che posso fino a che non si arrestano.
Tobias non dice nulla ma la sua presa è più forte che mai.
E io rimango tra le sue braccia per non so quanto tempo.

                                         
TOBIAS

Stiamo scendendo le scale che conducono al quartier generale degli Intrepidi, diretti al mio vecchio alloggio.
Ho provato ad aiutare Tris a mettersi in piedi e a camminare ma è decisamente troppo debole per poterci rimettere in viaggio e tornare al Dipartimento.
Io stesso non sono nelle condizioni di poter guidare.
Non dopo quello che ho visto.
Lo Scenario della Paura di Tris è stato davvero devastante: ho ancora in mente l'immagine della ragazza mutilata, che invoca la liberazione da quella sofferenza.
Ricordo ancora quell'uomo che la picchiava solo per il gusto di farlo e ricordo ancora Tris frustata sotto i miei occhi.
Cose che ho visto e in parte vissuto sulla mia stessa pelle durante la mia infanzia: io più di chiunque altro posso capire quello che ha provato.
Mi sorprende come sia riuscita a sopportare tutto questo per tre anni: sapevo fosse forte e ora ne sono più che mai convinto.
Così ho proposto di fermarci qui per questa notte e di tornare al Dipartimento direttamente domani: Tris ha acconsentito, visibilmente distrutta.
Apro la porta del mio vecchio appartamento: non è cambiato poi molto se non per qualche dettaglio.
Ci togliamo le scarpe e Tris mi chiede se può farsi una doccia.
Cerco di non soffermarmi troppo al pensiero di Tris impegnata a farsi una doccia nella stanza accanto e le preparo qualche vestito nel caso non voglia usare gli indumenti che aveva prima: per fortuna ne avevo lasciato qualcuno, in caso di emergenza.
Gli starà tutto largo ma meglio di nulla.
Dopo è il mio turno : sento l'acqua distendermi i muscoli e sciogliere un po' della tensione che ho accumulato, mentre mi scorre sulla pelle.
Quando ritorno in camera la trovo sdraiata sul letto, con solo una maglia indosso.
Per fortuna è abbastanza lunga da coprirla ma lascia le gambe scoperte: lunghe e toniche, più di quanto non lo fossero un tempo.
Mi ricorda quando eravamo ospiti dei Pacifici ed era venuta a dormire da me in preda agli incubi: anche allora indossava una maglia simile.
Attiro la sua attenzione e mi sento improvvisamente arrossire.
"Dormirò nel divano questa notte, tu occupa pure il letto".
"Non farmi ridere Tobias, non dirmi che ti vergogni di dormire con una donna al tuo fianco.
Questo è il tuo appartamento e tu come me hai il diritto di dormire nel letto.
Al massimo dovrei dormire io sul divano dato che sono l'ospite.
Se poi hai paura di dormire con me, stà tranquillo: non ti molesterò nè ti accoltellerò nel sonno."
E aggiunge: "Sappi che hai un gusto pessimo per l'arredamento."
La guardo titubante:
"Sei sicura non ti crei alcun problema?"
"Dovrò inizare a chiamarti Quattro il Paranoico: no, non ho nessun problema, te l'ho detto."
Dormire con lei accanto in questa stanza dove abbiamo così tanti ricordi insieme.
Mi sembra di essere tornato indietro nel tempo.
Alla fine me ne faccio una ragione, mi avvicino al letto e mi siedo accanto a Tris.
Per un po' stiamo in silenzio ma noto che Tris mi guarda fugacemente il petto.
"Tutto bene?" le chiedo.
"Si" mi risponde, ma dopo poco aggiunge:
" E' solo che mi chiedo se ti faccia ancora male la frustata che hai ricevuto nel mio Scenario" e indica un punto nel mio petto, proprio dove ho il tatuaggio col simbolo degli Intrepidi.
"E' tutto ok, non devi preoccuparti."
Silenzio.
"Perchè l'hai fatto Tobias? E non dirmi per salvarmi: so che l'hai fatto anche per quello.
Ha a che fare ... con tuo padre?"
Mi chiede, incerta.
Mi limito a dire:
"Si, ha a che fare con lui. Da piccolo mi riservava lo stesso trattamento per punirmi.
Diceva che era per il mio bene".
Ma in realtà non ho mai capito che tipo di bene sia quello che spinge un padre a frustare il figlio.
Parlare di lui è l'ultima cosa che vorrei ora, dopo tutto quello che ho vissuto.
 Ho visto talmente tante cose nello scenario di Tris che i miei problemi sembrano perdere importanza.
Vorrei semplicemente che il ricordo del dolore che Marcus mi ha causato esca dalla mia vita, proprio come ha fatto lui.
Mi coglie di sorpresa quando sento la sua mano accarezzarmi il viso.
Non era un gesto solito di Tris, ma certe volte era in grado di essere dolce e disponibile.
Io stesso me ne dimenticavo, abituato com'ero a vederla così forte e risoluta.
Con occhi pieni di gratitudine, mi sussurra semplicemente "Grazie."
E questo basta a sciogliere qualsiasi nodo avessi allo stomaco per quello che ho visto, per quello che le hanno fatto.
Le prendo la mano e gliela bacio.
La sua pelle è morbida, sà di fresco e di bagnoschiuma.
Ma cosa più importante: è calda.
E' viva.
Mi guarda con la bocca socchiusa e un po' di rossore le colora il viso.
Mi ritorna in mente il momento in cui l'ho vista all'obitorio, apparentemente morta, fredda e immobile.
Era così bianca che sembrava fosse fatta di neve.
Avevo sperato inutilmente in un altro suo sguardo, parola o gesto, ma lei non si era mossa.
Chissà se avrà sentito la mia presenza.
"Grazie a te per avermi fatto conoscere la tua parte più fragile."
Ed è vero: le sono riconoscente.
Perchè quello che ho visto, se da un lato è stato così straziante, dall'altro mi ha ricordato come la vita non vada come vogliamo noi in alcuni casi.
Che spesso si inciampa e ci si scortica le ginocchia.
Che spesso la sconfitta è frustrante e dolorosa.
Ma nonostante questo bisogna sempre rialzarsi, ogni volta più forti di prima.
Non dobbiamo dimenticare il nostro passato, i nostri errori, ma ricordarli sempre per non commetterli mai più.
Impedire che quegli stessi errori ci distruggano.
Non voglio dimenticare le punizioni di mio padre, non voglio scordare di aver quasi perso Tris e non voglio scordare di essere la causa della morte di Uriah.
Non vado fiero di quello che ho fatto ed i sensi di colpa mi dilaniano ogni giorno.
Ma ho imparato ad essere più riflessivo, a valutare ogni mia azione prima di compierla: ho imparato a cavarmela con le mie sole forze.
E credo che anche Tris, affrontando le sue paure, abbia capito tutte queste cose.
"Ti sei messo in un guaio Tobias.
Ora sai tutto e sei libero di fare la tua scelta: se stare al mio fianco nonostante quello che sono o andartene finchè sei in tempo."
Le stringo forte la mano e le bacio la fronte prima di sussurrarle:
"Ti ho già detto qual'è la mia scelta.
Io sarò al tuo fianco, sempre."

                                                ***


L'indomani mattina torniamo di buon ora al Dipartimento per evitare di destare troppi sospetti.
Per la prima volta dopo anni ho dormito serenamente.
Ognuno ha dormito nella sua porzione di letto: eravamo stanchi e stremati.
Ogni tanto sentivo Tris rigirarsi nel letto in preda agli incubi.
Io ho passato un po' di tempo semplicemente ad ascoltare il suo respiro: mi confortava.
Appena arrivati al Dipartimento notiamo subito che c'è qualcosa che non va: troppo movimento per essere l'alba.
Un via vai di gente troppo frenetico. Decisamente troppo, rispetto alla calma che regna di solito.
Vediamo Miles intento a dare ordini ad un gruppo di soldati che si stanno armando: ci avviciniamo e non appena ci nota , ci viene incontro.
"Dove diamine eravate finiti?
Vi abbiamo cercato dappertutto."
"Facevamo un giro nell'isolato.
Che sta succedendo?"
La voce di Tris è calma ma è in allerta, proprio come me.
"Abbiamo ricevuto una soffiata qualche ora fa da un nostro alleato.
A quanto pare, stiamo per essere attaccati dal Reggimento".

                                                  ***



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Capitolo 11
*** Che la guerra abbia inizio. ***


Cap 11 TOBIAS


"Quando avverrà l'attacco di preciso? E quanto tempo abbiamo per organizzarci?"
Non mi aspettavo un attacco così improvviso da parte del Reggimento.
Da quello che ho potuto capire tramite Sondra e le esperienze di Tris si tratta di un'organizzazione per strutturata.
Se sono loro a prendere l'inizativa e ad attaccare, vuol dire che si tratta di una decisione ponderata a lungo e preparata nei minimi particolari.
Ho vissuto gli ultimi tre anni della mia vita lontano da tutto questo.
Lontano da qualsiasi cosa avesse a che fare con armi, violenza e scontri di qualsiasi tipo.
Lontano da tutto ciò che implicava il concetto di morte, di perdita di una persona cara.
Avevo scelto gli Intrepidi tempo fa solo per sfuggire a mio padre; non perchè mi piacessero le armi o avessi tendenze suicida.
Ma non mi sono mai tirato indietro.
Sono sempre stato pronto a combattere, soprattutto in casi di necessità come questo.
Ho una buona forza fisica e una mira impeccabile.
Seppur non mi alleni da molto, sento di non aver perso le mie buone qualità da soldato. Da Intrepido.
"Abbiamo ricevuto una soffiata qualche ora fa.
L'attacco è previsto tra un quarto d'ora al massimo.
Tris, cerca Sondra: tu e Phil avrete una divisa speciale e delle armi particolari.
Per il nemico siete dei traditori : è più probabile che si concentreranno su di voi con l'obiettivo di eliminarvi.
Tu, Tobias, verrai con me."
Non voglio lasciare Tris.
L'ultima volta in cui ci siamo salutati prima di una guerra è stata anche l'ultima volta in cui l'ho vista viva.
Allora non immaginavo le conseguenze catastrofiche che avrei trovato al mio rientro.
E non immaginavo che la vita ci avrebbe dato una seconda opportunità.
Ma non posso lasciarmi andare ai sentimentalismi proprio ora: non è da me.
E Miles ha ragione: Tris necessita di maggior protezione perchè probabilmente sarà il bersaglio principale di questo attacco.
Mi volto verso di lei e vedo che sta pensando la stessa cosa.
Non vogliamo, ma dobbiamo farlo.
"Sono spietati,  Tobias.
Qualsiasi cosa accada, spara per uccidere.
Non avranno pietà di te.
E non devi averne con loro."
I suoi occhi sono fermi e determinati: è lucida, controllata.
E' stata addestrata ad esserlo in queste situazioni.
Ma avverto qualcos'altro.
La preoccupazione le vela la voce e sento che quella preoccupazione è rivolta a me.
Teme che mi possano ferire. O peggio.
Teme di potermi perdere.
"Sono un Intrepido, non scordarlo.
Sono abbastanza bravo: era il mio lavoro, dopotutto.
Saprò cavarmela; non temere."
Ma mi rendo conto che non basta e che c'è un'altra cosa che ho bisogno di dirle.
Non metterò a repentaglio la mia vita.
Non ora che finalmente sembra riservarmi qualcosa di bello.
Devo proteggere le persone che amo, i miei amici.
E le uniche che hanno portato un po' d'amore nella mia vita: Tris e mia madre.
Le afferro il braccio per bloccarla, e dico solo una cosa che spero possa comunicarle, silenziosamente, tutto quello che provo.
"Fà attenzione Tris.
E torna da me".
Mi rivolge un mezzo sorriso d'incoraggiamento e so che lo vuole anche lei.
Saluta Miles e procede in direzione opposta alla mia.

                                                   ***

Io e Miles procediamo spediti lungo un corridoio ed entriamo in una sala sulla destra: la zona armamenti.
"Indossa una di quelle tute: cerca la taglia che più trovi comoda.
Scegli anche le armi con cui ti trovi a tuo agio.
Tutto quello che sai maneggiare e con cui sai uccidere, prendilo.
Io ti aspetto nell'atrio insieme al resto della squadra."
Mi dà solo una leggera pacca sulla spalla sinistra ed esce poco dopo.
Sono intento a scegliere quale delle tute prendere quando sento dei passi avvicinarsi.
Mi volto e vedo Christina correre trafelata: si ferma sulla porta per riprendere fiato.
"Oh Tobias, ci sei anche tu per fortuna.
Pensavo di essere l'ultima a dovermi preparare.
Mi hanno chiamato all'ultimo momento per avvisarmi dell'attacco e dal momento che sono un'ex Intrepida , hanno chiesto anche il mio aiuto."
La guardo un paio di secondi e, mentre mi concetro sulla tuta, rispondo lapidario:
"Mi sembra più che giusto, dal momento che ti sei classificata in maniera eccellente durante l'iniziazione.
E con quello che hai vissuto, sei più preparata di molti altri."
"Il leggendario Quattro, l'istruttore degli Intrepidi, si è impossessato nuovamente  di te, giusto?
Sei il solito antipatico e sicuro di te stesso di tre anni fa, quando ci siamo conosciuti.
E io che pensavo fossi diventato più simpatico.
Che bel migliore amico, non c'è che dire."
Non c'è accusa nella sua voce, anzi; mi prende quasi in giro.
La capacità di sdrammatizzare di Christina è ottima in queste circostanze.
Mi ammorbidisco un po' e dico:
"Le vecchie abitudini difficilmente si perdono.
Scusami Christina.
Spesso i ricordi non aiutano, sai."
Il suo sguardo diventa serio e so che sta pensando a tutte le persone che abbiamo perso a causa della guerra.
Pensiamo a Will, a Uriah...e anche a Tris.
"Io e te lo sappiamo meglio di chiunque altro."
"Già" e viene accanto a me per scegliere la tuta, ognuno immerso nel proprio silenzio.
All'improvviso mi viene un dubbio:
"Sai chi tutto parteciperà all'attacco?
Dei nostri amici intendo."
"Solo io e te.
Shauna non se l'è sentita e Zeke è rimasto con lei."
Penso a Lynn e al suo essere così dura per non sembrare debole, o  ad Uriah e al suo sorriso.
Anche loro hanno perso dei cari e portano ancora le ferite di quelle perdite.
Ferite fisiche, ma soprattutto interne, invisibili.
"Johanna, Cara, Caleb....Evelyn?"
Pronuncio l'ultimo nome con una fitta nello stomaco.
L'ultima persona che vorrei sapere su un campo di battaglia è mia madre.
"Loro sono tutti al sicuro.
Tranne Caleb, che non so che fine abbia fatto.
A quanto pare non si vede in giro da questa mattina.
Non temere: Evelyn è a Chicago, le hanno proibito di avvicinarsi per via del pericolo.
E' al sicuro, Tobias."
Annuisco.
Senza farmi notare, rilasso un po' i muscoli.
Trattengo un sospiro di sollievo.

                                            ***


TRIS

Tutto già visto.
Sono nella mia stanza, seduta sul letto con i gomiti posati sulle gambe.
Accanto a me la mia tuta, le mie armi.
Sono certa sia stato Phil ad occuparsene, magari con l'aiuto di Sondra: meglio di chiunque altro sa che tipo di armi uso e come mi trovo meglio a combattere.
Tutto già visto e vissuto miliardi di volte.
Eppure ora sono qui, immobile: fisso il muro, poi le armi.
E di nuovo il muro.
Non so perchè, ma le guardo con ribrezzo.
Il nero lucido della tuta, la superficie liscia della pistola, la lama affilata del coltello.
E' tutto sbagliato.
Tutto così senza senso.
Sono stanca.
Stanca di combattere, uccidere, eseguire gli ordini: di tutto.
Sta diventando sempre più pesante, opprimente, ogni giorno che passa.
I miei occhi si perdono nel vuoto ma la mia mente è frenetica.
Perchè così tanti dubbi proprio ora?
Per anni questa è stata la mia vita: perchè ora dovrebbe risultarmi così estranea?
Ripenso a tutto quello che ho  affrontato negli ultimi giorni e alle persone che ho incontrato.
Sondra, Phil,Cara...
Cara mi ha insegnato cosa vuol dire perdonare e mi ha fatto capire che il perdono esiste anche per me.
Per tutti.
E cosa dire di Tobias?
Non so cosa avrei fatto senza di lui.
Se non ci fosse stato lui quella notte, nello Scenario della Paura con me...
Un nodo mi si forma in gola.
In tutti questi anni non mi sono mai posta il problema degli altri: mi sono concentrata sempre su me stessa, sulla mia sopravvivenza.
Ma ora per la prima volta non sono io quella che conta, ma le persone accanto a me.
Combatterò, ancora, ma questa volta non lo farò per me.
Ma per le persone che mi stanno dando l'opportunità per ritrovare me stessa.
L'opportunità di riprendere in mano la mia vita.
Mi alzo e inizio a vestirmi.
La tuta nera, aderente, si adatta perfettamente al mio corpo e ai miei movimenti.
E' una tuta particolare, in grado di trattenere i proiettili o il calore corporeo in caso di temperature basse.
La riconosco dal tessuto e dalla lavorazione.
Mi allaccio la cintura, la pistola nella fondina.
Infilo il coltello negli stivali: meglio avere un'arma di scorta, in caso di necessità.
Mi raccolgo i capelli in una treccia che  mi ricade di lato e mi guardo allo specchio: i miei occhi fissano il riflesso, saldi.
Più decisa e determinata che mai mi tiro su il cappuccio della tuta ed esco.
Che la guerra abbia inizio.

                                               ***

Un'esplosione.
Ho fatto solo pochi passi ma la sento, forte e chiara.
A giudicare dal colpo e dal vibrare delle mura deve essere stata abbastanza vicina.
Un'altra esplosione, e questa volta capisco da dove proviene: dal piano terra.
Mi metto a correre e arrivo alle scale: quasi mi scontro con Phil.
Viene verso di me , ma dal corridoio opposto.
"Ti stavo cercando Tris, l'hai sentita anche tu?"
"Si, dobbiamo muoverci."
Ma prima di scendere le scale gli porgo la mano e gli strizzo l'occhio:
"Che ne dici, combattiamo insieme anche questa volta?"
Mi batte il cinque.
"Siamo una squadra, non devi nemmeno chiederlo".

                                                ***

Scendiamo le scale velocemente: un gruppo di soldati ci viene incontro.
D'istinto, mii getto all'attacco, senza pensarci troppo.
Ne metto fuori combattimento tre, Phil spara agli altri due da dietro la mia schiena.
Proseguiamo e siamo nel corridoio principale, ad un passo dall'atrio.
Sparo a due soldati che stavano per uccidere un impiegato del Dipartimento vicino a me, Phil ne fa fuori altri due.
La nostra squadra è micidiale, come sempre del resto.
Finalmente arriviamo nel luogo dell'impatto: la prima esplosione ha distrutto parte del muro principale.
Ci sono pezzi di vetro disseminati ovunque, macerie sparse tutto intorno.
E una distesa enorme di soldati nemici.
Ci sono volti che conosco, miei ex compagni di allenamento nel Reggimento.
Ma per la maggior parte sono volti che non conosco: Geneticamente Danneggiati.
E io dovrò ucciderli.
Non ci sono segni di altre esplosioni, quindi credo che la seconda sia avvenuta in qualche entrata sul retro.
Cerco Tobias con lo sguardo ma è impossibile trovarlo.
Intorno a me c'è il caos più totale: alleati e nemici combattono tra loro, proiettili che vibrano nell'aria e urla di dolore si mescolano tra loro.
Non appena si accorgono di noi, alcuni GD si lanciano all'attacco.
Paro un pugno, e a mia volta colpisco; sento un braccio che si stringe al mio collo ma con una gomitata e un calcio mi libero del mio assalitore.
Tre soldati si lanciano contro di me: neutralizzo l'attacco del primo, dò un calcio nello stomaco al secondo, e sparo al terzo che era a meno di un metro da me ormai.
La confusione mi confonde.
Mi sento stordita e sudata.
Ad un tratto ho come la sensazione che tutto intorno a me stia girando ed è a quel punto che sento la fitta alla tempia.

                                             ***

Sto puntando il fucile contro la testa di un uomo.
Capelli lunghi, lisci, color nero pece.
E piercing ovunque.
Punta a sua volta un' arma contro Tobias,  immobile contro la canna del fucile.
"Scommetto che non hai il coraggio di sparare, Rigida".
"Io non ne sarei così sicura, fossi in te."
E premo il grilletto.
Gli sparo alla gamba mentre Tobias spara ad un'altro uomo lì accanto.
"Corri, Tris!" gli sento urlare e non me lo faccio ripetere due volte.
Corriamo fino a farci mancare il respiro, i proiettili che vibrano l'aria accanto a noi.
Siamo quasi arrivati ad un vicolo ma un dolore lancinante mi perfora la spalla e inciampo nel terreno.
Dico a Tobias di continuare ma lui si ferma a soccorrermi.
E in un secondo siamo circondati, senza nessuna via d'uscita.

                                                 ***

Un altro ricordo? Proprio ora?
Deve esserlo, per forza.
Mi massaggio la tempia ma non ho il tempo di rifletterci sopra: sono in una guerra e ogni momento di deconcentrazione può essermi fatale.
Uno sparo.
Apro gli occhi e vedo un soldato cadere sotto i miei occhi.
Phil, con la pistola alzata, mi urla:
"Tutto bene Tris?"
Annuisco e mi volto, ora lucida e di nuovo in me.
Evito di badare al dolore alla testa, anche se sento la tempia pulsarmi.
Ad un tratto la vedo: Christina sta mirando ad un soldato ma non si è resa conto che  un Geneticamente Danneggiato le si sta scagliando alle spalle, pronto a colpirla.
Agisco d'istinto: sfilo il coltello e lo lancio nella sua direzione.
Il GD cade a terra, la lama conficcata in gola.
Christina si volta, vede il cadavere dell'assalitore.
Un po' confusa si guarda intorno e mi nota.
Ci fissiamo per un breve istante e poi riprendiamo a combattere: avrei detto ci fosse un sorriso di ringraziamento sul suo volto.

                                                 ***

Mi giro di scatto per sparare ad un soldato e mi rendo conto che un gruppo di nemici si sta diriggendo verso il corridoio da cui siamo venuti io e Phil.
Si diriggono ai piani superiori, dove ci sono gli uffici.
Dove Caroline e  Sondra stanno coordinando la difesa.
Phil nota il mio sguardo e mi fa un cenno con la testa:
"Và avanti Tris!
Io ti copro le spalle per evitare che qualcuno ti segua".
Non me lo faccio ripetere due volte e mi getto all'inseguimento.
Arrivo alle scale e stendo due Geneticamente Danneggiati.
Le salgo di corsa e in un secondo sono al piano di sopra.
Non posso permettere che il lavoro degli ultimi tre anni vada in fumo.
Non posso permettere che venga fatto del male a  Sondra.
Ad un tratto, sento un sibilo alla mia destra.
Istintivamente mi sposto nella direzione opposta e un soldato mi si getta addosso
Cadiamo a terra e non nemmeno il tempo di riprendermi che le sue mani sono già strette intorno alla mia gola.
Cerco di divincolarmi ma la sua presa è forte, salda.
Uno sparo e l'uomo riverso su di me, senza vita.
Me lo scrollo di dosso e sono certa di vedere Phil davanti a me, ma rimango a bocca aperta.
Non è stato Phil a salvarmi.
Una figura alta, slanciata, con i capelli corti è in piedi davanti a me, fucile ancora alto dopo lo sparo.
E'stata Christina a salvarmi.
"Grazie" boffonchio, mentre mi rimetto in piedi.
"Non c'è di che. Ora siamo pari." mi sorride.
"Proseguiamo. Ti darò una mano Tris."
E insieme ci dirigiamo nell'ufficio dei monitor dove siamo certe troveremo Caroline e Sondra.

                                           ***

Arrivate fuori dalla porta cerchiamo di sfondarla e dopo un paio di tentativi ci riusciamo.
Un paio di fucili ci vengono puntati contro.
L'ordine di Sondra di abbassare le armi, giunge perentorio: sia lei che Caroline impugnano delle pistole, pronte a far fuoco per difendersi.
"State bene per fortuna.
Abbiamo visto un gruppo di soldati salire fin quassù e pensavamo foste in pericolo."
Christina finisce di parlare, ma si rende conto solo in quel momento del gruppo di soldati nemici riversi sul pavimento. Senza vita.
Sondra ci viene incontro:
"Noi stiamo bene, abbiamo già provveduto a metterli fuori combattimento.
Non si può dire lo stesso di qualcun'altro, purtroppo."
Ci guardiamo confuse.
Caroline scuote la testa.
"Venite a vedere."
Ci conduce ai monitor, gli stessi che a quanto so servivano per tenere sotto controllo le varie città,e osserviamo le immagini.
All'inizio ho l'impressione di star vedendo semplicemente quello che sta succedendo nell'atrio.
Ma poi guardo meglio e mi rendo conto che i nemici non stanno combattendo contro i nostri soldati.
Stanno attaccando delle persone disarmate, con gli occhi pieni di terrore.
Civili innocenti.
E' opera del Reggimento, ne sono certa.
Ma non è la guerra che stiamo combattendo noi.
Questa si sta combattendo contemporaneamente alla nostra, ma in un altro luogo.
E là il nemico non viene contrastato come avviene qua al Dipartimento.
Nella guerra che vedo sugli schermi la gente muore e basta.
Indifesa e innocente.
Un'idea mi si sta formando nel cervello, quando Caroline rompe il silenzio e ci ordina, perentoria:
"Noi qua ce la sapremo cavare.
Andate e cercate Miles: ordinategli di inviare una squadra a Milwaukee.
A quanto pare l'attacco al Dipartimento era solo un diversivo per tenerci occupati.
Il loro obiettivo era distruggere la città e hanno organizzato un doppio attacco per agire indisturbati."

                                                     ***

Io e Christina non abbiamo esitato un attimo e stiamo percorrendo il corridoio a ritroso, in direzione delle scale.
Ma ci blocchiamo di colpo: qualcosa ci blocca la via.
O meglio qualcuno.
E io riconosco la figura che si staglia davanti a noi, imponente e tetra: Edgar.
Un sorriso di scherno gli solca il viso.
"Ma guarda un po' chi è venuto a darmi il benvenuto.
Sono contento di rivederti, Sette."
Si schiocca le mani, pronto all'attacco, e una risata roca gli esce dalla bocca.
Deglutisco a fatica, ma reprimo il brivido di terrore che mi scende lungo la schiena.
Non posso permettere alla mia paura di bloccarmi.
Non ora, dal momento che le vite di tanti innocenti dipendono dalla rapidità con cui io e Christina riusciremo ad avvisare gli altri.
Non posso, nè ora nè mai più.
Devo riuscire a superare questa paura, a sconfiggerlo una volta per tutte.
Mi gento all'attacco ma Edgar blocca il primo colpo.
Cerca di assestarmi un calcio allo stomaco ma mi scosto in tempo: tutto come nel mio Scenario della Paura.
Sono pronta ad assestargli un colpo al fianco, ma mi colpisce dritto nello sterno.
Barcollo all'indietro e cado sul fianco destro: vedo Edgar pronto ad un altro attacco e chiudo gli occhi, preparandomi al dolore.
Ma il colpo non arriva: sento un rantolo di dolore e quando riapro gli occhi, vedo Edgar che solleva di peso Christina, la mano possente stretta attorno al suo collo.
Dal sopracciglio spaccato le esce del sangue, copiosamente.
E' là che l'ha colpita; e ora cerca di approfittare del suo stordimento per avere la meglio su di lei.
Si è messa in mezzo per evitare che mi colpisse.
Per proteggermi e per salvarmi, di nuovo.
Sono ancora stesa a terra quando torna il dolore alla tempia, e con esso, un altro ricordo.

                                                    ***

Siamo vicino ad una ringhiera, sotto di noi si sente il rumore assordante dell'acqua che si infrange sugli scogli.
Riconosco il posto, l'ho visto di sfuggita quando sono andata nell'appartamento di Tobias, dopo il mio Scenario.
Siamo nel vecchio quartier generale degli Intrepidi, accanto al fiume sotterraneo che l'attraversa.
Non conosco le altre persone accanto a me: riconosco solo Christina e il ragazzo con i piercing davanti a lei.
Lo stesso del ricordo che ho vissuto poco fa nell'atrio.
Invita Christina a dimostrare il suo coraggio per scordarsi un certo episodio spiacevole.
Credo che l'episodio sia più spiacevole per Christina, date le sue condizioni: ha il viso paonazzo, con due rigonfiamenti sul mento e sullo zigomo.
Il labbro è spaccato e nel suo corpo sono visibili il sangue e gli ematomi violacei.
Deve aver preso parecchi colpi per essere ridotta così.
Il ragazzo coi piercing la sfida a stare appesa alla ringhiera per cinque minuti: se riuscirà nella prova, lui chiuderà un 'occhio sulla sua codardia.
Christina è terrorizzata, ma accetta: è l'unico modo che ha per dimostrare di non essere una vigliacca.
Per i primi minuti non ha alcun problema, ma poi qualcosa non va: gli schizzi dell'acqua si fanno sempre più alti fino a bagnarle i vestiti.
E a inumidirle le mani.
A quel punto la presa diventa sempre meno stabile e salda, e arranca disperatamente per non cadere di sotto.
Perdere la prese vorrebbe dire morire.
Leggo nei suoi occhi la paura di non farcela.
Un misto di rabbia e compassione mi nascono dentro: compassione e solidarietà per Christina, rabbia accecante per il ragazzo dai capelli color pece.
La guarda con un sorriso compiaciuto, come se non aspettasse altro che di vederla cedere da un momento all'altro.
E' lo stesso sorriso che ho visto così tante volte sul viso di Edgar.
So cosa voglia dire essere umiliate, derise.
Dover dimostrare il proprio coraggio per ottenere il rispetto.
Lottare per la propria vita.
Non so se sono io , di mia volontà, o se la mia bocca si muova in automatico ma mi ritrovo ad urlare a gran voce e a spronarla a resistere.
E dopo un tempo interminabile, Christina supera la prova e io posso correre ad aiutarla, sollevata.

                                              ***

Non bado minimamente al dolore: ormai ci sto facendo l'abitudine.
Mi butto contro Edgar, pensando solo a ferirlo.
Lo colpisco prima al fianco e poi gli lancio una gomitata nel collo all'altezza della nuca.
Sorpreso, molla la presa, ma non lo lascio riprendere: gli assesto un pugno sul naso e lo scravento dall'altra parte del corridoio.
Mi volto verso Christina e l'aiuto a sollevarsi.
"Và avanti e avvisa Miles.
Io lo terrò impegnato per permetterti di fuggire."
"Non se ne parla Tris, io..."
"Non discutere Christina.
La vita di molti innocenti dipende da noi, da te.
Non sottovalutarmi, sono più forte di quello che credi ".
Pronuncio queste parole con tutta la convinzione che ho dentro.
Annuisce eprima di sparire mi sussurra:
"Stai attenta, tornerò il prima possibile."
Mi volto, pronta a fronteggiare Edgar, che nel frattempo si è rialzato.
Si tiene con una mano il naso sanguinante.
"Sei migliorata, non posso negarlo.
Ma rimani sempre una bamboccia, debole e ingenua."
"Smettila di blaterare e fatti avanti Edgar."
Gli ringhio, furiosa.
Mi preparo per prendere la rincorsa ed attaccarlo ma qualcosa mi colpisce alla tempia.
Un dolore ancor più forte dei precedenti mi attraversa il cervello, sommandosi a quello che già provavo per via delle visioni.
Cado a terra, la vista completamente annebbiata.
Sento dei passi, ma sono attutiti, come se avessi qualcosa che mi tappasse le orecchie.
Mi sembra di sentire delle voci ma sembrano essere così lontane che temo di sentirle solo nella mia mente.
Mi sforzo di capire cosa dicano..
Mi sembrano solo due, la prima la riconoscerei in mezzo a milioni.
Edgar.
"Cosa ne facciamo di lei, signore?
Direi di eliminarla.
Potrebbe diventare un peso a lungo andare e potrebbe compromettere la riuscita del piano."
Vorrei alzarmi, sputargli in un occhio e dirgli che nessuno può decidere così della mia vita.
Che combatterò fino alla fine.
E che se proprio devo morire, l'ultima cosa che farò sarà arrendermi e morire per mano sua.
Ma il dolore alla testa non me lo permette.
La risposta proviene da una voce che non ho mai sentito prima.
Cerco di mettere a fuoco la persona che sta davanti a me, ma non ci riesco.
Il Capo del Reggimento.
La sua voce è pacata, ma vuota. Fredda.
"No Edgar, lasciamo che si goda ancora un po' i piaceri della vita.
Pensavo di aver concluso la questione con lei molto tempo fa, ma mi sbagliavo.
Ci sarà molto più utile da viva.
Vedrai."
A quel punto la mia testa è troppo dolorante per poter sopportare oltre.
Sono semplicemente troppo stanca di tenere ancora aperti gli occhi.
Un ultimo battito di ciglia e tutto diventa improvvisamente buio.

                                             ***

 

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Capitolo 12
*** Chiarimenti e riappacificazioni. ***


Cap12
TRIS


Apro lentamente gli occhi per abituarmi alla luce.
La stanza non è molto illuminata: c'è solo una lampada sul comodino accanto al letto da cui proviene una luce calda e soffusa.
A giudicare dal buio che regna e dalla luna che intravedo dalla finestra sulla sinistra dev'essere notte fonda.
Sono sdraiata su un letto soffice ma che non riconosco.
Il cuscino sa di fresco, di pulito: eppure il bianco delle lenzuola non mi tranquilizza, anzi.
Mi mette agitazione.
Questa non è la mia stanza, questo non è il mio letto.
E allora dove sono? Che posto è questo?
Ma soprattutto: come ci sono arrivata qua?
L'unica cosa che ricordo è il ghigno sul viso di Edgar e la fitta alla tempia sinistra.
Un susseguirsi di immagini sfuocate, discorsi ovattati e poi il buio.
Solo il buio.
Ricordo vagamente la voce del Capo del Reggimento e le sue parole.
"Ho dei grandi progetti per lei."
Che genere di progetti?
Il pensiero di essere manipolata dal Capo mi provoca un senso di nausea e con esso, torna il dolore alla tempia.
Non mi ero accorta di avere una flebo attaccata al braccio.
Vedo il liquido scendere, goccia dopo goccia, e lo sento penetrarmi nelle vene.
Mi circola nel sangue, in ogni parte del mio corpo.
Il dolore alla tempia pian piano si placa, l'agitazione svanisce e il sonno si impossessa nuovamente di me.

                                              ***

La brezza estiva mi accarezza il viso, fresca e leggera,  costringendomi ad aprire gli occhi.
Una luce pallida ma allo stesso tempo rassicurante illumina tutta la stanza: non capisco se sia ormai l'alba o il tramonto.
Non ho idea di quanto tempo abbia dormito.
Potrebbero essere poche ore o giorni interi, ho perso la cognizione del tempo.
Ora però riesco a vedere meglio dove mi trovo: sembra una stanza di degenza, o un'infermeria.
Tento di mettermi seduta e, con un po' di fatica, ci riesco.
Il pensiero di essere nuovamente prigioniera del Reggimento mi aveva terrorizzata, ma ora, a mente più lucida e potendo vedere cosa mi circonda, sono decisamente più sollevata.
E' un posto troppo tranquillo e sereno per essere sotto il controllo del nemico.
Sono al sicuro.
All'improvviso mi rendo conto di non essere sola e di scatto mi volto alla mia destra.
E lo vedo: Tobias è accanto a me, seduto su una poltrona.
E' appoggiato allo schienale, le braccia rilassate: dorme profondamente.
Mi sento pervadere da un misto di sensazioni.
Sono sollevata nel vedere che sta bene e che non ha grosse ferite ad eccezione di un piccolo taglio sulla fronte e di una leggera fasciatura al braccio.
Sono rincuorata di saperlo accanto a me.
Se c'è lui non posso che essere al sicuro.
Sono emozionata nel vedere che è rimasto accanto a me per tutto questo tempo.
Probabilmente non mi ha lasciata sola un attimo da quando mi trovo in infermeria.
Tanto da addormentarsi in una posizione così scomoda pur di restare al mio fianco.
Non me l'aspettavo ed è per questo che sono così commossa.
Nessuno ha mai avuto così tante attenzioni per me.
Nemmeno Phil o Sondra, che mi sono stati vicini in molte circostanze.
Non mi aspettavo niente di tutto quello che fa continuamente per me.
Con lui tutte le barriere che ho cotruito in questi tre anni crollano come fossero fatte di paglia.
Un suo gesto è come una folata di vento che distrugge la parte più dura di me, lasciandomi quasi indifesa.
E spesso questo mi terrorizza.
Se da un lato so che con lui non ho nulla da temere e mi sento protetta e sicura come mai prima d'ora, dall'altra ho paura che possa perderlo.
Il solo pensiero mi provoca un'altra ondata di dolore alla tempia e gemo.
Tobias si muove leggermente sulla poltrona e apre gli occhi lentamente.
Ancora annebbiato dal sonno si guarda intorno, sbattacchia un po' gli occhi e sbadiglia.
Non appena si accorge di me sgrana gli occhi e si avvicina con aria preoccupata:
"Che cosa ci fai seduta, Tris?!
Hanno detto che devi stare a riposo.
Non devi fare alcun tipo di sforzo: su, sdraiati."
Tobias mi spinge delicatamente verso il letto e io non oppongo resistenza.
La sua premura mi fa quasi arrossire: non mi dispiace per una volta aver bisogno delle cure di qualcuno.
Sopratutto se quel qualcuno è Tobias.
"Come stai tu piuttosto? Ti ho perso di vista durante l'attacco."
E dopo un po' aggiungo senza quasi pensarci:
"Ero preoccupata".
Sorride dolcemente e mi scosta dal viso una ciocca di capelli, portandomela dietro l'orecchio.
"Ero impegnato a combattere sul retro, c'è stata un'esplosione anche là e dovevamo contenere il flusso di soldati.
Sto bene, solo qualche graffio e una ferita poco profonda sul braccio lasciatami da un simpatico proiettile.
Come vedi, me la so cavare abbastanza bene."
Ricambio il suo sorriso, rincuorata.
La testa riprende a pulsarmi ma la curiosità prende il sopravvento e infine domando:
"Cos'è successo?
Intendo dopo che ho perso i sensi."
"Christina è venuta ad avvisarci riguardo l'attacco a Milwaukee.
Ha parlato di un tizio che vi ha dato del filo da torcere e che tu stavi combattendo con lui.
Non me lo son fatto ripetere due volte e l'ho seguita su per le scale.
Ti abbiamo trovata distesa a terra, in una pozza di sangue.
La finestra in fondo al corridoio era frantumata: chiunque ti abbia assalita è fuggito da là.
Non prima di averti causato una bella commozione cerebrale."
Si ferma un secondo.
Sospira e mi prende la mano tra le sue:
"Sei in infermeria da tre giorni ormai."
Tre giorni.
Non mi ero resa conto di aver dormito così tanto.
I suoi occhi sono così profondi.
Mi guardano in cerca di risposte ma non osano chiedermi nulla dato il mio stato.
"Era Edgar.
Il tizio contro cui abbiamo combattuto io e Christina intendo.
E con lui c'era anche il Capo del Reggimento.
Sfortunatamente però non sono riucita a vederlo in volto."
Tobias mi guarda, serio ed attento.
"Hai sentito se si sono detti qualcosa?"
Ci rifletto un secondo: non posso di certo dirgli che hanno parlato di me.
Del fatto che mi hanno risparmiata solo per usarmi in chissà quale maniera o circostanza.
Che ero sul punto di morire una seconda volta.
"No purtroppo.
Mi è sembrato di capire che è una mia vecchia conoscenza, ma non saprei dire se della mia vecchia vita o all'interno del Reggimento.
Non sono nemmeno riuscita a capire se fosse un uomo o una donna: credo che la commozione cerebrale mi abbia un po' intorpidita."
Poi mi ricordo della flebo al mio braccio:
"E questa?"
Gliela indico.
"Cara ha consigliato di dartene una ogni due ore.
E' a base di antidolorifici e tranquillanti.
E' del parere che tu abbia bisogno di riposo assoluto dato che ti hanno quasi fracassato il cranio."
"Oh avanti Tobias sto benissimo, non ne ho..."
Ma non finisco la frase: ho tentato di alzarmi di scatto e la testa ha preso a martellarmi , come se fosse sul punto di esplodere.
"Per una volta potresti anche smettere di giocare all'eroina ed accettare l'aiuto di qualcuno, sai?"
Non c'è rabbia nella sua voce ma solo...disperazione.
"Mi hai fatto preoccupare, Tris."
Cerco di immaginarmi come possa essersi sentito nel vedermi immersa nel sangue senza segni di vita.
Esser rimasto qui per tre giorni di fila senza sapere che tipo di danni avrei riportato.
Leggo nella sua voce tutta la frustrazione per essere stato impotente e per non avermi protetta.
Per aver quasi rischiato di perdermi una seconda volta.
Ha ragione: dovrei semplicemente smetterla di essere egoista e pensare di poter badare a me stessa senza l'aiuto di nessuno.
Se lui e Christina non fossero tornati indietro probabilmente sarei morta dissanguata.
O peggio.
Lo guardo e l'unica cosa che riesco a dirgli è:
"Grazie.
Per tutto."
Mi accarezza il viso e appoggia la sua fronte alla mia, gli occhi chiusi.
Restiamo così, con quel contatto a infoderci calma e coraggio, a respirare l'uno l'aria e il profumo dell'altra.
Sento il calore della sua pelle contro la mia.
Una scintilla, che avampa e che rischia di bruciarmi dentro.
Apre lentamente gli occhi e vi vedo la stessa scintilla che arde nei miei.
Lo stesso desiderio.
"Pensavo di avertelo già detto.
Resterò sempre al tuo fianco."
Continua a guardarmi per un tempo indefinito e alla fine sospira.
Mi dà un bacio sulla fronte e mi rimette a letto.
"Cerca di riposarti, io resterò qui a guardarti mentre russi."
"Ehi, io non russo."
"Questo lo dici tu."
Ridacchiamo e chiudo gli occhi, con la sensazione che la mia fronte vada in fiamme proprio dove le sue labbra mi hanno baciata.

                                           ***

TOBIAS

Cammino per i corridoi del Dipartimento.
Devo parlare con Sondra di quello che mi ha detto Tris.
Da quando ha ripreso conoscenza sta migliorando ogni ora a vista d'occhio.
E il mio umore con lei.
Quando l'ho vista in quella pozza di sangue ho pensato solo: non di nuovo.
Non volevo credere che mi fosse stata portata via una seconda volta; non ora che l'avevo ritrovata.
Non mi sono mosso dall'infermeria per tre giorni.
Cara mi portava qualcosa da mangiare e ne approfittava per controllare come stesse Tris.
E' come se, standole vicino, sapessi che lei non se ne sarebbe andata.
Il pensiero però che abbia avuto a che fare con Edgar mi turba.
Ho visto di cosa è capace quell'uomo e per molti versi mi ricorda Eric: spietati e smaniosi di infliggere sofferenza.
Ma quello che mi preoccupa davvero è il Capo del Reggimento.
Il fatto di essersi esposto così tanto e di aver partecipato all'azione la dice lunga: o è estremamente stolto oppure estremamente sicuro del suo successo.
E propendo più per la seconda.
Ma è sopratutto il fatto di sapere che è una vecchia conoscenza di Tris a mettermi in agitazione: aveva molti nemici e sono certo se ne sia fatti molti altri in questi tre anni.
Così le ho detto che mi sarei avvicinato da Sondra per dirle le ultime novità ma che non sarei stato via a lungo.
Lei ha acconsentito.
Entro nel suo ufficio e la trovo intenta a battere al computer alcuni resoconti.
Sull'attacco presumo.
Le racconto quello che mi ha riferito Tris e mi guarda con entusiasmo.
"Questa notizia è una svolta.
Un nuovo indizio che ci avvicina al Capo.
E' vero, non sappiamo se sia un uomo o una donna, ma abbiamo un punto di partenza.
Non appena Tris starà meglio, cercheremo di fare un quadro di chi possa essere.
Vai pure Tobias, io aggiorno i miei superiori."
Sto per uscire dal suo ufficio quando aggiunge:
"Saluta Tris da parte mia.
Dille che andrò a trovarla presto.
E per favore, Tobias: veglia su di lei."
"Lo farò, non temere."
Ed esco, con la consapevolezza che c'è un nome in meno sulla lista dei sospettati e che di lei mi posso fidare.

                                              ***

Passo per l'atrio diretto nuovamente all'infermeria, quando sento pronunciare il mio nome.
Mi volto di scatto ma so già a chi appartiene quella voce.
Trattengo il respiro mentre il mio cuore sprofonda.
Evelyn è davanti a me, a meno dieci metri di distanza.
Quando mi vede inizia a tremare.
Gli occhi le si velano di lacrime e corre verso di me.
Mi abbraccia con tutte le sue forze ed inizia a singhiozzare contro la mia spalla.
Io invece sto rigido, le braccia lungo i fianchi, a disagio e stordito per questa improvvisa manifestazione d'amore materno.
Non mi aspettavo un gesto simile da parte sua: non è nostra abitudine essere così affettuosi, nè esserlo in pubblico.
Sono ancora stordito quando mi parla, la voce smorzata dalla stoffa della mia maglietta:
"Mi hanno proibito di venire al Dipartimento e mi hanno solo detto che ci sarebbe stato un attacco.
Ho provato a venire ugualmente ma una pattuglia di soldati mi ha bloccata al confine ."
Dopo un attimo di esitazione, aggiunge:
"Io...
ero così preoccupata, Tobias!"
Mi sento come se fossi dentro un uragano; sento la testa girarmi.
Mi limito a dire:
"Hanno fatto bene, Evelyn.
Era pericoloso.
Sono stato più sollevato nel saperti al sicuro."

Tira sul col naso e mi guarda ora dritta negli occhi.
Quegli occhi castani, così scuri da sembrare quasi neri, mi guardano con paura ma allo stesso tempo sollievo.
"Ero preoccupata per te.
Avevo paura ti succedesse qualcosa.
Senza nemmeno esserci riappacificati dopo la nostra discussione.
Senza nemmeno averti detto... quanto ti voglio bene."
Non ho mai sentito queste parole da mia madre.
Non me l'ha mai dimostrato nè me l'ha mai espresso a voce.
Ho odiato per tanto tempo mia madre: mi aveva abbandonato, lasciandomi nelle mani di Marcus.
Mi ha fatto credere che fosse morta senza più curarsi di me.
So che è stata male ma lo sono stato anche io e per tanto tempo non sono riuscito a perdonarla.
Ma ora è tutto diverso.
Dal giorno in cui ha scelto me, anzichè la guerra e il potere, ho capito quanto ci tenesse a me.
Quanto le fosse costato starmi lontano.
Ora che sento queste parole ogni cosa dentro di me si scioglie.
Sono le parole che ho aspettato per tutta la vita di sentirmi dire.
Non ho più difese: sono lo stesso bambino che cercava conforto in lei.
Lo stesso bambino che trovava serenità solo nelle sue carezze, che fissava la statua di cristallo che mi aveva regalato solo per sentirmi protetto.
Per sentirla accanto a me.
Ricambio l'abbraccio con tutto la forza che sento.
"Anche io te ne voglio, mamma."

                                         ***


TRIS


Non so che fare.
Cara mi ha permesso di stare un po' seduta sul letto, ma non so che fare.
Ho solo una flebo attaccata al braccio, la parete bianca dall'altra parte della stanza a fissarmi e la noia a farmi compagnia.
Amo il silenzio ma non sono quel genere di persona che ama stare con le mani in mano.
Ho bisogno di muovermi, di correre...di sentirmi viva.
Sento la porta aprirsi e penso che finalmente Tobias sia tornato ma non è lui.
E' Christina.
Ma solo felice lo stesso.
"Ehi, posso entrare?
O vuoi riposare?"
"Vieni pure. Ho giusto bisogno di un po' di compagnia" e le sorrido.
Lei ricambia e si richiude la porta alle spalle.
Sono davvero contenta di vederla.
E' come se avesse portato una ventata di fresco nella stanza.
Non ne sono certa ma dopo l'attacco si è come instaurato un legame tra me e lei.
Cometra due complici.
O tra due vecchie amiche.
"Sono contenta di vedere che stai meglio.
Ci hai fatto prendere un bel colpo, sai?"
Si siede nella poltrona dove fino a poco fa c'era Tobias.
"Come stai?
La ferita alla testa ti dà ancora problemi?
Certo che quello scimmione ci ha dato dentro nel colpirti."
Rido.
Scimmione è un aggettivo perfetto per Edgar.
"Era il mio vecchio istruttore al Reggimento.
Si chiama Edgar.
Ama le maniere forti.
Diciamo che le sue abitudini non sono cambiate in questi anni."
Il suo viso si fa più serio.
"Mi dispiace.
Sia per quello che ti ha fatto sia per essere dovuta andare via così.
Mi sento un po' responsabile per il colpo alla testa."
"Non devi assolutamente pensarlo.
Sarebbe potuto accadere anche se fossi rimasta con me.
Perciò nessun problema, davvero."
Cerco di essere il più tranquilla possibile: penso davvero quello che ho detto.
Edgar è capace anche di cose peggiori, sarebbe potuto capitare in qualsiasi situazione.
E magari sarebbe potuto capitare anche a lei.
Preferisco aver subito io il colpo.
E poi non vorrei che qualcuno la ferisse; io invece ci ho fatto l'abitudine.
Anche se son certa non sia stato Edgar a colpirmi.
Magari il Capo del Reggimento.
"Dimmi Christina: cosa è successo a Milwaukee?
Siamo riusciti a salvarla?"
Il viso di Christina, sorridente fino a un momento fa,  diventa cupo.
"Non abbiamo fatto in tempo.
Miles ha inviato due squadre sul luogo, ma quando sono arrivate hanno trovato solo macerie e cadaveri.
Hanno usato bombe, fucili, tutto quello che avevano per distruggere la città e per uccidere i civili.
E' stato un massacro".
Rimango un attimo a fissare il vuoto, metabolizzando le parole di Christina.
Una città distrutta.
Migliaia di persone uccise a sangue freddo, senza nemmeno sapere chi o cosa li stesse attaccando.
E perchè.
E' questo che fa il Reggimento: distrugge tutto, senza pietà e senza domandare il permesso.
Una rabbia lacerante mi nasce in petto e se solo non avessi la flebo, avrei tentato di dare un pugno al muro per cercare di sfogarmi.
Non posso permettere che accada ancora.
Nessuno deve vivere ciò che ho affrontato io.
Un silenzio cupo cala nella stanza: entrambe siamo impegnate a metabolizzare la rabbia contro il nostro nemico.
Decido che è il caso di smorzare i toni: non voglio incupire Christina.
"Sai mi hai sorpresa.
Te la cavi abbastanza bene con le armi.
Chissà perchè credo che anche tu fossi un'Intrepida, o sbaglio?"
Le strizzo l'occhio.
"Si, lo ero anch'io.
A dir la verità abbiamo fatto l'iniziazione insieme.
Tu eri un'Abnegante, io una Candida.
E se proprio devo dirla tutta , tu sei quella che mi ha costretta a saltare da un treno in corsa."
La guardo con aria interrogativa.
"Non temere, funzionava così tra gli Intrepidi; anche se non ho ancora abbandonato l'idea che tu mi volessi far spiattellare su un tetto di proposito."
Ridiamo, quasi con le lacrime agli occhi.
Mi sento bene con Christina accanto.
E di sicuro rido, il che è un evento raro per me.
Continua:
"Anche tu mi hai sorpresa.
Te la cavi decisamente meglio di tre anni fa.
Sotto ogni punto di vista.
Ti ho lasciata che avevi paura di tenere in mano una semplice pistola e ora sei stata in grado di salvarmi la vita due volte.
A proposito...Grazie."
Si guarda le punte delle scarpe e so come si sente.
Ringraziare qualcuno è sempre un attacco di coraggio e umiltà.
Lo è ancor di più per chi, come noi, non è abituato a dirlo.
Ma a dimostrarlo.
Le prendo la mano:
"Tu hai salvato me, ricordalo.
E non mi devi ringraziare, lo rifarei."
Ricambia la stretta.
"Perchè temevo di impugnare la pistola?
Non dirmi che avevo una pessima mira."
Cerco di scherzare ma il suo viso si fa scuro come qualche secondo fa.
Ci pensa un po' su e quando parla so che non è niente di buono.
"No, anzi: avevi una mira impeccabile.
Ma da quando è successa la storia di Will hai avuto come un blocco."
Will. Il fratello di Cara. Quello a cui io stessa ho sparato e ucciso. Tutto chiaro.
"Lo conoscevi anche tu?"
Mi guarda con un misto di compassione e amarezza.
"Si, era un iniziato insieme a noi.
E' stato nostro amico sin da subito, solare e divertente.
Era l'anima del gruppo.
Gli volevamo tutti bene.
Io in particolare."
E non ha bisogno di aggiungere altro per farmi capire che tra loro due c'era qualcosa.
Respingo un conato di disgusto verso me stessa.
Non solo ho ucciso il fratello di Cara, ma ho ucciso anche uno dei miei più cari amici.
E il fidanzato di Christina.
Tutto il peso delle mie azioni mi crolla sul cuore come fosse piombo.
Tutte le persone a cui tengo o a cui ho voluto bene vengono ferite da me.
E persino quelle di cui non ho ricordo sono state ferite da me.
Ma Christina ha già capito i miei pensieri.
Mi prende il viso tra le mani e mi guarda.
Non con odio, o rabbia, o desiderio di vendetta.
Con affetto, come si può guardare ad una sorella.
"Non fartene una colpa, non avresti potuto fare altro.
Era sotto l'effetto del Siero di Jeanine, ti avrebbe uccisa.
E ti ho già perdonata anni fa.
Tu sei e resterai sempre la mia migliore amica."
E mi abbraccia.
Non posso che ricambiare quell'abbraccio che vuole dire così tante cose per entrambe.
Perdono. Dolore. Amicizia.
Anche lei mi ha perdonata.
E' riuscita a dimenticare ciò che le ho fatto per ricostruire un rapporto con me.
Sento che ora ho a cuore anche la vita di questa ragazza e che farò di tutto per proteggerla.
Ho un'altra alleata che mi aiuterà a scoprire me stessa.
Un' amica.
Restiamo così, immobili, per un po'.
Quando ci stacchiamo entrambe siamo visibilmente commosse.
Christina si asciuga una piccola lacrima.
"Ora devo tornare a lavoro ma verrò a farti visita presto.
A proposito, qualora dovessi vedere Caleb, dovresti ringraziarlo.
E' stato lui che ti ha salvato la vita quando ti abbiamo trovata in quella pozza di sangue."
Cerco di fare mente locale.
"Lo farò. Caleb è il ragazzo con gli occhi verdi , giusto? Quello con cui ho parlato il primo giorno in cui sono arrivata al Dipartimento."
"Si, proprio lui.
 Tuo fratello."

E con queste parole esce dall'infermeria, lasciandomi stordita e incredula nel sapere che ho un fratello di cui non ricordavo l'esistenza.

                                                 ***

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Capitolo 13
*** E' una questione di fiducia. ***


Cap 13
TRIS


Ho un fratello.
Fisso la parete da quando Christina se n'è andata e non ho ancora recepito quello che mi ha detto.
"Sì, proprio lui. Tuo fratello".
E io non ne sapevo l'esistenza.
Un fratello di cui non ho alcun ricordo.
Mi chiedo che tipo di rapporto avessimo.
Ci volevamo bene? Andavamo d'accordo? O avrei voluto solo spaccargli il naso ogni volta che mi capitava a tiro?
Non so cosa voglia dire avere un fratello, e nemmeno un parente.
O anche semplicemente una persona con cui avere un legame di sangue.
Avere accanto degli amici è fondamentale, ma questo non ha nulla a che fare con l'amicizia.
Stiamo parlando di "famiglia."
Una vera famiglia, quella che inconsapevolmente ho cercato per così tanto tempo e che ho temuto non esistesse.
E invece esiste: è stata sotto il mio naso per tutto questo tempo e non lo sapevo.
Mi chiedo perchè non si sia mai avvicinato, perchè non mi abbia mai raccontato niente, nè di noi nè dei nostri genitori.
Improvvisamente un pensiero mi attraversa la mente: perchè Tobias mi ha mentito?
E' impossibile che non lo sapesse.
Gli ho anche chiesto informazioni sui miei genitori e mi è sembrato sincero in quella situazione.
Sa benissimo quanto desideri conoscere me stessa e quanto mi spaventi il pensiero di non esser stata amata; soprattutto di non averne mai avuta una.
E allora perchè non mi ha detto niente?
Perchè mi ha nascosto una cosa così importante?
Tradita.
E' così che mi sento ora, tradita e delusa.
Avevo fiducia in Tobias.
Uno dei tanti motivi per cui mi sento a mio agio con lui è perchè lo reputo un ragazzo sincero.
L'ho sempre reputato come tale.
La prima persona che non avesse bisogno di manipolarmi o di mentirmi, ma di trattarmi semplicemente come un essere umano.
Se tutto questo è vero perchè sento una fitta che mi dilania il petto?
Perchè mi sento così tradita e frustrata?
Sento la maniglia abbassarsi ma non ho bisogno di voltarmi per sapere che Tobias è appena tornato.
"Scusa se ho fatto tardi ma ho incontrato mia madre e abbiamo parlato un po'.
Abbiamo superato le nostre divergenze.
Non temere però: ho avvisato Sondra e le ho raccontato tutto.
A proposito, ti manda i suoi saluti."
E' raggiante.
Mentre io ho la rabbia che mi ribolle nelle vene.
Non mi volto: correrei il rischio di incenerirlo prima che abbia avuto il tempo di dirgli tutto quello che sento.
Cerco di controllare la voce ma ciò che ne esce fuori è un rantolo cupo e minaccioso.
"Perchè".
Sento i suoi occhi fissarmi con aria interrogativa.
"Perchè mi hai tenuta nascosta una cosa simile."
Sento le guance bruciarmi per la frustrazione.
"Dimmi perchè mi hai mentito."
"Non capisco Tris, io..."
Non lo lascio finire.
Non ora. Non prima di avergli detto tutto quello che penso.
"Taci Quattro, non ho ancora finito.
Tu sapevi: eri l'unico a sapere, l'unico a cui ho mostrato le mie peggiori paure.
Sapevi quanto fosse importante per me sapere qualcosa sulla mia famiglia: quanto io fossi spaventata dal non averne avuta una, dalla possibilità di non esser stata amata.
E ora scopro che in realtà una famiglia l'avevo...l'ho ancora.
Mio fratello è vivo, ad un palmo dal mio naso, e tu me lo tieni nascosto.
Quando avevi intenzione di dirmelo?
Per quanto tempo ancora avresti avuto il coraggio di mentirmi senza dirmi la verità?"
Mi volto di scatto e lo fisso con tutta la rabbia e la frustrazione di cui sono capace.
Tobias è ad un paio di metri da me, pietrificato dal mio sguardo e dalla mia reazione, un po' intontito.
Ma dopo un secondo si irrigidisce, serra i pugni lungo il fianco e mi punta uno sguardo adirato tanto quanto il mio.
"Non ti ho mai mentito e non riesco a credere come tu possa anche minimamente pensare una cosa simile.
Tutto quello che sto facendo non vale nulla per te?
Non ti ho detto niente solo perchè aspettavo l'occasione migliore per parlartene.
E smettila di chiamarmi Quattro con quel tono minaccioso."
Pazzesco.
Non solo è nel torto ma vorrebbe anche avere ragione: sarei io quella irriconoscente che lo accusa senza motivo.
Quando parlo ho perso tutto il mio autocontrollo:
"Aspettavi l'occasione giusta?
E dimmi volevi per caso anche delle candele per creare un po' d'atmosfera?
Ne hai avuto la possibilità e non solo una volta; e tutte le volte non hai nemmeno pensato di dirmelo.
Niente, neanche un minimo cenno.
Cosa c'è di così difficile nel dirmi che mio fratello è vivo?
E per la cronaca non sarai di certo tu a dirmi come ti devo chiamare e con che tono di voce farlo."
Tobias si appoggia alla spalliera del letto accanto: non perchè abbia bisogno di un supporto ma perchè vuole controllare la sua rabbia.
E' in preda all'ira.
"Secondo te, sarebbe stato facile per me dirti che la persona che desideravi tanto esistesse, ti ha abbandonata e consegnata al nemico?
Che ti ha tradito per il piano di una folle Erudita?
Ha mentito a tutti, compres i tuoi genitori.
Ha permesso che tu morissi per bene due volte, senza muovere un dito.
Come avrei potuto dirti che una persona simile è in realtà tuo fratello?
Dimmelo, dato che sembri sapere tutto."
Sento vacillare la mia ira.
Mio fratello è davvero così, privo di scrupoli?
Ha davvero permesso che qualcuno tentasse di uccidermi senza nemmeno proteggermi o tentare di farlo?
Come può avermi venduto al nemico o peggio ancora, tradito nostro padre e nostra madre?
Ma nonostante la mia rabbia si plachi un po' non posso perdonargli il fatto di avermi mentito.
Non ora che la delusione è così forte.
Quando parlo non c'è più rabbia nella mia voce, ma solo tanta amarezza.
"Avresti dovuto dirmelo lo stesso, Tobias.
Non ho bisogno di una persona che sia sincera a metà.
Preferisco di gran lunga la verità, per quanto possa far male.
Io avevo fiducia in te."
Riprendo fiato e mi stendo sotto le coperte.
"Sono stanca.
Voglio stare sola ora."

E mi volto dalla parte opposta rispetto alla sua.
Dopo qualche minuto sento la porta chiudersi e la fitta al petto mi divora completamente.

                                        ***

Mi rigiro nel letto.
Non so se sia passata un'ora, due o solo pochi minuti ma non riesco a tranquillizzarmi.
La notizia di mio fratello, il litigio con Tobias...
Tutto nella mia testa ruota vorticosamente.
Alla fine non riesco più a stare sdraiata: ho bisogno si muovermi e di sciogliere la tensione.
Mi stacco la flebo, indosso un paio di pantofole e mi avvicino alla finestra: l'aria estiva mi scompiglia i capelli e la respiro a pieni polmoni, cercando di scacciare tutta l'ansia che provo.
Dopo qualche minuto ho riacquistato la mia lucidità ed esco dall'infermeria alla ricerca di Caleb.
Non voglio rimandare il nostro incontro, non ora che ho scoperto la verità.
Mi diriggo ai laboratori e non fatico a trovarlo: è chino su un grosso libro, gli occhiali sulla punta del naso.
Sembra concentrato nel leggere una strana formula chimica che io non capirei mai probabilmente.
E adesso cosa faccio?
E soprattutto che gli dico?
Da dove dovrei iniziare?
Ora capisco come si deve essere sentito il primo giorno in cui ci siamo visti.
Decido che il primo passo sia attirare la sua attenzione così busso alla porta aperta.
Non sembra aver sentito nulla perchè continua a leggere, il capo  chino e gli occhi concentrati.
"Scusa, tu sei...Caleb, giusto?
Disturbo?"

Alza di scatto la testa, spaventato dal suono della mia voce, e quando mi vede spalanca gli occhi, perdendo l'equilibrio.
Cade dalla sedia con un tonfo sordo, gli occhiali a qualche metro di distanza.
"Tutto bene?" gli dico mentre mi precipito da lui e l'aiuto a rialzarsi.
"S-sì, grazie Tris."
Raccolgo gli occhiali e mi rendo conto che si sono rotti nell'impatto.
"Prometto di ricomprarteli, anche se sinceramente trovo che tu stia meglio senza".
Non capisco perchè ho detto una cosa così stupida, ma glieli porgo senza aggiungere altro.
"Non ti preoccupare, in realtà non mi servono.
Li uso solo per evitare di sforzare la vista.
Mi hai fatto un favore."
Mi dice con un tono di voce apparentemente tranquillo, ma vedo chiaramente quanto stia tremando.
"Posso esserti utile?"
Non so che rispondere.
Dirgli che sono qua perchè vorrei sapere come mai non si è mai fatto avanti prima mi sembra troppo esccessivo.
Di certo non la maniera più naturale di salutare un fratello.
Opto per l'ultima tra le motivazioni che mi hanno spinta qui.
"Volevo ringraziarti...per avermi salvato la vita."
Mi guarda sorpreso.
"Non ho fatto nulla di speciale.
Ti ho solo dato un po' del mio sangue: con tutto quello che hai perso avevi bisogno di una trasfusione."
Non ha il coraggio di guardarmi in volto per paura di dire qualcosa di sconveniente.
"Pensavo non fossi al Dipartimento.
Miles non è riuscito a trovarti."
A questo punto oltre allo stupore si aggiunge la confusione nel suo sguardo.
"Davvero? Ho dormito per tutto il tempo.
Magari si sarà scordato di passare in camera".
Mi suona un po' strano.
Non conosco Miles ma mi sembra un uomo che sa il fatto suo.
Dubito che si sia potuto dimenticare di controllare la sua stanza, dato che si tratta dell'ipotesi più logica, ma non aggiungo nulla.
Un silenzio imbarazzante scende tra di noi e in breve tempo riempie la stanza.
Ad un tratto non riesco più a sopportarla:
"So che sei mio fratello Caleb".
Non so bene come comportarmi.
E se mi odiasse? Se non volesse saperne di me?
Ma quando lo guardo la sua reazione mi spiazza.
Trema. Piange e trema.
Ha il viso rigato dalle lacrime e trattiene a stento i singhiozzi, senza molto successo.
Il suo sguardo vuole comunicarmi sollievo ma anche senso di colpa.
Si sente colpevole nei miei confronti e credo che sia riferito alle cose di cui mi ha parlato Tobias.
Si sente come un fratello che ha tradito la persona più cara che aveva.
Senza prevviso si getta su di me e mi abbraccia, affondando il viso nella mia veste e scoppiando in un pianto senza freni.
"Non sono degno di essere chiamato fratello, Tris.
Non da te.
Non puoi capire...
Tu non sai...
Non sai quello che ti ho fatto, non ti ricordi del male che ti ho causato.
Ho ferito te, i nostri genitori... Ti ho tradita.
E ho lasciato che tu morissi per me.
Non ho impedito che tu sacrificassi te stessa per una persona codarda come me."
Che cosa dovrei fare?
Non è questo ciò che avevo immaginato.
Non sono queste le azioni che si addicono al fratello che ho sempre sognato.
Non è questo ciò che io pensavo dovesse corrispondere alla parola "Fratello".
Ma in fondo chi sono io per giudicarlo?
Chi mi dà il diritto di dire che è nel torto e che io nel giusto?
Che non devo perdonarlo?
Penso a Cara e a Christina: a tutto il male che ho fatto loro.
Nonostante tutto però, mi hanno perdonata e se io sto riscoprendo me stessa è grazie anche al loro perdono.
Nessuno può cancellare il male subito o causato: ma senza il perdono probabilmente la nostra esistenza sarebbe vuota e piena d'odio.
Senza il perdono diventerei esattamente la macchina da guerra che il Reggimento vorrebbe.
So cosa vuol dire esser soli, sentirsi continuamente colpevoli.
So cosa deve aver passato Caleb in questi tre anni e non voglio che stia male a causa mia.
O forse sono io ad essermi stancata di soffrire e di stare sola.
Non posso incolpare Caleb di una cosa che non ricordo e non posso perderlo proprio ora che ho scoperto ciò che è per me.
Ciò che rimane della mia famiglia.
"E' vero, non ricordo Caleb.
Ma non ha senso ricordare il dolore.

Aiutami a riscoprire i nostri ricordi felici, i bei momenti trascorsi.
Riprendiamo il nostro cammino, insieme.
Come una vera famiglia."
E i suoi singhiozzi diventano sempre più forti.

                                           ***


TOBIAS


Abbasso il finestrino del veicolo e l'aria mi sferza il viso, scompigliandomi i capelli: respiro a pieni polmoni.
E' ormai pomeriggio inoltrato e il sole comincia a tramontare: si prospetta una piacevole nottata d'estate.
Io, Miles e un gruppo di soldati stiamo andando a Milwaukee per capire cosa rimane della città e se c'è ancora qualche possibilità di trovare sopravvissuti, anche se le speranze sono minime.
Caroline ha dato il suo consenso a farmi partecipare al pattugliamento: avevo bisogno di cambiare aria, di allontanarmi dal Dipartimento per un po'.
Tris ha insistito per partecipare ma a quel punto si sono intromessi sia Sondra che Cara: le hanno proibito qualsiasi missione o sforzo, fino al completo riacquisto delle forze.
Sono un po' sollevato se devo dirla tutta: non mi piace l'idea di saperla in un luogo simile dopo quello che è successo durante l'attacco.
Ed inoltre, dopo la nostra discussione, sono certo che nessuno dei due abbia ancora smaltito la rabbia.
Possibile che non riesca a rendersi conto che ho solo evitato di raccontarle un dettaglio che l'avrebbe fatta soffrire?
Ho visto i suoi occhi quando tentava di ricordare qualcosa sulla sua famiglia: quegli occhi blu, così fieri ed intesi, mi erano sembrati  impaurati e disperati. Indifesi.
Non potevo dirglielo e basta.
Nonostante questo, rieccheggiano ancora nella mia testa le sue parole e la sua delusione.
Avverto un senso di nausea.
Abbiamo faticato tanto per conquistarci la fiducia reciproca e ci sono stati momenti in cui abbiamo tradito questa fiducia in passato.
Ho come la sensazione che sia capitato anche ora.
Miles spegne il motore e mi rendo conto che siamo arrivati.
Scendiamo dal furgone e prendiamo delle armi, nel caso ce ne sia bisogno, e iniziamo la perlustrazione dell'area.
Non immagianvo lo scenario che sto vedendo ora davanti a me.
La realtà è molto peggio.
Sento lo stomaco contorcersi e un brivido freddo mi scuote: inizio a sudare, tanto che sento il fucile scivolarmi dalle mani.
La città è completamente distrutta.
Abitazioni, palazzi, edifici vari... tutto raso al suolo.
Intonaco, detriti e ferraglia disseminata qua e là per via delle esplosioni è il nostro unico paesaggio.
Ma ciò che più colpisce sono loro.
I cadaveri.
Sono sparsi ovunque: sotto le macerie, lungo la strada.
Chi è morto per il crollo di qualche palazzina, chi , col corpo mutilato, è rimasto vittima delle esplosioni e chi. semplicemente, è stato ucciso a sangue freddo.
Ritorno con la mente a quando gli Intrepidi hanno attaccato gli Abneganti: non avevamo distrutto la città, ma la desolazione è la stessa.
All'improvviso non sono più a Milwaukee, ma sono a casa mia, nel quartiere grigio e monotono degli Abneganti.
Se al tempo di quell'attacco fossi stato un Abnegante anzichè un Intrepido? Se mi fossi trovato dalla parte dei più deboli, strappati alle loro case e alle loro famiglie, cosa avrei fatto?
Impugno più saldamente il fucile, come se quella fosse la mia vita e io la stessi tenendo stretta tra le mie mani, con tutte le mie forze.
A quel punto lo sento.
Un rumore impercettibile, non udibile per un orecchio poco attento. Ma non per me.
Il mio udito è allenato: mi è stato insegnato ad essere un cacciatore ma anche a salvarmi la pelle nel caso mi trovassi ad essere una preda.
E in questo caso lo sono.
Qualcuno ci spia.
Un altro movimento impercettibile, ma questa volta riesco a distinguerlo meglio: sono dei passi.
Qualcuno si avvicina.
Alzo leggermente il fucile, Miles mi osserva e fa la stessa cosa: ha avvertito anche lui il pericolo.
Terzo rumore e questa volta è un suono metallico.
"Tutti al riparo, siamo sotto tiro!" urlo immediatamente e mi butto di lato, trovando riparo sotto un cumulo di macerie.
Riusciamo tutti a metterci in salvo prima che una scarica di proiettili si riversi proprio nel punto dov'eravamo due secondi fa.
Contemporaneamente un gruppo di GD esce da un varco in fondo alla strada, venendoci addosso.
Miles ordina di aprire il fuoco e tutti eseguiamo l'ordine.
Colpisco tre uomini di seguito in prima linea dopodichè miro ai cecchini sul tetto.
Tra le fila dei GD noto anche qualche soldato del Reggimento: miro a loro con la speranza che i ribelli, senza più protezione, si ritirino.
Ma uno di loro riesce a schivare il proiettile e punta direttamente su di me.
"Io provo a distrarli, coprimi le spalle!" urlo a Miles che mi fa un cenno col capo.
Inizio a corre in direzione opposta allo scontro e mi infilo nella prima stradina a destra.
Mi volto e noto che il soldato mi sta inseguendo con un gruppetto di quattro ribelli: molto bene, un problema in meno per gli altri.
Mi metto il fucile in spalla e prendo la pistola che ho sul fianco: più leggera e veloce.
Mi volto e sparo due colpi: due ribelli cadono al suolo.
Percorro altre due stradine e supero alcuni edifici ormai distrutti.
Senza preavviso un pezzo della parete crolla e travolge un altro ribelle.
Continuo a correre ma mi rendo conto che la strada è sbarrata per via di un palazzo crollato.
Sono in un vicolo cieco.
Faccio un rapido calcolo e mi rendo conto che sono rimasti solo in due a seguirmi: posso affrontarli a viso scoperto.
Mi volto di scatto e sparo al Geneticamente Danneggiato, che cade al suolo, sorpreso dalla mia reazione.
Mi getto sull'unico nemico rimasto: il soldato.
Schiva il mio primo colpo e tenta di colpirmi a sua volta ma ho già previsto dove vuole colpirmi.
Paro il calcio e lo spingo mentre quello, barcollando, cade a terra.
Cerca di mettersi seduto e noto che durante la caduta gli si è scostato il cappuccio dal viso.
Lo fisso, completamente spiazzato.
E' da tre anni che non lo vedo: ne ho perso completamente le tracce e a dir la verità non mi sono nemmeno mai preoccupato di sapere che stesse facendo.
Continuo a fissarlo e non faccio fatica a riconoscerlo.
E' Peter.

                                                    ***



 




 

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Capitolo 14
*** Una realtà distorta. ***


cap 14
Premessa: Chiedo scusa se questo capitolo è uscito in ritardo ma ho avuto alcuni impegni con l'università.
Cercherò di pubblicare con più velocità per quanto possibile.
Ne approfitto per rigraziare per l'ennesima volta ( e non mi stancherò mai, a costo di sembrarvi noiosa), tutte le persone che seguono questa FF, che l'hanno tra i preferiti, ma soprattutto che la recensiscono, perchè mi date tanto sostegno e incoraggiamento.
Mi ispirate a continuare al meglio la mia storia.
Perciò grazie di cuore <4




TOBIAS


Non ho dubbi: quello davanti a me è Peter.
E' da quasi tre anni che non lo vedo, da quando, ad esser precisi, ha deciso di volersi dimenticare di sè e del suo passato per iniziare una nuova vita.
Sono stato io stesso ad avergli dato il Siero della Memoria in quella occasione.
Lo stesso siero che avrei dovuto dare a Evelyn per evitare una guerra tra Esclusi e Alleanti.
Ad essere sincero, Peter non mi è mai piaciuto: era troppo egoista e troppo ambizioso per potermi andare a genio.
Desiderava primeggiare in qualsiasi circostanza e la sola idea di vedersi surclassato era inaccettabile: per questo motivo, ai tempi dell'iniziazione, aveva colpito ad un occhio con un coltello da burro un suo compagno.
Fantasioso come metodo, ma sadico e violento.
Per certi versi mi ricordava Eric: provava un gusto malsano nell'infliggere dolore e nel vedere la sofferenza sul viso delle persone.
Ma questa era solo una parte della sua personalità.
L'altro Peter era fragile, odiava sè stesso e tutto ciò che faceva.
Odiava tutto quello che era diventato.
Non posso dimenticare che è stato lui ad aver salvato la vita a Tris quando era prigioniera degli Eruditi.
Lei cerca disperatamente il suo passato, lui ha voluto a tutti i costi gettarselo alle spalle.
Come può essere strana delle volte la vita.
Peter è ancora sdraiato sul dorso e cerca a tentoni di rimettersi seduto: gli punto contro la pistola.
Si immobilizza all'istante e aspetto di vedere la sua reazione, ma mi coglie impreparato: nei suoi occhi c'è solo odio.
Un odio vivo, bruciante, di chi si sente braccato ma non intende arrendersi al nemico.
"Sparami".
Sono incredulo: il vecchio Peter non avrebbe mostrato mai tanto coraggio; avrebbe preferito piuttosto supplicare o piagnucolare per avere salva la vita.
Ma la presa non vacilla, il dito sul grilletto.
"Voglio farti delle domande prima."
Continua a fissarmi, con i suoi occhi carichi d'odio.
"Non ho intenzione di dirti nulla.
Non so niente e se lo sapessi, non lo verrei a dire ad un soldato federale."
"Non sono un federale, sono solo un loro collaboratore."
Non so perchè mi stia mettendo sulla difensiva.
Credo sia il suo tono di voce, il suo comportamento o semplicemente il suo sguardo a mettermi in allarme.
"Per me non fa differenza.
Combatti per il Governo...per il Dipartimento.
E questo basta a farmi venire la voglia di ucciderti."
Come fa a sapere del Dipartimento?
Il Siero della Memoria aveva agito perfettamente su di lui: ricordo il suo attimo di smarrimento dopo la perdita dei ricordi.
Ricordo di aver addirittura pensato che fosse diventato un'idiota.
"Cosa sai del Dipartimento?"
Il suo sguardo è più fermo e spietato che mai:
"So quello che mi basta.
So che ora si occupa della Sicurezza Nazionale, ma so anche che non è sempre stato così.
Il nostro Capo mi ha detto tutta la verità."
Il senso di allarme che avverto si fa ancora più pesante, fino a schiacciarmi.
"Di che verità parli?"
"Oh avanti, non trattarmi come un idiota.
So che cosa è stato in grado di fare il Dipartimento.
Mi ha detto tutto: degli esperimenti, del fatto che alcuni di noi sono stati "danneggiati" proprio per via di questi ultimi.
Che ci avete sfruttati, usati come fossimo pedine."
Sento un nodo in gola se ripenso a tutto quello che è stato in grado di fare il Dipartimento.
Su questo devo dargli ragione, purtroppo.
"Ci avete usati come fossimo giocattoli per voi.
Per colpa vostra ho perso tutto ciò che per me contava davvero."
Sono ancora più confuso di prima: possibile che abbia davvero recuperato la memoria?
No, è impossibile.
Il nodo in gola si fa ancora più stretto tanto che faccio fatica a deglutire: ci sarà almeno una speranza per Tris?
Pensare a lei in un momento simile non è l'ideale.
Ma devo capire meglio tutta questa faccenda.
"Spiegati meglio."
Scoppia a ridere.
Una risata cupa, amara, di quelle che ti rimangono impresse e che ti fanno tremare involontariamente.
"Abitavo in questa città sai? Proprio tra queste macerie.
Avevo una famiglia...una fidanzata.
Ma voi mi avete portato via tutto.
Avete ucciso tutte le persone che amavo, con l' unica colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
E per cosa? Per un capriccio del Dipartimento?Per un semplice esperimento?
Voi state solo reprimendo il desiderio di queste povere persone di vivere la loro vita degnamente.

Avete continuato a reprimere qualsiasi tentativo di farci vivere come degli essere umani e non come feccia."
Qualcosa muore dentro di me.
E' chiaro che Peter non ha recuperato la memoria.
Non si ricorda nulla.
Ha semplicemente una visione distorta della realtà: forse è il dolore per la perdita di quelle persone che evidentemente l'hanno amato pur non conoscendolo, forse è dovuto a qualche ricordo frammentato o semplicemente ha quello che gli hanno raccontato.
Però ha in parte ragione.
Ho odiato per tanto tempo il Dipartimento: mi son sentito usato, spiato, manovrato contro la mia volontà.
Il modo in cui venivano trattati i GD è ciò che mi aveva spinto a far parte di un piano terroristico per sabotare il suo intero operato, o che mi fatto acconsentire al piano di Tris di cancellare a tutti ogni ricordo.
Le parole di Peter corrispondono ad una verità alterata, non lo nego, ma in fondo racchiudono la verità stessa.
Scuoto la testa:
"Non è questa la verità. Ti hanno mentito.
Voi state tentando di creare una guerra per distruggere il Governo e noi insieme a lui."
Il viso di Peter diventa paonazzo per la furia: digrigna i denti e un ringhio profondo gli esce dalla gola.
Un suono più simile a quello di una bestia.
"Sta' zitto! Zitto!
Non ho nessuna intenzione di starti ad ascoltare.
Lui l'ha detto, il Capo: mi ha raccontato tutti i vostri crimini, i vostri piani.
Mi ha messo in guardia: ha detto che avreste cercato di confonderci.
Se non fosse stato per lui io non sarei qui.
Mi ha teso una mano quando ero solo e mi ha dato una nuova casa.
Mi ha rivelato tutto quello che ignoravo."
Non ho mai provato compassione per nessuno ma per la prima volta ne sto provando per l'uomo che ho davanti a me.
Non è questo il Peter che conoscevo e quasi rimpiango il suo vecchio ego: ora è disperato, solo e mosso solo dall'odio.
Dall'odio per il mondo, per il Dipartimento...per tutto ciò che lo circonda.
C'è così poco di umano nei suoi occhi , nel suo ringhio, nella sua postura.
Una rabbia cieca mi annebbia la vista: come può il Reggimento ridurre così le persone?
Come può spingerle all'odio più estremo per renderle così disperate?
Così prive di scrupoli?
Ripenso a quello che ho visto nello Scenario di Tris e la rabbia dentro di me aumenta.
Bisogna fermare questo folle e i suoi piani.
Chiunque egli sia, uomo o donna, non ha importanza.: bisogna porre fine a tutto questo.
Deve essere fermato.
"Tu ora verrai con me al Dipartimento.
Quando ti sarai calmato parleremo e ti racconteremo la verità".
Colgo un attimo di smarrimento nei suoi occhi: sta metabolizzando le mie ultime parole, la sua mente è altrove.
Poi il panico si impossessa di lui.
Inizia a tremare convulsamente, si guarda intorno con aria  terrorizzata.
Si mette in piedi di scatto e quasi mi coglie di sorpresa.
Non mi aspettavo la sua reazione.
Mi carica con tutto il suo peso e perdo per un secondo l'equilibrio ma non abbastanza da cadere sull'asfalto.
Approfitto della sua incredulità per aver fallito l'attacco e riesco a metterlo al tappeto, schiena sull'asfalto, e pistola puntata contro la fronte per impedirgli di fuggire.
Quello che succede dopo è così rapido che quasi non me ne rendo conto.
Peter libera un braccio e afferra la canna della pistola, gli occhi glaciali e carichi d'odio nei miei.
"Preferisco morire piuttosto che finire nelle mani del Dipartimento".
E preme il grilletto.


                                               ***


TRIS


Vago per il Dipartimento senza una meta.
Cara mi ha concesso di fare un po' di movimento, per abituare il mio corpo dopo aver passato così tanto tempo a letto.
Ho accolto la notizia con euforia perchè questo voleva dire libertà dalla prigionia della degenza.
Odio non fare nulla.
Ma l'euforia ha lasciato ora il posto ad un strano senso di incompiutezza.
Non sono felice come dovrei essere: non so dove andare, che fare, con chi parlare.
Mi rendo conto che ultimamente Tobias ha riempito quasi tutte le mie giornate e , da quando abbiamo litigato qualche giorno fa, la sua assenza è tangibile.
Mi chiedo cosa stia facendo, non l'ho visto in tutta la giornata.
Meglio. Devo smetterla di pensare a lui.
O anche semplicemente far affidamento su di lui.
Non ho bisogno di nessuno; in fondo è sempre stato così.
Senza neanche volerlo mi rendo conto di essere arrivata alla porta della palestra.
Sono ancora indecisa se entrare o meno, quando sento dei rumori.
Trovo Phil, intento ad allenarsi con un sacco appeso al soffito.
Sta scaricando la tensione.
Lo so perchè lo fa sin da quando lo conosco: quando si sente stressato o teso ha bisogno di sfogarsi, e questo è il suo metodo.
Mi fermo un attimo ad osservarlo e mi rendo conto di non averlo mai fatto prima.
La pelle è così chiara, simile all'avorio, ma così delicata da dare l'impressione di essere sul punto di frantumarsi, come fosse vetro.
Ma non lo è: è forte, allenata, resistente.
Gli occhi sono concentrati sul sacco, come fosse il suo accerrimo nemico: occhi verdi così allegri da ricordare un prato in primavera, ma ora così seri e concentrati da essere taglienti come rovi.
Contrastano con il nero corvino dei suoi capelli, e ammetto che il contrasto lo rende...affascinante.
Non mi ero mai accorta di questa sua bellezza estetica.
Probabilmente avrei continuato ad analizzarlo se non si fosse accorto di me: blocca il sacco con una mano e un sorriso gli illumina il viso.
"Non ti ho sentita arrivare Tris.
Sei sicura di poterti alzare?
Ti ricordo che hai preso una bella botta che per poco non ti spaccava in due la testa.
Sarei grato se evitassi di farmi prendere uno spavento simile in futuro.
Finirebbero col portarmi al manicomio".
E' felice di vedermi, ma anche un po' preoccupato per quello che è successo; nonostante questo non ha perso la sua serenità e la sua parlantina sciolta.
E forse per la prima volta l'apprezzo davvero: è riuscito con la sua voce a riempire il vuoto che avevo dentro.
Ricaccio indietro il pensiero di Tobias, del litigio avuto con lui e cerco di godermi la spensieratezza di Phil.
E rido per scacciare tutti i pensieri che mi vorticano nella mente.
Lui reclina un po' di lato il viso: 
"E ora perchè ridi? Che ho detto di male?
No aspetta...Stai ridendo?
Tu...ridere? A qualcosa che ho detto io?
Dobbiamo andare da Cara, non stai bene: la botta ti ha provocato un po' di danni."
"Sono assolutamente in me, Phil.
Guarda che anche io posso ridere, eh".
Non so perchè ma vorrei quasi mettermi sulla difensiva per via del tono di scherno che ha usato.
"Non volevo offenderti, è solo che è così...insolito.
Ma dovresti farlo più spesso, sei più carina quando sorridi."
Rimango a bocca aperta a fissarlo.
Phil non mi ha mai fatto un complimento da quando ci conosciamo.
Non so se perchè non volesse farmene o semplicemente si vergognasse, ma non gli ho mai sentito dire prima una cosa simile.
Non rivolta a me.
Arrosisco: non sono abituata a questo genere di cose e la sincerità con cui l'ha detto mi destabilizza un po', per cui cerco di cambiare argomento.
"Avrei decisamente bisogno di allenarmi, mi dai una mano?"
Mi guarda senza battere ciglio e capisco che mi sta scrutando.
"C'è qualcosa che non va vero?
Ha a che fare con Tobias?"
Al suono di quel nome mi irrigidisco.
"No, anzi non lo vedo da un po' " cerco di dire con noncuranza: invano.
Phil sospira.
"Ok, ha a che fare con Tobias. Avete litigato?"
Inizio a spazientirmi: son venuta qua per non pensare a lui e invece ho ottenuto l'esatto contrario.
Non ho bisogno di lui; perchè tutto invece sembra dirmi il contrario?
Anche quando non voglio pensare a lui sono costretta a farlo, come se fosse più forte di me.
"Perchè pensi che sia legato a lui? Possono esserci molti altri motivi e ti ricordo che la mia vita non ruota attorno a Tobias."
"L'ho detto solo perchè ultimamente sei sempre in sua compagnia.
Non volevo turbarti."
Sono talmente infuriata che non sento i suoi passi mentre si avvicina: me ne rendo conto solo quando ormai è ad un palmo dal mio naso.
Colgo qualcosa nel suo sguardo che mi fa rabbrividire: è durato solo un secondo, ma abbastanza da percepirlo.
Non saprei dire cosa fosse di preciso: come un'ombra minacciosa, passeggera, da oscurare per un attimo l'allegria dei suoi occhi.
"Ad ogni sono contento di sentirtelo dire.
Vorrà dire che sarà più semplice per me."
E senza preavviso mi bacia.

                                                ***




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Capitolo 15
*** Il mare e la roccia. ***


cap 15
Premessa: chiedo umilmente scusa a tutti per l'enorme ritardo.
Perdonatemi ma questi due mesetti sono stati caotici per via dell'università, del trasloco e di internet che ogni tanto faceva le bizze.
Sarò molto più costante con le pubblicazioni, promesso.
Ringrazio coloro che mi hanno mandato dei messaggi per chiedermi se andasse tutto bene, chi ha aspettato il seguito della ff e mi ha fatto avere il proprio incoraggiamento.
Grazie di cuore <4




TOBIAS


"Non saprei dire chi tra te e la tua ragazza sia quello più problematico.
Ma una cosa è certa: avete entrambi una tendenza a  trovarvi in mezzo ai guai."
Miles pronuncia l'ultima parola con uno sbuffo ma continua a guidare, lo sguardo dritto davanti a sè e rivolto alla strada.
Io invece, accanto a lui nel posto del passegero, guardo fuori dal finestrino: guardo i palazzi scorrerci accanto, le persone, i lampioni, e vorrei che con loro scorressero via anche i miei pensieri, come soffiati via dal vento.
Non voglio voltarmi, ma non posso non essere d'accordo con lui:  ho la tendenza a ritrovarmi sempre nei guai, senza nemmeno volerlo.
Sono come una falena attratta dalla luce, o forse sono io la luce che attrae i guai e oggi più che mai sento di esserne la causa.
Ho reso quello che doveva essere un semplice pattugliamento una missione di guerra, ho coinvolto i miei compagni e Miles in una sparatoria con i ribelli mettendo a rischio le loro vite.
Il peggio però, è che sto facendo rischiare a Miles il posto di lavoro perchè stiamo portando un ribelle nel quartier generale del Dipartimento: stiamo portando il nemico nella nostra base.
Ma non potevo lasciare Peter in queste condizioni: sono riuscito a deviare all'ultimo secondo il proiettile, ferendolo alla spalla, e poco dopo ha perso i sensi per via delle ferite.
Per quanto non l'abbia mai apprezzato tra gli Intrepidi, ho imparato piano piano a capire in parte il perchè delle sue azioni, e seppure non posso definirlo un amico, ho smesso di odiarlo.
Semplicemente non potevo lasciarlo morire là, in mezzo alla strada: anche lui è una vittima a modo suo, come lo siamo sia io che Tris.
Ho spiegato la situazione a Miles ed è stato lui stesso a proporre l'idea di portarlo al Dipartimento, prendendosi qualsiasi responsabilità.
Ha detto che lo stava facendo per potergli estrapolare informazioni in più sul Reggimento ma ho capito dal suo sguardo che non era questa la vera motivazione: semplicemente non poteva lasciarlo morire senza poter fare qualcosa per salvarlo.
Per salvare una vita umana.
Sa che ho capito le sue reali intenzioni ma non sa che cosa questo gesto vale per me: è la prova che non importa chi o cosa si debba affrontare nella vita, e nemmeno in quali circostanze.
Si può essere capaci di azioni buone e di tenere fede ai propri ideali, senza farsi corrompere nell'animo.
Avevo bisogno di un gesto che mi ricordasse che siamo noi gli artefici del nostro destino e che possiamo ancora lottare per quello in cui crediamo, e magari dare una speranza anche a coloro che non l'hanno, proprio come Miles ne sta dando una a Peter, salvandogli la vita.
Per questo non ho il coraggio di voltarmi e di guardarlo, o semplicemente di parlargli.
Continuando a guardare fuori dal finestrino il Dipartimento in lontananza, metto da parte il mio orgoglio e sussuro, forse più a me stesso che a lui:
"Grazie...di tutto".


                                             ***


TRIS

Corro per i corridoi del Dipartimento, non preoccupandomi nè delle lamentele di Cara per essermi tolta di scatto la flebo, nè di quelle di Caleb che mi ricorda di essere troppo debole per sforzi come correre, come una lastra di vetro sul punto di rompersi.
Per tutto il giorno ho avuto una strana sensazione, come un brutto presentimento; sin da quando Tobias è uscito per perlustrare la città.
E avevo ragione.
Una sparatoria.
Contro il Reggimento per di più.
La cosa peggiore è che so solo questo: Sondra mi ha fatto avvisare dell'attacco e del fatto che stavano tornando al Dipartimento.
Non mi ha detto altro e questo mi preoccupa: nessuno conosce il Reggimento quanto me e nessuno sa di cosa è capace quanto me, che l'ho visto con i miei occhi e vissuto sulla mia pelle.
Ma la vera paura la provo per lui, per Tobias.
E' ferito? E' con loro? O è stato fatto prigioniero? Cosa più importante, è vivo?
Ho la mente annebbiata dal terrore.
Dimentico tutto, il nostro litigio di qualche giorno fa per via di Caleb,  la delusione per avermi mentito, il suo sguardo carico di risentimento.
L'unica cosa a cui penso è lui, vivo e vegeto.
Sono arrivata alla porta dell'ufficio di Sondra e quasi vado a sbattere contro il petto di Phil.
"Sondra ha chiamato anche te? Pensavo fossi a riposo date le tue condizioni."
"Non fare domande idiote: ho affrontato di peggio e tu lo sai bene.
Non vedo perchè non avrebbe dovuto convocarmi, dal momento che sono coinvolta in tutto questo tanto quanto te".
Non volevo essere scontrosa ma non riesco a controllare la mia voce, preda del terrore.
E ora che ci penso non abbiamo più parlato dal giorno in cui mi ha baciata.
Ancora non ho realizzato quello che è successo.
Quella volta è fuggito, imbarazzato, dall'infermeria e non l'ho più visto da allora: ho come la sensazione che mi stia evitando.
"Scusa, non era mia intenzione farti innervosire.
Vedo che ti stai rimettendo in forze velocemente, mi fa piacere."
"Non pensavo ti ricordassi che ho quasi rischiato di morire dissanguata dato che eviti l'infermeria da giorni.
Non è il genere di comportamento che ci si aspetta dal proprio migliore amico, sai?!"
Phil abbassa lo sguardo e noto una leggera amarezza nei suoi occhi.
Ha la mascella contratta e i pugni tesi, rigido.
"Sono stato impegnato con le reclute dato che Miles non c'era.
Non so se il tuo tono di voce sia dovuto a quello che è successo tra noi l'altro giorno, nel caso ti chiedo scusa.
Scusami se ho fatto qualcosa che ti ha infastidito.
Più semplicemente, scusami per averti baciato."
Sento il senso di colpa salirmi in gola come bile amara e un macigno mi impedisce di deglutire.
Ho appena inveito contro di lui senza nessun motivo, solo per dar sfogo a tutta l'angoscia e la confusione che mi porto dietro da quando ho messo piede nel Dipartimento.
Lui, con la sua solita gentilezza, pur non avendo fatto nulla di male, si sente in dovere di scusarsi e io sento il senso di colpa investirmi con la potenza di un uragano per quello che gli ho detto.
E' il motivo per cui andiamo così tanto d'accordo, per cui siamo una squadra così affiatata.
Non posso far a meno di pensare alla discussione che ho avuto con Tobias qualche giorno fa e a come si sia alterato di fronte ai miei modi sfacciati.
Penso a quanto i suoi gesti, le sue parole siano diverse rispetto a quelle di Phil: hanno due personalità così diverse, due modi di reagire e di esprimere le loro idee totalmente opposti.
Non ho tenuto conto dei sentimenti di Phil, di come si deve essere sentito nell'esporsi così tanto, aspettando magari un mio gesto, una mia conferma, vedendosi invece respinto in malo modo ed etichettato come amico.
Ma in questo momento non so nemmeno io cosa mi passa per la testa. Cosa o chi voglio.
Da un lato c'è lui, Phil, il mio compagno di squadra da anni ormai.
E' il mio collega, il mio confidente, il mio amico.
E' come una roccia a cui mi posso sempre aggrappare, è tutto ciò che io non sono.
La mia certezza, la mia stabilità.
Poi c'è Tobias.
Ed è tutta un'altra storia con lui.
Non lo conosco se non per quello che mi ha raccontato, so che eravamo fidanzati ma nulla più.
E' imprevedibile, orgoglioso, fiero di sè: è uguale a me.
Proprio per questo so che c'è una parte di lui che non è così forte come vuole far credere, che è fragile ed evita di mostrarlo al mondo per paura di soffrire.
Mi fa sentire vulnerabile come non mi era mai accaduto prima.
E' come il mare in tempesta e spesso non posso far altro che lasciarmi trasportare dalle onde e dalla loro impetuosità.
Non so bene cosa rispondergli ma sento che qualcosa devo pur dirgli.
"A proposito del bacio Phil, io..."
Ma mi blocca prima che possa finire di parlare, posandomi un dito sulle labbra.
"Non dire nulla, non c'è bisogno.
Sappi che per me quel gesto ha avuto un significato, Tris.
Non ti chiedo di giustificarti o di darmi una risposta.
Promettimi almeno che ci penserai un po' su, che ti prenderai del tempo per riflettere.
Fallo per me, ti chiedo solo questo."
Senza nemmeno voltarsi e aspettare che un mio cenno, abbassa la maniglia ed entra nello studio di Sondra.
E in quel momento mi rendo conto che non eravamo soli.
Tobias è poco più indietro rispetto a dov'era un secondo fa Phil, rigido e immobile.
Nessuno dei due si è accorto dei suoi passi.
A giudicare dall'espressione che sul viso ha ascoltato tutta la conversazione e il suo sguardo è come una lama che mi squarcia il petto.
Dritto al cuore.

                                              ***

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Capitolo 16
*** Odio e amore. ***


cap 16 TRIS


Non riesco a muovermi.
E' come se fossi paralizzata e il mio corpo non rispondesse ai comandi: so che dovrei parlargli, dirgli almeno qualcosa dopo quello che ha sentito.
Tobias è davanti a me, pallido e teso, visibilmente sfinito e provato dalla missione.
Quello che mi preoccupa però non sono le leggere ferite sul suo corpo o quella più profonda sullo zigomo sinistro, ma il suo sguardo: tetro e assolutamente vuoto.
Se gli sguardi potessero uccidere, mi ritroverei fatta a pezzi seduta stante, ne sono più che certa.
In realtà, è lui stesso a non darmi il tempo di dirgli nulla: procede con passo deciso e un attimo dopo è già entrato nello studio di Sondra, chiudendosi la porta alle spalle, senza alzare lo sguardo.
Come se non fossi stata là. Come se non esistessi.
Mi si prospetta una giornata meravigliosa, penso.
Entro nello studio e dò una rapida occhiata intorno a me: dall'altra parte della stanza Sondra, Caroline e Johanna parlano fitto con Miles accanto alla scrivania, mentre Tobias è accanto agli altri uomini con cui ha partecipato al pattugliamento, abbastanza lontano e disinteressato da farmi capire di voler essere lasciato in pace.
Phil, dal lato opposto, parla e scherza con Caleb, mentre Cara e Christina si limitano semplicemente ad ascoltarli.
Decido di sedermi nella poltrona accanto a me, lontana da tutti: ho già avuto abbastanza problemi in una sola mattinata e non ho voglia di intrattenere alcuna discussione, soprattutto se riguarda questioni sentimentali.
Sondra dà una rapida occhiata intorno a sè e raggiunge la scrivania, solo dopo essersi schiarita la voce, esordisce:
"Vedo che ci siete tutti perciò veniamo subito al dunque.
Questa mattina una squadra composta da Miles, Tobias e alcuni soldati è stata inviata in ricognizione a Milwaukee, che sapete essere stata oggetto d'attacco da parte del Reggimento.
Come previsto, la città è completamente distrutta e non ci sono superstiti, o almeno così credevamo.
I nostri soldati sono stati attaccati da un gruppo di ribelli e di soldati nemici, il che purtroppo è un dato negativo per noi: non solo la città è stata rasa al solo ma è sotto il controllo del nemico."
Guardo Tobias e i soldati accanto a lui: sono tutti feriti, chi più, chi meno.
Questo vuol dire che è stato uno scontro abbastanza duro e mi preoccupa perchè vuol dire che il Reggimento sta rafforzando le sue schiere, sia a livello di numero che a livello di qualità: già ai tempi del mio allenamento eravamo abbastanza numerosi, di questo passo raggiungeranno un numero impressionante di soldati.
In fondo è logico, considerando che l'obiettivo è quello di distruggere il governo statunitense, in primo luogo il Dipartimento.
Vengo riportata alla realtà dalla voce bassa di Sondra.
"E' un sollievo sapere che i nostri soldati sono riusciti a tornare qua da noi, seppur con qualche ammaccatura."
Si ferma un attimo, come in segno di ringraziamento.
Potrei giurare di aver visto un piccolo sorriso rivolto a Miles.
O forse l'ho solo immaginato.
"Tuttavia abbiamo un piccolo problema ed è per questo che siete stati convocati: Tobias ha avuto a che fare con un soldato del Reggimento che a quanto pare è una vecchia conoscenza di alcuni di voi.
Ha pensato che fosse il caso di farlo prigioniero e magari sfruttare questo dettaglio a nostro favore, ottenendo informazioni sul nostro avversario.
Il suo nome è Peter."
"Cosa?! Peter?! Tobias ne sei certo?  Non è possibile. Sapevo fosse a Milwaukee, ma me lo immaginavo rimbecillito non a fomentare una guerra."
Christina sembra abbastanza sorpresa, lo stesso vale per Cara e Caleb, ma Tobias si limita semplicemente a dire:
"Non ho dubbi al riguardo.
E' Peter. Mi ha confessato di odiare il Dipartimento perchè lo ritiene responsabile della morte dei suoi cari.
O almeno è ciò che gli ha fatto credere il Reggimento, rivelandogli anche la questione dei Geneticamente modificati."
A questo punto Caroline emette uno sbuffo, più simile ad un rantolo  furioso che ad un sospiro.
Le sue parole sembrano quasi veleno.
"Mi stai dicendo che il bel regalino che ci avete portato questa mattina è a conoscenza di questo genere di informazioni?
Oh perfetto, ciò vuol dire che oltre ad addestrarli, manipolano le loro menti con lo scopo di renderci a tutti gli effetti il nemico da annientare?"
In tutta risposta Sondra, con assoluta noncuranza, si limita a ribattere:
"Vedo che finalmente ci sei arrivata Caroline".
A quel punto si susseguono una serie di domande e risposte a cui io non presto minimente attenzione.
E' impossibile. Tutto dannatamente impossibile e senza senso.
Se non avessi alle spalle tre anni di duro esercizio e un autocontrollo fuori dal comune, mi troverei a sbraitare come una pazza, in preda al panico.
Come hanno potuto anche solo minimamente pensare di portare il nemico qua, nella nostra base? In quello che è il loro obiettivo principale?
Stiamo servendo loro la possibilità di conoscere nei minimi dettagli il nostro rifugio e l'occasione di annientarci tutti..
Cerco di restare il più calma possibile quando parlo. e un silenzio tombale scende nella stanza non appena apro bocca:
"Ricapitolando, stiamo dando ospitalità a questo tale chiamato Peter, che sappiamo per certo essere un soldato nemico, con l'obiettivo di estrapolargli informazioni sul Reggimento, proprio qui, nel Dipartimento che, guarda caso, è il loro principale obiettivo.
Non pensavo potessimo raggiungere un tale livello di idiozia."
Tobias si volta d scatto verso di me, gli occhi ridotti a fessure.
E' furente.
"Non stiamo dando ospitalità a nessuno.
E' un prigioniero, rinchiuso e ammanettato, e come tale non può nuocere a nessuno.
Con i giusti metodi, potrà darci informazioni utili."
Quasi gli scoppio a ridere in faccia.
"Pensi seriamente che parlerà? Sei un illuso oltre che un idiota se la pensi in questa maniera.
Qualsiasi cosa tu gli possa dire, o qualsiasi tecnica tu voglia usare, non avrà alcun effetto.
Sono addestrati a sopportare il dolore e vengono preparati ad affrontare questo genere di situazioni.
Niente di quello che potrai mai fare lo spingerà a confessare."
L'aria è pesante e carica di nervosismo.
Sono tutti immobili, come se temessero persino di respirare.
L'unico che tenta di dire la sua è Phil:
"Purtroppo devo dare ragione a Tris.
Non ricaveremo alcuna infrmazione da lui: sarebbe stato meglio ucciderlo."
Ma uno sguardo di Tobias è sufficiente a zittirlo all'istante.
Tobias sostiene il mio sguardo e ho nuovamente la sensazione che, se potesse, mi incenerirebbe in questo preciso istante.
"Non possiamo darci per vinti senza nemmeno provare.
E' l'unica carta che abbiamo nelle nostre mani in questo momento.
Ad ogni modo, non mi aspetto che tu capisca cosa voglia dire cercare di salvare la vita a qualcuno."
Non appena termina la frase, capisce di essersi spinto troppo in là, ma non dà alcun segno di volersi rimangiare nulla di quello che ha appena detto.
Ed effettivamente questo è davvero troppo, anche per una persona insesibile come me.
Sa cosa ho dovuto affrontare, l'ha visto nel mio Scenario.
Io non dimentico mai niente, soprattutto le parole che mi vengono rivolte; e se sono letali e spietate, lo divento anche io.
Lascio perdere qualsiasi tentativo di diplomazia e quando parlo le mie parole sono letali quanto le sue.
"L'unica ragione per cui hai portato qua Peter è per lavarti la coscienza Tobias.
Se vuoi raccontare a tutti , compreso te stesso, la menzogna del prigioniero utile sei libero di farlo: con me non funziona.
Te lo sei portato dietro perchè non volevi macchiarti le mani col suo sangue ma non hai ancora capito che l'hai condannato: non potrà mai uscire da qua, non dopo aver scoperto com'è organizzata la nostra base, col rischio di renderci vulnerabili al nemico.
E non accetterà mai di voltare le spalle a quelli che ai suoi occhi sono i suoi salvatori.
Il Reggimento è pronto a sacrificare una semplice pedina perchè sa che non parlerà mai.
Che tu lo voglia o no, le tue mani sono già sporche del suo sangue."



                                             ***




TOBIAS


Aspetto.
Guardo l'orologio: sono le tre del mattino in punto.
Rimango in ascolto, alla ricerca del più minimo rumore di passi, ma nulla...silenzio totale.
Aspetto ancora.
Sono passati due giorni ormai dal mio ritorno dalla missione e sono successe così tante cose che fatico quasi a tenere il conto: Peter, la conversazione tra Tris e Phil, l'ennesima discussione nello studio di Sondra...
Decisamente troppe cose in una sola volta.
Ho cercato di evitare Tris con tutte le mie forze in questi giorni e per fortuna ho avuto qualche ferita da dover medicare che mi ha tenuto abbastanza impegnato.
Ma sapevo che questo momento sarebbe arrivato prima o poi.
Non ho mai apprezzato i comportamenti ambigui, nè sono quel genere di persona che teme di affrontare i problemi, qualora ce ne siano.
E io e lei ne abbiamo parecchi ultimamente.
Ora che ci penso è da quando ha scoperto la vera identità di Caleb che sono iniziati i nostri problemi.
Ecco, un altro punto da aggiungere alla lista dei motivi per cui dovrei prenderlo a pugni in faccia.
Ma in fondo so che si tratta di un'altra scusa per prendermela con qualcun'altro che non sia me stesso: perchè, per quanto mi sforzi di odiare il Dipartimento o il Reggimento, in realtà la persona che odio di più sono io stesso, per non essere stato in grado di difendere l'unica cosa di cui mi sia importato veramente e che non mi ha mai abbandonato, anche quando ne aveva tutti i motivi.
Credo di aver fatto la stessa cosa con Tris: ho cercato di sfogare su di lei la frustrazione per quello che ci è successo, per il fatto che non ha più alcun ricordo di me e di noi, quando probabilmente dovrei prendermela solo con me stesso.
Non che in parte non si meritasse una piccola ramanzina, soprattutto dopo quello che Phil le ha detto sui suoi sentimenti: dovrei includere anche lui nella lista delle persone con cui scaricare la tensione, magari a suon di botte.
Così ho deciso che era venuto il momento di risolvere le cose tra me e lei perchè tra le mille colpe che mi attribuisco, non c'è quella di essere un codardo.
Le ho lasciato un bigliettino sul comodino, un po' come eravamo soliti fare un tempo quando fingevamo di esserci lasciati agli occhi di Evelyn o come quando abbiamo iniziato a conoscerci per la seconda volta dopo il suo ritorno.
L'appuntamento era alle tre vicino alla fontana nell'atrio: sono le tre e mezza e di Tris nemmeno l'ombra.
Sono sul punto di andarmene quando lo sento: un rumore leggero, quasi impercettibile...passi.
E un secondo dopo la vedo sbucare dall'angolo del corridoio, diretta verso di me: indossa una tuta da ginnastica di un celeste chiaro, come il cielo primaverile, e porta i capelli sciolti, un po' scompligliati, come se si fosse appena svegliata.
L'ho sempre reputata bella, per via di quella sua determinazione e di quel suo coraggio che la rendevano così affascinante, come una fiammella che risplende nel buio, ma devo ammettere che ora lo è forse più di prima.
Bella sotto ogni punto di vista, da togliere il fiato anche con una tuta e i capelli in disordine.
Mi alzo e siamo uno di fronte all'altra: ora che ci penso, mi rendo conto di non aver minimamente pensato a cosa poterle dire.
Per un po' non parliamo pur essendo ad un palmo di distanza: entrambi non sappiamo come rompere il ghiaccio o da dove iniziare.
E' Tris a fare la prima mossa:
"Credo di essere in ritardo. Mi sono addormentata e non mi sono resa conto dell'ora.
Pensavo te ne fossi andato."
"
Per quanto non sia proprio quella che si definisce una persona paziente, non è mia abitudine arrendermi così facilmente."
E in effetti è vero: per quanto perda facilmente le staffe difficimente lascio perdere qualcosa a cui tengo, o qualcuno.
"Come vanno...ehm...le ferite?"
"Abbastanza bene, solo qualche piccolo graffio."
Come inizio, dopo tutto quello che ci siamo detti, penso sia abbastanza buono, ma decido di non tergiversare oltre.
"Ti ho chiesto di vederci per ...parlare, ecco.
Dato che con gli ultimi avvenimenti non abbiamo avuto molto tempo."
Un nuovo silenzio imbarazzante cala tra noi: dovrei parlare io? O lei?
E da dove iniziare?
Ad esempio mi piacerebbe sapere di preciso cosa si sia detta con  Phil, dal momento che ho ascoltato solo l'ultima parte della conversazione.
Ma penso sia l'argomento sbagliato con cui iniziare.
Decido che questa volta sarà meglio partire dal principio, per non tralasciare nulla.
"Volevo scusarmi per la faccenda di Caleb.
Non te ne ho parlato subito perchè non mi sembrava ancora il momento.
E' vero, è tuo fratello, parte di quella famiglia che tu disperatamente cerchi di ricordare, ma è più complesso di così.
Ho preferito darti l'opportunità di capire come funzionava il mondo prima che perdessi la memoria, in quale realtà vivevamo ogni giorno.
Ho pensato che così facendo avresti capito determinate scelte fatte da Caleb.
Volevo darti l'opportunità di decidere tu stessa che tipo di rapporto avere con lui, se perdonarlo o meno intendo."

Non volevo farla soffrire e l'idea di raccontarle che suo fratello era in realtà un traditore che ha quasi causato la sua stessa morte non rientra nella mia concezione di aiutarla a riacquistare la memoria.
Ma è anche vero che volevo fosse lei a giudicare che tipo di rapporto avere con lui: non volevo che il mio odio la influenzasse.
Noto dal suo sguardo pensieroso che sta riflettendo su quanto le ho appena detto.
"Mi sembra abbastanza sensato.
Capisco le tue motivazioni Tobias e apprezzo la decisione di lasciarmi assoluta libertà di scelta.

Solo...avrei preferito sapere da te della sua esistenza piuttosto che venirlo a sapere in maniera così improvvisa da Christina."
Vorrei aggiungere che non me ne ha lasciato il tempo, ma penso che sia un dettaglio irrilevante.
Il nuovo silenzio creatosi tra noi viene interrotto da Tris.
"Ecco...come dire...io...
Oh dannazione!

Volevo chiederti....scusa.
Un po' per tutto, ecco.
Per la mia reazione in infermeria e ... per quello che ti ho detto qualche giorno fa nello studio di Sondra.
Sono diffidente per natura e sto quasi sempre in allerta non so nemmeno io per quale motivo.
Mi sono lasciata andare e non ho badato a quello che dicevo e credo...di essere stata un poco ...dura."
Non posso nascondere un piccolo sorrisetto di soddisfazione e anche di sollievo.
Siamo sempre stati particolarmente testardi e soprattutto orgogliosi: i nostri litigi erano aspri e duri e si protraevano per giorni.
Di sicuro la vecchia Tris avrebbe usato parole meno dure nel nostro ultimo incontro rispetto a quelle che mi ha detto e che in parte fatico ancora a mandare giù, probabilmente perchè mi hanno sbattuto in faccia la verità, come uno schiaffo in pieno viso.
Ha sempre trovato difficile chiedere scusa, come me del resto: permalosi entrambi, preferivamo ribattere e stare sul piede di guerra piuttosto che vedere le nostre colpe e chiederci scusa a vicenda.
Il fatto che si stia scusando implica che riconosce di aver commesso degli errori e li sta ammettendo anche di fronte a sè stessa: capisco lo sforzo che sta facendo, e gliene sono grato.
"Forse è vero, hai usato dei toni un po' duri, ma in fondo hai ragione: forse ho salvato Peter solo perchè non volevo macchiarmi le mani col suo sangue.
E' solo che ho visto troppa guerra e proprio quando pensavo di poter vivere finalmente in pace, mi ritrovo a combatterne un'altra.
Non riesco ancora ad accettare la scia di morte che lascia dietro di sè: vorrei solo fare qualcosa per evitare altra sofferenza e desolazione."

Entrambi stiamo in silenzio e so che lei come me sta pensando a tutto quello che la guerra ci ha tolto: i nostri affetti, le nostre certezze, le nostre identità...
All'improvviso mi rendo conto che non abbiamo trattato una questione per me fondamentale: il discorso di Phil.
E non posso considerarmi chiarito con lei fino a che non saprò la verità su questa storia.
Reprimo l'impulso di alzare la voce e cerco di frenare qualsiasi istinto omicida verso Phil che equivarrebbe semplicemente all'ennesima lite.
Anche se non è il mio punto forte, con Tris bisogna usare la diplomazia.
Ma quando parlo risulto essere un po' troppo sarcastico:
"Per concludere questo momento di riconciliazione strappalacrime, non credi di dovermi dire qualcosa?
Che so, qualcosa come il fatto che ti sei fidanzata con Phil?!"
Sbatte le palpebre come se non avesse capito bene la mia domanda, ma quando sgrana gli occhi e arrossisce, capisco che ha inteso benissimo.
"Non fare l'idiota ora.
Io non sono fidanzata con nessuno.
Lui...si è semplicemente dichiarato.
Mi ha solamente baciata e mi ha chiesto di riflettere sul nostro rappor..."

Ma si interrompe e credo sia più per la mia espressione che per altro.
"Aspetta un secondo.
Lui...ti...ha...BACIATA?"
Se lo avessi davanti lo prenderei a pugni fino a farmi sanguinare le nocche.
Sapevo che mirava a lei, me l'aveva detto apertamente, ma non pensavo giocasse così sporco e facesse la sua mossa proprio in mia assenza.
"Tobias cerca di calmarti.
Io...pensavo l'avessi sentito l'altro giorno.
Pensavo lo sapessi."
"Secondo te se l'avessi saputo l'avrei lasciato andare in giro con le sue stesse gambe?!"
A questo punto succede qualcosa che non mi aspetto: ride.
Tris mi scoppia a ridere in faccia, tenendosi lo stomaco per lo sforzo.
E io sto qui impalato, a metà tra il furente e lo sconcerto.
Devo essermi perso un passaggio.
"E ora che c'è da ridere? Vorresti che gli spezzassi seriamente le gambe o non mi reputi capace di una cosa simile,per caso?
Sappi che potrei sorprenderti."

Penso fortemente che si stia prendendo gioco di me ma mi risponde semplicemente:
"Non pensavo che Quattro il Leggendario potesse essere così geloso.
Se potessi vederti in uno specchio capiresti la mia risata.
E ad ogni modo non sono necessariamente affari tuoi."
Mi accarezza il viso, passandomi l'indice sulla ferita della guancia, e la mia rabbia svanisce, come in una nuvola di vapore.
"Sai benissimo che sono anche affari miei..."
Il suo sguardo si fa improvvisamente serio.
"Per il fatto che eri il mio ragazzo? Sai che questo non vuol dire nulla, non hai nessun obbligo o dovere verso di me."
I suoi occhi sono fissi nei miei, blu come l'acqua del fiume nella residenza degli Intrepidi, sulle cui rive ci siamo baciati per la prima volta, belli e fieri come un tempo. Come sempre.
E ho per l'ennesima volta la conferma a quello che ormai so da tempo.
Possono cambiare le circostanze, ma noi siamo sempre gli stessi, e so che anche lei lo è, nel profondo: deve solo imparare a conoscersi meglio.
Ricambio il suo sguardo e lascio che le parole mi escano da dentro, la mia mano sopra la sua, ancora a contatto con la mia guancia:
"Non lo faccio perchè sono in obbligo con te.
Lo faccio perchè credo in te, perchè so che dentro di te c'è ancora la mia Tris.
Ho scelto te molto tempo fa e continuo a sceglierti ogni giorno: scelgo di stare al tuo fianco nonostante tutto, e di amarti, indipendetemente da tutto."

                                         
                                                ***





 

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Capitolo 17
*** Il cacciatore e la preda. ***


cap 18
Premessa: ormai sta diventando quasi abituale e scontato, ma chiedo davvero scusa a tutti per l'enorme ritardo con cui sta uscendo questo capitolo e per la lentezza con cui va avanti la storia.
Purtroppo ho trascorso un mese difficile, ho avuto mille pensieri per la testa e c'è stato un momento in cui ho pensanto di abbandonare la storia.
Ma poi sono entrata nuovamente su efp e ho visto tutti vostri messaggi e le recensioni, le parole che mi avete lasciato e i vostri complimenti.
Senza saperlo mi avete dato la forza e il coraggio necessari per andare avanti.
Il mio grazie non è riferito solo ai vostri commenti, ma a tutto il sostegno che mi avete dato e che continuate a darmi.
Questa storia è per voi ma siete voi che le state permettendo di andare avanti.
Grazie di cuore.


P.s Risponderò a tutti voi al più presto.
Per ringraziarvi del sostegno questa settimana ci sarà un'uscita....DOPPIA.
Perciò avrete prestissimo un altro capitolo :)
E come sempre aspetto le vostre recensioni e i vostri pareri.
Un abbraccio :)










TRIS


I raggi del sole filtrano dalla finestra e inondando di calore tutta la stanza.
Luminosi e caldi, tingono d'arancio ogni cosa: come se fosse una bella giornata in piena estate e non una mattinata d'autunno.
Mi sento pervasa da quel calore e lo sento in ogni parte di me.
O forse è la stanza che rispecchia il mio stato d'animo.
Calore.
In questi tre anni ho sempre vissuto per conto mio, lottando contro tutti e cercando di non affezionarmi mai a nessuno.
Non ho mai saputo cosa volesse dire ricevere un po' d'amore e di calore da qualcuno: mi sono sempre chiesta come fosse riceve un gesto d'affetto, anche una semplice carezza.
Non ho mai avuto niente di tutto ciò.....fino ad ora.
Ora so che una carezza può essere così piccola e apparentemente insignificante, ma in realtà lascia un'impronta indelebile.
Come un cucciolo appena nato: leggera, delicata e...calda.
Mi sembra quasi di sentire ancora la mano di Tobias sulla mia guancia, di sentire le sue dita ruvide e forti toccarmi con una delicatezza quasi surreale.
Sento ancora le parole che mi ha detto la scorsa notte, e probabilmente continuerei a sentirle anche in mezzo al baccano più infernale.
Continuerei ad averle stampate davanti ai miei occhi.
Dopo la sua dichiarazione siamo stati interrotti da Miles affinchè Tobias si preparasse per l'interrogatorio di Peter.
Mi ha accompagnata sino alla porta della mia stanza e, prima di andarsene, mi ha detto solo:
"Non voglio che tu mi risponda ora, ma almeno sai ciò che provo per te e che non sono disposto a lasciarti andare tra le braccia di un altro così facilmente".
Sono contenta di aver avuto la possibilità di chiarire con lui tutte le questioni in sospeso che avevamo, ma quelle parole continuano a venirmi in mente.
Non sono stata in grado di prendere sonno, pensando a tutto quello che ci siamo detti e a quello che io avrei potuto dirgli.
Ma in fondo: cosa avrei potuto dirgli, concretamente?
Non so nemmeno io cosa provo.
E' tutto talmente nuovo per me: questi sentimenti, questa strana sensazione di vulnerabilità  e di protezione allo stesso tempo che provo quando sono accanto a lui.
Si tratta solo di una sensazione passeggera? O sto iniziando a provare davvero qualcosa per lui?
E io sono davvero sicura di volermi mettere in gioco per qualcuno?
Correre il rischio di perdere di vista il mio nemico per colpa di questi sentimenti?
Proprio quando sento di essere sul punto di esplodere, sento bussare alla porta:
"Tris, sei sveglia?
Alzati pelandrona, sta per iniziare l'interrogatorio di Peter e tu devi essere presente.
O meglio, entrambe.
E se non ti dai una mossa arriveremo in ritardo".

Tiro un sospiro di sollievo e ringrazio mentalmente Christina per avermi salvato dal turbine dei miei pensieri.


                                              ***



TOBIAS


Sento il sapore amaro della bile e  un nodo alla bocca dello stomaco mi provoca un senso di nausea.
Peter è davanti a me, all'altro capo del tavolo.
Siamo in quello che fino a due giorni fa era un semplice sgabuzzino per gli attrezzi utili all'allenamento delle matricole al Dipartimento, e che in pochi giorni è diventato una sala per gli interrogatori.
Evito di guardare in direzione della parete di fronte a me, proprio alle spalle del mio ex compagno tra gli Intrepidi: so che due occhi blu ricambierebbero il mio sguardo.
Una parete con un vetro oscurato infatti mi separa da Tris.
Le è stato proibito di partecipare fisicamente: per quanto ne sappiamo il Reggimento sa che sono nostri prigionieri ma non sa che sono delle spie infiltralate.
Peter potrebbe averla già vista e quindi riconoscerla, lo stesso vale per Phil, e questo potrebbe essere dannoso, soprattutto per noi.
Ma non ha desistito facilmente, sostenendo di essere l'unica a potergli estrapolare le informazioni necessarie sul nostro nemico: alla fine ha raggiunto un compromesso con Sondra, rinunciando a partecipare fisicamente ma ottenendo il permesso di poter assistere, anche se in incognito.
E così Tris, Phil, Christina e gli altri ascoltano il tutto in una saletta qua accanto, mentre io e Miles facciamo da scorta a Sondra durante l'interrogatorio.
"Iniziamo con domande semplici: come ti chiami e da dove vieni."
Peter si limita a farle un sorrisetto di scherno.
"Ripeto: nome e luogo di provenienza."
"Perchè non mi chiede chiaro e tondo cosa vuole sapere.
Almeno evitiamo questa commediola."
Peter è proteso in avanti, i gomiti sul tavolo, calmo e beffardo.
Lancio uno sguardo a Miles che ricambia all'istante: siamo entrambi in allerta.
Sondra non si scompone e con calma assoluta ribatte:
"Perfetto, penso che sia un vantaggio e un bene per entrambi.
Immagino anche che non ti offenderai se ti do del tu.
Perchè combatti con i ribelli?".
"Perchè combatto per aiutare gli oppressi come me, per vendicare tutto ciò che mi avete tolto."
Sondra scuote la testa.
"Non siamo noi il nemico, noi non opprimiamo nessuno, anzi, cerchiamo di garantire la sicurezza dei più deboli.
Non so cosa ti sia successo, ma noi non ne siamo i responsabili."
Peter  si appoggia allo schienale della sedia, roteando gli occhi  e sbuffando.
"Già, già, le solite storie.
Voi siete i buoni, i paladini della legge.
Siete innocenti e senza colpa.
Avete veramente una gran faccia tosta."
"Non ho detto che siamo senza colpa, solo non siamo quel mostro che ti hanno fatto credere.
Questa è la semplice verità..

Conosci solo una versione della storia, permettimi di raccontarti la nostra."
"Non ne ho bisogno. La versione che so io è più che sufficiente.
Da gente come voi mi aspetto di tutto.
Sapevo che avreste tirato fuori la storia dei poveri incompresi,
 mi aveva detto di stare in guardia.
Mi aveva detto che vi sareste comportati così."

Colgo un lampo negli occhi di Sondra: è arrivata al punto che desiderava e lui c'è cascato senza nemmeno accorgersene.
"Cosa ti ha detto questa persona di preciso?"
Quando Peter parla, un brivido mi corre lungo la schiena.
La sua voce è roca, profonda, una voce che non gli appartiene.
Ma è il suo sguardo a preoccuparmi.
Ha gli occhi sgranati, ma vuoti e assolutamente inespressivi.
Il volto che fino ad un attimo fa era beffardo, ora è totalmente inespressivo.
"Oh, un sacco di cose che tu nemmeno immagini.
Mi ha finalmente aperto gli occhi, su tante cose che ignoravo.
Su come va il mondo, su chi realmente siete voi."

"Si tratta di un uomo o di una donna?
Presumo che l'abbia visto almeno una volta per averti detto così tante cose."

"Uomo, donna, che differenza fa.
Non mi dire che discrimini le persone in base al sesso.
Se devo essere sincero però non mi sorprenderebbe."
Sondra è imperscrutabile, seria e concentrata sul suo obiettivo, come un predatore che prepara la trappola per la sua preda.
"No, non è interessante, hai ragione.
Ma mi piacerebbe sapere almeno com'è.
Una persona così brillante e saggia deve avere le idee chiare su ciò che vuole."
Ed è in quel momento che la preda cade nella trappola.
Peter scoppia in una risata cavernosa e sguaiata, gli occhi sempre più vitrei e iniettati di sangue.
Lo guardo e rimango quasi paralizzato per lasua rezione.
L'unica cosa che riesco a pensare è: che gli hanno fatto?
Non mi aspettavo di incontrare il vecchio Peter, ma questo va oltre ogni immaginazione.
In quel momento mi rendo conto di essere stato talmente preoccupato per Tris e per l'interrogatorio in sè che non ho prestato attenzione a lui.
Non l'ho osservato.
Mi rendo conto solo ora delle cicatrici sul collo e dei tagli nei suoi polsi, delle dita ferite e di quanto sia pallido.
Come se non avessi più davanti a me una persona, ma un cadavere.
Un morto. Una marionetta.
Mi sento montare dentro la rabbia e la frustrazione. Come può il Reggimento fare una cosa simile?
Trasformare le persone in degli esseri privi di volontà, annullarli al punto da poter essere usati e comandati a piacimento.
La voce di Peter è ormai completamente trasfigurata dalla pazzia.
"Oh sì sì, le ha eccome.
E sono brillanti...giuste.
Noi vogliamo ridare un po' di giustizia a tutte quelle persone a cui l'avete tolta per così tanto tempo.
Noi combattiamo per tutti, indistintamente dalla loro classe sociale, dal sesso, da tutto.
Mentre voi brancolate nel buio.
Combattete per voi stessi, per salvarvi da qualcuno che voi stessi avete creato.
Se fare giustizia vuol dire combattere, combatteremo.
E se dobbiamo uccidere, uccideremo.
E i primi a soccombere saranno... i traditori."

E senza nessun preavviso, in pieno delirio, lancia il tavolo su Sondra e si scaraventa sul vetro oscurato, nel punto in cui dovrebbe esserci Tris.


                                                ***




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Capitolo 18
*** Frammenti di un Nemico ***


Pag 19
Premessa:
Dopo SECOLI riprendo in mano questa storia, mi sembra passata un'eternità.
Purtroppo ho avuto molti problemi di salute quindi non ho potuto scrivere per un sacco di tempo.
Spero di poter riprendere a scrivere con costanza e chiedo scusa a tutti per il ritardo.
Come al solito apprezzerei molto le vostre recensioni e i vostri pareri sulla storia, piano piano risponderò a tutte quelle che mi avete già lasciato.
Grazie di cuore a tutti voi che avete avuto così tanta pazienza e che apprezzate sempre di più questi vaneggi di una semplice Divergente :)






TOBIAS


Accade tutto in una frazione di secondo.
Un tavolo ribaltato, i gemiti di dolore di una donna, urla... e poi un frastuono.
Assordante, come un tuono, e pian piano più delicato, un tintinnio, come una pioggia di ghiaccio su una lastra di marmo.
Non ho il tempo di metabolizzare quanto sta accadendo davanti a me, ma nonostante questo il mio corpo si muove senza che io stesso me ne renda conto, come se una forza mi spingesse a farlo contro la mia volontà.
In un attimo sono dall'altra parte della stanza, mi getto di peso su Peter e cerco con tutte le mie forze di spostarlo, di bloccare qualsiasi sua mossa.
Gli blocco le braccia ma è forte, più di quanto mi  ricordassi.
Cerca di divincolarsi, in preda ad una furia cieca e spietata; non mi faccio cogliere di sorpresa all'ennesimo tentativo di colpirmi per liberarsi e lo scaravento di peso dall'altra parte della stanza.
Mi getto su di lui e con tutta la rabbia che ho in corpo lo colpisco, nel tentativo di stordirlo.
Miles mi raggiunge e insieme riusciamo a bloccarlo e a legargli i polsi.
Non posso fare a meno di notare i tagli sulle sue braccia e le mani, ancora rosse per lo sforzo.
Mi volto e realizzo in un secondo quello che poco prima non ero riuscito a distinguere: Sondra distesa, con le braccia sullo stomaco proprio dove l'ha colpita il tavolo, ancora dolorante, circondata ora da agenti del Dipartimento.
La vetrata alle sue spalle, quella che avrebbe dovuto permettere agli altri di seguire l'interrogatorio, completamente in frantumi.
Le schegge sono disseminate per il pavimento, come un manto di ghiaccio, scintillante e luminoso; riflette una luce particolare però...una luce vermiglia.
Un mare di vetro e sangue, e al centro una figura in ginocchio, che si guarda intorno con uno sguardo perso...che mi guarda.
Tris è seduta tra le schegge, i vestiti strappati dal vetro e le braccia sanguinanti per i tagli.
Ha le pupille dilatate e lo sguardo perso nel vuoto: mi guarda ma è come se non mi guardasse veramente.
Le sue mani continuano a massaggiarsi il collo, violaceo e gonfio, proprio dove le mani di Peter si sono strette un attimo fa, con l'obiettivo di ucciderla.
E all'improvviso capisco cosa mi ha spinto ad agire: la disperazione di vedermela portare via davanti agli occhi per una seconda volta.





                                                 ***




TRIS


E' tutto così confuso.

«E io e te non saremo mai nella stessa
fazione.»

«Tutto bene, Rigida?» «Sembri sul punto
di scoppiare in lacrime. Potrei andarci piano con te, se
piangi.»


Cosa?! Che sta succedendo ora?!


«Tu non mi sparerai.»
«La gente tende a sopravvalutare il mio senso etico»

Che siano...altri ricordi?!

Cerco di riprendere fiato e di calmarmi, ma non è facile. Ero morta. Ero morta, e poi non lo ero più. E
perché? Grazie a Peter?
Peter?

Chi è davvero questo Peter per me?!

«Perché l’hai fatto?» dico. «Tu mi vuoi morta. Volevi uccidermi tu stesso! Che cos’è cambiato?»

Io...


 
                                                  ***



Mi sveglio nel mio letto, la luce della luna che filtra tra le grate della finestra.
Vorrei sedermi ma non ce la faccio: è come se il mio corpo non rispondesse ai miei comandi.
Mi sento stordita e ho un senso di nausea fastidioso alla bocca delllo stomaco.
Cerco di deglutire ma una fitta lancinante mi attraversa il cervello.
Cerco di toccarmi il collo, ma qualcosa mi blocca con forza.
Una mano. Calda e forte, un po' ruvida, ma rassicurante, e so già a chi appartiene ancora prima di voltarmi: Tobias.
"Ehi, come ti senti?"
"Come se fossi stata asfaltata da una pala motrice. E mi fa male il collo. Tu tutto bene? Sei ferito?"
"Si, tutto bene non temere. Cara ha deciso di somministrarti qualche calmante per farti riposare. Eri sotto shock."
Ha lo sguardo cupo e basso quando aggiunge "Mi dispiace."
Lo guardo senza capire bene le sue parole, ma capisco dal suo viso che è preoccupato.
Ha i lineamenti tirati, la mascella contratta, la mano libera stretta in un pugno.
Sta soffrendo.
"Mi dispiace per averti esposta ad un pericolo come lo è Peter. Sono io in fondo che l'ho portato qua al Dipartimento e io stesso ho insistito per tenerlo in vita e poterlo così interrogare.
Mi dispiace per non averti protetta."
Un sorriso mi nasce spontaneo sul volto.
Ci conosciamo da poco, ma ho la sensazione di conoscerlo in realtà da una vita, come se lui fosse destinato a me ed io a lui.
Per questo riesco a sentire la sua sofferenza, come se la stessi provando io stessa, e vedo il dolore che prova nel non avermi protetta.
Gli prendo la mano e la poso sul mio viso.
"Tu non ti devi preoccupare per me perchè io so difendermi da sola.
Mi ha solo colta di sorpresa, e ad ogni modo, se ho imparato almeno un po' a conoscerti, so che tutto quello che hai fatto l'hai fatto solo perchè ci credevi realmente. "
Sono un po' titubante qundo aggiungo:
"In realtà non tutto è  andato poi così male. Non so se è per Peter o per cosa..."
E gli racconto dei vaghi stralci di ricordi che mi sono riaffiorati alla mente.
Tobias mi ascolta con attenzione, annuendo di tanto in tanto, gli occhi fissi e concentrati su di me.
"Tu e Peter non vi siete mai sopportati, principalmente perchè lui non perdeva momento per stuzzicarti.
Non che fosse simpatico, io stesso l'avrei preso a pugni molto volentieri in molte situazioni.
Ma quando ti sei consegnata a Jeanine è stato lui a salvarti la vita e a farci uscire indenni dal quartier generale degli Eruditi.
Da quel momento non dico sia diventato simpatico ma sicuramente più... sopportabile, ecco."
Annuisco e cerco di metabolizzare le sue parole.
Sento di essere sulla buona strada: è vero, sono ancora solo dei radi ricordi ma sento che di questo passo potrò finalmente riacquistare la memoria.
Potrò finalmente ricordarmi chi ero...chi sono.
"Dovresti andare a riposare ora, sarai stanco se sei rimasto tutto il tempo qua a vegliare su di me."
" E chi ti dice che sia stato qui tutto il tempo?" mi dice, con aria beffarda e un sorriso sghembo sul viso.
Non so perchè ma mi innervosisco.
"Oh bene, fai quello che ti pare allora, io mi metto a dormire."
Faccio per scansarmi ma mi tira a sè, prendendomi il viso tra le sue mani.
Il solo contatto con la sua pelle mi riscalda e mi  sento bruciare dentro, come una fiamma che divampa all'improvviso.
Mi sento sempre più confusa e non so se è per via di quello che è successo oggi, dei ricordi, dei sedativi o semplicemente per via di Tobias.
So solo che quando mi sussurra "Sei sempre la solita permalosa" e avvicina le labbra alle mie, ricambio il suo bacio con tutta me stessa.

                                       
                                                   ***

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