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di Reiko87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Innanzitutto scusatemi per il titolo… lo so è orrendo. È più forte di me, nel decidere i titoli sono proprio negata.
Ho iniziato a scrivere questa storia un po’ di tempo fa, poi è rimasta nel dimenticatoio e oggi è saltata fuori dai file del PC. È precedente alla sesta stagione, per cui c’è ancora la presenza di John il Rosso. Di solito prima di iniziare a postare una long la finisco, ma in questo caso non è così perché ho pronti solo un paio di capitoli, e quindi mi metterò alla prova dandomi delle scadenze per aggiornare regolarmente… la parte difficile sarà il finale… ancora non ho idea di come finirà J
Ok… Vi ho rubato anche troppo tempo. Buona lettura… e come sempre fatemi sapere cosa ne pensate con le vostre recensioni, è molto importante per me.
Baci e a presto







(POV Jane)
 
Patrick era seduto sulla brandina della soffitta che aveva preso le sembianze di casa sua, con tutti i file riguardanti John riuniti intorno a lui, sparsi in ordine cronologico ai suoi piedi. Stava lì da diverse ore con le mani a reggergli la testa guardando incessantemente quei fogli cercando di cogliere anche un solo particolare che fino a quel momento gli era sfuggito, sperando che un’illuminazione potesse rivelargli l’identità della sua nemesi. Ma in fondo era un mentalista, non un mago! John il Rosso era furbo almeno quanto lui e non aveva mai commesso errori… in quel momento gli sembrò terribilmente difficile poter pensare anche solo lontanamente di catturarlo. Trasse un profondo sospiro e alzò per la prima volta gli occhi da quelle carte che non gli stavano dicendo nulla d'importante. Chiuse il quadernetto degli appunti e appoggiò la schiena al muro dove era accostato il suo letto arrangiato. Voltò lo sguardo verso la vetrata della soffitta: stava ancora piovendo. Il cielo era grigio ed erano diversi giorni che non smetteva di piovere; gli sembrò quasi come se il tempo volesse rispecchiare il suo stato d’animo. Si sentì abbattuto: erano stati ancora vicini a prenderlo, davvero vicini, ma era scappato di nuovo, come ogni volta.
I suoi pensieri cambiarono improvvisamente direzione: “Non mi rivolge la parola da giorni, questa volta è davvero arrabbiata… Ma non può capire quello che provo”. In quei giorni i rapporti tra lui e il suo capo si erano decisamente raffreddati e non era l’unico ad essersene reso conto, addirittura Rigsby gli aveva chiesto se andava tutto bene tra loro.
 
-Le passerà- gli aveva risposto lui.
 
Sì, le sarebbe passato e l’avrebbe perdonato come ogni volta. È vero, le aveva nascosto ancora una volta importanti sviluppi sul caso John, ma lo faceva per non metterla in pericolo, per non mettere in pericolo tutta la squadra, in fondo John era soltanto suo.
Tornò alla realtà quando sentì bussare leggermente alla pesante porta di ferro del suo rifugio. Un sorriso gli toccò le labbra al pensiero che, come aveva immaginato, Lisbon fosse andata lì per parlare con lui e sistemare le cose.
 
-Avanti-
 
-Ciao Jane, ti disturbo? Posso parlarti un secondo?-
 
Il sorriso scomparve dal volto del consulente quando vide una figura ben diversa da quella che immaginava varcare la soglia della stanza.
 
-Hey Grace, scusa pensavo fosse… Non importa. Non disturbi affatto, dimmi.- E così dicendo raccolse i file alla rinfusa lanciandoli sulla scrivania. –Vuoi sederti?-
 
-No grazie, posso trattenermi solo pochi istanti, poi devo tornare a lavoro-
 
Seguì un attimo di silenzio in cui Van Pelt si guardò imbarazzata la punta dei piedi. Jane per tutta risposta la guardò intensamente per capire cosa stesse succedendo. Stranamente non riuscì a capire il motivo di quella visita. Era imbarazzo misto a preoccupazione quello che leggeva sul volto della collega?
Poi l’agente rossa iniziò a parlare.
 
-Senti Jane, so che non sono affari che mi riguardano, ma sono preoccupata per te. Ogni giorno che passa ti isoli sempre di più e non fai altro che stare rinchiuso in questa specie di tana che ti sei costruito a recriminare sui tuoi errori e a fissare quei fogli come se ti dovessero parlare da un momento all’altro.- concluse puntando il dito sui file abbandonati sul tavolo.
 
-Piccola Grace, sei davvero molto dolce e ti ringrazio di essere qui, ma non devi preoccuparti per me. Sto bene, davvero.- disse Jane sfoderando uno dei suoi famosi sorrisi… tanto bello quanto falso.
 
Van Pelt sospirò e tornò a parlare.
 
-Sì lo so, è quello che ripeti ogni volta. Senti Patrick io sarò anche la più giovane, ma non sono nata ieri, certe cose le capisco e non bisogna essere un sensitivo per arrivarci.-
 
-I sensitivi…-
 
-…Non esistono. Ok, ma non ero venuta solo per questo-
 
-Ti ascolto- disse il mentalista con un sorriso dolce.
 
-Che mi dici di Lisbon?-
 
-Lisbon? Non saprei, cosa dovrei dirti- il suo sorriso scomparve, per lasciar spazio ad un velo di tristezza: ecco dove voleva arrivare, avrebbe dovuto capirlo.
 
-Non far finta di non aver capito, offendi la mia intelligenza, e poi ti si legge in faccia: nonostante tu sia il migliore nel mentire, non riesci a mascherare quel velo di tristezza che provi da quando non ti rivolge la parola.-
 
-Non è vero che non mi rivolge la parola!-
 
-Non è parlare dirsi buon giorno al mattino!-
 
-Ok ok, mi arrendo. Davvero, non devi preoccuparti. Lisbon è fatta così, ma poi le passerà e tornerà tutto come prima. Alla fine mi perdona sempre- aveva detto allargando di nuovo le labbra in un sorriso furbetto.
 
-Sì di solito è così, ma questa volta è davvero furiosa…- abbassa leggermente gli occhi arrossendo un po’ –è molto ferita dal tuo comportamento. Lei tiene molto a te, si vede… non dirmi che non te ne sei accorto perché non ci credo.-
 
Patrick sembrò un po’ sorpreso, ma si riprese subito.
 
-Beh, ecco… Senti Grace, con il dovuto rispetto, non mi va di parlare di questo- e si girò verso la vetrata dandole le spalle.
 
Non poteva permettersi di lasciar trasparire i suoi sentimenti così chiaramente.
 
-Jane, lei è mia amica, oltre ad essere il mio capo e non mi va di vederla soffrire… soprattutto non mi va di vederla soffrire per te.-
 
Non rispose, sperando che il suo comportamento facesse decidere la sua collega ad andar via; ma lei non si mosse, anzi riprese a parlare.
 
-Tu la ami?-
 
Non si sarebbe mai aspettato una domanda così diretta. Il suo corpo s’irrigidì improvvisamente. Come le saltava in mente di chiedergli una cosa del genere?
 
-Ma sei impazzita? Come ti salta in mente? Io tengo molto a Lisbon, ma amarla… l’amore è un’altra cosa- disse voltandosi di scatto.
 
-Certo, quindi non è amore quando ti preoccupi per una persona, quando il tuo primo pensiero è sempre lei, per sapere se sta bene, se ha bisogno di te; non è amore quando litighi con lei solo per vedere quell’espressione imbronciata, e quando cerchi di farla ridere, perché il suo sorriso ti scalda il cuore; non è amore cercare di proteggerla a tutti i costi, rischiando la tua vita pur di tenerla al sicuro? Non è amore questo?-
 
Rimasero entrambi in silenzio occhi negli occhi. Poi per la prima volta Jane li abbassò non sapendo cosa dire.
 
-Senti Patrick, non volevo essere così diretta, ma qualcuno te lo doveva dire. Avrai sicuramente le tue ragioni per comportarti come fai, ed io non sono qui per giudicarti. Ma Patrick, lascia che ti dia un consiglio, per quanto può valere: lei ti ama, credimi, una donna certe cose le capisce, ma così facendo la stai allontanando e rischi di perderla, forse per sempre… non vale la pena lasciarsi sfuggire le cose belle della vita solo per paura… Ed io ne so qualcosa- disse infine con un sorriso amareggiato –Ora devo proprio tornare a lavoro- e fece per aprire la pesante porta di ferro per scendere al piano inferiore e lasciarlo alle sue riflessioni.
 
La voce bassa del consulente la bloccò un attimo ancora.
 
-Grazie piccola Grace- disse salutandola con un lieve cenno della testa e lasciando intravedere un sorriso dolce, questa volta vero.
 
Van Pelt sorrise di rimando e scomparve dietro la porta.
Patrick rimase qualche secondo ad ascoltare i suoi passi che si allontanavano, poi si voltò di nuovo verso la vetrata. La sua mente era affollata da mille pensieri… non si sarebbe mai aspettato di affrontare una donna così decisa e diretta. Ma forse aveva ragione, almeno su qualche punto, le concesse. Un grosso sorriso sornione comparve sul suo volto e si diresse giù per le scale fino al bullpen. Passò davanti alle scrivanie dei suoi colleghi in direzione dell’ufficio del suo capo e vide ancora Grace sorridere cercando di nascondere il viso dietro i lunghi capelli rossi, mentre Cho e Rigsby lo guardavano interessati… sarebbe stato divertente scommettere su come sarebbe andata a finire.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao a tutti!!! Eccomi di nuovo qui, e finalmente posto il secondo capitolo di questa long...
Lisbon avrà perdonato quel combina guai di Jane? o qualcosa è irrimediabilmente cambiato tra loro?
Spero che questo capitolo non deluda le aspettative... 
Enjoy ;) ...E come al solito vi chiedo solo pochi secondi per dirmi cosa ne pensate... Per cui recensite se potete!
A presto col prossimo capitolo :)









Le tendine dell’ufficio di Lisbon erano abbassate e la porta chiusa. Jane si fermò un attimo per riflettere su come affrontarla, sperando che stesse facendo la cosa migliore. Optò per un approccio semplice e sincero. Come al solito non bussò alla porta e la dischiuse lasciando intravedere solo la testa riccioluta. Lisbon era seduta alla sua scrivania intenta a firmare delle carte sicuramente noiose, data la sua espressione.

-Avevo detto che non volevo essere disturbata- disse all’improvviso senza neanche alzare lo sguardo dai fogli.

Quando non sentì arrivare nessuna risposta, alzò gli occhi in direzione della porta e vide che non era nessuno dei suoi sottoposti. Tutti si aspettava ma non il suo consulente con un sorriso ampio che la guardava fisso; il viso della bella agente mora confermò i pensieri del biondo mentalista.
Incoraggiato da quella reazione Patrick si decise a parlare.

-Scusa Lisbon, non volevo disturbarti… Ero sceso per prepararmi una tazza di tè e mi chiedevo se volessi un caffè…- disse con l’espressione più dolce che gli riuscì.

-No Jane, non ne ho voglia- la frase le uscì più dura di quello che voleva, ma Patrick non sembrò preoccuparsene.

-Ma dai Lisbon, hai bisogno di una pausa.- disse sorridendo ancora.

Quel sorriso fu infranto dalla risposta acida di quella che doveva essere la sua migliore amica.

-Ma ti è proprio difficile capire quando una persona dice no? Non ho voglia di un caffè, e non ho bisogno di prendermi una pausa. Voglio solo che tu esca da qui e mi lasci lavorare in santa pace.-

A quelle parole Jane restò un po’ disorientato, poi decise di entrare del tutto nell’ufficio e chiudere la porta. Si posizionò di fronte alla scrivania, dove Lisbon era tornata a focalizzare l’attenzione sui fascicoli degli ultimi casi. La sentì sbuffare leggermente… era davvero infastidita.

-Senti Lisbon, noi dobbiamo parlare…- non riuscì neanche a terminare la frase che la donna lo interruppe.

-Io non ho nulla da dirti-

Non lo degnava neanche di uno sguardo.

-Allora parlerò io… ma puoi almeno guardarmi negli occhi?-

Teresa alzò seccata lo sguardo verso Patrick, posò la stilo affianco ai file su cui stava lavorando e appoggiò la schiena alla sedia arrendendosi… non avrebbe potuto comunque combinare nulla fino a quando il suo consulente non l’avesse lasciata da sola.

-Sono tutta orecchie- disse allargando le braccia con un’aria di sfida.

-Bene… volevo chiederti scusa per come mi sono comportato ma…-

-Sì, lo so… ma ti comporti da perfetto imbecille perché vuoi proteggere me e la squadra… Era questo che volevi dire?-

-Beh, non proprio in questi termini ma il succo del discorso è questo- concluse con un altro sorriso leggero.

-È quello che ripeti ogni volta, ora che lo hai fatto puoi lasciarmi al mio lavoro…-

Patrick rimase ancora allibito da quel comportamento.

-Allora è tutto qui quello che hai da dirmi?

-Jane, io non ho proprio nulla da dirti, sei venuto tu qui.-

-Sì, volevo sistemare le cose tra noi-

-Sistemare le cose? Non c’è nulla da sistemare. Ti dovrei perdonare? E per cosa? Tu sei fatto così, non cambierai mai… ora l’ho capito. Continuerai sempre a mentirmi e ad ingannarmi, continuerai a manipolare le persone per il tuo tornaconto personale, ed io sono stanca di farti da balia. Comportati come meglio credi, non m’importa fino a quando non metterai me e la mia squadra in pericolo… ma ti avverto: se un tuo comportamento dovesse mettere noi in difficoltà, non avrò remore nel mettere te al patibolo per salvare noi e le nostre carriere. Sono stufa di pagare per le tue cazzate- Sbuffò ancora, in maniera più evidente –Ora, se non hai altro da aggiungere puoi andare-

Jane era rimasto per la prima volta senza parole. La fissò insistentemente, occhi negli occhi, e decise che per ora era meglio lasciarle sbollire la rabbia. Aprendo la porta per uscire, si fermò.

-Quindi è questo che pensi?-

Lei lo guardò ancora indifferente.

-Va bene, ora vado via, se vorrai parlarmi sai dove trovarmi ma… Teresa- pronunciò il suo nome per ridestare la sua attenzione, sapeva che le faceva sempre un certo effetto –Te l’ho già detto una volta, io proverò sempre a salvarti… tengo troppo a te per non provarci almeno… e comunque questo discorso non finisce qui- disse con aria seria, senza sorriderle, per farle capire che non scherzava.
Varcò la soglia dell’ufficio chiudendosi la porta alle spalle.



Lisbon rimase immobile per qualche istante senza riuscire a pensare a nulla. Le aveva davvero detto di tenere troppo a lei? Sorrise involontariamente al pensiero delle parole pronunciate dal suo consulente. Era quello che più si avvicinava ad una dichiarazione da quando si conoscevano. “Che idiota” pensò allargando di più il sorriso; dopo giorni era il primo vero sorriso che le toccava le labbra e come solito non le piacque affatto il motivo per cui lo stava facendo, soprattutto per chi.



Patrick restò un attimo davanti alla porta chiusa alle sue spalle e guardò in direzione del bullpen. I ragazzi erano a lavoro, concentrati su delle scartoffie tanto noiose quanto inutili, pensò. Non sarebbe mai riuscito a capire a cosa serviva compilare pile e pile di documenti su casi di cui importava solo fermare il cattivo di turno. Grace lo guardò per capire come fosse andato il confronto col suo capo ma non fece nessun cenno, né disse nulla. Patrick si mosse in direzione del cucinino per prepararsi un tè. Alle sue spalle arrivò proprio l’agente dai lunghi capelli rossi.

-La tua espressione mi dice che non è andata esattamente come ti aspettavi-

-Hai imparato anche tu a leggere le espressioni?- rispose con un mezzo sorriso.

-Di solito tu sei difficile da capire ma questa volta sei rimasto davvero spiazzato dal comportamento di Lisbon, e il tuo viso non riesce a trattenere il rammarico per averla spinta fino a questo punto.-

Jane rimase in silenzio, non aveva nulla da ribattere. Pensava di essere più bravo nel nascondere i propri sentimenti. Van Pelt si avvicinò al frigo aprendolo per estrarne una bottiglietta d’acqua. Dopo averne bevuto un sorso lo guardò ancora, prima di tornare alla sua postazione.

-Avevo pensato di organizzare una cena da me, abbiamo bisogno un po’ tutti di una pausa, e magari potrebbe servire a ristabilire gli equilibri… tu vuoi venire?-

-Grazie Grace, ma non credo di essere di compagnia-

-Come vuoi, pensavo potesse farti piacere passare una serata tra amici… Cho e Rigsby ci saranno, e verrà anche Lisbon- poi si incamminò in direzione del bullpen –Ah dimenticavo, Walter Mashburn è tornato dal suo viaggio in Europa e ha chiesto se poteva unirsi a noi… Credo che accompagnerà Lisbon- e così dicendo scomparve dalla vista del consulente.

Mashburn è tornato? E verrà con Lisbon? …Beh, buon per loro, non è una cosa che deve interessarmi...
Il fischio della teiera gli annunciò che la sua bevanda era pronta.


(POV Lisbon)

Cho era appena uscito dall’ufficio dopo averla aggiornata sulle novità del caso. Posò la penna sulla scrivania e si rilassò allo schienale.
“Finalmente ho finito di compilare tutti i moduli”  pensò.
Il suo sguardo iniziò a vagare in giro per il bullpen e involontariamente si posò sulla testa bionda che sorseggiava il solito tè comodamente seduto sul divano. Non era sua intenzione, ma rimase a fissare il bel consulente più del dovuto. I suoi occhi color dell’oceano avevano incantato i suoi, e non riuscì a non pensare quanto avesse desiderato che brillassero per lei.

-Sono pupille dilatate quelle che vedo?-

Una voce maschile interruppe i suoi pensieri, e controvoglia distolse lo sguardo dall’oggetto dei suo desideri per voltarlo in direzione della porta dell’ufficio.
Walter era in piedi sulla soglia e aveva seguito la direzione degli occhi di Teresa fino a capirne la destinazione. Quando si accorse che la donna ora stava guardando lui tornò a parlare.

-Credo che tu e Patrick dobbiate risolvere questa cosa tra voi una volta per tutte- disse nel più semplice dei modi.

-Tra me e Jane non c’è nulla da risolvere, Walter… Piuttosto perché sei ancora qui? Avevamo deciso che saresti passato a prendermi stasera-

-Per ora lascio correre sullo sguardo che stavi lanciando al tuo consulente- disse con un sorriso sulle labbra –Comunque… stavo andando via quando ho pensato che non avevamo deciso a che ora sarei passato a prenderti. Per le 8 va bene per te?-

-Sarebbe perfetto, grazie- rispose col sorriso più sincero che riuscì a fare. In realtà era un po’ infastidita dalle allusioni dell’uomo.

-Allora ci vediamo stasera. Ciao Teresa-

-A stasera Walter-

Dopo che Mashburn fu uscito, Lisbon tornò a lavoro accendendo il computer sulla sua scrivania, cercando di tenere occupata la mente per evitare che vagasse su pensieri pericolosi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui, speravo di postare prima, ma non ci sono riuscita. Questo terzo capitolo è un po di passaggio, quindi non ci saranno grandi avvenimenti… Mi dispiace per l’attesa, per farmi perdonare per la brevità di questo capitolo cercherò di aggiornare già domani…
Detto questo, un saluto a tutti… e spero di intrattenervi piacevolmente con le mie storie, anche se per pochi istanti. 
Alla prossima, e se potete (come al solito) recensite… ;p










(POV Jane)

Era seduto nella sua adorata Citroen parcheggiata davanti una serie di palazzine dal colore rosa salmone in attesa di prendere una decisione. Erano le 8 passate da qualche minuto. Dopo il lavoro era tornato al suo appartamento per darsi una rinfrescata e cambiarsi d’abito (rigorosamente un completo tre pezzi) per poi fiondarsi di nuovo in auto. Ora era arrivato alla sua meta ma era ancora indeciso sul da farsi. Si chiese cosa l’avesse spinto a cambiare idea ma non seppe rispondersi, o più semplicemente non volle dare ascolto alla vocina che si insinuava nella sua testa. A volte la sua coscienza gli faceva brutti scherzi.
Si decise a scendere dall’auto. Dopo aver individuato l’edificio giusto e aver trovato il portone aperto, aveva bussato alla porta della sua collega. Dall’interno arrivavano delle risate.
Grace andò ad aprirgli ma sul suo volto non lesse stupore come si era aspettato.

-Alla fine sei venuto- disse con un sorrisetto malizioso.

-Sì, ho pensato che in fondo anche io ho bisogno di un po’ di distrazione… e quale occasione migliore che stare tra amici?-

-Sì, certo- fece la donna un po’ dubbiosa, sapeva che il motivo che lo aveva spinto a cambiare idea era in realtà un altro –Dai entra-

Jane entrò e Grace gli fece strada verso il salottino dove aveva allestito un semplice aperitivo. Sui divanetti trovò seduti Cho e Rigsby che lo salutarono. Il suo sguardo vagò in giro per la stanza.

-Lisbon non è ancora arrivata- fece Van Pelt guardandolo.

-Io stavo solo ammirando la casa- disse senza troppe speranze di essere creduto. –Davvero graziosa, complimenti-

-Grazie… Accomodati Jane e serviti pure, ceneremo tra una mezz’ora-

Jane seguì il consiglio dell’agente rossa e si sedette su uno dei comodi divanetti, prendendo tra le mani un calice con l’aperitivo e stuzzicando di tanto in tanto una patatina o una nocciolina. Iniziò a chiacchierare amabilmente coi suoi amici: quella sera non erano Cho, Rigsby e Van Pelt, i suoi colleghi di lavoro, ma solo Kimball, Wayne e Grace, gli amici più fidati e leali che avesse mai avuto.
Dopo qualche minuto il campanello suonò e Grace lasciò entrare Lisbon col suo accompagnatore: era bellissima come sempre, anche in dei semplici jeans abbinati ad una maglietta casual; mentre Mashburn era impeccabile anche se non elegante.

-Sei in ritardo- disse scherzando Van Pelt rivolgendosi al suo capo, che per quella sera era solo Teresa.

-Ti posso assicurare che non è colpa mia- si intromise Walter, sorridendo a sua volta.

Grace non sembrava avere particolarmente in simpatia l’ultramilionario e gli rivolse un sorriso cortese di circostanza.

-Non preoccuparti, scherzavo. Venite nel salotto, sono già tutti di là-

Walter poggiò il braccio attorno alla vita di Lisbon e la scortò nell’altra stanza, mentre lei arrossiva al contatto davanti a quelli che restavano comunque i suoi sottoposti.

-Ciao ragazzi- disse semplicemente lei, mentre gli altri le rivolgevano un cenno col capo.

-Ciao a tutti, è bello rivedervi… Hey Patrick, non pensavo ci fossi anche tu! Come va amico? È davvero un piacere incontrarti ancora.- disse lasciando infine la sua dama per andare in direzione dell’uomo.

Si strinsero la mano amichevolmente.

-Ciao Walter, ebbene sì, ci sono anch’io… non potete liberarvi di me- disse allargando il suo sorriso furbetto –Comunque anche per me è un piacere rivederti-.

Mashburn gli era sempre stato simpatico, lo vedeva molto simile a lui per certi aspetti, soprattutto per la tendenza a cacciarsi nei guai e per quell’atteggiamento talvolta infantile. In quel momento però non riusciva ad essere davvero contento di rivederlo, provava un po’ di irritazione. Ma perché? La risposta gli venne automatica quando d’istinto voltò lo sguardo verso Teresa che era occupata in una conversazione con Grace. Sembravano molto intime, strano per due donne dal carattere forte come il loro.

-Mi sembri distratto Patrick- continuò Walter, seguendo la direzione degli occhi di Jane –Mhh… è la seconda volta oggi che mi capita di vedere quello sguardo- disse tornando con la mente a quando solo poche ore prima aveva scoperto Teresa a guardare il suo consulente in quello stesso modo.

-Cosa? Scusa Walter, stavo pensando ad altro- in realtà aveva capito benissimo le parole dell’uomo davanti a lui, ma decise di fare l’indifferente visto che era stato scoperto. Ma a cosa poteva riferirsi Mashburn?

-No niente, nulla di importante, riflettevo ad alta voce- liquidò la faccenda così. –Ora scusami Patrick ma torno dalla mia Teresa, non vorrei che si sentisse abbandonata- concluse sorridendo per poi voltarsi e raggiungere la donna cingendole ancora la vita e lasciandole un tenero bacio sulla spalla minuta.

“La MIA Teresa?!” da quando in qua era la SUA Teresa?
Jane sentì vorticare pericolosamente la testa.

(POV Lisbon)

“Non mi aspettavo di trovare Jane qui, Grace non me lo aveva accennato, ma forse a lei è sembrato normale, d’altronde lui fa parte della squadra.
Beh, non cambia nulla, sono ancora arrabbiata con lui, molto arrabbiata, e questa volta non cederò tanto facilmente. Stasera voglio solo divertirmi e non pensare a nulla, soprattutto non voglio pensare a Jane… Diamine Teresa, sei qui con Walter!”
Grace interruppe il corso dei suoi pensieri:

-Teresa sono felice che sia venuta… Hey Teresa, mi stai ascoltando?-

-Sì sì, scusami Grace, ero sovrapensiero…-

-L’avevo notato. Forse non sono affari che mi riguardano, ma sono tua amica Teresa, e mi sento in dovere di darti un consiglio…-

Lisbon guardò la sua collega-amica con gli occhi leggermente sbarrati… cosa voleva dirle?

-Secondo me dovresti parlargli e risolvere la cosa- concluse la rossa.

-Ma parlare con chi?-

-Con Jane ovviamente! Dai non fare la finta tonta… Voi due non potete continuare così. Lo so che Jane è molto irritante e che questa volta l’ha fatta grossa, ma non puoi continuare a far finta che non esista… sono giorni che le cose stanno in questo modo e tu sei sempre nervosa-

-Ma cosa dici, non sono nervosa e tra me e Jane…-

-…è tutto a posto… Sì è quello che ripeti da quando avete litigato. Puoi darla a bere a tutti ma non a me Teresa, ormai ti conosco; soprattutto non puoi darla a bere a lui… Insomma Jane è pur sempre un mentalista!-

-Grace ti ringrazio per il tuo interesse, sì è vero, sono arrabbiata con lui, ma questa volta non posso lasciagliela passare liscia. Deve capire che questa volta ha esagerato-

-Ma lui è fatto così, non puoi cambiarlo, e poi infondo lo fa per tenerti al sicuro-

-Grace, non essere ingenua, lui non fa così per proteggere nessuno, si comporta come meglio crede solo per arrivare al suo scopo… e questo non posso più ammetterlo… Ci ho provato davvero ad aiutarlo, ma lui non me lo permette.-

-Teresa, dai lo sai che non è solo per questo… Insomma lui ti ama almeno quanto lo ami tu-

A queste parole Lisbon spalancò definitivamente bocca e occhi e rimase per un attimo senza parole. Si guardò intorno con sguardo indagatore sperando che nessuno dei presenti avesse ascoltato quella conversazione. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che nessuno sembrò interessarsi a loro.

-Ma che ti prende Grace… dire una cosa del genere. Non è affatto come credi…-

-Beh forse mi sbaglio ma mi è sembrato che tu provassi qualcosa oltre l’amicizia per Jane, e poi quando ho parlato con lui non mi è sembrato tanto restio ad ammettere di ricambiare i tuoi sentimenti…-

Teresa sbiancò e la voce le tremò:

-Tu…hai…parlato…con…Jane…?-

La rossa non fece in tempo a rispondere che vide arrivare alle spalle di Lisbon il suo accompagnatore.

-Eccomi- disse dando un leggero bacio sulla spalla della donna e cingendole nuovamente la vita.

Lisbon fu costretta a distogliere lo sguardo da Van Pelt e lasciar cadere l’argomento a cui era molto interessata…
“Doveva arrivare proprio ora Walter?
…Ma cosa vai a pensare Teresa, tu stai con lui, non dovrebbe importarti di cosa pensa o dice Patrick Jane. 
…E allora perché sono così dannatamente curiosa?”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Sono desolata per non aver più continuato questa long da molto tempo, e qualsiasi scusa potrà sembrare falsa e banale, per cui vi chiedo solo perdono. Dopo l’uscita del finale della sesta stagione, ciò che è stato scritto in questa storia potrà sembrare fuori luogo, ma non mi andava di lasciarla incompiuta, per cui ora che posso voglio pubblicarla, postando gli ultimi tre capitoli (cambio il rating in arancio a causa dell’ultimo cap). In ogni caso spero vi possano piacere e intrattenere piacevolmente… Come sempre vi chiedo di dedicarmi un po del vostro tempo con una piccola recensione, anche se forse non me la merito ;)
A presto e un bacio a tutti… ma soprattutto buon Jisbon a tutti i romantici sognatori come me!!!









Una Grace Van Pelt sorridente annunciò la cena.
Jane era rimasto tutto il tempo seduto in quella poltrona perso nei suoi pensieri e solo di rado aveva rivolto la parola ad altri. Si alzò al suono della voce dell’amica e si diresse con Kim e Wayne verso la sala da pranzo. Cercò di ridestarsi e sembrare il più naturale possibile: non doveva permettere ai suoi sentimenti di fuoriuscire così chiaramente. Prese posto, per uno strano scherzo del destino, esattamente di fronte a Lisbon. Capì che probabilmente non era stato un caso quando incrociò lo sguardo di Van Pelt che lo guardava sorridente: aveva sicuramente fatto in modo che lui capitasse esattamente lì.
Si sedette e incrociò lo sguardo della donna di fronte a lui che prontamente lo voltò, guardando in qualsiasi altro luogo possibile. Notò che Mashburn cercava in continuazione il contatto con la sua meravigliosa compagna, ma lei invece di rispondere affettuosamente, cercava di evitarlo, sembrava quasi fredda nei suoi confronti. Possibile che fosse successo qualcosa? O era semplicemente in imbarazzo per la presenza dei suoi sottoposti? Non poteva dirlo con esattezza, ma fu chiaro che aveva paura di incontrare il suo sguardo. Walter dal canto suo non sembrò accorgersi di nulla.
Iniziarono a cenare chiacchierando spesso in un’atmosfera allegra e scherzosa, in cui Jane, libero dai suoi pensieri, aveva iniziato a far giochetti col cibo e ad esporre indovinelli un po’ a tutti. Parlavano gli uni con gli altri, ma Jane e Lisbon, seppure allegri e parte di tutte le conversazioni, non si rivolgevano mai la parola direttamente.
Ad un certo punto, non seppe come, la piccola Grace introdusse un dibattito sulle relazioni sentimentali.

-Secondo me non è giusto stare con una persona solo perché quella che si ama realmente sembra irraggiungibile. È sbagliato illudere qualcuno nella speranza di non soffrire. Si rischia di perdere quello che potrebbe essere il vero amore- esclamò Van Pelt dando adito ai propri pensieri più profondi.
Abbassò lo sguardo arrossendo quando si rese conto che l’attenzione era tutta rivolta verso di lei.
Jane sorrise alle parole cariche d’amore della ragazza, poi d’istinto alzò gli occhi verso la donna che aveva di fronte, la quale in quel momento aveva fatto la stessa cosa. I loro occhi rimasero incatenati per qualche attimo ed entrambi sorrisero istintivamente. L’emozione che provavano per la veridicità di quelle parole era tangibile ed una strana atmosfera si creò tra loro. Jane pensò che non aveva visto mai niente di più bello e sentì nascere nel cuore un sentimento che pensava non fosse più in grado di provare. Lisbon dal canto suo sentì affievolirsi la rabbia che aveva provato negli ultimi giorni verso il suo consulente e il suo viso si addolcì per la tenerezza che provava nel vedere quegli occhi cerulei puntati sui suoi.
Lo scambio di sguardi non passò inosservato all’ultramiliardario Mashburn, che ne percepì al volo il significato nascosto.
La cena continuò tranquilla, senza più lasciar spazio ad argomenti di tale profondità, dedicandosi solo a futili osservazioni e a continue risate... d’altronde se lo potevano permettere di tanto in tanto.
Quando la cena si concluse, il gruppo di amici si spostò nuovamente nel salottino per degustare un liquore che Cho aveva portato per ringraziare la collega che li aveva ospitati in casa sua per alleviare la stanchezza di quegli ultimi giorni. Prima ancora che tutti potessero accomodarsi, Mashburn aveva annunciato di dover andare via.

-Scusami Teresa ma devo proprio andare, però voglio che tu rimanga. Qualcuno sarà certamente lieto di darti un passaggio- aveva detto senza dare troppe spiegazioni.

-Ragazzi sono stato benissimo, grazie di tutto- aveva detto salutandoli uno ad uno.

Poi quando si avvicinò a Jane, stringendogli la mano, si accostò di più per far sì che solo lui potesse udire ciò che aveva da dire.

-Ciao Patrick è stato un piacere rivederti ma ora credo sia il caso di lasciarti campo libero… Non credo di poter competere contro un mentalista come te- disse lanciandogli un sorriso rassegnato. Non gli diede neanche il tempo di ribattere che proseguì –Ti avverto, se la farai soffrire sappi che saprò vendicarmi a dovere- e così dicendo si allontanò da lui definitivamente.

Jane rimase in silenzio ad osservare mentre gli voltava le spalle e si dirigeva alla porta.
Lisbon, ancora confusa per il comportamento di Walter, chiese spiegazioni accompagnandolo alla porta da sola.

-Walter, è forse successo qualcosa? Perché vai via così?-

-No Teresa, non è successo nulla, mi sento semplicemente di troppo. So riconoscere quando vengo battuto… ed io ho perso su ogni fronte- disse senza ombra di rabbia sul volto.

Era davvero dispiaciuto di non poter rivedere Teresa, ma sapeva che sarebbe stata molto più felice così.

-Non capisco, cosa intendi?-

-Oh, credo che lo capirai presto- disse sorridendole con aria furbetta e lanciando uno sguardo fugace al biondino seduto nell’altra stanza che li stava ancora osservando.

Lisbon seguì la direzione dei suoi occhi e quando incrociò lo sguardo con quello del suo consulente capì a cosa si stesse riferendo Mashburn.

-Oh no, no, no… Walter hai frainteso tutto. Noi siamo solo…-

-Amici? …Sì Teresa, continua a ripeterlo, forse alla fine riuscirai a convincere anche te stessa-

Lei lo guardò stralunata senza riuscire ad aggiungere altro.

-Scusami ma ora devo proprio andare- e così dicendo le lasciò un leggero bacio sulle labbra, osservando furtivamente il biondo consulente irrigidirsi sulla poltrona dietro di loro.
Gli sfuggì un nuovo sorriso.

-Vedi? Non ci vuole un sensitivo per capire che sta già bruciando dalla gelosia-

E varcò la soglia dell’appartamento, incamminandosi lontano da lei.
Lisbon lo seguì con lo sguardo fino a quando non scomparve dalla sua vista senza poter aggiungere nient’altro. Chiuse la porta accostandosi leggermente all’anta e per l’ennesima volta in quella strana giornata incatenò i suoi occhi a quelli profondi dell’uomo che le stava venendo incontro.

(POV Jane)

Solo alla fine aveva capito le parole di Mashburn. Doveva ammettere che in fin dei conti era un tipo a posto, quasi simpatico azzardò, se non fosse stato per il piccolo particolare che stava con la donna che amava… 
…Finalmente lo hai ammesso Patrick? Ci voleva tanto?
Si mosse leggermente sulla poltroncina che aveva occupato per trovare la posizione più comoda per osservare Lisbon e il suo accompagnatore che si congedavano in privato.
Non dovresti spiarli, Patrick! …Oh, al diavolo!
Non riuscì a sentire ciò che si dicevano, ma vide Lisbon arrossire dopo essersi voltata nella sua direzione ad una frase dell’uomo, e lui sorridere di rimando.
Alla fine l’aveva baciata. Sentì una strana sensazione di disagio pervadergli il corpo alla vista di quel contatto tra loro. Quando poi osservò Walter andare via decise che fosse il momento di andare da lei e parlarle. Senza dare spiegazioni ai suoi amici, che continuavano a chiacchierare, si alzò e si diresse nella direzione della donna lasciando che i loro occhi s’incrociassero dando vita ad un contrasto verde-blu.

-Lisbon dobbiamo parlare- aveva detto senza mezzi termini.

-Jane, ancora? Cos’altro abbiamo da dirci?- rispose dopo essersi ridestata da quell’incrocio di sguardi che la fece bruciare.

Decise che non era il caso di rimanere troppo a lungo da sola con Jane, così prese la direzione del salottino per raggiungere gli altri. Ma il consulente non sembrò essere d’accordo e tirandola via per un braccio, la condusse verso la terrazza della sala da pranzo, dove avrebbero potuto parlare indisturbati.

-Abbiamo molto da dirci-

In lontananza Van Pelt li osservò mettersi in disparte e un sorriso furbo si dipinse sulle sue labbra.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


-Dai Jane, lasciami il braccio, mi fai male-
 
-Allora smetti di fare la bambina e cammina- le rispose deciso.
 
Teresa si sorprese della risoluzione nella voce del suo partner e decise di mettere fine una volta e per tutte a quella storia, così lo seguì senza ribattere.
 
Finalmente furono sul terrazzo illuminato solo dalle luci notturne di Sacramento.
 
-Allora Jane, ti ascolto… ma non perdere tempo perché voglio tornare dagli altri-
 
Patrick si fermò un attimo a riflettere.
 
-D’accordo, allora senza giri di parole… Io ti amo Teresa Lisbon.-
 
L’agente mora rimase paralizzata. Le gambe le tremarono e sentì vorticare pericolosamente la testa.
 
-Forse sono stato un po’ troppo diretto…- disse non vedendo reazione da parte della donna.
 
Dopo qualche istante ancora di silenzio, continuò.
 
-Beh, non dici niente?-
 
All’improvviso esplose la furia.
 
-Razza di idiota che non sei altro! Ma sei forse impazzito? O è uno dei tuoi scherzi per farmi arrabbiare? Perché ti assicuro che non ce n’è bisogno, sono già abbastanza furiosa con te- si fermò per poi voltargli le spalle e ancora una volta girarsi verso di lui e guardarlo negli occhi.
 
Jane iniziò a ridere, forse per scaricare tutta la tensione nervosa che avvertiva, e proseguì.
 
-Ma dai Teresa…-
 
Non potette continuare la frase che avvertì un dolore acuto su un lato della faccia.
Lo schiaffo gli bruciò il viso, e rimase bloccato con la testa leggermente piegata di lato dal contatto tanto violento quanto inaspettato.
 
-Oddio Jane, scusa… Non volevo. Perdonami ti prego…-
 
Lisbon era imbarazzata dalla sua reazione ma quando lo aveva visto ridere, subito dopo averle detto di amarla, il sangue le era ribollito nelle vene e aveva agito d’istinto. Non sopportava di essere presa in giro su una questione tanto delicata. Per lei non era uno scherzo: lei lo amava davvero quell’irritante consulente.
Teresa sapeva di aver esagerato e si sentì davvero in colpa. Decise di mettere da parte il suo orgoglio ferito almeno in quella circostanza. Gli si avvicinò un po’ e gli poggiò delicatamente la mano morbida e calda sul punto in cui lo aveva colpito.
 
-Mi dispiace…- disse in un sussurro appena udibile, e delle piccole goccioline iniziarono a caderle dagli occhi senza che potesse fare nulla per evitarlo.
 
Patrick rimase ancora immobile senza parlare ma non era arrabbiato, solo si stava decidendo su quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
La mano calda, leggermente tremante, della donna sulla sua guancia e le lacrime che vide venir fuori da quegli splendidi occhi smeraldini, che in quel momento brillavano come fari nella notte, furono il segno che aspettava.
Raccolse il coraggio, che si rese conto non mancargli, e le afferrò con delicatezza dapprima il polso teso sul suo viso per poi baciarle il palmo della mano. Il gesto fu fatto con tanta dolcezza che diede il tempo a Lisbon di capire cosa stesse succedendo. La donna, anche se spaventata dai sentimenti che le inondavano il cuore, non si ritrasse e rimase in attesa. Ormai erano in pista, tanto valeva ballare!
Jane, di fronte alla donna che amava da molto, troppo tempo, non seppe più resistere e con uno scatto portò la mano che stava sfiorando con le labbra dietro alla sua nuca, avvicinando il corpo di lei al suo, cingendola col braccio libero ed  infine affondando la sua bocca in quella di Teresa.
L’intreccio che ne derivò fu indescrivibile. Le loro bocche sembravano essere nate per trovarsi alla perfezione, e il loro sapore dava vita ad uno nuovo e perfetto; i corpi combaciavano come pezzi dello stesso puzzle. Le braccia e le mani di Patrick vagavano dalla schiena di lei fino ai suo morbidi capelli corvini, e di rimando quelle di Teresa seguivano lo stesso movimento ad accarezzare ogni singolo riccio biondo.
Si separarono solo quando il tempo riacquistò il suo significato, dopo che si era perso come in un mondo parallelo.
Rimasero a fissarsi come se nessuno dei due avesse mai visto nulla di più bello e speciale, ma né l’agente capo, né il consulente seppe cosa dire.
Poi, con non poco sforzo, Patrick iniziò a far fuoriuscire qualche sillaba vaga, e balbettando disse:
 
-Oddio, ti ho baciata-
 
-Sì, me ne ero accorta- rispose la mora con un sorriso malizioso sulle labbra.
 
-Beh, ma tu hai risposto al bacio…-
 
-Ho risposto al bacio?- disse un po’ confusa –Non mi è sembrato che potessi avere qualche altra scelta- proseguendo, sorridendo apertamente.
 
-Diciamo che ti stava bene quello che stava succedendo- continuò il biondo rispondendo al sorriso.
 
-Sei un idiota- aggiunse infine Lisbon dandogli un leggero colpetto sul braccio.
 
-Hey, mi hai fatto male… non ti è bastato sfigurare per sempre il mio bel visino con quello schiaffo? –
 
-Jane, sei il solito esagerato, ti ho appena toccato, scommetto che non hai neanche sentito davvero il dolore…-
 
-Solo perché ero impegnato da altro…- disse con fare malizioso e con gli occhi che gli brillavano guardando quell’espressione di sconcerto.
 
-Se proprio ci tieni posso completare l’opera sull’altra guancia-
 
-E poi mi darai un altro bacino per guarire la bua?- disse l’idiota con gli occhi da cucciolo.
 
-Ma quando inizi a crescere Jane!-
 
Lisbon non potette aggiungere altro perché vide un lampo balenare negli occhi cerulei dell’uomo che di nuovo si mosse veloce verso di lei.
Questa volta non fu dolce come la prima, afferrò il viso di Teresa con entrambe le mani e la spinse col corpo contro il muro della terrazza, baciandola con foga, quasi a volersi nutrire di quelle labbra.
Si staccò di poco dal suo viso e col fiato corto aggiunse:
 
-Non credi sia ora di andare a casa? Mi sento stanco…-
 
In un primo momento spiazzata da quelle parole, Lisbon non riuscì a decidere sul da farsi, poi il suo corpo a contatto con quello dell’uomo che aveva sempre amato gemette e il respiro del suo alito leggero sulle labbra le provocò un formicolio.
Lo guardò profondamente e gli fece un semplice gesto col capo.
Di tutta risposta Patrick sorrise semplicemente e afferrandole la mano nella sua, quasi per paura che scappasse, la portò con se attraverso la porta-finestra.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


La porta si spalancò con un rumore sordo. La quiete dell’appartamento vuoto venne improvvisamente violata dalla presenza delle due figure vicine che avanzavano nell’oscurità.
 
-Diamine Jane, dammi almeno il tempo di chiudere la porta…- disse ridendo l’agente senior del CBI.
 
-Oh, hai ragione…- confermò il biondo consulente allontanandosi rapidamente dalla donna per dare un altro calcio alla porta e chiuderla rumorosamente alle sue spalle.
 
Tornò dalla sua compagna il più agilmente possibile, pur di non perdere neanche un attimo di quel contatto magico, ammirandola nella penombra della stanza con lo sguardo carico di desiderio. La lontananza durò solo un istante e un Patrick Jane quasi irriconoscibile si fiondò nuovamente su quelle labbra carnose che chiedevano solo di essere baciate, infuocate dal contatto con le sue. I baci diventarono sempre più piccanti, e la pelle di Teresa divenne bollente al passaggio di quelle dolci carezze.
Non avevano neanche fatto in tempo a lasciare l’appartamento di Van Pelt, che qualcosa era scattato irrimediabilmente tra loro; fu come se dopo tanti anni di frasi non dette, sguardi fuggenti e contatti negati, era ormai impossibile per loro resistere alla passione travolgente che li accecava. Naturalmente tutti nell’appartamento della rossa agente avevano capito cosa stesse nascendo tra il capo e il loro consulente.
Patrick aveva spinto Teresa verso il centro della stanza continuando a baciarla con foga, e ormai le sue mani stavano lievemente passando dall’accarezzare i morbidi capelli corvini, al collo e alle spalle, fino a trovare uno spazio dove infilarsi sotto la maglietta casual che aveva indossato quella sera.
 
-Jane… hey Jane…-
 
-Ti prego Teresa, puoi chiamarmi Patrick…- aggiunse col fiato corto Jane, impegnato in quelle dolci coccole che stavano diventando decisamente qualcosa in più.
 
-Come vuoi Patrick… ma fermati un attimo- rispose di rimando Lisbon senza però riuscire minimamente ad interropere quel contatto.
 
Le sue parole dicevano di fermarsi, ma il suo corpo implorava di andare avanti.
 
-Patrick…-
 
Nessuna risposta.
 
-Patrick…-
 
Ancora silenzio e il suono dei baci incessanti.
 
-Fermati!- e così dicendo Lisbon, con tutto l’autocontrollo che possedeva, riuscì ad allontanare il suo personale angelo biondo poggiandogli entrambe le mani sul torace.
 
Patrick sembrò disorientato: il respiro affannato e le pupille dilatate in cerca di una spiegazione su cosa stesse succedendo. Portò le mani a sistemare i ricci arruffati e trasse un profondo respiro per riacquistare un po di autocontrollo.
 
-Scusa Teresa… Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?- disse con gli occhi da cucciolo.
 
-No Patrick, oddio no. Tu sei perfetto, e solo Dio sa quanto vorrei riprendere da dove eravamo, ma… non credi che forse stiamo correndo un po’ troppo?- ed incrociò lo sguardo confuso dell’uomo di fronte a lei –Beh, sì insomma, in fin de conti solo stasera siamo riusciti a dichiarare finalmente il nostro amore… forse dovremmo andarci piano e vedere cosa succede prima…-
 
Un lampo attraversò gli occchi di jane, che iniziò a sorriderle per voi raggiungerla nuovamente e stringerla in un abbraccio. Occhi negli occhi le disse dolcemente:
 
-Teresa, sono circa dieci anni che aspetto questo momento… Per cui no, non credo che stiamo correndo un po’ troppo.- affermò con uno sguardo sornione.
 
A quella affermazione Teresa sentì velocemente crollare ogni remora che l’aveva trattenuta fino a quel momento. Le aveva praticamente confessato di amarla da tanti anni, tanti almeno quanti erano quelli che lei amava lui.
Decise di lasciarsi andare e godersi quell’attimo perfetto con l’uomo della sua vita; nulla avrebbe più potuto dividerli ormai. Lo fissò intensamente e gli lasciò un tenero bacio a fior di labbra.
Jane capì immediatamente che quella era la sua risposta, e non se lo fece ripetere due volte.
D’impulso le poggiò dapprima le mani sui fianchi snelli spingendola verso il muro, facendo aderire alla perfezione i loro corpi che reagivano l’un l’altro, poi le fece scivolare lungo il fondoschiena sodo e, baciandola su ogni centimetro del collo nudo, la tirò su con una tale forza che a Lisbon venne da chiedersi dove l’avesse tenuta nascosta fin’ora. In un movimento spontaneo la mora agente gli circondò la vita con le gambe agili mentre il suo compagno era intento a portarla nella camera da letto al piano superiore. Una volta entrati nella stanza tenuta perfettamente in ordine, un altro calcio arrivò a chiudere anche quella porta, mentre quello che era diventato ormai un unico corpo crollava tremante sul letto, abbandonandosi al volere dei battiti del cuore.

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