Il frutto dell'Eden

di Manny_chan
(/viewuser.php?uid=31769)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 

150738_809510809087220_7909434732698582265_n.jpg

Fumo, luci violente, musica troppo alta.

Quel locale, constatò Sariel entrando, era davvero di pessimo gusto.

L’antro della lussuria, nome che diceva tutto quello che c’era da sapere sulle attività che vi si svolgevano, era un locale in una squallida periferia di una città che sembrava dimenticata da Dio.

Ironico, pensò, sbuffando.

Nonostante fosse un posto fuori mano era decisamente affollato. Sembrava essere meta fissa di un’umanità decisamente variegata. Camionisti, uomini d’affari in giacca e cravatta, persino diverse donne.

Si sfilò il trench scuro passando al setaccio il locale con lo sguardo.

Dietro al bancone stavano due barman dall’aria stanca; al centro del locale, che non era in realtà nulla più che un grosso magazzino mascherato con arredamenti di cattivo gusto, c’era la pista. Un palco rialzato sul quale, in quel momento, stavano dando spettacolo due ragazze in bikini.

Sembravano a malapena maggiorenni.

In altre circostanze non avrebbe ostentato quella fredda indifferenza. In altre circostanze avrebbe fatto il suo lavoro, ma in quel momento non era lì per loro, c’era qualcosa di più importante da fare…

Consegnò il soprabito ad una insonnolita ragazza seduta dietro un banco, che faceva da guardarobiera, poi si avvicinò al bancone, infilando le mani nelle tasche dei jeans e fissando il palco. Le due ragazze si stavano ritirando lasciando il posto ad una statuaria donna sulla quarantina con una frusta. Altro schifo a cui non era interessato, il degrado umano non lo scalfiva più ormai.

Annuì distrattamente ad uno dei barman che gli stava proponendo un drink, prendendo poi il bicchiere dal lungo stelo. Impossibile definirne il colore, ma sembrava essere in ogni caso roba scadente e aromatizzata con chissà quale porcheria. Sulla superficie galleggiava in modo inquietante una ciliegia.

Non faceva per lui.

L’aveva preso unicamente per confondersi con la clientela abituale.

La maggior parte degli umani si dimenticava di lui non appena voltato lo sguardo, tuttavia era conscio che il suo aspetto fosse appariscente; solo per il fatto di essere alto e statuario attirava l’attenzione e, anche se le luci colorate mascheravano il candore insolito dei suoi capelli, rimaneva comunque il fatto di essere probabilmente il ragazzo più bello che quelle persone potessero mai aver visto. Non voleva che qualche commento sussurrato arrivasse alle orecchie della sua preda, mettendola in allarme.

Preda.

Era davvero buffo, pensò, non si era mai visto come un predatore. Era cambiato davvero tanto senza rendersene conto. Senza contare che c’erano ricordi antichi che ancora gli facevano ribollire il sangue…

Anche il barista, così come il buttafuori all’ingresso, sembrò dimenticarsi di chiedergli il pagamento. Sariel lo guardò per un attimo tornare al suo lavoro, poi con un sospiro si allontanò, facendosi largo tra la folla. Per un umano sarebbe stato impossibile passare, figurarsi farlo senza versare una goccia di liquore dal proprio bicchiere; senza curarsi di altro individuò un tavolo vicino al palco, ma sufficientemente in ombra per guardare senza essere visto. Era perfetto.

Ed ovviamente era già occupato.

Senza scomporsi troppo Sariel raggiunse l’uomo seduto sul divanetto, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Saresti così gentile da lasciarmi il posto?”, sussurrò dolcemente.

Nonostante la musica alta il suo sussurro fu perfettamente udibile dall’uomo, che si alzò immediatamente, allontanandosi, probabilmente chiedendosi per quale assurdo motivo avesse appena ceduto ad uno sconosciuto il posto per cui aveva pagato.

Sariel si accomodò sul divanetto con grazia, appoggiando il bicchiere al tavolino e passando distrattamente la punta del dito sul bordo.

Aveva poche informazioni su quel posto, non sapeva se e quando la sua preda avrebbe fatto la sua comparsa. Poteva essere una lunga attesa…

Appoggiò un gomito al tavolino, sostenendo la testa con il palmo della mano, osservando con aria annoiata la sfilata di oscenità che veniva proposta.

Rimase in quella posizione per quasi mezz’ora, senza muovere un muscolo, finché non captò qualcosa di interessante.

Ogni tanto qualche cliente si alzava per raggiungere un uomo, corpulento e nerboruto, probabilmente il proprietario del locale. Si intrattenevano per qualche minuto, poi i clienti sparivano tra la folla, o tornavano ai loro posti.

Concentrandosi su di loro escluse ogni altro rumore e, come sospettava, la cosa si rivelò interessante. Parlavano di soldi, camere sul retro e di nomi, probabilmente i nomi d’arte di quelle creature sul palco. A quanto pareva c’era ben altro genere di divertimento nel retrobottega. Quella nuova informazione gli dava la possibilità di modificare i suoi piani, che in origine prevedevano un altrettanto noioso lavoro di pedinamento, dopo aver trovato la persona che cercava, per poi prendersela comoda nella sua abitazione. Però quella nuova opzione…

Gli antichi ricordi che lo tormentavano dall’inizio di quella ricerca tornarono più vividi che mai, con una fiammata di rancore che mal si addiceva alla sua natura.

Forse non era un’idea così malvagia concedersi una piccola rivincita, sfogare quel rancore, prima di passare alle cose serie. Del resto avrebbe potuto tranquillamente pedinarlo in un secondo momento.

Quel pensiero lo fece fremere di impazienza, un pensiero che tempo prima l’avrebbe riempito di orrore.

Le cose erano cambiate.

Il mondo era cambiato.

Lui stesso era cambiato così tanto che se solo si soffermava a pensarci ne aveva paura, una paura che gli gelava le ossa.

Appoggiò la punta del dito sulla ciliegia che galleggiava nel bicchiere, spingendola distrattamente a fondo.

Ancora.

E ancora, gli occhi fissi su di essa, seguendone ogni volta il movimento verso la superficie, poi si portò il dito alle labbra, succhiandolo. Più si concentrava su quelle cose inutili, più quella sensazione di gelo si attenuava, fino a sparire del tutto.

Ad un tratto le sue labbra si incurvarono in un sorriso, non aveva bisogno di guardare per sapere che la persona che stava cercando aveva fatto la sua entrata in scena…

Sollevò lentamente lo sguardo, il ragazzo sul palco era di una bellezza da togliere il fiato, non aveva bisogno di squallidi ammiccamenti o di spogliarsi, come le ragazze di prima, per attirare l’attenzione. I lunghi capelli erano di un nero così intenso da non riflettere nemmeno le luci colorate che lampeggiavano ovunque, sembravano quasi inghiottirle, come se fossero stati fatti di tenebra.

Non aveva addosso nulla di vistoso, poteva sembrare quasi trasandato, jeans, scarponi e una canotta nera, eppure la gente non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

Gli bastò appoggiarsi ad uno dei pali della lap-dance con la schiena, buttare la testa all’indietro e lanciare uno sguardo al pubblico perché alcune persone lasciassero i loro posti per raggiungere il proprietario.

Sariel lo osservò attorcigliare la catenina d’argento che portava al collo, con un ciondolo a forma di teschio, tra le dita e sorridere ad alcune signore. Poté udirle distintamente commentare sul fatto che un sorriso del genere fosse criminale.

“E non immaginate quanto…”, sospirò, alzandosi. Era tempo di fare la sua mossa.

Raggiunse il poco rassicurante proprietario, che lo guardò interrogativo.

“Voglio lui”, disse.

L’uomo inarcò un sopracciglio, squadrandolo dalla testa ai piedi. “Ares? Ha molte richieste, devo valutarle. Inoltre la precedenza spetta ai clienti fissi io non…”

Sariel sorrise, appoggiando una mano sul braccio del proprietario, che smise immediatamente di parlare.

“Non avrà offerte migliori della mia”, sussurrò suadente. “Perciò non ne accetti nessun’altra.”

L’uomo sbatté le palpebre. “Certo signore”, mormorò, cambiando totalmente atteggiamento. “Ha qualche preferenza sulla camera?”

“La migliore”, rispose Sariel, lapidario, senza nemmeno rifletterci. Voleva fare le cose con calma. “E fai portare anche una bottiglia di vino, che non sia uno schifo come il drink che mi avete rifilato prima…”

“Sì signore, certo”, mugugnò il proprietario, poi gli indicò una tenda, che nemmeno si notava nella penombra. “Di là, fino in fondo, la stanza sulla destra”.

Sariel si congedò con un cenno del capo; seguì con lo sguardo la sua preda, che spariva nuovamente dietro le quinte, prima di avviarsi verso la stanza che gli era stata indicata. Dietro la tenda c’era un lungo corridoio buio, che sbucava in un secondo capannone. Dovette ammettere che era ingegnoso. Quell’uomo unticcio aveva avuto un idea notevole, trasformando quell’ampio spazio vuoto in quello che era a tutti gli effetti un motel abusivo…

 

            

“Ehi, Ares!”

Il ragazzo sollevò lo sguardo. Il suo datore di lavoro sembrava compiaciuto come non mai, ciò voleva dire che quella sera aveva fatto un buon affare…

E se quel buon affare riguardava lui allora a fine serata avrebbe avuto un’ottima percentuale. Il suo umore migliorò esponenzialmente. Gli servivano delle serate così; cazzo, gli serviva una pausa, una lunga pausa…

“Come sempre, nemmeno tempo di riprendere fiato eh?”, lo precedette.

L’uomo annuì. “Sei il mio uccello raro, Ares”, esclamò, ridendo poi sguaiatamente per lo squallido doppio senso. “Stanza otto, non fare aspettare il tuo cliente, è molto generoso, trattalo bene.”

“Come sempre”, fu la lapidaria risposta di Ares mentre scendeva dal retro del palco con un salto aggraziato. Nella sua mente già balenava l’idea di far diventare questo fantomatico, generoso cliente, suo habitué.

Soldi.

Tutto girava intorno a quello ormai…

Rabbrividì nello scostare la tenda che nascondeva il corridoio che portava alle stanze. Bene, perfetto, quello stronzo del suo capo cominciava di nuovo a risparmiare sul riscaldamento. Si consolò, pensando che per lo meno di lì a poco sarebbe stato sotto le coperte e di certo troppo impegnato per soffrire il freddo.

Strano…

Si fermò sulla soglia della stanza otto. Era una delle più belle, il che voleva anche dire più costose.

Solitamente quelli - o quelle – che lo desideravano si svenavano per averlo, andando poi a risparmiare sulla stanza, scegliendo quelle che a conti fatti erano poco più che sgabuzzini con una branda. Quella invece, nonostante le pareti scrostate, aveva un minimo di arredamento, un letto a due piazze e dei comodini. Decisamente meno squallida delle altre. Un secondo brivido gelido lo spinse ad entrare. Ci mancava solo che si ammalasse, non poteva permetterselo.

“C’è nessuno?”, chiese, chiudendosi la porta alle spalle.

Molto strano…

Si avvicinò al letto, sfiorando con le dita le lenzuola nere. Quasi sospirò di soddisfazione. Addio, almeno per quella sera, a quello schifo di cotone ruvido a cui era abituato. Quella non era certo seta, ma era un’ottima imitazione della stessa.

Qualcosa però lo disturbava. Dov’era il suo cliente?

Di solito erano lì ad aspettarlo impazienti e già praticamente nudi…

La sua attenzione fu attratta da una bottiglia, appoggiata al mobiletto, assieme a due calici.

“Beh, caro mio…”, mormorò, dopo averne annusato il contenuto. “Ti tratti decisamente bene…”

Riempì un bicchiere, sorseggiandolo piano. Quel vino era appena stato stappato e già solo dal profumo si capiva che fosse roba di qualità, e non il solito vinaccio da due soldi che il suo capo travasava in bottiglie di marca…

Era delizioso.

“E’ di tuo  gradimento?”

Una voce alle sue spalle lo fece trasalire, il bicchiere gli sfuggì di mano, andando in frantumi sul pavimento di cemento.

Si voltò lentamente, sapeva già chi si sarebbe trovato di fronte. Non c’erano molte creature capaci di entrare in una stanza senza aprire la porta…

Non erano brividi di freddo quelli che aveva avvertito entrando, ma l’eco dei suoi poteri sigillati che reagivano alla presenza di un’altra creatura sovrannaturale.

La creatura che aveva davanti sembrava un umano. Un umano decisamente attraente, le spalle larghe, i muscoli che si intravedevano sotto la camicia dandogli un aspetto temibile, anche se innatamente aristocratico.

Ciuffi di capelli candidi, sfuggiti alla lunga treccia buttata con noncuranza su una spalla, gli incorniciavano il viso dai lineamenti regolari.

Gli occhi però lo tradivano, di un azzurro chiarissimo che sfumava nell’argento  ai bordi dell’iride.

“Ma guarda…”, mormorò. “Questo è davvero l’ultimo posto sulla faccia della terra dove mi sarei aspettato di vedere un angelo.”

Sogghignò, sfrontato, ma solo all’apparenza. In realtà era più che all’erta. Se erano venuti a cercarlo ci doveva essere un motivo. E qualunque fosse, dubitava che potesse essere una semplice visita di cortesia.

Sariel rise sommessamente. “Lo immagino”, disse, avvicinandosi. “Tuttavia, Ares…”, si fermò, facendo schioccare la lingua, infastidito. “Non che non ti si addica, ma se ti serviva un nome d’arte avresti potuto tenere il tuo, Belial. Mi avrebbe fatto risparmiare un sacco di tempo nel cercarti. E’ stata davvero una faticaccia.”

Il moro socchiuse gli occhi.

Belial…

Sentì qualcosa agitarsi, nel profondo del suo animo. Era davvero tanto che nessuno lo chiamava così, con quel nome che in passato incuteva timore solo al pronunciarlo.

“Quanto mi dispiace”, rispose sarcastico. “Se abbiamo finito i convenevoli ci terrei davvero molto a sapere cosa vogliono gli angeli da me.”

“Non sono qui per conto degli angeli.”

Sariel lo aggirò, prendendo il bicchiere intatto e versandosi del vino. Lo sorseggiò con lentezza esasperante, col preciso intento di tenerlo sulle spine. Fece schioccare nuovamente la lingua, notando con piacere che quel semplice suono bastava a far trasalire il diavolo. “Ah, non è più così divertente quando si è indifesi, vero, Belial?” pensò, centellinando il liquido scarlatto. Decisamente meglio di quella robaccia di prima. “Sono qui solo per conto di me stesso”, concluse.

Belial aggrottò la fronte. Quello sì che era strano. “Riformulo la domanda allora, cosa cazzo vuoi tu da me?”, ringhiò.

Oh, voglio qualcosa di molto, molto importante e mortalmente serio, Belial, ma non è questo il momento.” Sariel tenne quel pensiero per sé, non era il caso di metterlo ulteriormente in allarme, voleva prendersela comoda e non rischiare che si dileguasse di nuovo.

“Voglio quello per cui ho pagato”, rispose invece. “Voglio te.”

Un’ombra di sconcerto passò sul viso di Belial, poi, lentamente, le sue labbra si piegarono in un sorriso che ben presto divenne una risata senza freni.

“Lo trovi divertente?”, Sariel non aveva fatto una piega.

“Sì, molto…”, Belial riprese fiato, asciugandosi una lacrima mentre le sue spalle ancora tremavano per l’ilarità trattenuta. “Divertente e grottesco. Che anche gli angeli facessero certe cose non è una novità, ma che tu sia venuto a cercare soddisfazione per le tue voglie in una bettola del genere, cercando me… beh, questo è davvero morboso”, sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “In ogni caso, hai sprecato il tuo tempo. Non ho intenzione di avere a che fare con un angelo, né ora né mai, quindi puoi andartene”, aggiunse, tornando serio.

Sariel non aveva battuto ciglio, si era limitato a guardarlo, impassibile. “Tu non sai chi io sia, vero?”, chiese alla fine.

“Dovrei?”

“Dovresti.”

Belial scrollò le spalle. “Sai com’è, siete tutti uguali voialtri. Ora, se non ti spiace, tornerei al lavoro”, disse, oltrepassandolo a abbassando la maniglia della porta. L’aveva aperta appena di uno spiraglio però, che questa si richiuse con violenza, sfuggendogli di mano. Fece un profondo respiro, sbuffando poi rabbiosamente. Afferrò la maniglia di nuovo e la abbassò bruscamente, diverse volte, ma quella volta la porta non si mosse di un millimetro.

Si voltò con un verso rabbioso, appoggiandosi alla porta con la schiena. “Divertente”, ringhiò, con un tono che era tutto tranne che divertito. “Lasciami uscire.”

Sariel si voltò lentamente, gli occhi azzurro ghiaccio brillavano per la rabbia. Nemmeno si ricordava chi fosse. “No”, rispose gelido.

“Ah no?”, Belial iniziava a sentire i palmi delle mani ricoprirsi di un velo di sudore. Era nervoso.

A pensarci sembrava assurdo.

Un angelo.

C’era stato un tempo in lo avrebbe spazzato via con uno schiocco di dita, prima di venire esiliato. Prima di ritrovarsi così dannatamente inerme. “Credo allora che passeremo la notte a guardarci in faccia, perché non ho intenzione di toccarti nemmeno con un dito.”

“Credo che lo farai invece. Lo farai eccome.”

“Prima che tu perda il tuo tempo”, lo interruppe Belial. “Ti precedo. Se non faccio quello che vuoi, mi ucciderai. Banale. Ne ho avuti di clienti con questo genere di pretese. Lascia che ti dica una cosa…”, inspirò profondamente, stringendo i pugni. “Uccidimi. Fallo, mi faresti un grande favore. Purtroppo per me, però, non posso morire. Quindi risparmia il fiato e vattene.”

Le labbra di Sariel si piegarono impercettibilmente. Aveva colto una nota di isteria in sottofondo, segno che quello, per Belial, era un argomento insidioso. Lo sapeva bene, ed era proprio lì che intendeva colpire fin dall’inizio. Voleva farlo sentire inerme, vulnerabile. Proprio come si era sentito lui.

“Lo so bene…”, sussurrò, avvicinandosi lentamente. Belial non poteva più arretrare quindi ben presto la distanza tra loro venne annullata quasi del tutto. “So perfettamente che nella sua lungimiranza Lucifero ha previsto che per te un’eternità da umano sarebbe stata peggiore della morte.”
Gli appoggiò una mano sul petto, spingendolo contro la porta per evitare che sgusciasse via. “So perfettamente che ha incatenato tutti i tuoi poteri, lasciandoti come unica… consolazione”, calcò il tono beffardo su quell’ultima parola, “La tua immortalità. Davvero crudele…”

Sentiva, sotto il palmo della sua mano, il cuore di Belial che cominciava a battere più velocemente. Doveva aver intuito a cosa stesse puntando. Iniziava ad essere inquieto, la cosa non poteva che fargli piacere. Avvicinò le labbra al suo orecchio; “Puoi avere fame e sete da morire... Ma non puoi morire. Puoi avere tanto freddo da congelarti il sangue nelle vene, ma sopravviveresti. Puoi sanguinare fino a non avere più una goccia di sangue in corpo, e continueresti ugualmente a respirare.”

Fece una pausa, per permettergli di assimilare meglio le sue parole. “Puoi bruciare...”, sussurrò infine, mentre il palmo della sua mano si surriscaldava, sottolineando le sue parole, al limite del sopportabile. “Ed è esattamente quello che farò, se non ti piegherai ai miei voleri. Ti lascerò bruciare così lentamente che potrai sentire ogni tua cellula prendere fuoco e carbonizzarsi, e nonostante tutto, resterai in vita. Quanto dolore sei in grado di sopportare, Belial?”

A quel punto il demone reagì, dandogli una spinta per allontanarlo; Sariel lo lasciò fare, permettendogli di prendere fiato.

Belial ringraziò di avere la porta dietro la schiena, a sorreggerlo. Quell’angelo sembrava mortalmente serio. Deglutì, cercando di non dare a vedere quanto si stesse innervosendo, ma il suo respiro veloce lo contraddiva. “Stai bluffando”, esclamò, ansante. “Non hai abbastanza potere per fare una cosa del genere, angelo, senza subirne le conseguenze.”

Sariel scosse lentamente la testa. “Continui a sbagliare…”, disse, sollevando una mano per slacciare i primi bottoni della camicia, scoprendo il marchio che portava impresso sotto la gola, proprio tra le clavicole. Un delicato arabesco dorato, formato da caratteri enochiani che identificavano il suo grado tra le schiere celesti.

Belial decise che era il momento buono per farsi prendere dal panico.

Virtù.

Una virtù era lì sulla terra, evento praticamente unico, e ce l’aveva con lui. Roba da farsela tranquillamente sotto dalla paura. Altro che bluffare, quel tipo poteva polverizzare l’intero locale con uno schiocco di dita…

Chiuse gli occhi, appoggiando la nuca alla porta e sospirando, valutando l’unica possibilità rimasta. In fondo aveva avuto clienti peggiori…

Dovette soffocare un singulto di sorpresa quando riaprì gli occhi; l’angelo si era avvicinato, silenzioso come un’ombra.

“Sono certo però”, mormorò Sariel, con le labbra che quasi sfioravano quelle di Belial. “Che alla fine non servisse minacciarti così tanto per farti crollare…”, sorrise, beffardo. Si era reso conto di una cosa. “Alla lunga strisceresti per me anche senza ulteriori incoraggiamenti”, sussurrò, sfiorandogli la guancia con un’unghia. “Il potere… Ti ho sentito vibrare come la corda di un’arpa quando sei entrato. Senti il mio potere, lo desideri. Muori dalla voglia di crogiolarti in esso anche solo per un poco…”

Belial serrò le labbra; doveva ammetterlo, aveva ragione. Sentiva la sua pelle formicolare, ad averlo così vicino. Tutto il suo corpo bruciava dalla voglia di avvicinarsi ancora, di annullare ogni distanza e strusciarsi come un gattino addosso all’angelo per avvolgersi in quel potere come in una morbida coperta. Le sue dita si contrassero convulsamente, quasi a cercare un appiglio, ma le sue unghie scivolarono sulla superficie liscia della porta.

“Hai vinto. Hai vinto, in qualsiasi modo tu la metta hai vinto…”, si arrese. “Prenditi quello che vuoi e poi sparisci…”

Sariel a quel punto rise sommessamente, allontanandosi di nuovo per versarsi un secondo bicchiere di vino. “Tu sei convinto che io sia qui solo per un rapporto carnale, vero?”, chiese.

“Non è così?”

Di nuovo, Sariel si concesse qualche secondo, sorseggiando il vino, prima di rispondere, mentre la rabbia tornava a bruciare, nel rendersi conto che Belial sembrava non riconoscerlo ancora.

“No, per niente. Quello che voglio è annientarti Belial, umiliarti, toturarti e farti implorare pietà”, sibilò, il suo tono bruciava di una collera gelida.

Belial aggrottò la fronte. “Ma chi sei…?”

Non era quell’insofferenza secolare che da sempre c’era tra angeli e diavoli, quello era rancore personale.

Un bel po’ di rancore personale.

Rancore che non si spiegava. Anche ai tempi in cui era ancora uno dei Principi Infernali non aveva mai avuto molto a che fare con le Virtù. Gli unici che potevano tenergli testa e che lo infastidivano erano le Dominazioni. Non ricordava di avere questioni in sospeso con una Virtù, e soprattutto non ricordava quella che gli stava di fronte. E quello, constatò, sembrava aver fatto incazzare ancora di più il suo angelico cliente.

“Avresti fatto meglio a ricordarlo.”

Quelle parole vennero pronunciate in tono basso, ma nel silenzio che era calato all’improvviso risuonarono quasi assordanti. Ogni rumore sembrava svanito, sostituito da un lieve e appena percettibile ronzio in sottofondo.

Quello diede a Belial il colpo di grazia; quella tensione, non la sopportava più. “Cosa vuoi che faccia allora?! Forza!”, lo incitò. “Comincia, sbrigati! Prima ti prendi quello che vuoi, prima questa storia finisce!”

Non era certo masochista, ma quell’attesa non migliorava di certo la situazione e quell’ansia che lo stava divorando peggiorava tutto.

Il suo sguardo venne attratto dalla mano libera dell’angelo; ad un lieve movimento delle sue dita erano apparse  delle minuscole particelle luminose, simili a piccole lucciole argentate, che fremendo si stavano addensando, l’una contro l’altra, prendendo la forma di un pugnale.
“Oh, dai, andiamo…”, mormorò, con una risata nervosa che risuonò terribilmente stridula, quasi isterica, alle sue stesse orecchie. Deglutì, stava sudando e mai, in tutta la sua esistenza, ricordava di aver sudato per l’agitazione. L’energia di cui erano composte quelle armi non si limitava a ferire, ma era come essere infettati da un veleno. Stesso discorso per quelle generate dal potere infernale per gli angeli…

C’era la possibilità che, dato che era ormai praticamente umano, il loro effetto fosse più blando o, ancora meglio, nullo. Ma non ci teneva a scoprirlo..

“Non hai bisogno di armi celesti con me…”

“Non si può mai sapere”, fu la pacata risposta di Sariel, che posò il bicchiere per stringere il pugnale più agevolmente con l’altra mano. “Ora, comincia con l’inginocchiarti.”

Una fitta ai polmoni ricordò a Belial che sarebbe stato salutare riprendere a respirare; aveva trattenuto il fiato inconsciamente.

“Così… è questo?” mormorò. “Obbligarmi ad inginocchiarmi minacciandomi con un’arma è patetico… Ti da davvero soddisfazione una cosa del genere? Poco angelico, davvero poco angelico. Sai chi faceva queste cose? Io. non noti il paradosso? Sei…”

Si zittì di colpa quando il pugnale, che un secondo prima stava nella mano dell’angelo, si conficcò con uno schiocco nel legno della porta, a qualche centimetro dal suo orecchio.
“Parli troppo! Muoviti.”

A quel punto Belial sollevò lentamente le mani in segno di resa. Sì, parlava troppo. E a raffica. Stava diventando patetico.

“D’accordo, d’accordo”, sospirò, Piegando le ginocchia e lasciandosi scivolare sul pavimento di cemento, appoggiando ad esso i palmi delle mani. “Soddisfatto?”
Sariel si avvicinò. “Vederti a quattro zampe come quel cane che sei? Sì, mi rende molto soddisfatto”, sibilò.
In realtà non gli dava quella sensazione di sollievo in cui aveva sperato.

Afferrò i capelli di Belial, sulla nuca, spingendolo giù, costringendolo ad appoggiare la faccia al pavimento. “Ma ho appena iniziato. E fidati, la voglia di parlare ti passerà tra poco….”

Lo lasciò andare, mentre richiamava a sé l’energia del pugnale, che svanì in una miriade di puntini luminosi, lasciando solo la spaccatura che aveva creato nel legno. “Vediamo da dove posso cominciare…”, sospirò, muovendo le dita, quasi accarezzando quella nube argentata che gli fluttuava tra le dita.

“Magari comincerò con lo scoprire quanto umano sei e quanto della tua natura infernale ti è rimasta…”

Strinse le dita, comprimendo le particelle che divennero un’impugnatura, mentre altre andavano a formare una lunga e flessuosa frusta argentata. All’apparenza sembrava liscia, ma per tutta la lunghezza era costellata di minuscole asperità.

Belial sollevò la testa, sgranando gli occhi a quella vista. “Ma che cazzo…”, mormorò, cercando di alzarsi ed incespicando all’indietro. “Fai sul serio?”

“Mortalmente serio Belial, te l’ho già detto”, Sariel fece schioccare rumorosamente la frusta. “Comincio a stancarmi, parole, parole… Sei sempre stato un gran chiacchierone, ma ora che posso, ho intenzione di chiuderti quella bocca. Voglio sentire solo urla, almeno per un po’.”

Belial fece istintivamente un passo indietro, quando l’angelo alzò il braccio, ma non poteva scappare, non c’era posto in quella stanza dove potesse ripararsi.
Il primo colpo gli arrivò tanto violento e doloroso da strappargli un grido di sofferenza, così come il secondo.
Al terzo le gambe gli cedettero e si ritrovò sul pavimento, senza ben sapere come ci fosse finito. La sua mente era annebbiata dal dolore.
All’ennesimo colpo sentì qualcosa di caldo cominciare a gocciolare lungo la schiena, inzuppandogli la maglia. Il ronzio di sottofondo ormai era svanito, coperto dalle sue grida ma, ne era certo, nessuno nelle stanze accanto avrebbe sentito nulla. Strisciò fino al letto, aggrappandosi al materasso, sena riuscire nemmeno ad tirarsi su dal pavimento. Si limitò ad aggrapparsi alle lenzuola, affondandovi il viso e cercando, ultimo baluardo di orgoglio, di soffocarvi le urla...

Sariel non andò avanti per molto, però.

Stava per sferrare l’ennesimo colpo ma sembrò perderne la voglia.

Riabbassò il braccio con un sospiro, osservando l’ex principe dell’inferno cercare pateticamente di difendersi da quegli attacchi. I vestiti strappati in più punti lasciavano intravedere profonde lacerazioni sotto di esse. Aveva sperato che ferirlo gli avrebbe dato un po’ di tregua.

Invece nulla.

Niente di niente.

Anzi.

Vederlo così, patetico ed inerme, mentre strisciava, aggrappandosi al comodino per cercare di rimettersi in piedi, gli dava una sensazione più simile alla pietà, che non alla soddisfazione.

Lo raggiunse, scivolandogli alle spalle ed afferrandogli i capelli.

 

Belial era appena riuscito a mettersi in piedi che si sentì tirare la testa all’indietro. Inarcò il collo e parte della schiena, per non lasciare il comodino a cui era appoggiato con entrambe le mani. Non era certo che, in caso contrario, le sue gambe l’avrebbero retto. Chiuse gli occhi, era certo che non fosse finita lì.

Rabbrividì quando, con la mano che stringeva la frusta, l’angelo gli sfiorò la gola. Era certo che stesse pensando a quale altra tortura infliggergli. Poteva quasi sentire il rumore dei suoi pensieri.

 

Sariel continuò ad accarezzargli la gola, pensieroso. Già solo quello, notò, rendeva Belial teso come una fune.

Doveva apparirgli davvero spaventoso.

“I ruoli si sono invertiti, Belial”, sussurrò, prima di prendere la frusta e stringerla attorno al collo del diavolo, tirando con forza. “Dato che non puoi morire, posso spingermi oltre a quello che potrei fare ad un umano….”

Belial annaspò, perse la presa sul comodino, rovesciando quel che c’era sopra, bottiglie e bicchieri andarono in frantumi, mentre l’angelo arretrava, per toglierli ogni possibile appiglio. Quelle parole.
Quelle parole gli erano suonate familiari, gli avevano fatto scattare un campanello d’allarme. Sembravano quasi parole… Sue.

Ma la carenza di ossigeno gli annebbiò quei già vaghi pensieri. Si portò le mani al collo, artigliando la sua stessa pelle per cercare di afferrare la frusta, di allentare quella pressione, ma senza risultati.

Cercò allora di graffiare le mani ed il viso dell’angelo, alle sue spalle, ma tutto ciò che riuscì ad afferrare fu la treccia dell’altro. Si aggrappò ad essa, tirandola, anche se non ottenne grandi risultati, anzi. La stretta sulla sua gigulare si fece ancora più ferrea.

Il pensiero razionale gli suggeriva di smetterla di agitarsi tanto, che affannarsi a quel modo avrebbe solo peggiorato la situazione. D’altro canto la parte istintiva del suo cervello gli stava praticamente gridando a squarciagola che aveva bisogno di ossigeno. Era umano da così tanto tempo ormai che l’istinto di sopravvivenza controllava ormai buona parte delle sue azioni.

Sariel lo spinse sul letto, appoggiandogli un ginocchio alla schiena, per tenerlo giù. Rendendo acora più vani i suoi tentativi di ribellarsi.

Ribellione…

Era sempre stato così in fondo. Le voci che giravano su di lui dicevano che aveva un animo inquieto, persino per un diavolo. Ribelle, sfrontato, l’unico che non abbassava mai la testa, nemmeno davanti a Lucifero.

Lottava, come in quel momento,con le unghie e coi denti per qualsiasi cosa volesse.

Si abbassò, fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra. “L’unica cosa che vorresti in questo momento è respirare, non è così?”, mormorò stringendo la presa, impietoso. Un rantolo strozzato fu l’unica risposta che gli giunse. Non che ne aspettasse una diversa, ovviamente. “Quante, quante sono le creature che avrebbero voluto la stessa cosa e alla quale tu l’hai negato?”

Era tentato; tentato di stringere ancora, di lacerargli la carne e guardarlo soffocare nel suo stesso sangue, agonizzante e incapace di morire.

Vendetta.

Scacciò quella parola dai suoi pensieri. Non era vendetta, era giustizia.

O almeno, di quello cercava di convincersi.

Inspirò profondamente, poi lasciò che l’arma si dissolvesse in una miriade di scintille, tirandosi indietro.

Belial sentì la pressione sulla sua gola svanire di colpo, inspirò con violenza, tossendo poi con altrettanta forza. Si girò su un fianco, cercando di riprendere a ventilare normalmente, anche se i suoi polmoni non volevano collaborare, avidi di ossigeno. Sperò che fosse soddisfatto, che avesse finito. Socchiuse gli occhi, cercando con lo sguardo il suo aguzzino. L’angelo stava guardando verso il basso, pensieroso, e quello non gli suggeriva nulla di buono…

“A che cosa stai pensando?”, sussurrò, la voce roca e sofferente.

L’attenzione di Sariel era stata attratta dai vetri che costellavano il pavimento. Scintillavano sinistramente, mentre il vino rosso cupo si snodava in piccoli rivoli sul cemento. Lentamente portò lo sguardo sul diavolo, che malconcio sembrava fremere, nell’attesa di sapere cos’altro avrebbe fatto. Conosceva quella sensazione.
“Sai cosa dicevano di te, Belial?”, chiese, chinandosi per raccogliere una manciata di vetro.

“Che ero sexy e affascinante come nessun’altro?”, fu la sarcastica risposta del diavolo, che tossì ancora con violenza, parlare era un’agonia.
Sariel non si diede pena di rispondergli, allungò il braccio e gli afferrò il viso con due dita. “Che ogni tua parola era come il vetro, tagliente, affilata…”, mormorò, stringendo con forza le dita per costringerlo ad aprire la bocca. “Ogni tua parola era pronunciata con l’intento di ferire…”

Belial si aggrappò al suo braccio, conficcandogli le unghie nella carne, attraverso la stoffa della camicia, e stringendo con forza le labbra, ignorando il dolore della pressione. Aveva intuito dove voleva andare a parare, quel bastardo. Sentì uno scricchiolio inquietante e si lasciò sfuggire un gemito di sofferenza. Quel maledetto!

Sariel sbuffò, uno sbuffo lieve, quasi divertito. “Non so se il tuo sia semplice spirito di ribellione o se tu abbia davvero la speranza di poterti opporre”, sussurrò. “Apri la bocca, ora, oppure quanto è vero Dio te li conficco negli occhi uno per uno, dopo averti frantumato la mandibola.”

A riprova delle sue parole strinse ulteriormente la presa, non bluffava. Non più.
Fece scorrere lo sguardo sulla gola del diavolo, esposta, indifesa, le vene gonfie per lo sforzo; il petto, sotto la canotta, che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro frenetico. Era sempre stato così esile?
Il Belial di cui aveva ricordo era terribile, la sua presenza imponente. ma forse, si disse, forse l’imponenza che lui ricordava non era altro che l’aura violenta dell’enorme potere del diavolo.

Potere che ormai era svanito.

Tornò a guardarlo negli occhi. “Allora?”, lo incitò. “Sto aspettando.
Belial strinse convulsamente le dita.

Quel bastardo…

Lentamente dischiuse le labbra, sentendo immediatamente la pressione allentarsi. Il sollievo però fu di breve durata. Tenendo fede alle premesse, Sariel gli lasciò scivolare in bocca ogni singolo frammento dei vetri che teneva nel palmo della mano, chiudendogliela con l’altra, per impedirgli di sputarli.

Belial mugolò, serrando gli occhi ed aggrappandosi a lui. Alcune schegge erano andare a ferirgli la lingua ed il palato, sentiva in bocca il sapore metallico del sangue e, sebbene lottasse contro l’impulso di farlo, l’istinto naturale lo portò ad inghiottire. Un dolore lancinante gli esplose all’altezza del petto, mentre si agitava, tentando di divincolarsi.

Finchè le sue dita non trovarono la pelle esposta della gola dell’angelo.
Gli bastò sfiorarla, pelle contro pelle, per avvertire un formicolio di potere risaligli lungo il braccio. Fu come una boccata di ossigeno.
Il potere, anche se poteva solo sfiorarlo, gli era mancato così tanto…
Al punto che sentì gli occhi inumidirsi. Ancora, ne voleva ancora. Fremeva, impazziva dal desiderio di strusciarsi sul petto di Sariel. Cazzo, poteva andare avanti a torturarlo per anni se in cambio avesse potuto crogiolarsi in esso anche solo per un minuto…

Sariel gli sfiorò le folte ciglia scure con la punta di un dito, equivocando quello sguardo improvvisamente lucido.

“Belial…” mormorò “ Lingua di serpente, principe degli inferi, il preferito di Lucifero, come ci si sente adesso ad essere nel più basso gradino dell’umanità? Spogliarellista, prostituta, in balia di qualcuno che ti odia..”

Lo attirò contro di sé, facendogli premere il viso contro la sua spalla, sussurrandogli quelle parole direttamente all’orecchio.

Non gli dava assolutamente nulla.

Nulla.
Ogni volta che, in passato, l’umiliazione e l’angoscia si erano fatte insopportabili, aveva immaginato di averlo tra le mani, di torturarlo, di spezzare quel maledetto.
Quelle fantasie gli davano sollievo, lo facevano sentire meglio.
Quella realtà invece lo disturbava, lo faceva sentire quasi… Sporco.

Lo lasciò andare, spingendolo sul materasso ed allontanandosi da lui.

Belial avvertì immediatamente la mancanza del contatto, fu come se gli avessero strappato di dosso una coperta in un freddo mattino invernale. Il suo primo impulso però fu quello di sporgersi oltre il materasso e sputare quel che aveva in bocca. Il suo organismo fece il resto; una serie di conati scossero il suo corpo mentre vomitava quel poco di vino che aveva bevuto assieme a vetri e sangue. Quasi non riusciva a prendere fiato, aveva l’impressione che la testa stesse per esplodergli…

Quando finalmente il suo stomaco si decise a dargli tregua appoggiò la fronte alle lenzuola, scosso dagli spasmi. Si concentrò sul suo respiro, quasi aspettando altre perverse idee da parte del suo angelico aguzzino.

Sollevò la testa quando sentì i passi allontanarsi. Sariel guardava la porta, mentre si allacciava nuovamente i bottoni della camicia, sistemandosi il colletto ed osservando le macchie di sangue che avevano macchiato la seta. Sperò che fosse abbastanza buio all’ingresso, per non dare nell’occhio e mettere in allarme la guadarobiera. Non aveva voglia di dare spiegazioni, ed allo stesso tempo gli sarebbe dispiaciuto rinunciare al trench. Non che lo avesse pagato, gli era bastato chiederlo ad una commessa e lei glielo aveva consegnato, ma iniziava ad affezionarsi a quegli abiti umani.

Poi si avviò alla porta.
“Te ne vai già?”

Sariel si fermò. Che Belial avesse ancora la forza di parlare era già di per sè incredibile; che poi lo provocasse così…

Si voltò, tornando da lui. “Mi fai venire il dubbio di esserci andato troppo leggero con te”, mormorò, socchiudendo gli occhi

Belial si mise faticosamente a sedere, facendo forza sulle braccia. “Non fraintendermi”, ansimò tossendo con violenza e sputando un’altra boccata di sangue. “Mi hai fatto passare un gran brutto quarto d’ora, te ne dò atto.” Sollevò il viso, guardando l’angelo negli occhi, aggrappandosi alla sua camicia per riuscire a mettersi in ginocchio sul materasso. “Ma… Devo ammettere anche che non credevo che un angelo, scusa, una Virtù”, si corresse, con una nota di sarcasmo. “Potesse essere così bastarda…”, soffiò, ridendo sommessamente, il viso a pochi centimentri da quello di Sariel. “E per quanto assurdo, mi piace… Tu, mi piaci…”, sogghignò, prima di premere con forza le labbra su quelle dell’altro. lo sentì irrigidirsi, ma non se ne preoccupò, non ne aveva il tempo. Avrebbe pensato alle conseguenze del suo gesto quando fossero arrivate. Sapeva che il suo angelico carnefice si sarebbe incazzato a morte, ma al momento non gli importava. Le sue dita cercarono la pelle esposta del collo dell’angelo.

Potere.
Una boccata di ossigeno dopo una apnea di secoli….

La reazione di Sariel però, dopo qualche secondo di sorpresa, fu fulminea. Lo afferrò per le braccia, colpendolo con una scarica di potere che lo spinse all’indietro, sul materasso.

Belial ebbe l’impressione che il sangue nelle sue vene fosse appena diventato bollente, e non in modo piacevole. Ogni singola cellula nel suo corpo sembrò surriscaldarsi, come se stesse per prendere fuoco.
Si aggrappò alle lenzuola, stringendole e gemendo sommessamente.

Passerà. Passerà…

Ripeterselo sembrò attenuare un poco quel dolore, quasi fosse un mantra.

Nel mezzo di quell’agonia sentì la mano fredda dell’angelo scostargli i capelli.
“Il mio nome è Sariel…”, sussurrò. “Cerca di ricordarlo questa volta….”

Belial sentì quel nome riemergere dalla nebbia dei ricordi. Sì, gli era familiare, molto familiare.
Cercò di afferrarlo, ma venne inghiottito nuovamente dall’oblio quando il suo corpo, già abbastanza provato, decise che ne aveva abbastanza e la sua mente si offuscò, concedendogli un pietoso riposo…..

 

-----------------------------------------------------------------------------------------

Allora, qualche picola info.
Questo racconto racchiude elementi della mitologia cristiana, quali la gerarchia angelica (a partire dal basso) Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù,  Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini.

C’è in tutto questo qualche libertà poetica U.U
Sariel ad esempio nella gerarchia classica è un arcangelo.

Enochiano:Lingua inventata da Edward Kelley, che asseriva fosse il linguaggio parlato dagli angeli che si rivolgevano a lui.
Se qualcuno segue Supernatural troverà elementi in comune anche a quell’universo, ma in realtà provengono entrambi dalla mitologia cristiana ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“Ares! Ares!”

Belial dischiuse lentamente gli occhi.

“Che…”, la sua voce era poco più che un rantolo.

Ah! Il dolore…

“Diana?”

“Ares!Grazie a Dio, sei vivo! Mi hai fatto prendere un colpo!”

Non proprio grazie a Dio…

Fu lo sconnesso pensiero di Belial, mentre metteva a fuoco il viso preoccupato della ragazza che lavorava al guardaroba. “Seh, più o meno”, rispose invece, mettendosi lentamente a sedere, sul bordo del letto.

“No! Fermo! Sta giù, chiamo un’ambulanza!”

Ambulanza?

Cazzo… Doveva proprio essere messo male.

“Asp… Diana”, mormorò, tossendo. “Non ce n’è bisogno, sto bene… ”, mormorò. Aveva appena pronunciato quelle parole però che una fitta lancinante allo stomaco lo costrinse a piegarsi in avanti; vomitò una boccata di bile e sangue sul pavimento. Pessima idea quella di provare ad alzarsi da solo.
Diana lanciò un gemito inorridito. “Dio mio, quello è sangue! Io chiamo qualc….”
“Ho detto di no!”, ruggì Belial, pentendosene l’attimo dopo. Troppa veemenza; un nuovo conato lo costrinse a piegarsi di nuovo in avanti. “Se proprio ci tieni a fare qualcosa di utile, levati dal cazzo e mandami Zydra….”, biascicò, tenendosi la testa tra le mani.

Sentì la ragazza correre fuori, senza aggiungere altro.

Nel silenzio della stanza Belial poteva quasi sentire il rumore che il proprio corpo produceva, aggiustando le ossa incrinate…

“Che cazzo è successo qua dentro?”
Quelle soavi parole gli comunicarono che Zydra era arrivata. “E’ meglio che tu non lo sappia”, rispose debolmente.

Le lunghe gambe, fasciate di pelle nera, della donna entrarono nel suo campo visivo, subito seguite da un prosperoso seno, strizzato in un bustino, quando questa si chinò su di lui.
“Ares…”, mormorò dolcemente, facendogli sollevare il viso. “Dimmi di cosa hai bisogno.”

Belial mise a fuoco il suo viso, sbattendo le palpebre. Il trucco pesante era in parte sbavato. “Che diavolo di ore sono?”
“Le cinque passate. Stavamo chiudendo quando mi sono accorta che la tua moto è ancora qua fuori, così ho mandato Diana. Persino il capo è già andato”, rispose lei. “Enorme fortuna per te, era già incazzato per il fatto che, a quanto sembra, il tuo cliente abbia fatto non so che trucchetto per andarsene senza pagare, se poi avesse visto la stanza conciata in questo modo avrebbe dato fuori di matto. Probabilmente la tratterrà dal tuo stipendio….”
“Fantastico”, rispose Belial sarcastico. “Dammi una mano ad alzarmi per favore…. E chiamami un taxi, già che ci sei, non credo proprio di aver voglia di guidare…”
La ragazza annuì, passandogli un braccio dietro la schiena e sostenendolo, accompagnandolo fino alla zona anteriore del locale. “Sai… E’ capitato a tutti di avere dei clienti un po’ maneschi, ma lì dentro sembra sia passato un tornado. Mi vuoi dire cosa è successo?”, chiese poi. “...Ovviamente no”, si rispose da sola dopo un attimo di silenzio.

Belial le lanciò un’occhiata di sbieco, appoggiandosi al bancone mentre la ragazza recuperava uno sgabello. “Siediti, chiamo un taxi”, disse asciutta, prima di sparire nell’angolo guardaroba.

Belial si sedette cautamente, appoggiando le braccia al bancone ed chinando la testa fino ad affondarci il viso. Era distrutto, voleva solo andarsene a casa…

Zydra era l’unica che aveva capito da tempo che in lui c’era qualcosa di strano. Era per quello che, nonostante sembrasse ad un passo dal crepare, non si era allarmata. Non era sicuro di quanto sapesse, o quanto immaginasse, ma era sempre a lei che si rivolgeva quando non poteva contare su altri.

“Fatto”, Zydra riapparve, prendendo uno sgabello e sedendosi a sua volta accanto a lui. “E’ qua tra dieci minuti”, disse soltanto, allungandosi dietro il bancone per prendersi una birra, approfittando del fatto che ormai erano solo loro due.

Belial sospirò. Era discreta, non faceva domande e prendeva per buone le scuse che accampava. Quella volta forse qualche spiegazione gliela doveva, visto e considerato che quell’angelo lo aveva individuato e, per ovvie ragioni, a lui non andava per niente a genio che le schiere celesti fossero a conoscenza della sua posizione. Avrebbe dovuto spostarsi presto.

“Non era un cliente”, disse infine, sintetico. “Era un tizio che aveva un conto aperto con me.”

O almeno così dice…

“Roba di donne o di soldi?”

“Nessuna delle due… Almeno credo. Non lo ricordo.”

Zydra lo guardò, interrogativa. “Come sarebbe a dire che non ti ricordi?”
Belial scrollò le spalle. “Non ricordo nemmeno chi sia a dirla tutta.”

Sapeva che gli aveva detto il suo nome; aveva il vago ricordo di un sussurro, di un nome che però sembrava scivolargli via dalle dita, tra le pieghe della memoria, ogni volta che cercava di afferrarlo, perso nell’oblio….
“Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che sei venuta a letto con me?”, chiese infine, cambiando discorso.
Zydra lo guadò con aria di sufficienza. “Mh? Forse intendevi rievocare la prima volta che tu sei venuto a letto con me?”, disse, sarcastica. “Mi ricordo perfettamente che eri un povero ed affranto Ares sotto la pioggia che mi chiedeva se poteva restare da me, quella notte, perché era appena stato sfrattato. Ti ho persino lasciato dormire nel mio letto, quindi non rigirare i fatti.”

Belial sbuffò divertito, scuotendo la testa. “Si, esattamente, hai ragione”, concesse. Quella ragazza gli piaceva…

Era l’unica cosa che gli pesava abbandonare, nel suo piano di scomparire nel nulla.

Zydra sospirò, tornando seria. “Sì, lo ricordo. Hai detto che sei un figlio di puttana incapace di amare qualcuno e che ti serviva solo qualcuno che ti scaldasse il letto finchè non avresti levato le tende. Di non affezionarmi a te, che non era il caso.”

Belial inarcò un sopracciglio. “Non mi pare di aver detto proprio così.”
“Ho parafrasato, ma il senso era quello.”
“Vero….”

Zydra sbuffò, alzandosi in piedi. “Stai scappando, non è così?”, chiese, voltandosi a guardarlo. “E’ per questo che hai tirato fuori questa cosa. Per assicurarti che non mi getterò ai tuoi piedi pregandoti di non andartene?”

Belial si passò una mano tra i capelli. “Molto probabile”, rispose infine. “Sto valutando l’idea di spostarmi altrove, sono già rimasto in questo posto più a lungo che in altri, forse è proprio per quello che sono stato individuato da quel tizio.”

Si mise in piedi, non si aspettava una risposta, né era sicuro di volerla.

Ormai ne aveva visti tanti di addii e nessuno era mai facile.

Eppure…

Eppure quella volta fu stranamente silenzioso.
Zydra si limitò ad una scrollata di spalle. “Vai”, disse infine, con un cenno del capo, finendo la sua birra. “Qui chiudo io.”

Belial arretrò lentamente, poi si voltò senza aggiungere altro, zoppicando fino all’uscita ed abbassando il maniglione antipanico dell’uscita di servizio.

L’aria fredda della notte fu come un balsamo, stava bruciando e non se n’era reso conto; probabilmente era l’effetto residuo delle armi celesti...

Non dovette aspettare molto per fortuna, qualche minuto dopo un Taxi si fermò accanto al marciapiede.
Belial sentì alle sue spalle la porta di servizio aprirsi, ma non si voltò, non era tipo da girarsi a contemplare quel che si lasciava alle spalle. Così sprofondò nel sedile posteriore e diede all’autista il suo indirizzo, prima di chiudere gli occhi, solo per un momento.
O almeno così gli parve, perchè l’attimo dopo la voce brusca dell’uomo lo riscosse, annunciandogli che erano arrivati.

Cazzo, era crollato senza nemmeno accorgersene...

Sfilò di tasca alcune banconote, lasciandole sul sedile, prima di scendere ed incamminarsi verso casa.

Il palazzo era abbastanza squallido in realtà, era il massimo che si poteva permettere, visto e considerato che il proprietario non faceva domande a patto che pagasse regolare…

Cosa che però raramente riusciva a fare...

Ignorò il cartello che vietava l’uso del montacarichi come ascensore -col cavolo che era ingrado di farsi cinque rampe di scale a piedi- e raggiunse il suo atrio.

Il suo appartamento era l’ultimo piano, posizione ideale per starsene tranquillo, e si trovava tra altri tre, di cui uno disabitato e uno usato saltuariamente da un tizio per portarci la sua amante.

E poi c’era lei.

La sua vicina preferita che, come al solito, lo aspettava dietro la porta, aperta a spiraglio, con in mano un rosario che parlottava a voce abbastanza alta da essere sentita, morbosamente attenta alla sua condotta morale e alla sua vita sessuale.

Solitamente la ignorava.
“....Sodomita alcolizzato…. Tu e tutti quelli che ti porti a letto finirete all’inferno….”

Solitamente.

Ma quella sera la sua già scarsa pazienza era sgocciolata da tempo.
“Ma magari! Non chiedo di meglio!”, sbraitò, ignorando le fitte lancinanti alla gola. “Sai invece chi ci finirà?! Tu e quella baldracca di tua figlia, e ti assicuro che ci saranno centinaia di diavoli pronti ad incularvi a sangue, brutta tr…”

Il rumore della porta che sbatteva con violenza troncò le sue ultime parole.

Con uno sbuffo esausto Belial seguì il suo esempio e si chiuse la porta alle spalle.

Non era malaccio, come appartamento, a parte le dimensioni ridotte.

La porta di ingresso si apriva sulla cucina, oltre a quella c’era una camera da letto, un bagno, ed un piccolo balcone.

Non era molto, ma non aveva grandi pretese, era quantomeno più dignitosa di sistemazioni precedenti…

Raggiunse la camera da letto, sfilandosi con cautela i vestiti.

Dolore.

Dolore ad ogni movimento…

Si infilò sotto la doccia, aprendo l’acqua e girando l’erogatore tutto verso l’acqua calda. Ci volle qualche minuto prima che raggiungesse una temperatura decente, per poi passare ad ustionante in una frazione di secondo.
Bruciava come acido sulle ferite, ma visto che in quanto umano al novantanove per cento, non era immune a infezioni e schifezze varie, preferiva quel bruciore, in un certo senso benefico, piuttosto che passare i giorni successivi  febbricitante e malaticcio…

Non sapeva con precisione se ce l’avrebbe fatta ad arrivare al letto, sapeva solo che la vista ad un certo punto gli si era annebbiata, tuttavia gli sembrava poco decoroso svenire lì, sul pavimento del bagno.

Si trascinò così stoicamente fino in camera, infilandosi sotto e coperte senza nemmeno rivestirsi, rannicchiandosi su un fianco. Aveva intenzione di dormire per almeno quarantotto ore filate…

Chiuse gli occhi.

Fu in quel momento, quasi glielo avessero impresso a fuoco sulle palpebre, che il nome che tanto aveva cercato prima, gli apparve a chiare lettere.

Sariel.

Ebbe l’istinto di spalancare di nuovo gli occhi, ma il suo corpo non ubbidì.
Evidentemente aveva raggiunto il limite.

Sariel….

Ricordava…
Ricordava qualcosa. Tenne stretto quel nome quella volta.

Sariel…

Ricordava….

 

… capelli candidi, occhi d’argento.

Vesti bianche, pelle d’alabastro.

Belial si piegò sulle ginocchia, inclinando la testa di lato per osservarlo meglio.

Che angelo grazioso, si stava dando un gran daffare per salvare l’anima su cui aveva messo gli occhi...

 

Sariel sospirò, allungando una mano, appoggiandola sull spalla dell’uomo che aveva di fronte. In quella dimensione era poco più che un’ombra. Così come lo era lui, nella dimensione umana.

L’uomo non poteva vederlo, ma poteva udire il suo sussurro. “Non farlo…”, mormorò. “Le cose andranno a posto… Pensa a tua moglie, e ai tuoi figli, loro ti crederanno, vedrai…”

L’uomo, che nel mondo reale stava in piedi su un cornicione, accennò un passo indietro.

Bene.

Sariel sorrise, ma il suo sorriso scomparve l’attimo dopo quando avvertì l’energia che si stava avvicinando.

Sollevò una mano, minuscole lucciole bianche presero la forma di una spada, lunga e sottile. “Alla larga…”, sibilò. “Chiunque tu sia.”

Belial scoppiò a ridere, una risata cattiva, facendo la sua comparsa in quel limbo che univa le tre dimensioni -celeste, umana e demoniaca- in tutta la sua terrificante potenza. “Angelo, mettila via, prima di farti male.” disse, stiracchiandosi .

Sariel sgranò gli occhi, arretrando di un passo. Quello non era uno dei soliti diavoli che incrociava, i tentatori. Quello era… potente. Non c’era altra parola per descriverlo. Cuoio e pelle, già solo il suo abbigliamento suggeriva che fosse un demone abituato a combattere. “Che cosa vuoi?”, chiese, senza abbandonare la posizione di guardia.

“Quell’anima”, rispose Belial. “E non escluderei il divertirmi un po’ con te, se mi intralci la strada.”

Sariel aggrottò la fronte, lanciando un’occhiata all’ombra alle sue spalle.

Era un ometto sulla quarantina, accusato di un crimine che non aveva commesso. Non era un potenziale serial killer, o un dittatore o che altro. Non era un’anima che giustificasse la presenza di un demone tanto temibile…

Tornò a guardare il diavolo e per un attimo esitò. La presa sull’arma si fece incerta, ma solo per un secondo. L’attimo dopo tornò a stringere l’elsa con forza, fissando determinato la creatura di fronte a sè.

“No”, scandì. “Quest’anima è stata affidata a me, non te la lascerò prendere…”

“E’ evidente che non sai chi io sia…”

“Non importa.Potresti essere Lucifero in persona e la mia risposta non cambierebbe.”

Belial inarcò un sopracciglio.

D’accordo, era impressionato.

E non accadeva spesso; altri angeli, in passato, erano fuggiti non appena si era presentato. Altri ancora avevano provato a mediare, ma nessuno lo aveva mai affrontato così.

“Quasi, non sono lui ma il suo amante preferito”, rispose. “Proprio sicuro di volermi affrontare?”

In realtà era una menzogna il dargli l’illusione che avesse ancora l’opportunità di scappare. Non lo avrebbe più lasciato andare, non dopo che lo aveva sfidato così; che gli aveva dato un pretesto per abbatterlo.

Sariel deglutì ma non arretrò di un passo; rimase in posizione di guardia.

A quel punto Belial smise di giocare. Tornò serio, allargando le braccia, un turbinio di minuscole luci rossastre prese, tra le sue mani, forma di una pesante catena con due lame a mezza luna alle estremità.

“Avanti, dai… “, lo incitò.
Rigirò la catena attorno ai palmi, sollevandola per parare l’attacco dell’angelo. Non si era fatto pregare…

Il contatto tra le due armi si consumò in un’esplosione di scintille; Sariel sentì una scossa risalirgli lungo il braccio, costringendolo ad indietreggiare; il potere di quel demonio era tale che era riuscito ad attraversare la sua arma -che in quel momento riverberava, come se faticasse a mantenere una forma solida- e a colpirlo indirettamente.

Strinse i denti e rinsaldò la presa, prima di attaccarlo di nuovo.

Per qualche minuto Belial si limitò a schivare e a parare i suoi colpi. Ah, lo divertivano sempre gli angeli, mandati così allo sbaraglio senza un minimo di addestramento alla battaglia. Anche se, doveva ammetterlo, quello combatteva meglio di altri suoi pari; sembrava avere un istinto innato. Che grazioso…

Si stava dilungando troppo però; l’anima che voleva stava ancora esitando su quel cornicione, ma se avesse atteso ancora le ultime parole dell’angelo, unite a quelle di persuasione degli umani sotto di lui, potevano segnare la sua sconfitta…

Tese la catena, parando un colpo; ma quella volta, con un rapido movimento, la attorcigliò attorno alla lama, disarmando il suo avversario con uno strattone; poi senza dargli tempo di rendersene conto, fece roteare una delle due estremità e lo colpì in pieno petto.

Era stato attento però. Non voleva che crollasse subito; non lo ferì troppo a fondo, nonostante l’avesse colpito obliquamente, dalla spalla fino all’anca, la ferita era poco profonda; se l’avesse voluto avrebbe potuto staccargli un braccio, ma avrebbe perso in fascino.

Sariel indiereggiò con un gemito, portandosi le mani al petto.

Dolore.

Un bruciore violento che iniziava a diramarsi in ogni direzione dalla ferita.

“Io l’avevo detto che non era il caso di affrontarmi.”

Le parole beffarde del diavolo gli arrivarono attutite, come attraverso una nebbia. Poi ci fu un esplosione di dolore che gli arrivò dritta al cervello quando lo colpì dritto in faccia con la catena; crollò in ginocchio, accecato dalla sofferenza.

Belial sogghignò. Come previsto era bastato poco per abbatterlo.

Gli diede un calcio, buttandolo  terra del tutto. “Ora aspetta qui, finisco una cosa e torno.”, sogghignò, dandogli le spalle e raggiungendo l’ombra in attesa.

Allungò il  braccio, per sfiorarla, ma l’aveva appena toccata che un dolore improvviso gli trafisse una spalla. Con un ringhio annaspò, afferrando l’elsa di un maledetto pugnale angelico e strappandoselo dalla carne, voltandosi furente.

Sariel , facendo forza con le braccia era riuscito a mettersi in ginocchio. “Vattene!”, gridò. “Vattene e tornatene a casa!”

Belial lo guardò per un attimo, inarcando un sopracciglio, confuso. Poi capì, quel grido non era rivolto a lui, quel maledetto bastardo stava usando le sue ultime energie  per salvare quella stupida anima, che era improvvisamente scesa dal cornicione, forse confusa, e si stava allontanando.

Non era poi così importante per lui l’anima in sè. Ma il fatto che un angelo, un MISERO angelo volesse fregarlo, lo mandava in bestia.

Ringhiò, come una bestia furiosa. “Questo non lo dovevi fare….”

Raggiunse Sariel, colpendolo con un calcio in pieno viso, prima di avvolgergli la catena attorno al collo, strattonandola poi per costringerlo in ginocchio. “Non dovevi proprio farlo. Qualcuno che non può morire non dovrebbe far infuriare così tanto qualcuno che può torturarlo oltre il limite umano della sopportazione… E tu fermati!”

Con un secondo strattone lo trascinò fino all’uomo che ormai era quasi alla porta del terrazzo e che si era fermato con la mano tesa, per abbassare la maniglia.

“Credi davvero che ne uscirai a testa alta? Tua moglie non ti crederà, probabilmente ti abbandonerà, se ne andrà portandosi via i tuoi figli.”
“No…”, la voce di Sariel era poco più che un rantolo, stava lottando con tutte le sue forze per allentare la catena.

“Zitto… se riesci a parlare vuol dire che non sto stringendo abbastanza…”, commentò Belial, dando l’ennesimo strattone. “Voltati, un salto ed è finita….”

La sua influenza era molto più forte di quella di Sariel. Bastarono quelle parole a far tornare l’uomo sui suoi passi. L’angelo allungò il braccio, cercando di afferrare quel’anima affranta, in un ultimo, disperato tentativo, ma la sua mano si chiuse sul nulla. Quell’ombra raggiunse il cornicione e senza più esitare, lo oltrepassò…

Di colpo quello spazio tornò solido, il legame con l’anima si era spezzato, e con esso il collegamento tra le dimensioni.

Soddisfatto Belial lasciò che la catena si dissolvesse, allontanandosi di qualche passo.

Sariel tossì con violenza, finalmente libero; sbattè le palpebre più volte ma la vista non accennava a disappannarsi. Forse a causa di tutto il sangue che stava perdendo e che ormai gli aveva inzuppato i vestiti. Era esausto, aveva consumato tutte le sue energie ed era alla mercee di un demonio di livello molto più alto del suo; il quadro non era dei migliori. Eppure…
“Perchè…”, rantolò. “Perchè quell’anima…?”

Belial si voltò, avvicinandosi e afferrandogli i capelli sulla nuca, facendogli inarcare la schiena. “Stai davvero ancora pensando a quell’anima?”, sogghignò, leccandogli le labbra insanguinate ed ignorando il singulto di disgusto dell’altro. “Chiamalo effetto farfalla. E’ una cosa che voi angeli non calcolate mai. Quella è solo un anima, ma a lei sono collegate tantissime altre persone… Figli, moglie, genitori, fratelli, tutti crederanno alla sua colpevolezza… nell’animo di chiunque fosse legato a lui ora c’è una minuscola crepa, una zona d’ombra in cui i miei fedeli tentatori possono infiltrarsi con facilità….”, rispose, prima di spingerlo giù, e salirgli a cavalcioni. “Tornando a noi… Sei riuscito a farmi eccitare graziosa creatura celeste”, lo prese in giro, infilando le dita nella stoffa già lacerata della sua veste e strappandola ulteriormente. “Avresti dovuto usare le tue ultime energie per scappare, stupido e patetico imbecille…”

“Non mi fai paura…”

In realtà quella dell’angelo era solo un debole tentativo di autoconvincersi, visto che lo sentiva tremare.
“Ah davvero?” sogghignò. “Vediamo se faccio così…”

Strinse le dita, facendo apparire un lungo stiletto, molto simile a quello che l’angelo gli aveva lanciato prima, e lo affondò nell’addome dell’altro, con ferocia.

L’urlo di dolore di Sariel gli diede un piacere tale che lo spinse a strusciare il bacino contro quello dell’angelo, con un mugolio di soddisfazione. “Che voglia di scoparti a sangue…”, ansimò.
Rigirò il pugnale, prima di estrarlo e portarselo alle labbra, leccandone la lama. “Dovrei farlo davvero… So che ormai lassù non siete più tanto rigidi riguardo al sesso ma… Sono sicuro che tu sei un verginello, forse uno dei pochi rimasti, mh?”, mormorò sornione. Si chinò su di lui, per sussurrargli all’orecchio. “Mi fai venire voglia di succhiarti a morte…”, rise sommessamente.
Lo sentiva tremare sotto di sé, scosso dagli spasmi di dolore a causa delle ferite che gli aveva inferto. Ah, era così delizioso che gli avrebbe volentieri messo un bel collarino, per tenerselo come animaletto. “Sei mio…”, sussurrò, prendendo il viso dell’angelo con due dita per guardarlo negli occhi.

Sariel si aggrappò al suo braccio. “Ti prego…”, ansimò sofferente.

Belia scoppio a ridergli in faccia.Una risata senza la minima traccia di compassione. “Tu preghi me?”, ghignò. “Prega il tuo Dio perchè da me non avrai alcuna compassione…”

Fu allora che Sariel reagì, si aggrappò alle sue spalle, premendo con forza le labbra sulle sue, prima di lasciarsi cadere di nuovo all’indietro.

“Che cazzo…”, sbottò Belial, sollevando il braccio per colpirlo, ma l’angelo fu più veloce, sollevando il braccio a sua volta,  verso il cielo di quella nebulosa dimensione, lanciandovi una sfera di luce che esplose in una miriade di piccole scintille.

Una richiesta di soccorso.
Imprecando il diavolo si alzò, indietreggiando. Quel figlio di puttana…

L’aveva fregato, con quel bacio gli aveva fatto abbassare la guardia.

L’aria attorno a loro vibrò, stava arrivando la cavalleria…

Con un ringhio Belial afferrò Sariel per un braccio, stattonandolo fino a che non fu un piedi, una mano dietro la sua nuca, per costringerlo a guardarlo in faccia. “Mi hai fregato, bravo… Ma puoi stare certo che non finisce qui…”, sibilò. La mano che teneva stretta attorno all’avambraccio dell’angelo bruciava, lasciò che l’energia fluisse in essa di colpo, marchiando la carne dell’altro. “Ti troverò… Puoi star certo che ti troverò e ti trascinerò all’inferno dove ti torturerò e ti fotterò talmente a lungo che alla fine rinnegherai il tuo Dio, cercherai la mia pietà ma non la troverai. Tutto ciò che avrai da me sarà altro dolore mentre ti osserverò decadere…”

“Sariel!”

Belial sollevò lo sguardo. A quanto pare erano arrivati…
Attorno a loro atterrarono quattro creature, dalle luminose ali dorate. Ah, Dominazioni…

Poteva gestirne un paio, ma quattro erano troppe anche per lui.
Gettò loro addosso quel poveraccio che teneva ancora stretto, prima di indietreggiare e scomparire, inghiottito dalla dimensione infernale, lasciandosi dietro un’ultima minaccia.

“Ti troverò… Sariel.”

 

Sariel.

Belial spalancò gli occhi di colpo. Ah, ecco…

Sariel.

Beh, non c’era da stupirsi che non l’avesse riconosciuto; era cambiato. E non erano molti gli angeli che riuscivano a scalare la gerarchia celeste; anche se, visto quanto era sveglio, avrebbe dovuto aspettarselo.

Ora capiva, tutto quel rancore, doveva aver passato decenni interi a temere che lui tornasse per tenere fede alle sue minacce.
Ed in effetti, ai tempi, un pensierino o due ce li aveva fatti, ma non era mai riuscito a rintracciarlo.

Poi c’era stata la storia del’esilio e quell’angelo era uscito definitivamente dai suoi pensieri...

La radiosveglia sul comodino gli comunicò che che aveva dormito per tutto il giorno e buona parte della sera. Avrebbe già dovuto essere al lavoro a quell’ora…

Sospirò, facendo un ceck-up rapido, le ferite si stavano rimarginando abbastanza in fretta -Un hurrà a Lucifero per avergli lasciato almeno quel fattore di guarigione accellerato-, la gola gli pizzicava ancora ma per il resto era tutto in ordine, a parte un po’ di malessere residuo.
Si voltò sulla schiena, fissando il soffitto, forse era il caso di alzarsi, mettere qualcosa sotto i denti e cominciare a pianificare la sua fuga ed il relativo ricominciare tutto da capo.

Evviva…

Stava per farlo, per alzarsi, quando una voce lo fece sobbalzare.
Solo tre parole.
“Dormito bene, Belial?”


__________________________________________________________________________

 

Allora, prima di tutto un ringraziamento enorme a Ester che ha fatto una fanart carinissima

su questi due personaggi :3
*rotola ancora emozionata*

Lo trovate qui (e seguitela perchè merita èwè)

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=233287766856114&set=a.229772107207680.1073741832.201329976718560&type=1&theater


Grazie grazie anche alla mia Tomoyo che mi segue sempre <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Dormito bene, Belial?”

Il diavolo trasalì, colto alla sprovvista; si mise a sedere, fermando con una mano il lenzuolo all’altezza dello stomaco. Non che la sua nudità fosse un problema, ma non voleva apparire più vulnerabile di quanto già non fosse.

Sariel stava in fondo alla stanza, appoggiato al muro, le braccia conserte. Doveva essere lì da un pezzo.
Sentiva il suo sguardo addosso, pur non riuscendo a vederlo in viso lo sentiva. Sentiva che lo stava fissando.

Era teso, non sapeva cosa aspettarsi, altre torture?

Probabilmente sarebbe rimasto paralizzato per un bel pezzo se il telefono non si fosse messo a squillare. Nel silenzio della stanza sembrava uno strillo insopportabile, Belial tuttavia non osava muoversi.

Alla fine il telefono tacque, solo per qualche istante, prima di riprendere a suonare.
Sariel sospirò nell’oscurità. “Dovresti rispondere…”, disse.

Sembrava la scena di un film Horror. Lentamente Belial allungò un braccio, senza perdere di vista l’angelo, e rispose.

“Ares! Era ora, che cazzo!”
La voce del suo capo -ex?- gli perforò un timpano, al punto che dovette allontanare la cornetta. “Dovevi essere qui un’ora fa, Cristo! E la stanza, spiegami che cazzo è successo alla stanza! Non pensare di cavartela con quel tuo sorriso ammaliatore stavolta, ti farò un culo che non ti immagini….”

Belial sospirò rumorosamente. “Seh, seh, mi licenzio”, disse, ignorando il resto delle urla e riattaccando; poi sollevò nuovamente la cornetta, appoggiandola di lato. Non voleva altre chiamate.

Quell’uomo inutile…
Ma per lo meno quell’intromissione era riuscita a spezzare la tensione irreale di quel momento.

“Voi angeli bussare mai eh…”, disse, sarcastico. “E per rispondere alla tua domanda sì, divinamente. Ho sognato il nostro primo incontro.” L’angelo, notò con piacere, trasalì appena a quelle parole. “Ti fa ancora un certo effetto pensarci, vero?”
Sariel si mosse, emergendo dall’ombra. “E tu? Non ti fa ancora un certo effetto ripensare a ieri sera?”

Il ghigno di Belial si spense. “Oh oh, bella risposta”, ammise. “Devo aspettarmi un secondo round?”

Sariel lo osservò soffermandosi sull’unico segno di debolezza, probabilmente inconscio, che i bruno stava mostrando. La mano che tratteneva il lenzuolo era stretta ad esso con forza tale da tremare appena. Quello gli fece tornare più forte che mai quel senso di nausea che l’aveva tormentato per tutto il giorno. “No”, rispose. “Sono qui per un altro motivo.”

Belial incrociò il suo sguardo, poi accennò un sorriso sarcastico. “Non è stato così piacevole come ti aspettavi, vero?”, chiese, cogliendo quel’espressione inequivocabile. Ne ebbe la conferma al socchiudersi degli occhi dell’angelo, ci aveva preso. “Che cosa ti aspettavi, sei un angelo, non hai lo stomaco per certe cose…”, lo prese in giro, recuperando la sua sicurezza.
Sariel sospirò seccamente. “Non sono qui per giocare o per perdere tempo a stabilire chi ha più fegato, Belial. Sono qui per un motivo, pensi di riuscire a restare serio per qualche minuto senza essere troppo te stesso?”

“Oh, attenzione, l’angelo si sta alterando…”
Belial sbadigliò, squadrandolo da capo a piedi. Non poté fare a meno di notare che si era cambiato. Probabilmente gli aveva sanguinato troppo addosso. Non portava più una camicia, ma un maglione chiaro ed un paio di jeans, sotto il trench nero. Doveva anche essersi fatto una doccia, perchè quando si era avvicinato gli era arrivato una zaffata di profumo vanigliato.

Il solo pensarlo nudo, sotto la doccia, risvegliò in lui una certa fame che nulla aveva a che fare col cibo.

E anche qualcosa ai piani bassi.

Piegò le ginocchia sotto le lenzuola, giusto per evitare che si notasse troppo, appoggiandovi sopra le braccia. “Ti ascolto”, concesse.

Sariel a quel punto si sedette sul bordo del letto, faccia a faccia. “Il Giardino Celeste, voglio che mi aiuti ad entrarci.”

Belial inarcò un sopracciglio. “Stai scherzando”, disse.
“Mai stato più serio.”

“La mia non era una domanda, era un’affermazione, perché o stai scherzando, oppure hai dimenticato il cervello in paradiso.”

A quel punto Sariel sospirò aspro, appoggiandogli le mani alle spalle. “Sai perfettamente di essere l’ultima persona al mondo a cui chiederei aiuto. Ma sei anche l’unico che sia riuscito a superare le difese esterne senza farti notare, voglio che mi mostri come hai fatto, che mi aiuti ad entrarci.”

Belial rabbrividì, quelle mani.

Mai avrebbe creduto di anelare il tocco di un angelo.

Porta quelle mani più in basso e ti farò entrare ovunque tu voglia, gli venne da rispondere.

“Sì, è vero, sono l’unico che sia riuscito ad entrarci e quello che ho guadagnato è questo.”
Scostò a malincuore le mani dell’angelo. “Confinato in questo schifo di mondo. No grazie; Lucifero sarebbe capace di seppellirmi vivo al centro della terra se solo provassi a pensare di farlo di nuovo. Quindi…”

“Lucifero è morto.”

Quelle parole, lasciate cadere, in modo quasi casuale ebbero il potere di zittirlo immediatamente.

Per una manciata di secondi Belial non fu più in grado di connettere, si limitò a fissare l’angelo quasi non riuscisse a metterlo a fuoco. “Come hai detto?”, riuscì a boccheggiare in fine.

Sariel sospirò, scrollando le spalle. “Ho detto che Lucifero è sparito dalla circolazione, decine di anni fa, così come Dio. Si diceva che avessero deciso di scontrarsi apertamente, alla fine, ma da tempo ormai non si sa più nulla di entrambi. I pochi testimoni dicono che si siano annientati a vicenda, anche se c’è la vaga ipotesi che si siano stufati di tutto e abbiano ricominciato tutto altrove, ognuno per i fatti suoi con altri mondi abbandonando questo a sé stesso, ma è una teoria abbastanza fragile…”

Belial sapeva che l’angelo stava ancora parlando, ma non riusciva più a comprendere, era come se all’improvviso avesse cominciato a parlare una lingua sconosciuta.
Strisciò fino al bordo opposto del letto, con movimenti ancora più scoordinati di quelli di un ubriaco.

Sentì una boccata amara di bile risalirgli in gola ed incespicò nelle lenzuola, alzandosi, per cercare di respirare; i suoi polmoni però sembravano aver smesso di funzionare assieme a buona parte degli altri organi.

“No…”, biascicò, incurante della propria nudità, il pudore non rientrava nelle sue virtù, ed il sembrare vulnerabile era l’ultimo dei suoi pensieri.”Stai mentendo!”, ululò improvvisamente. Doveva essere così.
“Perché dovrei?”
La calma con cui Sariel pronunciò quelle parole mandò in frantumi ogni briciolo della sua calma residua. Dovette tornare a sedersi sul bordo del letto perché le gambe avevano preso a tremargli, come fossero improvviso divenute di gelatina. “Merda…”, sibilò, piegandosi in avanti quasi fosse sul punto di vomitare.
La noncuranza dell’angelo, quasi gli avesse appena comunicato la temperatura esterna invece che una notizia del genere, gli avevano fatto l’effetto di una mazzata dritta nello stomaco. L’intera stanza sembrava vorticargli attorno ad una velocità vertiginosa. Il freddo che gli aveva avvolto il cuore si diramò ovunque, fino alla punta delle dita. Tremava incontrollatamente e una improvvisa fitta ad i polmoni gli suggerì che stava respirando in maniera poco consona; forse stava iperventilando, o forse non stava respirando affatto. Il problema però era in secondo piano.

Nascose il viso tra le mani e le lacrime con esso; l’angelo era come sparito da ogni percezione, non gliene fregava più nulla, era come se non esistesse…

Sariel era rimasto in disparte, cercando di scacciare quella sensazione crescente di pietà.

Pietà, empatia.

Era un’angelo, non riusciva a restare indifferente al dolore, anche se la creatura che stava soffrendo non era esattamente meritevole di compassione.

Si alzò, sfilandosi il cappotto ed avvicinandosi all’altro lato del letto, appoggiandolo alle spalle di Belial. Non pensava che il freddo fosse un problema per lui, ma gli sembrava l’unica cosa che potesse dare un minimo di conforto, alla sua portata, in quel momento.
“Dimmi che stai mentendo…”, Belial afferrò i lembi del trench, infilando le maniche e stringendosi in esso. “Dimmi che sei passato alle torture psicologiche, ti prego… Torna a farmi mangiare i vetri se è così…”, sospirò, asciugandosi il viso con una manica.

Sariel socchiuse gli occhi. “Non ho mai nemmeno pensato ad una cosa del genere”, rispose. Era completamente al di fuori delle sue corde usare i sentimenti altrui come tortura.
“D’accordo… Fatti dare qualche lezione di tatto però magari…”, ringhiò il diavolo. “Un cerbero sarebbe stato più delicato di te nel dare una notizia del genere.”
“Non credevo che ti importasse più di tanto, vista la tua situazione. Nemmeno i suoi luogotenenti l’hanno presa tanto male, di tutti i suoi amanti sei quello che la sta prendendo peggio”.

Belial a quel punto soffiò, come un gatto. “Di tutti i suoi amanti? Io non ero uno scaldaletto qualsiasi!”, ringhiò, alzandosi in piedi. Fu tentato, per un attimo, di sfilarsi il cappotto e gettarglielo in faccia, assieme alla sua pietà. Ma aveva freddo, forse era solo un’impressione, ma sentiva la pelle gelata, quindi si tenne stretto il trench dell’angelo, facendo un profondo sospiro. “Che cosa sai di me?”, mormorò, acido.
“Quello che basta; che eri”, rispose Sariel, calcando il tono sul passato, “Un demone potente, secondo solo a Lucifero forse, superbo, ribelle.” Lo squadrò da capo a piedi. “Vizi che a quanto pare non hai perso. Poco altro, del resto hanno smesso da parecchio tempo di parlare di te, dato che non sei più degno di nota.”
“Colpito e affondato.” Belial sogghignò, per un attimo, trovava stuzzicante il fatto che l’angelo non mancasse di lanciargli quelle frecciatine. “Ovviamente”, concesse. “Così come è ovvio che gli angeli non amino diffondere particolari scabrosi. Altrimenti sapresti che io, che ero il braccio destro di Lucifero, una volta faceva parte delle schiere celesti. Ordine dei Serafini.”
Poté vedere distintamente quell’informazione colpire Sariel quasi fosse stata solida.
“Che cosa?”

“Ti ho sorpreso vero?”

Sariel scosse la testa. Non per negare in realtà, ma per semplice incredulità. “Sei uno degli angeli che Lucifero ha trascinato con sé nella sua caduta…”, mormorò.
“Trascinato?”, Belial accennò un sorriso amaro. “E’ questo che si diceva? Che ci aveva trascinato con lui?”

“Non è così?”

“Non so gli altri, ma per quel che riguarda me…”, sospirò appena, sedendosi. Dolore, quei ricordi erano dannatamente dolorosi in quel momento. Aveva sempre evitato il più possibile di pensare a Lucifero in quei secoli bui. Al suo meraviglioso e crudele signore…
“Lucifero è sempre stato una creatura meravigliosa. Era più potente di qualsiasi Serafino, al di fuori di qualsiasi ordine, forse secondo solo a Dio. E io lo amavo. l’ho sempre amato, più di me stesso, più di Dio, e io non gli ero indifferente. Al punto che quando è stato abbattuto ed esiliato mi ha chiesto di seguirlo. Lui voleva che lo seguissi, ma non mi ha obbligato. Mi ha solo teso una mano, mi ha chiesto di seguirlo, e io l’ho fatto. Ho afferrato quella mano che mi era stata offerta senza pensarci un attimo. L’ho amato  ogni singolo istante della mia esistenza, dopo la caduta. Mi ha insegnato cosa fosse il piacere, mi ha insegnato a trovarlo anche nelle cose che ai tempi mi facevano più ribrezzo. In ogni grande battaglia, in ogni evento straordinario io ero al suo fianco. Ho continuato ad amarlo anche dopo che mi ha torturato e scacciato, esiliandomi. Superbo e crudele come sempre, meraviglioso e implacabile...”

A quel punto riprese fiato, aveva parlato a raffica, senza praticamete respirare. Voltò le spalle all’angelo. “Ma immagino che a te la cosa faccia solo ribrezzo”, disse aspro, avvicinandosi alla finestra per guardare fuori. Era notte fonda e a quell’altezza i fari della strada non arrivavano, permettendogli di guardare le stelle, quando era sereno. In quel momento però erano coperte, qualche goccia di pioggia aveva schizzato il vetro. Si premette una mano sulle labbra, soffocando un gemito di sconforto. “La cosa peggiore”, disse, dando una manata al vetro. “La fottutissima cosa peggiore e che sono bloccato qui. Per l’eternità! Lui era l’unico che potesse svincolarmi da questo esilio e ridarmi i miei poteri!”
Stava gridando e nemmeno se n’era reso conto.

Sariel, che era rimasto immobile, travolto da quell’ondata di parole ed emozioni, a quel punto lo prese per le spalle, facendolo voltare e scuotendolo con forza. “Belial, guardami”, disse, fermo. “Guardami ed ascoltami attentamente, c’è un’altro che può farlo, spezzare il tuo esilio.”
“E chi, tu?”, rispose sarcastico il diavolo. “Sei un pochino arrogante eh?”

“Non io, tu!”

“Io?”

Sariel annuì. “Esatto, tu stesso. Aiutami ad entrare nel Giardino e sarai tu stesso a liberarti delle tue catene. Le dimensioni, tutte quante, hanno bisogno di ritrovare il loro equilibrio. Gli angeli non fanno che pregare, rintanati in paradiso, e piangersi addosso. I diavoli fanno più o meno lo stesso, rintanati nei loro antri, stando appresso ai propri piaceri e questo mondo, questo bel mondo, si sta accartocciando su sé stesso, lasciato senza equilibrio, lasciato senza guide a sprofondare in un abisso di violenza fine a sé stessa. Non dirmi che non te ne sei accorto, del degrado che c’è stato in quest’ultimo secolo. Dobbiamo ristabilire l’equilibrio. Il paradiso ha bisogno di un nuovo Dio, così come l’inferno ha bisogno di un nuovo re.”

Belial lo aveva guardato in silenzio, perplesso. Poi, alla fine di quello sproloquio, aveva compreso.

Sbuffò, come se stesse trattenendo una risata, poi lasciò perdere e scoppiò a ridere in faccia all’angelo; una risata però che non aveva nulla di allegro. Sembrava una risata isterica, colma di disperazione. “Quindi tu…”, biascicò riprendendo fiato. “Tu hai infranto tipo una dozzina di leggi celesti, venendomi a cercare, perché vuoi il frutto dell’Eden. Vuoi dividere con me il suo potere e tornare in paradiso come il nuovo Dio.”
Sariel lo scosse, irritato. “Esatto. Cosa c’è da ridere?!”

Belial scosse la testa, asciugandosi un occhio. “Effettivamente nulla, anzi, ci sarebbe da piangere”, disse, tirando su col naso. “La cosa buffa, tragicamente buffa, è che il frutto dell’Eden è una storiella per bambini. Vi hanno detto che ho cercato di rubare il frutto, ma che sono stato fermato prima. Cazzate. Ho raggiunto quel maledetto albero e ho addentato il frutto proibito. Volevo il potere, volevo stare al fianco di Lucifero come suo pari, e non più solo come luogotenente e amante. E invece non è successo nulla. Mi sono ingozzato di quelle fottute mele fino ad averne la nausea. Quel frutto è solo uno specchietto per le allodole che Dio ha creato per assicurarsi che i suoi angeli non fossero preda della brama di potere, per individuare le mele marce. Concedimi la poesia…”

Dovette fermarsi perché la presa di Sariel si era fatta via via più ferrea ed in quel momento gli stava decisamente facendo male.

“Stai mentendo!”

“Perché dovrei?”, rispose, con la stessa calma che l’altro aveva usato poco prima.
Con un verso frustrato Sariel lo spinse sul letto. “No…”, mormorò. “Non ci credo…”

Tutti i suoi piani erano andati in fumo…
Belial, per forza di inerzia, si lasciò cadere sul materasso. Puntellandosi sui gomiti si sollevò, quel tanto che bastava, per osservare l’angelo. Era immobile, quasi pietrificato, ma avvertiva il suo animo agitarsi come una bestia in gabbia. Delusione, disperazione, panico.
“Sarà un bel problema tornare a casa eh?”, chiese, sarcastico. “Insomma, volevi tornarci da Dio e ci torni da reietto…”
“Taci!”

Belial rise sommessamente. “Povero piccolo angelo che ha paura di tornare a casa… Cosa farà ora?”
Sariel socchiuse gli occhi. “Quel che farò non sono affari tuoi. Io e te abbiamo finito. A mai più rivederci, Belial”, disse, avvicinandosi alla porta-finestra che dava sul balconcino, dall’altra parte della stanza, spalancandola.

Belial si morse nervosamente un’unghia. Di nuovo l’allontanarsi di Sariel gli aveva fatto l’effetto di un cerotto che veniva strappato con violenza.
Si rese conto che buona parte del benessere che aveva provato al risveglio derivava dalla vicinanza dell’angelo, che le fitte alle ossa e allo stomaco accennavano a ricomparire. Il suo organismo aveva attinto al potere dell’angelo per sopperire ai suoi bisogni. Era bastato che si allontanasse di qualche metro perché la fame e la stanchezza tornassero a fargli visita. Era stato bello dimenticarsene, per un po’...
“Fermo…”, mormorò. Non poteva lasciaro andare senza tentare.
Sariel si fermò. “Cosa?”, chiese, sbrigativo.

Belial socchiuse gli occhi, leccandosi le labbra. “Dove vuoi andare? Tornare in paradiso è un rischio, resta qua…”, soffiò, malizioso, avvicinandosi a lui. “Abbiamo appianato le nostre divergenze no? Potremmo fare una bella squadra io e te…”, mormorò, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Lo sentì esitare, e per un istante si illuse che avrebbe accettato; ma poi Sariel lo afferrò con forza per le braccia, stringendo fino a fargli male. Trattenne il respiro, aspettandosi il dolore violento della sera primaa. Quella volta però l’angelo si limitò a spingerlo via.
“Il fatto che non voglia più torturarti non significa che non pensi più che ti meriti cose ben peggiori di quelle che ti ho fatto io.”

Quelle parole furono pronunciate in tono tanto tagliente che Belial indietreggiò di un passo, istintivamente, quasi l’avesse colpito fisicamente. “D’accordo, allora vattene”, ringhiò orgoglioso. “Vai, torna dagli angeli, chissà che non ti strappino le ali e ti rispediscano sulla terra come hanno fatto con me! Magari potrei trovarti in qualche schifoso strip con un paio di ali finte a farti infilare le mance nel perizoma da cinquantenni arrapate!”

“Forse succederà così. Ma come ho già detto, non è affar tuo”, ribattè Sariel. Uscì sul balcone e saltò oltre la ringhiera.
Belial fece in tempo a vedere solamente un balenio di ali dorate, prima che svanisse nel nulla.
Raggiunse la finestra, sbattendola con un verso di frustrazione.

Si guardò attorno.

Era tutto così deprimente…

Tornò al suo comodino, riattaccando il telefono e risollevandolo l’attimo dopo, componendo un numero.
Aveva un lavoro da riprendersi a quanto pareva….

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Lei sarebbe venuta.
Doveva prendere l’auto dopo il lavoro e quel parcheggio aveva una sola uscita. Le avrebbe fatto vedere…

Strinse le dita sulla pistola che aveva nella tasca della felpa logora, scrutando la strada da sotto al cappuccio.
Un colpo e via, si disse.

Un colpo e via…

“Io non lo farei.”

Josh sobbalzò, voltandosi di scatto. “Chi… Chi cazzo sei?”, esclamò. L’uomo che si trovò di fronte aveva qualcosa di strano. Inquietante.

“Un albino”, pensò; non ne aveva mai visto uno. E a pensarci bene non aveva mai nemmeno visto un uomo con i capelli tanto lunghi…

“Fare che cosa?”, chiese, facendo lo gnorri. Era impossibile che quel tipo sapesse…
“Cristina”, rispose Sariel, freddamente, avvicinandosi. “Lasciala stare.”

Josh sgranò gli occhi e deglutì. “Cosa… Come… Ti ha mandato lei?”, tirò fuori la pistola dalla tasca, puntandola contro lo sconosciuto.

“No, non mi ha mandato lei, ma è molto meglio per entrambi se metti via quell’affare.”

Josh a quel punto fece una smorfia. “Meglio? Meglio per entrambi? Quella troia mi ha mollato, so io cosa è meglio per lei!”, esclamò, agitando l’arma. “Una bella punizione, ecco… Devo punirla!”

"Uccidendola?"
"Se non posso averla io... Non la avrà nessuno!"

Sariel si passò una mano sul viso. Quanto si erano instupiditi gli umani...
Si mosse, avvicinandosi, forse troppo veloce perché l'uomo, spaventato, non reagisse.

Fu il boato, piuttosto che il dolore, a fargli capire che quel disgraziato gli aveva sparato. Abbassò lo sguardo, sul lato sinistro del maglione si stava allargando a vista d'occhio una macchia scarlatta. "Questa non ci voleva..." sospirò. Non era tanto la ferita a preoccuparlo, col suo fattore di guarigione avrebbe smesso di sanguinare in una decina di minuti al massimo, quanto gli abiti. Doveva procurarsene altri o presto gli sarebbe toccato girare nudo...

Annullò la distanza tra lui e Josh, che aveva cominciato a tremare ed era impallidito come un cadavere, appoggiandogli una mano sulla spalla ed afferrando la canna della pistola con l’altra. "Stammi bene a sentire ora. Dimenticati di Cristina, lasciala in pace, vattene a casa a riflettere sull'abnorme colpa che stavi per commettere e incomincia a far funzionare il cervello e farci entrare il concetto che le donne non sono oggetti di tua proprietà e forse un giorno troverai la serenità."

Josh lasciò la presa sulla pistola indietreggiando di colpo. Arretrò fino a scontrarsi con il muro, guardandolo come una lepre terrorizzata, prima di voltarsi e correre via.

Sariel lo seguì con lo sguardo, mentre l’arma si sgretolava, diventando polvere. In qualche minuto il suo ricordo sarebbe svanito dalla mente del ragazzo, ma il concetto che gli aveva inculcato no.
Si appoggiò al muro del parcheggio. Stavano arrivando delle persone, impiegati che uscivano dal lavoro. Se non fosse intervenuto lui, quel disgraziato avrebbe potuto fare una strage. Lasciò passare alcune persone, allungando appena la mano per sfiorarne un paio, che avevano l’animo più turbato di altri, fino a trovare Cristina. Le prese il polso, tirandola a sé.
La ragazza gemette sorpresa, nel ritrovarsi tra le braccia di uno sconosciuto, tuttavia il suo terrore svanì subito…
Sariel le accarezzò i capelli, calmano il suo animo in tumulto, quella ragazza era a pezzi. “Tranquilla”, mormorò. “Il tuo ex non ti tormenterà più”, le sussurrò, prima di lasciarla.
Cristina si allontanò di un passo, poi annuì, come in trance, voltandosi e raggiungendo la sua macchina.
Anche lei, come il ragazzo, non si sarebbe ricordata di averlo incontrato. Ecco, forse si sarebbe chiesta come aveva fatto a macchiarsi la camicetta a quel modo… ma per il resto, nient’altro l’avrebbe turbata.

Sariel si appoggiò di nuovo al muro, aspettando che il dolore della ferita si attenuasse un poco, e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì il parcheggio era deserto, solo una Mustang nera era rimasta lì. Qualche stacanovista, probabilmente…

Sospirò, sarebbe rimasto ad aspettare, tanto non aveva altro da fare; passava le giornate così, camminando tra la gente, proteggendoli e confortandoli senza che se ne rendessero conto. Era qualcosa che lo faceva sentire utile; decisamente molto più utile di quanto si sentisse in paradiso, da quando…

Socchiuse gli occhi, mentre i suoi pensieri si interrompevano bruscamente. Si era reso conto di quanto fosse silenzioso quel posto. Troppo silenzioso.

Il suo sguardo seguì una lattina che rotolava, spinta dal vento, senza emettere alcuno rumore. Sospirò pesantemente, un sospiro aspro e secco, voltandosi.
Non fu una sorpresa trovarsi davanti un altro angelo. Loro erano le uniche creature capaci di creare simili bolle di silenzio. “Raziel”, disse, a mo’ di saluto.

Il nuovo arrivato aveva l’aspetto di un ragazzino. Morbidi ricci biondi gli circondavano il viso, sembravano quasi vivi, scendendo ribelli fino ai fianchi stretti da adolescente. “Sariel”, rispose freddamente, aggrottando la fronte in un’espressione che avrebbe dovuto apparire minacciosa. In realtà, con le labbra delicate e i grandi occhi viola, sembrava una graziosa bambola di porcellana a grandezza naturale.

Sariel fece il gesto istintivo di infilare le mani in tasca, ricordandosi solo in un secondo momento che il suo cappotto era rimasto a Belial. Sospirò di nuovo. “Ho la spiacevole sensazione di conoscere la risposta, tuttavia ti farò lo stesso questa domanda. Cosa porta un Cherubino sulla terra?”
“Due, per la precisione.”
Una voce femminile alle sue spalle lo corresse.
Sariel voltò appena la testa, gettando un’occhiata all’indietro. Vicino alla Mustang ora era apparsa una seconda figura. Bella quanto Raziel, con la stessa acerba grazia da adolescente, stava un secondo angelo. “Hariel”, lo stesso informale saluto. “Riformulo la domanda, allora. Che cosa vogliono due Cherubini da me?”

Hariel si mosse, raggiungendo il secondo Cherubino. L’unica differenza tra i due erano i capelli, quelli di lei erano di un nero corvino, lucidi come onice, raccolti in una lunga treccia che sfiorava quasi terra. “Ci manda Lehael. Non sta bene che una Virtù abbandoni i propri ranghi, specie in un momento così delicato. Vuole che ti scortiamo a casa, Sariel, per una chiacchierata informale”, rispose.
“E’ ovvio”, aggiunse Raziel. “Che questa chiacchierata informale verrà seguita da un processo, vista questa diserzione, Ma Lehael ha detto di farti sapere che se torni di tua volontà e questa fuga non è legata ad altre infrazioni, ti perdonerà, come ci ha insegnato nostro Padre.”

Una donna, la proprietaria della Mustang, passò loro accanto, senza il minimo rumore, senza notarli. Salì in auto, mise in moto e partì, nel più assoluto silenzio.

Sariel piegò le labbra in un sorriso nervoso. Altre infrazioni…

Quel che voleva fare avrebbe stravolto il paradiso, si poteva definire infrazione?
In ogni caso non era certo il timore di una punizione che lo frenava…

“Non ho intenzione di seguirvi”, disse. “Non ho più nulla da fare lassù, nulla”, non era preoccupato, i Cherubini non erano guerrieri, più che alzare la voce non avrebbero fatto.

A quel punto Hariel si fece scura in volto. “Proprio nel momento in cui dovremmo essere uniti tu ci volti le spalle e te ne vai?”

“Che altro potrei fare lassù? Asciugare le vostre lacrime e quelle dei Serafini mentre piangete qualcuno che potrebbe avervi abbandonato?”, si pentì quasi subito di aver usato un colpo tanto basso, l’espressione dei due angeli divenne terribilmente addolorata, per un attimo, poi entrambi si ricomposero.

“Passeremo sopra alla tua lingua lunga, soldato, se verrai con noi, adesso!”, sibilò Hariel, pronunciando la parola ‘soldato’ come fosse un insulto. La gerarchia angelica non era diversa da quella umana in fondo, la bassa manovalanza, i guerrieri e i nobili. E da colti letterati quali erano i Cherubini mal sopportavano le insolenze delle legioni guerriere.
Sariel inspirò lentamente. “No”, disse, chiaro e tondo.
“E’ la tua ultima parola?”
“Esatto.”
“Non volevamo arrivare a tanto, Sariel”, sospirò Raziel. “Ma non ci lasci scelta…”

La Virtù sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando, alle spalle dei due, fece la sua comparsa una terza figura, molto più alta, completamente nascosta da una pesante armatura.

“Avete addirittura scomodato i Troni?”, mormorò a quel punto, a disagio.
I Troni erano la guardia personale di Dio, Si contavano sulle dita di una mano, ma erano abbastanza potenti da essere temuti dagli eserciti di Lucifero. La sicurezza personale del Creatore, in poche parole…

Il guerriero brandiva una grande spada dorata; solo l’elsa, pensò Sariel, era grande come la sua testa. Quelli volevano riportarlo indietro e basta, se intero o a brandelli sembrava non importare.
Istintivamente richiamò a sé la propria spada, che prese forma velocemente,  sollevandola a sua volta.

“Vuoi davvero attaccaci?”, la voce di Raziel era secca, aspra. “Quale imperdonabile oltraggio!”
“Difendermi, non attaccare”, rettificò Sariel. “E’ diverso, se ve ne andate nessuno si farà male.”
O meglio, lui non si sarebbe fatto male, dubitava di riuscire anche solo a scalfire quel colosso. Il suo sguardo saettò da un lato all’altro del parcheggio, se fosse riuscito a trovare un assottigliamento, una porta per il limbo, forse sarebbe potuto fuggire.
Non ci sarebbe tornato di sua volontà in paradiso, era poco ma sicuro….
Non ebbe tempo di pensare ad altro, l’angelo guerriero si scagliò contro di lui con una velocità sorprendente...

                                 

                                         *                      *                       *                         *

 

Belial scese dalla moto, strofinandosi le braccia, si era congelato lungo il tragitto. La giacca di jeans aveva fatto il suo dovere quell'autunno, ma in notti come quella, dove le temperature sfioravano lo zero, gli serviva qualcosa più...

"Dovresti mettere il casco"
Belial sbuffò, lanciando uno sguardo alla donna che, nonostante il completo di pelle più che aderente, stava scendendo con agilità dalla moto a sua volta.
"Da quando ti preoccupi per la mia incolumità, Zy?"
Zydra si mise a ridere. “Non per la tua, per la mia, quei cazzo di capelli hanno tentato di strangolarmi ad un certo punto, giuro!”, esclamò.

Belial sbuffò di nuovo, divertito, passandosi una mano tra i lunghi capelli per districarli un po'. "Andiamo", disse, tenendole aperto il portone dello stabile. "Ultimo piano", aggiunse.
La lasciò passare, salendo le scale dopo di lei; nel farlo in suo sguardo venne inevitabilmente attratto dalle curve fasciate di pelle che ondeggiavano invitanti ad ogni scalino. Come ogni suo altro appetito, la lussuria reclamava il suo pasto…
Arrivati all’ultimo piano Zydra lo prese per un braccio, spingendolo contro la porta dell’appartamento, senza dargli il tempo di aprirla, avventandosi sul suo collo come un predatore, mordendolo e leccandolo.
Donna selvaggia…

Dal sesso con lei non ne usciva mai senza graffi o morsi, era per quello che gli piaceva.
“Ti ho già presentato la mia vicina?”, sospirò, notando l’occhio vigile della megera sbucare da  uno spiraglio dell porta.
"La vecchia bigotta?", sussurrò lei, divertita, al suo orecchio, sfiorandogli un fianco con le unghie.
"Proprio lei", ansimò Belial di rimando.
Zydra a quel punto fece un sorriso maligno. "Sta a vedere...", disse, slacciandosi la giacca di pelle. Si voltò con uno movimento repentino verso l'anziana e la aprì di scatto, rivelando tutto quello che la natura le aveva fornito, dato che al di sotto non portava nulla.
La vecchia cacciò uno strillo inorridito e chiuse la porta di scatto. Dall'inter dell'appartamento iniziarono a giungere rumori di trascinamento, come se stesse spostando dei mobili contro la porta.
Belial a quel punto appoggiò la nuca alla porta dietro di sé, scoppiando a ridere.
Zydra sorrise a sua volta. "É bello vederti ridere finalmente" disse, quando si fu calmato. "Non sei mai stato l’anima della festa, certo.... Ma negli ultimi giorni non ti ho visto sorridere una sola volta… Per gli affari era una manna, così ombroso eri ancora più sexy, ma non mi piaceva vederti così abbattuto."
Belial riprese fiato, chiudendo gli occhi. Già, la prospettiva di quella vita dannata e senza fine lo aveva spezzato, ma al contrario degli umani lui non poteva semplicemente spararsi un colpo in testa e farla finita. Doveva trovare un motivo per andare avanti, muovere il culo e smetterla di deprimersi. Era per quello che aveva invitato Zydra quella sera. Il sesso era la cosa migliore di quel mondo, goderselo aiutava a vedere le cose meno nere. Grigio fumo di Londra magari, ma meglio di nulla.
"Guarda che potevi anche farne a meno" , sospirò con un velo di delusione,  vedendola riallacciare la giacca.
"Tzé. É la prima volta che mi inviti a casa tua, ho intenzione di prendersela molto comoda...", rispose lei, con un sorriso perverso, tirando la cerniera fin sotto la gola.
Belial sospirò, aprendole la porta e facendola entrare; lasciò che curiosasse in giro, mentre si sfilava la giacca.  Del resto la curiosità era femmina, più di una volta si era preso delle anime importanti, sfruttando quel difetto, quando ancora era...

Il flusso dei suoi pensieri si interruppe quando si accorse che Zydra lo stava fissando. "Che c'è?" indagò.
La donna fece un cenno della testa. "Quello non é tuo."
Seguendo il suo sguardo Belial si voltò, capendo al volo a cosa si riferisse; sull'appendiabiti, accanto alla giacca che aveva appeso, stava il trench nero che gli aveva lasciato Sariel. "Come fai a dirlo?"
"Ad occhio é una taglia in più rispetto a quella che porti tu", rispose lei, avvicinandosi e prendendolo per vederlo meglio. "Si, decisamente. Sei sexy come nessun altro, Ares, ma non sei così statutario, il proprietario di questo probabilmente ti supera di quindici centimetri buoni e ha due spalle da giocatore di football."

"Che occhio" sbuffò Belial, leggermente risentito, togliendoglielo di mano e lanciandolo di nuovo sull'appendiabiti.
"Di chi e?"
"Di... Di un tizio", borbottò Belial in risposta. Era quello il problema, rispondere a quel modo aumentava la curiosità dell'altra, ma rispondere sinceramente... Nel migliore dei casi lei lo avrebbe preso per scemo, oppure avrebbe creduto che la stesse prendendo in giro. In tal caso l'avrebbe preso a pugni...
"É a causa sua che non sorridi più?"
Belial si appoggiò al muro, guardandola pensieroso. "Possiamo dire così", sospirò infine. Tutto quello che si era scatenato era strettamente legato a Sariel...
A quel punto Zydra lo prese per mano, tirandolo verso l'unica porta visibile. "Vieni, basta chiacchiere", tagliò corto.
Non voleva vederlo abbandonarsi di nuovo alla malinconia. “Comincia a spogliarti bello mio…”, disse maliziosa, spingendolo sul letto.

Belial si lasciò cadere a peso morto sul materasso, poi con un sorriso languido si stiracchiò pigramente, sfilandosi il maglione e lanciandolo via. “Accomodati.”

Zydra non si fece pregare; si arrampicò sul letto, sedendogli comodamente a cavalcioni. “Vediamo… cosa potrei fare stasera…”

“Ormai è mattina, Zy”, la rimbeccò il moro.
Per tutta risposta la donna gli pizzicò un fianco. “L’insolenza ragazzo mio, l’insolenza…”, si chinò per leccargli un’orecchio. “Sei un cattivo, cattivo ragazzo…”

“Come se ti dispiacesse, mammina”, fu la risposta pungente che le giunse.
A quel punto scoppiò a ridere, abbassando lentamente la cerniera della giacca con una mano, accarezzandogli il petto con l’altra. “Pervertito… Oppure maleducato, mi stai dicendo che sono vecchia?”
Quella volta Belial si limitò a soffocare una risatina.

A quel punto però si fermò. “Anche se a volte, mi chiedo a chi tu stia pensando…”, spinse le unghie a fondo, senza ferirlo, ma abbastanza da fargli male. Ne era certa, di tutte le volte che lo aveva avuto sotto di sé - o sopra -, non ce n’era stata una in cui il moro avesse pensato a lei.

Belial socchiuse gli occhi. Non tutti se ne accorgevano in realtà, ma spesso, tornava con la mente a vecchi ricordi, crogiolandosi nell’illusione. Per quello sceglieva sempre partner con la tendenza a dominare, perchè era più facile. Perchè gli ricordavano Lucifero...

“Se te lo dicessi…”, sospirò, ma non riuscì a finire la frase, il resto delle sue parole venne coperto da uno schianto disumano; legno e schegge di vetro schizzarono da tutte le parti.
Belial soffocò un’imprecazione, balzando giù dal letto, rischiando di ribaltare Zydra.

Anche senza vederlo, sapeva perfettamente chi fosse quel bolide che gli aveva appena sfondato la finestra.

Si fermò un attimo, colto alla sprovvista. Era un bene che ormai conoscesse più che bene la vibrazione dei poteri di Sariel, perchè altrimenti avrebbe faticato a riconoscerlo. Tutto quello che la sua mente registrò fu un ammasso di capelli e abiti insanguinati, aggrovigliati in un mucchio scomposto di piume dorate che andavano dissolvendosi.

Sollevò lo sguado. Zydra stava fissando lo stesso spettacolo con gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta. Sentendosi osservata sollevò la testa. “C..cosa?”, balbettò, confusa “Siamo al quinto piano, come…?”.
Belial le concesse un attimo, insomma, era una donna forte ma vedersi piombare un angelo moribondo in camera non era cosa da tutti i giorni.
Alla fine le schioccò le dita davanti al viso. “Spiegazioni, dopo.”, disse asciutto. “Adesso dammi una mano a tirarlo su.”

Zydra sbattè le palpebre. “Per portarlo dove?”, chiese.
Belial guardò verso il balconcino. Per un solo attimo gli balenò la tentazione di trascinarcelo e lanciarlo di sotto, ma poi lasciò perdere. “Di là, nella vasca da bagno, così la smette di sanguinarmi in giro.”, concluse, afferrando l’angelo per un braccio.

Zyda fece altrettanto, dall’altro lato; a quel punto Sariel gemette debolmente. “Oh, evviva, sei ancora vivo…”, sibilò sarcastico Belial, trascinandolo in bagno e buttandolo con poca grazia nella vasca; poi si appoggiò sbuffando al lavandino. “Zy, per favore, va di là, cerca di sbarrare quel che rimane della mia ex finestra, meglio che puoi”.”
“Ma…”

“Dopo.”
“Da dove...?”
“Ho detto dopo…”

“Forse dovremmo chiamare un medi…”
A quel punto Belial la guardò, senza bisogno di parlare. Bastò quello sguardo a farle capire che era meglio non insistere.

Si ritirò, chiudendosi la porta alle spalle.

A quel punto Belial sospirò di nuovo, afferrando il soffione della doccia ed aprendo l’acqua gelata, dirigendo il getto verso il viso dell’angelo, che trasalì, tossendo con violenza ed aprendo gli occhi di scatto.
O meglio, un’occhio, l’altro era talmente pesto che dubitava lo avrebbe riaperto tanto presto.

“Bensvegliato”, disse brusco Belial, chiudendo il getto.
Sariel lo guardò ansante, mettendolo a fuoco con molta fatica. “Belial…”, ansimò, sofferente. Ci vedeva doppio e, per un attimo, si fece di nuovo tutto buio.

“Ehi, ehi!”, ringhiò Belial, afferrandogli il viso con forza. “Non ti azzardare a svenire di nuovo, occhi su di me!”, lo spronò. “Guardami, angelo, e dimmi, chi ti ha ridotto così e soprattutto se ti hanno seguito!”

“Troni”, biascicò Sariel, aggrappandosi al suo braccio. “No, non sono riusciti a seguirmi, sono qui perchè mi serve un posto dove nascondermi…”

“Oh, guarda guarda, e all’improvviso adesso ti faccio comodo?”

Sariel reclinò la testa all’indietro, lasciando ricadere le braccia. “Mettila pure così, se vuoi”, rispose.

Belial aprì di nuovo l’acqua, giusto per assicurarsi che rimanesse cosciente, ignorando i flebili mugolii sofferenti dell’angelo. “Mi servono dettagli, che cosa volevano i cani da guardia del paradiso da te?”.
Era inquieto, voleva essere sicuro che nessuno sapesse dove fosse. Angeli e demoni, li voleva alla larga da lui, dato che aveva tanti nemici, da entrambe le parti.

“Volevano che tornassi con loro a casa, in paradiso.”
“Oh, poverino, che tragedia.”

A quel punto Sariel spalancò di nuovo l’occhio, fissandolo intensamente. “Io non ci voglio tornare…”, mormorò.
E lo disse con una tale disperazione che per Belial fu impossibile non sentire, nel profondo del suo animo, un moto di compassione. Sentimento che credeva inaridito ormai da tempo…

Gli lasciò cadere addosso il soffione della doccia: “Datti una sistemata”, disse.

“Co...Cosa?”

“Una sistemata, angelo, datti una sistemata, cerca di smettere di sanguinarmi in giro e tirati fuori di lì, vorrei farmi una doccia, prima di andarmene a dormire”, tagliò corto, uscendo dal bagno.

Una volta fuori si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi contro di essa, con un sospiro.
Zyra gli lanciò un’occhiata, stava raccogliendo i vetri con una scopa. “Ho chiuso le imposte esterne e ci ho fissato una coperta, per oggi eviterai il congelamento, ma è meglio che chiami qualcuno a fartele sistemare”, disse, appoggiando la scopa di lato e prendendo un secchio. “Sanguina parecchio il tuo amico, sicuro che non è il caso di chiamare aiuto?”, chiese, guardandolo di sottecchi, mentre passava uno straccio per terra.
“Si.. No.. Voglio dire, grazie. Ma non è necessario”, rispose Belial, passandosi le mani tra i capelli. “Non è mio amico.”

Ci fu un lungo ed imbarazzante momento di silenzio.

“So che vorresti delle risposte Zy, ma fidati, non mi crederesti.”

“Provaci”

Belial si morse il labbro inferiore, pensieroso, poi scrollò le spalle. Per quel che importava. “Il tizio nella mia vasca da bagno è un angelo, io sono un demone esiliato sulla terra da Lucifero per aver cercato di arrivare al suo livello, in sostanza. Non vuole tornare in paradiso così i Troni, degli angeli grossi e maneschi lo hanno conciato per le feste.”, riassunse. “E tu non credi ad una sola parola, vero?”, aggiunse, notando lo sguardo della donna.
“Esattamente”, sospirò Zydra. “Ma dovevo aspettarmelo, troppo ficcanaso, vero?”, chiese, lasciando lo straccio e stiracchiandosi. “Io vado, fammi sapere qualcosa…”, aggiunse poi.

“Zydra...”

“Si?”

“Grazie, di tutto.”

La donna infilò le mani nelle tasche della giacca. “Dimmi solo…E’ il proprietario del trench?”

Belial annuì: “Ma non è come credi”, aggiunse.
“No, certo.”

Il moro a quel punto non rispose. Le fece solo cenno di andare, era inutile continuare a parlarne, La donna non se lo fece ripetere, uscì dall’appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.

Belial  sospirò, finendo di sistemare la camera. Avrebbe dovuto chiamare qualcuno che gli riparasse la finestra e, in quel postaccio, gli sarebbe costato una fortuna.
Forse gli sarebbe convenuto murarla e basta, tanto per l'uso che ne faceva...
Almeno il prossimo angelo ci si sarebbe schiantato contro, come un cartone animato. Quel pensiero gli strappò un sorriso, giusto per un attimo.
Quando ebbe finito tornò in bagno.
Sariel era riuscito a sfilarsi i vestiti, che ormai erano stracci zuppi e insanguinati, e a buttarli fuori dalla vasca; poi si era chiuso su sé stesso come un riccio stringendosi le ginocchia al petto ed appoggiandovi la testa.
"Grazie tante Sariel..." borbottò, raccogliendo i vestiti e gettandoli nel lavandino, afferrando uno straccio per asciugare il pavimento; poi si appoggiò al bordo della vasca. Lasciò correre lo sguardo sulla schiena dell'angelo, delle ferite di prima rimaneva ben poco. "Le virtù guariscono in fretta eh?", disse sarcastico, ricevendo in risposta nient'altro che il silenzio. Non che si aspettasse qualcosa di diverso. Era quasi guarito, certo, ma per farlo doveva aver dato fondo ad ogni briciola di energia.
Si avvicinò, inginocchiandosi accanto alla vasca e recuperando il soffione della doccia dalla spanna di acqua scarlatta che si era raccolta sul fondo.

Sentì la nuca prudere, sollevando lo sguardo incrociò quello dell’angelo, colmo di sospetto. “Che vuoi?”, sbottò. “Te l’ho detto, devo farmi una doccia. Ringrazia che ti faccio restare invece che guardarmi così”.
E per sottolineare le sue parole gli aprì il getto dell’acqua dritto in faccia. E insomma!

Sariel tornò a ripararsi, con un borbottio indefinito, lasciando che l’altro facesse quel che voleva.

Belial lo avrebbe volentieri lanciato fuori dalla vasca. Ma era esausto, aveva avuto una serata pesante, aveva anche rischiato di prendersi una pestata dai leccapiedi del padrone di casa perchè era in ritardo con l’affitto e la sua casa era già un disastro così. Non gli serviva un angelo che gli spargesse in giro altra acqua o sangue.

Solevò il getto per sciacquarlo, persino i capelli candidi erano incrostati e zuppi di sangue. “Allora”, disse, giusto per fare conversazione. “I troni eh?”
“Già”, rispose Sariel quella volta.
“E come hai fatto a seminarli?”

“Ero un angelo. Sono più avvezzo di chi è sempre stato un combattente a trovare e sfruttare i passaggi da questo mondo al limbo e viceversa…”

“Capisco… E come mai hai deciso di venire a sfondare proprio la mia finestra?”, continuò Belial, chiudendo l’acqua, dopo aver sciacquato la vasca.

“Ho corso il rischio. Persuadere qualche umano a nascondermi avrebbe richiesto tempo…. energia… Senza contare che avrei potuto lasciare una traccia….”

Belial a quel punto chiuse l’acqua. “Quindi andiamo tutti da Belial, il ripiego!”, sbottò, prendendo l’asciugamano più grande che aveva e lanciandoglielo in testa. “Fuori di lì, muoviti.”

Sariel si strinse nel telo, digrignò i denti. Farsi trattare a quel modo...
Ah! Che voglia aveva di rispondergli. O meglio ancora, farlo tacere. Ma non poteva. In primo luogo non aveva la forza di reagire, troppa quella che gli era servita ad ultimare il processo di guarigione. In secondo luogo... Beh, sempre per quel motivo, non poteva rischiare di contrariare quel demonio. Aveva puntato tutto sul fatto che Belial sembrava desiderarlo, ma aveva anche avuto prova del suo orgoglio, in precedenza. Una parola sbagliata e il diavolo lo avrebbe cacciato, ne era certo. Aveva bisogno di un posto sicuro dove recuperare le forze, per quello sopportava; fece forza sulle braccia per uscire, ingoiando l'ennesima risposta seccata quando l'altro lo spinse fuori dal bagno in malomodo.

Rimasto solo Belial fece un respiro profondo. Bene. Prefetto.
“Perfetto un cazzo", sibilò tra i denti, slacciandosi i jeans e sfilandoli con un moto di stizza. La sua casa era un disastro, il suo umore era tornato ad essere nero ed aveva un cazzo di angelo nella stanza accanto. Un angelo che prima lo aveva fatto a pezzi -fisicamente e mentalmente-, che quando aveva capito che non poteva essergli utile lo aveva disprezzato ed accantonato. Ed ora  gli stava dando asilo?

Doveva essersi rincoglionito.
Aprì l'acqua bollente, lasciandola scorrere per sciacquare la vasca e lasciare che la stanza si riempisse di vapore. Si specchiò, osservandosi mentre il vetro si appannava lentamente. Non sembrava avere riportato troppi danni. Tzè, pestaggio… Quei due che lo avevano aggredito fuori dal locale dovevano prendere qualche lezione sui come si picchiava qualcuno. E anche procurarsi un paio di testicoli nuovi, visti i calci che Zydra aveva rifilato loro, quando era intervenuta….
Indugiare in quei pensieri servì a scacciare Sariel fuori di essi per un poco. Il suo orgoglio stava prendendo a testate il pavimento, avrebbe dovuto lanciarlo fuori, ma lo desiderava così tanto...
Finì di spogliarsi e si infilò sotto il getto bollente, c’era poco da fare o da negare.
Lo desiderava dalla prima volta che lo aveva visto.

Rimase sotto il getto bollente per dieci minuti buoni, senza fare nulla, poi si lavò velocemente ed uscì, stringendosi nell’accappatoio. Si legò i capelli in una coda bassa, rendendosi conto di quanto quella routine gli fosse ormai familiare. C’era voluto un angelo, perchè si rendesse conto di tutto quello.
Uscendo dal bagno si rese conto del drastico cambio di temperatura. Si gelava lì!
Si rese conto anche di una seconda cosa, mentre si infilava al volo una tuta pesante, Sariel era più o meno svenuto sul suo letto.
Daccordo che doveva essere stanco, ma almeno chiedere…
Si avvicinò, l’angelo si era preso due terzi buoni del materasso, arrotolandosi alla meglio nelle coperte.
“Grazie tante, Sariel”, sbuffò di nuovo.

Magari poteva scassinare l’appartamento accanto e dormire lì.
…. Nah.
Non aveva voglia sinceramente, senza contare che era certo di aver sentito l’amante del tizio proporre di cambiare le lenzuola, almeno una volta al mese. Non voleva nemmeno pensare a che cosa ci fosse in quel letto.
Sbuffò, raggiungendo il proprio giaciglio e sistemandosi sul bordo. Quel briciolo di dignità che gli era rimasta gli impediva di avvicinarsi oltre all’angelo.

O almeno glielo impedì fino al momento in cui una folata di vento fece ondeggiare le imposte.
Fanculo”, pensò, voltandosi e raggomitolandosi contro Sariel. Il suo potere era flebile, ma era sufficiente ad avvolgersi attorno alle sue dita, quando appoggiò una mano sul suo petto. Bastò quel gesto a far sparire il gelo che lo attanagliava.
Avvolto da un piacevole torpore si addormentò, convinto che tanto si sarebbe svegliato molto prima dell’angelo e che nessun’altro, a parte lui, avrebbe mai saputo di quell’attimo di debolezza...

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Pietra.

Era la prima parola che gli era venuta in mente.
Sariel riprese lentamente coscienza del suo essere, inspirò lentamente, aprendo le palpebre.

Pietra.

Si sentiva come se ogni suo arto, ogni giuntura, si fosse trasformato in pietra.

Riprese coscienza del proprio corpo, lentamente, fino ad essere consapevole di ogni sua cellula; poi la sua consapevolezza si estese alla stanza, alle pareti che aveva attorno.

E a qualcos'altro.

Sollevò leggermente la testa, fissando la mano di Belial appoggiata al proprio petto.

E no eh!
D’accordo, era praticamente strisciato da lui in cerca di aiuto... Ma a tutto c'era un limite.  Quasi scottasse prese la mano dell’altro con la punta delle dita e la spostò con poco garbo.
Lo sentì lamentarsi appena e agitarsi nel sonno; sospirò lentamente, voltando la testa per guardarlo. Si era rannicchiato contro di lui, quasi avesse freddo. Il suo sguardo si spostò sulla finestra, poi di nuovo su Belial. In effetti -forse- poteva avere davvero freddo...
Indugiò sull'espressione del diavolo, leggermente corrucciata; le sue palpebre fremevano lievemente, segno che stava sognando.

Buffo.

Angeli e demoni non dormivano mai, quindi non sognavano. Capitava che entrassero in uno stato di stasi, come era appena successo a lui, dopo un grande dispendio di energie, ma era come un grande buco nero, in quel caso.
Chissà, visto che ormai per buona parte era umano, forse per Belial era diverso...
Quando era un angelo aveva violato i sogni di molta gente, era il modo più efficace per confortarli o scatenare sensi di colpa. Era il suo metodo preferito, più semplice, più diretto. E poi gli piaceva indugiare sul mondo onirico che i mortali riuscivano a creare.
Serrò le labbra, mentre la curiosità iniziava a pungolarlo. Che cosa sognava un ex diavolo? Morte? Distruzione?
Allungò il braccio fino ad appoggiare la mano sulla nuca dell'altro, poi chiuse gli occhi. Era un po' arrugginito, non lo faceva da secoli, eppure non ci mise molto a trovare la sintonia. Quando riaprì gli occhi era dentro la mente di Belial. Il luogo gli era sconosciuto, un salone elegante, sfarzoso, ovunque oro e gemme in quantità tali da far dolere lo sguardo, dal tanto che brillavano. Non aveva i contorni riverberanti che avevano a volte i luoghi onirici, segno che quel luogo era reale, e non inventato, e che Belial ne aveva un ricordo molto nitido. Attorno a lui corpi di uomini e donne dai volti sfocati, avvinghiati gli uni agli altri, a volte anche a gruppi di tre o più.
No, si corresse, tentatori, incubi e succubi, creature di Lucifero. Erano talmente annebbiati, talmente in secondo piano, che ci aveva messo qualche istante a notare le code, gli artigli e le grandi corna ritorte.

Sesso. Nei sogni di Belial. Non era una sorpresa.

E in mezzo ad essi, in fondo alla sala, una figura  in netto contrasto con gli esseri che lo attorniavano; adagiato su grandi cuscini color zaffiro stava la creatura più bella che avesse mai visto. Lunghi capelli dorati creavano un contrasto meraviglioso sul blu scuro dei cuscini, lo stesso contrasto che il visto dai lineamenti regolari e decisi creava con le labbra piene, dalla curva sensuale, e con gli occhi, orlati da folte ciglia scure. Occhi che sembravano racchiudere nell'iride tutti i colori del tramonto. Era nudo dalla cintola in su e due delle succubi gli stavano avvinghiate addosso, contendendosi ogni centimetro di quella pelle ambrata.
Era bellissimo. E lo stava fissando.
Sariel si rese improvvisamente conto che, sì, quella creatura lo stava fissando intensamente. Era impossibile, eppure sentiva quello sguardo addosso; avvertì un leggero formicolio alla nuca; era come se, solamente guardandolo, quella creatura fosse venuta a conoscenza di tutti i suoi segreti più reconditi.

Il formicolio divenne una sensazione di gelo, che si snodava lungo tutta la sua colonna vertebrale, quando questi sollevò il braccio e gli fece segno di avvicinarsi. "Non stare lì impalato, sai che ti voglio, non farmi aspettare..."
Per qualche istante fu come se tutto fosse reale; poi si ricordò chi era e cosa fosse quel luogo.  Quella ritrovata consapevolezza gli ricordò che lui non era altro che un'ombra, lì, e allo stesso tempo gli suggerì chi potesse esse la creatura dalla voce suadente. Lucifero.
Ne ebbe la conferma spostandosi e voltandosi, alle sue spalle infatti stava Belial.
Belial come lo ricordava, il corpo snello fasciato di cuoio e pelle, in alcuni punti schizzato di sangue, i lunghi capelli spettinati che gli circondavano il viso come una criniera e lo sguardo duro, fiammeggiante di rabbia e gelosia...
Così vivido da provocargli un fremito di rabbia e disgusto. Quello. Era quello l'esatto ricordo che aveva di lui.
Belial lo oltrepassò senza vederlo, avvicinandosi a Lucifero, schiocchò la lingua, un suono secco e aspro, rivolto alle succubi. "Fuori dalle palle", ringhiò geloso.
Lucifero, notò Sariel, sembrava divertito dalla scena.

Una delle due creature obbedì, strisciando via, l'altra invece non se ne curò affatto, anzi. Approfittò dello spazio lasciato dall'altra per sistemarsi meglio. Belial a quel punto ringhiò di nuovo, passando alle vie di fatto; la afferrò per le corna, strappandola da là e trascinandola sul pavimento dorato, ignorandone le urla. La tenne giù, appoggiandogli un ginocchio sulla schiena.
"Belial, lasciala andare."
Il demonio sollevò lo sguardo; il tono di Lucifero era fermo, calmo, ma alla stesso tempo aveva qualcosa che metteva i brividi. Era come se, tra le righe, avesse detto in realtà: "Contrariami e ti farò pentire di essere nato."
Belial lo guardò, ansimante per la rabbia, poi senza un minimo di esitazione, spezzò il collo alla creatura che si sgretolò, diventando nient'altro che polvere.
Nella sala calò il silenzio più completo, tutte le creature impegnate a strusciarsi le une addosso alle altre si paralizzarono, voltandosi a fissare il loro signore.

Lucifero non fece una grinza. “Fuori. Tutti.”, disse solamente. “Tranne te”, aggiunse, fissando Belial che, con noncuranza, si stava spolverando le mano e i pantaloni. “Tu vieni qui", ringhiò.
Sariel non sapeva se quel che stava vedendo fosse un vero e proprio sogno oppure nient'altro che l'eco del ricordo di un evento realmente accaduto, ma di una cosa era certa. Se qualcuno si fosse rivolto a lui con uno sguardo del genere, avrebbe fatto dietro front e sarebbe scappato il più lontano possibile.

Belial invece si avvicinò con tutta la tranquillità dell'universo, senza il minimo segno di esitazione o di preoccupazione, mentre le altre creature semplicemente, svanirono.
Lucifero lo afferrò per un polso, costringendolo ad inginocchiarsi. "Dovrei scuoiarti vivo. Sai benissimo quanto mi fa infuriare che qualcuno uccida le mie creature. Per di più hai contraddetto un mio ordine con le tue azioni, in pubblico. Anche se volessi stavolta non portei fare finta di nulla. E indovina un po', credo di non essere proprio dell'umore di perdonare",sibilò.
Belial, che era sì in ginocchio ma che per tutto il tempo non aveva minimamente accennato ad abbassare lo sguardo, piegò le labbra in un sorriso strafottente. "Ne é valsa la pena", disse.

Lucifero a quel punto lo prese per i capelli, sulla nuca, tirandolo fino a farlo sedere sulle sue gambe, di traverso. "Vediamo se la penserai ancora così quando le tue urla si sentiranno fino al più basso dei gironi..." sibilò tagliente.
Belial, del tutto indifferente a quelle minacce, gli appoggiò la guancia alla spalla, accarezzandogli il petto con una mano. "Me lo hai insegnato tu, no? Colpiscine uno per educarne cento... Ora quelle patetiche ombre sanno che tu sei mio...", mormorò, leccandogli languidamente una guancia.
"Stai diventando insolente."
"Lo sono sempre stato."
Lucifero a quel punto scoppiò a ridere. Una risata meravigliosa,come ogni cosa del suo essere, poi sempre tenendolo per i capelli lo costrinse ad inarcare il collo e la schiena in una posizione tanto scomoda quanto indifesa. "Ma davvero?", chiese beffardo, sfiorandogli la gola, seguendo con le unghie le vene, gonfie per lo sforzo di cercare un equilibrio in quella posizione priva di appigli. "Io invece ricordo un angelo mite e ingenuo",continuò, lasciando scivolare la mano verso il basso, sul petto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro affannoso del moro; si fermò sull'addome, che in quella posizione rimaneva scoperto, tracciandovi cerchi invisibili, premendo appena con le unghie.

“Ne dubito, non ne ho ricordo”, fu l’insolente risposta del demonio.

"Lo eri", ribatté Lucifero, andando ad appoggiare la mano sul membro di Belial, stringendo rudemente e strappargli un rantolo strozzato. "Lo eri e lo sei stato sino al momento in cui io non ti ho mostrato il dolore, la conoscenza e il piacere..."
Allentò le dita, trasformando quella dolorosa stretta in un languido massaggio. "E tutte quelle cose che il creatore voleva tenervi nascoste..."

Sariel avrebbe voluto andarsene. Non era uno spettacolo che ci teneva a vedere. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da Belial. Quando l'ex demonio aveva parlato di amore, aveva storto il naso. Amore, tzé, aveva pensato. Parlando di creature infernali doveva essere niente più che semplice lussuria. E invece in quel momento dovette ricredersi. C'era una fiducia ed una devozione tale nel suo sguardo e nel suo atteggiamento, che aveva visto solo pochissime volte e solo in coloro tanto innamorati da essere disposti ad affidare al proprio partner la loro stessa vita.
Lucifero avrebbe potuto squarciargli la gola in una frazione di secondo, eppure lui non aveva nemmeno accennato un tentativo di difesa...
"Continuo a non ricordare", ribatté Belial a quel punto, agitandosi appena. Cercò un'appiglio, infilando una mano tra i capelli di Lucifero, che scoppiò a ridere di gusto. "Sei davvero pestifero...", mormorò. "Sei fortunato che io abbia un debole per te, o sarei perennemente impegnato a torturati, e ti avrei fatto ingoiare quella lingua tagliente secoli fa..."
Allentò la presa, permettendo al moro di rilassare la schiena, facendolo sdraiare sui cuscini. "Anche se non é detto che non succeda nei prossimi giorni. Hai disobbedito ad un mio ordine davanti a un centinaio di testimoni, che si appena fuori di qui  si saranno affrettati a dirlo ad altrettanti diavoli. Sai quanto corrono veloci le voci qui. E non posso permettere che nessuno di essi pensi, anche solo per un momento, di potermi contrariare quindi…”, gli sfiorò le labbra con la punta dell’indice. “Preparati, perchè urlerai, e anche parecchio, nei prossimi mesi…”

Belial socchiuse gli occhi, mordendo leggermente quel dito, poi lo scostò con malgrazia, infilandogli le mani tra i capelli e baciandolo con prepotenza. “Me ne farò una ragione...”, mormorò.
Lucifero rise sommessamente, ricambiando il bacio, con una passione vorace, spingendolo di nuovo sui cuscini. “Sta al tuo posto la prossima volta… Mi piace torturarti, ma a modo mio, lo sai.”

Belial quella volta cedette, stiracchiandosi languidamente. “Magari potrei gridare un po’ ora, così ci portiamo avanti...mh?”, sogghignò, strafottente.
“Oh, urlerai eccome…”

Sariel a quel punto decise che era proprio il caso di andarsene. Gli bastò pensarlo appena più intensamente e tutto si fece più sfocato e buio, fino a scomparire.
Riaprì gli occhi, fissando il soffitto.

Era stata un’esperienza strana, si disse.

Voltando appena la testa si rese conto che Belial non si era mosso, continuava a dormire placidamente, stringendo i suoi capelli tra le dita. Il pensiero che lo avesse fatto, come riflesso allo stesso gesto compiuto nel sogno lo riempì di ribrezzo.

Che cosa rivoltante.
Si mise a sedere, ma capì subito di aver fatto un errore quando la stanza ondeggiò on violenza. Non era ancora del tutto in forma e di certo, curiosare nei sogni del diavolo che gli dormiva accanto, non era stata una mossa saggia.
Tornò a sdraiarsi con un sospiro, doveva solo aspettare e riposare…

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Belial uggiolò debolmente, aprendo gli occhi.
"Cazzo!", sbottò, era completamente intirizzito.
Ah, ecco perché. Durante il giorno il dolce angioletto si era girato, dandogli le spalle e lasciandolo congelare.
"Stronzo...", sbuffò, alzandosi e strofinandosi le braccia.
Aveva bisogno di un caffè bollente...

E di qualcuno che gli sistemasse la finestra…


            

            

 

Sariel aprì lentamente gli occhi. Non commise lo stesso errore quella volta, rimase immobile, inspirando profondamente. Si sentiva meglio, quindi azzardò a mettersi a sedere.

Belial non c'era.
Si alzò, sempre molto lentamente, i suoi vestiti erano chissà dove quindi, per sentirsi meno vulnerabile, si avvolse nel lenzuolo, raggiungendo la cucina.

Si appoggiò silenziosamente allo stipite della porta.

Belial, l'espressione scura e corrucciata, stava seduto al tavolo della cucina  scrivendo qualcosa su uno dei tanti fogli sparsi sulla superficie di legno. Teneva una tazza nella mano libera e una ciambella con i denti. Il contrasto con l'immagine del diavolo del sogno di poco prima, che aveva ancora ben vivida nella mente, fu così forte da strappargli uno sbuffo tra l'incredulo ed il divertito.
Quel flebile suono fu sufficiente ad attirare l'attenzione dell'altro che sollevò lo sguardo dai fogli, fulminandolo. Appoggiò la tazza, prendendo la ciambella con la mano libera. "Farai meglio a fingere di non aver visto nulla", ringhiò

Sariel sospirò. "Altrimenti?", chiese, senza poterlo impedire.
Belial socchiuse gli occhi, lanciandogli uno sguardo di fuoco. "Oh, alla Virtù oltre alle forze é tornata anche l'arroganza... Vuoi davvero giocare a questo gioco con chi ti tiene -metaforicamente parlando- per le palle, dandoti asilo?", chiese beffardo, azzannando la ciambella con ferocia.
Sariel si morse il labbro inferiore, ingoiando l'amaro boccone. Per quanto gli costasse ammetterlo era vero. Era in debito col demonio. Un debito enorme...
Volse lo sguardo altrove con un sospiro.
Belial si godette la sensazione di vittoria per qualche istante, prima di deporre le armi e rilassarsi.
Rilassarsi per modo di dire ovviamente, era impossibile rilassarsi completamente con quell'angelo nei paraggi.
Era sufficiente essere nella stessa stanza con lui per sentire il desiderio pungente di saltargli addosso...
Era una sensazione viscerale che veniva dal profondo; certo, era bello come tutte le creature celesti -ma questo Belial non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura- eppure non era quello. Era qualcosa di molto più selvaggio e disperato...
"Che cosa c'è?"
Belial sbatté le palpebre, riemergendo dai suoi pensieri. L'aveva fissato troppo. Cazzo.
"Lo vuoi un consiglio, mh?", disse, indicandogli la sedia di fronte a sé, sperando di sviare l'attenzione.
Sariel si avvicinò lentamente, sedendosi. "Ti ascolto.", disse. E non lo diceva in modo sarcastico. In quel momento persino i consigli di uno come Belial erano ben accetti.
Il demonio sospirò. "Tornatene in paradiso. Certo, volevi fare un gran bel casino, ma alla fine che possono farti? Sono angeli, al massimo ti daranno una bella strigliata e ti manderanno in un angolino per un po' a riflettere sui tuoi errori. Fidati, é cento volte meglio che vivere in fuga in questo schifo di mondo...", sbuffò, respingendo il senso di nausea che lo assaliva sempre quando era costretto a ricordare che il suo castigo invece era eterno..
Sariel lo guardò in silenzio. Poi scosse la testa. "Non é la paura", disse infine. "Non mi spaventano le conseguenze delle mie azioni. Mi spaventa l'apatia, mi spaventa quello che gli angeli sono diventati. Mi spaventa il fatto che nessuno più faccia quello per cui é stato creato. Proteggere tutto ciò che nostro Padre ha realizzato..."
Tacque, aspettandosi qualche commento sarcastico, che però non arrivò.
"E allora cosa intendi fare?", chiese invece il demonio.
"Non lo so, devo pensarci", ammise.
Belial a quel punto lasciò perdere. Aveva altro a cui pensare. Svuotò la tazza di caffè d'un fiato, tornando ai suoi conti. I preventivi di riparazione della finestra erano esorbitanti, come temeva.

Si massaggiò la fronte, non poteva nemmeno lasciarla così. Innanzitutto si sarebbe congelato, e in secondo luogo se gli fosse capitata tra capo e collo un'ispezione improvvisa del suo padrone di casa gli sarebbe costato molto caro quel danno alla sua proprietà.
Sbuffò, sbattendo i fogli sul tavolo e prendendosi la testa tra le mani. Gli era venuta l'emicrania...
"Che cosa sono?", Sariel si era trattenuto per un po', ma la curiosità aveva avuto la meglio.
"Bollette", rispose Belial sbuffando. "Bollette che grazie alla tua grandiosa entrata in scena non riuscirò a pagare."
"Posso fare qualcosa?"
Il diavolo inarcò un sopracciglio.
Era senso di colpa quello?
"Potresti rapinarmi una banca. Ma dubito che lo faresti", sospirò. "L'unica cosa davvero utile in questo momento sarebbe che mi facessi passare l'emicrania",sbuffò.

Sariel si alzò, a quel punto, aggirando il tavolo.
L'aveva forse preso in parola?
O quello, oppure aveva tirato troppo la corda e l'altro aveva deciso di spezzargli l'osso del collo per starsene lì in santa pace.
L'angelo invece si limitò ad appoggiargli delicatamente le dita sulle tempie.
"Meglio?"
Belial non rispose subito, godendosi quell'improvviso sollievo. Non era solo l'emicrania o i dolori ad essere spariti. Ogni dannata volta che aveva un contatto con quell'angelo era come tornare ad essere potente, come in passato. Fame, freddo, stanchezza, tutto scomparso.

Avrebbe potuto starsene lì  in eterno…
Ma a non si faceva illusioni, l’angelo presto se ne sarebbe andato e lui invece aveva bisogno di tenersi stretto quel maledetto lavoro che faceva.
“Devo andare”, sbottò, scostandolo con malagrazia per alzarsi.
Sariel non fece commenti, appoggiandosi al muro. Lo guardò sparire in camera e riemergerne poco dopo, pronto ad uscire.
Il diavolo lo oltrepassò. Poi si fermò, voltandosi lentamente e gli scoccò un’occhiataccia. “Guarda tra i miei vestiti se vuoi, mi da i brividi vederti gironzolare avvolto nelle mie lenzuola”, disse acido.
Sariel sospirò stancamente, senza rispondergli, non ne valeva la pena.
C’era una cosa però che lo incuriosiva...

"Belial', lo chiamò infine.
"Cosa?!", sbottò il demonio, fermandosi sulla porta.
"Toglimi una curiosità. Eri il principe dell'inferno, mi aspettavo di trovarti nella stessa posizione qua sulla terra. Potente, temuto, invece..."
"Invece faccio lo spogliarellista-barra-prostituta in un sordido locale di periferia, che delusione eh?"
"Risparmiati i commenti sarcastici. Sono serio."
Belial a quel punto sospirò, appoggiando la nuca allo stipite. "All'inizio L'ho fatto. Il crimine, non è mai stato un problema, mi ci trovavo a mio agio. Ma una volta era più semplice. Inventavo un nome, una storia, ed era fatta. Ora é diverso. Tutti sono registrati, tutti hanno un’identità, devi avere delle prove, ora, non basta più inventarsi un nome. Non appartengo a questo mondo, angelo, e non ci apparterrò mai. Non invecchio, non posso morire, non posso arrivare ad avere un posto altolocato in questo modo, devo vivere ai margini...", lasciò la frase in sospeso, voltandosi ed uscendo di casa.
Si chiuse la porta alle spalle lasciando Sariel solo, con l'eco delle sue parole.

 

                    

            


Il locale era ancora semivuoto, quando entrò.

Era arrivato un po' in anticipo perché voleva parlare con Zydra. Era già capitato che le rifilasse qualche cazzata che lo sembrasse palesemente, però mai tanto quanto poteva sembrarlo la verità della notte precedente. Temeva che potesse essersi risentita parecchio, con le donne umane non si poteva mai sapere...
Tutto quell'anticipo però non servì a nulla perché Zydra apparve solo dieci minuti prima dell'apertura, con una faccia che definire stravolta era poco.
Si appoggiò al bancone, sbadigliando. "Ehy, Bill... Fammi un caffè dopp... Fammelo triplo và", mugugnò.
Il barman annuì, prese una tazza da cappuccino, lasciando scendere il caffè fino a riempirla. "Sembri una che non chiude occhio da giorni", le disse.
"Quasi", rispose lei, sbagliando. Prese la tazza, soffocandovi un secondo sbadiglio.
Belial le si avvicinò cautamente. "Zydra...", esordì.
"Ares", lo interruppe lei. "Devo andare a ristrutturarmi e ci vorrà più del solito stanotte. Qualsiasi cosa tu voglia dirmi dovrà aspettare", disse, trangugiando il suo caffè.
"Stesso posto stessa ora", aggiunse, strizzando un occhio, prima di sparire nel retro.
Belial sospirò,  per lo meno non sembrava arrabbiata…

La serata  fu particolarmente tediosa, ma si concluse presto.
Attese nella stanza che gli era capitata che gli altri dipendenti se ne fossero andati, poi tornò nel salone principale, prese un paio di birre da dietro il bancone e si sedette ad aspettare.
Amava quei momenti, un attimo di relax dopo il lavoro, chiacchierando con Zydra e scroccando la birra al suo capo, povero stolto, che era convinto che avessero troppa paura di lui per fare una cosa del genere.
Bevve un sorso di birra, poi un altro.
Quando Zydra apparve, con in mano un plico di fogli, era già a metà bottiglia.
"Allora",esordì la donna, appoggiando il plico sul tavolo ed.aprendo la sua birra. "Astarte?"
Belial inarcò un sopracciglio, con aria perplessa. "Eh? Cos...?"
Zydra diede una scorsa ai fogli. "Abbadon, Valefor, Lilith, Morail? Hai detto di essere stato un diavolo no? Quindi quale dei tanti? Alastor? Sy..."
"Oh-oh!", esclamò Belial per zittirla. "Prendi fiato!"

Appoggiò la bottiglia di lato, incrociando le braccia sul tavolo e chinandosi in avanti. "Tralasciando il fatto che metà dei nomi che hai detto sono diavoli femmine. Ma tutto ad un tratto ti sei ricreduta?"
Zydra scrollò le spalle, bevendo un sorso di birra. "All'inizio pensavo fosse una delle tante cazzate che mi rifili quando non vuoi rispondermi. Poi però... Ho messo insieme i pezzi."
"I pezzi?"
"Esatto caro, i pezzi,come un puzzle. Quel tizio che ti é piombato in casa, ad esempio, aveva le ali, non me le sono sognate", ribatté. “E le volte che ti sei preso una pestata per qualche debito non pagato e ti sei rifiutato di farti accompagnare in ospedale, rispuntando il giorno dopo fresco come una rosa. O ancora tu…”, sospirò, appoggiandosi allo schienale. “Quando sei arrivato qua in cerca di lavoro, io ero una trentenne disoccupata che si diceva che avrebbe lavorato qui giusto un paio di mesi, sicuramente, e tu sembravi un ragazzo che a malapena aveva l’età per bere alcolici. Ora io mi avvicino ai quaranta e devo comprare fondotinta sempre più coprenti e tu non sei cambiato di una virgola, ammetto che forse avrei dovuto insospettirmi prima, ma sei sempre stato così riservato che avevo apura di perderti, se avessi ficcanasato troppo. Eri di compagnia piacevole... Quindi ho detto, magari questa non è una cazzata e ho fatto qualche ricerca”, concluse, indicando i fogli. “Ecco cosa ho fatto tutto il giorno.”

Belial aveva inarcato un sopracciglio. “Mi prendi in giro? Cioè… Non credevo che gli umani avessero così tante informazioni su di noi”, ammise infine, fissando la mole di fogli.

“Quindi è vero?”, Zydra si accese una sigaretta, accavallando le gambe. “Intendo la storia dei diavoli e degli angeli, del paradiso e tutto il resto?”

“Buona parte”

La donna a quel punto si prese un attimo per assimilare la cosa; Belial la osservò in silenzio, seguendo con lo sguardo le volute di fumo.

“Allora, me lo dici il tuo nome?”
“Belial.”

Zydra prese di nuovo i fogli, girandone qualcuno. “Ah, ecco!”, esclamò. Le sue labbra si piegarono in un sorriso divertito. “Beh, avrei dovuto capirlo.”
“Cosa?”, chiese Belial, allungando un braccio per prenderle i fogli, ma lei fu più veloce a tirarli indietro.
“Qui dice che Belial è il demonio più vizioso dell'inferno, bellissimo, pieno di grazia, colmo di cattiveria, ribelle e disobbediente.”, lesse, con un ghigno. “Direi che sei tu. Cattiveria a parte.”

Belial la guardò sorpreso. "A parte che la mia cattiveria c’è eccome, ma il resto... Te lo sei inventato al momento", sbuffò, incredulo, allungando di nuovo la mano per afferrare i fogli.
Zydra quella volta glieli lasciò, concentrandosi sulla sua birra, mentre l'altro sfogliava il plico, scorrendo le informazioni.
"Come cazzo fate voi umani a sapere tutte queste cose!" sbottò alla fine il demonio.
Lei fece spallucce. "Suppongo che arrivino direttamente dalla fonte".
Belial appoggiò i fogli sul tavolo, finendo la birra d'un fiato. "Probabile", concesse. Ce le vedeva le vanesie creature di Lucifero sussurrare ai mortali cose su di loro. “E comunque, ero”, la corresse. “Ora non sono più nulla.”
"É così assurdo...", ammise Zydra. "Posso chiederti un favore?"
"Spara."
"Se hai intenzione di uccidermi, me lo diresti? Così, giusto per mettermi il cuore in pace."
Belial la osservò silenzioso. Lo aveva domandato in maniera tranquilla, come se non le importasse.
Sorrise, senza poterselo impedire. "In passato ho ucciso per molto meno...", disse. "Ma tu... Sono sicuro che raccontarlo in giro non é nella tua lista delle cose da fare."
"No, infatti."
"E poi anche se ti sfuggisse qualcosa, dubito che qualcuno ti crederebbe."
"Senza dubbio."
"E poi sei dannatamente brava a letto. Sarebbe un crimine ucciderti."
La tensione, a quel punto, abbandonò le spalle della donna, che rise sommessamente. "Lo prendo come un complimento", disse alzandosi. "Ora scusa, ma sto davvero crollando. Ci vediamo domani...", buffò, soffocando uno sbadiglio. Prese la sua giacca, oltrepassandolo.
"A domani", rispose Belial.

“Ah, un’ultima cosa”, Zydra si fermò, infilandosi la giacca.
“Cosa?”
“L’ho capito sai, perché non lo dici mai.”

“Non dico mai cosa?”
“Ti voglio bene.”, sospirò la donna. “Non lo hai mai detto, né quello né  un sinonimo. Nulla. Ora ho capito perché. Non deve essere facile, vivere senza invecchiare e vedere gli altri farlo.”

Belial non rispose. Sentì i passi dell’altra allontanarsi. Attese, finchè non sentì il rumore dell’uscita di sicurezza, poi appoggiò le braccia al tavolo, affondandovi il viso.
Tutto quello era uno schifo…

            


Rientrò nel suo appartamento che era quasi l'alba. Si guardò intorno circospetto, di Sariel non c'era traccia.

Lo scovò poco dopo, sul balconcino,seduto sulla balaustra di pietra, con la schiena appoggiata al muro e lo sguardo verso il cielo.

L’angelo non si mosse, anche se doveva averlo sentito benissimo rientrare.  Aveva seguito il suo consiglio e rovistato tra i suoi vestiti, anche i più grandi però  gli stavano scandalosamente attillati.
Si era ripreso il trench,tanto per cambiare.
"Sembri uno che sta per partire", disse.
"É quello che sto per fare."
Belial ispirò bruscamente. Ah, di già...
"Ovviamente, vieni, fai i tuoi comodi e te ne vai. Guarda che hai un enorme debito verso di me, angelo!", ringhiò, rabbioso.
Non voleva che se ne andasse.

Sariel si voltò verso di lui. "Lo so", disse calmo. "E non resterà in sospeso. Tornerò", si alzò, in piedi sul cornicione. "Ma prima voglio sistemare una cosa."
Belial arretrò appena, sollevando una mano per schermarsi gli occhi dal bagliore dorato delle ali della virtù.
"Quindi tornerai. E dovrei crederci sulla parola?”

"Tornerò", ripeté Sariel.
“Sempre che sopravviva….” aggiunse, prima di saltare, svanendo in un frullio di piume dorate.

Belial rimase solo, sul balconcino. Rabbrividì, assalito dal freddo improvviso che lo avvolgeva, ogni volta che Sariel si allontanava così...


                                   ---------------------------------------------------------------

Questo capitolo ve l’ho fatto aspettare un po’, ma ho avuto diversi impegni :3
Chiedo umilmente scusa e vi ricordo che se avete

domande, curiosità o altro mi trovate qui.

http://ask.fm/ManuelaMannyBarker

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quella città era davvero bella, vista dall'alto.
Sariel mosse qualche passo lungo il cornicione, osservandone il profilo scintillante contro il sole rosato dell'alba.

Aveva scelto quel posto, ben in vista, e si era fermato lì; se i cherubini lo stavano ancora cercando, cosa molto probabile, non ci avrebbero messo molto a trovarlo.
Infatti, come a voler sottolineare quel pensiero, un lieve battito d'ali lo indusse a voltarsi.
"Hariel, Raziel", disse, scendendo con grazia dal cornicione.
I due non risposero e Sariel non poté fare a meno di notare quanto sembrassero mogi e malmostosi, come bambini  dopo una ramanzina.

Nascose  stento un sorriso; i Serafini, che aborrivano la violenza tanto quanto i Cherubini odiavano l'insubordinazione, non dovevano aver gradito l'idea dei due di riportarlo in paradiso in tanti piccoli pezzi.

Dovevano essersi presi una bella strigliata.

Hariel ebbe un leggero spasmo di irritazione. “Sei rinsavito, Virtù, e hai deciso di seguirci?”, chiese.

Sariel scosse lentamente la testa. “Non proprio. Voglio proporvi un accordo. Parlerò con Lehael, ma in territorio neutrale, qui.”

“Blasfemo”, fu la risposta sibilata rabbiosamente. “Osare dettare le condizioni per incontare un Serafino, quando dovresti correre strisciando da loro non appena ti chiamano!”
“Hariel”, la interruppe Raziel a quel punto. Era rimasto in silenzio, scuro in viso fino a quel momento. “Lascia che se la sbrighi Leahel, se non vuole che lo riportiamo indietro con la forza che se la veda lui,  recuperare un soldato ribelle non rientra nelle nostre mansioni”, sibilò, sprezzante, allungando la mano.

Hariel annuì, prendendola, senza aggiungere una parola; scomparvero entrambi in un battito di ciglia, lasciando Sariel nuovamente solo.

La Virtù sospirò, voltandosi di nuovo verso la città, poi abbassò lo sguardo. Sotto di lui, circa trenta metri più in basso, l’aria si increspava, formando minuscole pieghe invisibili agli umani. Non aveva scelto quel posto solo per il panorama, si era anche assicurato di avere una via di fuga, in ogni caso. Una porta tra le dimensioni, esattamente sotto di lui, un salto e persino un Serafino non sarebbe stato in grado di ritrovarlo.

Tra quei pensieri emerse, come un’eco, il ricordo delle parole di Belial. Una vita in fuga, in quel mondo…

Mentre indugiava sull’angoscia che aveva visto sul fondo degli occhi del demonio, quando aveva pronunciato quelle parole, si rese conto di non essere più solo. “I Cherubini hanno fatto in fretta…”, mormorò, voltandosi.

Davanti a lui stava Lelahel in persona. Non un semplice Serafino, ma colui che in quel momento stava più in alto di tutti. Il primo, gerarchicamente, di tutte le creature celesti.

Che fosse venuto lui stesso e non avesse delegato, voleva dire che la sua fuga aveva destato più scompiglio di quel che credeva.

Lelahel sospirò. “Sono qui. Parlami, ti ascolto”, disse semplicemente. “Spiegami cosa c’è dietro le tue azioni.”

Sariel  quello non se lo aspettava.

I serafini avevano un potere enorme, il potere di guardare attraverso l’animo di chi stava di fronte scovando colpe e peccati. I giudici, i custodi della verità. Eppure Lelahel non lo stava usando. I limpidi occhi color glicine erano puntati su di lui, fissi sul suo volto. Non ne capiva il motivo.”Pensavo che non ci sarebbe stato bisogno di parlare”, ammise.

“Ti sto dando l’occasione di spiegarmi, Sariel.”

Quelle poche parole lo colpirono come un pugno.

Lo aveva chiamato Sariel.
Non soldato, non Virtù, ma col suo nome.

E non era solo quello. Gli stava dando la possibilità di spiegarsi, di mentire, persino.
Quella possibilità era terribilmente allettante, eppure…

Davanti a lui si sentiva come un bambino colto in fallo, mentire…
Come poteva mentire?

“Guarda…”, mormorò infine. “Facciamo prima così…”

Fu un attimo gli occhi del Serafino sembrarono appannarsi leggermente e nello stesso istante Sariel si sentì completamente vulnerabile, sostenere quello sguardo divenne impossibile; spostò il proprio, cercando di concentrarsi su qualcos’altro.

Non aveva mai avuto l’occasione di vedere così da vicino un Serafino. Nonostante la sua situazione non fosse delle migliori non potè fare a meno di indugiare sul suo aspetto. Sui capelli, dello stesso colore tenue degli occhi,legati in una treccia austera e ordinata che tuttavia non riusciva ad inasprire la dolcezza dei suoi lineamenti. Erano belli, i Serafini, tanto belli che i pittori umani si sarebbero cavati un occhio pur di avere il privilegio di ritrarli con il restante. Avevano un’aura severa, che però passava in secondo piano se ci si soffermava sulle loro forme armoniose e sulla loro eleganza. Erano angeli creati per amare e non per combattere e come tali minuti e sottili, al contrario di tutti gli altri ordini guerrieri.

Come Belial, realizzò.

La stessa bellezza e la stessa eleganza dell’angelo che aveva davanti l’aveva anche il demonio, solo che non lo aveva mai notato fino a quel momento. O forse non aveva voluto notarlo, accecato dai pregiudizi…

Un aspro sospiro lo costrinse a riportare la sua attenzione su Lelahel, il cui sguardo era tornato limpido

Sariel riuscì a sostenerlo solo per qualche istante, poi dovette abbassare il suo. Un profondo senso di vergogna lo assalì, doloroso e bruciante. Il Serafino non aveva ancora detto nulla eppure si sentiva nuovamente come un bambino, vergognoso e spaventato.
Spaventato perché solo in quel momento si era davvero reso conto dell'enormità dei suoi errori.
Lelahel sospirò. "Tutto questo...", mormorò, lasciando la frase in sospeso ed avvicinandosi.
Sariel aveva l'impressione di avere un peso sulle spalle che aumentava ad ogni passo che l'altro faceva verso di lui, al punto da diventare insostenibile. Si lasciò cadere sulle ginocchia, le braccia strette al petto, con il desiderio sempre più forte di scomparire...

"Ti avevo detto che se fossi tornato sui tuoi passi avrei dimenticato tutto quanto... Ma questo...", Lelahel scosse la testa. "Non posso decidere da solo..."
"Lo immagino...", rispose Sariel. Voleva essere diretto, quasi sarcastico, ma persino la sua voce era debole ed incerta.
Non era l'unico però il cui animo era tormentato.

Lelahel stesso era combattuto. Da una parte l'amore sconfinato che nutriva verso ogni suo simile, dall'altra i doveri. Quei doveri di cui si era dovuto fare carico contro la propria volontà.
Guardare l'angelo in ginocchio di fronte a lui gli procurava un dolore violento all'altezza del petto.
Dovette arretrare per ignorare quella voglia di abbracciarlo, consolarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene...
"Devo consultarmi con il tribunale celeste. Tu... Non scappare. Non peggiorare la tua situazione", disse, quasi una supplica, prima di sparire.

Così come era arrivato, senza il minimo rumore.
Sariel, senza la forza di alzarsi in piedi, si trascinò fino al cornicione, appoggiandovi le braccia e abbandonando la testa sopra di esse. Non si era mai sentito tanto solo in tutta la sua esistenza. Solo al punto che un pensiero tanto fulmineo quanto strano gli attraversò la mente.
Vorrei che Belial fosse qui...
Sollevò la testa, ma che razza di pensieri faceva?
Eppure....
Eppure era così, pur con la sua arroganza, il sarcasmo e le battute crudeli Belial era l'unico che avrebbe potuto capire come si sentiva....
Arrivare a desiderare la compagnia di quel demonio; era davvero caduto in basso...
Le ore passavano lente e pigre. Venne la sera e di nuovo la notte.
Sariel aprì gli occhi, sentendo qualcosa sfiorargli il viso. Doveva essersi assopito perché il sole dell'alba iniziava nuovamente a fare capolino da dietro i palazzi.
Sollevò la testa
Lelahel, seduto sul cornicione accanto a lui, ritrasse la mano, accennando un sorriso. "Ci abbiamo messo più del previsto. Mi dispiace", disse dando poi qualche colpetto al cornicione accanto a sé. "Vieni, sediti con me un momento."

Sariel annuì, silenzioso, fece forza sulle braccia, buttando le gambe oltre il bordo e sedendosi sulla pietra. Si sentiva rattrappito ed anchilosato. Del resto, non si era praticamente mosso per tutto il giorno.

Il suo sguardo corse all’increspatura sotto di sé, poi all’angelo accanto a lui. Lelahel non sembrava intenzionato a cominciare un discorso a breve, osservava l’alba, silenzioso.

Sariel non resistette più di qualche istante. “Se mi hanno condannato a morte vorrei saperlo senza troppi giri di parole”, mormorò, stringendo il bordo del cornicione con le dita. Proprio sotto di lui, gli bastava saltare...

Lelahel spostò lo sguardo su di lui. “Sariel. Vorrei che mi lasciassi finire di parlare, prima di buttarti di sotto.”

La virtù si soffocò con qualcosa di indefinito. “Come…?”
A quel punto il Serafino sorrise. “Non sono uno sprovveduto. E vorrei tranquillizzarti, la situazione non è terribile come credi…”

Sariel tornò a guardare di fronte a sé, non riusciva a rilassare le dita, nonostante iniziassero a dolergli per la forza con cui le stava stringendo.

Lelahel accennò un altro sorriso, allungò la mano, appoggiandola sopra quella dell’altro. “Ascoltami. Ci sono stati solo due casi di condanne a morte, ed in entrambi i casi gli angeli ribelli avevano lasciato dietro di loro una scia di distruzione e dolore tali da rendere impossibile il perdono… Per quanto tu abbia sbagliato, non hai fatto del male a nessuno…”

Fece leggermente forza, costringendolo a staccare la mano dal cornicione, intrecciando le dita alle sue. “E poi, sarebbe una condanna inutile… Noi angeli… Solo chi ci ha creati, poteva distruggerci.”

Sariel a quel punto sollevò lo sguardo. “Cosa…?”, sembrava non essere in grado di formulare pensieri di senso compiuto. “Cosa intendi?”

Lelahe sospirò. “Dirlo senza sembrare arroganti non è facile. Ma noi creature celesti siamo state create per essere perfette. Non siamo come le patetiche imitazioni create da Lucifero. Lui era potente, certo, ma non è mai stato in grado di creare la vita dal nulla, i suoi demoni non erano altro che fantocci, bambole mosse dalle anime che i suoi mietevano, così facili da distruggere. Noi… Siamo la vita stessa, siamo stati creati per non morire. Mai. Solo chi ci ha creato in questo modo, avrebbe avuto il potere di annientarci…”

Sariel sbattè le palpebre, cercando di assimilare la cosa. “Non ne avevo idea…”

“Solo le schiere più alte sono a conoscenza di tutto…”

La virtù ebbe l’impressione di riuscire finalmente a respirare. La tensione abbandonò il suo corpo, rendendosi finalmente conto che l’altro gli stava stringendo la mano. Sentì una nuova speranza accendersi nel suo animo. Qualunque cosa fosse, Lelahel era tranquillo, quindi non doveva essere tanto terribile. “Quindi… Cosa ha deciso il tribunale celeste?”, chiese.

Lelahel a quel punto sorrise. Un sorriso caldo e luminoso. “Non lo indovineresti mai”, rispose. Avrebbe potuto sembrare fuori luogo, quella felicità. Ma lui sapeva perfettamente quel che faceva. “Diciamo che per i prossimi cento anni ti è precluso l’accesso alla dimensione celeste e sei retrocesso alle mansioni di semplice angelo. Dovrai darti da fare, qui sulla terra, per riportare un po’ di ordine.”

Sariel lo guardò. Sconcertato. “Cosa?!”

Non capiva. Temeva una punizione terribile ed invece il Serafino saltava fuori con quello che, a tutti gli effetti, era un premio per lui? Doveva aver visto, quando lo aveva guardato, quanto non volesse tornare in paradiso, quanto desiderasse restare e rendersi utile, e allora perchè…?

Lo guardò, confuso. “Per quale motivo?”, riuscì a chiedere, solamente.

Lelahel sospirò, allungandosi per appoggiargli le labbra alla fronte. “Sariel…”, mormorò. “Quello che volevi fare… Non era del tutto sbagliato. Hai peccato di arroganza, non lo si può negare, ma le tue azioni…”, abbassò lo sguardo. “Questa esasperazione che ti ha portato a concepire un piano del genere, è in qualche modo colpa mia. Nostra. Di tutto l’ordine dei Serafini. Troppo rinchiusi nel nostro dolore per accorgerci di quanto tutto il resto si stesse lasciando andare...”

Sospirò, lentamente ed in quel sospirò Sariel sentì distintamente tutta la sofferenza che il Serafino si portava dentro.

Era un dolore così intenso da coinvolgere anche lui, eppure…

Eppure nonostante tutto quella creatura che non conosceva, si era fatta in quattro per aiutarlo…

“Anche gli altri giudici… la pensano così?”, chiese ad un tratto, rendendosi conto di una cosa. Possibile che tutto il tribunale celeste, composto da tutti gli ordini, la pensasse allo stesso modo?

Lelahel a quel punto distolse lo sguardo, vergognoso. “A questo proposito…”, mormorò. “Diciamo che ho tenuto per me alcune cose… Come la storia del giardino e la tua avversione a ritornare in paradiso… Ho lasciato intendere che sarebbe stata una punizione terribile per te, l’esilio.”

Sariel a quel punto sentì distintamente qualcosa spezzarsi dentro di lui. In uno slancio di affetto abbracciò con forza il Serafino, piangendo lacrime silenziose e colme di gratitudine contro al suo petto. “Grazie…”, mormorò. “Io… Grazie, davvero… Non so davvero cosa fare per ringraziarti... ”

Lelahel non disse nulla, gli appoggiò una mano sulla nuca, lasciando vagare lo sguardo lontano. Era stata una decisione difficile, ci aveva messo ore prima di convocare il tribunale, diviso tra il dovere ed il cuore. Da un punto di vista razionale le azioni di Sariel erano da condannare senza remore, ma davvero poteva dirsi completamente estraneo alla faccenda? Solo guardando nell’animo della virtù si era reso conto della sofferenza, del senso di impotenza e dell’inquietudine delle altre sfere…

Per non parlare della situazione di quelle creature bisognose di conforto che erano gli umani, così fragili e abbandonati a loro stessi.

Alla fine aveva ragione la Virtù, avevano peccato di egoismo, lasciandosi sopraffare dal dolore, dimenticandosi che era compito loro guidare ogni altra creatura celeste.

Si era messo in una posizione delicata, eppure sentiva che era la cosa giusta da fare.

“C’è un cosa, che potresti fare, a parte ovviamente darti da fare per raddrizzare  tutto quello che non va in questo mondo.”

Sariel si raddrizzò, guardandolo. “Cosa?”

“Tra tutte le anime a cui porterai conforto ce n’è una in particolare di cui vorrei ti prendessi cura.”

“Certamente, quale?”

Lelahel accennò un sorriso triste. “Belial”, disse solamente.

Sariel si fece scuro in viso. “Perchè dovrei prendermi cura di quel…”, si morse la lingua, ingoiando le ultime parole. Non era il caso di usare un linguaggio così colorito.

Tuttavia il Serafino ne sembrò quasi divertito. “Io capisco l’astio che hai verso di lui, ed è vero che si è scelto da solo la strada che l’ha portato alla rovina….”

“Ma?”

“Ma oltre quello, nonostante il tradimento, nonostante si sia lasciato lusingare da Lucifero e dalle sue promesse. Nonostante tutto non possiamo dimenticare che è stato uno di noi.”

Sariel sbuffò. “No, non lo è più, fidati. Chiedermi una cosa del genere vuol dire chiedermi davvero tanto. Sai cosa mi ha fatto…”

“So anche cosa gli hai fatto tu.”

La virtù trassalì, punta sul vivo, ed abbassò lo sguardo.
“Non ti biasimo”, continuò Lelahel. “Ma prova solo un attimo a pensare a quello che ti ha lasciato la vendetta. Non siamo creature fatte per portare rancore, siamo nati per amare e perdonare…”

Sariel sospirò, buttando indietro la testa ed osservando le stelle che sbiadivano, sopra di loro. “Lo conoscevi?”, domandò. Da come ne parlava gli dava quell’impressione.

“Molto tempo fa.”, fu la sintetica risposta di Lelahel. “Non è un obbligo. Te lo chiedo solo come favore, quali fossero le sue colpe, fidati, le ha scontate da un pezzo…”, disse tristemente, alzandosi in piedi. “Ora devo andare… “

Spalancò le grandi ali, eteree ed iridescenti, e si lasciò cadere di sotto, svanendo nell’increspatura dimensionale.

Rimasto solo Sariel sospirò di nuovo, spalancò le ali a sua volta e lasciandosi trasportare dal vento abbandonò quel palazzo. Aveva bisogno di pensare, di fare chiarezza e soprattutto, di essere onesto con sé stesso.
Tutta quell’ostilità che aveva verso Belial era giustificata o era solo frutto del rancore o dei pregiudizi?

Con quell’interrogativo che gli ronzava nella testa si allontanò, pronto a ricominciare da capo…

 

 


 

Ci stiamo avviando verso la fine :3

Il prossimo capitolo sarà l’ultimo e posso dirvi che sarà abbastanza sostanzioso :3

Come ho già detto nei capitoli precedenti questa storia è nata

come short-story, ma già avevo in previsione di lasciare

un finale aperto in caso mi venisse voglia, in futuro

di continuare questa avventura.

Per chiunque volesse seguirmi su questo gruppo https://www.facebook.com/groups/603744433051842/

è il benvenuto, ci saranno anticipazioni, comunicazioni e date di rilascio delle storie che sto scrivendo...oppure semplici chiacchiere tra amici :v

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Aspettava...

Ci aveva pensato, a lungo.

Andarsene e cominciare la sua missione altrove, dimenticarsi di Belial.

Sariel sospirò, scuotendo la testa. Ci aveva pensato, eccome, ma qualcosa dentro di lui, nel profondo, aveva protestato vivamente. Doveva quantomeno ripagare il debito che aveva con lui, si era detto.

Seduto sulla balaustra del balconcino dell'appartamento del demonio aspettava che si facesse vivo. Le luci all'interno erano accese ma dell'altro non c'era traccia.

Avvertiva la sua presenza, debole, ma costante, segno che era nei paraggi. Non passarono che pochi minuti, Infatti, prima che Belial apparisse, avvolto nell' accappatoio scuro.

Lo sapeva che era in casa.

Sariel si staccò dalla balaustra, avvicinandosi alla finestra -appena riparata- bussando delicatamente sul vetro.

Lo sguardo di Belial saettò verso di lui, aggrottando la fronte raggiunse la porta finestra aprendola. "Oh. Guarda. Ora bussiamo", disse sarcastico. "Che cazzo vuoi ancora?"

Sariel inarcò un sopracciglio. Era di umore peggiore del solito, notò, e guardandolo meglio ne capì anche il motivo. Teneva un braccio premuto contro lo stomaco, gli occhi, sotto la frangia bagnata erano pesti e ombreggiati da lividi violacei e le labbra erano piene di tagli. Non doveva essere stata una buona serata. "Mi fai entrare?", chiese.

"Fanculo", fu la risposta di Belial. "Trovati un altro posto dove nasconderti. A meno che tu non voglia Iniziare a pagarmi l'affitto", sbottò chiudendo la finestra, voltandosi però trassalì, ritrovandosi l'angelo di fronte. "Oh beh. Grazie per averlo chiesto", mugugnò sarcastico. "Fa come fosse casa tua."

Sariel accennò un sorriso, poi fece un cenno con la testa. “Che ti è successo?”

“Quello che succede tutti i primi giorni del mese, quando non ho i soldi per pagare l’affitto, ecco cosa è successo”, ringhiò Belial, oltrepassandolo. “E indovina? Ho fatto altri debiti per riparare la finestra, evviva!”

Sbuffò, voltandosi verso l’angelo. “Se ti interessa, a  giudicare dal rumore che hanno fatto le mie ossa contro di essa, dovevano avere una spranga di ferro, ma non ne sono certo dato che ad un tratto non ho visto più nulla.”

Sariel non fece commenti. Lo lasciò sfogare. Strano, pensò, solo pochi giorni prima lo avrebbe zittito o se ne sarebbe semplicemente andato…

Finite le lamentele Belial sospirò. “Allora, cosa vuoi ancora?”, mugugnò.

“Ti avevo detto che sarei tornato.”

“Vero, l’avevi detto, ma in realtà non ci contavo.”

“Io saldo sempre i miei debiti.”

Belial a quel punto sospirò, massaggiandosi una tempia. “D’accordo, d’accordo. Quindi ho diritto ai miei tre desideri?”

Un occhiata all’angelo gli comunicò che non aveva colto la citazione. Era umano da così tanto tempo che ormai parlava come loro.

“Non esagerare”, fu infatti la pacata risposta di Sariel. “Dimmi che cosa vuoi per considerarci pari e finiamola qui.”

Il moro arricciò il naso. “Guastafeste”, brontolò. Poi tornò serio. A quanto pareva aveva una sola richiesta, doveva sfruttarla bene.

Certo, tutti i suoi sensi gli stavano praticamente urlando di proporre all’angelo una notte di sesso sfrenato. Tuttavia…

Quello avrebbe appagato la sua libido ed il suo orgoglio per un po’, ma poi cosa gli sarebbe rimasto? Un pugno di mosche ed un ricordo che alla lunga sarebbe diventato una sofferenza. L’unica cosa che voleva davvero era che finisse tutto. Niente fame, né freddo, né dolore. Solo il nulla. “Uccidimi”, sussurrò, con estrema facilità, quasi quelle parole fossero lì da secoli ed aspettassero solo di essere pronunciate.

Sariel sbattè le palpebre, preso alla sprovvista. “Eh?”, domandò. Si aspettava richieste assurde e perverse, conoscendolo, ma quella…

Belial si avvicinò, afferrandolo per il bavero dell trench con la mano sana. “Ho detto uccidimi. Fallo, in nome di tutto ciò che ti è più caro, se ne sei in grado, fallo!”

Gli tremava la mano dalla forza con cui stava stringendo le dita. “Se questa maledizione non può essere spezzata, allora che sia finita e basta….”

Sariel lo guardò silenzioso, poi distolse lo sguardo.

Compassione.

Empatia.

Raramente aveva visto una tale disperazione negli occhi di qualcuno. Ma a fare ancora più male era la consapevolezza di non poter fare nulla per porvi fine. “Mi dispiace”, sospirò, sollevando la mano per prendere quella di Belial ma questi la ritrasse di scatto.

“No!”, esclamò. “Non dire che ti dispiace, maledizione, fa qualcosa!”, gridò, col fiato corto.

“Mi dispiace”, ripeté Sariel. “Ma temo che l’unico che potesse fare una cosa del genere sia scomparso assieme a colui che poteva spezzare la maledizione...”

Si era aspettato un crollo. Una scenata.

Belial invece sembrò incassare il colpo senza fiatare. “Molto bene”, mormorò, lugubre. “In questo caso vattene. E cerca di non tornare più.”

“Perché?”, lo interruppe Sariel a quel punto. “Mi odi così tanto da rifiutare un aiuto qualsiasi?”

Non poté aggiungere altro perché il demonio si mise a ridere. Una risata completamente priva di allegria. “Odiarti?”, ansimò, riprendendo fato. “Odiarti…”, lo raggiunse, dandogli una spinta, rabbioso. “Non capisci proprio nulla, cazzo… Vorrei scoparti fino allo sfinimento, e ancora, e ancora…”, ringhiò. “Ma non ti rendi conto…”, sembrò vacillare e perdere completamente le forze. “...non ti accorgi dell’effetto che mi fai quando ti avvicini e di quanto sia sempre più doloroso ogni volta che te ne vai?”, la sua voce si incrinò leggermente. “Ogni volta che torni e poi sparisci di nuovo è sempre peggio…”

Era umiliante ammetterlo, e non ne capiva il motivo, ma era inevitabilmente attratto dall’angelo con ogni fibra di sé stesso...

Sariel a quel punto allungò la mano, non sapeva cosa fare per lui ma sentiva il bisogno viscerale di consolarlo.

Perdono.

Comprensione.

Le parole di Lelahel tornarono a risuonargli nella mente.

Qualsiasi atrocità possa aver commesso, l’ha già scontata da un pezzo… Siamo creature fatte per amare e perdonare...

Belial arretrò di scatto. “Non toccarmi, risparmiatelo”, ringhiò. La virtù però sembrò non ascoltarlo. Non voleva che lo toccasse. Non voleva!

Diamine, se l’avesse anche solo sfiorato ancora sarebbe crollato del tutto...

A furia di arretrare si ritrovò con la schiena contro al muro. “Smettila…..”

Sariel lo ignorò nuovamente, gli prese il polso del braccio che teneva stretto al fianco, facendoglielo sollevare e strappandogli un gemito di sofferenza. Con l'altra mano gli prese il viso, per tenerlo fermo. "Adesso capisco. Lelahel aveva ragione...", mormorò.

Un lampo di rabbia attraversò gli occhi di Belial. Si aggrappò al braccio dell'angelo, per cercare di liberarsi, con poca convinzione però.  "Ah, é così?", ringhiò. "Hai preso un tè con i Serafini e tra un biscotto e l’altro avete spettegolato su di me?"

"Non esattamente"

"Cosa allora? Su cosa Leah aveva ragione?"

Leah.

Una conferma, quel nomignolo, sul fatto che i due si conoscessero…

Sariel mise in secondo piano quella curiosità, per il momento, e gli premette un dito sulle labbra, per zittirlo. "Sul fatto che, per quanto corrotta, spezzata e mutilata, la tua anima rimane quella di un angelo...", soffiò. “E come tale urla la sua disperazione ed il suo desiderio di avere accanto un suo simile."

Belial voltò la testa di lato, di scatto. "Stai dicendo un mucchio di cazzate!", sbottò.

Sariel a quel punto rise sommessamente. "Davvero?", chiese beffardo. "Come va il braccio?"

Belial serrò i denti con forza. Già, gli era bastato che lo toccasse a quel modo ed il dolore era sparito. Poteva sentire le sue ossa rinsaldarsi velocemente e, ne era certo, anche lividi e tagli erano scomparsi…

"E questo cosa dovrebbe significare?", sibilò.

La virtù scosse la testa, sorridendo accondiscendente, come se avesse a che fare con un bambino capriccioso. "C'é una cosa che i Serafini tendono a dimenticare, in quanto non li riguarda direttamente, ma che i guerrieri non dimenticano mai. Ogni creatura celeste é in grado di sfruttare il potere di un altro guerriero se si trova in difficoltà, semplicemente sfiorandolo. É per questo che i soldati non si muovono mai soli. Per questo motivo ci è sempre stato insegnanto il valore dell’amicizia e della lealtà. Ed é per questo che muori dalla voglia di toccarmi e che per te é una sofferenza ogni volta che me ne vado...", lo lasciò andare, allontanandosi di un passo.  "Perché quando riesci a sfiorarmi per te é come riavere i tuoi poteri... Non tutti, non quell'enorme potere che ti aveva donato Lucifero, malvagio e corrotto, ma parte dei tuoi poteri originali. Anche se in minima parte, è sufficiente a farti stare bene, vero?"

Belial aveva reclinato la testa all'indietro, appoggiando la nuca alla parete. "Smettila ", ansimò, come se faticasse a respirare. "Smettila di torturarmi così..."

"Belial, se volessi torturati me ne sarei già andato..."

"E allora cos'é che vuoi?"

Sariel esitò. Che cosa voleva? Non ne era più certo ormai. Non era lì per vendetta, né per gratitudine, né tantomeno perché glielo aveva chiesto Lelahel. Era lì perché lo voleva. "Non ne sono sicuro..." ammise.

Belial a quel punto lo raggiunse, afferrandolo per il bavero del cappotto, con entrambe le mani quella volta. "Intanto che ci pensi...", sibilò, tirandolo per farlo abbassare leggermente e premendo con forza le labbra sulle sue.

Sariel non lo colpì e non lo allontanò, semplicemente non reagì... Perché non sapeva in che modo farlo.

Socchiuse gli occhi, il gesto più istintivo che gli veniva da fare era quello di avvicinarsi a Belial ancora di più. Fu quello che fece, appoggiò una mano sulla schiena del moro, annullando la distanza tra i loro corpi.

Belial soffocò un’esclamazione di sorpresa; incoraggiato da quella reazione si aggrappò alle spalle dell' angelo, una mano dietro la nuca per spingerlo ad approfondire il bacio.

Se sfiorarlo lo faceva sentire bene, quel bacio fu come una violenta scarica di adrenalina. Il suo cuore cominciò a battere più veloce, alimentato da una nuova energia. Si allontanò quel tanto che bastava per riprendere fiato.

"Non chiedermi di fermarmi adesso", sibilò aggressivo, afferrando con prepotenza una delle ciocche candide sfuggite alla treccia dell’altro.

"Non era mia intenzione", fu la lapidaria risposta dell'angelo, guardandolo dritto negli occhi per qualche secondo, prima di prendere lui l'iniziativa di baciarlo di nuovo.

Belial dovette fare forza, per fargli sfilare il trench, era il primo partner, dopo tanto tempo, ad essere così impacciato nello spogliarsi.  "Dì un po'" disse, divertito. "Mi sembri alquanto rigido...", notò, spingendolo verso il letto. "Pensavo che ormai il sesso fosse stato sdoganato anche nel regno celeste..." sorrise malizioso, facendolo sedere.

Sariel sbuffò appena. "Non mi é mai interessato..."

"Proprio una virtù integerrima...", Belial gli scivolò alle spalle, slacciandogli la camicia, e baciandogli languidamente il collo. "Ho molto da insegnarti allora..."

Forse avrebbe dovuto pensare alle conseguenze, era certo che l'angelo lo stesse assecondando per quel debito o, ancora peggio, per pietà.

Ma aveva scacciato ogni pensiero al riguardo. Se fosse stata una sola volta... Beh, l'avrebbe resa memorabile...

Lasciò scivolare le mani sul petto dell'altro, mordendone  la pelle chiare delle spalle; lo sentiva rilassarsi sempre di più. Sorrise, ci sapeva fare, era certo che presto l'avrebbe fatto sciogliere come cera...

O almeno lo pensò per qualche secondo, gli aveva appena fatto scivolare la camicia giù dalle spalle infatti, indugiando sui muscoli delle braccia,  che venne scaraventato all'indietro, sul materasso. "Che cazzo stai facendo...?", sbottò.

Sariel per tutta risposta gli lanciò uno sguardo furente. Si era alzato in piedi, tenendosi il braccio dove, sulla pelle chiara, si stava delineando lentamente un marchio formato da sottili arabeschi.

Quel marchio che molto tempo prima gli aveva fatto bruciare la pelle come il fuoco e che poi, lentamente, era svanito fino a quel momento, in cui probabilmente aveva reagito al tocco di Belial.

Il ricordo indelebile del loro primo incontro...

Doveva essere impazzito, si era davvero lasciato andare a quel modo con lui?

"Ma cosa stavo pensando?", mormorò, raccogliendo la camicia dal pavimento ed infilandosela di nuovo.

“Che cazzo stai facendo?”ringhiò nuovamente Belial. “Non puoi andartene ora!"

“Non solo posso, ma é quello che farò", rispose lapidario, Sariel, prendendo anche il trench e buttandolo su un braccio.

“Sei in debito con me, ricordatelo!”

“Non la vedo allo stesso modo.”

"Ti avverto, Sariel!"

L'angelo si fermò con la mano sulla maniglia della finestra. "Tu mi avverti?", chiese, apatico.

"Esatto. Ti avverto, esci da qui e d'ora in poi mi dedicherò solo ed esclusivamente a fare del male, ucciderò ogni uomo, donna e bambino che mi troverò davanti e il loro sangue ricadrà anche sulle tue mani!", ribatté Belial, minaccioso. Stava rischiando il fondo con le unghie perchè sentiva che quella volta, se lo avesse lasciato andare, sarebbe stato per sempre. Lo sentiva, quella era l'ultima carta che poteva giocarsi. Sembrò funzionare perché Sariel abbassò il braccio, camminando lentamente vero il letto. Per contro, sembrava infuriato e glielo confermò il violento manrovescio che gli arrivò l'attimo dopo.

“Davvero mi chiedo…”, sibilò Sariel, prendendolo per i capelli, sulla nuca, avvicinando il viso al suo. “...per quale assurdo motivo abbia provato pietà di te.”

Non si aspettava una risposta. Nemmeno la voleva in realtà. Lo spinse contro al materasso, salendogli a cavalcioni per tenerlo giù. In quel momento desiderava fargli male, tanto male.

Belial soffocò un’imprecazione, sollevando le braccia per coprirsi il viso. Diamine, ne aveva già prese abbastanza per quella notte. “Non l’ho chiesta io, la tua pietà!”, ringhiò, opponendo una strenua resistenza -strenua ma inutile- quando l’angelo gli afferrò i polsi, costringendolo ad allargare le braccia, bloccandogliele contro il materasso.

Sariel lo tenne fermo, poteva divincolarsi quanto voleva, ma non aveva speranza di vincere sul piano fisico, contro di lui.

Fargli male, quello era il suo unico pensiero.

O meglio.

Lo fu per qualche secondo, prima che il ricordo della conversazione avuta con Lelahel gli si conficcasse nel cervello come una freccia.

Inspirò profondamente, non avrebbe ricavato nulla con la violenza…

Non poté fare a meno di confrontare il Serafino, dolce e pacato, con la sua bontà sconfinata, con la creatura sotto di sé, che si dimenava con violenza per liberarsi come un cane idrofobo.

Come potevano appartenere alla stessa specie? Non riusciva a vedere nulla, in quella belva, che gli ricordasse un Serafino...

“Ma che cosa ti ha fatto Lucifero per farti diventare una bestia del genere?”, mormorò.

Belial smise di colpo di agitarsi, fulminandolo con lo sguardo. “Non ti azzardare a parlare di lui…”, ringhiò rabbioso. “Dì solo una parola contro di lui e io…”, si morse il labbro inferiore, qualsiasi minaccia sarebbe suonata ridicola, in quella posizione.

Sariel accennò un sorriso amareggiato. “Ti ha trasformato nel suo cagnolino fedele… E’ morto da chissà quanto tempo e tu ancora sei pronto ad abbaiare per difenderlo.”

“Non…. Non sono un cagnolino, ero il suo compagno!”

“Eri uno dei suoi tanti amanti, Belial.”

Il demonio cercò di dargli un calcio, “Zitto, stai zitto! Lui mi amava!”, non lo voleva ascoltare. Non sapeva nulla di quello che diceva.

“Ah, certo… E perchè? Cosa avevi di speciale proprio tu?”, rispose pacatamente l’angelo.

Il moro sembrò annaspare. Non aveva una risposta seria a quella domanda. “Lui...io… Lui mi amava per quello che ero e basta!"

"Lui amava quello che ti aveva fatto diventare. Una cagnolino ai suoi ordini."

"Non parlare di cose che non conosci!", gridò Belial a quel punto, riuscendo a liberare una mano, dal tanto che si divincolava. Fatto quello cercò di schiaffeggiarlo, voleva che tacesse.

A Sariel bastò scostarsi un poco, per evitarlo, gli prese il viso con entrambe le mani, per costringerlo a guardarlo. "Non mi serve conoscere il passato. Guarda cosa ti ha fatto, a cosa ti ha condannato", disse lentamente. "Non si fa una cosa del genere ad una persona che si ama. Nemmeno io, per quanto ti detesti, sarei capace di lasciarti in queste condizioni, se n avessi il potere. Quello che ha fatto Lucifero é stato liberarsi di un progetto fallito..."

"Smettila..."

"Smettila tu di continuare a negare. Sei intelligente, Belial, pensaci.  Disobbedire per sfida, lo ho fatto molte volte non é vero?"

Il demonio gli afferrò i polsi, ma non riuscì a fargli allentare la presa. A quel punto si arrese, guardandolo negli occhi. "Sì... E quindi?"

"E quindi perché quella volta é stato così drastico?"

"Io... Non...Non lo so..."

Sariel sospirò. "Te lo dico io, perché, perché quella volta non era una semplice disobbedienza. Quelle azioni erano frutto di un’idea che avevi elaborato da solo. Stavi cominciando a pensare con la tua testa, cominciavi a voler essere qualcosa di più che un cane, e a Lucifero questo non andava bene..."

Belial smise di respirare, affondò le unghie nei polsi dell'angelo, stringendo convulsamente. "Questo non lo puoi sapere con certezza", disse, con un filo di voce.

"É vero, ma a quanto pare nemmeno tu."

A quel punto il demonio ebbe l'impressione di sentire il rumore di un ingranaggio che andava al proprio posto.

O forse era semplicemente il suo cuore che si spezzava, pensò.

Lasciò ricadere le braccia, senza più la forza di opporsi. Sariel era riuscito a frantumare le sue convinzioni. Una piccola parte di lui rifiutava caparbiamente le parole dell'angelo, ma dubbi, domande, si facevano sempre più pressanti costringendolo a vedere ogni suo ricordo sotto una luce completamente diversa.

Sariel lasciò delicatamente la presa, raddrizzandosi, non c'era più bisogno di continuare a trattenerlo. Pensava che ne avrebbe approfittato per allontanarsi, Belial invece si limitò a voltarsi, rannicchiandosi su un fianco e circondandosi la testa con le braccia, quasi a escludere tutto il resto, lui compreso.

Di nuovo era passato alla compassione.

Era un'altalena con lui, passava dalla voglia di fargli male, all’indifferenza e alla compassione in un arco di tempo decisamente troppo breve.

Belial lo faceva diventare matto.

Si chiese se Lelahel fosse a conoscenza dell’effetto che gli faceva, quando gli aveva chiesto quel favore.

“Belial…”, sospirò. allungando una mano per sfiorargli i capelli. Il demonio però schiaffeggiò con violenza quella mano.

“Non mi serve la tua compassione!”, ringhiò rabbioso.

Sariel sospirò. “Non ne dubito, ma purtroppo i miei sentimenti non lavorano in funzione alla tua volontà.”

“Peccato.”

“Vuoi che resti o che me ne vada?”

Belial a quel punto si morse il labbro inferiore, spostando appena il braccio per lanciargli un’occhiata di traverso. Non lo sapeva.

Non lo sapeva davvero. Stava trattenendo tutta la sua rabbia, per non dare spettacolo davanti a lui, eppure non voleva che se ne andasse.

Picchiò un pugno sul materasso, con violenza, facendo un verso frustrato. “Quel figlio di puttana!”, ringhiò. “Vorrei…. come vorrei averlo tra le mani ora!”

Non che avrebbe potuto fare granché, anzi. Probabilmente se Lucifero fosse stato li in quel momento, probabilmente lo avrebbe palleggiato come una palla da basket. “Come se tu avessi voglia di rimanere…”, sbuffò infine. “Perché dovresti?”

Sariel accennò un sorriso. “Perché ho un secolo intero da passare qui sulla terra, il tempo non mi manca. Quello che mi manca sarà la compagnia di qualcuno, e tu, per quanto difficilmente sopportabile, sei l’unica creatura immortale quaggiù”, borbottò. “Siamo soli, e non in questa stanza, ma qui, sulla terra"

Si sdraiò accanto a lui, aveva bisogno di un minuto di tranquillità...

Iniziava a capire.

Lelahel lo aveva mandato dal demonio perché era sicuro che quell'anima dannata e tormentata potesse essere recuperata e anche perché aveva previsto la solitudine che lui stesso avrebbe potuto provare, in quel secolo di esilio, da solo. Che avrebbe avuto bisogno di qualcuno, assieme a lui.

Appoggiò il viso alla nuca di Belial, sospirando tra i suoi capelli. "Non penso che me ne andrò tanto presto..."

Il moro a quel punto aprì lentamente gli occhi, lanciandogli un occhiata di traverso. "Dieci minuti fa sembravi avere tutta l'intenzione di riempirmi di botte", gli fece notare.

Sariel rise sommessamente. "A volte mi fai questo effetto". Ammise. "Altre volte invece sembri soltanto una creatura che ha un disperato bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei..."

Belial fece un respiro profondo, sciogliendo quel mezzo abbraccio e sedendosi. "Guarda che me la sono sempre cavata da solo", sbottò, punto sul vivo.

"Ne sono certo.".

"Non fare l'accondiscendente con me!"

Sariel rise di nuovo, tirandosi su a sua volta. "D’accordo", fosse, "Dimmi tu cosa dovrei fare".

Belial si strinse nelle spalle; allungò il braccio e prese l'estremità della traccia dell'angelo ed iniziò a scioglierla, quasi sovrappensiero. "Mi pare di ricordare che stavi cambiando un favore."

Sariel lo lasciò fare, si avvicinò, per permettergli di continuare fino alla fine e allo stesso tempo per poterlo guardare negli occhi. "Come vuoi tu..."

Belial finì di sciogliergli i capelli, gettandogli le ciocche dietro le spalle, poi gli appoggiò le mani sulle spalle, spingendolo giù con tutto il suo peso, incrociando le braccia sul suo petto. "Mi confrondi", ammise sfiorandogli le labbra. "Non so se odiarti, fidarmi di te o temerti..."

"Se ti consola la cosa é reciproca"

Il demonio rise sommessamente. "Sono uno che ama rischiare, in ogni caso", gli prese la mano, guidandogliela sotto il suo accappatoio, fremendo a quel contatto contro la pelle nuda. Gli appoggiò le mani sulle spalle, allungandosi per mordergli le labbra. Fece per sfilargli di nuovo la camicia, ma esitò.

“Vuoi che la tolga?”, domandò Sariel, comprensivo.

“No, tienila…”, non sia mai che lo lanciasse di nuovo giù dal letto se l’avesse sfiorato inavvertitamente.

L’angelo sorrise contro le sue labbra, divertito. “D’accordo”,  sussurò. Sempre guidato dalle mani dell’altro gli slacciò l’accappatoio, appoggiandogli le mani sui fianchi. Non era repulsione che provava quella volta; non sapeva come definire quella sensazione che provava, alla bocca dello stomaco , ma non era disgusto. Anzi, non era nemmeno spiacevole.

La sua consapevolezza si annebbiò quando Belial si chinò a mordergli il collo, sussurrandogli all’orecchio.

Due parole.

“Lasciati andare…”

Due parole, ma furono sufficienti a fargli perdere ogni freno. Strinse le dita, lasciando che il demonio lo trascinasse in quel vortice di lussuria con lui...

 

 


 

 

Ricordate quando ho detto che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo? BD

TROLOLOLOL BD

Questo deve insegnarmi a smetterla di fare progetti perchè tanto anche se mi autoconvinco di risolvere tutto in un capitolo alla fine mi ritrovo con il materiale per farne altri tre BD

Quindi rettifico, questo è il penultimo, ce ne sarà un altro che farà da piccolo epilogo.

Se volete qualche anticipazione, date di rilascio dei capitoli o semplicemente fare quattro chiacchiere… https://www.facebook.com/groups/603744433051842/

besos <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo ***


Sariel si mise lentamente a sedere, passandosi una mano tra i capelli, buttandoli all'indietro. A giudicare dalla luce che filtrava dalla finestra doveva essere tardo pomeriggio...
Piegò una gamba, appoggiandovi sopra il braccio ed usando l'altro per sostenersi.
C'era un meraviglioso senso di tranquillità. Strano, con Belial lì vicino.
Spostò lo sguardo sul demonio, sdraiato accanto a lui, con il lenzuolo tirato fino agli occhi e i capelli scuri sparsi sul cuscino. Teneva stretta tra le dita una ciocca dei suoi capelli.

Che vizio...
Non poté fare a meno si sorridere; nonostante avesse gettato al vento in una sola notte secoli e secoli di dogmi, auto-imposizioni, convinzioni e pregiudizi, non si sentiva in colpa.
Non sentiva di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Allungò una mano per spostare il lenzuolo dal viso di Belial. Gli era più facile in quel momento vedere le somiglianze tra lui e Lelahel. I lineamenti rilassati avevano la stessa delicata dolcezza di quelli del Serafino; gli sfiorò con un dito le labbra, appena dischiuse.
Quelle labbra.
La sua mente tornò ai ricordi di quella mattina.
Il modo in cui Belial, con l'eleganza di un felino, era scivolato tra le sue gambe e con un ghigno dispettoso si era assicurato che i capelli gli cadessero davanti al viso, nascondendogli la vista di quel che stava facendo -anche se solo il sentirlo era stato sufficiente- e ancora quel suo profumo di lavanda, probabilmente un bagnoschiuma a buon mercato, il modo in cui aveva esitato quando lo aveva visto togliersi la camicia, la sensazione che gli aveva dato stringerne i fianchi e dominarlo completamente. Il modo in cui, nel silenzio che era venuto dopo, spezzato solo da respiri affannosi, Belial si era sdraiato sopra di lui e aveva potuto sentire il suo cuore battere veloce come quello di un passerotto.
Voleva rifarlo, pensò, era una esperienza che voleva ripetere...
"Belial", lo chiamò, sfiorandogli la guancia. "Sveglia".
Belial arricciò il naso, le folte ciglia scure fremettero, mentre emergeva lentamente dal mondo dei sogni.
"Sariel...?", mormorò, la voce arrochita dal sonno. "Che succede?'
La mano che stringeva i capelli lasciò la presa per soffocare uno sbadiglio.
"Nulla. In realtà volevo solamente svegliarti",  rispose l'angelo. Voleva sentire la sua voce, guardarlo negli occhi, sentirlo mormorare il suo nome. Detta in quel modo però sembrava più che altro un dispetto; forse avrebbe dovuto spiegarsi meglio.
Infatti Belial imprecò in modo molto colorito mentre si tirava di nuovo il lenzuolo fin sopra la testa. "Fottiti”, sbottò.

Sariel rise sommessamente. “Non intendevo...”, sospirò. Allungò una mano, prendendo il bordo del lenzuolo e tirandolo delicatamente.
Belial oppose un minimo di resistenza, poi lasciò la presa con un sospiro. Si strofinò gli occhi con entrambe le mani, poi guardò l’angelo, arruffato come un gatto. “E’ presto, io ho bisogno di dormire”, borbottò, stiracchiandosi.

“Non è del tutto vero.”

“Ma sentilo. Lo saprò bene io di cosa ho bisogno!”

Sariel scosse la testa, appoggiando la schiena alla testata del letto. “Non sono bravo con le parole”, ammise. Poi lo guardò, allungando una mano per sfiorargli una guancia con la punta del dito.”Quindi non so esattamente cosa dovrei dire, riguardo a questa mattina, ma non è andata poi così male, no?”

Belial sbuffò rigirandosi fino a dargli le spalle. "Ah, sì, stamattina… Sei stato abbastanza imbranato, potevi fare di meglio”, lo liquidò, colto da uno strano ed improvviso imbarazzo.
Non era così vero in realtà.

Sì, certo, c'erano stati dei momenti in cui la Virtù aveva esitato, per buona parte del tempo era stato incerto ed aveva dovuto guidarlo come un bambino che imparava a camminare, ma era anche vero che giunti al punto cruciale si era dimostrato più che all'altezza.
Senza contare che si sentiva bene come non mai, sia fisicamente che mentalmente. Non aveva fame o freddo, era la prima volta che si svegliava completamente senza dolori e il suo futuro non gli sembrava più così grigio...
Sariel rise sommessamente, chinandosi in avanti per appoggiargli le labbra all'orecchio. "Vorrà dire che mi impegnerò di più la prossima volta..."
Belial trattenne involontariamente il fiato. La prossima volta.
Quello diede una prima risposta alla domanda che galleggiava ai margini del suo cervello e su cui non si era ancora concentrato perché ne temeva la risposta.
"E adesso che succederà?" Era la domanda.

Avrebbe voluto chiederglielo, ma aveva appena dischiuso le labbra che qualcuno bussò alla porta con tanta forza da farla tremare.
Merda.
Conosceva fin troppo bene quel modo di bussare.
"Cazzo", sibilò, alzandosi e aprendo un cassetto per prendere un paio di pantaloni.
Si irrigidì un attimo dopo, avvertendo il respiro di Sariel contro la sua nuca; non lo aveva sentito alzarsi...
L'angelo gli appoggiò le mani sulle spalle, accarezzandogli lentamente le braccia. "Ci penso io", gli sussurrò all'orecchio.
Fu sufficiente quello a calmarlo, a cancellare di nuovo dalla sua mente tutti i problemi, compreso il suo padrone di casa che bussava alla porta, incazzato come una iena.
"Mh...", fu tutto quello che riuscì ad articolare.

Lo sentì allontanarsi; si voltò giusto in tempo per vederlo sparire in corridoio. "Sariel forse é il caso..."
"...che tu ti metta almeno un paio di pantaloni."
Non concluse la frase, aveva il sospetto che sarebbe comunque stato inutile.
Si infilò una tuta al volo e lo raggiunse, giusto in tempo per vedere il suo padrone di casa allontanarsi con un gran sorriso.
Sariel chiuse la porta, voltandosi. "Penso che l'affitto per te non sarà più un problema", disse.
Belial aggrottò la fronte, incrociando le braccia. Non sapeva come prendere quella cosa. Era un modo per assicurarsi che non se ne andasse altrove? Aveva forse intenzione di andare e venire?
"Non era necessario, fatti gli affari tuoi la prossima volta", borbottò.
Sariel inarcò un sopracciglio, avvicinandosi, tutta la sue bendisposizione verso l’altro stava sfumando…

"Guarda che ringraziare, una volta ogni tanto non ti ucciderà. Soprattutto considerando che ti ho evitato qualche altro osso rotto", disse

"Non te l'ho chiesto io", ringhiò Belial sulla difensiva. "Quindi non vedo perché dovrei ringraziarti."
Sariel lo raggiunse, deciso, spingendolo contro al muro, appoggiandovi le mani così che non potesse scappare. "Ora ho di nuovo voglia di farti male...", sospirò, più rassegnato che arrabbiato in realtà. "Non so proprio cosa devo fare con te..."
Belial aveva trattenuto il fiato, un po' per la sorpresa, un po' per la vicinanza improvvisa dell'angelo che ancora non si era rivestito.
Aveva una risposta pronta, una di quelle pungenti. Eppure la ricacciò indietro. Avrebbe solo fatto arrabbiare la Virtù ancora di più ed al momento non gli sembrava l'opzione migliore. Si limitò a guardarlo negli occhi -anche per distogliere l'attenzione da qualcosa più in basso- senza parlare.

Alla fine fu Sariel a distogliere lo sguardo, roteando gli occhi, esasperato. "Non so proprio come comportarmi con te", sospirò. "Mi spieghi cosa ho fatto per farti arrabbiare?"
"Non sono arrabbiato."
"Sì che lo sei. E anche parecchio."
Belial sbuffò. "Oh, e va bene! Mi fa incazzare il fatto che tu voglia assicurati che non me ne vada", ammise. "Cosa hai intenzione di fare, andare e tornare come ti pare sperando che ci scappi un po' di sesso?"

"A dire il vero non ci ho ancora pensato seriamente. L'ho fatto solo per evitarti un problema", ammise Sariel, facendo un passo indietro, lasciandolo libero di muoversi. "Ma ora come ora... Non mi rende tranquillo l'idea di lasciarti solo."
Belial fece una smorfia infastidita. "Lasciarmi solo", sbottò. "Ma per chi mi hai preso, per un bambino che non sa badare a se stesso? Me la sono cavata benissimo da solo e continuerò a farlo", sibilò inviperito, oltrepassandolo sdegnosamente. Non riuscì a fare più di due passi però, perché l'angelo lo afferrò per un polso, costringendolo a girarsi di nuovo.
"Lo vedo", fu la serafica risposta di Sariel. Lo tirò lentamente verso di lui, mettendogli una mano sotto al mento per fargli sollevare il viso. "Smettila di prendere ogni mia parola come un'affronto personale…", sospirò. “Quello che intendo è che vorrei portarti con me.”

Belial dischiuse le labbra, per ribattere, ma gli mancarono le parole. Scosse la testa, prendendogli il polso per farsi lasciare. “Non sono un gattino randagio. Non mi porti da nessuna parte”, sbottò. Poi si rese conto che sì, lo stava facendo di nuovo.Stava prendendo come un attacco ogni parola che l’altro pronunciava, senza motivo. “Se proprio ci tieni, potrei essere io a venire con te, di mia volontà”, concesse.
Sariel accennò un sorriso. “Così va meglio”, disse notando lo sforzo che aveva fatto.
“Ma non pensare che mi metterò a fare buone azioni!”, chiarì Belial. “Vengo solo perché mi faranno comodo vitto e alloggio. Per non parlare del sesso.”

“Non avevo dubbi.”
“Guarda che dico sul serio.”

Sariel sorrise. “Ma certo, ma certo”, disse, accondiscendente. “Prendo in prestito la tua doccia, mentre ti prepari, meglio partire subito…”

Belial non rispose, si limitò a fargli un cenno verso il bagno. Sentì il vago desiderio di seguirlo, ma non lo fece. Aveva parlato d’istinto, ma si rendeva conto solo in quel momento che non era così facile staccarsi così in fretta da quella vita.

Diede una sistemata al letto, più per abitudine che per altro, ed iniziò a fare un elenco di cose che poteva portare con sé.

Per diversi minuti girò a vuoto, frugando nei cassetti, alla fine infilò qualche vestito in uno zaino, e si guardò attorno, facendo un verso indefinito. Certo che non aveva davvero nulla di davvero suo.
“Qualche problema?”
Sariel emerse dal bagno, si era rivestito e stava rifacendosi la treccia.

Belial scrollò le spalle, osservandone i gesti lenti. Venne assalito dal ricordo di quei capelli setosi contro la sua pelle nuda e un brivido bollente gli corse lungo la spina dorsale. Imprecò mentalmente, chiudendo lo zaino. Doveva riprendere un minimo di autocontrollo o quell’angelo lo avrebbe avuto completamente in pugno nel giro di qualche giorno. A quella prospettiva il suo orgoglio protestò vivamente.
L’unico lato positivo era che la Virtù non era del tutto consapevole dell’effetto che gli faceva e soprattutto, non sembrava avere l’intenzione di sfruttarlo in alcun modo per sottomettelo, come invece aveva fatto Lucifero in passato...

“Ho preso tutto.”, comunicò, senza lasciar trasparire quei pensieri.

“Sicuro?”

Sariel buttò la treccia dietro la spalla, avvicinandosi. “E’ davvero poca roba.”
“Beh, è tutto quello che ho! Scusa tanto eh!”, fu la risposta irritata del moro.
L’angelo rise sommessamente, abbracciandolo da dietro. “Stai di nuovo prendendo ogni mia parola come un attacco personale?”, gli sussurrò all’orecchio.

Belial sospirò, rilassandosi appena. “Mh…”, si limitò a mugugnare. Era pensieroso. “Prima di andare… Posso chiederti un favore?”, sospirò.

“Ti ascolto.”

“Non è per me in realtà.”

Sariel accennò un sorriso. “Ho detto che ti ascolto”, disse dolcemente.
E lo fece. Lo ascoltò esporre la sua richiesta, poi annuì. “Posso farlo”, rispose…


            


Zydra guardò l’orologio, battendo nervosamente il piede sul marciapiede.

Era in ritardo. Di quasi un’ora.

Ah, ma quella volta gliel’avrebbe fatta pagare, diavolo o non diavolo. Darle appuntamento e darle buca…
Si voltò, decisa a tornarsene a casa, ma nel farlo inciampò in qualcosa di indefinito, sbattendo contro un ragazzo. “Ah, mi scusi…”, borbottò, sollevando lo sguardo, e sbattendo le palpebre.
Sariel sorrise. “Non c’è problema, è qui per il colloquio?”
La donna si grattò la nuca, confusa. “Colloquio? No… Forse… Che colloquio?”

L’angelo indicò la grande libreria accanto a loro. “Il colloqui per il lavoro da commessa.”
Di nuovo Zydra lo guardò, confusa. “Ah, si certo!”, esclamò poi. “Devo fare un colloquio, scusi ancora, sono in ritardo!”, mugugnò trafelata, allontanandosi e sparendo nel negozio.
“Però, sono impressionato…”

Sariel si voltò, Belial se ne stava appoggiato al muro, a braccia conserte, lo sguardo scuro. “Ho fatto quello che mi hai chiesto, non sei contento?”
“Si… Non è quello. Sei sicuro che la assumeranno?”
“Più che sicuro, ho fatto in modo che il proprietario si sentisse  particolarmente bendisposto, oggi. Anche se non era necessario insistere così. E’ una donna in gamba, la avrebbe assunta ugualmente.”

Belial si staccò dal muro con un sospiro. “Questo lo so…”, disse, osservando Zydra attraverso i vetri. Gli venne spontaneo sorridere, era la prima volta che la vedeva così su di giri. Quando uscì aveva un’espressone così felice che sarebbe stata in grado di sciogliere un ghiacciaio.

Vedendola incamminarsi verso un taxi, la raggiunse, oltrepassandola ed aprendole la portiera dell’auto. “Prego”, le disse.
La donna lo guardò, perplessa, poi accennò un sorriso di circostanza. “La ringrazio…”, disse, salendo.

Belial chiuse la portiera. “Che strano ragazzo…”, la sentì mormorare all’autista, prima di dargli l’indirizzo.

Sorrise mesto. “Davvero impressionato…”, sospirò, infilando le mani nelle tasche della giacca ed incamminandosi.

Sariel lo osservò, silenzioso e altrettanto silenziso lo seguì, stando qualche passo dietro di lui, poi alla fine lo raggiunse, circondandogli la vita con un braccio, per trattenerlo. “Stai bene?”, gli chiese.
Belial sospirò, amareggiato. “No, per nulla”, ammise. “Ma ehi, sopravviverò. Puoi lasciarmi?”

L’angelo per tutta risposta strinse la presa, sollevò l’altra mano, appoggiandogliela sugli occhi. “Basta una parola”, disse dolcemente. “Una sola parola e posso fare lo stesso con te, lei non sarà mai esistita.”

Era assurdo; più tempo passava con Belial, più forte diventava l’istinto di protezione verso di lui. Probabilmente era dovuto al fatto che solo standogli accanto poteva vedere fino in fondo quali fossero tutte le implicazioni di quel castigo eterno.

Il demonio inspirò bruscamente. Per un attimo fu tentato di dire di sì.

Poi sollevò un braccio, prendendo la mano di Sariel e facendogliela abbassare. “Va bene così”, rispose, abbandonandosi contro al suo petto. “Zydra è stata la prima persona, da una eternità, a cui mi sia legato davvero. E’ speciale e non si merita di essere cancellata così.”

Sariel stette in silenzio per un attimo. Poi annuì.

“Capisco”, rispose, lasciandolo andare. Poi gli mise un braccio attorno alle spalle, incamminandosi. “Vieni. Abbiamo un sacco di lavoro da fare.”

“Abbiamo?”, Belial sogghignò. “Vuoi dire che TU hai un sacco di lavoro da fare, io sono qui solo per i pasti gratis e gli alloggi decenti”, gli ricordò

L’angelo non rispose, limitandosi a scuotere la testa.
In fondo lo sapeva a cosa andava incontro, portandosi dietro Belial.
Eppure…

Eppure non gli dispiaceva affatto…

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2477733