Adrenalina Dolce di EmmaEvans (/viewuser.php?uid=581198)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Facile come il primo accesso ***
Capitolo 2: *** Senza nemmeno rendersene conto ***
Capitolo 3: *** Numero ***
Capitolo 4: *** Il gruppo ***
Capitolo 5: *** La sua voce ***
Capitolo 6: *** Inaspettata ***
Capitolo 7: *** La prima volta ***
Capitolo 8: *** Best (stupid) Song Ever ***
Capitolo 9: *** Succhiare tutto il midollo della vita ***
Capitolo 10: *** Il concerto ***
Capitolo 11: *** "Hope" ***
Capitolo 12: *** 1D Up All Night ***
Capitolo 13: *** Dal vivo ***
Capitolo 14: *** In un altro mondo ***
Capitolo 15: *** Everything u do is Magic ***
Capitolo 16: *** Soli ***
Capitolo 17: *** Mai più ***
Capitolo 18: *** Attesa ***
Capitolo 19: *** Una giornata pesante ***
Capitolo 20: *** 1D Take me Home ***
Capitolo 21: *** Vale la pena correre il rischio ***
Capitolo 22: *** Qualcuno che fosse vero ***
Capitolo 23: *** Fingere ***
Capitolo 24: *** Tutto ciò che non odio ***
Capitolo 25: *** Mentire per Amore ***
Capitolo 26: *** Knut ***
Capitolo 27: *** 1D Midnight Memories ***
Capitolo 28: *** C'è solo Una Direzione ***
Capitolo 29: *** Epilogo parte 1 - Story of My Life, One Direction ***
Capitolo 30: *** Epilogo parte 2 - Quello che ti meriti ***
Capitolo 1 *** Facile come il primo accesso ***
Ciao
a tutti!!! Questa
è la mia prima fanfiction pubblicata (quella precedente era
sono un piccolo esperimento)! Ne ho scritte tante ma non ho mai avuto
il coraggio di pubblicarne una... spero davvero che vi piaccia
perchè è la mia creatura e i personaggi
sono diventati... parte di me.
Come
si legge, tratta degli One Direction, gruppo di cui sono fan da pochi
mesi con non poche sofferenze visto che sono presa in giro dal 90% dei
miei amici....Sono stata la mia ispirazione per questa storia, in
particolare, lo è stata la loro canzone più bella
(almeno secondo me): Story of My Life. Quindi vi
chiedo PER FAVORE: se non siete fan, se siete haters o
qualsiasi cosa che si possa accostare a questi, NON leggetela,
così evitiamo qualsiasi 'scontro' spiacevole!
Ultima
cosa: ci sono cose vere e cose false (sopratutto che riguardano loro 5,
non sono proprio un'esperta!), però, come dire...
è un'opera di fantasia, quindi... SPAZIO ALLA
FANTASIA!
Per
il resto, vi auguro una buonissima lettura e, se vi va, lasciate
commenti, sempre ben accetti!
Un
grande abbraccio stritolatutto a tutti (uno in più alla
directioners che sceglieranno di leggere questa storia)
Emma ;)
Capitolo
1 – Facile come il primo accesso.
3
Marzo 2013
“Ciao”
“Ehi
ciao”
“Come
ti chiami?”
“Mi
chiamo Hope e tu?”
Stryes94 sta scrivendo…
“Cosa
ti suggerisce il mio nome?”
Padme sta scrivendo…
“Non
lo so. Ti chiami… come una
mossa particolare del bowling? :)”
“Ahahha,
perché dici così?
“Stryes
-> Strike, scritto strano”
“Ahahahah
no.”
“non sono brava
con gli indovinelli”
“va
bene, questa volta ti salvi.
Mi chiamo Noah. Piacere :)”
“Piacere
:)”
Era
iniziata come niente. Era
stato facile, come fare il primo accesso al social network.
“Di
dove sei?”
“Non
credo di fidarmi abbastanza
per dirti dove abito.”
“…
risposta che posso accettare.
Io però mi fido di te, anche se non ti ho mai vista: sono di
Londra.”
“Bella
Londra!”
“Tu
non sei di Londra?”
“Ti
ho appena detto che non te lo
dico di dove sono”
“No,
infatti. Ma mi hai detto che
è bella, perciò ho dedotto che l’hai
vista ma che non ci vivi.”
“Touché”
Hope
aveva 17 anni, in procinto
di uscire dalla fase più difficile, più
fantastica, più dolorosa, più
incredibile e pazzesca della vita di qualsiasi altra persona:
l’adolescenza. Era
uguale ma altrettanto diversa da qualsiasi ragazza della sua
età.
Aveva
deciso di accedere a questa
chat tramite un social network perché aveva voglia di
parlare con qualcuno che
non la conoscesse. Qualcuno che non conoscesse la sua situazione e il
suo passato,
segnato inesorabilmente dall’Ombra. Ci era voluto davvero
tanto per uscirne e
avrebbe voluto iniziare da capo un’altra vita. Ma non sempre
ciò che si voleva
poteva essere possibile. Così aveva deciso di usare uno
strumento che le
avrebbe permesso di celare ciò che voleva nascondere. Sapeva
benissimo che su
internet si possono fare brutti incontri ma non le era importato: si
sentiva
sufficientemente superiore agli altri e aveva pensato che lei
l’avrebbe capito
subito se uno faceva finta di essere qualcuno o se era realmente quel
qualcuno.
Gli altri magari no, gli altri si sarebbero fatti fregare. Ma lei era
furba
quanto loro e abile a sufficienza da non lasciare tracce.
E
quel qualcuno che si spacciava
per un ragazzo dal nome Noah l’aveva convinta con le ultime
due frasi anche se
il nick name scelto da lui non fosse uno tra i più
particolari e fantasiosi.
“Quanti
anni hai?” si azzardò a
chiedere.
“19,
appena compiuti” rispose.
Era
pronta a digitare la domanda
successiva quando arrivò il classico POP della chat
attraverso le cuffie
attaccate al pc.
“appena compiuti
no.” Hope si fermò e alzò un
sopracciglio “Diciamo che ho da un mese 19 anni.
Tu?”
Hope
poggiò un dito sul tasto 1
ma non lo schiacciò. Si bloccò, con la fronte
leggermente corrugata.
POP
“Anche
questo non me lo vuoi
dire. Va bene. Cercherò di guadagnarmi la tua fiducia
;)”
Hope
si lasciò sfuggire un
piccolo sorriso.
“Mi
giuri però che quando
conquisterò la tua fiducia, me lo dirai?”
Era
una richiesta strana. Ma in
fondo era solo una chat e lui solo un ragazzo.
Sorrise
tra sé, pensando che
aveva pensato ‘solo un ragazzo’ e non
‘uno qualsiasi’.
“Si,
te lo giuro :)”
Era
iniziata come se fosse
niente
Hope
tornò a casa, il giorno
dopo, completamente fradicia. Aveva piovuto per tutto il tragitto, da
scuola
alla fermata, dalla fermata a casa. Non le era importato
granchè, le piaceva
sentire le gocce scivolarle sulla pelle e impregnare i vestiti. Almeno
finchè
il vento gelato dell’aria condizionata del pullman non
l’aveva colpita in
pieno.
Aveva
aperto la porta di casa,
aveva fatto un passo e mollato borsa e scarpe in un angolo. Il suo
gatto,
Strike le era corso incontro ma appena aveva sentito l’odore
di bagnato aveva
fatto dietro front e si era andato a rifugiare in cucina, sotto il
tavolo, dove
aveva osservato guardingo la sua padrona ficcare qualcosa nel forno a
microonde.
Hope
era salita in camera, si era
tolta i jeans, li aveva buttati sul calorifero insieme alla felpa e si
era
messa una tuta che le stava larga di almeno due taglie. Poi si era
fatta la
coda e si era sciacquata la faccia in bagno. Aveva perso un minuto
osservandosi
allo specchio, come faceva di solito ormai da quasi un anno. Cercava un
segno
che potesse effettivamente indicare il passaggio dell’Ombra.
Ma come al solito
non le sembrò che ci fosse nulla di strano a parte il
pallore cadaverico della
sua pelle. Quindi era
scesa di nuovo in
cucina, dove aveva preso il piatto di pasta al forno lasciato dai suoi
e se lo
era portato in sala, sul tavolino. Si era seduta sul divano e aveva
accesso la
tv. Solo allora Strike era uscito dal suo nascondiglio e
l’aveva raggiunta
annusando l’aria.
“Non
è per te” aveva detto Hope
mentre girava da un canale di musica ad un canale di serie tv, dove
stavano
mandando in onda una vecchia puntata di una delle sue serie preferite.
Aveva
accarezzato Strike e si era
rilassata.
Non
aveva accesso il computer
fino a sera, poco prima di cena. La scuola stava per finire, mancavano
circa
tre mesi e i professori erano tutti impazziti, caricandoli di compiti,
interrogazioni e verifiche. Aveva perso un paio di settimane
all’inizio della
scuola a causa dell’Ombra. La sua psicologa le aveva detto
che bisognava
iniziarla a chiamare con il suo vero nome, anche in famiglia, soprattutto in famiglia; “per
superare
una cosa del genere bisogna che la si guardi dritta in
faccia” aveva detto. Ma
Hope era testarda ed era l’unica cosa che la dottoressa non
era riuscita a
cambiare.
Aveva
cercato di concentrarsi
sullo studio quel pomeriggio; alle sei decise che il Professore Lenteis
poteva
anche andare a quel paese insieme a tutti i pittori minori
dell’età moderna.
Mentre il computer si accendeva, sistemò un po’ i
quaderni di scuola,
accatastandoli in fondo alla scrivania. Quando il pc fu pronto,
aprì internet:
controllò se qualcuno dei suoi compagni avesse fatto domande
intelligenti su
facebook, se il professore avesse caricato il materiale per la lezione
del
giorno successivo e poi sentì il POP. Il programma della
chat si era avviato
automaticamente.
Mentre
lo apriva si annotò
mentalmente di togliere l’impostazione di accesso automatico.
“1
Richiesta di Amicizia, 3
Notifiche da VaLeLoVeSuBaCk!!1!, 2 messaggi ricevuti”
Controllò
la richiesta di
amicizia: proveniva da un tipo che si faceva chiamare Timidone97. La
rifiutò
senza pensarci troppo. Guardò le tre notifiche. Erano tutte
cazzate: un
video e due
commenti. Poi i messaggi: provenivano da Stryes94.
Erano
la continuazione della
conversazione della sera precedente. Avevano parlato di cibo.
“No,
comunque ho ragione io”
diceva il primo messaggio “Il finocchio fa schifo. Sei tu che
sei strana e ti
piace. Comunque
anche io vado a letto,
buona notte, a domani!”
Hope
si era stiracchiata,
indecisa se scrivergli lei oppure aspettare.
Poi
sua mamma l’aveva chiamata e
aveva avuto altro a cui pensare.
“Ciao
Hope!!!”
“CIAOOOOOO!!!” Padme sta scrivendo…“Ciao
scusa devo
mangiare a dopo ciao”
“Vaaaa
bene. Ciao!”
Quando
tornò, lui era ancora in
linea. Era passata
un’ora.
“Scusami
ero a mangiare.”
Lui
ci
impiegò qualche secondo a
rispondere. “Tranquilla.”
“tu
non mangi?”
“già
fatto.”
“Come
stai?”
“bene
grazie” Hope mise della
musica a caso dal suo iPod e si accomodò sul suo letto, con
il computer in
grembo e Strike appallottolato contro il suo fianco. Era leggermente
stanca e cercò
qualcosa su internet da vedere in streaming. Sua madre non era molto
dell’idea
che lei stesse così tanto davanti al pc, ma papà
la difendeva sempre dicendo
che non bisogna aspettarsi nient’altro da una ragazza di
quell’età.
“Tutto
ok, Hope?”
Aveva
scritto il suo nome e
questo la confortò in qualche modo. Il fatto che lui fosse
un maniaco pazzoide
si stava facendo una rara possibilità.
“Si,
scusa. Sto cercando qualcosa
da vedere sul computer. Tu come stai?”
“Bene.
Cosa vuoi guardare?”
“pensavo
qualche serie tv… niente
di impegnativo.”
“Tipo
Life in short?”
“Si,
diciamo di si, anche se non
è il mio genere”
“Allora
sei inglese.”
La
prese in contropiede e lasciò
perdere la serie tv. Non sapeva cosa rispondere e per troppo tempo
lasciò la
chat vuota, con l’ultimo messaggio di lui. “Non
è vero” scrisse infine sapendo
benissimo di essere fuori tempo massimo per essere creduta.
Lui
ci impiegò altrettanto tempo
per rispondere.
“Life in short la fanno solo in
Inghilterra Hope”
Il
fatto che l’aveva chiamata per
nome la fece innervosire, quando prima, invece, l’aveva
confortata.
Non
scrisse niente e si affrettò
a controllare in Internet. Life in short era
effettivamente una serie tv trasmessa solo nel Regno Unito.
Lui
però non scrisse più nulla,
come se sapesse benissimo che lei si stesse scervellando per trovare
una
spiegazione plausibile.
“Be’
potrei anche essere di un
altro paese e voglio imparare bene l’inglese.”
“vero”
scrisse lui, rispondendo
immediatamente. “Ma non credo che esistano persone sulla
faccia della terra che
vogliano imparare l’inglese guardando quella schifezza di
serie tv.”
Hope
rise. Era simpatico.
“Ahahaha,
hai ragione.”
“ahaha.
Bene, allora ho ristretto
la ricerca ad un solo stato: Regno Unito. Devo capire se sei scozzese,
gallese,
irlandese….”
Hope
fece un sorriso. “Già :)”
“Cosa
hai fatto oggi? Sei andata
a scuola?”
“Si”
rispose senza pensarci.
Merda, aveva appena rivelato un’altra informazione: aveva
rivelato di avere tra
i 10 e i 17 anni . 10 come base minima per saper usare internet con
abbastanza
dimestichezza. 17 perché aveva detto scuola e non College.
Anche se poteva
essere ambiguo…
“E
cosa avevi di lezione?”
Questa
volta non si fece fregare.
“di tutto un po’” rispose semplicemente.
“e tu?”
Lui
si era accorto della sua
risposta fugace, ma non scrisse nulla al riguardo.
“Oggi
niente scuola :)”
“Fortunato!
E come mai?”
“una
specie di sciopero del
personale”
“Specie?”
“Si.
Sciopero dell’alunno.”
Di
nuovo, Hope sorrise. Riprese a
cercare qualcosa da guardare.
“Ahahaha
mi dispiace… malato?”
“più
o meno… stasera hai mangiato
ancora insalata e finocchi?”
“No.
Stasera sono stata carnivora...”
“Oh
adesso si inizia a
ragionare!”
Passò
un numero di conversazioni
considerevole: conversazioni sul nulla e su tutto, anche su argomenti
che solo
adolescenti possono far durare ore e ore. Hope passava la serata, dopo
cena, su
quella chat a scrivere, a rispondere e a ridacchiare, mentre Strike
faceva le
fusa contro la sua pancia. La maggior parte delle volte vedeva in
contemporanea
una puntata di una serie tv ma a volte doveva interromperla
perché la
conversazione diventava impegnativa e il POP nelle orecchie era
continuo e le
dava fastidio. O per lo meno era quello che lei diceva. In
realtà, non le
interessava più di tanto guardare la serie tv.
Diventò
un appuntamento fisso e
man mano che i giorni passavano insieme alle settimane diventava
impercettibilmente sempre meno facile chiudere il pc e addormentarsi.
Saltarono
solo due sere in due settimane: una lui era fuori casa e
l’altra lo era lei.
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Capitolo 2 *** Senza nemmeno rendersene conto ***
Capitolo 2
– “Senza nemmeno rendersene conto”-
19
Marzo 2013 – Sabato ore
20.12
Era
appena tornata dall’Ospedale,
una velocissima visita di routine, un semplice prelievo, ed era passata
dalla
Dottoressa Hife per informarla sull’andamento della scuola.
“Hope
ci sei?”
“Ciao
Noah!”
“Ciao!
:) allora hai comparto
quella maglietta?”
“Uhm
a mamma non è piaciuta
moltissimo. E sinceramente ha ragione, costa un po’.
Però la trovo bellissima…
te l’ho già detto vero?”
“Si
mi pare di si
…
Una
quindicina di volte”
“Ma
è perché è STUPENDA, ma
giuro, non hai idea.
Devo
averla, non capisci? Vado
pazza per questo genere di cose… nera, con i disegni del
cartone…”
“A
me quel cartone fa un po’
rabbrividire”
“:O
:O :O NON PUOI DIRE UNA COSA
DEL GENERE :O :O :O
Ma
l’hai mai visto?”
“No,
ho solo visto un pezzo da
una mia amica, una volta, ma non mi è per niente
piaciuto…”
“TU
sei un’idiota. L’AMICA una
grande!”
“Sul
grande sono d’accordo…
sull’amica un po’ meno”
Hope
piegò la testa di lato. Era
fidanzato? “Perché ‘amica un
po’ meno’?” digitò. Poi, dopo
aver inviato il
messaggio aggiunse: “Comunque bisogna rimediare a questo
fatto :O :O :O”
“
Perché non era proprio
un’amica… soprattutto per cosa è
successo poi quella sera. E ti garantisco che
non era interessata tanto al film”
“Quindi
eravate tutte e due
impegnati in qualcosa di più…interessante XD
posso immaginare cosa…ahahaha”
“ehehe
già! E rimediare dicevi? A
cosa?”
“Al
fatto che non hai mai visto
quel cartone. Sappi solo che è uno delle colonne che hanno
costruito la mia infanzia”
“Ah
quindi se lo vedessi
diventerei come te.
Meglio
non vederlo allora.”
“ahahahah
Sei
sempre più simpatico Noah!
Simpaticissimo guarda, come gocce di limone negli occhi”
“Ahahahahahahaha!”
Noah
riempì la chat di faccine
che ridevano.
“Però
la tua non-amica-fidanzata
doveva avere un’intenzione base di vederlo quel film. Quindi
è una grande
non-amica-fidanzata!
Tienitela
stretta ;)”
“Non-amica-fidanzata?”
“Hai
detto tu che non è ‘proprio
un’amica’ e da quello che avete fatto quella sera
posso supporre che sia la
fidanzata…”
“Non
è più la mia fidanzata”
Hope
si morse il labbro “Ops
scusa, non volevo riaprire una ferita… che magari
è ancora aperta…?”
Noah
scrisse e cancellò molte
volte prima di inviare qualcosa “Non ti
preoccupare.”
“Se
Mr.Noah ne vuole parlare, la
psicologa oggi riceve. Si sdrai pure sul lettino.”
“Ahahahahaha”
“ahahahah
No
seriamente Noah. Se ne vuoi
parlare io ti ascolto… ti leggo XD. Se invece vuoi parlare
di altro possiamo
farlo.”
“E
di cosa parliamo?”
“ooooh
ce ne sono di argomenti!
Il tempo, il cibo, l’inquinamento, lo sfruttamento dei
bambini, l’uso di
animali in laboratori chimici…”
“Come
siamo profonde stasera…”
“ma
lo sapevi che ieri ho visto
un video in cui un cane apriva un microonde??? :O incredibile, poi
dicono che
li trattiamo male -.-”
“Ahahaha
devo averlo visto anche
io sai? Quello che spinge la sedia per salire sul bancone della
cucina?”
“ESATTO!
Non è un cane, è un
UMANOIDE capisci??? Fra poco vedrai che inizieranno a parlare”
“Ah
ci manca solo loro!”
“???”
“….
Già ci siete voi donne che
rendete questo mondo pieno di chiacchiere…”
“Ah.
Bene. Io vado a letto.
Ciao.”
“Nooooo
Hope scherzavo!!! Daiiiii
:( non andare via. Faccio pentimento giuro!”
“…”
“HOOOOPEEEE”
“ROOOOONF”
“Ahahaha,
non sapevo russassi!”
“ahahahaha,
no non russo!”
“E
chi lo dice? Tuo fratello? I
fratelli non sono mai attendibili…”
“Non
ho fratelli. Sono figlia
unica. C’è solo una piccola pazza in famiglia!
Comunque te lo garantisce
Strike”
“Strike?
E chi è? Il tuo
fidanzato?”
“Non
ho nemmeno quello. E’ il
gatto comunque.”
“Hai
un gatto?! Ma si chiama come
me ahahaha E lui come fa a garantirmelo?”
“mfmfmfmffffffff
maooooo
miaaaaaaoooo mooooaaa”
“Ahahahahahah
va bene ti credo
Strike… solo se mi dai la tua….ZAMPA!
ahahahahahahahahah”
“Pessima.
Noah questa era
pessima.”
“
invece era bellissima! Se mi
dai la tua zampaaaaa… ahahahaha”
Di
nuovo riempì la chat di
faccine ridenti.
“-.-“
“Ahahahaha
dai Hope!”
“No,
non riderò a questa
cazzata!”
“Va
bene :(”
“non
fare quella faccina, susu.”
“
va bene :( comunque
non sapevo avessi un gatto. Di che
razza è?”
“Non
lo so. E anche lui dice di
non saperlo. Anzi. Lui dice che sei superficiale: non esistono
razze”
“Ahahaha
sul serio dice così?”
“giuro!”
“va
bene… ehm allora di che
colore è il pelo?”
“grigio
a macchie arancioni”
“Uao!
Deve essere bellissimo…
quanti anni ha?”
“5
circa… tu non hai animali?”
“Ehm…
si, attorno a me ne vedo
spesso moltissimi. Alcuni sono anche miei amici.”
“……..
Va be’ dai questa non era
male”
“ahahah
grazie grazie, lo so.
Comunque ho una tartaruga.”
“Ah
si??? E come si chiama?”
“Ninja”
“….
Dimmi che mi stai prendendo
in giro”
“ahahah
no te lo garantisco! E’
mia sorella che l’ha chiamato così!”
“Non
dare le colpe a tua sorella
che deve essere una santa per sopportarti”
“ahahaha
la pensate allo stesso
modo mi sa!”
“Ecco
bravo, fagli i complimenti
da parte mia!”
“ahahaha
se mi rivolgerà la
parola prima o poi…”
“E’
ancora arrabbiata per la
storia delle scarpe immagino.”
“Guarda
che a me è scivolata la
cioccolata! Non l’ho mica fatto apposta.”
“Non
discuto… ma ti ho detto che
secondo me dovresti ricomprargliele come minimo!”
“
:D :) già fatto :) ho seguito
il tuo consiglio!”
“BRAVO
NOAH! Non ti facevo tanto
intelligente! E lei cosa ha detto?”
“Ancora
niente. Gliele metterò
davanti alla porta della camera da letto appena si
addormenta.”
“Ooooooh
ma che tenerezza…”
“E,
ti dirò più: gliene ho
comprato un altro paio!”
“MA
VA??? Oddio allora mi sa che
stasera nevica… devo chiudere bene le imposte se non voglio
che la tempesta di
neve si infili fin dentro casa”
“ahahahaha
ma dai :(”
“di
che colore?”
“Rosa.”
“…………………….”
“cosa?
Ho sbagliato???”
“….diciamo
che non sarebbe stata
la mia prima scelta. Cioè io non conosco tua
sorella… però se mi dici che ha la
camera tappezzata di cantanti quali i green day o i coldplay credo che
avrei
optato per un blu, per un nero o un grigio topo che adesso va
molto”
“Va
molto? Mica mi hai detto che
la moda non ti piace?”
“Non
è che non mi piace… la seguo
quando piace a me. Adesso il grigio topo va, o almeno andava per
l’inverno, a
me piaceva e quindi mi sono detta perché no???
Comunque
vedrai che apprezzerà il
gesto, sicuramente. Dal suo fratellino poi….”
“Ahaha
be’ spero che gli piaccia
in generale tutto anche il colore. Ma se mi perdona è
sufficiente.”
“Ma
che tenerooooo”
“Si
perché sennò mamma stressa”
“
come non detto”
“Ahahaha
no scherzo! Mia sorella
è importante per me ;)”
“Spererei!”
“Non
ti senti un po’ sola senza
fratelli?”
“A
volte si, a volte no. E
dipende anche da quanta differenza di età
consideri… per esempio se fosse appena
nato in questo momento mi seccherebbe un sacco avere un nano ubriaco
urlatore
per casa”
“Ahahahaha
muoio”
“avere
una sorella della mia
stessa età penso sarebbe un incubo. Mamma dice sempre che
avere una sola Hope è
più che sufficiente”
“Devi
essere terribile.”
“non
sono per niente terribile.
E’ lei che è strana”
“non
ho dubbi…”
“Forse
un fratello o una sorella
più grande. Però un po’ tanto
più grande… tra i 20 e i 25 anni più o
meno non
mi dispiacerebbe.”
“Ma
forse sarebbe già fuori di
casa, quindi sarebbe come non averla.”
“Sai
non è detto… cioè dipende da
che rapporto hai con tua sorella/fratello. Cioè sul fatto
che sarebbe fuori di
casa forse hai ragione. Ma come non averla non è
vero… perchè comunque avremmo
passato un bel po’ di tempo insieme e sono sicura che mi
mancherebbe tantissimo
nelle cose di tutti i giorni. Litigare con i miei sarebbe sicuramente
più
facile dato che la obbligherei a stare dalla mia
parte…”
“Ahahahaha
si molte volte ci
diamo una mano a vicenda…”
“Ecco,
infatti. Un po’ mi manca questa
figura, però è anche vero che non l’ho
mai avuta quindi non so che lati
positivi e negativi ci sono!”
“Si...
e di lati negativi ci
sono. Quando vivevano ancora sotto lo stesso tetto e aveva gli attacchi
isterici
io mi rifugiavo nella mia stanza.”
“facevi
bene. Certe volte noi
ragazze siamo terribili”
“Quando
ha avuto la sua prima
lite con il suo primo ragazzo è stato… pazzesco.
Era diventata pazza. Ma PAZZA,
non smetteva più di piangere… le ho detto
‘ehi guarda che ti prosciughi!’”
“ahahahaha,
immagino. Povera :(
l’hai consolata vero?”
“ovviamente!
I miei non c’erano,
meno male che c’ero io… abbiamo anche dormito
insieme quella notte. Ero un po’
preoccupato sinceramente.”
“Ma
davvero sei così tenero o
stai facendo finta?”
“ahahaha
è tutta una tattica ;)
per tenermela buona durante i litigi con mamma e
papà.”
“Ah
ecco. Si spiega tutto. Mi
sembrava strano”
“E
comunque ho spaccato il culo a
quel coglione ovviamente.”
“ovviamente.”
“No
giuro. E’ stato una merda.
Adesso appena mi vede scappa lo sai?”
“perché
OSA entrare in casa
tua??? Non dirmi che tua sorella si è rimessa con lui
:O”
“noooo
ma va! Mia sorella si è
fatta valere e non lo calcola proprio più!”
“oh
meno male. E come fa a
vederti? Fate la stessa scuola?”
“Diciamo
che ci vediamo spesso
per motivi che non ti sto a raccontare…Però tiene
la testa bassa.”
“bravo
Noah, fagli capire CHI
COMANDA!!!”
“guardi
ancora Lost in grey?”
“Si
-.- ma questa puntata mi sta
facendo venire voglia di defenestrare il computer.”
“ahahaha
come mai???”
“Ma
perché questo pirla di Eathan
ha sparato a uno che manco conosceva e Fanny gli sbava dietro come
prima. Ma dai
-.- ma io tifo per i cattivi e non se ne parli
più.”
“ma
nooo come?! Per i cattivi??
Ahahahaha Le ragazze comunque vanno dietro agli stronzi, si
sa.”
“Ommioddio…
non cominciare anche
tu con la scenetta da pseudo-maschio-vittima che non mi piace per
nulla.”
“ahahaha
perché???”
“Dai!
Tutti che dicono che le
ragazze si innamorano degli stronzi… e sai cosa vi dico? Che
vi innamorate
tutti delle fighette, che a noi ragazze normali non ci guarda
nessuno!”
“ma
non è vero!”
“Certo
che non è vero! Solo che
le cose si stanno ribaltando: ora siete voi che avete le crisi
esistenziali e
vi fate paranoie da morire che non servono a nulla se non ad abbassarvi
l’autostima!
Okay
ragazze che vanno dietro a
ragazzi stronzi ci sono. Ma anche VICEVERSA! Il mondo non è
né tutto bianco né
tutto nero. E se andate in giro dicendo queste cazzate, è
ovvio che nessuna
ragazza vi calcolerà mai!”
“Pam
mi ha scaricato per uno
stronzo.”
Il
primo riferimento a ciò che
era successo con la ragazza di prima. Hope non aveva intenzione di
sapere
esattamente cosa era successo (il suo essere pettegola moriva dalla
voglia)
anche se il sasso era stato lanciato. E infatti non insistette.
“Infatti
ho detto che esistono.
Ma non TUTTE. Non facciamone una tragedia, non generalizziamo.
Sennò allora
visto che in Giappone ammazzano le balene, tutto il mondo ammazza le
balene?
NO! Certo che no. E’ questo il punto: non si può
farne una cosa generale se hai
solo un caso.”
“Sinceramente
ne ho conosciute un
po’”
“tutte?”
“tutte
cosa?”
“Tutte
hanno fatto così? Oh ma
scusa, quindi vuoi dire che tua madre si è messa con uno
stronzo? O dici che è
la moda del momento?”
“Ahahaha,
no va be’. Non tutte.
Un po’”.
“un
po’ lo posso accettare. Tutte
proprio no. E mi dispiace se hai avuto un’esperienza del
genere. Ma ti
garantisco che non sarà sempre così.
Sennò tutte quelle che hanno un figlio
vuol dire che il loro padre è uno stronzo. E ci sarebbero in
giro un sacco di
ragazzi single, quelli non-stronzi.”
“ahahahahah,
vero… comunque ci
conto. Guarda che poi vengo a lamentarmi da te.”
“Per
cosa?”
“Se
tutte finiranno come Pam.”
“Ma
noooo vedrai ;)”
“lei
è stata proprio una stronza.
Anche io non ho scherzato…”
“vedi
allora ecco la spiegazione
del perché si era innamorata di te”
“aaahahaha
vero, hai ragione.
Comunque è finita. Da un po’ ormai.”
“ti
fa male ancora?” si azzardò a
chiedere Hope.
“Male
no… ormai ci ho fatto
l’abitudine. Qualche volta ci penso. Purtroppo non
è un bel ricordo…”
La
Hope-pettegola scrisse “Posso
chiedere cosa è successo? Sempre se ti va di
raccontarmelo…”
“Be’…
non c’è molto da
raccontare. Ci siamo conosciuti per amici comuni, mi diceva che le ero
piaciuto
subito. E la cosa all’inizio era reciproca. E’
andata avanti per poco, due
settimane al massimo, e sono venuto a sapere che gli era piaciuto anche
il mio
migliore amico.”
“Ahia.”
“già.”
“Mi
spiace. Davvero… io penso non
riuscirei ad agire in questo modo…
Cioè… se due sono amici, mi faccio un esame
di coscienza prima di rovinar la loro bella amicizia.”
“Proprio
per questa che non
l’abbiamo rovinata. Nemmeno lui sapeva di me.
All’inizio ero convinto che lui
sapesse benissimo ma poi ne abbiamo parlato e tutto si è
risolto. Lui sapeva
che ero amico di Pam, non sapeva che ci tiravo storia. E infatti non
siamo mai
usciti, io Pam e lui. Chissà
perché…”
“eh
già, chissà come mai.
Comunque mi dispiace… però è una bella
cosa che tu ne abbia parlato con lui e
che ci sei ancora amico”
“già.
Quando l’abbiamo messa
davanti al fatto compiuto, lei ha detto che non gli portava, che lei
stava già
con qualcun altro e che noi potevamo arrangiarci.”
“ma
che simpatica.”
“E’
per quello che dico che mi ha
mollato per uno stronzo. Perché di fatto né io
né il mio migliore amico
l’avevamo mollata.”
“Be
voi siete stati anche carini
secondo me. Non è da tutti: avreste potuto prima di tutto
prendevi a pugni
l’uno con l’altro e poi prendere a pugni lei. Che
gentlemen che siete!”
“ahahaha
grazie!”
“prego!
Ma quanto è passato circa?”
“un
mese più o meno. Louis dice
che non ci pensa più, ma lo conosco. Anche lui qualche volta
ci pensa.”
“Louis
immagino sia il tuo
migliore amico.”
Noah
impiegò un po’ a rispondere
e sulla chat continuava a comparire Stryes94
sta scrivendo per poi scomparire e ricomparire di nuovo.
“Si
esatto. Però sai io quando ci
penso non riesco a pensare in modo positivo a quella
situazione.”
“Ci
mancherebbe scusa! Siete
andati talmente vicino al fatto di poter litigare e far scoppiare
casini che
difficilmente si sarebbero risolti che ci manca solo che tu ci pensi in
modo
positivo! Lei è stata assolutamente una brutta persona!
Soprattutto sapendo che
eravate e per fortuna SIETE ancora migliori amici! Se fosse successo a
me
penserei a solo una cosa positiva.”
“Sarebbe?”
“Che
la vostra amicizia si è
rafforzata e ha dato la prova che nemmeno una ragazza può
comprometterla. E
questa è DAVVERO una cosa stupenda, per chiunque, per due
migliori amici è il
massimo!!!”
“Vero…
non ci avevo pensato.”
“ma
si. Magari ci sarà sempre un
po’ di disagio a parlare di questa Pam con lui, ma quello
è normale. Ma se
davvero la vostra è un’amicizia forte e potente ci
farete l’abitudine e chissà…
magari quando sarete più grandi ci riderete sopra.”
“Speriamo
sia davvero così…”
“ma
si vedrai… è passato solo un
mesetto. Datevi ancora.. io dico una settimana ma facciamo i pessimisti
e
mettiamone due di settimane. Non vi ricorderete più nemmeno
di chi sia Pamela.”
“Pamela?
Chi è questa Pamela?”
“Ahahaha,
visto? Due secondi e
sono bastati!”
“ahahaha
ma davvero!
E
tu? Esperienze con ragazzi?”
“uhm…i
ragazzi di oggi si
innamorano tutti di quelle stronze :P”
“Ahahahah
ma no! Abbiamo speso
mezz’ora per convincermi del contrario!”
“ahahaha
lo so lo so! Scherzavo…
Diciamo
che so come comportarmi
con l’altro sesso ma alcune cose mi sono ancora
oscure.”
“Per
esempio? Sono un pozzo di
consiglio io!”
“ahahaha
non ne dubito.. per
esempio perché siete così spacconi quando siete
con gli amici.”
“?”
“Vi
comportante come un branco di
animali… letteralmente… Quando siete da soli
avete il musetto da cane
bastonato, con occhioni che luccicano e che chiedono
coccole…”
“ahahahahaha”
“quando
siete insieme ad altri
animali dello stesso sesso… Bah, altro che cuccioli. Siete
dei
maiali-pazzi-scatenati-spacconi-menefreghisti e insensibili”
“Non
così tanti complimenti tutti
insieme per favore.”
“no
sul serio. Subite metamorfosi
degne di Kafka.”
“kafka?
Dovrei conoscerlo?”
“
-.- lascia perdere. Comunque.
Diventate altri ragazzi, altre persone… MA
PERCHE???”
“non
ho notato sai?”
“Certo
che non hai notato!
Appartieni a quel genere!!! Ci scommetto la faccia.”
“ahahaha”
“Dammi
una spiegazione. Per
favore.”
“non
saprei… non so di cosa stai
parlando esattamente… però potrei azzardare che
ci sentiamo più sicuri.”
“CEEEEERTOOOOO,
poi però a fare
ALTRE cose, siete più sicuri di una scimmia che sbuccia una
banana.”
“AHAHAHAHAH”
“Senti
hai mai visto Grease?”
“Grease.
il musical?”
“Si
il musical. Incredibile, sai
cos’è! L’hai mai visto?”
“Si
l’ho visto.”
“E
l’hai pure visto! Aspetta chiudo
le imposte sul serio, adesso.”
“Ahahahahaha…
non capisco cosa
c’entra.”
“hai
presente come inizia? Che
lei casca dalle nuvole quando si scopre che lui è nella
stessa scuola? Di come
ALL’INIZIO anche lui sia entusiasta e di come subito dopo si
accorge che i suoi
amici lo stanno guardando male e cambia atteggiamento?”
“Vagamente
mi ricordo qualcosa..”
“Riguardatelo
e rinfrescati la
memoria. Lui è una merda, lei ci rimane malissimo e POI di
nascosto lui cerca
di riconquistarsela. Ci riesce e non ci riesce finchè non
prende in mano la
situazione LEI…”
“E
si tira insieme e diventa una
ragazza splendida.”
“-.-
anche prima a lui piaceva.
Solo che era coglione e la trattava male.”
“Ahahaha
quindi niente più
stronzaggine quando sono insieme agli amici?”
“Se
vuoi diventare un latin lover
si!”
“
va bene! Allora aspetta prendo
un quaderno e inizio a segnarmele…”
“Ceeeeerto.
Prendimi pure in
giro!”
“no
giuro, ho la biro in mano!
Devo trovare un foglio…”
“Sisi
certo. Fai con comodo. Io
adesso devo scendere a vedere una puntata di un’altra serie
tv con mamma. Ciao
Noah! BUONA NOTTEEEEE!”
“nooo
come?! Ho il quaderno
pronto! Va be’ fa niente… però ci conto
davvero, Hope! Buona notte anche te…
fai bei sogni! ;)”
fine
conversazione – 21.46
21
Marzo 2013 – Lunedì ore 19.46
“Noah
ci sei?
Noaaaaahhh???
Dimmi che ci sei
per favoooooreeeee
NOAAAAhhh
NOOOOAH NOAAAAH
NOOOOOAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!!
AIUTOOOOOOOO!”
Era
una delle poche volte e
primissime volte che stava a casa da sola dopo l’Ombra. I
suoi finalmente erano
stati convinti dalla sua efficacissima capacità di eloquenza
a lasciarla da
sola a casa, per una sera.
“HOPE!
Scusa ho letto adesso! E’
successo qualcosa????”
“Si…
cioè no.”
“SI
O NO??”
“Si,
si. Sai fare la pasta?”
“La
pasta?”
“Si
la pasta!”
“Ma
dimmi prima cosa è
successo!!!!”
“E’
questo! La pasta! Mi serve
sapere come si fa la pasta e non lo so fare, tu lo sai
fare’??”
Hope
doveva prepararsi la cena e
si era portata il computer giù in cucina. Stava morendo di
fame. Solo che non
aveva la più pallida idea di come si facesse la pasta. E sua
mamma le aveva
lasciato il sugo da cuocere.
“Non
sai fare la pasta?”
“No,
e NON PRENDERMI IN GIRO! Non
so quanto sale devo mettere… cosa vuol dire quanto
basta???”
“E’
scritto sul libro delle
ricette della nonna?”
“No
per la verità ho trovato
qualcosa su internet mentre tu eri a fare i cavoli tuoi e non aiutavi
una
donzella in difficoltà!”
“ahahahah
la mia era una battuta!
Comunque vuol dire che dipende da quanta acqua metti nella
pentola”
“Per
una persona, quanta acqua ci
devo mettere?”
“Ahahaha
Hope stai scherzando?!”
“NO!
E se poi mi esce la pasta al
sale???”
“Ahahahaha,
dimmi che almeno hai
il sugo già fatto.”
“Si.
E guarda sono talmente
disperata che ho pensato di mangiarmelo senza pasta. Con il pane e
basta”
Noah
le riempì la chat di faccine
che ridevano.
“Piantala
di ridere Noah. FAI
QUALCOSA”
Di
nuovo, Noah inviò faccine.
“sto facendo qualcosa” aggiunse poi, mandando altre
faccine.
“-.-
non sei per nulla simpatico!
Dimmi come si fa!!! Giuro sennò vengo lì e ti
uccido!!!”
Mentre
Noah le spiegava come fare
la pasta, Hope sorrideva e rideva. Si sentiva particolarmente contenta
quel
giorno, non sapeva esattamente perché. Qualche volte le
capitava, anche di
cambiare atteggiamento da un minuto all’altro. Ma era
contenta di questo cambio
di personalità. In passato era stato l’opposto.
Pensava
che in quell’istante
dovessi godersi un momento di libertà mentre i suoi non
c’erano, non doveva
studiare e poteva fare qualsiasi cosa volesse. Mentre le pasta cuoceva
parlò
con Noah.
“Ma
perché devi fare la pasta?
Sei da sola a casa?”
“Si
certo che sono da sola a
casa, di certo non cucino quando ci sono i miei. Li avvelenerei,
sicuro!”
“Ah
allora per tenerti d’occhio e
vedere se passi a miglior vita o meno, meglio che annulli tutti i miei
impegni
per la serata”
“Ah
ma noooo, non vorrei mai
annullare i tuoi IMPORTANTISSIMI impegni!”
“ahahahahaha
no davvero, meglio
annullarli sennò poi entrano nel tuo pc e divento uno dei
principali sospettati
per il tuo suicidio.”
“uhm.
Però sarebbe una bella
storia da prima pagina. Ragazzo comune uccide ragazza comune attraverso
internet.”
“Già….
Sarebbe proprio da prima
pagina.”
“Comunque
vai, me la cavo
benissimo da sola. Se muoio ti scrivo prima.”
“Ahahahaha
ormai ho già
cancellato tutto. Le mie fans erano distrutte”
“AHAHAHAHAHAHA
AHAHAHAHHAHAHA e
TU avresti delle fanssss?”
“Ovviamente,
non sai quante”
“Oh
si si immagino, sei
irresistibile”
“Ti
stupiresti, sai”
“ahahahah
ma ceeeeerto. Comunque
se Mr Noah ha annullato i suoi importanti impegni con tutte le sue
fansss mi
sento molto lusingata e lo apprezzo moltissimo :D”
Parlarono
per tutta sera, sempre
a ridere e a scherzare. Hope si portò dietro il computer
dovunque andasse e
quando dovette lavare i piatti, lo fece il più velocemente
possibile perché
voleva assolutamente tornare a scrivere a Noah. Neanche si accorse del
tempo
che era passato a parlare con lui: più del solito. Quando i
suoi tornarono,
verso l’una di notte trovarono Hope tranquillamente
addormentata nella sua
camera con Strike appallottolato in fondo al letto. In
realtà Hope fingeva di
dormire: aveva appena chiuso con Noah e il suo cervello stava correndo
più del
solito, pensando a cosa si erano scritti.
Passò
un’altra settimana prima
che il loro rapporto facesse un altro salto di livello.
Ormai
si sentivano sempre, ogni
sera, prima e dopo cena e qualche volta anche dopo che Hope tornava da
scuola.
Magari perché le era venuto in mente qualcosa da dire a lui,
oppure perché lui,
durante la mattinata le aveva scritto. Lui, infatti stava spesso a casa
ma a
lei non importava e non ci fece neanche più caso.
Probabilmente aveva tante ore
di informatica e le passava vagando in internet e scrivendo a lei.
Senza
rendersene conto, appena lei entrava in camera accendeva
automaticamente il pc
e lo lasciava caricare. Poi con un sorriso vedeva la notifica della
chat. La
sua routine si era plasmata sui tempi di lui e la routine di lui sui
tempi di
lei: se non ci fosse stato uno schermo di mezzo, sarebbe sicuramente
stata una
grande amicizia. E Hope era infinitamente contenta. Non per il fatto
che non
potesse vederla, no di certo, ma perché lui non sapeva cosa
era successo in
passato, non la giudicava e non la guardava come altri facevano; senza
rendersene conto, magari, ma lo sguardo di tutti era attento e
spaventato come
se fossero nelle vicinanze di un pezzo radioattivo, che potesse
scoppiare e
andare in mille pezzi da un momento all’altro.
Ma
il computer li divideva, forse
anche molti moltissimi chilometri. Lui la voleva sentire, faceva di
tutto pur
di essere puntuale ai loro appuntamenti taciti e, se non riusciva ad
esserlo,
trovava il tempo di scriverle e informarla. Hope non aveva accettato
altre
richieste di amicizia, oltre a quelli dei suoi amici a scuola ma
raramente
chattava con loro. Trovava più interessante ed eccitante
parlare con un ragazzo
che non aveva mai visto che parlare invece con ragazzi che conosceva e
che
vedeva fin troppo spesso e con cui, probabilmente, non avrebbe mai
potuto
costruire qualcosa di più. Hope si sentiva sollevata quando
lui la cercava e
lui si sentiva totalmente felice quando vedeva una sua notifica. I due
si
sentivano vicini, e questa era amicizia, anche se vi era molta distanza
e
nessuna vera conoscenza. Capita spesso nel mondo di oggi ed era
successo ad Hope.
E lei aveva iniziato per necessità, andando contro alcuni
suoi ‘valori’:
stringere una grande amicizia in internet con una persona mai
vista… com’era
possibile? Era successo e non se ne era accorta. Non si accorse di
nulla se non
delle ore che passava senza sentirlo.
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Capitolo 3 *** Numero ***
Capitolo
3 – Il numero
29
Marzo 2013 – Martedì ore 21.17
Hope
entrò in camera da letto,
sbattendo la porta e chiudendola a chiave. I pugni stretti, le lacrime
che
combattevano per uscire. Prese a calci la cartella. Poi le venne un
capogiro e si mise sul letto. Era meglio recuperare la calma se non voleva
finire dai
dottori, di nuovo.
Prese
il computer. C’erano già 5
notifiche, tutte di Noah.
“Scusa.
Sono stata occupata.
Adesso sono qui.”
“Ciao!
Tranquilla! Come
va? E’ tardi stasera! Come mai?”
“Va
malissimo grazie.”
“Cos’è
successo?”
“ho
litigato con Alice, la mia
amica.”
“Perché?
Cosa è successo?”
“Niente.
Non ne voglio parlare.
Lascia perdere.”
“Dai
Hope…”
“NO.
Ho detto che non ne voglio
parlare, lasciamo perdere! Per favore”
“Hope…
va bene, come vuoi. Di
cosa vuoi parlare?”
“
non lo so.”
“Va
bene… ehm… bella giornata
anche lì oggi?”
“Non
ho fatto caso al tempo.”
“Siamo
proprio nere eh… va bene…
immagino che avrebbe potuto piovere tutto il giorno, non ti saresti
nemmeno
accorta. Comunque parlarne ti farebbe bene..
MA
VISTO CHE NON VUOI Noah
troverà qualcos’altro di cui parlare…
Uhm
vediamo…. Vedi qualcosa
stasera?”
“Credo
di si. Suggerimenti?”
“Vuoi
ridere?”
“No.”
“Vuoi
piangere?”
“No”
“Vuoi..urlare?”
“No.”
“Vuoi
essere triste?”
“No.”
“Vuoi
rimanere arrabbiata?”
“Si.”
“PERFETTO!
Ho il telefilm che fa
per te! Si chiama ‘spacca i culi a chi ti ha fatto il
culo’. E’ interessante
sai? Aiuta un sacco”
Hope
sorrise. Il primo sorriso
della giornata da quella mattina. Il cuore non le batteva
più così forte e si
rilassò leggermente. Sentì Strike miagolare fuori
dalla porta e lei scese
addirittura dal letto per andargli ad aprire. Quando chiuse la porta,
non la
richiuse a chiave. Quando si sistemò sul letto, Noah aveva
scritto:
“Hope
sto scherzando… mica sarai
andata davvero a cercare questo telefilm!”
“No
certo che no..”
“Meno
male. Sennò scoprivi che in
realtà io sono un attore.”
“Un
attore?”
“Si.
Della serie tv ‘spacca i cui
a chi ti ha fatto il culo’!”
“E
che ruolo interpreteresti?”
“Quello
che ti ascolta ovviamente
:)”
Hope
ci pensò un attimo mentre
metteva il pigiama.
“La
mattinata è iniziata male e
la giornata non prometteva niente di bene” scrisse. Sentiva
la presenza di Noah
dall’altra parte dello schermo, appena dietro, come se fosse
realmente seduto
sul suo letto pronto ad ascoltarla.
“Sai
del progetto che si doveva
fare con una compagna di classe?”
“Si.
Quello sulle pubblicità che
devi fare con Alice?”
“Esatto.
Arrivo in classe e vedo
che accanto a lei c’è Erika…”
“L’Erika,
quella che in palestra
ti ha ripreso quando non hai preso la schiacciata?”
“Quella
stronza, esatto.”
“Okay
ci sono”
“E
niente, Erika stava parlando
ad Alice, non sapevo ancora di cosa. Quando sono arrivata da Alice,
Erika mi ha
salutato, gentilissima, davvero, tenerissima ‘ciao HOPE! Che
carina quella
felpa, dove l’hai presa?’, cose del
genere”
“Che
volta faccia”
“già.
Ma ve be’ fin qui tutto
bene. Quando Alice mi ha
detto di cosa
si trattava, cioè che lei si vorrebbe unire a noi, le
rispondo CHE NON SE NE
PARLA NEANCHE”
“Giustamente!”
“Alice
sbuffa, seccata ma faccio
finta di non aver visto niente. Mi sembrava molto strano che sbuffasse
visto
che le avevo spiegato più di una volta il perché
non volevo più avere a che
fare con lei. Va be’ niente passano due ore, arriviamo
all’intervallo e Alice
mi dice che deve andare a fare delle fotocopie”
Da
tanto, senza rendersene conto,
Hope, parlando della scuola, dell’intervallo e degli amici
aveva fatto intendere
a Noah di avere più o meno la sua età.
“Vedo
che se ne va senza
chiedermi nulla, segno che era incazzata. Ma niente, la lascio andare.
Dopo un
po’ indovina chi arriva? ERIKA insieme alle sue scagnozze. Mi
dice che devo
superarla quella cosa che ha detto, che , in fondo, se non me ne frega
niente
di quello che ha detto, dovrebbe trattarmi come se lei, Erika, non
esistesse.
Io l’ho guardata con tanto d’occhi e le ho detto
‘ma sei tu che sei andata da
Alice a chiederle di unirti al nostro gruppo’. E lei mi
scoppia a ridere in
faccia, dicendomi che dovrei scegliermi le amiche con più
criterio.”
“?
E cioè?”
“Me
lo sono chiesto anche io e
l’ho chiesto a lei. Niente, vengo a sapere che Alice si
è lamentata di me un
pomeriggio in cui è uscita con Rachel, una delle amiche di
Erika, la quale
ovviamente l’ha detto ad Erika. Si era lamentata di me
riguardo al fatto che
non avevo molta voglia di girare per le discoteche, andare in giro con
lei la
sera e fare quelle serate da ‘sballo’ che adesso
vanno molto.”
Non lo era mai
stata, anche prima dell’Ombra. Anche perché non
gliel’avrebbe permesso. E
probabilmente non lo sarebbe stata mai.
“Serate
da sballo?”
“Si.
Io non sono tipa, cosa ci
posso fare? Comunque Erika a quel punto aveva chiesto ad Alice di
mettersi con
lei nel gruppo e lasciarmi da sola! ovviamente mi sono incazzata a mia
volta e
appena è arrivata Alice in classe le ho sbattuto in faccia
che il lavoro poteva
farselo con quelle stronze di Erika e Rachel. Lei mi ha guardato e con
un’aria
degna delle più stronze sulla faccia della terra mi fa
‘bene, brava così si
affrontano i problemi, da persone mature.’.”
“Cavoli…”
“Io
non l’ho più guardata in
faccia e lei pure.
A fine scuola io
ovviamente sono stata lasciata da sola, sembrava che fossi malata da
quanto mi
evitavano tutti.”
“Addirittura”
“giuro!
Comunque faccio per
andare a casa mia e Alice mi passa accanto con Erika e Rachel ridendo e
scherzando. Ho fatto finta di niente, cercando di pensare ad altro. Ma
poi
Erika fa ‘che sfigate le ragazze che passano le serate a casa
con mamma e
papà’. Alice non ha detto niente e mi è
venuto da piangere.”
Hope
si ritrovò la faccia
bagnata.
“sono
un imbecille” aggiunse poi
“perché sto piangendo anche adesso. Ma lei non se
lo merita per nulla.”
“Hope…mi
dispiace…”
“No,
mi dispiaccio da me, tu non
ti devi dispiacere, Noah. Poi anche quando sono tornata a casa ho
litigato con
i miei perché ho risposto male tutto il pomeriggio. E quindi
sono arrivata
tardi perché mamma mi ha fatto una predica lunga venti
minuti. Ma non aveva
capito che ero nervosa già per i fatti miei. E allora anche
lei a dirmi ‘sei
intrattabile perché non esci mai!’”
Sua
mamma l’aveva spinta da
subito a uscire, appena la dottoressa e gli altri dottori le avevano
detto che
poteva tornare alla vita di sempre. Di sicuro, sua mamma non era stata
una
mamma protettiva. Attenta a non farle superare un certo limite, ma
nemmeno a
barricarla in casa per paura del mondo. E Hope non si era mai lamentata.
“Ma
cosa ci posso fare? Sono
così! Che scelta ho? O uscire e quindi andare a sballarmi,
oppure stare qui a
casa, a scrivere a te oppure a leggermi un bel libro, cosa che
preferisco fare
mille volte piuttosto che sballarmi!”
“già,
ti capisco… anche noi siamo
così. Qualche volta andiamo fuori a ballare però
preferiamo passare una serata
tranquilla”
“vedi?
Però voi siete un VOI. Io
sono solo IO. Non ho nessuno con cui condividere… non so
Noah, in questo momento
mi sento molto sbagliata.” Come se già non si
sentisse abbastanza storta nella
normalità.
“ti
senti sbagliata?”
“Si.
Sono diversa ed
evidentemente non va bene… sono una sfigata
perché non esco? Divento
intrattabile perché non vado a divertirmi e ad ubriacarmi?
Non capisco il
collegamento! Ma evidentemente c’è e solo a me
è oscuro.”
“Ma
no Hope… non sei tu… Probabilmente
sono gli altri! Guarda me, guarda Louis… anche a noi non fa
impazzire quello
stile di vita… e ti garantisco che anche noi siamo
circondati da gente che è
cogliona in questo modo.”
“non
so. Non mi sento… giusta.
Non mi sento… non saprei. Ma perché? Io non posso
cambiare… ci ho provato ad
uscire, a divertirmi in quel modo… e non riesco! A me piace
parlare, scrivere,
leggere i libri… e non mi piace perdere il controllo di me
stessa e non mi
piace vedere gli altri che si sballano.” Non le piaceva
perché aveva perso il
controllo sul suo corpo in altri termini. Ma anche in quelli che aveva
inteso
Noah che, ignorando la sua situazione, non poteva sapere.
“non
devi cambiare Hope…va
benissimo così come sei, davvero.”
“Non
saprei Noah…”
“ma
certo Hope! E’ Alice che ha
sbagliato… da quanto siete amiche? Dieci anni? Vedrai che lo
capirà presto
anche lei… in fondo sei speciale, non sarà
così facile staccarsi da te. E’
stata una stronza, non doveva comportarsi come si è
comportata… e quella Erika.
Non sai quante ne incontro di ragazze così. Non sai quanta
voglia avrei di
farle cambiare idea… Sparare i giudizi a caso sulla
gente… Non si capisce cosa
si prova finchè non lo si prova sulla pelle.”
“Magari
ha ragione.”
“no
Hope, non ha per niente
ragione.”
“E
perché no? Da una ragazza come
me, di 17 anni o più ci si aspetta questo
comportamento” sapeva di avergli
rivelato gli anni, ma probabilmente lui l’aveva capito da
tempo e mise a tacere
la vocina che le diceva che si era lasciata troppo andare. Non
importava più ormai.
“ci si aspetta che copi durante i compiti, che se ne freghi
della scuola, che
vada dietro a qualsiasi ragazzo, che vada ai concerti e che abbia
posters di
cantanti in giro per la stanza”
“Hope,
tu sei più speciale. Sei
molto speciale. Devi mettertelo in testa. Sei diversa e sei
speciale.”
Le
sembrò di sentire la sua
dottoressa e per un attimo le si ghiacciò il sangue nelle
vene, temendo che lui
avesse saputo. Ma non era possibile. Non l’aveva nemmeno mai
vista.
“Sembra
ciò che si dice ai
bambini che hanno qualche problema mentale.”
“ahahahaha
no, giuro, non era
quello il mio intento.
Ciò
che ti voglio dire è che…
Anche
se ti conosco da poco e
meno sicuramente di Alice, so che sei una ragazza con la testa sulle
spalle,
dai sani principi morali … sai che bisogna portare rispetto,
sai ascoltare la
gente. Hai tantissimi pregi davvero! Sei speciale per Alice quanto lo
sei per
me, come minimo.”
Hope
sentì una strana sensazione
strana dalle parti dello stomaco.
“non
mi piace vederti soffrire,
non te lo meriti. Non te lo meriti per nulla. E sapere che ti ha fatto
male
Alice (almeno in parte) lo trovo ancora
più…assurdo. Hope mi dispiace… ti
abbraccio fortissimo.”
Hope,
con ancora le lacrime
fresche sulle guance, chiuse gli occhi. Si immaginò un Noah
che l’abbracciava.
Avrebbe voluto moltissimo piangergli sulla spalla. Inzuppargli la
maglietta e
ridere poi con lui.
Quando
riaprì gli occhi, lesse:
“Vorrei essere lì con te.”
Un’ondata
di malinconia la inondò
e finalmente capì chi era veramente Noah per lei. Chi era
diventato e cosa era
divenuto il loro rapporto.
Altri
lacrime le scorsero sulle
guance.
“Anche
io” scrisse.
“Non
piangere ti prego :(”
“Non
piango, giuro” scrisse,
cercando un sorriso che arrivò con una smorfia.
“Lo
so che stai mentendo. Mi dispiace,
non starci male, si risolverà tutto. Andrà tutto
bene, vedrai…”
“Non
saprei.”
“Te
lo giuro.”
“Davvero?”
“Si,
te lo giuro. Fosse l’ultima
cosa che faccio… anzi scrivo.”
Hope
sorrise. “Croce sul cuore?”
“Croce
sul cuore? Che significa?”
“Non
hai visto neanche Up, il
cartone?!”
“Ahahah
no, so cosa è. Croce sul
cuore ;)”
“Mi
è venuta voglia di un
gelato.”
“grande!
Allora ti stai già
riprendendo…”
“O
sto cadendo in un vortice
sempre più profondo.”
“Ahahaha
ma nooooo, dai! Non ce
l’hai a casa?”
“non
mi va di scendere.”
“capisco…
be dovrai accontentarti
di me.”
“vedrò
di adattarmi.”
“Ah
bene! Ma che carina…”
“ahahaha
scherzavo!”
“:)
meno male, sai ancora
scherzare. Sono più tranquillo sentendoti tranquilla”
“Quasi
quasi mi vedo Up per
davvero…”
“Fai
bene, così ti distrai!”
“Anche
se penso che per l’inizio
inzupperò il letto di camera mia.”
“Perché?”
“E’
mega commuovente”
“Oh
no allora non va bene…
guardati Cattivissimo me, così ridi di
più!”
“Non
l’ho mai visto sai? Volevo
vederlo ma mi sono dimenticata…”
“Nooooo
incredibile, ho trovato
un film che la grande esperta di film Hope non ha visto!!”
“Eeeeh
già, non capita a tutti.”
“Se
lo guardi, lo guardo anche
io, ti faccio compagnia!”
“va
bene, andata!”
Si
misero a guardare il film
insieme. E’ strano no? Non erano insieme, eppure sembrava che
lo fossero.
Ridevano scherzavano e lui, per un po’ di tempo, la
portò su un altro mondo,
distraendola. Si sentiva orgoglioso di ciò che aveva
fatto… Hope era diventata
una sua grande amica, se non la più vicina a lui, senza
esserlo fisicamente. E
Hope si sentì protetta e non più
‘sbagliata’ per un paio di ore. Quando
finì il
film andarono avanti ancora per due ore a parlare. Hope era
più leggera e
vedeva il problema con Alice con occhi diversi. Sarebbe andato tutto
bene, come
Noah le aveva promesso.
“Noah,
ti devo ringraziare”
scrisse in un raptus di romanticismo.
“Di
cosa?”
“Di
avermi consolata stasera. Mi
hai aiutata davvero… Grazie. Ti devo un favore.”
“Non
mi devi niente, Hope. Ti
voglio bene, non voglio vederti soffrire. E sei un’amica
veramente speciale.”
Hope
sorrise e di nuovo sentì la
sensazione allo stomaco.
“Anche
tu per me”. Il cuore
cominciò a batterle un pochino più velocemente
quando decise cosa scrivergli. “E
mi fido di te.”
“ti
fidi?”
“Mi
fido. Ti ricordi che ti
avevo promesso di dirtelo se avessi iniziato a fidarmi di
te?”
“Come
se fosse ieri.”
“Mi
fido.”
“Quindi
posso chiederti quello
che voglio?”
“ahaha
si. E giuro che avrai la
verità.”
“Uhm….
Allora posso cominciare?”
“certo!”
“Allora
hai 17 anni giusto?”
“Si
questo non era difficile.”
“No
infatti… però voglio sapere
da dove vieni. Voglio sapere quanti km ci separano per valutare se
posso venire
a trovarti ogni tanto.”
“Ahahaha
va bene… abito a Sevenoaks.”
Noah
non rispose subito.
“E’
passo da qui.” Rispose poi.
“Già
:)”
“magari
non è che ci siamo già
visti?”
“Ahahaha
non credo Noah.”
“Non
credo nemmeno io Hope. E sai
perché?”
“no.”
“Perché
di sicuro mi ricorderei
di una ragazza come te.”
Hope
sorrise, sentendo la
sensazione che era partita dallo stomaco, diffondersi in tutto il
corpo, come
un leggero calore, dolce come la cioccolata.
“Sono
anche sicuro che me la
sarei tenuta molto stretta.”
Hope
ridacchiò.
“In
senso come amica, ovviamente :)”
“ovviamente”
scrisse Hope non
volendoci credere fino in fondo. “Comunque anche io credo che
mi ricorderei di
uno come te.”
“Perché?”
“perché
uno che ha queste doti
poetiche non si trova molto spesso in giro.”
“Ahahaha
grazie! E’ ciò che penso
sul serio…”
“A
parte gli scherzi, anche io.”
Si
appoggiò allo schienale del
letto e accarezzò Strike che emise leggere fusa.
Pensò a Noah come ad un
ragazzo in carne e ossa e desiderò di poterlo vedere il
giorno dopo a scuola.
Che la aspettasse fuori da scuola e che le sorridesse. Non aveva mai
pensato a Noah
in quel modo fino ad allora. Era stata solo una relazione di scherzi e
di
risate… niente di molto impegnativo ma che aveva gettato le
basi di qualcosa di
molto molto più solido. E prezioso.
“Ecco
Hope devo chiederti una
cosa…”
“Dimmi
pure…”
“Lo
so che mi hai appena detto di
dove sei e quanti anni hai… e so che non dovrei sfruttare
questa possibilità…
ma ci tengo davvero a te. E vorrei sentirti più
spesso.”
Hope
intuì immediatamente dove
voleva andare a parare il ragazzo. Ma non voleva pensarci troppo:
sperava che
lui le facesse quella richiesta.
“Adesso,
per tre giorni vado via,
come sai, a Edimburgo, e mi sarà davvero difficile
contattarti tramite
internet…”
Cominciarono
a tremarle le mani. Non
aveva mai provato una sensazione simile, ma le piacque. Era dolce
adrenalina.
“mi
chiedevo se ti va di darmi il
tuo numero di cellulare. Così potremmo sentirci per
messaggi…” Hope sorrise:
glielo aveva chiesto. GLIELO AVEVA CHIESTO. Sarebbe stata malissimo
senza
sentirlo per tre giorni.
“So
che è assurdo e so che
potresti anche non prenderla bene ma davvero, DEVO sentirti. Comunque
non
voglio che mi rispondi subito. Voglio che ci pensi e ti prego non
sentirti
obbligata. Te lo sto solo chiedendo, non voglio per forza una risposta
positiva. Davvero. Anzi adesso pensaci soltanto, non darmi nessuna
risposta.”
“Va
bene, ci penso.” Rispose lei
avendo già un piano ben preciso in mente.
“Okay
:) io però adesso vado a
letto perché ormai è tardi e domani mi devo
alzare presto. Sarà difficilissimo.
Louis si incazzerà ma fa niente.”
“Ahahaha
ma povero!”
“Ahahaha
vedrai… ahahaha vado
adesso. Buona notte Hope.”
“buona
notte Noah… un bacio”
“Un
bacio anche a te. Sei
speciale, non dimenticarlo. Sono gli altri che sono
sbagliati.”
“Ahahaha
ok…. Notte!”
“Notte!
:*”
Hope
aspettò che lui andasse
offline, poi perse una buona mezz’oretta vagando in internet.
Sicura al 100%
che lui non avrebbe acceso più il computer,
riaprì la conversazione e scrisse:
“Penso
di averci pensato a
sufficienza. E sinceramente non c’era nemmeno tanto bisogno
di pensarci… Penso
che lo step del fidarsi e non fidarsi l’abbiamo
già superato da un po’, Noah,
prima che di stasera. E anche tu per me sei un amico veramente
speciale. Sei…”
indugiò un attimo sulla tastiera
“…unico. E non ce la farei a non sentirti per
tre lunghissimi giorni. Il mio numero di cellulare è
questo:”
Gli
scrisse il numero.
“Ci
sentiamo allora. Buona notte,
spero di incontrarti.”
Schiacciò
invio e pensò di aver
esagerato per un momento. Poi fece spallucce e spense anche lei. Fu
alquanto
difficile addormentarsi.
Fine
conversazione – ore 01.01
|
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Capitolo 4 *** Il gruppo ***
Piccola
intro: in questo capitolo gli One Direction non ne escono benissimo.
Però...portate pazienza!
Capitolo 4
– Il gruppo.
E
così la presenza di Noah
diventò continua. La mattina, a scuola, durante le lezioni,
durante
l’intervallo, alla fermata del pullman e durante il tragitto
scuola-casa,
casa-scuola. Si scambiarono un numero considerevole di messaggi al
giorno da
quel momento in poi. E meno male che abitavano nello stesso paese,
sennò avrebbero
speso milioni di sterline per sentirsi. Non potevano farne a meno. E a
Hope non
importava se gli altri la continuavano a guardare nel solito modo, non
ci diede
più peso e dimenticò l’Ombra per
sempre. Questo e la dottoressa Hife
diventarono solo uno sbiadito ricordo che ormai si ripresentava solo in
alcune
sporadiche occasioni.
Ora
il ‘problema’ di Hope era
solo come risolvere la situazione con Alice. Era ancora parecchio
abbattuta per
quello che era successo e fu argomento di conversazione tra lei e Noah.
Lui le
disse di parlarle, ma lei non aveva il coraggio.
I
suoi vedendola giù e un po’
scontrosa decisero di andare via per il weekend portandosela con se a
Penzance,
l’ultimo paese nella punta sud ovest
dell’Inghilterra. Soffiava sempre vento e
Hope aveva sempre adorato andare lì: prima, dopo e durante
l’Ombra. Il vento la
colpiva come per schiaffeggiarla e ululava come per urlare
‘Che fai?!?! Ti
deprimi? COMBATTI, abbi la forza di far vedere al mondo quanto TU sei
forte!’.
E anche quel giorno, quando mise piede al porto, dopo quasi 5 ore e
mezza di
macchina, il vento la accolse con il suo abbraccio potente.
Sospirò.
Aiutò
i suoi a prendere le cose
dalla macchina e a sistemarla in un piccolo albergo dove si sarebbero
fermati
per quattro giorni. Noah era via da due. Non capiva perché
l’aveva pensato.
Comunque
si sentivano e cosa
cambiava mettere un po’ più di distanza tra loro?
Proprio nulla.
Il
week end le diede una grande
iniezione di forza. Avevano passeggiato, mangiato fuori, riso e trovato
la
tranquillità di famiglia che piaceva tanto a Hope e che la
faceva sentire come
a casa. Come Noah. Di nuovo, si sorprese a pensare a lui in quel modo.
Come se
fosse di famiglia. Guardò la foto che aveva salvato sul
cellulare, di lei e sua
madre che ridevano, gli occhi brillanti di felicità e i
capelli scossi dal
vento. Era una bellissima foto, sicuramente una delle sue preferite. Al
ritorno
da scuola l’avrebbe fatta stampare.
6
Aprile 2013 – Lunedì – 8.00
“Aha,
e quindi il gelato più
buono si trova a Pensache”
“non
Pensache, ma PENZANCE. E si,
c’è un gusto che è buonissimo, si
chiama la bomba”
“Dal
nome ci credo. Un giorno
andremo lì e me lo farai provare. Oltre che andare al porto
ovviamente”
“E
l’alba è mozzafiato.”
“L’alba?
No, vuoi dirmi che una
mattina ti sei alzata presto per vedere l’alba?”
“giuro
che merita.”
“Uhm
quindi, gelato + porto +
alba. Non so se essere più scandalizzato dal gelato alla
mattina presto oppure
solo dal doversi alzare presto.”
“Ahahahaha,
si in effetti è un
po’ particolare come gita…”
“Puoi
dirlo forte! Uno deve
essere pazzo solo per partorire un’idea del genere,
figuriamoci farlo davvero!
Oggi scuola?”
“Tipo una delle
ultime cose da fare prima di
morire! Comunque si, oggi scuola…oggi ho deciso che parlo ad
Alice. Mi manca
troppo. Credo.”
“Non
se lo merita anche se sono
d’accordo.”
“Ahahaha!
Ma sei prevenuto!”
“aahahaha,
no scherzo, magari è
la ragazza più dolce sulla terra!”
“Diciamo
che se mi avresti
chiesto di descriverla in una sola parola, ‘dolce’
non sarebbe stata la mia
prima scelta”
“E
quale sarebbe stata?”
“pazzastranasimpaticaacidadirettasenzapelisullalinguanonsifaproblemiintelligentefurba…”
“Ahahaha,
non la conosco questa
parola! Sono sicuro che è una persona interessante”
“bravo,
INTERESSANTE! E’
sicuramente la parola che la descrive meglio”
“E’
criptica…”
“Non
sai che presa ha sui
ragazzi.”
“AHAHAHAHA
e tu? Come ti
definiresti?”
Il
messaggio di Noah la fece riflette.
E lei? Come si definirebbe? Non lo sapeva… c’erano
così tante parole nel mondo.
“Inspiegabile”
scrisse infine.
“Questo
è ancora più criptico.”
6
Aprile 2013 – Lunedì – 10.38
“Allora?
Hai risolto?”
“Appena
arrivata a scuola. In
verità è stata una cosa a doppio senso”
“Cioè?
Vi siete SCONTRATE?
Ahahaha l’hai capita? Incontrate a doppio senso nel senso
venute incontro e
quindi… SCONTRATE!”
Hope
scosse la testa e ridacchiò.
“Noah sei davvero pessimo. Comunque appena sono arrivata non
mi ha lasciato
neanche parlare, si è avvicinata con un semplice ciao e ci
siamo chiarite. Non
ci è voluto molto a portare le cose come prima dato che la
prof per poco non ci
mandava in presidenza.”
“Ahahaha
che cazzo avete fatto?”
“riso.
Ecco il nostro capo
d’accusa.”
“Ah
be’ io e i ragazzi dovremmo
essere sulla sedia elettrica per questo.”
“Ahahaha
prima o poi parliamo di
loro eh?”
“Più
poi che prima. Non sono un
argomento molto interessante ahahaha che fai?”
“Niente
di che. Sono
all’intervallo. Alice adesso sta parlando con una sua amica
che è andata a non
so quale concerto.”
“Ah
si? Di chi?”
Hope
ascoltò la conversazione tra
Alice e Olivia.
“Mi
pare degli One Direction. Si,
il concerto che c’è stato a Edimburgo qualche
giorno fa.”
“One
Direction? Ma mica sono quei
5 coglioncelli…?”
“Ah
non saprei se sono cinque. Li
ho presente ma non li ascolto.”
“Non
li ascolti?! COME non li
ascolti? Tutte le mie amiche li ascoltano! Tutte. So le canzoni a
memoria.”
“Ooooh
tutte? Non ci posso
credere! Allora sono sul serio famosi! Ahahaha allora sei un fan pure
tu!”
“Te
lo garantisco. TUTTE, tutte.
Nessuna esclusa. Comunque guarda sono un super fan! E che dice del loro
concerto?”
“Dice
che è stato favoloso.” Hope
ascoltò ancora la conversazione e riportò
ciò che diceva Olivia. “E sembra
davvero entusiasta. Dice che i ragazzi sono stati bravissimi,
divertenti e… va
be… ovviamente bellissimi”
“Ovviamente?”
“Alice
è d’accordo come il resto
delle ragazze della scuola, quindi suppongo siano davvero bellissimi
XD”
“non
li hai mai visti?”
“Dal
vivo, no ahahaha. Li ho
visti in qualche foto, non sono male.”
“ma
non li ascolti.”
“No,
non ho mai avuto l’occasione.
Olivia dice che… Zack…una roba del
genere… è stato fantastico, è sceso
anche
dal palco. Dice che stava per svenire (è così
figo?!). Di Harry dice che è
stato favoloso…”
“Ahahaha
non lo so se è figo, vai
a vederli tu poi mi dirai.”
“Ceeeerto,
aspetta che vado a
sentire qualcuno che non ho mai sentito.”
“Alice
non li ascolta?”
“Si
mi pare che qualcosina
sappia. AHAHAHA, sai cosa mi ha appena chiesto? Quello che mi hai
chiesto tu!
Di andare a vederli!”
“E
tu?”
“E
io le ho detto che è meglio
rientrare in classe dato che l’intervallo è finito
:P”
6
Aprile 2013 – Lunedì – 16.29
“Ah
si, “Man that never lies” la
conosco, piace anche a me!”
“Ah
vedo che hai dei gusti
fantastici in fatto di musica Hope.”
“Ahahah
grazie!”
“Stai
andando a stampare la
foto?”
“Si.
E’ bellissima, la regalerò a
mamma sicuramente. Ma la tengo anche in camera mia.”
“Regalala
anche a tuo papà. Le
sue donne…”
“Ehi
hai ragione! Ma non mi va di
aspettare il loro compleanno…”
“E
quindi?”
“E
quindi, hai ragione. Torno a
casa con le soprese oggi :)”
“che
figlia modello.”
“ahahahaha”
6
Aprile - Lunedì - 18.25
“Sono
piaciuti?”
“Si!
Un sacco! Mamma era
contentissima! Giuro, per poco non piangeva!”
“Addirittura!
Deve essere
sentimentale!”
“Non
sai quanto…” scrisse Hope.
Ma non era la verità. Mamma
non era
sentimentale. O per lo meno non lo era stata al tempo
dell’Ombra.
“Li
hai conquistati. Ora puoi
fare quello che vuoi”
“Sicuramente
Noah, sicuramente.
Comunque sei un genio”
“Per
cosa?”
“Per
avermi dato l’idea. Sei fantastico!”
“Ahaha
ma hai fatto tutto tu! Sei
tu quella fantastica!”
Passarono
altre due settimane in
cui si sentivano sempre. La sera fino all’una se uno dei due
non cascava dal
sonno prima (la maggior parte delle volte accadeva a Hope). La mattina,
durante
il pranzo, la sera… la vita di Hope procedeva a gonfie vele
e la data
dell’arrivo delle lettere delle università si
avvicinava pericolosamente. Hope
non voleva pensarci più di tanto. Era speranzosa ma non
voleva farsi castelli
in testa.
Anche
con Alice procedeva e a
loro si aggregò Olivia e Tamara, Tara. Erano una coppia
strana loro due. Olivia
era una ragazza tranquilla, serena, intelligente e estremamente
riflessiva.
Aveva un bellissimo viso: occhi azzurri illuminati come diamanti; la
bocca era
un disegno su uno sfondo di pelle rosa come quella di un neonato; i
capelli
erano biondi ma ogni tanto si dipingeva le punte di colori fuori dal
normale, come
rosa e verde, a seconda di come le andava. Si distingueva dal resto
della
popolazione studentesca soprattutto per il fatto dei capelli, ma anche
perché
era la più brillante di tutta la scuola. Tara, invece, era
una di quelle
ragazze da mozzare il fiato, il fisico da urlo, i ragazzi si voltavano
anche
per darle solo un’occhiata. Aveva sempre la precedenza,
dovunque andasse. Da
lontano Hope l’avrebbe scartata. Sembrava proprio una
fighetta come Erika. E
non voleva averci più a che fare con quel tipo di persone.
Poi parlandoci, in
un pomeriggio passato all’ombra di un salice a studiare per
qualche ultimissima
interrogazione, Tara aveva raccontato cose pazzesche, aprendosi con
tutte e tre
nonostante si conoscessero da poco. Era estremamente
introspettiva
e sapeva capire le persone al
volo anche se qualche giudizio lo sparava a caso lo stesso. Lei si
scusava sempre
quando si accorgeva di farlo, dicendo che era un vizio che portava
dietro dalla
‘vita precedente’. Come Hope chiamava Ombra il suo
passato, lei definiva così
ciò che era stata: diceva di averla fatta quella vita, da
fighetta, non
tantissimo tempo prima, che era stato terribile, di aver passato anche
del
tempo con ragazze come Erika.
“Entrare
nei locali e vedere
tutti che si giravano, che vengono da te solo perché sei
bella. Non è la vita
che volevo e ho deciso di cambiarla radicalmente. Mi ero rotta, non mi
divertivo più e sono passata ad altro. Mi veniva il
voltastomaco a dover andare
a Londra, a far passare i locali e i ragazzi senza ricordami il nome di
nessuno. Sapete…” aveva chiuso il libro di scatto
ed era scivolata giù al
tavolino su cui si era seduta. “nessuno è felice a
fare quella vita. Nessuno. Tutti
si soffermano sul bel visino, sul bel corpo, sull’estetica
ecco. E io non
volevo. Volevo sentire e conoscere altro della gente che incontravo. Ed
è
inutile credere che una vita come quella che facevo porti
effettivamente a
qualcosa di concreto.”
Era
stato strano per Hope. Non
era riuscita a inquadrarla bene e le sue parole l’avevano
stupita. Era una
ragazza veramente particolare.
“Particolare?
In che senso?”
“nel
senso che mi ha fatto
mettere in discussione molte cose, tra cui che davvero
l’apparenza inganna
anche nel senso contrario”
“Cioè?”
“magari
una persona che sembra
una sfigata, è una bellissima persona. E su questo io ero e
sono assolutamente
d’accordo. A dirti la verità, se una persona
è sfigata sono più propensa a
parlarci.”
“Mentre
se una è fighetta, lo sei
di meno?”
“Esatto!
Ma Tara ha cambiato le
cose: ha messo in discussione questo.”
“E
non va bene?”
“Va
benissimo! Cambiare fa bene,
sentire altre opinioni è… costruttivo. Mettere in
discussione le cose mi
piace.”
Noah
sorrise a leggere quel
messaggio. Incredibile. Non la conosceva ma adesso cominciava sul serio
a
sentire un bisogno potente di conoscerla, vederla e parlarci.
“ALLORA?!?!
Cristo, basta con
questo cellulare! Non ne posso più di sentirti fare tap tap
sul cellulare!
PIANTALA!” disse Louis.
“Scusa,
scusa?” chiese un altro
suo amico. “TAP TAP?”
“TU
non ridere che con Jessica
non eri da meno.”
“Io
facevo un altro tipo di tap
tap con Jessica.”
Noah
si prese il tempo di
scrivere un altro messaggio “Metteremo in discussione tutto
allora :)”
Louis
lo fulminò. “Chiamala almeno. Chiamala e
smettiamola con i messaggi.”
|
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Capitolo 5 *** La sua voce ***
Capitolo
5 – La sua voce
Hope
sorrise. Le piaceva mettere
in discussione tutto con Noah. Era una settimana che andava avanti
così e
arrivò Maggio più presto di quello che si era
aspettata.
Mamma
e papà le regalarono un
weekend fuori, di nuovo. Per festeggiare un anno dalla fine
dell’Ombra. E Hope
si sentiva scoppiare di felicità. Al rientro,
però, Noah le fece una proposta
che la mandò totalmente nel panico.
“Hope
ti va di sentirci per
telefono? Voglio sentire la tua voce”
Istintivamente
Hope si portò le
mani alla gola e iniziò a respirare irregolarmente. Il cuore
le schizzò a mille
e per un attimo credette di avere una crisi. E invece no, era proprio
panico.
Panico da cosa? La mano cominciò a tremarle e decise di
poggiare il telefono
accanto al pc, sul quale stava scrivendo ad Alice, Olivia e Tara. Ma
non si
ricordava nemmeno più di ciò che stessero
parlando. Era andata nel pallone,
completamente, e rimase assente per parecchi minuti. Quando
tornò a guardare il
cellulare, c’era un altro messaggio. “E poi
c’è Louis che non ne può più
di
vedermi continuare a digitare. Voglio dimostrargli che stare sempre al
telefono
è anche peggio. Mi serve il tuo aiuto però
;)”
Hope
sorrise. Ma cosa si era
aspettata? Doveva aspettarselo. In fondo non era così
assurdo. Ma… le faceva
venire comunque il batticuore. Forse era segno che
questa…cosa… questo rapporto,
stava andando avanti da troppo tempo. ‘E poi’
pensò, ‘quanto tempo è che
immagino la sua voce? Che immagino il suono delle sua risate? Quanto
tempo è
che anche io non aspiro ad un rapporto
più…vivo?’
Un’ondata
di adrenalina dolce,
così aveva deciso di chiamare quella strana sensazione che
associava a Noah, la
attraversò come un fiume mentre digitava due semplici
parole. “Va bene”
scrisse. Poi aggiunse “Ma non stasera. Domani?”
Voleva
trovare un momento
tranquillo. I suoi la sera dopo sarebbero andati al cinema e aveva la
serata
completamente libera.
“Uao,
certo che va bene! Chissà
che voce hai… spero che tu non sia un ragazzo!”
“Ahahaha,
no davvero ahahaha ti
immagini? Ahahahaha sai che quasi quasi convinco un mio amico a
rispondere al
posto mio?”
“ti
ammazzo, giuro!”
“Aahaahahaha…
e io come faccio a
sapere che sarai tu e non uno dei tuoi amici?”
“giusta
domanda… tu ti fidi di
me?”
“Certo
Noah…”
“E
allora fidati che risponderò
io. E SPERO CHE ANCHE TU RISPONDERAI.”
Il
giorno dopo tornò a casa con
il groppo in gola. Era IL giorno. Non capiva cosa ci fosse di
così strano a
sentirlo, non capiva cosa ci fosse di pazzesco per farla sentire
così agitata.
Comunque si era preparata un piano di emergenza: prima di tutto un bel
bagno
caldo (manco dovesse vederlo?!) per rilassarsi; poi avrebbe fatto un
elenco
dalle cose da dire se ci fosse stato qualche silenzio imbarazzante; e,
nel
caso, avrebbe simulato un’emergenza dei suoi genitori, del
gatto, dell’anziana
vicina o qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto toglierla da quella
situazione.
La
sera arrivò fin troppo presto.
Quasi non si accorse dato che il cielo cominciava a farsi chiaro anche
alle
otto di sera. I suoi, come se avessero palpato nell’aria
quella tensione,
scapparono anche prima dell’orario del cinema, per mangiare
fuori. Avevano lasciato
a Hope una cotoletta, che cucinò ma che mangiò
solo per metà. L’appuntamento
telefonico era alle nove. E l’avrebbe
chiamata lui.
Alle
otto e mezza faceva avanti e
indietro dalla cucina alla camera, dalla camera al bagno, e dal bagno
alla
cucina. Era agitatissima. Passò davanti allo specchio in
sala e intravide una
figura sottile e dai capelli rosso rame. Ovviamente era lei, ma si
spaventò e urlò
lo stesso. Strike soffiò e si infilò sotto il
divano.
“Sono
pazza” disse ad alta voce
avvicinandosi allo specchio e guardandosi. Il suo viso, i suoi capelli,
i suoi
occhi… no nessuna traccia, se non quella
dell’Ansia. Scosse il viso e si tirò
dritta.
“Calmiamoci”
disse mentre Strike,
uscito da sotto il divano si leccava una zampa. “Dobbiamo
calmarci okay Strike?”
si disse. Strike la guardò storto. “oddio adesso
parlo pure con il gatto, come
se lui potesse fare qualcosa! Sono pazza. Che ore sono? Otto e
quaranta. Oddio,
fra venti minuti. Okay. Allora. Cosa dico? Uhm…
Ehm…Ciao
Noah… No, mio Dio,
sembro una minorata mentale…
Aa…
Partiamo
bene.”
Si
guardò di nuovo allo specchio.
“Sono
ridicola. Uaaaa…” Si passò
i capelli e le mani sulla faccia tirandosi la pelle in giù e
facendo una faccia
ridicola. Scoppiò a ridere da sola.
Poi
si rese conto che lui avrebbe
ascoltato la sua risata. Com’era la sua risata? Non era
bella, vero?
“Okay
piantiamola qui Strike.” Il
gatto ora la guardava severo, come se volesse rimproverarla.
“Sappiamo entrambi
cosa devo fare vero?”
Strike
miagolò. Hope andò di
sopra, prese l’ipod, si ficcò le cuffie nelle
orecchie e fece partire la musica
ad altissimo volume. Cominciò a ballare e a cantare,
fregandosene della vicina
(che tanto era sorda) e di Strike che la guardava con occhi sempre
più
accusatori, infastidito da tutto quel rumore.
Ma
Hope si rilassava a cantare e
a ballare. Si rilassava a concentrarsi su qualcosa, la musica, che le
entrava
nel cervello e non lasciava spazio a nessun altro pensiero. Non si
accorse del
tempo che passava come un lampo. Le nove arrivarono in fretta e quando
se ne
accorse schizzò in camera a sciacquarsi la faccia e a
rinfrescarsi. Poi mise
una sua felpa, dell’anno precedente che le stava molto
più grande e scese in
cucina. Quando mise piede in cucina, il cellulare, sul tavolo, si
illuminò e
non smise di lampeggiare come di solito faceva quando arrivava un
messaggio di
lui.
‘No’
pensò ‘non un messaggio di
lui. Un messaggio, in generale’.
Il
cuore cominciò a batterle
all’impazzata e si avvicinò al tavolo.
L’emozione
si trasformò subito in
stupidità. Era sua madre. “Pronto?”
rispose.
“Hope
sono la mamma”
“Ciao
mamma” disse lei,
sentendosi un’idiota di prima categoria. Che idiota.
“ho
chiamato casa e nessuno ha
risposto… Dove eri???”
“Probabilmente
in bagno” rispose.
Non era la prima volta che accadeva di avere la musica nelle orecchie e
di non
sentire il telefono di casa squillare.
“Come
probabilmente?? Lo saprai,
no???”
“SI
MAMMA. Ero in bagno, sotto la
doccia.”
“Non
mi piace che tu faccia la
doccia quando noi non ci siamo.”
Hope
alzò gli occhi al cielo. “Mammaaaaa
non ho due anni…”
“Si
ma vorrei ricordarti che hai
avuto…”
“VA
BENE MAMMA.” La interruppe.
“Ora vai al cinema sennò ti perdi il
film”
“…Perché
tutta questa fretta?
Stai aspettando qualcuno?”
“Si
mamma. Ho invitato tutta la
scuola per un festino veloce mentre voi non ci siete.”
“No
Hope sul serio. Sai che non
mi piace che tu…”
“Si
mamma, lo so. Non faccio
nessun festino, sto aspettando una telefonata.”
“Una
telefonata? E DA CHI???”
Hope pensò che era proprio da sua madre che aveva ereditato
l’essere pettegola
e curiosa.
“Da
Alice mamma! Da chi sennò???”
Hope si sentì avvampare. Di solito non succedeva quando
diceva delle bugie. Ma
quella volta le andò letteralmente a fuoco la faccia.
“Non
so. Magari da un ragazzo…
stai sempre al cellulare…”
“CIAO
MAMMA! Buon film!”
“Oufff
va bene, ciao tesoro.
Buona serata, ti saluta papà!”
“Salutamelo…
ciao ciao!”
Chiuse
la telefonata. Le mani non
le tremavano. Scosse la testa e sospirò. Sua madre aveva
azzeccato che stava
aspettando una telefonata da un ragazzo al primo colpo. Incredibile. Si
prese
un bicchiere e lo
riempì di acqua. Così
se avesse avuto la bocca secca, sarebbe stato a portata di mano. Lo
portò in
sala e lo appoggiò al comodino. Era tutto pronto: il
telefono era in cucina,
modalità suoneria, il bicchiere con l’acqua,
l’elenco dei possibili argomenti
di conversazioni…
“L’ELENCO!”
urlò portandosi una
mano sulla fronte, facendo sobbalzare Strike che soffiò di
nuovo.
Schizzò
di sopra a prenderlo.
Se
Strike avesse potuto dire
qualcosa, avrebbe sicuramente affermato che era meglio se la sua
padrona si
facesse un altro giro in ospedale per constatare che fosse tutto okay.
Mentre
Hope era di sopra, il
cellulare cominciò a vibrare e a mettere un flebile suono.
Hope si catapultò
giù dalle scale, rischiando di cadere di faccia e diventare
un nuovo tappeto
per l’ingresso, entrò in cucina a razzo,
afferrò il cellulare senza tanta
indecisione e rispose:
“Pronto?”
“Pronto?
Hope?”
Il
cuore non aveva ancora in
fatto in tempo ad accelerare e il cervello, invece, a realizzare.
L’adrenalina
dolce si propagò nel suo corpo, come una scossa elettrica al
rallentatore. Era
la sua voce e sapeva che era lui.
“Ciao
Noah” riuscì a dire.
Non
respirava più.
“Ciao
Hope, finalmente ci
sentiamo”
Hope
cominciò a tremare. Tremò
per l’agitazione, per il cuore che le batteva fortissimo, per
la tensione che
provava in tutto il corpo. Non voleva sedersi, non ci sarebbe riuscita
neanche
se le avessero modellato una sedia apposta.
Aveva
una voce…particolare. Era
ruvida. Ma morbida allo stesso tempo. E calda. E allegra. Le piacque.
“Eh
già” disse lei. Non sapeva
che cazzo dire.
“Tutto
ok?” chiese lui.
Era
così strano. Era così…
pazzesco e inspiegabile.
“Oh
si, avevo solo dimenticato
di… di dare da mangiare al gatto e ho fatto di
corsa” ‘Ma che cazzo dico? Dare
da mangiare al gatto?’
“Ah
Strike, giusto?”
“Esatto.”
“Adesso
sta mangiando?”
Hope
guardò Strike,
appallottolato sul divano che respirava pesantemente, apparentemente
addormentato.
“Più o meno” rispose sorridendo e
sentendosi più stupida di quando si era
sentita prima, quando l’aveva chiamata sua mare.
“Fantastico”
pausa. “Hai una
bella voce”
Hope
scoppiò a ridere
silenziosamente. “Grazie” rispose. “Anche
tu.”
“Be’
sono sicuro che sei una
ragazza almeno”
Questa
volta Hope rise ad alta
voce.
Noah
pensò che, oltre ad avere
una bella voce, aveva anche una bella risata. “Eh si il mio
amico non è potuto
venire.”
“Be’
se volevi proprio farmi uno
scherzo, potevi rispondere tu con una voce da maschio”
Anche
lui era solo in casa. Aveva
aspettato che tutti fossero usciti e si era barricato in camera, con la
scusa
che non si sentiva molto bene.
“Non
credo ne sarei stata capace”
Era
nervosa, lo sentiva nel
leggero tremolio della sua voce. Anche lui lo era. Non aveva mai dovuto
preoccuparsi così tanto della sua voce come in quel momento.
E mai era stato
nervoso con una ragazza che non aveva mai visto. O forse era proprio
questo il
punto: non l’aveva mai vista.
“E
io non credo che sarei stato
capace di imitare quella di una ragazza o di un uomo più
grande”.
“Di
una ragazza sicuramente no”
disse Hope.
“Perché?”
“perché
hai una voce… profonda.”
Ma
come cazzo le era venuto in
mente di dire una cosa del genere?
Lui
rise. Aveva una bella risata.
“Penso sia un complimento, quindi grazie.”
“Prego.
Posso dire una cosa?”
“Certo
che puoi DIRLA”
Hope
sorrise sentendo che lui
sottolineava il DIRLA. “Mi sento molto sciocca al
momento”
“Come
mai?”
“Parliamo
della voce Noah. DELLA
VOCE.”
Risero
insieme.
“mi
sembrava un buon punto di
partenza”
“mica
ti sarai fatto una lista
delle cose da dire!” disse Hope, facendo un sorrisetto. Meno
male che lui non
poteva vedere. L’avrebbe presa per il culo a vita.
“no”
rise ancora “no davvero.
Troviamo sempre qualcosa di cui parlare per messaggio… mi
sono affidato al
caso.”
“giusto.
Bravo. Adesso potrai
dire ai tuoi amici che la smetterai di scrivere.”
“Saranno
contentissimi.”
“Si
soprattutto Louis… E’ lì con
te?”
“Sei
pazza? Non mi avrebbe
lasciato in pace. L’ho cacciato di casa.”
“L’hai
cacciato di casa? Vivete insieme?”
Noah
si morse la lingua. Doveva
stare attento. Molto attento, se voleva continuare a mantenere il suo
di
segreto.
“Ehm
si, condividiamo lo stesso
appartamento. E’ comodo anche per il lavoro.”
“E
scusa ma dove l’hai mandato?”
La
conversazione si spostò su un
altro argomento.
“Aveva
le sue fans da gestirsi”
“Ah
già è vero che voi siete
pieni di fanssss!”
“Esatto.”
“E
le tue?”
Hope
si sedette per terra,
appoggiata al divano e allungò una mano verso Strike che
inarcò il collo e si
fece grattare dietro le orecchie.
“Le
mie per stasera dovranno
accontentarsi…”
“Ma
no, non dirmi che hai
rinunciato a loro PER ME”
Hope
sorrise. La sua voce era
fantastica. Ed era inevitabile cominciare a farsi una vaga idea di come
poteva
essere.
“Ebbene
si. Dovresti sentirti
lusingata.”
“Lo
sono, assolutamente Mr Noah.”
Risero
di nuovo.
“E
tu sei a casa da sola?”
“Si.”
Hope prese il gatto e se lo
mise sulle gambe. Lui non fu molto contento di questo cambio di
posizione così
repentino ma si adattò in fretta, accoccolandosi sulle gambe
di Hope. “i miei
sono usciti”
“Dove
sono andati?”
“A
cena e poi al cinema”
“A
vedere cosa?”
“Non
so…. Un film adatto a loro,
immagino.”
Noah
sorrise, mangiandosi una
caramella gommosa. “Adatto a loro?”
“Si”
la voce di Hope si stava
rilassando. Si immaginò una ragazza che vagava per casa,
magari in cucina, con
una maglietta senza maniche e con i pantaloncini del pigiama.
“Cioè?”
“Cioè
quelli ricchi di
significato intrinseco e storici. Che magari fanno rivivere loro i
tempi di
quando avevano la nostra età”
Noah
sorrise di nuovo. Era
pazzesco e inspiegabile.
Andarono
avanti per due ore.
Incollati al telefono. E Hope cominciò a tremare
nell’altro senso. Le accadeva
da quando c’era stata l’Ombra. Quando si rilassava
ma sapeva di essere in una
situazione che potenzialmente poteva essere più che
stressante, cominciava a
tremare. La presenza del corpo di Strike sulle ginocchia, caldo come un
cuscino, la faceva tremare a intervalli regolari. Se si concentrava a
sufficienza poteva anche controllarlo. Ma non voleva. Stava bene. Stava
benissimo. La sua voce era stupenda e avrebbe parlato con lui per
sempre. Ma
purtroppo non poteva accadere. I suoi sarebbero tornati per le undici e
mezza
ed erano già le undici e venti.
“Noah
devo staccare” gli disse,
controvoglia, quando lui ebbe finito di raccontarle un episodio della
settimana
che era stato a Edimburgo.
“Come
mai?” chiese lui.
Lei
sorrise compiaciuta. Lui voleva
staccare quanto lei desiderava farlo: meno di zero.
“I
miei stanno tornando. E se mi
trovano al telefono mi strangolano. E mia madre mi farebbe il terzo
grado.”
Lui
rise. “Perché?”
“Perché
le ho detto che dovevo
sentire Alice ma con lei non sto mai così tanto al
telefono.”
“Nemmeno
per discutere di
ragazzi?”
“No
ma va. Di quelli c’è poco da
discutere.”
“EHI!”
Hope
rise “Scherzavo!”
“Quindi
non le hai detto che
aspettavi una telefonata da un ragazzo”
“no.
Primo perché tu potevi
essere benissimo una ragazza o un uomo che faceva finta di essere un
ragazzo”
Noah
rise. Aveva finito le
caramelle, ma non sentiva più il bisogno di mangiarle.
“Secondo
perché non mi va di
dirglielo. Diventerebbe pressante.”
“Aha,
va bene. Allora… ti
saluto.”
“Si.”
Hope non avrebbe voluto per
niente mettere giù il telefono. “Ci…ci
sentiamo” disse.
“ovviamente”
rispose lui.
Hope
sorrise di nuovo.
“E
grazie.” Aggiunse lei. ‘GRAZIE???
MA CHE CAZZO DICOOOOOO??!?!’ Hope arricciò naso e
bocca. Che idiota.
Noah,
infatti, rise.
“E
di che? E’ stato… bello.”
Disse lui. ‘Bello? E’ stato bello? E’ una
cazzo di telefonata, coglione!’ pensò.
Hope
sorrise e l’adrenalina dolce
ricominciò a scorrerle nelle vene, come un dolce buffetto di
Strike. “Anche per
me” disse tutta soddisfatta. “Ci sentiamo Noah. A
dopo!”
“A
dopo Hope.”
Noah
tolse il telefono dalle
orecchie e chiuse la telefonata. Guardò fuori dalla
finestra. Non c’era una
nuvola, le poche stelle brillavano fioche. Una bella voce,
già… Prese il
cellulare e scrisse.
Hope
mise a posto il bicchiere,
non prima di averne bevuta una bella sorsata. Era andata benissimo.
Salì
le scale per andare in
camera sua, canticchiando. L’effetto
dell’adrenalina dolce era continuo ed era
fantastico. Andò in bagno, si preparò per andare
a dormire, lasciò socchiusa la
porta per i suoi e si infilò a dormire. Riprese il cellulare
appoggiato sul
comodino.
1 messaggio da Noah: “Ciao
Hope :)”
Sorrise,
sprizzante di felicità.
Si mise il cellulare vicino al cuore, che batteva potente e stracolmo
di gioia.
Non sarebbe stato facile addormentarsi quella sera. Era andata bene.
“Mamma
ma che figo. Che FIGO pazzesco!”
Alice arrivò al loro (di Hope, di Olivia, di Tara e di
Alice) ormai abituale
ritrovo dopo scuola, sotto il salice, con una faccia sognante.
“Chi?”
chiese subito Tara.
“Se
sapessi chi, cara mia, non
sarei qui con voi”
Hope
alzò gli occhi dal cellulare
e guardò Alice. Olivia finì il suo pacchetto di
patatine e si strofinò le mani
una sull’altra. Alice buttò la borsa per terra e
si sedette sul tavolo.
“L’unica
cosa che dovete sapere è
che: è figo, che l’ho seguito e ho fatto una
figura di merda!”
“Sarebbe?”
chiese Tara
“Eravamo
in ascensore insieme,
gli ho chiesto il piano ed era lo stesso del mio. Gli ho sorriso, ho
schiacciato il numero e mi ha sorriso. Siamo quindi scesi insieme. Io
sarei
dovuta andare a sinistra, lui è andato a destra e ci sono
andata dietro. Non mi
sono nemmeno resa conto. Lui è entrato in una classe, quella
vicina al
laboratorio di chimica…”
“Quale?
Quella piccola dove
tengono gli strumenti musicali?”
“Esattamente,
Olivia. Lui è
entrato, evidentemente c’era una prova di qualche band;
potevo intuirlo dato
che portava una chitarra sulle spalle. Comunque, lui entra,
e…. entro anche io,
giuro, che idiota. Entro e chi trovo? Tre suoi amici i quali, dopo
averlo
salutato, mi guardano storto.”
Olivia
e Hope scoppiarono a
ridere.
“Non
ridete. E’ stato terribile.”
“Cosa
hai fatto dopo?”
“Sono
uscita! Mi sono limitata a
balbettare che avevo sbagliato strada e sono scappata via!”
Hope
e Olivia continuavano a
ridacchiare sotto i baffi.
“Penso
che probabilmente io avrei
fatto finta” disse Tara “tipo: ops scusate pensavo
ci fosse ripetizioni di
flauto oggi…”
“Flauto…”
Olivia scoppiò di nuovo
a ridere. “Oddio… sto
morendo…” si asciugò il bordo degli
occhi con il polso. “Tara
sei già fin troppo brava con il flauto”
Tara
rise. “Un po’ di ripasso non
fa male a nessuno”
10
Maggio 2013 – Martedì, ore 13.47
- messaggi
“ahahahahaha,
quindi Tara è brava
con il flauto!”
“E’
quello che mi ha detto ieri…E’
pazzesca, te l’ho detto, sa fare tutto!”
“Devo
conoscerle queste tue
amiche, sembrano davvero tipe interessanti…”
“E
tu devi farmi conoscere i
tuoi, invece. Hai detto a Louis che mi hai chiamata?”
“Si.
Ma non vuole crederci. Ahahaha
dice che la prossima volta vuole essere presente…”
“Che
pretese! E gli altri? Ci
credono?”
“Stanno
più sulle loro… è solo
lui che vuole sapere tutto.”
“E’
perché ti vuole bene!”
“non
ne dubito… e Olivia? Anche
lei ha uno suo strumento musicale preferito?”
“Naaaa.
Lei è fidanzata…”
“Ah
be allora sa quale flauto
suonare…”
“MA
NOAH! Ahahaha”
“Cosa???
Non dirmi che non lo sa…
*scimmietta con le mani sulla bocca*”
“Quanto
sei scemo… Lo sa
perfettamente. Sono 4 anni che stanno insieme.”
“Oh
cazzo, non penso riuscirei a
sopportare una per 4 anni consecutivi.”
“E’
perché non hai pazienza..”
“No
seriamente. Non gliel’hai
chiesto?”
“No…
però penso che se due
persone si amano tanto…”
“Uno
non può amare una persona
per così tanto tempo…”
“Dillo
a tua mamma :)”
“I
miei sono separati”
Hope
fissò il messaggio. “Cazzo…”
mormorò. Aveva appena fatto una figura di merda pazzesca.
“Aehm…
scusa Noah. Scusami.”
“Ahahahaha
ma di che? Ahahaha,
tranquilla!”
“Ma
sono seriamente separati o mi
prendi in giro?”
“No
no, giuro. Mamma si è
separata da papà perché ‘non lo amava
più’.”
“Quando
è successo?”
“Quando
avevo sette anni più o
meno.”
“Deve
essere stato terribile.”
“più
o meno… ero piccolo. Non
capivo benissimo, però è andata come è
andata.”
“Be’…
però quanti anni sono stati
insieme?”
“Non
lo so… una ventina forse?”
“Eh
allora vedi… E’ durata un
po’. Magari Olivia è solo
all’inizio.”
“Si
ma guarda come è finita.”
“Noah
mi spiace per i tuoi. Però
non so… i genitori di Louis?”
“Cosa
i genitori di Louis?”
“Li
conosci? Sono insieme?”
“Be’…si.
E sono ancora insieme.”
“Vedi,
amare una persona per
tanto tempo è possibile.”
“Mi
sono sempre chiesto COME sia
possibile. Io non riesco, non ce la faccio, mi annoio.”
“Sei
mai stato mollato?”
“Si.
Anche se poche volte.”
“Modesto”
“Ahahaha,
scherzavo. Comunque si
mi è capitato.”
“E
si era annoiata lei in quel
caso”
“Be’…
più o meno.”
Hope
aggrottò la fronte. “Okay okay
non voglio chiederti altro. Comunque. ‘L’amore
eterno’ o in qualunque modo tu
lo voglia chiamare, esiste. I genitori di Louis ne sono una
dimostrazione. I
tuoi, per certi versi, anche. Solo che con loro non è finita
benissimo…”
“no
infatti. Però voglio
dire… come
fanno? Cioè. E’ pazzesco.
Stai con una persona per tutta la vita.”
“Noah,
non è che lo sai PRIMA che
con quella persona ci starai insieme per sempre.”
“Eh
si, dillo a quelli che si
devono sposare.”
“Oh
lascia perdere il matrimonio.
Quello è un altro argomento. C’è gente
che NON si sposa e che sta lo stesso con
la stessa persona per tanto tempo.”
“ma
COME FANNO?”
“Non
lo so, Noah. Lo fanno e
basta. Credo che un buon punto di partenza è non farsi le
seghe mentali su
questa cosa.”
“Ma
poi? Ci sarà un momento di
crisi, un momento di noia, un momento in cui vorresti buttare
all’aria tutto e
andare via…”
“Ho
avuto una…un’amica l’anno
scorso. Aveva 23 anni, e stava con il suo ragazzo da quasi 10. E giuro,
da come
ne parlava sembrava si fossero messi insieme il giorno prima.”
“Forse
è questo il trucco?”
“Cioè?”
“Se
con una persona ti sembra di
starci insieme da poco tempo quando invece ne è passato
tanto, allora vuol dire
che è quella giusta.”
“Non
credo sia così semplice
Noah. Non credo che avere la pazienza, come dici tu, di stare con una
persona
per taaaanto tempo si basi solo su una condizione. Non penso sia
necessario.”
“In
che senso?”
“nel
senso che credo ci siano…
dei livelli.”
“Dei
livelli?”
“Si.
Sai i primi tempi è tutto
un… un’emozione. ‘Oddio lo vedo, oddio
lo sento, oddio come mi vesto, ma come
bacia bene eccetera’”
“ahahaha
come mi bacia???
Ahahaha”
“Non
fare lo spaccone. L’hai
pensato anche tu sicuramente.”
“
‘Come mi bacia, come mi tocca,
come mi…???’”
“VA
BENE NOAH, ho capito. Grazie.
Qualunque cosa tu intenda, è quello. Però sei
d’accordo che è tutto così i
primi tempi.”
“Si
credo di poter concordare.”
“poi
si passa ad un livello
successivo, ci si conosce meglio, magari. E poi ci si impara ad amare.
Si è
disposti anche ad un certo numero di sacrifici immagino.”
“impara
ad amare? In che senso?
Sembra una cosa… triste, detta così.”
“Ah
non saprei. Penso sia un
livello altissimo, dove l’amore non è
più solo baci, abbracci, sesso e
quant’altro. I difetti che una volta ti davano fastidio, a
quel punto non puoi
farne a meno. Perché lo/la rendono il tuo lui/lei.
E’ una cosa meno concreta se
vuoi… che… che senti nell’aria, che
senti addosso, che senti nelle tue ossa,
nel midollo. Certo ci sono i baci, ci sono gli abbracci eccetera. Ma
diventa
davvero qualcosa di estremamente profondo.”
“Ci
sei mai arrivata ad un
livello del genere?”
“No,
Noah. Mai. E credo che
richieda molto, moltissimo tempo. E sia legato anche alla
maturità della
persona. E tu?”
“no,
non credo, non penso”
“Io
credo che se ci fossi
arrivato, lo sapresti. E’ una cosa che ti devi proprio
sentire… è come quando
vedi una zanzara sul muro.”
“una
zanzara?!”
“Papà
dice sempre che quando vedo
una zanzara sul muro ma ho qualche dubbio che sia effettivamente una
zanzara,
allora non è una zanzara. Non è
l’esempio più azzeccato, ma rende
l’idea. Se tu
hai qualche dubbio, allora vuol dire che non ci sei arrivato.”
Noah
lesse il messaggio tre
volte. Poi rise. “Sei pazzesca, Hope. Questa la segno e giuro
che la faccio
scrivere nella…” si bloccò.
Cancellò il messaggio. Lo riscrisse. “tuo
papà è
pazzesco. Comunque ho capito.”
“E
io ci credo in questa cosa.”
“Ma
la ragazza che hai
conosciuto? Sembrava così?”
“uhm.
Si, diciamo di si. Lasciava
trasparire questa loro relazione in modo del tutto naturale, come se
lui fosse
legato a lei, come se fosse un prolungamento di se stessa”
Adorava
quando Hope sparava
queste frasi. Le adorava terribilmente. Le uscivano come se niente
fosse.
“Scusa
ma dove l’hai conosciuta
questa ragazza?”
Hope
si morse il labbra. “Ad un
incontro, l’anno scorso, per non ricordo quale
ragione.”
“capito.
Cavoli… quasi dieci
anni… sono tantissimi.”
“Un
sacco, davvero. Poi conta che
aveva 23 anni. Lui 30 Fai il calcolo. Lei era piccola!”
“Ahahaha,
è vero. Era un
pedofilo!”
“Ahahahaha
ma nooo..”
“Comunque
a me fa un po’ paura.”
“Cosa
ti fa paura?”
“Di
stare con una persona per
così tanto tempo!”
“Non
ci vedi il lato romantico?”
“Certo,
quello si. Però vuol dire
condividere tutto… e io non credo di esserne
pronto.”
“Ah
Noah… Abbiamo tutta la vita
davanti. Quando succederà, non te ne renderai nemmeno conto
:)”
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Capitolo 6 *** Inaspettata ***
Capitolo 6
- Inaspettata
Era
passata ancora una settimana
da quell’ultimo discorso. L’aria calda cominciava a
farsi sentire, e il
percorso dalla fermata del pullman a casa cominciava ad essere pesante.
Hope
avrebbe presto chiesto a sua mamma se poteva tirare fuori i vestiti
dell’estate. Stava ovviamente messaggiando con Noah ma appena
salì le scalette
per entrare in casa, trovò sulla porta delle buste. Buste
indirizzare proprio a
lei. Le raccolse con il cuore che martellava. Erano LE lettere.
Ebbe
difficoltà ad aprire la
porta di casa per l’agitazione, ma appena entrò,
buttò la cartella
all’ingresso, si liberò della felpa e corse in
cucina. Spalancò il primo
cassetto, tirò fuori il taglialettere e lo infilò
nella prima, proveniva da
Cambridge, la sua prima scelta. Tolse i due primi fogli e li
srotolò con il
fiato corto.
“Gentilissima signorina Knight,
siamo orgogliosi di
comunicarle…”
Non
finì la lettera.
Passò
alla successiva: da Oxford.
Squartò anche quella:
“Gentilissima signorina Knight,
siamo orgogliosi di
comunicarle…”
Passò
alla terza: Maastricht.
“Gentilissima signorina Knight,
siamo orgogliosi si
comunicarle…”
Passò
alla quarta: Greenwich
“Gentilissima signorina Knight,
siamo orgogliosi di
comunicarle…”
E
le due successive erano uguali.
Era stata presa. Presa dappertutto. Andò in sala e
passò all’ingresso, dove
aveva lasciato la porta aperta. La chiuse e tornò in sala.
Strike
si leccava il musetto con
le zampe.
Hope
prese coscienza di ciò che
era appena successo.
Poi,
di punto in bianco, urlò.
Urlò di gioia, come mai aveva fatto, piena di orgoglio e di
felicità. Strike
volò giù dal divano, facendola scoppiare a
ridere. E rideva come una matta, da
ricovero, ma non le importava. Era felice felice felice. E doveva
assolutamente
condividere questa felicità con persone importanti. Doveva
cogliere la
possibilità al volo.
Agguantò
il cellulare e, senza
pensarci, lo chiamò.
Noah
si aspettava un messaggio.
Invece, il cellulare, posato al centro del tavolo insieme a quello
degli altri,
prese a vibrare e non smise. Louis, il più vicino a lui,
girò di scatto la
testa.
“E’
lei?” chiese con gli occhi
che brillavano.
Noah
prese il cellulare e guardò
lo schermo. Perplesso, annuì. Perché lo chiamava?
Non l’aveva mai fatto… di
solito si mettevano d’accordo prima.
“Silenzio
adesso” disse, prima di
rispondere. “pronto?”
“SONO
STATA PRESAAAAAAA” esplose
lei appena la sua voce profonda la raggiunse. “NOAH SONO
STATA
PRESAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA”
Noah
dovette allontanare il
cellulare dall’orecchio per quanto urlava. Louis lo
guardò stranito.
“Sei
stata presa? Sei stata presa
DOVE?” chiese, capendo subito a cosa si riferiva Hope. E,
immediatamente, si
sentì su di giri anche lui. Non gli importava un cazzo del
resto.
“Dove?
DOVE??? Dappertutto!”
disse Hope, facendo scorrere le mani sulle lettere squartate.
“Dappertutto
Noah, sono stata presa dappertutto.”
“Anche
a Cambridge?”
“Si,
oddio, anche a Cambridge.
Sono stata presa! SONO STATA PRESA!”
“Sei
una grande. Lo sapevo che
eri una grande.”
“Sono
stata presa” non riusciva a
dire altro. “Non so cosa… non cosa
pensare.”
“Pensa
che sei una secchiona del
cazzo” Lui rise e anche lei lo fece. Era stata presa.
“l’hai detto ai tuoi?”
“NO!
Sono arrivata a casa, ho
preso le lettere ho visto e… e niente. Sono stata presa.
Oddio che scema che
sono”
“Come
mai?”
“Perché
credo di stare
piangendo.”
Noah
sorrise. Era orgoglioso di
lei. Sentiva una strana sensazione dalle parti dello stomaco.
“Ma
come piangi!” disse ridendo.
“Sono
un idiota, lo so.”
“Ahahaha
si posso capire che la
prospettiva di andare a Cambridge sia talmente d’inferno che
ti viene voglia di
buttarti dal London Bridge, ma così mi pare
esagerato!”
Hope
scoppiò a ridere. Si lasciò
andare su una sedia e si asciugò le lacrime con il dorso
della mano. Era stata
presa. Dovunque. Ma soprattutto a Cambridge. Era pazzesco.
Si
prese un attimo prima di
riprendere fiato e dire a Noah. “Ti ho distrubato?”
“Assolutamente
no!”
“Scusami…
è solo che volevo
condividere questa cosa con te e…”
sospirò “sono stata presa.”
“non
me l’avevi ancora detto!”
Scoppiò
a ridere di nuovo. “okay
basta, adesso ti lascio andare.” Disse Hope. “ci
sentiamo dopo, va bene?”
“va
bene Hope. Ma ti prego
smettila di dire che sei stata presa sennò i vicini chiamano
la neuro. E non
festeggiare troppo senza di me.”
“Giuro.
A dopo Noah!”
“A
dopo Hope.”
Mise
giù e guardò Louis. “Ora ci
credi?” gli chiese.
“Si.
E credo che anche quelli del
palazzo di fronte ci credano, dato che avranno sicuramente sentito le
sue urla
fin là. Ma si può sapere che cazzo hai fatto per
farla urlare così?”
Noah
scoppiò a ridere. Louis era
proprio un coglione.
I
suoi la portarono fuori a cena
per le tre serate successive e la quarta ci pensarono Alice, Olivia e
Tara.
Tutte erano state prese dove volevano e avevano intenzione di
festeggiare alla
grande ma a loro modo. Nessuna voleva sballarsi, nessuna voleva andare
in
discoteca e perdere il controllo. Alice sapeva più di tutti
che a Hope non
sarebbe piaciuto ma, per fortuna, la pensava come lei e quindi nessuna
fece
alcun sacrificio. Uscirono la sera a mangiare, a prendere un gelato, a
girare
per il centro ridendo come se fossero ubriache; si, ubriache di
felicità. Poi
andarono a vedere più di un film tirano le due di notte e,
infine, dormirono
tutte da Alice, perché i suoi erano in vacanza.
Noah
prese a chiamarla una volta
al giorno. Amava sentirla felice e lei non vedeva l’ora di
condividere a voce
tutto ciò che le era successo in una giornata. Lo
inondò, letteralmente, con la
sua sconfinata voglia di essere felice. Si sentì investito
in pieno, e le sue
giornate gli sembrarono più brillanti di quanto non lo erano
mai state prima.
La voce di Hope non si incrinava mai, non era nervosa e la sentiva ad
un passo
di distanza. Come se bastasse un passo per abbracciarla…Come
avrebbe voluto
vederle la felicità negli occhi, che sicuramente sarebbero
stati bellissimi.
La
metà di maggio volò via in un
lampo e la data del diploma si fece sempre più vicina. Il
sole illuminava la
maggior parte delle giornate e Hope si sentiva sempre più
felice ma sempre più
stressata. Sua mamma era preoccupata ma non le metteva più
di tanta pressione,
se non chiederle un po’ più spesso se era tutto a
posto e se si sentiva bene.
Ma Hope stava bene. Cominciò ad uscire anche più
spesso, con le sue tre amiche
e a rientrare verso sera prima di cena. I suoi ne erano contenti.
L’estate, il
caldo, il sole e l’aria fresca le facevano bene.
L’unica
cosa che non capivano
perfettamente era perché dopo cena si chiudeva in camera e
non si faceva più
vedere fino almeno alle undici, quando ricompariva per dare la buona
notte. Ma
suo padre era sicuro che stesse ancora sveglia per un po’: la
sentiva parlare
con qualcuno, se si accostava alla sua porta e credette che stesse
impazzendo
sul serio, parlando con il gatto. Ma sua moglie gli disse di non
preoccuparsi,
che probabilmente aveva conosciuto un ragazzo. Il papà si
preoccupò ancora di
più.
“Hope?
Ci sei ancora?”
“Oh
si.” Rispose ritornando alla
realtà.
“Tutto
bene?”
“Si…
ho solo la testa da un’altra
parte.”
“Non
capita a tutti di diplomarsi
domani.”
Hope
fece un sorriso. “Già.”
Aveva
la finestra spalancata,
tirava una aria leggera che rinfrescava l’afa che
c’era stata nelle ultime due
giornate.
“E
sei pronta?”
“Per
cosa?”
“Per
la nuova vita a Cambridge.
Dici sempre che vuoi una nuova vita.”
“Si.
Si sono pronta… anche se ho
un po’ paura”
“E
di cosa?”
Hope
scrollò le spalle. “Che non
mi piaccia, che non riesca a capire se mi piaccia.”
“Avrai
tutto il tempo Hope... E
sono sicuro che ti piacerà tantissimo. Non te ne renderai
nemmeno conto.”
“Speriamo
Noah… vorrei tanto
che…” si bloccò. Non voleva continuare
come l’aveva pensato.
Noah
rimase in silenzio, non la
esortò ad andare avanti. Ma si sentì tanto idiota
di non averlo fatto quando lei
continuò, dopo mezzo minuto.
“…che vada
tutto bene.”
“Ma
si vedrai. E’ una formalità.
Il discorso lo fa Olivia?”
“Si.
E’ la più brava del nostro
corso. Anzi, meglio che la senta prima di andare a dormire. Se
andrò a dormire”
Lui
rise “Non hai motivo di
essere agitata.”
“Com’è
stato quando l’hai fatto
tu?”
“ho
un ricordo molto confuso al
momento.”
“Dai
Noah…”
“te
lo giuro, è stato bello. So
solo dirti questo.”
“mi
rassicura molto”
“tranquilla.
Andrà tutto bene.”
“Non
so come farà Olivia
sinceramente”
“Sarà
un fascio di nervi?”
“Stai
scherzando! Probabilmente
si sarà buttata giù dalla
finestra…”
“Ahahaha,
allora sentila. E’
meglio. Noi ci sentiamo dopo, per messaggi… va
bene?”
“si”
“Allora
ci sentiamo dopo. Ciao
Hope..”
“Noah?”
“Si?”
Hope
si mangiucchiò le labbra.
Era così difficile dire ciò che voleva dire?
Noah
rimase un minuto al
telefono, sentendo solo il respiro di lei.
“Vorrei
che fossi qui.” disse lei
in un soffio.
E
a lui venne una gran voglia di
mollare tutto e tutti e catapultarsi da lei nel momento esatto in cui
avrebbero
messo giù. Ma era possibile? Era possibile innamorarsi di
una persona che non
aveva mai visto? Per niente.
“Anche
io, Hope” rispose senza
pensarci.
Era
una ragazza mai vista. Mai
vista, Cristo. Com’era possibile???
“Però
ti prego non venire” disse
lei, smorzando l’atmosfera. “Penso che non
riuscirei a reggere la pressione e
sverrei davanti a tutti.”
Noah
scoppiò a ridere.
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Capitolo 7 *** La prima volta ***
Capitolo 7
– La prima volta
E
andò tutto bene. Inutile dire che
Olivia fu fantastica, con le punte dei capelli rosse, in contrasto con
la
tunica blu che portavano addosso. Fece un discorso degno di lei,
citando
persone importanti e ficcando qua e là qualche frase ad
effetto. Il tutto lo
disse con la fronte un po’ aggrottata, la faccia seria,
già in procinto di
diventare Qualcuno. Furono poi chiamati a turno tutti gli studenti sul
palco.
Quando toccò a Hope, sua mamma, suo papà, la
nonna e un paio di amici si
alzarono entusiasti, applaudendo forte. Anche il suo allenatore, con
grande
gioia di Hope, era venuta a vederla. Sua madre si lasciò
scappare una lacrima,
più che giustificata. Hope scosse la testa, sorridendo e
scese dal palco.
Occupò
il pomeriggio stando lì a
scuola, facendo foto, sorridendo e salutando chiunque, anche chi
conosceva poco.
La parola più usata, quel giorno, fu
‘GRAZIE’. Continuava a ripeterla.
Ci
fu un solo un momento di
distrazione generale quando sembrò che qualcuno che
somigliasse ad uno degli
One Direction fosse presente. Ma ad Hope non importò e
neanche ad Olivia, fan
del gruppo.
Se
avesse potuto, Hope non si
sarebbe più tolta quella tunica blu. Era confortante averla
addosso. Non voleva
disfarsene. Suo padre fece a lei e alle sue amiche un servizio
fotografico, non
osando cancellare nessuna foto. Poi lei, Olivia, Tara e Alice passarono
la
serata fuori, insieme, loro quattro, come avevano fatto circa un mese
prima. E
si divertirono con semplicità.
“Come
è andata?”
“Benissimo!
Adesso andiamo al
ristorante qui vicino solo io e le ragazze!”
“Anche
se siamo per messaggi, ti
sento contenta.”
“Se
non torno a casa tardi, ti
chiamo!”
“No
Hope. STAI fuori fino a
tardi. E’ uno dei giorni più belli della tua vita.
Goditelo, davvero, te lo
meriti.”
“Ahahaha
va bene Mr Noah. Olivia
è stata fantastica.”
“Si
lo so. Era ovvio, no?”
“Si.
Noah… grazie. Per ieri sera
voglio dire. Sei stato fantastico, ed è stato fantastico.
Non so cosa farei se
tu non ci fossi.”
“Tu
sei fantastica.”
Hope
sorrise. Anche Noah le stava
trasmettendo energia positiva, lo sentiva. O forse era soltanto
così piena di
felicità che vedeva tutto positivo.
“Sono
tornata” scrisse a lui alle
tre del mattino. “Suppongo che tu dorma, ma ancora voglio
ringraziarti. Abbi
pazienza, stasera eravamo molto…sentimentali, io e le
ragazze: grazie davvero
di tutto. Nonostante tu non mi abbia mai vista dal vivo, mi sei sempre
stato
accanto, anche in momenti difficili e fantastici allo stesso tempo,
come oggi, e
questo per me è importante. Grazie per esserti fidato di me
da subito e avermi
permesso di prendere il tempo necessario per fidarmi anche io di te.
Non ti ho
detto tutto della mia vita… ci sono cose che voglio trovare
il momento giusto
per dirtele. E prima voglio vederti, voglio conoscerti e poterti
guardare negli
occhi. E’ una bellissima amicizia la nostra, una delle
più preziose che ho e
non intendo lasciarmela scappare dalle dita. Grazie Noah, grazie,
davvero, di
tutto.”
Quando
Noah lesse quel messaggio,
esattamente nel momento in cui lo ricevette, si sentì in
colpa. Stava per
risponderle. Ma poi si fermò. Avrebbe pensato a cosa
scriverle dopo, prima
doveva assolutamente finire di scrivere un’altra cosa.
“Non
c’è stato nulla di
particolarmente esaltante. A parte quando Alice stava per prenderle da
Erika.
E’ stato spettacolare, dovevi
esserci…”disse Hope al telefono, sdraiata in
veranda con Strike appollaiato sul muretto che la guardava con occhi
socchiusi.
Noah
si grattò la testa. Avrebbe
proprio dovuto esserci.
“Come
si è arrabbiata, non hai
idea. Erika è andata letteralmente fuori di testa quando
Alice le ha spruzzato
lo spumante in faccia.”
“Accidentalmente.”
“Certamente!
Cosa credi, Noah?
Stavamo festeggiando… insomma è normale
no?”
“Assolutamente
si. E’ Erika che
ha esagerato”
Hope
sorrise soddisfatta.
“E
poi? Cosa avete fatto?”
“Niente
siamo andate a mangiare,
come ti ho scritto. E abbiamo parlato un sacco. Olivia ci ha fatto
vedere il
braccialetto regalatole dal suo ragazzo. Le ha regalato anche il nuovo
cd degli
One Direction, sai che è una grande fan… Ah
proposito.”
“Cosa?”
“Ecco
è successo questo di strano
ieri. Si è sparsa la voce che ci fosse uno di loro alla
nostra proclamazione.
Ma io ho pensato che fosse qualche ragazzina scema ad aver scambiato un
amico
per uno di loro. Olivia ha alzato la testa e si è messa a
guardare in giro, sembrava
un gufo e ha guardato il suo ragazzo dicendogli ‘non dirmi
che li hai chiamati
tu’.”
“E
il suo ragazzo?”
“ha
detto che non si sarebbe
nemmeno sognato. Olivia ha detto che potevano essere venuti per
festeggiare.
Tara le ha detto che aveva bevuto troppo.” Hope
ridacchiò.
“Noah?
Perché mi chiami anche
stasera? Ci siamo già sentiti oggi
pome…”
“Noah?
Chi è questo Noah eh????”
non era la sua voce. Hope l’aveva capito subito.
“NOOOOAAAAAH” le fece eco con
voce femminile lo stesso ragazzo che aveva risposto.
“Scusa
ma tu chi cazzo sei?
Louis?”
“LOOOOOUISSSSSS
ti vuoleeeeee”
Hope
aggrottò la fronte.
“Louis,
tesoro, non c’è.” Altra
voce. Hope era sempre più confusa, ma pensava di aver capito
cosa fosse
successo.
“Tu
chi sei?” chiese ancora.
“Chi
sono, chi sono… non credo di
fidarmi abbastanza per dirti chi sono.” Hope
spalancò gli occhi. Era la prima
cosa che gli aveva detto. Solo a lui. E si sentì avvampare
di rabbia.
“Eh,
non parli più? Aspetta c’è
Louis. Te lo passo.”
“Ciao
Hope! Sei Hope, giusto?”
disse un altro ragazzo.
“Si.”
Rispose gelata.
“Sai
ho sentito parlare di te…
pensavo non esistessi sul serio e invece, pazzesco, esisti sul serio.
Eh?
Pazzesco”
“Non
hai idea di quanto lo sia.”
Hope stava tremando di rabbia.
“cazzo
aspetta, sto parlando io
no??? Piantala cazzo” evidentemente Louis si stava rivolgendo
ad un’altra
persona. La voce che l’aveva presa in giro per prima,
urlò in falsetto “HOPE TI
FIDI DI ME???”
Hope
chiuse gli occhi e cercò di
calmarsi.
La
voce che suppose fosse quella
di Louis scoppiò a ridere. “coglione”
fece poi “sei proprio un coglione. Ti
fidi di lui, Hope?”
“No.”
“Ehi
è diventata mono sillabica.
Eppure non sembrava.”
“passamela,
passamela ti dico.
Adesso la faccio parlare.”
Hope
sentì trafficare al di là
della cornetta e non capì cosa la tratteneva al telefono.
Doveva mettere giù.
“Allora
senti Hope è un discorso…
argomento serio…serissimo… il mio.” Era
un’altra voce ma questa sbiascicava le
parole.
“Si
posso immaginare.”
“ha
detto ‘si posso immaginare’….aha
sei sci…scimpatica… Piantala di ridere
tu… non riesco a pensare. Volevo…volevo
dir…ti…che noi…tutti noi…
tutto il mondo…” risate di sottofondo.
“pensciamo che
tu scia…sei…una braviiiiiiiiss…ima
ragazza, davvero. Ma mi disci una cosa?
Come.. come cazzo fai a… a legge…no, a scrivere
quelle parole? Perché sono…come
si dice… un pozzo di profondità”
Hope
arricciò il naso, pregando
che non si stesse riferendo ai messaggi della sera precedente.
“hai
detto…aspetta aspetta… hai
detto… cosa aveva scritto?... ah sci… i vari
livelli…livelli delle…coppie..che
bel…discorso…ci sci scrive una
canzone…eh? oppure voglio guardati negli occhi,
mi sei rimasto accanto… aspetta, ahaha, cosa
c’è scritto eh? Grazie per esserti
fi…fidato da subito e avermi da…dato il tempo per
trovarmi… cioè no. Cazzo stai
fermo, non leggo.” Si rivolse a qualcuno altro. Hope
sperò che Noah non fosse
presente, che non si stesse godendo lo spettacolino. “Okay.
… il tempo per
fidarmi anche tu…”
Hope
prese un altro bel respiro.
Incredibile. Era… era stata una stupida.
“E
adesso ti fidi di lui, vero eh?”
“No.”
“ha
detto di no cazzo, eh. Dovevi
dire di sci. Capito? Devi dire di sci!”
“Si.”
“Ha
detto sci. Ma l’hai detto
solo perché l’hai
pensciato…cioè no, per darmi il
contento… si disce contento
no?”
“Coglione,
si dice contentino.”
Gli rispose una voce in sottofondo.
“giusto,
hai…hai rascione.
Contentino. Comunque se ti fidi adesso dove vai?
Scioè… cosa fai?”
‘Gli
spacco la faccia’
“Sci
andrai nelle lenzuola?”
Dall’altra
parte scoppiarono a
ridere. “No, non te la voglio …voglio passare. Sta
parlando con me… con me, ti
dico, mi sci sciono affettato… cioè
affezionato…”
Altro
cambio di voce “Okay Hope
parlo io con te, sono meno ubriaco.”
Hope
rimase in silenzio, tremando
di rabbia.
“Hope?
Cazzo non dirmi che ha
messo giù. No, ci sei ancora. HOPE?”
“Sono
qui.” Rispose con la voce
tremante.
“Okay.
Allora adesso ti fidi
giusto? E adesso ci devi andare a letto.” Hope
sentì di nuovo delle risate in
sottofondo. “E’ fatto così lui, che vuoi
che ti dica. E’ proprio una regola,
sai?”
“Me
la scrivo.”
Il ragazzo scoppiò
a ridere. “Ehi ragazzi,
mi sa che questa è una grande sul serio. Mi ha risposto me
lo scrivo” altre
risate. “AH ECCOLO IL GRANDE UOMO! Ehi mi sa che è
per te!”
“pronto?”
la voce di Noah le
arrivò come al solito, ma non le arrivò
nient’altro insieme ad essa: niente
adrenalina dolce. L’avrebbe ammazzato, sicuro.
“Bene
ora che sei arrivato e sono
sicura che i coglioni dei tuoi amici si sono divertiti a sufficienza
posso
salutarti.”
“Sei
tu Hooope!” da come aveva
strascicato il suo nome, capì che anche lui doveva essere
ubriaco. “Ma io non
ti ho… non ti ho chiamato…” disse poi,
con voce impastata.
“L’avevo
intuito.”
“Sono
stati…stati… voi, siete
stati.”
“Le
abbiamo detto che adesso che
si fida deve venire a letto con te.”
“Ah…”
disse lui, con la voce
confusa.
Scoppio
di risa.
“E’
una regola, diglielo anche
tu, che di te si fida!”
Hope
avrebbe ammazzato non solo
lui, ma anche gli altri quattro che continuavano a dirgli cazzate di
sottofondo.
“Ah…si…si…
E’ una regola eh Hope…
si… No…Cioè, no, che cazzo mi fate
dire?” Noah scoppiò a ridere. E per Hope era
sufficiente.
“Stammi
bene a sentire” disse,
prendendo fiato. “Non ti ricorderai un cazzo di quello che ti
dirò adesso ma…”
“Hope…
aspetta… voglio.. voglio…
dirti che sei Sei…sei…moooolto carina…
non pensavo fossi… fossi così
carin…hai…degli occhi… profondi
come…come il blu. No,
cioè… sono profondi ma…ma non
blu.”
“Sicuramente.
Stai zitto e stammi
a sentire”
“O…Okay…agli…agli
ordini.”
Hope
ebbe una gran voglia di
lanciare il cellulare contro il muro. “Non ti ricorderai un
cazzo di quello che
è successo, ma questo veditelo di ricordatelo lo stesso: mi hai completamente
delusa.”
“Io…
io credo… di non volerlo
proprio…”
“Non
me ne frega un cazzo. E
prima che metta giù, voglio dirti anche un’altra
cosa, proprio per togliermi
ogni sfizio” prese fiato affinchè le parole
arrivassero a Noah in modo chiaro e
definitivo “VAF-FAN-CU-LO.”
Chiuse
la conversazione di colpo,
prima che la sua voce terribile potesse dirle qualcosa
d’altro. Era ubriaco e
ciò che aveva fatto era imperdonabile. Si era lasciata
andare e lui…
Posò
il cellulare sul tavolo,
andò in bagno e si immerse nell’acqua bollente,
come il suo stato d’animo.
Hope
indossò la solita tuta per
provare la prima volta dopo più di un anno in mezzo: erano
pantaloni molto
aderenti ma elastici, tipo leggins, neri, e quindi le andavano ancora
bene; come
maglietta optò per una lunga e larga sul fondo a maniche
corte. Finì di legarsi
le stringhe, indossò i guanti per proteggersi le mani nel
caso fosse caduta per
terra, e tirò giù i pantaloni facendoli aderire
bene alla struttura del pattino.
Stava per alzarsi, dopo tanto tempo, con i pattini ai piedi, quando il
suo
sguardo fu attratto dal cellulare appoggiato accanto a lei.
Guardò lo schermo:
lampeggiava il nome Noah. Era la seconda volta che la chiamava in meno
di due
ore. Era pomeriggio. Stava per alzarsi e far finta di non averlo visto.
Poi
cambiò idea.
“Pronto?”
“Hope!
Sono… sono Noah”
“Lo
so. Cosa vuoi?” Rispose,
gelata. Aveva dormito poco quella notte, presa dalla rabbia e dal
nervoso che
lui le aveva creato. Insieme a quegli idioti dei suoi amici.
“Mi
dispiace. Non mettere giù ti
prego. Non… non so cosa mi sia successo ieri
sera…”
“se
avessi tutto il tempo del
mondo, te lo spiegherei io.” Hope si alzò.
“Ma non ce l’ho e vado di fretta.”
Era un avvertimento.
Noah
captò che doveva cogliere
l’occasione al volo. Come ad un provino: poco tempo per
convincere
l’esaminatore che tu vali un buon voto.
“Hai
ragione ad essere
arrabbiata. Io ho lasciato… ho lasciato il cellulare in mano
a loro. Eravamo
ubriachi e…” si stava giustificando. Non andava
bene. “Mi dispiace. Ti sei
fidata di me..”
“Si
mi pare che me l’abbiano
ricordato i tuoi amici, ieri sera”
Non
si ricordava moltissimo della
sera precedente. Ma si ricordava perfettamente il vaffanculo finale che
Hope
gli aveva detto prima di chiudere la conversazione.
Gliel’aveva detto senza
urlare, ma scandito molto chiaramente.
“Mi
dispiace.” Ripeté un’altra
volta. “Ho sbagliato, sono stato un’idiota. Ti
chiedo di perdonarmi e
continuare a fidarti di me. So di aver sbagliato, lo so, te lo
garantisco. Non
posso tornare indietro nel tempo…mi farò
perdonare. Non voglio che una cazzata
simile rovini la nostra amicizia. Non ne vale la pena, giuro, non sono
cretino
come lo sono sembrato ieri sera.”
Hope
abbassò lo sguardo. Era
ancora arrabbiata.
“Hope?”
“Si,
lo so che non sei cretino
come lo sei stato ieri sera.”
“mi
dispiace.”
“L’hai
già detto. Ma non riesco a
perdonarti.”
Noah
si sentì morire.
“Non
subito, almeno. Lasciami…
lasciami del tempo. Sono fatta così. Adesso devo andare, ci
sentiamo dopo.”
“Aspetta.”
Hope
rimase in silenzio.
“Ci
tengo a te, sei speciale.”
Hope
scosse la testa e fece una
smorfia. “A dopo, Noah.”
“Ma..”
Noah si bloccò. “A dopo
Hope.”
Almeno
le aveva detto ‘a dopo’.
Hope
tolse le protezioni dalle
lame e le posò sulla panchina appena fuori dalla pista. Non
c’era nessuno. Era
un orario perfetto, lo sapeva.
Posò
una lama alla volta sul
ghiaccio. Temeva di essersi dimenticata.
In
un attimo, cominciò a
scivolare. Prima destra, poi sinistra. Piano.
E
invece era capace. Le sue gambe
riconobbero la sensazione, i muscoli cominciarono a lavorare in
automatico.
Prima
destra, poi sinistra. Un
po’ più veloce.
Cominciò
a curvare, leggermente,
sentendo l’aria sul viso.
Adorava
scivolare sul ghiaccio,
le sembrava una magia.
Prima
destra, poi sinistra,
esterna ed interna.
Aveva
aperto l’armadio del
pattinaggio quella mattina e si era ricordata di quanto amasse quello
sport
quando i suoi occhi avevano incontrato i pattini appesi e abbandonati.
Aveva
scoperto con piacere che le andavano ancora bene. E le lame erano in
perfette
condizioni.
Sua
mamma non era stata
contentissima ma l’aveva lasciata andare, fidandosi. Suo
papà l’aveva
accompagnata al palazzetto della sua città, uno dei pochi
aperti d’estate.
Cominciò
a girare in un cerchio,
lasciandosi trasportare dai muscoli e da ciò che il suo
istinto le diceva.
Quando ebbe preso abbastanza velocità, alzò le
braccia, parallele al ghiaccio,
stese la gamba destra in avanti, la riappoggiò a terra
girandosi in senso
contrario, stese la sinistra dietro di sé e si diede lo
slancio per fare il
primo salto. Atterrò perfetta, neanche se ne rese conto.
Sorrise.
No,
non si era dimenticata come
si volava.
Pattinò
senza sapere quanto tempo
era passato. Provò vari salti, i più facili,
ripassò alcuni passi e alcuni
cambi. Non se la sentì di provare con le trottole. Non
quella volta.
Stava
per decidere di andarsene,
quando sentì una voce.
“so
che puoi fare di più, trèsor”
Si
voltò. Il suo allenatore,
quello che si era presentato alla cerimonia del diploma, era a bordo
pista,
appoggiato alla balaustra, con una tuta molto attillata nera e i
pattini ai
piedi. Hope non sapeva da quanto tempo fosse lì.
“Jean!”
esclamò andandogli
incontro. “Non sapevo fossi qui!”
Lui
le sorrise. Era un uomo sulla
40ina, gli occhi brillanti e i capelli sempre ben pettinati. Era gay,
ma non
c’era bisogno di sottolinearlo. Lo si capiva fondamentalmente
da due cose:
dalla voce acuta che assumeva quando si arrabbiava e dalla
gesticolazione delle
mani, sempre alla stessa altezza del mento e sempre in movimento.
“Belle”
disse ad Hope prendondole
le mani. “je t’adore.”
Hope
rise. “Lo so che cosa stai
facendo Jean”
“Oh
s'il vous plaît, s'il vous
plaît, mon ange, torna da me”
Hope
rise di nuovo e lui cominciò
a spingerla leggermente all’indietro per farla pattinare.
“Ma è estate!”
protestò lei mentre si lasciava spingere, iniziando a
pattinare all’indietro.
Lui la studiò da cima a fondo con una sola occhiata. Se non
l’avesse conosciuta
profondamente per le numerose ore passate ad allenarsi in quel
palazzetto, se
non avesse saputo leggere nel profondo dei suoi occhi, forse non
avrebbe notato
alcuna ombra. Ma qualcosa era successo.
“Sei
dimagrita.” Le disse,
cominciando a prendere velocità, di nuovo. “la
jambe, mon ange”.
Hope
alzò la gamba sinistra
dietro di sé.
“Ti
trovo bene” disse Jean,
controllando la linea delle spalle, della schiena e della gamba.
“Si.”
Rispose Hope. “Sto bene.”
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Capitolo 8 *** Best (stupid) Song Ever ***
Capitolo 8
– best (stupid) song ever
Quando suo papà passò a prenderla
erano passate due ore da quando l’aveva lasciata. Hope era
stanca, ma felice.
Jean l’aveva sempre trattata come una figlia ed era una delle
poche persone
vicine a lei che sapesse cosa era successo ai tempi
dell’Ombra. E le era stata
accanto, anche quando aveva dovuto lasciare tutto perché
l’Ombra non le
permetteva più di seguire alcuna lezione.
“Tutto
bene?”
“si
papà. Ho visto Jean. Mi ha
chiesto se posso iniziare da subito.”
“Ma
è estate!”
“Lo
so, ma ha detto che non
importa. Che per me farà un’eccezione.”
“Sei
caduta?”
Hope
alzò le spalle. “Un po’ di
volte. Ma dice che sono solo un po’ arrugginita.”
Suo
padre fece un sorrisetto e le
lanciò un’occhiata. Hope guardava fuori dal
finestrino, come sempre aveva fatto
fin da quando era bambina. La sua bambina.
“Serve
solo un po’ di
allenamento.”
Suo
padre non disse nulla. Sua
madre non sarebbe stata molto contenta della decisione di Hope.
Perché, si
vedeva dai suoi occhi, lei aveva già deciso di ricominciare
a pattinare come
una volta.
“pronto?”
“Hope
sono io.”
“Noah,
senti, io…”
“no
no aspetta. Aspetta solo un
attimo. Stai in linea anche se non mi senti.”
Hope
aggrottò la fronte. “pronti?”
sentì dire a bassa voce dall’altra parte della
cornetta. “3,
2, 1…”
“Hope
we
are very very very sorry, but
some times
our minds go very very very hurry
And
we seem stupid
sometimes, but we swear we are all nice guys.”
“Scusa
Hope.” “Scusaci davvero
tanto.” “Ci dispiace” “Siamo
stati dei cretini” “parla per te, io mi sono
divertito.” “Coglione, zitto, ci sente.”
“Mi
dispiace Hope. Perdonami.”
Hope
scoppiò a ridere.
“Ma
come ti è venuta in mente
questa idea?”
“Non
l’ho pensata io. Anzi. Non
ero nemmeno convinto, ma Louis mi ha detto che avrebbe
funzionato.”
“E
lui come faceva a saperlo?
L’ha provata con una ragazza e lei ha avuto tanto pena per
lui che l’ha
perdonato?”
Noah
rise. “Più o meno.”
“Comunque
è fantastica. Me la
potreste ricantare? La metto come suoneria!”
“Ehi”
“Ehi”
“Come
va?”
“Tutto
ok. Tu?”
“Anche
io. E’ bello non sentirti
arrabbiata.”
Hope
sorrise. “E’ bello non
esserlo più.”
Noah
sorrise. “Lo so, sono
irresistibile.”
“Uhm…
Mi spiace l’utente da lei
chiamato al momento non è più disponibile. Provi
a richiamare più tardi.”
“Ah
va bene. E quando pensa che
la signorina Hope possa essere richiamata?”
“Non
credo sia più disponibile.”
“Hope
i’m
very very very sorry…”
Hope
scoppiò a
ridere. Era passata una settimana, ma
questa canzoncina era diventata un tormentone. “Va bene, va
bene, basta. Che
fantasia che dovete avere comunque per fare una cosa del
genere.”
“Lo
so. Però devo dire che l’ho
scritta con l’aiuto di Louis.”
“Sai
che sforzo.”
“EHI”
“Sto
scherzando. Io penso sarei
incapace.”
“a
scrivere una canzone?”
“Si.
Anche una poesia, o
qualsiasi altra cosa. Sono una frana.”
“Non
è difficilissimo. Il
difficile è trovare…
l’ispirazione.”
“E
tu e Louis l’avete trovata
evidentemente.”
Noah
chiuse gli occhi,
richiamando alla mente un ricordo ben fissato nella sua testa, che mai
si
sarebbe dimenticato facilmente. Poi li riaprì.
“Si. L’abbiamo trovata.”
“Ah
oggi ho visto Olivia.”
“Come
sta?”
“Bene,
è andata ad Oxford per
fare un primo giro degli appartamenti.”
“Tu
quando vai?”
“non
ho ancora deciso. Comunque
ha detto che è fantastica. E si è già
iscritta ad alcuni gruppi… dice che lo ha
fatto per portarsi avanti.”
“Cavoli.”
“già.
Adesso vuole costringere me
ed Alice ad andare al concerto degli One Direction.”
Noah
ridacchiò. “Come, scusa?”
“Hai
capito. Ma io non mi sogno
nemmeno di spendere…quanto? 100 sterline per un gruppo che
non ho mai sentito!”
“E
allora perché ti ha invitato?”
“Lei
mi ha detto che ne vale la
pena… Mi ha detto di ascoltarli e di farle
sapere… ma anche se dovessero
piacermi, non esiste che ci vado. E’ fra due settimane e
stiamo parlando di 100
sterline perché quella E’ PAZZA e vuole stare in
prima fila. E poi sarà tutto
sold-out.”
“Probabilmente
si.” Noah sospirò.
“Sono tutte così, anche le mie amiche”
“Bah.
Tara invece ha deciso che
parte a Settembre per andare ad Edimburgo. Ma ha detto che torna per le
vacanze
di Natale. Io penso di no, mi piacerà troppo.”
“Come
ti piacerà troppo!”
“Speriamo.”
“ma
Hope, un mese fa eri
terrorizzata.”
“Si,
lo so. Sono scema. E’ il
pattinaggio che mi da alla testa.”
“ma
sei brava?”
“A
far cosa?”
“A
pattinare…”
“più
o meno. Chissà se a
Cambridge hanno un palazzetto del ghiaccio.”
“hanno
tutto. E te lo
costruiscono se non ce l’hanno.”
La
sentì ridere. “Dici?”
“Certo.
Non ti preoccupare.”
“E
se non lo fanno?”
“ti
tocca venire da me, a
Londra.”
“Già,
mi toccherà…”
“No
Alice, no. Ti sta male,
cristo!”
“Ma
perché? Io la adoro.”
Alice
indossava una strana
maglietta, colorata e maculata. Hope, Olivia e Tara l’avevano
accompagnata a
fare shopping, tanto per passare un pomeriggio tra di loro.
“Alice,
ha ragione Olivia… non ti
sta benissimo…” disse Hope, rispondendo a Noah con
un messaggio.
“ma
perché?”
“perché
ti ingrassa, dolcezza”
disse Tara.
Alice
sollevò lo sguardo e la
guardò attraverso lo specchio. “Sul
serio?”
“Sul
serio.” Rispose Tara con un
sorriso. “Non lo dico con cattiveria… lo dico per
te.”
“SSSSSSSSSSSSSSSH”
Olivia scattò
in piedi, facendole zittire tutte e tre. “And
we danced all night to the best song eveeeeer…”
cominciò a cantare,
seguendo la canzone che stava passando in radio in quel momento.
“Ma
vaffanculo Olivia. Pensavo ci
fosse qualcuno, tipo mia madre.” esclamò Alice,
prendendo fiato.
“We
knew
every line, now I can't remembeeeeeeer…”
“Perchè?”
chiese Hope infilando
il cellulare nella tasca dei jeans.
“How
it
goes but I know that I won't forget heeeeeer…”
“Non
sa che sono a fare shopping.
Se lo sapesse… “ si passò un dito sul
collo.
“'Cause
we danced all night to the best song eveeeeeer…”
Tara
e Hope si scambiarono
un’occhiata. Alice rientrò nel camerino per
togliersi la maglietta. “Comunque
costa troppo, non l’avrei presa comunque.” disse da
dentro.
“Si
come no” sussurrò Tara ad
Hope.
“I
think it went OH,
OH, OH!” Olivia alzò un
bracciò e ritmo della canzone.
Hope ridacchiò.
“I
think it went YEAH
YEAH YEAH”
Una
signora entrò nel camerino
accanto a quello di Alice, non prima di aver lanciato
un’occhiata stranita ad Olivia,
che continuava a cantare e a gesticolare.
Alice
uscì con tutti i capi che
aveva provato.
“I think it GOOOOOOOEEEESSS”
“Piantala Olivia, sembri una
pazza.” Le
disse Alice. “You know, I know, you
know I'll remember you” gli rispose Olivia
indicandola. “Vi prego, usciamo, magari la
smette” disse Alice alzando
gli occhi. “And I know, you know, I know you'll remember
meee”
“Mah…a
me non convincono molto.”
“Cosa
esattamente?”
“I
pantaloncini!”
“Hope,
per favore…”
Hope
si guardò allo specchio
ancora una volta. Non aveva paura ad ammettere che pensava di essere
abbastanza
proporzionata. Sicuramente molto di più rispetto
all’anno precedente.
“Hope
i tuoi sono a sbuffo” disse
Tara nell’altro camerino, che si stava ancora cambiando.
“E arrivano a metà
coscia. Senti ti sei lamentata che sei bianca ieri. Comincia a
scoprirle questa
gambe.”
“Non
saprei…”
La
maglietta, leggera a maniche
corte, di colore bordaux e decorata con il pizzo le piaceva molto e
sicuramente
l’avrebbe comprata. Era leggermente più lunga
dietro. Aveva anche degli schizzi
di tempera bianca sulla parte sinistra. Le piaceva e non le lasciava
scoperto
niente che non fosse possibile lasciare scoperto.
“Se
te le scopri, prendi il sole
e… indovina?” continuò Tara, ancora nel
camerino, mentre Olivia rispondeva al
suo ragazzo e Alice annuiva. “Prendono colore! E non sarai
più una
mozzarella..”
Hope
arricciò il naso. La collana
che Alice aveva insistito per farle mettere (un gufo placcato di
vernice color
bronzo con due occhi più grandi del normale) non la
convinceva moltissimo.
“io
opterei per la collana con la
farfalla” disse Olivia. “Quella che ha preso
Tara…”
La
farfalla, fatta con il filo di
ferro attorcigliato su se stesso, era obiettivamente più
carina ma meno
particolare.
“Si
se vuoi fare la perfetta ragazzina
dolce, carina e simpatica, è perfetta.” Disse
Alice, sarcastica.
“TA
DAM!” Tara spalancò la tenda
del camerino e si mise accanto a Hope, davanti allo specchio
principale.
I
pantaloncini le arrivavano
appena sotto l’inguine, la maglietta militare appena sopra il
profilo dei
pantaloncini e la pashmina le ricadeva sul corpo perfetto come se fosse
stata
creata per lei.
Hope
guardò lei attraverso lo
specchio e poi si guardò. Si, erano decisamente
più lunghi i suoi, di
pantaloncini.
“Come
è andato lo shopping?”
“Uhm
bene… fruttifero.”
“hai
preso qualcosa?”
“Si.
Mamma non mi aveva dato
limiti, errore imperdonabile da parte sua.”
“hai
svaligiato il negozio?”
“Non
capisco perché tu scriva al
singolare *scimmietta che si copre la bocca*.”
“Ahahahaha”
“Oggi
è stato un disastro a
pattinaggio” disse Hope mettendosi sul letto, il cellulare
appoggiato
all’orecchio come accadeva ormai ogni sera.
“Come
mai?”
“non
so, non saprei. Non avevo
l’ispirazione giusta evidentemente”
“Serve
anche a te l’ispirazione
giusta?”
“Si
serve anche a me.” Hope
appoggiò la testa al muro.
Per
qualche secondo nessuno dei
due disse nulla. Le dolevano le gambe e aveva fatto due voli che
probabilmente
avrebbero lasciato due lividi sulla parte alta delle cosce.
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Capitolo 9 *** Succhiare tutto il midollo della vita ***
Capitolo
9 – Succhiare tutto il midollo della vita
Se chiudeva gli occhi, poteva
anche vederla.
“Oggi
sono andato in ospedale”
disse senza pensarci.
“Come?”
ad Hope le si mozzò il
fiato in gola. Ospedale? Perché ospedale? Stava male? Era
grave?
Noah
si morse la lingua. Che
cazzo diceva…
“Si
sono andato perché… perché
faccio parte di quelle organizzazioni che vanno a far divertire i
bambini.”
Hope
riprese fiato. Grazie a Dio…
“Non
sapevo fossi attivo in
questo tipo di attività…”
“Si,
da poco per la verità. Sono
stato nel reparto traumi e oncologico.”
“E
come è stato?”
Noah
scrollò le spalle. “Non
credo ci sia un termine preciso. Sai… bello sicuramente no,
divertente nemmeno.
Perché obiettivamente non è divertente vedere dei
bambini… insomma, hai capito.
Però mi ha fatto sentire… utile.”
Hope
sorrise. Capiva che sentiva
il bisogno di parlarne e lo lasciò dire. Chiuse gli occhi,
cercando di toccare
quella voce.
“Loro
sono così… non so. Non mi
piace descriverli. Sono normali. Normalissimi.
Ma…insomma…”
“Hanno
delle difficoltà”
“Esatto.
E mi è dispiaciuto
tantissimo. Io chi sono in fondo? Nessuno! Io sono lì, con
la mia presenza e li
rendo felici facendo niente. Ci ha fatto riflettere. Eravamo silenziosi
al
ritorno. Luois era…”
“Anche
i tuoi amici fanno parte
dell’associazione?”
‘idiota!
devo stare attento!’ Pensò Noah mordendosi la lingua.
“Si,
ci siamo conosciuti così.” Disse poi.
“Non
lo sapevo.”
“be’
si.”
“Eravate
silenziosi?”
Noah
voleva parlarne. Parlare con
lei di argomenti che non era capace di affrontare con la stessa
tranquillità perfino
con Luois.
“Si.
Insomma. I traumi sai che
prima o poi si riprenderanno. A parte quelli più gravi ma
non ci hanno
autorizzato ad andare in terapia intensiva. Ma… quelli
malati di cancro. E’
stato… non saprei. E’ difficile non provare
niente. Non puoi. Non puoi prendere
le tue emozioni e metterle in un cassetto e chiuderlo a chiave, non
credi?”
Hope
emise un “uhm” che gli fece
capire che era ancora in ascolto.
“Io
mi sono sentito uno schifo e,
sinceramente, un po’ in colpa. Io ho fortune che loro non
hanno. E chi l’ha
deciso?”
“nessuno
purtroppo.”
“La
realtà è che non c’è
giustizia. E’ ingiusto. Louis se n’è
uscito con questa frase quando siamo
saliti in macchina ‘Perché io posso essere sano,
in forma, fare i viaggi e fare
ciò che mi piace di più e
loro no’?”
“Non
lo so, Noah.”
“Già!
Non lo sai. Ma non lo sai
tu, come non lo so io, non lo sa Louis eccetera. Non è un
discorso facile, lo
so, e… insomma. Quando li ho visti, avrei voluto davvero
fare una differenza. E
invece non faccio differenza”
“Fai
differenza Noah. Sei lì per
loro.”
“Si
ma… non faccio niente capito?
Mi hanno fatto…”
“Pena.”
“Si…
cioè no. Ho provato a
mettere da parte i sentimenti, entrare con il sorriso e pensare come se
fossi
stato in una situazione normale. Perché loro sono normali.
Assolutamente. Ma al
contempo non hanno quello che ho io, la fortuna che ho io. Mi sentivo
in colpa.
Ecco tutto.”
“Noah
non devi sentirti in
colpa.”
“Ma
come faccio? Insomma, cosa ho
fatto in più rispetto al loro? Perché IO SI E
LORO NO?”
Hope
rimase in silenzio, ma
sapeva che era ancora lì.
“E’
complesso. E la cosa che mi
fa più incazzare è che non riesci a provare
pulito.”
“provare
pulito?”
“Si.
E’ una cosa che diciamo tra
di noi quando intendiamo provare sentimenti senza nessun tipo di
influenza
esterna. Per farti un esempio… come fai a sapere se una
persona la ami sul
serio, se quella persona magari è… che ne so,
famosa? O malata gravemente, come
in questo caso? Come fai a capire se i tuoi sentimenti sono veri oppure
sono
falsificati da ciò che gli sta attorno?”
“già…”
“E
stessa cosa con questi
bambini. Come fai a non amarli? Come fai a sapere se quello che provi
non è
falsificato dalla loro situazione? Li ameresti comunque se non fossero
così?
Sei fossero dei bambini qualunque?”
“Credo…
credo che scatti qualcosa
di primordiale…” la voce di Hope tremò
leggermente. “Penso che sia un istinto di
tutti gli esseri viventi. Di più per noi, noi
umani.”
“Cioè?”
“Siamo
istintivamente portati a
proteggere quelli più deboli, a farli sentire più
amati anche quando magari non
ce n’è bisogno. Anche quando magari non vogliono
perché così li facciamo
sentire solo…solo diversi.”
“Ma
uno come fa a non farli
sentire diversi?”
“Cercando
la normalità Noah.
Cercando sempre la normalità, anche nelle piccole cose.
E’ un esercizio
difficile perché qualche…qualche
difficoltà che li rende ‘momentaneamente
diversi’, purtroppo, esiste e non si può far finta
di non vedere. Soprattutto
all’inizio… Ma più ci si avvicina alla
normalità, a far sentire loro le cose di
tutti i giorni, più è giusto. E’
banale, lo sembra, soprattutto a dirlo. Ma a
farlo… farlo è tutta un’altra
storia.”
“La
normalità…”
“Si.
E poi credo che conti anche
far capire che la vita scorre ancora. Che anche se loro sono
lì, in ospedale, il
cielo c’è ancora, il sole splende, il vento soffia
e l’acqua scorre.”
“Ma
così non credi che otterresti
il risultato contrario?”
“Perché
dici così?”
“La
vita fuori scorre e tu sei
rintanato in ospedale. Non puoi uscire.”
“Uhm…”
Hope rimase in silenzio.
Poi riprese “Forse hai ragione. Ma più di tutto
dipende dalla personalità della
persona. Magari ci sono quelli che, come dici tu, pensano ‘io
sono in ospedale
e non posso uscire a godermi la vita’. Ma magari ci sono
anche quelli che
dicono ‘cazzo, voglio vivere. Voglio sentire la vita, voglio
tirarmi fuori da
qui, voglio… voglio succhiare tutto il midollo della
vita.’”
“Aspetta
questo me lo ricordo…L’attimo
fuggente”
“Esatto,
bravo. Che vuol dire…
vivere come se non ci fosse un domani, che magari non
c’è sul serio. Vivere
ogni momento intensamente. Ecco perché ti dico di non
sentirti in colpa.”
“Perché?”
“Perché
tu hai questa
possibilità. Come me. Quindi sfruttiamola, viviamo ogni
momento: ascoltiamo il
vento, gustiamo i gelati come se fossero gli ultimi e arrostiamoci al
sole come
Dio comanda. ”
Noah
rise.
“Ridiamo
quando ci va di farlo,
sia quando pensiamo che sia giusto farlo sia quando invece è
solo per
nascondere che siamo infelici. E per ultimo ma non per importanza,
incazziamoci
su serio, con tutti noi stessi anche quando magari non è
necessario. Perché noi
abbiamo il diritto di farlo. Noi abbiamo la Fortuna di poterlo fare.
Facciamo
della vita un inno alla vita stessa, perché è la
più bella cosa che abbiamo ricevuto
da Dio, se credi in Dio; se non ci credi, allora perché
è la più bella cosa che
abbiamo, punto. ”
Noah
si rese conto di amarla. Di
amarla più della vita stessa che aveva appena elogiato.
“Ehi
Hoppie”
“Ciao
Alice”
“Senti
che ne dici di fare un
salto a Londra questo pomeriggio?”
“Oggi
pomeriggio??”
“Si!
Fanno una mostra sul cinema!
Pensavo che fosse interessante… se riesci a venire
chiaramente! So che è un po’
tardi in effetti…però andiamo con la mia
macchina!”
“Ah
si? Be’ non avevo nessun tipo
di programma per oggi… Per me no problem! Chiedo ai miei
comunque e ti faccio
sapere!”
“Va
bene baby! Magari all’uscita
ci prendiamo un gelato e mangiamo da qualche parte… avverti
i tuoi che tornerai
tardi, nel dubbio!”
“ovviamente!
passeremo una notte
indimenticabile, trèsor”
Avevano
cercato di convincere
anche Olivia a venire ma lei aveva altri programmi con il suo ragazzo.
Tara,
invece, era a fare un weekend dai suoi nonni, a Parigi. Alice e Hope
erano
partite verso le tre, per prendersi tutto il tempo necessario per
arrivare a
Londra e fare le cose con calma. Era un periodo dell’anno in
cui le strade
erano sgombre poiché tutti erano in vacanza.
“Allora
i tuoi fra una settimana
partono.” Disse Alice mentre guidava.
“Già”
rispose Hope guardando
fuori dal finestrino.
“Ti
lasciano a casa da sola per
un weekend… be’ non è
grandioso?”
“Si,
molto. Finalmente papà è
riuscito a convincere mamma.”
“Eh
be’ diciamo che posso
giustificare tua mamma. Però è passato un
anno… Era quello che volevi no?”
“Si…”
disse Hope con il riflesso
del sole che giocava tra le punte degli alberi che sfrecciavano lungo
l’autostrada. “Era esattamente quello che
volevo.”
Si
voltò verso Alice, si abbassò
gli occhiali da sole e alzò la musica. Alice
cominciò a cantare ad altissima
voce e Hope scoppiò a ridere.
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Capitolo 10 *** Il concerto ***
Capitolo 10 – il
concerto
“Sono
a Londra.”
“COME
SEI A LONDRA!”
“giuro!
E’ stato deciso
all’ultimo momento, me l’ha detto Alice poco prima
di mangiare e i miei mi
hanno dato il permesso appena finito.”
“Merda…
Anche io sono qui ma sono
pieno di impegni, non posso assolutamente staccarmi. Non posso essere
sostituito… ho un impegno importantissimo. Cazzo, a
saperlo!”
“A
saperlo cosa Noah? Avresti
spostato i tuoi impegni per me? Dai, non importa. Anche io
obiettivamente non
so se sarei riuscita… siamo qui per la mostra del
cinema!”
“Ah
ne ho sentito parlare! Anche
io volevo andare… e comunque avrei fatto di tutto per
vederti!” scrisse Noah
velocemente.
“Ehi,
ragazzino, ci sei?” gli
urlò Louis nelle orecchie.
“Ma
che cazzo fai?”
“Ti
vedo distratto” Louis si scambiò
un’occhiata con uno degli altri.
“Tu
pensa al tuo lavoro anziché
urlarmi a un centimetro dal cervello.”
“Ah
perché ce l’hai, ragazzino?”
rispose l’altro, facendo scoppiare a ridere Louis.
“Piantatela.”
Hope
scrisse una veloce risposta
“Dai, prima o poi ci vediamo…”
“Ci
sei Hope?”
Hope
mise il silenzioso e infilò
il cellulare nella tasca della felpa. “pronta!”
Le
due ragazze entrarono. Non
c’era tantissima gente e il museo era quasi completamente
vuoto. Era un giorno
settimanale e i turisti scarseggiavano per preferire mete
più esotiche. Così
Alice e Hope girarono il museo fermandosi
ad ogni locandina di ogni film,
leggendo ciò che era scritto nel foglio informativo
appicciato accanto, vedendo
i primi trailer dei primi film e godendosi un veloce remix di uno dei
tre film
di Star Wars di cui Alice andava pazza. Si fermarono un’ora
nel negozio dei
gadget scegliendo magliette e souvenirs come se non avrebbero
più avuto
l’occasione di rivedere Londra in futuro. Alice dovette
portare le cose in
macchina prima di continuare la gita, data la quantità
incredibile di cose
comprate, poiché ormai erano le sei e avevano deciso di
fermarsi a mangiare.
“Ma
quanta gente!” disse Alice
essendosi presa l’ennesima spallata da una ragazzina che
correva in senso
contrario al loro. “Che cavolo succede?”
“Non
ne ho idea!” disse Hope,
leggendo il messaggio di Noah: “Potremmo vederci la settimana
prossima se tu
vuoi…”
Non
sapeva cosa rispondere. Solo
all’idea che lui avesse già messo in campo questa
possibilità andava già in ansia.
“Oh,
Hope! Guarda, senza
rendercene conto siamo a Greenwitch! Ci troviamo un posto da queste
parti?
Magari ci facciamo un giro anche in
università…”
Le
due amiche si diressero verso
l’entrata, rimanendo estasiate dai palazzi, quando ci
arrivarono.
Alice,
con la bocca spalancata
disse “Cazzo. Non ho altre parole. Cazzo.”
Prese
il braccio di Hope,
rintronata anche lei dalla bellezza
dell’università “E parliamo solo di
Greenwitch. Cambridge è migliore.”
Hope
scoppiò a ridere.
“Entriamo?”
“E
ME LO CHIEDI???”
Si
divertirono a andare avanti e
indietro nello splendido parco dell’università.
Fecero un sacco di foto idiote,
pensierose, con il sole in fronte, sorridenti con un ragazzo appena
laureato e
una con l’altra sognando un futuro che ormai era a due passi
dal realizzarsi.
Cantarono a squarciagola la canzone ‘forever young’
sentendosi stupide ma
felici. Poi rimasero sdraiate sul prato
dell’università a parlare e a ridere
finchè il sole non incominciò a tramontare.
Hope
era talmente su di giri
quando decisero di uscire dal parco
dell’università (già…un
parco!) che rispose
a Noah con “Per me ok! Magari porto Alice, così ho
anche direttamente la
macchina!”.
“Oh
ma adesso BASTA, basta ok?”
“Cosa?”
chiese Hope mentre
cercava qualche piccolo bar a cui fare rifornimento.
“E’
la terza volta in due minuti
che vengo sbattuta di qua e di là” disse Alice
raggiungendo Hope e
massaggiandosi il braccio sinistro. “Voglio sapere che cazzo
succede.”
“Quello
cosa dici?” disse Hope
indicando un piccolo bar dall’altra parte della strada.
“Mi
va bene tutto a questo punto
pur di togliermi da questa strada piena di pazzi.”
“Cazzo
ho fame.”
“Hai
sempre fame.”
Noah
lesse il messaggio. Non ci
poteva credere, finalmente si sarebbero visti.
“Ecco
qui i panini!” esclamò
Louis. “Direttamente dal bar di fronte a
Greenwich… magari mettono qualcosa di
particolare per far diventare la gente più
intelligente.”
“Tranquillo.
Con te non c’è
pericolo, Lou.”
Louis
gli fece il dito medio.
“Allora
settimana prossima, è
deciso. Poi decidiamo con calma il giorno. Se tu porti Alice o
qualcun’altra
delle tua amiche, io sono autorizzato a portare i miei!”
“Certo
Noah, ci mancherebbe. Così
avrò anche la possibilità di guardare in faccia
quegli idioti :P”
Scrisse
velocemente, pensando a
che cosa le stesse passando per la testa quando aveva deciso di
accettare.
Alice stava ordinando due panini, probabilmente dopo se ne sarebbero
tornate a
casa.
“Okay
i panini arrivano in un
secondo!” disse Alice uscendo dalla massa di gente che in
pochi minuti si era creata
alla cassa.
“No
ma ci deve essere qualcosa…”
Un
sacco di ragazzine
ridacchianti e con gli occhi luccicanti le circondavano. Alcune erano
accompagnate dai genitori, in coda alla cassa.
Hope
scrollò le spalle.
“Probabilmente ci sarà un
evento…”
Mangiarono
i panini in meno di
mezz’ora essendo affamatissime.
Mangiarono
i panini in meno di
cinque minuti essendo affamatissimi.
“Fra
quanto si inizia?”
“Un’ora.”
“ok.”
Noah tirò fuori il
cellulare , lesse il messaggio di Hope e rise.
“Sono
sicuro che anche loro non
vedano l’ora di vederti.”
Hope
e Alice stavano uscendo dal
bar, ma dovettero affrettarsi ad appiattirsi contro la vetrina
perché un gruppo
di ragazzine sfrecciò davanti a loro, urlando e ridendo.
“Ma
sono pazze, queste” disse.
“Propongo un gelato.”
Hope
sorrise. “Andata!”
Si
incamminarono verso l’O2 Arena
perché Alice conosceva un gelataio buono da quelle parti.
Quando ci arrivarono,
però, furono bloccate dalla coda pazzesca che
c’era fuori.
“Ma
tutti qui??? PROPRIO OGGI???”
esclamò Hope, disperata. Aveva una voglia pazzesca di
gelato.
“Ah
ecco, ecco, adesso SI che si
spiegano molte cose.” Disse Alice a qualche metro da lei,
leggendo un
cartellone.
“Be
deve essere una spiegazione
sufficiente perché in questo momento sono abbastanza
infastidita.”
“Uhm
abbastanza sufficiente.”
Alice le fece segno di avvicinarsi. Poi indicò il
cartellone. Hope lo guardò e
lesse ad alta voce “Concerto One Direction, 2 Luglio 2013,
The O2 Arena ore
9.00 pm.”. Sotto, l’immagine di 5 ragazzi in piedi
su sfondo nero, che
guardavano in direzioni diverse, con un filo di sorriso sulle labbra.
“E
quindi?” chiese Hope.
“Oggi
è il 2 Hope. E’ stasera il
concerto…”
“Aaaaaaah…”
Hope si guardò in
giro. Ora tutto quadrava: Olivia aveva raccontato loro del concerto e
le ragazzine
impazzite, vestite bene ma comode, la maggior parte con una mini borsa
come se
stessero andando a ballare, spiegavano la quantità di gente
incredibile che
c’era in giro a quell’ora.
Alcune
ridevano, altre si
facevano le foto e altre ancora erano troppo impegnate a squadrarsi da
capo a
piedi per lasciare perdere e pensare solo a divertirsi.
Hope immaginava che dietro l’angolo ci fosse
una fila lunga kilometri per l’entrata allo stadio.
“Hope.”
Hope si voltò verso
Alice: aveva uno strano sorriso sul viso e gli occhi le brillavano come
le
ragazze di qualche minuto prima.
“Alice
ti temo quando fai così: vuol
dire che hai qualcosa in mente.”
“Esatto.”
Noah
prese il cellulare e anche
se lei non gli aveva ancora risposto le scrisse di nuovo:
“Adesso Hope devo
proprio andare. Ci sentiamo dopo, penso di avere una pausa, ti scrivo o
ti
chiamo!”
“Facciamo
40. 40 sterline.”
“Guarda
che si vendevano a 100.”
“Se
li avessi voluti comprare a
100 li avrei comprati prima allora.”
L’uomo
la guardò con occhi
socchiusi.
“
Però mandami un messaggio
quando sei tornata a casa…”
Noah
stava per mettere via il
cellulare quando arrivò il messaggio di risposta
“non torno a casa stasera.
Stasera io e Alice andiamo al concerto degli One Direction.”
Noah
lesse quattro volte il messaggio.
Non poteva crederci: cosa cazzo aveva fatto? Come cazzo ci era
riuscita? No,
non era possibile! Stava scherzando…
Sollevò
lo sguardo, guardando il
tavolino pieno di fogli.
“Merda”
disse. Poi ne agguantò
due e corse, corse più che poteva.
“CI
CREDI HOOOOOPEEEE??? SIAMO AD
UN CONCERTO DEGLI ONE DIRECTIOOOOON”
“Ti
sei calata nella parte, noto”
disse Hope, seguendo con lo sguardo la lunga coda che avevano davanti.
“Qual
è la tua canzone
preferita????” Una ragazzina si era voltata e con i soliti
occhi che
luccicavano, guardò Alice
e Hope.
“Assolutamente LIVE
WHILE WE ARE YOUNG!”
Hope
e Alice avevano, per
fortuna, seguito il consiglio di Olivia qualche giorno prima: ascoltare
qualche
canzone, scaricandone un paio a caso. A Hope non erano dispiaciuti e
nemmeno ad
Alice. Ma non erano riuscite a farsi una cultura sufficiente per andare
ad un
concerto. Casualmente Alice aveva citato una delle pochissime canzoni
che
entrambe sapevano.
“Ah
no… quella è di tutti. A me
piace un sacco Diana.” Disse la ragazzina. La sua amica,
accanto a lei, si
girò e disse: “Io ADORO
Gotta be you”
“Bellissima!”
esclamò Hope,
immergendosi anche lei nella parte di fan sfegata.
Alice
ridacchiò.
“Per
favore. PER FAVORE Louis. Te
lo chiedo come favore.”
Louis
guardò i suoi amici e
scosse la testa “Ma come si fa? Ma non
poss…”
“Per
ultima.”
I
ragazzi si guardarono. Poi uno
di loro annuì, sorridendo.
“Va
bene.”
“Come
il concerto degli One
Direction! E come hai fatto?”
“Abbiamo
comprato i biglietti qui
fuori. Ma tu mica dovevi andare?”
Erano
entrate. Le ragazzine che
avevano avuto davanti lungo la fila si era catapultate ad accaparrarsi
la prima
fila. Hope e Alice erano rimaste indietro, per lasciare alle fan
‘più
sfegatate’ il loro posto; era giusto d’altronde.
“Si
ma non sono normali!” disse
Alice mentre si faceva largo tra due gruppi di ragazze e per
avvicinarsi al
palco di qualche metro ancora. Erano più o meno a
metà della platea.
“Ma
che cazzo significa MLMLM?”
chiese Hope sentendo il cellulare vibrare nella tasca.
“E
a me lo chiedi?! Deve essere
qualcosa di losco…Scusa..” Alice aveva appena dato
una gomitata ad una ragazza,
senza averlo fatto apposta. Questa si era girata e le aveva lanciato
un’occhiata perforante. “Si ma hai sentito quella
che diceva e AMMETTEVA apertamente
di aver comprato il cartellone ad altezza naturale di uno di questi 5,
per…”
alzò le braccia e fece il segno delle virgolette “
‘dormire con lui’?????”
disse con voce in falsetto.
Hope
scoppiò a ridere, poi lesse
il messaggio di Noah:“Ahahaha tu e Alice siete pazze. Poi
fammi sapere come va ;)
a dopo, ora devo andare! Un bacio, sei speciale, ti voglio
bene!”
Era
la prima volta che Noah le
scriveva ti voglio bene, sei speciale e un bacio in un messaggio. Hope
scosse
la testa, mise il cellulare in borsa e la chiuse.
“Qui
va bene no?” chiese Alice
Hope
si guardò in giro. Erano ad
una ventina di metri dalla passerella in mezzo alla platea.
Scrollò le spalle.
“Per me va benissimo.”
Il
concerto cominciò con
l’introduzione di un gruppo meno famoso, ma quasi ugualmente
popolare che fece
letteralmente andare fuori di testa le ragazzine. Poi, sotto le note di
What meakes you beautiful , i
cinque
ragazzi salirono sul palco accolti da un boato pazzesco.
“UOOOOOAAAAAA”
urlò Alice. Hope
si unì all’urlo di Alice ridendo.
Le
due ragazze saltarono, risero
e cantarono dalla prima all’ultima canzone. Hope non
ricordava l’ultima volta
che era andata ad un concerto e Alice si stava completamente lasciando
andare.
A nessuna delle due importava più di tanto avvicinarsi al
palco o alla
passerella. Era la musica che le faceva andare fuori di testa e le
faceva
divertire, trovando sempre un motivo per ridere, anche solo uno sguardo
o una
parola erano sufficienti per far ritrovare loro la forza di continuare
a
ballare. Seguirono le urla delle altre, anche se non sapevano per cosa
stavano
urlando. Saltarono come mai, urlarono fino a non sentirsi
più. Era musica Pop,
ma né ad Alice né ad Hope importava di cosa
parlasse o cosa trattasse. Si
fecero trasportare esattamente come le altre ragazze presenti, sentendo
il
ritmo nelle ossa, il rombo dei bassi all’interno della cassa
toracica e il
ritmo del cuore che si plasmava su quello della musica. Era tantissimo
tempo
che le due non passavano un po’ di tempo insieme, ridendo e
condividendo
un’emozione come quella. Perché era
un’emozione forte, anche se il concerto era
di un gruppo che avevano solo canticchiato qualche volta sotto la guida
di
Olivia. Era un’emozione forte che le unì e che
unì plasmò loro a una qualsiasi
altra fan.
Ballarono
vicine, poi lontane per
poi ritrovarsi a saltare e a spingersi a vicenda. Quando i cinque
ragazzi si
ritirarono momentaneamente dietro il palco e la musica
cessò, Hope guardò Alice
e Alice guardò Hope. Poi scoppiarono a ridere.
“MA
CHE FIGATA QUESTI ONE
DIRECTION” esplose Alice, urlandole nelle orecchie.
“QUASI
QUASI PRENDO IL CD!!!”
urlò in risposta Hope.
Alice
indicò la maglietta che
Hope indossava, uguale alla sua. “E’ STATO UN
BELL’ACQUISTO”
Hope
si guardò la maglia: nera
con la scritta One Direcion. L’aveva presa insieme ad Alice
mentre erano in
coda e anche Alice aveva optato per la stessa.
Hope
alzò il pollice in alto e
Alice rise.
“Allora?
Come va?” scrisse Noah
in tutta fretta. Faceva tremendamente caldo. Se avesse potuto si
sarebbe rovesciato
addosso la bottiglietta di acqua.
“Non
male direi. Mi fanno male le
gambe e non so se ho la voce.”
“Per
essere 5 idioti che non hai
mai sentito, credo che tu ti stia divertendo.”
“Si
ahahaha penso anche io!”
La
seconda parte del concerto fu
più bella della seconda. Le canzoni crebbero in ritmo ed
Hope pensò sul serio
di prendere qualche CD all’uscita. Ma forse non avrebbe avuto
le forze per
farlo.
Erano
le 11 quando i 5 ragazzi
cominciarono a cantare le canzoni che Hope definiva
‘tristi’. Alice le fece
segno di seguirla, visto che non sapeva se aveva la voce o se Hope la
potesse
sentire.
Si
ritirarono verso il fondo
dello stadio, allontanandosi dal palco, facendo lo slalom tra ragazze
che, in
parte, facevano ondeggiare le proprie braccia in aria come alghe in
fondo al
mare, altre facevano foto a più non posso e altre ancora
completamente in
lacrime. Hope guardò quest’ultime invidiandole un
po’ e sentendosi in colpa per
aver, forse, rubato dei posti a delle ragazze che ci tenevano sul serio
ad andare
al concerto degli One Direction.
“Oh
mamma meno male” disse Alice.
Hope sentì la sua voce sottile, come ovattata. Probabilmente
aveva i timpani completamente
andati oppure la voce di Alice si era consumata.
Le
due salirono su un gradino e
respirarono un po’ di aria fresca. Gli 1D, come alcune li
chiamavano, stavano
cantando qualcosa di Irresistible e
la maggior parte del pubblico aveva le braccia alzate.
Hope
si abbracciò e guardò verso
il palco. I cinque ragazzi erano un po’ sparsi, quello che
cantava era
all’inizio della passerella. Un sacco di mani si erano
allungate su di essa
appena quel ragazzo aveva fatto un passo.
Poi
abbassò lo sguardo. Il suo
pensiero andò a Noah, senza che lei se ne rendesse conto.
Avevano deciso di
vedersi. Avevano deciso di vedersi e ora si dovevano vedere. Certo,
poteva dire
che era malata, o che aveva avuto un impegno urgente ma avrebbe
soltanto
rimandato qualcosa di inderogabile. In fondo, era curiosa di vederlo.
Ma era
anche spaventata.
Guardò
Alice, la quale seguiva le
parole della canzone ondeggiando sui piedi. Hope sorrise. Avrebbe
dovuto dirle
di Noah, non c’era altra scelta. Non l’aveva detto
a nessuno perché pensava che
fosse una cosa… stupida. Ma adesso non lo era
più. Forse non lo era da un po’…
Alice
allungò il braccio e prese
per le spalle la sua amica, tirandosela vicina. Era pensierosa.
Hope
passò un braccio dietro la
schiena di Alice e con lei si mise a canticchiare e ad ondeggiare.
La guardò. Poi
sorrise.
“And now for making
this night unforgettable, a
new song! Hope u will like that!”
Lo
stadio esplose di urla.
Hope
e Alice saltellarono sul
posto visto che, stranamente, l’ultima canzone non era per
nulla strappalacrime
ma abbastanza ritmata.
I
cinque ragazzi uscirono dal
palco che erano ormai passate le undici e mezzo.
“Sono
tornata” scrisse Hope
appena fu nella sua camera. Era sudaticcia, aveva le scarpe
appiccicaticce e i
leggins cominciavano a darle fastidio.
“Finalmente!
Come è andata?”
Hope
rispose dopo dieci minuti,
dopo essersi fatta una velocissima doccia.
“Che
ci fai ancora sveglio?”
“Ti
aspettavo :)”
“Ma
non era il caso Noah!
Comunque bene… è stato divertente. Anzi no,
fantastico! Io e Alice ci siamo
divertite tantissimo.”
“E
loro sono stati bravi?”
“Ah
be penso di si. Nel senso, non
conoscevo la metà delle canzoni, però suppongo
che siano stati bravi dato che
mi sono divertita un sacco.”
“Be’
è questo l’obiettivo.”
“Si
penso anche io. E tu invece?
Con il tuo impegno?”
“Anche
io mi sono divertito,
siamo stati più scemi del solito..”
“Ah
allora avete dato anche voi
stasera.”
“Abbiamo
dato, abbiamo dato.”
|
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Capitolo 11 *** "Hope" ***
Capitolo
11 – “Hope”
I
genitori di Hope se ne andarono
qualche giorno dopo e sarebbero tornati il giorno prima
dell’appuntamento con
Noah che ormai era stato deciso al giovedì successivo, di
pomeriggio. Hope si
era scritta tutto ciò che avrebbe dovuto fare durante
l’assenza dei suoi,
perché sapeva che, man mano che giovedì si
sarebbe avvicinato, avrebbe
cominciato ad andare in un altro mondo, dimenticandosi tutto
ciò che la
circondava. Era spaventata ma anche curiosa. Si era immaginata Noah
così tante
volte che ormai era diventata un abitudine. E ora l’avrebbe
visto, avrebbe
associato la sua voce ad un ragazzo vero e proprio: avrebbe visto di
che colore
fossero i suoi occhi, quanto fosse alto, come si vestiva… E
stessa cosa per
lui! Avrebbe visto i suoi modi di fare, il colore dei suoi capelli, la
forma
della sua bocca, il pallore spettrale della sua pelle… Hope
aveva preso ad
andare sotto il sole almeno un’ora al giorno, ma con
scarsissimi risultati: la
sua pelle sembrava restia a prendere un po’ di colore, a
parte il rossore, che
però se ne andava dopo qualche ora passata in casa. Inoltre,
ogni volta che
passava davanti allo specchio, si guardava, anche di sfuggita, per
vedere
com’era quando sembrava normale e quando nessuno la stesse
guardando. Pensò di
essere impazzita.
“Non
gli piacerò Strike…” disse
mentre tentava di prendere il sole un giorno, accarezzando il gatto.
“Ma che
dico?” scosse la testa. “Non lo conosco!
Perché dovrebbe interessarmi se gli
piaccio? Magari non mi piacerà lui…
Però ha una bella voce, sei d’accordo?”
Strike
fece le fusa.
“E
ha un bel carattere… cioè dal
telefono, sembra avere un bel carattere. Voglio dire, parliamo
spesso… Magari
non è così dici? Non saprei. Uno non
può fingere per così tanto tempo…
Cioè IO
non ce la farei.”
Strike
la guardò con gli occhi
verdi spalancati.
“No
io non ho finto Strike. Sono
stata sincera con lui e… bo, e se non mi vuole
più vedere? Ecco, vedi. Porca
miseria, perché ho accettato? Perché sono scema.
Ecco l’unica cosa sicura di
questa storia è che io sono una scema.”
Strike
le leccò un dito, poi
cercò di nuovo di farsi coccolare dietro le orecchie.
“Si
lo so, ci sei tu nel caso.”
“MAAOOO”
Il
telefono di casa squillò e
Hope mugolò. Non aveva voglia di alzarsi dalla veranda, era
lì solo da
mezz’ora! Pensò di lasciare perdere, ma poi
pensando che magari potesse essere
sua madre e che se non avesse risposto probabilmente avrebbe avuto una
crisi di
panico, si alzò e corse a rispondere.
“Pronto?”
“Hoppie!
Come va a casa?
Festino?”
“Ciao
Alice… No, per la verità
stavo prendendo il sole…”
“Bene.
Brava. Ma come mai prendi
sempre il sole in questi giorni? Comunque. Accendi su MTV”
“Perché?”
disse Hope, portandosi
in sala, dove prese il telecomando.
“Stanno
mandando il concerto
degli One Direction di settimana scorsa! Il nostro concerto!”
“Alice
noi ci siamo andate per
caso… non è sicuramente nostro.” Disse
accendendo la tv e girando sul canale di
MTV.
“Sisi
certo. Però magari ci
vediamo nella tv… e SPERO che ci veda Olivia. Non crede
ancora che siamo
andate! Incredibile eh?”
La
tv stava mandando delle
immagini del pomeriggio, dove alcune ragazze, evidentemente fans,
venivano
intervistate.
“L’hai
preso poi il Cd?” chiese
Hope ad Alice.
“No,
non ancora. Non ho ancora
avuto il tempo di farlo… che palle questa cosa che mi hanno
pitturato in casa,
mia madre è isterica.”
“ALICE
TI HO SENTITA”
Hope
ridacchiò sentendo le urla
della mamma di Alice.
“Ti
voglio bene mamma!” disse la
sua amica. “Hope salvami ti prego!” aggiunse
abbassando la voce
“Almeno
adesso puoi sentirti un
po’ di musica.”
“ouff,
si, le tv è stata una
delle prime cose che ho voluto attaccare. Vado, và, che
adesso devo pulire la
libreria. Ti ho chiamato solo per avvertirti… SI UN ATTIMO
SPENCER CAZZO
ARRIVO!... Ciao Hope!”
“Ciao
Alice, salutami Spence!”
Spece era il fratello di Alice.
“No
che non te lo saluto…”
“CIAO
HOPE” sentì dire dal
fratello di Alice.
Hope
rise e dopo aver salutato
ancora la sua amica mise giù.
Si
fermò in piedi dietro il
divano a guardare le immagini della tv. Stavano facendo vedere una
panoramica
dello stadio. Non le importava molto sapere se erano state riprese o
meno.
Anche perché non erano state davanti, quindi molto
probabilmente non erano
state catturate dall’occhio della telecamera.
Lasciò la tv accesa, alzando il
volume quanto bastava per sentire la musica anche in veranda, dove
prendeva il
sole, attraverso la finestra. Appoggiò il telecomando sul
davanzale esterno e
si risedette al sole, dove riprese a coccolare Strike.
Si
risvegliò solo perché Strike con
le unghie aveva cominciato a giocare con
il suo braccio, ormai abbandonato lungo la sdraio.
“Ahia
Strike…” mugolò tirandolo
via dalla portata delle unghie di Strike che la guardò con
la classica faccia
da
finto-cacciatore-spaventato-dalla-preda-ancora-viva-ma-che-aveva-creduto-di-aver-ucciso.
La tv era ancora accesa e, ancora, stava mandando il servizio del
concerto
degli One Direction. Quindi non doveva aver dormito molto. Hope si
sistemò meglio
sulla sedia per cercare di riaddormentarsi ma non riuscì
più a trovare la
posizione giusta. Il sole cominciava a darle fastidio. Decise di
alzarsi e
andare in cucina a prendere qualcosa da bere. Strike spiccò
un salto andando ad
atterrare sul muretto e la guardò come si aspettasse una
lotta.
Hope
andò verso il frigor
canticchiando le ultime note di una canzone che aveva sentito al
concerto. Poi
riconobbe l’ultima canzone che i cinque ragazzi avevano
cantato, quella che
aveva trovato strana perché, per essere l’ultima
canzone, non era triste e lei
si era sempre immaginata che alla fine di un concerto si facessero solo
delle
canzoni tristi.
Prese
un sorso e mise il
bicchiere nel lavandino.
“I
met u by chance …”
Si
diresse verso la sala, per
vedere l’ultimo pezzo del concerto. Magari si sarebbe vista
come Alice aveva
detto.
“I was going into trance
But
u fall into my
friend list…”
Si
sedette sul divano e rispose
ad un messaggio di Noah. Aveva detto che probabilmente non sarebbe
stato molto
presente quel pomeriggio perché doveva andare con i ragazzi
ad una specie di
conferenza. Si sarebbero sentiti la sera anche per organizzare meglio
il giorno
dell’incontro a cui mancavano due miseri giorni.
“And
(I) understand
what I have always missed
I
know anything but I
feel u into my bones
And
want to listen
your voice in my iPod headphones …”
Hope
cominciò a far dondolare la
testa al ritmo della musica, guardando più le immagini che
ascoltando veramente
la canzone.
Le
ragazzine sullo schermo erano
quelle in prima fila. Riconobbe le due con cui avevano parlato lei e
Alice
durante la coda per entrare. Alla fine erano riuscite ad accaparrarsi
un buon
posto, quasi vicino alla passerella.
Hope
guardò il servizio con il
sorriso sulle labbra, pensando che quel giorno era stato fantastico.
Lei e
Alice si erano divertite come mai prima: non solo prima
dell’Ombra, ma in
generale. Il cd degli One Direction doveva comprarlo anche solo per
commemorare
quel giorno. Certo, c’era la maglietta, ma voleva imprimere
quel momento nella
testa anche con l’aiuto di una colonna sonora.
Stava
per alzarsi per andare a
prendere il computer e vedere dove poteva comprare il cd, o se le
conveniva
ordinarlo su internet, quando sentì un pezzo della canzone
che la ributtò sul
divano, bloccandola.
Quando
la canzone terminò, era
impalata, immobile seduta sul divano e guardava con occhi vitrei la tv.
Non era
possibile, aveva sentito male. Molto lentamente, mentre il servizio si
chiudeva
con un’immagine delle fan che uscivano dallo stadio dopo il
concerto, prese il
telecomando e tornò indietro fino all’inizio della
canzone. Poi fece ripartire
la canzone.
“Hope u will like that” diceva
uno dei ragazzi.
“Pronto???”
urlò Alice nella
cornetta facendo segno a suo fratello di spegnere
l’aspirapolvere.
Erano
quasi le sette e stava
morendo di fame.
“Alice?
Sono Hope.”
“Hoppie!
Ciao! Perchè mi chiami?
ODDIO-NON-DIRMELO. Ci hai viste nel servizio di MTV??? SPENCE TUA
SORELLA E’
FAMOSA!”
“No.”
disse Hope come da una
lontanissima distanza. “Ti chiamavo perché mi
servi. Mi servi qui. Appena
puoi.”
Alice
aggrottò la fronte sentendo
nelle parole dell’amica del panico. “E’
tutto ok?” chiese. “Stai male?”
Pregò
che la sua amica non stesse male. Avrebbe saputo cosa fare, ma non
avrebbe
avuto le forze di affrontare la cosa ancora una volta.
“No.
Mi servi. DEVI venire. Ti
prego.”
“Va…
va bene. Ho quasi finito.
Lasciami il tempo di fare una doccia e sono da te. Ok?”
“Si.
Ah. E portati le cose per
dormire. Stai qui con me.”
Alice
mise giù dopo pochi
secondi. Non aveva mai sentito la sua amica parlare così,
doveva essere
successo qualcosa di veramente grosso.
“Allora?
Cosa è successo?” chiese
Alice dopo mezz’ora dalla telefonata, seduta sul divano di
casa di Hope. Lei
era seduta sull’altro divano con le gambe rannicchiate contro
il petto. Aveva
un sorriso che sembrava faticasse ad esprimere, lo nascondeva scuotendo
la
testa e facendo delle smorfie. Ma non sembrava stare male, per nulla.
Sul
tavolo c’era una ciotola ripiena di patatine che non sembrava
essere stata toccata,
due bicchieri, delle bibite e il computer di Hope. La tv era ferma su
un’immagine del concerto degli One Direction.
“Ti
ricordi l’esercizio che il
professore Glag ci faceva fare?” chiese Hope.
“Quello in cui io assumo una
tesi, tu assumi quella opposta e ognuno cerca di portare le sue
motivazioni per
battere l’altro?”
Alice
annuì.
“tutti
sanno che tu sei sempre
stata brava in quell’esercizio. Forse solo Tara ha saputo
batterti una volta.”
“Si,
ma una volta in quattro anni
di liceo” precisò Alice.
Hope
ridacchiò. “esatto. E hai
deciso di fare scienze politiche internazionali anche per
quello.”
“ovviamente.”
Alice
aveva sempre avuto una
splendida parlantina, sapeva portare la gente a cambiare idea con un
semplice
discorso. Quando il professore Glag aveva scoperto questa sua
capacità l’aveva
spinta a coltivarla.
“ma
non capisco cosa c’entra…”
“Adesso
lo vedrai. E’ lunga come
cosa, se hai fame lì ci sono le patatine.”
Si
spiegava la ciotola e le
bibite. Alice si allungò e prese una patatina mentre le sua
amica cercava di
trovare le parole giuste.
“Io
è da un po’ che sento un
ragazzo.”
“Un
ragazzo.”
“Si,
un ragazzo.”
“Lo
conosco?”
Hope
stava per rispondere di no,
ma si bloccò prima. “Ecco questa è una
domanda a cui bisogna ancora dare una
risposta.”
Alice
smise di sgranocchiare la
patatina e sollevò un sopracciglio.
“E’
difficile. Insomma… io e
questo ragazzo non ci siamo mai visti.”
“L’hai
conosciuto su internet?”
“Esatto.”
Con
grande stupore di Hope, Alice
annuì e riprese a mangiare la patatina. Evidentemente non le
era sembrato così
spaventoso e così strano.
Lasciò
correre. “E… insomma…
abbiamo chattato per un po’ di tempo, poi lui mi ha chiesto
il numero, gliel’ho
dato e abbiamo cominciato a sentirci per messaggi.”
La
faccia di Alice sembrava
sinceramente interessata e senza traccia di rimprovero. Questa cosa
confortò
molto Hope.
“Dopo
i messaggi, abbiamo
cominciato a sentirci al telefono. Con lui ho stretto una
bella…amicizia. Si
può dire amicizia?”
“Suppongo
di si.”
“E
questa cosa è cresciuta, cresciuta,
cresciuta. Non me ne sono nemmeno resa conto.” Era sul bordo
del divano e
gesticolava un sacco. Alice capì che era nervosa.
Intuì cosa le avrebbe detto
da un momento all’altro.
“Lui
mi è stato vicino, insomma,
lui non sa cosa è successo, non mi conosce come mi conoscono
tutti gli altri.
Io non volevo più vedere quegli sguardi… insomma,
lo sai.”
Alice
annuì di nuovo, prendendosi
un’altra patatina.
“E
internet mi è sembrato uno
strumento che potevo usare. Ma non pensavo, giuro, non
pensavo… in che cazzo di
situazione mi sono messa, dannazione!”
Hope
si era alzata.
“Hope
tranquilla” disse Alice.
“ti accompagno, non ho problemi.”
Hope
la guardò con occhi
spalancati. “Co…come?”
balbettò.
“Ti
accompagno da questo ragazzo.
Immagino ti abbia chiesto di uscire, di vederti insomma. Nessun
problema. Posso
guardarti anche a vista se non vuoi che lui mi veda.”
Hope
spalancò la bocca per dire
qualcosa ma poi scoppiò a ridere.
Alice,
ora, era confusa.
La
risata di Hope non era una
risata di puro divertimento, ma era attraversata da una nota acuta,
come
isterica.
“Non
era questo che volevi?”
Hope
ridacchiò ancora e si spostò
al centro della sala.
“Si..
cioè no. Non è solo per
questo.”
“E
allora cosa c’è?”
Hope
la guardò smettendo di
ridere. Lanciò uno sguardo di sfuggita alla tv, per poi
voltarsi di scatto e
fissò per un paio di secondi il terreno.
Alice
aspettò con pazienza.
“E’
giusto quello che hai
pensato. Lui vuole incontrarmi. Esattamente fra due giorni. E io vorrei
che tu
venissi con me. Ma non è questo il punto. Tu prima di
accettare devi sapere
un’altra cosa.”
Alice
si portò la ciotola delle
patitine sulle gambe e le incrociò, non perdendo
d’occhio la sua amica, che era
sempre più strana. Temette il peggio.
“Io…
io credo che…insomma, ho
motivi di credere che lui sia…” Lasciò
la frase a metà. Alice fissò Hope
aspettando che lei continuasse, in piena suspance.
Poi
si accorse che Hope aveva
indicato velocemente la tv. E continuava, con insistenza ad indicarla
con gli
occhi.
“Non
capisco…” disse Alice.
Hope
si stropicciò le mani.
“Alice… io…credo. Insomma, penso, ho
buone ragioni per credere che lui sia
uno…uno di quelli”
“credi
che lui sia un… un
televisore?”
Hope
scoppiò a ridere e scosse la
testa. “Ma no! Uno di loro!”
“Un
tecnico della tv? Il ragazzo che
viene ogni tanto a casa mia è carino… no, nemmeno
quello. Un giornalista?”
Hope
rise di nuovo.
“Chi
Hope???”
“Io…
loro, Alice, LORO!”
Hope
prese il telecomando e fece riprendere il servizio della tv, che
allargò
l’inquadratura fino a riprendere i cinque ragazzi del
concerto. Hope fermò di
nuovo l’immagine.
Alice,
che stava per deglutire la
patatina, si bloccò a metà. “tu credi
che…” disse con un fil di voce.
Tossicchiò e riprese: “Tu credi che lui sia uno
degli One Direction???” Anche
se la patatina era passata attraverso l’esofago senza
bloccarsi, la voce le
uscì lo stesso strozzata.
Hope
annuì.
“Si,
certo, e io ho una seconda
vita: sono Angelina Jolie, in realtà. Sono sposata con quel
figo di Brad Pitt e
adotto figli appena ne vedo uno andare in giro da solo per
strada.”
“E’
da fuori di testa, giusto?”
“Be
vedi tu!” rispose Alice,
riponendo la ciotola della patatine sul tavolo. “Hai presente
quanti ragazzi
sono online in questo momento? Hai presente quante persone, quanti
ragazzi
usano internet e le chat NORMALMENTE??? Quante probabilità
hai? E perché uno di
loro dovrebbe essere stato su internet? Hanno tutto ciò che
vogliono, perché
mai dovrebbe essere uno di loro il tuo…Come si
chiama?”
“Credo
si chiami Noah.”
“Ecco,
il tuo Noah. E mi pare che
non ci siano Noah negli One Direction. Due di loro si chiamano qualcosa
con la
L, uno mi pare Zack e uno mi pare Henry. L’ultimo non
ricordo. Ma Noah non mi
dice niente.”
“Ecco
perché mi servi. Perché
anche io credo che sia impossibile. Ma come ti ho detto, ho dei buoni
motivi.”
“Sarebbero?
No anzi. Scusa ma tu
chi credi che sia?”
Hope
prese un bel respiro.
“Penso
che sia… che sia quello
che si chiama Harry.”
“Harry.
Quello che ha i capelli…”
“NO!”
urlò Hope. “Non dire come è
fatto, non dire niente. Non dire niente, non voglio
pensarci.” Hope scosse la
testa.
“ok….”
Disse Alice, cauta. “E
sentiamo: perché credi che sia lui?”
“Adesso
te lo dico. Ad un patto
però.” Hope guardò l’amica
intensamente. “ tu devi assumere la tesi che Noah
non è Harry, che non è uno degli One Direction.
Chiaro? Neanche quando penserai
che, invece, sia probabile. Se ti rendi conto che quello che sto
dicendo ti sta
convincendo, fai come se fossi io la pazza e non mollare la tua
tesi.”
Alice
la studiò a fondo. Era
evidente che c’era qualcosa di grosso. Però
scrollò le spalle e disse: “Nessun
problema.”
“Devi
cercare di demolire ogni
cosa che dico, va bene?”
“Ehi
tesoro, stai parlando con
quella che non ha mai preso neanche una B con Glag.”
Era
esattamente ciò che voleva
Hope. Lei, una
volta che le era venuto
il dubbio che Noah potesse essere Harry, non aveva verificato niente su
internet. Si era basata solo su quello che ricordava dalle parole di
Olivia. Sospirò,
pronta a cominciare.
“Allora.
Iniziamo con il fatto
che Noah in questione ha 19 anni e quando ci siamo conosciuti, li aveva
compiuti da poco.”
“Potrebbe
mentire.”
“Lasciami
finire Alice.”
“Scusa.”
Hope
girò il computer verso di
lei e glielo passò.
“Vai
a vedere quando quell’Harry
è nato.”
Alice digitò Harry
One Direction su Google. Aprì
la prima pagina, Wikipedia, mentre Hope diceva: “la prima
volta che ci siamo
scritti era il 3 Marzo. Lui li aveva compiuti da un mese, mi
disse.”
Alice
controllò. Harry, Harry
Styles, così si chiamava, li compiva il 1° Febbraio.
Hope
guardò Alice.
“Semplice
coincidenza” disse la
sua amica, risoluta. Non era un indizio sufficiente. Neanche
lontanamente.
Hope
annuì, riprese il computer e
ridusse a icona la pagina del ragazzo. Aprì un documento
html con la
conversazione storica tra lei e un certo…Stryes94.
“Voglio
farti notare solo questo
pezzo di conversazione.” Girò di nuovo il computer
verso Alice, che lesse una
dei primi scambi tra questo Noah e Hope.
“Cosa ti suggerisce il mio
nome?”
“Non
lo so. Ti chiami… come una
mossa particolare del bowling? :)”
“Ahahha, perché dici
così?
“Stryes -> Strike, scritto
strano”
“Ahahahah no.”
Quando
finì di leggere, annuì e
Hope riprese il computer: riaprì la pagina di Harry Styles
senza guardare lo
schermo, per poi girarlo di nuovo verso Alice.
“Ricordati
questo pezzo di
conversazione. Servirà dopo.”
Alice
fece si con la testa.
“Noah
abita a Londra.”
Alice
controllò su internet: non
diceva dove questo Harry abitava. “un sacco di gente abita a
Londra.” disse
poi.
“Giusto.
Ha i genitori separati”
Alice
lanciò un’occhiata alla
pagina internet.
Hope
riprese “Quando abbiamo
cominciato a sentirci per telefono, lui mi scriveva anche la mattina.
Quando
non avevo ancora il suo numero, non posso saperlo. Lui mi scriveva
mattina,
pomeriggio e sera, come se non fosse mai in classe.”
“Gli
hai chiesto se fa il
College?”
“No,
sinceramente ma…”
“E’
uno dei tanti fancazzisti.
Alla sua età ce ne saranno milioni in giro per il
mondo.”
Hope
rimase in silenzio. Alice ,
ovviamente, aveva ragione.
“oppure
è malato. Ha qualche
patologia che lo costringe a stare a casa. Ma preferisco
l’ipotesi del
fancazzismo.”
“Okay.
Allora questa cosa che ti
sto per dire potresti non trovarla su internet. Lui e il suo migliore
amico
hanno avuto una ragazza in comune, senza saperlo… si
chiamava Pam.”
Alice
prese un respiro profondo.
Hope non poteva essersi montata la testa così tanto con
così pochi indizi.
Prese il computer e digitò il nome di Harry e Pamela. Non
uscì niente, a parte
un articolo-fuffa in cui ci si chiedeva se Harry Styles potesse aver
fatto
sesso con Pamela Anderson.
Alice
guardò Hope scuotendo la
testa.
“sono
stati insieme poco” disse
Hope con quella che ad Alice sembrò una giustificazione non
richiesta e non
necessaria. Di sicuro nemmeno sufficiente.
Hope
guardò Alice perforandola con
lo sguardo. “il migliore amico di Noah si chiama
Louis.”
Ad
Alice non servì andare a
controllare. Una piccola parte del suo cervello rimase pietrificato e
cominciò
a farsi strada l’idea che fosse poco probabile che una
coincidenza simile (nato
lo stesso giorno, lo stesso anno, che avesse i genitori separati e con
un
migliore amico che aveva lo stesso nome del migliore amico di Harry
Styles) si
fosse verificata. Infatti, cominciò a farsi strada nella sua
testa che fosse un
semplice emulatore. Qualcuno che avesse fatto finta, apposta, di essere
Harry
Styles. Ma non aveva molto senso se uno ci pensava a fondo.
“potrebbe
mentire.” Disse.
“potrebbe
mentire.” Confermò Hope.
“potrebbe
usare un nome fasullo
anche per il suo migliore amico, visto che se è Harry, ha
usato il nome Noah.”
Hope
annuì. Ci aveva pensato
anche lei. Ma aveva fatto anche un altro pensiero: se Noah non era
Harry che
senso aveva dare un nome fasullo al suo migliore amico? Oppure si
chiamava
veramente Louis, il suo migliore amico. Ma allora diventata una
stranissima
coincidenza. In qualsiasi modo la si metteva, la soluzione sembrava
indicare un
solo nome.
“So
che ha una sorella. Non so
dirti se maggiore o minore.”
Alice
controllò ma non fece
trasparire nessuna emozione dal lo sguardo che poi riportò
su Hope.
Hope
era abbastanza sicura di
aver sentito da Olivia che quell’Harry aveva una sorella.
“Okay…
ehm…” riprese Hope. “A
fine marzo… il 30,31 e l’1 aprile è
andato ad Edimburgo. Ti dico solo che anche
Olivia è andata e…”
Alice
stava già scrivendo sul
computer per verificare le date. Olivia le aveva raccontato TUTTO di
quel
concerto. E se non andava errato, era proprio in uno di quei tre
giorni.
“…e
è andata per vedere il
concerto degli One Direction”
Alzò
lo sguardo su Hope.
“Potrebbe essere un loro fan.”
Hope
capì con questa frase che
Alice aveva verificato e confermato. Ma Hope questo non
l’aveva fatto. Si era
solo basata su quello che aveva sentito da Olivia e su
un’altra informazione
recentemente acquisita, ben più importante e assolutamente
attendibile, che
avrebbe spiegato ad Alice come ultima motivazione. Il suo cervello
automaticamente, senza che potesse controllarlo, pensò che
era improbabile che
un ragazzo fosse un fan di un gruppo di ragazzi. Scartò quel
pensiero
immediatamente.
“So
che ha una tartaruga di nome
Ninja, o è della sorella.”
Alice
non si mosse.
“So
che condivide l’appartamento
con i suoi amici, tra cui sicuramente Louis. E…
lui…lui ha detto molte volte di
avere delle fan”
Alice
fece mezzo sorriso
sarcastico.
“Si
lo so è una cosa idiota”
disse Hope vedendo la sua faccia. “Potrebbe dirlo
chiunque… ma quando mi diceva
che aveva spostato degli impegni per sentirmi, l’ho sfottuto
dicendo cose come
‘ma adesso le tue fans che diranno?’ e lui non ha
mai smentito.”
Alice
stava per scoppiarle a
ridere in faccia. Stava davvero basando la teoria che Noah fosse Harry
su
queste ipotetiche fan???
“Inoltre,
qualche volta abbiamo
parlato degli One Direction. Lui non si è mai espresso su di
loro se non
qualche aggettivo scherzoso MA ha detto che tutte le sue amiche cantano
le loro
canzoni e che LUI, le canzoni, le sa a memoria.”
Alice
pensò che questa frase
buttata in un messaggio qualsiasi poteva sembrare una frase qualsiasi.
Ma messa
in un certo contesto e vedendola con gli occhi di una persona che
credeva che
questo Noah fosse davvero uno degli One Direction, sembrava
molto…studiata. E
al contempo casuale.
“Comunque.
So che i suoi amici
sono quattro…e con lui sono cinque. Come… loro.”
Indicò la tv.
“E
tu questo come fai a saperlo?”
“Mi
hanno chiamato loro un
giorno.”
“Ah.”
“Mi
hanno chiamato, hanno fatto
gli ubriachi e li ho sentiti uno alla volta. Noah aveva lasciato il
cellulare e
loro…” la voce di Hope si spense. “Li ho
sentiti anche il giorno dopo.” Disse
poi. “Erano in cinque e mi hanno cantato un piccolo pezzo di
canzone per farsi
scusare.”
“prego?”
“Giuro,
Alice, non sto dicendo
cazzate. Non
l’ho registrata. Ma
la canzone faceva “Hope we are very
very
very sorry, but
some times our minds go
very very very hurry and we seem stupid sometimes, but we swear we are
all nice
guys””
Alice
scoppiò a ridere. “Che
coglioni.” Si lasciò scappare.
Ma
Hope non rideva per nulla.
Fece un minuscolo sorrisetto, tirato.
“Quindi,
ricapitolando sei sicura
che erano in cinque.”
“Con
Noah, si. Sono sicura.”
“Possono
essere amici. E’ come io
te, Tara e Olivia. Non vuol dire che siccome siamo in quattro allora
siamo…le
Spice Girls”
“A
parte che le Spice erano 5.
Comunque ho capito lo stesso. E hai ragione.” Disse Hope. Ora
veniva la parte
forte.
“Lui
e i suoi amici qualche
settimana fa sono andati in ospedale… lui ha detto
perché fanno parte di quelle
associazioni per bambini” mentre parlava Alice
cominciò a scrivere su Internet.
“e io ovviamente ci ho creduto. Mi ha raccontato cosa ha
provato… e sembrava
sincero, sembrava esserci andato sul serio. Ha detto che lui
è andato nel
reparto traumatologico e oncologico.”
Alice
guardò l’amica. Poi riprese
a scrivere. Aspettò i risultati della ricerca: Google la
stava tremendamente
tradendo. Guardò Hope con aria impassibile.
“E
poi…” continuò Hope capendo
che Alice non voleva sbilanciarsi, che aspettava qualcosa di
più. “E poi c’è
stato il concerto che siamo andate a vedere. Lui, quella sera, aveva un
impegno, mi aveva detto che probabilmente ci saremmo sentiti tardi. Io
poi
avevo risposto che andavo al concerto degli One Direction. Lui mi
è sembrato
stupito ma ho dato per scontato che fosse perché avevo
sempre detto che non li
conoscevo e che mi sembrava assurdo spendere 100 sterline per un gruppo
che non
avevo mai ascoltato.”
Hope
tirò fuori il cellulare, poi
guardò l’amica. “Mi ha scritto alle
10.37 quella sera.” Le porse il suo
cellulare, con il messaggio di Noah “ Ti ricordi a che ora
c’è stata una
piccola pausa?”
Alice
guardò il cellulare e lesse
la conversazione: “Allora? Come va?” “Non
male direi. Mi fanno male le gambe e
non so se ho la voce.”“Per essere 5 idioti che non
hai mai sentito, credo che
tu ti stia divertendo.” “Si ahahaha penso anche
io!”. Riconsegnò il cellulare
ad Hope, pensando che questo Noah avesse
proprio una bella faccia tosta a chiamarli idioti.
“E
infine…” disse Hope
riprendendo il cellulare e afferrando il telecomando “questo:
quando lui è
tornato dall’ospedale era abbastanza provato così
abbiamo parlato. Abbiamo
parlato del fatto che la vita è ingiusta e del fatto che, se
anche lui è
fortunato, non si deve sentire in colpa.”
“In
colpa per cosa?”
“Per
il fatto di vivere
normalmente, e di non avere problemi come i ragazzi che è
andato a trovare in
ospedale. Io gli ho detto che non deve sentirsi in colpa per questo e
che,
anzi, deve essere una motivazione superiore per godersi la vita fino in
fondo,
per viverla cogliendo l’attimo…” Hope la
guardò negli occhi. “che deve
succhiare tutto il midollo della vita.”
Alice
riconobbe la frase celebre
de l’attimo fuggente ma
non capì. Non
riuscì a chiedere a Hope cosa intendesse che lei aveva fatto
play sul
telecomando e il servizio alla tv, finalmente, riprese.
“…a new song! Hope u will like
that” diceva la voce di uno dei
cinque. Alice ignorò il gioco di parole ma lanciò
un’occhiata all’amica. Si era
messa seduta sul
divano ma si ostinava a
tenere basso lo sguardo.
“I
met u by chance
I
was going into
trance
But
u fall into my
friend list”
Alice
dovette ammettere che,
questa strofa, in particolare l’ultima frase, coincideva a
sufficienza con la
storia di Noah e Hope.
“And
(I) understand
what I have always missed
I
know anything but I
feel u into my bones
And
want to listen your
voice in my iPod headphones”
Solite
frasi di una canzone pop,
niente di nuovo.
“My
mind goes ooo
oh-oh tonight
I
will wait for u
until midnight
But
u will never
appear”
Alice
dovette ammettere che la
parola ‘appear’ sembrava essere messa apposta.
“It
gives me hope
And
I’m going crazy
every time I see your voice
And
I have to read
your messages , no choice
U
are difficult to
reach
I
want to take u on
the beach
(yeah yeah yeah)”
Era
il ritornello e c’era ancora
un chiaro gioco di parole che Alice, volutamente, ignorò. Ma
cominciava ad
essere difficile ignorare il resto: “i have to read your
messages… u are
difficult to reach” potevano riferirsi alla distanza tra di
loro e al fatto che
avevano comunicato solo con messaggi.
“It
gives me hope
And
I’m going crazy
every time I think about you
And
early I know we will
have our debut
I
am seeking your
smile
But
u are far by miles”
Altri
riferimenti a questa
ipotetica ragazza. Debut poteva rimandare al fatto che presto si
sarebbero
visti. E ‘far by miles’ poteva ancora riferirsi
alla distanza. ‘Che cazzo sto
pensando?’ si disse Alice. ‘Io devo sostenere che
NON è uno degli One
Direction.’
“U
ask me time
Cause
I’m a strange
strike
And
I gave u trust
from the beginning
But
now I’m feeling
guilty cause I’m singing
About our strange story I have
always missed
And
in my crazy nights
I would have you kissed”
Alice
era abbastanza intelligente
per aver fatto il collegamento tra ‘strange strike’
e uno dei primi messaggi
che lui e Hope si erano scambiati quando si erano conosciuti:
“Cosa ti
suggerisce il mio nome?”“Non lo so. Ti
chiami… come una mossa particolare del
bowling? :)”“Ahahha, perché dici
così?“Stryes -> Strike, scritto
strano”.
Guardò
l’amica. Era di un
colorito più roseo del normale. La canzone diceva che
avrebbe voluto baciarla…
“It’s
difficult e-e-even to image
A
girl like u that
makes me change
And
when u said ‘ I
can’t apologize’
I wanna die”
Questa
strofa non voleva dire
niente. Ma Hope interruppe la canzone. “non te l’ho
detto prima” disse. “perché
non ci ho pensato, non mi sono ricordata, insomma solo adesso sentendo
questa…”
si bloccò. “Ho detto che non lo potevo subito
perdonare il giorno dopo che i
suoi amici mi avevano chiamata. Perché in
quell’occasione loro mi avevano presa
in giro sul fatto della fiducia e avevano letto dei messaggi che io
consideravo
privati tra me e lui… Comunque
non mi
sono lasciata andare subito con lui. Sai riguardo
all’età, a dove vivevo… per
non espormi troppo, ecco. Ho voluto del tempo…”
Alice
pensò al pezzo della strofa
precedente: “u ask me time…”
“Mentre
lui è stato sincero da
subito..”
Di
nuovo, Alice pensò ad un’altra
frase: “i gave u trust from the beginning”. Dalla
voce sottile di Hope e dalla
faccia che stava assumendo, capì che anche lei ci era appena
arrivata. Si
zittì, guardò in basso e fece ripartire il
servizio.
“It
gives
me hope
And
I’m going crazy
every time I see your voice
And
I have to read
your messages , no choice
U
are difficult to
reach
I
want to take u on
the beach
It
gives me hope
And
I’m going crazy
every time I think about you
And
early I know we
will have our debut
I
am seeking your
smile
But
u are far by miles”
Altro
ritornello, niente di
nuovo.
“Saying
that we have
to suck out all the morrow life
And
I’m going to ask u
if u wanna become my wife
My
friends get drunk
And
so I sing a song
to forgive our madness
‘cause
we are very
very sorry some
times and our minds go
very very hurry”
Alice
non potè fare a meno di
girarsi verso l’amica. Questa strofa non era significativa:
era realista. Dava
ragione ad Hope e, per la prima volta, Alice prese una B in
quell’esercizio. Se
la diede da sola, perché non c’era ragione di
credere che lui NON fosse uno di
loro.
Hope
aveva lo sguardo piantato a
terra, i capelli le scivolavano davanti al viso e Alice non vedeva i
suoi
occhi.
“I’ve never
seen u, but imagined a lot
U say that I’m
special and I say u r great
U are my hope, (u r hope)
And I’m going crazy
every time I think about u
And
early I know we will have our debut
I am seeking your smile
But we are far by
miles*”
La
canzone finì. Il giornalista
prese a blaterare di questa ultima canzone e del fatto che si chiamava
‘hope’. Su
una cosa si sbagliava terribilmente. Non era
‘hope’, ma ‘Hope’, con la H
maiuscola. Perché era sicuramente la sua amica Hope.
Hope
spense il televisore
sollevando finalmente lo sguardo. Era impossibile descriverne
l’espressione: era
di tutto un po’.
“Prima
che tu dica qualsiasi
cosa” disse Hope. “Pensa a quello che hai giurato
di fare all’inizio di questa
conversazione.”
Alice
non se lo ricordava neanche
più. Dovevano parlare di questa cosa ORA. Dovevano parlare
di lui ADESSO.
“Hai
promesso che saresti rimasta
sulla tua tesi finchè non fossi stata assolutamente certa di
aver torto. Certa,
intendo al 100%. Che avresti vagliato ogni possibilità,
prima di arrenderti.”
Ad
Hope era rimasto un solo
singolo dubbio.
Alice
deglutì. Si sentiva la
bocca secca. Aprì una bottiglia, senza dire una parola,
cercando di pensare
chiaramente. Ma era quasi impossibile. Come era possibile
che…
‘No
calma. Hope ha ragione… Hope,
la canzone… le ha scritto una CANZONE… no cazzo,
STIAMO CALME! Allora. Non è
lui. Non è lui. E’ la mia tesi. Troviamo una
spiegazione che collimi con
tutto.’
Alice
stava bevendo ma se Hope
faceva attenzione poteva sentire chiaramente le rotelle del cervello
dell’amica
girare, impazzite. E più tempo passava in cui Alice stava in
silenzio, più era
peggio. Perché voleva dire che non riusciva a trovare una
soluzione. Guardò
l’orologio: solo una volta, a scuola, durante
quell’esercizio, era rimasta
silenziosa in un dibattito per più di due minuti. Ma poi
aveva letteralmente
smontato ogni singolo pezzo dell’ipotesi dell’altra
persona. Quando il
professore le aveva domandato perché ci avesse messo
così ‘tanto tempo’, Alice
aveva risposto così: “sapevo cosa dire, non sapevo
come dirlo.”.
Quindi
c’erano due possibilità: o
aveva trovato la soluzione e non sapeva come dirlo ad Hope, oppure non
l’aveva
trovata.
Passarono
tre minuti di completo
silenzio.
“Hai…”
Finalmente Alice stava per
dire qualcosa. Hope la guardò. “hai
pensato…che MAGARI… magari, dico…
è un loro
collaboratore?”
Hope
fece un piccolo sorriso.
Anche lei l’aveva pensato.
“Un
loro collaboratore che magari
li segue, che sta accanto a loro, che ha stretto una bella amicizia con
Luois,
che gli ha chiesto di cantare la canzone…”
“Si
ci ho pensato. E mi sento
sollevata che l’abbia pensato anche tu.”
Alice
strinse le labbra. Era
un’ipotesi che reggeva poco: per esempio PERCHE mai avrebbe
dovuto avere la
stessa età di Harry? Perché aveva una sorella
come l’aveva Harry? Perché era
nato lo stesso giorno? Semplice coincidenza? E poi, se fosse stato un
collaboratore, perché li aveva seguiti in ospedale? E
obiettivamente perché
avrebbero dovuto avere un collaboratore della loro stessa
età? Sarebbe stato stranissimo!
Certo, poteva essere stato tutto costruito, poteva essere
l’opera di un pazzo
che aveva preso in prestito le somiglianze di Harry facendo finta di
essere lui…
ma la canzone. La canzone era abbastanza significativa. C’era
un pezzo che Hope
aveva già ascoltato, quel pezzo così
ridicolo…
“Ma
a questo avremmo una risposta
stasera” disse Hope. Tirò fuori il cellulare.
“GLIELO
VUOI CHIEDERE???” esplose
Alice non trattenendo le sue emozioni.
Hope
rise e scosse la testa. “no,
per niente. Mi chiamerà, come facciamo ogni sera e
sentirò la sua voce. Ecco
perché tu sei indispensabile e devi stare qui con me.
Io… io sono di parte.
Potrei farmi prendere da…da tutto questo e credere di
sentire la sua voce. Tu,
invece, no.”
Alice
si morse le labbra.
“ti
prego dimmi che ne sei in grado.”
“non
so. Io non…” Alice guardò la
sua amica, che le rispose con uno sguardo supplicante “Va
bene.”
Alice
prese il computer e digitò
il nome Harry Styles seguito da “interview”.
Trovò del materiale.
“A
che ora ti chiama?”
Hope
guardò l’orologio. Erano le
otto. “Fra un’ora” rispose. “Lo
metterò in vivavoce. TU devi far finta di non
esistere.”
“Nessun
problema. Hai un paio di
cuffie?”
“Si
certo… perché?”
“perché
adesso ascolto le
interviste, per abituarmi al suono della sua voce. Poi
sentirò lui e farò un
confronto.”
Hope
era tentata di chiederle se
poteva ascoltare anche lei le interviste. Ma non lo fece. Doveva
affidarsi alla
sua amica. Non alle sensazioni. Le sensazioni potevano tradirla e
illuderla.
Alice non l’avrebbe mai fatto.
*la canzone E' INVENTATA. Non è degli One Direction.
|
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Capitolo 12 *** 1D Up All Night ***
Ehi,
ciau!
Vi
rubo un attimo del vostro tempo per farmi sentire visto che ho
pubblicato 11 capitoli praticamente in totale silenzio stampa. Prima di
tutto ringrazio chi si è sbattuto a leggere fino a qua: non
siete moltissimi ma siete sicuramente MOLTI di più di quelli
a cui di solito permetto di leggere i miei racconti. Quindi GRAZIE DI
CUORE!!!! Sono seriamente commossa :') Poi volevo
informarvi che siamo QUASI a metà racconto.
Come al solito, se vi va, potete lasciare una recensione :). E ora vi
saluto visto che vi ho lasciato in piena suspance :)
Buona lettura!!!
Un abbraccio stritolatutto a tutti!
Capitolo 12 – Up All Night
Hope,
per cinque minuti, dovette
rifugiarsi in camera sua perché alla tv stavano mandando in
onda la conferenza
degli One Direction girata quel pomeriggio stesso sul loro nuovo album.
Hope
volle ignorare il fatto che Noah avesse detto che quello stesso
pomeriggio
aveva una conferenza.
Alice
chiuse gli occhi, mentre
ascoltava la loro conferenza. Anche lei non voleva associare la voce
proprio al
ragazzo che si chiamava Harry. Magari era un altro One Direction, o
forse non
lo era proprio. Forse era stato tutto un caso, forse era uno che la
stava
prendendo in giro, ma per quale motivo un ragazzo avrebbe dovuto far
finta di
essere Harry Styles se Hope aveva detto più volte che quasi
non sapeva chi
fossero gli One Direction? Era un ragionamento che le faceva girare la
testa.
Quando
la conferenza terminò,
chiamò Hope e la fece scendere.
Alice
avrebbe voluto mitragliarla
di domande ma Hope era un fascio di nervi. E soprattutto, doveva
tenersi in
mente quella cavolo di voce. Era ruvida ma morbida. E molto profonda.
Si mise
le cuffie nelle orecchie e, di nuovo, chiuse gli occhi.
Hope
si acquattò sull’altro
divano con Strike accanto. Guardò Alice concentrata sulla
suono della sua voce
nelle cuffie.
Stavano
facendo una cosa talmente
idiota… Scoppiò a ridere.
“che
succede?” chiese Alice
togliendosi le cuffie.
“E’
una cosa stupida.”
“Cosa?”
“QUESTO!
Dai, tu sembri che stai
cercando di captare qualche segnale degli UFO dalle
profondità dello spazio e
io, per la prima volta dopo mesi, non so come affrontare una
conversazione
telefonica!”
Alice
rimase senza parole, poi
rise. “Hope cerca di essere naturale.”
“Tu
cosa credi? E’ lui, dato
quello che ti ho raccontato?”
Alice
fece un sorriso tenero. “Io
devo vagliare tutte le possibilità. Ora zitta,
sennò mi confondo.” Si rimise le
cuffie.
Hope
avrebbe voluto essere nella
sua testa.
Il
cellulare prese a vibrarle
verso le 9 e dieci. Hope scosse il braccio dell’amica, presa
ancora da un video
e indicò il telefono. Alice si tolse le cuffie. Le due si
scambiarono uno
sguardo. Poi Hope si posò un dito sulla bocca, ricordandole
di fare silenzio.
Alice annuì.
“Pronto?”
chiese rispondendo al
telefono. Mise in vivavoce e si mise il microfono del cellulare davanti
alla
bocca, lasciando che
Alice si
avvicinasse all’altoparlante.
“Ehi”
rispose lui. Gli occhi di
Hope cercarono quelli di Alice. Lei chiuse i suoi e si morse le labbra.
“Ehi”
rispose lei.
“Tutto
ok?”
Hope
avrebbe voluto guardare
Alice. Ma doveva trattenersi. Chiuse gli occhi anche lei, cercando di
concentrarsi.
“Si…
tu?”
“Uhm…
si, abbastanza. Oggi è
stata più difficile del normale.”
“Ah
si?”
“Si…
Lou ha fatto il coglione per
tutto il tempo. Non riuscivo a stare serio.” Hope si chiese
se poteva essere
vero. Se, nella conferenza, Harry aveva continuato a ridere.
Sicuramente Alice
lo sapeva.
“Capito…”
“E’
tutto ok Hope? Ti
sento….strana.”
“Si…
si è tutto ok. Sono solo un
po’ stanca.”
“hai
fatto pattinaggio oggi?”
“No…
mi sono limitata a stare a
casa a non fare niente.”
“Bella
la vita senza genitori
eh?”
“Già.”
“Quando
sarai a Cambridge, sarà
sempre così…”
Hope
sorrise. “Già”
“Ma
sei sicura che sia tutto ok?”
Hope
non ce la fece più e aprì
gli occhi. Alice guardava verso la tv, spenta, con la mascella
contratta. Hope
non capiva quale fosse il verdetto finale.
“Si
è tutto ok…”
“Non
ti sento benissimo. Sei
sotto il tavolo o…?”
Hope
ridacchiò e cercò gli occhi
dell’amica. “no…”
Alice
si voltò e la guardò con
occhi luccicanti.
“Aspetta
che provo a spostarmi…”
disse Hope prendendo tempo. Guardò insistentemente
l’amica, chiedendole con le
labbra se fosse lui o meno.
Alice
rimase impassibile per un
paio di secondi. Poi, molto lentamente, gli angoli della sua bocca
cominciarono
ad alzarsi verso l’alto.
Il
cuore di Hope cominciò a
battere forte.
“ommioddio…”
disse a bassa voce
ad Alice. “mi stai dicendo che…”
“Hope
parli con me?”
“Aspetta
un attimo Noah.” Il nome
Noah le era uscito naturale e Alice non riuscì a trattenere
le risate. Hope la
seguì a ruota.
“Ma
Hope c’è lì qualcuno con te?”
Hope
dovette prendersi un attimo
prima di rispondergli. “Scusami… scusami tanto
NOAH.” Alice non smetteva di
ridere.
“Ma
che succede?”
“C’è
qui Alice che sta facendo la
scema.”
“ma
che cazzo fai?” disse Alice a
bassa voce, smettendo di ridere. Poi riprese.
“C’è
Alice? Lì con te?”
“Si,
scusami scusami. Le avevo
detto di NON DISTURBARE.”
Alice
si indicò e mimò con le
labbra “io non c’entro niente.”.
“Ma
ti pare, anzi, fammi un po’
sentire la sua voce. Ciao Alice! Ho sentito parlare molto di
te.”
Alice
guardò Hope con occhi
spalancati, come se non sapesse cosa fare. “Ehm…
ciao.” Disse poi, prima di
sghignazzare di nuovo. “Ciao NOAH”
Hope
dovette soffocare una
risata.
“Come
va?”
“Ehm
bene… bene e tu?”
“Bene!
Allora vieni anche tu
giovedì?”
“Aehm…
si… cioè basta che non mi
fate fare il candelino…”
Hope
diede una gomitata ad Alice
che ridacchiò.
“Oh
no certo che no… aspetta c’è
qui Louis, te lo passo, così fate conoscenza.”
Hope
e Alice si guardarono non
sapendo se ridere o cosa. “Ma no fa
niente…” disse Alice.
Harry
uscì dalla sua camera e
andò, giù, in salotto dove i suoi amici stavano
pescando patatine dal sacchetto
in mezzo al tavolo. “Louis c’è Alice,
l’amica di Hope.” disse. “Viene anche lei
giovedì.”. I ragazzi, vedendo il cellulare in mano
ad Harry con il vivavoce
attivo, si scambiarono occhiate furbe, pensando già a fare
qualche scherzo.
Louis
si alzò e prese il
cellulare da Harry.
“Pronto?”
disse un’altra voce.
Era Louis non c’era dubbio, Alice aveva sentito le voci di
tutti e cinque
durante le interviste, nel dubbio Noah non fosse Harry.
“Ehm
ciao.” Disse Alice prendendo
il cellulare di Hope in mano. “Sei Louis?”
“Si.
E tu sei Alice?”
“Si
sono io. Finalmente questi
due si incontrano eh! Non ne potevo più di vederla sempre al
cellulare!” Hope
la spinse leggermente. Alice le fece segno di ascoltare. Era chiaro che
oltre a
Noah/Harry e Louis, c’era qualcun altro dall’altra
parte della cornetta.
“Non
dirmelo” disse Luois.
“Cominciavo ad odiarti, lo sai Hope?”
Hope
si sentì chiamata in causa e
non avrebbe voluto. Alice le fece segno di parlare.
“Aehm… mi spiace.”
“E
anche gli altri, vero?” chiese
Louis rivolgendosi ai suoi compagni, seduti vicino a lui.
“Cazzo
si!” esclamò Niall. “Era
sempre con sto cavolo di cellulare. E sempre tutto misterioso. Ehi, ci
vediamo
giovedì sul serio, vero? Perché noi abbiamo un
sacco di fan che vogliono
vederci…”
“zitto,
coglione” disse Harry: Hope
non lo sapeva ancora, non aveva ancora avuto il coraggio di dirglielo.
Aveva
pensato che sentendo la canzone del concerto avrebbe capito, ma lei non
gli
aveva ancora lanciato nessun segnale.
Le
due ragazze risero.
“Si
lo sappiamo che siete pieni
di fan” disse Alice. Hope la guardò sorpresa.
“Che siete molto richiesti…”
Alice ridacchiò. Così anche Hope si fece un
po’ di coraggio e disse “Si
infatti. Però se dovete fare qualcosa di più
urgente, fa niente. Anche perché
ci seccherebbe abbastanza fermarci ogni due secondi perché
qualcuno vi chiede
l’autografo o delle fotografie.”
Alice
sollevò il pollice ridendo.
Dall’altra
parte si sentì un
silenzio di tomba.
“Ehi…
siete morti?” sentirono
dire ad Alice. “Perché sarebbe un
peccato… per tutte le vostre fan
chiaramente!”
Harry
guardò i ragazzi che, a
loro volta, lo guardarono non sapendo cosa fare. Harry era stato
chiarissimo da
quando c’era stato quell’incidente: Hope non lo
sapeva e non avrebbe dovuto
saperlo finchè lui non avrebbe deciso di dirglielo. Avevano
cantato la canzone,
da lui richiesta, anzi PRETESA, ma Harry aveva confidato a Louis che
lei
sembrava non essersene accorta. E Louis l’aveva detto agli
altri. Niall
ovviamente non aveva resistito e aveva sparato il primo commento sulle
fan,
durante quella telefonata con Alice.
Ma
il tono che aveva assunto Hope
e l’insistenza delle ragazze su questo argomento fecero
dubitare Harry.
“Uhm,
questa è assolutamente
notizia da prima pagina.” Disse Hope, ricordando una frase di
Noah. “Due
ragazze comuni assistono in diretta alla morte di cinque
ragazzi…” Alice
aggrottò la fronte ma Hope le fece
segno di aspettare.
“non
proprio così comuni. ” Hope
concluse la frase dopo qualche secondo di suspance.
Harry
guardò Louis. Hope gli
stava lanciando un segnale abbastanza chiaro ma non voleva fregarsi con
le sue
stesse mani.
“Va
be Hope.” Disse Alice.
“Staremo IN PIEDI TUTTA LA NOTTE*”. Hope dovette
mangiarsi il cuscino per non
scoppiare a ridere.
Era un caso,
pensò Harry, o la
sua amica aveva appena citato il nome di una loro canzone
nonché il nome di un
loro cd?
“Così
quando arrivano i
poliziotti sapremmo cosa dire.” Disse Hope.
“Perché noi sappiamo OGNI COSA SU
DI VOI*.”
Hope
aveva appena citato un’altra
loro canzone. Non era una coincidenza.
“Ti
ha fregato amico” disse Liam
guardandolo.
Harry
era pietrificato. Non se lo
aspettava.
“No,
siamo ancora qui.” Disse
Zayn prendendo in mano la situazione. “E’ lui che
non sa gestire il cellulare e
ha messo fuori uso il microfono.”
“Che
cazzo dici coglione è stato
Liam.” Naill si accorse troppo tardi di aver svelato il nome
di un altro amico.
Se Harry non fosse stato in trance, gli avrebbe tirato un pugno dritto
in
faccia.
“Si
si va bene sono stato io”
disse Liam. “Lo ammetto non sono portato per queste
cose.” Guardò Harry. Era
chiaro che aveva bisogno di parlare con Hope da solo. “Ora
però ti dobbiamo
lasciare Alice. E’ stato un piacere conoscerti, ci vediamo
giovedì. E anche tu
Hope!”
Le
due ragazze si guardarono.
Alice capì che doveva lasciare il cellulare ad Hope.
“Okay… anche per me è
stato un piacere, a giovedì ragazzi!”
Porse
il cellulare ad Hope. Lei
lo prese, tolse il vivavoce e salì in camera. Alice non
poteva crederci.
Hope
aspettò che anche Noah/Harry
riprendesse il cellulare dalle mani dei suoi amici.
Chiuse
la porta e si sedette per
terra, con la schiena contro la porta.
“Hope?”
“Si?”
Harry
si mise seduto sul letto
dopo aver chiuso la porta della propria camera. Si sentiva veramente
un’idiota.
Non sapeva cosa dirle. Avrebbe voluto una conferma chiara da parte di
lei. Ma
non riusciva proprio a farsi venire le parole.
“Sei
arrabbiata?” chiese, poi.
“Dovrei
esserlo?” rispose lei.
“Forse
un po’…”
“Forse
ti capisco...”
Stava
per chiederle come mai
l’aveva scoperto solo adesso e non gli aveva detto niente nei
giorni
precedenti, ma le parole gli morirono in gola.
“Non
vedo l’ora di vederti” disse
infine.
Ad
Hope tremò il cuore quando
l’adrenalina dolce la attraversò in una ventata di
sensazioni. Sarebbe stato
ancora più difficile adesso.
“Anche
io.” Rispose.
Non
doveva esserlo, non doveva esserlo,
invece. Se lui non le avesse detto chi era, se lei non
l’avesse scoperto,
sarebbe stato tutto molto molto più semplice.
Sospirò
sentendo il cuore
martellarle nella cassa toracica. Le aveva scritto una canzone. Avrebbe
dovuto
ringraziarlo o dirgli qualcosa. Ma le parole le morirono in gola.
“sai
volevo sentirti per
chiederti come ti avrei riconosciuto” disse poi.
“Ma è inutile ormai, giusto?”
Harry
sorrise. Non era proprio
una conferma, ma ci era andata vicina. “Si penso di si. Dove
vorresti andare?”
Hope
impiegò un attimo a
rispondere. “In un posto sicuro, Harry.”
* Up All Night - One Direction
Everything
About You - One Direction
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Capitolo 13 *** Dal vivo ***
Capitolo
13 – Dal vivo
Hope
fece davvero fatica a
prendere sonno. Non le capitava da tantissimo di non riuscire a
dormire.
Pensava alle loro conversazioni, a frasi che potevano sembrare ambigue
dato il
ruolo di lui, e si trovava a sorridere tra le coperte. Strike si
seccò molto
dei continui cambi di posizione della sua padrona
tant’è che decise di
andarsene addirittura dalla stanza. Hope si impose di non pensarci. Di
non
pensare alle sue frasi, di non pensare alla sua voce, di non pensare
alla
canzone, di non pensare al fatto che l’aveva chiamato Harry
per la prima volta,
che l’avrebbe visto e che… ‘ci
risiamo’ si disse girandosi di nuovo nel letto.
‘Non ci devo pensare, punto. E’ semplice. Pensiamo
ad altro… pensiamo al
pattinaggio. Okay, com’era il pezzo studiato settimana
scorsa?’. Ma fu inutile.
I suoi pensieri ricadevano inesorabilmente su di lui e su come sarebbe
stato
vederlo. Ed era peggio, peggio di quello che mai sarebbe potuto essere.
Perché
l’aveva scoperto, perché aveva capito chi era
realmente e più sentimenti si
sovrapponevano uno sull’altro. Avrebbe voluto scoprirlo dopo
chi era, magari
anche sul momento, e affrontare le cose una alla volta.
La
sera prima dell’appuntamento,
anche se era piena estate e i suoi, tornati dalla vacanza, avevano
spalancato
le finestre di tutta casa, si fece una tisana con ben due filtrini.
Doveva
dormire e non doveva essere stanca il giorno dopo… ma non lo
sarebbe stata
perché l’adrenalina dolce l’avrebbe
tenuta sveglia dall’inizio alle fine. Per
rendere le cose più facili, tirò fuori un
libro di scuola, uno a caso, e cominciò a leggerlo
sorseggiando la tisana.
Sua
mamma la intravide quando
andò in camera per darle la buonanotte e pensò
che sua figlia stesse
impazzendo.
“Allora
pronta?” chiese Alice per
la terza volta mentre erano in macchina, dirette
all’appuntamento.
“Basta
Alice, basta” rispose
Hope. “Me l’hai già chiesto. E la
risposta non è cambiata.”
“Non
capisco perché ti agiti
tanto.” Disse Tara, seduta dietro. Sarebbe venuta anche lei.
Olivia era
letteralmente impazzita quando Hope le aveva detto chi
stava per incontrare, ma purtroppo doveva andare ad un
matrimonio che probabilmente tra cerimonia, pranzo eccetera si sarebbe
protratto per tutto il pomeriggio e quindi non aveva potuto far loro
compagnia.
Hope
guardò Tara, voltandosi “lo
so. Io… non lo so. Come faccio?”
Tara
si limitò a sorriderle.
Odiava
quando Tara faceva così.
Era
inutile nasconderlo, anche
Alice era abbastanza agitata. Si sentiva stranamente su di giri,
insomma
incontrare persone come loro… Se pensava alla
quantità pazzesca di fan che
avrebbero voluto essere al suo posto… Guardò
Hope. Erano al luogo dell’appuntamento,
con qualche minuto d’anticipo e il sole splendeva. Aveva
dovuto lottare con
Hope, quella mattina, per farle mettere i pantaloncini ma alla fine
l’aveva
convinta con un “Hope io non te li faccio mettere
perché così fai vedere le
gambe e lui cascherà ai tuoi piedi”
l’aveva detto, ma un po’ ci credeva sul
serio “ma perché si morirà di caldo. E
devi stare comoda.”
Tara
era seduta sulla panchina,
rilassata, Alice era seduta sullo schienale della stessa e Hope era sul
pelo
del profilo della panchina, ad un passo dal cadere. Ma non sarebbe mai
caduta
talmente era rigida. Alice si concentrò nello stare calma,
doveva stare calma.
La sapeva gestire perfettamente una situazione del genere.
L’aveva sempre
fatto.
Una
cosa non capiva: perché Hope
aveva deciso di portare Tara? Era una strafiga, non rischiava di
distogliere
l’attenzione da lei?
Alice
sorrise. Era esattamente
ciò che Hope voleva.
Il
cellulare di Alice prese a
squillare e Hope smise sia di parlare con Tara sia di respirare.
“Pronto?”
chiese Alice. Ma non
poteva essere Harry perché lui non aveva il numero di Alice.
O si? O era
talmente famoso che poteva… ‘BASTA. STO
DELIRANDO’ pensò.
“Olivia”
disse poi Alice velocemente
ad una Hope che la guardava terrorizzata.
Hope
si alzò. No, doveva farsi un
giro.
“Eh
dicevi Hope? Cosa ti hanno
detto quelli di Cambridge?” le chiese Tara prima che potesse
allontanarsi.
Ringraziò di avere amiche del genere.
“Hope,
Olivia ti vuole.” Disse
Alice seccata dopo qualche minuto porgendole il telefono.
Hope
digrignò i denti. Non voleva
sentire Olivia. Se avesse parlato di loro, le avrebbe messo di certo
dell’ansia…
“Pronto?”
“HOPE!
Allora pronta???”
Hope
non voleva essere
maleducata. “Più o meno…”
rispose, alzandosi e cominciando a fare un piccolo
giro davanti alle sue amiche. Alice prese a parlare con Tara.
Harry
era leggermente in ritardo.
O meglio, gli altri erano leggermente in ritardo. Non era colpa sua.
Era già
pronto dalla mattina, non perché volesse esserlo, ma
perché voleva che fosse un
giorno come un altro. Ma non lo era.
“Quante
amiche porta?” chiese
Niall.
“Due”
rispose Harry.
Loro
sarebbero stati al completo
anche se Zayn se ne sarebbe andato dopo poco tempo, perché
doveva incontrarsi
con la sua ragazza, Jessica.
“Perfetto”
rispose Niall. “e sono
carine?”
“Che
cazzo ne so.” Harry sapeva
solo che tutte e tre erano delle belle ragazze, ma lui avrebbe avuto
una sola
ragazza da guardare e non aveva dubbi.
Quando finalmente si
decisero ad uscire di
casa, Harry mandò un messaggio ad Hope.
Alice
lesse il messaggio sul
cellulare di Hope ma decise di non dirle niente. Cinque minuti e
sarebbero
arrivati.
Svoltarono
l’angolo ed entrarono
nel parco. Non c’era in giro nessuno in quella zona e Harry
l’aveva scelta
apposta. Capì subito che le ragazze dovevano esserci
già e
che erano nel posto giusto. Seguirono il piccolo
sentiero che portava alla fontana centrale e le vide. Alice era seduta
sullo
schienale della panchina con Tara a fianco seduta sulla panchina. Hope
era a
qualche passo di distanza, al telefono. Sapeva che era lei anche dal
rossore
che improvvisamente si manifestò sul suo viso, appena i suoi
occhi incontrarono
quelli di Harry.
“E
poi comunque il vestito della
fidanzata di suo fratello era troppo attillato. Dico io, mica siamo in
discoteca. Adesso mi sto prendendo un minuto di pausa. E siamo solo al
secondo
piatto.” Olivia stava parlando un po’ a caso,
cercando di distrarre la sua
amica.
Hope
si voltò, pensando che
finalmente il discorso si era spostato dagli One Direction ad un altro argomento.
Le
si mozzò il fiato in gola, la
gola le divenne secchissima, l’adrenalina dolce la
investì come un treno ad
alta velocità esattamente all’altezza dello
stomaco. Gli occhi di lui l’avevano
individuata senza problemi e ora le stava per sorridere.
“Era
buono sai? Era qualcosa con
una crema al pistacchio… Pistacchio, non l’avrei
messo in un secondo. Al
massimo lo mangio come gelato… andate a prendere il
gelato?”
Alice
li stava salutando e si
stava presentando insieme a Tara. Hope era completamente bloccata, il
cervello
in stand by.
Olivia
captò qualcosa di strano.
“Hope? Hope ci sei ancora?” passarono due
nanosecondi netti prima che arrivasse
da sola a capire come mai Hope si
era improvvisamente zittita. “OMMIODDIO SONO
ARRIVATI!”
Alice
indicava verso Hope e Hope
avrebbe tanto voluto sprofondare.
“ODDDIOOOOO”
strillava Olivia
dall’altra parte del telefono.
Harry
si prese un attimo per
guardare Alice e Tara e salutarle.
“E
dov’è Hope? Non ditemi che ci
ha dato buca!” esclamò Liam.
“no”
rispose Alice. “E’ là, è al
telefono con un’amica.” Si voltò
leggermente e la indicò.
“HOPE
CAZZO RIPRENDITI” Olivia
non poteva crederci. Era in mezzo ad un giardino ornato da mille fiori
che le
davano fastidio al naso, la pancia gonfia come un palloncino per aver
mangiato
già un sacco e il vestito cominciava a stringerle troppo. Ma
adesso aveva un
compito più importante: Hope era paralizzata. E non poteva
permettere ad una
sua amica di fare una figura di merda come quella.
“Credo…credo…”
sentì dire ad Hope
appena sussurrato. “Credo che adesso debba
andare…”
“SI
CAZZO CERTO CHE DEVI ANDARE!”
urlò Olivia al telefono. Non le importava se tutti gli
invitati la sentivano.
Doveva scuotere la sua amica. “Hope, LUI è un
ragazzo normale!” disse in un
impeto di saggezza. “E’ sempre il tuo Nola, o come
cavolo si chiamava, è sempre
lui, pensa a questo.”
Hope
prese coraggio e sospirò.
“va bene. Adesso mettiamo giù, che dici?”
Quando
Hope sorrise e disse
‘ciao’ al telefono, Alice capì che era
il momento di entrare in gioco e cercare
di distogliere l’attenzione da Hope e da Harry. Ma Tara la
precedette “Io ho una
voglia tremenda di gelato.” disse. Niall e Liam si voltarono
immediatamente
verso di lei. Tara fece un sorriso amabile. “Avete qualche
posto da
consigliarci?”
Dopo
che Hope si era scusata per
essere stata al telefono e dopo essersi presentata a tutti, si
voltò verso
Harry. E lui avrebbe tanto voluto non essersi portato dietro i suoi
amici.
“Ciao”
le disse, sorridendo.
Hope
non capiva come facesse a
stare in piedi da sola: aveva le ginocchia molli. Fece un passo verso
di lui,
con un coraggio che non conosceva, e rispose
“Ciao.”
Alice
e Tara stavano parlando con
gli altri quattro ragazzi su dove fosse esattamente una gelateria,
distraendoli. E Hope, di nuovo, si prese un appunto per ricordarsi di
costruire
una statua sia ad Alice sia a Tara sia ad Olivia.
Hope
lo guardò dritto negli occhi
ma venne distratta subito dall’enorme quantità di
capelli di Harry.
“Io
sono Harry” disse lui.
Hope
riportò gli occhi sul viso
di lui. “Molto piacere, io sono Hope.”
Ebbero
il primo contatto quando
si strinsero le mani.
Hope
lo riteneva una cosa
ridicola: si conoscevano già.
Harry
si sentiva un’idiota: si
conoscevano già.
Per
tutto il tragitto, dal parco
alla gelateria, Alice seppe tenere in piedi una conversazione
coinvolgendo
anche Hope. Tara si limitava ad inserirsi ogni tanto, per fare da
contorno.
Ma
Alice sapeva che stava andando
tutto bene soprattutto se continuava a tenersi a mente che loro NON
erano gli
One Direction, ma dei ragazzi normalissimi.
Arrivarono
alla gelateria qualche
minuto dopo e Hope si trovò per prima a dover scegliere i
gusti. Sparò Mango e
Cocco, i primi che le vennero in mente. In realtà il Mango
non l’aveva mai
assaggiato e il Cocco, dopo un po’, la stufava. Prese il cono
e uscì dalla
gelateria per fare spazio agli altri. Si appoggiò ad un
panettone esattamente
dall’altra parte della strada, in pieno sole. Aveva
cominciato a tremare, di
nuovo, e non per il freddo. Ma il sole la tranquillizzava. Harry la
raggiunse
meno di trenta secondi dopo.
Si
sedette vicino a lei e prese a
guardarla: aveva le labbra lucide dal gelato e il bianco della sua
pelle
sembrava essere il riflesso dei suoi occhi.
“Che
c’è?” chiese Hope sentendosi
a disagio.
“Niente”
rispose lui “Ti piace il
gelato?”
“Si…”
rispose lei. Era strano
sentire la sua voce ed associarla ad un ragazzo come lui. Non avrebbe
mai
immaginato che lui fosse così. “Anche se il mango
non l’avevo mai provato”
Lui
rise “ e allora perché l’hai
preso?”
Hope
scrollò le spalle. “tu cosa
hai preso?”
“marzapane
e tiramisù”
“una
cosa leggera.”
“tanto
per tirare a sera.”
Si
ritrovarono a ridere.
Alice
lanciò un’occhiata
sfuggente fuori dalla vetrina. Hope e Harry ridevano.
“Allora
Alice?” chiese Louis.
“Stiamo aspettando solo te!” Alice aveva bloccato
la fila da un minuto intero
da quando Harry era uscito.
“Ci
sono talmente tanti gusti…”
si lamentò lei.
Avrebbe
voluto lasciarli lì, da
soli, per sempre: Hope era stupenda e Harry sembrava farle bene.
Ma
Alice non potè continuare la
farsa del ‘non-so-che-gusti-scegliere’ troppo a
lungo sennò sarebbe stato
palese che lo stava facendo solo per lasciarli un attimo da soli.
“No,
cara mia, non è andata
esattamente così” disse Tara ad Alice.
Erano
di nuovo nel parco, avevano
quasi finito i gelati, e Alice stava raccontando un aneddoto di quando
erano
andate in campeggio.
Hope
stava sgranocchiando il suo
cono, cercando di non sbrodolarsi la maglietta. Harry era accanto a
lei, alla
sua destra e le loro braccia si sfioravano ogni volta che uno dei due
faceva un
movimento. Ed era una scarica di adrenalina dolce per Hope, ogni volta.
“Confermi
Hope?” chiese Tara.
“Confermo”
rispose Hope, finendo
il cono. Si alzò, per andare e lavarsi le mani nella
fontana. “Dico solo che è
arrivata la polizia da quanto baccano avevi fatto.” Disse
rivolta ad Alice.
“Guarda
che TU avevi gridato come
una pazza.”
“Per
un insetto.” Disse Luois.
“SI
PER UN INSETTO!” risposero in
coro Alice e Hope.
“Cosa
sarà stato? Una cimice?”
“No”
rispose Alice mentre Hope si
allontanava “Era grosso così…”
Hope
immerse le mani nell’acqua e
se le strofinò. Quando si alzò per poco non cadde
nella fontana: Harry era
accanto a lei e non se ne era nemmeno accorta.
“Che
spavento” disse Hope.
“Faccio
questo effetto di
solito.”
“ma
che modestia.” Disse Hope.
Poi gli scrollò addosso le mani bagnate.
Liam
si allontanò di qualche
passo quando ricevette una telefonata. Ma Harry non se ne accorse
neanche. Era
troppo concentrato a parlare ad Hope delle sue, di lei, fobie, in
particolare
quella degli insetti. Alice, Tara e gli altri tre parlavano di un
locale al
centro di Londra.
“Cioè
fammi capire. Se tu sei a
casa da sola, cosa fai?”
Hope
aggrottò la fronte. “Non
saprei. Cerco una stanza libera e mi chiudo lì
dentro.”
Harry
rise.
Hope
era estremamente sorpresa
dai capelli di Harry. Erano tanti e sempre disordinati. Li teneva
apposta così?
Probabilmente si. Gli davano un’aria da ragazzo selvaggio, da
ragazzo della
strada che sicuramente faceva impazzire le sue fan.
“E
lasci l’insetto nell’altra
camera? E se hai fame?”
“Ho
scorte di cibo illimitate
nella mia stanza.”
Harry
rise di nuovo.
“E
comunque penso lascerei
Strike, il mio gatto, nella stanza incriminata. Ci penserebbe lui! Ma
come fai
a non avere schifo?”
“Ma
sono insetti!”
“Appunto!
Fanno schifo, a parte
le farfalle ovviamente.” Hope fece un sorrisetto.
“Io comunque starei molto
attenta se fossi in te.”
“Perché?”
Gli
occhi di Harry erano di un
colore particolare e Hope si prese un attimo per contemplarli. Poi gli
guardò i
capelli. “Quelli sono un ottimo nido per gli
insetti.”
Harry
si passò una mano tra i
capelli automaticamente. Poi rise.
“Ragazzi
abbiamo un problema”
disse Liam tornando dalla telefonata.
Hope
che stava ancora prendendo
in giro Harry per i capelli, smise di ridere e sentì una
voragine aprirsi
all’altezza dello stomaco, esattamente dove l’aveva
presa in pieno il treno
carico di adrenalina dolce di qualche ora prima. Avrebbero dovuto
salutarsi, lo
sapeva.
“Sarebbe?”
chiese Zayn.
“Dobbiamo
andare in studio, c’è
Fanny che vuole vederci.”
Hope
si costrinse a fare un
sorriso.
“Per
cosa?”
“Servono
le nostre firme per il
contratto.”
Liam
si voltò verso Hope e le
altre due ragazze. “Potete venire anche voi, ovviamente.
Sarà veloce.”
Alice
non si controllò e disse
“uao! Non sono mai stata in uno studio di
registrazione!”
Hope
trattenne una risata. Si
sentiva su di giri. Potevano stare insieme!
Allo
studio di registrazione,
rimasero meno di un’ora. I ragazzi fecero fare un tour lampo
alle ragazze e poi
si rinchiusero per cinque minuti nella sala riunione mentre Tara, Alice
e Hope
si facevano un giretto da sole fino alle macchinette per il
caffè.
Poi
uscirono e optarono per un
giro a piedi in cui, però, non parteciparono né
Zayn, né Tara né Niall che si
staccarono dal gruppo andando nella direzione opposta. Niall si era
offerto di
accompagnare Tara a casa dato che poi lui andava da quelle parti per
vedere un
amico. Harry non ricordava che Niall gli avesse detto di avere un
impegno, ma
intuendo il piano dell’amico, rimase in silenzio.
Quindi
lui, Hope, Alice, Luois e
Liam si diressero verso il lungo fiume parlando tra di loro di cosa
volesse
dire registrare una canzone.
Hope
rimase in silenzio la
maggior parte del tempo, limitandosi ad ascoltare. Durante il
pomeriggio,
infatti, aveva escluso l’idea che lui fosse famoso. Era
riuscita a trattarlo e
a comportarsi come se lui fosse un ragazzo normale, esattamente come
Olivia le
aveva detto, anzi urlato, al telefono. Ma ora era stata messa davanti
al fatto
compiuto, al fatto che essere famoso faceva parte della sua vita. E non
poteva
semplicemente ignorarlo. O forse si. Pensò che, per ora,
poteva permetterselo.
Voleva permetterselo.
Il
pomeriggio non durò per sempre
e le sei si avvicinarono più velocemente del previsto. Hope
doveva andare:
aveva un allenamento di pattinaggio alle sei e mezzo e non poteva
saltarlo
poiché Jean lo faceva solo per lei.
Le
accompagnarono fino alla
macchina di Alice.
“Va
bene ragazzi” disse Alice.
“E’ stato un piacere!” Prese a salutare
Liam dandogli dei baci sulla guancia
per poi passare a Louis. Poi finse di distrarsi additando qualcosa
dall’altra
parte della strada e Luois le diede corda, come aveva fatto per tutta
la
giornata.
Hope
e Harry presero al volo
l’occasione.
“E’
stato un piacere anche per
me” disse Harry avvicinandosi un po’ di
più ad Hope, appoggiata alla macchina,
e allontanandosi dai suoi amici.
Hope
lo guardò. Non sapeva
definire come si sentiva. Sapeva solo che avrebbe pagato per tornare
indietro
nel tempo, non voleva che fossero le sei e che dovesse andare.
“Si…direi
che è stato un bel
pomeriggio.”
Averla
così vicino non gli
sembrava vero.
“E’
strano” aggiunse poi Hope.
“Sono abituata a sentire la tua voce e basta. O a leggere i
tuoi messaggi.”
“E
così non è meglio?”
“Si.
Di gran lunga.”
‘Che
cazzo ho detto?’ pensò immediatamente
dopo. Si morse la lingua mentre si sentiva avvampare il viso.
Harry
sorrise, vedendola
arrossire furiosamente. Probabilmente se l’era lasciato
sfuggire, visto che per
tutta la giornata non aveva accennato a niente che potesse avvicinarsi
a quello
che sentiva per lui.
“Anche
per me è di gran lunga
meglio.” Disse Harry.
Hope
avrebbe voluto scappare in
macchina. Sollevò lo sguardo e si rese conto che erano
troppo vicini.
“Ci
sarà una prossima volta?”
chiese Harry.
Hope
si perse nei suoi occhi.
“Si” rispose. “Sicuramente”.
Lo
abbracciò, d’impeto.
Lui
la accolse tra le sue
braccia, dando pace al desiderio di sentirla ancora più
vicina di quello che
aveva fatto fino a qualche ora prima. Era una droga. Adesso che
l’aveva tra le
braccia, avrebbe voluto… avrebbe voluto…
“grazie”
gli disse Hope.
Harry
non capì. “Per cosa?”
Hope
si staccò, anche se lui non
era per nulla pronto a lasciarla andare.
“Per
essere così come sei.”
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Capitolo 14 *** In un altro mondo ***
Capitolo
14 – in un altro mondo
Appena
mise i pattini sul
ghiaccio, capì che non sarebbe stato facile fare
quell’allenamento. La sua
testa era da tutt’altra parte rispetto a dove sarebbe dovuta
essere. Non
riusciva a prendere i tempi giusti, i salti erano pieni di esitazioni e
si
ritrovò molte volte per terra a seguito di un atterraggio
sbagliato. Pensava
continuamente ad Harry, anche quando si riprometteva di non farlo. Jean
le urlò
addosso parecchie volte ma lei… lei era in un altro mondo. E
Jean capì che non
c’era niente da fare, che sarebbe stata perfettamente inutile
qualsiasi tattica
avesse usato per riportarla nel mondo reale. Hope sembrava sorda,
sembrava che
non capisse la sua lingua, ma era sicurissimo di parlare in inglese,
tranne
quando avrebbe voluto ammazzarla perché non era concentrata.
In quei momenti
parlava francese, anche se, doveva ammetterlo, la sua lingua madre non
rendeva
molto l’idea. Non capiva il suo comportamento: fino a due
giorni prima era
quasi perfetta, i salti le uscivano quasi tutti, mentre quel
giorno… quel
giorno sembrava una pattinatrice che sapesse solo pattinare. La
lasciò libera
di andare mezz’ora prima del solito.
Hope
si sentì in colpa quando
uscì dal palazzetto. Sapeva di aver fatto schifo, no anzi,
schifissimo ma ci
aveva provato. E più volte. Ma non riusciva, non
riusciva… automaticamente
sfilò il cellulare dalla tasca e sospirò quando
lesse il messaggio di Harry che
le augurava un buon allenamento. Il suo cuore batté forte
quando gli rispose e
avrebbe voluto controllare il cellulare ogni secondo, durante il
tragitto
palazzetto-casa.
Quando
rientrò, non aveva fame e
si limitò a piluccare dai rimasugli della cena dei suoi. Poi
si chiuse in
camera e quando Harry la chiamò, come sempre e come se non
fosse successo
niente, le sembrò di rinascere.
Parlarono
dell’allenamento e del
pomeriggio passato insieme. Ora Hope lo sentiva davvero vicino, come se
bastasse aprire la finestra e guardare la strada per vederlo.
Hope
voleva rivederlo ma, allo
stesso tempo, le si rivoltava lo stomaco solo a pensarlo. E si
spaventò
tantissimo. Si stava innamorando? Lui stava diventando una persona
indispensabile per lei? No. Non voleva che fosse così. Era
stato un bellissimo
pomeriggio, ma obiettivamente era stato solo UNO. Come si fa ad
innamorarsi di
una persona dopo un solo pomeriggio? Temette che si fosse fatta
fregare. Che
credesse di essere innamorata solo perché lui era famoso.
Quella
sera, quando spense il
cellulare e si preparò per andare a letto, le venne in mente
una frase che lui
le aveva detto quando avevano parlato della sua esperienza in ospedale: come fai a sapere se una persona la ami
sul serio, se quella persona magari è… che ne so,
famosa? Come fai a capire se
i tuoi sentimenti sono veri oppure sono falsificati da
quell’aurea di
popolarità che gli sta attorno? . E Harry aveva
terribilmente ragione.
Molto probabilmente si era riferito a se stesso. Hope si
sentì stringere il
cuore. Eppure era stato fantastico… se lui non fosse stato
Harry Styles avrebbe
provato le stesse cose? Probabilmente non c’era una risposta
universale a
questa domanda.
‘E’
inutile farsi tutti questi
problemi’ si disse mentre si sedeva per togliersi le scarpe
‘prima devo solo
imparare a conoscerlo.’ Si alzò per metterle via.
‘Per ora mi piace ma devo
impedire a me stessa di farmi coinvolgere troppo
e…’ Non riuscì a finire il pensiero.
Le venne un capogiro fortissimo e fu costretta ad arretrare per sedersi
di
nuovo sul letto.
Si
tenne la testa mentre pensava
a quanto fosse stata stupida a non aver mangiato quasi nulla per cena,
dopo un
allenamento e un giorno impegnativo come quello. Si mise a letto
ammucchiando
il resto dei vestiti in fondo al letto, dove Strike ci si
appallottolò appena
Hope si addormentò.
Non
passò molto tempo prima che
uscissero insieme di nuovo. Alice e Hope dovettero, infatti, passare
una
giornata intera a Cambridge per
cominciare ad organizzare le cose. Visitarono
l’università un’altra volta, non
saziate a sufficienza dalle visite organizzate durante l’anno
scolastico.
Visitarono gli alloggi e si segnarono quelli migliori. Anche se si
erano
iscritte a due indirizzi diversi in due aree diverse del campus avevano
deciso
che sarebbe stato fantastico se avessero condiviso
l’appartamento. A pranzo
avevano mangiato nella mensa dell’università
sentendosi completamente spaesate
da quella atmosfera.
In
contemporanea, ad Oxford, Tara
aiutava Olivia a trattare con alcuni ragazzi per
l’appartamento. Era situato
vicino al campus ed era abbastanza grande per ospitare anche una terza
persona
oltre ai due coinquilini.
Le quattro si sarebbero poi
riunite a Londra,
dove avevano appuntamento con i ragazzi. Olivia era totalmente eccitata
e si
era ficcata nella borsa i tre cd del gruppo che si sarebbe fatta
autografare ma
a fine serata, come aveva promesso ad Alice ed a Hope.
Quando
Hope scese dalla macchina,
Harry e gli altri erano già lì ad aspettarle.
Hope portava la felpa
dell’università, leggermente grande.
“Ho
fame” sentenziò Alice dopo
aver salutato tutti. “Andiamo, vi prego.”
Si
diressero in un semplice fast
food e ordinarono patatine, panini e da bere per tutti e se li
portarono nel
vicino studio di registrazione, a quell’ora vuoto. Si misero
in sala riunioni e
chiacchierarono tutto il tempo.
“Come
è andata la visita a
Cambridge?” chiese Harry a Hope.
“Non
male” rispose lei. Lui le
guardò la felpa che portava: era di Cambridge e le stava
leggermente larga.
“E’
stata stupenda” si inserì
Alice seduta vicino a Hope. “E’ una
cosa… pazzesca.”
“E
Oxford?” chiese Niall a
Olivia.
Questa
ci impiegò qualche secondo
a rispondere. Non si capacitava ancora del fatto che stesse cenando con
il suo
gruppo preferito, che stava parlando con loro come se fossero chiunque.
Se Hope
avesse potuto leggerle la mente, avrebbe scommesso che Olivia stesse
pensando
‘mio dio non posso credere che sto parlando con un figo come
te’. E Hope era sicura
che questa frase se la ripeteva ogni volta che uno dei cinque ragazzi le
rivolgesse la parola.
“E’…
è fantastica. Insomma voglio
dire… è Oxford.”
Alice
fece una smorfia.
Olivia
la fulminò.
“Come
mai questi scambi di
sguardi?” chiese Liam che non si era lasciato sfuggire
l’atteggiamento delle
due ragazze.
“Non
chiedere” disse Tara
posandogli una mano sul braccio. “E’ meglio non
chiedere.”
“Cosa
hai da dire Alice?” chiese
Olivia.
Hope
scosse lentamente la testa e
guardò Harry, il quale aveva un’aria
interrogativa.
“Io?”
rispose Alice. “Niente. Sai
cosa penso al riguardo…”
“Ci
risiamo” sussurrò Hope a
Harry. “Oxbridge” Harry non capì.
“Be’
e come al solito ti dico che
ti sbagli di grosso. Insomma Cambridge proviene da Oxford. Voi siete
nostri
sottoposti.”
“Si
certo.” Disse Alice
sorseggiando la sua coca cola. “E voi siete solo dei
fighetti”
“Ti
ricordo che quella è
un’università fondata solo da un gruppo di deboli
buttati fuori da Oxford.”
Alice
posò il bicchiere di
cocacola sul tavolo con un po’ più di impeto del
solito. “Siete voi i deboli!
Oh io sono laureata ad Oxford, guarda cosa ho
qui…” fece il verso ad un
laureato. “Poi non sapete tradurre un cazzo.”
Hope
ridacchiò.
“Ah
si ma certo! Peccato che noi
siamo l’università migliore al mondo!”
“Facile
dirlo. Il ranking l’avete
truccato.”
“CHE
COSA?! E’ una fonte
ufficiale, Alice non arrampicarti sugli specchi! Adesso mica mi dirai
che anche
la regata di quest’anno l’abbiamo truccata per
vincerla!”
“No”
Alice succhiò della cocacola
dal fondo del bicchiere, facendo rumore. “Quella ve
l’abbiamo lasciata vincere”
Hope
guardò Alice sorridendo.
La
guerra tra Alice e Olivia su
Cambridge e Oxford non era nuova. Per tutto l’anno
scolastico, da quando
avevano fatto domanda fino a quel giorno, si erano scontrate,
immergendosi
completamente nell’atmosfera universitaria come se fossero
studentesse a pieno
titolo. Olivia sosteneva che Cambridge fosse la brutta copia di Oxford
e Alice
diceva che quelli di Oxford erano così pieni di
sé che il rettore pensava di
allargare gli appartamenti.
“Lasciata
vincere?” chiese Olivia
sporgendosi leggermente sul tavolo. I ragazzi seguivano la
conversazione come
se fosse una partita di ping pong: voltavano la testa a seconda se
stesse
parlando Alice o Olivia.
Tara,
dal canto suo, era
concentrata sul cellulare, abituata a questo tipo di discussione a cui
si
sentiva estranea. “Questa la voglio proprio
sentire” disse Olivia incrociando
le braccia.
“be’
si dai…” disse Alice come se
fosse ovvio. “Insomma sarebbe stato degradante per voi
vederci vincere per la
seconda volta consecutiva. Così vi abbiamo dato false
speranze.”
“False
speranze? Oddio non ci
credo che tu possa dire una cosa del genere Alice.”
“E
invece la dico.”
“L’anno
scorso avete vinto solo
perché la gara è stata interrotta. Se fosse
andata…”
“Oh
non diciamo cazzate, guarda
caso il ragazzo che si è buttato nel Tamigi era vostro. E
questo dimostra che
non siete normali nell’altro posto.”
“Qualcuno
si è buttato nel
Tamigi?” chiese Zayn.
“Si”
rispose Tara. “Un pazzo.”
“Un
pazzo di Oxford.” Aggiunse
Alice.
Tara
sollevò gli occhi al cielo
Olivia
socchiuse gli occhi.
“Abbiamo vinto perché ce lo meritavamo.”
“Meritare?
Meritare? Ahahaha,
certo. Hope dille qualcosa tu, sei tu che porta il nome
dell’Università sulla
maglia.”
Hope
non avrebbe voluto
intervenire. “Sono tutte e due università
valide.” Disse.
“Oh
ma dai” disse Olivia.
“Uhm,
Hope dice così solo perché
non vuole esporsi.” Spiegò Alice “
però ti dico solo una cosa, Olivia. Lei
aveva fatto domanda sia per Oxford sia per Cambridge ed è
stata accettata da
entrambe. Ma poi ha scelto Cambridge. Vogliamo chiederci
perché?”
“Perché
evidentemente non ha
valutato bene le cose” rispose Olivia prima che Hope avesse
il tempo di
rispondere.
“le
ho valutate benissimo”
rispose Hope, precedendo Alice. “Ho confrontato le due
università e mi piaceva
più Cambridge.”
Alice
sorrise soddisfatta.
Finalmente Hope aveva preso una posizione.
“Insomma,
l’indirizzo scelto a
Cambridge era quello che volevo, gli esami mi sono sembrati
interessanti… e poi
la struttura è fantastica!”
“Esatto”
esclamò Alice.
“tralasciando che siamo quelli che
hanno
preso più premi Nobel nel mondo…”
Olivia
fece una smorfia.
Hope
continuò al posto di Alice
“abbiamo un sacco di biblioteche, un giardino immenso, una
mensa pazzesca, ci
sono dei corsi di…”
“Da
noi è stato girato Harry
Potter” le disse Olivia.
Hope
chiuse la bocca. Amava
tantissimo i film di Harry Potter e una minuscola parte di lei aveva
rimpianto,
quando aveva scelto Cambridge, di non poter mangiare nella mensa con i
quattro
tavoloni della Sala Grande.
“uff”
sbuffò Alice “Olivia
piantala di tirare fuori la storia di Harry Potter. Sennò mi
distruggi Hope…”
Le
ragazze risero tutte insieme.
“Davvero
Harry Potter è stato
girato a Oxford?” chiese Louis.
“Si”
rispose Hope. “Gli interni e
la mensa soprattutto.”
Luois
annuì ammirato.
“Tra
l’altro adesso hanno aperto
gli Studios.”
“Volevo
proporti di andare ma
devi prenotare tipo una settimana in anticipo e ti lascio immaginare i
prezzi”
disse Alice rivolgendosi a Hope.
Hope
alzò le spalle. “Si ho letto
che devi prenotare. Chissà quanta
gente…”
“Un
casino.” Rispose Alice.
“Comunque dicevo: Olivia l’argomento Potter non
vale…”
Rimasero
nello studio di
registrazione fino alle undici, cioè fino a quando le
ragazze non dovettero
andare via non prima che Olivia avesse tirato fuori i tre cd. I ragazzi
furono
entusiasti di autografarglieli e di farsi fare alcune foto.
Harry
rimase fuori dallo studio
finchè non vide la macchina di Alice e quella di Tara
scomparire dietro
l’angolo. Era stata una serata piacevole. Hope gli era stata
a fianco tutto il
tempo e prima di andarsene l’aveva abbracciato ancora, anche
se per pochi
secondi. Ma si accorse che cominciava a non bastargli più e
i suoi amici
cominciavano ad ingombrare troppo. Voleva stare da solo con lei.
C’era da dire
che, però, lei non mostrava nessun atteggiamento che potesse
fargli capire che
anche lei voleva di più, nessuna frase o occhiata che
potesse fargli capire che
da parte sua provava qualcosa. Harry improvvisamente pensò
che aveva fatto una
cazzata a scriverle una canzone: che in questo modo lei poteva essersi
sentita
esposta, aveva scoperto chi era e ora cercava di allontanarsi,
spaventata da
ciò che lui era. E Harry aveva sempre voluto evitare questo
tipo di reazione. Oppure
semplicemente non gli era piaciuto. Insomma, Harry Styles poteva anche
non
piacere! Certo, era una cosa rara… Eppure però
era la seconda volta che si
vedevano e Hope non aveva mai perso una sua chiamata o un suo
messaggio. Che
stesse aspettando? O, semplicemente, voleva solo essergli amica? Lo
confodeva.
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Capitolo 15 *** Everything u do is Magic ***
Capitolo
15 – Everything u do is Magic
“Allora,
basta con le cazzate,
passiamo alle cose serie” disse Alice, mentre guidava in
direzione Londra una
settimana dopo, con a bordo Tara, Olivia e Hope. Le quattro,
ovviamente, si
stavano dirigendo verso il terzo appuntamento con i ragazzi.
“Hope
allora??” Hope, che stava
ridendo insieme ad Olivia per l’ultima cazzata detta da Tara,
si volse verso
Alice.
“Cosa
allora??” chiese.
“Con
Harry! Quando intendi
uscirci seriamente?”
Hope
smise di ridere. “In che
senso? Stiamo già uscendo con loro!”
Alice
fece un mezzo sorrisetto.
“Uscirci seriamente Hope, dai, non fare la finta
tonta… tu e lui da soli.”
“Io
e lui soli?”
“Si!”
Alice lanciò un’occhiata ad
Olivia attraverso lo specchietto, che stava annuendo.
“Insomma… direi che è
giunta l’ora.”
“HARRY
STYLES TI RENDI CONTO???”
la strattonò Olivia prendendo il braccio di Hope.
Hope
sorrise cauta. “Non saprei.
Insomma io… lui è famoso.”
“E
quindi?”
“E
quindi non so cosa provo.”
“Che
vuol dire?” chiese Tara.
“Con
la parola ‘provare’ Hope
intende sentire qualcosa di profondo, Tara” spiegò
Olivia in tono pratico.
“tipo il cuore che batte forte, la gola secca, non sapere
cosa dire o cosa fare…
cose che a te non succedono immagino.”
“AH
AH AH.” Rispose Tara.
“Aspetta che magari mi viene da ridere…NO, non mi
viene. Peccato. Dicevi Hope?”
“Che
no so cosa provo. Insomma ci
pensavo settimana scorsa… Come faccio a capire cosa
provo?”
“Facile.”
Rispose Olivia. “Ti batte
forte il cuore quando lo vedi?”
“Be’..
direi di si…anche…”
“bene.
Diventi rossa se lui ti
dice qualcosa di carino anche solo per messaggio?”
“Non
mi vedo mentre leggo il
messaggio ma chiaramente mi fa piacere. Però
se…”
“Quando
ti stacchi da lui non vedi
l’ora di rivederlo?”
“Si,
ma…”
“Senti
le farfalle nello stomaco
quando pensi a lui?”
“Be’
tecnicamente…”
“MA
SOPRATTUTTO: pensi sempre a
lui?”
“Per
la verità cerco di
evitarlo..”
“DIN
DIN DIN!!! La signorina
Knight vinceeeee! Per Harry Styles TU ,provi qualcosa!”
Tara
e Alice imitarono lo
scrosciare di urla e applausi di uno stadio.
Hope
alzò gli occhi al cielo,
sorridendo. “Io ho paura che quello che provo non sia per
lui, per come è
lui..”
“Che?!”
chiesero in coro Olivia,
Alice e Tara.
“che
provi tutto ciò solo perché
è famoso. Come faccio a capire che è un
sentimento vero?”
Le
ragazze si scambiarono uno
sguardo. “Secondo me ti fai troppi problemi” disse
Tara.
Hope
lasciò perdere. Era
difficile far capire cosa sentiva.
Alice
lanciò un’occhiata ad Hope,
seduta a fianco a lei, che si mise a guardare fuori dal finestrino.
Sapeva che
la sua amica non si impegnava da tempo con un ragazzo… e
credeva che fosse
sicuramente anche questo la causa del fatto che con Harry non riusciva
a
lasciarsi andare.
“Quel
che è chiaro come il sole”
disse Alice, dopo un po’. “E’ che a lui
tu piaci.”
Hope
si voltò verso di lei.
“Oh
si, sisi, e non fare quella
faccia.” Disse Olivia. “lascia perdere che
è famoso. Voglio dire… ti ha voluta
incontrare, ti offre il gelato..:”
“E’
disposto a sopportare Olivia
che gli chiede sempre gli autografi…” disse Tara
ridacchiando.
“zitta
tu. Dicevo: ti offre il
gelato, ti sta sempre vicino, ti tiene gli occhi puntati
addosso…”
“non
mi ha mai fatto intendere
niente.” La interruppe Hope.
Olivia
scoppiò in una risata
forzata. “Mi prendi per il culo?” disse poi
“Hope io l’avrei già baciato. A
colpo sicuro. Insomma, l’ha detto pure lui no?”
Hope
la guardò interrogativa.
“Ti
ha scritto una canzone, Hope.
UNA CANZONE. In cui, tra le altre cose, dice che avrebbe voluto
baciarti. Okay
può essere sulla guancia. Ma solo se hai qualche problema di
comprensione. E ti
chiedeva di diventare sua moglie. E’ chiaro come il sole. Una
canzone… tu non
sei normale. Un bacio questo qui se lo merita, sicuro, e TOCCA A TE
fargli
capire qualcosa.”
“non
so nemmeno io cosa voglio
capire.”
“Tu
avresti dovuto baciarlo" continuò Olivia, come se Hope non avesse detto niente "Poi
se ne sarebbe potuto parlare. Una canzone, porca miseria! Quando ci
penso, mi
gira la testa.”
Si
trovarono all’entrata del
parco. Arrivarono in contemporanea e decisero di dirigersi verso il
fiume anche
perché ad Alice era venuta una gran voglia di zucchero
filato alla fragola ed
era sicura di averne visto un distributore l’ultima volta che
erano usciti.
Erano pari, poiché mancava Liam. Alice si
assicurò di lasciare Hope e Harry
alla fine della fila, alla fine del gruppo, e cercò in tutti
i modi di
lasciarli un po’ in pace in modo da far capire la
necessità di stare soli dopo
3 uscite. Anche perché risultava parecchio caotico uscire
sempre in tanti e il
rischio che qualcuno li riconoscesse era sempre presente. I ragazzi
erano
abili, però: avevano scelto una zona di Londra molto
tranquilla (Alice non
pensava ne esistesse una!), girava poca gente e la maggior parte aveva
troppi
anni per rendersi conto che i ragazzi erano famosi. Aveva come la
sensazione
che l’avessero fatto per Harry, ma ci perse poco tempo a
pensarci sopra.
“guarda
che questo è l’ultimo
pezzo”
“Mi
sento uno zucchero filato
gigante Hope, mangialo pure tu.”
“Come
ti pare”
Hope
mise in bocca l’ultimo
batuffolo rosa e dovette attraversare la strada per andare a buttare il
bastonicino. Harry la aspettò mentre gli altri procedevano.
Alice tirava dritta
con accanto a Luois. Sembrava farlo apposta. Ma Harry si
guardò bene dal
lamentarsi.
“Adesso
ho le mani appiccicose”
si lamentò Hope, toccandosi le dita.
“C’è una fontanella da queste
parti?” Hope
lo guardò e a lui venne da sorridere naturalmente, anche se
non c’era una
ragione precisa. I suoi occhi brillavano con quel sole, come gli occhi
di una
bambina.
Hope
stava per rifargli la
domanda, mentre lui la fissava, con quello strano sorriso. Capitava che
Harry
la guardasse in quel mondo e che sembrasse non capire al volo quello
che
diceva. Magari era distratto o pensava ad altro.
“Si.”
Rispose. “un po’ più
avanti”
“Che
non ti passi neanche per
l’anticamera del cervello di bagnarmi, Harry.”Hope
si morse la lingua. Stava
per aggiungre Styles, ma solo il cognome le faceva venire un brivido
lungo la
schiena. Harry si passò l’acqua tra le dita, poi
si voltò verso di lei e
sorrise.
“Per
la verità non l’avevo
pensato”
“Si
certo.” Rispose.
Ad
Harry piaceva quando lo
chiamava per nome. E soprattutto quando questo nome non corrispondeva a
Noah.
Aveva cominciato ad odiarlo, quel nome, verso la fine della sua
commedia.
Harry
si asciugò velocemente le
mani sui jeans e i due ripresero a camminare. Gli altri erano avanti
una
quindicina di metri ma né lui né Hope accelerano
il passo. Nessuno aveva voglia
di raggiungerli.
“Ah
Hope… senti…” disse Harry
poco dopo. Si era ricordato di una cosa quando si era asciugato le mani
sui
jeans, vicino alla tasca destra.
“Si?”
chiese lei.
“Senti
io…” Harry tirò fuori
dalla tasca una busta stropicciata e si fermò. Hope
guardò la busta, poi guardò
lui. “Ho sentito che ne parlavi ad Alice, l’altra
settimana, così mi sono messo
a cercare e li ho trovati.”
Porse
la busta ad Hope, che
sollevando un sopracciglio, la prese molto lentamente.
“Non
è un regalo, sia chiaro.
Cioè è un regalo se ti fa piacere…
però non l’ho fatto perché volevo farti
un
regalo, non è che…” ‘che
cazzo sto dicendo?’
Hope
aprì la busta e ci guardò
dentro.
“Ecco,
vedi. L’altra settimana
avevi detto che ti sarebbe piaciuto, ma che non c’era posto e
avreste dovuto
prenotare..”
Hope
lo guardò velocemente. Poi
pescò dalla busta due rettangoli colorati con una striscia
d’argento su un
fianco , scritti con una grafia che riconobbe al volo come quella di
Harry
Potter .
“
Li avevano dati a me e a Louis
qualche tempo fa, insomma, dovevamo andarci, poi ci siamo dimenticati,
con
tutti gli impegni… Fanny ce li aveva dati dicendo
che…”
Hope
non sentì più nulla di ciò
che Harry diceva. Le aveva appena regalato, o dato, due biglietti per
gli Harry
Potter Studios.
“credo
che siano ancora validi.
Non per tantissimo, quindi se vuoi andarci, ti conviene andarci in
fretta se…”
non finì la frase, gli fu impossibile.
Hope
non seppe come e soprattutto
COSA l’avesse spinta a farlo. Forse le parole di Alice e di
Olivia qualche ora
prima, o forse il fatto che si era ricordato di una cosa che aveva
appena
accennato lei la settimana precedente e ciò, per lei, poteva
anche contare di
più di una canzone. O forse tutte le cose: la canzone, i
biglietti, lo stare
sempre vicini, il sentirsi sempre… insomma, probabilmente
TUTTO l’aveva spinta
a baciarlo.
Harry
non fece in tempo nemmeno
ad accorgersi : le loro labbra si erano allontanate, le sue fragili
mani erano
già scivolate via dal suo viso e le parole che lei disse
dopo arrivarono con
molti secondi di ritardo quando lei già correva verso Alice,
chiamata a gran
voce, per darle la bella notizia.
Aveva
preso tra le mani il viso
di Harry, senza rendersene conto, e aveva posato le sue labbra su
quelle di lui
in un bacio dolce ma pieno di emozioni. Era fantastico: si era
ricordato una
cosa così insignificante…
“grazie”
gli disse guardandolo
negli occhi. Poi corse via.
Era
corsa via quando lui ne
voleva ancora. Voleva sentire le sue labbra, il sapore della sua pelle
e
stringerla tra le braccia. Ma era scappata via. Avrebbe ripensato a
quel bacio
milioni di volte.
Alice
non aveva visto niente ma
Louis era sicuro che qualcosa fosse successo dato che, dopo che Hope
era
arrivata correndo sventolando i due biglietti di Harry, il principe
azzurro in
questione era ancora immobile ad una ventina di metri di distanza,
fissando con
aria vitrea uno spazio di aria di fronte a lui a qualche centimetro
più in
basso. Era immobile e ci rimase il tempo necessario ad Alice per
realizzare
cosa fossero quelle strane strisce colorate che Hope le stava facendo
ballare
davanti al naso. Poi quando aveva iniziato ad urlacchiare anche lei,
Harry si
era ripreso e li aveva raggiunti a passo veloce, sorridendo. Louis lo
conosceva
bene ma quel sorriso era strano e quando Hope lo abbracciò
subito dopo Alice,
per ringraziarlo, Harry sembrò trattenerla un po’
di più come se se la volesse
incorporare all’interno. Si era fatto un sacco di problemi
mentali riguardo ai
due biglietti: continuava a dire che non voleva metterla in
difficoltà e non
voleva spaventarla (“ma che cazzo dici?” aveva
detto Niall “Mica si spaventerà
per due biglietti degli Harry Potter Studios! Mica gli hai regalato due
biglietti per l’arena di Hunger Games!”). Qualsiasi
altro problema si fosse
fatto ora sembrava dissolto nella felicità degli occhi di
Hope, che non smise
mai, mai di guardare.
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Capitolo 16 *** Soli ***
Capitolo
16 – Soli
Loop.
Cambio.
Piccola
sequenza di passi.
Flip.
Passi
e cambio.
Trottola
bassa, rannicchiata, per
sfruttare la massima velocità.
Jean
le dice di alzarsi.
Trottola
alta, prima con la gamba
stesa, poi portata in alto e presa con il pattino.
Jean
dice di sistemare la mano.
Sequenza
media di passi.
Ultima
giravolta.
Stop.
Hope
rimase nella posizione
finale un paio di secondi, per riprendere fiato. Jean battè
due volte le mani e
la raggiunse pattinando.
“Sci
sono un po’ di cosette da
sistemare, mon ange, ma siamo quasi vicino alla…
perfection” le disse
prendendole le mani.
Hope
sorrise. Aveva il fiatone e
moriva di sete.
“vedi…
quando fai questo…” Jean
le mostrò una mezza giravolta. “vorrei che quosta
dolsce manina non stesse qui
come un calsino steso al vonto” la mano di Jean penzolava su
un fianco “… Deve
essere sensuel, bien sure, ma onche aggrassiata, tresòr. In
quosto modo…”
Hope
annuì.
Jean
le mostrò un paio di altre
posizioni e perfezioni da attuare. Poi la fece pattinare in
libertà, per sciogliere
i muscoli e rilassarsi prima di salutarla e lasciarla andare negli
spogliatoi.
Hope
scavò nella borsa fino a
trovare la bottiglietta d’acqua e ne bevve metà,
sedendosi sulla panchina a riprendere
fiato.
Poi
si massaggiò le gambe e il
petto. Era un a settimana circa che aveva delle fitte all'altezza dello
sterno, soprattutto
quando si
allenava. Probabilmente era per la caduta spettacolare accaduta proprio
una
settimana prima. Era andata per terra di pancia, a mo’ di
tappetino e aveva
preso una bella botta. Poi si tolse i pattini. Infine si
cambiò buttando la tuta in un
sacchetto e i pattini in un altro.
Era
andata allo stadio con
addosso dei pantaloncini a mezza gamba e non vedeva l’ora di
rimetterli. Si
rifece la treccia, dopo aver messo la maglietta, si caricò
la borsa sulle
spalle e si avviò verso l’uscita.
“Ciaaaao”
“Ehi,
ciao Sophie.” Salutò Hope
passando davanti all’ingresso.
Sophie
le fece un sorrisetto. “Ti
ha distrutto Jean, eh?”
“Comincio
a pensare che ha preso
troppo seriamente questa cosa. In fondo a Settembre io vado a
Cambridge. Di
certo non potrò venire qui tre volte a settimana”
Sophie
rise. “E’ capace di venire
lui da te, tre volte a settimana”
“Oddio”
sussurrò Hope,
scherzando. “Non ci avevo pensato.”
“Se
sei stata messa nella Hall of
Fame senza aver vinto una medaglia, ci sarà un
motivo.” Sophie indicò una foto
di Hope di quando aveva 12 anni, appesa al muro dietro la scrivania.
Era ancora
una bambina ed era stata scattata in occasione di una gara provinciale
in cui
Hope era arrivata 4°. Era caduta durante un triplo Axel, che
aveva fatto senza
che Jean l’avesse approvato. Ma i giudici avevano apprezzato
lo stesso. Hope,
in quella foto, era sdraiata sul ghiaccio a pancia in giù in
un vestito giallo
e arancione, con le gambe alzate; i capelli erano legati in un
cucù cosparso di
brillantini; il viso infantile incorniciato in un trucco naturalmente
coordinato al vestito. Hope, guardando la sua foto, fece un piccolo
sorriso.
Quanto l’aveva sgridata Jean per quel triplo Axel…
“Va
bene Sophie, ti saluto.”
Disse Hope.
“Ciao
MON ANGE!” la prese in giro
Sophie.
Hope
le lanciò un’ultima occhiata
divertita e uscì.
Appena
fu fuori, nell’aria fresca
della sera si guardò in giro. Con suo papà era
sempre stata d’accordo che se
lui non fosse stato fuori all’uscita, sarebbe dovuta tornare
a casa a piedi. Nel
dubbio, tirò fuori il cellulare dalla tasca e
controllò che non ci fossero
messaggi.
Ce
ne erano due: uno di Harry che
le augurava buon allenamento con uno smile a forma di bacio (lo smile
le
ricordò il bacio di due giorni prima. Pensiero che
scartò subito,
diventava viola solo a pensarci. Come le era passato per la testa di
baciarlo?)
e uno di Alice.
Lesse
quello di Alice prima di
avviarsi verso la fermata del pullman: “I tuoi genitori sono
sistemati fino
alle 11. Non fare tardi e soprattutto non ringraziarmi”.
Per
un attimo pensò che si era
sbagliata, probabilmente Alice avrebbe dovuto mandare il messaggio a
Spence.
“Ehi.”
Fece
un salto di qualche centimetro
verso sinistra.
Harry
era comparso a fianco a
lei, senza che lei lo avesse sentito arrivare.
“Ommioddio
che paura” disse Hope.
“Ti
ho spaventata?” chiese lui
sorridendo.
“be
si… cioè no. Nel senso che
non ti avevo visto.” Hope diventò rossa.
“Che ci fai qui?”
Harry
sorrise. “Volevo vederti.”
Il cuore di Hope cominciò a martellare forte. “Da
solo.” Aggiunse Harry.
Hope
era rossa, lo sapeva. Non
erano ancora usciti insieme da soli ed era passato solo un giorno da
quando lei
l’aveva baciato.
“oh”
riuscì a dire.
“Ho
chiesto ad Alice dov’era il
posto in cui ti allenavi…”
Hope
lo guardò negli occhi. Erano
estremamente stupendi. Forse l’aveva già pensato
un milione di volte al secondo
da quando si erano incontrati la prima volta. Ma ciò che
provava guardandolo
era sempre un’emozione diversa.
“Ah..”
ripeté mentre il cervello
cominciava ad andare in stand by.
“Spero
che sia stata una bella
sorpresa.”
‘Sorpresa?’
pensò Hope non
ricordandosi esattamente il significato della parola sorpresa. In
realtà non
riusciva a ricordare nessun significato di nessuna parola al mondo: era
la
prima volta che si vedevano dal bacio ed erano SOLI. Ciò
significava qualcosa
no?
Harry
le lasciò tutto il tempo
necessario per organizzare una risposta. Dal rossore e dal fatto che i
suoi
occhi erano incatenati a quelli di lei capì che Hope stava
pensando al bacio.
Per lui era un pensiero continuo e ormai ci aveva fatto
l’abitudine.
“Oh…
si, si molto bella. Cioè si,
gradita.” Disse Hope riuscendo a liberarsi a stento dalla
stretta di quegli
occhi. ‘gradita?’ pensò ‘che
cazzo ho detto?’. Ogni volta che lo guardava, le
veniva in mente automaticamente il bacio. Compariva davanti ai suoi
occhi, come
una visione.
Harry
fece un sorriso. “Sarai
affamata dopo un allenamento come quello.” Disse.
“Andiamo a mangiare?”
Hope
rimase un attimo interdetta
quando Harry aveva detto ‘un allenamento come
quello’. L’aveva vista pattinare?
“Ehm..
si…” disse poi, pensando
al messaggio di Alice.
“Okay.
Vieni, ho qui la macchina.
La borsa la puoi lasciare nel baule.”
Hope
scaricò la borsa nel baule
della macchina di Harry, accertandosi di avere il cellulare nella tasca
dei
pantaloncini e poi prese posto sul sedile del passeggero.
Harry
mise in moto e la guardò
“Okay, dove posso portarvi maestà?”
Hope
rise.
Mangiarono
insieme in un
ristorante cinese/giapponese, conosciuto da Hope in quanto ci andava
spesso con
la sua famiglia. Presero involtini primavera, riso alla cantonese,
pollo alle
mandorle, spaghetti e un po’ di sushi. Hope fu obbligata da
Harry ad imparare a
mangiare con le bacchette, cosa che Hope si era rifiutata di fare
più volte con
i suoi. Ma Harry riusciva a convincerla solo con un sorriso. Hope ci
impiegò un
sacco a mangiare gli spaghetti e Harry non perse l’occasione
di prenderla in giro.
Risero e si divertirono moltissimo. L’imbarazzo che Hope
aveva provato
inizialmente si dissolse e scomparve per tutta la serata fino a quando
Harry
non la ripotò a casa.
Stavano
tornando verso casa di Hope e lei era estremamente combattuta: avrebbe
voluto rimanere con lui per altre infinite ore ma era anche
terrorizzata nel
farlo. Insomma: sarebbero stati soli, tirando tarda notte e…
cosa si aspettava
Harry da lei?
“Hope
siamo arrivati” le disse
dolcemente Harry, fermando la macchina. Hope guardò fuori
dal finestrino e
riconobbe casa sua.
“Ah…”
disse semplicemente.
Harry
uscì dalla macchina e lei
fece lo stesso. Le prese la borsa e gliela diede.
“Be’…
grazie per la serata” disse
Hope dopo essersi caricata la borsa in spalla. Cominciava a sentirsi a
disagio
di nuovo: si sarebbe aspettato un bacio? Se faceva attenzione poteva
sentire
chiaramente una vocina nella sua testa (molto simile alla voce di Alice
e
Olivia) che rispondeva affermativamente alla sua domanda.
“E
per la lezione” aggiunse.
Harry
sorrise. “Figurati”
Si
probabilmente si sarebbe aspettato
un bacio. Ma Hope non se la sentiva proprio di dargliene uno. Anche
perché si
era scordata come si faceva.
Si
sistemò la borsa sulle spalle
e, con tutta la nonchalance che possedeva, gli stampò un
bacio sulla guancia.
Stava per staccarsi da lui, ma le sue braccia l’avevano
circondata in un
abbraccio. Sorrise entusiasta per il gesto di lui e ricambiò
l’abbraccio. Poi
lo salutò di nuovo e fece le scale. Tirò fuori le
chiavi e pensò che avrebbe
avuto assolutamente bisogno di altri suoi abbracci prima di andare
dormire.
Si
fermò a pochi centimetri
dall’infilare la chiave nella serratura. Voleva stare con lui
e il suo istinto
le disse di soddisfare quel bisogno. Si voltò. Harry era in
fondo alle scale,
le mani affondate nella felpa che la guardava.
Hope
aveva la chiavi in mano, la
borsa pesante in spalla ed era stupenda con la luce tenue del cielo.
Harry la
guardò sorridendo: se avesse fatto attenzione, avrebbe
potuto sentire le rotelle del
cervello di Hope
girare all’impazzata.
Hope
aprì la bocca per dire
qualcosa, poi si fermò, mordendosi leggermente le labbra.
“Ti
va un gelato?” le chiese
Harry.
Hope
lo guardò dritto negli
occhi. Le aveva fornito una scusa perfetta.
“Si,
direi che ci sta.”
“Fa
freschino stasera eh?” chiese
Hope finendo il suo gelato. Aveva scelto le creme ed era andata sul
sicuro
quella volta. Aveva finito il gelato prima ancora di Harry.
“hai
freddo?” chiese Harry mentre
Hope si risedeva accanto a lui. Erano su una panchina, su una collina
che dava
sull’enorme parco.
Hope
scrollò le spalle.
“Reggi”
le disse porgendole il
gelato. Hope lo prese e Harry si tolse la felpa.
Hope
lo guardò sorpresa. “Ma no Harry
non fa niente…” gli disse, imbarazzata.
Lui
le porse la felpa “Non voglio
farti venire il raffreddore sennò quando ci vai agli Harry
Potter Studios?”
Hope
accettò dopo qualche
secondo. Gli porse il gelato e si prese la felpa. La indossò
e Harry la guardò.
“Come
sto?” chiese.
Ovviamente
la felpa le stava
grande.
“Benissimo.
Come sempre.”
Hope
lo guardò negli occhi e i
due si scambiarono un lungo sguardo.
“Grazie.”
Disse Hope sorridendo e
tirando le gambe sulla panchina portandosele al petto.
Non
era arrossita ma era
estremamente compiaciuta.
Harry
finì il suo gelato, si alzò
per buttare il tovagliolo e quando tornò si
azzardò a mettere un braccio dietro
le spalle di Hope.
Hope
sentì un profondo brivido di
adrenalina dolce lungo la schiena. Si impose di non rabbrividire.
“Com’era
il gelato?” chiese.
Harry
la guardò. “Buono. Ma devo
ancora provare quello di Pensache”
“Non
è Pensache! E’ Penzance!”
“Uguale.”
“Non
è uguale!” ridacchiò Hope.
“E’ come se ti chiamassi Noah al posto di
Harry.”
Le
aveva appena lanciato una
frecciatina.
“Touché”
disse Harry.
“comunque
un giorno ci andiamo.”
“Certo.
Mi hai fatto una testa
così con questo gelataio, ora ci devo andare. Ma secondo me
non supererà mai
quello sotto casa nostra.”
“Lo
supera, fidati, e di gran
lunga.”
“Si
certo.”
“Scommettiamo?”
“E
cosa scommettiamo?”
“Se
vinci tu, andremo sempre a
quello sotto casa tua. Se vinco io, andremo sempre a
Penzance.”
“Ma
è lontanissimo!”
“Guiderai
tu ovviamente.”
Harry
rise. “va bene. Accetto la
scommessa solo perché so di vincerla.”
“E
mi porterai quando ho voglia.” aggiunse lei.
“va
bene.”
“giuralo.”
“giuro.”
“Anche
se è alle due di notte?”
“Se
mi sveglio…”
“ti
sveglio io.”
“E
come?”
“Ti
chiamerò ogni minuto.
Chiamerò casa, cellulare, Louis…”
Harry
rise “Okay okay. Anche se
preferirei svegliarmi in un altro modo…”
Hope
stava per chiedere come ma
si bloccò appena in tempo. Harry la guardava in modo strano,
malizioso.
“never
in
your wildest dreeeamsss” Rispose
Hope dopo un attimo, canticchiando
una loro canzone*.
Harry
scoppiò a ridere.
“Sei
brava a pattinare.”
Hope
era appoggiata alla spalla di
lui, sempre con le gambe al petto. Il braccio di lui non aveva cambiato
posizione ed era stato tentato, più di una volta,
nell’abbracciarla stretta. Il
profumo dei capelli di lei gli riempiva le narici ogni volta che lei
muoveva la
testa.
“Mi
hai vista?” chiese lei quasi
in sussurro. Erano rimasti in silenzio da un paio di minuti, il vento
che
accarezzava le foglie degli alberi circostanti creando
un’atmosfera da sogno.
“Si.
Stasera allo stadio. Sei…
sei davvero… brava.” Avrebbe voluto dire
bellissima, stupenda e fantastica ma
non riuscì ad esprimere alcuno di questi aggettivi.
Hope
lo guardò, piegando la testa
all’indietro.
Harry
ebbe una voglia improvvisa
di baciarla così, al contrario. Ma non fece in tempo. Hope
risollevò la testa.
“Lo
dici solo perché vuoi andare
di nuovo dal cinese.”
Harry
fece mezzo sorriso. “Si in
realtà è per quello.”
“Non
ho mai vinto un singolo
premio.”
“Non
ci credo.”
“te
lo giuro.”
Stavano
tornando alla macchina. Per Hope cominciava ad essere tardi: i suoi si
sarebbero
insospettiti.
Si
infilarono nella macchina e
Harry mise in moto.
“Ho
preso un sacco di medaglie di
legno.”
“Come
mai?” chiese Harry
mettendosi in strada.
“Perché
come dice Jean, sono una
tostona”
“tostona?”
“Testona.
Lui è’ francese. Non
parla benissimo l’inglese. Ma mi piace. Comunque si. Sai, i
balletti sono
programmati. E io facevo sempre qualche fuori programma.”
“Fuori
programma?”
“Si.
Facevo salti o trottole in
più perché volevo strafare. Perché
vedevo le altre, magari più grandi e
naturalmente più brave, e volevo farli anche io.”
“Invidiosa?”
“Be’
immagino di si. Infastidita
anche. Perché le altre si e io no? Jean mi urlava dietro per
giorni interi.”
“Come
biasimarlo?”
“già.
Ero terribile.”
“E
adesso?”
“E
adesso è diverso. Dopo l’anno
scorso che ho avuto…”Hope si bloccò.
Lui le lanciò una veloce occhiata, attento
alla strada.
Stava per dirglielo. Stava per dirgli cosa le era
capitato. Ci
pensò un secondo: non poteva assolutamente. Non poteva. Non
gliel’aveva mai
detto, lui ne sarebbe stato sconvolto.
“Dopo
che l’anno scorso ho avuto
una brutta caduta” concluse prima che lui si insospettisse
per la lunga pausa.
“Diciamo che ho preso una bella botta. E ho imparato la
lezione.”
“Così
sei cambiata.”
“Si
sono cambiata.”
“Rieccoci
qui.” Disse Harry
davanti alle scalette della casa di Hope. Lei aveva lasciato la borsa
del
pattinaggio nel garage dei suoi, prima di andare a prendere il gelato.
“Già”
disse Hope.
Era
stata una bellissima serata.
Un’altra bellissima serata.
Harry
le sorrise.
Hope
avrebbe voluto dirgli che
anche lui ‘stava benissimo. Come sempre’; anche con
niente addosso
probabilmente. Hope arrossì per il pensiero.
Harry
avrebbe pagato qualunque
cifra e fatto qualsiasi cosa per sapere cosa le stesse passando per la
testa.
Voleva sapere se voleva un bacio, se voleva, invece, aspettare, se
voleva
baciarlo lei, se voleva semplicemente dirgli che era stato fantastico,
che si
era divertita… Non sapeva cosa fare.
Poi
si ricordò le parole di
Louis, il giorno stesso del bacio, tornati a casa. “Avete
tutto il tempo del
mondo.” aveva detto Luois. “Prendila con calma; lei
ti ha
baciato quindi sa cosa
vuole e quando lo vuole. Baciala quando ti sembra che lei stia
aspettando
quello, quando ti guarda negli occhi, quando siete vicini. Non fare
niente di
inaspettato: io farei così. Avete tutto il tempo del mondo,
Harry. Non avere
fretta.”
E
Harry capì che Louis aveva
perfettamente ragione: avrebbe voluto tanto baciarla, prenderla tra le
braccia
e sentire il sapore delle sue labbra. Ma sarebbe stato tutto di fretta
e, se
aveva capito una cosa di Hope, era che lei non aveva fretta, non
l’aveva mai
avuta. E poi meno baci si sarebbero dati, più sarebbe stato
bello aspettare e
immaginare qualcosa che, di certo, sarebbe stato inimmaginabile.
Così
Harry sorrise ancora di più.
Hope
si sentì rassicurata da quel
sorriso. C’era qualcosa nei suoi occhi che le fece capire che
era tutto okay.
Si avvicinò di un passo e lo abbracciò in punta
di piedi, come sempre aveva
fatto.
Lui
le circondò il corpo con le braccia
ma se la tenne stretta a lungo.
“Lo
rifacciamo?” chiese Hope, in
un sussurro.
Harry
sorrise. “Si.” Rispose.
Sentì
Hope cominciare a staccarsi
e lui stava per fare lo stesso quando si rese conto che lei si era solo
voltata
leggermente per dargli un bacio sulla guancia.
Il
bacio non finì esattamente
sulla guancia ma pericolosamente vicino alle labbra. Fu un bacio dolce
e
soprattutto molto più lungo degli altri che, di solito, gli
dava quando c’erano
gli altri.
Harry
dovette lottare con tutte
le sue forze per non girare la testa di qualche millimetro per
trasformare un
‘quasi-semplice’ bacio sulla guancia, in un bacio
vero e proprio. Ma alla fine
Hope si staccò, lasciando le sue braccia attorno al suo
collo.
Harry
non mollò la presa dai suoi
fianchi.
Hope
non era rossa ed era sicuro
che anche lei si era accorta di quello strano bacio.
Lo
guardò negli occhi.
Hope
guardò i suoi occhi, poi il
suo viso. Voleva studiarselo bene come un libro di scuola, da ripetere,
anzi,
da sognare, durante la notte. Gli studiò il profilo del
naso, il disegno delle
labbra, i lineamenti del viso, marcati ed estremamente belli. Poi
guardò i suoi
capelli e sorrise.
Sul
viso di Hope si disegnò un
tenero sorriso. E ad Harry venne naturale sorridere anche lui.
“Che c’è?” le
chiese quando notò che il sorriso di Hope si allargava
diventando divertito.
“I
tuoi capelli.” Disse poi.
“giuro che non ho mai visto un ragazzo con questa
quantità pazzesca di
capelli.”
Harry
e Hope risero insieme e
vicini.
Poi
Hope lo abbracciò velocemente
una seconda volta, prima di salutarlo ed scomparire dietro la porta di
casa
sua.
Harry
mise in moto pensando che
doveva assolutamente trovare il tempo di venirla a trovare
un’altra volta.
Ma
mai più ebbe la possibilità di ripetere
ciò che era successo quella sera.
* Best song ever - One Direction
|
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Capitolo 17 *** Mai più ***
Ehi ciao!
Rieccomi qui con
una nuova serie di capitoli. Mi scuso per il piccolo ritardo,
teoricamente avrei dovuto pubblicare ieri sera ma ho dovuto riguardare
la storia perchè ho cambiato alcune cose. Però
ehm ehm questa volta caricherò pochi capitoli. Sto andando
cauta nel caso mi venga in mente di cambiare tutto. Come al solito vi
ringrazio per aver letto fino al capitolo 16,
insomma, è un gran risultato vedere il numerino delle
persone che leggono che salesalesale. Vi voglio bene :')
Seconda cosa, ma non
meno importante: ho CERCATO di scrivere 'Zayn' giusto, ma certe volte
mi è scappato uno Zyan. Siate pazienti per favoore.
Sopratutto
le Zaynatrici (si dice?! Sembra una cosa brutta detta
così ). Per il resto, spero vi piaccia, al solito
:)
Buona lettura,
un abbraccio
stritolatutto
Emma ;)
Ps. i capitoli appena
caricati sono un po' corti a dire la verità. Ma non
disperate, recupererò!
Capitolo
17 – Mai più
Mai
più ebbe la possibilità di
ripetere ciò che era successo quella sera.
Alice
e Hope andarono agli Harry
Potter Studios dopo qualche giorno, entusiaste ed eccitate. Si
divertirono
moltissimo, tra bacchette, mantelli, negozi dove avevano girato il
film. Alice
diede sfogo a tutta la sua abilità di shopping, svuotando il
portafoglio ben
rifornito dai suoi, con la scusa che avrebbe portato regali a tutti.
Fecero un
sacco di foto, travestite e con le bacchette in mano in ogni stupida
posa
possibile, e Harry ricevette così tanti messaggi che Fanny
si seccò moltissimo
dicendogli che se non avesse messo via quel cellulare
l’avrebbe buttato fuori
dal gruppo a calci. Ma Harry era troppo felice per darle retta: vedere
Hope con
quel sorriso radioso in ogni foto era come assaggiare un pezzettino
di un
cielo senza nuvole. Sapere che lui era l’artefice di quel
sorriso lo faceva
sentire…. C’era un termine adatto? Probabilmente
no. Louis lo osservò per tutto
il giorno e, se avesse potuto giurare, avrebbe detto che mai aveva
visto il suo
migliore amico con indosso quel sorriso per così tanto
tempo. Nemmeno quando
gli One Direction erano diventati famosi, nemmeno quando loro cinque
avevano
girato il primo video della loro storia.
Lui
e Hope si rividero circa la
settimana successiva a casa di lui. Avevano
deciso di andare a fare un giro fuori Londra, ma
il tempo aveva
cominciato a rannuvolarsi verso Ovest già dalla mattina e
quando Hope e Alice
erano arrivate a casa loro, il sole era già scomparso dietro
le prime nuvole.
Così avevano optato per un film, in particolare
l’ultimo di Harry Potter, che i
ragazzi avevano visto una sola volta.
“Non
capisco come facciate”
diceva Alice mentre Hope e Harry scendevano le scale. Hope gli aveva
appena
regalato una felpa dagli
Harry Potter
Studios per ringraziarlo dei biglietti: era nera con sopra scritto
“Harry, il
ragazzo che è sopravvissuto”.
Louis,
Liam e Niall stavano
ridendo sul divano tirandosi pugnetti e spingendosi scherzando.
“A
fare cosa?” chiese Harry
sedendosi su un altro divano e facendo posto a Hope.
“a
fare gli idioti” rispose Alice
sedendosi tra Niall e Louis.
“Perché?”
“Perché
prima ci ha detto che lei
preferisce altri tipi di film” ridacchiò Niall.
“piantala,
non intendevo quello
che hai inteso tu, con la tua mente bacata”
“Alice
sei tu, noi abbiamo capito
tutti la stessa cosa”
Alice
prese il telecomando.
Harry
mise un braccio dietro
Hope. Lei gli rispose con un sorriso.
“Siete
pronti?”
“Ehi
Alice, ma questi fazzoletti
a cosa servono?” chiese Louis indicando il pacchetto sul
tavolo, insieme a
patatine, bicchieri, pop corno, bibite e altro.
“Ad
asciugare le…” Alice non fece
in tempo a finire che i ragazzi scoppiarono a ridere. “Ma che
palle…” si
lamentò Alice.
“Ma
sei tu!” protestò Niall.
“Prima dici che ti piacciono altri tipi di film, poi dici che
i fazzoletti sono
per asciugare… attenti ragazzi, che adesso parte un pornazzo
da paura!”
“Anziché
Harry Potter e i doni
della morte, parte 2, sarà Harry Porker
e…”
“ZITTO,
Liam, per favore, almeno
tu!”
Il
film cominciò e i ragazzi si
zittirono, ma risero per altri cinque minuti buoni, scambiandosi
sorrisetti e
battutine maliziose.
Fermarono
il film circa a metà. I
ragazzi stavano cominciando ad essere intolleranti con le patatine, i
pop corn
e le bibite finite.
“Aaaaaliceeeee”
cominciò a
lamentarsi Niall. “Per favooooreeee vai a prendere la
patatineeee???”
“E’
casa tua, vacci tu!”
“Per
favooooreeee”
“vado
io” disse Hope, agguantando
le ciotole vuote.
“Sicura?”
le chiese Harry. La
vedeva leggermente strana. Forse era la luce, ma gli pareva fosse un
po’ più
bianca del normale.
“Assolutamente”
lo tranquillizzò
Hope. “La cucina è di là
giusto?” indicò una porta dopo un corridoio.
Harry
annuì.
“che
brava che è la tua ragazza
Harry” disse Niall. “Da sposare, proprio.”
Hope
aveva sentito, ma non fece
una piega e tirò dritta in cucina sparendo dietro la porta.
Alice
tirò una leggerissima pacca
sulla spalla di Niall mimando con le labbra “che cazzo
dici?” e aggiungendo
poi, ad alta voce “ti do una mano io Hope!”
Harry
sorrise a Niall.
“No
aspetta aspetta” disse Luois
ad Alice, prendendola per un braccio.
“Ah
meno male che c’è ancora
qualche gentiluomo” disse Alice, pensando che Luois la
fermasse per impedirle
di fare la cameriera della situazione.
“Prendi
anche queste” disse
porgendogli due bottiglie di plastica vuote.
Alice
lo fulminò con lo sguardo.
I
ragazzi risero.
Hope
prese il pacchetto nuovo di
patatine dallo scompartimento in alto. Quel gesto le provocò
un dolore
allucinante all’altezza dello sterno.
“No
ma scusa a cosa servono i
fazzoletti, sul serio?” chiese Liam mentre Alice prendeva a
bottigliate sia
Louis sia Niall, che ridevano di gusto.
“E’
che… Hope…
piange…sempre…quando…il…film…finisce!”
disse Alice a ritmo delle bottigliate.
Louis
agguantò la bottiglia,
strappandola dalle mani di Alice.
“Ecco
ora la metti tu nel
cestino” disse Alice additandolo. Poi girò sui
tacchi e si diresse in cucina.
Dovette
appoggiarsi al lavandino.
Il dolore era sempre più acuto e non riusciva più
a respirare. Sembrava che un
macigno di un milione di tonnellate si fosse appena seduto sopra il suo
petto.
Alice
percorse il corridoio a
passo di marcia, sentendo ancora le risate dei ragazzi dal salotto.
Quando
svenne, fece cadere il
bicchiere di acqua che aveva riempito qualche secondo prima per cercare
di
riprendersi. Quello, rovesciando l’acqua sul pavimento e
rompendosi in mille
pezzi in un fracasso di vetri rotti, fece automaticamente correre Alice
verso
la cucina.
-No
ti prego, non di nuovo- pensò
Alice mentre entrava in cucina.
Hope era in piedi, con il bicchiere che
evidentemente le era scivolato
dalle mani, per terra.
“Sono un disastro vero?” disse
Hope, sorridendole.
Alice
avrebbe voluto vedere questo
al posto di ciò che vide.
“999,
qual è l’emergenza?”
“c’è
bisogno di un’ambulanza al
più presto”
“ok,
qual è il suo indirizzo?”
“Queenslade Road
28893, Notting Hill, Londra”
“ok,
arriverà tra poco. Qual’è il
suo problema?”
“Una
ragazza non respira più. Per
favore, fate in fretta…”
Accadde
tutto troppo velocemente
per tentare di comprendere cosa fosse successo. Un attimo prima Hope
era per
terra e Alice diceva di chiamare l’ambulanza immediatamente.
Un attimo dopo
Alice riempiva di termini tecnici il medico dell’ambulanza
mentre chiudevano lo
sportello.
Il
viaggio in macchina con Liam
che spingeva sull’acceleratore, Louis che dava indicazioni.
L’entrata
turbinosa in pronto
soccorso. Liam che chiedeva informazioni ma gli veniva risposto che non
potevano rilasciare nessuna informazione per la privacy.
Harry
che non riusciva a reagire.
Liam
e Louis che si mettevano a
discutere con l’infermiera e convincerla, almeno, a lasciarli
passare.
La
porta che finalmente si
apriva e Harry la
superava come un treno.
Poi
un’altra porta che si apriva,
un medico a cavalcioni su una ragazza adagiata su una barella, che
tentava la
rianimazione con un massaggio cardiaco.
Era
Hope.
|
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Capitolo 18 *** Attesa ***
Capitolo
18 – Attesa
Incredibile
come la vita di una
persona possa cambiare in un secondo. Un attimo prima vorresti che
tutto ciò
che hai intorno durasse per sempre, l’attimo dopo vorresti
anche morire per
toglierti da una situazione del genere.
Hope
era solo svenuta, Harry non
capiva perché Alice fosse andata così nel panico
e non capiva come mai adesso
portavano Hope in sala operatoria. Hope era solo svenuta.
Perchè c'era bisogno di un massaggio cardiaco? Forse era
proprio il
non-capire che aveva reso Harry inerme.
Si
era ritrovato a seguire Louis
e Liam verso un’altra ala dell’ospedale, dove si
trovava la sala d’attesa per chi, appunto,
aspettava. Ma aspettava cosa?
Alice
era già lì, bianca più che
mai, sconvolta, due occhi che erano due buchi neri. Non aveva
abbracciato
nessuno quando li aveva visti arrivare, aveva il cellulare in mano e
camminava avanti e indietro come in preda
ad un attacco isterico.
“Non
si sa niente” si era
limitata a dire quando l’avevano raggiunta.
“Ma
cosa è successo?” chiese
Louis, tenendo un braccio sulle spalle del suo amico che ancora non
aveva
trovato la forza di parlare, troppo sconvolto. “Abbiamo visto
Hope… la
rianimazione..”
“Ha
avuto un arresto cardiaco”
disse Alice, cercando di essere fredda (con scarissimo successo) e non
guardando nessuno dei tre. In Harry scattò un allarme
interno: c’era qualcosa
di strano.
“Che
cosa è successo?” richiese
guardando Alice negli occhi.
Alice
si sentì morire dentro per
la centesima volta da quando aveva trovato Hope distesa sul pavimento
della
cucina. Non poteva mentire ad Harry. Non ad un Harry che non stava
capendo cosa
fosse successo. Era come colpire qualcuno alle spalle.
Stava
per cedere, sotto lo
sguardo profondo di quel ragazzo.
“Harry,
io…” Alice sembrò
addolcirsi e Louis si spaventò moltissimo da quel
cambiamento repentino di
atteggiamento. Il tono che Alice aveva appena assunto,
l’aveva sentito solo
un’altra volta nel passato: da sua madre, quando gli aveva
comunicato che la nonna
era scomparsa. Era piccolo e si ricordava come fosse
rimasto
sconvolto.
Ma
Alice guardò dietro le spalle
dei tre ragazzi e poi sussurrò “
Hannah…”.
Harry
riconobbe i genitori di
Hope. La madre aveva gli stessi occhi, i capelli rossi provenivano dal
papà.
Alice spiegò loro cosa fosse successo. Loro ascoltarono con
facce tese, sempre
più preoccupate. Solo il papà lanciò
loro un veloce sguardo e un veloce tirato
sorriso quando Alice nominò il luogo dello svenimento.
Quando Alice disse che
Hope era in sala operatoria, la mamma di Hope si portò una mano
alla bocca, il
papà strinse forte la spalla della moglie.
“E’
tornato, non è vero?” chiese
Hannah ad Alice.
Alice
non seppe rispondere. Non
sapeva cosa rispondere. Non voleva rispondere.
Alice,
la mamma e il papà
andarono a parlare con il dottore e ancora una volta Harry si
ritrovò a dover
aspettare. Aspettare l’esito dell’operazione,
aspettare Alice e le sue fottute
spiegazioni.
Cominciava
a perdere il
controllo. Aveva sentito le parole della mamma di Hope. Cosa voleva
dire che era tornato? Cosa era
tornato?
Si
alzò di scatto, ma Louis lo
precedette e lo abbracciò forte prima che facesse qualsiasi
cazzata.
“Voglio
solo sapere cosa è
successo” disse all’amico cercando di reprimere la
voglia di sfondare
qualche muro.
Louis
lo strinse di più. Non
sapeva cosa dirgli.
Niall
e Zayn li raggiunsero dopo
mezz’ora. Dissero poche parole, parlando con Liam e Louis, e
tutti e cinque si
ritrovarono seduti, in silenzio, senza saper cosa dire e cosa fare.
C’era solo
da aspettare.
Era
quello che Harry faceva da
un’ora, cercando di non arrabbiarsi, cercando di non dare di
matto. Perché
Alice non tornava? Perché i genitori di Hope non tornavano?
Cos’era successo?
Hope se ne era…
Gli
venne da vomitare. Non voleva
pensarci. Non avrebbe saputo affrontarlo.
Louis
gli teneva un braccio attorno alle spalle. Niall, quello che di solito
riusciva a trovare la cazzata da dire nei
momenti meno opportuni, se ne stava in silenzio di fronte ad Harry e
faceva a
cambio con Zayn per chiedere informazioni all’infermiera al
bancone. Liam era
telefono: stava cancellando tutti gli impegni.
Aspettare.
Doveva solo aspettare.
Alice
tornò nel momento esatto in
cui Liam chiudeva l’ultima telefonata. Harry
scattò in piedi appena lei superò
le porte che davano accesso alle sale operatorie.
Dei
genitori di Hope, non c’era
traccia. Questo,
più il fatto che Alice
aveva gli occhi rossi come se avesse appena versato un litro di
lacrime, lo
terrorizzò. Sentì il sapore del sangue in bocca.
Si era morso una guancia pur
di distrarsi dal solo pensiero che lei potesse non esserci
più.
“Alice…”
disse Liam, quando lei
venne incontro loro asciugandosi una lacrima.
“Sta…
sta bene” riuscì a dire lei
in preda ai singhiozzi. “E’…E’
stabile.”
Harry
sentì il suo cuore fare un
tuffo e gli sembrò di tornare a respirare.
“Adesso
è in terapia intensiva”
aggiunse. “I suoi sono con lei.” Alcune lacrime le
scivolavano ancora sulla
guance.
Liam
la fece sedere.
“Ma
cosa è successo?” chiese
Niall, dando voce ai pensieri di Harry.
Era
viva. Era ancora viva.
“Ha…
ha avuto un’emorragia
interna.” Alice prese un fazzoletto tutto stropicciato dalla
tasca. “è per
quello che è svenuta…”. Usò
il fazzoletto per asciugare le lacrime, che non
riuscivano a smettere. Harry ricominciò a preoccuparsi.
C’era qualcosa di
strano nella sua voce.
“Un’emorragia?”
chiese Louis.
Anche lui aveva registrato qualcosa di strano: le lacrime di Alice
potevano
essere di sollievo, ma cominciavano ad essere troppe.
Harry
era ancora in piedi e
fissava Alice.
“Si…”
rispose “E ha avuto un
arresto cardiaco. L’hanno portata in sala operatoria…
l’hanno rianimata e
hanno fermato l’emorragia.”. Volse lo sguardo verso
Harry. “Hope è…” non
riuscì
a finire la frase. Si nascose il viso tra le mani e cominciò
a tremare.
Piangeva di nuovo. Niall l’abbracciò
“tranquilla” le disse “è tutto
a posto…
tranquilla.”
Alice
si rifugiò nella sua spalla
ma Harry avrebbe voluto scrollarla per chiederle perché
cazzo piangeva.
Dovette
calmarsi e aspettare di
nuovo.
Quando
Alice si fu ripresa, fece
un lungo respiro prima di volgere lo sguardo su Harry
un’altra volta.
“C’è
una cosa che non ti ha
detto” disse. “che non ti ha detto
perché non voleva farlo. Non voleva
perché…”
Si
fermò di nuovo e guardò in
basso. No, non toccava a lei dare una spiegazione ad Harry.
Le
venne da piangere di nuovo ma
cercò di controllarsi. Per Harry, che più i
secondi passavano più sembrava
morire lentamente. Per Hope, che più i secondi passavano
più cominciava a
riprendere coscienza.
Alice
sollevò lo sguardo. “Hope è
malata, Harry.”
“Ma…malata?”
chiese con la voce
roca.
Il
suo mondo cominciò a
scricchiolare paurosamente. Se fosse stato un terremoto reale, sarebbe
schizzato fuori dall’ospedale.
Alice
annuì. “Si. Ha il cancro.”
Il
suo mondo crollò
silenziosamente. Macerie che mai più sarebbero diventate
grattacieli si
posarono all’interno delle sue ossa. Un treno in piena corsa
lo colpì
all’altezza dello stomaco. Sarebbe sicuramente caduto per
terra se Luois non
gli avesse stretto la spalla, costringendolo a rimanere nel mondo
reale. Un
mondo che per lui, adesso, non aveva più senso.
“L’ha
avuto l’anno scorso.”
continuò Alice, gli occhi lucidi pieni di lacrime che
cominciavano a reclamare
il loro posto. La distruggeva aver detto del cancro a Harry. Sapeva
benissimo
di aver ucciso una parte di lui. Gli occhi gli erano diventati
d’improvviso
un’ombra scura. La distruggeva vedere Hope, di nuovo, nelle
grinfie di quella
malattia. “l’aveva
sconfitto, ne era venuta
fuori. Voleva una vita normale.” Alice non tolse lo sguardo
da Harry nemmeno
quando le lacrime cominciarono a gocciolarle sulle gambe. “Ci
era riuscita, ce
l’aveva fatta. Ha fatto i controlli meno di due mesi
fa… prima che vi
incontraste la prima volta. Era tutto ok.”
Alice
si alzò e si avvicinò a
Harry.
“Harry
mi dispiace un sacco…” gli
disse.
Harry
la guardò. Alice piangeva.
Aveva
voluto le spiegazioni? Ora
le aveva e doveva gestirle. Cazzi suoi.
Alice
gli buttò le braccia al
collo e Harry la strinse, lottando contro se stesso per non piangere
anche lui.
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Capitolo 19 *** Una giornata pesante ***
Capitolo
19 – Una giornata pesante
Passarono
le due ore successive
nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva.
Liam,
Zayn e Niall erano andati
via per incontrare Fanny e riprogrammare i loro impegni. Louis era
rimasto in
ospedale con Harry ed Alice. Aveva preso loro dei caffè
dalla macchinetta del
primo piano.
Quando
il papà di Hope entrò in
sala d’attesa, tutti e tre si alzarono e Alice gli
andò incontro.
“Si
è svegliata” disse con un
filo di voce.
“Come
sta?” chiese Alice.
“Bene..
ma la situazione non è
delle migliori.”
Alice
andò da lei, dandosi il
cambio con il padre. Si poteva entrare uno alla volta, ma due persone
andava
bene lo stesso.
Il
papà, James, guardò Alice
scomparire dietro l’angolo, poi si rivolse ai ragazzi.
“voi dovete essere gli
amici di Hope.” disse con un tono che nascondeva la sua
preoccupazione.
“Si”
rispose Louis. “Era con noi
quando…” Louis arrossì. Si sentiva
tremendamente in imbarazzo. “quando è
successo, insomma”
James
fece un sorriso tirato. Poi
guardò Harry. “tu sei Harry, giusto?”
Harry
annuì.
“L’avevo
capito dai tuoi capelli.
Hope mi ha detto che ne hai tanti.”
Alice
entrò in stanza il più
piano possibile. Hope aveva gli occhi chiusi, apparentemente
addormentata. Era
bianca come la coperta sotto cui dormiva, le macchine facevano il
classico bip assicurando che Hope
stesse solo
dormendo. Sua madre le era accanto e aveva gli occhi puntati su di lei,
come se
da un momento all’altro potesse scappare via.
“Alice…”
sussurrò Hannah.
“Dorme?”
rispose Alice.
“non
proprio..” la voce di Hope
era cotonata, come sbiadita, e debole.
Alice
guardò la sua amica, la
quale aveva leggermente schiuso gli occhi.
“Hope…”
disse Alice lasciando la
borsa sulla sedia e facendo il giro del letto. “Come
stai?”
Hope
fece un tenue sorriso. “tu?”
“io
benissimo, tesoro… come vuoi
che stia?”
“Sei
bianca come il muro..”
Alice
sorrise e le accarezzò i
capelli.
“Amore…”
la mamma di Hope si
avvicinò al letto, stringendo la mano di sua figlia.
“Adesso io vado con papà a
casa a prendere… a prendere la tue cose. Tu riposati, dormi.
Stai qui.”
Hope
annuì appena.
“Stai
tu con lei Alice?”
“Assolutamente”
rispose.
“Non
c’è bisogno…”
sussurrò Hope.
“Certo
che c’è bisogno. Sia mai
che scendi a prendere la cioccolata da sola!”
borbottò Alice, seria.
Hope
fece un sorriso molto tirato,
guardando Alice. Poi disse:
“mamma…”
“Si
Hope?”
Hope
sospirò. Era stanchissima.
“mamma
c’è…c’è una felpa
scura sulla sedia della mia scrivania, è scura, con
delle scritte…verdi… me la
potresti…?”
“Certo
tesoro.”
Hannah
uscì salutando Alice con
un cenno del capo.
Hope
guardò Alice tentando di
chiederle ancora qualcosa. Ma il sonno si prese le sue parole e la
portò con
sé.
“Sta
dormendo” disse Alice ai genitori
di Hope, quando tornarono. Li aiutò a sistemare alcune cose
per Hope e poi
tornò in sala d’attesa. C’erano ancora
Harry e Louis.
“Sta
dormendo” ripetè loro.
Poi
guardò l’orologio. “Andiamo a
mangiare.”
“No.”
Riuscì a dire Harry.
Alice
lo guardò con tenerezza
“Harry, dobbiamo mangiare. Stare qui è inutile.
Sta dormendo. Non so nemmeno se
si risveglierà entro stasera, quindi potete andare a
casa…”
“io
voglio stare qui.”
Alice
comprendeva perfettamente.
Ma dovevano mangiare. “va bene. Ma andiamo a mangiare. Se
dopo la vuoi vedere,
devi aver mangiato. Non puoi sembrare più distrutto di
quello che già sei.”
Harry
stava per ribattere
qualcosa ma si interruppe.
Louis
lo guardò e gli fece un
lievissimo cenno con il capo. Alice aveva ragione.
Aveva
mangiato controvoglia.
Sentiva ancora il panino stantio all’altezza della gola.
Nemmeno la coca cola
aveva lenito questo senso di nausea.
Alice
e Louis avevano parlato un
po’ del papà di Hope, ma senza emozione nella
voce. Harry era rimasto in
silenzio.
Liam
l’aveva chiamato qualche
minuto prima e gli aveva chiesto come andava. Harry non aveva saputo
rispondere. Come voleva che andasse? Non lo sapeva. Una parte di lui
avrebbe
voluto scappare. Non avrebbe voluto vederla in un letto di ospedale,
mai,
nemmeno per tutto l’oro del mondo. Ma invece era
lì in ospedale e non aveva
altra scelta.
“Harry?”
una voce femminile lo
chiamò. I genitori di Hope erano tornati. Sua madre si era
avvicinata a lui,
senza che se ne accorgesse. “Sei Harry vero?”
Harry
annuì.
“Hope
ha chiesto di te.” Hannah
sorrise. Poi si rivolse ad Alice. “Lo accompagni
tu?”
Alice
annuì con un sorriso che si
potrebbe definire vagamente felice.
Harry
guardò Louis il quale gli
fece un sorriso rassicurante.
“tu
sei un suo amico?” chiese
Hannah rivolgendosi a Louis.
“Si
tesoro.” Rispose James “Lui è
Louis”
Harry
lasciò Louis con i genitori
di Hope e si avviò con Alice.
Prima
di accedere alle camere,
dovettero lavarsi le mani.
“Se
fai avanti e indietro in continuazione
non sei obbligato a farlo” disse Alice mentre si asciugava le
sue. “Però visto
che abbiamo appena mangiato… “
Harry
annuì.
Stavano
per uscire dal bagno
quando Alice si voltò e lo bloccò.
“Harry senti” disse “Non voglio fare la
saputella della situazione. Ma ho esperienza. Ti spaventerà
quello che vedrai.
Soprattutto perché tu l’hai conosciuta e vissuta
poco. Anche se tu adesso ti
starai dicendo che non ti farai spaventare, ti spaventerai.
E’ importante che
tu sappia che è sempre lei. Un po’ più
debole, un po’ più stanca. Ma è Hope.
La
tua Hope.”
Harry
la guardò come si guarda un
pazzo.
“Per
oggi ti chiedo di limitarti
a chiederle come sta. E basta. Non so cosa ci sia fra voi, è
sempre stata abbastanza
misteriosa. Ma non fare cose al di fuori del normale, non chiederle
perché non
ti ha detto del cancro, non chiederle quando intendeva dirtelo e se
intendeva
dirtelo. Avrai tempo. Ma non oggi.”.
Alice si morse le labbra. “E
non...”
“ho
capito.” Tagliò corto Harry.
“Ho capito Alice. Tranquilla.”
Alice
entrò per prima facendolo
aspettare un paio di secondi fuori dalla stanza.
Quando
uscì, gli fece un cenno
del capo. Lei avrebbe aspettato fuori.
Harry
entrò e si rese conto che
Alice aveva quasi del tutto ragione. Hope era sveglia, un libro chiuso
sulle
gambe coperte dal lenzuolo e il comodino già pieno di
cianfrusaglie. C’erano le
macchine, attorno a lei, che emettevano il classico bip, e anche delle
buste
appese, piene di liquido, collegate al suo braccio sinistro attraverso
piccoli tubicini.
Harry
guardò il viso di Hope:
ritrovò i suoi occhi, le sue labbra, il suo naso, i suoi
capelli… Ma tutto era
coperto da un velo macabro che lo spaventò. Era il cancro.
“Ehi…”
disse lei, appena incrociò
i suoi occhi.
“Ehi.”
disse lui. Stava perdendo
il controllo: vederla così fragile, coperta solo da un
lenzuolo bianco come il
colore della sua pelle, il suo braccio destro con la flebo…
Si sentì a disagio.
Non sapeva come affrontare una situazione del genere.
“Come
va?” chiese Hope.
Harry
la guardò. “Come va tu, se
mai.”
Hope
fece un timido sorriso e
Harry riuscì a riprendere il controllo.
Impercettibilmente
il bip della
macchina cardiaca si era fatto un po’ più
frequente.
Si
avvicinò e si sedette sulla
sedia, accanto al suo letto.
“un
po’ stanca.”
“giornata
pesante?”
Hope
fece un accenno di risata
“Abbastanza.”
Harry
si guardò in giro, cercando
un qualsiasi spunto per cominciare un discorso.
“tu?”
chiese Hope.
Lui
tornò sugli occhi di lei.
“Si, anche per me, abbastanza.”
Poi
prese coraggio, anche se ad
Alice aveva promesso di non farlo. “Ci hai fatto
preoccupare.” Sorrise cercando
di sembrare rassicurante.
“Il
fatto che tu sia rimasto qui
fino a quest’ora me l’aveva fatto
intendere”.
Harry
non poteva credere che Hope
avesse la forza anche solo di sorridere. La guardò
intensamente, le studiò il
viso e cercò di ricordarsi come fosse qualche settimana
prima quando si erano
visti da soli, a Sevenoaks. Non riuscì: la Hope che aveva di
fronte in quel
momento era diversa. A Sevenoaks avrebbe voluto baciarla;
lì, in quel momento,
avrebbe voluto solo portarla via per sempre.
“Sto
meglio adesso.” Lo rassicurò
Hope. “Non preoccuparti per me…”
Harry
fece un sorriso tirato.
“Sai che non posso.”
Alice
aveva detto a Hope che lui
sapeva del cancro. “Mi dispiace che tu l’abbia
scoperto in questo…”
“No”
Harry si alzò e prese la
mano nella sua. “Non adesso. Non è importante. Ne
parleremo, ma non adesso.”
Hope
guardò lui, poi guardò le
loro mani, incrociate. La strinse forte, facendo un piccolo sorriso.
“promettimi che stasera dormirai.”
Harry
sviò la domanda “Posso fare
qualcosa?” le chiese lui.
Hope
esitò un attimo. “Si… si
qualcosa puoi fare. La felpa sulla sedia…”
Harry
si voltò, riconoscendo la
felpa che le aveva dato quando era andata prenderla allo stadio del
ghiaccio.
“Non
la rivoglio” disse,
girandosi a guardare Hope.
Hope
scosse la testa. “Voglio che
tu la riprenda. Portala a casa… indossala. E se vuoi puoi
ridarmela. Dopo.”
Harry
fu sorpreso. Hope stava
vagamente arrossendo, se quella chiazza rosa sulle guance poteva essere
identificata come rossore.
Era
la prima volta che gli diceva
qualcosa di indirettamente dolce: le piaceva indossare la sua felpa
perché
sapeva di lui. E ne avrebbe avuto sicuramente bisogno, nel prossimo
futuro.
Harry
dovette uscire dopo dieci
minuti poiché il medico era arrivato. Alice rimase con Hope
mentre Harry
tornava in sala d’attesa a chiamare i genitori di lei.
Louis
era ancora lì con due tazze
di caffè nelle mani.
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Capitolo 20 *** 1D Take me Home ***
Capitolo
20 – 1D Take me home
Alice
tornò mezz’ora dopo, ancora una volta con
gli occhi rossi.
“Hanno
fatto una TAC” disse con
un filo di voce. “il cancro è esteso.
Più esteso e più aggressivo della volta
precedente. Cresce in fretta ed è per questo che nei
controlli di due mesi fa
non è emerso. Hanno detto che… che deve fare
almeno un ciclo di chemio.” Tirò
su con il naso. “E poi proveranno con
un’operazione. Ma è estremamente
rischiosa. Potrebbe non andare bene, potrebbe…. Potrebbe non
sopravvivere. Ma
deve decidere lei. E i suoi.” Alice guardò Harry e
Louis con le lacrime agli
occhi.
“E
se non la fanno?”
Alice
guardò Harry. “Cambieranno
la chemio. La faranno più aggressiva. Ma il dottore non
sembrava molto
fiducioso. Non ha scelta. Se non facesse
l’operazione… le rimarrebbe poco
tempo.”
“Quanto?”
chiese Harry, non volendo del tutto sapere la risposta.
Gli
occhi di Alice ridiventarono
lucidi.
“Due
mesi.”
Scoppiò
in lacrime.
Quando
arrivarono a casa dei
ragazzi, tuonava. Alice si fermò per prendere una tazza di
caffè forte e
riprendersi il tempo sufficiente per guidare fino a casa.
Harry
l’accompagnò alla macchina
con la scusa che pioveva e Alice non aveva l’ombrello. Al
ritorno, sarebbe
stato da solo e avrebbe potuto pensare.
Entrò
nel vialetto di casa,
chiudendo il cancello.
Si
voltò per attraversare il
giardino quando intravide attraverso la finestra il salotto dove il
pomeriggio
avrebbe dovuto esserci Hope, accanto a lui.
Rivide,
invece, Hope che si
alzava, Hope distesa sul pavimento, la barella che la portava via. E le
parole
di Alice gli risuonarono nelle orecchie.
“due
mesi di vita.”
Chiuse
l’ombrello e lasciò che la
pioggia lo bagnasse completamente. Una pioggia pesante ma perfetta per
nascondersi.
La
realtà lo aveva investito una
seconda, una terza e una quarta volta. E non poteva più
lottare.
Si
arrese e pianse come un bambino, scosso da
singhiozzi, come non si ricordava mai di aver fatto. Lasciò
che la realtà lo
avvolgesse completamente, cercando di farsi entrare in testa che Hope
aveva il
cancro, che quella era la realtà, e che rischiava la vita.
Rischiava di
perderla, di farsela scivolare dalle mani prima ancora di essersi
abituato alla
sua pelle, al suo profumo, prima ancora di rendere Hope parte della sua
routine
quotidiana.
Si
nascose il viso tra le mani,
tremando forse anche per il freddo.
“Harry…”
Qualcuno
gli sfriorò il braccio. Alzò lo sguardo. Louis
era accanto a lui, con un viso sconvolto quanto
il suo, i capelli appicciati alla faccia e gli occhi scuri come un
pozzo
profondo.
I
due si guardarono per una
frazione di secondo, poi, come se si fossero letti nella mente, Luois
aprì
leggermente le braccia e Harry ci si buttò senza nessuna
esitazione. Pianse
abbracciato al suo migliore amico. Sentì la presenza degli
altri quando capì
che la pioggia non riusciva più a raggiungerlo e che le sue
lacrime stavano
bagnando più di una sola spalla.
Harry
non dormì per niente quella
sera. Continuava a pensare alle ultime ‘notizie’ di
Alice e gli veniva da
vomitare appena pensava che Hope potesse morire. Eppure se rivedeva
quegli
occhi… ci vedeva la vita. La sua vita, dentro. E non si dava
pace per non poter
fare niente. Alle quattro del mattino si alzò e
recuperò la felpa che aveva
dato ad Hope. Quando l’avvicinò al naso,
sentì l’odore dei suoi capelli.
L’avrebbe tenuta fino al mattino successivo.
Liam
lo guardò scendere in cucina
per fare colazione, come si guarda un fantasma. Non aveva dormito un
cazzo, lo
si notava principalmente dagli occhi, scavati; e poi dai capelli che
erano
molto più disordinati del solito, come se si fosse girato e
rigirato nel letto
fino a consumare le lenzuola. Harry aprì il frigor, prese il
latte, poi la sua
ciotola, il cucchiaio e si sedette di fronte a lui. Liam non sapeva
cosa
dirgli; per la prima volta da quando si conoscevano non seppe gestire
la
situazione. Louis scese qualche minuto dopo e trovò il suo
migliore amico a
fissare la ciotola piena di cereali, con il cucchiaio pulito posato
accanto. Guardò
Liam, il quale gli restituì uno sguardo triste e scosse la
testa.
L’orario
di visite del reparto
terapia intensiva era limitatissimo: un’ora dopo pranzo,
un’ora poco prima di
cena.
Hope
si sarebbe annoiata da
morire se Alice non l’avesse caricata di libri da leggere. Ma
non riusciva a
concentrarsi: pensava di averlo sconfitto, pensava di non doverci
più pensare,
pensava… e invece sarebbe stato peggio dell’ultima
volta. Perché il medico era
stato chiaro il giorno precedente:
“E’
più aggressivo e cresce in
fretta. Per essere solo due mesi che non ti abbiamo controllata,
è cresciuto in
fretta.”
Sua
madre era sbiancata quando il
dottore le aveva detto che consigliava l’operazione.
Un’operazione il cui esito
dipendeva molto dalla posizione e dalla vascolarizzazione del cancro,
che si
estendeva all’altezza dello sterno, esattamente dove aveva
avuto dolori, e si
allargava fino a quasi circondare il cuore. L’operazione,
didatticamente parlando,
aveva il 30% di successo.
“Ma
ripeto: dipende dalla
vascolarizzazione, da quanto il cancro coinvolge il cuore. Io vi
consiglio di
farla. Chiaramente, per aumentare le probabilità di
successo, sarai sottoposta
a un ciclo completo di chemioterapia, più aggressiva di
quella precedente, che,
speriamo, riduca e renda più agevole la rimozione completa
del cancro.”
Il
dottore si chiamava Colin
Cooper, l’aveva curata anche l’anno precedente e i
genitori di Hope non avevano
esitato a volerlo di nuovo.
“Hope,
questa volta non sarà come
la precedente.” Aveva detto, rivolgendosi direttamente a lei,
guardandola negli
occhi. “Sarà più difficile. Io sono qui
a parlare con voi, ma sei tu quella che
deve essere convinta di quello che fai. Sai quanto è
importante che tu lo sia.”
Hope
aveva annuito.
“Se
non facesse l’operazione?”
aveva chiesto sua madre, con la voce rotta.
Colin
aveva sospirato, guardando
i suoi genitori. “Non posso darvi la certezza che la chemio
funzionerà
totalmente. Anzi. Sono scarse le possibilità che ce la
faccia. Se tu decidessi
di procedere solo con la chemio…” Di nuovo, si era
rivolto ad Hope. “voglio
essere chiaro con te Hope. Se tu rifiutassi l’operazione, ti
rimarrebbero pochi
mesi, con la chemio, non più di due.”
Sua
madre avrebbe voluto ucciderlo
per la schiettezza che Colin aveva nel dire le cose. Soprattutto quel
genere di
cose. Pensava che Hope dovesse essere protetta, che certe cose non
dovesse
sentirle, come quando ai bambini si coprono le orecchie nel momento in
cui alla
tv passano parole come ‘vaffanculo’,
‘stronzo’ o ‘cazzo’. Ma Hope
apprezzava il
dottor Cooper anche per quello: voleva sapere tutto, senza tanti giri
di parole
perché si riteneva forte. Ma sarebbe stata una bugia dire
che quelle parole le
furono indifferenti. L’anno precedente le avevano dato 5 mesi
di vita, ma, a
quel tempo, il dottore era stato ‘prudentemente
ottimista’ perché era quasi
convinto che solo con la chemio Hope potesse farcela. Con la chemio e
il suo
carattere, ovviamente.
Guardò
l’orologio: erano le 11 del
mattino. Non avrebbe ricevuto visite per almeno altre tre ore. Si
girò nel
letto in modo da dare la schiena alla porta d’entrata della
camera, stando
attenta a non fare movimenti bruschi per non strappare i punti
dell'intervento. Si tirò le
lenzuola fin sopra la testa. Poi si arrese e pianse, sfogandosi.
I
primi ad arrivare chiaramente
furono i suoi, con altre cose da casa che potevano servirle.
“tutto
ok questa mattina, pulce?”
le chiese suo padre, mentre sua mamma sistemava il lenzuolo, come era
solita
fare per distrarsi dal fatto che sua figlia fosse in ospedale.
Hope
annuì.
“Colin
è passato?”
“Si
al volo, stamattina sul
presto.”
“Come
ti senti tesoro?” chiese
sua madre.
“Bene
mamma.”
“Cosa
ti ha detto?”
“Niente
di che. Ha ricontrollato
la cartella..”
“Hai
dormito stanotte?”
Hope
fece finta di concentrarsi
sulla cucitura del lenzuolo. Scrollò le spalle.
I
suoi si scambiarono
un’occhiata. “Non ti preoccupare” disse
poi sua padre, cercando di sembrare
sicuro di sé. A volte uno non ci pensa: ma fare il genitore
deve essere difficile.
I pensieri di tutta famiglia si erano indirizzati verso
un’unica direzione:
l’operazione rischiosa. Dovevano prendere una decisione.
“Fuori
c’è Alice.” Disse sua
mamma per smorzare un po’ l’atmosfera. “E
quel ragazzo con tanti capelli, Harry, giusto?”
“si.”
“Sembra
che lui, invece, non
abbia dormito. E’ il tuo fidanzato?”
“Mamma…”
“Va
bene, va bene. Niente
domande. James andiamo a prendere del caffè?”
I
suoi uscirono e dopo qualche
minuto arrivò Alice con un sacchetto.
“Ancora
libri?!” chiese Hope.
“E
cd. Così non hai tempo nemmeno
per pensare.” Alice le diede un bacio sulla guancia e le
scaricò il sacchetto
in grembo. “Come stai?”
“bene.
Cosa…? 50 sfumature di
grigio?!?”
“Da
parte di Olivia. E contro il
mio parere.”
Hope
sorrise e tirò fuori un
pacchetto con un fiocco. “E questo?” chiese.
“Un
regalo” disse.
Hope
guardò la sua amica con la
fronte aggrottata.
“Cosa
aspetti? Aprilo!”
Hope
scartò il suo regalo. Ne
uscì un cd musicale. La cover raffigurava una cabina
telefonica rossa, tipica
di Londra, con un ragazzo biondo all’interno che guardava
verso l’alto con
l’aria divertita, un altro ragazzo sorridente al di fuori, un
ragazzo sdraiato
sul tetto della cabina che cercava di tirarne su un altro che era sulle
spalle
di un altro ancora. Il nome del gruppo capeggiava sopra la cabina
telefonica,
bianca
sullo sfondo azzurro del cielo: One Direction. Sotto, il titolo del CD:
Take me Home. Sembrava fatto apposta.
Hope
rise. “E’ un nuovo gruppo?”
le chiese.
“Si.”
Rispose l’amica. “Nuovo
nuovo. Sono bravi eh, dovresti ascoltarli!”
Entrambe
risero e per un istante
si dimenticarono della situazione di Hope.
“No
comunque seriamente. Non ho
trovato il loro
primo cd, sennò ti avrei
regalato quello. E’ il secondo.”
Hope
riuscì ad aprire anche la
sottile pellicola che ricopriva il cd e dischiuse la custodia.
Scivolarono
fuori ben due volantini, uno che invitava a partecipare al concorso per
vincere
un pass per il backstage del successivo concerto degli One Direction e
l’altro
una pubblicità della casa discografica.
“Hai
qui il lettore cd? Ti ho
portato il mio. Perché avevo pensato di regalarti la
versione per l’iPod… ma
non avresti avuto la parte più figa del loro cd.”
“Sarebbe?”
chiese Hope.
“Il
libretto con tutte le foto.
Anche del tuo Harry. Ah proposito. Inutile dirti che è qui
fuori che aspetta il
suo turno.”
Hope
guardò il cd rosso. Poi
chiuse la custodia e guardò la sua amica. “Come
sta?” chiese.
Alice
piegò la testa leggermente
di lato e sorrise. “Hope ti preoccupi troppo. Sei tu quella
che stai male.”
Quando
Harry entrò in camera pochi minuti dopo, dandosi il cambio con Alice,
Hope non aveva ancora fatto in tempo a mettere via il cd regalatole da
Alice e
se lo ficcò malamente tra le coperte.
“Ciao”
disse lei, troppo velocemente.
Il cambiamento della frequenza del bip della
macchina che registrava il battito cardiaco fu evidente e gli occhi di
Harry
furono attratti dallo schermo.
Hope
odiava l’ospedale anche per
questo: con tutte quelle macchine, la gente poteva sapere in anticipo
cosa lei
provasse.
“Ciao”
gli disse Harry con un
sorriso consapevole di ciò che le aveva appena provocato.
“Come
va?” disse Hope sentendo la
faccia andare a fuoco.
Harry
scrollò le spalle,
mettendosi le mani nelle tasche.
No,
era chiaro che non aveva
dormito. E non era nemmeno sicura che avesse mangiato.
“Ti
è caduto qualcosa…” Harry si
piegò e raccolse qualcosa da terra: era uno dei due
volantini che erano usciti
dal Cd, per l’esattezza quello della casa discografica.
Harry
guardò il volantino, poi
guardò Hope aspettando spiegazioni. Ovviamente aveva
riconosciuto la sua casa
discografica.
Hope
era diventata di un rosso
ben visibile e aveva abbassato lo sguardo.
“Ehm…
deve essere caduto a
Alice…” farfugliò.
Guardò
Harry che aveva un
sorrisetto ben piazzato su una faccia da prendere a schiaffi.
“Okay
okay, insomma.” Hope prese
il volantino e tirò fuori il cd da sotto le coperte.
“Mi ha regalato questo, ma
è una stupida.” Harry pensava che Hope fosse
estremamente carina quando
balbettava imbarazzata.
“Non
che voi siate stupidi. E’ un
bel regalo, voglio dire, lo apprezzo, bello in questo senso. Voi siete
bravi,
vi ho ascoltato al concerto. Lo ascolterò sicuramente,
voglio dire…”
“Non
ti preoccupare” disse Harry,
divertito. “Hai una penna?”
“Una..
una penna?” Hope sembrò
confusa. Harry gesticolò come per farle
l’autografo. “Oh vaffanculo Harry!”
Harry
scoppiò a ridere e Hope lo
seguì poco dopo.
Hope
dormì profondamente per
tutto il pomeriggio recuperando le forze gradualmente. Un’ora
di ricevimento
parenti era stato devastante. Quando i suoi arrivarono alle sei, era
appena
uscita dal dormiveglia, ma si sentiva ancora un po’ stanca.
Alice
le disse che Olivia e Tara
probabilmente sarebbero passate il giorno dopo.
Harry
le chiese se Liam e gli
altri potessero venire a trovarla il
venerdì successivo.
Harry
dormì molto meglio quella
notte. Hope sembrava che non avesse niente e ridere con lei quel
pomeriggio
l’aveva risollevato il morale. Almeno, per ora, non soffriva.
Anche se vederla
in una camera d’ospedale lo faceva sentire inutile. E
soprattutto sapeva che il
peggio probabilmente doveva ancora arrivare. Da Alice aveva saputo che
Hope e i
suoi avevano una settimana per decidere cosa fare e, in base a quello,
si
sarebbe decisa anche la chemio da somministrarle.
Alice
parcheggiava sempre da loro
prima di andare in ospedale. Non era per la comodità del
parcheggio, ma
probabilmente perché preferiva un luogo sicuro dove
prepararsi prima di andare
in ospedale e riprendersi prima di affrontare il viaggio fino a
Sevenoaks da
sola. Così anche Olivia e Tara videro la loro casa anche se
entrambe erano più
distratte dell’ultima volta che Harry le aveva viste.
“Voi
lo sapevate?” chiese Harry
mentre tornavano dall’ospedale.
“Del
cancro?” chiese Olivia,
seduta accanto a lui. “Oh si. Tutti a scuola lo
sapevano.”
“Per
via del foulard” precisò
Alice. “del foulard che portava sulla testa.”
“e
lo odiava” disse Tara. “Ti
giuro che lo odiava. Ti garantisco che se fosse stato per lei, sarebbe
andata
in giro dicendo a tutti che aveva fatto una splendida lunga vacanza con
i suoi,
per giustificare la sua assenza prolungata.”
Olivia
annuì.
Ehii ciau!
Lo spazio autrice, questa volta, lo faccio alla fine per evitare di
spoilerare ad inizio capitolo che non è bello. Allora
come avete potuto leggere, gli argomenti pesanti sono stati
introdotti. E volevo fare un piccolo appunto: se ciò che
scrivo non vi piace oppure vi può offendere in qualche
modo... prima di tutto, mi dispiace, non era assolutamente nelle mie
intenzioni; secondo, NON andate avanti, perchè, davvero, ci
tengo poco a ricevere 'insulti' in questo senso.
Le critiche sono sempre
ben accette. Ma non cose del tipo 'guarda che tu non sai di cosa stai
parlando: mia nonna ha dovuto subire un intervento del genere e con il
cavolo che si è risvegliata dopo due ore' oppure 'spari
cazzate, un cancro non può crescere in così poco
tempo' . Perchè questa è una storia, non un fatto
effettivamente accaduto. Indipendentemente dal fatto che sia o meno
ispirato ad un'esperienza personale.
Con questo 'appunto' preventivo , vi auguro a tutte/i IL
MEGLIO!
Un abbraccio stritolatutto (uno in più alle Directioners)
Emma ;)
ps: aggionerò presto!
pps: se qualcuna/o mi volesse seguire, su twitter sono @sweetie_benni !
|
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Capitolo 21 *** Vale la pena correre il rischio ***
Ciau!!!
Eccomi con un
altri due capitoli... sono un po' pochini è vero, scusate
:( domani quasi quasi aggiorno ancora, così non vi lascio
proprio a bocca asciutta!!!
Come al solito, vi
auguro BUONA LETTURA!!!
un abbraccio
stritolatutto
Emma ;)
Capitolo
21 – Vale la pena di correre il rischio
Venerdì
l’andarono a trovare Liam
e Louis nel pomeriggio e Niall e Zayn la sera. Fu una cosa velocissima,
soprattutto per la sera, perché Hope era abbastanza stanca.
Liam fu fantastico
con Hope: fu come se non fossero stati in ospedale, ma in giardino a
prendere
il sole. La baciò su tutte e due le guance, come sempre
aveva fatto, le chiese
come andava e si perse a discutere con lei delle dinamiche delle
infermiere,
con la scusa che sua zia aveva fatto quel lavoro per un po’
di tempo e diceva
che era stato un inferno. Louis, invece, si era limitato a partecipare
con
qualche battuta e qualche risata. Ma Hope poteva comprenderlo
perfettamente: il
suo migliore amico era lì con loro (eccezione alla regola
erano entrati in tre
in stanza!) e sicuramente i tre giorni precedenti non erano stati
facili
nemmeno per lui.
Liam
la fece ridere e sorridere e
Harry provò un leggero fastidio nel vedere Liam
così bravo nel farla sentire a
casa. Avrebbe tanto voluto essere bravo quanto lui.
Hope
chiese sia ad Alice sia ad
Harry di non andarla a trovare durante il weekend. Quando Harry chiese
come
mai, Alice rispose che era meglio non chiederlo.
Lunedì
mattina Hope venne
trasferita in oncologia. Gli orari di visita erano molto più
ampi: tutto il
pomeriggio da dopo pranzo all’orario di cena. E qualcuno
faceva qualche strappo
alla regola, rimanendo fino a dopo cena, per fare compagnia al malato.
La
camera di Hope poteva essere
vista dalla sala d’attesa solo parzialmente, era
più accogliente da quella del
reparto di terapia intensiva e aveva le finestre che davano sul
giardino. Tutto
il reparto era di un altro colore, un arancione-salmone che Hope aveva
imparato
a farsi piacere. Come aveva imparato a convivere con il cancro. Anche
se
nessuno mai ci riesce a convinvere del tutto.
Quando
Harry arrivò con Alice,
videro che in stanza con Hope c’erano già i
genitori, probabilmente lì da
quando l’avevano trasferita, e un uomo, sui
quarant’anni, biondo fuliggine,
alto, con il camice, che stava parlando. Il viso di Hope era coperto
dalle
tende tirate.
“Quello
è il dottor Cooper” gli
spiegò Alice. “probabilmente hanno preso una
decisione. Andiamo a prendere
qualcosa, sarà lunga.”
“Dato
che siamo in possesso di
più dati rispetto alla volta precedente, Hope, la
composizione sarà
fatta su misura. Ti verrà prelevato del
sangue almeno due volte questa settimana per fare degli esami
più accurati. Ti
verrò a trovare anche per farti delle domande relative alla
tua ultima terapia,
come ti sei sentita, quali sintomi hai accusato…”
Colin
parlava e Hope prestava
attenzione, ma con distacco.
Avevano
deciso.
Sua
madre e suo padre erano al
suo fianco, tenendole ognuno la mano. Era stata trasferita quella
mattina
quando il dottore era venuta a trovarla e la famiglia aveva comunicato
la
decisione finale. La discussione era durata tutto il weekend. Hope si
era
sentita abbastanza in forza per affrontare una cosa come quella: sua
madre
chiaramente aveva cercato di convincerla a provare la terapia
più leggera, ma
era un consiglio dettato solamente dalla paura.
“Passerà
anche la dottoressa Hife
per parlare con te”
Hope
annuì. Se l’era aspettato:
un supporto psicologico era sempre richiesto anche quando sapeva, o
almeno si
credeva di sapere, cosa l’aspettava.
“Perfetto”
concluse il dottore,
facendo il classico sorriso rassicurante. “Allora ci vediamo
domani, Hope.”
La
famiglia salutò il dottore.
Sua
madre le strinse la mano,
cercando un contatto visivo. Ma Hope non se la sentiva proprio di
sorridere
anche lei, rassicurando chi aveva intorno. In fondo, credeva che fosse
un compito
ingrato per i malati dover rassicurare la propria famiglia.
Perché significava
illudere loro ma anche se stessi. E le probabilità di
successo dell’intervento
non sarebbero di certo cresciute.
Un
ciclo voleva dire un mese di
chemio. Di chemio devastante. Ci sarebbero stati molti giorni no e
pochi giorni
si.
I
suoi uscirono dalla stanza per
prendersi un caffè, come scusa.
Sarebbe
stato un mese pesante. Ed
era estate.
Hope
guardò fuori dalla finestra,
cercando di prepararsi. Ma per queste cose non si è mai
preparati.
Alice
incontrò i genitori di Hope
mentre sorseggiava il caffè con Harry, vicino alle
macchinette automatiche. Li
guardò inserire le monete e aspettare che il liquido caldo
riempisse il
bicchiere. Si scambiarono due parole, poi si guardarono e si
abbracciarono.
Ad
Alice venne un altro attacco
di pianto, che, però, riuscì a controllare: non
aveva mai visto i genitori di
Hope in quello stato. Forse perché avevano sempre usato un
atteggiamento di
facciata, in presenza sua o di Hope stessa, per non spaventarle. E le
venne
naturale pensare: quante altre volte i genitori sono costretti ad
indossare
quella maschera?
Alice,
per la prima volta nella
sua vita, si sentì da schifo nei confronti dei suoi e di
quanto fosse stata
stupida, in passato, a dire di odiarli (soprattutto quando non le
permettevano
di uscire perché aveva preso un brutto voto!), a sbattergli
in faccia la porta
della camera perché non le compravano il telefonino o
qualsiasi altra cosa, a
preparare, durante le notti insonni a causa della rabbia, fughe
indimenticabili, quasi provando piacere nel procurare loro del dolore.
Cosa
avrebbe fatto senza i genitori? Aveva sempre pensato che i genitori un
po’ ci
godessero nel togliere certi piaceri ai propri figli: ma era proprio
così? Si
era sempre immaginata sua madre arrabbiata dopo averla sgridata ma MAI
dispiaciuta per la litigata. Ora che vedeva i genitori di Hope
abbracciati,
così vicini al dirupo della depressione, pieni di dolore,
capì quanto potesse
essere complicato; quanto bisognava far finta di essere forti di fronte
ai
figli? Per non dire di come odiava i suoi quando litigavano fra loro,
sbattendo
porte e urlando come ossessi. Aveva sempre pensato che erano dei
genitori senza
un briciolo di sensibilità a far sentire a lei e a Spence le
loro discussioni.
Però quando lei e Spence litigavano, se ne fregavano se i
loro genitori erano
lì con loro e sentivano le loro di litigate; e Alice se ne
fregava di sbattere
la porta in faccia a sua madre e ad urlarle che ‘se sono
così un peso allora
perché mi hai partorito?’.
Si
voltò verso Harry, anche lui
rapito da quella scena strappalacrime dei genitori di Hope che si
abbracciavano.
Lui
le restituì uno sguardo vuoto
pochi secondi dopo.
Alice
gli passò di fronte e lui
la seguì facendo finta di non aver visto nulla.
Quando
tornarono in sala
d’attesa, dopo un giro in giardino passato per lo
più in silenzio, videro i
genitori di Hope nella sua stanza, le tende quasi del tutto aperte, che
la
stavano salutando.
“Ciao
Alice.” Disse James, quando
li vide in sala d’attesa. “Ciao Harry”
“Salve”
risposero i due ragazzi.
Hannah
li raggiunse. “Ciao
ragazzi.”
“Salve”
ripeterono.
“Allora…
ehm…” cominciò Alice.
“Come…come sta? L’hanno trasferita
vedo.”
“Sta
bene, almeno così dice.” Rispose
il papà. “tesoro io sposto la macchina e ti
aspetto davanti all’ingresso,
mentre tu aggiorni Alice e Harry?”
Hannah
annuì con la testa. James
salutò i ragazzi e se ne andò.
Alice
guardò la madre di Hope. La
conosceva da tanto tempo ormai.
“Cosa
avete deciso?” chiese
Alice.
Hannah
fece una smorfia. “Cosa HA
deciso. Sai come è fatta.” La voce le
tremò leggermente. Aprì la borsa, alla
ricerca di un fazzoletto.
Harry
si sentì fuori luogo, ma la
madre di Hope gli fece un sorriso. “perdonami. Non sono
sempre così
piagnucolona.”
“Oh
ma per favore Hannah!”
esclamò Alice. “ci mancherebbe.”
La
madre di Hope si sedette,
sospirando. “Ha deciso per l’operazione,
ovviamente. Io le avevo consigliato di
cominciare con la chemioterapia dell’altra volta. Ma la tua
amica ha deciso che
valeva pena correre il rischio.”
“Avevo
immaginato quando ci ha
detto di non venire né ieri né l’altro
ieri” disse Alice.
Hannah
fece un piccolo sorriso,
guardando nel vuoto. “Sapeva che io le avrei proposto
l’altra strada. Si era
preparata tutto il discorso. Questo l’ha preso da
te.” Guardò Alice sorridendo
teneramente. “Sapevo che non era una buona idea farvi fare la
stessa scuola.”
Alice
rise. “Si, e adesso sarà
anche peggio perché faremo anche lo stesso
college.”
Hannah
annuì, poi si alzò.
“Speriamo davvero che sia così”
|
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Capitolo 22 *** Qualcuno che fosse vero ***
Capitolo
22 –Qualcuno che fosse vero
“Tua
madre non è molto contenta
del fatto che siamo amiche.” Disse Alice entrando in camera
di Hope seguita da
Harry. Lui la salutò con un sorriso, lei con un cenno del
capo.
“perché?”
chiese ad Alice.
“Perché
sei diventata troppo
brava nel convincere l’altra parte della tua tesi.”
Hope
rise. Alice le diede un
bacio sulla guancia.
“Come
stai?”
“Normale,
come al solito. Voi?”
Alice
scrollò le spalle. “Spencer
è riuscito a sporcare il muro di inchiostro ieri. Un
applauso a mio fratello!”
“Come
mai?”
“Perché
è scemo. Si è dato alla
pittura con la china. Ma sono sicura di non trovarne traccia oggi
quando torno
a casa. Mio padre l’ha così levato da terra ieri
che probabilmente Spence avrà ristrutturato
l’intera parete, nel dubbio…”
Alice
lanciò un’occhiata ad
Harry. Poi si tuffò sulla borsa. “Cazzo, vuoi
vedere che ho lasciato in
macchina il libro che volevo darti?”
“Un
altro???” sbuffò Hope. “basta
Alice! Ne ho già cinque!”
“Si
ma questo è bello sul serio.
Harry mi daresti le chiavi che vado a controllare?”
Harry
tirò fuori le chiavi della
macchina e gliele diede.
“A
dopo, piccioncini” li salutò
uscendo dalla camera.
Hope
scosse la testa.
“Bello
qui” disse Harry
guardandosi in giro.
“Ci
si fa l’abitudine” rispose
Hope.
“Ho…
ho sentito che hai deciso.”
Harry
la guardò negli occhi. Hope
fece si con la testa. “E… quando inizi?”
“Con
la chemioterpia? Penso…
penso settimana prossima.”
Non
le andava molto di parlarne.
Harry
guardò fuori dalla
finestra.
“Sarà
difficile” disse Hope, dopo
qualche secondo di assoluto silenzio. Decise che era ora di dargli
alcune
spiegazioni. Era passata una settimana. Probabilmente era sotto stress
e
c’erano mille domande che lui si stava facendo, senza
probabilmente trovare il
modo e la situazione giusta per affrontarla. Harry si voltò
a guardarla di
nuovo. Ma Hope aveva già riabbassato lo sguardo.
“Non dico per me. Ma anche per
te. Insomma. Sarà molto difficile. Io capirò se
tu non…”
“Se
io non, cosa, Hope?” Harry
non poteva credere a ciò che Hope stava per dire.
“Se io non verrò a trovarti?
Se non ti starò accanto?”
Hope
si morse le labbra. “Harry…
non è semplice. Tu avrai i tuoi impegni e io…
Insomma non sarò io. Non sarò la
Hope che hai conosciuto negli ultimi tempi e non voglio che tu stia
male per
questo.”
“Stare
male? Scusa e fino ad
adesso come credi che sia stato?”
Hope
sollevò lo sguardo,
stringendo le labbra. “Mi dispiace che tu abbia dovuto subire
tutto ciò.”
Harry
si lasciò sfuggire una
smorfia, infastidito. “Non scusarti. Non fare questi
giochetti con me Hope..
Siamo entrambi grandi abbastanza per queste cose.”
“no,
non hai capito.” Hope si
strinse le mani l’una con l’altra. “Io
non volevo che…che accadesse. C’è un
motivo per cui non ti ho detto di questa…” doveva
chiamarlo con il suo nome “…del
cancro.” Concluse.
Harry
non vedeva l’ora di
sentirlo.
Hope
prese un bel respiro. “ti
ricordi quando abbiamo parlato di come ti sei sentito ad andare in
ospedale a
trovare i malati oncologici?”
Harry
ci dovette pensare pochi
secondi. Poi sgranò gli occhi: “Per QUELLO non me
l’hai detto? Per ciò che ho…”
“Io
la penso come te.”
“Cosa?”
“La
penso come te. Io… Io sono
malata Harry. Sono come quelle ragazzine che hai incontrato quel
giorno. Non
sono diversa. Purtroppo il cancro fa parte di me. Ma non voglio
assolutamente
essere compatita o amata per questa piccola schifosa parte di me. Io
voglio
essere giudicata come tutti gli altri, perché sono come
tutti gli altri.”
Gli
occhi di Harry sembravano
meno arrabbiati.
“Ma
ho il cancro ed è una cosa
che non si può semplicemente ignorare. E tutti lo vedono,
no, quando hai il
cancro? Lo sanno perché ti segna dentro e fuori. E ti
guardano con occhi diversi.
Ti guardano come se fossi diversa, come se meritassi di essere trattata
diversamente. E io pensavo che, sconfiggendolo, tornasse tutto come
prima. E
invece no.”
Harry
aggrottò la fronte.
“A
scuola, in famiglia, anche con
Alice. Era tutto maledettamente diverso. Appena facevo un colpo di
tosse, tutta
la classe si girava a guardarmi, aspettandosi di vedermi collassare da
un
momento all’altro, forse. Insomma, che diavolo
c’era tra me e le centinaia di
ragazzini che avevano l’allergia al polline in quel periodo?
Nessuna. Ero
guarita, avevo solo… solo un foulard sulla testa.”
Harry
ricordò le parole di Tara
di qualche giorno prima: ‘lo odiava.
Ti
giuro che lo odiava. Ti garantisco che se fosse stato per lei, sarebbe
andata
in giro dicendo a tutti che aveva fatto una splendida lunga vacanza con
i suoi,
per giustificare la sua assenza prolungata.’
“A
casa era uguale. Almeno fino a
quando non ho letteralmente dato di matto, urlando che se qualcuno mi
avesse
chiesto ancora come stavo dopo uno starnuto, avrei fatto andare tutti
in
ospedale a suon di calci nel…”
Sul
viso di Harry comparve un
leggero sorriso quando Hope mimò con la bocca
l’ultima parola della frase.
“Anche
con Alice è successa una
cosa simile. Qualche mese fa, quando ho scoperto chi eri,
l’ho chiamata per
sentire un suo parere. Lei ha sentito che c’era qualcosa che
non andava e mi ha
chiesto come stavo e se stavo male. Perché è la
prima cosa a cui uno pensa.”
Harry
si sedette in fondo al
letto, la mano di Hope a qualche centimetro di distanza.
“E’
tutto cambiato. Perché ho
poche amiche? Perché Tara, Olivia e Alice sono le uniche che
hanno saputo
trattarmi come se non fossi mai stata male. Che non si sono lasciate
guidare
dai pregiudizi. A Marzo, quando abbiamo cominciato a sentirci, io e te,
io volevo
qualcuno di completamente esterno.”
Finalmente
Hope cercò i suoi
occhi, che trovò addolciti, brillanti e sorridenti che la
fecero sentire meglio
grazie all’adrenalina dolce.
“Volevo
qualcuno che non sapesse,
che non si lasciasse prendere dai pregiudizi, che mi giudicasse per
quello che
sono. Perché era difficile anche farsi un’idea di
se stessi. Come faccio a
sapere se sono simpatica, carina o intelligente se tutti mi trattano
comunque e
sempre con accondiscendenza? Dandomi sempre ragione solo
perché sono stata
malata? Sentendosi in dovere di essere meno duri e più
cauti?”
Harry
sorrideva. E capiva. Capiva assolutamente il desiderio di essere
giudicato per quello che si è e non per cosa si fa (nel suo
caso) o per una malattia (nel caso di Hope). A lui non piaceva che le
persone gli dicevano "sei famoso": perchè, dicendo
così, sembrava lo annullassero come persona, riducendolo
semplicemente a "una persona famosa", appunto. Era una cosa che
odiava.
“E
così ho voluto fare con te.
Non ti ho detto niente perché non volevo essere compatita.
Ho sbagliato perché
non ti ho detto tutto su di me, è vero. Ma per una buona
ragione. E per questo
non intendo chiederti scusa. Non pensare che non sia mai stata tentata
di dirti
tutto. Lo sono stata, più di una volta, ma ero terrorizzata
che tutto potesse
cambiare. Che tu ti facessi sentire di meno perché ti eri
spaventato; e che ti
facessi sentire di più perché ti facevo pena. Volevo qualcuno che fosse vero,
fosse vero con me
Harry.”
Harry
si fece un po’ più avanti,
sfiorò le dita di lei, non perdendo di vista il suo sguardo.
“Finalmente
potevo essere vista
come sono. Tu me ne hai dato la possibilità. Non voglio che
tutto quello che
c’è stato e che c’è tra di
noi svanisca perché ho fatto il grande errore di
ammalarmi di nuovo.”
La
mano di Harry era su quella di
Hope, il braccio di lui accarezzava quello di lei, permettendogli di
avvicinarsi ancora un po’, a sufficienza per scorgere le
sfumature dei suoi
occhi.
“E’
per quello che ti dico che mi
dispiace. Mi dispiace perché il nostro rapporto
cambierà anche se io ho fatto
di tuto, di tutto, davvero, per evitarlo. E vorrei non accadesse. Ma
accadrà,
no?”
Hope
abbassò lo sguardò,
sbattendo gli occhi un paio di volte. Harry ne approfittò
per avanzare ancora.
Hope
si accorse della pericolosa
vicinanza del viso di Harry quando se lo trovò a meno di
mezzo metro dal
proprio, nel momento in cui sollevò gli occhi.
Harry
le mise una ciocca di
capelli dietro le orecchie, guardandole il viso come se vedesse il
fiore più
bello del mondo.
“il
nostro rapporto è cambiato
quando hai scoperto chi ero?” le chiese bisbigliando.
Hope
aveva gli occhi lucidi. La
mano di Harry si fermò sulla sua guancia. Il cuore
cominciò a batterle un po’
più forte. Harry lo notò non solo dalla macchina
cardiaca che decise
volutamente di ignorare, ma anche dal respiro che Hope stava
trattenendo.
“no…”
rispose lei, con
esitazione. “Io non… No.” Il secondo
‘no’ lo disse con più convinzione.
Harry
sorrise. “Non ti sei mai
chiesta perché non te l’ho detto?”
Hope
si era persa a guardarlo.
“Si, credo di si…”
“Cercavo
la stessa cosa. Ma ho
trovato molto di più.”
Alice
tornò in quell’esatto
momento approdando nella sala d’attesa del reparto.
Guardò verso la stanza di
Hope e notò due cose: la prima era che, da lì, si
vedeva solo un pezzettino
della maglietta scura che Harry portava quel pomeriggio; ciò
significava
fondamentalmente una sola cosa: Harry era molto vicino ad Hope, in
particolare
i loro due visi dovevano essere particolarmente molto vicini, per
baciarsi COME
SI DEVE per la prima volta; la seconda, invece, era che ad un passo
dalla porta
della stanza, c’era Jean, l’allenatore di
pattinaggio di Hope, che concentrato
a controllare che il numero della camera fosse quello giusto, non
notò cosa
stava per interrompere.
Hope
fece per chiudere gli occhi,
volendo assaporare con tutta se stessa il suo secondo-quasi-primo bacio
serio
con Harry. Pensò che poteva essere un bel premio di
incoraggiamento per
affrontare il futuro. Le loro labbra furono ad un soffio
dall’incontrarsi;
poteva sentirne il profumo. Harry era sicuro che finalmente
l’avrebbe fatta
sua, baciandola come MAI aveva fatto: mettendo tutto se stesso per
renderlo
indimenticabile. In fondo era bravo, quando si impegnava.
“MA
CHERIE!” Jean spalancò la
porta prima che Alice potesse essere a metà strada dal
fermarlo.
Hope
si ritrasse immediatamente e
la mano di Harry scivolò via dal suo viso.
“MON
ANGE, COME STAI???”
Jean
probabilmente non si era
minimamente accorto nemmeno della presenza di Harry che fece un passo
indietro,
passandosi la stessa mano che aveva accarezzato il viso di Hope tra i
capelli,
per giustificare il fatto che fosse a quell’altezza.
Hope
sorrise, un sorriso
leggermente forzato, ma pieno di cortesia e gentilezza.
Mentre
Jean la ricopriva di baci
su entrambe le guance, comparse Alice sulla porta, quasi come se avesse
corso. Harry
si voltò a guardarla: aveva la faccia da
amica-comprensiva-che-ha-capito-tutto-e-ha-cercato-di-evitare
–l’interruzione-senza-successo.
Guardò
Harry, il quale le
restituì uno sguardo tra l’accusatorio e lo
stranito. Alice arricciò il naso e
mimò le parole “MI DISPIACE, SCUSA”.
|
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Capitolo 23 *** Fingere ***
Ecco qui, nuovo capitolo. Un
po' più lungo, per recuperare quelli di prima ^^
Buona lettura :)
Emma ;)
Capitolo
23 – Fingere
La chemioterapia
iniziò la settimana
successiva, esattamente come aveva detto Hope. Harry si era fatto
l’idea che
probabilmente il pomeriggio stesso sarebbe stata distrutta. E per
questo non
sapeva come affrontare ciò che doveva dirle. Invece quando
entrò in camera sua,
poco dopo Alice, la trovò sorridente e solare, come sempre
era stata.
“Ciao!”
lo salutò appena aprì la
porta.
Harry
sorrise.
“E
poi Olivia mi ha detto di
dirti che il film è quasi bello come il libro”
diceva Alice, seduta sul letto
di Hope, mentre Harry si avvicinava per darle un bacio sulla guancia.
I
due si scambiarono uno sguardo
complice.
“E’
inutile dirti che io non sono
d’accordo” continuò Alice.
“non
sei d’accordo?” chiese Hope
“ma se non sbaglio l’hai visto a Gennaio, quando
è uscito, e mi avevi detto che
ti era piaciuto…”
Alice
fece una smorfia. “Ssssi…
Ma non mi piace più. Olivia ha sempre torto da quando
frequenta Oxford.”
“Alice…”
“Cosa?
E’ vero! Mi devo allenare.
E anche tu devi farlo. Ti ricordo che fra tre mesi saremo nel bel mezzo
della
vita universitaria e TU non ti puoi nascondere dietro la scusa del
cancro,
questa volta.”
Hope
sorrise. Alice ci credeva
seriamente a quello che diceva.
“Allora
come va?” chiese Harry.
Hope
scrollò le spalle. “Mi sento
bene”
“Si
ma devi riposare.” Le disse
Alice ripetendo le stesse parole della mamma di Hope.
“Alice
lo so, ma mi sento bene.
Mi sento normale.”
“Io
dico che dovresti dormire.”
“Ho
tutto il tempo per farlo.
Adesso non mi va proprio.”
Alice
la studiò con gli occhi
socchiusi.
“Mi
andresti a prendere una
merendina?” chiese Hope non riuscendo più a
sostenere lo sguardo indagatore di
Alice.
Alice
sbuffò. “Va bene. Cosa
vuoi?”
“Ciò
che vuoi, al cioccolato.”
“Evviva
la salute.”
“Alice…”
“VADO
VADO.”
Quando
Alice chiuse la porta,
Harry guardò Hope.
Lei
chiuse il libro che aveva
sulle gambe e lo mise sul comodino.
Sembrava
normalissima. Eppure
Alice gli aveva detto che ogni seduta sarebbe stata terribile, anche la
prima.
Ma Hope sembrava essere come il pomeriggio precedente e quello prima
ancora.
Con l’esclusione di un cerotto a metà braccio
sinistro.
Gli
sorrise, aspettando che lui
finisse di studiarla.
“Tutto
bene?” gli chiese poi.
Lui
si sedette sul letto, vicino
a lei.
“Normale.”
Rispose, cercando di
trovare le parole giuste per cominciare quel
discorso.
“Allora?
Quando partite?” chiese
lei.
Harry
sollevò lo sguardo stupito.
Come diavolo faceva a saperlo?
“Oh
Harry, cosa credi? Insomma,
qui non ho altro da fare che leggere, dormire, guardare un
po’ di mtv e
ascoltare la musica. Nonostante io cerchi di evitare di ascoltare cose
su di te
e sui tuoi amici perché non me ne frega niente, al resto del
mondo invece,
chissà perché, importa sapere cosa avete da
fare.”Hope scherzava.
“Partiamo
giovedì” rispose Harry,
convinto da quel sorriso. “Torniamo domenica.”
“il
concerto è Sabato a Parigi
giusto?”
“Esatto.”
“uao,
Parigi mi piace tantissimo.
E poi, dove andate? Barcellona?”
“No
prima Roma. Poi Barcellona e
infine Berlino, nella stessa settimana.”
“Direi
che in questo momento ti
invidio è poco.” Disse Hope. “io non
saprei davvero da dove cominciare. Insomma
Parigi la amo tantissimo. Berlino non l’ho mai vista.
Probabilmente farei
Berlino prima e Parigi la lascerei per ultima. Barcellona ci sono
stata, due
volte, bella città sul serio se si gira a piedi
e…”
“Hope.”
Harry le sfiorò la mano,
attirando la sua attenzione.
“si?”
“Hope
sarò via tutti i weekend
per tre settimane.”
“Lo
so.” Rispose Hope,
aggrottando la fronte. “perché me lo
dici?”
“perché
non sarò qui con te.”
Hope
rise. “me la caverò
benissimo da sola, Harry.”
“Io
non vorrei ma…”
“Cosa?
Non vorresti? Cazzo, io
farei immediatamente cambio!”
Harry
stava per ribattere ma si
fermò: gli occhi di Hope erano sinceri, avrebbe fatto cambio
sul serio. E
sinceramente anche lui avrebbe fatto cambio. Glielo stava per dire, ma
non se
la sentì. Sarebbe stato insensibile.
“Parigi,
Roma, Barcellona e
Berlino in tre settimane. Cioè…UAO! Fai proprio
un bel lavoro!”
Harry
capì che doveva farsi
andare bene i suoi concerti per lei. Per vivere ciò che lei
non avrebbe potuto
vivere per tutto quel tempo, stando in quella stanza.
“I
ragazzi verranno a salutarti
mercoledì, va bene?”
Hope
annuì. “Come vogliono loro!
Io da qui non mi muovo di certo…”
Harry
se ne andò verso le sette,
come Alice e i suoi genitori. Appena la porta della camera fu chiusa,
Hope
appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Sentiva il
proprio corpo
contorcersi su se stesso da un paio d’ore.
Era
stata fantastica a mentire.
Fece un piccolo sorriso, sarcastico. Era stato fin troppo facile, era
diventata
bravissima. Anche con Harry. Questo le provocò
un’ondata di terrore: gli aveva
mentito guardandolo negli occhi, dicendogli che stava bene quando,
invece, il
veleno le bruciava le vene; aveva detto che non vedeva l’ora
di vedere le foto
di quelle splendide città, quando invece sapeva
perfettamente di non poter
portare avanti la commedia della ragazza felice per sempre. Non ne
aveva le
forze, anche se era davvero felice per lui. Gli aveva mentito, come si
mente ai
bambini o ai cani. E lui si era lasciato fregare, si era fidato di lei.
Molto,
troppo facilmente. Che scelta aveva Hope? Nessuna. Doveva dire di stare
male,
farlo preoccupare, farlo sentire uno schifo perché se ne
andava via? No.
Probabilmente molto presto la cosa si sarebbe scoperta
perché un dolore del
genere non si può semplicemente nascondere. Come se fosse una
sbucciatura fatta cadendo
dal motorino di un tuo amico su cui i genitori ti avevano vietato di
salire.
Non poteva indossare quella maschera per sempre. E quindi
perché anticipare?
Per
tutta la mattina, il giorno
dopo, a 24 ore dalla seduta, Hope cercò di recuperare
l’infernale nottata. Non
aveva dormito niente, tirando su ciò che aveva mangiato la
sera, a causa della
nausea continua e del dolore. Il lenzuolo sembrava che le graffiasse
tutto il
corpo, come braci vive, non lasciandola dormire. Per colazione aveva
preso il
tè caldo, rifiutandosi di mangiare i biscotti. Avrebbe
sicuramente tirato su
anche quelli. Mise un po’ più di zucchero del
normale, zero limone, e poi si
rimise a dormire.
Per
pranzo le cose non erano migliorate
più di tanto: il dolore era lo stesso, anche se la nausea
sembrava essersi
placata. Almeno finchè non comparve l’infermiera
con il pranzo. Si costrinse a
mangiare, perché sapeva che non avrebbe saputo affrontare il
pomeriggio senza
mangiare. Si concentrò su tutto ciò che poteva
asciugare, come il pane, e
chiese un pacchetto di fette biscottate.
Poco
prima che cominciasse
l’orario di visite andò in bagnò e si
guardò allo specchio: si vedeva che non
aveva dormito. Le sembrava di essere anche più bianca.
Quando
tornò a letto, vide che
c’era qualche capello rosso sul cuscino. Abbassò
lo sguardo stringendo i pugni:
ed era solo l’inizio.
Quando
Harry e Alice andarono in
ospedale erano già le tre. Alice, avendo
l’esperienza dell’anno precedente,
pensava di trovarsi una Hope debole. Invece, la trovò con la
schiena appoggiata
al cuscino, impegnata a sorridere a Jean che l’aggiornava su
alcuni fatti
accaduti al palazzetto, cosciente di ciò che le accadeva
intorno. Le sembrò
strano ma non si lamentò: se la chemio che le stavano dando
era più potente di
quella precedente, non si vedeva.
Harry,
che non aveva nessuna
‘esperienza’, la pensò allo stesso modo.
Alice
però si accorse di una cosa
che la fece ricredere: sul comodino di Hope c’era ancora la
merendina che le
aveva portato il giorno prima.
“Oh
me ne ha portata mamma
un’altra dopo pranzo.” Le disse Hope, quando si
accorse dello sguardo stranito
di Alice. “Durante la notte ho mangiato la tua. E
l’infermiera ha detto che va
bene, che il cioccolato può farmi solo bene.”
Sorrise
all’amica anche se per
troppi pochi secondi. Poi cambiò argomento.
Il
giorno successivo sarebbero
andati a trovarla gli amici di Harry. Tutti e cinque insieme. Doveva
dormire. E
se l’era ripetuto tutta la notte.
La
sera prima aveva cenato e poi aveva bevuto qualche intruglio di farmaci
che
teoricamente avrebbero dovuto lenire il senso di nausea. Aveva vomitato
comunque quattro volte. E aveva cominciato a sentire freddo.
La
mattina aveva 38 di febbre.
Sapeva che se avesse rifiutato al colazione, avrebbe reso
più difficili alle
infermiere darle le medicine per fargliela passare. E doveva farsela
passare:
era terrorizzata dal pensiero di farsi vedere debole. Così
mangiò più fette
biscottate che poté per riempire lo stomaco e qualche sorso
di tè. Strinse i
denti e trattenne tutto nello stomaco. Le diedero le medicine e a
pranzo la
febbre era scesa di un grado. Fece un altro sforzo e mangiò
altre fette per
pranzo. Andò in bagno e la visione di sé stessa
nello specchio fu terrificante.
Tornò in stanza (il cuscino era pieno di capelli rossi) e
prese il cellulare.
Scrisse ad Alice di portarle il fondotinta più chiaro che
avesse.
Harry
arrivò prima degli altri,
per assicurarsi che Hope stesse bene e se la sentisse. Alice non era
passata a
casa loro anche perché la macchina sarebbe stata piena e si
era diretta subito
in ospedale.
Quando
Harry entrò in camera, non
notò la faccia di Alice, mezza arrabbiata e preoccupata.
Baciò Hope sulla
guancia, sentendo uno strano profumo, diverso da quello solito della
sua pelle.
Non ci fece caso e chiese ad Hope come stava.
“Normale.”
Rispose lei,
sorridendo.
I
suoi occhi sembravano più
velati rispetto alle volte successive.
“I
ragazzi arriveranno fra
un’oretta. Va bene?”
Hope
annuì.
“Allora
Harry” chiese Alice “Come
vanno i preparativi?”
Louis,
Liam, Niall e Zayn
rimasero da Hope un paio d’ore, giusto il tempo per salutarla
e parlare del
viaggio imminente.
“Non
ti preoccupare lo teniamo
d’occhio noi” disse Liam facendole
l’occhiolino, quando se ne andarono
riferendosi ad Harry.
Hope
si limitò a sorridere.
Harry
rimase con Hope almeno
un’altra mezz’ora. Solo al momento dei saluti,
Alice decise di lasciare la
stanza. Era una cosa che Harry aveva notato durante tutto il giorno:
non si era
mai alzata dalla sedia, come se quel giorno fosse un giorno speciale
per tenere
d’occhio Hope. Di solito li lasciava da soli per qualche
minuto. Ma forse era
perché erano venuti a trovarla gli altri.
“Allora
sei pronto?” gli chiese
Hope quando Alice se ne fu andata.
“Abbastanza.”
“Non
sei…emozionato?”
“Per
cosa? Per i concerti?”
Hope
annuì.
Harry
sospirò. “E’ sempre
un’emozione.”
Hope
sorrise anche se avrebbe
voluto fargli una battuta. Ma non aveva più le forze.
Sperò che Harry non si
trattenesse a lungo.
“Sarà
fantastico, vedrai” disse
poi, appoggiando la testa al cuscino.
“Sei
stanca?” chiese lui, un po’
allarmato.
“No
Harry. Mi fa male un po’ il
collo, tranquillo.” Disse Hope.
“Mi
prometti una cosa?”
“Qualunque.”
“Fai
tante foto.”
Harry
rise e annuì.
Poco
dopo la salutò con un bacio
sulla guancia e se ne andò.
Alice,
che era tornata, si voltò
verso Hope, il cui viso si era trasformato in meno di un secondo da
sereno a
devastato.
“So
che stai male. Ma sai come
sono.” premesse, stringendo le labbra, quando si
assicurò che Harry non potesse
tornare indietro. Hope, di tutta risposta, chiuse gli occhi.
“Lo sai, vero, che
stai completamente sbagliando con Harry? Non puoi metterti chili di
fondotinta
sulla faccia e fingere che la chemio non ti faccia un cazzo. Non potrai
andare
avanti per sempre.”
Hope
non rispose. Ma non dormiva,
Alice lo sapeva benissimo.
“Stai
sbagliando. Cosa credi che
farà quando tornerà da Parigi? Lui, adesso,
è convinto che la chemio non sia
più di tanto aggressiva. Che per qualche fottuto miracolo,
il tuo corpo stia
reagendo bene.”
Hope
emise un leggero sospiro.
“Cosa dovevo fare?” disse con voce stanca, in un
bisbiglio. “Lasciarmi andare e
fargli vivere i tre giorni peggiori della sua vita?”
“Sarebbe
stato almeno consapevole
di cosa avrebbe trovato al ritorno. Di chi avrebbe trovato
realmente.”
Hope
rimase in silenzio.
“Sarà
devastante per lui”. Aggiunse
Alice.
Hope
strizzò gli occhi e voltò la
testa dall’altra parte.
Alice
aveva perfettamente
ragione. Ma ormai non si poteva tornare indietro.
“Be’…
sono agitato se proprio lo
vuoi sapere. La cosa mi spaventa parecchio.”
“Ti
spaventa?”
“Si.
Insomma devo cantare. Ho
sempre dubbi quali ‘e se sbaglio? E se
stono?’”
“ti
adorano troppo le tue fan
anche solo per accorgersene, Harry.” Sospirò Hope.
Il
foulard le dava fastidio.
Aveva ancora una gran quantità di capelli sulla nuca, ma
cominciavano a
intravedersi i buchi delle ciocche mancanti.
“in
che senso?”
Erano
al telefono. Hope aveva
superato due giorni di febbre a 39, continua, come se si fosse
trattenuta anche
lei fino alla partenza di Harry. Era sabato sera, poco prima
dell’inizio del
concerto di Harry, e finalmente i conati di vomito erano diminuiti,
passando
solo a due volte durante il giorno e una volta durante la notte.
“Non
fare il prezioso. Sei quello
che piace di più. O forse è Zayn. No,
probabilmente è Zayn. In effetti è
proprio carino.”
“Ah
GRAZIE”
“Scherzo.
Comunque nessuno se ne
accorgerà se stonerai.”
“Ho
sempre il dubbio di
dimenticarmi le parole.”
“Di
dimenticarti le parole?”
“Cazzo,
si!”
“Ma
canti solo quelle! Dovrebbero
uscirti dalla testa.”
“Guarda
che non è facile quando
sei di fronte ad un pubblico così numeroso
e…pazzesco.”
“Fattele
suggerire.”
“farmele
suggerire, stai
scherzando? E da chi?”
“Siete
lì in cinque, mica avrete
un vuoto di memoria tutti insieme nelle stesso identico
momento?!?”
Harry
non rispose subito “Ci
capita più spesso di quello che credi.” Hope ebbe
la sensazione che non si
riferisse solo a situazioni quali i concerti.
Rise “Non
voglio sapere
altro. Allora da qualcuno nel dietro le quinte, nelle cuffie che avete
nelle
orecchie… sennò usate il classico
trucco.”
“Il
classico trucco?”
“Ma
si, dai, quello di far
cantare loro. Lo sanno tutti.”
“Loro,
chi?”
“gli
strumenti musicali, Harry.”
Rispose sarcastica “Ma come CHI? Le vostre fan no??? I
cantanti lo fanno sempre
durante i concerti… stanno cantando, si dimenticano e girano
il microfono verso
il pubblico.”
“Aaaaaah
quel trucco. Oh be’ si
hai ragione. Comunque la coreografia è stupenda.”
“Ah
si?” chiese Hope con
indifferenza. In realtà, aveva acceso Mtv e stava guardando
le immagini in
diretta. Ovviamente con l’audio spento.
Harry
non l’aveva fregata. Voleva
sapere se lo stava seguendo, ma lei era stata probabilmente
più furba. Ma se lo
sentiva che Hope lo stava guardando dalla tv della camera.
Gli
passò accanto Niall che urlò
CIAO HOPE.
Hope,
dall’altra parte della
cornetta, lo salutò e Harry riportò il saluto.
Louis,
accanto a lui, si sistemò
i capelli poi lo guardò e gli indicò la testa,
come a fargli segno di
sistemarseli. Harry si guardò allo specchio. Secondo lui
stava benissimo così.
“Devi
andare?” chiese Hope,
sentendo che lui non rispondeva più.
Liam
gli fece segno che mancavano
3 minuti.
“Si
fra poco.”
“Be…
buon divertimento, allora.”
“Aspetta.”
Harry
fece segno a Louis che andava
a cercarsi un posto più appartato.
“Adesso???”
sussurrò il suo amico.
“ma hai visto Liam? Hai 2 minuti!”
Harry
gli fece il pollice alzato
e se ne andò.
“Ma
che cazzo.” Disse Louis ad
alta voce, allargando le braccia esasperato.
“Okay,
ecco.” Harry era riuscito
a trovarsi un angolo silenzioso, dove il rumore dello stadio arrivava
molto più
attutito. Il gruppo che apriva il loro concerto, 5 Seconds of Summer,
stava
chiudendo la loro ultima canzone.
“Come
stai?”
“te
l’ho detto prima Harry, sto
bene.”
“Seriamente.
Alice mi sembrava
preoccupata prima.”
Hope
rimase in silenzio un paio
di secondi. “Hai sentito Alice?” chiese poi, con
voce fredda.
“Si.
Cioè no. Io non l’ho proprio
sentita, le ho mandato un messaggio con scritto come andava secondo
lei, come
stavi dal suo punto di vista… non l’ho proprio
sentita-sentita…”
Hope
trattenne una piccola
risata: anche se non le andava proprio a genio che lui avesse sentito
Alice, il
suo imbarazzo la divertiva. Era molto tenero. E questa sensazione la
faceva
sentire meglio.
“Sto
bene davvero, Harry” lo
interruppe.
“sicura?”
“si,
stai tranquillo. Pensa al
tuo concerto, adesso. Divertiti e falle divertire.”
Harry
sorrise. “Ci sentiamo
dopo?”
“Non
credo di stare COSI bene da
poterti aspettare sveglia. Perdonami ma probabilmente
dormirò…”
“Va
bene. Allora buona notte
Hope. Ti voglio bene. A domani.”
“Buon
concerto, Harry. A domani.”
Hope
chiuse la comunicazione e
tolse il muto dalla tv, facendo rimanere quasi al minimo il volume; si
addormentò appena gli One Direction fecero il loro ingresso
sul palco.
Harry
atterrò la domenica sera.
Era stato un week end lungo ma fantastico. Il pubblico di ragazze era
stato
strabiliante, la città l’aveva conquistato e in
albergo avevano mangiato come
maiali. Soprattutto Zayn: non c’era stato momento senza che
lo vedesse con in
mano qualche cosa da mangiare. Adorava Parigi.
Chiamò
Hope ma lei non rispose:
probabilmente dormiva, era abbastanza tardi.
Harry
arrivò in ospedale
leggermente in anticipo prima del necessario. Alice, che era venuta con
lui, gli
aveva parlato pochissimo durante il viaggio casa-ospedale. Era fredda e
distaccata. Ma ad Harry non importava: non vedeva l’ora di
vedere Hope.
La
cosa che lo colpì maggiormente
quando la vice fu il foulard arancione che indossava sulla testa. Non
se l’era
aspettato. Hope era anche più bianca di quattro giorni
prima. Le labbra si
potevano quasi confondere con il resto del viso.
Ma
quando la sentì parlare, con i
suoi e con Alice, capì che la forza della sua Hope era
ancora del tutto
integra.
Le
raccontò del concerto quando
lei glielo chiese: e la luce negli occhi di Hope sembrava vera. Avrebbe
voluto
che Alice se ne andasse in modo da poter ricreare l’atmosfera
di qualche
settimana prima, perché provava una voglia immensa di
baciarla. Era contento
per il concerto, era contento perché Hope aveva superato la
prima seduta di
chemioterapia con grande successo ed era contento nel vederla
così serena. Le
fece vedere le foto e rise insieme a lei per le cazzate che lui e i
suoi amici
avevano fatto. Ma Alice non se ne andò: rimase sulle sedia
tutto il pomeriggio,
quasi del tutto silenziosa, come se fosse arrabbiata.
“Alice
ma è tutto ok?” le chiese
durante il viaggio di ritorno dall’ospedale.
Alice
si voltò a guardarlo. Harry
stava attento alla strada ma sentì gli occhi penetranti di
lei perforagli il
cervello.
Ci
impiegò parecchi minuti a
rispondere. “Si.” Disse infine.
“E’ tutto ok. Sono solo preoccupata.”
“per
Hope? Anche io lo sono. Ma
credo che se la stia cavando bene.”
Alice
vede una smorfia. “Certo,
come no.” Rispose. ‘a mentirti se la sta cavando in
modo eccezzoionale’ pensò
poi.
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Capitolo 24 *** Tutto ciò che non odio ***
Capitolo
24 - Tutto
ciò che non odio
La
seduta successiva fu in
coincidenza con il giorno del concerto degli One Direction a Roma. Il
corpo di
Hope non aveva la minima intenzione di alzarsi dal letto quella
mattina,
sapendo cosa avrebbe dovuto affrontare. La dottoressa Hife la venne a
trovare
per un consulto di ‘incoraggiamento’. Come se Hope
ne avesse bisogno, come se
un paio di parole con la psichiatra potessero farle dimenticare la
situazione.
Le chiese del ragazzo capellone che qualche volta la veniva a trovare.
Hope
rispose a monosillabi: Harry doveva starne fuori, non voleva
coinvolgere lui e
la sua vita.
Riuscì
a vedere quasi tutto il
concerto della sera stessa: il circo massimo era letteralmente
stracolmo di
ragazzine piangenti/urlanti/entusiaste e la scenografia era molto
più bella di
quella di Parigi. Ovviamente le italiane erano le più
scatenate. Insomma… la
fan choreography era stata stupenda (erano riuscite a creare una frase
per
ringraziare i loro idoli, composta da parole e versi prese dalle loro
canzoni)
e ancora una volta i ragazzi aveva addirittura pianto. Niall
più di tutti.
Ma
la notte di Hope era stata un
inferno.
Harry
spense il motore nel
parcheggio dell’ospedale. Fece per uscire dalla macchina, con
il piccolo regalo
di Hope tra le braccia preso a Roma, quando Alice gli mise una mano sul
braccio
bloccandolo.
“Harry.”
Lui si voltò. Alice non
era più fredda, come le era stata quando l’aveva
incontrato meno di un’ora
prima. Non aveva rivolto la parola a nessuno a parte salutare. Tutti e
cinque
l’avevano notato e Niall aveva detto che probabilmente era
‘in quei giorni’
quindi meglio non chiederle niente.
Si
mordeva le labbra. “Cosa?”
chiese Harry.
“Non
so come dirtelo. Io non
dovrei farlo, in effetti. Ma non posso far finta di niente.”
Harry
sollevò un sopracciglio.
“Cosa stai dicendo?”
“Hope
non sta per niente bene.”
Harry
si sentì gelare il sangue
nelle vene. “In che senso?” chiese cauto.
“La
seconda seduta è stata… è
stata molto peggio della prima. Hope è due giorni che ha la
febbre alta e non
mangia.”
Harry
non riuscì più a parlare.
Guardò gli occhi chiari di Alice, aggrappandosi a quelli. La
voce di lei tremò
mentre tentava di continuare.
“Non
ha quasi toccato cibo. Io…
Non è facile, Harry. Non è più come la
ricordi.”
Ricordare?
Ma che significava?
Una persona non può cambiare così radicalmente in
meno di due giorni.
-Mio
Dio- pensò Harry appena la
vide.
E
fu un pensiero inevitabile, non
lo fece apposta. Pensò la stessa cosa che aveva pensato
quando era andato a
trovare i malati oncologici.
Aveva
ancora il foulard, di
colore azzurro pallido, i capelli erano quasi del tutto caduti; la
pelle era
così bianca che poteva confondersi con il muro; il pigiama
che portava sembrava
starle troppo grande; il viso mostrava i segni della febbre, del non
aver
mangiato, della chemio e del cancro.
Dormiva
quando Alice e Harry
arrivarono. I genitori uscirono piano dalla stanza e aggiornarono Alice
e Harry
con l’angoscia nella voce.
“Ha
ancora la febbre” disse
Hannah. “E’ due ore che dorme, probabilmente fra
poco si sveglierà. Non voglio
che si ritrovi da sola quando lo farà. State qui con voi
mentre io vado a
cercare il dottore?”
Alice
annuì. “vai pure. Stiamo
qui noi.”
La
mamma di Hope ringraziò con un
sorriso e insieme al padre si allontanò.
Harry
si voltò verso Hope e la
guardò attraverso la vetrata della camera. Aveva gli occhi
stretti e faceva
alcune smorfie con tutto il viso.
“E’
il dolore” spiegò Alice,
seguendo il suo sguardo. “E’ il dolore.”
Harry
avrebbe voluto entrare in
camera, svegliarla e strapparla dalle grinfie di ciò che le
faceva male.
Sembrava così facile: entrare e portarla via. Ma lui non
poteva fare niente. Di
colpo, tutta la gioia e tutte le illusioni che si era fatto, si
frantumarono.
Per due settimane aveva creduto in qualcosa che non era reale.
Alice
gli sfiorò il braccio. Lui
la guardò e si lasciò abbracciare, sentendosi
incredibilmente inutile.
Passò
un’altra ora prima che Hope
aprisse gli occhi. Non sapeva che ore fossero, ma supponeva fosse
pomeriggio
inoltrato.
Alice
era sulla sedia, intenta a
leggere qualcosa. Ma appena Hope si mosse, alzò la testa di
scatto e, vedendola
sveglia, le si avvicinò.
“Ciao…”
le sussurrò.
Hope
aveva i muscoli indolenziti,
come se avesse corso per vari chilometri. Le bruciavano le giunture.
Alice
l’aiutò a mettersi seduta e
le porse il bicchiere con l’acqua e qualche altra sostanza
nutritiva.
Hope
temette che il bicchiere
potesse cadere quando lo prese in mano. Tremava. Ma si
concentrò, e con grande
sforzo riuscì a prendere qualche sorso aspirando dalla
cannuccia.
Si
guardò in giro, cercandolo.
“E’
appena sceso a prendere un
caffè.” Le disse Alice prima che Hope potesse
mettere in fila le parole per
chiederglielo.
Quindi
l’aveva vista.
Alice
indovinò i suoi pensieri.
“Non si può certo dire che sia felice. E che stia
bene. Ma l’avevo preparato.”
Hope
la guardò.
“Cosa
dovevo fare?” chiese Alice
risedendosi sulla sedia e riprendendo il libro. “Farlo
arrivare qui e non
dirgli niente? Credo che si meriti di più di
questo.”
Hope
avrebbe voluto ringraziarla.
Alice
guardò fuori dalla camera,
verso il corridoio, e annuì.
Stava
arrivando.
Harry
si comportò come se Alice
non fosse stata presente. Appena entrò in camera, le si
sedette accanto e le
accarezzò il viso, studiandoglielo. I due si scambiarono
pochissime parole:
Hope non riusciva a sostenere una conversazione per più di
cinque minuti. Era
come scalare un vulcano, con le pietre infuocate che ti colpiscono il
corpo in
continuazione.
Hope
cadde e rivenne dal sonno
cinque volte in un pomeriggio. Le infermiere chiesero se le andava di
fare
merenda, di mandar giù qualcosa, ma lei si
rifiutò nonostante la madre di Hope
tentasse di convincerla. Il dottore aveva detto che non poteva fare
altro che
prescriverle altri liquidi. Per ora.
Quando
Harry arrivò a casa, i
ragazzi stavano preparando la cena.
“Ehi!”
lo salutò Liam venendo
incontro a lui ed Alice. “Come va?”
Harry
lo fulminò e, con le mani affondate
nelle tasche, gli diede una spallata, diretto in camera sua.
Alice
non potè far altro che
assistere impotente fino a quando Harry non sbattè la porta,
due piani sopra.
Si
sentirono i vetri tremare.
Louis
accorse dalla cucina insieme
a Zayn. Guardò Alice perplesso.
“non
è colpa mia” cercò di
scherzare lei. Ma il sorriso che le uscì dalla bocca, fu
accompagnato da un
paio di lacrime.
Harry
fece tre passi avanti e
indietro per la camera. Poi, scaraventò tutto ciò
che aveva sulla scrivania per
terra, in preda alla rabbia.
Era
furioso. Era furioso con se
stesso e con Hope. Aveva passato due weekend divertendosi, credendo che
lei
stesse bene. Che lei stesse affrontando la cosa in modo pazzesco. Aveva
creduto
che tutto ciò che si dice sulla chemio fosse un falso.
Quanto era stato
stupido? Doveva aspettarselo: era stato uno stupido idiota ad illudersi
che
tutto sarebbe tornato normale. Che tutto era normale. Lui si era
divertito,
mentre lei, piano piano, cominciava a morire. Cosa pensava? Che
l’operazione
fosse solo uno scherzo? Che la chemioterapia ‘più
pesante’ era solo un modo di
dire?
Tirò
un calcio al comodino,
facendosi anche male.
Ma
non gli importava: si sentiva
tremendamente in colpa per essersene andato e per non esserle stato
vicino.
Odiò gli One Direction. Odiò i suoi amici.
Odiò Louis. Odiò i suoi concerti e le
sue fan. Odiò sé stesso. Odiò la sua
vita. Odiò ciò che era. Avrebbe voluto
strapparsi la pelle a morsi, per uscirne.
Bussarono
alla sua porta.
“Harry?”
era la voce di Liam.
E
adesso che cazzo voleva?
“Harry
siamo noi, lasciaci
entrare.” Disse Niall.
Harry
non doveva aprire la porta.
Probabilmente li avrebbe presi a pugni. Perché per ora
voleva solo spaccare
tutto e tutti. Strinse i pugni, tremante di rabbia. Sentì la
mano destra
bagnata.
“Harry
apri. Ti farebbe bene
parlare.” Aggiunse di nuovo Liam, in tono da papà.
“Andate
via” disse, con la voce
più profonda del solito. Non aveva nessuna voglia di sentire
le cazzo di
lezioni di vita di Liam. “Vattene Liam, tu e chiunque ci sia
dietro questa
porta. Andate via, ADESSO.”
Dopo
mezzo minuto sentì dei passi
che si allontanavo e che scendevano le scale.
Odiava
anche Hope: perché non gli
aveva detto niente? Perché l’aveva lasciato
divertire? Perché gli aveva
mentito? E lui, idiota per la centesima volta, ci era cascato. Hope non
avrebbe
dovuto. Non importava se l’aveva fatto per proteggerlo, non
importava se aveva
cercato di tenerlo fuori. Lui faceva parte della sua vita adesso,
doveva e
aveva il diritto di sapere che cosa le accadeva. Forse si era lasciato
fregare
così facilmente perché in fondo non aveva mai
voluto vedere realmente cosa
accadeva. Si sentì uno schifo per odiarla. Si
sentì uno schifo per aver urlato
ai suoi amici di andarsene, di avergli urlato addosso, di aver odiato
gli One
Direction e le loro fan: di aver voluto non essere ciò che
amava più essere. Si
sentì uno schifo per aver cercato di baciarla, prima che
tutto ciò cominciasse.
Si
sedette sul bordo del letto,
con le lacrime amare che gli bagnavano il viso. Si mise le mani tra i
capelli
cercando di controllare le lacrime. Il ricordo di Hope che non riusciva
a stare
sveglia era l’unica cosa che vedeva quando pensava a lei. E
non voleva. Voleva
ricordarla con i pattini addosso, voleva ricordarla con il vento che le
scompigliava i capelli e glieli faceva andare nel gelato con un
‘che schifo’
della sua voce. Voleva ricordare le sue risate, voleva ricordare la sua
vera
voce. Voleva ricordare la vita che ci vedeva attraverso quando la
guardava.
Scese
a prendere qualcosa da
bere, qualcosa di fortemente alcolico possibilmente, dopo due ore. I
ragazzi
erano tutti davanti alla tv, al completo, anche Zayn che di solito
vedeva la
sua ragazza al ritorno da uno dei concerti. Quando si avviò
in cucina sentì i
loro sguardi fissi su di lui, in particolare sulla fasciatura che
portava sulla
mano.
In
cucina, aprì il frigor e,
senza esitazione, prese la vodka. Aveva tutta l’intenzione di
ubriacarsi.
Tornò
in sala, solo perché ci era
costretto a passare per tornare in camera.
Appena
gli occhi di Liam videro
la bottiglia trasparente, capì che dovevano intervenire. In
un attimo spense la
tv.
“Harry…”
“che
cazzo c’è” rispose lui in
modo brusco, senza nemmeno mettere il punto di domanda in fondo alla
frase.
“L’alcol
non mi sembra la scelta
più adatta in questo momento.”
Harry
sollevò la bottiglia e la
guardò. Poi, più arrabbiato di prima,
spostò gli occhi su Liam. “E cosa ti
sembra più adatto in questo momento? Una fetta di torta? Un
po’ di gelato?”. Odiò
per aver detto ‘gelato’ con la voce tremante. Lei
adorava il gelato.“Lasciami
in pace.”
“Almeno
stai qui. Sfogati con
noi.” gli disse Louis quasi implorante.
Harry
lo guardò e si arrabbiò
anche con lui.
“va
bene” disse facendo il giro
del divano e sedendosi vicino a lui. Sbattè la bottiglia sul
tavolo. “Adesso
sono qui. Siete più contenti?”
“Harry
sono sicuro che Hope…”
“Che
Hope COSA Liam? Che starà
bene? Che si riprenderà?”
“…Che
non vuole questo.” Liam
guardò la bottiglia.
“Ah
si? E tu come fai a saperlo?
La sei andato a trovare?”
Liam
si scambiò un’occhiata con
Louis.
Zayn
appoggiò i gomiti sulle
ginocchia e si sporse dal divano. “Sono sicuro che Hope non
ti ha detto quanto
stava male per non farti preoccupare…”.
Evidentemente Alice aveva spiegato loro
tutto quanto. Che si facesse un po’ i cazzi suoi, no eh?
Niall
deglutì prima di dire: “…
l’ha
fatto per farti godere i concerti…”
“l’ha
fatto per proteggerti…”
aggiunse Liam.
“MA
NON MI INTERESSA!” esplose
Harry. “Non mi interessa un cazzo di quello che ha pensato
lei, non mi
interessa un cazzo di quello che pensate voi e non mi interessa un
cazzo di
stare qui a parlare con voi! Perché si tratta solo di me!
SOLO DI ME, di come
sto io, non di voi, non di noi , per una cazzo di volta in tre anni, MA
DI ME E
BASTA. E delle tue fottute lezioni di vita Liam non me ne faccio un
cazzo in
questo momento. Questa situazione la gestisco e la affronto come pare a
me, non
voglio consigli, non voglio pareri, voglio solo essere lasciato in
pace, VA
BENE?”
Si
alzò e se ne andò.
Niall
chiuse mezzo occhio,
facendo una smorfia, aspettandosi il classico rumore della porta della
camera
che sbatteva che, infatti, arrivò presto.
“Be’”
disse poi, quando Zayn si
decise a riaccendere la tv. “Almeno ha lasciato qui la
vodka.”
La
loro casa si sviluppava su tre
piani: al piano terra c’era la zona
‘comune’, con cucina, sala e stanza
‘libera’ come la chiamavano loro. Al primo piano
abitavano Zayn, Liam e Niall:
era praticamente un appartamento di tre camere da letto più
una piccola sala; al
secondo c’erano Harry e Louis, anche loro in camere separate
ma con una zona in
comune.
Louis
fece il più piano possibile
nel tornare a letto. Prima di mettersi in pigiama, andò in
bagno a farsi una
veloce doccia e poi andò nella stanza in comune che divideva
le loro due camere.
Harry aveva ancora la porta chiusa. Louis si abbassò e guardò dalla fessura: la
luce era spenta, ma
era sicuro che non stesse dormendo. Si avvicinò alla porta e
posò una mano
sulla maniglia. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta. Non
l’aveva mai
visto così sconvolto.
Prese
un bel respiro e abbassò la
maniglia. Poi aprì piano la porta.
Era
come sospettava: Harry non
era nemmeno sotto le coperte. Era semplicemente seduto, probabilmente
dove lo
era stato per due ore dopo essersi fatto anche lui una doccia. Forse
pensando
che avrebbe sciacquato via tutto il dolore che provava.
Sollevò
lo sguardo su Louis. Gli
occhi erano pieni di lacrime e i capelli
in disordine dalla doccia. Come al solito, non ci fu bisogno di parole.
Harry
non provò nemmeno a cacciarlo via, perché, in
fondo, non voleva farlo. Louis si
sedette accanto a lui, guardandogli la mano fasciata malamente e
collegandola
ai pezzi di vetri cosparsi sulla scrivania. Harry abbassò lo
sguardo.
Louis
gli circondò le spalle con
un braccio tirandoselo leggermente più vicino. Harry si
lasciò trasportare dal
suo migliore amico, piangendogli sulla spalla.
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Capitolo 25 *** Mentire per Amore ***
Ciau ragazze/i
Visto che ho molto da
dire e non voglio rubarvi tempo prezioso, vi
lascio subito alla storia! Lo "spazio autrice" lo inserisco alla fine
del prossimo capitolo!
TANTISSIMI abbracci
stritolatutto e, come sempre, buona lettura
Emma ;)
Capitolo
25 - Mentire per
amore
Lunedì,
la mamma di Hope mandò un
messaggio ad Alice, dicendole di rimanere pure a casa: Hope non era in
grado di
ricevere visite.
Alice,
ormai già per strada per
Londra, decise di andare comunque dai ragazzi per avvertire Harry. Non
avrebbe
mai voluto fare una cosa del genere.
Quando
suonò alla porta, le venne
ad aprire solo Louis. Aveva i capelli scombinati
e aveva un casco in mano. Lui era appena
tornato dalla casa discografica e probabilmente gli altri sarebbero
arrivati
poco dopo.
“E’
per i giornalisti” disse.
“Partiamo da qui e da là su mezzi diversi, ci
dividiamo, facciamo strade
alternative eccetera per non condurli qui. Al nostro luogo
‘sicuro’. Siediti
pure, come al solito, fai come se fossi a casa tua.”
Quando
Alice gli comunicò la
notizia che né lei né Harry sarebbero potuti
andare da Hope perché stava troppo
male, Louis sospirò preoccupato: Harry non
l’avrebbe presa di certo bene. Per
tirare su di morale Alice, la invitò a stare da loro per
tutto il pomeriggio e
a fermarsi anche a cena. Alice ringraziò e
accettò.
Quando
Harry arrivò a casa,
l’ultimo di tutti, perché aveva fatto un
lunghissimo giro per le stradine più nascoste
di Londra, trovò Alice comodamente seduta in sala, a parlare
normalmente con
Zayn della sua fidanzata, che cominciava a fare i capricci.
“Ciao.”
La salutò senza enfasi
nella voce. “Quando sei pronta, andiamo.”
Alice
guardò Louis che annuì
leggermente. “Harry…”
“Cosa?”
“Harry
oggi non andiamo.”
“Cosa?!”
gli occhi di Harry si
indurirono. “Perché?”
Alice
tentennò per qualche
secondo “Perché non sei in grado di vederla in
questo stato.”
Harry
rimase impalato, con le
orecchie che cominciavano a ronzargli: chi era lei per decidere cosa
era in
grado di fare e non fare?
“Scusa?” chiese, cercando di mantenere la calma.
“Io…”
Alice prese un bel respiro.
“Non posso permetterti di andarla a trovare con quella
faccia, con questo
atteggiamento e con quella mano.”
Harry
si guardò la mano, ancora
fasciata.
“Insomma
sembri un morto che
cammina…” Alice cercò di
metterla sullo scherzoso, come Liam le aveva suggerito di fare.
“Prendiamoci un
giorno di pausa. Per me, per te e per lei. Per riprenderci tutti con
calma eh?
Che dici?”
Harry
guardò Alice nel profondo
degli occhi. Lei resse il suo sguardo per due secondi, poi
andò a cercare
quello di Liam.
“Sta
male, vero?” chiese Harry con
un filo di voce, sentendo la rabbia sfumare con la stessa
velocità con cui era
arrivata. “Sta troppo male per vedermi.”
Alice
aveva detto a Liam qualche
minuto prima che quella bugia non avrebbe mai funzionato.
“Non
proprio male male…” tentò lei
con troppa esitazione.
“Alice,
per favore.”
Il
tono di Harry era
pericolosamente allarmante. Sembrava sua madre quando la scopriva a
mentire, la
cui cosa capitava raramente visto che Alice era brava, certo,
soprattutto quando
serviva. Ma guardando negli occhi di Harry, mentire era diventato, di
colpo,
una cosa difficilissima.
Lei
fece un cenno del capo. “Per
vedere chiunque…” aggiunse.
Ma
Harry era già corso su per le
scale.
Se
ne sarebbe andato a Barcellona
e a Berlino. Ma cosa stava facendo? La lasciava da sola? Se ne andava a
cantare
mentre lei soffriva? Non sapeva cosa fare. Si sentiva in colpa per
lasciarla
lì, in ospedale, senza essere lì quando si
svegliava. A darle la buona notte
quando si addormentava. Si sentiva in colpa a farsi vedere solo
attraverso uno
schermo, a farsi sentire solo attraverso un telefono. Si sentiva uno
schifo.
Si
buttò sul letto e affondò la
faccia nel cuscino.
Quando
scese, sentì delle risate provenire
dalla sala. Erano di Alice, Niall e di Liam. Trovò Louis in
cucina, con dei
fogli sparsi su tutto il tavolo. Stava studiando la nuova canzone.
Lo
salutò con un sorriso. Harry
rispose con una smorfia. Zayn era fuori con Jessica.
Altre
risate.
“Ma
come cazzo fanno.” Disse
Harry.
“Cosa?”
chiese Louis. Ma Harry
aveva già chiuso la porta del frigor sbattendola, facendo
tremare le bottiglie
di vetro, diretto di nuovo in camera.
Alice
stava ancora ridendo.
“Harry
dai fermati qui con noi!”
gli disse Alice quando lo vide passare per la seconda volta.
Harry
si bloccò. Il ronzio alle
orecchie era tornato.
“No,
non ci tengo a farmi quattro
risate in tua compagnia.”
Di
botto, l’atmosfera cambiò. Il
sorriso di Niall gli scivolò via dal viso; Liam
guardò Harry stupito.
“Scusami?”
chiese Alice, già sul
piede di guerra.
Harry
si voltò a guardarla. “No,
non ci tengo a farmi quattro risate in TUA compagnia.”
Ripetè sputando le
parole.
“Ah.”
Disse lei, semplicemente.
Poi aggiunse: “Okay. Non c’è bisogno di
essere così stronzi con me perché ti
senti in colpa con te stesso.”
“In
colpa con me stesso?”
“per
il fatto che vai a
Barcellona e Berlino, lasciandola qui da sola”
Louis,
dalla cucina, pensò che
Alice dovesse essere pazza sul serio. Si alzò e raggiunse
Harry proprio nel
momento in cui lui, paonazzo di rabbia, apriva bocca.
“Com…cosa....Non
c’è bisogno di
essere stronzi?” disse. “Sei TU la stronza che sta
qui a ridere e a parlare
come se non fosse niente.”
“Se
non fosse niente, che cosa?”
chiese Alice.
Louis
guardò Alice: ma lo stava
provocando apposta per caso? O era semplicemente scema?
“Se
non fosse niente quello che
sta accadendo ad Hope!” urlò Harry di tutta
risposta. “Del cancro, della
chemioterapia e del fatto che oggi non siamo con lei perché
sta troppo male
anche solo per vederci! Sto parlando della tua amica,
se non hai capito!”
“ho
capito benissimo.”
“E
allora con che coraggio ridi,
con che coraggio ti siedi e parli di tutt’altro? Con che
coraggio fai come se
fosse tutto normale? Con che coraggio mi guardi negli occhi e mi dici
che lo
stronzo sono io? Io sono obbligato ad andare a Berlino, tu non sei
obbligata a
ridere! Io mi sento uno schifo per doverci andare! ODIO doverci andare!
Tu,
invece, sei qui che ridi, perché vuoi farlo! Ma che rispetto
hai per la tua
amica? Che rispetto hai per ciò che sta passando? Potrebbe
morire! Te ne rendi
conto? Fra due settimane, potremmo essere tutti ad un
funerale!” Harry fece una
pausa per prendere fiato. Louis guardava il suo amico, non sapendo cosa
fare.
Di certo Alice se l’era cercata. “La
verità è che non te ne frega un cazzo.”
Continuò Harry. “Di lei e della sua malattia. Sei
qui, che te la spassi con noi
e te ne freghi. Eravamo noi il tuo obiettivo” Alice scosse la
testa, emettend
un verso/smorfia, incredula. Harry si infiammò ancora di
più pensando che fosse
una risata. “Mi chiedo cosa ci facevi da lei in questi
giorni: se stavi lì solo
perché le sei stata vicino anche in passato, allora te ne
puoi anche andare!
Sono sicuro che Hope capirà che merda di amica
eri!”
Alice
abbassò lo sguardo. Dopo un
attimo di assoluto silenzio, dove ne Niall né Louis
né Liam ebbero coraggio di
intervenire, Alice esordì dicendo: “Prima di tutto
abbassa quella cresta”
Harry
non si sarebbe mai
aspettato quella risposta.
“Il
mio obiettivo non eravate
voi. Senza offesa, ma è estramete egocentrico da parte
vostra, da parte tua
Harry, pensare una cosa del genere.”
Alice
fissava Harry con occhi
che, pensò Niall, se avessero potuto prendere fuoco,
l’avrebbero incenerito in
meno di un attimo.
“Secondo:
cosa dovrei fare?”
“Cosa?”
chiese Harry, pensando di
aver capito male.
“Cosa
devo fare?” ripetè Alice
guardandolo negli occhi. Sembrava quasi divertita. “Dimmi
cosa devo fare. Oltre
a vivere la mia vita.”
“non
si tratta di vivere la tua
vita. Ma di avere rispetto per ciò che sta
passando.”
“va
bene, come vuoi. Cosa devo
fare per portarle rispetto?” Alice si era alzata.
“Devo mettermi a piangere?”
“non
ho detto questo…”
“Devo
disperarmi?”
“Volevo
dire un’altra cosa…”
“Devo
buttarmi per terra e
battere i pugni? Devo sfondare un muro a forza di calci? Devo chiudermi
in
casa, sbarrare tutte le finestre e stare al buio per portarle
rispetto?”
Harry
la guardò allibito.
“Devo
mostrare quanto sto male
anche io, Harry?” la voce di Alice si incrinò
leggermente, assumendo tutt’altro
tono. “Devo distruggere casa mia o la mia scrivania per
mostrare quanta rabbia
provo per un mondo che si è accanito sull’unica
amica che conosco fin dalla
nascita, sulla mia migliore amica? Devo strapparmi i capelli sapendo
che lei ha
più possibilità di morire che di vivere?
Devo… Devo piangerla ancora prima…prima
che lei sia morta?” Alice strinse i pugni. “Se
è questo quello che vuoi tu,
fallo pure! Ma fallo TU! Torna in camera tua e piangi finchè
vuoi, non andare
Berlino e a Barcellona, chiuditi in camera, non parlare con nessuno,
spranga le
finestre e distruggi tutto ciò che hai intorno. Questo
è il tuo modo di
affrontare il tuo dolore. Non colpevolizzarmi perché il mio
non è lo stesso. E
quando…” Alice non riuscì a finire la
frase. “Io voglio continuare a vivere.”
Riprese, cercando di lottare, inutilmente, contro il fiume di lacrime.
“Perché
è ciò che si merita Hope. Perché
è ciò che Hope vorrebbe se potesse farlo. La
mia vita deve continuare e continuerà anche settimana
prossima e la settimana
dopo ancora, in qualsiasi modo vada l’intervento.”
Piangeva a dirotto. “Perché
è Hope che me lo chiede. Me lo chiede ogni
volta che entro in quella stanza, ogni volta che la pelle le diventa
più
chiara, ogni volta che non riesce a stare sveglia, ogni volta che la
vedo
rimpicciolire tra le coperte, ogni volta che mi guarda negli occhi,
dicendomi
mille parole silenziose. Ogni volta che la vedo allontanarsi, un pezzo
alla
volta, verso un luogo che mi è impossibile da raggiungere.
Lei vuole vivere,
lei vuole che noi viviamo la nostra vita a pieno, fino in fondo,
perché lei non
può farlo.”
“Saying
that we have to suck out all the morrow life”
sussurrò Harry, citando la
sua canzone.
Alice
annuì forte. “Io rido
perchè lei lo farebbe. Io parlo di altro perché
lei lo farebbe. Tu vai a Berlino
e canta, come ti piace fare, come ti piace essere uno degli One
Direction.
Perché lei non avrebbe nessuna esitazione al posto tuo. E
non si tratta di non
avere rispetto. Avere rispetto significa stare male con lei? Noi siamo
gli
occhi in cui vede la vita andare avanti. Sa che la vita continua anche
se la
sua, temporaneamente, è bloccata in una stanza di ospedale.
E vederci vivere la fa stare
bene. Credi che andarla a trovare con la morte negli occhi, la
tirerebbe su di
morale? Credi che io non faccia fatica sorridere quando ogni minuto
della
giornata vorrei piangere? Credi che per me sia facile fare finta di
stare bene,
quando vorrei solo pregarla in ginocchio di rimanere in vita anche
questa volta,
come se dipendesse da lei? Io non voglio, non voglio minimamente
pensare che
lei fra un mese potrebbe… potrebbe…”
Alice
si lasciò cadere sul
divano, le mani sul viso, i singhiozzi incontrollabili.
Dopo
un attimo sentì una mano
sulla gamba e alzò lo sguardo. Harry era di fronte a lei,
piegato sulle
ginocchia, che cercava i suoi occhi, chiedendole scusa in silenzio.
Lei
lo guardò e cercò di
sorridere, guardandogli il viso che Hope amava tanto ma aveva
così tanta paura
di ammettere di amare.
“Ha
mentito ad entrambi quando ci
ha fatto credere di stare bene. Di più a te,
perché ci tiene, anche se non te
lo dirà mai.”
Harry
fece un piccolo sorriso.
“Lo
ha fatto perché ci
vuole bene. Ci ha mentito per amore. Ma
ora i ruoli sono invertiti e noi saremo molto più bravi a
farle credere che,
invece, siamo noi che stiamo bene. Che non siamo preoccupati, che non
soffriamo
per come sta. Anche se non è così.”
Harry
le prese le mani tra le
sue.
“facciamole
capire che Harry
Styles non è solo più bravo di lei nel cantare e
nel pettinarsi, facendo
impazzire le sue fan; ma è anche più bravo a
mentire per amore.”
Solo
perché Harry il giorno
successivo sarebbe partito, Hope riuscì a trovare la forza
per vederlo. Ma per
un’ora. O per il tempo in cui lei riusciva a stare sveglia.
Aveva
i tubicini nel naso, per
aiutarla a respirare. Stava un po’ meglio rispetto ai giorni
precedenti ed era
riuscita a mangiare con successo ben due pacchetti di fette biscottate
nell’ultima ora.
Ma
ciò che la turbava più del
dolore fisico, era il dolore interno, quello che nessuna medicina
avrebbe potuto
lenire. Harry sarebbe venuto a trovarla e l’avrebbe vista
più debole che mai,
la pelle cadaverica e il pigiama enorme che le dava fastidio; avrebbe
visto
come stava diventando, cosa voleva dire divenire succube. E gli avrebbe
causato
un enorme dolore: lei lo sapeva. Lo aveva sentito nella sua voce quando
avevano
parlato dei malati di cancro; lo sapeva perché lei,
l’anno precedente, aveva
provato le stesse emozioni per se stessa mentre si guardava allo
specchio, giorno
per giorno, fino a non riconoscersi più nel suo riflesso.
Harry
si era reso conto che ciò
che aveva detto Alice era vero: tutto, nelle sue parole, collimava con
il
carattere di Hope. Si fidò di lei sentendosi un
po’ stupido per non essere
arrivato da solo alla conclusione che Hope sarebbe stata peggio se
avesse visto
che anche lui stava male. Ma in fondo lui era
‘nuovo’ nella sua vita, Alice vi
era immersa da quando erano piccoline. Come tra lui e Louis,
c’era un’amicizia
che batteva qualsiasi relazione amorosa.
Salì
al piano di Hope pensando
che era la prima volta che andava da solo in ospedale, senza il
supporto di
Alice. Lei era a casa dei ragazzi, ad aspettarlo, per avere sue
notizie.
Hope
avrebbe creduto di vedere
Harry sconvolto. Invece, era entrato in stanza, regalandole uno dei
sorrisi più
belli sulla faccia della terra, che le era mancato. Un pochino.
Aveva
salutato i suoi che si
erano defilati quasi subito. Poi le aveva chiesto come stava dopo
averle dato
un bacio dolce sulla guancia.
Avevano
parlato di Berlino e
Barcellona. Più che altro lui aveva parlato. Lei si era
limitata ad ascoltarlo
e a fare qualche commento bisbigliato. Ma ad Harry andava benissimo
così.
Prima
di salutarla, si spogliò la
felpa e gliela posò in grembo: “Non è
quella dell’altra volta” disse
“Però sarà
abbastanza per tenerti al caldo.”
Hope
guardò la felpa. Poi fece un
sorriso, il primo da quando Harry aveva messo piede in quella stanza.
Lui ne
approfittò per baciarla ancora sulla guancia, trattenendosi
qualche istante di
più sulle sue pelle gelata.
Hope
fece la terza seduta la sera
del concerto degli One Direction a Barcellona. Ancora, era in
coincidenza con
un loro concerto. Il destino, a volte, aveva un senso
dell’umorismo orribile,
quasi macabro.
Hope
riuscì a vedere le prime tre
canzoni. Aveva indossato la sua felpa e se l’era tirata su
fino al naso, per
immergersi nel suo profumo, immaginando di essere da qualche parte con
lui,
così vicino a lui da poter sembrare abbracciata; da poter
desiderare, con il
cuore a mille, di essere abbracciata da lui; da essere emozionata per
stargli a
meno di un passo di distanza. Per fortuna, il dolore non aveva accesso
ai suoi
pensieri anche se parecchie volte ci era andato vicino, molto vicino:
era l’unico modo per
dimenticarsi, per poco tempo, di cosa le stava accadendo.
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Capitolo 26 *** Knut ***
Capitolo
26 –Knut-
Domenica,
Alice la andò a
trovare con Olivia e Tara. Loro tre organizzarono una specie di
pomeriggio-pigiama-party (non senza il consenso della madre) dove Hope
aveva il
semplice compito di doverle ascoltare. Il medico le aveva somministrato
morfina
per gestire il dolore della terza e penultima seduta, che era stata
terribile,
più della seconda. In più, aveva anche i tubicini
nel naso, per aiutarla a
respirare. Con la morfina, i dolori erano diminuiti. E quando li
sentiva un po’
più forti, Hope pensava a quanto potessero essere forti
senza il medicinale.
Così riusciva a superare le crisi; così,
riuscì ad affrontare il
pomeriggio-pigiama-party. Olivia portò notizie di Oxford,
provocando in Alice
una serie di facce/smorfie schifate: aveva già cominciato ad
arredare l’appartamento
e si era già fatta coinvolgere da alcuni universitari
più grandi; il suo
ragazzo era naturalmente un po’ geloso, ma probabilmente
presto gli sarebbe
passata. Soprattutto quando si sarebbe convinto al 100% che il gruppo
di
universitari che Olivia frequentava era composto da quasi tutti ragazzi
gay.
“Ed
è un peccato, detto fra noi”
aveva detto. “Tutti mooooolto carini. E’ vero che
sono sempre i migliori che se
ne vanno.”
Hope
aveva riso.
Tara,
invece, aveva riportato
notizie del suo attuale ragazzo, uno con la testa a posto e che la
trattava
come una principessa. Ma lei cominciava a preoccuparsi di
ciò che sarebbe
successo ad Ottobre: lei volava ad Edimburgo, mentre lui andava a
Berlino.
“Goditi
questi ultimi mesi,
allora” aveva detto Hope in una delle sue poche frasi di quel
pomeriggio. Tara
aveva sorriso. “Sicuro Hoppie” le aveva risposto.
“Non hai idea di quanto me la
godrò!”. Le ragazze avevano riso, facendo
allusioni sessuali.
Hope
riuscì a mangiare un piatto
di riso bianco, completamente asciutto. Era la prima volta da una
settimana e
mezza che metteva in bocca qualcosa che non fosse un cracker o una
fetta
biscottata. Guardò la fiala della morfina. La volta scorsa
era sicura che non
gliene avessero data così tanta: ciò voleva dire
che la chemio era
effettivamente molto più forte. Sperò, per un
secondo, che stesse funzionando.
Poi represse quei pensieri, non volendoci pensare.
Helena,
l’infermiera, passò a
prendere il vassoio e ad aiutarla per prepararsi per la notte.
Dopodichè Hope
accese la tv e mise il suono al minimo. Mentre la pubblicità
su una crema per
capelli passava alla tv, Hope tirò
fuori
da sotto il cuscino la felpa di Harry e se la mise: profumava ancora.
Stava
per girare su un altro
canale, quando sentì la porta aprirsi.
“No
grazie” disse Hope, sapendo
già cosa Helena avrebbe voluto rifigliarle: la tisana della
buona notte.
“
'No
grazie'? Come 'no grazie'! Ho
dovuto mollare i ragazzi nel bel mezzo di Berlino, per arrivare qui
stasera!”
Hope
non credette né alle sue
orecchie, quando arrivò la voce profonda di lui,
né ai suoi occhi: Harry era
appena entrato in camera sua; era sulla soglia della porta.
“Harry?!”
chiese, sgranando gli
occhi.
“Comunque
se non mi vuoi, torno
domani. Anche se mi dispiacerebbe visto che ho dovuto usare tutto il
mio
repertorio di frasi ad effetto per convincere l’infermiera
qui fuori a farmi
passare. E ti garantisco che non è stato facile.”
Hope
scosse la testa, facendo una
piccola risata.
Harry
sorrise e richiese “posso
restare quindi?”
Hope
annuì sorridendo.
Harry
entrò in camera con un
pupazzo di un orso bianco nella mano. Hope sorrise di più
“E quello chi è?”
“E’
Knut, l’orso di Berlino.”
Disse avvicinandosi e mollando la giacca sulla sedia. Doveva essere
atterrato
da meno di
un’ora. “Non
lo conosci? Ne era piena la hall dell’albergo.”
Harry
era in piedi accanto a lei.
“posso?” chiese, indicando il letto.
“Sono molto stanco, sai, un volo molto
lungo.”
Hope,
ridendo gli fece posto e
lui si sdraiò accanto a lei.
Per
lei, fu molto strano. Harry
sembrava particolarmente euforico.
“Facciamo
che Knut si mette in
mezzo così tiene d’occhio la situazione”
Harry
le fece l’occhiolino. Hope
ridacchiò e guardò il peluches: era piccolo e
buffo, con il muso paffuto.
“E’
molto carino.” Gli disse,
sguardando Harry. “Che ci fai qui, comunque? Mica dovevi
tornare domani?”
“Si,
ma ho preso l’aereo stasera.
Knut voleva assolutamente conoscerti. Mi ha detto che sei la sua
protetta. E
come si fa a dire di no a questi occhioni?”
Harry
sollevò il peluches e lo
mosse di fronte al viso di Hope, facendola ridere. Rise anche lui e poi
rimise
il peluches sul letto.
“Allora?”
le chiese “Come stai?”
Hope
scrollò le spalle.
“Normale.”
Harry
le studiò il viso. Alice
gli aveva detto della morfina: la prima cosa che aveva pensato lui era
stata perché
non gliel’avevano somministrata subito. Hope aveva riso
più spesso negli ultimi
dieci minuti che nell’ultima settimana. Aveva i tubicini nel
naso, era sempre
più magra, ma il viso sembrava leggermente più
colorito.
Harry
notò che indossava la sua
felpa e sorrise tra sé.
“tu?”
chiese Hope. “Come è andata
a Barcellona e a Berlino?”
“una
noia mortale.” Scherzò lui.
“non
sembrava, dalle immagini di
ieri sera”
“Ah,
allora ammetti che ci
segui!”
“Inevitabile.
Mtv parla solo di
voi.”
“Be’
si, direi. Siamo i migliori.”
“Quanto
siamo modesti” Hope lo
toccò appena, spingendolo.
“Ahia!”
finse Harry, prendendosi
la spalla. "sei spigolosa in questi giorni.”
La
battuta gli venne naturale e
per un attimo pensò di averla offesa, riferendosi al fatto
che era dimagrita
moltissimo. Ma Hope rise, di nuovo.
“Scusami,
hai ragione.” Gli
disse.
Harry
si prese un attimo per
guardarla meglio, poi le diede un bacio sulla guancia, dolce e sempre
un po’
più lungo del necessario. “mi sembri stare
meglio” le disse poi, dolcemente.
Hope
non rispose.
“okay,
cosa guardi di solito in
tv? A parte noi, voglio dire” chiese Harry prendendo il telecomando.
Hope
fece ancora un piccolo
sorriso. “Ciò che capita” rispose.
“Uhm
mi pare di aver sentito che
stasera c’è la guerra dei mondi. Ti va?”
Hope
guardò Harry: il loro primo
film insieme, da soli, in ospedale e sugli alieni. Be’ di
certo non si poteva
dire che non era originale.
Hope
annuì e Harry girò sul
canale del film. Poi alzò un braccio e le
circondò le spalle.
“E’
un contatto che Knut
approva?” chiese Hope.
Harry
prese il peluches e gli
chiese “Ehi Knut, posso abbracciare la tua
protetta?”. Poi imitò una voce acuta
“uhm solo per questa volta Styles.”
Hope
scoppiò a ridere. “ma da
quando gli orsi hanno questa voce?” chiese tra le risate.
Hope
cominciò a sentire la
stanchezza dopo un’oretta. Il film lo sapeva a memoria, era
uno dei suoi
preferiti sugli alieni. Ma non voleva mandar via Harry.
Così,
si sistemò meglio e posò la
testa sul suo petto.
Harry
le strinse il corpo
sottile.
Prima
di addormentarsi, lei
disse: “sento il tuo cuore.”
“uh
meno male. Credo che, dal punto di vista medico, sia una buona
notizia, questa.” rispose scherzando Harry.
Hope
fece un sorriso. “Mi piace
sentire il suono del tuo cuore.”
Se
Harry avesse potuto urlare di
gioia, l’avrebbe fatto. Nonostante non fosse successo
assolutamente niente di
speciale, nonostante non l’avesse appena baciata o non
l’avesse appena portata
a letto facendole passare la notte più bella della sua vita
(ovviamente lui ne
era perfettamente capace), si sentiva come se avesse appena conquistato
la
vetta più alta del mondo, dopo
mesi di
eterna guerra con la neve e il vento gelido. Si sentiva come se avesse
fatto
gol nella sua partita del cuore, come se avesse appena cantato di
fronte al più
grande pubblico mai visto. Fu come se il successo fosse solo suo
perché aveva
azzeccato l’ultima nota, perché aveva fatto un
assolo da paura.
Non capiva perché, ma il suo
cuore era grondante di gioia. E sperò che Hope sentisse
anche questo.
Quando
Harry si svegliò, doveva
essere mattina presto. Il sole, tra le tende tirate della stanza,
accarezzava
il pavimento con una luce pallidissima. Non si ricordò cosa
fosse successo:
avrebbe dovuto essere nella stanza di albergo con Louis e Niall, magari
sotto
uno strato abbondante di piume, dopo aver distrutto
l’ennesimo materasso e
probabilmente con un mal di testa accecante.
E
invece aveva preso un aereo la
sera precedente, facendo impazzire Fanny, e si era catapultato da Hope,
senza
nemmeno passare a casa per lasciare la valigia. Le aveva fatto una
sorpresa,
portandole il peluches e
rimanendole a
fare compagnia. Per la verità pensava di tornare a casa dopo
il film, ma Hope
si era addormentata quasi subito, appoggiando la testa sul suo corpo. E
lui
l’aveva seguita dopo mezz’ora al massimo,
scivolando nel sonno e lasciandosi
andare alla stanchezza di due concerti.
Lui,
durante la notte, non aveva
mosso un muscolo per non svegliarla. Probabilmente il suo inconscio non
glielo
aveva permesso. Quindi Harry si ritrovò
nell’esatta posizione di come si era
addormentato: il braccio attorno al corpo troppo sottile di Hope, le
caviglie
ancora incrociate e la mano sinistra sul braccio di lei. La
guardò: dormiva
ancora profondamente e lui non ebbe coraggio a svegliarla.
Sembrava… sembrava serena.
La
posizione di Harry non era
delle più comode anche perché cominciava a
sentire freddo nella parte destra
del corpo, dove non c’era Hope a scaldarlo. Anche lei non
doveva essersi mossa
durante la notte: l’unica cosa che notò Harry,
diversa dalla sera precedente,
era la mano di Hope, la sinistra, che teneva a qualche centimetro dal
viso,
sempre sul suo petto. Era leggermente contratta e sembrava aggrapparsi
alla
maglietta di Harry con le poche forze che le rimanevano.
Helena
arrivò sonnecchiando quella
mattina al lavoro, con il suo solito caffè doppio bollente
tra le mani. Quando
vide arrivare il dottor Cooper con la sua schiera di piccoli, testardi
e
irrispettosi praticanti medici, si diede una mossa per cominciare a
svegliare i
pazienti. Cominciò con il paziente della stanza numero
1290,il signor Edward,
il più anziano, il più testardo e il primo a cui
il dottor Cooper avrebbe fatto
visita. Avrebbe finito con la ragazza della 1294, una ragazzina dai
capelli
rossi, finchè li aveva avuti, con gli occhi sempre un
po’ tristi. Be’, come
darle torto: era la seconda volta che aveva il cancro e aveva solo 17
anni. Sperò
che la sua Sophie, di 15, non si trovasse mai in una situazione del
genere.
Però c’era qualcosa di incredibilmente dolce: un
ragazzo dalla quantità immensa
di capelli la veniva a trovare quasi ogni giorno. Probabilmente era il
suo
ragazzo. Ma Helena era sicurissima di averlo già visto da
qualche parte.
Helena
entrò nella camera di Hope
senza bussare: gliel’aveva chiesto lei il secondo giorno in
cui era arrivata in
quel reparto. Preferiva svegliarsi con il suono delle tende che
venivano tirate
e con la luce del sole sul viso. Ma non era successo molte volte di
doverla
svegliare così: molte volte bastava il suono dei suoi passi
o della maniglia
che si abbassava per svegliarla, perché non dormiva mai
profondamente a causa
dei dolori della chemioterapia. Così anche quella mattina,
abbassò la maniglia
della sua stanza ed entrò: guardò verso il letto
per controllare che la ragazza
fosse ancora lì e fece due passi. Poi dovette voltarsi di
nuovo verso il letto:
il suo cervello aveva registrato qualcosa di anormale.
Harry
fece un timido sorriso
all’infermiera, che sembrava non essersi resa conto subito
della sua presenza.
Man mano che i secondi passavano, però, gli occhi
dell’infermiera si
ingigantirono.
‘MA
CHE CAZZO CI FA QUI
QUESTO???’ si chiese Helena nella sua testa. Lo
additò, con gli occhi
semichiusi dalla rabbia, e poi indicò la porta, mimando con
la bocca “TU. FUORI.
ADESSO.”
Harry
indicò Hope e alzò le
mani, come a dire ‘che cosa ci posso fare?’.
Helena
lo fulminò con lo sguardo:
era rimasto lì tutta la notte, contro le REGOLE.
Marciò verso le tende e le
tirò più forte che poteva.
Queste
fecero il classico
SWISSSSH e la luce del sole esplose nella stanza.
Harry
guardò Hope che strinse di
più la sua maglietta con la mano e arricciò
il naso.
“Forza
signorina SVEGLIATI.”
Disse Helena, senza tante cerimonie. “TU.” Disse
rivolgendosi a Harry,
additandolo. “HAI DIECI SECONDI PER SPARIRE.”
Quando
il ragazzo dai tanti
capelli passò di fronte al bancone delle infermiere, dopo
essere uscito dalla
stanza 1294, Helena lo seguì con gli occhi semichiusi,
incenerendolo ad ogni
passo che faceva. Si era ricordata che era venuto la sera prima,
pregandola di
farlo passare, dicendole che doveva consegnare solo il peluches alla
ragazza
dai capelli rossi e promettendole che si sarebbe trattenuto al massimo
per
un’oretta. Harry, di tutta risposta alle sue occhiate
inceneritrici, quella
mattina, le diede il buongiorno e se ne andò verso
l’ascensore con le mani
nelle tasche, tutto sorridente.
Ma
come si permetteva? Non le
interessava niente se era il suo ragazzo! C’erano delle
regole precise e
dovevano essere rispettate per un motivo! PER FORTUNA, sembrava che non
avessero fatto niente quei due, tra le lenzuola! Probabilmente si erano
addormentati davanti alla tv. Ma non le importava! Se fosse capitato a
sua
figlia, l’avrebbe…l’avrebbe…
Helena
rilassò il viso: no,
probabilmente se fosse capitato a sua figlia, avrebbe pensato che era
stato
proprio carino.
In
fondo sembrava un ragazzo per
bene. Anche se continuava a ricordargli qualcuno. Insomma, da quando
lavorava
lì, non gli era mai capitato che un ragazzo la pregasse, con
moine, promesse e
frasi sdolcinate, di farlo passare per consegnare un misero peluches.
Sembrava
una tenera e romantica commedia: sua figlia sarebbe andata in brodo di
giuggiole quando gliel’avrebbe raccontato, quella sera, visto
che stava
attraversando la fase in cui le adolescenti fantasticano sul loro primo
ragazzo. La sua Sophie, in particolare, era persa di un ragazzo di un
gruppo
famoso, gli Once Direction le pareva che fosse il nome del gruppo, di
nome
Luis. O qualcosa di simile: la sua stanza era piena di poster e una
volta
glieli aveva anche fatti vedere in un video, cantandone nomi ed elogi.
‘Un
momento’ disse Helena a sé
stessa, aggrottando la fronte mentre raccoglieva i moduli di alcuni
pazienti.
Guardò verso l’ascensore, dove il ragazzo stava
per entrare, sbadigliando e
stiracchiandosi.
Hope
fece la quarta e ultima
seduta con la mascherina dell’ossigeno. Cominciava a mancarle
il fiato e una
volta aveva rischiato di andare in crisi respiratoria, a causa del
dolore. Il
dottor Cooper si ritrovò a spiegare più di una
volta alla madre di lei che non
poteva alzare il livello della morfina e che Hope doveva stringere i
denti
ancora per poco. Le permise di ricevere visite dai suoi amici
un’ora al giorno,
dalle tre alle quattro, mentre i genitori potevano venire anche la
sera, sempre
un’ora, prima di mangiare.
‘E’
l’ultimo sforzo’ si ritrovò a
pensare in continuazione Hope mentre piangeva la notte, frustrata
perché il
veleno non le permetteva di dormire, bruciandogli una cellula alla
volta. ‘E’
l’ultimo sforzo, resisti, poi, in qualunque modo vada, tutto
finirà.’
Ciau ragazze/i,
spazio autrice qui, come detto anzi scritto precedente, non volevo
interrompere bruscamente la narrazzione con le mie cavolate!
Volevo condividere con voi il fatto che oggi sono felice felice felice
per una
semplice e bellissima ragione: VOI, tutte/i voi, che avete deciso di
mettervi a leggere la mia storia, anzi no, la storia di Harry e Hope,
fino a qui, fino al capitolo 26, cavolacci ragazze ma quanto
leggete?!
E' stato davvero emozionante ricevere le vostre recensioni, mi sono
messa a piangere per tutte, giuro, nessuna esclusa (certe volte a
piangere dal ridere ahahaha, siete forti!), mi sono commossa come mai a
vedere il numerino delle visite schizzare, letteralmente, verso
l'alto; il mio cuore è grondante
di gioia (citazione
;)).
E spero che gli ultimi capitoli (ne mancano ancora 4, esclusi quelli di
oggi) vi piacciano come i primi. Anche se io sono tristissima
perchè sta finendo T.T
Ho letto dalle vostre recensioni che il primo
pezzo sulle chat è un po' incasinato: vedrò di
rimediare, in effetti ci
sono degli spazi incomprensibili anche per la sottoscritta!
Seconda
cosa, poi vi lascio in pace, giuro: devo alzare il raking ad arancione,
secondo voi? Per le tematiche delicate, intendo. Che dite?
Ehmmmmm stasera solo
due capitoli. Pochi, lo so. Ma spero vi soddisfino lo stesso.
(per errori
'sgrammaticati', vi prego, abbiate pietà! e ditemelo!!!)
Vi saluto,
INFINITI abbracci stritolatutto
Emma ;)
Ps
per le directioners, ma anche non: ma QUANTO E' BELLA "She's not
Afraid"?!?!? E' due giorni che quando i miei escono di casa, mi scateno
come una dannata!!!
|
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Capitolo 27 *** 1D Midnight Memories ***
Ciao ragazze/i ,
ecco qui gli altri due capitoli. I finali. Poi ci sarà
l'epilogo, diviso in due parti. Prevedo di caricarli presto, non mi
piace lasciare il 'discorso a metà'. Questa settimana ho
dovuto farlo perchè avevo un esame e dovevo 'concentrarmi'.
Quindi...diciamo entro domenica, MASSIMO LUNEDI, la storia sarà finita.
Voglio piangere T.T
Questi due capitoli sono veramente veramente corti. Mi spiace :(
Come al solito, lasciate una recensione se vi va,
abbracci stritolatutto, buona lettura
Emma ;)
Capitolo
27 –
1D Midnight Memories-
Una
settimana dopo, mentre la
mamma di Hope l’aiutava a finire una pasta stopposa, senza
sugo, senza
formaggio e senza olio, che non era nient’altro che la sua
cena, il dottor
Cooper entrò in camera con una busta in mano.
“Bene,
Hope. Ho qui la risonanza
del tuo cancro.” disse mentre la mamma di Hope allontanava il
vassoio e Hope
sorseggiava dell’acqua.
Il
dottore sfilò le lastre dalla
busta e le mise sulla lavagna luminosa dall’altra parte della
stanza,
accendendola.
“Cosa?”
chiese Alice, tappandosi
l’orecchio. Si fece ripetere una seconda volta dalla mamma di
Hope le nuove
notizie. Era salita nell'appartamento di Liam, a casa dei ragazzi, per
stare in
privato, mentre i padroni di casa, con Tara e Olivia, finivano di
cenare al
piano di sotto, con la torta al gelato preparata da quest'ultima.
“Okay.”
Rispose Alice. “Riferisco io ad Harry. Mi saluti tanto Hope.
Certo. Va bene. A
domani!”
“Chi
era?” le chiese Harry un po’
apprensivo, appena Alice mise piede in cucina.
“La
mamma di Hope.”
Louis
e Liam, gli unici presenti
oltre alle ragazze e Harry, si zittirono. Olivia, che stava servendo la
torta,
si bloccò. “Notizie?” chiese.
“Si.”
Alice guardò Harry
cercando, con tutte le sue forze, di non sorridere. “Si, ci
sono notizie.” Si
sedette a fianco di Olivia. “Il dottore ha portato il
risultato delle lastre.
Sembra che la chemio abbia funzionato.”
Olivia
trattenne il fiato
sonoramente.
“No,
il cancro non è andato via
del tutto.” La precedette Alice. “ma si
è ridotto. E…” non riuscì a
non
sorridere. Guardò Harry. “E Hannah ha detto che il
medico sembrava quasi
ottimista… ha detto che le probabilità di
successo dell’intervento sono il 50%
adesso.”
Harry
sostenne lo sguardo di
Alice mordendosi le labbra per non sorridere a sua volta e cercando di
non
aggrapparsi a quel misero fantastico dato.
“Be’,
cara Hope” disse Olivia,
prendendo un piatto vuoto e immergendo il coltello nella torta morbida
“Se in
qualche modo ci puoi sentire, sappi che questa torta è per
te.” La fetta di
torta fece SQUASH quando Olivia
la mise
nel piatto. “vedila di fartela bastare per superare
l’intervento.”
L’operazione
venne fissata due
giorni dopo. La mamma di Hope si chiese se non fosse troppo presto: la
sua
bambina aveva appena superato quattro sedute di chemioterapia, una
più forte
dell’altra. Si chiese se non meritasse un po’ di
riposo, dopo quell’inferno.
Il
padre di Hope, invece, pensava
che prima si facesse, meglio sarebbe stato: la chemio aveva ridotto il
cancro
ed era importante cogliere al volo quell’occasione per farlo
fuori del tutto.
Voleva la sua bambina fuori da lì, il prima possibile.
Tara,
Olivia e i ragazzi
organizzarono i loro impegni in modo da essere lì in
ospedale il giorno
dell’operazione. Zayn dovette spiegare a Jessica di questa
Hope e del ruolo che
aveva preso nella vita di Harry; Liam chiamò Fanny e gli
disse di cancellare
tutti gli impegni per quel giorno. “ma si può
sapere che cazzo succede?” gli
chiese per l’ennesima volta: Liam le spiegò di
Harry e del ruolo che lui aveva
preso nella vita di questa ragazza; Niall era felicissimo di poter
passare del
tempo con Tara e non dovette cancellare nessun impegno; Louis si
preparò a
passare un pomeriggio in ospedale a fare da spalla a Harry, in
qualsiasi modo
sarebbe finito l’intervento.
Alice
fissò il soffitto per buona
parte della nottata, cercando di non pensare ad Hope, di non pensare a
come
sarebbe stato se lei… o se lei, invece… Si
alzò e uscì dalla sua camera.
Attraversò il corridoio e aprì la porta della
camera del fratello. A tentoni,
riuscì a raggiungere il suo letto e ci si sedette.
“Spence? Spence sei
sveglio?” sussurrò, picchiettandogli leggermente
la gamba.
“Checassovoi…”
mugugnò lui in
tutta risposta.
“dai
fammi spazio…” Alice lo
spintonò un po’ e lui si mise a borbottare.
“Dai, pigrone, fammi spazio!”
Spence
si rotolò nel letto una
volta, stringendosi contro il muro. La sorella si infilò
sotto le coperte.
“hai
i piedi gelati” disse
Spence, sentendo un ghiacciolo sfiorargli la pancia.
“lo
so.” Rispose Alice. “Scusa.”
Spence
si passò una mano tra i
capelli e sul viso, ormai sveglio, poi si voltò a guardare
la sorella nella
penombra. Lei era
seduta, con le mani in
grembo e guardava di fronte a sè.
“Che
fai lì così?” chiese.
Alice
ricambiò il suo sguardo,
indovinando la figura di suo fratello
nell’oscurità.
“Non
riesco a dormire.” gli
rispose.
Non
ci fu bisogno di chiedere:
Spence sapeva il perché. Con un gesto della mano, le fece
segno di sdraiarsi.
Poi, quando sua sorella si fu sistemata, la circondò con un
braccio tirandosela
vicina. Le diede un bacio sui capelli.
Alice
sorrise. Poi chiuse gli
occhi e tentò di addormentarsi, riuscendoci.
Harry
fissava la luna dal
terrazzo dell’ultimo piano. Inutile dormire, non riusciva.
Non faceva neanche
caldissimo: il vento soffiava leggero. Perfetto, se non fosse stato per
ciò che
sarebbe successo il giorno dopo, a dodici ore
da quel momento.
Sentì
dei passi: era Louis.
“Non
dormi.” disse raggiungendolo
sul terrazzo.
Non
era una domanda e Harry non
rispose.
“Dovresti,
sai.” continuò lui.
“Insomma. Per domani. Per lei.”
Harry
fece un mezzo sorriso. Già.
Per lei.
Louis
appoggiò le braccia sulla
ringhiera del terrazzo e si mise a fissare anche lui il cielo.
“Hope è forte”
gli disse. “Liam ha ragione: ci stupirà
tutti.”
“Liam
e le sue fottutissime
lezioni di vita.”
Louis
sollevò un angolo della
bocca. “Si, Liam e le sue fottutissime lezioni di
vita.”
“tu
non sei così saggio.”
“Lo
sono mai stato? Evidentemente
è un suo dono.”
“Cosa
è un suo dono? Rompere le
palle?”
Louis
fece una piccola risata.
Poi guardò Harry che aveva ancora lo sguardo rivolto verso
il cielo.
“Se
domani non finisce bene, lo
ammazzo, lo sai, vero?” disse Harry. Liam aveva passato la
cena a rassicurarlo.
Louis
sorrise, anche se non era
proprio convinto che l’amico stesse scherzando.
“Be’
sarà la fine degli One
Direction, allora. E per colpa di una ragazza, in qualche
modo.”
Harry
gli lanciò uno sguardo: non
era sicuro che Louis stesse scherzando. Tornò a guardare il
cielo e rimasero così,
i due, per un paio di minuti, in completo silenzio.
“Uhm,
mi è venuta voglia di
svegliare Niall” disse Louis.
Harry
gli lanciò uno sguardo: poi
sorrise.
|
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Capitolo 28 *** C'è solo Una Direzione ***
Capitolo 28 – There is only One
Direction
Hope
non avrebbe mai saputo dire
cosa provava, mentre la preparavano per entrare in sala operatoria.
Tutto ciò
che sentiva si era annidato in una palla di sentimento da qualche parte
più o
meno all’altezza dello stomaco. Usava ancora la mascherina,
ma gliel’avrebbero
portata via da un momento all’altro.
La
mattina aveva ricevuto più
visite che in una settimana intera: i suoi, naturalmente, la sua vicina
di
casa, l’allenatore con il suo fidanzato e la sua assistente,
Tara, Olivia,
Alice e gli One Direction al completo. Le sembrava di essere davanti ad
una commissione
d’esame con tutti i parenti e amici che le facevano il tifo.
Solo che la
commissione d’esame avrebbe deciso tra la vita e la morte.
Era un esame che non
si poteva superare con un voto basso: o a pieni voti o si veniva
bocciati. E
non si poteva ripetere.
In
realtà, se ci pensava
seriamente, l’unico sentimento era la paura cieca e immensa
di non potersi più
svegliare. Di non vedere più i suoi
genitori e i suoi amici. Di non poter più
vedere il mondo e i suoi
colori, con tutta la brillantezza di quell’estate. Di non
poter più sentire il
sapore del gusto bomba di Penzance sulla lingua, di non poter
più toccare Knut
con le mani, di non poter più sentire il profumo di casa
sua, di non poter più
partecipare alle risate con Alice, Olivia e Tara e di non poter
più ascoltare
le note della musica del cd che Alice le aveva regalato. Di non poter
più
sentire il suo cuore battere forte quando vedeva Harry. Il terrore di
non poter
sentire più nulla, la spaventava più
dell’operazione stessa.
“Senti
io a casa ho una mega
torta gelato” la informò Olivia poco prima di
salutarla. Alice la guardò:
Olivia faceva di tutto per non sembrare preoccupata e
sull’orlo di una crisi di
lacrime, ma la voce le tremò lo stesso. “E non
penso di toccarla fino a che TU
non sarai uscita da là.”
“Quindi
la mangeremo presto.”
disse Tara. Anche la stoica e profonda Tara era scossa: gli occhi le
luccicavano più del solito, il tono della voce non sicuro
come solitamente lo
era.
“Olivia
mi sa che dovrai
prepararne un’altra” disse Alice. “Sarai
affamatissima quando uscirai di qui,
no?” si rivolse a Hope che, con la mascherina sul viso tenuta
con la mano,
tentava di sorridere. “Dovrai riprendere tutti quei
chili…”. Alice tirò su con
il naso, non avendo più il controllo di ciò che
provava. Anche questa volta
aveva fallito nel fingere.
Olivia
dovette guardare verso
l’alto per ricacciare indietro le lacrime. Tara, per la prima
volta nella sua
vita, non seppe cosa dire.
Hope
si tolse la mascherina dal
viso e poi, con tutta la forza che riuscì a metterci, disse:
“Voglio un
abbraccio”.
Le
quattro ragazze si
abbracciarono strette, tutte con le guance bagnate, piangendo in
silenzio.
“Non
ti azzardare a lasciarmi da
sola contro Olivia” disse Alice tentando di controllare i
singhiozzi. “Che non
sarà la stessa cosa guardare la sua faccia sconvolta quando
Cambridge batterà
Oxford la prossima estate…”
Olivia,
Tara, Hope e Alice
risero.
Le
amiche di Hope lasciarono
Harry da solo con lei.
Liam
guardò la sala d’attesa e si
chiese quante storie potevano essere
scritte tra quelle stanze, tra quei muri; storie, come quella
di Hope, che non avrebbe potuto spiegare.
Zayn
si chiese come Harry potesse
sentirsi: lui, se al posto di Hope ci fosse stata la sua Jessica,
avrebbe
sentito il pavimento aprirsi in una
grande voragine sotto i suoi piedi, ad ogni passo.
Louis
pensò che probabilmente non
avrebbe avuto lo stesso coraggio del suo migliore amico. Avrebbe
sentito il fuoco al posto del pavimento,
ad ogni
passo avrebbe avuto una voglia incredibile di lasciarsi andare.
Niall
cominciò ad odiare il colore di
quei muri nel giro di qualche
minuto. Che cavolo di colore era l’arancione? Ma oramai erano
stati dipinti e
lui, di certo, non poteva cambiarli.
Hope
sorrise a Harry cercando di
rassicurarlo.
“Ehi.”
le disse lui, prendendole
la mano.
“Ehi.”
rispose lei,
stringendogliela.
“Come
ti senti?”
Hope
non rispose e scrollò le
spalle. “ormai.” disse.
Harry
le sorrise.
“Ci
vediamo dopo va bene?” le
chiese poi, rinunciando nel non dire niente riguardo
all’intervento. “La strada
la sai, giusto?” Harry cercò di metterla sullo
scherzoso. Ma si vedeva che
stava soffrendo. La voce profonda aveva vacillato.
Hope
sentì le lacrime spingere
contro i suoi occhi. Li sbatté, scacciandole via e
annuì. Non si erano mai
neanche baciati decentemente, porca miseria!
“Se
vado nella direzione
sbagliata non cercare di raggiungermi, però.”
Harry
fece una smorfia, forse un
accenno di risata.
“C’è
solo una direzione.” le
rispose*, cercando di fare il simpatico. Hope riconobbe il gioco di
parole.
“Dove vorresti andare?” le chiese, respingendo la
voglia di baciarla, lì ,sul
momento. E non voleva farlo, perché poi sarebbe sembrato un
bacio d’addio. Ma
era inevitabile pensare che non si erano mai neanche baciati
decentemente,
porca miseria!
Hope
gli sorrise, lottando contro
se stessa, gli occhi più lucidi che mai. “In un posto sicuro, Harry.”
*
“But If I go in the
wrong direction, don’t try to reach me”
“There
is only One
Direction”.
|
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Capitolo 29 *** Epilogo parte 1 - Story of My Life, One Direction ***
Ecco qui, come promesso,
l'epilogo diviso in due parti. Inutile dirvi che sono molto triste per
il fatto che sia finita, però, insomma, prima o poi doveva
succede e doveva finire... in qualche modo. Penso che sia altrettanto
inutile dirvi che se siete solite ascoltare musica mentre leggete, in
questo caso vi consiglio vivamente Story of My Life degli One
Direction, come suggerisce il titolo.
Okay vi lascio all'epilogo!
Come al solito tanti abbracci, tantissimi abbracci stritolatutto a
tutti
buona lettura
Emma ;)
Ps: non ci crederete mai: sono
in modalità shuffle dell'iPod ed è cominciata...
Story of My Life. T.T .
Epilogo
parte 1 – Story of my Life,
One Direction
Liam
cercò di nascondere il viso
nella visiera del cappellino che si era calcato sulla testa. Era
entrato di
soppiatto, lo sguardo fisso sul pavimento finchè non era
entrato nello stadio e
si era seduto al suo posto. Poi l’attenzione era stata
attratta dalla gara e
lui, finalmente, aveva potuto togliersi il cappellino. Si
riavviò i capelli
aspettando il suo arrivo.
Hope
prese un bel respiro. Mentre
la musica della ragazza prima di lei sfumava nello stadio, il cuore di
Hope
cominciò a batterle nel petto con tutta la sua forza.
Sarebbe toccato a lei.
Hope
aveva superato l’intervento
con successo. Il dottor Colin Cooper aveva rimosso tutto il cancro, che
la
chemio aveva ridotto sensibilmente.
Ci avrebbe impiegato un mese e
mezzo a riprendersi completamente. Tre per riprendere in mano la sua
vita e sei, invece,
per far ricrescere i capelli e
riacquistare i chili che aveva perso. Facciamo cinque, con la
quantità di
gelato che aveva mangiato.
Si
mise in posizione al centro
dello stadio, il braccio alzato verso l’alto, non prima di
aver lanciato
un’occhiata verso il suo allenatore, fuori dalla pista,
dietro la balaustra,
che la guardava con le braccia incrociate. Anche lui era teso. Jean le
rispose
con l’occhiolino.
Dire
che era splendida era poco:
il vestito, disegnato e preparato su misura per l’occasione,
era di un blu
notte con pizzo nero che le disegnava strane figure sulla schiena nuda
e sulle
mani. Sembrava che fosse stato disegnato direttamente sulla sue pelle,
come un
tatuaggio. Il trucco, leggero, le faceva risaltare il contrasto tra i
capelli
rossi, legati in una treccia, la pelle bianca come la luna e il vestito
color
notte.
Hope
guardò verso l’alto e chiuse
gli occhi, pronta.
Aveva
destato un po’ di scalpore
la scelta della sua canzone: non era la classica canzone di musica
classica che
soleva accompagnare le pattinatrici nei loro dolci movimenti. Era
scritta da un
gruppo di cinque ragazzi, una delle più famose e delle
più belle che avessero
mai fatto.
La
relazione tra Harry e Hope era
rimasta nascosta da Giugno a Settembre, quando lei, finalmente, era
uscita
dall’ospedale. Poi i due vennero avvistati insieme un paio di
volte dalle parti
di Sevenoacks, dove lei viveva. Si diceva che avesse fatto la spia una
vecchia
amica della ragazza in questione, una certa Erika. Comunque la loro
storia era
presto diventata di dominio pubblico e Harry non aveva esitato a
procedere per
le vie legali: l’aveva già fatto in passato (con
Pamela) e voleva lasciare in
pace Hope. La sua vita da cantante non doveva nemmeno sfiorarla, almeno
finchè
lei non si fosse ripresa a sufficienza per affrontarla.
Harry
si era sentito talmente
sollevato dal fatto che Hope era sopravvissuta che iniziò a
sognare ad occhi
aperti cosa avrebbe fatto con lei appena si fosse ripresa:
l’avrebbe baciata,
di certo, mille volte e più di mille imprimendosi nella
testa ogni singolo
bacio.
Ma si rese conto ben presto che
non sarebbe stato così facile recuperare da dove avevano
interrotto, quel
pomeriggio, a casa sua, quando Hope era stata male.
"She
told me in the
morning she don’t feel the same about us in her bones
it seems to me that
when i die these words will be written on my stone"
Harry,
per tutta la durata del
loro rapporto, l’aveva amata come si può amare, al
massimo, la propria vita.
Lui lo sapeva. Ne era certo. Ma ogni tanto doveva cantare quella
canzone per
ricordarselo e per cercare di ricordarsi che aveva fatto, davvero,
tutto il
possibile. Ma era il suo, di cuore, che aveva iniziato a soffrire, rimanendo vuoto e arido. Lui aveva speso il suo amore,
finchè, una
mattina, qualcosa in lei si era rotto
definitivamente. Gli aveva detto che non
sentiva più le stesse cose su di loro, sulla loro
storia. Se lo sentiva
nelle ossa che dovevano chiudere. Lui si
sentì come morire. Avrebbe voluto quelle
parole scritte sulla sua tomba.
Serie
di passi.
Ferma.
Serie
di passi.
Piccola
giravolta.
Veloce.
1,2,3… Lutz.
“The
Story of my Life, I take her home,
I
drive all night to
keep her warm and time…”
Un
flash, sentendo le parole di
lui nella canzone:
Harry
aveva guidato quasi tutta
la notte per giungere a Penzance, che per lei era quasi una seconda
casa. Hope
aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, con la coperta
addosso, il
viso voltato verso il finestrino. Ogni tanto Harry si era girato e le
aveva
lanciato un’occhiata per vedere se era ancora viva.
Sua madre, Hannah, non era stata
d’accordo quando Harry le aveva proposto di portare sua
figlia a fare una
piccola vacanza. Harry, le raccontò poi, si era dovuto
letteralmente
inginocchiare sullo zerbino di casa per convincerla.
Era passato quasi un mese
dall’operazione ma sua madre ancora non si fidava.
Soprattutto perché il
viaggio sarebbe stato di notte. E come biasimarla? Due volte sua figlia
aveva
avuto il cancro, due volte aveva dovuto subire l’effetto
straziante della
chemio. Ma due volte aveva sconfitto la malattia, riuscendo a uscirne.
Cambiata, di certo, ma vittoriosa.
Harry aveva guidato
tutta la
notte, organizzando tutto con estrema precisione, per arrivare in tempo a
Penzance e, al contempo, tenerla
al caldo, dato che fuori l’aria era gelata.
Harry
parcheggiò vicino al posto
che più le piaceva: la scogliera a nord della cittadina,
dove il mare colpiva
le rocce, spumeggiando rabbioso. Sotto, il porto. Il padre di lei gli
aveva
dato un paio di preziosi consigli su dove portarla.
“Siamo
arrivati” disse Harry
scendendo dalla macchina, dopo averla svegliata con un bacio sulla
guancia.
“Che
stai facendo?” chiese
assonnata, mentre lui apriva la portiera dalla sua parte e faceva per
prenderla
in braccio. Non sapeva che cosa stava succedendo, Harry non le aveva
detto dove
la stava portando. Semplicemente, le aveva detto di dormire e che
quando
sarebbero arrivati, gliel’avrebbe fatto sapere.
“So
camminare” gli disse più per cortesia.
“Ho
promesso che non ti saresti
stancata” disse Harry, prendendola tra le braccia. Lei gli
mise le braccia al
collo. Poi dando un leggero colpo alla portiera, Harry chiuse la
macchina.
Hope
lo guardò negli occhi. Poi
si rassegnò e appoggiò la testa sul suo petto,
mentre Harry cominciava a
camminare.
Fecero
qualche passo e infine
Harry la posò sulla panchina.
Hope
guardò il paesaggio e le si
dipinse un sorriso vero sulle labbra. Era raro, soprattutto
nell’ultimo
periodo. Aveva riconosciuto il posto. E i suoi occhi furono rapiti dal
colorito
pallido del cielo. L’aveva portata a guardare
l’alba.
Hope
respirò profondamente sentendo
il sapore del sale sul palato. Harry le era accanto, in piedi, ma
anziché
guardare lo splendido spettacolo di luci e di colori, guardava lei, che
era più
bella di qualsiasi panorama. Gli era mancato quel sorriso e fu felice
di
esserne l’artefice ancora una volta. Guardò anche
lui lo spicchio infuocato del sole che
cominciava a nascere dalle onde del mare, in lontananza.
Ce
l’aveva fatta: era arrivato in
tempo.
Capì
perché ad Hope piaceva tanto
quel posto.
Quando
il cerchio del sole fu
quasi perfetto a qualche centimetro al di sopra
dell’orizzonte del mare, Harry
si avvicinò al bordo della scogliera, a qualche passo dalla
panchina dove aveva
lasciato Hope
“Ehi
qui è alto” disse.
“Harry…”
“Ma
qui dici che si buttano?”
“Harry…”
“E’
alto, quindi, secondo me no.
E’ troppo alto!”
Guardò
giù e si avvicinò ancora
di un passo per sentire il brivido dell’altezza.
“Harry
ti prego, allontanati da
lì…”
Bastava
un altro passo. Bastava
un altro passo e lui sarebbe scomparso dalla sua vista. Bastava poco,
bastava
una distrazione.
“Non
ti preoccupare” disse
Harry, più divertito dal dirupo che attento al tono di Hope.
“Cazzo, no sul
serio… E’ alto!”
Harry
fece dondolare un piede nel
vuoto e Hope urlò “HARRY TI PREGO TOGLITI DI
LÌ!”
Quando
Harry si voltò, la ritrovò
in piedi con una mano allungata nella sua direzione. Era spaventata.
Lui
le sorrise, cercando di
rassicurarla.
Le
prese la mano, allontanandosi
dal vuoto e avvicinandosi a lei. Lei lo abbracciò,
tuffandosi tra le sue
braccia.
“Ehi…”
disse lui, avvolgendola
nel suo abbraccio. Lei si staccò, lasciando le
mani appiccicate al suo petto, stropicciandogli la
maglietta. Lo guardò
dritto negli occhi alzando il viso e si prese tutto il tempo necessario
per
studiargli il viso: gli occhi verdi-azzurri, lo sguardo allegro, il
profilo
marcato e quella specie di nido di vespe che aveva al posto dei
capelli.
“Non
farlo mai più” disse Hope
appoggiando di nuovo il viso al suo petto. Il battito del cuore di lui
era
forte e chiaro. Questo, l’aveva sempre tranquillizzata. Era
ancora lì. Per
davvero. “Non voglio perderti” sussurrò.
Sentiva di aver bisogno di lui e della
sua forza.
Harry
la strinse forte “Nemmeno
io, Hope. Mai più.”
Serie
di passi.
Cambio.
Doppio
axel.
“…is froooozen…”
Le loro
poche foto che erano circolate
sui giornali poco prima che Harry facesse quella pazzia di portarla a
Penzance,
guidando tutta la notte, l’avevano spaventata. Harry era una
star, una star
desiderata e parlata. Lei, invece, voleva avere solo pace: pace per
pensare a
lei e a quello che voleva da una vita che per due volte
l’aveva fregata.
Penzance, con Harry, era
stata
fantastica: si era detta che le foto, i giornali ed i concerti
sarebbero stati
solo una fase e tutto si sarebbe risolto. Ma una volta tornati, una
volta che
la loro vita era ricominciata normalmente, si era ritrovata a farsi le
stesse
domande che si era fatta prima: Harry era un cantante, era famoso e
ciò faceva
parte di lui. E lei chi era per pretendere che lui mollasse tutto?
Soltanto per
aver pensato che fosse una misera fase di vita, come se fosse stato
solo un suo piagnoso
capriccio? No. Nessuno dovrebbe rinunciare ai suoi sogni per amore. E
lei non
si sentiva pronta per affrontare quel tipo di vita. Aveva un sacco di
cose da
fare e che voleva portare avanti: niente e nessuno doveva fermarla. E
poi… Poi
era davvero innamorato di lei? E lei lo era di lui? Era stata in
ospedale per
quasi la maggior parte del tempo in cui si erano realmente frequentati.
I
sentimenti verso di lui cominciarono a vacillare paurosamente: Harry
vedeva la
Hope malata, non la Hope vera. Anche lui era rimasto fregato dal
cancro. Hope
non poteva amare una persona che non l’amava per come era
davvero.
Doveva
cominciare ad abituarsi
all’idea che Harry non poteva più far parte della
sua vita.
“...although
i am broken
my heart is untamed still”
Era
riuscito a mantenere un tono calmo e risoluto,
la mattina che lei lo
aveva lasciato, nonostante fosse a pezzi
per ciò che Hope gli aveva appena detto.
L’aveva assecondata, dicendo che
aveva ragione. Che, in effetti, le loro vite erano troppo diverse.
Sequenza
di passi in velocità.
1,2,3…
Triplo
flip, seguito da doppio
toeloop.
Trottola
media seguita da
trottola bassa.
Ma
mai Harry avrebbe potuto mentire a se stesso: non ce l'avrebbe mai
fatta a dimenticare una come Hope. L'aveva capito fin dal primo momento
che l'aveva vista...
Harry fece una corsa pazzesca per arrivare in
tempo. Aveva parcheggiato
in doppia fila, completamente in divieto, ma non gliene fregava niente.
Aveva
deciso all’ultimo secondo. Quel giorno lui non sarebbe
servito a nulla al
gruppo e così aveva fatto la pazzia: avevo preso la macchina
di Louis e aveva
attraversato Londra a tutta velocità. A Hope non
l’avrebbe detto: l’avrebbe
messa in agitazione; gliel'aveva anche detto la sera prima. Era un
giorno estremamente importante per lei. Giurò a se stesso
che si sarebbe limitato ad osservarla da
lontano.
Si fece indicare da un papà in ritardo
quanto lui dove sarebbe stata la
celebrazione per i diplomi. Arrivò in tempo: c’era
ancora una ragazza bionda sul palco,
con le punte troppo rosse per essere naturali, che stava parlando. Era
Olivia,
ne era certo. Ciò significava che era nel posto giusto.
Rimase indietro, dietro la quantità
immensa di genitori, di fratelli,
sorelle, cugini, cugine, zii, zie e amici.
Quando Olivia smise di parlare, applaudì
anche lui per non dare troppo
nell’occhio. Si era messo un cappellino, ma aveva come la
sensazione di non
aver fatto un grande affare visto che si moriva di caldo.
“Abbott Hannah”
chiamò la presidentessa, dopo che ad Olivia fu
consegnato il primo diploma.
Non sapeva come faceva Hope di cognome, in fondo
non l’aveva mai vista.
Ma l’avrebbe riconosciuta. Era sicuro.
Dovette aspettare circa 30 ragazzi prima di
sentire:
“Knight Hope”
Senza capire come, il cuore di Harry
cominciò a battere forte. Era lei,
lo sapeva. La bocca gli si era seccata, non riusciva più a
deglutire.
Vide una ragazza salire sul palco, tirandosi su
appena la tunica blu,
per non inciampare. Diede la schiena al pubblico per cinque miseri
secondi. Ma
a lui sembrarono un’eternità. Poi si
voltò e Harry la vide.
Aveva i capelli rossi, color rame che le arrivavano
fin sotto le
spalle; la pelle del viso era chiarissima, pallida come la luna; gli
occhi
erano profondi, ma pieni fino all’orlo di
felicità. La sua bocca si aprì in un
leggero sorriso e Harry si sentì invadere da una sensazione
potente,
illudendosi, per un attimo, che quel sorriso fosse per lui, che Hope l’avesse
riconosciuto.
Quell’attimo durò troppo poco.
Hope prese tra le mani la tunica e scese
dal palco, raggiungendo gli studenti già diplomati.
Non aveva in fatto in tempo nemmeno ad applaudire.
Era la prima volta
che la vedeva.
Aspettò con pazienza che tutti venissero
diplomati. Poi quando tutti i
parenti si alzarono e andarono a complimentarsi si spostò e
fece lo slalom tra
le persone per andare più vicino a lei.
Sua madre la stritolava, suo papà le
batteva leggero una mano sulla
spalla, mentre altre persone, suppose i parenti, le stavano attorno
aspettando
il loro turno per abbracciarla.
Gli venne una voglia improvvisa di passarle accanto
e associare il
movimento delle sue labbra alla sua voce, quella che aveva sentito
così tante
volte al telefono che l’avrebbe riconosciuta anche a occhi
chiusi. Voleva
avvicinarsi per sentirla…per sentirla viva. Sarebbe andato
contro il suo
giuramento, cioè di starle lontano.
Si calcò il cappellino sulla testa,
facendolo aderire meglio e si
incamminò per passarle appena dietro. Ma quando era
esattamente dietro di lei,
lei si voltò, per vedere dove era un’amica.
“Si mamma, dovrebbe essere là
Alice. Adesso andiamo…”Era la sua voce.
Ne era certo.
Non resistette e la guardò dritta negli
occhi: si teneva la mano sulla
fronte, per contrastare la luce forte del pomeriggio; portava ancora la
tunica blu
e il tocco.
Lei lo guardò per un attimo,
sorpassandolo con lo sguardo: gli occhi di lei
erano marrone chiaro circondati da un’aurea scura, quasi
nera. Avrebbe voluto
che lo guardasse per sempre.
Hope si limitò a lanciargli
un’occhiata veloce, il tempo di capire che
lui non era un suo parente e poi passò oltre.
“Okay, vista.” Disse a sua
madre, dandogli la schiena. “Andiamo?”
chiese al gruppo dei parenti.
Lui continuò a camminare seguendola con
lo sguardo, non guardando dove
andava.
La vide raggiungere Alice, una ragazza da
lunghissimi capelli neri e
lucidi, la quale si staccò velocemente
dall’abbraccio di un parente e si
catapultò su di lei, stritolandola e urlandole nelle
orecchie E’
FINITAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA.
Harry sorrise e fece un giro molto largo per
guardarla ancora un po’.
La raggiunsero altre due amiche, una sicuramente
Olivia e l’altra
doveva essere Tara. La riconobbe dal portamento e dalla bellezza che
Hope gli
aveva descritto.
Alice e Hope si buttarono su Olivia, urlandole che
era stata fantastica
e Tara rise, venendo coinvolta nell’abbraccio e rischiando di
cadere.
Harry fece in tempo a vederle fare la prima foto.
Hope sorrideva radiosa
e voleva ricordarla così. Anche se a malincuore,
staccò lo sguardo e si diresse
alla macchina. Mentre era seduto in macchina, senza cappellino, assorto
nel
ricordo più bello che avesse, una studentessa lo riconobbe e
lo indicò urlando il suo nome. Ma Harry era allenato:
girò la chiave nel cruscotto e partì sgommando.
Sul viso, aveva disegnato un
sorriso nuovo, un sorriso di Adrenalina Dolce.
Ebbe la sensazione di essersi appena innamorato. Sul serio.*
Il
pezzo più difficile:
Serie
di passi.
Doppio
loop.
Passi.
Triplo
toeloop.
Passi.
Triplo
axel.
Serie
di passi.
Trottola.
Più
o meno sei mesi dopo Panzance, Hope
e Harry avevano rotto: una decisione comune e apparentemente senza
nessuna
sofferenza. Ognuno aveva preso la sua strada in modo differente e si
erano
accorti di non appartenere allo stesso mondo, di non potersi amare come
avrebbero voluto.
Entrambi
si erano convinti che era la
cosa giusta per loro. Per motivi diversi da quelli che si erano detti.
Lei aveva
la scusa dell’università e
del pattinaggio, un impegno a tempo pieno dato che Jean puntava a
portarla alle
Olimpiadi. Diceva che aveva visto in lei una forza che poteva avere
solo chi era andato a
tanto così dall’andarsene per sempre da questo
mondo.
Lui aveva la sua vita, le sue
canzoni,
il suo gruppo e la sua popolarità che molto presto
l’avrebbero portato a girare
il mondo. I Manager dicevano che il loro era ormai diventato un
fenomeno
globale.
Trottola
bassa.
Ultimo
salto.
Ce
la poteva fare.
Trottola bassa.
“The
Story of My Life, I give her hope,
I
spend her love until
she broke inside…”
Harry
aveva dato speranza alla
loro storia, facendo aggrappare il suo cuore a qualsiasi suo segno di
amore,
negando a se stesso cosa stesse realmente accadendo. Aveva sopportato
il fatto di non averla mai baciata come si deve, di non aver mai
assaggiato il sapore della sua pelle e del suo corpo, di non aver mai
potuto svegliarsi con lei dopo una notte passata insieme. Si era fatto
bastare i pochi baci a stampo, ripetendosi che era solo una questione
di tempo, non c'era fretta, e che tutto si sarebbe risolto.
“the
way that I been
holdin’ on too tight
with nothing in between…”
Ma
forse l’aveva sempre saputo:
aveva tenuto duro, per lei, l’aveva abbracciata forte,
l’aveva tenuta al caldo
e al sicuro, facendo di tutto per farsi amare; ma aveva tenuto
duro con troppa forza, con troppo amore, senza
ricevere niente in cambio.
“And
I been waiting
for this time to come around
but
baby running after
you is like chasing the cloud…”
Harry
aveva sentito la distanza
che era si era creata tra i due non molto tempo dopo che erano stati a
Penzance. Non aveva mai capito perché. Cosa potesse mai aver
fatto di
sbagliato. Hope non sembrava essere più la stessa, faceva
fatica a starle
dietro, era lontana, distante e… sempre un passo avanti a
lui, in tutto: andarle dietro sembrava come
rincorrere le
nuvole.
Trottola
alta.
Fine,
quasi di colpo, il braccio
alzato, nella stessa posizione di partenza.
Il
cuore le batteva a mille: per
lo sforzo, per l’emozione e per l’adrenalina dolce
che le scorreva al posto del
sangue.
Ringraziò
i giudici e il
pubblico, inchinandosi verso i quattro lati dello stadio, poi
uscì dalla pista.
Jean
la abbracciò forte “Sei
stata perfetta, sei stata un angelo per davvero.” Hope
avrebbe voluto piangere
perché sapeva in cuor suo di aver fatto una prestazione
stupenda. Ma c’era
qualcosa di più: mentre ballava, l’aveva sentito
vicino, quasi come se fosse
stato lì con lei, ad un passo da prenderla per mano e
portarla con sé. Quella
canzone l’aveva ballata centinaia di volte, non prestandoci
mai per davvero
alcuna attenzione. Ma ora... ora era diverso. Aveva sentito il suo
profumo, le
sue parole sussurrate, le sue labbra sulla sua pelle.
L’Adrenalina dolce
l’aveva guidata e le aveva aperto gli occhi. Alice aveva
sempre avuto ragione.
Ma
lui, ormai, non c’era più.
Dopo
Hope Knight, fu il turno
della russa. Il punteggio di Hope era stato il più alto:
male che andava si
sarebbe presa l’argento.
Hope
era nello spogliatoio quando
si seppe il risultato.
Le
telecamere corsero
immediatamente a cercare il suo viso, incredulo: la nuova stella del
pattinaggio dell’Inghilterra.
Non
aveva fatto in tempo nemmeno
a rendersi conto che Jean l’aveva presa di nuovo tra le
braccia e l’aveva
stretta, mozzandole il fiato. Sua madre, presente anche lei, fu la
seconda a
stritolarla in un abbraccio-spremuta. Suo padre, per la prima volta da
quando
sua figlia era nata, piangeva commosso: Hope ce l’aveva
fatta, contro tutte le
aspettative.
Harry
aveva cercato di rimanere
indifferente: rimanere indifferente al fatto che Hope era tra la
finaliste del
pattinaggio alle Olimpiadi di quell’anno, tenutesi a Londra;
che avesse
costruito la sua coreografia su una loro canzone, sulla canzone che
tutti e
cinque avevano scritto per lei; e che fosse stata fantastica. Ma
rimanere
impassibili di fronte al suo risultato fu quasi impossibile.
Alice,
con accanto Olivia e Tara,
che MAI si sarebbero perse uno spettacolo del genere, stava guardando
la gara
in diretta da Parigi dove avevano trovato un tirocinio da fare tutte
insieme in
una famosa casa di moda, grazie ai contatti del nonno di Tara.
Tutte
e tre urlarono di gioia,
saltando, quando sullo schermo apparve il punteggio della russa,
più basso di
quello della loro amica.
Tutte
e tre piangevano, ridendo,
abbracciandosi strette.
Le
misero in fila, una dietro
l’altra, dal terzo al primo posto, pronte per la premiazione.
Hope
aveva ancora gli occhi
umidi, le guance bagnate e le gambe molli. Non poteva crederci.
Quando
le fecero passare sotto
gli spalti di un pubblico delirante, automaticamente guardò
tra gli spettatori.
E lo riconobbe.
Quando
Hope si staccò dalla fila
delle vincitrici, facendo due scalini per raggiungere qualcuno tra gli
spalti,
Alice si commosse: Liam era davvero andato a vederla.
Liam
l’abbracciò forte mentre
Hope piangeva tra le sue braccia.
“Sei
stata bravissima” le sussurrò.
Non gli importava se adesso tutto il mondo si era reso conto che uno
degli One
Direction era presente nello stadio.
“Vi
amo.” Gli rispose Hope. “Era
per me.” Liam fece di tutto per non piangere pure lui.
Finalmente Hope aveva
capito che quella canzone era stata scritta per lei.
Harry
rimase scioccato nel vedere
Liam tra il pubblico. Che cazzo ci faceva lì?
Perché non gliel’aveva detto?
Perché non gli aveva detto che aveva ripreso i contatti con
Hope? Perché lei
sembrava sapere che lui sarebbe venuto da come Hope l’aveva
raggiunto sugli
spalti.
Louis
gli mise una mano sulla
spalla e tentò di trovare un sorriso sul viso
dell’amico.
Harry
in un primo momento avrebbe
voluto incazzarsi: andare a prenderlo per i capelli (un po’
inutile dato che
Liam se li era appena tagliati), sbatterlo contro il muro e urlargli
addosso che non si sarebbe mai dovuto
permettere di avvicinarsi alla sua Hope. Poi, pensò a
ciò che era successo mesi
prima.
“Non
ditele niente. NIENTE.
Riguardo a tutto questo.” Avevano appena finito di registrare
la canzone. A
quel tempo erano quasi due settimane che Harry e Hope si erano
lasciati. “Non è
per lei. E’ per me.”
“Harry io penso che lei debba sapere
quanto tu ci sia rimasto di
merda” aveva detto Niall.
“No” aveva risposto lui
categorico. “Non voglio più sentire parlare di
lei. Non voglio nemmeno pensarci. E’ finita. Punto. Devo
farmene una ragione.
Questa è l’ultima volta che ne parliamo.”
Ed
era stata effettivamente
l’ultima volta che ne avevano parlato. Ma tutti, con il
tempo, si erano resi
conto che Harry non se ne era mai fatto completamente una ragione,
cantando quella
canzone in ogni concerto, come finale. Se ne erano resi conto solo
guardandolo
in faccia mentre cantava la sua parte, con il cuore in mille pezzi,
l’anima
lacerata da un amore non corrisposto: gli occhi assumevano una
sfumatura
brillante ma tremendamente nostalgica. Come a tentare di convincersi,
ogni
volta, che lui aveva fatto di tutto, che ci aveva messo
l’anima e il cuore nell’amarla, ma
che qualcosa, che lui non aveva potuto controllare, si era spezzato.
Hope
si staccò da Liam, prendendo
completamente coscienza delle parole della canzone. Era la seconda
volta che le
accadeva.
“L’ha
voluta lui, vero? E’ stato
lui.”
Liam
non seppe mentirle. Non ne
era mai stato capace da quando avevano ripreso i rapporti, qualche mese
prima.
Si erano incontrati per caso in una
libreria-caffè vicino a Cambridge.
Lui, con in testa il solito cappellino per nascondersi, era entrato per
prendere
un regalo a sua sorella; lei era ad un tavolo a qualche metro di
distanza con
un libro di studio a farle compagnia e una tazza di cioccolata nelle
mani.
“Liam?” l’aveva
chiamato. Lui si era voltato, pronto a schizzare fuori
dal pub se qualche fan...
“Hope?” aveva chiesto lui
riconoscendola a fatica: i
capelli, di un rosso un po’ più scuro, le
erano ricresciuti fin sotto le spalle, il colorito della sua pelle era
molto
più rosea e i suoi occhi più luminosi. Era
sbocciata come un fiore, in pochi
mesi. “Ma
che ci fai qui?”
“Io studio” rispose lei
sorridendogli. Si, era bellissima, come se la
vita avesse davvero cominciato a scorrerle nelle vene. Se solo Harry
avesse
potuto vederla… “Tu che cosa ci fai qui, se mai!”
continuò Hope. “Non dovresti
essere in qualche città di qualche paese lontano a fare uno
dei vostri
fantastici concerti?”
Si erano seduti a prendere un caffè lui,
un’altra cioccolata lei e
avevano chiacchierato per tutto il pomeriggio. Poi lei lo aveva aiutato
nello
scegliere il libro per la sorella.
Prima di salutarsi, gli aveva detto che le
dispiaceva per come era
andata con Harry. “Ma non dirgli niente. Niente, riguardo a
tutto questo.” Liam
si era morso la lingua nel sentire quelle parole. “Non
è per me. E’ per lui.”
Successivamente le aveva scritto un messaggio
dicendole che il suo
consiglio era stato azzeccatissimo e la sorella era stata entusiasta
del regalo.
Era stata dura nascondere a Harry il fatto che era
di nuovo in contatto
con Hope. Non l’aveva detto agli altri ad eccezione di Louis.
E lui gli aveva
proibito di farne parola con Harry, se non voleva la fine degli One
Direction.
Liam non seppe mai dire se il suo amico stesse scherzando.
Liam
la guardò negli occhi e
impercettibilmente annuì. Lei, in un altro impeto di pianto,
lo abbracciò. “Che
stupida. Che stupida. Sono stata una stupida. L’ho lasciato
andare…”
Liam
la strinse forte di nuovo
tra le braccia. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per scambiarsi con Harry
in quel
momento.
Le
due ragazze del terzo e
secondo posto si portarono, una prima e l’altra dopo, sui
gradini più bassi del
podio, non prima di aver fatto un giro dello stadio salutando il
pubblico.
Quando
Hope fece la sua entrata,
lo stadio esplose, quasi come il suo cuore.
Harry
era in piedi. Non se ne era
nemmeno reso conto. Louis lo guardò: gli occhi di Harry
erano fatti per
guardarla. La luce che li illuminava non c’entrava niente con
il sole o con le
luci della stanza.
Le
premiarono con fiori, peluches
e medaglie. Un attimo prima che le luci si abbassassero, Hope
guardò il
peluches: era un orsetto bianco. Le vennero le lacrime agli occhi. Poi le prime note dell’inno inglese si
diffusero all’interno dello stadio e sollevò lo
sguardo.
Harry
aveva visto il peluches e la reazione di Hope. Sul suo viso comparve un
altro tipo di sorriso, quello che riservava solo a
lei: Hope stava pensando a lui.
* dal
Capitolo 7 - La
Prima volta (che l’ho vista) -
|
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Capitolo 30 *** Epilogo parte 2 - Quello che ti meriti ***
Epilogo
parte 2 – Quello che ti meriti
“Pronto?”
“Liam,
dove sei?”
“Un
attimo, arriviamo. Lei
dov’è?”
“E’
arrivata.”
Era
sera, due giorni dopo la
chiusura dei giochi olimpici, e Tara, Olivia e Alice avevano fatto una
sorpresa
ad Hope, tornando da Parigi per un paio di giorni. Si erano date
appuntamento a
Notting Hill, vicino ad un parco.
Faceva
freddo.
Quando
Hope arrivò alla fontana, luogo
dell’incontro, mise le mani in tasca e guardò il
cielo. Pensava a lui più
spesso di quello che aveva fatto quando erano stati insieme, quasi un
anno
prima. Si chiedeva se era il caso di ringraziarlo o di scrivergli
qualcosa. In
fondo, le aveva scritto un’altra canzone. Erano
già due, anche se Hope credeva
che la seconda non parlasse proprio di lei: aveva raccontato la loro
storia,
secondo come l’aveva vissuta lui.
“Sei una cogliona,
Hope, ecco quello che sei.”
Alice
non ce la fece più. Era ad
un aperitivo veloce con Hope, Olivia e Tara dalle parti di Cambridge
molti mesi prima. Il tempo
era uno schifo, il cielo stava scaricando tutta l’acqua che
aveva trattenuto
nelle due settimane precedenti. Per l’Inghilterra era un
record. Un gran numero
di ragazzi sfrecciava fuori dal bar, per i marciapiedi, diretti alla
propria
lezione o al proprio appartamento, proteggendosi la testa solamente con
la
borsa o con dei libri. Ma le ragazze non erano concentrate sul tempo:
Hope
aveva appena detto loro di aver rotto con Harry. In realtà
erano passate già
due settimane, ma Alice aveva fatto finta di non saperlo.
Hope
guardò Alice, aggrottando la
fronte.
“Stai
scherzando” disse Olivia
con un filo di voce. “ti prego, dimmi che stai
scherzando.”
Hope
cercò lo sguardo di Tara,
pensando di trovare un appoggio. Lei, dal canto suo, invece, aveva un
sopracciglio alzato. “In che senso non lo ami
più?”
“Forse
non l’ho mai amato.”
“Oh
be’ si in effetti, e uno ci
impiega 7 mesi per rendersene conto” disse Alice, sarcastica. Hope la
ignorò: Alice non
poteva capire.
“In
fondo sono stata la maggior
parte del tempo in ospedale” continuò Hope.
“E
lui ti è stato accanto…?”
Olivia non poteva credere che Hope avesse mollato Harry. Tutto il suo
mondo
stava crollando: era in piena crisi con il suo fidanzato storico che
non si era
per nulla rassegnato al suo nuovo gruppo di compagni universitari e
Hope aveva
appena mollato uno degli One Direction.
“Certo,
certo” annuì Hope.
Alice
succhiò apposta
rumorosamente il suo succo d’arancia dalla cannuccia. Hope
stava male, si, di
testa, però!
“credo
che non abbia mai avuto la
possibilità di conoscermi davvero, e io di conoscere lui, in
fondo.”
Tara,
se possibile, inarcò ancor
di più il sopracciglio.
“E
poi lui è famoso.”
“Eh?”
chiese Olivia, sempre più
spaesata.
Hope
prese fiato. “Lui ha una
vita movimentata, sempre in giro… io voglio pace. Non voglio
foto sui giornali,
non voglio preoccuparmi per la distanza che ci sarebbe stata
se… Insomma. Lui
ha una vita che non mi sento di affrontare.”
Silenzio.
Olivia
si guardò le
mani non sapendo bene cosa dire. L’unica cosa che pensava era
che, porca
miseria, la sua amica non stava più con Harry Styles. Era un
segno? Un segno
per il suo futuro e per il suo rapporto con lo storico ragazzo?
Tara
guardò Alice, la quale le
rispose con uno sguardo duro.
“Una
vita che non ti ha
praticamente mai sfiorata” disse Alice.
Hope
la guardò interrogativa.
“Mai sfiorata…?”
“Si.
Harry ti ha sempre protetta.
Praticamente era come se fosse una persona qualunque. La sua vita da
‘persona
famosa’, come la chiami tu, poteva anche non
esistere.”
Hope
storse il naso. “Be’ non
proprio. Cioè fa parte di lui, no?”
“Si,
ma quando mai ti ha dato
motivo di preoccupartene? Quando sono comparse le vostre foto, Harry
non ha
esitato nel proteggerti.”
“Me
lo avrebbe dato, il motivo.
Prima o poi tutto sarebbe ricominciato…E che senso aveva
aspettare? Meglio
finirla qua, prima di affezionarmi troppo.”
Alice
sbuffò. ‘Affezionarmi
troppo’. Come un cane.. ma dai!
“E
poi credo che anche lui non mi
abbia mai amata davvero”
“Prego?!”
chiese Alice,
stringendo più forte il bicchiere di plastica vuoto.
“Mi
spiego: io credo che lui sia
stato molto influenzato dal fatto che mi ha vista malata. Mi ha
trattato come
se rischiassi di finire in ospedale tutti i giorni, da un momento
all’altro.”
Alice
non credette alle proprie
orecchie. Ancora. Con questa storia. Con la SOLITA storia.
“E
chiaramente una storia così
non può funzionare. Dai…” Hope fece un
piccolo sorriso. Tara non seppe
identificare se fosse un sorriso per i ricordi felici con lui o un
sorriso
tirato di circostanza. “Mi è venuto a trovare
tutti i giorni quando sono stata
in ospedale, quando sono uscita ho trovato la stanza letteralmente
ricoperta di
fiori… e ha organizzato quella mega cena con tutti, mi ha
portato a Penzance a
vedere l’alba guidando tutta la notte…Io non
voglio un ragazzo che mi renda
speciale e che mi dica sempre di sì…”
“L’intero
genere femminile si sta
rivoltando sul lettino dell’estetista per ciò che
stai dicendo, lo sai, vero?”
Hope
ignorò Alice e terminò la
frase “…solo perché sono andata a tanto
così dal morire. Non abbiamo MAI
litigato in sette mesi…”
“E
ti lamenti?” la interruppe di
nuovo Alice.
Hope
strinse le labbra, cercando
di essere paziente. “Non ci siamo mai trovati in disaccordo
su nulla. E’
impossibile una cosa del genere!”
“Ma
non vi siete mai neanche
baciati sul serio” fece notare Olivia.
“BRAVA!”
disse Alice. “E non
siete mai andati a letto. Questo vuol dire pure qualcosa.”
“Certo
che vuol dire qualcosa”
rispose Hope. “Io non mi sentivo per niente sicura. Non di me
stessa. Ma di
lui. Ogni cosa che lui faceva, mi chiedevo se lo stesse facendo
perché mi
voleva bene sul serio o perché… provava pena.
Quando mi diceva che avevo
ragione, mi chiedevo se lo pensasse davvero.”
“Continuo
a non capire.” disse
Alice annoiata. “Volevi litigarci più spesso? SUL
SERIO?”
“No.
Io…” Hope si morse il labbro
inferiore. “Io volevo la normalità. Volevo essere
trattata per come mi merito,
non per cosa sono stata, cioè una malata di cancro. Io
voglio essere amata per
ciò che sono, Ali. Non per ciò che sono stata. Ne
ho il diritto. Come facevo ad
amarlo, come facevo a baciarlo o ad andarci a letto insieme se sapevo
che lui
mi trattava così solo perché mi aveva vista
malata? Solo perché ancora era
attaccato alla visione della piccola e debole Hope, sull’orlo
di un burrone?
Come facevo ad accettare i baci, se sapevo perfettamente che lui me li
dava
solo perché gli facevo pena?”
“Ma
lui ti voleva bene sul
serio…ti amava.” tentò ancora Olivia.
“Io
non credo che mi amasse sul
serio. Mi amava come si ama un cane, un gatto, una sorella…
un malato. Mi
voleva bene. Ma non come si ama la propria ragazza.”
Alice
cercò con tutte le forze di
non sembrare arrabbiata o infastidita. “Hope,
scusa…” cominciò con la voce un
po’ più acuta e sarcastica del solito.
“non è che ti è passato per la mente
che, PER CASO…per caso eh… lui ti
trattasse come ti ha trattato perché era
effettivamente pazzo di te?”
Hope
la guardò: Alice era
chiaramente dalla parte di Harry. Sapeva che lei e Louis avevano
stretto una
bella amicizia.
“Certo
che mi è passato per la
mente” rispose mentre pensava che probabilmente lei e Louis
avevano parlato
del fatto che si erano mollati. “Ma mi sono anche chiesta: se
non avessi avuto
il cancro, se lui non mi avesse vista stare male, si sarebbe comportato
allo
stesso modo? Avrebbe ricoperto la mia stanza di fiori? Avrebbe
seriamente preso
la macchina e mi avrebbe portato a Penzance? Avrebbe fatto tutto quello
che ha
fatto? Secondo me, no. O comunque avremmo sicuramente litigato
più spesso. Lui… Lui
associava me al cancro e viceversa. E io non sono più la
ragazza con il cancro.
Lo ero, certo, fa parte del mio passato. Ma non lo sono più.
Non sono IL cancro.”
“Appunto!”
esplose Alice. “Non
sei il cancro, ma è come se lo fossi!”. Alcuni
ragazzi al tavolo accanto si
voltarono e Alice fu costretta a ritrovare la calma. “Hai
fatto diventare il
cancro la scusa perfetta per mollare un ragazzo come Harry!”
continuò a voce
più bassa, cercando di controllare la rabbia. “Hai
fatto diventare il cancro
ciò che non hai mai voluto che diventasse, ovvero, una
scusa! Cosa ne sai che
lui non avrebbe fatto certe cose se non lo avessi avuto? Come diavolo
fai a
saperlo? Gliel’hai chiesto per caso? La tua
‘prova’ che lui fingesse si limita
alla stronzata che ‘non avete litigato per sette
mesi’? Ma sei fuori???”
Hope
la guardò e scosse la testa.
“Io gli ho voluto bene…”
“Esattamente"
Alice puntò un
dito contro la superficie del tavolo. Era in piena ispirazione da
discorso. “E’
questo il punto. TU gli hai voluto bene. LUI ti ha amata. Tu sei
talmente
spaventata da questa cosa del cancro, sei talmente spaventata da come
la gente
ti tratta quando sa del cancro, che credi che chiunque sulla faccia
della terra
ti dia ragione, lo faccia solo ed esclusivamente PER IL CANCRO. E
quindi sei
prevenuta. Ma sei prevenuta TU, non il resto del mondo. BASTA con
questa
storia. BASTA. Con Harry, sei stata cieca, mi spiace dirtelo. E hai
sbagliato, Cristo se
hai sbagliato.”
Hope,
di nuovo, scosse la testa.
“tu non capisci…”
“Capisco
benissimo Hope. Capisco
fin troppo, credimi.”
“Louis
ti può aver detto che…”
“No.
Io e Louis ci siamo ben
guardati dal parlare di te e di Harry.” Ed era vero. Louis
non aveva neanche
provato a tirare fuori l’argomento. L’aveva
avvertita e basta, chiedendole di
non chiedere niente. Ma lei se l’era fatta un’idea
del perché fosse finita. In
fondo, lo si annusava da un pezzo: da come Hope evitava di parlare di
Harry,
quando Alice, affamata di pettegolezzi, le chiedeva qualcosa del loro
rapporto;
e di come, da circa…uhm…sei mesi, Hope scappava
dalle braccia di Harry appena
lui tentava solo di abbracciarla; dai pochi baci a stampo rubatole,
sempre
d’improvviso a cui Hope rispondeva con davvero troppo poco
trasporto. “Prova a
pensare. Prova a pensare un attimo a come ti trattava prima che tu ti
ammalassi” continuò tentando di far ragionare la
sua amica. Ma sapeva già di
aver perso.
Hope
sporse il labbro inferiore.
“Non saprei” disse lei “Non ci
conoscevamo di persona…”
“Oh
ma per favore. Ti ha scritto
una canzone, ricordi?”
Hope
venne presa in contropiede.
“Io non credo che…”
“Tu
non credi cosa? Dai, ti è
stato vicino tutto il tempo, ha sofferto come un cane quando eri in
ospedale
riuscendo a tener duro e a stringere i denti, ha noleggiato un cazzo di
furgoncino per tutti quei fiori, ti ha portato a Penzance guidando
tutta la
notte… Ti ha scritto due canzo… una
canzone.”
Gli
occhi di Olivia guizzarono su
Alice. Stava per dire ‘due canzoni’ o aveva sentito
male?
“E
quella canzone te l’ha scritta
PRIMA che scoprisse del cancro. Non ti ha MAI baciata perché
TU non ti sentivi
pronta e PER LUI andava bene. Ti ha aspettata 7 mesi. Ti avrebbe
aspettata
anche tutta la vita, tesoro. Cazzo se non è amore questo,
cos’è?”
Hope
scrollò le spalle.
Alice
non poteva credere
all’indifferenza di Hope. “Hope ti sei fatta
influenzare da questa storia del
cancro. Non siamo più al liceo, dove tutti credono che tu
sia fatta di
cristallo. E Harry non l’ha mai pensato perché lo
sapeva, ti conosceva. Ti ha
trattato come una persona, non come una malata, come una persona
speciale,
CERTO, ma perché per lui eri la sua ragazza. Fin da subito. Anche dopo che ha saputo del
tuo cancro. Ti
amava davvero per come eri, per come sei.”
“Abbiamo
punti di vista
differenti” disse Hope con un’altra scrollata di
spalle.
Alice
pensò che, su questo, non
c’era dubbio. Aveva parlato con Liam visto che Louis faceva
la parte del
migliore-amico-solidale. Lui le aveva detto che si erano lasciati e le
aveva mandato in anteprima la loro nuova canzone. Le aveva detto
di prestare attenzione alle loro parole. E Alice aveva dovuto fare un
grandissimo sforzo per non correre dalla sua amica e sbatterla contro
il muro,
dicendole che era stata una COGLIONA galattica.
Se
solo Hope avesse potuto
ascoltarla….
“io
sto cercando qualcosa
d’altro” aggiunse Hope. “Qualcosa di
più.”
Alice
guardò l’amica, basita. L’avrebbe
presa a schiaffi sul serio. Quasi la odiava. E odiava Harry per non
averla presa
a schiaffi lui stesso, due settimane prima, quando Hope aveva detto che
non
potevano stare insieme. Qualcosa di più? QUALCOSA DI PIU? Ma
vogliamo
scherzare!
Ma porca miseria.
E quel cretino ci aveva pure creduto alla
cazzata
che ‘non appartenevano allo stesso mondo’. Idiota.
Bastava vedere come Harry
la guardava ogni volta che Hope sorrideva, parlava o semplicemente
respirava,
per capire che Hope stava dicendo un mucchio di cazzate. Harry
l’aveva amata e
l’amava ancora, ci avrebbe scommesso l’intera
collezione di cd, magliette e
libri dei Beatles. Ma Hope, forse, su una cosa aveva ragione: lei non
l’aveva
MAI amato. Ma non perché non l’amasse sul serio,
ma perché non ci aveva MAI
neanche provato, non si era lasciata andare, non era riuscita a
scrollarsi di
dosso il cancro, anche se era guarita. Ed era vero anche che Harry non
l’aveva
amata come si ama la propria ragazza. Ma piuttosto, come si ama la
propria
vita. E forse anche di più.
L’aveva
lasciato andare per i
motivi più idioti: primo perché lui era Harry,
Harry Styles. Quante volte si
era mangiata la lingua per non dire, neanche per sbaglio, il suo
cognome?
Perché facendolo, dava concretezza a ciò che lui
era veramente e lei non voleva
nemmeno parlarne; la spaventava da morire. Secondo perché
era sicura che Harry
non la trattasse come meritasse. Non l’aveva mai amato, no di
certo. Non ci
aveva neanche provato. Harry si meritava più di una stupida
riflessione fatta
in solitaria, da un’egoista quale era stata. Lui le era stato
accanto, l’aveva
consolata e protetta. L’aveva amata e lei aveva finto di non
accorgersi. E
aveva finto che non significasse nulla. Come poteva essere stata
così idiota?
Harry, HARRY STYLES, porca miseria, meritava almeno un paio di
tentativi, ma
VERI tentativi.
Non
si erano mai baciati
veramente. Non avevano mai passato una notte insieme. Perché
lei si era creduta
superiore. Superiore nel valutare la loro storia, come se fosse
un’esperta,
come se la sapesse lunga su di lui, su di loro e sul mondo in generale.
Come se
lui fosse stato un povero scemo.
Si,
decisamente, avrebbe dovuto
scrivergli qualcosa. O chiamarlo.
Ma
cosa avrebbe potuto dire?
Guardò
verso il cielo. C’erano
poche stelle quella sera.
“Ehi.”
Per
poco Hope non cadde nella
fontana.
“Che
spavento” disse Hope, voltandosi.
Ma anziché trovarsi di fronte alle sue amiche, si
ritrovò accanto ad un
ragazzo.
“Faccio
questo effetto di
solito.” La voce, sarcastica, era stata inconfondibile;
quando lo guardò, lo
furono anche i suoi occhi e i suoi capelli.
Hope
istintivamente fece un passo
indietro. Come aveva sempre fatto. Come si era appena rimproverata di
aver
fatto durante tutta la loro relazione. Erano troppo vicini.
Lui
la guardò tristemente: si era
accorto di quel piccolo passo. Come si era accorto che la loro storia
era finita molto prima che lei aveva
deciso di lasciarlo.
Dato
che Hope non parlava, con
gli occhi sgranati come se avesse appena visto un fantasma, aggiunse:
“Poi di
solito svengo…”
Non
finì la frase, gli fu
impossibile.
‘Fanculo
me e il cancro’ si disse
Hope, poco prima di buttarsi sulle sue labbra. Gli prese il viso,
coprendo la
distanza del passo con una maggiore in modo da trovarsi letteralmente
addosso a
lui. Posò le labbra su quelle di lui e dopo un attimo
dischiuse la bocca.
Harry
questa volta, però, la
avvolse tra le sue braccia, prima che lei potesse scappare via come
aveva fatto
l’ultima volta che lei lo aveva baciato, lasciandogli solo il
ricordo del
sapore delle sue labbra. Ricambiò il bacio, mantenendo la
promessa di un anno
prima: mettendoci tutto se stesso per renderlo indimenticabile. In
fondo era
bravo, quando si impegnava.
L'emozione che si sprigionò tra i due fu indescrivibile.
L'adrenalina dolce cominciò a scorrere a fiumi nelle loro
vene, al ritmo di quel bacio, tanto desiderato da entrambi. Lei
affondò le mani nel nido di capelli di Harry, lasciandosi
andare completamente, e lui, sentendo quel tocco, sorrise nel bacio e
la strinse ancora più forte, sapendo nel profondo che solo
in quel momento la storia della loro vita poteva realmente cominciare;
probabilmente, se fosse stato possibile, i loro corpi si sarebbero fusi
insieme.
Hope
si staccò dopo un tempo che
gli sembrò allo stesso tempo infinito e brevissimo. Gli
studiò il viso, come
aveva sempre fatto e a come ad Harry era mancato.
Harry
stava per dire qualcosa ma
Hope gli mise un dito sulla bocca. “No, tocca a
me.”. ‘Mi ha aspettata.’ si
disse ricordando le parole di Alice. Si prese ancora mezzo minuto per
guardargli il viso.
“Mi
dispiace, sono stata davvero
stupida.. Ma adesso è ciò che ti
meriti.”
Harry
la guardò divertito e
perplesso, non capendo le parole di lei che, ancora, non avevano
acquistato un
senso preciso.
Hope
prese un bel respiro e disse: “Ti amo Harry Styles.”
Nelle loro vene non
scorreva più il sangue. Scorreva qualcosa che se avesse
avuto un colore, sarebbe
stato, di certo, brillante.
Qualcosa di cui
entrambi avevano bisogno, per vivere, semplicemente, la storia della
loro vita.
Qualcosa che facesse della vita, un inno alla vita stessa.
Adrenalina
Dolce.
Eh insomma, è
finita, è andata. E, perdonatemi, ma mi prendo un paio di
righe per salutarvi tutti/e come si deve. Spero di non avervi annoiato
e spero che questa storia vi abbia fatto emozionare come ha fatto
emozionare me scrivendola. Hope e Harry adesso stanno insieme e, se ci
tenete proprio a saperlo, stanno bene: litigano qualche volta
più che altro perchè lui è sempre in
giro e a lei manca terribilmente e perchè lei si
è buttata nel pattinaggio di coppia e lui è
abbastanza gelosetto del suo compagno. Ma quando si trovano... quando
si trovano, il mondo potrebbe anche scomparire che a loro non
importerebbe. Potrebbe realmente scoppiare la terza guerra mondiale,
con cataclismi naturali e atterraggio degli alieni, che loro non se ne
accorgerebbero neanche, impegnati a 'consumare' la storia della loro
vita (NO, non c'è sottointeso alcun soppio senso... O forse
si XD).
E ora, se non vi dispiace, vorrei ringraziare alcune persone: Olivia,
quella vera, la prima che ha letto questa storia, la quale non credo
sia iscritta su efp ma fa niente, è lei che mi ha spinto a
pubblicarla su efp, quindi GRAZIE anche se non mi leggi U.U; poi Fede,
la mia prima piccola 'lettrice' di efp che ha recensito la mia storia e
mi ha fatto sentire davvero importante implorandomi di far finire bene
la storia (ahahah, penso di averti accontentata :D); poi Castiga Akirashi, la mia
beta degli ultimi 4 capitoli, ma in realtà anche di tutti
gli altri, con le recensioni-correzioni fatto con il suo nazigrammar
(credo che in quest'ultima parte dell'epilogo io ti abbia DAVVERO
tirata scema, facendoti partecipe di ogni mio 'piccolo' dubbio, quindi
GRAZIE); Chiara che si è lasciata prendere dalla
storia, dagli 1D e da tutto questo anche se non è proprio il
suo 'campo' e che si prende sempre il tempo per leggere le mie
chilometriche email e per rispondere con altrettante chilometriche
email (potremmo farci un diario sul serio! Oddio.... chissà
cosa direbbero gli psicologi se finissero nelle loro mani: saremmo
sicuramente oggetto delle loro ricerche, a volte siamo MEGA profonde); ed infine per ultimo, assolutamente non importanza, chiunque sia
arrivata/o qui leggendo la mia storia, chiunque si sia emozionato,
chiunque sia rimasto indifferente, chiunque si sia arrabbiato con Hope
e il suo menefreghismo, chiunque abbia tifato per Alice e i suoi
discorsi, chiunque abbia letto tutto nonostante non sia fan degli
1D, chiunque si sia lasciato incuriosire dalla mia storia.
Davvero, sembra che stia scopiazzando un po' quello che ha fatto JK
Rowling nel suo libro finale di HP, ma davvero, voglio spendere due
righe per qualsiasi persona ci sia dall'altra parte dello schermo: sei
stato/a fantastico/a! Ah, e poi ringrazio gli One Direction,
OVVIAMENTE, che senza la loro canzone, probabilmente non avrei avuto
nessuna ispirazione e ovviamente non avrei scritto la storia di Hope.
Vi lascio, infine, con una frase di Harry Styles, quello VERO, che mi
ha colpita un sacco sopratutto perchè collima, in alcuni
tratti, con l'Harry Styles della mia storia.
Tanti abbracci stritolatutto
a tutti, Directioner o meno (tanto quelli che non lo sono, lo
diventeranno presto, me lo sento U.U)
Emma ;)
Hope & Harry
<3
Alice :)
Olivia e Tara
Liam, Louis, Niall e Zayn
Siete tutti, nessuno escluso, parte di me. Siete stati e sarete per
sempre un prolungamento della mia anima. Grazie.
“I don't like people saying
'you are famous'. They destroy you with the words. It just gives you
like no
substance. Yes, it's not like "he is a really nice guy" or "he
is really funny". You like, it becomes distinguished like 'you are
famous'. It's just like a.. weird. I hate it.”
Harry
Styles – One Direction – This is Us
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