Adrenalina Dolce

di EmmaEvans
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Facile come il primo accesso ***
Capitolo 2: *** Senza nemmeno rendersene conto ***
Capitolo 3: *** Numero ***
Capitolo 4: *** Il gruppo ***
Capitolo 5: *** La sua voce ***
Capitolo 6: *** Inaspettata ***
Capitolo 7: *** La prima volta ***
Capitolo 8: *** Best (stupid) Song Ever ***
Capitolo 9: *** Succhiare tutto il midollo della vita ***
Capitolo 10: *** Il concerto ***
Capitolo 11: *** "Hope" ***
Capitolo 12: *** 1D Up All Night ***
Capitolo 13: *** Dal vivo ***
Capitolo 14: *** In un altro mondo ***
Capitolo 15: *** Everything u do is Magic ***
Capitolo 16: *** Soli ***
Capitolo 17: *** Mai più ***
Capitolo 18: *** Attesa ***
Capitolo 19: *** Una giornata pesante ***
Capitolo 20: *** 1D Take me Home ***
Capitolo 21: *** Vale la pena correre il rischio ***
Capitolo 22: *** Qualcuno che fosse vero ***
Capitolo 23: *** Fingere ***
Capitolo 24: *** Tutto ciò che non odio ***
Capitolo 25: *** Mentire per Amore ***
Capitolo 26: *** Knut ***
Capitolo 27: *** 1D Midnight Memories ***
Capitolo 28: *** C'è solo Una Direzione ***
Capitolo 29: *** Epilogo parte 1 - Story of My Life, One Direction ***
Capitolo 30: *** Epilogo parte 2 - Quello che ti meriti ***



Capitolo 1
*** Facile come il primo accesso ***


Ciao a tutti!!! Questa è la mia prima fanfiction pubblicata (quella precedente era sono un piccolo esperimento)! Ne ho scritte tante ma non ho mai avuto il coraggio di pubblicarne una... spero davvero che vi piaccia perchè è la mia creatura e i personaggi sono diventati... parte di me.
Come si legge, tratta degli One Direction, gruppo di cui sono fan da pochi mesi con non poche sofferenze visto che sono presa in giro dal 90% dei miei amici....Sono stata la mia ispirazione per questa storia, in particolare, lo è stata la loro canzone più bella (almeno secondo me): Story of My Life. Quindi vi chiedo PER FAVORE: se non siete fan, se siete haters o qualsiasi cosa che si possa accostare a questi, NON leggetela, così evitiamo qualsiasi 'scontro' spiacevole!
Ultima cosa: ci sono cose vere e cose false (sopratutto che riguardano loro 5, non sono proprio un'esperta!), però, come dire... è un'opera di fantasia, quindi... SPAZIO ALLA FANTASIA!
Per il resto, vi auguro una buonissima lettura e, se vi va, lasciate commenti, sempre ben accetti!
Un grande abbraccio stritolatutto a tutti (uno in più alla directioners che sceglieranno di leggere questa storia)
Emma ;)



Capitolo 1 – Facile come il primo accesso.

3 Marzo 2013

“Ciao”

“Ehi ciao”

“Come ti chiami?”

“Mi chiamo Hope e tu?”

Stryes94 sta scrivendo…

“Cosa ti suggerisce il mio nome?”

Padme sta scrivendo…

“Non lo so. Ti chiami… come una mossa particolare del bowling? :)”

“Ahahha, perché dici così?

“Stryes -> Strike, scritto strano”

“Ahahahah no.”

“non sono brava con gli indovinelli”

“va bene, questa volta ti salvi. Mi chiamo Noah. Piacere :)”

“Piacere :)”

Era iniziata come niente. Era stato facile, come fare il primo accesso al social network.


“Di dove sei?”

“Non credo di fidarmi abbastanza per dirti dove abito.”

“… risposta che posso accettare. Io però mi fido di te, anche se non ti ho mai vista: sono di Londra.”

“Bella Londra!”

“Tu non sei di Londra?”

“Ti ho appena detto che non te lo dico di dove sono”

“No, infatti. Ma mi hai detto che è bella, perciò ho dedotto che l’hai vista ma che non ci vivi.”

“Touché”

Hope aveva 17 anni, in procinto di uscire dalla fase più difficile, più fantastica, più dolorosa, più incredibile e pazzesca della vita di qualsiasi altra persona: l’adolescenza. Era uguale ma altrettanto diversa da qualsiasi ragazza della sua età.

Aveva deciso di accedere a questa chat tramite un social network perché aveva voglia di parlare con qualcuno che non la conoscesse. Qualcuno che non conoscesse la sua situazione e il suo passato, segnato inesorabilmente dall’Ombra. Ci era voluto davvero tanto per uscirne e avrebbe voluto iniziare da capo un’altra vita. Ma non sempre ciò che si voleva poteva essere possibile. Così aveva deciso di usare uno strumento che le avrebbe permesso di celare ciò che voleva nascondere. Sapeva benissimo che su internet si possono fare brutti incontri ma non le era importato: si sentiva sufficientemente superiore agli altri e aveva pensato che lei l’avrebbe capito subito se uno faceva finta di essere qualcuno o se era realmente quel qualcuno. Gli altri magari no, gli altri si sarebbero fatti fregare. Ma lei era furba quanto loro e abile a sufficienza da non lasciare tracce.

E quel qualcuno che si spacciava per un ragazzo dal nome Noah l’aveva convinta con le ultime due frasi anche se il nick name scelto da lui non fosse uno tra i più particolari e fantasiosi.

“Quanti anni hai?” si azzardò a chiedere.

“19, appena compiuti” rispose.

Era pronta a digitare la domanda successiva quando arrivò il classico POP della chat attraverso le cuffie attaccate al pc.

“appena compiuti no.” Hope si fermò e alzò un sopracciglio “Diciamo che ho da un mese 19 anni. Tu?”

Hope poggiò un dito sul tasto 1 ma non lo schiacciò. Si bloccò, con la fronte leggermente corrugata.

POP

“Anche questo non me lo vuoi dire. Va bene. Cercherò di guadagnarmi la tua fiducia ;)”

Hope si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.

“Mi giuri però che quando conquisterò la tua fiducia, me lo dirai?”

Era una richiesta strana. Ma in fondo era solo una chat e lui solo un ragazzo.

Sorrise tra sé, pensando che aveva pensato ‘solo un ragazzo’ e non ‘uno qualsiasi’.

“Si, te lo giuro :)”

Era iniziata come se fosse niente



Hope tornò a casa, il giorno dopo, completamente fradicia. Aveva piovuto per tutto il tragitto, da scuola alla fermata, dalla fermata a casa. Non le era importato granchè, le piaceva sentire le gocce scivolarle sulla pelle e impregnare i vestiti. Almeno finchè il vento gelato dell’aria condizionata del pullman non l’aveva colpita in pieno.

Aveva aperto la porta di casa, aveva fatto un passo e mollato borsa e scarpe in un angolo. Il suo gatto, Strike le era corso incontro ma appena aveva sentito l’odore di bagnato aveva fatto dietro front e si era andato a rifugiare in cucina, sotto il tavolo, dove aveva osservato guardingo la sua padrona ficcare qualcosa nel forno a microonde.

Hope era salita in camera, si era tolta i jeans, li aveva buttati sul calorifero insieme alla felpa e si era messa una tuta che le stava larga di almeno due taglie. Poi si era fatta la coda e si era sciacquata la faccia in bagno. Aveva perso un minuto osservandosi allo specchio, come faceva di solito ormai da quasi un anno. Cercava un segno che potesse effettivamente indicare il passaggio dell’Ombra. Ma come al solito non le sembrò che ci fosse nulla di strano a parte il pallore cadaverico della sua pelle. Quindi era scesa di nuovo in cucina, dove aveva preso il piatto di pasta al forno lasciato dai suoi e se lo era portato in sala, sul tavolino. Si era seduta sul divano e aveva accesso la tv. Solo allora Strike era uscito dal suo nascondiglio e l’aveva raggiunta annusando l’aria.

“Non è per te” aveva detto Hope mentre girava da un canale di musica ad un canale di serie tv, dove stavano mandando in onda una vecchia puntata di una delle sue serie preferite.

Aveva accarezzato Strike e si era rilassata.

Non aveva accesso il computer fino a sera, poco prima di cena. La scuola stava per finire, mancavano circa tre mesi e i professori erano tutti impazziti, caricandoli di compiti, interrogazioni e verifiche. Aveva perso un paio di settimane all’inizio della scuola a causa dell’Ombra. La sua psicologa le aveva detto che bisognava iniziarla a chiamare con il suo vero nome, anche in famiglia, soprattutto in famiglia; “per superare una cosa del genere bisogna che la si guardi dritta in faccia” aveva detto. Ma Hope era testarda ed era l’unica cosa che la dottoressa non era riuscita a cambiare.

Aveva cercato di concentrarsi sullo studio quel pomeriggio; alle sei decise che il Professore Lenteis poteva anche andare a quel paese insieme a tutti i pittori minori dell’età moderna. Mentre il computer si accendeva, sistemò un po’ i quaderni di scuola, accatastandoli in fondo alla scrivania. Quando il pc fu pronto, aprì internet: controllò se qualcuno dei suoi compagni avesse fatto domande intelligenti su facebook, se il professore avesse caricato il materiale per la lezione del giorno successivo e poi sentì il POP. Il programma della chat si era avviato automaticamente.

Mentre lo apriva si annotò mentalmente di togliere l’impostazione di accesso automatico.

“1 Richiesta di Amicizia, 3 Notifiche da VaLeLoVeSuBaCk!!1!, 2 messaggi ricevuti”

Controllò la richiesta di amicizia: proveniva da un tipo che si faceva chiamare Timidone97. La rifiutò senza pensarci troppo. Guardò le tre notifiche. Erano tutte cazzate: un video e due commenti. Poi i messaggi: provenivano da Stryes94.

Erano la continuazione della conversazione della sera precedente. Avevano parlato di cibo.

“No, comunque ho ragione io” diceva il primo messaggio “Il finocchio fa schifo. Sei tu che sei strana e ti piace. Comunque anche io vado a letto, buona notte, a domani!”

Hope si era stiracchiata, indecisa se scrivergli lei oppure aspettare.

Poi sua mamma l’aveva chiamata e aveva avuto altro a cui pensare.


“Ciao Hope!!!”

“CIAOOOOOO!!!” Padme sta scrivendo…“Ciao scusa devo mangiare a dopo ciao”

“Vaaaa bene. Ciao!”


Quando tornò, lui era ancora in linea. Era passata un’ora.

“Scusami ero a mangiare.”

Lui ci impiegò qualche secondo a rispondere. “Tranquilla.”

“tu non mangi?”

“già fatto.”

“Come stai?”

“bene grazie” Hope mise della musica a caso dal suo iPod e si accomodò sul suo letto, con il computer in grembo e Strike appallottolato contro il suo fianco. Era leggermente stanca e cercò qualcosa su internet da vedere in streaming. Sua madre non era molto dell’idea che lei stesse così tanto davanti al pc, ma papà la difendeva sempre dicendo che non bisogna aspettarsi nient’altro da una ragazza di quell’età.

“Tutto ok, Hope?”

Aveva scritto il suo nome e questo la confortò in qualche modo. Il fatto che lui fosse un maniaco pazzoide si stava facendo una rara possibilità.

“Si, scusa. Sto cercando qualcosa da vedere sul computer. Tu come stai?”

“Bene. Cosa vuoi guardare?”

“pensavo qualche serie tv… niente di impegnativo.”

“Tipo Life in short?”

“Si, diciamo di si, anche se non è il mio genere”

“Allora sei inglese.”

La prese in contropiede e lasciò perdere la serie tv. Non sapeva cosa rispondere e per troppo tempo lasciò la chat vuota, con l’ultimo messaggio di lui. “Non è vero” scrisse infine sapendo benissimo di essere fuori tempo massimo per essere creduta.

Lui ci impiegò altrettanto tempo per rispondere.

Life in short la fanno solo in Inghilterra Hope”

Il fatto che l’aveva chiamata per nome la fece innervosire, quando prima, invece, l’aveva confortata.

Non scrisse niente e si affrettò a controllare in Internet. Life in short era effettivamente una serie tv trasmessa solo nel Regno Unito.

Lui però non scrisse più nulla, come se sapesse benissimo che lei si stesse scervellando per trovare una spiegazione plausibile.

“Be’ potrei anche essere di un altro paese e voglio imparare bene l’inglese.”

“vero” scrisse lui, rispondendo immediatamente. “Ma non credo che esistano persone sulla faccia della terra che vogliano imparare l’inglese guardando quella schifezza di serie tv.”

Hope rise. Era simpatico.

“Ahahaha, hai ragione.”

“ahaha. Bene, allora ho ristretto la ricerca ad un solo stato: Regno Unito. Devo capire se sei scozzese, gallese, irlandese….”

Hope fece un sorriso. “Già :)”

“Cosa hai fatto oggi? Sei andata a scuola?”

“Si” rispose senza pensarci. Merda, aveva appena rivelato un’altra informazione: aveva rivelato di avere tra i 10 e i 17 anni . 10 come base minima per saper usare internet con abbastanza dimestichezza. 17 perché aveva detto scuola e non College. Anche se poteva essere ambiguo…

“E cosa avevi di lezione?”

Questa volta non si fece fregare. “di tutto un po’” rispose semplicemente. “e tu?”

Lui si era accorto della sua risposta fugace, ma non scrisse nulla al riguardo.

“Oggi niente scuola :)”

“Fortunato! E come mai?”

“una specie di sciopero del personale”

“Specie?”

“Si. Sciopero dell’alunno.”

Di nuovo, Hope sorrise. Riprese a cercare qualcosa da guardare.

“Ahahaha mi dispiace… malato?”

“più o meno… stasera hai mangiato ancora insalata e finocchi?”

“No. Stasera sono stata carnivora...”

“Oh adesso si inizia a ragionare!”


Passò un numero di conversazioni considerevole: conversazioni sul nulla e su tutto, anche su argomenti che solo adolescenti possono far durare ore e ore. Hope passava la serata, dopo cena, su quella chat a scrivere, a rispondere e a ridacchiare, mentre Strike faceva le fusa contro la sua pancia. La maggior parte delle volte vedeva in contemporanea una puntata di una serie tv ma a volte doveva interromperla perché la conversazione diventava impegnativa e il POP nelle orecchie era continuo e le dava fastidio. O per lo meno era quello che lei diceva. In realtà, non le interessava più di tanto guardare la serie tv.

Diventò un appuntamento fisso e man mano che i giorni passavano insieme alle settimane diventava impercettibilmente sempre meno facile chiudere il pc e addormentarsi. Saltarono solo due sere in due settimane: una lui era fuori casa e l’altra lo era lei.



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Capitolo 2
*** Senza nemmeno rendersene conto ***


Capitolo 2 – “Senza nemmeno rendersene conto”-

 

19 Marzo 2013 – Sabato  ore 20.12

Era appena tornata dall’Ospedale, una velocissima visita di routine, un semplice prelievo, ed era passata dalla Dottoressa Hife per informarla sull’andamento della scuola.

“Hope ci sei?”

“Ciao Noah!”

“Ciao! :) allora hai comparto quella maglietta?”

“Uhm a mamma non è piaciuta moltissimo. E sinceramente ha ragione, costa un po’. Però la trovo bellissima… te l’ho già detto vero?”

“Si mi pare di si

Una quindicina di volte”

“Ma è perché è STUPENDA, ma giuro, non hai idea.

Devo averla, non capisci? Vado pazza per questo genere di cose… nera, con i disegni del cartone…”

“A me quel cartone fa un po’ rabbrividire”

“:O :O :O NON PUOI DIRE UNA COSA DEL GENERE :O :O :O

Ma l’hai mai visto?”

“No, ho solo visto un pezzo da una mia amica, una volta, ma non mi è per niente piaciuto…”

“TU sei un’idiota. L’AMICA una grande!”

“Sul grande sono d’accordo… sull’amica un po’ meno”

Hope piegò la testa di lato. Era fidanzato? “Perché ‘amica un po’ meno’?” digitò. Poi, dopo aver inviato il messaggio aggiunse: “Comunque bisogna rimediare a questo fatto :O :O :O”

“ Perché non era proprio un’amica… soprattutto per cosa è successo poi quella sera. E ti garantisco che non era interessata tanto al film”

“Quindi eravate tutte e due impegnati in qualcosa di più…interessante XD posso immaginare cosa…ahahaha”

“ehehe già! E rimediare dicevi? A cosa?”

“Al fatto che non hai mai visto quel cartone. Sappi solo che è uno delle colonne che hanno costruito la mia infanzia”

“Ah quindi se lo vedessi diventerei come te.

Meglio non vederlo allora.”

“ahahahah

Sei sempre più simpatico Noah! Simpaticissimo guarda, come gocce di limone negli occhi”

“Ahahahahahahaha!”

Noah riempì la chat di faccine che ridevano.

“Però la tua non-amica-fidanzata doveva avere un’intenzione base di vederlo quel film. Quindi è una grande non-amica-fidanzata!

Tienitela stretta ;)”

“Non-amica-fidanzata?”

“Hai detto tu che non è ‘proprio un’amica’ e da quello che avete fatto quella sera posso supporre che sia la fidanzata…”

“Non è più la mia fidanzata”

Hope si morse il labbro “Ops scusa, non volevo riaprire una ferita… che magari è ancora aperta…?”

Noah scrisse e cancellò molte volte prima di inviare qualcosa “Non ti preoccupare.”

“Se Mr.Noah ne vuole parlare, la psicologa oggi riceve. Si sdrai pure sul lettino.”

“Ahahahahaha”

“ahahahah

No seriamente Noah. Se ne vuoi parlare io ti ascolto… ti leggo XD. Se invece vuoi parlare di altro possiamo farlo.”

“E di cosa parliamo?”

“ooooh ce ne sono di argomenti! Il tempo, il cibo, l’inquinamento, lo sfruttamento dei bambini, l’uso di animali in laboratori chimici…”

“Come siamo profonde stasera…”

“ma lo sapevi che ieri ho visto un video in cui un cane apriva un microonde??? :O incredibile, poi dicono che li trattiamo male -.-”

“Ahahaha devo averlo visto anche io sai? Quello che spinge la sedia per salire sul bancone della cucina?”

“ESATTO! Non è un cane, è un UMANOIDE capisci??? Fra poco vedrai che inizieranno a parlare”

“Ah ci manca solo loro!”

“???”

“…. Già ci siete voi donne che rendete questo mondo pieno di chiacchiere…”

“Ah. Bene. Io vado a letto. Ciao.”

“Nooooo Hope scherzavo!!! Daiiiii :( non andare via. Faccio pentimento giuro!”

“…”

“HOOOOPEEEE”

“ROOOOONF”

“Ahahaha, non sapevo russassi!”

“ahahahaha, no non russo!”

“E chi lo dice? Tuo fratello? I fratelli non sono mai attendibili…”

“Non ho fratelli. Sono figlia unica. C’è solo una piccola pazza in famiglia! Comunque te lo garantisce Strike”

“Strike? E chi è? Il tuo fidanzato?”

“Non ho nemmeno quello. E’ il gatto comunque.”

“Hai un gatto?! Ma si chiama come me ahahaha E lui come fa a garantirmelo?”

“mfmfmfmffffffff maooooo miaaaaaaoooo mooooaaa”

“Ahahahahahah va bene ti credo Strike… solo se mi dai la tua….ZAMPA! ahahahahahahahahah”

“Pessima. Noah questa era pessima.”

“ invece era bellissima! Se mi dai la tua zampaaaaa… ahahahaha”

Di nuovo riempì la chat di faccine ridenti.

“-.-“

“Ahahahaha dai Hope!”

“No, non riderò a questa cazzata!”

“Va bene :(”

“non fare quella faccina, susu.”

“ va bene :(  comunque non sapevo avessi un gatto. Di che razza è?”

“Non lo so. E anche lui dice di non saperlo. Anzi. Lui dice che sei superficiale: non esistono razze”

“Ahahaha sul serio dice così?”

“giuro!”

“va bene… ehm allora di che colore è il pelo?”

“grigio a macchie arancioni”

“Uao! Deve essere bellissimo… quanti anni ha?”

“5 circa… tu non hai animali?”

“Ehm… si, attorno a me ne vedo spesso moltissimi. Alcuni sono anche miei amici.”

“…….. Va be’ dai questa non era male”

“ahahah grazie grazie, lo so. Comunque ho una tartaruga.”

“Ah si??? E come si chiama?”

“Ninja”

“…. Dimmi che mi stai prendendo in giro”

“ahahah no te lo garantisco! E’ mia sorella che l’ha chiamato così!”

“Non dare le colpe a tua sorella che deve essere una santa per sopportarti”

“ahahaha la pensate allo stesso modo mi sa!”

“Ecco bravo, fagli i complimenti da parte mia!”

“ahahaha se mi rivolgerà la parola prima o poi…”

“E’ ancora arrabbiata per la storia delle scarpe immagino.”

“Guarda che a me è scivolata la cioccolata! Non l’ho mica fatto apposta.”

“Non discuto… ma ti ho detto che secondo me dovresti ricomprargliele come minimo!”

“ :D :) già fatto :) ho seguito il tuo consiglio!”

“BRAVO NOAH! Non ti facevo tanto intelligente! E lei cosa ha detto?”

“Ancora niente. Gliele metterò davanti alla porta della camera da letto appena si addormenta.”

“Ooooooh ma che tenerezza…”

“E, ti dirò più: gliene ho comprato un altro paio!”

“MA VA??? Oddio allora mi sa che stasera nevica… devo chiudere bene le imposte se non voglio che la tempesta di neve si infili fin dentro casa”

“ahahahaha ma dai :(”

“di che colore?”

“Rosa.”

“…………………….”

“cosa? Ho sbagliato???”

“….diciamo che non sarebbe stata la mia prima scelta. Cioè io non conosco tua sorella… però se mi dici che ha la camera tappezzata di cantanti quali i green day o i coldplay credo che avrei optato per un blu, per un nero o un grigio topo che adesso va molto”

“Va molto? Mica mi hai detto che la moda non ti piace?”

“Non è che non mi piace… la seguo quando piace a me. Adesso il grigio topo va, o almeno andava per l’inverno, a me piaceva e quindi mi sono detta perché no???

Comunque vedrai che apprezzerà il gesto, sicuramente. Dal suo fratellino poi….”

“Ahaha be’ spero che gli piaccia in generale tutto anche il colore. Ma se mi perdona è sufficiente.”

“Ma che tenerooooo”

“Si perché sennò mamma stressa”

“ come non detto”

“Ahahaha no scherzo! Mia sorella è importante per me ;)”

“Spererei!”

“Non ti senti un po’ sola senza fratelli?”

“A volte si, a volte no. E dipende anche da quanta differenza di età consideri… per esempio se fosse appena nato in questo momento mi seccherebbe un sacco avere un nano ubriaco urlatore per casa”

“Ahahahaha muoio”

“avere una sorella della mia stessa età penso sarebbe un incubo. Mamma dice sempre che avere una sola Hope è più che sufficiente”

“Devi essere terribile.”

“non sono per niente terribile. E’ lei che è strana”

“non ho dubbi…”

“Forse un fratello o una sorella più grande. Però un po’ tanto più grande… tra i 20 e i 25 anni più o meno non mi dispiacerebbe.”

“Ma forse sarebbe già fuori di casa, quindi sarebbe come non averla.”

“Sai non è detto… cioè dipende da che rapporto hai con tua sorella/fratello. Cioè sul fatto che sarebbe fuori di casa forse hai ragione. Ma come non averla non è vero… perchè comunque avremmo passato un bel po’ di tempo insieme e sono sicura che mi mancherebbe tantissimo nelle cose di tutti i giorni. Litigare con i miei sarebbe sicuramente più facile dato che la obbligherei a stare dalla mia parte…”

“Ahahahaha si molte volte ci diamo una mano a vicenda…”

“Ecco, infatti. Un po’ mi manca questa figura, però è anche vero che non l’ho mai avuta quindi non so che lati positivi e negativi ci sono!”

“Si... e di lati negativi ci sono. Quando vivevano ancora sotto lo stesso tetto e aveva gli attacchi isterici io mi rifugiavo nella mia stanza.”

“facevi bene. Certe volte noi ragazze siamo terribili”

“Quando ha avuto la sua prima lite con il suo primo ragazzo è stato… pazzesco. Era diventata pazza. Ma PAZZA, non smetteva più di piangere… le ho detto ‘ehi guarda che ti prosciughi!’”

“ahahahaha, immagino. Povera :( l’hai consolata vero?”

“ovviamente! I miei non c’erano, meno male che c’ero io… abbiamo anche dormito insieme quella notte. Ero un po’ preoccupato sinceramente.”

“Ma davvero sei così tenero o stai facendo finta?”

“ahahaha è tutta una tattica ;) per tenermela buona durante i litigi con mamma e papà.”

“Ah ecco. Si spiega tutto. Mi sembrava strano”

“E comunque ho spaccato il culo a quel coglione ovviamente.”

“ovviamente.”

“No giuro. E’ stato una merda. Adesso appena mi vede scappa lo sai?”

“perché OSA entrare in casa tua??? Non dirmi che tua sorella si è rimessa con lui :O”

“noooo ma va! Mia sorella si è fatta valere e non lo calcola proprio più!”

“oh meno male. E come fa a vederti? Fate la stessa scuola?”

“Diciamo che ci vediamo spesso per motivi che non ti sto a raccontare…Però tiene la testa bassa.”

“bravo Noah, fagli capire CHI COMANDA!!!”

“guardi ancora Lost in grey?”

“Si -.- ma questa puntata mi sta facendo venire voglia di defenestrare il computer.”

“ahahaha come mai???”

“Ma perché questo pirla di Eathan ha sparato a uno che manco conosceva e Fanny gli sbava dietro come prima. Ma dai -.- ma io tifo per i cattivi e non se ne parli più.”

“ma nooo come?! Per i cattivi?? Ahahahaha Le ragazze comunque vanno dietro agli stronzi, si sa.”

“Ommioddio… non cominciare anche tu con la scenetta da pseudo-maschio-vittima che non mi piace per nulla.”

“ahahaha perché???”

“Dai! Tutti che dicono che le ragazze si innamorano degli stronzi… e sai cosa vi dico? Che vi innamorate tutti delle fighette, che a noi ragazze normali non ci guarda nessuno!”

“ma non è vero!”

“Certo che non è vero! Solo che le cose si stanno ribaltando: ora siete voi che avete le crisi esistenziali e vi fate paranoie da morire che non servono a nulla se non ad abbassarvi l’autostima!

Okay ragazze che vanno dietro a ragazzi stronzi ci sono. Ma anche VICEVERSA! Il mondo non è né tutto bianco né tutto nero. E se andate in giro dicendo queste cazzate, è ovvio che nessuna ragazza vi calcolerà mai!”

“Pam mi ha scaricato per uno stronzo.”

Il primo riferimento a ciò che era successo con la ragazza di prima. Hope non aveva intenzione di sapere esattamente cosa era successo (il suo essere pettegola moriva dalla voglia) anche se il sasso era stato lanciato. E infatti non insistette.

“Infatti ho detto che esistono. Ma non TUTTE. Non facciamone una tragedia, non generalizziamo. Sennò allora visto che in Giappone ammazzano le balene, tutto il mondo ammazza le balene? NO! Certo che no. E’ questo il punto: non si può farne una cosa generale se hai solo un caso.”

“Sinceramente ne ho conosciute un po’”

“tutte?”

“tutte cosa?”

“Tutte hanno fatto così? Oh ma scusa, quindi vuoi dire che tua madre si è messa con uno stronzo? O dici che è la moda del momento?”

“Ahahaha, no va be’. Non tutte. Un po’”.

“un po’ lo posso accettare. Tutte proprio no. E mi dispiace se hai avuto un’esperienza del genere. Ma ti garantisco che non sarà sempre così. Sennò tutte quelle che hanno un figlio vuol dire che il loro padre è uno stronzo. E ci sarebbero in giro un sacco di ragazzi single, quelli non-stronzi.”

“ahahahahah, vero… comunque ci conto. Guarda che poi vengo a lamentarmi da te.”

“Per cosa?”

“Se tutte finiranno come Pam.”

“Ma noooo vedrai ;)”

“lei è stata proprio una stronza. Anche io non ho scherzato…”

“vedi allora ecco la spiegazione del perché si era innamorata di te”

“aaahahaha vero, hai ragione. Comunque è finita. Da un po’ ormai.”

“ti fa male ancora?” si azzardò a chiedere Hope.

“Male no… ormai ci ho fatto l’abitudine. Qualche volta ci penso. Purtroppo non è un bel ricordo…”

La Hope-pettegola scrisse “Posso chiedere cosa è successo? Sempre se ti va di raccontarmelo…”

“Be’… non c’è molto da raccontare. Ci siamo conosciuti per amici comuni, mi diceva che le ero piaciuto subito. E la cosa all’inizio era reciproca. E’ andata avanti per poco, due settimane al massimo, e sono venuto a sapere che gli era piaciuto anche il mio migliore amico.”

“Ahia.”

“già.”

“Mi spiace. Davvero… io penso non riuscirei ad agire in questo modo… Cioè… se due sono amici, mi faccio un esame di coscienza prima di rovinar la loro bella amicizia.”

“Proprio per questa che non l’abbiamo rovinata. Nemmeno lui sapeva di me. All’inizio ero convinto che lui sapesse benissimo ma poi ne abbiamo parlato e tutto si è risolto. Lui sapeva che ero amico di Pam, non sapeva che ci tiravo storia. E infatti non siamo mai usciti, io Pam e lui. Chissà perché…”

“eh già, chissà come mai. Comunque mi dispiace… però è una bella cosa che tu ne abbia parlato con lui e che ci sei ancora amico”

“già. Quando l’abbiamo messa davanti al fatto compiuto, lei ha detto che non gli portava, che lei stava già con qualcun altro e che noi potevamo arrangiarci.”

“ma che simpatica.”

“E’ per quello che dico che mi ha mollato per uno stronzo. Perché di fatto né io né il mio migliore amico l’avevamo mollata.”

“Be voi siete stati anche carini secondo me. Non è da tutti: avreste potuto prima di tutto prendevi a pugni l’uno con l’altro e poi prendere a pugni lei. Che gentlemen che siete!”

“ahahaha grazie!”

“prego! Ma quanto è passato circa?”

“un mese più o meno. Louis dice che non ci pensa più, ma lo conosco. Anche lui qualche volta ci pensa.”

“Louis immagino sia il tuo migliore amico.”

Noah impiegò un po’ a rispondere e sulla chat continuava a comparire Stryes94 sta scrivendo per poi scomparire e ricomparire di nuovo.

“Si esatto. Però sai io quando ci penso non riesco a pensare in modo positivo a quella situazione.”

“Ci mancherebbe scusa! Siete andati talmente vicino al fatto di poter litigare e far scoppiare casini che difficilmente si sarebbero risolti che ci manca solo che tu ci pensi in modo positivo! Lei è stata assolutamente una brutta persona! Soprattutto sapendo che eravate e per fortuna SIETE ancora migliori amici! Se fosse successo a me penserei a solo una cosa positiva.”

“Sarebbe?”

“Che la vostra amicizia si è rafforzata e ha dato la prova che nemmeno una ragazza può comprometterla. E questa è DAVVERO una cosa stupenda, per chiunque, per due migliori amici è il massimo!!!”

“Vero… non ci avevo pensato.”

“ma si. Magari ci sarà sempre un po’ di disagio a parlare di questa Pam con lui, ma quello è normale. Ma se davvero la vostra è un’amicizia forte e potente ci farete l’abitudine e chissà… magari quando sarete più grandi ci riderete sopra.”

“Speriamo sia davvero così…”

“ma si vedrai… è passato solo un mesetto. Datevi ancora.. io dico una settimana ma facciamo i pessimisti e mettiamone due di settimane. Non vi ricorderete più nemmeno di chi sia Pamela.”

“Pamela? Chi è questa Pamela?”

“Ahahaha, visto? Due secondi e sono bastati!”

“ahahaha ma davvero!

E tu? Esperienze con ragazzi?”

“uhm…i ragazzi di oggi si innamorano tutti di quelle stronze :P”

“Ahahahah ma no! Abbiamo speso mezz’ora per convincermi del contrario!”

“ahahaha lo so lo so! Scherzavo…

Diciamo che so come comportarmi con l’altro sesso ma alcune cose mi sono ancora oscure.”

“Per esempio? Sono un pozzo di consiglio io!”

“ahahaha non ne dubito.. per esempio perché siete così spacconi quando siete con gli amici.”

“?”

“Vi comportante come un branco di animali… letteralmente… Quando siete da soli avete il musetto da cane bastonato, con occhioni che luccicano e che chiedono coccole…”

“ahahahahaha”

“quando siete insieme ad altri animali dello stesso sesso… Bah, altro che cuccioli. Siete dei maiali-pazzi-scatenati-spacconi-menefreghisti e insensibili”

“Non così tanti complimenti tutti insieme per favore.”

“no sul serio. Subite metamorfosi degne di Kafka.”

“kafka? Dovrei conoscerlo?”

“ -.- lascia perdere. Comunque. Diventate altri ragazzi, altre persone… MA PERCHE???”

“non ho notato sai?”

“Certo che non hai notato! Appartieni a quel genere!!! Ci scommetto la faccia.”

“ahahaha”

“Dammi una spiegazione. Per favore.”

“non saprei… non so di cosa stai parlando esattamente… però potrei azzardare che ci sentiamo più sicuri.”

“CEEEEERTOOOOO, poi però a fare ALTRE cose, siete più sicuri di una scimmia che sbuccia una banana.”

“AHAHAHAHAH”

“Senti hai mai visto Grease?”

“Grease. il musical?”

“Si il musical. Incredibile, sai cos’è! L’hai mai visto?”

“Si l’ho visto.”

“E l’hai pure visto! Aspetta chiudo le imposte sul serio, adesso.”

“Ahahahahaha… non capisco cosa c’entra.”

“hai presente come inizia? Che lei casca dalle nuvole quando si scopre che lui è nella stessa scuola? Di come ALL’INIZIO anche lui sia entusiasta e di come subito dopo si accorge che i suoi amici lo stanno guardando male e cambia atteggiamento?”

“Vagamente mi ricordo qualcosa..”

“Riguardatelo e rinfrescati la memoria. Lui è una merda, lei ci rimane malissimo e POI di nascosto lui cerca di riconquistarsela. Ci riesce e non ci riesce finchè non prende in mano la situazione LEI…”

“E si tira insieme e diventa una ragazza splendida.”

“-.- anche prima a lui piaceva. Solo che era coglione e la trattava male.”

“Ahahaha quindi niente più stronzaggine quando sono insieme agli amici?”

“Se vuoi diventare un latin lover si!”

“ va bene! Allora aspetta prendo un quaderno e inizio a segnarmele…”

“Ceeeeerto. Prendimi pure in giro!”

“no giuro, ho la biro in mano! Devo trovare un foglio…”

“Sisi certo. Fai con comodo. Io adesso devo scendere a vedere una puntata di un’altra serie tv con mamma. Ciao Noah! BUONA NOTTEEEEE!”

“nooo come?! Ho il quaderno pronto! Va be’ fa niente… però ci conto davvero, Hope! Buona notte anche te… fai bei sogni! ;)”

fine conversazione – 21.46

 

21 Marzo 2013 – Lunedì ore 19.46

“Noah ci sei?

Noaaaaahhh??? Dimmi che ci sei per favoooooreeeee

NOAAAAhhh NOOOOAH NOAAAAH NOOOOOAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!!

AIUTOOOOOOOO!”

Era una delle poche volte e primissime volte che stava a casa da sola dopo l’Ombra. I suoi finalmente erano stati convinti dalla sua efficacissima capacità di eloquenza a lasciarla da sola a casa, per una sera.

“HOPE! Scusa ho letto adesso! E’ successo qualcosa????”

“Si… cioè no.”

“SI O NO??”

“Si, si. Sai fare la pasta?”

“La pasta?”

“Si la pasta!”

“Ma dimmi prima cosa è successo!!!!”

“E’ questo! La pasta! Mi serve sapere come si fa la pasta e non lo so fare, tu lo sai fare’??”

Hope doveva prepararsi la cena e si era portata il computer giù in cucina. Stava morendo di fame. Solo che non aveva la più pallida idea di come si facesse la pasta. E sua mamma le aveva lasciato il sugo da cuocere.

“Non sai fare la pasta?”

“No, e NON PRENDERMI IN GIRO! Non so quanto sale devo mettere… cosa vuol dire quanto basta???”

“E’ scritto sul libro delle ricette della nonna?”

“No per la verità ho trovato qualcosa su internet mentre tu eri a fare i cavoli tuoi e non aiutavi una donzella in difficoltà!”

“ahahahah la mia era una battuta! Comunque vuol dire che dipende da quanta acqua metti nella pentola”

“Per una persona, quanta acqua ci devo mettere?”

“Ahahaha Hope stai scherzando?!”

“NO! E se poi mi esce la pasta al sale???”

“Ahahahaha, dimmi che almeno hai il sugo già fatto.”

“Si. E guarda sono talmente disperata che ho pensato di mangiarmelo senza pasta. Con il pane e basta”

Noah le riempì la chat di faccine che ridevano.

“Piantala di ridere Noah. FAI QUALCOSA”

Di nuovo, Noah inviò faccine. “sto facendo qualcosa” aggiunse poi, mandando altre faccine.

“-.- non sei per nulla simpatico! Dimmi come si fa!!! Giuro sennò vengo lì e ti uccido!!!”

Mentre Noah le spiegava come fare la pasta, Hope sorrideva e rideva. Si sentiva particolarmente contenta quel giorno, non sapeva esattamente perché. Qualche volte le capitava, anche di cambiare atteggiamento da un minuto all’altro. Ma era contenta di questo cambio di personalità. In passato era stato l’opposto.

Pensava che in quell’istante dovessi godersi un momento di libertà mentre i suoi non c’erano, non doveva studiare e poteva fare qualsiasi cosa volesse. Mentre le pasta cuoceva parlò con Noah.

“Ma perché devi fare la pasta? Sei da sola a casa?”

“Si certo che sono da sola a casa, di certo non cucino quando ci sono i miei. Li avvelenerei, sicuro!”

“Ah allora per tenerti d’occhio e vedere se passi a miglior vita o meno, meglio che annulli tutti i miei impegni per la serata”

“Ah ma noooo, non vorrei mai annullare i tuoi IMPORTANTISSIMI impegni!”

“ahahahahaha no davvero, meglio annullarli sennò poi entrano nel tuo pc e divento uno dei principali sospettati per il tuo suicidio.”

“uhm. Però sarebbe una bella storia da prima pagina. Ragazzo comune uccide ragazza comune attraverso internet.”

“Già…. Sarebbe proprio da prima pagina.”

“Comunque vai, me la cavo benissimo da sola. Se muoio ti scrivo prima.”

“Ahahahaha ormai ho già cancellato tutto. Le mie fans erano distrutte”

“AHAHAHAHAHAHA AHAHAHAHHAHAHA e TU avresti delle fanssss?”

“Ovviamente, non sai quante”

“Oh si si immagino, sei irresistibile”

“Ti stupiresti, sai”

“ahahahah ma ceeeeerto. Comunque se Mr Noah ha annullato i suoi importanti impegni con tutte le sue fansss mi sento molto lusingata e lo apprezzo moltissimo :D”

Parlarono per tutta sera, sempre a ridere e a scherzare. Hope si portò dietro il computer dovunque andasse e quando dovette lavare i piatti, lo fece il più velocemente possibile perché voleva assolutamente tornare a scrivere a Noah. Neanche si accorse del tempo che era passato a parlare con lui: più del solito. Quando i suoi tornarono, verso l’una di notte trovarono Hope tranquillamente addormentata nella sua camera con Strike appallottolato in fondo al letto. In realtà Hope fingeva di dormire: aveva appena chiuso con Noah e il suo cervello stava correndo più del solito, pensando a cosa si erano scritti.

Passò un’altra settimana prima che il loro rapporto facesse un altro salto di livello.

Ormai si sentivano sempre, ogni sera, prima e dopo cena e qualche volta anche dopo che Hope tornava da scuola. Magari perché le era venuto in mente qualcosa da dire a lui, oppure perché lui, durante la mattinata le aveva scritto. Lui, infatti stava spesso a casa ma a lei non importava e non ci fece neanche più caso. Probabilmente aveva tante ore di informatica e le passava vagando in internet e scrivendo a lei. Senza rendersene conto, appena lei entrava in camera accendeva automaticamente il pc e lo lasciava caricare. Poi con un sorriso vedeva la notifica della chat. La sua routine si era plasmata sui tempi di lui e la routine di lui sui tempi di lei: se non ci fosse stato uno schermo di mezzo, sarebbe sicuramente stata una grande amicizia. E Hope era infinitamente contenta. Non per il fatto che non potesse vederla, no di certo, ma perché lui non sapeva cosa era successo in passato, non la giudicava e non la guardava come altri facevano; senza rendersene conto, magari, ma lo sguardo di tutti era attento e spaventato come se fossero nelle vicinanze di un pezzo radioattivo, che potesse scoppiare e andare in mille pezzi da un momento all’altro.

Ma il computer li divideva, forse anche molti moltissimi chilometri. Lui la voleva sentire, faceva di tutto pur di essere puntuale ai loro appuntamenti taciti e, se non riusciva ad esserlo, trovava il tempo di scriverle e informarla. Hope non aveva accettato altre richieste di amicizia, oltre a quelli dei suoi amici a scuola ma raramente chattava con loro. Trovava più interessante ed eccitante parlare con un ragazzo che non aveva mai visto che parlare invece con ragazzi che conosceva e che vedeva fin troppo spesso e con cui, probabilmente, non avrebbe mai potuto costruire qualcosa di più. Hope si sentiva sollevata quando lui la cercava e lui si sentiva totalmente felice quando vedeva una sua notifica. I due si sentivano vicini, e questa era amicizia, anche se vi era molta distanza e nessuna vera conoscenza. Capita spesso nel mondo di oggi ed era successo ad Hope. E lei aveva iniziato per necessità, andando contro alcuni suoi ‘valori’: stringere una grande amicizia in internet con una persona mai vista… com’era possibile? Era successo e non se ne era accorta. Non si accorse di nulla se non delle ore che passava senza sentirlo.

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Capitolo 3
*** Numero ***


Capitolo 3 – Il numero

 

29 Marzo 2013 – Martedì ore 21.17

Hope entrò in camera da letto, sbattendo la porta e chiudendola a chiave. I pugni stretti, le lacrime che combattevano per uscire. Prese a calci la cartella. Poi le venne un capogiro e si mise sul letto. Era meglio recuperare la calma se non voleva finire dai dottori, di nuovo.

Prese il computer. C’erano già 5 notifiche, tutte di Noah.

“Scusa. Sono stata occupata. Adesso sono qui.”

“Ciao! Tranquilla! Come va? E’ tardi stasera! Come mai?”

“Va malissimo grazie.”

“Cos’è successo?”

“ho litigato con Alice, la mia amica.”

“Perché? Cosa è successo?”

“Niente. Non ne voglio parlare. Lascia perdere.”

“Dai Hope…”

“NO. Ho detto che non ne voglio parlare, lasciamo perdere! Per favore”

“Hope… va bene, come vuoi. Di cosa vuoi parlare?”

“ non lo so.”

“Va bene… ehm… bella giornata anche lì oggi?”

“Non ho fatto caso al tempo.”

“Siamo proprio nere eh… va bene… immagino che avrebbe potuto piovere tutto il giorno, non ti saresti nemmeno accorta. Comunque parlarne ti farebbe bene..

MA VISTO CHE NON VUOI Noah troverà qualcos’altro di cui parlare…

Uhm vediamo…. Vedi qualcosa stasera?”

“Credo di si. Suggerimenti?”

“Vuoi ridere?”

“No.”

“Vuoi piangere?”

“No”

“Vuoi..urlare?”

“No.”

“Vuoi essere triste?”

“No.”

“Vuoi rimanere arrabbiata?”

“Si.”

“PERFETTO! Ho il telefilm che fa per te! Si chiama ‘spacca i culi a chi ti ha fatto il culo’. E’ interessante sai? Aiuta un sacco”

Hope sorrise. Il primo sorriso della giornata da quella mattina. Il cuore non le batteva più così forte e si rilassò leggermente. Sentì Strike miagolare fuori dalla porta e lei scese addirittura dal letto per andargli ad aprire. Quando chiuse la porta, non la richiuse a chiave. Quando si sistemò sul letto, Noah aveva scritto:

“Hope sto scherzando… mica sarai andata davvero a cercare questo telefilm!”

“No certo che no..”

“Meno male. Sennò scoprivi che in realtà io sono un attore.”

“Un attore?”

“Si. Della serie tv ‘spacca i cui a chi ti ha fatto il culo’!”

“E che ruolo interpreteresti?”

“Quello che ti ascolta ovviamente :)”

Hope ci pensò un attimo mentre metteva il pigiama.

“La mattinata è iniziata male e la giornata non prometteva niente di bene” scrisse. Sentiva la presenza di Noah dall’altra parte dello schermo, appena dietro, come se fosse realmente seduto sul suo letto pronto ad ascoltarla.

“Sai del progetto che si doveva fare con una compagna di classe?”

“Si. Quello sulle pubblicità che devi fare con Alice?”

“Esatto. Arrivo in classe e vedo che accanto a lei c’è Erika…”

“L’Erika, quella che in palestra ti ha ripreso quando non hai preso la schiacciata?”

“Quella stronza, esatto.”

“Okay ci sono”

“E niente, Erika stava parlando ad Alice, non sapevo ancora di cosa. Quando sono arrivata da Alice, Erika mi ha salutato, gentilissima, davvero, tenerissima ‘ciao HOPE! Che carina quella felpa, dove l’hai presa?’, cose del genere”

“Che volta faccia”

“già. Ma ve be’ fin qui tutto bene. Quando Alice mi  ha detto di cosa si trattava, cioè che lei si vorrebbe unire a noi, le rispondo CHE NON SE NE PARLA NEANCHE”

“Giustamente!”

“Alice sbuffa, seccata ma faccio finta di non aver visto niente. Mi sembrava molto strano che sbuffasse visto che le avevo spiegato più di una volta il perché non volevo più avere a che fare con lei. Va be’ niente passano due ore, arriviamo all’intervallo e Alice mi dice che deve andare a fare delle fotocopie”

Da tanto, senza rendersene conto, Hope, parlando della scuola, dell’intervallo e degli amici aveva fatto intendere a Noah di avere più o meno la sua età.

“Vedo che se ne va senza chiedermi nulla, segno che era incazzata. Ma niente, la lascio andare. Dopo un po’ indovina chi arriva? ERIKA insieme alle sue scagnozze. Mi dice che devo superarla quella cosa che ha detto, che , in fondo, se non me ne frega niente di quello che ha detto, dovrebbe trattarmi come se lei, Erika, non esistesse. Io l’ho guardata con tanto d’occhi e le ho detto ‘ma sei tu che sei andata da Alice a chiederle di unirti al nostro gruppo’. E lei mi scoppia a ridere in faccia, dicendomi che dovrei scegliermi le amiche con più criterio.”

“? E cioè?”

“Me lo sono chiesto anche io e l’ho chiesto a lei. Niente, vengo a sapere che Alice si è lamentata di me un pomeriggio in cui è uscita con Rachel, una delle amiche di Erika, la quale ovviamente l’ha detto ad Erika. Si era lamentata di me riguardo al fatto che non avevo molta voglia di girare per le discoteche, andare in giro con lei la sera e fare quelle serate da ‘sballo’ che adesso vanno molto.” Non lo era mai stata, anche prima dell’Ombra. Anche perché non gliel’avrebbe permesso. E probabilmente non lo sarebbe stata mai.

“Serate da sballo?”

“Si. Io non sono tipa, cosa ci posso fare? Comunque Erika a quel punto aveva chiesto ad Alice di mettersi con lei nel gruppo e lasciarmi da sola! ovviamente mi sono incazzata a mia volta e appena è arrivata Alice in classe le ho sbattuto in faccia che il lavoro poteva farselo con quelle stronze di Erika e Rachel. Lei mi ha guardato e con un’aria degna delle più stronze sulla faccia della terra mi fa ‘bene, brava così si affrontano i problemi, da persone mature.’.”

“Cavoli…”

“Io non l’ho più guardata in faccia  e lei pure. A fine scuola io ovviamente sono stata lasciata da sola, sembrava che fossi malata da quanto mi evitavano tutti.”

“Addirittura”

“giuro! Comunque faccio per andare a casa mia e Alice mi passa accanto con Erika e Rachel ridendo e scherzando. Ho fatto finta di niente, cercando di pensare ad altro. Ma poi Erika fa ‘che sfigate le ragazze che passano le serate a casa con mamma e papà’. Alice non ha detto niente e mi è venuto da piangere.”

Hope si ritrovò la faccia bagnata.

“sono un imbecille” aggiunse poi “perché sto piangendo anche adesso. Ma lei non se lo merita per nulla.”

“Hope…mi dispiace…”

“No, mi dispiaccio da me, tu non ti devi dispiacere, Noah. Poi anche quando sono tornata a casa ho litigato con i miei perché ho risposto male tutto il pomeriggio. E quindi sono arrivata tardi perché mamma mi ha fatto una predica lunga venti minuti. Ma non aveva capito che ero nervosa già per i fatti miei. E allora anche lei a dirmi ‘sei intrattabile perché non esci mai!’”

Sua mamma l’aveva spinta da subito a uscire, appena la dottoressa e gli altri dottori le avevano detto che poteva tornare alla vita di sempre. Di sicuro, sua mamma non era stata una mamma protettiva. Attenta a non farle superare un certo limite, ma nemmeno a barricarla in casa per paura del mondo. E Hope non si era mai lamentata.

“Ma cosa ci posso fare? Sono così! Che scelta ho? O uscire e quindi andare a sballarmi, oppure stare qui a casa, a scrivere a te oppure a leggermi un bel libro, cosa che preferisco fare mille volte piuttosto che sballarmi!”

“già, ti capisco… anche noi siamo così. Qualche volta andiamo fuori a ballare però preferiamo passare una serata tranquilla”

“vedi? Però voi siete un VOI. Io sono solo IO. Non ho nessuno con cui condividere… non so Noah, in questo momento mi sento molto sbagliata.” Come se già non si sentisse abbastanza storta nella normalità.

“ti senti sbagliata?”

“Si. Sono diversa ed evidentemente non va bene… sono una sfigata perché non esco? Divento intrattabile perché non vado a divertirmi e ad ubriacarmi? Non capisco il collegamento! Ma evidentemente c’è e solo a me è oscuro.”

“Ma no Hope… non sei tu… Probabilmente sono gli altri! Guarda me, guarda Louis… anche a noi non fa impazzire quello stile di vita… e ti garantisco che anche noi siamo circondati da gente che è cogliona in questo modo.”

“non so. Non mi sento… giusta. Non mi sento… non saprei. Ma perché? Io non posso cambiare… ci ho provato ad uscire, a divertirmi in quel modo… e non riesco! A me piace parlare, scrivere, leggere i libri… e non mi piace perdere il controllo di me stessa e non mi piace vedere gli altri che si sballano.” Non le piaceva perché aveva perso il controllo sul suo corpo in altri termini. Ma anche in quelli che aveva inteso Noah che, ignorando la sua situazione, non poteva sapere.

“non devi cambiare Hope…va benissimo così come sei, davvero.”

“Non saprei Noah…”

“ma certo Hope! E’ Alice che ha sbagliato… da quanto siete amiche? Dieci anni? Vedrai che lo capirà presto anche lei… in fondo sei speciale, non sarà così facile staccarsi da te. E’ stata una stronza, non doveva comportarsi come si è comportata… e quella Erika. Non sai quante ne incontro di ragazze così. Non sai quanta voglia avrei di farle cambiare idea… Sparare i giudizi a caso sulla gente… Non si capisce cosa si prova finchè non lo si prova sulla pelle.”

“Magari ha ragione.”

“no Hope, non ha per niente ragione.”

“E perché no? Da una ragazza come me, di 17 anni o più ci si aspetta questo comportamento” sapeva di avergli rivelato gli anni, ma probabilmente lui l’aveva capito da tempo e mise a tacere la vocina che le diceva che si era lasciata troppo andare. Non importava più ormai. “ci si aspetta che copi durante i compiti, che se ne freghi della scuola, che vada dietro a qualsiasi ragazzo, che vada ai concerti e che abbia posters di cantanti in giro per la stanza”

“Hope, tu sei più speciale. Sei molto speciale. Devi mettertelo in testa. Sei diversa e sei speciale.”

Le sembrò di sentire la sua dottoressa e per un attimo le si ghiacciò il sangue nelle vene, temendo che lui avesse saputo. Ma non era possibile. Non l’aveva nemmeno mai vista.

“Sembra ciò che si dice ai bambini che hanno qualche problema mentale.”

“ahahahaha no, giuro, non era quello il mio intento.

Ciò che ti voglio dire è che…

Anche se ti conosco da poco e meno sicuramente di Alice, so che sei una ragazza con la testa sulle spalle, dai sani principi morali … sai che bisogna portare rispetto, sai ascoltare la gente. Hai tantissimi pregi davvero! Sei speciale per Alice quanto lo sei per me, come minimo.”

Hope sentì una strana sensazione strana dalle parti dello stomaco.

“non mi piace vederti soffrire, non te lo meriti. Non te lo meriti per nulla. E sapere che ti ha fatto male Alice (almeno in parte) lo trovo ancora più…assurdo. Hope mi dispiace… ti abbraccio fortissimo.”

Hope, con ancora le lacrime fresche sulle guance, chiuse gli occhi. Si immaginò un Noah che l’abbracciava. Avrebbe voluto moltissimo piangergli sulla spalla. Inzuppargli la maglietta e ridere poi con lui.

Quando riaprì gli occhi, lesse: “Vorrei essere lì con te.”

Un’ondata di malinconia la inondò e finalmente capì chi era veramente Noah per lei. Chi era diventato e cosa era divenuto il loro rapporto.

Altri lacrime le scorsero sulle guance.

“Anche io” scrisse.

“Non piangere ti prego :(”

“Non piango, giuro” scrisse, cercando un sorriso che arrivò con una smorfia.

“Lo so che stai mentendo. Mi dispiace, non starci male, si risolverà tutto. Andrà tutto bene, vedrai…”

“Non saprei.”

“Te lo giuro.”

“Davvero?”

“Si, te lo giuro. Fosse l’ultima cosa che faccio… anzi scrivo.”

Hope sorrise. “Croce sul cuore?”

“Croce sul cuore? Che significa?”

“Non hai visto neanche Up, il cartone?!”

“Ahahah no, so cosa è. Croce sul cuore ;)”

“Mi è venuta voglia di un gelato.”

“grande! Allora ti stai già riprendendo…”

“O sto cadendo in un vortice sempre più profondo.”

“Ahahaha ma nooooo, dai! Non ce l’hai a casa?”

“non mi va di scendere.”

“capisco… be dovrai accontentarti di me.”

“vedrò di adattarmi.”

“Ah bene! Ma che carina…”

“ahahaha scherzavo!”

“:) meno male, sai ancora scherzare. Sono più tranquillo sentendoti tranquilla”

“Quasi quasi mi vedo Up per davvero…”

“Fai bene, così ti distrai!”

“Anche se penso che per l’inizio inzupperò il letto di camera mia.”

“Perché?”

“E’ mega commuovente”

“Oh no allora non va bene… guardati Cattivissimo me, così ridi di più!”

“Non l’ho mai visto sai? Volevo vederlo ma mi sono dimenticata…”

“Nooooo incredibile, ho trovato un film che la grande esperta di film Hope non ha visto!!”

“Eeeeh già, non capita a tutti.”

“Se lo guardi, lo guardo anche io, ti faccio compagnia!”

“va bene, andata!”

Si misero a guardare il film insieme. E’ strano no? Non erano insieme, eppure sembrava che lo fossero. Ridevano scherzavano e lui, per un po’ di tempo, la portò su un altro mondo, distraendola. Si sentiva orgoglioso di ciò che aveva fatto… Hope era diventata una sua grande amica, se non la più vicina a lui, senza esserlo fisicamente. E Hope si sentì protetta e non più ‘sbagliata’ per un paio di ore. Quando finì il film andarono avanti ancora per due ore a parlare. Hope era più leggera e vedeva il problema con Alice con occhi diversi. Sarebbe andato tutto bene, come Noah le aveva promesso.

“Noah, ti devo ringraziare” scrisse in un raptus di romanticismo.

“Di cosa?”

“Di avermi consolata stasera. Mi hai aiutata davvero… Grazie. Ti devo un favore.”

“Non mi devi niente, Hope. Ti voglio bene, non voglio vederti soffrire. E sei un’amica veramente speciale.”

Hope sorrise e di nuovo sentì la sensazione allo stomaco.

“Anche tu per me”. Il cuore cominciò a batterle un pochino più velocemente quando decise cosa scrivergli. “E mi fido di te.”

“ti fidi?”

“Mi fido. Ti ricordi che ti avevo promesso di dirtelo se avessi iniziato a fidarmi di te?”

“Come se fosse ieri.”

“Mi fido.”

“Quindi posso chiederti quello che voglio?”

“ahaha si. E giuro che avrai la verità.”

“Uhm…. Allora posso cominciare?”

“certo!”

“Allora hai 17 anni giusto?”

“Si questo non era difficile.”

“No infatti… però voglio sapere da dove vieni. Voglio sapere quanti km ci separano per valutare se posso venire a trovarti ogni tanto.”

“Ahahaha va bene… abito a Sevenoaks.”

Noah non rispose subito.

“E’ passo da qui.” Rispose poi.

“Già :)”

“magari non è che ci siamo già visti?”

“Ahahaha non credo Noah.”

“Non credo nemmeno io Hope. E sai perché?”

“no.”

“Perché di sicuro mi ricorderei di una ragazza come te.”

Hope sorrise, sentendo la sensazione che era partita dallo stomaco, diffondersi in tutto il corpo, come un leggero calore, dolce come la cioccolata.

“Sono anche sicuro che me la sarei tenuta molto stretta.”

Hope ridacchiò.

“In senso come amica, ovviamente :)”

“ovviamente” scrisse Hope non volendoci credere fino in fondo. “Comunque anche io credo che mi ricorderei di uno come te.”

“Perché?”

“perché uno che ha queste doti poetiche non si trova molto spesso in giro.”

“Ahahaha grazie! E’ ciò che penso sul serio…”

“A parte gli scherzi, anche io.”

Si appoggiò allo schienale del letto e accarezzò Strike che emise leggere fusa. Pensò a Noah come ad un ragazzo in carne e ossa e desiderò di poterlo vedere il giorno dopo a scuola. Che la aspettasse fuori da scuola e che le sorridesse. Non aveva mai pensato a Noah in quel modo fino ad allora. Era stata solo una relazione di scherzi e di risate… niente di molto impegnativo ma che aveva gettato le basi di qualcosa di molto molto più solido. E prezioso.

“Ecco Hope devo chiederti una cosa…”

“Dimmi pure…”

“Lo so che mi hai appena detto di dove sei e quanti anni hai… e so che non dovrei sfruttare questa possibilità… ma ci tengo davvero a te. E vorrei sentirti più spesso.”

Hope intuì immediatamente dove voleva andare a parare il ragazzo. Ma non voleva pensarci troppo: sperava che lui le facesse quella richiesta.

“Adesso, per tre giorni vado via, come sai, a Edimburgo, e mi sarà davvero difficile contattarti tramite internet…”

Cominciarono a tremarle le mani. Non aveva mai provato una sensazione simile, ma le piacque. Era dolce adrenalina.

“mi chiedevo se ti va di darmi il tuo numero di cellulare. Così potremmo sentirci per messaggi…” Hope sorrise: glielo aveva chiesto. GLIELO AVEVA CHIESTO. Sarebbe stata malissimo senza sentirlo per tre giorni.

“So che è assurdo e so che potresti anche non prenderla bene ma davvero, DEVO sentirti. Comunque non voglio che mi rispondi subito. Voglio che ci pensi e ti prego non sentirti obbligata. Te lo sto solo chiedendo, non voglio per forza una risposta positiva. Davvero. Anzi adesso pensaci soltanto, non darmi nessuna risposta.”

“Va bene, ci penso.” Rispose lei avendo già un piano ben preciso in mente.

“Okay :) io però adesso vado a letto perché ormai è tardi e domani mi devo alzare presto. Sarà difficilissimo. Louis si incazzerà ma fa niente.”

“Ahahaha ma povero!”

“Ahahaha vedrai… ahahaha vado adesso. Buona notte Hope.”

“buona notte Noah… un bacio”

“Un bacio anche a te. Sei speciale, non dimenticarlo. Sono gli altri che sono sbagliati.”

“Ahahaha ok…. Notte!”

“Notte! :*”

Hope aspettò che lui andasse offline, poi perse una buona mezz’oretta vagando in internet. Sicura al 100% che lui non avrebbe acceso più il computer, riaprì la conversazione e scrisse:

“Penso di averci pensato a sufficienza. E sinceramente non c’era nemmeno tanto bisogno di pensarci… Penso che lo step del fidarsi e non fidarsi l’abbiamo già superato da un po’, Noah, prima che di stasera. E anche tu per me sei un amico veramente speciale. Sei…” indugiò un attimo sulla tastiera “…unico. E non ce la farei a non sentirti per tre lunghissimi giorni. Il mio numero di cellulare è questo:”

Gli scrisse il numero.

“Ci sentiamo allora. Buona notte, spero di incontrarti.”

Schiacciò invio e pensò di aver esagerato per un momento. Poi fece spallucce e spense anche lei. Fu alquanto difficile addormentarsi.

Fine conversazione – ore 01.01

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Capitolo 4
*** Il gruppo ***


Piccola intro: in questo capitolo gli One Direction non ne escono benissimo. Però...portate pazienza!




Capitolo 4 – Il gruppo.

E così la presenza di Noah diventò continua. La mattina, a scuola, durante le lezioni, durante l’intervallo, alla fermata del pullman e durante il tragitto scuola-casa, casa-scuola. Si scambiarono un numero considerevole di messaggi al giorno da quel momento in poi. E meno male che abitavano nello stesso paese, sennò avrebbero speso milioni di sterline per sentirsi. Non potevano farne a meno. E a Hope non importava se gli altri la continuavano a guardare nel solito modo, non ci diede più peso e dimenticò l’Ombra per sempre. Questo e la dottoressa Hife diventarono solo uno sbiadito ricordo che ormai si ripresentava solo in alcune sporadiche occasioni.

Ora il ‘problema’ di Hope era solo come risolvere la situazione con Alice. Era ancora parecchio abbattuta per quello che era successo e fu argomento di conversazione tra lei e Noah. Lui le disse di parlarle, ma lei non aveva il coraggio.

I suoi vedendola giù e un po’ scontrosa decisero di andare via per il weekend portandosela con se a Penzance, l’ultimo paese nella punta sud ovest dell’Inghilterra. Soffiava sempre vento e Hope aveva sempre adorato andare lì: prima, dopo e durante l’Ombra. Il vento la colpiva come per schiaffeggiarla e ululava come per urlare ‘Che fai?!?! Ti deprimi? COMBATTI, abbi la forza di far vedere al mondo quanto TU sei forte!’. E anche quel giorno, quando mise piede al porto, dopo quasi 5 ore e mezza di macchina, il vento la accolse con il suo abbraccio potente. Sospirò.

Aiutò i suoi a prendere le cose dalla macchina e a sistemarla in un piccolo albergo dove si sarebbero fermati per quattro giorni. Noah era via da due. Non capiva perché l’aveva pensato.

Comunque si sentivano e cosa cambiava mettere un po’ più di distanza tra loro? Proprio nulla.

Il week end le diede una grande iniezione di forza. Avevano passeggiato, mangiato fuori, riso e trovato la tranquillità di famiglia che piaceva tanto a Hope e che la faceva sentire come a casa. Come Noah. Di nuovo, si sorprese a pensare a lui in quel modo. Come se fosse di famiglia. Guardò la foto che aveva salvato sul cellulare, di lei e sua madre che ridevano, gli occhi brillanti di felicità e i capelli scossi dal vento. Era una bellissima foto, sicuramente una delle sue preferite. Al ritorno da scuola l’avrebbe fatta stampare.

6 Aprile 2013 – Lunedì – 8.00

“Aha, e quindi il gelato più buono si trova a Pensache”

“non Pensache, ma PENZANCE. E si, c’è un gusto che è buonissimo, si chiama la bomba”

“Dal nome ci credo. Un giorno andremo lì e me lo farai provare. Oltre che andare al porto ovviamente”

“E l’alba è mozzafiato.”

“L’alba? No, vuoi dirmi che una mattina ti sei alzata presto per vedere l’alba?”

“giuro che merita.”

“Uhm quindi, gelato + porto + alba. Non so se essere più scandalizzato dal gelato alla mattina presto oppure solo dal doversi alzare presto.”

“Ahahahaha, si in effetti è un po’ particolare come gita…”

“Puoi dirlo forte! Uno deve essere pazzo solo per partorire un’idea del genere, figuriamoci farlo davvero! Oggi scuola?”

“Tipo una delle ultime cose da fare prima di morire! Comunque si, oggi scuola…oggi ho deciso che parlo ad Alice. Mi manca troppo. Credo.”

“Non se lo merita anche se sono d’accordo.”

“Ahahaha! Ma sei prevenuto!”

“aahahaha, no scherzo, magari è la ragazza più dolce sulla terra!”

“Diciamo che se mi avresti chiesto di descriverla in una sola parola, ‘dolce’ non sarebbe stata la mia prima scelta”

“E quale sarebbe stata?”

“pazzastranasimpaticaacidadirettasenzapelisullalinguanonsifaproblemiintelligentefurba…”

“Ahahaha, non la conosco questa parola! Sono sicuro che è una persona interessante”

“bravo, INTERESSANTE! E’ sicuramente la parola che la descrive meglio”

“E’ criptica…”

“Non sai che presa ha sui ragazzi.”

“AHAHAHAHA e tu? Come ti definiresti?”

Il messaggio di Noah la fece riflette. E lei? Come si definirebbe? Non lo sapeva… c’erano così tante parole nel mondo.

“Inspiegabile” scrisse infine.

“Questo è ancora più criptico.”


6 Aprile 2013 – Lunedì – 10.38

“Allora? Hai risolto?”

“Appena arrivata a scuola. In verità è stata una cosa a doppio senso”

“Cioè? Vi siete SCONTRATE? Ahahaha l’hai capita? Incontrate a doppio senso nel senso venute incontro e quindi… SCONTRATE!”

Hope scosse la testa e ridacchiò. “Noah sei davvero pessimo. Comunque appena sono arrivata non mi ha lasciato neanche parlare, si è avvicinata con un semplice ciao e ci siamo chiarite. Non ci è voluto molto a portare le cose come prima dato che la prof per poco non ci mandava in presidenza.”

“Ahahaha che cazzo avete fatto?”

“riso. Ecco il nostro capo d’accusa.”

“Ah be’ io e i ragazzi dovremmo essere sulla sedia elettrica per questo.”

“Ahahaha prima o poi parliamo di loro eh?”

“Più poi che prima. Non sono un argomento molto interessante ahahaha che fai?”

“Niente di che. Sono all’intervallo. Alice adesso sta parlando con una sua amica che è andata a non so quale concerto.”

“Ah si? Di chi?”

Hope ascoltò la conversazione tra Alice e Olivia.

“Mi pare degli One Direction. Si, il concerto che c’è stato a Edimburgo qualche giorno fa.”

“One Direction? Ma mica sono quei 5 coglioncelli…?”

“Ah non saprei se sono cinque. Li ho presente ma non li ascolto.”

“Non li ascolti?! COME non li ascolti? Tutte le mie amiche li ascoltano! Tutte. So le canzoni a memoria.”

“Ooooh tutte? Non ci posso credere! Allora sono sul serio famosi! Ahahaha allora sei un fan pure tu!”

“Te lo garantisco. TUTTE, tutte. Nessuna esclusa. Comunque guarda sono un super fan! E che dice del loro concerto?”

“Dice che è stato favoloso.” Hope ascoltò ancora la conversazione e riportò ciò che diceva Olivia. “E sembra davvero entusiasta. Dice che i ragazzi sono stati bravissimi, divertenti e… va be… ovviamente bellissimi”

“Ovviamente?”

“Alice è d’accordo come il resto delle ragazze della scuola, quindi suppongo siano davvero bellissimi XD”

“non li hai mai visti?”

“Dal vivo, no ahahaha. Li ho visti in qualche foto, non sono male.”

“ma non li ascolti.”

“No, non ho mai avuto l’occasione. Olivia dice che… Zack…una roba del genere… è stato fantastico, è sceso anche dal palco. Dice che stava per svenire (è così figo?!). Di Harry dice che è stato favoloso…”

“Ahahaha non lo so se è figo, vai a vederli tu poi mi dirai.”

“Ceeeerto, aspetta che vado a sentire qualcuno che non ho mai sentito.”

“Alice non li ascolta?”

“Si mi pare che qualcosina sappia. AHAHAHA, sai cosa mi ha appena chiesto? Quello che mi hai chiesto tu! Di andare a vederli!”

“E tu?”

“E io le ho detto che è meglio rientrare in classe dato che l’intervallo è finito :P”



6 Aprile 2013 – Lunedì – 16.29

“Ah si, “Man that never lies” la conosco, piace anche a me!”

“Ah vedo che hai dei gusti fantastici in fatto di musica Hope.”

“Ahahah grazie!”

“Stai andando a stampare la foto?”

“Si. E’ bellissima, la regalerò a mamma sicuramente. Ma la tengo anche in camera mia.”

“Regalala anche a tuo papà. Le sue donne…”

“Ehi hai ragione! Ma non mi va di aspettare il loro compleanno…”

“E quindi?”

“E quindi, hai ragione. Torno a casa con le soprese oggi :)”

“che figlia modello.”

“ahahahaha”



6 Aprile - Lunedì - 18.25

“Sono piaciuti?”

“Si! Un sacco! Mamma era contentissima! Giuro, per poco non piangeva!”

“Addirittura! Deve essere sentimentale!”

“Non sai quanto…” scrisse Hope. Ma non era la verità. Mamma non era sentimentale. O per lo meno non lo era stata al tempo dell’Ombra.

“Li hai conquistati. Ora puoi fare quello che vuoi”

“Sicuramente Noah, sicuramente. Comunque sei un genio”

“Per cosa?”

“Per avermi dato l’idea. Sei fantastico!”

“Ahaha ma hai fatto tutto tu! Sei tu quella fantastica!”

Passarono altre due settimane in cui si sentivano sempre. La sera fino all’una se uno dei due non cascava dal sonno prima (la maggior parte delle volte accadeva a Hope). La mattina, durante il pranzo, la sera… la vita di Hope procedeva a gonfie vele e la data dell’arrivo delle lettere delle università si avvicinava pericolosamente. Hope non voleva pensarci più di tanto. Era speranzosa ma non voleva farsi castelli in testa.

Anche con Alice procedeva e a loro si aggregò Olivia e Tamara, Tara. Erano una coppia strana loro due. Olivia era una ragazza tranquilla, serena, intelligente e estremamente riflessiva. Aveva un bellissimo viso: occhi azzurri illuminati come diamanti; la bocca era un disegno su uno sfondo di pelle rosa come quella di un neonato; i capelli erano biondi ma ogni tanto si dipingeva le punte di colori fuori dal normale, come rosa e verde, a seconda di come le andava. Si distingueva dal resto della popolazione studentesca soprattutto per il fatto dei capelli, ma anche perché era la più brillante di tutta la scuola. Tara, invece, era una di quelle ragazze da mozzare il fiato, il fisico da urlo, i ragazzi si voltavano anche per darle solo un’occhiata. Aveva sempre la precedenza, dovunque andasse. Da lontano Hope l’avrebbe scartata. Sembrava proprio una fighetta come Erika. E non voleva averci più a che fare con quel tipo di persone. Poi parlandoci, in un pomeriggio passato all’ombra di un salice a studiare per qualche ultimissima interrogazione, Tara aveva raccontato cose pazzesche, aprendosi con tutte e tre nonostante si conoscessero da poco. Era estremamente introspettiva e sapeva capire le persone al volo anche se qualche giudizio lo sparava a caso lo stesso. Lei si scusava sempre quando si accorgeva di farlo, dicendo che era un vizio che portava dietro dalla ‘vita precedente’. Come Hope chiamava Ombra il suo passato, lei definiva così ciò che era stata: diceva di averla fatta quella vita, da fighetta, non tantissimo tempo prima, che era stato terribile, di aver passato anche del tempo con ragazze come Erika.

“Entrare nei locali e vedere tutti che si giravano, che vengono da te solo perché sei bella. Non è la vita che volevo e ho deciso di cambiarla radicalmente. Mi ero rotta, non mi divertivo più e sono passata ad altro. Mi veniva il voltastomaco a dover andare a Londra, a far passare i locali e i ragazzi senza ricordami il nome di nessuno. Sapete…” aveva chiuso il libro di scatto ed era scivolata giù al tavolino su cui si era seduta. “nessuno è felice a fare quella vita. Nessuno. Tutti si soffermano sul bel visino, sul bel corpo, sull’estetica ecco. E io non volevo. Volevo sentire e conoscere altro della gente che incontravo. Ed è inutile credere che una vita come quella che facevo porti effettivamente a qualcosa di concreto.”

Era stato strano per Hope. Non era riuscita a inquadrarla bene e le sue parole l’avevano stupita. Era una ragazza veramente particolare.

“Particolare? In che senso?”

“nel senso che mi ha fatto mettere in discussione molte cose, tra cui che davvero l’apparenza inganna anche nel senso contrario”

“Cioè?”

“magari una persona che sembra una sfigata, è una bellissima persona. E su questo io ero e sono assolutamente d’accordo. A dirti la verità, se una persona è sfigata sono più propensa a parlarci.”

“Mentre se una è fighetta, lo sei di meno?”

“Esatto! Ma Tara ha cambiato le cose: ha messo in discussione questo.”

“E non va bene?”

“Va benissimo! Cambiare fa bene, sentire altre opinioni è… costruttivo. Mettere in discussione le cose mi piace.”


Noah sorrise a leggere quel messaggio. Incredibile. Non la conosceva ma adesso cominciava sul serio a sentire un bisogno potente di conoscerla, vederla e parlarci.

“ALLORA?!?! Cristo, basta con questo cellulare! Non ne posso più di sentirti fare tap tap sul cellulare! PIANTALA!” disse Louis.

“Scusa, scusa?” chiese un altro suo amico. “TAP TAP?”

“TU non ridere che con Jessica non eri da meno.”

“Io facevo un altro tipo di tap tap con Jessica.”

Noah si prese il tempo di scrivere un altro messaggio “Metteremo in discussione tutto allora :)”

Louis lo fulminò. “Chiamala almeno. Chiamala e smettiamola con i messaggi.”

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Capitolo 5
*** La sua voce ***


Capitolo 5 – La sua voce

Hope sorrise. Le piaceva mettere in discussione tutto con Noah. Era una settimana che andava avanti così e arrivò Maggio più presto di quello che si era aspettata.

Mamma e papà le regalarono un weekend fuori, di nuovo. Per festeggiare un anno dalla fine dell’Ombra. E Hope si sentiva scoppiare di felicità. Al rientro, però, Noah le fece una proposta che la mandò totalmente nel panico.

“Hope ti va di sentirci per telefono? Voglio sentire la tua voce”

Istintivamente Hope si portò le mani alla gola e iniziò a respirare irregolarmente. Il cuore le schizzò a mille e per un attimo credette di avere una crisi. E invece no, era proprio panico. Panico da cosa? La mano cominciò a tremarle e decise di poggiare il telefono accanto al pc, sul quale stava scrivendo ad Alice, Olivia e Tara. Ma non si ricordava nemmeno più di ciò che stessero parlando. Era andata nel pallone, completamente, e rimase assente per parecchi minuti. Quando tornò a guardare il cellulare, c’era un altro messaggio. “E poi c’è Louis che non ne può più di vedermi continuare a digitare. Voglio dimostrargli che stare sempre al telefono è anche peggio. Mi serve il tuo aiuto però ;)”

Hope sorrise. Ma cosa si era aspettata? Doveva aspettarselo. In fondo non era così assurdo. Ma… le faceva venire comunque il batticuore. Forse era segno che questa…cosa… questo rapporto, stava andando avanti da troppo tempo. ‘E poi’ pensò, ‘quanto tempo è che immagino la sua voce? Che immagino il suono delle sua risate? Quanto tempo  è che anche io non aspiro ad un rapporto più…vivo?’

Un’ondata di adrenalina dolce, così aveva deciso di chiamare quella strana sensazione che associava a Noah, la attraversò come un fiume mentre digitava due semplici parole. “Va bene” scrisse. Poi aggiunse “Ma non stasera. Domani?”

Voleva trovare un momento tranquillo. I suoi la sera dopo sarebbero andati al cinema e aveva la serata completamente libera.

“Uao, certo che va bene! Chissà che voce hai… spero che tu non sia un ragazzo!”

“Ahahaha, no davvero ahahaha ti immagini? Ahahahaha sai che quasi quasi convinco un mio amico a rispondere al posto mio?”

“ti ammazzo, giuro!”

“Aahaahahaha… e io come faccio a sapere che sarai tu e non uno dei tuoi amici?”

“giusta domanda… tu ti fidi di me?”

“Certo Noah…”

“E allora fidati che risponderò io. E SPERO CHE ANCHE TU RISPONDERAI.”

 

Il giorno dopo tornò a casa con il groppo in gola. Era IL giorno. Non capiva cosa ci fosse di così strano a sentirlo, non capiva cosa ci fosse di pazzesco per farla sentire così agitata. Comunque si era preparata un piano di emergenza: prima di tutto un bel bagno caldo (manco dovesse vederlo?!) per rilassarsi; poi avrebbe fatto un elenco dalle cose da dire se ci fosse stato qualche silenzio imbarazzante; e, nel caso, avrebbe simulato un’emergenza dei suoi genitori, del gatto, dell’anziana vicina o qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto toglierla da quella situazione.

La sera arrivò fin troppo presto. Quasi non si accorse dato che il cielo cominciava a farsi chiaro anche alle otto di sera. I suoi, come se avessero palpato nell’aria quella tensione, scapparono anche prima dell’orario del cinema, per mangiare fuori. Avevano lasciato a Hope una cotoletta, che cucinò ma che mangiò  solo per metà. L’appuntamento telefonico era alle nove. E l’avrebbe chiamata lui.

Alle otto e mezza faceva avanti e indietro dalla cucina alla camera, dalla camera al bagno, e dal bagno alla cucina. Era agitatissima. Passò davanti allo specchio in sala e intravide una figura sottile e dai capelli rosso rame. Ovviamente era lei, ma si spaventò e urlò lo stesso. Strike soffiò e si infilò sotto il divano.

“Sono pazza” disse ad alta voce avvicinandosi allo specchio e guardandosi. Il suo viso, i suoi capelli, i suoi occhi… no nessuna traccia, se non quella dell’Ansia. Scosse il viso e si tirò dritta.

“Calmiamoci” disse mentre Strike, uscito da sotto il divano si leccava una zampa. “Dobbiamo calmarci okay Strike?” si disse. Strike la guardò storto. “oddio adesso parlo pure con il gatto, come se lui potesse fare qualcosa! Sono pazza. Che ore sono? Otto e quaranta. Oddio, fra venti minuti. Okay. Allora. Cosa dico? Uhm…

Ehm…Ciao Noah… No, mio Dio, sembro una minorata mentale…

Aa…

Partiamo bene.”

Si guardò di nuovo allo specchio.

“Sono ridicola. Uaaaa…” Si passò i capelli e le mani sulla faccia tirandosi la pelle in giù e facendo una faccia ridicola. Scoppiò a ridere da sola.

Poi si rese conto che lui avrebbe ascoltato la sua risata. Com’era la sua risata? Non era bella, vero?

“Okay piantiamola qui Strike.” Il gatto ora la guardava severo, come se volesse rimproverarla. “Sappiamo entrambi cosa devo fare vero?”

Strike miagolò. Hope andò di sopra, prese l’ipod, si ficcò le cuffie nelle orecchie e fece partire la musica ad altissimo volume. Cominciò a ballare e a cantare, fregandosene della vicina (che tanto era sorda) e di Strike che la guardava con occhi sempre più accusatori, infastidito da tutto quel rumore.

Ma Hope si rilassava a cantare e a ballare. Si rilassava a concentrarsi su qualcosa, la musica, che le entrava nel cervello e non lasciava spazio a nessun altro pensiero. Non si accorse del tempo che passava come un lampo. Le nove arrivarono in fretta e quando se ne accorse schizzò in camera a sciacquarsi la faccia e a rinfrescarsi. Poi mise una sua felpa, dell’anno precedente che le stava molto più grande e scese in cucina. Quando mise piede in cucina, il cellulare, sul tavolo, si illuminò e non smise di lampeggiare come di solito faceva quando arrivava un messaggio di lui.

‘No’ pensò ‘non un messaggio di lui. Un messaggio, in generale’.

Il cuore cominciò a batterle all’impazzata e si avvicinò al tavolo.

L’emozione si trasformò subito in stupidità. Era sua madre. “Pronto?” rispose.

“Hope sono la mamma”

“Ciao mamma” disse lei, sentendosi un’idiota di prima categoria. Che idiota.

“ho chiamato casa e nessuno ha risposto… Dove eri???”

“Probabilmente in bagno” rispose. Non era la prima volta che accadeva di avere la musica nelle orecchie e di non sentire il telefono di casa squillare.

“Come probabilmente?? Lo saprai, no???”

“SI MAMMA. Ero in bagno, sotto la doccia.”

“Non mi piace che tu faccia la doccia quando noi non ci siamo.”

Hope alzò gli occhi al cielo. “Mammaaaaa non ho due anni…”

“Si ma vorrei ricordarti che hai avuto…”

“VA BENE MAMMA.” La interruppe. “Ora vai al cinema sennò ti perdi il film”

“…Perché tutta questa fretta? Stai aspettando qualcuno?”

“Si mamma. Ho invitato tutta la scuola per un festino veloce mentre voi non ci siete.”

“No Hope sul serio. Sai che non mi piace che tu…”

“Si mamma, lo so. Non faccio nessun festino, sto aspettando una telefonata.”

“Una telefonata? E DA CHI???” Hope pensò che era proprio da sua madre che aveva ereditato l’essere pettegola e curiosa.

“Da Alice mamma! Da chi sennò???” Hope si sentì avvampare. Di solito non succedeva quando diceva delle bugie. Ma quella volta le andò letteralmente a fuoco la faccia.

“Non so. Magari da un ragazzo… stai sempre al cellulare…”

“CIAO MAMMA! Buon film!”

“Oufff va bene, ciao tesoro. Buona serata, ti saluta papà!”

“Salutamelo… ciao ciao!”

Chiuse la telefonata. Le mani non le tremavano. Scosse la testa e sospirò. Sua madre aveva azzeccato che stava aspettando una telefonata da un ragazzo al primo colpo. Incredibile. Si prese un bicchiere  e lo riempì di acqua. Così se avesse avuto la bocca secca, sarebbe stato a portata di mano. Lo portò in sala e lo appoggiò al comodino. Era tutto pronto: il telefono era in cucina, modalità suoneria, il bicchiere con l’acqua, l’elenco dei possibili argomenti di conversazioni…

“L’ELENCO!” urlò portandosi una mano sulla fronte, facendo sobbalzare Strike che soffiò di nuovo.

Schizzò di sopra a prenderlo.

Se Strike avesse potuto dire qualcosa, avrebbe sicuramente affermato che era meglio se la sua padrona si facesse un altro giro in ospedale per constatare che fosse tutto okay.

Mentre Hope era di sopra, il cellulare cominciò a vibrare e a mettere un flebile suono. Hope si catapultò giù dalle scale, rischiando di cadere di faccia e diventare un nuovo tappeto per l’ingresso, entrò in cucina a razzo, afferrò il cellulare senza tanta indecisione e rispose:

“Pronto?”

“Pronto? Hope?”

Il cuore non aveva ancora in fatto in tempo ad accelerare e il cervello, invece, a realizzare. L’adrenalina dolce si propagò nel suo corpo, come una scossa elettrica al rallentatore. Era la sua voce e sapeva che era lui.

“Ciao Noah” riuscì a dire.

Non respirava più.

“Ciao Hope, finalmente ci sentiamo”

Hope cominciò a tremare. Tremò per l’agitazione, per il cuore che le batteva fortissimo, per la tensione che provava in tutto il corpo. Non voleva sedersi, non ci sarebbe riuscita neanche se le avessero modellato una sedia apposta.

Aveva una voce…particolare. Era ruvida. Ma morbida allo stesso tempo. E calda. E allegra. Le piacque.

“Eh già” disse lei. Non sapeva che cazzo dire.

“Tutto ok?” chiese lui.

Era così strano. Era così… pazzesco e inspiegabile.

“Oh si, avevo solo dimenticato di… di dare da mangiare al gatto e ho fatto di corsa” ‘Ma che cazzo dico? Dare da mangiare al gatto?’

“Ah Strike, giusto?”

“Esatto.”

“Adesso sta mangiando?”

Hope guardò Strike, appallottolato sul divano che respirava pesantemente, apparentemente addormentato. “Più o meno” rispose sorridendo e sentendosi più stupida di quando si era sentita prima, quando l’aveva chiamata sua mare.

“Fantastico” pausa. “Hai una bella voce”

Hope scoppiò a ridere silenziosamente. “Grazie” rispose. “Anche tu.”

“Be’ sono sicuro che sei una ragazza almeno”

Questa volta Hope rise ad alta voce.

 

Noah pensò che, oltre ad avere una bella voce, aveva anche una bella risata. “Eh si il mio amico non è potuto venire.”

“Be’ se volevi proprio farmi uno scherzo, potevi rispondere tu con una voce da maschio”

Anche lui era solo in casa. Aveva aspettato che tutti fossero usciti e si era barricato in camera, con la scusa che non si sentiva molto bene.

“Non credo ne sarei stata capace”

Era nervosa, lo sentiva nel leggero tremolio della sua voce. Anche lui lo era. Non aveva mai dovuto preoccuparsi così tanto della sua voce come in quel momento. E mai era stato nervoso con una ragazza che non aveva mai visto. O forse era proprio questo il punto: non l’aveva mai vista.

“E io non credo che sarei stato capace di imitare quella di una ragazza o di un uomo più grande”.

 

“Di una ragazza sicuramente no” disse Hope.

“Perché?”

“perché hai una voce… profonda.”

Ma come cazzo le era venuto in mente di dire una cosa del genere?

Lui rise. Aveva una bella risata. “Penso sia un complimento, quindi grazie.”

“Prego. Posso dire una cosa?”

“Certo che puoi DIRLA”

Hope sorrise sentendo che lui sottolineava il DIRLA. “Mi sento molto sciocca al momento”

“Come mai?”

“Parliamo della voce Noah. DELLA VOCE.”

Risero insieme.

“mi sembrava un buon punto di partenza”

“mica ti sarai fatto una lista delle cose da dire!” disse Hope, facendo un sorrisetto. Meno male che lui non poteva vedere. L’avrebbe presa per il culo a vita.

“no” rise ancora “no davvero. Troviamo sempre qualcosa di cui parlare per messaggio… mi sono affidato al caso.”

“giusto. Bravo. Adesso potrai dire ai tuoi amici che la smetterai di scrivere.”

“Saranno contentissimi.”

“Si soprattutto Louis… E’ lì con te?”

“Sei pazza? Non mi avrebbe lasciato in pace. L’ho cacciato di casa.”

 

“L’hai cacciato di casa? Vivete insieme?”

Noah si morse la lingua. Doveva stare attento. Molto attento, se voleva continuare a mantenere il suo di segreto.

“Ehm si, condividiamo lo stesso appartamento. E’ comodo anche per il lavoro.”

“E scusa ma dove l’hai mandato?”

La conversazione si spostò su un altro argomento.

 

“Aveva le sue fans da gestirsi”

“Ah già è vero che voi siete pieni di fanssss!”

“Esatto.”

“E le tue?”

Hope si sedette per terra, appoggiata al divano e allungò una mano verso Strike che inarcò il collo e si fece grattare dietro le orecchie.

“Le mie per stasera dovranno accontentarsi…”

“Ma no, non dirmi che hai rinunciato a loro PER ME”

Hope sorrise. La sua voce era fantastica. Ed era inevitabile cominciare a farsi una vaga idea di come poteva essere.

“Ebbene si. Dovresti sentirti lusingata.”

“Lo sono, assolutamente Mr Noah.”

Risero di nuovo.

“E tu sei a casa da sola?”

“Si.” Hope prese il gatto e se lo mise sulle gambe. Lui non fu molto contento di questo cambio di posizione così repentino ma si adattò in fretta, accoccolandosi sulle gambe di Hope. “i miei sono usciti”

“Dove sono andati?”

“A cena e poi al cinema”

“A vedere cosa?”

“Non so…. Un film adatto a loro, immagino.”

 

Noah sorrise, mangiandosi una caramella gommosa. “Adatto a loro?”

“Si” la voce di Hope si stava rilassando. Si immaginò una ragazza che vagava per casa, magari in cucina, con una maglietta senza maniche e con i pantaloncini del pigiama.

“Cioè?”

“Cioè quelli ricchi di significato intrinseco e storici. Che magari fanno rivivere loro i tempi di quando avevano la nostra età”

Noah sorrise di nuovo. Era pazzesco e inspiegabile.

 

Andarono avanti per due ore. Incollati al telefono. E Hope cominciò a tremare nell’altro senso. Le accadeva da quando c’era stata l’Ombra. Quando si rilassava ma sapeva di essere in una situazione che potenzialmente poteva essere più che stressante, cominciava a tremare. La presenza del corpo di Strike sulle ginocchia, caldo come un cuscino, la faceva tremare a intervalli regolari. Se si concentrava a sufficienza poteva anche controllarlo. Ma non voleva. Stava bene. Stava benissimo. La sua voce era stupenda e avrebbe parlato con lui per sempre. Ma purtroppo non poteva accadere. I suoi sarebbero tornati per le undici e mezza ed erano già le undici e venti.

“Noah devo staccare” gli disse, controvoglia, quando lui ebbe finito di raccontarle un episodio della settimana che era stato a Edimburgo.

“Come mai?” chiese lui.

Lei sorrise compiaciuta. Lui voleva staccare quanto lei desiderava farlo: meno di zero.

“I miei stanno tornando. E se mi trovano al telefono mi strangolano. E mia madre mi farebbe il terzo grado.”

Lui rise. “Perché?”

“Perché le ho detto che dovevo sentire Alice ma con lei non sto mai così tanto al telefono.”

“Nemmeno per discutere di ragazzi?”

“No ma va. Di quelli c’è poco da discutere.”

“EHI!”

Hope rise “Scherzavo!”

“Quindi non le hai detto che aspettavi una telefonata da un ragazzo”

“no. Primo perché tu potevi essere benissimo una ragazza o un uomo che faceva finta di essere un ragazzo”

Noah rise. Aveva finito le caramelle, ma non sentiva più il bisogno di mangiarle.

“Secondo perché non mi va di dirglielo. Diventerebbe pressante.”

“Aha, va bene. Allora… ti saluto.”

“Si.” Hope non avrebbe voluto per niente mettere giù il telefono. “Ci…ci sentiamo” disse.

“ovviamente” rispose lui.

Hope sorrise di nuovo.

“E grazie.” Aggiunse lei. ‘GRAZIE??? MA CHE CAZZO DICOOOOOO??!?!’ Hope arricciò naso e bocca. Che idiota.

 

Noah, infatti, rise.

“E di che? E’ stato… bello.” Disse lui. ‘Bello? E’ stato bello? E’ una cazzo di telefonata, coglione!’ pensò.

 

Hope sorrise e l’adrenalina dolce ricominciò a scorrerle nelle vene, come un dolce buffetto di Strike. “Anche per me” disse tutta soddisfatta. “Ci sentiamo Noah. A dopo!”

“A dopo Hope.”

 

Noah tolse il telefono dalle orecchie e chiuse la telefonata. Guardò fuori dalla finestra. Non c’era una nuvola, le poche stelle brillavano fioche. Una bella voce, già… Prese il cellulare e scrisse.

 

Hope mise a posto il bicchiere, non prima di averne bevuta una bella sorsata. Era andata benissimo.

Salì le scale per andare in camera sua, canticchiando. L’effetto dell’adrenalina dolce era continuo ed era fantastico. Andò in bagno, si preparò per andare a dormire, lasciò socchiusa la porta per i suoi e si infilò a dormire. Riprese il cellulare appoggiato sul comodino.

1 messaggio da Noah: “Ciao Hope :)”

Sorrise, sprizzante di felicità. Si mise il cellulare vicino al cuore, che batteva potente e stracolmo di gioia. Non sarebbe stato facile addormentarsi quella sera. Era andata bene.

 

 

 

“Mamma ma che figo. Che FIGO pazzesco!” Alice arrivò al loro (di Hope, di Olivia, di Tara e di Alice) ormai abituale ritrovo dopo scuola, sotto il salice, con una faccia sognante.

“Chi?” chiese subito Tara.

“Se sapessi chi, cara mia, non sarei qui con voi”

Hope alzò gli occhi dal cellulare e guardò Alice. Olivia finì il suo pacchetto di patatine e si strofinò le mani una sull’altra. Alice buttò la borsa per terra e si sedette sul tavolo.

“L’unica cosa che dovete sapere è che: è figo, che l’ho seguito e ho fatto una figura di merda!”

“Sarebbe?” chiese Tara

“Eravamo in ascensore insieme, gli ho chiesto il piano ed era lo stesso del mio. Gli ho sorriso, ho schiacciato il numero e mi ha sorriso. Siamo quindi scesi insieme. Io sarei dovuta andare a sinistra, lui è andato a destra e ci sono andata dietro. Non mi sono nemmeno resa conto. Lui è entrato in una classe, quella vicina al laboratorio di chimica…”

“Quale? Quella piccola dove tengono gli strumenti musicali?”

“Esattamente, Olivia. Lui è entrato, evidentemente c’era una prova di qualche band; potevo intuirlo dato che portava una chitarra sulle spalle. Comunque, lui entra, e…. entro anche io, giuro, che idiota. Entro e chi trovo? Tre suoi amici i quali, dopo averlo salutato, mi guardano storto.”

Olivia e Hope scoppiarono a ridere.

“Non ridete. E’ stato terribile.”

“Cosa hai fatto dopo?”

“Sono uscita! Mi sono limitata a balbettare che avevo sbagliato strada e sono scappata via!”

Hope e Olivia continuavano a ridacchiare sotto i baffi.

“Penso che probabilmente io avrei fatto finta” disse Tara “tipo: ops scusate pensavo ci fosse ripetizioni di flauto oggi…”

“Flauto…” Olivia scoppiò di nuovo a ridere. “Oddio… sto morendo…” si asciugò il bordo degli occhi con il polso. “Tara sei già fin troppo brava con il flauto”

Tara rise. “Un po’ di ripasso non fa male a nessuno”

 

10 Maggio 2013 – Martedì, ore 13.47 - messaggi

“ahahahahaha, quindi Tara è brava con il flauto!”

“E’ quello che mi ha detto ieri…E’ pazzesca, te l’ho detto, sa fare tutto!”

“Devo conoscerle queste tue amiche, sembrano davvero tipe interessanti…”

“E tu devi farmi conoscere i tuoi, invece. Hai detto a Louis che mi hai chiamata?”

“Si. Ma non vuole crederci. Ahahaha dice che la prossima volta vuole essere presente…”

“Che pretese! E gli altri? Ci credono?”

“Stanno più sulle loro… è solo lui che vuole sapere tutto.”

“E’ perché ti vuole bene!”

“non ne dubito… e Olivia? Anche lei ha uno suo strumento musicale preferito?”

“Naaaa. Lei è fidanzata…”

“Ah be allora sa quale flauto suonare…”

“MA NOAH! Ahahaha”

“Cosa??? Non dirmi che non lo sa… *scimmietta con le mani sulla bocca*”

“Quanto sei scemo… Lo sa perfettamente. Sono 4 anni che stanno insieme.”

“Oh cazzo, non penso riuscirei a sopportare una per 4 anni consecutivi.”

“E’ perché non hai pazienza..”

“No seriamente. Non gliel’hai chiesto?”

“No… però penso che se due persone si amano tanto…”

“Uno non può amare una persona per così tanto tempo…”

“Dillo a tua mamma :)”

“I miei sono separati”

Hope fissò il messaggio. “Cazzo…” mormorò. Aveva appena fatto una figura di merda pazzesca.

“Aehm… scusa Noah. Scusami.”

“Ahahahaha ma di che? Ahahaha, tranquilla!”

“Ma sono seriamente separati o mi prendi in giro?”

“No no, giuro. Mamma si è separata da papà perché ‘non lo amava più’.”

“Quando è successo?”

“Quando avevo sette anni più o meno.”

“Deve essere stato terribile.”

“più o meno… ero piccolo. Non capivo benissimo, però è andata come è andata.”

“Be’… però quanti anni sono stati insieme?”

“Non lo so… una ventina forse?”

“Eh allora vedi… E’ durata un po’. Magari Olivia è solo all’inizio.”

“Si ma guarda come è finita.”

“Noah mi spiace per i tuoi. Però non so… i genitori di Louis?”

“Cosa i genitori di Louis?”

“Li conosci? Sono insieme?”

“Be’…si. E sono ancora insieme.”

“Vedi, amare una persona per tanto tempo è possibile.”

“Mi sono sempre chiesto COME sia possibile. Io non riesco, non ce la faccio, mi annoio.”

“Sei mai stato mollato?”

“Si. Anche se poche volte.”

“Modesto”

“Ahahaha, scherzavo. Comunque si mi è capitato.”

“E si era annoiata lei in quel caso”

“Be’… più o meno.”

Hope aggrottò la fronte. “Okay okay non voglio chiederti altro. Comunque. ‘L’amore eterno’ o in qualunque modo tu lo voglia chiamare, esiste. I genitori di Louis ne sono una dimostrazione. I tuoi, per certi versi, anche. Solo che con loro non è finita benissimo…”

“no infatti. Però voglio dire…  come fanno? Cioè. E’ pazzesco. Stai con una persona per tutta la vita.”

“Noah, non è che lo sai PRIMA che con quella persona ci starai insieme per sempre.”

“Eh si, dillo a quelli che si devono sposare.”

“Oh lascia perdere il matrimonio. Quello è un altro argomento. C’è gente che NON si sposa e che sta lo stesso con la stessa persona per tanto tempo.”

“ma COME FANNO?”

“Non lo so, Noah. Lo fanno e basta. Credo che un buon punto di partenza è non farsi le seghe mentali su questa cosa.”

“Ma poi? Ci sarà un momento di crisi, un momento di noia, un momento in cui vorresti buttare all’aria tutto e andare via…”

“Ho avuto una…un’amica l’anno scorso. Aveva 23 anni, e stava con il suo ragazzo da quasi 10. E giuro, da come ne parlava sembrava si fossero messi insieme il giorno prima.”

“Forse è questo il trucco?”

“Cioè?”

“Se con una persona ti sembra di starci insieme da poco tempo quando invece ne è passato tanto, allora vuol dire che è quella giusta.”

“Non credo sia così semplice Noah. Non credo che avere la pazienza, come dici tu, di stare con una persona per taaaanto tempo si basi solo su una condizione. Non penso sia necessario.”

“In che senso?”

“nel senso che credo ci siano… dei livelli.”

“Dei livelli?”

“Si. Sai i primi tempi è tutto un… un’emozione. ‘Oddio lo vedo, oddio lo sento, oddio come mi vesto, ma come bacia bene eccetera’”

“ahahaha come mi bacia??? Ahahaha”

“Non fare lo spaccone. L’hai pensato anche tu sicuramente.”

“ ‘Come mi bacia, come mi tocca, come mi…???’”

“VA BENE NOAH, ho capito. Grazie. Qualunque cosa tu intenda, è quello. Però sei d’accordo che è tutto così i primi tempi.”

“Si credo di poter concordare.”

“poi si passa ad un livello successivo, ci si conosce meglio, magari. E poi ci si impara ad amare. Si è disposti anche ad un certo numero di sacrifici immagino.”

“impara ad amare? In che senso? Sembra una cosa… triste, detta così.”

“Ah non saprei. Penso sia un livello altissimo, dove l’amore non è più solo baci, abbracci, sesso e quant’altro. I difetti che una volta ti davano fastidio, a quel punto non puoi farne a meno. Perché lo/la rendono il tuo lui/lei. E’ una cosa meno concreta se vuoi… che… che senti nell’aria, che senti addosso, che senti nelle tue ossa, nel midollo. Certo ci sono i baci, ci sono gli abbracci eccetera. Ma diventa davvero qualcosa di estremamente profondo.”

“Ci sei mai arrivata ad un livello del genere?”

“No, Noah. Mai. E credo che richieda molto, moltissimo tempo. E sia legato anche alla maturità della persona. E tu?”

“no, non credo, non penso”

“Io credo che se ci fossi arrivato, lo sapresti. E’ una cosa che ti devi proprio sentire… è come quando vedi una zanzara sul muro.”

“una zanzara?!”

“Papà dice sempre che quando vedo una zanzara sul muro ma ho qualche dubbio che sia effettivamente una zanzara, allora non è una zanzara. Non è l’esempio più azzeccato, ma rende l’idea. Se tu hai qualche dubbio, allora vuol dire che non ci sei arrivato.”

 

Noah lesse il messaggio tre volte. Poi rise. “Sei pazzesca, Hope. Questa la segno e giuro che la faccio scrivere nella…” si bloccò. Cancellò il messaggio. Lo riscrisse. “tuo papà è pazzesco. Comunque ho capito.”

 

“E io ci credo in questa cosa.”

“Ma la ragazza che hai conosciuto? Sembrava così?”

“uhm. Si, diciamo di si. Lasciava trasparire questa loro relazione in modo del tutto naturale, come se lui fosse legato a lei, come se fosse un prolungamento di se stessa”

 

Adorava quando Hope sparava queste frasi. Le adorava terribilmente. Le uscivano come se niente fosse.

 

“Scusa ma dove l’hai conosciuta questa ragazza?”

Hope si morse il labbra. “Ad un incontro, l’anno scorso, per non ricordo quale ragione.”

“capito. Cavoli… quasi dieci anni… sono tantissimi.”

“Un sacco, davvero. Poi conta che aveva 23 anni. Lui 30 Fai il calcolo. Lei era piccola!”

“Ahahaha, è vero. Era un pedofilo!”

“Ahahahaha ma nooo..”

“Comunque a me fa un po’ paura.”

“Cosa ti fa paura?”

“Di stare con una persona per così tanto tempo!”

“Non ci vedi il lato romantico?”

“Certo, quello si. Però vuol dire condividere tutto… e io non credo di esserne pronto.”

“Ah Noah… Abbiamo tutta la vita davanti. Quando succederà, non te ne renderai nemmeno conto :)”

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Capitolo 6
*** Inaspettata ***


Capitolo  6 - Inaspettata

 

Era passata ancora una settimana da quell’ultimo discorso. L’aria calda cominciava a farsi sentire, e il percorso dalla fermata del pullman a casa cominciava ad essere pesante. Hope avrebbe presto chiesto a sua mamma se poteva tirare fuori i vestiti dell’estate. Stava ovviamente messaggiando con Noah ma appena salì le scalette per entrare in casa, trovò sulla porta delle buste. Buste indirizzare proprio a lei. Le raccolse con il cuore che martellava. Erano LE lettere.

Ebbe difficoltà ad aprire la porta di casa per l’agitazione, ma appena entrò, buttò la cartella all’ingresso, si liberò della felpa e corse in cucina. Spalancò il primo cassetto, tirò fuori il taglialettere e lo infilò nella prima, proveniva da Cambridge, la sua prima scelta. Tolse i due primi fogli e li srotolò con il fiato corto.

Gentilissima signorina Knight,

siamo orgogliosi di comunicarle…”

Non finì la lettera.

Passò alla successiva: da Oxford. Squartò anche quella:

Gentilissima signorina Knight,

siamo orgogliosi di comunicarle…”

Passò alla terza: Maastricht.

Gentilissima signorina Knight,

siamo orgogliosi si comunicarle…”

Passò alla quarta: Greenwich

Gentilissima signorina Knight,

siamo orgogliosi di comunicarle…”

E le due successive erano uguali. Era stata presa. Presa dappertutto. Andò in sala e passò all’ingresso, dove aveva lasciato la porta aperta. La chiuse e tornò in sala.

Strike si leccava il musetto con le zampe.

Hope prese coscienza di ciò che era appena successo.

Poi, di punto in bianco, urlò. Urlò di gioia, come mai aveva fatto, piena di orgoglio e di felicità. Strike volò giù dal divano, facendola scoppiare a ridere. E rideva come una matta, da ricovero, ma non le importava. Era felice felice felice. E doveva assolutamente condividere questa felicità con persone importanti. Doveva cogliere la possibilità al volo.

Agguantò il cellulare e, senza pensarci, lo chiamò.

 

Noah si aspettava un messaggio. Invece, il cellulare, posato al centro del tavolo insieme a quello degli altri, prese a vibrare e non smise. Louis, il più vicino a lui, girò di scatto la testa.

“E’ lei?” chiese con gli occhi che brillavano.

Noah prese il cellulare e guardò lo schermo. Perplesso, annuì. Perché lo chiamava? Non l’aveva mai fatto… di solito si mettevano d’accordo prima.

“Silenzio adesso” disse, prima di rispondere. “pronto?”

 

“SONO STATA PRESAAAAAAA” esplose lei appena la sua voce profonda la raggiunse. “NOAH SONO STATA PRESAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA”

 

Noah dovette allontanare il cellulare dall’orecchio per quanto urlava. Louis lo guardò stranito.

“Sei stata presa? Sei stata presa DOVE?” chiese, capendo subito a cosa si riferiva Hope. E, immediatamente, si sentì su di giri anche lui. Non gli importava un cazzo del resto.

 

“Dove? DOVE??? Dappertutto!” disse Hope, facendo scorrere le mani sulle lettere squartate. “Dappertutto Noah, sono stata presa dappertutto.”

“Anche a Cambridge?”

“Si, oddio, anche a Cambridge. Sono stata presa! SONO STATA PRESA!”

“Sei una grande. Lo sapevo che eri una grande.”

“Sono stata presa” non riusciva a dire altro. “Non so cosa… non cosa pensare.”

“Pensa che sei una secchiona del cazzo” Lui rise e anche lei lo fece. Era stata presa. “l’hai detto ai tuoi?”

“NO! Sono arrivata a casa, ho preso le lettere ho visto e… e niente. Sono stata presa. Oddio che scema che sono”

“Come mai?”

 

“Perché credo di stare piangendo.”

Noah sorrise. Era orgoglioso di lei. Sentiva una strana sensazione dalle parti dello stomaco.

“Ma come piangi!” disse ridendo.

“Sono un idiota, lo so.”

“Ahahaha si posso capire che la prospettiva di andare a Cambridge sia talmente d’inferno che ti viene voglia di buttarti dal London Bridge, ma così mi pare esagerato!”

 

Hope scoppiò a ridere. Si lasciò andare su una sedia e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Era stata presa. Dovunque. Ma soprattutto a Cambridge. Era pazzesco.

Si prese un attimo prima di riprendere fiato e dire a Noah. “Ti ho distrubato?”

“Assolutamente no!”

“Scusami… è solo che volevo condividere questa cosa con te e…” sospirò “sono stata presa.”

“non me l’avevi ancora detto!”

Scoppiò a ridere di nuovo. “okay basta, adesso ti lascio andare.” Disse Hope. “ci sentiamo dopo, va bene?”

“va bene Hope. Ma ti prego smettila di dire che sei stata presa sennò i vicini chiamano la neuro. E non festeggiare troppo senza di me.”

 

“Giuro. A dopo Noah!”

“A dopo Hope.”

Mise giù e guardò Louis. “Ora ci credi?” gli chiese.

“Si. E credo che anche quelli del palazzo di fronte ci credano, dato che avranno sicuramente sentito le sue urla fin là. Ma si può sapere che cazzo hai fatto per farla urlare così?”

Noah scoppiò a ridere. Louis era proprio un coglione.

 

I suoi la portarono fuori a cena per le tre serate successive e la quarta ci pensarono Alice, Olivia e Tara. Tutte erano state prese dove volevano e avevano intenzione di festeggiare alla grande ma a loro modo. Nessuna voleva sballarsi, nessuna voleva andare in discoteca e perdere il controllo. Alice sapeva più di tutti che a Hope non sarebbe piaciuto ma, per fortuna, la pensava come lei e quindi nessuna fece alcun sacrificio. Uscirono la sera a mangiare, a prendere un gelato, a girare per il centro ridendo come se fossero ubriache; si, ubriache di felicità. Poi andarono a vedere più di un film tirano le due di notte e, infine, dormirono tutte da Alice, perché i suoi erano in vacanza. 

Noah prese a chiamarla una volta al giorno. Amava sentirla felice e lei non vedeva l’ora di condividere a voce tutto ciò che le era successo in una giornata. Lo inondò, letteralmente, con la sua sconfinata voglia di essere felice. Si sentì investito in pieno, e le sue giornate gli sembrarono più brillanti di quanto non lo erano mai state prima. La voce di Hope non si incrinava mai, non era nervosa e la sentiva ad un passo di distanza. Come se bastasse un passo per abbracciarla…Come avrebbe voluto vederle la felicità negli occhi, che sicuramente sarebbero stati bellissimi.

 

La metà di maggio volò via in un lampo e la data del diploma si fece sempre più vicina. Il sole illuminava la maggior parte delle giornate e Hope si sentiva sempre più felice ma sempre più stressata. Sua mamma era preoccupata ma non le metteva più di tanta pressione, se non chiederle un po’ più spesso se era tutto a posto e se si sentiva bene. Ma Hope stava bene. Cominciò ad uscire anche più spesso, con le sue tre amiche e a rientrare verso sera prima di cena. I suoi ne erano contenti. L’estate, il caldo, il sole e l’aria fresca le facevano bene.

L’unica cosa che non capivano perfettamente era perché dopo cena si chiudeva in camera e non si faceva più vedere fino almeno alle undici, quando ricompariva per dare la buona notte. Ma suo padre era sicuro che stesse ancora sveglia per un po’: la sentiva parlare con qualcuno, se si accostava alla sua porta e credette che stesse impazzendo sul serio, parlando con il gatto. Ma sua moglie gli disse di non preoccuparsi, che probabilmente aveva conosciuto un ragazzo. Il papà si preoccupò ancora di più.

 

“Hope? Ci sei ancora?”

“Oh si.” Rispose ritornando alla realtà.

“Tutto bene?”

“Si… ho solo la testa da un’altra parte.”

“Non capita a tutti di diplomarsi domani.”

Hope fece un sorriso. “Già.”

Aveva la finestra spalancata, tirava una aria leggera che rinfrescava l’afa che c’era stata nelle ultime due giornate.

“E sei pronta?”

“Per cosa?”

“Per la nuova vita a Cambridge. Dici sempre che vuoi una nuova vita.”

“Si. Si sono pronta… anche se ho un po’ paura”

“E di cosa?”

Hope scrollò le spalle. “Che non mi piaccia, che non riesca a capire se mi piaccia.”

“Avrai tutto il tempo Hope... E sono sicuro che ti piacerà tantissimo. Non te ne renderai nemmeno conto.”

“Speriamo Noah… vorrei tanto che…” si bloccò. Non voleva continuare come l’aveva pensato.

 

Noah rimase in silenzio, non la esortò ad andare avanti. Ma si sentì tanto idiota di non averlo fatto quando lei continuò, dopo mezzo minuto.  “…che vada tutto bene.”

“Ma si vedrai. E’ una formalità. Il discorso lo fa Olivia?”

“Si. E’ la più brava del nostro corso. Anzi, meglio che la senta prima di andare a dormire. Se andrò a dormire”

Lui rise “Non hai motivo di essere agitata.”

“Com’è stato quando l’hai fatto tu?”

“ho un ricordo molto confuso al momento.”

“Dai Noah…”

“te lo giuro, è stato bello. So solo dirti questo.”

“mi rassicura molto”

“tranquilla. Andrà tutto bene.”

“Non so come farà Olivia sinceramente”

“Sarà un fascio di nervi?”

“Stai scherzando! Probabilmente si sarà buttata giù dalla finestra…”

“Ahahaha, allora sentila. E’ meglio. Noi ci sentiamo dopo, per messaggi… va bene?”

“si”

“Allora ci sentiamo dopo. Ciao Hope..”

“Noah?”

“Si?”

Hope si mangiucchiò le labbra. Era così difficile dire ciò che voleva dire?

 

Noah rimase un minuto al telefono, sentendo solo il respiro di lei.

“Vorrei che fossi qui.” disse lei in un soffio.

E a lui venne una gran voglia di mollare tutto e tutti e catapultarsi da lei nel momento esatto in cui avrebbero messo giù. Ma era possibile? Era possibile innamorarsi di una persona che non aveva mai visto? Per niente.

“Anche io, Hope” rispose senza pensarci.

Era una ragazza mai vista. Mai vista, Cristo. Com’era possibile???

“Però ti prego non venire” disse lei, smorzando l’atmosfera. “Penso che non riuscirei a reggere la pressione e sverrei davanti a tutti.”

Noah scoppiò a ridere.

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Capitolo 7
*** La prima volta ***


Capitolo  7 – La prima volta

 E andò tutto bene. Inutile dire che Olivia fu fantastica, con le punte dei capelli rosse, in contrasto con la tunica blu che portavano addosso. Fece un discorso degno di lei, citando persone importanti e ficcando qua e là qualche frase ad effetto. Il tutto lo disse con la fronte un po’ aggrottata, la faccia seria, già in procinto di diventare Qualcuno. Furono poi chiamati a turno tutti gli studenti sul palco. Quando toccò a Hope, sua mamma, suo papà, la nonna e un paio di amici si alzarono entusiasti, applaudendo forte. Anche il suo allenatore, con grande gioia di Hope, era venuta a vederla. Sua madre si lasciò scappare una lacrima, più che giustificata. Hope scosse la testa, sorridendo e scese dal palco.

 

Occupò il pomeriggio stando lì a scuola, facendo foto, sorridendo e salutando chiunque, anche chi conosceva poco. La parola più usata, quel giorno, fu ‘GRAZIE’. Continuava a ripeterla.

Ci fu un solo un momento di distrazione generale quando sembrò che qualcuno che somigliasse ad uno degli One Direction fosse presente. Ma ad Hope non importò e neanche ad Olivia, fan del gruppo.

Se avesse potuto, Hope non si sarebbe più tolta quella tunica blu. Era confortante averla addosso. Non voleva disfarsene. Suo padre fece a lei e alle sue amiche un servizio fotografico, non osando cancellare nessuna foto. Poi lei, Olivia, Tara e Alice passarono la serata fuori, insieme, loro quattro, come avevano fatto circa un mese prima. E si divertirono con semplicità.

 

 

“Come è andata?”

“Benissimo! Adesso andiamo al ristorante qui vicino solo io e le ragazze!”

“Anche se siamo per messaggi, ti sento contenta.”

“Se non torno a casa tardi, ti chiamo!”

“No Hope. STAI fuori fino a tardi. E’ uno dei giorni più belli della tua vita. Goditelo, davvero, te lo meriti.”

“Ahahaha va bene Mr Noah. Olivia è stata fantastica.”

“Si lo so. Era ovvio, no?”

“Si. Noah… grazie. Per ieri sera voglio dire. Sei stato fantastico, ed è stato fantastico. Non so cosa farei se tu non ci fossi.”

“Tu sei fantastica.”

Hope sorrise. Anche Noah le stava trasmettendo energia positiva, lo sentiva. O forse era soltanto così piena di felicità che vedeva tutto positivo.

 

“Sono tornata” scrisse a lui alle tre del mattino. “Suppongo che tu dorma, ma ancora voglio ringraziarti. Abbi pazienza, stasera eravamo molto…sentimentali, io e le ragazze: grazie davvero di tutto. Nonostante tu non mi abbia mai vista dal vivo, mi sei sempre stato accanto, anche in momenti difficili e fantastici allo stesso tempo, come oggi, e questo per me è importante. Grazie per esserti fidato di me da subito e avermi permesso di prendere il tempo necessario per fidarmi anche io di te. Non ti ho detto tutto della mia vita… ci sono cose che voglio trovare il momento giusto per dirtele. E prima voglio vederti, voglio conoscerti e poterti guardare negli occhi. E’ una bellissima amicizia la nostra, una delle più preziose che ho e non intendo lasciarmela scappare dalle dita. Grazie Noah, grazie, davvero, di tutto.”

 

Quando Noah lesse quel messaggio, esattamente nel momento in cui lo ricevette, si sentì in colpa. Stava per risponderle. Ma poi si fermò. Avrebbe pensato a cosa scriverle dopo, prima doveva assolutamente finire di scrivere un’altra cosa.

 

“Non c’è stato nulla di particolarmente esaltante. A parte quando Alice stava per prenderle da Erika. E’ stato spettacolare, dovevi esserci…”disse Hope al telefono, sdraiata in veranda con Strike appollaiato sul muretto che la guardava con occhi socchiusi.

Noah si grattò la testa. Avrebbe proprio dovuto esserci.

“Come si è arrabbiata, non hai idea. Erika è andata letteralmente fuori di testa quando Alice le ha spruzzato lo spumante in faccia.”

“Accidentalmente.”

“Certamente! Cosa credi, Noah? Stavamo festeggiando… insomma è normale no?”

“Assolutamente si. E’ Erika che ha esagerato”

Hope sorrise soddisfatta.

“E poi? Cosa avete fatto?”

“Niente siamo andate a mangiare, come ti ho scritto. E abbiamo parlato un sacco. Olivia ci ha fatto vedere il braccialetto regalatole dal suo ragazzo. Le ha regalato anche il nuovo cd degli One Direction, sai che è una grande fan… Ah proposito.”

“Cosa?”

“Ecco è successo questo di strano ieri. Si è sparsa la voce che ci fosse uno di loro alla nostra proclamazione. Ma io ho pensato che fosse qualche ragazzina scema ad aver scambiato un amico per uno di loro. Olivia ha alzato la testa e si è messa a guardare in giro, sembrava un gufo e ha guardato il suo ragazzo dicendogli ‘non dirmi che li hai chiamati tu’.”

“E il suo ragazzo?”

“ha detto che non si sarebbe nemmeno sognato. Olivia ha detto che potevano essere venuti per festeggiare. Tara le ha detto che aveva bevuto troppo.” Hope ridacchiò.

 

“Noah? Perché mi chiami anche stasera? Ci siamo già sentiti oggi pome…”

“Noah? Chi è questo Noah eh????” non era la sua voce. Hope l’aveva capito subito. “NOOOOAAAAAH” le fece eco con voce femminile lo stesso ragazzo che aveva risposto.

“Scusa ma tu chi cazzo sei? Louis?”

“LOOOOOUISSSSSS ti vuoleeeeee”

Hope aggrottò la fronte.

“Louis, tesoro, non c’è.” Altra voce. Hope era sempre più confusa, ma pensava di aver capito cosa fosse successo.

“Tu chi sei?” chiese ancora.

“Chi sono, chi sono… non credo di fidarmi abbastanza per dirti chi sono.” Hope spalancò gli occhi. Era la prima cosa che gli aveva detto. Solo a lui. E si sentì avvampare di rabbia.

“Eh, non parli più? Aspetta c’è Louis. Te lo passo.”

“Ciao Hope! Sei Hope, giusto?” disse un altro ragazzo.

“Si.” Rispose gelata.

“Sai ho sentito parlare di te… pensavo non esistessi sul serio e invece, pazzesco, esisti sul serio. Eh? Pazzesco”

“Non hai idea di quanto lo sia.” Hope stava tremando di rabbia.

“cazzo aspetta, sto parlando io no??? Piantala cazzo” evidentemente Louis si stava rivolgendo ad un’altra persona. La voce che l’aveva presa in giro per prima, urlò in falsetto “HOPE TI FIDI DI ME???”

Hope chiuse gli occhi e cercò di calmarsi.

La voce che suppose fosse quella di Louis scoppiò a ridere. “coglione” fece poi “sei proprio un coglione. Ti fidi di lui, Hope?”

“No.”

“Ehi è diventata mono sillabica. Eppure non sembrava.”

“passamela, passamela ti dico. Adesso la faccio parlare.”

Hope sentì trafficare al di là della cornetta e non capì cosa la tratteneva al telefono. Doveva mettere giù.

“Allora senti Hope è un discorso… argomento serio…serissimo… il mio.” Era un’altra voce ma questa sbiascicava le parole.

“Si posso immaginare.”

“ha detto ‘si posso immaginare’….aha sei sci…scimpatica… Piantala di ridere tu… non riesco a pensare. Volevo…volevo dir…ti…che noi…tutti noi… tutto il mondo…” risate di sottofondo. “pensciamo che tu scia…sei…una braviiiiiiiiss…ima ragazza, davvero. Ma mi disci una cosa? Come.. come cazzo fai a… a legge…no, a scrivere quelle parole? Perché sono…come si dice… un pozzo di profondità”

Hope arricciò il naso, pregando che non si stesse riferendo ai messaggi della sera precedente.

“hai detto…aspetta aspetta… hai detto… cosa aveva scritto?... ah sci… i vari livelli…livelli delle…coppie..che bel…discorso…ci sci scrive una canzone…eh? oppure voglio guardati negli occhi, mi sei rimasto accanto… aspetta, ahaha, cosa c’è scritto eh? Grazie per esserti fi…fidato da subito e avermi da…dato il tempo per trovarmi… cioè no. Cazzo stai fermo, non leggo.” Si rivolse a qualcuno altro. Hope sperò che Noah non fosse presente, che non si stesse godendo lo spettacolino. “Okay. … il tempo per fidarmi anche tu…”

Hope prese un altro bel respiro. Incredibile. Era… era stata una stupida.

“E adesso ti fidi di lui, vero eh?”

“No.”

“ha detto di no cazzo, eh. Dovevi dire di sci. Capito? Devi dire di sci!”

“Si.”

“Ha detto sci. Ma l’hai detto solo perché l’hai pensciato…cioè no, per darmi il contento… si disce contento no?”

“Coglione, si dice contentino.” Gli rispose una voce in sottofondo.

“giusto, hai…hai rascione. Contentino. Comunque se ti fidi adesso dove vai? Scioè… cosa fai?”

‘Gli spacco la faccia’

“Sci andrai nelle lenzuola?”

Dall’altra parte scoppiarono a ridere. “No, non te la voglio …voglio passare. Sta parlando con me… con me, ti dico, mi sci sciono affettato… cioè affezionato…”

Altro cambio di voce “Okay Hope parlo io con te, sono meno ubriaco.”

Hope rimase in silenzio, tremando di rabbia.

“Hope? Cazzo non dirmi che ha messo giù. No, ci sei ancora. HOPE?”

“Sono qui.” Rispose con la voce tremante.

“Okay. Allora adesso ti fidi giusto? E adesso ci devi andare a letto.” Hope sentì di nuovo delle risate in sottofondo. “E’ fatto così lui, che vuoi che ti dica. E’ proprio una regola, sai?”

“Me la scrivo.”

Il ragazzo scoppiò a ridere. “Ehi ragazzi, mi sa che questa è una grande sul serio. Mi ha risposto me lo scrivo” altre risate. “AH ECCOLO IL GRANDE UOMO! Ehi mi sa che è per te!”

“pronto?” la voce di Noah le arrivò come al solito, ma non le arrivò nient’altro insieme ad essa: niente adrenalina dolce. L’avrebbe ammazzato, sicuro.

“Bene ora che sei arrivato e sono sicura che i coglioni dei tuoi amici si sono divertiti a sufficienza posso salutarti.”

“Sei tu Hooope!” da come aveva strascicato il suo nome, capì che anche lui doveva essere ubriaco. “Ma io non ti ho… non ti ho chiamato…” disse poi, con voce impastata.

“L’avevo intuito.”

“Sono stati…stati… voi, siete stati.”

“Le abbiamo detto che adesso che si fida deve venire a letto con te.”

“Ah…” disse lui, con la voce confusa.

Scoppio di risa.

“E’ una regola, diglielo anche tu, che di te si fida!”

Hope avrebbe ammazzato non solo lui, ma anche gli altri quattro che continuavano a dirgli cazzate di sottofondo.

“Ah…si…si… E’ una regola eh Hope… si… No…Cioè, no, che cazzo mi fate dire?” Noah scoppiò a ridere. E per Hope era sufficiente.

“Stammi bene a sentire” disse, prendendo fiato. “Non ti ricorderai un cazzo di quello che ti dirò adesso ma…”

“Hope… aspetta… voglio.. voglio… dirti che sei Sei…sei…moooolto carina… non pensavo fossi… fossi così carin…hai…degli occhi… profondi come…come il blu.  No, cioè… sono profondi ma…ma non blu.”

“Sicuramente. Stai zitto e stammi a sentire”

“O…Okay…agli…agli ordini.”

Hope ebbe una gran voglia di lanciare il cellulare contro il muro. “Non ti ricorderai un cazzo di quello che è successo, ma questo veditelo di ricordatelo lo stesso:  mi hai completamente delusa.”

“Io… io credo… di non volerlo proprio…”

“Non me ne frega un cazzo. E prima che metta giù, voglio dirti anche un’altra cosa, proprio per togliermi ogni sfizio” prese fiato affinchè le parole arrivassero a Noah in modo chiaro e definitivo “VAF-FAN-CU-LO.”

Chiuse la conversazione di colpo, prima che la sua voce terribile potesse dirle qualcosa d’altro. Era ubriaco e ciò che aveva fatto era imperdonabile. Si era lasciata andare e lui…

Posò il cellulare sul tavolo, andò in bagno e si immerse nell’acqua bollente, come il suo stato d’animo.

 

Hope indossò la solita tuta per provare la prima volta dopo più di un anno in mezzo: erano pantaloni molto aderenti ma elastici, tipo leggins, neri, e quindi le andavano ancora bene; come maglietta optò per una lunga e larga sul fondo a maniche corte. Finì di legarsi le stringhe, indossò i guanti per proteggersi le mani nel caso fosse caduta per terra, e tirò giù i pantaloni facendoli aderire bene alla struttura del pattino. Stava per alzarsi, dopo tanto tempo, con i pattini ai piedi, quando il suo sguardo fu attratto dal cellulare appoggiato accanto a lei. Guardò lo schermo: lampeggiava il nome Noah. Era la seconda volta che la chiamava in meno di due ore. Era pomeriggio. Stava per alzarsi e far finta di non averlo visto. Poi cambiò idea.

“Pronto?”

“Hope! Sono… sono Noah”

“Lo so. Cosa vuoi?” Rispose, gelata. Aveva dormito poco quella notte, presa dalla rabbia e dal nervoso che lui le aveva creato. Insieme a quegli idioti dei suoi amici.

“Mi dispiace. Non mettere giù ti prego. Non… non so cosa mi sia successo ieri sera…”

“se avessi tutto il tempo del mondo, te lo spiegherei io.” Hope si alzò. “Ma non ce l’ho e vado di fretta.” Era un avvertimento.

 

Noah captò che doveva cogliere l’occasione al volo. Come ad un provino: poco tempo per convincere l’esaminatore che tu vali un buon voto.

“Hai ragione ad essere arrabbiata. Io ho lasciato… ho lasciato il cellulare in mano a loro. Eravamo ubriachi e…” si stava giustificando. Non andava bene. “Mi dispiace. Ti sei fidata di me..”

“Si mi pare che me l’abbiano ricordato i tuoi amici, ieri sera”

Non si ricordava moltissimo della sera precedente. Ma si ricordava perfettamente il vaffanculo finale che Hope gli aveva detto prima di chiudere la conversazione. Gliel’aveva detto senza urlare, ma scandito molto chiaramente.

“Mi dispiace.” Ripeté un’altra volta. “Ho sbagliato, sono stato un’idiota. Ti chiedo di perdonarmi e continuare a fidarti di me. So di aver sbagliato, lo so, te lo garantisco. Non posso tornare indietro nel tempo…mi farò perdonare. Non voglio che una cazzata simile rovini la nostra amicizia. Non ne vale la pena, giuro, non sono cretino come lo sono sembrato ieri sera.”

 

Hope abbassò lo sguardo. Era ancora arrabbiata.

“Hope?”

“Si, lo so che non sei cretino come lo sei stato ieri sera.”

“mi dispiace.”

“L’hai già detto. Ma non riesco a perdonarti.”

 

Noah si sentì morire.

 

“Non subito, almeno. Lasciami… lasciami del tempo. Sono fatta così. Adesso devo andare, ci sentiamo dopo.”

“Aspetta.”

Hope rimase in silenzio.

“Ci tengo a te, sei speciale.”

Hope scosse la testa e fece una smorfia. “A dopo, Noah.”

 

“Ma..” Noah si bloccò. “A dopo Hope.”

Almeno le aveva detto ‘a dopo’.

 

Hope tolse le protezioni dalle lame e le posò sulla panchina appena fuori dalla pista. Non c’era nessuno. Era un orario perfetto, lo sapeva.

Posò una lama alla volta sul ghiaccio. Temeva di essersi dimenticata.

In un attimo, cominciò a scivolare. Prima destra, poi sinistra. Piano.

E invece era capace. Le sue gambe riconobbero la sensazione, i muscoli cominciarono a lavorare in automatico.

Prima destra, poi sinistra. Un po’ più veloce.

Cominciò a curvare, leggermente, sentendo l’aria sul viso.

Adorava scivolare sul ghiaccio, le sembrava una magia.

Prima destra, poi sinistra, esterna ed interna.

 

Aveva aperto l’armadio del pattinaggio quella mattina e si era ricordata di quanto amasse quello sport quando i suoi occhi avevano incontrato i pattini appesi e abbandonati. Aveva scoperto con piacere che le andavano ancora bene. E le lame erano in perfette condizioni.

Sua mamma non era stata contentissima ma l’aveva lasciata andare, fidandosi. Suo papà l’aveva accompagnata al palazzetto della sua città, uno dei pochi aperti d’estate.

 

Cominciò a girare in un cerchio, lasciandosi trasportare dai muscoli e da ciò che il suo istinto le diceva. Quando ebbe preso abbastanza velocità, alzò le braccia, parallele al ghiaccio, stese la gamba destra in avanti, la riappoggiò a terra girandosi in senso contrario, stese la sinistra dietro di sé e si diede lo slancio per fare il primo salto. Atterrò perfetta, neanche se ne rese conto.

Sorrise.

No, non si era dimenticata come si volava.

 

Pattinò senza sapere quanto tempo era passato. Provò vari salti, i più facili, ripassò alcuni passi e alcuni cambi. Non se la sentì di provare con le trottole. Non quella volta.

Stava per decidere di andarsene, quando sentì una voce.

“so che puoi fare di più, trèsor”

Si voltò. Il suo allenatore, quello che si era presentato alla cerimonia del diploma, era a bordo pista, appoggiato alla balaustra, con una tuta molto attillata nera e i pattini ai piedi. Hope non sapeva da quanto tempo fosse lì.

“Jean!” esclamò andandogli incontro. “Non sapevo fossi qui!”

Lui le sorrise. Era un uomo sulla 40ina, gli occhi brillanti e i capelli sempre ben pettinati. Era gay, ma non c’era bisogno di sottolinearlo. Lo si capiva fondamentalmente da due cose: dalla voce acuta che assumeva quando si arrabbiava e dalla gesticolazione delle mani, sempre alla stessa altezza del mento e sempre in movimento.

“Belle” disse ad Hope prendondole le mani. “je t’adore.”

Hope rise. “Lo so che cosa stai facendo Jean”

“Oh s'il vous plaît, s'il vous plaît, mon ange, torna da me”

Hope rise di nuovo e lui cominciò a spingerla leggermente all’indietro per farla pattinare. “Ma è estate!” protestò lei mentre si lasciava spingere, iniziando a pattinare all’indietro. Lui la studiò da cima a fondo con una sola occhiata. Se non l’avesse conosciuta profondamente per le numerose ore passate ad allenarsi in quel palazzetto, se non avesse saputo leggere nel profondo dei suoi occhi, forse non avrebbe notato alcuna ombra. Ma qualcosa era successo.

“Sei dimagrita.” Le disse, cominciando a prendere velocità, di nuovo. “la jambe, mon ange”.

Hope alzò la gamba sinistra dietro di sé.

“Ti trovo bene” disse Jean, controllando la linea delle spalle, della schiena e della gamba.

“Si.” Rispose Hope. “Sto bene.”

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Capitolo 8
*** Best (stupid) Song Ever ***


Capitolo  8 – best (stupid) song ever


Quando suo papà passò a prenderla erano passate due ore da quando l’aveva lasciata. Hope era stanca, ma felice. Jean l’aveva sempre trattata come una figlia ed era una delle poche persone vicine a lei che sapesse cosa era successo ai tempi dell’Ombra. E le era stata accanto, anche quando aveva dovuto lasciare tutto perché l’Ombra non le permetteva più di seguire alcuna lezione.

“Tutto bene?”

“si papà. Ho visto Jean. Mi ha chiesto se posso iniziare da subito.”

“Ma è estate!”

“Lo so, ma ha detto che non importa. Che per me farà un’eccezione.”

“Sei caduta?”

Hope alzò le spalle. “Un po’ di volte. Ma dice che sono solo un po’ arrugginita.”

Suo padre fece un sorrisetto e le lanciò un’occhiata. Hope guardava fuori dal finestrino, come sempre aveva fatto fin da quando era bambina. La sua bambina.

“Serve solo un po’ di allenamento.”

Suo padre non disse nulla. Sua madre non sarebbe stata molto contenta della decisione di Hope. Perché, si vedeva dai suoi occhi, lei aveva già deciso di ricominciare a pattinare come una volta.

 

“pronto?”

“Hope sono io.”

“Noah, senti, io…”

“no no aspetta. Aspetta solo un attimo. Stai in linea anche se non mi senti.”

Hope aggrottò la fronte. “pronti?” sentì dire a bassa voce dall’altra parte della cornetta. “3, 2, 1…”

Hope we are very very very sorry,  but some times our minds go very very very hurry

And we seem stupid sometimes, but we swear we are all nice guys.”

“Scusa Hope.” “Scusaci davvero tanto.” “Ci dispiace” “Siamo stati dei cretini” “parla per te, io mi sono divertito.” “Coglione, zitto, ci sente.”

“Mi dispiace Hope. Perdonami.”

Hope scoppiò a ridere.

 

“Ma come ti è venuta in mente questa idea?”

“Non l’ho pensata io. Anzi. Non ero nemmeno convinto, ma Louis mi ha detto che avrebbe funzionato.”

“E lui come faceva a saperlo? L’ha provata con una ragazza e lei ha avuto tanto pena per lui che l’ha perdonato?”

Noah rise. “Più o meno.”

“Comunque è fantastica. Me la potreste ricantare? La metto come suoneria!”

 

“Ehi”

“Ehi”

“Come va?”

“Tutto ok. Tu?”

“Anche io. E’ bello non sentirti arrabbiata.”

Hope sorrise. “E’ bello non esserlo più.”

 

Noah sorrise. “Lo so, sono irresistibile.”

“Uhm… Mi spiace l’utente da lei chiamato al momento non è più disponibile. Provi a richiamare più tardi.”

“Ah va bene. E quando pensa che la signorina Hope possa essere richiamata?”

“Non credo sia più disponibile.”

Hope i’m very very very sorry…

 

Hope scoppiò  a ridere. Era passata una settimana, ma questa canzoncina era diventata un tormentone. “Va bene, va bene, basta. Che fantasia che dovete avere comunque per fare una cosa del genere.”

“Lo so. Però devo dire che l’ho scritta con l’aiuto di Louis.”

“Sai che sforzo.”

“EHI”

“Sto scherzando. Io penso sarei incapace.”

“a scrivere una canzone?”

“Si. Anche una poesia, o qualsiasi altra cosa. Sono una frana.”

“Non è difficilissimo. Il difficile è trovare… l’ispirazione.”

“E tu e Louis l’avete trovata evidentemente.”

 

Noah chiuse gli occhi, richiamando alla mente un ricordo ben fissato nella sua testa, che mai si sarebbe dimenticato facilmente. Poi li riaprì. “Si. L’abbiamo trovata.”

“Ah oggi ho visto Olivia.”

“Come sta?”

“Bene, è andata ad Oxford per fare un primo giro degli appartamenti.”

“Tu quando vai?”

“non ho ancora deciso. Comunque ha detto che è fantastica. E si è già iscritta ad alcuni gruppi… dice che lo ha fatto per portarsi avanti.”

“Cavoli.”

“già. Adesso vuole costringere me ed Alice ad andare al concerto degli One Direction.”

Noah ridacchiò. “Come, scusa?”

“Hai capito. Ma io non mi sogno nemmeno di spendere…quanto? 100 sterline per un gruppo che non ho mai sentito!”

“E allora perché ti ha invitato?”

“Lei mi ha detto che ne vale la pena… Mi ha detto di ascoltarli e di farle sapere… ma anche se dovessero piacermi, non esiste che ci vado. E’ fra due settimane e stiamo parlando di 100 sterline perché quella E’ PAZZA e vuole stare in prima fila. E poi sarà tutto sold-out.”

“Probabilmente si.” Noah sospirò. “Sono tutte così, anche le mie amiche”

“Bah. Tara invece ha deciso che parte a Settembre per andare ad Edimburgo. Ma ha detto che torna per le vacanze di Natale. Io penso di no, mi piacerà troppo.”

“Come ti piacerà troppo!”

“Speriamo.”

“ma Hope, un mese fa eri terrorizzata.”

“Si, lo so. Sono scema. E’ il pattinaggio che mi da alla testa.”

“ma sei brava?”

“A far cosa?”

“A pattinare…”

“più o meno. Chissà se a Cambridge hanno un palazzetto del ghiaccio.”

“hanno tutto. E te lo costruiscono se non ce l’hanno.”

La sentì ridere. “Dici?”

“Certo. Non ti preoccupare.”

“E se non lo fanno?”

“ti tocca venire da me, a Londra.”

“Già, mi toccherà…”

 

“No Alice, no. Ti sta male, cristo!”

“Ma perché? Io la adoro.”

Alice indossava una strana maglietta, colorata e maculata. Hope, Olivia e Tara l’avevano accompagnata a fare shopping, tanto per passare un pomeriggio tra di loro.

“Alice, ha ragione Olivia… non ti sta benissimo…” disse Hope, rispondendo a Noah con un messaggio.

“ma perché?”

“perché ti ingrassa, dolcezza” disse Tara.

Alice sollevò lo sguardo e la guardò attraverso lo specchio. “Sul serio?”

“Sul serio.” Rispose Tara con un sorriso. “Non lo dico con cattiveria… lo dico per te.”

“SSSSSSSSSSSSSSSH” Olivia scattò in piedi, facendole zittire tutte e tre. “And we danced all night to the best song eveeeeer…” cominciò a cantare, seguendo la canzone che stava passando in radio in quel momento.  

“Ma vaffanculo Olivia. Pensavo ci fosse qualcuno, tipo mia madre.” esclamò Alice, prendendo fiato.

We knew every line, now I can't remembeeeeeeer…

“Perchè?” chiese Hope infilando il cellulare nella tasca dei jeans.

How it goes but I know that I won't forget heeeeeer…

“Non sa che sono a fare shopping. Se lo sapesse… “ si passò un dito sul collo.

'Cause we danced all night to the best song eveeeeeer…

Tara e Hope si scambiarono un’occhiata. Alice rientrò nel camerino per togliersi la maglietta. “Comunque costa troppo, non l’avrei presa comunque.” disse da dentro.

“Si come no” sussurrò Tara ad Hope.

“I think it went OH, OH, OH!” Olivia alzò un bracciò e ritmo della canzone.

Hope ridacchiò.

“I think it went YEAH YEAH YEAH”

Una signora entrò nel camerino accanto a quello di Alice, non prima di aver lanciato un’occhiata stranita ad Olivia, che continuava a cantare e a gesticolare.

Alice uscì con tutti i capi che aveva provato.

I think it GOOOOOOOEEEESSS”

Piantala Olivia, sembri una pazza.” Le disse Alice. “You know, I know, you know I'll remember you” gli rispose Olivia indicandola. “Vi prego, usciamo, magari la smette” disse Alice alzando gli occhi. And I know, you know, I know you'll remember meee”

 

“Mah…a me non convincono molto.”

“Cosa esattamente?”

“I pantaloncini!”

“Hope, per favore…”

Hope si guardò allo specchio ancora una volta. Non aveva paura ad ammettere che pensava di essere abbastanza proporzionata. Sicuramente molto di più rispetto all’anno precedente.

“Hope i tuoi sono a sbuffo” disse Tara nell’altro camerino, che si stava ancora cambiando. “E arrivano a metà coscia. Senti ti sei lamentata che sei bianca ieri. Comincia a scoprirle questa gambe.”

“Non saprei…”

La maglietta, leggera a maniche corte, di colore bordaux e decorata con il pizzo le piaceva molto e sicuramente l’avrebbe comprata. Era leggermente più lunga dietro. Aveva anche degli schizzi di tempera bianca sulla parte sinistra. Le piaceva e non le lasciava scoperto niente che non fosse possibile lasciare scoperto.

“Se te le scopri, prendi il sole e… indovina?” continuò Tara, ancora nel camerino, mentre Olivia rispondeva al suo ragazzo e Alice annuiva. “Prendono colore! E non sarai più una mozzarella..”

Hope arricciò il naso. La collana che Alice aveva insistito per farle mettere (un gufo placcato di vernice color bronzo con due occhi più grandi del normale) non la convinceva moltissimo.

“io opterei per la collana con la farfalla” disse Olivia. “Quella che ha preso Tara…”

La farfalla, fatta con il filo di ferro attorcigliato su se stesso, era obiettivamente più carina ma meno particolare.

“Si se vuoi fare la perfetta ragazzina dolce, carina e simpatica, è perfetta.” Disse Alice, sarcastica.

“TA DAM!” Tara spalancò la tenda del camerino e si mise accanto a Hope, davanti allo specchio principale.

I pantaloncini le arrivavano appena sotto l’inguine, la maglietta militare appena sopra il profilo dei pantaloncini e la pashmina le ricadeva sul corpo perfetto come se fosse stata creata per lei.

Hope guardò lei attraverso lo specchio e poi si guardò. Si, erano decisamente più lunghi i suoi, di pantaloncini.

 

“Come è andato lo shopping?”

“Uhm bene… fruttifero.”

“hai preso qualcosa?”

“Si. Mamma non mi aveva dato limiti, errore imperdonabile da parte sua.”

“hai svaligiato il negozio?”

“Non capisco perché tu scriva al singolare *scimmietta che si copre la bocca*.”

“Ahahahaha”

 

“Oggi è stato un disastro a pattinaggio” disse Hope mettendosi sul letto, il cellulare appoggiato all’orecchio come accadeva ormai ogni sera.

“Come mai?”

“non so, non saprei. Non avevo l’ispirazione giusta evidentemente”

“Serve anche a te l’ispirazione giusta?”

“Si serve anche a me.” Hope appoggiò la testa al muro.

Per qualche secondo nessuno dei due disse nulla. Le dolevano le gambe e aveva fatto due voli che probabilmente avrebbero lasciato due lividi sulla parte alta delle cosce.

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Capitolo 9
*** Succhiare tutto il midollo della vita ***


Capitolo 9 – Succhiare tutto il midollo della vita


Se chiudeva gli occhi, poteva anche vederla.

“Oggi sono andato in ospedale” disse senza pensarci.

 

“Come?” ad Hope le si mozzò il fiato in gola. Ospedale? Perché ospedale? Stava male? Era grave?

 

Noah si morse la lingua. Che cazzo diceva…

“Si sono andato perché… perché faccio parte di quelle organizzazioni che vanno a far divertire i bambini.”

 

Hope riprese fiato. Grazie a Dio…

“Non sapevo fossi attivo in questo tipo di attività…”

“Si, da poco per la verità. Sono stato nel reparto traumi e oncologico.”

“E come è stato?”

 

Noah scrollò le spalle. “Non credo ci sia un termine preciso. Sai… bello sicuramente no, divertente nemmeno. Perché obiettivamente non è divertente vedere dei bambini… insomma, hai capito. Però mi ha fatto sentire… utile.”

 

Hope sorrise. Capiva che sentiva il bisogno di parlarne e lo lasciò dire. Chiuse gli occhi, cercando di toccare quella voce.

 

“Loro sono così… non so. Non mi piace descriverli. Sono normali. Normalissimi. Ma…insomma…”

“Hanno delle difficoltà”

“Esatto. E mi è dispiaciuto tantissimo. Io chi sono in fondo? Nessuno! Io sono lì, con la mia presenza e li rendo felici facendo niente. Ci ha fatto riflettere. Eravamo silenziosi al ritorno. Luois era…”

“Anche i tuoi amici fanno parte dell’associazione?”

 

‘idiota! devo stare attento!’ Pensò Noah mordendosi la lingua.

“Si, ci siamo conosciuti così.” Disse poi.

“Non lo sapevo.”

“be’ si.”

“Eravate silenziosi?”

Noah voleva parlarne. Parlare con lei di argomenti che non era capace di affrontare con la stessa tranquillità perfino con Luois.

“Si. Insomma. I traumi sai che prima o poi si riprenderanno. A parte quelli più gravi ma non ci hanno autorizzato ad andare in terapia intensiva. Ma… quelli malati di cancro. E’ stato… non saprei. E’ difficile non provare niente. Non puoi. Non puoi prendere le tue emozioni e metterle in un cassetto e chiuderlo a chiave, non credi?”

Hope emise un “uhm” che gli fece capire che era ancora in ascolto.

“Io mi sono sentito uno schifo e, sinceramente, un po’ in colpa. Io ho fortune che loro non hanno. E chi l’ha deciso?”

“nessuno purtroppo.”

“La realtà è che non c’è giustizia. E’ ingiusto. Louis se n’è uscito con questa frase quando siamo saliti in macchina ‘Perché io posso essere sano, in forma, fare i viaggi e fare ciò che mi piace di più e  loro no’?”

“Non lo so, Noah.”

“Già! Non lo sai. Ma non lo sai tu, come non lo so io, non lo sa Louis eccetera. Non è un discorso facile, lo so, e… insomma. Quando li ho visti, avrei voluto davvero fare una differenza. E invece non faccio differenza”

“Fai differenza Noah. Sei lì per loro.”

“Si ma… non faccio niente capito? Mi hanno fatto…”

“Pena.”

“Si… cioè no. Ho provato a mettere da parte i sentimenti, entrare con il sorriso e pensare come se fossi stato in una situazione normale. Perché loro sono normali. Assolutamente. Ma al contempo non hanno quello che ho io, la fortuna che ho io. Mi sentivo in colpa. Ecco tutto.”

“Noah non devi sentirti in colpa.”

“Ma come faccio? Insomma, cosa ho fatto in più rispetto al loro? Perché IO SI E LORO NO?”

Hope rimase in silenzio, ma sapeva che era ancora lì.

“E’ complesso. E la cosa che mi fa più incazzare è che non riesci a provare pulito.”

“provare pulito?”

“Si. E’ una cosa che diciamo tra di noi quando intendiamo provare sentimenti senza nessun tipo di influenza esterna. Per farti un esempio… come fai a sapere se una persona la ami sul serio, se quella persona magari è… che ne so, famosa? O malata gravemente, come in questo caso? Come fai a capire se i tuoi sentimenti sono veri oppure sono falsificati da ciò che gli sta attorno?”

“già…”

“E stessa cosa con questi bambini. Come fai a non amarli? Come fai a sapere se quello che provi non è falsificato dalla loro situazione? Li ameresti comunque se non fossero così? Sei fossero dei bambini qualunque?”

“Credo… credo che scatti qualcosa di primordiale…” la voce di Hope tremò leggermente. “Penso che sia un istinto di tutti gli esseri viventi. Di più per noi, noi umani.”

“Cioè?”

“Siamo istintivamente portati a proteggere quelli più deboli, a farli sentire più amati anche quando magari non ce n’è bisogno. Anche quando magari non vogliono perché così li facciamo sentire solo…solo diversi.”

“Ma uno come fa a non farli sentire diversi?”

“Cercando la normalità Noah. Cercando sempre la normalità, anche nelle piccole cose. E’ un esercizio difficile perché qualche…qualche difficoltà che li rende ‘momentaneamente diversi’, purtroppo, esiste e non si può far finta di non vedere. Soprattutto all’inizio… Ma più ci si avvicina alla normalità, a far sentire loro le cose di tutti i giorni, più è giusto. E’ banale, lo sembra, soprattutto a dirlo. Ma a farlo… farlo è tutta un’altra storia.”

“La normalità…”

“Si. E poi credo che conti anche far capire che la vita scorre ancora. Che anche se loro sono lì, in ospedale, il cielo c’è ancora, il sole splende, il vento soffia e l’acqua scorre.”

“Ma così non credi che otterresti il risultato contrario?”

“Perché dici così?”

“La vita fuori scorre e tu sei rintanato in ospedale. Non puoi uscire.”

“Uhm…” Hope rimase in silenzio. Poi riprese “Forse hai ragione. Ma più di tutto dipende dalla personalità della persona. Magari ci sono quelli che, come dici tu, pensano ‘io sono in ospedale e non posso uscire a godermi la vita’. Ma magari ci sono anche quelli che dicono ‘cazzo, voglio vivere. Voglio sentire la vita, voglio tirarmi fuori da qui, voglio… voglio succhiare tutto il midollo della vita.’”

“Aspetta questo me lo ricordo…L’attimo fuggente

“Esatto, bravo. Che vuol dire… vivere come se non ci fosse un domani, che magari non c’è sul serio. Vivere ogni momento intensamente. Ecco perché ti dico di non sentirti in colpa.”

“Perché?”

“Perché tu hai questa possibilità. Come me. Quindi sfruttiamola, viviamo ogni momento: ascoltiamo il vento, gustiamo i gelati come se fossero gli ultimi e arrostiamoci al sole come Dio comanda. ”

Noah rise.

“Ridiamo quando ci va di farlo, sia quando pensiamo che sia giusto farlo sia quando invece è solo per nascondere che siamo infelici. E per ultimo ma non per importanza, incazziamoci su serio, con tutti noi stessi anche quando magari non è necessario. Perché noi abbiamo il diritto di farlo. Noi abbiamo la Fortuna di poterlo fare. Facciamo della vita un inno alla vita stessa, perché è la più bella cosa che abbiamo ricevuto da Dio, se credi in Dio; se non ci credi, allora perché è la più bella cosa che abbiamo, punto. ”

Noah si rese conto di amarla. Di amarla più della vita stessa che aveva appena elogiato.

 

 

 

“Ehi Hoppie”

“Ciao Alice”

“Senti che ne dici di fare un salto a Londra questo pomeriggio?”

“Oggi pomeriggio??”

“Si! Fanno una mostra sul cinema! Pensavo che fosse interessante… se riesci a venire chiaramente! So che è un po’ tardi in effetti…però andiamo con la mia macchina!”

“Ah si? Be’ non avevo nessun tipo di programma per oggi… Per me no problem! Chiedo ai miei comunque e ti faccio sapere!”

“Va bene baby! Magari all’uscita ci prendiamo un gelato e mangiamo da qualche parte… avverti i tuoi che tornerai tardi, nel dubbio!”

“ovviamente! passeremo una notte indimenticabile, trèsor”

 

Avevano cercato di convincere anche Olivia a venire ma lei aveva altri programmi con il suo ragazzo. Tara, invece, era a fare un weekend dai suoi nonni, a Parigi. Alice e Hope erano partite verso le tre, per prendersi tutto il tempo necessario per arrivare a Londra e fare le cose con calma. Era un periodo dell’anno in cui le strade erano sgombre poiché tutti erano in vacanza.

“Allora i tuoi fra una settimana partono.” Disse Alice mentre guidava.

“Già” rispose Hope guardando fuori dal finestrino.

“Ti lasciano a casa da sola per un weekend… be’ non è grandioso?”

“Si, molto. Finalmente papà è riuscito a convincere mamma.”

“Eh be’ diciamo che posso giustificare tua mamma. Però è passato un anno… Era quello che volevi no?”

“Si…” disse Hope con il riflesso del sole che giocava tra le punte degli alberi che sfrecciavano lungo l’autostrada. “Era esattamente quello che volevo.”

Si voltò verso Alice, si abbassò gli occhiali da sole e alzò la musica. Alice cominciò a cantare ad altissima voce e Hope scoppiò a ridere.

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Capitolo 10
*** Il concerto ***


Capitolo 10 – il concerto

 

“Sono a Londra.”

“COME SEI A LONDRA!”

“giuro! E’ stato deciso all’ultimo momento, me l’ha detto Alice poco prima di mangiare e i miei mi hanno dato il permesso appena finito.”

“Merda… Anche io sono qui ma sono pieno di impegni, non posso assolutamente staccarmi. Non posso essere sostituito… ho un impegno importantissimo. Cazzo, a saperlo!”

“A saperlo cosa Noah? Avresti spostato i tuoi impegni per me? Dai, non importa. Anche io obiettivamente non so se sarei riuscita… siamo qui per la mostra del cinema!”

 

“Ah ne ho sentito parlare! Anche io volevo andare… e comunque avrei fatto di tutto per vederti!” scrisse Noah velocemente.

“Ehi, ragazzino, ci sei?” gli urlò Louis nelle orecchie.

“Ma che cazzo fai?”

“Ti vedo distratto” Louis si scambiò un’occhiata con uno degli altri.

“Tu pensa al tuo lavoro anziché urlarmi a un centimetro dal cervello.”

“Ah perché ce l’hai, ragazzino?” rispose l’altro, facendo scoppiare a ridere Louis.

“Piantatela.”

 

Hope scrisse una veloce risposta “Dai, prima o poi ci vediamo…”

“Ci sei Hope?”

Hope mise il silenzioso e infilò il cellulare nella tasca della felpa. “pronta!”

Le due ragazze entrarono. Non c’era tantissima gente e il museo era quasi completamente vuoto. Era un giorno settimanale e i turisti scarseggiavano per preferire mete più esotiche. Così Alice e Hope girarono il museo  fermandosi ad ogni locandina di ogni film, leggendo ciò che era scritto nel foglio informativo appicciato accanto, vedendo i primi trailer dei primi film e godendosi un veloce remix di uno dei tre film di Star Wars di cui Alice andava pazza. Si fermarono un’ora nel negozio dei gadget scegliendo magliette e souvenirs come se non avrebbero più avuto l’occasione di rivedere Londra in futuro. Alice dovette portare le cose in macchina prima di continuare la gita, data la quantità incredibile di cose comprate, poiché ormai erano le sei e avevano deciso di fermarsi a mangiare.

“Ma quanta gente!” disse Alice essendosi presa l’ennesima spallata da una ragazzina che correva in senso contrario al loro. “Che cavolo succede?”

“Non ne ho idea!” disse Hope, leggendo il messaggio di Noah: “Potremmo vederci la settimana prossima se tu vuoi…”

Non sapeva cosa rispondere. Solo all’idea che lui avesse già messo in campo questa possibilità andava già in ansia.

“Oh, Hope! Guarda, senza rendercene conto siamo a Greenwitch! Ci troviamo un posto da queste parti? Magari ci facciamo un giro anche in università…”

 

Le due amiche si diressero verso l’entrata, rimanendo estasiate dai palazzi, quando ci arrivarono.

Alice, con la bocca spalancata disse “Cazzo. Non ho altre parole. Cazzo.”

Prese il braccio di Hope, rintronata anche lei dalla bellezza dell’università “E parliamo solo di Greenwitch. Cambridge è migliore.”

Hope scoppiò a ridere. “Entriamo?”

“E ME LO CHIEDI???”

Si divertirono a andare avanti e indietro nello splendido parco dell’università. Fecero un sacco di foto idiote, pensierose, con il sole in fronte, sorridenti con un ragazzo appena laureato e una con l’altra sognando un futuro che ormai era a due passi dal realizzarsi. Cantarono a squarciagola la canzone ‘forever young’ sentendosi stupide ma felici. Poi rimasero sdraiate sul prato dell’università a parlare e a ridere finchè il sole non incominciò a tramontare.

Hope era talmente su di giri quando decisero di uscire dal parco dell’università (già…un parco!) che rispose a Noah con “Per me ok! Magari porto Alice, così ho anche direttamente la macchina!”.

“Oh ma adesso BASTA, basta ok?”

“Cosa?” chiese Hope mentre cercava qualche piccolo bar a cui fare rifornimento.

“E’ la terza volta in due minuti che vengo sbattuta di qua e di là” disse Alice raggiungendo Hope e massaggiandosi il braccio sinistro. “Voglio sapere che cazzo succede.”

“Quello cosa dici?” disse Hope indicando un piccolo bar dall’altra parte della strada.

“Mi va bene tutto a questo punto pur di togliermi da questa strada piena di pazzi.”

 

“Cazzo ho fame.”

“Hai sempre fame.”

Noah lesse il messaggio. Non ci poteva credere, finalmente si sarebbero visti.

“Ecco qui i panini!” esclamò Louis. “Direttamente dal bar di fronte a Greenwich… magari mettono qualcosa di particolare per far diventare la gente più intelligente.”

“Tranquillo. Con te non c’è pericolo, Lou.”

Louis gli fece il dito medio.

 

“Allora settimana prossima, è deciso. Poi decidiamo con calma il giorno. Se tu porti Alice o qualcun’altra delle tua amiche, io sono autorizzato a portare i miei!”

“Certo Noah, ci mancherebbe. Così avrò anche la possibilità di guardare in faccia quegli idioti :P”

Scrisse velocemente, pensando a che cosa le stesse passando per la testa quando aveva deciso di accettare. Alice stava ordinando due panini, probabilmente dopo se ne sarebbero tornate a casa.

 

“Okay i panini arrivano in un secondo!” disse Alice uscendo dalla massa di gente che in pochi minuti si era creata alla cassa.

“No ma ci deve essere qualcosa…”

Un sacco di ragazzine ridacchianti e con gli occhi luccicanti le circondavano. Alcune erano accompagnate dai genitori, in coda alla cassa.

Hope scrollò le spalle. “Probabilmente ci sarà un evento…”

Mangiarono i panini in meno di mezz’ora essendo affamatissime.

 

Mangiarono i panini in meno di cinque minuti essendo affamatissimi.

“Fra quanto si inizia?”

“Un’ora.”

“ok.” Noah tirò fuori il cellulare , lesse il messaggio di Hope e rise.

 

“Sono sicuro che anche loro non vedano l’ora di vederti.”

Hope e Alice stavano uscendo dal bar, ma dovettero affrettarsi ad appiattirsi contro la vetrina perché un gruppo di ragazzine sfrecciò davanti a loro, urlando e ridendo.

“Ma sono pazze, queste” disse. “Propongo un gelato.”

Hope sorrise. “Andata!”

 

Si incamminarono verso l’O2 Arena perché Alice conosceva un gelataio buono da quelle parti. Quando ci arrivarono, però, furono bloccate dalla coda pazzesca che c’era fuori.

“Ma tutti qui??? PROPRIO OGGI???” esclamò Hope, disperata. Aveva una voglia pazzesca di gelato.

“Ah ecco, ecco, adesso SI che si spiegano molte cose.” Disse Alice a qualche metro da lei, leggendo un cartellone.

“Be deve essere una spiegazione sufficiente perché in questo momento sono abbastanza infastidita.”

“Uhm abbastanza sufficiente.” Alice le fece segno di avvicinarsi. Poi indicò il cartellone. Hope lo guardò e lesse ad alta voce “Concerto One Direction, 2 Luglio 2013, The O2 Arena ore 9.00 pm.”. Sotto, l’immagine di 5 ragazzi in piedi su sfondo nero, che guardavano in direzioni diverse, con un filo di sorriso sulle labbra.

“E quindi?” chiese Hope.

“Oggi è il 2 Hope. E’ stasera il concerto…”

“Aaaaaaah…” Hope si guardò in giro. Ora tutto quadrava: Olivia aveva raccontato loro del concerto e le ragazzine impazzite, vestite bene ma comode, la maggior parte con una mini borsa come se stessero andando a ballare, spiegavano la quantità di gente incredibile che c’era in giro a quell’ora.

Alcune ridevano, altre si facevano le foto e altre ancora erano troppo impegnate a squadrarsi da capo a piedi per lasciare perdere e pensare solo a divertirsi.  Hope immaginava che dietro l’angolo ci fosse una fila lunga kilometri per l’entrata allo stadio.

“Hope.” Hope si voltò verso Alice: aveva uno strano sorriso sul viso e gli occhi le brillavano come le ragazze di qualche minuto prima.

“Alice ti temo quando fai così: vuol dire che hai qualcosa in mente.”

“Esatto.”

 

Noah prese il cellulare e anche se lei non gli aveva ancora risposto le scrisse di nuovo: “Adesso Hope devo proprio andare. Ci sentiamo dopo, penso di avere una pausa, ti scrivo o ti chiamo!”

 

“Facciamo 40. 40 sterline.”

“Guarda che si vendevano a 100.”

“Se li avessi voluti comprare a 100 li avrei comprati prima allora.”

L’uomo la guardò con occhi socchiusi.

 

“ Però mandami un messaggio quando sei tornata a casa…”

Noah stava per mettere via il cellulare quando arrivò il messaggio di risposta “non torno a casa stasera. Stasera io e Alice andiamo al concerto degli One Direction.”

Noah lesse quattro volte il messaggio. Non poteva crederci: cosa cazzo aveva fatto? Come cazzo ci era riuscita? No, non era possibile! Stava scherzando…

Sollevò lo sguardo, guardando il tavolino pieno di fogli.

“Merda” disse. Poi ne agguantò due e corse, corse più che poteva.

 

“CI CREDI HOOOOOPEEEE??? SIAMO AD UN CONCERTO DEGLI ONE DIRECTIOOOOON”

“Ti sei calata nella parte, noto” disse Hope, seguendo con lo sguardo la lunga coda che avevano davanti.

“Qual è la tua canzone preferita????” Una ragazzina si era voltata e con i soliti occhi che luccicavano, guardò Alice  e Hope.

“Assolutamente LIVE WHILE WE ARE YOUNG!”

Hope e Alice avevano, per fortuna, seguito il consiglio di Olivia qualche giorno prima: ascoltare qualche canzone, scaricandone un paio a caso. A Hope non erano dispiaciuti e nemmeno ad Alice. Ma non erano riuscite a farsi una cultura sufficiente per andare ad un concerto. Casualmente Alice aveva citato una delle pochissime canzoni che entrambe sapevano.

“Ah no… quella è di tutti. A me piace un sacco Diana.” Disse la ragazzina. La sua amica, accanto a lei,  si girò e disse: “Io ADORO  Gotta be you”

“Bellissima!” esclamò Hope, immergendosi anche lei nella parte di fan sfegata.

Alice ridacchiò.

 

“Per favore. PER FAVORE Louis. Te lo chiedo come favore.”

Louis guardò i suoi amici e scosse la testa “Ma come si fa? Ma non poss…”

“Per ultima.”

I ragazzi si guardarono. Poi uno di loro annuì, sorridendo.

“Va bene.”

 

“Come il concerto degli One Direction! E come hai fatto?”

“Abbiamo comprato i biglietti qui fuori. Ma tu mica dovevi andare?”

 

Erano entrate. Le ragazzine che avevano avuto davanti lungo la fila si era catapultate ad accaparrarsi la prima fila. Hope e Alice erano rimaste indietro, per lasciare alle fan ‘più sfegatate’ il loro posto; era giusto d’altronde.

“Si ma non sono normali!” disse Alice mentre si faceva largo tra due gruppi di ragazze e per avvicinarsi al palco di qualche metro ancora. Erano più o meno a metà della platea. 

“Ma che cazzo significa MLMLM?” chiese Hope sentendo il cellulare vibrare nella tasca.

“E a me lo chiedi?! Deve essere qualcosa di losco…Scusa..” Alice aveva appena dato una gomitata ad una ragazza, senza averlo fatto apposta. Questa si era girata e le aveva lanciato un’occhiata perforante. “Si ma hai sentito quella che diceva e AMMETTEVA apertamente di aver comprato il cartellone ad altezza naturale di uno di questi 5, per…” alzò le braccia e fece il segno delle virgolette “ ‘dormire con lui’?????” disse con voce in falsetto.

Hope scoppiò a ridere, poi lesse il messaggio di Noah:“Ahahaha tu e Alice siete pazze. Poi fammi sapere come va ;) a dopo, ora devo andare! Un bacio, sei speciale, ti voglio bene!”

Era la prima volta che Noah le scriveva ti voglio bene, sei speciale e un bacio in un messaggio. Hope scosse la testa, mise il cellulare in borsa e la chiuse.

“Qui va bene no?” chiese Alice

Hope si guardò in giro. Erano ad una ventina di metri dalla passerella in mezzo alla platea. Scrollò le spalle. “Per me va benissimo.”

 

Il concerto cominciò con l’introduzione di un gruppo meno famoso, ma quasi ugualmente popolare che fece letteralmente andare fuori di testa le ragazzine. Poi, sotto le note di What meakes you beautiful , i cinque ragazzi salirono sul palco accolti da un boato pazzesco.

 

“UOOOOOAAAAAA” urlò Alice. Hope si unì all’urlo di Alice ridendo.

 

Le due ragazze saltarono, risero e cantarono dalla prima all’ultima canzone. Hope non ricordava l’ultima volta che era andata ad un concerto e Alice si stava completamente lasciando andare. A nessuna delle due importava più di tanto avvicinarsi al palco o alla passerella. Era la musica che le faceva andare fuori di testa e le faceva divertire, trovando sempre un motivo per ridere, anche solo uno sguardo o una parola erano sufficienti per far ritrovare loro la forza di continuare a ballare. Seguirono le urla delle altre, anche se non sapevano per cosa stavano urlando. Saltarono come mai, urlarono fino a non sentirsi più. Era musica Pop, ma né ad Alice né ad Hope importava di cosa parlasse o cosa trattasse. Si fecero trasportare esattamente come le altre ragazze presenti, sentendo il ritmo nelle ossa, il rombo dei bassi all’interno della cassa toracica e il ritmo del cuore che si plasmava su quello della musica. Era tantissimo tempo che le due non passavano un po’ di tempo insieme, ridendo e condividendo un’emozione come quella. Perché era un’emozione forte, anche se il concerto era di un gruppo che avevano solo canticchiato qualche volta sotto la guida di Olivia. Era un’emozione forte che le unì e che unì plasmò loro a una qualsiasi altra fan.

Ballarono vicine, poi lontane per poi ritrovarsi a saltare e a spingersi a vicenda. Quando i cinque ragazzi si ritirarono momentaneamente dietro il palco e la musica cessò, Hope guardò Alice e Alice guardò Hope. Poi scoppiarono a ridere.

“MA CHE FIGATA QUESTI ONE DIRECTION” esplose Alice, urlandole nelle orecchie.

“QUASI QUASI PRENDO IL CD!!!” urlò in risposta Hope.

Alice indicò la maglietta che Hope indossava, uguale alla sua. “E’ STATO UN BELL’ACQUISTO”

Hope si guardò la maglia: nera con la scritta One Direcion. L’aveva presa insieme ad Alice mentre erano in coda e anche Alice aveva optato per la stessa.

Hope alzò il pollice in alto e Alice rise.

 

“Allora? Come va?” scrisse Noah in tutta fretta. Faceva tremendamente caldo. Se avesse potuto si sarebbe rovesciato addosso la bottiglietta di acqua.

 

“Non male direi. Mi fanno male le gambe e non so se ho la voce.”

“Per essere 5 idioti che non hai mai sentito, credo che tu ti stia divertendo.”

“Si ahahaha penso anche io!”

 

La seconda parte del concerto fu più bella della seconda. Le canzoni crebbero in ritmo ed Hope pensò sul serio di prendere qualche CD all’uscita. Ma forse non avrebbe avuto le forze per farlo.

Erano le 11 quando i 5 ragazzi cominciarono a cantare le canzoni che Hope definiva ‘tristi’. Alice le fece segno di seguirla, visto che non sapeva se aveva la voce o se Hope la potesse sentire.

Si ritirarono verso il fondo dello stadio, allontanandosi dal palco, facendo lo slalom tra ragazze che, in parte, facevano ondeggiare le proprie braccia in aria come alghe in fondo al mare, altre facevano foto a più non posso e altre ancora completamente in lacrime. Hope guardò quest’ultime invidiandole un po’ e sentendosi in colpa per aver, forse, rubato dei posti a delle ragazze che ci tenevano sul serio ad andare al concerto degli One Direction.

“Oh mamma meno male” disse Alice. Hope sentì la sua voce sottile, come ovattata. Probabilmente aveva i timpani completamente andati oppure la voce di Alice si era consumata.

Le due salirono su un gradino e respirarono un po’ di aria fresca. Gli 1D, come alcune li chiamavano, stavano cantando qualcosa di Irresistible e la maggior parte del pubblico aveva le braccia alzate.

Hope si abbracciò e guardò verso il palco. I cinque ragazzi erano un po’ sparsi, quello che cantava era all’inizio della passerella. Un sacco di mani si erano allungate su di essa appena quel ragazzo aveva fatto un passo.

Poi abbassò lo sguardo. Il suo pensiero andò a Noah, senza che lei se ne rendesse conto. Avevano deciso di vedersi. Avevano deciso di vedersi e ora si dovevano vedere. Certo, poteva dire che era malata, o che aveva avuto un impegno urgente ma avrebbe soltanto rimandato qualcosa di inderogabile. In fondo, era curiosa di vederlo. Ma era anche spaventata.

Guardò Alice, la quale seguiva le parole della canzone ondeggiando sui piedi. Hope sorrise. Avrebbe dovuto dirle di Noah, non c’era altra scelta. Non l’aveva detto a nessuno perché pensava che fosse una cosa… stupida. Ma adesso non lo era più. Forse non lo era da un po’…

Alice allungò il braccio e prese per le spalle la sua amica, tirandosela vicina. Era pensierosa.

Hope passò un braccio dietro la schiena di Alice e con lei si mise a canticchiare e ad ondeggiare.

La guardò. Poi sorrise.

 

“And now for making this night unforgettable, a new song! Hope u will like that!”

Lo stadio esplose di urla. 

 

Hope e Alice saltellarono sul posto visto che, stranamente, l’ultima canzone non era per nulla strappalacrime ma abbastanza ritmata.

I cinque ragazzi uscirono dal palco che erano ormai passate le undici e mezzo.

 

“Sono tornata” scrisse Hope appena fu nella sua camera. Era sudaticcia, aveva le scarpe appiccicaticce e i leggins cominciavano a darle fastidio.

“Finalmente! Come è andata?”

Hope rispose dopo dieci minuti, dopo essersi fatta una velocissima doccia.

“Che ci fai ancora sveglio?”

“Ti aspettavo :)”

“Ma non era il caso Noah! Comunque bene… è stato divertente. Anzi no, fantastico! Io e Alice ci siamo divertite tantissimo.”

“E loro sono stati bravi?”

“Ah be penso di si. Nel senso, non conoscevo la metà delle canzoni, però suppongo che siano stati bravi dato che mi sono divertita un sacco.”

“Be’ è questo l’obiettivo.”

“Si penso anche io. E tu invece? Con il tuo impegno?”

“Anche io mi sono divertito, siamo stati più scemi del solito..”

“Ah allora avete dato anche voi stasera.”

“Abbiamo dato, abbiamo dato.”

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Capitolo 11
*** "Hope" ***


Capitolo 11 – “Hope”

 

I genitori di Hope se ne andarono qualche giorno dopo e sarebbero tornati il giorno prima dell’appuntamento con Noah che ormai era stato deciso al giovedì successivo, di pomeriggio. Hope si era scritta tutto ciò che avrebbe dovuto fare durante l’assenza dei suoi, perché sapeva che, man mano che giovedì si sarebbe avvicinato, avrebbe cominciato ad andare in un altro mondo, dimenticandosi tutto ciò che la circondava. Era spaventata ma anche curiosa. Si era immaginata Noah così tante volte che ormai era diventata un abitudine. E ora l’avrebbe visto, avrebbe associato la sua voce ad un ragazzo vero e proprio: avrebbe visto di che colore fossero i suoi occhi, quanto fosse alto, come si vestiva… E stessa cosa per lui! Avrebbe visto i suoi modi di fare, il colore dei suoi capelli, la forma della sua bocca, il pallore spettrale della sua pelle… Hope aveva preso ad andare sotto il sole almeno un’ora al giorno, ma con scarsissimi risultati: la sua pelle sembrava restia a prendere un po’ di colore, a parte il rossore, che però se ne andava dopo qualche ora passata in casa. Inoltre, ogni volta che passava davanti allo specchio, si guardava, anche di sfuggita, per vedere com’era quando sembrava normale e quando nessuno la stesse guardando. Pensò di essere impazzita.

“Non gli piacerò Strike…” disse mentre tentava di prendere il sole un giorno, accarezzando il gatto. “Ma che dico?” scosse la testa. “Non lo conosco! Perché dovrebbe interessarmi se gli piaccio? Magari non mi piacerà lui… Però ha una bella voce, sei d’accordo?”

Strike fece le fusa.

“E ha un bel carattere… cioè dal telefono, sembra avere un bel carattere. Voglio dire, parliamo spesso… Magari non è così dici? Non saprei. Uno non può fingere per così tanto tempo… Cioè IO non ce la farei.”

Strike la guardò con gli occhi verdi spalancati.

“No io non ho finto Strike. Sono stata sincera con lui e… bo, e se non mi vuole più vedere? Ecco, vedi. Porca miseria, perché ho accettato? Perché sono scema. Ecco l’unica cosa sicura di questa storia è che io sono una scema.”

Strike le leccò un dito, poi cercò di nuovo di farsi coccolare dietro le orecchie.

“Si lo so, ci sei tu nel caso.”

“MAAOOO”

 

Il telefono di casa squillò e Hope mugolò. Non aveva voglia di alzarsi dalla veranda, era lì solo da mezz’ora! Pensò di lasciare perdere, ma poi pensando che magari potesse essere sua madre e che se non avesse risposto probabilmente avrebbe avuto una crisi di panico, si alzò e corse a rispondere.

“Pronto?”

“Hoppie! Come va a casa? Festino?”

“Ciao Alice… No, per la verità stavo prendendo il sole…”

“Bene. Brava. Ma come mai prendi sempre il sole in questi giorni? Comunque. Accendi su MTV”

“Perché?” disse Hope, portandosi in sala, dove prese il telecomando.

“Stanno mandando il concerto degli One Direction di settimana scorsa! Il nostro concerto!”

“Alice noi ci siamo andate per caso… non è sicuramente nostro.” Disse accendendo la tv e girando sul canale di MTV.

“Sisi certo. Però magari ci vediamo nella tv… e SPERO che ci veda Olivia. Non crede ancora che siamo andate! Incredibile eh?”

La tv stava mandando delle immagini del pomeriggio, dove alcune ragazze, evidentemente fans, venivano intervistate.

“L’hai preso poi il Cd?” chiese Hope ad Alice.

“No, non ancora. Non ho ancora avuto il tempo di farlo… che palle questa cosa che mi hanno pitturato in casa, mia madre è isterica.”

“ALICE TI HO SENTITA”

Hope ridacchiò sentendo le urla della mamma di Alice.

“Ti voglio bene mamma!” disse la sua amica. “Hope salvami ti prego!” aggiunse abbassando la voce

“Almeno adesso puoi sentirti un po’ di musica.”

“ouff, si, le tv è stata una delle prime cose che ho voluto attaccare. Vado, và, che adesso devo pulire la libreria. Ti ho chiamato solo per avvertirti… SI UN ATTIMO SPENCER CAZZO ARRIVO!... Ciao Hope!”

“Ciao Alice, salutami Spence!” Spece era il fratello di Alice.

“No che non te lo saluto…”

“CIAO HOPE” sentì dire dal fratello di Alice.

Hope rise e dopo aver salutato ancora la sua amica mise giù.

Si fermò in piedi dietro il divano a guardare le immagini della tv. Stavano facendo vedere una panoramica dello stadio. Non le importava molto sapere se erano state riprese o meno. Anche perché non erano state davanti, quindi molto probabilmente non erano state catturate dall’occhio della telecamera. Lasciò la tv accesa, alzando il volume quanto bastava per sentire la musica anche in veranda, dove prendeva il sole, attraverso la finestra. Appoggiò il telecomando sul davanzale esterno e si risedette al sole, dove riprese a coccolare Strike.

 

Si risvegliò solo perché Strike con le unghie aveva cominciato a giocare con  il suo braccio, ormai abbandonato lungo la sdraio.

“Ahia Strike…” mugolò tirandolo via dalla portata delle unghie di Strike che la guardò con la classica faccia da finto-cacciatore-spaventato-dalla-preda-ancora-viva-ma-che-aveva-creduto-di-aver-ucciso. La tv era ancora accesa e, ancora, stava mandando il servizio del concerto degli One Direction. Quindi non doveva aver dormito molto. Hope si sistemò meglio sulla sedia per cercare di riaddormentarsi ma non riuscì più a trovare la posizione giusta. Il sole cominciava a darle fastidio. Decise di alzarsi e andare in cucina a prendere qualcosa da bere. Strike spiccò un salto andando ad atterrare sul muretto e la guardò come si aspettasse una lotta.

Hope andò verso il frigor canticchiando le ultime note di una canzone che aveva sentito al concerto. Poi riconobbe l’ultima canzone che i cinque ragazzi avevano cantato, quella che aveva trovato strana perché, per essere l’ultima canzone, non era triste e lei si era sempre immaginata che alla fine di un concerto si facessero solo delle canzoni tristi.

Prese un sorso e mise il bicchiere nel lavandino.

“I met u by chance …”

Si diresse verso la sala, per vedere l’ultimo pezzo del concerto. Magari si sarebbe vista come Alice aveva detto.

“I was going into trance

But u fall into my friend list…”

Si sedette sul divano e rispose ad un messaggio di Noah. Aveva detto che probabilmente non sarebbe stato molto presente quel pomeriggio perché doveva andare con i ragazzi ad una specie di conferenza. Si sarebbero sentiti la sera anche per organizzare meglio il giorno dell’incontro a cui mancavano due miseri giorni.

“And (I) understand what I have always missed

I know anything but I feel u into my bones

And want to listen your voice in my iPod headphones …”

Hope cominciò a far dondolare la testa al ritmo della musica, guardando più le immagini che ascoltando veramente la canzone.

Le ragazzine sullo schermo erano quelle in prima fila. Riconobbe le due con cui avevano parlato lei e Alice durante la coda per entrare. Alla fine erano riuscite ad accaparrarsi un buon posto, quasi vicino alla passerella.

Hope guardò il servizio con il sorriso sulle labbra, pensando che quel giorno era stato fantastico. Lei e Alice si erano divertite come mai prima: non solo prima dell’Ombra, ma in generale. Il cd degli One Direction doveva comprarlo anche solo per commemorare quel giorno. Certo, c’era la maglietta, ma voleva imprimere quel momento nella testa anche con l’aiuto di una colonna sonora.

Stava per alzarsi per andare a prendere il computer e vedere dove poteva comprare il cd, o se le conveniva ordinarlo su internet, quando sentì un pezzo della canzone che la ributtò sul divano, bloccandola.

Quando la canzone terminò, era impalata, immobile seduta sul divano e guardava con occhi vitrei la tv. Non era possibile, aveva sentito male. Molto lentamente, mentre il servizio si chiudeva con un’immagine delle fan che uscivano dallo stadio dopo il concerto, prese il telecomando e tornò indietro fino all’inizio della canzone. Poi fece ripartire la canzone.

Hope u will like that” diceva uno dei ragazzi.

 

“Pronto???” urlò Alice nella cornetta facendo segno a suo fratello di spegnere l’aspirapolvere.

Erano quasi le sette e stava morendo di fame.

“Alice? Sono Hope.”

“Hoppie! Ciao! Perchè mi chiami? ODDIO-NON-DIRMELO. Ci hai viste nel servizio di MTV??? SPENCE TUA SORELLA E’ FAMOSA!”

“No.” disse Hope come da una lontanissima distanza. “Ti chiamavo perché mi servi. Mi servi qui. Appena puoi.”

Alice aggrottò la fronte sentendo nelle parole dell’amica del panico. “E’ tutto ok?” chiese. “Stai male?” Pregò che la sua amica non stesse male. Avrebbe saputo cosa fare, ma non avrebbe avuto le forze di affrontare la cosa ancora una volta.

“No. Mi servi. DEVI venire. Ti prego.”

“Va… va bene. Ho quasi finito. Lasciami il tempo di fare una doccia e sono da te. Ok?”

“Si. Ah. E portati le cose per dormire. Stai qui con me.”

Alice mise giù dopo pochi secondi. Non aveva mai sentito la sua amica parlare così, doveva essere successo qualcosa di veramente grosso.

 

“Allora? Cosa è successo?” chiese Alice dopo mezz’ora dalla telefonata, seduta sul divano di casa di Hope. Lei era seduta sull’altro divano con le gambe rannicchiate contro il petto. Aveva un sorriso che sembrava faticasse ad esprimere, lo nascondeva scuotendo la testa e facendo delle smorfie. Ma non sembrava stare male, per nulla. Sul tavolo c’era una ciotola ripiena di patatine che non sembrava essere stata toccata, due bicchieri, delle bibite e il computer di Hope. La tv era ferma su un’immagine del concerto degli One Direction.  

“Ti ricordi l’esercizio che il professore Glag ci faceva fare?” chiese Hope. “Quello in cui io assumo una tesi, tu assumi quella opposta e ognuno cerca di portare le sue motivazioni per battere l’altro?”

Alice annuì.

“tutti sanno che tu sei sempre stata brava in quell’esercizio. Forse solo Tara ha saputo batterti una volta.”

“Si, ma una volta in quattro anni di liceo” precisò Alice.

Hope ridacchiò. “esatto. E hai deciso di fare scienze politiche internazionali anche per quello.”

“ovviamente.”

Alice aveva sempre avuto una splendida parlantina, sapeva portare la gente a cambiare idea con un semplice discorso. Quando il professore Glag aveva scoperto questa sua capacità l’aveva spinta a coltivarla.

“ma non capisco cosa c’entra…”

“Adesso lo vedrai. E’ lunga come cosa, se hai fame lì ci sono le patatine.”

Si spiegava la ciotola e le bibite. Alice si allungò e prese una patatina mentre le sua amica cercava di trovare le parole giuste.

“Io è da un po’ che sento un ragazzo.”

“Un ragazzo.”

“Si, un ragazzo.”

“Lo conosco?”

Hope stava per rispondere di no, ma si bloccò prima. “Ecco questa è una domanda a cui bisogna ancora dare una risposta.”

Alice smise di sgranocchiare la patatina e sollevò un sopracciglio.

“E’ difficile. Insomma… io e questo ragazzo non ci siamo mai visti.”

“L’hai conosciuto su internet?”

“Esatto.”

Con grande stupore di Hope, Alice annuì e riprese a mangiare la patatina. Evidentemente non le era sembrato così spaventoso e così strano.

Lasciò correre. “E… insomma… abbiamo chattato per un po’ di tempo, poi lui mi ha chiesto il numero, gliel’ho dato e abbiamo cominciato a sentirci per messaggi.”

La faccia di Alice sembrava sinceramente interessata e senza traccia di rimprovero. Questa cosa confortò molto Hope.

“Dopo i messaggi, abbiamo cominciato a sentirci al telefono. Con lui ho stretto una bella…amicizia. Si può dire amicizia?”

“Suppongo di si.”

“E questa cosa è cresciuta, cresciuta, cresciuta. Non me ne sono nemmeno resa conto.” Era sul bordo del divano e gesticolava un sacco. Alice capì che era nervosa. Intuì cosa le avrebbe detto da un momento all’altro.

“Lui mi è stato vicino, insomma, lui non sa cosa è successo, non mi conosce come mi conoscono tutti gli altri. Io non volevo più vedere quegli sguardi… insomma, lo sai.”

Alice annuì di nuovo, prendendosi un’altra patatina.

“E internet mi è sembrato uno strumento che potevo usare. Ma non pensavo, giuro, non pensavo… in che cazzo di situazione mi sono messa, dannazione!”

Hope si era alzata.

“Hope tranquilla” disse Alice. “ti accompagno, non ho problemi.”

Hope la guardò con occhi spalancati. “Co…come?” balbettò.

“Ti accompagno da questo ragazzo. Immagino ti abbia chiesto di uscire, di vederti insomma. Nessun problema. Posso guardarti anche a vista se non vuoi che lui mi veda.”

Hope spalancò la bocca per dire qualcosa ma poi scoppiò a ridere.

Alice, ora, era confusa.

La risata di Hope non era una risata di puro divertimento, ma era attraversata da una nota acuta, come isterica.

“Non era questo che volevi?”

Hope ridacchiò ancora e si spostò al centro della sala.

“Si.. cioè no. Non è solo per questo.”

“E allora cosa c’è?”

Hope la guardò smettendo di ridere. Lanciò uno sguardo di sfuggita alla tv, per poi voltarsi di scatto e fissò per un paio di secondi il terreno.

Alice aspettò con pazienza.

“E’ giusto quello che hai pensato. Lui vuole incontrarmi. Esattamente fra due giorni. E io vorrei che tu venissi con me. Ma non è questo il punto. Tu prima di accettare devi sapere un’altra cosa.”

Alice si portò la ciotola delle patitine sulle gambe e le incrociò, non perdendo d’occhio la sua amica, che era sempre più strana. Temette il peggio.

“Io… io credo che…insomma, ho motivi di credere che lui sia…” Lasciò la frase a metà. Alice fissò Hope aspettando che lei continuasse, in piena suspance.

Poi si accorse che Hope aveva indicato velocemente la tv. E continuava, con insistenza ad indicarla con gli occhi.

“Non capisco…” disse Alice.

Hope si stropicciò le mani. “Alice… io…credo. Insomma, penso, ho buone ragioni per credere che lui sia uno…uno di quelli

“credi che lui sia un… un televisore?”

Hope scoppiò a ridere e scosse la testa. “Ma no! Uno di loro!”

“Un tecnico della tv? Il ragazzo che viene ogni tanto a casa mia è carino… no, nemmeno quello. Un giornalista?”

Hope rise di nuovo.

“Chi Hope???”

“Io… loro, Alice, LORO!” Hope prese il telecomando e fece riprendere il servizio della tv, che allargò l’inquadratura fino a riprendere i cinque ragazzi del concerto. Hope fermò di nuovo l’immagine.

Alice, che stava per deglutire la patatina, si bloccò a metà. “tu credi che…” disse con un fil di voce. Tossicchiò e riprese: “Tu credi che lui sia uno degli One Direction???” Anche se la patatina era passata attraverso l’esofago senza bloccarsi, la voce le uscì lo stesso strozzata.

Hope annuì.

“Si, certo, e io ho una seconda vita: sono Angelina Jolie, in realtà. Sono sposata con quel figo di Brad Pitt e adotto figli appena ne vedo uno andare in giro da solo per strada.”

“E’ da fuori di testa, giusto?”

“Be vedi tu!” rispose Alice, riponendo la ciotola della patatine sul tavolo. “Hai presente quanti ragazzi sono online in questo momento? Hai presente quante persone, quanti ragazzi usano internet e le chat NORMALMENTE??? Quante probabilità hai? E perché uno di loro dovrebbe essere stato su internet? Hanno tutto ciò che vogliono, perché mai dovrebbe essere uno di loro il tuo…Come si chiama?”

“Credo si chiami Noah.”

“Ecco, il tuo Noah. E mi pare che non ci siano Noah negli One Direction. Due di loro si chiamano qualcosa con la L, uno mi pare Zack e uno mi pare Henry. L’ultimo non ricordo. Ma Noah non mi dice niente.”

“Ecco perché mi servi. Perché anche io credo che sia impossibile. Ma come ti ho detto, ho dei buoni motivi.”

“Sarebbero? No anzi. Scusa ma tu chi credi che sia?”

Hope prese un bel respiro.

“Penso che sia… che sia quello che si chiama Harry.”

“Harry. Quello che ha i capelli…”

“NO!” urlò Hope. “Non dire come è fatto, non dire niente. Non dire niente, non voglio pensarci.” Hope scosse la testa.

“ok….” Disse Alice, cauta. “E sentiamo: perché credi che sia lui?”

“Adesso te lo dico. Ad un patto però.” Hope guardò l’amica intensamente. “ tu devi assumere la tesi che Noah non è Harry, che non è uno degli One Direction. Chiaro? Neanche quando penserai che, invece, sia probabile. Se ti rendi conto che quello che sto dicendo ti sta convincendo, fai come se fossi io la pazza e non mollare la tua tesi.”

Alice la studiò a fondo. Era evidente che c’era qualcosa di grosso. Però scrollò le spalle e disse: “Nessun problema.”

“Devi cercare di demolire ogni cosa che dico, va bene?”

“Ehi tesoro, stai parlando con quella che non ha mai preso neanche una B con Glag.”

Era esattamente ciò che voleva Hope.  Lei, una volta che le era venuto il dubbio che Noah potesse essere Harry, non aveva verificato niente su internet. Si era basata solo su quello che ricordava dalle parole di Olivia. Sospirò, pronta a cominciare.

 

“Allora. Iniziamo con il fatto che Noah in questione ha 19 anni e quando ci siamo conosciuti, li aveva compiuti da poco.”

“Potrebbe mentire.”

“Lasciami finire Alice.”

“Scusa.”

Hope girò il computer verso di lei e glielo passò.

“Vai a vedere quando quell’Harry è nato.”

Alice digitò Harry One Direction su Google. Aprì la prima pagina, Wikipedia, mentre Hope diceva: “la prima volta che ci siamo scritti era il 3 Marzo. Lui li aveva compiuti da un mese, mi disse.”

Alice controllò. Harry, Harry Styles, così si chiamava, li compiva il 1° Febbraio.

Hope guardò Alice.

“Semplice coincidenza” disse la sua amica, risoluta. Non era un indizio sufficiente. Neanche lontanamente.

Hope annuì, riprese il computer e ridusse a icona la pagina del ragazzo. Aprì un documento html con la conversazione storica tra lei e un certo…Stryes94.

“Voglio farti notare solo questo pezzo di conversazione.” Girò di nuovo il computer verso Alice, che lesse una dei primi scambi tra questo Noah e Hope.

“Cosa ti suggerisce il mio nome?”

 “Non lo so. Ti chiami… come una mossa particolare del bowling? :)”

“Ahahha, perché dici così?

“Stryes -> Strike, scritto strano”

“Ahahahah no.”

Quando finì di leggere, annuì e Hope riprese il computer: riaprì la pagina di Harry Styles senza guardare lo schermo, per poi girarlo di nuovo verso Alice.

“Ricordati questo pezzo di conversazione. Servirà dopo.”

Alice fece si con la testa.

“Noah abita a Londra.”

Alice controllò su internet: non diceva dove questo Harry abitava. “un sacco di gente abita a Londra.” disse poi.

“Giusto. Ha i genitori separati”

Alice lanciò un’occhiata alla pagina internet.

Hope riprese “Quando abbiamo cominciato a sentirci per telefono, lui mi scriveva anche la mattina. Quando non avevo ancora il suo numero, non posso saperlo. Lui mi scriveva mattina, pomeriggio e sera, come se non fosse mai in classe.”

“Gli hai chiesto se fa il College?”

“No, sinceramente ma…”

“E’ uno dei tanti fancazzisti. Alla sua età ce ne saranno milioni in giro per il mondo.”

Hope rimase in silenzio. Alice , ovviamente, aveva ragione.

“oppure è malato. Ha qualche patologia che lo costringe a stare a casa. Ma preferisco l’ipotesi del fancazzismo.”

“Okay. Allora questa cosa che ti sto per dire potresti non trovarla su internet. Lui e il suo migliore amico hanno avuto una ragazza in comune, senza saperlo… si chiamava Pam.”

Alice prese un respiro profondo. Hope non poteva essersi montata la testa così tanto con così pochi indizi. Prese il computer e digitò il nome di Harry e Pamela. Non uscì niente, a parte un articolo-fuffa in cui ci si chiedeva se Harry Styles potesse aver fatto sesso con Pamela Anderson.

Alice guardò Hope scuotendo la testa.

“sono stati insieme poco” disse Hope con quella che ad Alice sembrò una giustificazione non richiesta e non necessaria. Di sicuro nemmeno sufficiente.

Hope guardò Alice perforandola con lo sguardo. “il migliore amico di Noah si chiama Louis.”

Ad Alice non servì andare a controllare. Una piccola parte del suo cervello rimase pietrificato e cominciò a farsi strada l’idea che fosse poco probabile che una coincidenza simile (nato lo stesso giorno, lo stesso anno, che avesse i genitori separati e con un migliore amico che aveva lo stesso nome del migliore amico di Harry Styles) si fosse verificata. Infatti, cominciò a farsi strada nella sua testa che fosse un semplice emulatore. Qualcuno che avesse fatto finta, apposta, di essere Harry Styles. Ma non aveva molto senso se uno ci pensava a fondo.

“potrebbe mentire.” Disse.

“potrebbe mentire.” Confermò Hope.

“potrebbe usare un nome fasullo anche per il suo migliore amico, visto che se è Harry, ha usato il nome Noah.”

Hope annuì. Ci aveva pensato anche lei. Ma aveva fatto anche un altro pensiero: se Noah non era Harry che senso aveva dare un nome fasullo al suo migliore amico? Oppure si chiamava veramente Louis, il suo migliore amico. Ma allora diventata una stranissima coincidenza. In qualsiasi modo la si metteva, la soluzione sembrava indicare un solo nome.

“So che ha una sorella. Non so dirti se maggiore o minore.”

Alice controllò ma non fece trasparire nessuna emozione dal lo sguardo che poi riportò su Hope.

Hope era abbastanza sicura di aver sentito da Olivia che quell’Harry aveva una sorella.

“Okay… ehm…” riprese Hope. “A fine marzo… il 30,31 e l’1 aprile è andato ad Edimburgo. Ti dico solo che anche Olivia è andata e…”

Alice stava già scrivendo sul computer per verificare le date. Olivia le aveva raccontato TUTTO di quel concerto. E se non andava errato, era proprio in uno di quei tre giorni.

“…e è andata per vedere il concerto degli One Direction”

Alzò lo sguardo su Hope. “Potrebbe essere un loro fan.”

Hope capì con questa frase che Alice aveva verificato e confermato. Ma Hope questo non l’aveva fatto. Si era solo basata su quello che aveva sentito da Olivia e su un’altra informazione recentemente acquisita, ben più importante e assolutamente attendibile, che avrebbe spiegato ad Alice come ultima motivazione. Il suo cervello automaticamente, senza che potesse controllarlo, pensò che era improbabile che un ragazzo fosse un fan di un gruppo di ragazzi. Scartò quel pensiero immediatamente.

“So che ha una tartaruga di nome Ninja, o è della sorella.”

Alice non si mosse.

“So che condivide l’appartamento con i suoi amici, tra cui sicuramente Louis. E… lui…lui ha detto molte volte di avere delle fan”

Alice fece mezzo sorriso sarcastico.

“Si lo so è una cosa idiota” disse Hope vedendo la sua faccia. “Potrebbe dirlo chiunque… ma quando mi diceva che aveva spostato degli impegni per sentirmi, l’ho sfottuto dicendo cose come ‘ma adesso le tue fans che diranno?’ e lui non ha mai smentito.”

Alice stava per scoppiarle a ridere in faccia. Stava davvero basando la teoria che Noah fosse Harry su queste ipotetiche fan???

“Inoltre, qualche volta abbiamo parlato degli One Direction. Lui non si è mai espresso su di loro se non qualche aggettivo scherzoso MA ha detto che tutte le sue amiche cantano le loro canzoni e che LUI, le canzoni, le sa a memoria.”

Alice pensò che questa frase buttata in un messaggio qualsiasi poteva sembrare una frase qualsiasi. Ma messa in un certo contesto e vedendola con gli occhi di una persona che credeva che questo Noah fosse davvero uno degli One Direction, sembrava molto…studiata. E al contempo casuale.

“Comunque. So che i suoi amici sono quattro…e con lui sono cinque. Come… loro.” Indicò la tv.

“E tu questo come fai a saperlo?”

“Mi hanno chiamato loro un giorno.”

“Ah.”

“Mi hanno chiamato, hanno fatto gli ubriachi e li ho sentiti uno alla volta. Noah aveva lasciato il cellulare e loro…” la voce di Hope si spense. “Li ho sentiti anche il giorno dopo.” Disse poi. “Erano in cinque e mi hanno cantato un piccolo pezzo di canzone per farsi scusare.”

“prego?”

“Giuro, Alice, non sto dicendo cazzate. Non l’ho registrata. Ma la canzone faceva “Hope we are very very very sorry,  but some times our minds go very very very hurry and we seem stupid sometimes, but we swear we are all nice guys”

Alice scoppiò a ridere. “Che coglioni.” Si lasciò scappare.

Ma Hope non rideva per nulla. Fece un minuscolo sorrisetto, tirato.

“Quindi, ricapitolando sei sicura che erano in cinque.”

“Con Noah, si. Sono sicura.”

“Possono essere amici. E’ come io te, Tara e Olivia. Non vuol dire che siccome siamo in quattro allora siamo…le Spice Girls”

“A parte che le Spice erano 5. Comunque ho capito lo stesso. E hai ragione.” Disse Hope. Ora veniva la parte forte.

“Lui e i suoi amici qualche settimana fa sono andati in ospedale… lui ha detto perché fanno parte di quelle associazioni per bambini” mentre parlava Alice cominciò a scrivere su Internet. “e io ovviamente ci ho creduto. Mi ha raccontato cosa ha provato… e sembrava sincero, sembrava esserci andato sul serio. Ha detto che lui è andato nel reparto traumatologico e oncologico.”

Alice guardò l’amica. Poi riprese a scrivere. Aspettò i risultati della ricerca: Google la stava tremendamente tradendo. Guardò Hope con aria impassibile.

“E poi…” continuò Hope capendo che Alice non voleva sbilanciarsi, che aspettava qualcosa di più. “E poi c’è stato il concerto che siamo andate a vedere. Lui, quella sera, aveva un impegno, mi aveva detto che probabilmente ci saremmo sentiti tardi. Io poi avevo risposto che andavo al concerto degli One Direction. Lui mi è sembrato stupito ma ho dato per scontato che fosse perché avevo sempre detto che non li conoscevo e che mi sembrava assurdo spendere 100 sterline per un gruppo che non avevo mai ascoltato.”

Hope tirò fuori il cellulare, poi guardò l’amica. “Mi ha scritto alle 10.37 quella sera.” Le porse il suo cellulare, con il messaggio di Noah “ Ti ricordi a che ora c’è stata una piccola pausa?”

Alice guardò il cellulare e lesse la conversazione: “Allora? Come va?” “Non male direi. Mi fanno male le gambe e non so se ho la voce.”“Per essere 5 idioti che non hai mai sentito, credo che tu ti stia divertendo.” “Si ahahaha penso anche io!”. Riconsegnò il cellulare ad Hope, pensando che questo Noah avesse proprio una bella faccia tosta a chiamarli idioti.

“E infine…” disse Hope riprendendo il cellulare e afferrando il telecomando “questo: quando lui è tornato dall’ospedale era abbastanza provato così abbiamo parlato. Abbiamo parlato del fatto che la vita è ingiusta e del fatto che, se anche lui è fortunato, non si deve sentire in colpa.”

“In colpa per cosa?”

“Per il fatto di vivere normalmente, e di non avere problemi come i ragazzi che è andato a trovare in ospedale. Io gli ho detto che non deve sentirsi in colpa per questo e che, anzi, deve essere una motivazione superiore per godersi la vita fino in fondo, per viverla cogliendo l’attimo…” Hope la guardò negli occhi. “che deve succhiare tutto il midollo della vita.”

Alice riconobbe la frase celebre de l’attimo fuggente ma non capì. Non riuscì a chiedere a Hope cosa intendesse che lei aveva fatto play sul telecomando e il servizio alla tv, finalmente, riprese.

“…a new song! Hope u will like that” diceva la voce di uno dei cinque. Alice ignorò il gioco di parole ma lanciò un’occhiata all’amica. Si era messa seduta  sul divano ma si ostinava a tenere basso lo sguardo.

 

“I met u by chance

I was going into trance

But u fall into my friend list”

Alice dovette ammettere che, questa strofa, in particolare l’ultima frase, coincideva a sufficienza con la storia di Noah e Hope.

“And (I) understand what I have always missed

I know anything but I feel u into my bones

And want to listen your voice in my iPod headphones”

Solite frasi di una canzone pop, niente di nuovo.

“My mind goes ooo oh-oh tonight

I will wait for u until midnight

But u will never appear

Alice dovette ammettere che la parola ‘appear’ sembrava essere messa apposta.

“It gives me hope

And I’m going crazy every time I see your voice

And I have to read your messages , no choice

U are difficult to reach

I want to take u on the beach

(yeah yeah yeah)”

Era il ritornello e c’era ancora un chiaro gioco di parole che Alice, volutamente, ignorò. Ma cominciava ad essere difficile ignorare il resto: “i have to read your messages… u are difficult to reach” potevano riferirsi alla distanza tra di loro e al fatto che avevano comunicato solo con messaggi. 

“It gives me hope

And I’m going crazy every time I think about you

And early I know we will have our debut

I am seeking your smile

But u are far by miles”

Altri riferimenti a questa ipotetica ragazza. Debut poteva rimandare al fatto che presto si sarebbero visti. E ‘far by miles’ poteva ancora riferirsi alla distanza. ‘Che cazzo sto pensando?’ si disse Alice. ‘Io devo sostenere che NON è uno degli One Direction.’

“U ask me time

Cause I’m a strange strike

And I gave u trust from the beginning

But now I’m feeling guilty cause I’m singing

About  our strange story I have always missed

And in my crazy nights I would have you kissed”

Alice era abbastanza intelligente per aver fatto il collegamento tra ‘strange strike’ e uno dei primi messaggi che lui e Hope si erano scambiati quando si erano conosciuti: “Cosa ti suggerisce il mio nome?”“Non lo so. Ti chiami… come una mossa particolare del bowling? :)”“Ahahha, perché dici così?“Stryes -> Strike, scritto strano”.

Guardò l’amica. Era di un colorito più roseo del normale. La canzone diceva che avrebbe voluto baciarla…

It’s difficult e-e-even to image

A girl like u that makes me change

And when u said ‘ I can’t apologize’

I wanna die”

Questa strofa non voleva dire niente. Ma Hope interruppe la canzone. “non te l’ho detto prima” disse. “perché non ci ho pensato, non mi sono ricordata, insomma solo adesso sentendo questa…” si bloccò. “Ho detto che non lo potevo subito perdonare il giorno dopo che i suoi amici mi avevano chiamata. Perché in quell’occasione loro mi avevano presa in giro sul fatto della fiducia e avevano letto dei messaggi che io consideravo privati tra me e lui… Comunque  non mi sono lasciata andare subito con lui. Sai riguardo all’età, a dove vivevo… per non espormi troppo, ecco. Ho voluto del tempo…”

Alice pensò al pezzo della strofa precedente: “u ask me time…”

“Mentre lui è stato sincero da subito..”

Di nuovo, Alice pensò ad un’altra frase: “i gave u trust from the beginning”. Dalla voce sottile di Hope e dalla faccia che stava assumendo, capì che anche lei ci era appena arrivata. Si zittì, guardò in basso e fece ripartire il servizio.

It gives me hope

And I’m going crazy every time I see your voice

And I have to read your messages , no choice

U are difficult to reach

I want to take u on the beach

It gives me hope

And I’m going crazy every time I think about you

And early I know we will have our debut

I am seeking your smile

But u are far by miles”

Altro ritornello, niente di nuovo.

“Saying that we have to suck out all the morrow life

And I’m going to ask u if u wanna become my wife 

My friends get drunk

And so I sing a song to forgive our madness

‘cause we are very very  sorry some times and our minds go very very hurry”

Alice non potè fare a meno di girarsi verso l’amica. Questa strofa non era significativa: era realista. Dava ragione ad Hope e, per la prima volta, Alice prese una B in quell’esercizio. Se la diede da sola, perché non c’era ragione di credere che lui NON fosse uno di loro.

Hope aveva lo sguardo piantato a terra, i capelli le scivolavano davanti al viso e Alice non vedeva i suoi occhi.

“I’ve never seen u, but imagined a lot

U say that I’m special and I say u r great

U are my hope, (u r hope)

And I’m going crazy every time I think about u

 And early I know we will have our debut

I am seeking your smile

But we are far by miles*”

La canzone finì. Il giornalista prese a blaterare di questa ultima canzone e del fatto che si chiamava ‘hope’. Su una cosa si sbagliava terribilmente. Non era ‘hope’, ma ‘Hope’, con la H maiuscola. Perché era sicuramente la sua amica Hope.

Hope spense il televisore sollevando finalmente lo sguardo. Era impossibile descriverne l’espressione: era di tutto un po’.

“Prima che tu dica qualsiasi cosa” disse Hope. “Pensa a quello che hai giurato di fare all’inizio di questa conversazione.”

Alice non se lo ricordava neanche più. Dovevano parlare di questa cosa ORA. Dovevano parlare di lui ADESSO.

“Hai promesso che saresti rimasta sulla tua tesi finchè non fossi stata assolutamente certa di aver torto. Certa, intendo al 100%. Che avresti vagliato ogni possibilità, prima di arrenderti.”

Ad Hope era rimasto un solo singolo dubbio.

Alice deglutì. Si sentiva la bocca secca. Aprì una bottiglia, senza dire una parola, cercando di pensare chiaramente. Ma era quasi impossibile. Come era possibile che…

‘No calma. Hope ha ragione… Hope, la canzone… le ha scritto una CANZONE… no cazzo, STIAMO CALME! Allora. Non è lui. Non è lui. E’ la mia tesi. Troviamo una spiegazione che collimi con tutto.’

Alice stava bevendo ma se Hope faceva attenzione poteva sentire chiaramente le rotelle del cervello dell’amica girare, impazzite. E più tempo passava in cui Alice stava in silenzio, più era peggio. Perché voleva dire che non riusciva a trovare una soluzione. Guardò l’orologio: solo una volta, a scuola, durante quell’esercizio, era rimasta silenziosa in un dibattito per più di due minuti. Ma poi aveva letteralmente smontato ogni singolo pezzo dell’ipotesi dell’altra persona. Quando il professore le aveva domandato perché ci avesse messo così ‘tanto tempo’, Alice aveva risposto così: “sapevo cosa dire, non sapevo come dirlo.”.

Quindi c’erano due possibilità: o aveva trovato la soluzione e non sapeva come dirlo ad Hope, oppure non l’aveva trovata.

Passarono tre minuti di completo silenzio.

“Hai…” Finalmente Alice stava per dire qualcosa. Hope la guardò. “hai pensato…che MAGARI… magari, dico… è un loro collaboratore?”

Hope fece un piccolo sorriso. Anche lei l’aveva pensato.

“Un loro collaboratore che magari li segue, che sta accanto a loro, che ha stretto una bella amicizia con Luois, che gli ha chiesto di cantare la canzone…”

“Si ci ho pensato. E mi sento sollevata che l’abbia pensato anche tu.”

Alice strinse le labbra. Era un’ipotesi che reggeva poco: per esempio PERCHE mai avrebbe dovuto avere la stessa età di Harry? Perché aveva una sorella come l’aveva Harry? Perché era nato lo stesso giorno? Semplice coincidenza? E poi, se fosse stato un collaboratore, perché li aveva seguiti in ospedale? E obiettivamente perché avrebbero dovuto avere un collaboratore della loro stessa età? Sarebbe stato stranissimo! Certo, poteva essere stato tutto costruito, poteva essere l’opera di un pazzo che aveva preso in prestito le somiglianze di Harry facendo finta di essere lui… ma la canzone. La canzone era abbastanza significativa. C’era un pezzo che Hope aveva già ascoltato, quel pezzo così ridicolo…

“Ma a questo avremmo una risposta stasera” disse Hope. Tirò fuori il cellulare.

“GLIELO VUOI CHIEDERE???” esplose Alice non trattenendo le sue emozioni.

Hope rise e scosse la testa. “no, per niente. Mi chiamerà, come facciamo ogni sera e sentirò la sua voce. Ecco perché tu sei indispensabile e devi stare qui con me. Io… io sono di parte. Potrei farmi prendere da…da tutto questo e credere di sentire la sua voce. Tu, invece, no.”

Alice si morse le labbra.

“ti prego dimmi che ne sei in grado.”

“non so. Io non…” Alice guardò la sua amica, che le rispose con uno sguardo supplicante “Va bene.”

Alice prese il computer e digitò il nome Harry Styles seguito da “interview”. Trovò del materiale.

“A che ora ti chiama?”

Hope guardò l’orologio. Erano le otto. “Fra un’ora” rispose. “Lo metterò in vivavoce. TU devi far finta di non esistere.”

“Nessun problema. Hai un paio di cuffie?”

“Si certo… perché?”

“perché adesso ascolto le interviste, per abituarmi al suono della sua voce. Poi sentirò lui e farò un confronto.”

Hope era tentata di chiederle se poteva ascoltare anche lei le interviste. Ma non lo fece. Doveva affidarsi alla sua amica. Non alle sensazioni. Le sensazioni potevano tradirla e illuderla. Alice non l’avrebbe mai fatto.

 

 

*la canzone E' INVENTATA. Non è degli One Direction.

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Capitolo 12
*** 1D Up All Night ***


Ehi, ciau!
Vi rubo un attimo del vostro tempo per farmi sentire visto che ho pubblicato 11 capitoli praticamente in totale silenzio stampa. Prima di tutto ringrazio chi si è sbattuto a leggere fino a qua: non siete moltissimi ma siete sicuramente MOLTI di più di quelli a cui di solito permetto di leggere i miei racconti. Quindi GRAZIE DI CUORE!!!! Sono seriamente commossa :') Poi volevo informarvi che siamo QUASI a metà racconto. 
Come al solito, se vi va, potete lasciare una recensione :). E ora vi saluto visto che vi ho lasciato in piena suspance :) 
Buona lettura!!!
Un abbraccio stritolatutto a tutti!

Capitolo 12 – Up All Night

Hope, per cinque minuti, dovette rifugiarsi in camera sua perché alla tv stavano mandando in onda la conferenza degli One Direction girata quel pomeriggio stesso sul loro nuovo album. Hope volle ignorare il fatto che Noah avesse detto che quello stesso pomeriggio aveva una conferenza.

Alice chiuse gli occhi, mentre ascoltava la loro conferenza. Anche lei non voleva associare la voce proprio al ragazzo che si chiamava Harry. Magari era un altro One Direction, o forse non lo era proprio. Forse era stato tutto un caso, forse era uno che la stava prendendo in giro, ma per quale motivo un ragazzo avrebbe dovuto far finta di essere Harry Styles se Hope aveva detto più volte che quasi non sapeva chi fossero gli One Direction? Era un ragionamento che le faceva girare la testa.

Quando la conferenza terminò, chiamò Hope e la fece scendere.

Alice avrebbe voluto mitragliarla di domande ma Hope era un fascio di nervi. E soprattutto, doveva tenersi in mente quella cavolo di voce. Era ruvida ma morbida. E molto profonda. Si mise le cuffie nelle orecchie e, di nuovo, chiuse gli occhi.

Hope si acquattò sull’altro divano con Strike accanto. Guardò Alice concentrata sulla suono della sua voce nelle cuffie.

Stavano facendo una cosa talmente idiota… Scoppiò a ridere.

“che succede?” chiese Alice togliendosi le cuffie.

“E’ una cosa stupida.”

“Cosa?”

“QUESTO! Dai, tu sembri che stai cercando di captare qualche segnale degli UFO dalle profondità dello spazio e io, per la prima volta dopo mesi, non so come affrontare una conversazione telefonica!”

Alice rimase senza parole, poi rise. “Hope cerca di essere naturale.”

“Tu cosa credi? E’ lui, dato quello che ti ho raccontato?”

Alice fece un sorriso tenero. “Io devo vagliare tutte le possibilità. Ora zitta, sennò mi confondo.” Si rimise le cuffie.

Hope avrebbe voluto essere nella sua testa.

Il cellulare prese a vibrarle verso le 9 e dieci. Hope scosse il braccio dell’amica, presa ancora da un video e indicò il telefono. Alice si tolse le cuffie. Le due si scambiarono uno sguardo. Poi Hope si posò un dito sulla bocca, ricordandole di fare silenzio. Alice annuì.

“Pronto?” chiese rispondendo al telefono. Mise in vivavoce e si mise il microfono del cellulare davanti alla bocca, lasciando che Alice si avvicinasse all’altoparlante.

“Ehi” rispose lui. Gli occhi di Hope cercarono quelli di Alice. Lei chiuse i suoi e si morse le labbra.

“Ehi” rispose lei.

“Tutto ok?”

Hope avrebbe voluto guardare Alice. Ma doveva trattenersi. Chiuse gli occhi anche lei, cercando di concentrarsi.

“Si… tu?”

“Uhm… si, abbastanza. Oggi è stata più difficile del normale.”

“Ah si?”

“Si… Lou ha fatto il coglione per tutto il tempo. Non riuscivo a stare serio.” Hope si chiese se poteva essere vero. Se, nella conferenza, Harry aveva continuato a ridere. Sicuramente Alice lo sapeva.

“Capito…”

“E’ tutto ok Hope? Ti sento….strana.”

“Si… si è tutto ok. Sono solo un po’ stanca.”

“hai fatto pattinaggio oggi?”

“No… mi sono limitata a stare a casa a non fare niente.”

“Bella la vita senza genitori eh?”

“Già.”

“Quando sarai a Cambridge, sarà sempre così…”

Hope sorrise. “Già”

“Ma sei sicura che sia tutto ok?”

Hope non ce la fece più e aprì gli occhi. Alice guardava verso la tv, spenta, con la mascella contratta. Hope non capiva quale fosse il verdetto finale.

“Si è tutto ok…”

“Non ti sento benissimo. Sei sotto il tavolo o…?”

Hope ridacchiò e cercò gli occhi dell’amica. “no…”

Alice si voltò e la guardò con occhi luccicanti.

“Aspetta che provo a spostarmi…” disse Hope prendendo tempo. Guardò insistentemente l’amica, chiedendole con le labbra se fosse lui o meno.

Alice rimase impassibile per un paio di secondi. Poi, molto lentamente, gli angoli della sua bocca cominciarono ad alzarsi verso l’alto.

Il cuore di Hope cominciò a battere forte.

“ommioddio…” disse a bassa voce ad Alice. “mi stai dicendo che…”

“Hope parli con me?”

“Aspetta un attimo Noah.” Il nome Noah le era uscito naturale e Alice non riuscì a trattenere le risate. Hope la seguì a ruota.

“Ma Hope c’è lì qualcuno con te?”

Hope dovette prendersi un attimo prima di rispondergli. “Scusami… scusami tanto NOAH.” Alice non smetteva di ridere.

“Ma che succede?”

“C’è qui Alice che sta facendo la scema.”

“ma che cazzo fai?” disse Alice a bassa voce, smettendo di ridere. Poi riprese.

“C’è Alice? Lì con te?”

“Si, scusami scusami. Le avevo detto di NON DISTURBARE.”

Alice si indicò e mimò con le labbra “io non c’entro niente.”.

“Ma ti pare, anzi, fammi un po’ sentire la sua voce. Ciao Alice! Ho sentito parlare molto di te.”

Alice guardò Hope con occhi spalancati, come se non sapesse cosa fare. “Ehm… ciao.” Disse poi, prima di sghignazzare di nuovo. “Ciao NOAH”

Hope dovette soffocare una risata.

“Come va?”

“Ehm bene… bene e tu?”

“Bene! Allora vieni anche tu giovedì?”

“Aehm… si… cioè basta che non mi fate fare il candelino…”

Hope diede una gomitata ad Alice che ridacchiò.

“Oh no certo che no… aspetta c’è qui Louis, te lo passo, così fate conoscenza.”

Hope e Alice si guardarono non sapendo se ridere o cosa. “Ma no fa niente…” disse Alice.

Harry uscì dalla sua camera e andò, giù, in salotto dove i suoi amici stavano pescando patatine dal sacchetto in mezzo al tavolo. “Louis c’è Alice, l’amica di Hope.” disse. “Viene anche lei giovedì.”. I ragazzi, vedendo il cellulare in mano ad Harry con il vivavoce attivo, si scambiarono occhiate furbe, pensando già a fare qualche scherzo.

Louis si alzò e prese il cellulare da Harry.

“Pronto?” disse un’altra voce. Era Louis non c’era dubbio, Alice aveva sentito le voci di tutti e cinque durante le interviste, nel dubbio Noah non fosse Harry.

“Ehm ciao.” Disse Alice prendendo il cellulare di Hope in mano. “Sei Louis?”

“Si. E tu sei Alice?”

“Si sono io. Finalmente questi due si incontrano eh! Non ne potevo più di vederla sempre al cellulare!” Hope la spinse leggermente. Alice le fece segno di ascoltare. Era chiaro che oltre a Noah/Harry e Louis, c’era qualcun altro dall’altra parte della cornetta.

“Non dirmelo” disse Luois. “Cominciavo ad odiarti, lo sai Hope?”

Hope si sentì chiamata in causa e non avrebbe voluto. Alice le fece segno di parlare. “Aehm… mi spiace.”

“E anche gli altri, vero?” chiese Louis rivolgendosi ai suoi compagni, seduti vicino a lui.

“Cazzo si!” esclamò Niall. “Era sempre con sto cavolo di cellulare. E sempre tutto misterioso. Ehi, ci vediamo giovedì sul serio, vero? Perché noi abbiamo un sacco di fan che vogliono vederci…”

“zitto, coglione” disse Harry: Hope non lo sapeva ancora, non aveva ancora avuto il coraggio di dirglielo. Aveva pensato che sentendo la canzone del concerto avrebbe capito, ma lei non gli aveva ancora lanciato nessun segnale.

Le due ragazze risero.

“Si lo sappiamo che siete pieni di fan” disse Alice. Hope la guardò sorpresa. “Che siete molto richiesti…” Alice ridacchiò. Così anche Hope si fece un po’ di coraggio e disse “Si infatti. Però se dovete fare qualcosa di più urgente, fa niente. Anche perché ci seccherebbe abbastanza fermarci ogni due secondi perché qualcuno vi chiede l’autografo o delle fotografie.”

Alice sollevò il pollice ridendo.

Dall’altra parte si sentì un silenzio di tomba.

“Ehi… siete morti?” sentirono dire ad Alice. “Perché sarebbe un peccato… per tutte le vostre fan chiaramente!”

Harry guardò i ragazzi che, a loro volta, lo guardarono non sapendo cosa fare. Harry era stato chiarissimo da quando c’era stato quell’incidente: Hope non lo sapeva e non avrebbe dovuto saperlo finchè lui non avrebbe deciso di dirglielo. Avevano cantato la canzone, da lui richiesta, anzi PRETESA, ma Harry aveva confidato a Louis che lei sembrava non essersene accorta. E Louis l’aveva detto agli altri. Niall ovviamente non aveva resistito e aveva sparato il primo commento sulle fan, durante quella telefonata con Alice.

Ma il tono che aveva assunto Hope e l’insistenza delle ragazze su questo argomento fecero dubitare Harry.

“Uhm, questa è assolutamente notizia da prima pagina.” Disse Hope, ricordando una frase di Noah. “Due ragazze comuni assistono in diretta alla morte di cinque ragazzi…” Alice aggrottò la fronte ma Hope le fece segno di aspettare.

“non proprio così comuni. ” Hope concluse la frase dopo qualche secondo di suspance.

Harry guardò Louis. Hope gli stava lanciando un segnale abbastanza chiaro ma non voleva fregarsi con le sue stesse mani.

“Va be Hope.” Disse Alice. “Staremo IN PIEDI TUTTA LA NOTTE*”. Hope dovette mangiarsi il cuscino per non scoppiare a ridere.

Era un caso, pensò Harry, o la sua amica aveva appena citato il nome di una loro canzone nonché il nome di un loro cd?

“Così quando arrivano i poliziotti sapremmo cosa dire.” Disse Hope. “Perché noi sappiamo OGNI COSA SU DI VOI*.”

Hope aveva appena citato un’altra loro canzone. Non era una coincidenza.

“Ti ha fregato amico” disse Liam guardandolo.

Harry era pietrificato. Non se lo aspettava.

“No, siamo ancora qui.” Disse Zayn prendendo in mano la situazione. “E’ lui che non sa gestire il cellulare e ha messo fuori uso il microfono.”

“Che cazzo dici coglione è stato Liam.” Naill si accorse troppo tardi di aver svelato il nome di un altro amico. Se Harry non fosse stato in trance, gli avrebbe tirato un pugno dritto in faccia.

“Si si va bene sono stato io” disse Liam. “Lo ammetto non sono portato per queste cose.” Guardò Harry. Era chiaro che aveva bisogno di parlare con Hope da solo. “Ora però ti dobbiamo lasciare Alice. E’ stato un piacere conoscerti, ci vediamo giovedì. E anche tu Hope!”

Le due ragazze si guardarono. Alice capì che doveva lasciare il cellulare ad Hope. “Okay… anche per me è stato un piacere, a giovedì ragazzi!”

Porse il cellulare ad Hope. Lei lo prese, tolse il vivavoce e salì in camera. Alice non poteva crederci.

Hope aspettò che anche Noah/Harry riprendesse il cellulare dalle mani dei suoi amici.

Chiuse la porta e si sedette per terra, con la schiena contro la porta.

“Hope?”

“Si?”

Harry si mise seduto sul letto dopo aver chiuso la porta della propria camera. Si sentiva veramente un’idiota. Non sapeva cosa dirle. Avrebbe voluto una conferma chiara da parte di lei. Ma non riusciva proprio a farsi venire le parole.

“Sei arrabbiata?” chiese, poi.

“Dovrei esserlo?” rispose lei.

“Forse un po’…”

“Forse ti capisco...”

Stava per chiederle come mai l’aveva scoperto solo adesso e non gli aveva detto niente nei giorni precedenti, ma le parole gli morirono in gola.

“Non vedo l’ora di vederti” disse infine.

Ad Hope tremò il cuore quando l’adrenalina dolce la attraversò in una ventata di sensazioni. Sarebbe stato ancora più difficile adesso.

“Anche io.” Rispose.

Non doveva esserlo, non doveva esserlo, invece. Se lui non le avesse detto chi era, se lei non l’avesse scoperto, sarebbe stato tutto molto molto più semplice.

Sospirò sentendo il cuore martellarle nella cassa toracica. Le aveva scritto una canzone. Avrebbe dovuto ringraziarlo o dirgli qualcosa. Ma le parole le morirono in gola.

“sai volevo sentirti per chiederti come ti avrei riconosciuto” disse poi. “Ma è inutile ormai, giusto?”

Harry sorrise. Non era proprio una conferma, ma ci era andata vicina. “Si penso di si. Dove vorresti andare?”

Hope impiegò un attimo a rispondere. “In un posto sicuro, Harry.”

* Up All Night - One Direction
Everything About You - One Direction

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Capitolo 13
*** Dal vivo ***


Capitolo 13 – Dal vivo

 

Hope fece davvero fatica a prendere sonno. Non le capitava da tantissimo di non riuscire a dormire. Pensava alle loro conversazioni, a frasi che potevano sembrare ambigue dato il ruolo di lui, e si trovava a sorridere tra le coperte. Strike si seccò molto dei continui cambi di posizione della sua padrona tant’è che decise di andarsene addirittura dalla stanza. Hope si impose di non pensarci. Di non pensare alle sue frasi, di non pensare alla sua voce, di non pensare alla canzone, di non pensare al fatto che l’aveva chiamato Harry per la prima volta, che l’avrebbe visto e che… ‘ci risiamo’ si disse girandosi di nuovo nel letto. ‘Non ci devo pensare, punto. E’ semplice. Pensiamo ad altro… pensiamo al pattinaggio. Okay, com’era il pezzo studiato settimana scorsa?’. Ma fu inutile. I suoi pensieri ricadevano inesorabilmente su di lui e su come sarebbe stato vederlo. Ed era peggio, peggio di quello che mai sarebbe potuto essere. Perché l’aveva scoperto, perché aveva capito chi era realmente e più sentimenti si sovrapponevano uno sull’altro. Avrebbe voluto scoprirlo dopo chi era, magari anche sul momento, e affrontare le cose una alla volta.

La sera prima dell’appuntamento, anche se era piena estate e i suoi, tornati dalla vacanza, avevano spalancato le finestre di tutta casa, si fece una tisana con ben due filtrini. Doveva dormire e non doveva essere stanca il giorno dopo… ma non lo sarebbe stata perché l’adrenalina dolce l’avrebbe tenuta sveglia dall’inizio alle fine.  Per rendere le cose più facili, tirò fuori un libro di scuola, uno a caso, e cominciò a leggerlo sorseggiando la tisana.

Sua mamma la intravide quando andò in camera per darle la buonanotte e pensò che sua figlia stesse impazzendo.

 

“Allora pronta?” chiese Alice per la terza volta mentre erano in macchina, dirette all’appuntamento.

“Basta Alice, basta” rispose Hope. “Me l’hai già chiesto. E la risposta non è cambiata.”

“Non capisco perché ti agiti tanto.” Disse Tara, seduta dietro. Sarebbe venuta anche lei. Olivia era letteralmente impazzita quando Hope le aveva detto chi stava per incontrare, ma purtroppo doveva andare ad un matrimonio che probabilmente tra cerimonia, pranzo eccetera si sarebbe protratto per tutto il pomeriggio e quindi non aveva potuto far loro compagnia.

Hope guardò Tara, voltandosi “lo so. Io… non lo so. Come faccio?”

Tara si limitò a sorriderle.

Odiava quando Tara faceva così.

 

Era inutile nasconderlo, anche Alice era abbastanza agitata. Si sentiva stranamente su di giri, insomma incontrare persone come loro… Se pensava alla quantità pazzesca di fan che avrebbero voluto essere al suo posto… Guardò Hope. Erano al luogo dell’appuntamento, con qualche minuto d’anticipo e il sole splendeva. Aveva dovuto lottare con Hope, quella mattina, per farle mettere i pantaloncini ma alla fine l’aveva convinta con un “Hope io non te li faccio mettere perché così fai vedere le gambe e lui cascherà ai tuoi piedi” l’aveva detto, ma un po’ ci credeva sul serio “ma perché si morirà di caldo. E devi stare comoda.”

Tara era seduta sulla panchina, rilassata, Alice era seduta sullo schienale della stessa e Hope era sul pelo del profilo della panchina, ad un passo dal cadere. Ma non sarebbe mai caduta talmente era rigida. Alice si concentrò nello stare calma, doveva stare calma. La sapeva gestire perfettamente una situazione del genere. L’aveva sempre fatto.

Una cosa non capiva: perché Hope aveva deciso di portare Tara? Era una strafiga, non rischiava di distogliere l’attenzione da lei?

Alice sorrise. Era esattamente ciò che Hope voleva.

 

Il cellulare di Alice prese a squillare e Hope smise sia di parlare con Tara sia di respirare.

“Pronto?” chiese Alice. Ma non poteva essere Harry perché lui non aveva il numero di Alice. O si? O era talmente famoso che poteva… ‘BASTA. STO DELIRANDO’ pensò.

“Olivia” disse poi Alice velocemente ad una Hope che la guardava terrorizzata.

Hope si alzò. No, doveva farsi un giro.

“Eh dicevi Hope? Cosa ti hanno detto quelli di Cambridge?” le chiese Tara prima che potesse allontanarsi. Ringraziò di avere amiche del genere.

 

“Hope, Olivia ti vuole.” Disse Alice seccata dopo qualche minuto porgendole il telefono.

Hope digrignò i denti. Non voleva sentire Olivia. Se avesse parlato di loro, le avrebbe messo di certo dell’ansia…

“Pronto?”

“HOPE! Allora pronta???”

Hope non voleva essere maleducata. “Più o meno…” rispose, alzandosi e cominciando a fare un piccolo giro davanti alle sue amiche. Alice prese a parlare con Tara.

 

Harry era leggermente in ritardo. O meglio, gli altri erano leggermente in ritardo. Non era colpa sua. Era già pronto dalla mattina, non perché volesse esserlo, ma perché voleva che fosse un giorno come un altro. Ma non lo era.

“Quante amiche porta?” chiese Niall.

“Due” rispose Harry.

Loro sarebbero stati al completo anche se Zayn se ne sarebbe andato dopo poco tempo, perché doveva incontrarsi con la sua ragazza, Jessica.

“Perfetto” rispose Niall. “e sono carine?”

“Che cazzo ne so.” Harry sapeva solo che tutte e tre erano delle belle ragazze, ma lui avrebbe avuto una sola ragazza da guardare e non aveva dubbi.

 Quando finalmente si decisero ad uscire di casa, Harry mandò un messaggio ad Hope.

 

Alice lesse il messaggio sul cellulare di Hope ma decise di non dirle niente. Cinque minuti e sarebbero arrivati.

 

Svoltarono l’angolo ed entrarono nel parco. Non c’era in giro nessuno in quella zona e Harry l’aveva scelta apposta. Capì subito che le ragazze dovevano esserci già  e che erano nel posto giusto. Seguirono il piccolo sentiero che portava alla fontana centrale e le vide. Alice era seduta sullo schienale della panchina con Tara a fianco seduta sulla panchina. Hope era a qualche passo di distanza, al telefono. Sapeva che era lei anche dal rossore che improvvisamente si manifestò sul suo viso, appena i suoi occhi incontrarono quelli di Harry.

 

“E poi comunque il vestito della fidanzata di suo fratello era troppo attillato. Dico io, mica siamo in discoteca. Adesso mi sto prendendo un minuto di pausa. E siamo solo al secondo piatto.” Olivia stava parlando un po’ a caso, cercando di distrarre la sua amica.

Hope si voltò, pensando che finalmente il discorso si era spostato dagli One Direction  ad un altro argomento.

Le si mozzò il fiato in gola, la gola le divenne secchissima, l’adrenalina dolce la investì come un treno ad alta velocità esattamente all’altezza dello stomaco. Gli occhi di lui l’avevano individuata senza problemi e ora le stava per sorridere.

“Era buono sai? Era qualcosa con una crema al pistacchio… Pistacchio, non l’avrei messo in un secondo. Al massimo lo mangio come gelato… andate a prendere il gelato?”

Alice li stava salutando e si stava presentando insieme a Tara. Hope era completamente bloccata, il cervello in stand by.

Olivia captò qualcosa di strano. “Hope? Hope ci sei ancora?” passarono due nanosecondi netti prima che  arrivasse da sola a capire come mai Hope si era improvvisamente zittita. “OMMIODDIO SONO ARRIVATI!”

Alice indicava verso Hope e Hope avrebbe tanto voluto sprofondare.

“ODDDIOOOOO” strillava Olivia dall’altra parte del telefono.

 

Harry si prese un attimo per guardare Alice e Tara e salutarle.

“E dov’è Hope? Non ditemi che ci ha dato buca!” esclamò Liam.

“no” rispose Alice. “E’ là, è al telefono con un’amica.” Si voltò leggermente e la indicò.

 

“HOPE CAZZO RIPRENDITI” Olivia non poteva crederci. Era in mezzo ad un giardino ornato da mille fiori che le davano fastidio al naso, la pancia gonfia come un palloncino per aver mangiato già un sacco e il vestito cominciava a stringerle troppo. Ma adesso aveva un compito più importante: Hope era paralizzata. E non poteva permettere ad una sua amica di fare una figura di merda come quella.

“Credo…credo…” sentì dire ad Hope appena sussurrato. “Credo che adesso debba andare…”

“SI CAZZO CERTO CHE DEVI ANDARE!” urlò Olivia al telefono. Non le importava se tutti gli invitati la sentivano. Doveva scuotere la sua amica. “Hope, LUI è un ragazzo normale!” disse in un impeto di saggezza. “E’ sempre il tuo Nola, o come cavolo si chiamava, è sempre lui, pensa a questo.”

Hope prese coraggio e sospirò. “va bene. Adesso mettiamo giù, che dici?”

 

Quando Hope sorrise e disse ‘ciao’ al telefono, Alice capì che era il momento di entrare in gioco e cercare di distogliere l’attenzione da Hope e da Harry. Ma Tara la precedette “Io ho una voglia tremenda di gelato.” disse. Niall e Liam si voltarono immediatamente verso di lei. Tara fece un sorriso amabile. “Avete qualche posto da consigliarci?”

 

Dopo che Hope si era scusata per essere stata al telefono e dopo essersi presentata a tutti, si voltò verso Harry. E lui avrebbe tanto voluto non essersi portato dietro i suoi amici.

“Ciao” le disse, sorridendo.

Hope non capiva come facesse a stare in piedi da sola: aveva le ginocchia molli. Fece un passo verso di lui, con un coraggio che non conosceva, e rispose “Ciao.”

Alice e Tara stavano parlando con gli altri quattro ragazzi su dove fosse esattamente una gelateria, distraendoli. E Hope, di nuovo, si prese un appunto per ricordarsi di costruire una statua sia ad Alice sia a Tara sia ad Olivia.

Hope lo guardò dritto negli occhi ma venne distratta subito dall’enorme quantità di capelli di Harry.

“Io sono Harry” disse lui.

Hope riportò gli occhi sul viso di lui. “Molto piacere, io sono Hope.”

Ebbero il primo contatto quando si strinsero le mani.

Hope lo riteneva una cosa ridicola: si conoscevano già.

Harry si sentiva un’idiota: si conoscevano già.

 

Per tutto il tragitto, dal parco alla gelateria, Alice seppe tenere in piedi una conversazione coinvolgendo anche Hope. Tara si limitava ad inserirsi ogni tanto, per fare da contorno.

Ma Alice sapeva che stava andando tutto bene soprattutto se continuava a tenersi a mente che loro NON erano gli One Direction, ma dei ragazzi normalissimi.

 

Arrivarono alla gelateria qualche minuto dopo e Hope si trovò per prima a dover scegliere i gusti. Sparò Mango e Cocco, i primi che le vennero in mente. In realtà il Mango non l’aveva mai assaggiato e il Cocco, dopo un po’, la stufava. Prese il cono e uscì dalla gelateria per fare spazio agli altri. Si appoggiò ad un panettone esattamente dall’altra parte della strada, in pieno sole. Aveva cominciato a tremare, di nuovo, e non per il freddo. Ma il sole la tranquillizzava. Harry la raggiunse meno di trenta secondi dopo.

Si sedette vicino a lei e prese a guardarla: aveva le labbra lucide dal gelato e il bianco della sua pelle sembrava essere il riflesso dei suoi occhi.

“Che c’è?” chiese Hope sentendosi a disagio.

“Niente” rispose lui “Ti piace il gelato?”

“Si…” rispose lei. Era strano sentire la sua voce ed associarla ad un ragazzo come lui. Non avrebbe mai immaginato che lui fosse così. “Anche se il mango non l’avevo mai provato”

Lui rise “ e allora perché l’hai preso?”

Hope scrollò le spalle. “tu cosa hai preso?”

“marzapane e tiramisù”

“una cosa leggera.”

“tanto per tirare a sera.”

Si ritrovarono a ridere.

 

Alice lanciò un’occhiata sfuggente fuori dalla vetrina. Hope e Harry ridevano.

“Allora Alice?” chiese Louis. “Stiamo aspettando solo te!” Alice aveva bloccato la fila da un minuto intero da quando Harry era uscito.

“Ci sono talmente tanti gusti…” si lamentò lei.

Avrebbe voluto lasciarli lì, da soli, per sempre: Hope era stupenda e Harry sembrava farle bene.

Ma Alice non potè continuare la farsa del ‘non-so-che-gusti-scegliere’ troppo a lungo sennò sarebbe stato palese che lo stava facendo solo per lasciarli un attimo da soli.

 

“No, cara mia, non è andata esattamente così” disse Tara ad Alice.

Erano di nuovo nel parco, avevano quasi finito i gelati, e Alice stava raccontando un aneddoto di quando erano andate in campeggio.

Hope stava sgranocchiando il suo cono, cercando di non sbrodolarsi la maglietta. Harry era accanto a lei, alla sua destra e le loro braccia si sfioravano ogni volta che uno dei due faceva un movimento. Ed era una scarica di adrenalina dolce per Hope, ogni volta.

“Confermi Hope?” chiese Tara.

“Confermo” rispose Hope, finendo il cono. Si alzò, per andare e lavarsi le mani nella fontana. “Dico solo che è arrivata la polizia da quanto baccano avevi fatto.” Disse rivolta ad Alice.

“Guarda che TU avevi gridato come una pazza.”

“Per un insetto.” Disse Luois.

“SI PER UN INSETTO!” risposero in coro Alice e Hope.

“Cosa sarà stato? Una cimice?”

“No” rispose Alice mentre Hope si allontanava “Era grosso così…”

Hope immerse le mani nell’acqua e se le strofinò. Quando si alzò per poco non cadde nella fontana: Harry era accanto a lei e non se ne era nemmeno accorta.

“Che spavento” disse Hope.

“Faccio questo effetto di solito.”

“ma che modestia.” Disse Hope. Poi gli scrollò addosso le mani bagnate.

 

Liam si allontanò di qualche passo quando ricevette una telefonata. Ma Harry non se ne accorse neanche. Era troppo concentrato a parlare ad Hope delle sue, di lei, fobie, in particolare quella degli insetti. Alice, Tara e gli altri tre parlavano di un locale al centro di Londra.

“Cioè fammi capire. Se tu sei a casa da sola, cosa fai?”

Hope aggrottò la fronte. “Non saprei. Cerco una stanza libera e mi chiudo lì dentro.”

Harry rise.

Hope era estremamente sorpresa dai capelli di Harry. Erano tanti e sempre disordinati. Li teneva apposta così? Probabilmente si. Gli davano un’aria da ragazzo selvaggio, da ragazzo della strada che sicuramente faceva impazzire le sue fan.

“E lasci l’insetto nell’altra camera? E se hai fame?”

“Ho scorte di cibo illimitate nella mia stanza.”

Harry rise di nuovo.

“E comunque penso lascerei Strike, il mio gatto, nella stanza incriminata. Ci penserebbe lui! Ma come fai a non avere schifo?”

“Ma sono insetti!”

“Appunto! Fanno schifo, a parte le farfalle ovviamente.” Hope fece un sorrisetto. “Io comunque starei molto attenta se fossi in te.”

“Perché?”

Gli occhi di Harry erano di un colore particolare e Hope si prese un attimo per contemplarli. Poi gli guardò i capelli. “Quelli sono un ottimo nido per gli insetti.”

Harry si passò una mano tra i capelli automaticamente. Poi rise.

 

“Ragazzi abbiamo un problema” disse Liam tornando dalla telefonata.

Hope che stava ancora prendendo in giro Harry per i capelli, smise di ridere e sentì una voragine aprirsi all’altezza dello stomaco, esattamente dove l’aveva presa in pieno il treno carico di adrenalina dolce di qualche ora prima. Avrebbero dovuto salutarsi, lo sapeva.

“Sarebbe?” chiese Zayn.

“Dobbiamo andare in studio, c’è Fanny che vuole vederci.”

Hope si costrinse a fare un sorriso.

“Per cosa?”

“Servono le nostre firme per il contratto.”

Liam si voltò verso Hope e le altre due ragazze. “Potete venire anche voi, ovviamente. Sarà veloce.”

Alice non si controllò e disse “uao! Non sono mai stata in uno studio di registrazione!”

Hope trattenne una risata. Si sentiva su di giri. Potevano stare insieme!

 

Allo studio di registrazione, rimasero meno di un’ora. I ragazzi fecero fare un tour lampo alle ragazze e poi si rinchiusero per cinque minuti nella sala riunione mentre Tara, Alice e Hope si facevano un giretto da sole fino alle macchinette per il caffè.

Poi uscirono e optarono per un giro a piedi in cui, però, non parteciparono né Zayn, né Tara né Niall che si staccarono dal gruppo andando nella direzione opposta. Niall si era offerto di accompagnare Tara a casa dato che poi lui andava da quelle parti per vedere un amico. Harry non ricordava che Niall gli avesse detto di avere un impegno, ma intuendo il piano dell’amico, rimase in silenzio.

Quindi lui, Hope, Alice, Luois e Liam si diressero verso il lungo fiume parlando tra di loro di cosa volesse dire registrare una canzone.

Hope rimase in silenzio la maggior parte del tempo, limitandosi ad ascoltare. Durante il pomeriggio, infatti, aveva escluso l’idea che lui fosse famoso. Era riuscita a trattarlo e a comportarsi come se lui fosse un ragazzo normale, esattamente come Olivia le aveva detto, anzi urlato, al telefono. Ma ora era stata messa davanti al fatto compiuto, al fatto che essere famoso faceva parte della sua vita. E non poteva semplicemente ignorarlo. O forse si. Pensò che, per ora, poteva permetterselo. Voleva permetterselo.

 

Il pomeriggio non durò per sempre e le sei si avvicinarono più velocemente del previsto. Hope doveva andare: aveva un allenamento di pattinaggio alle sei e mezzo e non poteva saltarlo poiché Jean lo faceva solo per lei.

Le accompagnarono fino alla macchina di Alice.

“Va bene ragazzi” disse Alice. “E’ stato un piacere!” Prese a salutare Liam dandogli dei baci sulla guancia per poi passare a Louis. Poi finse di distrarsi additando qualcosa dall’altra parte della strada e Luois le diede corda, come aveva fatto per tutta la giornata.

Hope e Harry presero al volo l’occasione.

“E’ stato un piacere anche per me” disse Harry avvicinandosi un po’ di più ad Hope, appoggiata alla macchina, e allontanandosi dai suoi amici.

Hope lo guardò. Non sapeva definire come si sentiva. Sapeva solo che avrebbe pagato per tornare indietro nel tempo, non voleva che fossero le sei e che dovesse andare.

“Si…direi che è stato un bel pomeriggio.”

Averla così vicino non gli sembrava vero.

“E’ strano” aggiunse poi Hope. “Sono abituata a sentire la tua voce e basta. O a leggere i tuoi messaggi.”

“E così non è meglio?”

“Si. Di gran lunga.” 

‘Che cazzo ho detto?’ pensò immediatamente dopo. Si morse la lingua mentre si sentiva avvampare il viso.

 

Harry sorrise, vedendola arrossire furiosamente. Probabilmente se l’era lasciato sfuggire, visto che per tutta la giornata non aveva accennato a niente che potesse avvicinarsi a quello che sentiva per lui.

“Anche per me è di gran lunga meglio.” Disse Harry.

 

Hope avrebbe voluto scappare in macchina. Sollevò lo sguardo e si rese conto che erano troppo vicini.

“Ci sarà una prossima volta?” chiese Harry.

Hope si perse nei suoi occhi. “Si” rispose. “Sicuramente”.

Lo abbracciò, d’impeto.

Lui la accolse tra le sue braccia, dando pace al desiderio di sentirla ancora più vicina di quello che aveva fatto fino a qualche ora prima. Era una droga. Adesso che l’aveva tra le braccia, avrebbe voluto… avrebbe voluto…

“grazie” gli disse Hope.

Harry non capì. “Per cosa?”

Hope si staccò, anche se lui non era per nulla pronto a lasciarla andare.

“Per essere così come sei.”

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Capitolo 14
*** In un altro mondo ***


Capitolo 14 – in un altro mondo

 

Appena mise i pattini sul ghiaccio, capì che non sarebbe stato facile fare quell’allenamento. La sua testa era da tutt’altra parte rispetto a dove sarebbe dovuta essere. Non riusciva a prendere i tempi giusti, i salti erano pieni di esitazioni e si ritrovò molte volte per terra a seguito di un atterraggio sbagliato. Pensava continuamente ad Harry, anche quando si riprometteva di non farlo. Jean le urlò addosso parecchie volte ma lei… lei era in un altro mondo. E Jean capì che non c’era niente da fare, che sarebbe stata perfettamente inutile qualsiasi tattica avesse usato per riportarla nel mondo reale. Hope sembrava sorda, sembrava che non capisse la sua lingua, ma era sicurissimo di parlare in inglese, tranne quando avrebbe voluto ammazzarla perché non era concentrata. In quei momenti parlava francese, anche se, doveva ammetterlo, la sua lingua madre non rendeva molto l’idea. Non capiva il suo comportamento: fino a due giorni prima era quasi perfetta, i salti le uscivano quasi tutti, mentre quel giorno… quel giorno sembrava una pattinatrice che sapesse solo pattinare. La lasciò libera di andare mezz’ora prima del solito.

Hope si sentì in colpa quando uscì dal palazzetto. Sapeva di aver fatto schifo, no anzi, schifissimo ma ci aveva provato. E più volte. Ma non riusciva, non riusciva… automaticamente sfilò il cellulare dalla tasca e sospirò quando lesse il messaggio di Harry che le augurava un buon allenamento. Il suo cuore batté forte quando gli rispose e avrebbe voluto controllare il cellulare ogni secondo, durante il tragitto palazzetto-casa.

Quando rientrò, non aveva fame e si limitò a piluccare dai rimasugli della cena dei suoi. Poi si chiuse in camera e quando Harry la chiamò, come sempre e come se non fosse successo niente, le sembrò di rinascere.

Parlarono dell’allenamento e del pomeriggio passato insieme. Ora Hope lo sentiva davvero vicino, come se bastasse aprire la finestra e guardare la strada per vederlo.

Hope voleva rivederlo ma, allo stesso tempo, le si rivoltava lo stomaco solo a pensarlo. E si spaventò tantissimo. Si stava innamorando? Lui stava diventando una persona indispensabile per lei? No. Non voleva che fosse così. Era stato un bellissimo pomeriggio, ma obiettivamente era stato solo UNO. Come si fa ad innamorarsi di una persona dopo un solo pomeriggio? Temette che si fosse fatta fregare. Che credesse di essere innamorata solo perché lui era famoso.

Quella sera, quando spense il cellulare e si preparò per andare a letto, le venne in mente una frase che lui le aveva detto quando avevano parlato della sua esperienza in ospedale: come fai a sapere se una persona la ami sul serio, se quella persona magari è… che ne so, famosa? Come fai a capire se i tuoi sentimenti sono veri oppure sono falsificati da quell’aurea di popolarità che gli sta attorno? . E Harry aveva terribilmente ragione. Molto probabilmente si era riferito a se stesso. Hope si sentì stringere il cuore. Eppure era stato fantastico… se lui non fosse stato Harry Styles avrebbe provato le stesse cose? Probabilmente non c’era una risposta universale a questa domanda.

‘E’ inutile farsi tutti questi problemi’ si disse mentre si sedeva per togliersi le scarpe ‘prima devo solo imparare a conoscerlo.’ Si alzò per metterle via. ‘Per ora mi piace ma devo impedire a me stessa di farmi coinvolgere troppo e…’ Non riuscì a finire il pensiero. Le venne un capogiro fortissimo e fu costretta ad arretrare per sedersi di nuovo sul letto.

Si tenne la testa mentre pensava a quanto fosse stata stupida a non aver mangiato quasi nulla per cena, dopo un allenamento e un giorno impegnativo come quello. Si mise a letto ammucchiando il resto dei vestiti in fondo al letto, dove Strike ci si appallottolò appena Hope si addormentò.

 

Non passò molto tempo prima che uscissero insieme di nuovo. Alice e Hope dovettero, infatti, passare una giornata intera a Cambridge  per cominciare ad organizzare le cose. Visitarono l’università un’altra volta, non saziate a sufficienza dalle visite organizzate durante l’anno scolastico. Visitarono gli alloggi e si segnarono quelli migliori. Anche se si erano iscritte a due indirizzi diversi in due aree diverse del campus avevano deciso che sarebbe stato fantastico se avessero condiviso l’appartamento. A pranzo avevano mangiato nella mensa dell’università sentendosi completamente spaesate da quella atmosfera.

In contemporanea, ad Oxford, Tara aiutava Olivia a trattare con alcuni ragazzi per l’appartamento. Era situato vicino al campus ed era abbastanza grande per ospitare anche una terza persona oltre ai due coinquilini.

 Le quattro si sarebbero poi riunite a Londra, dove avevano appuntamento con i ragazzi. Olivia era totalmente eccitata e si era ficcata nella borsa i tre cd del gruppo che si sarebbe fatta autografare ma a fine serata, come aveva promesso ad Alice ed a Hope.

 

Quando Hope scese dalla macchina, Harry e gli altri erano già lì ad aspettarle. Hope portava la felpa dell’università, leggermente grande.

“Ho fame” sentenziò Alice dopo aver salutato tutti. “Andiamo, vi prego.”

Si diressero in un semplice fast food e ordinarono patatine, panini e da bere per tutti e se li portarono nel vicino studio di registrazione, a quell’ora vuoto. Si misero in sala riunioni e chiacchierarono tutto il tempo.

“Come è andata la visita a Cambridge?” chiese Harry a Hope.

“Non male” rispose lei. Lui le guardò la felpa che portava: era di Cambridge e le stava leggermente larga.

“E’ stata stupenda” si inserì Alice seduta vicino a Hope. “E’ una cosa… pazzesca.”

“E Oxford?” chiese Niall a Olivia.

Questa ci impiegò qualche secondo a rispondere. Non si capacitava ancora del fatto che stesse cenando con il suo gruppo preferito, che stava parlando con loro come se fossero chiunque. Se Hope avesse potuto leggerle la mente, avrebbe scommesso che Olivia stesse pensando ‘mio dio non posso credere che sto parlando con un figo come te’. E Hope era sicura che questa frase se la ripeteva ogni volta che uno dei cinque ragazzi le rivolgesse la parola.

“E’… è fantastica. Insomma voglio dire… è Oxford.”

Alice fece una smorfia.

Olivia la fulminò.

“Come mai questi scambi di sguardi?” chiese Liam che non si era lasciato sfuggire l’atteggiamento delle due ragazze.

“Non chiedere” disse Tara posandogli una mano sul braccio. “E’ meglio non chiedere.”

“Cosa hai da dire Alice?” chiese Olivia.

Hope scosse lentamente la testa e guardò Harry, il quale aveva un’aria interrogativa.

“Io?” rispose Alice. “Niente. Sai cosa penso al riguardo…”

“Ci risiamo” sussurrò Hope a Harry. “Oxbridge” Harry non capì.

“Be’ e come al solito ti dico che ti sbagli di grosso. Insomma Cambridge proviene da Oxford. Voi siete nostri sottoposti.”

“Si certo.” Disse Alice sorseggiando la sua coca cola. “E voi siete solo dei fighetti”

“Ti ricordo che quella è un’università fondata solo da un gruppo di deboli buttati fuori da Oxford.”

Alice posò il bicchiere di cocacola sul tavolo con un po’ più di impeto del solito. “Siete voi i deboli! Oh io sono laureata ad Oxford, guarda cosa ho qui…” fece il verso ad un laureato. “Poi non sapete tradurre un cazzo.”

Hope ridacchiò.

“Ah si ma certo! Peccato che noi siamo l’università migliore al mondo!”

“Facile dirlo. Il ranking l’avete truccato.”

“CHE COSA?! E’ una fonte ufficiale, Alice non arrampicarti sugli specchi! Adesso mica mi dirai che anche la regata di quest’anno l’abbiamo truccata per vincerla!”

“No” Alice succhiò della cocacola dal fondo del bicchiere, facendo rumore. “Quella ve l’abbiamo lasciata vincere”

Hope guardò Alice sorridendo.

La guerra tra Alice e Olivia su Cambridge e Oxford non era nuova. Per tutto l’anno scolastico, da quando avevano fatto domanda fino a quel giorno, si erano scontrate, immergendosi completamente nell’atmosfera universitaria come se fossero studentesse a pieno titolo. Olivia sosteneva che Cambridge fosse la brutta copia di Oxford e Alice diceva che quelli di Oxford erano così pieni di sé che il rettore pensava di allargare gli appartamenti.

“Lasciata vincere?” chiese Olivia sporgendosi leggermente sul tavolo. I ragazzi seguivano la conversazione come se fosse una partita di ping pong: voltavano la testa a seconda se stesse parlando Alice o Olivia.

Tara, dal canto suo, era concentrata sul cellulare, abituata a questo tipo di discussione a cui si sentiva estranea. “Questa la voglio proprio sentire” disse Olivia incrociando le braccia.

“be’ si dai…” disse Alice come se fosse ovvio. “Insomma sarebbe stato degradante per voi vederci vincere per la seconda volta consecutiva. Così vi abbiamo dato false speranze.”

“False speranze? Oddio non ci credo che tu possa dire una cosa del genere Alice.”

“E invece la dico.”

“L’anno scorso avete vinto solo perché la gara è stata interrotta. Se fosse andata…”

“Oh non diciamo cazzate, guarda caso il ragazzo che si è buttato nel Tamigi era vostro. E questo dimostra che non siete normali nell’altro posto.”

“Qualcuno si è buttato nel Tamigi?” chiese Zayn.

“Si” rispose Tara. “Un pazzo.”

“Un pazzo di Oxford.” Aggiunse Alice.

Tara sollevò gli occhi al cielo

Olivia socchiuse gli occhi. “Abbiamo vinto perché ce lo meritavamo.”

“Meritare? Meritare? Ahahaha, certo. Hope dille qualcosa tu, sei tu che porta il nome dell’Università sulla maglia.”

Hope non avrebbe voluto intervenire. “Sono tutte e due università valide.” Disse.

“Oh ma dai” disse Olivia.

“Uhm, Hope dice così solo perché non vuole esporsi.” Spiegò Alice “ però ti dico solo una cosa, Olivia. Lei aveva fatto domanda sia per Oxford sia per Cambridge ed è stata accettata da entrambe. Ma poi ha scelto Cambridge. Vogliamo chiederci perché?”

“Perché evidentemente non ha valutato bene le cose” rispose Olivia prima che Hope avesse il tempo di rispondere.

“le ho valutate benissimo” rispose Hope, precedendo Alice. “Ho confrontato le due università e mi piaceva più Cambridge.”

Alice sorrise soddisfatta. Finalmente Hope aveva preso una posizione.

“Insomma, l’indirizzo scelto a Cambridge era quello che volevo, gli esami mi sono sembrati interessanti… e poi la struttura è fantastica!”

“Esatto” esclamò Alice. “tralasciando che siamo quelli che  hanno preso più premi Nobel nel mondo…”

Olivia fece una smorfia.

Hope continuò al posto di Alice “abbiamo un sacco di biblioteche, un giardino immenso, una mensa pazzesca, ci sono dei corsi di…”

“Da noi è stato girato Harry Potter” le disse Olivia.

Hope chiuse la bocca. Amava tantissimo i film di Harry Potter e una minuscola parte di lei aveva rimpianto, quando aveva scelto Cambridge, di non poter mangiare nella mensa con i quattro tavoloni della Sala Grande.

“uff” sbuffò Alice “Olivia piantala di tirare fuori la storia di Harry Potter. Sennò mi distruggi Hope…”

Le ragazze risero tutte insieme.

“Davvero Harry Potter è stato girato a Oxford?” chiese Louis.

“Si” rispose Hope. “Gli interni e la mensa soprattutto.”

Luois annuì ammirato.

“Tra l’altro adesso hanno aperto gli Studios.”

“Volevo proporti di andare ma devi prenotare tipo una settimana in anticipo e ti lascio immaginare i prezzi” disse Alice rivolgendosi a Hope.

Hope alzò le spalle. “Si ho letto che devi prenotare. Chissà quanta gente…”

“Un casino.” Rispose Alice. “Comunque dicevo: Olivia l’argomento Potter non vale…”

 

Rimasero nello studio di registrazione fino alle undici, cioè fino a quando le ragazze non dovettero andare via non prima che Olivia avesse tirato fuori i tre cd. I ragazzi furono entusiasti di autografarglieli e di farsi fare alcune foto.

 

Harry rimase fuori dallo studio finchè non vide la macchina di Alice e quella di Tara scomparire dietro l’angolo. Era stata una serata piacevole. Hope gli era stata a fianco tutto il tempo e prima di andarsene l’aveva abbracciato ancora, anche se per pochi secondi. Ma si accorse che cominciava a non bastargli più e i suoi amici cominciavano ad ingombrare troppo. Voleva stare da solo con lei. C’era da dire che, però, lei non mostrava nessun atteggiamento che potesse fargli capire che anche lei voleva di più, nessuna frase o occhiata che potesse fargli capire che da parte sua provava qualcosa. Harry improvvisamente pensò che aveva fatto una cazzata a scriverle una canzone: che in questo modo lei poteva essersi sentita esposta, aveva scoperto chi era e ora cercava di allontanarsi, spaventata da ciò che lui era. E Harry aveva sempre voluto evitare questo tipo di reazione. Oppure semplicemente non gli era piaciuto. Insomma, Harry Styles poteva anche non piacere! Certo, era una cosa rara… Eppure però era la seconda volta che si vedevano e Hope non aveva mai perso una sua chiamata o un suo messaggio. Che stesse aspettando? O, semplicemente, voleva solo essergli amica? Lo confodeva.

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Capitolo 15
*** Everything u do is Magic ***


Capitolo 15 – Everything u do is Magic

 

“Allora, basta con le cazzate, passiamo alle cose serie” disse Alice, mentre guidava in direzione Londra una settimana dopo, con a bordo Tara, Olivia e Hope. Le quattro, ovviamente, si stavano dirigendo verso il terzo appuntamento con i ragazzi.

“Hope allora??” Hope, che stava ridendo insieme ad Olivia per l’ultima cazzata detta da Tara, si volse verso Alice.

“Cosa allora??” chiese.

“Con Harry! Quando intendi uscirci seriamente?”

Hope smise di ridere. “In che senso? Stiamo già uscendo con loro!”

Alice fece un mezzo sorrisetto. “Uscirci seriamente Hope, dai, non fare la finta tonta… tu e lui da soli.”

“Io e lui soli?”

“Si!” Alice lanciò un’occhiata ad Olivia attraverso lo specchietto, che stava annuendo. “Insomma… direi che è giunta l’ora.”

“HARRY STYLES TI RENDI CONTO???” la strattonò Olivia prendendo il braccio di Hope.

Hope sorrise cauta. “Non saprei. Insomma io… lui è famoso.”

“E quindi?”

“E quindi non so cosa provo.”

“Che vuol dire?” chiese Tara.

“Con la parola ‘provare’ Hope intende sentire qualcosa di profondo, Tara” spiegò Olivia in tono pratico. “tipo il cuore che batte forte, la gola secca, non sapere cosa dire o cosa fare… cose che a te non succedono immagino.”

“AH AH AH.” Rispose Tara. “Aspetta che magari mi viene da ridere…NO, non mi viene. Peccato. Dicevi Hope?”

“Che no so cosa provo. Insomma ci pensavo settimana scorsa… Come faccio a capire cosa provo?”

“Facile.” Rispose Olivia. “Ti batte forte il cuore quando lo vedi?”

“Be’.. direi di si…anche…”

“bene. Diventi rossa se lui ti dice qualcosa di carino anche solo per messaggio?”

“Non mi vedo mentre leggo il messaggio ma chiaramente mi fa piacere. Però se…”

“Quando ti stacchi da lui non vedi l’ora di rivederlo?”

“Si, ma…”

“Senti le farfalle nello stomaco quando pensi a lui?”

“Be’ tecnicamente…”

“MA SOPRATTUTTO: pensi sempre a lui?”

“Per la verità cerco di evitarlo..”

“DIN DIN DIN!!! La signorina Knight vinceeeee! Per Harry Styles TU ,provi qualcosa!”

Tara e Alice imitarono lo scrosciare di urla e applausi di uno stadio.

Hope alzò gli occhi al cielo, sorridendo. “Io ho paura che quello che provo non sia per lui, per come è lui..”

“Che?!” chiesero in coro Olivia, Alice e Tara.

“che provi tutto ciò solo perché è famoso. Come faccio a capire che è un sentimento vero?”

Le ragazze si scambiarono uno sguardo. “Secondo me ti fai troppi problemi” disse Tara.

Hope lasciò perdere. Era difficile far capire cosa sentiva.

Alice lanciò un’occhiata ad Hope, seduta a fianco a lei, che si mise a guardare fuori dal finestrino. Sapeva che la sua amica non si impegnava da tempo con un ragazzo… e credeva che fosse sicuramente anche questo la causa del fatto che con Harry non riusciva a lasciarsi andare.

“Quel che è chiaro come il sole” disse Alice, dopo un po’. “E’ che a lui tu piaci.”

Hope si voltò verso di lei.

“Oh si, sisi, e non fare quella faccia.” Disse Olivia. “lascia perdere che è famoso. Voglio dire… ti ha voluta incontrare, ti offre il gelato..:”

“E’ disposto a sopportare Olivia che gli chiede sempre gli autografi…” disse Tara ridacchiando.

“zitta tu. Dicevo: ti offre il gelato, ti sta sempre vicino, ti tiene gli occhi puntati addosso…”

“non mi ha mai fatto intendere niente.” La interruppe Hope.

Olivia scoppiò in una risata forzata. “Mi prendi per il culo?” disse poi “Hope io l’avrei già baciato. A colpo sicuro. Insomma, l’ha detto pure lui no?”

Hope la guardò interrogativa.

“Ti ha scritto una canzone, Hope. UNA CANZONE. In cui, tra le altre cose, dice che avrebbe voluto baciarti. Okay può essere sulla guancia. Ma solo se hai qualche problema di comprensione. E ti chiedeva di diventare sua moglie. E’ chiaro come il sole. Una canzone… tu non sei normale. Un bacio questo qui se lo merita, sicuro, e TOCCA A TE fargli capire qualcosa.”

“non so nemmeno io cosa voglio capire.”

“Tu avresti dovuto baciarlo" continuò Olivia, come se Hope non avesse detto niente "Poi se ne sarebbe potuto parlare. Una canzone, porca miseria! Quando ci penso, mi gira la testa.”

 

Si trovarono all’entrata del parco. Arrivarono in contemporanea e decisero di dirigersi verso il fiume anche perché ad Alice era venuta una gran voglia di zucchero filato alla fragola ed era sicura di averne visto un distributore l’ultima volta che erano usciti. Erano pari, poiché mancava Liam. Alice si assicurò di lasciare Hope e Harry alla fine della fila, alla fine del gruppo, e cercò in tutti i modi di lasciarli un po’ in pace in modo da far capire la necessità di stare soli dopo 3 uscite. Anche perché risultava parecchio caotico uscire sempre in tanti e il rischio che qualcuno li riconoscesse era sempre presente. I ragazzi erano abili, però: avevano scelto una zona di Londra molto tranquilla (Alice non pensava ne esistesse una!), girava poca gente e la maggior parte aveva troppi anni per rendersi conto che i ragazzi erano famosi. Aveva come la sensazione che l’avessero fatto per Harry, ma ci perse poco tempo a pensarci sopra.

 

“guarda che questo è l’ultimo pezzo”

“Mi sento uno zucchero filato gigante Hope, mangialo pure tu.”

“Come ti pare”

Hope mise in bocca l’ultimo batuffolo rosa e dovette attraversare la strada per andare a buttare il bastonicino. Harry la aspettò mentre gli altri procedevano. Alice tirava dritta con accanto a Luois. Sembrava farlo apposta. Ma Harry si guardò bene dal lamentarsi.

“Adesso ho le mani appiccicose” si lamentò Hope, toccandosi le dita. “C’è una fontanella da queste parti?” Hope lo guardò e a lui venne da sorridere naturalmente, anche se non c’era una ragione precisa. I suoi occhi brillavano con quel sole, come gli occhi di una bambina.

Hope stava per rifargli la domanda, mentre lui la fissava, con quello strano sorriso. Capitava che Harry la guardasse in quel mondo e che sembrasse non capire al volo quello che diceva. Magari era distratto o pensava ad altro.

“Si.” Rispose. “un po’ più avanti”

 

“Che non ti passi neanche per l’anticamera del cervello di bagnarmi, Harry.”Hope si morse la lingua. Stava per aggiungre Styles, ma solo il cognome le faceva venire un brivido lungo la schiena. Harry si passò l’acqua tra le dita, poi si voltò verso di lei e sorrise.

“Per la verità non l’avevo pensato”

“Si certo.” Rispose.

Ad Harry piaceva quando lo chiamava per nome. E soprattutto quando questo nome non corrispondeva a Noah. Aveva cominciato ad odiarlo, quel nome, verso la fine della sua commedia.

Harry si asciugò velocemente le mani sui jeans e i due ripresero a camminare. Gli altri erano avanti una quindicina di metri ma né lui né Hope accelerano il passo. Nessuno aveva voglia di raggiungerli.

“Ah Hope… senti…” disse Harry poco dopo. Si era ricordato di una cosa quando si era asciugato le mani sui jeans, vicino alla tasca destra.

“Si?” chiese lei.

“Senti io…” Harry tirò fuori dalla tasca una busta stropicciata e si fermò. Hope guardò la busta, poi guardò lui. “Ho sentito che ne parlavi ad Alice, l’altra settimana, così mi sono messo a cercare e li ho trovati.”

Porse la busta ad Hope, che sollevando un sopracciglio, la prese molto lentamente.

“Non è un regalo, sia chiaro. Cioè è un regalo se ti fa piacere… però non l’ho fatto perché volevo farti un regalo, non è che…” ‘che cazzo sto dicendo?’

Hope aprì la busta e ci guardò dentro.

“Ecco, vedi. L’altra settimana avevi detto che ti sarebbe piaciuto, ma che non c’era posto e avreste dovuto prenotare..”

Hope lo guardò velocemente. Poi pescò dalla busta due rettangoli colorati con una striscia d’argento su un fianco , scritti con una grafia che riconobbe al volo come quella di Harry Potter  .

“ Li avevano dati a me e a Louis qualche tempo fa, insomma, dovevamo andarci, poi ci siamo dimenticati, con tutti gli impegni… Fanny ce li aveva dati dicendo che…”

 

Hope non sentì più nulla di ciò che Harry diceva. Le aveva appena regalato, o dato, due biglietti per gli Harry Potter Studios.

 

“credo che siano ancora validi. Non per tantissimo, quindi se vuoi andarci, ti conviene andarci in fretta se…” non finì la frase, gli fu impossibile.

 

Hope non seppe come e soprattutto COSA l’avesse spinta a farlo. Forse le parole di Alice e di Olivia qualche ora prima, o forse il fatto che si era ricordato di una cosa che aveva appena accennato lei la settimana precedente e ciò, per lei, poteva anche contare di più di una canzone. O forse tutte le cose: la canzone, i biglietti, lo stare sempre vicini, il sentirsi sempre… insomma, probabilmente TUTTO l’aveva spinta a baciarlo.

 

Harry non fece in tempo nemmeno ad accorgersi : le loro labbra si erano allontanate, le sue fragili mani erano già scivolate via dal suo viso e le parole che lei disse dopo arrivarono con molti secondi di ritardo quando lei già correva verso Alice, chiamata a gran voce, per darle la bella notizia.

 

Aveva preso tra le mani il viso di Harry, senza rendersene conto, e aveva posato le sue labbra su quelle di lui in un bacio dolce ma pieno di emozioni. Era fantastico: si era ricordato una cosa così insignificante…

“grazie” gli disse guardandolo negli occhi. Poi corse via.

 

Era corsa via quando lui ne voleva ancora. Voleva sentire le sue labbra, il sapore della sua pelle e stringerla tra le braccia. Ma era scappata via. Avrebbe ripensato a quel bacio milioni di volte.

 

Alice non aveva visto niente ma Louis era sicuro che qualcosa fosse successo dato che, dopo che Hope era arrivata correndo sventolando i due biglietti di Harry, il principe azzurro in questione era ancora immobile ad una ventina di metri di distanza, fissando con aria vitrea uno spazio di aria di fronte a lui a qualche centimetro più in basso. Era immobile e ci rimase il tempo necessario ad Alice per realizzare cosa fossero quelle strane strisce colorate che Hope le stava facendo ballare davanti al naso. Poi quando aveva iniziato ad urlacchiare anche lei, Harry si era ripreso e li aveva raggiunti a passo veloce, sorridendo. Louis lo conosceva bene ma quel sorriso era strano e quando Hope lo abbracciò subito dopo Alice, per ringraziarlo, Harry sembrò trattenerla un po’ di più come se se la volesse incorporare all’interno. Si era fatto un sacco di problemi mentali riguardo ai due biglietti: continuava a dire che non voleva metterla in difficoltà e non voleva spaventarla (“ma che cazzo dici?” aveva detto Niall “Mica si spaventerà per due biglietti degli Harry Potter Studios! Mica gli hai regalato due biglietti per l’arena di Hunger Games!”). Qualsiasi altro problema si fosse fatto ora sembrava dissolto nella felicità degli occhi di Hope, che non smise mai, mai di guardare.

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Capitolo 16
*** Soli ***



Capitolo 16 – Soli

Loop.

Cambio.

Piccola sequenza di passi.

Flip.

Passi e cambio.

Trottola bassa, rannicchiata, per sfruttare la massima velocità.

Jean le dice di alzarsi.

Trottola alta, prima con la gamba stesa, poi portata in alto e presa con il pattino.

Jean dice di sistemare la mano.

Sequenza media di passi.

Ultima giravolta.

Stop.

Hope rimase nella posizione finale un paio di secondi, per riprendere fiato. Jean battè due volte le mani e la raggiunse pattinando.

“Sci sono un po’ di cosette da sistemare, mon ange, ma siamo quasi vicino alla… perfection” le disse prendendole le mani.

Hope sorrise. Aveva il fiatone e moriva di sete.

“vedi… quando fai questo…” Jean le mostrò una mezza giravolta. “vorrei che quosta dolsce manina non stesse qui come un calsino steso al vonto” la mano di Jean penzolava su un fianco “… Deve essere sensuel, bien sure, ma onche aggrassiata, tresòr. In quosto modo…”

Hope annuì.

Jean le mostrò un paio di altre posizioni e perfezioni da attuare. Poi la fece pattinare in libertà, per sciogliere i muscoli e rilassarsi prima di salutarla e lasciarla andare negli spogliatoi.

Hope scavò nella borsa fino a trovare la bottiglietta d’acqua e ne bevve metà, sedendosi sulla panchina a riprendere fiato.

Poi si massaggiò le gambe e il petto. Era un a settimana circa che aveva delle fitte all'altezza dello sterno, soprattutto quando si allenava. Probabilmente era per la caduta spettacolare accaduta proprio una settimana prima. Era andata per terra di pancia, a mo’ di tappetino e aveva preso una bella botta. Poi si tolse i pattini. Infine si cambiò buttando la tuta in un sacchetto e i pattini in un altro.

Era andata allo stadio con addosso dei pantaloncini a mezza gamba e non vedeva l’ora di rimetterli. Si rifece la treccia, dopo aver messo la maglietta, si caricò la borsa sulle spalle e si avviò verso l’uscita.

“Ciaaaao”

“Ehi, ciao Sophie.” Salutò Hope passando davanti all’ingresso.

Sophie le fece un sorrisetto. “Ti ha distrutto Jean, eh?”

“Comincio a pensare che ha preso troppo seriamente questa cosa. In fondo a Settembre io vado a Cambridge. Di certo non potrò venire qui tre volte a settimana”

Sophie rise. “E’ capace di venire lui da te, tre volte a settimana”

“Oddio” sussurrò Hope, scherzando. “Non ci avevo pensato.”

“Se sei stata messa nella Hall of Fame senza aver vinto una medaglia, ci sarà un motivo.” Sophie indicò una foto di Hope di quando aveva 12 anni, appesa al muro dietro la scrivania. Era ancora una bambina ed era stata scattata in occasione di una gara provinciale in cui Hope era arrivata 4°. Era caduta durante un triplo Axel, che aveva fatto senza che Jean l’avesse approvato. Ma i giudici avevano apprezzato lo stesso. Hope, in quella foto, era sdraiata sul ghiaccio a pancia in giù in un vestito giallo e arancione, con le gambe alzate; i capelli erano legati in un cucù cosparso di brillantini; il viso infantile incorniciato in un trucco naturalmente coordinato al vestito. Hope, guardando la sua foto, fece un piccolo sorriso. Quanto l’aveva sgridata Jean per quel triplo Axel…

“Va bene Sophie, ti saluto.” Disse Hope.

“Ciao MON ANGE!” la prese in giro Sophie.

Hope le lanciò un’ultima occhiata divertita e uscì.

Appena fu fuori, nell’aria fresca della sera si guardò in giro. Con suo papà era sempre stata d’accordo che se lui non fosse stato fuori all’uscita, sarebbe dovuta tornare a casa a piedi. Nel dubbio, tirò fuori il cellulare dalla tasca e controllò che non ci fossero messaggi.

Ce ne erano due: uno di Harry che le augurava buon allenamento con uno smile a forma di bacio (lo smile le ricordò il bacio di due giorni prima. Pensiero che scartò subito, diventava viola solo a pensarci. Come le era passato per la testa di baciarlo?) e uno di Alice.

Lesse quello di Alice prima di avviarsi verso la fermata del pullman: “I tuoi genitori sono sistemati fino alle 11. Non fare tardi e soprattutto non ringraziarmi”.

Per un attimo pensò che si era sbagliata, probabilmente Alice avrebbe dovuto mandare il messaggio a Spence.

“Ehi.”

Fece un salto di qualche centimetro verso sinistra.

Harry era comparso a fianco a lei, senza che lei lo avesse sentito arrivare.

“Ommioddio che paura” disse Hope.

“Ti ho spaventata?” chiese lui sorridendo.

“be si… cioè no. Nel senso che non ti avevo visto.” Hope diventò rossa. “Che ci fai qui?”

Harry sorrise. “Volevo vederti.” Il cuore di Hope cominciò a martellare forte. “Da solo.” Aggiunse Harry.

Hope era rossa, lo sapeva. Non erano ancora usciti insieme da soli ed era passato solo un giorno da quando lei l’aveva baciato.

“oh” riuscì a dire.

“Ho chiesto ad Alice dov’era il posto in cui ti allenavi…”

Hope lo guardò negli occhi. Erano estremamente stupendi. Forse l’aveva già pensato un milione di volte al secondo da quando si erano incontrati la prima volta. Ma ciò che provava guardandolo era sempre un’emozione diversa.

“Ah..” ripeté mentre il cervello cominciava ad andare in stand by.

“Spero che sia stata una bella sorpresa.”

‘Sorpresa?’ pensò Hope non ricordandosi esattamente il significato della parola sorpresa. In realtà non riusciva a ricordare nessun significato di nessuna parola al mondo: era la prima volta che si vedevano dal bacio ed erano SOLI. Ciò significava qualcosa no?

Harry le lasciò tutto il tempo necessario per organizzare una risposta. Dal rossore e dal fatto che i suoi occhi erano incatenati a quelli di lei capì che Hope stava pensando al bacio. Per lui era un pensiero continuo e ormai ci aveva fatto l’abitudine.

“Oh… si, si molto bella. Cioè si, gradita.” Disse Hope riuscendo a liberarsi a stento dalla stretta di quegli occhi. ‘gradita?’ pensò ‘che cazzo ho detto?’. Ogni volta che lo guardava, le veniva in mente automaticamente il bacio. Compariva davanti ai suoi occhi, come una visione.

Harry fece un sorriso. “Sarai affamata dopo un allenamento come quello.” Disse. “Andiamo a mangiare?”

Hope rimase un attimo interdetta quando Harry aveva detto ‘un allenamento come quello’. L’aveva vista pattinare?

“Ehm.. si…” disse poi, pensando al messaggio di Alice.

“Okay. Vieni, ho qui la macchina. La borsa la puoi lasciare nel baule.”

Hope scaricò la borsa nel baule della macchina di Harry, accertandosi di avere il cellulare nella tasca dei pantaloncini e poi prese posto sul sedile del passeggero.

Harry mise in moto e la guardò “Okay, dove posso portarvi maestà?”

Hope rise.

Mangiarono insieme in un ristorante cinese/giapponese, conosciuto da Hope in quanto ci andava spesso con la sua famiglia. Presero involtini primavera, riso alla cantonese, pollo alle mandorle, spaghetti e un po’ di sushi. Hope fu obbligata da Harry ad imparare a mangiare con le bacchette, cosa che Hope si era rifiutata di fare più volte con i suoi. Ma Harry riusciva a convincerla solo con un sorriso. Hope ci impiegò un sacco a mangiare gli spaghetti e Harry non perse l’occasione di prenderla in giro. Risero e si divertirono moltissimo. L’imbarazzo che Hope aveva provato inizialmente si dissolse e scomparve per tutta la serata fino a quando Harry non la ripotò a casa.

Stavano tornando verso casa di Hope e lei era estremamente combattuta: avrebbe voluto rimanere con lui per altre infinite ore ma era anche terrorizzata nel farlo. Insomma: sarebbero stati soli, tirando tarda notte e… cosa si aspettava Harry da lei?

“Hope siamo arrivati” le disse dolcemente Harry, fermando la macchina. Hope guardò fuori dal finestrino e riconobbe casa sua.

“Ah…” disse semplicemente.

Harry uscì dalla macchina e lei fece lo stesso. Le prese la borsa e gliela diede.

“Be’… grazie per la serata” disse Hope dopo essersi caricata la borsa in spalla. Cominciava a sentirsi a disagio di nuovo: si sarebbe aspettato un bacio? Se faceva attenzione poteva sentire chiaramente una vocina nella sua testa (molto simile alla voce di Alice e Olivia) che rispondeva affermativamente alla sua domanda.

“E per la lezione” aggiunse.

Harry sorrise. “Figurati”

Si probabilmente si sarebbe aspettato un bacio. Ma Hope non se la sentiva proprio di dargliene uno. Anche perché si era scordata come si faceva.

Si sistemò la borsa sulle spalle e, con tutta la nonchalance che possedeva, gli stampò un bacio sulla guancia. Stava per staccarsi da lui, ma le sue braccia l’avevano circondata in un abbraccio. Sorrise entusiasta per il gesto di lui e ricambiò l’abbraccio. Poi lo salutò di nuovo e fece le scale. Tirò fuori le chiavi e pensò che avrebbe avuto assolutamente bisogno di altri suoi abbracci prima di andare dormire.

Si fermò a pochi centimetri dall’infilare la chiave nella serratura. Voleva stare con lui e il suo istinto le disse di soddisfare quel bisogno. Si voltò. Harry era in fondo alle scale, le mani affondate nella felpa che la guardava.

Hope aveva la chiavi in mano, la borsa pesante in spalla ed era stupenda con la luce tenue del cielo. Harry la guardò sorridendo: se avesse fatto attenzione, avrebbe potuto sentire le rotelle del cervello di Hope girare all’impazzata.

Hope aprì la bocca per dire qualcosa, poi si fermò, mordendosi leggermente le labbra.

“Ti va un gelato?” le chiese Harry.

Hope lo guardò dritto negli occhi. Le aveva fornito una scusa perfetta.

“Si, direi che ci sta.”



“Fa freschino stasera eh?” chiese Hope finendo il suo gelato. Aveva scelto le creme ed era andata sul sicuro quella volta. Aveva finito il gelato prima ancora di Harry.

“hai freddo?” chiese Harry mentre Hope si risedeva accanto a lui. Erano su una panchina, su una collina che dava sull’enorme parco.

Hope scrollò le spalle.

“Reggi” le disse porgendole il gelato. Hope lo prese e Harry si tolse la felpa.

Hope lo guardò sorpresa. “Ma no Harry non fa niente…” gli disse, imbarazzata.

Lui le porse la felpa “Non voglio farti venire il raffreddore sennò quando ci vai agli Harry Potter Studios?”

Hope accettò dopo qualche secondo. Gli porse il gelato e si prese la felpa. La indossò e Harry la guardò.

“Come sto?” chiese.

Ovviamente la felpa le stava grande.

“Benissimo. Come sempre.”

Hope lo guardò negli occhi e i due si scambiarono un lungo sguardo.

“Grazie.” Disse Hope sorridendo e tirando le gambe sulla panchina portandosele al petto.

Non era arrossita ma era estremamente compiaciuta.

Harry finì il suo gelato, si alzò per buttare il tovagliolo e quando tornò si azzardò a mettere un braccio dietro le spalle di Hope.

Hope sentì un profondo brivido di adrenalina dolce lungo la schiena. Si impose di non rabbrividire.

“Com’era il gelato?” chiese.

Harry la guardò. “Buono. Ma devo ancora provare quello di Pensache”

“Non è Pensache! E’ Penzance!”

“Uguale.”

“Non è uguale!” ridacchiò Hope. “E’ come se ti chiamassi Noah al posto di Harry.”

Le aveva appena lanciato una frecciatina.

“Touché” disse Harry.

“comunque un giorno ci andiamo.”

“Certo. Mi hai fatto una testa così con questo gelataio, ora ci devo andare. Ma secondo me non supererà mai quello sotto casa nostra.”

“Lo supera, fidati, e di gran lunga.”

“Si certo.”

“Scommettiamo?”

“E cosa scommettiamo?”

“Se vinci tu, andremo sempre a quello sotto casa tua. Se vinco io, andremo sempre a Penzance.”

“Ma è lontanissimo!”

“Guiderai tu ovviamente.”

Harry rise. “va bene. Accetto la scommessa solo perché so di vincerla.”

“E mi porterai quando ho voglia.” aggiunse lei.

“va bene.”

“giuralo.”

“giuro.”

“Anche se è alle due di notte?”

“Se mi sveglio…”

“ti sveglio io.”

“E come?”

“Ti chiamerò ogni minuto. Chiamerò casa, cellulare, Louis…”

Harry rise “Okay okay. Anche se preferirei svegliarmi in un altro modo…”

Hope stava per chiedere come ma si bloccò appena in tempo. Harry la guardava in modo strano, malizioso.

never in your wildest dreeeamsssRispose Hope dopo un attimo, canticchiando una loro canzone*.

Harry scoppiò a ridere.



“Sei brava a pattinare.”

Hope era appoggiata alla spalla di lui, sempre con le gambe al petto. Il braccio di lui non aveva cambiato posizione ed era stato tentato, più di una volta, nell’abbracciarla stretta. Il profumo dei capelli di lei gli riempiva le narici ogni volta che lei muoveva la testa.

“Mi hai vista?” chiese lei quasi in sussurro. Erano rimasti in silenzio da un paio di minuti, il vento che accarezzava le foglie degli alberi circostanti creando un’atmosfera da sogno.

“Si. Stasera allo stadio. Sei… sei davvero… brava.” Avrebbe voluto dire bellissima, stupenda e fantastica ma non riuscì ad esprimere alcuno di questi aggettivi.

Hope lo guardò, piegando la testa all’indietro.

Harry ebbe una voglia improvvisa di baciarla così, al contrario. Ma non fece in tempo. Hope risollevò la testa.

“Lo dici solo perché vuoi andare di nuovo dal cinese.”

Harry fece mezzo sorriso. “Si in realtà è per quello.”

“Non ho mai vinto un singolo premio.”

“Non ci credo.”

“te lo giuro.”

Stavano tornando alla macchina. Per Hope cominciava ad essere tardi: i suoi si sarebbero insospettiti.

Si infilarono nella macchina e Harry mise in moto.

“Ho preso un sacco di medaglie di legno.”

“Come mai?” chiese Harry mettendosi in strada.

“Perché come dice Jean, sono una tostona”

“tostona?”

“Testona. Lui è’ francese. Non parla benissimo l’inglese. Ma mi piace. Comunque si. Sai, i balletti sono programmati. E io facevo sempre qualche fuori programma.”

“Fuori programma?”

“Si. Facevo salti o trottole in più perché volevo strafare. Perché vedevo le altre, magari più grandi e naturalmente più brave, e volevo farli anche io.”

“Invidiosa?”

“Be’ immagino di si. Infastidita anche. Perché le altre si e io no? Jean mi urlava dietro per giorni interi.”

“Come biasimarlo?”

“già. Ero terribile.”

“E adesso?”

“E adesso è diverso. Dopo l’anno scorso che ho avuto…”Hope si bloccò. Lui le lanciò una veloce occhiata, attento alla strada.

Stava per dirglielo. Stava per dirgli cosa le era capitato. Ci pensò un secondo: non poteva assolutamente. Non poteva. Non gliel’aveva mai detto, lui ne sarebbe stato sconvolto.

“Dopo che l’anno scorso ho avuto una brutta caduta” concluse prima che lui si insospettisse per la lunga pausa. “Diciamo che ho preso una bella botta. E ho imparato la lezione.”

“Così sei cambiata.”

“Si sono cambiata.”



“Rieccoci qui.” Disse Harry davanti alle scalette della casa di Hope. Lei aveva lasciato la borsa del pattinaggio nel garage dei suoi, prima di andare a prendere il gelato.

“Già” disse Hope.

Era stata una bellissima serata. Un’altra bellissima serata.

Harry le sorrise.

Hope avrebbe voluto dirgli che anche lui ‘stava benissimo. Come sempre’; anche con niente addosso probabilmente. Hope arrossì per il pensiero.

Harry avrebbe pagato qualunque cifra e fatto qualsiasi cosa per sapere cosa le stesse passando per la testa. Voleva sapere se voleva un bacio, se voleva, invece, aspettare, se voleva baciarlo lei, se voleva semplicemente dirgli che era stato fantastico, che si era divertita… Non sapeva cosa fare.

Poi si ricordò le parole di Louis, il giorno stesso del bacio, tornati a casa. “Avete tutto il tempo del mondo.” aveva detto Luois. “Prendila con calma; lei ti ha baciato quindi sa cosa vuole e quando lo vuole. Baciala quando ti sembra che lei stia aspettando quello, quando ti guarda negli occhi, quando siete vicini. Non fare niente di inaspettato: io farei così. Avete tutto il tempo del mondo, Harry. Non avere fretta.”

E Harry capì che Louis aveva perfettamente ragione: avrebbe voluto tanto baciarla, prenderla tra le braccia e sentire il sapore delle sue labbra. Ma sarebbe stato tutto di fretta e, se aveva capito una cosa di Hope, era che lei non aveva fretta, non l’aveva mai avuta. E poi meno baci si sarebbero dati, più sarebbe stato bello aspettare e immaginare qualcosa che, di certo, sarebbe stato inimmaginabile.

Così Harry sorrise ancora di più.

Hope si sentì rassicurata da quel sorriso. C’era qualcosa nei suoi occhi che le fece capire che era tutto okay. Si avvicinò di un passo e lo abbracciò in punta di piedi, come sempre aveva fatto.

Lui le circondò il corpo con le braccia ma se la tenne stretta a lungo.

“Lo rifacciamo?” chiese Hope, in un sussurro.

Harry sorrise. “Si.” Rispose.

Sentì Hope cominciare a staccarsi e lui stava per fare lo stesso quando si rese conto che lei si era solo voltata leggermente per dargli un bacio sulla guancia.

Il bacio non finì esattamente sulla guancia ma pericolosamente vicino alle labbra. Fu un bacio dolce e soprattutto molto più lungo degli altri che, di solito, gli dava quando c’erano gli altri.

Harry dovette lottare con tutte le sue forze per non girare la testa di qualche millimetro per trasformare un ‘quasi-semplice’ bacio sulla guancia, in un bacio vero e proprio. Ma alla fine Hope si staccò, lasciando le sue braccia attorno al suo collo.

Harry non mollò la presa dai suoi fianchi.

Hope non era rossa ed era sicuro che anche lei si era accorta di quello strano bacio.

Lo guardò negli occhi.

Hope guardò i suoi occhi, poi il suo viso. Voleva studiarselo bene come un libro di scuola, da ripetere, anzi, da sognare, durante la notte. Gli studiò il profilo del naso, il disegno delle labbra, i lineamenti del viso, marcati ed estremamente belli. Poi guardò i suoi capelli e sorrise.

Sul viso di Hope si disegnò un tenero sorriso. E ad Harry venne naturale sorridere anche lui. “Che c’è?” le chiese quando notò che il sorriso di Hope si allargava diventando divertito.

“I tuoi capelli.” Disse poi. “giuro che non ho mai visto un ragazzo con questa quantità pazzesca di capelli.”

Harry e Hope risero insieme e vicini.

Poi Hope lo abbracciò velocemente una seconda volta, prima di salutarlo ed scomparire dietro la porta di casa sua.

Harry mise in moto pensando che doveva assolutamente trovare il tempo di venirla a trovare un’altra volta.

Ma mai più ebbe la possibilità di ripetere ciò che era successo quella sera.

* Best song ever - One Direction

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Capitolo 17
*** Mai più ***


Ehi ciao!
Rieccomi qui con una nuova serie di capitoli. Mi scuso per il piccolo ritardo, teoricamente avrei dovuto pubblicare ieri sera ma ho dovuto riguardare la storia perchè ho cambiato alcune cose. Però ehm ehm questa volta caricherò pochi capitoli. Sto andando cauta nel caso mi venga in mente di cambiare tutto. Come al solito vi ringrazio per aver letto fino al capitolo 16, insomma, è un gran risultato vedere il numerino delle persone che leggono che salesalesale. Vi voglio bene :')

Seconda cosa, ma non meno importante: ho CERCATO di scrivere 'Zayn' giusto, ma certe volte mi è scappato uno Zyan. Siate pazienti per favoore. Sopratutto le Zaynatrici (si dice?! Sembra una cosa brutta detta così ). Per il resto, spero vi piaccia, al solito :)
Buona lettura, 
un abbraccio stritolatutto
Emma ;)
Ps. i capitoli appena caricati sono un po' corti a dire la verità. Ma non disperate, recupererò!

Capitolo 17 – Mai più

Mai più ebbe la possibilità di ripetere ciò che era successo quella sera.

Alice e Hope andarono agli Harry Potter Studios dopo qualche giorno, entusiaste ed eccitate. Si divertirono moltissimo, tra bacchette, mantelli, negozi dove avevano girato il film. Alice diede sfogo a tutta la sua abilità di shopping, svuotando il portafoglio ben rifornito dai suoi, con la scusa che avrebbe portato regali a tutti. Fecero un sacco di foto, travestite e con le bacchette in mano in ogni stupida posa possibile, e Harry ricevette così tanti messaggi che Fanny si seccò moltissimo dicendogli che se non avesse messo via quel cellulare l’avrebbe buttato fuori dal gruppo a calci. Ma Harry era troppo felice per darle retta: vedere Hope con quel sorriso radioso in ogni foto era come assaggiare un pezzettino di un cielo senza nuvole. Sapere che lui era l’artefice di quel sorriso lo faceva sentire…. C’era un termine adatto? Probabilmente no. Louis lo osservò per tutto il giorno e, se avesse potuto giurare, avrebbe detto che mai aveva visto il suo migliore amico con indosso quel sorriso per così tanto tempo. Nemmeno quando gli One Direction erano diventati famosi, nemmeno quando loro cinque avevano girato il primo video della loro storia.

Lui e Hope si rividero circa la settimana successiva a casa di lui. Avevano deciso di andare a fare un giro fuori Londra, ma il tempo aveva cominciato a rannuvolarsi verso Ovest già dalla mattina e quando Hope e Alice erano arrivate a casa loro, il sole era già scomparso dietro le prime nuvole. Così avevano optato per un film, in particolare l’ultimo di Harry Potter, che i ragazzi avevano visto una sola volta.

“Non capisco come facciate” diceva Alice mentre Hope e Harry scendevano le scale. Hope gli aveva appena regalato una felpa dagli Harry Potter Studios per ringraziarlo dei biglietti: era nera con sopra scritto “Harry, il ragazzo che è sopravvissuto”.

Louis, Liam e Niall stavano ridendo sul divano tirandosi pugnetti e spingendosi scherzando.

“A fare cosa?” chiese Harry sedendosi su un altro divano e facendo posto a Hope.

“a fare gli idioti” rispose Alice sedendosi tra Niall e Louis.

“Perché?”

“Perché prima ci ha detto che lei preferisce altri tipi di film” ridacchiò Niall.

“piantala, non intendevo quello che hai inteso tu, con la tua mente bacata”

“Alice sei tu, noi abbiamo capito tutti la stessa cosa”

Alice prese il telecomando.

Harry mise un braccio dietro Hope. Lei gli rispose con un sorriso.

“Siete pronti?”

“Ehi Alice, ma questi fazzoletti a cosa servono?” chiese Louis indicando il pacchetto sul tavolo, insieme a patatine, bicchieri, pop corno, bibite e altro.

“Ad asciugare le…” Alice non fece in tempo a finire che i ragazzi scoppiarono a ridere. “Ma che palle…” si lamentò Alice.

“Ma sei tu!” protestò Niall. “Prima dici che ti piacciono altri tipi di film, poi dici che i fazzoletti sono per asciugare… attenti ragazzi, che adesso parte un pornazzo da paura!”

“Anziché Harry Potter e i doni della morte, parte 2, sarà Harry Porker e…”

“ZITTO, Liam, per favore, almeno tu!”

Il film cominciò e i ragazzi si zittirono, ma risero per altri cinque minuti buoni, scambiandosi sorrisetti e battutine maliziose.

Fermarono il film circa a metà. I ragazzi stavano cominciando ad essere intolleranti con le patatine, i pop corn e le bibite finite.

“Aaaaaliceeeee” cominciò a lamentarsi Niall. “Per favooooreeee vai a prendere la patatineeee???”

“E’ casa tua, vacci tu!”

“Per favooooreeee”

“vado io” disse Hope, agguantando le ciotole vuote.

“Sicura?” le chiese Harry. La vedeva leggermente strana. Forse era la luce, ma gli pareva fosse un po’ più bianca del normale.

“Assolutamente” lo tranquillizzò Hope. “La cucina è di là giusto?” indicò una porta dopo un corridoio.

Harry annuì.

“che brava che è la tua ragazza Harry” disse Niall. “Da sposare, proprio.”

Hope aveva sentito, ma non fece una piega e tirò dritta in cucina sparendo dietro la porta.

Alice tirò una leggerissima pacca sulla spalla di Niall mimando con le labbra “che cazzo dici?” e aggiungendo poi, ad alta voce “ti do una mano io Hope!”

Harry sorrise a Niall.

“No aspetta aspetta” disse Luois ad Alice, prendendola per un braccio.

“Ah meno male che c’è ancora qualche gentiluomo” disse Alice, pensando che Luois la fermasse per impedirle di fare la cameriera della situazione.

“Prendi anche queste” disse porgendogli due bottiglie di plastica vuote.

Alice lo fulminò con lo sguardo.

I ragazzi risero.


Hope prese il pacchetto nuovo di patatine dallo scompartimento in alto. Quel gesto le provocò un dolore allucinante all’altezza dello sterno.


“No ma scusa a cosa servono i fazzoletti, sul serio?” chiese Liam mentre Alice prendeva a bottigliate sia Louis sia Niall, che ridevano di gusto.

“E’ che… Hope… piange…sempre…quando…il…film…finisce!” disse Alice a ritmo delle bottigliate.

Louis agguantò la bottiglia, strappandola dalle mani di Alice.

“Ecco ora la metti tu nel cestino” disse Alice additandolo. Poi girò sui tacchi e si diresse in cucina.


Dovette appoggiarsi al lavandino. Il dolore era sempre più acuto e non riusciva più a respirare. Sembrava che un macigno di un milione di tonnellate si fosse appena seduto sopra il suo petto.

Alice percorse il corridoio a passo di marcia, sentendo ancora le risate dei ragazzi dal salotto.

Quando svenne, fece cadere il bicchiere di acqua che aveva riempito qualche secondo prima per cercare di riprendersi. Quello, rovesciando l’acqua sul pavimento e rompendosi in mille pezzi in un fracasso di vetri rotti, fece automaticamente correre Alice verso la cucina.

-No ti prego, non di nuovo- pensò Alice mentre entrava in cucina.

Hope era in piedi, con il bicchiere che evidentemente le era scivolato dalle mani, per terra.

“Sono un disastro vero?” disse Hope, sorridendole.

Alice avrebbe voluto vedere questo al posto di ciò che vide.



“999, qual è l’emergenza?”

“c’è bisogno di un’ambulanza al più presto”

“ok, qual è il suo indirizzo?”

“Queenslade Road 28893, Notting Hill, Londra”

“ok, arriverà tra poco. Qual’è il suo problema?”

“Una ragazza non respira più. Per favore, fate in fretta…”

Accadde tutto troppo velocemente per tentare di comprendere cosa fosse successo. Un attimo prima Hope era per terra e Alice diceva di chiamare l’ambulanza immediatamente. Un attimo dopo Alice riempiva di termini tecnici il medico dell’ambulanza mentre chiudevano lo sportello.

Il viaggio in macchina con Liam che spingeva sull’acceleratore, Louis che dava indicazioni.

L’entrata turbinosa in pronto soccorso. Liam che chiedeva informazioni ma gli veniva risposto che non potevano rilasciare nessuna informazione per la privacy.

Harry che non riusciva a reagire.

Liam e Louis che si mettevano a discutere con l’infermiera e convincerla, almeno, a lasciarli passare.

La porta che finalmente si apriva e Harry la superava come un treno.

Poi un’altra porta che si apriva, un medico a cavalcioni su una ragazza adagiata su una barella, che tentava la rianimazione con un massaggio cardiaco.

Era Hope.


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Capitolo 18
*** Attesa ***



Capitolo 18 – Attesa

Incredibile come la vita di una persona possa cambiare in un secondo. Un attimo prima vorresti che tutto ciò che hai intorno durasse per sempre, l’attimo dopo vorresti anche morire per toglierti da una situazione del genere.

Hope era solo svenuta, Harry non capiva perché Alice fosse andata così nel panico e non capiva come mai adesso portavano Hope in sala operatoria. Hope era solo svenuta. Perchè c'era bisogno di un massaggio cardiaco? Forse era proprio il non-capire che aveva reso Harry inerme.

Si era ritrovato a seguire Louis e Liam verso un’altra ala dell’ospedale, dove si trovava la sala d’attesa per chi, appunto, aspettava. Ma aspettava cosa?

Alice era già lì, bianca più che mai, sconvolta, due occhi che erano due buchi neri. Non aveva abbracciato nessuno quando li aveva visti arrivare, aveva il cellulare in mano e camminava avanti e indietro come in preda ad un attacco isterico.

“Non si sa niente” si era limitata a dire quando l’avevano raggiunta.

“Ma cosa è successo?” chiese Louis, tenendo un braccio sulle spalle del suo amico che ancora non aveva trovato la forza di parlare, troppo sconvolto. “Abbiamo visto Hope… la rianimazione..”

“Ha avuto un arresto cardiaco” disse Alice, cercando di essere fredda (con scarissimo successo) e non guardando nessuno dei tre. In Harry scattò un allarme interno: c’era qualcosa di strano.

“Che cosa è successo?” richiese guardando Alice negli occhi.

Alice si sentì morire dentro per la centesima volta da quando aveva trovato Hope distesa sul pavimento della cucina. Non poteva mentire ad Harry. Non ad un Harry che non stava capendo cosa fosse successo. Era come colpire qualcuno alle spalle.

Stava per cedere, sotto lo sguardo profondo di quel ragazzo.

“Harry, io…” Alice sembrò addolcirsi e Louis si spaventò moltissimo da quel cambiamento repentino di atteggiamento. Il tono che Alice aveva appena assunto, l’aveva sentito solo un’altra volta nel passato: da sua madre, quando gli aveva comunicato che la nonna era scomparsa. Era piccolo e si ricordava come fosse rimasto sconvolto.

Ma Alice guardò dietro le spalle dei tre ragazzi e poi sussurrò “ Hannah…”.

Harry riconobbe i genitori di Hope. La madre aveva gli stessi occhi, i capelli rossi provenivano dal papà. Alice spiegò loro cosa fosse successo. Loro ascoltarono con facce tese, sempre più preoccupate. Solo il papà lanciò loro un veloce sguardo e un veloce tirato sorriso quando Alice nominò il luogo dello svenimento. Quando Alice disse che Hope era in sala operatoria, la mamma di Hope si portò una mano alla bocca, il papà strinse forte la spalla della moglie.

“E’ tornato, non è vero?” chiese Hannah ad Alice.

Alice non seppe rispondere. Non sapeva cosa rispondere. Non voleva rispondere.



Alice, la mamma e il papà andarono a parlare con il dottore e ancora una volta Harry si ritrovò a dover aspettare. Aspettare l’esito dell’operazione, aspettare Alice e le sue fottute spiegazioni.

Cominciava a perdere il controllo. Aveva sentito le parole della mamma di Hope. Cosa voleva dire che era tornato? Cosa era tornato?

Si alzò di scatto, ma Louis lo precedette e lo abbracciò forte prima che facesse qualsiasi cazzata.

“Voglio solo sapere cosa è successo” disse all’amico cercando di reprimere la voglia di sfondare qualche muro.

Louis lo strinse di più. Non sapeva cosa dirgli.


Niall e Zayn li raggiunsero dopo mezz’ora. Dissero poche parole, parlando con Liam e Louis, e tutti e cinque si ritrovarono seduti, in silenzio, senza saper cosa dire e cosa fare. C’era solo da aspettare.

Era quello che Harry faceva da un’ora, cercando di non arrabbiarsi, cercando di non dare di matto. Perché Alice non tornava? Perché i genitori di Hope non tornavano? Cos’era successo? Hope se ne era…

Gli venne da vomitare. Non voleva pensarci. Non avrebbe saputo affrontarlo.

Louis gli teneva un braccio attorno alle spalle. Niall, quello che di solito riusciva a trovare la cazzata da dire nei momenti meno opportuni, se ne stava in silenzio di fronte ad Harry e faceva a cambio con Zayn per chiedere informazioni all’infermiera al bancone. Liam era telefono: stava cancellando tutti gli impegni.

Aspettare. Doveva solo aspettare.


Alice tornò nel momento esatto in cui Liam chiudeva l’ultima telefonata. Harry scattò in piedi appena lei superò le porte che davano accesso alle sale operatorie.

Dei genitori di Hope, non c’era traccia. Questo, più il fatto che Alice aveva gli occhi rossi come se avesse appena versato un litro di lacrime, lo terrorizzò. Sentì il sapore del sangue in bocca. Si era morso una guancia pur di distrarsi dal solo pensiero che lei potesse non esserci più.

“Alice…” disse Liam, quando lei venne incontro loro asciugandosi una lacrima.

“Sta… sta bene” riuscì a dire lei in preda ai singhiozzi. “E’…E’ stabile.”

Harry sentì il suo cuore fare un tuffo e gli sembrò di tornare a respirare.

“Adesso è in terapia intensiva” aggiunse. “I suoi sono con lei.” Alcune lacrime le scivolavano ancora sulla guance.

Liam la fece sedere.

“Ma cosa è successo?” chiese Niall, dando voce ai pensieri di Harry.

Era viva. Era ancora viva.

“Ha… ha avuto un’emorragia interna.” Alice prese un fazzoletto tutto stropicciato dalla tasca. “è per quello che è svenuta…”. Usò il fazzoletto per asciugare le lacrime, che non riuscivano a smettere. Harry ricominciò a preoccuparsi. C’era qualcosa di strano nella sua voce.

“Un’emorragia?” chiese Louis. Anche lui aveva registrato qualcosa di strano: le lacrime di Alice potevano essere di sollievo, ma cominciavano ad essere troppe.

Harry era ancora in piedi e fissava Alice.

“Si…” rispose “E ha avuto un arresto cardiaco. L’hanno portata in sala operatoria… l’hanno rianimata e hanno fermato l’emorragia.”. Volse lo sguardo verso Harry. “Hope è…” non riuscì a finire la frase. Si nascose il viso tra le mani e cominciò a tremare. Piangeva di nuovo. Niall l’abbracciò “tranquilla” le disse “è tutto a posto… tranquilla.”

Alice si rifugiò nella sua spalla ma Harry avrebbe voluto scrollarla per chiederle perché cazzo piangeva.

Dovette calmarsi e aspettare di nuovo.

Quando Alice si fu ripresa, fece un lungo respiro prima di volgere lo sguardo su Harry un’altra volta.

“C’è una cosa che non ti ha detto” disse. “che non ti ha detto perché non voleva farlo. Non voleva perché…”

Si fermò di nuovo e guardò in basso. No, non toccava a lei dare una spiegazione ad Harry.

Le venne da piangere di nuovo ma cercò di controllarsi. Per Harry, che più i secondi passavano più sembrava morire lentamente. Per Hope, che più i secondi passavano più cominciava a riprendere coscienza.

Alice sollevò lo sguardo. “Hope è malata, Harry.”

“Ma…malata?” chiese con la voce roca.

Il suo mondo cominciò a scricchiolare paurosamente. Se fosse stato un terremoto reale, sarebbe schizzato fuori dall’ospedale.

Alice annuì. “Si. Ha il cancro.”


Il suo mondo crollò silenziosamente. Macerie che mai più sarebbero diventate grattacieli si posarono all’interno delle sue ossa. Un treno in piena corsa lo colpì all’altezza dello stomaco. Sarebbe sicuramente caduto per terra se Luois non gli avesse stretto la spalla, costringendolo a rimanere nel mondo reale. Un mondo che per lui, adesso, non aveva più senso.

“L’ha avuto l’anno scorso.” continuò Alice, gli occhi lucidi pieni di lacrime che cominciavano a reclamare il loro posto. La distruggeva aver detto del cancro a Harry. Sapeva benissimo di aver ucciso una parte di lui. Gli occhi gli erano diventati d’improvviso un’ombra scura. La distruggeva vedere Hope, di nuovo, nelle grinfie di quella malattia. “l’aveva sconfitto, ne era venuta fuori. Voleva una vita normale.” Alice non tolse lo sguardo da Harry nemmeno quando le lacrime cominciarono a gocciolarle sulle gambe. “Ci era riuscita, ce l’aveva fatta. Ha fatto i controlli meno di due mesi fa… prima che vi incontraste la prima volta. Era tutto ok.”

Alice si alzò e si avvicinò a Harry.

“Harry mi dispiace un sacco…” gli disse.

Harry la guardò. Alice piangeva.

Aveva voluto le spiegazioni? Ora le aveva e doveva gestirle. Cazzi suoi.

Alice gli buttò le braccia al collo e Harry la strinse, lottando contro se stesso per non piangere anche lui.

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Capitolo 19
*** Una giornata pesante ***


Capitolo 19 – Una giornata pesante

Passarono le due ore successive nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva.

Liam, Zayn e Niall erano andati via per incontrare Fanny e riprogrammare i loro impegni. Louis era rimasto in ospedale con Harry ed Alice. Aveva preso loro dei caffè dalla macchinetta del primo piano.

Quando il papà di Hope entrò in sala d’attesa, tutti e tre si alzarono e Alice gli andò incontro.

“Si è svegliata” disse con un filo di voce.

“Come sta?” chiese Alice.

“Bene.. ma la situazione non è delle migliori.”

Alice andò da lei, dandosi il cambio con il padre. Si poteva entrare uno alla volta, ma due persone andava bene lo stesso.

Il papà, James, guardò Alice scomparire dietro l’angolo, poi si rivolse ai ragazzi. “voi dovete essere gli amici di Hope.” disse con un tono che nascondeva la sua preoccupazione.

“Si” rispose Louis. “Era con noi quando…” Louis arrossì. Si sentiva tremendamente in imbarazzo. “quando è successo, insomma”

James fece un sorriso tirato. Poi guardò Harry. “tu sei Harry, giusto?”

Harry annuì.

“L’avevo capito dai tuoi capelli. Hope mi ha detto che ne hai tanti.”

Alice entrò in stanza il più piano possibile. Hope aveva gli occhi chiusi, apparentemente addormentata. Era bianca come la coperta sotto cui dormiva, le macchine facevano il classico bip assicurando che Hope stesse solo dormendo. Sua madre le era accanto e aveva gli occhi puntati su di lei, come se da un momento all’altro potesse scappare via.

“Alice…” sussurrò Hannah.

“Dorme?” rispose Alice.

“non proprio..” la voce di Hope era cotonata, come sbiadita, e debole.

Alice guardò la sua amica, la quale aveva leggermente schiuso gli occhi.

“Hope…” disse Alice lasciando la borsa sulla sedia e facendo il giro del letto. “Come stai?”

Hope fece un tenue sorriso. “tu?”

“io benissimo, tesoro… come vuoi che stia?”

“Sei bianca come il muro..”

Alice sorrise e le accarezzò i capelli.

“Amore…” la mamma di Hope si avvicinò al letto, stringendo la mano di sua figlia. “Adesso io vado con papà a casa a prendere… a prendere la tue cose. Tu riposati, dormi. Stai qui.”

Hope annuì appena.

“Stai tu con lei Alice?”

“Assolutamente” rispose.

“Non c’è bisogno…” sussurrò Hope.

“Certo che c’è bisogno. Sia mai che scendi a prendere la cioccolata da sola!” borbottò Alice, seria.

Hope fece un sorriso molto tirato, guardando Alice. Poi disse: “mamma…”

“Si Hope?”

Hope sospirò. Era stanchissima. “mamma c’è…c’è una felpa scura sulla sedia della mia scrivania, è scura, con delle scritte…verdi… me la potresti…?”

“Certo tesoro.”

Hannah uscì salutando Alice con un cenno del capo.

Hope guardò Alice tentando di chiederle ancora qualcosa. Ma il sonno si prese le sue parole e la portò con sé.



“Sta dormendo” disse Alice ai genitori di Hope, quando tornarono. Li aiutò a sistemare alcune cose per Hope e poi tornò in sala d’attesa. C’erano ancora Harry e Louis.

“Sta dormendo” ripetè loro.

Poi guardò l’orologio. “Andiamo a mangiare.”

“No.” Riuscì a dire Harry.

Alice lo guardò con tenerezza “Harry, dobbiamo mangiare. Stare qui è inutile. Sta dormendo. Non so nemmeno se si risveglierà entro stasera, quindi potete andare a casa…”

“io voglio stare qui.”

Alice comprendeva perfettamente. Ma dovevano mangiare. “va bene. Ma andiamo a mangiare. Se dopo la vuoi vedere, devi aver mangiato. Non puoi sembrare più distrutto di quello che già sei.”

Harry stava per ribattere qualcosa ma si interruppe.

Louis lo guardò e gli fece un lievissimo cenno con il capo. Alice aveva ragione.



Aveva mangiato controvoglia. Sentiva ancora il panino stantio all’altezza della gola. Nemmeno la coca cola aveva lenito questo senso di nausea.

Alice e Louis avevano parlato un po’ del papà di Hope, ma senza emozione nella voce. Harry era rimasto in silenzio.

Liam l’aveva chiamato qualche minuto prima e gli aveva chiesto come andava. Harry non aveva saputo rispondere. Come voleva che andasse? Non lo sapeva. Una parte di lui avrebbe voluto scappare. Non avrebbe voluto vederla in un letto di ospedale, mai, nemmeno per tutto l’oro del mondo. Ma invece era lì in ospedale e non aveva altra scelta.

“Harry?” una voce femminile lo chiamò. I genitori di Hope erano tornati. Sua madre si era avvicinata a lui, senza che se ne accorgesse. “Sei Harry vero?”

Harry annuì.

“Hope ha chiesto di te.” Hannah sorrise. Poi si rivolse ad Alice. “Lo accompagni tu?”

Alice annuì con un sorriso che si potrebbe definire vagamente felice.

Harry guardò Louis il quale gli fece un sorriso rassicurante.

“tu sei un suo amico?” chiese Hannah rivolgendosi a Louis.

“Si tesoro.” Rispose James “Lui è Louis”

Harry lasciò Louis con i genitori di Hope e si avviò con Alice.

Prima di accedere alle camere, dovettero lavarsi le mani.

“Se fai avanti e indietro in continuazione non sei obbligato a farlo” disse Alice mentre si asciugava le sue. “Però visto che abbiamo appena mangiato… “

Harry annuì.

Stavano per uscire dal bagno quando Alice si voltò e lo bloccò. “Harry senti” disse “Non voglio fare la saputella della situazione. Ma ho esperienza. Ti spaventerà quello che vedrai. Soprattutto perché tu l’hai conosciuta e vissuta poco. Anche se tu adesso ti starai dicendo che non ti farai spaventare, ti spaventerai. E’ importante che tu sappia che è sempre lei. Un po’ più debole, un po’ più stanca. Ma è Hope. La tua Hope.”

Harry la guardò come si guarda un pazzo.

“Per oggi ti chiedo di limitarti a chiederle come sta. E basta. Non so cosa ci sia fra voi, è sempre stata abbastanza misteriosa. Ma non fare cose al di fuori del normale, non chiederle perché non ti ha detto del cancro, non chiederle quando intendeva dirtelo e se intendeva dirtelo. Avrai tempo. Ma non oggi.”. Alice si morse le labbra. “E non...”

“ho capito.” Tagliò corto Harry. “Ho capito Alice. Tranquilla.”


Alice entrò per prima facendolo aspettare un paio di secondi fuori dalla stanza.

Quando uscì, gli fece un cenno del capo. Lei avrebbe aspettato fuori.

Harry entrò e si rese conto che Alice aveva quasi del tutto ragione. Hope era sveglia, un libro chiuso sulle gambe coperte dal lenzuolo e il comodino già pieno di cianfrusaglie. C’erano le macchine, attorno a lei, che emettevano il classico bip, e anche delle buste appese, piene di liquido, collegate al suo braccio sinistro attraverso piccoli tubicini.

Harry guardò il viso di Hope: ritrovò i suoi occhi, le sue labbra, il suo naso, i suoi capelli… Ma tutto era coperto da un velo macabro che lo spaventò. Era il cancro.

“Ehi…” disse lei, appena incrociò i suoi occhi.

“Ehi.” disse lui. Stava perdendo il controllo: vederla così fragile, coperta solo da un lenzuolo bianco come il colore della sua pelle, il suo braccio destro con la flebo… Si sentì a disagio. Non sapeva come affrontare una situazione del genere.

“Come va?” chiese Hope.

Harry la guardò. “Come va tu, se mai.”

Hope fece un timido sorriso e Harry riuscì a riprendere il controllo.

Impercettibilmente il bip della macchina cardiaca si era fatto un po’ più frequente.

Si avvicinò e si sedette sulla sedia, accanto al suo letto.

“un po’ stanca.”

“giornata pesante?”

Hope fece un accenno di risata “Abbastanza.”

Harry si guardò in giro, cercando un qualsiasi spunto per cominciare un discorso.

“tu?” chiese Hope.

Lui tornò sugli occhi di lei. “Si, anche per me, abbastanza.”

Poi prese coraggio, anche se ad Alice aveva promesso di non farlo. “Ci hai fatto preoccupare.” Sorrise cercando di sembrare rassicurante.

“Il fatto che tu sia rimasto qui fino a quest’ora me l’aveva fatto intendere”.

Harry non poteva credere che Hope avesse la forza anche solo di sorridere. La guardò intensamente, le studiò il viso e cercò di ricordarsi come fosse qualche settimana prima quando si erano visti da soli, a Sevenoaks. Non riuscì: la Hope che aveva di fronte in quel momento era diversa. A Sevenoaks avrebbe voluto baciarla; lì, in quel momento, avrebbe voluto solo portarla via per sempre.

“Sto meglio adesso.” Lo rassicurò Hope. “Non preoccuparti per me…”

Harry fece un sorriso tirato. “Sai che non posso.”

Alice aveva detto a Hope che lui sapeva del cancro. “Mi dispiace che tu l’abbia scoperto in questo…”

“No” Harry si alzò e prese la mano nella sua. “Non adesso. Non è importante. Ne parleremo, ma non adesso.”

Hope guardò lui, poi guardò le loro mani, incrociate. La strinse forte, facendo un piccolo sorriso. “promettimi che stasera dormirai.”

Harry sviò la domanda “Posso fare qualcosa?” le chiese lui.

Hope esitò un attimo. “Si… si qualcosa puoi fare. La felpa sulla sedia…”

Harry si voltò, riconoscendo la felpa che le aveva dato quando era andata prenderla allo stadio del ghiaccio.

“Non la rivoglio” disse, girandosi a guardare Hope.

Hope scosse la testa. “Voglio che tu la riprenda. Portala a casa… indossala. E se vuoi puoi ridarmela. Dopo.”

Harry fu sorpreso. Hope stava vagamente arrossendo, se quella chiazza rosa sulle guance poteva essere identificata come rossore.

Era la prima volta che gli diceva qualcosa di indirettamente dolce: le piaceva indossare la sua felpa perché sapeva di lui. E ne avrebbe avuto sicuramente bisogno, nel prossimo futuro.

Harry dovette uscire dopo dieci minuti poiché il medico era arrivato. Alice rimase con Hope mentre Harry tornava in sala d’attesa a chiamare i genitori di lei.

Louis era ancora lì con due tazze di caffè nelle mani.

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Capitolo 20
*** 1D Take me Home ***


Capitolo 20 – 1D Take me home

Alice tornò mezz’ora dopo, ancora una volta con gli occhi rossi.

“Hanno fatto una TAC” disse con un filo di voce. “il cancro è esteso. Più esteso e più aggressivo della volta precedente. Cresce in fretta ed è per questo che nei controlli di due mesi fa non è emerso. Hanno detto che… che deve fare almeno un ciclo di chemio.” Tirò su con il naso. “E poi proveranno con un’operazione. Ma è estremamente rischiosa. Potrebbe non andare bene, potrebbe…. Potrebbe non sopravvivere. Ma deve decidere lei. E i suoi.” Alice guardò Harry e Louis con le lacrime agli occhi.

“E se non la fanno?”

Alice guardò Harry. “Cambieranno la chemio. La faranno più aggressiva. Ma il dottore non sembrava molto fiducioso. Non ha scelta. Se non facesse l’operazione… le rimarrebbe poco tempo.”

“Quanto?” chiese Harry, non volendo del tutto sapere la risposta.

Gli occhi di Alice ridiventarono lucidi.

“Due mesi.”

Scoppiò in lacrime.

Quando arrivarono a casa dei ragazzi, tuonava. Alice si fermò per prendere una tazza di caffè forte e riprendersi il tempo sufficiente per guidare fino a casa.

Harry l’accompagnò alla macchina con la scusa che pioveva e Alice non aveva l’ombrello. Al ritorno, sarebbe stato da solo e avrebbe potuto pensare.

Entrò nel vialetto di casa, chiudendo il cancello.

Si voltò per attraversare il giardino quando intravide attraverso la finestra il salotto dove il pomeriggio avrebbe dovuto esserci Hope, accanto a lui.

Rivide, invece, Hope che si alzava, Hope distesa sul pavimento, la barella che la portava via. E le parole di Alice gli risuonarono nelle orecchie.

“due mesi di vita.”

Chiuse l’ombrello e lasciò che la pioggia lo bagnasse completamente. Una pioggia pesante ma perfetta per nascondersi.

La realtà lo aveva investito una seconda, una terza e una quarta volta. E non poteva più lottare.

Si arrese e pianse come un bambino, scosso da singhiozzi, come non si ricordava mai di aver fatto. Lasciò che la realtà lo avvolgesse completamente, cercando di farsi entrare in testa che Hope aveva il cancro, che quella era la realtà, e che rischiava la vita. Rischiava di perderla, di farsela scivolare dalle mani prima ancora di essersi abituato alla sua pelle, al suo profumo, prima ancora di rendere Hope parte della sua routine quotidiana.

Si nascose il viso tra le mani, tremando forse anche per il freddo.

“Harry…”

Qualcuno gli sfriorò il braccio. Alzò lo sguardo. Louis era accanto a lui, con un viso sconvolto quanto il suo, i capelli appicciati alla faccia e gli occhi scuri come un pozzo profondo.

I due si guardarono per una frazione di secondo, poi, come se si fossero letti nella mente, Luois aprì leggermente le braccia e Harry ci si buttò senza nessuna esitazione. Pianse abbracciato al suo migliore amico. Sentì la presenza degli altri quando capì che la pioggia non riusciva più a raggiungerlo e che le sue lacrime stavano bagnando più di una sola spalla.

Harry non dormì per niente quella sera. Continuava a pensare alle ultime ‘notizie’ di Alice e gli veniva da vomitare appena pensava che Hope potesse morire. Eppure se rivedeva quegli occhi… ci vedeva la vita. La sua vita, dentro. E non si dava pace per non poter fare niente. Alle quattro del mattino si alzò e recuperò la felpa che aveva dato ad Hope. Quando l’avvicinò al naso, sentì l’odore dei suoi capelli. L’avrebbe tenuta fino al mattino successivo.

Liam lo guardò scendere in cucina per fare colazione, come si guarda un fantasma. Non aveva dormito un cazzo, lo si notava principalmente dagli occhi, scavati; e poi dai capelli che erano molto più disordinati del solito, come se si fosse girato e rigirato nel letto fino a consumare le lenzuola. Harry aprì il frigor, prese il latte, poi la sua ciotola, il cucchiaio e si sedette di fronte a lui. Liam non sapeva cosa dirgli; per la prima volta da quando si conoscevano non seppe gestire la situazione. Louis scese qualche minuto dopo e trovò il suo migliore amico a fissare la ciotola piena di cereali, con il cucchiaio pulito posato accanto. Guardò Liam, il quale gli restituì uno sguardo triste e scosse la testa.

L’orario di visite del reparto terapia intensiva era limitatissimo: un’ora dopo pranzo, un’ora poco prima di cena.

Hope si sarebbe annoiata da morire se Alice non l’avesse caricata di libri da leggere. Ma non riusciva a concentrarsi: pensava di averlo sconfitto, pensava di non doverci più pensare, pensava… e invece sarebbe stato peggio dell’ultima volta. Perché il medico era stato chiaro il giorno precedente:

“E’ più aggressivo e cresce in fretta. Per essere solo due mesi che non ti abbiamo controllata, è cresciuto in fretta.”

Sua madre era sbiancata quando il dottore le aveva detto che consigliava l’operazione. Un’operazione il cui esito dipendeva molto dalla posizione e dalla vascolarizzazione del cancro, che si estendeva all’altezza dello sterno, esattamente dove aveva avuto dolori, e si allargava fino a quasi circondare il cuore. L’operazione, didatticamente parlando, aveva il 30% di successo.

“Ma ripeto: dipende dalla vascolarizzazione, da quanto il cancro coinvolge il cuore. Io vi consiglio di farla. Chiaramente, per aumentare le probabilità di successo, sarai sottoposta a un ciclo completo di chemioterapia, più aggressiva di quella precedente, che, speriamo, riduca e renda più agevole la rimozione completa del cancro.”

Il dottore si chiamava Colin Cooper, l’aveva curata anche l’anno precedente e i genitori di Hope non avevano esitato a volerlo di nuovo.

“Hope, questa volta non sarà come la precedente.” Aveva detto, rivolgendosi direttamente a lei, guardandola negli occhi. “Sarà più difficile. Io sono qui a parlare con voi, ma sei tu quella che deve essere convinta di quello che fai. Sai quanto è importante che tu lo sia.”

Hope aveva annuito.

“Se non facesse l’operazione?” aveva chiesto sua madre, con la voce rotta.

Colin aveva sospirato, guardando i suoi genitori. “Non posso darvi la certezza che la chemio funzionerà totalmente. Anzi. Sono scarse le possibilità che ce la faccia. Se tu decidessi di procedere solo con la chemio…” Di nuovo, si era rivolto ad Hope. “voglio essere chiaro con te Hope. Se tu rifiutassi l’operazione, ti rimarrebbero pochi mesi, con la chemio, non più di due.”

Sua madre avrebbe voluto ucciderlo per la schiettezza che Colin aveva nel dire le cose. Soprattutto quel genere di cose. Pensava che Hope dovesse essere protetta, che certe cose non dovesse sentirle, come quando ai bambini si coprono le orecchie nel momento in cui alla tv passano parole come ‘vaffanculo’, ‘stronzo’ o ‘cazzo’. Ma Hope apprezzava il dottor Cooper anche per quello: voleva sapere tutto, senza tanti giri di parole perché si riteneva forte. Ma sarebbe stata una bugia dire che quelle parole le furono indifferenti. L’anno precedente le avevano dato 5 mesi di vita, ma, a quel tempo, il dottore era stato ‘prudentemente ottimista’ perché era quasi convinto che solo con la chemio Hope potesse farcela. Con la chemio e il suo carattere, ovviamente.

Guardò l’orologio: erano le 11 del mattino. Non avrebbe ricevuto visite per almeno altre tre ore. Si girò nel letto in modo da dare la schiena alla porta d’entrata della camera, stando attenta a non fare movimenti bruschi per non strappare i punti dell'intervento. Si tirò le lenzuola fin sopra la testa. Poi si arrese e pianse, sfogandosi.

I primi ad arrivare chiaramente furono i suoi, con altre cose da casa che potevano servirle.

“tutto ok questa mattina, pulce?” le chiese suo padre, mentre sua mamma sistemava il lenzuolo, come era solita fare per distrarsi dal fatto che sua figlia fosse in ospedale.

Hope annuì.

“Colin è passato?”

“Si al volo, stamattina sul presto.”

“Come ti senti tesoro?” chiese sua madre.

“Bene mamma.”

“Cosa ti ha detto?”

“Niente di che. Ha ricontrollato la cartella..”

“Hai dormito stanotte?”

Hope fece finta di concentrarsi sulla cucitura del lenzuolo. Scrollò le spalle.

I suoi si scambiarono un’occhiata. “Non ti preoccupare” disse poi sua padre, cercando di sembrare sicuro di sé. A volte uno non ci pensa: ma fare il genitore deve essere difficile. I pensieri di tutta famiglia si erano indirizzati verso un’unica direzione: l’operazione rischiosa. Dovevano prendere una decisione.

“Fuori c’è Alice.” Disse sua mamma per smorzare un po’ l’atmosfera. “E quel ragazzo con tanti capelli, Harry, giusto?”

“si.”

“Sembra che lui, invece, non abbia dormito. E’ il tuo fidanzato?”

“Mamma…”

“Va bene, va bene. Niente domande. James andiamo a prendere del caffè?”

I suoi uscirono e dopo qualche minuto arrivò Alice con un sacchetto.

“Ancora libri?!” chiese Hope.

“E cd. Così non hai tempo nemmeno per pensare.” Alice le diede un bacio sulla guancia e le scaricò il sacchetto in grembo. “Come stai?”

“bene. Cosa…? 50 sfumature di grigio?!?”

“Da parte di Olivia. E contro il mio parere.”

Hope sorrise e tirò fuori un pacchetto con un fiocco. “E questo?” chiese.

“Un regalo” disse.

Hope guardò la sua amica con la fronte aggrottata.

“Cosa aspetti? Aprilo!”

Hope scartò il suo regalo. Ne uscì un cd musicale. La cover raffigurava una cabina telefonica rossa, tipica di Londra, con un ragazzo biondo all’interno che guardava verso l’alto con l’aria divertita, un altro ragazzo sorridente al di fuori, un ragazzo sdraiato sul tetto della cabina che cercava di tirarne su un altro che era sulle spalle di un altro ancora. Il nome del gruppo capeggiava sopra la cabina telefonica, bianca sullo sfondo azzurro del cielo: One Direction. Sotto, il titolo del CD: Take me Home. Sembrava fatto apposta.

Hope rise. “E’ un nuovo gruppo?” le chiese.

“Si.” Rispose l’amica. “Nuovo nuovo. Sono bravi eh, dovresti ascoltarli!”

Entrambe risero e per un istante si dimenticarono della situazione di Hope.

“No comunque seriamente. Non ho trovato il loro primo cd, sennò ti avrei regalato quello. E’ il secondo.”

Hope riuscì ad aprire anche la sottile pellicola che ricopriva il cd e dischiuse la custodia. Scivolarono fuori ben due volantini, uno che invitava a partecipare al concorso per vincere un pass per il backstage del successivo concerto degli One Direction e l’altro una pubblicità della casa discografica.

“Hai qui il lettore cd? Ti ho portato il mio. Perché avevo pensato di regalarti la versione per l’iPod… ma non avresti avuto la parte più figa del loro cd.”

“Sarebbe?” chiese Hope.

“Il libretto con tutte le foto. Anche del tuo Harry. Ah proposito. Inutile dirti che è qui fuori che aspetta il suo turno.”

Hope guardò il cd rosso. Poi chiuse la custodia e guardò la sua amica. “Come sta?” chiese.

Alice piegò la testa leggermente di lato e sorrise. “Hope ti preoccupi troppo. Sei tu quella che stai male.”


Quando Harry entrò in camera pochi minuti dopo, dandosi il cambio con Alice, Hope non aveva ancora fatto in tempo a mettere via il cd regalatole da Alice e se lo ficcò malamente tra le coperte.

“Ciao” disse lei, troppo velocemente. Il cambiamento della frequenza del bip della macchina che registrava il battito cardiaco fu evidente e gli occhi di Harry furono attratti dallo schermo.

Hope odiava l’ospedale anche per questo: con tutte quelle macchine, la gente poteva sapere in anticipo cosa lei provasse.

“Ciao” gli disse Harry con un sorriso consapevole di ciò che le aveva appena provocato.

“Come va?” disse Hope sentendo la faccia andare a fuoco.

Harry scrollò le spalle, mettendosi le mani nelle tasche.

No, era chiaro che non aveva dormito. E non era nemmeno sicura che avesse mangiato.

“Ti è caduto qualcosa…” Harry si piegò e raccolse qualcosa da terra: era uno dei due volantini che erano usciti dal Cd, per l’esattezza quello della casa discografica.

Harry guardò il volantino, poi guardò Hope aspettando spiegazioni. Ovviamente aveva riconosciuto la sua casa discografica.

Hope era diventata di un rosso ben visibile e aveva abbassato lo sguardo.

“Ehm… deve essere caduto a Alice…” farfugliò.

Guardò Harry che aveva un sorrisetto ben piazzato su una faccia da prendere a schiaffi.

“Okay okay, insomma.” Hope prese il volantino e tirò fuori il cd da sotto le coperte. “Mi ha regalato questo, ma è una stupida.” Harry pensava che Hope fosse estremamente carina quando balbettava imbarazzata.

“Non che voi siate stupidi. E’ un bel regalo, voglio dire, lo apprezzo, bello in questo senso. Voi siete bravi, vi ho ascoltato al concerto. Lo ascolterò sicuramente, voglio dire…”

“Non ti preoccupare” disse Harry, divertito. “Hai una penna?”

“Una.. una penna?” Hope sembrò confusa. Harry gesticolò come per farle l’autografo. “Oh vaffanculo Harry!”

Harry scoppiò a ridere e Hope lo seguì poco dopo.



Hope dormì profondamente per tutto il pomeriggio recuperando le forze gradualmente. Un’ora di ricevimento parenti era stato devastante. Quando i suoi arrivarono alle sei, era appena uscita dal dormiveglia, ma si sentiva ancora un po’ stanca.

Alice le disse che Olivia e Tara probabilmente sarebbero passate il giorno dopo.

Harry le chiese se Liam e gli altri potessero venire a trovarla il venerdì successivo.

Harry dormì molto meglio quella notte. Hope sembrava che non avesse niente e ridere con lei quel pomeriggio l’aveva risollevato il morale. Almeno, per ora, non soffriva. Anche se vederla in una camera d’ospedale lo faceva sentire inutile. E soprattutto sapeva che il peggio probabilmente doveva ancora arrivare. Da Alice aveva saputo che Hope e i suoi avevano una settimana per decidere cosa fare e, in base a quello, si sarebbe decisa anche la chemio da somministrarle.

Alice parcheggiava sempre da loro prima di andare in ospedale. Non era per la comodità del parcheggio, ma probabilmente perché preferiva un luogo sicuro dove prepararsi prima di andare in ospedale e riprendersi prima di affrontare il viaggio fino a Sevenoaks da sola. Così anche Olivia e Tara videro la loro casa anche se entrambe erano più distratte dell’ultima volta che Harry le aveva viste.

“Voi lo sapevate?” chiese Harry mentre tornavano dall’ospedale.

“Del cancro?” chiese Olivia, seduta accanto a lui. “Oh si. Tutti a scuola lo sapevano.”

“Per via del foulard” precisò Alice. “del foulard che portava sulla testa.”

“e lo odiava” disse Tara. “Ti giuro che lo odiava. Ti garantisco che se fosse stato per lei, sarebbe andata in giro dicendo a tutti che aveva fatto una splendida lunga vacanza con i suoi, per giustificare la sua assenza prolungata.”

Olivia annuì.

Ehii ciau!
Lo spazio autrice, questa volta, lo faccio alla fine per evitare di spoilerare ad inizio capitolo che non è bello. Allora come avete potuto leggere, gli argomenti pesanti sono stati introdotti. E volevo fare un piccolo appunto: se ciò che scrivo non vi piace oppure vi può offendere in qualche modo... prima di tutto, mi dispiace, non era assolutamente nelle mie intenzioni; secondo, NON andate avanti, perchè, davvero, ci tengo poco a ricevere 'insulti' in questo senso.
Le critiche sono sempre ben accette. Ma non cose del tipo 'guarda che tu non sai di cosa stai parlando: mia nonna ha dovuto subire un intervento del genere e con il cavolo che si è risvegliata dopo due ore' oppure 'spari cazzate, un cancro non può crescere in così poco tempo' . Perchè questa è una storia, non un fatto effettivamente accaduto. Indipendentemente dal fatto che sia o meno ispirato ad un'esperienza personale.
Con questo 'appunto' preventivo , vi auguro a tutte/i IL MEGLIO!
Un abbraccio stritolatutto (uno in più alle Directioners)
Emma ;)
ps: aggionerò presto!
pps: se qualcuna/o mi volesse seguire, su twitter sono @sweetie_benni !

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Capitolo 21
*** Vale la pena correre il rischio ***


Ciau!!!
Eccomi con un altri due capitoli... sono un po' pochini è vero, scusate :( domani quasi quasi aggiorno ancora, così non vi lascio proprio a bocca asciutta!!!

Come al solito, vi auguro BUONA LETTURA!!!
un abbraccio stritolatutto
Emma ;)


Capitolo 21 – Vale la pena di correre il rischio

Venerdì l’andarono a trovare Liam e Louis nel pomeriggio e Niall e Zayn la sera. Fu una cosa velocissima, soprattutto per la sera, perché Hope era abbastanza stanca. Liam fu fantastico con Hope: fu come se non fossero stati in ospedale, ma in giardino a prendere il sole. La baciò su tutte e due le guance, come sempre aveva fatto, le chiese come andava e si perse a discutere con lei delle dinamiche delle infermiere, con la scusa che sua zia aveva fatto quel lavoro per un po’ di tempo e diceva che era stato un inferno. Louis, invece, si era limitato a partecipare con qualche battuta e qualche risata. Ma Hope poteva comprenderlo perfettamente: il suo migliore amico era lì con loro (eccezione alla regola erano entrati in tre in stanza!) e sicuramente i tre giorni precedenti non erano stati facili nemmeno per lui.

Liam la fece ridere e sorridere e Harry provò un leggero fastidio nel vedere Liam così bravo nel farla sentire a casa. Avrebbe tanto voluto essere bravo quanto lui.

Hope chiese sia ad Alice sia ad Harry di non andarla a trovare durante il weekend. Quando Harry chiese come mai, Alice rispose che era meglio non chiederlo.

Lunedì mattina Hope venne trasferita in oncologia. Gli orari di visita erano molto più ampi: tutto il pomeriggio da dopo pranzo all’orario di cena. E qualcuno faceva qualche strappo alla regola, rimanendo fino a dopo cena, per fare compagnia al malato.

La camera di Hope poteva essere vista dalla sala d’attesa solo parzialmente, era più accogliente da quella del reparto di terapia intensiva e aveva le finestre che davano sul giardino. Tutto il reparto era di un altro colore, un arancione-salmone che Hope aveva imparato a farsi piacere. Come aveva imparato a convivere con il cancro. Anche se nessuno mai ci riesce a convinvere del tutto.

Quando Harry arrivò con Alice, videro che in stanza con Hope c’erano già i genitori, probabilmente lì da quando l’avevano trasferita, e un uomo, sui quarant’anni, biondo fuliggine, alto, con il camice, che stava parlando. Il viso di Hope era coperto dalle tende tirate.

“Quello è il dottor Cooper” gli spiegò Alice. “probabilmente hanno preso una decisione. Andiamo a prendere qualcosa, sarà lunga.”


“Dato che siamo in possesso di più dati rispetto alla volta precedente, Hope, la composizione sarà fatta su misura. Ti verrà prelevato del sangue almeno due volte questa settimana per fare degli esami più accurati. Ti verrò a trovare anche per farti delle domande relative alla tua ultima terapia, come ti sei sentita, quali sintomi hai accusato…”

Colin parlava e Hope prestava attenzione, ma con distacco.

Avevano deciso.

Sua madre e suo padre erano al suo fianco, tenendole ognuno la mano. Era stata trasferita quella mattina quando il dottore era venuta a trovarla e la famiglia aveva comunicato la decisione finale. La discussione era durata tutto il weekend. Hope si era sentita abbastanza in forza per affrontare una cosa come quella: sua madre chiaramente aveva cercato di convincerla a provare la terapia più leggera, ma era un consiglio dettato solamente dalla paura.

“Passerà anche la dottoressa Hife per parlare con te”

Hope annuì. Se l’era aspettato: un supporto psicologico era sempre richiesto anche quando sapeva, o almeno si credeva di sapere, cosa l’aspettava.

“Perfetto” concluse il dottore, facendo il classico sorriso rassicurante. “Allora ci vediamo domani, Hope.”

La famiglia salutò il dottore.

Sua madre le strinse la mano, cercando un contatto visivo. Ma Hope non se la sentiva proprio di sorridere anche lei, rassicurando chi aveva intorno. In fondo, credeva che fosse un compito ingrato per i malati dover rassicurare la propria famiglia. Perché significava illudere loro ma anche se stessi. E le probabilità di successo dell’intervento non sarebbero di certo cresciute.

Un ciclo voleva dire un mese di chemio. Di chemio devastante. Ci sarebbero stati molti giorni no e pochi giorni si.

I suoi uscirono dalla stanza per prendersi un caffè, come scusa.

Sarebbe stato un mese pesante. Ed era estate.

Hope guardò fuori dalla finestra, cercando di prepararsi. Ma per queste cose non si è mai preparati.


Alice incontrò i genitori di Hope mentre sorseggiava il caffè con Harry, vicino alle macchinette automatiche. Li guardò inserire le monete e aspettare che il liquido caldo riempisse il bicchiere. Si scambiarono due parole, poi si guardarono e si abbracciarono.

Ad Alice venne un altro attacco di pianto, che, però, riuscì a controllare: non aveva mai visto i genitori di Hope in quello stato. Forse perché avevano sempre usato un atteggiamento di facciata, in presenza sua o di Hope stessa, per non spaventarle. E le venne naturale pensare: quante altre volte i genitori sono costretti ad indossare quella maschera?

Alice, per la prima volta nella sua vita, si sentì da schifo nei confronti dei suoi e di quanto fosse stata stupida, in passato, a dire di odiarli (soprattutto quando non le permettevano di uscire perché aveva preso un brutto voto!), a sbattergli in faccia la porta della camera perché non le compravano il telefonino o qualsiasi altra cosa, a preparare, durante le notti insonni a causa della rabbia, fughe indimenticabili, quasi provando piacere nel procurare loro del dolore. Cosa avrebbe fatto senza i genitori? Aveva sempre pensato che i genitori un po’ ci godessero nel togliere certi piaceri ai propri figli: ma era proprio così? Si era sempre immaginata sua madre arrabbiata dopo averla sgridata ma MAI dispiaciuta per la litigata. Ora che vedeva i genitori di Hope abbracciati, così vicini al dirupo della depressione, pieni di dolore, capì quanto potesse essere complicato; quanto bisognava far finta di essere forti di fronte ai figli? Per non dire di come odiava i suoi quando litigavano fra loro, sbattendo porte e urlando come ossessi. Aveva sempre pensato che erano dei genitori senza un briciolo di sensibilità a far sentire a lei e a Spence le loro discussioni. Però quando lei e Spence litigavano, se ne fregavano se i loro genitori erano lì con loro e sentivano le loro di litigate; e Alice se ne fregava di sbattere la porta in faccia a sua madre e ad urlarle che ‘se sono così un peso allora perché mi hai partorito?’.

Si voltò verso Harry, anche lui rapito da quella scena strappalacrime dei genitori di Hope che si abbracciavano.

Lui le restituì uno sguardo vuoto pochi secondi dopo.

Alice gli passò di fronte e lui la seguì facendo finta di non aver visto nulla.


Quando tornarono in sala d’attesa, dopo un giro in giardino passato per lo più in silenzio, videro i genitori di Hope nella sua stanza, le tende quasi del tutto aperte, che la stavano salutando.

“Ciao Alice.” Disse James, quando li vide in sala d’attesa. “Ciao Harry”

“Salve” risposero i due ragazzi.

Hannah li raggiunse. “Ciao ragazzi.”

“Salve” ripeterono.

“Allora… ehm…” cominciò Alice. “Come…come sta? L’hanno trasferita vedo.”

“Sta bene, almeno così dice.” Rispose il papà. “tesoro io sposto la macchina e ti aspetto davanti all’ingresso, mentre tu aggiorni Alice e Harry?”

Hannah annuì con la testa. James salutò i ragazzi e se ne andò.

Alice guardò la madre di Hope. La conosceva da tanto tempo ormai.

“Cosa avete deciso?” chiese Alice.

Hannah fece una smorfia. “Cosa HA deciso. Sai come è fatta.” La voce le tremò leggermente. Aprì la borsa, alla ricerca di un fazzoletto.

Harry si sentì fuori luogo, ma la madre di Hope gli fece un sorriso. “perdonami. Non sono sempre così piagnucolona.”

“Oh ma per favore Hannah!” esclamò Alice. “ci mancherebbe.”

La madre di Hope si sedette, sospirando. “Ha deciso per l’operazione, ovviamente. Io le avevo consigliato di cominciare con la chemioterapia dell’altra volta. Ma la tua amica ha deciso che valeva pena correre il rischio.”

“Avevo immaginato quando ci ha detto di non venire né ieri né l’altro ieri” disse Alice.

Hannah fece un piccolo sorriso, guardando nel vuoto. “Sapeva che io le avrei proposto l’altra strada. Si era preparata tutto il discorso. Questo l’ha preso da te.” Guardò Alice sorridendo teneramente. “Sapevo che non era una buona idea farvi fare la stessa scuola.”

Alice rise. “Si, e adesso sarà anche peggio perché faremo anche lo stesso college.”

Hannah annuì, poi si alzò. “Speriamo davvero che sia così”

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Capitolo 22
*** Qualcuno che fosse vero ***


Capitolo 22 –Qualcuno che fosse vero

“Tua madre non è molto contenta del fatto che siamo amiche.” Disse Alice entrando in camera di Hope seguita da Harry. Lui la salutò con un sorriso, lei con un cenno del capo.

“perché?” chiese ad Alice.

“Perché sei diventata troppo brava nel convincere l’altra parte della tua tesi.”

Hope rise. Alice le diede un bacio sulla guancia.

“Come stai?”

“Normale, come al solito. Voi?”

Alice scrollò le spalle. “Spencer è riuscito a sporcare il muro di inchiostro ieri. Un applauso a mio fratello!”

“Come mai?”

“Perché è scemo. Si è dato alla pittura con la china. Ma sono sicura di non trovarne traccia oggi quando torno a casa. Mio padre l’ha così levato da terra ieri che probabilmente Spence avrà ristrutturato l’intera parete, nel dubbio…”

Alice lanciò un’occhiata ad Harry. Poi si tuffò sulla borsa. “Cazzo, vuoi vedere che ho lasciato in macchina il libro che volevo darti?”

“Un altro???” sbuffò Hope. “basta Alice! Ne ho già cinque!”

“Si ma questo è bello sul serio. Harry mi daresti le chiavi che vado a controllare?”

Harry tirò fuori le chiavi della macchina e gliele diede.

“A dopo, piccioncini” li salutò uscendo dalla camera.

Hope scosse la testa.

“Bello qui” disse Harry guardandosi in giro.

“Ci si fa l’abitudine” rispose Hope.

“Ho… ho sentito che hai deciso.”

Harry la guardò negli occhi. Hope fece si con la testa. “E… quando inizi?”

“Con la chemioterpia? Penso… penso settimana prossima.”

Non le andava molto di parlarne.

Harry guardò fuori dalla finestra.

“Sarà difficile” disse Hope, dopo qualche secondo di assoluto silenzio. Decise che era ora di dargli alcune spiegazioni. Era passata una settimana. Probabilmente era sotto stress e c’erano mille domande che lui si stava facendo, senza probabilmente trovare il modo e la situazione giusta per affrontarla. Harry si voltò a guardarla di nuovo. Ma Hope aveva già riabbassato lo sguardo. “Non dico per me. Ma anche per te. Insomma. Sarà molto difficile. Io capirò se tu non…”

“Se io non, cosa, Hope?” Harry non poteva credere a ciò che Hope stava per dire. “Se io non verrò a trovarti? Se non ti starò accanto?”

Hope si morse le labbra. “Harry… non è semplice. Tu avrai i tuoi impegni e io… Insomma non sarò io. Non sarò la Hope che hai conosciuto negli ultimi tempi e non voglio che tu stia male per questo.”

“Stare male? Scusa e fino ad adesso come credi che sia stato?”

Hope sollevò lo sguardo, stringendo le labbra. “Mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto ciò.”

Harry si lasciò sfuggire una smorfia, infastidito. “Non scusarti. Non fare questi giochetti con me Hope.. Siamo entrambi grandi abbastanza per queste cose.”

“no, non hai capito.” Hope si strinse le mani l’una con l’altra. “Io non volevo che…che accadesse. C’è un motivo per cui non ti ho detto di questa…” doveva chiamarlo con il suo nome “…del cancro.” Concluse.

Harry non vedeva l’ora di sentirlo. 

Hope prese un bel respiro. “ti ricordi quando abbiamo parlato di come ti sei sentito ad andare in ospedale a trovare i malati oncologici?”

Harry ci dovette pensare pochi secondi. Poi sgranò gli occhi: “Per QUELLO non me l’hai detto? Per ciò che ho…”

“Io la penso come te.”

“Cosa?”

“La penso come te. Io… Io sono malata Harry. Sono come quelle ragazzine che hai incontrato quel giorno. Non sono diversa. Purtroppo il cancro fa parte di me. Ma non voglio assolutamente essere compatita o amata per questa piccola schifosa parte di me. Io voglio essere giudicata come tutti gli altri, perché sono come tutti gli altri.”

Gli occhi di Harry sembravano meno arrabbiati.

“Ma ho il cancro ed è una cosa che non si può semplicemente ignorare. E tutti lo vedono, no, quando hai il cancro? Lo sanno perché ti segna dentro e fuori. E ti guardano con occhi diversi. Ti guardano come se fossi diversa, come se meritassi di essere trattata diversamente. E io pensavo che, sconfiggendolo, tornasse tutto come prima. E invece no.”

Harry aggrottò la fronte.

“A scuola, in famiglia, anche con Alice. Era tutto maledettamente diverso. Appena facevo un colpo di tosse, tutta la classe si girava a guardarmi, aspettandosi di vedermi collassare da un momento all’altro, forse. Insomma, che diavolo c’era tra me e le centinaia di ragazzini che avevano l’allergia al polline in quel periodo? Nessuna. Ero guarita, avevo solo… solo un foulard sulla testa.”

Harry ricordò le parole di Tara di qualche giorno prima: ‘lo odiava. Ti giuro che lo odiava. Ti garantisco che se fosse stato per lei, sarebbe andata in giro dicendo a tutti che aveva fatto una splendida lunga vacanza con i suoi, per giustificare la sua assenza prolungata.’

“A casa era uguale. Almeno fino a quando non ho letteralmente dato di matto, urlando che se qualcuno mi avesse chiesto ancora come stavo dopo uno starnuto, avrei fatto andare tutti in ospedale a suon di calci nel…”

Sul viso di Harry comparve un leggero sorriso quando Hope mimò con la bocca l’ultima parola della frase.

“Anche con Alice è successa una cosa simile. Qualche mese fa, quando ho scoperto chi eri, l’ho chiamata per sentire un suo parere. Lei ha sentito che c’era qualcosa che non andava e mi ha chiesto come stavo e se stavo male. Perché è la prima cosa a cui uno pensa.”

Harry si sedette in fondo al letto, la mano di Hope a qualche centimetro di distanza.

“E’ tutto cambiato. Perché ho poche amiche? Perché Tara, Olivia e Alice sono le uniche che hanno saputo trattarmi come se non fossi mai stata male. Che non si sono lasciate guidare dai pregiudizi. A Marzo, quando abbiamo cominciato a sentirci, io e te, io volevo qualcuno di completamente esterno.”

Finalmente Hope cercò i suoi occhi, che trovò addolciti, brillanti e sorridenti che la fecero sentire meglio grazie all’adrenalina dolce.

“Volevo qualcuno che non sapesse, che non si lasciasse prendere dai pregiudizi, che mi giudicasse per quello che sono. Perché era difficile anche farsi un’idea di se stessi. Come faccio a sapere se sono simpatica, carina o intelligente se tutti mi trattano comunque e sempre con accondiscendenza? Dandomi sempre ragione solo perché sono stata malata? Sentendosi in dovere di essere meno duri e più cauti?”

Harry sorrideva. E capiva. Capiva assolutamente il desiderio di essere giudicato per quello che si è e non per cosa si fa (nel suo caso) o per una malattia (nel caso di Hope). A lui non piaceva che le persone gli dicevano "sei famoso": perchè, dicendo così, sembrava lo annullassero come persona, riducendolo semplicemente a "una persona famosa", appunto. Era una cosa che odiava. 

“E così ho voluto fare con te. Non ti ho detto niente perché non volevo essere compatita. Ho sbagliato perché non ti ho detto tutto su di me, è vero. Ma per una buona ragione. E per questo non intendo chiederti scusa. Non pensare che non sia mai stata tentata di dirti tutto. Lo sono stata, più di una volta, ma ero terrorizzata che tutto potesse cambiare. Che tu ti facessi sentire di meno perché ti eri spaventato; e che ti facessi sentire di più perché ti facevo pena. Volevo qualcuno che fosse vero, fosse vero con me Harry.”

Harry si fece un po’ più avanti, sfiorò le dita di lei, non perdendo di vista il suo sguardo.

“Finalmente potevo essere vista come sono. Tu me ne hai dato la possibilità. Non voglio che tutto quello che c’è stato e che c’è tra di noi svanisca perché ho fatto il grande errore di ammalarmi di nuovo.”

La mano di Harry era su quella di Hope, il braccio di lui accarezzava quello di lei, permettendogli di avvicinarsi ancora un po’, a sufficienza per scorgere le sfumature dei suoi occhi.

“E’ per quello che ti dico che mi dispiace. Mi dispiace perché il nostro rapporto cambierà anche se io ho fatto di tuto, di tutto, davvero, per evitarlo. E vorrei non accadesse. Ma accadrà, no?”

Hope abbassò lo sguardò, sbattendo gli occhi un paio di volte. Harry ne approfittò per avanzare ancora.

Hope si accorse della pericolosa vicinanza del viso di Harry quando se lo trovò a meno di mezzo metro dal proprio, nel momento in cui sollevò gli occhi.

Harry le mise una ciocca di capelli dietro le orecchie, guardandole il viso come se vedesse il fiore più bello del mondo.

“il nostro rapporto è cambiato quando hai scoperto chi ero?” le chiese bisbigliando.

Hope aveva gli occhi lucidi. La mano di Harry si fermò sulla sua guancia. Il cuore cominciò a batterle un po’ più forte. Harry lo notò non solo dalla macchina cardiaca che decise volutamente di ignorare, ma anche dal respiro che Hope stava trattenendo.

“no…” rispose lei, con esitazione. “Io non… No.” Il secondo ‘no’ lo disse con più convinzione.

Harry sorrise. “Non ti sei mai chiesta perché non te l’ho detto?”

Hope si era persa a guardarlo. “Si, credo di si…”

“Cercavo la stessa cosa. Ma ho trovato molto di più.”

Alice tornò in quell’esatto momento approdando nella sala d’attesa del reparto. Guardò verso la stanza di Hope e notò due cose: la prima era che, da lì, si vedeva solo un pezzettino della maglietta scura che Harry portava quel pomeriggio; ciò significava fondamentalmente una sola cosa: Harry era molto vicino ad Hope, in particolare i loro due visi dovevano essere particolarmente molto vicini, per baciarsi COME SI DEVE per la prima volta; la seconda, invece, era che ad un passo dalla porta della stanza, c’era Jean, l’allenatore di pattinaggio di Hope, che concentrato a controllare che il numero della camera fosse quello giusto, non notò cosa stava per interrompere.


Hope fece per chiudere gli occhi, volendo assaporare con tutta se stessa il suo secondo-quasi-primo bacio serio con Harry. Pensò che poteva essere un bel premio di incoraggiamento per affrontare il futuro. Le loro labbra furono ad un soffio dall’incontrarsi; poteva sentirne il profumo. Harry era sicuro che finalmente l’avrebbe fatta sua, baciandola come MAI aveva fatto: mettendo tutto se stesso per renderlo indimenticabile. In fondo era bravo, quando si impegnava.


“MA CHERIE!” Jean spalancò la porta prima che Alice potesse essere a metà strada dal fermarlo.

Hope si ritrasse immediatamente e la mano di Harry scivolò via dal suo viso.

“MON ANGE, COME STAI???”

Jean probabilmente non si era minimamente accorto nemmeno della presenza di Harry che fece un passo indietro, passandosi la stessa mano che aveva accarezzato il viso di Hope tra i capelli, per giustificare il fatto che fosse a quell’altezza.

Hope sorrise, un sorriso leggermente forzato, ma pieno di cortesia e gentilezza.

Mentre Jean la ricopriva di baci su entrambe le guance, comparse Alice sulla porta, quasi come se avesse corso. Harry si voltò a guardarla: aveva la faccia da amica-comprensiva-che-ha-capito-tutto-e-ha-cercato-di-evitare –l’interruzione-senza-successo.

Guardò Harry, il quale le restituì uno sguardo tra l’accusatorio e lo stranito. Alice arricciò il naso e mimò le parole “MI DISPIACE, SCUSA”.


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Capitolo 23
*** Fingere ***


Ecco qui, nuovo capitolo. Un po' più lungo, per recuperare quelli di prima ^^
Buona lettura :)
Emma ;)

Capitolo 23 – Fingere

La chemioterapia iniziò la settimana successiva, esattamente come aveva detto Hope. Harry si era fatto l’idea che probabilmente il pomeriggio stesso sarebbe stata distrutta. E per questo non sapeva come affrontare ciò che doveva dirle. Invece quando entrò in camera sua, poco dopo Alice, la trovò sorridente e solare, come sempre era stata.

“Ciao!” lo salutò appena aprì la porta.

Harry sorrise.

“E poi Olivia mi ha detto di dirti che il film è quasi bello come il libro” diceva Alice, seduta sul letto di Hope, mentre Harry si avvicinava per darle un bacio sulla guancia.

I due si scambiarono uno sguardo complice.

“E’ inutile dirti che io non sono d’accordo” continuò Alice.

“non sei d’accordo?” chiese Hope “ma se non sbaglio l’hai visto a Gennaio, quando è uscito, e mi avevi detto che ti era piaciuto…”

Alice fece una smorfia. “Ssssi… Ma non mi piace più. Olivia ha sempre torto da quando frequenta Oxford.”

“Alice…”

“Cosa? E’ vero! Mi devo allenare. E anche tu devi farlo. Ti ricordo che fra tre mesi saremo nel bel mezzo della vita universitaria e TU non ti puoi nascondere dietro la scusa del cancro, questa volta.”

Hope sorrise. Alice ci credeva seriamente a quello che diceva.

“Allora come va?” chiese Harry.

Hope scrollò le spalle. “Mi sento bene”

“Si ma devi riposare.” Le disse Alice ripetendo le stesse parole della mamma di Hope.

“Alice lo so, ma mi sento bene. Mi sento normale.”

“Io dico che dovresti dormire.”

“Ho tutto il tempo per farlo. Adesso non mi va proprio.”

Alice la studiò con gli occhi socchiusi.

“Mi andresti a prendere una merendina?” chiese Hope non riuscendo più a sostenere lo sguardo indagatore di Alice.

Alice sbuffò. “Va bene. Cosa vuoi?”

“Ciò che vuoi, al cioccolato.”

“Evviva la salute.”

“Alice…”

“VADO VADO.”

Quando Alice chiuse la porta, Harry guardò Hope.

Lei chiuse il libro che aveva sulle gambe e lo mise sul comodino.

Sembrava normalissima. Eppure Alice gli aveva detto che ogni seduta sarebbe stata terribile, anche la prima. Ma Hope sembrava essere come il pomeriggio precedente e quello prima ancora. Con l’esclusione di un cerotto a metà braccio sinistro.

Gli sorrise, aspettando che lui finisse di studiarla.

“Tutto bene?” gli chiese poi.

Lui si sedette sul letto, vicino a lei.

“Normale.” Rispose, cercando di trovare le parole giuste per cominciare quel discorso.

“Allora? Quando partite?” chiese lei.

Harry sollevò lo sguardo stupito. Come diavolo faceva a saperlo?

“Oh Harry, cosa credi? Insomma, qui non ho altro da fare che leggere, dormire, guardare un po’ di mtv e ascoltare la musica. Nonostante io cerchi di evitare di ascoltare cose su di te e sui tuoi amici perché non me ne frega niente, al resto del mondo invece, chissà perché, importa sapere cosa avete da fare.”Hope scherzava.

“Partiamo giovedì” rispose Harry, convinto da quel sorriso. “Torniamo domenica.”

“il concerto è Sabato a Parigi giusto?”

“Esatto.”

“uao, Parigi mi piace tantissimo. E poi, dove andate? Barcellona?”

“No prima Roma. Poi Barcellona e infine Berlino, nella stessa settimana.”

“Direi che in questo momento ti invidio è poco.” Disse Hope. “io non saprei davvero da dove cominciare. Insomma Parigi la amo tantissimo. Berlino non l’ho mai vista. Probabilmente farei Berlino prima e Parigi la lascerei per ultima. Barcellona ci sono stata, due volte, bella città sul serio se si gira a piedi e…”

“Hope.” Harry le sfiorò la mano, attirando la sua attenzione.

“si?”

“Hope sarò via tutti i weekend per tre settimane.”

“Lo so.” Rispose Hope, aggrottando la fronte. “perché me lo dici?”

“perché non sarò qui con te.”

Hope rise. “me la caverò benissimo da sola, Harry.”

“Io non vorrei ma…”

“Cosa? Non vorresti? Cazzo, io farei immediatamente cambio!”

Harry stava per ribattere ma si fermò: gli occhi di Hope erano sinceri, avrebbe fatto cambio sul serio. E sinceramente anche lui avrebbe fatto cambio. Glielo stava per dire, ma non se la sentì. Sarebbe stato insensibile.

“Parigi, Roma, Barcellona e Berlino in tre settimane. Cioè…UAO! Fai proprio un bel lavoro!”

Harry capì che doveva farsi andare bene i suoi concerti per lei. Per vivere ciò che lei non avrebbe potuto vivere per tutto quel tempo, stando in quella stanza.

“I ragazzi verranno a salutarti mercoledì, va bene?”

Hope annuì. “Come vogliono loro! Io da qui non mi muovo di certo…”


Harry se ne andò verso le sette, come Alice e i suoi genitori. Appena la porta della camera fu chiusa, Hope appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Sentiva il proprio corpo contorcersi su se stesso da un paio d’ore.

Era stata fantastica a mentire. Fece un piccolo sorriso, sarcastico. Era stato fin troppo facile, era diventata bravissima. Anche con Harry. Questo le provocò un’ondata di terrore: gli aveva mentito guardandolo negli occhi, dicendogli che stava bene quando, invece, il veleno le bruciava le vene; aveva detto che non vedeva l’ora di vedere le foto di quelle splendide città, quando invece sapeva perfettamente di non poter portare avanti la commedia della ragazza felice per sempre. Non ne aveva le forze, anche se era davvero felice per lui. Gli aveva mentito, come si mente ai bambini o ai cani. E lui si era lasciato fregare, si era fidato di lei. Molto, troppo facilmente. Che scelta aveva Hope? Nessuna. Doveva dire di stare male, farlo preoccupare, farlo sentire uno schifo perché se ne andava via? No. Probabilmente molto presto la cosa si sarebbe scoperta perché un dolore del genere non si può semplicemente nascondere. Come se fosse una sbucciatura fatta cadendo dal motorino di un tuo amico su cui i genitori ti avevano vietato di salire. Non poteva indossare quella maschera per sempre. E quindi perché anticipare?

Per tutta la mattina, il giorno dopo, a 24 ore dalla seduta, Hope cercò di recuperare l’infernale nottata. Non aveva dormito niente, tirando su ciò che aveva mangiato la sera, a causa della nausea continua e del dolore. Il lenzuolo sembrava che le graffiasse tutto il corpo, come braci vive, non lasciandola dormire. Per colazione aveva preso il tè caldo, rifiutandosi di mangiare i biscotti. Avrebbe sicuramente tirato su anche quelli. Mise un po’ più di zucchero del normale, zero limone, e poi si rimise a dormire.

Per pranzo le cose non erano migliorate più di tanto: il dolore era lo stesso, anche se la nausea sembrava essersi placata. Almeno finchè non comparve l’infermiera con il pranzo. Si costrinse a mangiare, perché sapeva che non avrebbe saputo affrontare il pomeriggio senza mangiare. Si concentrò su tutto ciò che poteva asciugare, come il pane, e chiese un pacchetto di fette biscottate.

Poco prima che cominciasse l’orario di visite andò in bagnò e si guardò allo specchio: si vedeva che non aveva dormito. Le sembrava di essere anche più bianca.

Quando tornò a letto, vide che c’era qualche capello rosso sul cuscino. Abbassò lo sguardo stringendo i pugni: ed era solo l’inizio.


Quando Harry e Alice andarono in ospedale erano già le tre. Alice, avendo l’esperienza dell’anno precedente, pensava di trovarsi una Hope debole. Invece, la trovò con la schiena appoggiata al cuscino, impegnata a sorridere a Jean che l’aggiornava su alcuni fatti accaduti al palazzetto, cosciente di ciò che le accadeva intorno. Le sembrò strano ma non si lamentò: se la chemio che le stavano dando era più potente di quella precedente, non si vedeva.

Harry, che non aveva nessuna ‘esperienza’, la pensò allo stesso modo.

Alice però si accorse di una cosa che la fece ricredere: sul comodino di Hope c’era ancora la merendina che le aveva portato il giorno prima.

“Oh me ne ha portata mamma un’altra dopo pranzo.” Le disse Hope, quando si accorse dello sguardo stranito di Alice. “Durante la notte ho mangiato la tua. E l’infermiera ha detto che va bene, che il cioccolato può farmi solo bene.”

Sorrise all’amica anche se per troppi pochi secondi. Poi cambiò argomento.


Il giorno successivo sarebbero andati a trovarla gli amici di Harry. Tutti e cinque insieme. Doveva dormire. E se l’era ripetuto tutta la notte. La sera prima aveva cenato e poi aveva bevuto qualche intruglio di farmaci che teoricamente avrebbero dovuto lenire il senso di nausea. Aveva vomitato comunque quattro volte. E aveva cominciato a sentire freddo.

La mattina aveva 38 di febbre. Sapeva che se avesse rifiutato al colazione, avrebbe reso più difficili alle infermiere darle le medicine per fargliela passare. E doveva farsela passare: era terrorizzata dal pensiero di farsi vedere debole. Così mangiò più fette biscottate che poté per riempire lo stomaco e qualche sorso di tè. Strinse i denti e trattenne tutto nello stomaco. Le diedero le medicine e a pranzo la febbre era scesa di un grado. Fece un altro sforzo e mangiò altre fette per pranzo. Andò in bagno e la visione di sé stessa nello specchio fu terrificante. Tornò in stanza (il cuscino era pieno di capelli rossi) e prese il cellulare. Scrisse ad Alice di portarle il fondotinta più chiaro che avesse.

Harry arrivò prima degli altri, per assicurarsi che Hope stesse bene e se la sentisse. Alice non era passata a casa loro anche perché la macchina sarebbe stata piena e si era diretta subito in ospedale.

Quando Harry entrò in camera, non notò la faccia di Alice, mezza arrabbiata e preoccupata. Baciò Hope sulla guancia, sentendo uno strano profumo, diverso da quello solito della sua pelle. Non ci fece caso e chiese ad Hope come stava.

“Normale.” Rispose lei, sorridendo.

I suoi occhi sembravano più velati rispetto alle volte successive.

“I ragazzi arriveranno fra un’oretta. Va bene?”

Hope annuì.

“Allora Harry” chiese Alice “Come vanno i preparativi?”



Louis, Liam, Niall e Zayn rimasero da Hope un paio d’ore, giusto il tempo per salutarla e parlare del viaggio imminente.

“Non ti preoccupare lo teniamo d’occhio noi” disse Liam facendole l’occhiolino, quando se ne andarono riferendosi ad Harry.

Hope si limitò a sorridere.

Harry rimase con Hope almeno un’altra mezz’ora. Solo al momento dei saluti, Alice decise di lasciare la stanza. Era una cosa che Harry aveva notato durante tutto il giorno: non si era mai alzata dalla sedia, come se quel giorno fosse un giorno speciale per tenere d’occhio Hope. Di solito li lasciava da soli per qualche minuto. Ma forse era perché erano venuti a trovarla gli altri.

“Allora sei pronto?” gli chiese Hope quando Alice se ne fu andata.

“Abbastanza.”

“Non sei…emozionato?”

“Per cosa? Per i concerti?”

Hope annuì.

Harry sospirò. “E’ sempre un’emozione.”

Hope sorrise anche se avrebbe voluto fargli una battuta. Ma non aveva più le forze. Sperò che Harry non si trattenesse a lungo.

“Sarà fantastico, vedrai” disse poi, appoggiando la testa al cuscino.

“Sei stanca?” chiese lui, un po’ allarmato.

“No Harry. Mi fa male un po’ il collo, tranquillo.” Disse Hope. “Mi prometti una cosa?”

“Qualunque.”

“Fai tante foto.”

Harry rise e annuì.

Poco dopo la salutò con un bacio sulla guancia e se ne andò.

Alice, che era tornata, si voltò verso Hope, il cui viso si era trasformato in meno di un secondo da sereno a devastato.

“So che stai male. Ma sai come sono.” premesse, stringendo le labbra, quando si assicurò che Harry non potesse tornare indietro. Hope, di tutta risposta, chiuse gli occhi. “Lo sai, vero, che stai completamente sbagliando con Harry? Non puoi metterti chili di fondotinta sulla faccia e fingere che la chemio non ti faccia un cazzo. Non potrai andare avanti per sempre.”

Hope non rispose. Ma non dormiva, Alice lo sapeva benissimo.

“Stai sbagliando. Cosa credi che farà quando tornerà da Parigi? Lui, adesso, è convinto che la chemio non sia più di tanto aggressiva. Che per qualche fottuto miracolo, il tuo corpo stia reagendo bene.”

Hope emise un leggero sospiro. “Cosa dovevo fare?” disse con voce stanca, in un bisbiglio. “Lasciarmi andare e fargli vivere i tre giorni peggiori della sua vita?”

“Sarebbe stato almeno consapevole di cosa avrebbe trovato al ritorno. Di chi avrebbe trovato realmente.”

Hope rimase in silenzio.

“Sarà devastante per lui”. Aggiunse Alice.

Hope strizzò gli occhi e voltò la testa dall’altra parte.

Alice aveva perfettamente ragione. Ma ormai non si poteva tornare indietro.



“Be’… sono agitato se proprio lo vuoi sapere. La cosa mi spaventa parecchio.”

“Ti spaventa?”

“Si. Insomma devo cantare. Ho sempre dubbi quali ‘e se sbaglio? E se stono?’”

“ti adorano troppo le tue fan anche solo per accorgersene, Harry.” Sospirò Hope.

Il foulard le dava fastidio. Aveva ancora una gran quantità di capelli sulla nuca, ma cominciavano a intravedersi i buchi delle ciocche mancanti.

“in che senso?”

Erano al telefono. Hope aveva superato due giorni di febbre a 39, continua, come se si fosse trattenuta anche lei fino alla partenza di Harry. Era sabato sera, poco prima dell’inizio del concerto di Harry, e finalmente i conati di vomito erano diminuiti, passando solo a due volte durante il giorno e una volta durante la notte.

“Non fare il prezioso. Sei quello che piace di più. O forse è Zayn. No, probabilmente è Zayn. In effetti è proprio carino.”

“Ah GRAZIE”

“Scherzo. Comunque nessuno se ne accorgerà se stonerai.”

“Ho sempre il dubbio di dimenticarmi le parole.”

“Di dimenticarti le parole?”

“Cazzo, si!”

“Ma canti solo quelle! Dovrebbero uscirti dalla testa.”

“Guarda che non è facile quando sei di fronte ad un pubblico così numeroso e…pazzesco.”

“Fattele suggerire.”

“farmele suggerire, stai scherzando? E da chi?”

“Siete lì in cinque, mica avrete un vuoto di memoria tutti insieme nelle stesso identico momento?!?”

Harry non rispose subito “Ci capita più spesso di quello che credi.” Hope ebbe la sensazione che non si riferisse solo a situazioni quali i concerti.

Rise “Non voglio sapere altro. Allora da qualcuno nel dietro le quinte, nelle cuffie che avete nelle orecchie… sennò usate il classico trucco.”

“Il classico trucco?”

“Ma si, dai, quello di far cantare loro. Lo sanno tutti.”

“Loro, chi?”

“gli strumenti musicali, Harry.” Rispose sarcastica “Ma come CHI? Le vostre fan no??? I cantanti lo fanno sempre durante i concerti… stanno cantando, si dimenticano e girano il microfono verso il pubblico.”

“Aaaaaah quel trucco. Oh be’ si hai ragione. Comunque la coreografia è stupenda.”

“Ah si?” chiese Hope con indifferenza. In realtà, aveva acceso Mtv e stava guardando le immagini in diretta. Ovviamente con l’audio spento.

Harry non l’aveva fregata. Voleva sapere se lo stava seguendo, ma lei era stata probabilmente più furba. Ma se lo sentiva che Hope lo stava guardando dalla tv della camera.

Gli passò accanto Niall che urlò CIAO HOPE.

Hope, dall’altra parte della cornetta, lo salutò e Harry riportò il saluto.

Louis, accanto a lui, si sistemò i capelli poi lo guardò e gli indicò la testa, come a fargli segno di sistemarseli. Harry si guardò allo specchio. Secondo lui stava benissimo così.

“Devi andare?” chiese Hope, sentendo che lui non rispondeva più.

Liam gli fece segno che mancavano 3 minuti.

“Si fra poco.”

“Be… buon divertimento, allora.”

“Aspetta.”

Harry fece segno a Louis che andava a cercarsi un posto più appartato.

“Adesso???” sussurrò il suo amico. “ma hai visto Liam? Hai 2 minuti!”

Harry gli fece il pollice alzato e se ne andò.

“Ma che cazzo.” Disse Louis ad alta voce, allargando le braccia esasperato.

“Okay, ecco.” Harry era riuscito a trovarsi un angolo silenzioso, dove il rumore dello stadio arrivava molto più attutito. Il gruppo che apriva il loro concerto, 5 Seconds of Summer, stava chiudendo la loro ultima canzone.

“Come stai?”

“te l’ho detto prima Harry, sto bene.”

“Seriamente. Alice mi sembrava preoccupata prima.”

Hope rimase in silenzio un paio di secondi. “Hai sentito Alice?” chiese poi, con voce fredda.

“Si. Cioè no. Io non l’ho proprio sentita, le ho mandato un messaggio con scritto come andava secondo lei, come stavi dal suo punto di vista… non l’ho proprio sentita-sentita…”

Hope trattenne una piccola risata: anche se non le andava proprio a genio che lui avesse sentito Alice, il suo imbarazzo la divertiva. Era molto tenero. E questa sensazione la faceva sentire meglio.

“Sto bene davvero, Harry” lo interruppe.

“sicura?”

“si, stai tranquillo. Pensa al tuo concerto, adesso. Divertiti e falle divertire.”

Harry sorrise. “Ci sentiamo dopo?”

“Non credo di stare COSI bene da poterti aspettare sveglia. Perdonami ma probabilmente dormirò…”

“Va bene. Allora buona notte Hope. Ti voglio bene. A domani.”

“Buon concerto, Harry. A domani.”

Hope chiuse la comunicazione e tolse il muto dalla tv, facendo rimanere quasi al minimo il volume; si addormentò appena gli One Direction fecero il loro ingresso sul palco.


Harry atterrò la domenica sera. Era stato un week end lungo ma fantastico. Il pubblico di ragazze era stato strabiliante, la città l’aveva conquistato e in albergo avevano mangiato come maiali. Soprattutto Zayn: non c’era stato momento senza che lo vedesse con in mano qualche cosa da mangiare. Adorava Parigi.

Chiamò Hope ma lei non rispose: probabilmente dormiva, era abbastanza tardi.

Harry arrivò in ospedale leggermente in anticipo prima del necessario. Alice, che era venuta con lui, gli aveva parlato pochissimo durante il viaggio casa-ospedale. Era fredda e distaccata. Ma ad Harry non importava: non vedeva l’ora di vedere Hope.

La cosa che lo colpì maggiormente quando la vice fu il foulard arancione che indossava sulla testa. Non se l’era aspettato. Hope era anche più bianca di quattro giorni prima. Le labbra si potevano quasi confondere con il resto del viso.

Ma quando la sentì parlare, con i suoi e con Alice, capì che la forza della sua Hope era ancora del tutto integra.

Le raccontò del concerto quando lei glielo chiese: e la luce negli occhi di Hope sembrava vera. Avrebbe voluto che Alice se ne andasse in modo da poter ricreare l’atmosfera di qualche settimana prima, perché provava una voglia immensa di baciarla. Era contento per il concerto, era contento perché Hope aveva superato la prima seduta di chemioterapia con grande successo ed era contento nel vederla così serena. Le fece vedere le foto e rise insieme a lei per le cazzate che lui e i suoi amici avevano fatto. Ma Alice non se ne andò: rimase sulle sedia tutto il pomeriggio, quasi del tutto silenziosa, come se fosse arrabbiata.

“Alice ma è tutto ok?” le chiese durante il viaggio di ritorno dall’ospedale.

Alice si voltò a guardarlo. Harry stava attento alla strada ma sentì gli occhi penetranti di lei perforagli il cervello.

Ci impiegò parecchi minuti a rispondere. “Si.” Disse infine. “E’ tutto ok. Sono solo preoccupata.”

“per Hope? Anche io lo sono. Ma credo che se la stia cavando bene.”

Alice vede una smorfia. “Certo, come no.” Rispose. ‘a mentirti se la sta cavando in modo eccezzoionale’ pensò poi.

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Capitolo 24
*** Tutto ciò che non odio ***


Capitolo 24 -  Tutto ciò che non odio

La seduta successiva fu in coincidenza con il giorno del concerto degli One Direction a Roma. Il corpo di Hope non aveva la minima intenzione di alzarsi dal letto quella mattina, sapendo cosa avrebbe dovuto affrontare. La dottoressa Hife la venne a trovare per un consulto di ‘incoraggiamento’. Come se Hope ne avesse bisogno, come se un paio di parole con la psichiatra potessero farle dimenticare la situazione. Le chiese del ragazzo capellone che qualche volta la veniva a trovare. Hope rispose a monosillabi: Harry doveva starne fuori, non voleva coinvolgere lui e la sua vita.

Riuscì a vedere quasi tutto il concerto della sera stessa: il circo massimo era letteralmente stracolmo di ragazzine piangenti/urlanti/entusiaste e la scenografia era molto più bella di quella di Parigi. Ovviamente le italiane erano le più scatenate. Insomma… la fan choreography era stata stupenda (erano riuscite a creare una frase per ringraziare i loro idoli, composta da parole e versi prese dalle loro canzoni) e ancora una volta i ragazzi aveva addirittura pianto. Niall più di tutti.

Ma la notte di Hope era stata un inferno.

 

Harry spense il motore nel parcheggio dell’ospedale. Fece per uscire dalla macchina, con il piccolo regalo di Hope tra le braccia preso a Roma, quando Alice gli mise una mano sul braccio bloccandolo.

“Harry.” Lui si voltò. Alice non era più fredda, come le era stata quando l’aveva incontrato meno di un’ora prima. Non aveva rivolto la parola a nessuno a parte salutare. Tutti e cinque l’avevano notato e Niall aveva detto che probabilmente era ‘in quei giorni’ quindi meglio non chiederle niente.

Si mordeva le labbra. “Cosa?” chiese Harry.

“Non so come dirtelo. Io non dovrei farlo, in effetti. Ma non posso far finta di niente.”

Harry sollevò un sopracciglio. “Cosa stai dicendo?”

“Hope non sta per niente bene.”

Harry si sentì gelare il sangue nelle vene. “In che senso?” chiese cauto.

“La seconda seduta è stata… è stata molto peggio della prima. Hope è due giorni che ha la febbre alta e non mangia.”

Harry non riuscì più a parlare. Guardò gli occhi chiari di Alice, aggrappandosi a quelli. La voce di lei tremò mentre tentava di continuare.

“Non ha quasi toccato cibo. Io… Non è facile, Harry. Non è più come la ricordi.”

 

Ricordare? Ma che significava? Una persona non può cambiare così radicalmente in meno di due giorni.

-Mio Dio- pensò Harry appena la vide.

E fu un pensiero inevitabile, non lo fece apposta. Pensò la stessa cosa che aveva pensato quando era andato a trovare i malati oncologici.

Aveva ancora il foulard, di colore azzurro pallido, i capelli erano quasi del tutto caduti; la pelle era così bianca che poteva confondersi con il muro; il pigiama che portava sembrava starle troppo grande; il viso mostrava i segni della febbre, del non aver mangiato, della chemio e del cancro.

Dormiva quando Alice e Harry arrivarono. I genitori uscirono piano dalla stanza e aggiornarono Alice e Harry con l’angoscia nella voce.

“Ha ancora la febbre” disse Hannah. “E’ due ore che dorme, probabilmente fra poco si sveglierà. Non voglio che si ritrovi da sola quando lo farà. State qui con voi mentre io vado a cercare il dottore?”

Alice annuì. “vai pure. Stiamo qui noi.”

La mamma di Hope ringraziò con un sorriso e insieme al padre si allontanò.

Harry si voltò verso Hope e la guardò attraverso la vetrata della camera. Aveva gli occhi stretti e faceva alcune smorfie con tutto il viso.

“E’ il dolore” spiegò Alice, seguendo il suo sguardo. “E’ il dolore.”

Harry avrebbe voluto entrare in camera, svegliarla e strapparla dalle grinfie di ciò che le faceva male. Sembrava così facile: entrare e portarla via. Ma lui non poteva fare niente. Di colpo, tutta la gioia e tutte le illusioni che si era fatto, si frantumarono. Per due settimane aveva creduto in qualcosa che non era reale.

Alice gli sfiorò il braccio. Lui la guardò e si lasciò abbracciare, sentendosi incredibilmente inutile.

 

Passò un’altra ora prima che Hope aprisse gli occhi. Non sapeva che ore fossero, ma supponeva fosse pomeriggio inoltrato.

Alice era sulla sedia, intenta a leggere qualcosa. Ma appena Hope si mosse, alzò la testa di scatto e, vedendola sveglia, le si avvicinò.

“Ciao…” le sussurrò.

Hope aveva i muscoli indolenziti, come se avesse corso per vari chilometri. Le bruciavano le giunture.

Alice l’aiutò a mettersi seduta e le porse il bicchiere con l’acqua e qualche altra sostanza nutritiva.

Hope temette che il bicchiere potesse cadere quando lo prese in mano. Tremava. Ma si concentrò, e con grande sforzo riuscì a prendere qualche sorso aspirando dalla cannuccia.

Si guardò in giro, cercandolo.

“E’ appena sceso a prendere un caffè.” Le disse Alice prima che Hope potesse mettere in fila le parole per chiederglielo.

Quindi l’aveva vista.

Alice indovinò i suoi pensieri. “Non si può certo dire che sia felice. E che stia bene. Ma l’avevo preparato.”

Hope la guardò.

“Cosa dovevo fare?” chiese Alice risedendosi sulla sedia e riprendendo il libro. “Farlo arrivare qui e non dirgli niente? Credo che si meriti di più di questo.”

Hope avrebbe voluto ringraziarla.

Alice guardò fuori dalla camera, verso il corridoio, e annuì.

Stava arrivando.

 

Harry si comportò come se Alice non fosse stata presente. Appena entrò in camera, le si sedette accanto e le accarezzò il viso, studiandoglielo. I due si scambiarono pochissime parole: Hope non riusciva a sostenere una conversazione per più di cinque minuti. Era come scalare un vulcano, con le pietre infuocate che ti colpiscono il corpo in continuazione.

Hope cadde e rivenne dal sonno cinque volte in un pomeriggio. Le infermiere chiesero se le andava di fare merenda, di mandar giù qualcosa, ma lei si rifiutò nonostante la madre di Hope tentasse di convincerla. Il dottore aveva detto che non poteva fare altro che prescriverle altri liquidi. Per ora.

 

Quando Harry arrivò a casa, i ragazzi stavano preparando la cena.

“Ehi!” lo salutò Liam venendo incontro a lui ed Alice. “Come va?”

Harry lo fulminò e, con le mani affondate nelle tasche, gli diede una spallata, diretto in camera sua.

Alice non potè far altro che assistere impotente fino a quando Harry non sbattè la porta, due piani sopra.

Si sentirono i vetri tremare.

Louis accorse dalla cucina insieme a Zayn. Guardò Alice perplesso.

“non è colpa mia” cercò di scherzare lei. Ma il sorriso che le uscì dalla bocca, fu accompagnato da un paio di lacrime.

 

Harry fece tre passi avanti e indietro per la camera. Poi, scaraventò tutto ciò che aveva sulla scrivania per terra, in preda alla rabbia.

Era furioso. Era furioso con se stesso e con Hope. Aveva passato due weekend divertendosi, credendo che lei stesse bene. Che lei stesse affrontando la cosa in modo pazzesco. Aveva creduto che tutto ciò che si dice sulla chemio fosse un falso. Quanto era stato stupido? Doveva aspettarselo: era stato uno stupido idiota ad illudersi che tutto sarebbe tornato normale. Che tutto era normale. Lui si era divertito, mentre lei, piano piano, cominciava a morire. Cosa pensava? Che l’operazione fosse solo uno scherzo? Che la chemioterapia ‘più pesante’ era solo un modo di dire?

Tirò un calcio al comodino, facendosi anche male.

Ma non gli importava: si sentiva tremendamente in colpa per essersene andato e per non esserle stato vicino. Odiò gli One Direction. Odiò i suoi amici. Odiò Louis. Odiò i suoi concerti e le sue fan. Odiò sé stesso. Odiò la sua vita. Odiò ciò che era. Avrebbe voluto strapparsi la pelle a morsi, per uscirne. 

Bussarono alla sua porta.

“Harry?” era la voce di Liam.

E adesso che cazzo voleva?

“Harry siamo noi, lasciaci entrare.” Disse Niall.

Harry non doveva aprire la porta. Probabilmente li avrebbe presi a pugni. Perché per ora voleva solo spaccare tutto e tutti. Strinse i pugni, tremante di rabbia. Sentì la mano destra bagnata.

“Harry apri. Ti farebbe bene parlare.” Aggiunse di nuovo Liam, in tono da papà.

“Andate via” disse, con la voce più profonda del solito. Non aveva nessuna voglia di sentire le cazzo di lezioni di vita di Liam. “Vattene Liam, tu e chiunque ci sia dietro questa porta. Andate via, ADESSO.”

Dopo mezzo minuto sentì dei passi che si allontanavo e che scendevano le scale.

Odiava anche Hope: perché non gli aveva detto niente? Perché l’aveva lasciato divertire? Perché gli aveva mentito? E lui, idiota per la centesima volta, ci era cascato. Hope non avrebbe dovuto. Non importava se l’aveva fatto per proteggerlo, non importava se aveva cercato di tenerlo fuori. Lui faceva parte della sua vita adesso, doveva e aveva il diritto di sapere che cosa le accadeva. Forse si era lasciato fregare così facilmente perché in fondo non aveva mai voluto vedere realmente cosa accadeva. Si sentì uno schifo per odiarla. Si sentì uno schifo per aver urlato ai suoi amici di andarsene, di avergli urlato addosso, di aver odiato gli One Direction e le loro fan: di aver voluto non essere ciò che amava più essere. Si sentì uno schifo per aver cercato di baciarla, prima che tutto ciò cominciasse.

Si sedette sul bordo del letto, con le lacrime amare che gli bagnavano il viso. Si mise le mani tra i capelli cercando di controllare le lacrime. Il ricordo di Hope che non riusciva a stare sveglia era l’unica cosa che vedeva quando pensava a lei. E non voleva. Voleva ricordarla con i pattini addosso, voleva ricordarla con il vento che le scompigliava i capelli e glieli faceva andare nel gelato con un ‘che schifo’ della sua voce. Voleva ricordare le sue risate, voleva ricordare la sua vera voce. Voleva ricordare la vita che ci vedeva attraverso quando la guardava.

 

Scese a prendere qualcosa da bere, qualcosa di fortemente alcolico possibilmente, dopo due ore. I ragazzi erano tutti davanti alla tv, al completo, anche Zayn che di solito vedeva la sua ragazza al ritorno da uno dei concerti. Quando si avviò in cucina sentì i loro sguardi fissi su di lui, in particolare sulla fasciatura che portava sulla mano.

In cucina, aprì il frigor e, senza esitazione, prese la vodka. Aveva tutta l’intenzione di ubriacarsi.

Tornò in sala, solo perché ci era costretto a passare per tornare in camera.

 

Appena gli occhi di Liam videro la bottiglia trasparente, capì che dovevano intervenire. In un attimo spense la tv.

“Harry…”

“che cazzo c’è” rispose lui in modo brusco, senza nemmeno mettere il punto di domanda in fondo alla frase.

“L’alcol non mi sembra la scelta più adatta in questo momento.”

Harry sollevò la bottiglia e la guardò. Poi, più arrabbiato di prima, spostò gli occhi su Liam. “E cosa ti sembra più adatto in questo momento? Una fetta di torta? Un po’ di gelato?”. Odiò per aver detto ‘gelato’ con la voce tremante. Lei adorava il gelato.“Lasciami in pace.”

“Almeno stai qui. Sfogati con noi.” gli disse Louis quasi implorante.

Harry lo guardò e si arrabbiò anche con lui.

“va bene” disse facendo il giro del divano e sedendosi vicino a lui. Sbattè la bottiglia sul tavolo. “Adesso sono qui. Siete più contenti?”

“Harry sono sicuro che Hope…”

“Che Hope COSA Liam? Che starà bene? Che si riprenderà?”

“…Che non vuole questo.” Liam guardò la bottiglia.

“Ah si? E tu come fai a saperlo? La sei andato a trovare?”

Liam si scambiò un’occhiata con Louis.

Zayn appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse dal divano. “Sono sicuro che Hope non ti ha detto quanto stava male per non farti preoccupare…”. Evidentemente Alice aveva spiegato loro tutto quanto. Che si facesse un po’ i cazzi suoi, no eh?

Niall deglutì prima di dire: “… l’ha fatto per farti godere i concerti…”

“l’ha fatto per proteggerti…” aggiunse Liam.

“MA NON MI INTERESSA!” esplose Harry. “Non mi interessa un cazzo di quello che ha pensato lei, non mi interessa un cazzo di quello che pensate voi e non mi interessa un cazzo di stare qui a parlare con voi! Perché si tratta solo di me! SOLO DI ME, di come sto io, non di voi, non di noi , per una cazzo di volta in tre anni, MA DI ME E BASTA. E delle tue fottute lezioni di vita Liam non me ne faccio un cazzo in questo momento. Questa situazione la gestisco e la affronto come pare a me, non voglio consigli, non voglio pareri, voglio solo essere lasciato in pace, VA BENE?”

Si alzò e se ne andò.

Niall chiuse mezzo occhio, facendo una smorfia, aspettandosi il classico rumore della porta della camera che sbatteva che, infatti, arrivò presto.

“Be’” disse poi, quando Zayn si decise a riaccendere la tv. “Almeno ha lasciato qui la vodka.”

 

La loro casa si sviluppava su tre piani: al piano terra c’era la zona ‘comune’, con cucina, sala e stanza ‘libera’ come la chiamavano loro. Al primo piano abitavano Zayn, Liam e Niall: era praticamente un appartamento di tre camere da letto più una piccola sala; al secondo c’erano Harry e Louis, anche loro in camere separate ma con una zona in comune.

Louis fece il più piano possibile nel tornare a letto. Prima di mettersi in pigiama, andò in bagno a farsi una veloce doccia e poi andò nella stanza in comune che divideva le loro due camere. Harry aveva ancora la porta chiusa. Louis si abbassò e guardò dalla fessura: la luce era spenta, ma era sicuro che non stesse dormendo. Si avvicinò alla porta e posò una mano sulla maniglia. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta. Non l’aveva mai visto così sconvolto.

Prese un bel respiro e abbassò la maniglia. Poi aprì piano la porta.

Era come sospettava: Harry non era nemmeno sotto le coperte. Era semplicemente seduto, probabilmente dove lo era stato per due ore dopo essersi fatto anche lui una doccia. Forse pensando che avrebbe sciacquato via tutto il dolore che provava.

Sollevò lo sguardo su Louis.  Gli occhi erano pieni di lacrime e i capelli in disordine dalla doccia. Come al solito, non ci fu bisogno di parole. Harry non provò nemmeno a cacciarlo via, perché, in fondo, non voleva farlo. Louis si sedette accanto a lui, guardandogli la mano fasciata malamente e collegandola ai pezzi di vetri cosparsi sulla scrivania. Harry abbassò lo sguardo.

Louis gli circondò le spalle con un braccio tirandoselo leggermente più vicino. Harry si lasciò trasportare dal suo migliore amico, piangendogli sulla spalla. 

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Capitolo 25
*** Mentire per Amore ***


Ciau ragazze/i
Visto che ho molto da dire e non voglio rubarvi tempo prezioso, vi lascio subito alla storia! Lo "spazio autrice" lo inserisco alla fine del prossimo capitolo!
TANTISSIMI abbracci stritolatutto e, come sempre, buona lettura
Emma ;)

Capitolo 25 - Mentire per amore

Lunedì, la mamma di Hope mandò un messaggio ad Alice, dicendole di rimanere pure a casa: Hope non era in grado di ricevere visite.

Alice, ormai già per strada per Londra, decise di andare comunque dai ragazzi per avvertire Harry. Non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere.

Quando suonò alla porta, le venne ad aprire solo Louis. Aveva i capelli scombinati e aveva un casco in mano. Lui era appena tornato dalla casa discografica e probabilmente gli altri sarebbero arrivati poco dopo.

“E’ per i giornalisti” disse. “Partiamo da qui e da là su mezzi diversi, ci dividiamo, facciamo strade alternative eccetera per non condurli qui. Al nostro luogo ‘sicuro’. Siediti pure, come al solito, fai come se fossi a casa tua.”

Quando Alice gli comunicò la notizia che né lei né Harry sarebbero potuti andare da Hope perché stava troppo male, Louis sospirò preoccupato: Harry non l’avrebbe presa di certo bene. Per tirare su di morale Alice, la invitò a stare da loro per tutto il pomeriggio e a fermarsi anche a cena. Alice ringraziò e accettò.

Quando Harry arrivò a casa, l’ultimo di tutti, perché aveva fatto un lunghissimo giro per le stradine più nascoste di Londra, trovò Alice comodamente seduta in sala, a parlare normalmente con Zayn della sua fidanzata, che cominciava a fare i capricci.

“Ciao.” La salutò senza enfasi nella voce. “Quando sei pronta, andiamo.”

Alice guardò Louis che annuì leggermente. “Harry…”

“Cosa?”

“Harry oggi non andiamo.”

“Cosa?!” gli occhi di Harry si indurirono. “Perché?”

Alice tentennò per qualche secondo “Perché non sei in grado di vederla in questo stato.”

Harry rimase impalato, con le orecchie che cominciavano a ronzargli: chi era lei per decidere cosa era in grado di fare e non fare?

“Scusa?” chiese, cercando di mantenere la calma.

“Io…” Alice prese un bel respiro. “Non posso permetterti di andarla a trovare con quella faccia, con questo atteggiamento e con quella mano.”

Harry si guardò la mano, ancora fasciata.

“Insomma sembri un morto che cammina…” Alice cercò di metterla sullo scherzoso, come Liam le aveva suggerito di fare. “Prendiamoci un giorno di pausa. Per me, per te e per lei. Per riprenderci tutti con calma eh? Che dici?”

Harry guardò Alice nel profondo degli occhi. Lei resse il suo sguardo per due secondi, poi andò a cercare quello di Liam.

“Sta male, vero?” chiese Harry con un filo di voce, sentendo la rabbia sfumare con la stessa velocità con cui era arrivata. “Sta troppo male per vedermi.”

Alice aveva detto a Liam qualche minuto prima che quella bugia non avrebbe mai funzionato.

“Non proprio male male…” tentò lei con troppa esitazione.

“Alice, per favore.”

Il tono di Harry era pericolosamente allarmante. Sembrava sua madre quando la scopriva a mentire, la cui cosa capitava raramente visto che Alice era brava, certo, soprattutto quando serviva. Ma guardando negli occhi di Harry, mentire era diventato, di colpo, una cosa difficilissima.

Lei fece un cenno del capo. “Per vedere chiunque…” aggiunse.

Ma Harry era già corso su per le scale.

Se ne sarebbe andato a Barcellona e a Berlino. Ma cosa stava facendo? La lasciava da sola? Se ne andava a cantare mentre lei soffriva? Non sapeva cosa fare. Si sentiva in colpa per lasciarla lì, in ospedale, senza essere lì quando si svegliava. A darle la buona notte quando si addormentava. Si sentiva in colpa a farsi vedere solo attraverso uno schermo, a farsi sentire solo attraverso un telefono. Si sentiva uno schifo.

Si buttò sul letto e affondò la faccia nel cuscino.


Quando scese, sentì delle risate provenire dalla sala. Erano di Alice, Niall e di Liam. Trovò Louis in cucina, con dei fogli sparsi su tutto il tavolo. Stava studiando la nuova canzone.

Lo salutò con un sorriso. Harry rispose con una smorfia. Zayn era fuori con Jessica.

Altre risate.

“Ma come cazzo fanno.” Disse Harry.

“Cosa?” chiese Louis. Ma Harry aveva già chiuso la porta del frigor sbattendola, facendo tremare le bottiglie di vetro, diretto di nuovo in camera.

Alice stava ancora ridendo.

“Harry dai fermati qui con noi!” gli disse Alice quando lo vide passare per la seconda volta.

Harry si bloccò. Il ronzio alle orecchie era tornato.

“No, non ci tengo a farmi quattro risate in tua compagnia.”

Di botto, l’atmosfera cambiò. Il sorriso di Niall gli scivolò via dal viso; Liam guardò Harry stupito.

“Scusami?” chiese Alice, già sul piede di guerra.

Harry si voltò a guardarla. “No, non ci tengo a farmi quattro risate in TUA compagnia.” Ripetè sputando le parole.

“Ah.” Disse lei, semplicemente. Poi aggiunse: “Okay. Non c’è bisogno di essere così stronzi con me perché ti senti in colpa con te stesso.”

“In colpa con me stesso?”

“per il fatto che vai a Barcellona e Berlino, lasciandola qui da sola”

Louis, dalla cucina, pensò che Alice dovesse essere pazza sul serio. Si alzò e raggiunse Harry proprio nel momento in cui lui, paonazzo di rabbia, apriva bocca.

“Com…cosa....Non c’è bisogno di essere stronzi?” disse. “Sei TU la stronza che sta qui a ridere e a parlare come se non fosse niente.”

“Se non fosse niente, che cosa?” chiese Alice.

Louis guardò Alice: ma lo stava provocando apposta per caso? O era semplicemente scema?

“Se non fosse niente quello che sta accadendo ad Hope!” urlò Harry di tutta risposta. “Del cancro, della chemioterapia e del fatto che oggi non siamo con lei perché sta troppo male anche solo per vederci! Sto parlando della tua amica, se non hai capito!”

“ho capito benissimo.”

“E allora con che coraggio ridi, con che coraggio ti siedi e parli di tutt’altro? Con che coraggio fai come se fosse tutto normale? Con che coraggio mi guardi negli occhi e mi dici che lo stronzo sono io? Io sono obbligato ad andare a Berlino, tu non sei obbligata a ridere! Io mi sento uno schifo per doverci andare! ODIO doverci andare! Tu, invece, sei qui che ridi, perché vuoi farlo! Ma che rispetto hai per la tua amica? Che rispetto hai per ciò che sta passando? Potrebbe morire! Te ne rendi conto? Fra due settimane, potremmo essere tutti ad un funerale!” Harry fece una pausa per prendere fiato. Louis guardava il suo amico, non sapendo cosa fare. Di certo Alice se l’era cercata. “La verità è che non te ne frega un cazzo.” Continuò Harry. “Di lei e della sua malattia. Sei qui, che te la spassi con noi e te ne freghi. Eravamo noi il tuo obiettivo” Alice scosse la testa, emettend un verso/smorfia, incredula. Harry si infiammò ancora di più pensando che fosse una risata. “Mi chiedo cosa ci facevi da lei in questi giorni: se stavi lì solo perché le sei stata vicino anche in passato, allora te ne puoi anche andare! Sono sicuro che Hope capirà che merda di amica eri!”

Alice abbassò lo sguardo. Dopo un attimo di assoluto silenzio, dove ne Niall né Louis né Liam ebbero coraggio di intervenire, Alice esordì dicendo: “Prima di tutto abbassa quella cresta”

Harry non si sarebbe mai aspettato quella risposta.

“Il mio obiettivo non eravate voi. Senza offesa, ma è estramete egocentrico da parte vostra, da parte tua Harry, pensare una cosa del genere.”

Alice fissava Harry con occhi che, pensò Niall, se avessero potuto prendere fuoco, l’avrebbero incenerito in meno di un attimo.

“Secondo: cosa dovrei fare?”

“Cosa?” chiese Harry, pensando di aver capito male.

“Cosa devo fare?” ripetè Alice guardandolo negli occhi. Sembrava quasi divertita. “Dimmi cosa devo fare. Oltre a vivere la mia vita.”

“non si tratta di vivere la tua vita. Ma di avere rispetto per ciò che sta passando.”

“va bene, come vuoi. Cosa devo fare per portarle rispetto?” Alice si era alzata. “Devo mettermi a piangere?”

“non ho detto questo…”

“Devo disperarmi?”

“Volevo dire un’altra cosa…”

“Devo buttarmi per terra e battere i pugni? Devo sfondare un muro a forza di calci? Devo chiudermi in casa, sbarrare tutte le finestre e stare al buio per portarle rispetto?”

Harry la guardò allibito.

“Devo mostrare quanto sto male anche io, Harry?” la voce di Alice si incrinò leggermente, assumendo tutt’altro tono. “Devo distruggere casa mia o la mia scrivania per mostrare quanta rabbia provo per un mondo che si è accanito sull’unica amica che conosco fin dalla nascita, sulla mia migliore amica? Devo strapparmi i capelli sapendo che lei ha più possibilità di morire che di vivere? Devo… Devo piangerla ancora prima…prima che lei sia morta?” Alice strinse i pugni. “Se è questo quello che vuoi tu, fallo pure! Ma fallo TU! Torna in camera tua e piangi finchè vuoi, non andare Berlino e a Barcellona, chiuditi in camera, non parlare con nessuno, spranga le finestre e distruggi tutto ciò che hai intorno. Questo è il tuo modo di affrontare il tuo dolore. Non colpevolizzarmi perché il mio non è lo stesso. E quando…” Alice non riuscì a finire la frase. “Io voglio continuare a vivere.” Riprese, cercando di lottare, inutilmente, contro il fiume di lacrime. “Perché è ciò che si merita Hope. Perché è ciò che Hope vorrebbe se potesse farlo. La mia vita deve continuare e continuerà anche settimana prossima e la settimana dopo ancora, in qualsiasi modo vada l’intervento.” Piangeva a dirotto. “Perché è Hope che me lo chiede. Me lo chiede ogni volta che entro in quella stanza, ogni volta che la pelle le diventa più chiara, ogni volta che non riesce a stare sveglia, ogni volta che la vedo rimpicciolire tra le coperte, ogni volta che mi guarda negli occhi, dicendomi mille parole silenziose. Ogni volta che la vedo allontanarsi, un pezzo alla volta, verso un luogo che mi è impossibile da raggiungere. Lei vuole vivere, lei vuole che noi viviamo la nostra vita a pieno, fino in fondo, perché lei non può farlo.”

Saying that we have to suck out all the morrow life” sussurrò Harry, citando la sua canzone.

Alice annuì forte. “Io rido perchè lei lo farebbe. Io parlo di altro perché lei lo farebbe. Tu vai a Berlino e canta, come ti piace fare, come ti piace essere uno degli One Direction. Perché lei non avrebbe nessuna esitazione al posto tuo. E non si tratta di non avere rispetto. Avere rispetto significa stare male con lei? Noi siamo gli occhi in cui vede la vita andare avanti. Sa che la vita continua anche se la sua, temporaneamente, è bloccata in una stanza di ospedale. E vederci vivere la fa stare bene. Credi che andarla a trovare con la morte negli occhi, la tirerebbe su di morale? Credi che io non faccia fatica sorridere quando ogni minuto della giornata vorrei piangere? Credi che per me sia facile fare finta di stare bene, quando vorrei solo pregarla in ginocchio di rimanere in vita anche questa volta, come se dipendesse da lei? Io non voglio, non voglio minimamente pensare che lei fra un mese potrebbe… potrebbe…”

Alice si lasciò cadere sul divano, le mani sul viso, i singhiozzi incontrollabili.

Dopo un attimo sentì una mano sulla gamba e alzò lo sguardo. Harry era di fronte a lei, piegato sulle ginocchia, che cercava i suoi occhi, chiedendole scusa in silenzio.

Lei lo guardò e cercò di sorridere, guardandogli il viso che Hope amava tanto ma aveva così tanta paura di ammettere di amare.

“Ha mentito ad entrambi quando ci ha fatto credere di stare bene. Di più a te, perché ci tiene, anche se non te lo dirà mai.”

Harry fece un piccolo sorriso.

“Lo ha fatto perché ci vuole bene. Ci ha mentito per amore. Ma ora i ruoli sono invertiti e noi saremo molto più bravi a farle credere che, invece, siamo noi che stiamo bene. Che non siamo preoccupati, che non soffriamo per come sta. Anche se non è così.”

Harry le prese le mani tra le sue.

“facciamole capire che Harry Styles non è solo più bravo di lei nel cantare e nel pettinarsi, facendo impazzire le sue fan; ma è anche più bravo a mentire per amore.”



Solo perché Harry il giorno successivo sarebbe partito, Hope riuscì a trovare la forza per vederlo. Ma per un’ora. O per il tempo in cui lei riusciva a stare sveglia.

Aveva i tubicini nel naso, per aiutarla a respirare. Stava un po’ meglio rispetto ai giorni precedenti ed era riuscita a mangiare con successo ben due pacchetti di fette biscottate nell’ultima ora.

Ma ciò che la turbava più del dolore fisico, era il dolore interno, quello che nessuna medicina avrebbe potuto lenire. Harry sarebbe venuto a trovarla e l’avrebbe vista più debole che mai, la pelle cadaverica e il pigiama enorme che le dava fastidio; avrebbe visto come stava diventando, cosa voleva dire divenire succube. E gli avrebbe causato un enorme dolore: lei lo sapeva. Lo aveva sentito nella sua voce quando avevano parlato dei malati di cancro; lo sapeva perché lei, l’anno precedente, aveva provato le stesse emozioni per se stessa mentre si guardava allo specchio, giorno per giorno, fino a non riconoscersi più nel suo riflesso.

Harry si era reso conto che ciò che aveva detto Alice era vero: tutto, nelle sue parole, collimava con il carattere di Hope. Si fidò di lei sentendosi un po’ stupido per non essere arrivato da solo alla conclusione che Hope sarebbe stata peggio se avesse visto che anche lui stava male. Ma in fondo lui era ‘nuovo’ nella sua vita, Alice vi era immersa da quando erano piccoline. Come tra lui e Louis, c’era un’amicizia che batteva qualsiasi relazione amorosa.

Salì al piano di Hope pensando che era la prima volta che andava da solo in ospedale, senza il supporto di Alice. Lei era a casa dei ragazzi, ad aspettarlo, per avere sue notizie.

Hope avrebbe creduto di vedere Harry sconvolto. Invece, era entrato in stanza, regalandole uno dei sorrisi più belli sulla faccia della terra, che le era mancato. Un pochino.

Aveva salutato i suoi che si erano defilati quasi subito. Poi le aveva chiesto come stava dopo averle dato un bacio dolce sulla guancia.

Avevano parlato di Berlino e Barcellona. Più che altro lui aveva parlato. Lei si era limitata ad ascoltarlo e a fare qualche commento bisbigliato. Ma ad Harry andava benissimo così.

Prima di salutarla, si spogliò la felpa e gliela posò in grembo: “Non è quella dell’altra volta” disse “Però sarà abbastanza per tenerti al caldo.”

Hope guardò la felpa. Poi fece un sorriso, il primo da quando Harry aveva messo piede in quella stanza. Lui ne approfittò per baciarla ancora sulla guancia, trattenendosi qualche istante di più sulle sue pelle gelata.

Hope fece la terza seduta la sera del concerto degli One Direction a Barcellona. Ancora, era in coincidenza con un loro concerto. Il destino, a volte, aveva un senso dell’umorismo orribile, quasi macabro.

Hope riuscì a vedere le prime tre canzoni. Aveva indossato la sua felpa e se l’era tirata su fino al naso, per immergersi nel suo profumo, immaginando di essere da qualche parte con lui, così vicino a lui da poter sembrare abbracciata; da poter desiderare, con il cuore a mille, di essere abbracciata da lui; da essere emozionata per stargli a meno di un passo di distanza. Per fortuna, il dolore non aveva accesso ai suoi pensieri anche se parecchie volte ci era andato vicino, molto vicino: era l’unico modo per dimenticarsi, per poco tempo, di cosa le stava accadendo.


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Capitolo 26
*** Knut ***


Capitolo 26 –Knut-

Domenica, Alice la andò a trovare con Olivia e Tara. Loro tre organizzarono una specie di pomeriggio-pigiama-party (non senza il consenso della madre) dove Hope aveva il semplice compito di doverle ascoltare. Il medico le aveva somministrato morfina per gestire il dolore della terza e penultima seduta, che era stata terribile, più della seconda. In più, aveva anche i tubicini nel naso, per aiutarla a respirare. Con la morfina, i dolori erano diminuiti. E quando li sentiva un po’ più forti, Hope pensava a quanto potessero essere forti senza il medicinale. Così riusciva a superare le crisi; così, riuscì ad affrontare il pomeriggio-pigiama-party. Olivia portò notizie di Oxford, provocando in Alice una serie di facce/smorfie schifate: aveva già cominciato ad arredare l’appartamento e si era già fatta coinvolgere da alcuni universitari più grandi; il suo ragazzo era naturalmente un po’ geloso, ma probabilmente presto gli sarebbe passata. Soprattutto quando si sarebbe convinto al 100% che il gruppo di universitari che Olivia frequentava era composto da quasi tutti ragazzi gay.

“Ed è un peccato, detto fra noi” aveva detto. “Tutti mooooolto carini. E’ vero che sono sempre i migliori che se ne vanno.”

Hope aveva riso.

Tara, invece, aveva riportato notizie del suo attuale ragazzo, uno con la testa a posto e che la trattava come una principessa. Ma lei cominciava a preoccuparsi di ciò che sarebbe successo ad Ottobre: lei volava ad Edimburgo, mentre lui andava a Berlino.

“Goditi questi ultimi mesi, allora” aveva detto Hope in una delle sue poche frasi di quel pomeriggio. Tara aveva sorriso. “Sicuro Hoppie” le aveva risposto. “Non hai idea di quanto me la godrò!”. Le ragazze avevano riso, facendo allusioni sessuali.


Hope riuscì a mangiare un piatto di riso bianco, completamente asciutto. Era la prima volta da una settimana e mezza che metteva in bocca qualcosa che non fosse un cracker o una fetta biscottata. Guardò la fiala della morfina. La volta scorsa era sicura che non gliene avessero data così tanta: ciò voleva dire che la chemio era effettivamente molto più forte. Sperò, per un secondo, che stesse funzionando. Poi represse quei pensieri, non volendoci pensare.

Helena, l’infermiera, passò a prendere il vassoio e ad aiutarla per prepararsi per la notte. Dopodichè Hope accese la tv e mise il suono al minimo. Mentre la pubblicità su una crema per capelli passava alla tv, Hope tirò fuori da sotto il cuscino la felpa di Harry e se la mise: profumava ancora.

Stava per girare su un altro canale, quando sentì la porta aprirsi.

“No grazie” disse Hope, sapendo già cosa Helena avrebbe voluto rifigliarle: la tisana della buona notte.

“ 'No grazie'? Come 'no grazie'! Ho dovuto mollare i ragazzi nel bel mezzo di Berlino, per arrivare qui stasera!”

Hope non credette né alle sue orecchie, quando arrivò la voce profonda di lui, né ai suoi occhi: Harry era appena entrato in camera sua; era sulla soglia della porta.

“Harry?!” chiese, sgranando gli occhi.

“Comunque se non mi vuoi, torno domani. Anche se mi dispiacerebbe visto che ho dovuto usare tutto il mio repertorio di frasi ad effetto per convincere l’infermiera qui fuori a farmi passare. E ti garantisco che non è stato facile.”

Hope scosse la testa, facendo una piccola risata.

Harry sorrise e richiese “posso restare quindi?”

Hope annuì sorridendo.

Harry entrò in camera con un pupazzo di un orso bianco nella mano. Hope sorrise di più “E quello chi è?”

“E’ Knut, l’orso di Berlino.” Disse avvicinandosi e mollando la giacca sulla sedia. Doveva essere atterrato da meno di un’ora. “Non lo conosci? Ne era piena la hall dell’albergo.”

Harry era in piedi accanto a lei. “posso?” chiese, indicando il letto. “Sono molto stanco, sai, un volo molto lungo.”

Hope, ridendo gli fece posto e lui si sdraiò accanto a lei.

Per lei, fu molto strano. Harry sembrava particolarmente euforico.

“Facciamo che Knut si mette in mezzo così tiene d’occhio la situazione”

Harry le fece l’occhiolino. Hope ridacchiò e guardò il peluches: era piccolo e buffo, con il muso paffuto.

“E’ molto carino.” Gli disse, sguardando Harry. “Che ci fai qui, comunque? Mica dovevi tornare domani?”

“Si, ma ho preso l’aereo stasera. Knut voleva assolutamente conoscerti. Mi ha detto che sei la sua protetta. E come si fa a dire di no a questi occhioni?”

Harry sollevò il peluches e lo mosse di fronte al viso di Hope, facendola ridere. Rise anche lui e poi rimise il peluches sul letto.

“Allora?” le chiese “Come stai?”

Hope scrollò le spalle. “Normale.”

Harry le studiò il viso. Alice gli aveva detto della morfina: la prima cosa che aveva pensato lui era stata perché non gliel’avevano somministrata subito. Hope aveva riso più spesso negli ultimi dieci minuti che nell’ultima settimana. Aveva i tubicini nel naso, era sempre più magra, ma il viso sembrava leggermente più colorito.

Harry notò che indossava la sua felpa e sorrise tra sé.

“tu?” chiese Hope. “Come è andata a Barcellona e a Berlino?”

“una noia mortale.” Scherzò lui.

“non sembrava, dalle immagini di ieri sera”

“Ah, allora ammetti che ci segui!”

“Inevitabile. Mtv parla solo di voi.”

“Be’ si, direi. Siamo i migliori.”

“Quanto siamo modesti” Hope lo toccò appena, spingendolo.

“Ahia!” finse Harry, prendendosi la spalla. "sei spigolosa in questi giorni.”

La battuta gli venne naturale e per un attimo pensò di averla offesa, riferendosi al fatto che era dimagrita moltissimo. Ma Hope rise, di nuovo.

“Scusami, hai ragione.” Gli disse.

Harry si prese un attimo per guardarla meglio, poi le diede un bacio sulla guancia, dolce e sempre un po’ più lungo del necessario. “mi sembri stare meglio” le disse poi, dolcemente.

Hope non rispose.

“okay, cosa guardi di solito in tv? A parte noi, voglio dire” chiese Harry prendendo il telecomando.

Hope fece ancora un piccolo sorriso. “Ciò che capita” rispose.

“Uhm mi pare di aver sentito che stasera c’è la guerra dei mondi. Ti va?”

Hope guardò Harry: il loro primo film insieme, da soli, in ospedale e sugli alieni. Be’ di certo non si poteva dire che non era originale.

Hope annuì e Harry girò sul canale del film. Poi alzò un braccio e le circondò le spalle.

“E’ un contatto che Knut approva?” chiese Hope.

Harry prese il peluches e gli chiese “Ehi Knut, posso abbracciare la tua protetta?”. Poi imitò una voce acuta “uhm solo per questa volta Styles.”

Hope scoppiò a ridere. “ma da quando gli orsi hanno questa voce?” chiese tra le risate.


Hope cominciò a sentire la stanchezza dopo un’oretta. Il film lo sapeva a memoria, era uno dei suoi preferiti sugli alieni. Ma non voleva mandar via Harry.

Così, si sistemò meglio e posò la testa sul suo petto.

Harry le strinse il corpo sottile.

Prima di addormentarsi, lei disse: “sento il tuo cuore.”

“uh meno male. Credo che, dal punto di vista medico, sia una buona notizia, questa.” rispose scherzando Harry.

Hope fece un sorriso. “Mi piace sentire il suono del tuo cuore.”

Se Harry avesse potuto urlare di gioia, l’avrebbe fatto. Nonostante non fosse successo assolutamente niente di speciale, nonostante non l’avesse appena baciata o non l’avesse appena portata a letto facendole passare la notte più bella della sua vita (ovviamente lui ne era perfettamente capace), si sentiva come se avesse appena conquistato la vetta più alta del mondo, dopo mesi di eterna guerra con la neve e il vento gelido. Si sentiva come se avesse fatto gol nella sua partita del cuore, come se avesse appena cantato di fronte al più grande pubblico mai visto. Fu come se il successo fosse solo suo perché aveva azzeccato l’ultima nota, perché aveva fatto un assolo da paura.
Non capiva perché, ma il suo cuore era grondante di gioia. E sperò che Hope sentisse anche questo.



Quando Harry si svegliò, doveva essere mattina presto. Il sole, tra le tende tirate della stanza, accarezzava il pavimento con una luce pallidissima. Non si ricordò cosa fosse successo: avrebbe dovuto essere nella stanza di albergo con Louis e Niall, magari sotto uno strato abbondante di piume, dopo aver distrutto l’ennesimo materasso e probabilmente con un mal di testa accecante.

E invece aveva preso un aereo la sera precedente, facendo impazzire Fanny, e si era catapultato da Hope, senza nemmeno passare a casa per lasciare la valigia. Le aveva fatto una sorpresa, portandole il peluches e rimanendole a fare compagnia. Per la verità pensava di tornare a casa dopo il film, ma Hope si era addormentata quasi subito, appoggiando la testa sul suo corpo. E lui l’aveva seguita dopo mezz’ora al massimo, scivolando nel sonno e lasciandosi andare alla stanchezza di due concerti.

Lui, durante la notte, non aveva mosso un muscolo per non svegliarla. Probabilmente il suo inconscio non glielo aveva permesso. Quindi Harry si ritrovò nell’esatta posizione di come si era addormentato: il braccio attorno al corpo troppo sottile di Hope, le caviglie ancora incrociate e la mano sinistra sul braccio di lei. La guardò: dormiva ancora profondamente e lui non ebbe coraggio a svegliarla. Sembrava… sembrava serena.

La posizione di Harry non era delle più comode anche perché cominciava a sentire freddo nella parte destra del corpo, dove non c’era Hope a scaldarlo. Anche lei non doveva essersi mossa durante la notte: l’unica cosa che notò Harry, diversa dalla sera precedente, era la mano di Hope, la sinistra, che teneva a qualche centimetro dal viso, sempre sul suo petto. Era leggermente contratta e sembrava aggrapparsi alla maglietta di Harry con le poche forze che le rimanevano.



Helena arrivò sonnecchiando quella mattina al lavoro, con il suo solito caffè doppio bollente tra le mani. Quando vide arrivare il dottor Cooper con la sua schiera di piccoli, testardi e irrispettosi praticanti medici, si diede una mossa per cominciare a svegliare i pazienti. Cominciò con il paziente della stanza numero 1290,il signor Edward, il più anziano, il più testardo e il primo a cui il dottor Cooper avrebbe fatto visita. Avrebbe finito con la ragazza della 1294, una ragazzina dai capelli rossi, finchè li aveva avuti, con gli occhi sempre un po’ tristi. Be’, come darle torto: era la seconda volta che aveva il cancro e aveva solo 17 anni. Sperò che la sua Sophie, di 15, non si trovasse mai in una situazione del genere. Però c’era qualcosa di incredibilmente dolce: un ragazzo dalla quantità immensa di capelli la veniva a trovare quasi ogni giorno. Probabilmente era il suo ragazzo. Ma Helena era sicurissima di averlo già visto da qualche parte.

Helena entrò nella camera di Hope senza bussare: gliel’aveva chiesto lei il secondo giorno in cui era arrivata in quel reparto. Preferiva svegliarsi con il suono delle tende che venivano tirate e con la luce del sole sul viso. Ma non era successo molte volte di doverla svegliare così: molte volte bastava il suono dei suoi passi o della maniglia che si abbassava per svegliarla, perché non dormiva mai profondamente a causa dei dolori della chemioterapia. Così anche quella mattina, abbassò la maniglia della sua stanza ed entrò: guardò verso il letto per controllare che la ragazza fosse ancora lì e fece due passi. Poi dovette voltarsi di nuovo verso il letto: il suo cervello aveva registrato qualcosa di anormale.


Harry fece un timido sorriso all’infermiera, che sembrava non essersi resa conto subito della sua presenza. Man mano che i secondi passavano, però, gli occhi dell’infermiera si ingigantirono.

‘MA CHE CAZZO CI FA QUI QUESTO???’ si chiese Helena nella sua testa. Lo additò, con gli occhi semichiusi dalla rabbia, e poi indicò la porta, mimando con la bocca “TU. FUORI. ADESSO.”

Harry indicò Hope e alzò le mani, come a dire ‘che cosa ci posso fare?’.

Helena lo fulminò con lo sguardo: era rimasto lì tutta la notte, contro le REGOLE. Marciò verso le tende e le tirò più forte che poteva.

Queste fecero il classico SWISSSSH e la luce del sole esplose nella stanza.

Harry guardò Hope che strinse di più la sua maglietta con la mano e arricciò il naso.

“Forza signorina SVEGLIATI.” Disse Helena, senza tante cerimonie. “TU.” Disse rivolgendosi a Harry, additandolo. “HAI DIECI SECONDI PER SPARIRE.”


Quando il ragazzo dai tanti capelli passò di fronte al bancone delle infermiere, dopo essere uscito dalla stanza 1294, Helena lo seguì con gli occhi semichiusi, incenerendolo ad ogni passo che faceva. Si era ricordata che era venuto la sera prima, pregandola di farlo passare, dicendole che doveva consegnare solo il peluches alla ragazza dai capelli rossi e promettendole che si sarebbe trattenuto al massimo per un’oretta. Harry, di tutta risposta alle sue occhiate inceneritrici, quella mattina, le diede il buongiorno e se ne andò verso l’ascensore con le mani nelle tasche, tutto sorridente.

Ma come si permetteva? Non le interessava niente se era il suo ragazzo! C’erano delle regole precise e dovevano essere rispettate per un motivo! PER FORTUNA, sembrava che non avessero fatto niente quei due, tra le lenzuola! Probabilmente si erano addormentati davanti alla tv. Ma non le importava! Se fosse capitato a sua figlia, l’avrebbe…l’avrebbe…

Helena rilassò il viso: no, probabilmente se fosse capitato a sua figlia, avrebbe pensato che era stato proprio carino.

In fondo sembrava un ragazzo per bene. Anche se continuava a ricordargli qualcuno. Insomma, da quando lavorava lì, non gli era mai capitato che un ragazzo la pregasse, con moine, promesse e frasi sdolcinate, di farlo passare per consegnare un misero peluches. Sembrava una tenera e romantica commedia: sua figlia sarebbe andata in brodo di giuggiole quando gliel’avrebbe raccontato, quella sera, visto che stava attraversando la fase in cui le adolescenti fantasticano sul loro primo ragazzo. La sua Sophie, in particolare, era persa di un ragazzo di un gruppo famoso, gli Once Direction le pareva che fosse il nome del gruppo, di nome Luis. O qualcosa di simile: la sua stanza era piena di poster e una volta glieli aveva anche fatti vedere in un video, cantandone nomi ed elogi.

‘Un momento’ disse Helena a sé stessa, aggrottando la fronte mentre raccoglieva i moduli di alcuni pazienti. Guardò verso l’ascensore, dove il ragazzo stava per entrare, sbadigliando e stiracchiandosi.


Hope fece la quarta e ultima seduta con la mascherina dell’ossigeno. Cominciava a mancarle il fiato e una volta aveva rischiato di andare in crisi respiratoria, a causa del dolore. Il dottor Cooper si ritrovò a spiegare più di una volta alla madre di lei che non poteva alzare il livello della morfina e che Hope doveva stringere i denti ancora per poco. Le permise di ricevere visite dai suoi amici un’ora al giorno, dalle tre alle quattro, mentre i genitori potevano venire anche la sera, sempre un’ora, prima di mangiare.

‘E’ l’ultimo sforzo’ si ritrovò a pensare in continuazione Hope mentre piangeva la notte, frustrata perché il veleno non le permetteva di dormire, bruciandogli una cellula alla volta. ‘E’ l’ultimo sforzo, resisti, poi, in qualunque modo vada, tutto finirà.’


Ciau ragazze/i,
spazio autrice qui, come detto anzi scritto precedente, non volevo interrompere bruscamente la narrazzione con le mie cavolate!
Volevo condividere con voi il fatto che oggi sono felice felice felice per una semplice e bellissima ragione: VOI, tutte/i voi, che avete deciso di mettervi a leggere la mia storia, anzi no, la storia di Harry e Hope, fino a qui, fino al capitolo 26, cavolacci ragazze ma quanto leggete?! 
E' stato davvero emozionante ricevere le vostre recensioni, mi sono messa a piangere per tutte, giuro, nessuna esclusa (certe volte a piangere dal ridere ahahaha, siete forti!), mi sono commossa come mai a vedere il numerino delle visite schizzare, letteralmente, verso l'alto; il mio cuore è
grondante di gioia (citazione ;)). E spero che gli ultimi capitoli (ne mancano ancora 4, esclusi quelli di oggi) vi piacciano come i primi. Anche se io sono tristissima perchè sta finendo T.T
Ho letto dalle vostre recensioni che il primo pezzo sulle chat è un po' incasinato: vedrò di rimediare, in effetti ci sono degli spazi incomprensibili anche per la sottoscritta!
Seconda cosa, poi vi lascio in pace, giuro: devo alzare il raking ad arancione, secondo voi? Per le tematiche delicate, intendo. Che dite?

Ehmmmmm stasera solo due capitoli. Pochi, lo so. Ma spero vi soddisfino lo stesso.
(per errori 'sgrammaticati', vi prego, abbiate pietà! e ditemelo!!!)
Vi saluto,
INFINITI abbracci stritolatutto

Emma ;)
Ps per le directioners, ma anche non: ma QUANTO E' BELLA "She's not Afraid"?!?!? E' due giorni che quando i miei escono di casa, mi scateno come una dannata!!!

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Capitolo 27
*** 1D Midnight Memories ***


Ciao ragazze/i ,
ecco qui gli altri due capitoli. I finali. Poi ci sarà l'epilogo, diviso in due parti. Prevedo di caricarli presto, non mi piace lasciare il 'discorso a metà'. Questa settimana ho dovuto farlo perchè avevo un esame e dovevo 'concentrarmi'. Quindi...diciamo entro domenica, MASSIMO LUNEDI, la storia sarà finita. Voglio piangere T.T
Questi due capitoli sono veramente veramente corti. Mi spiace :(
Come al solito, lasciate una recensione se vi va,
abbracci stritolatutto, buona lettura
Emma ;)
 

Capitolo 27 – 1D Midnight Memories-

 

Una settimana dopo, mentre la mamma di Hope l’aiutava a finire una pasta stopposa, senza sugo, senza formaggio e senza olio, che non era nient’altro che la sua cena, il dottor Cooper entrò in camera con una busta in mano.

“Bene, Hope. Ho qui la risonanza del tuo cancro.” disse mentre la mamma di Hope allontanava il vassoio e Hope sorseggiava dell’acqua.

Il dottore sfilò le lastre dalla busta e le mise sulla lavagna luminosa dall’altra parte della stanza, accendendola.


 

“Cosa?” chiese Alice, tappandosi l’orecchio. Si fece ripetere una seconda volta dalla mamma di Hope le nuove notizie. Era salita nell'appartamento di Liam, a casa dei ragazzi, per stare in privato, mentre i padroni di casa, con Tara e Olivia, finivano di cenare al piano di sotto, con la torta al gelato preparata da quest'ultima. “Okay.” Rispose Alice. “Riferisco io ad Harry. Mi saluti tanto Hope. Certo. Va bene. A domani!”

 

“Chi era?” le chiese Harry un po’ apprensivo, appena Alice mise piede in cucina.

“La mamma di Hope.”

Louis e Liam, gli unici presenti oltre alle ragazze e Harry, si zittirono. Olivia, che stava servendo la torta, si bloccò. “Notizie?” chiese.

“Si.” Alice guardò Harry cercando, con tutte le sue forze, di non sorridere. “Si, ci sono notizie.” Si sedette a fianco di Olivia. “Il dottore ha portato il risultato delle lastre. Sembra che la chemio abbia funzionato.”

Olivia trattenne il fiato sonoramente.

“No, il cancro non è andato via del tutto.” La precedette Alice. “ma si è ridotto. E…” non riuscì a non sorridere. Guardò Harry. “E Hannah ha detto che il medico sembrava quasi ottimista… ha detto che le probabilità di successo dell’intervento sono il 50% adesso.”

Harry sostenne lo sguardo di Alice mordendosi le labbra per non sorridere a sua volta e cercando di non aggrapparsi a quel misero fantastico dato.

“Be’, cara Hope” disse Olivia, prendendo un piatto vuoto e immergendo il coltello nella torta morbida “Se in qualche modo ci puoi sentire, sappi che questa torta è per te.” La fetta di torta fece SQUASH quando  Olivia la mise nel piatto. “vedila di fartela bastare per superare l’intervento.”

 

L’operazione venne fissata due giorni dopo. La mamma di Hope si chiese se non fosse troppo presto: la sua bambina aveva appena superato quattro sedute di chemioterapia, una più forte dell’altra. Si chiese se non meritasse un po’ di riposo, dopo quell’inferno.

Il padre di Hope, invece, pensava che prima si facesse, meglio sarebbe stato: la chemio aveva ridotto il cancro ed era importante cogliere al volo quell’occasione per farlo fuori del tutto. Voleva la sua bambina fuori da lì, il prima possibile.

Tara, Olivia e i ragazzi organizzarono i loro impegni in modo da essere lì in ospedale il giorno dell’operazione. Zayn dovette spiegare a Jessica di questa Hope e del ruolo che aveva preso nella vita di Harry; Liam chiamò Fanny e gli disse di cancellare tutti gli impegni per quel giorno. “ma si può sapere che cazzo succede?” gli chiese per l’ennesima volta: Liam le spiegò di Harry e del ruolo che lui aveva preso nella vita di questa ragazza; Niall era felicissimo di poter passare del tempo con Tara e non dovette cancellare nessun impegno; Louis si preparò a passare un pomeriggio in ospedale a fare da spalla a Harry, in qualsiasi modo sarebbe finito l’intervento.

 

Alice fissò il soffitto per buona parte della nottata, cercando di non pensare ad Hope, di non pensare a come sarebbe stato se lei… o se lei, invece… Si alzò e uscì dalla sua camera. Attraversò il corridoio e aprì la porta della camera del fratello. A tentoni, riuscì a raggiungere il suo letto e ci si sedette. “Spence? Spence sei sveglio?” sussurrò, picchiettandogli leggermente la gamba.

“Checassovoi…” mugugnò lui in tutta risposta.

“dai fammi spazio…” Alice lo spintonò un po’ e lui si mise a borbottare. “Dai, pigrone, fammi spazio!”

Spence si rotolò nel letto una volta, stringendosi contro il muro. La sorella si infilò sotto le coperte.

“hai i piedi gelati” disse Spence, sentendo un ghiacciolo sfiorargli la pancia.

“lo so.” Rispose Alice. “Scusa.”

Spence si passò una mano tra i capelli e sul viso, ormai sveglio, poi si voltò a guardare la sorella nella penombra.  Lei era seduta, con le mani in grembo e guardava di fronte a sè.

“Che fai lì così?” chiese.

Alice ricambiò il suo sguardo, indovinando la figura di suo fratello nell’oscurità.

“Non riesco a dormire.” gli rispose.

Non ci fu bisogno di chiedere: Spence sapeva il perché. Con un gesto della mano, le fece segno di sdraiarsi. Poi, quando sua sorella si fu sistemata, la circondò con un braccio tirandosela vicina. Le diede un bacio sui capelli.

Alice sorrise. Poi chiuse gli occhi e tentò di addormentarsi, riuscendoci.

 

Harry fissava la luna dal terrazzo dell’ultimo piano. Inutile dormire, non riusciva. Non faceva neanche caldissimo: il vento soffiava leggero. Perfetto, se non fosse stato per ciò che sarebbe successo il giorno dopo, a dodici  ore da quel momento.

Sentì dei passi: era Louis.

“Non dormi.” disse raggiungendolo sul terrazzo.

Non era una domanda e Harry non rispose.

“Dovresti, sai.” continuò lui. “Insomma. Per domani. Per lei.”

Harry fece un mezzo sorriso. Già. Per lei.

Louis appoggiò le braccia sulla ringhiera del terrazzo e si mise a fissare anche lui il cielo. “Hope è forte” gli disse. “Liam ha ragione: ci stupirà tutti.”

“Liam e le sue fottutissime lezioni di vita.”

Louis sollevò un angolo della bocca. “Si, Liam e le sue fottutissime lezioni di vita.”

“tu non sei così saggio.”

“Lo sono mai stato? Evidentemente è un suo dono.”

“Cosa è un suo dono? Rompere le palle?”

Louis fece una piccola risata. Poi guardò Harry che aveva ancora lo sguardo rivolto verso il cielo.

“Se domani non finisce bene, lo ammazzo, lo sai, vero?” disse Harry. Liam aveva passato la cena a rassicurarlo.

Louis sorrise, anche se non era proprio convinto che l’amico stesse scherzando.

“Be’ sarà la fine degli One Direction, allora. E per colpa di una ragazza, in qualche modo.”

Harry gli lanciò uno sguardo: non era sicuro che Louis stesse scherzando. Tornò a guardare il cielo e rimasero così, i due, per un paio di minuti, in completo silenzio.

“Uhm, mi è venuta voglia di svegliare Niall” disse Louis.

Harry gli lanciò uno sguardo: poi sorrise.

 

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Capitolo 28
*** C'è solo Una Direzione ***


Capitolo 28 – There is only One Direction

 

Hope non avrebbe mai saputo dire cosa provava, mentre la preparavano per entrare in sala operatoria. Tutto ciò che sentiva si era annidato in una palla di sentimento da qualche parte più o meno all’altezza dello stomaco. Usava ancora la mascherina, ma gliel’avrebbero portata via da un momento all’altro.

La mattina aveva ricevuto più visite che in una settimana intera: i suoi, naturalmente, la sua vicina di casa, l’allenatore con il suo fidanzato e la sua assistente, Tara, Olivia, Alice e gli One Direction al completo. Le sembrava di essere davanti ad una commissione d’esame con tutti i parenti e amici che le facevano il tifo. Solo che la commissione d’esame avrebbe deciso tra la vita e la morte. Era un esame che non si poteva superare con un voto basso: o a pieni voti o si veniva bocciati. E non si poteva ripetere.

In realtà, se ci pensava seriamente, l’unico sentimento era la paura cieca e immensa di non potersi più svegliare. Di non vedere più i suoi  genitori e i suoi amici. Di non poter più vedere il mondo e i suoi colori, con tutta la brillantezza di quell’estate. Di non poter più sentire il sapore del gusto bomba di Penzance sulla lingua, di non poter più toccare Knut con le mani, di non poter più sentire il profumo di casa sua, di non poter più partecipare alle risate con Alice, Olivia e Tara e di non poter più ascoltare le note della musica del cd che Alice le aveva regalato. Di non poter più sentire il suo cuore battere forte quando vedeva Harry. Il terrore di non poter sentire più nulla, la spaventava più dell’operazione stessa.

 

“Senti io a casa ho una mega torta gelato” la informò Olivia poco prima di salutarla. Alice la guardò: Olivia faceva di tutto per non sembrare preoccupata e sull’orlo di una crisi di lacrime, ma la voce le tremò lo stesso. “E non penso di toccarla fino a che TU non sarai uscita da là.”

“Quindi la mangeremo presto.” disse Tara. Anche la stoica e profonda Tara era scossa: gli occhi le luccicavano più del solito, il tono della voce non sicuro come solitamente lo era.

“Olivia mi sa che dovrai prepararne un’altra” disse Alice. “Sarai affamatissima quando uscirai di qui, no?” si rivolse a Hope che, con la mascherina sul viso tenuta con la mano, tentava di sorridere. “Dovrai riprendere tutti quei chili…”. Alice tirò su con il naso, non avendo più il controllo di ciò che provava. Anche questa volta aveva fallito nel fingere.

Olivia dovette guardare verso l’alto per ricacciare indietro le lacrime. Tara, per la prima volta nella sua vita, non seppe cosa dire.

Hope si tolse la mascherina dal viso e poi, con tutta la forza che riuscì a metterci, disse: “Voglio un abbraccio”.

Le quattro ragazze si abbracciarono strette, tutte con le guance bagnate, piangendo in silenzio.

“Non ti azzardare a lasciarmi da sola contro Olivia” disse Alice tentando di controllare i singhiozzi. “Che non sarà la stessa cosa guardare la sua faccia sconvolta quando Cambridge batterà Oxford la prossima estate…”

Olivia, Tara, Hope e Alice risero.

 

Le amiche di Hope lasciarono Harry da solo con lei.

 

Liam guardò la sala d’attesa e si chiese quante storie potevano essere scritte tra quelle stanze, tra quei muri; storie, come quella di Hope, che non avrebbe potuto spiegare.

Zayn si chiese come Harry potesse sentirsi: lui, se al posto di Hope ci fosse stata la sua Jessica, avrebbe sentito il pavimento aprirsi in una grande voragine sotto i suoi piedi, ad ogni passo.

Louis pensò che probabilmente non avrebbe avuto lo stesso coraggio del suo migliore amico. Avrebbe sentito il fuoco al posto del pavimento, ad ogni passo avrebbe avuto una voglia incredibile di lasciarsi andare.

Niall cominciò ad odiare il colore di quei muri nel giro di qualche minuto. Che cavolo di colore era l’arancione? Ma oramai erano stati dipinti e lui, di certo, non poteva cambiarli.

 

Hope sorrise a Harry cercando di rassicurarlo.

“Ehi.” le disse lui, prendendole la mano.

“Ehi.” rispose lei, stringendogliela.

“Come ti senti?”

Hope non rispose e scrollò le spalle. “ormai.” disse.

Harry le sorrise.

“Ci vediamo dopo va bene?” le chiese poi, rinunciando nel non dire niente riguardo all’intervento. “La strada la sai, giusto?” Harry cercò di metterla sullo scherzoso. Ma si vedeva che stava soffrendo. La voce profonda aveva vacillato.

Hope sentì le lacrime spingere contro i suoi occhi. Li sbatté, scacciandole via e annuì. Non si erano mai neanche baciati decentemente, porca miseria!

“Se vado nella direzione sbagliata non cercare di raggiungermi, però.”

Harry fece una smorfia, forse un accenno di risata. 

 

“C’è solo una direzione.” le rispose*, cercando di fare il simpatico. Hope riconobbe il gioco di parole. “Dove vorresti andare?” le chiese, respingendo la voglia di baciarla, lì ,sul momento. E non voleva farlo, perché poi sarebbe sembrato un bacio d’addio. Ma era inevitabile pensare che non si erano mai neanche baciati decentemente, porca miseria!

Hope gli sorrise, lottando contro se stessa, gli occhi più lucidi che mai. “In un posto sicuro, Harry.”

 

* “But If I go in the wrong direction, don’t try to reach me”

“There is only One Direction”.

 

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Capitolo 29
*** Epilogo parte 1 - Story of My Life, One Direction ***


Ecco qui, come promesso, l'epilogo diviso in due parti. Inutile dirvi che sono molto triste per il fatto che sia finita, però, insomma, prima o poi doveva succede e doveva finire... in qualche modo. Penso che sia altrettanto inutile dirvi che se siete solite ascoltare musica mentre leggete, in questo caso vi consiglio vivamente Story of My Life degli One Direction, come suggerisce il titolo.
Okay vi lascio all'epilogo!
Come al solito tanti abbracci, tantissimi abbracci stritolatutto a tutti

buona lettura
Emma ;)
Ps: non ci crederete mai: sono in modalità shuffle dell'iPod ed è cominciata... Story of My Life. T.T .


Epilogo parte 1 – Story of my Life, One Direction

 

Liam cercò di nascondere il viso nella visiera del cappellino che si era calcato sulla testa. Era entrato di soppiatto, lo sguardo fisso sul pavimento finchè non era entrato nello stadio e si era seduto al suo posto. Poi l’attenzione era stata attratta dalla gara e lui, finalmente, aveva potuto togliersi il cappellino. Si riavviò i capelli aspettando il suo arrivo.

Hope prese un bel respiro. Mentre la musica della ragazza prima di lei sfumava nello stadio, il cuore di Hope cominciò a batterle nel petto con tutta la sua forza.
Sarebbe toccato a lei.

 

Hope aveva superato l’intervento con successo. Il dottor Colin Cooper aveva rimosso tutto il cancro, che la chemio aveva ridotto sensibilmente.
Ci avrebbe impiegato un mese e mezzo a riprendersi completamente. Tre per riprendere in mano la sua vita  e sei, invece, per far ricrescere i capelli e riacquistare i chili che aveva perso. Facciamo cinque, con la quantità di gelato che aveva mangiato.

 

Si mise in posizione al centro dello stadio, il braccio alzato verso l’alto, non prima di aver lanciato un’occhiata verso il suo allenatore, fuori dalla pista, dietro la balaustra, che la guardava con le braccia incrociate. Anche lui era teso. Jean le rispose con l’occhiolino.

Dire che era splendida era poco: il vestito, disegnato e preparato su misura per l’occasione, era di un blu notte con pizzo nero che le disegnava strane figure sulla schiena nuda e sulle mani. Sembrava che fosse stato disegnato direttamente sulla sue pelle, come un tatuaggio. Il trucco, leggero, le faceva risaltare il contrasto tra i capelli rossi, legati in una treccia, la pelle bianca come la luna e il vestito color notte.

Hope guardò verso l’alto e chiuse gli occhi, pronta.

 

Aveva destato un po’ di scalpore la scelta della sua canzone: non era la classica canzone di musica classica che soleva accompagnare le pattinatrici nei loro dolci movimenti. Era scritta da un gruppo di cinque ragazzi, una delle più famose e delle più belle che avessero mai fatto.

 

La relazione tra Harry e Hope era rimasta nascosta da Giugno a Settembre, quando lei, finalmente, era uscita dall’ospedale. Poi i due vennero avvistati insieme un paio di volte dalle parti di Sevenoacks, dove lei viveva. Si diceva che avesse fatto la spia una vecchia amica della ragazza in questione, una certa Erika. Comunque la loro storia era presto diventata di dominio pubblico e Harry non aveva esitato a procedere per le vie legali: l’aveva già fatto in passato (con Pamela) e voleva lasciare in pace Hope. La sua vita da cantante non doveva nemmeno sfiorarla, almeno finchè lei non si fosse ripresa a sufficienza per affrontarla.

Harry si era sentito talmente sollevato dal fatto che Hope era sopravvissuta che iniziò a sognare ad occhi aperti cosa avrebbe fatto con lei appena si fosse ripresa: l’avrebbe baciata, di certo, mille volte e più di mille imprimendosi nella testa ogni singolo bacio.
Ma si rese conto ben presto che non sarebbe stato così facile recuperare da dove avevano interrotto, quel pomeriggio, a casa sua, quando Hope era stata male.

 

"She told me in the morning she don’t feel the same about us in her bones
it seems to me that when i die these words will be written on my stone"

Harry, per tutta la durata del loro rapporto, l’aveva amata come si può amare, al massimo, la propria vita. Lui lo sapeva. Ne era certo. Ma ogni tanto doveva cantare quella canzone per ricordarselo e per cercare di ricordarsi che aveva fatto, davvero, tutto il possibile. Ma era il suo, di cuore, che aveva iniziato a soffrire, rimanendo vuoto e arido. Lui aveva speso il suo amore, finchè, una mattina, qualcosa in lei si era rotto definitivamente. Gli aveva detto che non sentiva più le stesse cose su di loro, sulla loro storia. Se lo sentiva nelle ossa che dovevano chiudere. Lui si sentì come morire. Avrebbe voluto quelle parole scritte sulla sua tomba.

 

Serie di passi. 

Ferma.

Serie di passi.

Piccola giravolta.

Veloce.

1,2,3… Lutz.

The Story of my Life, I take her home,
I drive all night to keep her warm and time…” 

Un flash, sentendo le parole di lui nella canzone:

Harry aveva guidato quasi tutta la notte per giungere a Penzance, che per lei era quasi una seconda casa. Hope aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, con la coperta addosso, il viso voltato verso il finestrino. Ogni tanto Harry si era girato e le aveva lanciato un’occhiata per vedere se era ancora viva.
Sua madre, Hannah, non era stata d’accordo quando Harry le aveva proposto di portare sua figlia a fare una piccola vacanza. Harry, le raccontò poi, si era dovuto letteralmente inginocchiare sullo zerbino di casa per convincerla.
Era passato quasi un mese dall’operazione ma sua madre ancora non si fidava. Soprattutto perché il viaggio sarebbe stato di notte. E come biasimarla? Due volte sua figlia aveva avuto il cancro, due volte aveva dovuto subire l’effetto straziante della chemio. Ma due volte aveva sconfitto la malattia, riuscendo a uscirne. Cambiata, di certo, ma vittoriosa.
Harry aveva guidato tutta la notte, organizzando tutto con estrema precisione, per arrivare in tempo a Penzance e, al contempo, tenerla al caldo, dato che fuori l’aria era gelata.

Harry parcheggiò vicino al posto che più le piaceva: la scogliera a nord della cittadina, dove il mare colpiva le rocce, spumeggiando rabbioso. Sotto, il porto. Il padre di lei gli aveva dato un paio di preziosi consigli su dove portarla.

“Siamo arrivati” disse Harry scendendo dalla macchina, dopo averla svegliata con un bacio sulla guancia.

“Che stai facendo?” chiese assonnata, mentre lui apriva la portiera dalla sua parte e faceva per prenderla in braccio. Non sapeva che cosa stava succedendo, Harry non le aveva detto dove la stava portando. Semplicemente, le aveva detto di dormire e che quando sarebbero arrivati, gliel’avrebbe fatto sapere.

 “So camminare” gli disse più per cortesia.

“Ho promesso che non ti saresti stancata” disse Harry, prendendola tra le braccia. Lei gli mise le braccia al collo. Poi dando un leggero colpo alla portiera, Harry chiuse la macchina.

Hope lo guardò negli occhi. Poi si rassegnò e appoggiò la testa sul suo petto, mentre Harry cominciava a camminare.

Fecero qualche passo e infine Harry la posò sulla panchina.

Hope guardò il paesaggio e le si dipinse un sorriso vero sulle labbra. Era raro, soprattutto nell’ultimo periodo. Aveva riconosciuto il posto. E i suoi occhi furono rapiti dal colorito pallido del cielo. L’aveva portata a guardare l’alba.

Hope respirò profondamente sentendo il sapore del sale sul palato. Harry le era accanto, in piedi, ma anziché guardare lo splendido spettacolo di luci e di colori, guardava lei, che era più bella di qualsiasi panorama. Gli era mancato quel sorriso e fu felice di esserne l’artefice ancora una volta. Guardò anche lui lo spicchio infuocato del sole che cominciava a nascere dalle onde del mare, in lontananza.

Ce l’aveva fatta: era arrivato in tempo.

Capì perché ad Hope piaceva tanto quel posto.

Quando il cerchio del sole fu quasi perfetto a qualche centimetro al di sopra dell’orizzonte del mare, Harry si avvicinò al bordo della scogliera, a qualche passo dalla panchina dove aveva lasciato Hope 

“Ehi qui è alto” disse.

“Harry…”

“Ma qui dici che si buttano?”

“Harry…”

“E’ alto, quindi, secondo me no. E’ troppo alto!” 

Guardò giù e si avvicinò ancora di un passo per sentire il brivido dell’altezza.

“Harry ti prego, allontanati da lì…”

Bastava un altro passo. Bastava un altro passo e lui sarebbe scomparso dalla sua vista. Bastava poco, bastava una distrazione.

“Non ti preoccupare” disse Harry, più divertito dal dirupo che attento al tono di Hope. “Cazzo, no sul serio… E’ alto!”

Harry fece dondolare un piede nel vuoto e Hope urlò “HARRY TI PREGO TOGLITI DI LÌ!”

Quando Harry si voltò, la ritrovò in piedi con una mano allungata nella sua direzione. Era spaventata. 

Lui le sorrise, cercando di rassicurarla.

Le prese la mano, allontanandosi dal vuoto e avvicinandosi a lei. Lei lo abbracciò, tuffandosi tra le sue braccia.

“Ehi…” disse lui, avvolgendola nel suo abbraccio. Lei si staccò, lasciando le  mani appiccicate al suo petto, stropicciandogli la maglietta. Lo guardò dritto negli occhi alzando il viso e si prese tutto il tempo necessario per studiargli il viso: gli occhi verdi-azzurri, lo sguardo allegro, il profilo marcato e quella specie di nido di vespe che aveva al posto dei capelli.

“Non farlo mai più” disse Hope appoggiando di nuovo il viso al suo petto. Il battito del cuore di lui era forte e chiaro. Questo, l’aveva sempre tranquillizzata. Era ancora lì. Per davvero. “Non voglio perderti” sussurrò. Sentiva di aver bisogno di lui e della sua forza.

Harry la strinse forte “Nemmeno io, Hope. Mai più.”

 

 

Serie di passi.

Cambio.

Doppio axel.

…is froooozen…”

 

Le loro poche foto che erano circolate sui giornali poco prima che Harry facesse quella pazzia di portarla a Penzance, guidando tutta la notte, l’avevano spaventata. Harry era una star, una star desiderata e parlata. Lei, invece, voleva avere solo pace: pace per pensare a lei e a quello che voleva da una vita che per due volte l’aveva fregata. Penzance, con Harry,  era stata fantastica: si era detta che le foto, i giornali ed i concerti sarebbero stati solo una fase e tutto si sarebbe risolto. Ma una volta tornati, una volta che la loro vita era ricominciata normalmente, si era ritrovata a farsi le stesse domande che si era fatta prima: Harry era un cantante, era famoso e ciò faceva parte di lui. E lei chi era per pretendere che lui mollasse tutto? Soltanto per aver pensato che fosse una misera fase di vita, come se fosse stato solo un suo piagnoso capriccio? No. Nessuno dovrebbe rinunciare ai suoi sogni per amore. E lei non si sentiva pronta per affrontare quel tipo di vita. Aveva un sacco di cose da fare e che voleva portare avanti: niente e nessuno doveva fermarla. E poi… Poi era davvero innamorato di lei? E lei lo era di lui? Era stata in ospedale per quasi la maggior parte del tempo in cui si erano realmente frequentati. I sentimenti verso di lui cominciarono a vacillare paurosamente: Harry vedeva la Hope malata, non la Hope vera. Anche lui era rimasto fregato dal cancro. Hope non poteva amare una persona che non l’amava per come era davvero.

Doveva cominciare ad abituarsi all’idea che Harry non poteva più far parte della sua vita.

 

“...although i am broken my heart is untamed still”

Era riuscito a mantenere un tono calmo e risoluto, la mattina che lei lo aveva lasciato, nonostante fosse a pezzi per ciò che Hope gli aveva appena detto.
L’aveva assecondata, dicendo che aveva ragione. Che, in effetti, le loro vite erano troppo diverse.

 

Sequenza di passi in velocità.

1,2,3…

Triplo flip, seguito da doppio toeloop.

Trottola media seguita da trottola bassa.

Ma mai Harry avrebbe potuto mentire a se stesso: non ce l'avrebbe mai fatta a dimenticare una come Hope. L'aveva capito fin dal primo momento che l'aveva vista... 

Harry fece una corsa pazzesca per arrivare in tempo. Aveva parcheggiato in doppia fila, completamente in divieto, ma non gliene fregava niente. Aveva deciso all’ultimo secondo. Quel giorno lui non sarebbe servito a nulla al gruppo e così aveva fatto la pazzia: avevo preso la macchina di Louis e aveva attraversato Londra a tutta velocità. A Hope non l’avrebbe detto: l’avrebbe messa in agitazione; gliel'aveva anche detto la sera prima. Era un giorno estremamente importante per lei. Giurò a se stesso che si sarebbe limitato ad osservarla da lontano.

Si fece indicare da un papà in ritardo quanto lui dove sarebbe stata la celebrazione per i diplomi. Arrivò in tempo: c’era ancora una ragazza bionda sul palco, con le punte troppo rosse per essere naturali, che stava parlando. Era Olivia, ne era certo. Ciò significava che era nel posto giusto.

Rimase indietro, dietro la quantità immensa di genitori, di fratelli, sorelle, cugini, cugine, zii, zie e amici.

Quando Olivia smise di parlare, applaudì anche lui per non dare troppo nell’occhio. Si era messo un cappellino, ma aveva come la sensazione di non aver fatto un grande affare visto che si moriva di caldo.

“Abbott Hannah” chiamò la presidentessa, dopo che ad Olivia fu consegnato il primo diploma.

Non sapeva come faceva Hope di cognome, in fondo non l’aveva mai vista. Ma l’avrebbe riconosciuta. Era sicuro.

Dovette aspettare circa 30 ragazzi prima di sentire:

“Knight Hope”

Senza capire come, il cuore di Harry cominciò a battere forte. Era lei, lo sapeva. La bocca gli si era seccata, non riusciva più a deglutire.

Vide una ragazza salire sul palco, tirandosi su appena la tunica blu, per non inciampare. Diede la schiena al pubblico per cinque miseri secondi. Ma a lui sembrarono un’eternità. Poi si voltò e Harry la vide.

Aveva i capelli rossi, color rame che le arrivavano fin sotto le spalle; la pelle del viso era chiarissima, pallida come la luna; gli occhi erano profondi, ma pieni fino all’orlo di felicità. La sua bocca si aprì in un leggero sorriso e Harry si sentì invadere da una sensazione potente, illudendosi, per un attimo, che quel sorriso fosse per lui, che Hope  l’avesse riconosciuto. 

Quell’attimo durò troppo poco. Hope prese tra le mani la tunica e scese dal palco, raggiungendo gli studenti già diplomati.

Non aveva in fatto in tempo nemmeno ad applaudire. Era la prima volta che la vedeva.

 

Aspettò con pazienza che tutti venissero diplomati. Poi quando tutti i parenti si alzarono e andarono a complimentarsi si spostò e fece lo slalom tra le persone per andare più vicino a lei.

Sua madre la stritolava, suo papà le batteva leggero una mano sulla spalla, mentre altre persone, suppose i parenti, le stavano attorno aspettando il loro turno per abbracciarla.

Gli venne una voglia improvvisa di passarle accanto e associare il movimento delle sue labbra alla sua voce, quella che aveva sentito così tante volte al telefono che l’avrebbe riconosciuta anche a occhi chiusi. Voleva avvicinarsi per sentirla…per sentirla viva. Sarebbe andato contro il suo giuramento, cioè di starle lontano.

Si calcò il cappellino sulla testa, facendolo aderire meglio e si incamminò per passarle appena dietro. Ma quando era esattamente dietro di lei, lei si voltò, per vedere dove era un’amica.

“Si mamma, dovrebbe essere là Alice. Adesso andiamo…”Era la sua voce. Ne era certo.

Non resistette e la guardò dritta negli occhi: si teneva la mano sulla fronte, per contrastare la luce forte del pomeriggio; portava ancora la tunica blu e il tocco.

Lei lo guardò per un attimo, sorpassandolo con lo sguardo: gli occhi di lei erano marrone chiaro circondati da un’aurea scura, quasi nera. Avrebbe voluto che lo guardasse per sempre.

Hope si limitò a lanciargli un’occhiata veloce, il tempo di capire che lui non era un suo parente e poi passò oltre.

“Okay, vista.” Disse a sua madre, dandogli la schiena. “Andiamo?” chiese al gruppo dei parenti.

Lui continuò a camminare seguendola con lo sguardo, non guardando dove andava.

La vide raggiungere Alice, una ragazza da lunghissimi capelli neri e lucidi, la quale si staccò velocemente dall’abbraccio di un parente e si catapultò su di lei, stritolandola e urlandole nelle orecchie E’ FINITAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA.

Harry sorrise e fece un giro molto largo per guardarla ancora un po’.

La raggiunsero altre due amiche, una sicuramente Olivia e l’altra doveva essere Tara. La riconobbe dal portamento e dalla bellezza che Hope gli aveva descritto.

Alice e Hope si buttarono su Olivia, urlandole che era stata fantastica e Tara rise, venendo coinvolta nell’abbraccio e rischiando di cadere.

Harry fece in tempo a vederle fare la prima foto. Hope sorrideva radiosa e voleva ricordarla così. Anche se a malincuore, staccò lo sguardo e si diresse alla macchina. Mentre era seduto in macchina, senza cappellino, assorto nel ricordo più bello che avesse, una studentessa lo riconobbe e lo indicò urlando il suo nome. Ma Harry era allenato: girò la chiave nel cruscotto e partì sgommando. Sul viso, aveva disegnato un sorriso nuovo, un sorriso di Adrenalina Dolce.

Ebbe la sensazione di essersi appena innamorato. Sul serio.*  

 

 

 

Il pezzo più difficile:

Serie di passi.

Doppio loop.

Passi.

Triplo toeloop.

Passi.

Triplo axel.

Serie di passi.

Trottola.

 

 

Più o meno sei mesi dopo Panzance, Hope e Harry avevano rotto: una decisione comune e apparentemente senza nessuna sofferenza. Ognuno aveva preso la sua strada in modo differente e si erano accorti di non appartenere allo stesso mondo, di non potersi amare come avrebbero voluto.

Entrambi si erano convinti che era la cosa giusta per loro. Per motivi diversi da quelli che si erano detti.

Lei aveva la scusa dell’università e del pattinaggio, un impegno a tempo pieno dato che Jean puntava a portarla alle Olimpiadi. Diceva che aveva visto in lei una forza che poteva avere solo chi era andato a tanto così dall’andarsene per sempre da questo mondo.

Lui aveva la sua vita, le sue canzoni, il suo gruppo e la sua popolarità che molto presto l’avrebbero portato a girare il mondo. I Manager dicevano che il loro era ormai diventato un fenomeno globale.

 

 

Trottola bassa.

Ultimo salto.

Ce la poteva fare.

Trottola bassa.

 

 

The Story of My Life, I give her hope,

I spend her love until she broke inside…”

Harry aveva dato speranza alla loro storia, facendo aggrappare il suo cuore a qualsiasi suo segno di amore, negando a se stesso cosa stesse realmente accadendo. Aveva sopportato il fatto di non averla mai baciata come si deve, di non aver mai assaggiato il sapore della sua pelle e del suo corpo, di non aver mai potuto svegliarsi con lei dopo una notte passata insieme. Si era fatto bastare i pochi baci a stampo, ripetendosi che era solo una questione di tempo, non c'era fretta, e che tutto si sarebbe risolto.

 

“the way that I been holdin’ on too tight

with nothing in between…”

Ma forse l’aveva sempre saputo: aveva tenuto duro, per lei, l’aveva abbracciata forte, l’aveva tenuta al caldo e al sicuro, facendo di tutto per farsi amare; ma aveva tenuto duro con troppa forza, con troppo amore, senza ricevere niente in cambio.

 

“And I been waiting for this time to come around

but baby running after you is like chasing the cloud…”

Harry aveva sentito la distanza che era si era creata tra i due non molto tempo dopo che erano stati a Penzance. Non aveva mai capito perché. Cosa potesse mai aver fatto di sbagliato. Hope non sembrava essere più la stessa, faceva fatica a starle dietro, era lontana, distante e… sempre un passo avanti a lui, in tutto: andarle dietro sembrava come rincorrere le nuvole.

 

 

Trottola alta.

Fine, quasi di colpo, il braccio alzato, nella stessa posizione di partenza.

Il cuore le batteva a mille: per lo sforzo, per l’emozione e per l’adrenalina dolce che le scorreva al posto del sangue.

Ringraziò i giudici e il pubblico, inchinandosi verso i quattro lati dello stadio, poi uscì dalla pista.

Jean la abbracciò forte “Sei stata perfetta, sei stata un angelo per davvero.” Hope avrebbe voluto piangere perché sapeva in cuor suo di aver fatto una prestazione stupenda. Ma c’era qualcosa di più: mentre ballava, l’aveva sentito vicino, quasi come se fosse stato lì con lei, ad un passo da prenderla per mano e portarla con sé. Quella canzone l’aveva ballata centinaia di volte, non prestandoci mai per davvero alcuna attenzione. Ma ora... ora era diverso. Aveva sentito il suo profumo, le sue parole sussurrate, le sue labbra sulla sua pelle. L’Adrenalina dolce l’aveva guidata e le aveva aperto gli occhi. Alice aveva sempre avuto ragione.

Ma lui, ormai, non c’era più.

 

Dopo Hope Knight, fu il turno della russa. Il punteggio di Hope era stato il più alto: male che andava si sarebbe presa l’argento.

 

Hope era nello spogliatoio quando si seppe il risultato.

Le telecamere corsero immediatamente a cercare il suo viso, incredulo: la nuova stella del pattinaggio dell’Inghilterra.

Non aveva fatto in tempo nemmeno a rendersi conto che Jean l’aveva presa di nuovo tra le braccia e l’aveva stretta, mozzandole il fiato. Sua madre, presente anche lei, fu la seconda a stritolarla in un abbraccio-spremuta. Suo padre, per la prima volta da quando sua figlia era nata, piangeva commosso: Hope ce l’aveva fatta, contro tutte le aspettative.

 

 

Harry aveva cercato di rimanere indifferente: rimanere indifferente al fatto che Hope era tra la finaliste del pattinaggio alle Olimpiadi di quell’anno, tenutesi a Londra; che avesse costruito la sua coreografia su una loro canzone, sulla canzone che tutti e cinque avevano scritto per lei; e che fosse stata fantastica. Ma rimanere impassibili di fronte al suo risultato fu quasi impossibile.

 

 

Alice, con accanto Olivia e Tara, che MAI si sarebbero perse uno spettacolo del genere, stava guardando la gara in diretta da Parigi dove avevano trovato un tirocinio da fare tutte insieme in una famosa casa di moda, grazie ai contatti del nonno di Tara.

Tutte e tre urlarono di gioia, saltando, quando sullo schermo apparve il punteggio della russa, più basso di quello della loro amica.

Tutte e tre piangevano, ridendo, abbracciandosi strette.

 

 

Le misero in fila, una dietro l’altra, dal terzo al primo posto, pronte per la premiazione.

Hope aveva ancora gli occhi umidi, le guance bagnate e le gambe molli. Non poteva crederci.

Quando le fecero passare sotto gli spalti di un pubblico delirante, automaticamente guardò tra gli spettatori. E lo riconobbe.

 

Quando Hope si staccò dalla fila delle vincitrici, facendo due scalini per raggiungere qualcuno tra gli spalti, Alice si commosse: Liam era davvero andato a vederla.

 

Liam l’abbracciò forte mentre Hope piangeva tra le sue braccia.

“Sei stata bravissima” le sussurrò. Non gli importava se adesso tutto il mondo si era reso conto che uno degli One Direction era presente nello stadio.

“Vi amo.” Gli rispose Hope. “Era per me.” Liam fece di tutto per non piangere pure lui. Finalmente Hope aveva capito che quella canzone era stata scritta per lei.

 

 

Harry rimase scioccato nel vedere Liam tra il pubblico. Che cazzo ci faceva lì? Perché non gliel’aveva detto? Perché non gli aveva detto che aveva ripreso i contatti con Hope? Perché lei sembrava sapere che lui sarebbe venuto da come Hope l’aveva raggiunto sugli spalti.

Louis gli mise una mano sulla spalla e tentò di trovare un sorriso sul viso dell’amico.

Harry in un primo momento avrebbe voluto incazzarsi: andare a prenderlo per i capelli (un po’ inutile dato che Liam se li era appena tagliati), sbatterlo contro il muro e urlargli addosso che non si sarebbe mai dovuto permettere di avvicinarsi alla sua Hope. Poi, pensò a ciò che era successo mesi prima.

 

“Non ditele niente. NIENTE. Riguardo a tutto questo.” Avevano appena finito di registrare la canzone. A quel tempo erano quasi due settimane che Harry e Hope si erano lasciati. “Non è per lei. E’ per me.”

“Harry io penso che lei debba sapere quanto tu ci sia rimasto di merda” aveva detto Niall.

“No” aveva risposto lui categorico. “Non voglio più sentire parlare di lei. Non voglio nemmeno pensarci. E’ finita. Punto. Devo farmene una ragione. Questa è l’ultima volta che ne parliamo.”

Ed era stata effettivamente l’ultima volta che ne avevano parlato. Ma tutti, con il tempo, si erano resi conto che Harry non se ne era mai fatto completamente una ragione, cantando quella canzone in ogni concerto, come finale. Se ne erano resi conto solo guardandolo in faccia mentre cantava la sua parte, con il cuore in mille pezzi, l’anima lacerata da un amore non corrisposto: gli occhi assumevano una sfumatura brillante ma tremendamente nostalgica. Come a tentare di convincersi, ogni volta, che lui aveva fatto di tutto, che ci aveva messo l’anima e il cuore nell’amarla, ma che qualcosa, che lui non aveva potuto controllare, si era spezzato.

 

 

Hope si staccò da Liam, prendendo completamente coscienza delle parole della canzone. Era la seconda volta che le accadeva.

“L’ha voluta lui, vero? E’ stato lui.”

Liam non seppe mentirle. Non ne era mai stato capace da quando avevano ripreso i rapporti, qualche mese prima.

 

Si erano incontrati per caso in una libreria-caffè vicino a Cambridge. Lui, con in testa il solito cappellino per nascondersi, era entrato per prendere un regalo a sua sorella; lei era ad un tavolo a qualche metro di distanza con un libro di studio a farle compagnia e una tazza di cioccolata nelle mani.

“Liam?” l’aveva chiamato. Lui si era voltato, pronto a schizzare fuori dal pub se qualche fan...

“Hope?” aveva chiesto lui riconoscendola a fatica: i capelli, di un rosso un po’ più scuro,  le erano ricresciuti fin sotto le spalle, il colorito della sua pelle era molto più rosea e i suoi occhi più luminosi. Era sbocciata come un fiore, in pochi mesi.  “Ma che ci fai qui?”

“Io studio” rispose lei sorridendogli. Si, era bellissima, come se la vita avesse davvero cominciato a scorrerle nelle vene. Se solo Harry avesse potuto vederla… Tu che cosa ci fai qui, se mai!” continuò Hope. “Non dovresti essere in qualche città di qualche paese lontano a fare uno dei vostri fantastici concerti?”

Si erano seduti a prendere un caffè lui, un’altra cioccolata lei e avevano chiacchierato per tutto il pomeriggio. Poi lei lo aveva aiutato nello scegliere il libro per la sorella.

Prima di salutarsi, gli aveva detto che le dispiaceva per come era andata con Harry. “Ma non dirgli niente. Niente, riguardo a tutto questo.” Liam si era morso la lingua nel sentire quelle parole. “Non è per me. E’ per lui.”

Successivamente le aveva scritto un messaggio dicendole che il suo consiglio era stato azzeccatissimo e la sorella era stata entusiasta del regalo.

Era stata dura nascondere a Harry il fatto che era di nuovo in contatto con Hope. Non l’aveva detto agli altri ad eccezione di Louis. E lui gli aveva proibito di farne parola con Harry, se non voleva la fine degli One Direction. Liam non seppe mai dire se il suo amico stesse scherzando.

 

 

Liam la guardò negli occhi e impercettibilmente annuì. Lei, in un altro impeto di pianto, lo abbracciò. “Che stupida. Che stupida. Sono stata una stupida. L’ho lasciato andare…”

Liam la strinse forte di nuovo tra le braccia. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per scambiarsi con Harry in quel momento.

 

Le due ragazze del terzo e secondo posto si portarono, una prima e l’altra dopo, sui gradini più bassi del podio, non prima di aver fatto un giro dello stadio salutando il pubblico.

Quando Hope fece la sua entrata, lo stadio esplose, quasi come il suo cuore.

Harry era in piedi. Non se ne era nemmeno reso conto. Louis lo guardò: gli occhi di Harry erano fatti per guardarla. La luce che li illuminava non c’entrava niente con il sole o con le luci della stanza.

 

Le premiarono con fiori, peluches e medaglie. Un attimo prima che le luci si abbassassero, Hope guardò il peluches: era un orsetto bianco. Le vennero le lacrime agli occhi. Poi le prime note dell’inno inglese si diffusero all’interno dello stadio e sollevò lo sguardo.

 

Harry aveva visto il peluches e la reazione di Hope. Sul suo viso comparve un altro tipo di sorriso, quello che riservava solo a lei: Hope stava pensando a lui.

 

* dal Capitolo 7 - La Prima volta (che l’ho vista) -

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Capitolo 30
*** Epilogo parte 2 - Quello che ti meriti ***


Epilogo parte 2 – Quello che ti meriti

“Pronto?”

“Liam, dove sei?”

“Un attimo, arriviamo. Lei dov’è?”

“E’ arrivata.”

 

Era sera, due giorni dopo la chiusura dei giochi olimpici, e Tara, Olivia e Alice avevano fatto una sorpresa ad Hope, tornando da Parigi per un paio di giorni. Si erano date appuntamento a Notting Hill, vicino ad un parco.

Faceva freddo.

Quando Hope arrivò alla fontana, luogo dell’incontro, mise le mani in tasca e guardò il cielo. Pensava a lui più spesso di quello che aveva fatto quando erano stati insieme, quasi un anno prima. Si chiedeva se era il caso di ringraziarlo o di scrivergli qualcosa. In fondo, le aveva scritto un’altra canzone. Erano già due, anche se Hope credeva che la seconda non parlasse proprio di lei: aveva raccontato la loro storia, secondo come l’aveva vissuta lui.

 

 

 “Sei una cogliona, Hope, ecco quello che sei.”

Alice non ce la fece più. Era ad un aperitivo veloce con Hope, Olivia e Tara dalle parti di Cambridge molti mesi prima. Il tempo era uno schifo, il cielo stava scaricando tutta l’acqua che aveva trattenuto nelle due settimane precedenti. Per l’Inghilterra era un record. Un gran numero di ragazzi sfrecciava fuori dal bar, per i marciapiedi, diretti alla propria lezione o al proprio appartamento, proteggendosi la testa solamente con la borsa o con dei libri. Ma le ragazze non erano concentrate sul tempo: Hope aveva appena detto loro di aver rotto con Harry. In realtà erano passate già due settimane, ma Alice aveva fatto finta di non saperlo.

Hope guardò Alice, aggrottando la fronte.

“Stai scherzando” disse Olivia con un filo di voce. “ti prego, dimmi che stai scherzando.”

Hope cercò lo sguardo di Tara, pensando di trovare un appoggio. Lei, dal canto suo, invece, aveva un sopracciglio alzato. “In che senso non lo ami più?”

“Forse non l’ho mai amato.”

“Oh be’ si in effetti, e uno ci impiega 7 mesi per rendersene conto” disse Alice, sarcastica. Hope la ignorò: Alice non poteva capire.

“In fondo sono stata la maggior parte del tempo in ospedale” continuò Hope.

“E lui ti è stato accanto…?” Olivia non poteva credere che Hope avesse mollato Harry. Tutto il suo mondo stava crollando: era in piena crisi con il suo fidanzato storico che non si era per nulla rassegnato al suo nuovo gruppo di compagni universitari e Hope aveva appena mollato uno degli One Direction.

“Certo, certo” annuì Hope.

Alice succhiò apposta rumorosamente il suo succo d’arancia dalla cannuccia. Hope stava male, si, di testa, però!

“credo che non abbia mai avuto la possibilità di conoscermi davvero, e io di conoscere lui, in fondo.”

Tara, se possibile, inarcò ancor di più il sopracciglio.

“E poi lui è famoso.”

“Eh?” chiese Olivia, sempre più spaesata.

Hope prese fiato. “Lui ha una vita movimentata, sempre in giro… io voglio pace. Non voglio foto sui giornali, non voglio preoccuparmi per la distanza che ci sarebbe stata se… Insomma. Lui ha una vita che non mi sento di affrontare.”

Silenzio. 

Olivia si guardò le mani non sapendo bene cosa dire. L’unica cosa che pensava era che, porca miseria, la sua amica non stava più con Harry Styles. Era un segno? Un segno per il suo futuro e per il suo rapporto con lo storico ragazzo?

Tara guardò Alice, la quale le rispose con uno sguardo duro.

“Una vita che non ti ha praticamente mai sfiorata” disse Alice.

Hope la guardò interrogativa. “Mai sfiorata…?”

“Si. Harry ti ha sempre protetta. Praticamente era come se fosse una persona qualunque. La sua vita da ‘persona famosa’, come la chiami tu, poteva anche non esistere.”

Hope storse il naso. “Be’ non proprio. Cioè fa parte di lui, no?”

“Si, ma quando mai ti ha dato motivo di preoccupartene? Quando sono comparse le vostre foto, Harry non ha esitato nel proteggerti.”

“Me lo avrebbe dato, il motivo. Prima o poi tutto sarebbe ricominciato…E che senso aveva aspettare? Meglio finirla qua, prima di affezionarmi troppo.”

Alice sbuffò. ‘Affezionarmi troppo’. Come un cane.. ma dai!

“E poi credo che anche lui non mi abbia mai amata davvero”

“Prego?!” chiese Alice, stringendo più forte il bicchiere di plastica vuoto.

“Mi spiego: io credo che lui sia stato molto influenzato dal fatto che mi ha vista malata. Mi ha trattato come se rischiassi di finire in ospedale tutti i giorni, da un momento all’altro.”

Alice non credette alle proprie orecchie. Ancora. Con questa storia. Con la SOLITA storia.

“E chiaramente una storia così non può funzionare. Dai…” Hope fece un piccolo sorriso. Tara non seppe identificare se fosse un sorriso per i ricordi felici con lui o un sorriso tirato di circostanza. “Mi è venuto a trovare tutti i giorni quando sono stata in ospedale, quando sono uscita ho trovato la stanza letteralmente ricoperta di fiori… e ha organizzato quella mega cena con tutti, mi ha portato a Penzance a vedere l’alba guidando tutta la notte…Io non voglio un ragazzo che mi renda speciale e che mi dica sempre di sì…”

“L’intero genere femminile si sta rivoltando sul lettino dell’estetista per ciò che stai dicendo, lo sai, vero?”

Hope ignorò Alice e terminò la frase “…solo perché sono andata a tanto così dal morire. Non abbiamo MAI litigato in sette mesi…”

“E ti lamenti?” la interruppe di nuovo Alice.

Hope strinse le labbra, cercando di essere paziente. “Non ci siamo mai trovati in disaccordo su nulla. E’ impossibile una cosa del genere!”

“Ma non vi siete mai neanche baciati sul serio” fece notare Olivia.

“BRAVA!” disse Alice. “E non siete mai andati a letto. Questo vuol dire pure qualcosa.”

“Certo che vuol dire qualcosa” rispose Hope. “Io non mi sentivo per niente sicura. Non di me stessa. Ma di lui. Ogni cosa che lui faceva, mi chiedevo se lo stesse facendo perché mi voleva bene sul serio o perché… provava pena. Quando mi diceva che avevo ragione, mi chiedevo se lo pensasse davvero.”

“Continuo a non capire.” disse Alice annoiata. “Volevi litigarci più spesso? SUL SERIO?”

“No. Io…” Hope si morse il labbro inferiore. “Io volevo la normalità. Volevo essere trattata per come mi merito, non per cosa sono stata, cioè una malata di cancro. Io voglio essere amata per ciò che sono, Ali. Non per ciò che sono stata. Ne ho il diritto. Come facevo ad amarlo, come facevo a baciarlo o ad andarci a letto insieme se sapevo che lui mi trattava così solo perché mi aveva vista malata? Solo perché ancora era attaccato alla visione della piccola e debole Hope, sull’orlo di un burrone? Come facevo ad accettare i baci, se sapevo perfettamente che lui me li dava solo perché gli facevo pena?”

“Ma lui ti voleva bene sul serio…ti amava.” tentò ancora Olivia.

“Io non credo che mi amasse sul serio. Mi amava come si ama un cane, un gatto, una sorella… un malato. Mi voleva bene. Ma non come si ama la propria ragazza.”

Alice cercò con tutte le forze di non sembrare arrabbiata o infastidita. “Hope, scusa…” cominciò con la voce un po’ più acuta e sarcastica del solito. “non è che ti è passato per la mente che, PER CASO…per caso eh…  lui ti trattasse come ti ha trattato perché era effettivamente pazzo di te?”

Hope la guardò: Alice era chiaramente dalla parte di Harry. Sapeva che lei e Louis avevano stretto una bella amicizia.

“Certo che mi è passato per la mente” rispose mentre pensava che probabilmente lei e Louis avevano parlato del fatto che si erano mollati. “Ma mi sono anche chiesta: se non avessi avuto il cancro, se lui non mi avesse vista stare male, si sarebbe comportato allo stesso modo? Avrebbe ricoperto la mia stanza di fiori? Avrebbe seriamente preso la macchina e mi avrebbe portato a Penzance? Avrebbe fatto tutto quello che ha fatto? Secondo me, no. O comunque avremmo sicuramente litigato più spesso. Lui… Lui associava me al cancro e viceversa. E io non sono più la ragazza con il cancro. Lo ero, certo, fa parte del mio passato. Ma non lo sono più. Non sono IL cancro.”

“Appunto!” esplose Alice. “Non sei il cancro, ma è come se lo fossi!”. Alcuni ragazzi al tavolo accanto si voltarono e Alice fu costretta a ritrovare la calma. “Hai fatto diventare il cancro la scusa perfetta per mollare un ragazzo come Harry!” continuò a voce più bassa, cercando di controllare la rabbia. “Hai fatto diventare il cancro ciò che non hai mai voluto che diventasse, ovvero, una scusa! Cosa ne sai che lui non avrebbe fatto certe cose se non lo avessi avuto? Come diavolo fai a saperlo? Gliel’hai chiesto per caso? La tua ‘prova’ che lui fingesse si limita alla stronzata che ‘non avete litigato per sette mesi’? Ma sei fuori???”

Hope la guardò e scosse la testa. “Io gli ho voluto bene…”

“Esattamente" Alice puntò un dito contro la superficie del tavolo. Era in piena ispirazione da discorso. “E’ questo il punto. TU gli hai voluto bene. LUI ti ha amata. Tu sei talmente spaventata da questa cosa del cancro, sei talmente spaventata da come la gente ti tratta quando sa del cancro, che credi che chiunque sulla faccia della terra ti dia ragione, lo faccia solo ed esclusivamente PER IL CANCRO. E quindi sei prevenuta. Ma sei prevenuta TU, non il resto del mondo. BASTA con questa storia. BASTA. Con Harry, sei stata cieca, mi spiace dirtelo. E hai sbagliato, Cristo se hai sbagliato.”

Hope, di nuovo, scosse la testa. “tu non capisci…”

“Capisco benissimo Hope. Capisco fin troppo, credimi.”

“Louis ti può aver detto che…”

“No. Io e Louis ci siamo ben guardati dal parlare di te e di Harry.” Ed era vero. Louis non aveva neanche provato a tirare fuori l’argomento. L’aveva avvertita e basta, chiedendole di non chiedere niente. Ma lei se l’era fatta un’idea del perché fosse finita. In fondo, lo si annusava da un pezzo: da come Hope evitava di parlare di Harry, quando Alice, affamata di pettegolezzi, le chiedeva qualcosa del loro rapporto; e di come, da circa…uhm…sei mesi, Hope scappava dalle braccia di Harry appena lui tentava solo di abbracciarla; dai pochi baci a stampo rubatole, sempre d’improvviso a cui Hope rispondeva con davvero troppo poco trasporto. “Prova a pensare. Prova a pensare un attimo a come ti trattava prima che tu ti ammalassi” continuò tentando di far ragionare la sua amica. Ma sapeva già di aver perso.

Hope sporse il labbro inferiore. “Non saprei” disse lei “Non ci conoscevamo di persona…”

“Oh ma per favore. Ti ha scritto una canzone, ricordi?”

Hope venne presa in contropiede. “Io non credo che…”

“Tu non credi cosa? Dai, ti è stato vicino tutto il tempo, ha sofferto come un cane quando eri in ospedale riuscendo a tener duro e a stringere i denti, ha noleggiato un cazzo di furgoncino per tutti quei fiori, ti ha portato a Penzance guidando tutta la notte… Ti ha scritto due canzo… una canzone.”

Gli occhi di Olivia guizzarono su Alice. Stava per dire ‘due canzoni’ o aveva sentito male?

“E quella canzone te l’ha scritta PRIMA che scoprisse del cancro. Non ti ha MAI baciata perché TU non ti sentivi pronta e PER LUI andava bene. Ti ha aspettata 7 mesi. Ti avrebbe aspettata anche tutta la vita, tesoro. Cazzo se non è amore questo, cos’è?”

Hope scrollò le spalle.

Alice non poteva credere all’indifferenza di Hope. “Hope ti sei fatta influenzare da questa storia del cancro. Non siamo più al liceo, dove tutti credono che tu sia fatta di cristallo. E Harry non l’ha mai pensato perché lo sapeva, ti conosceva. Ti ha trattato come una persona, non come una malata, come una persona speciale, CERTO, ma perché per lui eri la sua ragazza. Fin da subito. Anche dopo che ha saputo del tuo cancro. Ti amava davvero per come eri, per come sei.”

“Abbiamo punti di vista differenti” disse Hope con un’altra scrollata di spalle.

Alice pensò che, su questo, non c’era dubbio. Aveva parlato con Liam visto che Louis faceva la parte del migliore-amico-solidale. Lui le aveva detto che si erano lasciati e le aveva mandato in anteprima la loro nuova canzone. Le aveva detto di prestare attenzione alle loro parole. E Alice aveva dovuto fare un grandissimo sforzo per non correre dalla sua amica e sbatterla contro il muro, dicendole che era stata una COGLIONA galattica.

Se solo Hope avesse potuto ascoltarla….

“io sto cercando qualcosa d’altro” aggiunse Hope. “Qualcosa di più.”

Alice guardò l’amica, basita. L’avrebbe presa a schiaffi sul serio. Quasi la odiava. E odiava Harry per non averla presa a schiaffi lui stesso, due settimane prima, quando Hope aveva detto che non potevano stare insieme. Qualcosa di più? QUALCOSA DI PIU? Ma vogliamo scherzare!

Ma porca miseria.

E quel cretino ci aveva pure creduto alla cazzata che ‘non appartenevano allo stesso mondo’. Idiota. Bastava vedere come Harry la guardava ogni volta che Hope sorrideva, parlava o semplicemente respirava, per capire che Hope stava dicendo un mucchio di cazzate. Harry l’aveva amata e l’amava ancora, ci avrebbe scommesso l’intera collezione di cd, magliette e libri dei Beatles. Ma Hope, forse, su una cosa aveva ragione: lei non l’aveva MAI amato. Ma non perché non l’amasse sul serio, ma perché non ci aveva MAI neanche provato, non si era lasciata andare, non era riuscita a scrollarsi di dosso il cancro, anche se era guarita. Ed era vero anche che Harry non l’aveva amata come si ama la propria ragazza. Ma piuttosto, come si ama la propria vita. E forse anche di più.

 

 

 

L’aveva lasciato andare per i motivi più idioti: primo perché lui era Harry, Harry Styles. Quante volte si era mangiata la lingua per non dire, neanche per sbaglio, il suo cognome? Perché facendolo, dava concretezza a ciò che lui era veramente e lei non voleva nemmeno parlarne; la spaventava da morire. Secondo perché era sicura che Harry non la trattasse come meritasse. Non l’aveva mai amato, no di certo. Non ci aveva neanche provato. Harry si meritava più di una stupida riflessione fatta in solitaria, da un’egoista quale era stata. Lui le era stato accanto, l’aveva consolata e protetta. L’aveva amata e lei aveva finto di non accorgersi. E aveva finto che non significasse nulla. Come poteva essere stata così idiota? Harry, HARRY STYLES, porca miseria, meritava almeno un paio di tentativi, ma VERI tentativi.

Non si erano mai baciati veramente. Non avevano mai passato una notte insieme. Perché lei si era creduta superiore. Superiore nel valutare la loro storia, come se fosse un’esperta, come se la sapesse lunga su di lui, su di loro e sul mondo in generale. Come se lui fosse stato un povero scemo.

Si, decisamente, avrebbe dovuto scrivergli qualcosa. O chiamarlo.

Ma cosa avrebbe potuto dire?

Guardò verso il cielo. C’erano poche stelle quella sera.

“Ehi.”

Per poco Hope non cadde nella fontana.

“Che spavento” disse Hope, voltandosi. Ma anziché trovarsi di fronte alle sue amiche, si ritrovò accanto ad un ragazzo. 

“Faccio questo effetto di solito.” La voce, sarcastica, era stata inconfondibile; quando lo guardò, lo furono anche i suoi occhi e i suoi capelli.

Hope istintivamente fece un passo indietro. Come aveva sempre fatto. Come si era appena rimproverata di aver fatto durante tutta la loro relazione. Erano troppo vicini.

 

Lui la guardò tristemente: si era accorto di quel piccolo passo. Come si era accorto che la loro storia era finita molto prima che lei aveva deciso di lasciarlo.

Dato che Hope non parlava, con gli occhi sgranati come se avesse appena visto un fantasma, aggiunse: “Poi di solito svengo…”

Non finì la frase, gli fu impossibile.

 

 

‘Fanculo me e il cancro’ si disse Hope, poco prima di buttarsi sulle sue labbra. Gli prese il viso, coprendo la distanza del passo con una maggiore in modo da trovarsi letteralmente addosso a lui. Posò le labbra su quelle di lui e dopo un attimo dischiuse la bocca.

Harry questa volta, però, la avvolse tra le sue braccia, prima che lei potesse scappare via come aveva fatto l’ultima volta che lei lo aveva baciato, lasciandogli solo il ricordo del sapore delle sue labbra. Ricambiò il bacio, mantenendo la promessa di un anno prima: mettendoci tutto se stesso per renderlo indimenticabile. In fondo era bravo, quando si impegnava.

L'emozione che si sprigionò tra i due fu indescrivibile. L'adrenalina dolce cominciò a scorrere a fiumi nelle loro vene, al ritmo di quel bacio, tanto desiderato da entrambi. Lei affondò le mani nel nido di capelli di Harry, lasciandosi andare completamente, e lui, sentendo quel tocco, sorrise nel bacio e la strinse ancora più forte, sapendo nel profondo che solo in quel momento la storia della loro vita poteva realmente cominciare; probabilmente, se fosse stato possibile, i loro corpi si sarebbero fusi insieme.

Hope si staccò dopo un tempo che gli sembrò allo stesso tempo infinito e brevissimo. Gli studiò il viso, come aveva sempre fatto e a come ad Harry era mancato.

Harry stava per dire qualcosa ma Hope gli mise un dito sulla bocca. “No, tocca a me.”. ‘Mi ha aspettata.’ si disse ricordando le parole di Alice. Si prese ancora mezzo minuto per guardargli il viso.

“Mi dispiace, sono stata davvero stupida.. Ma adesso è ciò che ti meriti.”

Harry la guardò divertito e perplesso, non capendo le parole di lei che, ancora, non avevano acquistato un senso preciso.

Hope prese un bel respiro e disse: “Ti amo Harry Styles.”

 

Nelle loro vene non scorreva più il sangue. Scorreva qualcosa che se avesse avuto un colore,  sarebbe stato, di certo, brillante.

Qualcosa di cui entrambi avevano bisogno, per vivere, semplicemente, la storia della loro vita. Qualcosa che facesse della vita, un inno alla vita stessa.

Adrenalina Dolce.

 

Harry & Hopr

Eh insomma, è finita, è andata. E, perdonatemi, ma mi prendo un paio di righe per salutarvi tutti/e come si deve. Spero di non avervi annoiato e spero che questa storia vi abbia fatto emozionare come ha fatto emozionare me scrivendola. Hope e Harry adesso stanno insieme e, se ci tenete proprio a saperlo, stanno bene: litigano qualche volta più che altro perchè lui è sempre in giro e a lei manca terribilmente e perchè lei si è buttata nel pattinaggio di coppia e lui è abbastanza gelosetto del suo compagno. Ma quando si trovano... quando si trovano, il mondo potrebbe anche scomparire che a loro non importerebbe. Potrebbe realmente scoppiare la terza guerra mondiale, con cataclismi naturali e atterraggio degli alieni, che loro non se ne accorgerebbero neanche, impegnati a 'consumare' la storia della loro vita (NO, non c'è sottointeso alcun soppio senso... O forse si XD). 
E ora, se non vi dispiace, vorrei ringraziare alcune persone: Olivia, quella vera, la prima che ha letto questa storia, la quale non credo sia iscritta su efp ma fa niente, è lei che mi ha spinto a pubblicarla su efp, quindi GRAZIE anche se non mi leggi U.U; poi Fede, la mia prima piccola 'lettrice' di efp che ha recensito la mia storia e mi ha fatto sentire davvero importante implorandomi di far finire bene la storia (ahahah, penso di averti accontentata :D); poi Castiga Akirashi, la mia beta degli ultimi 4 capitoli, ma in realtà anche di tutti gli altri, con le recensioni-correzioni fatto con il suo nazigrammar (credo che in quest'ultima parte dell'epilogo io ti abbia DAVVERO tirata scema, facendoti partecipe di ogni mio 'piccolo' dubbio, quindi GRAZIE); Chiara che si è lasciata prendere dalla storia, dagli 1D e da tutto questo anche se non è proprio il suo 'campo' e che si prende sempre il tempo per leggere le mie chilometriche email e per rispondere con altrettante chilometriche email (potremmo farci un diario sul serio! Oddio.... chissà cosa direbbero gli psicologi se finissero nelle loro mani: saremmo sicuramente oggetto delle loro ricerche, a volte siamo MEGA profonde); ed infine per ultimo, assolutamente non importanza, chiunque sia arrivata/o qui leggendo la mia storia, chiunque si sia emozionato, chiunque sia rimasto indifferente, chiunque si sia arrabbiato con Hope e il suo menefreghismo, chiunque abbia tifato per Alice e i suoi discorsi, chiunque abbia letto tutto nonostante non sia fan degli 1D,  chiunque si sia lasciato incuriosire dalla mia storia. Davvero, sembra che stia scopiazzando un po' quello che ha fatto JK Rowling nel suo libro finale di HP, ma davvero, voglio spendere due righe per qualsiasi persona ci sia dall'altra parte dello schermo: sei stato/a fantastico/a! Ah, e poi ringrazio gli One Direction, OVVIAMENTE, che senza la loro canzone, probabilmente non avrei avuto nessuna ispirazione e ovviamente non avrei scritto la storia di Hope.
Vi lascio, infine, con una frase di Harry Styles, quello VERO, che mi ha colpita un sacco sopratutto perchè collima, in alcuni tratti, con l'Harry Styles  della mia storia. 

Tanti abbracci stritolatutto a tutti, Directioner o meno (tanto quelli che non lo sono, lo diventeranno presto, me lo sento U.U) 

Emma ;)  

Hope & Harry  <3
Alice :)  
Olivia e Tara
Liam, Louis, Niall e Zayn
Siete tutti, nessuno escluso, parte di me. Siete stati e sarete per sempre un prolungamento della mia anima. Grazie.

I don't like people saying 'you are famous'. They destroy you with the words. It just gives you like no substance. Yes, it's not like "he is a really nice guy" or "he is really funny". You like, it becomes distinguished like 'you are famous'. It's just like a.. weird. I hate it.

Harry Styles – One Direction – This is Us

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