Take It As It Comes

di Briseide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte. ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte. ***



Capitolo 1
*** Prima Parte. ***


Disclaimer: Niente mi appartiene, non scrivo a scopo di lucro ma per puro gusto ed insonnia.
Spoiler: Fino alla III stagione
Note: La dedica va a Sunny, perchè le voglio bene e mi ha insegnato il texano andando ben oltre i fasulli piaceri del puro British XD, perchè guida una Impala, divide con me le disgrazie della vita e ha fatto di me la sua Smartass. Love you (L)
Come sempre sono troppo emotivamente coinvolta per poter prendere di essere la voce dell'oggettività =p

Take it as it comes


Prima parte.

Come tutti, aveva dei ricordi. Il giorno in cui aveva lasciato la sua casa per diventare una cacciatrice di professione li aveva raccolti tutti in una scatola, e l’aveva sigillata con del nastro adesivo scegliendone uno resistente quasi a tutto ma non indistruttibile.
Di quei ricordi per due aveva riservato un posto fuori dalla scatola, portava quello di suo padre nel cuore e quello di Dean Winchester da qualche parte attorno a lei, sempre vicino ma mai abbastanza perché potesse trovare pace, né troppo lontano perché potesse dimenticarlo, come succede nella vita con quelle cose incontrate per caso lungo la strada.
Aveva trovato lavoro in un altro bar, sfruttando la sua rabbia e la sua delusione in nuova energia per cacciare tutto ciò che a suo modo era stato partecipe della morte di suo padre e della perdita di Dean.
Non aveva saputo più niente di lui e aveva finto che non le importasse più di tanto. Per i primi mesi, in cui aveva dovuto prendere dimestichezza con un nuovo bancone e una autorità che non fosse quella di sua madre ma solo quella di un padrone, si era sorpresa ad alzare la testa ogni qualvolta la porta del locale si aprisse all’entrata di qualcuno.
Inconsciamente aveva sempre la piccola e stupida speranza di ritrovare quel passo scanzonato e l’aria da ramingo con cui Dean Winchester si era presentato a lei la prima volta.
Quando aveva capito che continuare su quella strada le avrebbe ben presto strappato il cuore dal petto per quanto le faceva del male, e che c’era una probabilità su un milione che Dean varcasse la porta di quel bar alla fine del mondo, Jo aveva smesso di sperarci e di aspettarsi qualcosa, aveva chinato la testa tornando al suo lavoro e per la prima volta aveva cercato di voltare pagina ed iniziare un nuovo capitolo, senza tornare continuamente ai precedenti.

•••

Con il tempo aveva imparato a diffidare dei ricordi. Lo aveva capito quando si era resa conto di quanto pericolosamente confortanti potessero essere.
Una notte aveva sognato suo padre e al risveglio si era quasi sentita soffocare dal vuoto della sua assenza. La giornata era stata un susseguirsi di disastri dopo l’altro, aveva rotto un bicchiere e rischiato di uccidere qualcuno mentre cacciava un demone particolarmente bravo a confondersi.
Mentre cercava un modo perché la sua mano smettesse di tremare, pensava che se davvero quell’uomo fosse morto, sarebbe morta un po’ di lei con lui, non avrebbe mai potuto perdonarselo. Quella notte aveva pensato a quanto fosse labile il confine tra la vita e la morte, e quanto una persona può fingere di essere viva quando in realtà è avvizzita dentro.
Aveva paura di svegliarsi una mattina e scoprire che la sua vita era diventata una notte perpetua, senza luce e senza alba. Di scoprire guardandosi allo specchio di non essere altro che un cumulo di cenere e di rabbia.
E poi, senza che potesse impedirselo, era riaffiorato di nuovo Dean Winchester tra i suoi ricordi.
Si era chiesta se un cumulo di cenere e di rabbia potesse prendere fuoco al pensiero di qualcuno e con tanta intensità, se fosse in grado di sentire la mancanza di un odore, di rimpiangere qualcosa con tanto fervore che neanche le lacrime avrebbero potuto darle sollievo. Guardandosi allo specchio la mattina dopo l’ultimo sogno fatto, si era chiesta se un cumulo di cenere e di rabbia potesse arrossire in quel modo e la risposta che si era data con un nodo alla gola e lo stomaco stretto in una morsa forte e a suo modo gentile, era stata di no.

•••

Un anno dopo quel sogno, Jo era ancora una cacciatrice, lavorava ancora in un bar e si spostava continuamente a seconda dell’itinerario che i demoni da cacciare delineavano per lei. Ogni tanto lasciava delle tracce dietro di sé, perché sua madre potesse avere la certezza che fosse viva, ma faceva sempre molta attenzione che le sue tracce fossero labili, in modo che non fossero un invito a raggiungerla, ma la certezza che da sola se la stava cavando bene.
Qualche volta le capitava ancora di sognare suo padre, altre volte le sembrava di ritrovarlo nella più banale quotidianità, quando un colore o un profumo riportavano alla mente un episodio del breve passato che aveva condiviso con lui.
Non aveva nessuno con cui parlare di quelle piccole riscoperte, ma tutto sommato andava bene anche così, teneva per sé quel sorriso e il calore di quel ricordo e andava avanti per la sua strada.
Poi d’improvviso sua madre aveva smesso di mandare qualcuno a controllare che le tracce da lei lasciate fossero ancora fresche.
Si era sentita offesa e abbandonata, dopo un momento di iniziale perplessità. Poi aveva vissuto nel terrore che le fosse successo qualcosa, riservando parte di quella angoscia anche per Ash. Infine si era detta che se davvero fosse successo qualcosa di grave, sua madre avrebbe mandato Bobby da lei per chiederle di tornare, o per raccontare quanto accaduto nel tentativo di farle male il meno possibile.
Mesi e mesi dopo aveva rotto nuovamente un bicchiere, nel momento in cui aveva preso atto di cosa stesse facendo sua madre. Proteggerla da una verità che non sarebbe stata in grado di tacerle se solo l’avesse guardata negli occhi, o vista di sfuggita.
Si era chiesta cosa nella sua vita potesse ferirla ad un livello tale che l’amore di una madre non avrebbe ritenuto sopportabile nel pensarlo per sua figlia.
Si era a malapena accorta di stare tremando con i cocci di quel bicchiere in mano, quando nel riverbero dei vetri taglienti sotto la luce fioca del locale aveva visto baluginare l’immagine di Dean.

•••

Aveva resistito ancora meno di quanto si era imposta, cercando di non perdere la testa e di ottenere conferme prima di dipartire completamente da ogni logica. Ma una settimana dopo l’incidente con quel bicchiere – la scoperta le aveva regalato un taglio sul palmo della mano, eterno ricordo del terrore provato la prima volta che aveva considerato l’idea che Dean potesse morire – aveva lasciato il lavoro al bar e noleggiato una macchina che non avrebbe più riportato indietro.
Era tornata sulla strada di casa solo perché sapeva che rintracciare Bobby sarebbe stato un progetto oltremodo ambizioso. Sua madre era stata felice di vederla di nuovo e poterla abbracciare, ma nel vigore dell’abbraccio in cui l’aveva avvolta, Jo poteva percepire la consapevolezza di sua madre nel saperla di ritorno per il motivo meno piacevole per un ricongiungimento.
L’aveva lasciata andare con una stretta alla gola, al pensiero che non sarebbe mai tornata a casa se non fosse stato per quel Dean Winchester.
Jo aveva insistito perché Ellen le raccontasse tutto ciò di cui fosse a conoscenza, nonostante una non piccola parte di lei desiderasse preservarsi da tutto quel dolore che sapeva stava per ricevere.
Ellen non voleva che Jo sapesse tutto quello, allo stesso modo in cui le aveva taciuto gran parte della storia di suo padre, per quel senso di protezione che si innesca quando si tratta delle persone che ami, nonostante la certezza che le ferirà doppiamente in futuro. Tuttavia Jo era intransigente con se stessa e con le persone che amava proprio quanto e come lo era suo padre, ed Ellen non avrebbe potuto amarla di meno, così le raccontò quello che sapeva.
Jo aveva ascoltato in silenzio, e tra tutti i sentimenti che le erano caduti addosso a quella notizia aveva finito con il non prevalerne nessuno, così si era alzata e senza dire una parola era uscita dal bar, cercando di raccogliere i pezzi di quello che restava di sé.
Di nuovo si era affacciato il pensiero di quel mucchio di cenere e rabbia annidato da qualche parte in lei, e quella volta aveva desiderato di esserlo davvero, cenere e rabbia, di modo che potesse fuggire quel dolore che la stava dilaniando.
Il pensiero di quello che sarebbe spettato a Dean le era di gran lunga più insopportabile, così aveva capito la differenza tra il desiderio e il bisogno di qualcuno, e quello che forse la gente definisce amare; la necessità di saperlo se non felice o sereno – perché sapeva quanto la vita potesse essere ingenerosa, lo era stata anche con lei - almeno al sicuro; la volontà di sacrificio per ciò che è caro e senza prezzo; quel sentirsi mancare l’aria poco a poco ad ogni ora che a lui veniva tolta e a lei rimaneva da vivere in un mondo del quale Dean non avrebbe più fatto parte.
Fino a quel momento aveva vissuto la propria vita portandosi dietro il ricordo di Dean, avendo però sempre la remota certezza che lui fosse realmente in giro da qualche parte, a fare il suo lavoro, seguendo la propria strada, sempre alle spalle di suo fratello perchè nessuno lo attaccasse impreparato, perché nessuno osasse anche solo concepire l’idea di potergli fare del male. Sapeva che ovunque fosse stava facendo qualcosa che in parte gli era stato affidato e in – gran – parte aveva scelto di fare, e questo a suo modo la faceva stare tranquilla. Le mancava e non voleva ammetterlo, ma era tranquilla nel sapere che lui avesse un proprio posto che lo facesse sentire a casa.
Non aveva mai neanche tentato di immaginare che Dean potesse semplicemente non esserci più, non tanto perché non riuscisse a parlarne quanto più perché le risultava inconcepibile.
Fuori dal bar il piazzale era assolato dalla luce di mezzogiorno, e l’assenza dell’Impala di Dean dove veniva abitualmente parcheggiata la accecò per un attimo. Avrebbe detto a chiunque che la luce troppo forte dopo la semioscurità del locale le faceva pizzicare e lacrimare gli occhi, mentre diceva a se stessa che i cumuli di cenere e rabbia non piangono.
Non piangono e non amano.

•••

Sua madre le impedì di ripartire di nuovo. Lei si era opposta con decisione, spiegando di non poter rimanere alla Redhouse, dove ogni cosa richiamava ad un tempo in cui Dean era stato lì, dove tutto sapeva di lui e dove lei non riusciva a respirare la sua assenza.
In parte diceva la verità, ma d’altro canto non aveva la minima intenzione di cercare un posto in cui non avrebbe potuto pensare a lui.
Ellen era stata irremovibile, credeva a ben ragione che sua figlia avrebbe fatto di tutto per ritrovarlo, e conoscendo l’ostinazione degli Harvelle e la determinazione del sentimento che la spingeva, sapeva che avrebbe ottenuto un modo per trovarlo davvero. Sapeva altrettanto bene che se fosse successo, in un modo o nell’altro, avrebbe perso sua figlia per sempre, e se da una parte l’amore è egoista e non voleva perdere la sua bambina come aveva perso suo marito, dall’altro era anche incredibilmente altruista e non voleva che Jo buttasse via la sua vita in tutto quel dolore. Aveva ancora troppo da dare al mondo e da ricevere, e troppi meriti che così fosse, per poterle permettere di rovinare ogni cosa e precludersi ogni felicità.
Quindi l’aveva tenuta segregata nel bar, come ai vecchi tempi, prima che i fratelli Winchester entrassero nel suo locale. Jo non glielo avrebbe mai perdonato, ma presto se ne sarebbe fatta una ragione, come tante altre volte aveva dovuto fare lottando contro la testardaggine e il senso di rivalsa mai sopito di sua figlia.
In quel periodo Jo aveva vissuto ogni giorno come in prigionia. Si aggirava tra il bar e la propria camera, un animale in gabbia, che si agita inquieto in uno spazio troppo piccolo, che ruggisce contro chiunque non sia ciò che desidera e vorrebbe scagliarsi contro quelle sbarre a costo di ferirsi duramente, pur di passare oltre. Lo sguardo impotente di chi è consapevole che è lì fuori il proprio posto, e che invece è relegato lì, nella morsa soffocante e affatto comprensiva del troppo amore di una madre.
Forse era passato un altro anno, fino a quando la prigionia non era finita.
Erano le due di notte quando Jo finiva di sistemare le sedie dopo la chiusura e nel piazzale una macchina aveva spento il motore. Erano le due di notte quando Dean Winchester era tornato da lei.

•••

Bobby aveva deciso che fosse il caso di tornare da Ellen; gli serviva qualcuno che avesse il polso duro come lui lo aveva prima di diventare tanto vecchio e tanto stanco e di dover recuperare il figlio di John dall’Inferno. Sam aveva accettato di buon grado, perché lottare contro un demone che lo voleva morto ad ogni costo e al tempo stesso contro il senso di colpa che lo attanagliava per quanto successo a Dean era troppo anche per lui.
Dean non aveva detto niente dopo aver esplicitamente lasciato ad intendere di non essere d’accordo, ma anche lui era reduce da un periodo non troppo piacevole ed era troppo stanco per combattere contro Bobby e suo fratello. Aveva ceduto le chiavi della Impala a Sam ogni qualvolta la strada aveva assunto contorni spiraliformi ai suoi occhi stanchi e per il resto aveva insistito perché fosse lui a guidare.
A metà strada la radio aveva crudelmente lasciato passare una vecchia canzone dei REO, non ricordava quale fosse il titolo, ma ne richiamò alla sua mente un’altra e solo allora, scalando la marcia fin troppo bruscamente per la sua guida sciolta, Dean aveva realizzato che tornando da Ellen, tornava anche da Jo.
Non aveva più aperto bocca per il resto del viaggio, gettando Sam nella solita preoccupazione e Bobby in un cupo rimestio di pensieri, che si era concluso con un sospiro e l’accenno di un sorriso nascosto sotto la tesa dell’immancabile cappello calato sulla testa.


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Capitolo 2
*** Seconda Parte. ***


Seconda parte.

Arrivarono di notte, come se stessero facendo qualcosa di nascosto, ed entrarono senza bussare. La porta della Redhouse era ancora socchiusa, l’ultimo avventore si era dimenticato di sbatterla con forza come al solito.
Nel locale l’unica cosa distinguibile nella semioscurità informe, era il profilo esile di qualcuno che sfregava vigorosamente il piano di un tavolo, o almeno così a lui parve.
Entrando Bobby si era tolto il cappello, strappando un’occhiata ilare ai due fratelli e poi aveva palesato la loro presenza con un colpo di tosse.
Jo non aveva visto nessuno di loro se non Dean.
“E’ rimasta qualche stanza per tre poveri pellegrini?” aveva domandato Bobby con un sorriso un po’ mesto. Jo aveva annuito lasciando cadere sul tavolo lo straccio che stava usando. Non aveva parole da offrire, ma le tremavano di nuovo le mani e quello era quanto.
Aveva lasciato una caraffa di caffè e una bottiglia di liquore per correggerlo sul piano del bancone a Bobby e sua madre, sapendo che avrebbero avuto molto di che parlare quella notte, ed aveva sistemato come meglio poteva due stanze per Sam e Dean.
A lui non aveva detto niente, il patto era che lei non avrebbe chiesto e lui non le avrebbe raccontato a parole quel poco che era disposto a dire. Non ci fu bisogno di accordi imbarazzanti, era tutto piuttosto implicito per entrambi.
Quando la mattina dopo Jo era scesa per aprire il locale, Bobby l’aveva guardata come fosse un fantasma: nelle reciproche occhiaie entrambi avevano lasciato ad intendere di non aver chiuso occhio tutta la notte. Anche in quel caso Jo non pretese di sapere nulla su quanto lui e sua madre si erano detti fino alle prime ore dell’alba e Bobby non insistette oltre sul motivo della sua insonnia. Jo riprese a strofinare lo straccio sul tavolo della sera prima, alla fine non aveva finito il lavoro ed era ancora incrostato di birra, finché non sentì il suono dei passi di Dean. Si fermò per un istante, vincendo la tentazione di voltarsi verso di lui e dirgli tutto quello che le passava per la testa da quei tre anni in cui si erano salutati. Poi aveva guardato lo straccio, di nuovo abbandonato sul tavolo e aveva detto soltanto “Vi preparo dell’altro caffè”.

●●●

Dean la trovava cambiata. Non era certo della Jo che avrebbe trovato, l’ultima volta che si erano visti non si erano lasciati con un sorriso e un abbraccio del resto. La sua mente era offuscata dalle tracce indelebili del suo soggiorno infernale, ma riusciva ancora a ricordare quello che Jo gli aveva raccontato in ultimo riguardo suo padre e William Harvelle. A quel tempo suo padre era appena morto e lui era troppo impegnato a cercare di sopravvivere ad un dolore inesprimibile per poterle chiedere scusa di quanto successo, e adesso aveva di nuovo altre ferite da rimarginare e in ogni caso sarebbe stato un po’ troppo tardi.
L’aveva trovata cambiata perché Jo non aveva preteso niente: non una parola in merito a suo padre, non una parola in merito a quello che aveva passato in tutti questi anni. Poteva percepire il peso di quel silenzio a cui si era costretta e sapeva che se lo aveva fatto era stato soltanto per lui.
Trovava ancora un po’ inconcepibile che riversasse su di lui ancora tante attenzioni, sentiva di non meritarne neanche la metà e al tempo stesso sapeva che una piccola parte di lui, per quanto microscopica potesse essere, aveva bisogno che qualcuno lo facesse.
Anche questo era diventato ben presto implicito tra loro.
Ellen lo teneva ancora costantemente d’occhio, questa volta con il doppio dell’apprensione di prima, condivisa tra la preoccupazione per lui e quello che aveva affrontato e la preoccupazione per sua figlia e quello che avrebbe passato con Dean Winchester di nuovo nei dintorni. Non lo faceva sentire a disagio, tuttavia.

Le conversazioni tra lui e Jo erano sempre molto silenziose. Al continuo rimbrotto dei tempi passati si era sostituita una quiete piena di consapevolezza da parte di entrambi. Parlavano lo stretto indispensabile e il resto potevano lasciarlo agli sguardi e ad una gestualità che diventava giorno dopo giorno sempre più intima e semplice da capire.
Il suono delle parole era ancora troppo aspro per Dean, nell’Inferno non aveva sentito altro che urla e lamenti disperati e tutto quello che desiderava adesso era un silenzio che durasse il più a lungo possibile.
Quando il locale chiudeva le porte iniziava il loro momento, una bottiglia di birra ciascuno e un po’ di musica soffusa, che riposasse le orecchie di entrambi e non li facesse sentire al contempo troppo soli. Qualche volta commentavano sugli avventori della Redhouse, Dean sapeva chi aveva guardato Jo e in che modo, sempre, i commenti sardonici in merito erano rari ma la lusingavano sempre quando capitava di riceverli.
Nessuno dei due aveva mai voglia di andare a dormire, Dean perché sapeva che sarebbe tornato nell’Inferno per la durata del suo sonno, e Jo perché non avrebbe fatto altro che pensare a Dean e alla sua stanza troppo lontana dalla propria. Lei era sempre la prima a cedere, concedendogli un po’ di solitudine che a stento riusciva ad avere, e Dean aveva ormai imparato dove fosse l’interruttore per spegnere le luci e come blindare la porta prima di chiudere direttamente la Redhouse.
Era servita una discreta quantità di tempo ad entrambi per capire che il rimedio alla loro insonnia era dormire insieme, condividere un letto e confondere i propri sogni.

●●●

Jo non si era mai presa cura di nessuno, se non del bar e del ricordo di suo padre. Non aveva idea di cosa dovesse fare ma inaspettatamente scoprì di saperlo fare.
Quella sera un uomo poggiando i gomiti sul bancone aveva detto di essere un vecchio amico di suo padre, che voleva sapere come se la passava il vecchio Bill e che aveva urgente bisogno di parlargli di alcune faccende di cui lui avrebbe di certo capito l’importanza. Jo lo aveva guardato attonita e piuttosto seccata “Alla buon ora” gli aveva risposto sbattendo un bicchiere davanti a lui, mentre si chiedeva di cosa mai dovesse essere arrabbiata e soprattutto con quell’uomo che per giunta stava per ricevere un gran dispiacere.
“Allora, dov’è quella canaglia? È sulle tracce di qualche stronzo di demone come suo solito?” aveva continuato l’uomo, prendendo un sorso del liquore e porgendole in cambio un sorriso di bonaria malinconia. Jo lo aveva guardato e di improvviso era sparita la rabbia di prima, e aveva preso atto che avrebbe dovuto dirgli la verità, e fu come se in quel momento le fosse caduto addosso il ricordo di quanto fosse pesante e freddo il vuoto che suo padre aveva lasciato nella sua vita. Con orrore scoprì di averlo quasi messo da parte per tutto quel tempo in cui aveva concentrato ogni forza nel pensiero di Dean e di quanto potesse fare per lui. Scoprì anche che credeva di essersi assuefatta al torpore che la mancanza di suo padre le aveva lasciato intorno al cuore, ma si sbagliava alla grande. “E’ già a metà strada” aveva mormorato alla fine, sapendo che le parole non volevano saperne di separarsi dalle labbra, era come se volesse tenere la verità di quel dolore tutta per sé. L’uomo non aveva capito ed era esattamente quello che Jo voleva che accadesse. “Digli che l’ho cercato” aveva vagheggiato lui in risposta, poi aveva fatto per pagare, ma Jo aveva fermato il suo polso “Questo lo offre mio padre” , si sorprese a dire, mentre sentiva su di sé gli occhi di Dean da qualche parte lì vicino, e prendeva atto con un tonfo all’altezza del petto che aveva assistito a tutta la scena.

“Non so perché non gliel’ho detto” aveva esclamato d’improvviso alle due di notte, mentre chiudeva la porta del locale e cercava una buona musica da mettere in sottofondo. Dean aveva alzato gli occhi dalla bottiglia di birra, accorgendosi di star serrando la presa tanto fortemente da lasciare l’impronta delle proprie dita sul vetro velato di ghiaccio.
“Non verrà mai a chiederti una spiegazione” aveva risposto, e il suono della propria voce lo aveva stupito ancora, come sempre da quando aveva smesso di parlare tanto spesso come prima. Jo si era voltata a guardarlo con aria smarrita e consapevole al tempo stesso e aveva finito con il sorridere un po’ a lui, un po’ all’avventore in cerca di suo padre, un po’ a se stessa. Aveva scelto una canzone alla fine, una a caso, aveva recuperato la propria bottiglia di birra della serata e si era seduta sul bancone.
“Non aveva senso dirglielo” proseguì appoggiando le labbra al vetro spesso, e per un attimo Dean credette di sentirle sul proprio collo. “Lo avrei solo fatto sentire di merda” andava avanti Jo, e sembrava che le sue labbra accarezzassero la bottiglia “e poi se mai lo verrà a sapere da qualcuno, potrà pensare che l’ultimo ricordo di Bill è stato il bicchiere di scotch che gli ha offerto” concluse, poggiando finalmente le labbra sul bordo della bottiglia e costringendo Dean a smettere di guardarla.
“Cazzate” aveva risposto lui e Jo sapeva che era sincero in quel momento, tanto quanto lei era la bugiarda. Reclinò la testa contro il legno alle proprie spalle, chiudendo gli occhi. Sperò di vedere suo padre, ma le apparve l’immagine di Dean nell’attimo in cui lo aveva visto prima di chiuderli.
“Lo so. Non riesco a dire ad alta voce che è morto”.
C’era stato un attimo di silenzio, prima che aprisse di nuovo gli occhi. In quel momento a Dean tornò in mente la prima volta che l’aveva incontrata, pensando che allora gli aveva puntato addosso un fucile, e adesso gli puntava contro il proprio sguardo, e questa volta aveva come la sensazione di non essere certo di riuscire a disarmarla. Insieme a quel ricordo gli sovvenne quello che si erano detti: suo padre era appena morto e Jo gli aveva raccontato che era successo lo stesso anche al suo quando era ancora una bambina.
“Cazzate” di nuovo, “è stata la prima cosa che mi hai detto” la rimbeccò prendendo un sorso generoso dalla bottiglia. La birra era fresca ma non valse a raffreddare tutto quell’ardere che sentiva da qualche parte dentro di sé o lì intorno.
“Era facile dirlo a te”. Sembrava quasi si vergognasse nel doverlo dire, quando in realtà Dean sapeva perfettamente cosa intendesse. Era facile quanto lo era rimanere soli dopo l’orario di chiusura; era facile quanto lo era stato ritrovare la strada per la Redhouse. Era facile come guardarla negli occhi e non doverle più alcuna spiegazione.
“Vado a dormire” aveva annunciato Jo saltando giù dal bancone e lasciando a metà la propria birra, pensando che a quel punto fosse il caso di lasciarlo solo con John Winchester. Quando Dean aveva annuito con un sorriso lontano, Jo aveva sentito una morsa attanagliarle il cuore in una stretta di dolcezza e dispiacere per quello che aveva letto in quel sorriso e aveva esitato prima di annuire a sua volta. “’notte Jo” lo aveva sentito dire, ma a quel punto era già consapevole che non avrebbe chiuso occhio neanche quella notte.

Quella notte Dean sognò dell’Inferno e di suo padre contemporaneamente. I colori dell’Inferno si confondevano nel fondo delle iridi scure di suo padre, l’unico desiderio era quello di liberarsi di entrambi, ma persino nel sogno lo seguiva la consapevolezza dell’impossibilità di realizzarlo. Si era svegliato perché qualcuno continuava a scuoterlo con insistenza; in quel gesto non c’era delicatezza ma solo la forza della disperazione, per questo gli era sembrato un appiglio abbastanza convincente e alla fine aveva ceduto, svegliandosi di colpo.
Prima di tutto aveva riconosciuto la luce che c’era sempre nei suoi occhi, poi aveva avuto conferma che Jo era seduta sul bordo del suo letto e gli stava facendo il grande favore di non guardarlo negli occhi.
“Non sembrava un bel sogno” aveva mormorato come giustificazione per quell’intrusione nella sua camera, ma a dispetto di quel dimesso tono di scuse, dopo averci pensato qualche secondo si era infiltrata sotto le coperte accanto a lui. “Fammi posto” aveva detto, non aveva la pretesa di essere un ordine e neanche il coraggio di essere una richiesta, e ancora stordito Dean non era stato abbastanza rapido nel risponderle.
Le lenzuola erano sudate ma a lei piaceva il suo odore; era un tempo infinito che non divideva il letto con qualcuno ma lei sembrava aver trovato il proprio posto in un incastro perfetto tra la curva del suo corpo e il bordo del letto; per quanto si sforzasse non aveva altre obiezioni da fare, perché era stanco di fare incubi e il respiro di Jo era molto più regolare del suo, così lentamente si abituò al suo ritmo e senza che se ne accorgesse finì con l’addormentarsi di nuovo.

●●●

Presero l’abitudine di dormire spesso in quel modo, se non quasi ogni notte, e quando Ellen si era accorta che il letto di Jo non era mai disfatto, non aveva detto niente. Una sera si era fermata dietro la porta della camera di Dean, sapendo che se fosse entrata ci avrebbe trovato sua figlia. Aveva pensato di bussare e fare quattro chiacchiere con lei, ma nell’attimo di indecisione che la aveva colta, aveva percepito un silenzio calmo provenire dall’interno della stanza. Aveva pensato a tutto quel tempo che aveva passato a dormire in un letto vuoto, senza che suo marito le dormisse accanto e di improvviso aveva rischiato di piangere tutte le lacrime che non aveva voluto concedersi per la morte di William. Aveva cambiato idea, preferendo non svegliare Jo e Dean, e poi aveva incontrato Bobby, di nuovo troppo stanco persino per dormire. Aveva condiviso con lui dell’altro caffè corretto con un po’ di grappa, e per un paio di minuti aveva sostituito con quello il freddo di una notte da passare ancora senza William al proprio fianco.
“Pensate di partire presto?” aveva mormorato poi a Bobby, chiedendogli la verità. Lui le aveva restituito uno sguardo incerto e un sospiro.
“Hai paura che ci porteremo dietro anche tua figlia?” barattò la risposta con quella domanda. Ellen aveva sorriso al proprio caffè, poi aveva detto che Jo se l’erano portata dietro tempo prima, che quando scopri quanto dormi bene vicino a qualcuno resti inevitabilmente fregata, e che quella questione avrebbero dovuto sbrigarsela lei e Dean, la sua interdizione di madre era finita molto prima.

●●●

Dean non era mai stato bravo con i saluti, perché non aveva mai avuto tempo e modo di farne decentemente. Nessuno glielo aveva insegnato, né la vita gli aveva lasciato l’opportunità di imparare da solo, così la mattina della partenza non aveva saputo cosa dire, quando Jo lo aveva guardato negli occhi, vestendosi.
“Fine della corsa” aveva suggerito lei con un sorriso, mentre si infilava la maglietta. Dean si era distratto ad osservare il ricadere morbido dei suoi capelli sulle spalle esili. Si domandò come avesse potuto credere che Jo sarebbe rimasta bambina in eterno. Era un bel problema, perché più in tutto quel tempo l’aveva osservata, più si era reso conto delle sue fattezze di donna, della grazia con cui aveva imparato a portare le proprie sofferenze sulle spalle, dell’ilarità con cui giocava con se stessa, di come quella spontaneità di sentimento avesse addolcito i caratteri spigolosi del suo comportamento, rendendola più consapevole di sé. Era un bel problema, guardarla negli occhi e salutarla di nuovo.
“E ora? Te ne torni a Duluth?” le chiese allacciando i propri jeans. Si meravigliò, perché in genere parlare del futuro non era tra i suoi argomenti preferiti, eppure era di gran lunga preferibile rispetto a parlare del presente imminente che li vedeva separarsi.
“Ho già dato lì. Non so, credo che vedrò cosa c’è da fare in giro” rispose lei, sedendosi sul letto, perché iniziava a respirare a fatica. Dean recuperò la maglietta dal pomello della sedia e si rese conto di star acquistando una nuova cicatrice, oltre a quelle guadagnate all’Inferno. Jo non gli chiese i suoi programmi, perché il loro patto era ancora in vigore e lo sarebbe stato sempre. Però aveva quello stupido pensiero, su cosa avrebbe fatto tutte quelle notti, senza il letto di Dean in cui dormire, o semplicemente senza un letto in cui dormire con Dean.
“Beh… salutami Ash” aveva borbottato lui passandosi una mano tra i capelli. Jo annuì, pensando che quel gesto e l’espressione del suo viso con cui lo aveva accompagnato le sarebbero rimasti impressi sul cuore per sempre. Un ricordo in più da portare in giro con sé. “Salutami Sam” chiese a sua volta, perché aveva deciso che non sarebbe scesa al piano di sotto per salutare. Sarebbe stato difficile mettersi in viaggio subito dopo di loro, la tentazione di seguire le tracce della Impala di Dean troppo forte per la sua forza di volontà, al momento appena esistente.
Non ci fu nessun abbraccio, perché dopo aver diviso il letto e i propri sogni per tutte quelle notti forse non ce n’era davvero bisogno: qualsiasi gesto o contatto, dopo quel dormire insieme, sarebbe stato freddo e impersonale.

Quando il rumore del motore della Impala si era spento soffusamente, Jo si era concessa dieci minuti per piangere un po’ in solitudine, e perché mai lo avrebbe fatto davanti a sua madre. Non volle alcun abbraccio di consolazione e nessuna parola di conforto, perché non credeva di aver perso definitivamente qualcosa. Era cresciuta e aveva accettato i parallelismi della vita, che le strade si dividono delle volte e portano avanti ognuna per il proprio tragitto quel qualcosa di comune che si è condiviso prima di separarsi.
“Mangia qualcosa prima di partire, sei pelle e ossa e mi fai impressione” l’aveva rimproverata Ellen quando dopo quei dieci minuti Jo era apparsa al piano di sotto, con l’espressione di chi ha ottenuto una sua conquista e nel dolore che le è costata ha saputo trovare il vero valore da tenersi stretto. Ellen fu così orgogliosa di lei che bruciò l’uovo che le stava preparando per colazione. Jo ne fu a suo modo commossa e decise di poterla abbracciare, prima di dire che non aveva importanza, avrebbe mangiato qualcosa lungo la strada.

Fine.

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