Take It As It Comes di Briseide (/viewuser.php?uid=1240)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte. ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte. ***
Capitolo 1 *** Prima Parte. ***
Disclaimer: Niente
mi appartiene, non scrivo a scopo di lucro ma per puro gusto ed
insonnia.
Spoiler:
Fino alla III stagione
Note: La
dedica va a Sunny, perchè le voglio bene e mi ha insegnato
il texano andando ben oltre i fasulli piaceri del puro British XD,
perchè guida una Impala, divide con me le disgrazie della
vita e ha fatto di me la sua Smartass. Love you (L)
Come sempre sono troppo emotivamente coinvolta per poter prendere di
essere la voce dell'oggettività =p
Take
it as it comes
Prima parte.
Come tutti, aveva dei ricordi. Il giorno in cui aveva lasciato la sua
casa per diventare una cacciatrice di professione li aveva raccolti
tutti in una scatola, e l’aveva sigillata con del nastro
adesivo scegliendone uno resistente quasi a tutto ma non
indistruttibile.
Di quei ricordi per due aveva riservato un posto fuori dalla scatola,
portava quello di suo padre nel cuore e quello di Dean Winchester da
qualche parte attorno a lei, sempre vicino ma mai abbastanza
perché potesse trovare pace, né troppo lontano
perché potesse dimenticarlo, come succede nella vita con
quelle cose incontrate per caso lungo la strada.
Aveva trovato lavoro in un altro bar, sfruttando la sua rabbia e la sua
delusione in nuova energia per cacciare tutto ciò che a suo
modo era stato partecipe della morte di suo padre e della perdita di
Dean.
Non aveva saputo più niente di lui e aveva finto che non le
importasse più di tanto. Per i primi mesi, in cui aveva
dovuto prendere dimestichezza con un nuovo bancone e una
autorità che non fosse quella di sua madre ma solo quella di
un padrone, si era sorpresa ad alzare la testa ogni qualvolta la porta
del locale si aprisse all’entrata di qualcuno.
Inconsciamente aveva sempre la piccola e stupida speranza di ritrovare
quel passo scanzonato e l’aria da ramingo con cui Dean
Winchester si era presentato a lei la prima volta.
Quando aveva capito che continuare su quella strada le avrebbe ben
presto strappato il cuore dal petto per quanto le faceva del male, e
che c’era una probabilità su un milione che Dean
varcasse la porta di quel bar alla fine del mondo, Jo aveva smesso di
sperarci e di aspettarsi qualcosa, aveva chinato la testa tornando al
suo lavoro e per la prima volta aveva cercato di voltare pagina ed
iniziare un nuovo capitolo, senza tornare continuamente ai precedenti.
•••
Con
il tempo aveva imparato a diffidare dei ricordi. Lo aveva capito quando
si era resa conto di quanto pericolosamente confortanti potessero
essere.
Una notte aveva sognato suo padre e al risveglio si era quasi sentita
soffocare dal vuoto della sua assenza. La giornata era stata un
susseguirsi di disastri dopo l’altro, aveva rotto un
bicchiere e rischiato di uccidere qualcuno mentre cacciava un demone
particolarmente bravo a confondersi.
Mentre cercava un modo perché la sua mano smettesse di
tremare, pensava che se davvero quell’uomo fosse morto,
sarebbe morta un po’ di lei con lui, non avrebbe mai potuto
perdonarselo. Quella notte aveva pensato a quanto fosse labile il
confine tra la vita e la morte, e quanto una persona può
fingere di essere viva quando in realtà è
avvizzita dentro.
Aveva paura di svegliarsi una mattina e scoprire che la sua vita era
diventata una notte perpetua, senza luce e senza alba. Di scoprire
guardandosi allo specchio di non essere altro che un cumulo di cenere e
di rabbia.
E poi, senza che potesse impedirselo, era riaffiorato di nuovo Dean
Winchester tra i suoi ricordi.
Si era chiesta se un cumulo di cenere e di rabbia potesse prendere
fuoco al pensiero di qualcuno e con tanta intensità, se
fosse in grado di sentire la mancanza di un odore, di rimpiangere
qualcosa con tanto fervore che neanche le lacrime avrebbero potuto
darle sollievo. Guardandosi allo specchio la mattina dopo
l’ultimo sogno fatto, si era chiesta se un cumulo di cenere e
di rabbia potesse arrossire in quel modo e la risposta che si era data
con un nodo alla gola e lo stomaco stretto in una morsa forte e a suo
modo gentile, era stata di no.
•••
Un anno dopo quel sogno, Jo era ancora una cacciatrice, lavorava ancora
in un bar e si spostava continuamente a seconda
dell’itinerario che i demoni da cacciare delineavano per lei.
Ogni tanto lasciava delle tracce dietro di sé,
perché sua madre potesse avere la certezza che fosse viva,
ma faceva sempre molta attenzione che le sue tracce fossero labili, in
modo che non fossero un invito a raggiungerla, ma la certezza che da
sola se la stava cavando bene.
Qualche volta le capitava ancora di sognare suo padre, altre volte le
sembrava di ritrovarlo nella più banale
quotidianità, quando un colore o un profumo riportavano alla
mente un episodio del breve passato che aveva condiviso con lui.
Non aveva nessuno con cui parlare di quelle piccole riscoperte, ma
tutto sommato andava bene anche così, teneva per
sé quel sorriso e il calore di quel ricordo e andava avanti
per la sua strada.
Poi d’improvviso sua madre aveva smesso di mandare qualcuno a
controllare che le tracce da lei lasciate fossero ancora fresche.
Si era sentita offesa e abbandonata, dopo un momento di iniziale
perplessità. Poi aveva vissuto nel terrore che le fosse
successo qualcosa, riservando parte di quella angoscia anche per Ash.
Infine si era detta che se davvero fosse successo qualcosa di grave,
sua madre avrebbe mandato Bobby da lei per chiederle di tornare, o per
raccontare quanto accaduto nel tentativo di farle male il meno
possibile.
Mesi e mesi dopo aveva rotto nuovamente un bicchiere, nel momento in
cui aveva preso atto di cosa stesse facendo sua madre. Proteggerla da
una verità che non sarebbe stata in grado di tacerle se solo
l’avesse guardata negli occhi, o vista di sfuggita.
Si era chiesta cosa nella sua vita potesse ferirla ad un livello tale
che l’amore di una madre non avrebbe ritenuto sopportabile
nel pensarlo per sua figlia.
Si era a malapena accorta di stare tremando con i cocci di quel
bicchiere in mano, quando nel riverbero dei vetri taglienti sotto la
luce fioca del locale aveva visto baluginare l’immagine di
Dean.
•••
Aveva resistito ancora meno di quanto si era imposta, cercando di non
perdere la testa e di ottenere conferme prima di dipartire
completamente da ogni logica. Ma una settimana dopo
l’incidente con quel bicchiere – la scoperta le
aveva regalato un taglio sul palmo della mano, eterno ricordo del
terrore provato la prima volta che aveva considerato l’idea
che Dean potesse morire – aveva lasciato il lavoro al bar e
noleggiato una macchina che non avrebbe più riportato
indietro.
Era tornata sulla strada di casa solo perché sapeva che
rintracciare Bobby sarebbe stato un progetto oltremodo ambizioso. Sua
madre era stata felice di vederla di nuovo e poterla abbracciare, ma
nel vigore dell’abbraccio in cui l’aveva avvolta,
Jo poteva percepire la consapevolezza di sua madre nel saperla di
ritorno per il motivo meno piacevole per un ricongiungimento.
L’aveva lasciata andare con una stretta alla gola, al
pensiero che non sarebbe mai tornata a casa se non fosse stato per quel
Dean Winchester.
Jo aveva insistito perché Ellen le raccontasse tutto
ciò di cui fosse a conoscenza, nonostante una non piccola
parte di lei desiderasse preservarsi da tutto quel dolore che sapeva
stava per ricevere.
Ellen non voleva che Jo sapesse tutto quello, allo stesso modo in cui
le aveva taciuto gran parte della storia di suo padre, per quel senso
di protezione che si innesca quando si tratta delle persone che ami,
nonostante la certezza che le ferirà doppiamente in futuro.
Tuttavia Jo era intransigente con se stessa e con le persone che amava
proprio quanto e come lo era suo padre, ed Ellen non avrebbe potuto
amarla di meno, così le raccontò quello che
sapeva.
Jo aveva ascoltato in silenzio, e tra tutti i sentimenti che le erano
caduti addosso a quella notizia aveva finito con il non prevalerne
nessuno, così si era alzata e senza dire una parola era
uscita dal bar, cercando di raccogliere i pezzi di quello che restava
di sé.
Di nuovo si era affacciato il pensiero di quel mucchio di cenere e
rabbia annidato da qualche parte in lei, e quella volta aveva
desiderato di esserlo davvero, cenere e rabbia, di modo che potesse
fuggire quel dolore che la stava dilaniando.
Il pensiero di quello che sarebbe spettato a Dean le era di gran lunga
più insopportabile, così aveva capito la
differenza tra il desiderio e il bisogno di qualcuno, e quello che
forse la gente definisce amare; la necessità di saperlo se
non felice o sereno – perché sapeva quanto la vita
potesse essere ingenerosa, lo era stata anche con lei -
almeno al sicuro; la volontà di sacrificio per
ciò che è caro e senza prezzo; quel sentirsi
mancare l’aria poco a poco ad ogni ora che a lui veniva tolta
e a lei rimaneva da vivere in un mondo del quale Dean non avrebbe
più fatto parte.
Fino a quel momento aveva vissuto la propria vita portandosi dietro il
ricordo di Dean, avendo però sempre la remota certezza che
lui fosse realmente in giro da qualche parte, a fare il suo lavoro,
seguendo la propria strada, sempre alle spalle di suo fratello
perchè nessuno lo attaccasse impreparato, perché
nessuno osasse anche solo concepire l’idea di potergli fare
del male. Sapeva che ovunque fosse stava facendo qualcosa che in parte
gli era stato affidato e in – gran – parte aveva
scelto di fare, e questo a suo modo la faceva stare tranquilla. Le
mancava e non voleva ammetterlo, ma era tranquilla nel sapere che lui
avesse un proprio posto che lo facesse sentire a casa.
Non aveva mai neanche tentato di immaginare che Dean potesse
semplicemente non esserci più, non tanto perché
non riuscisse a parlarne quanto più perché le
risultava inconcepibile.
Fuori dal bar il piazzale era assolato dalla luce di mezzogiorno, e
l’assenza dell’Impala di Dean dove veniva
abitualmente parcheggiata la accecò per un attimo. Avrebbe
detto a chiunque che la luce troppo forte dopo la
semioscurità del locale le faceva pizzicare e lacrimare gli
occhi, mentre diceva a se stessa che i cumuli di cenere e rabbia non
piangono.
Non piangono e non amano.
•••
Sua madre le impedì di ripartire di nuovo. Lei si era
opposta con decisione, spiegando di non poter rimanere alla Redhouse,
dove ogni cosa richiamava ad un tempo in cui Dean era stato
lì, dove tutto sapeva di lui e dove lei non riusciva a
respirare la sua assenza.
In parte diceva la verità, ma d’altro canto non
aveva la minima intenzione di cercare un posto in cui non avrebbe
potuto pensare a lui.
Ellen era stata irremovibile, credeva a ben ragione che sua figlia
avrebbe fatto di tutto per ritrovarlo, e conoscendo
l’ostinazione degli Harvelle e la determinazione del
sentimento che la spingeva, sapeva che avrebbe ottenuto un modo per
trovarlo davvero. Sapeva altrettanto bene che se fosse successo, in un
modo o nell’altro, avrebbe perso sua figlia per sempre, e se
da una parte l’amore è egoista e non voleva
perdere la sua bambina come aveva perso suo marito,
dall’altro era anche incredibilmente altruista e non voleva
che Jo buttasse via la sua vita in tutto quel dolore. Aveva ancora
troppo da dare al mondo e da ricevere, e troppi meriti che
così fosse, per poterle permettere di rovinare ogni cosa e
precludersi ogni felicità.
Quindi l’aveva tenuta segregata nel bar, come ai vecchi
tempi, prima che i fratelli Winchester entrassero nel suo locale. Jo
non glielo avrebbe mai perdonato, ma presto se ne sarebbe fatta una
ragione, come tante altre volte aveva dovuto fare lottando contro la
testardaggine e il senso di rivalsa mai sopito di sua figlia.
In quel periodo Jo aveva vissuto ogni giorno come in prigionia. Si
aggirava tra il bar e la propria camera, un animale in gabbia, che si
agita inquieto in uno spazio troppo piccolo, che ruggisce contro
chiunque non sia ciò che desidera e vorrebbe scagliarsi
contro quelle sbarre a costo di ferirsi duramente, pur di passare
oltre. Lo sguardo impotente di chi è consapevole che
è lì fuori il proprio posto, e che invece
è relegato lì, nella morsa soffocante e affatto
comprensiva del troppo amore di una madre.
Forse era passato un altro anno, fino a quando la prigionia non era
finita.
Erano le due di notte quando Jo finiva di sistemare le sedie dopo la
chiusura e nel piazzale una macchina aveva spento il motore. Erano le
due di notte quando Dean Winchester era tornato da lei.
•••
Bobby aveva deciso che fosse il caso di tornare da Ellen; gli serviva
qualcuno che avesse il polso duro come lui lo aveva prima di diventare
tanto vecchio e tanto stanco e di dover recuperare il figlio di John
dall’Inferno. Sam aveva accettato di buon grado,
perché lottare contro un demone che lo voleva morto ad ogni
costo e al tempo stesso contro il senso di colpa che lo attanagliava
per quanto successo a Dean era troppo anche per lui.
Dean non aveva detto niente dopo aver esplicitamente lasciato ad
intendere di non essere d’accordo, ma anche lui era reduce da
un periodo non troppo piacevole ed era troppo stanco per combattere
contro Bobby e suo fratello. Aveva ceduto le chiavi della Impala a Sam
ogni qualvolta la strada aveva assunto contorni spiraliformi ai suoi
occhi stanchi e per il resto aveva insistito perché fosse
lui a guidare.
A metà strada la radio aveva crudelmente lasciato passare
una vecchia canzone dei REO, non ricordava quale fosse il titolo, ma ne
richiamò alla sua mente un’altra e solo allora,
scalando la marcia fin troppo bruscamente per la sua guida sciolta,
Dean aveva realizzato che tornando da Ellen, tornava anche da Jo.
Non aveva più aperto bocca per il resto del viaggio,
gettando Sam nella solita preoccupazione e Bobby in un cupo rimestio di
pensieri, che si era concluso con un sospiro e l’accenno di
un sorriso nascosto sotto la tesa dell’immancabile cappello
calato sulla testa.
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Capitolo 2 *** Seconda Parte. ***
Seconda parte.
Arrivarono di notte, come se stessero facendo qualcosa di nascosto, ed
entrarono senza bussare. La porta della Redhouse era ancora socchiusa,
l’ultimo avventore si era dimenticato di sbatterla con forza
come al solito.
Nel locale l’unica cosa distinguibile nella
semioscurità informe, era il profilo esile di qualcuno che
sfregava vigorosamente il piano di un tavolo, o almeno così
a lui parve.
Entrando Bobby si era tolto il cappello, strappando
un’occhiata ilare ai due fratelli e poi aveva palesato la
loro presenza con un colpo di tosse.
Jo non aveva visto nessuno di loro se non Dean.
“E’ rimasta qualche stanza per tre poveri
pellegrini?” aveva domandato Bobby con un sorriso un
po’ mesto. Jo aveva annuito lasciando cadere sul tavolo lo
straccio che stava usando. Non aveva parole da offrire, ma le tremavano
di nuovo le mani e quello era quanto.
Aveva lasciato una caraffa di caffè e una bottiglia di
liquore per correggerlo sul piano del bancone a Bobby e sua madre,
sapendo che avrebbero avuto molto di che parlare quella notte, ed aveva
sistemato come meglio poteva due stanze per Sam e Dean.
A lui non aveva detto niente, il patto era che lei non avrebbe chiesto
e lui non le avrebbe raccontato a parole quel poco che era disposto a
dire. Non ci fu bisogno di accordi imbarazzanti, era tutto piuttosto
implicito per entrambi.
Quando la mattina dopo Jo era scesa per aprire il locale, Bobby
l’aveva guardata come fosse un fantasma: nelle reciproche
occhiaie entrambi avevano lasciato ad intendere di non aver chiuso
occhio tutta la notte. Anche in quel caso Jo non pretese di sapere
nulla su quanto lui e sua madre si erano detti fino alle prime ore
dell’alba e Bobby non insistette oltre sul motivo della sua
insonnia. Jo riprese a strofinare lo straccio sul tavolo della sera
prima, alla fine non aveva finito il lavoro ed era ancora incrostato di
birra, finché non sentì il suono dei passi di
Dean. Si fermò per un istante, vincendo la tentazione di
voltarsi verso di lui e dirgli tutto quello che le passava per la testa
da quei tre anni in cui si erano salutati. Poi aveva guardato lo
straccio, di nuovo abbandonato sul tavolo e aveva detto soltanto
“Vi preparo dell’altro caffè”.
●●●
Dean la trovava cambiata. Non era certo della Jo che avrebbe trovato,
l’ultima volta che si erano visti non si erano lasciati con
un sorriso e un abbraccio del resto. La sua mente era offuscata dalle
tracce indelebili del suo soggiorno infernale, ma riusciva ancora a
ricordare quello che Jo gli aveva raccontato in ultimo riguardo suo
padre e William Harvelle. A quel tempo suo padre era appena morto e lui
era troppo impegnato a cercare di sopravvivere ad un dolore
inesprimibile per poterle chiedere scusa di quanto successo, e adesso
aveva di nuovo altre ferite da rimarginare e in ogni caso sarebbe stato
un po’ troppo tardi.
L’aveva trovata cambiata perché Jo non aveva
preteso niente: non una parola in merito a suo padre, non una parola in
merito a quello che aveva passato in tutti questi anni. Poteva
percepire il peso di quel silenzio a cui si era costretta e sapeva che
se lo aveva fatto era stato soltanto per lui.
Trovava ancora un po’ inconcepibile che riversasse su di lui
ancora tante attenzioni, sentiva di non meritarne neanche la
metà e al tempo stesso sapeva che una piccola parte di lui,
per quanto microscopica potesse essere, aveva bisogno che qualcuno lo
facesse.
Anche questo era diventato ben presto implicito tra loro.
Ellen lo teneva ancora costantemente d’occhio, questa volta
con il doppio dell’apprensione di prima, condivisa tra la
preoccupazione per lui e quello che aveva affrontato e la
preoccupazione per sua figlia e quello che avrebbe passato con Dean
Winchester di nuovo nei dintorni. Non lo faceva sentire a
disagio, tuttavia.
Le conversazioni tra lui e Jo erano sempre molto silenziose. Al
continuo rimbrotto dei tempi passati si era sostituita una quiete piena
di consapevolezza da parte di entrambi. Parlavano lo stretto
indispensabile e il resto potevano lasciarlo agli sguardi e ad una
gestualità che diventava giorno dopo giorno sempre
più intima e semplice da capire.
Il suono delle parole era ancora troppo aspro per Dean,
nell’Inferno non aveva sentito altro che urla e lamenti
disperati e tutto quello che desiderava adesso era un silenzio che
durasse il più a lungo possibile.
Quando il locale chiudeva le porte iniziava il loro momento, una
bottiglia di birra ciascuno e un po’ di musica soffusa, che
riposasse le orecchie di entrambi e non li facesse sentire al contempo
troppo soli. Qualche volta commentavano sugli avventori della Redhouse,
Dean sapeva chi aveva guardato Jo e in che modo, sempre, i commenti
sardonici in merito erano rari ma la lusingavano sempre quando capitava
di riceverli.
Nessuno dei due aveva mai voglia di andare a dormire, Dean
perché sapeva che sarebbe tornato nell’Inferno per
la durata del suo sonno, e Jo perché non avrebbe fatto altro
che pensare a Dean e alla sua stanza troppo lontana dalla propria. Lei
era sempre la prima a cedere, concedendogli un po’ di
solitudine che a stento riusciva ad avere, e Dean aveva ormai imparato
dove fosse l’interruttore per spegnere le luci e come
blindare la porta prima di chiudere direttamente la Redhouse.
Era servita una discreta quantità di tempo ad entrambi per
capire che il rimedio alla loro insonnia era dormire insieme,
condividere un letto e confondere i propri sogni.
●●●
Jo non si era mai presa cura di nessuno, se non del bar e del ricordo
di suo padre. Non aveva idea di cosa dovesse fare ma inaspettatamente
scoprì di saperlo fare.
Quella sera un uomo poggiando i gomiti sul bancone aveva detto di
essere un vecchio amico di suo padre, che voleva sapere come se la
passava il vecchio Bill e che aveva urgente bisogno di parlargli di
alcune faccende di cui lui avrebbe di certo capito
l’importanza. Jo lo aveva guardato attonita e piuttosto
seccata “Alla buon ora” gli aveva risposto
sbattendo un bicchiere davanti a lui, mentre si chiedeva di cosa mai
dovesse essere arrabbiata e soprattutto con quell’uomo che
per giunta stava per ricevere un gran dispiacere.
“Allora, dov’è quella canaglia?
È sulle tracce di qualche stronzo di demone come suo
solito?” aveva continuato l’uomo, prendendo un
sorso del liquore e porgendole in cambio un sorriso di bonaria
malinconia. Jo lo aveva guardato e di improvviso era sparita la rabbia
di prima, e aveva preso atto che avrebbe dovuto dirgli la
verità, e fu come se in quel momento le fosse caduto addosso
il ricordo di quanto fosse pesante e freddo il vuoto che suo padre
aveva lasciato nella sua vita. Con orrore scoprì di averlo
quasi messo da parte per tutto quel tempo in cui aveva concentrato ogni
forza nel pensiero di Dean e di quanto potesse fare per lui.
Scoprì anche che credeva di essersi assuefatta al torpore
che la mancanza di suo padre le aveva lasciato intorno al cuore, ma si
sbagliava alla grande. “E’ già a
metà strada” aveva mormorato alla fine, sapendo
che le parole non volevano saperne di separarsi dalle labbra, era come
se volesse tenere la verità di quel dolore tutta per
sé. L’uomo non aveva capito ed era esattamente
quello che Jo voleva che accadesse. “Digli che l’ho
cercato” aveva vagheggiato lui in risposta, poi aveva fatto
per pagare, ma Jo aveva fermato il suo polso “Questo lo offre
mio padre” , si sorprese a dire, mentre sentiva su di
sé gli occhi di Dean da qualche parte lì vicino,
e prendeva atto con un tonfo all’altezza del petto che aveva
assistito a tutta la scena.
“Non so perché non gliel’ho
detto” aveva esclamato d’improvviso alle due di
notte, mentre chiudeva la porta del locale e cercava una buona musica
da mettere in sottofondo. Dean aveva alzato gli occhi dalla bottiglia
di birra, accorgendosi di star serrando la presa tanto fortemente da
lasciare l’impronta delle proprie dita sul vetro velato di
ghiaccio.
“Non verrà mai a chiederti una
spiegazione” aveva risposto, e il suono della propria voce lo
aveva stupito ancora, come sempre da quando aveva smesso di parlare
tanto spesso come prima. Jo si era voltata a guardarlo con aria
smarrita e consapevole al tempo stesso e aveva finito con il sorridere
un po’ a lui, un po’ all’avventore in
cerca di suo padre, un po’ a se stessa. Aveva scelto una
canzone alla fine, una a caso, aveva recuperato la propria bottiglia di
birra della serata e si era seduta sul bancone.
“Non aveva senso dirglielo” proseguì
appoggiando le labbra al vetro spesso, e per un attimo Dean credette di
sentirle sul proprio collo. “Lo avrei solo fatto sentire di
merda” andava avanti Jo, e sembrava che le sue labbra
accarezzassero la bottiglia “e poi se mai lo verrà
a sapere da qualcuno, potrà pensare che l’ultimo
ricordo di Bill è stato il bicchiere di scotch che gli ha
offerto” concluse, poggiando finalmente le labbra sul bordo
della bottiglia e costringendo Dean a smettere di guardarla.
“Cazzate” aveva risposto lui e Jo sapeva che era
sincero in quel momento, tanto quanto lei era la bugiarda.
Reclinò la testa contro il legno alle proprie spalle,
chiudendo gli occhi. Sperò di vedere suo padre, ma le
apparve l’immagine di Dean nell’attimo in cui lo
aveva visto prima di chiuderli.
“Lo so. Non riesco a dire ad alta voce che è
morto”.
C’era stato un attimo di silenzio, prima che aprisse di nuovo
gli occhi. In quel momento a Dean tornò in mente la prima
volta che l’aveva incontrata, pensando che allora gli aveva
puntato addosso un fucile, e adesso gli puntava contro il proprio
sguardo, e questa volta aveva come la sensazione di non essere certo di
riuscire a disarmarla. Insieme a quel ricordo gli sovvenne quello che
si erano detti: suo padre era appena morto e Jo gli aveva raccontato
che era successo lo stesso anche al suo quando era ancora una bambina.
“Cazzate” di nuovo, “è stata
la prima cosa che mi hai detto” la rimbeccò
prendendo un sorso generoso dalla bottiglia. La birra era fresca ma non
valse a raffreddare tutto quell’ardere che sentiva da qualche
parte dentro di sé o lì intorno.
“Era facile dirlo a te”. Sembrava quasi si
vergognasse nel doverlo dire, quando in realtà Dean sapeva
perfettamente cosa intendesse. Era facile quanto lo era rimanere soli
dopo l’orario di chiusura; era facile quanto lo era stato
ritrovare la strada per la Redhouse. Era facile come guardarla negli
occhi e non doverle più alcuna spiegazione.
“Vado a dormire” aveva annunciato Jo saltando
giù dal bancone e lasciando a metà la propria
birra, pensando che a quel punto fosse il caso di lasciarlo solo con
John Winchester. Quando Dean aveva annuito con un sorriso lontano, Jo
aveva sentito una morsa attanagliarle il cuore in una stretta di
dolcezza e dispiacere per quello che aveva letto in quel sorriso e
aveva esitato prima di annuire a sua volta. “’notte
Jo” lo aveva sentito dire, ma a quel punto era già
consapevole che non avrebbe chiuso occhio neanche quella notte.
Quella notte Dean sognò dell’Inferno e di suo
padre contemporaneamente. I colori dell’Inferno si
confondevano nel fondo delle iridi scure di suo padre,
l’unico desiderio era quello di liberarsi di entrambi, ma
persino nel sogno lo seguiva la consapevolezza
dell’impossibilità di realizzarlo. Si era
svegliato perché qualcuno continuava a scuoterlo con
insistenza; in quel gesto non c’era delicatezza ma solo la
forza della disperazione, per questo gli era sembrato un appiglio
abbastanza convincente e alla fine aveva ceduto, svegliandosi di colpo.
Prima di tutto aveva riconosciuto la luce che c’era sempre
nei suoi occhi, poi aveva avuto conferma che Jo era seduta sul bordo
del suo letto e gli stava facendo il grande favore di non guardarlo
negli occhi.
“Non sembrava un bel sogno” aveva mormorato come
giustificazione per quell’intrusione nella sua camera, ma a
dispetto di quel dimesso tono di scuse, dopo averci pensato qualche
secondo si era infiltrata sotto le coperte accanto a lui.
“Fammi posto” aveva detto, non aveva la pretesa di
essere un ordine e neanche il coraggio di essere una richiesta, e
ancora stordito Dean non era stato abbastanza rapido nel risponderle.
Le lenzuola erano sudate ma a lei piaceva il suo odore; era un tempo
infinito che non divideva il letto con qualcuno ma lei sembrava aver
trovato il proprio posto in un incastro perfetto tra la curva del suo
corpo e il bordo del letto; per quanto si sforzasse non aveva altre
obiezioni da fare, perché era stanco di fare incubi e il
respiro di Jo era molto più regolare del suo,
così lentamente si abituò al suo ritmo e senza
che se ne accorgesse finì con l’addormentarsi di
nuovo.
●●●
Presero l’abitudine di dormire spesso in quel modo, se non
quasi ogni notte, e quando Ellen si era accorta che il letto di Jo non
era mai disfatto, non aveva detto niente. Una sera si era fermata
dietro la porta della camera di Dean, sapendo che se fosse entrata ci
avrebbe trovato sua figlia. Aveva pensato di bussare e fare quattro
chiacchiere con lei, ma nell’attimo di indecisione che la
aveva colta, aveva percepito un silenzio calmo provenire
dall’interno della stanza. Aveva pensato a tutto quel tempo
che aveva passato a dormire in un letto vuoto, senza che suo marito le
dormisse accanto e di improvviso aveva rischiato di piangere tutte le
lacrime che non aveva voluto concedersi per la morte di William. Aveva
cambiato idea, preferendo non svegliare Jo e Dean, e poi aveva
incontrato Bobby, di nuovo troppo stanco persino per dormire. Aveva
condiviso con lui dell’altro caffè corretto con un
po’ di grappa, e per un paio di minuti aveva sostituito con
quello il freddo di una notte da passare ancora senza William al
proprio fianco.
“Pensate di partire presto?” aveva mormorato poi a
Bobby, chiedendogli la verità. Lui le aveva restituito uno
sguardo incerto e un sospiro.
“Hai paura che ci porteremo dietro anche tua
figlia?” barattò la risposta con quella domanda.
Ellen aveva sorriso al proprio caffè, poi aveva detto che Jo
se l’erano portata dietro tempo prima, che quando scopri
quanto dormi bene vicino a qualcuno resti inevitabilmente fregata, e
che quella questione avrebbero dovuto sbrigarsela lei e Dean, la sua
interdizione di madre era finita molto prima.
●●●
Dean non era mai stato bravo con i saluti, perché non aveva
mai avuto tempo e modo di farne decentemente. Nessuno glielo aveva
insegnato, né la vita gli aveva lasciato
l’opportunità di imparare da solo, così
la mattina della partenza non aveva saputo cosa dire, quando Jo lo
aveva guardato negli occhi, vestendosi.
“Fine della corsa” aveva suggerito lei con un
sorriso, mentre si infilava la maglietta. Dean si era distratto ad
osservare il ricadere morbido dei suoi capelli sulle spalle esili. Si
domandò come avesse potuto credere che Jo sarebbe rimasta
bambina in eterno. Era un bel problema, perché
più in tutto quel tempo l’aveva osservata,
più si era reso conto delle sue fattezze di donna, della
grazia con cui aveva imparato a portare le proprie sofferenze sulle
spalle, dell’ilarità con cui giocava con se
stessa, di come quella spontaneità di sentimento avesse
addolcito i caratteri spigolosi del suo comportamento, rendendola
più consapevole di sé. Era un bel problema,
guardarla negli occhi e salutarla di nuovo.
“E ora? Te ne torni a Duluth?” le chiese
allacciando i propri jeans. Si meravigliò, perché
in genere parlare del futuro non era tra i suoi argomenti preferiti,
eppure era di gran lunga preferibile rispetto a parlare del presente
imminente che li vedeva separarsi.
“Ho già dato lì. Non so, credo che
vedrò cosa c’è da fare in
giro” rispose lei, sedendosi sul letto, perché
iniziava a respirare a fatica. Dean recuperò la maglietta
dal pomello della sedia e si rese conto di star acquistando una nuova
cicatrice, oltre a quelle guadagnate all’Inferno. Jo non gli
chiese i suoi programmi, perché il loro patto era ancora in
vigore e lo sarebbe stato sempre. Però aveva quello stupido
pensiero, su cosa avrebbe fatto tutte quelle notti, senza il letto di
Dean in cui dormire, o semplicemente senza un letto in cui dormire con
Dean.
“Beh… salutami Ash” aveva borbottato lui
passandosi una mano tra i capelli. Jo annuì, pensando che
quel gesto e l’espressione del suo viso con cui lo aveva
accompagnato le sarebbero rimasti impressi sul cuore per sempre. Un
ricordo in più da portare in giro con sé.
“Salutami Sam” chiese a sua volta,
perché aveva deciso che non sarebbe scesa al piano di sotto
per salutare. Sarebbe stato difficile mettersi in viaggio subito dopo
di loro, la tentazione di seguire le tracce della Impala di Dean troppo
forte per la sua forza di volontà, al momento appena
esistente.
Non ci fu nessun abbraccio, perché dopo aver diviso il letto
e i propri sogni per tutte quelle notti forse non ce n’era
davvero bisogno: qualsiasi gesto o contatto, dopo quel dormire insieme,
sarebbe stato freddo e impersonale.
Quando il rumore del motore della Impala si era spento soffusamente, Jo
si era concessa dieci minuti per piangere un po’ in
solitudine, e perché mai lo avrebbe fatto davanti a sua
madre. Non volle alcun abbraccio di consolazione e nessuna parola di
conforto, perché non credeva di aver perso definitivamente
qualcosa. Era cresciuta e aveva accettato i parallelismi della vita,
che le strade si dividono delle volte e portano avanti ognuna per il
proprio tragitto quel qualcosa di comune che si è condiviso
prima di separarsi.
“Mangia qualcosa prima di partire, sei pelle e ossa e mi fai
impressione” l’aveva rimproverata Ellen quando dopo
quei dieci minuti Jo era apparsa al piano di sotto, con
l’espressione di chi ha ottenuto una sua conquista e nel
dolore che le è costata ha saputo trovare il vero valore da
tenersi stretto. Ellen fu così orgogliosa di lei che
bruciò l’uovo che le stava preparando per
colazione. Jo ne fu a suo modo commossa e decise di poterla
abbracciare, prima di dire che non aveva importanza, avrebbe mangiato
qualcosa lungo la strada.
Fine.
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