Yours

di Achernar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sposa ***
Capitolo 2: *** Lo sposo ***
Capitolo 3: *** L'amante ***



Capitolo 1
*** La sposa ***


Tuo imagine yours


Premetto di non aver mai scritto nulla ambientato nell'antico Egitto (se escludiamo un paio di brevissime OS della mia raccolta Think Angst) perchè ho sempre paura di non riuscire a rendere bene l'atmosfera di una corte reale di tre millenni fa, di finire con l'inventare situazioni storicamente inesatte, di cadere nella banalità ecc. Però ultimamente è diventato un po' il mio fetish: ogni volta che una nuova idea per una storia guardacaso riguarda l'antico Egitto e una di quelle più martellanti è la vita passata di Atem. La sua famiglia, i suoi amici, la sua giornata, i suoi sogni, le sue paure, i suoi amori... Sono capitoli della sua vita di cui non sappiamo praticamente nulla e su cui mi piacerebbe tanto poter fare un po' di luce. Ecco come nasce questa storia, la cui protagonista è un personaggio da me inventato ma verosimile: la sposa reale di Atem (e poi ho dovuto ficcarci Yugi perchè lo sappiamo tutti che senza quei due insieme io non vivo).
Spero vi piaccia,
buona lettura!


-o-X-o-


È sera ormai.

Il vento caldo di Akhet sfiora le tue guance abbronzate.
Scompiglia le tue chiome colorate.
Fa socchiudere i tuoi occhi preziosi.
Agita le tue vesti di lino finissimo.

A cosa pensi o faraone? Cosa turba la tua mente, cosa sconvolge il tuo cuore? Chi sconvolge il tuo cuore?

Ti vedo, in piedi sulla grande terrazza della nostra stanza, nel lussuoso palazzo della capitale. Circondati da natura verdeggiante e stoffe preziose, cibi raffinati, musiche suadenti, libri antichi, soffitti dipinti dagli artisti più noti, migliaia di servitori, migliaia di sudditi. Siamo nel lussuoso palazzo di Tebe. Nel tuo palazzo. Tutto qui è tuo. Sei il farone in fondo. Tutto ti appartiene. Anche io, sono tua.

Eppure lo so, fra tutte le cose che possiedi faresti volentieri a meno di possedere me. Soprattutto quando devi farmi tua davvero. Allora lo vedo: vedo i tuoi occhi rosso rubino, sempre così luminosi, spegnersi a poco a poco, il luccichio della lussuria li accende per un attimo, nel momento più intenso, ma non è nulla in confronto alla loro solita luce. Vedo la tua bocca bellissima piegarsi in quella smorfia di dolore e costrizione e mi verrebbe da piangere, perché un faraone non dovrebbe mai sentirsi costretto, mai sentirsi in trappola. Ed è così che io ti vedo, o mio sposo: in gabbia.

Oh, credi che non abbia mai concesso il mio corpo a un altro uomo? Per tutti i miei amanti queste mie braccia, questo mio petto sono un dolce rifugio. Per te una prigione insopportabile.

Il vento ti scompiglia un ciuffo ribelle, ti scopre una porzione di viso e gli ultimi raggi dorati del sole che tramonta mi permettono di vedere le tue labbra. Stai sorridendo. E credo di sapere perché.

Fai un cenno con la mano, ricevi una risposta, impercettibile poi rispondi a tua volta, abbassando il capo in segno di assenso. So cosa stai dicendo: sì, è tutto finito, hai assolto ai tuoi doveri anche per oggi, sì, dopo potrete incontrarvi, sì, lo ami anche tu, no, lei dorme.

Ti appoggi completamente al parapetto di argilla rossa, ma io ti vedo. È un bacio quello che gli stai inviando, e se non ho perso ancora del tutto il mio senno, lui ti avrà risposto.

Ecco chi sconvolge il tuo cuore. Un giovane di cui non ricordo nemmeno l’estrazione sociale, ma era un tuo cugino se la memoria non mi inganna. È carino sai, sì: ovvio che lo sai. Ti somiglia così tanto, con quei suoi capelli colorati proprio come i tuoi, il portamento fiero eppure meno regale, lo sguardo intenso eppure più dolce.

Coraggio mio splendido marito, presto potrai lasciare queste odiate stanze che devi condividere con la tua sposa reale, potrai andare ad abbracciare il tuo amante, ridere con lui, raccontargli quanto ti sia mancato, gioire della sua risata dolce e cristallina, dei suoi occhi color notte, della sua pelle ambrata. Potrete poi giocare a rincorrervi come due ragazzini al loro primo amore, ritrovarvi in un cespuglio, in un angolo remoto del giardino quando ormai è già buio e fare l’amore sotto la luce delle stelle e la complicità silenziosa della luna.

Io non mi opporrò.

A che serve?

Un faraone possiede tante cose, possiede il suo regno, i suoi sudditi, le sue mogli. Ma resta pur sempre un essere umano, anche se la tradizione vuole che sia un dio. E tu, mio, e forse non così mio, amato sposo sei pur sempre un ragazzo di diciassette anni. E come ogni ragazzo di questa età hai bisogno delle tue avventure e del tuo amore impossibile per fuggire alle responsabilità, troppe, che già pesano sul tuo capo. Per dimenticare, nei dolci momenti che trascorrerete insieme, chi tu sia veramente.

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Capitolo 2
*** Lo sposo ***


yours 2
E, in seguito a suggerimenti e *ahem* pressioni, ho deciso di non finire qui la storia, o meglio: di non finirla con le parole della sposa reale, no signori. I personaggi di questo racconto sono tre, tre capitoletti avrete, piccole OS da neanche 1000 parole: una novità assoluta per la sottoscritta. Credo sia venuta fuori una delle storie più angst che abbia mai scritto, mi spiace per voi ma io adoro questo genere. Ciò detto, vi lascio ad Atem. Immergetevi di nuovo nella Tebe del Nuovo Regno (consiglio anche di rileggere il primo capitolo perchè ci sono moltissimi riferimenti a quello) e:

Buonissima lettura!




So che mi stai osservando, lì, distesa sul tuo letto di stoffe e cuscini dorati, con la bella testa mora appoggiata stancamente al braccio destro. Mi fissi.

Ti chiedo perdono, non ho il coraggio di girarmi e guardarti.

Ti voglio bene, ma a volte vorrei che tu non esistessi: se tu non ci fossi non mi sentirei così tutti i giorni. Sapere cos’è l’amore mi fa capire quanto questo nostro sentimento sia vuoto, finto, simile alle nuvole di fumo grigio che si disperdono nei cieli limpidi del mattino, quando l’incenso si consuma sopra gli altari.

A volte mi chiedo se la verità sia che io ti odio. Sarebbe tutto più facile: non sentirei questo macigno sul mio cuore, non proverei vergogna, non desidererei fuggire. Sono lamentele inutili, un faraone deve pensare al suo popolo, è l’Egitto, la fertile terra su cui Ra splende glorioso, che io devo amare più di ogni altra cosa. E all’Egitto serve un nuovo sole per quando questo, me, si spegnerà.

Sono un sovrano così egoista, forse perché sono più un uomo che un sovrano, e come tutti gli uomini so pensare solo a me e a quello che voglio ora e subito.

Scusami ancora, scusami se ti sto umiliando e ti ho umiliata anche oggi: la verità è che è me stesso che odio, non te. Perché non so tenere a freno i miei desideri e le mie emozioni, perché ti uso come un oggetto, perché mentre ti uso è anche me stesso che tratto come un oggetto. Come un gioiello rinchiuso in uno scrigno mi rinchiudo in una maschera di compostezza, una gabbia di costrizioni.

C’è vento stasera, ne sono contento: è piacevole. La brezza mi distende, chiudo gli occhi.

Mi stai ancora fissando.

Non so se tu mi odi. Ne avresti il diritto: non sono un buon re, non sono un buon marito, non sono un buon amante, però sento che tu mi vuoi bene, di un amore pietoso e comprensivo, dolce, come di una madre.

Forse è per questo che non riesco a odiarti davvero. Sei come una madre: fiera, forte, comprensiva, silenziosa. Una regina. Tu sì, tu sei una regina. E io ti ammiro per questo. Tu sei riuscita dove io ho fallito, l’Egitto dovrebbe essere grato per averti sul trono. Eppure io non riesco ad essere del tutto grato di averti al mio fianco. Come posso essere grato quando i miei occhi conoscono la dolcezza di due iridi viola come il cielo al crepuscolo?

Conosco i tuoi occhi neri come ebano, brillanti come stelle, ma alla loro severità io preferisco quelli di lui. Sì, di quel ragazzo laggiù che è appena spuntato da dietro una colonna: mi sta facendo segno. So che un sorriso è appena spuntato sulle mie labbra, me ne dovrei vergognare: sono così egoista... eppure mi sento improvvisamente felice adesso. Mi accuccio al parapetto: cerco di avvicinarmi a lui più che posso, anche se so di aver guadagnato solo pochi centimetri. Dev’essere un dono fatto dalla bella Iside agli amanti: so leggere con una tale facilità la lingua delle labbra, forse perché si tratta delle sue, e io ne seguirei i movimenti perfetti ogni giorno, ogni parola.

Come sono egoista.

Annuisco piano, in realtà però credo che tu sappia di noi, così come io so dei tuoi amanti. Ma non sono geloso: come potrei? E chi sono poi io per parlare? Però taci, non dici niente, e a me va bene così: questa finta segretezza è così bella, è divertente.

Invece è una domanda triste quella lui che mi fa, il mio piccolo sole, così come sono diventati tristi i suoi occhi, ma a lui non posso mentire, e rispondo. Vedi che ti tratto ancora come un oggetto, mia sposa? Come un compito da assolvere, mia bella, sfortunata regina.

Ma adesso non riesco più a pensare a te, davanti a quegli occhi e a quel sorriso dimentico tutto. Ancora: sì, ancora sono un egoista. Ma questa piccola, fragile felicità è così bella che io ne sono dipendente, non posso farne a meno, non più: perdonami.

Usiamo ancora la lingua delle labbra: ‘ti amo’ modulo con le mie, e come le sillabe escono dalla mia bocca so che ti sto tradendo ancora.

Perdonami, ti prego. Cerco solo un po’ di flebile, inutile, egoistica libertà.




 

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Capitolo 3
*** L'amante ***


yours 3


Grazie per le bellissime recensioni, come promesso ho qui l'ultimo capitolo di questa three-shot. Anche stavolta i riferimenti ai capitoli precedenti sono numerosi, quindi se avete qualche dubbio consiglio di andarli a rileggere. Molto angst, come al solito e forse persino più del solito, chiedo scusa per lo Yugi's pov, so perfettamente che lui non c'entra nulla con l'antico Egitto e io mi ero pure lamentata perchè volevo essere fedele storicamente ecc. cosa posso dire a mia discolpa? The otp is to blame! Ma mi sono comunque impegnata per renderlo verosimile, spero apprezzerete.

Buona lettura!

o-X-o

Non dovrei essere qui.

Con le mani accostate a questo imponente pilastro di fredda roccia, fredda come è il mio cuore in questo momento.

Mi hai detto spesso di non venire qui, mi hai detto che mi farebbe solo male e che tu non ne hai bisogno, né di lei né della mia presenza qui. Eppure eccomi, anche oggi. E anche oggi avevi ragione. Fa male.

Fa male vederti andare via, vedere i tuoi passi fieri che ho sempre guardato con ammirazione dirigersi verso quella porta, e fa male vederti varcarla e non vederti uscire per ore. A volte mi chiedo perché mi faccio questo.

Ti ricordi quando eravamo bambini? Era tutto più facile, allora non c’era la difficoltà della scelta o l’ambiguità della posizione da prendere. Tutto era bianco o nero, notte o giorno, sì o no. E il fatto che io ti volevo bene era sicuramente un sì. Non saprei dirti se già ti amavo. A quella domanda ho saputo dare una risposta solo dopo essere tornato, anni dopo, quando ho visto la tua figura in mezzo alle palme nell’atrio del palazzo, e quando ho visto i tuoi occhi scintillare di gioia gridando il mio nome.

Dici sempre che anche i miei di occhi scintillano, mi domando se siano belli come i tuoi, e da una parte spero di sì perché questo ti renderebbe felice e io farei di tutto per vederti felice.

Ecco perché fa tanto male.

Perché se tu fossi felice ogni volta che varchi quella soglia, questo mi basterebbe. Attenderei con pazienza tutte le ore necessarie, non mi avventurerei per i corridoi e per le stanze della tua reggia per trovare una colonna sufficientemente al buio per nascondermici dietro e aspettare interminabili momenti mentre la mia testa vaga altrove e cerca di superare quelle mura che mi dividono da te e allo stesso tempo non lo vorrebbe perché non sopporterebbe di vedere cosa si nasconde dietro di esse e ancora lo vorrebbe perché starebbe con te e ti starebbe vicino.

Se tu fossi felice lo sarei anche io.

Non proverei gelosia, non proverei sensi di colpa, non proverei dolore perché ne varrebbe la pena. 

Dimmi, o mio re, ne vale davvero la pena? Ti sto facendo del male, ti sto distruggendo pezzo a pezzo, brandello dopo brandello sto facendo a pezzi il tuo cuore, allontanandoti da ciò che devi essere e che puoi, probabilmente vuoi, essere. E da lei. Lei che non merita tutto questo.

Il fruscio dell’erba verde come le piene del Nilo mi distrae dalla confusione dei miei pensieri. È bello il suo giardino, tira sempre un vento piacevole, c’è pace, nonostante la guerra che travaglia gli animi di tutti e tre.

A volte mi chiedo perché faccio questo.

Un rumore, flebile come di una piuma che cade ma che cattura il mio orecchio. Mi volto di scatto. Mi illumino.

Ecco perché faccio questo. Per la sciocca ed egoistica speranza di vederti tornare da me ogni volta.

Sei appena uscito da quella stanza, ti vedo, appoggiato al parapetto rossiccio come terra, lo sguardo perso nel vuoto. A cosa pensi, o farone? A me? Dimmi che pensi a me, ti prego. Ho bisogno di sapere che non potresti mai dimenticarmi, che hai bisogno di me. E con questi pensieri mi faccio ancora più male.

Non resisto più, ti faccio un cenno. Sorridi, sei sorpreso, un po’ arrabbiato perché ti ho disobbedito ancora una volta, ma mi rispondi subito e cominciamo a parlare. La lingua delle labbra ci aiuta, ormai ne siamo esperti, anche se credo che ciò non abbia impedito a lei di sapere di noi. Ma ora non importa.

Mi dispiace, quello che sto per chiederti farà male anche a te, forse persino di più, ed è sciocco da domandare perché so già la risposta: è una finta speranza la mia, ma devo sapere, avere la certezza.

Annuisci, i tuoi occhi sono diventati meno brillanti.

Lo sapevo, perché saresti venuto da lei se non per quello? Eppure dovevo chiedere lo stesso. Scusami per averti fatto ancora del male. Devo rimediare, non posso vederti così, ti amo in fondo: la tua gioia è la mia gioia e il tuo dolore il mio dolore.

Ecco, proprio questo: ti dico che ti amo. E quanto mi riempi il cuore di gioia ogni volta che mi rispondi, che mi sorridi così.

Sì, ora me ne vado, ti aspetterò al nostro posto, so che non tarderai. Lascia che anche stasera mia dia a te, lascia che i nostri cuori si avvicinino ancora un po’, così potrò scavare meglio, ancora un poco, nella voragine di dolore che ho lasciato si formasse nel tuo.



Prometto che dopo tutto questo angst tornerò al comico (perchè ovviamente io non ho mezze misure), il tempo di portare a termine Capelli di Luna ;)

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