Oltre le porte

di Lunarys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cercatore ***
Capitolo 2: *** Kendra ***



Capitolo 1
*** Cercatore ***


Oltre le porte
1. Cercatore 

 
Tra tutti i lavori che gli erano stati offerti dall'ufficio di collocazione dove era stato mandato dall'assistente sociale alla fine del suo periodo di servizio estivo, quello di tassista gli era sembrato il più facile. Ma Max si era ricreduto il suo primo giorno di lavoro. New York non aspettava, e tantomeno i suoi abitanti stressati. Aveva l'impressione che il tempo fosse solo una cella creata dall'uomo stesso, soprattutto ora che era stato buttato fuori di casa e abitava da solo in uno squallido motel. Era passata da lungo la mezzanotte e con il taxi giallo numero 235 stazionava in un sottopassaggio scarsamente illuminato di Brooklyn ad aspettare che il suo turno si concludesse, sperando che nessuno degli incappucciati e rari passanti si avvicinasse alla macchina. 
Max aprì il cruscotto e ci rimise dentro una cartina alla bella e buona. Lo avevano "collocato" nell'unico servizio di taxisti di New York che usava ancora le cartine stradali come nel secolo scorso. D'altronde Max avrebbe lavorato solo per tre mesi, poi sarebbe stato libero di tornare alla sua vecchia vita. Stava per accendersi una sigaretta quando qualcosa andò a sbattere contro la fiancata destra del cofano. Era una sagoma che imprecava a bassa voce. Appoggiò la sigaretta sopra all'autoradio e sbuffò, valutando l'idea di partire lasciando a terra quel potenziale cliente. Ormai il suo turno era quasi finito. Non fece in tempo a decidersi, che la sagoma, rivelatosi una ragazza, aveva già aperto lo sportello ed era montata in macchina senza proferire parola. La maggior parte dei clienti salivano, dicevano il nome della loro destinazione, lui partiva e ce li portava. Quelli erano i suoi clienti preferiti, quelli silenziosi. Poi c'erano i chiacchieroni e talvolta dei turisti. Dato che il passeggero ancora non parlava, parlò Max. 
«Dove ti porto?»
«A casa»
«Dov'è "casa" per te?» Max si chiese se era il caso di chiedere un pagamento anticipato, cosa che d'altronde non poteva fare se non inseriva la destinazione nel navigatore. 
«...portami a casa» 
Si girò per guardare attraverso l'oblò di plastica, e vide la ragazza sdraiata orizzontalmente sui sedili. Sbuffò spazientito. Aprì l'oblò e venne investito da un forte odore di alcool e fumo, cosa a cui Max era abituato dato che era stato il suo stesso odore prima del servizio sociale.
«...a casa» ripeté lei. Aprì i finestrini e mise in moto la macchina, deciso a portare la ragazza ad un pronto soccorso e scaricarla là davanti. Avrebbe poi pagato lui il tragitto, dato che non voleva avere la ragazza sulla coscienza. E decise che quello sarebbe stato il suo primo e ultimo atto eroico. Pensò che anche se la ragazza era stata così stupida da bere fino a perdere conoscenza non si meritava comunque di essere lasciata in mezzo alla strada. Mise in moto il motore e partì. 
Le strade erano relativamente sgombre. A pochi minuti dal pronto soccorso Max sentì la ragazza sussultare e tossire. Fermatosi ad un semaforo si girò a guardarla di nuovo. Era anche bella, notò. Quasi conscia del fatto che la stesse guardando la ragazza si mosse e mugugnò qualcosa che a Max sembrò un nome. Tornò a girarsi verso alla strada, in attesa che il semaforo diventasse verde.
«...Non ti sento» le disse quasi con noia, attraverso l'oblò che aveva lasciato aperto. La ragazza continuò con dei mugugni, questa volta più comprensibili. 
«Michael.... veleno...» Max si lasciò sfuggire una risata. 
«Sì dolcezza, l'alcool è un veleno» pensò di trovarsi in macchina la tipica ragazzina che era stata spinta dal fidanzato a bere fino allo sfinimento. «e tanto per la cronaca, non c'è nessun Michael qua, io mi chiamo Max» 
La ragazza tossiva cercando di schiarirsi la gola. Max si preoccupò per i sedili. Non voleva ricevere una strigliata per aver permesso che qualcuno li sporcasse. 
«Vedi di stare calma, tra poco potrai sfogarti al pronto soccorso»
La ragazza si mise a respirare affannosamente e ad agitarsi. Max intanto valutava se era il caso di passare con il semaforo rosso, dato che non si decideva a diventare verde. Guardò a sinistra e poi a destra... E si sentì due braccia intorno al collo, che stringevano, seppur debolmente, e lo tenevano attaccato al sedile. Rimase calmo, quasi divertito. 
«Niente pronto soccorso per me» 
«Che c'è, hai paura che chiamino mammina e papino?» la provocò. La ragazza strinse ma non aveva abbastanza forza a causa della sbronza. 
«Fammi scendere» farfugliò lei. 
«Non ti porto al pronto soccorso, va bene, ma dimmi dove vuoi andare» disse Max deciso. «Oh, e gradirei essere pagato in anticipo»
«se mi porti al pronto soccorso...» la ragazza faticava a parlare, come se stesse soffrendo. «...mi troveranno e verranno ad uccidermi» Max volle inizialmente pensare che la passeggera stesse straparlando, ma qualcosa nel tono della sua voce lo spinse a desistere. La ragazza sembrava in tensione e sotto sforzo. 
«Io penso che tu debba trovarti dei nuovi spacciatori» disse Max incerto. 
In risposta la ragazza mugugnò di dolore e lasciò la presa sul suo collo, lasciandosi cadere indietro sui sedili. 
«Ti prego...» intanto il semaforo era diventato verde, ma Max restava fermo. «...Sul tuo onore di Cercatore, portami a casa»
«Sul mio onore di che? Certo che ci sei proprio andata giù pesante!» infastidito, Max si girò di nuovo. «E poi se non mi dici dove abit-» smise di parlare appena si rese conto che la ragazza era svenuta. O si era addormentata, poco importa. Qualcuno suonò il clacson e Max si rese conto che il semaforo era verde. Si girò di nuovo verso la strada con i nervi a fior di pelle.
«Dannazione» mugugnò mentre metteva in moto il motore, dirigendosi verso il pronto soccorso nonostante la ragazza non voleva esserci portata. "al diavolo i capricci di un ubriaca" si disse mentre fermava il taxi sulla strada dalla parte opposta del pronto soccorso, in modo da decidere se portarla dentro in braccio e poi sparire o se lasciarla nella sala d'aspetto. Si girò ancora a guardare la ragazza sdraiata sui sedili, ancora svenuta. Sembrava avere un espressione corrucciata e preoccupata. A giudicare dall'esile corpo, Max era sicuro che sarebbe riuscito a trasportarla molto facilmente. Continuò ad osservarla. Sospirò profondamente girandosi di nuovo verso la direzione di guida. Rimise in moto il motore e partì. 
Era passato un quarto d'ora dalla fine del suo turno, eppure Max era ancora per strada, diretto verso le rimesse dei taxi. Si era pentito subito dopo essere ripartito di non aver scaricato la ragazza al pronto soccorso, nel momento esatto in cui la croce rossa luminosa era scomparsa dal suo specchietto retrovisore. Ma ormai era troppo in ritardo per tornare indietro. Infilò il viale della rimessa un po' troppo velocemente e guidò fino al posteggio numero 235, lo stesso del suo taxi. Si chiese come avrebbe fatto a portare la ragazza fino alla sua macchina senza essere visto dai tassisti del turno dopo al suo. Sperando che fossero già tutti partiti, uscì dalla macchina e aprì lo sportello posteriore, caricandosi la ragazza di traverso sulla spalla e dirigendosi verso la sua vecchia auto. 

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Capitolo 2
*** Kendra ***


 

 

CAPITOLO 1 RECAP
Max è stato costretto dai servizi sociali a fare un lavoro a sua scelta per 3 mesi. Sceglie il tassista pensando che sia un lavoro semplice, ma si pente poco dopo. Una sera, prima della fine del suo turno carica in macchina una ragazza molto ubriaca che perde i sensi. Intenzionato a portarla all'ER ignora le sue richieste di essere portata "a casa" e cambia strada. La ragazza non vuole esserci portata e Max riluttante decide di non portarla. È svenuta, e una volta finito il suo turno la porta con se dove abita lui.



 

CAPITOLO 2
Kendra

 

«Kendra! Svegliati Kendra!»

«Mamma... Cos–»

«Muoviti, si deve partire!»

«Dove.... Dove andiamo..»

Sua madre la trascinò malamente fuori dal letto, e Kendra si costrinse a reggersi in piedi da sola. Era passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno l'aveva svegliata nel bel mezzo della notte, e non era più reattiva come un tempo.

In poco tempo scesero le scale con sua madre che la tirava per una mano attraverso la piccola cucina fatta di legno fino ad arrivare alla serra attaccata ad essa.

Fu solo allora che le lasciò la mano per mettersi a trafficare con delle piccole boccette appoggiate sul ripiano sotto al tavolo di vecchio legno che stava al centro della serra. Kendra si guardò attorno nel buio. Le piante crescevano alte fino al soffitto, e alcuni rampicanti coprivano il soffitto lasciando solo uno spiraglio al centro. Di giorno era molto suggestivo: la luce filtrava fra i rampicanti creando zone di luce e zone di ombra ovunque.

Sua madre intanto stava ammucchiando delle boccette sul tavolo, quando si fermò improvvisamente con le mani a mezz'aria, come se stesse riflettendo.

«Non muoverti da lì» le disse, e corse dentro in casa.

Tra le boccette sul tavolo Kendra ne riconobbe la maggior parte, dopotutto sua madre era una brava insegnante. Tornò poco dopo con una borsa in cui fece scivolare tutto quello che si trovava sul tavolo.

Gli porse la borsa, che doveva contenere qualcosa d'altro oltre alle boccette perchè pesava molto. Kendra se la mise in spalla senza fare domande. Era ancora confusa per il brusco risveglio ed era sorpresa di vedere sua madre, sempre calma e pacifica, in un tale stato di agitazione. Nonostante volesse fare qualcosa per calmarla, rimase ferma in mezzo alla serra.

Sua madre intanto stava armeggiando con delle boccette. La vide prendere qualcosa e infilarselo nella cintura. Un coltello? Impossibile. Sua madre era una donna pacifica e mai avrebbe potuto andare in giro con un coltello, nonostante tutto quello che Kendra sapeva le fosse successo prima dell'Alba. Cose che le erano state raccontate e anche insegnate a scuola, ma la fonte più ricca di tutto ciò era sua madre.

Kendra allungò la mano verso di lei.

«Prendimi la mano» Notò con improvviso disagio che sua madre aveva gli occhi pieni di lacrime. Nonostante ciò la guardava sorridendo, con la bocca che tremava leggermente.

«Io non vengo» le disse. Poi la vide muovere la mano in sua direzione, e prima che potesse dire o fare qualcosa fu avvolta dalla polvere nera che conosceva bene, e sua madre scomparì dalla sua vista assieme a tutta la serra. Ci furono solo polvere e vuoto per alcuni secondi. Poi era solo buio e il terreno era duro. Aveva la sensazione che qualcosa era andato storto.

 

Si svegliò tra urli e sussulti. Il ricordo era ancora vivido, anche nei suoi incubi. Non capiva dov'era. La stanza era buia e si sentiva mancare il respiro. Si ricordava che un Cercatore l'aveva raccolta poco dopo il suo arrivo a New York. Mettendosi seduta, tastò cautamente il materiale su cui poggiava. Era una stoffa ruvida e un materiale soffice si sentiva attraverso un buco. Un divano, probabilmente. Qualcosa le fece venire in mente casa. Sentì un peso nel petto al ricordo di quello successo poche ore prima, di cui l'incubo da cui si era appena svegliata aveva reso ancora più vivida il ricordo.

Nel mentre i suoi occhi si erano abituati al buio. La stanza ora appariva più squallida che mai: c'era solo la porta d'entrata, un piccolo frigobar e una porta che sicuramente dava sulla camera da letto del Cercatore che l'aveva raccattata poche ore prima.

Si intravedeva un raggio di luce filtrare attraverso le tende. Poi si sentì un rumore di passi dalla stanza.

Decise che era ora di andarsene, si sarebbe arrangiata come poteva. Si alzò puntando alla porta, ma una volta in piedi venne trafitta da un dolore lancinante alla coscia. Dolore che si spostò subito alla testa, creando la stessa confusione della sera precedente. Sentì la gravità attrarla a terra e con gli occhi mise a fuoco il pavimento preparandosi all'impatto. Che non arrivò.

«Ma che diavolo fai?!» il Cercatore era riuscito ad afferrarla, seppur malamente. Si rese conto di stare congelando solo quando venne a contatto con il corpo caldo di Max.

«Quanto sei fredda!» come risposta riuscì ad emettere un verso, che risultò piuttosto grottesco al ragazzo. Aveva la gola secca e cercare di parlare era solo un dolore continuo.

«Devi vomitare? Ti prego trattieniti che prendo un sacchetto» sentì il calore del corpo che si allontanava.

«No..!» sibilò. In vita sua non aveva mai cercato così disperatamente un contatto umano. Allungò le braccia verso il Cercatore che ancora non capiva che le stava succedendo. Pensò che fosse il cercatore peggiore del mondo, o ancora in allenamento. Poco dopo sentì ancora il calore avvolgerla, vide il pavimento allontanarsi, ed era di nuovo sul divano. La fonte di calore si allontanò, tornando poco dopo con un bicchiere d'acqua che le appoggiò alla bocca. Lo sentiva imprecare a se stesso. Bevve tutto il bicchiere e poi si sentì sprofondare di nuovo nel sonno. Nonostante cercava di fare resistenza si addormentò quasi immediatamente.

 

Max sospirò e le tolse il bicchiere dalle mani, appoggiandolo sul tavolino davanti al divano. Sfiorando le sue dita si ricordò di quanto fosse fredda, quasi congelata. Ma non tremava. Max si alzò e si diresse nella sua stanza, verso il letto. Ci si sedette sospirando di nuovo, pentendosi di non averla lasciata al pronto soccorso. Nonostante ciò prese la coperta e la mise sopra alla ragazza nell'altra stanza, lasciandola scoperta solo dalla bocca in su.

Pensò di poter controllare le tasche della ragazza per vedere se aveva con sè dei documenti. Prese una coperta e tornò nell'altra stanza con l'intento di scaldarla. Con sua sorpresa, vide che si era riuscita ad alzare.

«Oh finalmente!» sbuffò. Non vedeva l'ora che lei potesse andarsene con i suoi piedi. «...ti ho portato una cop-» Max rimase paralizzato da quello che vide oltre lo schienale del divano. La ragazza – chissà da dove – aveva tirato fuori un coltello e se lo stava per infilare dietro alla gamba, contorcendosi grottescamente. Le si fiondò addosso urlando.

«Lasciami..!»

«Lascialo!!» urlò Max riferendosi al coltello. Lo sentì cadere a terra, ma dalla sensazione di umido sulle mani capì che uno di loro due si era tagliato. E non era lui.

Ora la ragazza era bollente, ma dava più segni di vita. Si alzò dirigendosi verso la cucina. Riempì una bottiglia di acqua e obbligò la ragazza a berla. Nell'arco di un ora la ragazza era migliorata.

«Gra...»

«Cosa?»

«Grazie...» si era risvegliata.

«Grazie un paio di palle! Non sono un baby sitter io! Avrei dovuto scaricarti al pronto soccorso» Max quasi si pentì della sua risposta quando la ragazza non gli rispose per alcuni minuti. Intanto la osservava ancora sdraiata sul divano, ormai sporco di sangue.

«Eppure non mi ci hai lasciato... sei un cer-»

«Grazie per averlo specificato! Mi sento ancora più cretino ora!» si alzò in piedi di scatto, di nuovo infastidito. «avrei dovuto direttamente scaricarti in quel vicolo.»

«Ma non lo hai fatto...»

«La smetti di farmi l'elenco delle cose che non ho fatto? C'è già mia madre per quello!» si mise ad imitarla. «Max non hai messo in ordine la stanza! Max, vergognati non hai finito nemmeno il liceo! Max non sei mai stato il figlio che ho voluto! Oh, e non dimentichiamoci di Max mi sto scopando il tuo migliore amico, passa a prendere il latte prima di rientrare!»

La ragazza lo guardava in silenzio, con ancora un po' di foschia negli occhi. Non era abituata alla gente che parlava così tanto.

«E allora? Da cos– da chi è che ti ho salvato ieri? Chi ti voleva uccidere, Slenderman? Perchè per tua inf–»

«Ho mentito» alzò lo sguardo per un attimo, poi si piegò in avanti e una smorfia di dolore le apparve sul viso. Armeggiò con gli stivali neri.

«E io così stupido da portarti qua! Lo sapevo che mentivi» Max si mise le mani in testa guardando in alto. Si pentiva spesso delle sue scelte. Quando si girò si trovò davanti la ragazza che teneva un coltello a mezz'aria, probabilmente che teneva dentro agli stivali. Max si immobilizzò davanti a lei, che abbassò lentamente il coltello e cominciò a tagliarsi i pantaloni sulla gamba destra, sfilandoseli. Sembrava quasi che qualsiasi movimento le creasse dolore.

«Woah, woah, woah non è così che ci si toglie i pantaloni» vedendo che lo ignorava, Max fece per allontanarsi.

«Torna qua....» si girò. La ragazza lo puntava con il coltello. Max esitò, così l'espressione della ragazza si addolcì, per quanto sembrava soffrire. «...mi serve aiuto»

Avvicinandosi Max notò che le tremavano tanto le mani che si era tagliata la pelle mentre tagliava i pantaloni. Guardando il coltello, ancora puntato verso di lui, si inginocchiò davanti al divano. Allora la ragazza gli porse il manico del coltello.

Appena lo sfiorò, la ragazza mollò la presa sul coltello, sdraiandosi sul divano a pancia in giù. Gemette. Max indugiò con lo sguardo per un secondo, con ancora il coltello in mano. Fu solo allora che notò che la gamba che lei aveva liberato poco prima era blu prossima al violaceo, e sembrava gonfiarsi. C'erano capillari rosso scuro scoppiati su tutta la coscia, e al centro la pelle era sollevata come fosse una puntura di una vespa sotto massicce dosi di testosterone.

Max si portò la mano che teneva il coltello alla bocca, scioccato. La ragazza gli parlò affannata, girata da sopra la spalla.

«Pensavo... Pensavo di averlo tolto tutto»

Max continuava a guardare la coscia sconvolto. Si girò a guardare la ragazza, disorientato. Lei le afferrò la mano che teneva il coltello. Era di nuovo fredda.

«Devi toglierlo» armeggiò per togliersi anche la maglia che aveva addosso, rimanendo in canottiera. «È un pungiglione bianco» appallottolò la felpa e se ne mise un lembo tra i denti. «non fermarti fino a quando non l'hai tolto»

Max non si mosse per alcuni secondi.

 

 

 

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