Il primo e l'ultimo

di Dolcealcianuro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo giorno ***
Capitolo 2: *** La meta è ancora lontana ***
Capitolo 3: *** Sempre più vicini ***
Capitolo 4: *** L'agguato ***
Capitolo 5: *** Salvando chi non vuole salvarsi ***



Capitolo 1
*** Il primo giorno ***


il primo e l'ultimo - 1
Partecipante al contest "Cerco un centro di gravità permanente", indetto sul forum di EFP da darllenwr



Il guardiano camminava spedito, nonostante il terreno fosse piuttosto aspro e roccioso. Non avvertiva fatica sotto i numerosi bagagli e provava appena il freddo. O, almeno, era ciò che non voleva dare a vedere.
All’orizzonte, la sagoma bluastra e sfumata del Santuario svettava tra le montagne. Era ancora lontana.
Il principe allungò il passo e lo raggiunse, affannato, gli eleganti stivali da viaggio coperti di fango.
“Ora basta. Fermiamoci qui, e accampiamoci” disse, asciugandosi la pallida fronte sporca di sudore.
Il guardiano dovette sforzarsi per non sbuffare. “Sua Altezza Caleb “ disse “Il sole non sta ancora tramontando, e abbiamo ancora tempo per…”
“Non parlarmi del tempo. Non farò un passo di più.” concluse il ragazzo, e fece cadere a terra il suo zaino semivuoto, chiudendo la questione.
Aron annuì di controvoglia e iniziò a disfare i bagagli, tirando fuori le tende.
Da tre giorni era sempre la stessa storia. Il principe non era adatto a quel tipo di viaggio; camminava lentamente, doveva fermarsi spesso, e al tramonto era già stanco. Continuando così avrebbero impiegato parecchio tempo per raggiungere il Santuario e compiere la Prova, e chissà quanto per tornare al castello.
Con questi pensieri il guardiano trovò un angolo nel bosco piuttosto riparato, dove montò la tenda per il ragazzo, senza fretta, avendo ancora svariati minuti di luce.
Il nobile nemmeno lo considerava. Si era portato dietro alcune pergamene che dalle illustrazioni sembravano fossero erbari, e li osservava spesso.
Compiva dei piccoli giri attorno all’accampamento, e di tanto in tanto strappava ciuffi di particolari piante, che valutava accuratamente e poi riponeva in un tascapane.
Quando la tenda fu montata, la valutò con distacco. “Certo, ne hai impiegato di tempo” commentò, ma sollevò in ogni caso i suoi bagagli e ci si sistemò dentro. Con particolare cura estrasse dallo zaino un piccolo cofanetto. Conteneva la pietra preziosa bianca, di forma sferica e dall’aspetto fragile. Era l’Offerta che avrebbe dovuto portare al Santuario, per completare la Prova di Iniziazione. Il ragazzo mise a posto le sue cose, per lo più ampolle e libri, e poi si volse verso il guardiano. “Non stai ancora preparando la cena? Muoviti”.
Aron era ormai abituato a simili interazioni e senza dire nulla, accese un fuoco consumò carne essiccata e pane, parte delle provviste. Chissà se il cibo sarebbe bastato, per un viaggio che sembrava protrarsi per più tempo di quanto programmato…
Caleb del resto solitamente consumava pochissimo cibo; anche quella sera non addentò che pochi bocconi di pane, e poi senza dire una parola si ritirò nella tenda. Il guardiano finì il suo pasto e si preparò per un’altra lunga notte di guardia.
In cuor suo si diceva che non ce ne fosse davvero bisogno, dato che quella foresta era conosciuta per non essere abitata da bestie feroci, o da banditi, tuttavia non poteva rischiare di mettere anche in un minimo pericolo il giovane principe.
Dopotutto, il ragazzo non sapeva badare a se stesso. Si aggirava sperduto in un luogo selvatico come un gatto domestico in un serraglio di belve, lontano dalle polverose aule, dalle giornate di studi teologici nel tempio in cui passava il suo tempo, e così lo avrebbe passato negli anni a venire. Era il suo destino, non essendoci terre da spartire rimaste nel regno per un ragazzo ultimogenito di sette tra fratelli e sorelle legittimi.
E avere un Sommo Sacerdote in famiglia sarebbe stato un ottimo affare.
Per questo motivo Caleb non aveva seguito un addestramento militare come i suoi fratelli maschi ed era per lo più ritirato dalla vita sociale.

Il giovane guardiano smise di pensarci quando udì dei rumori sordi provenire dalla boscaglia. Erano troppo pesanti per appartenere ai passi di qualche piccolo animale. Forse era una volpe. Oppure c’era qualcuno?
Si alzò lentamente e percorse un piccolo tratto, sempre girandosi di tanto in tanto per controllare la tenda. Ma non vide niente e nessuno. A quanto pare, non c’era traccia di esseri viventi. Solo qualche uccello notturno volò infastidito dal suo passaggio. Eppure, gli era davvero sembrato, possibile?  Tornò veloce all’accampamento.
Caleb non sembrava aver fatto caso alla sua sparizione. Attraverso un’apertura della tenda, il guardiano lo vide, illuminato dalla luce di una lampada ad olio, sdraiato e intento a leggere un enorme tomo illustrato. Passava il dito tra le righe e leggeva. Ogni tanto prendeva qualche erba che aveva raccolto e la esaminava, confrontandola alle illustrazioni.
Aron non poté fare a meno di pensare che, almeno quando era concentrato su se stesso, il principe potesse sembrare un comunissimo ragazzo intento a studiare, privo di grosse responsabilità. Solo quei lineamenti delicati e armoniosi del pallido viso ed i vestiti eleganti lo rendevano più interessante nell’aspetto. In effetti, poteva dire di considerarlo affascinate, e a volte aveva una sorta di soggezione nel guardarlo in viso. Il nobile improvvisamente si voltò verso di lui.  “Cosa stai guardando?” chiese d’un tratto, stizzito nel tono.
“Nulla, signore”.
“Dovresti fare la guardia, o sbaglio?”
“Certo, mi scusi”

Senza aggiungere altro il guardiano si avvolse in una coperta e si mise ad alimentare il fuoco. Si prospettava una notte lunga e noiosa. I mormorii lontani del principe lo accompagnarono per meno di un’ora, poi ci furono solo i rumori della foresta.


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Capitolo 2
*** La meta è ancora lontana ***


La mattina successiva fu luminosa e calda, non potevano sperare in meglio. Viaggiarono anche più del solito. Il Santuario si faceva sempre più vicino. Ma fu il percorso, a farsi più accidentato e in salita.
“Vuol dire che ci stiamo avvicinando Altezza. Non rimangono che due, al massimo tre giorni... ”
“Non ho certo bisogno che tu me lo ricordi, sai? Non vedo l’ora di raggiungere quel luogo, così da farla finita con questa storia, una volta per tutte. Non ne posso più di camminare tutto il giorno e dormire male la notte”
Aron non replicò, per una volta d’accordo. La prova d’iniziazione in sé non era particolarmente difficile. Ogni membro della famiglia reale, da una buona decina di generazioni, lo sapeva bene. Onorare la Dea, portando una pietra preziosa in un tempio sacro posto in una foresta del tutto priva di pericoli non era complesso o azzardato, ma solo incredibilmente noioso, poiché si doveva fare da soli. Per lo meno, Caleb non era da solo, per lui era stata fatta una eccezione e gli era stato affiancato Aron, vista la sua debolezza fisica. Ma entrambi non si facevano una grossa compagnia. Lo si capiva subito. Il Re aveva fatto un errore, ad affidare il suo figlio minore alla protezione di Aron, unicamente per la loro vicinanza d’età, senza chiedere il loro parere. Ma ormai, quel che fatto era fatto.
Una grossa serpe emerse da un cespuglio e attraversò il loro passaggio. Era di un verde brillante e si muoveva lenta.
Il guardiano la osservò con attenzione. “La riconosco. La chiamano la serpe di giada. Il veleno non è mortale, ma può causare convulsioni. Basta non avvicinarsi e…”
“Uccidila.” Ordinò il ragazzo.  Non ne sembrava spaventato, si limitava a fissarla.
“ Ma… per quale motivo?”
“Tu, uccidila.” Disse, e stavolta spostò i penetranti occhi blu verso di lui, in un tono che non ammetteva repliche.
Aron annuì controvoglia. Non era la prima volta che il ragazzo gli ordinava cose simili. Estrasse la spada e in una mossa fulminea la decapitò. Sangue scuro spruzzò dal tronco del rettile, mentre la testa aprì le fauci per l’ultima volta. Caleb attese che finisse di muoversi, poi prese in mano un grosso spillone che teneva nello zaino e con esso infilzò la testa. Infine gettò il tutto in un contenitore scuro che chiuse ermeticamente. Sorrise, soddisfatto. “Ora ripartiamo” ordinò.

Quel giorno i due giovani riuscirono a fare un bel tratto di strada. Tanto che al tramonto non si erano praticamente mai fermati.  E fu il guardiano, a decidere di dover sostare, per quella notte, dato che dovevano per lo meno mangiare e il luogo, posto accanto a dei costoni rocciosi, era parecchio appartato. Caleb parve indifferente alla decisione di fermarsi. Il guardiano montò nuovamente le tende e preparò qualcosa da mangiare, ora più tranquillo. Talmente tranquillo che per qualche minuto non prestò attenzione al principe e, una volta terminato il suo lavoro, non lo trovò.
Lo cercò nervosamente attorno ma invano. Si spaventò non poco, e la sua mente fece rapide congetture esagerate. Che ci fosse davvero qualcuno, nella foresta, che lo avesse rapito? Dunque la notte prima non si era sbagliato! Non era un’ipotesi caduta dal nulla, dopotutto uno dei motivi per cui Caleb necessitava protezione era perché la famiglia reale era stata recentemente presa di mira da gruppi di dissidenti politici che avevano attentato alla vita dei reali. Anche se Caleb non era poi così importante in termini di successione, ma forse si stava sbagliando, e…
“Sono qui, idiota!” esclamò la voce del ragazzo alle sue spalle.
Il principe era quasi alla sommità di un enorme masso, un bestione di circa quattro metri. Come fosse riuscito ad arrampicarsi così in alto, Aron non sapeva spiegarselo. Si innervosì. E dire che fino ad ora si era lamentato di quanto in quel viaggio si prospettasse privo di avvenimenti!
Invece si precipitò alla roccia e provò ad arrampicarsi, ma con l’armatura e gli equipaggiamenti gli risultava difficile. E, anche se avesse raggiunto il principe, si chiese come sarebbe riuscito a farlo scendere da lì?
“Venga giù, altezza!” esclamò il giovane, preoccupato.
“ E perché mai? C’è una bella vista, qua sopra!” disse il nobile. Poggiò lo zaino sulla roccia e si tolse il mantello.
“Potrebbe cadere e farsi male!”
“ Non sono così decerebrato come te, sai?” disse il ragazzo, quasi indispettito “E inoltre non mi va di scendere proprio adesso. La roccia è calda e liscia, sarà bello passarci la notte. Ho anche raccolto un particolare tipo di muschio che è difficile trovare normalmente”.
“Ma... in questo modo sarà molto esposto, e...”
“Tanto non mi pare ci siano pericoli qui attorno, a parte qualche scoiattolo”
Aron a dire il vero era d’accordo. Ma quel che gli avevano insegnato all’addestramento era che non si poteva mai sapere dei pericoli da affrontare. Bisognava sempre stare in allerta. In caso di pericolo, non avrebbe potuto difenderlo.  Inoltre, in una posizione simile, Caleb poteva rischiare di cadere dalla roccia durante il sonno.
“Passami la mia coperta. Ho scordato di prenderla.”
“Non le consiglio di …”
“Obbedisci”
Il giovane uomo soffocò un altro sospiro e prese la coltre dai loro bagagli, e gliela passò.
Poi si pose in una zona in cui poteva osservarlo bene, si avvolse anche lui in una coperta, e aspettò che venisse il giorno.

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Capitolo 3
*** Sempre più vicini ***


Quando era quasi l’alba, il suo respiro affannoso lo fece svegliare dal dormiveglia. Il principe pareva agitato e nervoso nel sonno, parlottava velocemente di cose incomprensibili. Il guardiano si avvicinò un poco, sperando che non cadesse.
“Non voglio andare… non l’ho mai voluto… no…” si agitava e scalciava.
Aron si chiese se avesse dovuto svegliarlo. Ma il ragazzo si tranquillizzò e non si mosse più. Il guardiano sospirò, stavolta dal sollievo. Doveva ammettere che il principe poteva essere addirittura tenero, nel modo in cui dormiva.
“Perché mi sto agitando tanto? Non c’è nulla di così pericoloso” si disse. Si era reso conto che iniziava a innervosirsi con facilità, forse per la mancanza di sonno.
Aveva bisogno di una valvola di sfogo, ed era fuori esercizio. Mancavano ancora diversi minuti all’alba. Così decise di iniziare alcune esercitazioni con la spada, che da molto tempo non aveva potuto fare. Rimosse il pezzo superiore dell’armatura, rimanendo a petto nudo, e cominciò ad agitare la sua spada, in una successione di mosse che aveva ripetuto tanto da averle ormai scolpite nella memoria, ai tempi dell’addestramento. Sapeva bene che, di fronte al nemico, non le avrebbe potuto utilizzare nel modo in cui voleva. In guerra o vinci o muori, gli dicevano i commilitoni più esperti. Come avrebbe voluto affrontare una battaglia vera! Ma quelle si combattevano altrove. I regni vicini, loro alleati, stavano affrontando da anni una guerra sanguinosa, contro le Terre del Nord, per il possesso di alcuni territori.  La loro nazione invece aveva convenientemente deciso di restarne fuori. E Aron, come guardia reale, aveva unicamente il compito di difendere il castello, ed il principe. Solo il principe Caleb. I suoi fratelli maggiori, si sarebbero vergognati nel farsi proteggere da un ragazzo più giovane di loro. Ma il castello non subiva assalti da più di vent’anni, poteva scortare Caleb solo quando si spostava dai templi in occasioni speciali, e a causa di ciò Aron non aveva mai avuto modo di combattere con un vero avversario.
“Come osi, non comprendi il grande onore che ti è stato concesso?”, gli ripeteva sempre suo padre quando se ne lamentava “Tua madre ne sarebbe stata orgogliosa. E tu, dovresti voler onorare lei e la nostra casata” continuava a dire, e Aron non ribatteva, sapendo che suo padre aveva ragione.  Pensò a lui, alla sua figura curva, un tempo così nobile e fiera, prima che affossasse tutto nel gioco e nel vino, se lo figurò davanti come un nemico immaginario da sconfiggere.  
“Non devi deludermi. Sei il primogenito. Devi ristabilire l’onore della nostra antica famiglia.” disse la figura. Aron sollevò la spada. “Sta zitto, vecchio! “ esclamò. Mosse la spada, immaginando di tagliargli la testa, infilzandogli il cuore, mentre il sangue scorreva a fiotti.
Poi riprese a compiere i soliti esercizi con la spada.
Alla fine, l’alba arrivò.  Aron spostò una ciocca di capelli castani dalla fronte, appiccicati dal sudore. Era soddisfatto, aveva dato tutto se stesso. Ora il suo corpo pretendeva altre attenzioni. Lo stomaco gli brontolò per la fame, il cuore gli martellò per la stanchezza, la vescica era piena. Decise di concentrarsi su quest’ultimo problema ed evacuò accanto alla roccia.
“Non hai proprio un briciolo di decenza” disse una voce sopra di lui.
Il giovane finì la sua occupazione e sollevò la testa. Caleb si sporgeva sopra di lui. Chissà da quanto tempo lo stava osservando! Era evidentemente imbarazzato, ma cercava in ogni modo di non darlo a vedere, in ogni caso non la smetteva di fissarlo.
"A-Altezza!” balbettò il giovane coprendosi istintivamente.
“Che aspetti a vestirti!” esclamò il nobile, voltando finalmente la faccia altrove.
Aron eseguì, rosso in volto.
“Bene. Se hai finito, possiamo ripartire.” disse Caleb. Buttò a terra la coperta. Poi provò a scivolare giù dalla roccia, ma a metà discesa poggiò male un piede e cadde a terra malamente.
“Altezza!” gridò Aron precipitandosi da lui. Se si fosse trattato di una lesione grave, temeva la sua reazione, e soprattutto quel che il principe avrebbe potuto riferire al Re della sua condotta, perché non aveva impedito la caduta.
Se avesse perso la sua occupazione per un motivo del genere… beh... di certo suo padre non glielo avrebbe mai perdonato.
Notò che il principe riusciva ad alzarsi, ma camminava con un po’ di difficoltà. Il ginocchio destro era sporco di sangue.
“Le fa male, principe? Se posso aiutarla…”
“Non toccarmi.” sibilò lui.
“Ma...”
“Levati di mezzo”
Aron si allontanò, perplesso. Il principe aprì subito lo zaino e ne trasse un’ampolla, colma di un liquido di un verde scuro. La aprì e se ne versò un po’ sulla ferita.
Poi rimise tutto a posto. “In questo modo, si cicatrizzerà più in fretta. E il ginocchio non sembra aver subito una rottura, dato che riesco a muoverlo. Se non lo sforzo troppo, guarirà presto.”
“Immagino” riuscì a dire il guardiano. Si stupì della sicurezza con cui il ragazzo diceva tali cose.
In ogni caso si misero in viaggio. Ormai non mancava molto. Forse il giorno successivo avrebbero raggiunto il Santuario. O quello dopo ancora.
Raggiunsero la montagna, e iniziarono a percorrerne i sentieri, salendo sempre più in alto. Dopo qualche ora avevano raggiunto una discreta altitudine e potevano godere di una splendida visuale del percorso finora attraversato, sebbene a distanza, per non cadere dai precipizi. Cominciò però a piovere. Una pioggerellina fitta e fastidiosa.
“Sì, proprio quel che ci voleva per rendere più disgustosa la giornata” commentò sarcastico il principe, per niente emozionato dalla vista. Camminava abbastanza spedito, nonostante il ginocchio infortunato. Forse troppo.  Dopo solo un’ora parve dare segni di cedimento. Tanto che, per superare una roccia, impiegò troppa foga, e scivolò sulla terra bagnata. Per fortuna, era caduto lontano dallo strapiombo. La pioggia, intanto, stava peggiorando.
Aron lo raggiunse subito. “Sta bene?” chiese, stavolta preoccupato.
Caleb parve innervosirsi e lo respinse con foga. “Ovviamente. Devi finirla di agitarti tanto, neanche fossi un cane. Ma, a pensarci bene, dopotutto lo sei!”
L’insulto colse Aron impreparato, tanto che non riuscì a restare composto come suo solito. “Sto solo facendo il mio lavoro. Potrebbe anche cercare di apprezzarlo, ogni tanto. Ma non credo ne sia capace.”
“Lo farei, se lo svolgessi decentemente” replicò il ragazzo.
“Ah, davvero? Io credo invece che a parte usare la lingua per lamentarsi, non sia in grado di fare altro, mio signore. Senza di me non sarebbe arrivato sin qui, e nemmeno raggiungerebbe il Santuario. Sa comportarsi solo come un bambino viziato!”
Colpito nel segno, il giovane fece una smorfia. “Questo è da vedere.” Si limitò a dire, e riprese a camminare, anche se con difficoltà.
Aron non lo tallonò, stavolta. Aveva il discreto timore di aver perso il lavoro, dopo quella frecciata.
Si limitò a seguirlo in silenzio. Questo, almeno finché non vide cadere dei sassolini, dal fianco scosceso della montagna. Prima che potesse voltarsi, un sasso gli colpì di striscio la testa. Aron si voltò e vide un uomo dal volto coperto, senz’altro un bandito, scendere dal fianco urlando; probabilmente fino allora si era nascosto dietro ad una insenatura.
Che stupido era stato, a non notarlo!

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Capitolo 4
*** L'agguato ***


Il bandito sguainò una daga e si avventò su di lui, e prima che potesse difendersi lo colpì ad un fianco. Il giovane indietreggiò e prese in mano la sua spada. Il bandito fece per attaccarlo di nuovo ma Aron con un gesto veloce e istintivo mosse la spada e gli squarciò la pancia.
L’uomo emise una sorta di gemito sordo, e poi si afflosciò a terra, coperto di sangue. Senza prestargli attenzione Aron prese a correre furiosamente. Sentì il principe urlare. Lo vide poco più avanti. Un altro criminale lo aveva raggiunto, cercava di immobilizzarlo. Caleb si dibatteva con tutte le sue forze. Aron tentò di raggiungerlo, ma fu colpito ad una gamba. Si voltò, e vide un terzo bandito. Era un uomo incredibilmente imponente, che sembrò sorridere trai i folti baffi nel guardarlo. “Vediamo che sai fare, moscerino” disse con voce roca.
Il guardiano mosse la spada contro di lui. Il criminale era munito anch’egli di una daga, ma sapeva usarla bene, e respinse l’attacco. Si muoveva inoltre piuttosto velocemente per la sua mole. Però, indossava unicamente delle protezioni leggere.
“Se riuscissi a colpirlo con precisione...” si disse Aron, ma era già piuttosto difficile respingere i suoi attacchi.
L’uomo riuscì a colpirgli un fianco. Il guardiano urlò dal dolore. Ma nell’istante in cui l’aveva colpito, si era avvicinato. Aron sollevò la spada e la puntò contro il suo collo. Ma non riuscì a muoverla, perché l’uomo fu più veloce e gli provocò un taglio sul polso. Aron, da dolore e dalla sorpresa lasciò cadere la spada. Prima che potesse riprenderla, l’uomo gli fu addosso, e lo atterrò con tutto il suo peso. Per quanto Aron provasse a scalciare, non riusciva ad alzarsi, era immobilizzato da quella presa. Poi vide un lampo di pura cattiveria negli occhi del brigante, che lasciò l’arma e gli mise le enormi mani sul collo e lo strinse.
Per quanto provasse a dibattersi, le braccia dell’assalitore sembravano d’acciaio. Il fiato gli uscì dal petto. Aron sentiva il cuore agitarsi impazzito nel petto, mentre i polmoni cercavano disperatamente aria, e la vista si annebbiava. Neanche la mente riusciva più a ragionare lucidamente.
Non voglio morire. Non adesso. Non sono riuscito neanche a…
Ma poi improvvisamente, sentì sussultare il bestione che lo stava uccidendo. L’uomo mollò la presa, il suo corpo si irrigidì, ed emettendo un rantolo gli cadde addosso.
Passarono svariati secondi, poi qualcuno spostò il peso che lo schiacciava.
Aron impiegò diverso tempo per riacquistare lucidità. Poi riuscì a respirare e vedere normalmente. Il corpo del grosso brigante era steso a terra, col collo squarciato. Accanto a lui, il principe Caleb, sporco e ferito e con lo sguardo perso, reggeva in mano una spada coperta di sangue che non gli aveva mai visto prima.
“A-altezza… cos’è successo?” riuscì a chiedere Aron, confuso. “E l’altro brigante?”
“Mentre mi inseguiva, ha rovesciato il contenuto del mio zaino, e sono riuscito a prendere una cosa.” disse con un filo di voce il nobile. “Lo spiedo con cui ho infilzato la testa di quel serpente, ricordi? Era intinto del suo veleno. Così, mentre il bastardo cercava di immobilizzarmi, l’ho infilzato con quello. Ha fatto subito effetto. Lui si è messo a contorcersi come un dannato, non pensava più a me. Allora…” Il ragazzo prese fiato e deglutì. “Gli ho sfilato la spada. E l’ho… colpito. Non si è mosso più. Poi ti ho cercato e ho visto cosa ti stava succedendo. Così... ho usato di nuovo la spada contro di quello, e poi…”
Gli tremavano le mani. Aron si alzò, e si permise di posargli una mano sulla spalla. Caleb sembrava sotto shock, non era stato preparato come lui a combattere per uccidere.
“Va tutto bene, Altezza. E’ stato davvero straordinario, e le devo la vita. Io, piuttosto, sono imperdonabile, per non averla protetta adeguatamente. Ora però riprenderemo le forze, e poi ripartiremo verso il Santuario”
Il ragazzo scosse la testa. “Non raggiungeremo più il Santuario. Non ce ne è più motivo” disse. Lasciò cadere la spada. Iniziò a camminare.
“Come sarebbe a dire?” chiese Aron.
“Non possiamo più andarci” disse il principe. Raggiunse la zona in doveva essere avvenuta la sua aggressione. Il brigante era steso faccia a terra, rigido. Tutto quel che aveva un tempo formato i bagagli del principe; vestiti, ampolle, e libri era sparso a terra. Ma c’era anche il piccolo scrigno contenente la Pietra Bianca. Era spalancato, e i frammenti bianchi della gemma erano sparsi ovunque.
“E’ accaduto quando è stato aggredito?”
Il principe annuì. Si chinò e accarezzò un frammento più grosso degli altri, bagnato di pioggia. Luccicava appena. “Senza la sfera, tutto ciò che abbiamo compiuto finora non ha più senso. L’intera missione è stata inutile.”
“Non è colpa nostra. Basterà spiegarlo una volta tornati...”
“No. Io speravo davvero di poterci riuscire, di poter dimostrare alla mia famiglia, al regno, di avere un qualche valore. Evidentemente mi sbagliavo.”
Si alzò e diede un calcio ai frammenti, che si sparsero attorno a lui. Poi il principe si avvicinò al bordo del precipizio. La pioggia stava peggiorando. I capelli neri del ragazzo erano scossi dal forte vento.
Aron capì quel che voleva fare. “Mi ascolti. Noi torneremo al castello. E poi…”
“Non posso più tornare” disse il principe. Poi chiuse gli occhi e si lasciò cadere dal precipizio.

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Capitolo 5
*** Salvando chi non vuole salvarsi ***


Aron urlò. Si lanciò per cercare di afferrarlo, ma riuscì solamente a sfiorarlo.  Il movimento lo fece sbilanciare, e precipitò anche lui. Sbatté testa schiena varie volte contro le rocce, ma per fortuna il dirupo non era ripido come sembrava. Il guardiano riuscì nella caduta ad afferrare il principe, che sembrava aver perso i sensi dallo shock. I due rotolarono per decine di metri. Aron fece di tutto per rallentare la caduta, appigliandosi a tutto quello che incontrava, ma gli arbusti e i cespugli bagnati di pioggia non erano di grande aiuto.
Dopo lunghissimi secondi la discesa terminò. Aron recuperò le forze, e si sollevò da terra, molto lentamente. Provava un dolore indescrivibile su tutto il corpo. Ma era vivo e riusciva più o meno ad alzarsi. Caleb invece non aveva ripreso conoscenza, il suo cuore batteva lentamente e doveva avere qualche osso rotto. Il guardiano se lo caricò in spalla con tutta la delicatezza possibile. Poi iniziò a camminare, alla ricerca di un luogo riparato. Erano entrambi coperti di sangue e fango, il freddo e la pioggia non davano loro tregua. Aron finalmente trovò una grotta, che aveva notato anche durante il loro cammino, prima di salire per i sentieri di montagna.  Per fortuna, era caduto con lo zaino addosso, anche se gran parte delle provviste e del vestiario era si era rovinato dopo tutti gli urti e la pioggia. Il guardiano sistemò il principe nel modo più comodo e consono che riuscì a offrire, e accese un fuoco. Poi attese. Le condizioni di Caleb non erano misere, ma aveva la febbre e non si svegliava mai del tutto. Per le due notti e i tre giorni successivi Aron lo tenne al caldo, gli diede da mangiare la parte migliore delle provviste, e cambiò i suoi vestiti lordi dal fango. Questi, si rese conto il terzo giorno, erano atti che avrebbe compiuto comunque, e non solo per fedeltà nei suoi confronti. Soffriva nel vederlo in tale stato. Anche se, fortunatamente, il terzo giorno Caleb migliorò parecchio. Sembrava più lucido e mangiava con maggiore appetito, faceva anche qualche discorso sensato. Due giorni dopo, la febbre passò. La notte seguente, mentre cercava di dormire almeno un pochino, il guardiano vide che il ragazzo si era svegliato e si guardava intorno, con lo sguardo confuso ma decisamente vivo.
“Dove... sono?” chiese con voce piuttosto normale.
Aron gli si avvicinò, felice. “E’ in salvo, altezza”
Il nobile rimase immobile per qualche istante, come a voler soppesare tali parole. “In salvo” ripeté.
“Già”
“Dunque, non ci sono riuscito…” mormorò il ragazzo, con amarezza nella voce.
“In che senso?”
“Così come non sono riuscito a consegnare la Pietra, non sono riuscito nemmeno a togliermi la vita” spiegò il principe.
“Altezza, ma cosa di...” iniziò il guardiano ma Caleb lo interruppe con un gesto della mano.
“Sai, in realtà non è che tenessi tanto, a superare la Prova. Avrebbe significato divenire adulto, e accettare le mie responsabilità. Nel mio caso, vivere per sempre in un tempio, come Sacerdote. Una vita piuttosto insignificante, a mio parere. Ma dopotutto, è questo il mio destino, in qualche modo me ne ero fatto una ragione.”
Aron lo guardò senza riuscire bene a credergli.
Caleb si stropicciò gli occhi, ma poi riprese a parlare. “Però, lasciare distruggere la Pietra fallendo così la Prova è stata una esperienza peggiore. Vuol dire che non sono stato capace nemmeno di superarla, persino aiutato. Sapevo in cuor mio di non essere all’altezza dei miei fratelli e dei miei avi che l’hanno affrontata senza problemi, ma ora ne ho avuto la certezza. Per questo, la cosa migliore che avresti dovuto fare era lasciarmi morire lì”
Aron scosse la testa, scosso. “Non può dire sul serio.”
“Hai fatto un errore, guardiano. Dovevi lasciarmi andare. Dovevi...”
Ma non finì la frase, perché il guardiano in questione si avventò su di lui. Lo afferrò per le spalle e lo trascinò a terra.
“Così, non avrei dovuto salvarla?” esclamò rabbioso, guardandolo dritto negli occhi e trovandovi paura e stupore. “Dunque questo lungo viaggio, non è servito a nulla?  Ho rischiato la vita per nulla? Senza contare la fatica di tenerla vivo in tutti questi giorni! E se invece lei fosse morto, per sua scelta, con che coraggio sarei potuto tornare a corte? Che razza di pena mi avrebbero inflitto? Mi risponda, Altezza!”
Il principe deglutì e lo guardò, fingendo calma. “Sei preoccupato, ma solo perché è tuo dovere. Non sono altro che un lavoro che ti è stato assegnato. Ma, del resto, non devi temere. Se anche io fossi riuscito nel mio intento, a Corte non sarebbe importato molto. Perché nessuno ha mai avuto davvero bisogno di me.”
Aron scosse la testa. Parlò sinceramente e impulsivamente. “Si sbaglia, perché io ho bisogno di lei, Caleb. Desidero solo che viva, e stia bene.”
Il principe rimase immobile a fissarlo, cercando tracce di menzogne nel suo viso. Non ne trovò. Allora, semplicemente, non riuscendo a reprimere tutto quel che provava, iniziò a piangere. Pianse sommessamente, ma in modo continuo e irrefrenabile. Aron parve stupito dalla sua reazione, ma poi, senza chiedere alcun permesso, lo prese tra le braccia e lo strinse al petto. Caleb non provò a respingerlo; forse era ancora troppo debole dalla convalescenza, o semplicemente non voleva farlo. Si addormentò con le lacrime agli occhi, e il guardiano non si mosse. Dormirono così, sdraiati in quella posizione, scaldandosi a vicenda.


La mattina successiva Caleb si svegliò di buon ora, in salute e riposato.
Aron non era più con lui. Non era nemmeno nella grotta. Stava già iniziando a preoccuparsi, quando lo vide rientrare, con qualcosa in mano.
“Buongiorno, signore. Sono uscito a cercare qualcosa di fresco da mangiare” disse, e gli mostrò una manciata di bacche e due uova. “Non è molto, ma...”
Caleb prese il cibo. Le bacche erano ancora un po’ acerbe e l’uovo, crudo, non era granché, ma il ragazzo si accorse che non gliene importava più di tanto, e inoltre aveva davvero fame, per cui non protestò come suo solito.
 “Tu hai già mangiato?” chiese invece.
“Io... ecco… Sì, Altezza” incespicò Aron, stupito dal suo comportamento gentile.
“Bene. Allora possiamo ripartire, anche adesso.” Disse il ragazzo.
“Si sente in grado? “ chiese sempre più stupito il guardiano, vedendolo fare i bagagli. “Ma dove vuole andare? Probabilmente dal castello avranno inviato delle truppe per cercarci, dato che manchiamo da tempo, e poi...”
“Che ci cerchino pure. Quello che fanno non è più affar mio.” affermò il ragazzo.
“Come sarebbe?”
“Raggiungeremo il santuario, perché non voglio lasciare le cose incompiute, e qualcuno deve sapere quello che è successo. Ma non tornerò al castello.” Finì di sistemare le sue cose e guardò Aron dritto negli occhi. “Non voglio più vivere secondo i disegni di altri, da ora in poi deciderò da solo il mio destino. E dato che sotto il regno di mio padre non potrei mai essere quello che voglio, andrò dove credo di poter essere utile.”
Aron deglutì cercando di seguire il suo discorso.
“In realtà è da un po’ che ci stavo pensando, ma lo consideravo fuori discussione.” Proseguì il nobile “ Sai, credevo di non poterci riuscire… Intendo… raggiungere il fronte dei nostri alleati, in guerra col Nord. Ho avuto modo di accedere a testi di medicina e biologia molto approfonditi, e potrei creare veleni, o anche dare una mano a curare i feriti. Darei un aiuto a chi serve, e inoltre imparerei davvero la medicina”
Il guardiano valutò seriamente la proposta. “La fa facile. Ma credo sottovaluti la pericolosità dei campi di battaglia. Non è un gioco.”
“Lo so bene.”
“Non posso lasciarla partire da solo” disse Aron, avvicinandosi al ragazzo.
Il principe aveva pensato anche a tale eventualità. Ma non avrebbe cambiato idea.
“Per questo, verrò con lei” proseguì il guardiano.
Stavolta fu Caleb a stupirsi.  Non sapeva cosa dire, e si limitò a poggiargli una mano sulla spalla.
Poi si accostò a lui e gli sussurrò qualcosa. “Ehi...”
“Cosa?”
“Se vuoi venire davvero con me…”
“Sì...?”
“Sarà meglio che ti dia una mossa, allora!” gridò.
Poi il principe scattò in avanti e recuperò i bagagli di Aron. Glieli lanciò addosso senza preavviso. “Forza! Raggiungiamo questo benedetto santuario! E muoviti, Aron! Tanto lo sai che sono più veloce di te! Non riuscirai a raggiungermi!” gridò, e afferrando i suoi bagagli schizzò via dalla grotta.
“Non penso proprio, altezza!” esclamò lui, e senza indugi si mise a inseguirlo.     
Di certo la meta era ancora lontana. La vita sarebbe stata dura e pericolosa da quel giorno. Ma i due ragazzi non ci pensarono, non reputandole cose poi così terribili. Perché a loro bastava il fatto di essere insieme, uniti, per non avere bisogno di altro.  

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