Contrappunto, toccata e fuga

di whitemushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Contrappunto, toccata e fuga
 

Oh my hero, so far away now.
Will I ever see your smile?
Love goes away, like night into day.
It's just a fading dream.
I'm the darkness, you're the stars.
Our love is brighter than the sun.
For eternity, for me there can be,
Only you, my chosen one...

 



Toleno esce da un sogno. La città ha messo il suo abito più bello proprio stasera, scuro e pieno di luci che si accendono al nostro passaggio; è pronta per andare al ballo, con il profumo delicato dell’acqua che scorre nei canali senza mai stagnare, pulita come quella dei fiumi delle montagne. Mi chiedo chi sia il ballerino che questa città sta aspettando con ansia.
Il mio mi cammina al fianco e mi dà il braccio mentre i suoi occhi scorrono dal cielo perpetuamente buio all’ingresso monumentale del teatro.
“Allora, ti piace?” mi chiede, sapendo benissimo che non riuscirei a staccare gli occhi da tutti i particolari di quella città nemmeno per un solo istante.
È la prima volta che vedo la città della musica. Cid vi è andato diverse volte da quando ci siamo sposati come rappresentante di Lindblum –e suppongo per altri motivi che spero siano acqua passata- presso il consiglio degli aristocratici, e non ha mai cessato di raccontarmi di questo posto dove tutto sembra fermarsi, dove le note sono l’unica moneta ed il gioco di carte la preoccupazione maggiore. Avevo sempre sospettato che esagerasse un po’, ma questo gioco di luci sul canale increspato mi rassicura dicendomi che per una volta mio marito ha detto la verità.
“Avresti dovuto portarmici prima …”
“Sì, ma suppongo che avresti trovato piuttosto noiose le mie partite di Tetramaster. Non sono un gran che come giocatore …” mi sorride mentre osserva due uomini che si stanno sfidando a carte proprio sulla panchina antistante il teatro. Per quanto non lo trovi un passatempo intelligente preferisco pensare Cid intento a giocare a carte che non a correre dietro alle bellezze locali. Una ragazza ci passa accanto, ed il suo profumo per un attimo è come una carezza.
Il teatro ci dà il benvenuto.
Tutti i suoni sembrano volare verso la cupola. I miei passi, quelli di Cid, il vociare degli spettatori e soprattutto la musica che viene da qualche sala distante dalla nostra. Le note raccontano qualcosa di allegro che accompagna i movimenti degli uomini e delle donne dipinti sul soffitto intonacato della cupola, dove sono intenti a lanciare le loro ricchezze in una grande cornice d’oro e marmo. Tutte le figure sono sospinte verso l’alto, sempre più su, dirette verso l’immagine di un angelo in equilibrio tra le due lune che illumina la scena semplicemente con il bianco delle sue vesti e lo sguardo che osserva tutti quanti noi. I suoi occhi sembrano di fuoco, e solo dopo qualche istante mi accorgo che sono soltanto il riflesso delle candele che rischiarano questa sala comune nonostante la notte perenne. Forse mi sto comportando come una stupida nobildonna di un regno di periferia, ma non riesco ad allontanare gli occhi da quel dipinto e dal caleidoscopio di colori che mi prendono per mano.
Mi accorgo di trovarmi con il naso all’insù da almeno un minuto quando il mio piede non trova il pavimento ma qualcosa di sicuramente meno duro e resistente.
“Si dice che agli uomini siano state distribuite le grazie in maniera uguale …” mormora la persona a cui ho pestato lo stivale. “… ma nel suo caso gli angeli si sono dimenticati di portare la delicatezza. Hanno invece abbondato con il peso”.
Non so se sia più ridicolo il suo tricorno nero, i pizzi o l’abito rosa e oro che alla giusta angolazione delle candele potrebbe accecare qualcuno. Sorride, poi guarda anche lui verso l’alto. “… anche se devo ammettere che è piuttosto difficile restare indifferenti a certa bellezza. Buona serata”.
Vorrei tanto rispondergli per le rime, ma in un battito di ciglia si è già allontanato verso l’ingresso del teatro vero e proprio; provo a seguire i suoi movimenti, ma la folla di invitati finisce per coprirmi lo sguardo.
“Hilda, ti autorizzo a uccidermi il giorno che troverai nel mio armadio un vestito simile!”
Osservo Cid, e non fa nulla per trattenere il sorriso. È sempre bellissimo quando sorride. “Già, immagino che il tuo fascino perderebbe colpi …”
“Sempre a girare il coltello nella piaga!”
“Sarà …”
Ci avviamo verso il banchetto allestito lungo il lato est del salone, ancora uno legato al braccio dell’altro. La nostra scorta ha già trovato la via che porta al cibo, e galantemente i membri dell’equipaggio dell’Hilda Garde I ci fanno ala mentre un paio di camerieri in livrea impeccabile ci porgono dei bicchieri pieni di un liquido verdognolo che non conosco. L’odore ricorda molto le spezie naj, ma Cid non sembra farsene un problema: solleva il calice nella mia direzione e non posso fare altro che brindare con lui. La bevanda mi scende nella gola, brucia leggermente e poi spande un piacevole calore nel petto e nelle spalle.
A giudicare dal rossore del viso posso immaginare che Erin ne abbia bevuti almeno tre.
A parte lo strano tipo di prima non c’è invitato che non abbia almeno mezza dozzina di persone a circondarlo; sembra una gara a chi riesce a mettersi meglio in mostra, a chi appare più stravagante. Cid mi indica una signora dal piumaggio blu ed un ventaglio che da solo vale quanto il mio scrigno di gioielli, e non ho bisogno di spiegazioni per capire che Lady Stella ha rapidamente monopolizzato l’attenzione di quasi tutti gli ospiti. La notizia delle ricompense per chi le porti le rarissime gemme Stellazio è arrivata persino a Lindblum, e sinceramente non riesco a capire cosa abbiano di tanto interessante quelle pietre a parte la rarità. Ma immagino che ciascuno sia padrone di spendere il proprio denaro come desidera, anche se la folla di gente che le si prostra davanti e le espone il frutto delle sue ricerche sta iniziando a farsi insopportabile.
“Oh, questo è niente …” sussurra Cid, quasi leggendo nei miei pensieri. “Non hai idea di come diventi questo teatro quando è in visita la regina Brahne. Non saprei dire se sono peggio i cortigiani o i Plutò che cercano di portare ordine”.
La musica riprende, anche più soave. Sono felice che manchi poco all’inizio della rappresentazione. L’attenzione di Cid viene calamitata da una coppia di distinti gentiluomini, che dopo avermi fatto il baciamano più freddo della storia –senza presentarsi, tra l’altro- iniziano con lui una lunga discussione sull’andamento della produzione delle aeronavi di Lindblum e mio marito si butta nell’esaltazione dell’ Hilda Garde I e del suo nuovo sistema di locomozione. Il resto dell’equipaggio si unisce a lui e divento il più elegante dei soprammobili della stanza.
O almeno è quello che vorrei essere.
Riesco a sentire i loro sussurri.
A vedere i loro sguardi dietro ai ventagli.
Lady Stella ha su di sé gli occhi ammirati di molti nobili, così come la duchessa Mira raccoglie i sorrisi dei cavalieri, ma so benissimo che tante persone sono venute qui anche per vedere la Strega. Vogliono sentire il profumo della donna che ha sottratto il granduca di Lindblum alle nobili famiglie del continente e cercare di capire i segreti delle sue malie. Speravo realmente di poter trascorrere una serata nell’anonimato della nobiltà, ma temo di essermi sbagliata, specie quando incrocio lo sguardo di un paio di fanciulle dai grandi capelli pieni di boccoli e quelle guardano immediatamente da un’altra parte. Chissà, forse si aspettavano una sirena, una succube o qualcosa di molto più fantastico.
Spero di deluderli. Tutti, dal primo all’ultimo. Tutti quelli che mi vedono come una seduttrice aggrappata al braccio di Cid per tenerlo tutto per me senza immaginare neanche per un secondo quanta fatica possa costarmi. Spero che la notizia delle sue avventure romantiche non abbia fatto il giro di Toleno, perché a questo punto preferirei essere temuta come Strega che non derisa come moglie.
Già, forse sarebbe meglio essere davvero una Strega, trasformarli tutti in rospi con parrucche e vestiti di pizzo e ridere di loro finché non è finita la serata.
Una campana pone fine alla prima fase di questa agonia dorata. Le porte del cuore del teatro si aprono, ed i servitori gentilmente ci invitano a prendere posto all’interno. Quelle patelle che si sono avvinghiate a mio marito finalmente lasciano la presa, anche se lui non si accorge affatto di avermi lasciata a prendere la polvere al suo fianco. “Beh, suvvia, cosa stiamo aspettando?”
Spero che lo spettacolo sia all’altezza, o quel liquido speziato mi rimarrà sullo stomaco per tutta la serata.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Must I forget you? Our solemn promise?
Will autumn take the place of spring?
What shall I do? I'm lost without you.
Speak to me once more!

 


“È bravissima, non trovi?”
“Assolutamente”.
Le luci sono puntate sulla figura esile che sale le scale del castello. La sua voce è potentissima, supera persino le note dell’orchestra che fa di tutto pur di rimanere dietro a quei toni che si alzano fino al soffitto e poi scendono su di noi come uno stormo; ho sentito qualche volta delle cantanti liriche, ma nessuna è come Rosette Mirage.
La storia non è poi nulla di così eccezionale, una guerra tra i paesi dell’Est e dell’Ovest con la stessa originalità nei nomi che avevano i libri di favole che leggevo da bambina, e la principessa dell’Ovest costretta a sposare il principe dell’Est pur di porre fine al conflitto nonostante il suo cuore appartenga ad un comandante caduto in battaglia –che tanto si capisce lontano un miglio che non è morto. Cid ha passato il tempo con lo sguardo tra l’orologio da taschino ed il libello, ma quando i violini hanno iniziato un crescendo impetuoso ha sollevato gli occhi e con un cenno mi ha invitato ad ascoltare.
La scena è solo per Rosette.
Non ho idea di come abbiano realizzato il castello della scenografia, ma né vibra né sussulta al suo passaggio. Le luci si spengono in pochi istanti, lasciando che su quel palcoscenico vi sia un unico raggio bianco, il vestito candido della principessa Maria che attira su di sé gli occhi di tutti, trascinandoli fino al mazzo di rose scarlatte che stringe contro il petto. Raggiunge un tono, poi un altro ancora, e appoggio il bicchiere sentendo le vibrazioni della sua voce fin sotto le dita; incatena le parole mentre piange il suo amato Draco e c’è qualcosa che mi spinge a cercare le dita di Cid e stringerle mentre continuo a muovermi per rimanere a galla in quella marea.
Se nel primo atto c’era stato qualche commento dal pubblico, adesso tutti sono persi nella musica; dal palco antistante il nostro vedo l’uomo dallo strano cappello a tricorno incontrato all’ingresso che si è alzato in piedi e si appoggia alla balconata, con le labbra che seguono la canzone senza perdere nemmeno una sillaba. La platea è immobile, gli uomini e le donne nella galleria tacciono.
Temono la mia magia, ma in queste note c’è qualcosa di ancora più grande.
Maria termina la scala e si affaccia su un balcone, mentre le luci si abbassano e sulla scenografia compaiono le due lune. Da dietro una colonna si fa avanti un uomo vestito di chiaro, certamente il fantasma di Draco.
“Vieni, Maria” canta con la sua voce da baritono. “Balla con me”.

“Balla con me”
All’epoca Cid aveva molta meno pancetta, i capelli neri ed i baffi non ancora così belli. “Balla solo con me”.
A tutto avevo pensato, tranne che una festa danzante. Avrei dovuto prevederlo, si era sempre favoleggiato dei balli alla corte del granduca, ma quando Cid mi aveva invitata per festeggiare il diciannovesimo compleanno di sua sorella non avevo previsto un salone più ampio della mia casa arredato a lustro con un’intera orchestra che non sembrava essere intenzionata a smettere di suonare prima della mezzanotte. E mi sarei ritrovata con un abito modesto e degli stivaletti bassi davanti a tutta la nobiltà di Lindblum se non fosse stato per Anya Fabool ed il suo guardaroba infinito. Una persona insopportabile, a detta del fratello. Una persona meravigliosa, sempre a detta del fratello, dopo qualche bicchiere di vino malyon. Grazie al cielo quando mi aveva prestato uno dei suoi vestiti aveva già svuotato il primo giro di bevande, e l’abito bianco con il pizzo azzurro sembrava più tagliato per le mie forme che non per i suoi fianchi abbondanti –ancora adesso mi chiedo come facesse ad entrarci dentro.
“Sei un po’ magrolina, sembri una delle bambole di mia nonna, pare che non mangi da un mese … ma meglio di prima!” mi aveva detto Anya, lanciandomi uno sguardo di approvazione come se avesse confezionato l’abito di persona. “Cid, falla mangiare un po’!”
“Tranquilla, non deperirà …”
I due si erano scambiati un’occhiata complice e lei era uscita dalla stanza in un turbine di trine, lasciandoci soli. L’espressione di Cid mascherava a malapena le sue intenzioni. “Usciamo subito da questa stanza prima che mi venga la malsana idea di chiuderci qui dentro mandando al diavolo la festa. Questo nuovo abito è una terribile tentazione”.
Considerato che le uniche cose scoperte erano il collo ed il viso … “Pensavo che preferisti qualcosa di meno … coprente”.
“Un vestito coprente lascia molto spazio all’immaginazione” aveva risposto con un sogghigno. “E io mi sono sempre considerato un uomo piuttosto fantasioso …”
In effetti era un prospettiva piuttosto allettante, ma alla fine ci ritrovammo nella sala comune accolti da una musica velocissima e con tutti gli invitati impegnati a ballare; il granduca Cid VIII era al braccio della moglie probabilmente da un pezzo, quindi la festa era ufficialmente iniziata senza di noi. Cid non sembrava preoccupato di quel particolare, mentre all’epoca l’idea di tardare davanti al signore di Lindblum mi stringeva lo stomaco come una morsa e mi aveva messo in petto una palpitazione che mi risuonava nelle orecchie. Sarebbe stato il momento migliore per rodermi tutte le unghie –pessima abitudine che le scappatelle di Cid non hanno contribuito a migliorare- e fingermi incredibilmente interessata alla galleria di quadri del granduca, ma Cid mi trascinò fino al centro della stanza portandosi dietro le occhiate di tutti i ballerini. “Balla con me. Balla solo con me”.
Solo in quel momento mi ricordai di non aver mai specificato al mio fidanzato di non saper ballare.
O meglio, un po’ sapevo ballare, ma di certo i festeggiamenti del mio paese con la musica vivace non avevano nulla a che spartire con quelle note fluenti, lente ed intense che spingevano due persone ad avvicinare l’uno al corpo dell’altra in maniera gentile e quasi sensuale. Un tipo di danza che prima di conoscere Cid avrei considerato come minimo noiosa e di cui avrei riso per ore con le amiche sbeffeggiando i nobili e tutti i loro vestiti complicati.
“Non è complicato” mi disse lui, leggendo il dubbio nei miei occhi. “Metti i piedi dove li metto io. Quando ti muovi, fingi di disegnare un quadrato sul pavimento”.
Potrei scrivere un libro su tutte le volte che Cid mi ha detto “non è complicato”.
Iniziò a muoversi stringendomi a lui, ed il suo braccio intorno ai miei fianchi non lasciava altra scelta che non fosse seguirlo e cercare di tenere il passo. Non ero preoccupata di quello che avrebbe pensato la gente di me –un po’ sì, a dire la verità- ma in quel momento ogni muscolo del mio corpo era impegnato a non cadere o calpestargli i piedi.
Il concetto di “quadrato” di Cid sfidava qualunque regola elementare di geometria. Un passo era lungo, un altro più corto, tirava prima in una direzione e poi nell’altra facendomi girare su me stessa e mandando all’aria ogni mio senso dell’equilibrio. Seguiva il tempo delle note, ma quelle non aspettavano certo che i miei piedi tenessero il passo e per i primi dieci minuti fu come inseguire un alito di vento aggrappata a lui. Quando iniziai a capire i movimenti base gli avevo pestato gli stivali almeno quindici volte.
Vicino a noi la festeggiata si muoveva passando da un ballerino all’altro. Per quanto Anya Fabool sembrasse più un barattolo incartato con un vestito azzurro che non una principessa delle favole dovevo ammettere che danzava sui tacchi in maniera eccezionale. Quando ci passò accanto mi fece anche un gesto d’incoraggiamento, ma l’attimo dopo avevo già messo in serio pericolo una mia caviglia quando Cid decise di accelerare con buona pace del ballo lento, sensuale e rilassante.
Nel momento in cui la musica cessò con un’esplosione finale di note ero la donna più felice del mondo. “Se stai per chiedermi un secondo giro … sappi che la risposta è no” ringhiai a Cid, che probabilmente trovò la mia espressione piuttosto divertente.
“Nemmeno un giro al banchetto?”
In effetti l’enorme tavola imbandita nella stanza attigua aveva attirato il mio interesse molto più di tutta la serata danzante, e questo esercizio fisico non programmato aveva risvegliato il mio stomaco. Anche da quella distanza l’arcobaleno di colori sui piatti e nei bicchieri esercitava un notevole fascino. “Tu sai che rimarrò ancorata a quel tavolo fino alla fine della serata, vero?”
“Tanto a me interessa il dopo serata …”
La cena era composta da tanti assaggi già preparati dai camerieri. Consommé di pollo, decine di tipi di insalate, carne e pesce assolutamente a mia scelta, formaggi ed un tavolo dedicato soltanto ad una cascata di frutta ed almeno dodici scelte di dolci. Tra un boccone ed un altro Cid mi suggerì di tenere un po’ di spazio per qualche altra portata che sarebbe stata servita in seguito, ma non potevo fare a meno di assaggiare un po’ di tutto. Ogni piatto sembrava più invitante del precedente, e tutte le bevande colorate imponevano di essere provate almeno una volta.
“Almeno la ragazza dell’anno scorso aveva un po’ più di decoro a tavola. Questa qui sembra che non mangi da un mese …”
Le parole dette alle mie spalle bloccarono a metà il pasticcio d’anatra che avevo appena inghiottito con piacere. Il granduca stava parlando con Cid, e come avevo immaginato il suo nobile sguardo di disapprovazione era proprio su di me. Se oggi qualcuno mi facesse un’osservazione simile risponderei a tono ingoiando una fetta di torta intera e lanciando un bello sguardo di sfida, ma in quel momento mi limitai a ingerire lentamente quello che avevo iniziato e sperare che il pavimento mi facesse sprofondare. Il granduca assomigliava davvero molto a Cid, ma era più alto e gli occhi molto più infossati. “Suppongo che io e tua madre non avremo mai l’onore di vederti con la stessa ragazza per più di tre mesi consecutivi …”
“Vi dico che dovete smettere di preoccuparvi” disse lui, quasi frapponendosi tra me ed il fulmine che stava per materializzarsi dalle pupille dei suoi genitori. “Hilda è la migliore”.
“Cid, posso chiederti una rapida stima delle volte in cui hai ripetuto questa frase?” sospirò la granduchessa, una donna che in circostanze normali avrei trovato regale e bellissima ma che adesso mi ricordava solo un avvoltoio ingioiellato appollaiato sulla spalla del marito. “Perché non sei rimasto con … come si chiamava … Abèle?”
“Adele, mamma …”
“Insomma, era una tanto brava ragazza. Intelligente, studiosa, lei sì che ti avrebbe messo la testa a posto. O quell’Alyna, cosa aveva che non andava?”
“Assolutamente nulla. Ma Hilda è la migliore”.
Ci sono delle situazioni in cui una persona capisce di essere di troppo. Bene, mi trovavo esattamente in una di quelle. Cid era stato molto gentile a difendermi, ma l’improvviso bisogno di una boccata d’aria non era legato né al cibo né al ballo improvvisato; mi aveva avvisato che sarebbe stato difficile avere un buon impatto con i suoi genitori, ma non erano solo le loro occhiate a disturbarmi. Era un po’ … un po’ tutto.
Sapevo benissimo di non essere stata la sua prima fidanzata. Ci sarebbe mancato altro, e del resto nemmeno io ero esattamente priva di esperienze il giorno in cui ci siamo conosciuti. Ma abbiamo sempre avuto il tatto di non parlare troppo dei nostri precedenti, proprio perché il confronto ci rende deboli, mette invariabilmente a nudo i nostri difetti, anche quelli più piccoli che si danno per scontati nella vita di due persone innamorate; quello spettro, unito alla sensazione di non essere gradita in quel momento, mi faceva rodere il fegato tanto che avrei usato volentieri la granduchessa come prima prova per alcune erbe che mi ero fatta spedire da Alexandria. Mi avevano garantito che in quantità eccessiva avrebbero potuto produrre orticaria e spiacevoli effetti intestinali …
“Qualunque cosa tu stia pensando, sappi che hai la mia approvazione. Come in tante altre cose, del resto!”
Anya stava ondeggiando sui tacchi, appoggiata alla ringhiera del balcone. Feci per sorreggerla, ma mi allontanò con un cenno della mano. Non c’era una parte del viso che non fosse color rosso acceso, e per un istante fui tentata di chiamare qualcuno.
“Tranquilla, se pensi che non sia in grado di reggermi in piedi vuol dire che non mi hai mai vista quando sono davvero ubriaca, e sono contenta che la ramanzina di stasera sia toccata a Cid e non a me! E che diamine, non si può nemmeno bere un po’ il giorno del proprio compleanno!”
Avrei voluto spiegarle che tra bere un po’ e bere come una spugna c’era una lieve differenza, ma sicuramente non mi avrebbe ascoltato; i suoi capelli biondi, così diversi da quelli del fratello, avevano perso l’elaborata acconciatura dell’inizio della festa e si erano ridotti ad un’unica treccia da cui uscivano dei capelli disordinati come piccole nuvole. Non era affatto una bella ragazza.
“Non c’è niente di peggio di una futura suocera, a parte una futura suocera che avrebbe voluto un’altra nuora!”
“Dubito che diventeremo parenti …” sospirai, più rivolta a me stessa che non alla figura alla mia sinistra. Non avevo mai creduto a quelle storie dove la ragazza umile riusciva a sposare un bel principe perché la forza dell’amore poteva vincere qualunque diversità –ancora mi chiedo perché le favole riempiano la testa delle bambine con certe idiozie così lontane dalla realtà- ma ero piuttosto infuriata anche con me stessa per non aver pensato a questa spiacevole eventualità. Quando Cid mi aveva invitata alla festa di compleanno di sua sorella avevo dipinto nella mia testa uno scenario che si era rivelato sbagliato. “Immagino di trovarmi qui solo di passaggio”.
“Io invece non credo”.
Mi fece cenno di aspettare, e trotterellò di nuovo verso il salone con la sua andatura sgraziata. Ne emerse dopo qualche minuto ancora più sorridente di prima e con due calici colmi di un liquido spumeggiante. “Io e Cid abbiamo una filosofia” disse, passandomene uno. “Non puoi sapere a priori ciò che è meglio per te. Come posso trovare un marito senza aver prima fatto un’accurata selezione? Mi piacciono i ragazzi, e mi piacciono di più quando sono alti, con le spalle larghe e un bel sedere, e se non vogliono stare con me perché peso quasi quanto la regina Brahne … beh, non sanno che si perdono!”
Trangugiò il suo bicchiere tutto d’un fiato e si batté una mano sui fianchi a mostrarmi il fisico. La battuta non era nemmeno delle più simpatiche, ma il suo sorriso mi catalizzava; avevo trovato la cosa che aveva in comune con Cid.
“Tu sei diversa” mi disse, passando ad un tono di voce serio con uno schiocco di dita. “Lo vedo da come ti guarda. E non te lo dico per consolarti, perché non me ne importerebbe assolutamente nulla …”
“E se invece non fosse così? Se volesse ancora …”
“Fidati, lui ha già scelto. E ha scelto te” proclamò puntando io dito. “E se continuasse a comportarsi da cretino non lesinargli un paio di calci nel sedere, ed in quel momento dovrai chiamarmi perché ho ancora da dargli qualche arretrato!”
Non avrei mai pensato che quella ragazza così lontana da me sarebbe diventata il mio primo alleato; il giorno che la sua aereonave esplose, nemmeno un anno dopo il mio matrimonio, fui l’unica a portare una bottiglia di malyon sulla sua tomba.

Gli applausi invadono il teatro come una cascata. Mi risveglio dall’incantesimo ed applaudo insieme a loro quando le rose di Maria cadono dal castello e le luci si abbassano; l’orchestra ha un ultimo guizzo, poi le note svaniscono segnando la fine del terzo atto. Le ultime file della platea si alzano e chiamano a gran voce il nome di Rosette sperando in un bis, ma non credo che la cantante comparirà sul palco prima dell’inizio del quarto atto che non inizierà prima di una quindicina di minuti. Con ancora la voce della donna dentro la mente osservo alcune persone che si allontanano per prendere una boccata d’aria, anche se in questo momento sento che potrei respirare anche sott’acqua.
Mio marito abbandona il suo posto. “Una rapida incursione al bagno prima del finale!”
Annuisco, poi appoggio la testa sul velluto porpora del mio sedile; cerco di non immergermi una seconda volta nei miei pensieri mentre respiro a pieni polmoni ciò che resta di quella stupenda aria di mezzo carattere.

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Ok, qua è stato terribilmente impossibile resistere al fascino di una delle scene più originali di tutti i FF e fare un piccolo omaggio al mitico "Draco e Maria" e alla mitica "Aria di Mezzo Carattere", di cui hanno creato fantastiliardi di remake musicali ma il migliore rimane ancora l'originale, quello per GBA, che con dei miseri bit ha consacrato Nobuo Uematsu (oddio, in realtà tutto il VI sembra costruito sulle sue musiche). Posto la scena del teatro dell'opera (https://www.youtube.com/watch?v=4zgrR7-iZbI) nella sua versione integrale, anche se la scena che ho descritto nella fanfic inizia al minuto 4.41.
Da notare che il tema di Aerith è stato "vagamente" copiato dall'Aria di Mizzo Carattere (o tema di Cèles) che parte proprio al 4.41.
Ma perché non fanno un remake del VI per ps3?

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


We must part now, my life will go on.
But my heart won't give you up.
Ere I walk away, let me hear you say
I meant as much to you....



Spero che un giorno Cid si decida ad imporre ai suoi marinai di non bere durante le missioni. A giudicare da quanto facilmente crolla sulla poltrona oserei dire che Erin non sarà in grado di distinguere la destra dalla sinistra se non dopo una dormita di qualche giorno, e l’occhio di un pesce esposto al mercato di Ka’atur è sicuramente più vispo delle iridi velate di rosso di Mako.
Dovrò ubriacarmi anche io per trovare il coraggio di salire a bordo di una nave guidata da questi due, ma la bevanda a base di naj ha bisogno di una modifica o due.
La cosa bella di trovarsi su un palco è il poter sfuggire alla folla e lasciarla ciarlare sotto i propri piedi. Estraggo con calma il contenitore delle erbe e scelgo di cui ho bisogno. L’artemisia mi tenta, ma i suoi grani rossi mi terranno sveglia e nervosa per le prossime notti, quindi mi limito ad una manciata di polvere di dionea. La bevanda passa ad una tonalità azzurra più invitante di prima, e quando porto il bicchiere alle labbra mi basta il contatto di qualche goccia sul palato per rilassarmi.
Nell’intervallo l’orchestra non si ferma neppure per un istante, riempiendo la sala con delle note basse e delicate che velano il brusio generale; affondo le spalle nello schienale, piena della sensazione di annegare tra le nuvole con una nenia deliziosa. Il ricordo di Anya sfuma, allontanato dal pensiero che se Cid fosse qui appoggerei la testa contro il suo petto e rimarrei così ad ascoltare il canto di Draco e Maria anche per tutta la vita. E gli direi anche che lo amo, e che dovremmo andare al teatro dell’opera anche una volta al mese, e che sono stata una sciocca a non aver mai preso lezioni di ballo. L’abito di Rosette non mi starebbe affatto male. Ho sempre trovato il bianco un colore fantastico, e sono sicura che anche Cid approverebbe un walzer con …
Un pizzico, fastidioso come un ago, invade il retro della mia mente.
Esco subito dalla nube di sogni e scuoto la testa per cacciare l’intrusione. Ciò che resta della bevanda cade a terra. Erin e Mako vengono nella mia direzione, ma prima che l’effetto della dionea svanisca mi alzo in piedi alla ricerca della fonte di quell’intrusione.
“Tutto a posto, granduchessa?” chiede Mako mentre fa svanire i frammenti del bicchiere nella sua enorme mano. “Si è addormentata ed ha avuto un brutto sogno?”
Sarebbe bello se fosse un sogno. Ma conosco la dionea. Conosco i suoi sogni ad occhi aperti, e quel pizzico non era un sogno. Era così dannatamente reale che ancora pulsa al centro della testa, qualcosa più vicino alla magia che alle mie erbe, ma dubito che questo particolare possa interessare ad un marinaio superstizioso.
“Sì, scusatemi …” mormoro “… soltanto un brutto sogno”.
La platea è tranquilla, quasi vuota. Un uomo e una donna stanno approfittando di quell’attimo di quiete per scambiarsi qualche affetto, ma a parte loro ed una manciata di signore anziane non c’è nulla fuori posto né alcuna persona sospetta. Persino lo strano uomo dai capelli argentati ed il cappello a tricorno non c’è, il suo palco impeccabile nel silenzio gentile della salone. La clessidra indica che mancano oltre quindici minuti all’inizio del prossimo atto.
Un secondo pizzico, sempre nello stesso punto. E capisco che non mi sono sbagliata.
Magia. Qualcuno sta usando la magia.
Sono passate ere geologiche dall’ultima volta che ho percepito in maniera così precisa la creazione di un incantesimo, e mai in modo tanto acuto, pungente. Il ricordo del tocco dei piccoli incantesimi di mio padre era diverso, come un alito di vento mentre mi mostrava come estrarre il potere dai petali di artemisia; una sensazione che nessuno intorno a noi riusciva a percepire, un segno che soltanto nelle nostre vene scorrevano frammenti di magia. L’uso di un incantesimo risuona in coloro che riescono a sentirlo, come un suono speciale che solo alcune persone possono udire. Ed il terzo pizzico che mi raggiunge al centro del cervello è la prova che non mi sto sbagliando. E che qualunque incantamento sia in corso non è qualcuno che sta preparando una semplice pozione. “Erin … Mako … andiamocene subito da qui”.
“Granduchessa, non si sente bene? Se vuole andiamo a prenderle …”
“No. Recuperiamo Cid e usciamo immediatamente”.
Non c’è bisogno di una sfera di cristallo per capire che si stanno chiedendo chi tra noi sia davvero ubriaco. Ma grazie al cielo sono una granduchessa, ed anche una granduchessa piuttosto capricciosa, scorbutica e potenzialmente pericolosa; Erin lancia uno sguardo triste al calice ancora mezzo pieno, poi scivola al mio fianco mentre il suo compagno chiude la fila.
I bagni sembrano più lontani di quanto avessi pensato.
Cid … quanto ci stai mettendo?
Il pizzico riprende, e stavolta è più simile ad una mano che preme. Stringe e rilascia, e ad ogni colpo tutto il sangue risponde espandendosi nelle vene fino alla punta dei piedi. Non è doloroso, ma qualunque cosa sia non cerca di nascondersi. La magia si muove, mentre la sensazione aumenta ad ogni passo, precisa e costante. Come il battito di un cuore.
L’ala dedicata al bagno degli uomini ci appare alla sinistra. Mako entra senza troppi complimenti ed io mi fingo interessata ad un quadro che rappresenta una scena di caccia ad un animale di cui non saprei dire nemmeno a quale specie appartenga. Un paio di uomini escono e mi lanciano un’occhiata, ma per quel che mi riguarda possono anche sprofondare all’inferno. Voglio solo vedere Cid.
Mako esce, e non mi sfugge lo sguardo rapido che scambia con Erin prima di rivolgermi la parola. “Il granduca non è qui, altezza”.
“Come sarebbe a dire che non c’è? Abbiamo percorso l’unica strada da qui al palco e non lo abbiamo incontrato” rispondo, e come per istinto la mia mano corre alla borsetta alla ricerca della familiare forma rotonda della sfera di cristallo. Potrebbe essere da qualsiasi parte, a conversare con chissà quale nobile o al buffet, ma la sensazione di quella magia in atto inizia a scivolare fino allo stomaco e non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo; è una sorpresa ed anche un certo fastidio quando Erin trattiene con gentilezza la mia mano. “Altezza, non si preoccupi. Lei inizi ad uscire con Mako e cercherò io il granduca”.
“Non se ne parla”.
Qualunque cosa stia succedendo, io devo stare con lui. Lui si fida di me. Il battito dentro la mia testa segue il suo ritmo. “Non vado da nessuna parte senza mio marito”.
“Non ho idea di cosa stia succedendo, ma se ci fosse un pericolo il granduca vorrebbe saperla in salvo”.
Continua a guardare la borsetta, evitando il mio sguardo. Ed in quel momento mi accorgo che anche Mako sta facendo altrettanto.
“Erin … tu sai dove si trova Cid, vero?”
Altri occhi verso la borsetta, seguito da uno sguardo profondo, fisso e freddo verso il pavimento. Il lampo che mi attraversa la mente mi fa dimenticare in un attimo del perché ci troviamo in questa situazione e tutto il corridoio, i quadri, le statue ed il mondo iniziano a girare al ritmo della magia; il mio desiderio di poter evocare una palla di fuoco si sta facendo più forte che mai. “Non obbligarmi a chiedertelo una seconda volta”.
Entrambi fanno un passo indietro; forse è solo un’impressione, ma la magia esplosiva rimbomba nella mia stessa voce, come il suono di un tamburo rimasto troppo a lungo silenzioso dentro una gola. Assaggio il loro timore, e per un istante mi sembra di sentirlo bruciare contro il mio palato, una cosa viva con un odore acre che mi arriva fin dentro le narici; la sensazione dura il tempo della frase, ma per quei pochi istanti li ho … sentiti. In qualche modo so, respiro che non riescono a percepire il potere in atto, ma i loro visi rivelano solo la paura della Strega a cui ora devo attingere a piene mani. “I-il granduca probabilmente … p-probabilmente … se non è nel bagno degli uomini …” biascica Erin, e per una volta non sta parlando sotto l’effetto dell’alcol. “D-deve essere andato in –in quello delle donne. Ma altezza, la prego di …”
Svolto l’angolo ed il corridoio inghiotte la sua voce. Se non sono troppo idioti –ho sempre dubitato dell’intelligenza di Mako, ma Erin è una donna e dovrebbe avere una certa sensibilità- non mi seguiranno. E se lo facessero potrei non rispondere di me stessa, soprattutto quando con me ho qualcosa di molto più utile di una sfera di cristallo che in questo momento sfracellerei contro un muro per la collera. Al diavolo la magia.
Al diavolo tutto ciò che esiste e respira in questo maledetto teatro. Potrei sbagliarmi, ma purtroppo su certi argomenti non sbaglio mai.
Dal bagno delle donne non esce nessuno. Anzi, il silenzio quasi innaturale e l’assenza del classico chiacchiericcio mi circondano; entro accompagnata dalle luci soffuse. Per un attimo rimango sulla soglia, fissando le pareti piastrellate di azzurro sperando di non trovare quello che temo. Ma da una porta, l’ultima sulla mia sinistra, vengono dei rumori di respiri mozzi e mani che premono sulla porta. Le parole sono interrotte da baci, sospiri e poi ancora baci, una sequenza che conosco e che amo.
Mi levo le scarpe e mi avvicino, anche se forse le due persone non si accorgerebbero comunque dei miei passi; voglio sentire e sapere, zittire quel campanello d’allarme che si sta trasformando in un’orchestra sinfonica ad ogni passo ed illudermi che il respiro che sento oltre la porta di legno intarsiato non sia quello della persona che ho giurato di amare contro qualunque logica.
“Cid …” ansima la voce di donna, la stessa voce che per un’ora ha fatto palpitare il mio cuore sotto le luci del teatro, la stessa che avrei fatto di tutto per udire una seconda volta. “… devo tornare in scena … non posso …”
“Cinque minuti di ritardo non uccideranno nessuno dei tuoi ammiratori. In compenso … faranno molto felice me”.
Il porco.
Il grandissimo figlio di puttana.
Il solo pensiero che quei due bastardi dei suoi marinai sapessero tutto mi fa pulsare il cuore nelle orecchie, ma non basta a coprire le loro voci che si fanno lentamente più forti fino a sovrastare anche i miei pensieri. Voglio piangere.
E piango.
“Sei sicuro che tua moglie non sospetti nulla?” mormora Rosette, e dal minuscolo spiraglio al di sotto della porta riesco a vedere due piedi scalzi che si sollevano sulle punte per cercare le labbra di Cid. Le trova, perché prima di parlare una terza volta il suo respiro viene catturato da un bacio. Il battito della magia adesso è un temporale dal ritmo martellante. “Ho sentito dire che è una …”
“Dobbiamo proprio parlare di lei adesso, usignolo?”
No. Suppongo di no.
Il pavimento è freddo e umido. Non so come vi sono finite, ma le piastrelle giocano con le mie dita, così vicine che mi osservo del riflesso di marmo su cui cade prima una lacrima, poi un’altra. Non ce la faccio. Non di nuovo, almeno. Cid le mormora ancora qualcosa, ma dentro di me ripete che sono la migliore, che sono diversa da Adele, Alyna e tutte le altre, che mi ama, mi ama e mi ama mille volte. Mi dice di aver sbagliato, di essere un debole e un idiota. Il volto che si specchia sul pavimento lucido ha gli occhi rossi e si morde il labbro nel tentativo di soffocare il pianto disperato che non ha mai cercato di contenere al suono di tutte quelle bugie che ridono e danzano nella sua mente insieme alla magia che detta il ritmo nel loro movimento sfrenato. Le menzogne risalgono come le pagine di un libro antico e si staccano dal corpo, seguendo il vento, ed io sono stanca, stanca, stanca di amarlo. Gli incantesimi nell’aria battono nel mio cuore e profumano di rosa selvatica.
Chiedono di essere presi. Ed usati.
Vorrei incenerirli. O anche trasformarli in statue di ghiaccio, tutti e due o soltanto il porco. La magia che ormai posso persino respirare chiede di uscire, è affamata, stanca e furiosa; coglierla sarebbe una tentazione troppo grande, chiunque stia usando tutto questo potere nemmeno si accorgerebbe dei frammenti incantati che mi servirebbero per creare una piccola sfera infuocata e cancellare il bastardo e quella puttana della sua cantante dalla faccia di Toleno. Ed usare una magia vera … anche solo per una volta …
La fiamma guizza tra le mie dita e svanisce. Non l’ho immaginata. Il bagliore rosso ancora si riflette sui palmi mentre l’aria si riempie di tepore. Cid e quella donna continuano la loro “canzone”, ed ogni loro suono alimenta di nuovo il fuoco; l’incantesimo ritorna in vita senza che io abbia pronunciato alcuna formula o lanciato delle polveri, semplicemente c’è e qualcosa tintinna in ogni angolo del mio corpo per questo nuovo potere. Non brucia. La fiamma si sparge intorno al polso, lo muovo in aria ma lo segue meglio di un guanto a destra e a sinistra, non abbandona la mano e la avviluppa, come se attendesse un comando. Questa è magia.
È bella e spaventosa come una sirena dalla voce soave, in attesa che i marinai cedano al suo potere. Ed è impossibile resisterle.
Una scintilla salta, poi un’altra ancora; guizzano dalla mia mano fin davanti agli occhi e rispondono. Quello che fino ad un istante fa avevo soltanto osato immaginare prende vita e mi accetta, si plasma fino a sembrare un piccolo nucleo cremisi che brucia proprio davanti a me e chiede di essere usato. Respiro e si ingrandisce ancora un po’, regalandomi una tensione alla base della schiena come se tutto il corpo sia proiettato verso l’incantesimo che non vedo l’ora di scagliare per trasformare quei due infami in mucchietti cenere da riversare nel gabinetto per poi attivare lo sciacquone. Sono la corda di un arco in attesa di lanciare morte.
Ma ho fatto una promessa.
E questa si illumina di rosso intorno al mio dito, quella sottile fascia d’oro che adesso è una lingua di fuoco che lo circonda senza emettere alcun calore; l’incantesimo si specchia nell’anello su cui ho giurato amore, e questo brilla sopra qualsiasi scintilla. L’arco si allenta, e prima che io possa formulare anche un solo pensiero decente il globo di fiamme sparisce proprio come è comparso; la magia è ancora nell’aria e detta il battito, ma stringo le dita, cerco la forza e questa non viene. Non viene, non ascolta. Si sente quasi tradita, ma io non posso tradire me stessa. Perché non sono lui.
Ed ho fatto una seconda promessa, proprio quando ho capito che piangere e gridare non ha portato alcun frutto che altri tradimenti; non serviranno oggi, non serviranno mai. Forse nemmeno una palla di fuoco. Vorrei avere un’altra scelta, ma tornare sul palco e sorridere come se niente fosse è qualcosa che non ho intenzione di fare.
La polvere di ghen è molto sensibile al calore. Quando apro il contenitore di cuoio l’aroma mi punge le narici e trattengo il respiro senza pensarci due volte, conoscendo le conseguenze; il minerale azzurro scintilla come una pietra preziosa, imbevuto della magia che sta saturando del tutto anche questo posto. Dieci gocce di estratto di romice cadono nel sacchetto, e non ho ancora terminato di richiudere la fiala che il ghen emana un odore fortissimo in un rivolo di fumo bluastro che si alza dal sacchetto e diffonde nell’area del bagno. Basta un tocco della mia debole magia per innescare la reazione finale: il composto ormai vaporizzato risponde allo stimolo e reagisce cambiando colore fino ad una tinta violacea che sale fino al soffitto e si adagia sopra la mia testa. Non devo respirare. Nemmeno se …
L’anello che Cid mi mise al dito il giorno del nostro matrimonio non risplende, ma pesa come se tutta la reggia di Lindblum vi fosse attaccata. Potrei appoggiarlo davanti alla porta di quel bagno, sicura che Cid lo riconoscerà –sempre che sia riuscito a capire come spostarsi con le quattro esili zampette di uno scaraburi- e capirà che la donna che ha sposato è una persona che mantiene le sue promesse … ma è meglio di no. Questo anello serve anche a me.
“Sei un grandissimo bastardo, Cid”.
Spero solo che nessuna donna abbia la malsana idea di entrare in questo bagno per i prossimi dieci minuti.
No, a dire la verità non lo spero affatto. Vedere qualche principessina ribaltarsi con l’esoscheletro di uno scaraburi sarebbe divertente, e mi dispiace solo non poter osservare la faccia dell’impresario e di tutti quei nobili profumati quando la loro adorata Rosette Mirage canterà una nuova aria di mezzo carattere con la sua sensuale voce da insetto che deve essere piaciuta davvero tanto a Cid. Non ho intenzione di rimanere in questo maledetto teatro un istante di più.
Erin e Mako sono ancora dove li avevo lasciati, gli occhi molto intenti a fissare la punta delle proprie scarpe. Deve esserci qualcosa di davvero molto interessante. “Se non siete amanti di pranzi a base di zanzare e moscerini vi consiglio di non correre subito dal vostro prezioso granduca” suggerisco passando davanti a loro col passo più veloce che mi consente l’abito da sera, ed i due mi scansano come se potessi sputare fuoco da un istante all’altro senza sapere quanto ci sono andati vicino. “E se uno di voi prova anche solo a seguirmi si troverà a gracidare sul fondo dello stagno della regina Brahne, intesi?”
Come se in fondo me ne importasse qualcosa …
Quando raggiungo l’uscita del teatro l’aria fresca mi riempie i polmoni. È notte fonda, ma le luci della città della musica fanno a gara con le stelle disegnando un firmamento artificiale davanti ai miei occhi, lo stesso che stava soltanto prendendo vita quando sono entrata in questo edificio al braccio dell’uomo che pensavo di amare. È bello respirare. Mi sembra di sentire accanto il respiro pesante di Anya Fabool ed il suo aroma di malyon.
Immagino sarebbe stata d’accordo con me. Cerco di fare ordine nella testa, ma l’immagine di Cid martella nella mia testa al ritmo della magia.
La magia …
Cancello con violenza tutti gli altri pensieri. La rete di incantesimi che ha causato tutto questo è ancora nell’aria, e scivola ormai per ogni strada di Toleno diventando sempre più forte ed affamata, un’ondata invisibile di cui nessuno oltre me sembra rendersi conto. Non sembra qualcosa di distruttivo, ma adesso, fuori dal teatro, sprigiona tutta la sua potenza in una forma che non ho mai visto. E, realizzo subito dopo con orrore, il fulcro della magia è a pochi passi da qui, al molo delle aereonavi. Più esattamente a bordo dell’Hilda Garde I.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Contrappunto, toccata e fuga -parte 4-
 

So gently, you touched my heart.
I will be forever yours.
Come what may, I won't age a day,
I'll wait for you, always...


 



L’Hilda Garde I è la prima aereonave a muoversi senza la Nebbia, il vanto dell’ingegneria di Lindblum e il più grande orgoglio di Cid. Maggiore di me, poco ma sicuro. Mi accoglie con tutta la maestosità della sua struttura, addormentata come un mostro in attesa di essere risvegliato. La sua lucida chiglia di legno e metallo scintilla alla luce delle lune. È un incrociatore progettato per dei viaggi, non per la battaglia, ed è svelta a reagire a qualsiasi movimento delle vele-luce e all’allargamento ed al restringimento dei tubi radianti. Le sue tre vele –due dirette in basso ed una lungo la poppa- sono larghe e diritte, leggermente accostate ai fianchi per permetterne l’attracco al molo; possono aprirsi come le pinne del leggendario Leviatano, ma adesso tutto riposa in lei. È una dama capricciosa, una a cui piace sentirsi addosso gli occhi degli uomini. Cid e Zebolt, il suo ingegnere capo, l’hanno riempita di attenzioni, crescendola soltanto con il loro sguardo languido e le carezze sensuali sullo scafo. Sono stati tutti incantati dal suo cuore, un motore che ingerisce vapore bollente e lo rilascia come un flusso di baci, non certo quei vecchi congegni basati sulla Nebbia che l’avrebbero resa sgraziata ed antica, forse persino volgarotta. È giovane, e le piace volare. Il suo cuore batte così forte da superare l’atmosfera densa intorno al Continente della Nebbia, quella stessa aria contro cui le altre aereonavi si trovano bloccate perché la potenza sprigionata dalle loro unità motrici è insufficiente a vincere quella massa compressa che si forma a meno di cento miglia dalle coste di tutto il continente. I più superstiziosi –ovviamente- credono che sia stata la magia a creare la barriera della Nebbia, ma non vi è nessun incantamento nelle acque e nell’aria, tanto che una volta ho persino accompagnato mio marito in un volo di ricognizione per aiutarlo a scoprire l’origine di questo misterioso muro impalpabile che sembra bloccare qualunque tentativo di fuggire da questo piccolo, bellicoso continente. All’epoca la mia risposta negativa lo fece sorridere di gioia, come se non aspettasse altro che una prova, un segno che si trattasse di un ostacolo naturale, e dunque qualcosa che la sua mente orologiaia di scienziato potesse superare.
E quando la bellissima Hilda Garde I aveva oltrepassato il manto di Nebbia per la prima volta, con i motori al massimo della potenza, aveva sorriso in un modo che credevo avesse dimenticato, un arcobaleno di gioia, infanzia ed amore che pensavo i progetti di quella nave gli avessero risucchiato per sempre. Il cielo aveva un colore fantastico, riempito del profumo del mare e dei vestiti di Cid.
Adesso invece l’aria è satura.
Se non conoscessi l’aereonave potrei pensare ad una perdita dei motori a Nebbia. La quantità di magia è impressionante, e permea le pareti in legno e ferro battuto agitandosi come se fosse viva. E sicuramente c’è qualcosa di vivo e furioso qui dentro, qualcosa che batte con un ritmo proprio e che non era con noi a bordo nel viaggio d’andata; è un rumore che a tratti sembra un grido. Se non fossi certa che i motori siano spenti potrei giurare di sentirli rimbombare dalle profondità dell’ultima plancia e vibrare come se fossero pronti a salpare. Dei tanti misteri di questa dama, non mi è chiaro come possa essere pilotata da pochissimi uomini –tra cui gente come Erin e Mako; condivide i propri segreti soltanto con il suo amante.
Mi basta pensare a Cid per sentire la magia sollevarsi come una marea nella disperata ricerca di qualcosa su cui abbattersi.
Salgo le scale. Non per qualche motivo preciso, ma perché sento. Attraverso le enormi porte in legno massiccio una dopo l’altra, lanciando sguardi a quei compartimenti vuoti ed alle cabine lasciate a metà. Qualunque cosa sia all’opera è sul punto di esplodere. Sembra un vortice. È come sentire centinaia di fili intrecciati muoversi e tirare, simili ad una bufera di vento in un luogo dove fino a quell’istante non è mai passato nemmeno un sospiro d’aria. Non vuole distruggere, vuole cercare. Scivola lungo le pareti ed i gradini delle scale, tocca le porte, esce ed entra, sposta le mappe, guarda, domanda, trova.
Poi mi tocca.
Quando la respiro inizia a bruciare. Mi colpisce ai polmoni, una zampata infuocata. Non è sangue quello che mi risale in gola, forse lo è, o forse è un dolore privo di forma. Tocca il mio corpo dall’interno verso l’esterno, scivolando lungo la pelle e poi tornando indietro nella sua corsa senza meta. Mi ritrovo a terra, spinta da quella forza, con le mani al petto per fermare quella bestia che ruggisce. L’aria diventa energia.
Qualcuno urla. La voce di un ragazzo.
Qualcosa lo sta lacerando all’interno. Vuole scappare.
Brucia. Grido mentre la mia magia si muove da sola per difendermi dall’intrusione, ma quell’ondata di dolore la travolge mentre fugge da me, esce dalla bocca e dalle narici priva di alcuna forma. Un panico che non mi appartiene mi preme alla base della gola, e quando scompare … il pavimento mi stringe a sé, cercando di rallentare il mio cuore lanciato in una corsa forsennata.
Qualunque cosa sia, quell’energia si allontana; la sento scivolare nei settori inferiori, ma in questo momento non posso che essere grata che se ne sia andata. Le immagini e le voci che mi avevano invasa iniziano a svanire, e quando cerco di afferrarle per capire cosa sia successo diventano impalpabili come l’aria, lasciando posto soltanto al viso di Cid che scaccio scuotendo la testa. Qualcuno mi ha investito con la sua magia, ma non ha nulla del contatto di mio padre o dei pochissimi incantatori che io abbia mai incontrato; c’era qualcosa di selvaggio in quel potere, qualcosa di furioso e triste allo stesso tempo. Per un attimo mi sfiora l’idea che non si tratti di un essere umano. “Cosa diamine sei …?”
Adesso tornare indietro sembra molto più allettante. Nei bagni del teatro ho avuto per un attimo una porzione di quel potere soltanto per me, e stavo per dar forma ad un incantesimo che non mi apparteneva. Ho bevuto un sorso di quella forza, ma ancora non riesco ad immaginare cosa possa esserne la matrice. Le storie di draghi, lich ed eidolon adesso mi si parano davanti agli occhi come le illustrazioni sulle pagine di un libro sfogliato troppo rapidamente, anche se dal ponte superiore non giunge nemmeno un suono; e non sono sicura se questo sia un bene o un male. La magia mi ha risparmiata, ma potrebbe tornare indietro se disturbassi colui che la genera: un pensiero che solleva le mie gambe e mi rimette in piedi indirizzando la punta dei sandali verso le scale che portano al livello inferiore e poi all’uscita. In fondo potrei davvero avvisare le guardie e tornare con qualcuno che sappia maneggiare una spada meglio di me.
Sempre che una spada possa fare la differenza. O due, o tre, o dieci.
Ammesso che credano alle parole di una strega pazza che ha appena trasformato il proprio marito in un vecchio e grasso scaraburi e non la rinchiudano da qualche parte in attesa di rimandarla a Lindblum. In caso riuscissi ad evitare un processo –suppongo si parli persino di lesa maestà, per quanto non ci sia nessuna lesione e certamente nessuna maestà- immagino verrei controllata a vista dalle guardie in attesa che prepari un antidoto che faccia tornare il porco come prima. La naturale conseguenza delle mie azioni.
Un qualunque mostro sarebbe preferibile. Almeno mi incenerirebbe senza alcuna ipocrisia.
Devo essere un’idiota, una vera idiota se invece di uscire volto le spalle ai livelli inferiori e salgo, diretta fino al ponte di comando. Cerco davvero di mascherare il tutto con un po’ di sana curiosità, ma sono abbastanza lucida da sapere che è soltanto l’ennesima stupidaggine di cui probabilmente ne pagherò le conseguenze nel modo più doloroso possibile. Eppure il suono dei gradini riesce a darmi forza, molta più delle voci che adesso si sentono in modo distinto dal teatro, dagli allarmi e dai carri delle guardie che attraversano i giardini per capire come sia possibile che la grande cantante della città stia in un bagno a pancia all’aria agitando quattro zampette scarne. Quei rumori diventano una straordinaria cacofonia quando raggiungo il ponte e respiro di nuovo l’aria fresca.
La plancia di comando dell’Hilda Garde I è poco più in alto dei tetti delle case, e la scala da cui sono salita emerge proprio accanto al parapetto, costringendomi a guardare oltre prima ancora di studiare chi o cosa ci sia sul ponte. La notte non riesce ad inghiottire Toleno, e non per colpa delle stelle. Il teatro ducale è illuminato per tutta la sua grandezza, non me ne ero accorta quando sono fuggita: sulle pareti bianche non si distinguono bene le migliaia di lanterne, e l’intero edificio risplende come un faro cancellando tutto ciò che vi sta intorno; persino il suo riflesso sull’acqua arriva fino a me, così come il trambusto. La mia vista non è delle migliori –troppi anni sui testi di botanica, poco ma sicuro- ma anche da questa distanza riesco a vedere la folla multicolore uscire dal teatro in una maniera così poco composta che per un istante vorrei essere lì e vedere il nobilissimo becco di Lady Stella inarcarsi per lo sdegno mentre tutti le calpestano lo strascico mentre scappano, terrorizzati all’idea che la Strega sia ancora lì dentro per trasformarli tutti in scaraburi. E se avessi avuto un otre di romice invece di una stupida fiala non nego che l’idea mi sarebbe piaciuta.
“Uno spettacolo complicato, anche se per una volta il finale non è scritto sul libretto”
Maledizione a me!
Mi sono fatta rapire dalle luci del teatro come un’idiota … Solo la testa ruota verso l’origine della voce, ma gli occhi la seguono più lentamente. L’origine di questa tempesta magica non è un drago –l’unica cosa positiva della serata. E nemmeno un lich, le parole sono scandite con un timbro alto e dolce che non viene dal regno dei morti.
La figura si trova in piedi vicino al timone. Le sue mani non sono appoggiate, ma ne sfiorano con delicatezza la superficie mentre le venature del legno si tingono di un rosso acceso. Non è un ragazzo, ma nemmeno un uomo: la pelle chiara e luminosa è priva di qualsiasi ruga, ma a tratti sembra artificiale, coperta da uno strato di trucco come usano gli uomini di Toleno. Gli occhi sono rivolti nella mia direzione, ma non sembrano contrari alla mia intrusione. Sembrano piuttosto curiosi, con le iridi limpide e di un azzurro chiarissimo che ha qualcosa di inquietante, forse perché i capelli sono dello stesso colore; si muoverebbero al vento se il tricorno nero non li tenesse al posto.
Ho già visto questa persona. Immobile sul palco davanti al mio, incantato dall’aria di mezzo carattere. E anche prima, quando ...
“La granduchessa dal piede pesante! Rovinare così la carriera della fantastica Rosette … soltanto la terribile Strega di Lindblum poteva compiere un atto tanto meschino e crudele. Il mondo oggi ha subito una perdita irrecuperabile!” mormora, e si porta una mano davanti alla bocca come per nascondere una risatina. Peccato che IO non ci trovi proprio nulla di divertente.
“Mi sono limitata a dare una lezione a qualcuno che se la meritava …”
Le sue dita seguono dei movimenti armonici, come se stesse pizzicando le corde di uno strumento. La magia si muove tutta intorno al suo corpo, invisibile ma allo stesso tempo così evidente e forte; si muove come un vortice ordinato che lentamente si dipana fino ad impregnare il ponte, le paratie ed i vetri. La sento di nuovo dentro l’Hilda Garde I, ma stavolta più precisa. La sento che punta al cuore. La sento che mi scivola sulla pelle: non aggressiva come prima, né disperata. Sembra che stia sfiorando del cristallo, e quando il tenue potere che è in me la incontra si trasforma in un tocco fresco, quasi come la prima pioggia della primavera. Se nel frattempo non stesse sprigionando un potere devastante potrei trovare quest’esperienza persino piacevole. “La magia dona una sensibilità straordinaria, non è vero? Persino con quel minuscolo potenziale sei riuscita a …”
“Cosa stai facendo a questa nave?”
C’è qualcosa di ipnotico nel suo potere. Scaccio quel tocco, anche se il mio interlocutore non ne sembra offeso. Continua il suo incantesimo con un sorriso perso nella città. “La sto alzando in volo in assenza di un equipaggio adatto. I vostri marchingegni sono davvero complicati, ho provato a leggerne i manuali e mi è venuto un gran mal di testa! Ho chiesto ad un’amica di aiutarmi a spostarla e mi ha risposto di non essere un mulo, quindi ho dovuto improvvisare.”
“L’Hilda Garde appartiene al governo di Lindblum”.
“Il governo di Lindblum è libero di provare a riprendersela”.
Non ha terminato la frase che sotto di noi i motori si accendono. Il ponte vibra e qualcuno urla dalle parti del molo. Il cuore della nave beve il potere che quest’uomo le ha infuso e risponde con un rumore forte e deciso, di quelli che farebbero impazzire Cid. La potenza del vapore gioisce all’incontro di questa magia senza limiti che viene incatenata al timone con un unico, elegante gesto. “Se il tuo amato governo non ha la forza di combattere per ciò che è suo, allora questa nave in fondo non gli è mai appartenuta”.
“Non si può ottenere ciò che si vuole con la forza”.
Mi sorride come se fossi una bambina piccola. È irritante almeno quanto è pericoloso. Per un istante un velo scuro, quasi di tristezza gli attraversa lo sguardo, ma lo nasconde con un rapido movimento del capo, quasi come un attore a cui stia per scivolare una maschera: istintivamente faccio un passo indietro. “Mi aspettavo una battuta migliore dalla persona che ha animato questa notte! Nemmeno Marcus userebbe una frase così ipocrita e banale”.
“Non ci troviamo in una commedia”.
“Chi può dirlo? Come disse Lord Avon

Il mondo danza, e danzo anch’io.
Ch’io non vegga tende e seggi è poca cosa,
applausi non odo ma ciò basta.
La mia parte è questa, ben so che non è vasta.
ma negli occhi altrui solo questa è la mia posa.
Il mondo danza, e danzo anch’io”


Apprezzerei molto di più la citazione a Sarò il tuo passerotto se il motore della nave non avesse troncato l’ultimo verso ricordandomi dove mi trovo e cosa succederà tra pochi istanti. Questa nave ha una partenza molto più rapida rispetto alle anticaglie a Nebbia ed impiega davvero pochissimo tempo per staccarsi dal suolo. Mandare al diavolo questo tizio ridicolo e correre verso l’uscita sono le uniche soluzioni che mi vengono in mente man mano che il rombare dei motori si stabilizza e lascia il posto al ritmo lento e regolare dei compressori. In ogni caso provare a fermarlo armata di una borsetta, qualche fiala ed una sfera di cristallo non servirebbe a nulla. Quello mi guarda forse aspettando un applauso, poi scrolla le spalle come se la cosa non lo riguardasse più di tanto. “Puoi tornare indietro, non ho alcun motivo di trattenerti. Dopotutto a terra hai ancora un simpatico palcoscenico da riempire, dico bene? Mancano solo pochi atti alla fine …”
Si avvicina al parapetto e ci si siede sopra. Si leva il cappello, lasciando che finalmente i capelli seguano il vento e si confondano con la luna azzurra. Dal tricorno stacca una piuma lunghissima che noto soltanto adesso, e se la appunta con noncuranza sulla testa dove resta immobile, senza piegarsi all’aria che si muove. “… o puoi chiudere il libretto ed iniziare una storia diversa. Avrei un piccolo progetto da portare avanti, ed una persona con le tue conoscenze potrebbe essermi persino utile. Dipende solo da quanto hai paura di voltare pagina”.
Non me la sento di parlare di paura. Non ho certo intenzione di fare quello che dice questa strana persona, ma quello che provo non è paura. Non è il freddo che ti corre lungo la spina dorsale, non è il battito forte del cuore che ti blocca il respiro ed il cervello. La paura genera dolore, questa situazione invece no. È pensare a Cid che mi fa male: non ha mantenuto nessuna delle sue promesse, le continue bugie sono lì, ovunque io giri gli occhi, e si divertono a sussurrare anche in un momento come questo. Dovrei pensare a me, eppure la mia mente è da lui. Lo odio.
Non lo ho incenerito perché lo amo. Questo fa persino più male.
Lindblum è lontana, oltre la notte. Sicuramente domani all’alba arriverà la grande notizia. Già le sento, le voci. La gente inizierà a dire quello che prima aveva soltanto pensato nel timore di essere trasformato in un insetto: tutti daranno delle pacche di conforto al granduca sulla schiena, centinaia gli diranno che ha commesso un grave errore nello sposare una donna come me, qualcuno gli potrebbe persino chiedere se sente la mia mancanza. Di certo nessuno gli dirà che se l’è andata a cercare. Sarebbe bello tornare lì soltanto per vedere i suoi abilissimi chimici destreggiarsi per trovare un antidoto che non c’è, se non sono io a volerlo.
Dovrà cercarmi.
Se vorrà farlo.
O forse è solo la magia di questo posto che fa nascere strani pensieri.
“Il tempo è scaduto. Chi tace acconsente”.
La nave si alza. La vela-luce di tribordo, posta proprio sotto lo scafo, si apre come un’ala blu mentre l’Hilda Garde I prende quota e per poco non decapita una statua mentre si estende per catturare l’aria. La sua punta triangolare mi saluta e copre tutto quello che è sotto di noi mentre delle venature celesti la attraversano per l’intera lunghezza portando il vortice di incantesimi ad una forma stabile. Sobbalziamo per una scossa, poi per una seconda, e immagino che qualche aereonave adesso si troverà con un paio di alberi in meno; la persona davanti a me non se ne è accorta affatto, in piedi come un equilibrista nonostante i tacchi ridicoli che non indosserei nemmeno sotto tortura. Il motore adesso è una fornace in piena attività, ubriaco di questo potere. Il rumore si è attenuato dopo qualche istante dal decollo, il muoversi degli ingranaggi adesso è diventato un ronzio leggero, lo stesso che mi ha accompagnata in questo posto e che adesso sta sorvolando il teatro, la città e Cid. Non sono sicura che quello che mi attraversa il cuore alla vista di Toleno che si allontana sia timore, curiosità, piacere o tristezza. È tutto così strano che per un istante non sono certa che sia reale, ma le migliaia di luci sotto di me lentamente perdono forma, si riuniscono in un unico alone bianco che svanisce quando l’Hilda Garde I vira verso nord e le montagne coprono la città della gioia e della musica inghiottendoci nella notte. Se adesso volessi tornare indietro non potrei più farlo.
Ma la brezza è bellissima, di un freddo pungente che ha qualcosa di fantastico, di libero. L’unica cosa che mi ricorda che non mi trovo in uno dei miei libri di fiabe di mio nonno è il mio anello, il solo oggetto che invece di cedere al vento stringe ancora di più il dito. La persona che me lo ha regalato dovrà aspettare.
L’uomo dai capelli chiari osserva il timone, poi annuisce tra sé e richiama i propri incantesimi; la nave continua a muoversi, ormai ricca di tutte le forze che le servono per questo viaggio. Un viaggio di cui –me ne rendo conto soltanto adesso- non conosco la destinazione. “Direi che l’energia è sufficiente. Ci vorranno circa sei ore, se non ho sbagliato i calcoli”.
Sei ore? A questa velocità dove pensa di …
“Buon viaggio, granduchessa”.
Si avvicina al parapetto e, prima che possa fargli un’altra domanda sale con un salto sulla barra metallica atterrando senza emettere nemmeno un suono. Guarda di nuovo il ponte di comando, il timone e persino me; prima che possa anche solo realizzare cosa diamine stia facendo stacca un piede dal parapetto, poi l’altro e si lascia cadere nel vuoto. Senza nemmeno riflettere corro in quella direzione, ma qualcosa di grosso impatta contro lo scafo della nave e non rovino a terra per l’ennesima volta soltanto grazie alla plancia di controllo dei sistemi di aereazione che mi sostiene con la sua forma squadrata. Un suono mostruoso simile al ruggito di una bestia feroce, poi un altro ancora e l’aereonave viene spintonata. La chiglia regge l’impatto, il volo si riassesta, ma qualcosa di enorme passa accanto al ponte di comando colpendo la fiancata, poi sale verso l’alto fino ad oscurare la luna rossa con una coda che sembra fatta d’argento. Poi una seconda ed una terza.
Adesso non sono affatto sicura di non essere in un libro di fiabe.
Quelli sono draghi, e le loro piume variopinte scintillano mentre passano accanto alla figura dell’Hilda Garde I rispondendo al potere che la sta guidando. Sarà una mia impressione, ma il pulsare del motore segue il ritmo di quelle ali. Per un istante intravedo l’uomo dall’abito luminoso in piedi sulla groppa di uno di quei mostri, ma svanisce prima che possa urlargli qualunque cosa sensata. Il loro volo è più rapido di quello della nave, ed in breve si disperdono nel cielo lasciandomi sola, senza nulla da dire, qualcuno con cui parlare, un fiume di domande dentro di me e soprattutto il nero della notte sotto i miei piedi, pronto ad inghiottire qualunque proposito di tornare indietro.

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N.d.W

Oddio, questa storia è stata davvero un parto! Mi dispiace più per quelli che l'hanno letta che non per me, poco ma sicuro. In realtà è stata faticosa perché ho cambiato idea mille volte durante la stesura, finendo per dar vita ad una storia che prende un'altra piega rispetto a quella che avevo pensato all'inizio. La colpa non è mia, è di quelle maledette cose chiamate "logicità di trama" e "coerenza dei personaggi".
Innanzitutto tutto il "rapimento" di Hilda doveva avvenire con il punto di Kuja. Vi ho rinunciato per il semplice fatto che, bilancio alla mano, avrei avuto pochi altri momenti per approfondire lei ed il suo background, quindi ho iniziato a scrivere senza pensare al casino che comporta cambiare punto di vista. Il punto è che all'inizio pensavo di far sì che Hilda incontrasse Kuja al teatro per far ingelosire Cid, magari subito dopo averlo trasformato in uno scaraburi. Non perché le interessasse in modo particolare, ma giusto per servire a Cid una ripicca. Soltanto che ... boh, non funzionava. Non con come interpreto io Hilda. Dal gioco di lei non si sa nulla a parte una maledettissima cosa: è innamorata di Cid. Perché nessuna donna sana di mente tornerebbe dall'uomo che l'ha tradita ripetutamente se non lo amasse tantissimo, per di più adottando una bambina e ricominciando tutto dall'inizio.
Quindi l'idea di uno pseudotradimento era tutta da rifare e nel secondo capitolo ho dovuto rigirarmi la frittata per tirare fuori qualcosa di decente. Non è venuta proprio come speravo, ma meglio di niente.
Ringrazio tutte le persone che hanno avuto la forza di arrivare fino alla fine!

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