A Study in Narcissism and Obsession

di lyssa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The little touch with the underwear ***
Capitolo 2: *** Stargazing ***
Capitolo 3: *** You weren't supposed to leave ***



Capitolo 1
*** The little touch with the underwear ***


Titolo: The little touch with the underwear
Genere: Slice of life, Sentimentale
Rating: Giallo?
Conteggio Parole: 891
Avvertimenti: ///
Riassunto: Jim sente lo sguardo di Sherlock scivolargli addosso come un paio di mani: riesce quasi a sentire le dita lunghe e affusolate carezzare la semplice t-shirt grigia – talmente stretta da sembrare quasi dipinta sul corpo – e scendere poi sempre più in basso, là dove l’elastico fluorescente dei boxer fa capolino da sopra i pantaloni. Il solo pensiero è sufficiente a provocargli una scarica di piacere.
Note: Prima fanfiction a fare parte della raccolta Sheriarty. Senza troppe pretese, mi serviva giusto qualcosa di poco impegnativo uvu Avevo l'idea in testa da un po' e beh, stamattina mi sono messa al pc e l'ho scritta! Per maggiori informazioni sulla raccolta ci vediamo alla fine della fic uvu







L’espressione confusa di Sherlock è una delle sue preferite.
C’è qualcosa di incredibilmente esilarante nel vedere l’unico consulente investigativo al mondo con le sopracciglia aggrottate e un’aria alla “sono un genio ma non capisco quello che sta succedendo” dipinta sul volto. È ancora più divertente perché dura meno di un paio di secondi: tempo un battito di ciglia e l’orgoglio di Sherlock fa sì che ogni traccia di perplessità sparisca – lo stato di smarrimento in cui si trova il detective è tuttavia facilmente intuibile osservando le microespressioni che piegano appena i lineamenti.

Nel corso degli ultimi mesi, tuttavia, la confusione di Sherlock è scesa notevolmente nella sua classifica personale, sorpassata da una varietà incredibile di espressioni decisamente più interessanti ed eccitanti: Sherlock con le guance arrossate dal piacere e i capelli scompigliati, Sherlock che inarca la schiena e mugola il suo nome in modo più indecente ad ogni spinta, Sherlock con le labbra intorno al suo ca–

«Due volte la stessa identità? Devi essere davvero annoiato.» La voce bassa e solo apparentemente disinteressata lo distoglie dal corso indecente dei propri pensieri.

Jim sente lo sguardo di Sherlock scivolargli addosso come un paio di mani: riesce quasi a sentire le dita lunghe e affusolate carezzare la semplice t-shirt grigia – talmente stretta da sembrare quasi dipinta sul corpo – e scendere poi sempre più in basso, là dove l’elastico fluorescente dei boxer fa capolino da sopra i pantaloni. Il solo pensiero è sufficiente a provocargli una scarica di piacere. Quando i loro sguardi si incontrano, Sherlock sembra leggermente confuso dalla nuova scelta d’abbigliamento, ma non pare troppo dispiaciuto dalla cosa.

«Non penso che Molly sia disposta a concederti un altro appuntamento.» Il contatto visivo si rompe e, con grande disappunto da parte di Jim, gli occhi color ghiaccio del detective ritornano sulla piastra petri che stava osservando fino a pochi secondi prima.

«Lo sai che non ho alcun interesse nella piccola patologa, non è proprio il mio tipo.» Le labbra si arricciano in una piccola smorfia. «Sono solo affezionato a Jim l’informatico.» Dice e la sua voce è quasi una cantilena mentre si avvicina al detective e si appoggia al tavolo, a una manciata di centimetri dall’attrezzatura scientifica.

Sherlock ha lo sguardo chino sul microscopio e il suo volto sembra quasi quello di una statua greca, con i riccioli che gli incorniciano il volto in modo perfetto, gli zigomi affilati e le labbra morbide. Jim lo osserva attentamente, le iridi scure che percorrono lentamente quel profilo che oramai ha imparato a memoria: ha contato ogni singola ciglia, ha memorizzato ogni piccola piega della pelle e ha imparato a leggere ogni espressione dipinta sul suo volto, eppure a volte si sorprende a guardarlo come se fosse la prima volta. Senza pensarci troppo immerge una mano nei capelli scuri, carezzandoli in un gesto morbido e rilassato che sa di quotidianità. Sherlock, ormai abituato a quelle dimostrazioni di affetto, non risponde in alcun modo al tocco e continua ad analizzare il campione. È davvero un peccato che la mente brillante del detective venga usata per cose completamente inutili, pensa Jim, arricciando distrattamente alcune ciocche intorno alle dita. Sherlock non troverà nulla finché continuerà a cercare nel posto sbagliato. Gli ci vorranno almeno un paio di giorni – essendo fiduciosi – per riuscire a scoprire la verità dietro l’ultimo crimine che gli ha “regalato”.

Non ha intenzione di aspettare tanto per divertirsi un po’ e ricevere le attenzioni che merita.

«Dopotutto è così che ci siamo incontrati per la prima volta.» Riprende, un sorriso che va ad increspargli le labbra. «Senza dimenticare che è l’unico travestimento che non sei riuscito a smascherare.»

«Ero occupato a risolvere il caso di Powers.» Replica stizzito Sherlock, alzando finalmente lo sguardo sul criminale, che lo guarda con un ghigno felino stampato sulle labbra.

«Ciò non toglie che tu non ti sia accorto di nulla, tesoro.»

A quelle parole la mascella del detective si contrae e Jim deve trattenere la risatina che sente nascere in fondo alla gola. Sherlock è una persona disgustosamente orgogliosa, un saputello “so-tutto-io” che ama mettersi in mostra ed odia essere messo di fronte ai propri errori e alle proprie sviste. Vedere l’irritazione prendere vita sul suo volto è divertente ed eccitante al tempo – non possono essere molte le persone in grado di metterlo alle strette.

La mano che prima si trovava tra i capelli scivola in basso per carezzare lo zigomo. «Interpretare Jim l’informatico…» Sotto i polpastrelli la pelle è morbida, delicata quanto il tocco leggero del criminale. Quando le dita di Jim arrivano e sfiorano appena l’angolo delle labbra, la mascella di Sherlock è ormai rilassata. «Fare il gay…» Quello che va a posarsi sul volto di Sherlock è un sussurro caldo e sensuale. Qualcosa cambia nello sguardo del detective e Jim sorride, si passa lascivamente la lingua sul labbro superiore e con la mano libera scende a sbottonarsi i pantaloni, abbassandone poi il bordo con il pollice. «Ti è piaciuto il dettaglio dei bo–» Il resto della frase gli muore tra le labbra quando l’altro lo attira a sé, costringendolo ad abbassarsi per appoggiare la bocca sulla sua.

Sherlock si stacca, sussurra sulla sua pelle qualcosa come “no, togliteli di dosso” e Jim non può fare meno di pensare che, forse, dovrebbe indossare quei vestiti più spesso.










Angolo dell'autrice:
Eccoci qua~
Insomma, non è nulla di troppo impegnativo, ma dato che la coppia e la raccolta saranno piene di angst (ops!) volevo iniziare con qualcosa di leggerino. Premetto che aggiornerò solo e quando avrò ispirazione, non aspettatevi aggiornamenti regolari perchè non ci saranno, ho semplicemente deciso di raccogliere tutto in un'unica fanfiction per rendere più ordinato il tutto e far sì che sia più comodo anche per i lettori (potete mettere la fanfiction tra i preferiti/seguiti e sapere quando scrivo altro sulla ship senza dovermi aggiungere ai preferiti).
Lunghezze e generi cambieranno in base a quello che ho in mente, tuttavia se volete suggerirmi qualcosa o avete un'idea che volete veder scritta potete contattarmi qui e lasciare qualche prompt, vedrò di accontentarvi! <3 Non sono una di quelle persone che ha bisogno di recensioni per continuare una raccolta, ma i pareri sono molto apprezzati ;____; <3
Vi ringrazio per aver letto e, se non l'avete fatto, vi invito a leggere le altre cose che ho scritto sulla ship uvu 

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Capitolo 2
*** Stargazing ***


Titolo: Stargazing
Fandom: Sherlock BBC
Genere: Slice of life, Introspettivo, Sentimentale
Personaggi: Sherlock Holmes, Jim Moriarty
Rating: Verde. Prometto che alcune delle prossime saranno a rating più alto~
Conteggio Parole: 1948
Avvertimenti: ///
Riassunto: « Non mi stai ascoltando! » L’improvviso cambio del tono di voce riporta Sherlock alla realtà. Jim lo fissa con un broncio infantile dipinto sul volto. La smorfia è talmente esagerata che non riesce a capire se Moriarty lo stia solamente prendendo in giro – ipotesi probabile – o se sia veramente offeso – ipotesi ancora più plausibile.
Note: Questo è un headcanon che ho da un po'. Per colpa di tumblr (e di alcune persone con cui ho ampliato l'idea) ho deciso di scriverci su, anche perchè avevo bisogno di fluff ;____;. Ovviamente il riferimento a Jim appassionato dello spazio e il fatto che abbia scritto un libro sono riferimenti al Moriarty originale. Spero che vi piaccia uwu <3








«Noia.»

La voce fuoriesce dalle labbra socchiuse in un flebile sussurro, fioca e leggera si spegne poi nel silenzio assoluto della stanza. Sherlock è sdraiato sul divano, lo sguardo perso a osservare il soffitto e nessun caso di cui occuparsi. Tutti i criminali di Londra – o per lo meno quelli degni di essere definiti tali – sembrano essere andati in vacanza, lasciandolo in preda alla banalità di un mondo che si muove troppo lentamente.

« Noia. » Ripete, atono.

Ha bisogno di una sigaretta. Vuole solamente riempirsi le narici di fumo e sperare che parte di esso riesca a colmare in qualche modo il vuoto opprimente che sente all’altezza del petto. Non si tratta solo di noia, è qualcosa di più: una sensazione familiare a cui non è mai riuscito a dare un nome, un malessere esistenziale che accompagna la consapevolezza di possedere un cervello migliore degli altri, un qualcosa che lo ha seguito negli anni più bui della sua vita, quando la droga era l’unica compagna.  La convivenza con John ha contribuito a rendere tutto più sopportabile, più semplice e in qualche modo migliore; eppure ci sono notti dove la prevedibilità del mondo lo colpisce con una forza tale da togliergli il fiato. Una sigaretta aiuterebbe, se solo John non si fosse disfatto della sua scorta evidentemente-non-così-segreta solo pochi giorni prima. Si rizza a sedere, la schiena appoggiata a uno dei braccioli e le ginocchia al petto. Niente casi, niente fumo, niente distrazioni. Niente di niente.

Viene strappato brutalmente dai suoi pensieri quando la vibrazione del cellulare si attiva, producendo un rumore sordo a causa del contatto con il tavolo. Le iridi chiare si spostano velocemente sul piccolo oggetto, mentre l’identità del mittente prende rapidamente forma nella sua testa – solo lui può contattarlo in quel modo nel cuore della notte.

La prima cosa che vede sono gli occhi, scuri e profondi, illuminati da una luce che Sherlock non sa se ricondurre alla genialità o alla follia. Il resto del volto segue subito dopo: labbra dischiuse in un sorriso più affilato di qualunque lama, pelle chiara e capelli nerissimi, meticolosamente tirati indietro con una quantità di prodotto probabilmente eccessiva. Riesce quasi a percepire anche l’odore della colonia costosa. Con uno scatto felino afferra il telefono, le labbra che si aprono in un sorriso di cui non è realmente consapevole. L’euforia sul suo volto ha però vita breve: non appena gli occhi scorrono le due righe di testo questa si spegne, lasciando il posto a una confusione espressa dalle sopracciglia aggrottate e la bocca appena dischiusa.

“È una splendida notte per osservare le stelle cadenti, Sherlock.
Vuoi unirti a me? –JM”


Forse si tratta di un codice per risolvere uno dei vecchi casi ormai archiviati dalla polizia. Forse si tratta di un modo per metterlo alla prova o per attirarlo in un luogo specifico. Le possibilità prendono una forma quasi concreta: sono un insieme ordinato di immagini e lettere che si susseguono rapide nella mente, vengono spostate, archiviate, cancellate; il tutto mentre le dita si muovono veloci sul touchscreen.

“Osservare le stelle cadenti? James, mi deludi. –SH”

“Sempre meglio che stare sul divano ad annoiarsi, Sherlock. –JM”

“Hai installato di nuovo delle telecamere a casa mia? –SH”

“Forse. –JM”

“O forse ti conosco fin troppo bene, dolcezza. –JM”

“Non pensavo di essere così prevedibile. –SH”

“Non è colpa tua tesoro, non essere triste. Mi annoio anche io. –JM”

“Allora, vieni con me? –JM” 

“Per far cosa, guardare le stelle? Come se in una metropoli come Londra fosse possibile. –SH”

“Non vedo alcun problema. –JM”

“Dunque è un sì? –JM”

“Forse. –SH”

“Dammi tre secondi. –JM”


Sherlock conta ad alta voce, gli occhi chiari puntati sullo schermo. La lampada del soggiorno si spegne nel momento stesso in cui la parola “tre” lascia le sue labbra. Probabilmente un blackout. Considerando la drammaticità del criminale, Jim ha probabilmente tolto la corrente a tutta la città. Per qualche ragione, Sherlock trova la cosa decisamente apprezzabile.

“Problema risolto. xxx –JM”

Il cellulare si illumina ancora. Questa volta mostra un indirizzo.







Quella che Sherlock vede non appena mette piede sul tetto, il luogo dell’incontro, è poco più di una sagoma indistinta.

C’è un uomo seduto per terra a circa una decina di metri di distanza: è girato di spalle e guarda fisso verso l’alto, come alla ricerca di qualcosa invisibile al normale occhio umano. La fioca luce della luna crescente lo illumina appena, riflettendosi sul candore della camicia bianca. Sherlock non dubita neanche per un istante che quello sia James Moriarty.

C’è qualcosa nell’aria, quando lui e il criminale si trovano nello stesso spazio: qualcosa di palpabile quanto invisibile, una sorta di forza che li attrae l’uno verso l’altro – e no, non si tratta di quella sensazione descritta in ogni romanzo rosa, niente farfalle nello stomaco o sciocchezze simili. Assomiglia più alla vertigine che si prova nello stare ai margini di un precipizio o al fascino esercitato dalle fiamme. Jim non si muove di un millimetro neanche quando Sherlock avanza a passo deciso verso di lui e si siede al suo fianco. Più interessato al volto della propria nemesi che al cielo stellato, il detective fa scivolare lo sguardo su Moriarty, ne osserva i lineamenti, le occhiaie marcate che segnalano una grave mancanza di sonno –  semplice insonnia? Notti passate ad organizzare crimini di cui Sherlock è all’oscuro?  – e il pallore accentuato dalla luce della luna.

Decide di rompere il silenzio solo dopo una manciata di secondi.

«Mi aspettavo almeno un telescopio.»

«Niente giocattolini questa volta.» Jim si volta finalmente per osservarlo, l’angolo delle labbra appena alzato. «Focalizzando l’attenzione su un punto specifico si rischia di perdere di vista il quadro generale, Sherlock.» Aggiunge, per poi sdraiarsi per terra e sollevare nuovamente lo sguardo.

Il fatto che Jim stia prestando più attenzione al cielo che a lui, lo infastidisce. Quando poi solleva la mano sinistra ed esclama qualcosa come “eccone un’altra!” Sherlock non può fare a meno di sbuffare. La situazione è a dir poco assurda.

«Non pensavo che ti interessassero queste cose. Sono così banali…» L’ultima frase è un sussurro, pieno di una delusione che spinge Jim a cercare il volto del detective con gli occhi. Rimane in silenzio James, si passa la lingua sulle labbra e continua a fissarlo, immerso in pensieri che Sherlock non può in alcun modo prevedere.

«Le comete mi interessano da quando sono bambino.» Fa una piccola pausa prima di continuare. «Non solo quelle ovviamente, l’intero cosmo è incredibilmente… affascinante.»

Jim continua a parlare e la sua voce morbida diventa una melodia sulla quale i pensieri del detective si muovono. Parla di astrofisica e teoremi matematici, elenca formule e dimostrazioni che Sherlock ha cancellato dalla propria mente diversi anni prima, in quanto inutili. Talvolta la meticolosa spiegazione scientifica viene interrotta e lascia spazio a vecchie leggende del mondo classico: storie di eroi e di amori che hanno dato il nome alle costellazioni. A volte invece Jim si interrompe nel bel mezzo della frase per indicare un’altra stella cadente, poi continua come se nulla fosse.

Sherlock lo ascolta senza prestargli davvero troppa attenzione. La vastità del cosmo appare incredibilmente noiosa e ordinaria se paragonata a James Moriarty.

Jim ride e, per essere un uomo dalle mani lorde di sangue, la sua risata è incredibilmente cristallina e pura. È talmente incompatibile con la visione che Sherlock ha del criminale che non può fare a meno di chiedersi se l’altro lo stia prendendo in giro. Forse tutta quella situazione è una farsa come Jim l’informatico, forse è l’identità di consulente criminale ad essere fittizia, un’immagine poco rappresentativa della persona che James è. Forse invece – e questa è l’ipotesi che Sherlock reputa più sensata – sono entrambe reali alla stessa maniera.

Jim è imprevedibile, una contraddizione vivente e il detective si rende conto di sapere incredibilmente poco del suo passato o di quella che è la sua vita privata. Non solo non possiede alcuna informazione utile su di lui, ma lo ha sempre considerato unicamente in veste di consulente criminale. Una figura complementare una propria che vive unicamente in sua funzione, più un gioco che una persona in senso stretto. Improvvisamente, vuole saperne di più. Vuole sapere come è nato il suo interesse per il cosmo, vuole sapere quante notti ha passato insonne ad osservare la volta celeste e, nonostante la sua visione su certi argomenti non sia cambiata, vuole sapere perché Jim ne è tanto affascinato.

 «Non mi stai ascoltando!» L’improvviso cambio del tono di voce riporta Sherlock alla realtà. Jim lo fissa con un broncio infantile dipinto sul volto. La smorfia è talmente esagerata che non riesce a capire se Moriarty lo stia solamente prendendo in giro – ipotesi probabile – o se sia veramente offeso – ipotesi ancora più plausibile. «Non ti farò leggere il libro che ho scritto.»

«Libro?» Le sopracciglia si aggrottano in un'espressione corrucciata.

«Te l’ho detto che non mi stavi ascoltando. Troppo tardi, tesoro.»

«È inedito.»

«Ovviamente.» Jim sospira pesantemente, come se affermare l’ovvio fosse qualcosa di fisicamente doloroso. «Nessuno al mondo sarebbe in grado di comprenderlo.» Continua a fissarlo dritto negli occhi, le labbra ora strette in una linea perfettamente dritta.  «Nessuno.» Rimane in silenzio per quelli che sembrano anni. I secondi avanzano, interminabili e lo sguardo di Jim diventa talmente insostenibile che, per la prima volta da quando si trova lì, Sherlock si mette a osservare il cielo pur di non essere costretto a guardarlo negli occhi. «Sicuramente non una persona che non era a conoscenza della teoria eliocentrica.» Solo allora Jim apre le labbra in un sorriso.

A quelle parole Sherlock sospira esasperato, ricevendo in risposta solo una risatina.

«Oh, andiamo. Leggi anche tu il blog di-» Si interrompe a metà, lanciando un’occhiataccia all’altro. «Lasciamo perdere.» Non ha voglia di discutere. «Sono comunque l’unica persona abbastanza intelligente per comprenderlo.»

«Mhhhhh. Non ne sono convinto. Ma voglio concederti il beneficio del dubbio, per questa volta.» Jim lo afferra improvvisamente per la spalla. La presa non è forte, ma è sufficientemente stretta per sentire le sue dita sulla pelle. È una sensazione abbastanza strana: solitamente non hanno molti contatti di tipo fisico, un po’ perché non sono realmente necessari, un po’ perché è più il tempo che passano lontani che in compagnia l’uno dell’altro. È strano sì, ma non è spiacevole. Sherlock si abbassa appena, permettendo alla mano di Jim di salire e appoggiarsi dietro al collo. Il suo tocco è più leggero, adesso.

«Facciamo un gioco.» Sussurra, facendolo chinare maggiormente e avvicinandolo di più a sé. Adesso sono talmente vicini che Sherlock riesce a riconoscere l’odore del gel per capelli e la marca della gomma da masticare che presumibilmente aveva in bocca prima che lui arrivasse. «Vinci se vedi più stelle cadenti di me. Il premio è ovviamente una copia autografata del mio libro.»

«Tutto qui?»

«Tutto qui.»

«Fin troppo semplice.» Sherlock sogghigna, appoggiando una mano su quella di Jim. Sfiora delicatamente le sue nocche con la punta dei polpastrelli prima di spostarla dalla base del proprio collo. Senza aggiungere un’altra parola si sdraia sul pavimento, accanto all’altro.

«Non mi chiedi cosa succede se vinco io?» Sherlock non lo guarda, troppo impegnato ad osservare il cielo alla ricerca di qualche stella cadente, ma può percepire il sorriso canzonatorio nella sua voce. 

«Perché dovrei?»

«Perché non voglio farti vincere. Sono ancora offeso.» Si rende conto che Jim si è avvicinato solo quando sente il suo respiro sulla propria pelle. 

«Se vinco io, questa notte torni a casa con me.»

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Capitolo 3
*** You weren't supposed to leave ***


Titolo: You weren't supposed to leave
Fandom: Sherlock BBC
Genere: Angst
Personaggi: Sherlock Holmes, Jim Moriarty
Rating: Giallo
Conteggio Parole: 768
Avvertimenti: ///
Riassunto: Il mondo, senza Moriarty, è sicuramente un posto migliore. Ma a Sherlock del mondo, non è mai importato molto.
Note: Questo capitolo è un po' cortino, mi farò perdonare con il prossimo uwu Angst, perchè l'angst è bello, a tutti piace soffrire e la Sheriarty è una coppia infinitamente dolorosa. Buona lettura! Ah, le frasi tra virgolette sono frasi prese dall'episodio uwu







Quando Jim gli porge la mano, le sue dita tremano appena. 

Si tratta di un movimento involontario e impercettibile, qualcosa di talmente insignificante da sfuggire persino all’occhio attento di Sherlock, che decide di stringere la mano dell’uomo che gli sta davanti. Moriarty ricambia con una lentezza eccessiva: il suo tocco è leggero e delicato, come se una forza eccessiva potesse distruggere il momento che sta aspettando da una vita intera. 

Ha la pelle morbida, Jim. Ha la pelle talmente morbida che Sherlock si ritrova a carezzarla appena con il pollice, in un movimento di cui non è realmente consapevole. Forse è per quello che non se ne accorge. O forse è perché è troppo impegnato a osservare il suo volto, cercando di leggervi qualcosa in grado di spiegare la natura di quel gesto: lo sguardo scivola sugli occhi scuri – che appaiono ora caldi e dorati grazie alla luce del sole – e sulle labbra aperte in un sorriso in qualche modo diverso da quelli a cui è abituato. Fatto sta che non se ne accorge. È solamente quando Jim stringe la presa e lo tira verso di sé che Sherlock realizza di star stringendo la sua mano destra. 

Ormai è troppo tardi. 

Vorrebbe aprire gli occhi e interrompere così il flusso dei ricordi che sta prepotentemente prendendo il sopravvento della sua mente, ma è tutto così veloce e intenso che non può fare altro che rimanere a guardare, spettatore di una scena che continua a rivivere ogni volta che cala le palpebre. La pistola brilla per un istante solamente tra le sue mani, poi scompare nella bocca di Jim. Segue un rumore sordo e un momento dopo la mente più brillante che Sherlock abbia mai avuto il piacere di incontrare si trova spalmata al suolo.

Ci mette qualche secondo a tornare alla realtà. I contorni della camera da letto iniziano a farsi reali: Sherlock fa passare distrattamente lo sguardo sull’orrenda carta da parati e sui quadri che adornano il muro, sull’armadio semi vuoto – quasi tutti i suoi vestiti sono impacchettati in una valigia, nel caso Mycroft decidesse di trasferirlo nuovamente senza preavviso – e al piccolo comodino accanto al letto. Non appena i suoi occhi si posano sul plico di file appoggiati su di esso, Sherlock distoglie lo sguardo.

La mano destra penzola inerte dal bordo del letto. Riesce ancora a sentire il tocco fantasma delle dita di Moriarty sulla pelle, ma la stretta adesso è tutt’altro che delicata. È una morsa violenta che risale per tutta la lunghezza del braccio, gli attanaglia il cuore e – per un momento solamente – rende difficile respirare.

“È morto perché ho stretto la sua mano.” 

Con ogni probabilità sarebbe morto comunque. Pensandoci a posteriori, il desiderio suicida di Moriarty è talmente evidente che Sherlock non riesce a comprendere come abbia fatto a non capirlo prima. Scuote appena il capo, passandosi una mano tra i capelli scuri e tirandosi su a sedere.

“È morto perché ho stretto la sua mano.” 

Non ha mai voluto vedere Jim morto. Voleva batterlo, dimostrare la sua intelligenza superiore e magari farlo rinchiudere per un paio di settimane. Moriarty poi sarebbe evaso – ovviamente – e tutto sarebbe ricominciato. Nuovi casi, nuovi omicidi, nuovi stimoli: Jim avrebbe continuato a intrattenerlo e divertirlo, in una danza che Sherlock pensava sarebbe durata per l’eternità.

“È morto perché ho stretto la sua mano.” 

James è morto e Sherlock ormai non può farci nulla. I cadaveri non possono tornare in vita, non quando si sono sparati in bocca proprio davanti ai tuoi occhi, perlomeno. 

Ci sono stati momenti in cui si è chiesto se il loro legame speciale si sarebbe potuto trasformare in qualcosa di diverso, qualcosa di più completo, fisico e forse addirittura romantico, se solo l'amore fosse qualcosa destinato a due persone come loro. Avrebbero potuto avere tutto insieme. Sulle labbra Sherlock sente il sapore amaro di un futuro che non potrà più realizzarsi. Deglutisce a vuoto, cercando di mandare via il groppo che continua a sentire in fondo alla gola.

Il mondo, senza Moriarty, è sicuramente un posto migliore. Ma a Sherlock del mondo, non è mai importato molto.

“Tu eri la distrazione migliore. E ora non ho più neanche te, perché ti ho battuto.”

Per la seconda volta lo sguardo cade sulla pila di documenti. Decide di sfogliarli: si allunga e li afferra, facendo scivolare lo sguardo sulle (poche) informazioni raccolte sulla sua rete criminale.

Un sorriso amaro prende vita sulle sue labbra. James è morto e perduto per sempre, ma Moriarty è ancora lì da qualche parte, disperso e frammentato in un mondo di crimini e corruzione. 

Il gioco non è ancora finito.

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