La storia di un ragazzo e una ragazza

di Monochrome Kiss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black Devil Al Cioccolato - parte 1 ***
Capitolo 2: *** Black Devil Al Cioccolato - parte 2 ***



Capitolo 1
*** Black Devil Al Cioccolato - parte 1 ***


Era notte fonda. Fuori neanche un rumore, dalla finestra aperta si riusciva a vedere le luci dei lampioni e le case della città ai piedi della collina. La stanza era illuminata solamente dalla luce della luna che era da poco sorta. Si mise lo zainetto in spalle e uscì al balcone, iniziando a scendere con attenzione. Era solo il secondo piano, ma scappare da quella villa, nella quale viveva rinchiusa come un animaletto domestico, anzi, una bambola di pezza, da anni ormai, le sembrava la cosa più assurda che avesse mai fatto. Una volta scesa giù, raggiunse il cancello, lo scavalcò e da lì cominciò a correre il più veloce possibile. Non sapeva cosa l’avrebbe aspettata fuori dalle mura di quella villa, non avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo quella notte. Aveva paura, sì, le sue gambe tremavano così tanto, che spesso inciampava e cadeva, ma si rialzava subito e si rimetteva a correre senza fermarsi un attimo. Suo zio era fuori città per affari di lavoro, non era a casa molto spesso, fortunatamente.  Dopo soli diciassette anni, finalmente si sarebbe lasciata il suo passato alle spalle, non desiderava altro. La sua sagoma esile vagava per la città come un piccolo fantasma perso. Il vestito nero di pizzo che le arrivava fino alle ginocchia era in contrasto con il rosso dei suoi capelli.
Dopo aver corso per ore, si sentiva stremata. Guardandosi intorno si accorse di essere arrivata in uno dei quartieri malfamati di quella grande città. Non c’era molta gente in giro, i motel dovevano esseri pieni a quell’ora, e anche i pub e night club. Poco più avanti, all’incrocio c’erano due ragazze sulla soglia della strada. Aspettavano i loro potenziali  clienti. Non sapeva dove andare, guardando quelle ragazze, le tornarono in mente i ricordi dai quale stava scappando e fu presa da un forte senso d'ansia e nausea, non era molto diversa da loro, nonostante le guardasse con disprezzo.
“Ehi, bambolina. Ti sei persa?”
Fu subito avvolta da una piccola nuvola di fumo, la voce dal tono strafottente apparteneva al ragazzo dietro di lei. Si voltò subito, un po’ sorpresa.  Era appoggiato ad una moto nella penombra di un vicolo buio. Odiava l’odore  di sigarette, ma quello era diverso, aveva uno strano retrogusto al cioccolato. Il tipo stava ghignando mentre la squadrava da testa a piedi. Aveva lo stesso rosso dei suoi capelli, anche se in quel momento non si notavano molto. Se ne stava immobile a fissarlo, il suo cuore prese a battere all'impazzata, quasi da far male. Era la prima volta che lo incontrava, eppure aveva la sensazione che invece di conoscerlo lo stava in un certo senso ricordando.
“…N-No. “
Rispose con un filo di voce. Non poteva certo chiedergli di consigliarle un posto dove stare, anche perché non aveva soldi e non era scappata per continuare a lasciarsi abusare ancora. Abbassò la testa cominciando lentamente a disperarsi e a soffocare le lacrime che iniziavano ad offuscarle la vista. Il ragazzo divenne improvvisamente serio, fece un passo verso di lei e posò una mano sulla sua testa, sospirando. Notò la piccola ferita sul ginocchio, se l'era fatta cadendo, mentre correva. Non era molto difficile capire che era una semplice ragazzina di buona famiglia scappata di casa. Avrebbe potuto drogarla e venderla, oppure usarla in qualche altro modo, ma non sarebbe stato da lui. I lividi sull’esile collo della ragazza e sui polsi si vedevano appena sotto la luce del lampione che illuminava il piccolo tratto di strada.
“Su, non piangere bambolina. Le lacrime non ti donano per niente, sai?”
Avrebbe voluto sbraitargli contro e riversargli addosso tutta la sua rabbia, ma era sicura che se avesse aperto bocca non sarebbe riuscita a pronunciare una parola. Stava cadendo a pezzi sotto gli occhi di quel ragazzo, silenziosamente.
“…”
Lui la osservò per qualche minuto, poi riprese, più gentilmente.
“Senti, bambolina, faresti meglio a tornare a casa, questo posto non è adatto a  una come te. Credimi, qualsiasi altro posto sarebbe meglio di questo schifo…”
Lei alzò la testa e incontrò il suo sguardo, cercando di non lasciare trasparire nulla dal suo volto.
“Lo sò benissimo. Ma il posto da dove sono scappata, non era molto meglio di questo.”
Levò la sua mano dalla testa.
“…Capisco.”
Lei andò a sedersi lì vicino, sul marciapiede. Lui fece un altro tiro e buttò a terra il mozzicone espirando e salendo sulla moto.
“Non mi va di tornare a casa, quel piccolo appartamentino è troppo vuoto e desolato, ma almeno se ci sei tu, Kuro-san non si sentirà così solo.”
Si voltò a guardarlo un po’ confusa.
“Kuro-san? Ma cosa…”
Non si fidava molto, ma un posto valeva l'altro e non aveva davvero nulla da perdere così, decise andare con lui.
“Dai, sali in fretta. Aah, si muore di freddo!”
Lei si avvicinò, prima di salire sulla moto il ragazzo posò sulle sue spalle scoperte il suo giubbotto nero di pelle. Si aggrappò stretta a lui che sfrecciava sulle strade vuote della città, senza alcuna esitazione. Quella velocità sembrava spazzare via tutte le sue paure e debolezze, si sentiva finalmente libera, per la prima volta. Una volta arrivati a casa, ad accogliere entrambi sulla soglia della porta c’era un piccolo gattino nero senza collarino. Il ragazzo lo salutò ridacchiando allegramente,lo prese in braccio andando poi in cucina a riempirgli la ciottola di latte e tornare da lei, che era ancora in piedi, all’entrata. Chiuse la porta dietro di sé e si tolse le scarpe.
“Uuhm, il bagno è da quella parte, per dormire, usa pure la mia stanza, io dormo insieme a Kuro-san! Haha …-”
Aveva interrotto la sua leggera risata, le andò incontro posando le mani sulle sue spalle e riprese con un tono inconsapevolmente più dolce.
“Ehi… ma stai dormento in piedi…”
Era mezza addormentata e davvero troppo stanca, ma magari un bagno caldo avrebbe aiutato, pensò.
“ Ah-…uhm, no--…s-sto bene. Grazie…”
Dopo un lungo bagno, finì per addormentarsi nella vasca, ma fu svegliata dal bussare del ragazzo, il quale le aveva portato un cambio. Tutta la stanchezza e la preoccupazione furono lavate dall’acqua calda. C’era un’atmosfera strana in quel piccolo appartamento. Non era di certo abituata a luoghi del genere, nonostante questo c’era qualcosa di inspiegabile che la facevano sentire completamente a suo agio. Accovacciata sulla grande poltrona, avvolta nella maglietta a righe bianche e nere, decisamente troppo grande per lei, se ne stava a guardare fuori dalla finestra, il silenzio riempiva la stanza e un senso di tranquillità si inoltrava nel suo cuore, intorno al quale aveva innalzato troppe mura. Era quasi l’alba ormai.
“Ancora sveglia..?”
Sussultò appena sentendo la voce del ragazzo e ricomponendosi quasi automaticamente sulla vecchia poltrona. Lui sorrise appena intenerito dalla sua reazione e i movimenti impacciati.
“A-A-hm--…! Ho dormito un po’ nella vasca, non ho più molto sonno.”
Ammise leggermente imbarazzata. Le porse la tazza fumante che aveva in mano, scoppiando a ridere e  scompigliandole i capelli come ad un cagnolino. Andò poi a sedersi su un’angolo del letto.
“ Tieni, è tè nero.”
Sentì una leggera fitta al cuore. Prese la tazza con entrambe le mani e soffiò un po’ bevendone un sorso.
“Grazie.”
Aveva portato un sacco di ragazze e ragazzi, in quel piccolo appartamento, ma nessuna si è trattenuta per più di qualche ora. A differenza delle altre però, lei era lì già da un po' e non l’aveva ancora sfiorata. Cosa insolita per lui. Si limitava ad osservarla in silenzio, come un oggetto prezioso che voleva tenere nascosto a tutti per paura che si rompesse o gli venisse sottratto. C’era un’infinita tristezza negli occhi di lei, quasi tangibile. Quella notte parlarono un sacco, di loro, del loro passato, di come lei si era procurata i lividi sui suoi polsi, di come lui fosse finito in quella miserabile situazione, del perché lei odiasse l’odore delle sigarette.  Alla fine, dopo parecchie ore, assonnato, si alzò dal letto sospirando. Le posò un bacio sulla fronte e andò nella stanza accanto a dormire sul divano. Qualche minuto dopo, lei lo raggiunse, esitando. Aprì la porta. Lo scricchiolìo di quest’ultima gli fece riaprire gli occhi, che alzandosi appena li posò socchiusi su di lei. Sul volto ancora mezzo addormentato di lui, le labbra disegnavano un piccolo sorriso. Sollevò le braccia aperte nella sua direzione, aspettando che lei lo raggiungesse sotto le coperte. La strinse forte a sé, affondando il viso nell’incavo della spalla  destra e il collo sottile, respirando il profumo della sua pelle.
“Sai di cioccolato…” 
“Non ti piace..?”
Chiese tenendo gli occhi chiusi, mezzo addormentato.
“Mi piace… Un sacco.”
Mormorò lei. Sorrise di nuovo, lasciandole un piccolo bacio sul collo. Non l’aveva sfiorata quella notte, si limitarono semplicemente a dormire abbracciati, ma  nonostante questo, sentì quella sua solitudine che ogni giorno lo uccideva lentamente, dissolversi in quel abbraccio. Dopo due settimane di convivenza la loro routine era più che normale, o quasi : si svegliavano dopo mezzogiorno, dal momento che in frigo c’era solo la colazione di Kuro-san, lui era costretto a uscire di casa e andare a fare la spesa, mentre lei, si metteva a fare le pulizie di primavera, anche se era fine maggio ormai.  Dopo aver pranzato insieme, dopo aver fatto una battaglia col ketchup sporcando di nuovo tutta la cucina, si faceva di nuovo sera e si trovavano a ubriacarsi , giocare a strip poker e  fare karaoke a squarciagola, ignorando le lamentele dei vicini. Quella sera, qualcuno bussò alla porta. Entrambi erano stesi sul pavimento davanti alla tv, con in mano i joystick, troppo concentrati sul videogioco per andare ad aprire.
“Bambolina, vai tu?”
“Ti piacerebbe, non ti faccio vincere così facilmente! E piantala di chiamarmi bambolina.”
“Mmh… cucciola?”
“...Wuf.”
Ridacchiò come uno scemo. A quel punto la porta di casa fu spalancata dal calcio di un biondino in canottiera e pantaloni attillati.
“MATT! E CHE CAZZO! E’ DA MEZZ’ORA CHE STO BUSSANDO!"
Il biondino raggiunse il salotto e squadrò la ragazza accanto al rosso.
“E’ questa che ci fà quì? L’hai comprata quì all’incrocio?”
Chiese con tono strafottente. Il rosso mise in pausa il videogame, si alzò in piedi e si avvicinò a lui, appoggiandosi alla porta con le braccia incrociate. “Puzzi di alcool."
Il biondo sorrise e posò una mano sul sedere dell’altro, baciandolo avidamente.
"...Anche tu."
Lei non rimase molto sorpresa da quel bacio, ogni tanto il biondino passava a divertirsi, ma quella volta riusciva a nascondere a malapena la sua gelosia, si morse il labbro inferiore abbassando la testa e tornando a fissare con lo sguardo perso nel vuoto il videogioco in pausa. Appena il rosso si staccò, ghignò pulendosi la bocca con la manica della maglietta.
“Coglione, non venire da me solo quando sei in calore.”
Il biondo ridacchiò avvolgendo le mani intorno alla sua vita. Due semplici scopamici, certo, prima stavano insieme, ma si sono promessi di andare avanti, anche se c’era troppo amore nascosto dietro a quel sorrisetto idiota e le finte sbronze.
“Lei è-…”
Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza si alzò, si mise le scarpe e uscì di casa, a passo svelto e a testa bassa.
“Aspetta!"
 Il rosso la seguì ma venne subito fermato dal biondino che gli impedì di uscire. I pensieri le riempivano la testa impedendole di ragionare, si era persino dimenticata che stava indossando una maglietta di lui, che copriva solo il necessario. Si sentiva stupida. Dio quanto si sentiva stupida! Lei che fu trattata come semplice oggetto di sfogo sessuale di un vecchio perverso, finì per fare 'il terzo incomodo' tra due ragazzi tra l'altro. Conoscendo suo zio poi, non poteva fare finta di nulla, ogni giorno che passava viveva con il terrore di essere scovata dalla polizia dal momento che nemmeno il rosso conduceva una vita molto pulita. Ma in realtà stava solo mentendo a sè stessa. Lo amava così tanto, che lui era diventato ormai come una specie di droga. Ogni volta che lui e il biondo si rinchiudevano nella sua stanza le sembrava di morire. Non era la prima volta che se ne usciva di casa in quel modo o che litigavano a morte e non si parlavano per ore, ma alla fine facevano pace. Perché alla fine tornavano, l’uno dall’altra, sorridevano, e tutto si risolveva con un semplice "...Mi manchi.”

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Capitolo 2
*** Black Devil Al Cioccolato - parte 2 ***


Si trovò di nuovo a correre con il cuore in gola non curandosi della pioggia, del vento forte, degli sguardi dei passanti tutti fissi su di lei. Stava scappando di nuovo, stavolta stava scappando da se stessa. Aveva paura di fermarsi e guardare indietro. Quella notte la passò sotto un ponte, non aveva intenzione di tornare. Faceva dannatamente male non poterlo vedere, sentire la sua voce, ma se sarebbe tornata avrebbe fatto ancora più male. Non stavano insieme, quindi non c’era bisogno di dirsi addio. In fondo cos’erano loro? Amici? Oh, questi pensieri la uccidevano.
I seguenti due mesi li passò facendo ‘l’artista di strada’, era pur sempre stata educata come una ragazza di buona famiglia. Il  proprietario di un vecchio negozio di musica le prestava di tanto in tanto uno dei tanti violini che aveva messo in vendita e la lasciava pernottare nel negozio, a patto che suonasse davanti alla vetrina. Così riusciva a guadagnarsi il minimo indispensabile. Giorno dopo giorno però si sentiva sempre più  vuota. Non riusciva più a trovare un senso a ciò che faceva. Aveva il cuore a pezzi, sapeva che non avrebbe retto per molto, era arrivata al capolinea.
Quei giorni però quando passava la notte nel parco e guardava il cielo, sapeva che anche lui lo stava guardando, ne era sicura e prima di addormentarsi passava intere ore a piangere a dirotto.
Lui dall’altro canto passava le giornate nei bar a ubriacarsi, scatenando di tanto in tanto qualche rissa, finendo per risvegliarsi buttato in qualche vicolo buio di quella città spazzatura, indolenzito. Ma non era quello il dolore che sentiva maggiormente. Da quando lei sparì, era come vivere senza aria, persino respirare era doloroso.  Ma il peggio veniva quando arrivava la notte, i motel si riempivano di gente e le luci si accendevano nelle case. Tornare nel suo piccolo appartamento, buio, dove non c’era nessuno ad aspettarlo, era una della cose che odiava di più. Passava la maggior parte delle notti a casa dei suoi ‘amici’, ma neanche allora riusciva a smettere del tutto di pensare a lei. E quando persino il biondino era troppo impegnato per venire a ‘fargli compagnia’, passava notti insonni, senza riuscire a chiudere occhio, piangeva silenziosamente, soffocando le grida nel cuscino, prendendo a pugni le pareti e mettendo sottosopra tutta la casa. Era straziante.
Una di quelle notti aveva capito che non poteva più andare avanti in quel modo. Aveva rivenduto il violino che aveva rubato, con quei soldi era riuscita a procurarsi dell’eroina, una piccolissima quantità. Le rimanevano ancora una manciata di soldi. Camminava per la città tra tutta quella gente, facendo finta di dirigersi anche lei verso un posto caldo e sicuro, dove qualcuno che l’amava la stava aspettando. Indossava un paio di scarpe nere, con il tacco, non troppo alto, una maglietta larga, la maglietta di lui, e un paio di pantaloncini corti. Si fermò davanti ad una tabaccheria, ricordandosi quanto odiava il fumo delle sigarette. Ogni volta che il suo vecchio zio abusava di lei, alla fine accendeva uno di quei sigari e la stanza di riempiva di fumo.  Era entrata osservando la grande quantità di pacchetti di sigarette esposte. La commessa con un’espressione scocciata, le chiese:
“Cosa desidera signorina?”
“Black Devil. Al cioccolato.”
Rispose automaticamente, con un tono monotono. La commessa lasciò il pacchetto di sigarette sul banco, prendendo poi i soldi e preparando il resto. Ma lei era già uscita, gli occhi vitrei fissavano incessantemente il pacchetto di sigarette. Si fermò su un ponte, aprendolo e rigirando una delle sigarette, più volte tra le dita. Il suo viso era inespressivo. Si sedette per terra e ne accese una. Inspirò una volta per poi trovarsi a tossire disperatamente; inspirò una seconda volta avvolgendosi in quell’essenza di sigarette con una morbida sfumatura al cioccolato. Guardava il tramonto all’orizzonte,  il sole dipingeva il cielo di un rosso acceso. Chiuse gli occhi, trovandosi il viso coperto di lacrime.
“…Matt...”
Continuava a ripetere il suo nome, più volte, sottovoce, all’infinito. Finito di fumare la sigaretta, buttò il mozzicone nel grande fiume sottostante. I lampioni era già accesi, e la gente passava davanti a lei, erano tutti accecati dalla loro propria felicità. Si alzò in piedi, fissò l’acqua del fiume, e prima di raggiungere il mozzicone galleggiante si diresse alla cabina telefonica, alla fine del ponte. Inserì le monete, compose il numero e aspettò, accartocciando il pacchetto di sigarette che teneva nella mano tremante.
“…Pronto?”
Rispose lui con una voce spenta, si riusciva a percepire la sua stanchezza.  Non disse nulla.
“ …Yume… sei tu? Che altro vuoi?”
Non si sarebbe mai aspettato di sentire il nome di un’altra ragazza. Quello fu il colpo finale, probabilmente era ancora sotto l’effetto della droga,  altrimenti non sarebbe stata in grado di aprire bocca.
“Sono io...”
Un lungo silenzio seguì quelle parole. Una confusione totale si creò all’improvviso dentro di lui. Confusione, rabbia, odio, dolore, tanto dolore, come se lo stessero accoltellando dall’interno. Ma subito dopo si sentì pian piano sollevato, euforico, ansioso e poi, infinitamente innamorato, incredibilmente, pazzamente, perdutamente, di lei. Lei e nessun’altro. Con una voce tremante chiese:
“Dove sei?”
Sentiva il rumore delle macchine e la confusione della strada dall’altra parte del telefono. Lei non rispose.
“…Mi manchi. Ecco, l’ho detto… stupido eh? Non ho nessun diritto di dirlo, dopo tutto sono stata io quella che se n’è andata.”
“Sei qui vicino? Ti è successo qualcosa??”
L’ansia e la paura crescevano velocemente dentro di lui, mentre lei continuava a parlare ignorando le sue domande.
“Sono scappata perché non riuscivo più a starti accanto e sorridere come niente fosse. Mi dispiace… è una così semplice, … lo so, ma non ce l’ho fatta...”
La sua voce era interrotta dai singhiozzi. La sua infinita disperazione le stava ricadendo addosso, dopo l’esaurimento dell’effetto della droga.  Lui si stava infilando velocemente i pantaloni. Aveva preso la sua giacca e uscì di corsa di casa, salendo in macchina. Il jingle del luna park lì vicino si sentiva appena, ma lui era riuscito comunque a capire dov’era.
“… Non ce l’ho fatta..! Perché ti amo..”
Le sue ultime parole, gli fermarono il cuore per un attimo. Sorrise, e sfrecciò a tutta velocità verso il luogo un cui lei si trovava.
“Tranquilla piccola, sto venendo da te. Sto arrivando.”
A quel punto avrebbe dovuto riattaccare e raggiungere il fondo del fiume, invece le sue ginocchia cedettero e scoppiò a piangere, proprio come una bambina che si è persa.
Raggomitolata su se stessa, nella cabina telefonica, continuava a piangere, quando davanti a lei il rumore perforante dei pneumatici risuonarono fortemente, lasciando il segno nero delle ruote dietro di sé. Alzò la testa e vide precipitarsi fuori dalla macchina un ragazzo con la maglietta a righe bianche e nere e sapeva di sigarette e cioccolato. Lei lo vide e sorrise debolmente, aveva gli occhi gonfi e arrossati. Eccolo lì, pensò, l’unica droga di cui ho bisogno. 
Appena la vide si precipitò da lei, gettandosi in ginocchia e stringendola forte tra le sue braccia, riuscendo a malapena a trattenere le lacrime.
“…Sono qui, piccola-…sono qui…!”
Lo sentiva piangere per la prima volta, tremava come un bambino. Lo abbracciò a sua volta. Incurante dei passanti che a poco a poco si raggruppavano incuriositi dalla scena. In quel momento loro erano in tutto un altro mondo, completamente diverso da quello grigio e falso in cui vivevano loro, che vivevano soltanto aggrappandosi  alle loro bugie. Si scambiarono dei baci veloci, ma intensi. Le labbra di lei erano bagnate dalle lacrime, le sue sanguinavano un po’ per i morsi. La prese in braccio, e la posò sul sedile anteriore della macchina, in seguito partirono a tutta velocità, senza un precisa destinazione.
Guidò per tutta la notte, lei invece crollò quasi subito. Aveva passato troppe notti insonne, a piangere e a morire dentro.  Lui, vedendola dormire beatamente al suo fianco, si sentiva più tranquillo. Sorrise, aumentando di più la velocità, voleva andare il più lontano possibile, lasciandosi alle spalle quell’enorme città insieme ai brutti ricordi legati ad essa.
Il mattino seguente, quando riaprì gli occhi si sentiva tutta indolenzita, spalancò gli occhi guardandosi attorno. Era la stanza di un albergo, e non uno qualunque, ma uno di quelli a quattro o cinque stelle. Il colore pesca delle pareti si abbinava perfettamente con il bianco dei mobili  e delle porte. Notò solo allora il braccio avvolto intorno alla vita e il respiro del ragazzo sul suo collo. I ricordi della sera precedente allora le tornarono alla mente uno dopo l’altro, tranquillizzandosi, anche se non capiva ancora come avevano fatto a finire in un luogo così costoso.  Scostò leggermente la sua testa dalla spalla che l’altro usava come cuscino e  osservò a lungo il suo viso addormentato, accarezzandogli piano i capelli arruffati. Decise di svegliarlo con un bacio, sfiorò appena le sue morbide labbra, prima piano, poi più intensamente, finché lui  ancora mezzo addormentato, non cominciò a ricambiare i suoi piccoli baci con altri molto più passionali e possessivi.
“Hmmn…”
 Tutto ciò che gli era successo fino a quel giorno sembrava essere spazzato via dai baci di quella mattina, come un arcobaleno dopo una tempesta con tanto di grandine, lampi e tuoni. Tutto sembrava soltanto un brutto sogno. Si staccò dalle sue labbra e si mise seduta a cavalcioni sopra di lui, che si strofinava gli occhi con un mano.
“…Buongiorno.”
Lui sorrise ancora di più, guardandola più innamorato che mai. Lei arrossì lievemente e distolse lo sguardo da lui, portandolo sui dettagli della tappezzeria.
“Allora? …Mi dici dove siamo finiti?”
Lui intenerito, le rispose.
“Uhm, in luna di miele no?”
Lei spalancò gli occhi e lo guardò diventando tutta rossa in viso.
“COSA?- Come?- Q-Quando??”
Gli scappò una leggera risata.
“ N-Non è possibile, non siamo ancora nemmeno sposati. Me la ricorderei una cosa così.”
Disse un po’ imbronciata e delusa, cercando di essere realista.
“Beh, allora... sposiamoci.”
Le disse rivolgendole un sorriso sincero, mentre la guardava dritto negli occhi. Lei incrociò le braccia.
“Non mi hai ancora nemmeno detto che mi ami.”
“…Ma.. non è già abbastanza chiaro..?”
Aveva colpito uno dei suoi punti deboli. Lei sospirò e si alzò dal letto, tutta sorridente, non riuscendo a nascondere la felicità di quel momento. 
“Come hai fatto a pagare la stanza?”
Chiese con un tono un po’ più serio, mentre lui era rimasto a rotolarsi nel letto.
“Non preoccuparti per qu---“
“No. Stavolta non voglio bugie. Tutto ciò che ti riguarda, riguarda anche me d’ora in poi.”
Lui sospirò, si alzò dal letto e andò ad abbracciarla da dietro cingendole la vita con entrambe le braccia.
“Voglio vivere il resto della mia vita insieme a te, voglio passare con te i miei momenti più belli, e non mi importa se per questo dovrò  derubare una banca o due, mandare KO centinaia sistemi di sicurezza o ferire qualcuno.”
Lei gli rispose senza esitazione, entusiasta.
“Allora diventeremo due fuori legge, dei delinquenti. Come Bonnie e Kleid!”
Lui ridacchiò, stringendola più forte.
“Ahaha, sì!”
La caricò su una spalla e la buttò sul letto cominciando a farle il solletico. Lei, cominciò a dimenarsi e ridere, posò le mani sulle sue cercando di allontanarlo e farlo smettere, ma poi lui si fece sempre più serio, si avvicinò alle sue labbra mentre le sue mani scivolavano lentamente sopra la camicia da notte. Infilò una mano sotto la camicia bianca di seta, ma a quel punto bussarono alla porta e vennero interrotti.
“Servizio in camera!”
 
Ciò che seguì poi fu la così detta luna di miele: per scappare alla polizia, dovevano cambiare spesso macchina, perciò ogni tanto ne ‘prendevano in prestito’ un’altra, lui poi era un esperto in questo campo. Si fermavano per pochi giorni soltanto negli hotel a cinque stelle, disattivavano il sistema di sicurezza e poi se la svignavano senza pagare. Poi, dal momento che non dovevano farsi scoprire, per cambiare look, una notte si intrufolarono in un centro commerciale mettendo tutto sopra. Un concetto tutto loro del self service, rompevano vetrine e si provavano tutti i vestiti atteggiandosi a ricchi milionari. Era come se tutto il mondo gli appartenesse, armi, vestiti, hotel, ristoranti, casinò, boutique, ma soprattutto avevano l’un l’altra: lei distraeva la vittima, mentre lui si occupava del  resto. Dopo essersi ubriacati, passeggiavano per il centro commerciale desolato, tenendosi per mano, come ad un appuntamento. Ridevano entrambi come scemi, con un bicchiere di champagne in mano, con i vestiti più assurdi addosso e le luci del centro commerciale che facevano da sfondo. Notò un piccolo negozio, dalla vetrina luccicante. La trascinò per mano, sfondò l’entrata con un colpo di pistola e la sollevò per la vita adagiandola su uno degli espositori . Accese infine la luce. Era una gioielleria.
“Ecco, puoi sceglie quello che vuoi!”
“Ne voglio uno uguale al tuo.”
Non prese un anello di fidanzamento, tra tutti quei diamanti ne prese uno semplice, d’oro. 
“…Non posso prometterti nulla, dal momento che non credo nelle promesse. Però, sappi che ogni giorno della mia vita, quando mi sveglierò, vorrei trovarti accanto a me.”
Disse mentre infilava l’anello sull’anulare della ragazza, che in seguito prese il secondo anello e compì lo stesso gesto.
Il giorno dopo si divertivano un sacco a ridere davanti  al telegiornale di una tv dell’albergo, che riportava i fatti della notte prima e le rapine da loro commesse. Nonostante questo, sapevano perfettamente che tutto ciò non era destinato a durare, proprio per questo continuavano con questo tipo di vita troppo pericoloso ed esagerato.
Quella sera però non andò tutto secondo i piani. Nella gioielleria c’era un allarme che si era dimenticato di disattivare, il segnale arrivava direttamente alla stazione di polizia che li informava dell’infrazione del sistema di sicurezza. Erano troppo sbronzi per accorgersi della lucina rossa che lampeggiava silenziosamente e quando finalmente la notarono fu troppo tardi. La polizia sarebbe stata lì a momenti. Si precipitarono fuori, salirono i macchina, e sfrecciarono via a tutta velocità, ma alcune macchine della polizia erano già lì e si misero ad inseguirli. Cercò di seminarli, ma loro avevano chiamato i rinforzi. I due si cambiarono di posto, lei si mise alla guida, mentre lui sparava alle ruote delle macchine che li inseguivano. Dopo due ore di inseguimento, erano finiti su una strada vuota, lontana dalla città, le macchine che li inseguivano erano circa una decina. Non avevano vie di uscita. Avevano dietro persino un elicottero, ma è quando lei notò che la maglietta a righe di lui si stava tingendo di rosso, che andò in panico. Gli avevano sparato prima di salire in macchina, una pallottola l’aveva sfiorato. Lui cercò di nascondergliela ma era completamente inutile, aveva perso troppo sangue. Lei lanciò un grido disperato.
“MAAAATT!”
Cercò di pensare ad una soluzione ma la paura le impediva di ragionare  e le sue mani tremavano. Singhiozzava , mentre lui con una mano faceva pressione sulla ferita, in un’espressione di dolore.
“Basta. Ora torniamo indietro, ti porto all’ospedale! ”
Lui posò una mano su quella di lei, tremante, sul volante.
“N-Non farlo…ugh—“
Si accasciò subito prima di finire la frase.
“Stai perdendo troppo sangue!!”
Gli gridò in lacrime che le sfocavano la vista, perciò fu soltanto lui a notare l’interruzione del ponte ancora in via di costruzione, che avevano appena intrapreso a tutta velocità. Cercò di sforzarsi e finire di parlare.
“…PENSA A QUELLO CHE SUCCEDEREBBE SE TORNASSIMO INDIETRO ORA!”
Smise di singhiozzare sentendolo gridare in quel modo, per la prima volta.
“…S-Se… torniamo indietro ora… io sarò operato, ma poi? ..Ci hai pensato? Io finirò a marcire in prigione, oppure riceverò la pena di morte...Tu invece--… ?... Hai così tanta voglia di tornare da quello vecchio schifoso?!... Ma la cosa peggiore… è che non potremo più vederci… Mai più, capisci…?”
Non sarebbero sopravvissuti comunque, è questo quello che le stava dicendo. La guardò sorridendole dolcemente, nonostante la situazione, poi guardò la fine mancante del ponte che si avvicinava sempre di più. Gli avvertimenti della polizia ,via megafono, di fermarsi erano completamenti ignorati. Quando anche lei lo vide,  fu quasi un sollievo, sorrise a sua volta. Le sue mani smisero di tremare.
“Allora… cosa abbiamo in programma per domani? Dobbiamo pensare ad un piano sennò verremo scoperti subito. Ah, e poi quando avremo abbastanza soldi, dove sarebbe meglio trasferirci? A me piacerebbe una piccola casa, in periferia, un posto tranquillo.”
Lui esitò un attimo, poi rispose tranquillamente.
“Dovrà essere sicuramente vicino all’asilo... Così saremo sempre vicino alla piccola Lia e Miki, Chiaki—“
“E Matt Junior!”
“Ahaha, già! …E quando diventeranno grandi e andranno al college? Rimarremo di nuovo solo noi due…”
“Solo io e te.”
“Per sempre.”
 Lui si sporse verso di lei asciugandole dolcemente le lacrime che le bagnavano il viso, in seguito posò la mano sinistra sulla sua, togliendola lentamente dal volante.
“Ti amo, bambolina.”
Sorrise, prendendole il viso tra le mani e posando per un’ultima volta le labbra sulle sue.

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