La solitudine del quadrifoglio

di F r o z e n
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: Et d'ombre ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: Et d'ombre ***


Capitolo I: Et d'ombre

 

Non puoi stare qui, vattene!
Vattene!

Vattene Aine, vattene! Aine vai via!
Una mano tesa nel vuoto.
Una cicatrice che brucia ogni volta sempre di più, come uno squarcio che dopo tempo si riapre, come una gola martoriata dal troppo urlare.
VATTENE!


Se ne stava appoggiata al muretto della scuola, la sigaretta tra le labbra, i capelli lisci raccolti in una disordinata coda di cavallo, la camicetta bianca senza maniche infilata nei pantaloni stile anni '60 neri e le labbra coperte da uno spesso strato di rossetto rosso scuro.
Così un altro anno era cominciato, la solita routine, la vita noiosa e monotona di Aine McCall riprendeva così a girare, lasciandosi alle spalle un estate passata tra alcool e uscite a tre, con amiche fin troppo appiccicose di cui faticava a ricordare il nome.
Quelli erano gli unici attimi di quiete che si permetteva, la mente si spegneva, vagava liberandosi delle vesti scure che la tenevano legata a quel mondo, si liberava dei pesi che si portava sulle spalle. Però poi si risquoteva e tornava con i piedi ben piantati per terra.
Scosse la testa e scrollò le spalle lasciando cadere la cenere a terra, pestò con un piede la sigaretta e la spense, infine infilò la borsa di marca finemente lavorata e fece il suo ingresso a scuola.

Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che la ruota posteriore della sua bicicletta non si fosse affettivamente bucata.
Si premurò di legare la bici il più saldamente possibile al primo palo libero davanti alla scuola ma la sua attenzione, che fino a pochi istanti prima era rivolta al catenaccio della bicicletta, si spostò inevitabilmente su Aine McCall.
Il suo primo amore.
Il suo secondo amore.
Il suo terzo amore.
Il suo inizio e la sua fine, dal primo giorno che l'aveva vista non aveva fatto che amare altri che lei.
Alzò la macchina fotografica e puntò l' obbiettivo contro la ragazza dai lunghi capelli scuri, non poteva averla nella realtà, quello era accurato, ma poteva chiaramente continuare a vagare con la fantasia, si visualizzava di volta in volta accanto a lei.
A letto con lei, tra le sue braccia, con la testa appoggiata contro il suo seno.
Arrossì violentemente a quel pensiero e caricandosi lo zaino in spalla raggiunse il suo gruppo.
Dimenticare, gli dicevano i suoi amici.
No, era impossibile dimenticare. Almeno non per uno come Dylan White.

Aine si avviò verso la segreteria, non aveva ancora ritirato la lista dei corsi che avrebbe frequentato durante l'anno e di conseguenza non sapeva nemmeno che cosa aveva la prima ora.
Sfilò gli occhiali da sole scuri che nascondevano, non sono gli occhi azzurri e profondi, ma scavate occhiaie dovute a  notti insonni. A cosa erano dovute non le piaceva dirlo in giro, si limitava a nasconderle dietro le spesse lenti degli occhiali o a quintali di fondo tinta e correttore.
Scoccò la lingua contro il palato e si preparò alla ramanzina da parte di Katie McNight, la segretaria,nonché vicepreside, non era una donna particolarmente bella e non aveva nemmeno un carattere aggressivo che compensasse la mancanza di fascino, no, era una normale donna di mezza età che non sapeva da che parte prendere i ragazzi e le ragazze problematiche come lei.
-Aine, anche quest'anno non hai ritirato i corsi!-  la voce roca, dovuta ad una carriera da fumatrice incallita, era stranamente dura:-Sai che devi venire prima delle vacanze a ritirarli!-
-Mi dispiace- disse solo quello, afferrò il foglio appoggiato sulla scrivania della signorina McNight e sparì dietro la porta dell'ufficio, girò l'angolo e molto lentamente, trascinando i piedi si diresse verso la classe di chimica.
Primo giorno di scuola.
Prima ora: chimica.
Questo significava assistere ad una noiosissima presentazione, probabilmente di un nuovo professore o del programma da svolgere durante l'anno, la cosa non la intrigava particolarmente perciò decise di saltarla.
Cercò un angolo dove nessuno potesse disturbarla e a giudicare dal corridoio desolato e dal silenzio quasi tenebroso, appoggiarsi agli armadietti, sedersi e leggere un  libro( che non riguardasse materie scolastiche possibilmente ) era la cosa migliore.
Leggeva quegli stupidi romanzi rosa per divertimento, come potevano un ragazzo e una ragazza incontrarsi e innamorarsi nell'immediato!? A lei non era mai successo e di sicuro non sarebbe mai accaduto.
Non le piaceva pensare ad un futuro così scontato, l'amore era quello che ti faceva stare sveglio la notte, quello che ti lascia a bocca asciutta o con le farfalle nello stomaco.
La sua lettura fu interrotta da una presenza che conosceva fin troppo bene, Dylan si sedette accanto a lei sfilando gli occhi dalla montatura nera che indossava quando le lenti a contatto lo infastidivano.
Con lui le parole erano superflue, tutto era semplice ma anche così difficile, ignorava tutto quello che la riguardava o per lo meno quello che riguardava una parte della sua vita passata prima di atterrare in quel pianeta sconosciuto che poi era il liceo.
Fece un cenno di saluto con la testa sollevò appena il mento altezzosa e lasciò ricadere la nuca sulla sua spalla in un gesto fraterno, privo di qualsiasi malizia.
-Che hai?-le domandò lui,  sapeva bene che doveva mantenere una certa distanza con lei, quel tanto di distacco che le bastava per farla sentire a suo agio, se gli fosse stato troppo appiccicato, se avesse richiesto in continuazione dimostrazioni d'affetto nei suoi confronti avrebbe finito solamente con l'annoiarla, perdendola definitivamente.
-Tuo padre?- chiese lei sospirando.
-Stà bene, diciamo che in centrale non ha mai nulla da fare e si annoia, essere lo sceriffo non è poi così interessante, almeno questo è quello che dice lui...-
-Tua madre?-
-Sforna dolci a tutto andare, non sa come riempire i pomeriggi e continua a ripetermi che vorrebbe rivederti girare per casa ancora perché le manchi tantissimo, che hai fatto quest'estate? Dove sei stata?- chiese di colpo senza un apparente motivo, scostò la testa d'un lato allontanandola ancora da quella della ragazza, la chioma indomabile di lunghi capelli corvini gli pizzicava in modo irritante il collo tanto da farlo sentire quasi a disagio.
-New York con un paio di amiche...- spiegò affondando ancora di più viso nell'incavo della sua spalla, il rossetto lasciò un'impronta appena visibile sulla camicia quadrettata di Dylan, si morse la parte interiore della guancia e inspirò nuovamente aria nei polmoni, si passò il dorso della mano sotto il naso e portandosi le gambe al petto mormorò:-Non mi sono nemmeno divertita, New York riesce ad essere entusiasmante fino ad un certo punto, poi diventa noiosa e estremamente simile a tutte le altre città...-
Lui scosse la testa mordendosi un labbro:-Io credo che quella annoiata sia tu cara, non sono i posti in cui vai- disse Dylan senza tralasciare quel tono divertito che lo contraddistingueva
Aine sobbalzò impercettibilmente al solo pronunciare di quelle parole.
-No ma…- non continuò la frase, non sarebbe riuscita a trovare una giustificazione a quella sua frase, lei non era come Dylan, sempre allegra e sorridente, no, lei era una persona che aveva sofferto tanto e che nel giro di pochissimo tempo si era ritrovate senza una famiglia, non le era rimasto nessuno su cui contare.
La campanella suonò rumorosamente. Com'era possibile che fosse già passata un'ora?
Lei si alzò velocemente afferrò la borsa firmata e scoccò un bacio sulla guancia dell'amico, premette appena le labbra sullo zigomo centrando in pieno uno dei tanti nei che gli ornavano il viso.
-Ora devo andare a lezione...- osservò distrattamente il foglietto:-Adesso dovrei avere letteratura, a dopo Dylan-la ragazza scattò in piedi e corse verso l’aula poco distante.
Dylan si avviò lentamente per il corridoio , non si era mai domandato perché non avesse mai trovato il coraggio di confessare i suoi sentimenti a Aine, fin da piccolo l’aveva ritenuta un fiore raro, qualcosa che uno come lui non poteva nemmeno sperare di avere vicino, Aine era sempre stata una delle ragazze più belle che avesse mai incontrato, con i suoi capelli corvini e il corpo minuto, con quei suoi occhi azzurri e quel suo portamento fiero.
Secondo sua madre Aine era come un quadrifoglio, un fiorellino introvabile che tutti si dannavano a  cercare nel tentativo di acapparrarsi un pò di fortuna in più, Dylan invece si era sempre paragonato al trifoglio, quello che nascondeva come se fosse il più prezioso dei tesori la fonte della fortuna, non gli importava essere calpestato o ritenuto un fiore inutile, lui stava lì, con il suo vivissimo desiderio di proteggere l’amato quadrifoglio.
Eppure lui non riusciva nemmeno a salvarla da se stessa, sapeva benissimo la fine che avevano fatto i genitori di Aine, erano morti troppo giovani e avevano lasciato una figlia sola nelle mani di un famiglia affidataria, lui sapeva bene che Aine odiava l’enorme villa bianca in cui abitava, glielo aveva detto più di una volta che quelle pareti bianche la opprimevano, che avrebbe preferito ritornare a vivere nella vecchia casa di campagna piuttosto che stare in quel posto fin troppo grande fornito di piscina e tutto il resto.
Qualsiasi adolescente avrebbe dato un occhio per quel ben di dio di casa in cui Aine abitava, invece lei viveva in un perenne disagio.
Dyaln appoggiò sistematicamente i libri sul banco e si lasciò cadere sulla sedia.
Non l’avrebbe lasciata sola.

 

NdA:

Eccomi ritornata nelle originali romantiche con un nuovo delirio fresco fresco di giornata!
Volevo ringraziare di cuore Miri che ha realizzato per me questo bellissimo banner <3 e se ne volete uno anche voi bello quanto il mio v consiglio vivamente di mettere “mi piace” su questa pagina
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Per quanto riguarda la long invece, ho deciso di riprendere un vecchio spunto e questo è quello che ne è venuto fuori ;’D spero sia di vostro gradimento.
Baci F r o z e n

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Capitolo 2
*** Capitolo II: ***



C
apitolo II: La courbe de tes yeux

 

Aine guardò il suo corpo riflesso nello specchio appannato del bagno, l’enorme cicatrice che ormai da diversi anni le attraversava la schiena pizzicava, come se le volesse ricordare che lei c’era, che era presente in ogni momento della sua vita e che mai l’avrebbe abbandonata.
Aine sospirò passandosi le dita ossute sul quel lungo tratto di pelle biancastra, i sali da bagno l’avevano irritata e ora aveva un colorito rosato che si avvicinava un pò di più al colore naturale della sua pelle.

-Certo che fai proprio schifo!- Blaire la spinse facendola capitombolare a terra sul pavimento azzurro degli spogliatoi della palestra:-Quella roba che hai sulla schiena fa veramente schifissimo sai!?-  le urlò contro facendola strisciare il più lontano possibile da lei, era spaventata a morte, non sapeva che fare se non coprirsi le orecchie per non sentire le risate canzonatorie delle coetanee e  trattenere le lacrime  mordendosi furiosamente un labbro.
-Schifo! Alzati schifo!- Blaire la prese per un braccio strattonandola con violenza, quasi fosse una bambolina di pezza, una di quelle pigotte a cui mancava un occhio o un braccio. Ridevano.
Urlavano.
Urlavano e ridevano mentre lei piangeva, singhiozzando freneticamente in preda al panico più totale finché…

Fu come andare in apnea, tutto intorno a lei divenne un’unica macchia colorata, le mancò il respiro quasi la stessero strozzando e il cuore le martellava furioso in petto, sembrava che volesse perforarle la scatola toracica.
Vista da fuori fu la scena più brutta a cui una quattordicenne potesse assistere.
Una bulletta che pestava a sangue una ragazzina in preda ad un vero proprio attacco di panico.
-Lasciala!- la voce di Dylan obbligò le presenti a distogliere lo sguardo da quella scena così cruenta, il ragazzino pallido e magrolino scattò in avanti colpendo Blaire con un sonoro pugno sul viso:-Lasciala stare hai capito!- strillò Dylan scostando il corpo perfetto di Blaire da quello tremante di Aine che si fece piccola contro di lui.
-Esci White! E’ lo spogliatoio delle ragazze questo!- strillò una.
-Metti giù le mani da Blaire!- sbraitò un’altra.
-E voi brutte idiote, non predete in giro Aine altrimenti…- non riuscì a terminare la frase che un professore gli posò una mano sulla spalla:-Ora basta Dylan, porta Aine in infermeria e vieni dal preside-

Aine passò una mano sullo specchio appannato ripulendolo dalla condensa svelando solo una parte del suo viso riflesso, rimase un attimo ferma, il silenzio più totale a farle compagnia.

-Posso entrare- una voce sottile la risvegliò dai suoi pensieri.
-Entra- rispose arrotolandosi velocemente nel telo color panna.
-Tutto bene?- domandò la bambina sedendosi sul water frettolosamente.
-Tutto bene.- Aine si muoveva piano ciondolando da una parte all’altra del bagno per raccattare le sue cose, si sentiva a disagio ogni volta che vedeva quella bambina che con i suoi occhietti indagatori sembrava essere l’unica capace di scutarle dentro, quasi volesse scavarle dentro per captare ogni suo stato d’animo-
-Sorellona…- la bimba tentò di iniziare un discorso ma Aine la bloccò dicendo:-Io non sono tua sorella- e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle con un sonoro tonfo, per un attimo rimase appoggiata alla porta e potè sentire la bambina singhiozzare rumorosamente, era stata cattiva, lo sapeva benissimo e infondo le dispiaceva pure, ma lei aveva solo un fratello e quello era l’unico che poteva chiamarla in quel modo, nessun altro.

Si guardò intorno e procedette per il corridoio, lo sguardo basso e i capelli bagnati a coprirle il viso, colpì qualcosa o meglio qualcuno, andò a sbattere contro un petto ampio chiuso in una camicia bianca.
-Oh scusa Aine- la ragazza alzò lo sguardo verso suo “padre”, quello doveva avere si e no quattordici anni in più di lei, come poteva essere suo padre? No, non poteva esserlo, persino lui ne era consciente e non invadeva i suoi spazi, tutt’altro la lasciava tranquilla non come faceva Marguerite, che continuava a tartassarla nel vano tentativo di avvicinarsi a qualcosa di simile ad una madre.
-Non importa.- Aine si scostò osservando Juan allontanarsi pesantemente per il corridoio, quell’uomo era stanco, glielo leggeva negli occhi era stanco di tutto, sopratutto di Marguerite, li sentiva litigare la sera. Juan e Marguerite  era andati d’accordo fino a quando Aine non era entrata nella loro vita e lei sapeva bene che il motivo dei loro furenti litigi era proprio lei, Juan si ostinava a ripetere alla moglie di non starle addosso, di non soffocarla con tutte quelle attenzioni materiali che non servivano a nulla con lei.
Si chiuse in stanza e finì di vestirsi, aveva tutto ma in fondo non aveva niente.

Dylan fece il suo ingresso in casa sbattendo a terra lo zaino e lanciando le scarpe nell’anticamera del piccolo appartamento di periferia.
In casa non c’era nessuno. Un silenzio tombale.
Sorrise furbo guardando intorno, levò alla velocità della luce i pantaloni rimanendo solamente con la T-Shirt, le mutande e le calze fino al polpaccio rigate grige e verdi.
Scivolò in cucina canticchiando vivace, agitandosi freneticamente come per ballare, versò in una ciotola appoggiata sullo scolapiatti del latte e con un gesto rapido affogò i cerali con il cucchiaio.
-La libertà- boffonchiò Dylan buttandosi sul divano con il cucchiaio in bocca e i piedi appoggiati sul tavolino:-Mia madre non approverebbe mai, ma…- si mise a ridere come un pazzo:-Machissenefrega-gridò tutto d’un fiato, senza lasciare spazio tra una parola e l’altra.
Gli piaceva starsene a casa da solo, lui, la TV e tutte le porcate che riusciva a mangiarsi mentre sua madre non c’era.
Certo però che se ci fosse Aine sarebbe tutto più bello” pensò infilandosi l’ennesimo cucchiaio di cereali in bocca.
Alzò lo sguardo e quando vide la console spenta gli venne un’idea, aggangio il bluetooth e si mise la chiatarra a tracolla.
Quello era Dylan White in un normale pomeriggio di settembre, in mutande davanti alla TV nel goffo tentativo di seguire le note mentre giocava a Guitar Hero e mangiava cereali impiastricciandosi la faccia di latte quasi fosse un bambino.

-Dylan!- la voce severa di sua madre lo richiamò all’ordine e lui non petò fare a meno che scattare in piedi come un soldato:-Dylan… Cos’è tutto questo disordine?- domandò Malia guardando il figlio, in una mano reggeva i pantaloni scuri di Dylan mentre nell’altra la busta della spesa.
-Sergente mi sono dato al divertimento mentre voi non c’eravate, chiedo umilmente perdono!-
-Piantala di fare l’idiota Dylan- rispose Malia mollando una manata sulla testa del figlio senza lasciarsi sfuggire però un risolino divertito:-Questo vuol dire soldato semplice White che ora prenderete lo strofinaccio e pulirete tutto il disastro che avete combinato mentre vi agitavate come una gallina starnazzante- gli resse il gioco lei.

Dylan spalancò la bocca:-Ma… Ma mamma!- protestò il ragazzo seguendo la figura della madre procedere fino in cucina.
-Ah! Non mi manchi di rispetto, è Sergente Mamma!- specificò lei sededosi e guardandolo soddisfatta cominciò a sfoglia una rivista di moda:-La prego soldato semplice, inizi pure-
Così Dylan si ritrovò alle sette di sera a ripulire le macchie di latte, patatine e cereali che aveva lasciato sul pavimento mentre tentava di finire la canzone dei Nirvana, Dylan continuò a passare il mocio per terra, stronfinando con una forza:-Però potresti darmela una mano..- farfugliò sotto voce il ragazzo.
-Non se ne parla nemmeno, tuo il disastro tuo il divertimento delle pulizie- ribatté Malia con un sorriso che le arrivava alle orecchie.
-Va bene mamma-
“Va bene, magari questa parte Aine non la dovrebbe vedere” pesò divertito.

 

-Non è successo nulla!- rise Dylan passandosi un dito sotto il naso palesemente divertito:-Il preside mi ha solamente dato un periodo di detenzione da scontare-
-Quanto dovrai stare in punizione?-
-Tutti i giorni di tutte le settimane fino alla fine della scuola- annunciò allungando per un attimo il passo.

-Scusami-
-E di che?- Dylan si voltò studiando attentamente l’amica, se ne stava con la testa china e i capelli a coprirle il viso pallido e smagrito.
Fu in quel momento che qualcosa dentro di lui cambiò, sentì un tonfo al cuore, una profonda fitta al petto che lo lasciò totalmente senza fiato.
-Tu ti sei preso una punizione per colpa mia e io non volevo…- Dylan la prese per le spalle e l’abbracciò, la strinse forte a se cercando di calmare quel battitto improvviso che l’aveva fatto spaventare.
-Ci sono qui io con te Aine…-

 

NdA:

Bene se siete arrivati fino in fondo vuol dire che questo capitolo non vi ha schifato più di tanto :’D
Spero sinceramente che questo tentativo di mettere a confronto l vita piatti di Aine e quella colorata di Dylan vi sia piaciuto e sopratutto che io sia riuscita nell’intento di farlo capire al lettore :’D
Volevo ringrazia le sei persone che hanno aggiunto la storia ai seguiti, cioé; aithusa87, Eli12, Iladempsey, Maryful, Riveer e Vale_Pattz.
Volevo ringraziare Miri per aver realizzato anche sta volta un banner strepitoso *^* questa è la sua pagina nel caso qualcuno ne volesse uno bello come il mio! https://www.facebook.com/pages/-Vivi-senza-scuse-%E1%83%93-ama-senza-rimpianti%E1%83%93Graphic-/324459424283123?hc_location=timeline

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


CAPITOLO III:

-Sei stata tu… Aine, è tutta colpa tua- la voce del fratello le risuonò potente nelle orecchie lasciandola totalmente di stucco, mai avrebbe pensato di sentire quelle parole pronunciate proprio dalla bocca di suo fratello.
-Ma Kol, io non- il ragazzo la bloccò bruscamente afferrandola con forza per la gola mentre con l’altra mano le spingeva la testa sott’acqua.
Lo vedeva quel suo ghigno soddisfatto, lo vedeva sfocato mentre rideva a squarciagola prendendosi gioco di lei, urlandole più e più volte che l’incidente in casa McCall era avvenuto solamente a causa sua, e più lui lo diceva più lei se ne convinceva.
E’ colpa mia. Ripetè mentalmente. Solamente colpa mia.
E intanto lo sentiva il cuore perdre di volta in volta un battito e l’acqua penetrarle nei polmoni mentre lei cercava in tutti i modi possibili di ribellasi.
Io però voglio vivere!

 

Aine si svegliò di scatto, sentiva il cuore martellarle nel petto e il respiro tanto pesante da sembrare un macigno, cercò di recuperare la stabilità, di non pensare all’incubo appena fatto che l’aveva obbligata a svegliarsi così precipitosamente.
Proprio però non ci riusciva a non pensare, rivedeva davanti a lei il volto del fratello, gli occhi colmi di rabbia e il viso contratto in una smorfia di incredibile disgusto.
-Ti prego esci dalla mia testa- mormorò tra sé e sé, aveva una paura folle di tutto, ogni ombra in quell’enorme stanza le ricordava l’incubo di cui era stata protagonista e che non avrebbe mai più voluto rivivere.
Si avvicinò alla porta finestra che dava sull’immenso balcone e la spalancò lasciando che il vento autunnale le scompigliasse i lunghi capelli scuri.

Afferrò il cellulare in fretta e furia e si premurò a cercare il più velocemente la lettera “D” nella rubrica, fece scorrere tutti i nomi e quando finalmente trovò quello che le interessava scrisse più velocemente possibile. Vieni.

Era sicurissima che sarebbe arrivato.

 

Dylan per poco non prese un colpo quando il telefono cominciò a squillare nel bel messo della notte e ci mancò davvero poco a svenire quando realizzò chi aveva effetivamente scritto quel cortissimo messaggio che suonava più come un ordine che come una supplica.
Immediatamente si mise in piedi, si vestì in fretta e cercò più velocemente possibile le chiavi della jeep azzurra parcheggiata nel cortile del condominio.

Stette ben attento a non farsi sentire, era sicuro che se i suoi genitori si fossero accorti della sua assenza si sarebbero allarmati e avrebbero combinato di certo un pandemonio.

Così scese lentamente le scale e chiuse con delicatezza la porta dietro le spalle.
Salì in macchina e accese il motore partendo velocemente verso la casa di Aine.

 

Scavalcare l’enorme cancellata della villa in cui Aine abita era sempre stato uno dei suoi sport preferiti, ma da quando tentare agilmente di giungere alla sua balconata aveva l’unico scopo di raggiungere una Aine tremante e spaventata era diventato davvero meno divertente.

Quando la vide appoggiata alla porta finestra, con il maglione stretto addosso e lo sguardo vacuo per poco non gli venne da piangere, si arrampicò a fatica lungo l’alta siepe e si issò sulla balconata con forza:-Sono qui Aine- la ragazza alzò gli occhi e gli corse incontro affondando il viso tra le pieghe della maglia al rovescio del ragazzo che del canto suo non potè fare a meno di stringerla con forza a sé, permettendole di sfogarsi.
E Aine pianse così forte da far commuovere anche lui, Dylan si sentiva stupido, piccolo e impotente di fronte al dolore fisico e mentale della ragazza che amava.
-Rimani a dormire con me sta notte- singhiozzò Aine in quel momento e Dylan non poté fare a meno di accettare, non gli importava pensare che una volta arrivato il mattino i suoi non l’avrebbero trovato a letto o che peggio ancora l’avrebbero trovato nel letto sbagliato, non gliene importava veramente nulla, perché tutto quello che aveva sempre cercato ce l’aveva proprio stretto tra le braccia.
Si stesero assieme e Aine si addormentò in un secondo, poteva sentire distintamente il suo respiro solleticargli il collo e i capelli pizzicargli la pelle sensibile delle braccia, l’abbracciò un pò più forte, non voleva sapere cosa aveva sognato quella notte Aine, era sicuro che sarebbe stato troppo doloroso per lei raccontarglielo e che se glielo avesse chiesto sarebbe tornata inquieta con quelche istante prima, così si abbandonò al suo fianco cadendo in un sonno profondo.

 

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