No Good Deed Goes Unpunished.

di Chemical Lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I: Il Nonno. ***
Capitolo 2: *** Parte II: Il Messaggio. ***
Capitolo 3: *** Parte III: Il Sacrificio. ***
Capitolo 4: *** Parte IV: Il Matrimonio. ***
Capitolo 5: *** Parte V: La Spada. ***
Capitolo 6: *** Parte VI: La Rocca. ***
Capitolo 7: *** Parte VII: Il Sorriso. ***
Capitolo 8: *** Parte VIII: Il Dono, parte I. ***
Capitolo 9: *** Parte IX: Il Dono, parte II. ***
Capitolo 10: *** Parte X: La Fiducia ***
Capitolo 11: *** Parte XI: L’Invidia. ***
Capitolo 12: *** Parte XII: La Tentazione ***
Capitolo 13: *** Parte XIII: La Condanna. ***
Capitolo 14: *** Parte XIV: L’Innocente. ***
Capitolo 15: *** Parte XV: La Gazza, parte I. ***
Capitolo 16: *** Parte XVI: La Gazza, parte II. ***
Capitolo 17: *** Parte XVII: L’istinto. ***
Capitolo 18: *** Parte XVIII: Il Rosso. ***
Capitolo 19: *** Parte XIX: Il Nero, Parte I. ***
Capitolo 20: *** Parte XX: Il Nero, PtII ***
Capitolo 21: *** Parte XXI: L’Orgoglio. ***
Capitolo 22: *** Parte XXII: I Fratelli. ***
Capitolo 23: *** Parte XXIII: Il Traditore. ***
Capitolo 24: *** Parte XXIV: La Penitenza. ***
Capitolo 25: *** Parte XXV: Epilogo – La nostra guerra. ***



Capitolo 1
*** Parte I: Il Nonno. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Parte prima.
Rating: Arancione.
Betareader: Electric.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.

Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di un orco ma che, dietro ad una maschera di marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?

Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un nuovo tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.

Le note alla fine del capitolo.

Piccola avvertenza: La storia ha inizio circa un anno prima di quanto narrato nella serie TV. Diciamo che c’è un piccolo preambolo.



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Enjoy…















Parte I: Il nonno.






La stanza era immersa in una profonda penombra, che agli occhi di una povera bambina rendeva il letto dal baldacchino infondo ad essa grande e spaventoso come un drago dormiente.
Strinse la mano di sua madre Lucrezia, guardandosi attorno con i grandi occhi celesti ricolmi di terrore. Non capiva perché la stanza del nonno era così buia, ne perché l’aria sembrava tanto pesante. Non passava molto tempo a villa Correggi*, a quell’età, ma ne aveva sempre avuto ricordi gioiosi e ricchi di allegria. Quella stanza angusta stonava con i toni caldi a cui era tanto abituata la piccola, quando correva per i campi insieme a Giovanni e Giuliano appena il sole calava, rincorrendo le lucciole.
“Desidera parlare in privato con Beatrice.” Queste erano state le parole di suo padre, mentre la guardava con gli occhi velati di tristezza mista alla stanchezza di molte notti insonni. Poi aveva domandato alla moglie di accompagnarla, ritirandosi quindi nei suoi alloggi insieme a Lorenzo.
Suo padre passava davvero moltissimo tempo con il maggiore dei suoi tre fratelli, anche se lei non capiva di cosa mai potessero parlare. Certo, lui ormai era quasi un uomo, mentre lei una bambina, ma si sentiva spesso messa da parte, soprattutto quando si trovavano nella loro grande casa, a Firenze.
Non era come il nonno, che sempre trovava del tempo per lei, nonostante gli impegni e gli affanni dell’età avanzata. Nonostante fosse la più giovane, lui la adorava al pari di una vera principessa. La più bella e importante delle sue sorelle. Le aveva insegnato tutto soprattutto a leggere, a scrivere e a consultare i libri della loro immensa biblioteca
Le aveva raccontato delle storie belle e misteriose, provenienti da paesi lontani ed esotici che faticava addirittura ad immaginare tanto erano belli e irraggiungibili. Con lei, infine, condivideva dei segreti che nessun’altro sapeva. Nemmeno suo padre. L’aveva sempre fatta sentire speciale e quando aveva udito il padre proferire quelle parole, nonostante il tono basso, il cuore le si era infiammato di gioia.
Sebbene la malattia lo costringesse a letto da molto tempo, il nonno voleva vedere lei più di chiunque altro, lei soltanto. Non aveva chiesto del figlio, ne di Lorenzo o Giuliano, o una delle loro sorelle più grandi. Voleva vedere la più giovane delle sue nipoti, la luce dei suoi occhi e la stella del suo cielo.
Arrivate accanto al grande letto, Lucrezia la aiutò a sistemarsi accanto all’uomo lì disteso, facendola sedere sul soffice materasso ricoperto da un bellissimo copriletto vermiglio colmo di ricami eleganti, così come il resto dell’impalcatura che pareva avvolgerla come un piccolo covo di rovi.
Il nonno sembrava più stanco che mai; molto più di come lo aveva visto nei giorni passati. Aveva gli occhi chiusi e respirava piano ma con notevole fatica. Una delle donne di corte stava passando uno straccio umido sulla sua fronte e quasi si spaventò quando lui la scacciò con un gesto secco della mano destra.
“Lasciateci soli.” La sua voce giunse roca e lontana, come se a proferire quelle parole si fosse trovato sul fondo di un pozzo. Immediatamente la serva si sbrigò verso uscita, seguita da Lucrezia che aveva guardato sua figlia prima di chiudersi l’uscio alle spalle.
Voleva assicurarsi che la bambina stesse bene, che non temesse l’oscurità della stanza o la malattia del nonno. Lei, però, non temeva più nulla perché accanto aveva la persona che più amava al mondo e dal quale, e ne era certa, era a sua volta amata.
Gli prese la mano appena lui la porse lentamente verso di lei, stringendola tra le piccole mani lisce e sentendone la ruvidezza. Iniziò a segnare con le dita ogni singola ruga su di essa, percorrendo quel dedalo di linee curve come per rassicurarlo che era lì, al suo capezzale e che sempre ci sarebbe stata.
Beatrice era poco più che una bambina, ma era acuta e intelligente come pochi. Capiva perfettamente quello che stava succedendo, sapeva che il nonno non sarebbe stato fra loro ancora per molto, così si permise di stringere un poco più del solito quella mano.
L’anziano uomo ruotò il capo sul cuscino, aprendo gli occhi e specchiandosi in quelli della piccola, identici ai suoi. Sorrise, alzando l’altra mano che tremò appena nell’aria, prima di poggiarsi sulla gota della bambina, accarezzandola.
“Mia dolce, dolce Beatrice…” sussurrò con tono dimesso “Le nostre strade stanno, infine, per dividersi.”
La tristezza invase il cuore della piccola come un fiume nero invade una valle allo squarciarsi di una diga. Una lacrima solitaria le rigò il volto e venne subito catturata dal nonno.
“Non devi disperare per coloro che hanno il Destino segnato, Beatrice.” La riproverò l’uomo con dolcezza “Ho vissuto una vita piena e ricca. Non mi è mancato nulla e ho lasciato tutti i miei possedimenti a validi discendenti, ovvero tuo padre che lo tramanderà a tuo fratello Lorenzo. Ma a te, nipote mia, lascio la più grande delle mie eredità.”Alzò il busto, reprimendo un piccolo gemito di dolore, prima di prendere un piccolo libro dalla copertina di pelle nera. Lo passò alla bambina, che lasciò la sua mano per prenderlo “Questo è un diario che ho scritto in questi miei ultimi anni di vita e riguarda tutto ciò che ti ho insegnato. Il nostro segreto, Beatrice.”
La bambina alzò rapidamente gli occhi nei suoi “Nonno, cosa volete che faccia con questo diario?”
“Conservalo.” Fu la risposta dell’uomo mentre tornava a stendersi, sospirando sollevato “Quando arriverà il giorno, saprai aiutare colui che sarà il prescelto.”
A quelle parole le piccola quasi sussultò “Come lo riconoscerò?”
“Quando i tempi saranno maturi lo capirai da sola, mia piccola stella. Ricorda sempre che il solo sentiero della conoscenza non è quello più facile da percorre, ma è lastricato da insidie. A te ho lasciato il mio sapere maggiore; conservalo poiché un giorno lo tramanderai a tua volta.”
Beatrice strinse al petto il libro, guardando la vita che lentamente svaniva dagli occhi del nonno, rendendoli sempre meno vivi “Non potete lasciarmi, non so cosa fare.”
“Lo saprai, devi solo ricordarti le mie parole e fidarti del tuo istinto. Io sarò sempre con te a indicarti la via.” Le accarezzò di nuovo la guancia, vedendola sorridere tristemente, fra le lacrime “Ricorda sempre, Beatrice: Sono figlio della terra e del cielo stellato.”
La voce le uscì da sola, mentre terminava la formula accompagnando la voce sempre più flebile del nonno “Di sete sono arso, ti prego fa che io mi disseti alla fontana della memoria….”
Poi venne un profondo silenzio.
La mano cadde sul materasso con un piccolo tonfo, mentre la vita scivolava via dal corpo di Cosimo de Medici.




***Dieci anni dopo***





Non vi è nulla che all’occhio di Firenze sfugga; che il lastricato delle vie venga calpestato da un signore o da un disgraziato, ogni potenziale uomo che visita la città d’arte, Musa e ispiratrice, può segnare in qualche modo il suo fato e riscrivere così il futuro del Mondo.

“Tieni l’occhio sull’obbiettivo e lì indirizza la freccia.”
Giuliano alzò il gomito della sorella, prima di staccarsi da lei di qualche passo per concederle di scoccare il colpo. Peccato che la freccia non si avvicinò nemmeno per sbaglio al bersaglio.
Beatrice sbuffò, abbassando l’arco in un moto di pura stizza, prima di voltarsi verso il fratello maggiore “Altri consigli? Pare che io sia davvero negata come arcere…”
Il ragazzo si passò una mano dietro al capo, accarezzando i nervi tesi del collo, prima di guardarla con fare deciso “Ok, proviamo così. Prendi un’altra freccia.”
La giovane eseguì, incoccando una freccia nell’arco e tornando a posizionarsi con fianchi di profilo. Giuliano le prese il gomito destro, tirando ancora di più la corda indietro “Prendi la mira, poi svuota i polmoni, quindi ritenta.”
Beatrice lo guardò con la coda dell’occhio, prima di fare esattamente come le era stato consigliato; prese un bel respiro, poi svuotò o polmoni e puntò nuovamente un occhio sull’obiettivo, allineandolo con il bersaglio, prima di chiudere istintivamente l’altro. E scoccò la freccia.
Giuliano, che aveva seguito la traiettoria del dardo con attenzione, ruggì una risata “Brava Beatrice!”
“L’ho colpito?” domandò la ragazza eccitata, lanciandosi poi in una corsa a perdifiato per seguire il fratello lungo il campo in cui si stavano allenando. Non aveva solo colpito l’obiettivo, ma era andata anche pericolosamente vicina a fare centro.
“I tuoi progressi mi stupiscono sempre di più.” Le disse Giuliano, mentre lei osservava il frutto di tanta concentrazione e fatica. Un soffio di vento piegò le spighe del campo di grano accanto a loro, facendo danzare i loro mantelli insieme ai lunghi capelli corvini della giovane “Ancora qualche prova e diventerai brava quasi quanto me.”
“E se ti dovessi superare?” domandò impertinente la più piccola della casata, scostando una ciocca di capelli che le era finita sul volto “Potrei diventare un buon generale per Lorenzo. Potrei difendere Firenze.”
“Dovresti preoccuparti di chi prenderai in marito, non della guerra.” La corresse prontamente il maggiore dei due.
“Per caso è una sfida?” Beatrice andò verso i cavalli, prendendo la spada che aveva lasciato assicurata alla sella della sua giumenta “L’ultima volta ho quasi vinto io.”
“Hai detto bene, sorella. Quasi” Giuliano le andò in contro, senza toccare la sua arma. Le passò accanto appoggiandole una mano sul capo in un gesto affettuoso, sistemando poi le frecce e l’arco “Sarà meglio ritornare a Palazzo, prima che Becchi ci venga a cercare per riportarci a corte. Sarebbe capace di trascinarci per le orecchie, siamo in notevole ritardo.”
“Il matrimonio di Bianca non si terrà che stasera, Giuliano. Abbiamo ancora così tanto tempo a disposizione.” Lo corresse immediatamente ella, pur consapevole che la loro presenza si sarebbe ritenuta necessaria all’arrivo dei molti ospiti previsti a Palazzo.
Che loro sorella maggiore fosse stata promessa in sposa a uno della famiglia Pazzi non li rendeva di certo vogliosi di festeggiamenti: da secoli si erano create dispute tra quella ricca famiglia e i Medici. Tornarono a palazzo nonostante le lamentele di Beatrice, sfilando per la città sui loro destrieri e salutando di tanto in tanto un cenno a tutti coloro che rendevano i loro omaggi ai due rampolli.
“Sarò costretta anche io a sposare un nobile così come è successo a Lorenzo e Bianca?” domandò la ragazza, mordendosi poi la lingua poco dopo. Non aveva paura di parlare liberamente a suo fratello, anzi, era il solo membro della sua famiglia con cui riusciva a essere realmente se stessa senza dove tener conto dei titoli e della riverenza.
Giuliano si voltò verso di lei con uno scatto repentino del capo, alzando un sopracciglio mentre il viso si rabbuiava “Vi è per caso un nuovo fra i tuoi pensieri? O magari è già sceso fra le tue sottane?”
Beatrice allungò un braccio, colpendo il fratello con uno schiaffo in pieno petto “Nulla di tutto ciò, che vai a pensare?” scosse lentamente il capo, cercando di impedire alle sue gote solitamente pallide come luce lunare di diventare rosse per l’imbarazzo “Solo, ricordo le parole del nonno di tanto in tanto, ma ad esse credo sempre meno.”
Il maggiore dei due la guardò senza capire “A cosa alludi?”
“Da bambina ricordo che mi innamorai del castello di Leonello d’Este, quando ancora eravamo in buoni rapporti con la famiglia di Ferrara. Il nonno portò me e Lorenzo con sé, in quell’occasione, per presentare nostro fratello alla grande casata degli Estensi e per mostrare a me quelle terre…”
“Eri la sua prediletta” sbottò Giuliano con una punta di invidia, prima di sorridere teneramente alla sorella “Non sai quanto eravamo arrabbiati io e Nannina in quell’occasione.”
“Posso provare ad immaginarlo” rispose la giovane, prima di riprendere il racconto proprio mentre entravano nel grande cortile in pietra di Palazzo Medici “Mi piacque così tanto quel castello che il nonno, per consolarmi prima della partenza, mi disse che un giorno un signore da una terra lontana e bella come il ducato d’Este sarebbe venuto a prendermi per portarmi in un luogo del genere e lì sarei stata nominata la più bella del castello.” Scese dalla giumenta con un gesto repentino, seguita dal fratello e insieme porsero le redini agli stallieri “Allora ne fui felice, poiché secondo i precetti con cui sono stata allevata, essere presa in moglie da un nobile di sangue blu era il massimo degli onori. Ora però ho cambiato idea.”
“Non puoi di certo pretendere che Lorenzo ti ponga a capo di un esercito” le disse Giuliano scherzosamente, ma poi notò l’ombra scura che albergò sul viso della sorella una volta detto ciò “Non starai davvero pensando alla carriera militare!”
“Perché no?? Lo dici tu stesso che sono abile con la spada!” la ragazza si infervorò, alzando la voce al centro del corridoio ove la servitù si stava affaccendando in vista del matrimonio. “Perché non posso anche io divenire importate per Firenze?”
“Perché sei una donna!” Subito, Giuliano si pentì di aver risposto così.
Beatrice sbuffò una risata triste, abbassando il capo mentre si sfilava i guanti di pelle nera “Quindi divento automaticamente merce di scambio. Lo trovo giusto” guardò il fratello sarcasticamente “Vado a prepararmi per stasera. Se ho fortuna, diventerò l’insulsa moglie di qualche maiale di Milano o Venezia.”
“Beatrice, aspetta!” Giuliano non ebbe la possibilità di aggiungere altro. Sua sorella era già svanita. Voleva raggiungerla, ma non riuscì visto che qualcuno pensò bene di mandarlo a chiamare.
Lorenzo desiderava vederlo.
Velocemente, si recò verso le stanze del fratello, dove una sarta stava cucendo le bardature dell’abito che il Magnifico avrebbe indossato quella sera.
“Desideravi vedermi?” domandò il più giovane tra i due, mentre Lorenzo domandava con tono basso e gentile alla donna di uscire dalla stanza.
“Chiudi la porta.” Disse deciso, volgendosi al fratello.
Giuliano obbedì, avvicinandosi di qualche passo al fratello una volta esaudito quel desiderio “Perché tutta questa discrezione?”
“Non ho buone notizie, temo.” Lorenzo abbassò la voce “Becchi ha appreso poco fa che stasera, tra gli ospiti dei Pazzi, ci sarà anche il Conte di Imola, Riario.”
Giuliano deglutì lentamente “Dovevo saperlo che quei vermi tramavano alle nostra spalle, in cerca dei favori della chiesa!” alzò la voce, ma il maggiore gli fece segno di calmarsi.
“Non dobbiamo mostrarci nervosi davanti a lui, o sembrerà che vogliamo attirarsi le ire dello Stato Pontificio. Giuliano, dobbiamo stare attenti ad ogni singola mossa.”
L’altro annuì “Presterò attenzione ad ogni singola parola che uscirà dalla mia bocca.”
Lorenzo annuì “Molto bene, in ciò confido. Ora va a prepararti, non fare tardi.”
Giuliano si congedò, lasciando il fratello da solo nella stanza. Egli si avvicinò alla finestra, guardando sotto di sé le strade ricolme di persone. Si appoggiò con la fronte alla grata di forma romboidale, chiudendo gli occhi per qualche istante prima di riaprirli e scorgere una figura tra la folla.
Avrebbe riconosciuto quel passo e quel mantello tra mille. Beatrice era uscita da Palazzo, diretta chissà dove.
“Quella giovane mi farà ammattire, come se già non ci pensassero gli altri.”
Voltò le spalle alla finestra, diretto alla porta in cerca di Becchi. Doveva andare a riprendere Beatrice in tempo per il matrimonio e magari scoprire dove diavolo si recava ogni volta che lasciava il Palazzo.
Poi avrebbe pensato a cosa dire a Riario per ingraziarselo, per l’ennesima volta.

Continua




*Villa correggi dove è morto Cosimo de Medici, dopo essersi ritirato a vita privati nei suoi ultimi anni di vita. La villa è situata in una zona di campagna collinosa, appena fuori Firenze, dove la famiglia si ritirava d’estate.


Nda.

Piccolo esperimento, causato dall’ultimo oppiaceo che ho assunto, ovvero la serie tv D a Vinci’s Demons.
Gran droga, devo dire!
Adoro inventare nuovi personaggi, laddove è possibile, per stravolgere un po’ la storia di un racconto, ma non l’avevo mai fatto con la vera STORIA.
Riario è il personaggio che preferisco e nel prossimo capitolo entrerà in scena.
Spero di aver attirato la vostra attenzione e la vostra curiosità!
Al prossimo capitolo.

Jessika.


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Capitolo 2
*** Parte II: Il Messaggio. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished. *
Capitolo secondo.
Rating: Arancione.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
 
Buona lettura.
 
 
 
 

 
 
 
 
Parte II: Il Messaggio.
 
 
 
 
 
Le strade di Firenze erano sempre invase delle personalità più disparate: bambini poveri che cercavano di arraffare qualche moneta o un tozzo di pane, nobili con i fazzoletti portati al naso per non sentire il fetore della miseria, borghesi che trovavano in ogni minima cosa un’opportunità per arricchirsi.
Beatrice amava molto trascorrere del tempo per quelle vie, tra le persone comuni, sembra ben attenta a non dare eccessivamente nell’occhio. Una donna che indossava dei calzoni, tanto per iniziare, attirava moltissimo l’attenzione.
Svoltò un angolo, diretta verso una destinazione ben precisa, ma che non conosceva poi così bene.
Aveva in parte mentito a Giuliano, quando aveva detto di non avere nessuno in mente quando si parlava di potenziali interessi. In realtà aveva conosciuto un giovinetto, di qualche anno più grande di lei, per puro caso un paio di giorni prima.
Non sapeva poi molto di lui, solo che era un’artista e che studiava presso la bottega del Verrocchio. Si chiama Sandro, figlio di un certo Botticelli, ed era un ragazzo di bel aspetto seppur un poco caparbio.
Ad affascinare Beatrice però non era stato ne l’aspetto ne il carattere di Botticelli, bensì la sua arte: sapeva dipingere in modo a dir poco spettacolare. Aveva due doni al posto delle mani e alla giovane di buona famiglia prima o poi sarebbe servito un ritrattista, tanto valeva corteggiare un pittore affinché la ritraesse al meglio. Lui non si era di certo risparmiato, dedicando a Madonna de Medici delicate quanto audaci lusinghe. Si erano rivisti, sempre in modo assolutamente innocente, una volta soltanto presso i giardini della Fortezza. La curiosità l’aveva spinta ad informarsi su dove potesse trovarsi tale bottega, ma era riuscita solamente a strappare un vago indirizzo a una delle donne di compagnia.
Svoltò l’angolo, con la mente lontana, accorgendosi all’improvviso del cambiamento d’aria. Era già successo, più di una volta, sapeva cosa significava. Si portò una mano al capo, chiudendo gli occhi un istante prima di riaprirli e trovarsi di fronte un uomo dalla pelle olivastra e grandi, espressivi occhi verdi, contornati da sottili linee nere.
“Beatrice.”
La ragazza si concesse un sorriso velato, prima di rispondere al Turco “Cosa vi porta da me? Era da tempo che non venivate a porgermi i vostri omaggi. Per caso i tempi sono maturi?”
L’uomo scosse il capo, sorridendo alla giovane “Non ancora, vi prego, camminate con me.”
La mora gli si affiancò, abbassando il cappuccio del mantello color notte che indossava “Avete un messaggio…. Di mio nonno?” chiese speranzosa, mordendosi il labbro inferiore con fare incerto. Ogni qualvolta il Turco l’aveva contattata, tre volte in tutta la sua vita dalla morte di Cosimo, aveva sempre detto qualcosa su suo nonno. Non aveva ancora capito come egli potesse rimanere in contatto con i morti, ma aveva sempre riferito verità o segreti di cui solo lei e il nonno erano a conoscenza. Aveva preso per vera ogni singola parola, dalla prima volta che l’aveva incontrato. Dopotutto non conosceva a pieno i poteri dei Figli di Mitra, non si giudicava ancora una di loro poiché le conoscenze che aveva derivavano più che altro dai miti che il nonno le aveva tramandato. Non conosceva quali confini essi potessero varcare, ne come facesse il Turco ad entrare sempre in città senza destare sospetti.
Contrariamente ad ogni su aspettativa, il Turco scosse il capo “Mi dispiace, Beatrice, ma sono qui per qualcosa di più solenne. Seppure i tempi non sono ancora maturi, devi prestare molta attenzione al Diario. Ci sarà qualcuno che tenterà di portartelo via insieme alla chiave.”
Istintivamente, la giovane alzò una mano e cercò i contorni di ferro del piccolo oggetto, assicurato ad una cordicella nera, sotto alla camicia bianca. Si tranquillizzò nel avvertirne  il ferro “Non accadrà, l’ho promesso al nonno. Sarò la custode di questa chiave e del segreto che la lega a questo mondo fino alla fine.”
“Siete un’abile Guardiana, ma attorno a voi potrebbe crearsi una fitta nebbia. Prestate molta attenzione a coloro a cui vi legherete.” Si bloccò, davanti ad una spessa porta di legno, alla quale bussò. “Il prescelto apparirà tra qualche tempo e sarà lui a venire da voi.”
Beatrice abbassò gli occhi “Ma come lo riconoscerò se nemmeno lui saprà il suo Fato? Come potrò?” il tempo di un battito di ciglia ed era di nuovo sola. Del Turco non vi era più traccia.
“Posso fare qualcosa per voi?”
Al suono di una voce sconosciuta, Beatrice voltò il capo verso la porta, in quel momento aperta. Sulla soglia vi era una bel uomo, che doveva avere si e no venticinque anni; alto, capelli e occhi scuri. Davvero un bel uomo.
“Vi chiedo perdono” disse la giovane, ancora stordita dalla sparizione improvvisa del Turco. Non si sarebbe mai abituata a quel suo modo di entrare e uscire in punta di piedi dalla sua vita “Posso sapere dove mi trovo e con chi ho il piacere di parlare?”
“Siete innanzi alla soglia della bottega del Verrocchio e state parlando con un umile artista. Io sono Leonardo da Vinci, per servirvi.”
“Da Vinci?” domandò stupita la giovane. Aveva sentito parlare del figlio  ripudiato di Piero da Vinci, e sapeva che era un artista, ma non si aspettava di trovarselo innanzi. Che messaggio voleva mostrarle il Turco? Non l’aveva di certo condotta lì solo per aiutarla a trovare la meta.
“Si, mia signora.” Lui sorrise, senza nascondere una punta di malizia all’interno degli occhi brillanti. Lei arrossì “Vi ho riconosciuta, Madonna de Medici. Cosa possono fare dei poveri artisti per una nobildonna del vostro calibro?”
“In vero, cercavo Mastro Botticelli. Desideravo scambiare con lui qualche parola.”
“Ah…” La delusione  si materializzò sul viso di Da Vinci, che parve quasi seccato dalla cosa “Peccato, ma se è il vostro desiderio vi prego di seguirvi.”
“Beatrice!”
La ragazza si voltò, quasi paventata. Becchi stava correndo verso di lei insieme ad un paio di guardie di Palazzo, stringendo un paio di rotoli di pergamena in una mano e il cappello nell’altra “Vi ho cercata per mari e per monti! Farete tardi per stasera!”
La mora sbuffò sonoramente, decidendo però di non dare spettacolo “Porgete i miei saluti a Botticelli, mastro Da Vinci. Buona giornata.”
“Buona giornata a voi Madonna, magari la prossima volta verrete per scambiare due parole con me.”
A quelle parole così sfrontate, Beatrice arrossì lievemente, ma non ebbe il tempo di controbattere. Becchi la stava già portando via, ciarlando inutilmente riguardo al matrimonio e a preparativi che non erano stati portati a compimento.
Gli occhi celesti della giovane saettarono un’ultima volta verso Leonardo, ancora in piedi sull’uscio della bottega, prima di girare un angolo e porre un muro tra loro due.
 
 

***

 
 
La cerimonia si era svolta come da programma, all’interno della cappella di famiglia nel palazzo dei Medici, con la sola presenza dei famigliari, per poi sfociare nella solita grande festa di corte, presso il salone principale.
Eccetto un paio di episodi divertenti – Francesco de’Pazzi era quasi caduto a terra, pestando uno degli stendardi della sua stessa famiglia, portati da un paio di suoi fedeli, poi lei aveva danzato insieme a Giuliano, ridendo tutto il tempo – la giornata risultava peggiore di quanto l’avesse immaginata in precedenza.
Era stanca si sorridere a sconosciuti, in particolare ai molti uomini che sembravano mangiarla con gli occhi mentre si informavano con Lorenzo riguardo la sua dote e a quando avesse intenzione di darla in moglie. Molti erano molto più grandi del fratello maggiore. Beatrice era certa che un paio fossero vecchi quanto lo sarebbe stato suo padre se fosse stato ancora vivo.
Poi vi erano le nobildonne, che si vantavano della succosità delle fragole presso la loro villa in campagna o della bellezza delle vesti che facevano arrivare direttamente dall’oriente.
Tutti, nel bene o nel male, preferivano ostentare il loro agio piuttosto che rendere omaggio alla coppia sposata.
Tutti, eccetto una persona.
Era un uomo, non troppo alto e con grandi occhi di un imprecisato colore che a Beatrice rievocava quello del miele. Non faceva nulla per attirare su di sé l’attenzione con futili vanti, semplicemente se ne stava in disparte. Non aveva parlato molto  con gli altri invitati, sembrava preferire la compagnia del silenzio e del calice di vino che di tanto in tanto portava alle labbra sottili. Beatrice si era accorta di lui solo per puro caso, aveva attirato la sua attenzione per due motivi: primo fra tutti, era vestito completamente di nero, colore poco raccomandato per un matrimonio e sul petto, ricamata sulla giubba, aveva un crocifisso. Poi l’aveva sorpreso più volte a guardarla, senza rivelare particolare interesse. Semplicemente i suoi occhi colmi di mistero avevano catturato quelli grandi e chiari di lei e non avevano mai spezzato per primi quel contatto.
Si era concentrata su Bianca, giusto per non pensare a quanto quella singolare figura la stesse affascinando. Sua sorella sembrava più morta che viva. Aveva gli occhi sperduti e il sorriso falso che aveva sul viso era l’immagine di una maschera di pura tristezza. Beatrice le aveva stretto la mano, standole accanto insieme alle loro due sorelle, Maria e Nannina.
Ecco a cosa portavano i matrimoni combinati….
 
L’ora si era fatta tarda, quando Beatrice sentì il bisogno di uscire nel cortile di pietra per prendere una boccata di aria. Si sedette sull’erba soffice del piccolo giardino, sotto ad un arancio, lanciando uno sguardo alle stelle della volta celeste, che non sembravano nemmeno minimamente disturbate dall’insistente luce delle fiaccole con le  quali Lorenzo aveva ordinato di fare illuminare il giardino ricolmo di festoni.
Istintivamente, prese la chiave dallo scollo della veste e iniziò a giocarci, chiedendosi se dal Paradiso, suo nonno stesse vegliando su di lei così come aveva promesso prima di spirare.
“Sono figlia della terra e del cielo stellato….” Sussurrò a voce bassa, inclinando di lato il capo per osservare meglio lo spettacolo sopra di lei. Dei passi sull’erba alle sue spalle la riscossero dai molti pensieri e subito sistemò di nuovo la chiave affinché non fosse più visibile agli occhi di nessuno.
“Anche voi trovate tediosa una simile falsa?” una voce suadente e musicale le arrivò alle orecchie, così si alzò, voltandosi al tempo stesso verso il suo interlocutore. Era lui, l’uomo vestito di nero “Perdonatemi, non volevo arrecarvi disturbo.”
“Nessun disturbo” rispose lei educatamente, abbassando rispettosa gli occhi “Non credo di conoscervi, mio signore.”
Riportò lo sguardo su di lui ,tenendolo d’occhio mentre si avvicinava di qualche passo. La luce tremolante di una fiaccola gli illuminò il viso sottile e appuntito “Io sono il Conte Girolamo Riario, signore di Imola e generale dell’esercito della Santa Sede.” Fece una piccola riverenza, prima di allungare una mano verso Beatrice “Per me è fonte di grande piacere fare la vostra conoscenza, Madonna de Medici.”
La ragazza allungò una mano e subito Riario si chinò di nuovo, per baciarle delicatamente il dorso. Aveva le labbra fredde.
“Spero che stiate trovando piacevole la vostra permanenza a Firenze.”
“Molto piacevole, Madonna.” Le lasciò la mano con delicatezza. Ogni suo gesto sembrava studiato e armonico.           “Speravo di ritardare la mia partenza di un giorno per poter godere a pieno di questa città magnifica, ma per volere di Papa Sisto IV domani mattina dovrò lasciare Firenze all’alba.”
A quelle parole, Beatrice si sentì quasi dispiaciuta “Confido in una vostra visita futura, allora. Potrei mostrarvi a meglio le meraviglie di questa città.”
Non si rese quasi conto delle parole dette, ma Riario sì. La guardò stupito, socchiudendo le labbra “Se è ciò che desiderate, farò il possibile per tornare da voi il prima possibile. Non richiederei guida migliore.”
Beatrice avrebbe voluto domandare del perché di quello stupore, ma l’arrivo di Giuliano li interruppe. Non si era nemmeno resa conto di quanto il Conte le fosse vicino. Di istinto, fece un passo indietro, mentre Giuliano osservava la scena con evidente disappunto. La guardò negli occhi serio come poche altre volte l’aveva visto, prima di puntare gli occhi dardeggianti su Riario. In essi traspariva odio.
“Va dentro, Beatrice.”
La mora guardò stranita il fratello, poi di nuovo il Conte che sembrava a sua agio, quasi divertito da quella situazione “Ma, Giuliano, cosa sta succedendo?”
“Ti ho detto di rientrare!”
La giovane trasalì, poi si voltò verso l’ospite “Perdonatemi…”
Velocemente, entrò dentro, affacciandosi per osservare il fratello che aveva fatto un paio di passi verso il Conte e aveva sussurrato qualcosa, per poi tornare a sua volta verso la festa. Qualcosa non tornava.
 

***

 
 
Lorenzo sedeva al solito posto, sulla poltrona del suo studio. Ad illuminare la stanza vi era solo la calda luce del camino.
Quando Riario entrò nella stanza non si stupì affatto, lo stava aspettando. Sapeva che avrebbe fatto la sua mossa quella sera, ormai aveva imparato a conoscere bene il suo avversario. Sperava di evitare una guerra con la signoria di Imola, ma ormai pareva inevitabile.
“Festa incantevole. Sebbene si avvicinasse di più ad un funerale, vista l’espressione sul volto della sposa e la costipazione dovuta al troppo cibo, ho molto apprezzato questo invito alla corte dei Medici.”
“Pazzi vi ha invitato, Conte Riario” ribattè immediatamente Lorenzo, come a sottolineare che non aveva potuto evitare quell’incontro.
Riario sorrise divertito “Non importa chi ha aperto le porte ai lupi, non trovate? L’importante è saperli trattare una volta trovati in casa.”
“Come posso trattarvi, Conte?”
Riario si sedette sulla poltrona di fronte al Magnifico, congiungendo le mani sotto al mento “Dovete permettere che la Repubblica di Siena venga ammessa dallo Stato Pontificio. L’esercito degli Sforza non deve intervenire in caso di assedio.”
Lorenzo sbuffò una risata sarcastica “Annessione? Qui si parla di invasione, Riario. Non permetterò che Siena, a noi gemellata, venga invasa dalle truppe del Papa, e Francesco Sforza è concorde con me in questo.”
“Sapete che questa decisione potrebbe avere delle conseguenze poco piacevoli per voi, vero?”
Lorenzo lo guardò scettico “Ovvero?”
“Mentre Roma attacca da un fronte, Imola potrebbe decidere di annettere al suo Ducato anche Lucca.” Riario fece una pausa, godendosi l’espressione sul volto del rivale “Non vorrei trovarmi in una situazione del genere, dover giostrare due attacchi su due differenti fronti…” si alzò in piedi, chinandosi verso Lorenzo per sussurrargli all’orecchio “Vi ritrovereste due nemici alle porte, senza più nessuno a porsi tra voi e due degli eserciti più potenti d’Italia: quello del re di Napoli e il mio.”
Si alzò nuovamente in piedi, sorridendo soddisfatto per l’aver lasciato il Magnifico senza parole. O almeno così credeva.
“Non vi è un modo in cui potremmo negoziare una resa pacifica?” domandò in fine, alzandosi a sua volta.
Riario parve pensarci, poi sorrise maggiormente “Avete una sorella minore molto graziosa, Lorenzo. Sembra già in età da marito, o sbaglio per caso?” Detto ciò si avviò alla porta, appoggiando una mano allo stipite per poter dire un’ultima cosa “La prossima volta che ci vedremo, pretenderò delle risposte, Lorenzo de Medici. Buonanotte e a presto.”
La porta si chiuse sui pensieri del Magnifico, che aveva ben intuito quali fossero le condizioni della resa pacifica.
 

 
***

 
 
 

28 aprile, 1476.
 
Il matrimonio di Bianca mi ha fatto ricordare quanto il nonno e nostro padre mi manchino. Quando si è bambini non si comprende a pieno il valore delle persone che ci circondano, ma quando cresci ed esse ti lasciano, in te non rimane che un grande e freddo vuoto. Siamo ancora una famiglia molto unita, siamo consiglieri e tesorieri di emozioni, l’uno per l’altro, ma oggi ho mancato di questo ruolo.  Vorrei poter dire che sono felice per Bianca, perché ha sposato un uomo da bene, ma in cuor mio so che non sarà mai felice. Io lo sarò mai? Mi innamorerò e andrò a vivere in un castello bellissimo con un nobiluomo o magari un principe come mi diceva sempre il nonno?
Ogni giorno ne dubito sempre di più.
Ogni pretendente che si è proposto stasera alla mia attenzione non ha nulla che potrebbe spingermi a perdere la testa per lui. Il solo uomo che mi  ha impressionata in qualche modo è quel Conte di Riario, poiché mi chiedo cosa lo abbia spinto a venire a parlarmi. Solo il Cielo lo sa, ma Giuliano mi ha detto di stare lontana da lui e da qualsiasi ‘paladino’ di Roma.
Ne ho preso atto.
Così come ho preso atto della visita del Turco; era da tempo che non si palesava a me, ma ciò che mi ha detto oggi mi ha fatto intendere che devo stare molto attenta. Solo, non so a cosa.  
 
B.M.
 
 

 

Continua.

 
 


 
*Il titolo è ispirato ad una canzone del musical Wicked. Mi sembrava molto accurata e andando avanti con la storia ne capirete il motivo.
 
 
 
Nda.
Eccomi tornata con il secondo capitolo^

Spero che abbiate apprezzato il primo! Ci tengo a ringraziare in particolare Yoan Seiyryu per recensione, mi ha fatto molto piacere sapere il tuo parere e spero di non averti delusa^^ grazie anche a  Soraya Ghilen che, insieme a Yoan, mi ha aggiunta tra le seguite :D
Ogni commento, parere o puntualizzazione sarà sempre gradito^^

Una piccola nota, per concludere: il pezzo finale in corsivo è un brano dal diario della nostra protagonista, Beatrice. Proseguendo con la storia capirete il perchè dell'importanza di questa parte. 
 
Al prossimo capitolo, che verrà postato sabato pomeriggio^^
 
Jessy
 
 

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Capitolo 3
*** Parte III: Il Sacrificio. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo terzo.
Rating: Arancione.
Betareader: Electric.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
 
Buona lettura.





 

 
 
 
 






 
Parte III: Il Sacrificio.
 
 
 
 
 
 
“Tu sei un folle, Lorenzo, se credi che questa malsana trovata possa sortire effetti contro Riario!”
Giuliano era fuori di sé come mai, prima di allora. Non aveva ricordo di aver urlato così tanto contro suo fratello Lorenzo, ma la furia cieca gli impediva di porre un freno a quel fiume dirompente di parole che pareva ormai fuori controllo.
Becchi lo osservava, d’accordo con lui al punto tale da tenersi a distanza e non intervenire per bloccarlo. Lorenzo aveva la fronte appoggiata ad uno dei mattoni di cui era composto il ripiano del caminetto e osservava le braci ormai spente. Una mano si appoggiò morbida sulla sua spalla, come conforto.
Clarice gli sorrise, prima di voltarsi verso il cognato “So che può sembrava avventato, Giuliano, ma come voi ben sapete nulla sistema meglio degli affari di stato di un matrimonio tra due famiglie importanti.”
“Non mi pare che con i Pazzi vada meglio. In una settimana mi sono scontrato di più con Renato de Pazzi che in tutta la mia vita. Fino a che Francesco rimarrà il favorito tra i tesorieri papali, non sarà possibile stabilire nessuna alleanza. Lo stesso vale per Riario, nelle cui vene scorre il sangue di Sisto IV.”
“Se mi è concesso parlare” Becchi fece un paio di passi verso i due fratelli “Giuliano ha colto il punto della situazione molto bene, Lorenzo: Riario non è uomo con cui stipulare patti o alleanze. Finché abbiamo Sforza a farci man forte, dobbiamo basarci sulla sola resistenza militare.”
“ Noi non abbiamo un esercito, se non qualche guardia!” il Magnifico fronteggiò entrambi gli uomini “Se Roma e Imola attaccano contemporaneamente non basterà l’aiuto di Sforza!”
“Avevamo stipulato che Beatrice sarebbe andata in sposa a Lorenzo, rampollo della famiglia Chimenti, mercanti di stoffe di Pisa.” Giuliano aveva deciso di insistere. Doveva farlo per il bene di sua sorella “ Voi avevate detto che sarebbe stato il miglior partito per lei, in quanto non è ne un vecchio ne un poveraccio!”
“Vi sarebbe anche Pandolfo Malatesta, signore di Rimini e Cesena” Aggiunse Becchi, guardando prima Giuliano che pareva speranzoso e poi Lorenzo “Non sarebbe male farseli amici. Bentivoglio è una bandiera che cambia a seconda del vento e le terre le terre del Ducato di  Modena potrebbero cadere nelle mani di Riario se  il dominio degli Estensi continua questo tracollo rovinoso. Avere dei sostenitori da quelle parti sarebbe di grande giovamento per Firenze.”
Lorenzo si passò una mano sul viso, prima di guardare Madonna Orsini, la sua devotissima moglie. Avevano ragione loro, lo sapeva. Più ne parlavano più un matrimonio tra Beatrice e Riario suonava come una stoltezza alle sue orecchie. Sospirò “Avete ragione, temo. Dirò a Riario che non abbiamo intenzione di cedere a nessuna delle sue pressioni. Lo affronterò in battaglia se dovrò, per difendere Firenze.”
Detto questo passò tra i due uomini, lasciando la stanza. Clarice guardò Giuliano, ma non aggiunse altro, affrettandosi a seguire il marito.
“Non permetterò mai che quel porco metta le mani su mia sorella, Becchi. Questo è un giuramento.” Detto questo anche Giuliano se ne andò, lasciando solo l’anziano uomo che attese diversi istanti prima di avvicinarsi alla grande finestra che dava sui giardini interni. Scostò il tendaggio rosso, guardando la persona che aveva origliato tutta quella conversazione.
“Beatrice, perché sei qui?”
La ragazza se ne stava seduta a terra, con la schiena appoggiata al muro e le ginocchia al petto, sulle quali teneva appoggiata la fronte, quando alzò gli occhi in quelli del precettore, essi erano pieni di lacrime. Si asciugò le guance umide, alzandosi in piedi appena l’uomo le porse le mani per aiutarla “Non lo so, ma ringrazio di essere venuta così ho potuto udire con le mie orecchie quanto io sia ritenuta una merce di scambio per questa famiglia.”
Non ascoltò le parole di Becchi, non attese nulla.
Uscì dalla stanza reggendosi la gonna per non ascoltare, mentre altre lacrime scorrevano sul viso di porcellana.
 
 
 

***

 
 
 
“Siete sicuro di quel che avete visto, nipote?”
Girolamo non batté ciglio, nemmeno quando il Santo Padre lasciò cadere nel piatto l’osso che aveva appena spolpato. Pareva proprio un animale ma questo, insieme a tanti altri pensieri, dovevano rimanere celati all’apparenza.
“Si, Vostra Santità, e ho pensato che proporre un matrimonio a fini politici potrebbe portare la chiave da noi.”
Il Papa lasciò scorrere gli occhi dinnanzi a sé, sulla grande tavola imbandita, prima di afferrare un calice d’oro ricolmo di vino e portarlo alle labbra. Si voltò quindi verso il nipote, in piedi poco distante da lui “Avete preso una decisione senza consultarmi, ma fermare i Figli di Mitra potrebbe rivelarsi più importante del prendere la Repubblica di Siena. Di per sé essa è inutile, ci servirebbe solo come ponte per Firenze, mentre invece la chiave…” fece una pausa, afferrando una susina “Siete certo che fosse la chiave che stiamo cercando?”
“Si, Vostra Eccellenza.” L’uomo fece un passo avanti “Una delle due chiavi gemelle la posseggo io, mentre l’altra è ancora dispersa. Quella che la giovane de Medici portava al collo quella notte è senza ombra di dubbio la chiave che apre i cancelli ove è custodita La Volta Celeste.”
“Senza di essa, anche avendo per noi la chiave gemella alla tua e la mappa per trovare la Volta, ogni sforzo è inutile. Se quella puttana fiorentina  è la custode però ci servirà anche lei, visto che sarà la sola in grado di aprire i cancelli.” Il pontefice fece due conti veloci, prima di annuire “Un matrimonio è quello che ci vuole, Girolamo. Quella ragazza deve rimanere costantemente sotto la nostra tutela.”
“Accetteranno, Santo Padre” disse Riario, sicuro di sé “Lorenzo non metterebbe mai in pericolo la città in modo così sciocco ed avventato. Ha dato in sposa a uno dei Pazzi una delle sue sorelle, non credo si porrà troppi problemi a sacrificare anche la minore.”
“Se però non dovesse accettare questo armistizio?”
Il Conte si fece improvvisamente più serio “Troverò un altro modo, altrettanto efficace, per raggiungere il nostro scopo.”
Sisto parve compiaciuto “Ricordatemi solo quali erano i patti della resa.”
“Roma non marcerà su Siena e Imola non tenterà l’annessione del Ducato di Lucca.”
Il pontefice rise, fiero della propria crudeltà “Vorrà dire che ci concentreremo unicamente su Firenze. Ora andate.”
Allungò la mano verso il nipote, che baciò l’anello papale, prima di girare sui tacchi e lasciare il salone. Solo una volta che le porte si furono chiuse, si concesse di lasciare che una certa ansia tradisse la sua maschera impenetrabile. Si appoggiò con le spalle alla parete, portando le mani alle tempie e massaggiandole, cercando di alleviare così un forte mal di testa che aveva preso a comprimere proprio quel punto. Aveva detto a sua Imminenza esattamente quello che voleva sentirsi dire, ogni volta. E a quello si sarebbe attenuto, affinché il pontefice potesse ritenersi soddisfatto del risultato finale.
Ciò che pensava lui era, però, di tutt’altro conto.
A lui era stata destinata in moglie Caterina di Sforza, che non era altro che una bambina di dieci anni con una salute molto cagionevole ai tempi in cui era stato siglato il patto.
Si sarebbero dovuti sposare l’anno successivo, una volta compiuti i quattordici anni della giovane, ma poi l’alleanza tra gli Sforza e i Medici aveva fatto fare marcia indietro a Francesco. Secondo il patto che avevano fatto, in caso di ‘vocazione’ improvvisa della bambina, le nozze non sarebbero state celebrate. Inutile sottolineare che era stata chiusa in convento e avvisato Riario in breve tempo.
Quel matrimonio era importante, in quanto gli Sforza erano alleati dei Medici e levare le forze militari a Lorenzo sarebbe stato un gran bel colpo.
Sposare la sorella, infondergli una falsa sicurezza, era anche meglio.
Senza contare che Riario era rimasto piuttosto colpito da quella giovane così peculiare. Era evidentemente in età da marito, quindi non avrebbe nemmeno dovuto aspettare per celebrare le nozze.
Poi era decisamente bella, elegante ma in un certo senso reale. Non era la classica dama di corte, rigorosa. Aveva visto il fuoco nei suoi occhi e in essi aveva letto qualcosa che l’aveva spinto a seguirla fino al cortile interno.
Lì l’aveva sentita parlare e aveva capito che mistero celasse quello sguardo limpido.
-Sono figlia della terra e del cielo stellato-
Che Cosimo de Medici fosse un figlio di Mitra era ben noto a Girolamo, grazie all’aiuto del suo braccio destro e curatore degli archivi vaticani, Lupo Mercuri. Anche lui era stato un affiliato, ma non aveva idea di dove il vecchio Medici avesse nascosto la chiave.
L’aveva semplicemente tramandata.
L’interesse di Riario era mutato, diventando di ben altro tipo. La custode della chiave del cancello era, per definizione, legata ad essa. Doveva quindi portarla a Roma.
Aveva improvvisato, certo, ma grazie al Cielo tutto era andato al suo posto. Non avrebbe potuto, in effetti, andare meglio di così.
Solo una cosa lo turbava: Lorenzo avrebbe davvero acconsentito a quel matrimonio? Aveva visto il modo in cui scostava i capelli della sorella dal viso per baciarle la guancia, al termine della cerimonia tra Bianca de Medici e Pazzi. Aveva inoltre notato il forte legame tra Beatrice e Giuliano, che non si era di certo risparmiato infime minacce quando l’aveva scoperto a parlarle, in cortile.
Girolamo sospirò, decidendo che avrebbe concesso ai Medici dieci giorni per decidere.
 
 
 

***

 
 
 
Seduta su di un carretto, di fronte a Palazzo della Signoria, Beatrice non si era nemmeno preoccupata di vestirsi in modo da rendersi irriconoscibile.
Si sentiva una stupida, perché sapeva benissimo quale fosse il suo destino eppure sentirlo così,  uscire dalle labbra dei suoi fratelli con naturalezza, l’aveva ferita.
Che fosse Pisa, che fosse Rimini o Imola, avrebbe comunque lasciato Firenze e questo le stava spezzando il cuore, poi vi era qualcos’altro che la turbava…
“Una nobildonna come voi dovrebbe pranzare a palazzo a quest’ora, non credete?”
Beatrice trasalì, voltandosi di scatto per trovarsi ad un palmo dal naso niente di meno che Leonardo da Vinci “Mi avete spaventata.” Sussurrò la giovane, mentre l’uomo prendeva posto accanto a lei, porgendole una mela.
Lei lo guardò, mentre lui ne addentava una seconda, poi decise di accettare quel dono stringendolo tra le mani “Vi chiedo perdono” disse lui, guardando a sua volta verso palazzo della Signoria “Posso domandarvi cosa ci fate qui da sola, in pieno giorno, senza scorta?”
“Volevo stare sola, lontano da Palazzo de Medici per qualche ora…” Ammise lei, prima di dare un piccolo morso alla mela, trovandola dolce e succosa. La primavera aveva portato buoni frutti quell’anno.
“Sembrate turbata.” Non era una domanda quella di Da Vinci, ma un’ottima osservazione “Problemi a corte?”
La giovane lo guardò mentre questi dava un secondo morso al frutto, arrossendo quando si accorse di aver indugiato un po’ troppo su un poco di succo che gli era colato sul mento. Decise di parlargli, qualcosa dentro di lei le suggeriva che in un certo senso poteva fidarsi di quell’artista. “Ho fatto un brutto sogno, stanotte. Una volta svegliata mi sono alzata per andare da mio fratello Giuliano, ma doveva incontrarsi con Lorenzo e….” si interruppe, mordendosi il labbro inferiore “Voi vi siete mai sentito solo, Leonardo?”
L’uomo si voltò verso di lei “Di sovente? Spesso. Ricordate però che nella solitudine potete concentrarvi su voi stessa, Madonna. La solitudine non è necessariamente un male, vi permette di raggiungere obbiettivi importanti senza distrazioni. Il cuore dell’uomo è destinato ad infrangersi solo se colpito da una freccia, non se lasciato a se stesso.”
“Mi duole contraddirvi, mastro Da Vinci, ma il cuore della donna funziona in modo assai diverso.” Beatrice gli sorrise tristemente.
Leonardo sbuffò una risata, guardandola divertito “Lo so bene. Voi badate troppo a stupidi sentimentalismi che offuscano il vostro zelo. Però voi non sembrate la classica ragazza di nobili origini, sapete?”
“Ah no? Cosa sembro?”
“Vecchia per la vostra età, sembra che su di voi gravi un grande peso.”
Per evitare di rispondere, Beatrice diede un altro morso alla mela, stavolta più deciso. Per un istante, prese in considerazione l’idea di aprirsi totalmente a Leonardo da Vinci, ma non lo fece. Non poteva permetterselo e non conosceva così bene quell’uomo, nonostante da alcune sue ricerche aveva scoperto che quell’uomo avevo un ingegno davvero brillante.
Ripensò al sogno della notte precedente e senza rendersene conto rabbrividì. Davanti a lei vedeva ancora la scena terrificante che le era apparsa innanzi agli occhi una volta che li aveva chiusi, quando si era coricata.
Giuliano e Lorenzo giacevano morti, alle porte di Santa Maria in Fiore, con le gole squarciate. Ovunque cadaveri di uomini e donne, soldati e civili. Un fiume rosso le scorreva tra i piedi mentre avanzava stranita in quella desolazione. Poi aveva visto qualcosa all’orizzonte. Un uomo vestito con abiti papali brandiva una spada bagnata nel sangue della sua famiglia mentre accanto a lui, un uomo basso e tarchiato uccideva con un colpo deciso Clarice. Voleva urlare, ma dalla sua gola non usciva un suono così portò le mani ad essa e le ritrasse coperte di sangue. Firenze bruciava, il fumo invadeva le strade rendendo l’aria irrespirabile. Stava morendo, ne era certa, ma non riusciva a smettere di camminare. Poi aveva visto qualcosa. In mezzo al fumo se ne stava un uomo completamente vestito di nero, con una croce bianca ricamata sul petto. Si era voltato verso di lei mentre Beatrice si lasciava cadere in ginocchio e si era avvicinato, prendendole la mano e baciandola. Poi aveva parlato, con le labbra macchiate di splendete rosso sanguineo“Se solo mi aveste sposato, Madonna, non sarebbe mai accaduto tutto questo.”
Inutile dire che si era svegliata nell’angoscia più totale. Quello che per chiunque sarebbe potuto essere solo uno stupido sogno, per lei era molto di più. Era capitato che le cose che aveva sognato si erano avverate, seppure con notevoli modifiche nei dettagli, ma con lo stesso finale. Beatrice quindi non sapeva dire se quello che aveva visto era solo un brutto sogno o una visione. Il discorso che aveva origliato quella mattina le aveva fatto capire che doveva seguire il suo destino.
“Madonna, vi sentite bene? Non avete una bella cera.”
Beatrice si ricordò di Leonardo e gli sorrise. Suo nonno le aveva insegnato che ogni componente della famiglia de Medici aveva l’onere di salvaguardare la Repubblica di Firenze. Anche lei avrebbe onorato quell’obbligo.
“Mastro Da Vinci, siete in grado di farmi un ritratto?”
L’uomo sorrise, compiaciuto “Posso farvi il miglior ritratto che abbiate mai visto, se mi seguirete nella mia bottega.”
 
 
 
 

***

 

 
Quando Riario rimise piede a corte de Medici, si aspettava una risposta più che soddisfacente. Era certo che, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscito a sposare Beatrice de Medici. Per lui sarebbe stato come entrare nella casa del nemico vestito da gradito ospite, almeno formalmente.
Entrò a Palazzo insieme a Lupo e a ben sei guardie vaticane, ostentando sicurezza. Lorenzo era già nel salone, doveva aver fiutato il suo arrivo poiché non pareva affatto stupito. “Conte Riario, i miei omaggi.” Disse formale, mentre Clarice appoggiava una mano sul suo avambraccio.
Non c’erano solo loro nel grande salone, però. Seduti su un grande divano, poco distanti dal Magnifico, c’erano Maria de Medici, la primogenita di Piero, e il marito di quest’ultima Leonetto de’Rossi. Non solo. Giuliano aveva puntato gli occhi su Girolamo Riario sin dal primo istante che aveva varcato quella soglia, fissandolo con disgusto. Accanto a lui, Becchi prestava attenzione affinché il minore dei due fratelli non commettesse sciocchezze.
Riario ricambiò il saluto di Lorenzo, prima di guardarsi attorno con fare interessato, puntando gli occhi prima sugli affreschi delle pareti e poi sulla volta a cassettoni “Bellissimi lampadari” disse infine “Sembra vetro di Murano. Peculiare la vostra scelta: tenere qui una tale meraviglia che subito riconduce a Venezia. Vostro padre non è morto dopo aver perso la salute a causa della guerra contro la Serenissima?”
“Vi sbagliate, Conte” lo corresse immediatamente Lorenzo “Mio padre ha solo dato appoggio a Francesco Sforza in quell’occasione e, se la memoria non mi inganna, ha portato a casa una vittoria significativa presso Imola, respingendo le truppe di Bartolomeo Colleoni”
Beatrice si affacciò dal suo nascondiglio, notando il sorriso tirato sul volto del Conte di Riario. Se ne stava accucciata dietro una delle molte porte che conducevano al salone, quella che dava sul corridoio che portava direttamente alla biblioteca di suo nonno Cosimo, in quel momento vuota. Era un posto sicuro in cui sicuramente nessuno l’avrebbe scovata. Doveva portare a termine ciò che aveva deciso, ma il coraggio le mancò all’improvviso.
Riario non era come lo ricordava.
Non era quello straniero gentile che l’aveva seguita fuori, nei giardini interni. Se la notte lo aveva reso in qualche modo gentile, la luce del giorno lo aveva spogliato di ogni minima accortezza. Il suo volto era duro, apatico, non lasciava trasparire nessuna emozione se non un certo, sadico divertimento di tanto in tanto. Quegli occhi che avevano attirato l’attenzione di Beatrice, poi, le parvero cattivi quando riprese a parlare con la fredda sulle labbra “Veniamo a noi, Lorenzo. Non mi sembra il caso di giocare.”
Lorenzo si alzò in piedi, allargando le braccia “Qui nessuno di noi sta scherzando, Riario, ho preso in seria considerazione le proposte che avete avanzato l’ultima volta che siete venuto qui.” Fece una pausa, prima di sorridere ironicamente “Non possiamo soddisfarle, Conte. Potete riferire a Papa Sisto IV che se intende attaccare la Repubblica di Siena, dovrà necessariamente incontrare le armate di Sforza in battaglia.”
Riario non fece una piega. Ricambiò lo stesso identico sorriso, facendo un passo verso il Magnifico “Sempre che non sia impegnato con gli uomini che da Imola invaderanno Lucca.”
“Sono pronto a scommettere che il Duca Bentivoglio non vi permetterà il transito sulle sue terre.”
Girolamo lo guardò in modo strano, come se provasse per lui una certa pena “Infatti non intendiamo passare per il Ducato di Bologna, siamo più propensi a chiedere ausilio all’amico della Chiesa di Roma, Alfonso d’Este.”
A quelle parole, Lorenzo non poté far altro che rispondere col silenzio. Scambiò uno sguardo con Giuliano, che sembrava pronto a lanciarsi contro Riario e menar le mani. Non lo fece però, sapeva che un incidente diplomatico era da evitarsi nel modo più assoluto.
Girolamo appoggiò una mano sull’elsa della spada che aveva assicurata alla cinta, giusto come monito “Per ciò che riguarda la mia generosa proposta pacifica, invece?”
A quelle parole, Clarice sospirò, abbassando gli occhi. La donna sperò in un ripensamento di Lorenzo, che però non avvenne “Non siamo inclini nemmeno ad accettare una tale proposta.”
“Come desiderate, Lorenzo de Medici.” Riario si esibì in un grottesco inchino, mirato a farsi beffe del padrone di casa “Allora posso anche tornare a Roma ad annunciare al Santo Padre le vostre risposte. Qualcosa mi dice che ci rivedremo molto presto…”
Indossò nuovamente il cappello che teneva stretto nella mano sinistra, prima di dare le spalle a Lorenzo e avviarsi verso l’uscita.
Quei pochi secondi che separavano ormai Beatrice dal momento della verità erano scaduti. Doveva fare qualcosa, e doveva farlo subito se voleva aiutare davvero la Repubblica. Appoggiò la mano sulla porta, ma non riusciva a decidersi a farsi avanti.
Poteva davvero porre fine alla sua libertà per il bene di Firenze? Sarebbe riuscita a lasciare la sua famiglia e la sua città senza che il suo cuore finisse in mille pezzi? Riario come si sarebbe comportato nei suoi riguardi? L’avrebbe ignorata oppure l’avrebbe disprezzata perché, al contrario di lui, non aveva sangue nobile nelle vene ma era solo una Medici, figlia di banchieri arricchiti?
Non poteva pensare solo a se stessa però. Cosa avrebbe detto suo nonno? Prese un respiro profondo e spalancò la porta, entrando nel salone.
“Conte Riario, aspettate!”
Girolamo si bloccò, scambiando uno sguardo stranito con Lupo prima di voltarsi verso la fanciulla, che ora se ne stava in piedi al centro della sala, fra la delegazione romana e il Magnifico. La guardò voltarsi di scatto, guardando il fratello maggiore con tristezza mista a rassegnazione “Non potete sacrificare Firenze per me, Lorenzo.”
“Beatrice, cosa diavolo vuoi fare?!” Giuliano corse da lei, prendendola per il braccio e facendo per portarla via, ma lei si oppose “Non essere stupida, non devi entrare in questo tipo di faccende.”
“A me pare che vostra sorella abbia più giudizio di tutto il resto della casata messo insieme.” Disse Riario, tornando indietro. Vedeva il profondo conflitto interiore negli occhi di Lorenzo, sarebbe bastato poco per farlo cedere “O quanto meno ha molto più amor di Patria.”
“Non sfidatemi, Conte di Riario” Giuliano fece per porsi davanti a lui, ma Beatrice si frappose tra i due, appoggiando una mano sul petto del fratello.
“Posso scegliere, Giuliano” disse con una determinazione che mai si sarebbe aspettata di avere, prima di guardare verso Lorenzo “So che l’ultima parola spetta a voi, ma io sono pronta a prendere marito.” Non era vero, lo sapeva benissimo. Si scostò dal fratello, dandogli le spalle per poter guardare negli occhi colui a cui si stava offrendo “Io, Beatrice de Medici, figlia di Piero de Medici e sorella di Lorenzo il Magnifico, mi do a voi, Girolamo Riario affinché il sangue dei fiorentini non debba venir versato.”
Lorenzo si avvicinò a Beatrice e Giuliano, mentre l’intera sala tratteneva il respiro. Appoggiò una mano sulla spalla della sorella “Sei davvero sicura di questa decisione, Beatrice?” La ragazza lo guardò tentennante, prima di annuire piano. Il Magnifico sospirò, rivolgendosi a Riario “Se volete seguirmi nel mio studio, potremo iniziare ad accordarci per la dote, mentre attendiamo il notaio di corte, Piero da Vinci, per siglare l’accordo.”
Riario parve molto soddisfatto, ma non si rivolse a Lorenzo. Prese la mano di Beatrice, portandola alle labbra per poterla baciare “Avete fatto la scelta giusta, Madonna.”
Mentre lui e Lorenzo lasciavano la stanza, Beatrice chiuse gli occhi, sentendosi improvvisamente senza più forze. Giuliano stava sbraitando contro Becchi, poteva sentirlo ma sembrava lontano e ovattato, come dall’interno di un pozzo.
Aveva appena offerto la sua libertà in cambio di una guerra, doveva ritenersi fiera di sé. Allora perché non ci riusciva?
 
 
 

***

 
 

5 maggio, 1476
Dolcem et decurum est pro patria mori.
Io non sto andando a offrire la mia vita su un campo di battaglia, però, anche se forse lo preferirei di gran lunga a questo. È la mia libertà che verrà ben presto a mancare.
Non cosa il futuro mi riserverà, poiché non riesco ad inquadrare con cui ben presto sarò costretta a dividere il letto. In un primo momento mi è parso un gentiluomo, riservato ma estremamente raffinato. Oggi invece, quando ha messo piede nel salone del Palazzo, mi è parso come il boia che gode nel levare la vita agli altri, incurante che essi siano colpevoli o innocenti.
Io sono innocente e lo rimarrò a prescindere da ciò che potrà accadermi. Se il buon Dio lo vorrà, farà si che questo sacrificio non sia vano.  Qualsiasi cosa accada, però, non verrà mai meno ai valori che mio nonno Cosimo mi ha tramandato con amore.
Non tradirò mai Firenze, la mia amata città. Non tradirò mai mio fratello Lorenzo. Proteggerò la chiave e il diario con la mia vita, se necessario.  
 
B.M.

 
 

Continua.

 

 
 
 
Nda.
 
Capitolo tre!
Riario inizia a rivelarsi per quello che è –giustamente, sottolineerei. Levando la sua cattiveria si leva il 70% del suo fascino- e fidatevi, non è finita qui!
Il prossimo capitolo sarà un recap veloce dell’ultima settimana fiorentina della nostra protagonista e il matrimonio con il tanto temuto Conte. Entreranno in scena tutti i personaggi che approfondirò proseguendo con la narrazione: Il Papa, Lupo Mercuri e, personaggio ignorato nella serie tv ma che a me piace davvero molto, Giovanni della Rovere, cugino di Girolamo.
Ho in mente un sacco di idee davvero folli, piuttosto originali, per questo sto puntando a scrivere più ‘velocemente’ questi eventi iniziali per poi concentrarci su Riario e la sua storia. Beatrice, ovviamente, sarà la punta di diamante della narrazione.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento^^
La storia non sta avendo molto successo, mi dispiace un po’ ma io continuo :D
Magari verrà rivalutata^^
Se questa volta andrà un po’ meglio, potrei anche pensare di postare domani sera il capitolo quattro!
Un abbraccio
Jessy                                                                                                          
 
 

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Capitolo 4
*** Parte IV: Il Matrimonio. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo quarto.
Rating: Arancione.
Betareader: Electric.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 


 

 


 
 
 
 
 



Parte IV: Il Matrimonio.
 
 
 
 
 
 
Le disposizioni di Riario furono ben peggiori di quanto Beatrice potesse immaginarsi in partenza. Tanto per iniziare, non avrebbe vissuto a Imola, ma a Roma dove il futuro consorte si era stabilito qualche anno prima per poter assolvere al meglio ai suoi doveri presso il Papa.  Avrebbero però viaggiato parecchio, tra Imola e la Santa Sede, per mantenere sia gli affari in Emilia che quelli romani. Il matrimonio si sarebbe tenuto la domenica successiva, sempre presso la Santa Sede, secondo il rito cristiano. Erano disposizioni sulle quali Girolamo non aveva voluto sentire ragioni.
Aveva, però, lasciato libertà alla sposa e alla sua famiglia per ciò che riguardava alcune formalità sulla cerimonia e sull’imminente trasferimento di Beatrice presso la sua dimora a Campo dei Fiori, Villa Orsini.
Beatrice aveva chiesto una cerimonia più che intima, con pochi invitati. Lo stesso valeva per il ricevimento. Riario aveva accettato la disposizione, dicendo addirittura di condividerla e aveva avvertito la famiglia de Medici che la cerimonia si sarebbe tenuta presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, officiata da sua Santità in persona.
La cosa non stupì nessuno.
Quando Riario lasciò Firenze, quella sera stessa, Beatrice si preparò a passare l’ultima settimana nella sua amata città prima di abbandonarla in favore dell’Urbe Eternis.
Cerco di rinviare il più possibile l’impacchettamento dei suoi averi. Le vesti, i gioielli e i suoi libri sarebbero stati inviati a Roma il venerdì così che, al suo arrivo il sabato sera, avrebbe già trovato tutto nelle sue stanze.
Passò la settimana tra la bottega del Verrocchio, sperando di veder ultimato il suo dipinto in tempo, e le piazze della città. Andò a caccia con Giuliano un’ultima volta il mercoledì, ma non presero nulla. Il dolore del distacco era così grande che non riuscivano a trovare la concentrazione adatta.
Lasciare la sua famiglia sembrava difficile, in particolare l’idea di non vedere più ogni giorno il suo amato fratello Giuliano le spaccò il cuore in due. Al ritorno dalla fallimentare battuta di caccia si chiusero nella stanza della ragazza e lì lei pianse molto, stretta in un abbraccio consolatore del fratello che, senza farsi vedere da Beatrice, lasciò cadere a sua volte un paio di lacrime. Erano cresciuti insieme, si erano sempre spalleggiati e lui aveva sempre badato a lei. Non poteva credere che non l’avrebbe più rivista per Dio solo sa quanto tempo. Mentre il dolore cresceva, anche l’odio per Riario e Roma diventava insostenibile.
Dopo quel pomeriggio, però, decise di farsi forza e abbracciare il suo destino. Mercoledì sera preparò le sue cose, sistemando il diario di suo nonno e la chiave sul fondo di un piccolo cofanetto portagioie, dove sperò che nessuno l’avrebbe mai trovato. L’avrebbero bruciata per eresia se l’avessero colta con simile materiale, ma non poteva lasciarlo a Firenze. Doveva assolvere al suo compito per l’Ordine, nonostante il matrimonio.
Chiuse il baule lentamente, appoggiandosi ad esso con la fronte: aveva riposto la sua intera vita dentro di esso, non sarebbe rimasto molto di lei lì a Firenze, eccetto la sua stanza vuota e l’eco della sua risata giovane nei corridoi e nelle orecchie di Giuliano.
 


***

 
 
“Mi rattrista molto dover interrompere la nostra amicizia prima ancora di vederla nascere per bene, Botticelli. Ma domani partirò per Roma.”
Il ragazzo biondo seduto affianco a lei, nel cortile interno della bottega del Verrocchio, annuì “Ovviamente, Madonna. Sappiate che se desiderate che io vi ritragga, in qualsiasi momento, non dovrete far altro che inviarmi una lettera. Sarò più che felice di raggiungervi a Roma se necessario.”
Beatrice coprì una delle mani del giovane con le sue, sorridendo “Vi ringrazio, vorrò un vostro ritratto il più presto possibile.”
“Posso chiedervi perché ne avete commissionato uno a Da Vinci, quindi? Perdonate l’imprudenza, ma tanto ho desiderato avervi come musa che vedermi soffiata via tale opportunità mi rattrista.”
Beatrice si morse il labbro, a disagio. Sapeva di aver fatto un torto a Sandro, affidando quella commissione a Leonardo “Mi dispiace moltissimo, Mastro Botticelli, ma Da Vinci era presente quando ho deciso di farmi ritrarre e avevo premura.”
“Ma non ha ancora concluso” le ricordò il pittore “Io a quest’ora l’avrei già consegnato di persona a Palazzo de Medici, lavorando fino all’alba per voi.”
“Non potevo sapere che Leonardo fosse tanto lungo con i lavori!”
Una risata alle sue spalle la fece voltare, Andrea Verrocchio si stava avvicinando insieme ad un giovane biondo che Beatrice aveva riconosciuto come Nico, l’assistente di Leonardo. Avevano passato tutto il pomeriggio insieme, quando Leonardo aveva iniziato lo schizzo preparatorio che sarebbe poi divenuto il dipinto. Si chiese dove fosse Zoroastro, l’altro amico del pittore (anatomista e ingegnere di una certa fama, come amava definirsi lui), ma Verrocchio si rivolse a lei prima che potesse porre qualsiasi domanda “Leonardo ha fama di portare a termine le commissioni in un periodo di tempo molto lungo, dovete ritenervi fortunata visto che è concluso.”
“Allora perché non posso vederlo?” domandò stranita lei, mentre Vanessa le portava un bicchiere di acqua fresca. Faceva molto caldo per essere solo l’inizio di Maggio.
“Sta aspettando che i colori si siano asciugati del tutto” Commentò il giovane Nico, mentre Botticelli borbottava qualcosa a proposito della poca professionalità di Da Vinci “Dovrebbe mancare poco ormai.”
Una voce tuonò da dentro uno degli studi “Udite, udite! Il dipinto è pronto!”
“Siete davvero una donna fortunata, Madonna de Medici” disse Verrocchio, porgendole la mano per farle strada. Lei sorrise divertita, prendendo la mano del maestro di bottega e voltandosi verso Botticelli “Venite anche voi, Sandro?”
“Voglio vedere se quel mentecatto di Da Vinci si è anche solo avvicinato alla vostra perfezione, Madonna.”
“Adulatore” disse Verrocchio, guardando il giovane allievo divertito, prima di allungare la mano libera per scompigliargli i capelli color paglierino. Quello si scostò infastidito, facendo solo ridere di più Beatrice.
Vanessa fu la prima a vedere il dipinto, incantandosi a guardarlo dalla porta della stanza “Quale visione, Leonardo! ti sei superato!”
Beatrice ebbe la stessa reazione, così come tutti gli altri. Botticelli compreso, che però ritrovò velocemente il controllo di sé e si avvicinò maggiormente al ritratto “Che strana scelta di colori. Non avrei mai fatto il cielo così buio e una veste così luminosa. Sembra fatiscente.”
“Ed è esattamente come lo volevo” disse Beatrice, ponendosi tra i due pittori. Leonardo sorrise vittorioso a Botticelli, che lo fulminò con lo sguardo.
“Posso chiedervi cosa esattamente volevate?” domandò il biondo, guardando  la mora “Perché io non l’avrei di certo fatto così.”
“Per me questa è pura perfezione, mi sembra di rimirarmi in uno specchio” Beatrice appoggiò una mano sul braccio di Leonardo “Siete un talento unico, Mastro Da Vinci.”
“Se permettete, vorrei rispondere alla domanda di Botticelli, che è così ignorante da non capire nemmeno le simbologie più ovvie.” Disse l’artista, guardando il compagno di bottega con quel classico ghigno compiaciuto che sapeva lo avrebbe mandato fuori dai gangheri “Madonna Beatrice mi ha chiesto di ritrarla con le simbologie tipiche della casata dei Medici: lo stendardo rosso con i bordi dorati è diventato la veste, mentre lo scudo con sopra quelle strane palle colorate è diventata una ciotola in oro che, posta in mano alla Madonna De Medici, contiene cinque mele rosse e una prugna blu. Così come i cerchi sullo scudo dello stemma di Cosimo. Nell’altra mano regge un elmo, altro simbolo della sua casata mentre, appoggiati fra i capelli, potete vedere tre fiordalisi dorati, che sono rappresentativi della città di Firenze. Il cielo stellato e la terra deserta che fanno fa sfondo sono stati una richiesta specifica della committente, così come il piccolo fiumiciattolo che scorre e risplende della luce degli astri.”
Beatrice sorrise, sapeva che nemmeno il grande Da Vinci avrebbe colto la simbologia, ma era una parte importante del dipinto: La terra, il cielo stellato e la fonte della memoria. Forse, un giorno, il prescelto l’avrebbe trovata anche grazie a quel dipinto “Lo trovo semplicemente splendido, Leonardo. Hai portato a termine la committenza esattamente come l’avevo richiesta, superando persino le mie aspettative.” Prese un piccolo sacchiettino dal cinturino, passandoglielo “Non avevamo stipulato un prezzo, ma credo che questi bastino.”
Leonardo lo prese confuso, prima di aprirlo “Madonna, qui ci saranno almeno cinquanta fiorini!”
Verrocchio sgranò gli occhi “Questa è una cifra a dir poco esorbitante!” disse concitato, battendo sulla schiena di Botticelli che aveva rischiato di strozzarsi con la saliva.
“Lo so, ma a me non serviranno più. Dove  vivrò vi è lo scudo, come moneta corrente.” L’ultimo commento le uscì più amaro di quanto avrebbe dovuto.
Leonardo colse quella sfumatura, passando il sacchetto a Nico e avvicinandosi alla giovane “Avete il cuore che è legato in modo indissolubile a Firenze. Non importa dove vivrete o chi sposerete, Madonna de Medici, voi appartenente a questa città e nemmeno tutti gli scudi del Vaticano potranno comprare questa verità”
La mora lo guardò commossa, facendosi più vicina ancora di qualche passo “Vi ringrazio, Leonardo.” portò le braccia attorno al collo dell’uomo abbracciandolo brevemente e nascondendo così gli occhi, ricolmi di lacrime alla vista. L’artista ne rimase molto colpito e dopo un primo istante di incertezza, avvolse con le braccia la vita sottile della ragazza, in un abbraccio che sperò potesse darle almeno in parte il conforto che chiedeva in silenzio.
 

***

 
Roma non era come l’aveva immaginata.
Quando pensava a quella città, nella sua mente apparivano immagini di puro splendore e bellezza sia artistica che spirituale. Invece ciò che si trovò innanzi al suo arrivo fu parecchio…
“Decadente.”
Lorenzo diede voce alle sue impressioni, che coincidevano con quelle della sorella. Affiancate alle belle ville dei ricchi signori vi erano solo immagini di povertà e trascuratezza. L’Urbe immortale sembrava più un sanatorio per lebbrosi che quella che un tempo era la caput mundi.
Mentre sfilavano per le vie, più persone si affiancarono per chiedere la carità, mostrando come il Papa si occupava delle loro anime. Ignorando il problema.
Sin da quando avevano messo piede nella città, Beatrice aveva visto da lontano Castel Sant’Angelo, ovvero la loro meta. Ne era rimasta affascinata e più si avvicinavano percorrendo il lungo ponte illuminato da fiaccole sorrette da guardie svizzere, più trovava agghiacciante il contrasto tra quell’angolo di puro Eden  e l’inferno cittadino.
Giuliano le stava accanto, cavalcando quanto più vicino poteva a lei. Avevano parlato per tutto il viaggio del nonno, delle battute di caccia, delle feste a Palazzo. Avevano parlato, per non lasciare nemmeno un istante di vuoto tra loro e senza notare le occhiate tristi che Lorenzo lanciava loro di tanto in tanto. Non l’avrebbe mai ammesso per non far commuovere Beatrice, ma gli sarebbero mancate le loro bravate e gli attentati alla tranquillità comune.
La giovane si sarebbe senz’altro accorta di quel suo grande sconforto, se non fosse stata troppo distratta dalla sensazione di oppressione che quel luogo le incuteva. Era immenso, imponente come poche altre strutture che ella aveva visto, ma in un certo senso le pareva molto più simile al Bargello che ad un castello vero e proprio. I merli del primo fascio di mura disegnavano ombre cupe sulla facciata della struttura. Percorsero il ponte in religioso silenzio, accompagnati dal tintinnare degli zoccoli dei cavalli sul lastricato di pietra e dal incedere lento della carrozza che trasportava madonna Orsini e le figlie di Lorenzo.
Lorenzo aveva portato con se Dragonetti e una piccola milizia di dodici uomini.  Guardie di palazzo e della notte, nulla a che vedere con le guardie svizzere di cui era munito il Vaticano.
Un volta giunti a destinazione entrarono nel cortile in pietra dove, ad accoglierli, trovarono la statua in marmo di un angelo dalle ali metalliche. Subito i cancelli si chiusero dietro alla piccola delegazione e Lorenzo scese per primo da cavallo, mentre alcuni servi arrivavano dall’interno di un piccolo portico in pietra fatto da archi a sesto acuto.
“Benvenuti a Castel Sant’Angelo, famiglia Medici” una voce suadente arrivò dalla cima di una scalinata. Lì, in piedi sulle scale di dura pietra immacolata, se ne stava il conte Riario. Li osservava con un’ombra di puro divertimento nello sguardo, come se trovasse tutta quella situazione a dir poco squisita.
Scese i gradini con la solita eleganza e compostezza, mentre Lorenzo porgeva la mano a Clarice per farla scendere. Aiutò infine le figlie, prima di volgersi verso Girolamo, ostentando una falsa bonarietà “Vi ringrazio per questo benvenuto, Conte Riario. Era da molto che non venivo a Roma.”
“Fatemi indovinare” tentò l’uomo, guardando negli occhi il Magnifico “non venite qui a Roma dai tempi di Papa Paolo II, giusto? So che era molto amico con vostro padre, Piero il Guttoso.”
“Esattamente.” Rispose Lorenzo, senza dar segno di voler cedere a una simile provocazione. Prese in braccio la figlia più piccola, Luisa, mentre la maggiore, Lucrezia, si affiancava alla madre.
Riario, come suo solito, non fece nemmeno una piega a quella risposta tanto breve quanto risentita. Si limitò a mormorare un ‘mh’ a bassa voce, prima di indicare con un cenno del braccio le scalinate “Se volete seguirmi, il Santo Padre ha organizzato per il vostro arrivo un sontuoso banchetto. Immagino che sarebbe affamati.”
Becchi si fece avanti “Posso discutere brevemente di un paio di cose con voi, mentre raggiungiamo la sala?”
Riario lo guardò con superiorità “Voi dovete essere il consigliere di corte. Ebbene, se avete delle domande chiedere…”
Beatrice aveva osservato attentamente l’intera scena e si sentì quasi delusa quando, una volta terminate le cose da dire, Riario le diede le spalle iniziando a salire le scale in testa al gruppo, assieme a Becchi. Che si aspettasse quanto meno un saluto era a dir poco scontato. Maddalena, la seconda figlia di Lorenzo, le prese l’orlo della mantella, tirandola appena per attirare la sua attenzione “Zia, quello è l’uomo che dovete sposare?”
Beatrice sorrise alla bambina, abbassandosi il cappuccio che non si era nemmeno resa conto di aver tenuto sollevato sul capo. Poi prese per mano la piccola, iniziando a salire le scale. Sentiva gli occhi di Giuliano sulla schiena, mentre questi le seguiva con le guardie.  “Si, Maddalena. Quello è il conte di Riario.”
La piccola fece una smorfia strana, che fece ridacchiare la ragazza “Non pare come qui principi di cui mi avete tanto parlato, zia. Non è un principe azzuro.”
“Io direi più che altro un Principe Nero” commentò sospirante la giovane “Ma entrambe dobbiamo ancora conoscerlo a fondo, temo.”
Il Papa non si presentò durante l’abbondante pasto, ma nessuno parve lamentarsi della cosa. Mangiarono quasi in silenzio e una volta a tavola, finalmente Riario parve notare la presenza di Beatrice. Scambiò con lei un paio di sguardi, ma nulla più. Giuliano pareva una furia. Ogni qualvolta i loro sguardi rimanevano incatenati qualche istante più del necessario, lui tossiva rumorosamente, fulminandoli entrambi.
“Come diavolo farai a lasciarmi sola qui, mi chiedo” disse Beatrice, mentre percorrevano un lungo corridoio, dietro ad una serva abissina. Le loro stanze erano in un’ala diversa da quelle del resto della famiglia. La schiava si bloccò davanti ad una porta, aprendola e inchinandosi innanzi a Giuliano che capì di essere arrivato a destinazione “Me lo chiedo anche io.” Prese la sorella appena sopra al gomito, attirandola a sé e baciandole la fronte “Riposa, stanotte. Quanto meno provaci, non voglio nemmeno immaginare quanto tu possa essere nervosa.”
“Parecchio, domani mi sposo dopotutto” disse lei, ricambiando la stretta “Dio del cielo, Giuliano, sono terrorizzata. Questo posto mette i brividi, non credi?”
“Molto di più. Ma non dovrai vivere qui.”
Si staccarono e lui le diede la buona notte, entrando nella sua stanza. Lei seguì ancora la schiava fino a raggiungere una rampa di scale che salirono insieme. Arrivarono davanti a due grandi porte, che la ragazza di colore aprì appoggiandosi ad esse con entrambe le mani e sforzando col corpo.
“I vostri…. Alloggi, Madonna.” Sussurrò in un italiano ancora un po’ stentato. Beatrice le sorrise, prima di entrare accompagnata dalla schiava.
L’anticamera era enorme e dotata di uno scrittoio e ampie vetrate. Di certo però non fu questo ad impressionare Beatrice. Ogni singola parete era ricoperta da scaffalature contenente centinaia e centinaia di libri. Pareva quasi più una biblioteca che una stanza. La zona del letto era spettacolare: un ampio specchio occupava quasi tutta la parete a margine della porta e sopra di esso vi era affrescata una meravigliosa scena di caccia. Un armadio a quattro ante smerigliato in oro faceva la sua bella figura e le maniglie sembravano del più candido avorio che la ragazza avesse mai visto. Il letto era enorme, persino troppo alto per essere credibile. Aveva un bel baldacchino, elegante e raffinato, i cui tendaggi cupi di un blu notte quasi nero tendevano a stonare con la stanza dorata. Quella non era di certo una stanza degli ospiti.
“Posso chiedere a chi appartiene questo alloggio?” domandò confusa Beatrice, notando una bianca camicia da notte posta accanto a una vestaglia del medesimo colore. L’abissina fece per rispondere, ma qualcuno la precedette.
“Questi sono i miei alloggi,Madonna de Medici. Spero che non troviate di cattivo gusto la decisione di farvi soggiornare qui, per stanotte.”
Beatrice si voltò verso Riario, che la guardava, appoggiato con una spalla allo stipite della porta. “I vostri alloggi? Credevo che voi viveste in da tutt’altra parte.” Il pensiero di vivere in quel posto mise i brividi alla giovane Medici. Non voleva nemmeno pensarci.
Lui annuì, impassibile “Vivo  in una villa, dall’altra parte di questo ponte, ma accade spesso che io debba per forza far tardi a causa di compiti assegnati dal Santo Padre così semplicemente mi fermo qui. Da domani, dopo il matrimonio, voi  vivrete a Villa Orsini, come da accordo.”
Il pensiero che il Conte fosse così spesso impegnato da dover dormire a Castel Sant’Angelo creò nella testa di Beatrice mille e mille domande che forse, in futuro avrebbe posto “Vi ringrazio per avermi fatta accomodare nei vostri alloggi, Conte di Riario.”
L’uomo sorrise, prima di fare qualche passo verso di lei e prenderle la mano per baciarla delicatamente. Era già la terza volta che compiva quel gesto ma, per la prima volta, Beatrice arrossì violentemente. Sentì le guance scottarle, mentre guardava negli occhi Girolamo e si sentì una vera sciocca. Quell’uomo la stava portando via dalla sua amata città, dalla sua vita, dalla sua famiglia…. Ma lei era caduta vittima del suo fascino e si sentiva parecchio confusa.
“Vorrei scambiare con voi qualche parola” proseguì Girolamo “Ma so di aver indugiato anche troppo. Per tradizione, non avreste nemmeno dovuto vedermi il giorno prima delle nozze. Mi ritiro, lasciandovi riposare in vista dell’importate giornata che ci attende. Parleremo nei prossimi giorni, scommetto che avete delle domande da farmi.”
“Naturalmente, Conte.” Beatrice chinò appena il capo in modo riverenziale, mentre Riario tornava verso la porta.
“Per qualsiasi vostro bisogno, Zita sarà pronta a servivi.” Disse, alzando una mano per indicare la schiava che annuì, guardando il suo padrone con silenzioso rispetto. “Vi auguro buona notte, Madonna.”
“Buonanotte, Conte.”
Una volta rimasta sola, Beatrice si abbandonò un istante sul letto e chiuse gli occhi. La testa la faceva male, tante erano le cose a cui doveva pensare. Si chiese se il matrimonio sarebbe andato a buon fine, senza la benché minima prova. Scosse il capo, sperando solo che venisse presto l’alba e che Clarice si ricordasse di portare con sé l’abito che avevano fatto fare da Niccolò Ardighelli.*
Quando trovò la forza di infilare la camicia da notte, scoprì di non avere sonno.
Così mise anche la vestaglia e andò nell’anticamera dell’alloggio, dove trovò la serva intenta a sistemare un paio di cose, cercando di non far rumore. La mandò a riposare, dicendole che non avrebbe avuto bisogno di nulla fino al mattino e poi si dedico all’esplorazione di quell’enorme biblioteca. Prese fra le mani una copia dei Trionfi di Petrarca e si accomodò su una delle poltrone, iniziando a leggere un brano dai Trionfi dell’Amore.
Così la trovò la mattina successiva Clarice, quando giunse nella stanza per aiutarla a prepararsi ancor prima che il sole si decidesse a salire in cielo.
 
 

***

 
 
Quel matrimonio era strano, vissuto come se fosse quello di qualcun altro e non il suo. Nulla era come Beatrice si era immaginata nei suoi sogni di vivace e speranzosa fanciulla. Nulla.
Nonostante fosse conscia che il suo cognome non le avrebbe mai permesso di scegliere il suo futuro sposo, in un certo senso quella era esattamente la via che Beatrice aveva scelto per sé. Ironicamente, se non poteva avere qualcuno che realmente bramava, almeno aveva scelto qualcuno che non voleva.
Si era fatta bella per Roma, per un marito che non conosceva, vestendosi senza entusiasmo. Il vestito era magnifico, fatto della seta bianca più pregiata e con un corsetto di stoffa rossa con eleganti ricami argentati e impreziositi da gemme, ma non lo indossò sorridendo. Lo mise come una monaca indossa la tunica, pronta ad andare a prendere i voti. Costretta.
Si era sempre immaginata un matrimonio sontuoso a Santa Maria in Fiore, con la cattedrale gremita di fiorentini sorridenti che lanciavano petali di rosa bianca al suo passaggio. Si era invece ritrovata in una gigantesca basilica di Roma, completamente vuota, eccezion fatta per le prime tre file di panche. Aveva percorso la navata con gli occhi puntata al soffitto, stretta al braccio di Giuliano che aveva insistito per accompagnarla fino allo sfinimento, tanto che Lorenzo aveva acconsentito cedendogli il posto. Nonostante la tristezza che gravava nel suo cuore, Beatrice non riusciva a non apprezzare l’arte. La volta era finemente affrescata da Gentile da Fabriano. Gli archi dorati la condussero fino all’imponete altare, posto al centro di un alto baldacchino con preziose lavorazioni di ferro battuto.
Nemmeno il Papa era come se l’era immaginato. Nella sua mente, il Santo Padre doveva essere un uomo dall’animo buono e gentile, vicario del buon Signore in terra. Sisto IV invece aveva il gelo negli occhi. Prima ancora di conoscerlo, Beatrice aveva avvertito la cattiveria in lui.
Giuliano aveva indugiato parecchio quando, alla fine della navata, l’aveva abbracciata. Si era poi rassegnato e le aveva scostato il velo dal viso, osservandola poi con rassegnazione mentre la giovane afferrava la mano di Riario, il quale si era avvicinato a lei scendendo il gradino che li separava per accompagnarla.
Come accennato in precedenza, alla cerimonia erano presenti poche persone: l’intera famiglia de Medici, comprese le sorelle Bianca, Maria e Nannina con i mariti al seguito. Becchi e Dragonetti, che controllava le guardie anch’esse presenti nella basilica a protezione costante dei Medici; Giovanni della Rovere, cugino di Girolamo e prefetto di Roma, e la moglie Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro; Il fratello di quest’ultimo, il cardinale Giuliano della Rovere, che aiutò il Papa durante l’ufficializzazione del rito; Lupo Mercuri, curatore degli archi vaticani.
Beatrice tenne lo sguardo alto per tutto il tempo, fisso negli occhi di Girolamo che le stava in piedi di fronte. Non lo avrebbe mai abbassato, non si sarebbe mostrata debole.
Era una Medici e questo non lo avrebbe dimenticato mai o permesso che Riario o il Papa o chi per loro lo dessero come un fatto di poco conto. Ogni perplessità sarebbe svanita prima o poi, così come c’è sempre una cupa oscurità prima dell’alba.
Questo le avrebbe risparmiato la paura dell’avvenire, ma le sarebbe stato di conforto nelle molte notti lontane da Firenze.
Potevano cambiare il suo stato sociale, ma non di certo la sua natura.
La funzione terminò rapidamente e, seguita dai rintocchi di molte campane, lasciò la chiesa tenendo il braccio di suo marito, abbracciando insieme alla luce del sole di maggio anche la sua nuova identità.
 

 
 
***

 


12 Maggio, 1476
Come posso già sentirmi così diversa? Come può il mio cuore essere caduto così tanto nella tristezza e nel dubbio dopo una sola messa? Dovrei imparare a farmi scivolare addosso le emozioni come ha sempre detto mia sorella Maria.
‘Una volta sposata, non sei più tu a dover decidere per te stessa. Sarà tuo marito a cambiare il tuo umore a suo piacimento’. Non voglio. Qualsiasi cosa accadrà, non voglio perdere me stessa in mezzo alle rovine di un popolo che fu grande in passato ma che ora, a distanza di secoli, rappresenta a pieno la depravazione che tanto condanna.
Voglio essere la sorella di Lorenzo il Magnifico, non moglie del conte di Riario.
Contessa di Imola. 
Imprigionata in una gabbia dorata nella Città Eterna, che sta morendo.
B.M.
 

 
 
 
 
Continua.
 
 


 
 
*Ebbene si, ho citato il marito di Lucrezia Donati, ma lei ancora nulla. Scusate, ma la detesto così tanto che aspetto di infamarla più avanti XD
Se volete vedere il vestito, la mia idea è questa: http://www.matrimoniemusica.it/images/files/H0373A.jpg
Veramente stupendo!
 
 
 
 
Nda:
Siamo già a quattro!
Che dire, questa storia è davvero molto divertente. La scrivo con piacere, nei buchi di studio, e così continuerò fino alla fine :D
Non c’è molto da dire su questo capitolo.
Il matrimonio è già bello che fatto e nel prossimo capitolo (che posterò martedì sera come in bocca al lupo all’esame che devo dare mercoledì) vedremo il banchetto dove Beatrice farà conoscenze nuove e finalmente l’inizio della convivenza di villa Orsini!
 
Devo fare dei ringraziamenti che sono davvero d’obbligo!
Prime fra tutti, le due ragazze che ho avuto il piacere di conoscere in questi giorni e che mi hanno tenuto compagnia su face book. Mi hanno recensita e seguita e sono A D O R A B I L I a dir poco! Parlo »Eagle« (che mi ha fatto una copertina bellissima che userò dal prossimo capitolo!) e di Yoan Seiyryu.
Grazie anche a _Morgan e morwen vaidt per le recensioni!
Grazie inoltre, a chi mi ha aggiunta ai seguiti e preferiti! A presto!
J.
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Parte V: La Spada. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo quinto.
Rating: Arancione.
Betareader: »Eagle«.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 

 
 
 
 
 
Parte V: La Spada.
 
 
 
 
 
 
La cerimonia nuziale si concluse con lo sfilare degli sposi in testa ad un piccolo corteo, fra le strade della città, da San Giovanni in Laterano fino a Castel Sant’Angelo dove si sarebbe tenuto il pasto. Quanto meno, Beatrice godette di una bella vista; passarono accanto al Colosseo e poi fra le rovine dei Fori imperiali fino al Lungotevere.
Il pranzo, uno dei più sontuosi che Beatrice avesse mai visto, si tenne presso il grande salone del Castello. Non durò molto e durante il pasto Lorenzo si alzò da tavola per un breve discorso sull’importanza che l’unione delle loro famiglie aveva. E i doveri che essa portava. Riario lo ascoltò divertito mentre ciarlava di lealtà e di sostegno reciproco, ridacchiando alla fine, mentre tutti applaudivano.
Beatrice, che gli sedeva accanto, non colse l’ilarità della cosa, ma essa diede adito ad un certo sospetto. Sul momento, la giovane moglie non gli chiese nulla, troppo stupita dalla richiesta del Conte di danzare con lui.
“Non vi facevo incline alla danza” gli rispose, afferrando però la sua mano e lasciandosi condurre sulla pista da ballo.
Riario fece segno ai musicisti di suonare qualcosa di più allegro, prima di inchinarsi a Beatrice “Sareste molto stupita nel sapere a cosa sono incline, Madonna.” Un braccio forte le circondò i fianchi, mentre lei andava a portare le mani sulle spalle del Conte. Non si era vestito come da tradizione, bensì indossava quella che all’apparenza sembrava una divisa militare. Come al solito, completamente in nero, con lo stemma papale sulla schiena e un mantello assicurato alle spalle, che ricadeva morbido sulla schiena. Elegante, certo, ma funereo.
Beatrice sapeva che avrebbe dovuto dimenticare delle vestiti sgargianti che vedeva sempre addosso a Lorenzo e Giuliano. Quel nuovo mondo aveva soffocato anche i colori. Tuttavia, danzare con Girolamo fu piacevole. Le sue movenze studiate  non lo tradirono nemmeno nel ballo.
Tutti gli invitati al banchetto – quasi tutta l’aristocrazia romana- si congratularono con gli sposi, presentandosi a Madonna de Medici in quella che a lei parve come una gara di popolarità. C’era abituata, anche a Firenze le famiglie più importanti tentavano di emergere sulle altre. Lì, però, tutto le sembrò ingigantito.
Prima fra tutte, la famiglia Colonna, il cui rappresentante più illustre era il Cardinale Prospero Colonna, che vantò sin da subito delle nobili origini della sua stirpe, riconducibili alla Gens Iulia. Sua nipote, figlia del fratello Giacomo, si chiamava Camilla e aveva la stessa età di Beatrice. Fu un incontro piacevole, poiché anche la giovane patrizia romana iniziava averne abbastanza di tutta quella formalità. Si sedettero insieme ad un tavolo e Camilla espose alla giovane fiorentina una panoramica della città di Roma, presentando  sottovoce ogni singola famiglia in modo ben diverso da come aveva fatto Riario, mentre mangiavano.
Iniziò con la famiglia di Piero Massimo, famoso speziale e proprietario di molti lotti immobiliari a Roma. Suo figlio Domenico era stato promesso ad una nobile di Venezia, ma c’era la diceria che fosse molto più interessato al fratello maggiore di quest’ultima. Invece la sorella, Teresina, aveva messo gli occhi sul Conte di Riario, ma il Santo Padre aveva rifiutato un possibile matrimonio e ciò aveva creato qualche dissapore tra la famiglia e la corte papale.
Vi erano poi gli Orsini, la famiglia di Clarice: suo fratello, Giovanni Battista, era uno dei cardinali più vicini al Papa. I Mancini erano un’altra casata da cui guardarsi, in quanto erano discendenti del Re di Napoli e quindi vivevano nella città Eterna solo per tenerla controllata.
Alla fine di quel racconto, Beatrice si chiese se esistevano anche delle persone di bontà morale in quella città o se fossero tutti dei pazzi. Provò anche a domandare qualcosa sui Riario, ma Camilla seppe raccontarle qualcosa sui De la Rovere, ovvero il ramo dei cugini di Girolamo. Su di lui o non sapeva nulla, o non voleva parlarne.
Il banchetto terminò nel meriggio e Lorenzo insistette per partire immediatamente. Non voleva stare troppo lontano da Firenze – o troppo tempo a Roma.
L’addio fu struggente sotto ogni punto di vista.
Beatrice riuscì a trattenere le lacrime mentre salutava il fratello maggiore e la sua famiglia, ma quando Gentile Becchi la strinse in un abbraccio che aveva un ché di paterno, non riuscì più a contenersi. Il peggiore di tutti fu, come è logico a pensarsi, Giuliano. Il fratello le prese le mani, guardandola negli occhi e sorridendo, nonostante gli occhi lucidi “Qualsiasi cosa accadrà, tu rimarrai sempre mia sorella e il bene che ti voglio resterà immutato.”
Ci furono lacrime, un abbraccio forte e il solito bacio sulla fronte che a Beatrice sarebbe molto mancato. Promise una corrispondenza frequente e delle visite a Palazzo, sperando che Riario gliele concedesse.
Poi li guardò partire e lasciarla lì, con un marito di cui non sapeva nulla, in una terra che era nemica del suo cognome.
 

 

***

 

 
Villa Orsini era immensa e bellissima.
Certo, Beatrice non aveva mai vissuto nella miseria o nel decadimento, ma la villa del conte di Riario era qualcosa di assolutamente meraviglioso persino agli occhi di chi ha sempre avuto una vita agitata.
Volte ad arco, imponenti saloni, lunghi corridoio affrescati, stanze dall’aspetto principesco…
Beatrice perse quasi tutta la prima sera guardandosi attorno e scoprendo le meraviglie di quel luogo. Anche il suo alloggio era molto bello. Non avrebbe dormito col Conte, questo la tranquillizzò un poco, ma non capì le origini di quello strano gesto. Poteva fare ben poche associazioni, visto che non aveva mai avuto contatti con l’aristocrazia – o quanto meno a quel livello- ma Clarice si era subito trasferita nelle stanze di Lorenzo, dopo il matrimonio, cosa che aveva portato il fratello a soddisfare i suoi istinti verso altre donne in luoghi più originali.
Rinviò la sistemazione dei suoi averi al giorno successivo quando scoprì che aveva a disposizione un armadio intero pieno di meravigliosi vesti. Passò in rassegna ogni stanza prima di scoprire il giardino sul retro. Era semplicemente stupefacente; ben curato, ricco di una varietà di piante e fiori che non aveva mai visto. Dall’altro capo del giardino cinto da un muretto a secco alto c’erano le stalle dei cavalli e un recinto, in cui il Conte teneva due lupi dal manto scuro. Vide poi dei pavoni, lepri e qualche gatto che forse, da randagio, aveva trovato la sua sistemazione in quel piccolo Giardino dell’Eden.
Era tornata in tempo per la cena, servita da Zita e un paio di altri servi. Per quasi tutto il pasto, i novelli sposi non parlarono. Riario le chiese come trovasse la tenuta e lei rispose in tutta sincerità che l’avrebbe definita in un solo modo, ovvero stupenda. Finito il pasto, Girolamo si ritirò nel suo studio lasciando alla moglie altro tempo per acclimatarsi in quel luogo nuovo.
Beatrice sapeva che poteva definirsi fortunata. Viveva in un luogo magnifico, era sposata con un nobile di sangue, era ai vertici dell’aristocrazia romana….
Però si sentiva sola.
Solitamente, dopo cena, usciva nel cortile di pietra di Palazzo de Medici con Giuliano e lì passavano un po’ di tempo raccontandosi la loro giornata, se non si erano visti, o a giocare con le loro  giovani nipoti.
A Roma non aveva nessuno.
Spinta da questo sentimento di profonda solitudine, arrivò fino alla porta dell’ufficio del marito, ma lì indugiò con un pugno alzato. Non sapeva se bussare o meno. Forse l’avrebbe disturbato. Pensò ai pro e ai contro e infine, facendosi coraggio, bussò.
“Avanti.”
Aprì la porta lentamente, affacciandosi.
Riario sedeva davanti ad un’ampia scrivania di scuro legno massello, ricolma di scartoffie e libri. Alzò il viso per guardarla, facendole segno di entrare prima di chinarsi per finire di scrivere qualcosa.
Beatrice obbedì, chiudendosi la porta alle spalle, avanzando con passo incerto e guardandosi attorno. Girolamo viveva attorniato dai libri, visto che anche in quella stanza si era circondato di volumi delle dimensioni più disparate, in volgare e in latino. Sembrava molto interessato alla cultura e questo fu decisamente apprezzato dalla giovane, cresciuta nella corte più umanista del suo tempo.
In fondo alla stanza, Beatrice vide un clavicembalo, posto proprio accanto ad una vetrata. La ragazza si chiese se il marito fosse in grado o meno di suonarlo…
“Immagino che vi stiate annoiando” disse, appoggiando la piuma dentro all’ampolla piena di inchiostro, per poter dedicare tutte le sue attenzioni alla novella sposa. Lei annuì lentamente “L’ho immaginato e ho già trovato una soluzione. Domani andrò a casa di Giacomo Colonna, domandandogli se può concedere a sua figlia di venire a vivere qui come vostra donna di compagnia. Sembravate amiche da una vita oggi, al pranzo.”
Beatrice arrossì lievemente, sentendosi una comara. “Non è necessario, Conte. Non vorrei far scomodare nessuno.”
“Sciocchezze, le donne dei ricchi patrizi romani fanno a gara per tale compito. Le gerarchie sociali si costruiscono anche tramite le amicizie, Madonna de Medici, e in molto ambiscono a legare con noi.”
“Più di quelli che invece preferirebbero infilarci un coltello in mezzo alla schiena?” domandò vaga Beatrice, fingendo interesse per alcuni volumi su uno scaffale. Non riusciva a trattenere per sé quelle provocazioni “Ho notato certi sguardi poco raccomandabili oggi.”
“Mh.” Riario si alzò a sua volta, avvicinandosi a lei e guardandola divertito. Beatrice iniziava a credere che amasse quel tipo di impudenze “La fama ha un prezzo, Madonna. Non temo nessuno, però. Se anche solo ci provassero, i miei uomini cancellerebbero la loro casata dalla faccia della Terra e degli annali. Succede anche a Firenze a quanto ne so.”
“Immagino che Pazzi vi abbia raccontato di cosa ha fatto alla famiglia Auditore.”* Ricalcò la ragazza, ricordando il fatto più recente avvenuto in città.
“Non solo. Francesco mi racconta molte cose, quando viene a trovare Sua Santità.”
“Chissà come mai, la cosa non mi sorprende affatto.”
“Non dovrete più preoccuparvi dei Pazzi, d’ora in poi, Beatrice” Riario le prese la mano sinistra con delicatezza, sistemando l’anello che egli stesso le aveva messo al dito quella stessa mattina. “Questo è un cimelio di famiglia, che risale ai tempi della mia bisnonna” disse, passando il pollice sulla pietra rosso sangue che spiccava al centro di una raffinata montatura in oro bianco.
La giovane non rispose, limitandosi ad abbassare gli occhi. Quando li rialzò, incontrò immediatamente lo sguardo del marito. Aveva degli occhi penetranti, grandi, così tanto da sembrare in grado di leggerle l’anima. Il viso era magro, il naso aquilino lungo e sottile e le labbra, lievemente screpolate, non avevano ancora toccato le sue. Che razza di matrimonio atipico…
“Conte, posso chiedervi una cosa?” attese un cenno prima di parlare “Vi reco disturbo se rimango con voi? Potrei mettermi su quel divanetto e leggere, mentre voi lavorate.”
Lui la fissò ancora per un istante, prima di lasciarle la mano e tornare verso la scrivania “Potete fare quello che più vi aggrada, Signora. Questa ora è anche casa vostra.”
Beatrice non se lo fece di certo ripetere. Ispezionò con cura tutti gli scaffali, accompagnata da occhiate fuggenti del marito. Quando trovò i Canti di Catullo non seppe resistere alla tentazione di rileggerli per l’ennesima volta, così si accomodò sul divanetto, alla destra della scrivania del Conte, perdendosi tra i molti brani d’amore di pura lussuria.
C’era pace in quello studio, silenzio rotto solo dallo sfogliare delle pagine e del grattare continuo della piuma sul foglio. La stanchezza accumulata insieme al nervosismo di quel giorno si abbatterono su di lei improvvisamente. Cadde addormentata senza nemmeno rendersene conto. Riario se ne accorse solo quando, avvertito un piccolo tonfo, vide il libro a terra e la mano della ragazza che penzolava oltre il bordo.
Sospirò, sistemando di nuovo la piuma e alzandosi. Raccolse il libro, appoggiandolo sul piccolo tavolino di vetro posto davanti al divanetto e su di esso si sedette, ammirando la giovane sposa immersa nel sonno. Non aveva la chiave al collo, quindi doveva averla nascosta da qualche parte fra i suoi bagagli. Certamente non l’aveva lasciata a Firenze, di questo ne era certo.
La sua mente però smise di pensare in modo tanto strategico appena lo sguardo percorse le linee fini del viso di Beatrice. Era bella, pericolosamente e dannatamente bella.
Non si era mai soffermato a guardarla per bene, non come in quel momento. Analizzò ogni aspetto di lei con attenzione, come se volesse marchiarlo a fuoco nella sua mente. Era di una bellezza classica, come le statue di marmo degli elleni. I capelli lunghi e di un castano tanto scuro da parere nero, lunghi fin quasi alla cintola, ricadevano sul petto e sulle spalle, come fili di seta pregiata. Il corpo era sottile ma bello, proporzionato.
Allungò una mano per scostarle una ciocca che era finita sul viso e sentì contro il polpastrello la morbidezza di quelle gote, che per un istante fu tentato di accarezzare. Non era mai stata nella sua natura, la dolcezza, ma quel gesto gli venne quasi istintivo.
Provava una certa attrazione per lei, ma solo perché aveva verificato che Beatrice de Medici non era solamente un bel visino; era caparbia, testarda e molto acuta. Esprimeva con schiettezza qualsiasi cosa le passasse per la mente, senza preoccuparsi di suonare impudente o spudorata. Riario preferiva di gran lunga quel tipo di donna, alla classica dama da corte tutta sorrisi opportunisti e occhi rivolti verso la pavimentazione. Immaginava già come gli avrebbe tenuto testa. Glielo si leggeva negli occhi che non si sarebbe piegata facilmente ai suoi voleri.
Ciò avrebbe reso tutto semplicemente più divertente.
Non si sarebbe annoiato, quanto meno.
Cercando di essere delicato, portò un braccio sotto le spalle della ragazza e l’altro all’altezza delle ginocchia, sollevandola dal divanetto. La strinse al suo petto, portandola in braccio sino alla sua stanza, per poi adagiarla piano sul letto e coprirla. Dopo un ultimo sguardo fece per andarsene, ma un grande baule di legno lavorato con molti intagli attirò la sua attenzione. Guardò di nuovo la giovane, prima di chinarsi su di esso e sganciare le pesanti maniglie. Ciò che trovò appena alzato il coperchio lo lasciarono di stucco.
Quella ragazza non smetteva mai di stupirlo.
 
 

 

***

 


 
La mattina successiva, Beatrice si svegliò tardi.
Non aveva mai dormito tanto in vita sua, visto che era abituata alle balie che la facevano alzare all’alba. Si chiese come avesse fatto ad arrivare sino al suo letto, visto che ricordava nitidamente di essere scivolata nel sonno a poco a poco, mentre leggeva nell’ufficio del marito. Doveva essere stato lui a portarla lì, senza ombra di dubbio. Questa rivelazione le strappò un sorriso, mentre apriva le tende e spalancava le porte a vetri che davano sul piccolo terrazzo e sul giardino.
Poteva essere una buona giornata, quella.
Si vestì, indossando una veste color sabbia, lunga fino alle caviglie, con ampie maniche e uno scollo che andava da una spalla all’altra. Non aveva mai visto nulla di simile, era abituata a corsetti e gonne ampie e vaporose, maniche in pizzo e sbuffi di seta. Quell’abito le ricordò molto le tuniche delle matrone romane.
Zita le portò qualcosa da mangiare, un veloce spuntino prima del pranzo, prima di lasciarla sola affinché potesse sistemare le sue cose. Aveva rimandato a sufficienza.
Quando fece per chinarsi sull’enorme baule, inorridì nel trovarne i ganci aperti. Spalancò il coperchio, sbattendolo involontariamente contro il muro, mentre cercava il suo porta gioie. Lo trovò esattamente dove lo aveva riposto la mattina della partenza e, dirigendosi verso il letto, ne versò il contenuto tra le lenzuola sfatte.
La chiave e il Diario di suo nonno erano ancora lì.
Sollevata, Beatrice ripose la piccola chiave d’argento tra le pagine ingiallite dal tempo, prima di guardarsi in torno alla ricerca di un luogo sicuro in cui riporli.
Alla fine optò per nasconderli sotto al materasso,  appoggiando il diario su una delle assi di legno, tanto esso era così morbido da nasconderne perfettamente la forma.
Si chiese chi potesse mai aver guardato tra i suoi averi, se poi non le aveva portato via nulla. Infatti, ad una prima analisi, non sembrò mancare niente dal baule. Poi, ripensandoci capì esattamente cosa aveva preso.
Di certo era stato Riario quando l’aveva riportata in camera la sera precedente.
Strinse i pugni, uscendo dalla stanza e andando verso lo studio del Conte, bussando forte prima di aprire la porta di scatto. Era deserto.
Svoltò per il corridoio cercandolo nei suoi alloggi, ma non era nemmeno lì.
La serva, che stava uscendo da uno dei grandi saloni della casa, la guardò confusa “Zita, hai visto il Conte?” domandò un poco affannata per la corsa.
L’abissina annuì, stringendo tra le braccia delle tovaglie che sarebbe andata a lavare lungo il Tevere “Sta uscendo.”
“Dannazione.” Si affrettò nella direzione opposta, tenendo sollevata la gonna sopra alle ginocchia per fare prima. Arrivata alla scalinata, la scese velocemente, trovando il marito in piedi davanti alla porta d’ingresso. Non era solo.
Con lui c’era Lupo Mercuri che, all’arrivo della ragazza, si interruppe, guardandola stranito. Anche Riario si voltò verso di lei, alzando un sopracciglio “Vi prego di abbassarvi le sottane, Madona de Medici. Non so che tipo di svaghi aveste a Firenze, ma a Roma non si usano certe…. Pratiche, non davanti agli ospiti quanto meno.” Le disse divertito, facendo ridere Mercuri.
“Non siete simpatico, Conte” ribattè la mora indispettita “Ora, ridatemela.”
Riario rimase un istante in silenzio, studiandola. Poi prese ad infilarsi i guanti di pelle nera come se nulla fosse “Non so a cosa vi riferite, Signora.”
“Alla mia spada.” Sputò lei, stringendo i pugni lungo i fianchi “Scoprirete che sono molto gelosa dei miei affetti. Quella spada apparteneva a mio nonno, mio fratello Lorenzo mi ha permesso di prenderla direttamente dalla nostra cappella di famiglia. Esigo che voi me la restituite ora!”
“Che razza di insolente” grugnì Lupo, ma un cenno di Riario lo zittì.
“Penso io a mia moglie” disse secco, rivolto all’amico, prima di concentrarsi su Beatrice “Le spade non sono di certo affari da donne. Non vorrei che vi faceste male.”
“Potrei stupirvi, Conte!”
“Sembrate scocciata, avete per caso dormito male? Posso chiedere a Zita di farvi portare altri cuscini.”
“…. Stiamo parlando di spade! Che diavolo centrano i cuscini?!” la stava prendendo in giro in modo mirabile, non c’è che dire. Più lei si alterava, più accresceva il suo divertimento. Lo guardò afferrare il cappello “Conte Riario, la mia spada è-”
“Requisita” Girolamo si voltò a guardarla. Dagli occhi era chiaro il suo intento di chiudere lì il discorso “Non vi lascerò con un’arma, Madonna.”
La mora assottigliò gli occhi “Temete per la vostra vita?”
“No, ho solo paura che vi facciate male.” Fece cenno a Severio Baldi, uno dei gentiluomini che servivano a casa Orsini, di aprire la porta affinché potesse uscire. Guardò negli occhi la moglie un’ultima volta, informandola che sarebbe tornato per la cena. Poi se ne andò.
Non sarebbe di certo rimasta lì con le mani in mano.
Aveva bisogno di uscire per sbollire un po’ il nervosismo accumulato. A quanto pare non sarebbe stata una bella giornata, anzi. Prese un mantello scuro da dentro al baule e scese al piano di sotto, avviandosi verso la porta d’ingresso.
Baldi la vide e le andò incontro “Madonna de Medici? Dove state andando?”
“A fare un giro. Mi sento soffocare qui dentro.” disse lei, sistemandosi i capelli sulle spalle.
“Aspettate! Vi chiamo una scorta!”
“Non voglio nessuno, grazie!” il sole la colpì in pieno viso e lei si affrettò a portare una mano sugli occhi, prima di avviarsi decisa al cancello di ferro battuto.
“Non è saggio uscire da soli!” la informò l’uomo “Non conoscete la città, potrebbe essere pericoloso!”
Appena messo il primo piede fuori dalla tenuta di Riario, Beatrice aveva smesso di ascoltare il servo. Sapeva che Villa Orsini era situata nel cuore di Campo de’Fiori, glielo aveva spiegato il Conte in persona, quando erano arrivati la sera precedente.
Non la spaventava una città nuova, così grande e sconfinata. Anzi, la voglia di avventura mista ad un poco di avventatezza le fecero venire voglia di scoprire ogni segreto dell’Urbe Eterna.
Dopotutto, era abituata a girare per Firenze, risultando quasi invisibile. Una volta imparate a memoria le molte vie e viuzzole, si sarebbe sentita quasi come a casa.
Roma però non era Firenze, e lo avrebbe imparato a caro prezzo.
Seguendo la linea sinuosa del Tevere, sperò di ritrovare lo sbocco per la via che l’avrebbe ricondotta ai Fori Imperiali. Bramava di rivederli nuovamente, studiare più da vicino quelle opere magistrali. Non si sarebbe mai aspettata, però, di incontrare qualcuno di poco gradito.
Mentre percorreva una via ciottolata, tra lei e il sentiero, si frappose un ragazzo. Avrà avuto si e no un paio di anni in più di lei e la sovrastava di ben pochi centimetri. Ma aveva una spada legata alla cintola e l’espressione poco raccomandabile.
“Buongiorno, Madonna, non credo di avervi mai vista qui.” Disse, guardandola languidamente e lasciando scorrere gli occhi lungo le sue forme. “Con chi ho il piacere di parlare?”
Beatrice pensò in fretta a cosa rispondere, dopotutto non sapeva quanto saggio fosse rivelare il suo nome. Si morse il labbro, prima di guardare il ragazzo negli occhi “Un gentiluomo si presenta per primo.”
Questi rise “Oh, riconoscerei l’accento fiorentino ovunque” ammise, mentre la ragazza si dava dell’idiota da sola. Si era tradita da sé “Dovete essere la sposa che il Conte Riario si è scelto. Ho sempre desiderato poter incontrare un Medici per potergli dire quanto trovo stupida la loro vena da umanisti pacifisti.”
Beatrice assottigliò gli occhi, guardandolo sprezzante “Non mi lascerò di certo insultare da un uomo che non ha ben chiare le buone maniere. Lasciatemi passare!”
Fece per girargli attorno, ma lui le si pose di nuovo di fronte, allargando le braccia “Oh andiamo, non siate così altezzosa! Rimedio subito all’affronto.” Si chinò troppo profondamente “Io sono Carlo Ottaviani, di certo avrete sentito parlare di me, la mia famiglia è assai ricca.”
“Così famosi da non venire invitati alle mie nozze?” chiese sprezzante la giovane, indisponendo il ragazzo.
“Chi vi dice che non fossimo lì?” chiese stizzito.
“Ho una memoria eccellente, Signore. Mi ricorderei di voi, se vi avessi visto. Ora lasciatemi passare.”
Si fece strada, ma lui la prese per un braccio, costringendola con un gesto secco a voltarsi nuovamente. “Non mi lascerò insultare da una puttana fiorentina.” Sussurrò a denti stretti.
“Non sono io quella che insulta.” Rispose lei, senza perdere il contatto con i suoi occhi.
Ottaviani perse il controllo. Mollò un ceffone in pieno viso a Beatrice, facendola cadere a terra. Non s’era mai vista una donna tanto impertinente. “Dovreste mordervi la lingua. Forse un po’ di sano timore vi aiuterà a ricordarvi di me…”
Beatrice si portò una mano al labbro ferito, guardando Carlo Ottaviani mentre estraeva la spada e la puntava verso di lei. Pensò rapidamente, tirando indietro la gonna del vestito, affinchè non le fosse di impaccio. Un piano le si disegnò nella mente. “Quale cagna potrà mai aver messo al mondo un codardo tale da puntare una spada ad una donna indifesa?”
“Lurida troia! Te lo insegno io il rispetto!”
Fu fulminea. Mentre lui alzava la spada lei riuscì a rimettersi in piedi, tenendo l’orlo della veste. Nell’esatto istante in cui la lama si abbassò, lei riuscì a intrappolarla nella stoffa della gonna, afferrandola saldamente e spiazzando il ragazzo. Tirò verso di sé la spada, sbilanciando il giovane che cadde in avanti, diritto col naso contro il gomito che la giovane aveva provveduto ad alzare.
Il dolore improvviso gli fece perdere del tutto l’equilibrio e rovinò a terra, mentre Beatrice lanciava la spada alla sua sinistra, guardandolo ansante e ringraziando mentalmente anni e anni di agguati che Giuliano tendeva a tirarle in ogni momento del giorno, per scherzo.
“OTTAVIANI!”
Così presa, non si era resa conto dei cavalli che, al galoppo, la stavano raggiungendo  e nemmeno di coloro che li montavano. Riario si fermò davanti a loro, scendendo dal suo stallone nero con un balzo e avvicinandosi a Beatrice. Lo seguirono un paio di guardie svizzere, mentre Lupo Mercuri osservava del tutto attonito la ragazza. Aveva visto tutta la scena, l’aveva vista disarmare un uomo più prestante di lei con un’abilità incredibile.
Girolamo sembrava furente più che stupito, invece. “State bene?” domandò, guardando con il labbro sanguinante della moglie con una malsana luce negli occhi di miele. Era difficile dire cosa stesse pensando in quel momento l’uomo.
“Si, io credo di si, non-” la mora si interruppe, quando Riario la prese per le spalle scuotendola.
“Cosa diavolo ci fate qui?! Non siete più a Firenze, Roma è pericolosa!” la lasciò andare, voltandosi verso Ottaviani che, dopo aver tentato la fuga, veniva trattenuto da entrambe le guardie “Voi, verme schifoso. Come avete osato alzare le mani su mia moglie?!”
“Dovete credermi, Conte Riario, non sapevo chi ella fosse.” Disse intimidito Carlo, guardando con occhi ricolmi di terrore l’uomo che lo sovrastava. Perdeva molto sangue dal naso che pareva essersi rotto con quella gomitata.
“Ah no?” domandò Girolamo, guardandolo con gli occhi ricolmi di pura ira, ma il tono di nuovo calmo “Chissà perché non vi credo.” Prese il pugnale dalla cintola, avvicinandosi maggiormente “Forse dovrei ricordarvi che siete già stato ammonito per aver alzato le mani su una donna, Signor Ottaviani. Farlo con mia moglie è stato decisamente azzardato e so che mentite: l’avrete senza dubbio riconosciuta. Ora, affinché il mio monito venga ricordato, farò in modo che questa volta abbiate ascoltato per bene. Guardia, tenetegli il capo”
“No! No!”
Beatrice osservò senza parole la scena, paralizzata dalla crudezza dell’immagine che le si parò davanti. Girolamo portò il coltello all’orecchio del giovane, staccandolo di netto dalla testa. Egli urlò sempre più forte, attirando molti guardoni sulla strada. Una volta compiuto il macabro compito, Riario si rialzò in piedi, lanciando l’orecchio davanti al giovane che venne rilasciato. “La prossima volta punterò più in basso, all’attaccatura delle vostre gambe.” Pulì il pugnale insanguinato nella giubba color terra di Siena di Ottaviani, prima di camminare verso Beatrice, riponendo l’arma.
Istintivamente, la ragazza trasalì facendo un passo indietro.
“Venite, vi riporto a casa.”
“Cosa avete fatto? Non era necessario, mi ero difesa da sola!” urlò lei, facendo un passo in avanti verso quell’uomo che con tanta freddezza aveva mutilato un ragazzo, la cui unica colpa era la stoltezza. Con tanta facilità gli aveva arrecato quel dolore. “Non bastava un ammonimento verbale? Siete pazzo?”
Un altro ceffone, meno forte di quello di Ottaviani ma ugualmente deciso, la colpì in pieno volto. La ragazza portò una mano alla guancia sentendola scottare, prima di guardare il Conte con gli occhi sgranati.
Lui la prese per il braccio strattonandola e sussurrandole all’orecchio “Vi prendete troppe libertà, Madonna de Medici. Non vi permetto di urlarmi addosso in pubblico. Ora muovetevi a salire a cavallo, vi riporto a casa. Non lo ripeterò di nuovo.”
Beatrice lo guardò, sentendo la guancia scottarle più per l’umiliazione che per lo schiaffo, poi abbassò il braccio in un gesto secco, seguendo il marito fino al cavallo e lasciandosi riportare a casa.
Sentiva gli occhi di Mercuri addosso, per tutto il tragitto, e non disse nulla.
Chi diavolo era Riario? Come aveva potuto fare una cosa così crudele?
Rimase in silenzio, sentendosi così stupida ad aver lasciato Firenze…


***

 

13 Maggio, 1476
Non so come comportarmi, innanzi all’ignoto. Sono abituata a vivere camminando fianco a fianco con persone che mi aiutano in ogni mia azione, sostenendomi e indicandomi la retta via ogni qualvolta scendevo dal selciato.
Ora non è più così.
Capire cosa è giusto o sbagliato è complesso, ma sarà il mio solo giudizio a salvarmi d’ora in poi. Non più i mie fratelli, non può Becchi.
Per prima cosa, devo scoprire chi è l’uomo che ho sposato. Il solo modo per combattere l’ignoto è scoprirne i segreti.
Chi è davvero il Principe Nero?
Un Angelo caduto dai favori del Cielo o una Chimera pericolosa?






 

 Continua. 

 
 
 
 
 
*Di storico non c’è molto qui, ma amo Assassin’s Creed e una piccola citazione non nuoce xD
 
 
Nda.
Lo so, lo so.
La violenza sulle donne non è un argomento leggero su cui passare, ma è importante ai fini della trama perché A) nel rinascimento, le donne erano tenute in bassissima considerazione, B) Riario è impulsivo e sappiamo tutti che ha sgozzato per molto meno e C) Beatrice ha dimostrato di essere una donna con due palle enormi, disarmando un uomo dalla sua spada.
Il trasferimento a Villa Orsini finirà con l’inizio del prossimo capitolo e poi ci vedremo tutti insieme l’ingresso trionfale a Imola, alla rocca Sforzesca del Conte.
Adoro quel capitolo, succede una cosa che semplicemente destabilizzerà Riario.
E non è facile stupirlo ma la moglie ci riesce molto bene :D
Ringrazio come sempre »Eagle« che ha recensito, messo la storia tra i seguiti, fatto la mia copertina nuova nuova e betato la storia! Fa tutto lei ** Grazie anche per le notti a chiacchierare mentre mi struggo sui libri <3
Grazie anche a Yoan Seiyryu, perché siamo sempre più gemelle separate alla nascita e perché insieme a morwen vaidt mi recensisce ogni volta **
Spero di non avervi deluso!
Grazie anche a chi semplicemente continua a leggere!
Ci sentiamo giovedì per l’aggiornamento!.
 
Un abbraccio
J.
 

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Capitolo 6
*** Parte VI: La Rocca. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo sesto.
Rating: Arancione.
Betareader: Electric.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.


 
 
 



 
 
 
 
 

Parte VI: La Rocca.
 
 

2 Giugno 1476
Nonostante siano passate ormai tre settimane dal mio trasferimento a Roma, ancora non riesco ad inquadrare  per bene il Conte. Passiamo poco tempo insieme e quel poco di attenzione che mi dedica pare vera. Sembra sinceramente interessato al mio benessere, ma nonostante ciò non posso levarmi dalla mente l’immagine agghiacciante di quella mattina, per le vie. Mi ha difesa con feroce gelosia eppure non mi ha ancora rivolto un singolo sguardo di lussuria o di voglia. Sembra disinteressato a me, sino a che continuo a rispondergli che mi trovo  bene e non mi annoio più da quando è arrivata Camilla. Non lo capisco. Non concepisco cosa possa pensare o provare quando mi guarda negli occhi.
 Chi diavolo è quest’uomo che, furtivo, si aggira con passo silente attorno a me?
È sfuggente. Cercare di carpire la sua essenza è come tentare di catturare il fumo.

 
 
***
 
 
 
Dopo lo spiacevole incontro con Carlo Ottaviani,  Beatrice passò poco tempo in presenza del Conte che, però sembrava non volere che le mancasse nulla.
Nonostante il suo nome fosse sulla bocca di tutti – la famiglia Ottaviani aveva messo in giro la voce che fosse stata lei a provocare il giovane rampollo, che non era altro che una vittima – Beatrice non aveva smesso di voler conoscere meglio quella città. Aveva acconsentito alla scorta di uno dei capitani della guardia svizzera che prestava servizio presso il vaticano, un certo Walmar. Con lei era gentile e si limitava a seguirla ovunque le desiderasse andare.
Senza contare che Girolamo mantenne la promessa, al fine di non vederla più annoiata o sola tutto il tempo. 
Camilla Colonna si trasferì a Villa Orsini, come donna di compagnia. La prima volta che aveva messo piede tra quelle mura, una treccia di castani capelli a penderle di lato e un’enorme baule retto ad  Baldi, era sembrata entusiasta di quella rinomata carica. Quanto meno, si sarebbero tenute compagnia insieme.
Passavano la maggior parte del tempo a parlare, o in giro per la città presso mercati e piazze. Se decidevano di rimanere alla Villa, sostavano nel grande giardino sul retro, visto che il bel tempo concedeva loro lunghe giornate soleggiate.
Quel luogo celava sorprese continue, tutta la Villa Orsini era così. Ancora in larga parte sconosciuta e affascinante.
Succedevano fatti bizzarri di tanto in tanto, inspiegabili, che Baldi sosteneva essere provocati dai fantasmi di Donato Orsini, il nonno di Clarice, che aveva donato la casa a sua eccellenza Papa Paolo II prima di morire accidentalmente al suo interno per cause sconosciute. Così spiegava certi cigolii notturni, o i tonfi che solevano udirsi di tanto in tanto.
Poi avvenivano fatti altrettanto inspiegabili, ma che non avevano nulla a che vedere con entità paranormali. Ci pensava il Conte a rendere tutto strano e confuso agli occhi della moglie.
Tanto per cominciare, Beatrice non si sarebbe mai aspettata di trovare esposto, al centro del grande ingresso, il quadro che aveva commissionato a Da Vinci. Invece lì lo aveva scorto, di ritorno dal mercato, accanto a quello che il marito si era fatto fare diversi anni prima. I padroni di casa, entrambi recanti i sigilli e i simboli delle rispettive famiglie che tra loro erano parecchio rivali. La cosa non aveva senso, visto che Beatrice aveva predisposto che quel ritratto venisse appeso nei suoi alloggi.
“Un’opera di tale bellezza era sprecata in un luogo in cui in pochi hanno accesso” Le aveva spiegato, affiancandosi a lei mentre fissava stupita la parete “Chi può avervi mai ritratta con tale perizia? Sembra che vi stiate rimirando in uno specchio, tanto la riproduzione è fedele.”
“Leonardo da Vinci” aveva risposto lei, senza voltarsi a guardarlo “Un’artista alquanto dotato. Non è solo un eccellente pittore, ma egli si dipinge anche anatomista e ingegnere di grande fama.”
“Autocelebrazione?”
“Titoli più che meritati, in vero.”
Il Conte inclinò di poco il capo, “Mirabile arte davvero, mi piacerebbe conoscerlo un giorno. Potremmo commissionargli uno nostro ritratto.”
“Il prossimo l’ho promesso a Sandro Botticelli, sono certa che amerete anche i suoi tratti.”
Girolamo ne prese atto, portando le mani dietro alla schiena “Sarà meglio che la cena sia pronta. Stasera occorre ritirarsi presto, domani mattina partiremo all’alba.”
Beatrice lo guardò, chiedendosi dove fosse diretto. Succedeva spesso che Riario mancasse per un paio di giorni, con una cadenza regolare di settimana in settimana “Voi e Lupo Mercuri?”
“No, Madonna. Noi due.” La corresse prontamente lui, ricambiando lo sguardo.
“Noi?” chiese, stranita “Dove siamo diretti?”
“Siamo sposati da tre settimane, Beatrice. È giunto il momento di fare il vostro ingresso a Imola, Contessa.”
Girò i tacchi, incamminandosi verso la sala da pranzo e lasciandola sola, persa tra i suoi pensieri.
Nessuno l’aveva ancora chiamata Contessa, persino la servitù si limitava a ‘Madonna’ o ‘Signora’. Per un istante, il peso del suo nuovo titolo la schiacciò e tutta la forza che quel dipinto le dava svanì in una nuvola di polvere.
 

 

***

 


 
Il viaggio a cavallo fu piuttosto lungo, ma Beatrice si rifiutò di entrare in carrozza con Camilla e Zita. Adorava cavalcare e non si sarebbe mai persa l’occasione di ammirare un percorso del tutto nuovo e interessante, a rischio di un gran male alla schiena e alle gambe.
Per gran parte del tragitto cavalcò accanto al marito, che le raccontò tutto ciò che doveva sapere su i loro alleati, ovvero Alfonso II, re di Napoli e duca di Calabria; la famiglia Visconti di Milano, che ambivano a riconquistare i loro territori presi dalla famiglia Sforza; Alfondo d’Este, signore di Ferrara, che aveva da poco conquistato il ducato di Rimini confinando i Malatesta a Cesena.
Riario sembrava particolarmente colto, riguardo la storia. Parlò parecchio di araldica e gerarchie sociali, senza mai dire nulla su di sé. Conosceva molte cose anche sui Medici, ma ascoltò ugualmente interessato i racconti di Beatrice su Cosimo.
Girolamo iniziava a capire che, qualsiasi cosa avesse fatto, non sarebbe mai riuscito a sopperire all’amore che la ragazza provava verso la sua famiglia.
Arrivarono a destinazione solo nel tardo pomeriggio, quando ormai il cielo iniziava a tingersi delle tinte dorate del tramonto. Beatrice rimase senza fiato innanzi alla bellezza che si ritrovò di fronte, una volta usciti dal bosco. Al limitare di una grande radura si estendeva un paesello di modeste dimensioni e, a vegliare su di esso, vi era una grande rocca dai maestosi torrioni e alte mura.
Mentre sfilavano lungo un sentiero tra le case, incolonnati e sempre a cavallo tra lo stupore delle persone che guardavano incuriosite Beatrice, la giovane non riusciva a staccare gli occhi dal castello, totalmente ipnotizzata da esso. Aveva sempre amato quelle costruzioni maestose e, in un certo, senso, aveva sempre desiderato vivere in una di esse.
La Rocca di Imola sorgeva al centro di una piana ed era circondata da un ampio fossato di acqua palustre. Per entrarvi, si accedeva ad un paio di punti levatoi che venivano calati da una striscia di terra di forma circolare posta innanzi all’enorme portone d’accesso. Quando esso si spalancò, mostrò alla ragazza il cortile interno totalmente circondato da logge ad arco a tutto sesto. Di lato, sulla destra, c’erano le stalle mentre, poco distante, l’enorme villa del Conte.
Ad attenderli innanzi ad essa c’era un uomo alto e distinto, il cui aspetto giovane e prestante era tradito da una chioma di capelli dell’argento più puro. Si chiamava Francesco Simonetta e, dopo aver servito per molti anni Galeazzo Maria Sforza, si era ritirato alla morte del signore di Milano nella grande rocca che un tempo era appartenuta a quella famiglia, divenendone il custode prima per Francesco Sforza e, in seguito e per concessione papale, per il Conte Riario.
Quel luogo fantastico che richiamava a sé medievali racconti fece subito innamorare la giovane de Medici, che desiderò visitarlo tutto immediatamente, accompagnata da Camilla. Simonetta fece da guida, mostrandole tutto, dalle segrete costruite sotto alla struttura al torrione delle vedette, il punto più alto. Lì Beatrice osservò fino a che la luce del sole lo consentì le terre di cui era stata nominata Contessa.
A cena erano tutti troppo provati dal viaggio per tenere una conversazione, così Beatrice continuò a domandare curiosità su quel luogo a Simonetta che fu ben felice di parlarle degli Sforza in modo assai più lusinghiero di quanto avesse fatto  Riario.
 
 



***

 

 
 
“Aiuto!”
Girolamo si sveglio di soprassalto, mettendosi seduto sul letto e facendo cadere il libro che teneva aperto sul petto. Doveva essersi addormentato mentre leggeva.
Il sole filtrava nonostante i pesanti tendaggi,  rivelando che sarebbe stata una bella giornata. Si era alzato come di sua consuetudine alle prime luci dell’alba e dopo un veloce sopraluogo e una frugale colazione si era rimesso su letto, per dedicarsi un poco alla lettura. A Roma non aveva abbastanza tempo per coltivare interessi, doveva sfruttare tutto il tempo libero che poteva prima di tornare a prestare servizio per il Papa. Si era addormentato senza nemmeno rendersene conto e doveva aver fatto un sogno parecchio movimentato, tanto da sentire Beatrice urlare con una nitidezza tale da ridestarlo.
Passò una mano sugli occhi, prima di recuperare il libro, deciso a riprendere da dove aveva lascito, quando un altro urlo lo fece scattare. Lasciò cadere l’oggetto, afferrando la spada che se ne stava appoggiata allo scrittoio nell’angolo.
“Aiuto! Che qualcuno mi aiuti!”
Uscì dalla stanza di corsa, a spada sguainata e con il pugnale nell’altra mano, dimenticandosi della giubba e rimanendo con solo la camicia addosso e i capelli lievemente spettinati dal cuscino.
Arrivò fino alla scalinata di pietra che portava in giardino, aspettandosi di trovare nemici del Ducato che erano riusciti a permeare le mura, e invece….
La prima persona che vide fu Camilla, seduta sotto ad un albero con una bambina bionda seduta sulle gambe.
Beatrice era poco distante e stava giocando un paio di bambini, anch’essi con i capelli dorati. Si lasciava rincorrere, senza affrettare troppo il passo così da permettere ai due gemelli di aggrapparsi alla sua gonna,per non cadere.
“Posso sapere, di grazia, cosa sta succedendo qui?” domandò il Conte, girandosi il pugnale nella mano prima di ringuainarlo di nuovo nella cinta. Lo stesso fece con la spada.
La moglie lo guardò con oggi ridenti di gioia, prendendo sotto le braccia uno dei bambini per spostarlo davanti a sé “Non sapevamo come impiegare il tempo, così siamo venute in cortile…”
“Urlare richieste di aiuto è un nuovo gioco?” domandò l’uomo, mentre i gemellini correvano dietro alla ragazza, nascondendosi a lui. Doveva avere una brutta fama anche per loro.
“Questi sono i figli di Francesco Simonetta” spiegò la ragazza, appoggiando una mano sul capo di uno dei sue “Erano qui fuori con la madre, di nuovo incinta. Ci siamo offerte di giocare un po’ con loro mentre lei riposava.”
“Non ha balie a cui scaricare la prole?” si informò Riario.
Beatrice sospirò, alzando gli occhi verso l’alto “Non sapevo come impiegare il tempo, visto che ho passato la mattina a esplorare i luoghi visti ieri sera. Una guardia mi ha detto che voi avete dato l’ordine di controllarmi e che non posso uscire dalle mura. Se non mi abbassano il ponte non posso andare in paese.”
“Abbiamo già appurato che ogni volta che giocate all’allegra esploratrice, la giornata si conclude con spiacevoli quando negativi risvolti” Riario la guardò ovvio, inclinando di lato il capo.
“Si, ma io mi annoio.” Continuò Beatrice, incrociando le braccia sul petto “Siete generoso nell’elargirmi una compagnia come Camilla, ma se non abbiamo nulla da fare, che chiacchere si esauriscono.”
Il Conte sembrò pensieroso “Capisco…. Beh, Madonna, quali erano i vostri principali passatempi a Firenze?”
“Giocavo con le mie nipoti, le tre figlie di Lorenzo” spiegò la ragazza, come a voler giustificare la sua presenza in cortile “Oppure, insieme a Giuliano ci allenavamo alla spada e con l’arco! Passavo mattinate in giro per la città, ascoltando musicisti e parlando con le persone. Andavo a caccia. Tutte attività che qui mi sono proibite”
Girolamo annuì attentamente, soppesando le parole della sposa, prima di voltarsi e tornare verso le scale “Perfetto, allora. Preparatevi, darò l’ordine di sellare i cavalli. Andremo a caccia.”
 


 
***



 
 
Beatrice non riusciva a decodificare quell’uomo.
Le prendeva la spada, le impediva di uscire in paese, ma la portava a caccia munendola di arco e frecce.
Aveva addirittura acconsentito ad andare soli, senza la solita scorta, nonostante quella zona non avesse confini poi così protetti.
La ragazza si era cambiata, abbandonando l’abito da dama in favore di un paio di braghe di pelle, una camicia bianca dalle maniche ampie e un corsetto marrone. Aveva poi preso il solito mantello grigio, raggiungendo il marito alle stalle, dove lui non si era di certo trattenuto dal guardarla attentamente.
“Vi donano questi abiti, Madonna.” Le aveva detto mentre montavano a cavallo e attendevano che il ponte venisse calato. La osservò anche mentre sistemava la faretra su una spalla, allacciandone il cinturino sul petto “Non avevo mai conosciuto una donna che portasse le braghe e tirasse con l’arco.”
“E non mi avete ancora vista con la spada che mi avete levato” sottilineò la ragazza, mentre si avviavano verso il bosco con andatura lenta.
“Quella spada ha doti speciali o siete abile con qualsiasi lama?” domandò il Conte, con un tono da presa in giro nella voce.
“Datemi la vostra e vi dimostrerò che l’importante non è la lama, ma la mano che la brandisce…”
Si avviarono per sentieri tortuosi presso una zona boschiva, sbucando di tanto in tanto per piccole radure assolate. La giornata era splendida, tanto che più di una volta Beatrice si era ritrovata ad alzare il viso, cercando di carpire dei raggi di sole su di esso.
Non trovarono la prima preda se non dopo un lungo tratto di percorso. Un cervo stava brucando l’erba al limitare del bosco.
Riario le aveva fatto cenno di non parlare e aveva preso l’arco, ma la ragazza aveva già inforcato incoccato la freccia, pronta per sferrare il colpo. Aveva preso la mira, ma il tiro non si era rivelato fortunato. La freccia colpì il terreno poco distante dal muso dell’animale, che fece presto a scappare.
La ragazza storse il naso, mentre il Conte le si affiancava, tirando le redini del cavallo “Mh.” Riario la guardò con un sorrisetto ad incurvargli le labbra “La mira è da perfezionare, Madonna. Se preferite possiamo tornare indietro, ho notato delle fragole di bosco al margine della via. Possiamo raccogliere quelle, invece che cacciare.”
Beatrice si voltò di scatto, ferita nell’orgoglio “Sono solo arrugginita, tutto qui. Sono settimane che non tocco l’arco. La prossima preda sarà di certo mia, potete contarci.”
Spronò il cavallo, uscendo dal bosco e ritrovandosi su una delle vie che conducevano fuori dal Ducato di Imola. Riario si fece serio, sbrigandosi a seguirla “Dovremmo tornare indietro e cercare di dirigersi verso Ovest. Non è una buona zona questa.”
“Poca selvaggina?” domandò Beatrice, ma prima che le giungesse una risposta sentì, in lontananza, alcune voci accompagnate da zoccoli di cavalli al galoppo.
Il Conte appoggiò una mano sulla spada, senza però estrarla“Tanti briganti, invero. Tornate nel bosco, prendete la via del ritorno.” Da dietro una collina apparvero sei uomini dal volto poco raccomandabile. “Andate, adesso!”
“Non posso lasciarvi solo!” ribattè lei.
Riario la guardò con occhi fiammeggianti “Andate! Non posso risolvere nulla se voi non vi allontanate immediatamente!”
Erano ormai vicini, quando Beatrice acconsentì a quella richiesta, tornando ad immergersi nel bosco.
“Aspettate Madonna, dove andate! Non è più usanza dare il buongiorno?!” sentì qualcuno urlarle dietro, mentre si immergeva tra la flora fitta. Lì però si fermò, smontando da cavallo e accucciandosi dietro ad un cespuglio di rovi.
I sei uomini accerchiarono Riario, sghignazzando. Lui invece non fece una piega, mantenendo la sua statuaria apatia mentre passava gli occhi su ognuno di loro. Il primo in testa alla piccola fanteria di malavitosi, quello che aveva provato a richiamare Beatrice, scese da cavallo, avvicinandosi di qualche passo “ Buongiorno, mio Signore. Con chi ho l’onore di parlare?” domandò ironico.
Girolamo scese a sua volta da cavallo, andandogli proprio di fronte, senza paura “Io sono il Conte Riario, signore di Imola e Generale dell’Esercito della Santa Sede. Vi prego di lasciare le mie terre finché ancora potete.”
Dal gruppo si levò un coro di risate “Non credo che voi siate nella posizione di poter avanzare minacce, vostra Eccellenza!” disse uno degli uomini ancora a cavallo, staccando con un morso un grosso pezzo da una mela.
“Ne siete certi?” chiese Riario, senza la benché minima tensione nella voce.
“Scommetto che avete studiato,mio Signore” ribadì l’uomo che era sceso, facendosi più vicino “Saprete bene fare di conto, quindi. Se ancor ci vedo bene, noi siamo in sei. Voi siete solo.”
Girolamo rise, portando il capo indietro “Oh, dite che ci vedete bene? Mh?”
L’uomo non ebbe il tempo di far nulla, che il pugnale di Riario gli si era conficcato nell’occhio. Cadde a terra lanciando un grido che pareva il guaito di una bestia ferita, mentre il conte ritirava la lama estraendo anche la spada. Altri due uomini scesero dalle loro bestie, mentre gli altri tre osservavano la scena ancora in parte sconvolti.
Solo quando un altro cadde, decapitato, si sbrigarono ad intervenire.
Beatrice non sapeva che fare.
Riario era insolitamente forte per un uomo della sua statura o della sua corporatura, ma erano più sempre in quattro e badare a tutte quelle lame era tutt’altro che facile. Strinse i pugni, guardando il marito lottare per la vita, poi si decise.
Uscì dal nascondiglio incoccando una freccia e puntando al capo di uno degli uomini. Scoccò il colpo, colpendola al braccio. Prese subito una seconda freccia, mentre questi si voltava verso di lei, iniziando a correre nella sua direzione con la spada levata.
Riario si distrasse, notando quella scena, e uno dei colpi andò quasi a segno ferendolo ad un braccio.
Beatrice intanto stava ancora tenendo alto l’arco, ma questa volta, prima di scoccare la freccia, portò alla mente le parole di Giuliano. Svuotò i polmoni e mirò con cura, lasciando poi partire il dardo che incontro la fine del suo tragitto tra gli occhi del brigante.
La ragazza si affrettò, lasciando cadere l’arco mentre correva verso il nemico, a cui rubò la spada. La strinse nel pugno, dirigendosi verso Riario e i tre uomini rimanente e mentre il marito ne abbatteva un altro con uno studiato colpo al centro del torace, Beatrice ne fronteggiò uno.
Rimasto con un solo avversario, Riario ci mise poco a farlo fuori. Lo lasciò sfoderare un colpo forte, scansandosi mentre questi si sbilanciava e, afferrandolo per i capelli, gli aprì la gola da un orecchio all’altro.
Poi si voltò verso la moglie per darle soccorso, ma ciò che vide lo lasciò del tutto senza parole. Beatrice stava combattendo in modo mirabile, schivando e parando colpi di una certa violenza. Non attaccava, si limitava a sposarsi velocissima, quasi come se si stesse divertendo nel vedere il brigante sempre più stanco.
Sembrava che stesse danzando.
Solo dopo qualche altro istante si decise ad attaccare, allungandosi e conficcando la spada nel collo di quell’uomo che era forse il doppio di lei. Egli cadde a terra, strozzandosi con il suo stesso sangue.
La ragazza sembrò un po’ turbata in un primo momento, tanto che lasciò cadere la spada. Aveva tolto la vita a due uomini. Non aveva mai fatto nulla di simile.
Si voltò verso Girolamo e incontrò i suoi occhi di miele, trovandoli sorpresi e non irati come immaginava. Poi notò il suo braccio “Siete ferito?” domandò preoccupata, facendosi avanti e afferrandogli il braccio. Lui la lasciò fare mentre strappava un pezzo di stoffa dal mantello per potergli bendare la ferita “Sarà meglio tornare, avete bisogno di un guaritore.”
“Non temete, è solo un graffio” Le sussurrò, senza staccarle gli occhi dal volto “Vi avevo detto di fuggire.”
“Sentivo che avreste avuto bisogno di aiuto, non ho avuto il cuore di abbandonarvi” Fu le risposta dimessa della giovane, che abbassò prontamente gli occhi.
Fu in quel momento che successe.
Girolamo portò un paio di dita sotto al suo mento, costringendola ad alzare il volto. Poi appoggiò le labbra sulle sue, in un gesto così dolce da sembrare estraneo alla sua natura di solito così fredda.
La giovane si ritrovò spiazzata. Quella era la prima volta che uccideva e la prima volta che veniva baciata.  Sgranò gli occhi per qualche istante, prima di chiuderli e lasciarsi andare a quel gesto che aveva segretamente atteso per giorni e giorni. Allacciò le braccia dietro al collo del marito, muovendo la bocca sulla sua e schiudendo le labbra quando lui glielo chiese tacitamente.
Sotto le fronde di un cipresso, al centro di un sentiero battuto, qualcosa si mosse in entrambi e provarono sentimenti che mai avevano provato prima.
 


Continua


 

Nda.

Eccomi tornata con questo capitolo!
Per il sette vi chiedo pazienza, visto che sono fuori casa fino a domenica sera!Spero di postare lunedì o al più tardi martedì sera.
Vi prometto, quanto meno, un capitolo esplosivo!
Come sempre grazie a chi mi recensisce con tanta gentilezza, ovvero »Eagle« e Yoan Seiyruy!
Le letture sono altissime, sono davvero felice di ciò e, se avete un istante di tempo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :D
Che altro dire?
Le cose si sono smosse e d'ora in poi sarà tutto molto più interessante, dal punto di vista amoroso.
Grazie ancora a tutti e a presto!

J.

  


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Parte VII: Il Sorriso. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo settimo.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.


 
 

 


 
 
 
 
Parte VII: Il Sorriso.
 
 
 
 
“Questo cinghiale è il più grande che io abbia mai visto, un applauso ai cacciatori che ci hanno permesso di potercelo gustare stasera!”
Che Francesco Simonetta fosse un ottimo adulatore era risaputo, ma furono le parole di Riario a far inorgoglire ancor di più Beatrice. Il Conte, infatti, prese un ultimo sorso di vino, prima di rivolgersi al custode della Rocca “Vorrei poter dire che il merito è stato mio, ma Beatrice ha scoccato la freccia che ha consentito a tutti voi di poter gustare una così deliziosa preda.”
Camilla sorrise all’amica, dall’altro capo del tavolo, mentre la mora lanciava un’occhiata di puro compiacimento al marito, posto accanto a lei “Voi avete preso due fagiani, avete comunque dei meriti.”
“Vero, ma è il cinghiale la vera attrazione, non di certo quei due poveri fagiani.”  Continuò il Conte, appoggiando il bicchiere sul tavolo e lasciandovi la mano.
Beatrice sorrise maggiormente, quasi non ascoltando le parole piene di ammirazione un poco forzata di Simonetta. Prese la mano del marito, intrecciando le dita alle sue e gustando l’espressione un poco stupita di quest’ultimo, prima di ricambiare la presa.
Camilla alzò un sopracciglio, gustandosi la scena con sorpresa.
Nessuno fece una piega, tanto meno il Conte, ma l’atmosfera mutò improvvisamente. Marito e moglie si scambiarono un lungo sguardo prima di sciogliere quel legame e riprendere a mangiare. Mentre Girolamo parlava in termini più specifici di caccia con Francesco, Camilla cercava di attirare l’attenzione di Beatrice che però sembrava più interessata a terminare il pasto.
Una volta lasciata la sala da pranzo, si divisero. Francesco e la sua famiglia si ritirarono nei loro alloggi, dando una buona notte ossequiosa ai padroni di casa. Camilla, che soleva fermarsi per un paio di ore nel giardino con Beatrice, guardando le stelle e parlando mentre cercavano di intrappolare le lucciole dentro ai calici di cristallo, si ritirò a sua volta, scusandosi con la Contessa per un brutto mal di testa che l’aveva tormentata per tutto il pomeriggio. L’intento di Madonna Colonna era quello, in realtà, di lasciar soli i due sposi. Obiettivo che riuscì in pieno, visto che l’ultima cosa che sentì dire al Conte, prima di arrivare in cima alla scalinata che portava alla zona notte, fu “Non vorrei rimaneste sola tutta la sera, Madonna de Medici. Fatemi compagnia nel salone principale”
Girolamo, dopo cena, si concedeva qualche ora di lettura, seduto su comode pelli, davanti al grande camino in pietra che veniva riempito da Zita di candele, visto che la calura estiva non permetteva di poterlo accendere.
Beatrice si sedette lì, accarezzando il pelo morbido di quella che un tempo doveva essere una volpe, prima di accettare un bicchiere di vino che il marito le stava porgendo. Lentamente, prese posto anche lui, accanto a lei, e tra la coppia calò il silenzio. Girolamo sembrava tranquillo come di suo solito, mentre Beatrice faticava un poco a sostenere il suo sguardo. A tavola, circondata dagli altri, non si era sentita affatto a disagio nel prendergli la mano, ma da soli sembrava cambiare tutto. Si sentiva più vulnerabile, sottomessa al vortice di emozioni che la sconvolgevano da quella stessa mattina, quando per la prima volta le sue labbra avevano incontrato quelle di Girolamo.
Fu proprio quest’ultimo ad introdurre lo spunto per una conversazione “Mi avete molto stupito quest’oggi, Madonna.” Si sporse per appoggiare il calice sul basso tavolino posto poco lontano da loro, prima di voltarsi nuovamente verso la giovane moglie “Non mi aspettavo di vedervi combattere a quel modo.”
Beatrice sorrise pallidamente, mentre le guance si tingevano di una lieve sfumatura cremisi “Ve l’avevo detto che con la lama sono imbattibile. Forse son anche più brava di voi!”
L’uomo alzò un sopracciglio con scetticismo, prima di scuotere piano il capo “Non sbilanciatevi troppo, Madonna. Avete dato dimostrazione di una buona abilità... Per una donna.”
“Come siete misogino, mio signore” rilanciò lei, passando l’incide sul bordo del calice che reggeva ancora in mano “Non me lo aspettavo da un uomo di cultura come voi. Certi pregiudizi dovrebbero venir lasciati alla gente del popolo, non di certo ad un fervente umanista come voi.”
Girolamo la guardò senza capire “Mi confondete di certo con qualcun altro. Io non sono un umanista. Certi aspetti smidollati e pacifisti li avete perduti, lasciandoli a Firenze.”
“Vedete? Altri pregiudizi” sottolineò la mora, appoggiando il bicchiere a terra, vicino alle pelli, e voltandosi di tre quarti verso il marito “Un umanista è un uomo che fa della lettura la sua compagna notturna, al posto di una qualsiasi puttana. È colui che trova svago tra le parole di Dante e Petrarca, meditando sulla poesia e sulla bellezza in essere contenute. Voi siete un umanista, anche se di pacifico avete ben poco.”
Riario ascoltò affascinato quel discorso, domandandosi come quella ragazza che aveva da poco conosciuto potesse conoscerlo così bene da dipingere un ritratto così nitido del suo essere. “Sono impressionato, Beatrice. Siete un’acuta osservatrice, ve ne do atto.”
“Lo so bene, Conte” replicò lei, compiaciuta, allungando una mano verso il viso di Girolamo e tracciando con il pollice la linea appuntita della sua mascella “Voi sarete anche misterioso, pericoloso e accomodante a tratti, ma io sono una donna e in quanto tale so ben leggere il vostro animo.”
L’uomo si fece più vicino, portandole una mano su un fianco e percorrendolo fino alla coscia, coperta dalla veste color ciniglia “Ora siete voi che avete pregiudizi sulle donne, Madonna. Credete di esser più intelligente di me?”
“Io non  lo credo. Lo so per certo.” La ragazza sorrise, inclinando di lato il capo, prima di appoggiare l’indice sulla punta del naso di Riario “Voi uomini tendete a ragionare solo per due motivi: le guerre e il sesso. La gamma di pure emozioni umane la ignorate il più delle volte. Conosco le vostre predisposizioni, sono cresciuta con due fratelli maschi. Per altro, posso perfettamente capirvi, dopotutto anche voi avete le vostre esigenze, anche se non sono più nobili di quelle di noi povere donne.”
A quelle parole, Girolamo non riuscì a trattenersi. Rise di cuore, come Beatrice credeva non facesse da tempo. Lasciò andare indietro il capo, ruggendo una risata che nacque dal cuore e si irradiò nell’aria tramite la gola. Anche la ragazza rise, contagiata da quell’attacco di allegria, portando una mano alla bocca. Si concessero un paio di minuti così, poi il Conte riprese a contenersi, senza però cancellare dal viso un sorriso luminoso.
Beatrice lo guardò come incantata, accarezzando la  lunga fossetta che veniva a crearsi lungo la guancia dell’uomo “Siete così bello quando sorridete. Dovreste farlo più spesso.”
Lui ricambiò lo sguardo, allungando una mano per accarezzarle i capelli “Io sorrido spesso, in vero.”
“No, voi storcete la bocca in modo vagamente sarcastico dicendo ‘Mh’. Quello non è sorridere,  è prendere per i fondelli la gente.” Lo corresse dolcemente lei, chiudendo gli occhi mentre sentiva la sua grande mano accarezzarle piano il capo “Un sorriso è qualcosa che dovrebbe partire dall’anima, non dalle labbra. Non dovrebbe mascherare la spavalderia, ma rendere gli altri partecipi della gioia. Voi non siete una persona felice, mio Signore. Ve lo leggo in faccia ogni giorno, anche se tentate di non lasciar passare nessuna emozione. Non si può vivere in questo modo.”
Girolamo abbassò lo sguardo, incurvando le labbra nella solita muta apatia. Anche Beatrice prese a fissare le pellicce sotto di lei e le ombre che le fiamme delle candele disegnavano su di esse. “Nemmeno voi siete felice, Madonna.”
La giovane scosse piano il capo “Vorrei che voi mi aiutaste ad esserlo però. So che il nostro è solo un matrimonio politico, che non mi desiderate e che se anche non fossi qui con voi sarebbe lo stesso… Ma dentro di me sento come se fosse stato il Destino a legarmi a voi. Come se vi appartenessi da prima di incontrarvi. L’ho capito la prima volta che mi avete parlato che la nostra via si sarebbe intrecciata, anche se suona stupido, dentro di me so che siete il solo che può rendermi felice o distruggermi completamente.” Fece una pausa, senza alzare gli occhi “So che è stupido, non vi conosco nemmeno, ma ho letto qualcosa nel vostro cuore che-” non le fu concesso di continuare. Girolamo aveva di nuovo unito le loro labbra, stavolta in una disperata quando impetuosa passione. L’aveva stretta a sé, portando le mani sulla sue schiena e accarezzandola fino all’attaccatura delle gambe per poi risalire, mentre la ragazza si sorreggeva al suo petto, ricambiando con lo stesso furore quel gesto avventato.
Si staccarono solo quando furono entrambi bisognosi di ossigeno, guardandosi con gli occhi lucidi dalla lussuria e il fiato corto. Fu in quel momento che Beatrice capì, ma Riario le concedette comunque una spiegazione “Io non ho mai detto di non desiderarvi, ma non è nella mia natura prendermi ciò che non mi viene offerto. Come potete vedere, ho sfatato il vostro mito. Non tutti gli uomini sono avvezzi a prendere ciò che desiderano da una donna, anche contro la sua volontà.”
A quelle parole, Beatrice si drizzò sulle ginocchia. Senza rispondere ne staccare lo sguardo da quello profondo del Conte, portò le mani dietro alla sua stessa schiena, aprendo un po’ a fatica i lacci del corsetto stretto. Si sentì goffa, ma non si era mai mostrata così ad un uomo, prima di allora. Col viso arrossato, abbassò la veste facendola scivolare verso il basso e mostrò all’uomo il petto nudo e pallido, insieme ai seni tondi. Questo invito fu più che sufficiente per Girolamo, che si sporse, spingendola supina sulle pellicce, prima di baciarla nuovamente, alzandole la gonna e accarezzandole le gambe snelle. Si concesse di esplorare con le labbra il petto della giovane moglie, che ridacchiò sottovoce alla sensazione della barba ruvida di Riario contro la sua pelle morbida, prima di rimettersi in ginocchio tra le sue gambe, per aprirsi la camicia e i pantaloni.
Fu allora che Beatrice vide qualcosa che di certo non si aspettava di vedere. Una corda nera si intrecciava con la catenella argentata che reggeva il crocifisso donato a Riario dal Papa in persona. Alla fine di quella corda vi era una chiave, che Beatrice aveva visto solamente nelle sue fantasie e sul diario del nonno. Quella era una delle due chiavi che avrebbero aperto la Volta Celeste e la possedeva suo marito.
Le si gelò il sangue nelle vene e Girolamo se ne accorse. Si sbrigò a sfilare entrambe le collane, adagiandole a terra, prima di togliere anche la camicia e sporgersi di nuovo verso la moglie “Siete certa di volervi concedere a me?”
Quelle parole riportarono la mora alla realtà. Smise di pensare a qualsiasi cosa non fosse Girolamo, visto che avrebbe potuto indagare dopo su quella singolare scoperta. Sorrise, accarezzando il volto dell’amante dalla tempia sino al mento “Ve l’ho detto quel giorno, a Palazzo Medici, che mi sarei concessa a voi. Non mi tiro di certo indietro ora... Vi ho sposato, sono vostra.”
“Mia?” chiese il Conte, passando una mano sul fianco della giovane mentre con l’altra si abbassava i pantaloni.
“Solamente vostra, come ho giurato davanti a Dio, per sempre.”
Girolamo la fece sua, in quel momento, e Beatrice giacque per la prima volta con un uomo. Aggrappata alle sue spalle, alla giovane parve di sentire tutte le attenzioni che il Conte le aveva riversato addosso dal suo arrivo diventare qualcosa di più profondo e intimo. Fu deciso, come al solito, ma insolitamente delicato. La prese con l’accortezza che si deve ad una persona amata, non ad una moglie di pura facciata. Lei si abbandonò totalmente a quelle forti emozioni, mentre Girolamo non riusciva a smettere di guardarla, incantato da tanta bellezza, resa ancor più misteriosa a causa della scarsa illuminazione che le candele permettevano. Illuminata da quelle stilette traballanti, Beatrice sembrava ancor più bella.
Il riflesso del fuoco, infatti, danzava sul suo corpo di porcellana, intrecciato a quello del Conte.
Solo quando l’amplesso si concluse, Riario si lasciò cadere su un fianco, sulle pellicce, portando un braccio dietro al capo. Beatrice si appoggiò al suo petto ancora ansante, passando piano le dita su di esso e notando qualche piccola cicatrice. “Un giorno saprò tutto di voi” disse di punto in bianco, rompendo la pace che era venuta a crearsi. Non era una domanda, ne una costatazione arrogante. Con quella frase, Beatrice aveva semplicemente esternato un suo desiderio personale.
Riario voltò il capo per guardarla “Certe cose è meglio che non le sappiate. Come ogni peccatore agli occhi di Dio, ho commesso atti che mi fanno vergognare di me.”
La mora si appoggiò alla sua spalla col capo, lanciando un’occhiata furtiva alla chiave prima di accoccolarsi contro di lui “Non dovete aver timore di deludere le mie aspettative, mio Signore. Ai miei occhi voi siete solo un peccatore come ogni altro. Non il conte di Imola, non il Generale dell’Esercito della Santa Sede o il Guardiano di Castel Sant’Angelo. Voi siete un uomo normale, e un mio caro amico artista mi ha detto, tempo fa, che la perfezione è da ricercarsi nell’ordinario.”
Quelle parole colpirono il Conte più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Rimase a meditare su di esse, ponderandole ciascuna e soppesandone il significato per diversi minuti e quando la riflessione terminò si accorse che Beatrice si era addormentata. Strinse di poco il braccio che aveva portato attorno ai fianchi snelli della moglie, stringendola maggiormente a sé prima di portare l’altra mano sul braccio liscio della ragazza, accarezzandolo col pollice.
Cosa gli stava facendo quella donna?
Cos’erano quei sentimenti che stava provando?
Avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, lasciarsi cullare da quell’innamoramento che aveva già preso a scaldargli il cuore, ma forse non doveva. Non poteva.
Si limitò a baciarle la fronte, prima di sciogliere quell’abbraccio e recuperare la sua camicia e le sue collane.
 
 

 

***

  


L’aurora dipingeva di colori freddi e rosati il cielo, disegnando forme sconosciute e fatiscenti innanzi agli occhi del Conte. Non vi era momento più azzeccato per compiere una riflessione, se non farlo guardando la notte morire partorendo un nuovo giorno.
Riario si appoggiò al parapetto di dura roccia delle mura, ponendo le mani ben distanziate tra loro mentre osservava innanzi a sé il paese di Imola e i campi circostanti. Si era assopito su quel tappeto, stretto nell’abbraccio di Beatrice, ma si era ridestato quasi subito grazie a Zita che era entrata trovandoli entrambi nudi e aveva tentato di coprirli. Dopo aver ringraziato l’abissina con un cenno, aveva avvolto delicatamente Beatrice nel lenzuolo e l’aveva portata nei suoi alloggi, ben sicuro che dopo quella notte avrebbero condiviso anche il letto.
Poi era uscito, per gustarsi l’alba che tingeva tutto di colori limpidi, sperando così di schiarirsi  i pensieri che non facevano altro che accavallarsi uno sull’altro nella sua testa.
L’attaccamento che aveva per quella ragazza l’aveva destabilizzato in più occasioni, ma solo dopo averla amata l’aveva compreso a pieno. Non aveva mai provato un sentimento così forte per nessuno che non fosse un suo consanguineo. Quando rideva, danzava o lo ammoniva bonariamente lui si sentiva diverso. Si sentiva quasi una persona migliore. Non era più il Conte Riario, che  imponeva la sua autorità sugli altri senza esitazione.
Così come lo aveva definito Beatrice, era solo un uomo. Era Girolamo, il ragazzino troppo fragile e malaticcio per poter frequentare l’accademia militare e quindi costretto a prendere lezioni private di scherma e arco. Era una persona come molte altre, un uomo che forse sarebbe persino riuscito ad amare.
Che fosse amore, quindi? Ancora ne dubitava, ma non poteva negare che ella gli era molto cara.
Perso com’era in quei pensieri, si accorse dell’arrivo di un cavaliere solo quando fu quasi alle porte della Rocca. Egli indossava una lunga casacca bianca, con impresso sul petto un’aquila candida e incoronata al centro di un blasone azzurro. Conosceva molto bene a quale casata appartenesse quel messo, così fece cenno ad una delle guardie di calare il levatoio e aprire le porte.
Scese lentamente le scale fino a ritrovarsi nel cortile proprio innanzi all’ingresso, allacciandosi la camicia nera ancora in parte aperta durante il tragitto. Il cavaliere fece il suo ingresso, scendendo da cavallo e arrivandogli davanti, inchinandosi “Conte Riario, non mi aspettavo di trovarvi già sveglio”
“Vi risparmio la fatica di attendere i miei comodi” commentò lui “Che notizie portate dagli Estensi?”
Questi si mise sull’attenti, drizzando la schiena prima di passare all’uomo una lettera bianca con scarabocchiato il suo nome in svolazzanti lettere dorate “Alfonso d’Este invita vostra Eccellenza e la Contessa ad un ballo che ha indetto per festeggiare l’arrivo della stagione delle messi, mio Signore.”
Riario lesse velocemente la lettera, prima di annuire piano “Dite al vostro padrone che verrò.”
Il cavaliere rispose con un cenno ossequioso prima di risalire a cavallo e sparire alla volta, sicuramente, di Mantova. Alfonso ambiva a far sposare la giovane figlia Isabella con il rampollo della città, figlio di Federico I Gonzaga.
Girolamo tornò verso le sue stanze, trovando Beatrice seduta sul letto e intenta a guardarsi attorno “Siete già sveglia? Non sembravate molto mattiniera” le disse, guardandola mentre si voltava verso di lui e gli regalava un sorriso luminoso.
“Uno spiffero mi ha destata, ma posso benissimo tornare a dormire” ammise, alzandosi senza preoccuparsi di vestirsi. Si mise davanti a lui, baciandolo sulle labbra “Venite a letto con me? o avete affari importanti?” chiese poi, indicando con un cenno la lettera.
Riario scrollò le spalle “Siamo stati invitati ad una festa presso la corte degli Este.” La informò l’uomo, prima di  buttare la lettera sullo scrittoio e tornare con la moglie verso il letto “Posso concedermi qualche ora di sonno in più, Madonna, ma solo perché siete voi a domandarlo…”
“Poi mi porterete in paese?”
“D’accordo, ve lo prometto.”
 

 
***

 
 
Un gruppo di bambini passò davanti a Beatrice, facendo nitrire il cavallo che ella stava montando. La giovane guardò quel piccolo drappello di infanti scalpitare felici e rincorrersi fino a raggiungere la piazza principale del paese, davanti alla chiesa.
“Non posso credere che siano tutti così allegri per un’impiccagione” disse la mora, quasi sgomenta. Non aveva mai assistito ad una scena del genere, di solito Lorenzo non le permetteva di vedere le esecuzioni pubbliche.
“La gente adora il sangue, ne sente l’odore da distanza, anche se il popolo vive in mezzo a puzzo della miseria.” Le disse Riario, affiancandosi a lei e procedendo a passo lento tra le persone che li guardavano ammirati, inchinandosi al passaggio dei loro signori. “Possiamo andare da un’altra parte. C’è il mercato delle spezie a quest’ora della mattina, vicino alla via che conduce fuori dal paese.”
“No io… Credo di voler vedere.” Beatrice lo guardò titubante “Voglio sapere per cosa verranno giudicati quei giovani.”
Aveva sentito dire che sarebbero stati impiccati quattro ragazzi, ma solo una volta arrivata nella piazza centrale scoprì il motivo. Avevano cercato di derubare il fornaio di qualche pezzo di pane, per sfamare quella che agli occhi di Beatrice si propose come una famiglia estremamente bisognosa. Infatti, di cornice alla raccapricciante visione dei condannati, due dei quali ancora bambini, vi era una coppia di sposi ormai sulla via dell’anzianità. Stringevano tra i loro corpi smagriti dalla miseria due bambine, che fissavano spaventate i fratelli col cappio al collo.
“Dobbiamo fare qualcosa.” Disse Beatrice, voltandosi verso il marito che manteneva la sua posizione impassibile “Girolamo, voi siete il Conte di queste terre. Dovete intercedere.”
L’uomo guardò un istante la moglie, prima di spronare il cavallo e arrivare più vicino possibile al palco. Le persone si scostarono per permettergli di passare. Una volta che fu vicino abbastanza da attirare l’attenzione del boia su di sé gli domandò “Che prove avete per condannare al cappio questi giovani?”
L’uomo si sfilò il cappuccio nero in segno di rispetto per il suo signore e, dopo un rapido inchino, rispose solenne “Sono stati trovati con le mani nel sacco dalle guardie della cittadella, mio Signore Riario. Avevano minacciato il fornaio e mentre il maggiore brandiva una spada contro quel pover'uomo, i più giovani stavano raccattando quanto più pane possibile per poi fuggire.”
“Avevamo fame!” urlò il più grande dei ragazzi, cercando di fare un passo avanti nonostante le mani e i piedi legati da pesanti corde “Se vostra Eccellenza non ci avesse tanto tassati al fine di costruire un’altra chiesa, non ci saremmo ridotti così!”
“La chiesa di San Domenico è stata una disposizione del Santo Padre in persona, al fine di adornare in modo sacro questa spoglia cittadina” Spiegò Riario, senza scomporsi “Se tutti rubassero, allora non vi sarebbe più ordine. Potevate fare il garzone presso una bottega e guadagnare qualche denaro, invece di macchiarvi di una simile infamia. Minacciare poi un pio uomo come il fornaio Verroni, è stata la decisione che vi è costata il cappio.” Fece un cenno con la mano al boia che si rimise il cappuccio “Possa Dio aver pietà delle vostre anime peccatrici e accogliervi nel suo Regno.”
Beatrice lo guardò stravolta e scese dal destriero, senza attendere che il marito tornasse da lei “Girolamo, non potete permetterlo! Sono solo ragazzi! Sono solo-”
Non terminò la frase, poiché la botola sotto i giovani si sganciò ed essi penzolarono, trovando la morte quasi immediatamente.
La ragazza fissò incredula la scena, portandosi una mano alla bocca mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Riario la chiamò un paio di volte, prima di scendere a sua volta da cavallo e raggiungerla. Quando fece per prenderla, però, la ragazza si ritrasse, guardandolo ancora sconvolta “Non toccatemi, vi prego…” sussurrò con voce spezzata.
“La legge deve venire rispettata, Beatrice” Il suo tono era paziente, come se si stesse rivolgendo ad una bambina capricciosa “Queste persone devono temerci, o non possiamo tenere il controllo.”
“Quindi noi governiamo imponendo leggi che rendono il popolo schiavo della paura? Questo è il vostro modo di farvi valere, Conte?” scosse piano il capo, incredula “Io non vi capisco. Non capisco chi diamine ho sposato, se l’uomo misericordioso che mi tratta con i dovuti riguardi o il mostro che pretende il sangue degli innocenti.”
Girolamo la prese per un braccio, tirandola con poca grazia verso di lui “Innocenti? Ottaviani, un violento che picchia le donne, è innocente? Quei ragazzi hanno rubato, si sono macchiati di un crimine minacciando un onesto lavoratore. Questa è la giustizia divina, Beatrice. Ciò che dico io è il volere del Signore, visto che io ne sono vicario in terra.”
La ragazza resse lo sguardo “Non credevo che foste diventato un cardinale o un vescovo, Conte.” Disse con insofferenza, strappando via il suo braccio dalla presa del marito “Torniamo alla Rocca, sto per sentirmi male.”
Riario annuì, salendo a cavallo imitato dalla moglie “E per la cronaca” aggiunse prima di salire sul levatoio “Io sono portatore della parola di Dio per volere di Papa Sisto IV, sono molto più di qualsiasi cardinale o vescovo visto che nelle mie vene scorre il sangue del Santo Padre.”
“Vostro zio è stato fin troppo generoso con voi” rispose Beatrice, affidando il cavallo alle cure di uno stalliere.
Riario si inumidì le labbra, sussurrando piano “Già…. Mio zio….”
Il suo tono misterioso incuriosì la giovane, ma non poté chiedere nulla. Simonetta informò il Conte dell’arrivo di un ospite mentre era fuori e Riario si sbrigò a raggiungerlo nel salone principale, lasciando la moglie nel cortile.
Ad aspettarlo trovò infatti Lupo Mercuri, che stava rimirando un paio di quadri lì appesi “Scusate per il ritardo, mia moglie si è persa in orazioni a difesa di un paio di ladruncoli e il tempo è volato” disse Girolamo, salutandolo con cordialità “Cosa vi porta a Imola? Il Santo Padre richiede il mio ritorno anticipato?”
“Dovreste controllare maggiormente vostra moglie, Conte Riario. La sua impertinenza è sgradevole.” Disse l’uomo più anziano, ridacchiando sotto i baffi. Poi si decise a rispondere alla domanda “Non esattamente, se mai a prolungare il vostro soggiorno fuori dalla Santa Sede.” Spiegò Mercuri, mostrandogli una missiva.
“Oggi è giornata, per le lettere” disse Riario, prendendola prima di sedersi su una delle due sedie rivestite di tulle nero poste in fondo alla stanza, a mo di trono. Prese il pugnale dalla cintola e aprì la busta, leggendo lentamente il contenuto. Alla fine guardò l’alleato negli occhi “Quando è stato deciso?”
“Ieri sera.” Rispose Lupo, avvicinandosi di qualche passo.  “Il Papa vi ha donato il Ducato di Forlì, ma esso va prima conquistato. Cecco Ordelaffi lo tiene ben stretto, nonostante fosse chiaro che lo Stato Pontificio ne detiene la proprietà. Sapete che significa vero?”
Girolamo sorrise, pragmatico “Oh si, significa che partiamo per la battaglia. Mandate un messo a Grunwald, che salga a Imola con tutti i suoi uomini. La terra di Forlì si bagnerà del sangue degli Ordelaffi quando verrà proclamata la mia reggenza.”
Mercuri annuì, lasciando la stanza.
Riario, rimasto solo, rilesse la lettera ancora una volta.
Non se lo aspettava, ma doveva ammettere che anelava da tempo un’altra missione di conquista. Erano in assoluto i suoi incarichi preferiti.



Continua.

 




Nda.
Buonsalve a tutti!
Come promesso, eccovi l'aggiornamento!

Come avrete notato, questo capitolo manca del pezzo del diario di Beatrice.
Beh, materialmente non ha avuto il tempo di scrivere nulla oggi, visto che si è tenuta bella impegnata col Conte!
Niente da dire, per la legge del tempo il matrimonio è riconoscibile solo quando viene consumato. Ora è tutto in regola quindi.
Nel prossimo capitolo ci sarà la descrizione della battaglia di Forlì, che storicamente non è avvenuta nel modo in cui la renderò io ma perdonatemi. Amo le battaglie!

Passo ora a ringraziare Eagle e Yoan per le recensioni ** ragazze vi adoro!
Grazie anche a che legge solamente la storia^^

A Giovedì!

J.

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Parte VIII: Il Dono, parte I. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo ottavo.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 


 

 


 
 
 
 
 
Parte VIII: Il Dono, parte I.
 
 
La prima cosa che Beatrice avvertì fu un eco strano proveniente  da chissà dove, seguito da una brezza leggera ma fredda, che le accarezzò il viso ridestandola dal mondo dei sogni. Aprendo gli occhi non incontrò la solita presenza del baldacchino e del soffitto, bensì un tetto di rami nodosi e foglie. Non giaceva su un soffice materasso di piume, ma sul manto erboso di un bosco.
Sbatté le palpebre un paio di volte, permettendo alla vista di adattarsi a quella luce che, seppur soffusa, le arrecò fastidio. Poi, conscia di non sapere dove si trovasse, scattò seduta, guardandosi attorno.
Senza ombra di dubbio, era in mezzo ad un bosco con alti alberi che impedivano ai raggi del sole di filtrare per bene, rendendo vana anche la comprensione di che parte del giorno si trattasse.
Istintivamente la giovane si alzò, abbassando gli occhi sul suo corpo e meravigliandosi per ciò che vide; al posto della candida vestaglia che aveva indossato la sera precedente aveva una lucente maglia di anelli metallici, tipica dei cavalieri pronti a scendere in battaglia. Non solo. Alzò le mani sul capo, sentendolo pesante e le dita incontrarono la fredda consistenza di un elmo. Lungo il suo fianco pendeva la spada di suo nonno Cosimo. Fece per prenderla, come per verificare che fosse davvero lei, ma un male improvviso al braccio la fece desistere. Laddove terminava la tunica metallica vi era una ferita sanguinante, che le occupava quasi tutto l’avambraccio. era un disegno strano, formato da due linee curve poste una innanzi all’altra che però non si toccavano. Strinse l’arto ferito, cercando di interpretare quello strano simbolo, ma perdeva troppo sangue. Strappò un laccetto dalla camicia sotto alla maglia e legò stretto l’avambraccio, prima di stringerlo al petto. Poi iniziò a pensare al da farsi.
Non sapeva cosa fare, o dove dirigersi. Non aveva nemmeno idea di come fosse finita lì, ma qualcosa nella sua testa le suggerì di incamminarsi per un sentierino al limitare della via. Una sorta di sesto senso.
Aveva percorso pochi metri quando la strada svoltò e gli alberi iniziarono a diventare sempre più radi. Anche se non ancora vicina, si intravedeva la cinta muraria di una città. Era poco più bassa di quella di Firenze, ma di un colore diverso, più grigia e spenta. Era così concentrata nel tentativo di orientarsi che quasi non si accorse della figura che con lei divideva una piccola radura, posta all’imbocco di due vie. Sussultò quando si accorse di non essere sola, ma poi riconobbe immediatamente la persona che aveva a pochi metri.
“Giuliano!”
Anche se di spalle rispetto a lei, non avrebbe mai potuto non riconoscerlo. Fece per raggiungerlo, ma un fitto nido di rovi che le arrivavano fin quasi alla cintola le impedirono di passare. Chiamò il fratello altre due, tre, dieci volte, ma lui non si voltò mai mentre la giovane cercava un’altra via che semplicemente non esisteva.
“Giuliano, ti prego!” le lacrime iniziarono a scorrerle sul viso “Dove siamo?! Perché non  ti volti a guardarmi?!”
Per risposta, il fratello alzò una mano, quella libera visto che l’altra brandiva la spada, indicandole il sentiero sulla destra. C’era un albero accanto a lui, su cui era stata incisa una strana lettera, di un alfabeto a lei sconosciuto.
Si morse il labbro “Cosa stai cercando di dirmi!? Ti prego, parla!”
Non ottenne risposta nemmeno in questo caso, così semplicemente si rassegnò. Decise di fidarsi del fratello, imboccando il sentiero che lui aveva scelto per lei. Dopo pochi passi fece per voltarsi, ma la radura era svanita e di essa non rimaneva traccia.
“Cosa diavolo sta succedendo?” chiese ad alta voce a sé stessa, portando la mano alla fronte e prendendo un attimo di respiro, prima di ripartire nuovamente. Arrivò alle mura, decidendo di aggirarle sempre tenendo il lato destro. Fu allora che incontrò qualcun altro. Vicino all’ampio fossato se ne stava Lorenzo, con gli occhi rivolti verso una figura che rantolava, stesa sul terreno erboso.
“Lorenzo!” Beatrice corse da lui, appoggiandogli le mani sul petto e cercando il suo sguardo. Ma lui si comportò come se non la vedesse, mantenendo gli occhi sulla figura a terra “Fratello mio, vi prego ascoltatemi! Giuliano è perso nel bosco! Dobbiamo trovarlo!” quando ancora non ottenne la sua attenzione decise di scoprire cosa rendesse così cieco il Magnifico. Quando riconobbe l’uomo che giaceva morente, impregnando l’erba di sangue scuro, per poco ebbe un collasso “Becchi!” si lasciò cadere accanto a lui, portando le mani sulle sue spalle e sollevandolo. “Vi prego Becchi, guardatemi! Parlatemi e dite chi vi ha ridotto così!”
Per la prima volta da quando si era destata, qualcuno parve notarla. L’anziano mentore la guardò negli occhi, boccheggiando parole che non arrivarono all’udito di Beatrice. Si chinò su di lui, trattenendo i singhiozzi nel vedere così l’uomo che l’aveva allevata rendendosi più presente di quanto fosse mai stato suo padre. Appoggiò l’orecchio sulla bocca di Becchi e finalmente sentì cosa stava sussurrando.
“Guardati le spalle, le spalle Beatrice… Le spalle.”
“Guardarmi le spalle?” domandò lei, scuotendo piano il capo. Stava morendo, vedeva la vita scivolare via degli occhi chiari dell’uomo “No! Non lasciatemi Becchi! Ditemi chi vi ha ridotto così! Ditemi da chi dovrei guardarmi!”
Il mentore borbottò un paio di parole incomprensibili prima di spirare, tenendo gli occhi ormai privi di ogni luce in quelli della giovane che si lasciò andare allo sconforto. Tirò maggiormente a sé Becchi, piangendo lacrime amare, e allora notò qualcosa sulla schiena dell’uomo. C’era un pugnale intarsiato in oro, conficcato su di essa e un’altra lettera, incisa nella carne. Una linea sottile e uncinata, poco lontano dal punto in cui il fendente letale si era accanito.
“Vi vendicherò, è una promessa.” Sussurrò, estraendo il pugnale e appoggiando delicatamente Becchi sull’erba. “Lorenzo!” si voltò di scatto, ma del fratello nemmeno l’ombra. “Lorenzo! Dannazione!” ringhiò distrutta ed irata, scorgendolo con la coda dell’occhio mentre camminava nella direzione opposta a quella che aveva condotto lì Beatrice. Si alzò e lo rincorse, ben intenzionata a non perderlo di vista.
Tutti i suoi sforzi furono però vani. Una volta raggiunto l’angolo delle mura, Lorenzo era svanito. Si ritrovò però ad un levatoio abbassato, che conduceva all’interno di quel Castello mai visto prima. Su di esso, esattamente posti sotto all’enorme ingresso in pietra, c’erano altre due persone che Beatrice riconobbe quasi immediatamente.
La prima era un ragazzo molto giovane, suo coetaneo quasi, che aveva le mani sporte verso di lei come se le stesse porgendo un aiuto. Aveva gli occhi bendati, ma i capelli color paglierino e i tratti del viso famigliari alla giovane gli permisero di venir riconosciuto “Botticelli…” Sussurrò Beatrice, prendendogli le mani e stringendole. Lo sentì stringere di rimando e la cosa la confortò. Sui dorsi di entrambi le mani, Sandro aveva scarabocchiata a carboncino l’ennesima lettera sconosciuta: la studiò per un istante e le ricordò una M, chiusa in alto. Si chiese cosa volessero dire tutti quei segni, cosa stessero cercando di dirle quelle persone che a stento le parlavano e se lo facevano non erano chiare. Sandro sembrava volesse dire qualcosa, socchiudeva le labbra, le inumidiva e provava, ma da esse non uscì mai nemmeno un suono.
Non era solo, però.
Accanto a lui, fermo immobile come una statua, c’era Leonardo da Vinci.
Con una mano reggeva le briglie di un cavallo scuro, quasi nero, mente con l’altra mano teneva davanti al viso uno strano aggeggio dorato, di forma cilindrica, che Beatrice ricordava di aver visto da qualche parte, ma non dove.
Con titubanza, lasciò le mani di Botticelli che per un istante arrancò alla sua ricerca e si rivolse all’altro artista “Leonardo, mi riconoscete? Sono Beatrice de Medici…” si interruppe, notando che questi aveva corrugato maggiormente la fronte, come se la presenza della dama lo stesse in qualche modo disturbando. “Da Vinci? Da Vinci vi ordino di ascoltarmi!” nemmeno la minaccia sembrò funzionare, visto che lui non discostò mai lo sguardo da quell’aggeggio, come se da esso dipendesse la sua intera vita. 
Anche Leonardo sembrava marchiato da una lettera, quella che sembrava una comunissima M, simile a quella di Botticelli ma paradossalmente più semplice.
Doveva domandargli cosa stesse accadendo perché Beatrice sapeva che se mai avesse avuto modo di svelare quell’arcano, solo Da Vinci le avrebbe dato il codice giusto per farlo.
Beatrice ponderò l’idea di dargli un calcio fra le gambe, magari si sarebbe mostrato più interessato a disquisire con lei, ma cambiò idea non appena notò chi l’attendeva oltre il portone.
Era un uomo non troppo alto, con capelli e barba candidi e lo sguardo buono di chi ha un cuore più ricco delle proprie tasche. A pochi metri da lei, guardandola come se fosse la cosa più bella che ci fosse al mondo, c’era Cosimo de Medici. 
Portò una mano alla bocca, mentre gli occhi tornavano ad inumidirsi. Odiava piangere, si sentiva sempre la bambina piccola di casa ogni qualvolta lo faceva, ma in quel caso si concesse di farlo. Era felice.
“Nonno!” si lanciò in una corsa disperata, sperando di poterlo sentire tangibile contro le sue braccia. Appena lo raggiunse si rese conto che lo era. Era solido, così come lo era sempre stato quando era una bambina. Il suo profumo, le sue mani che le accarezzavano i capelli, il suo sorriso che le scaldava l’anima….
Tutto era come in quei ricordi che aveva gelosamente conservato in un cassetto, nella sua mente. Si strinse a lui, lasciandosi confortare. Era frustrante, certo, ma almeno tutto aveva un senso “Questo… Questo è un sogno, vero?” domandò titubante, prima di staccarsi da lui per potersi specchiare in quegli occhi così simili ai suoi.
Il nonno le sorrise, accarezzandole la guancia “Chiamiamolo ‘incontro non programmato’, va bene?” le indicò una scalinata che conduceva alle mura “Accompagnami, come facevi un tempo.”
Lei annuì, prendendolo per un braccio con delicatezza come soleva fare da bambina. “Non vi siete mai manifestato a me, avete sempre mandato il Turco” disse la giovane, quando arrivarono sulla cima della cinta muraria, che presero a percorrere. “Perché ora siete qui?”
“Ci sono segreti che non potevo relegare ad Al-Rahim.” Le confessò l’anziano “In più volevo vederti per bene, sei diventata così bella, Beatrice. Sei tale quale tua nonna, Anna.”
“Mi mancate moltissimo entrambi” confidò la nipote, guardando oltre l’orizzonte mentre una folata di vento le spostava i capelli dietro alle spalle. Non si era nemmeno resa conto di aver levato il casco, mentre si chinava su Becchi, così presa dalla foga. “Non so come comportarmi. Come interpretare i segni che mi avete inviato. Cosa succederà a Giuliano e Lorenzo? Ho per caso predetto la morte di Becchi? E cosa centrano i due artisti? Sono così confusa ora che non trovo un significato nemmeno nei segni che avete posto lungo il tragitto.”
Lui le sorrise ancora di più “Sei sempre stata molto intelligente, Beatrice, ma la pazienza è una dote che a te manca del tutto. Devi imparare a osservare il mondo con maggiore attenzione e a tenere a bada le tue emozioni che spesso tendono a tradirti. Nel mio diario troverai la risposta ad una parte delle domande, per il resto, ti chiedo di attendere.”
“Ma se ciò che mi avete mostrato appartiene ad un futuro lontano, perché farlo ora?” domandò stranita la giovane “Non capisco.”
Cosimo parve a sua volta titubante. Si schiarì la voce, prima di sospirare come se avesse appena preso una decisione molto importante “C’è un motivo se ti ho condotta qui. Sai dove siamo?” lei scosse il capo “Questo è un luogo a cui tu sei legata in questo tuo presente, ma ancora non lo sai.” Si voltò verso l’interno del castello, indicando con un cenno del capo sotto di loro “Ti ho portata qui per mostrarti questo, guarda.”
La ragazza si affiancò al nonno, volgendo lo sguardo laddove lui stesso stava guardando, notando immediatamente due uomini che stavano combattendo a spade sguainate. Il primo non lo riconobbe, in quanto sembrava più un’ombra nera che una vera e propria persona, mentre l’altro era…
“Girolamo…” sussurrò Beatrice, sgranando gli occhi. Cercò di ricollegare il luogo sconosciuto a suo marito che combatteva e improvvisamente comprese. Riario le parlava da un paio di giorni di un’impresa che avrebbe dovuto portare a compimento per volere del Papa. Un territorio che gli era stato concesso di conquistare e di governare in qualità di reggente. “Siamo a Forlì?” chiese stravolta la ragazza. Cosimo si limitò ad annuire, facendole segno di guardare.
Il combattimento proseguì senza esclusione di colpi per diversi istanti e Riario sembrò sul punto di prevalere sul nemico. Riuscì a farlo cadere a terra, rivolgendogli alcune frasi di scherno che Beatrice non sentì a causa del vento e della distanza. Poi qualcosa andò storto. Quell’ombra raccolse una manciata di terra arida, buttandola negli occhi del Conte che stava per sferrare il fendente decisivo. Beatrice trattenne il fiato mentre il marito perdeva il contatto con l’avversario, che riuscì ad infierirgli una coltellata alla coscia. Girolamo cadde a terra, con gli occhi arrossati e le mani a tentare di trattenere il flusso di sangue che usciva dalla gamba. L’ombra raccolse la spada del Conte, mettendosi di fronte a lui.
“Devo fare qualcosa!” disse Beatrice, portando una mano all’elsa della sua spada ed estraendola dal fodero, ma appena l’ebbe alzata, la lama si sciolse diventando come acqua. Lasciò cadere l’impugnatura e senza guardare suo nonno prese a correre per le mura fino ad una scalinata che conduceva al luogo della disputa. Non fece in tempo a discenderla che l’ombra aveva levato la spada, conficcandola con un colpo deciso nel petto del Conte Riario “NO!”
L’assassino si dissolse come fumo, mentre la spada cadeva a terra e Riario stesso si accasciava in avanti. Beatrice riprese a correre, buttandosi in ginocchio accanto al marito “Non fate scherzi, Conte…” sussurrò tremolante, voltandolo a pancia in su. Non respirava e il suo cuore aveva smesso di battere, trafitto dalla sua stessa lama metallica “No, non è possibile.” Portò una mano sul viso insanguinato dell'uomo, accarezzandolo, mentre gli occhi non riuscivano a staccarsi da esso, inorriditi. “Girolamo, no… Non puoi lasciarmi, così…”
Si chinò sul suo petto macchiato di sangue, stringendo i pugni per soffocare un grido, prima di cercare lo suo nonno con lo sguardo madido di lacrime. Lo trovò in piedi accanto a lei “Beatrice…”
“Questo è quello che accadrà a Forlì, vero?”
“Si.”
La ragazza guardò il corpo dell’amato sotto di sé, cercando di convincersi che Girolamo era ancora nel loro letto, addormentato e vivo “Me lo avete mostrato perché così potrò impedirlo?”
“L’ho fatto per permetterti di scegliere. Puoi salvarlo oppure puoi lasciarlo andare e poi partire di nuovo per Firenze. Questa è una tua scelta.”
La ragazza lasciò scorrere lo sguardo sulla pavimentazione di pietra, dove il sangue del Conte, scorrendo, aveva creato una linea fin troppo retta, interrotta al centro da un triangolo che usava come base quello stesso fiumiciattolo. Un altro segno. “Lo impedirò.” Disse risoluta.
Il nonno la guardò accondiscendente “Sei pronta ad assumerti le responsabilità di questa decisione?”
“Si, sono pronta.” Si staccò dal corpo di Riario, alzandosi in piedi.
“Quest’uomo vaga per sentieri molto oscuri, Beatrice. Io ti avverto solo di prestare attenzione a ciò che sceglierai, perché da questo dipende il futuro non solo tuo, ma di tutta la nostra famiglia.”
La mora annuì “Io credo che sia recuperabile. Non è un uomo cattivo, semplicemente ha priorità sbagliate e ha riposto la sua fedeltà nelle mani di qualcuno che non la merita.”
“Credo nel tuo giudizio. Ora devo tornare e devi farlo anche tu.” Le passò una pergamena ripiegata, prima di abbracciarla di nuovo. La sentì stringersi a lui forte, prima di staccarsi con riluttanza “Ci rivedremo prima di quanto non credi, mia piccola stella. Medita su questo sogno, ricercane il significato. Io ti guiderò sempre, per quanto mi sarà possibile.”
La giovane gli strinse la mano tra le sue un’ultima volta “Non ti deluderò”
“Non lo farai…” Cosimo sorrise dolcemente, prima di dissolversi nell’aria, svanendo nel nulla. Beatrice aprì la pergamena, osservando attentamente il segno in essa scarabocchiato con inchiostro dorato. Era diverso da tutti gli altri, intrecciato e complesso. Così come lo era sempre stato suo nonno.
Sorrise al pensiero, guardando un’ultima volta Riario giacente “Non permetterò che ti portino via da me.” disse, poi chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Pronta a tornare. 
 

 

***

 
 
 

Beatrice spalancò gli occhi, rendendosi immediatamente conto di essere ansante e ricoperta di sudore. La seconda cosa che realizzò fu il gruppo di persone che la stavano sovrastando. Primo fra tutti vi era Riario, che la teneva per le spalle, bloccata contro il materasso. A pochi metri c’era Camilla, che la stava guardando ad occhi sgranati, con il terrore nello sguardo. Lupo Mercuri faceva bella mostra della sua vestaglia lunga da notte, immobile alla destra di Riario, con la Bibbia stretta fra le mani. Poi c’era Zita, in piedi sulla porta con un catino pieno di acqua fra le mani e un paio di stracci appoggiati ad una spalla.
Il letto sotto di lei era sfatto, un cuscino era caduto e le coperte se ne stavano ammucchiate ai suoi piedi.
“Cos-Girolamo?” alzò gli occhi sul marito, portando entrambe le mani sul suo viso, estremamente sollevata. Come da previsione, era ancora vivo. Era stato solo un sogno, anche se, a quanto pare, particolarmente violento.
“Sembravate tarantolata” il primo a rivolgerle la parola fu proprio Mercuri, mentre Riario smetteva di tenerla premuta contro il materasso e la sollevava appena, come per assicurarsi che stesse bene “Abbiamo temuto che un diavolo si fosse impossessato di voi!”
“Era solo un incubo.” sussurrò la giovane, senza distogliere gli occhi e le mani dal viso del marito, che aveva l’aria ancora parecchio preoccupata “Sembrava molto nitido.”
“Urlavate e vi dimenavate come una pazza.” Insistette Lupo.
Solo a quel punto, Girolamo parlò “Come mia moglie vi ha già detto, Mercuri, si è trattato solo di un brutto incubo. Ora vi prego di tornare nelle vostre stanze, mi occupo io di lei.”
Camilla si fece avanti mentre Beatrice si stendeva per bene sul letto, sistemandole le coperte addosso. La guardò sospettosa e l’amica le fece largamente intendere che ne avrebbero parlato il giorno successivo. Diede la buona notte ad entrambi i coniugi e si ritirò nelle sue stanze, lasciandoli soli con Zita che si apprestò a passare al Conte uno degli stracci imbevuti di acqua e sali terapeutici.
La mora lasciò passare qualche minuto, mentre il marito le passava lo straccio sulle braccia, sul viso e sul petto lasciato scoperto dalla camicetta da notte, prima di rompere il silenzio con una richiesta “Non partite, dopodomani.”
Girolamo si bloccò, senza alzare gli occhi dal suo polso. Rimase fermo il tempo di un paio di respiri, poi riprese “Perché mai non dovrei partire?”
“Ho avuto un brutto presentimento sulla buona riuscita di questa impresa. Temo che non tornerete più da me.” Beatrice si interruppe. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a farlo ragionare e che sarebbe comunque partito.
Infatti, l’uomo non fece una piega. Buttò lo straccetto nell’acqua e congedò Zita con un gesto gentile, attendendo che se ne fosse andata prima di riprendere la conversazione “La mano di Dio mi guida, non posso fallire.”
“La volontà del Signore opera in molti modi e maniere, Girolamo. Non dubito della vostra abilità o del vostro valore, ma temo molto per voi.”
Il Conte passò una mano tra i capelli della giovane moglie, prima di scendere dal letto per spegnere un paio di candele poste sul comò innanzi a loro “Siete molto dolce a preoccuparvi per me, Madonna.” Sussurrò, imprigionando una fiammella tra l’indice e il pollice, soffocandola “Però non dovete. Farò ritorno prima che voi possiate anche solo rendervi conto della mia mancanza e vi condurrò in un nuovo dominio. Sarete la Contessa di Forlì, baluardo assai ardito in quanto stanzia in una zona di confine turbolenta.”
Beatrice si morse le labbra per non aggiungere altro, consapevole che non poteva dire a Riario cosa aveva visto. Nella migliore delle ipotesi l’avrebbe bruciata sul rogo per stregoneria, o imprigionata per eresia. Nella peggiore avrebbe scoperto la sua appartenenza ai Figli di Mitra, visto che sicuramente lui ne sapeva qualcosa. Non avrebbe avuto quella chiave, se no.
Doveva saperne di più su di lui prima di prendersi certe libertà su simili confidenze. Doveva anche scoprire di più sul suo sogno per comprendere come aiutarlo al meglio. Così lasciò semplicemente perdere, conscia che se Riario fosse partito, sarebbe stata solo a lei salvargli la vita.
Attese che si rimettesse a letto, accanto a lei, prima di voltarsi a guardarlo, ripiegando un braccio sotto al capo “Potete quanto mano promettermi di prestare più attenzione del solito?”
Girolamo corrugò le sopracciglia “Tutti questi timori per una semplice sensazione?”
“Chiamatelo intuito femminile se preferite, ma di rado ci sbagliamo” gli permise di accarezzarle piano il volto, poi il Conte si sporse e spense anche l’ultima candela, segno che il discorso era chiuso e che intendeva riposare ancora qualche ora prima dell’alba.
Beatrice rimase a fissare  il suo profilo frastagliato nel buio, prima di prendere una decisione.
Non poteva farcela da sola, le serviva almeno un aiuto.
 
 
 

***

 

 
 
Quanto Beatrice si presentò nella stanza di Camilla, buttandola giù da letto poco dopo l’alba, la ragazza quasi non notò che fra le mani reggeva un diario e un foglio di carta con degli strani scarabocchi sopra.
Spiegarle che quelli erano segni che aveva visto in quel famoso incubo, che tanto l’aveva stravolta la notte precedente, e che dentro al diario vi era il modo di tradurli fu relativamente facile.
L’intero discorso sul perché aveva fatto quel determinato sogno fu molto più complesso.
Inizialmente, Camilla pensò che Beatrice fosse semplicemente impazzita per il poco dormire. Tante parole astruse per dirle che era un’eretica, adorante di un Dio falso  neo pagano e che questa credenza le era stata lasciata in eredità da niente di meno che Cosimo de’ Medici. Non solo: era la detentrice di quel quaderno ricco di appunti esoterici e di strane stregonerie che da sole le sarebbero costate il rogo. Per non parlare poi di una fantomatica chiave che, a sentire la mora, avrebbe aperto qualsiasi serratura ideata da un gruppo di miscredenti noti come Figli di Mitra.
In una parola, deliri.
Dopo aver appurato che non era uno scherzo, Madonna Colonna si agitò parecchio, per poi calmarsi di fronte ad una spiegazione più accurata.
“Io non sono che uno strumento, di tutto ciò ne so ben poco. Quel che ho appreso mi è stato donato da mio nonno e dalle pagine di questo diario, ma è di ben poco conto.”
Camilla le prese le mani, stringendole “Beatrice, ormai ti considero al pari di una sorella” le sussurrò dolcemente, ignorando il buon costume di dar del voi ad una persona di rilievo come l’amica “Non ti sto dicendo che ciò che fai sia abominevole, è una tua scelta e comprendo che per te sia importante onorare il volere di tuo nonno,  ma vorrei ricordarti di chi sei moglie: non esiste uomo più pio di Girolamo Riario, tutta Roma lo sa. Mio padre in persona l’ha visto evitare un etiope che aveva cercato di divulgare il credo di Allah sotto al Colosseo. Fai molta attenzione a ciò che fai e tieni nascoste queste cose.” Prese tra le mani il foglio “Questi, ad esempio, cosa rappresentano?”
Beatrice si sedette sul letto accanto a lei, tenendo aperto il diario “Li ho sognati e appena Girolamo si è alzato per andare a parlare con il capo delle guardie svizzere li ho scarabocchiati velocemente su di un foglio, per non dimenticarli. Ognuno di loro è collegato ad un membro della mia famiglia o a qualcuno che comunque conosco. Inizialmente credevo fossero lettere di un alfabeto a me sconosciuto. Poi ho seguito il consiglio di mio nonno e ho cercato nel diario. Ho scoperto che in realtà sono rune.”
“Ne ho sentito parlare” disse la ragazza castana, sbirciando il quadernino “Conoscevo un ragazzo che si faceva predire il futuro da una megera, tramite le rune. Sono celtiche, vero?”
“Non sono una grande esperta” Ammise Madonna de Medici “Ma qui ci sono i significati delle possibili interpretazioni. Questa per esempio.” Ne indicò una sul foglio, tracciandone i bordi con la punta del dito “Era incisa su una corteccia, accanto a mio fratello Giuliano. Si chiama Uruz, e sarebbe una delle rune fondatrici e indica il Fato, il destino già segnato. Su quell’albero era stata incisa al rovescio, il che le da un significato ancor più preciso: significa che la persona a cui è riferita non avrà la forza di volontà per compiere una gesta di qualche tipo, poiché si lascerà sfuggire un’occasione importante. Indica anche la cattiva salute e l’attitudine a farsi guidare dagli altri, ma conoscendo mio fratello escludo queste ultime due. È un uomo buono ma molto impulsivo, gli capita spesso di sprecare opportunità d’oro a causa della sua irascibilità”
Camilla la ascoltò attentamente, prima di appoggiare il dito su un’altra runa “Questa, invece?”
Beatrice la cercò, prima di rispondere “Quella è Mannaz. Indica il mondo dell’aldilà e l’intelligenza. Può essere interpretata come un buono auspicio perché colui che la porta con sé darà una mano in un progetto o un ideale comune. È anche il simbolo di coloro che si uniscono sotto la medesima causa.” La mora sospirò “Ce l’aveva scarabocchiata sulle mani un ragazzo che ho conosciuto a Firenze poco prima di partire. Si chiama Sandro Botticelli. Non capisco come posso collegarla a lui, perché ora come ora non condividiamo praticamente nulla, figurarsi una causa.”
“Potrebbero riguardare tutte il futuro, no?” domandò Madonna Colonna, prima di indicare la runa più a destra di tutte, accanto a un segno di penna “Questa?”
“Quella non ero certa di ricordarla bene, ma poi l’ho ritrovata quasi subito. Era incisa sulla carne viva di Gentile Becchi, il consigliere di corte dei Medici, e ne ho appreso il significato da ciò che lui ha detto prima ancora di leggere cosa fosse. Si chiama Laguz, simboleggia l’acqua e l’evocazione degli spiriti. Quando si presenta bisogna prestare molta attenzione alle insidie della vita. È anche il simbolo del tradimento.” Si interruppe, mordendosi il labbro “Becchi era insieme a mio fratello maggiore Lorenzo, dinnanzi alle mura di una rocca.”
“Il Magnifico?” domandò curiosa Camilla “Ne ho molto sentito parlare. Si dice che sia un poeta squisito, oltre che un grande Signore.”
Beatrice sorrise nostalgica “Sì, lo è. Lorenzo è un grand’uomo. Uno dei migliori che Dio abbia mai fatto, in effetti. Lui non aveva alcun simbolo, ma leggendo il diario ho scoperto che omettendolo mi hanno rivelato che in realtà ce l’ha eccome. La runa bianca, che si presenta senza numero o disegno, è quella del destino che oscilla da buono a cattivo a seconda delle azioni degli altri. Il futuro è quindi nelle mani del Fato e non può essere predetto o anticipato.”
“Bella fregatura…” Camilla scosse piano il capo “Forse il suo sarebbe servito molto più degli altri. Parlami di questi che sono rimasti.”
Beatrice annuì osservando gli ultimi quattro segni. Indicò il primo sulla sinistra “Questo è Ehwaz, la runa dei cavalli, che Leonardo Da Vinci aveva sulla mano sinistra. Lui è un grande artista, quindi il significato più plausibile per lui è la predizione del cambiamento in meglio. Ho parlato con lui tre volte ma ho capito sin da subito che è destinato a diventare un grande. Un altro significato è quello di presagire un importante viaggio. Non capisco se di tipo fisico o mentale. Quest’altra è Inguz, la protezione famigliare. Non mi stupisce il suo significato visto che era su una pergamena consegnatami da mio nonno in persona.”
“Tuo nonno?” chiese Camilla, sempre più confusa “Hai sognato anche lui?”
Beatrice annuì “Lui mi ha chiamata a sé. Una cosa che ho imparato dai Figli di Mitra è che riescono a scavalcare le leggi che regolano la vita e la morte. Lui mi è apparso in sogno ma so di non averlo solo immaginato. In qualche modo, lui era davvero lì con me.”
La Colonna parve titubante, ma credette all’amica. Sembrava troppo convinta e lucida per essere una pazza o una bugiarda “Il significato di questa runa quindi centra con la famiglia?”
“Sì, ma c’è dell’altro. Significa anche un periodo di transizione, la fine di una fase della vita e l’inizio di un nuovo periodo, un periodo di energia positiva e di fortuna. Anche se, però, accostata a molte rune negative, indica il fallimento. Per me Giuliano, Lorenzo e Becchi sono la mia famiglia e i loro presagi non sono dei migliori. Tutto è nelle mani di Lorenzo, in base al suo destino si evolverà anche il nostro.” Fece una pausa, sospirando, prima di concludere “Le ultime due rune le ho viste più nitidamente delle altre. La prima era incisa sul mio braccio e l’altra dipinta dal sangue di Girolamo.”
Camilla deglutì, sgranando gli occhi “In che senso, nel sangue del Conte?”
“C’è un motivo se il nonno mi ha portata lì, proprio stanotte. Mi ha mostrato come andrà la battaglia di Forlì.”
L’amica attese, torcendosi le dita di una mano per il nervosismo.
Quando Beatrice parlò di nuovo, Camilla comprese tutto “Girolamo non sopravviverà allo scontro con un nemico. Questo vuol dire la sua runa, ovvero Thurisaz: farà una scelta sbagliata, spinto da eccessiva ambizione.”
“La tua invece? Che diceva?”
Beatrice chiuse il diario “Jera ha tantissimi significati, ma il più importante è quello che più temo. Rappresenta il bivio, una scelta importante da prendere. Mio nonno mi ha già detto che devo scegliere se salvare Girolamo o lasciarlo andare a morire e tornare a Firenze. Io però, ho già fatto la mia scelta.”
L’amica le prese una mano tra le sue, stringendola “Quale scelta?”
“Il nostro è stato un matrimonio politico, è vero, ma io credo di amarlo.” si morse il labbro, titubante “Io devo salvarlo, Camilla.”
Madonna Colonna annuì risoluta, poiché già conosceva quel responso. Si limitò a guardare Beatrice negli occhi, determinata quanto lei “Posso fare qualcosa per aiutarti?”
La mora sospirò “Sì, mi servirà il tuo aiuto. Ho un piano”
 
 

***

 
 
 

9 Giugno, 1476
È sempre stato nella mia natura il desiderio di difendere coloro che amo. Non verrò di certo meno a questo voto. Farò tutto ciò che è in mio potere per salvare la vita di Girolamo. Ciò che mi serve è solo il sostegno cosciente di Camilla, una divisa da guardia svizzera e un cavallo.
Ovviamente anche una lama ben affilata, ma quella sarà la cosa più facile da procurarmi.
Il coraggio non mi è mai mancato e oramai l’avventatezza è diventata il mio secondo nome. Il nonno mi ha fatto questo prezioso dono.
Non lo sprecherò.
 

 

Continua



 

Nda.
Ecco la prima parte del capitolo otto!
Mi piace particolarmente questo pezzo del racconto, mi sono divertita a descrivere il sogno e adoro la divinazione!
Nel prossimo capitolo vedrete come si svolgerà il piano di Beatrice!

Grazie come sempre a »Eagle« e a Yoan per le bellissime recensioni **
Come sempre, accetto commenti e critiche da tutti coloro che leggono^^

A sabato!
Un  abbraccio
J.

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Capitolo 9
*** Parte IX: Il Dono, parte II. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo nono.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 

 
 
 
 
Parte IX: Il Dono, parte II.
 

 

10 Giugno, 1476
Mentirei, se non ammettessi a me stessa di avere paura.
Ho ponderato con attenzione quasi maniacale ogni piccola azione che dovrò compiere, chiedendomi se ne sarò capace, cercando la risposta a questo quesito….
La verità è che non lo so. Non so come reagirò quando l’orrore della guerra mi investirà. Non so nemmeno se riuscirò a salvare me stessa, figurarsi Girolamo.
Devo provarci però.
La paura è il sentimento umano che, insieme alla gioia, alla sofferenza e all’amore, ci fanno rendere conto che siamo vivi e capaci di grandi azioni.

 



 
 

***





 
 

Il piano di Beatrice era di base molto semplice, ma richiedeva una certa organizzazione e una gigantesca dose di fortuna.
Tanto per iniziare, doveva procurarsi la divisa delle guardie svizzere, visto che il suo intento era quello di andare in battaglia mescolandosi tra loro. Avrebbe preparato un cavallo e l’avrebbe poi sistemato dietro al cortiletto esterno per poterlo prendere una volta uscita di casa cambiata d’abito. Poi, dopo aver fatto il giro della villa, si sarebbe unita alla milizia armata di Grunwald, che si era accampata il giorno precedente nel cortile interno. Tutto questo in successione precisa, sperando di non venir riconosciuta.
Camilla l’avrebbe coperta, rimanendo alla Rocca. Non le avrebbe mai chiesto di seguirla, dopotutto, visto che Madonna Colonna non aveva mai brandito una spada in tutta la sua vita.
La prima parte del piano si rivelò già di per sé ardua. Uscì nel cuore della notte, da sola, scivolando nell’accampamento dei soldati svizzeri senza tener conto delle guardie che appena la videro le chiesero perché fosse lì. Con nonchalance la giovane Contessa replicò che non doveva dar conto a loro di cosa faceva a casa sua, ma loro avevano insistito a scortarla di nuovo agli alloggi.
Beatrice uscì dalla stanza del Conte, impegnato in una discussione con Lupo Mercuri nel salone riguardo chissà quale manovra d’attacco, andando in quella di Camilla che l’attendeva con un gran sorriso e una divisa tra le mani.
“Come hai fatto?” le domandò Beatrice, andandole incontro, afferrando i calzoni e alzandoli per guardarli.
Camilla allacciò i capelli castani in una coda alta, prima di esortare l’amica ad indossare le vesti per poterle quanto meno accomodare. “Mentre vi parlavano. Questa era appesa fuori da una tenda, sono scivolata fin lì e l’ho presa. Domani un soldato andrà in guerra come Dio l’ha creato” entrambe risero, mentre Camilla stringeva i pantaloni per Beatrice “Siamo fortunati che quest’uomo non sia grasso. Con un paio di punti dovrebbe andare. La giubba invece non s’ha d’accomodare. Non saprei come fare.”
La mora annuì piano “Andrà comunque bene. Non credo che nessuno ne terrà di conto.” Si morse il labbro, guardando la spada che aveva trafugato prima di cena dall’armeria, adagiata sul letto di Camilla insieme all’arco e alle frecce. Si sfilò le braghe, appoggiandole anch’esse sul materasso, prima di passarsi una mano sul volto “Se non dovesse funzionare, tu sei libera di-”
“Non dirlo nemmeno per scherzo” insistette Madonna Colonna “Funzionerà. Sono sicura che funzionerà.” Le prese entrambe le mani “Io sarò qua a crearti un alibi, così quando tornerete il Conte potrà prenderci entrambe a schiaffi.”
Beatrice ridacchiò, sentendosi di poco sollevata “Assurdo che questo sia il futuro a cui ambisco, vero?”
“Mal comune, mezzo gaudio!” anche Camilla rise, ma entrambe rischiarono di strozzarsi quando qualcuno bussò alla porta con veemenza.
Beatrice andò ad aprire, mentre Camilla copriva le armi e la divisa e rischiò il collasso quando davanti si ritrovò il marito “Conte…”
Riario la guardò intensamente, capendo immediatamente che qualcosa non andava. Fece un passo avanti aprendo la porta. Trovò Madonna Colonna seduta sul letto con in mano un libro “Cosa fate ancora qui? Credevo di trovarvi nei nostri alloggi…”
“Vengo immediatamente” disse lei, appoggiandogli una mano sul petto “Trovo sia giusto celebrare insieme la notte prima della battaglia.” Passò piano il palmo sui suoi pettorali, ricambiando il suo sguardo.
Lui non sembrava molto persuaso, ma dopotutto cosa potevano mai tramare due donne? Aveva davanti un giorno di fuoco, non voleva preoccuparsene “Vi attendo.” Replicò semplicemente, dando la buona notte a Camilla con un cenno prima di uscire.
Beatrice richiuse lentamente la porta, prima di appoggiarsi ad essa e far cenno a Camilla di non parlare. Se conosceva il marito stava senza ombra di dubbio ascoltando “Allora ci vediamo a colazione” trillò con falsa allegria, facendole cenno di nascondere tutto quanto.
“Certamente, buonanotte Madonna de’ Medici” rispose l’amica, annuendo per far capire alla mora che l’avrebbe fatto.
“Buonanotte.” Raggiunse il marito nel corridoio, il quale le porse il braccio e insieme si recarono nei loro alloggi. Durante il percorso Beatrice si strinse un po’ più forte del solito a lui, temendo per il giorno successivo.
Girolamo ebbe conferma dei suoi dubbi.
 


 
 
***
 



 
Il sole non si era ancora affacciato sul mondo quando consumarono una frugale colazione. Beatrice aveva scelto un abito verde scuro e aveva nascosto i lunghi capelli scuri sotto ad un velo del medesimo colore, ma semitrasparente. Nessuno parlò durante tutto il pasto e quando il Conte si alzò, Grunwald, Walmar e altri due soldati che la Contessa non conosceva lo imitarono insieme a Mercuri.
Beatrice e Camilla accompagnarono il drappello di uomini fino alla porta della villa e lì si fermarono qualche istante. I due sposi si avvicinarono e la mora prese le mani del Conte, guardandole nelle sue “Fate attenzione.”
Riario annuì “Posso prometterlo sul mio onore, ma dovreste stare più tranquilla. Non è la prima battaglia che combatto.”
“Lo so, solo… Sono più tranquilla se penso che vi ho dato la giusta dose di raccomandazioni.”
Girolamo lanciò un’occhiata ai suoi uomini, facendo cenno ai quattro generali di andare a preparare le truppe. Poi tolse le mani da quelle della moglie, prendendola per le spalle e avvicinandola a sé. Non sapeva nemmeno perché si preoccupasse tanto di rassicurarla, poteva semplicemente andarsene, ma negli occhi limpidi della giovane vi era qualcosa che a lui sfuggiva. “Quando entrerete a Forlì, venite subito a cercarmi. Mi troverete nella cappella, a pregare per le anime che ho mietuto”
“Lo stesso farò io, attendendo il vostro trionfo. Pregherò affinché il Signore vegli sulla vostra.” Beatrice non attese oltre. Prese il viso del marito fra le mani, sporgendosi per baciarlo sulle labbra. Lui ricambiò quella premura, stringendola di più a sé mentre Mercuri dava loro le spalle a disagio e Camilla sorrideva, guardandoli. Quando si staccarono la Contessa aggiunse  poche parole, prima dei saluti “Che questo vi sia di buon augurio, salirò sulle mura per darvi l’arrivederci, il sole sta salendo e baciando il mio braccialetto gli permetterà di brillare per voi.”
Girolamo accennò un sorrisetto, incurvando appena le labbra “Ed io estrarrò la spada per la prima volta oggi per ricambiarvi quel saluto.”
Beatrice sciolse quell’abbraccio, facendo qualche passo indietro. Il marito uscì dopo un breve cenno, seguito da Lupo. Appena la porta si richiuse, per entrambe iniziò  a scorrere il tempo. Prendendosi per mano corsero fino alla camera di Camilla dove si spogliarono.
La mora passò all’amica la veste e il velo e lei subito li indossò, mentre questa prendeva la divisa e le armi. Si infilò in fine un elmo, abbracciando velocemente l’amica “Tieni anche questo” Le diede il bracciale di metallo “Corri sulle mura, devi essere veloce. Io farò il giro e cercherò di infiltrarmi senza farmi vedere.”
“Stai attenta.”
“Anche tu.” Beatrice assicurò la spada alla cintola  e la faretra al busto, mentre la castana si abbassava il velo sul viso. Uscirono dalla stanza, separandosi.
Grazie al cielo, il cavallo era ancora lì, assicurato ad una bassa staccionata, nel cortile dietro alla villa. Lo prese per le redini, strisciando più piano possibile lungo la fiancata del palazzo e trovò la fanteria di Grunwald che si stava disponendo in formazione. Montò a cavallo, occupando il primo posto disponibile in prima fila, sperando di non venir notata. Conciata quel modo, nemmeno Lorenzo l’avrebbe mai riconosciuta.
Si guardò attorno circospetta, prima di individuare Girolamo, ritto sul suo cavallo bruno e impassibile come sua consuetudine. Guardava verso levante, lasciando che la luce del sole nascente lo investisse. Aveva qualcosa di strano sul viso, sembravano un paio di occhiali ma le lenti erano scure e maledettamente strane. Buffi a dir poco. Beatrice trattenne un sorrisetto a stento, voltandosi quasi di scatto quando un uomo la affiancò “Siamo pronti a partire” disse questo, lanciando un’occhiata a tutto il suo reggimento.
Era uno dei generali che sedevano alla sua tavola quella mattina e avrebbe cavalcato al suo fianco. Beatrice si stava giusto chiedendo quando la fortuna le avrebbe voltato le spalle.
Uscirono dalle mura in colonne ordinate e una volta che furono lontani abbastanza dalla città, la ragazza alzò gli occhi verso di essa vedendo Camilla ritta su una dei torrioni. Aveva un braccio alzato e lasciava che il sole baciasse il bracciale che portava al polso destro. Spostò gli occhi su Riario nel momento in cui sguainò la spada, rispondendo a quel saluto con un scintillare dei raggi sulla lama.
Sorrise, abbassando di nuovo il capo.
Non c’era spazio per il pessimismo, doveva riuscire nell’impresa. Doveva farlo per lui.
 


 

***

 


 
La marcia durò parecchio, più di cinque ore sotto il sole estivo a giudicare da come esso si era spostato nel cielo. Beatrice riuscì a mantenere l’anonimato fin quasi alla fine di quel viaggio, poi qualcosa iniziò ad andare storto.
Il suo manipolo, composto da arcieri a quanto aveva capito, era forse il più irriverente della compagnia. Chiacchierarono per quasi tutto il tragitto, di donne e di vino, di feste e di musica. Lei li ascoltò per bene, entrando a piedi pari nell’universo maschile. Non le fece molto piacere sentire certi apprezzamenti verso il gentil sesso, ma in linea di massima fu divertente ascoltarli.
Quando però il generale si rivolse direttamente a lei, si sentì sul punto di svenire. “Voi che dite, ragazzetto? Non avete fiatato per tutta la marcia! Avete per caso paura? Siete un verginello dei campi di battaglia?”
Se l’avesse scoperta e denunciata a Riario avrebbe passato guai enormi e, peggio, non sarebbe riuscita a salvarlo. Si limitò a scuotere il capo, certa che la sua voce cristallina l’avrebbe senz’altro tradita.
Un altro uomo, seduto una fila dietro di lei, ruggì una risata “Guardate quel pivello! È così terrorizzato da non riuscir nemmeno a cavar la voce dalla gola!”
Beatrice non voltò il capo, ma fra le molte risa di scherno e le battutine, guardò con la coda dell’occhio il generale che la fissava serio. La buona sorte le concesse grazia, però. Erano innanzi alle mura della città di Forlì e Riario diede segno alla compagnia di arrestarsi mentre lui e i suoi più fidi si dirigevano alle porte, così da poter parlare con Ordelaffi prima dell’assedio. Sicuramente non avrebbe mai concordato una resa pacifica.
Beatrice scese da cavallo come molti altri soldati, allontanandosi di poco dal gruppo e portando con sé la bestia. Si appoggiò ad un albero e prese un respiro. Voleva levarsi l’elmo, ma sentiva che le molte forcine per capelli non avevano retto e se l’avesse fatto i capelli le sarebbero caduti sciolti sulle spalle tradendola.
Chiuse gli occhi, sentendo l’elmo cozzare contro la corteccia. Aveva deciso di prendersi un istante, poiché quella divisa unita alla calura estiva di quella parte di pianura rendevano difficile respirare. Quando li riaprì vide sfocato per un istante, poi apparve nitido il viso di un uomo davanti al suo.
Il generale degli arcieri.
“Credete che io sia stupido e che non sappia riconoscere una donna, mia Signora?” Sibilò prendendola per  un braccio, intenzionato a condurla dal Conte.
Beatrice fece resistenza “No, vi supplico” sussurrò lei, implorante “Devo combattere, oggi!”
Lui sbarrò gli occhi, prima di sbuffare una risatina sarcastica “Oh andiamo, la guerra non è di certo una faccenda per donne.”
“Non capite, è importante che io entri nella Rocca quando la battaglia avrà inizio!” insistette lei, guardandolo negli occhi “Vi prego, non ditelo al Conte Riario. Vi imploro.”
Lui la tirò verso di sé, sicuro di fare la cosa giusta, ma poi si fermò leggendo qualcosa negli occhi di Beatrice. Sembrava un sincero bisogno di appoggio, quasi come se il pensiero di esser denunciata e non portare a termine chissà quale incarico la distruggesse profondamente.
Si bloccò, ammorbidendo i lineamenti del viso, seriamente combattuto. “Mia Signora, io-”
“Brancacci!” la voce di Grunwald arrivò tonante alle loro orecchie e subito il generale lasciò Beatrice, affinchè si ricomponesse “Dove diavolo siete!?”
“Qui!” rispose lui, tornando sul sentiero “Dovevo pisciare, Grunwald”
“Assicuratevi che il vostro uccello sia ben sigillato nelle mutande se non volete che ve lo amputino. Attacchiamo ora.”
L’arciere annuì “E sia. Do l’ordine agli uomini di mettersi in posizione.”
Grunwald tornò verso la sua schiera di fanti, lasciando a Beatrice il tempo di uscire di nuovo dalla fitta boscaglia “Vi ringrazio per non aver detto nulla.”
“Non intendo avervi sulla coscienza, Madonna” Replicò questi con severità “Acconsento alla vostra richiesta solo perché la vostra avventura con quei briganti è diventata leggenda tra le truppe. Ma statemi incollata e possa il buon Dio concedere a Riario di risparmiarmi.”
Lei lo guardò, riconoscente “Grazie, generale. Posso sapere il nome di colui che oggi mi ha aiutata?”
L’uomo abbassò il capo, rispettoso “Ezio Brancacci, mia Signora. Qui per servirvi.”
 

 

***

 

 
 
Camilla si era fatta prendere dal panico quando Zita aveva bussato alla porta degli alloggi di Riario, avvertendo ‘Beatrice’ che Simonetta richiedeva di parlarle in privato.
Cercando di acutizzare il tono - l’amica aveva la voce sottile e delicata come un passerotto - rispose che non voleva vedere nessuno, così come aveva predisposto a colazione. Poi uscì col velo calato sul volto e si diresse nella cappella, laddove sperava che nessuno l’avrebbe mai disturbata.
A costo di rimanere lì per giorni.
Si inginocchiò su una delle panche, iniziando a pregare per Beatrice, per la battaglia che sicuramente aveva già preso piede, perché tornasse a casa viva.
Perché nessuna delle due venisse scoperta.
Strinse la corona del rosario nel pugno, iniziando a ripetere come una lenta litania le ave Maria nella sua testa. Si accorse di non essere più sola quando il portone di metallo cigolò pesantemente due volte.
La ragazza deglutì lentamente, continuando a pregare sotto voce anche quando Simonetta le fu accanto. Si fece anche lui il segno della croce, prima di inginocchiarsi sulla medesima panca.
Fece passare diversi minuti prima di iniziare a parlare piano, sussurrando e credendo che Camilla fosse Beatrice “So che per voi è un momento solenne, mia Signora, ma ho premura di parlarvi prima del rientro di vostro marito. Avete scelto di recarvi nel luogo che io avrei suggerito per una simile conversazione, lontano da orecchie indiscrete.”
Camilla si diede della stupida, visto che a quanto pare sarebbe stata più al sicuro barricata negli alloggi del Conte. Tentando di arginare ogni possibile evento, la ragazza portò un dito all’altezza della labbra, per intimare il silenzio dell’uomo.
La cosa non sortì effetti.
Simonetta si inumidì le labbra “So perché siete qui, Madonna, e non è di certo per vostro marito. Una persona così crudele e spregevole non merita le preghiere nemmeno del più pio dei frati. Sono venuto da voi perché siete la sola che può epurare Imola da una tale piaga.”
Camilla sgranò gli occhi, sistemandosi il velo sul capo. Stava davvero per dire quello che lei aveva compreso? Non disse nulla, in attesa.
Il guardiano della Rocca si fece di poco più vicino “Se, nel cuore della notte, voi decideste di tagliargli la gola avreste dalla vostra parte tutti i miei uomini. Non solo, sono certo che anche i Malatesta e i Bentivoglio ci darebbero appoggi, senza parlare del Ducato di Milano. Sta per assumerne la reggenza Ludovico Sforza, che nonostante sia giovane è molto saggio e calibrato. Potreste essere la sola Signora di Imola…”
Camilla si sforzò di pensare a come Beatrice avrebbe potuto reagire in quel momento. Conoscendola, sapendo dell’affetto che provava per Girolamo, sicuramente molto male.
Si alzò di scatto, tirando un ceffone a Simonetta prima di lasciare la cappella. Forse era stata impulsiva, ma ora si ritrovava con un nuovo problema: una congiura non era di certo qualcosa su cui scherzare.
Quanto meno, era certa che nessuno l’avrebbe più cercata.
 
 
 
 

***

 
 
 
La guerra non era come Beatrice l’aveva immaginata.
Tutto era iniziato lentamente, come quando ci si sveglia da un sogno a causa di un grido. Le truppe si erano disposte non troppo vicine alla cinta muraria, avanti i fanti e dietro gli arcieri con Beatrice e Brancacci. La prima mossa era stata semplice, calibrata. Riario aveva alzato un braccio e sei grandi catapulte erano state disposte ad una distanza di sette metri circa l’una dall’altra. Erano state caricate con grandi macigni.
Brancacci le stava accanto, sul cavallo, e le spiegava di tanto in tanto cosa stava succedendo “Quelle sono catapulte a torsione, in uso sin dal medioevo. Sfruttando l’elasticità di tendini e crini, la molla scatta, lanciando il masso fin contro le mura. Non c’è bisogno del fuoco o delle torri mobili, quella parete è di rocce a secco. Cadrà in pochi colpi.”
“Il Conte sembra averlo calcolato per bene.”
“Riario è uno stratega militare sopraffino. Ha inviato spie per due giorni a studiare le mura cittadine. Non può sbagliare.” Ezio portò le mani alle orecchie e subito Beatrice lo imitò. Quando il braccio del Conte si abbassò, una serie di fischi culminanti in forti esplosioni trafissero l’apparente calma del mezzogiorno. Le mura ci misero poco a crollare, sotto la forza di quelle gittate.
Beatrice riuscì a stento a distogliere lo sguardo da quella visione terrificante, al fine di cercare il marito. Lo vide mentre estraeva la spada dalla fodera, alzandola verso il cielo. Poi prese a urlare parole di incitamento “Noi siamo soldati di Dio, militanti della Santa Sede! Ciò che facciamo è restituire queste terre al dominio del Santo Padre, così come il Signore vuole! Non fate prigionieri, schiacciate tutti coloro che si oppongono a noi! Dio lo vuole!”
L’esercito di Roma rispose con un’esplosione di pura acclamazione, prima di lanciarsi al galoppo verso le brecce che erano state aperte. Anche Brancacci si apprestò a buttarsi a capofitto verso l’ignoto, conscio di non sapere cosa li aspettasse oltre quelle mura “Statemi vicino” disse a Beatrice, prima di spronare il cavallo e lanciarsi lungo il pendio poco inclinato del campo. La ragazza lo seguì, estraendo la spada.
Quando i primi due plotoni di fanti e gli arcieri giunsero dentro alla città assediata, non trovarono nulla. Né persone né nemici da affrontare.
Riario, in testa al gruppo, si voltò verso Grunwald “Fate attenzione” disse, passando gli occhi sui tetti delle case e lungo le mura. Poi vide qualcosa, sopra alla sua testa. Il viso di deformò in una smorfia quando capì come li avrebbero attaccati “I tetti delle case!” urlò, prima di voltarsi “Brancacci, dì ai tuoi uomini di puntare ai tetti delle case!”
Un lungo passa parola permise al generale di carpire l’ordine. Fece avanzare i suoi mentre i soldati nemici sbucavano dai tetti e dalle finestra più alte “Puntate verso l’alto! Abbatteteli!” sbraitò, mentre anche Beatrice incoccava la prima freccia, puntando verso un uomo vestito di blu, inginocchiato su una bassa balconata.
Quando la freccia colpì il nemico sul collo, Brancacci sospirò un poco più sollevato. A quanto pare le voci erano vere.
Mentre li attaccavano dall’alto, altri soldati di Forlì giunsero da un paio di stradine secondarie, lanciandosi contro le truppe della Santa Sede. Girolamo fu il primo a scendere da cavallo, estraendo anche il pugnale. Falciò un uomo che stava correndo nella sua direzione senza scomporsi, amputandogli in parte entrambe le gambe all’altezza del ginocchio.
Si rigirò il pugnale nella mano, osservando attentamente i nemici che stavano sopraggiungendo e facendo una panoramica delle possibili vie per arrivare alla Rocca di Ravaldino. Solo così sarebbe finita la battaglia.
Doveva farsi strada per qualche centinaio di metri, intravedeva i torrioni da sopra i tetti delle case.
La sua lama vorticò nell’aria, affondando con facilità nel petto di un altro uomo. Non fece quasi in tempo a estrarla, poggiando un piede sul ventre del malcapitato, che una stilla di sangue fioccò fuori dalla carne straziata, sporcandogli il viso. Il Conte sorrise, leccando via un paio di gocce che erano finite sulle sue labbra, prima di proseguire verso la Rocca.
Beatrice cercava di tenerlo d’occhio, ma l’impresa risultava difficile. Anche con l’aiuto di Brancacci, era difficile contrastare gli uomini degli Ordelaffi. Per un paio di volte rischiò grosso, ma all’inizio si ritrovò come impietrita da quella situazione: grida, morte, sangue e lame. Quando l’orrore della guerra la investì si ritrovò impreparata, nonostante sapesse vagamente cosa aspettarsi. La sofferenza aveva l’odore ferroso del sangue e lasciava l’amaro in bocca.
Dopo aver contrastato l’ennesimo nemico che aveva tentato di colpirla, Beatrice si era resa conto che Riario non era più lì. Nemmeno Grunwald e Mercuri. Presa dal panico cercò Brancacci tra la folla di combattenti, nero contro blu, ma non riuscì a scorgerlo. Venne meno alla parola data e scivolando tra i soldati, facendosi largo a colpi di spada, arrivò fino alla via ciottolata che conduceva alla Rocca.
Sperò solo di arrivare in tempo.
 
 
La Rocca sembrava del tutto priva di sentinelle e la cosa mise in allarme Girolamo. Avanzò lentamente, a guardia alta, sentendo la schiena di Grunwald contro la sua. Fece segno ad Heich, un altro generale della guardia, di controllare dietro ad un angolo, prima di procedere verso i saloni.
L’uomo fece appena in tempo ad affacciarsi circospetto che una lama gli aprì la gola con un unico fendente, da un orecchio all’altro.
“Ci attaccano!” l’urlo di Grunwald riecheggiò per la Rocca, mentre a decine, i nemici uscivano da posti strategici e impensabili. Loro erano si e no venti, ma Riario sapeva di avere dalla sua l’esercito più organizzato d’Italia. Erano delle vere macchine della morte, quindi senza temere, iniziò a mietere morti nella controparte.
Circondato da due soldati particolarmente agguerriti, il Conte quasi non si rese conto di un terzo uomo che stava sferrando un attacco contro di lui. Intravide il luccicare della lama, mentre essa si abbassava, con la coda dell’occhio e la evitò per un soffio. I sue soldati si scansarono, lasciando spazio ad un uomo alto e piuttosto massiccio, che sembrava grande più del doppio rispetto a Riario, sia in altezza che in larghezza.
Sulla divisa da guerra bianca aveva un blasone, verde e d’oro, che ritraeva un cinghiale rampante spaccato a metà dalle linee orizzontali.
Girolamo sorrise sarcastico, abbassando la lama solo per beffeggiarsi del nemico “Ma bene, voi dovete essere Cecco Ordelaffi, figlio di Federico IV e Elisabetta Manfredini.”
“Voi invece siete il Conte Riario di Imola, colui che intende rubarmi le terra” l’accento dell’uomo era fortemente strascicato, tipico di quei territori. Guardava Girolamo come se si trattasse di un piccolo insetto in un angolo, pronto per essere schiacciato.
Dal canto suo, il Conte non sembrava per nulla spaventato né dai titoli né dalla stazza del Duca Ordelaffi “Deve essere stata dura uccidere vostro cugino, immagino. Anche se non si nota molto, visto che questo dolore non vi ha impedito di mangiare.” Il moro ridacchiò, appoggiandosi la spada ad una delle spalle e inclinando di poco il capo mentre il suo rivale iniziava ad innervosirsi per tutta quella caparbietà “Questo terreno, concesso dal Papa, deve ora tornare a Roma. Voi vi siete macchiato di un omicidio, per risolvere una contesa, quindi siete obbligato a cedere il posto al Santo Padre o mi vedrete costretto a strapparvi il titolo nobiliare con le mie stesse mani.”
“Giusta scelta di parole” replicò Cecco “Visto che la mia bella città finirà nelle vostre mani macchiate di sangue. Non farete altro che sporcarla e renderla impura e questo non posso permetterlo” puntò la spada verso Riario “Combattete, se ne avete il coraggio.”
Anche Girolamo alzò la guardia “Se con quella stazza riuscite a muovervi a sufficienza da sferrare un attacco, e sia. Sono pronto a rispedirvi al cospetto del Signore, che vi giudicherà quale assassino che siete.”
Ordelaffi gli rise il faccia “Voi date a me dell’assassino? Con tutte le anime che vi siete preso si potrebbe riempire tutta Forlì”
“Probabile, visto che questa cittadina è grande quanto uno sputo.” Girolamo parò il primo colpo, scansandosi e guardando Ordelaffi che tentava di recuperare stabilità, rischiando di inciampare “Senza contare che io ho il potere di decidere della vita e della morte, in quanto strumento di Dio. Voi siete solo un peccatore!” attaccò a sua volta, due o tre volte, godendosi la vista del suo rivale sempre più affannato. “Coraggio Duca, cercate di digerire il cinghiale che vi siete mangiato per pranzo, io sono qui che attendo che voi mi dimostriate il vostro valore! Non dovreste far attendere tanto un ospite!”
Ordelaffi prese un respiro, prima di voltarsi furente verso Riario, brandendo la spada e contrattaccando, ancora con pochi effetti.
 
 
 
Beatrice si appoggiò con le mani alle ginocchia, ansante.
Non riusciva a capire dove fosse precisamente il luogo in cui Girolamo stava combattendo. Non era venuta da quella strada, nel sogno.
Si raddrizzò, guardandosi attorno e intravedendo una scalinata in pietra che conduceva sulle mura esterne della Rocca. Da lì si sarebbe orientata, ne era cerca. Salì senza controllare che vi fossero nemici e per poco rischiò di morire a causa di un agguato. Un uomo era riuscito infatti ad aggirarla silenziosamente, arrivandole alle spalle con in mano un pugnale.
La prese per le spalle, sbattendola contro la parete della torretta, ma la ragazza fu rapida abbastanza da prendere a sua volta uno stiletto dalla cinta, conficcandolo nelle reni dell’uomo che cadde per le scale, gridando. Beatrice portò una mano al collo, deglutendo piano e cercando di scacciare quella sensazione di soffocamento che l’aveva colta, prima di riprendere a correre.
Se i ricordi non la stavano imbrogliando, mancava poco.
 
 
Girolamo rise crudele, mentre Ordelaffi sbatteva contro alla ringhiera di una scalinata.
Non riusciva a colpirlo, per quanto ci provasse.
Gli andò incontro, sentendolo ansimare per lo sforzo e cercando di concentrare tutte le sue energie nelle braccia lo prese per la collottola e la cintola, spingendolo via dalle scale. L’uomo arrancò, voltandosi per sferrare un ennesimo colpo, ma mancò il Conte di parecchio, cadendo a terra sfinito. Perse persino la spada, che volò a qualche metro di distanza.
Riario scosse piano il capo “Mi fate pena” sussurrò, alzando la lama sul capo dopo essersi messo di fronte a Cecco “Ho misericordia di voi, Ordelaffi. Metterò fine a questa patetica scena, così che possiate raccomandare la vostra anima ai Santi.” Strinse l’elsa con entrambe le mani “Buon viaggio.”
Fece per colpirlo, ma accadde qualcosa che non aveva previsto.
Ordelaffi si sollevò abbastanza da lanciargli negli occhi una manciata di polvere. Per istinto, Girolamo abbassò la lama, portando una mano al viso mentre un piccolo urlo nasceva e moriva sulle sue labbra.
Con un’agilità tipica solo delle bestie che si sentono in trappola, Cecco si alzò, sferrando un pugno al Conte che, preso alla sprovvista si sbilanciò perdendo a sua volta l’arma. Ordelaffi non attese oltre. Raccolse la spada di Riario e, con rapidità, sferrò un colpo che incise sulla gamba di Girolamo un profondo taglio.
Solo a quel punto, il Conte rovinò a terra, riaprendo gli occhi e portando entrambe le mani sulla zona colpita, che zampillava sangue.
Ordelaffi rise così forte che parve ruggire.
“Ora chi si diverte, Conte Riario?” domandò sarcastico, prima stringere l’elsa della spada e guardarlo con occhi scintillanti, pregustando la vendetta “Come ci si sente a morire stroncati dalla vostra stessa spada?” chiese, prima di appoggiare la lama contro la gola di Girolamo, che lo guardava impassibile, se non fosse per la scintilla di puro odio che aveva negli occhi. Fece finta di prendere le misure, prima di alzare la lama, pronto a decapitarlo “Qui termina la vostra storia, Conte. Spero che vi divertirete a raccomandare la vostra, di anima. Ah!”
 
 
 
Beatrice arrivò giusto in tempo per vedere Girolamo cadere a terra.
Se lo aspettava, ma la sensazione fu comunque paragonabile a quella di un cazzotto nello stomaco. Vederlo così rischiò di distruggerla, ma aveva ancora un certo vantaggio. Corse per qualche altro metro, iniziando a scendere la scalinata. Era arrivata a metà quando Ordelaffi alzò la spada per sferrare il colpo decisivo.
L’aveva previsto, così si appostò sul muretto della scala e prese una freccia dalla faretra, incoccandola sull’arco. Prese la mira, che non fu precisa a causa del leggero tremore alle mani. Fu comunque sufficiente.
Riuscì a colpire il braccio di Ordelaffi, che gridò sofferente ritraendolo. Solo quel punto scese anche la seconda rampa, arrivando nel cortile a pochi metri dai due. Riario la guardò stranito, chiedendosi chi mai fosse quella guardia che aveva osato porsi in un conflitto tra due signori.
Cecco invece si infuriò parecchio. Spezzo la freccia, lasciando la punta nel suo braccio, e si voltò verso  Beatrice che prese a sua volta la spada, cercando di controllare le mani tremolanti. Non avevano smesso di fare così dall’inizio della battaglia “Stupido ragazzetto!” urlò l’uomo, tonante “Ti insegno io a stare al tuo posto!”
La ragazza fronteggiò l’uomo, rischiando di scivolare quando la spada di quel colosso cozzò contro la sua. Era troppo forte per lei, così adottò un’altra tecnica. Prese a schivare i colpi, sperando di vederlo stancarsi velocemente.
Riario seguiva l’intera scena con attenzione, osservando lo stile di quel soldato, quel mondo unico di muoversi con linee sinuose, quasi come se stesse danzando. Strinse i pugni e, contraendo la mandibola, capì chi c’era sotto quell’elmo.
…E non era di certo un soldato.
La tecnica di Beatrice sembrò funzionare, ma per poco. Ordelaffi era accecato dall’ira: certo di avere in pugno il Conte Riario, si era visto distrarre da un semplice arciere. Non poteva permettere che un’onta del genere rimanesse impunita. Lasciò cadere la spada, scattando verso la giovane e afferrandola per la gola. Lei lasciò cadere la sua arma, portando le mani sull’avambraccio sanguinante dell’uomo per cercare di liberarsi. Non ci riuscì e quando si sentì spingere con forza contro il muro iniziò seriamente a dubitare delle sue capacità. Ansimò, cercando di scalciare quell’imponente uomo, ma con pochi risultati.
Lui la guardò con cattiveria “Questa è la ricompensa della tua fedeltà, ragazzo.” Strinse di più la presa sulla gola, osservando il rivale boccheggiare in cerca di aria “Ora muori…”
In un’ultima, disperata manovra, Beatrice riuscì a raggiungere il pugnale che teneva nascosto dietro alla schiena. Si graffiò nel tentativo di estrarlo, ma con un movimento rapido del polso lo conficcò nel collo massiccio di Ordelaffi, che subito la lasciò cadere a terra, portando una mano alla zona ferita.
Mentre il sangue scorreva copioso sul suo petto, Beatrice portò una mano all’elmo, sfilandolo.
Osservò il viso sconvolto di Ordelaffi, mentre una cascata di lunghi capelli bruni le scendeva sulla schiena.  “Io non sono un soldato, avete risolto il conto in sospeso con me.”
Girolamo intanto si era alzato in piedi e stava avanzando lentamente verso il rivale. Raccolse la spada sotto lo sguardo di Beatrice, avvicinandosi maggiormente al Duca. Poi, senza aggiungere nulla, sfoderò un colpo tale da decapitare del tutto Ordelaffi, la cui testa rotolò al centro del cortile, fin davanti ai piedi delle sue stesse guardie. Esse abbassarono le armi, sconfitti e Grunwald non ci pensò due volte a porre fine alle loro vite, insieme ai pochi uomini che erano riusciti a sopravvivere nella rocca.
La ragazza corse dal marito, che era ricaduto al suolo, e si sfilò la cintura durante quel brave percorso. “Cosa diavolo vi è saltato in mente?” domandò Riario, con tono sofferente, mentre la giovane si inginocchiava accanto a lui e legava stretta la cinta sopra alla sua ferita, per fermare il sangue “Potevate morire.”
“Shht, risparmiate le forze, Conte.” Rispose lei, guardandolo preoccupata “State perdendo parecchio sangue, c’è bisogno di un guaritore. Mercuri!”
Lupo, che si stava avvicinando con gli occhi totalmente spalancati, spiazzato nel vedere la Contessa lì, balbettò qualcosa di incomprensibile.
La mora strinse di più la cintura sulla gamba del marito “Andate a prendere un guaritore. Sbrigatevi!”
L’uomo non se lo fece ripetere, voltandosi verso una guardia svizzera per incaricarla di quel compito. Grunwald intanto si fece avanti, offrendosi di aiutare il Conte a entrare dentro alla fortezza, in cerca di un luogo in cui coricarsi nell’attesa delle dovute cure. Lui, però, chiese di venir portato sulle mura della Rocca.
Doveva parlare alla cittàdinanza prima.
Anche Beatrice lo aiutò, lei e Grunwald lo sorressero sino a che non arrivò in cima ad una delle torrette e riuscì ad appoggiarsi ai merli davanti a lui.
I contadini erano radunati lì sotto e il loro chiacchiericcio si dissolse non appena Riario alzò una mano “Io sono il Conte Girolamo Riario, signore di Imola, generale dell’esercito della Santa Sede e Custode di Castel Sant’Angelo. Da oggi, per gli anni venturi, sarò anche il Signore di queste terre, che intendo riportare al loro antico splendore. La città di Forlì, baluardo di spicco un paio di centinaia di anni fa, ritornerà ad essere la temuta contea che era un tempo. Come prima azione, però, intendo risollevare gli animi popolari indicendo un bando di concorso diretto agli artisti per la realizzazione di due nuove chiese, una cattedrale e il palazzo civico. Come Conte ordino, inoltre, che le tasse sulle messi e sulla lavorazione delle pelli indette ingiustamente dagli Ordelaffi vengano immediatamente cancellate.” Tra la folla scoppiarono ovazioni.
Grunwald sorrise ironico, sporgendosi appena verso Beatrice per sussurrarle all’orecchio “Nulla fa avere l’amore del popolo più dell’abolizione di un paio di tasse, non trovate,  mia Signora?”
“Me l’han detto che è un abile stratega” Rilanciò Beatrice, guardando il marito. Grunwald ridacchiò sotto i baffi.
“Come ultima opera, per quest’oggi, ho preso una decisione importante seppur poco ponderata. La sola che trovo giusta. Beatrice?” allungò una mano verso la moglie, che si avvicinò titubante a lui “Io, Girolamo Riario, signore di Forlì, nomino mia moglie, Beatrice de’ Medici, reggente della città!”
Altre ovazioni, altro stupore da parte di Mercuri.
Beatrice si ritrovò spiazzata “Reggente?” domandò scioccata “No, io… Non sono in grado!”
“Lo sarete” rispose semplicemente Riario, prima di barcollare un poco.
“Basta discorsi, è ora di andare a curarsi” disse la bruna, chiamando a sé un paio di guardie che scortarono il Conte fino agli alloggi della fortezza. Lei rimase lì ancora qualche istante, guardando la gente sotto quelle mura.
La sua gente.






Continua





 

Nda. 

Rieccomi con l'aggiornamento!
Finalmente una battaglia :D
Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo, io adoro descrivere questo tipo di scene^^
Che ne pensate di Ezio? Sarà un personaggio parecchio importante ;)

Ci tengo a ringraziare le ragazze che mi hanno recensita, ovvero: Eagle, Yoan, Lechavert e Nika depp!
Ditemi se anche questo era di vostro gusto :D

Grazie anche a _Coco, la mia compagna di strippo Leario che ha iniziato a leggere!

A lunedì con il prossimo aggionamento!
Un abbraccio a tutti
j.

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Capitolo 10
*** Parte X: La Fiducia ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo decimo.
Rating: Arancione.
Betareader: Lechatvert
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Parte X: La Fiducia.
 
 
 
La ripresa di Riario fu fin troppo rapida per un uomo normale, ma eccessivamente lenta per la pazienza del Conte.
Aveva perso parecchio sangue, troppo per resistere ancora a lungo in quelle condizioni. Dopo il discorso alla cittadinanza si era ritirato in una delle molte stanze della Rocca, la prima a livello di distanza dall’ingresso.
Lì un guaritore lo aveva medicato e suturato, insistendo poi nonostante le obiezioni di Beatrice per praticare un piccolo salasso con delle sanguisughe attorno alla ferita. A nulla era servito sottolineare che Riario aveva già perso anche troppo sangue.
Passati i primi due giorni, in cui l’uomo riusciva a mala pena ad alzare il capo per bere un poco di acqua o di brodo, la ripresa fu fulminea. La moglie rimase sempre al suo fianco, eccetto la notte e quando lo lasciava dormire in pace, gironzolando per la Rocca di Ravaldino e dando ordine alla servitù per riorganizzarla.
Dalle famiglie più benestanti della città arrivarono moltissimi doni ai nuovi Signori di Forlì. Pierpaolo Orsi, insieme ai figli Ludovico e Checco, arrivarono dopo soli tre giorni dalla battaglia alla Rocca, mostrando degli stupendi arazzi che ritraevano gli stemmi delle famiglie Riario e de’Medici*. Ne portarono almeno venti, di diverse misure e ricamati a mano, mostrandoli a Beatrice – visto che ancora Girolamo stava riposando, nonostante si fosse trasferito da quella prima stanza ad una molto più bella e scelta dalla consorte come loro alloggio definitivo- e si presero a carico l’onere di sostituirli a quelli degli Ordelaffi per la città. Quando si ritirarono per eseguire quel compito ne promisero molti altri.
Nocolino Saffi, abile ingegnere, si presentò la quarta sera, dicendo che tutte le strade e i muri rovinati durante l’assedio erano stati sistemati e che la ricostruzione delle mura esterne sarebbe iniziata a giorni. Riario lo ricevette in camera, ordinandogli di fare il muro due volte più spesso e non usare più la tecnica dei muri a secco. Quando uscì dalla Rocca con in mano un sacchetto pieno di scudi, Nicolino pareva l’uomo più felice della città.
Il capo delle milizie cittadine, Teodoro Orgogliosi, diede il massimo appoggio alla nuova Signoria, in attesa che un piccolo drappello dell’esercito personale del Conte arrivasse alla città. Fu premura dell’armaiolo Guglielmo Manfredini affilare di nuovo tutte le lame senza pretendere un pagamento anticipato.
“O qui vi è molto senso civico, o stanno organizzando una congiura per farci fuori.” Girolamo si rigirò tra le mani una piuma, guardando fisso verso la finestra il cielo piovoso di giorno. Non ricevendo risposta, voltò il capo verso il letto dove se ne stava distesa Beatrice. Sugli occhi aveva i suoi occhiali “Mi state ascoltando o preferite continuare a navigare in un oceano di ignoranza? Non  è così che sarete ricordata come una buona reggente. E, per Dio, mettete via i miei occhiali!”
“Sono orrendi. Non voglio nemmeno sapere chi ve li ha costruiti.” Fu la risposta quasi catatonica della ragazza, che si mise seduta, sempre tenendoli sul naso “Non si vede nulla!”
“Per forza, hanno le lenti scure e oggi non vi è sole da schermare!” l’uomo guardò esasperato la moglie, prima di tornare a scrive la lettera per il Papa. Aveva premura di rispondergli, sapeva che al Pontefice non piaceva attendere. Un paio di braccia gli circondarono le spalle, mentre delle tenere labbra morbide si appoggiavano sul suo collo teso. Sospirò lentamente, chiudendo gli occhi per un istante e godendosi la sensazione di puro calore che Beatrice gli donava ogni qualvolta si faceva più vicina. Poi li riaprì, riprendendo a scrivere “Dovreste mandare a chiamare i Corbelli. Sono i bancari della città e dobbiamo far arrivare qui più soldi da Roma. Stamane ho ricevuto un artista che sembra promettente, un certo Merlozzo. Voglio fargli sistemare il convento di Santa Maria Pia e affrescare per me questa Rocca. È così spoglia da ferire lo sguardo.”
La moglie appoggiò gli occhiali sul ripiano dello scrittoio, prima di appoggiarsi ad esso con i fianchi, incrociando le braccia sul petto “Chiederò a Walmar di andarlo a cercare” rispose semplicemente “Voi dovreste rimettersi a letto e tenere la gamba distesa o quei punti non guariranno mai.”
“Mh.” Riario firmò la lettera, prima di prendere la cera lacca e creare il sigillo sulla busta, imprimendovi il simbolo papale. Chiamarono Walmar, che con una riverenza prese a carico di cercare la famiglia Corbelli e di far si che un messo corresse a Roma per consegnare la lettera.
Il Conte si fece aiutare docilmente da Beatrice  e si ristese sul letto, sentendo i punti tirare. La ferita era più profonda di quanto immaginasse e gli provocava non pochi dolori. Lei prese posto in parte a lui, iniziando a giocherellare con un piccolo foro nel copriletto “Non dovevate darmi lezioni di reggenza?” domandò la mora, alzando gli occhi sul marito.
Lui sogghigno “Non sembravate interessata pochi minuti fa.”
“Cercavo di capire il senso di quegli occhiali, ero distratta.” Si difese lei, con non curanza “Ora, però, pendo dalle vostre labbra.”
Riario alzò gli occhi verso il soffitto, muovendoli rapidamente come se stesse ricercando qualcosa nella sua memoria “Ditemi, Madonna, conoscete la Bibbia, vero?”
Beatrice mugugnò piano. Il momento era arrivato, avrebbe dimostrato al marito, fervente sostenitore della Chiesa del Signore, la sua profonda ignoranza “Qualcosa, Girolamo. Purtroppo non ho avuto il piacere di fare studi approfonditi quanto i vostri.”
“Ricordate la Decima Ecclesiaste?” attese un instante e davanti al silenzio prolungato della moglie, l’uomo sospirò “Cosa vi insegnavano a Firenze? Eccetto il saper usare la spada e le risposte sarcastica, ovviamente.”
Beatrice sbuffò, scocciata “Lo so, sono una peccatrice e vengo da una città di sodomiti” rispose, per l’appunto, con sarcasmo “Quante volte mi è stato detto alle spalle, a Roma. Peccato che io abbia occhi anche sulla nuca e orecchie che sentono assai bene!”
Riario decise di portare pazienza. Le rivolse solo un’occhiata di ammonimento, prima di proseguire il discorso “Nel sedicesimo versetto troviamo scritto ‘La felicità di uno stato dipende dal carattere dei suoi governanti’.” Recitò a memoria, quasi come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Con ciò non sto di certo sostenendo che ora dovrete uscire dalla Rocca a lanciare monete come si lanciano briciole di pane ai pettirossi o per baciare le fronti di ogni bambino che incontrate. Il carattere di cui parlo è di tutt’altro tipo.”
“Ad esempio?”
Il Conte continuò a citare le Sacre Scritture con dedizione “ ‘Il popolo non può essere felice quando i loro capi sono infantili e amanti del piacere. La negligenza ha brutte conseguenze sia negli affari privati che nei pubblici. Il denaro, di per sé, non nutre né veste, sebbene risponda alle situazioni della vita presente, poiché ciò che ci serve, si deve generalmente comprare’ . Capite cosa intendo?”  
Beatrice corrugò la fronte, riflettendo su quelle parole. “Che non devo essere sciocca, né perdermi in piaceri fittizi?”
“Anche, ma soprattutto non dovete peccare di superficialità” Riario fece una pausa, prima di alzare una mano “Questa è la prima lezione, Beatrice. Devi essere sempre desta innanzi ai bisogni del tuo popolo, ricordando che il solo denaro non compra i favori. Ci saranno sempre nemici che non si lasceranno conquistare dall’oro e dall’argento degli scudi.”
La mora allungò il braccio, scostandogli dalla fronte i capelli neri come la pece “Se essi non bastano, cosa devo dare loro per conquistarli? Qualcosa mi dice che un sorriso non basta per conquistarsi amicizie tra i nostri detrattori.”
Riario piegò un angolo della bocca in un sorrisetto “Siete tenera, tanto siete ingenua. Nemmeno la più armonica delle risa innocenti potrebbero bloccare una lama diretta al vostro cuore. C’è una sola cosa che tiene un popolo calmo, sottomesso.”
“Ovvero?”
“La paura.” La giovane rabbrividì a causa del tono usato da Girolamo “Essa è, nel modo più assoluto, l’arma più convincente di cui possiamo disporre. Abbiamo voce in capitolo su ogni faccenda di ordine sia amministrativo, che legale, che spirituale. Non dovete avere pietà per coloro che vi tradiscono, affinché futuri atti contro la nostra Signoria vengano scongiurati.”
“Questo è quello che fate sempre, dopotutto.” Beatrice si mise seduta sul bordo del letto, dando le spalle al marito “Affogare le repliche della gente nel sangue. Non credete che un retto governante sia quello che fa così tanto per il suo popolo da invogliarlo a ricambiare queste premure?”
“La sete di potere è una brutta bestia, Beatrice. Ancora coloro che ti stanno più vicini bramano la tua fine, poiché visto dal basso, un trono sembra sempre più attraente.” Riario lasciò scivolare gli occhi lungo la schiena della moglie, trovando quasi sconfortante quel suo modo di non capire “Potresti anche venir ricordata come ‘La Magnanima’, per ciò che mi riguarda, ma dureresti poco.”
La ragazza scosse piano il capo, come incredula a sentire quelle parole così cupe “ ‘Nessuno vi potrà resistere; il Signore, il vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi per tutto il paese dove camminerete’.”
Girolamo inclinò il capo, compiaciuto “Deuteronomio, 11:25. Allora qualcosa lo sapete”
“Incredibile quanto, giorno dopo giorno, voi mi dimostrate sempre di più di essere un uomo di chiesa” sbottò con impertinenza Beatrice.
Il moro rimase impassibile a quella reazione “Cosa intendete?”
“Rispondete con sincerità, Conte: credete che la maggior parte degli uomini siano credenti poiché sentono la chiamata del Signore o perché temono le fiamme dell’Inferno?” la ragazza tornò a voltarsi verso di lui “Non è bello vivere una vita nella paura, Girolamo. Non poter far nulla poiché temiamo di venir condannati per una parola sbagliata. Sapete però qual è la differenza tra voi e il Signore?”
“State scadendo nell’eresia” sottolineò Riario.
Beatrice lo ignorò “Voi non  offrite la possibilità di perdono.” Si interruppe, scrollando le spalle “Quindi la prima lezione è che il popolo mi deve temere?”
Il Conte la guardò cupo, pensando se farle passare una tale impudenza oppure se farle chiedere perdono per le cose che aveva detto. Alla fine si arrese come sempre, non poteva farci nulla se sua moglie aveva quel tipo di carattere. Beh, poteva prenderla a schiaffi, farle passare una giornata sotto al sole, nella gogna, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Ce l’aveva nel sangue “Se ci tenete alla vita, sì.”
Beatrice si alzò da letto, andando verso la finestra. Si appoggiò al muro lì accanto e guardò verso il cortile interno della Rocca, notando che stavano richiudendo il portone “Dev’essere arrivato qualcuno.” Disse sovrappensiero.
Non fece quasi in tempo a chiedersi chi mai potesse essere che bussarono alla porta. Riario diede il permesso di entrare e una Camilla particolarmente concitata aprì la porta di scatto, correndo da Beatrice e abbracciandola “Ecco la vostra complice, de’Medici” disse il Conte, alzandosi seduto per accogliere anche l’altra persona che stava entrando nella stanza, Severio Baldi.
Beatrice era così presa dall’amica da non accorgersi di cosa il vecchio servitore portava con sé “Non preoccupatarti Camilla, non si è adirato” la rassicurò, prima di abbracciarla nuovamente “Non sarei mai riuscita nel mio intento senza di te.”
L’altra ridacchiò sollevata, “Il mio è stato un piacere.” Poi prese a sussurrarle piano in un orecchio “Devo parlare con te di una cosa urgente, però.”
La bruna annuì “Dopo cena” rispose, prima di sciogliere quell’abbraccio e voltarsi verso il marito che si era schiarito la voce, come a voler attirare la sua attenzione.
“Baldi vi ha portato qualcosa di vostro da Roma, Madonna” disse alla consorte, mentre il servitore si avvicinava, porgendole poi un oggetto che ella conosceva bene.
“La spada di mio nonno!” disse felice, prendendola ed estraendola dal fodero come a voler verificare che fosse davvero lì, fra le sue mani “Davvero posso riaverla?”
“Forse è meglio che la teniate voi, almeno ho capito che siete in grado di usarla.”
“Meglio di voi, Conte” sottolineò la ragazza, sorridendo per quella piccola vittoria.
Riario non aggiunse nient’altro, prendendo una mela da un canestro posto sul suo comodino.
Sicuramente non era più abile di lui, ma aveva dimostrato una maestria invidiabile.
Senza contare che era scesa in battaglia, mossa solo da chissà quale sentimento.
Più di una volta Girolamo si era chiesto come fosse possibile che lei fosse arrivata nel momento giusto per aiutarlo. In un certo senso gli aveva salvato la vita e l’aveva fatto padroneggiando quell’istante.
Il dubbio rimaneva, tanto quanto quello che gli imponeva di levarle le armi.
Era una donna e non doveva combattere per natura. A lui però l’idea non infastidiva, anzi.
Lui era il primo a sostenere che ogni dono di Dio era, in qualche modo, utile.
Se quello era quello della moglie, beh, ‘che così sia’.
 
 
 

***


 
 
 
Il clima umido di quella zona si rivelò più clemente a partire dal giorno successivo.
Beatrice si era alzata, per una volta, prima del marito. Voleva parlare a Camilla visto che dopo la cena della sera precedente non avevano avuto modo di vedersi, ma trovandola ancora addormentata aveva optato per attendere che si destasse.
Il sole era già in cielo quando, presa dalla voglia di carpire qualche raggio di sole, era uscita nel cortile con un libro in mano. Si era seduta sotto ad uno degli alberi lì piantati, appoggiandosi con la schiena alla corteccia e reggendo  il libro contro le ginocchia.
Girolamo aveva seriamente intenzione di riprendere a camminare, stufo di tutte le possibile implicazioni che avrebbe portato il riaprirsi dei punti di sutura. La ferita non si era infettata, stranamente, ma lui sembrava voler colmare questa mancanza riprendendo a camminare due giorni prima di quelli che il medico aveva raccomandato.
Con questo ultimo pensiero – la testardaggine riguardo quel argomento del marito la indisponeva – aprì il libro e iniziò a leggere, perdendosi tra canti d’altri tempi.
Così coinvolta da quelle parole, che parevano danzare come foglie al vento nella sua testa, non si rese conto che non era più sola. Un uomo le si parò innanzi, schermandola dal sole. Fu la sua ombra a costringere Beatrice ad alzare il capo, portando una mano sugli occhi per proteggerli dalla luce, sorridendo non appena lo riconobbe “Ezio Brancacci, buongiorno.” Disse, facendo per alzarsi, ma lui le fece segno di rimaner comoda.
“Buongiorno a voi, Madonna. Passavo per il cortiletto e mi sono preso la libertà di venirvi a portare i miei saluti. Spero vogliate perdonarmi.”
“Non vi è nulla di cui dovervi perdonare. Vi prego, sedete e fatemi compagnia, vi devo molto” la giovane ragazza chiuse il libro, tenendo però un dito tra le pagine così da non perdere il segno. “Non vi ho ringraziato a dovere per non avermi denunciata durante l’assedio.”
“Grazie al cielo è andato tutto bene, non mi sarei mai perdonato se vi avessero ferita o peggio.” L’arciere prese posto accanto alla Signora, guardandola in volto.
Ella ricambiò quello sguardo, soffermandosi un poco ad analizzare i tratti di quel viso che, a causa della preoccupazione e della guerra, aveva a stento memorizzato. L’uomo era senza ombra di dubbio di bell’aspetto: alto, spalle larghe, in salute. Sembrava giovane,  ma non troppo, più vicino ai trenta che ai venti. Il viso sembrava quello di una statua greca, come quello dell’Ares che avevano in giardino, a Villa Orsini. Gli occhi azzurri sottili e i capelli ricci di un biondo dorato come spighe di grano mature lo facevano rassomigliare di più ad un abitante di una lontana terra del nord, ma l’accento tipico romano lo collocava laddove doveva stare. Erano pochi gli italiani a cui era concesso di entrare nell’esercito di Roma, composto quasi prevalentemente da guardie svizzere, ergo un suo antenato doveva essersi distinto nell’arte bellica e fatto un nome.
“Siete molto caro, Brancacci.” Beatrice distolse lo sguardo, dopo averlo studiato anche troppo “Se è in mio potere far qualcosa per ripagarvi, chiedete.”
Lui sorrise, come se per la mente gli passasse chissà quale pensiero “In vero una cosa c’è. Non sappiamo nulla sulla salute del Conte, solo che è ancora costretto a letto e che si rimetterà. Potete essere più precisa?”
“Girolamo ha una brutta ferita alla gamba che, nonostante non mostri segni di cancrena, è così profonda da faticare a rimarginarsi.” Spiegò la mora, portando una ciocca di capelli dietro all’orecchio mentre un venticello leggero la spettinava. “Si rimetterà presto, quello la è un leone, non un uomo.”
“Se lui è un leone, allora voi siete una tigre.” Replicò Ezio “In tutta Italia non si parla d’altro che delle vostre gesta, sapete?”
“Sul serio?” domandò Beatrice, stranita “Si è già saputo quel che è accaduto?”
“Si, Madonna. Beh, si sa che siete scesa in battaglia al fianco del Conte, il resto è stato inventato un po’ di qua e un po’ di la, man mano che la voce ha preso piede” spiegò il soldato “Ho sentito dire che siete già bella che temuta, Madonna, la gente mormora! ‘Quella tigre dì la Madonna di Forlì! Tutta spaventa la Romagna!’**. Così dicono alcuni contadini, li ho sentiti io stesso quando ho portato la lettera del Conte al messo a Bologna!”
La Contessa pareva sempre più basita “Ma non ho fatto nulla per meritarmi una simile nomea!”
“Avete decapitato Ordelaffi.”
“Io l’ho solamente fermato. È stato Girolamo a tagliargli la testa!” la difesa della giovane sembrava debole, nonostante le sue argomentazioni fossero vere.
“Non importa, ormai il popolo così v’ha giudicato. Vi temono molto e fanno bene. Siete la sposa del meno paziente degli uomini e siete donna. Si sa che le donne son più malevole degli uomini.”
Beatrice sbuffò “Pregiudizi continui, ecco il vero male del mondo.” Portò le mani ai capelli, passando le dita tra le ciocche e spostandole dietro, sul capo “Io che volevo instaurare un regime umanista, qui a Forlì. Girolamo sarà felice, lui dice che mi devono temere tutti e già lo fanno.”
Ezio la guardò ammirato “Umanista? Come i Medici, la vostra famiglia?”
“Esatto, festeggiando e celebrando il popolo invece di annichilirlo.” La ragazza sospirò, affranta “Quo mihi rectius videtur ingenii quam virium opibus gloriam quaerere”***
Brancacci sembrava sempre più preso da quel discorso. Gli occhi gli brillavano “Ah, Madonna, se il mondo fosse pieno di persone come voi, allora io non dovrei più combattere.”
“Mio fratello ci mette del suo e io del mio. Speriamo che altri prendano esempio anche se ne dubito.” Beatrice prese ad accarezzare il dorso del libro che ancora reggeva tra le mani con nostalgia. Ogni qualvolta ripensava alla corte di Firenze si rendeva conto di quanto le mancasse casa.
Ezio parve capirlo, così cambiò argomento “Vedo che state leggendo l’Inferno di Dante. Lettura mirabile.”
Beatrice riportò l’attenzione su di lui, prima di riaprire il libro “Dante era un fiorentino come me.” disse con una punta di orgoglio “Tutto ciò che ha scritto è geniale.”
“Amate un brano in particolare?” domandò curioso il giovane.
La ragazza ridacchiò “Quanto male pensereste se vi dicessi che io prediligo il quinto canto?”
“Paolo e Francesca, tipico delle donne!”
“Oh, questi pregiudizi!”
Ezio ridacchiò, prima di schiarirsi la voce e recitare con tono pomposo e accento sbagliato una parte di quel canto, forse la più nota “ ‘Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende’.”
Dal canto suo, Beatrice parve raccoglie quella sfida e nel più calcato degli accenti toscani rispose a tono “ ‘Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona’.”
Brancacci rise di cuore innanzi a tanta pomposità, coinvolgendo la ragazza. Stava per concludere  quello stralcio, quando notò qualcuno alla porta sul fianco della Rocca. Appoggiato ad un bastone da passeggio, volto verso di loro, se ne stava il Conte. Beatrice non poteva di certo vederlo, visto che gli dava le spalle, ma l’espressione dell’uomo era tutt’altro che serena. Brancacci si incupì un istante, prima di rivolgersi di nuovo alla giovane  “ ‘Amor condusse noi ad una morte: caina attende chi a vita ci spense’. È stato un piacere parlare con voi Madonna, ma tempo di non poter tardare oltre.”
La mora annuì, mentre questi si alzava in piedi. “Vi lascio tornare alle vostre incombenze dicendovi un’ultima cosa: sapevate che la donna che tanto bramava Dante portava il mio nome?”
Brancacci sorrise, tiepidamente “Egli era un uomo fortunato Madonna, poiché anche se non ha mai avuto il suo amore, è sempre stato parecchio lontano da ella. Lo posso comprendere però. Non vi è nulla di peggio che cader folle d’amore per una donna che non si più avere.” Fece una piccola riverenza “Buona giornata, Madonna.”
Beatrice lo guardò allontanarsi in fretta, salutando Camilla che stava correndo nella direzione della ragazza. Non capiva il perché di quell’allontanamento rapido.
L’amica però la distrasse a sufficienza “Devo dirti una cosa importante.” Sussurrò, dopo aver controllato che nessuno fosse in ascolto. Il Conte doveva essere rientrato, visto che non vi era anima viva nel cortile.
“Or dunque parla, sembra qualcosa di molto importante.” La sollecitò Beatrice.
Camilla prese un respiro, prima di iniziare a parlare, torturandosi le mani “Simonetta, lui….Mi ha avvicinata, mentre mi fingevo te.”
“Non ti avrà importunata, voglio sperare.”
Madonna Colonna scosse il capo “Peggio, invero. Sta cospirando per uccidere il Conte Riario e voleva il mio aiuto. Il tuo aiuto, Beatrice.”
La Contessa sgranò gli occhi, prima di appoggiare una mano sulla spalla dell’amica “Camilla, dimmi tutto ciò che ti ha detto.”
 
 


***

 

 
 
Beatrice non aveva esitato.
Appena sentito tutto ciò che Camilla aveva da riferirle, la mora tornò verso i suoi alloggi, trovandoli insolitamente vuoti. Riario sedeva nella biblioteca della Rocca, su di una poltroncina bardata di tessuti color borgogna. Quando le vide arrivare così di fretta appoggiò un volume che stava reggendo su di una coscia, chiedendo alle due donne cosa  mai fosse avvenuto.
Beatrice non sapeva bene come dare una simile notizia; Francesco Simonetta era il guardiano della Rocca Sforzesca di Imola prima ancora che lì vi ci si insediasse il Conte, due anni prima. Sembrava un uomo da bene, mai aveva dato alito a dubbi sulla sua buona fede.
Così, dopo un piccolo tentennamento, riferì fedelmente quello che Camilla le aveva detto. Il Conte non fece una piega, ascoltando attentamente le parole della moglie prima di chiedere a Camilla di ripetere esattamente ciò che Simonetta le aveva chiesto di fare. Alla fine di quel breve colloquio mandò a chiamare Grunwald, incaricandolo di portare immediatamente Simonetta alla Rocca di Ravaldino.
Con la moglie…. E i tre figli.
“La seconda lezione è il proseguo della prima” tenendo la moglie a braccetto da un lato e il bastone da passeggio nell’altro, per non mettere tutto il peso sulla gamba ferita, Riario camminava per i corridoi del castello, verso la sala principale. Non l’aveva ancora visitata “Dovete sapere, Madonna, che la cosa più importante per un governante è la schiettezza.  Dovete essere in grado di inviare messaggi chiari a tutta la cittadinanza se volete che essa vi prenda sul serio.”
Beatrice annuì, voltandosi per guardare il profilo spigoloso dello sposo “Che tipo di messaggi?”
“Di qualsiasi tipo” proseguì Girolamo “A seconda della situazione in cui vi trovate, dovete essere in grado di mostrare una posizione ferma. Vi farò un esempio pratico ora…” un paio di guardia spalancarono per loro il portone che conduceva al salone e lì Riario si bloccò un istante per osservare il mirabile lavoro che sua moglie aveva fatto, nell’apportare cambiamenti all’arredamento. Le pareti spoglie erano state sostituite da tendaggi rossi e dorati, in richiamo ai colori simbolo di Roma. La sala si spezzava a tra quarti della sua lunghezza grazie a quattro gradini e nella zona più piccola, innanzi a due grandi vetrate, c’erano due grandi sedie simili a quelle che avevano a Imola, che stavano la schiena alle finestre e il volto sul resto della sala. Sopra a quelle specie di troni vi era, in grande, l’arazzo raffigurante i blasoni delle due casate, Riario e de’Medici, finemente ricamato a mano dagli Orsi e abbelliti con autentici fili d’oro “Mirabile opera, Madonna.” Disse Girolamo, una volta preso posto su una delle sedie. Si allungò sui braccioli imbottiti, sempre di tessuto vermiglio, voltando il capo verso la moglie che si era seduta accanto a lui “Avete preso alla lettera le mie istruzioni, facendo addirittura meglio di quanto mi aspettassi.”
Il salone era pieno di famiglie nobili o comunque benestanti, di Forlì. Tutti mostrarono i loro omaggi alla famiglia della città, una volta entrati nel salone.
Beatrice annuì piano, voltandosi a sua volta a guardarlo “Mi ha stupito la vostra richiesta di abbellire il salone dove riceviamo, sapete? Non credevo foste così legato alle apparenze.”
 “Esse sono fondamentali.” Sottolineò l’uomo, facendo un piccolo cenno a Grunwald, il quale uscì con una piccola riverenza “Un’altra regola è quella che recita che un buon governante riesce ad impressionare il popolo e gli altri signori con lo sfarzo. È sempre stato un punto fondamentale della mia famiglia, e mi pare di aver notato anche della vostra, il dimostrare grandezze in questo modo.”
“Non mi avete citato un brano della Bibbia in cui specificava che il denaro né veste né nutre?” chiese affabile la ragazza mentre diverse guardine si disponevano lungo le logge ad arcata della stanza, armati. Beatrice corrugò la fronte cercando di capirne il motivo.
“Ho anche detto che però è indispensabile, poiché tutto ha un prezzo al nostro tempo.” Rispose Riario, prendendo una mela da un cesto, posto su una piccola colonnetta, alla sua sinistra.
“Comprate la paura con l’oro, quindi?” domandò sarcastica Beatrice.
Lui sbuffò, non era chiaro se esasperato o divertito “No, l’ammirazione. Anch’essa è molto importante, non vorrete di certo essere ricordata come una Contessa rozza. Il decoro è una facciata molto più raffinata di quanto si possa immaginare.” Le porte furono aperte nuovamente e da esse entrarono una decina di guardie svizzere, che portavano con loro l’intera famiglia Simonetta. Beatrice si diede della stupida, doveva immaginare il motivo della loro presenza lì. Era palese che Riario avrebbe preso provvedimenti “Torniamo alla lezione numero due, Madonna. Inviare un messaggio.”
“Per questo motivo avete richiesto alle famiglie nobili e quelle dell’alta borghesia di venire qui, oggi? Per mostrare loro di cosa siete capace?”
 Girolamo guardò la moglie con la coda dell’occhio, facendole capire che aveva centrato il punto.  Prese a sbucciare la mela con la punta del pugnare che sempre portava in vita e, senza alzare gli occhi da essa, domandò “Grunwald, fate avvicinare Francesco Simonetta.”
Il consigliere venne afferrato per le braccia da due guardie ed esse lo spinsero fino innanzi alle due sedute dei Signori, facendolo poi inginocchiare a terra. Beatrice notò che aveva i polsi legati con una fune piombata e il volto era livido, come se avesse subito diverse percosse. Egli alzò gli occhi su di lei, guardandola implorante. “                           
“Francesco Simonetta” la voce chiara di Riario scandì quel nome, facendo sussultare anche la moglie, non solo il prigioniero. Mangiò un pezzetto di mela, sistemandosi sulla seduta per stare più comodo “Voi siete accusato di crimini assai gravi, tra cui l’aver cospirato alle mie spalle e l’aver tentato di utilizzare mia moglie come veicolo per un tale infimo scopo. Cosa avete da dire, a vostra discolpa?”
L’uomo rimase in silenzio, spostando lo sguardo sui gradini di granito. Riario gli concesse qualche istante, prima di appoggiare la male con un sospiro che voleva sembrare fin troppo esasperato “Cosa devo fare con voi, adesso?” si alzò, appoggiandosi sul bastone da passeggio e camminando lentamente verso di lui. Grunwald si avvicinò, permettendo al Conte di appoggiarsi a lui mentre scendeva i gradini. Quando fu davanti a Simonetta allungò il bastone da passeggio, portandolo sotto al mento del prigioniero per costringere ad alzare il capo “Sapete, siamo sotto la giurisdizione di mia moglie, Beatrice. Entrambi ora dovremo convincerla o a liberarvi o a condannarvi tutti a morte…”
“Per pietà, no!” Francesco alzò il capo di scatto, voltandosi verso Madonna de’Medici, supplicante “Fate di me ciò che desiderate, Madonna, ma permettete alla mia famiglia di salvarsi.”
Beatrice si morse il labbro, prima di cercare lo sguardo del marito. Lui però stava camminando attorno a Simonetta, dopo aver fatto segno alle guardie di allontanarsi da lui. Aveva così paura da essere del tutto inoffensivo. Quando finalmente Riario volse gli occhi verso la moglie, sorrise appena “Permettete che io prosegua, vero?”
La mora sospirò, annuendo piano “Sì.”
Riario si voltò verso il drappello di guardie, indicando la moglie di Simonetta “Portatela qui, che faccia compagnia al marito!”
Francesco si voltò di scatto “Cristina! Vi prego! Aspetta un bambino, trattatela con riguardo!”
Beatrice distolse un istante lo sguardo, mentre uno dei mercenari svizzeri staccava violentemente i due gemelli dalle sottane della madre, sospingendola poi verso il marito. Riario la fece inginocchiare davanti a lui, ponendosi poi alle sue spalle per guardare a meglio Simonetta “Non è gradevole quando usano vostra moglie per certi scopi, vero?” domandò cattivo, guardandolo negli occhi mentre lasciava cadere il bastone, afferrando Cristina per i capelli e portandole indietro il capo “Voi volevate che la mia mi uccidesse, io pretendo invece che la vostra vi insegni una lezione.” Prese lo stiletto dalla cinta, portandolo alla gola della donna.
“Vi supplico!” Francesco gridò, mentre non riusciva a staccare gli occhi dalla sua povera consorte, che piangeva disperatamente.
“Girolamo!” Beatrice cercò inutilmente di attirare l’attenzione del Conte.
“Proteggi i b-bambini.” Singhiozzò Cristina.
“No, vi prego, Conte, no!”
Le preghiere di Francesco di infransero, mentre la lama squarciava la carne. Beatrice si alzò di scattò, senza nemmeno sapere cosa voleva fare. Fu tutto inutile.  Il sangue colò a fiumi dal collo di porcellana della povera donna, mentre Riario la lasciava cadere in avanti. Un fiume vermiglio prese a scorrere sul pavimento, arrivando alle ginocchia di Simonetta “Voi! Schifoso bastardo, figlio di una cagna! Mostro! Avevate detto che vostra moglie doveva decidere!”
Riario non diede segni di pentimento. Prese il bordo della gonna di Madonna Cristina, ripulendo accuratamente la lama. “Non si parlava di certo del destino di vostra moglie, ma del vostro.” Chiarì, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi si alzò, recuperando il bastone. “Chiedo che questo traditore sia condannato a morte, ora che ha provato cosa significa l’utilizzare la propria sposa per scopi scellerati.”
Beatrice balbettò “Io….”
Il Conte tornò verso le seduta, affiancandosi a lei e sussurrandole piano ad un orecchio “Dovete inviare un messaggio a tutti questi nobili. Voi non conoscete la pietà verso coloro che cercano di usurpare i vostri titoli. Dovete farglielo vedere.”
La mora rimase in piedi, mentre Riario prendeva posto, recuperando la mela e riprendendo a mangiare con tranquillità. Che decisione prendere?
Passò gli occhi sulla folla, che pendeva dalle sue labbra, poi su Francesco Simonetta che se ne stava chino sul corpo della moglie, singhiozzante, accarezzandole i capelli chiari lentamente.
Strinse i pugni, chiudendo un istante gli occhi. Si sentiva male al pensiero di ciò che stava per fare, ma sapeva che era il solo modo per non ritrovarsi poi la Rocca assediata dai nobili della zona, in cerca di indipendenza dalla Santa Sede. L’aveva visto fare, una volta: Lorenzo aveva condannato a morte più di un uomo che aveva attentato alla vita dei Medici. Poteva riuscirci.
Doveva farlo.
“Io, Beatrice de’Medici, Signora di Forlì….” Fece una pausa, prendendo un respiro profondo “Ordino che voi, Francesco Simonetta, veniate giustiziato domani all’alba. Il vostro reato è troppo grave affinché io possa passarci sopra. Avete cospirato alle spalle della vostra Signoria, quindi…”
“Il cappio.” Suggerì Riario.
La moglie si voltò verso di lui, prima di tornare a guardare il condannato “Per il reato di congiura, siete condannato a penzolare da una fune.”
“Nella piazza cittadina, laddove tutto potranno vedervi” terminò il Conte “Grunwald, portatelo via.”
“Cosa ne facciamo dei bambini?” chiese il Capitano.
“Loro li risparmiamo” disse Beatrice, guardando i due gemelli di tre anni stretti alla sorellina di cinque.
“Sapete vero che, una volta cresciuti, cercheranno giustizia?” domandò Girolamo, con tono ovvio.
Madonna de’Medici parve non ascoltarlo, visto che ci aveva già pensato “La bambina verrà portata nel Convento delle Beatissime, a Rocca Santa, mentre i due bambini, ancora troppo giovani per conservare ricordi, saranno inviati a Roma, nel monastero dei benedettini.” Beatrice tornò a sedersi sulla sedia, mentre le guardie portavano via la famiglia Simonetta, compreso il cadavere della povera Cristina.
In un ultimo sguardo, Francesco le parve quasi grato. Aveva quanto meno risparmiato i suoi figli, non si aspettava di certo nella sua clemenza.
Le porte si richiusero e Riario si voltò verso la consorte “Non sei stata abbastanza di polso, ma possiamo lavorarci. Io avrei fatto impiccare l’intera famiglia, non meritavano altro.”
“Credo di aver mandato un messaggio chiarissimo. I bambini sono innocenti, Girolamo.”
Cadde tra loro il silenzio, rotto solo dal chiacchiericcio degli ospiti.
Beatrice si alzò dopo poco, allontanandosi da quella sala, nauseata da se stessa.
Come poteva esser giusta una cosa così sbagliata?
Come poteva servire un Signore come Riario se non riusciva a reggere quella decisione? Stroncare le vite dei briganti e in battaglia non era come decidere a tavolino delle sorti di un uomo, per quanto grave fosse la sua colpa.
Si chiese se ci fosse un modo di mettere a tacere a coscienza, poiché così sarebbe stata sempre più dura preservare la sua posizione.
 





 

***

 
 


 
16 Giugno, 1476
Non oso nemmeno immaginare quanto brutto sia veder morire innanzi ai tuoi occhi una persona amata. Dev’esser come sentire il cuore strappato dal petto ancor palpitante e straziato lì, innanzi al tuo sguardo. Come si fa a continuare a vivere quando una parte della tua anima è perduta per sempre?
Forse è per questo che Simonetta si è abbandonato alla morte, abbracciando sereno la via del Cristo. Espiando così i suoi peccati.
Lui si è ricongiunto  alla sua Cristina, che sia essa in Paradiso o tra le fiamme dell’Inferno, ora sono insieme.
Cosa dire, però, di me?
Dove mi porterà  la mia infatuazione per Riario?
…. Mentre seguo una scia di chicchi di riso e petali di rosa, essa mi conduce  ad un ambito sepolcrale****. Sento la mia anima che lentamente si sporca di nero maligno, ma non ho il cuore di lasciarlo, di tentare la fuga.  Quando il giorno delle nozze  ho deciso di seguirlo, ho capito dopo poco che mi avrebbe condotta in un baratro senza via di ritorno. È come se, amando Girolamo, avessi accettato di finire i miei giorni in una pozza di sangue.
Non importa quante volte intingerai la nostra fede nuziale nel veleno, non smetterò mai di sperare che un giorno tu possa comprendere il profondo significato della vita umana.
 

 
 
 

Continua

 
 
 
 


 
 
*Ho disegnato io stessa il blasone dei Riario-de’Medici:
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** Frase riferita a Caterina Sforza, contessa di Forlì nella storia reale.
*** ‘Perciò mi sembra più giusto cercar la gloria con le doti dell'intelletto che con la forza fisica’ Sallustio, De Catilinae Cognurationem.
**** Citazione da una vecchia FF a cui ho lavorato con la mia migliore amica, Michela. Mi sembrava giusto riportarla, visto che quella storia non è stata più postata.
 
 
 
 
Nda.
Ce l’ho fatta, eccovi anche il decimo capitolo!
Intanto grazie a Maia per la betatura celere, nonostante la maturità e fatti e mazzi suoi!
Grazie alle sei persone che mi hanno recensita, ovvero Lechatvert ( <3 ), Eagle (dove sei sparitaaa??), Yoan ( <3 ), _Coco (Madonna Riario <3), Nikka deep e alle due new entry, ovvero Morthien che ha recensito il capitolo uno e Jiuliet96!
Grazie a tutte, siete speciali e vi adoro.
Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite o le seguite.
Ci sentiamo nel prossimo capitolo con un ballo alla corte degli Este!
Un abbraccione
Jessy. 

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Capitolo 11
*** Parte XI: L’Invidia. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo undici.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 


 
 

 
 
 
 
Parte XI: L’Invidia.
 
 
 
 
La piccola folla che si stava riversando fuori da Santa Maria in Fiore si diramava in più direzioni, esattamente come fa un fiume alla foce, diretta o al mercato della domenica mattina a Ponte Vecchio, o a cercare ristoro dalla calura di luglio presso qualche portico.
Portando una mano a coppa sugli occhi, anche Francesco de’ Pazzi si stava affrettando a lasciare la cattedrale fiorentina insieme alla moglie Allegra, allo zio Jacopo e alla sua sposa Bianca. Rimase indietro rispetto a quella famigliare compagnia, salutando con i dovuti riguardi l’arcivescovo Orsini e padre Maffei che, irti come due statue fuori dal portone maggiore, reggevano tra le mani una cassettina per le offerte. La cupola non si sarebbe di certo costruita da sola.
Mentre lasciava cadere quattro fiorini lì dentro, sorridendo fin troppo gioioso, una mano guantata di nero si affrettò ad imitarlo, lasciandone dieci. Voltandosi di scatto, Francesco scontrò lo sguardo con il Magnifico, che subito si premurò di ricambiarlo. Una fitta di puro odio percorse la spina dorsale di Pazzi, che però cercò di mantenere quel sorriso, seppur macchiato di falsità “Buona domenica Lorenzo; avete visto che bel sole bacia oggi la nostra Firenze?” domandò, più per cortesia che per instaurare davvero una conversazione.
Lorenzo, che in cuor suo sperava di incontrare Francesco per poter disquisire di una cosa, decise di fare un paio di passi con lui, verso la famiglia de’ Pazzi “Meraviglioso, oserei dire. Spero di non suonarvi impertinente, ma vorrei chiedervi d’un fatto che mi è stato riportato stamane.”
Pazzi annuì lentamente “Se posso aiutarvi a far chiarezza su qualcosa…”
“Una delle mie guardie della notte ha riportato alla mia attenzione l’arrivo di un messo della famiglia Este, poco dopo l’alba. Peccato che non fosse qui per parlare con me, quanto per consegnarvi qualcosa. Sapete dirmi cosa?”
Francesco si irrigidì, prima di provare di nuovo a distendere i nervi. Come osava, Medici, porsi in quel modo nei suoi riguardi? Chi era per ficcare il suo naso negli affari altrui? Era un affronto. I Pazzi erano una famiglia molto antica, radicata a Firenze prima ancora che la prima cagna desse alla luce un de’ Medici. Mantenne a stento la calma, tanto che la sua voce tremava quando riprese la parola “Nel fine settimana si terrà un importante ballo in maschera alla corte degli Este a Ferrara. Siamo stati invitati da Ercole primo in persona. Il messo ci ha comunicato il tema della festa.” Si bloccò, non volendo rivelare oltre “Una ricorrenza che si festeggia ogni anno, in onore del compleanno del primogenito del Duca, Alfonso.”
Lorenzo annuì lentamente “Capisco, spero ricordiate che essi sono nemici della nostra Repubblica, poiché gemellati con Roma.”
“Erano parecchio amici di vostro padre e di vostro nonno però. Non è di certo colpa nostra se avete incrinato i rapporti con loro. Io mantengo strette le amicizie, Lorenzo.” Fece una piccolissima riverenza, provando ad allontanarsi, poi però gli venne un’idea. Tornò verso de’ Medici, sorridendo malignamente “Non credete sarà una belle occasione, per vostra sorella Bianca? Potrà rivedere Beatrice a quel ballo.”
“Come moglie di un Pazzi, scommetto che sarà la sola cosa bella per lei.” Disse affabile Lorenzo. Giuliano gli si fece vicino, ascoltando quella conversazione con interesse. Appena sentita nominare Beatrice gli si era acceso un campanello d’allarme in testa.
“Dovreste preoccuparvi più della moglie di un Riario, che di quella di un Pazzi.” Proseguì il banchiere, con la faccia di qualcuno che sa anche troppo. “Non vedo l’ora di portare i miei omaggi a Madonna Beatrice, ci tengo a congratularmi per le sue vittorie belliche. La sua nomea ora reca molto onore a Firenze.”
“Vittorie belliche?” Giuliano si fece avanti, guardando Francesco come se fosse diventato folle “Di cosa state chiarlando?!”
“Giuliano…” Lorenzo provò a farlo ragionare, ma questi si fece ancor più vicino a de’ Pazzi che, dal canto suo, rise.
“Non lo sapete? Ormai non si parla d’altro, in ogni corte. Beatrice de’ Medici è diventata famosa come la Tigre della Romagna. Ha conquistato la Rocca di Forlì insieme al Conte di Riario, che l’ha pure nominata reggente della città. È la Contessa di quelle terre ora. Non sapevo che aveste allevato un soldato. Ora vogliate scusarmi, il pranzo domenicale mi attende.” Senza aspettare oltre, Pazzi voltò le spalle ai due fratelli ancora sconvolti, tornando dai parenti che, di lato al battistero, attendevano.
Jacopo lo squadrò male appena si affiancò ad Allegra “Non avrete detto nulla della festa degli Este, voglio sperare.”
“Non vi è stato bisogno di vantar alcunché. Lorenzo sembrava già sapere tutto.” Sorrise divertito “Eccetto delle imprese della sorella minore.” A quelle parole, Bianca abbassò lo sguardo. “Ciò che mi infastidisce, però, è che ci osservano. Controllano i nostri spostamenti e i nostri ospiti, come se sapessero esattamente i nostri piani. Verrà il giorno in cui leverò a Lorenzo de’ Medici quel sorrisetto compiaciuto dal viso, Madonna Maia-”
“Francesco, contenetevi!” Jacopo gli appoggiò una mano sul braccio “Siamo appena usciti dalla santa Messa!”
“Avete ragione zio, vi domando perdono.” Lanciò un ultimo sguardo ai due fratelli che parlavano concitati, prima di avviarsi per le viuzzole della città, verso la loro dimora.
Giuliano pareva una bestia “Secondo te è vero?!” chiese rivolto al fratello.
“Pazzi non mentirebbe mai su una cosa del genere.” Sottolineò Lorenzo, portando una mano al mento con fare pensieroso “Sapevo della vittoria di Riario ai danni degli Ordelaffi, ma non credevo che fosse folle al punto tale da portare nostra sorella in battaglia. Pare che voglia ucciderla!”
Giuliano sembrava confuso, sapeva che era sempre stato il sogno di Beatrice quello di diventare un generale, ma si rifiutava di credere che il Conte l’avesse buttata così in mezzo ad una assedio. Deglutì un paio di volte “Questa cosa va indagata. È passato un mese ormai dalla presa di Forlì.”
“Lo so, vedrò che posso fare.” Lorenzo sospirò “Vieni andiamo…”
Insieme si avviarono verso palazzo de’ Medici e Giuliano sbuffò, seccato “Odio Francesco Pazzi.”
“Anche io. Lo trovo così tedioso. Devo per forza sorridergli, nonostante il mio solo desiderio sia quello di dargli una testata. Esiste uomo più inutile di lui su questa terra? Se l’Iddio ha un disegno per ciascuno di noi, quello di Francesco se l’è bello che dimenticato!”
“Ci pensa già Madonna Allegra a farci giustizia. Francesco è così tanto cornuto da non riuscir quasi ad entrare nel giardino della sua gigantesca villa fuori Firenze.” Rilanciò il più giovane dei due e, a quel punto, il Magnifico non riuscì a trattenere una risata.
 

 

***
 

 

12 Luglio, 1476.
In più di un mese, io e Girolamo siamo riusciti a riportare il Ducato di Forlì a quell’antico splendore che aveva in passato. Abbiamo approvato progetti per sistemare le strade, le cinta murarie, le chiese. Abbiamo iniziato un programma di abbellimento dal punto di vista urbanistico che pesa solo sulle tasche della Santa Sede, non su quelle del popolo che pare amarci. Io, in particolare, sto cercando di fare aprire una libreria al centro del paese. Qualcosa di pubblico, dove ogni uomo che sa leggere può andare a consultare libri di araldica e tomi letterari.
Mancheremo un paio di giorni, ospiti a Ferrara presso la corte Estense per un ballo in maschera in celebrazione del compleanno del futuro rappresentante della nobile casata, ma ho lasciato disposizioni.
Inizio a prenderci un poco la mano con questo affare del governare. L’ho sempre detto che i Medici c’hanno la guida nel sangue.

B.M.
 

 
 
***

 
 

Ercole I d’Este era un uomo tutto d’un pezzo. A quarantacinque anni, aveva visto così tanti cambi di battaglia da aver fatto ormai tutti i capelli bianchi, candidi come la prima neve dell’anno. Gli occhi di ghiaccio proferivano assai poche emozioni, se non la rigidità e la serietà. Egli era uno dei pochi uomini che Girolamo davvero rispettava.
Era giusto a Ferrara da poco più di due ore e stava passeggiando per i corridoi col padrone di casa ed un altro vecchio amico di quest’ultimo, Giovanni IV Malatesta. Incredibili erano i rapporti tra quelle due famiglie, visto che il predecessore malatestino si era visto strappar via le terre di Rimini dall’orda Estense. In un certo senso, la collaborazione tra quelle due famiglie era mirabile.
“Sempre è un onore per un povero peccatore quale sono io, ospitare il figlio preferito di Roma!”
“Voi mi onorate, Ercole. Vi ringrazio per l’invito esteso a me e a mia moglie, Beatrice.” Riario inclinò di poco il capo, tenendo lo sguardo fisso avanti a sé e le mani dietro alla schiena.
“Speravo di far la conoscenza di Madonna de’ Medici prima di cena, in verità” ammise l’uomo, guardando con la coda dell’occhio Malatesta. Anch’egli si fece più vicino, sussurrando a voce bassa come se si trattasse di un segreto.
“Siete incredibilmente coraggioso a tenere nel letto una femmina dalle tali capacità belliche, Conte.” Sussurrò di fatti Giovanni, portando le mani unite verso il ventre. La gobba, unita al fisico minuto e al viso asciutto gli conferivano un aspetto viscido, che per un istante fecero storcere il naso di Girolamo.
“Sta riposando in vista della festa di questa sera.” Rispose secco “E chi tengo nel mio letto non è di vostro affare, Malatesta.”
“Non volevo mancarvi di rispetto.” Si difese immediatamente il signore di Cesena, ritraendosi timoroso “Solamente… È una Medici. Siamo tutti nemici dei Medici, a questa cena. È saggio lasciare conoscere i nostri piani, vostra Eccellenza?”
“Mi è parso di capire che non si parlerà di Firenze, bensì del Ducato di Modena, che è nostra premura tener controllato in quanto vicino alle nostre terre. Beatrice sarà discreta, ha preso molto seriamente il suo incarico”
I due duchi si scambiarono uno sguardo, decidendo di non muovere ulteriori obiezioni. Avrebbero solo fatto innervosire di più il Conte “Domani terremo, in gran segreto, una riunione. Per ora pensiamo solo a goderci la bella serata.” Disse Giovanni mentre uscivano sul terrazzo del palazzo.
Riario si appoggiò con entrambe le braccia alla ringhiera, guardando il fossato sotto di loro prima di spostare gli occhi sul ponte che collegava il Palazzo al resto della città. Era fisso, non levatoio, segno che gli Este avevano gran fiducia nella loro gente. Senza contare che l’intera struttura pareva molto, molto più recente delle due Rocche del Conte. Incurvò un lato della bocca sarcastico, non doveva reggerle le palle di cannone, quel posto. Era fin troppo ben curato. Notò la carrozza del Doge, nera con intarsi d’oro sfarzoso, entrare dentro al Palazzo seguita da un’altra che per un attimo lo fece confondere “Su quella carrozza vi è il biscione.” Disse a voce alta, attirando l’attenzione di Ercole che subito gli fu accanto.
“Si, vostra Eccellenza.”
“Cosa ci fa’ uno Sforza qui? A quanto mi pare di ricordare, Milano è gemellata con Bologna e Firenze, quindi nostra nemica” Riario aveva un tono ben poco rassicurante.
Ercole però non si fece intimidire, mantenendo la sua fierezza anche innanzi ad un uomo pericoloso come il Conte “Quella carrozza porta seco la nostra più valida alleata. È grazie a lei se sappiamo esattamente ogni minimo spostamento dei Campi di Modena.”
Il moro corrugò le sopracciglia “ ‘Lei’?”
“Sì, mio Signore. Caterina Sforza.”
Riario rimase un attimo in silenzio, fissando il Duca di Ferrara come se avesse appena detto che il Capitano della sua fanteria era la Morte in persona. Poi tornò ad osservare il fossato “Questo renderà l’intera serata assai più divertente.”
 
 
 

 

***

 
 


“Adoro le serate in maschera!” Beatrice finì di acconciare i capelli, ponendo poi sul capo una piccola coroncina. “A Firenze ne facevamo almeno una al mese, a corte. Sempre a tema, ovviamente, e invitavamo tutta la ricca borghesia e la nobiltà. Mentre gli uomini bevevano le donne parlavano e si danzava sino alle prime luci dell’alba!”
Camilla la guardò ammirata, finendo poi di rifinire una linea nera per accentuare la grandezza dei suoi occhi. “Sembra così bello. I balli a Roma sono di solito tediosi e pieni di vecchi dalla bava facile che puntano allo scollo dell’abito. Dici che sto bene così?” si alzò in piedi, lasciando ricadere la veste marroncina dalle ampie maniche.
“Indossa il copricapo!” le disse la mora, finendo anch’essa di truccarsi gli occhi.
Camilla eseguì, poco convinta, ponendo sul capo una piccola coroncina che reggeva due corna d’avorio “Non sarà eccessivo?” domandò guardandosi allo specchio.
Madonna de’ Medici scrollò il capo, avvicinandosi a lei mentre infilava una collana d’oro, dono del marito “No, affatto. Il tema è quello delle ‘creature di Dio’, o sbaglio? Tu sei una meravigliosa cerva!”
Qualcuno bussò alla porta e appena le giovani diedero licenza di entrare, Riario e Grunwald fecero la loro apparizione belli e pronti per la festa. “Madonna, ritardiamo.” Disse il Capitano che, per quell’occasione, sarebbe stato l’accompagnatore di Camilla. Lei non era particolarmente felice della cosa, nemmeno lui a dirla tutta. Non sembravano sopportarsi, ma gli ordini del Conte erano quelli.
Madonna Colonna seguì la guardia svizzera, avviandosi per primi verso il salone centrale, visto che tanto sarebbero dovuti entrare da due porte differenti. Il Conte e la Contessa dovevano venir annunciati.
Girolamo si sedette sul bordo del letto, in attesa che la moglie completasse gli ultimi preparativi, guardando prima la maschera che teneva stretta nel pugno, quindi la giubba verde bottiglia che indossava e che sfumava, dalle spalle al fondo, in un colore leggermente più chiaro. Senza contare poi la camicia bianca, che lui aveva sempre disprezzato. “Potete ricordarmi perché mi sono prestato a questa vostra idea?”
Beatrice sorrise, mettendo gli orecchini. Poi andò verso di lui, facendo strisciare la coda lunga dell’abito a terra. Si sedette sulle sue ginocchia, bene attenta e non rovinare la gonna. “Perché, sotto sotto, anche se siete un uomo dalla morale molto discutibile, mi amate.” Lui non disse nulla, limitandosi ad appoggiare una volta le labbra alle sue. La giovane gli prese la maschera, di fattura veneziana, appoggiandola sul viso appuntito del marito e legando con cura il cordoncino dietro alla nuca. “Avete degli occhi così belli da sembrare teneri. Sembrate un cucciolo di lupo, anche se vi siete già mangiato Cappuccetto Rosso.”*
“Mh. Le apparenze ingannano, Madonna.” Le appoggiò una mano sulla coscia, sporgendosi di lato per ammirare il bellissimo abito che la giovane moglie indossava “Molto bello e ben fatto, ma eccessivo non trovate? Quanti pavoni hanno dovuto uccidere per vestirvi stasera?”
“Non ne è morto nessuno, Conte.” La ragazza si alzò, andando a prendere i bracciali dalla specchiera e indossando, alla fine, la maschera gemella a quella del marito. Era fatta di tanti fili metallici verdi smeraldo, intrecciati a delle piume nere di lato. “Le piume si strappano.” L’abito era davvero meraviglioso, frutto di Madonna Ferroni, moglie di Orsi, che non aveva di certo badato a spese né sulla seta nera dell’abito ad una spallina, né sulle moltissime piume di pavone.
Uscirono dalla stanza insieme e subito il Conte si fece premuroso, porgendole il braccio che lei accettò. Percorsero un lungo corridoio, quello delle stanze, ancora chiuse. “Molti arriveranno in evidente ritardo” le disse Riario, come se le leggesse la mente “Una strategia per farsi vedere meglio.”
“Allora non sono solo le donne che vogliono mostrarsi.” Replicò divertita la mora. Arrivarono in fondo al corridoio e svoltarono a destra per pochi metri. Davanti a loro si presentò una porta decorata con tendaggi rosso vermiglio e oro, colori della casata degli Este. Un messo si fece vicino e Riario gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Questi tornò sulle scale, schiarendosi la voce prima di gridare a gran voce, tanto che le sue parole riecheggiarono per tutto il salone assordendo Beatrice “Girolamo Riario, Conte di Imola e generale dell’Esercito della Santa Sede e sua moglie, Beatrice de’ Medici, Contessa di Forlì.”
La ragazza si sforzò di non portare una mano all’orecchio mentre scendeva l’ampia scalinata insieme al marito. Girolamo sembrava parecchio divertito dalla cosa. Nel salone vennero accolti con ogni riguardo, ma Riario non si fermò a parlare con nessuno in particolare. Insieme a Beatrice si affiancarono a Camilla e Grunwald, a cui si erano unito anche Lupo Mercuri. “Madonna, ogni giorno mi sembrate più bella” disse, salutando Beatrice.
Negli ultimi tempi, nonostante si fossero visti assai poco, Mercuri si era dimostrato molto più gentile nei confronti della Contessa, impressionato dal coraggio e dalla forza che quella donna aveva dimostrato durante la battaglia di Forlì. Si era, in qualche modo, guadagnata il suo rispetto.
“Allora dovremmo vederci più spesso” rispose, mentre il vicario le faceva il baciamano. Riario si guardava attorno, mantenendo la sua posizione al fianco della moglie che ancora lo teneva a braccetto. “Avete visto qualcuno di importante?” domandò, stringendosi di poco a lui. Camilla intanto stava domandando a Grunwald il suo nome di battesimo, il quale ringhiò un ‘Leon’ appena accennato. Decisamente azzeccato.
Il Conte storse la bocca “Cercavo un paio di volti, ma ancora non sono arrivati. Intanto guardate laggiù, alla vostra destra.” Beatrice si voltò con discrezione, notando un anziano che pareva in piedi per volontà dello Spirito Santo. “Quello è il Doge di Venezia, Andrea Vendramin. Ha quasi ottanquattro anni.”
“Si vede.”rispose Beatrice “Sua moglie ne ha quasi sessanta in meno, invece?”
“Quella non è di certo la moglie. Regina Gradenigo. Sarà l’amante.” Disse Lupo, maliziosamente.
“La vostra, di moglie?”
“Lasciata a Roma.” Rispose velocemente il vicario “Non son tutti fortunati come il Conte, in fatto di consorti simpatiche.”
“State cercando di sedurre mia moglie, Mercuri?” domandò Riario con un sorrisetto poco rassicurante. “Non le avete mai fatto tanti complimenti.”
“Suvvia, Conte, si fa per scherzare.” Rispose l’uomo, mentre Beatrice ridacchiava per quella scena “Dovreste sentirvi onorato invece che geloso!”
Il paggio riprese ad urlare, se possibile più forte “Sua Santità il cardinale Rodrigo Borgia!”
Beatrice sentì il marito irrigidirsi contro il suo fianco. Fu Mercuri a dissipare ogni dubbio “Voi che siete fresca di politica, Madonna de’Medici, dovete sapere che esistono due tipi d’uomo: quelli che son falsamente di riguardo e quelli che invece dimostrano assai bene quanto pessimi sanno essere. Quello, Madonna, è il assoluto il più vile, schifoso, lurido bastardo spagnolo che possiate mai incontrare sulla vostra strada. Guardatevi bene da lui e ci protegga l’Iddio da un suo pontificato.”
Il Cardinale si diresse proprio verso di loro e subito Mercuri smise di parlare “Buona sera Conte di Riario, Lupo Mercuri.” Il suo sorriso lascivo non fece altro che solidificare le parole di Lupo nella mente della giovane “Codesta dev’esser vostra moglie, Madonna de’ Medici. Incantato.”
“Il piacere è mio, vostra Santità” rispose la mora con una piccola riverenza.
Poi si rivolse al Conte “Mi dispiace di essere mancato al tuo matrimonio, Girolamo, ma gli affari a Venezia non mi davano pace.”
Riario sorrise, come di suo solito, in modo assai tirato “Non temete, so quanto vostra Grazia sia impegnato.”
Il Cardinale proseguì, dirigendosi verso una massa informe di piume bianche che non era altri che il festeggiato, Alfonso d’Este. Beatrice scambiò uno sguardo col vicario, ma non aggiunsero altro.
Arrivarono molte altri ospiti illustri, tra cui Alfonso d’Aragona, Re di Napoli, della Calabria e delle due Sicilie, che parve intendersela bene con Borgia. Giovanni Malatesta presentò al Conte e a Beatrice il figlio maggiore, Pandolfo, che sembrava assai poco lieto di prender parte a quella festa. S’era addirittura mascherato da corvo, sperando che qualche superstizioso lo mandasse via.
Federico da Montefeltro, signore di Urbino, si presentò da solo entrando nella sala con gran baccano, vestito come se dovesse scendere su un campo da guerra in quello stesso momento.
Molti Duchi, Conti, Baroni fecero la loro apparizione, ma nessuno smosse Beatrice come l’ingresso di una famiglia che ben conosceva.
“Jacopo de’ Pazzi, da Firenze, insieme alla moglie Bianca de’ Medici, al nipote Francesco e alla moglie di quest’ultimo, Allegra Venturi!”
Per la prima volta in tutta la serata, Riario sentì la moglie staccarsi dal suo braccio. Ella attese che i Pazzi scendessero la scalinata, prima di andare in contro alla sorella che parve illuminarsi appena la vide “Mia amata Beatrice!” la strinse in un abbraccio forte, non riuscendo a trattenere un paio di lacrime.
Anche la mora si commosse appena, stringendo Bianca come se non la vedesse da dieci anni “Mia amata sorella!” si staccò, guardandola “Sei sempre più bella!”
“Anche tu, Beatrice.” Mormorò sorpresa l’altra, quasi come se si aspettasse di vederla smunta. Mentre il paggio annunciava l’ultimo arrivato, Ercole iniziò ad domandare agli invitati di prender posto, per consumare la cena. Prendendo la palla al balzo, Bianca sussurrò piano “Ti maltratta? Puoi dirmelo, lo riferirò io a Lorenzo.”
“Cos-No. Lui non lo fa.” Disse la più piccola mentre si sedevano una accanto all’altra, con i mariti ad ascoltarle attentamente “Io sto bene, molto bene. Ora ho un Ducato, l’avresti mai pensato? Con un esercito.” Sembrava fin troppo su di giri.
Girolamo si sporse verso di lei, sussurrandole all’orecchio “Ne parlerete dopo, ora sentiamo il discorso degli Estensi e poi mangiamo…”
Così presa dall’euforia di avere accanto a sé sua sorella, Beatrice non si rese conto di chi aveva preso posto al margine del tavolo, ne di come la stava osservando malignamente.
 


 

***

 


 
Beatrice iniziò a cogliere il vero significato di quella festa solo una volta concluso il banchetto. Le si erano presentate le personalità più disparate, offrendo servigi a Forlì in campo militare o commerciale, apparentemente senza secondi fini ma, di certo, in cambio di favoreggiamenti.
Girolamo le aveva spiegato che la sua posizione era piuttosto importante, visto che era un punto di stallo tra Roma e Firenze. Nella mente di qualcuno, sarebbe potuta diventare anche la governatrice della sua città natale un giorno.
Non si alzò da tavola, mentre uno dopo l’altro, in molti venivano a presentarsi. Francesco Pazzi, che aveva cenato di fronte a lei lasciandole il cibo sullo stomaco, non mancava elogi che ad un certo punto fecero addirittura ridere Madonna de’ Medici. A Firenze era una sgualdrina, ma ora che s’era maritata ad una personalità importante di Roma – e tutti sapevano a chi andasse la fedeltà dei de’ Pazzi- era diventata la dama per eccellenza.
“Questo eccesso di amor cortese mi sta facendo salire la nausea” disse ad un certo punto Beatrice, volgendosi verso Mercuri che si era momentaneamente seduto al posto di Riario. Il Conte, infatti, era stato trattenuto dal Doge e da niente meno che Rodrigo Borgia, in una conversazione fitta a pochi metri dalla tavolata. “Io che speravo di poter danzare, stasera.”
Lupo rise, guardando il broncio sul viso della dama “Coraggio allora.” Appoggiò il calice di cristallo, alzandosi in piedi “Permettetemi un ballo.”
Beatrice guardò sorpresa la mano che gli veniva porta, prima di scambiare uno sguardo con Camilla, sorpresa quanto lei “Ancora non mi capacito di starvi simpatica” disse poi, guardando Mercuri “Ma accetto volentieri, inizio ad aver male alla gambe a forza di stare seduta!” appoggiò una mano sul braccio del vicario, avviandosi con lui verso la zona ove molti nobili danzavano e disquisivano.
Passando, Beatrice notò una ragazza che pareva di poco più giovane di lei, seduta accanto ad Alfonso D’Este. Aveva i capelli rossi piuttosto mossi, che nonostante la pettinatura elaborata nella quale erano racchiusi parevano indisciplinati come la criniera dei leoni. Era vestita in modo strano, secondo una moda che Beatrice non aveva mai visto, con un abito fatto con la pelliccia di una tigre. La cosa che però più colpì la mora fu l’espressione che la rossa le rivolse: fredda, impertinente. Quanto come se l’odiasse.
Ignorò quella brutta sensazione di disagio nell’essere spiata da occhi così glaciali, arrivando alla pista da ballo. Una piccola orchestra formata da un clavicembalo, un’arpa a braccio e diversi flauti stava intonando musichette allegre che conciliavano la danza. Mentre rivalutava Mercuri, che lanciandosi in un esilarante racconto su come sua moglie si sarebbe guadagnata la nomea di Medusa, Beatrice ballò con lui, ridendo di tanto in tanto. Mai si sarebbe aspettata una persona tanto gradevole, dietro la maschera da autentico bastardo che spesso palesava. Beh, dopotutto era lo stesso principio che aveva applicato a Girolamo.
Il marito non si presentò che dopo un paio di canzoni, mentre gli ospiti applaudivano all’orchestra. Stava iniziando una melodia più lenta e cadenzata, quando Riario li raggiunse “Posso riprendermi mia moglie per questo ballo, Mercuri?” domandò retorico.
Il vicario fece un inchino fin troppo profondo a Beatrice “Vi lascio al vostro sposo, Madonna. Credo che ne approfitterò per visitare quel tavolo pieno di bottiglie di vino!”
Beatrice appoggiò le mani sulle spalle del marito “Concluso qualche trattato politico?” chiese, iniziando a muoversi a passo di musica.
Lui si muoveva incredibilmente bene, con la solita eleganza che usava nei passi. Le prese un polso, facendole fare una giravolta “No, a dire il vero le stesse cose che mi sento dire di solito. Il Doge vorrebbe scendere in guerra contro Genova, perché, a detta sua, intralcia le rotte marittime della Serenissima.”
“Dall’altra parte d’Italia?” domandò stranita Beatrice.
“Esattamente.” Riario sembrava già stanco di tutta quella situazione, gente da ogni dove che  gli chiedeva di intercedere presso il Santo Padre per battaglie futili. Roma non si sarebbe mai lanciata in uno scontro senza che anch’essa ne traesse vantaggio.
Stava per dire qualcos’altro, quando Giovanni Malatesta venne a disturbarli “Scusatemi, ma Ercole richiede la vostra attenzione, Conte. Vorrebbe brindare alla vostra salute.”
Girolamo scambiò uno sguardo significativo alla moglie, mentre la musica cessava quasi improvvisamente per ordine del padrone di casa “Non credo che sia necessario” tentò Riario, ma Ercole si era già posto innanzi all’orchestra, blaterando della grande fortuna che tutti loro avevano nell’essere ‘amici’ di un grand’uomo quale il Santo Padre Sisto IV e suo nipote, naturalmente.
“Prendo una boccata d’aria. Fa troppo caldo qui” sussurrò Beatrice nell’orecchio del marito, voltandosi poi verso le porte che davano sul giardino. Era stanca di lusinghe false e corteggiamenti politici.
Tutta quella situazione iniziava a darle la nausea, ma si sarebbe rapidamente abituata, visto che sarebbe stato sempre così. Prima o poi, forse, sarebbe stata lei stessa a domandare aiuto lisciando un poco il pelo di qualche Signore.
L’anticamera che conduceva al giardino era molto bella e fatta a vetrate. Una corrente fresca la riempiva, così Beatrice si limitò a sedersi su uno dei divanetti lì presenti, senza uscire del tutto. Portò una mano alla fronte, leggermente sudata per il tanto ballare, prima di puntare lo sguardo verso la luna piena, alta in cielo.
“Immagino che sia molto stressante per voi, venir tanto elogiata da tutti.” Una voce melliflua la costrinse a voltarsi verso un lato immerso dall’oscurità di quella stanza, trovandovi una sagoma avvolta dal buio “Certo, quando si è un agnello nella tana dei lupi o si è abili a camuffarsi o tutti quanti desiderano mangiarvi.”
“Prego?” domandò Beatrice “Se volete parlare con me almeno mostratemi il volto. Non sono solita parlare alle ombre.”
Una risata tutt’altro che allegra le arrivò alle orecchie, pugnalandole. La ragazza con i capelli rossi si palesò innanzi a lei, reggendo in mano un bicchiere ricolmo di vin rosso “Perdonatemi, Madonna, non mi sono nemmeno presentata. Io sono Caterina Sforza.”
“L’avevo intuito dal forte accento milanese.” Rispose Beatrice, alzandosi a sua volta e mettendosi davanti all’altra “Sembrate sapere esattamente chi io sia, non so se presentarmi o meno.”
“Tutti sanno chi siete, Madonna de’ Medici.” Rispose affabile Caterina, bevendo un sorso di vino prima di lasciar cadere il bicchiere che si infranse al suolo, con noncuranza “Avete una certa fama.”
“Voi non siete da meno, Madonna Sforza.” La mora non riusciva a non stare sulla difensiva. Il tono di Caterina sembrava indubbiamente ostile. “Posso fare qualcosa per voi?”
“Stiamo solo chiacchierando, Beatrice. Mi permettete di chiamarvi così, immagino.” La rossa si fece ancor più vicina “Scommetto che state comoda sul vostro trono di riconoscimenti, amata ed elogiata da tutti per aver staccato la testa di Ordelaffi.”
“Invero l’ho solo fermato.” Ripeté per l’ennesima volta la Contessa “Amate così tanto l’idea che io sia un assassina?”
“Che sia di un nobile o di un contadino, voi vi siete comunque sporcata le mani di sangue.” Fece una pausa, sorridendo crudelmente “Spero che vi stiate godendo ciò che avete rubato a me.” sussurrò a pochi centimetri dal suo viso “Poiché, quando vi pianterò un coltello nel cuore, me lo riprenderò. Sono stata destinata io a sposare il Conte, non voi. Voi siete una compensazione politica. Fossi in voi me ne tornei a Firenze finché ancora posso”
Beatrice ci rimase male. Parecchio. Tanto che in un primo momento non riuscì a replicare. Boccheggiò per un paio di istanti, cercando le parole giuste, ma non le uscì nulla. Il fatto di venir definita una ‘compensazione politica’ la ferì parecchio.
A rimediare a quel danno ci pensò Riario, che uscì fuori in quel frangente trovando la moglie insieme a Caterina. Le guardò entrambe, notando l’espressione compiaciuta della rossa e quella piuttosto atterrita di Beatrice. Sapeva che sarebbe successo, conosceva parecchio bene Madonna Sforza, anche se la maggior parte delle informazioni che aveva erano solo voci.
“Signore…” Si mise tra le due, che si voltarono a guardo. “Vi siete perse un bel brindisi.”
Caterina ridacchiò “Qualcosa mi dice che ve ne saranno ancora parecchi alla vostra salute, Conte.” Si voltò nella sua direzione, camminando verso la sala, solo quando gli fu accanto lo guardò negli occhi, sorridendo voluttuosa “Trovo sempre piacevole il vedervi, mio Signore. Buona serata.” Gli accarezzò lentamente l’avambraccio, prima di ruotare il capo e guardare Beatrice, trasformando il sorriso in una maschera crudele “Ricordate il mio consiglio, Madonna.”
Rientrò nel salone, lasciando gli sposi soli “Che tipo di consiglio vi ha dato?” domandò cauto Riario, non sicuro di volerlo sapere.
Sorprendendolo, Beatrice decise di non proferire parola sull’accaduto. Incrociò semplicemente le braccia sotto al seno, come a proteggersi, “Vi guardava come se volesse mangiarvi.” poi sbuffò, dando le spalle al Conte e scendendo i gradini fino al lussureggiante giardino del Palazzo. Per un attimo le sembrò di trovarsi più in un bosco, che in un cortile esterno. Percorse un sentierino, prima di andare a sedersi sul bordo di una grande fontana. Lì si lasciò prendere per un attimo dallo sconforto, portando il capo tra le mani e chiudendo gli occhi.
Quella donna, Caterina, l’aveva minacciata. Non in modo sottile, ma le aveva chiaramente detto che si sarebbe ripresa il posto che le spettava. Compreso suo marito. Si sfilò il diadema dal capo, appoggiandolo accanto a sé prima di sciogliere i capelli che tiravano da tutta la sera. Aveva bisogno di un attimo di aria.
La Sforza poteva minacciare quanto voleva, Beatrice non le avrebbe mai permesso di poterle via tutto, a costo di ricambiare la cortesia e prometterle di ficcarle una lama nel cuore.
Girolamo apparve sul sentiero che aveva appena percorso lei, scostando un ramo di salice quando finalmente la vide. Beatrice fece finta di non averlo nemmeno notato, continuando a sistemarsi i capelli e cercando di focalizzarsi sui suoi pensieri. Lui le si sedette accanto, appoggiando i gomiti alle ginocchia e alzando gli occhi verso il cielo. Sembrava meditabondo e quei pochi, rapidi sguardi che la giovane gli lanciò non vennero ricambiati.
Dopo aver imbastito una treccia veloce, Beatrice non sapeva più che fare per mostrarsi occupata così, semplicemente, alzò a sua volta gli occhi verso la volta celeste, puntellata di stelle che parevano diamanti. Si perse per un istante a fissarle, poiché il cielo era così scuro da renderle ancora più evidenti. Girolamo invece non stava più guardando quei punti luminosi; guardava sua moglie, come se ella meritasse molto di più quell’attenzione, in quanto di bellezza superiore. Allungò piano una mano, accarezzandole la spalla scoperta e percorrendo con i polpastrelli la linea del collo. Solo a quel punto, la ragazza si voltò a guardarlo, incontrando i suoi occhi.
“Credo d’essermi innamorato di te, Beatrice.”
Quella confessione, sussurrata a mezza voce con tono soppesato di chi sta scendendo a patti con una verità da poco scoperta, spiazzò del tutto la giovane. Essa lo guardò stravolta, domandandosi se avesse sognato tutto o se fosse realmente accaduto.
Mai, mai il Conte si era lasciato andare così, esternando un sentimento. Mai si era mostrato davvero preso di lei, seppure si fosse sempre comportato con riguardo.
Quella confessione la fece quasi piangere.
“Io invece sono certa d’amarti, Girolamo.”
Beatrice si sporse, appoggiando una mano sulla guancia del marito, ma lui si spostò come se non volesse baciarla. Scoraggiata tornò a ricomporsi, domandandosi perché mai non capisse quell’uomo. Le aveva appena detto di amarla, a modo suo, eppure sfuggiva ad un bacio.
“Devo farti una confessione” sbottò il Conte di punto in bianco, alzandosi in piedi.
Quella reazione esagitata mise in allarme Beatrice che, a sua volta, si alzò. Aveva del tutto abbandonato le formalità e nonostante si fosse dichiarato non riuscivano ad abbattere quel muro tra loro “Parla, quindi.”
“Io non t’ho sposata per porre fine alla guerra con Firenze.” Disse, dandole le spalle. Il cuore della ragazza prese a correre veloce. Che gli stesse dicendo che si era preso di lei con un solo sguardo, al matrimonio di Bianca?
Si mise dietro di lui, abbracciandogli i fianchi con un sorriso bellissimo sul volto “Volete dirmi che anche voi, che sembrate tanto un uomo di ghiaccio, credete nell’amore al primo sguardo?”
Lui le prese i polsi, sciogliendo l’abbraccio per poterla guardare negli occhi “L’ho fatto per portarti a Roma, perché sapevo che era nei disegni del Papa. Questo perché so chi sei.” Fece una piccola pausa, mentre lentamente, Beatrice iniziava a capire che l’amore non centrava nulla “So cosa sei in realtà. So dei Figli di Mitra e del destino che ti lega a loro.”
 
 


 

Continua

 
 
 
 
 
 
 
*Mi sono documentata, ‘Capuccetto Rosso’ è una fiaba che circola per l’Europa sin dal  quattordicesimo secolo u.u
 
 
 
 
 
Nda.
Lo so, ho rotto in capitolo in un brutto punto, sono una pessima persona ma veniva davvero troppo, TROPPO lungo.
Poi con questo effetto-pathos siete più invogliati a leggere e dirmi che ne pensate, vero? *occhioni*
Non mandatemi al diavolo xD
 
Che dire, mi sono mancati tanto Lorenzo e Giuliano, dovrei farli apparire più spesso! Mi manca molto anche Leonardo, vedrò che fare per compensare questa cosa u.u
Il prossimo capitolo chiarirà un paio di punti^^
Ho una paura tremenda di essere andata un po’ OOC col mio bel Riario, ma la mia beta, Eagle mi ha detto che secondo lei invece è perfetto così. Spero di non aver fatto danni insomma :D
Grazie come sempre a chi mi recensisce con amore ogni volta, ovvero: Yoan, Eagle, Lechartvert, Juliet96 e Nika deep!
Grazie anche a chi legge soltanto :D
 
 
Un abbraccione e a presto
J. 

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Capitolo 12
*** Parte XII: La Tentazione ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo dodici.
Rating: Arancione.
Betareader:  Yoan Seiyryu
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 










 



Parte XII: La Tentazione.
 
 
Beatrice si sistemò meglio su quella scomoda sedia di legno, i cui braccioli troppo distanziati le stavano facendo venire male alle spalle. Non si sentiva in forze, quel giorno. Si era destata a causa delle insistenze della servitù, inviata da Ercole d’Este che reclamava la Signora di Forlì per una riunione segreta della massima importanza.
Il fatto di trovarsi nella stanza di Camilla, con un brutto mal di testa, le fecero presagire che sarebbe stata una pessima giornata, in modo particolare quando ricondusse quel male a tutte le lacrime che aveva versato durante la notte, cullata dall’abbraccio caloroso dell’amica.
Si era vestita e sistemata al meglio, prima di farsi accompagnare da uno dei camerieri della tenuta sino ad una sala più piccola, finemente decorata con pannelli di legno ed eleganti trofei di caccia. Al centro vi era un lungo tavolo dall’aria massiccia e parecchie sedie, attorno alle quali si erano radunati i maggiori rappresentanti presenti alla festa della sera precedente. Gli alleati degli Este.
Beatrice aveva accuratamente evitato di incontrare lo sguardo di Riario, riuscendoci assai bene visto che Rodrigo Borgia le offrì il posto accanto al suo.
Ercole d’Este prese subito la parola, concitato, ringraziando tutti della presenza e del supporto che mostravano, rispettando i patti di alleanza che, a quanto pare, erano stati siglati anni prima.
Beatrice non aveva firmato proprio nulla, ma si costrinse ad essere gentile nonostante la stanchezza e il pessimo umore. La testa le doleva ancora parecchio.
Ercole ringraziò più e più volte Caterina Sforza, che, a quanto pare, era la moglie di Ruggero Campi. Da meno di vent’anni, la famiglia Campi governava il Ducato di Modena, difendendolo degli Estensi e valorizzando una politica simile a quella di Firenze, seppur non sfarzosa. Ciò che Ercole voleva era semplicemente il riprendersi quelle terre che, a detta sua, gli erano state portate via ai tempi in cui la casata era guidata da suo nonno. Caterina aveva, per mesi, fatto la spia per lui. Più o meno da quando si era sposata.
Il solo pensiero di Beatrice fu che non poteva crederci: Caterina Sforza era addirittura peggiore di come sembrava. Non solo l’aveva minacciata di ficcarle un pugnale nel cuore, non solo le aveva giurato che le avrebbe portato via tutto…. era anche una traditrice. Ingannava e mentiva in chissà quale meschino modo, rovinando così il suo sposo e la terra nella quale viveva.
Quel tipo di traditori, alla de’Medici, non le andavano affatto giù. Le lasciavano l’amaro in bocca, soprattutto visto come era cresciuta. Gli insegnamenti che aveva ricevuto da Becchi erano pochi ma chiari: onorare il marito, ringraziare la terra ed essere sempre retta affinché soltanto Dio potesse giudicarla. Non di certo un branco di signorotti  e religiosi con gli occhi avari.
“Ho dichiarato guerra a Ruggero Campi!” un paio di esaltazioni seguirono questa affermazione, pronunciata da Alfonso d’Este sotto l’approvazione del padre “Riconquisterò le nostre terre, è una promessa. Per farlo, però, necessito di tutto l’aiuto che potrete darvi, miei signori e Madonna.”
Beatrice si stupì nel sentirsi citata, così prese la parola. Alzò prima con educazione una mano, tenendo il gomito appoggiato al bracciolo, e attese un cenno di Ercole “Mio Signore, se posso, in che cosa consiste l’ausilio richiesto dalla vostra casata?”
Il padrone di casa si schiarì la voce, guardando con la coda dell’occhio Riario che non aveva battuto ciglio “I Campi hanno molte, moltissime unità. Soldati, ma soprattutto contadini e borghesi che darebbero la vita per loro. Noi abbiamo un buon esercito, ma necessitiamo di aiuti e anche di denaro per portare a termine una campagna del genere.”
“Sappiamo, grazie a Madonna Sforza, che i Campi sono disposti a concludere tutto con una sola battaglia.” Alfonso prese la parola, guardando verso la rossa con sguardo bramoso. Lei ne parve parecchio compiaciuta. “Una sola battaglia significa che vi chiediamo solo uno sforzo.”
“Uno sforzo..” Beatrice borbottò quelle parole con tono ironico “Io ho duecentosettanta soldati, mio Signore. Una sola battaglia potrebbe spazzarmeli via tutti.”
“Non se saranno uniti ai nostri quattrocento.” Disse Ercole, prima di voltarsi verso Malatesta e Riario “Ancor meglio sarà l’avere l’appoggio anche dei nostri buoni amici di Cesena e Imola.”
Giovanni annuì velocemente, mentre suo figlio Pandolfo gli lanciava una rapida occhiata colma di disgusto. Beatrice lo vide bene, visto che il giovanissimo Malatesta sedeva accanto a lei “Certamente, mio Signore d’Este.”
Riario, che giocherellava con qualche mollica di pane sul ripiano del tavolo, sembrava parecchio annoiato. “Mh…” alzò gli occhi su Ercole, prima di fare un rapidissimo segno di assenso. Quanto meno, pensò Beatrice, anche lui sembrava un minimo toccato dalla loro situazione. Sembra che non avesse dormito male a causa del materasso sconosciuto.
Il Doge e Alfonso d’Aragona, che non erano presenti alla riunione, avevano già in precedenza confermato a Ercole che in caso di perdita avrebbero invaso il Ducato di Modena, infrangendo ogni possibile patto con i Campi. In un modo o nell’altro, quella terra sarebbe tornata agli Estensi. Beatrice non sapeva se ritenersi disgustata o offesa da quella situazione. A sentir loro era tutto bello e fatto!
“Allora, Madonna de’Medici, possiamo contare anche su Forlì?”
La mano che Alfonso le tese pareva siglare un patto col diavolo. Per un attimo fu tentata dal negargli quell’amicizia forgiata con il fuoco delle armi, ma poi pensò che, conoscendo quel tipo di uomo, non gli sarebbe mancato di certo il coraggio di invaderà anche Forlì. Così appoggiò la mano sulla sua “Forlì è con voi, mio Signore” mugugnò con poca convinzione. Lui le baciò la mano, prima di iniziare a mercanteggiare con i Pazzi e con Borgia riguardo un prestito per quell’impresa. Beatrice si rivolse verso Ercole “Quale sarà il mio compenso?”
Nella sala cadde un silenzio pesante. Lo stesso Riario guardò la moglie con tanto d’occhi. lei pareva impassibile, serena come se avesse domandato un frutto o un poco di acqua. Malatesta la guardò con disprezzo “Quale meretrice siete, se vi spingete tanto oltre?! Dovreste ringraziare dell’alleanza!”
“Moderate le parole, Giovanni.” Riario lo guardò, raggelandolo sul posto “O dovrò strapparvi la lingua dalla bocca per il modo in cui osate rivolgervi a mia moglie.”
Beatrice sospirò, sconfortata da quelle parole. La sua tristezza però venne attribuita a Malatesta che, spaventato dal Conte, si sbrigò a porgere le sue più sincere scuse.
Ercole d’Este parve affascinato dalla caparbietà della giovane “Chiedetemi qualsiasi cosa, Madonna, e ve lo concederò. Volete altri uomini? Posso inviarvi ragazzi da Rimini. O forse preferite denaro? So che state lavorando sulla vostra città.”
“Invero, no.” La ragazza si raddrizzò sulla sedia, guardando Ercole negli occhi “Se la battaglia andrà a buon fine, vorrei un piccolo possedimento in Emilia.” Un borbottio si diffuse concitato e lei fu costretta ad alzare la voce “Niente di che, non voglio nè contadini che mi lavorino le terre nè mulini per la farina. Vorrei un castello o un piccolo palazzo, il più vicino ai confini toscani possibile.”
Il capo degli Estensi ridacchiò sotto i baffi, sinceramente colpito “Una zona strategica che vi conduca alla vostra terra natia?”
“Perché non un luogo ove riposarmi? Chiamiamola pensione estiva.” Beatrice sorrise in modo affascinante, non credeva nemmeno di esserne in grado. Sicuramente, prima di sposare Girolamo, non conosceva certi trucchetti. Poteva diventare abile come la Sforza nel farsi amare, senza fare la puttana o la spia però.
Ebbe effetto “E sia.” Ercole si alzò, facendo una piccola riverenza alla Contessa “Aiutatemi a portare a termine questa battaglia e avrete la vostra ‘pensione estiva’, Madonna.”
Anche Beatrice si alzò “Sarà un vero piacere, Duca.”
Ercole attirò l’attenzione del figlio con un cenno, continuando a parlare a Beatrice “Io ora devo ritirarmi a trattare d’affari con il caro de’Pazzi e con sua Imminenza il Cardinale. Se vostro marito non ha remore, potreste andare a visitare la nostra armeria, accompagnata da Alfonso. Il Conte mi ha parlato della vostra abilità con la lama e noi vantiamo spade da ogni dove, alcune delle quali hanno servito i cavalieri durante le Crociate.”
Girolamo, che s’era appena alzato in piedi, annuì lentamente “Beatrice può andare dove desidera.” Elargì, prima di lasciare la stanza insieme a Mercuri.
La giovane accettò di buon grado il braccio che Alfonso d’Este le porgeva, sparendo per un’altra porta, verso la stanza delle armi.
Caterina colse quel frangente rumoroso per alzarsi e sgattaiolare dietro al Conte Riario, attirando la sua attenzione. “Mio Signore? Posso scambiare un paio di parole con voi?” Lupo attese il congedo, che arrivò dopo un paio di secondi di riflessione del Conte. Una volta sparito anche il vicario, Caterina si sentì libera di farsi più vicina. Sorrideva con malizia, guardando Riario “Ho atteso a lungo di rivedervi, mio Signore.”
Girolamo non fece una piega. Elargì un falso sorriso di cortesia, cercando di sembrare credibile “Davvero, Madonna? Posso chiedervi per quale motivo?”
“Sin dal primo giorno di convento mi sono chiesta perché mi abbiate ripudiata. Eravamo fidanzati da poco e vi avevo visto solo una volta, ma credevo di avervi fatto una buona impressione…” gli passò una mano sul braccio, cogliendo l’occasione per stringersi ancora di più a lui “Quando sono fuggita,mio padre era così furioso. La delusione peggiore però l’ho avuta io, nel sapere che v’eravate sposato con una Medici.” Storse il naso, come se il solo pensiero le desse la nausea. Portò le mani ai cordoncini che tenevano chiusa la veste già di per sé parecchio scollata, allentandoli. Riario spostò gli occhi sul muro dietro di lei, contraendo la mascella. “Però possiamo ancora divertirci, mio Signore. Sono convinta che saremmo stati una grande coppia, noi due. Siamo così simili…”
A quelle parole, il Conte sorrise sarcastico, riportando gli occhi sulla giovane che ora teneva scoperti i seni. Puntò gli occhi cangianti in quelli grigi e senz’anima della Sforza  “Non so da dove iniziare per correggervi,Madonna. Prima di tutto, non credo che saremmo stati nulla. Il Santo Padre non vi riteneva alla mia altezza, il matrimonio con Beatrice è avvenuto solo posteriormente a questa decisione. Senza contare che non siamo affatto simili.” Portò una mano sul petto di Caterina, stringendo i due lembi della veste nel pugno, per chiuderla “Io quello che voglio me lo prendo. Non uso simili meccanismi.”
La ragazza rise, prendendolo per il polso. “Una donna usa i suoi strumenti così come fa l’uomo. Volete che vi minacci con una spada? So fare anche questo, sicuramente meglio di vostra moglie.”
“Voi non la conoscete affatto mia moglie, e così deve essere.” La strattonò, tirandola più vicina per sussurrarle con tono intimidatorio direttamente nel viso. Aveva perso il sorrisetto che lo caratterizzava ed era tornato serio, glaciale. Caterina non si faceva intimidire facilmente, ma lui ci riusciva assai bene anche con lei “Aborro i traditori e le spie, anche se li ritengo utili. Voi mi fate schifo, Madonna.” Lo disse con semplicità, sembrando al contempo molto crudele “Vi conviene continuare ad aprire le gambe con Alfondo d’Este. Otterrete più risultati. Tenetevi lontano da me e di più da mia moglie o invierò a Modena un sacchetto con dentro la vostra testa.” La spinse via, contro il muro di pietra del palazzo e le si strinse addosso la veste, guardandolo ferita per quel rifiuto “Ora tornate da vostro marito, o capirà che donna facile siete. I miei ossequi.”
La lasciò lì, nel corridoio, mentre la voglia di strappare il cuore ancora pulsante di Beatrice si faceva più  forte. Una cosa l’aveva capita da quel fatidico incontro: Riario era davvero un uomo retto, così come dava a vedere, e teneva molto a Beatrice.
Quando la moglie diventa il punto di debolezza di un uomo, invece che la sua forza, la si può sfruttare in molti modi diversi.
Sorrise, mentre un’idea le balenava in mente. Allacciò velocemente la veste “Sì, credo che tornerò a Modena” asserì, prima di percorrere il corridoio, invadendolo con una risata del tutto priva di colore.
 

 

***

 
 

A Forlì, Riario diede la felice notizia a sua moglie: sarebbe partito per Roma e non sapeva quanto si sarebbe trattenuto. Il Papa aveva richiesto la sua presenza per motivi di ordine amministrativo, ma lei, se lo desiderava, poteva trattenersi alla Rocca di Ravaldino insieme a Tommaso Feo e alla sua famiglia. Feo era stato nominato custode del castello, mentre a Baldi, il vecchio servitore di villa Orsini, Girolamo aveva affidato la Rocca di Imola nell’attesa di un valido sostituto di quel traditore di Simonetta.
Naturalmente Beatrice scelse di non lasciare Forlì.
Riario si trattenne solo la prima sera, decidendo di partire la mattina successiva. Tra i due sposi non vi era la solita complicità, gli sguardi fugaci né le battute di Madonna de’Medici e ciò mise in allarme l’intera corte. Nessuno dei due sembrava dell’umore per chiacchiere, durante la cena, e si ritirarono tutti presto.
La mattina, Beatrice si destò comunque per augurare una buona partenza al marito. Lo aiutò ad infilare la giubba leggera di cotone, prima di scostarsi, stringendosi di più addosso la vestaglia da notte. Sentiva freddo tra quegli umidi muri di pietra, nonostante fosse luglio inoltrato.
“Starò via al massimo una settimana, forse due se il Santo Padre lo richiederà.” La voce del Conte era arrochita dal sonno. Soppresse uno sbadiglio contro al pugno chiuso, prima di recuperare gli occhialini, pronto per la cavalcata. “Vi invierò mie notizie non appena arrivo.” Si chinò per baciarla, ma lei voltò il viso. In un sospiro si scostò, andando verso la porta. Non riuscì ad uscire. Tornò indietro, fronteggiandola “Credete che otterrete qualcosa, con questo atteggiamento?”
Beatrice non si fece intimidire “Non voglio nulla da voi, visto che nulla avete da offrirmi.”
“Vi ho riempita di ogni comodità da quando v’ho sposata. Sono arrivato a dichiarare sentimenti che mai prima avevo detto ad alta voce, quando il mio solo onere è quello di tenervi nelle mie terre.” Fece una pausa “Quindi? Volete dirvi cosa vi prende?”
“Mi prende, Conte, che ve ne andate. Non abbiamo più toccato quell’argomento, lasciandolo in sospeso.”
Riario iniziava a perdere la pazienza. Credeva di essere ormai allenato a stringere i denti, scoppiando solo se necessario, ma quella donna sembrava allenarsi notte e giorno per trovare nuovi modi per tediarlo. Mercuri aveva ragione, le donne portavano solo guai e mal di testa. “Voi ve ne siete andate, quella notte. Io vi ho detto la verità e voi invece che apprezzarlo avete-”
“Apprezzarlo?! Come potevo apprezzarlo? Mi avete detto che m’avete sposata solo per tenermi controllata.” La voce le si spezzò, ma non abbassò lo sguardo. Quella ferita ce ne avrebbe messo molto di tempo a rimarginarsi “Vorrei che voi aveste un cuore, Conte, solo per sentire quanto dolore porta quando si spezza.”
Girolamo fu tentato di prenderla e stringerla a sé, ma se lo impedì. Non era il caso di lasciarsi andare in simili esternazioni di debolezza. Prese il cappello e lo indossò “Ora devo andare ad assolvere i miei obblighi. Quando tornerò, ne riparleremo.”
Beatrice sorrise amaramente “I vostri obblighi verso vostro zio sono più importanti che quelli verso di me, ovviamente.”
“Egli  è il Santo Padre.” Disse ovvio Riario.“Devo rendergli sempre grazie per avermi reso ciò che sono. Un soldato di Dio”
“No, siete solo un lacchè del Papa!”
Uno schiaffo, forte, infranse l’aria. Beatrice, che non si aspettava di venir colpita, cadde sul pavimento battendo il fianco sulle mattonelle marmoree. Tenne gli occhi sgranati, mentre portava una mano alla guancia colpita che bruciava sotto i suoi polpastrelli. Non era il primo schiaffo che il Conte le dava, certo, ma quello era di gran lunga il più forte di tutti. Così potente da farle perdere l’equilibrio.
Lo stesso Girolamo se ne sorprese. Rimase con la mano alzata, ad indicare quel gesto, mentre fissava la moglie riversa davanti a lui, con i capelli scompigliati sul viso.
Si ricompose per primo, passandosi la lingua sulle labbra come soleva fare ogni qualvolta era nervoso. Poi si avvicinò di un passo, sentendosi un mostro. Beatrice aveva sbagliato a parlare, ma lui sapeva benissimo di non essere un marito amoroso. Poteva semplicemente andarsene, ignorarla come faceva con tutti. Allungò una mano, mentre si inginocchiava a terra accanto a lei e le spostò i capelli. Le sarebbe rimasto il segno. “Beatrice…” sussurrò piano, non sapendo nemmeno lui cosa dire. Si sarebbe guardato dal domandare perdono, lei aveva esagerato, ma un senso di colpa nuovo prese piede nel suo animo. la giovane lo stava guardando con gli occhi di un gatto in pericolo, pronto a soffiare e graffiare per salvarsi. Si teneva ancora la guancia, immobile.
Le porse la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei la schiaffeggiò, ritraendo.
Quel gesto bastò a farlo ritornare in sé.
Senza aggiungere altro, il Conte si alzò e uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Rimasta sola, Beatrice liberò le lacrime che tanto pressavano nei suoi occhi.
 
 

 

***

 

 
 
Una volta tornata a Modena, Caterina seppe mascherare assai bene l’assenza dietro ad una banale scusa. Era partita alla volta di Milano, per andare in contro a sua madre che stava venendo in visita nel Ducato Emiliano. La bugia era nata grazie all’incontro del corteo della Sforza con quello di Madonna Landriani.
Erano entrate a Modena insieme e accolte da Ruggero Campi, sposo di Caterina, con un gran sorriso. Il più grande difetto di quell’uomo era proprio quello d’esser eccessivamente buono e fiducioso nel prossimo. Soprattutto nella bella moglie.
Peccato che egli non fosse a conoscenza di una delle verità più vere: anche le rose nascondono l’insidia delle spine.
“Mi siete molto mancata, mia Signora.” L’aveva accompagnata sino agli alloggi della Duchessa, baciandole la mano mentre entravano attorniati da serve che, indaffarate, si sbrigavano a prepararle un catino per lavar via la fatica della cavalcata.
“Anche voi mi siete mancato, adorato Ruggero.” Aveva risposto con voce soave Caterina, sorridendo con  gioia, ripensando al mondo in cui stava facendo fesso il marito. “Attendete che mi sia rinfrescata e potremo parlare un poco degli affari che avete sbrigato in mia assenza.”
“Certamente, Caterina, vi attendo con ansia nei miei studi.” Uscì dalla stanza e nello stesso istante in cui la porta si agganciò, la ragazza perse il sorriso. Si voltò verso le serve, schioccando le dita affinché la aiutassero a sciogliere i lacci del corsetto. Poi si immerse nel catino, tra li oli profumati, rilassandosi mentre una delle balie di corte le spazzolava i lunghi capelli di un rosso ramato particolare. Unico.
Da bambina, un prete le aveva detto che solo le streghe nascono con quella particolare tonalità e lei si era spaventata parecchio. Ripensandoci, le veniva da sorridere compiaciuta. Persino il suo corpo manifestava la sua natura diabolica e volta alla disobbedienza, persino i capelli e gli occhi di una tinta spenta, grigia e fredda.
Senza bussare, Lucrezia Landriani entrò nella stanza, appoggiandosi all’uscio con espressione maligna. “Uscite, tutte.” Intimò alle tre serve, che si sbrigarono a obbedire a quell’ordine “Mia dolce Caterina, figlia mia prediletta…” prese la spazzola da sopra al comò, prendendo poi posto sullo sgabello dietro alla giovane che non si era scomodata manco ad aprire gli occhi.
“Non siete mai stata così gentile con me nemmeno quando ero ancora in fasce.” Commentò priva di colore, stirando una gamba fuori dall’acqua. “Cosa cercate?”
“Nulla, mia cara.” Commentò la donna, fingendosi una madre apprensiva “Semplicemente mi chiedevo cosa aveste scoperto alla corte degli Estensi.” Sussurrò piano, quasi temesse di venir ascoltata “Hai deciso di portare a termine il nostro piano, spero.”
“Il mio.” Sottolineò la giovane Sforza, voltandosi verso la madre per fulminarla “Il mio piano, ricordatevi di questo dettaglio.” Tornò a ricomporsi, mentre Lucrezia ingoiava l’ennesimo rospo. Erano molti i soprusi subiti da quando sua figlia si era sposata col Duca di Modena. La Landriani ambiva a Roma, e sapeva che solo un matrimonio tra sua figlia Caterina e il Conte Riario l’avrebbe portata fin la. Le parole che uscirono dalle labbra rosee della figlia le fecero gelare il sangue “Il piano  è cambiato, madre.”
“Cambiato? Perché cambiato?!”
Di principio, doveva solo avvicinare Riario e convincerlo a sposarla. Che fosse con o senza benedizione papale, l’importanza era poca. Sarebbe divenuta Contessa.
“Il Conte si è sposato un mese e mezzo fa con una Medici, ecco perché.” Caterina lo disse con disprezzo.
La madre sbuffò “Si, lo sapevo. Tuo padre ne parlava con mio marito, l’altra sera alla cena presso il palazzo dei Visconti.”
Caterina si voltò di scatto, buttando dell’acqua a terra e sulla veste della madre “Mi avete taciuto una simile notizia?!”
“Come se essa ti avrebbe mai fermato! Caterina stai ferma, bestia di figlia!” Madonna Landriani si alzò di scatto, prendendo una pezza e tentando di asciugare il pregiato tessuto toscano di cui era composto il suo abito. “Immagino che il piano sia solo cambiato, o sbaglio?”
“Naturalmente.” La rossa uscì dalla vasca, avvolgendosi in una stola di seta grezza. Andò alla specchiera e la si sedette, sistemandosi le ciocche mosse e vaporose “Non ci è voluto molto per decidere.”
Lucrezia sorrise maligna, nello stesso modo della figlia. Le si avvicinò, appoggiandole le mani sulle spalle “Illuminami, quindi.”
“Si terrà una grande battaglia, presto.” La Sforza guardò la madre nel riflesso della specchiera, guardandola negli occhi “Qualcosa mi dice che la povera Beatrice non sopravvivrà alla giornata. Quale sventura, per il Conte, perdere una moglie così giovane!” rise, afferrando un paio di orecchini e indossandoli “Qualcuno dovrà colmare quel vuoto…”
Con un ultimo sguardo ricolmo di orgoglio, Lucrezia prese una spilla a forma di farfalla da una piccola ceste, sistemandole i capelli dietro al capo.  “Presto potrai lasciarti alle spalle questo sciocco nobile di bassa categoria e ambire ai vertici della società. Sei nata per diventare grande, Caterina”
Che la crudeltà fosse di famiglia era risaputo. Tanto quanto l’ambizione.
 
 
 
 

***

 
 
 
Ezio Brancacci aveva avuto poche occasioni di vagare per la Rocca di Ravaldino da solo, nonostante fosse stato messo di istanza proprio lì. Non si aspettava di certo una promozione, ma vederla arrivare seppur così all’improvviso l’aveva riempito di gioia. Era il Capitano delle Guardie Armate della Rocca, ciò gli permetteva non solo un alloggio caldo e privato nel castello, ma anche di frequentare Madonna de’Medici.
S’era accorto d’essersi infatuato della donna solo dopo averla rivista nel cortile interno e aver scambiato con lei un paio di discorsi assai filosofici.
Non era solo bella e pericolosa come un’alba invernale, era anche erudita e raffinata come le nobildonne dei racconti fantastici. Ed era proibita. Forse era questo a renderla così perfetta, a darle quell’attributo in più che la elevava al di sopra di ogni altra donna che egli avrebbe mai potuto incontrare.
Era certo che era stata lei a richiedere i suoi servigi, a promuoverlo da semplice generale di fanteria a Capitano del castello. Aveva desiderato dispensare i suoi ringraziamenti di persona, ma la nobildonna era a Ferrara. Una volta tornata, l’ostacolo era diventato il marito, che pareva fortemente irritato dal Signore solo sa cosa. Aveva quindi accuratamente evitato ogni gesto o occhiata troppo indiscreta, visto che era risaputo cosa era accaduto a Ottaviani. Alle orecchie ci teneva, non intendeva sfidare un simile uomo, privo di ogni scrupolo.
Quando aveva appreso della partenza del Conte era rimasto piacevolmente colpito. Si era preparato per la cena con maggior perizia, indossando la giubba rossa delle Guardie della Rocca e cercando almeno in parte di domare i ricci biondi e vagamente leonini. Poi era sceso a cena, sperando di trovarla.
Con sua grande sorpresa, l’aveva trovata completamente sola al grande tavolo, mentre Zita le serviva un bicchiere di vino. Anche lei parve sorpresa di vederlo “Oh, Brancacci.” Disse con un sorriso, facendo cenno alla serva di apparecchiargli il posto alla sua destra, visto che sedeva a capotavola “Credevo d’esser sola, stasera.”
“Buonasera, Madonna. Dove sono tutti?” domandò stranito il Capitano, prendendo posto mentre l’abissina sistemava con cura le posate e un calice davanti a lui.
“Non avete mangiato le quaglie, a pranzo?” domandò divertita “A quanto pare vi era qualcosa, nel ripieno, che ha sortito un brutto effetto a tutti. Camilla è a letto da oggi alle quattro, Tommaso Feo, il custode della Rocca, mi ha avvisato che avrebbe consumato un brodino caldo nelle sue stanze con la moglie…. Il Capitano Walmar invece è stato molto più esplicito, inviandomi un messaggio tramite un servo in cui descriveva gli acuti dolori intestinali di cui  è vittima.”
Ezio cercò di non ridere “Sono felice di disprezzare apertamente il pollame e qualsivoglia volatile, allora. Nemmeno voi l’avete mangiato?”
“Non ho molto appetito, in questi. Grazie Zita.” La serva le sorrise, mentre versava del vino per l’uomo.
Brancacci la guardò ammirato, per il modo che aveva di trattare con cordialità quella che in fin dei conti era solo una schiava. “Spero che qualcosa non vi turbi, Madonna.”
Beatrice prese il coltello, affettando piano una fetta di carne che colò un poco di sangue “Niente di rilevante. Sono felice che vi siate unito a me, hanno cucinato per dieci persone e io da sola mi sarei sentita un’ingrata a rimandare tutto nelle cucine!”
Il Capitano si servì, iniziando a mangiare in silenzio. Cercò di intavolare un discorso sensato, evitando accuratamente le eccessive lusinghe alla ragazza per non metterla in difficoltà. Parlarono a lungo della battaglia che l’aveva vista protagonista e più disquisivano, più lui si stupiva delle sue competenze in campo bellico.
“Siete proprio la sorella del Magnifico.” Disse di punto in bianco, non pesando bene le parole “Siete una donna di straordinaria astuzia, oltre che di impareggiabile bellezza, Madonna de’Medici.” La guardò pulirsi la bocca con un tovagliolo, prima di capire che forse aveva esagerato. “Perdonate la mia sfrontatezza.”
“A ogni donna piacciono i complimenti, non preoccupatevi.”
La cena si concluse in un lasso di tempo troppo breve, per il gusto del soldato. Appena Madonna Beatrice si alzò lo fece anche lui, come da tradizione, per salutarla e darle la buona notte.
Lei però non pareva aver fretta. Si sistemò le maniche larghe del vestito “Volete farmi compagnia per qualche minuto, prima di ritirarvi?” domandò gentile.
Lui sorrise, forse troppo “Mi farebbe molto piacere, Madonna.”
Beatrice fece strada fino al salone in pietra nel quale si trovava la biblioteca della Rocca. Non era ricca come quella di Imola e nemmeno si avvicinava a quella di villa Orsini, ma la Signora del castello stava lavorando anche su quella mancanza.
Brancacci si guardò attorno, mentre Beatrice lo invitava verso la zona centrale della gran sala. Disposto in modo circolare attorno a quello che doveva essere un focolare incassato nella pavimentazione a mosaico, vi erano quattro divani. Beatrice si mise sul piano, mugugnando mentre alzava le gambe su di esso e sistemava la gonna sulle gambe.
Ad Ezio non sfuggì questo dettaglio “State bene, mia Signora?” domandò, mettendosi accanto a lei.
La giovane annuì “Si certo, nulla di che.” L’uomo non sembrava persuaso, così ella aggiunse “Ho urtato un comò col fianco, oggi. Niente di rilevante, Brancacci.”
L’arciere si decise ad insistere, anche se pareva titubante “Io non sono un uomo di vostro marito, Madonna. Non più. Ora servo voi e se voleste confidarmi qualcosa, il Conte non lo verrà mai a saperlo.” Allungò una mano fino al viso della Contessa, scostandole i capelli scuri, che nella penombra della stanza parevano neri come la pace “Ho notato questo livido che tenete sulla guancia. Avete provato a nasconderlo con della terra di Cipro, ma si vede ancora nonostante questo femmineo stratagemma.”
Beatrice non sapeva come sentirsi, se umiliata per la pietà o domandargli di andarsene. Si militò a rimanere in silenzio, scostandosi dalla mano dell’uomo che aveva preso ad accarezzarle la mascella con due nocche.
Lui sospirò, affranto “Perché subite tutto questo, Madonna? Voi siete forte, vi ho visto combattere e conosco la vostra tenacia.”
“Una donna come me è in una posizione molto delicata, messere Brancacci.” Beatrice tirò un sorriso stanca, tenendo gli occhi bassi sul focolare spento “In bilico su di una fune di cui non si vede ne capo ne cosa. Se oscillo troppo rischio di cadere.”
“Se lo temete così tanto, allora lasciatelo. Se tornate a Firenze, di certo vostro fratello non vi negherà ausilio.”
“E scatenare così una guerra? Mai arrischierei la mia bella Firenze per un capriccio.”
Il biondo scosse il capo, facendo oscillare i sottili ricci dorati “Capricci? Quest’uomo, se così possiamo definirlo, vi picchia. Lo servo da quando ho diciassette anni, Madonna. Ora che ne ho ventinove posso narrarvi cose che ha fatto e che io stesso ho visto con codesti occhi che potrebbero farvi inorridire.” Fece una pausa, sperando di non aver calcato troppo la mano. Gli capitava troppo spesso, con Madonna de’Medici. Si sistemò più vicino al braccio, accanto alla giovane che s’era rimessa seduta. Appoggiò una mano sulle sue, mentre la ragazza se le stava torturando per l’angoscia quel discorso le provocava. Le appesantiva l’anima “Io posso aiutarvi, se me lo chiedete.” Si interruppe, portando la mano libera verso la guancia sana di Beatrice, accarezzandola con dolcezza “Possiamo andarcene insieme, se lo desiderate.”
La Contessa non seppe cosa rispondere, poiché il viso dell’uomo era troppo vicino al suo. Lo guardò con il panico nello sguardo, mentre lui accorciava sempre di più la distanza fra le loro bocche. Prima che potesse appoggiare le labbra sulle sue, strappò la mano dalla presa di Ezio e lo sospinse via. “No.” Disse chiaramente, prima di alzarsi per prendere le distanze. Girò attorno al divano. “Credo che dovreste andarvene, Brancacci. S’è fatto tardi.”
L’uomo non attese nessun’altra esortazione. Si alzò con una sbrigativa riverenza, prima di uscire dal salone chiudendosi la porta alle spalle. Beatrice si rimise seduta, portando una mano alle tempie.
Quel discorso l’aveva fatta riflettere, certo, ma era più allacciata alle su convinzioni che mai.
Nonostante Girolamo la ferisse, lei lo amava.
…. Ed era esattamente dove doveva essere.
 
 
 
 

 Continua




 

Nda:
Buonasera a tutti quanti!
Domani è già luglio e io sono piena di esami….. Ah! La sessione estiva!
Se tutto va bene, aggiornerò col capitolo 13 mercoledì sera o al più tardi giovedì!
Scusatemi , ma sono oberata di cose da fare.
Nel frattempo, spero che abbia apprezzato questo! Caterina da il meglio di sé.
È un pelo distorta, lo ammetto, storicamente non credo fosse così scellerata  - o forse sì, chissà- ma mi sono chiesta: se i miei protagonisti sono già di per sé i cattivi, allora chi sono i cattivi dei cattivi?
Caterina Sforza e Rodrigo Borgia capitano a fagiolo e ce li ritroveremo anche più avanti.
Domandina, che ne pensate di Ezio Brancacci? Secondo voi come finirà la sua infatuazione per Beatrice?
 
Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo, il particolare chi recensisce ovvero: Yoan, Eagle, RLandH, Nika deep e Lechatvert <3
Grazie anche a chi mi segue silenziosamente, tenendo la storia fra preferiti e seguite^^
Se volete darmi anche voi un parere,  è sempre ben accetto :D

Infine, un enorme GRAZIE a Yoan per la betatura efficiente** 
 
Un abbraccio
J. 

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Capitolo 13
*** Parte XIII: La Condanna. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo tredici.
Rating: Arancione.
Betareader:Lechatvert
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 

 
 
 
 

 
 
Parte XIII: La Condanna.
 
 
 
Giuliano non si era mai avventurato per quelle terre, ma le trovava a loro modo affascinanti. Lunghe distese pianeggianti che, alle volte, gli ricordavano la toscana pur avendo qualcosa di totalmente diverso.
Ovunque campi coltivati, alberi in frutto e sentieri sterrati.
Certo, si notava che erano terre assai povere, rispetto alla Repubblica di Firenze; vi erano moltissimi piccoli villaggi, composti anche solo da sei o sette casupole, lontani dalle città fortificate e quindi privi di protezione spuntavano come funghi man mano che avanza insieme alla delegazione fiorentina.
Giuliano si rese conto di essere uscito dai confini di Faenza – i Malaspina erano alleati di Roma, ma sempre ben disposti verso la sua famiglia- ed essere entrato in quelli di Forlì quando, arrivato nei pressi di un crinale collinoso, trovò almeno sette uomini impiccati agli alberi, al margine del sentiero scosceso.
I metodi di Riario non erano cambiati, dopo le nozze con sua sorella. Non che ci sperasse, certo, ma quella sembrava un’ostentazione di crudeltà più che il punire chissà quale crimine. Sempre che vi fosse un crimine peggior del non dare per errore il buongiorno al Conte, al mercato cittadino. Si sarebbe ricordato di chiedere il perché di quei corpi penzolanti, una volta arrivato alla cittadina.
Avvistarono le mura che ormai stava tramontando il sole, visibile solo a metà oltre la fascia dell’orizzonte. Nonostante il viaggio non eccessivamente lungo, ci aveva impiegato quasi tutta la mattina a convincere Lorenzo che non stava facendo una sciocchezza, dettata dall’avventatezza.
Strinse le briglie in mano, al solo pensiero di ciò che avrebbe trovato in quella Rocca: una cupa, fredda dimora, come quella dei Re antichi. Riario e il suo sorrisetto insopportabile, che tanto Giuliano bramava strappargli via del grugno a suon di cazzotti. Servitù dagli occhi spenti e ninnoli d’oro che non potevano compensare la mancanza di vita. Poi sua sorella…. Sicuramente triste, invecchiata di anni nonostante la sua giovane età, prigioniera di una realtà che s’era stupidamente andata a cercare.
Non credeva ad una singola parola di Francesco de’ Pazzi, che aveva gentilmente interrogato qualche giorno prima riguardo le condizioni di Beatrice. Non credeva nemmeno a Bianca quando aveva parlato di una carica ufficiale della piccola di famiglia e che ella stessa avesse affermato di star bene. D’essere addirittura felice.
Era impossibile.
Scambiò uno sguardo con i due uomini posti ai suoi lati. Il primo, a sinistra, era Becchi; pareva parecchio affaticato dalla cavalcata e stava giusto portando un fazzoletto alla fronte imperlata di sudore. Bertino, che era stato incaricato da Dragonetti per fungere da scorta insieme ad altri quattro uomini,fissava dubbioso il maestoso portone che conduceva dentro Forlì.
“Dite che ci faranno entrare, mio Signore?”
Giuliano sospirò. “Sono pur sempre il fratello della Contessa di queste terre.”
Becchi storse il naso “Sapete quale è il modo preferito di dire, a Roma?” attese un cenno dal giovane alla sua destra, prima di ultimare la frase “Una donna quando cambia casa, cambia famiglia.”
“Beatrice sarà felice di vedermi.” Giuliano spronò risoluto il suo cavallo, lanciandosi lungo la collina per poi arrivare a destinazione. In fretta, il resto del corteo si sbrigò a seguirlo.
Una guardia, posta in una delle guardiole sopra al portone, si sporse per guardarlo, sistemandosi il colletto della giubba rossa. “Al tramonto si chiudono le porte della città, miei Signori” disse divertito “Cosa vi porta ad attardarvi presso questa corte?”
“Io sono Giuliano de’ Medici, fratello della Contessa Beatrice.” Affermò il giovane ragazzo, con voce sicura e piena di coraggiosa grinta “Esigo conferire con la vostra Signora!”
“Calma, calma. Rilassatevi.” L’uomo gli fece segno di tenere a freno l’entusiasmo, prima di voltarsi e chiamare qualcuno dall’altra parte del muro “Cattellani! Cattellani! C’è da aprire le mura! Abbiamo un Medici alle porte!”
“Davvero mi ha detto di rilassarmi?” domandò spaesato e al tempo stesso irritato Giuliano, rivolto verso Becchi “Dove siamo finiti? Qui tutti si prendono questa libertà o quella vedetta è ubriaca?”
“Qui siamo persone semplici, mio Signore” rispose l’uomo, appoggiato con gli avambracci ad uno dei merli del possente muro “Non voglio mancar di rispetto a voi e alla vostra grande città, ma qui si da il rispetto solo a chi lo merita”
“O chi se lo prende con la lama.” Un altro uomo apparve dietro alle porte della città, facendo una piccola riverenza verso la compagnia fiorentina “Vi prego di seguirmi, vi condurrò alla Rocca di Ravaldino.” La vedetta fece loro un cenno di saluto, prima di sparire dentro alla guardiola. Decisamente, Forlì era una città pittoresca quanto folle.
Giuliano si aspettava un luogo privo di calore, con strade luride e visi spaventati alle finestre o a spiarli dagli usci. In realtà, si trovò innanzi ad uno spaccato di vita cittadina molto variopinto. Le strade erano ancora piene di persone che passeggiavano, chiudevano le botteghe o chiacchieravano fra loro, ridendo di cuore o sussurrando pettegolezzi. Senza contare che Forlì era particolarmente colorata, piena di case stuccate di bianco, vie ordinate e ricche di alberelli e piante da fiore. Di tanto in tanto, appesi alle finestre o ai muri delle sedi pubbliche, vi erano gli arazzi che ritraevano i blasoni delle famiglie Riario e de’ Medici unite. Vedendoli, Giuliano provò una lieve sensazione di nausea.
“Il Conte Riario cura molto la città.” Disse Becchi, dando voce ai pensieri dei giovane de’ Medici. Passarono davanti ad un convento, che sembrava ancora nel pieno dei lavori. Un paio di uomini portavano dentro barili contenente colori, mentre un artista parlava di come avrebbe affrescato la cappella maggiore “Per quanto la sua Signoria sia arrivata da poco, pare voglia costruire una nuova Roma, qua.”
La guardia si voltò di tre quarti, senza smettere di camminare con passo rapido, conducendo i sette uomini a cavallo “Il Conte ha predisposto moltissimi lavori, il giorno stesso in cui ha conquistato la Rocca” disse un poco ansante, mentre arrivavano innanzi al levatoio che, con un solo cenno, venne calato innanzi a loro permettendo così alla delegazione di passare. “Ma  è la Contessa a tenere di conto e a giostrare ogni cosa. Lei è la Signora della città di Forlì, la Reggente.”
Giuliano scese da cavallo, guardando disorientato quel ragazzo. Un paio di valletti accorsero a portare i cavalli nelle stalle “Avete detto che Beatrice è la Reggente di Forlì?”
La guardia annuì, ma non rispose. Beh, ci provò, ma una voce arrivò alle orecchie di Medici prima che Cattellani potesse dare ulteriori delucidazioni “Ebbene sì, Madonna de’ Medici è colei che detiene le redini di questo modesto Ducato.” Sulle scale che conducevano agli alloggi padronali vi era un uomo. Alto, con spalle ampie e l’aria di chi ha dei gradi militari non da poco nonostante la giovane età. I capelli biondissimi erano spettinati sul capo, ricci e irti in modo armonioso. Scese, facendo una piccola riverenza, prima di congedare Cattellani affinché tornasse alle sue mansioni alle mura. Poi inviò un altro ragazzo dentro al castello, sussurrandogli qualcosa. “Io sono Ezio Brancacci, capo della Guardia della Rocca di Ravaldino.”spiegò con riguardo, inchinando il capo con rispetto “Do il benvenuto a Lor Signoria.”
Giuliano fece un paio di passi nel cortile, col naso puntato verso l’alto, mentre Becchi parlava con Brancacci riguardo i motivi del loro viaggio. Ancora gli pareva assurdo che quel posto sembrasse tanto bello. Si era aspettato un vecchio castello, con una gogna nell’angolo ed erbacce incolte che crescevano su scheletri innocenti. Invece no, si era sbagliato di nuovo. Il cortile interno era ben curato, le guardie attente ma allo stesso tempo gioviali.
Quel luogo non poteva essere davvero così allegro come sembrava.
 
 

Beatrice se ne stava seduta dietro al suo scrittoio, in biblioteca, col capo chino su scartoffie che all’apparenza sembravano meno noiose di quanto in realtà fossero. Aveva passato il pomeriggio al palazzo di giustizia, sentendo discutere due giovani riguardo un’eredità mal gestita, e si era ritrovata a dover prendere lei la decisione di chi dovesse risarcire chi e di quanto. Aveva chiesto un paio di giorni per meditarci su, iniziando subito. Per come quegli scudi erano stati gestiti, forse era meglio che entrambi i giovani uomini trovassero un’occupazione redditizia. Non avrebbero mantenuto certi vizietti litigando tra loro.
Un bussare leggero le fece perdere la concentrazione. “Avanti, entrate.” Disse, appoggiando la penna dentro al calamaio e attendendo. Una delle guardie, si affacciò “Buonasera, mia Signora. Mi duole molto disturbarvi, ma avete delle visite.”
La mora si alzò, appoggiando una mano sull’elsa della spada mentre, a grande falcate, lo raggiungeva. Sorrise “Chi è venuto a trovarci, Oliveri?”
“A quanto ho capito, Contessa,  è una delegazione dalla vostra Firenze.” Rispose lui, ossequioso, eppur ben felice nel vedere un gran sorriso aprirsi sul volto della padrona di casa.
Beatrice non disse più nulla. Emise un leggero squittio, affrettando il passo quando più le fu possibile senza correre. Ezio aveva portato gli ospiti nel salone principale, come da protocollo. Lì trovò due persone che le erano mancate come l’aria.
Entrando da una delle porte laterali si trovò innanzi, a circa sei metri di distanza, Giuliano e Becchi, mentre Bertino sostava con qualche guardia dietro di loro.
Beatrice sentì gli occhi farsi lucidi, mentre si sbrigava a raggiungerli. Il piccolo tacchetto degli stivalacci da cavalcata riecheggiò per il grande salone, rivelando la sua presenza. In un istante, Giuliano le fu addosso. La strinse in un grande abbraccio, sollevandola da terra e girando su se stesso.
Risero entrambi.
Non avevano bisogno di dirsi molto altro, dopotutto. Dovevano solo sentirsi uno la presenza dall’altro, vicini come non lo erano stati per quella manciata di mesi che erano parsi anni. “Mia amata sorella.” Giuliano la rimise a terra, appoggiandole le mani sulle spalle per poterla guardare. S’era aspettato di vederla triste, magari anche smagrita a causa del cordoglio per aver lasciato Firenze. Invece no, era bella esattamente come la ricordava. Sembrava più grande, più donna, ma in una connotazione prettamente positiva. La pelle aveva il solito colorito chiaro, come la porcellana che veniva importata dall’oriente, ma brillava. Gli occhi erano pieni di vita, azzurri e perfetti come li ricordava. I capelli, acconciati sul capo, parevano essersi allungati parecchio. Non indossava un tetro vestito scuro, come s’era immaginato, ma un paio di braghe marroni, così come gli stivali di pelle e i corsetto, posto sopra ad una camicia bianca dalle maniche a sbuffo. Alla cintola teneva una spada che egli conosceva assai bene e si ritrovò parecchio stupito nel rivederla. Era convinto che Riario gliela avesse tolta. “Sei bellissima.”
“Anche tu lo sei, Giuliano.” Gli prese il viso tra le mani, baciandolo sulla fronte. Sembrava anche più alta di prima. Era cresciuta sotto ogni aspetto, probabilmente anche caratteriale.
“Sembrate più una combattente, che una Contessa, Beatrice.” Anche Becchi venne abbracciato a lungo, mentre la giovane si sentiva improvvisamente a casa.
“Portate delle sedute” disse, alla volta di Brancacci. “Io sono un’autentica guerriera, Becchi” rispose divertita, andando a sedersi sulla sua sedia avvolta dal velluto. Accavallò le gambe, prima di allargare le braccia come per voler abbracciare tutta la stanza “ Benvenuti nelle mie terre, fiorentini” disse divertita, prima di sorridere con dolcezza “Mi avete resa così felice, con questa inaspettata visita. Da tempo desideravo invitare voi e Lorenzo qui, ma sistemare la città sta richiedendo parecchio tempo. Abbiamo rialzato le mura crollate in un mese, solo l’altro ieri il lavoro si è considerato concluso.”
“Siamo felici di sentirtelo dire, Beatrice” le disse Becchi, mentre nella sua testa si domandava come poteva rivolgersi alla ragazza; non era più la bambina che lui stesso aveva in parte cresciuto, era una Contessa e sembrava godere della benevolenza del suo popolo. Piero e Cosimo sarebbero stati davvero orgogliosi di lei “In verità, la nostra è una comparsata più che altro formale.”
La Signora della Rocca aggrottò le sopracciglia, “Ah si? Quindi avete ricevuto questo incarico da Lorenzo?” la cosa un po’ la ferì, ma non aveva ancora ben capito a cosa alludesse Gentile Becchi.
Giuliano si intromise, “Io sono felice d’esser qui. Desideravo venire a trovarti anche ad Imola, ma nostro fratello non lo riteneva saggio.” Le sorrise e, vedendosi ricambiato, si calmò. Era sempre la sua piccola Beatrice, ne era certo “Tuo marito? Dovremmo parlare anche con lui, temo.”
“Girolamo non è qui” rispose la mora, mentre un paio di serve portavano un tavolo e qualche cesto contente crostini di pane arabo e frutta.
Il fratello la guardò confuso. Innanzi tutto, per il modo in cui lei aveva chiamato il marito, con un naturale quanto intimo ‘Girolamo’. Come se vi fosse un rapporto stretto tra i due che andasse oltre il matrimonio combinato. La cosa non gli piacque affatto. “Dove sarebbe?”
“Il Papa l’ha richiamato a Roma, non so quando tornerà anche se ormai sono due settimane che è partito.”
Becchi prese un calice ricolmo di acqua fresca e la bevve, mentre ascoltava Beatrice. Per poco si strozzò, a quell’ultima affermazione “A chi ha lasciato la città? Chi è che la amministra per lui?”
La Contessa inclinò il capo, iniziando seriamente a pensare che forse tra lei e i suoi ospiti vi fossero dei malintesi “Credevo lo sapeste” disse pensierosa, prima di incrociare le braccia sul ventre “Io amministro la città. Il Conte in persona mi ha nominata Reggente.”
Giuliano boccheggiò senza fiato, mettendoci più del dovuto per trovare le parole giuste “Ti ha lasciato questo incarico da sola?! Beatrice, i governanti studiano per anni e anni come amministrare un Ducato o una Repubblica!”
La ragazza non sapeva se ritenersi offesa per la scarsa fiducia o se ritenere solo il fratello un po’ troppo allarmista “Ho vissuto a stretto contatto col Magnifico tutta la vita. Non sono una sprovveduta! Ho un cervello pensante e un marito che è una mente molto tattica. Mi insegna lui come comportarmi.”
Quest’ultima affermazione spiazzò del tutto il fratello maggiore “Ah, bene. Vi ha insegnato lui ad impiccare le persone lungo le vie principali?”
Beatrice sospirò. Non poteva dar torto al fratello, dopotutto quella era la reazione che aveva sempre avuto anche lei innanzi a tali atti “Quella è la punizione per i briganti. Quegli uomini hanno saccheggiato un gruppetto di case di contadini, uccidendo tre uomini e violentando le donne e le giovani figlie. Abbiamo solo…. Inviato un messaggio.”
“Inviato un messaggio?” Giuliano non poteva davvero crederci “Ti senti quando parli? Sembri lui!”
Ezio fece un passo avanti, come se si aspettasse l’ordine di scortare fuori la delegazione fiorentina. L’aria iniziò a farsi pesante, ma un ceno di Beatrice riportò l’ordine “Non so di cosa parli, Giuliano. Ora, vi prego, ditemi perché questo incontro è ufficiale, Becchi. Fatelo con chiarezza.” Se sentì stanca, improvvisamente, attaccata dal fratello e incompresa dal vecchio precettore. Senza motivi, tra l’altro. Era una buona guida per Forlì, nonostante ancora lontana dall’essere annoverata come grande Signora, aveva iniziato bene la sua reggenza.
Becchi parve comprenderla, così intenerì il tono “Lorenzo chiede un’alleanza di tipo commerciale.” Spiegò, appoggiando il calice sul vassoio della serva accanto a lui “Vorremo comprare un po’ del frumento che questa terra produce. È conosciuta in tutta Italia, la grande produzione di farina che i romagnoli hanno ogni anno.”
Beatrice si chiese se fosse vero, nel dubbio annuì “Scriverò al Conte, chiedendo anche lui se la cosa è fattibile. Questa è una decisione che non mi sento di prendere sa sola.” Si alzò in piedi, immediatamente imitata da Giuliano e Becchi “Ora, Zita vi condurrà nei nostri alloggi più belli.” L’abissina annuì alla richiesta. “Così potrete rinfrescarvi, prima di vederci di nuovo a cena. Se avete richieste, non esitate a farle alla servitù. Provvederanno a tutto. La mia casa è anche la vostra, così sarà sempre.”
“Lo stesso vale per Firenze.” Ammise infine Giuliano “Per me sarai sempre mia sorella, anche se ora ti chiamano Contessa.”
Beatrice gli sorrise, scendendo i tre gradini e baciandolo sulla guancia, “Ti vorrò sempre più bene che ad ogni altro. Ora vai, puzzi di cavallo.” Prese congedo, per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito a sua volta.
Giuliano la guardò andare via, prima di sospirare con lo sguardo velato di tristezza. Pur sembrando sempre la stessa, Beatrice era cambiata.
Profondamente.
 
 


***

 


 
Girolamo avvertì una brezza leggera, proveniente da est, investirgli il volto, mentre se ne stava appoggiato con i gomiti ad uno dei merli della prima cinta muraglia di Castel Sant’Angelo. Aveva passato gli ultimi sedici giorni a servire Sisto IV in ogni suo capriccio.
Nulla di nuovo, in verità.
Riceveva notizie di sua moglie ogni tre giorni, per lo più erano missive ufficiali dove gli riferiva l’avanzamento dei lavori in città o questioni burocratiche che aveva risolto. Sembrava ancora parecchio in collera con lui e Riario, per quanto ostentasse tranquillità, non riusciva a smettere di pensare al suo volto atterrito, la mattina della partenza per Roma.
Non credeva fosse senso di colpa, dopotutto una donna deve saper stare al suo posto e Beatrice non sembrava aver il senso della misura, ma ne era comunque affranto. Più di quanto credesse possibile, in realtà.
Digrignò i denti, assottigliando gli occhi da dietro le lenti scure degli occhialini, mentre fissava la città immersa nel torpore del mattino. Il sole era sorto da poco, sopra alla residenza papale, e tingeva con colori caldi le pareti in pietra della maggior parte degli edifici, facendoli brillare in particolare quelli più antichi. Piegò il capo in avanti, passando una mano sul collo indolenzito. Aveva passato gran parte del giorno precedente cavalcando da una parte all’altra dell’Urbe per risolvere un paio di problemi di poco conto e, una volta tornato, non era riuscito a trovar sonno. Non aveva dormito affatto, nonostante un decotto alle erbe preparato da una serva e la lettura di un trattato particolarmente noioso sulla lingua latina.
Un suono metallico lo fece quasi sussultare; con una mano portò via gli occhiali dal viso con la mano sinistra, mentre la destra si appoggiava sull’elsa della spada. Con sua  grande sorpresa, si ritrovò in compagnia. “Già alzato, nipote?” con calma, il Papa chiuse la porta che dava al torrione dietro di sé, andando verso Girolamo.
L’uomo fece una piccola riverenza “Santo Padre, buongiorno.”
Sisto appoggiò le mani sul merlo di pietra, sorridendo vittorioso mentre guardava innanzi a sé “Laggiù, Girolamo, sorgerà la più grande cappella che il mondo abbia mai visto. Sarà così gloriosa e splendente da rendere il mio nome immortale! Le genti da ogni parte del mondo verranno per vederla con i propri occhi, meravigliandosi di tanta maestria e bellezza.”
“Come è giusto che sia.” Sussurrò Riario, incrociando le braccia sulla cinta muraria e affondandovi il viso, tenendo fuori solo gli occhi così da poter vedere il luogo che il padre gli indicava, innanzi a loro.
“Hai fatto un buon lavoro.” Asserì il pontefice, senza voltarsi verso di lui “Hai sgomberato le case che invadevano la zona designata per la costruzione della nuova cattedrale in breve tempo.”
“Per me è sempre un onore, servirvi.”
“Hai parlato con Baccio Pontelli?”
Girolamo annuì, raddrizzandosi e portando le mai dietro alla schiena mentre riferiva “Ieri, in serata. Ha già iniziato a disegnare le planimetrie della nuova cappella. Presto, ve le farà avere così che potrete apportare le dovute modifiche, come il gusto vi suggerirà.”
“Molto bene. Per quel che riguarda l’architetto?”
“Giovannino de’ Dolci sarà il supervisore dei lavori, Vostra Santità. Ha detto che intende iniziarli quanto prima possibile. Non appena le demolizioni della fatiscente chiesa che lì sorge ora saranno terminate, getterà le fondamenta per la vostra nuova cappella. Avete già deciso a chi dedicarla?”
“Alla Madonna Assunta in cielo, nipote.”
A Riario non parve di aver null’altro da aggiungere, così tra i due calò un leggero silenzio, mentre entrambi scrutavano la città con pensieri differenti.  Ogni qualvolta Girolamo si trovava in presenza del Santo Padre, non poteva fare a meno di ricordarsi quanto poco valesse per lui. Era suo figlio, ma lo chiamava nipote. Era il capo del suo esercito, ma lo usava come fattorino.
Come non mancava mai di ricordargli, era un bastardo maledettamente fortunato.
“Mi occorre una commissione, Girolamo.”
Il moro riportò gli occhi su di lui, incontrando quelli del pontefice. “Qualunque cosa, Vostra Santità.”
“Devi recarti a Bologna. Ho richiesto personalmente a Giovanni Bentivoglio di concederti un’udienza, per la prossima settimana.” La sua voce era stranamente calma, come se la visione dei suoi possedimenti illuminati dall’aurora mattutina lo mettesse di buon umore “Devi convincerlo che scendere in guerra contro gli Este, in favore dei Campi, non è una saggia decisione.”
Girolamo annuì “Certamente, sarà fatto.” Si umettò le labbra, prima di avanzare a sua volta una richiesta “Vorrei fare ritorno a Forlì, se per Voi non è motivo di dispiacere, Santo Padre. Desidero metter mano ai miei affari, prima di dedicarmi alla guerra che verrà combattuta a breve nel Ducato di Modena.”
Il Papa parve soppesare le parole del Conte, prima di annuire lentamente “E sia. Qui hai finito la tua utilità, per il momento. Porta con te il grosso dell’esercito.” Allungò una mano e subito Riario si inchinò, baciando l’enorme pietra posta sull’anello del pontefice. Mascherò per bene il sollievo, visto che aveva temuto di vederlo infuriarsi “Controlla anche tua moglie, Girolamo. Il sangue che scorre nelle vene di quella troietta fiorentina potrebbe costarti caro, se abbassi la guardia.”
“Credo di poterla gestire assai bene, Santo Padre.”
Con un gesto, il Papa gli concesse il congedo. Riario percorse il breve percorso dal torrione alla caserma in un battito d’ali e lì svegliò Grunwald, che s’era addormentato su di una sedia della piccola guardiola, con un calcio nello stinco. Lo intimò di preparare l’esercito, sarebbero partiti nel giro di un’ora al massimo.
Tornato al suo alloggio si lasciò cadere sul letto, soddisfatto.
Si sarebbe trattenuto a Forlì per un po’, grazie alle guerre degli Este.
Amava Roma, ma nell’ultimo periodo l’aria si era fatta più tesa per quelle parti. Sisto si aspettava sempre di più da lui e Girolamo, per un istante, iniziò a temere il giorno in cui non sarebbe stato più all’altezza dei compiti assegnatogli.
 
 



***

 


Camilla abbassò l’arco, sospirando “Non credo che sarò mai in grado, Beatrice.”
La mora rise, mentre Giuliano cercava di capire dove diavolo fosse finita quella freccia, scoccata da Madonna Colonna. Vicino al bersaglio non ve n’era traccia alcuna “Imparerai. Anche io ero negata, in partenza.”
“Non so se ritenermi più negata con la spada o con l’arco” disse Camilla, mentre guardava il giovane de’ Medici improvvisare una piccola corsetta per recuperare il suo arco, appoggiato contro l’albero sotto il quale era seduto Becchi “Hai detto che ancora non ha trovato sposa, vero?” domandò con malizia.
Beatrice la guardò a bocca aperta, prima di ridacchiare “Son parecchio gelosa di mio fratello, Camilla. Ricordalo.”
Spostando lo sguardo su Giuliano, ella poteva ben capire perché l’amica fosse così interessata. La maggior parte delle donne fiorentine, lo erano. Suo fratello era incredibilmente avvenente. Molto più di Lorenzo, quanto meno.
“Beh, meglio io che una sconosciuta, no? Potremmo imparentarci.” Spiegò con fare vago Camilla, inforcando un’altra freccia.
“Impara prima a tirare con l’arco, poi ne riparleremo.”
La castana sbuffò, scrollando una spalla per spostare la lunga treccia ramata dietro alla schiena “Prima o poi capirò perché ti ostini a volermi insegnare a combattere. Sono una vera signora, io. Non voglio diventare rozza.”
Beatrice alzò gli occhi al cielo “Oh, ti prego.” Sussurrò, mentre Brancacci se la rideva sotto ai baffi, passando un panno morbido sulla lama splendente della sua spada “Ti potrebbe servire, un giorno, il saper tenere in mano un’arma.”
“Per quale motivo, di grazia?”
“Non so se ti sei accorta dei tempi che corrono, Camilla.” Beatrice mantenne la calma, ma decide di darle una veloce delucidazione sulla realtà in cui vivevano “Se noi abbiamo espugnato la Rocca ed eliminato gli Ordelaffi, non trovate possibile che un giorno possa succedere a noi? Se veniamo invasi, vi servirà.”
“Impossibile.” L’amica scrollò il capo “Sei la moglie del nipote del Papa. Chi mai lo sfiderebbe?”
Giuliano, che tornò verso di loro in quel frangente, sbuffò. “Spero che Sisto non rimanga pontefice ancora per molto. Quell’uomo è un diavolo, altro che voce di Dio in terra.”
Beatrice annuì pensierosa, chiedendosi cosa ne sarebbe stato di loro dopo l’avvento di un nuovo Papa. Scrollò dalla mente quei pensieri quanto il fratello le passò, con un sorriso, una freccia. Nonostante il gelo della loro prima conversazione, il giorno precedente, le cose si erano appianate da sé per cena e poi, successivamente, durante la giornata. Avevano passeggiato insieme dopo pranzo e si erano ritirati in quel campo dietro alla rocca, fuori dalle mura della città, per allenarsi e istruire Camilla innanzi ad un grande campo di frumento maturo. La loro sola compagnia erano le guardie di palazzo, quelle di Medici e un gruppo di contadini che aveva iniziato la trebbiatura, in lontananza.
In un solo tentativo, colpì il centro del bersaglio. “Sei migliorata parecchio” le disse il fratello, mentre teneva una mano sugli occhi per verificare d’aver visto bene “L’andar per battaglie ti ha dato una certa abilità.”
Le sue parole, amare di preoccupazione, fecero abbassare gli occhi di Beatrice. Brancacci notò questo cambiamento nell’umore della sua Signora, così si sbrigò ad aggiungere un elogio “Combatte molto meglio di certi miei uomini, Messere de’ Medici. L’avete istruita proprio bene.”
“Doveva sapersi difendere da sola” gli disse Giuliano “Così è, non posso che esserne felice.”
“Giunge qualcuno” le parole di Camilla li fecero voltare. Olivieri stava correndo di gran carriera verso di loro, chiamando a gran voce la Contessa.
Lei si allarmò “Che accade?” chiese, sperando che in città fosse tutto a posto.
Lui si fermò innanzi a lei, ansante “Il Conte, mia Signora.” Disse, facendola impallidire. Le parole che aggiunse successivamente la guarda la chetarono parecchio, però “Il Conte Riario è appena tornato e vi attende.”
Non se lo fece ripetere.
Lanciò a Ezio il suo arco, prima di camminare verso i cavalli insieme a Giuliano, che s’era fatto d’improvviso silenzioso.
Sperò solamente che Girolamo non fosse indispettito dalla presenza di suo fratello a corte o avrebbe avuto ben due uomini di cattivo umore al suo tavolo, per la cena.

 
Riario non si aspettava di vedere arrivare la moglie insieme a Giuliano de’ Medici, mentre attendeva nel salone principale, seduto al suo posto.
Beatrice l’accolse con una piccola riverenza, domandandogli come fosse andato il viaggio. Sembrava ancora parecchio arrabbiata con lui, ma non aveva più quel furore nello sguardo. Pareva solo rassegnata.
Senza rispondere si alzò, andandole incontro visto che lei non pareva intenzionata a volersi sedere al suo fianco. Portò entrambe le mani sulla nuca della giovane donna, tirandola verso di sé per appoggiarle un bacio sulla fronte. Lei ne rimase parecchio sconvolta, in un primo momento, poi aprì le labbra in un piccolo sorriso, appoggiando le mani sul petto del marito. “Bentornato, Conte.”
Lui si staccò, lasciando scivolare la mano sulla spalla di Beatrice in una lenta carezza. Avrebbe voluto dirle che gli era mancata, in quella lontananza forzata. Avrebbe voluto baciarla, così da rinfrescare il ricordo del sapore di quelle labbra simili a petali di rosa.
Peccato che,sicuramente, non l’avrebbe fatto nemmeno se fossero stati soli. 
“Sono lieto di trovarmi di nuovo qui, Beatrice.” Disse semplicemente, prima di voltarsi verso i suoi illustri ospiti “Giuliano de’Medici, che piacere avervi qui…” sussurrò quella frase con lentezza esasperata, sottolineando così che non rispecchiavano il suo pensiero.
Il giovane fiorentino, che aveva osservato la scena con attenzione, stupendosi della lieve accortezza del Conte, rispose cercando d’essere gentile, nonostante non ritenesse Riario degno di tante premure “Siamo venuto qui per disquisire con la Signora di Forlì.”
“Mh.” Girolamo parve parecchio divertito dall’uso di quelle parole. Appoggiò le mani sulla cinta, come per mettersi comodo “Davvero? Spero non abbiate offerto degli accordi politici a mia moglie. Nemmeno voi siete così sciocco da sperarci, Giuliano.”
“Sono solo trattative commerciali, non mettetevi sulla difensiva.” controbatté Giuliano, guardando il Conte con aria ironica “Mia sorella è la Signora di una delle terre più ricche, per quanto riguarda il frumento. Potrebbe darci una mano, vantaggiando Firenze nei rifornimenti di farina.”
Girolamo sorrise, ricalcando lo stesso sarcasmo. “La sola mano che troverete si trova alla fine del vostro braccio, Medici.” Gli diede le spalle, percorrendo velocemente la stanza. La cavalcata l’aveva sfiancato, non aveva alcuna intenzione di parlare di affari, soprattutto con quel fiorentino impertinente.  “Benvenuto a Forlì, Giuliano.”
Con un’ultima, buffa e marcata riverenza che aveva come fine il prendere in giro de’Medici, Riario lasciò la stanza.
Beatrice sembrava parecchio sollevata. Girolamo aveva a stento preso in considerazione la presenza del fratello.
“Quale velocità ha quell’uomo, nei colloqui” disse Becchi con un certo astio nella voce.
“Se ne riparlerà per cena.” Commentò sbrigativa Beatrice “Ora perdonatemi, devo conferire con lui.”
“Non farlo aspettare, dopotutto è tuo marito.” Il tono di Giuliano non le piacque per nulla, ma non ribatté in modo alcuno. Uscì dalla stanza, diretta verso gli alloggi padronali, sperando che un giorno il fratello, la persona che più le era cara al mondo, avrebbe accettato il suo matrimonio.
Non lo credeva possibile, ma era convinta che il Signore agisse per vie misteriose. Chissà come sarebbe mutato il mondo, negli anni.
 


 

***

 


 
Girolamo guardò verso il cortile di pietra, notando che aveva iniziato a piovere leggermente.
“Imprevedibile, il clima estivo, così come le persone che tradiscono, pugnalandomi alle spalle nei momenti che meno mi aspetto.”
Si voltò di nuovo verso lo scrittoio, guardando Zita, seduta innanzi ad esso. La serva abissina si torturava le mani nervosa, intimorita dalle conseguenze che ciò che aveva appena riferito al suo padrone avrebbero potuto comportare.
Dietro di lei, Grunwald la guardava sprezzante.
“Quindi, ricapitoliamo.” Il Conte prese posto sulla sedia in legno intagliata con maestria, prendendo una piuma e iniziando a giocherellarci “Brancacci, che è stato al lungo generale del mio esercito dopo che io stesso l’ho selezionato quando era solo un ragazzo, avrebbe proposto a mia moglie di fuggire insieme. È corretto, Zita?”
La ragazza sussultò sentendo il suo nome pronunciato dal Conte, prima di annuire “Sì, padrone.”
Riario lanciò la penna sul banco di legno, in uno scatto d’ira. Decise di contenersi, chiudendo un istante gli occhi e portando una mano alla tempia, che pulsava prepotente “Per quale motivazione, di grazia?”
Zita rifletté sulle parole da usare, visto quanto ancora faticava a parlare italiano “Lui…. Le era vicino, nel salone. Ha visto che aveva una….” Portò una mano sulla guancia, toccandola “Scuro, scuro sulla pelle. Ha detto che non doveva più sopportare voi, Conte.” Si interruppe, fissando il tavolo “Ha detto di andare a Firenze.”
Riario si alzò nuovamente, quasi come se non trovasse pace.
Quando Grunwald aveva bussato alla porta della sua stanza, dicendo che aveva qualcosa di importante da riferirgli, Riario aveva lasciato con riluttanza il suo letto, nel quale ancora dormiva Beatrice, e si era rivestito. Si erano concessi un istante prima di cena, decidendo che avrebbero discusso e appianato le cose dopo aver mangiato qualcosa, a mente lucida.
Mai si sarebbe aspettato di sentir uscire una storia del genere dalle labbra della fedele serva “Mia moglie cosa ha risposto?” si azzardò a domandare, contraendo la mascella.
Fissava un punto indefinito nella stanza, mentre il cervello formulava mille congetture.
L’abissina, in pena per le sorti della Contessa, si sbrigò a rispondere “Lo ha mandato via, mio Signore. Lei non voleva ascoltare quelle cose.” Gesticolava, mentre cercava di spiegare al meglio quell’incresciosa situazione “Lui le ha preso le mani e voleva…. Voleva…” si toccò le labbra.
“Voleva baciarla?” domandò il Conte.
La serva annuì. “Ma lei non ha voluto.”
“L’ha mandato via, Signore.”
“Molto bene…” si avvicinò a Zita, prendendole le mani per farla alzare. “Ti ringrazio per il prezioso aiuto, ora vai.” Le disse con gentilezza, accompagnandola per un tratto, verso la porta. La guardò uscire, fermo accanto a Grunwald.
Il Capitano sbuffò, non appena l’uscio si richiuse “Come intendete procedere, Conte?”
“Uccidendolo.” Fu la risposta secca di Riario “Però devo farlo in modo esemplare….” Tornò alla scrivania, appoggiandosi ad essa con una mano. Rifletteva così profondamente che a Grunwald pare di carpire il peso di quei pensieri. Lo fece attendere un minuto, forse qualcosa in più, prima di sorridere malignamente “Credo di sapere come fare per levarmi dai piedi un tale impiastro e, al contempo, assicurarmi che Beatrice sappia che io sono il solo uomo che può averla.”
Grunwald lo guardò senza capire “Ma lei vi è fedele, Zita ha detto-”
“Ezio Brancacci potrebbe non essere l’ultimo stupido che prova a portarmi via Beatrice.” Il Conte riprese posto sulla sedia, incrociando le mani sotto al mento “In una posizione come la sua, in molti cercheranno di averla. Lei mi è fedele, ha confessato di amarmi, ma non mi basta. Voglio la certezza assoluta di poter scongiurare ogni tentativo di carpirla. Mandate a chiamare una contadina, qualcuno che vive nei campi. Mi servirà. Dopo di che preparatevi, arresteremo Brancacci in via ufficiale.”
“Ufficiale? Non intendete ucciderlo e basta?”
Girolamo sorrise, non di cuore. Quello era il suo classico sorriso arido, senza emozione alcuna che non fosse cattiveria pura “Ho insegnato a mia moglie l’importanza di lanciare messaggi perché io, in questo, sono il migliore.”
 
 



***

 


“Il Capitano Grunwald non si unisce a noi?”
Beatrice guardò verso il marito, seduto dalla parte opposta della tavolata rispetto a lei. Anche Giuliano ed Ezio alzarono il capo, curiosi di sapere perché mai la sedia del braccio destro del Conte fosse rimasta vuota.
Riario masticò educatamente, tenendo la bocca chiusa fino a che non ebbe ingoiato il boccone. Appoggiò la forchetta nel piatto, allungando la mano per prendere il calice “Arriverà, forse qualcosa l’ha trattenuto” si limitò ad asserire con leggerezza. Era dannatamente bravo a mentire e a fingere “Ci spiegherà il motivo di un tale ritardo.”
Becchi si pulì la bocca nel tovagliolo “Questo vino è squisito, Beatrice. Complimenti per la scelta.” Sorrise alla volta della giovane, la quale ricambiò.
“Abbiamo degli ottimi vigneti, a cui va il merito di una tale bontà. Non di certo a me.” commentò cordiale la ragazza.
Giuliano si alzò in piedi, prendendo in mano il suo calice e guardando la sorella con amore “Un brindisi alla Signora di Forlì, che insieme ad una grande avvenenza, riesce ad essere una buona governante nonostante io la vede ancora come una bambina.”
Tutti si alzarono, eccetto la giovane, che sorrise raggiante “Sei sempre il solito, Giuliano! Anche io ti vedo come il bambino che si rotolava nella paglia delle stalle. Questo perché ancora ti comporti da fanciullo.”
Ezio sorrise, affondando il viso nel suo calice. La cosa non sfuggì al Conte.
La gelosia gli bruciava il petto come un rogo di sterpaglie, ma avrebbe presto trovato la sua vendetta.
Stavano riprendendo posto, quando le porta si spalancarono e Grunwald fece il suo ingresso insieme a quattro guardie svizzere armate.
Riario si dovette impegnare parecchio per sembrare soddisfatto.
Beatrice lo guardò stranita “Capitano, che accade?” chiese, sedendosi diritta.
Grunwald si posizionò davanti a lei, inchinando il capo prima di  iniziare a parlare “Mia Signora, mi duole informarvi che è appena arrivata alla mia attenzione una denuncia che non può essere ignorata.”
“Una denuncia?” Brancacci guardò senza capire l’uomo, “Dovrebbe essere arrivata me, visto che sono il Capitano delle Guardie della Rocca.”
Grunwald sorrise sardonico, alzando un foglio arrotolato. Lo passò a Beatrice, che lo prese senza capire, sciogliendo il cordoncino che lo teneva chiuso “Questa è arrivata poco fa, portata da Monsignor Fantini, che ha dovuto scriverla per una povera contadina analfabeta.”
La Contessa prese a leggere, sempre più inorridita.
Tutto al tavolo la guardavano cercando di capire cosa vi fosse scritto.
Una volta finito alzò lo sguardo, leggermente umido, su Brancacci “Come avete potuto?” sussurrò, ferita. Passò il documento a Grunwald, che lo diede a Riario.
Anche il Conte lo lesse, alzando le sopracciglia con fare sorpreso, nonostante sapesse molto bene il contenuto di quella denuncia.
“Come ho potuto fare cosa, mia Signora?” domandò senza capire Ezio, iniziando ad avvertire un senso di nausea.
Non ci voleva di certo un genio per capire a chi fossero rivolte le accuse.
Beatrice non rispose, così Grunwald si prese la libertà di farsi più vicino, appoggiando una mano allo schienale della sedia della Contessa “Posso procedere, Madonna?”
Lei abbassò lo sguardo, più atterrita che mai, prima di dare un piccolo cenno di assenso.
Il Capitano fece segno alle guardie di avvicinarsi “Ezio Brancacci, siete accusato del crimine di aver cospirato contro questa Signoria.” Un paio di uomini afferrarono il biondo, costringendolo ad alzarsi. Lui non si oppose inizialmente, ascoltando senza parole. “Avete deliberatamente pianificato di uccidere il Conte Girolamo Riario e la Contessa Beatrice de’ Medici. Per questo verrete incarcerato seduta stante.”
“Questa è una menzogna!” Brancacci strattonò una delle guardie, guardando verso la Signora della Rocca “Non dovete credergli! Non è assolutamente vero! Non l’avrei mai fatto!”
“Abbiamo una testimone, Contessa.” Spiegò Grunwald “Una contadina, che ha visto con i suoi occhi e sentito chiaramente Brancacci parlare con un uomo vestito di giallo, con un blasone contenente quattro spighe di grano e tre stelle.”
“I Campi di Modena.” Sussurrò falsamente pensieroso Girolamo. “Ruggero ci vuole morti?”
Beatrice si morse il labbro “Non lui, sua moglie.” Disse, sentendosi così stupida. Aveva creduto che Ezio avesse parlato per darle conforto, con il cuore sincero. Invece agiva per conto di Caterina Sforza “Portatelo via.”
Grunwald non se lo fece ripetere.
“Non è vero! Io sono innocente!” Ci vollero tre uomini per spostare Brancacci, verso l’uscita “Io non l’avrei mai fatto mia Signora! Beatrice! Dovete credermi!”
Le porte si richiusero, mentre la Contessa si lasciava scivolare sulla sedia, in avanti. Riario le fu accanto in un battito di ciglia, passando dietro a Giuliano che era rimasto assai impressionato da quella scena.
Come potevano tramare la morte di sua sorella?
Girolamo accarezzò piano il capo della moglie, attendendo che lo guardasse prima di proseguire in quella farsa “Non temete, Beatrice.” Le prese la mano, baciandola “Pagherà per quest’affronto”
“L’ho messo a capo della nostra sicurezza, e lui voleva ucciderci.” La mora scosse il capo, sbuffando una risata priva di colore ma pregna di auto commiserazione “Sono così stupida.”
“Avete ancora molto da imparare.” Le strinse la mano, “Mi occuperò io di proteggervi.”
La giovane si sporse in avanti, trovando rifugio tra le braccia del marito che, nonostante gli ospiti, non le negò quella premura. Mentre la stringeva, continuando ad accarezzarle i capelli lentamente, non trattenne un sorriso, celato dallo schienale della sedia.
Avrebbe punito chiunque l’avesse guardata troppo a lungo, indugiando a causa della sua bellezza.
Avrebbe fatto di tutto per tenerla con sé.




Continua.






 

Nda.
Lo so, lo so....
Sono cattivissima, povero Ezio. E questo è ancora niente. 
Riario si è impossessato di me, non posso farci nulla ormai ç___ç
Spero che abbiate apprezzato questo capitolo come gli altri :D

Ringrazio come sempre chi mi recensisce, ovvero: simpleiGAIAMAN, morwen vaidt, Alkimia, Lechatvert, Yoan, Nika deep e Eagle <3
Grazie inoltre a chi mi ha inserita tra preferite e seguite e anche a chi legge solamente :D
Ogni commento sarà sempre gradito, nel bene e nel male ^^

A presto, 
J. 

                                                   
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Parte XIV: L’Innocente. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo quattordici.
Rating: Arancione.
Betareader:Lechatvert
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 

 
 
 
 


 
 
Parte XIV: L’Innocente.
 

 
Il salone era gremito di persone.
In molti erano accorsi da ogni parte della città per assistere alla sentenza contro Brancacci. Spinti da curiosità, tutti coloro che non dovevano lavorare le messi e avevano attività proprie avevano chiuso le botteghe e gli studi, recandosi alla Rocca. Quella era la prima vera sentenza ufficiale, a Forlì. Quello a Simonetta non era da considerarsi una vero e proprio processo, visto che l’uomo era morto nel momento stesso in cui era sceso dalla carrozza con le catene ai polsi e aveva calpestato quelle vie per la prima volta.
Beatrice si sentiva particolarmente tesa. Lanciava di tanto in tanto sguardi verso le panche poste ai lati, dove sedevano Becchi, Giuliano e Camilla.
Bertino si era avvicinato alla sua seduta un paio di volte, chiedendole come si sarebbe svolta quella sentenza e cosa avrebbe comportato una condanna. Ovviamente, il tradimento alla Signoria era punito con la morte a Forlì tanto quanto a Firenze.
La Contessa non aveva messo mano alle leggi della sua città, nonostante la forte tentazione provata nel leggerle. Ne aveva l’autorità, ma il pensiero di modificare, magari in modo errato, qualcosa l’aveva spinta a rinunciare in partenza.
Pensando a quel che ora aspettava Brancacci, se n’era pentita.
Così presa da quei cupi pensieri, non s’era accorta di quanto nervosa fosse. Si torturava il labbro con i denti, così forte che a breve l’avrebbe fatto sanguinare. Sussultò, quando Riario appoggiò la mano sulla sua, sul bracciolo in legno della seduta. Si scambiarono uno sguardo, mentre lei stringeva la presa a sua volta. Poi annuì piano e Girolamo alzò il braccio “Fate entrare l’accusato.”
Ezio non aveva una bella cerca, quando venne trascinando dentro al salone, in catene. In quella stanza, dove aveva dipartito gli ordini alle guardie e alle vedette dei bastioni, ora veniva additato come traditore. Non disse nulla, mentre veniva buttato malamente a terra sulla pavimentazione marmorea dai suoi stessi uomini. Beatrice notò lo zigomo gonfio, il labbro spaccato…
I traditori non avevano pace nemmeno all’ombra di una cella solitaria.
Girolamo si alzò in piedi, imitato anche da coloro che stavano sulle panche, guardando verso il popolo radunato innanzi a lui. Ezio incontrò gli occhi della Signora della Rocca, che però non fu in grado di sostenere quello sguardo. Il Conte introdusse il tema di quel processo, mentre alla sua destra, un uomo metteva a verbale il tutto su un vecchio libro dalla copertina di pelle. Rigorosamente in latino, come da legge “Quest’oggi siamo qui per punire la peggiore delle colpe di cui un figlio del Signore può macchiarsi: il tradimento verso la sua Patria e i suoi Padroni.” Ezio rise, fragorosamente, facendo voltare tutti nella sua direzione “Deliziato dal fatto che voi troviate la vostra posizione così divertente, Brancacci.” Disse Riario, riprendendo posto con eleganza “Orsù, fate ridere anche noi, a questo punto. Parlate.”
Il condannato scosse piano il capo, drizzandosi sulle ginocchia, mentre sul suo viso si disegnava un sorriso che era solo l’ombra di quelli passati. In effetti, quella era un smorfia triste “Partiamo già del presupposto che io sia colpevole, mio Signore Riario?”
Il Conte sospirò, fingendosi affranto “Abbiamo una testimone, che ora andremo ad ascoltare.  Non vi è alcun dubbio sulla vostra colpevolezza, ma quando ella avrà terminato di esporci ciò che ha visto, avrete diritto di replicare. Sempre se lo desidererete.”
“Potete scommetterci, che lo vorrò.” Replicò a denti stretti il biondo, mentre Grunwald accompagnava una giovane donna innanzi alla Signoria del castello.
Beatrice la studiò attentamente, permanendo nel suo mutismo. Sembrava più grande di lei di non più di due o tre anni. Indossava vesti lise e aveva il volto sporco di polvere, così come i capelli biondi. Era senza ombra di dubbio una delle contadine che aravano i campi al di fuori delle mura, anche uno stolto lo avrebbe capito. Aveva però lo sguardo parecchio sveglio, furbetto.
Ezio fece lo stesso ragionamento, con l’aggiunta di un piccolo commento personale: Riario, o chi per lui, l’avevano saputa scegliere bene la loro ‘testimone’.
“Chi siete?” domandò il Conte, incrociando le mani sul ventre e osservando la ragazza con attenzione.
Lei fece una piccola riverenza verso i due Signori, prima di iniziare a parlare “Io sono Chiara Viserbi, figlia di Antonio. Non siamo che umili contadini che dimorato sul crocevia presso la Madonnina, Conte.”
“Molto bene, Chiara. Siete stava voi a portare la denuncia alla nostra attenzione o sbaglio?” chiese di nuovo Girolamo.
“Sì, mio Signore, sono stata io.”
Beatrice si fece passare da Olivieri un foglio “Parliamo di questa, per caso?” domandò incalzante, alzandosi per mostrarlo alla contadina.
Questa non si degnò nemmeno di guardare il foglio “Non saprei, mia Signora. Io non so leggere, né scrivere. Ho domandato al nostro parrocchiano, Monsignor Fantini”
“Naturalmente…” Beatrice acconsentì con un cenno del capo, prima di proseguire, sempre rimanendo in piedi davanti alla giovane. Era particolarmente brava a scovare la menzogna negli occhi delle persone, le avrebbe chiesto tutto quello che andava domandato, affinché non vi fosse nemmeno il ragionevole dubbio “Quindi, signorina Viserbi, avete riferito di aver visto Brancacci parlare con un uomo vestito dei colori di Modena al ritorno dal foraggio, giusto?”
Chiara lanciò un’occhiata veloce verso Riario, prima di rispondere “No, mia Signora. Io ho detto che, al ritorno dai campi così come voi stessa avete affermato, ho visto Brancacci parlare con un uomo bardato di giallo. Sul petto aveva uno stemma particolare, con quattro spighe dorate e tre stelle del medesimo colore.”
“Molto bene.” Proseguì la Contessa “Mi state dicendo che Brancacci cospirava contro di noi alla luce del tramonto? Non è molto astuto, non credete?”
Girolamo si passò una mano sul mento, senza levare gli occhi dal viso della contadina e dalla schiena della moglie. Mercuri non aveva tutti i torti quando sosteneva che una donna eccessivamente scaltra portava guai. Peccato che Riario ne fosse sempre più intrigato.
La risposta di Chiara non tardò ad arrivare “Era notte, mia Signora. Io e mio padre ci siamo attardati a legare qualche fascio di stecchi.”
“Fa caldo per accendere la stufa, non trovate?”
La contadina annuì “Lo so, Madonna, ma li abbiamo raccolto ed accatastati mentre facevamo i fieni. Sembrava brutto non approfittarne così li abbiamo presi e riposti nelle stalle.”
La mora fece una pausa, rileggendo velocemente la denuncia per poter farsi un’idea di cosa chiedere nel dettaglio. Lesse qualcosa che non le tornò, esattamente com’era successo la prima volta che si era ritrovata quel documento fra le mani “Avete detto di averli sentiti parlare, sbaglio?”
“No, non sbagliate, mia Signora.”
“Che si sono detti?”
La contadina prese a storcere un pezzo di stoffa dell’abito tra le mani, nervosa. Di domanda in domanda, Beatrice si faceva un poco più aggressiva. Iniziava a temere di sbagliare qualcosa e, al posto degli scudi che Riario aveva promesso, si sarebbe ritrovata con una lama sulla gola. “Ho sentito assai poco, Madonna. Così come ho chiesto a Monsignor Fantini di riportare….”
“Vero, ma qui vi sono delle parole ben precise.”
La poverina indugiò un istante, deglutendo. Beatrice non staccò gli occhi dal sul viso, per non perdersi nessuna reazione. Stava per esortarla a rispondere, quando la ragazza lo fece da sé “Brancacci ha detto a quell’uomo che vuoi non avevate ceduto alle sue lusinghe, mia Signora, e che non era riuscito ad uccidervi. Temeva il ritorno del Conte a palazzo, poiché con voi ancora viva non sarebbe riuscito a organizzare le guardi contro di lui e-” 
“Frottole!” Brancacci strattonò la catena che portava ai polsi e attorno al collo mentre s’alzava, facendo poi un passo in avanti verso i due Signori “È  chiaro come il sole, mi stanno incastrando!”
“Per quale motivo dovrebbe, una povera contadina, cercare di incolparvi per un crimine che non avete commesso?” domandò Riario, con fare annoiato.
Il biondo sbuffò una risata “Non insultate la mia intelligenza, Conte. Entrambi sappiamo che non è di certo lei a volermi morto. Voi avete idee di chi potrebbe essere, invece?”
“State per caso insinuando qualcosa?” rilanciò Girolamo, con tutta la calma del mondo. “Se avete da muovere delle accuse, fatelo.”
“Io, al contrario di voi, non mi credo onnipotente.” Ezio ringhiò quella frase, con astio, sputandola fuori quasi fosse veleno “Io non mi sostituisco a Dio nel giudicare la gente.”
“Io faccio solo ciò che è giusto per questa città, Brancacci. Io sono solo uno strumento nelle mani del Signore.” Rilanciò il Conte, improvvisamente serio. Piccato, fece segno alla guardia di rimettere in ginocchio. Questa tentennò appena, prima di colpire sulla schiena il suo capitano.
“Ora basta, silenzio!” Beatrice alzò la voce, calmando anche il brusio all’interno del salone.
“Mh.” Riario sorrise appena, come se tutto ciò lo stesse divertendo parecchio , sotto un certo punto di vista noto solo a lui “Servono altre prove?”
“Poco mi convince, tutto ciò” disse la Contessa, guardando prima la contadina e poi la denuncia. Tornò verso la sua seduta.
Il marito la guardò prendere posto “Avete la denuncia confermata dalla testimone. Cos’altro vi serve?”
Giuliano si alzò in piedi, chiedendo di poter parlare. Beatrice glielo concesse “Solitamente, a Firenze, si domandano particolare per confermare o meno una testimonianza.” Disse de’Medici “Cose di poco conto, che però facilmente possono sventare un bugiardo.”
“Hai ragione, Giuliano!” Beatrice annuì concitata, mentre negli occhi di Ezio si riaccendeva la speranza “Procedi, te ne prego!”
Un’ombra calò sul volto del Conte, mentre il giovane de’ Medici scendeva dalle sedute dei palchetti, raggiungendo la testimone. “Ditemi, signorina Chiara, l’uomo che parlava all’accusato aveva per caso un cavallo con sé?” chiese di getto.
La bionda guardò Riario “Ecco, lui…”
Ciò non sfuggì ne a Giuliano, né alla sorella “Perché cercate l’approvazione negli occhi del Conte? Rispondete or dunque alla domanda!”
“No, non aveva un cavallo!” rispose velocemente Chiara, sicura di aver sbagliato.
Giuliano, infatti, la guardò sorpreso “Volete dirmi che un uomo è riuscito a venire dal Ducato di Modena sino a Forlì a piedi, signoria?”
“Posso chiedervi cosa c’entra?” Girolamo riprese la parola “Potrebbe aver lasciato il cavallo ovunque!”
“Un messaggero che richiede informazioni sulla morte della Signoria rivale di certo non si ferma in villeggiatura, Conte” rispose de’ Medici, guardando poi Beatrice che iniziava a fiutare del marcio.
“Ancor non mi è chiaro chi vi ha investito del diritto di porre domande” Girolamo si finse pensieroso.
“Posso parlare?” domandò il giovane alla sorella.
“Procedi” replicò la Contessa, scambiando un’occhiata del marito che si finse tranquillo. Intendeva andare fino in fondo a quella storia.
“Quindi nessun cavallo…” Giuliano girò attorno alla ragazza, che per un istante tremò al solo pensiero di cosa la attendeva, se il processo non finiva come Riario voleva “Voi avete detto che erano presso un crocevia, giusto?”
“Io vivo presso il crocevia.” Lo corresse ella “Loro erano vicini alla vecchia miniera.”
“Un ottimo luogo ove vedersi senza esser visti.” Disse pensieroso lui “Che è sulla via dei campi e di casa vostra?”
“Precisamente, Signore.”
“Voi dove eravate rispetto a loro?”
La contadina si morse il labbro “Appostata dietro ad una roccia.”
“Con vostro padre?”
“No, lui era tornato prima.”
“Vi ha lasciata sola?”
“Sì.”
“Se vi portassi alla cava, mi indichereste il sasso in questione?”
“Tutto ciò è ridicolo!” Riario non c’era riuscito. Era scattato, come una molla, in piedi e s’era avvicinato con fare minaccioso a Giuliano, il quale aveva estratto la spada. Così come Riario e almeno trenta guardie armate della città.
“Girolamo!” Beatrice si alzò a sua volta, andando verso il marito e costringendolo ad abbassare il polso. Lui si voltò di scatto con quella scintilla folle nello sguardo, prendendola per la gola e stringendo un poco la presa. Giuliano fece per saltagli addosso, ma le guardie glielo impedirono. “Lasciami andare….” Sussurrò la Contessa con voce bassa “O sembrerà che tu abbia qualcosa a che vedere con tutto questo.”
“Stiamo solo perdendo tempo.” Rispose il Conte, liberandola “Trovo sia chiaro come il sole l’attendibilità di questa contadina.”
Beatrice sospirò, passandosi una mano sulla gola, mentre tutti rinfoderavano le lame “Io non sono convinta. Per niente.” Diede le spalle alla ragazza, tornando alla seduta accompagnata dal fratello. In quel istante, Riario fece segno a Chiara di concludere in bellezza, così come avevano deciso. Gli bastò uno sguardo e lei capì cosa dire.
“Mia Signora” attentò la ragazza “C’è una cosa che non ho detto a Monsignor Fantini, e che mi sento ora di riportarvi” la mora annuì stancamente, esortandola a parlare “Messer Brancacci ha detto a quell’uomo che il piano era cambiato. Visto che non vi aveva convinta ad andare a Firenze con lui, v’avrebbe uccisa la notte successiva.”
La Contessa ci rimase di sasso. Nessuno sapeva di quel discorso tra lei ed Ezio, nemmeno Camilla. Nessuno sapeva dell’esortazione accorata di Brancacci ad andarsene da Forlì, scortata da lui, alla volta della città natale. Sentì la gola secca, mentre la consapevolezza d’esser stata ingannata si concretizzava. “Non m’avete potuta uccidere perché, inaspettatamente, è giunto mio fratello a corte.” disse, senza quasi accorgersi di aver concretizzato un pensiero. 
“No, mia Signora, ascoltatemi.” Brancacci aveva visto sfumare ogni piccola scintilla di speranza. Era già morto “Io mai avrei fatto una cosa così.”
Beatrice si prese un istante, prima di alzare gli occhi sull’uomo. Giuliano, nel vederle il viso, fece un passio in dietro. Gli occhi celesti della sorella s’erano tinti di una sfumatura gelida, fredda come il cielo invernale. Non v’era compassione alcuna nelle sue parole quando parlò nuovamente “Come vi spiegate che questa donna sia a conoscenza di ciò che mi avete detto?”
Ezio abbassò lo sguardo, impotente “Non me lo spiego, Madonna. Vorrei solo che voi poteste credermi.”
“Non vi sono i presupposti.” Beatrice si alzò, pronta a dare il verdetto. Fu dura, sentì qualcosa infrangersi nel petto, ma la delusione nell’esser stata tradita da qualcuno che aveva tutta la sua fiducia furono un incentivo sufficiente “Vi giudico colpevole del reato di tradimento.” Scambiò uno sguardo con Girolamo, che rimase del tutto impassibile, seppur dentro di sé stesse esultando “Verrete condannato secondo i termini delle nostre leggi e possa il Signore solo aver pietà della vostra anima e perdonarvi.”
Non aggiunse altro.
Sollevò appena il bordo della veste cremisi che indossa e lasciò il salone.
Solo a quel punto, il Conte si concesse un sorrisetto compiaciuto. Andò verso Brancacci e si chinò, afferrandolo per i capelli, per costringerlo a guardarlo in viso “Conoscete la vostra sorte, immagino. Sarà mia premura occuparmi di voi, personalmente.” Lo lasciò andare, spingendolo a terra, prima di sbrigarsi a seguire la moglie.
Tutti iniziarono a disperdersi, lasciando la Rocca per tornare alle proprie mansioni, chiacchierando malevolmente sul futuro di quell’uomo. Mentre Grunwald scortava nelle segrete Ezio, Giuliano riconobbe tra la folla un ragazzino dai capelli rossi e corti, col viso contornato da molte lentiggini. Lo riconobbe come la vedetta che l’aveva preso in giro il giorno precedente “Voi! Fermatevi!”
Il ragazzo lo guardò sorpreso e con una seria riverenza si fermò ad attenderlo “Sono Valerio Lenzini, mio Signore, per servirvi.” Non v’era più ironia nella sua voce, non scherzava. La situazione era solenne.
“Cosa prevedono le vostre leggi, in questo caso specifico?” domandò de’ Medici, incrociando le braccia sul petto.
Il giovane sospirò, affranto “Brancacci deve confessare, così che un prete possa assolverlo. Poi c’è la pena di morte, Signore. Gli appoggeranno la testa su di un ceppo, per poi farla rotolare nella piazza della chiesa.”
Giuliano scosse il capo “Tutto ciò è ridicolo. E se non confessa?”
“Qui da noi sono ancora in vigore le leggi che la chiesa impose trecento anni fa.”
L’altro ci rimase di sasso “Le leggi dell’Inquisizione? Quell’uomo verrà torturato sino a che non ammetterà la sua colpa?”
Lenzini annuì “Esatto. Perdonatemi, ma devo tornare alla mia postazione.” Fece un altro inchino, ma dopo soli due passi si voltò verso Giuliano “Hanno condannato un innocente, mio Signore.”
“Come fate a dirlo?”
“Nell’ora in cui gli è stata attribuita quella conversazione con il lacchè dei Campi, lui era con me. distribuiva i compiti.”
Giuliano rimase a bocca aperta “Perché non avete parlato?”
La vedetta sorrise, triste “Nessuno che si metta contro Riario campa tanto da poterlo raccontare...”
 
 
 


***

 
 

Beatrice sospirò, lasciando ciondolare in avanti il capo.
Girolamo ne approfittò; intinse la pezzuola  nell’enorme catino in cui entrambi erano seduti, prima di passare sulle spalle della giovane moglie.
Si erano concessi un bagno dopo l’udienza. La più difficile che la Contessa avesse mai mediato, sicuramente.
“Ancora non posso crederci d’essere stata tanto stupida!”
Riario le lavò accuratamente la schiena lungo le scapole, fin dove essere rimaneva fuori dall’acqua intrisa di oli dalle fragranze orientali.  “Non dovete dolervi così tanto, dopotutto Brancacci doveva essere una garanzia. Lavora per me da quando era un ragazzino scapestrato, che rubava il pane per le vie di Roma. Il vizio di commettere peccati gravi agli occhi di Dio non gli è passato.”
“Vorrei solo conoscere il motivo che l’ha spinto ad una simile azione.” La ragazza si voltò, mettendosi in ginocchio per poter guardare il volto del marito “Immagino che non vi negherete la sessione di torture, stanotte.”
Girolamo trattenne con tutte le sue forse il suo solito sorrisetto, “In effetti, vorrei chiedere ancora qualcosa a Brancacci. Pensavo di andare. Voi è meglio se vi risparmiate un tale scempio…”
Beatrice seguì ogni suo movimento con lo sguardo, mentre le prendeva la mano per farle alzare il braccio e poterlo lavare. Attese il termine di quell’operazione, prima di rubargli la pezuola per poter ricambiare la cortesia “Non sopporterei mai una cosa del genere. Non di una persona che credevo amica.”
Riario appoggiò le braccia lungo il bordo del catino, lasciando così spazio alla moglie di detergergli il petto. Non aggiunse nulla per diverso tempo, fino a che la pezuola venne lasciata cadere a terra. Beatrice scivolò in avanti, sedendosi sul suo ventre, mentre lasciava qualche bacio sul suo collo e sul suo viso. Solo a quel punto, il Conte aprì di nuovo bocca “Avevate l’occasione di scappare e non l’avete fatto.” Mormorò pensieroso. Lei si bloccò, incrociando le braccia dietro al suo collo mentre lo guardava in viso “Potevate accettare la proposta di Brancacci e tornare nella vostra amata Firenze, a casa vostra. Eppure, avete deciso di non lasciarmi. Per quale motivo?”
La mora incurvò un angolo della bocca in un leggero sorriso “Voi siete strano, spaventoso per certi aspetti. Sicuramente avete fatto cose che io non posso nemmeno immaginare e commetterete atti simili in futuro. Forse con voi non sono al sicuro, sicuramente non lo so. Mi avete taciuto di sapere che io faccio parte, o quanto meno credo di far parte visto che non ho informazioni certe, di una setta eretica. M’avete sposata per controllarmi. Eppure leggo qualcosa nei vostri occhi, ogni qualvolta si scontrano con i miei. Non so spiegarmelo, forse sono impazzita, ma vi amo. Ve l’ho già detto.” Fece una pausa, permettendo al Conte di scostarle i capelli dal viso e di accarezzarle piano una guancia, in un semplice gesto di puro affetto. Non riusciva a capire cosa lo sposo stesse pensando, non lasciava trasparire nulla da quello sguardo d’ambra “Mercuri, quella sera alla corte d’Este, m’ha detto che una donna una volta sposata cambia famiglia. Quindi sei tu ora la mia famiglia, Girolamo, e Forlì è casa mia. Ovunque sei tu, è casa mia.”
Riario non poteva nemmeno immaginare d’esser già arrivato a quel punto. Non credeva che Beatrice gli fosse già così fedele. Senza smettere di accarezzarle piano il volto, si inumidì le labbra con la punta della lingua. Voleva dirle che sì, era un mostro, che aveva fatto condannare Brancacci, infangando la sua innocenza con delle menzogne solo perché Zita li aveva sentiti, entrando dalla porta della servitù. Voleva dirle che era ingenua, che anche se sicuramente lo sperava, lui non sarebbe mai cambiato. L’avrebbe distrutta, rovinando per sempre la sua purezza e macchiandola di sangue. Voleva anche aggiungere che però avrebbe fatto quanto in suo potere per proteggerla.
Voleva dirle che era una stupida, perché s’era innamorata di un uomo che non aveva mai sentito il calore del sole sul viso per davvero, che nel petto aveva un vento più gelido di quelli che provenivano da nord.
Non disse nulla, però.
Si limitò a tentennare per un istante, in bilico tra il fingere d’essere un uomo migliore e il diventarlo veramente.
Ma tacque, limitandosi a sigillare le parole della moglie con un bacio che aveva una sfumatura dolce, estranea al suo modo d’essere. Lasciò che fluisse in pura passione, mentre la possedeva facendo uscire dall’acqua dal catino. 
Ancora una volta, si negò la possibilità di vedere la luce che Beatrice avrebbe potuto portare nel suo mondo.
 


 
 

***

 



Brancacci non si stupì affatto quando, mettendo piede nella sala che un tempo era allestita in modo tale da permettere alla Santa Inquisizione di svolgere le proprie mansioni, vide il Conte Riario. Egli sedeva sulla cremagliera, tenendo le gambe a penzoloni e un libro dalla copertina vermiglia tra le mani.
“Se siete qui per leggermi la Bibbia, o per farmi qualche strano indovinello di cattivo gusto su di essa, vi pregherei di andarvene.” Disse acidamente il biondo, mentre un paio di guardie lo costringevano a sedersi su di una panca, agganciando la catena che lo teneva imprigionato ai polsi e ad un collare ad essa.
Riario non diede nemmeno segno di averlo sentito, continuando a leggere interessato.
Monsignor Fantini iniziò a benedire quella stanza dall’aria ammuffita insieme a padre Borelli, un frate cappuccino che sempre lo assisteva. Sembrava che nessuno entrasse lì dentro da parecchio. Uno spesso stato di polvere ricopriva ogni strumento di tortura, a partire dalla gigantesca Vergine di Norimberga che si intravedeva in un angolo. Il metallo della sua sommità pareva opacizzato tanto era sporco.
Tutti, eccetto la sopracitata cremagliera e una serie di marchingegni dalla dolorosa presenza su di una bassa mensola, alla sinistra della porta d’ingresso. Lì, dove erano ben visibili a tutti coloro che arrivavano da fuori. 
Ezio non si preoccupava , però, dell’igiene. Non in un  momento come quello. Stava per soffrire in chissà quanti modi diversi per mano di niente meno che il Conte in persona e, memore di tutte le barbarie che lo aveva visto compiere, s’era già messo l’anima in pace, sperando che il buon Dio decidesse di fare un’opera caritatevole, stroncando Riario lì, in quell’esatto istante.
Il Conte però sembrava essere particolarmente in salute.
Il parroco prese posto su di una sedia innanzi al condannato, ponendo la domanda di rito “Innanzi a nostro signore Gesù Cristo, come vi ritenete?”
“Innocente.” Brancacci non lo fece quasi finire di parlare. Non si sarebbe mai dichiarato colpevole di una cosa da lui non commessa, a costo di morirci in quella stanza.
Monsignor Fantini gli appoggiò una mano sul ginocchio, sussurrando a voce bassa “Se ora ti confessi colpevole, io ti darò l’assoluzione dei peccati e potrai tornare in cella. Non addentrarti per un sentiero doloroso, figliolo.”
Ezio guardò il prete negli occhi, scuotendo piano il capo “Non lo permetterà.” Si limitò a dire, prima di voltarsi verso Girolamo.
Come chiamato dal cielo, il Conte scese dal tavolo di stiramento con un piccolo balzo, avvicinandosi a Brancacci con ancora quel libro aperto sotto al naso aquilino. Appena fu un poco più vicino, il biondo riconobbe il volume “Sapete come Dante ha classificato i traditori della Patria?” domandò, retorico, mentre Grunwald passava dietro di lui, diretto verso il focolare acceso nell’angolo, per alimentarne le fiamme “Essi sono i dannati della seconda zona – l’Antenòra-del Nono Cerchio dell'Inferno, detta così dal nome di Antenore che secondo una leggenda assai diffusa nel mille e cento avrebbe tradito Troia di cui invece, secondo il racconto omerico, era un fedele principe.”
“Conosco bene la Divina Commedia, Conte. Sapete che non sono un sempliciotto” replicò Ezio, senza paura.
Riario chiuse il libro, battendolo piano contro il palmo aperto della mancina “Oh, lo so eccome. In particolare vi dilettate del Terzo Canto. Sbaglio?”
“Ho visto che stavate guardando me e la Contessa, quel pomeriggio, Riario.” Ezio parlava a denti stretti, cercando di trattenersi dal infierire contro il Conte “Perché non ammettete che mi uccidete solo perché ho provato a portarvela via, e la chiudiamo qui?”
Fantini e Borelli si scambiarono uno sguardo veloce, ma nessuno dei due disse nulla. Che il Conte si servisse di strani metodi, per punire coloro che a parer suo lo meritavano, era risaputo. Le voci erano arrivate anche all’orecchio del clero di Forlì che mai e poi mai avrebbe impedito al Nipote prediletto del Santo Padre di far ciò che riteneva giusto. Riario non fece nulla per mascherare la vera origine di quella situazione incresciosa “In un certo senso, voi siete un traditore della Patria, Brancacci.” Appoggiò il libro sulla panca, davanti al condannato, affinché potesse vederlo per bene mentre lui  si sbottonava la casacca, passandola poi a Grunwald. Alzò anche le maniche della sua camicia fino al gomito, come se si stesse preparando ad un lavoro faticoso “Avete tentato di sedurre mia moglie, tradendo me, l’uomo che vi ha portato via dalla strada e dato un lavoro.”
“Sono stato un vostro lacchè per anni, avrei preferito morire di colera da bambino piuttosto che vedere le mostruosità che voi siete in grado di commettere”
Di nuovo, Riario non considerò ciò che aveva detto. Fece segno a Walmar di avvicinarsi “La camicia, levategliela.” Ezio non si stupì del fatto che vi fossero solo guardie svizzere proveniente da oltre i confini italiani, in quella stanza. Anche se far soffrire gli altri era la specialità di Riario, quindi si aspettava di vedere un paio di suoi uomini costretti a esaudire le richieste di quel folle. La lama del generale che a lungo aveva cavalcato al suo fianco incise pochissimo la sua pelle, mentre tagliava la sua camicia lungo la schiena. La strappò via e solo un paio di pezzi di stoffa delle maniche ricaddero molli sulle braccia, appoggiandosi molle contro le grandi manette di ferro.  Il Conte afferrò un’asta rovente che appoggiava nel focolaio, stando ben attendo a non toccarla al di fuori dell’impugnatura. Poi si avvicinò ad Ezio “Un uomo colto conosce poche cose, ma di molti argomenti.” Disse col solito tono mellifluo, soffiando piano sulla parte finale dell’asta, che si accese ancor di più, ardente “Fisica, matematica, latino, ingegneria, letteratura… Io amo moltissimo la storia. Passerei ore a sfogliare vecchi libri di araldica e trattati di guerra sulle legioni romane, ma quando posso, mi documento in merito a questa nuova disciplina, l’anatomia.” Il suo sguardo saettò sul biondo, prima di infilargli l’asta tra la spalla e il pettorale. L’uomo trattenne un grido di dolore, mordendosi forte le labbra. Girolamo parve soddisfatto “Il corpo umano è qualcosa di straordinario, Brancacci.  Esistono decine e decine di punti che, se trafitti, non portano alla morte, ma che sanno essere dolorosi come poche altre cose. Per mia sfortuna, non li conosco tutti. Per vostra sfortuna, ne posso trovare almeno venticinque, sparsi per tutto il vostro corpo.”
Ritrasse l’arma lasciando che il sangue zampillasse sul petto del biondo, che ridacchiò, nonostante fosse scosso da un tremolio diffuso a causa del dolore “Minaccia graziosa, Conte. Dovete riutilizzarla, in futuro.”
Riario lo afferrò per il volto, portando una mano sulla sua bocca e stringendogli le guance “Fossi in voi farei poco lo spiritoso. Avete a che fare che un uomo che sa come provocare un ingente quantitativo di dolore e ha voglia di divertirsi.”
Lo lasciò andare, affinché egli potesse replicare “Ben lo so, vi servo da tredici anni. Sapendo di cosa siete capace, non vi temo. Ormai sono rassegnato.”
“Dite di conoscermi, ma non avete ancora capito che io condanno tutti coloro che bramano ciò che è di mia proprietà.” Riario passò in rassegna i diversi strumenti che gli parevano  i più ‘carini’, appoggiati sulla mensola bassa. Nessuno però lo stimolava a iniziare la tortura. Prese in mano lo schiaccia pollici, meditabondo.
“Alludete a vostra moglie?” domandò Brancacci, abbassando lo sguardo sul suo petto. Il sangue continuava a scorrere, ma non impetuoso come si aspettava. A quanto pare Girolamo non stava bleffando.
Riario lasciò cadere a terra quella fatiscente diavoleria, trovandola assai noiosa. Si guardò attorno, prima di annuire lentamente come se avesse architettato chissà cosa. Tornò verso il condannato “Immagino vi siate stupito nel vedere che Beatrice non v’ha nemmeno guardato. Ella mi è fedele, vi siete ucciso da solo, nel tentare di averla.” Guardò Grunwald “La cremagliera, ora.” Ezio venne fatto alzare con un paio di strattoni decisi e condotto fino al tavolo “ ‘Non desiderare la donna d’altri’, Brancacci. È peccato, quello che avete commesso.”
Il biondo venne fatto stendere sul tavolo con una spinta decisa. Sentì i chiodi dei tre rulli incassati dentro di esso entrargli nella carne della schiena, ma ancora riuscì a non urlare “Vogliamo parlare dei Comandamenti e di come voi li avete infranti quasi tutti, Riario?” domandò, mentre le mani gli venivano portate sopra al capo ed assicurate ad una corta. Lo stesso accadde con le caviglie. Ezio si chiese se quella macchina di tortura paresse brutta come sembrava dall’esterno.
Tanto l’avrebbe scoperto a breve.
Riario ridacchiò, andando a posizionarsi dietro di lui, vicino alla leva del perno. “Io sono uno strumento del volere del Signore, Brancacci. Ciò che faccio è di per sé giustificato da un potere che voi non potete comprendere, in quanto peccatore.”
Il biondo buttò il capo indietro per riuscire a vedere la figura ora capovolta del Conte “Dev’esser comodo vivere così, Riario. Io vi ho visto fare cose che vostra moglie non può nemmeno immaginare. Per quanto intelligente, quella ragazza è accecata da un amore fittizio  verso la vostra persona. Esso la condurrà verso la sua distruzione  e me ne dispiaccio.”
“Siete anche un indovino, ora?” domandò ironico il Conte “Sapete che la stregoneria è ancora punita col rogo? Se non sbaglio, Dante ha collocato i Maghi e coloro che prevedono il futuro nella seconda Bolgia.”
“Nella quarta, mentre gli ipocriti nella sesta. Tenete a mente questi indicazioni, un giorno potrebbero servirvi” replicò Brancacci, cercando di testare la robustezza delle corde con uno strattone. Non si sarebbe mai liberato e, se anche ci fosse riuscito, non avrebbe avuto scampo. Le lame di Grunwald e Walmar l’avrebbero trafitto in un istante. Forse però sarebbe stato rapido abbastanza da conficcare quella stessa asta che l’aveva trafitto in un occhio a Riario.
“Avete proprio deciso di non tacere, a quanto vedo.”
“Posso parlare tutto il tempo, mio Signore.” Ezio alzò gli occhi azzurri di nuovo sulla figura del Conte, che si era portato accanto a lui lasciando a Grunwald il piacere di azionare quel mostruoso marchingegno. “Possiamo analizzare insieme in quale brutto girono infernale verrete catapultato, Conte.”
“Sembra un discorso affascinante, soprattutto se si considera che è l’ultimo che farete con gli arti funzionanti. Mi sta bene, però. Mi piace parecchio conversare.” Fece un piccolo cenno al Capitano, che diede un primo giro.
Ezio sentì le braccia iniziare a tirare dal lato opposto rispetto alle sue gambe, così prese un respiro profondo “Sicuramente voi non sarete accolto tra i lussuriosi; freddo come siete, mi domando quanto ci metterà vostra moglie a trovarsi un’amante per tenerle caldo nelle nottate invernali.”
Girolamo non trattenne una risatina, guardando bonariamente l’uomo steso sul tavolo di tortura come se si trattasse di un vecchio amico “Qualsiasi uomo si azzarderà anche solo ad avvicinarsi, vi raggiungerà ovunque finirete. Anche se non credo ve ne sarà bisogno. Non conoscete Beatrice.”
Brancacci rispose con la stessa espressione “Nemmeno voi, Conte. Arriverà il giorno in cui vi darà il benservito.” Un altro tiro, le corde infine si tesero. Brancacci strinse i pugni sentendo le membra pesanti, come se il sangue vi iniziasse già a fluirvi male. Ed era solo il secondo giro “Potreste finire tra i Golosi, se vogliamo intendere la vostra sete di sangue come un’allegoria. Di certo, è un eccesso non da poco il vostro.”
“Un altro giro.” Disse il Conte, girando attorno al tavolo e osservando per bene come la corda iniziasse già a incidere la pelle attorno alle caviglie del prigioniero.
“A quanto ricordo, Riario, ‘Non uccidere’ è un comandamento importante.”  Calcò la mano Ezio, sentendo le membra sempre più in tensione in modo assai spiacevole. “Di certo vi ameranno, nel primo Girone della Seconda Cerchia, tra gli assassini come voi. Non avete mai risparmiato ne un bambino in fasce né uno ancora in pancia. Vi ho visto lacerare gole, cavare occhi, strappare lingue a persone che non avevano fatto altro che sottolineare quanto folle fosse il potere Papale!”
Girolamo prese il pugnale dalla cintola, conficcandolo nel muscolo in tensione dell’uomo, al centro esatto della coscia “Sapete che se ruoto la lama, morirete dissanguato? Dev’esserci un canale particolare, che conduce parecchio sangue per il vostro corpo.”
“Fatelo, almeno tutto questo finirà.”
Il Conte sorrise bonario “Oh, non credo proprio. Se è vero che io merito il destino che il Signore mi riserverà per purgare le mie colpe, lo stesso vale per voi.” Si fece nuovamente serio, facendo schioccare la lingua contro il palato “Capitano, prego.”
Altri due tiri, iniziava a far male tutto il corpo. Ezio sentiva il sangue sgorgare dagli squarci che aveva sulla schiena, sempre più ampi visto che man mano che la pelle si tirava, i rulli ruotavano su loro stessi. “Siete un bestemmiatore, Girolamo! Un eretico!” un altro tiro e qualcosa, nella sua spalla destra, fuoriuscì dalla base. Lo nitidamente e non poté impedirsi di urlare per il dolore che provò. “Vi credete Dio sceso in terra, ma non lo siete!”
Grunwald si appoggiò al braccio di leva, guardando quello che per lui era un collega di vecchia data con sguardo imperscrutabile. Di solito si divertiva ad assecondare il Conte, ma vedere Brancacci in quello stato gli fece percepire che se non avesse mantenuto una condotta impeccabile sarebbe finito così anche lui. Monsignor Fantini e Padre Borelli, in un angolo, pregavano, cercando di coprire con le preghiere di rito le urla del condannato, reggendo la croce con mani tremolanti.
“Io so di non essere Dio, ma solo un umile servitore.” Proseguì Riario, prendendo dei chiodi dalla piccola mensola. Li appoggiò sul focolare, cercando poi delle pinze attorno a sé “Il fastidio che sentite sono le vostre spalle che si slogano, Brancacci. Il dolore forse invece è dato dalla posizione scorretta che esse hanno preso, premendo sui nervi.” Spiegò, afferrando con un paio di grandi pinze metalliche il primo chiodo arroventato. Tornò da Ezio “Ora proverò qualcosa di nuovo, quindi vi prego di prestare molta attenzione così che potrete raccontarmi cosa si prova ad avere un chiodo arroventato in un testicolo.”
“Maledetto! Che la vostra anima possa bruciare straziata tra le fiamme degli Inferi, dove vi meritate di essere! Schifoso assassino!”
“Vi avevo detto che conoscevo molti punti, Brancacci. Intendo provarli tutti.”
Tra le urla e gli strepiti, il tempo si bloccò per Ezio.
 Non seppe quando durò, ma l’altra spalla ci mise poco a cedere. Grunwald tirò così tanto da sentir i muscoli lacerarsi, mentre il metallo ardente gli straziava le carni e gli deturpava la pelle.
 


 

***



 
 
Quando s’era destata, Beatrice era rimasta sconvolta nel constatare che Girolamo non aveva ancora fatto ritorno. Si era vestita in fretta e furia, uscendo dalla stanza e scontrandosi con il marito, di ritorno.
Era l’alba e lui aveva passato l’intera notte nella sala delle torture, nei sotterranei della Rocca. Aveva la camicia umida di sangue, lo stesso che gli incrostava le mani e gli macchiava il viso su di una guancia.
Lei non disse nulla, non ebbe la forza di chiedere niente se non l’ora in cui si sarebbe svolta l’esecuzione. Lui rispose, avvertendola che essa non avrebbe avuto luogo prima del tramonto e che quindi desiderava riposare qualche ora, prima.
La mora lo riaccompagnò dentro, lavando via tutto quel liquido ramato dalla sua pelle e costatando che doveva essere tutto di Brancacci, visto che lui non riportava nemmeno la più piccola ferita.
Trattenne qualsiasi tipo di emozione, quasi come se in questo stesse cercando di emulare il marito, poi lo lasciò solo a riposarsi, scendendo per fare colazione.
Non riuscì ad attendere oltre e dopo un pasto frugale si fece preparare un po’ di latte e qualche crostino di pane bagnato nel miele, poi scese nei sotterranei, dove c’erano le celle. Nel passare, spiò dentro la stanza nella quale si erano tenuti chissà quali orrori e vi trovò solamente una serva intenta a pulire una grande chiazza scura dal pavimento. L’odore all’interno era forte, ferroso, così tanto da spingere Beatrice a non indugiare oltre.
Brancacci se ne stava rannicchiato in fondo ad una cella, avvolto dentro ad un pastrano scuro che pareva tenuto insieme dall’inerzia, tant’era ridotto ad uno straccio.
Se ne stava appoggiato alla rientranza del muro, di spalle rispetto alla Contessa, con un cappuccio a coprirlo integralmente.
La giovane si fece aprire la cella da Walmar, avanzando piano verso Brancacci “Vi ho portato qualcosa da mangiare.” Disse semplicemente, mentre la guardia svizzera si appoggiava alle sbarre, guardando prima la sua Signora e poi il Condannato. “Non  è molto, ma dovreste cibarvi.”
Brancacci non rispose, rimanendo immobile.
Beatrice abbassò il capo, spingendo la ciotola col pane e la borraccia con il latte verso di lui “Se avete richieste in particolare, farò in modo che possiate avere ciò che volete per il vostro ultimo pasto. Prendetelo come un gesto di clemenza, visto ciò che avete fatto.”
A quel punto, Ezio prese a ridere. Da prima piano, in modo tetro, ma in un crescendo continuo. Portò un braccio alle costole, iniziando poi a tossicchiare “Non credo di voler nulla, visto che grazie a vostro marito non sarò in grado di mangiare. Mi restano si e no cinque denti. Gli altri mi sono stati strappati. Non solo quelli…”
Beatrice rabbrividì. Walmar si fece avanti “Venite, mia Signora, vi accompagno fuori di qui.”
“Sto bene, grazie.” Rispose rigidamente lei, non ammettendo repliche. Tornò a parlare al condannato “Il Conte ha detto che non avete confessato… Non potranno assolvervi se non lo farete.”
“Io non ho bisogno di essere assolto. Non ho fatto nulla di male!” il biondo sbottò,  voltandosi verso la Contessa e alzando di scatto una manica. Laddove prima vi era la mano destra dell’uomo, ora rimaneva solo un moncherino, fasciato alla meno peggio con delle fasce di lino bianco. “Guardate, guardate dove mi ha condotto l’aver servito per anni quel pazzo di Riario!”
La ragazza capitolò indietro, sedendosi in terra con un moto di orrore nello sguardo “Io…. Io…”
“Voi siete una stupida, a credergli!”
Walmar si fece avanti, alzando un bastone che teneva appoggiato fuori dalla cella “Chiedete scusa, traditore!”
“No! Fermo!” La giovane si rimise in ginocchio, fermando la guardia. Non riusciva a capire cosa diavolo fosse successo quella notte. La mano amputata, il viso pieno di graffi…. Chissà quanto era martoriato il corpo di Brancacci sotto a quel pastrano “Perché dovrebbero avervi incastrato?” disse, dando voce ai suoi pensieri.
“Perché Girolamo è un pazzo” rispose ovvio il biondo, tornando a coprire quella mutilazione. Lanciò uno sguardo a Walmar, convinto che se voleva dir qualcosa, doveva farlo in fretta “Meritate di sapere cose che sono state nascoste per anni, Madonna. Una volta che ne sarete a conoscenza, scapperete da quel pazzo…”
“Basta così, venite via, mia Signora.” Disse la guardia, ma ella oppose resistenza.
“Cosa intendete?” domandò stranita, impedendo a Walmar di prenderla per un braccio “Spiegatevi!”
“Andate nel quartiere ebraico e chiedete di Abramo Lisymaghus! Lui vi darà ogni risposta che-Ah!”
Walmar non attese oltre, colpendo forte il condannato sul bacino con il bastone, mentre faceva alzare di peso Beatrice “Ti ordino di lasciarmi andare! Non sapete cosa posso farvi se non la smettete!” sbraitò la ragazza mentre veniva spinta fuori.
Con mani tremanti, la guardia svizzera richiuse la cella “Ciò che mi farete voi, non sarà mai peggio di ciò che potrebbe farmi il Conte. Perdonatemi, Madonna, vi chiedo perdono.”
La giovane si attaccò alle sbarre, guardando l’uomo dietro di esse “Avrò delle risposte? Se trovo questo Lysimaghus?”
Brancacci alzò il capo “Sì, le avrete...”
Docilmente, Beatrice si fece scortare fuori. Diede addio ad Ezio lì, in quelle polverose segrete, poiché non si sarebbe recata all’esecuzione per vedere la sua testa rotolare su di un ceppo. Non avrebbe retto quello spettacolo.
Fu un addio senza parole, con un solo sguardo, mentre nel cuore di Beatrice prendeva piede una consapevolezza che ella già conosceva.
Il vero traditore era colui che occupava il suo letto, non quello incarcerato nelle segrete.
… Ed ella non avrebbe fatto nulla, poiché semplicemente non poteva opporsi.
Poteva solo continuare  a lasciarsi illudere, per non pensare che il vero Inferno è quello che sta in Terra e viveva di giorno in giorno.






Continua.


 

Nda: 
Buonsalve a tutti :D
Inizio a prenderci mano con photoshop finalmente!
All'inizio facevo solo cose oscene, questa è la prima manip che mi soddisfa abbastanza u.u

Che dire... 
L'ultimo capitolo con Ezio.
Sono stata crudele, lo so, ma così andavano le cose per chi veniva condannato.
Lui non ha nemmeno confessato e ha continuato a rispondere a Riario fino a che ha potuto.
Tantissima stima per quest'uomo. 
Ho detto l'ultimo capitolo, ma potrebbe non essere così, chissà u.u 

Grazie a chi continua ancora a seguirmi, alle 13 persone che mi hanno inserito tra le seguire e alle sei nelle preferite.
Grazie davvero tantissimo a coloro che continuano a recensire, ovvero: Lechatvert, Yoan, Eagle, nika deep e alla dolcissima Alkimia che sta recuperando tutto commentando passo passo*O*

Come sempre, i commenti sono graditi :D
Non posso crederci che nessuno abbia da dirmi nulla, non siate timidi u.u ** 
Un abbraccione a tutti

Jessy

 
 

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Capitolo 15
*** Parte XV: La Gazza, parte I. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo quindici.
Rating: Arancione.
Betareader:Lechatvert
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Parte XV: La Gazza, parte I.
 


 
Seduta sul pavimento di fredda pietra di una delle torri della Rocca, Beatrice osservava in silenzio la parete innanzi a lei. Al suo fianco, nelle medesime condizioni, versava suo fratello Giuliano. Non s’erano detti molto, troppo rammaricati dall’imminente partenza del giovane de’Medici, per fare ritorno a Firenze.
Mentre nel cuore della ragazza c’era una profonda tristezza dovuta a quel distacco, nella testa dell’altro si combatteva una guerra fatta di frasi e parole cave.
Non sapeva come introdurre alla sorella minore quel discorso che gli ronzava nella testa dal tre giorni, dalla sentenza contro Brancacci. Si passò le mani sulla nuca, abbassando il capo con un sospiro lungo e pesante, attirando così lo sguardo limpido di Beatrice su di sé. Non vi era un modo bello per dirlo, così lo fece e basta “C’è qualcosa di cui voglio discorrere con te, prima che parta.”
La giovane, che ben immaginava di cosa potesse mai trattarsi, annuì “T’ascolto.”
“Riguarda il Conte.” Disse senza ulteriori indugi Giuliano “Se prima lo giudicavo un mostro senza conoscerlo, ora posso confermare codesta tesi iniziale.”
La mora riportò lo sguardo innanzi a sé, con un sorriso triste “Non s’abbia da pensare che tu sia prevenuto, fratello…”
“So di procurarti un dolore, visto che tu sembri alquanto affezionata a lui, ma devi ascoltarmi.” Il maggiore si voltò di tre quarti verso di lei, appoggiandole una mano su di un ginocchio, che Beatrice teneva insieme all’altro stretto al petto “Io credo che quell’uomo, Brancacci, sia stato incastrato e che dietro a questo misfatto ci sia proprio quel vile di tuo marito. Non so spiegarmi il perché potrebbe aver fatto un gesto del genere, però” attese quindi, speranzoso.
La mora si morse il labbro lentamente, com’era solita fare quando era troppo nervosa. Strinse di più l’abbraccio sulle gambe, appoggiando le fronte quella mano del fratello. Dosò le parole, prima di rialzare il volto e parlare “Girolamo fa quello che vuole.” Elargì semplicemente “Mi piace pensare che io sia fuori dal suo raggio d’azione, ma sarei solo un’illusa a crederlo, visto che sono forse la persona che maggiormente influenza di giorno in giorno.”
Giuliano rimase assai meravigliato da una reazione così rassegnata. Non era da sua sorella porse in quel modo “Cosa t’è capitato?” le chiese, impregnando ogni sillaba di sofferenza “Sei sempre stata una degna de’Medici, testarda e combattiva come me e Lorenzo… Come nostro padre e nostro nonno prima di noi. Come puoi accettarlo?!”
Lei sbuffò, appoggiando la nuca al muro dietro di lei “Ho scelta, per caso? Senza contare che mi conviene molto di più rimanermene calma. Se inizio ad agitarmi troppo allora si che mi sarà impedito tutto.” Giuliano fece per controbattere con una scrollata di capo, ma lei non glielo permise “Tu non sai cosa significa esser donna, Giuliano. Devi sottostare al volere prima del padre, poi del fratello e infine del marito. Nemmeno la vedovanza mi risparmierà, in quanto dovrò star a sentire il primogenito maschio. Tu non hai idea di cosa si prova.” si interruppe, chiudendo gli occhi un istante, visto che si erano fatti lucidi “Sono fin troppo fortunata. Girolamo mi permette di fare cose che a moltissime mogli sono negate.”
“Come andare in battaglia?” chiese tagliente il fratello.
Lei non fece una piega “Sì, come a combattere le mie battaglie. Mi ha dato una città intera, da amministrare, nonostante il suo fiato mi scaldi costantemente il collo. Mi basta questo poco che mi è dato. Non ho il libero arbitrio, ma almeno non sono un fantoccio. Non mi posso lamentare, almeno finchè sto qua. A Roma la faccenda cambia in modo piuttosto radicale.”
“Potresti. Potresti scappare e tornare a casa, tanto questa pace non durerà ancora molto.”
La ragazza lo guardò, con una sfrontatezza che le era sempre un po’ appartenuta, ma che non era mai parsa così evidente “La manterrò io.”
“Stringere Riario tra le tue cosce non lo sottometterà al tuo volere.”
Beatrice lo guardò, consapevole “Lo so, ma standogli accanto spero di vederlo mutare. Tutti possono cambiare.”
“Tutti coloro che hanno un’anima.”
“Lui ce l’ha. La cela dietro ad uno sguardo impassibile, ma io riesco a vederla”
Giuliano smise di insistere, rassegnandosi a sua volta. Quando un Medici si mette in testa qualcosa, non v’è modo di dissuaderlo e lui ben lo sapeva visto che era fatto della medesima pasta. Si limitò a sporgersi e baciarla teneramente sulla guancia, strappandole un vero sorriso dopo quella pesante conversazione “Sai che per te, le porte di Firenze son sempre spalancate.”
“Di questo sono grata. Per te invece quelle di Forlì, anche se non ci saranno accordi sulla farina” lo prese in giro, appoggiandogli una mano sulla nuca per avvicinarlo a sé e baciargli piano la fronte.
“Tienilo sempre controllato, quell’uomo mi inquieta e molto temo per la tua salvaguardia, Beatrice.”
Sentirono dei passi per le scale e subito smisero di parlare di qualsiasi cosa. Beatrice aveva scelto quel luogo poiché era uno dei pochi in cui si potesse parlare alla Rocca, sentendo arrivare chiunque grazie all’eco della scale a chiocciola. A quanto pare anche le pareti avevano orecchie in quella città.
Tommaso Feo si affacciò alla porta che stava sulla torretta, sorridendo bonario alla Signora e al giovane de’Medici “La delegazione per Firenze è pronta alla partenza. Non si dovrebbe farli attendere, Madonna.”
Beatrice s’alzò da terra, porgendo poi le mani al fratello come per volerlo aiutare. Lui le schiaffeggiò giocosamente, facendola ridere “Oh, Tommaso, questi fiorentini” disse ironica, guardando prima uno e poi l’altro “Non hanno idea di come s’ha da costumarsi a corte. Ma perdonateli, so’ foresti! Dovrebbero rimanere di più qui a Forlì per impararlo”
“A me è parso che la Romagna t’abbia resa più grezza” proseguì Giuliano, mentre Feo li guardava divertito scendere le scale  “Sembri alquanto poco ordinata nei costumi. Non ricordi come si deve intrattenere un ospite? Signor Feo, vi consiglio una visita da noi se avete il desiderio di saper come s’abbia di viver meglio alla corte nostra!”
“Ma sentitelo!” rise la mora, mentre uscivano di nuovo nello spiazzo della Rocca, al centro del chiostro. Girolamo li attendeva a pochi passi, accanto a Becchi. I cavalli erano sellati e Bertino stava trattenendo quello di Giuliano “Mi dispiace che tu ti sia trattenuto così poco, e che la permanenza si sia macchiata di un episodio così spiacevole.”
“La prossima visita, che dev’esser tua, andrà meglio” le disse il fratello, prendendo le redini e voltandosi verso la sorella con gli occhi leggermente lucidi. Con una stretta al cuore la tirò a sé col braccio libero “Non attender troppo a farti vedere, Lorenzo ne sarebbe molto felice.”
Lei strinse le dita sulla sua giubba, sospirando “Spero di vederlo al più presto. Ora andate o arriverete con le tenebre.” Abbraccio anche Becchi, che non ebbe però il cuore di dir nulla alla giovane Beatrice. Li guardò montare a cavallo, mentre si affiancava al marito. Li salutò con un sorriso e una frase di congedo “Abbiate buon tempo, in fiorenza.”
“E tu in Forlì.” Concluse Giuliano, prima di spronare il cavallo e lanciarsi al trotto oltre il levatoio che fu prontamente rialzato.  
Beatrice li guardò sparire dalla vista, prima di voltarsi verso Riario che però non la degnò di alcuna attenzione. Girò sui tacchi, tornando dentro alla Rocca e lasciandola sola.
Nuovamente persa nei meandri della sua mente.
 
 

***

 


Trascorse oltre una settimana dalla partenza di Giuliano e Riario parve riprendere famigliarità col concetto di avere una moglie.
O almeno, a Beatrice sembrava così.
Quel mattino, entrambi i coniugi s’alzarono di buona lena, scendendo al mercato cittadino per comprare qualche oggetto che di certo sarebbe servito nel viaggio che avrebbero intrapreso entro la fine della settimana, per Bologna.
Il caldo quasi asfissiante di quei primi giorni di agosto era troppo da sopportare. Aveva rifiutato il mantello, anche il più leggero, e camminava per le vie del mercato tenendo a sé le redini del cavallo. Salirvi sopra sarebbe stato troppo.
Camilla camminava accanto a lei, indicando stoffe pregiate e sacchettini aromatici che emanavano un forte odore di lavanda. Beatrice invidiava il modo della ragazza di ignorare la calura nonostante la veste ampia e dall’aria pesante. Girolamo camminava più avanti, in cerca di qualcosa di cui forse nemmeno lui era a conoscenza.
Un dono per Bentivoglio, forse.
“Questa coperta di broccato è meravigliosa, starebbe molto bene nella stanza padronale” disse Madonna Colonna, deviando lo sguardo di Beatrice dalla nuca del marito sino al pezzo di costosa stoffa che l’amica reggeva tra le mani.
“Non mi parlare di coperte, stanotte ho dormito con la finestra spalancata.” Ribattè la Signora della città, rivolgendo un solare cenno un paio di donne che le avevano appena rivolto il saluto “Trovo che sia anche troppo…” si interruppe, lasciando sfumare le parole, mentre oltre la bancarella piena di tessuti intravedeva qualcuno che non avrebbe dovuto essere lì.
“Troppo cosa?” domandò Camilla, riattivando la sua attenzione.
Beatrice la guardò, prima di volgere nuovamente lo guardo avanti a sé e non notando nulla. Il caldo le stava dando parecchio alla testa “Troppo pomposo. Mi pare eccessivo con tutti questi ornamenti dorati. Di cattivo gusto.”
“Ha un che di regale.”
“Io non sono una regina.”
Camilla sbuffò, mettendosi a rovistare tra l’ampio campionario della bancarella mentre un anziano signore consigliava entrambe. Ma la Signora non ascoltava. Lo rivide nuovamente, in modo più nitido e non poteva trattarsi di una visione. Le visioni non attendono che tu ricambi loro lo sguardo prima di sorriderti e sparire per un vicolo.
Beatrice sentì il cuore fare un tuffo, mentre il desiderio di seguirlo si facevano più forti. Guardò l’amica, immersa tra stoffe di vario tipo e poi il marito, perso in un banco di armi ad esaminare un pugnale con Grunwald accanto.
Doveva esser lesta.
Girò attorno al cavallo, mischiandosi con la folla per raggirare il banchetto. Quando arrivò al vicolo si appoggiò con le spalle al muro, controllando che nessuno l’avesse seguita. Poi si fece a sua volta ricercatrice.
Guardò avanti a sé e notò che quello non era un vicolo cieco come aveva immaginato, ma dava su di un piccolo cortile in pietra con alti muri che lo celavano alla vista. Lì vi era una porta scardinata, aperta quasi del tutto, che conduceva in una casa, nella quale trovò colui che cercava.
“Al-Rahim” disse semplicemente, inchinandosi innanzi al Turco “Non avete perso la voglia di farmi correre per le città. Dopo il nostro ultimo incontro ‘corporeo’ a Firenze ho quasi passato dei guai.”
L’uomo ricambiò l’inchino “Vi chiedo scusa, ma credo di averne portati altri.”
“Mi sembrava strano che mi deste pace.” Commentò la giovane donna, sedendosi su di un tavolo davanti a lui. “Da quanto tempo siete in città?”
Il Turco attese che anche lei fosse comoda, prima di iniziare a parlare “Poche ore e ripartirò a breve. Devo tornare in fretta a Costantinopoli, ma prima devo darvi un incarico della massima importanza.”
La gola della ragazza si seccò mentre sgranava gli occhi “Il tempo è infine giunto?”
Lui si limitò ad annuire “Sì, Madonna, e voi siete di vitale importanza se vogliamo che il prescelto possa infine trovare il Libro delle Lamine.”
Beatrice portò una mano al petto, sotto alla camicia e strinse la chiave che da tempo aveva ripreso a portare al collo. Guardò il Turco con decisione “Cosa devo fare?”
Al-Rahim fece una pausa, prima di incrociare le mani sotto al mento e tenere gli occhi smeraldini fissi in quelli della giovane “So che vi recherete presto a Bologna, se ne parla in città.” Beatrice asserì “Lì, a Castel d’Enzo, innanzi al palazzo di giustizia, sono conservati degli archivi assai preziosi, secondi solo a quelli Vaticani. Dovete entrare lì dentro senza farvi vedere dalle guardie, o vi faranno domande scomode che se giungono alle orecchie di vostro marito potrebbero far fallire la vostra missione.”
La mora prese un respiro. Era stata diverse volte a Bologna, anche da adolescente, dopo la morte del nonno. Ricordava distintamente il luogo che il Turco le aveva appena descritto ed entrarvi si sarebbe rivelata un’impresa degna del suo nome. Non si sarebbe tirata indietro “Una volta entrata, cosa devo cercare?”
“Uno scrigno d’osso, con inciso sul coperchio un uomo che tenta di domare un toro tenendolo per le corna.”
Beatrice annuì nuovamente, prendendo nota mentale “Il simbolo dei Figli di Mitra.”
Il Turco sorrise “Esattamente.”fece per proseguire, ma un rumore all’esterno lo mise sull’attenti.
Beatrice prese la spada dalla cintola, tenendola alta mentre si avvicinava circospetta verso la porta. Se Riario l’aveva scoperta…
Uscì con un piccolo balzo, tenendo l’arma in avanti e trovando Camilla che fissava atterrita un vaso che s’era infranto a terra. Era china sotto alla finestra, come una bambina che tenta di scoprire chissà quale segreto di una compagna.
Rilassandosi, Beatrice le fece segno di entrare, controllando poi attorno che non vi fosse nessuno “Mi dispiace, non volevo spiarti, ma il discorso pareva così serio che non intendevo disturbare.”
“Non è educato origliare.” Le fece notare la de’Medici, rinfoderando la lama.
Camilla alzò un sopracciglio “Non è gentile sparire così.” guardò poi il Turco, sorpresa.
“Lui è Al-Rahim, tò accennato qualcosa.” Le disse, mentre l’uomo la guardava severo.
“Trovate saggio svelare i nostri segreti?”
La mora sbuffò ironica “Voi mi affibbiate compiti impossibili; Necessito almeno di un appoggio o non potrò portarne a termine nessuno.”
Lui parve comprendere e si preparò per il congedo. Prima però, prese qualcosa da sotto il mantello: un pugnale con l’elsa bianca intarsiata di piccole pietre, tondeggianti al tatto. La lama era leggermente ricurva. “Che possa servirti, in caso di necessità, se mai la spada ti fosse di impaccio.”
La ragazza lo prese, prima di guardare ossequiosa Al-Rahim e poi Camilla. “Ho già un piano, non deluderò i Figli di Mitra.”
“Lo sappiamo.” Le fece sapere l’uomo, prima di alzarsi il cappuccio “Che la benevolenza degli Dei sia con te, Stella di Firenze.”
Lo lasciarono uscire per primo, permettendo così a Beatrice di estrarre il pugnale dalla guaina per esaminarlo. Era bello e lucente,ma qualcosa le diceva che non era nuovo.
“Come pensi di entrare in un luogo tanto sorvegliato?” domandò Madonna Colonna.
Beatrice sorrise appena “Sarà una bella sfida” disse divertita, incamminandosi prima che Girolamo si insospettisse “Mi servirai tu.”
“Ovviamente…” mormorò accondiscendente Camilla “Cosa devo fare?”
“Per iniziare, mi serve che vada a comprare delle erbe. Prendi qualche foglia di Asfodelo, del Caprifoglio Bruno e della Belladonna.”
Camilla la guardò stupita “Chi vuoi metter a dormire?”
Beatrice si appoggiò allo stipite della porta, trattenendo un sospiro amaro “Mio marito. Non inizieremo nemmeno la missione se prima non faremo in modo che lui non ci sventri.”
 

 

***

 

 
Bologna era rimasta esattamente la stessa città che Beatrice aveva conservato nei suoi ricordi. Vi erano entrati nel primo pomeriggio, visto che da Forlì non era poi un viaggio così lungo.
Un lungo colonnato di porticati, che erano evidentemente stati ripuliti fino a tirarli a lucido in onore del loro arrivo, segnavano il perimetro esterno dell’ampia Piazza Grande, cuore della città.
Tutte attorno si ergevano decine e decine di torri, sottili e alte come non se n’erano mai viste in nessun’altra città italiana. Codesta era la peculiarità di Bologna, l’essersi espansa più verso l’alto che verso l’esterno.
Tornando alla piazza, Beatrice si trovò innanzi alla torre del palazzo di giustizia, che ben più bassa delle colleghe che stavano a circondarla, imperava su di lei a monito. Quella era non solo un luogo ove veniva fatte valere le leggi, ma anche il luogo in cui risiedeva il vescovo da poco nominato, Francesco Gonzaga, che di certo li stava attendendo con la Signoria locale.
Su quella torre vi era posto un orologio di forma circolare, che segnava solerte e severo l’approssimarsi del coprifuoco che era stabilito alla settima ora del pomeriggio, orario assai rigido. Ciò era stato deciso al fine di arginare problemi di sorta, visto che gente da ogni luogo del mondo conosciuto veniva per visitare la culla della cultura e dell’Università.
Nemmeno la mente più arguta poteva però arginare il tanfo della miseria; la povertà albergava ai lati delle vie e nei vicoletti, nascosta agli occhi di coloro che andavano e venivano ma impossibile da eliminare del tutto. Ad un occhio esperto e sensibile essa era percepibile quasi come se fosse stata posta in bella vista.
Il caos delle città non s’era di certo placato, nonostante l’arrivo di così mirabili visitatori. Beatrice si perse per un istante nei rumori di quella città tanto stimolante da poter essere vagamente paragonata ad una Firenze un poco meno artistica, ma comunque affascinante. Vi era un chiacchiericcio particolare, molte lingue che si univano in una grande bolgia multietnica tipica delle grandi città.
Gli zoccoli dei loro cavalli picchiettavano contro i sampietrini della piazza, in senso opposto a qualche carrozza che si dirigeva oltre la prima fila di arcate, in una sinfonia quotidiana. Ad infestare quel luogo non vi erano solo i piccioni; molti bambini correvano per le vie ridendo e giocando, mentre qualche suonatore di strada intratteneva le genti con bellissime melodie di paesi lontani e sconosciuti.
Un piccolo corteo li aspettava innanzi al palazzone, ove un Papa metallico dava la sua benedizione alle genti che venivano in visita alla città. Ovunque, i vessilli dei Bentivoglio sferzavano l’aeree.
Il suono sorso della campana diede tre rintocchi, quando scese da cavallo insieme al marito e dirigendosi verso il Signore della Città delle Torri.
Giovanni II da Bentivoglio li attendeva dentro al porticato del palazzo di giustizia, circondato da tavolate imbandite di ogni leccornia possibile e bevanda che potesse ristorarli. Era un uomo tutto d’un pezzo, di mezz’età ma con i capelli già candidi come il vello delle pecore. A tratti, il suo modo di governare era speculare a quello del Magnifico: s’era circondato di artisti, portando la città ad un altissimo livello artistico e culturale. L’aveva rinnovata e resa splendida agli occhi delle più importanti corti europee.
Era un uomo da bene, un umanista. Qualcuno da ammirare.
Sua moglie, Ginevra Sforza, grazie a Dio anche se era imparentata con Caterina, non aveva con le contatto alcuno, essendo figlia degli ex signori di Pesaro prima della venuta del cugino di quel Malatesta di Cesena.  Sapeva che ella era stata sposata con Sante Bentivoglio, cugino di Giovanni che tra l’altro era cresciuto alla corte dei Medici insieme al padre di Beatrice, venuto a mancare quasi una decade prima. S’era risposata col signore della città, la furba, mantenendo la Signoria. Non solo: era la più fidata consigliera del Signore, almeno in ambito militare nonostante la sua scarsa intelligenza. Su di lei giravano però maldicenze gravi, che l’accusavano di accompagnarsi ad una donna, Gentile Budrioli, accusata di stregoneria più volte ma sempre prosciolta dalla Signora. Era bravissima ad evitare scandali; aveva di fatto lo sguardo furbo, ricordo che Beatrice aveva conservato.
Proprio grazie alle sue conoscenze in città, Bentivoglio la accolse come la figlia di un vecchio amico, salutandola con ogni onore prima di porgere gli omaggi al Conte.
“Vi do il benvenuto nella mia città, Vostra Eccellenza” aveva elargito, dopo un inchino imbarazzante mente profondo.
Girolamo aveva ringraziato “Sono lieto di fare la vostra conoscenza di persona, Bentivoglio” aveva risposto con grande educazione e diplomazia. Doti che sapeva scimmiottare con una maestria a dir poco invidiabile.
Aveva poi porto il braccio alla moglie e Beatrice l’aveva preso, scambiando uno sguardo con Camilla che sembrava abbastanza provata dal primo viaggio a cavallo e non in carrozza. Olivieri le mandava di tanto in tanto qualche occhiata preoccupata, ma la ragazza ricambiava scuotendo piano il capo, come a volergli dire che era tutto a posto.
Bentivoglio li intrattenne con un giro a piedi della città, visto che il Palazzo dei Signori era vicinissimo,ma il caldo era a dir poco insopportabile. Quella città era la più umida nella quale Girolamo fosse mai stato e la cosa iniziava ad infastidirlo.
Mentre Giovanni raccontava vita, morte e miracoli di un certo Re Enzo, che aveva edificato un piccolo castello dove vivere davanti  al palazzo di Giustizia, Riario notò che la moglie s’era fatta molto interessata.
Osservava con gli occhi azzurri la struttura, avida di carpirne chissà quale segreto.
Non le disse nulla, ma prese nota mentale.
Nella sua testa, Beatrice s’era fatta già un’idea di come entrare. Le vie di accesso erano due, una rappresentata da un portone inespugnabile e una da un piccolo sorvegliato da due guardie che dava direttamente sul chiostro del piccolo castello.
Il suo piano avrebbe senza dubbio funzionato.
Ne era certa, doveva solo cogliere il momento propizio.
“Questo caldo mi sta causando un gran mal di testa.”
Si voltò stupita verso il marito, che stava contraendo il volto in una smorfia disturbata. L’occasione che tanto aspettava “Dopo cena chiederemo ad un guaritore una buona tisana che vi aiuti” disse infatti, prima che i padroni di casa potessero proporre un’accorta alternativa “Ora ci sono tante cose da fare.” Aveva sottolineato.
“Avete ragione, c’è molto di cui discutere” aveva concluso Riario.
Bentivoglio scambiò uno sguardo con la sua sposa, prima di attentarsi a rivolgersi al Conte, con una titubante che mise la coppia di Forlì in allarme “In verità, vi sarebbe un altro ospite giusto stamane in mattinata, che sono certo vorrete anche voi sia presente alla nostra riunione.”
Girolamo e Beatrice si scambiarono uno sguardo veloce.
Il terrore negli occhi di Bentivoglio non presagiva nulla di buono.
 

 

***

 


Beatrice prese a contare i molti putti che li osservavano dal soffitto alto a volta, per evitare di incontrare lo sguardo con la persona sbagliata.
Sostava accanto al marito su di una seduta alquanto raffinata, in quel salottino che il Duca Bentivoglio riservava agli incontri importanti. Egli sedeva innanzi a loro, di spalle ad un camino di marmo bianco spento, con accanto la moglie che pareva reggere la pressione politica molto più di lui.
Alle loro spalle della Signoria forlinese, come un avvoltoio posto su di un ramo basso, Grunwald spostava il peso da una gamba all’altra guardando interessato ciò che la stanza aveva da offrire.
Giberto Pio, il Capitano di ventura della città delle Torri, osservava silente la Piazza innanzi al Palazzo della Signoria, senza dar segno di interesse.
Lo stesso valeva per Ermes Bentivoglio, ma sotto erano tutti nervosi.
La causa di codesto umore era da attribuirsi a quell’ospite inaspettato che Giovanni aveva introdotto prima che giungessero a quella destinazione.
Seduto di fronte alla Signoria di Forlì, con i gomiti appoggiati ai braccioli e le mani unite innanzi al viso, stava Rodrigo Borgia. Era arrivato diverse ore prima, con almeno venti soldati Romani della sua scorta personale e Tonello Manelli, una guardia svizzera che gli aveva prestato giuramento.
Il primo a perdere la pazienza, come è logico a pensarsi, fu il Conte. Lo fece con la solita classe, allungando le braccia in avanti per sistemare le maniche della giubba che stava iniziando a farlo sudare. “Che ne dite di iniziare ad affrontare il discorso? Sono alquanto accaldato e il desiderio di farmi un bagno inizia a farsi impellente.” Sorrise in modo tirato, guardando verso i padroni di cosa e poi verso il Cardinale “Vostra Imminenza, credo che siate qui per il nostro medesimo motivo.”
Borgia annuì, sorridendo con accondiscendenza “Ovviamente, Conte Riario.”rizzò la schiena, guardando verso Bentivoglio “Roma intende stringere un patto di alleanza provvisoria con Bologna, affinché codesta città non si intrometta nelle faccende tra i Campi e gli Estensi.”
Girolamo storse il naso a quelle parole.  Non gli piaceva che qualcun altro – che uno straniero arrivato dalla Spagna su di una nave qualche anno prima, per la precisione- prendesse le sue veci nel rappresentare Roma e il Santo Padre.
Non disse nulla però, limitandosi ad osservare attentamente Bentivoglio che stava in una alquanto spiacevole posizione.
Giovanni si passò una mano sulla fronte, che la tensione e il caldo avevan fatto inumidire, mentre la moglie Ginevra prendeva la parola al suo posto “Un’alleanza provvisoria? Nel senso che dobbiamo fingere che Bologna vada a braccetto con l’Urbe fino a che dei ferraresi non avranno ottenuto ciò che vogliono? Non so se per la nostra città sia di giovamento avere alle porte sostenitori accaniti dello Stato Pontificio, come sono gli Este.”
Beatrice prese la parola “Beh, ci avete già.” commentò con leggerezza “Imola è a tiro di gittata dalle vostre mura.”
Ginevra ridacchiò, facendosi aria con un pomposo ventaglio dai bordi in pizzo francese “Mia cara Madonna, Imola non è che uno spunto. Un lembo di terra che non può nemmeno competere con Bologna.”
A quelle parole, la fiorentina alzò un sopracciglio, rispondendo però con un sorrisetto “Sarà anche uno sputo, ma ha un esercito alquanto potente. Non lanciate provocazioni che non potete supportare, Madonna Sforza. Lo dico per il vostro bene…”
Quel tono di minaccia compiacquero parecchio Riario, che sorrise malevolo in direzione di Bentivoglio, il quale si sbrigò ad accomodare i danni della moglie “Nessuna provocazione, mia Signora de’Medici.” Replicò, mentre Ginevra lo guardava indignata “Stiamo parlando pacificamente, dopotutto.”
Quel mettere in chiaro la questione del tono amichevole fece presagire a Beatrice che Bologna non era poi così solida come voleva far credere.
Stavano per accettare, ne era certa.
“Quindi? Vi schiererete con noi o con Modena?” domandò Borgia, dondolando sornione il piede della gamba che aveva accavallata all’altra.
Bentivoglio fece una piccola pausa, guardando il figlio maggiore, prima di sospirare “Noi non scenderemo in guerra.” Disse sbrigativo “Mi dispiace, ma gli ingenti costi per la ristrutturazione della città non ce lo consentono. Saremo neutrali.”
“Permetterete ai miei uomini di attraversare il vostro Ducato?” chiese Riario, soddisfatto per quella risposta. Dopotutto andava bene anche così.
Bentivoglio annuì lieve.
Beatrice non poteva crederci. Tutto quel clamore per poi concludere in un istante. “Posso chiedervi una cosa, mio Signore?” disse rivolta verso Giovanni.
Manelli, da dietro il Cardinale, rise apertamente  “Mai vista una tale riunione! Le donne c’han più da discorrere degli uomini!”
“Un uomo senza lingua ha poco da discorrere, Tonello.” Sbottò freddo Riario, puntando gli occhi di miele in quelli della guardia che subito si zittì “Portatele rispetto.”
“Vi domando perdono, Contessa.”
Con un cenno, Beatrice liquidò la faccenda, volgendosi poi verso Bentivoglio “Come hai avete deciso di abbandonare così i vostri alleati?”
“Principalmente perché Modena non è nostra alleata.” Disse Ginevra, come se avesse a che fare con una persona molto ignorante.
Giovanni chiarì la faccenda, prima che scoppiasse una lite fra le due donne “Avete mai sentito parlare della Secchia Rapita, Madonna?” Beatrice scosse il capo, così lui proseguì “Si tratta di un’antica leggenda che ha più di cent’anni. Si dice che Modena e Bologna abbiamo combattuto una grande battaglia presso Zeppolino e che la vittoria della prima abbiamo sbaragliato la nostra bella città nonostante fossimo in netta maggioranza. Costretti alla ritirata, tornammo alle mura dove ci seguirono e ci schernirono per tre giorni. Una volta deciso il ritorno a Modena, l’avo di Ruggero Campi rubò un secchio e lo portò nella torre bianca della Ghirlandina, come simbolo della vittoria contro una città forte come Bologna.”
“Furono quasi duemila i morti.” Commentò Ermes “Per un secchio…”
“Si trattava del dominio su delle terre, non di un secchio.” Replicò Giberto Pio, guardando il giovane Bentivoglio con severità. Doveva essere il suo maestro o qualcosa di simile “Quello fu solo il simbolo di come i modenesi ci avevano beffeggiati.”
Giovanni annuì “Da allora  è astio tra le nostre due città.”
“Dopo questa tediosa quanto inutile lezione di storia, io credo sia il caso di congedarci tutti” Riario si alzò cercando di non esser troppo scontroso, “Firmeremo un accordo per l’ora di cena. Ora desidero solo ristorarmi”
“Ovviamente siete invitato a passare la notte qui.” Disse Ginevra “Vi faremo avere una delle stanze più belle.”
“Il nostro sputo è vicino, non vedo perché dovrei rimanere” disse Girolamo, sarcastico, mentre alludeva ad Imola.
Beatrice colse la palla al balzo. Dovevano rimanere ad ogni costo, solo così poteva portare a termine il suo piano “Voi avete mal di testa, io sono stanca…. Senza contare che rifiutare così l’ospitalità di Madonna Sforza è scortesia…”
Riario la guardò negli occhi con fare indagatore e lei resse quello sguardo alla perfezione. Poi lui annuì “Ripartiremo domai alle prima luci dell’alba.”
Mentre tutti uscivano dando gli ossequi agli altri presenti, Beatrice sorrise tra sé e sé vittoriosa.
Finalmente, le cose giravano davvero come dovevano.
Di certo con ciò non alludeva alla resa pacifica di Bologna.
 

 

***

 

 
 
“Credevo che questa giornata non finisse più!”
Beatrice spalancò le imposte della finestra che dava diretta sul Giardino del Guasto, il grande cortile affiancato a Palazzo Bentivoglio. Si appoggiò ad esso, sentendo il vento fresco della notte sfiorarle il collo lasciato spoglio dai capelli raccolti sul capo.
Dietro di lei, Riario stava consultando un vecchio libro di araldica che aveva trovato nella libreria accanto al vistoso letto a baldacchino blu notte.
Dopo una cena veloce, nessuno aveva proposto di rimanere a parlare né di piaceri né di politica, così erano tornati tutti nei loro alloggi.
“La presenza del Cardinale Borgia schiaccia moltissimo l’allegria collettiva.” Commentò la mora, appoggiando le mani sulle spalle del marito e massaggiandole piano.
Lui socchiuse gli occhi, lasciandola fare mentre si rilassava sotto quel tocco “Schiaccia più cose di quante ne edifichi. Se non fosse un uomo di chiesa mi sentirei in diritto di parlarne male, invece mi tocca addirittura portargli rispetto.”
Beatrice passò avanti le mani, appoggiandole al centro del petto del marito, lasciato in parte scoperto dalla camicia sbottonata. Appoggiò un istante le labbra sulla sua nuca, prima di commentare, “Non vi siete mai fatto poi così tanti scrupoli nei modi di trattare la gente…”
“Un giorno, quello spagnolo sarà Papa. Me lo sento nelle ossa.”
La ragazza si scostò “Che il Signore che ne scampi e ce ne liberi.” Commentò, immaginando che forse Rodrigo sarebbe potuto diventare anche peggio di Sisto IV. Non era davvero il caso di proseguire in quella lista di pessimi pontefici “Mi pare giovane per divenire Papa.”
“Infatti ho detto un giorno.” La ribeccò Girolamo. Poi sghignazzò appena, voltandosi di tre quarti per guardarla “Il tuo battibecco con la moglie di Bentivoglio è stato la sola cosa che mi ha dato un poco di buon umore.”
“Ben lo so, l’ho fatto apposta.” Scherzò lei. Beatrice attendeva l’arrivo di Camilla con la tisana, ma da quella posizione sicuramente Riario l’avrebbe vista e avrebbe fatto domande su perché era Madonna Colonna a portarla. Tornò verso di lui, accarezzandogli il viso prima di chinarsi a baciarlo a fior di labbra “Venite a stendervi, Conte. Ho chiesto ad una delle serve di portar qualcosa per il vostro mal di testa…”
Accondiscendente come poche altre volte in vita sua, Girolamo la seguì fino al letto. Si sedette su di esso, trattenendo uno sbadiglio mentre la spossatezza iniziava a farsi davvero pressante. Assaporò per un istante il tappeto così morbido e vaporoso, prima di sollevare i piedi per sistemarsi per bene.
Beatrice si chiese se avrebbe potuto addormentarsi anche senza il suo ‘aiuto’, ma non poteva rischiare che si svegliasse. Doveva dormire fino al mattino.
Lo guardò raddrizzarsi, riponendo il pugnale sotto al cuscino come di sua consuetudine. Certo, sostare in una città nemica non era sicuro, ma lo faceva sempre anche a Forlì.
Lo spettro delle congiure era sempre al suo capezzale e lui attendeva chiunque, pronto a qualsiasi ora del giorno e o della notte.
Quando si stese, Beatrice si portò su di lui, alzando le veste per potersi mettere a cavalcioni. Passò piano le mani sul suo petto, mentre lui chiudeva gli occhi e le cercava con le sue per stringerle appena. Erano pochi i momenti come quelli, rari sprazzi di sentimento, che la fecero sentire tremendamente in colpa per ciò che stava per fare.
“Cosa ne pensi di Bologna?” le domandò il marito per amor di conversazione, anche se lui sarebbero rimasto volentieri in silenzio.
Lei sorrise “La ricordavo bene, è una bella città.”
“Troppe torri. Sono di pessimo gusto.”
Beatrice stava per replicare che invece la rendevano peculiare e unica, ma il bussare alla porta la costringe a rimandare quella discussione. Cercò di sembrare naturale, così scese del grembo del marito, prendendo la vestaglia da camera per coprire la camicia da notte bianca che indossava. Dal letto non era possibile vedere la porta, poiché era celata dal muro.
Camilla però era stata previdente e s’era coperta il capo con un fazzoletto scuro come quelli delle donne di servitù. Era scesa in cucina personalmente chiedendo dell’acqua calda al fine di preparare la bevanda soporifera.
“Hai dosato come ti ho spiegato gli ingredienti?” sussurrò pianissimo Bea, prendendo in mano la scodella che l’amica le porgeva.
Questa annuì “Lo stesso ho fatto con la bottiglia di vino.”
Beatrice si guardò alle spalle “Attendimi con Olivieri, senza farvi vedere, affianco al cancello del Giardino. Scendo in pochi minuti, se fa effetto subito.”
“Si ecco, funziona bene.”
“Ah si?”
“Sì…. Ho accomodato il gusto con un poco di miele visto ch’era amara.”
La mora alzò su sopracciglio “Tu lo sai perché….?”
“Olivieri.” Disse, aggiungendo veloce “Ma non temere, si stava riprendendo. Ne ha assaggiato solo un sorso.”
“Beatrice?”
La voce di Girolamo le spaventò entrambe. Con un ultimo sguardo ammonitore la mora chiuse la porta, tornando dal marito “La solita serva curiosa di sapere da dove provenissimo.” Disse, fingendosi divertita, mentre passava la pazza al marito.
“Non s’ha più rispetto del titolo, ormai.” Disse Riario portandosi seduto. La tazza quasi toccava le sue labbra quando parlò senza guardare Beatrice “Ne gradite qualche sorso?”
“Sono fin troppo accaldata.” Replicò troppo veloce lei, alzandosi per andare verso la toletta nell’angolo. Lì afferrò una spazzola, iniziando a pettinarsi i capelli per mascherare la tensione. Tenne lo sguardo sullo specchio, spiando solo una volta per guardarlo bere.
Poi si ristese, con il libro di prima fra le mani.
Trascorsero poco più di due minuti e un tonfo la fece voltare.
Il libro giaceva a terra, mentre un braccio del marito penzolava di lato. Si alzò, guardando il petto di Girolamo che s’alzava e si abbassava nella pace del sonno. La tazza vuota troneggiava sul piccolo mobiletto in legno di frassino, segno che i suoi calcoli erano stati ben fatti. Avrebbe dormito sino al mattino successivo senza sogni, ridestandosi con lei già tornata e stesa al suo fianco.
Raccolse il volume, riponendolo sul comodino prima di baciargli la fronte “Perdonami, ma è importante…” Sussurrò piano, prima di prendere delle vesti scure e cambiarsi. In una sacca, nascosta per bene tra i suoi effetti, vi era tutto ciò che poteva occorrerle.
Dopo aver assicurato la spada alla vita e il pugnale di Al-Rahim sotto al braccio uscì, guardando Riario un’ultima volta e sperando che tutto continuasse a filare come da previsione.
Illusa.
La porta s’era agganciata da poco quando il Conte spalancò gli occhi.
Serrò la mascella, guardando il punto dove Beatrice era seduta poco prima di fingersi addormentato e poi smontò dal letto, stando ben attento a non calpestare il tappeto, madido di chissà quale estratto.
Poi iniziò a sua volta a vestirsi, senza fretta alcuna.
 

 

Continua.

 
 
 
 
 
 
Nda:
Ecco qui l’aggiornamento!
So che rompo malissimo i capitoli, ma è per amore di Pathos u.u
Spero di postare presto il prossimo perché, come trama, mi piace parecchio!
 
Un paio di noticine poi passo ai ringraziamenti e vi lascio stare u.u
Prima cosa: I Bentiviglio sono riportati in modo fedele, così come tutte le altre famiglie di cui ho parlato, e mi stanno molto a cuore perché *udite udite* sono i miei avi! Eh si, discendo dai signori di Bologna, che figo eh?
Ok, dopo questa notizia di cui non importa nulla a nessuno, passiamo ad una bellissima illustrazione della città di quei tempi. Io ci sono rimasta male quando ho scoperto che era davvero così:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=525775274144667&set=a.340831162639080.85942.212620025460195&type=1&theater¬if_t=photo_comment
Fa impressione D:
 
Grazie alle quattro anime buone che hanno commentato lo scorso capitolo, ovvero: Lechatvert, _Coco,   Yoah e RLandH!!
Vi adoro infinitamente <3
Grazie anche a chi continua a leggere.
Come al solito i commenti sono sempre ben accetti e accolti con un ‘vkfkfmdkska’.
 
Un bacione
Jessy 

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Capitolo 16
*** Parte XVI: La Gazza, parte II. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo sedici.
Rating: Arancione.
Betareader: // 
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Parte XVI: La Gazza, parte II.
 

 
Il Castello innanzi al palazzo di giustizia e al tribunale di Bologna era noto come d’Enzo, dal nome del re che  era l’aveva costruito nel 1244 e che lì era stato relegato come prigioniero politico. Era una struttura antica, bella e ben curata dalla Signoria cittadina così come ogni altro palazzo del centro storico.
Olivieri l’aveva studiato a fondo, mentre al Palazzo dei Bentivoglio si teneva la cena con i Borgia e i  Signori. Aveva osservato il cambio della guardia, calcolando il momento giusto nel quale agire.
Beatrice aveva avuto modo di passare molto tempo con quella giovane guardia della sua scorta e l’era parso come una della poche persone che davvero sarebbero state disposte a rischiare il collo per lei. Quella missione assai rischiosa era un’ulteriore prova della sua fedeltà.
Edoardo era figlio di Adriano Olivieri, famoso capitano di ventura di Forlì, che aveva guidato l’esercito per molti anni prima della sua prematura scomparsa a causa di una brutta forma di polmonite. Si può dire che Edoardo fosse nato con la spada stretta nel pugno e l’arco fisso sulla schiena in una faretra di fasce. Non era il più sveglio dei giovani, ma dopotutto aveva appena diciotto anni e una vita davanti per diventar più acuto. D’aspetto era alquanto piacente: di fisico era fin troppo asciutto e snello, certo, ma il viso era particolarmente bello. Le labbra carnose, un paio di grandi occhi di un azzurro molto intenso, come il cielo estivo. I capelli rossi erano un chiaro tratto distintivo che lo rendevano tutto fuorché anonimo e le lentiggini che investivano il suo volto erano così numerose che mai sarebbe stato possibile contarle.
Di carattere, poi, era alquanto delizioso: un poco timido, arrossiva ogni qualvolta compiva una sbadataggine. Parlava poco e ogni volta apriva bocca sentiva come se gli fosse impossibile esprimersi in una maniera consona, passando così per più stupido di quanto in realtà fosse davvero.
Sapeva però diventare temibile, se lo riteneva opportuno.
Il suo essere così tanto magro gli permetteva d’esser rapido con la lama, sfuggente; Senza contare le sue rinomate doti da arciere. Beatrice l’aveva visto colpire i bersagli più improbabili, le poche volte che avevano tirato d’arco insieme.
Poteva colpire un tappo di sughero al buio, se riusciva anche solo ad intravederlo per un istante. Il suo era un dono.
Non era il classico cavaliere leggendario, non aveva nulla dell’autoritaria figura di personaggi quali Brancacci o Riario, ma era un giovane c’aveva  ancora da farsi. Poteva arrivare dove voleva, una volta compresa la sua via. Per il momento, gli stava più che bene servire la Contessa della sua nativa Forlì.
“Credete che sia saggio mettere così a rischio l’integrità di Madonna Colonna?” domandò cauto alla volta di Beatrice, accovacciata accanto a lui dietro ad una delle colonne del Tribunale, il cui portone era stato sprangato all’inizio del coprifuoco. Non vi era nessuno che passeggiava sotto alle logge, nessuna guardia si era avvicinata.
La città era fin troppo tranquilla, così era più facile per loro venir visti.
La mora si morse le labbra, prima di scambiare con lui un’occhiata fugace “Così bardata non la riconoscerebbe nemmeno sua madre.” Rispose in un sussurro, trattenendo un sorrisetto divertito prima di puntare nuovamente gli occhi verso l’amica che camminava con passo falsamente brillo verso le due guardie innanzi all’ingresso della cancellata di Castel d’Enzo.
In effetti, Camilla era davvero irriconoscibile: la veste che avevan rubato alla servitù del Palazzo, strappata nei punti giusti così da parere un vecchio straccio usato e riutilizzato; la banda di pizzo nero semitrasparente appoggiata sugli occhi affinché celassero almeno in parte i lineamenti della giovane e, per terminare, i capelli acconciati com’era d’uso fra le prostitute, tenuti con trecce leggere sollevate sul capo. Era parecchio credibile, c’era da dargliene atto.
La guardarono avvicinarsi alle guardie ridacchiando, appoggiando una mano sul petto di uno di loro mentre l’altro pareva parecchio irato. Se voleva violare il coprifuoco per lavorare, una buona prostituta sapeva che non doveva spingersi sino a piazza Grande. Era avventato, ma il collega pareva così preso da lei da non rifiutare un sorso di vino, che passò anche all’altro per farlo sbollire.
“Sta funzionando, non posso crederci.” Disse la giovane de’Medici, trattenendo un sorrisetto mentre osservava anche il secondo uomo attaccarsi avido alla bottiglia.
Olivieri serrò la mascella “Non trovo molto consono che però la tocchino così.”
Beatrice alzò un sopracciglio “Sarete mica geloso, Olivieri? Avete posato lo sguardo sulla mia dolce Camilla, per caso?”
Il ragazzo avvampò, al punto che le lentiggini sembrarono solo tanti semini di pomodoro sparsi per una scodella di polpa “Mia Signora… Io…”
Un tonfo lo interruppe. La prima guardia cadde al suolo, mentre l’altra cercava di capire, ormai troppo annebbiata, il motivo.
I due ragazzi appostati scattarono verso l’amica non appena l’altra guardia alzò la spada contro di lei, ma questa cadde riversa, a sua volta addormentata.
“Stai bene?” chiese Beatrice appoggiando una mano sulla spalla dell’altra giovane, che si sbrigò ad annuire con espressione soddisfatta.
“Sono andati giù come bambini dopo una tazza di latte caldo, prima di dormire.” Commentò, mentre Olivieri trascinava dentro il cortile di pietra uno dei due uomini, quello più magro, e iniziava a spogliarlo della divisa per poterla indossare al suo posto. Madonna Colonna si mise innanzi alle gradinate, mentre gli altri due sistemavano le guardie, controllando che nessuno sopraggiungesse.
Furono nuovamente fortunati. Olivieri si sedette accanto ad una delle due guardie, quelle che era parsa assai poco felice di trovarsi innanzi Camilla, prima, vestito con i colori di Bologna. “Nel caso in cui ci scoprissero, dirò ch’ero venuto per cambiare la guardia e ho trovato codesto macello. Poi cercherò di farvi segno di scappare…”
Beatrice annuì “Non ve ne sarà bisogno. Sarò fuori di qui molto prima di vederli destarsi, né attenderò l’arrivo di qualcuno. Camilla, tu torna al palazzo senza destar sospetto alcuno.”
L’amica la guardò preoccupata “Non vi è nulla che io possa fare per aiutarvi?”
La mora scrollò il capo “No, solo il saperti al sicuro mi darebbe la sicurezza per entrar negli archivi a mente lucida e cercare quello che mi è stato richiesto. Ci vediamo domani mattina.”
“Quando tornate, bussate alla mia porta. Così saprò che siete salvi.”
Madonna Colonna li guardò indecisa, prima di girare i tacchi, incamminandosi verso le loggiate, diretta alla torre degli Asinelli che fungeva da punto di riferimento geografico. Da lì avrebbe disceso la stradina sino a Palazzo Bentivoglio.
Beatrice non attese di vederla sparire; rubò le chiavi a una delle guardie e dopo aver scambiato un ultimo sguardo con Edoardo, entrò nel cortiletto interno, passando accanto al pozzo che troneggiava al centro.
Il castello di pietra aveva una pianta quadrata, con due lati composti dalle pesanti cancellate e due dagli ambienti che contenevano gli archivi. La Contessa salì di corsa la scalinata a ‘L’ siano al primo piano, aprendo la pensante inferriata che fungeva da uscio.
Gli archivi erano un luogo per definizione assai umido, tanto che d’istinto la giovane de’Medici si strinse addosso il mantello nero. Sempre seguendo chissà quale impulso, ignorò un paio di sale addentrandosi in una più piccola e angusta, chiusa dietro ad un pesante portone di legno massiccio. Aprendola capì di averci visto giusto: lì dovevano esserci i libri più antichi, giacché era così tanto protetto. Su scaffali e mensole intravide vecchi volumi dall’aria centenaria, pieni di polvere e ragnatele elaborate. L’aria era pesante, stantia, tanto da farle capire che quella stanza era chiusa da tempo.
Si mise a cercare con perizia, lasciandosi la porta alle spalle aperta al fine di garantirsi una fuga più rapida possibile, prima di perdersi in un’attenta osservazione.
Le parve di sentir uno dei cardini scricchiolare, ma proprio mentre si stava voltando, la vide.
Una piccola scatola d’osso, luccicante sotto la poca luce che filtrava da una finestrella quadrata. Si chinò per prenderla, appoggiandola sulla mensola innanzi a lei. Passò la mano sull’incisione del coperchio, come a voler accarezzare toro che stava per venir sgozzato in essa.
In quell’istante si perse nel voler cogliere il significato di tale iconografia e questo le impedì di prestare attenzione. Una mano fredda le coprì la bocca, mentre qualcosa di altrettanto gelido ma tagliente le si appoggiava alla gola.
Trattenne il respiro per la sorpresa, mentre il cuore accelerava di colpo i suoi battiti.
Non poteva crederci, era stata scoperta.
La mano col pugnale si abbasso di colpo, colpendola di polso per farla ruotare mentre anche quella sulle labbra veniva portata al collo, spingendola contro il ripiano della mensola.
Davanti a lei, con sguardo iniettato di sangue dall’ira e la mascella contratta, Girolamo Riario le puntava lo stiletto al volto, appoggiandone la punta sulla gota morbida di Beatrice.
Peggio di così non poteva essere.
Alla ragazza non rimase altro da fare, se non afferrare con entrambe le mani, il polso del marito che stava stringendo la presa sul suo esile collo.
“Girolamo.” Il sussurro arrivò debole, senza fiato “Ti prego, posso spiegare…”
“Interessante che vogliate disquisire con me.” commentò tra i denti l’uomo. “In effetti, era più semplice addormentarmi fino al mattino che darmi delucidazioni sul perché state cercando di scatenare una guerra con Bologna alle mie spalle”
“Cosa dovevo fare? Dirvi che avevo un incarico da svolgere? M’avreste rinchiusa.”
La stretta aumentò ancora e a Beatrice mancò l’aria “Non vi permettete di parlarmi così, non siete nella posizione di alzar la voce con me!”
La giovane boccheggiò, prima di prendere una decisione estrema, che si sarebbe di gran lunga evitata. Con un movimento deciso, brandì il pugnale dal fodero sotto il braccio, brandendolo con un movimento a ventaglio contro al marito, che fu veloce abbastanza da evitarne la lama per miracolo.
Riario rimase senza parole, mentre guardava la giovane sposa riprendere aria, con una mano sul collo e l’altra tesa in avanti, a brandire quella lama chiara che prima di allora non aveva mai visto.
“Mi state minacciando?”
“Siete arguto, Conte.”
Girolamo sbuffò una risatina senza colore, guardandola con una strana espressione, che poteva parere affettuosa ma non l’era affatto “Dite d’amarmi, poi mi drogate e mandate avanti i piani di un branco di eretici. Siete contraddittoria.”
“V’amo, lo sapete, ma l’ho giurato a mio nonno e nulla si frapporrà fra me e la mia missione” deglutì, guardandolo sicura. Non vi era ombra di paura o incertezza nei suoi occhi “Nemmeno mio marito.”
“Nemmeno io?”
“Né il rogo.”
Rimasero a fissarsi per istanti infiniti, poi Riario rinfoderò lo stiletto, alzando ironicamente le mani “Infine, mi arrendo innanzi a tanta tenacia.”
Beatrice non gli credette “Vi sembro una stupida? Aspettate che anche io abbassi la guardia per attaccarmi.”
“Siete mia moglie, al pari di una prigioniera. Anche se vi permetto di prendere ciò che state così strenuamente cercando, non cambierà poi molto. Ciò che è vostro è mio e ciò che è mio…. Beh, è mio.”
Lei lo guardò con la tristezza velata dall’astio, poi rinfoderò a sua volta il pugnale, raccogliendo da terra il piccolo scrigno d’osso che s’era scheggiato su di un lato.
Sapeva che l’uomo aveva ragione; qualsiasi cosa avesse fatto o deciso, lui avrebbe sempre veicolato ogni sua mossa. Era frustrante, ma vero. Quanto meno, le stava in qualche modo dicendo in modo implicito che poteva prendere ciò che era venuta a cercare.  Le si affiancò curioso, guardandola mentre prendeva la chiave da sotto la camicia.
La chiave di suo nonno Cosimo.
Dopo un istante di esitazione, la ragazza provò a infilarla nella toppa, vedendo che la calzava a pennello. Il suono secco dell’ingranaggio di apertura risuonò per gli archi a tutto tondo che sorreggevano il soffitto alto.
Beatrice sollevò piano il coperchio, trovandosi davanti ad un libro dalla copertina di pelle nera consumata. Tutto il libro pareva parecchio vissuto. Lo afferrò con entrambe le mani, prestando attenzione a non rovinarlo, ma non ebbe il coraggio di aprirlo.
Con riluttanza, lo passò a Riario che lo infilò sotto al mantello, in una tasca, mentre lei sistemava di nuovo lo scrigno dov’era, per non destare sospetto alcuno.
“Usciamo prima che-” Girolamo non fece in tempo a terminare la frase, interrotto da passi veloci che venivano dalle scale. In una manciata di secondi si ritrovarono, letteralmente catapultato nella stanza, Olivieri.
Lui guardò la Contessa preoccupato prima di notare la presenza del Conte e lanciare, in modo del tutto involontario, un piccolo strillo. Si coprì la bocca con entrambe le mani, guardando agghiacciato l’uomo e sentendo già la sua spada affondare nelle sue carni. Era morto.
“Edoardo, che accade?” chiese preoccupata Beatrice, prendendolo per le braccia e scrollandolo per attirare la sua attenzione “Parla, or dunque!”
Lui si diede un contegno, seppur a fatica “Ci hanno scoperti. Dobbiamo andarcene e parecchio in fretta, poiché sono riuscito ad ingannare un soldato della Signoria dicendo che avevo appena rinvenuto il fattaccio, ma egli è corso a chiamare ausili.”
Girolamo incrociò le braccia sul petto, guardando la moglie “Come pensi di cavarci d’impiccio senza attirare su di te le inimicizie dei Bentivoglio? Sentiamo, visto che sai esser così arguta.”
Beatrice ignorò l’evidente vena sarcastica, facendo strada sino al primo piano “Se loro salgono, lo faremo anche noi!” chiuse a chiave il primo cancello che dava sulle scale, così da rallentarli, poi insieme a Riario e Olivieri raggiunsero il tetto. Prese dalla  bisaccia che aveva appesa a tracolla una fune sottile ma che pareva lunga e robusta a sufficienza da farli evadere. Con l’aiuto di Olivieri la legò a uno dei merli e la lasciò cadere.
Riario storse il naso “Non è lunga a sufficienza, ci rimetteremo i calcagni.”
“Sarà un saltino di due metri, avete paura?” lo sfidò la moglie, iniziando a calarsi lentamente.
La corda reggeva, ma non volendo sfidare la sorte, fecero scendere prima lei da sola.
Arrivata al capo, la ragazza prese un respiro prima di farsi cadere. L’impatto con il suolo ricoperto di san pietrini la fecero quasi finire gambe all’aria e le fecero provare un certo dolore alla pianta dei piedi, ma era arrivata salva.
Con un braccio fece segno ai due uomini di seguirla e il primo fu Riario. Scese la parete del castello con più fluidità a sicurezza, compiendo quella distanza in poco tempo. Arrivò a terra con un piccolo salto, chinando le gambe per attutire il colpo.
Edoardo fu il meno aggraziato.
La corda ondeggiò più e più volte, facendogli perdere la presa dei piedi contro il muro esterno. Rischiò anche di cadere e quando si lasciò andare al capo della corda, rovinò a terra, sedendosi con forza sui sanpietrini.
Beatrice e Girolamo lo afferrarono dietro alle spalle, tirandolo fino alle logge ove si nascosero appena in tempo. Un paio di guardie si sporsero dai merli, adocchiando la corda e iniziando a scrutare nel buoi della notte per verificare chi fossero gli intrusi.
Dal nulla partì una sirena, segno che il coprifuoco era stato violato.
Ai tre non rimase altro da fare, se non tornare verso Palazzo Bentivoglio strisciando nelle ombre per non farsi scoprire.
 
 
 

***

 
 
 
Fu davvero dura arrivare al loro alloggio senza esser visti.
A Olivieri fu concesso di tornare insieme alle guardie svizzere e ai pochi soldati forlivesi che componevano la scorta dei Signori, graziato dal conte che a quanto pare voleva dedicarsi del tutto alla moglie.
Prima, però, dovevano crearsi il giusto alibi. Sicuramente avrebbero pensato a loro, tra i primi.
Velocemente, si spogliarono indossando le vesti da camera giusto in tempo per aprire la porta a Ermes Bentivoglio, figlio del Signore della Città, che vedendolì così, con Riario che reggeva scocciato una candela e Beatrice fintamente addormentata nel letto, non poté fare altro che scusarsi e andarsene di nuovo.
Il Conte era ancora sulla porta, con la mancina appoggiata al pomello, quando sentì sua moglie alzarsi di scatto. Non fece quasi in tempo a voltarsi che lei aveva già tra le mani il libro che aveva trafugato, insieme alla sua casacca.
Sentì la vena sulla sua tempia pulsare “Credete che sia il caso?” domandò infastidito da cotanta caparbietà. Doveva aver paura delle conseguenze delle sue azioni, non continuare a far ciò che aveva prestabilito “Beatrice, mi stai ascoltando?!” appoggiò con un tonfo il candeliere sul comodino, guardandola furente.
Lei si sedette sul letto, lanciandogli uno sguardo “Non gridare, o torneranno” rispose, aggiungendo sbrigativamente, per evitare che s’alterasse ancor di più “Puoi venire qui da me, per favore? È interessante…” passò una mano su di una pagina, guardando supplicante il marito.
Di ceffoni non ne aveva voglia, tanto valeva coinvolgerlo perché pareva tenerci così tanto.
Lui si prese un istante per sbollire la rabbia, lavandosi il viso nel catino vicino al letto, appoggiato innanzi alla toletta con lo specchio. Si asciugò con una pezzuola morbida prima di andare verso Beatrice e sedersi accanto a lei.
Subito, la ragazza sporse verso di lui il manuale “Che lingua credi che sia? Non credo d’averla mai vista.”
Riario studiò il profilo giovane di Beatrice, “Non è finita qui, non passerò sopra agli accadimenti di stanotte”, la avvertì, prima di  volgere lo sguardo verso quelle pagine ingiallite dal tempo. Lesse con attenzione la pagina destra, in latino, concentrandosi poi su quella alla sua sinistra. “Sembra turco. Anzi, per correttezza direi che è turco antico, scritto in alfabeto georgiano.” Elargì a un certo punto “Non so leggerlo, ma credo sia il prospetto di ciò che trovi accanto in latino…”
La  giovane annuì piano, prima di voltarsi verso il marito, baciandogli la guancia “Grazie.” Sussurrò, senza allontanare il viso.
Lui alzò un sopracciglio “Credi di rabbonirmi con codesti trucchetti da donna?”
“No, sono sinceramente grata per il tuo aiuto.”
Girolamo lesse un paio di righe in latino, storcendo la bocca “Questo sembra un qualche strampalato rito pagano.”
“Dici? Il mio latino è un poco arrugginito” ammise Beatrice, leggendo a sua volta, seppur con minore fluidità quel testo “Così pare.”
Riario prese il libro e lei gli permise di sfogliarlo, appoggiandosi col mento alla sua spalla.
Di pagina in pagina il contenuto di quel volume era sempre più palese: disegni inquietanti di diavoli, serpi, pipistrelli e altre creature; divinità senza nome e a prima viste molto antiche; strane formule di rito.
Girolamo gettò il libro al centro del letto quasi come se lo sentisse bruciare sotto i polpastrelli, passandosi poi le mani sul viso e sugli occhi. Sembrava combattuto “Se ti trovano in possesso di questo libro, verrai bruciata come strega sul rogo che prima sostenevi che non t’avrebbe fermata.” La informò impassibile, guardandola attentamente “Non credo sia saggio tenerlo.”
“Non ne farò sfoggio, starà nascosto.” Lo informò lei, prendendogli la mano che mollemente sostava sulla coscia del Conte “Ti supplico, permettimi di tenerlo. Non so a cosa serva e non intendo diventare una strega. Ti giuro che non farò uso della magia, non ne sarei nemmeno in grado, ma so che devo custodirlo io. Permettimelo, Girolamo…”
Riario mantenne il solito sguardo imperscrutabile, mentre soppesava quella folle richiesta. Se l’avesse concesso, avrebbe dovuto prestar ancora più attenzione a Beatrice. Non solo, non avrebbe più dormito tranquillo al pensiero dello scandalo che sarebbe potuto scaturire. Girolamo Riario, nipote del Santo Padre, che difendeva una strega. Non suonava affatto bene.
D’altro lato, però, sarebbe stato ancor più complesso disfarsi del libro.
La soluzione più intelligente sarebbe stata quella di portarlo a Mercuri e farlo riporre al sicuro degli archivi vaticani, ma in essi si sarebbe perso. In un certo senso, Riario era davvero curioso di vedere cosa potevano fare questi figli di Mitra.
Non avrebbe mai e poi mai disubbidito agli ordini del Papa, ma finché egli ignorava l’esistenza di quel manufatto, non stava facendo nulla di male.
Lui sarebbe rimasto sempre con Beatrice e quindi col libro. In un certo senso, l’avrebbe egli stesso tenuto sott’occhio.
Sospirò, togliendo la mano dalla presa della moglie per alzarsi “Non deve vederlo nessuno, chiaro?” dichiarò solamente, camminando poi attorno al letto sino alla sua parte del baldacchino.
Beatrice non poteva crederci.
Prese il libro fra le mani, riponendolo con cura nel suo baule da viaggio, prima di tornare al letto dove Girolamo s’era già steso.
Appoggiò il capo alla sua spalla, accarezzandogli piano il petto e insinuando la mano sotto alla camicia “Devi amarmi davvero, se non mi hai punita per la fuga di stanotte e per averti fatto una siffatta richiesta.”
Lui non rispose immediatamente, si limitò a inumidirsi il pollice e l’indice della mano sinistra e a spegnere con essi la candela.
Nel buio della notte appoggiò una mano su quella della giovane, al centro del suo petto, prendendo un respiro “Non è detto che non verrai punita.” Disse semplicemente,  prima di aggiungere “Devi sapere che apprezzo molto le persone che non hanno timore di perseguire i loro scopi. Ma se agirai nuovamente contro di me…” strinse con forza le presa sulle dita delicate di Beatrice, sentendole scricchiolare sotto le sue “Non mi darei altra scelta che rinchiuderti a Villa Orsini a vita.”
La Contessa strinse i denti, per il dolore e per quel brutto compromesso “Sarai tenuto aggiornato, se tanto lo desideri, Girolamo.”
Riario sorrise  con un ghigno soddisfatto “L’accordo è quindi preso, Beatrice.” Portò la mano sul capo della ragazza, lasciandole poi un bacio veloce sulla fronte “Dormi ora, è stata una serata davvero molto, molto stancante.”
Lei sospirò, confusa. Si alzò appena per appoggiare le labbra a quelle del moro “Mi auguro che un giorno apprezzerai molto di più tua moglie e molto meno la tua schiava. Buonanotte, Girolamo.”
Il Conte la sentì stendersi lontana da lui, prossima al bordo del letto, mentre il chiarore della luna rivelava che s’era addirittura posizionata in modo tale da dargli le spalle.
Incrociò le mani sul ventre e chiuse gli occhi,  maledicendosi un poco.
Non solo aveva aggiunto un ulteriore peso ai suoi pensieri, ma doveva continuare a porsi in quel modo con Beatrice.
Prima o poi l’avrebbe dimostrato quanto l’apprezzava.
In quel momento, però, non poteva proprio permettersi una moglie fuori controllo.
 

 

***

 
 

Il mattino successivo, a colazione, il Conte provò a informarsi riguardo alla sirena che aveva udito nel cuore della notte e al modo in cui Ermes  Bentivoglio si era presentato alla loro porta.
Era bravo a fingersi estraneo a qualsivoglia fatto compromettente.
Giovanni non sospettò nulla e sbrigativo gli raccontò per bene quei fatti
Qualcuno s’era introdotto a Castel d’Enzo ma non era riuscito a trafugare nulla.
Il destino fu benevolo con loro, visto che nessuna delle guardie riconobbe Olivieri.
Visto che avevano predisposto di fermarsi ad Imola, durante la via del ritorno, Riario fece sellare i cavalli quando la colazione doveva ancora terminare.
Una volta finito quel pasto frugale, si allontanò un istante con Bentivoglio, che a parer suo doveva assolutamente scegliere qualche bottiglia di buon vino bolognese da portare con sé a Forlì, lasciando la moglie in compagnia di Madonna Colonna.
“Incredibile come il Conte sia stato magnanimo con voi due” stava sussurrando Camilla, seduta nella carrozza, mentre Beatrice e Edoardo ridevano sotto ai baffi,tenendo le redini delle loro cavalcature. “Credevo v’uccidesse! Quando l’ho visto strisciare dentro al Castello volevo avvisarvi ma c’è stato troppo scompiglio.”
“A quanto pare è un marito più misericordioso di quanto credessimo.” Concesse Edoardo, accarezzando i crini del suo cavallo con fare dolce “Non ha predisposto nemmeno una punizione, almeno non per me.”
“Io credo che me la farà pagare, ma non ora” disse Beatrice, appoggiando una mano sulla spada. Solo in quel momento comprese che le mancava qualcosa. Aveva fatto un bagno veloce, quella mattina, e si era levata sia l’anello nuziale sia la chiave di suo nonno. Senza pensarci due volte lasciò le redini della giumenta a Olivieri “Torno subito, ho scordato un paio di cose sulla toletta!” disse loro, mentre già sfrecciava dentro al palazzo, evitando di urtare servitù e guardie nel tragitto sino alla stanza.
Recuperati i suoi averi, si diede della stupida.
Non aveva mai dimenticato la chiave da nessuna parte e teneva molto anche all’anello. Scosse il capo, domandandosi dove perdesse la testa certe volte.
Si accorse immediatamente d’esser seguita, ma attese di arrivare alla scalinata per voltarsi. Voleva che le guardie la vedessero, visto che quella presenza pareva poco benevola.
Quando voltandosi si trovò innanzi il Cardinale Borgia, capì d’averci visto giusto.
Fece una piccola riverenza “Vostra Santità” disse con tono cordiale, anche se non era di certo felice di vederlo doveva mascherare l’astio dietro ad un sorriso.
Quell’uomo non le diceva nulla di buono.
“Madonna de’Medici, partite così presto? Sembrate una ladra che si nasconde dal sole alle porte della notte” Commentò bonario, mettendosi di fronte a lei con le mani dietro alla schiena.
“Mio marito ha molti incarichi da portare a termine oggi.” Replicò la mora accondiscendente “Non vogliamo attardarci, se comprendete.”
“Oh, comprendo eccome” rispose Borgia, sorridendole fin troppo bonaccione. Pareva quasi in cerca di un favore “Non per il Santo Padre, immagino.”
“Faccende di Ducato, Vostre Eminenza”Beatrice rispondeva sì educata, ma sbrigativa. Non voleva parlare con quel prelato, Girolamo l’aveva messa fin troppo in guardia verso lo Spagnolo.
“Capisco, Madonna.” Replicò semplicemente, annuendo piano.
Lei pensò d’aver avuto in congedo.
S’inchinò nuovamente, prima di dargli le spalle pronta a scendere le scale.
Lui trovò un modo efficace per trattenerla.
“Sono figlio della terra e del cielo stellato” scandì con voce bassa ma chiara “Sono assettato, vi prego, lasciate che mi abbeveri alla fonte della memoria.”
Con lentezza, si voltò nuovamente verso di lui, cercando di non dare troppo a vedere ciò che provava in quel momento.
Confusione mista al terrore di venir smascherata.
“Non credo d’aver capito, Vostra Eccellenza.”
Rodrigo sorrise di più, seriamente compiaciuto “Io credo invece che abbiate capito, Beatrice” la superò, camminando verso il suo alloggio dall’altra parte del corridoio “Abbracciare vostro marito non è come abbracciare la Chiesa, esattamente come l’aver il sangue di vostro nonno non è come l’aver il sangue d’un eletta. Meditateci. Arrivederci, Madonna.”
Lei rimase lì bloccata, con lo sguardo fisso ove prima il Cardinale s’era rivolto a lei con parole tanto famigliari da farle gelare il sangue nelle vene.
“Beatrice!”
Quando s’accorse che la stavano chiamando, portò lo sguardo verso il fondo delle scale. Là la attendeva Girolamo, spazientito. La sua espressione però mutò quando vide qualcosa negli occhi della moglie.
Qualcosa che non andava.
Le fece segno di scendere, ne avrebbero parlato durante il viaggio.
Quel luogo andava abbandonato, ne aveva abbastanza di Bologna per almeno ventiquattro mesi.
 

 

***

 
 

Solo dopo aver lasciato Imola, Riario decise di rilassarsi un poco.
Il viaggio sino a Forlì sarebbe durato ancora almeno tre ore, così passò metà di quel tempo a lasciar vagare la mente per i campi insieme ai suoi occhi di miele, prima di accostarsi a Beatrice, insolitamente silenziosa.
Le aveva chiesto cosa non andasse e subito capì che non si sarebbe più potuto permettere un poco di tranquillità.
“Dici che il Cardinale Borgia è un Figlio di Mitra.” Il Conte soppesò quelle parole con attenzione, mentre avanzavano innanzi alla carrozza, un poco distaccati dal resto della compagnia “Questa è un’accusa molto forte, cosa te lo fa pensare?”
“Me l’ha fatto capire per bene.” Rispose la giovane, “Non so se questa è una cosa buona o meno.”
“Se riguarda quello Spagnolo dalla cristianità dubbia, non credo. Ti dirò di più: non mi stupisce affatto che sia coinvolto con un branco di eretici che meriterebbero solo la Garrota.” Beatrice lo guardò un po’ male e lui alzò un sopracciglio “Senza offesa. Poi con essa, lui si sentirebbe di certo a casa.”
“Come sei gentile, vuoi mettere a loro agio le persone che torturi? Hai fatto cantare qualcosa in romanaccio ad una guardia mentre t’occupavi di Ezio?”
Il Conte ignorò questo commento “Non ho mai nutrito alcuna fiducia in Borgia. Quell’uomo ha tanti segreti oscuri quanti figli illegittimi. Se è davvero un eretico, potremmo farlo fuori, finalmente.”
“Come dimostri che un Cardinale è un eretico, senza prove?”
“Non posso di certo denunciarlo, così a mani vuote. È pur sempre un prelato.” Mentre Forlì si stagliava innanzi a loro, illuminata dal tramonto, iniziarono a discendere il pendio paludoso, passando di ponte in ponte. Mentre dietro alla città erano molti i campi coltivabili e ricci di foraggio, davanti alla città il padule non s’era ancora ritirato. Questa era la peculiarità della città.
Beatrice sorrise, sentendosi a casa. Fece per spronare il cavallo ma, accanto a lei, Girolamo si sporse a prenderle il polso “Forniscimi delle prove e ci leveremo Borgia dai piedi per sempre.”
“Posso provarci, ma non so come fare.”
Dopo un ultimo sguardo, entrambi si affrettarono a raggiungere le mura, bramando una buona cena e un letto morbido in cui risanare gli arti indolenziti dalla cavalcata.
Il destino però non aveva ancora smesso di giocare tutte le sue carte, quel giorno.
Girolamo fu piacevolmente stupito nell’apprendere che a corte era giunto un suo consanguineo, a lui molto caro.
Giacomo* della Rovere, prefetto dell’Urbe, li attendeva nel salone.
Quando il Conte entrò di gran carriera, questi gli si fece vicino con un gran sorriso e lo abbracciò.
Beatrice aveva riconosciuto una certa vicinanza tra quei due e il fratello del prefetto, il Cardinale Giulio* della Rovere, il giorno del matrimonio a Roma. Lo stesso Girolamo aveva ammesso una sera, nell’intimità del loro letto, che se doveva per forza indicare un membro della sua famiglia a cui fosse devoto, erano senza dubbio i due cugini di Savona, da anni al servizio di Papa Sisto.
In quell’abbraccio, Girolamo sorrise lievemente, senza scomporsi troppo, appoggiando una mano alla schiena di Giacomo. “Mio caro cugino!” proruppe l’ospite, prendendo le distanze ma lasciando le mani sulle spalle di Girolamo “Siete ingrassato o sbaglio?” lo prese in giro, visto quanto esile era la figura del Conte rispetto alla sua, più piazzata e slanciata “La vita coniugale vi sta un poco raddolcendo, voglio sperare. Ed ecco vostra moglie! Madonna de’Medici voi siete sempre in perfetta forma! Nessun erede in vista?”
La mora arrossì innanzi a tanto entusiasmo, ma accetto di buon grado i due baci che Giacomo le stava lasciando sulle guance. “Quale piacere è rivedervi, Prefetto della Rovere” disse allegra.
Ed era vero.
Aveva partecipato a pochi pranzi famigliari, grazie al cielo, ma lui era il solo a renderli allegri. Soprattutto se su di loro troneggiava l’opprimente presenza di Sisto “Anche per me, Beatrice. Siete davvero bellissima. Purtroppo, però, non reco buone nuove!”
Riario grugnì con disappunto, sentendo tutta la stanchezza accumulata gravargli sulle spalle mentre si lasciava cadere sulla sua seduta, appoggiando la fronte alla mano e chiudendo gli occhi. Sicuramente, non voleva ulteriori pensieri “Ho avuto l’onore di sedere allo stesso stavo di Rodrigo Borgia sia a cena che a colazione” disse con molta ironia, facendo storcere il naso anche a Giacomo “Cosa può mai venir di peggio?”
“Giovanni Malatesta è deceduto tre giorni orsono, cugino”
A quelle parole, Riario rizzò la schiena. “Com’è accaduto?”
Giacomo si inumidì le labbra “Un’imboscata mentre era a caccia. Non è la cosa peggiore però.”
Beatrice sedette accanto al marito, capendo benissimo la sua preoccupazione.
I Malatesta erano importanti alleati; la morte del capo della Signoria non poteva portar nulla di buono.
“Pandolfo Malatesta, a capo di un grande esercito e spalleggiato anche dalle truppe di Federico I Gonzaga, ha riconquistato Rimini e dichiarato guerra a Ercole d’Este.”
Riario si passò le mani sul mento “Cosa è stato prestabilito, riguardo allo scontro contro Modena?”
Giacomo sospirò “Per questo sono qui. Dopodomani, da Roma arriverà il mio esercito personale che, insieme alla tua fetta romana, a quello di Imola, quello di Forlì e ad una piccola ala di Ferrara capitanata da Alfonso d’Este attaccherà i Campi a sette giorni da oggi.”
“Immagino che nel frattempo, Ercole tenterà di riprendersi ciò che è suo.” Commentò Riario, vedendo il cugino annuire col capo.
“Solo il Ducato di Modena s’affronta senza problemi” decretò Beatrice.
Il prefetto sospirò “E i Malaspina di Faenza.”
“Appoggiano Ruggero Campi?” domandò Girolamo senza colore.
“A quanto pare…”
“Non fa la differenza. Li affronteremo in battaglia.” Il Conte si alzò, stirando la schiena e chiamò a sé Zita “Conduci il Prefetto della Rovere nei nostri alloggi più belle ed esegui ogni sua richiesta.”
“Tutte meno che una” replicò divertito Giacomo “Anch’io mi sposo, cugino.”
Beatrice lo guardò stupita “Davvero? Chi è la fortunata?”
“Giovanna di Montefeltro, figlia del Duca d’Urbino” rispose con non curanza ma divertimento nella voce Giacomo “Mai vista prima, spero non sia racchia!” si apprestò a seguire l’abissina mentre Girolamo tratteneva la risata che Beatrice stava invece esternando “Ci ritroveremo a cena, suppongo. Buon riposo!”
Madonna de’Medici s’appoggiò al braccio del marito, facendosi seria “Un’altra battaglia ci attende..”
“Stavolta tu non sarai impreparata.” Rispose Riario, guidandola verso le loro stanze.
“Che intendi?”
“Che avrai l’addestramento militare che ti è stato negato a causa del tuo esser donna, Beatrice. Non ti lascerò combattere senza che tu possa proteggerti al meglio. Contro Ordelaffi sei stata solo fortunata.”
“…Avevo Brancacci.”
“Stavolta avrai me.”
 
 

***

 

 
 
Borgia s’aggirava per gli archivi bolognesi senza scorta e senza bisogno di rifugiarsi nelle tenebre. Mai gli sarebbe stato negato di visionare ciò che voleva.
Sapeva benissimo dove cercare, per questo non perse tempo a rimirare libri polverosi e scaffalature che da anni non venivano toccate.
Quando trovò lo scrigno, non si stupì nel trovarlo.
Né quando notò che non aveva la benché minima traccia di polvere sopra.
Scuotendolo, non sentì nulla urtare le pareti interne, segno ch’era stato svuotato.
Sorrise, passando un dito ove s’era sbeccato, cadendo al suolo.
“Molto bene, Madonna de’Medici. Renderete parecchio interessante la mia missione.”
 
 
 
 
 
 
 
*Giacomo e Giulio. In realtà, storicamente parlando, si chiamavano Giovanni e Giuliano della Rovere, ma visto che ci sono TROPPI personaggi con questi nomi ho dovuto accomodare la cosa un po’ così. Giacomo è comunque un nome che inizia con la G e Giulio è il nome che Giuliano della Rovere prende quando diventa Papa.
Scusate, ma non ci salvavo fuori se no xD




Nda:
Aggiornamento veloce, sono di super fretta stasera^^
Non ho molto da dire, se non che nel prossimo capitolo vedremo un Conte molto 'militare' ahah


Grazie a Yoan e Lechatvert per le recensioni e a chi ancora mi segue.

Buona serata

Jessy

Ps. Qualcuno di voi viene a Vinci questo weekend alla Sagra dell'Unicorno? :D
Se si, contattatemi e ci incontriamo!

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Capitolo 17
*** Parte XVII: L’istinto. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo diciassette.
Rating: Arancione.
Betareader: Angel_Elric.
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 






Parte XVII: L’istinto.
 
 
 
L’odore dello zolfo appestava l’aria, assieme al fetore della carne in decomposizione.
Pandolfo passeggiava lungo le mura, le braccia dietro alla schiena ben ritta e lo sguardo fisso oltre di esse.
Erano passati quattro giorni dall’inizio dell’assedio e le truppe degli Estensi non erano ancora riuscite ad aprirsi una breccia. Non solo: non sembravano nemmeno lontanamente vicini al diventare una minaccia.
La malattia e la fame li avrebbero fermati prima ancora di iniziare il vero e proprio scontro.
Il giovane Malatesta sorrise compiaciuto innanzi alla magnificenza del suo arsenale rispetto a quello del nemico. Alzò appena una mano e, ad un suo piccolo cenno, almeno venti cannoni spararono verso le torrette rivali, abbattendole tutte e cinque. Non sarebbero mai arrivate a posarsi contro le mura. Senza contare che la natura era dalla sua: il territorio tutt’altro che piano attorno a Rimini era sufficientemente ondulato da impedire ai fanti e ai cannoni di posarsi per bene a terra ma non abbastanza irto per nasconderli agli arcieri, che dalla città gettavano morte e fiamme sulle schiere di Ercole.
Pandolfo aveva solo sedici anni, ma un genio militare così sopraffino da far invidia al più veterano dei condottieri. Era un giovane ch’aveva da farsi, magro e di bassa statura, con due occhi grigi e freddi come il cielo invernale e i capelli color paglia, tagliati corti sul capo.
Aveva architettato un piano infallibile, per riprendersi quella città che gli Este avevano strappato a suo nonno anni prima della sua nascita e che era diventata fonte di  umiliazione per suo padre, ridotto al pari di uno schiavo per Ercole. Sovraintendente della città, con a mala pena il titolo e senza nessun potere.
Cesena non bastava; Pandolfo rivoleva anche Rimini e l’aveva ripresa, ben intenzionato a non cederla facilmente. Aveva ucciso il suo stesso padre, ormai consumato dall’idiozia e dal malcontento del suo stesso esercito, uno dei più potenti della penisola…. Ed ora eccolo lì, appoggiato alle mura con espressione strafottente.
“Generale Manelli?” chiamò con tono limpido, senza voltarsi verso l’uomo che avanzava verso di lui con decisione.
Il volto sfigurato faceva presagire che egli doveva aver visto più di un campo di battaglia, nella sua vita “Comandate, mio Signore.”
“Voi mi avete insegnato molte cose sulla guerra.” Disse il giovane ragazzo, spostando gli occhi d’acciaio sul generale “Ma una in  particolare m’è rimasta impressa.”
Manelli si chinò appena “Mi onorate, mio Signore. A quale alludete? Sempre se posso domandarlo.”
Il modo in cui anche gli uomini più valorosi del suo esercito lo temevano faceva largamente presagire l’indole di Pandolfo “Come deve comportarsi ogni buon capitano di ventura o Signore di qualsivoglia terra. I suoi doveri verso i suoi uomini, per esempio.”
Il Generale annuì “Ricordo bene, mio Duca.”
Il biondo si fece pensieroso, enfatizzando quello stato d’animo al punto tale da appoggiarsi un dito alle labbra, picchiettandole piano “Chissà se Ercole è un buon condottiero. Per ogni capo, tutti i suoi sottoposti devono essere importanti tanto quanto i suoi figli. Solo con l’amore si vincono le guerre…. Per la terra e per il popolo.” Fece una pausa, sorridendo poi soddisfatto “Non vorrei farlo penare troppo per il destino di quei giovani uomini che ha inviato attorno alle mura, al fine di trovarne una zona più fragile.  Rilasciate i prigionieri.” Bloccò Manelli, prendendolo per un braccio, prima che potesse allontanarsi per eseguire l’ordine “Non tutti però, portatene uno, il più onorabile.”
“Come chiedete, mio Signore.” Il Generale si inchinò, prima di andare ad appoggiarsi alle mura, nella parte interna che s’affacciava su di una piazzetta ove erano montate tre catapulte a lunga gittata. “Liberate i prigionieri!”
L’urlo di Manelli s’era levato da pochi istanti quando gli elastici schioccarono facendo si che le catapulte potessero lanciare verso l’esercito degli Este un macabro messaggio. Una ad una, le teste di tutti i prigionieri atterrarono sugli scudi e sui capi dei loro alleati, deformate da smorfie sofferenti che illustravano al meglio i patimenti che avevan subito prima del trapasso.
Nonostante fossero alquanto lontani, Pandolfo poteva sentire i lamenti e le urla orripilante di soldati ferraresi. Se ne compiacque parecchio.
Rimase a guardare la scena, ringraziando che il cielo fosse nuvoloso al punto tale da consentire ai suoi occhi di spiare al meglio la campagna, fino a che Manelli non lo interruppe, schiarendosi la voce.
Si voltò verso di lui e guardò la testa che reggeva fra le mani “Chi è costui? Anzi, trovo più appropriato chiedervi chi fosse, visto che ora vi è rimasto ben poco di quest’uomo.” domandò il giovane Duca.
“Settimio d’Este, mio Signore.” Rispose il Generale, con zelo “Nipote del Duca Ercole Primo.”
“Oh, bene.” Rispose con una nota allegra Pandolfo, scostando la cappa color borgogna con inciso sopra lo stemma dei Malatesta. Raggiunse così una tasca profonda della sua casacca dorata e si avvicinò di qualche passo a Manelli “Trovo opportuno che a portare le condizioni della resa al Duca sia proprio un suo consanguineo.” Aprì  la bocca di quella fatiscente testa mozzata, infilando tra i denti una pergamena arrotolata, tenuta chiusa da un filo e della ceralacca sanguinea “Fate in modo che arrivi tra le mani d’Este in persona, mi raccomando.”
“Sarà fatto, mio Signore.”
Il Generale prese congedo, lasciando il giovane lì sulle mura insieme a tre guardie e a coloro che erano stati stanziati lì. Passò accanto ad un paiolo di grandi dimensioni, contenente olio bollente, e quasi trasalì per un tuono che pareva esser caduto lì vicino.
Alzò gli occhi alle nubi; la giornata si presagiva piovosa.
Questo pensiero gli strappò un sorriso.
Saper il meno possibile agiati i suoi nemici era un pensiero di gran diletto.
 


 

***

 
 

La pioggia non era che l’ennesimo ostacolo, posto quasi a scherno dal cielo, fra Beatrice e la sua meta.
Provò ad uscire dalla fanga che la imprigionava dal ginocchio in giù, maledicendo le paludi forlivesi e la loro irreprensibile malignità.
Tentò nuovamente, strattonando la gamba destra, con il solo risultato di cadere in avanti in quella poltiglia vischiosa che odorava di muschio e Dio solo sa cos’altro, sporcandosi addirittura il viso.
“Maledetto Riario.” Sibilò tra i denti, aggrappandosi al bordo scosceso e tirandosi si, strappando via un paio di zolle dall’erba bruciata dalla calura estiva. Quanto meno il sole non le picchiava sul capo, anche se le nuvole le stavano riversando addosso tutto ciò che potevano.
Olivieri la raggiunse, stringendo il fiocco azzurro che aveva legato attorno al braccio e che, tecnicamente, doveva avere anche Beatrice sotto tutta quella terra bagnata “Potevate discernere un miglior percorso, Madonna.”
La mora lo fulminò con lo sguardo, estraendo la spada a dir poco lercia “Per cortesia, non mi pare il momento di sindacare sulla via. Prendiamo quella maledetta bandiera e torniamo alla Rocca. Sono distrutta.” Poi si guardò attorno “Un secondo, gli altri?”
Il rosso la guardò, affranto “Tutti eliminati.”
“Tutti?!”
“Tutti.”
“… Bella figura per i Forlivesi.”
Si mossero in silenzio tra la sterpaglia, localizzando un paio di guardie romane che tenevano d’occhio una bandiera rossa, appoggiata ad un albero. Senza farsi notare, Beatrice li aggirò, abbattendo piano la spada sulle loro schiene. A quel tocco, i due uomini si voltarono, chinandosi appena per poi tornare verso la fortezza.
“Almeno ne abbiamo eliminati due.” Disse Olivieri, afferrando la bandiera “Quindi? Abbiamo vinto?”
“Mi pare un po’ facile, non credi?” rispose la ragazza, guardandosi attorno con la spada ancora alzata. Aveva fatto appena in tempo a perlustrare metà dell’area con lo sguardo quando una freccia arrivò nella sua direzione, conficcandosi a terra.
Grunwald scese da uno degli alberi con un balzo, lasciando cadere la balestra ed estraendo con abilità la lama.
Beatrice fece parecchia fatica ad evitare i suoi fendenti, ma si difese alla meglio mentre altri tre uomini uscivano allo scoperto, compreso Riario.
Olivieri prese a sua volta a battersi ma il Conte ci mise così poco ad eliminare anche lui che il giovane quasi non si rese conto; mentre si sbilanciava a causa di un fendente dato con eccessiva energia, Riario fece una sorta di piccola giravolta, tirando il braccio del rosso prima di colpirlo nemmeno troppo piano sulla schiena con una gomitata.
Anche Beatrice perse, cadendo col sedere a terra sotto i duri colpi di Grunwald, scivolando sul terreno troppo umido.
“Questo gioco s’è fatto un poco pericoloso per voi, Madonna” la schernì il generale, offrendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Lei sbuffò.
“Non  ho ancora ben capito il senso di tutto ciò.” Disse, mentre il marito le si faceva vicino. La ragazza passò gli occhi dal fiocchetto rosso che il Conte teneva legato al braccio, alla camicia dalle maniche sollevate sopra al gomito, alla cappa marrone scura, prima di incontrare i suoi occhi “Che insegnamento dovrei trarne?”
Lui infilzò il terreno con la spada, appoggiandosi ad essa mentre scrutava la moglie da dietro le lenti di quei suoi strani occhialini “Ogni buon soldato viene addestrato a lavorare su quattro qualità in particolare, che in lui devono essere innate: la resistenza, la forza, la destrezza e la determinazione.” Si sistemò il capellino sul capo, dopo essersi asciugato il volto dalla pioggia battente “Voi avete fallito su ogni fronte.”
“Le guardie svizzere sono più abili dei miei uomini” disse Beatrice, cercando una scusa veloce “Senza contare che il terreno è parecchio insidioso.”
“A quanto vedo, siete la sola ad esser caduta nel fango.” La riprese velocemente Riario con tono affabile, facendo ridacchiare i suoi uomini “Noi qui siamo solo bagnati a causa di questo tempo inclemente. Voi pare che vi siate rotolata nel torlo con i porci”
La mora lo fulminò con lo sguardo, prima di rinfoderare la spada “Ricominciamo, o perdiamo tempo?” domandò con una nota irritata nella voce, prima di tornare verso il campo fittizio che aveva organizzato per la sua squadra, seguita da un Olivieri alquanto provato.
Grunwald alzò un sopracciglio, sempre più divertito “Vostra moglie non pare avvezza ai giochi di guerra, mio Signore.” Disse, appoggiando le mani alla cinta.
Girolamo raccolse la bandiera rossa, “Così come non è avvezza alla battaglia vera.”
 


 

***




 
Lorenzo de’ Medici era noto per molti meriti, ma non di certo per l’abilità nell’arte bellica.
Egli stesso si riteneva un umanista, un amante dell’arte che solo la bella Fiorenza poteva partorire. Siffatta attitudine era dimostrata dai versetti che l’uomo era solito scrivere, spesso guidato dall’amore che provava per la bella Lucrezia Donati o per la sua stessa città, o all’attaccamento a quella vita sì infame, ma che al meglio vissuta poteva portare grandi soddisfazioni.
Per questo non riusciva quasi a concepire la sete di sangue che provavano i grandi Signori della Romagna.
I Malatesta di  Cesena, i Malaspina di Faenza, gli Estensi di Ferrara, gli Sforza di Pesaro e Riario di Imola…. Parevano esser nati con propensione ai campi di battaglia e alla lama.
Non riusciva a capire come essi potessero, in vero, trovarvi del bello.
Lui era il primo a punire gli stolti che osavano contrapporsi alla sua famiglia o che mettevano a rischio l’equilibrio nella sua Firenze, ma non trovava consono alla natura umana il volersi ricercare i problemi.
Modena era un Ducato a sé stante da almeno duecento anni, perché privarli ora di questo attributo? Pareva una storia già sentita, certo, un po’ come il Regno di Napoli ch’era conteso da Francesi e Spagnoli.
Accartocciò la missiva che gli era stata inviata in tarda mattinata da Giovanni Bentivoglio, gettandola nel focolare spento. Si lasciò cadere quindi sulla poltrona, sospirando e chiudendo gli occhi. Il gufo reale, che teneva su di un trespolo alle sue spalle, gli diede segno della sua presenza conuna regolare e lenta successione di cupi gorgheggi, distraendolo per un istante dai pensieri pesanti che avevano preso forma nella sua mente.
La porta scricchiolò, facendolo sussultare.
Becchi gli sorrise dell’uscio e il Magnifico subito si rilassò, concedendogli di entrare con un cenno verso l’altra poltrona, affianco alla sua “Perché state qui solo e con quell’espressione contrita, Lorenzo?” domandò stanco il vecchio mentore, raggiungendo di buon grado la seduta.
Questi sospirò “Pensieri tetri, mio buon Becchi. Imminente è una nuova battaglia.”
“Lo è, ma non sulle nostre teste.” Lo corresse subito il consigliere, appoggiando le mani sui braccioli “Cosa vi turba, quindi?”
“A quanto m’è parso di capire dagli schiamazzi che sono giunti alle orecchie di Firenze, anche mia sorella scenderà sul campo” disse il Magnifico, sospirando mesto “Riario è solo un folle, lo sapevo anche prima di farla maritare con lui. Avrei evitato questo pasticcio!”
“Non potevate saperlo, Lorenzo…”
“No, non potevo. Però dovevo prevederlo.” Il Signore si alzò con uno scatto repentino, camminando innanzi alla finestra da cui filtrava un sole morente “Ha sempre avuto eccessivo amore per le faccende da uomini, ma pensavo che un marito avrebbe soppresso in lei questa vena avventurosa.”
“Se posso, mio Signore, vorrei dire una cosa che si pone in antitesi con le vostre affermazioni.”  Il consigliere si aggrappò ai braccioli, torcendo il busto tanto quanto le sue vecchie membra glielo concedevano “Beatrice s’è dimostrata intrepida in molte occasioni banali, ma questa sua caratteristica la rende unica. Voi stesso eravate felice nel vederla allenarsi con Giuliano.”
“Al fine di sapersi difendere, certo. Non di certo perché scenda su un campo di battaglia.” Il Signore di Firenze tornò a sedersi, lasciandosi cadere sulla poltrona di velluto rosso e prendendosi il capo tra le mani “L’avreste mai detto, Becchi? Che quella bambina dai grandi occhi di cielo sarebbe divenuta una così temuta Signora di Romagna? Ch’avrebbe portato seco un esercito e si sarebbe battuta per gente dissoluta come gli Estensi?”
“Dobbiamo provare a vedere ogni fatto nel suo contesto, Lorenzo” replicò saggio il mentore “Cos’altro può fare? Deve difendere Forlì e chi meglio degli Este può aiutarla? Un’alleanza con la famiglia più importante di quelle zone è ciò che le serve. Senza contare che si è maritata al nipote prediletto del Papa. Non può fare altrimenti. Giuliano stesso ha affermato d’averla vista felice, quasi spensierata nonostante l’incombenza del suo titolo e l’ombra del Conte sulle spalle.”
Lorenzo annuì lentamente, “Attenderemo il responso della battaglia, intanto continuerò a sperare che la buona stella di mia sorella continui a brillare nel cielo.”
“Lo farà.” Becchi appoggiò una mano sul suo braccio mentre si alzava, sorridendogli benevolo “Cosimo de’ Medici veglia su di lei, non potrà fallire o soccombere facilmente. Se c’è una cosa che ho imparato in anni e anni di servigi a codesta corte è proprio l’attitudine dei Medici a voler sempre aver ragione e a pretendere di vincere ogni battaglia. Sono due doti inestimabili.”
Il Signore rispose al sorriso mentre il vecchio mentore si congedava.
Aveva ragione Becchi, sua sorella aveva nelle vene un sangue raro e prezioso, unico, che l’avrebbe ricondotta un giorno a Firenze e li avrebbe fatti ricongiungere.
Nessuna guerra e nessuna lama potevano impedirlo.
 
 
                                   

***

 
 
 
Andarono avanti per ore e quando, infine, Beatrice riuscì a disarmare Grunwald – che in vero, s’era distratto – tornarono alla Rocca per lavar via la fatica di quella caotica giornata e per desinare con del fagiano e diversi contorni.
Giacomo della Rovere guardò divertito il modo in cui i Signori e i loro capitani addentavano la cena con gusto, desiderosi di riacquistare qualche energia con del buon cibo.
Si spostarono quindi nel salone del focolare, che era stato acceso nonostante fosse agosto per compensare all’umidità che la pioggia e la pietra del castello avevano accumulato nelle ossa di tutti loro.
Un paio di serve abbrustolirono un poco di pane, adornandolo con burro, fettine di carne sottili e pomodorini, prima di servirlo con molto vino e formaggi.
Pareva una festa, ma la verità era che compensavano l’affanno di quel giorno con la gola. Beatrice si addormentò dopo un paio di bicchieri di sidro su una delle poltroncine e Camilla la coprì con una coperta, per non interrompere il discorso che gli uomini avevano iniziato riguardo l’imminente assedio di Modena.
A quanto s’era detto, non avrebbero combattuto alle porte della città, bensì in aperta campagna. Era stata una cortesia che Ruggero Campi aveva domandato allo stesso Alfonso d’Este, al fine di non nuocere ai cittadini, che di colpe non ne avevano.
Il luogo doveva ancora venir ben definito.
Molte chiacchiere e parecchio vino dopo, anche il Prefetto della Rovere si ritirò nei suoi alloggi, mentre Grunwald tornava alla caserma.
Riario prese in braccio Beatrice, convinto che si fosse meritata di poter riposare almeno sino al mattino successivo, prima di ulteriori allenamenti.
Mancavano tre giorni alla partenza per la battaglia, non potevano permettersi troppe distrazioni o di rilassarsi in modo eccessivo. A sentire Grunwald, dovevano esser sempre pronti al peggio.
Camilla rimase seduta ancora un poco, mentre il salone si svuotava, con la nuca appoggiata contro lo schiena della poltrona, cercando di snebbiare la mente dai fumi del vino. Un’attenta osservazione del soffitto poteva aiutare, chissà. Rimirò gli affreschi non ancora terminati che Girolamo aveva commissionato a Melozzo, perdendosi in scene dei vangeli e figure religiose.
Uno scricchiolio di passi la costrinse a riabbassare lo sguardo troppo repentinamente, con la conseguenza ovvia del veder tutto sdoppiarsi e tremolare.
Sorrise appena ad Olivieri, che le si era fatto vicino con la stessa espressione felice e piena di buon vino, “Edoardo, m’avete un poco spaventata.” Disse, portando una mano agli occhi per stropicciarli. “Ancora non tornate alla caserma?”
“Credevo vi servisse un aiuto per raggiungere il vostro piano, in vero.” Le disse lui, con le guance arrossate e gli occhi resi lucidi dell’ebbro “Poi tornerò anch’io al mio letto.”
Lei cercò di evitare la piega fraintendibile di quel discorso e s’alzò lenta “Accetto volentieri il vostro aiuto, messere.” Disse, appoggiandogli una mano alla spalla. Lui si voltò,  traballante a causa del sentir il capo così leggero “Pare che anche voi necessitiate di una mano”
“Allora saremo l’uno il supporto dell’altra” commentò il giovane porgendole il braccio, che lei afferrò senza remore. Camminarono piano, ridacchiando di tanto in tanto, ebbri ma felici, senza una reale motivazione.
Una volta giunti al piano in cui dimorava Madonna Colonna, ella s’appoggiò alla porta chiusa, lanciando uno sguardo alla fine del corridoio, verso gli alloggi di Beatrice e Girolamo Riario. Si morse un istante un labbro, prima di guardare negli occhi Olivieri che sembrava essersi incantato nel rimirarla “Posso farvi una domanda che dovete tener solo per voi?”
Lui annuì “Ma certo, Madonna. Non uscirà un fiato da queste labbra.”
Lei sospirò “Cosa ne pensate del Conte?”
Lui parve tornare in sé in quell’istante, sbiancando appena e perdendo il rossore alle gote che il vino gli aveva donato. Sì, era una domanda assai scomoda.
Si fece di poco più vicino alla ragazza, riacquistando colore “Se posso permettermi, vorrei rispondervi con un’altra domanda: Se in ogni buon uomo vi è un lato malvagio che solo con la fede si può scongiurare, allora in ogni uomo crudele vi è un lato buono che l’amore più far emergere?”
Lei sospirò, appoggiando il capo alla superficie di legno “Vi sono notti che non riesco a chiudere occhio, ponendomi questa domanda. Sono in pena per Beatrice poiché, anche se un poco la invidio, temo per la sua felicità.”
“Madonna de’ Medici si guarda bene dal parlare male del marito e so che non lo fa per paura.” Disse il rosso, sorridendole rassicurante “Lei pare la sola a non temerlo, in vero. Credo gli voglia davvero bene.”
“Lo ama in modo incondizionato ed è anche questo a spaventarmi. Non ha più capacità di giudizio.”
“Sa difendersi assai bene.” Le disse il soldato, appoggiandole una mano sul braccio per accarezzarglielo piano e con fare rincuorante. Poi corrugò le sopracciglia, perplesso “Perché dovreste invidiarla? Covate sentimenti verso il Conte?”
Camilla sgranò gli occhi “Oh, che il Signore me ne guardi!” disse, portandosi poi una mano alle labbra per aver alzato la voce. Sorrise appena, divertita “Assolutamente no, non ha nulla che mi possa interessare, nessun attributo che ricerco in un uomo d’amare. Solo…” si fece seria d’improvviso “Beatrice è poco più giovane di me ed è già maritata con un Signore. Io sono felice d’essere la sua dama di compagnia, ma mi domando se mai troverò anche io un uomo da bene che mi voglia.”
Lui la guardò sorpreso “Voi siete bellissima e incredibilmente intelligente, Madonna Camilla.” La mano scese fino al polso della ragazza e poi alla mano, che accarezzò con i polpastrelli “Solo uno stolto non lo noterebbe.” Fece una pausa e poi, infine, allontanò la mano con un piccolo sorriso “Un giorno anche voi sposerete un Conte o un Duca di una grande terra.”
Lei lo guardò, perdendosi un istante in quelle iridi di acquamarina, prima di riprendersi e scostarsi dalla porta per aprirla. Non vi entrò subito. Si sporse, baciandolo sulla guancia e lasciandolo di stucco “Vi ringrazio, Edoardo. Buonanotte.”
Olivieri rimase fermo come uno stoccafisso per un paio di secondi, prima di portare una mano alla guancia e aprendosi in un sorriso ebete. Poi girò sui tacchi,investendo uno dei vasi da fiori fuori dalla stanza di Madonna Colonna, stramazzando al suolo.
Non voleva ammetterlo al suo cuore per non sentirlo appassire un poco, ma s’era innamorato.
 
 

***

 

 
Caterina Sforza si sentiva invincibile mentre rimirava se stessa dentro a quella lucente armatura.
Una delle sarte venne scacciata con forza, al fine di poter avanzare fino allo specchio e farsi più vicina ad esso.
Bellissima e invincibile, letale come il tramonto che macchia di sangue il cielo.
Mancavano ormai solo due giorni alla battaglia e il marito aveva acconsentito a portarla.
‘Se può farlo Riario con una Medici cresciuta in una corte di bibliotecari, perché non  possiamo anche noi?’ aveva affermato ridendo, qualche sera prima, scatenando l’ilarità dell’intera tavolata.
Peccato che quelli sarebbero stati i suoi ultimi pasti.
Sarebbe perito sul campo di battaglia, gli Estensi avrebbero invaso il ducato di Modena e lei sarebbe divenuta sovraintendente della città per conto di Alfonso d’Este.
Ma quella era solo la prima parte di un grande piano escogitato dalla Sforza.
Afferrò la spada, sfoderandola mentre le sarte lasciavano la stanza spaventate da una risatina che la ragazza non si accorse nemmeno di aver emesso.
Di nuovo, fronteggiò lo specchio.
Quella lama era affilatissima e avrebbe trafitto di certo qualsiasi cosa si fosse posta tra lei e la grandezza a cui era predestinata.
“Manca poco, mia cara Beatrice…” sussurrò, come se potesse davvero parlare con quell’interlocutrice che nemmeno era presente in quel momento.
Non vedeva davvero l’ora di ricontrarla.
Quella lama sarebbe affondata con estrema facilità nel suo cuore.
Non se ne sarebbe quasi accorta.
Ormai Caterina non voleva più sposare Riario, non voleva riprendersi Imola che un tempo era sotto il controllo di quella Casa che l’aveva sempre bollata come bastarda nonostante suo padre l’avesse accolta nella sua vita.
Non gli importava più di rivendicare ciò che era suo di diritto.
Voleva solo vendicarsi, ferire, distruggere…
Voleva vedere quella ragazzetta morire.
Con un colpo secco, rinfoderò la lama, tagliandosi appena la mano tra pollice e indice.
Guardò il sangue con malato piacere, portando la parte lesa alla bocca al fine di carpire il sapore ferreo di quella linfa vitale.
Mancava poco e ne avrebbe visto scorrere fiumi interi.
 











Continua.




Nda

Rieccomi qui!
Non sono sparita, non preoccupatavi, le ferie ci sono anche per me però u.u
Questo è un breve capitolo di intermezzo che è necessario al fine narrativo.
Almeno ho presentato Pandolfo che, nella mia mente, è incarnato da un Joffrey di GOT più cazzuto e freddo.
Un fico!
Caterina ha la sua buona dose di pazzia e ci donerà parecchie gioie nel ducato di Modena.
Spero che abbiata gradito anche questo capitolo!!
Grazie a chi ancora mi segue e soprattutto agli angeli che mi recensiscono!
Vado a nanna che mi aspettano tre giorni a Roma in cui prenderò appunti. 
Sarò più accurata così u.u

A presto!
Jessy 
 
 
 
 
 
 
Parte XVII: L’istinto.

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Capitolo 18
*** Parte XVIII: Il Rosso. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo diciotto.
Rating: Arancione.
Betareader: Lechatvert
Genere: Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Parte XVIII: Il Rosso.
 
 
 
“Ho sentito che siete stato promosso, Olivieri. Sgarbato da parte vostra non dirmi nulla, avrei organizzato senz’altro una festicciola.”
Il rosso sussultò violentemente, perdendo la presa sulla spada che stava assicurando alla cintola. Si chinò rapido per raccoglierla, appoggiandola con le dita tremolanti al tavolo innanzi a lui, nell’anticamera degli alloggi della Signoria “Madonna Colonna.” Soffiò imbarazzando per quell’ennesima figura malandrina, chinandosi appena volto verso la dama “Non v’ho sentita arrivare. Vi domando perdono, ma io stesso ho appreso di questo grande onore solamente stamane.”
La mora lo guardò divertita, ma col viso teso “Quindi il giorno è giunto, Capitano delle guardie di Forlì.”
Edoardo si appoggiò con i fianchi al ripiano ligneo, incrociando le braccia sul petto e cercando al tempo stesso di darsi un tono “Ebbene sì, Madonna. Partiamo prima che scocchi il  mezzogiorno, secondo gli ordini che ci ha lasciato detto ieri il  Conte.” Prese un piccolo respiro, lasciando che il silenzio scivolasse per qualche istante tra loro, poi rivelò a pieno la sua preoccupazione a Camilla “Non so cosa fare, Madonna. Vorrei che Brancacci fosse ancora qui, per portare a termine codesto compito che a me è stato relegato. Non so fare il comandante…. Sono a mala pena in grado di difendermi da solo, come posso portare le truppe forlivesi alla vittoria?”
La giovane si ritrovò indecisa sul da farsi, poi scacciò ogni perplessità avvicinandosi all’amico e appoggiandogli una mano sul braccio. Lo guardò avvampare e sorridendogli proseguì “Siete un uomo d’onore, Olivieri. Nelle vostre vene scorre il sangue di un vero guerriero, così come lo era vostro padre. Brancacci avrà anche avuto l’esperienza dalla sua, ma voi avete l’istinto. Seguite i precetti di Madonna de’Medici e certamente porterete a casa una vittoria leggendaria, che verrà cantata nei secoli.”
Lui le rivolse un sorriso tiepido come il sole invernale, che però era in grado di sciogliere la neve sul cuore della giovane “Con la vostra benedizione, mia Signora, sarò in grado di sconfiggere anche il più infernale degli eserciti.”
Camilla si sporse sulle punte, appoggiando un piccolo bacio sulla fronte del ragazzo “L’avete, Edoardo.” Avrebbe voluto aggiungere altro, avrebbe voluto dirgli di non raccomandare l’anima a Dio per evitare che egli potesse vedere quanto fosse pura e bramasse richiamarla a sé, ma una testa di ricci capelli rossi più chiari di quelli di Olivieri e di gran lunga più spettinati sbucò dalle stanze di Beatrice, fischiando per richiamare l’attenzione dei due.
“Olivieri, muovi le chiappe, il Generale Grunwald vuole vederti. Madonna Colonna, la Contessa vi attende.”
Edoardo mugugnò, alzando gli occhi al cielo “Ok, Lenzini, ora vado.” Non appena l’altro soldato tornò dentro, Edoardo scrollò le spalle, affranto “Odio Grunwald. Mi spaventa con quella faccia da cinghiale.”
Camilla si lasciò andare in una risata trillante, iniziando a camminare verso gli alloggi della sua Signora “Dovreste darvi un contegno, siete il Capitano delle Guardie di palazzo!”
“Ci proverò” rispose egli con un sorriso “Vi vedrò, dopo?” aggiunse poi, quasi timoroso.
Madonna Colonna si appoggiò alla porta con una mano, ricambiando lo sguardo “Non vi lascerei mai partire senza un saluto, Olivieri.” E sorrise, prima di entrare e sparire così alla vista del giovane.
Camminò attraverso la grande camera padronale, sino ad oltrepassare una piccola porta un poco più bassa del normale che la condusse nella stanza della toletta. Beatrice se ne stava nella vasca da bagno, circondata da oli profumati e schiuma chiara, con i capelli raccolti sul capo e lo sguardo assente, verso il soffitto. Teneva le braccia poggiate sui bordi, mollemente, e pareva quasi priva di coscienza.
Camilla afferrò una pezzuola iniziando a detergerle la pelle, ma non ottenne alcuna reazione “Sembri fuori di te. Per caso questo stato d’animo è dovuto alla preoccupazione?” domandò cauta.
Beatrice sospirò pesantemente, voltando piano il capo per poterla guardare “Ho una sensazione assai brutta, amica mia, ma preferisco tenerla con me. Non vorrei tirarmi da sola il malocchio.”
Madonna Colonna parve comprendere a pieno il sentimento dell’amica, così non le chiese più nulla. La aiutò a lavarsi e poi prese un grande telo nel quale la avvolse quando ella uscì dalla vasca. Si occupò di ogni suo dovere da dama di compagnia, come aveva fatto ogni giorno da quando era stata scelta come la prediletta della Contessa e la vestì; peccato che quella volta non poggiò sulle graziose forme di Beatrice una veste dai fini e ricchi tessuti, ma una casacca scura, del colore del cielo che annuncia un temporale, e una cotta di anelli metallici alquanto pesante che però l’avrebbe protetta.
Quando fu pronta, Madonna de’Medici si sedette sul letto, appoggiando la spada sulle  ginocchia. Passò l’indice su di essa, dalla punta all’elsa, chiedendosi quanti nemici avrebbe sconfitto e se il fendente di uno di loro l’avrebbe colpita a morte.
“Vado in contro ad una guerra, ma non sono certa della vittoria.” Mormorò, senza alzare gli occhi su Camilla che stava levando qualche pelo di gatto dal mantello rosso della Contessa. Quando sentì il materasso accanto a lei abbassarsi piano, capì che si era seduta al suo fianco, così cercò il suo sguardo. Si sentì mancare leggendo la paura in quelle iridi scure.
“Non pensarle nemmeno queste cose, ok?” le prese il viso tra le mani, guardandola seria “Hai nel pugno la vita di un esercito che in te ripone ogni speranza. Non puoi permetterti d’essere pessimista. Vincerai, come ogni volta, perché dalla tua parte hai persone che ti amano e che non marciano perché costrette, ma perché fiere di portare il tuo vessillo sullo scudo.”
La Contessa prese un respiro, prima di annuire piano “Hai ragione. Perdonami se ho permesso alla paura di schiacciarmi.”
“Lo trovo un sentimento pertinente, dopotutto sei umana, ma sei anche la persona più sicura di sé che conosco. Tornerai a Forlì da vincente e con un nuovo castello in cui recarci in villeggiatura estiva.”
Entrambe ridacchiarono, mentre Madonna Colonna appoggiava la fronte a quella dell’amica. Rimasero così per un tempo indeterminato, sino a che Benetti e Lenzini si recarono dalla loro Signora per avvertirla che i cavalli erano pronti e che potevano partire. Avrebbero incontrato l’esercito di Imola poco fuori da Bologna, per poi aggirare quella terra percorrendo il confine con i territori degli Estensi.
In un certo senso, riunirsi con il Conte Riario avrebbe reso Beatrice più serena, visto che il marito era partito il pomeriggio precedente per organizzare le truppe di Imola.
Camilla la aiutò a sistemarsi la mantella vermiglia sulle spalle, poi scesero insieme sino al cortile interno alla Rocca. Il chiostro era pieno di soldati pronti alla partenza. Beatrice salì sulla sua giumenta grigia, lasciando che la dama lisciasse con troppa premura i crini della bestia “Torna tutta intera, vorrò un bel resoconto della tua prima guerra.”
Beatrice le sorrise, stringendole una mano “Promesso, nel frattempo tieni d’occhio Tommaso Feo. Sa essere troppo rigido con la servitù e non voglio che lo sia.”
Si salutarono con un sorriso sincero seppur timoroso, prima che la Contessa ebbe l’ennesimo richiamo di Grunwald, spicciolato con il solito e ferroso accento tedesco.
“Si deve andar di corsa, mia Signora. Non possiamo indugiare oltre.”
Così Beatrice spronò il cavallo, lasciandosi alle spalle Camilla che potè finalmente lasciar cadere un paio di lacrime dagli occhi saturi di preoccupazione. La guardò allontanarsi, tra Grunwald e Olivieri, oltre il levatoio della Rocca.
Poi andò verso la cappella interna, desiderosa di dire un rosario per la sua anima e per quella di Edoardo, con quale aveva scambiato uno sguardo furtivo mentre anch’egli si sbrigava a mantenersi dietro a Beatrice.
Pregare la Beata  Vergine affinché vegliasse su di loro sembrava la sola cosa in grado di calmarla.
 
 
***
 
 
Beatrice apprese da Girolamo alcune novità che sembravano in totale disaccordo con la stomachevole sensazione che le aveva attanagliato il cuore quella stessa mattina.
A quanto gli avevano riferito, un gruppo di almeno tre famiglie delle otto che componevano il Ducato di Modena, aveva apertamente abbracciato la causa degli Estensi, donando luoghi in cui far sostare gli eserciti e armi al fine di sconfiggere Ruggero Campi.
Gli Gnoli, i Cesi e i Cintori si erano quindi, schierati dalla loro parte. Siccome essi avevano poderi molto a nord rispetto alla città di Modena, nelle aperte campagne emiliane alle pendici degli Appennini, lì si sarebbe consumata la battaglia decisiva.
Là, oltre un sentiero costeggiato da alti faggi e querce vi era un piccolo paesello, arroccato su di un’altura collinosa. A troneggiare su vi esso vi era un castello dall’aria antica, che vegliava solerte su tutta la vallata e sui grandi campi e i molti vigneti.
Percorsero quella strada sino al piccolo borgo di Monfestino, di cui Beatrice non aveva mai saputo l’esistenza, congedando i soldati delle tre fazioni, a cui fu ordinato di accamparsi insieme alle truppe dei Gonzaga e degli Estensi. I campi che costeggiavano la via maestra che conduceva al borghetto in pietra erano tinti dei sgargianti colori delle casate e dalla macchina nera che indicava la locazione delle guardie svizzere di Roma, a causa dei molti vessilli che erano stati innalzati in essi.
Giunsero a destinazione dopo moltissime ore di viaggio, con il tramonto a stendere un tappeto di benvenuto innanzi a loro, fra le nubi.  
Il paese era, per l’appunto, formato da un borgo di forma circolare e dal castello della famiglia Gnoli. Mentre sfilavano al passo verso i cancelli della Rocca, molti visi si affacciarono dalle porte delle case. Le persone li guardavano passare innanzi a loro con muta ammirazione mista a timore. Non si doveva esser mai visto un tale via vai di Signori in quella zona dimenticata da Dio. Donne, uomini, bambini silenziosi spiavano con discrezione e un briciolo di invidia la delegazione di Beatrice. Ella sentiva i loro occhi addosso in modo quasi opprimente.
Fu distratta solo dalla vista di un’alta catena montuosa che le parve famigliare, ma solo dopo un’attenta osservazione. Essa creava lo sfondo alla vista sin dall’ingresso del paese, maestosa al di sopra della lunga distesa di campi.
“Gli Appenini” le disse Riario, mentre le teneva il cavallo per aiutarla a scendere, fugandole così ogni dubbio. “Anche se suppongo che li abbiate riconosciuti da voi.”
Beatrice sorrise, appoggiandogli una mano sul braccio “Posso quasi sentire l’odore di casa da qui, o le risa in festa dei fioretini.”
“Avete davvero un buon udito.” La prese in giro con sottigliezza, attendendo che si sfilasse i guanti per poi porgerle il braccio.
“Fareste bene a tenerlo a mente, sposo mio…”
S’erano poi recati insieme nella grande sala del castello, sul secondo livello di cinta muraria. Al centro di un immenso giardino si innalzavano tre costruzioni, una di prospetto all’altra. All’interno di quella frontale alla cancellata di ingresso, vi erano gli alloggi dei Signori che, infondo, nobili non erano. S’erano arricchiti, nulla più.
Beatrice non vi diede peso, dopotutto aveva adottato il titolo nobiliare solo grazie al suo matrimonio col Conte, essendo figlia di banchieri. Federico Gonzaga invece sembrava di tutt’altro avviso e Alfonso d’Este mascherava bene il disappunto con sorrisi grandi e finti, ringraziando Ettore Gnoli per l’ospitalità.
Il colloquio fu breve. A renderlo tale ci pensò il Conte Riario, ricordando al Signore degli Estensi quanto difficile fosse stata la cavalcata per giungere fin lì.
Si accordarono sul da farsi, sulle strategie che Beatrice faticò a seguire a causa della stanchezza e delle gambe che le dolevano. Tutto ciò che percepì fu che i suoi arcieri forlivesi si sarebbero tenuti sulle retrovie a tiro di gittata, visto che erano molto rinomati in quel campo bellico, mentre le guardie svizzere e i soldati ferraresi avrebbero sfondato le linee nemiche con un attacco frontale. Da protocollo.
Dopo di che si congedarono, invitati ad un banchetto quella sera stessa, dopo un salutare bagno caldo.
 
 
Il ‘banchetto’ era un modo divertente per indicare la grande festa che coinvolse tutto il paesello di Monfestino, quella stessa sera.
Il borgo in pietra era stato abbellito in tutta fretta, con lanterne e drappeggi in onore delle Signorie ospiti. Quel luogo, che era abbastanza ricco poiché ogni contadino si occupava delle viti che producevano ottimo lambrusco, era al tempo stesso poco popolato. Non erano molte le famiglie che si erano spinte così lontane della città di Modena, o che vivevano per quelle sconfinate valli fatte di campi e tornanti scoscesi.
Per gli ospiti illustri era stato organizzato, inoltre, un banchetto sontuoso degno di un Re: sotto la luna, una grande tavolata ricolma di ogni ben di Dio era solo l’antipasto a tutti gli svaghi proposti quella sera. La tavolata era stata infatti posta su un piccolo altopiano, rispetto ad una striscia erbosa piuttosto grande appena fuori dalle mura del castello, dove artisti di ogni genere e soldati si esibivano per il piacere del loro pubblico di nobili e poveracci.
Mentre Federico Gonzaga si premurava di tradir la moglie Bianca con un paio di belle cortigiane lì, davanti agli occhi di tutti, Riario sorseggiava un calice in cristallo ricolmo di vino, seduto accanto al cugino Giacomo, con un braccio teso sullo schienale di una sedia vuota.
Non perdeva d’occhio Beatrice, come di sua consuetudine, senza però scomporsi mentre ella ballava con uomini sempre diversi, intenti a corteggiare la Signora di un’importante terra, più che una bella ragazza. Riuscivano comunque ad irritarlo non poco.
“Che idiozia, festeggiare la vittoria di una battaglia che s’ha ancora da svolgersi” decretò ad un certo punto con tono fiacco e annoiato, soffocando poi uno sbadiglio nel pugno. Volse lo sguardo verso il cugino, che invece pareva parecchio divertito mentre osservava i più valorosi soldati degli Este duellare contro Grunwald e i suoi  più virtuosi.
Inutile dire che gli svizzeri non dovevano nemmeno impegnarsi troppo per prevalere.
Il Prefetto della Rovere sbuffò divertito, guardando Girolamo con la coda dell’occhio “Hai sempre questa faccia da funerale che mai capirò! Sei un Signore d’una certa fama, non sei poi così brutto, hai i favori di mezza Italia dalla tua e l’odio ammirato dell’altra fetta e hai sposato una delle fanciulle più belle e al tempo stesso colte di questa misera penisola! Sorridi, diamine!”
Riario gli dedicò un sorriso falsissimo, mostrando anche i denti, prima di rimetter su quel broncio apatico che lo contraddistingueva da chiunque altro “Felice, cugino?”
“Come un frate pellegrino in arrivo in un convento di giovani clarisse.” Fu la risposta del Prefetto della Rovere, contornata da un sorrisetto spavaldo “Sei peggio di Giuliano, lo sai?”
“Tuo fratello è sempre stato più simile a me, non c’entrano le simpatie o le antipatie.”
“No, il fatto è che entrambi siete antipatici e vi comprendete. Io e Raffaele siamo troppo gioviali per perder tempo con dei vecchiacci imbruttiti dal rancore come voi!” fece una pausa, lanciando uno sguardo verso Beatrice che, vicina al luogo ove i soldati si stavano contendendo il titolo di miglior combattente, parlava a bassa voce insieme a Lupo Mercuri “Dovresti curarti di più di tua moglie, a mio avviso. L’hai lasciata sola tutta la sera, rifiutandoti persino di danzare con lei.”
Riario non vi diede peso, giocherellando con una mollica di pane sul tavolo “Era tanto stanca da riuscir a stento a camminare, prima di scendere per la cena. Ora pare aver ritrovato tutte le energie.”
“Allora ammetti di non riuscire a starle dietro, Girolamo! Sei troppo vecchio per lei.” Uno sguardo poco raccomandabile da parte del cugino lo fece ridere “Non sai stare allo scherzo.”
“Non è bello tirar così la corda.” Gli fece notare il Conte, prima di riportare lo sguardo sulla giovane moglie. Era parzialmente d’accordo con Giacomo, però. Non riusciva a starle dietro, ma non era un fattore d’età “Poi ha Mercuri con cui chiacchierare alle spalle di ogni convitato. In questo, il Prefetto è molto più bravo di me.”
Della Rovere ridacchiò sotto ai baffi, prima di battere le mani per l’ennesima vittoria di Grunwald. Madonna de’Medici fece ritorno al tavolo sola, sorridendo ai due uomini. Sul viso illuminato dall’allegria si leggeva però una certa stanchezza. “Spero di non aver interrotto un discorso importante” disse, prendendo posto sulla sedia accanto al marito.
Sentì la mano di Girolamo sfiorarle appena la spalla scoperta, in un gesto quasi impercettibile, mentre l’altro uomo rispondeva divertito. “Vostro marito mi ha parlato della vostra attitudine ai discorsi da salotto, Madonna. Non vogliatemene male, è colpa sua.”
La mora si voltò verso lo sposo, fingendosi indispettita.“Vi ringrazio per la bella presentazione al vostro consanguineo, Conte.” Rispose la giovane, fingendosi offesa.
“Non sei discreto per nulla, Giacomo.” Decretò con un lieve sorrisetto Riario, stando al gioco.
“Perdonami, Girolamo. Il fatto è che non posso proprio mentire alla tua meravigliosa moglie.”
Beatrice li guardava, durante quel breve scambio di battute, sorridendo con dolcezza. Era rimasta molto colpita la prima volta che aveva visto il marito con i suoi cugini. Sebbene avesse visto solo di sfuggita il più giovane dei tre, aveva avuto invece modo di vederlo a contatto con i due Della Rovere, Giuliano in particolare, e ogni volta che disquisiva con loro Riario pareva un uomo diverso.
Dopotutto, anche lui doveva avere i suoi affetti.
Gli sbandieratori fecero il loro ingresso, distraendoli per qualche minuti con eleganti giochi di abilità sempre più complessi. Poi arrivò a scoccare la mezzanotte, dettata con  perizia dalle campane della chiesa di San Nicola.
Il Conte spinse indietro la sedia, prendendo un ultimo sorso di vino “Credo che andrò a coricarmi. Credo che dovreste farlo anche voi due.” aggiunse, guardando prima la moglie che annuì prendendo un ultimo crostino di pane con sopra quella che pareva marmellata di more, prima di pulirsi le mani in un tovagliolo.
“Hai così tanta fretta di combattere, povero cugino. Ricorda che ogni battaglia può essere l’ultima. Perché non godersi la vita, quindi?” Il Prefetto distolse lo sguardo dagli sgargianti stendardi che venivano lanciati in aria con precisione.
“Potrebbe essere l’ultima se non riposiamo. Possiamo evitare una festa ma non una battaglia, Giacomo.”
“Per una volta, non sono d’accordo con te, Girolamo.” Disse a bassa voce, permettendo ad una serva di versargli altro vino “Ricorda sempre: Concordia parvae crescunt, discordia maximae dilabuntur.”
Il Conte abbassò un istante lo sguardo, prima di riportarlo fermo in quello limpido di Giacomo “Gladio loquitur linguam clariorem.”
Detto questo girò sui tacchi, alla volta del castello.
Beatrice lo guardò andarsene rapido come un’ombre, un poco sconfortata da quel suo atteggiamento così indisponente.
“Non fateci caso, mia Signora” disse bonario il Prefetto della Rovere “Converrete con me che vostro marito è una testa calda e che rovinar le feste è una cosa che gli riesce bene. Però, gli passa in fretta.”
Lei abbozzò un sorrisetto “Mi sbrigo a raggiungerlo, non vorrei s’indispettisse ancor di più.” Si alzò, lisciando la veste sul ventre “Buonanotte.”
“A voi, Madonna. Riposate bene, domani sarà una lunga giornata.”
Rimasto solo, Giacomo rivolse lo sguardo alle stelle, che brillavano forti sopra alla sua testa. Sospirò, desideroso di domandar loro del risultato di quella battaglia che infondo, nemmeno gli apparteneva.
Seppur venisse da una famiglia fermamente radicata nella Chiesa e nei suoi precetti, non se la sentì di pregare. Il lato militare prese il sopravvento su quello dell’uomo pio.
Doveva andar tutto bene per principio, avrebbero vinto e sarebbero tornati a Roma.
Doveva andare così.
 
***
 
 
 
Caterina smise di passarsi una mano tra le ciocche vermiglie, alzandosi appena su di un gomito per verificare che suo marito fosse ormai addormentato. Il russare leggero glielo fece intendere, così recuperò la vestaglia e uscì da quella scomoda tenda. L’intero accampamento dei modenesi era profondato in un sonno teso, reso agitato dall’imminente scontro, ma evitare le sentinelle per lei non fu un problema.
Scivolò fino al limitare del bosco che dava sul colle e lì si inginocchiò tra due rocce, nascosta alla vista.
Appoggiò innanzi a sé un fagotto che aveva preso direttamente da una delle molte tasche assicurate alla sella del suo cavallo e con maestria ne sciolse il nodo, rivelando più di un oggetto. Prese poi la borraccia dell’acqua, controllando di averne a sufficienza e infine prese a trafficare con una piccola scatolina di legno che le stava perfetta nel palmo della mano. Aprendola, sorrise compiaciuta. Aveva grattato moltissimi noccioli di albicocca per ricavare la dose letale di cianuro che le sarebbe servita per i suoi fini, ma alla fine era cerca che esso sarebbe addirittura avanzato. Lo appoggiò attentamente a terra, cercando di non sprecarne nemmeno un granello, prima di prendere un pugnale, che era stato abilmente celato all’interno di uno straccio giallo con lo stendardo dei Campi sopra. L’aveva trovato per puro caso al mercato della città qualche settimana prima e da lì era nata l’idea.
Dopotutto, se voleva uccidere, tanto valeva farlo per bene, arrecando più dolore che poteva alla sua vittima.
Quell’arma era piccola ma incredibilmente letale. L’avevano inventata nel lontano oriente, quello dei tessuti pregiati e delle musiche suadenti, e pareva fatto a posta per infliggere più dolore possibile.
La lama era conica, con una base rotonda e nonostante non fosse poi così lunga era parecchio appuntita e affilata circa a metà della lunghezza, come se non servisse solamente per penetrare nella carne ma anche per squarciarla il più possibile.
Non era questa però la sua peculiare originalità, che la rendeva praticamente unica.
Il manico aveva una sorta di tappo che poteva venir svitato, rivelando una sessione vuota al suo interno. Essa poteva venir riempita con qualsivoglia tipo di veleno che, durante l’uso della lama, veniva rilasciato nell’organismo della vittima.
Il cianuro era sicuramente la scelta migliore poiché, anche se non potente come l’aconito e la belladonna, aveva il vantaggio di agire molto più rapidamente se iniettato, piuttosto che bevuto come gli altri due.
Caterina ci aveva pensato bene, più che bene, mentre versava l’acqua e la polvere nel manico. Sorrise, felice come una bambina davanti ad un dono bellissimo, prima di riavvolgere la lama nel vessillo.
Sarebbe tornata di nuovo nella tenda, dividendo per l’ultima volta il giaciglio con quel porco di suo marito, pronta a veder morire sia lui che Beatrice de’Medici. Sarebbe stata lei l’artefice dei due omicidi, voleva farlo, ma per la rivale aveva in servo la sua arma migliore.
 
 
 
***
 
 
 
 
Gli schieramenti si erano disposti sul campo di battaglia prima ancora che sorgesse il sole.
Le milizie modenesi si erano palesate senza far il minimo rumore, come se fossero cresciute da quello stesso suolo durante la notte. Innanzi a loro, i nemici degli Este avevano si e uno un terzo del grande esercito che loro s’erano portati da Roma e dalla Romagna.
“Sarà un giochetto da fanciulli” disse spavaldo Gonzava, che da solo aveva portato si e no la metà dei soldati di numero su cui contavano i Campi.
Alfonso pareva un bambino nel giorno del suo compleanno, tanto grande era il sorriso sul suo volto “Dove spera di andare quel pazzo di Ruggero? Moriranno, soffocati dal pugno della nostra potenza.”
“Prima di parlare dobbiamo affrettarci ad adocchiare dei possibili trucchetti che Duca potrebbe averci teso” disse Riario con tono affabile, cavalcando accanto alla moglie.
“Mandiamo un paio di uomini al limitare del bosco?” domandò ella, ricevendo un cenno di assenso. Si voltò quindi verso Olivieri che se ne stava ritto dalla tensione alla sua destra “Occupatene tu, manda un paio dei nostri.”
Egli annuì, certo che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato per l’ansia sulla sua bella giubba rossa. Voltò il cavallo, galoppando sino alla schiera  scarlatta posta sulla sinistra del grande esercito. I suoi forlivesi, i migliori arcieri d’Italia. Mandò un paio di ragazzi, prima di tornare dalla sua Signora a passo di marcia, stringendo le redini nelle mani sudate. L’esercito di Modena era piccolo, una macchia informe e dalle bardature gialle. Dalla parte opposta invece vi erano su due lati due sprazzi di rosso Forlì, una distesa nera centrale nell’avanguardia insieme alle giubbe viola di Mantova e, infine, gli uomini di Imola alle catapulte. Erano in maggioranza non solo numerica, ma anche di armi e mezzi.
Aveva raggiunto il piccolo drappello di Signori, quando tre soldati modenesi presero a sventolar bandiera bianca. “Vogliono trattare, mia Signora.” Disse Edoardo.
“Or dunque, sentiamo cos’hanno da dire.” Alfonso spronò il cavallo, discendendo la piccola collinetta, seguito dal resto della delegazione e i generali degli eserciti.
Appena Beatrice vide Ruggero Campi da vicino, capì esattamente che tipo di uomo aveva innanzi. Esattamente come Ordelaffi, era il classico Signore di quei tempi: grassoccio, col mento più grande del cervello e una pancia a nascondere in parte l’elsa della spada; un servo teneva le redini del suo cavallo, rendendo note le scarse abilità belliche. Se non sapeva cavalcare, come poteva sferrare colpi per falciare i nemici. Di statura pareva piccino e la calvizie ne rivelava la reale età. Accanto a lui vi erano due personalità alquanto note, una per fama e una precedentemente incontrata da Beatrice. Il primo era Sanseverino, il signore di Reggio Emilia, l’altra era Caterina Sforza.
La rossa e la mora si guardarono, sfidandosi con lo sguardo, mentre gli uomini iniziavano a parlare. Il primo fu proprio il Duca Campi “Siamo qui, oggi, per trattare della vostra resa.” Ignorò le risa levatasi dal signore d’Este e quel appena sussurrato ‘ridicolo’ dal Capitano Grunwald “Prima di tutto, dovete lasciare le nostre terre, permettendoci di far giustizia verso quelle famiglie che ci hanno traditi.” Guardò Cintori, Gnoli e Cesi con disprezzo “Dopo di che, dovrete chiedere perdono per codesta immotivata invasione. Il Ducato di Modena è indipendente da secoli, non vi è motivo per invaderci.”
“Codesta misera striscia di terra che voi chiamate casa è, per diritto, territorio della famiglia Estense.” gli fece presente Alfonso.
Sanseverino sbuffò “Lo dicono anche i bolognesi, ma non c’hanno mai battuti.”
“Non stento a crederlo, scarso com’è l’esercito di Bentivoglio” lo incalzò il giovane. Schioccò la lingua contro il palato, affabile “Arrendetevi, o vi distruggeremo.”
“Ed accettarvi così in seno alla mia terra? Preferisco morire!”
Gonzaga sbuffò, spazientito “Avete sentito, Alfonso? Diamogli ciò che chiede!”
Ruggero assottigliò gli occhi porcini “Non s’era mai visto un così grande drappello di nobili porci, prima d’ora.” Poi fermò lo sguardo su Beatrice, “Ne una così grande puttana da tradire la sua stessa patria. Firenze è nostra amica, nostra alleata! Non meritate il cognome che v’è stato dato col battesimo.”
Anche volendo, Madonna de’Medici non riuscì a rispondere.
Ci pensò il Prefetto Mercuri “Ma come osate? Dovreste chieder perdono visto chi avete sposato voi!”
Riario non disse nulla, tenne semplicemente lo sguardo fisso.
Alfonso fece segno ad entrambi di non dir altro, per non smascherare la Sforza. A complicare il tutto, ci pensò della Rovere. Finì di affettare una mela, prima di alzare gli occhi scuri in quelli del Duca Campi “Nemmeno io avevo mai visto un maiale seduto su un cavallo. Come fate a pisciare, vi trovate l’uccello?”
Campi lo guardò, furioso “Come osate, voi…. Siete il nipote del Papa più vile che la storia ricordi.”
“Non trovo saggio parlare così del nostro Santo Padre” La voce di Riario arrivò pacata ma tagliente come la lama più affilata. Si sfilò con lentezza gli occhi, lanciando a Campi uno sguardo in grado di far crepare un blocco di marmo “Prestate molta attenzione a quello che dite in mia presenza. Non ci metterei poi molto a tagliarvi la lingua.”
Ruggero perse tutta la sua spavalderia. Deglutì lentamente, appoggiando una mano all’elsa della spada, mentre perdeva un poco di colore dal viso.
Il Prefetto della Rovere sogghignò “Parlare male del nostro sommo Pontefice  è peccato. Così come la gola.”
“Basta perder tempo, iniziamo! Saranno le spade a trattare la resa di uno dei due e a decretare chi è baciato dalla grazia del Signore!”
Fu allora che avvenne l’impensabile; Caterina, che aveva passato il tempo alternando sguardi d’astio a Beatrice e voluttuosi ad Alfonso, prese la spada dalla cintola e la alzò in aria, lasciandola risplendere contro i primi raggi del sole insieme agli spallacci della sua armatura lucente “Onore agli Este! Onore alla Romagna!”
Quando la lama si abbassò,  assieme ad essa, cadde la testa di Ruggero Campi. Non aveva nemmeno sentito il cavallo della moglie farsi più vicino e forse, a stento, aveva colto quel grido.
Almeno era morto senza comprendere a pieno il tradimento di quella sposa che aveva tanto amato senza ricever nulla in cambio, se non la bellezza di un sorriso fasullo.
Il suo sangue imbrattò il manto del cavallo che montava, il quale si impennò lasciando cadere mollemente al suo il corpo senza vita del Signore di Modena. Sanseverino estrasse a sua volta la lama “Tradimento! A morte la Sforza! Lunga vita al Ducato di Modena!”
I soldati in giallo caricarono l’attacco, cogliendoli di sorpresa.
“Ripiegare!” Giacomo urlò forse, mentre tornavano verso il loro grande esercito. Beatrice alzò un  braccio, sperando che Olivieri vedesse l’ordine.
Una sfreccia sferzò l’aria, colpendo il Prefetto della Rovere nel braccio e rischiando di farlo cadere da cavallo. Riario riuscì ad impedirglielo, appoggiando una mano sul braccio sano e mantenendolo sul dorso della bestia nonostante il galoppo.
Olivieri notò l’ordine mentre la sua Signora si faceva vicina e si agitò sulla sella, prima di prendere un respiro “Arcieri, caricare!” prese a sua volta una freccia, incoccandola “Puntare!” si concentrò per bene su un cavaliere modenese, che se ne stava alle calcagna della Sforza e del giovane Alfonso d’Este “Scagliare!” mentre una pioggia di frecce cadeva sul nemico e oscurava la luce del sole, la sua colpì la gola di quel cavaliere, che cadde al suolo.
Beatrice gli fu accanto in un baleno, seguita da Lupo Mercuri che pareva più incline alle retrovie, e Giacomo della Rovere troppo ferito per combattere. “Ci siamo.” Disse la giovane donna, guardando con un misto di ansia e preoccupazione il marito, che teneva la spada davanti al volto, mentre Federico Gonzaga si sistemava il cappellino e dava il via all’attacco frontale.
I due eserciti ci misero poco a scontrarsi e l’effetto fu quello di un fiume in piena. Come se non bastasse, Beatrice capì il perché i giovani che aveva inviato ad esplorare i campi li attorno non erano tornati; molti, moltissimi soldati recanti lo stella della Repubblica di Genova uscirono dal fitto bosco.
Il Doge della città aveva abbracciato la causa di Campi.
“Dannazione…” un sussurro sulle labbra della Contessa, che non s’era accorta della momentanea sparizione della Sforza “Olivieri, allinea gli arcieri! Che puntino alla coda dell’esercito di Modena! Non possiamo arrischiare di colpire i nostri e fermi con quelle catapulte!”
“Cosa facciamo, Madonna?” domandò un Generale di Imola.
Lei prese la spada, alzandola. “Attacchiamo ai fianchi dell’esercito, schierate i vostri uomini!”
“Si, mia Signora!”
“Siete sicura di quello che fate, vero? Avevano l’ordine di non attaccare..” Mercuri la guardò seriemente preoccupato.
“Voi rimanete qui con il Prefetto, Mercuri.” Gli disse Beatrice, mentre la sua giumenta scalpitava sradicando zolle intere d’erba. Attese che l’esercito di Imola fosse pronto, poi si mise in testa al piccolo gruppo di cavalieri che avrebbe preceduto il grosso della fanteria. Puntando gli occhi verso la battaglia, strinse di più la spada in mano.
Per la sua terra.
Per suo marito.
Mise avanti a tutto la sua nuova vita e si lanciò verso il suo destino, nonostante le parole di Ruggero Campi le facessero ancora male al cuore
 
 
Il sangue scorreva per arterie artificiali tra gli steli d’erba bruciati dal sole, quando il sole arrivò a toccare il punto più alto in cielo.
La battaglia andava avanti da ore e, nonostante le incertezze iniziali su chi fosse più forte, alla fine la supremazia degli alleati degli Este si era palesata agli occhi di tutti.
Beatrice era sfinita.
Portò una mano alla fronte macchiata di sangue, così come i capelli, sicura che non fosse suo. Aveva combattuto per la maggior parte del tempo e sbraitato ordine nell’altro, senza una sosta.
Ormai i nemici, che non s’erano ritirati nemmeno quando Alfonso aveva esibito il capo reciso di Sanserverino, erano ridotti a poche fazioni e i genovesi avevano da poco battuto in ritirata.
Si appoggiò all’elsa della spada, ficcandola nel terreno, mentre cercava con gli occhi qualcuno di conosciuto in quella moltitudine di corpi ammassati e uomini che lottavano per la propria vita. In quel momento, quando di accorse che ormai la battaglia era bella che terminata, venne colta da un conato di vomito che quasi la fece chinare a terra. Si trattenne, passandosi il polso sulle labbra per non macchiarle di linfa vitale.
Attorno a lei la Morte raccoglieva le sue vittime con calma, uomini mutilati urlavano agonizzati e i primi corvi erano discesi a far scempio dei cadaveri dei caduti.
Si chiese se ci si potesse abituale ad un tale spettacolo.
Nella polvere che s’era alzata a causa dello scalpitare dei cavalli e delle persone, Beatrice si sentì persa. Giacomo e Lupo Mercuri erano da qualche parte su una collinetta che non riusciva a collocare; di Girolamo non aveva notizie dall’inizio della battaglia e nemmeno Gonzaga o il giovane d’Este si vedevano.
Mentre stava pensando a come procurarsi un cavallo per spostarsi più rapida tra quel caos, una figura emerse dalla polvere, brandendo una spada dalla lama lunga e sottile.
Caterina Sforza le sorrise crudele, facendosi avanti e guardandola ritirare la lama sporca di terra. Scimmiottò un ridicolo ed esagerato inchino, prima di rivolgersi alla Contessa.   “Infine, ci troviamo faccia a faccia, de’Medici.”
“Non vedevo l’ora, Sforza.” Rispose secca la mora, stringendo maggiormente a sé l’arma. La sentiva quasi fremere dalla voglia di colpire e dare una lezione a quella ragazzetta impertinente “Vi pregherei di non nominare il mio cognome, non vorrei che venisse infettato dalle labbra di una bastarda.”
La rossa buttò in capo indietro, ridendo “Vi fa bene vivere con il Conte, sapete? Peccato che le belle parole non bastino, poiché sembrate più un gattino che mostra i dentini piuttosto che una belva.”
“Vi mostro i danni che anche un gattino può fare, quindi” la minacciò Beatrice, facendola ridacchiare nuovamente.
“Non chiedo di meglio, Madonna.”
Le lame cozzarono tra loro infrangendo la falsa quiete ovattata che c’era formata attorno a Beatrice. Sopra ai loro capi, le spade riflettevano la luce del sole al meriggio mentre i loro sguardi trasmettevano solo odio reciproco.
Non seppero dire quanto andarono avanti, senza esclusione di colpi, entrambe fin troppo preparare e tenaci per cedere.
Beatrice rischiò quando cadde, a causa di una buca nel terreno, ma riuscì comunque a rimettersi in piedi evitando un fendente grazie ad uno scudo recante il blasone dei Gonzaga.
Anche Caterina rischiò, quando la lama della mora le graffiò il fianco, anche se l’avrebbe senza  dubbio trapassata se non si fosse spostata agilmente. Fu la prima a stufarsi di quel gioco.
Fece avvicinare maggiormente la Medici, scartandola e guardandola arrancare a pena. Fu allora che prese il pugnale avvelenato,  lasciando cadere lo  stendardo del defunto marito e calpestandolo involontariamente.
Lo nascose dietro alla coscia “Cosa c’è, Madonna, a Firenze le sessioni di scherma erano più brevi?”
Beatrice si fece avanti con impeto e tu allora che la rossa riuscì a colpirla.
Schivò un fendente, facendola sbilanciare e piantando la lama avvelenata nel braccio del ragazza.
La mora guaì e la spada le sfuggì di mano.
“Così muore una  Medici!” annunciò la Sforza, mentre Beatrice sfilava il pugnale dalla ferita pulsante.  Guardò la nemica come stordita, mentre questa allargava le braccia come per accettare le acclamazioni di una folla.
Poi vide una balestra, a terra.
Si chinò e la prese. “Caterina!” quando la rossa si voltò nuovamente, la trovò con quell’arma imbracciata “È così che muore una Sforza!”
“No!”
Uno schiocco e la freccia già svettava, conficcata nella fronte di Caterina Sforza, che si accasciò, priva di vita prima di toccare il terremo.
Beatrice lasciò cadere la balestra, scivolando a sua volta a terra. guardandosi attorno, notò che la battaglia doveva essersi conclusa e che alcuni soldati stavano aiutando altri feriti ad abbandonare il campo.
Qualcosa, però, non andava. Il capo le girava vorticosamente, la vista si appannava gradualmente …
Vide una figura farsi sempre più vicina, mentre scivolava nell’oblio e tutto, innanzi a lei scompariva.
Buio.
 



Nda
Lo so, sono cattivissima e chiudo sempre i capitoli col livello di ANGST stellare.
Picchiatemi u.u

E ora? Beatrice vivrà? Morirà?
Solo il tempo può dirlo..


Grazie a chi recensisce e legge e sopratutto chi recensisce.
A presto
Jessy

 

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Capitolo 19
*** Parte XIX: Il Nero, Parte I. ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo diciotto.
Rating: Arancione.
Betareader: Lechatvert
Genere: Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Parte XIX Parte I: Il Nero.
 
 
 
Il trambusto della  battaglia era cessato, lasciando spazio ad un lungo silenzio. I cannoni avevano messo le loro bocche a tacere, gli uomini non avevano più fiato per gridare.
Olivieri camminava per quell’ampia distesa desolata, disseminata di morti, sangue e armi, cercando la voce per un’ultima incombenza “Mia Signora!” chiamava, con le mani a coppa davanti alla bocca e il fiatone per il tanto camminare “Mia Signora, dove siete?!” nulla. La stavano cercando tutti, spostando cadaveri e guadando il fiume che scorreva lì accanto, ma lui si rifiutava. Teneva alto lo sguardo, sentendo che gli sarebbe apparsa in piedi “Mia Signora! Mia Signora! Beatrice!”
Poco più avanti, di un paio di metri, scorse qualcosa.
Chinandosi, raccolse con mani tremolanti la mantella rossa recante seco il blasone forlivese. Lo strinse, facendosi forza e chiamando con energia il nome della sua Contessa, mentre una piccola parte di fiducia sfumava ad ogni sillaba. Si strinse la mano insanguinata nell’altra, avvolgendola nella mantella di Beatrice, mentre si guardava attorno, disorientato.
Quando si sentì chiamare, si voltò così velocemente da rischiare un brutto capogiro. “Olivieri! Venite qui! Presto!”
Grunwald.
Lo vide, inginocchiato tra il fumo dell’artiglieria e diversi corpi. Teneva qualcuno tra le braccia. Il cuore del rosso si fermò per un istante, mentre percorreva a rotta di collo la poca distanza che li separava. Quando arrivò innanzi a lui si gettò a terra, sentendosi sollevato nel vedere che Beatrice sì era stesa contro il busto solido del Generale, ma aveva gli occhi aperti.
Il sollievo durò ben poco.
La Contessa aveva gli occhi spalancati e le sue pupille erano così dilatate da nascondere quasi del tutto il celeste delle iridi. Tremava, ma non per il freddo; pareva che il suo intero corpo fosse come immobilizzato o che facesse quanto meno fatica a muoversi. Olivieri le appoggiò una mano sul collo niveo, sentendo il cuore battere all’impazzata “Cose le può essere accaduto?” domandò con l’ansia nella voce.
Grunwald gliela passò cautamente, come timoroso di farle ulteriore male, poi iniziò a guardarsi attorno “Ha una ferita strana sul  braccio, tonda…. Credevo fosse una freccia ma si parla d’un arma ben diversa.”
Anche Olivieri, tenendo a sé Beatrice, prese a guardarsi attorno. Solo allora notò, dietro Grunwald, una chioma di rossi capelli come il sanguinaccio. Quando il Generale si spostò, per afferrare qualcosa, vide il volto di Caterina Sforza, spogliato della gloria e della vita. Teneva gli occhi spenti fissi su di lui come se potesse vederlo, mentre la freccia che trafiggeva la sua fronte svettava in avanti.
Si costrinse a concentrarsi su Grunwald, che aveva ripreso a parlare dopo aver trovato un singolare pugnale con la lama a base circolare “Che diavoleria è mai questa?” lo guardò esaminare con perizia l’arma, prima di svitarne il basamento e vuotarsi un poco di liquido su una mano. Passò quindi il pugnale a Olivieri affinché lo reggesse mentre lui ne studiava il contenuto “Ho notato ch’era stata avvelenata subito, sono sintomi chiari. Non mi spiego da cosa però. A primo impatto pare una sostanza granulosa che non s’è amalgamata bene con l’acqua ma che non ne ha deturpato la limpidezza.” Vi appoggiò il dito, portandolo alla lingua mentre Edoardo osservava sconcertato. Il Generale svizzero sputò immediatamente “Mandorle amare.” Disse alzandosi in piedi “Cianuro.”
“C-cianuro?” domandò Olivieri, sgranando gli occhi. “Che si può fare?”
“Noi nulla, razza di imbecille” replicò duro Grunwald, iniziando ad allontanarsi “Rimanete con lei, io cerco il Conte!”
Rimasti soli, l’arciere parve agitarsi ancora di più “Tenete duro, Madonna. Ora vi portiamo da un medico.”
Dove, poi?
Potevano risalire il crinale a cavallo, diretti al castello, ma lì ci sarebbe stato qualcuno di competente? Ad interrompere quell’afflusso di pensieri e sangue al cervello di pensò la stessa Beatrice, che sì sporse su un lato, vomitando copiosamente a terra. Non v’era cibo nella chiazza che rimase a macchiare l’erba quando quei conati ebbero fine, ma solo sangue vermiglio.
“E-Edoardo….” Chiamò, con voce impastata.
L’arciere le pulì le labbra con la sua stessa mantella rossa “Non parlate, Contessa. Risparmiate le forze.”
“Mi sento morire.” Sussurrò, accasciandosi di nuovo contro il suo petto, “Mi fanno male le gambe e le braccia, mi gira la testa e mi sento così stanca..”
“Resistete sino all’arrivo di vostro marito, vi prego.”
Lei stirò un sorrisetto, reso quasi ebbro dagli occhi febbricitanti “Non potrei mai andar via senza salutarlo.”
 
Girolamo se ne stava in piedi su un’altura, ad osservare con Alfonso d’Este spartiva i terreni ai vincitori. Di tanto in tanto, voltava il capo alla ricerca di Beatrice, ma non la vedeva apparire da nessuna parte. Solo quando fu fatto il nome della sua sposa, decise di prestare attenzione al discorso.
“Cosa significa che la Contessa di Forlì avrà le mie terre presso il borgo di Montefiorino? Intendete portarmi via anche il castello nel quale avete dimorato?” Gnoli aveva abbandonato l’aria spavalda e ora era livido di rabbia “Così ricambiate la mia cortesia, mio Signore d’Este?”
“Per voi ho qualcosa di meglio in servo” lo rassicurò il ragazzo “Avrete un bellissimo palazzo a Modena, città che sovraintenderete per conto mio. Ripago sempre chi mi da appoggio in eguale misura  di favore in base a quanto ne ricevo. Il castello di Monfestino rimarrà vostro così come le terre, vi chiedo di cedere solo la Rocca di Montefiorino.”
Il vecchio parve rincuorato “Siete molto generoso, mio Signore d’Este.”
“Bene, passiamo a voi, Cintori!”
Giacomo sbuffò, tenendosi il braccio ferito. Un medico aveva rimosso la freccia e l’aveva medicato alla meno peggio, prima di tornare al castello per medicare il figlio di Gnoli che era ridotto molto peggio. Si era raccomandato di ripassare prima di cena. “Che cerimonia inutile. Non possiamo tornare al castello e farlo lì, dopo un bagno caldo e un pasto?”
Girolamo sbuffò “Mi deludi, cugino, non sai che farlo sul campo di battaglia ancora fumante è molto più appagante?”
Giacomo pareva aver la battuta già pronta, ma non proferì parola. Oltre la spalla del parente vide Grunwald, arrivare spedito come una lepre che sfugge ai cane. “Girolamo, voltati.”
Il Conte lo guardò da prima sorpreso, poi eseguì. “Capitano.” Disse, guardandolo arrivare e fermarsi innanzi a lui, con una goccia di sudore che gli scendeva dalla fronte ampia e il viso contratto dallo sforzo.
“Dovete seguirmi,Conte Riario, si tratta di vostra moglie.”
Girolamo non battè ciglio, almeno apparentemente “Cosa le è successo?”
“Caterina Sforza l’ha avvelenata.”
I due consanguinei si scambiarono uno sguardo veloce, mentre i loro visi tradivano una certa preoccupazione. Nonostante Giacomo paresse quello più in pena, Girolamo corse più rapido di lui, tenendo il passo del Capitano.
Arrivati nel luogo in cui sua moglie sembrava agonizzante, il Conte si inginocchiò accanto a lei  con un piccolo schianto, spingendo via senza troppe cerimonie Olivieri. Non disse nulla, lasciò che fosse Giacomo a chiamare Beatrice, che pareva incosciente anche se sveglia.
Dagli occhi scendevano due stille rose, due  lacrime insanguinate. Non era un medico, ma sapeva riconoscere un’emorragia quando la vedeva, anche se non sapeva quale nome attribuirle.  Alzò la manica lacerata della blusa militare della moglie, rivelando la ferita sferica contornata da un cadaverico livido bluastro “Va portata subito al castello” disse rapido, portandole un braccio dietro alle spalle e uno dietro le ginocchia per alzarla. Grunwald aveva procurato un cavallo con una velocità a dir poco stupefacente e lo tenne fermo mentre lui e il Prefetto della Rovere aiutavano il Conte a salirvi con il corpo esanime della sua sposa.
Non attese che i due uomini si spostassero per spronare il cavallo in una corsa disperata verso l’altura dove sorgeva la Rocca. Strinse Beatrice a petto per quel tragitto rapido ma che parve non finire mai, mentre lo sguardo di lei si faceva sempre più distante, come se fosse a mille miglia di distanza.
Quando arrivarono nel borgo rischiò di urtare dei contadini, ma non rallentò fino a che non fu nel cortile di pietra. Lì trovo il medico di corte, colui che aveva medicato Giacomo sul terreno di battaglia, che si stava lavando le mani nella fonte.
“Voi! Venite qui, immediatamente!” ruggì quell’ordine con la voce impastata da una rabbia ingiustificata. Aveva visto che la Sforza giaceva morta su quel campo, Beatrice doveva essersi fatta da sé giustizia, ma l’ira lo dilaniava. Non avrebbe dovuto permetterlo, aveva lasciato che sua moglie combattesse da sola e aveva fatto un errore. Girolamo arrivò alla conclusione che la colpa era sua. Aveva stimato una donna al pari di un uomo e, per quanto abile fosse, non erano sullo stesso piano.
“Che le è accaduto?” domandò il cerusico, analizzando il volto cianotico di Beatrice.
“Cianuro” soffiò il Conte tra le labbra.
L’uomo balbettò qualcosa, sbiancando. Se quella donna fosse morta, allora il guaritore sarebbe stato punito “Presto, portatela dentro!” gli fece strada sino ad una sala spoglia di tutto se non un tavolo in legno e un piccolo carrellino minuti di ruote e ricolmo di strumenti medici “Mettetela qui.”
Il Conte eseguì, appoggiando sotto al capo della moglie il suo mantello nero arrotolato alla meno peggio. Le passò una mano sulla fronte che scottava e lei chiuse gli occhi, respirando velocemente. Era madida di sudore a causa della febbre e ai lati della bocca vi era una schiuma sanguinea che lasciava presagire il peggio. In un impeto di rabbia, Riario afferrò il colletto della giubba del cerusico che stava dalla parte opposta del tavolo, tirandolo a sé “Se lei muore, anche voi la seguirete e io farò in modo che sia straziante e doloroso.”
Il guaritore lo guardò con timore, prima di annuire lentamente “Sì, mio Signore. Peccato che queste minacce non mi aiutino nella mia missione.” Prese a trafficare con delle strane tenaglie e aprì la bocca di Beatrice, prima di ispezionare gli occhi “Siete sicuro che sia Cianuro e non Cantarella?”
“Sì, la mia fonte ne è pressoché certa.”
Il cerusico prese una piccola ampolla con dentro della polvere bianca “Nitrato di sodio per assorbire il veleno” spiegò, “Questa è la sola cura.” Non fece in tempo a versarla nella bocca di Beatrice che ella fu scossa da tremiti incontrollabili. Il guaritore le sollevò il capo, tenendolo appena alzato mentre lei pareva incontrollabile “Non temete, sono convulsioni” disse, rivolto al Conte che osservava impotente la scena “Avrà molte crisi e, una volta a letto, non correrà il rischio di sbattere il capo.”
Ci volle un po’, ma i tremori si placarono dopo qualche minuto e finalmente Beatrice potè assumere un po’ di medicina insieme ad un bicchiere di acqua. Era caduta però in un sonno profondo e tormentato dalla febbre altissima che le faceva bruciare la pelle.
La spostarono in una stanza al pian terreno, accanto a quella in cui avrebbe soggiornato il cerusico, e lì il Conte azzardò una domanda che andava al di la di qualsivoglia illazione o minaccia “Ha possibilità di sopravvivere?” chiese con tono freddo, ben lontano dalla preoccupazione che sembrava albergare nel suo sguardo qualche istante prima.
Il guaritore sospirò “Se supera questa notte e la prossima, forse si. Non sappiamo quanto veleno ha assunto, quindi non possiamo sapere quanto potenti saranno i sintomi. Avrà sicuramente altre crisi, molte parecchio forti, se le supera tutte può farcela. È molto giovane e ciò gioca a suo favore: ha un corpo sano, forte. Credo che abbia possibilità, ma vi mentirei se non vi dicessi che si salvano ben poche persone dal cianuro.” Fece una pausa “Potreste vedervi costretto a dirle addio, mio Signore. Pregate per la sua anima.”
Il  Conte lo congedò con un cenno secco del capo, prima di entrare nella stanza della moglie, chiudendo la porta. Non vi sarebbe uscito per un po’.
 
Quando Giacomo entrò nella stanza, la prima cosa che vide fu Beatrice, stesa sul letto, che si lamentava nel sonno a causa della febbre. Sembrava in preda a deliri potenti e spaventosi, ma sussurrava così piano le parole che non poteva udirla nemmeno da vicino. Le spostò i capelli umidi dalla fronte e sentì quanto essa scottava, pareva in fiamme. Si preoccupò parecchio, mentre la guardava muovere il capo da una parte all’altra e gli occhi da sotto le palpebre.
Afferrò quindi uno straccio intinto nell’acqua frega, strizzandolo nel paiolo, prima di appoggiarlo sulla fronte della ragazza.
Notò suo cugino solo in un secondo momento e fu parecchio amareggiato per ciò che vide. Riario sedeva in fondo alla stanza, su una poltrona bassa. In mano teneva una corona del rosario fatta di perle nere alternate a sfere dorate. Aveva lo sguardo fisso a terra mentre passava da un’Ave Maria all’altra e poi al Padre Nostro, del tutto distaccato.
“Dovresti tenerle la mano” disse il Prefetto della Rovere, attirando finalmente la sua attenzione.
“Non la aiuterebbe, le preghiere invece si.”
“Questa è una delle scempiaggini più grosse che ti abbia mai sentito dire, Girolamo, e tu ne sforni di nuove ogni giorno. Puoi pregare per lei, facendole al contempo sentire la tua presenza.”
Il Conte non emise un fiato per replicare, proseguì nella sua silenziosa Crociata verso il Signore, sperando lo illuminasse con la grazia dei Santi e risparmiasse la sua giovane moglie.
A suo parere, quello era il solo modo.
Giacomo, a quel punto, prese la sedia accanto al letto e la avvicinò ulteriormente, prendendo la mano di Beatrice nelle sue e iniziando a sua volta a pregare. La stanza fu inondata di silenzio teso, mentre entrambi gli uomini si isolavano da quel luogo.
Giacomo sapeva delle due crisi che aveva avuto la giovane quel pomeriggio, per quel motivo aveva atteso di desinare prima di andare a recarle visita. Sembrava sempre più debole, più indifesa di fronte al veleno che si faceva strada nel suo corpo come una banda di briganti che saccheggiano di villaggio in villaggio.
“Salve Regina, Mater misericordiae,vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Evae, ad te suspiramus, gementes et flentesin hac lacrimarum valle...” Il Prefetto si fermò, smettendo di proferire quelle pie parole solo quando si accorse che Beatrice stava chiamando qualcuno nel sonno.
La vide sollevare piano l’altro braccio e quel movimento fu colto anche da Girolamo, che smise di recitare il rosario. Sembrava che Beatrice stesse cercando di afferrare l’aria.
Poi la voce si fece più chiara e disperata, febbricitante ma decisa “Lorenzo…. Lorenzo….” Riario s’alzò di scatto, avvicinandosi al letto e afferrando la mano della moglie per rimetterla sul materasso. Lei, per riflesso, scattò seduta, sgranando gli occhi “Giuliano!”
“Aiutami a stenderla!” sbraitò il Conte, ma non servì l’aiuto di Giacomo. La giovane scivolò di nuovo sulla pila di cuscini, chiamando alternativamente l’uno e l’altro fratello.
I due congiunti si guardarono in viso, poi Giacomo fece segno al Conte di uscire con lui. chiuse piano la porta, guardando negli occhi grandi il cugino “Cosa intendi fare, Girolamo?”
L’altro rimase fermo, a braccia conserte sul petto, meditando su come fosse il caso di agire “Vuole i suoi fratelli, non sembra darsi pace senza di loro.”
Il silenzio si fece più pressante, mentre dalla stanza si sentiva ancora quella lenta litania. Stava morendo.
Se si fosse sentita ancor più abbandonata, forse sarebbe davvero trapassata.
Seppur riluttante, Riario sbuffò “Manda un messo a Firenze. Che vengano pure.”
Il Prefetto annuì, allontanandosi per eseguire, mentre il Conte tornava nella stanza. Raccolse la corona del rosario che gli era sfuggita di mano e fece per risedersi, ma cambiò idea. Andò a sedersi sulla sedia che aveva ospitato il cugino e prese piano la mano della moglie, prima di ricominciare da capo.
Ormai, nulla poteva più nuocere.
 
 
 
***
 
 
 
Girolamo non si era accorto di aver preso sonno. Era semplicemente scivolato in esso nell’esatto istante in cui si era appoggiato al letto dove giaceva sua moglie, per riposare un poco le spalle, che dolevano molto a causa della posizione seduta che aveva assunto per tutto il giorno e gran parte della notte.
Si era destato solamente quando aveva avvertito un gran rumore, fuori dalla finestra.
“Visite!”
“Aprite i cancelli, ospiti illustri!”
Si era rimesso seduto, domandandosi chi mai potesse essere. Fuori faceva ancora buio e il messo che aveva inviato a Firenze non poteva già essere giunto per quelle terre. Ne tanto meno essere di ritorno con Lorenzo de Medici.
Si alzò, stirando la schiena con un piccolo gemito sofferente, prima di controllare Beatrice. Riluttante, si apprestò a lasciare la stanza, preoccupato da chi mai potesse arrivare nel cuore della notte sin lì.
Fece appena in tempo a svoltare dal corridoio nella piccola anticamera che conduceva all’ingresso, quando vide qualcuno che decisamente non si aspettava.
Basso d’altezza e dalla figura esile, Raffaele Riario era in assoluto il più giovane dei suoi cugini. Aveva solo quindici anni, doveva farne sedici a giorni per quanto si ricordasse, ma aveva già gravi macigni sulle spalle, tutti donatoli con orgoglio dal Santo Padre. Vescovo di Arezzo, Arcivescovo di Pisa e Legato Papale di Perugia.
Non erano però gli onori a contraddistinguere quel impertinente ragazzino,  ma una certa sagacia mista ad una fine intelligenza che però lui nascondeva bene dietro ad una risata acuta, ai limiti del sopportabile e ad un sorriso leggermente ebbro di vino.
Se Giacomo era sin troppo gioviale per essere un della Rovere, allora Raffaele era troppo allegro per essere un Riario. Nei suo sottili occhi castani e caldi vi era una grande voglia di vivere e gioire, oltre che ad una grande bontà. Se non fosse stato per il sangue, che lo legava a Girolamo, mai i due si sarebbero detti parenti. Invece, egli era figlio di Violante Riario, la zia prediletta del Conte, dalla quale aveva preso il cognome.
Raffaele lo notò quasi immediatamente, così si staccò da Giacomo, col quale stava discorrendo, e a grandi passi abbracciò  Girolamo “Mio adorato cugino!” esordì, squillante “Quanto mi sei mancato! Non hai idea di quante cose voglio discutere con te, nonostante l’ora tarda! Sono venuto sin qua da Pisa solo per poterti incontrare.”
Raffaele non pareva esser cresciuto di un solo giorno caratterialmente, nonostante paresse più alto; aveva un modo di fare fin troppo iperattivo, ma Girolamo non si sentiva quasi mai infastidito da lui.
Lo guardò per bene, come a voler cogliere qualsiasi cambiamento avesse fatto dalle nozze, notando con un poco di disapprovazione la camicia dalle maniche ampie e ornate di pizzo che indossava sotto al panciotto.
“Non credo sia il caso, Raffaele” lo precedette con garbo Giacomo “Beatrice è rimasta ferita e trovo opportuno che Girolamo rimanga con lei.”
Lo sguardo del più giovane mutò d’improvviso, perdendo in luminosità. Guardò con grande rammarico la schiena di Girolamo, visto che il cugino si era voltato e stava tornando verso la stanza della moglie “Quale brutta notizia! Non vedevo l’ora di porgerle i miei omaggi e domarle un piccolo sacchettino profumato pieno di lavanda lasciata ad essiccare, che le suore del convento della Beata Maddalena hanno fatto con le loro mani.” Camminò dietro di lui, affiancato da Giacomo, che gli poggiò una mano sulla spalla contrito nel vederlo così genuinamente dispiaciuto “Posso pregare per lei. Sono un vescovo, dopotutto, le mie preghiere arrivano più celeri di quelle di Girolamo.”
Giacomo si impose di non ridere a tanta ingenuità, mentre precedeva Raffaele nella stanza dove la giovane riposava “Credo che le tue siano le più pure di tutte, quindi ti invito ad iniziare”
Raffaele, però, indugiò parecchio sulla soglia prima di trovare il coraggio di entrare, chiudendo dietro di sé l’uscio. Non che fosse impressionabile per natura, dopotutto era stato inviato a Pisa per studiare l’arte medica presso i migliori cerusici, ma trovare qualcuno che gli stava a cuore in quelle condizioni lo scosse.
Sfilò il cappello da viaggio dalla scodella color nocciolo che portava sul capo, appoggiandola sul davanzale di una delle finestre della stanza insieme al mantello.
Alzò le maniche della camicia bianca fin sopra la gomito, prima di spostare le bende dal braccio della giovane. Storse il naso, notando la ferita “Si sta infettando” disse, toccando piano attorno ad essa per sentire se vi fosse un travaso di siero o del tessuto infettato.  Beatrice mugugnò nel sonno, facendolo ben sperare; era un buon segno il fatto che avesse ancora coscienza del suo corpo “Mi serve del succo di limone, per purificare la ferita. Non sembra che abbia perso molto sangue, ma non essendo un grande estimatore del salasso preferisco qualcosa di diverso. Foglie di menta, per farla respirare meglio.”
“Ci penso io.” Rispose Giacomo, avviandosi alla porta “Ho visto delle piante di menta fuori dal portone del castello, nel borgo. Torno presto.”
La porta si aprì e si richiuse in un istante, ma questo non parve distrarre Raffaele, che continuò a monitorare le condizioni di Beatrice. Le sentì la temperatura, appoggiando la guancia alla sua fronte, prima di girarla appena per controllare che non vi fossero delle irritazioni sulla schiena che avrebbero portato alla formazione di brutte piaghe.
Girolamo lo osservò per tutto il tempo dalla sua postazione, su quella poltrona in fondo alla stanza, lievemente in disparte.
Si alzò dopo diversi minuti, sentendosi impotente in quanto non era un abile cerusico come Raffaele né un uomo di chiesa come il più giovane della sua famiglia. Poteva, però, rendersi a sua volta utile.
Prese tra le mani la ciotola ricolma di acqua, con la quale aveva umettato la fronte della moglie “Vado a prenderne di fresca e a lavare il panno.”
Raffaele annuì energicamente, accarezzando con fare rassicurante una delle braccia della giovane supina “D’accordo.” Rispose,  prima di guardare  di nuovo il volto emaciato di Beatrice “Andrà tutto bene, promesso.”
Dalla porta, sulla quale si fermò solo per una frazione di secondo Girolamo osservò la scena, interrogandosi su chi fosse la persona alla quale si fosse appena rivolto il cugino.
Se lui stesso o Beatrice.
 
 
 
Continua..
 
 
 
Nda:
ciao a tutti e scusatemi per questa lunghissima attesa, ma i corsi all’università, la vita da pendolare e lo studio mi trattengono dallo scrivere ogni giorno.
Scusate anche per il capitolo più breve del solito, ma mi rifarò!
Bene, non ho molto da dire, se non che questo capitolo magari non sembra ma è importante, perché ho introdotto il personaggio di Raffaele Riario, che sarà molto utile di qui a più avanti.
Nel prossimo ci saranno di nuovo Lorenzo e Giuliano e, in quello dopo ancora, introdurrò un personaggio che mi sta molto a cuore e che sarà indispensabile nella vita di Beatrice.
Dopo di che inizia il vero divertimento perché ci aspettano capitoli che di certo non potete nemmeno immaginare! Approfondirò il rapporto Beatrice/Figli di Mitra ;)
 
Grazie a chi ha recensito e anche a chi ha solo letto <3
Come sempre, vi chiedo di dirmi un vostro parere, se vi va :D
 
Un abbraccio
Jessika.
 
 
 

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Capitolo 20
*** Parte XX: Il Nero, PtII ***


Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo ventesimo.
Rating: Arancione.
Betareader: Lechatvert
Genere: Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.


Note iniziali:
Chiedo scusa per l'attesa, ma fino ad ora non riuscivo a concentrarmi su questa FF.
Cercherò di non trascusarla più!
Grazie come sempre a chi legge e in particolare a chi perde trenta secondi di vita per recensirmi!
A presto e buona lettura,
Jessy
 
 
 
 
 
 
 
Parte XIX: Il Nero, Parte II
 
 
 
Il sole del meriggio riscaldava il collo di Grunwald mentre questi, chino su un piccolo tavolino, scrutava con sguardo concentrato la scacchiera.
Era la terza volta che perdeva, non si sarebbe permesso un’ulteriore umiliazione, tenuto conto del fatto che il suo rivale era Edoardo Olivieri.
Non il più acuto degli uomini, insomma.
Le guardie forlivesi e svizzere erano a riposo e, visto che in quel piccolo appezzamento di terra dimenticato da Dio scarseggiavano le milizie, loro due e qualche altro collaboratore si erano presi a carico l’onere di attendere una delegazione fiorentina, che sarebbe dovuta giungere da un momento all’altro. O così aveva annunciato il messo che li aveva preceduti sulla via per Monfestino.
Appoggiò una mano sulla Torre, prima di cambiare idea per la decima volta e spostare con un gesto repentino il cavallo.
Che venne mangiato dall’alfiere del rosso.
“Scacco al Re.” Disse con un sorrisetto trionfale Edoardo, incrociando le braccia sul petto “Siete un così abile Capitano, ma un così scarso giocatore..”
Grunwald sbuffò senza replicare, portando al sicuro il suo Re dietro al cavallo rimasto. Osservò con attenzione ogni singolo pezzo disposto sui quadrati bianchi e neri, prima di sorridere trionfare e spostare la Torre, mangiando la Regina di Olivieri “Ben vi sta, ragazzino, così imparate a non sottovalutare la mia…” si interruppe, appena notò che il giovane non gli stava prestando orecchio. Vide lo sguardo limpido di Olivieri perso nel cortile interno del Castello, sotto di loro che se ne stavano appollaiati sulle mura, e capì perfettamente a cosa stesse pensando “Gran bella donna, Madonna Colonna, anche se ha la simpatia di una vipera” disse a voce alta e beffarda, distogliendo l’attenzione di Edoardo dalla figura di Camilla. “Quando è giunta sin qui, ieri sera, ha iniziato a sbraitare ordini alle monache che stavano soccorrendo i soldati. Io stesso mi sono preoccupato per le condizioni di Madonna de’Medici. Ma questo esercito ha vinto una battaglia, merita cure e non lo starnazzare irritante di una signorina di città.”
“Io la trovo dolce, invece. Probabilmente siete voi a tirar fuori il peggio dalla gente.” Replicò imbarazzato il più giovane, muovendo un pedone.
Grunwald ridacchiò “Cosa passi per la testa di voi giovani è un mistero. Vi siete invaghito di una donna che non potrete mai avere in quanto nobile, sembrate uno di quei poeti falliti che affollano le vie fiorentine.”
“Cosa ne sapete voi, dell’amore?” domandò il rosso, cercando di suonare più scocciato che ferito.
Il Capitano svizzero scrollò le spalle con indifferenza, decidendo volutamente di nascondere qualcosa. Aveva notato un cambiamento in Olivieri, che aveva passato molto tempo al capezzale della sua Contessa, quella stessa mattina. Sembrava più nervoso, schivo.
Quando Camilla Colonna era uscita dalla stanza in cerca di Raffaele Riario, aveva compreso il perché.
“Io so più di quanto voi possiate immaginare su molti argomenti” decretò Grunwald, muovendo l’alfiere “Conosco molto bene le leggi che vigono in questo stato corrotto, per esempio e, a quanto mi pare di ricordare, non è possibile per un soldato di basso rango sposare una nobile.” Buttò giù il Re di Olivieri, che non si era nemmeno accorto della mossa decisiva “Vi ho affondato, Capitano delle Guardi forlivesi.”
Si alzò dallo sgabello con una risata gutturale, afferrando una mela da uno dei canestri posti lungo le mura, prima di appoggiarsi ad esse per scrutare la campagna attorno a loro.
Edoardo gli si affiancò, sospirando sconfortato “Credete che non raggiungerò mai le cariche che mi permetteranno di chiederla in moglie?”
Lo svizzero staccò un grosso pezzo dalla mela. “No, morirete prima.” Gli lanciò un’occhiatina, prima di alzare gli occhi al cielo “Lungi da me il consolarvi, in quando ciò implicherebbe che mi importa qualcosa del vostro malessere. Se posso però consigliarvi, rinunciate. Lei sarà maritata nel giro di massimo un anno. La Contessa l’ha scelta come sua prediletta, la accaserà non appena si sentirà meglio.” Decretò infine, parlando assai bene nonostante il marcato accento tedesco.
Olivieri si chiese da quanto tempo il Capitano vivesse in Italia. Sorrise poi tristemente, rivelando un certo sconforto “Sembrate certo che la Contessa sopravvivrà. Come fate?”
“Trovo Beatrice de’Medici troppo combattiva per morire a causa del veleno. La sua morte sarà di gran lunga più gloriosa.”
Edoardo gli sorrise, seppur debolmente “Sapete avere un buon cuore, se lo desiderate.”
“No, non è vero.” Replicò presto Grunwald, ma un leggero rossore sulle orecchie lo tradì “Ora andate a sistemare la scacchiera, prima che decida di lanciarvi dalle mura. Voglio giocare nuovamente.”
Il rosso sorrise di più, alzandosi di poco sulle punte per lasciare una pacca sulla spalla del Capitano, prima di tornare alla scacchiera e iniziando a sistemare di nuovo i pezzi su di essa.
Stava per ultimare l’opera quando un grido di Grunwald lo fece trasalire “Warden!” urlò rivolto ad alcuni suoi uomini che sostavano nel cortile “Aprire il portone.”
Gli svizzeri scattarono.
Edoardo si apprestò ad affiancarlo nuovamente, notando una delegazione di almeno trenta uomini che cavalcavano nella direzione del borgo, sbucando dal sentiero costeggiato dai pioppi che conduceva al paese.
Ci misero una manciata di minuti a percorrerlo tutto e a giungere sin dentro al piazzale del castello.
Edoardo riconobbe immediatamente i vessilli dei de’Medici di Firenze, ma non aveva mai visto da vicino il Magnifico.
Aveva sentito che era un uomo imponente, di grande levatura morale. Rimase quasi deluso nel trovarsi di fronte un uomo intorno alla trentina, con una discreta stempiatura e una pancetta da amante del buon vino.
Aveva però qualcosa, nello sguardo. Qualcosa di unico che credeva che solo Beatrice possedesse.
Aveva gli occhi di chi vedeva ben oltre le mere apparenze. Gli occhi di un vero signore.
“Quello è dunque il Magnifico” Osservò, mentre Grunwald studiava la scena a braccia conserte “Non assomiglia a Madonna de’Medici. Lo avevo immaginato così differente da com’è in realtà”
Il Capitano sputò a terra “Come ogni storia, anche la sua è stata di molto gonfiata, passando di bocca in bocca.”
“Io intendevo anche esteticamente. Lo immaginavo possente…”
Lo svizzero trattene una risata, grattandosi il naso con l’indice “Ha più potere quell’uomo in una sola mano di tutti i ragazzoni forzuti che possono albergare nei vostri  sogni, Olivieri.”
Il rosso ignorò quell’illazione, mentre studiava un secondo uomo. Sembrava più giovane e vigoroso di Lorenzo; subito prese a sbraitare ordini a destra e manca e quando Giacomo della Rovere lo accolse, ordinò subito di venir condotto da Beatrice.
Avendolo già visto a Forlì, non ci mise che due secondi a riconoscerlo.
“Sapevo che sarebbe venuto di corsa.”
Grunwald asserì con un cenno del capo “Purtroppo...”
“Giuliano ama troppo sua sorella per non correre al suo capezzale.” Ammise Oliveri, mentre i due de’Medici, accompagnati da un uomo tarchiato, entravano dentro al castello. “Speriamo che, grazie all’amore della sua famiglia, riesca a superare anche questa notte.”
Grunwald sbuffò scocciato “Non sarebbero dovuti venire, a mio avviso.”
“Perché mai, di grazia?”
“Perché bastava l’amore e la fede di suo marito a spostare di duecento piedi questo castello. Il Conte stava già dando abbastanza forza alla tua Signora.”
 
 
 
 
Quando Beatrice iniziò a tornare in sé, la prima cosa che avvertì fu un forte profumo di lavanda. Aveva sempre amato quella fragranza, sin da quando era bambina.
L’aveva sempre aiutata a rilassarsi.
La seconda cosa che notò fu il calore di una mano, grande e morbida nonostante qualche callo sul palmo, che stringeva con dolce fermezza la sua.
Infine, seppur molto ovattate, Beatrice percepì distintamente due voci a lei conosciute. Erano poco più che sporadici sussurri, un poco litigiosi tra loro e carichi di tensione, ma che le misero la pace nel cuore.
Aprire gli occhi fu molto arduo e richiedette parecchio tempo.
Il dolore agli arti le impediva qualsivoglia movimento, così rimase immobile, cercando di trovare in se stessa la forza necessaria per guardarsi attorno. Voleva semplicemente capire cosa stesse succedendo e dove si trovasse, per dipanare la nebbia che le attanagliava la mente, confondendola.
Si sentiva come se una mandria di cavalli imbizzarriti le fossero passati sopra, insieme a tutti i carri che la città di Firenze poteva contenere.
Con esasperante lentezza iniziò a socchiudere le palpebre, trovando attorno a sé un mondo confuso e velato. Con pazienza, attese qualche secondo, strizzando anche gli occhi e riaprendoli, cercando di mettere a fuoco la stanza.
Quando colse le due figure che la sovrastavano, sedute sul letto, sentì il cuore sprofondarle nel petto.
Loro non la stavano guardando, quindi non videro le due grosse lacrime che le solcarono le tempie.
Lorenzo gesticolava appena come di sua consuetudine, mentre teneva la mano libera sulla spalla del fratello. Dal canto suo, Giuliano fissava disperato il maggiore, stringendo la mano di Beatrice e scuotendo appena il capo.
La ragazza non colse nemmeno una delle loro frasi, ma dovevano riguardare le sue condizioni.
Tentò di parlare, ma il primo tentativo andò a vuoto, così come il secondo.
Alzò la mano libera, che ricadde pesante, sbattendo sulla coscia di Lorenzo. Ottenne però l’attenzione che sperava, visto che entrambi abbassarono gli occhi sul suo viso.
“Beatrice!” esclamarono all’unisono, a metà tra il commosso e  il sollevato.
Mentre Giuliano si chinava per baciarle la fronte, lei sorrise serena anche se stanca, cercando di ricambiare la stretta.
Con un balzo, Lorenzo discese dal letto correndo fino alla porta e affacciandosi da essa.
Fuori, nel corridoio, vi erano almeno venticinque persone, tra servitù curiosa, monache in preghiera e personalità di svariati titoli e posizione.
Colui che il Magnifico stava cercando sedeva a terra e stava lanciando una pallina di stracci ad uno dei levrieri del padrone di casa.
“Vostra Eccellenza!” lo chiamò Lorenzo, facendo voltare tutti verso di lui “Vi prego, accorrete!”
Raffaele Riario non se lo fece ripetere. Si alzò di scatto, passando davanti a Camilla che portò una mano alla bocca, paralizzata dalla preoccupazione, prima di appoggiarsi alla spalla di Olivieri.
Il vescovo si chiuse la porta alle spalle, immergendo le mani in una tinozza per lavarle. Si voltò verso Beatrice, sorridendo felice nel vederla sveglia. “Oh, mia cara, ci avete fatti spaventare tutti!” trillò quindi allegro, passando davanti al Magnifico per controllare le condizioni della giovane.
Lei lo guardò stranita, domandandosi cosa ci facesse lì il cugino del marito.
Poi tutto le tornò alla mente in un istante…
La battaglia, i cannoni, il sangue, Caterina Sforza…
Raffaele stava giusto controllando lo stato della ferita, quando Beatrice lo afferrò con forza ritrovata, sollevandosi nonostante le insistenze di Giuliano.
“Rimanete stesa, mia Signora!” insistette il vescovo, ma lei non pareva voler sentire ragioni. Si stava guardando attorno preoccupata, con le lacrime agli occhi.
Cercò di parlare, ma uscirono solo sussurri bassi.
Raffaele la costrinse a stendersi nuovamente, aiutato da Lorenzo, e appena la giovane ebbe di nuovo le spalle ben appoggiate al materasso, Giuliano si chinò su di lei.
Lei provò a parlare di nuovo, con scarso successo, così accostò l’orecchio alle labbra screpolate della sorella.
Tutto ciò che riuscì ad avvertire fu solamente ‘Girolamo’.
Si voltò verso il fratello maggiore “Chiede del Conte.” Elargì, senza una particolare emozione. La gioia del riavere sua sorella era molto più grande del fastidio che poteva provare se pensava che quella era la prima persona che Beatrice aveva chiamato.
Raffaele si diede dell’idiota.
Corse alla porta, urlando di chiamare il Conte Riario,  prima di tornare al letto, reggendo in mano una polverina e un bicchiere “Sono uno stupido, avrei dovuto dirtelo subito; Girolamo è uscito illeso dalla battaglia e credo sia ancora a pregare nella cappella del castello per la tua salvezza.” Versò la polverina nel bicchiere, prima di aiutare Beatrice a bere tutta la medicina.
Giuliano sbuffò una falsa risata “Alla cappella per pregare…. Quando siamo arrivati, stamattina, non era qui. Doveva tenerti la mano, invece non si è presentato in tutto il giorno.”
“Giuliano.” Lo ammonì debolmente il Magnifico.
Non voleva che Beatrice si preoccupasse.
“Sai che è la verità, Lorenzo! Sapevo che quell’uomo era il demonio in persona e tu hai comunque permesso che sposasse Beatrice! Guarda cosa le ha fatto!”
La ragazza avrebbe tanto voluto metterli tutti a tacere.
Era stufa di come il mondo intero si permettesse di sindacare sulla sua vita.
Le forze però le mancarono di nuovo e non poté far altro che sospirare e chiudere gli occhi.
Ci pensò Raffaele, e quietare tutti.
Accarezzando la fronte sudata della Contessa, sorrise raggiante “Non vorrei contrattarvi, Vostra Grazia” si rivolse a Giuliano “Ma mio cugino, temendo per le sorti della sua adorata moglie, ha scavalcato secoli di dissapori tra Roma e Firenze e vi ha mandati a chiamare. Se questo non è vero amore, allora non so cosa sia.”
Quell’affermazione spiazzò il giovane de’Medici, così come ammutolì anche Lorenzo.
La porta si aprì, facendoli voltare.
Girolamo Riario, il frutto di ogni discussione iniziata quel giorno fra i due fratelli, se ne stava in piedi sull’uscio, con gli occhi lievemente spiritati. Solo quando questi incontrarono quelli della moglie, le spalle si abbassarono, rilassandosi.
A parte questo, non parve fare una piega.
Avanzò di qualche passo, mettendosi alla destra del letto, laddove Raffaele gli aveva ceduto il posto.
Quando Beatrice alzò un braccio e allungò una mano nella sua direzione, si sbrigò ad afferrarla, stringendola fra le due solo dopo averla baciata.
La Contessa guardò il marito sedersi accanto a lei, affianco a Giuliano e solo a quel punto sospirò, riuscendo finalmente a parlare nonostante la voce fioca “Dovevo rischiare la morte per vedervi nella stessa stanza senza fissarvi con odio…”
Strappò un piccolo sorriso a tutti, anche a Girolamo.
Questi strinse di più la sua mano, prima di sospirare a sua volta, colmo di sollievo.
“Bentornata, mia Signora.”
 
 
 
Le condizioni di Beatrice furono incerte per tutta la notte, ma dalla mattina successiva al risveglio, Raffaele decretò che il suo corpo stava ormai depurandosi di tutto il veleno.
Non correva più rischi, anche se la ripresa sarebbe stata lunga e sofferta.
Lorenzo rimase con lei per tre giorni, prima di tornare a Firenze, lasciando lì il fratello. Mancare per troppo tempo si sarebbe potuto rivelare pericoloso, senza contare che attendeva ospiti illustri.
Nonostante la partenza del Magnifico, la presenza di Giuliano de’Medici non era molto apprezzata, nonostante non facesse poi molto, se non rimanere al capezzale di Beatrice.  Per questo motivo,  spinto da pressioni e malcontenti, Girolamo aveva preso una decisione.
Doveva solo comunicarla alla moglie. Attese di vedere il giovane de’Medici ritirarsi nella  stanza che il padrone di casa aveva messo a sua disposizione, prima di scendere a parlare con lei.
Sorprendentemente, non la trovò comunque sola.
Aveva aperto la porta dopo aver  bussato a malapena, trovandosi di fronte una scena a dir poco surreale.
Beatrice non solo riusciva a stare seduta senza bisogno di tutti i cuscini che in quel momento giacevano a terra, ma stava addirittura ridendo, seppur con fare contenuto a causa dei dolori che aveva ancora al costato.
In piedi, accanto al letto, vi era un sorridente Grunwald.
Il che pareva di per sé inspiegabile.
Appena  vide Girolamo, Beatrice sorrise radiosa, alzando un mazzolino di fiori di campagna e mostrandolo al marito “Guardate cosa mi ha portato il Capitano. Non mi ha solo salvato la vita, è venuto anche a portarmi un dono di pronta guarigione.”
A quelle parole, le orecchie di Grunwald si infuocarono “Non ho fatto nulla di tutto ciò, Madonna.” Sussurrò a voce bassa.
“Suvvia, Capitano, se non fosse stato per la vostra tempestività a riconoscere il veleno, Raffaele non avrebbe potuto rimediare.” Lo confortò con tono leggero il Conte, mostrando che non pareva affatto infastidito dalla sua presenza nella stanza.
Grunwald rilassò le spalle, prima di voltarsi nuovamente verso la Contessa, con un piccolo inchino. Uscì dalla stanza silenzioso, chiudendo la porta dietro di sé.
“Ci avresti mai creduto?” domandò Beatrice, mentre Girolamo si avvicinava, sedendosi sulla poltrona di lato al letto “Grunwald che raccoglie dei fiori per me.”
“Non riesco nemmeno ad immaginarlo, mentre lo fa.”
Si scambiarono uno sguardo, poi Beatrice prese la brocca dell’acqua, appoggiandosi dentro il preziosissimo dono. “Terrò una margherita e la metterò dentro ad un libro. Non posso conservarli tutti, ma per ricordare questo momento unico, preserverà quella come se fosse il più prezioso dei tesori.”
L’uomo la guardò affascinato, non notando negli occhi vivaci della giovane alcuna traccia di sconforto. Era andata così vicina alla morte da poterne saggiare la consistenza del manto, ma non sembrava sconvolta o spaventata.
Pareva quasi che si fosse ripresa da una malattia, più che da una mortale ferita sul campo di battaglia.
“Hai la faccia più cupa del solito, qualcosa non va?” domandò gentilmente  Madonna de’Medici, guardandolo preoccupata “Per caso dobbiamo andarcene?”
Lui portò le mani incrociate sul ventre, alzando il viso verso di lei “Ti sono venuto a parlare proprio di questo, Beatrice. Tuo fratello deve tornare a Firenze, al più tardi domani a mezzodì.”
La ragazza sospirò sconfortata “Temevo che saresti venuto a dirmi qualcosa di simile. In vero, mi sono stupita che gli abbiano permesso di rimanere per quasi una settimana. In fondo, questi sono nemici del mio nome, no? Gli Estensi, in particolare.”
“Il caro Alfonso è stato generoso, ma adesso richiede che Giuliano torni a casa. Dobbiamo riprendere a parlare di faccende che non possiamo rischiare di mettere in piazza con i nostri nemici. Spero comprenderai.”
La mora annuì, passando le mani sulle coperte che le coprivano le gambe. Portò i capelli dietro al capo, prima di voltarsi verso Girolamo “Potresti mandarlo a chiamare, quindi? Vorrei che rimanesse con me, stanotte. Chissà quando lo rivedrò.”
“Questo non è necessario.” Disse sbrigativo Riario, inclinando appena il capo. Aveva in mente qualcosa, Beatrice poteva scorgerlo nelle sue iridi cangianti “Poiché tu andrai con lui.”
A quelle parole, il cuore della giovane mancò di un battito “A Firenze?” domandò senza trattenere un tono ricco di aspettativa.
“A Firenze.”
Quelle due parole bastarono a rinvigorirla.
La sua amata città. Non credeva che l’avrebbe rivista poi così presto, eppure ecco che il marito le offriva la possibilità di tornarvi.
“Non so cosa dire, Girolamo. Per quanto tempo potrò rimanere con la mia famiglia?”
“Per tutto il tempo che il tuo corpo richiederà per rimetterti a pieno.” L’uomo si alzò in piedi, avvicinandosi al letto di qualche passo “Ho già fatto predisporre che una carrozza  venga fatta preparare per domani mattina. Quando ti sveglierai, mangeremo qualcosa insieme e poi partirai. Raffaele ha accettato di buon grado di venire con te, per tenerti sotto controllo in caso di una ricaduta, visto che ha detto che essa non è da escludere. Quando sarai pronta, farai ritorno con lui a Roma.”
Lei annuì, prendendo nota di ogni singola parola “Potrà venire anche Camilla?”
“Certamente, e qualcuna delle tue guardie Forlivesi. Non credo che Grunwald e i suoi uomini siano ben accetti a Firenze.”
“No, infatti.” Ci pensò su solo pochi istanti, visto che aveva i nomi già in mente “Olivieri e Lenzini possono accompagnarmi, mentre Benetti può riportare le sue truppe a Forlì.”
“Così sia.”
Riario fece per allontanarsi, deciso a richiamare subito a sé i due uomini per sottolineare l’importanza del loro compito – e le conseguenze che riporterebbe il perdere di vista sua moglie- ma lei lo bloccò.
Lo afferrò per il braccio e, seppur debolmente, lo attirò a sé “Sei così freddo con me, in questi giorni.” Sussurrò quasi più a se stessa che a lui, sistemando il collo della sua camicia nera. “Ti ho per caso recato fastidio in qualche modo?”
Girolamo sorrise appena, sedendosi sul bordo del materasso, prima di scostarle i capelli da una spalla, lasciata scoperta dalla camicia da notte candita. Posò un piccolo bacio sulla pelle scoperta, prima di stringerle la mano “Non potresti mai recarmi fastidio, semmai preoccupazione.”
Beatrice sorrise ricambiando la stretta “Ho dimostrato di essere un buon soldato, non credi?”
“Lo credo bene, sei sopravvissuta laddove in molti sono morti.”
La ragazza sospirò, prima di abbassare il capo “Lorenzo è convinto che il mio gesto porterà delle conseguenze. Ho ucciso una Sforza, chissà come la prederà la sua famiglia.”
“Lei ha mancato per prima di rispetto a te, non devi far nulla se non attendere lo svolgere degli eventi. Ora stenditi.” Le lasciò la mano, alzandosi e attendendo che si fosse stesa, per appoggiarle un casto bacio sulla fronte.
Beatrice per lo afferrò per la camicia, guardandolo negli occhi prima di farlo riabbassare, esigendo un bacio sulle labbra che le ridiede un po’ di vigore.
“Allora devi essere tu a rimanere con te, stanotte.”
Girolamo le concesse il suo permesso con uno sguardo e suggellò quelle parole con un altro bacio.
 
 
Alzarsi da letto fu faticoso, ma sorretta da un allegro Raffaele, Beatrice riuscì ad arrivare tranquillamente fino al salone da pranzo, dove desinò con del pane raffermo e delle marmellate fatte in casa da qualcuno del luogo.
Giuliano sembrava parecchio felice all’idea di ritornare a casa insieme alla sorellina, tanto che non la finiva più di parlare. Sembrava un esaltato.
Al contrario, Girolamo non spiccicò parola per tutta la durata di quel pasto, toccando appena le numerose cose messe a disposizione dai padroni di casa.
Arrivato il momento della separazione, Camilla uscì per prima in cortile, assicurandosi che i servi sistemassero il baule con gli oggetti della sua Signora sulla carrozza.
Fuori trovò Olivieri e Lenzini, intenti a sellare i cavalli.
“Partirete con noi, Edoardo?” domandò la ragazza, guardando lo stemma di Forlì, ricamato sulla giubba porpora del giovine.
Questi annuì, mentre le sue gote prendevano colore improvvisamente “Madonna de’Medici ha scelto me e Vieri Lenzini per accompagnarla nel suo viaggio a Firenze.”
“A quanto pare siamo divenuti le sue guardie personali” si intromise l’altro forlivese, facendo un piccolo cenno a Madonna Colonna “Spero non vi dispiaccia.”
Ella sorrise, guardando un istante Olivieri, prima di rispondere “Affatto, Vieri.”
Si voltò, aprendo la porta della carrozza al vescovo Riario Sansoni, che saltò su con ben poca eleganza. “Coraggio, andiamo! Sono curioso di vedere che alloggi vostro fratello mi metterà a disposizione, Giuliano!”
Il de’Medici sbuffò una risata, afferrando le briglie della sua cavalla bianca, che uno dei suoi tre uomini gli stava porgendo “Il migliore, Vostra Eccellenza.”
Girolamo accompagnò a piccoli passi Beatrice, che si appoggiò con una mano alla carrozza, voltandosi quindi verso di lui. “Appena arrivata, vi farò recapitare qui una lettera.”
Il Conte annuì, prima di prenderle il viso tra le mani “Fate buon viaggio e, per cortesia, basta avventure per un po’.” Le baciò la fronte, tenendovi le labbra appoggiate qualche istante in più.
Beatrice si appoggiò al suo petto, stringendogli le braccia ai fianchi, ma capendo perfettamente quando lui non ricambiò l’abbraccio. C’era Giuliano dopotutto “Posso promettervi che non mi farò di nuovo male, accontentavi.”
Salì sulla carrozza, accompagnata da Camilla, poi sporse dal finestrino “Ci rivediamo a Roma.” Disse sorridente, mentre il resto della compagnia montava a cavallo “Anche  voi, evitate di divertirvi troppo in mia assenza.”
Riario la guardò con un sorrisetto, tra il divertito e l’ironico “Certamente mi annoierò parecchio, senza avere nessuno attorno da tenere lontano dai pericoli.”
Si concessero un ultimo sorriso, poi la carrozza partì e la ragazza si risedette comodamente al suo interno, accanto a Camilla.
Riario li guardò allontanarsi, sentendo la presenza opprimente di Mercuri alle sue spalle “Parlate.” Lo intimò, senza voltarsi.
“Siete certo che il Santo Padre sia d’accordo, Conte Girolamo? Lasciare vostra moglie a Firenze con i fratelli potrebbe-“
“Io mi curo della salute di sua Santità da più tempo di voi, Mercuri.” Lo interruppe bruscamente, prima di voltarsi a guardarlo “So benissimo cosa fare con la mia famiglia.”
Con quelle poche, fredde parole si avviò verso la salita che portava alle mura.
Ad esse si appoggiò, ammirando la carrozza che si allontanava in fretta da quelle terre, alla volta della Toscana.
In cuor suo sapeva che quello poteva essere un azzardo, ma contava molto sul buon senso di sua moglie e su quell’amore che ella diceva di provare per lui.
Sarebbe tornata a Roma, ne era certo. 

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Capitolo 21
*** Parte XXI: L’Orgoglio. ***


modellostorieefp

Perché metto le note a inizio capitolo? Oggi mi sento rivoluzionaria.

Bene, bene, bene!

Sempre più in ritardo eccovi il capitolo ventuno! Mancano solamente quattro capitoli alla fine di questa ff, ma io – che sono inarrestabile nel cazzeggio, sto già ordendo di nascosto un maffo sequel! *zanzanzan*

Questo è un capitolo leggero e divertente, il primo da tanto tempo di questo genere. Vengono introdotti tre personaggi piuttosto importanti, due dei quali gentilmente concessi da Lechatvert.

Orso di Vallesanta che trovata in questa storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2544673&i=1 ;

Levi Bacci di Fonterossa, che trovate nei vostri cuori e in questa storia:  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1933024&i=1 (leggetele entrambe se non lo avete fatto, sono fantastiche a dir poco.)

E il caro Ludovico il Moro, che trovate nella storia, quella vera, e per la prima volta in questa FF.

I primi due, come ho già detto, non appartengono a nessuno se non a Maia – che è anche la mia bellissima e secsosissima beta reader. Noi abbiamo questo vizio di scambiarci i personaggi e giocarci su. Abbiamo costruito un mondo intero insieme e quando possiamo, vi mostriamo di cosa siamo capaci v.v

Detto questo vi lascio al capitolo, confidando in un vostro parere a riguardo!

Un bacio a tutti,

Jessy

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

Parte XXI: L’Orgoglio.  

 

 

“Avete sentito che la sorella minore del Magnifico è tornata in città?”

Una delle tre massaie alzò il capo dalla camicia che stava levando, parandosi via il sudore dalla fronte “Beatrice de’Medici a Firenze? Non s’era maritata con un Conte Veneto?”

“Ma che andate a dire, Gertrude.” si intromise una terza, guardandola saccente mentre prendeva un po’ di acqua nella mano, per rimuovere un poco di cenere rimasta su un colletto “Ha sposato il nipote di Sua Santità in persona. Lorenzo l’ha accasata proprio bene.”

“Io ho sentito dire che vive in una villa!”

“Io in un castello!”

“Io che ha un Ducato tutto suo, nella Romagna! Là la chiamano la Tigre, perché s’è presa la cittadina di Forlì tutta da sola, uccidendo il Signore e dando alle fiamme il villaggio!”

Le tre vecchie presero a formulare ipotesi via via più assurde sull’esistenza della giovane, parlandone con tono così sostenuto che fu udito da qualcuno. Un giovane, con i capelli di un castano chiarissimo e tre piume che cadevano delicatamente su un orecchio per metà mozzato, si appoggiò con i fianchi al molo.

Le donne che lavavano i panni in Arno la mattina presto erano famose pettegole e passare ‘casualmente’ di lì, solitamente, era parecchio conveniente.

“Scusatemi, signore.” Disse di punto in bianco, avvicinandosi “Non ho potuto fare a meno di sentire che Madonna de’Medici è tornata a Firenze.”  Disse, incrociando le mani sul ventre.

Le tre lo guardarono in cagnesco. “Non è educato origliare, ragazzo.” Disse la prima, guardandosi un istante attorno, come se temesse l’attacco di un gruppo di briganti. Quanto si accertò che egli era solo, si sporse verso di lui,  appoggiando la mano artritica al terreno e sollevando i piedi dall’acqua “Dicono che sia arrivata ieri pomeriggio, ma da allora nessuno l’ha veduta in giro. Una congiunta di mio fratello ha addirittura detto che l’ha vista parecchio emaciata.”

“Dicono che sia ammalata, di un morbo pericoloso come il Mal Francese.” Si intromise Gertrude, ridacchiando. “Chissà se parteciperà al ballo in maschera che il Magnifico ha organizzato per lei! Vi saranno tutte le famiglie nobili della città.”

Il giovane corrugò le sopracciglia, fissando il terreno. No, lo escludeva. Fece per porre altre domande, ma una voce lo chiamò.

“Orso!”

Diede le spalle alle tre donne, guardando verso sua sorella, facendole poi cenno di averla  sentita. “Buona giornata.” Disse alle tre vecchiette, prima di tornare verso il ponte dove lo aspettava sua sorella Porpora.

Se Beatrice si trovava davvero a Firenze, doveva avere una possibilità di rivederla.

Ancora una volta…

“Non potrai mai immaginare cosa ho appena udito, sorella. Forse ho trovato qualcosa da fare questa sera..”

 

La luce del sole, forte e prepotente, parve abbattere le tende del baldacchino, arrivando a destare Beatrice ch’era ormai mattino inoltrato.

Da quando era stata ferita dormiva davvero molto, così tanto da trovarlo tedioso.

Scostò quell’ostacolo con un movimento fluido del braccio, prima di alzarlo insieme all’altro sopra al capo, stirando la schiena.

La giornata non poteva dirsi più bella di così.

Il sole di fine agosto, afoso, rendeva la giornata a dir poco incandescente ma non oltrepassava le spesse mura di Palazzo della Signoria, dove la famiglia de Medici aveva preso la residenza dopo la partenza di Beatrice.

Di quello strano cambiamento, la ragazza non aveva ricevuto alcuna spiegazione quando era giunta la sera prima. Avrebbe chiesto delucidazioni a Lorenzo, sempre se non l’avesse trovato troppo intento a scrivere poesie per la sua amante.

Era rimasta molto amareggiata quando aveva scoperto che la portava addirittura nel palazzo.

Al contrario di palazzo de’Medici, Palazzo della Signoria era senza subbio più sicuro e più locato nel centro vivo della città. Affacciandosi alla finestra, Beatrice notò che il mercato era affollato così come lo ricordava. Il vociferare delle persone si udiva fin lassù e addirittura qualcuno parve notarla. Un paio di donne alzarono addirittura le mani in segno di saluto, mentre la additavano ai figli. Cortesia che Beatrice si affrettò a ricambiare, mentre un sorriso sincero le si apriva sul viso.

Quando le era mancato il calore della sua Firenze.

Stava per decidersi a chiamare Camilla, così che potesse aiutarla a vestirsi, quando qualcuno bussò alla porta.

Sistemandosi la vestaglia, Beatrice rispose “Venite avanti.”

Con un sorriso luminoso, Clarisse entrò.

Le andò incontro, abbracciandola forte. Quando erano giunti la sera precedente, la signora della città stava già riposando. “Ti sei fatta più grande!” disse con tono allegro, prendendo il volto della giovane tra le mani, per poi baciarle la fronte. Si strinsero le mani, senza smettere di sorridersi “Sono felice di rivederti qui, Beatrice. Cosa ne pensi della nuova casa?”

La Contessa lasciò scivolare lo sguardo lungo le pareti di pietra, prima di annuire piano “Quando venivo qua da bambina, ricordo che il piano superiore non era finito …. Ora invece guarda che stanze e che saloni! Tu sai perché mio fratello ha deciso di potar qui la sua famiglia?”

Clarisse annuì, prima di andare verso l’armadio, spalancandolo. Esso era pieno di vestiti vecchi e nuovi, tutti appartenenti a Beatrice. Il fatto che le avessero riservato una stanza nonostante non vivesse più lì scaldò il cuore della Contessa “Lorenzo dice che questo palazzo è stato studiato perché la signoria cittadina vi possa dimorare e tenere l’ordine. Ha ragione, dopotutto. Terminati i lavori alla torre e ai corridoio di collegamento, ha portato qui tutti. Non ti piace?”

“Mi piace molto.” Acconsentì Beatrice, accettando poi di buon grado l’abito bianco che la donna aveva scelto per lei.

La aiutò a prepararsi, non stringendole troppo il bustino per paura di irritare la ferita che ancora faticava a rimarginarsi.

Sarebbe rimasta una cicatrice, a ricordo di Caterina Sforza.

Si sedettero entrambe sul letto e Beatrice si lanciò in un’avvincente descrizione della battaglia di Monfestino, descrivendo accuratamente ogni dettaglio, sino a che lo ricordava. Compreso il dolore per quella ferita mortale e la soddisfazione di essere campata al nero destino al quale Caterina l’aveva votata.

Clarisse la guardò sorpresa di tanto in tanto, tornando poi a spazzolarle la chioma bruna acconciandole i capelli con un’elegante treccia a circondarle il capo.

“Non è così male essere sposate, non credi?” le disse alla fine del racconto, accarezzandole piano una spalla “Tutte le giovani di buona famiglia hanno sempre paura di ciò che avverrà di loro una volta lasciato il tetto paterno, ma poi devono ricredersi.”

“Non tutte, forse.” La corresse Beatrice, prima di voltarsi di tre quarti verso di lei per poterla guardare in viso “Io credo di essere stata molto fortunata. Girolamo mi da più libertà di quanta avrei mai sognato. Anche se Giuliano è convinto che essa sia pericolosa …. Per me è solo vita.” Strinse la mano alla moglie di suo fratello, quella donna che le aveva fatto un po’ da madre dopo la prematura morte della sua,  sporgendole poi per baciarle la guancia “Verrai a trovarmi a Roma?”

Clarisse asserì “Ogni qualvolta me lo domanderai.”

 

Firenze aveva la straordinaria capacità di farsi più bella di volta in volta.

Beatrice si strinse di più al braccio di Raffaele Riario Sansoni, mentre poco più avanti rispetto a lei, se ne stava un’estasiata Camilla.

Pontevecchio, vero? Cielo, da qui si vede addirittura una torretta che pare di grande importanza! Di cosa si tratta, Beatrice?”

“Quella è la torre di Palazzo della Signoria, Madonna Colonna, il luogo da cui siamo partiti e in cui alloggiate nella vostra permanenza.” rispose prontamente e senza celare il suo orgoglio Giuliano de Medici, che camminava accanto a loro affiancato da Olivieri e dalle sue guardie forlivesi “Tra poco vedrete Santa Maria in Fiore, gioiello d’Europa! Lì siamo diretti, nella pizza della cattedrale, dove potrete ammirare anche il meraviglioso battistero ideato dai migliori artisti del mondo.”

“Non mi parean men ampi né maggiori,che que' che son nel mio bel San Giovanni,fatti per loco de' battezzator” recitò a memoria Beatrice, non di meno fiera della sua città, ridendo poi non appena il vescovo al suo fianco si permise di alzare gli occhi al cielo.

“Citate il Dante, cugina mia, ma non è tutto oro ciò che luccica! Passeremo anche davanti al Bargello, ma lor Signoria non ne farà grande menzione immagino.” Ridacchiò Raffaele, prima di sporgersi verso Beatrice, sussurrandole in un orecchio e portando anche una mano a coppa davanti ad esso, come di solito solevan fare i bambini impertinenti “A giudicare dal modo in cui Edoardo guarda vostro fratello, cugina, direi che sta rischiando più lui di tutti i condannati di quelle galere.”

La ragazza rise più forte, attirando così lo sguardo del resto della compagnia su di sé, ma non tradì il suo nuovo cugino acquisito.

Da quando si era risvegliata, ancora febbricitante e piena di veleno, Beatrice si era ritrovata a passare molto tempo con Raffaele Riario Sansoni. Era un pezzo importante della vita di suo marito, un parente preziosissimo e molto amato da Girolamo.

Il cuginetto preferito, il fiore all’occhiello della casata.

Un vescovo a soli diciassette anni, quasi cardinale.

Arcivescovato di Pisa e Arezzo, tanto sulle sue giovani spalle.

Brillante studente di medicina.

Poi, il suo carattere…

Allegro, frizzante. Una ventata di aria nuova nella vita di Beatrice. Qualcuno della sua età con cui parlare.

L’averlo con sé in quel momento rendeva ancor più bella quella passeggiata. Persino i cittadini parevano voler rendere ancor più luminosa la giornata della Contessa. Chi la salutava, chi le dava il bentornata in città. Un paio di bambine le portarono addirittura dei fiori, ricevendo in cambio qualche dolcetto acquistato dal fornaio.

“I cittadini vi amano” disse Olivieri, quasi stupito “A Forlì non vi si tratta ancora con così tanto riguardo ed essa è vostra e non del nome della vostra famiglia.”

La ragazza gli concesse un sorriso un po’ tirato, congiungendo le mani sul ventre e reggendo quei due mazzolini di roselline e margherite bianche, con i quali si sarebbe fatta una coroncina “Firenze è una Repubblica. Forlì un Ducato. Per quanto sia triste da dire, i cittadini stessi percepiscono una differente visione della Signoria. Laddove abbiamo dei benefattori che permettono alla città di mangiare e gioire di  baldanze e giochi, nell’altro caso ha preso il potere con scudi e spade, lance e frecce, rubando la libertà dalle mani di una famiglia per porla nelle mani di un’altra. Forlì non sarà mai allegra come Firenze, nemmeno se dovessi dar la mia vita per permetterlo.”

“Basta parlare di politica! Siete tornata a Firenze per vantarvi dei vostri trofei di guerra, Madonna? O per farvi fare un altro ritratto?”

Una voce conosciuta ma non subito identificata fece voltare di scatto sia Beatrice che Edoardo. In un istante, la ragazza non si trovò più al fianco della sua guardia, ma vicina ad un uomo dall’aria poco curata ma il sorriso limpido “Leonardo da Vinci!” disse, incrociando le braccia quando l’ebbe raggiunto “Contavo di vedervi stasera.”

“Lusingato, ma non mi è giunto alcun invito.” Le fece sapere l’artista, prima di alzare le mani per stoppare ogni possibile richiesta di presentarsi “Senza contare che sto partendo per Pisa. Un esperimento su un’invenzione che mi pare geniale, ma che non credo funzionerà sott’acqua …” con un gesto da vero prestigiatore, prese l’agenda dalla tasca dei pantaloni, iniziando a mostrare schizzi e didascalie per lo più incomprensibili a Beatrice.

“Quello chi è, Vostra Eccellenza?” domandò senza capire Olivieri, indicando con un cenno Leonardo a Giuliano.

Questi storse il naso infastidito “Beatrice!” chiamò la sorella, prima di rispondere al soldato “Un cialtrone, ecco cos’è! Beatrice!”

“Arrivo,  Giuliano!” rispose scocciata la giovane, prima di scambiare un paio di baci sulle guance con Leonardo per tornare dal fratello “Sei felice di poter nuovamente minare la mia libertà di parlare alle persone, vero?”

“Non voglio che parli con la feccia.” Rispose pacato il maggiore dei due, facendola sbuffare.

“Un giorno, tutto il mondo conoscerà il nome di Leonardo da Vinci.”

“Non credo proprio, sorella.” La prese a braccetto, costringendola a riprendere la passeggiata.

“Per cosa lo dovrebbero ricordare?” chiese ingenuamente Edoardo, riaffiancandosi a lei.

“I prezzi delle sue opere sono pura sodomia.” Rispose Giuliano acidamente, mentre sua sorella si affrettava a correggere quell’ingiustizia.

“Leonardo è un ottimo pittore, sopraffino direi. Cattura l’anima delle persone e riesce a dipingerla. Il ritratto nell’atrio di Villa Orsini l’ho commissionato a lui.”

“Miracolo che l’abbia finito...”
“Giuliano!”

Raffaele ascoltò divertito tutto quel battibecco, prima di voltare il capo verso la mestosità del Duomo, che ora si ergeva sopra di loro.

A quella vista, tutti si zittirono.

La luce del sole colpiva i colori vivaci sulla facciata, ammutolendo sia coloro che la vedevano per la prima volta, sia coloro che erano abituati alla sua  bellezza eterna.

“C’è una bella storia riguardo alla Porta della Mandorla” disse Beatrice, indicando l’ingresso in questione “Giuliano, raccontalo tu. È più divertente se esce dalle tue labbra!”

Il fratello ridacchiò, mettendosi fra Camilla e Raffaele, lanciandosi poi in quel avvincente racconto “Se guardate sopra alla porta, nell’arco a sesto acuto, riproducente l’Assunzione della Vergine, opera di Nanni di Banco, sopra al pregevole mosaico dell’Annunciazione del Ghirlandaio, noterete la figura di un bove cornuto. Si dice che, settant’anni fa, quando la costruzione della Cattedrale era giunta buon punto,  in una casa di fronte abitasse un sarto gelosissimo della sua avvenente moglie, la quale, a detta di molti, era amica del capomastro dell’Opera del Duomo. Questo signore, a feroce beffa del sarto, avrebbe posto la testa cornuta in modo tale che fosse rivolta verso le finestre del geloso marito, a perenne allusiva derisione.”

Edoardo e Camilla risero, mentre Raffaele parve quasi interessato “Siete molto eruditi sulla storia dell’arte.”

“Se vivi qui è d’obbligo, cugino.” Lo prese in giro Beatrice, prima di tirarlo verso il Duomo, nel quale entrarono insieme.

“Ditemi qualcos’altro sulla cattedrale, mio Signore” chiese divertita Camilla, accettando il braccio che Giuliano le stava porgendo.

“Otto anni fa, il Verrocchio, un noto artista di bottega della città, ha fuso una palla di rame del peso di oltre quattromila e seicento libre sulla sommità del cupolone, posante sulla zona ultimata. Volete che vi mostri dove soleva sedere Dante Alighieri mentre componeva, prima del suo esilio?”

Edoardo li guardò allontanarsi lentamente, covando una forte gelosia verso de’Medici. Storcendo il naso, andò a vedere quel maledetto sasso, dove un poeta posava il deretano per comporre, chiedendosi cosa vi fosse di eccezionale in esso.

Nessuno avrebbe mai posto una targa laddove soleva sedersi lui!

 

 

La festa organizzata da Lorenzo era stravagante come di consueto.

Il tema era ‘Le Meraviglie dell’Olimpo’, quindi la toga andava per la maggiore, fra uomini e donne. Nonostante le obiezioni di Beatrice, a lei era stato concesso il ruolo della più bella delle dee, Afrodite, anche se lei si sentiva di più una valente Artemide.

Con addosso una tunica di un rosa delicato come un pastello, si aggirava tra gli invitati, salutando vecchie conoscenze e facendone di nuove.

Quando finalmente riuscì a rintracciare il suo emissario Hermes, ovvero un Raffaele che aveva commissionato un elmo con sopra delle ali di piccione imbalsamato, lo trovò in compagnia.

Con lui c’erano due giovani uomini. Uno moro e l’altro e l’altro leggermente più basso ma che riusciva comunque a sovrastare Raffaele. Mentre il primo sembrava essere il perfetto Dio della Guerra –maschera scelta dai più nella sala- l’altro teneva al collo una collana di grappoli d’uva e un enorme calice pieno di vino nella mano sinistra.

Curiosa si avvicinò, ricevendo subito il benvenuto di Bacco  “Beatrice de’Medici, da tempo anelavo fare la vostra conoscenza!” Il giovane si inchinò, sfilandosi il cappello ricco di piume di fagiano, pavone, beccaccia e altri fronzoli. Esso era completamente fuori tema rispetto al resto del costume “Mancavate alla mia collezione di nobili! Vi inserirò tra i de’Cerusici e i de’Notai” disse scherzoso, guardando poi la ragazza come se si aspettasse una risata. Il solo a ridacchiare fu il terzo ragazzo.

Raffaele si morse le labbra per non commentare, prima di portare una mano sulla spalla di Beatrice, che ancora lo guardava perplessa “Ti ci abituerai, cugina, lui è di una simpatia tutta sua.”

“Stai cercando di sminuirmi, Raffaele?” domandò oltraggiato il Conte, appoggiandosi la mano che reggeva il cappello sul petto, in un gesto di profondo rammarico. Soffiò via una penne che era finita sul suo naso, prima di scuotere piano il capo “Cosa deve fare, un uomo, per farsi amare dai suoi amici? Chissà cosa potrò mai contro i miei nemici, se qualcuno che è cresciuto con me mi tratta in codesto modo. Voi cosa ne pensate, Madonna?”

Beatrice gli appoggiò una mano sul braccio, invitandolo a seguirla verso il tavolo apparecchiato a feste, pieno di cibo e vini pregiati“Penso che necessiterò di un buon bicchiere di vino, per star dietro ai vostri discorsi. Non ho ancora compreso il vostro nome, però.”

“Perdonate la mia maleducazione, Madonna. Il mio nome è Levi Bacci, Conte di Fonterossa!” rispose prontamente, baciandole la mano prima di versargli egli stesso il vino. “Queste bottiglie lo fatte condurre io stesso dalle mie terre. Dovete sapere che le vigne di Fonterossa sono le migliori d’Italia e io stesso provvedo sempre ad annaffiare le tavole del Magnifico con la migliore delle ambrosie. Tutto ciò ovviamente ad un prezzo bassissimo, che non si dica che Levi non sia generoso!”

Beatrice lanciò un’occhiata a Raffaele, che parlava trafelato con quel misterioso ragazzo che ancora non aveva aperto bocca, porgendo anche a lui un bicchiere e domandando all’ospite se lo gradisse. Con un cenno del capo, Beatrice servì anche lui sorridendo “Alla vostra età già Conte?”

“I miei genitori sono venuti a mancare presto.” Rispose velocemente lui, prima di schioccare la lingua contro al palato “Sembra proprio di essere in Grecia! Sicuramente anche loro avevano il vino toscano!” sottolineò sarcastico, facendo ridacchiare la Contessa.

Il Vescovo sospirò, scuotendo il capo e fingendosi falsamente rassegnato “Deve davvero essere in vena oggi, il nostro Levi. Devi sapere che si crede addirittura simpatico!”

“Vi conoscete da così tanto?” domandò divertita la Contessa a Raffaele.

“A me pare un’eternità, invero.”

Levi annuì, facendo danzare le piume del suo cappello “A lungo e a fondo.”

Il Vescovo scoppiò in una risata sonora, prima di asciugarsi una lacrima al lato dell’occhio “Non chiedere Beatrice, ti prego non chiedere.”

Beatrice alzò gli occhi al cielo, guardando poi sinceramente divertita i due giovani. Sembravano davvero molto affezionati l’uno all’altro, in un modo che pareva andare oltre un legame fraterno.  La Contessa aveva già iniziato a percepire qualcosa dal modo in cui si erano salutati, c’era qualcosa di forte in quell’abbraccio, ma ormai iniziava a divenire quasi palese. “Quanto vi intratterrete a Firenze, Conte?”

Per risposta, Levi levò un pilucco dalla mantella che il vescovo portava sopra alla tunica, guardandola pensieroso “Dipende … Vostro marito ha intenzione di passare?”

“Non credo.”

“Allora potrei anche intrattenermi qualche giorno in più.”

Beatrice lo guardò confusa “Avete per caso problemi con mio marito?”

“Chi non ne ha?” domandò senza sfrontatezza il Conte di Fonterossa. “Mi piace considerarlo un caro amico, quasi come se fossi anch’io suo cugino, ma non credo che Girolamo ricambi il mio affetto.”

La giovane scambiò uno sguardo di intesa con Raffaele “In effetti, non avete torto.”

“Forza Raffa, voglio mostrarti una cosa prima di cena.” Il Conte fece un piccolo inchino a Beatrice, prima di far strada all’amico verso le stanze degli ospiti.

“Perché quell’espressione, Madonna?”

Beatrice scrollò piano il capo, guardando Levi allontanarsi, a braccetto con Raffaele “Mi sto solo chiedendo come ho fatto a vivere senza loro due sino ad ora.”Si accorse secondariamente che quella era la voce del misterioso ospite. Ossequiosa, si sbrigò a rimediare “Voi invece chi siete, mio Signore? Noto che portate il biscione degli Sforza sulla mantella.”

Il giovane sorrise, ammirato “Avete occhio, le voci sulle vostre abilità politiche sono vere quindi.” Ammise, prima di chinare il capo e prendere gentilmente la mano di Beatrice, per poterne baciare il dorso “Il mio nome è Ludovico Sforza, nipote del Duca Francesco Sforza.”

Beatrice si morse le labbra a quelle parole.

Aveva di fronte il cugino di Caterina Sforza in persona, colui che avrebbe dovuto serbarle rancore, ma che invece le stava sorridendo.

Che fosse una tattica? Decise di scoprirlo.

“Mi rammarica la fine di vostra cugina.” Disse, sfilando la mano dalla sua presa, per poterla stringere all’altra sul grembo. “Non mi ha dato nessun’altra possibilità.”

Ludovico non parve turbato. Si limitò ad asserire, tenendo lo sguardo limpido e sincero “Lo posso ben immaginare, Madonna. Caterina aveva perso da tempo la sua strada. Non voglio dire che abbia meritato questa sorte, certo, ma nemmeno che sia stato un crimine. Sul campo di battaglia tutto è lecito.”

La ragazza sorrise, lieta di non aver attirato le ire della casata milanese. Non che fosse preoccupata di ciò, non aveva fatto nulla se non salvare la sua stessa vita.

Prese a conversare amabilmente con Ludovico, parlando di Forlì e Milano, dei loro congiunti e della giovanissima moglie dell’uomo.

Sembrò passare diverso tempo, tanto che Beatrice stava quasi per andare a domandare a Lorenzo quando mancasse ancora alla cena, quando Fabrizio venne da lei per portarle un messaggio.

Il paggio di corte si chinò, portando i suoi omaggi sia alla Contessa che al rampollo degli Sforza, prima di rivolgersi alla sorella del Magnifico. “Un popolano domanda di poter conferire con voi. Dragonetti stava per mandarlo via, quando questi ha mostrato un ciondolo con lo stemma dei de’Medici su di esso. Egli sostiene che siate stata voi stessa a darglielo.”

A quelle parole, gli occhi di Beatrice si illuminarono. Appoggiò il bicchiere sul tavolo, prima di voltarsi verso Ludovico, sbrigativa “Perdonatemi, farò ritorno presto.” Sussurrò con fretta, facendo un piccolo cenno con il capo e avviandosi verso il corridoio con passo svelto.

Ludovico la imitò, lasciando il calice e seguendola “Potrebbe essere pericoloso, Madonna! Permettetevi di accompagnarvi, se non intendete chiamare le vostre guardie!”

Anche volendo, Beatrice non era certa di voler portar via Olivieri dalla sala. Era tutta la sera che controllava come un rapace su un ramo Camilla, troppo presa da Giuliano per rendersi conto dello stato d’animo di Edoardo.

“Fate presto dunque, prima che Dragonetti si stufi e decida di buttarlo fuori.” Lo esortò la madonna, sollevando di poco le sottane per poter scendere rapida le scale.

Nel cortiletto interno del palazzo, seduto sulla fontana dell’ingresso, c’era un ragazzo che si reggeva il capo fra le mani. I gomiti, ben piantati sulle ginocchia, sussultavano ad ogni sospiro.

Davanti a lui se ne stava solenne Dragonetti, con le mani appoggiate alla cinta e lo sguardo cupo.

Sembrava un boia in attesa di un cenno per abbassare la scure.

Peccato che quella non sarebbe stata la volta buona.

Beatrice arrivò nell’atrio  dopo essersi fatta ampiamente udire. I suoi passi veloci per le scale, sommati a quelli pesanti a causa degli stivalacci di Ludovico, furono una presentazione più che sufficiente.

Quando sbucò dalle scale, affannata e leggermente spettinata, il cuore di Orso ebbe un tuffo. Si alzò di scatto, sorridendole, mentre lei recuperava un poco di fiato per poi corrergli in contro, buttandogli le braccia al collo per poterlo stringere a sé.

“Non posso crederci, sei qui!” disse felice, prima di staccarsi per prendergli il viso fra le mani, esaminandolo attentamente “Stai invecchiando, Vallesanta? Quella è barba?”

Orso ridacchiò imbarazzato, sciogliendo l’abbraccio e grattandosi dietro al capo “Ho udito che eri tornata a Firenze, così contavo di poterti salutare e…” si interruppe, notando la presenza di qualcuno che aveva già visto, ma non di certo a Firenze.

Beatrice notò i due uomini scambiarsi un lungo sguardo, così pensò fosse opportuno presentarli “Orso di Vallesanta, questo è il nipote del Duca di Milano, ser…

“Ludovico il Moro.” Rispose prontamente Orso, facendo un cenno verso il milanese.

“Ho già avuto il piacere.” Rispose questi, con un sorriso divertito “A mio zio piacciono gli animali strani ed impagliati. Il caro Orso ha preparato la miglior falsa chimera che io abbia mai visto.”

“La falsità sta negli occhi di chi guarda, mio Signore.” Rispose ossequioso il laziale, unendo le mani sul grembo. “Per vostro zio, tale bellissima e fiera bestia è motivo d’orgoglio, se impagliata su di un piedistallo.”

“Soprattutto quando insiste nel dire che è stato lui ad ucciderla.” Aggiunse Ludovico, prima di tornare verso le scale. “Non temo per la vostra vita, Beatrice. Buona chiacchierata.”

Beatrice sorrise, scuotendo piano il capo “Sei più famoso di me.” disse, appoggiando una mano sul petto di Orso, mentre anche Dragonetti si allontanava di qualche metro, senza però perdere d’occhio il giovane “Sono felice di vederti, vuoi venire alla festa? Scommetto che ti divertiresti anche se non sei correttamente vestito.”

Il ragazzo piegò il capo, fissando la pavimentazione di pietra. Scosse piano la testa, reclinando timidamente quell’invito, prima di passare a Beatrice una rosa che lei non aveva notato in un primo momento.

Prese il fiore bianco fra le mani, sentendo il profumo che emanava e sorridendo al giovane.

“Speravo di rivederti, visto che a Roma vivi con …. Tuo marito.” Orso si morse le labbra, abbassando la voce per non farsi udire da nessuno. Il Conte Riario aveva ingaggiato anche i muri, forse. Meglio non rischiare “Vorrei trattenermi maggiormente, ma Porpora insiste a partire e non credo di essere ospite gradito.”

“Questa non è più casa mia, quindi posso far ben poco per te, se ti cacci nei guai.” Lo minacciò la giovane Contessa, punzecchiandogli il braccio con lo stelo della rosa “Ci vedremo a Roma, promesso. Manderò qualcuno a chiamarti.”

Orso la guardò scettico “Ma Riario …”

“Riario non saprà nulla.” gli confermò lei “Non intendo metterti in pericolo …” alzò una mano, appoggiandola sotto al suo collo, laddove il ciondolo con sopra l’effige medicea si posava.

Glielo aveva donato anni addietro, durante la loro fuga. *

Erano molto più giovani, molto più folli. Nonostante non fossero passati che due anni, sembravano venti almeno.

Orso le coprì la mano con la sua, prima di prenderla per baciarla “Ci vediamo a Roma, allora?”

“Vorrò conoscere tutto della città. Tutto ciò che le gite turistiche di Mercuri non possono insegnarmi.”

Si scambiarono un ultimo sguardo, poi il giovane ragazzo si inchinò, tornando sui suoi passi scortato da Dragonetti.

Beatrice portò la rosa al viso per la seconda volta, celando così il sorriso che era affiorato sulle sue labbra e sperando che non si notasse troppo il rossore sulle sue gote.

 

La luce della candela vibrò appena,quando la porta si aprì per poi richiudersi immediatamente dopo.

Girolamo stava rileggendo per la seconda volta la lettera di Beatrice, cercando qualcosa di degno di nota da riportare nella risposta, quando Zita gli servì il suo solito infuso. Lo beveva ogni sera prima di coricarsi, certo che gli conciliasse il sonno.

Lui alzò a mala pena gli occhi per guardarla, prima di afferrare la penna, intingendola nel calamaio.

La serva abissina non lo disturbò all’inizio, limitandosi a versare una tazza all’uomo, appoggiandogliela accanto. Si mise quindi alla sua destra, osservando la sua scrittura stretta ed elegante.

“La Signora tornerà presto?” chiese sottovoce, come intimorita all’idea di poter spezzare quel silenzio tranquillo.

Fortunatamente, Riario sembrava in vena di chiacchiere. Alzò gli occhi su di lei, tirando un sorrisetto che sapeva di ringraziamento per l’infuso, prima di afferrare la tazza con la mano libera “Spero presto, ma non è stata decisa nessuna data. Non appena si sentirà abbastanza in forze per lasciare la città natia e mettersi in viaggio”

E per salutare la sua famiglia, nuovamente.

Girolamo non lo disse, ma sapeva che il punto era davvero quello.

La certezza del suo ritorno vacillava di giorno in giorno, visto che dopo la prima lettera, arrivata due giorni prima, non aveva più avuto sue notizie.

Riario sapeva che gli sarebbe bastato poco per riaverla; marciare su Firenze, scrivere una lettera dal tono minaccioso al Magnifico….

Però avrebbe preferito evitarlo.

Zita parve intuire quella sua tensione, così con un piccolo inchino si portò alle spalle dell’uomo, prendendo a massaggiargliele.

Girolamo sospirò, appoggiando la tazza senza aver bevuto nulla e massaggiandosi le tempie. I Medici erano un cancro incurabile, qualcosa che non riusciva davvero ad estirpare dalla sua vita.

Il loro matrimonio non era che l’inizio di qualcosa di estremamente complesso, se lo sentiva nell’anima.

Quando le mani della serva si fecero più audaci, scendendo sul suo petto e andando ad aprire un bottone della sua camicia bianca, Riario la fermò con un singolo cenno del polso.

Lei comprese, allontanandosi da lui  di un paio di passi “Scusate.” Sussurrò semplicemente, domandandosi perché ancora non riuscisse a comprendere i desideri del suo padrone.

Era normalità che, quando una schiava veniva acquistata, il suo padrone facesse di lei ciò che più gli aggradava. Lo stesso destino era stato riservato a Zita, che però si era sentita particolarmente fortunata. Era stata portata al Conte Riario come dono e lui l’aveva istruita, insegnandole a leggere e a parlare un buon italiano. L’aveva battezzata e avviata sulla via luminosa del Signore, correggendola con pazienza. L’aveva posseduta, più volte in effetti, sia prima che dopo il matrimonio con Beatrice, mostrando sempre un certo rispetto nella sua persona.

Ironicamente, era molto più gentile con lei che con molti altri cristiani.

Eppure, da quando quella maledetta fiorentina era entrata nella sua vita, Riario aveva smesso di provare interesse nell’abissina. Quello che non è peccato, poiché è uso comune, stava diventando una macchia sulla sua anima.

“Credo che dovresti ritirarti.” Disse con tono basso, prima di riprendere in mano la penna per terminare la lettera.

Il fatto che la sola presenza di Beatrice tirasse fuori quel poco di buono vi era in lui era effimero come una candela su un davanzale. Basta un soffio per spegnerla.

Beatrice non era lì con lui, non era al suo fianco ma a casa sua, la sua vera casa.

Firenze.

Quel luogo di peccatori in cui le aveva lui stesso consigliato di recarsi. Si pentì di quell’atto di bontà, realizzando che non aveva nulla da dirle.

Non sapeva cosa risponderle per il semplice fatto che non vi era nulla da dire.

Riappoggiò con prepotenza la penna nel calamaio, prima di schiarirsi la voce.

“Zita.”

La serva si bloccò, tenendo la mano sulla maniglia della porta.

Un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra piene, mentre tornava a voltarsi verso il suo padrone, comprendendone benissimo le intenzioni.

Riario appallottolò la lettere incompiuta, gettandola poi via. Ne avrebbe riscritta un'altra il mattino successivo, per colmare il senso di colpa che sapeva già avrebbe provato.

Mentre lo faceva, però, non spostava gli occhi da Zita che, lentamente, prese a tirare i cordoni del suo vestito povero, lasciandolo poi scivolare in un unico movimento fino alle caviglie ….

 

Beatrice stava soppesando cosa scrivere a Girolamo riguardo la giornata appena trascorsa.

Le cose che voleva dirgli erano molte, troppe in vero. Dalla passeggiata con Giuliano, alla festa, alle parole di Clarisse.

Nella testa aveva un concerto di idee, di belle immagini che le sarebbe piaciuto condividere con lui, ma qualcuno decise di rovinarle ogni tentativo di mettere su carta i suoi pensieri.

Un bussare insistente la distrasse e, prima che potesse aprire bocca, l’uscio si spalancò. Raffaele entrò con un gran sorriso, chiudendosi la porta alle spalle, per poi lasciarsi cadere a peso morto sul letto.

“Non ti ho dato la buonanotte, cugina. Ci tenevo, prima di coricarmi. Credo di aver bevuto troppo vino…”

La ragazza ridacchiò, alzandosi dal piccolo scrittoio e andando a stendersi accanto a lui, su di un fianco. Spiò il suo profilo netto, che si infrangeva nella stanza semi buia grazie alla luce di un paio di lampade ad olio, prima di sorridere furbescamente “Sei tornato solo ora dalla festa, Raffaele?”

“Sì, il Conte di Fonterossa è andato a coricarsi e ho deciso di seguire il suo esempio.” Rispose meccanicamente il vescovo, portando una mano sotto al capo mentre si metteva frontalmente rispetto a lei.

Beatrice sorrise con non poca malizia.

“Immagino che il tuo divertimento sia cessato, quindi …. O forse deve ancora avere inizio e sei passato solo per evitare che fossi stata io a venire a cercarti?”

Le orecchie di Riario Sansoni si tinsero di un rosso brillante, così come le gote, ma lui fece finta di nulla.

Scrollò le spalle, alzando il mento “Non so di che parli.”

La mora sbuffò divertita “Andiamo, era così palese.”

“E perché l’avresti notato solo tu, se è così palese?”

“Perché gli altri che avrebbero potuto farci caso sono uomini, e gli uomini d’amore no sanno nulla a meno che non amino altri uomini.”

Il giovane abbassò lo sguardo, mentre un sorriso romantico gli appariva sulle labbra “Ma che belle parole, le ha scritte vostro fratello nell’Ode al Sodomita?”

Beatrice lo spinse, facendolo capitolare sulla schiena. Si mise quindi seduta, sovrastandolo “No, sono mie. Avanti, ora dimmi da quanto va avanti questa storia, sbrigati!”

Raffaele incrociò le mani sul petto, pensandoci “Da sempre, io e Levi…. Siamo cresciuti insieme e non saprei dirti l’esatto momento in cui …. Cielo divino!” portò un braccio sugli occhi, così da mascherare almeno in parte il suo evidente imbarazzo “Non posso credere che ne sto parlando con te”

“Con chi pensi di poterne parlare?” la Contessa prese a solleticargli il fianco, guardandolo divertita mentre si contorceva sotto di lei “Girolamo? Giacomo o Giuliano?”

“Hai citato le prime tre persone che non dovranno mai saperlo, insieme a mio zio, il Papa.” Sottolineò Raffaele, prima di sospirare un po’ triste “Sono un vescovo, essere sodomita è quasi un mio obbligo.” Constatò ironico, come se fosse ovvio “Eppure mi sento sbagliato quando mi rendo conto che non c’è nulla di male.”

“Se ti consola, nemmeno io ci vedo nulla di male.” Asserì la giovane, pettinandogli poi il caschetto castano con le dita.

Si guardarono negli occhi, poi il ragazzo scattò seduto, abbracciandola stretta.

Un abbraccio forte e quasi disperato, così improvviso da stupirla. Quando ricambiò la stretta, sentì Raffaele sciogliersi fra le sue braccia.

Rimasero così qualche minuto, poi lui si staccò, baciandole rapidamente le labbra, come per sigillare un patto di silenzio tra loro due “Devo fuggire o quel pelandrone si addormenterà.” Disse, prendendole le mani mentre si rimetteva in piedi. “Grazie.”

“Mi ringrazierai nuovamente quando domani mattina verrò a domandarti i dettagli?” chiese falsamente pensierosa Beatrice, beccandosi un’alzata di sopracciglia “Voglio sapere tutto, Riario!”

“Forse sì, forse no.” Disse divertito il ragazzino, prima di aprire la porta “Buonanotte, cugina.”

“Buon divertimento, cugino.”

La porta si richiuse con un piccolo tonfo, facendo ridacchiare ancor di più Beatrice.

Si rimise supina, aprendo le braccia e fissando il baldacchino, improvvisamente stanca.

Avrebbe scritto la lettera non appena sveglia, ma solo dopo aver ascoltato ogni singolo ricordo che un Raffaele innamorato aveva da offrire alle sue orecchie curiose.

Voleva solo capire come un Riario vedeva l’amore, così magari da comprendere anche la visione di un altro.

 

 

 

 

 

 

*Storia vecchia, che verrà ampiamente raccontata in un’altra storia che posteremo spero presto io e Lechatvert.

Tutto questo per stuzzicare la vostra curiosità :3

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Parte XXII: I Fratelli. ***


modellostorieefp

Buongiorno a tutti!

Oggi posto nel pomeridiano, un autentico evento!

Visto che la storia avrà solamente 25 capitoli, iniziamo con il conto alla rovescia!

Questo è un poco più movimentato dell’altro, diciamo un preambolo ai guai che arriveranno presto *Grazie Al Rahim*.

Mi ha stranita non poco descrivere un litigio di Bea e Giuliano, visto che loro due sono il cardine della famiglia de’Medici.

Altra comparsata di Levi! Io adoro quel ragazzo e ringrazio Lechatvert non solo per la betatura ma anche per avermelo prestato v.v

Che altro posso aggiungere, se non ringraziare per le tre recensioni?

Ah sì! Buona lettura :D

 

Jessy

 

Ps: per chi fosse curioso, eccovi la storia citata nel capitolo precedente, su Orso e Beatrice: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2549227

 

 

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

 

Parte XXII: I Fratelli. 

 

 

 

Il fumo invadeva la stanza, profumando l’aria e colorandola dei toni del grigio perlato.

Beatrice si mise seduta, sentendosi ancora intontita dal sonno. Quella in cui si trovava non era più la sua stanza a Palazzo della Signoria, bensì una tenda dai toni caldi, illuminata con qualche lampada ad olio disposta qua e la.

Oltre una delle molte tende trasparenti, proprio innanzi a lei, sedeva a gambe incrociate un uomo.

In un primo istante, Beatrice si stupì della sua presenza, prima di realizzare chi esso fosse. Chi altri doveva essere, dopotutto?

Si alzò dal triclino su cui era stesa, camminando a piedi nudi sino alla tenda e superandola. Il suo vestito danzava insieme alla luce delle lampade, sospinto dal vento leggero del deserto che li circondava.

Tutto attorno a lei, notò, non vi era altro che deserto avvolto dalla notte più nera che avesse mai visto. E pace, molta pace.

Si sedette davanti all’uomo, notando che teneva gli occhi chiusi e un respiro basso e costante. Attese che fosse lui a parlare, abbracciandosi le ginocchia e stringendole al petto, mentre un ennesimo soffio di gelida aria notturna le faceva accapponare la pelle della schiena.

Quando Al Rahim prese infine la parola, lo fece senza aprire le palpebre e parlando con tono basso e dimesso. Pareva stanco.

“Il bocciolo del tempo ha preso a schiudersi, Beatrice de’Medici, ma prima che ogni petalo si sia disteso, voi dovrete fare ancora qualcosa per noi.”

La mora abbassò lo sguardo sul tappeto sotto di loro, perdendo uno sguardo sarcastico in quel dedalo di colorati fili intrecciati con perizia “Non mi stupisce.” Ammise un po’ amaramente “Sono pronta a mettere a rischio la mia vita un’altra volta.”

Il Turco aprì gli occhi, fissandola intensamente. Non vi era rabbia nel suo sguardo, ma nemmeno la solita spensierata sapienza “Vi abbiamo permesso di salvare l’uomo che amate, che ora diverrà per voi un ostacolo quasi invalicabile. Trovo doveroso che voi facciate ciò che vi viere richiesto dalla congrega. O state forse pensando di passare dall’altra parte, così come un tempo fecero altri?”

“Sono ancora fedele alla mia missione, non intendo deludere ne voi ne mio nonno, Al Rahim.” Disse lei spicciola, prima di storcere il naso con disapprovazione “Ma, come avete detto voi, io amo quell’ostacolo: agire nell’ombra, alle sue spalle, mi sembra quasi come il volerlo accoltellare nella schiena giorno dopo giorno.”

“Vi sarà chiesto di fare altre scelte, ma non adesso.”

La Contessa alzò lo sguardo, fiero e deciso come sempre, in quello di smeraldo del Turco. Si studiarono per alcuni istanti, poi lei chinò il capo arrendevole “Cosa devo fare?” domandò, con determinazione.

Lui sorrise appena, compiaciuto, prima di chiudere gli occhi nuovamente.

Lei si sentì come invitata a fare lo stesso e comprese di aver fatto bene quando, nel buio, vide qualcosa.

Un luogo che mai aveva veduto prima, ma che al contempo aveva un che di famigliare. Sembrava un immensa libreria una sorta di archivio che…

La ragazza interruppe il flusso di pensieri, riaprendo gli occhi e sbarrandoli.

“Non vorrete che io…?”

“Ciò che dovete recuperare è un libro.” Disse pacatamente il Turco, invitandola a richiudere gli occhi. Beatrice lo fece con un sospiro accondiscendente e lo vide. Grande, ma non troppo spesso, dalla copertina grigia e le pagine ingiallite dal tempo. Dentro, i caratteri erano di una lingua che lei non sapeva tradurre ma che sapeva riconoscere: l’ebraico antico. “Quando lo troverete, sarete la sola che potrete riaprirlo dopo quasi un secolo. È necessario che voi lo portiate fuori dal luogo in cui è custodito e che lo nascondiate. Verrò io da voi a prelevarlo.”

La mora si morse le labbra, tesa.

“Non si entra con facilità negli archivi vaticani, Al Rahim. Non so se riuscirò a farcela, tenendo mio marito lontano da me abbastanza a lungo. Senza contare le guardie che li sorvegliano e la presenza di Mercuri, che perennemente entra ed esce da Castel Sant’Angelo.”

“Partire entro due giorni da Firenze, Beatrice, e il momento propizio si manifesterà.”

La giovane annuì risoluta, prima di alzarsi.

“Farò come mi chiedete, allora. Attenderò il vostro arrivo a Roma per prendervi il libro.”

Al Rahim si limitò a fare un cenno, salutandola con un piccolo inchino del capo.

Beatrice tornò a stendersi sul triclinio, attendendo di svegliarsi di nuovo nella sua stanza.

Con il solo rumore del vento nel deserto a coprire l’incalzare dei suoi pensieri, si domandò cosa avrebbe detto a Giuliano l’indomani…

 

 

Trovare suo fratello fu, di base, assai semplice.

Camilla e altre tre dame della corte se ne stavano affacciate nel porticato interno, troppo prese da qualcosa che stava avvenendo in giardino. Peccato che quello non fu l’indizio più evidente.

Olivieri risolse l’arcano, cadendo a carponi innanzi a Beatrice, giunta lì. Troneggiante su di lui, un Giuliano a petto nudo, stava dando bella mostra di sé e del suo fisico, mente s’allenava insieme al forlivese e a Bertino.

“Stai cercando di uccidere il capitano della mia scorta, Eccellenza?” domandò la Contessa, porgendo la mano al rosso che, paonazzo, la accettò.

“Sei più brava di lui con la spada, non sarebbe una così grande perdita.” Ammise divertito Giuliano, rinfoderando l’arma mentre alludeva a quella che Beatrice portava sull’abito da dama, legata in vita da una cinta di cuoio. Ridacchiò, aggiungendo poi sbrigativo un “Senza offesa, Olivieri.”

Edoardo incassò con un piccolo cenno reverenziale del capo, prima di rinfoderare a sua volta la spada.

Beatrice alzò gli occhi al cielo, sorridendo poi verso il suo capitano “Non offenderti, visto che in intelligenza lo batterebbe una porta.” Si rivolse poi al fratello, che la guardava a braccia conserte, indeciso se essere divertito o offeso “Vieni dentro? Voglio parlare a te e a Lorenzo.”

Giuliano annuì, prendendo la camicia che ancora se ne stava appoggiata alla fontana al centro del giardino per poterla indossare. La allacciò velocemente, salutando le donne al porticato mentre lo lasciava per entrare nel palazzo.

Una serie di risatine partì dal gruppetto, con Camilla in testa.

“Dovresti seriamente smetterla di far così il farfallone.” Lo rimproverò la ragazza, mentre lui rideva divertito “Soprattutto con la mia prediletta.”

“Chissà se sei più gelosa tu o il tuo capitano, di lei…

Beatrice preferì soprassedere, soprattutto alla luce di ciò che stava per dirgli.

Entrarono nello studio di Lorenzo e subito Becchi fece per lasciarli soli, ma lei appoggiò una mano sul suo braccio, invitandolo a rimanere con loro.

“Volevo dirlo ad entrambi, così che poi possiamo goderci il resto della serata in pace.” Disse la Contessa, affiancandosi a Giuliano innanzi alla scrivania alla quale era seduto il Magnifico.

Fu il più giovane dei due uomini a interromperla “Non sarai incinta di quella serpe di tuo marito, vero? Beatrice, non credo che dal tuo ventre uscirebbe un bambino.”

Lei lo guardò profondamente offesa “E cosa dovrebbe uscire? Un cavallo?”

“Direi più un corvo, visto il becco di Riario.”

Lorenzo portò il pugno chiuso alle labbra con la scusa di tossire, trattenendo così un sorriso soddisfatto “Avanti, Giuliano.” Disse poi, in totale antitesi con i suoi pensieri “Porta rispetto e falla parlare.”

Con un profondo respiro, la giovane proseguì “Mi duole molto dovervi salutare così presto, ma ho deciso di far ritorno a Roma. Partirò domani mattina, così che possiamo salutarci a dovere a cena, stasera, poiché alle prime luci dell’alba desidero mettermi in viaggio.”

Lorenzo annuì, comprensivo. Aveva sul volto un’espressione di chi l’aveva capito nell’esatto istante in cui sua sorella aveva chiesto di portargli parlare, dopo pranzo. Giuliano, al contrario, parve del tutto scioccato dalla notizia.

Nemmeno gli avessero riferito che Brunelleschi aveva utilizzato dello sterco di ratto per tenere uniti i coppi della cupola.

“Così presto?” domandò, socchiudendo la bocca e corrucciandosi, come se davvero non potesse comprendere il motivo di quella scelta “Sono passati appena dieci giorni, Beatrice!”

“Infatti, dieci giorni lontana da mio marito iniziano a pesarmi, Giuliano.” Disse lei, incrociando le mani sul ventre e chiudendosi un poco. Con le spalle curve, si sentì un poco in colpa ad usare quella scusa.

Certo, Girolamo le mancava molto e non avevano scambiato che un pugno di lettere in quella lontananza, ma avrebbe più che volentieri fatto ancora qualche giorno a Firenze. Magari partendo con più calma e non con tutta quella fretta.

“Come fa a pesarti?! Dovresti chiedere asilo a nostro fratello e rimanere qui invece!” insistette Giuliano, iniziando ad infervorarsi. La guardava come se davvero non riuscisse a capire cosa avesse per la testa “Quel … ‘Uomo’ è un mostro, Beatrice! Non dirmi che ti manca perché non ti crederei!”

Alla sorella pareva di parlare con un idiota. Più cercava di convincere suo fratello riguardo i suoi sentimenti verso il consorte, meno lui comprendeva.

“Non lo farei mai perché in primo luogo non arrischierei una guerra tra Firenze e Roma.” Disse cautamente, cercando di non alzare la voce.

“Il che è un ottimo punto di partenza.” Aggiunse concitato Lorenzo, mentre anche Becchi alzava gli occhi verso il soffitto della stanza, esasperato da quei litigi.

“Punto secondo, Giuliano, devi smetterla di parlare così di Girolamo.” avanzò quasi minacciosa verso di lui, puntandogli un dito al petto “Manchi di rispetto a me, infangando il nome di mio marito così!”

“Dici che è possibile infangarlo più di quanto sia già, Beatrice?”

La contessa perse  del tutto le staffe. I litigi fra lei e il fratello erano tristemente famosi a palazzo, ma raramente avevano raggiunto un tale livello di cronicità riguardo all’argomento. Lui non accettava che lei ritenesse suo marito un uomo da bene, se e quando aveva voglia di esserlo? Ottimo! Lei non avrebbe smesso di ripeterglielo fino a stordirlo.

“So cosa ti rode dall’interno, Giuliano.” Iniziò, stringendo le mani fin quasi a ferirsi con le unghie. Se le avesse riaperte lo avrebbe preso a sberle “Io ora vivo a Roma. Io sono felice a Roma! Questa non è più la mia casa, Firenze non è più la mia città perché –esattamente come mi hanno sempre detto durante tutta la mia maledetta vita da ‘quasi prigioniera’ in questo palazzo – una volta sposata non sono più proprietà di mio fratello maggiore ma di mio marito! Vuoi saperla, però, la differenza? Girolamo mi permette di soggiornare qui, a Forlì, a Imola…. Mi permette di andare a caccia anche senza di lui, di girare per la città se con qualche guardia al seguito e di sentirmi viva e libera come in questo luogo non mi sono mai sentita! Ti ricordi quando sono scappata, Giuliano? Avevo quattordici anni e una voglia matta di respirare per soli due o tre giorni la libertà! Per quanto il mio cuore rimarrà sempre relegato in parte a questa Repubblica, essa ormai non mi appartiene più. Io non appartengo più a lei e tu devi accettarlo, dannazione!”

Il silenzio che cadde fra i quattro era assordante.

Giuliano teneva il capo basso e i denti così digrignati da irrigidire la mascella.

Beatrice era ansante, tanto era la collera.

Dal canto loro, Lorenzo e Becchi si limitavano a passare lo sguardo da uno all’altro, quasi spaventati.

Il primo a rompere il ghiaccio fu proprio il Magnifico “Credo che sia meglio ritirarci a riposare e riflettere. A cena sistemeremo tutto.”

Giuliano diede segno di non averlo affatto udito. Camminò verso la sorella, parlandole a pochi centimetri dal viso “La prossima volta che rischierai la vita mentre saltelli libera per un campo di battaglia, fatti bastare l’amore di tuo marito. Io non correrò più per te.” Sbattè così tanto violentemente la porta, uscendo dalla stanza, da far tramare i vetri delle finestre.

Becchi si scusò, sbrigandosi a seguirlo e non chiudendo più dolcemente l’uscio.

Rimasta solo con Lorenzo, Beatrice portò una mano alla fronte, esasperata.

Sentì il fratello alzarsi e spostarsi per la stanza, portandole quindi le mani al viso per farglielo alzare. Le sorrise bonario, prima di baciarle la fronte “Sono fiero di te.” Le disse con tono dolce, lasciandola senza fiato.

Non se lo aspettava, semplicemente, eppure quelle parole arrivarono come una dolce litania alle sue orecchie. In un certo senso, non si sarebbe mai immaginata di udirle, visto che per tutta la sua vita le era sempre parso di essere più un peso che un vanto, in famiglia.

“Cosa vi rende fiero, esattamente, Vostra Eccellenza?” chiese, riprendendosi da quello stato di grazia in cui era caduta.

“Non so cosa il tuo cuore davvero aneli, sorella.” Ammise il Magnifico, portando le mani dal volto alle spalle di Beatrice, senza smettere di sorridere “Ma  so che fai anche l’interesse di Firenze. Hai sposato un uomo di cui non avevi mai sentito parlar bene, per salvarla. Cos’altro dovrei ricercare, in  un consanguineo, se non la più cieca lealtà?”

“Anche un pizzico di buon senso.” Rispose lei, scostandosi da lui. Sciolse la fibbia della cinta, porgendogli poi la spada di Cosimo. Lorenzo parve non capire, così ci pensò lei a fugare ogni dubbio “Questa deve rimanere a Firenze, Lorenzo.”

“Nostro nonno l’ha affidata a me, dicendomi di dividerla con Giuliano. Poi mi chiese di usarla per proteggerti, Beatrice.” Rispose lui a tono, non accettando l’arma “Io non posso venire con te a Roma, devi continuare a usarla tu.”

“Non mi ha protetto dal cianuro di Caterina Sforza” commentò lei con un sorriso sghembo, porgendogliela nuovamente. “Poi è pesante, una lama di una lega più leggera andrà anche meglio…” cercò di ironizzare, sperando di vederlo cedere, ma così non fu. Con un sospiro, Beatrice lo guardò implorante “Vi prego, fratello mio, tenetela con voi. Appartiene alla nostra famiglia, a questa casa…. Non a me.”

Seppur con riluttanza, Lorenzo prese fra le mani quella spada, appoggiandola poi sulla sua scrivania.

Quando strinse Beatrice per la seconda volta, quel giorno, sentì che qualcosa era improvvisamente cambiato.

Era come se non stesse stringendo più la piccola Beatrice, dai grandi occhi pieni di speranza e meraviglia…

Ora, fra le braccia, aveva una donna. Una contessa, una moglie.

Per la prima volta, dopo mesi, Lorenzo si rese conto che forse, avevano davvero perso Beatrice e che il suo cuore non apparteneva più a quelle mura come un tempo.

 

 

La cena era stata tristemente rapida ed estremamente silenziosa.

Giuliano non si era nemmeno presentato. Sicuramente, era andato a ascondersi al Can che Abbaia, una nota locanda sull’Arno, nella quale si poteva sia godere di un buon pasto che della compagnia delle prostitute.

Lorenzo aveva brindato in onore della sorella, augurandole ogni fortuna nel suo viaggio di ritorno a Roma. L’aveva invitata a far ritorno quando più desiderava, ricordandole che le porte di Firenze erano sempre aperte  per lei.

Poi tutti si erano ritirati.

Beatrice era rimasta ancora un poco alzata insieme a Clarisse, in piedi sulla cima della torre di Palazzo della Signoria, a guardare la città che si spegneva poco a poco, sotto al caldo fiato di Morfeo.

Tornando dentro, però, non se l’era sentita di andare subito a dormire, così si era diretta verso la cappella di famiglia.

Aveva studiato per l’ennesima lo splendido affresco che adornava le pareti attorno a lei, prima di inginocchiarsi sul basamento della tomba di suo nonno Cosimo, per rendergli omaggio.

Lo aveva fatto ogni sera prima di coricarsi, così come era sua abitudine quando ancora viveva a Firenze. Non passava giorno senza che si dirigesse a palazzo per poterlo salutare. Così come quando era ancora vivo.

Appoggiò la mano su quella scolpita dalle sapienti mani del Verrocchio, chiudendo gli occhi e iniziando a pensare fin troppo a tutte le cose che avrebbe dovuto fare una volta tornata nell’Urbe.

Così persa nel racconto, si accorse di un rumore di passi per le scale quand’essi erano ormai troppo vicini. Sperò fosse Giuliano, ma sorrise ugualmente lieta nel trovarsi innanzi il Conte di Fonterossa.

Levi invece parve stranito dalla presenza della contessa.

Sicuramente, aveva fatto tardi, forse più del previsto.

“Conte.” Disse sorpresa, alzandosi in piedi e camminando verso di lui. Il vestito cremisi le danzò attorno, mentre lei si avvicinava al ragazzo. “Anche voi non trovate riposo? Come mai da questa parte del palazzo, però? Vi siete per caso perso?”

“Vorrei aver pronta una scusa per evitarmi così di sfigurare ai vostri occhi, ma non m’aspettavo di incontrare qualcuno.” Levi si tolse il cappello, grattandosi imbarazzato la nuca mentre si avvicinava alla contessa “Non riuscivo a dormire, sicché gironzolavo per il palazzo.”

“Nulla di cui doversi scusare, Conte.” Rispose prontamente lei, tornando a voltarsi verso l’affresco. “Potete farmi un poco di compagnia, se ne avete voglia. Magari Morfeo ci troverà prima se siamo insieme.”

A quelle parole, il giovane sorrise. Le si affiancò, guardando anch’egli la parete. Perso com’era nelle sue elucubrazioni mentali, si ritrovò a ridacchiare da solo “Perdonatemi” disse poi, arrossendo nuovamente “Trovo solo ridicolo ch’io conosce molto meglio la famiglia di vostro marito, rispetto ai de’Medici. Son nato in codesta Repubblica eppure della sua fondazione so poco o nulla.”

“Mi state domandando una lezione di storia?” s’informò la contessa.

“Se non è troppo disturbo, Madonna.” Rispose Levi, guardandola con un gran sorriso, prima di ripuntare gli occhi davanti a sé.

Beatrice, di certo, non si fece pregare. Avanzò di un passo, così da poter essere del tutto affiancata con il giovane Levi, prima di schiarirsi la voce, “I de’Medici sono partiti dal nulla, Vostra Grazia,  e sono diventati la Signoria più importante della città. Se mi perdonate l’ardire, forse la più importante dell’intera Italia.”

“Non credo che stiate osando poi molto.” Ammise Levi, pensieroso “Non vi è famiglia in tutta la penisola che possa dirsi famosa o importante come la vostra. Vi conoscono d’oltralpe sino alla penisola iberica e oltre Manica.”

“E pensare che tutto è partito da così poco..” commentò quasi sognante Beatrice, ricordando le molte volte che suo nonno le aveva raccontato quella storia “Il padre di mio nonno, Giovanni de’Medici, aveva una piccola banca a conduzione famigliare. Mio nonno mi diceva che era aggressivo come un venditore, ma cauto come ogni banchiere. Sceglieva i clienti con attenzione, dicendo che ogni buon imprenditore non deve basarsi solo al profitto, ma anche alla lealtà. Questa è rimasto il nostro motto ancora oggi, Conte.”

“Un motto che vi rende onore.” Commentò Levi, incrociando le mani dietro alla schiena e dondolando sui talloni. Vi era qualcosa nei suoi occhi, una domanda inespressa che voleva ad ogni costo trovar risposta. Beatrice lo intuì, così con uno sguardo lo invitò a porla “Santa Madre Chiesa, così presa dal ricordare a noi tutti che bruceremo all’inferno, ha molti pregi, ma fra di essi non vi è la lealtà. Quando avete preso a far affari con loro?”

“Fu sempre Giovanni a trovare agganci in Vaticano. Iniziò a lavorare per il clero e mai cosa più fu più giusta ma allo stesso tempo errata, a mio parere. Sostenne Cossa, il Cardinale fiorentino, fin dal sacerdozio. Che fossero amici d’infanzia non era un segreto, ma si sa come finiscono ‘ste storie: Tutti tornano gioviali come i bimbi quando girano i fiorini. Quando Baldassarre Cossa salì a soglio pontificio, nonostante sia ora ricordato come l’Antipapa Giovanni XXIII per ciò che ha fatto, fu un uomo molto influente che non si scordò mai dei suoi amici Medici. Così abbiamo iniziato ad emergere anche agli occhi del resto del mondo. La Signoria però divenne ciò che  è ora con mio nonno Cosimo. Lui fu il vero patriarca.”

“Cosimo il Vecchio, tutti sanno chi è.” Ammise Levi, ridacchiando piano “Mio padre diceva che era un uomo davvero strano, ma strano in senso buono, Madonna! Di come ormai non ve ne sono più. Ha fatto così tanto per Fiorenza…

A quelle parole, gli occhi di Beatrice brillarono. Sì, aveva fatto moltissimo.

“Il primo grande lavoro di mio nonno fu la cupola del Duomo. Tutti sostenevano che non fosse possibile costruire una volta portante su una struttura così grande, ma Brunelleschi, che era il suo grande amico, riuscì nell’impossibile. Mio nonno era famoso poiché si circondava di grandi artisti come lui ed egli era in assoluto i miglior architetto. Brunelleschi era di temperamento poco mansueto, lo ricordo bene anche se ero davvero molto piccola. A confronto, gli artisti d’ora son tutti mansueti men che il Da Vinci. Mio fratello dovrebbe tenerselo stretto invece di esorcizzarlo, dovrebbe prendere spunto da nostro nonno invece di atteggiarsi da Magnifico.”

“Lui è il Magnifico, Madonna.” La corresse bonariamente il Conte di Fonterossa, prima di passarle alle spalle per avvicinarsi al lato sinistro dell’affresco. Individuò subito Lorenzo de’Medici, impettito sul suo cavallo bianco, accanto al fratello Giuliano. Cercò la contessa, ma non la trovò “Vi prego, andate avanti.” Le disse, voltandosi verso di lei con rispetto.

“Innovazione ed evoluzione, per i de’Medici,  dovevano andare di pari passo. C’era sintonia perfetta fra Brunelleschi e Cosimo. Erano indirizzati a edificare una città forte sulle orme dell’antica Roma, non quella dei loro tempi che iniziava già a prendere una piega poco felice. Mio nonno promuoveva il mecenatismo come metodo di potere, perchè incoraggiando l’arte e la letteratura non necessitava di imporsi con la spada. Credo sia stato il primo grande umanista della famiglia. Fu condannato a morte, esiliato dagli Albizi… Ma poi richiamato perché senza di lui non esisteva più Firenze. Lui era la città.”

“Esiliato, veramente?” domandò stupito Levi. “E gli fu permesso di far ritorno?”

“Fu accolto in città dal popolo in festa, volenteroso di lasciargli le redini della Repubblica.”

“Doveva aver un metodo infallibile, per farsi tanto amare dalla gente. Al popolo ci vuole così poco per essere insoddisfatto…

“Le questioni politiche venivano affrontate fra le mura domestiche e così è ancora. Mio nonno diceva che la città va cresciuta come un infante, con amore e polso rigido.” Spiegò pratica Beatrice, andando verso la tomba di suo nonno. Guardò il volto in pietra, sospirando pieno e un po’ triste, riprendendo poi il discorso da dove l’aveva lasciato “La banca si espanse in tutta l’Europa e aprì addirittura filiali all’estero. Barcellona, Parigi, Ginevra, il Cairo…. La famiglia sorta dal nulla ora teneva i conti per Papa e Re.”

“ Notevole.” Commentò il ragazzo,  tornando a guardare l’affresco. Avrebbe trovato Beatrice, se solo si fosse impegnato maggiormente “Sono davvero ammirato, Madonna.”

“L’arte però veniva sempre prima della ricchezza.” Puntualizzò la contessa, come se volesse in qualche modo correggere un messaggio errato che aveva inavvertitamente espresso “Cosimo investì molti capitali nello sviluppo artistico. Brunelleschi e il Vasari non furono i soli gioielli sulla corona di artisti di mio nonno. Ha speso più di seicentomila fiorini d’oro in opere d’arte in tutta la sua vita, un investimento che in molti videro irrazionale, ma che strategicamente accrebbe il suo potere politico.”

“Seicentomila fiorini d’oro? Perbacco!” Con un fischio basso e prolungato, Levi sottolineò tutto il suo stupore, facendo ridere la contessa che tornò a guardarlo, trovandolo nuovamente fisso sulla parete“Lippi fu uno dei suoi gioielli?”

“Sì. Era un frate puttaniere ma ha fatto dei dipinti divini. I capelli delle donne dei suoi dipinti sono così ben fatti che sembrava di poterne sentire il profumo.”

“E Donatello? Si dice che scolpisse l’anima nel marmo!”

“Altro personaggio di pessimo carattere, che distruggeva i suoi capolavori per non venderli a coloro che, a detta sua, erano asini e non le comprendevano. Mio nonno l’ha difeso molte volte, per via del suo carattere e per lui realizzò uno dei suoi lavori meglio riusciti: Il David, in bronzo, ancora oggi nelle mani della mia famiglia, proprio nell’atrio di questo palazzo”

“Girano voci che sia sconcia e ardita come opera.” tentò Levi, cercando di non suonare maleducato.

“Tutti vedono la licenziosità nell’arte, mentre è nei loro occhi.” rispose con un sorriso la giovane, portandosi alla sua destra “Mio nonno sosteneva che un artista doveva superare i limiti imposti dalla tradizione. Anche a costo di contrastare il clero. Ognuno deve esprimersi al massimo della sua individualità, così Firenze si distingue dal mondo.”

“Un punto di vista assolutamente corretto.” Con un piccolo inchino, Levi iniziò a congedarsi “Credo sia ora di darci la buonanotte, Madonna. So che partite, così vi auguro buon viaggio. Io andrò via nel meriggio, domani.”

“Tornate a Fonterossa?” domandò Beatrice, allungando la mano che lui subito portò alle labbra per baciarla.

“Invero no, scorto vostro cugino Raffaele a Pisa.” Rispose, con tono pio da brav’uomo ma gli occhi carichi di licenziosità.

A Beatrice sfuggì un sorrisetto malizioso.

“Confido nella vostra scorta, quindi.”

Lui non colse l’allusione o fu bravo a mascherarla. Indossò nuovamente il cappello e fece per uscire, ma qualcosa lo trattenne.

“Perdonate la domanda, Vostra Grazia, ma devo sapere….” Si voltò verso l’affresco, indicandolo con un cenno del capo “Voi dove siete stata rappresentata?”

Gli occhi di Beatrice si schiarirono appena, mentre un poco commossa riportava alla mente un bellissimo ricordo.

“Sono quella bambina vestita d’azzurro, ritratta senza scarpe su quella mula dai bardamenti dorati.”

Levi la individuò subito, schiudendo stupito le labbra “E l’uomo…?”

“Mio nonno, Cosimo.”

Con un ultimo sguardo al sarcofago marmoreo, la contessa si congedò, lasciando solo Levi a fissare l’affresco. Seduta su una mula, una bambina dai lunghi capelli bruni sorrideva, volgendo il capo verso l’uomo che cavalcava con lei stringendola a sé amorevolmente.

Cosimo e Beatrice de’Medici avevano una luce negli occhi, un’adorazione che valeva più di quella dei tre Magi sommata innanzi alla mangiatoia del Salvatore.

 

 

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Capitolo 23
*** Parte XXIII: Il Traditore. ***


modellostorieefp

Salve a tutti e ben trovati!

Eccomi tornata con questo capitolo che, naturalmente, sfida le leggi della buona sorte.

C’è un personaggio appena accennato e misterioso, ad un certo punto, e vi dico solo che lo ritroveremo nel sequel di questa storia.

Ipotesi su chi potrebbe essere e sul perché non mostra il suo volto?

Sisto e Mercuri danno il meglio di loro dall’inizio della fanfiction, in questo capitolo.

Specialmente sua santità.

Grazie a chi ha recensito o solo letto, love you all!

Buona lettura.

 

Jessy

 

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

 

Parte XXIII: Il Traditore. 

 

 

Beatrice giunse a Roma con l’amaro in bocca che non era nemmeno giunto il mezzogiorno, speranzosa di ritrovare un poco di buon umore nella compagnia del marito.

Peccato che non sembrava proprio una giornata promettente, quella.

Non solo Giuliano non si era presentato per salutarla, prima di lasciare Firenze, ma anche Girolamo sembrava disperso.

Villa Orsini era praticamente vuota, disabitata, ad eccezione di Zita che era rimasta proprio in caso di un ritorno della sua signora e per governare la casa.

Il Conte Riario si era recato tre giorni prima in viaggio presso il Regno di Napoli, invitato da Re Ferrante in persona per le celebrazioni del matrimonio di suo figlio Alfonso e della contessa di Milano, Ippolita Maria Sforza, sorella di Ludovico.

Il quale, ironicamente, si era intrattenuto a Firenze sino al giorno delle nozze.

A detta di tutti, Napoli era una città oscura che celava segreti che avrebbero fatto impallidire anche l’Angelo Caduto.

Beatrice si sentì un po’ oltraggiata nell’apprendere che l’invito era stato esteso anche a lei, ma che Girolamo aveva preferito non farne menzione nella sua ultima lettera.

A detta di Zita, il Conte non si aspettava un suo ritorno per almeno un altro paio di settimane, mentre lui si sarebbe intrattenuto al massimo otto giorni. Aveva affrancato la servitù –eccetto ovviamente la schiava abissina- ed  era partito senza lasciare nemmeno due righe su pergamena.

La soluzione si era palesata ovvia agli occhi di tutti, ma ancora di più a quelli di Beatrice; si sarebbe intrattenuta a Castel Sant’Angelo, dove certamente non le sarebbe stato fatto mancare nulla.

Che il Turco avesse calcolato quella mossa o meno, era un mistero; restava il fatto che, se non fosse riuscita ad entrare negli archivi in quel frangente, non ci sarebbe riuscita mai.

Cosa piuttosto plausibile, visto che quella era tutto meno che una missione facile.

Gli archivi vaticani erano, forse, il luogo più protetto e sicuro di Roma. Forse dell’intera Italia.

Di certo non poteva chiedere a Lupo Mercuri di farle da Cicerone, o domandare un favore al Papa. Non poteva smascherarsi a quel mondo, quindi urgeva un piano.

Ne architettò uno quella stessa sera, quando mandò le sue più sentite scuse e non scese a cena non appena le fu detto che il Papa non avrebbe preso parte. Se non vi era sua Santità da offendere, allora poteva rimanere negli alloggi del conte Riario insieme a Camilla,Valerio Lenzini ed Edoardo Olivieri, a tramare.

Di base era molto semplice: mantenendo le stesse condizioni di Imola, quando Beatrice aveva lasciato Camilla al suo posto per partire con l’esercito di Girolamo alla volta di Forlì, la romana si sarebbe sostituita a lei. Con Camilla ‘addormentata’, nel suo letto, sperava di poter fugare ogni sospetto. Lenzini sarebbe rimasto nell’anticamera, a vegliare sul sonno della contessa.

Al suo ritorno, la ragazza avrebbe dato il libro ad Olivieri, che senza farsi notare sarebbe rimasto nelle scuderie esterne, che avrebbe poi portato il libro in un luogo sicuro e sconosciuto anche alla stessa Beatrice.

Avrebbero fatto tutto la notte successiva, sperando che il grande cenone che seguiva tutte le messe delle cinque della domenica pomeriggio – che il Papa lasciava sempre officiare a Giuliano della Rovere, in Laterano- rendesse tutti troppo stanchi per scampagnate notturne.

Se fossero riusciti a non farsi vedere ne sentire da nessuno, forse, non avrebbe perso la testa o rischiato quella dei suoi collaboratori.

 

 

La messa solenne si tenne in Laterano puntuale, preceduta da un rosario che pareva interminabile e straziante.

Seduta sul piccolo spalto della famiglia della Rovere, Beatrice alternava false risatine contenute per le battute poco simpatiche di Rodrigo Borgia a sorrisi sinceri verso il cugino Giacomo, sempre più in crisi per l’imminente matrimonio con la giovane da Montefeltro.

Con addosso il suo abito migliore si era poi recata alla sontuosa cena a Castel Sant’Angelo, felice di potersi appartare ai lati esterni del tavolo insieme a Camilla. Il cibo buono e la dolce musica aiutarono quando meno a far passare il tempo.

La contessa di Forlì attese che il salone prendesse a svuotarsi da solo, prima di alzarsi a sua volta da tavolo e incamminarsi con la sua prediletta verso il corridoio esterno.

Decise ad aspettare un poco, così da favorire la quiete nella quale si sarebbe poi aggirata furtiva Beatrice, si appoggiarono al parapetto della loggiata circolare, ammirando la città illuminata e il lungo Tevere.

“Sei nervosa?” domandò con voce piccola Camilla, ottenendo come risposta un lungo sospiro.

“Questa credo sia una missione ancor più pericolosa e necessaria della battaglia di Forlì, o quella nel Ducato di Modena.” Disse la giovane fiorentina, appoggiandosi al gomito e ruotando il busto verso l’amica “Se fallisco non comprometto solo me stessa, ma anche mio marito e…. Loro.”

“I Figli di Mitra?”

Shht!” Beatrice la guardò severamente, ottenendo subito uno sguardo carico di scuse dalla giovane Colonna “Se dovessero sentirci, nella migliore delle ipotesi verrei cacciata dalla città.”

“Non ti dispiacerebbe troppo, però.” Rispose la dama di compagnia, strappandole un sorrisetto “Vuoi tornare nelle tue stanze per ‘dormire’?” chiese quindi Camilla, con un sorrisetto ad incresparle le labbra. Il modo improvviso in cui lo perse fece vacillare Beatrice. Madonna Colonna fece un passo verso l’interno del corridoio, inchinandosi velocemente e tenendo il capo basso e le mani giunte in grembo.

La contessa temette il peggio e fece bene.

“Madonna de’Medici, cercavo voi.” la voce del Pontefice la fece trasalire e voltare molto rapidamente. Davanti a lei, Papa Sisto Iv sorrideva con la solita lascività. Negli occhi di quell’uomo c’era qualcosa, una scintilla che alla ragazza non era mai piaciuta.

“Vostra Santità.” Salutò ossequiosa Beatrice, baciando subito l’anello, quando la massima autorità pontificia le porse la mano.

“Speravo di poter scambiare qualche parola con voi.” disse, invitandola a seguirlo ma fermando ogni intenzione di Camilla di poterla seguire “Potere anche congedare la vostra dama. Sarò io ad intrattenervi, questa sera, con un buon bicchiere di vino prima di coricarci.”

“Come Vostra Grazia desidera.” Rispose Beatrice con un falso sorriso ben riuscito e un inchino, si voltò quindi verso Camilla, guardandola con gli occhi sbarrati e cercando di farle capire di non fare come le stava dicendo “Ci vediamo domani mattina, mia cara. Vorrò passeggiare per la città, ergo alzati presto e scegli la mia veste più comoda.”

“Come la contessa ordina.” Rispose semplicemente Camilla, inchinandosi a lei e al Papa, prima di passargli alle spalle, facendo così capire a Beatrice che l’avrebbe attesa con un solo sguardo.

Seppur riluttante, Madonna de’Medici fece di tutto per mascherare quel disappunto. Seguì sua santità e i due valletti lungo la loggiata e poi su per una piccola scalinata, fino ad un salone interno nel quale non credeva di essere mai entrata. Non si fermarono lì, però. Il Papa affrancò i due valletti e condusse Beatrice lungo una ripida rampa di scale di pietra sino al livello più alto, prima della terrazza.

I suoi alloggi personali.

Ebbe, quando meno, l’accortezza di non farla entrare nella sua sontuosa stanza da letto, ma nella Sala della Rotonda, ovvero quell’anticamera dal soffitto alto che comprendeva un’ampia finestra dalla quale spesso il Santo Padre si affacciava per l’adorazione dei fedeli.

La vista da lì era semplicemente incantevole, soprattutto in notti come quelle ove la luna piena baciava le terre pontificie.

“Mettetevi comoda, Madonna.” Le disse l’uomo con non curanza, andando a versare il vino in due calici d’oro.

Beatrice rimase impressionata da quel gesto, poiché non considerava Sisto un uomo capace di una tale accortezza. Versare addirittura il vino per la moglie di suo nipote, la quale era imparentata con la famiglia che gli dava più problemi di tutta l’Italia.

Che fosse o meno una dimostrazione di qualcosa, la ragazza non lo capì.

Si limitò ad affacciarsi alla grande finestra, godendosi il panorama.

Accettò di buon grado il calice, ringraziando come si deve Sua Santità.

Lo sentì affiancarsi a lei, scrutando a sua volta il paesaggio. Quando riprese a parlare, il tono era strano. Un tono che non aveva mai usato con lei, le pochissime volte che le aveva rivolto la parola.

“Una donna come voi immagino sia affascinata da cotale vista.” Disse, ponendo la frase in modo che non fosse affatto una domanda, quanto una sfacciata affermazione.

Beatrice lo guardò con la coda dell’occhio, costringendosi ad essere educata. Ne andava della sua vita, dopotutto “Lo sarebbe chiunque, Vostra Santità. Roma è un gioiello agli occhi di ogni re straniero.”

“Ditemi, la preferite a Firenze?”

Mai. Nemmeno sotto tortura Beatrice avrebbe ammesso una tale bestemmia. Roma era bella, certo, ma meschina. Roma era corrotta, marcia…

Nulla a che vedere con la bellezza e la purezza gentile di Firenze.

Mentre l’Urbe era uno schiaffo in pieno viso, la bella Fiorenza era una carezza sulla guancia.

Accondiscendente, sorrise “Esiste un luogo più bello di quello ove siamo nati e cresciuti? Più che della città, si rimane dolcemente aggrappati ai ricordi felici che si hanno.”

La risposta fu ben calibrata, visto che il Papa ridacchiò sotto ai baffi, allungando una mano sulla schiena della giovane. “Siete una donna molto intelligente, Beatrice. Ve lo concedo, sapete come mantenere calmi gli animi più irrequieti. Almeno, ci riuscite molto bene con mio nipote.”

“Il conte Riario mostra molta pazienza con me.” rispose la contessa, prendendo poi un sorso di vino quando Sisto la invitò con uno sguardo “Mi sta insegnando molto.”

“Quando vi ha nominato reggente ho storto il naso, ma poi mi hanno riferito la vostra bravura militare e, come il più onesto dei mendicanti di Dio, ho fatto penitenza. Il Signore, dopotutto, da a ognuno un dono e un talento. Voi siete fortunata ad averne molti.”

Tutti quei complimenti iniziavano a farla insospettire.

“La vostra avvenenza, poi, è lampante agli occhi anche di un cieco.” Eccolo, il momento tanto temuto. Avvertì distintamente la mano del Pontex Maximus scendere lungo tutta la schiena, fermandosi alla base di essa. Lo sentì accarezzarle fin troppo voluttuosamente quella zona, tanto che si irrigidì.

Il calice prese a tremarle nelle mani, tanto che per poco si versò il vino sull’abito celeste.

Non aveva paura, assolutamente no; desiderava solamente conficcare il pugnale che teneva nascosto sotto alla veste, assicurato alla coscia, nell’occhio di quel disgustoso essere umano.

“Così mi lusingate troppo, Vostra Santità.” Con la scusa di un inchino timido innanzi a tante belle parole, Beatrice si scostò dall’uomo.

Lui però non demorse. Lei nemmeno ci sperava, francamente.

“Una donna come voi, che ama il potere, saprà di certo chi può dargliene di più.” Le disse, facendosi più vicino.

La contessa tentò di arretrare lungo la finestra, ma si ritrovò premuta contro il vetro senza rendersene conto. Ancora Sisto non la toccava, ma lei poteva avvertire il suo fiato sul viso.

La stomacò.

“Io non amo altri se non mio marito e a lui sono devota.” Insistette con tono leggero, sperando di farlo demordere. Che si infuriasse o meno ormai poco importava.

Voleva che la cacciasse da quella stanza, troppo vicina ai suoi alloggi privati.

Troppo vicina a qualcosa che si rifiutava anche solo di pensare.

“Non fate la difficile, Madonna.” Continuò Sisto, iniziando però a spazientirsi. Con una mano le afferrò il polso, facendo così cadere la coppa d’oro che cadde a terra versando metà del suo contenuto sulle mattonelle lucide “Nessuno può negarmi nulla, io sono il Papa, il vicario di Gesù in terra.”

Verbo incarnatem.” Rilanciò la giovane fiorentina, smettendo di essere così ossequiosa e tenendo gli occhi ben piantati nei suoi “Non credevo che il Signore vi ordinasse certe cose, Vostra Santità.”

Quelle parole bastarono.

La mano libera di Sisto la afferrò per la gola, stringendola.

A Beatrice mancò l’aria quasi subito.

Si aggrappò al suo polso, cercando di liberarsi, ma senza successo. Seppur avanti con gli anni, quell’uomo disgustoso sembrava essere forte abbastanza da rischiare di ucciderla così, a mani nude.

“Come osi dirmi cosa il Signore vuole da me, schifosa puttana?” soffiò sul viso della giovane, guardandola negli occhi azzurri sgranati.

Il suo viso si dipinse di rabbia crudele, mentre la presa si stringeva ancora e ancora.

Lei arrancò, cercando di calciarlo o liberarsi, ma la gonna ampia glielo impediva.

La vista iniziava ad annebbiarsi mentre la sensazione di soffocamento diventava insopportabile …

A salvarla, fu solo un bussare insistente alla porta.

Senza attendere di esser ricevuto, il cancelliere Rodrigo Borgia irruppe nella stanza, rimanendo sconvolto nel trovare sua Santità in quello stato.

Appena la porta si richiuse velocemente, Rodrigo avanzò “Santo Padre, vi prego, abbiate clemenza.”

“Clemenza per chi mi offende?” domandò, guardando infervorato il suo braccio destro, prima di decidere che infondo quella giovane gli serviva più da viva che da morta. La spinse a terra, liberandola della morsa.

Beatrice cadde in avanti, ansimando alla ricerca di aria e conducendo subito una mano al collo.

Voltò il viso verso il Papa, con gli occhi pieni di lacrime e i polmoni di nuovo irrorati di aria pura. Lui però ora era troppo impegnato per vedere l’odio nello sguardo della Medici e averne paura.

“Che accade?”

“Vostra Santità, gli ottomani stanno attaccando i possedimenti di Venezia nell’Adriatico.” Disse tutto di un fiato “Il generale Montesecco vi attende per indicarvi al meglio il fatto.”

“D’accordo.” Replicò senza colore il Papa, troppo preoccupato per quelle province pontificie per potersi curare di altro “Tu riporta nei suoi alloggi questa frigida troia fiorentina. È perfetta per mio nipote.”

Senza aggiungere altro scavalcò la povera Beatrice, che rimase stesa sul pavimento sino a che la porta venne richiusa. Poi Borgia si prodigò per aiutarla a rimettersi in piedi, controllando il collo rosso.

“Uscirà un bel livido, Madonna.” Disse il cardinale, mentre lei massaggiava piano la zona dolorante. “Vi stavo cercando nei vostri alloggi, quando vi ho vista entrare qui. Siete fortunata che sia arrivato un messo con una notizia tanto scottante, o vi avrebbe anche potuta uccidere.”

“Per un istante l’ho creduto.” Ammise la ragazza “Vi devo la vita, cardinale.”

“Al momento, avete una missione ben più importante a quanto so.”

Quelle parole la gelarono sul posto.

Aveva totalmente dimenticato che Rodrigo Borgia era un figlio di Mitra, come se quella fosse un’informazione che era meglio archiviare.

Invece, in quel momento, pareva prezioso come l’acqua nel deserto.

“Lo sapete?”

“Al Rahim mi ha incaricato di farvi entrare negli archivi, sì.”

Quelle le parvero le parole più belle mai udite.

Uscirono dallo stanzone, scendendo le scale fino ai corridoi interni del terzo piano. Davanti alla porta del suo alloggio, Beatrice prese accordi. Non si sarebbero visti prima della terza ora della notte, davanti alla sala che conduceva alle cucine.

Lì lui l’avrebbe aiutata ad assolvere il suo compito.

Quando la ragazza entrò nella stanza doveva sembrare davvero sconvolta.

Camilla la fece sedere, mentre Olivieri e Lenzini smettevano di giocare a carte per montare una vera guardia. Non che fosse poi utile; se fosse entrato il Papa armato di ascia, non si sarebbero potuti opporre poi molto a lui.

Ne alle sue guardie svizzere.

Zita preparò un impacco con della menta e dell’acqua fredda per alleviare il fastidio al collo, prima di venir congedata in fretta dalla contessa.

Non doveva sapere cosa stavano tramando, era troppo leale a Girolamo.

“Intendi farlo ugualmente?” le chiese preoccupata Camilla.

A quelle parole, Beatrice non indugiò un solo istante.

“Ora più di prima.”

 

 

Incredibile quanto una piccola leva potesse nascondere.

A detta di Rodrigo Borgia, lo Speziale aveva studiato quell’imponente costruzione per renderla un ottimo rifugio in cui celare segreti.

Per questo era stato collocato lì il più grande archivi segreto del mondo civilizzato.

Spostando un candelabro da muro, si aprì un passaggio nascosto dietro ad una libreria del primo livello. Il cardinale non la accompagnò, ne disse una parola.

Semplicemente girò sui tacchi, sparendo nel buio della notte che gravava sui corridoi Castel Sant’Angelo.

Beatrice però non aveva il tempo di pensare agli strani modi di Borgia. Rialzò la leva per chiudere il passaggio, prima di buttarsi dentro per evitare che potesse lasciarla fuori.

Scese lungo una scalinata buia e stretta, maledicendosi per non aver portato con sé almeno una candela. Grazie al cielo, la camminata fu breve, anche se più di uno scalino attentò alla vita della giovane contessa.

La luce flebile si infrangeva fatua ma calda oltre la griglia di una porta metallica. Beatrice la aprì, oltrepassandola e trovandosi innanzi ad uno spettacolo consentito solamente a pochi fortunati.

In uno stanzone immenso, grande quando una basilica e di simile forma, vi erano gli archivi che tanto gelosamente il vaticano custodiva.

Camminò lungo quella falsa navata, lungo la quale erano disposte due file di scrittoi in legno pieni di carte e mappe dall’aria antica, arrivando fino a una sorta di altare sconsacrato, un’impalcatura a parte, sollevata rispetto al resto della sala e con solo una scala di marmo a condurre ad essa. Sotto vi era un vuoto piuttosto alto e oscuro. Beatrice si sporse per spiare cosa mai vi fosse la sotto, ma non intravide nulla.

Si dedicò quindi alla ricerca del volume, certa che ci avrebbe impiegato una vita.

Aveva tutta la notte davanti e sperò vivamente che le bastasse.

Prendendo una delle centinaia di candele che illuminavano lo stanzone, si aggirò fra colonne e scaffalature alte.

Comprese quasi subito il metodo di catalogazione, semplice ma efficace: sembrava infatti che i volumi fossero disposti per lingua in cui erano scritti.

Riconobbe le vaste scaffalature di testi in latino, greco antico e quello che forse era aramaico. Vi era una sezione piuttosto piccola di una lingua cuneiforme simile a rune mentre una grande il doppio era fatta di quelli che sembravano disegni.

Quando trovò i libri in ebraico, Beatrice sospirò sconsolata.

Erano un’infinità.

Si maledisse per non aver domandato ad Al-Rahim ulteriori informazioni e proseguì, guardando ogni dorso e sperando in un’illuminazione.

Sapeva che era grande e che poteva aprirlo solo lei, sicuramente grazie alla chiave di suo nonno. Oltre, non le era dato sapere.

Stava per arrendersi all’evidenza, quando un tonfo sonoro la fece trasalire. Si sbrigò a spegnere la candela, buttandola a terra mentre estraeva la spada che aveva preso ‘in prestito’ da una guardia della città.

Camminò il più piano possibile per non far rumore, arrivando infondo a un corridoio fra le librerie. Lì lo vide.

Un uomo, alto e magro, con addosso un mantello nero con sopra cucito lo stemma della famiglia Riario-de’Medici.

Troppo alto per essere sia  Lenzini che Olivieri e, cosa ancor più strana, il colore della casata era il porpora, l’oro e il  blu. Il nero non c’entrava nulla.

“Ehi, voi!” disse, ottenendo come solo risultato il vederlo voltarsi verso di lei.

Fra le mani aveva un libro, che alzò lentamente mentre un sorrisetto si increspava sulla sua bocca, la sola cosa lasciata scoperta dal cappuccio.

Ciò che avvenne dopo fu strano.

Alzò semplicemente una mano e un vento improvviso spense tutte le candele.

Beatrice si schermò gli occhi dalla polvere che si era sollevata e, quando li riaprì, dello strano uomo non vi era rimasto nulla, eccetto il tomo lasciato appoggiato sulle mattonelle fredde.

Decisa a non far domande – che tanto non avrebbero trovato risposta- la contessa si diresse verso di esso, rinfoderando la spada.

“Odio i Figli di Mitra, la loro magia e i loro libri.” Sussurrò a denti stretti, recuperando il libro.

La serratura che lo teneva chiuso era tenuto insieme da sei cinghie di cuoio, ai lati delle quali vi erano delle piccole lame sottili. Cercare di forzare quella protezione avrebbe contribuito a distruggerlo.

Con il lucchetto in mano e la sua chiave nell’altra, Beatrice iniziò a pregare.

Non sapeva nemmeno più quali Dei fossero quelli veri, ma chiunque l’avesse aiutata sarebbe stato gradito.

Infilò la chiave, la girò e le cinghie si allentarono sino a cadere.

Nascose tutto dietro ad altri libri, facendo per uscire felice con il suo premio tra le mani. Ci era riuscita, quasi non ci poteva credere!

Così trionfale, non si rese conto di essere stata incauta.

Non controllò che la via fosse libera, così appena si trovò di fronte Lupo Mercuri armato solamente di vestaglia a coprire la lunga camicia da notte e un candelabro a quattro braccia, per poco lanciò un grido.

“Contessa.” Disse lui, stupito nel trovarla lì. Il suoi occhi caddero su ciò che la giovane stringeva al petto e si sbarrarono.

“Non  fatelo …” sussurrò pianissimo Beatrice, sperando che il prefetto non muovesse un passo.

Dopo un attimo di esitazione, però, Lupo lasciò cadere il candelabro e corse verso le scale, nel tentativo di chiamare le guardie.

Anche il libro cadde con un tonfo sordo, mentre la ragazza si chinava per prendere il candelabro in oro e chissà quale altro metallo, correndo dietro all’uomo.

Egli riuscì solamente ad affacciarsi alle scale, gridando un ‘Gu-’ che il pesante oggetto impattò con forza sul suo capo.

Stramazzò al suolo con un tonfo sordo, perdendo i sensi.

Beatrice attese un paio di minuti, sentendo il cuore martellarle nelle tempie come se stesse per scoppiare.

Cosa aveva combinato?

Istintivamente, portò il prefetto di nuovo negli archivio, trascinandolo per i piedi. Si chinò, portando il pugnale alla gola dell’uomo e facendo per premere. Doveva farlo, lo sapeva bene che doveva o l’avrebbe condannata.

La lama lasciò il segno, ma non riuscì a far altro.

Si alzò di scatto, sapendo di non poterlo uccidere così, a sangue freddo.

Doveva però guadagnare tempo per portare via il libro e non rendere così tutto vano.

Corse a prendere una delle sedie e a cercare qualcosa con cui legare Mercuri, affinché non desse l’allarme troppo presto.

 

Corrompere due guardie del cancello era stato davvero facile.

I romani erano più avidi delle severe guardie svizzere e i due poverelli che si erano ritrovati lì dovevano avere pochi mesi di servizio alle spalle.

Quattro ducati d’oro a testa e avevano ceduto il posto al forlivese senza far domande.

Così, con gli occhi puntati verso il cielo romano e le redini della sua cavalla nella mano, Olivieri attendeva Beatrice.

Ci stava mettendo parecchio, certo, ma dava per scontato che quello sarebbe stato un lavoro lungo.

Guardandosi attorno al fine di non essere visto, il rosso prese da dentro alla casacca porpora una lettera un po’ spiegazzata. L’aveva scritta il quarto giorno a Firenze e aveva desiderato così tanto consegnarla a Camilla …

Però non aveva avuto il coraggio, almeno non dopo averla vista sgomitare per le attenzioni del Principe della Gioventù .

Cos’era lui, rispetto a Giuliano de’Medici?

Eppure il suo amore ardeva più di cento soli e così le aveva scritto.

Lo sentiva davvero.

Sospirò sconsolato, rileggendo quelle parole e trovandole così stupide …

Stava per appallottolare il foglio, quando dei passi veloci per la scalinata in pietra lo riportarono alla realtà.

Con un libro fra le braccia, Beatrice apparve davanti a lui. Mise al sicuro la missiva con un gesto veloce, sentendo la carta rovinarsi ancora di più. Prima di prepararsi a montare in sella.

“Lo porto a Villa Orsini, quindi?”

“Lo porterò io.” Rispose la ragazza, strappandogli con fretta le briglie di mano e sistemandole. “Mi hanno vista.” Risposte sbrigativa, mentre il forlivese la aiutava a montare in sella. La contessa vide il terrore nelle iridi blu del giovane “Non voglio compromettere ne te, ne Camilla o Lenzini. Torna ai miei alloggi senza farti vedere.”

Detto ciò spronò il cavallo, uscendo sul ponte senza guardarsi indietro.

La cavalcata fino a Campo dei Fiori fu un’autentica corsa che, però, si concluse senza intoppi.

Entrò nella villa passando attraverso un buco nella siepe, arrivando così nel giardino sul retro. Lì si guardò attorno, cercando un posto al sicuro dove nascondere il prezioso volume.

Con la spada sfilò uno dei mattoni che componevano il basamento di una statua di Ares, dio della guerra, trovandolo vuoto come sospettava. Ripose con cura il volume e la chiave di suo nonno, arrotolando tutto nel suo mantello, prima di sistemare i mattoni.

Si lasciò quindi cadere sull’erba verde, fissando il sole sorgere oltre l’anfiteatro Marcello, su cui villa Orsini era costruita.

Non aveva fretta, intanto.

 

Entrando nel cortile di Castel Sant’Angelo al passo, Beatrice trovò il suo cavallo circondato da almeno dieci guardie svizzere. La stavano evidentemente aspettando.

Una di loro si fece avanti, con sguardo severo “Vostra Grazia, Sua Santità mi ha chiesto di scortarvi presso le celle. Siete accusata di aver tradito la fiducia che egli riponeva in voi.”

“Non è un’accusa poi così grande, quindi.” Ammise la contessa, scendendo dal destriero e consegnando le armi da un’altra guardia.

Tutte le altre abbassarono gli archi.

Seguì il Capitano di turno lungo i corridoi del seminterrato, sfilandosi i guanti con  espressione tranquilla. Non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di vedere una Medici spaventata.

Una volta giunta alle celle –piccole e anguste, per non dire totalmente al buio se non ad eccezione di un paio di torce- vi trovò una sorpresa.

Nella prima stavano Camilla e Zita, sedute a terra con addosso ancora le vestaglie da notte. Sembravano star bene, a differenza di Olivieri e Lenzini che avevano i visi pesti e gli abiti macchiati di sangue.

Solo in quel momento, Beatrice si allarmò.

“Dovete rilasciarli!” gridò al Capitano, mentre questi apriva la prima cella, “Ho agito da sola, avete capito? Vi ordino di-”

Uno schiaffo le fece girare il volto.

“Il Santo Padre mi ha detto di reagire così, ai vostri ordini.” Disse divertito, prima di spingerla senza troppe cerimonie nella cella. La chiuse a chiave, ridendo di lei, mentre Camilla le correva incontro. “Buona permanenza, Vostra Grazia.”

La contessa lo guardò allontanarsi, tenendo una mano alla guancia, poi si rivolse a madonna Colonna “Vi hanno fatto del male? Cosa è successo a Olivieri e Lenzini?”

Camilla la guardò dispiaciuta, scuotendo poi il capo “Ci hanno solo fatti portare qui, ma nulla di più. Loro due invece…” la giovane abbassò lo sguardo “Le guardie di castello non hanno saputo dire con precisione chi li ha pagati, così li hanno entrambi puniti.”

Assurdo…” Beatrice sospirò, passandosi una mano sul capo.

Lanciò uno sguardo dispiaciuto anche a Zita, che se ne stava silenziosa in un angolo, seduta sulla terra fredda invece di accomodarsi su un paglione.

Lei non aveva nemmeno aiutato.

 

Il tempo passò lento e madonna de’Medici iniziò a chiedersi cosa avrebbero fatto loro.

A rispondere a quella domanda ci pensò il Papa in persona, quando arrivò scortato da quattro guardie, con Lupo Mercuri al seguito.

Il prefetto teneva uno straccio macchiato di rosso sulla nuca, laddove era stato colpito dal candelabro.

Mentre sul volto di Sisto vi era un sorrisetto crudele, l’espressione di Lupo era solo truce.

Il Papa si mise davanti alla cella, con le mani portate dietro alla schiena e una grande soddisfazione sul viso “Madonna de’Medici, voi fiorentini non avete alcun rispetto per l’’ospitalità e la gentilezza.”

“La gentilezza che volevate riservarmi la notte scorsa?” domandò sfrontata Beatrice, avvicinandosi alle sbarre senza però toccarle.

Non avrebbe abbassato gli occhi, ne chinato il capo.

Non si sarebbe sottomessa o avrebbe implorato.

Se rimaneva qualcosa, da quando aveva sposato un uomo dalla famiglia maledetta, era la dignità.

Sisto sembrava quasi divertito, da tanta sfrontatezza. Fece un cenno e una sedia venne portata. Si accomodò, incrociando le mani sul ventre bello pieno.

“I Figli di Mitra…. Il Turco…. Queste persone vi tradiranno, Beatrice.” Disse calmo, guardandola con gli occhi di un padre amorevole.

Le diede la nausea, ma non ribatté.

Voleva vedere sino a che punto si sarebbe spinto. Non si trovò nemmeno troppo sorpresa nel constatare che quell’uomo abietto sapeva tutto; erano i suoi nemici, naturale che fosse informato.

“Loro vi usano per la vostra utilità. Quando essa si esaurirà, allora vi butteranno via o vi faranno semplicemente uccidere.” Proseguì il Papa, incoraggiante.

La contessa tirò un sorriso “Non so di cosa state parlando.”

“Io invece credo proprio di sì.” Rispose prontamente Sisto, lanciando uno sguardo a Mercuri “Anche il nostro Lupo era uno di loro, sapete? Poi ha capito che la strada giusta è quella illuminata dalla luce divina del Signore.”

Furono quelle le parole che portarono la contessa a tradirsi.

Guardò Mercuri con odio, pentendosi di non avergli aperto la gola.

E così era un traditore?

Rimase zitta, mordendosi le labbra per placare il fiume di insulti che stavano per riversarsi da esse. Non voleva che uccidesse gli altri per un gesto che lei aveva commesso.

Fu Lupo a parlare, dopo essersi schiarito la voce “Vostro marito è un uomo di chiesa, mia Signora.” Iniziò, facendo qualche cauto passo avanti “Sono certa che se restituirete il libro e vi pentirete, troveremo un modo per sistemare questa incresciosa faccenda.”

Beatrice inarcò un sopracciglio, scuotendo il capo “Non posso.” Rispose, semplicemente.

Sisto alzò una mano, grattandosi con fare annoiato il mento “Perché mai?”

“Perché non è più in mio possesso.” Rispose semplicemente la ragazza, senza mostrare la paura che le stava divorando lo stomaco “Il libro è andato.”

Andato…” ripeté il Papa, alzandosi dalla sedia “Non intendo mercanteggiare o tirare fuori di bocca le parole ad una puttana fiorentina. Rimarrete qui insieme a tutti i vostri servitori sino a che non mi direte dove posso trovare quel libro.” La guardò con disprezzo composto, come se intendesse dirle implicitamente che contava così poco che non si sarebbe scomposto oltre “Sarà poi vostro marito a decidere la giusta punizione…” si avviò verso l’uscita insieme alle guardie, lasciando lì Mercuri “Sono certo che Girolamo troverà tutta la situazione divertente, quando tornerà a Roma!”

Una porta si chiuse con tonfo, mentre gli occhi della fiorentina non si staccavano da quelli del prefetto.

Solo a quel punto, Lupo afferrò le sbarre per parlarle direttamente in viso “Fate come vi dice, o vi brucerà per eresia.”

“Io ho ancora un filo di dignità, Prefetto. Non la brucerò per servire quel porco.” Soffiò la contessa, prima di dargli le spalle, camminando nella cella.

“Fate come dice!” insistette quello, ma sotto lo sguardo spaventato e confuso delle quattro persone che stavano lì con lei, Beatrice allargò le braccia e, parlando di nuovo in direzione di Mercuri, scandì con voce ferma.

“Sono figlia della terra e del cielo stellato. Di sete sono arsa…

Solo a quel punto, rassegnato, il prefetto lasciò il corridoio delle celle, dirigendosi verso l’esterno.

Arrivò sino al corridoio del primo anello, sistemandosi il cappello sul capo.

Un sussurro basso e spezzato sfuggì dalle sue labbra, senza che egli ebbe il tempo di combatterlo.

 “Di sete sono arso, vi prego, lasciate che mi disseti alla fonte della memoria”.

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Parte XXIV: La Penitenza. ***


modellostorieefp

Questa capitolo davvero non voleva uscire!

Ci ho messo un sacco a scriverlo, forse perché una piccola parte di me è affezionata a questa storia e sa che è l’ultimo capitolo. Ci sarà anche un epilogo che conto di postare questo weekend che però sarà piuttosto breve, rispetto ai precedenti.

Uno spartiacque, diciamo.

Beatrice è cambiata, non è più la spensierata principessina di Firenze; ora è una donna ormai, con tutte le responsabilità del caso.

Questo capitolo è un chiaro esempio di ciò.

E della bastardaggine di Sisto.

E dell’irreprensibile quanto stupida fedeltà del nostro Girolamo.

Ringrazio tutte le 25 persone che mi hanno inserita nelle seguite e le otto che hanno messo la storia tra le preferite.

Grazie a chi ha sempre recensito e a chi magari lo farà per la prima volta.

Grazie alla mia beta, Lechatvert che come sempre sopporta i miei smatti su questa storia e sul seguito che sarà mille volte più interessante.

 

E sì, grazie anche a Beatrice.

Abbiamo appena iniziato,  bellezza.

 

Buona lettura,

Jessy

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

 

Parte XXIV: La Penitenza.   

 

 

 

“Quindi, se ho ben capito, abbiamo rischiato la vita per trafugare un libro colmo di eresie per conto di un uomo turco, senza nemmeno conoscerne i segreti?”

Olivieri spostò lo sguardo dal profilo di Camilla, che dormiva appoggiata alla spalla della contessa, prima di voltarsi verso Lenzini. “Pressoché si, la storia è questa.”

L’altro forlivese sospirò  “Ci bruceranno sul rogo.”

“Può darsi.”

Quelle parole non gli furono affatto di conforto, così come l’evidente rassegnazione di Edoardo.

“Dobbiamo aspettare Sua Grazia.” Le parole di Zita arrivarono lontane, tanto che Beatrice trasalì nell’udirle. Aveva dimenticato che a dividere la cella con lei e la sua prediletta, c’era anche l’abissina.

Aspettare il conte.

Quella frase suscitò sentimenti molto contrastanti. Mentre la giovane de’Medici credeva fermamente che quella sarebbe stata la loro unica possibilità, sia Olivieri che Lenzini dimostravano un certo scetticismo.

“Per veder salva la vita di sua moglie? Senza offesa, mia Signora, ma ciò è ridicolo.” Lenzini si alzò in piedi, stizzito, tirando un calcio ad un piccolo cumulo di paglia che si rivelò essere il riparo di una famiglia di topi. “Vi ho servito senza fare domande, come ho giurato quando vi ho donato la mia spada, ma qualcuno dovrà pagare per questo trambusto e non sarete di certo voi.”

“Sono più che certa che Sisto troverà il modo di accomodarmi come si deve.” Replicò acidamente la fiorentina, svegliando l’amica. Non l’avrebbe fatta franca, il Papa si sarebbe guardato dal lasciarla andare così.

Lenzini, però, pareva di tutt’altro avviso.

Olivieri non ci pensò due volte, a impedire che potesse uscirsene con qualche altra parola infelice “Dio provvederà di noi. Mancare di rispetto alla vostra Signora non risolverà alcunché.”

Un ultimo sguardo rancoroso e il clima si raffreddò.

Come se poi la contessa non si stesse già sentendo parecchio in colpa per le sorti del povero forlivese. Laddove Camilla ed Edoardo avevano sempre aiutato nelle sue gesta all’insegna della trasgressione di ogni regola, il povero Lenzini era del tutto inconsapevole.

Sentendo le gambe e la schiena dolerle per il troppo tempo passato a sedere, Beatrice si alzò, appoggiandosi alle sbarre per spiare il corridoio che conduceva ai piani superiori. Tutto era buio in quelle celle; notte e giorno, il sole non filtrava dentro di esse in quanto erano costruite nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, nel cuore della terra.

Così in profondità da conquistarsi una nomea piuttosto inquietante. Nessuno, si diceva, era mai evaso. La ragazza non stentava a crederlo.

Rassegnata a quell’attesa che ormai durava da giorni – era difficile dire quanto di preciso, visto che non avendo riferimenti se non il cambio delle guardie, non aveva idea di che parte della giornata fosse quella-  Beatrice si staccò dalle sbarre.

Fu allora che lo sentì.

Un ordine impartito con determinazione e una pesante porta, quella che conduceva alle scale ripide, che veniva aperta con un cigolio di cardini.

Passi rapidi che correvano lungo i gradini saltano gli ultimi tre e poi una sagoma scura, vestita di nero.

Per un istante, il cuore di Beatrice si bloccò. Tornò ad aggrapparsi alle sbarre con speranza, notando il simbolo dei della Rovere cucito in argento sul petto del panciotto nero.

“Girolamo….” sussurrò piano, attendendo che il volto dell’uomo uscisse dalla penombra del corridoio.

Quando accadde, la ragazza si ritrovò delusa, ma ugualmente felice.

“Giacomo!” allungò la mano sottile e sporca di polvere verso il cugino del marito, che subito la prese fra le sue, sentendola fredda. “Non credevo che avrei visto nessuno, eccetto Girolamo.”

“Per l’amore del cielo, tutto questo è folle.” Il giovane uomo guardò attraverso le sbarre, prima Zita e poi Camilla, ignorando però i due forlivesi nell’altra cella “Ho provato a parlare con mio zio, ma è irremovibile. Posso sapere cosa avete combinato di così grave da farvi arrestare, cugina mia?”

L’indecisione della contessa sul parlare era evidente. Quando snocciolò una scusa, chiunque avrebbe compreso che non stava dicendo tutta la verità “Ho rubato un libro che volevo tradurre dagli archivi vaticani, ma sono stata sorpresa dal curatore.”

Giacomo la guardò senza capire.

“Un libro che intendevate tradurre? Tutto qui?”

“Avranno pensato che fossi lì per fare altro.” Aggiunse quindi Beatrice, stringendo la mano del giovane davanti a lei “Sono pronta a pagare per essermi intrufolata negli archivi, ma non voglio che sia fatto del male alle mie guardie, alla serva di Girolamo e a Madonna Colonna. Loro sono innocenti, non sapevano delle mie intenzioni.”

Il giovane della Rovere scosse piano il capo.

”Sono impotente, Beatrice. Non posso portare fuori nessuno per ordine diretto di Sua Santità. Deve però esserci qualcosa che posso fare per aiutarvi.”

Qualcosa, in vero, c’era.

Mordendosi le labbra, spaventata ma allo stesso tempo ansiosa che tutto finisse, Beatrice espresse una sola richiesta.

“Scrivete a vostro cugino. Che torni subito da Napoli.”

 

 

Le porte si spalancarono, quando il Conte Girolamo Riario vi si appoggiò con entrambe le braccia, fruttando tutto il peso del suo corpo per aprirle.

Aveva l’aria ansante e un poco storta di chi ha cavalcato per ore ed ore, senza sosta.

In effetti, era così.

Da quando aveva ricevuto la missiva di suo cugino, non aveva avuto scelta alcuna se non tornare di volata a Roma, in parte preoccupato e in parte furibondo nei confronti di sua moglie.

Stava già pensando a cosa inventarsi per convincere il Santo Padre a prendere in mano la situazione lui stesso, quando qualcuno lo afferrò per la spalla, facendolo voltare.

Era già pronto ad aggredire chiunque si fosse permesso tanta confidenza, ma ritrovandosi davanti il volto di suo cugino Giacomo si sentì quasi sollevato.

“Spero tu sia qui per spiegarmi per bene cosa è accaduto.” Disse secco, guardando di sottecchi il ragazzo poco più che ventenne alla sua destra, mentre questi lo invitava a seguirlo nei suoi alloggi “Nella missiva hai detto poco o niente.”

“Non potevo rischiare che qualcun altro la leggesse.” Un po’ riluttante, il giovane della Rovere permise anche al capitano Grunwald, che aveva accompagnato il conte insieme ad un piccolo drappello di guardie svizzere, di entrare nella stanza “Confido nella vostra discrezione, capitano.”

A quelle parole. Grunwald rispose con uno sbuffo irritato, ma non si permise di dire nulla contro il prefetto. Rimase in silenzio, con una mano appoggiata all’elsa della spada e l’altra a penzoloni.

Girolamo richiamò l’attenzione del cugino schiarendosi la voce, prima di tirare un sorrisetto ironico “Mia moglie è in prigione, posso almeno sapere cosa ha combinato, stavolta?”

“Non è partita per una guerra senza avvisarti” rispose ironico Giacomo, versando tre coppe di vino e porgendogli la prima, invitandolo poi a sedersi.

Oh, doveva essere davvero grave.

Accondiscendente, Riario lo fece.

“Divertente.” Con un sorso di vino sentì la gola arsa riprendersi “Ebbene?”

“Si è introdotta negli archivi.”

…No

…E ha rubato un libro.” Aggiunse infime Giacomo, passando il calice anche a Grunwald.

Il capitano abbozzò una piccola risata, prima di farsi serio “Sicuramente deve essere un libro molto interessante, se vale la pena perdere entrambe le mani e forse la testa.”

Girolamo portò una mano alla fronte, massaggiandola con veemenza, mentre un’emicrania incipiente iniziava a martellarlo proprio in quel punto “Che libro, si sa?”

“No, né Mercuri né nostro zio vogliono dirmelo. Sono tutti troppo vaghi e la scusa di Beatrice è molto debole.” Rispose il più giovane nella stanza, prendendo un sorso prima di continuare “Mi ha detto che lo voleva per tradurlo…

A quelle parole, al conte venne da ridere.

Non si stava nemmeno impegnando per farsi scagionare, quindi? Più lavoro per lui.

Convincere il Santo Padre a lasciarla andare gli sarebbe senza dubbio costato qualcosa.

Mi alzò dalla sedia, buttando giù in un sol sorso tutto il calice di vino, prima di passarlo a Giacomo “Ho un piano.” Disse lentamente, facendolo sorridere.

“Certo che ce l’hai.” Replicò infatti soddisfatto, con un sorriso così tanto simile a quello di Raffaele che per un istante Girolamo si aspetto una risatina rumorosa.

“Vado a parlare a Sua Santità. Tu porta Beatrice nella sala delle udienze.”

“Il resto della sua allegra brigata? Non è stata arrestata da sola.”

Le speranze di Girolamo si accesero. Se avesse giocato bene le sue carte, forse, avrebbe potuto ripiegare facendo punire uno degli altri al posto di sua moglie.

“Porta tutti. Grunwald, andate con lui.”

Girolamo attese di sentire la porta richiudersi nuovamente alle sue spalle, prima di prendere la brocca con dentro vino.
Aveva bisogno di tutto l’aiuto divino e il coraggio possibile, perché sapeva di partenza che se il Papa non aveva ancora espresso una brutta sentenza, era solo perché se la aspettava da lui.

 

Ormai era più di un’ora che Beatrice e gli altri aspettavano che la porta dietro al trono di Pietro si aprisse.

Seduti lungo la doppia fila di sedie che di norma erano occupate dai cardinali durante il concistoro, la contessa non poteva far altro che attendere.

Giacomo era parecchio nervoso, lo aveva intuito nell’esatto momento in cui era arrivato insieme a Grunwald e altre quattro guardie svizzere per scortarla insieme a Camilla, Zita e i due soldati forlivesi in quella stanza.

Camminava avanti e indietro senza sosta, il prefetto della Rovere, iniziando a mettere ansia anche a lei.

Aveva scambiato sguardi con il capitano Grunwald tutto il tempo, sperando in una sua parola, ma niente. Tutto quel silenzio la stava portando alla pazzia.

Abbassò gli occhi sulla punta degli stivali per l’ennesima volta, tirando un gran sospiro, proprio quando un cigolio sinistro arrivò alle sue orecchie.

Quattro uomini entrarono trafelati, con in testa il cardinale Borgia. Secondo vi era Mercuri, che guardava alternativamente avanti a sé e poi alle sue spalle.

Gli ultimi due entrarono nella stanza poco dopo, parlando a bassa voce, come se ancora non fosse stato raggiungo un accordo.

Il Papa prese posto sul trono, mentre Riario si metteva alla sua destra, impettito e con le braccia dietro alla schiena.

Beatrice trovò il coraggio di cercare i suoi occhi grandi e ciò che vi lesse dentro non le piacque affatto. Erano scuri, seri e sembrava parecchio incollerito.

Sicuramente con lei.

Nessuno osò aprire bocca fino a che il Santo Padre non si fu messo comodo, sfilandosi addirittura la papalina e allungando le gambe su un panchetto che Giacomo aveva provveduto ad appoggiargli davanti.

Solo a quel punto, afferrando un acino d’uva dalla ciotola dorata che aveva alla sua sinistra, fece un cenno al capitano che aveva portato Beatrice il galera il primo giorno “Reek, portatela qui.”

Lui non se lo fece ripetere.

Afferrò Beatrice per un braccio con forza, quasi trascinandola, prima di farla cadere con poco garbo a terra, a qualche metro dal Papa.

Ciò scatenò qualcosa di strano ed inspiegabile; Grunwald scattò in avanti, dicendo qualcosa in tedesco a Reek e spingendolo via. Questi rispose con tono cattivo, ma  non si azzardò a sfidare Grunwald, che intanto si era chinato a aveva aiutato Beatrice a mettersi in ginocchio più composta.

Il tutto senza che Girolamo battesse ciglio.

“Grazie.” Disse la fiorentina al capitano, mentre questi annuiva secco e si sistemava dietro di me, con le mani sulla cinta e la solita espressione truce.

Dubitava che fosse dalla sua parte, ma per lui l’onore contava molto e preservare quello della sua moglie di colui per cui lavorava, doveva valere molto.

Il Papa non prestò alcuna attenzione a quello screzio.

Continuò a mangiare l’uva, in attesa che tornasse a calare il silenzio, prima di pulirsi le mani sfregandole fra loro. Si schiarì la voce, appoggiandosi più comodamente contro allo schienale e attendendo.

I suoi occhi si calamitarono a quelli della fiorentina, come se si aspettasse di vederla implorare per la sua vita.

Cosa che non accadde.

Lei rimase impassibile, sfidandolo a dire o fare ciò che desiderava.

Non avrebbe pregato, non avrebbe gridato.

Ormai l’odio per quell’uomo senza Dio era così tanto che nemmeno se avesse minacciato di strozzarla davanti a tutti in quell’istante si sarebbe mossa.

Fu infatti lui a parlare “Siete stata accusata di cose molto gravi, madonna de’Medici, ma è anche vero che fate parte della mia famiglia. Per i della Rovere, la famiglia è molto importante.”

Beatrice si aspettava di tutto, ma non una dichiarazione del genere.

Alzò il capo, guardando prima il conte e poi Giacomo. Quest’ultimo sembrava impressionato quando lei, mentre suo marito non batté ciglio.

“Non mi state dicendo che tenete a me, Vostra Santità.” Quella della contessa non era una domanda, ma una solida affermazione. “Quindi, se posso chiederlo, cosa vi ha portato a questa conclusione?”

“Voi non avete pregato per avere salva la vita, ma vostro marito sì. In quanto membro della mia famiglia, ho deciso di accogliere questa supplica.” Quelle parole le scaldarono il cuore, ma non era finita.“Avevo proposto a Girolamo di bruciarvi, in quanto eretica, ma lui è davvero convinto di potervi condurre su un sentiero illuminato dalla luce del nostro Signore. Mi ha detto di avere pazienza…” con la coda dell’occhio, Sisto cercò il volto del nipote, che fissava avanti a sé, teso come la corta di un arcolaio “Ho deciso di dargli ascolto e di risparmiare la vostra giovane vita; la vostra stupidità è di certo dettata dalla poca esperienza. Tutta via, abbiamo concordato che dobbiate venir punita. Dieci frustate saranno sufficienti, a mio parere, nonostante ne avessi proposte almeno il doppio.”

“Dovete ringraziare che vostro marito sia stato bravo a mercanteggiare.” Disse Mercuri, intromettendosi “O non sareste qui.”

“Se io fossi stata brava, non solo io non sarei stata qui, ma nemmeno voi prefetto.” Sussurrò a denti stretti la contessa, ben lontana dall’arrendersi.

“Il sangue non vi spaventa?” domandò deliziato Sua Santità, alzandosi in piedi per raggiungere il punto in cui era stata fatta inginocchiare la contessa. Le prese il volto fra le mani, guardandolo attentamente. Tolse un po’ di polvere dalla guancia, prima di proseguire “Dopotutto voi figlie di Eva ne vedete parecchio ogni mese, o sbaglio?” ridacchiò, come compiaciuto da quella grande ironia, prima di lasciarla andare come se d’improvviso avesse perso ogni valore “Peccato. La vostra bellezza non può compensare la vostra sfrontataggine. Il capitano Reek imprimerà sulla vostra pelle la punizione che meritate. Dieci frustate che siano ben date, o diventeranno molte di più.”

Beatrice non aveva dubbi riguardo la bravura del capitano nell’infliggere dolore. Glielo si leggeva in  faccia quanto ci godesse nel farlo.

Grunwald la prese sotto ad un braccio mettendola in piedi, mentre Reek si faceva avanti per potarla via.

“Non ancora.” Li fermò Sisto, riprendendo posto e notando quando visibilmente sembrasse più rilassato Girolamo. Aveva ben pensato di tenerlo in bilico su un dirupo di incertezza sino al verdetto, così che capisse a sua volta che doveva domare quella giovane.

O guardarla morire.

Fece un cenno alle guardie e Camilla e Zita furono portate avanti per prime.

Ciò che la fiorentina temeva, stava per avverarsi. Senza alcun controllo scivolò via dalla presa di Grunwald, muovendo un solo passo avanti verso il Papa prima di trovare la spada di Reek a fermarla.

Solo a quel punto, anche Riario aprì bocca “Abbassate l’arma, capitano. Una donna disarmata e dai polsi legati vi spaventa?” domandò acidamente, ottenendo però il risultato sperato.

Per quanto Reek fosse senza scrupoli, non avrebbe mai disobbedito ad un ordine diretto del nipote di Sisto IV.

Rinfoderò la spada, ben attendo però ai movimenti di Beatrice, la quale si rivolse direttamente a Sua Santità “Io ho fatto ciò che ho fatto per Al-Rahim.” Ammise, nel pieno della colpevolezza, facendo impallidire il marito e confondendo il cugino “Loro non c’entrano nulla. Ho agito da sola.”

“Il punto non è chi vi ha aiutata, madonna” disse sottile Sisto, facendo cenno ad uno dei paggi di avvicinarsi. “Ma come potervi punire per davvero.” Mentre un ventaglio iniziava a venir agitato davanti al suo viso accaldato a causa delle vesti e dell’estate che ancora non demordeva nonostante fosse metà settembre, il Papa guardò il volto delle due donne “La schiava abissina è proprietà di Girolamo. Quindi lascerò tutto nelle sue mani. Per quel che riguarda Camilla Colonna…. Suo padre Fabrizio è un  grande amico del papato, quindi rimarrà viva.” Sia la giovane romana che Beatrice tirarono un sospiro di sollievo, ma durò ben poco “Portatela nelle mie stanze e legatela al letto, penserò dopo a lei.”

“Cosa?No!” la contessa tentò di divincolarsi, ma Grunwald non sembrava intenzionato a vederla allontanarsi un’altra volta.

Quando le porte si richiusero alle spalle della guardia svizzera e di Camilla, Beatrice si voltò verso il Papa. Sul suo viso era impressa un’espressione orripilata “Bastardo senz’anima. Che Dio può mai parlare tramite la tua voce?”

Il conte si fece avanti prima di chiunque altro, afferrando Beatrice per le spalle e scuotendola “Devi tenere la bocca chiusa, o nemmeno Dio stesso potrà salvarti.” Le sussurrò in pieno viso, con i denti stretti e la collera mal celata nella voce.

Le rimase accanto, tenendole il braccio. La parte peggiore stava per arrivare.

Quando la contessa rialzò lo sguardo, davanti a lei c’erano Olivieri e Lenzini.

Vennero fatti inginocchiare con il capo rivolto verso il Papa.

Lui li guardò attentamente, prima di inumidirsi le labbra con la punta della lingua “Due così bei giovani costretti a sacrificare la loro vita per una meretrice fiorentina. Voglio mostrarvi pietà e misericordia, Beatrice; vi permetterò di salvare uno solo di loro due.”

Per un istante, la giovane de’Medici sperò che stesse scherzando.

Quale sadica mente poteva rimettere a lei quella decisione, se non quella di Sisto in persona?

La ragazza deglutì, passando gli occhi dalla nuca di Lenzini a quella di Olivieri.

I-io…. Io non posso.”

“Fatelo, o verranno uccisi entrambi per mano mia.” Reek era già pronto, con la mano sulla spada e lo sguardo cattivo di chi è pronto a dimostrare qualcosa.

“Scegliete con giudizio, madonna.” La consigliò Sisto, mentre gli occhi della ragazza correvano sul volto di Mercuri, che non ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo.

Se lo avesse ucciso dentro agli archivi, tutto ciò non sarebbe successo.

“Io…. Io…”

Olivieri stupì tutti, parlando con voce chiara e priva di qualsivoglia cenno di paura “Io sono onorato di morire per aver servito la mia signora.”

“Io invece muoio senza conoscerne nemmeno il motivo.” Lenzini parlò con il tono amaro di chi avrebbe serbato rancore in ogni caso.

Sapeva che la sua contessa era affezionata ad Edoardo da mesi, quindi si limitò a chinare il capo, pronto a ricevere il colpo.

Sollecitata da molte occhiate, Beatrice alzò una mano e prima ancora di avere il tempo di dispiegare bene il dito con cui lo indicava,  la testa di Lenzini rotolò sino al trono papale.

Mordendosi le labbra fino a farle sanguinare, Beatrice riportò i polsi legati al petto, stringendo gli occhi e voltandosi istintivamente verso Girolamo.

Il conte le appoggiò una mano sulla schiena, prima di fare cenno a Reek di portarla fuori. Venne scortato oltre la porta anche Olivieri, che fissava ancora con occhi sbarrati il corpo decapitato dell’amico.

Mercuri fu il successivo ad andarsene, con un piccolo inchino a Sua Santità, lasciando soli i due cugini con lo zio.

“Siete stato molto severo…” Gli fece notare con tatto Giacomo, mentre un paio di servi si affaccendavano per rimuovere il cadavere del forlivese e ripulirne il sangue.

Lo stesso Girolamo sembrava della stessa opinione del giovane cugino, ma non disse nulla, limitandosi ad attendere di rimanere solo con il Santo Padre.

Quando Giacomo lo intuì, a causa del mutismo di entrambi, fece un veloce quanto scocciato inchino, andandosene a sua volta e chiudendo dietro di sé la porta.

La pozza di sangue rosso brillava, mentre Girolamo si specchiava in essa. “Cosa volete che faccia, padre?”

“Trova quel libro. Se il Turco nominerà un nuovo paladino e insieme ad esso ne scopriranno i segreti, ti reputerò diretto responsabile e brucerò quella troia fiorentina su una pira.”

 

Non aveva urlato nemmeno una volta.

Si era morsa così tanto l’interno delle guance da sentire il sapore del sangue sulla lingua per tutto il tempo ma, frustata dopo frustata, lei non aveva urlato.

Era persino riuscita ad uscire sulle sue gambe, con la camicia strappata e tenuta sollevata sul petto con le braccia, mentre la schiena grondava sangue e bruciava in modo insopportabile.

Scortata in carrozza sino a villa Orsini, si era lasciata medicare la schiena da un cerusico. L’intero lavoro di ripulitura delle ferite era stato quasi più doloroso delle frustate.
Sicuramente più lento.
Ogni minimo brandello di carne scoperto, ogni parte scorticata, le doleva in modo incredibile, una volta nascosto sotto a candide bende di lino.
Venne fatta accomodare nella sua stanza, ma lei preferì tornare in quella in cui aveva soggiornato le prime notti, lontana dagli alloggi del marito.

Seppure il dolore fosse insopportabile, non pianse ne si lamentò.

Si limitò a mandare Edoardo a recuperare la chiave e il libro, che nascose sotto al materasso, certa che nessuno l’avrebbe mai cercato in un posto tanto ovvio.

Poi si era messa a letto, con lo sguardo fisso al muro, impossibilitata a dormire a causa di quel tormento.

Così’ presa da esso,spossata dalla prigionia ma allo stesso tempo nauseata, non poté far altro che sentirsi in colpa.

Sapeva che era solo colpa sua. Camilla, Lenzini…

Vittime di un disegno così grande che non poteva nemmeno venir compreso da lei che vi era nata all’interno, figurarsi da loro.

Strinse con forza la chiave nella mano, fino a sentire dolore quando l’argento premette un po’ troppo contro al suo palmo morbido.

Di una cosa era certa.

Se il Papa sperava di aver spento in lei l’ardore, si sbagliava di grosso.

La sua tenacia sarebbe ricresciuta ogni giorno più corte, così come la pelle sulle sue ferite che senza dubbio avrebbero lasciato un segno, a costante ricordo di cosa significasse essere una de’Medici.

Cosa significasse essere Beatrice de’Medici.

Avrebbe finito di tradurre il libro di Bologna, avrebbe letto scrupolosamente ogni pagina del diario di suo nonno.

Avrebbe trovato il prescelto.

E, infine, avrebbe ficcato una spada nel cranio di Sisto IV, a costo di sacrificare la sua stessa esistenza nel tentativo di riuscirvi.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Parte XXV: Epilogo – La nostra guerra. ***


modellostorieefp

Non posso crederci, ma a quasi un anno dalla pubblicazione del prologo, ‘No Good Deed è finita.

Con questo ultimo, piccolo prologo, però, apro una porta nuova e più emozionante.

Ala iacta est; il tempo di maturare è finito e si aprono ufficialmente le danze.

Cosa accadrà ora? A parte seguire la storia del telefilm –introducendo ovviamente Beatrice- non posso dirvelo.

Dico solo che spero di rivedervi tutti quanti!

Grazie a chi mi ha sempre seguita, alle persone citate nello scorso capitolo e in particolare Lechatvert che ha betato anche questo ultimo capitolo e che presto visionerà in anteprima il prologo.

Grazie anche a che ha fatto per me questa meravigliosa immagine con uno spoiler: il titolo del sequel.

Grazie a Verdeirlanda per aver sempre recensito la mia storia e a Hahaha_cit_Niall, che nonostante sia arrivata quasi alla fine, non ha mai mancato di farmi sapere cosa ne pensa.

Ringrazio anche i lettori silenziosi che sempre hanno seguito la storia senza mai sbilanciarsi. Vi invito a dirmi cosa ne pensate, visto che è conclusa ^-^

In ultimo, vi lascio questo link dalla mia pagina autrice, su facebook dove troverete tutti i personaggi della storia e che rivedremo anche più avanti!

Direi che è tutto.

Aspettatevi il prologo di ‘Amor onni cosa vince’ molto presto!

Vi lascio al capitolo, buona lettura

 

Jessy

 

 

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

Parte XXV: Epilogo – La nostra guerra.

 

 

Il suono ripetitivo dei suoi stessi passi, compiuti nell’arco di pochi metri dalla scrivania alla porta, iniziava seriamente ad innervosirlo.

Villa Orsini era immersa nel buio della notte e, in quel profondo silenzio, Girolamo si sentiva irrequieto.

Nell’aria c’era troppa tranquillità.

Decise di completare un paio di missive, giusto per tenere la mente impegnata e concentrata. Non appena appoggiò il fondoschiena alla sedia, però, comprese che non avrebbe funzionato.

Scrisse giusto un paio di parole di ringraziamento al Duca Alfonso, pregandolo di scusarlo per la partenza così improvvisa da Napoli, ma non andò oltre.

Nella sua testa si era insinuato un tarlo, che non faceva altro che scavare profondo nelle sue paure.

Ormai era passata poco più di una settimana da quando Beatrice aveva  ricevuto la ‘giusta’ punizione per il suo crimine. Genericamente, ai ladri viene amputata una mano. Nel caso di un furto in vaticano – negli archivi segreti- la pena poteva essere anche di gran lunga più alta.

Girolamo aveva dovuto pregare sua Santità per quell’atto di clemenza e, ne era certo, avrebbe pagato a caro prezzo quel favore. I valori di carità cristiana, secondo suo padre, riguardavano gli affari dell’Iddio. In terra, andava tenuto il pugno di ferro, affinché i nemici del papato non potessero ergersi contro la sacralità del suo uffizio.

Le conseguenze di quel gesto avrebbero avuto senza dubbio ripercussioni future: se non avesse trovato il libro ebraico, suo padre avrebbe senza dubbio trovato un appiglio per disfarsi sia di lui che della giovane fiorentina.

Tutti coloro che lavoravano per lui erano utili, certo, ma non indispensabili.

Doveva agire, quindi, con cautela studiata.

Per prima cosa, aveva intenzione di allontanare sua moglie il più possibile da Roma. Essendo la reggente di Forlì, amministrare la città romagnola l’avrebbe tenuta lontana dagli affari del Papa. Quanto meno, se davvero non poteva impedirle di accanirsi contro di lui in questa lotta alla ricerca della verità dei Figli di Mitra, poteva spedirla lontana dagli occhi.

Avrebbe soppresso in lei la voglia di imbarcarsi in una simile crociata, ma prima aveva affari più importanti da sbrigare.

Lui avrebbe continuato a viaggiare, da Roma a Forlì, a seconda delle incombenze che suo padre gli avrebbe assegnato di volta in volta.

Doveva ancora comunicare a Beatrice quella decisione, ma non la vedeva ormai da un paio di giorni. Sapeva dal cerusico che la schiena stava cicatrizzando alla perfezione, anche se sarebbero di certo rimaste delle profonde cicatrici laddove la frusta aveva lacerato la carne. La contessa mangiava nei suoi alloggi, con la sola compagnia della sua dama di compagnia e di Olivieri.

Grunwald era passato a portarle un saluto e qualche mela comprata al mercato cittadino, ma anche lui aveva riferito che la giovane non sembrava in vena di chiacchiere.

Come compatirla, dopotutto?

Aveva rischiato la morte, aveva condannato uno dei suoi e Camilla …

Girolamo non osava nemmeno domandarsi cosa avesse patito madonna Colonna, nel letto del Papa.

Sapeva solo che il Capitano Reek l’aveva riportata a villa Orsini la mattina successiva, divertito da quanto la giovane stesse tremando. Riario l’aveva fatta entrare personalmente, mentre Zita le avvolgeva una coperta attorno alle spalle e la conduceva verso gli appartamenti della contessa.

Il suo zoppicare era stato piuttosto eloquente.

Quel singolo ricordo fu sufficiente, per Girolamo.

Aprì e porte a vetri che conducevano su un piccolo terrazzino, appena fuori dalla sua stanza. Si appoggiò contro il parapetto di ferro battuto, chiudendo gli occhi e respirando profondamente, come per aerare i polmoni.

“Signore, tu che sei il mio pastore, dammi la forza.”

Congiunse le mani in preghiera, recitando un Padre Nostro e un’Ave Maria.

C’erano istanti in cui davvero dubitava della buona fede di sua Santità. Come poteva, un uomo di Dio, pretendere così tanto sangue e innocenza? Se l’era chiesto spesso, ma la risposta era sempre e solo una: lui, esattamente come suo padre, erano stati scelti dall’Onnipotente come strumenti. Veicoli contro la bramosia e il peccato.

Erano la mano e il volere del Signore sulla terra.

‘Questo ci autorizza ad operare nel suo nome, Girolamo. Le nostre punizioni sono giuste, poiché è il buon Dio a volerle. Lui, poi, provvederà.’

Ancora ricordava, quel giorno, in cui suo padre era andato a prenderlo al monastero. Aveva quattordici anni, eppure lo ricordava come se fosse successo non più di un paio di giorni prima.

L’aveva messo a parte del piano che il Signore aveva per entrambi, prima di condurlo da sua sorella Bianca, che l’aveva poi allevato insieme al marito Paolo Riario, come se fosse stato figlio loro.

Cresciuto come il più pio dei fanciulli, Girolamo era convinto che tutto ciò che faceva, era segno di qualcosa di più alto. Era uno strumento del volere del Signore e, se egli lo riteneva opportuno, si sarebbe a sua volta immolato per la causa.

Ogni volta che ci pensava, il conte si sentiva meglio.

Si rimise diritto, sistemandosi il panciotto della casacca e voltandosi per tornare nei suoi appartamenti e riposare. Fu allora che si accorse che la luce nella stanza della moglie era ancora accesa.

Più di una candela, sicuramente, senza contare la finestra lasciata aperta. Da essa fuoriusciva una lenta melodia, cantata a bocca chiusa, insieme alle tende che svolazzavano pigre trasportate da una corrente d’aria.

Nonostante l’ora tarda, Girolamo non riuscì ad impedirsi di andare da lei.

Poteva metterla al corrente della sua intenzione di mandarla a nord, oltre che assicurarsi personalmente della sua salute.

Sarebbe rimasto impassibile davanti a lei, freddo. Le avrebbe favorito un distacco che sarebbe stato netto, quantomeno per i primi mesi.

Aveva troppo da fare nell’urbe, per recarsi con regolarità nella provincia pontifica forlivese.

Ci mise troppo poco, per i suoi standard, a giungere innanzi alla porta della stanza. Rimase con il pugno sollevato diversi minuti, domandandosi se fosse decoroso presentarsi così.

Il solo fatto che si facesse simili domande, parlando di Beatrice, era ridicolo.

Dopo tutto quello che avevano condiviso, si ritrovavano davvero alla stregua di due estranei?

Lei aveva tradito la sua fiducia, certo, ma lui se lo aspettava da tempo.

Sua moglie era un drago dormiente, una fiera assopita, pronta ad agire.

Lo aveva dimostrato diverse volte: Forlì, Bologna, Roma …

Quanti altri esempi doveva avere?

Senza più pensieri, bussò alla porta. Attese il tempo di qualche respiro, prima di aprire la porta di un solo spiraglio, così da parlarvi attraverso, “Posso entrare?” domandò con tono basso, quasi come se si aspettasse un rifiuto.

Sentì una sedia sposarsi, poi sua moglie si schiarì la voce, “Entrate.”

Così come aveva ipotizzato, la stanza era illuminata da diversi candelabri.

Senza guardarsi troppo attorno, però, Girolamo avanzò verso la specchiera dove era seduta la moglie.

Posta nella parete opposta a quella del letto, il grande specchio prendeva un quarto di parete. Beatrice si stava spazzolando i capelli con cura, cercando di mascherare il fastidio che doveva darle l’alzare le braccia.

In un tentativo di creare una certa intimità fra loro, il conte si appoggiò contro lo schienale della seduta, attento a non sfiorare le bende “Ho visto la luce accesa e ho pensato di parlarti di una cosa.”  Senza rispondergli, la contessa gli dedicò un piccolo cenno, sottolineando il fatto che potesse proseguire “Ti rimando a Forlì.”

Inaspettatamente, Beatrice sbuffò una risata ironica.  “Non mi aspettavo altro se non l’esilio da questo luogo maledetto.” Sibilò tra i denti, appoggiando la spazzola e voltandosi di tre quarti con il naso puntato verso l’alto. L’azzurro dei suoi occhi parve un grigio cielo in tempesta, in quel frangente “Sono lieta di tornare a Forlivio*. Tu immagino che non verrai con me, Girolamo.”

Lui la guardò severo, prima di scuotere appena il capo.

Ovviamente, non sarebbe andato.

“Appena potrai cavalcare, partirai.”

“Anche domani, se posso davvero lasciare Roma.”

Ogni parola era un altro po’ della sua pazienza che svaniva. Perché non capiva? Perché doveva essere così dannatamente testarda?! Doveva essere il sangue dei de’Medici, a rendere le persone così insopportabili!

Il conte sospirò, staccandosi dalla sedia e facendo un passo indietro, mentre Beatrice riprendeva a spazzolare la chioma bruna “Ci sarà un tempo in cui questa tua sfrontataggine ti costerà il rogo, ma a me devi il fatto che non sia ora. Sappi però che il tempo è un vortice, che gira su se stesso e sempre torna indietro. Non potrai liberarti di ciò che hai fatto, dell’onta che ho dovuto subire per te.”

“Il tempo è un fiume, conte Riario.”

Buffo come le persone si rendano conto di non aver qualcosa di indispensabile con sé nei momenti meno indicati.

Fu quello che pensò anche Girolamo, quando si rese conto che non erano soli in quella stanza e che lui non aveva preso con sé ne la spada ne lo stiletto.

Si voltò di scatto, sbarrando gli occhi per la sorpresa, mentre incrociava lo sguardo con quello limpido di un uomo.

Nonostante l’evidente stupore di Riario, questi continuò a parlare come se gli fosse stata posta una domanda “Avete però detto qualcosa di saggio senza saperlo, perché questo fiume non è rettilineo come la coda di un serpente, bensì circolare. Il tramonto di una vita è l’alba di un’altra. La storia è solo una menzogna, manipolata da coloro che voi amate tanto servire. Il tempo sarà inclemente con voi, conte, così come lo sarà la storia stessa.  Non verrete ricordato per ciò che avete fatto di buono, né tanto meno per le cose orribili che il vostro ‘buon senso’ vi ha condotto a fare. Non verrete ricordato affatto.”

Aveva un accento particolare, così come le linee nere che circondavano l’ovale dei suoi occhi verdi. Le vesti, poi, furono un ulteriore indizio, così come il libro che stringeva con un braccio.

Il libro in ebraico che Beatrice aveva trafugato dagli archivi, probabilmente.

Lo studiò in silenzio, trovando estremamente irritante il sorriso divertito sulla bocca dell’intruso. Quando si decise a esporre le sue conclusioni, esse ormai erano palesi.

“Il turco.” Sussurrò, mentre anche Beatrice si alzava, camminando verso il letto con non curanza.

Questi fece un inchino poco profondo “Al Rahim, conte.” Lo corresse “Ma sì, molti mi chiamano il Turco. Persino la Luna.” Ammise, facendo un cenno verso la contessa.

Sentire che anche lei aveva un nome in quella loro eretica organizzazioni di folli fu un pugno in pancia.

“Cosa significa ‘la luna’, di grazia?” chiese, velenoso, rivolto verso la moglie.

Lei sorrise sardonica, scrollando le spalle “Sto ancora cercando di capirlo anche io.”

“Anche se lo sapesse, temo che non verrebbe a dirlo a voi.” si intromise Al Rahim, prima di voltarsi di tre quarti verso la ragazza “Ricorda ciò che ti ho detto, uno spirito guida ti aiuterà a cogliere i segni e riunire i pezzi.”

“Spero.” Concluso Beatrice, prima di fare un cenno verso il Turco  “Sono figlia della terra….”

….E del cielo stellato.” Concluse il Turco, prima di voltarsi verso Riario, che non era più disarmato.

Presa la spada che aveva lui stesso donato alla moglie, la puntò verso la gola dell’uomo “Non crederete che io ora vi lascerò andare, spero. Consegnata il libro e forse verrete risparmiato, anche se siete un infedele.”

Quelle parole non fecero altro che accrescere il divertimento del Turco. Con un ultimo sguardo verso Beatrice, fece un passo indietro, andando poi in tutta fretta alla finestra.

La scavalcò, saltando nel vuoto.

Girolamo non perse tempo e gli corse dietro, ma quando si affacciò, non vi era traccia dell’uomo.

Bruciante di collera, lanciò la spada a terra, marciando verso la moglie.

“Dimmi dove è andato!” le gridò in viso, ma lei alzò le spalle con totale non curanza.

“Quell’uomo è come il fumo; impossibile da stringere nel palmo di una mano” lanciò un’occhiata all’ampia finestra, prima di sospirare “Parla per metafore e indovinelli. Credi davvero che io sappia dove puoi trovarlo?”

Fu abbastanza.

Riario alzò una mano, come per zittire quella moglie impudente con uno schiaffo, ma Beatrice fu più veloce. Estrasse uno stiletto da sotto un cuscino, puntandolo alla gola del marito mentre lui ancora teneva il braccio alzato.

Con la sfida nello sguardo, la fiorentina parlò per prima “Una volta mi dicesti che credevi di amarmi. Io ti ho risposto che ne ero certa.”

Una pausa, lunga come una straziante agonia da desti, mentre tutto l’odio che entrambi parevano provare scemava.

Con un profondo sospiro, la ragazza abbassò la lama e il conte il braccio.

Arrendevoli, entrambi, si guardarono negli occhi.

“Sarò la moglie che desideri.” Dichiarò infine Beatrice, rinfoderando lo stiletto e rimettendolo al suo posto, mentre Girolamo la guardava senza capire “Curerò i nostri interessi in Romagna, mentre tu servi il Papa. Sarò elegante con gli ospiti e affabile con i mercanti. Riderò quando lo vorrai e forzerò ogni sorriso che sarà opportuno, se necessario. Non ti mancherò di rispetto così come tu non farai con me e, infine …” sospirò, portando una ciocca di capelli dietro all’orecchio “Voglio darti un erede.”

Lui avanzò di un passo verso di lei, guardandola come ammaliato.

Tutta la collera stava scemando e lui ricordò perché lei lo aveva così tanto colpito sin dal primo giorno.

Portò una mano sul suo collo, accarezzandolo con il pollice, prima di domandare “Perché mi fai queste promesse?”

Lei sorrise tristemente “Perché so di amarti ancora. L’amore non è qualcosa che puoi semplicemente mettere da parte, Girolamo. Anche se …”

Abbassando la mano sulla sua spalla, il conte inclinò di lato il capo. Studiò il profilo armonioso della moglie, allungando poi le dita verso il lacci che chiudevano la vestaglia. “Anche se?”

“Anche se ora siamo in guerra.” Senza attendere oltre, la ragazza afferrò il colletto della casacca del marito, stringendosi a sé mentre lo baciava.

Tra le loro labbra, il conte poté avvertire tutto il bisogno e la disperazione che la giovane aveva nel suo cuore. La vestaglia cadde a terra, anche se il suo busto rimase parzialmente coperto dalle bende. Con essa, anche la casacca e le brache del conte,  mentre l’uomo si stendeva supino sul letto, accogliendo sul grembo Beatrice.

Un altro bacio bisognoso, un altro sapore malinconico e poi un morso al labbro inferiore, quasi irato.

Fra tutte quelle sensazioni, quei gusti, Girolamo poté sentire anche il sapore della verità: sarebbero stati nemici, da quel momento in poi e fino al giorno della resa dei conti.

Mai sapore gli parve più amaro di quello.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

*Forlivio: antico nome di Forlì.

 

 

 

 

 

 

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