You die, I die.

di Franceh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. ***


1
 
Uno sguardo vispo si accese nello sguardo del ragazzo diciottenne appena svegliatosi; gli occhi azzurri si aprirono e un sorriso si fece strada ampliamente nel suo viso. Non c’era tempo da perdere.
Andò in bagno, svelto, dopo aver preso i suoi vestiti migliori; iniziò subito a lavarsi e strofinare energicamente con la spugna, fischiettando felice, crudele quasi. Indossò la camicia azzurro chiaro e i suoi pantaloni neri con la cinta bianca, e le scarpe migliori che aveva potuto permettersi, essendo uno dei favoriti: gli altri distretti a momenti non avevano l’acqua, mentre Louis nel distretto 1 aveva cose che nemmeno gli servivano. Tirò su i suoi capelli in un ciuffo ribelle, guardandosi impaziente allo specchio. “Tocca a me stavolta” pensò con un sorriso più che ampio.
Subito dopo aver dato un bacio sulla guancia della madre si incamminò fischiettando verso la piazza, dove tutti i ragazzini ansiosi si erano ormai rifugiati; andò a fare il suo prelievo di sangue molto felicemente e andò ad aspettare con i suoi amici nella parte sinistra della piazza, quella riservata ai “giovani uomini”.
La signorina, se così poteva essere definita, entrò esageratamente vestita come di consueto sul palco del municipio, sul quale le due enormi ampolle contenenti i nomi dei ragazzi e delle ragazze di tutto il distretto erano già state sistemate ai lati.
“Felici Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore.” Iniziò la signora impacchettata nel suo bell’abito color zucchero filato, mentre Louis non ascoltava il discorso sentito oramai fino alla nausea; “Prima le signore” annunciò la signora avvicinandosi all’ampolla di destra e prendendo un foglietto. Lo scartò con estrema lentezza, mentre le ragazze guardavano in basso preoccupate; “possibile che nessuna ragazza si offra volontaria quest’anno?” si chiedeva mentalmente Louis con la bocca semiaperta, intanto Mrs.Mi-vesto-male aveva annunciato il nome della ragazza, una certa ‘Cornelia Moore’ che Louis non aveva mai sentito nominare.
Cornelia salì sul palco, la signora con i tacchi fin troppo alti anche per lei le porse il microfono, e lei riuscì solo a biascicare debolmente: “Blake, vincerò per te amore mio”; “commovente”, sussurrò Louis a bassa voce alzando gli occhi al cielo, mentre le braccia erano da un pezzo incrociate sul suo petto.
“Ed ora ai signori” commentò felice la donnicciola avvicinandosi all’ampolla; “Mi offro volontario” disse pronto Louis come se fosse una cosa da niente e salì sul palco, rifiutando il microfono con un sorriso stronzo. La signora prese le loro mani e le alzò in aria, urlando: “Ecco i tributi del primo distretto per la Seconda Edizione della Memoria degli Hunger Games”; “Edizione della memoria? Cazzo” pensò Louis facendo un’espressione preoccupata. Sapeva bene che un’edizione della memoria non era un’edizione come le altre; l’arena era speciale, le insidie maggiori e quindi i concorrenti più feroci.

 
***
 

Non aveva dormito quella notte. Aveva solo riguardato tutte e tutte le edizioni precedenti per sapere cosa fare, come comportarsi: sapeva bene che sarebbe morto subito senza un aiuto, e lui non intendeva proprio morire, anche se i ragazzi giù al distretto 12 morivano quasi sempre. “Sono diverso, sono diverso” ripeteva da tutta la notte il sedicenne, sapendo che probabilmente sarebbe stato scelto quell’anno: il suo nome c’era fin troppe volte nella lista. Sì vesti con i vestiti migliori che aveva, che in realtà erano delle scarpe bucate, nere di fuliggine, dei pantaloni grigi rattoppati e una camicia bianca, resa nerastra dal tempo. Scese ad abbracciare forte sua madre, tentando davvero di non piangere e si incamminò veloce verso la piazza torturandosi le labbra con i denti e scrocchiandosi nervosamente le dita delle mani, guardando in basso. Ad un tratto alzò la testa, sentendo dei rumori: un bambino, dodicenne, piangeva disperato ed impaurito rannicchiato davanti il muro di casa sua, allora lui gli si avvicinò piano e si sedette vicino a lui. “Ehi” disse subito, cercando di sorridere, ma non ottenne risposta dal ragazzino che piangeva come se non ci fosse un domani; allora si mise davanti a lui a gambe incrociate, gli prese il viso tra le mani e lo guardò serio. “Nigel, Nigel guardami” ripeteva guardando il ragazzino e dandogli leggeri schiaffetti sulle guance, “Non preoccuparti, hai solo dodici anni e ci sono solo otto biglietti col tuo nome nella lista, a te non succederà niente, fidati di me.” Disse guardando il ragazzino negli occhi con un sorriso paterno, mentre gli asciugava con i palmi delle mani il suo volto rigato di lacrime. Il bambino annuì, e basta, allora lui lo aiutò ad alzarsi e gli prese la mano, camminando piano verso la piazza mentre gli sorrideva.
Arrivati davanti il Palazzo di Giustizia, scortò il bimbo impaurito a fare un prelievo di sangue, fece il proprio e andò sulla solita fila di ragazzi sulla destra che morivano di paura guardando il palco… anche lui aveva paura, certo, ma come poteva quasi piangere se stava cercando di far capire a quel bambino che non c’era motivo di preoccuparsi?
La signora salì sul palco, con un bell’abito bianco e fiocchi rossi – “sembra un regalo di Natale” sussurrò Harry all’orecchio di Nigel prima di ridacchiare – “Felici Hunger Games e..” Iniziò la ‘ragazzina’, che tanto ragazzina non era, seguita da un silenzioso “bla, bla, bla” di Harry che cercava assolutamente di far sorridere il piccolo. “Prima le signore” annunciò come di consueto Mamma Natale, avvicinandosi all’ampolla di destra contenente i nomi delle ragazze, che era stata sistemata lì precedentemente, e disse, anzi urlò, che la ragazza sarebbe stata ‘Mag Kantros’, una ragazza che, come al solito, Harry non aveva mai sentito nominare. La ragazza salì sul palco traballante, probabilmente stava per svenire, e fece un discorsetto al microfono su qualcosa che interessava la sua famiglia.
“Ed ora gli uomini” disse gaia la signora avvicinandosi all’ampolla – il respiro di Harry si fece pesante, il cuore batteva forte, quasi volesse uscire dal petto, iniziava ad avere caldo nonostante fosse una mattinata di Marzo, le mani iniziarono a sudare e fece un sorriso mal riuscito al bambino – “Nigel Doyle!” Disse la signora mentre Harry tirava un sospiro di sollievo, che in realtà non durò molto a lungo: era il bambino accanto a sé. “Ed ora che cazzo faccio? Non può andare, non lui, non ora” si chiedeva preoccupato Harry guardandosi intorno agitato, quando sentì che la mano del bambino si era sfilata dalla sua, allora prese un respiro profondo, chiuse gli occhi, deglutì e corse fuori dalla sua postazione. “Mi offro volontario” urlò Harry, pur sapendo che quest’azione l’avrebbe portato alla morte; un pianto fragoroso scoppiò tra i genitori: sua madre, un pianto fragoroso scoppiò dietro di lui: Nigel, ma quello che è stato fatto è stato fatto, e lui si stava ormai coraggiosamente avviando – anche se questo aggettivo a lui non si addiceva – verso il palco, dove pronunciò solo un piccolo ‘addio’ al microfono, quasi non volesse farsi sentire, e il sedicenne tremante alzò le mani, in segno di orgoglio, mentre la signorina proclamava che quelli sarebbero stati, per il distretto dodici, i tributi per la seconda edizione della memoria degli Hunger Games.

 
***
 
“Alzati, cretino” sua sorella non era mai stata molto carina con lui, al contrario di tutti perché a dire la verità il diciassettenne era molto intelligente, educato a livelli quasi ridicoli, un ottimo inventore, un prefetto scienziato; insomma, un perfetto cittadino di cui il distretto Tre andava fiero. Si alzò pigro dal letto, ripetendo come se dovesse andare a scuola tutte le regole e le tattiche che aveva imparato guardando le edizioni precedenti, andò il bagno e si preparò ripetendo “Acqua, la tua migliore amica”; poi andò a fare colazione davanti il pallido focolare acceso nel camino sussurrando appena “Fuoco, accenderlo è sconsigliabile”; andò ad indossare i suoi vestiti migliori, scelti dalla madre, e alla fine il suo apparire allo specchio sembrava ridicolo, così disse tristemente, sospirando, “Apparire, indispensabile”, seguito da un sonoro “Hai finito di predicare la messa?” di sua sorella. Allora aprì l’armadio, prese delle scarpe blu in pelle di camoscio (Che, se vogliamo dirla tutta, aveva rubato), dei pantaloni blu molto eleganti ed una maglia – era l’unico che  quel giorno indossava maglie – color pavone, con un giubbotto nero addosso, dato che detestava il freddo, ma poi se lo tolse e lo riappese nell’armadio dicendo appena “Devi abituarti al freddo, Zayn, o le notti sugli alberi non saranno uno spasso”. Allora scese di sotto e sorrise alla madre, la abbracciò e le baciò avidamente la guancia, uscendo poi di casa e salutando gaiamente tutti quelli che trovava sul suo tragitto per la piazza, e poi si avviò fischiettando per la piazza, lentamente, con le mani in tasca, correndo poi quando sentì la voce di una vecchietta urlare “Ma quelle son le mie scarpe!”
In piazza era di sicuro il meglio vestito, e, dopo aver fatto il suo prelievo, andò nella sezione dedicata agli uomini; Ma perché era così felice? Beh, avendo solo sei bigliettini col suo nome nell’ampolla era sicuro che non sarebbe mai andato nell’arena, e comunque come sarebbe sopravvissuto? L’unica cosa che sapeva fare era studiare! Avrebbe fatto come il ragazzo tredicenne andato due anni prima, che aveva folgorato sei concorrenti con una scarica elettrica? Si sarebbe nascosto come altri concorrenti avevano fatto in edizioni passate? Questo non lo sapeva, la verità era che aveva solo una paura marcia di essere scelto, ma era molto bravo a nascondere l’agitazione.
“Prima le signore!” Disse la signora risvegliando Zayn dai suoi pensieri, e invece di ascoltare il nome della (s)fortunata, lui osservava il vestito della ‘dama di corte’: era un misto tra una bomboniera di matrimonio e una ragazza giapponese.
Toccava ai ragazzi. La bomboniera andò verso l’ampolla degli uomini, scartando il biglietto con lentezza estenuante, e un nome riecheggiò nell’aria, facendo impallidire Zayn e facendogli perdere qualche battito: Il suo nome. Si avviò tremante verso il palco camminando come farebbe un animale per andare al macello – e tecnicamente lui stava andando a morire, quindi quella figura rappresentava molto il suo portamento – e salì con difficoltà sul palco dove trattenne le lacrime rifiutando il microfono, e nessuno nel frattempo guardava la signorina che annunciava che sarebbero stati i tributi del distretto tre che avrebbero partecipato alla Seconda Edizione della Memoria degli Hunger Games, guardavano tutti il loro genio e orgoglio del distretto che piangeva silenziosamente, mentre gli rivolgevano, come di consueto, il segno di rispetto, mostrando le tre dita.

 
***
 

Cadde dal letto, svegliato da un urlo. Si guardò intorno assonnato, dopo essersi rizzato sui gomiti e cercava con gli occhi l’orologio pieno di polvere, e magari fermo da giorni, che doveva trovarsi lì da qualche parte. Lo trovò, e a quanto pare era ancora funzionante, e scrutò da lontano l’ora, ma non riuscendo a leggerla per la sua vista non eccellente si alzò lentamente, con un occhio ancora chiuso e i capelli arruffati, massaggiandosi una natica piano mentre camminava verso l’orologio.  “Otto e trenta” biascicò assonnato per poi riavviarsi verso il letto, ma poi si fermò di colpo e stava per imprecare, ma riuscì a fermarsi in tempo. Corse subito verso il bagno, con una saponetta in mano ed inciampò nel suo lenzuolo cadendo disteso a terra. Era così maldestro. Si rialzò, nonostante il dolore, per correre a lavarsi e improfumarsi maledicendosi per aver scordato una data di cotale importanza: La Mietitura.
Finiti i suoi bisogni tornò svelto in camera per scegliere dei vestiti, optando poi per dei pantaloni neri – in realtà erano bianchi, ma la polvere nel distretto Undici non  perdonava – ,una camicia bianchissima e delle scarpe grigiastre. Scese giù per una rapida colazione, composta solo in realtà di latte munto qualche giorno prima e due o tre biscotti, che mangiò per la strada a causa del suo forte ritardo.
Entrò in piazza, piena di ragazzini disperati, così come i più grandi, d’altronde; Andò a fare il solito noioso prelievo e andò nella parte riservata ai ragazzi guardando tutti. “E’ possibile che si siano vestiti tutti meglio di me?” Pensò tra sé e sé guardando l’abbigliamento degli altri ragazzi che stavano a capo chino e non spiccicavano parola e poi paragonandolo al suo, che era l’unico che si guardava le vesti.
La vecchia signora entrò in piazza guardando tutti con un sorriso maligno, e mentre faceva partire il solito video Liam non poteva far altro che commentare sull’abbigliamento: chi mai avrebbe messo scarpe col tacco 15 color menta, una minigonna color Azzurro Tiffany ed una camicetta Blu Cobalto? Per non parlare dal cappello che probabilmente aveva rubato al Cappellaio Matto, o magari aveva preso una scatola di fagioli e se l’era messa in testa, chissà.
Comunque sia, mentre si incamminava verso l’ampolla delle ragazze Liam non poteva far altro che sperare, per il bene di quei poveri tacchi, che cadesse, ma questo purtroppo non accadde, anzi, annunciò che la ragazza per il distretto Dieci quell’anno sarebbe stata Suzanne Funke, la figlia della sorella del nonno della zia di sua madre… anche se erano ‘parenti’, non si erano mai visti molto. E poi toccava a loro, i ragazzi. Il povero Liam che poteva aspettarsi? Aveva solo qualche biglietto col suo nome nell’ampolla, a dispetto di alcuni che ne avevano trenta e più. Eppure, toccava a lui quell’anno. Fu un colpo al cuore, per lui e suo padre – sua madre era, purtroppo, morta – e il diciassettenne si avviò verso il palco, barcollante, e salì sopra facendo un discorso lungo papiri su suo padre, per poi venire minacciato dalla signora con un tacco sul piede, e la smise. Erano i partecipanti per gli Hunger Games. 

 
***
 

Nessuno aveva mai creduto in lui, a dir la verità. Sì, perché lui era solo ‘il ragazzino dai capelli biondi’, o ‘il figlio del macellaio’. Tutti lo reputavano debole, diverso, ma lui non era affatto così, lui non era stupido e codardo come gli altri pensavano.
Questi pensieri si riaffacciavano nella mente di Niall quella mattina, si potevano leggere nei suoi occhi. Si era svegliato di buon ora, era andato a mungere la loro mucca e poi era subito corso in cucina a preparare la colazione per la sua famiglia. Era sempre stato molto bravo a cucinare, e il latte ed i biscotti fatti in casa di quella mattina furono davvero i più buoni che lui, sua madre e suo fratello – suo padre era dovuto uscire di buon ora per il negozio – avessero mai assaggiato.
Si era già vestito di tutto punto appena sveglio, indossando un maglione bordeaux davvero carino, dei pantaloni beige e delle scarpe sul giallo, e dopo aver consumato la sua colazione uscì di casa incamminandosi subito verso la piazza, e guardando quasi con schifo le persone che gli passavano davanti, e lo guardavano storto.
Arrivato alla piazza, fece il suo solito prelievo e poi andò nella parte dedicata agli uomini, notando con soddisfazione che era l’unico vestito non di blu quel giorno.
Guardò la signora dai capelli di platino entrare con un vestito nero come fosse un corvo, davvero ben fatto stavolta, con delle piume sul collo e sul cilindro che aveva in testa, e dei tacchi alti neri. Ascoltò le sue parole come ogni anno, ma stavolta con più enfasi.
la ‘Signora Corvo’ si avvicinò all’ampolla delle ragazze, estraendo un nome a dire il vero mai sentito prima, una certa ‘Amanda Wright’ di cui Niall ignorava l’esistenza. E poi, toccava ai ragazzi. Prima che la donna potesse avvicinarsi all’ampolla, Niall alzò il braccio dicendo con autorità un bel “Mi offro volontario!”, seguito a dire il vero dalle risate di molti, anziani e non. Salì coraggiosamente sul palco, ed afferrò il microfono sin da subito, guardando la folla e sputando fuori, come se fosse veleno: “Voi credete che io non sia nessuno, vero? Io sono lo stupido della situazione, quel cretino che non sa fare niente, giusto? Bene, vi farò vedere. E quando tornerò vincitore, quando tornerò vincitore allora sì che mi divertirò, allora sì che voi mi adorerete ed io sarò pronto a calpestarvi, come tanti piccoli vermicelli.”
Sapeva benissimo che queste parole non gli sarebbero giovate nel gioco, ma lui doveva dirlo, prima o poi doveva dire quello che aveva pensato per tutti questi anni.
Ora avrebbe mostrato a tutti di cosa era capace, perché oramai era un concorrente della Seconda Edizione della Memoria degli Hunger Games.

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo. ***


2
Quell’anno non ci furono neppure i saluti, i concorrenti furono semplicemente presi e messi sul treno che viaggiava a massima velocità verso l’arena. Erano diversi, i concorrenti, alcuni umili, alcuni determinati a vincere, altri erano insicuri mentre certi parlavano come se avessero già vinto. Ma questo, a Niall non importava.
Era stato da subito messo su un treno, su un vagone sfarzoso, rinchiuso quasi in fondo nella sezione allibita per il distretto Otto; mentre Amanda, la sfortunata ragazza che insieme a lui era stata scelta come tributo, era rannicchiata e dondolava impaurita, cercando di non piangere, – “Sta impazzendo” sussurrò tra sé e sé Niall, sapendo che se davvero sarebbe impazzita non sarebbe di certo stata la prima – Niall era seduto al tavolo con Aymitch, il suo tutore, che doveva consigliarlo nell’arena, e non era intenzionato a lasciare l suo posto: voleva sapere tutto. Aymitch era l’unico che avesse mai vinto i Giochi nel distretto Otto, e sicuramente la maggior parte del lavoro l’aveva fatto la Fortuna, ma a Niall bastavano le dritte basilari, che l’uomo gli spiegò per tutto il viaggio. Seduti ad un tavolo notevolmente grande di mogano, circondati da frutta, dolci e cibarie varie, discutevano sulle varie tattiche; “Ci sono varie tipologie di tattiche per vincere questo scempio” iniziò l’uomo biondo, sulla cinquantina, magro e dal volto scarno, con la barba incolta e quasi privo di muscoli mentre masticava la propria Donut alla fragola, e Niall ascoltava attento, “Puoi nasconderti per tutto il tempo, o puoi combattere. Ora, io non so com’è l’arena, probabilmente ci sarà un luogo dove nasconderti, ma spesso sono molto più pericolosi. Quest’arena sarà piena di insidie, i programmatori faranno di tutto per uccidervi, ma voi non ci cascate. All’inizio, nella Cornucopia ci sono milioni di armi: puoi prenderle, o scappare. Lì, è un bagno di sangue, e se ti butti a prendere le armi ti uccideranno subito, a meno che tu non sia così veloce da scappare. Dimmi, tu in cosa sei bravo?” chiese Aymitch mentre si leccava le dita appena finito il proprio spuntino “Allora, mio padre era un macellaio, e io cacciavo spesso per lui… quindi sì, credo di essere bravino con l’arco, e con la spada” rispose sicuro Niall mentre lo guardava negli occhi prima di tornare a guardare fuori, sospirando silenziosamente quando vide che dell’Arena non vi era traccia. “Molto bene figliolo, molto bene. Gli archi li mettono spesso per primi, perché nessuno li vuole, ma stai lontano dalle spade perché tutte le vogliono e sono nascoste nella Cornucopia; inoltre, sono abbastanza pesanti.” Niall annuiva interessato mentre annotava mentalmente tutte quelle informazioni, guardando poi preoccupato la ragazza. “Amanda, vieni?” Le chiese preoccupato con un filo di voce, mentre la ragazza si limitò a scuotere velocemente la testa con un pollice in bocca: in quel momento, Niall capì che avrebbe dovuto proteggerla, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea. 

***

Zayn era più spaventato che determinato a vincere; dopo una buona oretta di pianti sul lussuoso treno, decise di asciugarsi le lacrime con le maniche del maglione blu e di andare a sedersi sui divanetti con il proprio tutor al fianco. Il tutor, non era di certo un uomo qualunque: era alto, molto alto, di carnagione scura e con gli occhi grandi e neri, ma quando sorrideva questi si limitavano a due fessure… era un tipo di cui ci si poteva sicuramente fidare. La barba dell’uomo era nera e abbastanza riccia e folta, anche se non si poteva sicuramente paragonare a quella dei programmatori, ed i capelli erano ben tagliati e di un nero unico: le idee che aveva per la testa erano delle migliori, un vero genio, e Zayn sentiva di poter star lì a parlargli per ore e ore, ma adesso non si poteva.
Seduti – o meglio, sdraiati! – sui comodi divanetti viola, discutevano sulle tecniche di sopravvivenza perché, andiamo, tutti sapevano che Zayn non sapeva neppure cosa fossero le armi. “Sai già qualcosa al riguardo?” Si rivolse a lui Christopher, il suo tutor, con un sorriso; “Sì,” Zayn tossì “So che non si deve accendere un fuoco, o si può venire scoperti, e so che si deve avere sempre un po’ d’acqua vicino o si può morire dissetati. E ovviamente, devo saper cacciare, per del cibo. A questo proposito avevo progettato una macchina che..” a questo punto Christopher rise guardando il ragazzo che tirava fuori dal proprio borsone una scatoletta che sarebbe dovuta servire a cacciare. “Zayn, ti serve un arco” Lo guardò sorridendo l’uomo bruno intenerito poi dall’espressione spaventata del ragazzo moro al suo fianco, “Ma anche questa.. scatoletta può essere buona” disse con una risata appena accennata il tutor mentre si rigirava lo strano marchingegno tra le mani. “Hai per caso intenzione di usare qualche arma?” “ No!” rispose subito il ragazzo moro mentre si sistemava gli ampi occhiali sul naso, “Devi almeno provarci. In allenamento magari, ti scoprirai bravo. E sinceramente ti ci vedo con i coltelli” replicò subito Christopher scompigliando i capelli al ragazzo. “Andiamo a mangiare, mh?” Gli sorrise prendendolo per mano e andando con passo svelto verso il tavolo, e iniziarono a fare un ampio pasto mentre discutevano del più e del meno, tirando in ballo, ogni tanto, qualche consiglio sul Gioco.

***
Presuntuoso. Già, credo sia proprio questa la parola che al meglio poteva descrivere il ragazzo dagli occhi cerulei che Louis era. Non una dritta, non un parere, non un saluto, Nulla. Non aveva voluto nemmeno mangiare qualcosa. Era andato in camera sua senza dire niente a nessuno, e non uscì fin quando non furono arrivati a Capitol City, lasciando così Gappeus, il suo tutor, con un palmo di naso.
Non aveva neppure dato uno sguardo al lussuoso vagone che lo circondava, ai gustosi cibi che gli stavano intorno, si era solo rintanato nella sua cabina. Era spaziosa, blu, come i suoi occhi, il pavimento di moquette verde stonava completamente con il resto della stanza di un blu cielo, e con il letto dalle lenzuo9la bianche e pulite. La mobilia, era anch’essa modernissima, e rigorosamente bianca. Fuori dal finestrino si poteva benissimo scorgere un gruppo di alte montagne che si ergevano maestose qua e là, quasi rosse.
Sì mise a sedere sul letto, le ginocchia larghe, i gomiti poggiati su di esse e la fronte poggiata sui palmi aperti, guardandosi le scarpe. E’ l’ora di una doccia pensò semplicemente facendo spallucce.
I passi quasi nemmeno si sentivano tanto era leggero il passo, e un bagno rosso si aprì davanti i suoi occhi, accecandolo quasi per l’improvvisa luce: i suoi occhi erano fin troppo sensibili. Eppure la doccia non durò molto. Una decina di minuti. E quando uscì aveva quel dannato odore di cocco impresso addosso, i capelli bagnati che gli ricadevano sulla fronte e un asciugamano rosso fuoco legato alla vita, in contrasto con la carnagione chiara. Sì guardò allo specchio e sospirò, triste. Sei qui per vincere, e già sei giù di corda gli rinfacciava la vocina nella testa che lui riteneva tanto odiosa.
Allora lanciò uno sguardo aggressivo allo specchio, sorridendo poi sghembo: “Gli occhi della tigre, Louis. Gli occhi della tigre” dice più a lui che allo specchio o alla vocina nella propria testa, assottigliando gli occhi.

***
Da non sottovalutare, Harry. Davvero da non sottovalutare. Aveva un ottimo istinto di sopravvivenza, la sua abilità con le parole – e con i nodi – gli procurava un netto vantaggio: gli avrebbero procurato cibo e sponsor. Ma ahimé, quella era un’Edizione della Memoria, e Snow solo sapeva cosa potevano aspettarsi i tributi perché, con uno strappo alla regola, i dettagli dei Cinquantesimi Giochi non erano stati rivelati: di solito, prima della mietitura si sceglie in base a quale criterio sarebbero stati stavolta scelti i Tributi (per la Prima Edizione della Memoria scelsero solo Ottantenni. Inutile dire che i Giochi finirono in fretta, e che furono i più patetici mai visti). Forse quest’anno la mietitura era stata normale, anche se i saluti erano stati esonerati, il che risultava a tutti molto strano.
Ma bando alle ciance, Harry era “Il ragazzo che si era offerto per il ragazzino”. Cosa diavolo mi era passato nella testa? Osserva stringendo i capelli  a testa bassa, digrignando oramai i denti. E la sua tutor, Sostee, non era affatto d’aiuto: non aveva smesso un attimo di spettegolare sulle sue ‘amiche’ del Capitol, e ne avrebbe avuto ancora per molto. In quel momento, Harry capì che avrebbe dovuto cavarsela da solo. Si mise a sedere su un comodo divanetto bordeaux, in tinta col maglione che aveva indossato dopo esser andato a darsi una rinfrescata nella propria cabina, portando le ginocchia al petto e posando le mani sui soffici jeans beige, fin troppo stretti a dire il vero. Guardava fuori, osservando la campagna passargli davanti a velocità estrema, mordendosi il labbro ogni tanto. Ma non stava pensando affatto al paesaggio circostante, bensì ai propri avversari. Li incontrerò lì conluse in fine facendo spallucce, mentre tratteneva la risata. E sì, assomigliava molto ad un pazzo, tenendo conto che la sua compagnia di avventure – o sventure, per meglio dire – stava facendo di tutto per farsi notare da Sostee, che tra una tazza di tè e l’altra sparlava dell’importanza dello smalto nell’estetica di oggi.

 
***
 
Liam, il goffo Liam. Appena entrato sul treno era già caduto disteso sulla moquette viola! Ma in compenso, la sua mentore era preparata; si chiama Sam, la ragazza che avrebbe dovuto fargli da mentore, e non aveva più di venti anni: probabilmente aveva vinto due anni prima, ma Liam e la memoria erano agli antipodi. Gli chiese in cosa era bravo, e lui semplicemente si limitò a stringersi nelle spalle guardandola dritta negli occhi. Magari era simpatico, e questo poteva aiutarlo con gli sponsor, ma se davvero non sapeva fare niente, allora era in guai seri.
“Ohw” era stata la reazione di Sam alla risposta di Liam sulla domanda dei talenti “Se vuoi, allora,  potrei insegnarti qualche tecnica di sopravvivenza.”
“Beh.. sì, magari sì” le sorrise timidamente arrossendo quasi in volto mentre bofonchiava queste parole. Era visibilmente attratto da lei, anche se non era il momento migliore per fissare il seno della ragazza magra che si intravedeva dalla scollatura.
Iniziarono con un paio di nozioni basiche, tra cui quando accendere un fuoco, quali piante si possono mangiare, e cose del genere. Per le piante, era davvero bravo. Forse perché suo padre aveva un’erboristeria in piazza, o forse perché semplicemente gli piaceva raccogliere, ogni tanto, fiori, erbe commestibili, cose così.
Magari si sarebbe nascosto tutto il tempo, come prima di lui avevano fatto quelli che oramai venivano soprannominati da tutti Morfaminomani, per via del loro abuso di Morfamina, un medicinale molto potente, simile quasi alla droga.
Il suo corpo non era muscoloso, e i capelli lunghi gli ricadevano sulla fronte mentre l’acqua calda scorreva sulla sua pelle vellutata. Nonostante mancassero giorni, magari settimane all’inizio dei Giochi, Liam era pronto.


 

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