Spesso amore e odio vanno insieme

di Lux_daisy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-Il primo giorno ***
Capitolo 2: *** 2-Rivelazioni ***
Capitolo 3: *** 3-Una lettera inaspettata ***
Capitolo 4: *** 4-Trappola ***
Capitolo 5: *** 5-Decisione ***
Capitolo 6: *** 6-Uno di noi ***
Capitolo 7: *** 7-Bloccati ***
Capitolo 8: *** 8-Villa con piscina ***
Capitolo 9: *** 9-Sentimenti contrastanti ***
Capitolo 10: *** 10-Un messaggio a tarda ora ***
Capitolo 11: *** 11-C'è amore dietro ogni 'ti odio' ***
Capitolo 12: *** 12-Un risveglio movimentato ***
Capitolo 13: *** 13-Lasciare i Varia ***
Capitolo 14: *** 14-Lo voglio. Mi piace. E' mio. ***
Capitolo 15: *** 15-Domande e risposte ***
Capitolo 16: *** 16-Semplice ***
Capitolo 17: *** 17-L'inizio della fine ***
Capitolo 18: *** 18-La fine ***
Capitolo 19: *** 19-Per sempre ***



Capitolo 1
*** 1-Il primo giorno ***


Salve a tutti ^^ senza dilungarmi troppo, voglio solo dire che questa è la fiction delle mie prime volte: è la mia prima long, la mia prima AU e la prima drammatica che scrivo u.u e beh, non potevo non dare l'onore (?) di accompagnarmi in questa avventura ai miei amori, ovvero Xanxus e Squalo <3 con l'aggiunta di un giovane Dino Cavallone. Spero che questo primo capitolo vi piaccia e che non vi risulti troppo lungo, ma non potevo abbreviarlo perchè il meglio viene alla fine ^^ buona lettura!
 

Il primo giorno



L’Accademia Galileo Galilei, una prestigiosa scuola privata dotata di tutti i privilegi e comfort possibili a disposizione degli studenti provenienti dalle più ricche e facoltose famiglie italiane: dormitori di lusso, alta cucina, servizio di lavanderia, stimati professori pronti a mettere a disposizione la loro esperienza per formare e plasmare le menti dei giovani studenti.

“Che diavolo ci faccio io in un posto del genere?”. Per l’ennesima volta da quando si era svegliato poche ore prima, la domanda si affacciò nella sua mente, mentre, fermo davanti all’elegante cancello in ferro battuto, osservava l’edificio davanti a sé, l’aria spaesata e lo sguardo un misto tra l’incredulo e lo scocciato. Rimase immobile in quella posizione per lunghi minuti, gli occhi persi ad ammirare quel luogo che sembrava essere di un altro tempo e non fece caso agli studenti vicini che continuavano a lanciargli occhiate furtive e a bisbigliare tra di loro, chiedendosi chi fosse quello strano ragazzo. Solo quando riemerse dalla sua contemplazione se ne accorse e non poté biasimarli: lui, con i corti capelli di uno strano colore argentato e con indosso un jeans nero strappato, stivali di pelle borchiati e una maglietta bianca decorata da diversi teschi, dava decisamente nell’occhio, considerando soprattutto il fatto che gli altri ragazzi portavano le eleganti uniformi con i colori della scuola, blu notte e bianco. Avevano tutti l’aria dei classici figli di papà pieni soldi e dato l’alto livello di prestigio dell’Accademia e la cifra che bisognava sborsare per entrarci, il nuovo arrivato non dubitò della sua prima impressione.

“Questo posto non fa per me”. Si voltò e stava quasi per andarsene, pur consapevole delle conseguenze di un simile gesto, quando una voce squillante che chiamava il suo nome lo costrinse a voltarsi nuovamente.
<< Squalo! >>. Pochi secondi dopo, davanti a lui si fermò un ragazzo biondo con gli occhi di un caldo castano e un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Indossava i pantaloni blu e la camicia bianca dell’uniforme, ma mentre quella degli altri era perfettamente abbonata e corredata di cravatta, la sua ne era priva e i primi bottoni erano slacciati; inoltre le maniche erano arrotolate fino ai gomiti e gli davano un’aria più trasandata rispetto al resto degli studenti.
<< Tu sei Squalo, vero? >> gli chiese senza smettere di sorridere, << io sono Dino Cavallone. Benvenuto alla Galilei! >>. Squalo guardò la mano dell’altro tesa verso di lui e solo dopo qualche secondo gliela strinse poco convinto.
<< Grazie >> borbottò, senza ben sapere cos’altro aggiungere.
<< Le tue cose sono già state portate nella tua stanza. È la 104 al secondo piano del dormitorio. Ti faccio vedere dov’è, così puoi cambiarti, anche se è un peccato: il tuo look mi piace molto. Qua purtroppo bisogna andare in giro con l’uniforme per tutto il giorno; solo dal tramonto in poi e per tutta la Domenica siamo liberi di vestirci come ci va. A proposito di questo… >>. Pochi minuti dopo, durante il tragitto verso il dormitorio, Squalo si rese conto con un certo fastidio che Dino era il tipo di ragazzo in grado di parlare a macchinetta senza apparentemente aver bisogno di prendere aria o comunque di fermarsi per assicurarsi che l’interlocutore lo stesse almeno ascoltando, cosa che lui non stava facendo con particolare attenzione. Il biondo cercò di spiegargli dove si trovassero le aule e altri luoghi, ma Squalo si sentì decisamente perso dopo i primi minuti. L’unica cosa che gli fu chiara fu il fatto che quel posto fosse davvero enorme: l’edificio centrale raccoglieva le aule, la mensa, la biblioteca, l’infermeria e l’ufficio del Preside; i dormitori e la palestra erano in due edifici separati ma contigui. Per spostarsi da una struttura all’altra bisognava attraversare i curatissimi giardini, ricchi di alberi, panchine e persino fontane. Più che un’Accademia sembrava uno di quei college americani che si vedono in tv, tipo Harvard o Yale. Una volta giunti a destinazione – Dino non aveva smesso di parlare neanche per un attimo- Squalo si rese conto di aver già dimenticato la strada percorsa.
“Forse dovrei farmi dare una mappa” si disse mentre il biondo apriva con una chiave la porta della stanza 104.
<< Ecco la nostra camera! >> annunciò allegro.
Squalo lo guardò confuso. << Nostra? >>.
Dino entrò e gli sorrise. << Certo! Da oggi saremo compagni di stanza! Sono sicuro che diventeremo ottimi amici! >>.

“Io non ne sono così sicuro” si ritrovò a pensare Squalo, varcando la porta. Non che Dino gli stesse antipatico o chissà che, ma lui tendeva a non andare molto d’accordo con le persone troppo chiacchierone o espansive. E Dino gli sembrava proprio quel tipo di persona.
Mentre la sua parte di stanza era spoglia e vuota, con la sua sola valigia ai piedi del letto, il lato di Dino era l’apoteosi del caos: vestiti buttati dovunque, libri e riviste sparsi non solo sulla scrivania e sul letto ma anche per terra, resti di cibo non meglio identificati qua e là. L’unico elemento perfettamente ordinato che stonava in quel luogo era una chitarra elettrica nera e bianca appoggiata al suo supporto alla parete vicina al letto.
<< Ahahah, scusa il disordine! >> esclamò Dino accarezzandosi la nuca, << ma non ho avuto tempo di mettere a posto >>.
Squalo si spostò verso il suo lato della stanza. << Non preoccuparti >> disse sedendosi sul materasso. Del resto neanche lui era un tipo molto ordinato.
<< Visto che sono le quattro del pomeriggio, le lezioni sono finite e adesso ci sono le attività dei club. Se ti interessa, ci sono tante cose interessanti da fare: calcio, basket, tennis, arti marziali, teatro, musica, danza… beh, immagino che di sicuro non ti metterai a ballare >> concluse ridendo divertito.
Squalo gli lanciò un’occhiata, pensando che quella battuta non fosse per niente divertente, ma tenne la considerazione per sé. << Tu in quale club sei? >> gli chiese invece.
Dino sorrise di nuovo e si illuminò tutto. << Io sono nel club di musica! >> dichiarò afferrando la chitarra, << insieme ad altri stiamo cercando di mettere su una band. Tu suoni qualche strumento? >>.
<< Una volta suonavo la batteria… >> rispose mesto, pensando ai giorni in cui il suo sogno era quello di diventare il batterista di una rock band. Si sentì quasi ingenuo, rendendosi conto di com’era la sua vita prima che tutto si distruggesse e cambiasse per sempre. Non era più lo stesso ragazzo di allora.
<< Wow! Fantastico! Allora potresti unirti a noi! >> gli propose allegro Dino.
<< Non so… ci penserò su… >> tagliò corto l’altro. Non aveva voglia di discutere di certe cose. Al biondo si smorzò subito l’entusiasmo, ma sembrò capire l’antifona perché con un sorriso gentile disse: << Oh, certo capisco. Sei appena arrivato, devi ancora ambientarti. Non c’è nessuna fretta: hai tutto il tempo per decidere >>.
<< Mmh >> mugugnò Squalo in assenso, << quindi ora vai al club? >>.
Dino annuì. << Sì. Le attività durano circa due ore, quindi per le sei dovrei aver finito. Se hai bisogno di qualcosa… >> si interruppe e prese a tastarsi i pantaloni in cerca di qualcosa, << ecco qua! >> esclamò avvicinandosi. Gli diede un pezzo di carta con dei numeri scritti sopra, << è il mio numero di cellulare: per qualsiasi problema, chiamami >>.
Squalo lo prese e borbottò un grazie.
<< Ottimo! Ora vado, ma quando torno, ti faccio fare un giro dell’Istituto. Se vuoi uscire ricordati di indossare l’uniforme: qua sono molto rigidi con le regole >>. Detto questo, con ancora la chitarra in mano, uscì dalla stanza, lasciando Squalo da solo con i suoi pensieri. Si alzò dal letto e decise di disfare i bagagli, anche se non aveva portato molte cose con sé. Come Dino, aveva a disposizione un letto con comodino, una scrivania, un armadio e una libreria, il tutto in quello che a Squalo sembrò un legno pregiato e costoso. La stanza aveva due finestre che davano su uno dei giardini dell’Accademia: in quel momento era completamente vuoto e gli unici rumori che si sentivano erano il suono degli uccelli e lo scroscio dell’acqua della fontana.

“Saranno tutti impegnati con i club o a studiare” si disse, mentre lasciava che un leggero venticello gli scompigliasse i capelli. Chiuse gli occhi e per qualche istante cercò di non pensare a dove si trovasse e soprattutto al perché: se si fosse lasciato trasportare dai ricordi e dai sentimenti, non era sicuro di poter trattenere la rabbia e le lacrime. Si riscosse e una volta tornato al letto, fu costretto ad affrontare ciò che da quando era entrato si era sforzato di ignorare. Pantaloni blu scuro dal taglio classico, camicia bianca con ricamato sul taschino lo stemma della Galilei, cravatta della stessa tonalità di blu e orrende scarpe color cuoio. Un brivido di ribrezzo gli attraversò l’intera colonna vertebrale al pensiero che avrebbe dovuto abbandonare il suo look costruito negli anni per indossare quella roba. Se c’era una cosa che Squalo ancora amava della sua vita passata era l’immagine che si era costruito: per molti poteva essere quella di un teppistello o di uno che si atteggiava a rockettaro indossando pelle, borchie e teschi, ma per lui era una parte di sé. Amava la musica rock fin da piccolo: suo padre gli aveva fatto conoscere artisti come Sex Pistols, Pink Floyd, Led Zeppelin, Ramones e Squalo li aveva divorati, bisognoso di conoscere sempre di più. Si era innamorato dei Nirvana, Guns ‘n’ Roses per poi arrivare ai Metallica, agli Skillet, ai Red, ai Breaking Benjamin e a tantissime altre band che era impossibile nominare tutte. Spaziava da un tipo di rock all’altro, assaporando la musica, i testi e gli assoli e ogni volta che scopriva una nuova band, era sempre di curioso di conoscerla a fondo e di scoprirne l’intera discografia. Così col tempo aveva sviluppato il desiderio di non limitarsi ad ascoltare il rock, ma di farne parte, anche nel suo piccolo e, dopo aver trasformato il suo look, aveva deciso di imparare a suonare la batteria.

Tutto questo prima di quel fatidico e terribile giorno in cui aveva perso i genitori e la sua vita era stata stravolta. Ora che si ritrovava in quella scuola, avrebbe dovuto dire addio anche al suo look.

“Di sicuro sembrerò un idiota con questa roba addosso” si disse rassegnato, mentre osservava l’uniforme ancora stesa sul letto. Subito dopo si disse anche che era stanco e non aveva nessuna voglia di andarsene in giro come un’anima in pena, senza togliere il fatto che era sicuro di perdersi se avesse gironzolato senza un guida. Così sistemò la divisa nell’armadio e, dopo essersi tolto solo gli stivali, si buttò sul materasso e prima di rendersene conto, stava già dormendo profondamente.
 
 
Che cosa ne facciamo del ragazzo?
Io non voglio averci a che fare! Avete visto come se ne va in giro?
Ho sentito dire che è stato coinvolto in diverse risse e che ha rischiato di farsi espellere dalla scuola.
Io non ho intenzione di prendermi un delinquente in casa!
Ma è il figlio di tua sorella!
E allora! Mia sorella avrebbe dovuto allevarlo meglio! E se poi portasse sulla cattiva strada mia figlia? Non posso rischiare! Se ne occuperanno i servizi sociali!
 
 
Luigi Cavallone? E chi è?
È il Preside dell’Accademia Galileo Galilei, quella scuola per ricconi snob.
E perché all’improvviso vuole prendersi cura di Squalo?
Sembra che fosse un caro amico dei suoi genitori…
Quindi gli permetterà di frequentare quella costosissima scuola senza sborsare un soldo?
A quanto pare…
 
 
<< Squalo! Squalo, svegliati! >>. All’improvviso le voci del suo sogno si affievolirono fino a scomparire del tutto, sostituite dalla voce squillante di Dino. Squalo sbatté gli occhi un paio di volte prima di mettere a fuoco il volto allegro del biondo, corredato dal solito sorriso che sembrava essere una parte indelebile della sua persona.
<< Finalmente hai aperto gli occhi, principessa! >> scherzo l’altro, scompigliandogli affettuosamente i capelli. Per tutta risposta Squalo gli lanciò un’occhiataccia omicida che fece indietreggiare l’altro di un passo.
<< Ahahah, non te la prendere! >> esclamò con una risata nervosa, << stavo solo scherzando. Il fatto è che ho provato a svegliarti diverse volte, ma senza risultato. Dovevi essere proprio stanco morto… sembravi la Bella Addormentata >> concluse, le mani alzate in segno di resa.
Squalo emise uno sbuffo che somigliava più a un ringhio, ma si trattenne dal rispondergli per le rime. “Che mi succede? Una volta avrei picchiato qualcuno per molto meno…”. In effetti era ormai da tempo che aveva perso la voglia di combattere e di attaccar briga, così si limitò a mettersi seduto sul letto e a stiracchiarsi come un gatto.
<< Alloraaa… >> esordì il biondo, prolungando apposta l’ultima vocale, << visto che sei sveglio, ti fa di fare un giro? Ti mostro la scuola! >>. Era di sicuro più emozionato lui di Squalo.
<< Ok. Dammi solo il tempo di farmi una doccia >> rispose, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il bagno: come gli aveva spiegato Dino al suo arrivo, ogni stanza disponeva di un bagno personale, un po’ come le camere degli alberghi. “Qua non conoscono proprio il significato del verbo risparmiare” si disse, mentre si ficcava sotto il getto d’acqua. Dopo pochi minuti era sveglio, pulito, riposato e pronto per il tour della scuola.

Adesso che tutte le lezione e le varie attività erano concluse, anche Dino, come tutti gli altri studenti, aveva smesso l’uniforme e indossava un pantalone taglio militare color beige, un paio di sneakers bianche e una maglia verde scuro con un particolare disegno di fiamme stilizzate. Nell’insieme stava davvero bene, notò Squalo e non fu il solo. Durante il tragitto, il nuovo arrivato cercò di prestare attenzione a tutti i dettagli dell’ambiente circostante, nel tentativo di imprimersi nella mente i luoghi e i percorsi, sperando così di non perdersi in futuro. Ogni volta che passavano vicino a un gruppo di ragazze, queste interrompevano le loro attività e si voltavano a fissarlo con aria estasiata, sorridendo e bisbigliando tra loro. Alcune trovavano anche il coraggio di salutarlo e Dino rispondeva con uno dei suoi soliti sorrisi, provocando nell’interessata un aumento esponenziale del rossore in viso.

“È davvero popolare” pensò l’altro, osservandolo con la coda dell’occhio, “e non solo perché è il figlio del Preside”. Pur controvoglia, Squalo dovette ammettere che Dino non era per niente il tipo snob, presuntuoso e arrogante – e dire che ne avrebbe anche avuto i motivi, visto di chi era figlio e visto il suo successo con le ragazze. Invece sembrava proprio non fare neanche caso al modo in cui veniva guardato, continuando a parlare a ruota libera come al solito, intento a mostrare a Squalo la scuola e a dargli qualsiasi informazione ritenesse utile. Molte delle quali non si sarebbero potute definire tali e Squalo pensò più volte di farglielo notare, ma alla fine si convinse che lo stava facendo solo per essere d’aiuto e sperò in cuor suo che, una volta passato quel primo periodo di ambientamento, avrebbe smesso di riempirgli la testa di chiacchiere inutili.
 
Alla fine il tour della Galilei fu così lungo che i due ragazzi si ritrovarono stanchi e affamati e, controllando l’orologio, si accorsero che era già ora di cena. La mensa era aperta dalle 20:00 alle 21:30 e visto che erano già le otto passate, Dino e Squalo tornarono verso l’edificio centrale.
La mensa si trovava al piano terra e si costituiva di una grande sala quadrata occupata da dozzine e dozzine di tavoli di legno chiaro disposti in modo perfettamente ordinato; alla destra dell’ingresso c’era il lungo bancone dov’erano esposte le prelibatezze preparate dai cuochi e solo il profumo che si respirava fece venire a Squalo l’acquolina in bocca.

Dopo aver preso i vassoi ed essersi serviti, Dino e Squalo si spostarono alla ricerca di un tavolo libero. La mensa era già gremita di studenti e la maggior parte dei posti erano occupati; così Squalo si sedette ad uno dei tavoli vicino la finestra che era stato stranamente lasciato libero. Nell’istante in cui posò il vassoio e si accomodò, sentì il vociare diminuire di colpo e percepì addosso gli occhi di molti.
<< Squalo, alzati! Non possiamo sederci qui >> gli disse Dino con tono ansioso. Squalo inarcò un sopracciglio e sbuffò scocciato.
<< Perché no? È un tavolo come un altro! E poi io ho fame >> tagliò corto il ragazzo, afferrando la forchetta. Non capiva davvero perché stesse facendo tutte quelle storie per un tavolo e soprattutto con quella faccia spaventata.
<< Squalo, ti prego! >> lo supplicò il biondo, << non puoi restare lì >>.
Squalo lasciò andare la posata e fissò Dino con aria di sfida. << Perché no? >>.

<< Perché quello è il mio tavolo, feccia >>. Squalo vide l’amico sgranare gli occhi e quando questi si spostò per guardarsi alle spalle, entrambi poterono osservare il proprietario di quella voce cavernosa e profonda. D’un tratto un silenzio pesante calò sull’intera sala e tutti gli occhi dei presenti si fissarono sulla figura del nuovo arrivato. Un ragazzo alto dalla pelle scura, con corti capelli neri rasati vicino alle orecchie e gli altri lasciati più lunghi e spettinati ad arte; gli occhi erano rossi e una cicatrice simile a una grande voglia marrone dai bordi irregolari faceva bella mostra di sé sulla guancia sinistra. Indossava un pantalone e un paio di stivali, entrambi neri e una camicia rosso scuro, portata col colletto slacciato e le maniche arrotolate, che mettevano in mostra le braccia muscolose segnate dalle stesse strane cicatrici del suo volto. Il suo sguardo era palesemente infastidito e tutta la sua figura esprimeva una tale rabbia e potenza che Squalo non poté non sentirsene sorpreso. Era certo di poter dire di non aver mai incontrato qualcuno come lui. Solo allora si accorse che tutta la mensa era ammutolita e li fissava con sguardi angosciati.
Il moro spostò malamente Dino, rischiando di farlo cadere con tutto il vassoio e si avvicinò al tavolo, puntando i suoi occhi di fuoco su Squalo, che gli restituì l’occhiataccia.
<< Non mi hai sentito prima, feccia? Ti ho detto che questo è il mio tavolo. Levati! >>. La sua voce era fredda e glaciale, ma al tempo stesso emanava un alto livello d’ira.
“Feccia? Ma chi cazzo pensa di essere?”. La sorpresa di Squalo lasciò il posto ad altrettanta rabbia: nessuno si poteva permettere di parlargli in quel modo. Appoggiò le spalle alla sedia e incrociò le braccia al petto, lanciando all’altro un sorriso di sfida.
<< Scusa, ma non mi pare che ci sia il tuo nome scritto qua sopra, qualunque esso sia, quindi perché non ti levi dai piedi e vai a sederti da qualche altra parte? >>.
Gli occhi del moro si affilarono e tale divenne il silenzio nella sala che si riuscivano a sentire i sospiri angosciati degli altri studenti.
<< Squalo! >> soffiò Dino in tono sempre più spaventato.
<< Forse non ti rendi conto con chi stai parlando, feccia >> replicò il moro, poggiando le mani sul tavolo e avvicinando il volto a quello di Squalo, << per il tuo bene ti conviene spostarti all’istante >>.
L’altro gli rispose con una breve risata. << Spiacente, non prendo ordini dagli idioti >>. Un ghigno si dipinse sul volto, mentre il resto degli studenti lo fissava come se avesse appena estratto una pistola e minacciato tutti loro. Alcuni ebbero addirittura la sensazione che il tempo rallentasse, mentre aspettavano la reazione del moro. Questi si risollevò, togliendo le mani dal tavolo e scoppiò in una grossa risata che risuonò per tutta la mensa. << Hai le palle, feccia; lo apprezzo >> gli disse piantandogli gli occhi addosso, mentre un sorriso ferino si apriva sul suo volto, << ma questo non vuol dire che non te la farò pagare per la tua insolenza >>.

Neanche il tempo di pronunciare queste parole che, con un movimento fulmineo, afferrò la testa di Squalo e la spinse con forza contro il piatto di pasta sul suo vassoio, facendola cozzare con un rumore che rimbombò per lunghi secondi. Tutto il locale sembrò trattenere il respiro; persino Dino era rimasto inchiodato al suo posto, gli occhi sgranati e le mani che ancora tenevano il vassoio.
<< Vooooooooi! >>. Squalo rialzò di scatto la testa, il volto ricoperto dei resti della sua cena e uno sguardo furioso puntato sul moro. << Che cazzo ti salta in mente? >> gridò ancora, alzandosi in piedi. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, mentre sentiva la rabbia invadergli ogni arteria, ogni nervo, fino ad arrivare al cervello. Nessuno aveva mai osato umiliarlo in quel modo.
<< Ho solo migliorato il tuo aspetto, feccia. Dovresti essermi grato >> rispose l’altro con arroganza e con il ghigno di prima che non aveva lasciato le sue labbra.

Squalo scattò in avanti come una furia e afferrò il colletto della camicia dell’altro; gli altri studenti li fissarono in preda alla paura e all’incredulità. Nonostante i diversi centimetri di altezza che li separavano, Squalo non si lasciò intimidire: aveva messo al tappeto tizi anche più grossi. Il ghigno sul volto del moro sparì all’istante, trasformandosi in un’espressione di rabbia che riuscì a far vacillare l’altro per un istante. Nel fissare i suoi occhi rossi, Squalo ebbe la sensazione di osservare le fiamme dell’inferno danzare e ne restò rapito e terrorizzato allo stesso tempo. Era come guardare un pezzo della sua anima e tutto quello che riusciva a scorgere era fuoco, sangue e ira.
“Chi diavolo è questo tipo?” si chiese un angolo della sua mente.
<< X-xanxus, ti prego, lui è nuovo, è arrivato solo oggi… >> intervenne Dino, sperando di riuscire ad evitare il peggio. Era compito suo occuparsi di Squalo: non poteva lasciare che venisse coinvolto in una rissa proprio con Xanxus.
Il moro guardò l’altro con la coda dell’occhio, ma lo ignorò subito dopo, riportando la sua attenzione al ragazzo che ancora lo teneva per la camicia e lo fissava con odio. Una parte di lui non poté non restarne sorpresa, dato che mai nessuno fino ad ora aveva mai dimostrato tanto coraggio o inconscio desiderio di morire. Gli strinse il polso fino a provocargli una smorfia di dolore, ma il nuovo arrivato non sembrava avere intenzione di cedere tanto facilmente.
<< Squalo, per favore, lascialo andare! >> esclamò allora Dino con tono serio.
<< Dovresti ascoltare il tuo amico, Squalo >>. L’intonazione che mise nel pronunciare il suo nome, derisoria e con una punta di disprezzo, lo fece imbestialire così tanto che per un attimo gli sembrò che tutto quello che lo circondava sparisse, lasciando soli lui e Xanxus. Senza lasciare la presa sulla camicia dell’altro, strinse l’altro pugno e si preparò a colpire, ma una mano gli afferrò il polso per poi tirargli indietro il braccio, costringendolo ad allontanarsi dal moro. Convinto che Dino o qualcuno degli studenti avesse deciso di intervenire, Squalo stava per urlargli di non mettersi in mezzo, ma, voltatosi, le parole gli morirono in gola. Davanti a lui, con indosso un pantalone marrone e una camicia bianca, un uomo con corti capelli castani e un accenno di barba lo fissava severo. Era il professor Verelli: lui e Dino l’avevano incontrato neanche un’ora prima durante il giro della scuola e il biondo gli aveva detto che insegnava matematica e fisica e che era un tipo molto rigoroso e ligio al dovere.

 << In questo istituto i comportamenti violenti non sono tollerati, signor Superbi, perciò, se non vuole iniziare la sua permanenza alla Galilei con una visita all’ufficio del Preside, Le consiglio vivamente di tornare alla Sua cena >>.
“Che cazzo! Come se fosse colpa mia!” pensò furioso e aveva tutta l’intenzione di replicare, quando Dino si frappose tra lui e l’uomo e con un sorriso forzato disse: << Ci scusi, professore. È stato solo un equivoco! Le prometto che non succederà più >>.
Verelli lo scrutò per alcuni istanti e sospirò spazientito. << Lo spero bene anche per Lei, signor Cavallone. Essere il figlio del Preside non La esime dal tenere un comportamento impeccabile come tutti gli altri studenti >>.
“E a questa arrogante testa di cazzo non dice niente? È stato lui ad iniziare!”. Squalo lanciò un’occhiataccia rabbiosa al professore, ma quello si era già voltato per tornare al suo tavolo.

Una volta che l’uomo fu lontano e gli altri studenti si rasserenarono, Xanxus superò Squalo spintonandolo, ma nel farlo avvicinò rapidamente la bocca all’orecchio dell’altro e in sussurro disse: << Considerati fortunato, feccia. Se avessimo continuato, ti avrebbero dovuto raccogliere con il cucchiaino >>. Poi si sedette al tavolo e, dopo aver spostato il vassoio di Squalo con la punta dello stivale, incrociò i piedi sulla superficie, fissando i due ragazzi con un ghigno divertito.
<< Brutto… >> iniziò Squalo, ma Dino lo strattonò per un braccio, intimandogli con lo sguardo di non ricominciare. Non riprese neanche il suo vassoio e si allontanò furioso. Per la prima volta dalla morte dei suoi genitori desiderava picchiare di nuovo qualcuno.



Oh mammina, se siete arrivati fin qua innanzitutto vi ringrazio *inchino* spero che questo inizio non vi abbia annoiato e anzi vi abbia fatto venir voglia di leggere il seguito ^^ ora più che mai i vostri commenti sono fondamentali (se la storia non piace che la continuo a fare, no?) quindi fatemi sapere che ne pensate ;) alla prossima
PS: ho già alcuni capitoli quindi gli aggiornamenti dovrebbero essere regolari -almeno per un pò u.u

 

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Capitolo 2
*** 2-Rivelazioni ***


Salve a tutti ^^ ve l'avevo promesso al più presto ed ecco qua il secondo capitolo <3 ringrazio dal più profondo dal cuore Musa07, Kyoite e SweetHell per tutti i complimenti e il continuo supporto: davvero, senza di voi non sarei ancora qui ad occupare il fandom di Reborn <3 vi adoro! ma ora bando alle ciance, buona lettura!

 

Rivelazioni

Dopo essersi dato una ripulita nel bagno della mensa, Squalo rifece la fila al bancone e con il nuovo vassoio si accomodò al tavolo dove Dino lo stava aspettando. Per tutto il tempo continuò a borbottare e imprecare a bassa voce, le sopracciglia perennemente aggrottate e anche quando si sedette di fronte al biondo e iniziò a mangiare, la sua espressione e il suo umore non mutarono. Dopo alcuni minuti di silenzio, l’arrivo di un rumoroso gruppo di studenti fece voltare buona parte del locale e Squalo non poté non sgranare gli occhi davanti alle persone più strane che avesse mai visto in vita sua. Tre ragazzi e una ragazza chiacchieravano e ridevano a voce alta: uno era alto e brutto con capelli neri sparati in aria, un altro aveva capelli biondo chiaro con una lunga frangia e una coroncina in testa e l’altro ancora, il più bizzarro di tutti, oltre ad avere una cresta verde elettrico e il resto dei capelli quasi rasati, portava un paio di occhiali da sole, mentre la ragazza aveva lunghi capelli viola, un trucco abbastanza marcato dello stesso colore ed era vestita completamente di nero. Quando i quattro si sedettero al tavolo occupato da Xanxus, Squalo si fece ancora più confuso e sorpreso: salutarono il moro come fossero buoni amici, anche se quello si limitò a rispondere con un cenno della testa e un’espressione scocciata, senza degnarli di particolare attenzione.  
<< Ma che cavolo… >> soffiò Squalo continuando a fissarli.
<< Quelli sono i Varia >> disse Dino dopo aver ingoiato una forchettata di pasta. Squalo si voltò verso il biondo e inarcò un sopracciglio. << I che? >>.
Dino sospirò e, dopo aver posato la forchetta, incrociò le mani e vi poggiò sopra il mento. << Prima o poi l’avresti scoperto comunque, tanto vale dirtelo subito. Quei tizi si fanno chiamare Varia e Xanxus è il loro capo >>.
Squalo sgranò gli occhi. << Eh? >>.
Il biondo sospirò ancora: sembrava che l’argomento non gli piacesse particolarmente. << Detto senza tanti giri di parole, quei cinque sono i bulli della scuola >>, l’occhiata scettica dell’altro lo costrinse a precisare, << ma non pensare a loro come agli stupidi bulletti che magari avrai già incontrato. Loro sono su tutt’altro livello. Sanno essere pericolosi se vogliono e tutti gli studenti ne hanno paura, soprattutto di Xanxus >>.
<< E si chiamano davvero Varia? >> domandò Squalo curioso. Non era la prima volta che aveva a che fare con i cosiddetti bulli e lui stesso era stato più volte protagonista di risse con gentaglia da quattro soldi capace solo di prendersela con i più piccoli e i più deboli. Squalo invece preferiva prendersela con quelli più grossi di lui che pensavano di poterlo mettere k.o. solo perché era più mingherlino di loro. Tutti quegli arroganti avevano fatto la stessa identica fine: col culo per terra a implorare pietà e a chiedere scusa.
<< Si fanno chiamare così… >> confermò Dino con un alzata di spalle.
<< E prendono ordini da quel tipo arrogante e pienò di sé? >>.
<< Squalo, non devi sottovalutare Xanxus >> lo mise in guardia Dino. L’altro non l’aveva mai visto così serio, anche se lo conosceva da meno di un giorno; i suoi occhi però mostravano una tale sicurezza che Squalo non poté dubitare della veridicità delle sue parole. O almeno del fatto che il biondo ne fosse assolutamente convinto. << È il più pericoloso tra loro: sarà anche arrogante, presuntuoso e pieno di sé, ma ti assicuro che è forte e anche molto e prova un certo gusto nel tormentare gli altri e vederli strisciare ai suoi piedi. Perciò ti do un consiglio: non farlo incazzare. Se diventi un suo nemico, ti renderà la vita impossibile >>. Gli lanciò un’ultima occhiata piena di significato, per poi tornare al suo piatto di pasta.

Squalo rimase per un po’ in silenzio, cercando di assimilare le nuove informazioni. Davvero quel tipo era così forte e pericoloso? Incuteva un certo timore, su questo non c’erano dubbi: tutto nella sua figura gli aveva dato l’impressione di trovarsi di fronte a una bestia feroce e, anche se la sensazione era durata poco, gli era rimasta impressa. I suoi occhi poi gli erano parsi pieni solo di odio e rabbia, come se fossero le sue uniche emozioni e questo l’aveva colpito più di qualunque altra cosa, nonostante detestasse ammetterlo. Ma l’arroganza e il modo in cui Xanxus l’aveva trattato riuscivano ancora a mandarlo su tutte le furie. << E come mai se è così spaventoso, quegli strani tipi prendono ordini da lui? >> domandò allora, desideroso di capire di più su tutta quella faccenda.
Dino lo guardò con la coda dell’occhio e sospirò per l’ennesima volta.
“Giuro che se fa un altro sospiro, lo strozzo!” si disse nervoso Squalo, ma cercò di rimanere calmo.
<< Beh, a parte i vantaggi del far parte del gruppo di studenti con più potere, i membri dei Varia non sono meno pericolosi o meno sadici del loro capo. Stare con Xanxus permette loro di fare quello che vogliono e per questo lo rispettano profondamente. Magari lui non alzerebbe un dito per loro, ma quelli farebbero di tutto per accontentare il loro boss >>.
<< Boss? >> lo interruppe Squalo, confuso.
<< È così che Xanxus si fa chiamare dai suoi: Boss. Immagino che lo faccia sentire potente… >> spiegò il biondo con tono seccato. Sembrava davvero restio a parlare dei Varia.
<< Certo che ha un bel coraggio quello stronzo! >> esclamò Squalo irritato, << un semplice figlio di papà che si sente un imperatore… di sicuro soffre di manie di grandezza! >>.
A quelle parole gli occhi di Dino furono attraversati da un lampo di tristezza mista a rabbia o indignazione; Squalo non riuscì a decifrarlo perché l’altro distolse lo sguardo per alcuni istanti e quando lo guardò di nuovo i suoi occhi erano seri come prima.
<< Lui non è un semplice figlio di papà… >> iniziò il biondo, ma sembrava aver bisogno di una spinta per continuare. Spinta che arrivò sotto forma di un calcio ad uno stinco da parte di Squalo.
<< Hai intenzione di concludere il discorso o vuoi girarci attorno ancora a lungo? >> lo incitò questi, visibilmente spazientito.
Dino lo fissò per alcuni istanti e un sorriso triste gli comparve sul volto. << Io… beh, ecco… non volevo parlartene a causa… sì, insomma… dei tuoi genitori… ma immagino che prima o poi saresti comunque venuto a saperlo… Xanxus è il figlio del Nono Boss della Famiglia Vongola >>.
La bocca di Squalo si aprì, ma non ne uscì alcun suono. Famiglia? Intendeva quel tipo di famiglia?
<< Squalo… >> lo sguardo di Dino era addolorato, << Xanxus è il figlio di un Boss mafioso. E non di uno qualunque, ma del capo della Famiglia più potente e influente di tutta l’Italia >>.

Nell’istante in cui quelle parole furono assorbite ed elaborate dal suo cervello, Squalo si sentì come se fosse appena sceso dalle montagne russe. Se non fosse stato seduto, le gambe gli avrebbero ceduto per lo shock. Strinse i pugni così forte che le unghie gli si piantarono nella carne, mentre i denti iniziarono a fargli male, tale era la tensione che attraversava ogni nervo e muscolo del suo corpo. “Il figlio… di un mafioso? Non può essere!”
<< Squalo, ti senti bene? >> gli chiese preoccupato Dino, vedendo come l’altro sembrasse sul punto di vomitare.
Il nuovo arrivato sbatté le palpebre più volte finché il mondo attorno a lui parve riprendere i colori e i suoni che aveva perso. << Sto bene >> rispose, riuscendo, non sapeva neanche lui come, ad articolare le parole.

Dino capì subito che stava mentendo, ma cosa avrebbe mai potuto dirgli? Il padre e la madre di Squalo erano stati uccisi dalla mafia e lui da un giorno all’altro si era ritrovato orfano e solo, senza qualcuno che volesse prendersi cura di lui. A quel punto era intervenuto suo padre e si era preso la responsabilità di occuparsi di Squalo, perché considerava i suoi genitori dei carissimi amici e aveva detto di essere in debito con loro, anche se non aveva voluto specificare i dettagli.

Devi prenderti cura di lui, Dino, devi essergli amico e stargli vicino. Lui ne ha bisogno, anche se probabilmente non se ne rende conto. Quelle parole avevano reso Dino orgoglioso di suo padre: non poteva non ammirarlo per aver deciso di aiutare Squalo in un momento così difficile e drammatico e si era detto che avrebbe fatto di tutto per essere altrettanto d’aiuto. Per questo aveva cercato di evitare la discussione su Xanxus, ma in quel momento, mentre erano seduti al tavolo della mensa, si convinse di essere stato un ingenuo: tutti a scuola sapevano la verità e non ci sarebbe voluto molto prima che anche Squalo ne venisse a conoscenza. Si sentì improvvisamente male, come per una stretta al petto: quanto doveva essere stato terribile per Squalo sapere che in quell’Accademia così prestigiosa c’era anche il figlio di un mafioso? Purtroppo neanche il Preside aveva potuto impedire a Xanxus di frequentare la Galilei: i Vongola avevano braccia, mani e orecchie dovunque e le pressioni che aveva ricevuto suo padre non gli avevano lasciato scelta. Del resto c’era anche da dire che i Vongola, oltre alle attività illegali, ne svolgevano anche molte legali e riconosciute e questo aveva rappresentato una motivazione in più per accettare il figlio del Nono. Dino non conosceva con esattezza tutta la storia dei genitori di Squalo e non gli sembrava corretto chiedere a lui: di sicuro faceva di tutto per non pensarci, sforzandosi di andare avanti nonostante il dolore e la rabbia, ma la presenza di Xanxus avrebbe potuto rendere l’intera faccenda più complicata. Il biondo temeva soprattutto che Squalo, spinto dall’odio personale, avrebbe ignorato il suo consiglio di non mettersi contro Xanxus, finendo così per mettere in pericolo se stesso. Non aveva idea di quello di cui era capace il moro e Dino si ritrovò a sperare che non lo venisse mai a sperimentare di persona.
 
 
 
La sveglia sul comodino segnava le 02:34, ma Squalo non era ancora riuscito a chiudere occhio. Non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi nel letto, la mente sopraffatta dagli avvenimenti di quella giornata. Aveva provato sconvolgimento, rabbia, indignazione, voglia di scappare da quella scuola e rassegnazione, ma in quel momento non sapeva neanche cosa avrebbe dovuto sentire. Sapeva solo di essere stanco, ma di quella strana stanchezza che non ti fa chiudere occhio, perché il tuo cervello ha deciso che deve fare anche gli straordinari notturni per richiamarti alle mente tutte le immagini e le sensazioni delle ultime ore. Senza il tuo consenso, fra l’altro.

Dopo la rivelazione, lui e Dino avevano continuato a mangiare in silenzio, anche se metà della sua cena era rimasta sul vassoio. Una volta finito, erano tornati in camera: Dino aveva provato a parlargli, ma Squalo si era infilato gli auricolari nelle orecchie e si era buttato sul letto, lanciandogli il chiaro messaggio di non voler essere disturbato. Non aveva alcuna voglia di discutere con l’altro né tantomeno di psicanalizzarsi per capire i suoi stessi sentimenti: voleva solo non pensarci e andare avanti. In fondo quel Xanxus gli stava già sulle palle prima di scoprire che era figlio di un boss mafioso, perciò le sue considerazioni a riguardo non era poi cambiate molto. Al massimo avrebbe potuto odiarlo di più, ma non sarebbe cambiato niente: tanto valeva ignorarlo e non mettersi sulla sua strada. Poteva farcela. Doveva solo tenere a freno il costante impulso di prenderlo a pugni.
 
 
 
Erano trascorse tre settimane dall’arrivo di Squalo alla Galilei e ormai era autunno inoltrato: gli alberi dei giardini erano ricoperti di foglie rosse e gialle e l’aria si faceva ogni giorno più fresca. Se Squalo avesse dovuto dare un giudizio su quel primo periodo trascorso in Accademia, avrebbe detto che le cose stavano andando meglio di quanto si sarebbe aspettato. Anche se con un po’ di fatica e con l’aiuto di Dino, era riuscito a mettersi al pari con le lezioni e quei giorni erano trascorsi tranquilli. Aveva anche conosciuto i ragazzi della “band-ancora-in-corso” di cui faceva parte il suo compagno di stanza, ma, purtroppo per Squalo, si erano rivelati fin troppo allegri, chiacchieroni e ottimisti. Sembrava proprio che Dino attirasse quelli della sua stessa risma, cosa che irritava non poco il giovane Superbi.

Dopo il giorno in cui aveva scoperto la verità su Xanxus, aveva fatto di tutto per limitare al massimo qualsiasi contatto con lui e i Varia; aveva però notato come fosse quasi sempre circondato dai suoi “sottoposti” e come questi si adoperassero per accontentarlo ed eseguire i suoi ordini, anche se lui non sembrava prestare loro alcuna particolare attenzione. Più volte Squalo si chiese cosa spingesse quei quattro a stare al fianco di un tipo che, chiaramente, li guardava dall’alto in basso e li considerava di poco o nessun valore. Quella che in effetti si sarebbe definita più normale era l’unica ragazza del gruppo, che si faceva chiamare Viper: pur stando insieme agli altri, dava l’impressione di non partecipare davvero e, come Xanxus, non dava molta confidenza al resto dei Varia. Ma stranamente il gruppo sembrava tenerla in grande considerazione.

In quelle settimane, inoltre, aveva imparato a conoscere Dino, ma, per quanto si rendesse conto che fosse un bravo ragazzo che voleva essergli amico, Squalo non poteva impedirsi di trovarlo fastidioso, soprattutto quando iniziava a parlare a briglia sciolta e a sorridere in continuazione. Aveva, fra l’altro, scoperto quanto il biondo fosse assurdamente goffo e imbranato: calpestava oggetti, li faceva cadere, urtava cose e persone e il suo disordine cronico non lo aiutava per niente. La cosa che più di tutte colpì Squalo però, oltre al fatto che Dino fosse capace di inciampare sui stessi piedi, fu il fatto che quando questi “incidenti” capitavano in pubblico, le ragazze, invece di ridere come si ci sarebbe aspettato, iniziavano a parlottare eccitate tra loro e a rilasciare feromoni nell’aria, gli occhi pieni di cuoricini e brillantini. Solo dopo che questo evento si era ripetuto più volte, Squalo era riuscito a capire che le esponenti del gentil sesso trovavano l’imbranataggine di Dino “meravigliosamente adorabile” – parole testuali che aveva sentito pronunciare a uno di loro.
“Valle a capire le femmine!” si era detto incredulo, consapevole che comunque il suo biondo amico non avrebbe mai compreso cosa la sua persona provocasse nelle studentesse della scuola.

Sempre Dino era stato la causa che in un noioso e piovoso pomeriggio aveva spinto Squalo a cercare rifugio lontano da lui e dalla sua chitarra. Non che non fosse bravo a suonare, ma cercare di studiare mentre il proprio compagno di stanza si improvvisava musicista consumato non era minimamente pensabile. Così Squalo, costretto suo malgrado a doversi impegnare nello studio, si era recato alla biblioteca dell’Accademia, convinto che là avrebbe trovato la pace che cercava. C’era da dire che avrebbe fatto volentieri a meno di aprire un qualsiasi libro scolastico, ma il Preside era stato chiaro: se voleva restare alla Galilei, doveva mantenere una media soddisfacente e, dato che Cavallone senior gli aveva permesso di frequentare la scuola senza pagare la retta, togliendolo così anche dal rischio di venire affidato ai servizi sociali, Squalo sapeva di non avere altra scelta. Doveva, almeno per quanto gli era possibile, dimostrare riconoscenza per l’aiuto che gli era stato offerto. Ripetendosi questi pensieri come un mantra per trovare dentro di sé la forza di studiare, entrò nella biblioteca. Alcuni degli studenti presenti sollevarono le teste dai tavoli e gli lanciarono una breve occhiata, per poi tornare alle loro letture. Squalo si guardò attorno alla ricerca di un posto dove sedersi, ma sembrava che avessero tutti deciso di riversarsi là nello stesso momento. Scrutò con gli occhi per circa un minuto e stava quasi per andarsene sconfitto, quando lo sguardo gli cadde su un’immagine che mai avrebbe pensato di vedere, ovvero un tavolo laterale, un po’ isolato dagli altri, occupato da una sola persona. Il problema però fu proprio l’occupante di quel tavolo.

“Xanxus? In biblioteca? Cos’è, uno scherzo?” si chiese mentre ad occhi sgranati fissava l’altro ragazzo, che per fortuna di Squalo, non poteva vederlo, dato che aveva la testa poggiata sulle braccia e stava dormendo sul tavolo. Subito dopo notò che aveva gli auricolari infilati nelle orecchie.
Squalo aggrottò le sopracciglia, perplesso. “È venuto fin qua per ascoltare musica e dormire?”. Si avvicinò a passi leggeri fino a ritrovarsi accanto al tavolo e quasi trattenne il respiro temendo che l’altro stesse facendo finta. Ma Xanxus sembrava profondamente addormentato e Squalo poté riprendere a respirare normalmente. Fece alcune veloci considerazioni: quel tavolo era l’unico libero della biblioteca e lui aveva bisogno di studiare almeno un po’; tornare in camera era fuori discussione, più che altro per impedirsi di fare del male a Dino, magari rompendogli la chitarra in testa e infine il moro stava riposando tranquillamente e Squalo si convinse che avrebbe potuto sedersi là senza disturbarlo. E così fece. Poté quasi sentire gli altri studenti voltarsi e mormorare tra loro preoccupati, mentre spostava piano la sedia e si accomodava.

“Di sicuro staranno pensando che sono pazzo” si disse, infastidito dal fatto che quelli prestassero tanta attenzione a lui, anche se una vocina nella sua testa gli stava dicendo che non poteva biasimarli. Sempre stando attento a fare il minimo rumore possibile, prese il libro dalla borsa, lo posò sul tavolo e lo aprì, lanciando continue occhiate a Xanxus.

Si accorse però ben presto che il costante timore che il moro si svegliasse lo faceva distrarre più spesso di quanto avesse pensato, tanto che dopo circa cinque minuti notò di aver letto solo una pagina e mezza. Si ritrovò anche ad osservarlo più attentamente di quanto aveva mai fatto con qualsiasi altra persona e a chiedersi la causa di quelle voglie o cicatrici – non sapeva bene come definirle – che aveva visto anche sulle sue braccia e sul collo.

“Ora che dorme come un sasso, non sembra un tipo tanto pericoloso” si disse, inclinando leggermente la testa, ma proprio in quell’istante le parole di Dino gli risuonarono in mente. Ti assicuro che è forte e anche molto e prova un certo gusto nel tormentare gli altri e vederli strisciare ai suoi piedi. Perciò ti do un consiglio: non farlo incazzare. Se diventi un suo nemico, ti renderà la vita impossibile. Per qualsiasi altra persona quelle parole sarebbero bastate a capire che era meglio tenersi alla larga da Xanxus, ma per Squalo non era così; o almeno lo era a un livello logico-razionale. Inconsciamente però, l’aura di mistero e potenza che il moro emanava attirava Squalo come la luce fa con le falene per il semplice motivo che Squalo si lasciava affascinare e sedurre dalla forza. Quando incontrava qualcuno forte come o anche più di lui, l’ammirazione mischiata al desiderio di confrontarsi lo spingeva a cercare la lotta, ma fino a quel momento non aveva mai perso uno scontro. Tutti quelli che lui aveva sfidato credendoli forti si erano rivelati dei grossi idioti senza cervello e Squalo era sempre tornato a casa vincitore. Per questo, nonostante l’ammonimento di Dino, lui non poteva fare a meno di chiedersi se Xanxus fosse davvero così forte come era stato dipinto o se anche lui come tanti altri avesse una semplice nomina priva di valore. Era solo il fatto di essere il figlio di un boss a renderlo pericoloso? Per Squalo era solo un motivo per odiarlo di più, ma non per temerlo come facevano tutti gli altri. Se avessero combattuto, quale sarebbe stato il risultato?

Tutto questo si chiedeva mentre il suo sguardo era fisso sul moro seduto di fronte a lui e fu proprio questa distrazione a risultare quasi fatale per le sue coronarie. All’improvviso, prima ancora che la sua mente riuscisse a registrare l’accaduto, gli occhi rossi di Xanxus lo stavano fissando. Il cuore di Squalo gli balzò in gola e lui sobbalzò sulla sedia. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, quello di Xanxus avrebbe potuto far bruciare un intero esercito.






Oh Squ-chan, tu te li vai proprio a cercare i guai!! >.< vabbè, restando seri, voglio solo fare una piccola precisazione: la mafia qua non è assolutamente quella di Reborn, diciamo che è più simile alla vera mafia, ma mi piaceva lasciare il nome della famiglia Vongola e poi Xanxus non riesco ad immaginarmelo diversamente dall'essere Boss :3 per quando riguarda i genitori di Squalo, resterà un argomento in sospeso per alcuni capitoli ma avrà il suo ruolo importante nel rapporto tra i due... mi sa che dovrete pazientare un pò anche per la parte yaoi-yaoi ma ehi, questi due si odiano! quindi non è k possono fare cose sconce così... XD ma i prossimi capitoli saranno più ricchi di azione e dramma, perciò spero che non rimpiangerete troppo la mancanza dello yaoi :3
ps: l'imbranataggine di Dino non poteva mancare anke se non sarà così tanto drastica come nell'originale u.u come sempre qualsiasi commento è super gradito <3 al prossimo capitolo

 

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Capitolo 3
*** 3-Una lettera inaspettata ***


3-Una lettera inaspettata


Squalo aveva sempre trovato l’espressione “morire per lo spavento” esagerata e inverosimile, ma nell’istante in cui gli occhi rossi di Xanxus si piantarono nei suoi con un’espressione feroce, fu costretto a rivalutare le sue considerazioni. Dopo essere sobbalzato sul posto e aver imprecato, scattò in piedi, spingendo parte dei presenti a voltarsi nella sua direzione. Xanxus si rimise seduto lentamente, senza staccare gli occhi da Squalo, ma non si mosse dalla sedia.
<< Ti chiederei che cazzo ci fai seduto al mio tavolo, feccia, ma questo implicherebbe il fatto che mi interessi la tua risposta >> gli disse il moro incrociando le braccia al petto.
Squalo resistette all’impulso di abbassare gli occhi, anche se lo sguardo dell’altro sembrava volerlo incenerire all’istante. << Questo era l’unico tavolo libero >> si limitò a dire. Vide l’espressione di Xanxus farsi più furiosa e per un attimo credette che gli sarebbe balzato addosso da un momento all’altro.
<< Non era libero! Qual è il tuo problema, feccia? Sei cieco oltre ad essere stupido? >>.
Eccolo là, quell’atteggiamento arrogante e presuntuoso che Squalo proprio non riusciva a sopportare. << Tu stavi dormendo! E poi, se non te ne fossi accorto, ci sono sei sedie a questo tavolo: forse dovresti imparare a contare prima di aprire bocca >>.
<< Non credo che tu abbia ben chiaro il concetto di come funzionino le cose in questa scuola, feccia >> replicò l’altro alzandosi in piedi con fare minaccioso. Gesto che spinse Squalo ad indietreggiare di un passo e subito dopo a maledire se stesso per aver mostrato tanta debolezza.
<< Non mi interessa >> rispose, sforzandosi di mantenere un tono sicuro di sé.
Xanxus gli lanciò una lunga occhiata prima di parlare. << Per la tua stessa sopravvivenza, ti conviene interessarti >>.
Squalo inarcò un sopracciglio. << È una minaccia, per caso? >>.
Invece di rispondere, Xanxus allungò un braccio e afferrò la cravatta dell’uniforme di Squalo.
“Merda! È veloce!” pensò mentre veniva strattonato in avanti incapace di opporre resistenza. Si ritrovò col volto tanto vicino a quello del moro che i loro respiri si mischiarono.
<< Sei fastidioso, feccia. Ti conosco a malapena e già mi verrebbe voglia di massacrarti fino a farti urlare pietà, perciò ti avverto: non continuare a provocarmi >>. La sua voce si era ridotta a un sussurro: si insinuò nella pelle di Squalo, strisciando come un serpente e scavò fino a raggiungere la carne e i muscoli e le ossa per poi incidersi nell’anima e mozzargli il respiro. Squalo sgranò gli occhi e per la prima volta in vita sua si accorse di provare paura di fronte a un avversario. Quelle stesse parole pronunciate da chiunque altro non l’avrebbero neanche scalfito, ma la sola voce di Xanxus era stata in grado di destabilizzarlo e questo non fece altro che provocargli un aumento del battito cardiaco. Nessuno era mai stato in grado di metterlo in una tale soggezione da sentirsi quasi male fisicamente e per lunghi secondi non riuscì ad aprire bocca. La gola era secca, la lingua impastata e il cervello sembrava non voler essere di alcun aiuto. Fu la voce acuta di una donna a rompere l’inerzia della situazione.

<< Ehi voi due! Che state facendo? Non vedete che state disturbando gli altri studenti? Se volete litigare, fatelo fuori dalla mia biblioteca! >>. Entrambi i ragazzi si voltarono verso la signora Dimili, ovvero la paffuta ma severa bibliotecaria. Era all’incirca sulla sessantina, più grassa che alta, portava i capelli grigi raccolti in uno chignon e gli occhi azzurri erano nascosti da un paio di occhiali con la montatura bordeaux. In quel momento aveva le mani posate sui fianchi e li fissava con uno sguardo palesemente arrabbiato. Xanxus sbuffò irritato, ma lasciò la presa sulla cravatta di Squalo e si incamminò verso l’uscita. Squalo, invece, rimase alcuni secondi immobile, gli occhi fissi nel vuoto e la mente che ancora cercava di ripartire. Solo allora si rese pienamente conto di come si era sentito di fronte la minaccia del moro e se ne vergognò profondamente. Com’era possibile che lui, Superbi Squalo, fosse stato messo a tacere da quell’arrogante bastardo?

“Quello stronzo!” esclamò nella sua testa, mentre si fiondava fuori di corsa. Non avrebbe lasciato che l’altro avesse l’ultima parola. Al diavolo Dino e i suoi avvertimenti! Nell’istante in cui si ritrovò nel corridoio, vide Xanxus fermo pochi metri più avanti parlare con quelli che lui riconobbe come Levi e Belphegor, due dei Varia.
<< Voooooooi! >> gridò per attirare l’attenzione del moro. Quello si voltò e altrettanto fecero gli altri, mente lo sguardo di Xanxus si trasformava da annoiato a stizzito. << Non abbiamo ancora finito! >> disse raggiungendolo e fermandosi di fronte a lui.
Il moro sbuffò, come se la cosa non lo riguardasse più. << Sparisci, feccia, non ho tempo da perdere con te >>.
<< Non mi interessa! >> replicò Squalo, afferrando il braccio dell’altro.
<< Ehi tu, come osi mettere le mani addosso al Boss?! >> esclamò Levi indignato, spingendo via Squalo e costringendolo così a mollare la presa. Xanxus spolverò l’uniforme nel punto in cui era stato toccato, come se fosse sporco e questo fece incazzare Squalo ancora di più.
<< Fatti gli affari tuoi, brutto spilungone! >>. L’insultò lasciò Levi a bocca aperta e nell’istante in cui stava per rispondere, venne fermato da un gesto della mano del suo capo.
<< Dovrei ucciderti solo per tutto il fastidio che mi stai creando >> lo minacciò Xanxus, la voce roca e cupa come sempre.
Per tutta risposta Squalo ridacchiò divertito e sul suo volto si aprì un ghigno di sfida. << Parli tanto, ma non mi sembra che tu sappia fare altro >>.
Prima che potesse reagire, Xanxus lo afferrò per il collo e lo sbatté contro il muro. Ancora una volta era stato più veloce di quanto Squalo si sarebbe immaginato. “Come diavolo fa a muoversi così?” si chiese mentre la presa dell’altro si faceva abbastanza forte da fargli male. Appoggiò il braccio libero sul muro, accanto al volto di Squalo e avvicinò la bocca al suo orecchio.
<< Prima mi infastidivi soltanto, adesso mi stai facendo incazzare sul serio >>. Ancora quel sussurro che cercava di insinuarsi dentro Squalo, come a volerlo distruggere dall’interno. << Sei soltanto uno stupido pidocchio senza cervello, ma se vuoi morire, posso accontentarti come e quando vuoi. Che ne dici di adesso, per esempio? Ti va di morire? >>. A quelle parole Squalo sentì la presa sul suo collo farsi più forte e dolorosa e d’un tratto si rese conto di non riuscire a respirare bene, mentre Xanxus lo fissava con rabbia e odio, ma anche con una nota di sadico divertimento che, nonostante la situazione, non sfuggì a Squalo. Provò ad allontanargli il braccio, ma sembrava essere fatto d’acciaio e anche quando usò le mani per cercare di ferirgli il volto, quello gli diede un calcio alle parti basse che l’avrebbe fatto urlare di dolore se avesse avuto fiato in gola.

<< Spero per voi che abbiate una scusa valida per quello che sto vedendo >>. Una voce adulta, seria e profonda, li fece voltare verso sinistra. Un uomo sulla quarantina in un elegante completo gessato li fissava con severità, le braccia incrociate sul petto. Aveva corti capelli biondi, occhi castani ed emanava fascino e carisma.
<< Preside! >> esclamarono in coro Levi e Belphegor. Xanxus lanciò a Cavallone un’occhiata palesemente infastidita, ma lasciò la presa sul collo di Squalo, che iniziò a tossire, il volto arrossato, gli occhi che si alternavano tra l’uomo e Xanxus. Il biondo si avvicinò a Squalo e gli mise una mano sulla spalla. << Tutto bene? >> gli domandò preoccupato.
<< Sì, sto bene >> rispose il ragazzo, lanciando al moro un’occhiata di puro odio. “C’è mancato poco” pensò e non poté negare a se stesso di aver temuto per la sua vita. Aveva davvero intenzione di ucciderlo o stava bluffando? L’avrebbe lasciato andare in tempo se non fosse arrivato il Preside?
<< Per questa volta farò finta di non aver visto niente, ma vi avverto che sarà l’ultima >> disse l’uomo rivolto a Xanxus e agli altri due, << perché non andate ad occupare il tempo in modo costruttivo? Che so, potreste magari prendere in considerazione l’idea di aprire un libro e studiare un po’: di sicuro non vi farebbe male >>.
Xanxus sbuffò e scrollò le spalle come se la cosa non lo riguardasse minimamente, ma si allontanò lungo il corridoio, seguito a ruota da Levi e Belphegor.
<< Sta’ lontano da lui, Squalo. So che non sei il tipo di ragazzo che lascia correre, ma lui non è un avversario alla tua portata. Non sfidarlo, ti prego; te lo chiedo come favore personale >>. Lo sguardo di Cavallone senior era lo stesso del figlio quando gli aveva parlato per la prima volta di Xanxus, mettendolo in guardia. “Certo che quei due sono identici” si disse Squalo, ricambiando l’occhiata del Preside. Emise un verso a metà tra un ringhio e uno sbuffo e abbassò la testa in segno d’assenso, anche se dentro di sé non riusciva a placare la rabbia e l’odio.
 
 
 

<< Ehi Squalo! Svegliati! Squalo, mi senti? >>. Ebbe l’impressione che la voce di Dino gli trapanasse un timpano e, mentre le sue mani gli scuotevano le spalle con forza, Squalo provò l’inconscio desiderio di uccidere quel fastidio biondo. Si girò rapido nella speranza di colpire Dino con un braccio ma le sue reazioni non furono veloci quanto avrebbe voluto e l’altro riuscì ad evitarlo senza problemi.
<< Ti sembra il caso di urlare? >> sbraitò allora Squalo, mettendosi seduto.
<< Veramente sei tu quello che sta urlando >> gli fece notare Dino con un sorrisetto. Squalo, che si stava stropicciando un occhio, si interruppe e gli lanciò uno sguardo omicida con l’occhio non coperto dalla mano.
<< Comunque, che vuoi? >> gli domandò, stiracchiandosi.
Il biondo, sempre sorridendo, gli porse un foglio di carta. << Per te >>. L’espressione sul volto dell’altro si fece perplessa, ma allungò una mano e afferrò quella che sembrava essere una lettera.
<< È una lettera d’amore >> dichiarò Dino tutto contento. A Squalo per poco non cadde la mascella sul pavimento. “Una lettera… d’amore? Per me? Da parte… sua?”
<< Senti, se è uno scherzo, ti avverto che è di pessimo gusto e che non fa ridere >> replicò Squalo seccato, allungando il foglio verso di lui. Le sopracciglia del biondo si sollevarono e rivolse al compagno di stanza uno sguardo confuso. << Eh? Di che stai parlando? >>.
<< Ti sembra il caso di consegnarmi una lettera d’amore con quella faccia sorridente? >> esclamò Squalo e Dino avrebbe giurato di averlo visto arrossire. La confusione sul suo voltò aumentò alcuni istanti per poi trasformarsi in una risata che continuò fino a quando Squalo non gli assestò un calcio alla gamba.
<< Ahaha, scusa, scusa >> fece il biondo, asciugandosi una lacrima, << non ti stavo prendendo in giro. È solo che… non so cosa stavi pensando, ma la lettera non è da parte mia. L’ho trovata sotto la porta quando mi sono alzato: qualcuno deve averla lasciata per te >>.
A quella rivelazione Squalo si sentì un perfetto idiota, ma nascose la vergogna e l’imbarazzo sotto la sua solita espressione truce. << È tutta colpa tua! Se non mi avessi disturbato mentre stavo dormendo, non avrei frainteso! >>
Dino ridacchiò e incrociò le mani sulla nuca. << Hai ragione, comunque non preoccuparti, non sei il mio tipo; anche se in certi momenti sei davvero adorabile >>.
L’espressione di Squalo si fece scioccata e le sue guance divennero rosse. Afferrò il cuscino e lo scagliò contro l’altro, ma questi lo fermò continuando a ridacchiare.
<< Allora, che dice la lettera? Su, su, leggila! Sono curioso >> lo incitò subito dopo il biondo, sedendosi accanto a Squalo sul letto e stringendo il suo cuscino come fosse un peluche.
<< Non capisco perché tu sia più eccitato di me per questa cosa >> si lamentò l’altro, inarcando un sopracciglio. Estrasse la lettera dalla busta e la lesse rapido, mentre Dino lo fissava come un cane avrebbe fatto con un osso.
<< C’è scritto che vuole incontrarmi in palestra oggi, durante la pausa pranzo >> riferì Squalo, continuando a fissare il foglio.
<< E chi è la ragazza? >>.
<< Non lo so. La lettera è anonima >>.
Dino sorrise sornione. << Uuuh, un’ammiratrice misteriosa. E così il nostro piccolo Squalo ha fatto colpo, eh! >>.
Per tutta risposta l’altro gli lanciò un’occhiataccia, assestandogli poi una spallata poco amichevole. << Tks! Che scocciatura! >>.
Il biondo lo guardò perplesso. << Perché? Non sei contento di avere una ragazza che ti viene dietro? >>.
Squalo si alzò in piedi e si stiracchiò ancora, allungando le braccia verso l’alto. << Non mi interessa. Le ragazze sono troppo fastidiose: vogliono sempre attenzioni, devi farle contente, devi far loro i complimenti, comprare i regali… e poi tanto avranno sempre qualcosa per cui lamentarsi. Che noia! >>.
<< E quindi non andrai all’incontro? >>.
<< Andrò solo per scaricarla >> dichiarò, buttando la lettera nel cestino accanto la scrivania.
<< Come sei crudele! >> lo rimproverò Dino, mettendo su il broncio. Squalo gli tolse il cuscino dalle mani e lo rimise al suo posto. << Togliti quell’espressione dalla faccia che sembri un’idiota! E comunque cercherò di scaricarla gentilmente >> concluse serio. “Spero solo che non sia una di quelle che scoppiano a piangere e non la smettono più”.
 
 
 
All’ora di pranzo la palestra, così come quasi tutto il resto della scuola, era completamente vuota, dato che studenti e insegnanti si riversavano in mensa, stanchi e affamati dopo una mattinata di lezioni. Anche Squalo avrebbe voluto trovarsi seduto al solito tavolo pronto a riempirsi lo stomaco che già brontolava, ma si era ripromesso di dare alla misteriosa ragazza l’opportunità di parlargli. Non che desiderasse sentire quello che aveva da dirgli; gli sembrava però quantomeno corretto dirle in faccia che non era interessato. Mentre si dirigeva al luogo dell’appuntamento, si chiese chi fosse la sua ammiratrice. Non aveva mai avuto l’impressione che qualche ragazza lo guardasse in modo particolare o avesse dimostrato uno specifico interesse nei suoi confronti.
“Sarà di sicuro una molto timida” pensò, aprendo una delle porte laterali. Le luci erano spente e solo le alte e ampie finestre consentivano una mediocre illuminazione. Una volta varcata la soglia, Squalo si guardò intorno e dopo qualche secondo scorse un’ombra dall’altra parte del campo. Si avvicinò a passo spedito e appena riuscì a mettere a fuoco la figura, si accorse che la ragazza era di spalle. Si fermò a pochi metri da lei e notò che indossava un pantalone nero, un paio di sneakers dello stesso colore e una giacca lunga color prugna, mentre i capelli erano nascosti sotto un cappello.
<< Sei tu l’autrice della lettera? >> le domandò, anche se si sentì un po’ stupido a chiedere una cosa del genere. Chi altro avrebbe mai potuto essere?
<< Sì, sono io >> rispose la ragazza. Aveva una voce un po’ acuta che a Squalo non risultò famigliare. Subito dopo lei si tolse il cappello, lasciando che una cascata di lunghi capelli viola le ricadesse sulla schiena. Un allarme risuonò nella mente di Squalo, mentre la misteriosa ammiratrice si girava verso di lui, confermando i suoi sospetti. Occhi grigi, trucco viola marcato e quegli inconfondibili capelli.
Viper!
<< Che diav… >>. Le parole gli morirono in gola quando si accorse di quattro ombre scure che lo circondavano, bloccandogli ogni via di fuga.



Lo so, lo so, ho di nuovo fatto finire il capitolo sul più bello :3 quanto sono crudele! e so anche che questo cap è venuto più corto degli altri, ma mi farò perdonare nei prossimi u.u scherzi a parte, ringrazio come sempre tutti voi che avete commentato, messo tra le seguite, preferite, ecc  e anche chi ha solo letto <3 vi adoro profondamente! ^^ spero che questo capitolo vi sia piaciuto! personalmente mi sono divertita molto a scrivere la scenetta tra Dino e Squalo >.<
baci a tutti e al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 4
*** 4-Trappola ***


Trappola

Il primo pensiero che ebbe Squalo non appena capì di essere circondato dai Varia fu una lunga serie di imprecazioni, condite con tutte le parolacce di cui era a conoscenza – e non erano poche, molte delle quali rivolte a se stesso.
Indietreggiò di alcuni passi, ma alle sue spalle c’era Lussuria, alla sua destra Levi, a sinistra Belphegor e davanti a lui ancora Viper che lo fissava con sguardo freddo e disinteressato. Era caduto in una dannatissima trappola e non sembravano esserci vie d’uscita.
<< Shishishi, a quanto pare il pesce ha abboccato all’amo >> infierì il biondo con un sorriso inquietante e uno strano modo di ridere.
Subito dopo un’altra ombra si accostò all’unica ragazza del gruppo e su quel volto dalla pelle scura un ghigno ferino si aprì in tutta la sua pericolosità. Squalo fissò il volto soddisfatto di Xanxus e deglutì pesantemente. Si sentì come un animale braccato e il modo in cui il moro lo guardava sembrava proprio quello di un cacciatore pronto a divertirsi con la sua preda.
<< Ero sicuro che ti saresti presentato >> gli disse Xanxus con tono arrogante, << chi può resistere all’idea di avere un’ammiratrice misteriosa pronta a dichiarare il proprio amore? >>.
“Mi prende pure per il culo! Che figlio di puttana!”. << In realtà volevo scaricarla >> replicò Squalo con tono di sfida, pur sentendosi uno stupido. L’avevano fregato in pieno e niente di quello che poteva dire o fare avrebbe cambiato la situazione.
Xanxus inarcò un attimo il sopracciglio, ma le sue labbra tornarono a mostrare quel ghigno superbo e compiaciuto che Squalo trovava ogni secondo più irritante. << Allora avresti fatto meglio a non presentarti: ti saresti evitato un bel po’ di problemi >>.
<< Mi sarei anche perso tutto il divertimento >> rispose, mentre un sorrisetto sghembo faceva capolino sul suo volto. Stava bluffando e si disse che non lo stava neanche facendo nel migliore dei modi, ma di sicuro non aveva intenzione di piagnucolare e implorare pietà. Se fosse stato il solito gruppo di bulletti con cui aveva già avuto a che fare, non ci avrebbe messo molto a sistemarli, ma qualcosa gli disse che questa volta non se la sarebbe cavata. Sia Dino che il padre gli avevano detto di stare alla larga da Xanxus, che non era un avversario alla sua portata e in quell’istante ebbe la sensazione che i due avessero ragione. Non seppe dire cosa, ma tutto ciò che proveniva da Xanxus possedeva una tale aura di potenza, rabbia e invincibilità che per la prima volta di fronte ad un avversario, Squalo si convinse che sarebbe stato sconfitto. E che sarebbe stato doloroso.

Questa consapevolezza non voleva dire però che si sarebbe arreso senza combattere. Con i movimenti più rapidi di cui era capace, si avventò sull’avversario a suo giudizio più debole, ovvero Lussuria. Gli assestò un calcio all’addome e, quando quello si piegò in due, completò l’attacco con una ginocchiata al naso; lo sentì scricchiolare, ma non aveva tempo di curarsene. Prima che gli altri riuscissero a reagire, Squalo si abbassò sui talloni e usò una gamba per far perdere l’equilibrio a Levi; nell’istante in cui questi cadde pesantemente a terra, si ritrovò lo stivale dell’altro che centrava con violenza i suoi gioielli di famiglia. Un grido proruppe dalla sua bocca, mentre Lussuria continuava a lamentarsi e a tenere una mano premuta sul naso sanguinante. “Probabilmente è rotto” pensò Squalo con soddisfazione, ma appena si voltò per affrontare gli altri, vide il ghigno di Belphegor ammiccare in sua direzione e nelle sue mani comparvero dei coltelli scintillanti e all’apparenza molto affilati. Avendo già affrontato avversari armati, Squalo pensò di riuscire a disarmarlo, ma nell’istante in cui gli si fece contro e gli fu addosso, sentì fitte di dolore alle braccia e al fianco. Indietreggiò con un salto e, guardatosi, notò il sangue che fuoriusciva dalle ferite inferte dai coltelli. “Come cazzo ha fatto a colpirmi? Non l’ho neanche visto muoversi!”
Alzò lo sguardo sul biondino che continuava a fissarlo con quel ghigno inquietante in faccia, mentre Xanxus sembrava gustarsi la scena come un imperatore che assiste a uno spettacolo di gladiatori.
<< Shishishi, hai già finito? Mi aspettavo qualcosa di meglio >> lo provocò Belphegor, le mani che muovevano velocemente i coltelli per mettere in mostra le sue abilità.
<< Ho appena iniziato, principessa >> replicò Squalo, lanciando un’occhiata alla coroncina da cui l’altro non si separava mai. Il ghigno sul volto del biondo scomparve per lasciare il posto a un’espressione irritata e offesa che si tradusse in un attacco frontale. Squalo riuscì ad evitare i primi due colpi, ma nel tentativo di arrivargli alle spalle per tentare ancora di disarmarlo, sentì una lama incidersi sull’addome. Per sua fortuna la ferità si rivelò un taglio lungo e poco profondo, ma non per questo era poco doloroso. Si era distratto un attimo, solo per controllare che non rischiasse di morire dissanguato, ma Belphegor approfittò di quell’attimo per mirare al volto. Se i suoi riflessi non gli avessero permesso di abbassarsi di colpo, si sarebbe ritrovato un coltello conficcato in un occhio invece di un graffio sulla fronte.
“Merda! Ma fa sul serio? Sta davvero cercando di uccidermi?” si chiese Squalo con un certo timore. Riuscì a reagire prontamente e nell’istante in cui il biondo tentò di trafiggerlo, gli afferrò il polso per poi torcergli il braccio dietro la schiena. Peccato che l’altro usò la mano per libera per infilzargli la lama nella coscia destra. Squalo gridò di dolore e lasciò la presa su Belphegor.
<< Shishishi, credevi davvero che una mossa così stupida avrebbe funzionato? >>. Per tutta risposta Squalo gli lanciò un’occhiataccia, mentre teneva una mano premuta sulla ferita.
“Cazzo, questa fa un male cane!” imprecò dolorante. Nel momento in cui il biondo stava per ripartire all’attacco, il suo braccio venne fermato da Xanxus.
<< Basta così, feccia >> disse rivolto al biondo.
Poi fissò i suoi occhi di sangue su Squalo e il ghigno di prima si riaprì sul suo volto. << Lui è mio >>.
<< M-ma Boss, avevo appena iniziato a divertirmi! >> protestò Bel; l’occhiata che ricevette dal moro però lo zittì all’istante e si ritrovò ad indietreggiare per lasciargli campo libero. Xanxus fece qualche passo verso Squalo, che lo fissava come una tigre fisserebbe il cacciatore che gli punta contro un fucile: fiero, ma consapevole del pericolo. Timoroso ma allo stesso tempo pronto a combattere. Il moro non poté negare a se stesso un sentimento ammirazione per quel ragazzo che, nonostante la situazione, non aveva intenzione di arrendersi. Chiunque altro si sarebbe buttato a terra, piagnucolando e implorando, invece lui se ne stava in piedi, ferito e dolorante, ma con lo sguardo di chi brama l’azione.
<< Non capisco se sei infinitamente coraggioso o dannatamente stupido >> gli disse, iniziando a girargli intorno. Si tolse la giacca scura tipo blazer che faceva parte dell’uniforme invernale e la lanciò ai suoi sottoposti; subito dopo si slacciò la camicia e se la tolse. Squalo sgranò gli occhi, confuso.
<< Sai com’è, non voglio che il tuo sangue sporchi la mia uniforme >> spiegò Xanxus, continuando a sorridere nel modo in cui probabilmente avrebbe sorriso Satana prima di spedire qualcuno all’inferno con un biglietto di sola andata.
Una parte del cervello di Squalo – chissà quale e chissà perché – registrò che il moro aveva un fisico davvero muscoloso per essere solo un diciasettenne e che quelle strane cicatrici facevano mostra di sé anche sul petto e sulla schiena. Il più piccolo deglutì ma, nonostante le ferite inferte da Belphegor bruciassero maledettamente, sollevò i pugni e assunse la posizione di guardia. Si era chiesto più volte se Xanxus fosse forte quanto si vociferava e altrettante volte si era chiesto quale sarebbe stato il risultato di un loro scontro.
Ora quelle domande avrebbero trovato risposta.
 
 
 
Al primo pugno che ricevette da Xanxus, Squalo ebbe l’impressione che la sua faccia si scontrasse con un muro di cemento. Sentì il dolore esplodergli in tutta la testa, la vista gli si offuscò per alcuni secondi e percepì il mondo vorticargli attorno. Sputò il sangue che sentiva in bocca e si sforzò di concentrarsi. Non credeva che qualcuno potesse muoversi così velocemente, se si escludevano i supereroi dei fumetti o i protagonisti dei manga shounen; sarebbe stato più corretto dire che non credeva che qualcuno potesse muoversi così velocemente nella realtà, ma a quanto pareva aveva sottovalutato Xanxus ancora una volta. L’aveva a malapena visto arrivare quel pugno e prima che potesse anche solo pensare di sbattere le ciglia, la sua guancia aveva avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo.
Nonostante l’agilità e rapidità dei movimenti, Squalo non riusciva a tenergli testa. Fu in grado di schivare molti colpi, alcuni potenzialmente letali o che di sicuro l’avrebbero fatto finire in ospedale con un po’ di ossa rotte, ma a parte provare a rinforzare la difesa, non era in grado di contrattaccare. Quando provò ad assestargli un calcio all’addome, Xanxus lo bloccò afferrandogli il piede; lo spinse a terra e imprigionò il corpo sotto il suo. Squalo provò a divincolarsi ma il moro riuscì a bloccargli i polsi con una sola mano.
<< Tutto qui, feccia? Ammetto che mi aspettavo qualcosina in più >> lo sfotté, guardandolo dall’alto in basso, << facevi tanto l’arrogante, ma a quanto pare l’unica cosa forte che hai è l’aria nei polmoni >>.
Squalo grugnì, detestandosi per la sua debolezza, ma l’unica cosa che poté fare fu rispondergli con lo sguardo più crudele e tagliente del suo repertorio. Senza smettere di ghignare, Xanxus gli afferrò il mento con la mano libera e avvicinò i loro volti. << È inutile che mi guardi in quel modo, feccia. Sei solo un pallone gonfiato >>.
Sapeva di avere il moro seduto a cavalcioni sopra di lui. Sapeva di avere le mani bloccate e che Xanxus avrebbe potuto fargli quello che voleva. Sapeva che forse avrebbe dovuto provare a implorare pietà se teneva alla pelle. Sapeva tutto questo, eppure il suo orgoglio non gli permise di piegarsi. Approfittando della vicinanza, gli sputò in faccia, centrandolo sulla guancia.
<< Se c’è un pallone gonfiato, quello sei tu, stronzo! >> rispose acido. Approfittò di quel momento per assestargli un calcio alla schiena e appena sentì la presa sui suoi polsi farsi leggermente meno salda, usò tutta la sua forza per liberare le braccia. Una volta fatto, gli sferrò un pugno all’altezza dello stomaco che l’altro incassò con un grugnito di dolore. Squalo provò a scalciare per liberarsi, ma Xanxus lo colpì al volto con un paio di pugni, provocandogli lancinanti fitte di dolore che sembrarono mandargli a fuoco ogni singolo nervo. Dopodiché si alzò in piedi e gli assestò diversi calci al petto, alle gambe e alla schiena. Per quanto Squalo si sforzasse di resistere, sentiva gridare ogni angolo del suo corpo, mentre riusciva solo a pensare avrebbe preferito perdere sensi. Patetico, sì, ma in quell’istante non gli importava.
Dopo aver smesso con i calci, il moro si chinò nuovamente su di lui e lo afferrò per il colletto della camicia ormai sporca di sangue, sollevandogli il busto da terra. << Hai ancora qualcosa da dire, feccia? >>. Lo sguardo di Xanxus era un misto tra rabbia e disprezzo, mentre quello di Squalo era più simile alla rassegnazione, ma non alla paura. E Xanxus sentì la rabbia montargli dentro. “Perché quest’inutile rifiuto non ha paura di me?”. Lo strattonò, facendogli sbattere la testa sul parquet. Squalo strinse gli occhi per il dolore che ormai sembrava essere diventato una parte di lui; lo sentiva dovunque, persino in punti in cui non era stato colpito direttamente. Provò a riaprire gli occhi e si accorse di non riuscirci completamente dato che l’occhio destro si era gonfiato. Quando sentì che Xanxus ebbe smesso di colpirlo, appoggiò i gomiti per terra e con uno sforzo che gli parve immane e un grugnito di dolore, riuscì a mettersi seduto. Il moro era in piedi, di fronte a lui, la pelle scura macchiata del sangue dell’avversario e il volto sfigurato dalla rabbia. Una vocina nella mente di Squalo si chiese il perché di quell’espressione: in fondo era il vincitore di quello scontro, avrebbe dovuto essere soddisfatto.
<< Non sembri contento… >> parlò, ma la sua voce era rauca e debole, << hai vinto, no? >>. La prima cosa che vide fu un lampo d’ira attraversare gli occhi rossi di Xanxus; successivamente ebbe due pensieri. Il primo fu che quegli occhi probabilmente gli erano stati donati da un qualche demone particolarmente violento, il secondo fu che le sue parole l’avevano fatto incazzare, anche se non ne capiva il motivo. L’ultima cosa che vide invece fu lo stivale di Xanxus che sfrecciava a tutta velocità verso la sua faccia.
Poi fu il buio.
 
 
 
Sto fluttuando. Forse sono morto e mi sto dirigendo verso l’aldilà… mi sembra di non avere né ossa né muscoli. Che sia diventato una specie di essere incorporeo?
Eppure c’è qualcosa che non va… mi sfugge qualcosa, ma non so cosa.
Ahi! Cos’era questo? Una fitta di… dolore?
Momento! Se fossi morto, non dovrei sentire dolore, giusto? Quindi sono ancora vivo! Sarebbe una bella notizia, se capissi dove sono e cosa mi sta succedendo… sento… sento uno strano formicolio… la mano! Sì, questa strana cosa che riesco a muovere è la mia mano! Fa un male cane, dannazione, ma non sono mai stato così felice di sapere che ho ancora una mano!
Devo… devo aprire gli occhi… se solo riuscissi a trovarli…
 
Li trovò e non fu una bella sensazione. Come non fu per niente bello riprendere conoscenza. A poco a poco recuperò la percezione di tutti i suoi arti e la consapevolezza di averli ancora tutti lo fece sentire sollevato. Peccato che ogni singola cellula del suo corpo gli doleva come se fosse sul punto di esplodere. Ebbe nuovamente l’impressione che il dolore fosse diventato una parte di lui e nell’istante in cui provò a mettersi seduto e poi ad alzarsi, il cervello gli mandò tante di quelle fitte che per alcuni secondi rimase senza fiato. Respirò a lungo e profondamente e senza fare movimenti bruschi, riuscì a mettersi in piedi. Per un momento credette di vomitare e svenire, ma poco dopo il mondo smise di vorticare e i piedi gli sembrarono sufficientemente stabili. Non sapeva se poteva dire la stessa cosa per le gambe.
Continuando a inspirare ed espirare, cominciò a fare piccoli passi, mentre le immagini di tutto quello che era successo gli si riversavano in testa. Si chiese per quanto tempo fosse rimasto svenuto sul pavimento della palestra, rispondendosi poi che l’unica cosa importante in quel momento era tornare in camera e medicarsi le ferite. Se qualche professore l’avesse beccato là, avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni e non aveva alcuna intenzione di farlo. Mentre arrancava verso la porta, domandosi tra l’altro se sarebbe stato in grado di arrivare fino alla sua stanza senza crollare a terra, un solo pensiero gli dava la forza: il suo odio per Xanxus. Gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o nell’altro.
 
 
Dopo aver fatto quello che a lui sembrò un viaggio peggiore dell’Odissea, la vista della camera numero 104 gli sembrò splendida come il miraggio di un oasi nel deserto.
Per sua fortuna durante il tragitto non incontrò nessuno; quando riuscì a controllare l’ora, capì il perché. Era rimasto privo di sensi solo per una decina di minuti: questo voleva dire che erano ancora tutti in mensa a pranzare e non poté non ringraziare Dio.
Varcata la soglia, il suo primo istinto fu quello di buttarsi sul letto e cadere in un sonno letargico per i successivi due-tre mesi, ma si fece forza e si diresse a fatica verso il bagno, consapevole che se non le avesse curate, le ferite che aveva riportato avrebbero solo fatto più male in seguito.
Senza neanche togliersi le scarpe, si infilò nella cabina della doccia e aprì il getto d’acqua; chiuse gli occhi e grugnì, mentre sentiva ogni ferita bruciare e pulsare e i vestiti inzupparsi. Rimase in quel modo per alcuni minuti e una volta fuori, afferrò un asciugamano e si asciugò la faccia. Riaprì l’occhio sano davanti allo specchio e nell’istante in cui fissò la sua immagine, ebbe quasi paura. Il volto era ricoperto di tagli e lividi: il peggiore era quello all’occhio destro, ormai completamente gonfio e violaceo. Il labbro inferiore aveva una spaccatura a lato e, nonostante la doccia l’avesse pulito un po’, c’erano ancora dei punti in cui il sangue si era raggrumato.
Un impeto di rabbia gli attraversò il corpo e strinse forte l’asciugamano: nel farlo notò che le nocche delle mani erano rosse e scorticate.
“Merda!” imprecò dentro di sé. Non appena prese il kit di pronto soccorso dall’armadietto, sentì la porta della stanza aprirsi di scatto.
<< Squalo! Squalo, sei qui? >>.
“Ci mancava solo lui…” pensò rassegnato. Pochi istanti dopo, Dino entrò in bagno e il sorriso sul suo volto per aver trovato l’amico scomparve rapido, sostituito da un’espressione incredula e spaventata.
<< Ch-che… che ti è successo? >>. I suoi occhi nocciola erano spalancati e la bocca sembrava sforzarsi di non fare la stessa fine.
<< Ho perso un incontro di wrestling… è un vero peccato, ci avevo anche scommesso su >> rispose sarcastico, mentre controllava il contenuto del kit.
Dino gli lanciò un’occhiataccia che l’altro non vide; sapeva cos’era successo, o almeno poteva immaginarlo. C’era una sola persona in quella scuola che avrebbe potuto fare una cosa simile. Pensò di far notare a Squalo quanto il suo sarcasmo fosse fuori luogo in quel momento, ma decise di rimandare. Lo raggiunse e gli tolse il kit dalle mani.
<< Ehi! >> esclamò quello, ma Dino lo ignorò. Lo prese per un braccio stando attento a non fargli male e lo fece sedere sulla tazza del wc.
<< Faccio io >> gli disse, mentre prendeva dei batuffoli di cotone e li impregnava di disinfettante. Squalo aveva un aspetto davvero orribile e Dino avrebbe voluto dare sfogo alla sua frustrazione, ma si costrinse al silenzio, tormentandosi le labbra con i denti per impedirsi di parlare. Lo medicò come meglio poteva e per fortuna nessuna di quelle ferite avrebbe richiesto dei punti. Una volta medicati i tagli del volto, spalmò sui lividi una pomata dall’odore pungente.
<< Che schifo! Questa roba puzza! >> si lamentò Squalo e provò ad allontanare il volto, ma Dino glielo afferrò con la mano libera e lo tenne fermo.
<< Ringrazia di non dover passare dall’infermeria invece di piagnucolare come un bambino >> lo rimproverò con tono serio.
<< Io non sto affatto piagnucolando! >> si difese Squalo che, a dirla tutta, non era poi stato così tanto silenzioso mentre l’amico si occupava delle sue ferite.
Finito con la crema, la rimise a posto e lanciò un’occhiata all’altro. << Spogliati >>.
Squalo sgranò l’occhio. << Cosa? >>.
Senza rispondere, Dino gli afferrò la giacca dell’uniforme e gliela tolse.
<< Ahi! Ahi! Fai piano! >> esclamò Squalo. Quando il biondo lo liberò anche della camicia sporca di sangue e vide i lunghi tagli sull’addome e sulla braccia, provò una tale rabbia come mai gli era capitato in vita sua. Quelle ferite inferte da una lama sarebbero potute essere letali.
<< Ti rendi conto che potevi morire? >> disse all’improvviso, la voce tremante.
Squalo sollevò poco la testa e fissò Dino: non l’aveva mai visto scosso da quando lo conosceva e se ne sorprese. Teneva davvero così tanto a lui?
<< Non è stata colpa mia: quei bastardi mi hanno incastrato >> rispose tra i denti. Se ci pensava, aveva l’impressione che la rabbia e il risentimento si impossessassero di lui.
<< E immagino che tu non ti sia tirato indietro di fronte a una bella rissa, eh? >>. Questa volta il tono di Dino fu d’accusa e nei suoi occhi Squalo poté leggere un diverso tipo di rabbia da quella che animava lui, mischiata a paura e preoccupazione.
<< E cosa avrei dovuto fare? Implorarli e magari provare a scappare? >> replicò comunque Squalo, alzando il tono di voce. Quella discussione lo stava facendo incazzare.
<< Poteva essere un’opzione! >>. Anche la voce dell’altro ebbe un’impennata.
<< Non per me >> dichiarò l’altro risoluto. Il volto di Dino si contrasse in una smorfia di collera e fastidio, ma non replicò. Sbuffò infastidito e prese a medicare le altre ferite sul corpo dell’amico.
Adesso che Squalo era entrato nel mirino di Xanxus, le cose sarebbero solo potute peggiorare.






Note finali:  eccoci alla fine del quarto capitolo! ^^ è stato bello movimentato, eh? spero vi sia piaciuto <3 la risposta su chi era più forte tra Xanxus e Squalo è arrivata nel modo più doloroso per il povero Squ-chan.... anzi, xanxuccio non ci è andato neanche troppo pesante u.u e Dino si ritrova costretto a fare l'infermiere :3
scleri a parte, ringrazio come sempre i miei tre angeli che hanno recensito gli altri capitoli, Musa07, Sweethell e Kyoite <3 e tutti quelli che hanno messo la storia tra seguite, preferite, ecc ^^ vi abbraccio forte!
Dal prossimo capitolo ci sarà una svolta che avrà delle conseguenze belle toste, quindi posso dire che si entrerà nel vivo della storia :D perciò a presto! ciaossu a tutti!

PS: in questa foto potete vedere il modello della giacca dell'uniforme ^^ lo trovo molto figo <3 (anche il ragazzo non è male u.u) http://i01.i.aliimg.com/wsphoto/v0/649156613/Male-autumn-suit-slim-red-stand-collar-chinese-tunic-suit-font-b-school-b-font-font.jpg

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Capitolo 5
*** 5-Decisione ***


5-Decisione

<< Mi stai prendendo in giro, vero? >> esclamò sconcertato. Non riusciva a credere alle parole che Squalo aveva appena pronunciato.
“Entrerò nei Varia” aveva detto, lo sguardo fiero e la voce decisa.
 
 
Il pestaggio in palestra era avvenuto due giorni prima. Dino si era fatto raccontare ogni cosa e mentre ascoltava le parole di Squalo, aveva sentito la rabbia invaderlo nuovamente. Quel bastardo di Xanxus aveva organizzato una trappola solo per poterlo picchiare liberamente! Aveva provato il selvaggio desiderio di fargliela pagare, ma sapeva che sarebbe stato un suicidio. Nessuno era in grado di sconfiggere Xanxus. Fortunatamente Squalo non aveva riportato danni seri e sarebbe guarito del tutto entro un paio di settimane al massimo, ma la ferita più grave lui l’aveva riportata al suo orgoglio e Dino lo sapeva. Gliel’aveva letto negli occhi che non si sarebbe arreso, che non avrebbe lasciato perdere. Ormai aveva capito che tipo fosse il suo compagno di stanza e se una parte di lui ne ammirava il coraggio e la forza, l’altra parte aveva paura del suo essere impetuoso e del suo agire senza riflettere. Come poteva aver avuto una simile idea? Unirsi ai Varia per potersi avvicinare a Xanxus, scoprirne il punto debole e avere così la sua vendetta?
“È una follia!” si era detto e aveva anche provato a convincere Squalo, ma invano.
<< Una volta che avrò scoperto le sue debolezze, potrò fargli il culo! >> aveva esclamato infervorato.
<< Questo piano è semplicemente stupido! Prima di tutto, Xanxus non ti lascerà mai entrare nei Varia e anche se che lo facesse, non puoi sapere quello che ti succederà quando sarai con loro! Ti costringeranno a fare cose che non vorrai… >>, Dino si era interrotto, lanciando una lunga occhiata all’altro, << sai che dovrai obbedire agli ordini di Xanxus, vero? >>.
Squalo gli aveva restituito un’occhiata intensa e determinata. << Lo so >>.
Dino era rimasto in silenzio, consapevole che l’altro aveva ormai preso la decisione.
 
 
 
Lo specchio gli restituì l’immagine di un sedicenne con corti capelli spettinati e troppo chiari, gli occhi grigi luminosi e un volto che riportava ancora i segni del trattamento riservatogli da Xanxus. Il gonfiore all’occhio destro si era ridotto fino a diventare un evidente macchia violacea, mentre i tagli avevano appena iniziato il processo di cicatrizzazione. Erano ancora rossi e spiccavano per bene contro la sua pelle chiara.
“Oggi è il gran giorno” si disse per farsi coraggio.
Aveva rimuginato sul suo piano per due giorni interi durante i quali aveva deciso di ridurre al minimo le uscite fuori dalla sua stanza. Non per paura nei confronti di Xanxus e dei suoi sottoposti, ma semplicemente perché aveva bisogno di riflettere in tranquillità. Per la prima volta in vita era stato battuto da qualcuno; aveva incontrato un tipo più forte di lui ed era stato umiliato. Inizialmente la rabbia gli aveva annebbiato il cervello, facendogli desiderare una rapida vendetta che non avrebbe portato a niente. Nell’istante in cui era giunto a questa conclusione, la rabbia era scemata, trasformandosi nella consapevolezza che, se avesse davvero voluto farla pagare a Xanxus, avrebbe dovuto agire in modo diverso. Un attacco frontale era fuori discussione. Il moro era decisamente più forte di lui: non aveva speranze di batterlo in uno scontro diretto e aveva il forte sospetto che anche lo psicopatico con i coltelli fosse molto pericoloso. Non era sicuro di poter dire lo stesso per gli altri, ma non era una questione fondamentale al momento. Il suo obiettivo era Xanxus. Se fosse riuscito a conoscere meglio lui e i Varia, a sapere con esattezza cosa facevano e come lo facevano, ero sicuro che avrebbe potuto scoprire i suoi punti deboli. E a quel punto si sarebbe preso la sua rivincita.
“Tutti hanno delle debolezze” si era ripetuto più volte, ma Dino non condivideva affatto la sua decisione. Aveva provato a fargli cambiare idea, ma Squalo si era rilevato irremovibile. Niente e nessuno l’avrebbe fatto desistere. Gli dispiaceva solo che l’amico non lo appoggiasse. Per quanto lo trovasse irritante e fastidioso, aveva capito di essersi affezionato a lui, anche se ovviamente non l’avrebbe mai ammesso. Sapeva che Dino era il tipo di ragazzo che prendeva la vita alla leggera e che non si legava le cose al dito; e sapeva che era una persona pacifica, uno di quelli che pensa che la violenza non risolve mai le cose. Squalo non era d’accordo.
“Con certa gente le parole non servono a niente. I tipi come Xanxus parlano solo con i pugni” e Squalo lo sapeva.
 
 
 
<< Tu lo fai solo a causa dei tuoi genitori! Stai usando Xanxus come scusa per vendicarti della mafia! >> gli aveva urlato Dino durante il loro litigio. A quelle parole Squalo l’aveva afferrato per la camicia, strattonandolo e portando i loro visi a una distanza minima, lo sguardo gelido e affilato.
<< Non osare mai più nominare i miei genitori! >> aveva replicato Squalo, la voce un sussurro minaccioso, << loro non c’entrano un cazzo con questa storia! Me ne sbatto se Xanxus è il figlio di un mafioso! Voglio solo rendergli pan per focaccia e se per farlo dovrò fingere di stare ai suoi ordini e fargli da servo, ingoierò il rospo e sopporterò! Se l’idea non ti piace, non metterti in mezzo! >>. L’espressione ferita che era comparsa sul volto di Dino aveva fatto nascere in Squalo il senso di colpa: non era sua intenzione comportarsi in quel modo con l’amico, ma il sentir nominare i suoi genitori lo aveva mandato su tutte le furie. L’aveva lasciato andare, ma non si era scusato, troppo preso dal covare il suo rancore contro Xanxus. Dino l’aveva guardato uscire dalla stanza senza voltarsi e quando Squalo aveva sbattuto la porta alle sue spalle, aveva sentito un senso di vuoto arpionargli il petto.
 
 
“Eccoli là” si disse, lanciando un’occhiata al tavolo della mensa dove i Varia stavano pranzando.
Da quanto tutta la scuola aveva visto i segni del pestaggio sul volto di Squalo, le occhiate da lui ricevute si erano moltiplicate. Al suo passaggio gli studenti lo fissavano e bisbigliavano tra loro, ma nessuno gli aveva mai chiesto cosa fosse successo. Persino i professori avevano capito e Squalo era stato costretto a sorbirsi le varie prediche che ogni insegnante aveva fatto alla classe su quanto fosse sbagliato ricorrere alla violenza e altre frasi da circostanza che per lui non avevano alcun significato. Nessun provvedimento però era stato preso e Squalo non si era neanche dovuto inventare qualche scusa banale da rifilare agli adulti. A quanto pareva Xanxus aveva più potere in quella scuola di quanto fosse plausibile.
“Meglio così” aveva pensato sollevato, rendendosi conto di avere un problema in meno di cui occuparsi.
Non era sicuro che il suo piano avrebbe funzionato. Si rendeva conto che si trattava più che altro di gioco d’azzardo, di un tentativo con alte probabilità di fallimento, ma non aveva altre opzioni.
Dato che i Varia restavano a mensa più a lungo di tutti gli altri, Squalo attese che il locale si svuotasse prima di compiere la sua mossa. Non si era seduto al tavolo di Dino e della sua pseudo-band: non avevano quasi più parlato nelle ultime 48 ore e Squalo non aveva nessuna voglia di sorbirsi ancora quell’atmosfera pesante che si era creata tra loro. Così aveva preso posto ad un tavolo occupato da tre studenti che non gli avevano rivolto la parola, impegnati com’erano a sparlare di tutto e tutti. Quando Dino lasciò la mensa, Squalo ricambiò la lunga occhiata che racchiudeva i sentimenti di entrambi: ansia, preoccupazione e rassegnazione in uno, coraggio, determinazione e orgoglio nell’altro.
Una volta che la mensa fu quasi vuota, Squalo si alzò dal suo posto e si diresse a passo sicuro al tavolo dei Varia. Sentì lo sguardo di Xanxus addosso e lo sostenne come sempre aveva fatto. Si fermò, ricevendo occhiate sorprese e infastidite da tutti.
<< Che vuoi, feccia? >> gli domandò il Boss, posando una mano sul tavolo.
<< Ho bisogno di parlarti >> rispose con voce sicura e sguardo fiero. Vide Xanxus inarcare un sopracciglio.
<< Parlarmi? Non ho niente da dirti, quindi sparisci, prima che decida di fare una replica del nostro ultimo incontro >>.
Sapeva che non sarebbe stato facile farsi ascoltare, ma non si arrese. << Se questo vuol dire che poi mi ascolterai, allora accomodati pure >> replicò allargando le braccia, gli occhi che non lasciavano trasparire nessuna esitazione.
L’espressione del moro si fece confusa per un istante, ma subito dopo un sorrisetto si dipinse sul suo volto. << Non credo proprio che sopravvivresti, quindi per il tuo bene ti conviene levarti dalle palle >>.
<< Lo farò dopo che mi avrai ascoltato >>.
<< Non hai sentito il Boss, moccioso? >> intervenne Levi, << ritorna dal tuo amichetto biondo e non infastidirci! >>.
Squalo gli lanciò un’occhiataccia. << Non mi sembra di aver chiesto la tua opinione, idiota con la faccia da scemo. Stavo parlando con il tuo capo >>.
<< Ushishishi, il ragazzo mi piace >> s’intromise Belphegor, ridendo in quel suo strano modo.
<< Che cazzo c’entri tu, razza di principino psicopatico? >> gli urlò contro Levi.
<< Ushishishi, sempre meglio che essere un idiota come te. Direi che il nuovo arrivato ti ha capito benissimo >>.
<< Come osi… >>.
<< Fate silenzio, fecce! >> li interruppe Xanxus con tono autoritario. I due si zittirono subito, poi il moro tornò a rivolgere la sua attenzione a Squalo. << Sentiamo quello che hai da dire >>.
Squalo prese un profondo respiro e senza staccare gli occhi da quelli rossi e intensi di Xanxus disse: << Voglio entrare nei Varia >>.
Ci furono alcuni secondi di silenzio sgomento, poi i quattro scoppiarono a ridere, tranne Viper, che continuava ad avere quell’atteggiamento freddo e disinteressato. Si era aspettato una reazione del genere, così attese qualche altro secondo prima di aggiungere: << Non sto scherzando >>.
I Varia continuarono a sghignazzare per un po’, poi si calmarono e lo sguardo di Xanxus si piantò nuovamente su Squalo. << Sai, feccia, io detesto le persone che mi fanno perdere tempo inutilmente >>.
<< Ti ripeto che sono serio >> lo interruppe Squalo, << voglio davvero entrare nei Varia >>.
La bocca del Boss si piegò in un sorriso sghembo. << E perché vorresti unirti a noi? >>.
<< Perché voi siete i più forti e io voglio stare con i più forti >> dichiarò Squalo risoluto. Si stava giocando il tutto per tutto e per un attimo pensò che Dino aveva ragione: quel piano era folle e privo di senso, ma ormai si era buttato ed era in caduta libera.
Lo sguardo di Xanxus lo soppesò e sembrò volergli scavare dentro, come alla ricerca di crepe, dubbi, incertezze e Squalo provò ancora una volta quella sensazione destabilizzante che solo gli occhi e la voce del moro erano in grado di provocargli. Ogni cosa di Xanxus sembrava volersi insinuare in lui e Squalo si odiò profondamente, perché aveva l’impressione di lasciarglielo fare senza opporre resistenza.
Dopo averlo squadrato a lungo, il moro sospirò e sorrise – se quel suo ghigno si poteva davvero definire un sorriso. << Mettiamolo ai voti >>.
Gli altri Varia fissarono il loro Boss sorpresi. Da quanto ascoltava le loro opinioni in merito a qualcosa?
<< Io sono contrario! >> dichiarò subito Levi, beccandosi un’altra occhiataccia da Squalo.
<< Ushishishi, io sono d’accordo. Il tipetto sembra interessante; penso che mi divertirò >>. Il modo in cui lo disse provocò un’ondata di inquietudine in Squalo, ma evitò di pensarci: in fondo, il biondino era dalla sua parte.
<< Sono d’accordo anch’io! >> esclamò Lussuria con voce acuta, << è decisamente il mio tipo >> aggiunse subito dopo con un tono di voce più basso e un sorrisetto che a Squalo non piacque per niente.
“Ma è davvero un maschio questo?” si chiese, osservandolo con la coda dell’occhio. Non che gli importasse qualcosa fino a che era un voto a suo favore.
Xanxus piantò ancora una volta i suoi occhi su Squalo e si portò una mano al mento. << Mi stai decisamente sul cazzo, feccia, perciò la mia risposta è no >>.
<< Siamo due a due: il voto di Viper sarà quello decisivo >> disse Lussuria, fissando la ragazza. A quelle parole tutti gli sguardi fecero altrettanto, mentre Viper continuava ad avere l’aria di quella a cui non importava assolutamente niente.
Sospirò e scrollò le spalle. << Per me è indifferente. Se vuoi unirti a noi, fa’ come ti pare >>.
“È… è un sì?”, Squalo non era ben sicuro di come interpretarlo. Vide Belphegor e Lussuria sorridere, mentre il volto di Levi si rabbuiò. Xanxus lanciò una lunga occhiata a Viper e poi scosse la testa.
<< A quanto pare sei dentro, feccia >> dichiarò, spostando la sua attenzione su Squalo, << anche se la cosa non mi piace per niente >>.
“Evvai! Ce l’ho fatta!” pensò lui soddisfatto, ignorando il commento dell’altro, mentre un sorriso arrogante faceva capolino sul suo volto.
<< Non cantare vittoria troppo presto >> lo redarguì allora il moro, << devi ancora dimostrare di essere degno di stare con noi >>.
“Non poteva essere così semplice”. << Cosa devo fare? >> domandò, sperando in cuor suo che non gli chiedesse di pestare qualcuno. Pur essendo un amante delle risse, picchiare uno che non era in grado di difendersi e che magari si sarebbe messo a piagnucolare terrorizzato non gli piaceva per niente.
Il ghigno che si allargò sul volto di Xanxus non prometteva nulla di buono.
 
 
 
<< Volete davvero che faccia una cosa del genere? >> esclamò incredulo.
Xanxus incrociò le braccia al petto e si appoggiò allo schienale della sedia. << Se non ti va, puoi sempre tirarti indietro. Nessuno ti obbliga >>.
<< Ma se non lo faccio, non potrò entrare nei Varia! >> replicò Squalo ingenuamente. In quel momento si sentì un vero stupido e dubitò di sé e del suo piano.
Il moro ridacchiò. << Mi pare ovvio, feccia. Devo essere sicuro che tu voglia davvero unirti a noi e che sia pronto ad obbedire ai miei ordini >> si interruppe un attimo e gli lanciò un’occhiata eloquente, << a tutti i miei ordini >>.
Squalo lo fissò con palese astio, ma Xanxus sembrava trovare tutta la faccenda molto divertente. Anzi, di sicuro stava gongolando al solo pensiero di metterlo così tanto in difficoltà. << Perché proprio Dino? Non… non può essere qualcun altro? >>.
<< Non sei nella condizione di contrattare, feccia. O fai quello che ti ho detto o puoi sparire dalla mia vista. Questo è l’accordo: se non ti sta bene, levati dai coglioni e non farmi perdere altro tempo. Ne ho già sprecato fin troppo stando qua a discutere con te >>.
Squalo rimase alcuni secondi in silenzio a riflettere. Immaginava che avrebbe dovuto fare qualcosa che non gli sarebbe piaciuto, ma quello
Prese un bel respiro e strinse i pugni. << Lo farò >> dichiarò deciso, ma dentro si stava già detestando profondamente. Stava per fare la peggiore carognata della sua vita e la stava per fare all’unica persona di quella scuola che gli era stata davvero amica.





Note finali: eccoci al numero 5 ^^ è stato un capitolo, potrei dire, di passaggio e spero che non vi sia risultato troppo lento, anche se in effetti da un punto di vista d'azione non succede niente... ma era importante per traghettarci (quanto mi piace sto termine u.u) nel cuore della storia... probabilmente non vi aspettavate un simile risvolto, ma ( dal mio punto di vista e per lo sviluppo che avevo stabilito ) Squalo doveva entrare nei Varia per potersi avvicinare a Xanxus, quindi eccoci qua ^^ certo, lui stesso si rende conto che il suo piano è alquanto deboluccio, ma come dice il detto "se non puoi batterli, unisciti a loro"! purtroppo però Squalo dovrà obbedire a Xanxus e dimostrargli le sue intenzioni... :/ cosa gli avrà mai chiesto di fare? Lo scopriremo presto u.u (mi sento un'annunciatrice da 4 soldi)
Ciancio alle bande (?) ringrazio come sempre tutti voi che avete commentato, messo la storia nelle varie categorie e anche solo letto <3 vi voglio bene! baci e a presto!

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Capitolo 6
*** 6-Uno di noi ***


Uno di noi


Quando Dino si svegliò quella mattina, la prima cosa che notò fu il letto vuoto di Squalo. Guardò l’orologio: segnava le sette e mezza.
“Dove cavolo è andato a quest’ora?” si domandò mettendosi in piedi. Nell’entrare in bagno, il suo piede destro colpì in pieno lo stipite della porta, ma la sua testa era talmente piena di pensieri che ci fece a malapena caso.
Da alcuni giorni ormai il rapporto tra lui e Squalo si era costantemente raffreddato fino a diventare quello di due ragazzi che condividevano solo una stanza e si parlavano appena. I suoi ripetuti tentativi di dissuadere Squalo dal suo folle piano non avevano fatto altro che metterli l’uno contro l’altro e nel momento in cui Dino aveva capito che mai e poi mai sarebbe riuscito a fargli cambiare idea, aveva semplicemente smesso di insistere.
Cos’altro avrebbe potuto fare?
La testa di Squalo era più dura di un blocco di cemento e niente di quello che Dino avrebbe potuto dirgli sarebbe stato in grado di farlo ragionare. Era fin troppo determinato a compiere la sua vendetta contro Xanxus e il biondo sapeva che era disposto a qualunque cosa per riuscirci, anche a mettere da parte i suoi principi. Perché stare con i Varia voleva dire proprio quello: obbedire a qualsiasi ordine del Boss, indipendentemente da tutto e tutti.
“Perché diavolo è dovuta andare a finire così?” si chiese frustrato per l’ennesima volta. Guardare Squalo mentre si metteva nei guai e non poter fare nulla per impedirlo lo faceva sentire del tutto impotente. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riuscire a trovare un modo per risolvere la faccenda prima che degenerasse del tutto, ma non aveva la più pallida idea di cosa fare. Per un momento aveva anche pensato di rivolgersi a suo padre per chiedere aiuto, ma aveva subito scartato questa possibilità: non poteva comportarsi come un ragazzino viziato che correva dai genitori al primo problema. Doveva affrontare la faccenda da solo. Inoltre Squalo l’avrebbe di sicuro odiato a vita se lui avesse fatto la spia al Preside e l’ultima cosa che Dino voleva era perdere l’amicizia di Squalo.
Anche se in quel momento non era più in grado di dire se avesse potuto ancora considerare l’altro come un amico.
 
 
 
 
“Cosa potrei prendermi oggi per colazione?” si chiese Dino, dopo aver sentito il suo stomaco brontolare per la terza volta in meno di cinque minuti. Affamato, affrettò il passo, ma arrivato in mensa, i suoi pensieri furono interrotti dalla folla di studenti che si era radunata vicino la porta.
“Che sta succedendo?”. Il biondo si avvicinò fino a ritrovarsi immerso nella calca di gente. Sembravano tutti osservare qualcosa al centro della sala ma per quanto Dino allungasse il collo per cercare di scorgere qualcosa, non riusciva a vedere niente eccetto una massa di teste voltate nella stessa direzione.
<< Non ci posso credere! >> sentì esclamare d’un tratto una ragazza vicina.
<< Chissà chi è stato a fare una cosa del genere… >> domandò quella che Dino presunse essere la sua amica.
<< Chi volete che sia stato?! >> intervenne un ragazzo accanto a loro con voce irritata, << c’è solo un gruppo di persone che arriverebbe a tanto >>.
<< Certo che quando vogliono sanno davvero essere teatrali! >> commentò un’altra voce maschile.
<< Ma di che diavolo stanno parlando? >> borbottò Dino confuso. Cosa mai poteva esserci di così interessante in mensa alle otto del mattino?
Infastidito da quella situazione, iniziò a farsi spazio tra la folla, chiedendo permesso e scusandosi fino a che, dopo aver pestato molte paia di piedi, riuscì a sbucare fuori. Curioso di scoprire la causa di tanto interesse, si guardò intorno e nell’istante in cui i suoi occhi la videro, desiderò con tutte le forze di trovarsi dentro ad un incubo.
Su un tavolo lasciato apposta al centro della sala, ridotta in uno stato pietoso, giaceva abbondonata la sua amata chitarra. La tastiera era stata spezzata in due e la cassa era ricoperta di qualsiasi schifezza immaginabile: oltre a una grossa quantità di cibo, tra cui panna, ketchup, maionese e altre salse di vari colori, c’erano macchie di vernice, carta-igienica usata, quelle che Dino sperò seriamente non fossero feci e quelli che erano innegabilmente dei preservativi. Le corde infine erano state usate per legare la chitarra alle gambe del tavolo.

Non seppe neanche dire per quanto tempo restò immobile, paralizzato fin nelle ossa, ad osservare sconvolto e incredulo la chitarra che suo padre gli aveva regalato anni fa per il suo compleanno. Persino le voci di tutti gli studenti in sala si affievolirono fino a scomparire, lasciandolo solo con quella scena dalla quale i suoi occhi non volevano staccarsi. Una vocina in un angolo remoto della sua mente continuava a ripetere “non può essere vero! Qualcuno mi dica che sto sognando”, ma ciò che stava vedendo era troppo nitido e devastante per essere un semplice frutto del suo subconscio.
Quando, dopo un tempo che gli parve infinito, riuscì a distogliere lo sguardo, l’incredulità e la confusione furono spazzate via dall’improvvisa consapevolezza che gli si palesò davanti. In piedi vicini al loro tavolo, i Varia osservavano la scena chiaramente divertiti, sghignazzando e parlottando tra loro. Ma ciò che sconvolse davvero Dino fu vedere Squalo in mezzo a loro che lo fissava con un’espressione ferita e colpevole. A poco a poco i pezzi del puzzle cominciarono a prendere forma e quando il biondo notò Xanxus che, con un ghigno soddisfatto, metteva una mano sulla spalla di Squalo e gli sussurrava qualcosa all’orecchio, comprese e sentì una fitta di dolore al petto. Gli occhi iniziarono a pungergli, mentre lacrime di rabbia tentavano di uscire, ma Dino non l’avrebbe permesso, non in quel momento, non davanti a tutti, non davanti a loro.
Si voltò e uscì dalla mensa, mentre gli altri studenti, forse ormai divenuti consapevoli, si spostavano per farlo passare. Si accorse dei loro sguardi compassionevoli e ondate di rabbia gli attraversarono il corpo, come continue scariche elettriche che minacciavano di farlo esplodere.
In quel momento voleva solo distruggere qualcosa o correre fino a non avere neanche le forze per pensare.
 
 
Sentì la mano di Xanxus posarsi sulla spalla e pochi istanti dopo il respiro caldo infrangersi sul suo orecchio e la sua voce fluire dentro di lui, densa come il sangue e dolorosa come fuoco vivo.
<< Ottimo lavoro, feccia. Ora sei uno di noi >>.
Era stato quasi un sussurro, ma per Squalo fu come se il moro l’avesse urlato. Ce l’aveva fatta. Era riuscito a farsi accettare nei Varia, ma a quale prezzo? Nel vedere l’espressione sconvolta, furiosa e sofferente di Dino, non aveva potuto fare a meno di pensare a quanto disgusto provasse nei confronti di se stesso.
Xanxus gli aveva chiesto una dimostrazione delle sue intenzioni e lui aveva accettato, nonostante il senso di colpa lo avesse attanagliato dall’inizio, da prima ancora di mettere in atto gli ordini di quello che ora avrebbe dovuto considerare il suo “boss”.
Se vuoi essere uno di noi, devi dimostrarti degno, feccia.
Squalo strinse i pugni fino a piantarsi le unghie nella carne, mentre le parole di Xanxus continuavano a risuonargli nella testa, come un’eco infinito che non voleva saperne di sparire.
<< Ushishishi, avete visto la sua faccia? >> ridacchiò Belphegor, << stava per mettersi a piangere! >>.
<< È stata una scena così teatrale! Uno spettacolo di-vi-no! >> si aggiunse Lussuria. Le risate dei Varia riempirono la mensa e inondarono la mente di Squalo, mentre la rabbia invadeva ogni singolo atomo del suo corpo. Senza pensare, iniziò a correre sempre più veloce, spingendo con violenza quelli che non si spostavano in tempo per farlo passare.

Corse a perdifiato e in pochi minuti fu di fronte la porta della sua stanza. Si fermò con i polmoni in fiamme e il respiro che assomigliava a un rantolo, mentre il cuore gli ringhiava nel petto e sembrava voler uscire fuori attraverso la gola. Allungò una mano verso la maniglia, ma la bloccò a mezz’aria, d’un tratto indeciso. Si rese conto di non avere la più pallida idea di quello che avrebbe dovuto dire e una parte di lui desiderò che la stanza fosse vuota, così da non dover affrontare l’altro.
“Ah, fanculo!”. Scosse la testa, come a scacciare i dubbi e aprì rapido la porta.
Trovò Dino seduto sul letto col viso nascosto tra le mani e per un momento temette che stesse piangendo. Ma quando quello alzò la testa e gli puntò gli occhi addosso, Squalo poté vedere il suo volto contratto in una smorfia di rabbia mista ad odio.
<< Che cazzo vuoi? Sei venuto a gongolare per la riuscita del tuo grandioso piano? >> esclamò il biondo, la voce trattenuta a stento.
Squalo rimase interdetto per alcuni istanti non perché non si aspettava che l’altro fosse furioso, ma semplicemente perché per la prima volta ebbe l’impressione di vedere un nuovo Dino, qualcuno che non aveva niente a che fare col ragazzo solare, allegro e sempre sorridente che aveva imparato a conoscere nelle ultime settimane.
Fu doloroso.
E anche più doloroso fu notare il suo sguardo carico di disprezzo. Quegli occhi nocciola di solito così caldi e luminosi adesso erano freddi e spenti, eppure bruciavano di rancore e indignazione.
<< Farò in modo che Xanxus paghi anche per questo >> dichiarò d’un tratto con voce sicura, sostenendo lo sguardo del biondo.
Dino scattò in piedi e lo fissò come se fosse pazzo. << Xanxus?! Sei stato TU a rubare la mia chitarra! TU l’hai ridotta in quel modo! Hai idea di quanto fosse importante per me?! Quella chitarra me l’aveva regalata mio padre quand’ero piccolo. È con lei che ho iniziato a suonare! Forse per chiunque altro era solo una chitarra, ma per me era l’oggetto più prezioso! E TU l’hai distrutta solo per il tuo insulso piano di entrare nei Varia! >>.
Il volto arrossato e le pupille dilatate, Dino ormai urlava senza curarsi di trattenere la voce, mentre Squalo lo fissava in silenzio, lasciando che si sfogasse.
<< Non volevo farlo, ma non ho avuto scelta >> si limitò a replicare, ben consapevole di quanto fosse debole e insulsa come scusa.
<< Non prendermi per il culo! Tu ce l’avevi una scelta! Potevi lasciar perdere; potevi ignorare Xanxus e dimenticare quello che era successo. Se non avessi deciso di entrare nei Varia a tutti i costi solo per il tuo stupido desiderio di rivalsa, tutto questo non sarebbe mai successo! Non dare la colpa agli altri per le tue decisioni! >>.
Squalo strinse ancora una volta i pugni e mentre un angolo della sua mente gli diceva che Dino aveva ragione, il suo orgoglio e la sua cocciutaggine gli impedivano di ammettere di aver sbagliato e di scusarsi. << Non potevo lasciar perdere >>.
Dino gli lanciò una lunga occhiata gelida prima di parlare. << Non potevi o non volevi? Allora, qual è il tuo problema? Non puoi sopportare che ci sia qualcuno più forte di te? O vuoi semplicemente dimostrare a te stesso di essere in grado di poter sconfiggere chiunque? >>. Si interruppe e attese una replica da parte di Squalo, che non arrivò. << Ma non vedi quello che ti sta facendo Xanxus? >> riprese col tono di chi sta cercando di far aprire gli occhi a qualcuno, << ti sta manipolando e tu glielo stai lasciando fare. Pensi che sia una coincidenza che ti abbia chiesto di fare una cosa del genere? Lui ti sta mettendo alla prova perché non si fida di te: vuole vedere fino a dove ti spingerai pur di rimanere nei Varia e nel frattempo ride alle tue spalle, vedendo quanto potere ha su di te… >>.
<< Lo so benissimo questo! >> gridò Squalo, facendo zittire Dino, << non sono così ingenuo! >>.
<< Invece sì! >> gli urlò di sopra il biondo, ormai esasperato, << sei un ingenuo perché pensi davvero che questo tuo folle piano ti farà avere la tua vendetta! Sai come andrà a finire? Te lo dico io! Xanxus ti sfrutterà e ti umilierà fino a quando non si sarà stancato di giocare con te; a quel punto troverà il modo per farti pentire di averlo sfidato e tu non avrai concluso un cazzo! >>.
<< Non permetterò che accada >> fu l’unica replica di Squalo.
Dino prese un respiro profondo e scosse la testa, rassegnato. << Fa come ti pare. Non ho più voglia di discutere >>. Si passò una mano tra i capelli – un gesto che faceva sempre quando cercava di calmarsi – e si diresse verso la porta. Superò Squalo, ma prima di uscire disse: << Il tuo orgoglio sarà la tua rovina >>.
Oltre al rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle, Squalo ebbe l’impressione di sentire il suono di qualcosa che si spezzava dentro di lui. Qualcosa a cui non seppe dare un nome, ma che lo fece sentire incredibilmente e terribilmente vuoto.
In quell’istante capì di non poter più tornare indietro.
 
 
 
Quando, quello stesso giorno, a pranzo, Squalo si sedette al tavolo dei Varia, si ritrovò addosso gli sguardi di tutta la mensa, accompagnati da bisbigli e sussurri. Erano tutti chiaramente sorpresi e increduli che il nuovo arrivato si fosse unito al gruppo più potente della scuola, ma a Squalo non importava niente del giudizio degli altri. Cercò Dino tra la folla, ma non lo vide da nessuna parte, neppure al tavolo dove erano soliti sedersi loro due insieme ai ragazzi della band. Un sospirò incontrollato gli sfuggì dalle labbra.
<< Tutto bene, Squalo? >> gli domandò d’un tratto Lussuria, interrompendo il flusso confuso dei suoi pensieri.
L’interpellato smise di giocare col cibo nel piatto e guardò l’altro, inarcando il sopracciglio. << Ti interessa davvero? >> replicò con tono scettico.
Lussuria unì le mani davanti al volto e sorrise. << Ma certo che mi interessa, tesoro! Ora sei uno di noi! >> squittì compiaciuto.
“Tesoro?! Ma che problemi ha questo?”.
<< Lascia in pace la feccia >> s’intromise Xanxus con un sorriso divertito, << deve ancora superare lo shock per aver tradito il suo unico amico >>.
Squalo gli lanciò un’occhiata truce, ma non ebbe il coraggio di replicare. Del resto, sapeva che l’altro aveva semplicemente detto la verità.
<< Hai ragione, Boss. Come sempre >> si complimentò Levi con sguardo ammirato, << ti ho preso un altro pezzo di carne: so quanto ti piace >> aggiunse con enfasi, posando un piatto davanti al moro.
“Ma che caz… cos’è, il suo maggiordomo?” si chiese Squalo sconvolto. Belphegor, sedutogli accanto, dovette indovinare i suoi pensieri, perché si avvicinò a lui e in un sussurro divertito disse: << Quell’idiota stravede per il Boss: se glielo chiedesse, Levi si metterebbe anche a novanta gradi. Se capisci che intendo… >>.
Squalo voltò di scatto la testa e si ritrovò davanti il ghigno inquietante del biondo. << Farò finta di non aver capito >> replicò, tornando subito dopo a concentrarsi sulle sue lasagne.
<< Ushishishi, come siamo innocenti… >> ridacchiò Bel. Squalo non rispose, ma si limitò a lanciargli un’occhiata infastidita.

Era insieme ai Varia da neanche dodici ore e già gli sembravano un branco di spostati fuori di testa: Lussuria impegnato a leggere riviste di moda e gossip e a ridacchiare come una gallina, Levi in ammirazione e contemplazione perpetua del Boss, Belphegor che non faceva altro che infastidire e punzecchiare Viper, la quale, dal canto suo, dimostrava un livello di sopportazione davvero notevole, unito alla sua ammirevole capacità di fingere che il ragazzo non esistesse. Xanxus infine ignorava tutti loro, degnandoli a malapena di qualche parola. In compenso però Squalo notò come, ogni volta che alzava lo sguardo dal piatto, gli occhi del moro fossero piantati su di lui. All’inizio pensò fosse solo un caso, ma dopo un po’ inizio a sentirsi a disagio e il desiderio di farlo smettere divenne sempre più forte.
Lo odiava.
Odiava la sua arroganza, il suo guardare gli altri dall’alto in basso, come se lui fosse il migliore. Odiava il suo potere all’interno della scuola e il fatto che tutti ne avessero una tale paura da non mettersi contro di lui. Odiava essere stato sconfitto e umiliato ed essere stato costretto ad ammettere che non poteva sperare di vincere. Ma soprattutto odiava quel suo ghigno del cazzo e quei suoi occhi che sembravano volerlo scrutare fin negli abissi più profondi della sua anima. Non riusciva a comprendere e a tollerare la sensazione di essere alla sua mercé, come un uccello intrappolato in una gabbia. Gli sembrava di essere sotto il controllo di Xanxus e, se una parte di lui ne era più consapevole, l’altra si convinse che, una volta avuta la sua vendetta, si sarebbe finalmente liberato della sua influenza.
Per questo aveva già deciso che avrebbe portato a termine il suo piano a qualunque costo.

Perso in questi pensieri, si riscosse solo quando si sentì chiamare dal moro.
<< Feccia, ho sete. Portami qualcosa da bere >> gli ordinò con tono freddo.
Squalo gli lanciò un’occhiata irritata.
<< Ci penso io, Boss! >> s’intromise subito Levi, pronto a soddisfare ogni bisogno del suo capo come al solito.
<< Tu non t’immischiare! Voglio che sia il nuovo arrivato a servirmi >> replicò il moro, le labbra piegate in un ghigno divertito.
Sbuffando sonoramente, Squalo si alzò e si diresse verso il bancone delle bevande. Avrebbe tanto voluto dire a Xanxus di infilarsi i suoi ordini dove non batteva il sole, ma sapeva che stare nei Varia voleva dire obbedire al Boss e fu quello che fece.
Tornato al tavolo, gli posò davanti una bottiglietta d’acqua. << Ecco qua >>.
Il moro le lanciò un’occhiata e scosse la testa. << Niente acqua. Portami qualcos’altro >>.
Squalo aggrottò le sopracciglia e digrignò i denti, ma non rispose.
Tornò con una lattina di aranciata, ma Xanxus lo mandò di nuovo a prendere qualcos’altro, provocando nell’altro grugniti, sbuffi e imprecazioni. Alla quinta volta in cui il moro, ancora non soddisfatto, gli ordinò di portargli un’altra bevanda, Squalo non resse più.
<< Voooooi! Adesso basta! >> esplose, sbattendo sul tavolo la lattina di chinotto, << mi sono rotto di farti da fattorino! Se hai sete, alza il tuo culo e vai a prenderti quello che cazzo ti pare! >>.
Non furono solo i Varia a interrompere quello che stavano facendo per fissare Squalo, ma anche molti studenti dei tavoli vicini che non avevano potuto ignorare i decibel della sua voce.

Xanxus lo guardò a lungo, in silenzio, le braccia incrociate sul petto, mentre gli altri attendevano una sua reazione. D’un tratto si alzò in piedi, si avvicinò a Squalo e senza preavviso lo afferrò per i capelli e gli sbatté la testa sul tavolo.
La sorpresa fu tale che l’argenteo non fece in tempo ad emettere un suono, ma sentì il dolore per  l’urto esplodere con violenza.
Sempre tenendo una mano premuta sul cranio di Squalo, Xanxus avvicinò la bocca al suo orecchio e disse: << Mi chiedevo quanto ci avresti messo prima di scoppiare… >>.
Squalo grugnì e provò a liberarsi, ma la presa dell’altro era peggio di una morsa; per di più il suo respiro caldo si insinuava in lui, provocandogli spiacevoli sensazioni lungo la spina dorsale.
<< Non so perché ti sei voluto unire a noi e sinceramente me ne fotto >> riprese, avvicinandosi ancora di più, tanto che Squalo poté sentire le sue labbra sfiorargli la pelle, << ma scolpisciti bene in mente le mie parole, feccia: se mi fai incazzare, ti distruggo >>.

Subito dopo mollò la presa e lasciò che Squalo si rimettesse in piedi. Lo sguardo del ragazzo era un concentrato di rabbia e odio e Xanxus ne rimase ancora una volta sorpreso: quella fottuta feccia non mostrava alcuna paura nei suoi confronti, ma solo disprezzo. Era la prima volta in vita sua che incontrava qualcuno che non lo guardasse con timore o ammirazione e la cosa gli procurò un certo fastidio, ma fu abile a nasconderlo dietro un’espressione fredda e indifferente.

Dal canto suo Squalo si ritrovò a sperare che i suoi occhi avessero il potere di far saltare in aria la testa dell’altro. “Sarebbe uno spettacolo divertente” si disse, ma la testa di Xanxus restò al suo posto e Squalo si costrinse al silenzio mordendosi un labbro. Era sicuro che se gli avesse ancora riposto per le rime, quello non si sarebbe fatto nessun problema a mettere subito in atto la sua minaccia.
Doveva aspettare e sopportare: presto avrebbe avuto la sua agognata vendetta.







Oh cielo, eccoci qua... avrei diverse note da fare a proposito di questo capitolo ma ne farò solo 1 che ritengo più importante. Riguarda il comportamento di Squalo: vi prego, non odiatelo perchè ha ferito Dino u.u lo so, è stato uno stronzo, ma lui è ossessionato dal desiderio di vendetta e anche se sa che quello che ha fatto è una carognata, è convinto comunque che potrà vendicarsi anche di questo... è ferito nell'orgoglio e non sente ragioni. diciamo che è anche combattuto, ma invece di seguire la ragione, segue l'istinto, pur sentendosi in colpa.... insomma, fa esaurire pure me! X) bene, chiarito questo, mi auguro che il cap vi sia piaciuto: ho cercato di rendere al meglio ogni parte e spero di aver fatto un buon lavoro ^^ diciamo che adesso si entra finalmente nel vivo della storia e nel prossimo cap si scopriranno diverse verità importanti ;) ringrazio come sempre tutti quelli che seguono e commentano la storia: se altri si vogliono aggiungere facendomi sapere cosa ne pensano, mi farebbe un immenso piacere <3
baci a tutti e alla prossima! ciaossu ;D

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Capitolo 7
*** 7-Bloccati ***


Bloccati


Dopo le prime settimane trascorse con i Varia, Squalo poteva tranquillamente affermare che il suo odio per Xanxus fosse aumentato in modo esponenziale, dato che il moro sembrava trovare ogni pretesto per provocarlo fino a farlo reagire. Mentre gli altri erano per lo più ignorati, Squalo era diventata la vittima preferita del suo Boss, che si divertiva a metterlo alla prova per vedere fino a quanto avrebbe resistito prima di esplodere.

E Squalo esplodeva, perché arrivava sempre quel momento in cui la sua pazienza – già di per sé esigua – scompariva del tutto, lasciando il posto alla rabbia e all’irritazione; e ogni volta le sue lamentele e i suoi rifiuti si traducevano in una risposta violenta da parte di Xanxus. Così, capitava che la testa di Squalo venisse sbattuta contro la prima superficie dura a disposizione o che diversi oggetti, tra cui libri, lattine e persino scarpe si infrangessero su di lui, provocando l’ilarità degli altri Varia che assistevano alla scena, in particolare di Levi.
Squalo però fu costretto a notare che, nonostante tutto, Xanxus non sembrava avere intenzione di mettere in scena una replica anche peggiore del pestaggio avvenuto in palestra.
“Di sicuro si diverte di più a prendersi gioco di me… fottuto sadico bastardo!” si ritrovò più volte a pensare con odio.
Poi c’erano quei giorni strani in cui il moro ignorava persino lui e dava l’impressione di essere in un mondo tutto suo e di non aver alcuna intenzione di sprecare tempo con i suoi sottoposti, ma a Squalo non importava più di tanto: del resto per lui era meglio essere ignorato che essere punito dai metodi tutt’altro che gentili del suo Boss.

La raccolta di informazioni però non procedeva come Squalo aveva previsto e sperato: tutti i Varia si erano dimostrati molto restii a parlare di se stessi e del loro passato. Tutti tranne Belphegor che si era invece vantato del suo sangue blu: a quanto diceva, infatti, proveniva da un antica e nobile famiglia che era stata addirittura alla corte di Vittorio Emanuele II. Per Squalo, ovviamente, quella notizia era utile tanto quanto sapere che Lussuria era un fan sfegatato di Lady Gaga o che il piatto preferito di Xanxus erano le bistecche al sangue.
“Non me faccio niente di questa roba! Se continua così, non riuscirò mai a scoprire i loro punti deboli!” si diceva depresso, “forse Dino aveva ragione…”
Già, Dino. Ogni volta che la sua mente si ritrovava a pensare a lui, il peso sul cuore di Squalo sembrava aumentare. Anche se ormai tutti avevano dimenticato la storia della chitarra in mensa, Squalo sapeva che Dino non l’avrebbe perdonato tanto facilmente, se mai l’avesse fatto. I rapporti tra loro due erano talmente gelidi che l’argenteo preferiva trascorrere il tempo con i Varia piuttosto che in quella stanza dove ormai non si scambiavano neanche un saluto. Anche le volte in cui Squalo era tornato con dei lividi o tagli – i segni del trattamento che Xanxus gli riservava  – Dino si era limitato a lanciargli un’occhiata infastidita, ma non gli aveva mai chiesto niente.
Così Squalo si era ritrovato insieme ai Varia più spesso di quanto avrebbe pensato, scoprendo, tra l’altro, che Xanxus era l’unico di loro ad avere una stanza tutta per sé, senza doverla condividere con nessuno.
“Questo mondo è davvero pieno di ingiustizie”  aveva pensato con invidia.
 
 
 

<< Una festa di Halloween? >>. Squalo guardò Lussuria con aria scettica, ma quello gli rispose con un sorriso a trentadue denti.
<< Ogni anno il Comitato Studentesco organizza una festa in maschera in palestra: è un evento im-per-di-bi-le! >> squittì entusiasta, sillabando con enfasi l’ultima parola.
<< Non mi interessa. Non sono tipo da feste >> replicò subito Squalo, tornando a concentrarsi sul libro che stava leggendo.
La stanza “privata” di Xanxus si era fatta d’un tratto affollata, dato che tutti i Varia – tranne Viper – si erano radunati là e mentre il moro si riposava sul letto, Belphegor giocava con una console portatile e Levi sfogliava un giornale, Squalo cercava di concentrarsi sulle pagine di “La coscienza di Zeno”, ma inutilmente, dato che Lussuria lo distraeva con le sue chiacchiere.
<< Oh, Squaletto, quando parli così sembri proprio il Boss! >> si lamentò quello mettendo il broncio come un bambino.
L’altro gli lanciò un’occhiataccia infastidita. << Ti ho già detto di non chiamarmi Squaletto! È irritante! E poi io non sono assolutamente come quello là >>.
<< Uffa! E va bene! Ma devi venire anche tu: ci saremo tutti >> insistette Lussuria, avvicinandosi a Squalo che gettò uno sguardo su Xanxus. Sembrava appisolato, ma l’argenteo sapeva che stava ascoltando tutto.
<< Vuoi dire che viene anche il Boss? >> gli domandò allora curioso. In effetti doveva ammettere che almeno nel non gradire le feste, lui e il moro avevano trovato un elemento in comune.
<< Ma certo! >> esclamò l’altro, tornando a sorridere, << ho già preparato i costumi per tutti, tranne il tuo. Da che ti vuoi vestire? >>.
<< Devo proprio? >>.
<< Of course, my darling! È una festa in maschera! >>.
Squalo sbuffò, rassegnato, dicendosi che non aveva alcuna voglia di travestirsi per andare a un’insulsa festa scolastica.
<< Non lo so, scegli tu >> rispose con assoluta mancanza di entusiasmo. Non aveva neanche voglia di scegliere un costume: uno valeva l’altro.
 
 
 
Si guardò allo specchio e il suo volto si contrasse in una smorfia di dubbio e perplessità. << Devo veramente andare in giro conciato così? >> chiese Squalo, voltandosi verso Lussuria.
<< Ma tesoro, questo vestito ti sta d’incanto! >> esclamò quello col tono di una vecchia signora.

Squalo sospirò esasperato e si diede un’altra occhiata: Lussuria gli aveva fatto indossare un elegante completo bianco con cravatta argentata e rifiniture dello stesso colore sulla giacca; sulla schiena, all’altezza delle scapole, aveva cucito un paio di piccole ali bianche piumose che in apertura oltrepassavano le spalle, rendendosi così visibili anche a distanza. I suoi capelli, di solito spettinati e sistemati solo con un po’ di gel, erano stati acconciati in un complesso insieme di ciocche che Lussuria aveva definito “stile visual-kei”.
<< Sembro un incrocio tra un cameriere e un pinguino sbiancato! >> si lamentò Squalo.
L’altro mise su il broncio per un attimo, ma poi sorrise e gli poggiò le mani sulle spalle. << Sei l’angelo più carino che abbia mai visto in vita mia! >>.
<< Ma è una festa di Halloween! Non potevi farmi un costume da zombie, mummia o qualcosa del genere? >>.
Lussuria si staccò da lui. << Tu mi hai chiesto di scegliere al posto tuo e io l’ho fatto, perciò non lamentarti! E poi sei un vero schianto, honey >> e gli fece l’occhiolino. Dato che era travestito da principe azzurro delle fiabe con tanto di calzamaglia, Squalo lo trovò decisamente inquietante, così sbuffò, ma non rispose. In quell’istante la porta della stanza di Lussuria - dove si stavano preparando - si aprì ed entrò Xanxus.
<< Avete finito, fecce? >>. Indossava un completo con giacca e pantalone nero, camicia rosso sangue e un lungo mantello sempre nero chiuso sul petto da un elegante gancio decorato con una pietra color rubino. Gli occhi erano stati truccati di nero e del sangue era stato disegnato agli angoli della bocca.
<< Sì, Boss! >> confermò allegro Lussuria, poi lanciò occhiate alternate agli altri due e un sorriso di soddisfazione si aprì sul suo volto. << Ma guardatevi! Un demone e un angelo >> fece notare, indicando i loro costumi, << una coppia splendida! >>.

Xanxus e Squalo si guardarono, constatando che in effetti i loro abiti si opponevano come lo yin e lo yang: una creatura delle tenebre l’uno e una creatura della luce l’altro. Squalo dovette inoltre riconoscere che al moro, nonostante la pelle scura non propriamente tipica di un vampiro, quel completo donava particolarmente. Si ritrovò a fissarlo più a lungo di quanto avrebbe voluto e se ne accorse solo quando Xanxus parlò. << Che hai, feccia? Ti sei incantato? >>.
Squalo scosse la testa e distolse lo sguardo, imbarazzato. << N-non… non ti stavo guardando! >>.
La bocca del Boss si piegò nel suo tipico sorrisetto di superiorità. << Io non ti ho mica chiesto se mi stavi guardando >>.
Squalo sgranò gli occhi e sperò che il trucco sul suo viso nascondesse l’improvviso rossore.
<< Già! Beh, comunque non ti stavo guardando! >> replicò rapido, per poi fiondarsi fuori dalla stanza, maledicendosi senza sosta. Perché diavolo si era imbarazzato come una ragazzina?
“Quel dannato bastardo!” pensò irritato. Nel suo tentativo di allontanarsi, s’imbatté in Levi, Belphegor e Viper che avevano da poco finito di prepararsi: il primo era vestito da soldato sopravvissuto a uno scontro con gli zombie, il biondino da omicida psicopatico con tanto di capelli, abiti e coltelli sporchi di sangue e la ragazza, in abito nero con pizzo, da gothic lolita.
<< Ushishishi, guarda quant’è carino il nostro angioletto! >> lo prese in giro Bel sghignazzando come al suo solito.
<< Fottiti >> replicò Squalo tra i denti.
<< Ushishishi, così mi ferisci >> continuò quello, portandosi una mano al petto con fare offeso.
Stava per rispondere, quando sentì alle sue spalle la voce di Lussuria. << Su, su, smettetela di bisticciare voi due! È tempo di andare a divertirci! >>. Detto questo, si avviò a passo spedito lungo il corridoio, con la spada finta che gli penzolava al fianco e la mente che fremeva per mettere in atto il suo geniale piano.
 
 

Non appena entrarono in palestra, Squalo dovette almeno in parte ricredersi su tutti quegli studenti figli di papà: avevano fatto un ottimo lavoro nell’organizzare la festa. Dappertutto erano state piazzate decorazioni a tema, persino scheletri di cartone che, attaccati al soffitto, penzolavano sulla folla mascherata che stava già ballando. Diversi tavoli pieni di cibi e bevande erano stati sistemati a una parete; un dj faceva il suo lavoro da un palchetto piazzato dalla parte opposta rispetto alla porta d’ingresso e le luci illuminavano il tutto con i colori del rosso, dell’arancio e del viola. Sembrava davvero di essere in un altro luogo.
<< I ragazzi del Comitato Studentesco hanno superato se stessi quest’anno! >> esclamò Lussuria a voce alta per superare il volume della musica.
La palestra era già affollata e guardandosi in giro si potevano vedere costumi di tutti i tipi: dai classici zombie, streghe e lupi mannari a fate, elfi e guerrieri, da principi e principesse ai personaggi del film horror più famosi.
I Varia si mischiarono tra la folla e dato che Squalo non mangiava dall’ora di pranzo, si fiondò sul buffet, staccandosi dagli altri.

Dopo circa un’ora dal loro arrivo – durante la quale Belphegor aveva terrorizzato a morte un gruppo di ragazze, Xanxus aveva quasi fatto a botte per tre volte con quelli che lo urtavano per sbaglio e Lussuria aveva esasperato il dj per fargli mettere le canzoni che voleva lui – Squalo andò al bagno e al suo ritorno il principe psicopatico lo afferrò per un braccio e gli disse: << Il Boss vuole parlarti in infermeria. Dice che è urgente >>.
L’argenteo lo fissò con sguardo perplesso, ma l’altro prese a spingerlo verso l’uscita, senza dargli il tempo di fare domande.
<< Ho capito, ho capito! Sto andando! >> sbottò irritato e si allontanò a passo spedito.
“Ma che diavolo vuole quello da me?” si domandò più volte, mentre attraversava il giardino ed entrava nell’edificio centrale. Considerato che tutta la scuola era alla festa, quei corridoi erano talmente vuoti e silenziosi che Squalo sentiva solo il suono del suo stesso respiro e i suoi passi che rimbombavano sul pavimento.
 
“Non è che quegli spostati vogliono farmi uno scherzo?” ipotizzò, fermandosi sulle scale. Insomma, non aveva alcun senso che Xanxus l’avesse fatto venire fino all’infermeria solo per parlare. E poi parlare di cosa? “Se deve dirmi qualcosa, può farlo in qualsiasi momento!”
Quella faccenda gli puzzava, ma, nonostante l’allerta del pericolo, Squalo andò avanti e in pochi minuti fu nel corridoio al terzo piano. Dato che l’unica luce era quella della luna che entrava dalle finestre, non riusciva a vedere chiaramente, ma gli sembrò di scorgere un’ombra entrare in infermeria.
“Se pensano di farmi paura con una cazzata del genere, resteranno molto delusi” si disse, continuando a camminare. Qualunque fosse stato il loro piano, non avrebbe dato loro nessuna soddisfazione.

Notò che la porta dell’infermeria era rimasta socchiusa: l’aprì e una volta dentro non fece neanche in tempo a sentire la serratura chiudersi che due mani lo afferrarono per le spalle e lo spinsero contro il muro. Il braccio destro gli venne torto e colse distintamente il respiro di qualcuno dietro di lui.
<< Lasciami, brutta testa di cazzo! >> gridò allo sconosciuto, provando a divincolarsi, ma quella presa era dannatamente salda e per qualche motivo familiare.
<< Che cazzo ci fai tu qua? >>.
Squalo avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. << Boss? >> domandò, pur sapendo già la risposta.
Sentì il braccio tornare libero e la pressione sulla sua schiena allentarsi. Si voltò e si ritrovò davanti il volto incazzato e confuso di Xanxus.
<< Che diavolo sta succedendo? >> gli domandò guardandosi attorno.
<< Questo dovrei chiedertelo io, feccia. Viper mi ha mandato qua, dicendomi che Lussuria aveva urgente bisogno di aiuto e invece trovo te >>.
<< Ehi! Guarda che io non c’entro niente! >> si difese subito Squalo, << è colpa di Belphegor: mi ha detto che tu volevi parlarmi qua in infermeria >>. Vide il moro aggrottare le sopracciglia e la linea della sua bocca farsi sottile.
<< Che cazzo stanno combinando quei rifiuti? >> ringhiò lanciando un’occhiata alla porta.
<< Usciamo di qua e scopriamolo, ma se la risposta non mi piace, chiedo il permesso di pestarli a sangue >> dichiarò Squalo con un ghigno.
<< Voglio divertirmi io con loro, ma ti concedo il colpo di grazia >> replicò il Boss col tono di un vero vampiro che sta già pregustando il sapore del sangue della sua vittima.

I due raggiunsero la porta, ma quando Squalo provò ad abbassare la maniglia, la trovò bloccata. Tentò e ritentò più volte, ma quella non si mosse di un millimetro.
<< Merda! Non si apre! >>.
Xanxus lo spostò. << Fa provare me >> disse, ma anche i suoi tentativi furono vani.
<< Fanculo! >> imprecò, assestando un calcio alla porta.
Squalo si guardò attorno: l’infermeria era un locale abbastanza grande, bianco e asettico come un ospedale, con letti separati dalle tende, armadietti di medicinali e utensili, piccole apparecchiature mediche e una scrivania. Oltre alla porta, l’unica altra via d’uscita era costituita dalle due finestre, che erano però chiuse con cancellate che potevano essere aperte solo dalla chiave. Chiave che era custodita dal medico e dall’infermiera.
<< Siamo bloccati qua dentro >> dichiarò con voce grave. Lui e Xanxus si guardarono a lungo, prima di prendere a pugni la porta e di gridare per farsi sentire, ma dopo alcuni minuti l’unica cosa che percepirono fu il silenzio assoluto. Chiunque li avesse chiusi là dentro era già andato via.
Il moro, in un impeto di rabbia, si tolse il mantello e lo gettò a terra con violenza. << Quei fottuti bastardi faranno meglio ad avere una valida scusa per tutto questo, altrimenti farò rimpiangere loro di essere nati! >>.
Squalo lo osservò accomodarsi alla scrivania e incrociare i piedi sul tavolo in un gesto di stizza. Per un motivo che non gli era del tutto chiaro, aveva ormai capito che quella era la posizione preferita del Boss quando si sedeva; aveva anche capito che, quando il moro era incazzato, la cosa migliore da fare era non rivolgergli la parola. Per imparare questa verità però era dovuto passare attraverso le diverse reazioni violente di Xanxus.

Squalo prese allora posto sul lettino per le visite e lasciò che il suo sguardo vagasse senza una meta precisa. Realizzò che non avevano neanche acceso le lampade al neon, ma dato che quella sera la luna brillava piena e luminosa, c’era abbastanza luce per distinguere tutti gli oggetti senza problemi e tutto l’ambiente era rischiarato da un tenue bagliore argentato.
Dopo alcuni minuti, senza che lui lo volesse, i suoi occhi si fermarono sul Boss: aveva le braccia incrociate sul petto, ma Squalo non riusciva a vederne il volto perché in quel momento gli dava le spalle. Si rese conto che quella era la prima volta in cui si ritrovavano completamente soli in una stanza senza che uno volesse prendere a pugni l’altro e in questa consapevolezza il suo cuore prese a battere più veloce. “Che cazzo mi prende?”.
Si ritrovò anche a pensare che quel silenzio diventava ogni secondo più pesante, ma provò a convincersi che fosse solo la sua immaginazione.
Dopo molti altri minuti che parvero interminabili, fu Xanxus il primo parlare. Tolse i piedi dalla scrivania e si girò sulla sedia in modo da poter guardare Squalo.

<< Sai, feccia, girano delle voci su di te >> iniziò, gli occhi seri piantati nei suoi, << dicono che il Preside sia una specie di patrigno e che ti faccia frequentare questa scuola senza sborsare un euro. Vorrei proprio sapere perché Cavallone farebbe una cose del genere per una feccia come te >>.
Squalo rimase spiazzato da quella domanda e deglutì nervosamente. Da quando era entrato nei Varia, il moro non aveva mai mostrato alcun interesse particolare nei suoi confronti, se si escludeva il suo sadico divertimento nel tormentarlo.
<< Non è carino chiamare la gente feccia quando chiedi qualcosa >> replicò, cercando di deviare l’argomento.
<< Ti chiamo come cazzo mi pare e non provare a fare il furbo con me: non ti conviene. Dato che mi sto annoiando, potrei decidere di divertirmi con te, quindi se non vuoi sputare i tuoi denti, faresti meglio a rispondere >>. Il suo tono era calmo e questo spaventò Squalo più di ogni altra cosa, perché sapeva fin troppo bene che quando Xanxus era serio nel minacciare qualcuno, la sua voce era sempre più fredda e tagliente di una lama, esattamente come in quel momento.
<< È vero: il Preside si prende cura di me. Grazie a lui posso studiare qua senza dover pagare la retta >> confermò allora, lo sguardo fisso per terra.
<< Perché? >> domandò semplicemente l’altro.
Squalo rialzò gli occhi, ma rimase in silenzio. Non voleva raccontargli la verità.
<< Ti ho fatto una domanda, feccia. Per il tuo bene, non costringermi a chiedertelo una terza volta >>.

“Questo è un ordine, non una domanda” pensò l’argenteo e avrebbe voluto farglielo notare, ma si disse che stava già mettendo a dura prova la pazienza del Boss. Eppure continuava a non voler parlare: si sentiva stringere la gola e senza accorgersene iniziò a tormentarsi le mani, mentre i suoi occhi non riuscivano più a sostenere lo sguardo indagatore dell’altro.
<< È a causa dei miei genitori: sono stati uccisi >> rispose con voce debole e sofferta, il cuore stritolato in una morsa di dolore.
<< Quindi sei rimasto orfano? >> s’informò il moro, il tono impassibile, come se non gli interessasse davvero quello che aveva sentito.
Squalo mosse la testa in segno d’assenso, ma continuò a guardare a terra. << Tutti i parenti se la sono data a gambe levate non appena è stato confermato che i miei erano stati uccisi dalla mafia. Nessuno voleva avere a che fare con me e dato che comunque i miei non erano in buoni rapporti con le loro famiglie, io sono stato semplicemente abbandonato >>. Per quanto si sforzasse di rimanere calmo, sentì la sua voce farsi tremante e gli occhi iniziare a bruciare.
“Merda! Non voglio piangere davanti a lui!”. Eppure, nonostante il dolore e l’imbarazzo, si rese conto di non riuscire più a fermare le parole.

<< I miei avevano una pasticceria: mia madre faceva le torte più buone del mondo e mio padre si occupava della gestione. Il negozio non era molto grande, ma in poco tempo divenne uno dei più conosciuti: i clienti continuavano ad aumentare e noi eravamo felici. Quando la mafia venne a chiederci il pizzo, i miei non vollero pagare. Provarono anche a denunciare la cosa alla polizia, ma quelli non fecero niente. Un giorno i mafiosi bruciarono la macchina di mio padre, ma loro continuavano a non voler pagare. Poi una sera, poco prima della chiusura, tre tizi fecero irruzione nel negozio: probabilmente erano venuti a prendersi l’incasso come punizione per non aver pagato prima, ma mio padre reagì. Ci fu una colluttazione e in un attimo lui e mia madre si ritrovarono con diverse pallottole in petto >>. Si fermò e provò a ispirare profondamente, ma  il suo corpo iniziò ad essere scosso dai singhiozzi e il volto prese a bagnarsi di quelle stesse lacrime che aveva giurato di non versare mai più. << Io non sapevo niente di tutta questa storia: i miei me l’avevano tenuto nascosto e io ero troppo impegnato a fare a botte per accorgermi che qualcosa non andava. Furono i poliziotti a spiegarmi cos’era successo, ma io non riuscivo a crederci. Non volevo crederci >> si fermò ancora, la voce ormai incrinata dal pianto e il corpo che continuava a tremare piano. Tirò su col naso un paio di volte e si asciugò il viso con la manica della giacca, ma altre lacrime silenziose presero il posto di quelle che venivano tolte, << I miei genitori sono morti solo perché non si sono piegati agli strozzini! Per colpa della mafia io ho perso tutto quello che avevo! >>.

Lacrime di rabbia, disperazione e sofferenza continuavano a sgorgare fuori dagli occhi di Squalo, nonostante lui si sforzasse di fermarle.
Provava una tale vergogna a piangere in quel modo proprio di fronte a Xanxus, di fronte al figlio di un mafioso, ma ormai la diga che lui stesso si era imposto era definitivamente crollata. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe più pianto per la morte dei suoi genitori, ma aveva anche fatto di tutto per evitare di pensarci e di parlarne. Ora che invece era stato costretto a rivivere il suo passato, il pianto era diventato la sua unica liberazione. Si sentì piccolo, debole e patetico e il sapere che gli occhi dell’altro erano fissi su di lui gli fece provare l’irrefrenabile desiderio di scappare il più lontano possibile. Aveva sempre odiato mostrarsi debole di fronte agli altri, persino da bambino, ma in quel momento, in quella stanza che d’un tratto sembrava essersi fatta troppo piccola, Squalo pensò che non aveva mai detestato così tanto la sola idea che qualcuno vedesse quel lato di lui.

<< Ancora non capisco perché Cavallone ti abbia preso con sé >> gli disse però Xanxus che non sembrava minimamente toccato dal racconto dell’altro.
Squalo sollevò la testa e tirò ancora su col naso. << Era un caro amico dei miei genitori: ha detto che avrebbe pensato lui a me per sdebitarsi del loro aiuto. Se non ci fosse stato lui, sarei stato affidato ai servizi sociali per poi finire chissà dove >>.
Il moro continuò a fissarlo con sguardo penetrante, mentre Squalo cercava di capire a cosa stesse pensando, ma senza riuscirci.
<< Quindi odi la mafia >>. Più che una domanda, la sua sembrava essere una constatazione.
Squalo sgranò gli occhi per un istante – erano ancora lucidi e gonfi, ma il suo sguardo si fece subito rabbioso. << Più di ogni altra cosa, ma di sicuro tu non puoi capire >>.
<< Non parlare come se mi conoscessi, feccia >> lo mise in guardia Xanxus, il volto contratto in un’espressione irata, << io capisco l’odio e la rabbia più di quanto tu possa immaginare >>.

<< Che… che vuoi dire? >>. Squalo non seppe perché glielo chiese. In realtà non sapeva neanche come fossero finiti in quella discussione. Aveva l’impressione di trovarsi in uno strano sogno, come in una sorta di limbo dai contorni sfocati e confusi, ma allo stesso tempo vividi. Non riusciva nemmeno a credere di avergli raccontato la verità sull’omicidio dei suoi genitori. Anche se era riuscito a calmarsi e a smettere di piangere, provava ancora vergogna nell’aver mostrato all’altro le sue debolezze.
“Dovrei essere io a scoprire i suoi punti deboli e non viceversa…” si disse sconfortato, mentre cercava di dare un senso a quella situazione.
<< Non sono affari tuoi! >> sbottò Xanxus, fulminandolo con lo sguardo. Senza rendersene conto però, si passò una mano sulla cicatrice della guancia: un gesto che non sfuggì a Squalo.
“Può essere che…”.
<< È a causa di quelle tue strane cicatrici, vero? >>.
Gli occhi rossi del Boss si spalancarono e la bocca si schiuse leggermente.
<< Come te le sei procurate? >> continuò Squalo, il sospetto che diventava ogni secondo una certezza.
In quel momento accadde qualcosa che non avrebbe creduto possibile: Xanxus distolse lo sguardo da lui e lo puntò altrove.
<< Dato che ti ho raccontato una cosa che non avevo mai detto a nessuno, non dovresti confidarmi anche tu un segreto? >>.
Il moro si voltò nuovamente verso Squalo, gli occhi stretti e furiosi. << Dove pensi di essere,  a un pigiama party? Vuoi forse parlarmi del tuo primo bacio o della prima volta che ti sei masturbato? >>.
L’altro sbuffò e aggrottò le sopracciglia. << Sei simpatico come un palo nel culo >>.
Un breve ghigno curvò le labbra del moro. << Non ti prendo a cazzotti solo perché non mi va di infierire su uno che ha appena smesso di frignare >>.
Il volto di Squalo si rabbuiò e le sue guance si fecero ancora più rosse. Abbassò gli occhi imbarazzato e scattò in piedi, voltandosi per poi dare all’altro le spalle: era sicuro che prima o poi gli avrebbe rinfacciato di essere scoppiato a piangere davanti a lui, solo che non pensava l’avrebbe fatto così presto.
“Che figlio di puttana!”. Fece a malapena in tempo ad imprecare che venne colto di sorpresa dalla voce dell’altro.

<< Avevo dieci anni >> iniziò all’improvviso Xanxus, con tono piatto e monocorde. Squalo si girò a guardarlo, ma il moro aveva gli occhi fissi nel vuoto. << quando venni rapito dagli scagnozzi di una famiglia nemica dei Vongola. Il figlio del loro Boss era stato ucciso in una sparatoria con gli uomini di mio padre e venne deciso che fossi io a pagare. Quei tizi pensarono che se avessero ucciso il figlio del Boss dei Vongola, avrebbero vendicato la morte di quel ragazzo. Mi tennero segregato in un luogo buio e umido e mi torturano per un paio di settimane >>.

Squalo sentì il respiro mozzarglisi in petto ed ebbe l’impressione che gli mancasse il terreno sotto i piedi. Non riusciva a credere alle sue orecchie e per di più non riusciva a credere che Xanxus stesse raccontando una cosa simile col tono di uno che elencava i piatti sul menù di un ristorante. Non sembrava neanche che stesse parlando di una cosa successa a lui.
“Non è possibile! Questo… questo non può essere vero!”.

<< Non volevano soltanto vendicare il figlio del loro Boss: volevano che mio padre soffrisse, ma alla fine fui io a pagare tutte le conseguenze. Mi torturarono con dei ferri arroventati, lasciandomi ustioni su tutto il corpo; iniziarono dai piedi e risalirono fino ad arrivare al volto. Spesso il dolore era talmente forte che perdevo i sensi, ma i miei ricordi di quei giorni sono piuttosto confusi. Una cosa però non potrò mai scordare: la puzza di carne bruciata che mi invadeva le narici. Questa >> disse, toccandosi la guancia, << me la fecero il giorno in cui i Vongola vennero a liberarmi. Uccisero tutti gli uomini dell’altra Famiglia e pochi giorni dopo anche il loro Boss: fu uno sterminio. Io rimasi in ospedale per un po’ e fui sottoposto ad alcune operazioni chirurgiche, ma quando mi chiesero se avrei voluto far sparire le cicatrici, io risposi di no >>.
“Cosa? Perché?”. Squalo sgranò gli occhi, sempre più incredulo e sconvolto. “Co-come può essere? Era solo un bambino!” 

<< Le ho lasciate come monito per ricordare a me stesso che non avrei mai più permesso a nessuno di farmi del male o di condizionarmi in alcun modo. Ho giurato che non sarei più stato così debole da non riuscire a difendermi e da allora sono sempre stato io il più forte >>.
Si fermò, gli occhi ancora persi nel vuoto, il volto serio e impassibile. Rimasero entrambi in silenzio a lungo. Squalo avrebbe voluto dire tante cose, ma i pensieri nella sua mente erano talmente ingarbugliati da rendergli impossibile articolare una frase di senso compiuto. “Io a dieci anni giocavo a pallone con i miei amici e guardavo i cartoni animati, mentre lui ha dovuto subire tutto questo… non… non è giusto! Nessuno dovrebbe vivere una simile esperienza, soprattutto un bambino!”. Si sentiva indignato, confuso, arrabbiato, frastornato: non riusciva a mettere ordine nella sua mente e nel suo cuore.
<< Mi… mi dispiace >> fu tutto ciò che disse. Allora Xanxus si voltò a fissarlo, ma nei suoi occhi Squalo vide solo un’infinita rabbia.
<< Non voglio la tua pietà, feccia! Non voglio la pietà di nessuno; non ne ho bisogno >> replicò con voce furiosa.
<< La mia non è pietà! >> rispose l’altro, sostenendo il suo sguardo, << io ti odio. Odio quello che rappresenti, quello che sei. Odio il modo in cui tratti gli altri e anche se hai avuto un’esperienza traumatica, questo non ti dà il diritto di comportarti come un fottuto stronzo arrogante! Quindi non pensare che potrei provare pietà per uno come te! >>.
<< Tch, meglio così. Preferisco essere odiato che essere compatito >>.

Solo in quell’istante però Squalo si rese conto che di tutto l’odio che aveva appena professato nei confronti di Xanxus non c’era più traccia.






Ciaossu a tutti!! ^^ innanzitutto mi scuso con i miei tre angeli, Musa07, Kyoite e Sweethell per non avervi risposto personalmente alle recensioni... ragazze, sapete che le vostre parole sono fondamentali per me e senza il vostro supporto non sarei ancora qua <3 <3 <3 quindi, come sempre grazie infinite!
Passiamo al capitolo: finalmente si è scoperto non solo la dinamica dell'omicidio dei genitori di Squalo (su cui, confesso, ho il dubbio che sia, non so, un pò inverosimile, ma vabbè....), ma soprattutto il passato di Xanxus... povero Boss!! ovviamente, se fossero stati i veri xanxus e squalo avrebbero sfondato quella porta in 3 secondi X) ma sono solo due adolescenti senza poteri quindi capiteli! u.u dal prossimo cap le cose si faranno ancora più interessanti, so stay tuned! ;)
bene, non mi dilungo ancora e attendo il vostro parete :D ringrazio tutti voi che seguite e leggete! un abbraccio e a presto!

 

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Capitolo 8
*** 8-Villa con piscina ***


Villa con piscina




Quando i Varia vennero a liberare i due prigionieri, si ritrovarono davanti uno Xanxus circondato da una spaventosa aura omicida: si avventò sui primi due che comparvero sull’uscio dell’infermeria, ovvero Levi e Lussuria e li atterrò con un solo colpo. I due, terrorizzati, presero a scusarsi e ad implorare pietà.
Sotto la minaccia del Boss di passare il resto delle loro vite a dover utilizzare una cannuccia per mangiare, Lussuria confessò tutto: dato che era convinto che tra Bel e Viper ci fosse del tenero, ma che i due non volessero ammetterlo, aveva pensato di chiuderli da qualche parte così che avessero potuto chiarirsi e confessarsi. Lui e Levi avevano quindi usato una scusa per convincerli ad andare in infermeria, ma a quanto pareva i due piccioncini inconsapevoli, non avendo alcuna voglia di fare quanto gli era stato chiesto, avevano rigirato l’imbroglio a Xanxus e Squalo e quando questi ultimi erano entrati nella stanza predestinata, i due complottisti, convinti che là dentro ci fossero Bel e Viper, avevano bloccato la porta e se n’erano tornati alla festa.
Si erano resi conto dell’errore solo mezz’ora dopo, quando, nella confusione della palestra, avevano scorto i due compagni, che sarebbero dovuti essere a parlare dei loro sentimenti nascosti e che invece si divertivano a fare scherzi di Halloween agli altri studenti. In preda al panico, Levi e Lussuria erano corsi in infermeria per liberare i reclusi e avevano dovuto affrontare l’ira del loro Boss che si era decisamente sfogato prendendoli a calci.
Nell’osservare la scena, Squalo non aveva potuto impedire alle sue labbra di curvarsi in un sorriso: in fondo quei due meritavano una punizione per l’assurdo piano che avevano voluto mettere in atto.
“E poi come cavolo è venuta in mente a Lussuria l’idea che tra Viper e lo psicopatico ci sia del tenero?”
Una volta finito di punire i suoi sottoposti, Xanxus se ne tornò nella sua stanza e Squalo fece altrettanto: dopo tutto quello che era successo in infermeria non aveva nessun desiderio di ritrovarsi in mezzo a gente che si dimenava a ritmo di musica. Per di più, anche se era ancora presto, si sentiva incredibilmente stanco: voleva solo buttarsi sul letto e dimenticare l’ultima mezz’ora della sua vita.
 
 
 
Nei giorni seguenti a quella serata Squalo iniziò a sentirsi sempre più confuso e spaesato. Per quanto si sforzasse, non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Xanxus, la verità sul suo passato e sulle sue cicatrici: continuavano a sembrargli incredibilmente assurde e terribilmente dolorose. Non si dava pace, soprattutto riguardo al fatto che il moro non avesse mostrato alcuna emozione nel rivivere quei ricordi traumatici. Quelle ultime parole poi – “ho giurato che non sarei più stato così debole da non riuscire a difendermi e da allora sono sempre stato io il più forte”- gli ricordavano in modo speculare i pensieri che lui stesso aveva avuto dopo la morte dei genitori. Nonostante il dolore, anche lui aveva promesso che avrebbe continuato ad essere forte e a vivere la sua vita senza avere paura.
Erano davvero così simili loro due?
“No! No, no e poi no! Io e quel bastardo non abbiamo niente in comune!” si ripeteva, pur sapendo ormai dentro di sé che non erano parole sincere. Che fine avevano fatto l’odio e il desiderio di vendetta che l’avevano spinto fin là? Dov’erano andati a finire la sua determinazione e il suo orgoglio? Potevano davvero essere spariti così? Poteva la sua considerazione di Xanxus essersi modificata fino al punto da rendergli impossibile odiarlo davvero?
“Cazzo! Non ci sto capendo più niente! Forse sono impazzito…”. Doveva odiarlo! Altrimenti che senso aveva tutto quello che aveva fatto nelle ultime settimane?
“Dannatissimo stronzo! Ti detesto perché non riesco ad odiarti abbastanza!”
 
 
 
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La mattina in cui Squalo si ritrovò per caso a sfogliare il giornale che era stato lasciato sul tavolo, non avrebbe mai creduto di leggerci sopra una notizia riguardante l’omicidio dei suoi genitori. I corpi dei tre assassini che quella sera di sei mesi fa avevano fatto irruzione nella pasticceria erano stati ritrovati in una discarica: secondo la ricostruzione, prima di essere stati uccisi da un colpo di pistola, avevano subito la recisione dei legamenti di caviglie e ginocchia. Date queste modalità, la polizia era convinta che si fosse trattato di un regolamento di conti tra mafiosi.
“N-non… non ci credo! Li hanno davvero uccisi?”
Dalla morte della sua famiglia non era passato un giorno in cui Squalo non avesse desiderato la morte di quegli uomini: aveva pregato perché morissero nel modo più lento e doloroso possibile, convinto che questo gli avrebbe dato un po’ di pace. Scoprì invece di sentirsi vuoto. Non provava nulla, se non sorpresa per il fatto che fosse stata la mafia stessa a farli fuori.
In quell’istante, mentre se ne stava seduto in mensa insieme ai Varia, il suo sguardo si posò su Xanxus e i loro occhi si incrociarono per lunghi secondi. Come sempre il moro lo fissava con intensità e Squalo se ne sentì subito intimidito.
“Che cavolo vuole?” si chiese a disagio, riportando l’attenzione al giornale.
Dalla sera in infermeria Squalo non era più sicuro di come doveva comportarsi con Xanxus: anche se questi continuava a trattarlo come sempre, lui non poteva fare a meno di considerare l’altro come una persona diversa. Come poteva restare indifferente dopo aver ascoltato una simile storia? Gli sembrava quasi di capire il perché di certi suoi atteggiamenti, ma allo stesso tempo non riusciva a tollerare e a comprendere come la situazione si fosse capovolta in quel modo.
Quando aveva smesso di odiarlo?
“Forse provo davvero pietà per quello che ha passato…” si diceva nel tentativo di fare chiarezza dentro di lui, ma senza riuscirci fino in fondo.
 
 
 
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Squalo gettò per l’ennesima volta un’occhiata al display del telefono, sbuffando: erano già trascorse cinque ore da quando era salito su quella limousine nera insieme agli altri Varia ed erano stati i trecento minuti più lunghi della sua vita.
Oltre al fatto che Lussuria aveva ciarlato per buona parte del tempo e che Levi e Belphegor avevano battibeccato come al solito, trascinando nella discussione persino Viper, Squalo si era ritrovato seduto accanto a Xanxus e, nonostante le loro spalle non si sfiorassero nemmeno, l’argenteo si era sentito a disagio per tutto il tempo;  il fatto di non capire il perché lo aveva fatto stare anche peggio. A un certo punto, cullato dal movimento della macchina, si era persino appisolato e, non volendo, era finito con la testa sulla spalla del moro per poi venire gentilmente svegliato da una spinta del Boss che l’aveva mandato a cozzare contro il finestrino.
<< Vooooooi! Brutto stronzo! Che bisogno c’era di colpirmi? >> aveva sbraitato, massaggiandosi la testa.
<< Non sono il tuo cuscino personale, feccia! >> aveva risposto l’altro col solito tono scazzato, incrociando le braccia e guardandolo con la coda dell’occhio.
<< Fanculo >> aveva borbottato Squalo. Tornato ad osservare il paesaggio che fuori saettava veloce, non si era accoro del sorrisetto apparso sulle labbra di Xanxus.
 
 
 
Dopo cinque ore abbondanti di macchina, giunsero finalmente a destinazione: Villa Vongola, dove erano attesi per festeggiare il 60esimo compleanno di Timoteo, Nono Boss della Famiglia.
Dato che Xanxus era costretto a partecipare, suo padre aveva deciso di estendere l’invito anche a quelli che considerava amici del figlio e così i Varia, compreso Squalo - che era stato più che altro trascinato – si erano ritrovati a fare i bagagli per trascorrere una notte nella lussuosa residenza di famiglia.
Ancor prima di scendere dalla limousine, Squalo aveva sgranato occhi e bocca, incredulo di fronte a tanta meraviglia: una villa bianca talmente grande da sembrare un castello occupava il centro di un giardino delle dimensioni di un parco. Per arrivarci, la macchina aveva percorso un lungo viale in mezzo agli alberi che arrivava fino ad una splendida e imponente fontana situata di fronte il portico d’ingresso.
Appena fuori dalla macchina, due uomini in uniforme da facchino avevano aperto il cofano e preso i bagagli, mentre il gruppo di ospiti si incamminava verso il portone. D’un tratto Xanxus si avvicinò a Squalo e con un movimento rapido della mano gli chiuse la bocca, dato che l’altro continuava a tenerla aperta, ancora perso in ammirazione.
<< Se non stai attento, feccia, ti ritroverai a mangiare insetti >> lo prese in giro il moro, le labbra piegate nel suo tipico ghigno.
Squalo si rabbuiò subito e il suo volto si contrasse in un’espressione irritata. << Va’ a farti fottere! >>.
L’altro lo superò e, mentre varcava l’uscio di casa, si portò una mano dietro la schiena e alzò il dito medio. Inconsciamente Squalo si ritrovò a sorridere divertito e nello stesso istante in cui se ne rese conto, il sorriso svanì dal suo volto.
“Che caz…! Ma che diavolo mi sta succedendo?”
 
 
 
All’interno Villa Vongola non era da meno rispetto all’esterno. Ovunque Squalo guardasse, l’eleganza e la raffinatezza dell’arredamento lo lasciavano senza parole.
“Certo che i mafiosi sanno come godersi la vita” pensava con un pizzico di invidia e di astio, osservando il lusso che trasudava da ogni angolo. L’idea di trovarsi nella casa di un boss lo faceva sentire decisamente strano, un po’ come un vampiro in una chiesa. Diverse sensazioni contrastanti albergavano nel suo cuore e non era ben sicuro a quale avrebbe dovuto priorità.
Le sue elucubrazioni vennero interrotte dall’arrivo di un sorridente signore anziano con baffi e capelli bianchi, che indossava un semplice pantalone beige e un dolcevita verde scuro.
<< Benvenuti >> li accolse, senza smettere di sorridere. Mise una mano sulla spalla di Xanxus e la sua espressione si addolcì ancor di più: sembrava un tenero nonnino che riceve la visita dei nipoti.
<< È un piacere rivederLa, Nono >> rispose Lussuria ricambiando il sorriso, << a nome di tutti Le auguriamo buon compleanno e La ringraziamo per averci invitato alla festa >>.
“Co-cosa? Questo vecchietto dall’aspetto gentile è il Boss dei Vongola?” si domandò Squalo incredulo. Aveva più volte provato ad immaginarsi che faccia potesse avere il padre di Xanxus, ma di certo non si sarebbe mai aspettato un tipo così. A differenza del figlio, non incuteva per niente paura, anzi, trasmetteva una sensazione di pace e serenità: i suoi occhi erano caldi e il suo sorriso rassicurante e Squalo si chiese come una persona del genere potesse essere a capo di un’organizzazione criminale.
“Immagino sia la prova concreta del detto le apparenze ingannano”.
 
 
 
Conclusi i convenevoli, il Nono si congedò e i Varia furono accompagnati nelle loro stanze, dato che avrebbero trascorso la notte alla Villa, mentre Xanxus si ritirò nella sua camera.
Una volta dentro, Squalo si perse ancora ad ammirarne il lusso, ma visto che mancavano ancora alcune ore alla festa, si buttò sul letto a baldacchino e si appisolò senza neanche togliersi le scarpe.
 
 
 
 
La festa si svolse nel salone più grande della Villa: le luci brillavano calde, i camerieri in frac si spostavano rapidi ed eleganti tra gli invitati che sfoggiavano smoking e raffinati abiti da cerimonia, mentre una piccola orchestra allietava l’atmosfera con la sua musica. La gente chiacchierava e rideva e dovunque si respirava un’aria rilassata e divertita.
Quando i Varia entrarono nella sala, molti occhi si puntarono su di loro e Squalo si sentì subito sotto giudizio: nonostante fossero vestiti di tutto punto, erano gli invitati più giovani presenti e attirarono subito l’attenzione. Attenzione che venne però presto concentrata su Xanxus quando questi, raggiunto suo padre, iniziò a muoversi tra gli ospiti, costretto a dare loro il benvenuto. Osservandolo, Squalo capì subito che il moro, dietro la sua faccia impassibile, stesse facendo uno sforzo per non mandare tutti verso altri lidi poco puliti: a pensare che fosse costretto a fare qualcosa contro la sua volontà, Squalo non poté impedirsi di sorridere.  Di sicuro in quel momento Xanxus stava imprecando contro tutto e tutti.
 
 
 
La prima ora della festa trascorse lenta e noiosa e gli sbadigli di Squalo si fecero così frequenti che iniziò a dolergli la mascella. D’un tratto però notò dei movimenti sospetti tra Xanxus, Levi e Lussuria e li vide lasciare il salone. Pochi minuti dopo Belphegor gli si avvicinò con il suo solito ghigno stampato in volto. << È ora di dare inizio alla vera festa! >> annunciò allegro e fece all’altro segno di seguirlo.
Uscirono anche loro dalla sala e, dopo aver attraversato alcuni corridoi deserti, entrarono in una grande stanza sulla cui destra si apriva un arco nudo, senza né porte, tende o altro, che dava su un altro corridoio.
Varcata la soglia, Squalo vide Lussuria intento ad armeggiare con uno stereo, Levi che sistemava su un tavolo una quantità impressionante di alcolici sgraffignati da chissà dove e Xanxus che, comodamente seduto su una poltrona di pelle, sorseggiava da un bicchiere colmo di liquido ambrato.
Appena il suono di chitarre elettriche proruppe dalle casse e la stanza si riempì delle note di un pezzo rock, Squalo pensò che quella serata stava finalmente per prendere una piega interessante.
Belphegor intanto si era buttato sul divano, sedendosi accanto a Viper e aveva afferrato una delle bottiglie dal tavolinetto di fronte.
In pochi minuti tutti i Varia stavano bevendo, lasciandosi trasportare dalla musica: le risate e le chiacchiere si fecero sempre più rumorose, mentre il livello d’alcol nei bicchieri calava vistosamente.  Persino Squalo non si tirò indietro, deciso a divertirsi: non voleva pensare a niente e a nessuno.
Voleva solo spegnere la sua mente e provare ad essere felice, anche se solo per una serata, anche se solo in modo effimero e privo di valore.
 
 
 
Dopo diverse discussioni senza senso e molte bottiglie svuotate, la situazione era degenerata: Viper e Bel erano talmente impegnati a pomiciare sul divano da ignorare il resto del gruppo, Lussuria ballava e beveva allo stesso tempo cercando di trascinarsi dietro un recalcitrante Levi e Squalo se ne stava seduto per terra con un bicchiere in mano, borbottando frasi sconnesse. Solo Xanxus sembrava non aver risentito di tutta la tequila che si era scolato. Ormai nessuno faceva più caso alla musica, nemmeno Lussuria che si muoveva fuori tempo e in modo scoordinato.
D’un tratto Squalo si alzò in piedi e si diresse verso l’arco. Si sentiva pericolosamente vicino al punto di non ritorno, ma era ancora in grado di camminare, parlare e produrre pensieri elementari. Seppur con passo incerto, prese a dirigersi verso il corridoio oltre l’arco, curioso di sapere cosa ci fosse alla fine. Appena lo ebbe attraversato, si ritrovò in una grande sala chiusa, illuminata da calde lampade posizionate lungo la parete a giro, decorata da mosaici e piante di varie dimensioni. Una piscina dall’acqua cristallina occupava buona parte del locale, mentre un piccolo ponte di legno lucido conduceva ad uno spazio dove vi erano posizionate alcune sdraio. La forma della piscina non era regolare, ma si piegava in morbide curve e il soffitto raffigurava un cielo azzurro sul quale tante piccole luci simboleggiavano le stelle. [ http://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/01/7f/26/1c/piscina-coperta.jpg ]
<< Wow >> soffiò Squalo, lasciando che i suoi occhi vagassero per quel luogo che sembrava magico. Attraversò il ponte e si avvicinò al bordo della piscina. Poco dopo sentì dei passi in avvicinamento e si ritrovò ad osservare Xanxus.
Ridacchiò e si sedette sui talloni. << Avevi paura che mi perdessi e mi hai seguito? >> gli domandò con tono sarcastico.
Il moro sbuffò. << Non volevo che combinassi casini a casa mia, visto che sei ubriaco >>.
Squalo rise ancora, la mente ormai in preda ai fumi dell’alcol. << Ti rendi conto che hai una piscina dentro casa? >> esclamò, indicandola con entrambe le mani.
L’altro bevve un sorso dal bicchiere che teneva ancora in mano. << Ce n’è una anche in giardino >> rispose con tono impassibile.
Fattosi improvvisamente serio, Squalo lanciò un’occhiata al moro che se ne stava ancora dall’altra parte del ponte. << Questo mondo fa davvero schifo >>.
Xanxus attraversò il ponte e lo raggiunse. Gli si fermò accanto e lo osservò dall’alto in basso, dato che Squalo se ne stava ancora seduto sui talloni. << Non è che adesso ti metti a frignare di nuovo per i tuoi genitori? >>.
L’argenteo rise di nuovo: perse l’equilibrio e si ritrovò col sedere per terra. << Sei davvero un coglione >> lo insultò, continuando a ridacchiare. Non sapeva neanche cosa ci trovasse di tanto divertente in quella situazione, ma non riusciva a calmarsi. Si rialzò in piedi, barcollando e finì addosso all’altro, le labbra ancora aperte in una risata che sembrava non volerle abbandonare. Per alcuni istanti Xanxus rimase immobile ad osservare il volto arrossato e sorridente di Squalo, così vicino al suo da poter sentire l’odore di alcol del suo respiro. Lo fissò intensamente, ma l’altro non ci fese caso, preso com’era a sghignazzare.
Fattosi però d’un tratto irritato, il moro lo spinse via. Qualcosa nella vicinanza con Squalo lo metteva a disagio, facendolo sentire strano, ma non era in grado di dargli un nome. L’argenteo lo fissò serio per un attimo, ma non disse niente. Si sentiva euforico, con la mente leggera e non aveva voglia di discutere con l’altro.
Nonostante la frescura del locale, il suo corpo era surriscaldato a causa dell’alcol ingerito: all’improvviso il desiderio di tuffarsi in quello specchio d’acqua si fece irrefrenabile e il ragazzo prese a spogliarsi rapidamente. La giacca e la cravatta erano già state abbandonate nell’altra stanza, perciò si tolse le scarpe e iniziò a sbottonare la camicia.
<< Che stai facendo? >> gli domandò Xanxus, aggrottando le sopracciglia.
Squalo rise, lasciando cadere la camicia a terra e passò ai pantaloni. << Voglio farmi un bagno! >> rispose allegro.
Il moro osservò i suoi gesti goffi e frettolosi, seguendo i movimenti delle sue dita affusolate e le linee dei muscoli ancora non molto accentuati, ma comunque ben visibili. Le luci calde creavano dei giochi d’ombra sulla sua pelle chiara e liscia, quasi priva di peluria.
Dopo esseri spogliato completamente ed essere rimasto nudo, Squalo si lasciò cadere in acqua, dato che il fondale era troppo basso per tuffarsi. Scivolò sotto la superficie e quando vi riemerse urlò di gioia; scosse la testa, scompigliandosi i capelli e si avvicinò al bordo della piscina.
<< L’acqua è calda: buttati! >> esclamò ridendo.
Xanxus si avvicinò a sua volta al bordo e si abbassò sui talloni, fissando Squalo con sguardo infastidito. << Esci di là, feccia, sei ubriaco. Ti avverto che se svieni e affoghi, non verrò di certo a salvarti il culo >>.
Muovendosi più rapidamente di quanto ci si sarebbe aspettato da uno che rasentava l’essere sbronzo, Squalo afferrò il moro per il colletto della camicia e tirò con forza, facendolo finire in acqua con un sonoro splash. La risata divertita di Squalo risuonò per tutto il locale, rimbombando tra le pareti, mentre il Boss, con i capelli incollati al volto, fissava l’altro con sguardo di fuoco.
<< Ahahah, dovresti vederti! >> sghignazzò l’argenteo, puntandogli contro l’indice.
Furioso, Xanxus si tolse la camicia, divenuta ormai pesante e fastidiosa e si avventò su Squalo. << Mi hai fatto incazzare, feccia! Ora ti faccio passare io la voglia di ridere! >>.
Senza smettere di ridere sonoramente, l’altro si allontanò, un po’ nuotando e un po’ camminando, ma dopo neanche due metri venne fermato dal moro che, afferratolo per le spalle, cercò di affogarlo. Nonostante Squalo, a causa dell’alcol, non si rendesse conto delle vere intenzioni del moro, riuscì a fare forza coi piedi sul fondale, impedendo così all’altro di portare a termine la sua vendetta.
Dopo pochi secondi di quella che a malapena si sarebbe potuta definire una lotta, i due finirono contro una colonna azzurra che univa la piscina al soffitto dipinto dello stesso colore, ritrovandosi avvinghiati e con i visi a pochi centimetri di distanza. Squalo aveva la schiena poggiata alla colonna e Xanxus gli stava di fronte, le mani tenute ai lati della sua testa. Rimasero a fissarsi per un po’, ma mentre l’espressione del moro era seria e intensa, l’argenteo aveva il volto arrossato, le labbra piegate in un sorriso e gli occhi lucidi e leggermente sgranati.
<< Conciato così non fai per niente paura >> lo canzonò, arruffandogli i capelli bagnati. Da sobrio ovviamente non avrebbe mai neanche pensato di compiere un gesto simile, ma l’euforia procurata dall’alcol gli aveva del tutto azzerato la ragione e il senso del pericolo.
Un lampo di irritazione attraversò gli occhi rossi di Xanxus e senza riflettere, lo strinse per le spalle e lo voltò con assoluta mancanza di delicatezza. Squalo si ritrovò così a dare la schiena all’altro e con una guancia poggiata sul marmo della colonna.
<< Ah, davvero? >> sussurrò il moro al suo orecchio, mettendogli un braccio attorno ai fianchi. Fece scendere la bocca lungo il collo e la spalla, fermandosi per lasciare piccoli morsi che fecero grugnire Squalo. << E così? >> gli domandò retoricamente; senza attendere una risposta, riprese a baciare, mordere e leccare la schiena dell’altro. Confuso e spaventato, Squalo provò a divincolarsi, ma il Boss strinse la presa sui fianchi e usò il peso del suo stesso corpo per tenerlo fermo. Non potendo vedere chiaramente Xanxus, Squalo ebbe l’impressione che le sue sensazioni si amplificassero: ogni istante in cui percepiva i denti, le labbra e la lingua dell’altro sulla pelle, decine di scariche elettriche lo attraversavano dalla testa ai piedi, provocandogli dei piccoli tremori.
“Che diavolo….” Non riusciva a credere a quello che stava succedendo e per diversi istanti pensò di trovarsi in un sogno, ma quando l’altro gli morse con più forza un pezzo di pelle, un verso strozzato di dolore gli uscì dalla bocca e capì che tutto quello che lo circondava era reale.
Com’era reale l’acqua che scivolava ancora sui loro corpi, rendendoli umidi e scivolosi. Com’era reale il caldo talmente intenso che Squalo stava provando e che gli dava la sensazione di andare a fuoco.
Com’era reale il respiro di Xanxus su di lui, dentro di lui, in ogni angolo del suo io.
La mente di Squalo si stava svuotando di ogni cosa, riempiendosi solo delle emozioni che l’altro gli stava causando. Si sentì come se stesse galleggiando, mentre le sue orecchie riuscivano a percepire il dolce rumore dell’acqua che lambiva i loro corpi all’altezza della vita e il suono della bocca del Boss che marchiava la sua pelle con i segni del possesso.
Dopo un tempo che nessuno dei due seppe quantificare, il moro iniziò ad accarezzare il petto di Squalo, seguendo le linee dei muscoli con i polpastrelli e soffermandosi più volte sui capezzoli. Avvicinò la bocca al suo orecchio e si divertì a stuzzicarlo, mentre l’argenteo stringeva gli occhi e si mordeva le labbra, impedendosi di emettere alcun verso.
Ma quando sentì una mano di Xanxus muoversi lungo il suo addome, scendere sott’acqua e afferrare la sua intimità, spalancò gli occhi e i suoi muscoli si contrassero, per poi irrigidirsi e rilassarsi di nuovo. In pochi secondi il cuore prese a ringhiargli nel petto, il respiro si fece corto e ansante e una grande quantità di sangue affluì rapida al basso ventre, mentre il suo sistema nervoso continuava a invaderlo di scariche elettriche.
<< E adesso? Hai paura? >> gli chiese il moro in un sensuale sussurro, mentre con una mano toccava un suo capezzolo turgido e con l’altra massaggiava la sua erezione.
Incapace di controllarsi, Squalo prese ad ansimare più forte e il suo intero corpo venne attraversato da continui fremiti: l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il piacere che lo stava invadendo e che gli indeboliva le gambe. Era tutto così dannatamente piacevole che la paura che fosse l’altro a fargli provare simili sensazioni scomparve in un angolino microscopico della sua mente. Avvertì il petto di Xanxus incollarsi alla sua schiena e riuscì a sentire il battito veloce del suo cuore attraverso le costole. Il calore dei corpi aumentò sempre di più, nonostante la loro pelle fosse bagnata e umida, mentre i respiri pesanti riempivano le loro orecchie, mandando Squalo in estasi.
Inconsciamente aveva già iniziato a muovere piano il bacino, assecondando il tocco della mano del moro che si spostava lasciva e vogliosa, mentre il Boss sentiva l’eccitazione crescere anche nei suoi pantaloni. In un modo del tutto assurdo e privo di senso, avere quel corpo avido e tremante in suo potere lo stava portando a perdere del tutto il controllo, rendendolo schiavo solo dei suoi impulsi.
<< Ba-basta… >> farfugliò però Squalo con un fil di voce, quando capì di essere vicino a raggiungere l’orgasmo. Sapeva che avrebbe resistito ancora per poco e per una frazione di secondo desiderò davvero che l’altro si fermasse, ma Xanxus, quasi a raccogliere una sfida immaginaria, iniziò a muovere la mano più rapidamente, soffermandosi in quei punti che, una volta sollecitati, facevano gemere l’altro con più intensità.
L’apice del piacere lo travolse impetuoso, togliendogli il respiro e facendogli inarcare ancora di più la schiena. In quell’istante le sue gambe cedettero del tutto: scivolò sul fondale della piscina e sentì l’acqua bagnarlo fino alle spalle, mentre l’altro ne accompagnò il movimento, ritrovandosi in ginocchio di fronte a lui. Squalo respirava affannosamente e per lunghi secondi non si sentì in grado di fare nulla che non fosse cercare di calmarsi. Voltatosi, appoggiò la schiena e la testa alla colonna e quando riaprì gli occhi, vide Xanxus che lo fissava con quello sguardo che fin dalla prima volta l’aveva spaventato e attirato allo stesso tempo. Quello sguardo che sembrava volergli scavargli dentro fino ad annullarlo.
Forse fu a causa dell’alcol che continuava ad annebbiargli la mente o forse dell’orgasmo che l’aveva scosso, lasciandogli addosso un senso di appagamento e sensuale torpore, fatto sta che afferrò il volto di Xanxus con entrambe le mani e fece unire le loro labbra in un bacio goffo e rude. Il moro si sedette e allargò le gambe, lasciando che l’altro vi si posizionasse in mezzo; lo strinse per i fianchi e rispose al bacio in modo ancora più selvaggio, succhiando e mordendo.
A un certo punto sentì le mani dell’altro sbottonargli i pantaloni, zuppi e pesanti, e infilarne una dentro, stringendo la sua erezione che ormai pulsava dolorosamente. Un grugnito gli sfuggì dalla gola, ma venne soffocato nel continuo e instancabile contatto delle loro labbra, interrotto solo per permettere ad entrambi di riprendere fiato e al Boss di avventarsi sul collo di Squalo. Quando le scosse di piacere gli attraversavano i nervi, i succhiotti che lasciava sulla pelle dell’altro si trasformavano in morsi che facevano mugugnare Squalo di dolore, ma questi non interruppe il movimento della mano. D’un tratto Xanxus si riappropriò con ferocia della sua bocca e, quando l’orgasmo lo investì, morse con troppa foga il labbro inferiore dell’altro, provocandogli una ferita da cui fuoriuscirono alcune gocce di liquido scarlatto.
Squalo si leccò le labbra e il sapore ferroso del sangue lo invase, ma non ebbe il tempo di fare o dire niente, perché il moro lo tirò di nuovo a sé in un abbraccio che somigliava più ad una morsa e riprese a baciarlo con la stessa intensità di prima, ignorando del tutto i lamenti dell’altro che non poté fare altro che rispondere a quel contatto.
Nonostante fossero entrambi immersi nell’acqua fino alle spalle, sentivano i loro corpi bruciare come se fossero stati immersi nelle fiamme e per un attimo ne furono spaventati, ma ne furono anche talmente sopraffatti che non poterono fermarsi. Xanxus fece scendere una mano lungo la schiena dell’altro e lasciò scivolare un dito tra i glutei, ma proprio in quell’istante una voce riecheggiò tra le pareti e lo costrinse a fermarsi.
<< Boss, dove sei? >> gridò il proprietario che, a giudicare dall’intensità, doveva trovarsi nel corridoio.
“Quel rompipalle di Levi” pensò il moro furioso, staccandosi rapido da Squalo. Attraversò la piscina a grandi falcate e nel momento in cui ne uscì fuori, vide Levi comparire all’ingresso del locale.
<< Boss, che succede? >> gli chiese il sottoposto, guardandolo con espressione confusa. Anche se molto brillo, lanciò un’occhiata in giro e notò prima gli abiti sparsi per terra e poi Squalo seduto sul fondo della piscina con l’acqua che gli arrivava al collo e uno sguardo turbato e imbarazzato.
Fradicio e grondante e con solo i pantaloni addosso, Xanxus attraversò il piccolo ponte di legno, superò Levi che era rimasto fermo dall’altra parte e uscì fuori dal locale, senza degnare gli altri due di uno sguardo o una parola.






Ciaossu a tutti! ^^ spero di non avervi fatto aspettare troppo per questo aggiornamento, ma l'università purtroppo mi tiene molto impegnata.... T.T è molto probabile infatti che tra un capitolo e l'altro dovrete aspettare un pò di più, ma prometto di fare del mio meglio per non ritardare eccessivamente ;D  *l'autrice ignora il fatto di avere pronto solo il cap 9 e di non sapere come continuare la storia, ma la speranza e le buone intenzioni ci sono tutte* dettagli tecnici a parte, spero che questo capitolo vi sia piaciuto :3 io mi sono divertita molto a scriverlo: finalmente è arrivata la parte yaoi! yeah! *lancia cuoricini a destra e a manca* so che quello dell'essere ubriachi è un clichè degli yaoi, ma quei due da sobri non avrebbero concluso mai niente, perciò eccoci qua! X) in compenso, ho scelto la location della piscina - e vi ho messo pure l'immagine *_* - che spero abbiate apprezzato u.u personalmente l'ho trovata molto sensuale <3 e sì so che avete sempre odiato Levi e sono sicura che adesso lo odierete ancora di più XD ma non volevo farli arrivare di già fino a fondo: povero Squalo, il suo sedere è ancora vergine, va XD
concludo ringraziando tutti voi che commentate, seguite e leggete ^^ <3 e come sempre ricordo che anche due righe, giusto per sapere che ne pensate, sono sempre molto gradite :D baci-baci e alla prossima!

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Capitolo 9
*** 9-Sentimenti contrastanti ***



Sentimenti contrastanti



 
La prima sensazione che provò, ancora prima di capire di essere sveglio, fu un’emicrania lancinante che minacciava di fargli esplodere il cervello. Provò ad aprire gli occhi e ringraziò mentalmente la semioscurità che regnava nella stanza.
“Dove mi trovo?” si chiese spaesato e confuso, sbattendo le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si accorse di essere per tre quarti sdraiato su un divano, con una gamba che penzolava fuori e l’altra poggiata su…
“Bel??”. Squalo sgranò gli occhi, sorpreso: il biondo era seduto sul lato opposto del divano, la spalla poggiata su Viper, la quale a sua volta era schiacciata tra il ragazzo e il bracciolo. Entrambi dormivano profondamente, nonostante la scomoda posizione. Cercando di fare attenzione, Squalo tolse il piede e la mezza gamba che erano poggiati sulle cosce di Belphegor e si mise seduto. Una dolorosa fitta alla testa e un conato di vomito lo investirono contemporaneamente, costringendolo a chiudere gli occhi e a fare respiri profondi.
“Che diavolo è successo? Non mi ricordo niente…”. Frugò nella sua memoria, ma le uniche immagini che tornarono a galla furono quelle di lui e i Varia che festeggiavano a modo loro, bevendo e facendo casino. Dopo di che il nulla.
“Cazzo! Devo essermi ubriacato” concluse, rassegnato all’idea di ricordare qualcosa. Diede una rapida occhiata e viste le condizioni degli altri, dedusse che non era stato l’unico a esagerare con l’alcol. Oltre ai due vicini di divano, Levi dormiva sul pavimento e russava profondamente, mentre Lussuria era rannicchiato in posizione fetale su una delle poltrone e stringeva al petto un piccolo cuscino ricamato, sottratto di sicuro alla suddetta poltrona. All’appello mancava solo Xanxus.
“Sarà andato a dormire nella sua stanza, lasciandoci qua…” ipotizzò, guardandosi ancora attorno, “il solito menefreghista del cazzo!”. Si alzò in piedi e nonostante le vertigini, riuscì a mantenersi stabile e si accorse solo allora di essere a piedi scalzi.
“Dove sono le mie scarpe?” si chiese sorpreso. Le cercò nella stanza, ma si arrese dopo il primo minuto, troppo provato dal dopo-sbronza per compiere gesti che andassero oltre lo stare in piedi e il camminare. Così lasciò perdere e uscì a passi lenti e pesanti.
Una volta raggiunta la sua camera, si diresse in bagno, desideroso di farsi una bella doccia rigenerante, ma proprio nel momento in cui si tolse la camicia, si paralizzò davanti allo specchio.
Il collo e il petto erano ricoperti di segni di morsi e succhiotti che spiccavano ancora di più in contrasto con la pelle diafana e il suo labbro riportava una crosta di sangue scuro e rappreso nel punto in cui era stato ferito.
“Ma che diavolo…”. Sempre più incredulo e confuso, si avvicinò allo specchio e si osservò con attenzione, nella speranza di dare un senso a quello che i suoi occhi stavano vedendo. Speranza che si infranse quando, ancora una volta, si rese conto di non ricordare niente della notte passata. Che cosa era successo?
Chi l’aveva marchiato in quel modo?
Sentì un brivido di paura corrergli lungo la schiena al solo pensiero che qualcuno dei Varia gli avesse fatto una cosa del genere. Perché era ovvio che poteva essere stato solo uno di loro, ma chi?
“No! Non lo voglio sapere!” si disse spaventato e si allontanò dallo specchio con uno scatto, per poi fiondarsi sotto la doccia.

Una volta che ebbe finito di lavarsi e rivestirsi, uscì fuori dalla stanza e dopo pochi passi si imbatté nel Nono che gli sorrise gentile e gli diede il buongiorno.
Squalo si sentì subito a disagio, pensando al fatto che lui e gli altri avevano abbandonato la festa e si erano rintanati in una stanza ad ubriacarsi, ma il Boss sembrò quasi anticiparlo perché, senza smettere di sorridere, disse: << Non preoccuparti per ieri sera: sapevo che mio figlio non avrebbe resistito a lungo in mezzo a tutte quelle persone. Non è proprio il tipo a cui piace stare in compagnia >>.
Squalo sgranò leggermente gli occhi, sorpreso, ma si sforzò di abbozzare un sorriso. << Già >> si limitò a rispondere, scrollando le spalle.
<< Beh, sono contento che almeno riesca a stare con voi >>.
“Quando non ci picchia o ci ignora del tutto” concluse nella sua mente, ma ritenne che sarebbe stato più corretto non divulgare certe informazioni, dato che non sapeva che tipo di rapporto ci fosse tra Xanxus e il padre.
<< Sai, >> ricominciò subito dopo, come se si fosse appena ricordato di un argomento importante, << sono rimasto sorpreso quando mio figlio mi ha parlato di te >>.
“COOOSAAAA? Ch-che ha fatto?” Squalo dischiuse la bocca, più per l’incredulità che non perché volesse dire qualcosa, ma il Nono continuò, senza attendere una risposta.
<< Mi dispiace molto per la tua perdita >>. Il tono e l’espressione del vecchio erano sinceramente addolorati e questo portò Squalo a sgranare ancora di più gli occhi, che sembrarono volergli schizzare fuori dalle orbite. Xanxus aveva raccontato al padre dei suoi genitori?
<< Ah… io… Lei come fa a…. >> iniziò a farfugliare, ma l’altro riprese a parlare.
<< È la prima volta che mio figlio vuole fare qualcosa per qualcun altro >> disse semplicemente, le labbra curvate in un piccolo sorriso.
“Di… di che cazzo sta parlando?”. L’espressione di Squalo rimase immutata, mentre gli ingranaggi del suo cervello si mettevano in moto alla ricerca di una spiegazione logica.
Che cosa c’entravano i Vongola in tutta quella faccenda?
Il Nono gli mise una mano sulla spalla e lo fissò serio. << Dato che gli assassini dei tuoi genitori facevano parte dei Sorrenti, una famiglia nemica, abbiamo pensato che toglierli di mezzo sarebbe stata la cosa migliore per tutti noi >>. Dopodiché lo lasciò andare e si allontanò per il corridoio.
Squalo rimase immobile sul posto, lo sguardo fisso nel vuoto, mentre una risposta a tutta quella confusione cominciava a delinearsi, ma era talmente inverosimile che non riusciva davvero a crederci. D’un tratto la notizia che aveva letto sul giornale poco tempo prima gli balenò in mente e gli effetti della sbornia lo investirono nuovamente con violenza.
Xanxus aveva raccontato a suo padre dell’omicidio della sua famiglia e i Vongola si erano mossi immediatamente, regolando i conti a modo loro.
“Non… non ci credo… Xanxus ha fatto questo per me?”. Non poteva essere vero. Doveva esserci un’altra spiegazione.
Forse la discussione era venuta fuori per caso e il Nono aveva deciso di indagare per conto suo: quando aveva scoperto che nella morte dei suoi genitori era implicata una famiglia rivale, aveva mandato qualcuno dei suoi ad occuparsene.
“Sì, dev’essere per forza così. Xanxus non ha niente a che vedere con tutta questa storia” si ripeté più volte come fosse un mantra da cui trarre forza, ma ad ogni secondo in cui cercava di convincersi delle sue stesse parole, il dubbio si insinuava in lui, silenzioso e letale e distruggeva le sue già deboli certezze.
 
 
 
Il viaggio di ritorno verso la Galilei fu più lungo e silenzioso di quanto Squalo avrebbe mai pensato. Tutti gli occupanti della limousine stavano ancora smaltendo i postumi della sbronza e nessuno di loro si dimostrò minimamente intenzionato ad intavolare una qualsiasi discussione. Persino Lussuria e Belphegor, di solito i più casinisti, se ne stettero calmi e taciturni, di sicuro desiderosi di evitare ogni rumore o fastidio che potesse peggiorare le loro emicranie.
Non volendo trascorrere altre cinque ore accanto a Xanxus, Squalo si era seduto vicino a Viper e aveva ringraziato mentalmente ogni divinità conosciuta per il semplice fatto che il moro era rimasto in una sorta di dormiveglia per tutta la durata del percorso.
Aveva paura di incrociare il suo sguardo e si detestò profondamento per questo sentimento che non riusciva a contrastare. La sua testa era talmente confusa e ingarbugliata che non sapeva se gli doleva per la sbornia o per i pensieri che si attorcigliavano l’uno sull’altro, rendendogli impossibile fare chiarezza.
Sapeva solo di non essere più sicuro di niente. Tra la sbronza, la perdita di memoria, i segni sul suo corpo e le parole del Nono gli sembrava di stare per impazzire. Per questo non voleva incontrare gli occhi del moro: la possibilità di poterci scorgere dentro una terribile verità lo terrorizzava fin nel profondo.
“Non voglio sapere! Non voglio sapere! NON VOGLIO SAPERE!”
 
 
 
 
Quando i Varia tornarono all’Accademia era da poco passata l’ora di pranzo, ma data l’influenza di Xanxus, riuscirono a rimediare un pasto, nonostante la mensa fosse chiusa. Mangiarono rapidi e in silenzio e Squalo tenne per tutto il tempo gli occhi fissi sul piatto; quando ebbe terminato, tornò subito in camera, dicendo di voler riposare. Cosa che però non riuscì a fare, nonostante Dino non fosse neanche presente.
“Chissà dov’è…”.
Si accosciò sul letto e si portò le cuffie alle orecchie, convinto che la musica l’avrebbe distratto e gli avrebbe impedito di pensare.
 
 
 
 
Caldo.
Il mio corpo sta andando a fuoco. Mi sembra di sentire le fiamme invadermi…
Cos’è questa sensazione?
C’è… dell’acqua? Sto affogando?
No. È… piacevole.
Maledettamente piacevole.
Delle labbra… e una lingua… sulla schiena… chi mi sta toccando?
Una mano… sul petto… sull’addome…
Anche questa mano sta bruciando, eppure allo stesso tempo riesco a sentire il fresco dell’acqua…
Dolore!
Morsi sulla pelle? Qualcuno mi sta mordendo?
Quella mano che brucia scende sempre più… mi tocca e mi accarezza… è sensuale… dissoluta… oscena.
Il piacere mi invade.
È dappertutto: non solo il mio corpo, ma anche la mia mente ne è piena.
Non riesco a fermare i tremiti.
Sento il battito di un cuore e un respiro pesante, ma non sono i miei.
Un corpo caldo incollato al mio.
Un sussurro roco. Una voce.
La sua voce.
E adesso? Hai paura?
Un paio di occhi rossi, erotici e affamati.
 
 
Squalo si svegliò di soprassalto, il respiro corto e il cuore che correva impazzito.
“Che cazzo…”.
Si mise seduto, cercando di calmarsi e desideroso di dimenticare quel sogno assurdo, ma un fastidioso pulsare al basso ventre lo costrinse a rivalutare i suoi propositi. “Non può essere! Ditemi che è uno scherzo!”.
Aveva avuto un’erezione nel bel mezzo della notte!
Chiuse gli occhi e si sforzò di pensare ad immagini tristi e deprimenti, ma le sensazioni che aveva provato nel sogno erano state così intense e reali che gli sembrava di sentire ancora quella mano scorrere sulla sua pelle.
Quella voce… quegli occhi… non potevano essere i suoi!
“Non posso aver sognato Xanxus!” si disse sull’orlo della disperazione, scuotendo ripetutamente la testa. Per quanto continuasse a ripetersi che quella situazione era spaventosa e incredibile, le sue parti basse non sembravano avere intenzione di tornarsene tranquille.
“Merda! MERDA!”. Si alzò dal letto e si diresse in bagno, attento a non fare rumore per non svegliare Dino che dormiva tranquillo.
Una volta dentro, si spogliò rapidamente e si ficcò sotto il getto dell’acqua, convinto che una doccia fredda l’avrebbe calmato. Rimase perciò scioccato quando la sensazione delle gocce d’acqua che scivolavano sulla sua pelle gli riportò alla mente le immagini del sogno di prima. Non riusciva a spiegarsi il motivo, ma sentiva che quello che stava provando in quel momento era stato reale, come una sorta di strano dejà vu fisico.
La percezione del suo corpo bagnato e immerso nell’acqua e l’umidità che si scontrava con il calore bruciante divennero d’un tratto non solo le reminiscenze del sogno, ma dei veri e propri ricordi. Si fece tutto terribilmente nitido, dalla paura al piacere, dal cuore che gli ringhiava nel petto al respiro pesante, dall’acqua che gli lambiva e accarezzava la pelle al suono dei suoi baci e dei suoi morsi. La sua mente e il suo corpo rivissero tutto: lui se ne sentì travolto e rimase senza fiato.
 
Le labbra morbide che si cercano, le lingue lascive che si scontrano, le mani che toccano dovunque.
 
Sgranò gli occhi, sconvolto, quando si rese conto che l’erezione non era passata e che anzi pulsava più di prima.
“Maledizione!” imprecò dentro di sé, odiandosi per quello che stava per fare. Non che non si fosse mai masturbato, ma la sola idea di farlo pensando a lui gli fece provare disgusto e senso di colpa allo stesso tempo.
Come poteva aver dimenticato di aver fatto quello cose con Xanxus? Era così ubriaco da non rendersi neanche conto di quello che stava succedendo? E perché aveva ricordato solo ora? Ma soprattutto perché Xanxus gli aveva fatto quelle cose?
La sua testa era un tale caos che non riusciva a pensare a nulla, se non al fatto che si stava dando piacere immaginando ciò che aveva condiviso con il moro. Credette che avrebbe avuto un attacco di nausea quando pensò al fatto che la mano del Boss era più grande e calda della sua e che aveva saputo toccarlo meglio di quanto stesse facendo lui stesso.
Si morse le labbra fino a farsi male pur di non emettere un suono, ma alcuni gemiti gli sfuggirono incontrollati e nonostante le emozioni contrastanti che lo stavano attraversando, raggiunse l’apice del piacere, nella mente la sensazione del corpo dell’altro addosso e il suo sensuale respiro.
Chiuse il rubinetto della doccia e rimase immobile alcuni lunghi secondi, gli occhi persi nel vuoto e il petto che si alzava e abbassava. Solo quando comprese realmente quello che era successo tra lui e Xanxus e ciò che lui aveva appena fatto, sentì l’intestino contorcersi e fu costretto a fiondarsi fuori dal box per rimettere la cena dentro il wc.
A contatto con la pelle nuda e bagnata, le mattonelle del pavimento gli parsero più fredde del solito e diversi brividi lo attraversarono dalla testa ai piedi.

Doveva aver fatto parecchio rumore nel vomitare quasi tutto quello che aveva mangiato, perché d’un tratto sentì la porta del bagno aprirsi e Dino comparve con un’espressione prima assonnata, poi confusa e preoccupata.
In ginocchio, con le braccia poggiate sul bordo del water, Squalo sollevò la testa e si voltò verso di lui. Vide il biondo spalancare gli occhi e un lampo di paura attraversargli il viso: sicuro che la causa fosse l’averlo visto in quelle condizioni, non capì che in realtà l’altro era rimasto sconvolto dallo sguardo vuoto, ma allo stesso tempo spaventato e turbato che aveva letto sul suo volto.
Ripresosi rapidamente dalla sorpresa iniziale, Dino afferrò un’ asciugamano e gliela mise addosso, inginocchiandosi poi accanto a lui.
<< Che diavolo ti è successo? >> gli chiese con tono calmo, fissandolo negli occhi.
Squalo distolse lo sguardo. << Niente di preoccupante >>.
Il biondo emise un piccolo sospiro. << Devi vomitare ancora? >>.
L’altro rimase alcuni secondi in silenzio prima di scuotere la testa. << Non credo che mi sia rimasto altro nello stomaco >>.
<< Allora asciugati e tornatene a letto >> gli disse Dino col tono di un padre che rimprovera il figlio. Tenendolo per le spalle, lo aiutò a rialzarsi e gli sistemò meglio il telo.
Rimasero fermi uno di fronte all’altro nel silenzio del bagno con solo il rumore dei loro respiri e dell’acqua sul corpo di Squalo che gocciolava a terra.
<< Non voglio sembrarti un ficcanaso, ma perché hai deciso di farti una doccia all’una e mezza di notte? >> volle sapere il biondo, squadrandolo dalla testa ai piedi.
<< Avevo caldo >> mentì l’argenteo, abbassando gli occhi.
Dino inarcò un sopracciglio. << Caldo? Il quindici di Novembre? Mentre dormivi rannicchiato sotto le coperte? >>.
<< Io non dormo rannicchiato! >> replicò Squalo con tono offeso, stringendosi di più nell’asciugamano.
Le labbra del biondo si curvarono leggermente verso l’alto. << Sì che lo fai. Da quando ti conosco dormi sempre nella stessa posizione >>.
Squalo sollevò lo sguardo e l’altro ebbe l’impressione di scorgervi un’ombra di sollievo, ma subito dopo la sua espressione tornò come prima. Il biondo strinse i pugni e i suoi occhi si affilarono, arrabbiati, mentre l’argenteo si toglieva l’asciugamano dalle spalle per sistemarsela alla vita, dimentico dei segni rossi che gli ricoprivano il collo e il petto. Fu allora che Dino li vide chiaramente e non riuscì a non sorprendersi.
<< Chi te li ha fatti? >> gli chiese a bruciapelo.
Resosi improvvisamente conto dell’errore commesso, Squalo sgranò gli occhi, consapevole che ormai era troppo tardi per nasconderli. << Non sono affari tuoi >> replicò con tono nervoso, maledicendosi dentro di sé. Perché non gliene andava mai bene una?
Il biondo lo fissò intensamente, soffermandosi poi sui quei marchi talmente evidenti da portarlo a chiedersi come avesse fatto a non notarli prima. << Sembra quasi che un animale ti abbia preso a morsi… neanche fossi stato un semplice pezzo di carne >> insistette, cercando lo sguardo dell’altro che si ostinava invece a sfuggire.
Al sentir pronunciare quelle parole, Squalo si irrigidì e questo non fece altro che far crescere in Dino dei sospetti. Non sapendo cosa rispondere e rifiutandosi persino di pensarci, recuperò i suoi vestiti dallo sgabello sul quale li aveva poggiati e uscì rapido dal bagno.
Sentì Dino seguirlo, ma si costrinse ad ignorarlo. Non aveva nessuna intenzione di discutere con lui dopo tutto quello che era successo. Era sicuro di essere sull’orlo di un attacco di panico e di una crisi esistenziale insieme: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era una litigata col suo compagno di stanza.
<< Per quanto tempo ancora hai intenzione di andare avanti con questa farsa? >> esclamò Dino dall’uscio del bagno.
Squalo continuò a dargli le spalle, mentre una marea di pensieri diversi e confusi gli attraversava la mente. Se all’inizio era stato convinto della riuscita del suo piano, in quel momento non era neanche più in grado di riconoscere se stesso. Sapeva bene che la situazione gli era ormai sfuggita di mano e altrettanto bene sapeva che l’altro aveva ragione.
L’aveva sempre avuta.
Tutta quella faccenda era sempre e solo stata uno stupido capriccio dettato dal suo gigantesco orgoglio e adesso si era trasformata in qualcosa a cui neanche lui sapeva dare un nome.
Una farsa? Probabile.
Un’assurdità? Poco ma sicuro.
Un baratro di confusione e paura? Senza ombra di dubbio.
Sentì l’angoscia arpionargli il petto e provò l’irrefrenabile desiderio di scappare, ma non era un modo di agire che aveva mai fatto parte della sua persona.
Non aveva la più pallida idea di come fare, ma si disse che avrebbe trovato una soluzione.
<< Fino a quando non mi sarò vendicato >> rispose con tono freddo e calmo, anche se dentro di sé non credeva nemmeno alle sue stesse parole.
<< Continuare a ripeterlo non lo farà avverare >> replicò il biondo con tono altrettanto gelido. Raggiunse il suo letto e vi si infilò dentro, lasciandosi seppellire dalle coperte.
Con un grugnito Squalo si asciugò rapidamente, si rivestì e si rimise a letto, sperando di riuscire a dormire.
Dovette fare uno sforzo titanico per non rivivere in mente quelle immagini assurde e sconvolgenti e riuscì a prendere sonno solo quando la stanchezza si fece troppa da sopportare.
 
 
 
 
 
 
“Non ce la farò mai!” pensò afflitto, mentre con il vassoio in mano si dirigeva al tavolo dei Varia per il pranzo.
Aveva deciso di evitare la colazione in mensa, limitandosi a mangiare alcuni snack che lui e Dino tenevano in stanza per le emergenze; era poi riuscito ad evitare Xanxus per tutta la mattina, dato che il moro, essendo un anno avanti, non frequentava le sue stesse lezioni, ma adesso non poteva più sottrarsi all’inevitabile.
Attraversò la distanza tra il bancone e il tavolo a passi volutamente lenti, pur sapendo quanto fosse inutile e quando, ormai vicino, vide lo sguardo del Boss piantarsi su di lui, abbassò immediatamente gli occhi. Si sedette al suo posto, sforzandosi di trovare interessante oltre ogni dire il suo piatto di pasta alla Carbonara e le uniche volte in cui cambiò la sua posizione fu per lanciare brevi occhiate a Lussuria, quando questi si impegnava per coinvolgerlo nella discussione.
Discussione a cui Squalo però non prestò la minima attenzione, troppo impegnato a fare finta che fosse tutto normale e allo stesso tempo a rimuginare sugli ultimi avvenimenti.
Alla fine del pranzo giunse a due conclusioni: la prima era che non aveva la minima idea di cosa fare o pensare, la seconda era la consapevolezza che Xanxus continuava a fissarlo, ma lui non era in grado di dire se ci fosse qualche altro motivo oltre al suo sadico tentativo di metterlo sotto pressione.
 
 
 
<< Dov’è finito Squaletto? >> chiese Lussuria, mentre aspettava che lo smalto appena steso si asciugasse.
<< Ha detto che sarebbe rimasto in camera sua perché non si sentiva bene >> rispose Viper senza distogliere gli occhi dalle carte che teneva in mano. Lei e Belphegor stavano giocando a poker da ben trenta minuti e il biondino stava miseramente perdendo. Un sorrisetto soddisfatto comparve sul volto della ragazza all’ennesima imprecazione del principe.
Lussuria sospirò abbattuto. << È da un po’ che si comporta in modo strano: ci evita sempre, se ne sta per i fatti suoi e non partecipa più ai nostri incontri >>.
<< L’ho sempre detto io che non avremmo dovuto farlo entrare nel gruppo: lui non è uno di noi >> intervenne Levi con tono d’accusa.
Xanxus, disteso sul letto con un manga in mano, sollevò lo sguardo e lanciò un’occhiata all’altro. << Perché vi preoccupate tanto di quell’inutile feccia? >>.
<< Maaaa Boss! >> si lamentò Lussuria, << Squaletto è un tesoro! >>.
<< È solo un’idiota che si permette sempre di rispondere al Boss! >> continuò Levi.
<< Ma perché ce l’hai così tanto con Squaletto? >>.
<< Perché… >> iniziò Levi, ma si interruppe. Guardò Xanxus, ma quello non ci fece caso, impegnato com’era nella lettura di Ichi The Killer*.
<< Ora che ci penso è dal giorno dopo la festa del Nono che Squalo è strano… >> fece notare Lussuria, osservando con cura il risultato della sua manicure.
A quelle parole sia il Boss che Levi sembrarono irrigidirsi per un momento, ma nessun’altro se ne accorse.
<< Ci siamo ubriacati di brutto e abbiamo fatto cose di cui ci siamo pentiti >> dichiarò Viper, guardando Belphegor di sottecchi. Faticava ancora a comprendere come avesse potuto baciare quello psicopatico amante dei coltelli e l’unica cosa che le impediva di prenderlo a pugni era l’immensa soddisfazione di stracciarlo a poker e vincere tutti i suoi soldi. << Forse pure a lui è successa la stessa cosa >>.
A gambe incrociate sul pavimento mostrò all’avversario l’ennesima mano vincente. << Scala reale >> annunciò con un piccolo ghigno.
<< Fanculo! >> imprecò il biondo, gettando le sue carte a terra, << hai barato! >>.
Viper raccolse la sua vincita e prese a contarla. << Non ho bisogno di barare contro un giocatore pessimo come te. Ti saresti dovuto ritirare dopo le prime cinque sconfitte >>.
<< Brutta… >> iniziò Bel, ma venne interrotto dalla voce nervosa del Boss. << Se volete litigare, fatelo fuori dalla mia stanza! >>.
Nessuno osò replicare: il biondo sbuffò e si distese sul tappeto, mentre Viper continuò a contare i soldi vinti.
Ultimata la manicure, Lussuria si alzò in piedi e fissò Xanxus. << Comunque sono preoccupato per Squaletto, Boss. Dovremmo fare qualcosa >>.
<< Non me ne frega un cazzo di quella feccia, come non me ne frega un cazzo di quello che pensate voi! >> sbottò con tono furioso, chiudendo il manga con eccessiva violenza. Si alzò dal letto e uscì a passi rapidi dalla stanza, sbattendo la porta.
<< Ma che ho detto di male? >> domandò Lussuria con aria confusa e infastidita, << e che cavolo hanno tutti oggi? >>.
 
 
 
Girovagò a lungo per la scuola, senza una meta ben precisa: era dannatamente nervoso e non sapeva neanche il perché.
O meglio, lo sapeva ma non voleva pensarci.
Per quanto all’apparenza Xanxus potesse sembrare menefreghista e indifferente, in verità lui notava tutto e non gli sfuggiva mai niente e lo strano comportamento di Squalo degli ultimi giorni non era di certo passato inosservato ai suoi occhi. Se prima non abbassava mai lo sguardo davanti a lui e anzi lo fissava con palese fastidio, adesso lo evitava costantemente, facendo di tutto pur di non lasciarsi coinvolgere in alcun modo. Il sospetto che avesse ricordato quello che era successo tra di loro alla festa di suo padre si era ormai fatto certezza.
Nonostante anche lui avesse alzato decisamente il gomito, era ben consapevole di essere stato abbastanza lucido da sapere quello che stava facendo e ciò lo faceva sentire più confuso di quanto avrebbe voluto.
Gli era piaciuto e questo era innegabile, per quanto una parte di lui continuasse a rifiutare l’idea. A disorientarlo però era soprattutto il fatto di non capire perché avesse deciso di fare una cosa del genere. Aveva sempre e solo fatto sesso con ragazze di cui non gli era mai importato assolutamente nulla: il suo unico scopo era stato quello di sfogarsi e divertirsi, ma alla fine non aveva mai provato alcuna emozione particolare.
Con Squalo però era stato diverso, anche se erano stati entrambi in preda ai fumi dell’alcol e non erano andati fino in fondo. Eppure l’odiava.
L’aveva odiato dal primo istante in cui l’aveva visto, ma allo stesso tempo era stata la prima persona verso la quale avesse mai mostrato interesse.
Quel ragazzo era sempre stato un enigma: aveva osato sfidarlo, era stato punito ed era tornato; era stato messo alla prova, costretto a tradire il suo amico, ma non era fuggito. Aveva sopportato tutte le umiliazioni che Xanxus gli aveva inflitto nel desiderio di piegarlo, di sottometterlo, di incutergli la paura che non aveva mai mostrato.
Non aveva funzionato.
Sbraitava, rispondeva, lo insultava, ma alla fine obbediva sempre. Tuttavia i suoi occhi continuavano ad essere pieni di astio e disprezzo.
C’era qualcosa in Squalo, o forse anche più di un singolo elemento, contro cui l’indifferenza di Xanxus veniva sconfitta.
Non poteva certo dire che gli piacesse, ma non sapeva neanche come definire lo strano legame che in qualche modo li univa. Di una sola cosa era certo: se Levi non li avesse interrotti, l’avrebbe fatto suo in quella piscina fino a fargli urlare il suo nome.
 
 
 
 
“Merda! Ho dormito troppo! Se non mi sbrigo, non troverò niente da mangiare in mensa!”. Squalo corse per gli ampi e luminosi corridoi della scuola, il respiro veloce e lo stomaco che brontolava affamato. Era quasi arrivato a destinazione quando, subito dopo aver superato i bagni degli studenti, si sentì afferrare per un braccio: una mano gli coprì la bocca per impedirgli di urlare mentre veniva strattonato indietro. Provò a divincolarsi, ma venne trascinato con forza dentro la toilette.
Solo quando si ritrovò sbattuto contro la parete, poté vedere il suo aggressore. Sgranò gli occhi, sorpreso: di fronte a lui, Xanxus lo fissava con sguardo serio e penetrante.
<< Voooi! Che cazzo ti salta in mente, Boss? >> sbraitò Squalo, una volta superata la confusione. << Perché cavolo mi hai trascinato qua? Ti è dato di volta il cervello? >>.
<< Io e te dobbiamo fare due chiacchiere, feccia >> dichiarò il moro con voce autoritaria.
L’argenteo sentì il cuore perdere un battito e deglutì nervosamente.
Questa volta non aveva via di fuga.





  *Ichi the Killer *http://it.wikipedia.org/wiki/Ichi_the_Killer_%28manga%29



Ciaossu a tutti!! E' passato un pò dall'ultimo aggiornamento, lo so, ma spero non troppo :3 non vi siete dimenticati di questa storia, vero? X) vi chiedo comunque scusa e spero che questo capitolo vi sia piaciuto <3 sono successe un pò di cose, eh? Squ-chan ha ricordato, è ricomparso Dino che non si vedeva da qualche cap e persino Xanxus comincia a riflettere su quello che è successo.... come qualcuno aveva sospettato, nella morte degli assassini dei genitori di Squalo c'era lo zampino del Boss... insomma, c'è della carne a fuoco: cosa succederà adesso? ^^ lascio a voi i commenti e le impressioni, quindi fatemi sapere cosa ne pensate ;D
ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono <3 vi adoro tutti. un bacione enorme! spero di poter pubblicare il decimo cap al più presto :D

 

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Capitolo 10
*** 10-Un messaggio a tarda ora ***


Un messaggio a tarda ora



 
<< Io e te dobbiamo fare due chiacchiere, feccia >>.
 
Squalo si sforzò di ridurre al minimo la sua espressione sorpresa, nonostante dentro di sé si sentisse decisamente nervoso. Il locale era vuoto ad eccezione di loro due e lui si ritrovava con la schiena poggiata sul muro e con Xanxus troppo vicino. Si impose di fissare l’altro negli occhi e assunse lo sguardo più freddo e indifferente di cui era capace.
<< C’era davvero bisogno di scaraventarmi nel bagno in quel modo? >> replicò con tono irritato.
<< Qua potremmo parlare senza essere disturbati >>.
Appena finito di pronunciare quelle parole, la porta della toilette si aprì e comparve un ragazzo con corti capelli castani e un paio di occhiali. Sembrava molto giovane: probabilmente era del primo anno. Il suo viso si fece prima sorpreso, poi confuso e alla fine spaventato, quando si accorse dello sguardo omicida di Xanxus.
<< Sparisci, moccioso >> gli ordinò quello con tono lapidario.
Il ragazzo quasi saltò sul posto e, borbottando delle scuse, uscì rapido, lasciando di nuovo i due da soli.
<< Dicevi? >> lo prese in giro Squalo con un sorrisetto.
Il moro sbatté una mano sulla parete, fermandola accanto alla testa dell’altro. << Fai meno lo spiritoso, feccia >>.
Squalo gli rispose con un’occhiataccia, ma il cuore gli batteva rapido nel petto: gli sembrava quasi di sentirlo rimbombare e temeva che persino l’altro se ne accorgesse. << Quando tu farai meno l’arrogante bastardo >>.
Il Boss avvicinò ancora di più il volto a quello di Squalo e affilò gli occhi, minaccioso. << Non farmi incazzare, feccia >>.
L’argenteo sostenne lo sguardo, consapevole che se avesse mostrato anche una minima debolezza, Xanxus ne avrebbe approfittato immediatamente. << Se c’è qualcuno che dovrebbe essere incazzato, quello sono io, visto che mi hai trascinato qua dentro >>.
<< Quindi le palle di guardarmi in faccia ancora ce le hai, eh? >>.
Squalo aggrottò le sopracciglia, confuso. << Di che cazzo stai parlando? >>.
<< È da quando siamo tornati dalla festa del vecchio che ti comporti come una femminuccia. Cos’è, hai forse paura adesso? >>.
 
Un sussurro roco. Una voce.
La sua voce.
E adesso? Hai paura?
 
“Merda! Perché mi sta tornando in mente proprio ora?”. In un misto di coraggio e disperazione, Squalo spinse via l’altro in malo modo, facendolo allontanare di alcuni passi. << Ce l’ho io una domanda per te: perché invece di venire a rompermi le scatole, non vai a farti fottere? >>. Non sapeva neanche perché si stesse comportando in quel modo: se avesse continuato a provocarlo, c’era un’altissima probabilità che Xanxus decidesse di usare il suo sangue per ricolorare le piastrelle del bagno. Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, ma dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane, non era più sicuro di niente se non del fatto di essere sull’orlo della pazzia.
Prima che il moro potesse rispondere, Squalo provò a muoversi verso la porta, desideroso di andar via di là al più presto, ma l’altro lo afferrò per la giacca dell’uniforme e lo spinse di nuovo contro il muro, posandogli un braccio sul petto per tenerlo fermo.
<< Noi due non abbiamo ancora finito >>.
<< Me ne fotto! Non ho un cazzo da dirti >> replicò l’argenteo a denti stretti, gli occhi grigi piantati nei suoi, nonostante una vocina nella sua mente gli gridasse di scappare a gambe levate.
<< Cosa ti ricordi della sera della festa? >> gli chiese l’altro serio, ignorando del tutto le sue imprecazioni.
Squalo sgranò gli occhi: fu un istante, ma abbastanza perché Xanxus lo notasse.
<< Solo che ci siamo ubriacati. Stavamo bevendo e parlando, c’era la musica e poi niente… mi sono svegliato la mattina dopo sul divano. Questo è tutto. Ora, se hai finito di farmi il terzo grado su queste cazzate, vorrei andare a mangiare >> rispose col tono più distaccato possibile.
L’espressione del moro si fece più intesa, come se cercasse di scavargli dentro. << Ah, davvero? >>.
<< Davvero >> confermò, sforzandosi di controllare le emozioni che gli si agitavano in petto: paura, rabbia, imbarazzo, desiderio di fuggire, voglia di prendere l’altro a pugni.
<< Quindi il fatto che da quando siamo tornati, tu ti tieni alla larga da noi è solo una coincidenza, vero? >>. Il tono con cui lo chiese implicava che non credesse affatto che si trattasse di una semplice casualità.
Ancora una volta gli occhi di Squalo tremarono per un istante, ma continuò ad imporsi di mantenere il controllo. << Non mi sembra di aver firmato un contratto che dice che devo starvi attaccato al culo tutto il tempo. Sono libero di fare quello che mi pare >>.
<< Ti sbagli, feccia >> replicò il Boss con voce bassa e intimidatoria, << tu fai quello che dico io. Da quando hai deciso di entrare nei Varia, non sei mai stato libero >>.
Squalo avrebbe tanto voluto replicare qualcosa, ma sapeva di non poterlo fare. Aveva sempre saputo quale sarebbe stato il prezzo da pagare e, nonostante tutto, non poteva incolpare nessuno all’infuori di se stesso.
<< Non sono comunque tenuto a rendere conto a te di ogni minuto della mia vita >> gli fece notare acido, fissandolo in cagnesco.
<< Infatti me ne sbatto dei minuti della tua stupida vita. Voglio solo sapere cosa stai nascondendo >>.
“Cazzo! Non dirmi che l’ha capito… non può essere!”. Inconsapevolmente Squalo distolse lo sguardo dagli occhi rossi dell’altro.
<< Sto aspettando una risposta, feccia >> insistette il moro.
“Non posso… non voglio parlarne! Devo fare qualcosa…”. Un pensiero fugace gli attraversò la mente e anche se non era un argomento di cui volesse discutere, era di sicuro un’alternativa migliore a quel terzo grado.
Determinato, guardò il moro negli occhi e parlò. << Perché hai raccontato a tuo padre dell’omicidio dei miei genitori? >>.
Xanxus sgranò gli occhi, chiaramente sorpreso da quella domanda inaspettata. Era stato preso in contropiede. << Non so di cosa stai parlando >>.
Squalo affilò lo sguardo, mentre dentro di sé esultava per essere riuscito a deviare l’attenzione dell’altro.  << È stato tuo padre a dirmelo >> confessò con tono calmo.
<< Maledetto vecchiaccio dalla bocca larga! >> imprecò Xanxus tra i denti, distogliendo lo sguardo per un momento.
<< È per questo che quei tizi sono morti? Sei stato tu a chiedere al Nono di farli fuori? >>. Era una domanda che si era posto più di una volta, nonostante la risposta lo spaventasse, però era anche curioso di scoprire se i suoi sospetti erano corretti.
Il Boss lo guardò a lungo prima di rispondere, gli occhi rossi intensi e diabolicamente meravigliosi. << Non ti montare la testa, feccia; la loro morte non ha niente a che vedere con te. Quei tizi erano membri di una famiglia rivale e dovevano essere eliminati: questo è l’unico motivo >>.
“Non ti credo” pensò Squalo. << Lo sapevo già, ma non cambia niente: tuo padre mi ha anche detto che sei stato tu a parlargli di me e dei miei genitori. Perché l’hai fatto? >>. I suoi occhi grigi e luminosi erano seri e Xanxus vi poté leggere dentro qualcosa che non aveva mai visto, o meglio la mancanza di qualcosa: non c’erano né rabbia né odio e né accusa. Non seppe perché, ma rimase spiazzato da quello sguardo, così vero e sincero che per alcuni momenti non fu in grado di reagire.
Stava per aprire bocca, quando la porta del bagno si spalancò di nuovo e questa volta fu una testa bionda a fare la sua comparsa.
“Dino!”.
Xanxus e Squalo si voltarono all’unisono, ma non si mossero dalla loro posizione, mentre il ragazzo rimase alcuni secondi fermo sull’uscio ad osservare i due, l’espressione sorpresa e perplessa. Il suo compagno di stanza aveva la schiena poggiata al muro e il moro gli teneva un braccio sul petto, i corpi erano talmente vicini che si toccavano.
<< Che state facendo? >> domandò loro con voce fredda.
<< Niente >> rispose subito Squalo, allontanando l’altro con una leggera spinta. Si sentì profondamente a disagio senza sapere perché.
Approfittando di quel momento, si diresse a passi rapidi verso Dino, lo superò e uscì dal bagno, deciso ad andare ancora in mensa, nonostante ormai sentisse lo stomaco completamente chiuso.
 
 
 
Dopo la rapida fuga di Squalo, Dino fece un passo avanti e si chiuse la porta alle spalle, mentre i suoi occhi non avevano perso di vista Xanxus neanche per un momento.
A differenza di molti altri studenti, non si era mai sentito terrorizzato in sua presenza, ma era abbastanza saggio da starne in guardia. Non poteva negare che solo il suo sguardo fosse capace di incutere timore,  ma ciò non voleva dire che non fosse in grado di reggerlo.
<< Non so cosa tu abbia in mente, ma ti sarei grato se lasciassi andare Squalo >> gli disse con voce salda, senza tanti giri di parole.
Per quanto avesse provato rancore nei confronti dell’argenteo e di tutta quella situazione che a lui continuava a sembrare assurda, non era riuscito a smettere di preoccuparsi. Nelle settimane successive al suo arrivo, Dino si era davvero affezionato a Squalo: nonostante all’inizio l’avesse preso a cuore perché gliel’aveva chiesto suo padre, in poco tempo era arrivato a considerarlo un suo caro amico. Per questo era rimasto sconvolto e incredulo di fronte alla decisione dell’altro di entrare nei Varia e a tutte le conseguenze che ne erano derivate. Per di più si sentiva in colpa per non essere riuscito a fermarlo e per aver lasciato che la situazione degenerasse: continuava a ripetersi che non sapeva cosa fare, che aveva provato di tutto per dissuaderlo, eppure il senso di colpevolezza non diminuiva.
Inoltre, da quando l’aveva beccato nudo a vomitare in bagno in piena notte e con tutti quei succhiotti e segni di morsi addosso, non riusciva a togliersi dalla testa la costante sensazione che ci fosse qualcosa di grosso sotto. Aveva un brutto presentimento a cui non voleva neanche dare un nome o una forma, ma il dubbio lo tartassava incessantemente, rendendolo inquieto. Qualcosa in tutta quella faccenda era diventata fin troppo strana e la sua preoccupazione per Squalo non voleva saperne di placarsi.
Se per salvarlo, avrebbe dovuto affrontare Xanxus, lo avrebbe fatto a testa alta. Nonostante tutto, sentiva che per Squalo ne valeva la pena.
Dato che si aspettava una reazione rabbiosa, fu sorpreso di vedere le labbra del moro curvarsi in un sorriso crudele. << Ma non mi dire! Cavallone junior è preoccupato per la feccia? Dopo quello che ti ha fatto, ero convinto che lo odiassi >>.
<< Mi ci è voluto un po’, ma ho sbollito la rabbia. E poi so per certo che sei stato tu ad obbligarlo a fare una cosa del genere >>.
<< Anche se fosse, è stato lui a volersi unire ai Varia >> replicò Xanxus, senza smettere di ghignare, << forse si era stufato di stare in tua compagnia >>.
Dino incassò la frecciatina, ma non gli diede la soddisfazione di cedere a simili provocazioni. << Credi quello che ti pare, non mi interessa >> rispose, scrollando le spalle, << ma vorrei che lasciassi andare Squalo >>.
<< E dovrebbe fregarmene qualcosa di quello che tu vorresti? >>.
<< Perché tieni Squalo con te? Non ti bastano quegli altri stranboidi che ti fanno da servi? Perché proprio lui? >>.
<< Non vedo come la cosa possa riguardarti. Quello che faccio non è di certo affare tuo, quindi vedi di farti i cazzi tuoi >> replicò con tono minaccioso, affilando lo sguardo.
<< Squalo è un mio amico, perciò la cosa mi riguarda eccome! >> esclamò Dino, sforzandosi di non alzare la voce. Mettersi a gridare non avrebbe risolto un bel niente.
Il ghigno tornò sul volto di Xanxus. << Un tuo amico? Ne sei davvero convinto? Eppure non mi sembra che si sia fatto molti problemi ad abbandonarti dopo averti tradito. Magari eri solo tu a credere nella vostra amicizia >>.
Il biondo strinse gli occhi, irritato, ma si morse il labbro per impedirsi ancora una volta di abbassarsi a quegli attacchi. << Anche se non mi vede come amico, io non cambierò mai idea su di lui: per questo ti sto dicendo di lasciarlo andare >>.
<< Io non lo tengo certo legato col guinzaglio: quella feccia è libera di andarsene quando vuole >> gli fece notare il moro, il sorriso che non abbondava le sue labbra, << invece di venire da me, dovresti parlare con il tuo amico >>.
Dino avrebbe tanto voluto rispondere a quell’affermazione, ma non trovò punti d’appiglio. Del resto era consapevole che Xanxus avesse ragione: nessuno aveva costretto Squalo ad unirsi ai Varia e nessuno lo costringeva a restarci.
“Merda! Cosa dovrei fare?”. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, ma non fu in grado di replicare.
<< Direi che la discussione è finita >> dichiarò il moro, dato che l’altro se ne stava in silenzio. Superò la distanza che li separava e afferrò la maniglia della porta, mentre affiancava Dino, a pochi centimetri da lui.
<< Non so perché tieni tanto a quella feccia, ma non c’è niente che tu possa fare o dire per cambiare le cose: lui mi appartiene e non se ne andrà mai di sua spontanea volontà >> gli disse con voce gelida e priva di qualsiasi emozione.
Dino sgranò gli occhi, ma non riuscì a muovere la bocca. Xanxus aprì la porta ed uscì fuori, lasciando il biondo con il suo senso di impotenza.
 
 
 
 
 
Uno sbuffo pesante accompagnò il movimento di Squalo mentre si gettava a peso morto su uno dei divani della sala comune.
Dopo essere riuscito a sopportare le prime due ore di lezione, aveva deciso di saltare l’ora di biologia e si era rintanato nella saletta comune dell’edificio centrale, a quell’ora vuota. Avrebbe tanto voluto non pensare a quello che era successo nel bagno poche ore prima, ma più si sforzava di non farlo, più la sua mente non faceva a meno di ricordarglielo.
“Che situazione di merda!” pensò rassegnato, chiudendo gli occhi.
 
 
<< Anche tu salti le lezioni? >>.
Una voce improvvisa gli fece fare un piccolo balzo sul divano.
<< Viper! >> esclamò, fissando la ragazza ad occhi sgranati, << mi hai fatto prendere un colpo! >>.
<< Non era mia intenzione >>. Gli si sedette accanto e lo fissò con quello sguardo calmo e indifferente come la sua voce. << Tutto a posto? Hai una pessima cera >>.
Squalo inarcò un sopracciglio tra l’offeso e il perplesso. << Semplicemente non mi andava di seguire l’ennesima noiosissima spiegazione di Barruto >>.
Lei continuò a fissarlo e rimase in silenzio molti secondi prima di parlare. << Sicuro? Perché hai l’aria di uno sull’orlo della disperazione >>.
L’altro spalancò gli occhi, incredulo. “Come diavolo fa a…?”.
<< È  colpa del Boss, vero? >>.
A quelle parole gli occhi di Squalo si trasformarono in due palline da golf pronte a schizzare fuori dalle orbite e Viper comprese di avere ragione.
<< Lo immaginavo: è sempre colpa del Boss >> dichiarò col tono di una ben consapevole di non avere mai torto.
<< Che vuoi dire? >> le chiese lui con voce preoccupata.
<< Beh, da quando fai parte dei Varia, sei diventato la vittima preferita del Boss. A noi non ha mai prestato particolare attenzione, ma quando si tratta di te, sembra che provi un sadico divertimento nel tormentarti >>.
<< Wow, che bello. Sono proprio speciale >> dichiarò sarcastico.
<< In un certo senso è vero. Da quando lo conosco, tu sei la prima persona verso cui dimostra un interesse >>.
<< Lui mi detesta >> replicò Squalo, anche se dentro di sé non ne era poi molto sicuro.
<< Forse, ma sta di fatto che voi due avete un legame. Sarà contorto e violento, ma del resto stiamo parlando del Boss >>.
L’argenteo la fissò con aria spaesata, come se non riuscisse a credere alle proprie orecchie e in effetti stava avendo serie difficoltà in tutta quella faccenda. << Avrei preferito essere ignorato come voi >> disse alla fine, sbuffando poi pesantemente.
<< Ma è causa sua che ti sei voluto unire a noi, no? >>. Il tono piatto e distaccato con cui parlò lasciò Squalo senza parole. Sembrava che per lei fosse tutto chiaro e scontato, quando neanche lui sapeva cosa pensare, ma non poteva certo darle torto.
In quell’istante comprese che da quando aveva incontrato Xanxus, tutta la sua vita all’interno di quell’Accademia era girata completamente attorno a lui, come la luna che orbita attorno alla Terra. Le decisioni prese, le scelte fatte, le azioni, i pensieri: ogni singola cosa di ogni singolo giorno aveva sempre riguardato Xanxus e Squalo se ne stava davvero rendendo conto solo in quel momento.
“Oh mio Dio…”. Fu tutto ciò a cui riuscì a pensare, sentendosene annichilito. Senza neanche rendersene conto, aveva messo la sua vita nelle mani di un arrogante e sadico bastardo e la situazione era degenerata fino al punto in cui si era ritrovato a fare sogni erotici su di lui nel bel mezzo della notte.
<< Questo è un incubo… >> sussurrò con un fil di voce, passandosi una mano tra i capelli.
<< Non so cosa sia successo tra di voi >> iniziò d’un tratto Viper, gli occhi posati sullo schermo del cellulare che aveva appena tirato fuori, << e non te lo chiederò, anche perché non sono affari miei, ma conosco il Boss da abbastanza tempo da sapere che ha un modo tutto suo di relazionarsi con gli altri >>.
<< E quindi? >>.
La ragazza alzò lo sguardo dal telefonino e lo puntò su Squalo. << E quindi niente >> disse, scrollando le spalle, << penso solo che se c’è qualcuno che può affrontare Xanxus senza rischiare di finire in ospedale, quello sei tu >>.
L’argenteo aggrottò le sopracciglia, confuso, ma Viper non aggiunse altro e tornò a concentrarsi su quello che stava facendo prima.
“Fanculo!” imprecò nella sua mente, sprofondando nuovamente sul divano.
 
 
 
 
 
 
 
Quello stesso pomeriggio, alla fine di tutti i corsi, Squalo si era ritrovato suo malgrado in camera del Boss insieme a tutti i Varia. Aveva provato a defilarsi, ma Lussuria si era intestardito e l’aveva costretto ad unirsi a loro per una sfida ai videogame, possibile grazie alla console e al televisore che Xanxus teneva nella sua stanza. Dopo un paio d’ore abbondanti, durante le quali Squalo aveva battuto Levi e Lussuria, ma Belphegor aveva stracciato tutti loro, il Boss - che non aveva voluto partecipare - li aveva cacciati via in malo modo, lamentandosi del fatto che erano troppo rumorosi e lo avevano infastidito abbastanza.
“Beh, almeno mi sono divertito” pensò Squalo, mentre attraversava i corridoi per tornare in camera sua. Aver trascorso del tempo col joystick in mano gli aveva liberato la mente, distraendolo e obbligandolo a concentrarsi su qualcosa che non fossero i suoi problemi.
Era quasi arrivato a destinazione quando, frugandosi in tasca, si accorse di averla vuota.
“Cazzo! Il cellulare”. Controllò ancora una volta, ma invano. “Merda, devo averlo lasciato nella stanza del Boss”.
Imprecò di nuovo e, sbuffando, rifece il tragitto in senso inverso, maledicendosi per la sua sbadataggine. Una volta arrivato, aprì la porta senza bussare e notò subito che la camera era vuota. Ringraziando mentalmente tutti gli spiriti e i santi, diede una rapida occhiata in giro e recuperò il suo telefono dal mobiletto sul quale era sistemato il televisore. Lo rimise in tasca, deciso ad andarsene il prima possibile, ma proprio un istante dopo la porta del bagno si spalancò e comparve uno Xanxus bagnato e mezzo nudo.
Squalo sgranò gli occhi e involontariamente si ritrovò a fissare il moro appena uscito dalla doccia. Aveva solo un asciugamano a coprirgli la vita e un’altra posata sulle spalle. I capelli, di solito tenuti su col gel, gli ricadevano sulla fronte e sembravano per questo più lunghi, mentre la pelle scura era ricoperta dalle gocce d’acqua che scivolavano seguendo la linea dei muscoli e delle cicatrici.
Alla vista dell’altro il moro inarcò un sopracciglio, sorpreso. << Che ci fai di nuovo qui, feccia? >> gli chiese con tono scocciato, le mani che stringevano i lembi dell’asciugamano sulle sue spalle.
Imbarazzato, Squalo lasciò vagare lo sguardo altrove. << Avevo dimenticato il cellulare e sono tornato a prenderlo >> rispose, sforzandosi di non guardare Xanxus. Vederlo in quel modo gli stava facendo tornare in mente ciò che era accaduto in piscina e che lui non voleva né ricordare né tantomeno prendere in considerazione.
“Perché diavolo mi sento così?”. Una parte di lui voleva fuggire via da lì, ma l’altra desiderava ardentemente far tornare i suoi occhi sul corpo perfetto del moro. << Ora è meglio che vada >> annunciò, muovendosi verso la porta a testa bassa.
Prima di richiudersela alle spalle, non poté impedire a se stesso di voltare rapidamente lo sguardo per lanciare un’ultima occhiata all’altro. Il Boss, dal canto suo, ghignò nel suo modo arrogante quando incrociò gli occhi di Squalo e lo vide sorprendersi per essere stato beccato.
“Interessante” pensò compiaciuto.
 
 
 
 
 
I suoi occhi sono rossi e famelici. Ti incatenano e ti scavano dentro, come se volessero imprigionarti per sempre.
Il suo sorriso è lascivo, così come la lingua che si insinua dentro la tua bocca. Da qualche parte, non sai bene dove, senti delle mani accarezzarti e delle braccia stringerti con forza fino a farti quasi male, ma non ci fai davvero caso perché il tuo corpo sta bruciando e la tua lingua combatte contro la sua una battaglia senza vincitori né vinti.
D’un tratto avverti un dolore pulsante in basso e dei tremiti di piacere che ti invadono e ti annebbiano la mente.
 Riesci solo a lasciarti trasportare da quelle sensazioni travolgenti, anche perché tutto il resto è confuso. Non sai dove ti trovi e ti chiedi “a chi importa?”.
 
Driin driin.
 
Un rumore acuto riportò improvvisamente Squalo alla realtà. Le immagini del sogno sbiadirono come inghiottite dalla nebbia prima ancora che riaprisse gli occhi, ma quando si tirò su, si accorse di essere sudato e di avere il cuore che batteva veloce. Molto veloce.
Sbatté ripetutamente le palpebre e una volta svegliatosi del tutto, afferrò il cellulare dalla scrivania e lesse il messaggio che gli era arrivato.
Camera mia. Adesso. Vedi di non tardare.
Anche se non avesse visto il nome del mittente, non avrebbe avuto dubbi sulla sua identità.
Xanxus.
“Che cavolo vuole a quest’ora?”. Si alzò dolorante dalla sedia sulla quale si era addormentato e si guardò attorno: Dino sembrava dormire tranquillo e l’orologio segnava le 23:15.
“Merda! Mi sono addormentato sui libri” pensò con fastidio, lanciando un’occhiata al disordine di fogli che regnava sulla scrivania. Pur controvoglia, aveva tentato di ultimare i compiti in arretrato, ma tra la noia, la distrazione facile e la mente fra le nuvole non aveva concluso quasi nulla ed era crollato senza accorgersene.
Si passò una mano prima tra i capelli e poi sulla faccia, stropicciandosela. Lanciò un’altra occhiata al display e sospirò tristemente. Aveva di nuovo fatto quel sogno e adesso Xanxus gli chiedeva di andare nella sua stanza.
“Non sta succedendo davvero!”.
Per quanto l’idea di recarsi da lui non gli piacesse neanche un po’, il solo pensiero di incorrere nella sua punizione se non avesse fatto come gli era stato detto gli fece capire di non avere altra scelta.
Attento a non fare rumore, uscì dalla sua camera, imprecando senza sosta.
 
 
Giunto a destinazione, provò l’enorme impulso di tornare indietro e far finta di niente e per un momento prese seriamente in considerazione l’idea, ma qualcosa lo spinse a restare. Si disse che lo faceva solo perché non aveva alcuna voglia di dover subire l’ennesima ritorsione da parte del Boss, ma nell’istante in cui, dopo aver aperto la porta, i suoi occhi videro, si pentì profondamente di non aver dato retta all’impulso di prima.
Del tutto nudo se non fosse stato per i boxer, Xanxus se ne stava sdraiato sul letto, mentre seduta a cavalcioni sopra di lui una ragazza in slip e reggiseno con lunghi capelli castani teneva le sue mani sensualmente posate sul petto del moro. Appena si accorse dell’intruso però, si paralizzò un momento per poi cercare di coprirsi, il volto contratto in una smorfia di sorpresa, imbarazzo e disappunto.
Squalo rimase sull’uscio della stanza, la mano ancora sulla maniglia della porta, incapace di muoversi, pensare o compiere qualsiasi altra azione considerata basilare. Vide le labbra di Xanxus piegarsi in un ghigno e i suoi occhi piantarsi su di lui, mentre la ragazza si era spostata dalla sua posizione, sedendosi accanto all’altro e teneva un lenzuolo sollevato fino al mento, lo sguardo che si alternava rapido tra i due ragazzi.
<< Che diavolo ci fa lui qui? >> domandò d’un tratto con tono nervoso, fissando il moro, ma usando una mano per indicare Squalo il quale dal canto suo non sembrava in grado di reagire.
Il Boss continuò a sorridere in quel suo tipico modo sadico e arrogante e, senza rispondere, afferrò la ragazza per un braccio e la tirò con sé con forza, facendole lasciare la presa sul lenzuolo. Quella emise un verso strozzato, ma non provò a divincolarsi.
<< Perché quella faccia sconvolta? Non hai mai visto una ragazza nuda? >> lo provocò Xanxus, continuando a tenere ferma lei, ma fissando Squalo.
L’argenteo spalancò gli occhi e strinse la presa sulla maniglia fino a farsi male, ma non riuscì a rispondere. Si sentiva completamente paralizzato e avrebbe dato qualsiasi cosa per poter fare ciò che una vocina continuava a ripetergli, ovvero andare via.
Il Boss, semi-seduto sul letto, fece avvicinare ancora di più la ragazza e le circondò la vita con un braccio, mentre l’altro le accarezzava una gamba.
<< Che ti prende, feccia? Vuoi forse unirti a noi? >> lo provocò il moro, gli occhi che non si era staccati da Squalo neanche per un secondo e il ghigno che non aveva abbondato il suo volto.
<< Cosa?! >> esclamò la ragazza, ormai sempre più confusa e scioccata, << di che cazzo stai parlando? >>.
Xanxus serrò la presa su di lei, facendole male. << Non ho chiesto la tua opinione >>. Quella sgranò gli occhi e aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
Intanto il cervello di Squalo stava cercando in tutti i modi di riprendere a funzionare, nonostante le sensazioni, le emozioni e i pensieri si stessero accavallando fino a ingarbugliarsi sempre di più in un unico ammasso privo di forma.
“Tutto questo è dannatamente assurdo… è-è impossibile…”. Non riusciva a staccare loro gli occhi di dosso, eppure una parte di lui desiderava fuggire il più in fretta e il più lontano possibile. Quella scena lo attraeva e lo ripugnava allo stesso tempo, come in quei film horror dove non vuoi guardare perché sai che ti farà stare male, ma non riesci comunque a distogliere lo sguardo dallo schermo, perché vuoi sapere cosa succede, anche se ti farà male.
Alla fine, ciò che più lo turbò di tutta quella faccenda, che più di ogni altra cosa lo fece soffrire e lo disgustò fu il rendersi conto che, ancora una volta, stava provando una forte attrazione fisica per Xanxus.
Avrebbe dovuto provarla per la ragazza: del resto era formosa e sensuale e aveva un viso dai lineamenti delicati. Invece, pur constatandone la bellezza, gli risultava indifferente, al contrario del moro.
“Come diavolo mi sono ridotto? Sono patetico…”.
Fu proprio la rabbia insita in quel pensiero a riscuoterlo dallo stato di paralisi in cui si trovava: sentì la furia montargli dentro e affilò lo sguardo.
<< Va a farti fottere >> gli disse con tono gelido: poi uscì dalla stanza, sbattendo con violenza la porta. Si affrettò lungo il corridoio, il cuore che gli martellava nel petto e la mente in subbuglio.
Nell’istante in cui svoltò ad un angolo, andò a sbattere contro Dino.
<< Che cavolo stai facendo? >> esclamò Squalo sorpreso.
Il biondo lo fissò e inarcò un sopracciglio. << Stavo per chiederti la stessa cosa. Mi sono svegliato e tu non c’eri, così sono uscito a cercarti >>.
Il volto dell’altro si contrasse in una smorfia di fastidio. << Nessuno ti ha chiesto niente. Smettila di ficcare il naso in affari che non ti riguardano >> sputò fuori con tono acido, per poi superare Dino.
Riuscì a compiere solo pochi passi prima di venire fermato dalla mano dell’altro che si strinse attorno al suo polso. Il biondo lo fece voltare e lo osservò con sguardo serio e intenso. << Mi riguardano invece >>.
Squalo strattonò il braccio per liberarsi dalla sua presa. << E io ti sto dicendo di non immischiarti >>.
<< Si può sapere che diavolo ti succede? Non ti riconosco più! Che fine ha fatto lo Squalo determinato  e sicuro di sé che ho conosciuto? Da quando sei entrato nei Varia non sei più tu… >>.
L’argenteo spalancò gli occhi e l’ombra di paura che gli oscurò il volto non sfuggì a Dino, ma fu solo per un momento. La sua espressione tornò subito rabbiosa e infastidita. << Sei sordo o solo idiota? Fatti-i-cazzi-tuoi. Non ho chiesto il tuo aiuto e non ne ho bisogno >>.
Il volto di Dino si trasformò in una maschera di palese irritazione: i suoi occhi si strinsero e la sua bocca divenne una linea sottile. << Ne sei sicuro? Perché a me sembri completamente perso. Qualunque sia la causa, ti sta cambiando >>.
<< Ora ti metti a farmi la predica? >> replicò Squalo con nervosismo crescente, fulminandolo con lo sguardo, << non voglio sentire niente né da te né da nessun’altro! >>.
Dino lo afferrò per la felpa che indossava e avvicinò i loro volti. << Adesso basta >> sibilò a denti stretti. Senza mollare la presa, iniziò a camminare, trascinandosi dietro l’argenteo.
<< Che cazzo stai facendo? Lasciami! >> sbraitò quello, provando a divincolarsi, ma il biondo lo tirò anche per il braccio e si ritrovarono a percorrere in quel modo il percorso verso la loro stanza.
Arrivati alla 104, Dino spinse dentro Squalo con forza e richiuse subito la porta.
Squalo lo fissò con rabbia e provò il desiderio di prenderlo a pugni. << Che cazzo ti è preso? >>.
Il biondo gli si avvicinò rapido e piantò gli occhi nocciola in quelli grigi dell’altro. << Mi prende che sono stanco di vederti in questo stato! Che ci facevi  in giro alle undici di sera? Sei andato da Xanxus? >>.
L’espressione dell’argenteo mutò per un momento, facendosi sorpresa e imbarazzata, ma tornò subito arrabbiata. << Ti ho già detto che non sono affari tuoi! Cosa sei, un fidanzato geloso? >>.
Gli occhi di Dino si sgranarono per poi affilarsi di nuovo. << Stai facendo di tutto per non rispondermi, quindi ho ragione io! Che diavolo c’è tra te e Xanxus che ti spinge ad andare in camera sua a quest’ora? >>.
<< Non c’è niente e comunque non riguarda te >> dichiarò Squalo affilando a sua volta lo sguardo.
<< Ma riguarda te >> replicò l’altro con un tono serio che contrastava un po’ con la sua espressione addolcita e afflitta.
<< Perché? Perché ti preoccupi per me? >>.
<< Perché tengo a te, nonostante tutto >>.
Squalo lo fissò ad occhi e bocca spalancati, chiedendosi se avesse sentito bene. Dopo ciò che gli aveva fatto, non era possibile che Dino non lo odiasse!
<< Non farlo >> dichiarò freddo.
<< Cosa? >>.
<< Preoccuparti per me. Volermi aiutare. Non farlo >>.
<< Per quale motivo? >>.
<< Perché non voglio che ti immischi in questa faccenda >>. Fece appena in tempo a pronunciare queste parole che Dino, prendendolo alla sprovvista, lo afferrò per le spalle e lo spinse sul letto. Gli si posizionò di sopra, bloccandolo col peso del suo corpo e tenendogli ferme le braccia. << Falla finita! >> esclamò il biondo, << smettila di voler fare tutto da solo! Non sei costretto a farlo! Lascia perdere tutta quest’assurda storia: molla i Varia e torniamo come prima! >>.
Squalo si ritrovò ancora una volta ad occhi sgranati, scioccato di fronte a un simile comportamento. Non avrebbe mai creduto possibile che Dino reagisse in quel modo: non sembrava neanche più lui. Gli stava seduto di sopra a cavalcioni e lo teneva fermo, guardandolo con un’intensità che lo lasciò senza parole. I capelli dorati erano spettinati e gli ricadevano scomposti sul volto teso e inquieto, mentre il corpo tremava impercettibilmente.
Senza volerlo, gli tornò alla mente la scena a cui aveva assistito nella stanza di Xanxus e se ne sentì nuovamente turbato. Volse la testa, puntando lo sguardo in un punto della parete opposta.
<< Non dici niente? Hai intenzione di restartene in silenzio? >> insistette Dino, la voce che quasi tremava per la rabbia. Aspettò una risposta che non arrivò e dopo alcuni lunghi secondi parlò di nuovo, anche se fu più un sussurro rivolto a se stesso. << Dio, non sai quanto vorrei prenderti a pugni in questo momento… >>.
A quella frase Squalo tornò a guardarlo e un’espressione fredda si dipinse sul suo volto. << E allora fallo. Se ti farà stare meglio…>> si interruppe e distolse gli occhi solo per un istante, << e poi in fondo me lo merito… >>.
Un sorriso amaro piegò le labbra dell’altro. << Lo Squalo che conoscevo io non avrebbe mai detto una cosa del genere… mi avresti preso a pugni tu, piuttosto! Che diavolo ti è successo? Come ha fatto Xanxus a cambiarti così tanto? >>.
<< Non puoi capire… >> rispose quello con voce stanca e rassegnata. Il peggio era che neanche lui riusciva a capire cosa stava succedendo.
Sentì la presa di Dino sui suoi polsi farsi più forte e il suo istinto gli disse di liberarsi: avrebbe potuto avere facilmente il sopravvento, vista la differenza di forza, ma rimase immobile.
<< Se solo tu provassi a spiegarmi… >>.
Il tono del biondo gli sembrò quasi supplichevole e Squalo non seppe davvero cosa fare. Fu il rumore improvviso della porta che veniva spalancata a impedirgli di rimuginare ancora: un problema più grosso di cui occuparsi aveva appena varcato la soglia.







Ta-daaaan! Eccoci arrivati al primo capitolo a 2 cifre!! ^^ lo so, lo so, l'ho interrotto sul più bello, ma ammetto di provarci un certo gusto X) scherzi a parte, spero che vi sia piaciuto :3 rileggendolo, ho notato che è un cap con molti dialoghi e per la vostra gioia è tornato ancora una volta Dino <3 e che dire di Xanxus? è stato moooolto subdolo e moooolto sexy >.< quanto sadico gusto ci prova a provocare e tormentare Squaletto.... ihihihih
come sempre, ringrazio infinitamente tutti voi che leggete, commentate e seguite (continuate ad aumentare e mi fa davvero un enorme piacere, ma mi farebbe ancora più piacere leggere più commenti per avere i vostri punti di vista e capire come migliorare e far proseguire la storia, quindi se voleste lasciarmi anche solo 2 righe, fareste super felice una povera scrittrice *_* <3 e ve lo dice una pigra per eccellenza quando si tratta di recensire u.u)
un bacione a tutti e al prox capitolo - che non so quando arriverà....

 

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Capitolo 11
*** 11-C'è amore dietro ogni 'ti odio' ***


C'è amore dietro ogni "ti odio"




“Cosa cazzo…?”. Dino e Squalo voltarono la testa nello stesso istante, fissando sorpresi la figura che aveva appena spalancato la porta della loro stanza.
A torso nudo e a piedi scalzi, con solo un pantalone nero addosso, Xanxus fissava con sguardo serio e quasi arrabbiato i due ragazzi sul letto, immobili in quella posizione ambigua ed equivocabile. Dino era ancora seduto a cavalcioni sull’altro e gli teneva le braccia bloccate, mentre Squalo era completamente sdraiato sotto di lui.
Il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi per lunghissimi secondi durante i quali nessuno osò quasi respirare. All’improvviso fu il biondo a rompere quella situazione di stallo.
<< Che diavolo ci fai qua? >> chiese a Xanxus, senza lasciare la presa sull’argenteo.
Il moro li fissò per un po’, poi si avvicinò al letto a grandi passi, gli occhi affilati come due lame. Afferrò Dino per le spalle e lo spinse via con forza, facendolo finire a terra e prima che qualcuno potesse reagire, fece la stessa cosa con Squalo, costringendolo ad alzarsi in piedi.
<< Vooooi! Che cazzo ti prende? >> sbraitò l’argenteo, mentre il Boss lo tirava per la felpa e lo allontanava dal letto.
<< Sta’ zitto e vieni con me >> ordinò Xanxus, iniziando a trascinare Squalo.
<< Mollami, pezzo di merda! >> continuò quello, ma il moro gli mise una mano al collo e piantò gli occhi nei suoi. << Non hai ancora imparato che devi fare quello che io ti dico di fare? >>.
L’argenteo sostenne lo sguardo, ma prima di poter aprire bocca per replicare, vide Dino afferrare il braccio di Xanxus e fissarlo con astio.
<< Lascialo andare >> gli intimò.
Il moro gli lanciò un’occhiata velenosa e muovendosi fulmineo come era solito fare, mollò la presa su Squalo e usò il braccio libero per assestare un violento pugno al volto di Dino che cadde a terra a causa della forza dell’impatto.
<< Se fossi al posto tuo, biondino, non muoverei il culo dal pavimento >>. Squalo tentò di incenerire il Boss con lo sguardo, ma quello fissava Dino con la sua tipica e arrogante aria di superiorità e non ci fece caso. Quando però entrambi videro che il biondo, nonostante si tenesse una mano sulla guancia dolorante, si rialzò in piedi, fu l’argenteo ad intervenire.
<< Voooooi! Non mi hai sentito prima quando ti ho detto che questa situazione non ti riguarda? Non ti immischiare! >> lo attaccò immediatamente con voce furiosa. Vide l’altro sgranare gli occhi e per un istante si sentì male nel notare l’espressione ferita che attraversò il suo viso, ma si impose di mantenere il suo sguardo freddo e determinato.

Non voleva fare ancora del male a Dino, ma non poteva neanche permettere che quello si mettesse contro Xanxus: sarebbe stata la sua fine. Era già stato coinvolto fin troppo in tutta quella faccenda e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di farsi un nemico come il moro. Per questo Squalo sperò con tutte le sue forze che Dino usasse un po’ di buon senso e capisse che doveva fare quello che gli era stato detto.
<< Bene, vedo che ogni tanto anche tu dimostri di non essere un completo idiota >> lo schernì il Boss con un sorrisetto, al quale Squalo rispose con un’occhiataccia.
Dopo alcuni secondi di silenzio e immobilità, Xanxus, che non aveva mollato la presa sulla felpa di Squalo, riprese a tirarlo verso la porta e una volta fuori dalla stanza, senza che loro due potessero vederlo, Dino si ritrovò sulle ginocchia a fissare con occhi vuoti il punto in cui fino a pochi istanti prima c’era Squalo.
 
 
 
 
Si lasciò trascinare in silenzio da Xanxus per alcuni metri, la mente vuota se non fosse stato per un principio di rabbia e indignazione che crebbe fino ad esplodere dopo un minuto scarso di strada.
<< E che cazzo! Ti ho detto di mollarmi! >> esclamò all’improvviso, puntando i piedi a terra e costringendo l’altro a fermarsi. << Non sono un fottuto cagnolino! >>.
Il Boss lasciò la presa, ma un ghigno gli tinse le labbra e accese i suoi occhi. Senza replicare, afferrò di nuovo Squalo, questa volta con entrambe le braccia e se lo caricò su una spalla. Gli tenne ferme le gambe per impedire che l’argenteo lo prendesse a calci sull’addome e Squalo si ritrovò così a fissare il pavimento che scorreva sotto di lui e con la testa troppo vicina al fondoschiena di Xanxus.
<< Maledetto stronzo! Lasciami! >> sbraitò, assestandogli pugni ai fianchi.
Il moro gli bloccò un polso con il braccio libero. << Smettila di urlare, feccia o sveglierai l’intero dormitorio >>.
<< Tu mollami, allora! >>.
Per tutta risposta il Boss gli diede una pacca sul sedere e ghignò e, anche se Squalo non poté vederlo, gli sembrò quasi di sentirlo. Sbuffò e grugnì, irritato e infastidito dal suo stesso comportamento, ma non disse e fece nient’altro finché non fu di nuovo nella stanza del Boss.

Dopo aver chiuso la porta con un leggero calcio, il moro si avvicinò rapido al letto e vi gettò sopra Squalo senza tante cerimonie, posizionandosi subito dopo sopra di lui e bloccandogli le gambe con le sue. L’argenteo si guardò rapidamente intorno, alla ricerca di una via di fuga e poi lanciò una lunga occhiata al moro, carica di rabbia e… paura?
Xanxus ricambiò a lungo lo sguardo, le braccia tenute ai lati della testa dell’altro e gli occhi intensi e luminosi, nonostante la semioscurità della stanza.
<< Perché cazzo mi hai portato qua, bastardo? >> sputò fuori Squalo, la voce dura ma il cuore che batteva rapido.
<< Non lo capisci da solo? >> insinuò il moro con tono suadente. Vide il ragazzo sotto di lui sgranare gli occhi e schiudere leggermente le labbra: un improvviso desiderio di avventarcisi e divorarle si insinuò dentro di lui, sottile ma potente.
<< Non ti sei forse già divertito con quella tipa di prima? Cosa diavolo vuoi adesso? >> continuò Squalo e per quanto volesse dimostrarsi freddo e indifferente, i suoi occhi si allontanarono da quelli di Xanxus, incapaci di sostenere quell’intensità che lo stava facendo sprofondare in un baratro.
Le labbra del Boss si curvarono nel solito ghigno. << Non dirmelo: la feccia è gelosa? >>.
L’altro tornò a fissarlo, il volto contratto in un’espressione di fastidio e irritazione. << Dovrebbe prima ghiacciare l’Inferno >>.
<< Mmh, davvero? >> lo stuzzicò, avvicinando il viso al suo.
<< Mi sono rotto le palle dei tuoi fottuti giochetti! Non so cosa ti passa per la testa e non lo voglio neanche sapere, ma se vuoi tanto divertirti, vatti a cercare qualcun altro! >>.
Gli occhi di Xanxus si affilarono e il ghigno sparì dal suo volto. << Non sto giocando, feccia: mi sono solo stancato di aspettare. Ormai avrai capito che non sono un tipo paziente >>.
<< Aspettare? Aspettare cosa? >> domandò Squalo, sempre più confuso.
Il moro alzò gli occhi al cielo e sbuffò. << Certo che sei proprio ottuso, feccia; non capisco se lo fai apposta o se ti viene naturale >>.
L’argenteo lo fissò con un’espressione di irritazione mista a confusione. << E questo che cazzo dovrebbe significare? >>.

Senza rispondere, Xanxus si avventò sulle labbra di Squalo: le schiuse con forza e ci infilò dentro la lingua, succhiando e mordendo. Non c’era dolcezza in quel bacio né attenzione all’altro, ma solo un cieco desiderio di possessione.
Squalo sgranò gli occhi e il suo corpo si irrigidì, mentre le sue labbra e la sua lingua venivano morse e leccate. Gemette in quel contatto che sembrava più uno scontro e in un riflesso condizionato rilassò i muscoli e chiuse gli occhi, lasciandosi andare. Rispose al bacio con altrettanta passione, la mente svuotata di ogni cosa, eccetto le sensazioni che stava provando in quel momento. 
Sentì una mano di Xanxus infilarsi tra i suoi capelli e aggrapparsi forte fino a fargli quasi male, mentre un’altra si insinuava sotto la sua felpa, toccandogli la pelle nivea e morbida. L’argenteo sussultò a quell’intrusione e mugugnò un verso di dissenso che l’altro pensò bene di ignorare. Rabbrividì anche, nonostante la mani del moro fossero tanto calde da dargli l’impressione di mandare a fuoco i punti che accarezzavano con foga.
D’un tratto si rese conto di essere a corto a fiato e seppur con una certa fatica, causata dalla reticenza dell’altro, riuscì a separarsi da quelle labbra fameliche. Avrebbe voluto fare tante cose, tra cui urlare e prendere Xanxus a cazzotti, ma fu solo in grado di respirare a fondo nella vana speranza di calmarsi.

Vana, perché il cuore gli stava ringhiando in petto talmente forte da essere doloroso.
Vana, perché il suo corpo e la sua mente erano scombussolati fin nel profondo.
Vana, perché gli occhi rossi del Boss lo stavano incatenando fino a paralizzarlo.

Riuscì a non distogliere lo sguardo da lui e, senza sapere come, riuscì anche a parlare. << Stavi aspettando il momento giusto per fare… questo? >>. La voce risuonò monocorde alle sue stesse orecchie, ma in quel momento non ci fece caso più di tanto.
La bocca di Xanxus si curvò nel ghigno che Squalo ben conosceva e odiava. << Non mi sembra che la cosa ti dispiaccia >> lo canzonò, mentre la mano ancora sotto la felpa dell’altro si mosse piano, sfiorando l’addome e il fianco.
Squalo tremò impercettibilmente, ma affilò lo sguardo e si impose l’autocontrollo. << Quindi ti piacciono anche i maschi? Dopo la scenetta di prima, ero sicuro che andassi solo con le ragazze >>. In realtà non gli importava un granché della risposta: voleva solo prendere tempo e provare a capire in che razza di situazione fosse finito.
Il moro scrollò le spalle, nonostante la posizione, e la sua espressione si fece annoiata. << Il sesso è piacere: non è importante con chi lo raggiungo >>.
<< Che cazzo di modo di ragionare! Mi vuoi dire che non te ne frega niente se ti scopi un maschio o una femmina? Che per te è uguale, basta che ti diventa duro? >>.
Xanxus ridacchiò. << Come siamo virtuosi, feccia… fammi indovinare: sei uno di quelli convinti che si debba fare sesso solo con la persona che si ama? >>.
Squalo strinse le labbra, irritato e infastidito. << Con una persona di cui almeno ti importa qualcosa >>.
<< I sentimenti sono per gli stupidi >> replicò il Boss con tono freddo, << non hanno niente a che vedere con il sesso. Pensi che mi importasse qualcosa della ragazza di prima? Lei voleva scopare con me e io l’ho accontentata: tutto qui >>.
<< Quindi se uno chiunque viene da te e ti chiede di scopare, tu accetti perché tanto non ti frega niente? >> sbottò l’altro con tono furioso e incredulo.
“Sto davvero facendo questa discussione con Xanxus?!”
<< Certo che no, feccia >> obiettò il moro, << non vado con il primo che passa; e tanto per chiarirci, tu sei il primo ragazzo che voglio farmi >>.
“Cosa?!”. L’argenteo spalancò gli occhi per un istante, turbato da quelle parole. “Davvero?” Non avrebbe saputo dire come o perché, ma sentì una piccola scintilla di sollievo accendersi dentro di sé.
E si odiò.
Si odiò per quella debolezza che non voleva avere.
Si odiò con tutte le sue forze perché non riusciva ad odiare l’altro abbastanza, nonostante tutto.
 
<< E adesso tu vuoi me? Perché? >> gli chiese Squalo, la voce gelida e allo stesso tempo furiosa, << tu mi odi, no? Vuoi farti anche uno che detesti? >>.
In tutta quella discussione i due non avevano cambiato le loro posizioni: Squalo era ancora sdraiato sul letto e Xanxus gli stava sopra, le mani ai lati della testa e i volti a poca distanza.
<< Perché tu sei mio, feccia >> dichiarò il Boss sensuale, lo sguardo di un cacciatore che ha catturato la sua preda, << lo sei stato dall’istante in cui hai deciso di unirti ai Varia. Sei una mia proprietà e con le cose che mi appartengono io ci faccio quello che mi pare >>.
Infuriato per una tale risposta, Squalo spostò una gamba, puntò il piede sull’addome dell’altro e spinse con tutte le sue forze, assestandogli un calcio che lo fece allontanare. Approfittò subito di quel momento per sollevarsi e sedersi sulle ginocchia, provocando un cigolio del letto sul quale si trovavano.
<< Fanculo! >> sbraitò fulminando con lo sguardo Xanxus che se ne stava seduto sul materasso, << io non sono una tua proprietà! Avrò anche deciso di unirmi a voi, ma questo non fa di me un giocattolo con cui spassartela! >>.
Il Boss lo fissò a sua volta, ghignando. << Ma tu sei attratto da me, no? Prima, quando ti ho baciato, ti è piaciuto: non puoi negarlo >>. Vide l’altro sbarrare gli occhi e arrossire: inconsciamente ripensò a ciò che era accaduto in piscina, anche se allora Squalo era ubriaco e sorrideva come un idiota e si rese conto di non aver mai scorto la paura sul suo volto fino a quel momento.
Solo che non era la paura che era abituato ad osservare sulle facce degli altri.
Una parte di lui assaporò la soddisfazione di essere la causa di quella reazione e l’altra provò il bruciante desiderio di vedere quel viso stravolto dal piacere.

Dopo alcuni secondi di silenzio, Squalo abbassò lo sguardo, imbarazzato.
Come avrebbe dovuto rispondere?
Cosa avrebbe potuto dire di fronte a quella verità che lui stesso non riusciva nemmeno ad accettare?
Arrivato a quel punto, che senso aveva mentire?
Non riuscì a pensare a niente di intelligente da dire, cosi non disse niente.

<< Chi tace acconsente, giusto? >> continuò a provocarlo il moro, dato che l’altro non sembrava avere intenzione di replicare in alcun modo. Si mosse lentamente, come una tigre che si avvicina a una gazzella per non farla fuggire; si sollevò sulle ginocchia e si mise di fronte all’altro.
<< Ti avverto: non mi fermerò anche se mi implorerai di farlo >>.

Squalo alzò gli occhi e li piantò in quelli dell’altro: rossi, intensi, diabolici e affamati. Gli tornò in mente il loro primo incontro: nell’istante in cui aveva incontrato quegli occhi, aveva avuto la sensazione di osservare le fiamme dell’inferno danzare e ne era rimasto rapito e terrorizzato allo stesso tempo. Quella volta aveva pensato di poterci scorgere dentro un’anima fatta di fuoco, sangue e ira.
Adesso non avrebbe saputo cosa dire cosa ci vedesse, ma aveva ormai capito che qualunque potere avessero gli occhi di Xanxus, lui ne era rimasto prigioniero già da tempo.
Come era rimasto prigioniero della sua voce, della sua rabbia, della sua forza.
Prigioniero di ogni cosa che lo riguardava.
Uno schiavo con catene invisibili, ma più resistenti di qualsiasi metallo.
 
Un cacciatore ingenuo che aveva pensato di poter sconfiggere la bestia feroce, ma che alla fine era stato divorato senza neanche accorgersene.
 
<< Ti odio >>.
Fu tutto ciò che Squalo disse prima di abbandonarsi al suo demone.
 
 
 
 
 
 
Dice di odiarti, ma è proprio lui ad azzerare la distanza tra voi.
Ti cinge i fianchi con le braccia e prima che tu te ne renda conto, vi baciate con un trasporto che non avevi mai sperimentato e che non avresti mai immaginato.
Non capisci né come né perché, ma le sue labbra ti mandano completamente fuori controllo.
Sono morbide, calde, umide.

Ti sembrano le più buone mai assaporate e ti dici che è impossibile, ma la tua razionalità ti ha ormai abbandonato, perciò smetti di pensarci e continui a togliergli il respiro, come lui fa con te.
 Senti che non resisterai ancora per molto: vuoi che lui sia tuo.
Solo tuo.
Solo e soltanto…
 
 
…adesso ti rendi conto di quanto hai desiderato quella bocca. Ti sembra di venire risucchiato in angolo fatto solo delle vostre lingue che si cercano, si scontrano, lottano alla ricerca della supremazia che tu sai già appartenere a lui.
Ma combatti lo stesso perché è nella tua natura.
La bestia di fronte a te però freme e affila denti e artigli.
In men che si dica ti ritrovi ancora una volta disteso sul letto e senti le sue mani infilarsi sotto i tuoi vestiti e toccarti dappertutto.
La tua pelle brucia, il tuo intero corpo trema e la tua mente si è sconnessa dalla realtà.

Non ti importa di niente se non di quegli istanti.
Lui ti spoglia con foga e tu glielo lasci fare, perché la voglia di sentirlo davvero è diventata troppo forte. Vorresti…
 
 
 
...che lui smettesse di trattenere la voce. Vuoi sentirlo gemere e ansimare e ti sembra strano perché non ti era mai importata una cosa del genere prima d’ora, ma alla fine sei troppo preso dal momento per preoccupartene adesso.
Lo baci. Lo tocchi. Lo mordi.
Lo marchi affinché lui non dimentichi che ti appartiene e che così sarà fino a quando non ti sarai stancato di lui.

Il suo corpo si riempie dei segni del tuo possesso e tu non puoi fare a meno di ghignare nel vedere quanto lui si sforzi per non far capire che gli sta piacendo il modo in cui prendi quello che secondo te ti spetta di diritto.
Quando gli infili una mano in mezzo alle gambe e afferri la sua erezione, lui si lascia sfuggire un gemito e tu sogghigni.
Il suo volto si arrossa, la bocca si schiude, gli occhi si fanno lucidi e il respiro ansante: non avresti mai pensato che quella feccia potesse assumere un’espressione così sensuale da farti eccitare ancora di più.
Il suo sguardo…
 
 
 
… è vorace. È lascivo. Ti sconvolge e ti sconvolgi. Nessuno ti aveva mai guardato in quel modo, come se volesse divorarti fin dentro l’anima.
Chiudi gli occhi, ti lasci andare al piacere. Lo desideri, lo brami, vuoi che lui continui ancora.
E ancora.
E ancora.
Ma sei troppo orgoglioso e imbarazzato per lasciare uscire la voce e allora ti copri il viso e ti mordi le labbra, sperando così che lui non capisca, ma dentro di te sai già che è tutto inutile.
Mentre ti masturba, avvicina il corpo al tuo e tu avverti qualcosa di duro premere sulla tua gamba: capisci che anche lui è eccitato e decidi che non vuoi essere l’unico a godere. Così, anche se il piacere ti fa perdere la lucidità, ricambi le attenzioni con la stessa passione.
Vieni per primo, riversandoti nella sua mano: sei stravolto dall’orgasmo e senti…
 
 
 
 
…di essere vicino al limite, ma non vuoi che finisca tutto troppo presto. A malincuore ti sposti e lui lascia andare la tua erezione. Tu però vuoi andare fino in fondo perché farsi una sega a vicenda non ti basta.
Sapevi fin dall’inizio che non saresti stato soddisfatto finché non l’avessi fatto tuo, così usi le dita bagnate per prepararlo a riceverti.
I suoi occhi si sbarrano e dalla sua gola esce un grido strozzato; inizia ad agitarsi, impaurito e lo senti mugugnare di fermarti, ma tu non ne hai nessuna intenzione.
L’avevi avvertito che non l’avresti fatto, anche se lui ti avesse implorato: allora ti avvicini e inizi a baciarlo, a morderlo, a distrarlo dalla tua intrusione.
Un dito.
Due dita.
Tre dita.
Lui continua ad ansimare, non capisci quanto per il dolore e quanto per altro, ma nell’istante in cui ti rendi conto di non poter più aspettare, gli sollevi le gambe, portandotele sulle spalle e gli entri dentro.
La sensazione è così bella che ti sembra di impazzire dal…
 
 
 
 
…dolore. L’ennesimo grido ti muore in gola, ti manca il fiato, ti senti come se venissi spezzato in due.
Un’infinita sequela di insulti ti scorre in mente, ma non hai la forza di parlare.

Lui si spinge in te con forza e tu lo senti gemere piano, il respiro corto e veloce. Ha gli occhi lucidi, ma intensi e capisci che sta godendo.
Tu invece ti ritrovi a pensare che vorresti che si sbrigasse a togliere quel coso dal tuo sedere, ma poi d’un tratto, per caso, lui riesce a toccarti in un punto che non avresti mai detto di avere e il dolore si mischia al piacere.
A quello vero o almeno a quello che per te è il più travolgente mai provato. Così lasci andare la voce, non riesci più a trattenerti o forse non vuoi.
La velocità delle sue spinte aumenta fino a che non raggiungete entrambi l’apice, prima lui e poi tu lo segui a breve distanza.
Una volta fuori da te, si accascia sul tuo petto e rimanete in quella posizione per un po’, a riprendere fiato. È pesante, ma in qualche modo il calore del suo corpo è piacevole; così chiudi gli occhi, finalmente rilassato e con la mente vuota.
 
Ti addormenti prima di rendertene conto e non sai che Xanxus decide di non cacciarti via, come ha sempre fatto con le sue partner occasionali.
Ti lascia dormire e ti osserva per qualche minuto, prima di abbandonarsi anche lui sul cuscino.






Oh cielo, non so cos'è venuto fuori... non so neanche se quest'ultima parte debba essere considerata rating rosso, ma vabbè facciamo finta k vada bene il rating arancio XD cmq beh, che dire: spero di non aver deluso le vostre aspettative dopo la conclusione dello scorso capitolo ^^ ho deciso che era arrivato il momento di farglielo fare - e finalmente, direte voi! XD
avrete notato che qst cap è più corto del solito, ma ho pensato fosse meglio concentrarsi su questo momento - anke x non farvi aspettare troppo (considerando k ho finito di scriverlo ieri)
spero che vi sia piaciuto: perciò fatemi sapere che ne pensate, anche se non vi fosse piaciuto ^^
ringrazio come sempre tutti voi che continuate a seguirmi e a commentare <3 un bacione e alla prossima!


 

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Capitolo 12
*** 12-Un risveglio movimentato ***


Un risveglio movimentato



Una tenue luce mattutina e la sensazione di un braccio intorpidito riportarono Squalo alla realtà, strappandolo alla dolcezza e all’oblio del sonno. Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco e nel rendersi conto di non trovarsi nella sua stanza, provò a mettersi seduto, ma fitte di dolore alla schiena e al sedere lo costrinsero ad evitare qualsiasi movimento inconsulto.
Si rigirò piano nel letto e quando i suoi occhi si posarono su Xanxus, il suo cuore perse un paio di battiti. Sdraiato accanto a lui, il moro dormiva tranquillo, una mano tenuta mollemente sul cuscino, vicina al suo volto.
Squalo si strinse nelle coperte e lo fissò immobile e in silenzio. Le immagini di quello che era successo la sera prima gli si riversarono in mente, impetuose e violente come una cascata. Arrossì senza volerlo e si accucciò ancora di più nelle coperte, come se cercasse di placare quel gelo che strisciava in lui e che non voleva saperne di andarsene.
Rabbia, imbarazzo, vergogna, senso di colpa: stava provando tante di quelle emozioni diverse che non sapeva come si sarebbe dovuto sentire davvero.
Non riusciva a credere di averlo fatto con Xanxus e di essere stato il passivo, per giunta.
“Si può cadere più in basso di così?!” pensò con disperazione. Strinse gli occhi e trattenne uno sbuffo: l’ultima cosa che voleva era svegliare l’altro ed essere costretto ad affrontarlo.
In realtà non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare d’ora in poi né tantomeno di come avrebbe potuto continuare a stare nei Varia.
A stare vicino a lui.
A guardarlo ogni giorno.
A sentire la sua voce.
A sopportare le sue provocazioni.
Aveva sempre creduto di essere una persona forte.
Era stato fiero di sé e della paura che incuteva agli altri; aveva sempre provato una certa soddisfazione a mettere in mostra le sue capacità di combattimento e non aveva mai dubitato di se stesso. Anzi, aveva spesso dimostrato un carattere arrogante e orgoglioso che non aveva fatto altro che aumentare le schiere dei suoi nemici.
Poi i suoi genitori erano stati uccisi e, nonostante il dolore, era riuscito ad andare avanti, dimostrando ancora una volta di possedere una grande forza per la sua età.
Ne aveva passate tante, ma in qualche modo se l’era sempre cavata.
Era convinto che ce l’avrebbe fatta anche in quell’Accademia, invece aveva incontrato Xanxus ed era andato tutto a rotoli.
Non era mai stato in grado di opporsi a lui e aveva finito per rimanere intrappolato nella sua ragnatela, come una mosca vittima del ragno.
Adesso che lo guardava, così calmo e rilassato com’era raro vederlo, si convinse di non essere forte per niente.
Aveva lasciato che lo facesse suo… e gli era piaciuto.
Certo, se si escludeva il dolore lancinante che aveva provato quando l’altro gli era entrato dentro. Per lunghi momenti aveva creduto di poter morire e le lacrime gli avevano annebbiato la vista, ma poi, in un modo che non capiva neanche lui, era arrivato il piacere e niente aveva più avuto importanza.
Inoltre aveva dormito serenamente per la prima volta dopo le tante notti trascorse in preda a sogni a cui si era sforzato di non pensare.
 
Sospirò rassegnato e, nonostante il dolore, si mosse piano per alzarsi. Strisciò fuori dal letto, afferrò rapido i vestiti e, sempre sforzandosi di non fare rumore, uscì fuori dalla stanza.
Si rivestì in corridoio, ringraziando il fatto che, essendo ancora le sei e mezza del mattino, non si vedeva anima viva in giro. Camminò lentamente verso la sua camera, ma arrivato a metà strada, si rese conto di non avere alcuna voglia di affrontare né Dino né un’altra mattinata di lezioni.
Voleva stare solo.
Infischiandosene delle conseguenze e ignorando il desiderio di farsi una doccia, si diresse fuori dal dormitorio.
Attraversò i giardini deserti, disseminati di alberi dalle foglie gialle e rosse. Il sole aveva da poco fatto capolino, ma veniva a tratti nascosto dalle nuvole che stavano ricoprendo il cielo. L’aria era decisamente fredda e Squalo rabbrividì, stringendosi nella felpa e calandosi il cappuccio in testa. Non era neanche andato a prendersi il giubbotto, ma si disse che non gli importava.
Costeggiò l’alta cancellata che segnava il perimetro dell’Accademia e una volta giunto al lato est, si arrampicò su un grosso albero i cui rami si riversavano all’esterno. Grazie all’agilità che non gli mancava di certo, si inerpicò su quella corteccia ruvida, facendo leva sulle gambe e issandosi sulle braccia: gattonò su un ramo solido e spesso, lasciando che la cancellata scorresse sotto di sé e appena la superò, si lasciò cadere. Atterrò rannicchiato sulle ginocchia per attutire l’impatto, ma il suo corpo ancora dolorante sembrò voler punire il suo gesto di fuga con delle fitte che lo fecero grugnire e imprecare.
Fece dei profondi respiri e, calmatosi, si rimise in piedi. Lanciò un’occhiata alla Galilei, prima di allontanarsi, senza una meta e con la mente vuota.
Camminò a lungo, desideroso solo di allontanarsi, di fuggire, convinto che in questo modo avrebbe potuto liberarsi del peso che sentiva gravargli in petto.
Incrociò le braccia, mentre brividi di freddo gli correvano lungo gli arti e la schiena e si pentì velocemente di non aver preso il giubbotto pesante, ma si sforzò di  ignorare il gelo e accelerò il passo.
 
Erano ormai trascorsi più di venti minuti da quando aveva lasciato l’Accademia e prima che potesse impedirselo, si chiese se Xanxus fosse già sveglio e se l’avesse cercato o se si fosse disinteressato della sua assenza. A quel pensiero si sentì male e si vergognò di se stesso, ma per quanto cercasse di non pensare a lui, i dolori ai fianchi e alle gambe non facevano che ricordargli la notte trascorsa con il moro.
Proseguì per quasi altri quindici minuti e si ritrovò in uno dei parchi pubblici della città. Nonostante la lunga camminata, continuava a sentire freddo: il cielo si era completamente annuvolato e ad ogni respiro che Squalo faceva l’aria si condensava in piccole nuvolette.
Passeggiò un po’ tra i viali alberati: a quell’ora il parco era deserto, ad eccezione di qualche corridore mattutino e di un paio di tizi che portavano a spasso i loro cani.
Mentre camminava senza sapere bene cosa fare, incrociò un gruppo di ragazzi che proseguivano in direzione opposta alla sua: tre di loro portavano i capelli tinti, mentre un altro aveva diversi piercing in volto e tutti indossavano vestiti che volevano copiare quelli dei rapper americani. Anche se una volta non fosse stato uno di loro – eccetto per l’abbigliamento – li avrebbe riconosciuti comunque: teppisti in cerca di risse. Lo capì dai loro sguardi e dall’atteggiamento: erano quelli che lui stesso era solito mostrare quando se ne andava in giro con i suoi compagni.
Continuò per la sua strada e li vide ghignare e lanciarsi occhiate eloquenti. Gli si avvicinarono e mentre lo superavano, uno di loro lo urtò apposta: Squalo conosceva bene quell’espediente, lo aveva usato molte volte in passato. Non si fermò e non si voltò, ma quello lo afferrò per una spalla e lo costrinse a guardarlo.
<< Ehi, stronzetto! Che fai, non ti scusi per essermi venuto addosso?! >>. Squalo gli piantò gli occhi addosso: quel tipo era alto quanto lui, aveva gli occhi scuri e i capelli biondo chiaro, semi nascosti da un cappello nero con visiera.
<< Perché diavolo dovrei scusarmi, idiota? Sei stato tu ad urtarmi di proposito >> replicò l’argenteo con tono arrogante.
Gli altri reagirono irrigidendosi e Mr. Cappello aggrottò le sopracciglia, irritato.
<< Come hai detto? >>.
Senza che potesse controllarlo, le labbra di Squalo si piegarono in un ghigno. << Non dirmi che sei sordo oltre che essere un coglione. Cavolo, amico, il destino è stato proprio crudele con te >>.
Col viso stravolto dalla rabbia, quello afferrò Squalo per la felpa con entrambe le mani. << Chi cazzo ti credi di essere per parlarmi così, brutto stronzo! >>.
<< Sono uno che non ha nessuna intenzione di perdere tempo con un branco di coglioni come voi, quindi perché non ve ne tornate a tormentare i quattrocchi e i bambini delle elementari? >>.
Con la coda dell’occhio, vide gli altri tre circondarlo e prima ancora che potesse prendere l’iniziativa, Mr. Cappello gli assestò un pugno allo stomaco, che Squalo incassò con un piccolo grugnito di dolore. Dopo essere stato pestato da Xanxus, un colpo come quello poteva a malapena essere considerato degno di questo titolo.
Squalo piantò i suoi occhi grigi in quelli dell’altro e il suo sorriso si fece talmente crudele che i suoi denti sembrarono affilarsi come quelli dell’animale di cui portava il nome.
<< Hai appena firmato la tua condanna a morte, bastardo >> dichiarò gelido. Si avventò sull’avversario prima che quello potesse reagire, buttandolo a terra con una spinta e piazzandogli un calcio nelle parti basse.
Un grido strozzato risuonò nel silenzio del parco e in pochi istanti la rissa si fece accesa e violenta.

Squalo lottò come non faceva da molto tempo: schivava, scartava e contrattaccava, mentre il cuore pompava il sangue sempre più rapido e l’adrenalina scorreva selvaggia e prepotente, annebbiando tutti gli elementi superflui, come il freddo, il dolore e soprattutto i pensieri.
Nonostante la maggiore agilità e forza fisica, l’essere in quattro contro uno creò alcuni problemi a Squalo, ma la rabbia e la furia che gli imperversavano dentro lo trasformarono in una bestia senza controllo.
Ricevette alcuni colpi andati a segno che gli spaccarono quasi il labbro e lo ferirono alla fronte e al collo, ma ci fece caso a malapena, troppo concentrato a sfogare la sua frustrazione su quei tipi che avevano osato sfidarlo.
Fu… liberatorio.
Se Squalo avesse dovuto descrivere la sensazione che stava provando in quel momento, non avrebbe saputo usare una parola migliore.
In quei veloci e concitati momenti si sentì libero da ogni cosa che l’avesse angosciato negli ultimi tempi.
Fu come rinascere.
Sentirsi di nuovo se stessi nella violenza e nell’irrazionalità di quel combattimento. Tornare al passato, quando scontri del genere erano quasi all’ordine del giorno.
Forse era assurdo, forse era folle, ma del resto Squalo non si era mai considerato un ragazzo normale e mai aveva cercato di comportarsi in tal modo.
I pugni e i calci, il dolore inflitto, la sensazione dei suoi colpi che si infrangevano sui corpi degli avversari: tutto sembrò amplificarsi all’inverosimile e quando Squalo assestò un ultimo cazzotto sul volto dell’unico ragazzo rimasto in piedi, rompendogli il naso, non poté trattenersi dal sorridere come una bestia finalmente appagata del sangue versato.
 
Nell’istante in cui fece ritorno il silenzio, segno che la lotta si era conclusa, dal cielo iniziò a cadere una pioggia che non impiegò molto a infittirsi.
L’adrenalina nel suo corpo cominciò a scemare fino a scomparire e Squalo rimase fermo ad osservare i quattro ragazzi che si lamentavano quasi piangendo e faticavano a rialzarsi.
In men che non si dica si ritrovarono tutti fradici e solo allora il vincitore decise di andarsene, lasciando gli sconfitti alla fuga e all’umiliazione.
Riprese a camminare, senza curarsi di cercare un riparo e aspettare che smettesse di piovere: semplicemente andò avanti.
Ripercorse il tragitto dell’andata, mentre l’acqua continuava a precipitare su di lui, inzuppandogli capelli e vestiti e facendolo rabbrividire fin nelle ossa.
 
Di nuovo all’Accademia, vi rientrò passando per il cancello principale che a quell’ora era orami stato aperto e si diresse al suo dormitorio. Gli studenti che lo vedevano per i corridoi gli lanciarono occhiate sorprese e perplesse, ma Squalo li ignorò bellamente e raggiunse la sua stanza.
Varcata la soglia, si ritrovò davanti Dino che di sicuro stava uscendo per andare a mensa: del resto erano le otto del mattino e le lezioni sarebbero iniziate tra mezz’ora.
Squalo vide l’altro sgranare gli occhi e fissarlo con aria sconvolta. Entrò in camera e richiuse la porta alle sue spalle, mentre i secondi di silenzio si allungavano.
<< Sq-squalo… che ti è successo? >> gli domandò d’un tratto il biondo, interrompendo quel momento di stallo.
L’argenteo fece vagare lo sguardo per la stanza prima di rispondere. << Una brutta mattinata >> si limitò a dire con tono freddo e distaccato.
<< Ma… ma sei completamente zuppo! E anche ferito! Che diavolo hai fatto? Dove sei stato? >>.
<< Hai intenzione di continuare a farmi il terzo grado? >> replicò l’altro acido, fissandolo in cagnesco, mentre i capelli e i vestiti gocciolavano ancora e bagnavano il pavimento.
L’espressione di Dino si fece stizzita. << E tu hai intenzione di continuare a comportarti da coglione, a quanto vedo >>.
Le labbra di Squalo si curvarono in un sorriso amaro. << Finalmente ti sento dire quello che pensi davvero >>.
Il biondo gli si avvicinò di un passo e lo fissò negli occhi. << Che sei un coglione? Sì, lo penso. L’ho pensato dall’inizio di tutta questa storia, ma questo non vuol dire che smetterò di preoccuparmi per te >>.
Squalo si rabbuiò subito. << Fa’ come ti pare >> disse, per poi dirigersi verso il bagno.
<< È stato Xanxus a colpirti? >> volle sapere l’altro, senza spostarsi dalla sua posizione.
L’argenteo si fermò, ma rimase di spalle. << Non è stato lui >> dichiarò serio. Non attese una replica ed entrò in bagno, deciso a farsi una doccia calda.
 
Erano ore che sentiva freddo in ogni angolo del suo corpo e non appena l’acqua scese sulla sua pelle, accarezzandola, Squalo chiuse gli occhi e buttò fuori un lungo sospiro. Rimase sotto quel getto rilassante per molti minuti, lasciandosi avvolgere dal calore e dalla sensazione di pulito, nonostante il pizzicore continuo delle ferite. Finito, evitò accuratamente di guardarsi allo specchio: non voleva vedere i segni che Xanxus gli aveva lasciato, anche se era pienamente consapevole di ognuno di essi.
Una volta fuori, si rivestì e andò in mensa. Dopo le ultime dodici ore il suo stomaco brontolava affamato e poco gli importava che avrebbe dovuto rivedere il moro. O meglio, in realtà gli importava e lo preoccupava, ma si fece coraggio dicendosi che non avrebbe comunque potuto evitarlo.
Che poi era vero. “Purtroppo” pensò entrando nell’ampio locale ormai semivuoto. Vista l’ora, la maggior parte degli studenti aveva già finito di fare colazione ed era pronta per l’inizio delle lezioni. Restavano solo i ritardatari, tra cui ovviamente non potevano mancare i Varia, che poco e niente si interessavano di rispettare la puntualità tanto voluta dai professori.
Riempito il vassoio, Squalo si sistemò al loro tavolo come al solito e subito si ritrovò ad essere fissato.
<< Squaletto, ma che hai combinato? >> gli chiese Lussuria, indicandogli il volto con un dito smaltato di verde.
L’interpellato scrollò le spalle e addentò il suo cornetto.
<< Boss, perché hai picchiato Squaletto? >> continuò quello, rivolgendosi a Xanxus, dato che Squalo non rispondeva.
Il moro, che non toglieva gli occhi di dosso all’ultimo arrivato, grugnì e affilò lo sguardo. << Io non c’entro niente sta volta >>.
Lussuria si sporse verso il Boss. << Non ci stai mentendo, vero, Boss? >>.
I suoi occhi rossi si spostarono su di lui. << No, feccia, non sto mentendo, ma se ti interessa tanto, potrei picchiare te >>.
L’altro non disse niente e tornò a rivolgersi all’argenteo. << Allora chi è stato, Squaletto? >>.
Questi sollevò lo sguardo dal vassoio. << Ho avuto una discussione animata con un branco di idioti >>.
<< Shishishi, chi è stato tanto folle da attaccare un componente dei Varia? >> s’intromise Belphegor, mentre una mano giocherellava con un coltello.
<< Erano solo degli idioti senza cervello! >> sbottò Squalo, stufo di quelle domande, << e comunque non erano di questa scuola >>.
Gli altri lo fissarono confusi.
<< Che vuoi dire? >> insistette Levi, << dove hai incontrato questi tipi? >>.
Squalo sbatté le posate sul tavolo. << Che cazzo di fottuto problema avete?! >> esclamò con voce rabbiosa, << fatela finita con questo terzo grado! >>.
Stranamente tutti si zittirono, sorpresi da una simile reazione e l’argenteo poté tornare alla sua colazione. Anche se teneva lo sguardo basso, sapeva che Xanxus lo stava osservando e che la discussione non sarebbe finita là.
 
 
 
La mattinata di lezioni trascorse lenta e noiosa come al solito. Squalo non ascoltò quasi niente delle parole dei professori: all’inizio la causa fu la sua mente che non la smetteva di rimuginare sugli ultimi avvenimenti, ma dopo alcune ore iniziò a sentirsi male.
Ricominciò ad avere freddo, anche se la temperatura nell’aula era tiepida grazie ai riscaldamenti accesi e la gola prese a bruciare, facendolo tossire.
Alla fine delle lezioni, quando tutti gli studenti si dirigevano in  mensa per il pranzo, Squalo si rese conto di fare addirittura fatica a camminare: la testa gli girava, il petto gli doleva, sentiva il volto bruciare e sudava freddo.
D’un tratto, mentre era in corridoio, sentì una mano posarsi sulla sua spalla e si voltò, ritrovandosi davanti il volto preoccupato di Dino.
<< Squalo, va tutto bene? >>.
L’argenteo gli mise una mano sul petto, come a volersi sorreggere e un attacco di tosse gli tolse il respiro. Il biondo, sempre più impensierito, poggiò la sua guancia sulla fronte dell’altro e si ritrasse subito, gli occhi leggermente sgranati.
<< Stai bruciando! Ti porto subito in infermeria! >> annunciò allarmato, mentre cingeva il fianco di Squalo con un braccio per aiutarlo a camminare.
Squalo tossì di nuovo e gli sembrò di avere delle lame che gli trapassavano la gola. Dopo un minuto scarso di strada la sensazione di malessere, già di per sé brutta, peggiorò ancora e Squalo sentì le forze venirgli meno.
L’ultima cosa che udì fu la voce angosciata di Dino che chiamava il suo nome e l’ultima cosa che vide fu il pavimento che si avvicinava troppo rapidamente alla sua faccia.
Poi fu il nulla.
 
 
 
 
<< Non si è ancora svegliato? >>…
… << Aveva la febbre altissima! Come ha fatto a ridursi così? >>…
… << So solo che è tornato in stanza completamente zuppo… >>…
… <>…
… << Zitti! Non fatevi sentire! >>…
… << Ragazzi, non vi avevo detto di non fare chiasso? >>…
 
Frasi smorzate di una discussione che la sua mente colse distanti, come se appartenessero a un altro mondo, come se stesse sognando. Voci diverse, serie e concitate, che gli erano familiari.
D’un tratto provò la sensazione di avere qualcosa di morbido sotto il corpo e i suoi occhi si schiusero, lasciando che il nero scemasse in qualcosa di confuso e vagamente luccicante.
Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco l’ambiente circostante e ciò che vide per primo fu un gruppo di teste all’interno del suo campo visivo.
<< Oh, guardate! Si sta riprendendo! >> esclamò una voce. Trascorsero lunghi istanti prima che Squalo la collegasse al proprietario, ovvero Lussuria. Fece vagare il suo sguardo per la stanza e si accorse che Dino e i Varia erano attorno al letto sul quale era disteso. Letto che, comprese altri lunghi istanti dopo, doveva trovarsi in infermeria.
<< Squalo, come ti senti? >>. Fu Dino a parlare e ad avvicinarsi ancora di più a lui, mentre lo osservava con un’espressione tra il sollevato e il preoccupato.
Schiuse la bocca, come a voler parlare, ma si sentiva troppo debole confuso per riuscire ad articolare parole di senso compiuto.
<< Squaletto, rispondi! Stai meglio? >> continuò Lussuria con voce agitata.
<< Per l’amor del Cielo, ragazzi! >> , il medico della scuola, un uomo sulla cinquantina, con baffi e capelli brizzolati e con indosso un camice bianco, irruppe nel campo visivo di Squalo, << vi ho già detto e ripetuto che questa è un’infermeria, non un cortile! State stressando il vostro amico, lasciatelo tranquillo! >>.
<< Ma noi eravamo preoccupati per Squaletto! >> si lamentò Lussuria, come questo fosse una scusa per la loro rumorosa presenza.
<< Shishishi, parla per te: io volevo vedere se sarebbe schiattato >>.
A quelle parole Squalo, Dino, Lussuria, Viper e persino il dottore lanciarono un’occhiataccia a Belphegor, ma lui, ovviamente, essendo un principe, non si scusò.
<< Beh, come potete vedere, sta bene >> dichiarò l’uomo, fissando i visitatori con aria scocciata, << ha solo bisogno di altro riposo, perciò fareste meglio ad andarvene >>.
Da quando aveva ripreso conoscenza, Squalo non aveva aperto bocca e ora, mentre vedeva Dino e i Varia lasciare l’infermeria, si limitò a salutarli con un cenno del capo.
Xanxus fu l’ultimo ad uscire e prima di farlo, piantò i suoi occhi rossi in quelli grigi dell’altro e lo fissò per lunghi secondi, durante i quali l’argenteo si limitò a restituire lo sguardo, senza sapere esattamente cosa avrebbe dovuto provare. Si rese però conto che il suo cuore aveva accelerato di colpo, calmandosi solo quando il moro sparì dalla sua vista e lui rimase con il dottore.
 
 
 
 
<< Sono contento che stai meglio. Quando mi sei svenuto tra le braccia… beh, mi sono davvero spaventato >>.
Squalo lanciò un’occhiata a Dino, seduto su una sedia di fianco al suo letto, e abbozzò un sorriso di scuse.
Dopo che tutti se n’erano andati, il medico aveva posto a Squalo delle domande per capire cosa avesse potuto scatenare una febbre così alta e violenta, ma lui era rimasto molto vago nelle risposte e l’uomo non aveva insistito più di tanto, prescrivendogli riposo e alcune medicine.
Del resto, non poteva certo raccontare che era sgattaiolato fuori dall’Accademia e che era rimasto coinvolto in una rissa, anche se si convinse che il medico sospettasse qualcosa. Non aveva detto niente perché era un membro dei Varia o perché era sotto la tutela del Preside?
“Beh, non che mi importi…” si era detto prima di riaddormentarsi.
Aveva riposato fino a sera e dopo aver fatto una cena leggera e insipida, aveva ricevuto la visita di Dino. La febbre era scesa, ma non gli era ancora passata del tutto e la gola continuava a fargli male e a farlo tossire; per di più aveva dolori in tutto il corpo e si sentiva dannatamente debole e stanco.
Odiava quella situazione.
Odiava stare male ed essere costretto a letto.
E odiava soprattutto il fatto che, ogni volta che si distraeva, la sua mente finisse per pensare a Xanxus.
Per questo fu silenziosamente grato della visita di Dino: almeno doveva imporsi di prestare attenzione all’altro. Inoltre gli aveva portato il suo I-pod e qualcosa da leggere, dandogli così modo di ammazzare il tempo, visto che sarebbe dovuto restare in infermeria per la notte.
<< I Varia non sono ancora venuti a trovarti? >> gli chiese dopo un po’ il biondo, dato che erano rimasti entrambi in silenzio.
<< No e sinceramente mi va bene così: casinisti come sono, mi farebbero aumentare il mal di testa >>.
L’altro ridacchiò. << Sono… beh, come dire… eccentrici >>.
<< Sì, come dei tizi appena usciti da un manicomio >> precisò Squalo, sarcastico.
<< Forse, però erano davvero preoccupati per te. O almeno Lussuria lo era di sicuro. Quando l’ho incrociato in corridoio e ti ha visto privo di sensi, stava quasi per andare nel panico, ma alla fine mi ha aiutato a portarti in infermeria e dopo è corso ad avvertire gli altri >>, si interruppe e sorrise di nuovo, << ora che ci penso, è stato divertente >>.
<< Mi fa piacere che il mio stato di salute ti diverta tanto >> replicò l’argenteo, fingendosi offeso.
<< È stato divertente vedere Lussuria in quello stato, Squaletto >> lo prese in giro Dino con un ghigno soddisfatto.
Per tutta risposta Squalo gli lanciò addosso il bicchiere di plastica vuoto che aveva in mano. << Fanculo! Non ti ci mettere pure tu con questo Squaletto del cavolo: è irritante! >>.
Senza smettere di sorridere compiaciuto, il biondo rincarò la dose. << Io lo trovo perfetto, invece! Ti dona tantissimo, Squaletto >>.
L’occhiataccia inceneritrice che l’altro gli lanciò non lo fece desistere. << Sei così adorabile, Squaletto! >>.
<< Se non la pianti immediatamente, ti farò finire su un vero letto d’ospedale e non ti posso promettere che ti rialzerai >>.
<< Oh, no Squaletto, perché sei così cattivo con me? >> cinguettò il biondo in una perfetta imitazione di Lussuria – con tanto di mignoli all’insù - che strappò a Squalo una risata.
Risata che poi purtroppo si trasformò in un altro colpo di tosse, ma per una volta tanto l’argenteo non se la prese. Chiacchierare e scherzare di nuovo in quel modo con Dino gli fece più piacere di quanto avrebbe mai ammesso: nonostante i caratteri opposti che li distinguevano e nonostante il modo in cui l’aveva trattato, Squalo fu contento che l’altro ci tenesse ancora a lui tanto da andare a fargli visita.
Anche se pensava di non meritarsi la sua amicizia.
 
Ripresosi, stava per rispondere, quando la porta dell’infermeria si aprì ed entrarono due ragazze. Dato che la tenda attorno al letto non era chiusa su tutti i lati, Squalo poté vedere le nuove arrivate e non appena una di loro gettò casualmente uno sguardo verso di lui, i suoi occhi si sgranarono per un momento. L’attimo dopo Squalo reagì allo stesso modo: quella che stava guardando era la stessa ragazza che aveva trovato in camera di Xanxus la sera prima. Adesso era vestita con un jeans e un maglione bianco e i lunghi capelli castani erano legati in una treccia, ma l’argenteo non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerla.
A quanto pareva, aveva semplicemente accompagnato una sua amica, dato che l’altra ragazza stava parlando con l’infermiera, mentre lei continuava a fissare Squalo con uno sguardo di imbarazzo, ma anche di irritazione.
Avendo notato  lo strano scambio di occhiate tra i due, Dino intervenne. << Squalo, per caso conosci Gabriella? >>.
<< Non esattamente >>. In quel momento le due ragazze salutarono l’infermiera e se ne andarono.
<< E allora perché vi guardavate in quel modo? >>.
Squalo fissò il biondo con la coda dell’occhio per poi tornare ad osservarsi le mani. << Beh, ecco, diciamo che l’ho beccata a letto con Xanxus >>.
<< Cooosa?! >> esclamò Dino sconvolto, con un’ottava di voce più alta.
<< E non urlare, cazzo! >> sbottò l’altro, sforzandosi di fare una cosa che non era da lui, ovvero mantenere i decibel bassi.
<< Scusa, scusa, è solo che una notizia così… sicuro che fosse lei? >>.
<< Sicuro, solo che non sapevo come si chiamava… >>.
<< Non ci posso credere! Insomma, Gabriella è una delle studentesse con i voti più alti e fa anche parte del Comitato Studentesco: perché una ragazza come lei se la fa con uno… beh, con Xanxus? >>.
Squalo sbuffò, infastidito da quell’argomento: non gli andava proprio di rievocare le immagini della sera prima. << Che vuoi che ti dica… forse le piacciono i cattivi ragazzi >>.
<< Mmmh >> fece Dino, come se stesse riflettendo su chissà cosa, << quindi lei e Xanxus stanno insieme? >>.
Squalo ebbe quasi voglia di scoppiare a ridergli in faccia per una simile domanda, invece con tono serio disse: << Xanxus non sta con nessuno. Lei voleva farlo e lui l’ha accontentata, tutto qua. Non c’è niente tra di loro >>.
<< In effetti sarebbe strano il contrario… insomma, Xanxus non mi sembra il tipo da relazione fissa, anzi, non mi sembra proprio il tipo che possa interessarsi ad altri >>.
L’altro rimase in silenzio, lo sguardo basso. D’un tratto la gola gli si era fatta secca e la causa non fu il suo stato di salute.
<< Cavolo… giuro che sembra incredibile! >> riprese subito dopo Dino,<< cioè, Xanxus fa davvero paura…. com’è possibile che qualcuno sia attratto da lui tanto da andarci a letto? >>.
A quella domanda, apparentemente così semplice e priva di malizia, Squalo ebbe l’impressione di ricevere un altro cazzotto in piena faccia.
Si sentì… ferito, perché per quanto la cosa lo spaventasse e lo facesse incazzare, negare di provare qualcosa per l’altro dopo quello che era successo tra loro sarebbe stato fin troppo ipocrita. Nonostante non sapesse dare un nome o una spiegazione a questi sentimenti che lo terrorizzavano, sapeva di averli e di non poter mentire a se stesso, per quanto gli avrebbe fatto un immenso piacere poter fingere che non esistessero.
Del resto stavamo parlando di Xanxus. Il moro era stato ben chiaro sulla sua visione del sesso: non gli importava con chi lo faceva, per lui era solo uno sfogo, un istinto che non aveva niente a che vedere con le emozioni, ammesso che lui ne avesse mai provato qualcuna.
Perciò ora che era riuscito ad ottenere quello che voleva non aveva più alcun motivo per interessarsi a Squalo.
E tutto questo Squalo lo realizzò in quei brevi istanti di silenzio che seguirono l’affermazione di Dino e se ne sentì afflitto e sollevato allo stesso tempo.







A dispetto delle mie previsioni negative sono riuscita a completare anche questo capitolo ^^ anche se mi convince molto poco....
spero che non vi sia risultato troppo lungo, ma per una volta non mi andava di interromperlo in un punto critico.... beh che dire, è un cap Squalo-centrico u.u gli altri si vedono poco e niente, soprattutto il Boss, ma mi sono divertita a scrivere della rissa e delle scenetta tra Dino e Squ in infermeria - questi 2 mi ispirano troppo >.< quindi come sempre, mi auguro che vi sia piaciuto e vi ricordo che i commenti, anche solo 2 righe sono graditi e ringrazio tutti voi che commentate e seguite la mia storia, spronandomi ad andare avanti ^^
un bacione e alla prossima!

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Capitolo 13
*** 13-Lasciare i Varia ***


Lasciare i Varia



 
Le note di “Give me a sign” dei Breaking Benjamin lo riscossero dallo stato di dormiveglia in cui era finito. Si stropicciò gli occhi, accorgendosi di essersi quasi addormentato con gli auricolari nelle orecchie; spense l’I-pod, dando un’ultima occhiata all’ora: le 22:43.
In quell’istante la porta dell’infermeria si aprì.
Fece appena in tempo a chiedersi chi potesse essere a quell’ora che Xanxus comparve davanti a lui.
Squalo sgranò gli occhi, sorpreso. << Che… che ci fai qua? >> gli chiese, seguendolo con lo sguardo mentre si sedeva sulla sedia rimasta accanto al letto.

Il Boss scrollò le spalle e  incrociò le gambe. << Le domande dovrei farle io, feccia. Che cazzo hai combinato per ridurti così? >>. I suoi occhi rossi erano affilati e concentrati su di lui.
Squalo distolse il volto, imbarazzato. << Niente che ti riguardi >>.
<< Sicuro? E allora perché questa mattina sei scappato via? >>. La sua voce era seria e infastidita come sempre e Squalo riportò il suo sguardo su di lui.
<< Non sono scappato >>.
<< Sei uscito da scuola di nascosto, ti sei imbattuto in un branco di idioti che ti hanno provocato e alla fine sei rimasto sotto la pioggia come un coglione. Ho indovinato, no? >> replicò con tono sicuro, ben consapevole di avere ragione. Conferma che arrivò nell’espressione turbata e incredula dell’altro.
<< Co-come diavolo fai a… >>.
<< Saperlo? Feccia, bisognerebbe essere dei completi mentecatti per non capirlo >>.

L’argenteo rimase senza parole e tutto ciò che riuscì a fare fu fissare Xanxus per lunghi secondi.
<< Se avevi già capito tutto, perché sei venuto fin qua? Avresti potuto risparmiarti la fatica… >>.
<< Volevo assicurarmi che non ti stessi crogiolando nell’autocommiserazione… >>.
<< Di che cazzo stai parlando?! Io non mi sto crogiolando in niente! >> sbottò Squalo, l’imbarazzo sostituito dalla rabbia, << in realtà stavo benissimo prima che arrivassi tu ad infastidirmi! >>. Per un momento aveva quasi creduto che il moro avesse voluto fargli visita per vedere come stava, invece era venuto solo per sfotterlo e criticarlo.

“Cos’altro mi sarei dovuto aspettare da uno come lui?”.

A sorpresa di Squalo però, un sorrisetto piegò le labbra del Boss. << Se hai la forza di rispondermi, allora vuol dire che stai meglio >>.
<< Co… >>. La frase gli morì in gola, insieme alla rabbia che scemò fino a diventare una leggera irritazione di sottofondo.
Com’era possibile che Xanxus lo conoscesse così bene da aver capito tutto quello che era successo? E cosa voleva davvero dire la sua presenza in quel momento?
<< Spero che tu almeno abbia dato una lezione a quei rifiuti che ti hanno provocato >> cambiò argomento il moro, senza smettere di fissare l’altro.
Un piccolo sorriso compiaciuto si aprì sul volto di Squalo al ricordo di come si era sentito mentre combatteva. << Puoi scommetterci >>.
<< Allora tra tante cazzate, una cosa buona l’hai fatta >> lo prese in giro l’altro, il ghigno che non abbondonava le sue labbra.
<< E guarda come mi sono ridotto >> replicò Squalo, allargando le braccia ad indicare il letto.
<< Il fatto che resti sempre un idiota non cambia >>.

Un’occhiataccia arrivò da parte di Squalo, ma né le forze né la voglia furono sufficienti per controbattere le frecciatine del Boss. << Per la prima volta mi sa che devo darti ragione >> si limitò a dire, distendendosi meglio sul letto e chiudendo gli occhi.
“Cazzo… mi sento uno schifo…” pensò, portandosi un braccio sulla fronte. Non sapeva bene se per la presenza del Boss, per l’influenza o per le percosse ricevute, ma si disse che probabilmente era per le ultime terribili 24 ore trascorse.
Udì il rumore della sedia che veniva spostata e il suono di passi: Xanxus si era alzato, ma Squalo non mosse un muscolo, troppo stanco e provato per fare qualunque cosa.

<< Vedi di guarire in fretta, feccia, perché ridotto in questo stato pietoso non sei per niente divertente >>.
Quelle parole e la voce profonda e tranquilla con cui vennero pronunciate spinsero Squalo a sollevare leggermente il braccio per scoprire un occhio e guardare il moro, che a sua volta gli lanciò una lunga occhiata.
Subito dopo Xanxus si incamminò verso l’uscita.
 
<< Boss! >>.
 
“Eh? Chi ha parlato? Sono stato io?!”.
Sentendosi chiamare, il ragazzo si fermò e si voltò con un sopracciglio inarcato e un’espressione di leggera sorpresa. << Che vuoi? >>.
Squalo alzò il busto, ma non rispose.
Perché l’aveva fermato? Cosa stava per dirgli?

Non aveva la più pallida idea di cosa l’avesse spinto a tanto: sapeva solo che la sua bocca aveva parlato prima che il cervello riuscisse ad elaborare un qualsiasi pensiero logico e adesso si ritrovava muto come un pesce e con una probabile faccia da ebete.
<< Se hai qualcosa dire, feccia, fallo >> lo incalzò Xanxus la cui pazienza rasentava lo zero.
<< Ehm… ecco… io… >>.
“Che diavolo mi prende? Sto balbettando come un’idiota! Non va bene per niente…”.
<< Beh… ecco, Dino mi ha raccontato che Lussuria era molto preoccupato quando… sì, insomma, quando ho perso i sensi, perciò… sì, ecco, magari potresti dirgli che sto bene… >>.
“Che cazzo sto dicendo? Come mi è venuto in mente di tirare in ballo Lussuria?! Okay, la febbre mi ha fatto impazzire del tutto…”
Il Boss lo fissò a lungo, indeciso se insultarlo per avergli chiesto di fare una cosa del genere…. o insultarlo per avergli fatto perdere tempo per una cosa del genere.

<< Feccia, da quando ti importa qualcosa di Lussuria? >> replicò, riavvicinandosi al letto, << non mi dire che voi due siete diventati amici >>.
Squalo si rimise seduto, sforzandosi di reggere lo sguardo dell’altro. << Non siamo amici, infatti. È solo che… oh, al diavolo! Chi se ne importa! >> tagliò corto alla fine con tono irritato, incrociando le braccia al petto.
Aveva solo detto la prima scusa venutagli in mente e non aveva nessuna intenzione di mettersi a discutere con Xanxus.

Il moro rimase in silenzio qualche altro secondo prima di chinarsi rapido su Squalo e appropriarsi con foga delle sue labbra.
L’argenteo si irrigidì e sbarrò gli occhi, incredulo, mentre sentiva una mano afferrargli il volto all’altezza della mascella e la lingua del Boss farsi strada nella sua bocca, mandandolo in confusione.
Gli posò una mano sul braccio con l’iniziale intento di allontanarlo, ma alla fine, senza sapere bene come, Squalo si ritrovò a rispondere a quel bacio rude e passionale come se non avesse fatto altro.
Come se non aspettasse altro.

La sensazione di quelle labbra morbide sulle sue, del loro sapore, delle lingue che si scontravano, del calore che la pelle dell’altro emanava, del suo profumo… gli sembrò di impazzire per il miscuglio di emozioni che stava provando in quel momento.
Il cuore gli ringhiò nel petto e sentì la temperatura del suo corpo aumentare rapidamente, mentre il cervello cominciava a perdere lucidità.
“Perché diavolo mi fa questo effetto?! È solo un bacio…”.
Gemette in quel contatto umido, ma proprio quando pensava di stare per cedere, trovò la forza di staccarsi dalla sua bocca.

<< Ti ammalerai anche tu così… >> sussurrò con voce arrochita, i loro volti così vicini che si sfioravano. In realtà non si stava davvero preoccupando per la salute dell’altro, ma sperò che potesse andare bene come scusa per interrompere quel momento.
<< Correrò il rischio >> replicò invece Xanxus dopo alcuni secondi, fiondandosi di nuovo su Squalo. Ma questi fu abbastanza veloce da girare le testa e le labbra del moro incontrarono la sua guancia.

La cosa però non fermò il Boss: scese fino alla mascella, seguendone il contorno, per poi spostarsi sul collo e mordicchiarlo con i denti. Vi lasciò un segno rosso e profondo che fece grugnire Squalo, ma com’era tipico di lui, lo ignorò e continuò la sua opera di tortura: fece passare la lingua sopra quell’ennesimo marchio, leccando lentamente, divertendosi nello stuzzicare Squalo e nel sentirlo sospirare piano.
<< B-boss… fermati… >> ansimò l’argenteo, sentendosi sempre più vicino al punto di non ritorno. Per tutta risposta sentì una mano scostare le coperte e infilarsi sotto la sua maglia: rabbrividì e contrasse i muscoli, d’un tratto agitato.

Non voleva farsi scopare un’altra volta come se fosse stata la puttana personale di Xanxus. Sì, aveva ceduto la sera prima, ma questo non voleva dire che aveva intenzione di diventare un giocattolino con cui passare il tempo.
Gli afferrò la testa e tirò verso l’alto, costringendo il moro a sollevarsi dal suo collo. << Ti ho detto di fermarti >> insistette, imponendosi una voce e uno sguardo determinanti.
Il Boss ricambiò l’occhiata e si rimise in piedi, il volto contratto in un’espressione tra il perplesso e l’infastidito.
<< Come ti pare >>.
Fu tutto ciò che disse prima di voltarsi e uscire dall’infermeria, lasciando Squalo con una sensazione di amarezza e delusione.
 
 
 
 
Erano trascorsi cinque giorni da quando Squalo era uscito dall’infermeria, ormai completamente ristabilito.
Cinque giorni durante i quali, con sua sorpresa, Xanxus l’aveva completamente ignorato. Nonostante quella sera l’avesse respinto, Squalo era segretamente convinto che il Boss l’avrebbe messo sotto pressione per farlo di nuovo e, invece, non solo non ci aveva provato con lui, ma l’aveva a malapena calcolato, degnandolo sì e no di qualche sguardo.

Ecco, quella era la cosa che più lo lasciava interdetto: anche le volte in cui il moro non gli parlava, Squalo aveva sempre sentito il suo sguardo addosso, come se non volesse mai perderlo di vista. Adesso, invece, raramente i loro occhi si incrociavano e se succedeva era solo perché l’argenteo si ritrovava a fissare Xanxus, chiedendosi cosa fosse successo.

All’inizio era stato sicuro che dopo la notte che avevano condiviso, il Boss, avendo soddisfatto la sua curiosità, avrebbe continuato a trattarlo come sempre; poi invece, quella sera in infermeria, era sembrato del tutto intenzionato a ripetere l’esperienza e ora ogni cosa pareva tornata come prima. Come se non fosse successo niente.
Allora avevo ragione io? Ha perso ogni interesse? Ma se fosse così, perché l’ho dovuto fermare io quella volta? Se non avessi detto niente, lui sarebbe andato fino in fondo…
oh cazzo! Sono diventato peggio di una patetica ragazzetta innamorata! Dovrei prendermi a pugni da solo… ma se le cose stanno così, tanto meglio per  me…

 
 
 
 
L’unico elemento positivo di quel periodo fu la rinnovata amicizia con Dino. Anche dopo tutto quello che era successo e quello che si erano detti, in qualche modo, grazie soprattutto alla perseveranza del biondo, erano riusciti a riconciliarsi.
Dino l’aveva perdonato, anche se Squalo non gli aveva espressamente chiesto scusa, ma ormai aveva imparato a conoscerlo e sapeva che l’orgoglio dell’altro non gli avrebbe mai permesso di ammettere un errore.

Ma andava bene così. Erano tornati amici e per Dino questa era la cosa più importante. Proprio per questo non gli chiese mai cosa fosse successo tra lui e Xanxus la sera in cui il moro l’aveva trascinato via e lui non l’aveva rivisto fino al giorno dopo. Per quanto avrebbe desiderato saperlo, si convinse che non poteva continuare a pressarlo con le sue domande, se lui non voleva rispondere.
Perciò semplicemente lasciò perdere.

E tornò a chiacchierare con Squalo come prima – sarebbe stato più corretto dire che Dino parlava e l’altro ascoltava, annuiva, sorrideva, sbuffava o grugniva, a seconda dell’argomento e dell’umore.
Questa rinnovata positività nel loro rapporto e il fatto che il piano originale di Squalo – ovvero entrare nei Varia per vendicarsi di Xanxus – era decisamente andato a quel paese, spinsero Squalo a prendere una decisione.
Avrebbe lasciato i Varia.
Il suo desiderio di rivalsa non esisteva più, sostituito da un sentimento più profondo che però sarebbe rimasto sepolto dentro di lui e che il moro non avrebbe mai ricambiato: non aveva più alcun senso restare in quella spiacevole situazione di stallo.
Per di più Xanxus sembrava voler ignorare la sua esistenza e far finta che non fosse successo niente tra di loro, quindi a che pro continuare a stare nei Varia?
 
L’unico problema era quello di trovare il modo e il momento giusto per dirlo al Boss.
 
 
Quel pomeriggio, mentre tornava al dormitorio dopo la fine delle lezioni, si ritrovò come al solito a passare da uno dei giardini; le temperature erano basse, ma il cielo era terso e il sole stava per tramontare. Vide i Varia fermi vicino a una fontana e gli altri gruppi di studenti tenersi a distanza da loro.
Li raggiunse e fissò Xanxus negli occhi. << Ti devo parlare >>. La sua voce era seria e lo sguardo sicuro di sé.
Aveva riflettuto diversi giorni prima di capire che non esisteva un momento o un modo per dirgli quello che doveva e così, nell’istante in cui l’aveva visto, si convinse ad agire.

Il moro inarcò un sopracciglio, ma non disse niente; si limitò a seguire Squalo e i due si allontanarono di alcuni metri.
<< Che succede? >> volle sapere allora il Boss appena si fermarono. Teneva il suo sguardo fisso in quello dell’altro, aspettando che si decidesse ad aprire bocca.
Trascorsero alcuni secondi di silenzio prima che Squalo parlasse. << Io lascio i Varia >> annunciò calmo ma determinato. Vide i suoi occhi rossi affilarsi e la bocca stringersi in una linea sottile.
Era chiaramente irritato. << E sentiamo, quale sarebbe il motivo? >>.
Squalo sostenne quello sguardo, deciso a porre fine a quella situazione. << Mi sono stufato. Di te, dei Varia e di tutta questa storia. È stato un errore decidere di unirmi a voi, ma adesso non voglio saperne più niente. Sono fuori >>.
<< Ti sbagli, feccia >>. Il tono del Boss era freddo e minaccioso e l’argenteo si ritrovò a pensare che non sarebbe stato per niente facile.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Che non sei tu a decidere quando andartene >>, un ghigno crudele si aprì sul suo volto, << questo compito spetta a me >>.
Squalo sentì la rabbia montare e strinse i pugni. << Vooooooi! Non rompermi il cazzo con queste manie di onnipotenza! >>.

<< Forse non hai ancora capito, feccia, ma del resto sei sempre stato un idiota >> lo canzonò il moro, << tu sei mio, che la cosa ti piaccia o no, e decido io cosa farne di te. Quindi non pensare di poter fare come ti pare: sono io a dare gli ordini >>.
<< E forse tu non hai capito con chi hai a che fare, ma del resto sei sempre stato un arrogante bastardo >> gli rispose a tono, << non ho intenzione di rimanere nei Varia, indipendentemente dalla tua opinione, della quale, per inciso, me ne sbatto >>.
Il ghigno ferino di Xanxus si allargò ancora. << Come ti sei fatto sbattere l’ultima volta? Interessante scelta di parole, feccia >>.

A quell’ennesima derisione Squalo non ci vide più dalla rabbia. Prima che il moro potesse rendersi conto delle sue intenzioni, l’altro gli assestò un violento cazzotto in faccia che centrò il naso.
Xanxus barcollò all’indietro e si portò una mano al punto colpito. Per sua fortuna il pugno non gli aveva rotto il naso, ma era stato abbastanza forte da farglielo sanguinare.
Alcuni degli studenti si accorsero del trambusto e molti occhi cominciarono a voltarsi nella loro direzione.
Intanto l’espressione del Boss era diventata una maschera d’ira. << Questa me la paghi >> sibilò torvo, fiondandosi subito dopo contro Squalo.
L’argenteo schivò l’assalto solo in parte e si beccò una gomitata al petto a cui rispose con un calcio, evitato grazie a un agile salto del moro.

Nel frattempo anche i Varia avevano visto l’accendersi della rissa e accorsero nel tentativo di fermare i due contendenti, ma in pochi istanti, mentre la loro lotta si faceva sempre più violenta, tutti gli studenti che si trovavano nel giardino li accerchiarono, creando un ring naturale con loro al centro.
<< Ehi, voi, fate passare! >> esclamò Levi, spintonando malamente a destra e a manca per avvicinarsi al Boss.
Il sangue prese a colare dalle loro ferite, i respiri accelerarono, facendosi ansiti, mentre il sudore iniziava a bagnare la loro pelle, nonostante il freddo cercasse di insinuarsi in loro.
<< Boss, Squalo, fermatevi! >>.
La voce di Levi giunse alle loro orecchie, ma la ignorarono.

Xanxus afferrò la testa di Squalo con entrambe le mani e la fece schiantare sul suo ginocchio, ma l’altro, resistendo al dolore, gli strinse la gamba e spinse con tutta la sua forza, facendolo finire a terra. Gli si sedette di sopra, mentre il sangue gocciolava dal suo naso e imbrattava l’uniforme dell’altro.
<< Ti odio! >> gridò in preda alla furia, assestandogli un pugno.
<< Sei solo un fottuto pezzo di merda! >>, un altro pugno si abbatté sul moro.
<< Ti odio! Ti odio! >>. Stava per colpirlo un’altra volta, ma Xanxus gli bloccò entrambi i polsi con le mani e si sollevò, spingendo via Squalo con brutalità.
Il volto gli faceva un male cane e una parte di lui, quella che non stava bramando il sangue dell’avversario, pensò che non aveva mai visto l’altro così furioso come in quel momento.
Rimasero immobili alcuni istanti, uno di fronte all’altro, feriti e doloranti.

<< Perché devo sopportare tutto questo… >> disse Squalo a voce più bassa, tanto che furono in pochi a sentire; ancora in meno si accorsero che stava tremando e solo Xanxus, il più vicino, vide i suoi occhi farsi lucidi.
<< Boss… >>. Lussuria e gli altri Varia fissavano la scena increduli, indecisi se intervenire o meno.
L’impasse del momento fu rotta da una voce adulta. << Che sta succedendo qua? >>.

Gli spettatori fecero largo al suo proprietario, il professor Verelli. I suoi occhi, a dir poco indignati e infastiditi, scrutarono prima i due ammaccati contendenti, poi il resto degli studenti che iniziarono ad allontanarsi e disperdersi.
<< Non avete nient’altro da fare voi perdigiorno? >> tuonò, rivolgendosi a tutti, << tornatevene nelle vostre stanze! Su, muovetevi! >>.
Quelli che ancora erano rimasti fermi al loro posto, timorosi di una punizione da parte dell’insegnante, se ne andarono rapidamente, lasciando solo i Varia in quel giardino che aveva fatto da palco allo scontro.
I respiri di Xanxus e Squalo erano pesanti, il sudore e soprattutto il sangue continuavano a colare, mentre i loro occhi erano fissi sul professore.
<< Una rissa. In pieno pomeriggio e nel bel mezzo del giardino. Solo voi Varia potevate essere coinvolti >> sputò fuori con tono acido e disgustato, << questa volta non la passerete liscia, neanche tu, Xanxus >>.
Il moro grugnì, irritato. << Non vedevi l’ora che arrivasse questo momento, vero, prof? >> lo provocò, ma non c’era divertimento né nei suoi occhi né nella sua voce.
Il volto di Verelli si contrasse in un’espressione furiosa: sembrava sul punto di scoppiare, ma alla fine sospirò e disse: << Siete in punizione. Passerete il resto del pomeriggio a fare da raccattapalle per la squadra di pallavolo e alla fine dovrete mettere tutto in ordine;  ma vi assicuro che questo è solo l’inizio >>.
 
 
 
Prima di adempiere ai loro doveri, ai due ragazzi fu concesso di passare dall’infermeria per farsi curare le ferite. Rimasero in silenzio tutto il tempo, senza parlarsi o guardarsi, ognuno immerso nei proprio pensieri.
Quest’atmosfera perdurò anche durante le ore che trascorsero in palestra, mentre gli altri studenti presenti lanciavano loro occhiate perplesse, confusi dalla presenza di due dei Varia e soprattutto di Xanxus, che aveva provocato sussulti e tremori al suo solo ingresso.
Alla fine degli allenamenti della squadra, Squalo e il Boss furono costretti a sistemare e ripulire la palestra e non solo: il professor Verelli li obbligò a riordinare il magazzino degli attrezzi e l'argenteo venne pure travolto da un esercito di palloni da basket, il tutto condito dallo sghignazzare del moro.
 
Quando ebbero finito, erano ormai passate le sette e la palestra si era completamente svuotata, eccetto loro due.
Con un sospiro annoiato Xanxus si lasciò scivolare a terra e appoggiò la schiena alla parete sotto gli spalti. Squalo si spostò i capelli dagli occhi e gli lanciò un’occhiata; aveva ancora una latente voglia di prenderlo a pugni, ma era più che altro come un rumore di sottofondo che avrebbe potuto ignorare.
Si sedette accanto al moro e rimasero in silenzio per lunghi minuti fino a che fu Squalo a parlare per primo.

<< Quella cosa che hai detto prima a Verelli, che lui non vedeva l’ora che arrivasse questo momento… che significa? >>. Nel momento in cui l’aveva sentito, era ancora sotto gli effetti della rabbia e non aveva prestato attenzione, ma nelle ore trascorse a pensare e a ripercorrere gli ultimi avvenimenti si era ritrovato a chiedersi il perché di quella frase.
<< Quello stronzo ce l’ha a morte con me >> rispose il moro con tono piatto.
Un sorriso amaro increspò le labbra dell’altro. << Sai che novità! Non è certo l’unico >>.
<< Quando dico che ce l’ha a morte con me, intendo dire che, se ne avesse le palle, mi ucciderebbe con le sue mani >>.
L’argenteo voltò la testa di scatto, gli occhi leggermente sgranati. << Non ti sembra di esagerare? >>.
Xanxus rimase fermo nella sua posizione, il braccio poggiato sulla gamba piegata e gli occhi fissi su un punto imprecisato. << È convinto che io abbia ucciso suo figlio >>.
<< Cosa?! >> esclamò Squalo, incredulo, << e… ed è vero? >>. Dato che stava parlando con il figlio di un boss mafioso, non gli sembrò poi una domanda tanto stupida.
<< Non so neanche che cazzo di faccia aveva suo figlio, quindi no, non l’ho ucciso >>.
<< E allora perché Verelli ne è tanto convinto? >> insistette l’altro, sempre più confuso.
Per tutta risposta il Boss grugnì e Squalo si convinse che gli stesse nascondendo qualcosa riguardo quell’assurda faccenda, ma sapeva che non sarebbe riuscito ad estorcergli altre informazioni, così lasciò perdere.

Con un sospiro si rimise in piedi, deciso ad andarsene; sentì l’altro alzarsi a sua volta e in men che non si dica si ritrovò spinto contro il muro e con il volto di Xanxus a pochi centimetri dal suo. Il movimento fu talmente rapido che non ebbe neanche il tempo di aprire bocca.
Lesse rabbia negli occhi rossi che lo fissavano e pensò che il Boss avesse intenzione di concludere lo scontro.
<< Cos’è, vuoi riprendere da dove siamo stati interrotti? >> sputò fuori con tono di sfida, << vuoi farmi a pezzi? Siamo soli qua, puoi fare quello che ti pare, no? >>.
L’istante dopo in cui Squalo pronunciò quelle parole, si rese conto di quanto ambigue potessero suonare. Anche se lui non le aveva intese in quel modo, capì, dal luccichio nel suo sguardo, che anche il moro aveva colto il doppio senso.
<< Dovresti stare attento a quello che dici, feccia >> lo provocò allora quello, riducendo ancora di più la già brevissima distanza tra di loro, << qualcuno potrebbe fraintendere >>.
Squalo arrossì inconsciamente per un attimo, prima di trincerarsi dietro la sua espressione scazzata. << L’unico che potrebbe fraintendere una frase del genere sei tu, quindi non dare la colpa a me se sei arrapato! >>.
Un sorrisetto compiaciuto piegò le labbra di Xanxus e l’argenteo imprecò mentalmente per essersi messo nei guai con le sue stesse mani. Di nuovo.
“Perché non mi sto mai zitto?!”

Come a confermare i suoi timori, il Boss si strinse a lui, lasciando che i bacini si sfiorassero e mise una gamba in mezzo alle sue, poggiando una mano sulla parete, accanto al volto confuso e sorpreso di Squalo, mentre l’altra andava ad infilarsi sotto la camicia dell’uniforme. Lo sentì sussultare a quel contatto e iniziò  a baciargli e mordergli il collo, marchiandolo come aveva fatto in passato.
Quella pelle così chiara e morbida sembrava essere fatta apposta per questo: lo chiamava come le sirene con i marinai e lui non riusciva a resistere.
O meglio, non voleva.
Se gli piaceva una cosa, Xanxus la prendeva, perché così era cresciuto, convinto che tutto gli fosse dovuto e che non dovesse mai chiedere il permesso. Non era abituato a sentirsi dire “no” e non era nella sua indole lasciar perdere.
Il suo modo di rapportarsi con le persone era esattamente lo stesso e adesso bramava Squalo.

Non sapeva perché e non aveva molta intenzione di capirlo: del resto riflettere e rimuginare troppo non aveva mai fatto parte di lui.
Seguire l’istinto, invece, era ciò che gli riusciva meglio e in quel momento, in quella palestra vuota e silenziosa, il suo istinto gli stava dicendo di  non lasciare andare via Squalo.
Né ora da lui. Né dai Varia.
Doveva essere suo, perché lui, il Boss, aveva deciso così.
 
Lo voglio. Mi piace. È mio.
Si appropriò delle labbra di Squalo, dando il via a un bacio umido e passionale, mentre una mano gli afferrava i capelli e l’altra accarezzava la schiena, seguendo la linea della colonna e soffermandosi su ogni vertebra.
Squalo iniziò presto a sentire caldo e gli sembrò che il petto gli facesse male per quanto forte batteva il suo cuore.

Senza staccarsi dalla sua bocca, Xanxus gli sbottonò la camicia, ancora sporca dai segni del loro scontro, come quella del moro.
Verelli aveva loro impedito di cambiarsi i vestiti e li aveva costretti a lavorare con le uniformi macchiate di terra, sangue e sudore, ma a nessuno dei due in realtà era importato più di tanto.
Soprattutto adesso, mentre i loro corpi erano a stretto contatto e le menti concentrate su ben altro che la sporcizia sui loro abiti.

Non appena il moro scoprì il petto dell’altro, si accorse con un certo fastidio che i segni dell’unica notte trascorsa insieme erano spariti del tutto; ma poi una vocina nella sua testa gli disse che sarebbe bastato lasciarli un’altra volta.
E così fece.
Lasciò scendere la bocca dal collo al petto, passando per la clavicola, per poi soffermarsi sui capezzoli. Prese a succhiarne uno, mentre con la mano stuzzicava l’altro e sentì i muscoli di Squalo contrarsi e tremare.
<< Basta… >> sussurrò l’argenteo, cercando dentro di sé la forza di sfuggire a quella situazione, << smettila… >>.
Xanxus si staccò da lui per fissarlo negli occhi. << Perché dovrei? >>. La sua voce non era arrabbiata, ma seria, come se volesse davvero ricevere una risposta.
Squalo sbatté le palpebre, confuso da quella domanda: si aspettava un ghigno e una delle sue solite frecciatine, invece, si trovò a ricambiare lo sguardo. << Hai già soddisfatto la tua curiosità, no? >> esclamò, sentendo la rabbia montare, << hai ottenuto quello che volevi… non ti basta? >>.
<< Non mi sembra di averti sentito dire che non ti piace >> replicò il moro, senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione

Squalo si impose di non distogliere lo sguardo da lui, nonostante l’imbarazzo che provava. Aveva abbassato gli occhi fin troppe volte per i suoi gusti: non aveva più intenzione di comportarsi ancora da debole, ma allo stesso tempo continuava a sentirsi rapito e intimidito da quei due pozzi rossi che sembravano volergli scavare dentro.
Non era per niente facile trovare un equilibrio e ancor meno facile era rispondere a quell’insinuazione del Boss.

<< Non ho nessun desiderio di essere il tuo giocattolo! Ti sei divertito con me, no? Ora perché non vai a spassartela con Gabriella o con chi altro ti pare… >>. Avrebbe quasi giurato di sentire la sua voce incrinarsi per un attimo, ma si impose di non farci caso.
Xanxus affilò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli. << Non me ne frega un cazzo di Gabriella o delle altre come lei: sono tutte feccia, indistintamente >>.
Una parte di Squalo non poté impedirsi di provare un senso di sollievo, ma la rabbia cercava ancora di prendere il controllo. << E quindi cosa diavolo vuoi da me? >>.
Il Boss gli si avvicinò fino a far sfiorare le loro labbra. << Io voglio te, feccia. Anche se sei la persona più irritante e fastidiosa che abbia mai conosciuto >>.
 
Lo voglio. Mi piace. È mio.
<< Il bue che dà del cornuto all’asino >> replicò l’altro, con tono meno offeso di quanto avrebbe voluto, << guarda che tu non sei certo un concentrato di virtù >>.
Il moro gli passò la lingua sulle labbra, per poi mordergliele. << Sai, feccia, la virtù è sopravvalutata >> mormorò poi con tono suadente, piantando gli occhi in quelli grigi di Squalo, il cui cuore perse più di un battito.
Ma Xanxus non gli diede il tempo di calmarsi e aprire di nuovo bocca, perché gliela chiuse con la sua, ficcandoci dentro la lingua.
Di nuovo quella lotta alla supremazia che nessuno dei due voleva perdere, dalla quale però entrambi trassero piacere.

Senza smettere di baciarsi, il Boss tornò ad accarezzare il petto e l’addome di Squalo, mentre questi gli cingeva il collo con le braccia.
Non capiva bene cosa fosse successo negli ultimi minuti, ma sapeva di non avere più né la voglia né la forza di tirarsi indietro e scappare e quando il moro gli sbottonò i pantaloni per poi infilargli una mano là in mezzo, lasciò sfuggire alle sue labbra un piccolo gemito.
Non riusciva a resistergli, per quanto ci provasse.
Per quanto desiderasse avere abbastanza volontà da rifiutarlo, da mandarlo al diavolo.
Ma lui era il suo demonio personale e per la prima volta in vita sua, Squalo si disse che l’inferno non era poi così male.
 
La bocca di Xanxus si spostava dalle sue labbra al collo e all’orecchio, leccando, succhiando e mordendo senza sosta.
Deciso a non lasciare che fosse solo l’altro a condurre il gioco, Squalo portò le mani alla cintura del moro e, dopo aver trafficato con zip e bottoni, afferrò la sua intimità e prese a massaggiarla, come il Boss stava facendo con la sua.

In breve tempo si ritrovarono entrambi ad ansimare piano, mentre i loro corpi venivano attraversati da continue scariche elettriche di piacere e i muscoli tremavano, contraendosi.
I gemiti riempivano il silenzio altrimenti perfetto della palestra, insieme al languido suono dei baci, dei succhiotti e dei morsi. A malincuore, Squalo dovette ammettere che Xanxus era maledettamente abile con le lingua, soprattutto quando si divertiva a stuzzicargli i lobi delle orecchie, un punto in cui scoprì di essere molto sensibile.
Le loro mani intanto si muovevano vogliose e lascive e i respiri si mischiavano eccitati.
<< …sto… sto per venire… >> boccheggiò Squalo, la voce spezzata.
Inarcò la schiena in un ultimo spasmo e pochi secondi dopo l’orgasmo lo travolse, facendolo gemere più forte. Gli occhi chiusi, sentì la mano dell’altro prendere la sua e riportarla sulla sua erezione, non ancora soddisfatta.

Senza accorgersene, doveva averla lasciata andare; così riprese a masturbarlo, mentre le sue labbra cercarono quelle del Boss, d’un tratto desiderose di affogare in esse.
Xanxus gli concesse un bacio da togliere il fiato, per poi staccarsi l’attimo prima di venire: lasciò sulla spalla di Squalo un morso sanguinolento che fece esclamare l’altro di dolore.

<< Ahia! Ma che cazzo sei, un animale?! >> sbottò l’argenteo ad occhi sgranati. La sua voce aveva una strana intonazione e il respiro era ancora corto, ma aveva recuperato abbastanza lucidità da arrabbiarsi.
Con un ghigno il moro si portò alla bocca la mano ancora sporca dello sperma dell’altro e si leccò un dito con fare sensuale, passandosi poi la lingua sulla labbra, gli occhi piantati su Squalo.
<< Non fare quella faccia sconvolta, feccia >> lo punzecchiò, compiacendosi nel vederlo arrossire e aggrottare le sopracciglia, imbarazzato e irritato.
Squalo sbuffò, dicendosi che non valeva la pena mettersi a discutere. Si ricompose per quanto gli fu possibile e andò a darsi una ripulita nei bagni degli spogliatoi, seguito da Xanxus.

Nell’istante in cui uscirono, la porta della palestra si aprì e Verelli lanciò loro un’occhiata severa e infastidita. << Che state facendo ancora qua? Dovreste aver già finito i lavori che vi avevo assegnato! >>.
Il moro gli rispose con un’occhiata fredda. << Infatti ce ne stavamo andando, prof >>.
<< E allora muovetevi! >> sbottò l’uomo, sempre più irritato. Se ne andò sbattendo la porta.
Xanxus si voltò verso Squalo e un sorrisetto tornò a piegargli le labbra. << Appena in tempo, no? >>.
Per tutta risposta l’altro grugnì e superò il Boss a grandi falcate, dirigendosi verso l’uscita.
Aveva bisogno di allontanarsi e ne aveva bisogno subito.
Prima che il suo corpo e la sua mente in subbuglio gli facessero perdere di nuovo il controllo.






Salve salvino, gente! ^^ eccomi qua anche con questo aggiornamento: consideratelo come un regalo di fine anno >.< non pensavo che avrei portato questa storia oltre il 2013 - l'ho iniziata ad agosto - e invece ci rivedremo con il cap 14 nel 2014 X) ahah sembra fatto apposta!
comunque posso dire che siamo ormai nell'ultimo arco, prevedo altri 3-4 capitoli alla conclusione - mi faccio un pò di conti di fine anno u.u
come sempre spero che qst vi sia piaciuto e ringrazio tutti voi che commentate e seguite la mia storia <3 senza voi non sarei ancora qua a rompervi le scatole >.<
e vi ricordo che un piccolo commento, anche solo 2 righe, è sempre gradito ^^ fate un regalino a questa povera autrice: in queste feste siamo tutti più buoni, no? :3
concludo augurandovi un felicissimo anno nuovo :D e ci rivediamo l'anno prossimo <3

 

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Capitolo 14
*** 14-Lo voglio. Mi piace. E' mio. ***


Lo voglio. Mi piace. E' mio.



 
Quando Verelli aveva assicurato loro che la punizione per aver fatto a pugni era solo all’inizio, non stava parlando a caso e questo Squalo lo capì già dal giorno dopo, quando a lui e Xanxus furono innanzitutto assegnati tantissimi compiti extra.
Tutta la scuola ormai aveva saputo della rissa di cui erano stati protagonisti e, vista la situazione, il Preside non poté esimersi dal prendere provvedimenti, nonostante in cuor suo continuasse a non capire come Squalo si fosse cacciato in un guaio simile, dall’entrare nei Varia a combattere contro Xanxus davanti agli studenti. Non riusciva davvero a raccapezzarsi in tutta quella faccenda, ma il suo ruolo gli imponeva di far rispettare le regole, anche se ad essere punito era proprio il suo figlioccio.
Poiché era stato il professor Verelli il primo ad interromperli, Cavallone senior delegò a lui il compito di occuparsi della punizione e questi non se lo fece ripetere due volte.

Dopo la fine regolare delle lezioni, Xanxus e Squalo furono costretti a trascorrere altre due ore in aula per completare gli esercizi richiesti, ma questo si rivelò essere solo una parte del “Piano Punitivo” deciso da Verelli.
Per un’intera settimana i due studenti, oltre tutto lo studio extra che aumentava ogni giorno, dovettero aiutare a turno i vari club e si ritrovarono così a pulire, riordinare, trascinare scatoloni da un luogo all’altro e qualsiasi altro incarico fosse loro richiesto, come sistemare archivi e schedari ed assistere il giardiniere e gli altri addetti alle pulizie nel loro lavoro quotidiano.

Ogni giorno Squalo tornava in camera esausto: tra lo sforzo fisico e i compiti che non riusciva mai a finire in tempo e che si accumulavano, sommandosi a quelli del giorno prima e del giorno dopo, trovava a malapena la forza di farsi una doccia e mettersi a dormire.

Nei pochi momenti di rara tranquillità, si ritrovava a pensare a quanto il comportamento di Xanxus l’avesse sorpreso: era sicuro che, come al suo solito, avrebbe trovato il modo di evitare di lavorare, magari costringendo gli altri Varia a fargli da sostituti.
Invece svolgeva i suoi obblighi senza lamentarsi tanto – eccetto sbuffi, grugniti e imprecazioni degne di uno scaricatore di porto. Molto probabilmente il fatto che Verelli lo tenesse costantemente sotto osservazione, come un avvoltoio che aspetta di potersi cibare delle carni della sua vittima, lo spingeva a non crearsi ulteriori problemi.
Ma a Squalo la cosa sembrava comunque strana: Xanxus non era mai stato il tipo da preoccuparsi degli insegnanti o di qualunque altra forma di autorità, perciò il fatto che non provocasse Verelli in alcun modo gli fece nascere dei dubbi.

Che fosse a causa del fatto che il professore accusava il moro della morte del figlio? Ma poi cos’era successo esattamente? Squalo avrebbe tanto voluto fare chiarezza in quella storia, ma sapeva di non poterlo a chiedere al Boss.
“Quando questa settimana da incubo sarà finita, magari potrei chiedere qualcosa agli altri…” si disse stiracchiandosi sulla sedia. Era seduto in quell’aula vuota da così tanto tempo che aveva perso sensibilità al sedere e alle gambe.
Xanxus era seduto nel banco accanto al suo, la testa poggiata su una mano, gli occhi fissi sul libro e l’aria annoiata. Squalo lo fissò con la coda dell’occhio, cercando di non farsi notare, pensando a ciò che aveva scoperto su di lui negli ultimi giorni.
Innanzitutto, a differenza di quanto si sarebbe creduto, il moro era uno studente brillante: aveva voti alti in tutte le materie, soprattutto in matematica, economia e letteratura classica.
Dato che Squalo era un anno più piccolo, non era mai stato in classe con lui e quindi era stato solo per caso che ne era venuto a conoscenza, parlando con Belphegor e Viper che, invece, erano dello stesso anno di Xanxus.

Si chiese come fosse possibile che un tipo pigro e scazzato ai livelli del Boss potesse andare così bene a scuola… e non vi trovò una risposta.
“A quanto pare non è un completo idiota”  pensò con un sospiro.
Sospiro che fece sollevare lo sguardo di Xanxus dal libro per puntarlo su Squalo.
<< Che vuoi, feccia? >> gli chiese con tono scocciato.
L’argenteo sgranò gli occhi per un attimo e si raddrizzò sulla sedia, come fosse stato colpito da una scarica elettrica. << N-niente, ero solo sovrappensiero >>.
<< Mhpf. E perché mi stavi fissando? >>.
<< Che cazzo dici?! Non ti stavo fissando! >> sbottò Squalo, tornando a guardare il libro sul suo banco.
Un leggero ghigno piegò le labbra del Boss. << Vuoi farlo? >>.
L’altro si irrigidì sul posto e si sforzò di non arrossire. << Vooooi! Assolutamente no! Che cavolo ti salta in mente?! >>.
Sentì la sedia spostarsi e l’attimo dopo Xanxus era piegato verso di lui, una mano tenuta sul banco e l’altra sulla spalliera. Appena capì che l’altro aveva intenzione di baciarlo, scattò rapidamente in piedi.
<< Sei impazzito?! Verelli tornerà da un momento all’altro! >>.
Ignorando le sue lamentale, il Boss gli passò un braccio dietro il collo e lo tirò a sé, per poi far unire le loro bocche in un bacio umido e rude. Squalo mugugnò, contrariato e provò ad allontanarsi, ma lo scarso impegno che ci mise convinse il moro a stringerlo di più, cingendogli un fianco con l’altro braccio.
“Merda!” imprecò l’argenteo nella sua mente, maledicendo l’altro per l’arroganza e l’egoismo e sé stesso per la facilità con cui cedeva a certe provocazioni.

Rispose al bacio prima che il cervello gli dicesse cosa fare e subito il suo cuore prese a battere veloce, lo stomaco a contrarsi e la lucidità a scemare pericolosamente.
Continuando ad approfondire il bacio, i corpi incollati, Xanxus spinse Squalo sul banco: il suono della labbra e delle lingue che si scontravano e i leggeri ansiti riempirono il silenzio di quell’aula in cui solo loro erano presenti.
Era così… piacevole, per entrambi e la cosa li sorprendeva non poco.

Xanxus non aveva mai provato alcun interesse particolare per i baci: li riteneva più intimi del sesso e di sicuro meno divertenti, ma tutte le partner che aveva avuto non si erano dimostrate molto d’accordo con la sua idea e lui le aveva baciate soprattutto per farle stare zitte e accontentarle. Avrebbe potuto benissimo farsele senza baciarle neanche una volta.
Con Squalo, invece, non riusciva a pensarla allo stesso modo: le sue labbra erano maledettamente eccitanti e i baci che si scambiavano minacciavano ogni volta di fargli perdere il controllo. Succhiarle, morderle, leccarle: avrebbe potuto divorare quelle labbra e quella bocca all’infinito; inoltre dovette constatare che la feccia era molto più brava a baciare di quanto avesse pensato.
Dal canto suo Squalo poteva affermare, non senza un certo fastidio, che quelli con Xanxus erano i migliori baci della sua finora breve vita: con nessuna delle ragazze che aveva avuto in passato aveva mai provato quelle stesse sensazioni travolgenti e nessuna di loro l’aveva mai fatto eccitare solo baciandolo.

Cosa che gli sarebbe successa molto presto, se non avesse trovato la forza di staccarsi dal moro.
Ma proprio allora questi prese ad armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni e Squalo si irrigidì; arrabbiato, gli afferrò le mani e le allontanò, sollevandosi subito dal banco.
<< Falla finita, cazzo! Vuoi farci scoprire?! >> esclamò, fissandolo torvo.
Il solito ghigno tornò sul volto di Xanxus. << Eppure il tuo corpo sembrava voler continuare >>. Provò a riavvicinarsi, ma l’altro lo spinse via di nuovo.
<< Se non la finisci, l’unica cosa che farà il mio corpo sarà prenderti a calci >> lo minacciò con tono serio.
<< Vorrei proprio vederti provare, feccia >>.
Un sorrisetto di sfida comparve anche sul volto di Squalo. << Non mi sottovalutare, Boss >>.
In quell’istante la porta dell’aula si aprì e Verelli entrò, lanciando ai due la sua solita occhiataccia disgustata. << Che state facendo? Perché non siete seduti a finire i compiti? >>.
<< Perché ci è venuto il culo piatto a forza di stare qua, prof. Ci stavamo solo sgranchendo le gambe >> rispose il moro con voce divertita e sguardo arrogante.
L’uomo grugnì, chiaramente irritato. << Benissimo! Se non avete più voglia di studiare, la signora Dimili avrebbe proprio bisogno di aiuto in biblioteca. Sapete com’è, alla sua età non può fare lavori pesanti… così almeno i vostri culi non rischieranno di appiattirsi. Su, muovetevi! >>.
Squalo sbuffò e alzò gli occhi al cielo, esasperato, mentre Xanxus si limitò a scrollare le spalle e a dirigersi verso la porta.
Un altro pomeriggio di fatica li attendeva impaziente.
 
 
 
 
 
<< Finalmente l’orribile settimana di punizioni è finita! >> annunciò Squalo, uscendo dalla lezione di inglese con Dino. Si accasciò sul davanzale della finestra, poggiando la testa contro il vetro e un sorriso gli increspò le labbra.
Alle sue spalle sentì il biondo ridacchiare. << Verelli vi ha proprio massacrati >>.
L’argenteo si rialzò e uno sbuffo gli uscì dalla bocca. << Quello stronzo! >> esclamò, poi puntò un dito contro l’amico, << e tu non ridere! >>.
<< Ahah, scusa, scusa, ma in fondo ti è andata bene: mio padre ha deciso di non sospendervi, anche se Verelli ha insistito fino a tormentarlo >>.
Squalo annuì, consapevole che le conseguenze sarebbero potute essere peggiori, almeno per lui. Non era sicuro di poter dire la stessa cosa per Xanxus. << L’importante è che è tutto finito: non ce la facevo più! >>.
Continuando a sorridere, Dino gli diede una pacca sulla spalla. << Pensa che fra poco ci saranno le vacanze di Natale: potremmo cazzeggiare senza problemi! >>.
<< Non vedo l’ora! >> sospirò sincero, anche se quello sarebbe stato il primo Natale senza i suoi genitori e non poteva non sentirsi triste al solo pensiero. Ma almeno avrebbe trascorso le festività con i Cavallone: del resto loro erano ormai la sua famiglia e poi l’idea di allontanarsi un po’ dalla scuola e da lui non gli dispiaceva affatto.
<< Nemmeno io! >> esclamò Dino con l’aria di un bambino in trepidante attesa di Babbo Natale, << ogni anno mia mamma prepara i biscotti di pan di zenzero: sono sicuro che ti piaceranno un sacco! >>.
Squalo poté quasi giurare di vedergli brillare gli occhi e si concesse un sorriso sincero: il lato infantile del biondo era il suo lato più divertente e anche quello più irritante.

Distratto però dal chiacchierare con Dino, non si accorse dell’ombra in avvicinamento e nell’istante in cui un braccio si posò sulla sua spalla, si irrigidì come una statua e il cuore gli schizzò in gola.
<< Che caz… >> imprecò nel preciso attimo in cui la testa di Xanxus entrò nel suo campo visivo laterale.
Alle sue spalle il moro lo cingeva a sé, tenendo il braccio fermo attorno al suo collo e il volto talmente vicino che le loro guance si sfioravano. Squalo afferrò il braccio dell’altro con entrambe le mani nel tentativo di liberarsi, ma come ormai aveva imparato, la presa del Boss era salda quanto l’acciaio e si ritrovò così con la schiena attaccata al suo petto, in una posizione decisamente equivocabile.
<< Voooi! Boss, che diavolo fai? >> sbottò l’argenteo irritato e imbarazzato.
Xanxus lo strinse di più, facendo pressione sulla trachea. << Non urlare, feccia: mi hai appena distrutto un timpano >>.
<< E tu non starmi appiccicato allora! >>.
In tutto questo Dino era rimasto in silenzio, prima sorpreso quanto Squalo per l’improvvisa comparsa del moro, poi confuso e disorientato dal modo in cui teneva Squalo vicino a sé.
Sembrava quasi un fidanzato geloso che diceva: “lui è mio: stagli lontano”.

<< Che ci fai qui, Xanxus? >> gli chiese allora il biondo, infastidito da quell’interruzione.
Il moro piantò gli occhi rossi nei suoi. << Quello che mi pare. Non devo certo chiederti il permesso >>.
<< Beh, io e Squalo stavamo parlando e tu ci hai interrotti >> replicò con tono seccato.
 
Ecco il terzo elemento del triangolo che cercava di farsi valere.
Alla fine c’era Squalo che continuava a non capire assolutamente niente.
 
Un ghigno curvò le labbra del Boss. << Che peccato: di certo la vostra conversazione era molto interessante >> lo prese in giro, << ma adesso, se non ti dispiace, devo farle io due chiacchiere con il tuo amico >>.
Detto questo, iniziò a tirare Squalo nella direzione opposta, ignorando le sue lamentale.
<< Ehi, lascialo andare! >> provò Dino, facendo qualche passo in avanti.
Xanxus si fermò un momento. << Tranquillo, Cavallone: te lo restituisco tutto intero >>.
La sua voce era chiaramente divertita e Dino si sentì preso bellamente per i fondelli, ma non insistette.
Del resto aveva deciso di non intromettersi in… qualunque cosa ci fosse tra Xanxus e Squalo.
 
 
<< E che cavolo! Mi vuoi lasciare! >> sbraitò l’argenteo, cercando – invano - di sottrarsi alla tenaglia rappresentata dalle braccia del moro che, per tutta risposta, ridacchiò, senza smettere di tirare l’altro verso la destinazione prescelta.
<< Feccia, stai attirando l’attenzione >>. A lui ovviamente non interessava niente, ma appena Squalo si accorse degli sguardi degli studenti puntati su di loro, maledisse se stesso e il Boss per quell’imbarazzante situazione.
Imbarazzo che avvertiva solo lui, perché Xanxus, nonostante le occhiate e i bisbigli al loro passaggio, continuò tranquillamente per la sua strada, ignorando – come al solito – tutti gli altri.

Subito dopo Squalo si ritrovò scaraventato in bagno e una forte sensazione di deja vu lo attraversò dalla testa ai piedi: quella era la stessa toilette in cui il moro l’aveva trascinato per fargli il terzo grado su cosa ricordava della festa del Nono.
Solo che adesso l’altro non aveva nessuna intenzione di parlare e Squalo lo capì non appena venne spinto dentro uno dei singoli bagni, dove per poco non rifilò una ginocchiata al wc.
Xanxus chiuse la porta col passetto e prima di dare a Squalo il tempo di sbraitare, urlare, insultarlo o qualsiasi altra attività rumorosa e assordante, gli si avventò addosso, chiudendogli la bocca con un bacio fin da subito umido e appassionato.
L’argenteo finì con la schiena contro la piccola e fredda parete, il water – fortunatamente pulito – alla sua destra e la porta a sinistra.
Come ormai gli capitava sempre a causa dei baci del moro, incominciò a perdere lucidità, mentre la sua lingua si cercava e si scontrava con quella dell’altro, esplorandosi e compiacendosi a vicenda.

Dopo un po’ si accorsero entrambi di essere a corto di fiato e appena si separarono, Squalo ne approfittò per parlare. << Si può sapere che ti è preso? Perché mi hai trascinato qua in quel modo? >>.
Il Boss - che odiava le domande, soprattutto quelle stupide e inopportune – si chinò su di lui e prese a baciargli e mordicchiargli il collo, lasciando su quella pelle chiara i marchi del possesso.
Squalo gli infilò una mano tra i capelli neri e provò a tirarlo via. << Ehi! Vuoi rispondermi?! >> insistette, anche se la sua voce uscì meno convincente di quanto avrebbe voluto.
Xanxus si sollevò e lo fissò. << Veramente, feccia, in questo momento avrei voglia di fare altro. Le chiacchiere conservatele per Cavallone >>.
Le sopracciglia dell’altro si aggrottarono. << Dino? Che cavolo c’entra lui in questa storia? >>.
Stufo di quelle domande, il moro gli sollevò la camicia con tutto il maglione e gli scoprì il petto: lo baciò e lo accarezzò, soffermandosi sui capezzoli, mentre i tentativi di Squalo di allontanarlo scemarono rapidamente.

“Non capisco davvero” pensò l’argenteo con quel poco di coscienza rimastogli.
Erano solo le dieci del mattino e una vocina nella sua mente gli disse che sarebbe già dovuto essere in aula per la lezione di storia e, invece, stava in bagno a pomiciare con Xanxus, dopo essere stato sballottato come un peluche nelle mani di un bambino.
E poi il modo in cui si era comportato davanti a Dino… non poté impedirsi di pensare che quel comportamento sembrasse proprio un attacco di gelosia.
“Xanxus geloso?? Non può essere!” si disse, ma per quanto considerasse la sola idea assurda e priva di senso, una parte di lui provò uno strano e indecifrabile senso di soddisfazione.
Così, quando il Boss lo baciò di nuovo sulle labbra, fu Squalo a lasciare scivolare una mano sotto la sua camicia, soffermandosi sui contorni dei muscoli. La sua pelle era calda e morbida, nonostante le cicatrici.
Gemette nel bacio quando lui gli succhiò la lingua per poi mordergli il labbro, mentre le mani continuavano a toccarlo dappertutto, ma d’un tratto Squalo si staccò dalla sua bocca e, dopo avergli scostato il colletto e scoperto il collo, ricambiò il trattamento subito. Alternò baci a piccoli morsi, lasciandogli alcuni succhiotti qua e là.

Una volta, una ragazza con cui aveva avuto una breve storia gli aveva detto che i succhiotti erano come dei marchi che dicevano “questa persona è mia”, segni di possesso e appartenenza a qualcun altro. A quel tempo Squalo l’aveva presa come una semplice storiella senza importanza, ma adesso si rendeva conto che non era così insignificante.
Si chiese se anche Xanxus la pensasse allo stesso modo quando lo marchiava più e più volte, alcune fino a farlo sanguinare.

Non si rispose e non ci ragionò più su, anche perché il moro, sempre più eccitato, non volle sprecare altro tempo e gli sbottonò i pantaloni, infilandoci una mano: afferrò la sua intimità e iniziò a masturbarlo, riempiendosi le orecchie degli ansiti di Squalo.
Subito dopo l’argenteo fece la stessa cosa con l’erezione dell’altro e presto i gemiti si mischiarono tra loro, creando una sinfonia di piacere.
D’un tratto il Boss lo liberò completamente dei pantaloni che scivolarono per terra con un leggerissimo tonfo.
Ancora una volta la sua mente fu invasa da quel pensiero che lo eccitava, lo caricava, gli faceva sentire qualcosa che non aveva mai sentito in vita sua.
 
Lo voglio. Mi piace. È mio.
 
Oh, eccome se lo voleva.
Voleva ogni cosa di Squalo, anche quelle che non aveva mai voluto da nessuno.
Era come una droga, un’ossessione: lo faceva stare bene e male allo stesso tempo; gli faceva venire voglia di fargli del bene e anche del male.
Gli unici pensieri che riusciva a produrre erano baciare, mordere, toccare, leccare e lui li eseguiva, cacciando via i perché, allontanandoli dalla sua testa quasi con rabbia. Erano d’intralcio e non valeva la pena sprecare tempo prezioso ad analizzarli.
Ciò che contava adesso era solo dare libero sfogo agli istinti più bassi del momento.
 
 
Consapevole di cosa sarebbe venuto dopo, Squalo si spaventò: la conferma arrivò quando Xanxus prese a stimolarlo con le dita di una mano.
L’altro sgranò gli occhi, arrossendo e una parte di lui desiderò fuggire via, ma il moro ignorò la sua espressione e continuò il suo lavoro. Lo baciò per distrarlo, mentre Squalo tremava per quella strana sensazione di dolore misto a piacere.
Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sulla lingua e le labbra dell’altro e non si accorse del preservativo che il Boss aveva tirato fuori. Quando questi lo fece voltare e gli afferrò i fianchi con fare possessivo, Squalo morse la manica della sua camicia per impedirsi di urlare, ben sapendo cosa avrebbe provato.
Xanxus gli entrò dentro con un’unica spinta e l’argenteo sentì il fiato mozzarsi e gli occhi farsi subito lucidi, mentre il suo corpo veniva attraversato da piccoli spasmi.
Di nuovo quel sentirsi come spezzato in due che gli fece sperare che quel supplizio finisse in fretta, ma poi il moro ricominciò a massaggiare la sua erezione, assecondando i movimenti della mano con quelli del suo bacino, rendendo l’amplesso eccitante per entrambi.
I muscoli di Squalo si contrassero ripetutamente e anche se lui avrebbe voluto lasciarsi andare ed esternare il piacere che aumentava, il suo orgoglio non glielo permetteva del tutto.
Intanto i gemiti bassi e rochi del moro che si muoveva dentro di lui si insinuarono nella sua mente e si sorprese nello scoprirsi ancora più eccitato.
Non riusciva a pensare a niente, voleva solo sentire di più e il Boss lo accontentò.
Quando venne, non poté evitare di lasciare che un gemito più forte gli uscisse dalla gola, mentre le gambe si facevano deboli e instabili: se non ci fosse stato l’altro a tenerlo ben saldo per i fianchi, sarebbe caduto a terra.
Xanxus fu travolto dall’orgasmo poco dopo e quando uscì fuori da lui, Squalo dovette sforzarsi per restare in piedi, mentre il piccolo bagno si riempiva dei respiri affannosi dei due.
Recuperando il fiato, si diedero una ripulita e si rivestirono, Squalo tenendo lo sguardo puntato a terra, Xanxus che, invece, cercava di catturare di nuovo il suo sguardo.
<< Cazzo, è tardissimo! >> sbottò d’un tratto l’argenteo, controllando il cellulare. Sarebbe dovuto essere in classe quindici minuti fa e Dino gli aveva già mandato diversi sms, scrivendogli di tornare subito.
<< Non farla tragica, feccia >> rispose il Boss col solito tono arrogante e strafottente.
Squalo lo fissò in cagnesco. << Non voglio beccarmi un’altra punizione per colpa tua >>. Detto questo, uscì dalla toilette, mollando lì Xanxus, ma le fitte di dolore che lo attraversavano come scariche elettriche gli impedirono di correre per i corridoi deserti e quando arrivò a lezione, si beccò un rimprovero coi controfiocchi dalla professoressa di Storia.
 
 
 
Le vacanze di Natale giunsero rapide e Squalo lasciò l'Accademia insieme a Dino e al preside. Salutò Xanxus e gli altri Varia con un cenno e frasi di circostanza: ognuno sarebbe tornato a casa propria e non si sarebbero rivisti per due settimane, ma in effetti non è che importasse molto a nessuno di loro.
Squalo si convinse di sentirsi sollevato all'idea di trascorrere tutto quel tempo lontano dal Boss e si impose di non dare peso a uno strano sentimento che gli gravava in petto.
 
 
 I giorni di libertà e relax passarono in fretta e Squalo ebbe finalmente modo di sentirsi tranquillo e sereno: nonostante il senso di nostalgia e tristezza per la mancanza dei suoi genitori,  i Cavallone fecero di tutto per farlo sentire a suo agio.
La signora Diana era una donna molto bella e gentile e nei suoi modi di fare gli ricordava un po' sua madre, mentre la figlia maggiore, Claudia, studentessa ventenne di giurisprudenza, aveva lo stesso carattere del fratello, ma a differenza di Dino, non era un'imbranata cronica, anzi le piaceva molto prendere in giro il più piccolo di casa per questo suo difetto.
Era solare e allegra e si comportò con Squalo come se fosse sempre stato il suo fratellino e lui pensò che di sicuro doveva essere una ragazza con molti pretendenti, grazie anche a quel sorriso perfetto che sembrava connaturato alla loro famiglia.
Squalo non poté evitare di sentirsi fortunato ad essere stato accolto tra di loro, anzi sapeva di essere stato fortunato, dopotutto e nonostante tutto.
Cercò di godersi al meglio quei giorni, divertendosi come meglio e più poteva,  ma ogni tanto, la notte, prima di prendere sonno, i suoi pensieri finivano inesorabilmente su Xanxus.
Si chiedeva come stava, cosa faceva e sapeva di non poterglielo chiedere. Si limitò a mandargli due semplicissimi sms di auguri,  uno il 25 e uno a Capodanno, a cui il moro rispose solo con uno squillo.
"Non si spreca neanche a scrivere!" pensò con un certo scazzo.
Per non dare l'impressione di aver pensato solo al Boss, mandò gli auguri anche agli altri Varia: Levi non gli rispose,  Viper e Belphegor risposero per messaggio - quello del biondo si rivelò abbastanza inquietante e Lussuria, invece,  gli telefonò,  inondandolo di chiacchiere inutili.
 
 
Quando fu ora, Squalo, Dino e suo padre tornarono insieme alla Galilei.
 
Dopo che si furono di nuovo sistemati, i due ragazzi si ritrovarono nella sala comune, già piena di tutti gli altri studenti che avevano fatto ritorno dalle vacanze.
Mentre se ne stavano seduti a chiacchierare con gli amici di Dino- il biondo parlava e Squalo si limitava ad ascoltare distratto - l'argenteo notò un movimento vicino alla porta e guardando più attentamente, si accorse che Xanxus lo fissava.
<< Ci vediamo dopo >> disse all’improvviso, scattando in piedi. Senza neanche dare agli altri il tempo di aprire bocca, si fiondò fuori, ma il moro si era allontanato.
Lo rivide dopo aver girato un angolo: se ne stava appoggiato a una porta, con indosso un paio di jeans scuri e una felpa bianca: le maniche erano tirate su fino ai gomiti e la cerniera leggermente abbassata mostrava una maglietta grigia di sotto.
<< Ehi >> lo salutò Squalo avvicinandosi.
Il Boss gli lanciò una lunga occhiata e fece un cenno con la testa. << Ehi >>. La sua voce era bassa e tranquilla e i suoi occhi rossi e diabolicamente meravigliosi come sempre: li piantò in quelli grigi dell’altro e rimase ad osservarlo.
<< Eehm… quando sei tornato? >> gli chiese l’argenteo, ricambiando lo sguardo.
Xanxus scrollò le spalle. << Tre giorni fa >>.
<< Gli altri dove sono? >>. Di per sé, era strano vedere il Boss in giro per la scuola senza i Varia attorno.
<< Viper e Belphegor non sono ancora tornati; Levi e Lussuria sono da qualche parte non so dove… >>.
Squalo annuì, ma non disse niente. Si sentiva strano e non sapeva bene cosa fare.
Non sapeva neanche perché gli era praticamente corso dietro appena l’avevo visto. L’aveva fatto senza pensarci.

Fu il moro a toglierlo dall’impiccio. << Andiamo in camera mia >>. Il suo tono non era una domanda né una richiesta, sembrava più un ordine.
L’altro si irrigidì sul posto per alcuni secondi, ma non abbassò gli occhi. Si limitò a mormorare un “okay” e vide un piccolo ghigno curvare le labbra di Xanxus.
Si diressero in silenzio verso la sua stanza e una volta dentro, il Boss chiuse a chiave la porta e strinse Squalo a sé in un abbraccio che somigliava più a una morsa.
Si baciarono con foga, mordendo e succhiando, mentre le loro mani si tastavano ovunque riuscissero ad arrivare e la camera si riempiva del languido suono delle lingue e degli schiocchi dei baci.
Si tirarono e si spinsero, senza staccare le labbra, fino a finire sul letto. Si spogliarono a vicenda senza alcuna delicatezza, grugnendo e sbuffando quando qualche pezzo non si levava subito.
Si ritrovarono nudi, accaldati ed eccitati molto rapidamente e non persero tempo a darsi subito piacere: se mai c’era stato, non era comunque rimasto un briciolo di razionalità e controllo nei loro gesti.
L’unica cosa che sentivano era di volersi… e al diavolo tutto.

Baciavano e mordevano, leccavano e toccavano, senza tregua, senza darsi respiro, togliendoselo l’uno l’altro.
Più Xanxus gli faceva del male, più Squalo rispondeva con la stessa fame: sembravano volersi divorare reciprocamente, come dei naufraghi affamati davanti a un succulento banchetto.
Quando il moro gli entrò dentro, l’altro gli artigliò la schiena, piantandogli le unghie nella carne e facendola sanguinare.
C’era qualcosa di
fottutamente sensuale in quell’irruenza, in quel desiderio bruciante che annebbiava le loro menti ed acuiva gli impulsi e i desideri, rendendoli schiavi dei loro stessi istinti.
L’odore acre del sesso riempì la stanza, impregnando tutto, dalle coperte ai loro sensi e alla fine ciò che rimase fu il suono lieve dei loro respiri affannati.

“Merda” imprecò Squalo dentro di sé, portandosi un braccio a coprire gli occhi. Non aveva neanche le forze per sconvolgersi di quello che era appena successo e dato che non era stata la prima volta, una vocina nella sua testa gli disse che sarebbe stato da stupidi sorprendersi.
Solo che questa volta era stato… diverso.
Non sapeva neanche lui in che modo, ma sentiva che era così: forse dipendeva dal fatto che prima non l’aveva voluto con la stessa intensità di adesso.
Significava allora che Xanxus gli era mancato?
“Fanculo!” imprecò di nuovo, deciso a rimandare ad un altro momento le riflessioni.
Sentì l’altro muoversi accanto a lui e per poco non cadde per terra. Essendo su un letto singolo, sarebbero dovuti scendere a compromessi per starci insieme, ma il moro non sembrava essere della stessa opinione, dato che si era messo seduto con la schiena poggiata alla parete, occupando più spazio.
E Squalo si convinse che lo stesse facendo apposta.

Cercò di guardarlo senza farsi notare e ringraziò mentalmente il buio della camera che glielo concesse. All’improvviso provò il desiderio di stringersi a lui e se ne vergognò subito.
Quelle erano sdolcinatezze da ragazzine: lui, Superbi Squalo, non avrebbe dovuto provare certe cose.
Era tutto così sbagliato… tutta quell’assurda situazione: non solo erano due maschi – cosa a cui preferì non pensare per niente, perché se lo avesse fatto, avrebbe messo a repentaglio il suo status psichico -  ma erano… beh, erano loro.
Le due persone che meno al mondo ti aspetteresti possano stabilire un simile legame, eppure era successo.
E nonostante tutto, Squalo voleva comunque abbracciarlo. Voleva sentire il suo calore senza che vi fosse di mezzo il sesso.

“È una cosa così dannatamente patetica…”. Con uno sbuffo irritato, si alzò e andò in bagno per farsi una doccia veloce. Finito, recuperò i vestiti sparsi sul pavimento e si rivestì sotto lo sguardo di Xanxus, che non si era mosso dalla sua posizione.
Solo quando ebbe quasi ultimato, vide l’altro spostarsi e sedersi sul bordo del letto. Si era rimesso soltanto i boxer e Squalo indugiò accuratamente con lo sguardo sul suo corpo muscoloso, infischiandosene di quello che il moro avrebbe potuto dire o fare.
Quando parlò fu per salutarlo. << Io vado, torno da Dino prima che sospetti qualcosa. A dopo >>.
Ciò che l’argenteo non aveva ancora capito era che quando pronunciava il nome del biondo, nella mente del Boss scattava come una molla che gli rendeva  impossibile fingere indifferenza.
Ciò che il moro non aveva ancora capito era che la sua possessività altro non era che una semplice e pura gelosia.
<< Feccia, non hai dimenticato qualcosa? >> esordì Xanxus con voce tranquilla.
Squalo si controllò con sguardo accigliato: i vestiti li aveva tutti e il cellulare anche. Non aveva portato altro con sé.
Il Boss rise internamente per l’ingenuità che spesso l’altro dimostrava e quando gli si avvicinò come a chiedergli spiegazioni, un solo pensiero fece nuovamente capolino nella sua testa.
 
Lo voglio. Mi piace. È mio.
 
Mise un braccio attorno ai fianchi di Squalo e lo tirò a sé, mentre l’altra mano gli afferrava un polso e se lo portava al volto. Gli sollevò la manica della maglia e prese a baciargli la parte interna del braccio, lasciando anche dei piccoli morsi e passandoci sopra la lingua.
Squalo rabbrividì a quel contatto inaspettato e non poté trattenere dei piccoli sospiri e gemiti strozzati. Senza pensarci, infilò le dita di una mano tra i suoi capelli neri e li accarezzò piano.
Lasciato andare il braccio, Xanxus lo fece chinare su di lui e si appropriò della sua bocca: Squalo fu costretto a sedersi su di lui a cavalcioni, spingendo con le ginocchia sul materasso, mentre il moro continuava a tenerlo per un fianco.

Si baciarono con trasporto, ma non c’era irruenza in quei baci né foga o desiderio bestiale. Erano dolci e sensuali: niente morsi e violenza, solo lingue e labbra alla ricerca del semplice piacere del baciarsi.
C’era qualcosa di struggente in tutto quello e Squalo si sorprese: l’altro non l’aveva mai baciato in quel modo. Non credeva nemmeno che ne sarebbe stato capace, viste le sue tendenza sadiche e prepotenti.
Invece se ne stava dimostrando pienamente in grado e Squalo si strinse ancora di più a lui, circondandogli il collo con le braccia.
Dopo un po’ venne loro naturale sdraiarsi nuovamente sul letto, ma questa volta si limitarono a restare abbracciati e a baciarsi.
Lo fecero a lungo, tanto che entrambi persero il senso del tempo.
 

Fu il suono di qualcuno che bussava alla porta a rompere la perfetta calma del momento.
<< Boss! Sei qua? >> esclamò Lussuria.
I due si separarono e guardarono verso la fonte dell’interruzione.
<< Che vuoi, feccia? >> sbottò Xanxus con voce irritata. Aveva ancora metà del corpo attaccata a Squalo e non sembrava avere molta intenzione di spostarsi.
<< Stavo cercando Squaletto: per caso l’hai visto? >>.
Il moro guardò l’altro con un’occhiata divertita e l’argenteo scosse la testa con un sorriso.
<< Non l’ho visto e ora sparisci >> gli intimò per poi chinarsi di nuovo sulla bocca di Squalo.
<< Ma sei sicuro, Boss? >> insistette Lussuria, << non riesco a trovarlo da nessuna parte… >>.
Xanxux sollevò il busto e sbuffò, ma quando stava per mandare l’intruso verso lidi poco puliti, un ghigno si allargò sul suo volto e Squalo ebbe un brutto presentimento.
<< In effetti l’ho visto, anzi è proprio qu- >>. Le sue parole vennero bloccate dalla mano dell’altro che si piazzò sopra la sua bocca, tappandola.
<< Sei impazzito?! >> soffiò l’argenteo a bassa voce, fissandolo ad occhi sgranati.
<< L’hai visto? E dove l’hai visto, Boss? >>. La voce di Lussuria era trepidante.
Squalo affilò lo sguardo, cercando di renderlo il più minaccioso possibile, ma Xanxus, chiaramente divertito da quella situazione, prese a leccargli la mano, gli occhi un pozzo di lascivia.
Squalo si ritrovò ad arrossire, ma non mosse un muscolo.
<< Boooooss! Ci sei? >>.
L’assillo continuo di Lussuria costrinse l’argenteo a spostare la mano. << Non fare cazzate >> gli sibilò.
<< Feccia, non ti avevo forse detto di sparire?! Sono occupato adesso >> dichiarò il moro con tono fintamente incazzato.
Sentirono l’altro Varia sbuffare pesantemente e poi il suono di passi in allontanamento.

<< Ma che cavolo ti è saltato in mente?! >> sbottò Squalo, che però stava in effetti trattenendo una risata.
Xanxus ghignò e incrociò le dita della sua mano con quella dell’altro. << Volevo solo divertirmi un po’ >>.
<< Rivelando a Lussuria quello che stavamo facendo? >> replicò l’argenteo che però ricambiò la stretta.
Senza rispondere, il moro si chinò su di lui e riprese a baciarlo con la stessa struggente dolcezza di prima e Squalo si lasciò cullare da quelle labbra e da quel calore che proveniva dal corpo stretto al suo e che gli si diffondeva nel petto.
 
Quando si separarono per riprendere fiato, Squalo parlò prima che la sue mente potesse mettere un filtro alla sua bocca. << Che ti succede? >> gli chiese con voce un po’ preoccupata.
Tutto quel baciarsi come due innamorati non era da loro e soprattutto non era da lui e Squalo lo sapeva.
Ci doveva essere per forza una spiegazione a quello strano comportamento.
Xanxus inarcò un sopracciglio. << Che vuoi dire? >>.
Gli occhi dell’argenteo si spostarono per alcuni istanti. << Beh… ecco… questo >>, indicò con il braccio loro due e il letto, << non… insomma, non l’abbiamo mai fatto e… >>.
Non poteva certo dirgli che era stato quasi più bello che fare sesso e non voleva neanche farlo arrabbiare con le sue domande, ma voleva sapere.
<< E quindi? >>. La sua voce si era fatta fredda e Squalo capì di aver fatto il passo più lungo della gamba.
Sospirò, rassegnato e si tirò su a sedere, divincolandosi dal suo abbraccio. << E quindi niente: mi chiedevo solo se ti fosse successo qualcosa. Tutto qua >>.
Il moro sbuffò, infastidito.
<< Ho capito, lascia stare >> riprese subito l’argenteo, prima che il Boss se ne uscisse con una delle sue gentili espressioni, << fa’ finta che non abbia parlato >>.

Diavolo, quanto lo odiava quando faceva in quel modo! E quanto odiava se stesso per preoccuparsi per lui!
Neanche fosse stato... cosa? Il suo ragazzo?
Erano solo due che facevano sesso. Niente di più, niente di meno.
Era da stupidi illudersi.
Se solo fosse stato in grado di allontanarsi da lui...
 
<< Perché ti interessa? >>
Squalo, ancora seduto sul bordo del letto, voltò la testa verso il moro. Se ne stava disteso e lo fissava con i suoi occhi di fuoco.
Scrollo le spalle e sospirò. << Non lo so neanch'io... ma non avrei dovuto chiederti nulla >>,  si alzò in piedi e guardò Xanxus con un'espressione fredda, << tanto tu sei il Boss, no? Non hai bisogno di nessuno, se non di qualcuno con cui scopare, giusto? >>, sospirò ancora e scosse la testa, << meglio che me ne vada. A dopo >>.
Senza attendere una risposta,  uscì fuori dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, ma vi rimase fermo con la schiena poggiata per lunghi secondi,  in attesa che Xanxus lo richiamasse e gli chiedesse di restare.
Tutto ciò che ricevette però fu il silenzio assoluto.
"Fanculo!" impreco prima di allontanarsi a grandi passi.
 
 

<< Squaletto! >>.
Una voce inconfondibile lo fece fermare e voltare  mentre camminava per il corridoio.
“Ci mancava solo lui…”
<< Finalmente ti ho trovato, Squaletto! >> esclamò Lussuria, interrompendo la sua corsetta gioiosa davanti a lui, << ti ho cercato dappertutto! Dov’eri finito? >>.
<< In giro >> rispose l’argenteo, facendo spallucce, << che volevi? >>.
<< Volevo darti questo >> dichiarò, allungandogli un pacchetto incartato.
Squalo aggrottò le sopracciglia e prese il regalo. << È per me? >>.
<< È una sciocchezza, ma quando l’ho visto in un negozio, ho pensato che ti sarebbe piaciuto >>.
Una parte di lui temette di ritrovarsi tra le mani uno di quegli oggetti kitsch che Lussuria adorava, invece, scartato il pacco, sgranò gli occhi: un bracciale composto da due piccole corde di pelle nera tenute insieme da due placche in metallo, separate da un teschio ammiccava in sua direzione. (https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR_JghZIziVG_L_DBG1n2OaG_-2h8jfZpjj6gz01zYDrd34K3PSoQ )
<< Io… beh, grazie, è… bellissimo >> disse, ammirando il regalo. Era proprio il genere di cose che facevano per lui. << Non avresti dovuto… >>.
Lussuria gli sorrise. << Sono contento che ti sia piaciuto >>.
Squalo tolse il bracciale dalla scatola e lo indossò, ammirandone l’effetto che faceva al suo polso. Poi sollevò lo sguardo e lo puntò sull’altro. << Io però non ho niente da darti in cambio… >>.
<< Oh, non preoccuparti, Squaletto!  Volevo solo farti un regalo >> replicò Lussuria, continuando a sorridere.
Squalo abbozzò un sorriso in risposta e lo ringraziò di nuovo. Nonostante tutto, Lussuria era sempre stato gentile con lui e per quanto trovasse ancora irritante il fatto di non essere riuscito a fargli smettere di chiamarlo “Squaletto”, non poteva negare che avesse avuto davvero un bel pensiero.

<< Ma è tutto a posto? >> gli chiese all’improvviso, guardandolo da dietro i suoi occhiali scuri, << hai una faccia… >>.
Squalo gli rispose con un’espressione confusa. << Che ha la mia faccia che non va? >>.
<< Niente, Squaletto, sei adorabile come sempre >>, a quelle parole l’argenteo sentì il solito brivido di inquietudine di quando Lussuria gli faceva dei complimenti, << però mi sembri un po’ giù… non avrai già litigato con il Boss? >>.
Un leggero sussulto colpì le spalle di Squalo, ma si impose di mostrarsi indifferente. << Ti sbagli, non ci ho litigato… è solo che… Xanxus era strano… >>.
<< Strano? In che senso? >>.
Squalo sbuffò, irritato. << Non lo so in che senso! Era strano! Non sembrava lui… >>.
Lussuria si portò una mano al mento, come se stesse riflettendo su chissà quale profondo concetto filosofico. Dopo lunghi secondi schioccò le dita. << Forse ho capito! >> annunciò, ma subito dopo il suo umore diminuì. << È già passato un altro anno, eh… >>, il suo fu più un sussurro rivolto a se stesso che al suo interlocutore.
Il volto di Squalo si fece sempre più perplesso. << Un anno? >>.
<< Beh, ecco… tra una settimana sarà l’anniversario della morte di sua madre… >>.
<< Co-cosa? Sua madre? >>. In effetti, a pensarci bene, quando c’era stata la festa di compleanno del Nono, non aveva visto nessuna donna in compagnia del vecchio, ma a quel tempo non ci aveva prestato molta attenzione.
<< Già… è morta di cancro nove anni fa e ogni anno, in questo periodo, il Boss è sempre… strano, come hai detto tu… >>.
“Quindi è questa la causa del suo comportamento?”.

<< Lo sai anche tu com’è fatto >> riprese subito dopo, << vuole sempre fare l’arrogante, mostrarsi forte e indifferente a tutto e tutti, come se non provasse emozioni, ma alla fine ci sono sentimenti che neanche lui può fingere di non avere. Ovviamente non ne parlerebbe mai con qualcuno: equivarrebbe a farsi vedere come un debole e non c’è cosa che lui detesti più della debolezza. Negli altri e soprattutto in se stesso >>.
Da quando Lussuria era così saggio e perspicace? A quanto pareva conosceva il Boss meglio di lui e d’un tratto Squalo si sentì in colpa per essersene andato dalla sua stanza in quel modo, ma non era anche questa una forma di debolezza?
Xanxus si sarebbe di sicuro incazzato se Squalo avesse mostrato pietà o dispiacere per lui.
Preferisco essere odiato che essere compatito.
Gli aveva detto proprio così quando erano rimasti chiusi in infermeria e ora quella frase gli risuonava di nuovo in testa.
 
<< Già… credo che tu abbia ragione… >> fece alla fine Squalo con un leggero sospiro.
Più il tempo passava, più si rendeva conto di quanto poco sapesse su Xanxus: si chiese se qualcuno potesse affermare con certezza di conoscerlo davvero e si disse che avrebbe voluto essere lui quella persona.





E sono riuscita ad aggiornare anche questo capitolo ^^ è venuto fuori più lungo del solito, mi pare, ma posso dire che così mi sono fatta perdonare per il ritardo, no? :3 sono successe un pò di cose e i due piccioncini proseguono per alti e bassi <3 , ma dal prox capitolo la storia entrerà nella sua parte finale e ne capiteranno di cotte e di crude, quindi ho voluto concedere loro qualche momento di relax e ammmore >.< che dire, l'immagine di Xanxus e Squalo che si baciano in modo dolce forse potrà sembrarvi OOC (anke se spero di no u.u), ma ci tenevo molto a metterla xkè cmq io resto convinta che il Boss sappia essere gentile quando vuole <3 ^^
bene, ringrazio come sempre tutti voi che commentate e seguite la storia (e mi scuso con Musa07, Kyoite e Sweet Hell per non aver risposto alle vostre recensioni dello scorso capitolo) <3 vi voglio bene e spero che qualcun altro di voi mi faccia sapere che ne pensa ^^ su, non fate i timidi e commentate <3
un bacione e alla prossima!

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Capitolo 15
*** 15-Domande e risposte ***


Domande e risposte




<< Boss, svegliati! >>.
 
Un grugnito in risposta. “Chi cazzo è che rompe le palle?!”
 
<< Boss, muoviti! Alza quel culo pigro! >>.
 
Questa voce… “quella feccia ha davvero il coraggio di parlarmi così?”.
Xanxus si girò nel letto e aprì un occhio rosso fuoco, puntandolo sull’intruso che aveva avuto l’ardire di svegliarlo.
<< Che cazzo ci fai qua? >> bofonchiò con voce nervosa, ma ancora impastata dal sonno.
Squalo lo fissò con aria tranquilla. << Sono venuto per portarti in un posto, quindi alzati e vestiti >>.
Il moro non si mosse di un centimetro, ma lanciò una rapida occhiata alla sveglia e sentì un impeto di rabbia infiammarlo. << Sono le otto di sabato mattina, feccia: se non vuoi morire in questo preciso istante, levati dai coglioni e lasciami dormire >>.
Per tutta risposta l’argenteo sbuffò e scostò le coperte con un colpo deciso, scoprendo l’altro. << Correrò il rischio, ma adesso muoviti >>.

L’impeto di rabbia si era appena trasformato in istinto omicida. Il sabato e la domenica erano gli unici giorni della settimana in cui non c’erano lezioni e gli studenti erano liberi di fare quello che volevano, anche uscire dall’Accademia. “E questa feccia osa svegliarmi proprio quando avevo intenzione di dormire almeno fino a mezzogiorno!”.
Xanxus afferrò la sveglia dal comodino e la scagliò contro Squalo che per sua fortuna fu abbastanza rapido da riuscire a scansarla.
<< Voooooi! Che cazzo ti salta in mente?! Potevo farmi male! >>.
<< L’intento era quello, feccia >> gli fece notare il Boss con tono saccente e annoiato.
L’altro schiuse  a bocca come a replicare qualcosa, ma la richiuse subito e sbuffò. Non era venuto fin là per litigare con lui: aveva una missione da compiere e l’avrebbe portata a termine ad ogni costo. << Beh, direi che adesso sei sveglio, quindi non perdere altro tempo: fa’ come ti ho detto >>.
Il moro si mise seduto sul letto e lo fissò con uno sguardo palesemente irritato. << Da quando la feccia si permette di darmi ordini? >>.
Squalo lo squadrò per alcuni momenti, chiedendosi tra l’altro come facesse a dormire in pieno inverno con solo il pantalone di una tuta e una canotta. << Consideralo più come un favore >> disse alla fine.
Il sopracciglio di Xanxus si inarcò. << E da quando in qua io dovrei farti un favore? >>.
L’ennesimo sospiro di esasperazione da parte dell’argenteo. “Questo stronzo mi manderà al manicomio!” << Per una volta, una sola fottutissima volta, potresti darmi ascolto e accontentarmi?! >> sbottò con voce altrettanto esasperata.
Il Boss lo guardò per alcuni lunghi secondi, indeciso se picchiarlo o meno. Alla fine però, senza sapere neanche lui perché, si alzò in piedi, chiaro segno che aveva ceduto alla richiesta dell’altro.
Un leggero sorriso di soddisfazione piegò le labbra di Squalo. << Ci vediamo sotto fra mezz’ora! E non rimetterti a dormire >>. Poi senza dargli il tempo di rispondere, uscì rapido dalla sua stanza.
La prima parte del piano era stata completata.
 
 
 
 
 
<< Hai intenzione di dirmi dove stiamo andando? >>.
Squalo lo guardò di sottecchi e abbozzò un sorriso. << Lo scoprirai quando arriveremo >>.
Il moro sbuffò e guardò fuori dal finestrino. << Quindi la risposta è no >>.
 
Dopo essersi lavato, vestito e aver fatto colazione in mensa, il Boss aveva raggiunto l’altro vicino all’ingresso e insieme erano usciti da scuola. Nonostante il freddo, il cielo era terso e un sole chiaro riscaldava l’aria mattutina, mentre qualche nuvola sputava qua e là a macchiare l’azzurro.
In silenzio i due si erano diretti verso la fermata degli autobus e avevano aspettato circa dieci minuti prima di salire sul mezzo; avevano trovato due posti liberi senza problemi dato che a quell’ora di sabato mattina non erano molte le persone in giro e adesso se ne stavano seduti, sempre in silenzio, ognuno perso nei proprio pensieri.
Squalo sapeva che Xanxus era di pessimo umore per essere stato costretto ad uscire, senza neanche sapere dove fossero diretti, ma sapeva anche che, se gliel’avesse detto, non sarebbe mai riuscito a convincerlo a muoversi. Perciò poteva solo essere grato che il moro non avesse fatto troppe storie e che alla fine avesse deciso di andare con lui, cosa di cui era ancora sorpreso in effetti.
Ma almeno poteva trascorrere un po’ di tempo con lui, senza altri tra i piedi e per questo era segretamente felice.
Ovviamente quello era un segreto che l’avrebbe seguito nella tomba.
 
 
 
Dopo circa quaranta minuti di viaggio e tre autobus cambiati, l’ultimo li lasciò proprio davanti alla loro destinazione e quando, una volta sceso, Xanxus riconobbe il posto, non seppe se sentirsi furioso per essere stato trascinato là senza il suo consenso o deluso perché la feccia l’aveva ingannato senza battere ciglio.
Fissò il grande cancello d’ingresso e strinse i pugni. << Se questo è uno scherzo, ti assicuro che te ne farò pentire >>.
Accanto a lui, Squalo si voltò e prese un bel respiro. Ora veniva la parte più difficile.
<< Non scherzerei mai su una cosa del genere, dovresti saperlo >>.
Anche l’altro si voltò e lo fissò con occhi glaciali. << E allora spiegami perché cazzo mi hai portato qua! >>.
Squalo resse lo sguardo, mettendo nel suo tutta la calma e la determinazione che aveva accumulato nei giorni precedenti. << Perché oggi è l’anniversario della morte di tua madre ed è giusto che tu faccia visita alla sua tomba >>.
Il volto del Boss fu attraversato da rabbia, stupore ed incredulità, mentre nella sua testa si accavallavano i pensieri più disparati. << Tu… come cazzo fai a saperlo? >>.
<< È stato Lussuria a dirmelo, ma l’idea di portarti qua è stata mia: lui non c’entra niente >> precisò, sperando che il moro non se non la prendesse proprio con l’altro. Del resto se gli aveva raccontato della madre, l’aveva fatto solo perché era preoccupato per Xanxus.
<< Dannata feccia dalla bocca larga! >> sibilò questi con ira, << chi gli ha dato il permesso di parlare degli affari miei?! >>.
<< Lascia perdere Lussuria: non ha fatto niente di male >>.
Fulmineo com’era solito essere, il moro afferrò Squalo per il bavero del giubbotto e avvicinò drasticamente i loro volti. << Allora vuol dire che punirò te per quest’idea del cazzo >>.
L’argenteo mantenne la calma e continuò a sostenere lo sguardo feroce del Boss. << Puoi anche punirmi se ti farà sentire meglio, ma non ti chiederò scusa per aver fatto la cosa giusta >>.
Xanxus strinse ancora la presa, mentre l’ira minacciava di esplodere da un momento all’altro. << La cosa giusta?! Mi prendi per il culo?! Con quale coraggio del cazzo prendi decisioni su cose che non ti riguardano affatto?! >>.
Squalo posò la sua mano su quella dell’altro che lo teneva per il giubbotto, ma non provò a spostarla. << Forse hai ragione, forse tutta questa faccenda non mi riguarda, ma so cosa vuol dire perdere un genitore e non posso credere che tu non voglia neanche fare visita alla tomba di tua madre nell’anniversario della sua morte >>.
<< Che cazzo ne sai tu di me e di mia madre?! >> sbraitò Xanxus, tanto che le persone che passavano loro accanto li fissavano con aria stupita e perplessa.
<< Niente, ma ho pensato che alla fine anche tu avresti fatto la cosa giusta >> rispose l’argenteo con voce ferma e tranquilla.
 

Da quando Lussuria gli aveva raccontato che Xanxus non era mai andato al cimitero a trovare sua madre, nonostante le insistenze del Nono, aveva ideato il suo piano per portarcelo a sua insaputa. Magari era stato arrogante e superficiale, ma, come orfano, era davvero convinto della sua idea, anche se di sicuro l’altro non la condivideva.
Il suo comportamento però era stato strano nell’ultima settimana e dato che Squalo ne conosceva il motivo, non era voluto rimanere con le mani in mano.
 
 
Dopo lunghi secondi in cui rimasero entrambi in silenzio, a fissarsi negli occhi come se tra di loro corresse una violenta scarica elettrica, il moro sbuffò, irritato e lasciò andare Squalo.
<< Tsk, non posso credere di essermi fatto incastrare da una feccia come te >> disse con tono infastidito, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans.
Dentro di sé, l’argenteo tirò un sospiro di sollievo e le sue labbra si curvarono in un sorriso. << Forse ora avrai capito che non dovresti sottovalutare una feccia come me >>.
Xanxus affilò lo sguardo, ma non rispose alla provocazione, obiettivamente confuso dal suo stesso comportamento: da quando si era svegliato, quella era già la seconda volta in cui acconsentiva alle forzate proposte di Squalo e non lo picchiava per la sua insolenza.
“Che cazzo mi sta succedendo?”.
 
 
 
In silenzio si inoltrarono nel cimitero, non prima di aver comprato un mazzo di fiori da una delle tante bancarelle vicine. Attraversarono un fitto dedalo di tombe e cappelle e i viali alberati e dopo una decina di minuti di strada, il Boss li fece fermare davanti a un elegante piccolo mausoleo in pietra grigia, sulla cui cima spiccava inciso il nome della famiglia: “Vongola”.
Lo fissò immobile per alcuni istanti e Squalo fece altrettanto, ma all’improvviso il moro prese i fiori dalle mani dell’altro e li depositò per terra, ai piedi del cancelletto chiuso di cui lui non aveva la chiave.
<< Ora possiamo andare? >> chiese col tono di uno che pretendeva un “sì” come risposta.
L’argenteo lo fissò perplesso. << Non pensi che dovresti dire una preghiera o qualcosa del genere? >>.
<< Non ho niente per cui pregare e comunque a lei non servirebbe >>.
<< I morti ascoltano le nostre preghiere >>.
<< Ne sei sicuro? >>.
Squalo rifletté alcuni secondi e fece spallucce. << Non lo so, forse, ma mi piace pensare che i miei genitori possano ascoltarmi se prego per loro >>.
<< Tsk, sono tutte stupidaggini per far sentire meglio chi è rimasto in vita >> ribatté Xanxus, chiaramente annoiato e disturbato da quella discussione.
Squalo non rispose e guardò oltre il cancello, cercando di scorgere qualcosa all’interno della tomba. Vide che non c’era nessuna foto della donna, ma riuscì a leggere il nome: Lucia Alberti Vongola, morta all’età di 31 anni.
<< Come mai non c’è la foto? >> gli chiese allora curioso.
<< Perché, ti interessava sapere che faccia aveva? >>.
<< Mi stavo solo chiedendo se le somigliavi, dato che tu e tuo padre non siete per niente simili >> spiegò con tono tranquillo, ma lo sguardo improvvisamente sorpreso e turbato dell’altro lo mise sull’attenti.

Un pesante silenzio si protrasse a lungo prima che il Boss parlasse di nuovo. << Il Nono è mio padre adottivo >> disse semplicemente, la voce monocorde e gli occhi fissi in un punto vuoto.
Squalo sgranò gli occhi, incredulo. Anche se quello avrebbe di sicuro spiegato l’assoluta mancanza di tratti fisici in comune, la notizia era comunque sorprendente. << Sei… sei stato adottato? >>.
<< Il vecchio salvò me e mia madre dalla miseria in cui vivevamo. Avevamo a malapena i soldi per mangiare e casa nostra era solo un lurido tugurio; quando il Nono ci raccolse praticamente dalla strada, trovammo finalmente una vera casa, ma alcuni anni dopo mia madre si ammalò di cancro e un paio d’anni dopo ancora morì in ospedale, nonostante le cure e i medici a sua disposizione >>.
Ancora una volta, come quando aveva raccontato del suo rapimento, il suo tono era piatto e freddo, come se stesse parlando di una cosa di scarsa importanza che neanche lo riguardava e Squalo si chiese come riuscisse a farlo. Come potesse essere così indifferente anche agli eventi della sua stessa vita.
<< E di tuo padre… sì, insomma, del tuo vero padre… sai qualcosa? >>.
Un incrocio tra uno sbuffo e una risata amara gli uscì dalle labbra. << Sai, quando mi hai dato del bastardo e del figlio di puttana, non eri poi tanto lontano dalla realtà >>.
Le sopracciglia di Squalo si aggrottarono. << Eh? Che vuoi dire? >>.
Xanxus si voltò verso di lui e piantò gli occhi nei suoi, il viso una maschera impassibile.  << Mia madre era una prostituta, che è rimasta incinta quando un qualche pezzo di merda l’ha violentata, perciò sì, io sono un bastardo figlio di puttana >>.
Squalo spalancò di nuovo gli occhi, scioccato e sentì i muscoli del suo corpo irrigidirsi, mentre qualsiasi pensiero moriva prima di poter diventare parola.
<< Pensi ancora che io debba pregare per qualcosa o qualcuno? >>.
L’altro continuò a rimanere in silenzio, senza sapere cosa dire o fare. Il Boss non parlava quasi mai di sé e della sua vita, ma quando lo faceva, sganciava delle vere e proprie bombe, difficili da accettare e razionalizzare e Squalo non poteva fare a meno di sentirsi a disagio, inadeguato in una tale situazione.
 
Alla fine fu una strana sensazione al petto a suggerirgli cosa dire. << Penso che, nonostante tutto, dovresti essere grato a tua madre. Lei ha deciso di tenerti, di metterti al mondo e di crescerti, anche se ti aveva concepito nel modo peggiore. Avrebbe potuto abortire o, appena nato, avrebbe potuto abbandonarti in un cassetto dell’immondizia >> si interruppe e abbassò lo sguardo, << saresti potuto non nascere… o morire subito dopo essere nato… >>.
“E io non ti avrei mai conosciuto…”, ma questo lo tenne per sé, troppo imbarazzato per le conseguenze.
Risollevò gli occhi, ritrovandosi incatenato a quelli intensi dell’altro, che sembrava essere rimasto colpito dalle sue parole; poco dopo volse la testa verso la tomba e la osservò a lungo, pensieroso.

Per quanto quella donna avesse cercato di fare la madre, a modo suo, lui non era mai riuscito a volerle davvero bene come avrebbe dovuto fare un figlio: l’aveva sempre inconsciamente incolpata per la vita misera a cui, secondo lui, lei l’aveva costretto e quando era morta, dopo circa due anni di malattia, una parte di lui si era quasi sentito sollevato.
Non aveva pianto per la sua scomparsa e anche se da piccolo gli era capitato di sentirne la mancanza, era semplicemente andato avanti; del resto l’aveva persa all’età di otto anni e ormai i suoi ricordi di lei erano abbastanza sfocati e confusi.
Però ora, a malincuore, dovette ammettere di non poter replicare alle parole di Squalo: lui era solo il frutto di uno stupro, eppure sua madre non solo l’aveva fatto nascere e l’aveva tenuto con sé, ma non l’aveva mai odiato né aveva mai scaricato la sua frustrazione e il suo dolore su di lui.
Forse avrebbe potuto amarla di più…
 
Si sorprese a pensare che non sarebbe mai arrivato a quella sorta di accettazione senza l’altro; da quando quella feccia riusciva ad essere così saggia e perspicace?
D’un tratto Xanxus alzò gli occhi al cielo per un momento, come se stesse cercando una qualche risposta e poi sospirò, socchiudendo gli occhi. << Sai che sei davvero irritante quando fai il saputello presuntuoso? >> gli disse, lanciandogli un breve sguardo.
Squalo rimase interdetto da quella reazione che non si aspettava e non seppe cosa rispondere, ma l’altro non gli diede neanche il tempo di pensare perché subito dopo prese ad allontanarsi senza dire una parola e l’argenteo fu costretto a seguirlo.
 
 
 
Quando furono vicino l’uscita del cimitero, una figura fin troppo familiare si frappose casualmente sulla loro strada e nell’istante in cui i loro occhi si incrociarono, tutti e tre si fermarono di colpo, fissandosi sorpresi.
Rimasero alcuni secondi immobili e in silenzio finché Squalo non parlò. << Professore… >> sussurrò, guardando Verelli. Teneva un mazzo di fiori in mano, mentre il suo sguardo passò rapidamente da stupito ad irritato e severo.
Insomma, il solito sguardo che non mancava mai di rivolgere loro, soprattutto dopo la storia della rissa e della punizione.
<< Che cosa ci fate voi due qua? >> domandò, la voce che rispecchiava i suoi occhi.
<< Tsk, non sono affari suoi >> dichiarò Xanxus con il suo tipico tono arrogante e scazzato, che provocò nell’uomo un aumento del suo fastidio.
<< Come ti permetti di rivolgerti così ad un tuo insegnante? >>.
Un ghigno curvò le labbra del moro. << Non so se l’ha notato, ma qua non siamo a scuola e in questo momento Lei non è il mio insegnante: è solo un tizio che mi sta infastidendo >>.
Squalo si voltò verso di lui con occhi sbarrati e imprecò mentalmente. Possibile che provasse tanto gusto a provocare gli altri? Per un giunta un professore che già ce l’aveva a morte con lui…
Poi però si disse che quando lui era un teppista, il suo comportamento non era mai stato molto diverso e che il prendersela con gli altri l’aveva sempre divertito molto, ma adesso c’era qualcosa di decisamente sbagliato.
<< Hai sempre una gran bella faccia tosta per essere solo un liceale con manie di grandezza >> gli rispose a tono Verelli, che dal canto suo non sembrava avere intenzione di comportarsi da adulto e mettere fine a quell’assurda discussione.
Il ghigno di Xanxus si trasformò in una risata derisoria. << Ma sentitelo, il professorino: ora tira fuori gli attributi. Vuole forse prendersela con un suo studente? >>.
Gli occhi dell’uomo si affilarono, infuriati e la sua bocca si strinse in una linea dura. << Sei solo un bamboccio strafottente e pieno di sé! >>.
<< E questo dovrebbe offendermi? >> replicò divertito, << mi hanno detto di peggio >>.
<< Non ne dubito >> convenne con voce glaciale, << un mostro come te non meriterebbe neanche di stare al mondo >>.
Gli occhi di Squalo si sgranarono e la rabbia iniziò a invaderlo. Come poteva un insegnante dire una cosa del genere?
Lanciò un’occhiata al moro e vide che la sua espressione non era cambiata, a parte il sorriso che era diventato freddo e privo di qualsiasi emozione.
<< Immagino che sia di sicuro più facile continuare a dare la colpa a me per la morte di suo figlio, piuttosto che ammettere che era solo un moccioso debole e senza palle >>.
Squalo notò subito il volto di Verelli trasfigurarsi per la rabbia e agì prima che la situazione degenerasse: afferrò rapidamente il Boss per un braccio e lo tirò via.
<< Andiamocene >> disse solo, allontanandosi con Xanxus e portandolo verso l’uscita.
L’uomo rimase fermo sul posto, posseduto dal dolore e dalla furia e, mentre li osservava andare via, strinse talmente forte il mazzo di fiori da ferirsi la mano.
 
 
 
 
<< Ma che cazzo ti è saltato in mente? >> sbottò Squalo una volta che furono lontani, << parlargli in quel modo! >>.
Xanxus sbuffò. << Mi ha provocato lui >>.
L’altro alzò gli occhi al cielo, contrariato. << Non c’era comunque bisogno di dire quelle cose! Senti, anche a me Verelli sta sulle palle, ma ‘sta volta hai davvero esagerato >>.
<< Non mi faccio insultare da uno stronzo come quello lì! >> replicò il moro, guardandolo con occhi di brace.
Squalo sostenne lo sguardo e alla fine sospirò: non aveva alcuna voglia di mettersi a litigare, soprattutto a causa di uno come Verelli, ma non poteva neanche negare a se stesso di voler davvero sapere quale fosse la verità riguardo quella faccenda.
E con altrettanta forza non poteva negare di aver desiderato prenderlo a pugni quando aveva dato a Xanxus del mostro.
C’erano fin troppe cose che non capiva e la consapevolezza di non poter chiedere spiegazioni al moro non faceva che renderlo ancora più nervoso. Sospirò di nuovo e con una smorfia di fastidio si mise le mani in tasca, per poi riprendere a camminare.
 
 
 
Passeggiarono per un po’, senza una meta precisa, dandosi il tempo di smaltire la rabbia e quando Squalo si fu calmato, si disse che non avrebbe permesso che quella giornata andasse sprecata.
Ritrovatisi a passare di fronte a un bar, l’idea di mettere qualcosa sotto i denti gli sembrò d’un tratto decisamente allettante: aveva fatto colazione presto quella mattina e ora il suo stomaco cominciava a reclamare cibo.

Convinto Xanxus ad entrare, ordinò una brioche col gelato e panna, mentre il moro prese solo un caffè; si sedettero a uno dei tavoli liberi e Squalo si avventò sul suo spuntino con un sorriso di soddisfazione.
Il Boss lo osservò, chiedendosi come potesse, in certe situazioni, sembrare un vero e proprio bambino, in altre avere un’aria fiera e orgogliosa e in altre ancora – le sue preferite – essere sensuale e dannatamente eccitante.
In qualche modo, pensò, quella feccia non smetteva mai di sorprenderlo.
Avendo notato il suo sguardo, Squalo aggrottò le sopracciglia. << Che hai da guardare? >>.
<< Niente >> iniziò lui con un leggero sorriso, << stavo solo osservando la tua stupida espressione mentre divori quella brioche >>.
<< C-che? A chi stai dando dello stupido? >>.
<< Se ti guardassi allo specchio, feccia, mi daresti ragione: hai la stessa faccia di un moccioso mentre scarta i regali di Natale >>.
Squalo schiuse la bocca, deciso a replicare, ma alla fine si disse che sarebbe stato uno spreco di fiato; così, fece spallucce e tornò a mangiare. << Se assaggiasti questa brioche, saresti tu a darmi ragione >>.
<< Tsk, non mi piacciono le cose dolci >> rispose, per poi bere il caffè in un sorso, << e neanche le cose fredde >> aggiunse subito dopo.
Squalo leccò un rivolo di gelato che gli si stava sciogliendo in mano e guardò l’altro con un leggero ghigno di sfida. << Come fanno a non piacerti le cose dolci?! Non puoi definirti un vero italiano se non ti piace il gelato >>.

Per tutta risposta Xanxus gli mollò un calcio alla gamba da sotto il tavolo, facendogli quasi cadere la brioche di mano. << Ops, scusa, mi è scivolata la gamba >> dichiarò beffardo.
Squalo, che dal canto suo non voleva perdere, raccolse del gelato con due dita e fulmineo lo spalmò sulle labbra dell’altro, sporcandogli bocca e mento. << Ops, scusa, mi è scivolata la mano >> rispose a tono, ghignando.
Gli occhi del moro si affilarono, taglienti come due lame, ma l’argenteo bloccò ogni sua reazione violenta, senza smettere di sorridere compiaciuto. << Ah-ah-ah >>  sillabò, facendo segno di “no” con la mano, << non vorrai dare spettacolo in un luogo pubblico, Boss >>.
Xanxus, che dal canto suo amava le sfide, si sollevò dalla sedia, afferrò Squalo per il giubbotto e, attiratolo a sé, lo baciò con forza e intensità. Il gelato che era sulla sua bocca finì anche su quella dell’altro e, quando vi ci infilò dentro la lingua, Squalo poté sentire chiaramente come il gusto freddo e dolce del gelato si mischiava a quello caldo e umido del Boss.

Rispose a quel bacio solo per pochi istanti, ovvero finché non si ricordò dove si trovavano. Si stacco rapido da lui e sentì l’imbarazzo farsi strada, quando si accorse che buona parte degli altri clienti del bar li stavano fissando, chi con aria scioccata, chi disgustata, chi – soprattutto le ragazze – arrossendo e ridacchiando tra loro.
In tutto questo, il moro si era tranquillamente ripulito e aveva ripreso la sua aria scostante e indifferente, come se non gli importasse di essersi fatto vedere mentre baciava un altro ragazzo in pubblico. E, conoscendolo, molto probabilmente era proprio così.
Alla fine aveva comunque dato spettacolo.
 
 
 
 
 
<< Dove siamo? >> chiese Squalo, fissando l’elegante palazzo davanti al quale si erano fermati.
 
Una volta usciti dal bar, avevano camminato per un altro po’ di tempo e quando, a un certo punto, l’argenteo si era accorto che Xanxus stava seguendo un percorso ben preciso, si era limitato a stargli accanto, fino a che erano giunti di fronte a una palazzina di una decina di piani in stile liberty.
<< Questo appartiene ai Vongola >> dichiarò il moro con voce piatta.
L’altro si voltò a fissarlo. << Eh? >>.
<< Il palazzo. È di proprietà dei Vongola >> ripeté il Boss.
Squalo fece scorrere lo sguardo sul palazzo, sorpreso. << Tutto quanto? >>. Poi però ripensò all’enorme e lussuosa residenza di Vongola Nono e si disse che non c’era da sorprendersi se gente come loro poteva acquistare interi edifici.
Di sicuro con i soldi sporchi della mafia niente era impossibile.
<< Che ci facciamo qua? >> continuò curioso.
Xanxus lo superò ed aprì il portone. << Mi sono rotto ad andarmene in giro. Seguimi >>.
Entrarono nell’androne e una volta preso l’ascensore, raggiunsero l’ultimo piano per poi fermarsi davanti ad uno degli appartamenti. Il moro sollevò il tappetino all’ingresso e staccò la chiave che vi era attaccata sotto col nastro adesivo.
Squalo aggrottò le sopracciglia, confuso. << Si può sapere che stai facendo? >>.
<< Questo è l’unico appartamento del palazzo che non è mai stato affittato >> rispose l’altro, aprendo la porta.
<< E quindi? >> insistette l’argenteo, senza muoversi dalla sua posizione.
Il Boss si voltò e lo fissò dall’uscio. << E quindi, feccia, questo posto è della mia famiglia. Di conseguenza è anche mio, perciò entra e non fare storie >>.
L’argenteo sbuffò, ma fece come gli era stato detto.

La casa si apriva su un ampio soggiorno arredato in stile moderno e minimal, sui colori del bianco, beige e nero; a sinistra si affacciava una grande cucina in acciaio lucido, separata dal salone da un bancone con tanto di sgabelli, mentre la parete al lato opposto dell’ingresso era occupata da una lunga vetrata ornata da tende bianche.
Squalo girovagò a passo lento per la stanza, lanciando diverse occhiate al moro che intanto apriva le finestre per illuminare l’appartamento. Si fermò accanto a uno splendido pianoforte a coda nero lucido vicino alla parete destra e lasciò scivolare le sue dite sui tasti, producendo dei suoni che ruppero il silenzio della casa.
<< Lo sai suonare? >>. La voce profonda del Boss lo colse alle spalle.
Si voltò e scosse la testa. << Per niente. L’unico strumento che so suonare è la batteria >>.
Xanxus gli si avvicinò, fermandosi a pochi passi da lui. << La batteria? >>.
Squalo abbozzò un sorriso. << Non ridere, ma una volta il mio sogno era quello di diventare il batterista di una rock band >>.
Il moro continuò a fissarlo, ma non rise. << E ora non ti interessa più? >>.
L’altro scosse le spalle e sospirò. << Non lo so. Da quando i miei sono morti, non sono più sicuro di niente… >>. Si ritrovò poi a sgranare gli occhi per un istante quando Xanxus avanzò di un altro passo e allungò una mano, posandola sul pianoforte.
<< C-che fai? >> farfugliò Squalo, piegandosi all’indietro e toccando con la schiena la coda dello strumento. Subito dopo poggiò il gomito sulla superficie lucida della cassa per impedirsi di perdere l’equilibrio, ma l’altro lo intrappolò tra il suo corpo e il pianoforte, chiudendogli ogni via di fuga con entrambe le braccia.

Il Boss gli si avvicinò lentamente, come se volesse gustarsi ogni singolo istante di quel momento; i suoi occhi erano intensi e magnetici e fissavano Squalo con la potenza delle fiamme che li contraddistingueva.
L’argenteo non abbassò lo sguardo: aveva ormai imparato a resistere a quella forza, anche se non poteva evitare di sentirsene ogni volta soggiogato.
Come in quel momento. Era davvero difficile non spostare gli occhi, non desiderare di allontanarsi. Eppure, contemporaneamente, era troppo semplice voler restare là, in quel modo.
Il volto del moro si fece ancora più vicino, Squalo poteva sentire il respiro mischiarsi al suo. Chiusero entrambi le palpebre l’istante prima di far unire le labbra in un bacio che divenne subito passionale.
Xanxus gli passò una mano tra i capelli per poi fermarla sulla sua guancia, mentre l’altro gli cinse i fianchi, stringendosi a lui.
Perché non riusciva a resistergli?
Perché bastava che lo guardasse con quei suoi occhi di fuoco e lo sfiorasse per farlo cedere senza sforzi?

Aveva annullato così tante volte il suo orgoglio che non era neanche più sicuro di averne ancora; eppure gli sembrava di essere molto lontano dal raggiungere Xanxus. Anche se era stato tra le sue braccia, anche se l’altro si era stranamente dimostrato più gentile nei suoi confronti, era comunque convinto che per il Boss tutto quello fosse solo un gioco, un passatempo di cui si sarebbe presto stufato.
E allora Squalo sarebbe stato solo qualcuno con cui si era divertito.
Era davvero giusto abbassarsi in quel modo, annullare se stessi per uno come il Boss?
 
Forse pensarci mentre la lingua di lui era ficcata nella sua bocca non era l’opzione migliore…
D’un tratto il moro lo circondò con il braccio libero e prese a tirarlo lontano dal pianoforte per condurlo verso il divano di pelle nera. Lo spinse di sopra, poggiò un ginocchio sulla seduta, tenendo l’altro piede a terra e si sfilò la maglia dalla testa, restando in camicia.
L’argenteo, completamente disteso, allargò un poco le gambe per permettergli di sistemarsi meglio. Cosa che quello fece subito, distendendosi sopra e riprendendo a baciarlo.

Si spostò in fretta sul collo, ricoprendolo di morsi e succhiotti che fecero sospirare Squalo. Poco dopo gli fece sollevare il busto per spogliarlo della felpa e della maglietta sotto e dedicò le sue attenzioni al petto, lasciando una scia di baci voraci dalle clavicole all’ombelico
Con una certa soddisfazione si era ormai reso conto che l’altro non opponeva più alcun tipo di resistenza in quei momenti e che anzi si lasciava andare con una certa passione, ma c’era ancora un dettaglio che lo infastidiva.
Si fermò e si alzò di poco, puntellandosi con le mani. Vide il disappunto sul volto di Squalo, ma non se ne curò.
<< Che succede? >> gli chiese quello.
Xanxus gli afferrò i capelli e li tirò fino a fargli leggermente piegare la testa all’indietro. << Succede, feccia, che mi sono stufato di essere sempre io quello che prende l’iniziativa >>.
“Eh?”. L’argenteo aggrottò le sopracciglia, perplesso. << Che vuoi dire? >>.
L’altro affilò lo sguardo e storse la bocca. << Non sei una femmina, giusto? Anche se ti piace essere scopato… >>.
L’irritazione e l’offesa si dipinsero subito sul volto di Squalo, ma, ancora una volta, il Boss ignorò la cosa.
<< Bene >> sputò quello fuori con tono acido, << che dovrei fare? >>.
Il moro si rialzò del tutto, rimanendo con il ginocchio posato sul divano, e le sue labbra si curvarono in un ghigno. << Fammi un pompino >>.
Squalo sgranò gli occhi e si sollevò, aiutandosi con i gomiti.
“COSA?! Sta scherzando, spero!”. Era innegabile che avevano decisamente fatto di peggio, eppure quella richiesta lo lasciò spiazzato.
Si rialzò fino a mettersi seduto e rimase per lunghi secondi in silenzio, indeciso su cosa dire o fare, mentre l’altro lo fissava, in attesa di una risposta.
Alla fine un pensiero si fece strada nella sua mente e per quanto gli sembrasse un’idea un po’ stupida, decise di metterla in pratica lo stesso.
<< Lo farò, ma ad una condizione >> dichiarò determinato.
Xanxus inarcò un sopracciglio, perplesso. Si sarebbe aspettato una replica molto colorita e condita da urla, ma non quello. << Vuoi davvero metterti a trattare su una cosa del genere? >>.
Squalo sbuffò e incrociò le braccia al petto. << Sì. Voglio che tu risponda ad una domanda >>.
<< Tutto qua? >>.
L’altro allungò una mano e gli puntò contro un dito. << Dovrai rispondere sinceramente. Devi darmi la tua parola che non mi insulterai o picchierai o qualsiasi altra cazzata delle tue >>.
Il moro lo fissò intensamente, cercando di leggere nel suo sguardo le vere intenzioni. Era davvero disposto ad accettare la sua richiesta solo in cambio di una risposta ad una sua domanda?
Non sapeva bene perché, ma la faccenda gli puzzava.
Scrollò le spalle e sospirò. << E va bene, feccia. Ti do la mia parola >>.
Sul volto di Squalo passò un lampo di sorpresa; abbassò il braccio e fece un profondo respiro.
Non pensava sul serio che avrebbe avuto una risposta sincera, ma arrivato a quel punto, tanto valeva provare. Lo guardò, gli occhi grigi seri e determinati.
<< Cosa provi per me? >>.





TA-DAAAN!! Oddio, non odiatemi x questo finale! >.< ma se avessi messo tutta la parte che viene dopo, sarebbe venuto un capitolo chilometrico e poi questa interruzione lascia un po' di suspense, almeno spero :3
qst cap è stato strano... forse per la parte al cimitero e un'altra verità sul passato di Xanxus che viene fuori (povero Boss, gli ho davvero fatto avere un'infanzia tragica XD), non so, ma a me rileggendolo, è sembrato un capitolo un po' anomalo rispetto agli altri... forse mi sto facendo troppi trip!! u.u spero che vi sia piaciuto <3
e adesso, cosa o come risponderà il Boss a questa domanda inaspettata? ^^
mi renderebbe davvero felice conoscere le vostre opinioni da tutti voi che seguite la storia :D quindi ricordate che un commentino è sempre molto gradito <3 un bacione e alla prossima!

 

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Capitolo 16
*** 16-Semplice ***


Semplice



<< Cosa provi per me? >>.
 
 
Per la prima volta da quando lo conosceva, Squalo lesse vera sorpresa sul volto di Xanxus e seppe con certezza che non si aspettava una simile domanda.
I suoi occhi erano sgranati e fissava l’altro con l’aria di uno che aveva appena visto un morto tornato in vita. Solo dopo un lungo secondo di immobilità e silenzio parlò. << Che cazzo hai detto? >>.
L’argenteo non mutò la sua espressione seria e determinata. << Ti ho chiesto cosa provi per me. Cos’è, sei sordo? >>.
<< Ci sento benissimo, feccia, ma non riesco a capire come tu possa chiedermi una cosa del genere >> replicò il moro, la voce chiaramente infastidita.
<< Mi hai dato la tua parola che avresti risposto sinceramente, quindi fallo >>.
Il Boss affilò lo sguardo. << Non pensavo che mi avresti fatto una domanda tanto stupida >>.
Un sorriso amaro curvò le labbra di Squalo. << A quanto pare la tua parola non vale un cazzo… dovevo immaginarlo >>.
Un lampo di rabbia attraversò il volto di Xanxus. << Ti avverto, feccia: mi stai facendo incazzare >>.
<< Come se me ne fregasse qualcosa >> replicò l’altro con tono brusco, << voglio solo sapere perché io. Perché, tra tutti quanti, continui a cercare me, a volere me. Come poco fa. Come quando siamo tornati dalle vacanze >>.
<< Cosa vorresti sentirti dire, feccia? Che sei speciale? >>.
<< Voglio sentire la verità >>.
<< Perché? >>.

Già… perché? Perché aveva un così disperato bisogno di sapere? Non riusciva a togliersi dalla testa questo pensiero. Forse era da stupidi, da ingenui e molto probabilmente non avrebbe mai dovuto iniziare quella discussione, ma non aveva potuto evitarlo.
Solo che non poteva dirgli quali erano i suoi veri sentimenti. Non poteva dirgli che quello che provava per lui era la cosa più simile all’amore che avesse mai provato per qualcuno né che era più forte e assurdo di quanto avrebbe mai immaginato.
Era… frustante. Tutta quella situazione lo era.
<< Non puoi semplicemente rispondere alla domanda? >> tentò alla fine, anche se era ormai vicino alla rassegnazione più totale.

Xanxus rimase di nuovo in silenzio, come se stesse riflettendo su come agire.
Perché diavolo la feccia se n’era uscita con una richiesta del genere? Dove voleva andare a parare con tutta quella storia?
La verità però era che non sapeva neanche lui cosa rispondere.

La sua parte più razionale si rendeva conto che il suo stesso comportamento nei confronti di Squalo non aveva mai avuto un precedente. Non si era mai interessato a qualcun altro come aveva fatto con lui né era mai andato a letto con la stessa persona più di una volta. Seppure avesse ancora diciassette anni, si era fatto più ragazze di qualsiasi altro suo coetaneo, ma nessuna di loro era valsa più di una scopata.
E mai nella sua mente gli era passata l’idea di farsi un ragazzo.
Non che avesse mai avuto pregiudizi contro i gay: era troppo pigro e strafottente per fregarsi di qualcosa che non lo riguardasse personalmente e le inclinazioni sessuali degli altri non erano certo affare suo.
Semplicemente non era mai stato attratto da uno del suo stesso sesso e non credeva sarebbe mai successo.

Poi però aveva incontrato Squalo e molte cose erano cambiate. Più di quante gli piacesse ammettere.
L’aveva odiato. Aveva desiderato farlo a pezzi e fargli sparire quell’aria arrogante dalla faccia.
Poi si erano avvicinati. Gli aveva rivelato cose del suo passato che nessuno sapeva; aveva abbassato la guardia e gli aveva permesso di guardargli dentro.
Nessuno l’aveva mai spinto a tanto e, a dirla tutta, lui ancora non se ne capacitava. Era stato facile aprirsi, mostrare un pezzo di sé e non era ancora sicuro che la cosa gli andasse a genio.
Dopo aveva capito di desiderarlo, in un modo quasi ossessivo. Aveva voluto sottometterlo, farlo suo, tenerlo in suo potere e il vederlo completamente in balia di lui e del piacere gli aveva dato un’enorme soddisfazione.
Per questo l’aveva cercato, l’aveva voluto ancora e ancora. Possederlo una sola volta non gli era bastato, anzi, non aveva fatto altro che accrescere la sua bramosia.
Non riusciva a trattenersi e in effetti non ci aveva mai provato davvero né aveva alcun interesse a farlo. Preferiva decisamente farsi lui.
Rendendosene conto a malapena, aveva anche smesso di andare con altri. Se poteva avere Squalo, tutto il resto contava ancor meno del solito: era ciò che continuava a ripetersi.
Tutto quello aveva forse un significato? E davvero lui, Xanxus, si stava ponendo simili questioni?
“C’è qualcosa che non va in me…”.
 
Alla fine parlò prima di capire cosa volesse dire.
<< Le cose sono più semplici con te >>.
 
Squalo sbarrò gli occhi, incredulo. << E-eh? >>. “Cos’ha appena detto?”.
<< Ti ho dato una risposta sincera, feccia e non intendo ripeterla >> precisò, fissandolo con intensità, << piuttosto, si può sapere perché hai iniziato questa stupida discussione? >>. Vide l’altro sospirare e scrollare le spalle.
<< Non importa… >>.
 
“Le cose sono più semplici con te”.
Che cavolo voleva dire quella frase?
È una cosa positiva, no? Squalo non era poi così sicuro, ma chiedere ulteriori spiegazioni al Boss non era affatto da prendere in considerazione.
Forse avrebbe davvero dovuto smettere di complicarsi la vita con inutili domande e problemi e accettare la situazione per quello che era. Del resto, erano stati la sua testardaggine e la sua presunzione a portarlo fin là e non poteva biasimare nessuno a parte se stesso se adesso provava qualcosa per uno stronzo come Xanxus.
Non sapeva se poteva chiamarlo “amore”, ma qualunque cosa fosse, era abbastanza forte da non permettergli di lasciar perdere tutto, nonostante la consapevolezza che, alla fine, l’unico a rimetterci sarebbe stato lui.
Tutto il suo orgoglio si era rivelato inutile e adesso doveva accettare la sconfitta.
Perché aveva accettato i propri sentimenti… e aveva perso.
Ormai non poteva più scappare: si era avvicinato troppo alle fiamme e non aveva potuto evitare di rimanere bruciato.
Perciò fanculo!
Una ferita in più o in meno, a quel punto, non faceva poi molta differenza.
 
 
Si alzò in piedi, deciso a rispettare la sua parte d’accordo, anche se profondamente imbarazzato e a disagio per quello che stava per fare.
Ma un patto era un patto: non ci si poteva tirare indietro. E Squalo era, come al solito, troppo orgoglioso per ammettere o anche solo mostrare il suo stato d’animo.
Fece qualche passo per poi inginocchiarsi a terra di fronte all’altro che, seduto sul divano, lo guardò inarcando un sopracciglio. Gli allargò le gambe e iniziò a sbottonargli i pantaloni, ringraziando il cielo che il moro non facesse qualche commento dei suoi, ma tanto per andare sul sicuro, decise di avvertirlo.
<< Se dici anche solo mezza parola a riguardo, te lo stacco a morsi >> gli disse serio, fissandolo con astio e determinazione.
Xanxus gli rispose con un ghigno, ma non disse niente, più perché desideroso di iniziare che non perché intimorito dalla minaccia dell’altro.
Aiutandosi con le mani, prese il suo membro in bocca e chiuse gli occhi nello stesso istante.
Dopo sì e no una decina di secondi, però, sentì una mano dell’altro afferrargli i capelli e tirargli la testa all’indietro. Si staccò e lo fissò con un’espressione confusa.
<< Feccia, la tua tecnica fa schifo >> gli disse con tono infastidito.
L’argenteo aggrottò le sopracciglia e affilò  lo sguardo. << E che cavolo pretendi, idiota? Non ho mai fatto una cosa del genere! >>.
E “ovviamente” avrebbe voluto aggiungere. Mica se n’era andato in giro a fare servizietti agli altri nei bagni pubblici o chissà dove. Al massimo gli era capitato di riceverli da qualche ragazza, ma, a rigor di logica, Xanxus era il primo ragazzo con cui aveva fatto sesso e non è che fosse ancora molto pratico in materia.
Per di più, anche se gli costava molto ammetterlo, l’altro era più dotato di lui e, a conti fatti, non era sicuramente d’aiuto in una tale circostanza.
 
<< C’è sempre una prima volta nella vita, no? >> replicò il Boss con un sorrisetto, << vedi di metterci un po’ d’impegno >>.
Squalo gli lanciò un’occhiataccia, ma non rispose e tornò a “lavoro”.
Provò a non pensare a niente e a lasciarsi andare al momento, anche se l’idea di mettere in atto la sua minaccia gli era balenata in mente per un istante.
Invece, riprese a leccare e succhiare, stando attento ai denti e molto presto sentì il respiro del moro accelerare e farsi più pesante.
A quanto pareva, la sua tecnica aveva appena smesso di fare schifo.
La mano dell’altro s’infilò nuovamente tra i suoi capelli, ma questa volta fu solo per assecondare il ritmo e spingere di più l’erezione nella sua bocca.
Poco dopo Squalo, spinto dalla curiosità, aprì gli occhi, puntandoli verso l’alto: l’immagine di Xanxus con la testa piegata all’indietro, le palpebre abbassate e le labbra dischiuse gli provocò un rapido aumento del battito cardiaco e un deflusso di sangue verso il basso ventre.
Il moro stava provando piacere grazie a lui e questo, in un certo qual modo, voleva dire che era Squalo ad avere il controllo.
Improvvisamente la consapevolezza di essere quello che stava facendo godere l’altro lo eccitò a sua volta e lo portò ad aumentare la velocità dei suoi movimenti, cosa che intensificò i gemiti del Boss.
A un certo punto Squalo sentì la sua testa venire strattonata e capì che l’altro stava per raggiungere l’orgasmo, ma non si spostò del tutto in tempo e un po’ di sperma gli finì in bocca. Fu costretto ad ingoiarlo e si ritrovò a tossire.
 
<< E che cazzo! >> sbottò subito dopo, mentre il moro si risistemava, << potevi avvertirmi un po’ prima invece di aspettare l’ultimo secondo! >>.
<< Non farne una tragedia, feccia >> replicò il Boss con il suo solito ghigno.
“Sì, beh, volevo vedere te al mio posto…”. Sbuffò, ma non avendo alcuna voglia di litigare, andò in bagno a darsi una ripulita e tornò sul divano.
 
All’improvviso una lattina di birra gli comparve davanti agli occhi e, sollevata la testa all’indietro, vide Xanxus alle sue spalle che gli allungava da bere. L’afferrò e l’aprì, mentre l’altro tornava a sedersi, la sua birra in mano.
<< Sai che sono solo le undici e mezza del mattino, vero? >> gli fece notare Squalo, guardandolo con un’occhiata scettica.
Il moro bevve e scrollò le spalle. << E allora? >>.
<< Niente >>. L’argenteo si portò la lattina alle labbra e mandò giù un lungo sorso. << E ora che facciamo? >> chiese poco dopo, posando la birra sul tavolinetto di fronte.
Il Boss fece lo stesso e si allungò verso di lui, afferrandogli il volto con una mano. << Continuiamo >> disse in un sensuale sussurro per poi fiondarsi sulla sua bocca.
Il bacio si fece subito vorace e lascivo, mentre Squalo si distendeva sotto di lui e gli passava le braccia attorno al collo. Xanxus gli accarezzò il petto e approfittò del momento di riprendere fiato per togliersi la camicia. Portò poi le labbra sul suo collo e prese a lasciare piccoli morsi, per poi continuare a scendere, segnando di rosso la pelle chiara dell’altro.
<< Adesso… non ti dà fastidio essere quello che prende l’iniziativa? >> scherzò Squalo, mentre sentiva la lingua del moro stuzzicargli un capezzolo.

Quello sollevò leggermente la testa e gli lanciò un’occhiata divertita. << Beh, feccia, ricorda che sono sempre io a condurre il gioco >>. A dimostrazione delle sue parole, tornò a tormentargli il petto, mentre le mani presero ad armeggiare con i pantaloni, che finirono sul pavimento alcuni istanti dopo.
Gli abbassò le mutande, afferrò la sua intimità e iniziò a massaggiarla, compiacendosi nell’osservare i primi segni del piacere che l’altro stava provando: occhi serrati, labbra dischiuse e respiro ansante. Lo masturbò lentamente, prolungandogli il godimento e nel mentre lo baciava sul volto, sulla bocca e sul collo.
Non sapeva perché, ma quel giorno non voleva essere come al suo solito, ovvero irruento e animalesco, anche se doveva ammettere che trattenersi era maledettamente difficile, vista la situazione.
Voleva bearsi di ogni secondo, ogni gemito, ogni sensazione.
Mentre la mano continuava la sua attività, con un leggero ghigno Xanxus avvicinò la bocca all’orecchio di Squalo. << Sei già tutto bagnato, feccia >>.
L’argenteo gli lanciò un’occhiataccia che stonava decisamente con il volto arrossato dal piacere. << Sta’… aah… zitto… >> disse, la voce spezzata dai gemiti.
Il moro ridacchiò, divertito da quelle reazioni, e portate le labbra a un capezzolo turgido, lo leccò e succhiò con studiata lentezza.
Avrebbe voluto baciare l’altro, affogare nella passione delle loro lingue che si cercano e lottano, ma, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto privarsi degli ansiti sensuali che Squalo emetteva e sarebbe stato imperdonabile.
La sua pelle era così calda e morbida, i suoi muscoli si contraevano in spasmi, mentre il suo bacino si spingeva in avanti, assecondando il ritmo della mano del Boss, chiedendo di più.
<< … Xanxus… >> sospirò l’argenteo ad occhi chiusi. Non vide perciò il volto dell’altro farsi sorpreso per un istante: quella era la prima volta che Squalo lo chiamava per nome e a lui sembrò talmente erotico da rischiare di fargli perdere il controllo.

Capì che l’altro stava per raggiungere il limite e un’ondata di sadico desiderio lo invase: smise di masturbarlo e tolse la mano dal suo membro, costringendo l’altro a riaprire gli occhi e a puntarli su di lui.
La sua espressione era un concentrato di disappunto e confusione, tanto che il moro non poté impedirsi di ghignare.
<< Voglio che mi implori di farti venire >> gli disse con voce calma e sensuale, ben consapevole di quanto una cosa del genere fosse difficile e imbarazzante per uno come Squalo. Come era altrettanto consapevole che, a quello stadio, la sua erezione chiedeva solo di essere soddisfatta.
<< C-che?! >> esclamò quello, incredulo, sforzandosi di riacquistare un minimo di lucidità.
Il Boss gli sfiorò appena l’intimità con un dito e vide tutto il suo corpo tremare. << Mi hai capito bene, feccia: voglio sentirti implorare >> ripeté con un sorriso ancora più bastardo, deciso a provocarlo più che poteva.
Nonostante la situazione, Squalo affilò lo sguardo. << Scordatelo! >> replicò, cercando di portare una mano al suo basso ventre. Non gli importava un accidente di come avrebbe raggiunto l’orgasmo: rimanere con il suo “amichetto” là sotto in quelle condizioni era semplicemente insopportabile.
Ma Xanxus lo anticipò con la rapidità di cui più volte si era dimostrato capace: gli afferrò entrambi i polsi e glieli bloccò sopra la testa con una mano sola.
<< Bel tentativo, feccia, ma non te lo lascerò fare >> lo avvertì divertito e, a dimostrazione di ciò, rafforzò la presa sulle sue braccia. Usò poi la mano libera per sfiorargli nuovamente l’erezione, lasciando che un dito vi scivolasse per tutta la lunghezza.
L’altro fremette e provò a divincolarsi, ma le forze gli erano decisamente venute meno e si arrese dopo pochi secondi.
“Dannatissimo pezzo di merda!” imprecò dentro di sé.
Se c’era una cosa che odiava dal più profondo del cuore, quella era sicuramente implorare. Non solo non l’aveva mai fatto in vita sua, ma non l’aveva neanche mai preso in considerazione: supplicare, per lui, rappresentava la distruzione assoluta del suo orgoglio.

Eppure, in quelle circostanze, sapeva di non avere scelta e la sua mente era troppo instabile per riuscire a riflettere.
<< Ti prego, Boss, fammi venire >>.
Il suo tono però non dovette convincere Xanxus, perché questi scosse la testa, continuando però a sorridere diabolicamente. << Non ci siamo, feccia: devi chiedermelo con più passione >>.
Squalo lo fulminò con uno sguardo omicida e la sua parte combattiva desiderò ardentemente prenderlo a calci e pugni, ma alla fine fu costretto ad arrendersi.
Non ce la faceva più a resistere. Doveva liberarsi.
Fissò l’altro con intensità e parlò con la voce più sensuale possibile. << Ti prego, Boss voglio venire >>.
Questa volta il moro sembrò soddisfatto e riportò la sua mano sul membro ancora pulsante di dell’altro. << Come desideri >> rispose con tono volutamente lascivo, mentre il ghigno derisorio continuava a fare bella mostra di sé sul suo volto.
Riprese a dargli piacere, compiacendosi egli stesso nel vedere come Squalo si lasciasse andare a lui.
Dopo altri pochi e rapidi movimenti, l’argenteo inarcò la schiena in un ultimo spasmo e un gemito più forte risuonò nella stanza, mentre il frutto del suo orgasmo sporcava il divano.
 
Per lunghi e inebrianti secondi si sentì completamente rilassato ed appagato e tutto ciò su cui si concentrò fu calmare il respiro e i battiti del suo cuore. Quando si mise seduto, la fastidiosa sensazione della pelle nera appiccicata al corpo lo distrasse abbastanza da fargli recuperare lucidità e coscienza di sé.
Subito dopo fu Xanxus a rompere quel breve silenzio che si era venuto a creare. << Sai, feccia, hai una voce davvero erotica quando supplichi >> lo provocò con tono divertito.
C’era poco da fare: punzecchiarlo gli veniva naturale come respirare.
 
Pur essendo nudo, Squalo si avventò sull’altro con il pugno pronto ad infrangersi sul quell’irritante sorrisetto, ma i suoi movimenti furono troppo deboli e lenti e il moro non ebbe alcuna difficoltà ad usare un braccio per bloccare il colpo e l’altro per circondargli le spalle e attirarlo a sé. Si lasciò cadere sul divano, trascinando giù l’argenteo e si ritrovarono così distesi uno sopra l’altro, i corpi appiccicati e i volti a una distanza irrisoria.
Rimasero a fissarsi per lunghi momenti, immobili, persi ognuno negli occhi dell’altro.
<< Quella cazzata di prima era proprio necessaria?! >> chiese retoricamente Squalo, anche se il tono risultò meno offeso di quanto avrebbe voluto.
Di nuovo il ghigno sul volto del moro. << È divertente vederti perdere il controllo >>.
L’altro affilò lo sguardo, irritato e provò a liberarsi da quella sorta di abbraccio, ma Xanxus lo trattenne e lo strinse di più a sé, per poi fiondarsi sulla sua bocca e divorarla con passione.

Come sempre, il loro bacio non aveva nulla di casto e delicato e le lingue presero subito a muoversi in una danza umida e sensuale, mentre le braccia del Boss continuavano a tenere stretto Squalo.
Quando, a corto di fiato, si separarono, il moro ne approfittò per parlare.
<< A quanto pare, hai ancora un sacco di energie, feccia >> lo stuzzicò, alludendo all’impeto con cui aveva risposto al bacio, << che ne dici se te le tolgo tutte? >>.
Lo vide accigliarsi per un istante, per poi distogliere lo sguardo, nonostante la posizione lo rendesse superfluo, dato che i loro visi erano a un paio di centimetri di distanza.
<< Prenderò il tuo silenzio come un “sì” >> dichiarò allora Xanxus con un leggero ghigno, prima di rimettere entrambi in piedi.

Tenendo Squalo per un braccio, lo trascinò in bagno e, visto che era già nudo, lo fece entrare nel box doccia; poi si spogliò del tutto a sua volta e lo raggiunse, chiudendosi la cabina alle spalle. Aprì il getto dell’acqua che subito scivolò sui loro corpi già abbracciati, mentre il suono dello scroscio si mischiava a quello dei baci e dei respiri, riempiendo rapidamente il piccolo spazio.
 
La sensazione della loro pelle bagnata a contatto riportò alla mente di entrambi quello che era accaduto in piscina durante la festa del Nono e, in qualche modo, ciò li eccitò ancora di più.
Travolto dalla situazione e persa ogni lucidità, Squalo circondò con le braccia il collo dell’altro, che rispose al gesto stringendolo a sua volta più forte e lasciando che i bacini sfregassero tra loro, stimolandosi a vicenda.
In tutto questo le loro bocche si alternavano con avidità e l’argenteo non fu l’unico a ricevere morsi e succhiotti e a sospirare di piacere.
Molto presto le loro erezioni presero a pulsare quasi dolorosamente, segno che nessuno dei due avrebbe resistito a lungo.
Xanxus avrebbe voluto prenderlo per i fianchi ed entrargli dentro senza tanti complimenti, fregandosene di tutto, ma qualcosa nel subconscio lo frenò.
Un pensiero, unemozione forse… non era qualcosa facile da definire, perché mai l’aveva provata.
Voleva che l’altro desiderasse solo lui, che gemesse solo a causa sua, che cercasse solo lui.
Doveva essere suo, senza se e senza ma.
Così, per una volta, decise di essere gentile, di assicurarsi che Squalo non provasse dolore, con tutta l’intenzione di legarlo a sé attraverso il piacere.
 
Dopo averlo baciato con lenta sensualità, gli infilò due dita della mano in bocca.
<< Leccale bene >> ordinò con voce calda, lo sguardo intenso.
Squalo, il volto arrossato, chiuse gli occhi lucidi e fece come gli era stato detto, mentre l’acqua continuava a scivolare sui loro corpi accaldati.
Il moro sentì la lingua dell’altro avvolgergli le dita e succhiarle con foga: non poté evitare di pensare a quanto quella vista fosse erotica, tanto che dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà, per mantenere i buoni propositi.
Quando le ritenne lubrificate a sufficienza, tolse le dita dalla bocca di Squalo e le portò alla sua apertura, penetrandola piano con uno e dando all’altro il tempo di abituarsi, prima di inserire il secondo.

L’argenteo tremò e, gemendo, si aggrappò più forte a Xanxus, che prese a baciarlo ovunque le sue labbra riuscissero ad arrivare, usando intanto la mano libera per stuzzicargli i capezzoli e riempiendosi le orecchie dei suoi ansiti.
Deciso a prepararlo al meglio, stava per inserire un terzo dito, quando Squalo sollevò la testa dalla sua spalla e cercò il suo sguardo.
<< … basta… aah… non ce la faccio più… >>.
Per un attimo il Boss pensò di aver male interpretato quelle parole, ma l’espressione e la voce imploranti e cariche di desiderio dell’altro fugarono ogni dubbio.
Un ghignò curvò le sue labbra.
Tolte le dita, lo fece voltare verso il muro e gli afferrò i fianchi. Si chinò poi su di lui per potergli sussurrare all’orecchio.
<< Lascia che qualcun altro ti tocchi in questo modo e ti uccido >>.
Squalo sgranò gli occhi, sorpreso di sentire una frase del genere dalla bocca di Xanxus: anche se agli occhi di  chiunque altro sarebbe sembrata un’inquietante minaccia, lui non poté impedirsi di provare un senso di sollievo e appagamento di fronte a una tale possessività.
Forse anche il moro provava qualcosa di profondo…
Forse neanche per lui era solo sesso…
Forse
 
Avrebbe voluto rispondergli a tono, ma appena il Boss gli entrò dentro, la sua mente si svuotò del tutto e non gli fu più possibile pensare ad altro.
Strinse gli occhi e l’intero suo corpo fu attraversato da spasmi e tremori, mentre l’ambiente circostante diventava sfocato fino a scomparire.
Restarono solo le sensazioni: dell’acqua su di sé, del freddo delle mattonelle su cui premevano le braccia, delle mani del moro che lo toccavano dappertutto e di un calore quasi infernale che, partendo dal basso ventre, si espandeva in ogni angolo del suo essere.
Perse la concezione del tempo, consapevole soltanto delle spinte di Xanxus che si facevano sempre più intense e che lo avvicinavano pericolosamente al limite.

Gemette più volte, incapace di trattenersi, per quanto la sua parte orgogliosa cercasse ancora di fargli arginare la voce.
Intanto il moro aveva ripreso a massaggiargli l’erezione, assecondando il ritmo delle mani con quello del bacino. Il piacere crebbe rapido per entrambi: scuoteva i loro corpi, faceva ringhiare i cuori e spegneva le menti, rendendoli schiavi di quel momento.
Quando, d’un tratto, il Boss riuscì a toccargli la prostata, Squalo quasi gridò e sentì come se una potente scarica elettrica lo attraversasse dalla testa ai piedi, annullandolo nel piacere.
Venne poco dopo, riversandosi nella mano dell’altro e fu seguito a breve distanza da Xanxus, che gli arpionò i fianchi con violenza, lasciandogli dei segni rossi sulla pelle nivea.
I gemiti cessarono e furono sostituiti dai loro respiri pesanti, mentre lo scroscio dell’acqua era appena divenuto il suono più forte in quella cabina.
 
 
 
“Le cose sono più semplici con te”.
 
Forse per Xanxus era davvero così, ma più quella cosa tra loro andava avanti, più per Squalo diventava difficile.
Difficile non dirgli cosa provava davvero.
Difficile fingere che non gli importasse.
Difficile accettare il fatto che l’altro non sarebbe mai stato completamente suo.
 

Ma lo amava abbastanza da accettare tutto questo, da volergli stare accanto comunque e da sperare che forse, prima o poi, le cose sarebbero cambiate.
 
 
 
 
***EXTRA***
 
Accademia poco dopo il ritorno dalle vacanze di Natale
 
 
<< Ehi, principino psicopatico! >>.
“Chi osa chiamarmi in questo modo?”.
Belphegor si fermò in mezzo al corridoio e si voltò irritato verso la persona che aveva osato rivolgersi a lui con una tale mancanza di rispetto.
Viper. Come al solito i suoi capelli viola ricadevano lunghi sulle spalle e il suo volto era impassibile, una poker face degna, appunto, dell’ottima giocatrice di poker che era.
<< Che cavolo vuoi? >> sbottò lui, fissandola da dietro la lunga frangia bionda.
Lei si avvicinò a passo tranquillo e gli si parò davanti. << Ho bisogno di te >>.
Bel schiuse la bocca, ma non gli uscì alcun suono. “Che ha detto?!”.
<< Che hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua? >> continuò lei, la voce atona.
Lui storse la bocca, infastidito. << Ti sembra il modo di chiedere qualcosa? Dovresti essere più gentile verso un principe come me >>.
Viper fece un piccolo movimento con gli occhi e sbuffò piano. << Sì, certo, come no. Senti, mi serve il tuo aiuto, quindi seguimi >>.
Il biondo fece un piccolo ghigno. << Il mio aiuto? >>. “Allora dovrà implorarmi”.
<< Beh, non sei certo la prima scelta, quindi non ti montare la testa. Volevo chiedere a Squalo, ma aveva da fare e così mi devo accontentare di te. Tu e lui però avete più o meno la stessa corporatura, perciò dovrebbe andar bene comunque >>.
Se la frangia di Bel non gli avesse nascosto gli occhi, Viper li avrebbe visti sgranarsi, irritati e increduli. “Accontentarsi? Stessa corporatura?”. << Di che cavolo stai parlando? >>.
<< Devo preparare alcuni vestiti per lo spettacolo del gruppo di teatro e mi serve un modello maschile >>.
<< E da quando in qua tu aiuti gli altri? >>.
La ragazza scrollò le spalle. << Non sto aiutando nessuno, infatti. È un lavoro che mi è stato commissionato con un adeguata retribuzione >>.

“Ah, ecco”. Ora era tutto più chiaro: non era da Viper fare qualcosa senza ricevere in cambio qualcos’altro, di solito soldi o oggetti costosi.
La sua avidità e il suo attaccamento al denaro sapevano essere davvero spaventosi a volte; per questo non era mai consigliabile scommettere con lei o giocarci a carte. Tendeva a ripulire il suo avversario e Belphegor l’aveva sperimentato di persona, nonostante anche lui fosse un abile giocatore.
<< E io ci guadagno in tutta questa storia? >>. Viper non era di certo l’unica a fare niente per niente.
Lei gli si avvicinò, sicura e minacciosa, e si fermò a un passo da lui. << Se non mi aiuti, io racconterò al Boss di quando ti sei intrufolato in camera sua, hai letto i suoi fumetti senza permesso e ne hai rovinato uno, strappandone una pagina. Sarà sicuramente felice di sapere chi è stato a fargli sparire quel volume: lui è ancora convinto di averlo perso. Pensa alla sua gioia quando potrà punirti… >>.
Il principino deglutì a vuoto e sentì un brivido di paura scendergli lungo la schiena.
Come faceva Viper ad essere a conoscenza di una cosa del genere? Se l’avesse detto al Boss, Bel poteva considerarsi spacciato: il moro gliel’avrebbe fatta pagare cara.
“Merda!” imprecò nella sua mente, “brutta stronza subdola e manipolatrice!”.
<< Tsk! E va bene >> sputò fuori rassegnato, << non mi sembra di avere scelta >>.
Lei affilò lo sguardo e gli angoli delle sue labbra si piegarono all’insù. << Infatti non ce l’hai >>, poi lo superò, iniziando a camminare, << ora muoviti: non ho tutto il giorno >>.
 
 
Arrivati in camera di Viper, la ragazza si legò i capelli con un fermaglio e lanciò un’occhiata a Bel, prima di recuperare gli oggetti che le servivano.
<< Spogliati >> gli ordinò con voce piatta.
<< C-che? >> fece di rimando lui. “Ma davvero vuole che la aiuti? Non è che mi ha invitato qua per fare sesso?”.
Lei sollevò un pezzo di stoffa color azzurro tenue senza forma. << Devi metterti questo: è il costume del protagonista >>.
Chiarito il dubbio, il biondino si tolse maglione e maglietta e rimase a torso nudo.
Viper tirò fuori un altro pezzo di stoffa con due lunghe protuberanze. << Anche i pantaloni >>.
Da dietro la frangia, Belphegor aggrottò le sopracciglia, ma obbedì e si liberò di jeans e scarpe. Subito dopo dovette afferrare i costumi ancora incompleti che lei gli lanciò senza alcuna delicatezza e li indossò con attenzione, soprattutto perché non capiva bene come andassero messi.

Poi Viper gli si avvicinò e prese a lavorare agli abiti, misurando, controllando, cucendo e scucendo.
<< Non sapevo che sapessi cucire >> disse all’improvviso Bel, mentre se ne stava immobile, in piedi al centro della stanza.
Lei, accovacciata per controllare la lunghezza del pantalone, sollevò lo sguardo per un momento. << Ci sono tante cose che non sai di me, principino >>.
Lui sbuffò, irritato. Odiava essere chiamato “principino”. Anzi odiava tutti i diminutivi, i suffissi e i nomignoli di ogni genere e lei lo sapeva benissimo.
<< Già… beh, non credere che mi interessi sapere qualcosa di te! Solo… non me l’aspettavo, tutto qua >>.
<< Non c’è bisogno di scaldarsi: non penserò certo che tu sia interessato a me >> replicò lei, alzandosi e spostandosi dietro di lui.
<< Tsk! Come se potesse interessarmi una come te! >> sbottò lui con foga. Nel farlo si mosse e venne punto da un ago. << Ahia! >>.
<< All’inizio ti avevo detto di fare attenzione e di non muoverti >> lo anticipò lei, desiderosa di evitare qualsiasi capriccio e lamentela, << quindi non lamentarti >>.
Belphegor s’ingoiò la risposta e rimase in silenzio. Dato che lei era “armata”, provocarla non era forse l’idea migliore.
Dopo qualche minuto di silenzio, però, si sentì toccare il fondoschiena e parlò senza pensare. << Ehi! Giù le mani dal mio sedere! >>.
Viper, ancora dietro di lui, ridacchiò. << Sedere? Quale sedere? Qui non c’è niente >> lo prese in giro, dandogli una pacca proprio in quel punto, << dovresti mettere su peso: sei troppo magro >>.
<< Hai detto che la mia corporatura andava bene >> gli fece notare lui, piccato.
<< Questo perché il protagonista è come te e infatti, siete tutti e due troppo magri >>.
<< E che mi dici di Squalo? Non volevi che fosse lui a farti da modello? >>.
Lei si spostò e gli si mise davanti. << Lui ha un fisico simile, ma ha sicuramente più muscoli di te >>.
L’altro digrignò i denti, sempre più irritato. Come osava metterlo a confronto con un idiota come Squalo? Lui era Belphegor! Un nobile di sangue blu con il quoziente intellettivo più alto di tutti!
<< Io sono molto più intelligente di lui! >> replicò arrogante, << non ho bisogno di muscoli, a differenza di un buono a nulla come quello >>.

Viper sistemò un bottone del costume e sollevò poi lo sguardo sul ragazzo. << Ooh, non dirmi che il principino è geloso >>.
Bel spalancò la bocca e sgranò gli occhi: anche se lei non poteva vederli a causa dei capelli, poteva ben immaginare la sua espressione.
Gli passò una mano sul volto e gli sollevò la frangia, scoprendo un paio di occhi grandi e azzurri che la fissavano con un misto tra irritazione, imbarazzo e un leggero istinto omicida.
<< Tranquillo, principino, giocare con te è molto più divertente che passare del tempo con Squalo >>. Dopo di che avvicinò le labbra alle sue e le sfiorò in un bacio talmente leggero che sarebbe potuto sembrare un’illusione.
Quando Bel, sempre più confuso e sorpreso, la guardò, vide la sua bocca piegarsi in un ghigno che niente aveva da invidiare ai suoi e a quelli del Boss.
A quanto pareva, trascorrere gran parte delle sue giornate con i Varia aveva trasformato Viper in una ragazza ancora più furba e manipolatrice di quanto non lo fosse già.
Del resto, se c’era qualcosa che lei trovava soddisfacente e appagante quanto fare soldi, quella era di sicuro far penare Bel.
“Ora capisco perché il Boss si diverte tanto a tormentare Squalo” pensò, osservando la maschera di incredulità e imbarazzo che era il volto del biondino in quel momento. “Ci sarà da divertirsi”.







Oh, Viper, hai imparato bene dal Boss XD beh, che dire, siamo arrivati al capitolo numero 16 e finalmente (si fa per dire) Squalo ha ottenuto una pseudo risposta da Xanxus.... probabilmente tutti voi avete pensato al peggio dopo la conlusione del cap precedente u.u ma non vi posso biasimare... del resto il Boss è imprevedible quando si tratta di certe cose e sarebbe potuta finire male, ma l'amore (?) ha prevalso >.< ormai neanche Xanxus può più fingere di non tenere a Squalo, anche se ovviamente non gli avrebbe mai  potuto dire qualcosa di sdolcinato: sarebbe stato troppo OOC...  e devo dire che non è stato facile trovare la frase giusta da fargli dire: spero che vi sia piaciuta la mia soluzione ^^ infine l'extra: è stata un'ideuzza venuta così, soprattutto xkè gli altri personaggi non si vedevano da un po' e ho pensato di metterci dell'het (la prima volta che scrivo qualcosa di non yaoi u.u), spero che anche qst sia stato di vostro gradimento <3
ringrazio come sempre tutti quelli che commentano e seguono la storia e ricordo che un commento è sempre gradito: anke solo 2 righe x far felice una povera scrittrice ^^
baci e alla prossima!

 

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Capitolo 17
*** 17-L'inizio della fine ***


L'inizio della fine

 




La prima cosa che percepì quando si svegliò fu una strana sensazione di pesantezza sul petto. Convinto di essere ancora nel mondo di sogni, si sforzò di aprire gli occhi e una volta messo a fuoco, vide una massa scompigliata di capelli argentati a pochissimi centimetri dal viso.
Appena si rese conto di cosa stava vedendo, il suo sguardo si fece sorpreso: Squalo dormiva placidamente con la testa poggiata sulla sua spalla, le lunghe ciglia che gli ornavano gli occhi chiusi e le ciocche sudate attaccate alla fronte.
Immobile, Xanxus lo osservò: le labbra erano leggermente schiuse, le guance ancora leggermente arrossate e un braccio poggiava morbido sul suo addome, mentre il suo respiro leggero gli solleticava la pelle.

Era… bello. Non si sarebbe mai immaginato di poter avere un simile pensiero, eppure il Boss si ritrovò davvero a pensare a quanto Squalo fosse attraente e se ne soprese.
Senza accorgersene, respirò piano, come se temesse di svegliarlo e sentì il calore dell’altro invaderlo con dolcezza, alla pari del piacere di scaldarsi davanti a un camino in una fredda giornata invernale.
Buona parte del corpo di Squalo era attaccato a quello del moro e questi non poté evitare di notare quanto la sua pelle fosse morbida, nonostante i muscoli; in un modo quasi assurdo era come quella delle tante ragazze che il Boss aveva stretto tra le mani.

Xanxus continuò ad osservarlo, chiedendosi come quel ragazzo, entrato d’un tratto nella sua vita, fosse riuscito a sconvolgergliela del tutto.
Prima di Squalo non avrebbe mai portato qualcuno in quell’appartamento di cui neanche gli altri Varia erano a conoscenza e non avrebbe mai neanche lasciato che un semplice partner sessuale lo condizionasse così tanto nei suoi pensieri e nelle sue scelte.
Un leggero sospiro gli uscì dalla bocca e il suo sguardo vagò per la stanza, per poi cadere casualmente sull’orologio appeso alla parete di fronte al letto: segnava le 20:02.
“Merda, abbiamo dormito per quasi quattro ore!”, ma visto tutto il sesso che avevano fatto, si disse che non era affatto strano che fossero crollati.

Dopo il primo round in bagno erano passati alla camera da letto e lì avevano consumato la loro passione più volte, cercandosi e prendendosi come se non ci fosse stato nient’altro che loro due in tutto l’universo.
Avevano fatto alcune pause per mangiare e recuperare le energie, ma non erano riusciti a trattenersi e a starsi lontani, troppo presi da loro stessi e dal desiderio che li divorava come una fiamma inestinguibile.
Ciononostante, risvegliarsi vicino a Squalo che gli dormiva accanto con aria innocente gli fece provare qualcosa di strano e sconosciuto all’altezza del petto e si convinse sempre più che c’era davvero qualcosa che non andava in lui.
 
 
 
 
************
Alle otto di sera era difficile incontrare qualcuno nella biblioteca della Galilei: la maggior parte degli studenti che vi aveva studiato nel pomeriggio era tornata in camera e molti erano già a mensa per la cena.
A differenza dei ragazzi, gli insegnanti potevano accedervi fino a tarda sera se ne avevano necessità e quando Verelli entrò per controllare alcuni libri, incontrò gli ultimi ritardatari che si apprestavano ad uscire.  Lo salutarono educatamente e lui rispose con altrettanta cortesia, pur sapendo quanto non fosse di certo un professore molto amato: gli studenti lo reputavano troppo severo e intransigente e lui era perfettamente consapevole di questa nomina. Ma Verelli amava davvero il suo lavoro e se si comportava in un certo modo con i suoi allievi, lo faceva solo per il loro bene e per formarli ed educarli nel modo migliore possibile.

Anche se poi si trovava ad avere a che fare con gentaglia come i Varia e Xanxus, soprattutto. L’idea che in un’Accademia prestigiosa come quella potessero studiare certe persone solo perché figli di gente ricca e potente lo faceva infuriare fin nel profondo dell’animo. Per non parlare del suo odio personale contro Xanxus, un ragazzino crudele, borioso e strafottente che gli aveva rovinato la vita. Quasi ogni giorno era costretto  a vederlo a lezione e ogni volta non poteva impedirsi di covare un profondo rancore.

I suoi pugni si strinsero con rabbia, mentre, preso da questi pensieri, si dirigeva verso lo scaffale con i libri che gli interessavano. Fu allora che sentì dei suoni provenire da un punto lì vicino; si fermò e si mise in ascolto fino a che non riuscì a cogliere delle voci che però non riconobbe.
Chi c’era? Pensando che fosse rimasto ancora qualche studente, si avvicinò per controllare, ma ciò che vide lo colse del tutto impreparato.
Seminascosti in un angolo, due studenti erano uniti in un abbraccio fin troppo intimo: si baciavano, toccavano e accarezzavano, lasciando che  le mani e le bocche vagassero con foga sui loro corpi.

Se ciò lo sorprese, quello che venne dopo lo sconvolse e turbò: la persona di spalle rispetto a lui si inginocchiò davanti al ragazzo poggiato a sua volta alla parete e, anche se Verelli non poteva vederli bene, furono sufficienti i rumori osceni che sentì per fargli capire cosa stava succedendo.
Ma fu il riconoscere gli studenti subito dopo a paralizzarlo sul posto e a lasciarlo annichilito. I suoi occhi si sgranarono, mentre riconoscevano Superbi Squalo fare un servizietto a Xanxus.
Tutto era accaduto in alcuni istanti, ma a Verelli sembrò che il tempo scorresse a rallentatore e che i gemiti e i sospiri si amplificassero.

Pochi istanti dopo Xanxus infilò le dita tra i capelli dell’altro e sollevò lo sguardo, incrociando quello dell’uomo a neanche una decina di metri da loro. Da quella posizione entrambi poterono guardarsi, nonostante l’illuminazione debole; Verelli sentì il suo corpo irrigidirsi ancora di più, come se fosse stato lui quello beccato a fare qualcosa di proibito, mentre il volto del moro non mostrò alcuna sorpresa, anzi, si illuminò di una luce sadica e le sue labbra si curvarono in un sorriso freddo e diabolico.
Sapendo che Squalo era troppo impegnato per accorgersi di qualcosa, il Boss si portò un dito al volto e, sempre ghignando, rivolse a Verelli il gesto di fare silenzio.

L’insegnante rimase a fissarli, immobile, senza sapere come reagire, paralizzato in ogni fibra del suo essere. Nonostante fosse lui l’adulto della situazione e per di più un loro professore, la situazione a cui stava assistendo gli sembrò così assurda e inverosimile che non riuscì a muovere un muscolo.
Non tanto perché erano due maschi, ma quanto e soprattutto perché erano Xanxus e Squalo: di tutte le persone che avrebbe mai potuto sospettare di avere un simile rapporto, loro due erano di certo gli ultimi.

Non solo il moro erano famoso in tutta la scuola anche per il suo essere un playboy che si portava a letto tutte le ragazze che glielo chiedevano, ma Verelli stesso, come tanti altri, non aveva dimenticato la rissa che li aveva avuti come protagonisti.
Eppure Squalo era rimasto nei Varia e adesso Verelli capiva il perché. Ma continuava a non credere ai suoi occhi.
Dato il suo ruolo, avrebbe dovuto fermarli e fare rapporto al Preside, invece, nell’istante in cui capì di non riuscire più a guardare, si voltò e uscì rapido dalla biblioteca.
 
 
 
<< Perché quel ghigno? >> domandò Squalo, dopo essersi ripulito alla bell’e meglio. Fissò Xanxus con sguardo perplesso, ma l’altro si limitò a sorridere con l’aria di chi stava pianificando qualcosa di machiavellico.
<< Non ti riguarda >> disse in un sussurro; poi prese il volto dell’argenteo con un mano e, dopo averlo attirato a sé, lo baciò con sensualità, infilandogli subito la lingua in bocca e dando vita a un eccitante e umido gioco a due.
Il Boss ghignò nel bacio, pregustando già la riuscita del piano che prendeva forma nella sua mente.
 
 
 
********
Verelli sospirò per l’ennesima volta, mentre si dirigeva in classe. Quel giorno, come ogni mercoledì alle 11:00, aveva lezione di fisica nella classe di Xanxus e il solo pensiero di ritrovarselo davanti dopo quello a cui aveva assistito lo rendeva inquieto.
Entrambi sapevano e il fatto che quella sera di due giorni prima il moro avesse quasi voluto sfidarlo col suo gesto arrogante rendeva imbarazzante tutta quella situazione. Almeno per il professore.
Ma neanche nelle sue peggiori previsioni Verelli avrebbe immaginato ciò che trovò una volta entrato in aula.

Sulla cattedra faceva bella mostra di sé una dozzina di dvd porno gay, le cui custodie mostravano uomini nudi e muscolosi in posizione oscene e ammiccanti, mentre, sulla lavagna dietro, un messaggio a caratteri enormi era diretto proprio all’insegnante.
“Caro prof. Verelli, se le piace guardare, dia un’occhiata a questi e si diverta”.
Sotto la scritta era stata disegnata una freccia che indicava i dvd.
L’uomo li guardò e lesse il messaggio e sentì la rabbia crescere ad ogni secondo. Non ebbe neanche bisogno di pensare per sapere chi fosse l’autore, ma i suoi occhi corsero subito a Xanxus che, seduto in ultima fila, lo fissava con un sorrisetto compiaciuto.

Si guardarono per lunghi secondi, mentre il resto della classe tratteneva a stento le risate, con risultati davvero scarsi.
Il desiderio di prendersela fisicamente con Xanxus colpì Verelli con forza, come un uragano che si abbatte su un edificio.
Lo aveva umiliato! Lì, nella sua classe davanti ai suoi studenti!
Strinse violentemente i pugni e dovette fare un enorme sforzo per non dare in escandescenza. Sapeva che, se l’avesse fatto, non solo si sarebbe umiliato ancora di più, ma avrebbe dato a Xanxus una soddisfazione maggiore.
Fu questo pensiero a dargli la forza per calmare l’ira che minacciava di esplodere. Posò i libri sulla cattedra, spostò i dvd di lato senza però toglierli e si sedette, incrociando le mani davanti a sé.

<< Non vi chiederò di dirmi chi è stato, anche perché non è difficile immaginarlo >>, i suoi occhi si posarono per un attimo su Xanxus, << ma dato che vi siete divertiti, ora faremo un bel compito in classe >>.
Si levarono lamenti di protesta che Verelli ignorò bellamente e iniziò subito a dettare le domande improvvisate sul momento.
Per tutto il tempo, anche mentre rispondeva al test, Xanxus non si tolse mai il ghigno dalla faccia e l’odio di Verelli crebbe ad ogni secondo.
 
 
 
*********
Quando venne convocato in vicepresidenza, Xanxus non fu affatto sorpreso di trovarvi Verelli che lo fissava con astio.
Erano passati due giorni da quando aveva organizzato lo scherzo dei dvd porno e la notizia aveva fatto il giro della scuola in poche ore. Tutti ne parlavano, tirando fuori le teorie più disparate e tutti sapevano che il Boss dei Varia era l’autore.
Autore ancora divertito, grazie soprattutto alla potenza del pettegolezzo e del passaparola che aveva alimentato il fatto, anche se ovviamente nessuno aveva osato accusarlo.

Il moro varcò la soglia dell’ufficio con passo calmo e sicuro, le labbra già curvate in un sorrisetto. Senza attendere che l’altro parlasse, si sedette sulla sedia davanti alla scrivania e accavallò le gambe con nonchalance. Vide lo sguardo di Verelli affilarsi ancora di più e le sua mani che quasi tremavano dalla rabbia.
Xanxus sapeva quanto l’uomo lo odiasse, ma la verità era che non gli importava affatto, così come non gli interessavano le conseguenze delle sue azioni. Lui era figlio del Boss dei Vongola e nessuno in quell’Accademia, neanche il Preside, avrebbe mai potuto fargli qualcosa.
Perciò fissò l’insegnante con occhi di sfida e incrociò le braccia sul petto.

Erano da soli in quell’elegante stanza che Verelli aveva chiesto in prestito al Vicepreside, dato che non voleva che altri sentissero i loro discorsi e fu lui a prendere la parola con voce ferma.
<< Sappiamo entrambi perché sei qui, Xanxus, quindi direi che è meglio evitare inutili giri di parole >>.
<< Se voleva evitare le cose inutili, avrebbe dovuto risparmiarsi la fatica di farmi chiamare >> replicò subito il moro.
Ogni cosa in lui, dal tono alla sguardo all’atteggiamento, emanava arroganza e superbia e ogni sua parola diventava una sfida a chi lo ascoltava.

Verelli lo sapeva, eppure non riusciva ad accettare che un ragazzo di diciassette anni, anche se figlio di un uomo potente, si comportasse come se fosse lui a comandare. Era solo uno studente! Avrebbe dovuto portare rispetto e invece lo pretendeva soltanto, infischiandosene degli altri.
L’insegnate storse la bocca, ma non rispose alla provocazione.
<< Già. Immagino che per te organizzare stupidi scherzi sia un modo migliore per passare il tempo >>.
Xanxus scrollò le spalle. << Non so di cosa stia parlando >>.
L’uomo fece una risata amara e fredda. << Non immaginavo certo che avresti confessato >>.
<< Allora non capisco il motivo della mia presenza qua: se vuole accusarmi di qualcosa, dovrebbe prima procurarsi delle prove >>:
<< Sono d’accordo, ma purtroppo per me, tu sei troppo bravo a non lasciare alcuna prova della tua colpevolezza >>, Verelli poggiò la schiena alla poltrona, << del resto, considerando di chi sei figlio, la cosa non mi sorprende. È stato tuo padre a insegnartelo? >>.

Il ragazzo ghignò e scosse piano la testa. “Ingenuo…”. Se pensava che tirando in ballo il vecchio, l’avrebbe provocato in qualche modo, si sbagliava di grosso. Per quanto lo riguardava, poteva anche insultarlo: lui non si sarebbe certo indignato o offeso.
Verelli stava decisamente abbaiando all’albero sbagliato.
<< Le ripeto che non so di cosa stia parlando, prof. >>.
L’altro sospirò, ma non si arrese. In qualche modo lo avrebbe fatto cedere e confessare: lui era pur sempre un insegnate e Xanxus solo un moccioso pieno di sé. Doveva semplicemente trovare il tasto giusto da premere.
<< E se chiedessi al tuo amico Squalo? Lui saprebbe dirmi qualcosa a riguardo? >>.
Il moro fu abbastanza abile da non mostrare alcuna reazione, neanche un guizzo d’occhi, ma il sentir nominare Squalo lo mise in allarme.

Da quando si preoccupava così tanto della feccia? Irritato, imprecò mentalmente, ma continuò a fissare Verelli con aria indifferente.
<< Può fare quello che Le pare, sinceramente non mi frega un accidente di tutta questa storia >>.
L’uomo si staccò dalla poltrona e poggiò il mento sulle mani intrecciate. << Oh, davvero? Pensavo che tra voi due ci fosse un rapporto, come dire… speciale >>.
Xanxus scoppiò in una risata che fece sgranare gli occhi a Verelli. << Speciale? Cosa c’è di speciale nel fatto che scopiamo? È solo un modo per divertirsi. Non siamo certo una coppia o cazzate simili >>.
Ben consapevole che l’altro li aveva visti, capì che era perfettamente inutile fingere o negare: se avesse mostrato il desiderio di evitare l’argomento o dato l’impressione di voler proteggere Squalo, avrebbe solo fatto il gioco di Verelli.
Tanto valeva dire le cose come stavano: del resto non gli importava nulla di essere stato scoperto a fare sesso con Squalo e il doverlo confermare a parole gli risultava insignificante.

L’insegnante lo guardò con aria confusa e sorpresa: era convinto che, parlando di Squalo, Xanxus avrebbe reagito, invece il suo atteggiamento strafottente e menefreghista non era stato scalfito. O era un attore da Oscar o il suo disinteresse era terribilmente sincero.
Non seppe cosa replicare e rimase in silenzio per lunghi secondi, mentre un ghigno si apriva sul volto del ragazzo.
<< Non posso davvero credere che Lei volesse usare Squalo per… cosa? Ricattarmi? Convincermi a confessare chissà che? >>, liberò le braccia e chinò il busto in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, << pensava sul serio che una qualunque delle sue minacce avrebbe avuto effetto? Questo è davvero patetico. Persino per Lei. >>.

Verelli scattò in piedi, il volto deformato dalla rabbia. << Come osi, moccioso? >> sbraitò, i pugni stretti e gli occhi sbarrati, << sei solo un ragazzino stronzo e crudele che pensa di essere migliore degli altri, ma in realtà non vali niente! >>. La voce gli tremava, così come il suo corpo, mentre l’odio che aveva covato e tenuto a freno per tanto tempo chiedeva con forza di uscire fuori.
E Xanxus sembrava fare di tutto per gettare benzina sul fuoco. << Beh, preferisco essere un ragazzino stronzo e crudele che un tipo penoso e insignificante come Lei: fa schifo come insegnante e di sicuro doveva far schifo anche come padre, vista la fine che ha fatto suo figlio >>.
<< Tu hai ucciso mio figlio! >> gridò Verelli in preda alla furia, << è tutta colpa tua se è morto! >>.

Gli occhi dell’altro si affilarono e il volto si fece ancora più serio. << Si è suicidato >> replicò il moro, come se questo ponesse fine alla discussione.
<< Perché tu l’hai tormentato! Gli hai reso la vita un inferno! >> continuò l’uomo che ormai non cercava più di trattenere né la voce né la rabbia.
<< Suo figlio era un debole e ha fatto quello che fanno tutti i deboli: prendere la via più facile. Non sono certo stato io a spingerlo giù dal balcone >>.
<< Non sarebbe arrivato a tanto se tu l’avessi lasciato in pace! >>.
<< Tsk! >>. Stufo di quell’inutile discussione, Xanxus si alzò in piedi e lanciò a Verelli lo sguardo più freddo e tagliente del suo repertorio. << Questa pagliacciata mi ha rotto le palle. Non mi frega un cazzo né di Lei né di suo figlio né tantomeno dei suoi patetici tentativi di vendicarsi >>. Si voltò e uscì dall’ufficio, lasciando l’insegnante alla sua disperazione.
 
 
 
 
*********
<< Cazzo! >>. Seduto in classe, Squalo imprecò sottovoce per la terza volta in un paio di minuti. L’ennesima fitta di dolore al sedere e alla schiena lo colpì con violenza e gli fece mordere le labbra.
“Quel dannato figlio di puttana!” ripeté nella sua mente, ripensando a Xanxus e a ciò che era successo la sera prima.

Dopo non essersi fatto vedere per un giorno intero, il moro era spuntato all’improvviso con una faccia che non prometteva nulla di buono, l’aveva trascinato nella sua stanza e l’aveva scopato con rabbia, prendendolo come se volesse sfogarsi su di lui.
Gli aveva fatto male.
E anche se Squalo aveva cercato di fermarlo, non aveva potuto fare niente e alla fine era stato costretto a cedere.
Gli occhi rossi del Boss, di solito languidi di piacere in quei momenti, erano rimasti freddi e crudeli per tutto il tempo, come se non vedessero neanche Squalo, ma fossero ancorati a qualcosa che lo faceva infuriare.
“Sta’ zitto e lasciati scopare!” gli aveva detto con la voce ridotta a un ringhio feroce, quando l’altro aveva provato a divincolarsi dalla sua presa per l’ennesima volta.
Vedere il moro in quello stato, soprattutto mentre facevamo sesso, aveva fatto provare a Squalo un nuovo tipo di paura che non aveva mai sperimentato prima: la paura del dolore, di farsi male, di soffrire.
Nonostante tutto però, non era riuscito a negarsi e aveva finito per sopportare.
Aveva capito che il Boss non stava bene, ma nemmeno una volta finito, gli aveva chiesto spiegazioni: sapeva che non le avrebbe ottenute.
 
Si portò una mano alla schiena e si massaggiò dove gli faceva male, la mente che continuava a rivivere quei ricordi.
“Che diavolo gli è preso?”. Sospirò, confuso e guardò fuori dalla finestra dell’aula.
Dopo quello che Xanxus gli aveva fatto, avrebbe dovuto odiarlo, invece, non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui.
“L’amore fa schifo…”.
 
 
 
**********
<< Boss! Hey, Boss, mi stai ascoltando? >>.
Lussuria dovette sventolargli una mano davanti al volto per riscuoterlo e riportarlo alla coscienza di sé.
Xanxus sbatté le palpebre e lo fissò. << Che vuoi? >>.
L’altro sbuffò con aria offesa. << Stavo dicendo: perché Squaletto non si è seduto con noi? >>.

Gli occhi di tutti i Varia si puntarono sul tavolo dove Squalo, Dino e altri ragazzi stavano pranzando tranquillamente.
<< Tsk! Che vuoi che ne sappia io! >>. In verità lo sapeva o almeno poteva immaginarne la causa. Lanciò un altro sguardo in sua direzione e proprio allora vide Squalo colpire la spalla di Cavallone con un leggero pugno e poi sorridere.
Emise uno sbuffo più simile a un ringhio e tornò a concentrarsi sul piatto di pasta davanti a sé.
Quella mattina Squalo non aveva fatto in tempo a riprendersi e aveva saltato la colazione, mentre ora, a pranzo, si era seduto al tavolo di Dino e non aveva degnato i Varia di uno sguardo.
Di solito Xanxus gli avrebbe fatto pagare un simile comportamento, ma dopo quello che era successo la sera prima, si disse che era meglio lasciar perdere.

Sapeva di avergli fatto male: l’aveva visto nei suoi occhi pieni di lacrime, l’aveva sentito nelle sue grida che lui aveva cercato di zittire in tutti i modi e l’aveva rivisto la mattina dopo, nei segni violacei che macchiavano il suo corpo.
Ma aveva dovuto aspettare che la rabbia si placasse per rendersi conto di quello che aveva fatto. Era stato troppo furioso, troppo preso da sé stesso e dal suo violento bisogno di non pensare. Aveva desiderato annegare in qualsiasi cosa gli rendesse tutto più facile e il sesso e il piacere gli erano sembrati la soluzione migliore.
E anche se in effetti, dopo, si era sentito meglio, adesso provava uno strano senso di disagio che non riusciva ad identificare e questo non faceva che innervosirlo ancora di più.
 
 
 
 
“Ho bisogno di parlarti. Vediamoci ‘sta sera alle 10, nella rimessa. Squalo”.
Xanxus rilesse il messaggio più e più volte, mentre le sicurezze sulla salute mentale della feccia scemavano vertiginosamente.
Primo: che razza di persona scriveva ancora i bigliettini nel 21° secolo?
Secondo: se Squalo doveva parlargli, non avrebbe semplicemente potuto dirglielo in faccia? E terzo: perché cavolo aveva scelto un posto isolato come la rimessa?
La faccenda gli puzzava.
Aveva trovato il biglietto di carta sul suo banco, in classe, alla fine delle lezioni pomeridiane e anche dopo averlo letto, non era sicuro di cosa pensare.
Non avendo mai visto la calligrafia di Squalo, non era in grado di dire se quella scrittura fosse la sua o meno e tra l’altro gli sembrava comunque assurdo che si mettesse ad organizzare simili strategie. Era il tipo schietto e diretto che non si faceva problemi a dire le cose in faccia alla gente e questa era una delle sue (poche) qualità che Xanxus aveva apprezzato e odiato allo stesso tempo.
Eppure…
Il Boss si mise il foglietto in tasca e sbuffò, infastidito.
Qualunque fosse il motivo di quella trovata intendeva scoprirlo, pur trovando il tutto un’enorme scocciatura.
 
 
 
 
La rimessa si trovava nella zona nord dell’Accademia, lontano dagli edifici principali. Era una specie di capannone tanto grande da poter accogliere sei automobili parcheggiate e veniva utilizzato come deposito dallo staff dei giardinieri. Agli studenti era proibito accedervi, soprattutto per la pericolosità di attrezzi e strumenti come tagliaerba, cesoie, lame e di prodotti infiammabili quali pesticidi e simili.

Perciò quando Xanxus la raggiunse alle dieci di sera, non si sorprese di trovarla buia e deserta.
Lesse un’ultima volta l’ora sul cellulare e si diresse verso la porta. Convinto di trovarla aperta, entrò dentro: l’intero locale era scuro, eccetto per la tenue luce lunare che entrava dalle finestre poste in alto lungo il perimetro rettangolare.
La faccenda gli puzzava sempre di più.
Il brutto presentimento che aveva avuto fin dall’inizio non aveva fatto altro che aumentare e ora, mentre i suoi piedi avanzavano, diventava una certezza.
Al 99% tutta quell’assurda faccenda era una dannatissima trappola e anche se il sospetto era stato forte, non era riuscito a tirarsi indietro.
Sarebbe dovuto andar via. Avrebbe dovuto ignorare il biglietto, ma l’idea che qualcuno si fosse adoperato così tanto per organizzargli un agguato risvegliava la parte più selvaggia e feroce del suo subconscio e Xanxus voleva sapere.

Anche se non si sarebbe detto ad una prima occhiata, il moro era un tipo curioso. Il vero problema era che, di solito, le cose che  stuzzicavano la sua curiosità si rivelavano pericolose.
Ma, a conti fatti, il Boss era talmente arrogante e sicuro di sé da non temere niente e nessuno; anzi, se non era troppo impegnato ad impigrirsi da qualche parte, preferiva il rischio.
E quindi rischiò.
 
 
 
Si allontanò dalla porta e procedette verso il centro del capannone, i sensi all’erta. Dato che la luce era troppo debole per consentirgli una visione chiara, fu costretto ad affidarsi all’udito e tese le orecchie nel tentativo di cogliere qualsiasi rumore.
Dopo lunghi momenti di assoluto silenzio sentì il chiaro suono di passi in avvicinamento e di un respiro pesante provenire da destra. Si voltò e avanzò di alcuni passi.
I suoni si fecero più forti, ma i suoi occhi non riuscivano a vedere nulla.
Solo quando fu talmente vicino alla fonte dei rumori da capirne l’origine, capì di essere stato fregato.
Non fece neanche in tempo a reagire che qualcosa lo colpì violentemente alla testa.
Il dolore lancinante fu tutto ciò che percepì prima di perdere i sensi.
Poi il nulla.
Accanto a lui comparve un’ombra e ai suoi piedi, da un telefonino lasciato per terra proveniva ancora la registrazione con i finti suoni di passi e respiri.
 
 
 
Uscito dalla doccia, Squalo si guardò allo specchio: lividi e morsi rossi che avevano sanguinato la sera prima macchiavano la sua pelle chiara.
Grugnì, arrabbiato e si rivestì. Nel mettersi la maglietta non poté evitare di osservare i polsi cerchiati da una spessa linea violacea: Xanxus gliel’avevi stretti talmente forte da lasciargli quei segni.
“Che pezzo di merda!”. Non aveva rivolto la parola al moro per tutto il giorno e si era anche seduto al tavolo di Dino, ignorando tutti i Varia.
Non voleva affrontarlo, ma una parte di lui voleva parlarci e scoprire il motivo del suo gesto. Perché sapeva che c’era un motivo.
Un’altra parte ancora voleva pestarlo a sangue e fargli implorare pietà.
Nonostante avesse fatto chiarezza nei suoi sentimenti, era sempre più difficile gestire le proprie emozioni.

Sbuffò e uscì dal bagno. Dino era perso nella rivista che stava leggendo e nelle musica nelle orecchie.
Senza pensarci, Squalo aprì la porta e si ritrovò in corridoio. Prima che potesse anche solo riflettere, i suoi piedi lo condussero verso la stanza di Xanxus e quando vi fu davanti, si fermò.
“Che cazzo ci faccio qua?”. Si odiò perché voleva vederlo, abbracciarlo, baciarlo, anche se lui l’aveva preso con la forza, quasi alla stregua di uno stupro.
Girò i tacchi e si allontanò, ma proprio mentre ripercorreva la strada inversa, vide Lussuria venire verso di lui.
<< Squaletto, che ci fai qua? >> gli chiese quello con tono sorpreso.
<< Beh… ecco… >>, non poteva certo dirgli che era venuto fin là per parlare con Xanxus.
<< Non eri con il Boss? >>.
Squalo aggrottò le sopracciglia, confuso. << Eh? Perché dovrei essere con lui? >>.
<< Prima l’ho visto uscire e mi ha detto che doveva incontrarsi con te >>.
<< Cosa?! >>. Di che diavolo stava parlando?
<< Non vi siete dati appuntamento? >> continuò Lussuria.
L’argenteo sgranò gli occhi e arrossì involontariamente. << Voooooooi! Che cazzo ti salta in mente?! Non avevamo nessun appuntamento! >>.
L’altro dischiuse la bocca e si fece pensieroso. << Ma allora dov’è andato il Boss? >>.
Il cuore di Squalo perse un battito. Che razza di storia era quella? << Non ti ha detto nient’altro? >>.
Lussuria scosse la testa. << No. Gli ho chiesto dove stesse andando e lui mi ha solo detto che dovevate vedervi, ma se n’è andato prima che potessi chiedergli altro >>.

Squalo sentì un brivido di preoccupazione lungo la schiena. Non sapeva perché, ma aveva un brutto presentimento.
Tornò indietro ed entrò nella stanza del Boss: come si aspettava, era vuota. Frugò in giro alla ricerca di qualche indizio e non passò molto prima che trovasse ciò che gli interessava.
Afferrò il biglietto dal cassetto della scrivania e nel leggerlo, il brutto presentimento si rafforzò dolorosamente.
Ho bisogno di parlarti. Vediamoci ‘sta sera alle 10, nella rimessa. Squalo.
 
“Che cazzo di scherzo è questo? Io non ho mai scritto niente del genere!”.
Dietro di lui sentì Lussuria trattenere il respiro. << Che significa? >> domandò, continuando ad osservare il messaggio da sopra la spalla di Squalo.
L’argenteo prese il cellulare dalla tasca e provò a chiamare Xanxus, ma entrò subito la segreteria telefonica.
<< Merda! >> imprecò tra i denti. Lesse poi l’ora sul display: le 22:30.
Era già passata mezz’ora!
Si fiondò fuori dalla stanza, ignorando la voce di Lussuria che lo richiamava indietro e corse per i corridoi. Raggiunse l’uscita del dormitorio e continuò a correre verso la rimessa, con la paura che gli metteva le ali alle gambe.









Buonsalve, gente!! Eccomi tornata con il terzultimo capitolo di questa fic ^^ eh già, ormai siamo quasi alla fine e dato che gli ultimi due capitoli sono quasi pronti gli aggiornamenti saranno a breve, perciò prima della fine del mese potrete leggere la conlusione :D non so se essere felice o triste per questo, ma questa storia meritava una fine come si deve (?)... ho riflettuto a lungo - per mesi - su come dovesse concludersi e fino a qualche settimana fa avevo stabilito un finale che poi però ha subito una variazione drastica (ma che leggerete nel prossimo u.u). In questo cap, diciamo che c'è una sorta di preparazione al climax finale ed è stato abbastanza strano scriverlo, soprattutto perchè diverso da tutto quello che ho scritto finora ^^ ma mi ritengo abbastanza soddisfatta e spero che sia piaciuto anche a voi <3 non dirò nient'altro a riguardo, ma vi chiedo di dirmi tutto quello che pensate (anche solo che fa schifo XD), perciò mi auguro che commentiate in tanti <3 davvero, gente, siete in tanti che seguite questa storia e io sono felicissima, ma lo sarei ancora di più se mi scriveste la vostra opinione >.<
ho già detto troppo però e quindi vi saluto! un bacione enorme e a presto!

 
 
 

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Capitolo 18
*** 18-La fine ***


La fine



 


La testa gli faceva male.
Un fottutissimo male cane.
Questo fu il primo pensiero che riuscì ad elaborare non appena riprese coscienza. Il secondo fu l’immagine confusa di un cellulare che l’aveva ingannato con una stupida riproduzione.
“Merda!”. Si sforzò di riaprire gli occhi nonostante il dolore e in quell’istante capì di essere seduto su una sedia e di avere mani e piedi e legati.
“Ditemi che è uno scherzo…”. Grugnì e si agitò, ma sentì le corde ai polsi stringersi e graffiargli la pelle. Sospirò e lasciò perdere l’attimo prima di notare un’ombra che si avvicinava nella sua direzione.
<< Finalmente ti sei svegliato >>.
“Questa voce! Ditemi che è un maledettissimo scherzo del cazzo!”.

Xanxus non poté evitare di sgranare gli occhi quando la tenue luce bianca illuminò il volto del suo rapitore. Una parte di lui avrebbe voluto mettersi a ridere, ma alla fine rimase semplicemente in silenzio ad osservare Enzo Verelli che lo fissava a sua volta con aria fredda e composta.
Sarebbe sembrato il solito Verelli di sempre se non fosse stato per una strana e inquietante luce negli occhi che al moro non sfuggì. I capelli chiari, di solito perfettamente ordinati, erano arruffati e disordinati, come se non li pettinasse da giorni, le mani erano sporche e tremavano e la bocca era storta in un’espressione di rabbia e fastidio.
<< Per un momento ho pensato di averti colpito troppo forte… >> continuò l’uomo, fermo di fronte a lui.
<< Quindi è stato Lei ad attirarmi qua. Tsk! Ero sicuro che non poteva essere Squalo l’autore del biglietto >> rispose il moro più a se stesso che all’altro.
<< Eppure sei venuto lo stesso >>.
Xanxus sollevò lo sguardo e sorrise. << Volevo scoprire chi era stato tanto coraggioso o stupido da organizzare una trappola per me >>.
<< Nonostante la situazione in cui ti trovi, vedo che non hai perso la faccia tosta. La gentaglia come te è proprio incorreggibile >>.
<< Non mi dica che mi ha legato ad una sedia per farmi la predica >> lo provocò Xanxus con tono annoiato.
L’insegnante fece un passo in avanti. << Certo che no >>.
<< E allora cosa vuole da me? Vuole forse uccidermi? >>.
<< Non sono un assassino. Non voglio farti del male >>.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso. Se non voleva vendicarsi, perché cavolo si era scomodato per mettere in piedi una trappola?
<< Voglio che tu capisca la portata dei tuoi errori e che ti penta di quello che hai fatto >>.
Xanxus lo fissò a bocca aperta per lunghi momenti prima di scoppiare a ridergli in faccia. << Ahahahah, mi sta prendendo per il culo?! Non può dire sul serio! >>. Buttò la testa all’indietro e rise ancora più forte.
“Tutto questo è troppo ridicolo! Non riesco a crederci!”.
Verelli provò l’irrefrenabile di colpirlo, invece, lo lasciò continuare e quando quello smise, si chinò fino portare il volto a pochi centimetri dal suo.
<< Ti sembra che io stia scherzando? >>.
Xanxus, di nuovo serio, lo guardò con occhi di fuoco. “Purtroppo no…”. << In effetti la sua faccia è più seria del solito e questo può solo voler dire che Lei è fuori di testa. Mi liberi e la faccia finita >>.
L’uomo ignorò le sue parole. << Lo farò quando ti sarai pentito >>.
<< Pentito? Di cosa dovrei pentirmi? >> sbottò il moro con tono infastidito.
Verelli si rimise dritto e prese a camminare avanti e indietro. << Possibile che tu non capisca?! >> quasi gridò, la faccia d’un tratto stravolta.
“Fantastico! Ha perso la brocca…”.
<< Tu hai ucciso mio figlio! Te ne rendi conto!? Aveva solo quattordici anni ed è morto a causa tua! Sei stato il suo tormento per mesi! L’hai vessato, preso in giro, umiliato e l’hai spinto al suicidio! Gli hai rovinato la vita e hai rovinato anche la mia! Hai distrutto la mia famiglia! Se non fossi mai nato, mio figlio sarebbe ancora vivo! >>.

Xanxus lo fissò in silenzio, mentre nella sua mente ritornavano le immagini del passato. Ricordava ancora Federico Verelli: era solo una matricola lì alla Galilei, quando lui era già al terzo anno di liceo e fin dall’inizio era stato il classico ragazzino timido e spaventato che passa inosservato. Il moro infatti non l’aveva mai degnato di attenzione, anche se aveva saputo che era il figlio di un professore.
Una sera però il ragazzino aveva per sbaglio urtato Xanxus con il vassoio della mensa, sporcandogli i vestiti e da quel momento il moro aveva fatto di tutto per rendergli la vita un inferno. L’aveva preso in giro con cruda cattiveria, godendo nel vederlo sempre più disperato, ma quello che per lui era solo un passatempo per ingannare la noia, si era alla fine trasformato in tragedia.
Esasperato da quella situazione di cui non vedeva una via d’uscita, Federico si era tolto la vita buttandosi dal sesto piano di un palazzo. Aveva lasciato solo un biglietto con scritto “non ce la faccio più… mamma, papà, perdonatemi”.
 
 
 

Quando Squalo raggiunse la rimessa, rallentò il passo e cercò di calmare il respiro. Aveva corso talmente veloce che sentiva i polmoni andare a fuoco e i muscoli delle gambe tremare, ma gli bastò un minuto per recuperare le forze. Si avvicinò piano e in silenzio, facendo attenzione a dove metteva i piedi.
Il capannone aveva due ingressi e Squalo decise di usare la porta sul retro. Si mise in ascolto, ma riuscì solo a cogliere delle voci distanti e confuse.
“Cazzo! Tutto questo è assurdo… sembra di essere in uno stupido film!”. Allungò la mano e abbassò la maniglia. “È aperta!”.
Aprì la porta nel modo meno rumoroso possibile e sbirciò dentro, ma purtroppo per lui degli scaffali in metallo pieni di oggetti vari gli ostruivano la visuale. Spinse l’uscio fino a quando poté infilarsi dentro e si diresse verso l’origine delle voci. Si nascose dietro una delle scaffalature e allungò il collo quanto gli bastava per vedere, finendo per sgranare gli occhi.
Incredulo, per un momento pensò di star avendo un’allucinazione, ma fu costretto ad accettare la realtà.
Legato mani e piedi ad una sedia, Xanxus fissava Verelli che sbraitava in preda alla furia.
<< Come puoi restare indifferente davanti a tutta la sofferenza che crei?! >> stava gridando l’uomo, << non riesci neanche a provare un po’ di senso di colpa?! >>.
<< Le ho già detto che non me ne frega un cazzo né di Lei né di suo figlio, quindi perché non la smette di rompermi le palle?! Ormai è morto e niente lo riporterà in vita: dovrebbe solo accettarlo e mettersi l’anima in pace >> rispondeva il moro con voce irritata.
<< È mio figlio! Non potrò mai accettarlo! Sei solo un ragazzino che non capisce niente. Non puoi sapere cosa si prova a perdere un figlio e a vedere la propria vita che va a pezzi! Ma dovresti almeno essere in grado di pentirti! >>.
 
 
“Ma di che diavolo stanno parlando?”. Squalo si allungò un po’ di più, mentre la confusione e la sorpresa aumentavano a dismisura. Doveva fare qualcosa.
Verelli era chiaramente impazzito: provare a ragionare con lui non sarebbe servito a niente.
“Devo metterlo fuori combattimento… e salvare Xanxus”.
Si guardò attorno alla ricerca di qualunque cosa potesse essergli utile e afferrò una pala, facendo sempre attenzione a rimanere il più silenzioso possibile.
 
 
<< Sinceramente me ne sto sbattendo dei suoi problemi esistenziali: se vuole vendicare suo figlio, lo faccia altrimenti mi liberi e metta fine a questa cazzata >>.
 
Squalo maledisse mentalmente Xanxus e la sua arroganza fuori luogo. “Invece di cercare di calmarlo, continua a provocarlo! Vuole forse farsi uccidere?”.
Stringendo la pala in mano, si allontanò dal suo nascondiglio e ringraziò il Cielo che Verelli gli desse le spalle. Con l’intenzione di colpirlo alla testa e metterlo k.o., si avvicinò lentamente, quasi trattenendo il respiro per paura di farsi scoprire.
 
Era a pochi metri dal suo obiettivo, quando la notifica di un messaggio arrivatogli sul cellulare squillò all’improvviso, rimbombando in tutto il capannone.
Squalo si paralizzò sul posto ed ebbe appena il tempo di imprecare mentalmente che Verelli si voltò, il viso contratto in un’espressione di pura sorpresa.
<< Feccia, che cazzo ci fai qua? >> esclamò Xanxus, fissando il ragazzo ad occhi sgranati.
Squalo fece un passo indietro, la vanga sempre in mano. << Secondo te, idiota di un Boss?! Sono venuto ad aiutarti >>.
<< Bell’aiuto: ti sei fatto fregare dalla suoneria del telefono >>.
L’argenteo gli lanciò un’occhiataccia. << Sta’ zitto! Ho solo dimenticato di mettere il silenzioso! >>.
Verelli guardò prima uno e poi l’altro e tirò fuori una pistola dalla cintola dei pantaloni. << Fate silenzio! >> gridò, puntando l’arma alternativamente ai due ragazzi.
“Cazzo! Una pistola!”. Squalo indietreggiò ancora, la pala davanti al petto come se volesse proteggersi. “Questa non ci voleva! E ora che faccio?”.
<< Professore, La prego, si calmi. Tutto questo non è necessario >> provò a farlo ragionare. Era un uomo armato e fuori di testa: qualsiasi azione avventata sarebbe potuta essere fatale e Squalo sapeva di dover fare attenzione.
<< Non saresti dovuto venire! >> continuò quello, agitando l’arma, << perché vuoi aiutare Xanxus? È solo un mostro e dovresti saperlo anche tu! >>.

Il ragazzo rimase in silenzio, la mente alla ricerca di una soluzione.
<< Come puoi stare al suo fianco!? Come puoi andarci a letto?! >>.
Squalo sbarrò gli occhi. “C-cosa? P-perché lui…?”.
Come se gli avesse letto nel pensiero, fu il moro a rispondere: << Ci ha visti quella volta in biblioteca >>.
Verelli gli puntò la pistola contro. << Chiudi il becco! >>, poi tornò a rivolgersi a Squalo, << lui ha rovinato anche la tua vita, non è vero? Di sicuro ti ha costretto ad avere rapporti con lui. Non lo odi per questo? >>.

In quell’istante Squalo capì che Verelli stava cercando in lui un sostegno al suo odio per Xanxus. Volveva disperatamente non essere l’unico a provare un tale rancore, una tale rabbia, un tale desiderio di vendetta e in parte Squalo lo comprese.
Anche lui aveva provato simili sentimenti nei confronti del moro: accecato dal desiderio di vendicarsi, aveva ferito Dino, aveva distrutto il proprio orgoglio ed era sceso a compromessi con sé stesso pur di ottenere la sua rivalsa.
<< L’ho odiato >> disse con voce ferma, guardando però il Boss, << dalla prima volta che l’ho visto l’ho odiato davvero. Mi sono unito ai Varia solo per scoprire i suoi punti deboli e fargliela pagare >>.
Il moro restituì lo sguardo, comprendendo allora che il sospetto che fin dall’inizio aveva avuto su di lui era sempre stato corretto.
<< Poi però le cose sono cambiate e ho capito di essere stato un idiota >>.
Verelli lo fissò con l’aria di uno che aveva appena visto un morto risorgere dalla tomba e il braccio che impugnava la pistola tremò. << Sei venuto fin qua per aiutarlo, ma pensi che lui farebbe lo stesso per te? Credi che ti aiuterebbe se tu ne avessi bisogno?  A lui non importa niente degli altri e non gli importa neanche di te! È senza cuore e senza pietà >>.

Un sorriso amaro curvò le labbra di Squalo. << Non metto in dubbio che sia un egoista bastardo, arrogante e pieno di sé e quando vuole sa essere un crudele pezzo di merda, ma… >>, “io lo amo comunque”, << … quello che sta facendo Lei è sbagliato, quindi La prego, metta giù la pistola >>.
Colpito dalle sue parole, l’uomo abbassò la guardia per un momento: lo sguardo puntò a terra e l’intero corpo tremò.
Approfittando di quell’attimo di distrazione, Squalo, che mentre parlava si era avvicinato di alcuni passi, scattò in avanti, brandendo la pala come fosse una spada.
Se avesse dovuto essere sincero con se stesso, non si aspettava una reazione da parte del professore ed era sicuro di poter avere la meglio senza problemi, ma a volte il destino si diverte a farsi beffe delle nostre certezze.

Successe tutto in pochi concitati istanti.
Squalo gli fu quasi addosso, l’arma improvvisata pronta a colpire, ma Verelli se ne accorse appena in tempo. Provò ad usare la pistola e sparò, ma il ragazzo riuscì a deviargli il braccio armato con la pala e il colpo che partì si infranse alle sue spalle, vicino ad uno dei grossi bidoni contenente pesticida infiammabile. L’onda d’urto fece tremare l’alto scaffale e il fusto, che si trovava in una posizione instabile, cadde  e si rovesciò, spargendo il prodotto per terra.
Squalo, distratto dal rumore assordante provocato dalla caduta, si voltò per una frazione di secondo che fu però sufficiente a Verelli per strappargli la pala di mano e colpirlo a sua volta. L’impatto lo mandò a sbattere contro la scaffalatura più vicina: si ritrovò a terra con la testa dolorante, mentre diversi oggetti gli caddero addosso e quando l’insegnante gli fu di fronte, fece appena in tempo a bloccare un altro colpo della pala, fermandola con entrambe le mani.
Non si accorse che intanto il cellulare gli era scivolato fuori dalla tasca del jeans e che era finito dall’altro lato della scaffalatura.

Approfittando del fatto che l’uomo sembrava essersi dimenticato di avere un’arma da fuoco, Squalo provò a rialzarsi in piedi per cercare di recuperare un po’ di vantaggio, sempre respingendo l’attacco di Verelli, ma proprio allora questi lasciò andare la pala con un mano e afferrò la pistola. La puntò contro il ragazzo, intimandogli di fermarsi, ma l’argenteo fu abbastanza rapido da scattare di lato e ripararsi dietro lo scaffale in metallo.
Non si sarebbe però mai aspettato che il professore, aiutandosi con la pala, spingesse la struttura verso di lui e quando capì che gli stava per cadere addosso, si allontanò rapido, ma forse per un errore di calcolo e tempismo o forse per il fato avverso, non riuscì ad evitarla del tutto e nell’impatto sentì il dolore esplodergli dappertutto.
Il frastuono della scaffalatura che si schiantava a terra risuonò per tutta la rimessa e dopo lunghi secondi di silenzio si levò un grido.
Xanxus sgranò gli occhi e sentì l’intero suo corpo irrigidirsi. “Che cazzo è successo?”.
Non appena Squalo aveva superato lo shock dell’urto, una fitta lancinante gli era esplosa nella mano sinistra e lui non aveva potuto trattenere un urlo di dolore.

Aprì gli occhi e li sbarrò, incredulo, di fronte alla vista del suo palmo infilzato da un pezzo di metallo, a sua volta intrappolato sotto la scaffalatura.
Il cuore accelerò i battiti e il respiro gli si fece ansante, mentre il sangue colava dalla ferita che gli mandava continue e terribili scosse lungo tutto il braccio fino al cervello.
Si ritrovò così seduto scompostamente sul pavimento con una mano ferita, dolorante e bloccata dalle sbarre dello scaffale che si erano perfettamente incastrate con l’attrezzo appuntito che gli aveva trapassato il palmo sinistro.
Per interminabili momenti sentì la mente invasa solo da shock e dolore; iniziò a tremare e gli occhi gli si fecero lucidi, mentre la mano destra stringeva con forza l’altro polso.
Non sollevò neanche lo sguardo verso Verelli che, vicino a lui, lo fissava con un’espressione di sorpresa mista a paura.
 
 
Mentre i suoi occhi osservavano quella scena, il senso d’impotenza di Xanxus si trasformò in una furia cieca e selvaggia.
Non avrebbe mai creduto che la situazione sarebbe potuta degenerare così tanto e anche se incredulo, decise che era ora di farla finita.
Si sollevò con tutta la sedia e si lanciò contro Verelli. Si voltò l’attimo prima di finirgli addosso e nello schianto la sedia si distrusse, consentendogli così di liberare mani e piedi.
Si ritrovarono a terra, l’uno sull’altro e il moro cercò subito di mettere l’altro fuori combattimento.
Non si accorse neanche della mano del professore che stringeva la pistola e nella confusione della colluttazione partirono due colpi.
 
Il tempo rallentò.
O almeno fu questa l’impressione di Squalo mentre, ancora bloccato e confuso, fissava attonito la scena a pochissimi metri da lui.
Il suono degli spari gli sembrò il più terribile mai udito, più doloroso persino della ferita alla mano.
Se tutto quello che era successo prima era stato rapido e concitato, quello che venne dopo sembrò lento e irreale come un sogno. O meglio, un incubo.
 
 
Il dolore dei proiettili arrivò solo dopo lunghi istanti di immobilità assoluta. Xanxus sgranò gli occhi e poté rispecchiarsi in quelli verde slavato di Verelli che a sua volta si irrigidì completamente.
“Cosa… ho… fatto…!”.
Vide il ragazzo sopra di lui aprire la bocca, ma invece delle parole fu il sangue a fuoriuscire e a gocciolargli addosso.
 
 
<< Xanxus… >>. Paralizzato anche nei pensieri, Squalo percepì lo shock bloccargli la voce e ciò che gli uscì dalla gola fu solo un sussurro.
 
Solo quando Verelli realizzò cosa fosse davvero successo, perse del tutto la ragione e andò nel panico assoluto. Spinse il moro per toglierselo di dosso e scattò in piedi, il respiro affannoso e il cuore che gli ringhiava nel petto.
Finito disteso per terra, Xanxus trovò la forza per girarsi e mettersi in posizione supina. Sbatté le palpebre per rischiarare la vista che gli si era appannata e dopo aver portato una mano al petto, la sollevò e la guardò: era rossa.
Imbrattata di sangue.
Il suo sangue.
Prese un respiro, ma una fitta lancinante al petto gli mozzò il fiato e sentì altro sangue colargli sul mento.
 
<< Xanxus! >>. Un grido risuonò d’un tratto nel capannone, mentre Squalo fissava il moro ad occhi sbarrati, l’incredulità e il dolore che minacciavano si sopraffarlo.
 
Gli  occhi iniettati di follia e paura, Verelli alternò lo sguardo tra i due ragazzi.
“Che ho fatto?!
Che ho fatto?!
CHE HO FATTO?!”.
Un terrore agghiacciante lo travolse come un tsunami. Non riusciva a capire, a pensare, a respirare. L’intero corpo gli faceva male, mentre il panico e l’istinto di sopravvivenza cercavano di far ripartire il suo cervello.
“Io n-non volevo… tu-tutto questo…è stato un incidente!”.
 
Chi vuoi che ti crederà? Nessuna giuria ti salverà dalla prigione. Hai ucciso il figlio del Boss più potente d’Italia: la tua fine è segnata.
 
<< N-no! No! Io non volevo! >> gridò in preda all’angoscia, le lacrime che gli bagnavano le guance.
 
Nonostante il dolore e lo shock, Squalo provò a liberarsi, ma la mano era talmente incastrata che non riusciva a muoverla di un centimetro e gli faceva così tanto male che pensò avrebbe sofferto di meno se gliel’avessero amputata.
<< Professore, faccia qualcosa! >> gli urlò, consapevole che era l’unico a poterli ancora aiutare.
Pistola stretta in una mano che tremava, l’insegnate lo fissò con occhi da folle disperato e nell’incrociare il suo sguardo, Squalo sentì quell’unica flebile speranza di prima andare in frantumi.
Verelli non li avrebbe salvati.
 
<< I-io… n-non… mi dispiace >>.
Squalo lesse sincero dolore sul suo volto, ma desiderò ucciderlo. << Per favore! Ci aiuti! >> provò ancora, ma l’uomo scosse la testa.
Aveva toccato il fondo e perso ogni traccia di lucidità mentale. Purtroppo però non ne aveva persa abbastanza da non capire che avrebbe dovuto sbarazzarsi delle prove di quello che aveva fatto.
Dopo aver sparso rapidamente per terra pesticidi e diserbanti, tirò fuori un accendino dalla tasca e diede loro fuoco.
<< No! Non lo faccia! >>. Squalo vide le fiamme prendere corpo e iniziare a diffondersi. “Vuole bruciare tutto!”.
<< Mi dispiace >>, fu tutto ciò che disse con voce tremante prima di correre via dalla rimessa e lasciare i due ragazzi al loro destino.
 

<< Merda! >>. Se solo avesse potuto raggiungere il cellulare che gli era caduto dalla tasca!
Si guardò attorno e quando si voltò verso Xanxus, la paura e il dolore lo colpirono di nuovo. Gli occhi si fecero di nuovo lucidi e quando parlò la sua voce fu un grido disperato.
<< Xanxus! Xanxus, mi senti?! >>.
Lo vide muovere una mano, ma non serviva essere un medico per capire che era in fin di vita. Sotto di lui si era allargata una pozza di sangue e tutto ciò che l’argenteo riuscì a fare fu fissarlo con un devastante senso di rabbia e impotenza.
 
<< Non puoi morire, mi hai capito! Tu sei il Boss: sei il più forte! Non puoi farti ammazzare così! >>, la voce gli si incrinò e tutto il corpo fu scosso dai singhiozzi, << non puoi lasciarmi! Io… io ti amo così tanto che ti odio! Sei un bastardo e ti odio, ma sei tutto ciò che ho! >>.
 
Non sapeva neanche più cosa stava dicendo. Non avrebbe dovuto stare là a perdere tempo: il fuoco si era già diffuso e molto presto avrebbe raggiunto anche loro, bruciando i loro corpi insieme a tutta la rimessa.
Avevano sì e no una decina di minuti. Forse meno.
Di sicuro qualcuno si era già accorto dell’incendio, ma avrebbero fatto in tempo?
 
<< Merda. Merda. Merda! >>.
Non sapeva cosa fare. Il dolore alla mano gli aveva tolto le forze e la paura di perdere presto i sensi diventava più tangibile ad ogni istante.
Sentì un rantolo provenire da Xanxus e l’angoscia gli attanagliò il petto. << Resisti! Devi resistere, Boss! Ti salverò, mi ha capito?! Non ti lascerò morire! >>.
Doveva sbrigarsi o sarebbero morti entrambi. Le possibilità che qualcuno li salvasse prima che le fiamme li bruciassero del tutto erano troppo basse per aspettare.
Stare fermi là e sperare non era più un’opzione.

Cercando di controllare la paura e il dolore, Squalo si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa per liberarsi. Quando gli occhi si posarono su una roncola lì vicino, imprecò mentalmente.
Allungò il braccio libero e l’afferrò, rigirandosela nella mano. La roncola era un semplice strumento da giardinaggio composto da un’impugnatura e una lama ricurva: praticamente una falce in miniatura.
“L’unica soluzione…è tagliarmi la mano?”. Deglutì a vuoto un paio di volte, mentre nella sua mente si susseguirono flash e immagini di arti amputati.
Il rumore del fuoco che divorava ogni cosa lo riscosse dal suo stato d’intontimento e lo costrinse a prendere la decisione più drastica della sua vita.
Ancora pochi minuti e non ci sarebbe stato più scampo.
Sacrificare una mano per cercare di salvare due vite: in quella situazione disperata gli sembrò un prezzo giusto da pagare, anche se il rischio era decisamente altissimo.
Ma l’altra opzione era morire in mezzo alla fiamme, perciò afferrò il bordo della maglietta tra i denti, prese alcuni respiri veloci e profondi e mentre la lama calava sul suo polso sinistro, strinse gli occhi.
 
 
Nella rimessa risuonò un grido lancinante che spinse Xanxus a farsi forza e riaprire gli occhi. Mise a fuoco il soffitto spoglio, ma il resto del suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi. Le forze l’avevano ormai abbandonato e ogni respiro gli costava una terribile fitta di dolore.
Sapeva che stava per morire.
Non era così ingenuo da non capire che due proiettili in petto non gli avrebbero lasciato alcuna speranza e avrebbe riso di ciò, se ne fosse stato in grado.
Una parte di lui, quella con un residuo di lucidità e consapevolezza, stava ancora cercando di elaborare l’assurdità della situazione: era stato ucciso da un suo professore che lo odiava, solo perché non si era scusato per aver spinto il figlio al suicidio.
Si disse che c’erano modi più stupidi di morire, ma in quel momento non gliene veniva in mente nessuno.
Alla fine poi si era davvero pentito per ciò che aveva fatto al figlio di Verelli, ma era stato troppo orgoglioso per ammetterlo. Sarebbe bastato chiedere scusa e forse tutto quello non sarebbe successo. Era proprio vero che si capiva la cosa giusta da fare quando ormai era troppo tardi.
Quella era forse la sua punizione?
Il karma, il destino o qualche Essere Superiore gli stava infliggendo una pena per i suoi peccati?

Se così era, allora l’universo aveva proprio un senso dell’umorismo del cazzo.
Avrebbe voluto provare rabbia, perché si era fatto fregare da uno come Verelli.
Avrebbe voluto provare odio, perché quel bastardo gli stava togliendo la vita che lui aveva sempre difeso con le unghie e con i denti.
Invece tutto ciò che riuscì a provare fu un senso di paura e delusione.
Quando pensò di essere ormai prossimo alla morte, nella sua mente comparve il volto di Squalo atteggiato in quell’espressione di sfida e superbia che aveva avuto la prima volta che si erano incontrati.
Gli sembrò di ricordare delle parole che aveva sentito poco prima.
Io… io ti amo così tanto che ti odio! Sei un bastardo e ti odio, ma sei tutto ciò che ho.
Squalo lo amava… l’aveva forse sognato? Era stata un’allucinazione?
Perché mai avrebbe dovuto amarlo? Dopo il modo in cui l’aveva sempre trattato, non era possibile che Squalo si fosse innamorato di lui.
“Merda… ora che sto per morire, sono diventato una patetica femminuccia…”. Dentro di sé sorrise, consapevole che ormai non importava più.

Davanti ai suoi occhi passarono rapidi e confusi i ricordi degli ultimi mesi con Squalo: la sfida, la rabbia, l’esaltazione, il sesso, gli scontri, il piacere, il cuore che ringhiava nel petto, la confusione, la gelosia, l’ultima violenta sera che avevano trascorso insieme.
Ecco, se proprio avesse dovuto trovare un rimpianto, sarebbe stato quello.
Eppure, nonostante l’avesse preso con la forza, Squalo era venuto a cercarlo e aveva messo a rischio la sua vita per lui.
Gli aveva detto che l’avrebbe salvato, ma non c’era più tempo e Xanxus lo sentiva. Ma sapeva anche che la feccia ci avrebbe provato lo stesso, che non si sarebbe arreso: quando ci si metteva, sapeva essere più testardo di lui.
Dentro si sé, sorrise di nuovo.

Non sarebbe stato male averlo per sempre al suo fianco…
Già… non sarebbe stata affatto brutta una vita insieme…
 
 
 
 
Stava morendo. Un dolore così violento e assoluto non l’avrebbe certo lasciato in vita.
Questo pensò Squalo nei secondi che seguirono l’amputazione della mano.
L’aveva fatto! L’aveva fatto davvero! Era riuscito a tagliarsela via e adesso era libero.

Ma forti conati di vomito lo investirono in pieno, mentre cercava di rimettersi in piedi. Gli occhi erano pieni di lacrime, la gola gli doleva a causa del fumo e dell’urlo che non aveva potuto evitare e non avrebbe neanche saputo a spiegare a parole quanto male sentiva in quel momento.
Temette sul serio di svenire, ma l’orgoglio, la forza di volontà e l’istinto di sopravvivenza glielo impedirono.
Respirando come meglio poteva in quelle condizioni, si fasciò il moncone alla bell’e meglio per cercare di tamponare in qualche modo l’emorragia e si avvicinò a Xanxus, il cui respiro era diventato troppo flebile.
Il fuoco aveva ormai divorato gran parte della rimessa: il calore era insopportabile, così come il fumo e le puzze provenienti dai prodotti chimici in fiamme.
Dovevano uscire da lì al più presto.

Si abbassò accanto al moro e con tutte le forze e la disperazione che gli erano rimaste afferrò l’altro per un braccio e prese a tirarlo verso l’uscita.
Nello stato in cui era, con un solo braccio a disposizione e considerando che il Boss era più alto e muscoloso di lui, Squalo non sarebbe mai riuscito a rimetterlo in piedi, quindi fece l’unica cosa che poteva.
Lo trascinò via, grugnendo e sbuffando, mentre sentiva il proprio corpo implorare pietà. Non c’era una singola cellula in lui che non stesse gridando di dolore, ma ciononostante Squalo proseguì.
Verso l’uscita.
Verso la salvezza.
 

Quando superò la porta, non si fermò. “D-devo continuare… devo a-allontanarmi… dal fuoco…”.
Andò avanti, trascinando dietro Xanxus, il cui corpo gli sembrò pesare centinaia di tonnellate. Appena ebbe la forza di voltare leggermente la testa e di assicurarsi che erano fuori pericolo, si lasciò cadere sull’erba, senza più energie.
In quell’istante sentì la voce del moro. Fu un sussurro, ma dato che i loro volti erano quasi attaccati, riuscì a distinguere le parole.
<< … mi d-dispiace, feccia… >>.
Incapace di rispondere, Squalo gli prese la mano, ma la sua stretta non fu ricambiata.
 
L’ultima cosa che udì prima di perdere i sensi fu il suono di grida, voci concitate e molti passi in avvicinamento e forse anche una sirena.









...oddio! Ho fatto morire il mio pg preferito!! TWT TWT cosa ho fatto?!! sono una persona crudele! X) ok, scherzi a parte (un po' mi sento in colpa però...) questo è il penultimo capitolo della storia e beh, ecco... come sempre, avrei tante cose da dire a riguardo, ma non voglio annoiarvi troppo >.< vi dico solo che all'inizio avevo previsto un lieto fine, ma poi, dopo diverse riflessioni e un'illuminazione, ho deciso per questo finale... e spero che non ci siate rimasti male! u.u insomma, è stato un po' un casino scrivere qst cap e non so quanto sono soddisfatta del risultato... ma questo è e questo rimane! X) spero che vi sia piaciuto e vi invito come sempre a lasciarmi un commento <3 insomma, Xanxus è morto, gente! penso che si meriti 2 paroline :3 quindi, non deludetemi ^^
mi scuso se non ho risposto alle recensioni dello scorso cap, ma essendo troppo vicina alle sessione d'esami, non ho proprio avuto il tempo... gomenasai *si inchina*
un bacione a tutti e alla prossima!

 

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Capitolo 19
*** 19-Per sempre ***



Ciaossu a tutti! ^^ prima di lasciarvi alla lettura vi linko le due canzoni che ho ascoltato ripetutamente mentre scrivevo questo capitolo <3 mi hanno ispirato non tanto per le parole quanto per la musica in sè che ho trovato bellissima <3 quindi, se vi va, leggete questo cap con queste canzoni in sottofondo ;)
buona lettura (e buon ascolto)
https://www.youtube.com/watch?v=Y72_b3iMyoQ

https://www.youtube.com/watch?v=m84s8yKkyPw




Per sempre




Quel  mercoledì di Marzo un pallido sole riscaldava la fredda aria mattutina. Accanto a Squalo, Dino osservava la bara di Xanxus che veniva sistemata nella cappella della famiglia Vongola.
Il Nono aveva il viso stravolto dal dolore e a Dino sembrò immensamente fragile, come se fosse sul punto di spezzarsi da un momento all’altro. Vicini a lui, il suo braccio destro e i familiari più stretti; dietro, i membri della Famiglia: tutti se ne stavano in silenzio, gli occhi bassi e le mani congiunte.
Il biondo lanciò un’occhiata alla sua destra: immobile, Squalo aveva lo sguardo fisso sulla cappella, il volto rigido e severo, così come le spalle e il resto del corpo. Gli altri Varia erano a pochi passi: Levi e Lussuria che avevano pianto, Viper con un’espressione triste e sofferta e Belphegor con la bocca ridotta a una linea sottile, i pugni stretti lungo i fianchi.

Dino spostò lo sguardo su suo padre, sul cui volto si potevano ancora vedere l’incredulità e il senso di colpa per l’accaduto. Come Preside, si riteneva responsabile di ciò che un suo insegnante aveva fatto e si incolpava per non aver visto, non aver capito, non aver neanche sospettato che un uomo serio come Verelli potesse trasformarsi in un assassino. Ovviamente nessun’altro la pensava così, ma Cavallone senior continuava a portare questo peso dentro di sé.
Tutti i professori della Galilei avevano preso parte al funerale e c’erano anche molti studenti. Sebbene Xanxus non fosse stato particolarmente amato e apprezzato, la sua morte, anzi il suo omicidio per mano di Verelli, aveva scosso e turbato l’intera scuola.
Nessuno si sarebbe mai aspettato una simile tragedia e ancora ora, a distanza di due settimane, pochi dei presenti avevano superato lo shock.

Neanche Dino riusciva a capacitarsene: se si fermava a pensare, gli sembrava un brutto sogno, un mondo irreale e irrazionale.
Da quel giorno aveva avuto l’impressione di vivere la vita assurda di qualcun altro e si era sentito costantemente inutile e impotente.
Guardò di nuovo Squalo e provò una fitta di dolore al petto che fece nascere in lui il desiderio di prenderlo per mano, di stringerlo a sé, di confortarlo. Ma da quel giorno Squalo non aveva permesso a nessuno di avvicinarsi a lui, di parlargli. Aveva urlato, sbraitato, preso a pugni pareti e distrutto oggetti per poi chiudersi in un ostinato silenzio.
 


Dino ripensò a quella sera: era stato uno di quelli che erano accorsi alla rimessa, insieme a suo padre, i Varia e alcuni professori. Ricordava ancora l’angoscia, l’incredulità, la paura agghiacciante che aveva provato alla vista dei corpi di Xanxus e Squalo stesi per terra, mentre il capannone veniva divorato dalle fiamme.
Tutto quello che successe dopo fu un susseguirsi confuso di avvenimenti a cui poté dare forma più definita solo alcuni giorni dopo.
 
 
Xanxus era morto a causa di due proiettili che gli avevano perforato un polmone e danneggiato irrimediabilmente il cuore e quando erano arrivati, i paramedici non avevano potuto fare altro che dichiararne il decesso.
Le condizioni di Squalo erano state gravi per tutta la notte: l’emorragia causata dall’amputazione della mano aveva rischiato di ucciderlo e se si era salvato, era stato solo per miracolo.
Dino era rimasto in ospedale fino all’alba: aveva pregato e pregato con tutte le forze che Squalo sopravvivesse e quando, la mattina dopo, il medico aveva annunciato che era fuori pericolo, il ragazzo aveva pianto, mentre il suo cuore si era fatto più leggero.
 
 
 
Squalo non aveva pianto quando gli avevano confermato che Xanxus era morto: l’aveva fatto nella sua stanza d’ospedale, da solo, dove nessuno poteva vederlo. Il dolore per la perdita di una mano non era minimamente paragonabile a quello per aver perso lui.
Aveva desiderato di trovarsi in un incubo e che quando si fosse svegliato, Xanxus sarebbe stato ancora là, a dargli dell’idiota, a guardarlo con i suoi occhi magnetici, a stringerlo a sé, a baciarlo e a farlo suo.
Invece per quasi quindici giorni si era risvegliato nella stessa stanza fredda e asettica e la rabbia e la frustrazione erano diventate le sue compagne.
 
 
 
 
Era stato costretto a raccontare i fatti di quella sera tante di quelle volte da provare nausea al suono della sua stessa voce, ma la sua testimonianza era stata fondamentale per la risoluzione del caso.
La mafia, però, arrivò a Verelli prima delle forze dell’ordine: l’intera famiglia Vongola e le famiglie alleate si erano mosse come un branco di lupi feroci alla ricerca di una preda e la fuga di Verelli aveva avuto vita breve.
L’uomo aveva ucciso il figlio del Nono Boss: una simile onta poteva essere lavata solo col sangue e quello di Enzo Verelli era stato versato senza pietà.
Grazie alle pressioni e al potere dei Vongola, il caso era stato chiuso molto rapidamente e si era potuto organizzare il funerale di Xanxus in tempi brevi.
 
 
 
Dino osservò la folla disperdersi: alcuni si allontanarono presto, altri rimasero al cimitero per un po’, ma fu Squalo l’ultimo ad andarsene. Lui e il padre lo aspettarono in macchina a lungo, ma mentre l’uomo si chiedeva perché il figlioccio si stesse trattenendo così tanto, Dino era ben consapevole del motivo.
Già da tempo aveva capito che Squalo era innamorato di Xanxus, anche se niente era mai stato detto esplicitamente. Lui non ne aveva avuto bisogno.
All’inizio non aveva voluto vedere, ma gli sguardi, le volte in cui Squalo rimaneva per ore in camera del moro, i succhiotti e i morsi che ogni tanto l’argenteo faticava a nascondersi, il modo in cui lui si comportava, come un satellite che viveva la sua orbita attorno al pianeta, gli avevano reso impossibile fingere di essere cieco.
Se per un po’ si era convinto che Xanxus avesse reso Squalo un suo servo, alla fine si era dovuto arrendere davanti all’evidenza: quello che c’era tra loro Squalo lo desiderava e Dino aveva realizzato che  il suo amico non si sarebbe mai allontanato dal moro di sua volontà.
Alla fine era dovuta giungere la morte per separarli.
 
 
 
 
 
Quando arrivò il giorno del diploma, Dino fu costretto ad affrontare ciò a cui aveva sempre cercato di non pensare: la separazione da Squalo.
Lui sarebbe andato a studiare Lettere in un’università privata, mentre l’argenteo avrebbe continuato gli allenamenti di spada iniziati alcuni mesi dopo la morte di Xanxus. Era stato Timoteo a presentargli Tyr, un tizio con una faccia spaventosa che si faceva chiamare l’Imperatore della Spada e che era a capo della guardia privata del Boss dei Vongola.
Nonostante la menomazione alla mano sinistra, Squalo si era allenato duramente per ben due anni, sotto la supervisione dello stesso Tyr, a cui Timoteo aveva chiesto di prendersi cura del ragazzo.
Quando Squalo avevo scoperto l’arte della spada, aveva capito di aver finalmente trovato uno scopo nella vita, qualcosa che lo spingesse ad andare avanti. Le migliori cure mediche pagate dai Vongola gli avevano consentito di riabilitarsi fin da subito, ma mentre il fisico guariva rapidamente, la mente e il cuore faticavano a riprendersi.
Ogni volta che stava fermo, i ricordi terribili di quella sera tornavano vividi e dolorosi e sentimenti come rabbia, senso di colpa, frustrazione, sofferenza e solitudine lo angosciavano e soffocavano, togliendogli il sonno, l’appetito e la voglia di vivere.
Non riusciva a darsi pace e a un certo punto si era convinto che sarebbe impazzito del tutto. Così, quando aveva iniziato ad allenarsi con Tyr e si era accorto che durante quelle ore la sua mente si spegnava e lui smetteva di pensare, di ricordare, si era aggrappato a quell’ancora di salvezza con tutte le sue forze.
E aveva continuato. Per settimane che erano diventate mesi, mesi che erano diventati anni e in quel modo aveva raggiunto la maggiore età ed era arrivato il momento di diplomarsi.
Quando aveva dovuto decidere il suo futuro, la scelta era stata semplice e immediata. Dopo averne discusso con Tyr e il Nono e aver ricevuto il loro consenso, l’aveva annunciato ai Cavallone: avrebbe continuato gli allenamenti di spada con l’Imperatore e, una volta finito, sarebbe entrato nella guardia privata dei Vongola.
Inutile dire che nessuno era stato d’accordo con questa decisione, ma Squalo era stato irremovibile e alla fine la sua famiglia adottiva era stata costretta a cedere.
 
 
 
Dino guardò Squalo salire nell’elegante auto scura inviata dai Vongola.
Erano venuti a prenderlo per portarlo alla residenza di famiglia dove si sarebbe allenato per i prossimi anni. Tre? Cinque? Dieci?
Il biondo non lo sapeva e nemmeno Tyr aveva fatto pronostici, ma aveva detto che Squalo possedeva un talento ammirevole, nonostante la mano amputata e che sarebbe diventato un eccellente guerriero.
Ma a Dino non importava nulla. Lui voleva solo che il suo amico fosse al sicuro, che non rischiasse ancora la vita. Il pensiero che un giorno avrebbe potuto ricevere una chiamata che gli diceva che Squalo era morto lo avrebbe devastato, ma anche se ne era consapevole, gli aveva sorriso, gli aveva augurato buona fortuna e l’aveva pregato di tenersi in contatto.
Dopo tutta la fatica fatta per stargli accanto negli ultimi due anni, non aveva certo intenzione di perderlo.
 
 
Dopo la morte di Xanxus, avvicinarsi di nuovo a Squalo era diventato uno sforzo costante e a tratti doloroso. Era stato respinto, insultato, cacciato via, allontanato in tutti i modi possibili, ma Dino non si era mai arreso: si era presto gli insulti, le grida, le parole dure e anche i pugni, ma niente l’aveva fermato.
 
 
<< Perché non mi lasci in pace?! Non ho bisogno di te! >> aveva sbraitato Squalo, il volto bagnato da lacrime di rabbia e sofferenza.
Sforzandosi di trattenere le sue di lacrime, Dino aveva sorriso. << Infatti sono io ad aver bisogno di te… quindi, ti prego, lasciami stare al tuo fianco >>.
L’argenteo aveva sgranato gli occhi e quando il biondo l’aveva stretto a sé in un abbraccio, non si era tirato indietro. Aveva affondato il volto nell’incavo del suo collo e aveva lasciato che l’amico calmasse i suoi singhiozzi e il suo animo.
 
 
 
 
 
I lunghi capelli argentati furono la prima cosa che Dino vide quando, dopo cinque anni, poté rincontrare Squalo.
Si era fatto più alto e slanciato e, nonostante l’abito scuro che indossava, si poteva ben notare la muscolatura sviluppata. I lineamenti si erano induriti, ma il suo volto portava ancora le tracce del ragazzino vestito di nero e borchie che aveva messo piede alla Galilei per la prima volta e Dino lo trovò bellissimo.
Come un sogno, una visione a cui i suoi occhi non riuscivano a credere.
Poi Squalo si era avvicinato e gli aveva dato una pacca sulla spalla. << Yo, Cavallone. Ne è passato di tempo >>.
L’altro dovette fare una faccia buffa, perché l’argenteo sorrise e il cuore di Dino accelerò come un’automobile di Formula 1 su un rettilineo.
Gli sembrava di non vedere quel sorriso da una vita intera e non credeva che rivederlo dopo tanto tempo gli avrebbe fatto un simile effetto.
<< Già, anche troppo. Dobbiamo recuperare >>.
 
 
 
 
 
 
Il letto accanto a lui era già freddo, come al solito.
Dino si stropicciò gli occhi e guardò la sveglia sul comodino. “Uff… le sei e mezza. Come fa ad essere in piedi a quest’ora?”. Si tirò su con uno sbadiglio e dopo essere andato in bagno, si diresse in cucina.
Seduto al tavolo con in mano una tazza di caffè, il suo ragazzo era intento a leggere il giornale. Dino gli si avvicinò, gli sollevò il mento e con un sorriso gli stampò un tenero bacio sulle labbra.
<< Buongiorno, dolcezza >> lo salutò per poi andarsi a prendere la sua dose di caffè mattutino.
<< Mhpf! Come fai ad essere così sdolcinato di prima mattina? >> si lamentò Squalo, gli occhi di nuovo sul quotidiano.
<< Perché vedere te è il modo migliore di iniziare la giornata >> gli rispose il biondo con voce allegra, << anche se non mi dispiacerebbe trovarti ancora a letto con me quando mi sveglio >>.
Squalo sbuffò e bevve un sorso dalla sua tazza. << Lo sai che non sono il tipo che rimane a poltrire a letto una volta che mi sono svegliato >>, girò la testa e gli lanciò un’occhiata eloquente, << a differenza di qualcun altro… >>.
Il biondo ridacchiò e con la tazza in mano si sedette al posto di fronte a Squalo. << Non sei per niente dolce, sai? >>.
L’argenteo inarcò un sopracciglio e scosse la testa con un sorriso. << Quella parte la lascio a te, Cavallone; sei abbastanza melenso per tutti e due >>.
Dino mise su il broncio. << Solo perché tu non le sei abbastanza >>.
Squalo fece un gesto di sufficienza con la mano. << Sì, sì, come dici tu >>, tagliò corto senza staccare gli occhi dal giornale.
L’altro bevve un sorso di caffè e sorrise; poi puntò lo sguardo su di lui e lo osservò. I capelli ancora lunghi erano legati in una coda, dalla quale sfuggivano alcuni ciuffi ribelli, gli occhi grigi era concentrati sulla lettura e i denti mordicchiavano le labbra, un gesto che Squalo faceva inconsapevolmente ma che Dino aveva sempre trovato molto sexy.
 
<< Come sta il Nono? >> gli chiese d’un tratto, ripensando alle ultime settimane.
Squalo sollevò gli occhi dal giornale e sospirò. << Sopravvive, ma è vecchio e le sue condizioni non sono più tanto buone; ormai è suo figlio Massimo a gestire quasi tutti gli affari, quindi penso che ci sarà presto la cerimonia di successione >>.
<< Capisco… quindi anche oggi tornerai tardi, suppongo >>.
<< Tyr vuole che vada con lui a controllare una situazione sospetta >>.
Dino ridacchiò e scosse la testa. << Anche se adesso sei tu a capo della guardia privata, Tyr non sembra intenzionato ad andarsene in pensione >>.
Squalo sbuffò ancora, le sopracciglia aggrottate. << Tsk, quel vecchiaccio non ne vuole sapere di lasciarmi il titolo di Imperatore della Spada, anche se l’ho battuto in uno scontro ufficiale! È peggio dell’erbaccia: non muore mai >>.
Il biondo sorrise. Sapeva che, nonostante ne parlasse in quel modo, Squalo doveva a Tyr molto più di quanto avrebbe potuto esprimerne a parole e che, in fondo, ci teneva a lui, anche se ovviamente non l’avrebbe mai ammesso.
 
<< E tu, invece? Oggi hai la riunione degli insegnanti, vero? >>.
Dino bevve dalla sua tazza e fece cenno di sì con la testa. << Già. Spero solo che le cose non vadano per le lunghe come l’ultima volta >>.
Essere un professore di Lettere alla Galilei gli piaceva molto: stare a contatto con gli studenti, plasmare le loro menti, lasciare loro qualcosa di sé e delle sue conoscenze lo rendeva orgoglioso, ma le riunioni con i colleghi proprio non le sopportava. Soprattutto perché, essendo lui figlio del Preside, non era sempre visto di buon occhio, ma Dino era molto amato dai suoi studenti e questo gli bastava. E poi sia lui che il padre avevano la coscienza pulita: Cavallone senior non avrebbe mai assunto il figlio se non fosse stato un valido insegnante, indipendentemente da tutto quello che gli altri potevano dire o pensare.
 
 
 
 
<< Squalo, io sto andando! >> disse ad alta voce, mentre si infilava la giacca all’ingresso. Non ottenendo risposta, tornò verso la camera da letto per salutare il suo ragazzo.
<< Squalo, io sto andando! >> ripeté, ma anche se l’argenteo era a pochi metri da lui, non diede segno di aver sentito. Dino lo osservò e sospirò sconsolato.
“Di nuovo…”. Nonostante fossero ormai passati dodici anni dalla morte di Xanxus, a Squalo ancora capitava di rimanere immobile, completamente estraniato dal mondo, lo sguardo perso nel vuoto. Quando cadeva in questo stato, quasi mai si accorgeva degli altri e Dino aveva ormai imparato a convincerci.
Era iniziato dopo l’incidente della rimessa, una volta superate la rabbia e la frustrazione: il biondo aveva capito fin da subito che in quei momenti Squalo pensava a Xanxus e anche quando si erano rivisti dopo cinque anni, l’argenteo non aveva mai smesso.
 
 
La gelosia provata in quei momenti, che aveva fatto sentire Dino un miserabile, gli aveva anche fatto capire quali fossero i suoi veri sentimenti per Squalo.
Quando aveva capito di amarlo, si era inizialmente tirato indietro. Aveva avuto paura. Paura di essere respinto e allontanato di nuovo, di perdere Squalo dopo averlo ritrovato dopo cinque anni in cui non si erano visti quasi mai.
Non poteva permetterselo. Ma poi i suoi sentimenti si erano fatti troppo forti per essere soppressi e aveva fatto di tutto per conquistare il suo amore. Era stata la sfida più difficile della sua vita, ma se c’era una cosa che mai gli era mancata era la testardaggine.
 
<< Non ti lascerò in pace finché non ti avrò fatto innamorare di me >>.
 
Quando Dino aveva baciato Squalo per la prima volta era stato così felice da temere di trovarsi in uno dei suoi sogni più belli, ma così non era stato.
Quando avevano fatto l’amore la prima volta, Dino aveva creduto che il cuore gli sarebbe esploso nel petto per quanto gli batteva forte.
Una parte di lui era sempre stata spaventata all’idea che, dopo Xanxus, Squalo non avrebbe più amato nessuno: sapeva quanto aveva sofferto per la sua morte e temeva che non avrebbe più permesso che qualcuno si avvicinasse a lui.
Per fortuna di entrambi, Dino sapeva come ottenere ciò che voleva.
 
 
Ormai vivevano insieme da tre anni. Seppur con difficoltà, Squalo aveva accettato l’amore di Dino ed era riuscito a ricambiarlo in qualche modo, ma…
 
 
Dino sospirò e chiuse gli occhi per un momento.
 
Non so perché tieni tanto a quella feccia, ma non c’è niente che tu possa fare o dire per cambiare le cose: lui mi appartiene e non se ne andrà mai di sua spontanea volontà”.
Nonostante tutto il tempo trascorso, gli tornarono alla mente le parole che gli aveva detto Xanxus una volta: le ricordava ancora e le ripensava sempre in quei momenti, perché sapeva che, se il moro non fosse morto, Squalo sarebbe sempre rimasto al suo fianco, indipendentemente da tutto e tutti. 
Non l’avrebbe mai lasciato. Non si sarebbe mai allontanato da lui.
E Dino non poteva fare a meno di sentirsi uno schifo quando ringraziava che Xanxus non fosse più tra di loro. Era un’emozione terribilmente egoista e meschina, ma non poteva farci niente.
Amava Squalo più di chiunque altro, più di qualsiasi altra cosa e se volerlo tutto per sé significava essere egoisti e meschini, allora lui lo era.
Avrebbe fatto di tutto pur di stare con lui, ma il moro restava ancora una presenza fissa nelle loro vite.

Dino sapeva che il suo fantasma non sarebbe mai sparito, perché una parte di Squalo avrebbe sempre amato Xanxus.

E Squalo non sarebbe mai stato del tutto suo, perché in fondo, in un modo o nell’altro, sarebbe sempre stato di Xanxus.







Ed eccoci alla fine-fine... so che a molti di voi ha sconvolto un bel po' la mia decisione di far morire Xanxus, ma spero che quest'ultimo capitolo abbia messo a posto i vostri cuori ^^ <3 probabilmente nessuno di voi si aspettava che squalo e dino sarebbero finiti insieme u.u ma devo proprio dire che come coppia mi ispira tantissimo, anche se questo finale lo definirei agrodolce <3 ma spero davvero che vi sia piaciuto! (potrei anche scrivere una one-shot sul loro innamoramento e sulla prima volta >.<)
ho cercato di essere il meno dolce-sdolcinata possibile per non finire OOC e ho dovuto sopprimere i miei stessi feels x la morte del mio solo e unico Boss..TWT
btw, ho iniziato questa storia ad agosto 2013 e non avrei mai pensato di concluderla quasi un anno dopo, eppure il tempo è passato velocissimo e ora mi ritrovo, per la prima volta, a chiudere la fic più lunga che abbia mai scritto.... ammetto di sentirmi un po' triste all'idea: questa storia ha tenuto compagnia a me come a voi e scriverla è stato bellissimo e difficile allo stesso tempo... non so se posso dire di essere maturata come scrittrice, ma forse un po' sì o almeno mi piace pensarlo u.u
non voglio ammorbarvi troppo con i miei pensieri finali, ma una cosa importante la devo dire: GRAZIE! a tutti voi <3 voi che avete letto, che avete messo la storia tra seguite/preferite/ricordate, che mi avete lasciato alcuni commenti, ma soprattutto, il mio grazie più grande è rivolto a musa07, Kyoite e SweetHell <3 <3 <3 voi ragazze mi sostenete da tanto tempo e senza le vostre parole non sarei di sicuro arrivata fin qua *__* se amo questo fandom di reborn è anche grazie a voi, perciò vi ringrazio infinitamente <3  *scende lacrimuccia*
ok, ora che mi sento anch'io in modalità agrodolce, concludo invitandovi a lasciarmi un commento finale *_* è molto importante per me sapere cosa ne pensate di questo finale e se la mia storia vi ha lasciato qualcosa, quindi anche solo 2 parole mi farebbero molto felice ^^
se riuscirò ad uscire viva dagli esami, ci rivedremo quest'estate, spero :3 nn vi libererete di me! un bacione e alla prossima


 

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