Back From The Death di AxXx (/viewuser.php?uid=218778)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ??? - Come risvegliarsi male. ***
Capitolo 2: *** Percy - Una visita dall'Aldilà ***
Capitolo 3: *** Bianca - Di persone ospitali e Sogni inquietanti ***
Capitolo 4: *** Bianca/Nico - Dolori di un Passato Lontano ***
Capitolo 5: *** Bianca - Mio fratello mi Invita a Casa Sua ***
Capitolo 6: *** Bianca - una Profezia molto Inquietante mi Riguarda ***
Capitolo 7: *** Bianca/Nico - Arrivano le Cacciatrici ***
Capitolo 8: *** Bianca - Mio fratello parte per una Missione Suicida ***
Capitolo 1 *** ??? - Come risvegliarsi male. ***
???
- COME SVEGLIARSI
MALE
Storia
ispirata in parte, e con alcune parti simili ad una storia di BSHallow.
Per
evitare denuncia, vi dico subito che lei mi ha dato il suo permesso. La
storia
a cui mi sono ispirato è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2524266
Cosa
sapevo di me?
Nulla.
Nemmeno
come mi chiamavo, mi ero risvegliata in un
grande parco pieno di gente, alberi e animali e che ero distesa su una
panchina. Mi alzai sentendo la testa girare. Era effettivamente, una
zona
alberata, ma intorno ad essa si vedevano dei palazzi e delle
costruzioni in
cemento. Ero a New York.
Non so da dove mi fosse venuto il nome, ma sentivo di
essere in una città con quel nome. Il parco, quindi, doveva
essere Central
Park. Intorno a me la gente parlava, bambini giocavano e alcune persone
andavano in giro con i propri animali da compagnia. Le voci arrivavano
ovattate
alle mie orecchie, come se avessi del cotone nel padiglione auricolare.
Scossi
la testa, cercando di schiarirmi le idee, magari
iniziare a sentire meglio.
L’unico risultato fu che la testa iniziò a girarmi.
Emisi un lamento e mi tenni la fronte. Cercai di
mettermi in piedi ma barcollai.
“Dannazione,
perché sto così male?”
Mi domandai, confusa. “E
perché non ricordo nulla?”
“Signorina?
Si sente bene?”
Davanti a me era apparso un uomo sulla trentina.
Indossava quella che mi pareva una sorta di uniforme blu con una stella
a sei
punte appuntata al petto. Sulla testa aveva uno strano copricapo con
visiera.
“Scusi?”
Chiesi, strizzando gli occhi, cercando di
schiarirmi la vista annebbiata.
“Le
ho chiesto se si sente bene… e direi di no, a
giudicare dalle sue condizioni.” Puntualizzò,
sorreggendomi, mentre barcollavo
di nuovo a causa dell’ennesimo giramento di testa.
“In
effetti… sono un po’ stordita. Solo…
devo
rinfrescarmi un attimo.” Risposi, poco convinta. Non avevo
nemmeno idea da dove
mi venissero quelle parole.
L’uomo
sembrava parecchio dubbioso e mi seguì mentre mi
dirigevo, o meglio, arrancavo, fino alla fontana più vicina.
Appena aprii
l’acqua e me la passai sul viso, mi sentii subito meglio,
anche se non molto.
Almeno mi si erano schiarite le idee, anche se continuavo ad avere dei
problemi
tipo le orecchie tappate e il giramento di testa.
“Signorina,
cos’ha legato alla cintura?” Mi chiese,
nuovamente, il tipo che mi aveva soccorso, accigliandosi.
Mi
irrigidii, mentre, scrutavo il mio vestiario.
Indossavo una specie di giacca, abbastanza leggera, color argento con
un
cappuccio con sotto una maglietta nero. Avevo anche un paio di
pantaloni dello
stesso colore tenuti stretti in vita da una cintura a cui era legato un
pugnale.
Rabbrividii, mentre il mio soccorritore si faceva più
scuro in volto. Si voltò e pescò dalla sua
cintura una scatoletta nera. Una
radio.
Mi
resi conto che non ero in una bella situazione.
Quella che portavo era senza dubbio un’arma e questo non era
un punto a mio
favore. Mi chiesi se avesse usato la pistola che aveva con se, o se mi
avesse
arrestata. Poteva?
Non lo pensavo, ma avrebbe potuto trattenermi.
Approfittai
del fatto che fosse voltato per dileguarmi.
Nonostante mi girasse la testa, le mie gambe avevano ricominciato a
funzionare.
Non avevo una meta precisa, ma intuii che, forse, non era bene
aspettare che il
tipo smettesse di parlare. Corsi lungo il viale alberato gettandomi
qualche
occhiata alle spalle per assicurarmi di non essere seguita. Urtai un
paio di
persone a cui borbottai delle scuse affrettate, finché non
raggiunsi l’uscita
del parco.
Cavolo,
se era stata una mossa sbagliata.
Il traffico mi faceva fischiare le orecchie non ancora
rimesse in sesto. Mi sembrava di avere uno spillo ficcato al lato della
testa.
Camminai, cercando di estraniare i rumori delle auto, il rombo del
motore, la
gente che urlava. Avevo il presentimento che rimanere sola, in un unico
punto,
non fosse una buona idea.
E
così camminai.
Non
sapevo dove stessi andando, ma, ogni tanto, sentivo
come una strana vocina guidarmi lungo i marciapiedi e le strade.
Evitavo
accuratamente le stradine secondarie che sembravano trappole a misura
d’uomo
con dei predatori in agguato negli angoli bui. Dovevano essere passate
ore,
quando, alla fine, mi fermai. Il sole, ormai, batteva forte sulla mia
testa, inondandomi
di calore fastidioso. Sudavo e mi sentivo sporca e appiccicata ai miei
stessi
abiti. Cercai qualcosa nella borsa a tracollo che mi ero accorta di
avere.
Magari una bottiglietta d’acqua, ma trovai solo una ventina
di dollari e delle
strane monete d’argento. Non avevo praticamente nulla ed ero
seduta su una
panchina di quello che pareva un cortile davanti ad un grosso edificio
in
mattoni rossi alto tre piani, più o meno.
Quella
sembrava proprio una scuola.
Avevo
la sensazione di aver già frequentato un luogo
simile, e senza troppo successo. Forse non mi piaceva nemmeno.
Non avevo idea del perché la vocina che sentivo nella
mia testa mi avesse portato lì, ma erano diversi minuti che
non la sentivo
sussurrare direzioni nella mia mente, il che mi fece capire che,
ovunque mi
volesse far arrivare, ero arrivata.
“Avanti,
voce. Dimmi cosa vuoi che faccia.” Pensai,
quasi mi
aspettasse che quella mi rispondesse.
Nulla.
Sospirai
ed iniziai a guardarmi intorno, cercando di
darmi dei punti di riferimento, dato che, finalmente, la mia vista si
era
schiarita del tutto e il mio udito si era ripreso completamente. La mia
attenzione fu attirata da una specie di locale.
Un
bar.
Mi
avvicinai cautamente, anche perché avevo sempre
strani timori e non riuscivo a rilassarmi del tutto. Credo che sia
normale,
quando ti risvegli in una città senza ricordarti
assolutamente nulla. Eppure,
quando l’odore di dolci da poco sfornati e cibo mi
arrivò alle narici non potei
fare a meno di essere attratta.
Il
mio stomaco emise un brontolio.
Cavolo, ecco perché mi sentivo così debole: avevo
fame.
Dal vetro notavo che, su un bancone erano sistemate delle ciambelle,
crostate, cornetti
e molta altra roba da mangiare dall’aspetto delizioso.
Il
mio stomaco, intanto, continuava a urlare per
potersi riempire ed io l’avrei accontentato volentieri, solo
che avevo paura di
ritrovarmi senza soldi, in poco tempo. Cavolo, non sapevo dove andare.
Non
sapevo nemmeno se avevo una casa o dei genitori.
Così sfidai la mia resistenza, sperando che quella
vocina che sentivo mi portasse in un posto familiare.
Inutilmente.
Passò
circa un’altra ora, prima che, con un sospiro,
abbandonassi la mia panchina, andando al bar di prima. Sbuffai,
osservando i
miei miseri venti dollari e mi avvicinai al bancone, assicurandomi
che il
pugnale fosse ben nascosto sotto la giacca e che non fossi io stessa,
troppo
sospetta. Insomma, cercai di assumere la mia faccia più
angelica.
Il locale era vuoto. La maggior parte dei clienti
dovevano essere i ragazzi che si fermavano lì a fare
colazione o dopo la
scuola.
“Posso
fare qualcosa per lei?” Mi chiese il
proprietario al bancone, alzando un attimo lo sguardo. Stava pulendo
dei
bicchieri.
“Sì,
ecco…” Mi voltai verso il bancone ed osservai i
dolci. “Prendo un cornetto.” Dissi, indicando
quello che avevo scelto
dall’altra parte del vetro.
L’uomo mi fissò un attimo, poi annuì e
sorrise.
“Calo
di zuccheri, eh? Bisognerebbe fare colazione la
mattina.” Borbottò, mentre mi serviva.
Decisi
di non protestare. Mi limitai ad annuire e
pagare il conto sorridendo ingenuamente. Uscii rapidamente, sentendomi
immediatamente più leggera. Gli spazi chiusi non mi
dispiacevano, ma, con
quella dannata amnesia, non mi sentivo sicura. Decisi di non pensarci
e, dopo
averlo osservato un attimo, addentai il cornetto.
Cavolo,
se era buono.
Non
avevo idea di quale roba chimica avessero usato per
renderla così o se era abilità di chi
l’aveva preparata, ma la pasta esterna si
scioglieva praticamente, mentre era in bocca, mentre il ripieno
dolciastro, che
sapeva di albicocca, scivolava nel palato dandomi una sensazione
davvero
fantastica. Lo
mangiai alla velocità
della luce, felice di sentire lo stomaco riempirsi e le energie
tornarmi.
Ero
così felice di sentirmi di nuovo in forze che, per
poco, non sobbalzai, quando sentii la campanella della scuola vicina
suonare.
Dal portone principale stavano uscendo un numero esorbitante di
ragazzi. Forse
la voce mi aveva portata in quel posto perché
c’era un mio amico. Forse c’era
qualcuno che mi conosceva e, vedendolo, mi sarebbe tornato in mente
qualcosa.
Così iniziai a far correre lo sguardo da una parte
all’altra della folla di
ragazzi che uscivano alla rinfusa, cercando qualsiasi cosa mi potesse
aiutare.
Fissai per alcuni istanti un gruppo di ragazze che ridacchiavano
all’uscita,
mentre un loro compagno le guardava, facendo strani gesti ad una di
loro. Poi
guardai un ragazzo biondo che teneva le mani nelle tasche dei jeans
decisamente
TROPPO a vita bassa.
Nulla,
nessuno di loro mi faceva venire in mente un
luogo, un viso o una persona a me familiare. Stavo per rinunciare
quando il mio
sguardo cadde su uno degli ultimi ragazzi.
Doveva
avere sui diciassette anni. Aveva un aria
ribelle, gli occhi verde-azzurro, come l’acqua di un mare
calmo e tranquillo. I
capelli mossi ricordavano le onde dell’oceano. Il volto era
dolce e sorridente,
come se dovesse combinare guai per forza ma senza cattiveria, e,
nonostante fosse coperto da
maglietta e pantaloni, potei intuire che avesse un fisico molto ben
allenato.
Ecco:
quello era un viso familiare.
Lo
osservai con maggiore attenzione e notai che,
nonostante stesse sorridendo, aveva lo sguardo guardingo, come se si
aspettasse
un attacco. Teneva una mano nella tasca destra dei pantaloni ed era
seguito da
un gigantesco ragazzone stretto in un impermeabile troppo pesante,
anche per la
mattinata non troppo calda. Sembrava volersi nascondere da sguardi
indiscreti.
Troppo grosso per essere una persona normale.
Di
solito, una persona normale, non seguirebbe i primi
due tipi che gli si parano davanti, seguendoli come se fossero una
lucina di
segnalazione, ma, ehi! Mi ero appena svegliata senza ricordare nulla!
Qualsiasi
cosa fosse familiare, mi avrebbe potuto aiutare. Così mi
misi alle costole dei
due tipi, cercando di evitare di farmi scoprire.
Con mio disappunto si diressero in un vicoletto ai lati
della palestra (O quella che, a vedere, era una palestra) e la cosa mi
insospettì. Nessuno sembrava
averci seguiti, quindi, a parte me e quei due, quella non era una
strada molto
frequentata. Automaticamente, intuii che, se qualcuno voleva tornare a
casa non
passava MAI da lì. Mentre li seguivo osservai diversi
murales e altri graffiti
disegnati ovunque. Era un posto squallido e disastrato. Bastava vedere
quanto
fossero sporchi e scoloriti i colori stessi che, spesso, si
sovrapponevano.
Mi
trattenni dal commentare certe immagini fin troppo
orrende. Avevo altro da fare.
Ad
un certo punto, però, voltato l’angolo, sentii una
specie di tonfo e sobbalzai. Un suono seguì quello che avevo
sentito e mi parve
proprio il muggito di un toro.
“Ehi,
testa di manzo! Sono un paio di anni che non ci
si vede!” Testa di manzo? Che razza
di
insulto è? Quello doveva essere il ragazzo che
avevo notato per prima.
Voltai
l’angolo e mi ritrovai davanti ad una scena che
mi fece accapponare la pelle. Al posto dell’enorme ragazzo
c’era una creatura
alta tre metri, con una testa sproporzionatamente grande rispetto al
resto del
corpo, dai lati della quale si estendevano due grandi corna. Il corpo
era
ricoperto di peli rossicci e le enormi braccia sembravano dei tronchi.
Come se la scena non fosse, già di per sé,
abbastanza
scioccante, il ragazzo dagli occhi verdi aveva abbandonato il suo zaino
per
terra e aveva estratto una penna dalla tasca che, un secondo dopo, si
era
allungata diventando una spada lunga novanta centimetri che sembrava
simile al
mio pugnale.
Mi
accucciai dietro il muro spaventata, mentre sentivo
muggiti e armi che cozzavano contro le corna della creatura. Cercai di
riprendermi e mi detti un pizzicotto per sicurezza. No, non stavo
sognando.
Avevo davvero visto un uomo trasformarsi in un gigante cornuto ed un
ragazzo
tirare fuori una spada dalla tasca dei pantaloni.
Sbirciai
di nuovo dietro l’angolo. Erano ancora lì ad
affrontarsi: il ragazzo era rapido e sembrava saperla usare bene quella
spada.
Il problema era che anche il mostro sembrava conoscere piuttosto bene
le mosse
del suo avversario e, nonostante le proporzioni, riusciva ad evitare la
maggior
parte dei fendenti.
Fui tentata di intervenire. Anzi: dovevo farlo. Il
problema era che il mio cervello non sembrava funzionare correttamente.
Una
parte di me mi diceva di correre via alla velocità della
luce a chiedere aiuto.
Dopotutto sembrava anche la scelta migliore: cosa
potevo fare, io, povera ragazzetta smemorata, contro un bestione del
genere?
E poi cos’avevo, io, che poteva essermi utile, contro
quel bestione? Una borsetta, Una decina di monete d’argento,
la carta del
cornetto, alcuni dollari, uno spazzolino da denti, un berretto verde e
un
pugnale di fattura sconosciuta.
Sì,
direi che erano tutte armi letali contro un
bestione cornuto di tre metri.
Mi
morsi la lingua per non gridare per l’esasperazione.
Tornare dagli uomini in blu? Non se ne parlava, mi mettevano a disagio.
Urlare
come una pazza? Non sono mica scema. Mi avrebbe sentito anche quel
mostro e non
volevo certo che se la prendesse con me.
Mi rimaneva un'unica opzione che, per la miseria, era
quella che odiavo di più: aiutare il ragazzo dai capelli
neri. Ma come? Cosa
dovevo fare? Se avessi provato a distrarre il mostro? E con cosa? Non
avevo
idea di che fare. Poi mi ricordai del pugnale che portavo al fianco.
Non ero
sicura di saperlo usare, ma potevo farlo. Avrei potuto attaccarlo alle
spalle.
Ma se mi avesse sentita?
Non
ebbi altro tempo per pensarci.
Il
ragazzo aveva sbagliato movimento e il mostro
taurino ne aveva approfittato per colpirlo con un potente pugno al
petto che
l’aveva fatto volare per una decina di metri facendogli
perdere la spada,
mandandolo a sbattere contro un muro di mattoni.
Dovevo agire in fretta. Quel tipo era la mia unica
speranza di scoprire chi ero.
Mi alzai, stringendo convulsamente il pugnale, mentre
uscivo dal mio nascondiglio, avvicinandomi al mostro che mi dava le
spalle, per
avvicinarsi alla sua vittima.
“Ehi,
amico! Calma… ok? Siamo partiti con la zampa
sbagliata, forse.” A quanto pare il ragazzo mi aveva vista e
stava cercando di
guadagnare tempo,. O forse stava solo cercando di riprendere la sua
spada. In
ogni caso stava distraendo il mostro.
Mi
avvicinai, rendendomi conto di stare sudando come
una fontana. La mia mano era scivolosa e dovetti muovere le dita per
riassicurarle all’elsa del pugnale. Il mostro era solo ad un
metro ed io ero
praticamente in apnea. Non volevo che mi sentisse o sarei stata
spacciata.
Mosse come quelle che aveva fatto il tipo dagli occhi verdi, me le
sognavo. Dovevo
colpire velocemente.
Stavo
per colpire quando il mostro alzò il muso,
annusando l’aria.
Sgranai
gli occhi ed iniziai a sudare ancora di più, se
possibile. Aveva fiutato il mio odore.
Radunai
tutto il mio coraggio e saltai. Non pensavo di
poter essere agile (O forse era vero il detto ‘La Paura mette
le ali ai
piedi’), ma gli atterrai sulle spalle e, con tutta la mia
forza, lo colpii alla
gola.
Pensai che avrei visto il sangue uscire. Invece, sotto
di me, il mostro iniziò a disintegrarsi con un muggito
dolorante. In poco tempo
era sparito ed io precipitai in mezzo alle ceneri che lo componevano.
“Ah.”
Mi lamentai, piano, mentre mi rialzavo. Dovevo
aver fatto uno sforzo un po’ eccessivo per il mio corpo, o
forse avevo
sbattuto, dato che le ginocchia mi mandarono delle fitte dolorose.
“Ehi,
amica, grazie.” Mi chiamò il ragazzo che avevo
salvato. Alzai lo sguardo e lo vidi che si stava spolverando i resti
del mostro
di dosso.
“Di
nulla.” Risposi in automatico.
Fu
allora che lui si bloccò di colpo come se la mia
voce gli avesse fatto venire un attacco di cuore. Quando
alzò gli occhi mi
sentii strana, come se fossi fuoriposto, con lui. Vi lessi paura,
felicità,
sconcerto, sorpresa e molto stupore. Si avvicinò a me di
qualche passo, come se
temesse di vedermi sparire.
Mi toccò la fronte, facendomi scorrere una specie di
brivido lungo tutta la spina dorsale.
“B-Bianca?”
Chiese, con la voce carica di incredulità.
Per
qualche ragione, quel nome mi suonò familiare.
E
capii che era il mio.
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[Angolo dell’autore]
Salve!
Mentre la cara Water Wolf non potrà essere
con noi, per un po’ di tempo, io mi spingerò a
fare questa possibile storia.
Dopo un tentativo, a mio parere, fallito, ho deciso di tentare questa
storia
che segue una possibile avventura seguito dell’originaria
(sperando che il buon
Rick, non mi secchi nessun personaggi dei sette. D: )
Ad ogni modo, spero che la storia vi sia piaciuta, con questa
apparizione molto
a sorpresa dei nostro semidio preferito. ;)
Quindi, vi chiedo di recensire.
AxXx
|
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Capitolo 2 *** Percy - Una visita dall'Aldilà ***
Percy
– Una visita dall’Aldilà
Dei
dell’Olimpo! Pure questa no!
Non
poteva essere lei! Doveva essere un fantasma
mandato a torturarmi, o qualcosa del genere. La vera Bianca era morta
anni
prima, uccisa da un gigantesco automa. Invece era proprio lei, davanti
a me, in
quello squallido vicoletto dietro la mia scuola, che mi fissava con un
aria a
metà tra il confuso e lo spaventato, con un pugnale di
bronzo celeste nella
mano che le tremava leggermente.
Aprii un paio di volte la bocca come un pesce fuor
d’acqua. Dovevo sembrare incredibilmente stupido, ma cercai
di trattenermi.
“Ok,
Percy, stai calmo. Dopo tutto quello che hai passato, non puoi
spaventarti per
questo, no? Ragiona e cerca una soluzione al problema.”
Mi dissi, passandomi una mano sulla fronte, parecchio sudata, non solo
per lo
scontro, ma anche per l’agitazione.
Il
guaio era che Bianca era una sorta di… fantasma, nel
nostro gruppo. La sorella di Nico era morta a dodici anni sotto i miei
occhi.
Nico si dava la colpa per non averla salvata e io stesso non riuscivo a
togliermi dalla testa il fatto che, in parte, ero stato io a provocarne
la
morte.
Deglutii scacciando quel pensiero dalla testa, e mi
avvicinai alla ragazza.
“Ehi…
ehm… tu sei?” Chiesi, mostrando le mie grandi
doti oratorie. Mi resi conto di sembrare incredibilmente stupido dato
che prima
l’avevo chiamata per nome e l’attimo dopo le
chiedevo chi fosse.
Infatti
lei si accigliò.
“Quindi… non sono Bianca?” Chiese, in
parte sorpresa,
in parte dispiaciuta.
“Ecco
io…” Balbettai confuso. Se non lo sapeva lei, io
che ne sapevo. Poi, improvvisamente, mi venne una specie di idea folle
e, allo
stesso tempo, fin troppo plausibile.
“Ti…
ricordi qualcosa?” Chiesi, un istante dopo,
poggiandole una mano sulla spalla. Quasi volessi rassicurarla.
Fu
quando scosse la testa che capii perché si
comportava in quel modo.
“Mi dispiace.” Si giustificò lei,
sconsolata. “Non
ricordo nulla, a parte che mi sono svegliata sta’ mattina a
Central Park.”
Sospirai,
anche se non sapevo se di sollievo o di
esasperazione. Sapevo bene cosa significasse risvegliarsi in un luogo
sconosciuto
senza ricordare assolutamente nulla. Era mi aveva già usato
in modo simile,
facendomi andare al Campo Giove per dare inizio ad
un’alleanza tra greci e
romani. Doveva essere spaventata e confusa. Probabilmente la mia vista
gli
aveva fatto tornare in mente parte del suo passato, ecco
perché mi aveva
seguito. Il problema principale era: cosa ci faceva lì. Nico
aveva detto che
Bianca aveva scelto la rinascita, invece eccola lì, davanti
a lui, per di più
in versione quindicenne, un anno n più di Nico.
Nico…
Per
gli Dei, non osavo pensare a come avrebbe reagito.
Inoltre, nonostante l’incredibile somiglianza, avevo ancora i
miei dubbi che
fosse veramente Bianca di Angelo. Senza ricordi che potessero
confermarlo, lei
poteva anche essere una semidei molto somigliante. Ade, che situazione
del
cavolo.
“Mi
chiamo davvero Bianca?” Chiese, all’improvviso,
facendomi precipitare fuori dal gorgo dei miei pensieri.
“Cosa…?”
Aveva
gli occhi pieni di dubbi, paure ed incertezze.
Dovevo aiutarla. Non mi andava di lasciarla lì da sola. Se
fosse stata davvero
Bianca avrei potuto rimediare ad uno de più grandi errori
che avessi mai fatto
e Nico sarebbe stato felice. Altrimenti… be’, era
senza dubbio una semidea e
non potevo lasciarla lì, in attesa che i mostri la
fiutassero per farne un buon
pasto.
“Ascolta…
io… è difficile da spiegare, ma sì,
credo che
tu sia Bianca. Una… mia amica.” Risposi, cercando
di non spaventarla troppo e,
allo stesso tempo, sembrare convincente. Non potevo dirle su due piedi:
Ciao, sei quella tizia che è morta
sotto i
miei occhi uccisa da un gigantesco automa di Efesto per salvarci tutti.
Sarebbe
stato parecchio imbarazzante, nonché traumatico, per
lei.
“Solo che non ti vedo
da… molto tempo. Quindi, non sono nemmeno sicuro che sia
davvero tu.”
Lei
sembrò un po’ più sollevata, ma era
ancora in
dubbio.
“E… allora? Senti, io non so chi sei…
so solo che una
specie di… sensazione mi ha portata qui davanti. Sto solo
cercando un luogo
familiare. Non ho idea del perché mi sono ritrovata con in
mano un arma e
nemmeno come ho fatto ad affrontare quel… coso.”
Rispose, esasperata,
passandosi una mano tra i lunghi capelli neri.
“Minotauro.”
Precisai.
“Ascolta, è lunga da spiegare,
ma posso dirti che non è la sola creature orribile che
incontrerai. Per
esperienza, ti dico che non siamo al sicuro. Per ora potrei portarti a
casa
mia. Lì potresti mangiare qualcosa. Intanto ti spiego cosa
sta succedendo.”
Subito
dopo mi morsi la lingua. Ma quanto ero
stupido!?Le avevo chiesto di venire a casa mia. Per lei ero un perfetto
sconosciuto. Potevo essere un serial killer, un maniaco, un criminale o
un
altro mostro camuffato. Non mi sorpresi, infatti, quando lei
iniziò a spostare
il peso del suo corpo da un piede all’altro, guardandomi
indecisa.
“Casa
tua…?”
“Sì,
scusa… lo so che sembra strano, ma sono tuo amico.
Non voglio farti del male. Se vieni, sarai al sicuro da altri mostri e
ti
porterò in un posto dove potrai essere al sicuro e, forse,
ti saranno date
spiegazioni.” Risposi, più cauto, per non
allarmarla.
Iniziò
a rilassarsi. A quanto pareva l’idea di un posto
sicuro e di spiegazioni la attirava parecchio e non potevo darle torto.
“D’accordo…”
Concesse, infine, rinfoderando il pugnale.
La sua espressione si fece più rilassata e stanca.
“Vengo con te.”
Annuii,
sempre ansioso non solo di allontanarmi da quel
posto dove avevo combattuto di nuovo il caro Testa di Manzo, ma anche
perché
dovevo contattare qualcuno. Casa mia e di mia madre non era lontana,
quindi non
ebbi difficoltà a portarla lì. Usammo la
metropolitana, dato che era più
veloce. Di solito odiavo andare in zone sotterranee, dato che erano il
tipico
territorio dei mostri, ma volevo essere velocemente a casa. Non ci
rimasi
molto: infatti, appena arrivammo alla fermata vicina a casa mia, mi
alzai,
facendo cenno a Bianca di fare lo stesso. Lei era rimasta in silenzio
per tutto
il viaggio, anche se capivo che mi voleva fare una valanga di domande.
Seguimmo
il marciapiede fino a casa mia, mentre
chiamavo Annabeth. Dato che era diventato architetto ufficiale
dell’Olimpo, gli
Dei le avevano concesso un appartamento a New York per poter
sovrintendere alla
ricostruzione personalmente. Dopo due guerre la Città Sacra
era davvero messa
male, ma mi fidavo della mia Sapientona. Ed era proprio per quello che
la
chiamavo. Avevo bisogno di un consiglio saggio.
Sentire
la sua voce mi calmò, non appena lei rispose
dall’altra parte.
“Ehi, Percy!” Mi salutò allegra.
“Com’è andato l’ultimo
giorno di scuola? Domani si va’ al Campo.”
“Già…”
Borbottai, mentre osservavo Bianca che mi stava
dietro, guardandosi intorno spaesata. “Senti,
Annabeth… ho un problema,
potresti venire a casa mia, subito?”
“Cos’è
successo? Hai fatto saltare in aria qualcosa?”
“Magari.”
Risposi, osservando la ragazza che mi
seguiva. Ancora non capivo se essere spaventato o felice.
“Non posso dirti
tutto, sarebbe troppo lunga, ma ti chiedo di venire da me.”
La
sentii esitare un attimo. La conoscevo bene,
probabilmente stava riflettendo su cosa potesse essere successo:
“D’accordo,
Testa D’alghe. Vengo subito.”
Riattaccò
e rimisi il cellulare in tasca. Mi guardai
intorno sospettoso, in cerca di qualsiasi segno di mostro. Eravamo due
mezzosangue relativamente potenti, e io avevo anche usato il cellulare.
Probabilmente ogni mostro ci aveva fiutati e ci stava vedendo come un
bello
spuntino.
“Chi
è Annabeth?” Chiese, all’improvviso,
Bianca, alle
mie spalle.
“Oh,
lei è la mia ragazza. È la tipa migliore del
mondo, quando deve ragionare. È intelligente e molto astuta.
Di lei ci si può
fidare.” La rassicurai, mentre continuavo a camminare verso
l’appartamento di
mamma.
Mi
sorpresi quando riuscii ad arrivare a casa senza
essere attaccato da una dracena o un lestrigone. Di solito erano sempre
lì ad
aspettarmi dietro l’angolo.
“Allora… ora mi dici che succede?”
Chiese Bianca,
esasperata, lasciandosi cadere sul divano. Doveva essere in piedi da un
bel
po’, visto che si era praticamente gettata su di esso per
istinto.
“Ecco…
d’accordo.” Mi sedetti su una sedia vicina. Mia
mamma non era ancora tornata, il che era meglio, a mio parere.
“Quello che ti
dirò ti potrebbe sembrare una follia, ma io e te ci siamo
conosciuti tempo fa.”
Presi
un respiro profondo ed iniziai a raccontare dei
Semidei, del Campo Mezzosangue e di come, sospettavo che lei fosse come
me,
anche se non avevo idea di chi fosse suo padre.
“Questo… è strano… ma
spiegherebbe molte cose.”
Sussurrò lei, dopo alcuni attimi di imbarazzante silenzio.
Si era accigliata
parecchio, ma non era impazzita e non mi aveva dato del pazzo.
“Ma… allora come
mai io non ricordo nulla?”
Ecco
la parte più delicata. Non volevo arrivarci e
stavo cercando un modo abbastanza buono di spiegarle quello che
sospettavo. Insomma,
non potevo dirle che era colpa mia se era morta. O sì?
Dovevo dire che avevo un certo timore della sua reazione, ma non potevo
certo
tenerglielo nascosto. Se fossi stato Annabeth avrei potuto anche
trovare una
soluzione, ma a me non venne in mente nulla.
Guardai
l’orologio.
Lei
sarebbe arrivata solo tra un quarto d’ora e non
credevo che avrei potuto perdere tempo per così tanto.
“Senti, Bianca… posso chiamarti
così?” Iniziai,
cercando di dare inizio ad una conversazione civile.
“Certo…
quando mi hai chiamata così ho avuto una
sensazione familiare, sono abbastanza certa che sia il mio
nome.” Rispose,
stiracchiandosi. Sembrava si stesse rilassando.
“D’accordo…
Bianca, io credo di conoscerti… o meglio,
credo di averti
conosciuta.” Iniziai,
cautamente, tornando a sedermi.
Così
iniziai a raccontarle della mia impresa insieme
alle cacciatrici di Artemide. Di come avevo preso parte
all’impresa, di come
era morta Zoe e della liberazione della Dea. Le raccontai di Nico e
della
sorella che era morta durante l’attacco di un automa e del
fatto che io
credessi che fosse lei la stessa persona.
La
vidi sbiancare all’improvviso e la bocca le si
spalancò per la sorpresa. Sul suo volto le si dipinsero in
rapida successione paura,
terrore, stupore, sollievo e sospetto. Probabilmente temeva che io le
stessi
mentendo e aveva paura di essere una sorta di zombie, o fantasma.
Eppure era
una persona viva. Quando l’avevo toccata l’avevo
sentita calda come qualsiasi
persona. Avevo già incontrato persone tornate dalla morte,
ma quella sorta di
Bianca rediviva somigliava di più ad Hazel. Ultimamente i
figli di Ade avevano
il brutto vizio di tornare in vita.
“So
che può sembrare assurdo. Credevamo che tu dovessi
rinascere… reincarnarti in un altro corpo. Non pensavamo
minimamente che
saresti tornata. Insomma, non avevamo mai capito perché te
ne fossi andata…
sempre che tu sia davvero Bianca.” Conclusi, osservandola.
Aveva gli occhi
lucidi, probabilmente non era quello che si era aspettata. Non potevo
biasimarla.
“Quindi…
sono davvero uguale a questa… Bianca morta?
Credi che io sia lei?” Chiese, stringendosi le spalle, come
se avesse freddo,
anche se sapevo che nulla di quello che le stava accadendo aveva a che
vedere
con il freddo.
“Io…
non lo so davvero, Bianca.” Dissi, cercando di
rassicurarla.
“Dimmi… vuoi una cioccolata calda?”
Lei
si limitò ad annuire, mentre si stringeva le gambe
al petto, continuando ad avere un espressione terribilmente confusa. Mi
sentii
in colpa, era colpa mia se era in quello stato. Avrei dovuto essere
più
delicato, aspettare Annabeth e girarci un po’ più
intorno.
Tornai
in salotto con due tazze di cioccolata. Fa
sempre bene e, per di più, quell’estate non
sembrava voler fare caldo. Non
avevo voglia di indagare su Borea o su cose gli fosse saltato in mente,
dovevo
occuparmi di Bianca. Lei era ancora seduta sul divano, nella stessa
posizione
in cui l’avevo lasciata, anche se, fortunatamente, sembrava
più rilassata.
“Mi
spiace, non dovevo essere così brusco.” Dissi,
cercando di calmarla, porgendole la tazza di cioccolata calda.
“Mh?
No, grazie… non potevi mica dirmi altro. Almeno
sei stato sincero… solo che adesso non so proprio che fare.
Insomma… sono morta
o no? Che devo fare? Tornare negli inferi? Hai parlato di un mio
fratello,
Nico, forse lui sa cosa mi è successo. Non dovrei
cercarlo?” Chiese, in fretta,
quasi avesse paura di dimenticare qualcosa. Non potevo biasimarla.
“Lui
era già sceso negli inferi per riportarti
indietro. Ma ci disse anche di non aver trovato la tua anima. Aveva
detto che
avevi scelto la reincarnazione. Non ho idea del perché ti
trovi qui.” Risposi,
mestamente, mentre lei sorseggiava la sua cioccolata.
“Forse un Dio minore
vuole fare uno scherzo a Nico.”
“Capisco…”
Rispose piano, con lo sguardo perso nel
vuoto, immersa in chissà quali pensieri.
Poco
dopo suonò il campanello e corsi ad aprire. Era
proprio Annabeth, grazie al cielo.
“Ciao,
Testa D’Alghe. Come mai quella faccia?” Chiese,
con un sorriso, dandomi un leggero bacio sulle labbra. Era una sorta di
tradizione, tra noi, salutarci con un bacio.
“Vieni,
te lo faccio vedere.” Risposi, semplicemente,
trascinandola, letteralmente, in salotto, dove Bianca aveva posato la
sua tazza
sul tavolino. Sembrava essersi rilassata.
Appena
la vide, Annabeth emise un verso strozzato, come
se le fosse andato qualcosa di traverso. Non potevo darle torto. Per
quanto
avesse visto per poco tempo Bianca, avevamo tutti in mente la sua
immagine e
non potei darle torto quando la fissò sorpresa.
“Ma
quella è…” Bisbigliò, senza
distogliere lo sguardo
dalla ragazza.
“Non
lo so, ma sì… credo sia proprio
Bianca.” Risposi,
sottovoce, scuotendo il capo sconsolato.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo dell’autore]
Secondo
capitolo, incredibilmente veloce, per i miei
standard di aggiornamento di mille anni o anche ad ogni morte di papa.
Come
avete potuto vedere, questo capitolo è dal POV di Percy, il
prossimo sarà
ancora dal POV di Bianca e potrebbe già esserci Nico. :3
Ad
ogni modo, mi fa piacere vedere tante visite al
primo capitolo, anche se ho visto poche recensioni. Ringrazio,
comunque, lo
stesso, Biancadiangelo e Silvia_Fangirl che sono state moooolto gentili
a
venire a vedermi e recensire, in questa storia.
Mi
piacerebbe che mi diciate cosa ne pensate e che
mi deste consigli e critiche alla storia.
AxXx
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Capitolo 3 *** Bianca - Di persone ospitali e Sogni inquietanti ***
Bianca
– Di persone ospitali e Sogni inquietanti
Ero
spaventata, non c’era che dire. Ero una non morta,
un fantasma uscito dagli inferi. Mi chiesi cosa ci facessi
lì e come avevo
fatto a tornare in vita. Cos’ero? Uno zombie? Mi sarei
decomposta e avrei
iniziato a mangiare cervelli? Mi guardai con orrore le braccia, quasi
temessi
di vederle iniziare a decomporre. No, non si stavano decomponendo.
Sospirai di sollievo.
Almeno non ero ancora uno zombie, ma per quanto avrei resistito?
Sulla
soglia si era stagliata una ragazza bionda. Era
molto particolare, infatti aveva i capelli biondi che si intonavano in
modo
strano ma affascinante con la pelle abbronzata e gli occhi grigi come
il cielo
in tempesta. Indossava una maglietta verde ed un paio di jeans chiari.
Aveva un
aria sorpresa e anche un po’… spaventata. Non
potevo darle torto, praticamente
aveva visto uno zombie nel salotto del suo ragazzo.
Percy le stava spiegando come ci eravamo incontrati e
cosa gli avevo detto.
“Testa
d’Alghe!” Urlò la ragazza, alla fine del
racconto. “Mi dici come hai fatto a farti fregare da un
minotauro!?”
In effetti, mi ero chiesta anche io come facesse un
veterano a farsi battere da un mostro che, nonostante tutto, non
sembrava
terribile come Campe, Tifone, i Dragoni e i Giganti.
“Dai,
Annabeth, non te la prendere! Lo sai che quando
esco da scuola, sono sempre distrutto. Non riuscirei a tenere testa
nemmeno ad una
dracena ubriaca.” Rispose lui, con un sorriso nervoso.
Annabeth,
però, non sembrava molto soddisfatta, della
risposta: “Per gli Dei, testa d’alghe! Hai idea di
quanti ictus ho dovuto
sopportare, ogni volta che rischiavi la vita!? Ora devo preoccuparmi
anche di
quando tu esci da scuola!?”
Non potevo darle torto, in effetti, anche se non avevo
idea se avessi avuto un ragazzo in passato, anche io mi sarei presa un
infarto,
se gli fosse successo qualcosa. E poi non pensavo che la Scuola fosse
così
letale, per la gente.
“Non
esagerare, Sapientona… sono vivo, no?” Fece notare
lui,abbassando il capo, contrito. Be’, almeno era bravo a
farsi venire
espressioni docili e indifese nei momenti estremi.
“Ok,
d’accordo.” Concesse la bionda, massaggiandosi la
fronte. “Ora la cosa più importante è
capire cosa sta succedendo. Come se non
ne avessimo già passate tante.”
“Non
metterle pressione. Non si ricorda nulla, è
agitata… io dico di stare calmi.” Propose Percy,
giocherellando con un bordo
della maglietta. Lo ringraziai mentalmente per la sua comprensione. Non
ero
psicologicamente pronta ad un terzo grado.
“D’accordo…
però dobbiamo capire come mai è sparita,
l’anno scorso, dagli inferi, ed è riapparsa
qui.” Fece notare la bionda.
“Smettetela
di parlare come se non esistessi!” Sbottai,
un po’ infastidita. Va bene che non me la sentivo di
affrontare il terzo grado,
ma non era un buon motivo per ignorarmi.
“Oh,
giusto… scusami. Solo che… siamo un po’
sorpresi.”
Rispose Annabeth, riscuotendosi dal suo vortice di pensieri intricati
che mi
faceva già venire il mal di testa solo a immaginarli.
“Ascoltate,
non mi ricordo nulla, ma davvero, non so
che fare. Vorrei poter incontrare qualcuno di familiare, come Percy.
Quando lui
mi ha chiamata, mi sono ricordato il mio nome.” Spiegai,
cercando di rendermi
utile. Volevo ricordare. Se solo avessi avuto qualche indizio in
più.
“Mmmmh…
quindi se vedi cose familiari ti ritorna parte
della memoria?” Indagò la figlia di Atena,
fissandomi intensamente. Mi chiesi
quali pensieri si nascondessero nel suo cervello.
“Non
proprio.” Mi corressi subito. “Ho come delle
sensazioni. Sono certa di aver incontrato entrambi voi, ma non me lo
ricordo
l’incontro e non ne ho la certezza, fino a che non me
l’ha detto Percy. Anche
il mio nome… non ero sicurissima di chiamarmi Bianca nemmeno
quando mi ha
chiamata così, solo che mi sentivo stranamente in sintonia,
con quel nome in
particolare.”
Annabeth
cadde in un silenzio di riflessione. Non disse
nulla per diversi minuti e, anche quando arrivò la madre di
Percy, disse solo
due parole per salutarla. Era affascinante, a modo suo. Quando
rifletteva si
estraniava completamente dal mondo, come se nel suo cervello ci fosse
un’intera
biblioteca e lei potesse consultarla ogni volta che voleva. Nel
frattempo, Percy
mi presentò sua madre ed il suo patrigno. Erano due persone
fantastiche. Paul
era molto simpatico e alla mano e Sally Jackson era una vera forza
della
natura: nonostante ci fossero tre mezzosangue a casa sua, si comportava
con
naturalezza.
“Così…
sei la sorella di Nico di Angelo?” Chiese,
mentre mi offriva un panino, seduti al tavolo della cucina, mentre la
ragazza
del figlio era ancora in salotto a rimuginare su di me. Almeno non
aveva
iniziato con la classica frase: “Ma
non
ricordi proprio nulla?” che mi stava davvero
stancando.
“Non
ne sono sicura. Spero di incontrarlo presto, anche
se, a quel che ho capito, lui non sarà molto felice di
rivedere me.” Risposi,
mentre addentavo il cibo. Dopo il
cornetto non mi ero più concessa altro cibo e, in effetti,
il mio corpo non era
molto felice.
“Be’,
domani mio figlio va al Campo Mezzosangue. Sono
certo che là, Chirone, chiarirà la situazione.
È un esperto in situazioni del
genere.” Mi rassicurò la donna, con un sorriso
incredibilmente dolce e
comprensivo.
Non
potei fare a meno di ricambiare. Mi stava andando
di lusso. Era una donna incredibilmente energica e gentile al tempo
stesso. Una
vera mamma, ciò che, a quel che avevo capito, mi era sempre
mancata.
“Lo
spero.”
Ammisi, finalmente un po’ più leggera, grazie agli
Dei. “Sono molto confusa e
mi servirebbero davvero delle spiegazioni… ed un
passato.”
“Sono
certa che troverai entrambe le cose… intanto,
pensando al presente, immagino che tu non abbia un posto dove
stare.” Mi fece
notare Sally, accarezzandomi la schiena come se fossi sua figlia.
“Ehm…
no…”
Che stupida, è vero! Non avevo nemmeno una casa. Non
sapevo dove passare la notte, ed io, in strada, non avevo una gran
voglia di
tornarci. Era alla pari di un senzatetto. Anzi, peggio, almeno un
senzatetto
ricorda qualcosa.
“Allora
puoi rimanere con noi. Per una notte non ci
saranno problemi.” Mi fermò subito lei, senza
perdere quel suo sorriso
comprensivo che mi faceva stare bene.
“Potrebbe
prendersi la mia camera. Io posso benissimo
dormire sul divano… o andare a dormire da
Annabeth.” Propose Percy, allegro.
“Siete
molto gentili, davvero… vi ringrazio.” Risposi,
sentendomi in imbarazzo davanti alla loro gentilezza. Qualsiasi
divinità mi
avesse condotto lì mi doveva aver preso in simpatia.
“Bene,
allora è deciso. Percy, divano o Annabeth?”
Chiese Sally, rivolgendosi al figlio.
“Non
vi disturbate, il divano andrà benissimo!” Dissi,
subito, sentendomi stranamente a disagio. Non volevo invadere,
più di tanto, lo
spazio privato del mio ospite.
“Non
scherzare, Bianca. Hai bisogno di un letto vero. Io
mi sistemo sul divano.” Disse il figlio di Poseidone, con un
gran sorriso,
ignorando le mie proteste.
Il
resto della giornata non fu particolarmente denso di
avvenimenti. Percy e i suoi fecero di tutto per farmi sentire a mio
agio e mi
coinvolsero nelle faccende di casa. Un buon modo per ignorare i miei
problemi
quali la mancanza di memoria e le domande su chi ero. Non volevo
sembrare una
tipa che si lamenta di nulla, ma non è da tutti svegliarsi
da soli, venire a
sapere che sei una semidea e, per di più, una semidea morta
molto tempo prima
dopo aver abbandonato il proprio fratello. Mi sarebbe piaciuto capire perché mi ero unita alle
cacciatrici.
Cenammo
tutti insieme, venne anche Annabeth. Si
respirava un’atmosfera incredibilmente tranquilla, nonostante
Percy mi avesse
avvisata di stare attenta ai mostri che erano in grado di fiutarci.
Sally
preparò un piatto di lasagne fumanti il cui odore mi fece
venire l’acquolina in
bocca. Erano fantastiche e il sapore delizioso. Mentre mangiavo,
Annabeth mi
raccontò di Percy del Campo Mezzosangue e di come svolgevano
le attività lì. Mi
parlò, anche, delle loro precedenti avventure, del Campo
Giove e dei loro
amici. Sembrava davvero, un posto fantastico e non vedevo
l’ora di vederlo. Un
po’ perché era un posto sicuro. Un altro era per
interrogare Chirone che, a
quanto pareva, poteva darmi le risposte che cercavo.
Notai, però, subito, che mentre parlava, la ragazza
aveva sorvolato sull’argomento Nico
di
Angelo. Evidentemente c’era qualcosa sul mio
presunto fratello che non
volevano dirmi. Forse qualcosa che avrebbe potuto turbarmi.
“Davvero?
Ma non è pericoloso usare la lava in una
parete da arrampicata?” Chiesi, mentre addentavo una
forchettata di lasagna,
curiosa di saperne di più.
“Non più di
quanto possa essere mettere piede fuori di casa, per un
mezzosangue.” Minimizzò
Percy, alzando le spalle.
“E
il Campo Giove? È simile, immagino.” Dissi, sempre
più interessata.
“Non
proprio… Campo Giove è più
militarizzato, molto
più simile ad un campo Romano. Inoltre è diviso
in legioni, non in Case, come
Campo Mezzosangue.” Spiegò, di nuovo, il figlio di
Poseidone, mentre mangiava.
Non capivo perché, ma ogni cosa che mandava giù
era blu. E mangiava anche
tanto.
Avrei
voluto avere un po’ di tranquillità, ma io stessa
ero così curiosa riguardo a quel che mi dicevano che
continuavo a fare domande
a raffica, senza curarmi di ciò che loro avrebbero pensato
di me. Insomma, mi
sembrava ovvio essere interessati, anche se, in verità, ero
più preoccupata per
quello che doveva essere mio fratello. Cercavo sempre di spingere la
conversazione verso di lui, ma riuscii a ricavare ben poco.
Dopo cena, mentre erano tutti riuniti a guardare un
programma televisivo, Sally mi invitò a farmi un bagno e mi
prestò un suo
pigiama, molto leggero, ma pratico, in caso ne avessi avuto bisogno.
“Ma…
non posso accettare, davvero. Posso dormire anche
vestita.” Protestai, debolmente, sentendomi di nuovo in
imbarazzante
gratitudine. Avrei voluto restituire il favore, ma non sapevo come.
“Non
dirlo nemmeno, fai pure con comodo e, di certo,
non mi stai disturbando.” Disse la donna, liquidando
qualsiasi
mio tentativo di restituirgli le sue cose, chiudendo la porta.
Sospirai
e mi spogliai velocemente. Appoggiai i miei
vestiti su uno sgabello, dopo averli piegati velocemente. Misi
l’accappatoio
sul lavandino e entrai nella doccia, chiudendomela alle spalle.
Sospirai,
rendendomi conto che, in tutto il giorno, avevo sudato parecchio e
avevo
ancora, addosso, un po’ di cenere di mostro. Non ci tenevo ad
avere addosso
certe schifezze.
Aprii l’acqua e, con mia profondo sollievo, mi sentii
meglio. La sporcizia si dissolse, trasportata via dalla corrente,
dandomi una
sensazione di freschezza. Mi insaponai da capo a piedi, lasciando che i
miei
capelli si liberassero della cenere e di qualsiasi altra cosa ci fosse
finita. Dopo
essermi lavata mi sentii davvero a nuovo, come una rosa dopo una
pioggia
torrenziale.
Sally
mi fece addirittura trovare il letto sfatto e
preparato per ospitarmi. Dei, era imbarazzante. Non che fossi
arrabbiata, ma
tutta questa premura mi stava davvero mettendo a disagio. Avrei voluto
offrire
qualcosa in cambio, visto che non mi avevano nemmeno fatto troppa
pressione. Ma
che potevo dargli? Non avevo nulla, con me.
Scossi
la testa, ormai pesante, per l’ora tarda e i
pensieri che la affollavano e mi cambiai. Il pigiama che mi aveva dato
Sally mi
stava un po’ grande, ma non mi dispiaceva. Potevo muovermi
liberamente, senza
sentirmi intralciata. Prima di andare a letto mi affacciai alla
finestra e
fissai il cielo stellato. Era una nottata serena e molto bella. Se non
ci fosse
stato così tanto inquinamento luminoso avrei potuto
sicuramente vedere un
maggior numero di astri, ma, ovviamente, la maggior parte di essi mi fu
preclusa.
Tuttavia i miei occhi furono attirati da una costellazione strana che
ricordava, in qualche modo, una giovane ragazza che correva impugnando
un arco.
Mi sentii stranamente malinconica e, quando distolsi lo
sguardo sentii gli occhi pizzicarmi a causa delle lacrime che
minacciavano di
uscire. Le asciugai con il dorso della manica e scostai le coperte per
mettermi
a letto. Non ci volle molto perché il sonno arrivasse. La
giornata mi aveva
spossata e le palpebre si fecero subito pesanti. Non opposi resistenza
e mi
accoccolai sotto le coperte, assaporando la sensazione di calore e
sicurezza
che mi trasmettevano.
Mi
trovavo in un luogo stranissimo. Non indossavo più
il pigiama di Sally, ma di nuovo i Jeans, maglietta e giacca argentata.
Intorno
a me vedevo le rovine di quello che sembrava un palazzo greco. Alcune
delle
macerie avevano ancora dei bassorilievi che mostravano scene terribile:
palazzi
distrutti, Dei in catene e eroi divorati dai mostri.
C’era un aura strana, in quel luogo, come se ci fosse una
specie di altro corpo
celeste che mi staccava da terra spingendomi verso l’alto.
Era inquietante e la
cosa non mi piaceva per nulla.
Avanzai tra le colonne crollate fino a quella che
sembrava una pedana. Un uomo gigantesco era inginocchiato davanti a me.
Aveva
le braccia tese verso l’alto e notai che sembrava veramente
sorreggere una
sorta di colonna fatta di nubi solide che premeva verso il basso come
per
schiacciarlo a terra. In qualche modo, però,
l’uomo riusciva a sorreggere il
terribile peso.
“Benvenuta,
mia piccola, ignara, pedina.” Disse una
voce profonda e tonante, che riverberò tra le rovine,
facendomi accapponare la
pelle.
Avrei
voluto rispondere, ma, per qualche ragione, dalla
mia bocca uscì solo un rantolo terrorizzato, mentre, intorno
a me, la tempesta
si faceva sempre più violenta.
“Quattro
mi tennero fermo. Il sangue di altri quattro
saranno la mia rinascita. Tu sarai la mia ultima pedina e verrai da me,
quando
gli altri tre saranno in mano mia.” Continuò la
voce che suonava maligna e
crudele, fredda come la pioggia invernale.
Mi
avvicinai alla figura inginocchiata, pensando che la
voce fosse sua, ma mi resi conto che non era lui a parlare. Era
qualcosa di più
antico e potente. Così forte che a confronto, colui che
sorreggeva quella
colonna di nubi, era poco più che un nanerottolo.
All’improvviso una grande ombre mi passò sopra la
testa. Le nubi crollarono su di me e i tuoni riverberarono sulla valle,
abbattendosi al suolo, distruggendo case, alberi e montagne. Una risata
maligna.
Urlai
con quanto fiato avevo in gola.
Mi
sollevai.
Ero
di nuovo a casa Jackson, distesa sul letto di Percy
spaventata, con il fiatone e sudata. Mi guardai intorno, mentre
stringevo
convulsamente le coperte, nel timore di essere trascinata di nuovo in
quell’incubo. Era tutto come prima che io mi addormentassi,
tutto a posto,
eppure il mio cuore non la smetteva di battere. Provai a coricarmi di
nuovo,
nel tentativo di riprendere sonno ma, per quanto mi sforzassi, non
riuscii a
chiudere occhio.
Alzai
lo sguardo e scrutai l’esterno dalla finestra.
Era ancora molto presto, nemmeno l’alba. Tutto era sereno ma
sapevo che, da
qualche parte, molto lontano, quella voce che avevo sentito nel sogno,
era
reale e stava davvero ridendo di me.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo autore]
Ciao!
:D bentornati, vi sono mancato?
Sono
felice che la storia piaccia, almeno ad una
parte di voi. E sì, lo so, sono moooolto cattivo. Immagino
che voi, fan di
Percy Jackson, sappiate chi sia il cattivone in questione, no?
Ma chi sono i quattro? A cosa gli serve Bianca?
Sì, sono cattivo e non ve lo dico :3
Per scoprirlo dovrete leggere e, possibilmente,
recensire. Perché questa storia mi piace e vorrei che
continuaste a seguirla.
Per questo io ringrazio BSHallows che, come al solito, è
fantastica e mi ha
dato il permesso di prendere ispirazione dalla sua storia, che spero
aggiorni
presto.
Infine ringrazio Biancadiangelo, che continua a preferirmi,
Silvia_fangirl,
saluto tantissimo e mando un bacio, e _Littles_ GRAAAZIE per la bella
recensione *^* Spero di rivederti :D
Al prossimo capitolo.
AxXx
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Capitolo 4 *** Bianca/Nico - Dolori di un Passato Lontano ***
Bianca/Nico
- Dolori di un passato lontano
[Pov
Bianca]
“Buongiorno,
Bianca.” Mi salutò Sally Jackson, mentre
metteva in pancake sul tavolo insieme a diverse tazze di latte fumanti
accompagnate da biscotti e brioche varie.
Sicuramente molte erano state messe a posta per i figlio, ma non mi
lamentai
affatto. La tavola era imbandita e il profumino era davvero delizioso.
Mi
faceva venire l’acquolina in bocca.
“Buongiorno,
signora Jackson. Ha dormito bene?” Chiesi,
educatamente, sedendomi a tavola, afferrando una tazza. Per poco non mi
scottai. Dovevo assolutamente riprendermi e avere un minimo di vita
normale.
“Io
sono stata benissimo… tu, invece? Hai gli occhi
rossi, non hai dormito?” Chiese, scrutandomi con attenzione.
Arrossii.
Ero davvero così trasparente?
“Ho
avuto un incubo.” Ammisi, quasi sussurrando. “Ma
vorrei parlarne con suo figlio.”
Lei
sembrò intuire qualcosa e non indagò. Si
limitò ad
annuire tornando alle sue faccende. Notai che stava preparando una
specie di
panna azzurra che spalmava sui biscotti. Mi chiesi come facesse a
farla, quali
fossero gli ingredienti e come fosse il sapore. Mentre mangiavo
inzuppando
piano i biscotti nel latte, entrarono anche Percy ed Annabeth. Si
tenevano per
mano e sembravano davvero una coppia delle favole. Dovevano averne
passate
tante per essere così legati.
“Buongiorno,
Bianca. Come ti senti?” Mi chiese la
figlia di Atena, sedendosi accanto a me, sorridendomi rassicurante.
“Abbastanza
bene. Almeno rispetto a ieri, solo che… ho
fatto un sogno strano.” Risposi, senza troppi preamboli. Non
avevo motivi per
nascondere loro la verità.
“Un
sogno?” Chiese Percy rabbuiandosi di colpo.
Sembrava preoccupato, come se avessi detto qualcosa di molto
pericoloso.
“Sì…
perché?”
“I
sogni… non sono proprio i migliori amici dei
semidei. Di solito non fanno altro che prevedere morti e mostrarci le
parti
peggiori del nostro futuro.” Spiegò il ragazzo
sempre più accigliato. Doveva
averne avuti tanti, perché il suo sguardo luminoso
sembrò spegnersi.
“Non
possiamo dirlo, Percy… che ne dici di raccontarci
quello che hai visto?” Propose Annabeth, cercando di
mantenere un tono leggero.
Intuii, però, che anche lei era in ansia.
“D’accordo.”
Dissi, cercando di non farmi contagiare
dal loro pessimismo.
Gli
raccontai, così, dell’antico palazzo greco,
dell’uomo
intrappolato sotto la strana colonna grigia che sembrava fatta di
nuvole, della
voce profonda e tonante che riverberava intorno a me e delle minacce
sui
‘quattro’. Per tutto il tempo i due semidei mi
guardarono preoccupati, accigliandosi
più volte. Non riuscivo a capire cosa provassero, ma
sembravano a disagio.
“Hai
visto Atlante.” Spiegò, alla fine, Annabeth, dopo
che ebbi finito il mio racconto.
“Chi?”
“Atlante…
è un titano noto per essere fortissimo. Si
schierò con Crono in entrambe le guerre dei Titani. Egli
è maledetto ed è
costretto a sostenere il Cielo… A meno che qualcuno non
prenda volontariamente
il suo posto.”
Mi
accorsi che, mentre stava spiegando, sia lei che
Percy si accarezzarono i capelli e notai quella che sembrava una ciocca
bianca,
tra i biondi capelli della semidea.
“Quindi…
era lui a parlare?” Chiesi.
“Non
credo. Atlante è là sotto da
molto…” Rispose
Annabeth.
“Già…
fu proprio durante quella missione che…” Aggiunse
Percy, per poi interrompersi di botto, diventando rosso e abbassando lo
sguardo.
“Sono
morta.” Conclusi io per lui. Sapevo cosa stava
per dire.
“Ecco,
be’… sì.”
Sospirai,
cercando di non pensare a me che venivo
schiacciata da un gigantesco automa: “Ma se non era
Atlanta…”
“Atlante.”
Mi corresse subito, Annabeth.
“Sì,
lui. Allora, se non è stato Atlante, chi parlava?”
Chiesi.
“Non
lo so.” Rispose, di nuovo, la figlia di Atena.
Mi
accigliai, notando che era stata molto veloce a
parlare, come se fosse la frase di un copione letto a posta per non
dirmi la
verità. Probabilmente sospettava chi ci fosse dietro, ma non
me lo voleva dire.
Forse non mi voleva turbare, dato che ero appena tornata in vita.
“Ad
ogni modo, io sarò molto più tranquillo quando
saremo arrivati tutti al Campo Mezzosangue.”
Sentenziò Percy, stiracchiandosi.
Mi accorsi solo in quel momento che i biscotti blu erano destinati a
lui e che
li aveva spazzolati tutti ad una velocità supersonica. Ma
dove metteva tutta la
roba che mangiava?
“Giusto.
Dobbiamo informare Chirone.” Aggiunse Annabeth,
decisa.
Dopo
colazione i due semidei si misero degli zaini in
spalla ed io mi rivestii, prendendo la mia borsa, che avevo appoggiato
accanto
al letto, insieme al pugnale. Uscimmo dall’appartamento con
Sally che ci
augurava buona fortuna e ci dirigemmo verso il pian terreno.
“Prenderemo
un taxi per raggiungere le prossimità del
campo, ma l’ultimo tratto ce lo faremo a piedi.” Ci
raccomandò Annabeth come
una perfetta stratega. “Tenete gli occhi aperti e non
fermatevi davanti a
nulla, i mostri sono astuti e non vedono l’ora di
mangiarci.”
Annuii senza esitare. Dopo il minotauro mi sentivo
pronta ad affrontare qualsiasi cosa.
Salimmo
su una vettura gialla tutti e tre ed Annabeth
disse all’autista di fermarsi a appena entrati a Long Island.
Quello non fece
domande e mise in moto. L’abitacolo puzzava di fumo e
tabacco, tanto che
dovetti trattenermi dallo starnutire. Sul cruscotto c’erano
vari foglietti e
carta di panini e hot dog ancora sporchi di ketchup.
Percy era seduto alla mia destra, tra me ed Annabeth. Io ero
schiacciata contro
il finestrino, ma non mi dispiaceva, mi dava un senso di
libertà maggiore,
anche se era solo una sensazione.
Continuavo a lanciare occhiate all’esterno cercando di
individuare possibili mostri o pericoli. Sembrava tutto normale, ma
qualcosa mi
diceva che non sarebbe stato così facile. Istintivamente
strinsi il pugnale che
tenevo nella borsa a tracollo.
L’autista continuò a seguire la strada
già trafficata che portava fuori da New
York. A poco a poco il traffico si diradò e anche le case
divennero più
sporadiche, tanto che, quando arrivammo a destinazione, eravamo
praticamente in
un paesino formato da delle casette prefabbricate.
Percy pagò l’autista che ci salutò con
la mano e se ne andò.
“Bene…
da qui continuiamo a piedi. Il Campo non è
lontano.” Disse Annabeth, incamminandosi a passo svelto,
guardandosi intorno.
“Forza,
ci siamo.” Mi incoraggiò il suo ragazzo,
sorridendomi allegro. Sembrava l’unico di buon umore.
Li
seguii in silenzio, continuando a tenere stretto il
pugnale, sapendo che, non avendo nemmeno idee certe di come poterlo
utilizzare,
ero il membro più indifeso del gruppo. Dovevo stare attenta
più degli altri.
Procedemmo
a piedi lungo una stradina sterrata in mezzo
alla campagna. L’erba mi solleticava le gambe, nonostante
avessi i jeans. Mi
sentivo stranamente stanca, ma non volevo certo, dare segni di
cedimento.
Procedemmo fino a che Percy non si bloccò.
“Pericolo!”
Avvertì, prima di gettarsi a terra.
Una
palla di fuoco passò a due centimetri dal mio naso,
lascia domi interdetta e anche parecchio spaventata. Caddi
all’indietro,
lanciando un urletto acuto, mentre Annabeth rotolava come una
soldatessa delle
forze speciali, evitando l’attacco.
“Lestrigoni!”
Urlò, alzando un attimo la testa,
indicando un punto alla nostra sinistra.
Mi
acquattai, cercando di imitarla, almeno in parte,
mentre voltavo la testa nella direzione indicata.
Quello che vidi mi fece attorcigliare le budella.
Un gruppo di cinque creature antropomorfe si stava avvicinando a noi.
Erano
tutti alti più di due metri e avevano la pelle grigiastra.
Gli occhi iniettati
di sangue ci osservavano crudeli e i denti aguzzi mi facevano venire la
pelle
d’oca. Erano tutti armati di enormi asce bipenni che
sembravano ansiose di
tagliarci qualche arto di troppo.
“Corriamo!
Il Campo non è lontano!” Urlò Percy,
mettendo le mani in tasca per poi estrarre la famosa penna-spada che
lui
chiamava Vortice.
Sia
io che Annabeth non necessitammo di altri
incoraggiamenti e partimmo a razzo.
Ora, però, devo fare una piccola parentesi: Percy ed
Annabeth, con tutte le
loro imprese, erano molto ben addestrati a correre. Insomma, scappavano
dai
giganti, da Idre e da chissà quali altri mostri. Insomma,
non c’era da
sorprendersi se mi distanziarono subito, dato che io, essendo appena
resuscitata da un giorno, non ero altrettanto veloce.
Mi
venne subito il fiatone e le gambe iniziarono a
dolermi per la corsa. Ignorai le loro proteste e tirai avanti, cercando
di
concentrarmi sulla respirazione. Dovevo ammettere che un branco di
giganti
cannibali alle costole era un buon incentivo a fare allenamento.
“Forza,
Bianca! Ci siamo, vieni!” Urlò Percy, che si
era fermato ad aspettarmi, ai piedi di una collinetta erbosa.
Tirai
avanti, fino a che non iniziò la salita. Ormai
ero stremata. Iniziai ad arrancare ed inciampare verso
l’alto, mentre Percy mi
stava a fianco, cercando di aiutarmi. Ancora una volta dovetti
ammettere che
era ben allenato. Ecco dove bruciava tutta la roba che divorava.
Annabeth era sparita. Pensai che ci avesse abbandonati
finché non la vidi
apparire alle spalle dei lestrigoni armata con una lunga spada che
sembrava
fatta di ossa. Nell’altra mano indossava una specie di
cappello con visiera
degli Yenkees.
I mostri furono così sorpresi della sua comparsa che lei
riuscì a infilzarne
uno, mandandolo in polvere.
Gli
altri si divisero. Uno si lanciò contro di lei,
cercando di colpirla, gli altri tornarono addosso a me e Percy.
“Corri!”
Urlò lui, tirandomi su a forza. “Vai e dai
l’allarme, noi riusciremo a resistere!”
Continuai
la mia scalata, spaventata. Il cuore
martellava così forte, nella cassa toracica, che temetti di
sentire le costole
incrinarsi. Arrancai ancora verso l’alto, respirando
rumorosamente, per la
fatica a l’angoscia. Sentivo alle mie spalle il clangore
delle armi dei miei
due amici contro quelle dei mostri. Pregai qualsiasi Dio fosse in
ascolto di
farli resistere fino a che non fossero arrivati chiunque dovesse
arrivare.
Ormai
ero quasi in cima, quando inciampai malamente.
Una grossa mano mi stringeva la caviglia e le budella mi si
attorcigliarono dal
terrore, quando capii che ero stata catturata da uno di quei giganti
cannibali.
Urlai fortissimo, una serie di aiuti e preghiere che non capii bene
nemmeno io,
mentre il mostro mi schiacciava sotto il suo peso, estraendo un lungo
coltellaccio dalla cintura.
Sul suo volto deforme si disegnò un ghigno malefico, mentre
la lama si
avvicinava alla mia gola. Con le mani provai a fermarla, ma lui era
decisamente
più forte di me.
Sentii la fine avvicinarsi inesorabile.
“Ironico…” Pensai, cercando di
ricacciare le lacrime. “Sto per
morire dopo solo un giorno di rinascita.”
Silenziosa,
invocai una preghiera agli Dei, affinché,
almeno Annabeth e Percy, che si erano dimostrati così
gentili si salvassero.
Qualcuno urlò il mio nome e sentii dei passi.
Poi
accadde qualcosa di incredibile.
Il
mostro emise un grugnito dolorante. Il suo corpo si
dissolse e l’arma cadde a terra, mentre una figura si
stagliava su di me. Era
un ragazzo di circa quattordici anni .
Aveva capelli corvini ed il colorito mortalmente pallido. I suoi occhi
scuri mi
scrutavano come se fossi un fantasma.
“Aiuta…
gli altri.” Sussurrai, mentre sentivo le
palpebre farsi pesanti. Mi resi solo in quel momento che avevo sbattuto
la
testa e che stavo svenendo.
“Io…”
Iniziò lui, ma non riuscii a capire il resto,
perché, in poco tempo, i miei occhi si chiusero e caddi
nell’oblio.
[Pov
Nico.]
Quando
mi ero arrampicato oltre la collina, attirato
dall’incredibile rumore che intuivo, erano i mostri a
provocare mi aspettavo
una scena del genere, ma il mio sguardo fu subito attirato da una
ragazza a
terra, sovrastata da un gigantesco orco che sembrava avere tutta
l’intenzione
di farla fuori. Guardai in basso e vidi Annabeth e Percy che tenevano
testa ai
loro nemici, ma non sarebbero mai riusciti a salvare in tempo quella
ragazza.
Estrassi
la mia spada in Ferro Nero e mi avventai verso
il mostro che la teneva a terra, infilzandola alla schiena.
Fu
quando quello si disintegrò in polvere che riuscii a
scorgere lo chi aveva aggredito.
Il
mio cuore accelerò, mentre una valanga di emozioni
che avevo seppellito da tempo mi travolgeva. Non era possibile che
fosse
proprio lei, davanti a me. Aveva la stessa età che avrebbe
avuto se non si
fosse unita alle cacciatrici. Improvvisamente una fitta al petto mi
rese la
respirazione più difficile, quasi mi bruciassero i polmoni.
I miei occhi
pizzicarono, ma ricacciai indietro le lacrime. Avevo smesso di piangere
da
molto tempo, per lei.
Sentii
dei passi.
“Nico…?”
Era
Percy e mi guardava come se dovessi esplodere da un
momento all’altro. Cosa non del tutto falsa, dato che,
intorno a me, nel raggio
di un metro, l’erba era seccata. Le mie emozioni si stavano
spandendo creando
una specie di Aura Mortifera.
“Non
ora, Percy, dobbiamo portarla in infermeria!” Lo
bloccai, sul nascere, cercando di frenare una marea di possibili
insulti.
Perché?
Perché non mi avevano avvertito!? Perché mi
avevano escluso di nuovo? Perché hanno dubitato di nuovo di
me? Non avevo già
dimostrato di essermi pentito dei miei errori? Perché non mi
avevano avvertito
che mia sorella era rinata?
“Certo.”
Disse subito Annabeth, sollevando la ragazza
come se non pesasse niente.
Scendemmo
la collina e raggiungemmo la Casa Grande.
Passammo accanto a molti nostri amici che ci salutarono. Nessuno aveva
conosciuto Bianca così a lungo da riconoscerla alla prima
occhiata, ma le
lanciarono tutti occhiate curiose.
Io
ero semplicemente infuriato con qualunque essere
divino che mi avesse fatto quello scherzo. Cosa volevano? Era la regina
degli
spettri che mi aveva mandato un fantasma per vendicarsi di quando
eravamo
riusciti a fregarla? Oppure era qualche altra divinità che
mi aveva fatto
credere che Bianca fosse rinata per poi rapirla?
Dall’altra
mi sentii invaso da una sensazione di
nostalgia e felicità. Bianca, la mia sorellona, che
desideravo ardentemente
riavere indietro, era tornata. Magari mi avrebbe potuto accettare
ciò che ero.
Avrebbe potuto ascoltarmi, proprio come Hazel.
Hazel.
Mi
sentii in colpa, per gli Dei.
Sarebbe
venuto sicuramente a saperlo ed io non potevo
nemmeno immaginare come si sarebbe sentita. Poveretta, avrebbe pensato
di
essere solo uno scarto e che non l’avrei più
considerata. Cavolo,
che situazione. Non volevo lasciare
Bianca, non di nuovo, ma anche Hazel era mia sorella. In infermeria,
ovviamente, non ci fecero troppe domande: Da quando Calypso era
arrivata al campo il servizio medico era molto migliorato.
Fu quando arrivò Chirone che le cose si complicarono: il
centauro lanciò
immediatamente un occhiata sorpresa a Bianca e poi a me.
“Dobbiamo
parlare.” Furono le due sole parole che
disse.
Lo
seguii come un automa privo di volontà. Ero
terribilmente devastato, da ciò che avevo scoperto. Mille
pensieri mi
affollavano la mente. Osservai Percy. Quante volte lo avevo incolpato
della
morte di Bianca. Ora che me la riportavo non sapevo se ringraziarlo o
prenderlo
a calci fino a fargli perdere la voce e la sensibilità al
fondoschiena.
Ovviamente
anche lui e Annabeth furono presenti.
“Nico…
forse tu dovresti…” Provò, subito
Chirone,
muovendo nervosamente la coda.
“Potrebbe
trattarsi di mia sorella! Intendo Rimanere!”
Sbottai irritato. Ne avevo abbastanza di essere trattato come un
cucciolo di
cervo indifeso. Ero un semidio, avevo affrontato da solo il Tartaro e
avevo
anche trasportato l’Atena Parthenos dall’Europa
all’America.
“Sì….
Hai ragione, Nico, scusami. Solo che non volevo
metterti sotto pressione.” Si scusò il vecchio
centauro, annuendo comprensivo.
Sospirai,
capivo i suoi timori, ma ormai il grosso era
fatto. Il mio cervello era letteralmente imploso ed ero talmente
sommerso dai
pensieri che mi sembrava di avere un frullatore nella scatola cranica.
Continuavo a chiedermi chi avesse fatto sparire Bianca, come e
soprattutto
perché. Era per colpire me? Probabile. Ma perché
dopo tutto questo tempo?
Quando ero tornato negli inferi per farla rivivere intuii che lei aveva
scelto
la rinascita. Dopotutto non c’erano altri motivi per pensarla
diversamente. Non
avevo pensato che qualcuno avrebbe cercato di rapire un anima
dell’Elisio, per
questo avevo creduto che lei fosse rinata. A quanto pare dovevo
ricredermi.
“Allora,
Percy. Annabeth. Raccontatemi tutto dei minimi
dettagli. Come l’avete trovata?” Chiese Chirone,
strappandomi dai miei
pensieri.
“Per
la verità… è stata lei a trovare
me.” Iniziò il
figlio di Poseidone. “Lei mi ha raccontato di essersi
svegliata a Central Park,
ieri mattina, senza ricordare nulla. Guidata da sensazioni, nemmeno
voci, è
arrivata davanti alla mia scuola e mi ha salv…
ehm… aiutato contro il
Minotauro. Per sicurezza l’ho portata a casa mia.”
“Sì,
ho cercato un po’ ovunque, ma, sinceramente,
Chirone, non mi spiego la sua resurrezione. Se fosse rinata sarebbe
dovuta
rinascere come neonata. Invece ha scordato tutto, ma è
rinata con la sua età
attuale. Inoltre sembra provare sensazione, ogni volta che vede o parla
con
qualcuno di familiare.” Concluse Annabeth, rivolta al
centauro.
“Mmmmmh…
strano… ha detto altro?” Si interessò
Chirone,
lisciandosi la barba.
“Sì…
ha parlato di un sogno.” Disse Percy.
Dopo
che ebbe detto tutto ciò che Bianca aveva detto,
cadde un profondo silenzio.
“Atlante?”
Chiesi, subito, ripensando all’impresa in
cui era morta.
Rabbrividii.
Mi
sentivo come se avessi avuto un Deja Vu.
“Atlante
è intrappolato sotto la volta celeste.”
Ricordò Annabeth, carezzandosi la ciocca grigia che andava
via via svanendo.
“Non credo abbia così tanto potere da portare in
vita Bianca.”
“però
qualcuno l’ha riportata in vita. Sicuramente
qualcuno di molto potente e che può passare inosservato, se
vuole. Qualcuno che
si nasconde sul Monte Otri.” Replicò Percy,
accigliato.
“Una
cosa per volta.” Li bloccai, prima che iniziassero
a sproloquiare su presunti piani di battaglia creati a posta contro
pazzi Dei
del cielo. “La cosa più importante è:
quando si sarà ripresa, cosa facciamo?
Tutti sanno la sua storia, e saranno diffidenti.”
Tutti
e tre mi guardarono.
“Nico ha ragione…” Concesse Chirone.
“Quindi… cosa conti di fare?”
“Teoricamente
Bianca andrebbe ospitata nella Casa
Undici, in attesa che il proprio genitore divino la
riconosca.” Fece notare
Annabeth, senza troppa convinzione.
“No.”
La bloccai, senza esitare. “Nella Casa di Ermes
sarebbe sotto pressione. Troppa gente. Mi offro io, per ospitarla nella
Casa di
Ade.”
“Non
sappiamo nemmeno se è davvero
tua sorella.” Mi ricordò Chirone, accigliato.
Evidentemente temeva che una scelta del genere potesse essere
avventata. Ma
ormai avevo preso la mia decisione.
“Ma
ci somiglia… e se lo fosse davvero? Ade non la
riconoscerebbe, perché sarebbe come sbandierare davanti a
tutti gli Dei che fa
favoritismi ai suoi figli resuscitati. Già Zeus non
è stato proprio felicissimo
della resurrezione di Hazel. Ma ci è passato sopra, dato che
aveva salvato
l’Olimpo. Se dovesse accadere di nuovo si scatenerebbe il
putiferio!” Ribattei,
fermo nelle mie posizioni. In realtà speravo che la mia
vicinanza le riportasse
alla mente dei ricordi o delle sensazione. Così avrei avuto
la certezza che
fosse mia sorella.
“Nico
ha ragione… le antiche leggi sono chiare: nemmeno
lui può riportare in vita i morti. Sarebbe una violazione
terribile e, anche se
Ade non c’entra nulla, dubito che vorrebbe mettere in
pericolo i suoi figli.”
Mi appoggiò Percy, dopo un attimo. Per gli Dei, ecco uno di
quei momenti in cui
il suo altruismo mi faceva venire voglia di abbracciarlo.
Trattenni un sorriso, rendendomi conto che non potevo farlo: lui era di
Annabeth.
“D’accordo.
Nico, puoi portarla alla tua Casa, anche se non è stata
ufficialmente riconosciuta.”
Concesse, infine, Chirone.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo Autore]
Allora,
gente… questo capitolo è stato un parto, per
il semplice motivo che il POV di Nico non era per nulla semplice e temo
di aver
sgarrato alla grande. Il fatto è che non sono certo di aver
descritto bene le
sue emozioni. Volevo che fosse un POV molto confuso e agitato, proprio
come lo
è lui. Ricordare che lui teneva molto a Bianca, ma anche che
è molto confuso
dal fatto che, in primis, lui la credeva “Rinata.”
Poi lui ha fatto rivivere
Hazel, quindi ci sarà sicuramente attrito tra i sentimenti
che prova per le due
sorelle. Infine da notare che Bianca non è certa di essere
proprio la STESSA
Bianca di Angelo. Quindi Nico stesso è molto confuso.
Spero
di essere riuscito a descrivere bene i suoi
sentimenti. Dato che sono una ciofeca terribile -_-
Ad
ogni modo, vorrei ringraziare tutti coloro che
hanno recensito il precedente capitolo.
Graeca sempre cara e sempre bella ;)
_Littles_ Ma che belle recensioni che mi mandi :D
Farkas Auuuuuuuuuuuu! Anche a te, e grazie ancora ^_^
Silvia_Fangirl, grazie per continuare a seguire e recensire. J
|
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Capitolo 5 *** Bianca - Mio fratello mi Invita a Casa Sua ***
Bianca
– Mio fratello mi invita a casa sua.
Quando
mi risvegliai vidi una ragazza dai capelli color
del miele china su di me che mi stava spalmando una specie di pomata
fresca
sulla ferita che avevo sopra l’orecchio sinistro.
“Ah.”
Mi lamentai, quando sentii la lesione bruciare.
“Stai
calma, sta per guarire, devi solo stare ferma.”
Mi consigliò la ragazza, con voce dolce.
Mentre
finiva, la osservai. Sembrava una ragazza sui
sedici anni del tutto normale. Aveva lunghi capelli biondo scuro, gli
occhi
chiari. Era alta, snella e molto carina. Indossava un paio di jeans e
una
camicia. Era molto bella.
Dopo pochi istanti il dolore passò del tutto.
“Ecco,
dovrebbe essere guarita.” Sentenziò lei,
annuendo soddisfatta.
“grazie.”
Risposi, alzandomi a sedere. Ero ancora un
po’ stordita ma, a quanto pareva, dovevo essere ancora viva,
dato che ero cosciente
ed il dolore era reale.
“Io
sono Calipso.” Si presentò la ragazza con un
sorriso luminoso. “Sono l’aiutante di Chirone, qui,
al Campo Mezzosangue. Mi
occupo dell’infermeria e del magazzino.
Quando sei venuta qui avevi una cera davvero terribile,
per fortuna
conoscevo la cura adatta alla tua ferita.”
“Be’,
grazie.” Dissi, senza pensarci troppo. Cavolo, mi
aveva salvato la vita.
“Di
nulla, ora riposa, Chirone ha riunito i Capi Gruppo
di tutte le Case. Sembra che tu gli interessi molto.”
Aggiunse, mentre
rimetteva a posto i recipienti di varie medicine.
Sospirai.
Lo
immaginavo, quando Percy mi aveva parlato di Chirone
e della mia storia mi ero aspettata di scatenare un putiferio. Ed
infatti era
avvenuto. Tremavo al solo pensiero di essere sotto l’esame di
altri semidei e
del direttore del campo. Decisi di riposare in attesa che venissero a
chiamarmi. Dopo la mia patetica performance contro i mostri cannibali
avrei
tanto voluto sparire. Ero stata un peso per tutti e mi avevano anche
dovuta
salvare.
Sbuffai.
Chi si disturberebbe a riportare in vita una fallita
come me?
All’improvviso
la porta si spalancò ed entrò uno
ragazzo stranissimo. Aveva una cascata di lunghi ricci scurissimi,
quasi neri,
gli occhi erano azzurri, molto chiari, tanto che era difficile capire
se dove
fossero le pupille. Era alto e doveva avere un anno più di
me, al massimo.
Indossava Jeans e una maglietta arancione, ma la cosa che mi sorprese
di più
furono le due paia di ali che aveva ripiegate sulla schiena che si
attaccavano
ad essa tramite due ampi tagli all’altezza delle spalle. Le
piume erano così
bianche che sembravano riflettere la luce e sembravano sufficientemente
forti
da sostenere una persone. Esistevano ragazzi così?
“Scusa,
Calipso. Chirone avrebbe mandato a chiamare la nuova
arrivata. Poso portarla nella sala
comune per la riunione?” Chiese, calmo, con un espressione
che sembrava
addolorata.
Avevo
sentito la nota di pericolo con cui aveva
pronunciato nuova arrivata. Si
riferiva certamente a me e capii anche che, da come l’aveva
detto, che sarebbe
arrivata una specie di prova, di lì a poco.
Mi agitai.
Cosa volevano da me? Una prova? Magari che io dicessi che ero veramente
Bianca
di Angelo? Come potevo dimostrarlo?
“Credo
sia in condizioni di camminare, ma non mettetela
troppo sotto pressione. È ancora fisicamente
debole.” Rispose Calipso per me.
Quel nome mi sembrava familiare. Forse l’avevo letto in un
libro?
“D’accordo.”
Disse il ragazzo alato, per poi voltarsi
verso di me, sorridendomi. Non potei fare a meno di rispondere, io
stessa con
un sorriso. Sembrava un tipo simpatico.
“Ciao,
io sono Jack Frost, figlio di Borea.” Si
presentò lui, porgendomi la mano.
“Bianca…
ehm, vorrei poter dire figlia di qualche
divinità, ma non so nemmeno chi sia, anche se sembra che io
sia figlia di Ade.”
Risposi al limite di esplodere per l’imbarazzo. Il problema
di avere una vita
del genere, fondamentalmente, era che non potevo essere certa di nulla.
Scesi
dal letto barcollando. Sembrava tutto a posto, ma mi girava un
po’ la testa;
sperai che durasse poco.
“Piacere
di conoscerti. Conosco la tua storia… immagino
sia un bel casino non ricordarsi nulla.” Mi
rassicurò, stringendosi le spalle.
Almeno non si faceva problemi a parlare con una morta.
“Non
hai idea… è da ieri che cerco di ricordare
qualcosa.” Replicai, mestamente, mentre mi avviavo verso la
porta, con il
figlio di Borea al fianco “Ma quelle ali?” Chiesi,
subito, ansiosa di cambiare
argomento.
Lui
le stese un po’ sorpreso e disse: “Oh, queste. Sai,
è strano, alcuni semidei figli degli Dei dei Venti tendono a
sviluppare ali per
sfruttare al meglio i venti e volare più veloci.”
“Sembra
bello.” Commentai, affascinata. Mi chiesi cosa
si provava.
“Lo
è, ci si sente liberi. Essere capaci di volare è
un
dono raro, persino per quelli come me. Attualmente sono
l’unico semidio, in
trent’anni ad avere le ali.” Rispose con un sorriso
che tradiva l’orgoglio di
avere qualcosa di così bello. Non potei fare a meno di
invidiarlo.
Almeno
era simpatico. Jack aveva detto di conoscere la
mia storia, ma non sembrava farsi troppi problemi, anzi, sembrava molto
naturale, come se dovesse parlare del tempo. Quando uscimmo
iniziò ad indicarmi
le case, spiegando che, negli ultimi due anni, erano aumentate, dato
che a
tutti gli Dei, anche a quelli minori, erano state assegnate case per i
loro
figli semidei. La casa di Borea sembrava un grosso iglù a
forma di casa, ma
intuii che il ghiaccio era magico dato che, pur battendo il sole,
quello non si
scioglieva. La casa tredici, quella di Ade, mi interessò in
modo particolare.
Era nera, molto tetra, con due fuochi verdi davanti
all’entrata.
Eppure
ero attratta da quel luogo, come se mi stesse
inviando un richiamo silenzioso.
Mi
concentrai e seguii Jack fino alla Casa Grande.
All’entrata c’era un uomo che mi guardò
negli occhi, gelido e fermo, come per
analizzarmi. Avrei voluto ricambiare con un occhiata innocente, ma
avevo
problemi a capire quale degli occhi guardare. Ce n’erano
almeno una decina di
visibili: sulla fronte, sui palmi delle mani, sul collo. Sospettai che
ce li
avesse anche in altre parti, ma non volevo indagare. Ad ogni modo
cercai di far
capire che non ero un pericolo e quello dovette recepire il messaggio
perché
annuì come per farmi capire che potevo entrare.
“Argo.”
Spiegò Jack Frost, intuendo la mia perplessità.
“Lui ha occhi ovunque, letteralmente. È il capo
della sicurezza del campo.”
Entrammo
in una grande sala con al centro un tavolo da
ping pong. Intorno ad essa erano radunati una ventina di ragazzi, forse
di più.
Riconobbi tra loro Percy, Annabeth ed il ragazzo che mi aveva salvato
al mio
arrivo. Accanto a loro, a capo tavola c’era un uomo, o
meglio, un centauro. Il
busto le braccia e la testa erano di uomo e aveva una barba ben curata
che gli
dava l’aria del professore. Indossava una camicia a quadri.
Dalla vita in giù,
però, era un grosso stallone bianco.
“Benvenuta,
Bianca… o forse dovrei dire ben tornata, ad
ogni modo, permettimi di presentare i nostri capigruppo. Conosci
già Percy,
Annabeth e Jack, figlio di Borea. Lui è Nico.”
Disse, indicando il ragazzo
pallido dai capelli neri.
Il
mio cuore accelerò.
Nico.
Mio
fratello.
Avrei
voluto parlargli, ma quando mi guardò vidi i suoi
occhi, freddi come il ghiaccio, come se mi stessero esaminando ogni
molecola
del corpo. Mi sentii triste. Avevo sperato in qualcosa di
più da parte di mio
fratello, invece mi stava trattando come un fantasma. E probabilmente
aveva
ragione: ero un fantasma. Per di più lo avevo abbandonato.
Mi meritavo un
trattamento del genere.
Ad uno ad uno mi furono presentati tutti i capigruppo.
Jason che, per la verità, era un figlio di Giove, ma si era
trasferito al Campo
Mezzosangue, Clarisse, figlia di Ares, Leo, figlio di Efesto, Piper
(che mi
stava simpatica), figlia di Afrodite, Will Solace, i fratelli Stoll e
molti
altri. Non avrei mai ricordato tutti, ma i principali mi furono chiari.
Inoltre, tramite un messaggio Iride, mi presentarono anche Frank Zang,
figlio
di Marte e Reyna, figlia di Bellona, Pretori di Nuova Roma. Mi
guardavano tutti
intensamente. I due figli di Ermes sembravano i più sorpresi
di tutti.
Clarisse, invece, era semplicemente accigliata, come se stesse cercando
il modo
migliore per rimandarmi nell’Ade
“Somiglia
molto.” Sentenziò Connor, dopo diversi minuti
di silenzio.
“Sì…
somiglia davvero a Nico.” Rincarò la figlia di
Ares.
“Ecco
perché vi abbiamo riuniti.” Spiegò
Chirone,
rivolto sia a noi che ai romani. “Abbiamo molto di cui
discutere, anche con voi
di Campo Giove.”
“Lo
sappiamo, Chirone. Manderò una pattuglia nei pressi
di Monte Otri per scoprire se Atlante ha trovato un modo per
liberarsi.”
Assicurò Reyna, dopo che ebbe ascoltato il resoconto del
centauro. “ora, però,
possiamo passare al nostro… altro
problema?”
“Già…
con tutto il rispetto, Bianca, ma siamo sicuri
che sei davvero tu Bianca di Angelo? La sorella di Nico?”
Rincarò il suo
collega, accigliato. Sembrava che stesse prendendo la mia presenza come
qualcosa di personale.
“Mi
dispiace… ma non ricordo nulla. Non posso
assicurarvi di essere io.” Risposi, abbassando lo sguardo
dispiaciuta. Non
sapevo nemmeno io se volevo esserlo. Da una parte mi sentivo
terribilmente a
disagio con il mio presunto fratello. Dall’altra sarebbe
stato interessante avere
un passato. Non avevo voglia di ricominciare le ricerche da zero.
“Io
credo davvero che sia mia sorella.” Mi sostenne,
sorprendentemente Nico. “Mi somiglia e anche il suo aspetto
è simile a quello
di mia sorella. Se fosse cresciuta, sarebbe lei.”
“Non
ne dubito. Solo che non possiamo esserne sicuri.”
Precisò Jason, il biondo figlio di Giove, che continuava ad
osservarmi con un
certo interesse. Stava facendo balzare lo sguardo da me a Nico, come se
stesse
cercando una specie di conferma o reazione.
“Però,
quando vede o sente qualcosa di… familiare,
ha delle sensazione.” Disse
Annabeth, in mia difesa.
“Sentite…”
Provai a suggerire qualcosa, ma la mia voce
su sovrastata da quella degli altri che parlavano.
“Basta!”
Li interruppe, Nico, ad un certo punto. “Ho
già deciso io, lei, per ora, starà con me, nella
Casa di Ade, per ora, anche se
non siamo sicuri, lei è mia sorella.”
Mi
sentii arrossire fino alla punta dei capelli e
ringraziai gli Dei di avere dei capelli abbastanza lunghi da
nascondermi. Mi
sentivo terribilmente in colpa per averlo lasciato e incredibilmente
grata che
lui non sembrava serbare troppo rancore per me.
“D’accordo.”
Concesse Chirone. “Bianca, tu che ne
dici?”
“Io…
ecco… per me va bene.” Risposi, sudando, sentendo
tutti quegli sguardi che mi fissavano. Avrei voluto esprimere maggiore
gratitudine per il mio fratello, ma non riuscivo a mettere due sillabe
una
davanti all’altra.
“Molto
bene. La seduta è sciolta.” Concluse il
centauro, evidentemente sollevato.
“Eccoci.”
Annunciò Nico, dopo avermi fatto strada fino
alla Casa Tredici.
Se
all’esterno aveva un aria minacciosa, come una porta
infernale, all’interno era tutto molto accogliente: i letti a
castello erano
costruiti in mogano scuro, addossati, ordinatamente, alle pareti, sotto
i quali
erano posizionati due cassepanche. C’erano anche alcune
scrivanie, in fondo e
degli armadi, intervallati regolarmente, dai letti. Al centro
c’era un tappeto
leggero nero e le tende verde scuro, non erano così
minacciosa. Davano un senso
di intimità e sicurezza.
“Sistemati
dove vuoi.” Aggiunse, indicando la fila dei
letti.
Non
sapendo dove mettermi, e avendo ben pochi averi con
cui segnare il mio letto, decisi di sedermi accanto all’unico
letto che
sembrava occupato: quello di Nico.
Sistemai la mia roba nel baule, anche se era davvero poco: I soldi, le
dracme e
un paio di vestiti di ricambio che Sally mi aveva dato.
“Allora…”
Iniziò il mio presunto fratello, sistemandosi
sul suo giaciglio, fissandomi con sguardo glaciale. Mi sentii a disagio.
“Ecco…”
Provai a ribattere, ma non sapevo cosa dirgli. Ciao,
Nico. Ti ricordi? Sono la stronza che
ti ha abbandonato al campo. No, grazie, preferivo evitargli
i ricordi
spiacevoli. Ciao, Nico, come va’?
Scusami
se ti ho fatto credere di essere rinata, non l’ho fatto a
posta. E poi? Che
gli dicevo, non ero nemmeno certa di essere davvero
sua sorella.
Eravamo in un’imbarazzante situazione di stallo: non
sapevamo cosa dire. Lui sembrava indeciso se abbracciarmi o arrabbiarsi
con me.
Io, di mio, ero più confusa che mai. Avrei voluto scusarmi,
ma sentivo come se
volessi mettere una pezza gialla sopra un abito nero. Insomma, troppo
finta per
risultare credibile.
“Senti,
Bianca.” Provò, di nuovo, Nico. “Che ne
dici se
ti faccio fare un giro del campo?”
“Sì,
grazie… sai, non ho potuto dargli un occhiata vera
e propria… e come sai non ricordo nulla.” Risposi,
con un po’ troppa fretta. Ero
solo ansiosa di fare qualcosa che non fosse imbarazzante.
All’esterno
Nico mi guidò attraverso il campo,
mostrandomi la parete d’arrampicata. Fui molto affascinata
dall’Arena e dalla
pista per la corsa di bighe. Il ragazzo mi propose di allenarmi con
lui, dopo.
Intanto ci dirigemmo all’armeria.
“Tutti
i semidei devono essere armati e preparati ad
affrontare possibili attacchi di mostri.” Spiegò,
mentre entravo nella tenda.
Le pareti erano coperte da rastrelliere piene di armi.
Lance, asce, archi, fucili, pistole e spade. Tutti sembravano fatti
dello
stesso materiale con cui era fatto il mio coltello.
“Questo
è bronzo celeste.” Spiegò Nico,
indicando le
armi. “È letale contro i mostri, ma contro i
mortali è innocuo. Stai attenta,
però, con noi funziona proprio come con i mostri.”
“Incredibile…
ma chi costruisce tutte queste armi?”
Chiesi, soppesando una spada corta. Non che volessi usarla, dato che mi
pesava
parecchio e mi sentivo sbilanciata.
“Io,
insieme alla Casa di Efesto!” Rispose
allegramente, un tipo dai capelli ricci appena entrato. Lo riconobbi:
Leo
Valdez. All’inizio non l’avevo notato, ma sembrava
davvero un elfo. I capelli
ricci erano disordinati e gli incorniciavano il volto sottile.
“Ciao.”
Lo salutai, con gentilezza.
“Benvenuto
al Campo, Bianca.” Ribatté
lui, con un sorrisone.
“Ti
presento Leo Valdez, il ragazzo di Calipso e
miglior fabbro ed ingegnere del campo. Costruttore di innumerevoli
oggetti magici e
della Argo II , la nave volante che ci portò fino in
Grecia.” Lo
presentò Nico, senza scomporsi.
“Oh,
sono un tipo modesto.” Replicò Leo, con un
sorrisone.
“Allora, cercate un arma?”
“Sì.”
Risposi, automaticamente.
“Capisco…
be’, dovremmo lavorare parecchio.” Disse il
figlio di Efesto mentre iniziava a scorrere la fila di armi, sotto
l’occhio
vigile di Nico. “Allora, vediamo, tu hai iniziato con un
coltello, ma non so se
ti ci trovi bene.”
Provai
a ripensare a quanto mi ero sentita a disagio
con quella piccola arma. Non mi ci trovavo molto bene, anzi, mi sentivo
piuttosto impacciata, con un oggetto così piccolo.
“No,
infatti.” Decisi, infine. “Credo che mi troverei
meglio con una spada.”
“Vero…”
Mi squadrò con aria critica. “Io sono un
meccanico, non un armaiolo, ma credo che avrai bisogno di una spada non
troppo
lunga.”
Provammo
una decina di spade circa, ma nessuna sembrava
calzarmi a pennello. Una aveva il manico troppo largo e non riuscivo ad
impugnarla bene. Altri erano troppo lunghe e mi sbilanciavano troppo. Alla fine il mio sguardo
fu attratto da una
spada completamente nera.
“Quella
cos’è?” Chiesi, indicandola.
Nico
si rabbuiò di colpo. “Quella…
è una Spada Nera, create per i guerrieri di Ade. Lui procura, ogni tanto, del Ferro dello Stige per costruire armi. è un materiale molto raro e queste spade sono rarissime.”
Spiegò mestamente. Sembrava che la storia di quella spada
non gli piacesse.
“Come
mai si trova qui?” Chiesi, sorpresa.
“Ogni,
tanto gli Dei, ci donano armi e oggetti per il
campo. Ade ha lasciato un po' di ferro Nero, così l'abbiamo usato per creare queste armi.” Rispose Leo, scrollando le
spalle.
La
lama fatta di Ferro nero, come aveva detto Nico.
Sessanta centimetri di letale metallo nero che brillava di una tenue
luce
violacea. Pensierosa strinsi l’impugnatura che
sembrò fatta a posta per me. La
sollevai e la soppesai con attenzione. Mi sentivo stranamente in
sintonia con
quell’arma.
“Credo
userò questa.” Dissi, alla fine, facendola
roteare molto maldestramente. Almeno non mi era caduta di mano.
“Direi
che è un’ottima scelta.”
Sentenziò Leo, senza
abbandonare il suo sorriso.
“Mi
sembra una buona idea.” Confermò Nico, per la
prima
volta, con un’ombra di sorriso sul volto, come se gli
ricordassi qualcosa.
Il
resto della giornata passò tranquillamente. Nico mi
fece provare la spada all’Arena, insieme a Clarisse e Jason.
Il figlio di Giove
era molto simpatico e aperto e, dopo che mi ebbe disarmato per la
dodicesima
volta, mi ritirai sugli spalti dove incontrai la sua ragazza: Piper
Mclean,
figlia di Afrodite. Anche lei molto aperta e simpatica. Al contrario di
altri
non sembravano prendere in considerazione il fatto che ero una
non-morta e
chiacchierava amichevolmente con me.
Mi raccontò della loro avventura sulla Argo II della
guerra dei Giganti e di come avevano sconfitto Gea. Non si vergognava
ad
ammettere che aveva avuto una paura folle, certe volte, ma ammirai un
sacco
che, nonostante ciò, fosse andata avanti.
La
sera arrivò presto e io mi sedetti, insieme a Nico,
al tavolo di Ade. Percy e Jason erano poco lontani e mangiavano da soli
alle
tavole dei rispettivi genitori. Mentre mangiavo il mio sguardo fu
attirato da
Jack Frost che continuava ad aiutare un suo fratellino di dodici anni
che non
riusciva a raggiungere un condimento al centro del tavolo. Quel ragazzo
mi
sembrava un fratello modello e mi fece ripensare a quanto Percy mi
aveva detto:
avevo abbandonato il mio. Mi sentii in colpa, di nuovo, in meno di due
giorni.
Dopo
cena andammo tutti nelle rispettive capanne e io
mi sistemai, indossando il pigiama. Altro regalo di Sally Jackson. Mi
sedetti
sul bordo del letto osservando Nico che mi fissava con agitazione.
“Allora…”
Provò ad iniziare.
“Nico,
ascolta… io.” Lo interruppi, nervosa.
“Non so se
sono davvero tua sorella Bianca.”
Lui
non sembrò farci molto caso: “Non lo so nemmeno
io…
ma vorrei davvero che tu lo fossi.”
Mi
salì un groppo alla gola e mi misi la testa tra le
mani.
“Per
quanto possa valere, mi dispiace, Nico.” Dissi,
con un filo di voce. Dei, come sembravo patetica. Scuse per cose che
non sapevo
se avevo fatto e senza un motivo apparente.
“Non
preoccuparti, Bianca. Non è successo nulla.”
Rispose, prendendomi una mano nella sua.
Sapevo che stava mentendo. I suoi occhi tradivano una
profonda tristezza e angoscia, ma anche rabbia e amarezza. Ma lui stava
sorridendo e mi stava dando una possibilità. Almeno potevo
dire di non essere
messa così male.
“Grazie,
Nico… buonanotte.” Risposi, asciugandomi le
lacrime.
“Buonanotte,
Bianca.” Aggiunse lui, mettendosi a letto.
Sospirai
e mi coricai anche io, lasciando che Morfeo mi
portasse nel suo regno. Senza sapere che, anche quella notte, non
sarebbe stato
una dormita tranquilla.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo Autore]
Ed
ecco qui l’ennesimo capitolo. Ora, lasciatemelo
dire, questo capitolo è un capitolo di…
passaggio, per così dire. Qui non
accade nulla di particolarmente rilevante o di pericoloso. Come vedete
Bianca
viene solo accolta al Campo Mezzosangue e fa la conoscenza dei pretori
e dei
Capigruppo.
Sì, lo so che nel seguito ufficiale di Rick uno di questi
personaggi ci lascerà
la pelle, ma, per gli Dei, non riuscirei mai a scrivere di un Leo
morto, di un
Nico morto o di una Reyna morta. Non mi sembra giusto.
Quindi, nella mia headcanon, tutti i personaggi sono sopravvissuti,
sono vivi e
vegeti. ^_^
Ad ogni modo ho ritenuto doveroso descrivere l’arrivo di
Bianca al Campo e le
varie reazioni. Inoltre vi invito a recepire i messaggi subliminali di
una
coppietta che ho nella mia mente tra Bianca e un semidio.
Ad ogni modo, spero che recensirete in tanti.
Ancora una volta ringrazio:
_Littles_
che fa delle recensioni molto belle e
molto interessanti.
Biancadiangelo
che non so come mai, ma gli piace
questa storia. :P
Silvia_fangirl
che sono felice, sempre, dei suoi
consigli.
Nikidiangelo
che comprendo.
Quindi
grazie ancora, spero che verranno altri,
dietro di loro e non vi preoccupate. Nel prossimo capitolo i misteri si
infittiranno.
AxXx
|
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Capitolo 6 *** Bianca - una Profezia molto Inquietante mi Riguarda ***
Bianca
- Una Profezia molto inquietante mi riguarda.
Ero
in un corridoio stretto e umido. Era un posto
lugubre e molto scuro, illuminato, appena, da una fila di torce
attaccate a dei
supporti alle pareti. Sembrava tutto scavato malamente, dato che le
pareti
stesse somigliavano più a quelle di una caverna che a quelle
di un corridoio di
un edificio normale. Sembrava davvero una scura segreta.
Percorsi
il corridoio fino in fondo, dove vedevo un
ragazzo che mi stava di spalle. Indossava un paio di jeans e una
maglietta
viola, con sopra una tipica armatura romana a fasce metalliche. Non
riuscivo a
vederlo in faccia, era voltato, e non riuscivo a girargli intorno.
Dannati
sogni.
Così mi concentrai sulla ragazza prigioniera. Era una
sedicenne molto strana.
Indossava jeans e un Parka argentato, imbrattato di sangue e fango. I
capelli
scuri, in stile punk, ormai distrutti e leggermente
più lunghi sulla
nuca. Era stata ammanettata al muro, i piedi tenuti insieme con una
specie di
fascetta e la bocca e gli occhi tappati con il nastro adesivo.
Continuava a dimenarsi in un chiaro tentativo di liberarsi, ma le
catene erano
strette e riusciva a mala pena a muoversi.
“Uno
dei Greaccus
è in mano nostra. Ne mancano solo tre.”
Borbottò il suo aguzzino. Pronunciava
la parola graeccus come se fosse
un
insulto.
Avrei
voluto intervenire, ma ero poco più di un
fantasma.
All’improvviso,
però, mi ritrovai di nuovo su Monte
Otri. Era uguale a prima, ma, questa volta, mi pareva di vedere ombre
scure che
si aggiravano furtive tra le rovine.
“Vieni,
Bianca. Ho già preso la prima, tu mi porterai gli
altri.”
Mi disse la misteriosa voce che continuava a parlare
dall’alto del cielo, come
se il suo proprietario fosse seduto sulla cima della colonna che
Atlante
sosteneva.
“Non
so chi tu sia, ma io non ti aiuterò!” Ribattei,
piccata. Sarò rinata da poco, ma non avrei permesso a
nessuno di usarmi come un
burattino.
“Che
tu lo voglia o no, tu mi aiuterai, piccola mortale.” Rise
la divinità, mentre un vortice di vento mi investiva.
Mi
alzai di scatto, ansimando per lo spavento.
Dei,
che incubi!
Ma
tutti i semidei facevano sogni del genere? Stavo
cominciando a chiedermi come facessero Percy e i suoi amici a non
essere matti
per incubi del genere. Sospirai, massaggiandomi la fronte. Avevo
bisogno di
parlare con qualcuno. Forse Nico, magari. Lui sarebbe riuscito a
spiegarmi
qualcosa. Poi chi era la ragazza punk prigioniera? Aveva parlato di altri tre. Quindi erano in tutto
quattro, ma chi? Quattro semidei? Cosa voleva da loro e
cos’avevano di
speciale? E chi era il Romano? Non erano in pace con i greci?
Mi
massaggiai le tempie esasperata, mentre mi guardavo
intorno alla ricerca di Nico. Non c’era. Il suo letto era
rifatto e sopra era
posato un biglietto. Lo presi e lo lessi. La scrittura era ordinata e
familiare.
Buongiorno,
Bianca.
Scusa se non ci sarò, al tuo risveglio, ma questa notte non
ho dormito bene.
Vado negli inferi da nostro padre… o mio e basta, ma non
importa. Forse lui
saprà dirmi qualcosa riguardo alla tua scomparsa. Non
prometto nulla, ma devo
indagare. Non preoccuparti, se vuoi allenarti puoi chiedere a Jason o
Percy.
Ci vediamo presto.
Nico.
Be’,
almeno stava bene. Non mi piaceva molto il rischio
di informare il mio presunto padre, dato che era anche Dio dei morti,
ma forse
lui poteva davvero darmi una mano a capire che fossi. Solo che avevo
assolutamente bisogno di sapere chi fosse la ragazza prigioniera.
Decisi, allora, di andare all’arena. Avevo voglia di
allenarmi, magari mi sarei
potuta confidare con Percy o con Piper.
Mi
vestii, indossando un paio di jeans e la maglietta
arancione del campo e afferrai la spada che il giorno prima mi aveva
dato Leo e
mi avvia verso la porta. Stavo per uscire quando una voce mi
chiamò.
“Nico?”
Chiese la voce femminile.
Mi
voltai verso l’origine del suono: una specie di
arcobaleno sospeso a mezz’aria al centro della Casa di Ade.
Un messaggio Iride.
Dall’altra parte c’era il volto di una giovane dai
capelli e la pelle scuri e
gli occhi dorati. Sembrava sorpresa di vedermi, ma, subito dopo, la sua
espressione mutò in sospetto e anche rancore.
“Oh.”
Fece, accigliata. “Sei tu.”
“Che
accoglienza.”
Mi dissi, notando come quel sei tu
era stato tagliente come una
spada in bronzo celeste.
“Ciao.” La salutai, cercando di ignorare il
disagio. “Io sono… ehm… credo di
essere Bianca.”
“Lo
so.” Ribatté l’altra sempre
più rigida. Sembrava
volesse scannerizzarmi le cellule. “Frank mi ha parlato di
te. Io sono Hazel,
la sorella di Nico.”
Sussultai.
Sorella
di Nico.
Non
tua sorella.
Sorella
di Nico.
Mi
sentii avvampare dalla vergogna e dal disagio.
Quella ragazza, che ero anche curiosa di conoscere, sembrava volermi
tagliare a
fettine. L’avevano descritta come una ragazza amichevole,
dolce e tranquilla.
Mi chiesi fino a che punto, però, questo valesse per me.
Probabilmente mi
vedeva come un intrusa, una barriera che si era frapposta tra lei e suo
fratello. Se Nico fosse stato con me, probabilmente lei sarebbe stata
più
amichevole.
“Capisco.”
Risposi, mestamente, abbassando il capo.
“Dov’è
Nico?” Chiese, subito dopo, senza abbandonare la
sua espressione crucciata.
“Non
c’è.” Risposi, meccanicamente.
“Mi ha lasciato
scritto che sarebbe andato nell’Ade per parlare con suo
padre.”
“Molto
bene. Allora aspetterò che torni, ciao.”
Ribadì
lei.
“Aspetta,
Hazel!” Provai a fermarla, ma la ragazza
aveva già rotto il contatto del Messaggio Iride.
Sospirai.
Che bella riunione tra sorelle. C’erano tutti
i presupposti per tagliarsi le vene. Era ovvio che non mi sopportava e
non si
faceva scrupoli a mostrarlo. Cercai di mettermi nei suoi panni e
dovetti
pensare che voleva, in qualche modo, tenermi lontana da suo fratello.
Non
potevo darle torto.
Uscii, cercando di togliermi di dosso la sensazione di avere ancora
addosso lo
sguardo assassino di Hazel.
Il
campo si era appena svegliato. I figli di Apollo
stavano facendo una partita a basket. Poco più in
là vedevo i figli di Ermes
che fissavano con sguardi astuti la Casa di Afrodite, come se volessero
fare
degli scherzi. Cosa che non mi sorprendeva affatto. I figli di Ares
erano
impegnati in una rissa gli uni contro gli altri. Mi diressi verso
l’arena,
ignorando il casino.
Volevo schiarirmi la mente.
Infatti,
appena entrai, ero talmente sulle nuvole, che
fini addosso a qualcuno.
“Oh
Dei, scusami!” Dissi, finendo io stessa a terra.
“Nessun
problema.” Grugnì una voce a me familiare.
“Solo che non pensavo di finire proprio addosso a
te.”
Alzai
lo sguardo: era Jack. Mi sentii avvampare senza
motivo. Lui si era già alzato e mi tendeva la mano per
aiutarmi. Le sue ali si
stavano muovendo da sole, liberandosi dalla sabbia in cui era finito.
“Scusa,
non mi ero accorta che eri tu.” Dissi, sentendo
la mia voce assumere una nota un po’ stridula. Mi sistemai,
cercando di
riassumere un tono normale.
“Tranquilla.
Mi stavo allenando con la spada. Non so
perché, ma oggi sono a disagio. I venti sono
irrequieti.” Spiegò il figlio di
Borea, stringendosi le spalle.
“I
venti sono irrequieti? Sembra che tu ci parli, con
il vento.” Dissi, osservando i riflessi di ossidiana che il
sole formava quando
si infrangeva sui suoi capelli.
“Dimentichi
di chi sono figlio?” Chiese con un
sorrisetto.
“Ah,
già.” Borbottai, dandomi dell’ingenua.
“Sei figlio
di un Dio dei Venti. A proposito, che dicono, di preciso?”
“Magari
lo sapessi. Io non li capisco, riesco solo a
percepire i loro pensieri. Sembrano preoccupati da qualcosa. Ma non ho
capito
molto.” Spiegò, accigliato.
“Capisco.”
Dissi, rimanendo in un silenzio
imbarazzante. Lui non sembrava molto interessato ad allontanarsi e,
anche se io
volevo allenarmi, non volevo rompere così la conversazione.
“Senti,
io ho voglia di allenarmi. Ti va di darmi una
mano?” Chiesi, indicando l’arena, pur consapevole
che lui stava andando via.
“Perché
no? … va bene.” Rispose, annuendo, abbandonando
l’espressione accigliata.
“Ti
avverto, però. Io sono una frana nella scherma.”
Precisai, alzando le mani, in segno di resa.
“Tranquilla,
cercherò di trattenere i colpi.”
Ribadì,
lasciandomi passare per prima con un cenno della mano.
L’arena
era un edificio molto ampio e ricordava davvero
un arena dell’antica Roma. Con gli spalti a gradinate e la
sabbia al centro,
anche se, gli spalti erano fatti in legno. Mi posizionai al centro,
estraendo
la spada in Ferro Nero che sfrigolò emettendo un tenue
bagliore violaceo. Jack
si mise davanti a me, impugnando una spada di bronzo celeste.
“Di
solito preferisco usare la lancia, ma meglio usare
spade, per ora.” Spiegò, soppesando la sua arma
con attenzione. “Ieri stavi
combattendo contro Jason.”
“Stavo
perdendo
contro Jason.” Precisai, ricordando le sue lezioni basilari.
Il figlio di Giove
era uno spadaccino eccezionale e non ero riuscita a lanciare
più di un
fendente.
“Be’,
vedremo. Prova ad attaccarmi.” Mi incoraggiò il
figlio di Borea, facendo ondeggiare la sua spada.
Lo
fissai per un attimo e mi lanciai all’attacco. Non
mi aspettavo certo di vincere, ma almeno non volevo farmi battere al
primo
colpo. Tentai un fendente laterali, ma lui lo parò senza
problemi. Affondai, ma
nulla, evitò. Usò le ali e mi volò
alle spalle. Mi protessi da un suo attacco,
ma mi buttò comunque a terra.
“Non
vale!” Protestai. “Tu sai volare!”
“Già,
scusa… abitudine.” Si giustificò lui,
imbarazzato, dandomi una mano a rialzarmi.
Riprendemmo
e, a forza di riprovare varie mosse e attacchi,
iniziai a memorizzarli e riuscire ad usarli. Non mi batteva
più con un solo
colpo, ma doveva impegnarsi un po’ di più.
Nonostante quello, Jack era
evidentemente superiore a me. Doveva essersi allenato un sacco per
riuscire a
raggiungere quei risultati. Alla fine ci fermammo esausti. Ero un bagno
di
sudore, ma mi sentivo più leggera. Lui, si mise
all’ombra bevendo avidamente.
“Certo
che sei brava.” Disse, staccandosi dalla
bottiglia. “Non credo avrai bisogno di molte altre
ripetizioni.”
Scrollai
le spalle: “Ho fatto del mio meglio.”
“Ed
è parecchio.” Aggiunse una terza voce. Jason.
“Non
è da tutti migliorare così velocemente, anche per
un Semidio.” Si complimentò,
dandomi una pacca sulla spalla. Mi chiesi da quanto tempo ci stesse
osservando.
“Come
ho detto, ho fatto del mio meglio. Ma grazie,
anche a te, Jack che mi hai aiutato.” Risposi, con un
sorriso, rivolto al
figlio di Borea.
“Di
nulla… è stato un piacere.” Disse lui,
con
gentilezza.
Mentre
Jason si allenava con Percy e Piper che
sopraggiunsero poco dopo, mi fermai ad osservarli. Piper non era una
spadaccina
eccezionale, ma se la cavava. Il figlio di Poseidone e di Giove,
invece, erano
due maestri di spada e lo capivo io che con la spada ero un ignorante.
“Come
te la passi, al Campo?” Chiese, Jack ad un certo
punto, che si era seduto a terra.
“Mh…
abbastanza bene. Mi sento ancora molto spaesata.”
Risposi, abbassando la testa, sentendomi avvampare, pensando al breve,
ma
intenso dialogo con Hazel.
“Menti
sapendo di mentire.” Mi canzonò lui, fissandomi.
Non sembrava volermi fare pressione.
Sospirai
per lo sconforto che tornava a galla e iniziai
a raccontarle del dialogo con Hazel, la mia presunta sorella di parte
Romana.
Di come era sembrata fredda e distaccata nei miei confronti e di come
non mi
avesse rivolto più di due parole.
Lui
si accigliò pensieroso: “Non so molto, dei tuoi
fratelli. Nico è sempre molto… misterioso, quando
è qui al campo e non gli
piace legare con
gli altri. Però è molto
vicino a Percy.”
“Grazie…
cercherò di parlargli appena lo rivedo.”
Risposi, mentre i tre ragazzi finivano l’allenamento.
Jason
si sedette accanto a me, con il braccio destro
sulla vita di Piper, che gli sorrideva dolcemente. Sembravano una
coppia
bellissima. Percy, invece, si era appoggiato al muro di separazione tra
gli
spalti.
“Ah,
a proposito, Jason, Percy, avevo bisogno di
parlarvi… ecco perché sono venuta
all’Arena.” Dissi, a quel punto, rivolgendomi
a loro.
“Ho
capito, me ne vado.” Disse, a quel punto Jack,
rabbuiandosi di colpo.
“Aspetta,
no!” Provai a fermarlo, ma troppo tardi:
aveva già spiegato le ali ed era volato via.
“Quel
tipo è strano.” Asserì il figlio di
Poseidone.
“Spesso, se ci sono io o Jason, se ne va… o si
agita.”
“Ma
io non gli ho fatto nulla.” Protestai sulla
difensiva.
“Lascia
stare, è apposto, solo che, ogni tanto, è
strano. Che ci dovevi dire?” Chiese Jason, sospirando.
“Oh,
già, vero… ascoltate, sta’ notte ho
fatto un altro
sogno.” Iniziai, spiegando tutto il mio sogno.
I
due si accigliarono sempre di più, mano a mano che
descrivevo la prigioniera, il ragazzo con la maglietta viola e
l’armatura
romana e della voce che voleva controllarmi.
“Non
è possibile.” Protestò Jason.
“Mia sorella è una
cacciatrice di Artemide! I Romani sono in pace con i Greci e non
oserebbero toccarla.
Sarebbe un affronto alla divinità.”
“Vi
sto solo dicendo quello che ho visto… forse era un
ricordo o un sogno e basta.” Mi difesi, inarcando le
sopraciglia.
“Non
credo sia un sogno e basta. Bianca, i sogni, per i
Semidei, sono, quasi sempre visioni o rivelazioni su un futuro
prossimo.” Rispose
Piper, anche lei molto accigliata e preoccupata.
“Ragazzi,
davvero, non voglio fare questi sogni,… sono
loro che mi vengono.” Ribattei.
“Questo
è certo… ma sono sicuro che, se fosse accaduto
qualcosa, le cacciatrici ci avrebbero informato.”
Assicurò il Figlio di
Poseidone, fiducioso.
“Come
mai così sicuro?” Chiese Jason, incrociando le
braccia.
“Perché,
ormai i rapporti tra Campo mezzosangue e
Cacciatrici i è molto rafforzato. Se prima venivano qui solo
una volta ogni
tanto, adesso capita spesso che vengano alla loro Capanna a
riposare.” Spiegò
l’amico, sempre pensieroso.
“E
se provassimo a contattarla tramite un messaggio
Iride?” Proposi, ripensando al modo in cui mi ero messa in
contatto con la mia
sorella Romana.
“Non
sembra una cattiva idea.” Acconsentì la figlia di
Afrodite. “Io ci provo.”
Mentre
i due si allontanavano per riuscire a inviare in
pace, quel messaggio, io rimasi sola con Percy nell’Arena. Mi
sentii di nuovo
in imbarazzo nel ritrovarmi da sola, con una persona che, bene o male,
avevo
già conosciuto e non ricordarmi nulla. Avrei voluto
parlargli di qualsiasi
cosa, anche la più stupida.
“Come
ti trovi con Nico?” Chiese, dopo un po’, lui,
togliendomi dall’imbarazzo.
“Abbastanza
bene.” Risposi, scrollando le spalle. “Non
so come prenderlo e ho paura di dire qualcosa di sbagliato.”
“Capisco…”
“Percy…
posso farti una domanda?” Chiesi, ad un certo
punto.
“Quale?”
“Tu
sai perché ho abbandonato Nico… cioè,
come mai la Vecchia Bianca lo ha
abbandonato?” Mi
sentivo male a chiamare me stessa Vecchia
Bianca, ma era una verità troppo ovvia: sembravo
davvero una pezza, messa
lì a posta come sostituta.
“Sinceramente…
no Bianca, mi spiace.” Rispose lui con
un sospiro. “Non me l’hai mai spiegato veramente.
Mi avevi detto che ti fidavi
di me perché vi avevo salvato la vita, per questo avevi
deciso di lasciare Nico
al Campo. Non so dirti altro.”
Abbassai
il capo, al limite del pianto. Mi sentivo uno
straccio: avevo abbandonato mio fratello in mano ad un gruppo di
sconosciuti.
Come avevo potuto pensare che non serbasse rancore, per questo. Con il
senno di
poi, è facile dire di aver sbagliato, ma quanto potevano
valere le mie scuse?
Pensai a Nico, a quanto si doveva essere sentito abbandonato, quando
gli
avevano comunicato che ero morta. Doveva essersi sentito tradito e
solo. Se
solo avessi avuto un po’ più di cervello e un
po’ più di pazienza, forse non
l’avrei abbandonato.
In
quell’istante, però, una macchia scura
sorvolò il
campo. Non ci avrei fatto caso se da essa non fosse uscito proprio
Nico, che
precipitò letteralmente al centro dell’Arena.
“Nico!”
Lo salutai, sollevata. Dopo quel sogno avevo
delle brutte sensazioni.
“Bianca,
Percy.” Ci salutò, ripulendosi dalla sabbia
dell’Arena.
“Ciao,
Nico. Come va’? Dov’eri?” Chiese il
figlio di
Poseidone, dandogli una mano.
“Ero
da Ade. Volevo chiedergli se sapeva qualcosa di
Bianca.” Spiegò, massaggiandosi le braccia ancora
doloranti per la caduta.
Sperai che i miei Viaggi Ombra, in caso li sapessi fare, fossero
più comodi.
“hai
scoperto qualcosa?” Chiesi, ansiosa di avere
conferme ai miei sospetti.
“Nulla…
sia Thanatos che Ade erano ugualmente sorpresi
di sapere di te. Forse Ade sta fingendo, ma non credo. Per quanto
freddo, non
ha mai infranto le regole del suo stesso regno. Altrimenti avrebbe
fatto
rivivere anche la mamma.” Spiegò, dispiaciuto,
anche se sospettavo più per se
stesso che per me.
“Mi
dispiace, Nico.” Sussurrai, poggiandogli una mano
sulla spalla. Lui fu scosso da un brivido, come se gli avessi dato la
scossa,
ma non si ritrasse. Sembrava un buon segno.
“Non
preoccuparti… sono certo che si spiegherà
tutto.”
Mi rassicurò, con un sorriso tirato.
“A,
a proposito, Hazel ti ha cercato.” Aggiunsi,
ricordandomi di lei.
“Ah…
oh, ehm… cosa vi siete dette?” Chiese,
improvvisamente nervoso.
“Nulla
di che. Lei cercava te. Gli ho detto che non
c’eri.”
Risposi, meccanicamente, evitando di dire come si era rivolta a me.
“Ok,
grazie, la richiamerò appena posso.”concluse Nico.
Anuii.
Stavo per andarmene con lui e Percy, quando,
sull’entrata apparvero Annabeth e una ragazza dai lunghi
capelli rossi e ricci,
La carnagione chiara e gli occhi vitrei, come se fosse in trance.
Indossava un
paio di pantaloncini corti neri e una maglietta arancione del campo,
simile a
quella che indossavo anche io in quel momento.
“Percy!”
Urlò Annabeth, allarmata. “Rachel è
diventata
stranissima…”
“Cosa?
Come mai?” Chiese il figlio di Poseidone,
avvicinandosi alle due.
Provò
a scuotere la rossa, ma senza successo. Quella
continuò imperterrita a camminare fino a fermarsi davanti a
me. I suoi occhi
inespressivi mi inquietarono. Sentii Nico stringermi la mano come per
darmi
forze e, dopo alcuni istanti, un fumo verde uscì dalle
labbra della ragazza,
avvolgendola come le spire di un serpente. Sobbalzai, lanciando uno
strillo
spaventato, mentre una voce cavernosa e profonda, che poco aveva a che
fare con
quella ragazza iniziò a parlare usando la sua bocca, quasi
fosse posseduta.
Colei
che dalla morte è tornata,
Dal Dio antico, verrà dannata.
In tre, per sua causa spariranno
E per questo a tutti gli altri sarà fatto danno.
Verso occidente dovrà viaggiare
Così il Dio vedrà tornare.
Il suo sangue, l’altare del Titano bagnerà
Se alla fine il traditore non fermerà.
Il
fumo sparì, la voce si dissolse e la ragazza
crollò
a terra, come se stesse per svenire. Percy e Annabeth corsero subito a
sorreggerla, mentre Nico continuava a spostare il suo sguardo da lei a
me. Mi
sentivo come se stessi per vomitare. Il mondo iniziò a
girare.
“Ragazzi.”
Gemette la rossa, sbattendo le palpebre.
“Che succede? Stavo parlando con Annabeth, davanti alla Casa
Grande. Poi più
niente. Lo Spirito Oracolare ha preso di nuovo il controllo?”
“Sì,
Rachel.” Rispose, meccanicamente Percy fissando
me. “Hai appena enunciato una profezia.”
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo Autore.]
Salve,
seguitori e seguitrici della storia. Come
vedete, dopo il capitolo di passaggio, ecco a voi il prossimo. Questo
non è
affatto di passaggio, ma è molto importante. Anche il
prossimo sarà “di
passaggio” a causa di una necessità di trama, ma,
dal settimo, preparatevi a
vedere un’avventura pericolosissima per la nostra Bianca
rediviva.
Ad ogni modo, ecco a voi un bel mistero. Chi è il
“Romano”? Chi è la misteriosa
prigioniera? Immagino che voi conosciate bene la risposta.
AxXx
|
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Capitolo 7 *** Bianca/Nico - Arrivano le Cacciatrici ***
ARRIVANO
LE CACCIATRICI
[Pov
Bianca]
Passarono
circa sei giorni da quella profezia che, era
evidente, parlava di me. La maggior parte delle persone del campo mi
scansava,
come se fossero spaventati da me, ma cercavano, comunque, di essere
sufficientemente gentili. Gli unici che sembravano essere tranquilli
con me
erano Percy, Jason, i loro amici e Jack, che, però, in
presenza degli altri si
irrigidiva e volava via. Non capivo perché, ma sospettavo
che si sentisse a
disagio. Nico continuava a chiedermi, di tanto in tanto, qualcosa sul
mio
passato, ma ero sempre più frustrata dal fatto che non
ricordavo ancora nulla.
Partecipai
alle partite di caccia alla Bandiera insieme
a lui e feci del mio meglio per legare, ma, nonostante tutto, sembrava
che
qualsiasi cosa facessi gli spezzava il cuore e io non facevo altro che
sentirmi
in colpa. Lui chiamò di nuovo Hazel, ma, come immaginai, i
toni rimasero molto
formali.
“Ciao,
Hazel, come stai?” Chiese Nico, non appena la
sorella si accorse del nostro messaggio.
“Oh,
ciao Nico!” Lo salutò lei, sorridendogli, mentre
ignorava completamente me. “Come va’? Ho saputo dei
nuovi… arrivi.” Aggiunse,
senza, però, guardarmi.
“Sì…
immagino che tu abbia già conosciuto Bianca.”
Disse il figlio di Ade, indicandomi, senza, però,
specificare il grado di
parentela. Doveva essersi accorto della mancanza di attenzioni della
Romana.
“Sì,
ho già avuto modo di parlarci.” Rispose Hazel, con
la voce, improvvisamente fredda come ghiaccio.
“Volevo
solo presentarvi.” Replicò Nico, ignorando il
tono minaccioso della sorella, mentre io avvampavo dalla vergogna.
“Cosa
volevi?”
“Solo
chiederti come stavi e capire costa stava
succedendo. Sai, la notizia di certi arrivi viaggia in
fretta.” Rispose,
scoccandomi un occhiata gelida.
“Allora
eccola qui. Spero che vada tutto bene tra te e
Frank.” Si informò il ragazzo, ansioso di cambiare
argomento.
“Sì,
non ti preoccupare.” Disse, tornando a
concentrarsi su di lui. “Ultimamente abbiamo dei problemi con
gli Aquilus, ma
li stiamo tenendo in riga.”
“E
la spedizione sul Monte Otri?”
“Nulla
da segnalare, Atlante è ancora la sotto e i
mostri sono tanti, come al solito, ma non preoccupanti.”
Replicò la figlia di
Plutone, sorridendo.
Sembrava
che con Nico si trovasse benissimo, mentre con
me sembrava sempre fredda come il ghiaccio. Si scambiarono qualche
altra parola
senza peso e persi interesse per la conversazione. Fu un sollievo, per
me,
quando il contatto fu interrotto. Uscimmo dalla casa tredici, lui
normalmente,
io al limite della depressione.
“Perché
si comporta così?” Chiesi, stringendomi le
spalle, sentendo ancora il gelo che traspariva dalle parole di Hazel.
“Non
lo so. Davvero, di solito è fantastica, davvero.
È
stata la prima a volermi salvare, quando fui catturato dai
giganti.” Rispose
Nico, con le mani nelle tasche.
“Immagino
sia per il fatto che non sa comportarsi con
me.” Mentii, sapendo, in cuor mio, come mai si comportava in
quel modo.
Appena
arrivati davanti alla Casa Grande ci separammo e
andai al campo di tiro con l’arco. Unica cosa che mi stava
andando bene, dopo
la spada. Nico mi aveva consigliato varie attività e
organizzato la mia
permanenza al campo. Ammetto che il tiro con l’arco non mi
dispiaceva, ma
preferivo la scherma.
Dopo mi toccò la corsa e l’arrampicata che,
però, non mi attiravano. Certo, mi
tenevano in forma ma non credevo di avere il fisico per fare certe cose.
Così, come tutte le volte, finii all’Arena, dove
si stavano allenando una
decina di semidei.
La maggior parte mi guardò male, come se fossi
un’intrusa, ma poi vidi Jack che
si stava allenando poco lontano contro un manichino e decisi di
raggiungerlo.
“Ciao,
Bianca.” Mi salutò sorridendo e fermandosi.
“Vuoi allenarti?”
“Sì…
ho assolutamente bisogno di distrarmi.” Risposi,
facendo oscillare la spada in Ferro Nero.
“Distrarti?
Problemi con Nico?” Chiese, scoccandomi un
occhiata preoccupata.
“Non
proprio…” Replicai.
Decisi di liberarmi
un po’ ed iniziai a raccontargli dei miei sogni e delle
conversazioni con
Hazel, di Nico che sembrava irrequieto e della profezia. Non sapevo
nemmeno
perché lo stavo raccontando a lui. Avrei dovuto parlarne con
altri, magari
Annabeth o Percy. Però non me la sentivo di dirglielo. Avevo
paura che
iniziassero a vivisezionarmi con gli occhi e non ci tenevo ad altri
terzi gradi
a cui non potevo dare risposta. Quando finii di raccontare lui non
aveva
cambiato espressione, era semplicemente attento.
“Questo
sì che è strano.” Sussurrò,
quasi a se stesso.
“Be’, posso immaginare perché tua
sorella non ti vuole parlare, mi dispiace. Il
sogno, però, è davvero inquietante. Sicura di non
volerne parlare con Chirone?”
“No.”
Risposi, affranta. “Con questa perdita di memoria
non ci capisco quasi più nulla. Potrebbe essere un ricordo o
qualcos’altro. Non
voglio allarmare nessuno per quello che potrebbe essere
nulla.”
“D’accordo,
potrei chiedere a qualcuno, magari? I
ragazzi di Ecate o Morfeo potrebbero essere capaci di aiutarti. Sono
esperti
nella manipolazione della memoria. Potrebbero aiutarti a capire se
quello è un
vero sogno o no.” Propose, dopo qualche istante di
riflessione.
“Magari
uno di questi giorni sì. Nelle ultime notti il
sogno si è sfumato un po’.” Risposi con
un sorriso un po’ tirato.
“D’accordo,
allora alleniamoci. Magari, poi, andiamo
insieme a mangiarci qualcosa al Pugno di Zeus.” Concluse,
mettendo mano alla
sua lancia.
Negli
ultimi tempi ero migliorata e non era più tanto
facile battermi. Questa volta fu lui a finire a terra un paio di volte
e
riuscii a tenergli testa. Per un ora buona non continuammo a duellare
sul posto
fino a che non mi sentii distrutta e crollai nella sabbia e lui si
sedette
accanto a me.
“Credo
che mi distruggerai, uno di questo giorni.”
Sbuffò il figlio di Borea, ansimando per la fatica.
“Non
è colpa mia se spada e arco mi vengono così bene.
E non essere disfattista, prima di batterti dovrò davvero
impegnarmi.”
Replicai, ancora affannata.
Allenarsi
mi aiutava a non pensare a tutte le cavolo di
stranezze che mi erano capitate, persino per una presunta semidea
qual’ero.
Inoltre, dopo lo scontro alla base della collina continuavo a tenermi
in
allenamento onde evitare di essere presa alla sprovvista da altri
mostri.
Dopo l’allenamento avevo del tempo libero, così mi
diressi al pugno di Zeus.
Non capivo perché avessero dato quel nome ad una montagna di
cosi rocciosi che
spuntavano dal terreno. Non sembrava nemmeno una mano chiusa.
“Allora,
come te la stai passando al campo?” Chiese
Jack, atterrando su una roccia alle mie spalle.
“Non
male. Anche se tutti mi guardano come un
appestata.” Risposi, lasciando che il vento mi soffiasse tra
i capelli. Mi
sentivo stranamente tranquilla, in quel momento.
“Lasciali
perdere. La maggior parte della gente si
sente a disagio quando si trova davanti a qualcosa che sconfina dalla
loro idea
di normalità.”
Spiegò, alzando le
spalle.
“Quindi
io sono un anomalia, per loro. Tu, invece? Non
sembri trattarmi male.”Notai, fissandolo, mentre ero ancora
seduta.
“Con
tutto quello che capita nella vita di un
Mezzosangue come me. Ormai ci sono ben poche cose che mi rendono
nervoso.”
Rispose con un sorriso rassicurante. Non potei non rispondere. Con lui
sembrava
tutto più semplice, non mi guardava con lo stesso disgusto
degli altri. Solo
come amica.
“Be’,
allora grazie. Ultimamente tutti mi guardano
storto.” Dissi, dandogli un bacetto sulla guancia.
Con
mia incredibile sorpresa lo vidi arrossire come un
peperone e distogliere lo sguardo.
“N-non
c’è di che, figurati.”
Balbettò.
Ridacchiai
sollevata. Avrei volentieri passato con lui
altro tempo, se non fosse che, in quel momento, Piper non ci vide e
richiamò la
mia attenzione, sbracciandosi.
“Le
cacciatrici sono qui!” Urlò, rivolta a noi.
“Chirone vuole che siamo tutti presenti!”
Sussultai.
Le cacciatrici. Erano il gruppo di ragazze
eternamente vergini e immortali a cui mi ero unita nella mia presunta,
ex vita.
Avevo saputo che anche la ragazza che avevo sognato era una
cacciatrice. Non
potevano essere coincidenze.
“Andiamo
a vedere cosa vogliono.” Proposi, fissando
Jack.
Lui
annuì e planò verso terra, salutando Piper con un
cenno del capo, per poi dirigersi spedito verso la casa Grande.
“Ehi,
Pips!” Dissi, scendendo con molta meno grazia del
mi amico alato. “Sai perché sono qui?”
“No,
mi spiace. Non è Artemide a comandarle. Tuttavia
Talia non è con loro… temo che il tuo
sogno… non fosse così sbagliato.”
Sussurrò Piper, dispiaciuta.
Improvvisamente
mi sentii la gola secca e le gambe
molli. Non avevo più tanta voglia di incontrare le
Cacciatrici. Anzi, temevo il
peggio.
“Non
temere, Bianca. Non ti uccideranno mica.” Mi
rassicurò la figlia di Afrodite.
Le
sue parole ebbero un buon effetto su di me. Le paure
si dissolsero per un attimo e mi rimisi in sesto. Non poteva essere
così
terribile, affrontare, di nuovo, le cacciatrici. Insieme ci
incamminammo verso
il cortile davanti alla Casa Grande, dove si stavano radunando molti
semidei. Davanti a
noi c’erano una trentina di ragazze
armate di Archi d’argento e pugnali e indossavano tutte un
parka e pantaloni in
mimetica. Erano un gruppo molto unito e, all’apparenza, molto
battagliero.
Eppure c’era qualcosa che non andava: le loro espressioni
erano tra il
furibondo e il timoroso, come se fosse successo loro qualcosa di molto
grave.
Non riuscivo ad immaginare cosa, però.
La
ragazza che le guidava non somigliava affatto a
quella che avevo visto io in sogno. Certo, indossava vestiti simili,
ma, sulla
fronte, non vi era alcun diadema. I capelli erano color nocciola e
mossi,
mentre gli occhi erano di un azzurro molto più profondo
dell’altra. Stava
parlando con Chirone che, ad ogni parola, muoveva la sua coda sempre
più
nervosamente.
“Capisco…”
Disse, il centauro, dopo pochi istanti.
“Capigruppo, venite. Dobbiamo riunirci con le Cacciatrici per
discutere di una
cosa molto importante.”
Alla
sua chiamata risposero tutti quelli che avevo
visto io. Alcuni mi fissarono con sospetto, altri dubbiosi, ma fui
grata che la
maggior parte mi ignorassero. Jack mi lanciò un sorriso
incoraggiante e Piper
mi rassicurò un po’, dandomi una pacca sulla
spalla.
Poi venne il turno di Nico.
“Bianca.”
Iniziò lui, rosso in viso, come se si stesse
sforzando di dire qualcosa. “Qualsiasi cosa ti
chiedano… ecco, non fare come
l’ultima volta, per favore.”
Lo
guardai perplessa.”Cosa non dovrei fare?”
Mio
fratello si morse il labbro inferiore, poi buttò
fuori tutto d’un fiato: “Se le cacciatrici
dovessero chiederti di unirti a
loro… non farlo. Ti prego, non posso perderti di nuovo,
proprio adesso!”
Mi
sentii avvampare. Era ovvio quello che voleva dire.
Non potevo dargli torto, l’ultima volta l’avevo
abbandonato, lasciandolo lì, in
mezzo ad una marea di sconosciuti. Non lo biasimai per quella
richiesta, anzi,
mi sorpresi che, nonostante tutti i brutti ricordi, in qualche modo,
pensasse
ancora a me.
“Lo
prometto, non ti preoccupare.” Lo rassicurai,
stringendogli il braccio.
Lui
annuì e sembrò sollevato, mentre si dirigeva
velocemente alla Casa Grande, insieme a tutti gli altri. Poco a poco,
gli altri
semidei si dispersero in varie direzioni, chiacchierando tra loro.
Alcune
ragazze si misero a parlare con le cacciatrici ed una mi
fissò con attenzione.
Forse fu solo una mia impressione, ma mi sembrò che mi
avesse riconosciuta e
che mi volesse colpire con una delle sue frecce d’argento.
[Pov.
Nico]
Avevo
sperato, pregato, che il sogno di Bianca fosse
solo quello. Un sogno. Ma invece ecco le cacciatrici, senza Talia,
forse gli
avrebbero portato via la sorella di nuovo. Sperai che, almeno questa
volta, lei
ci pensasse bene, prima di unirsi a loro. Mi misi al mio posto accanto
a Percy,
sentendomi avvampare, quando lui mi dette una pacca sulla spalla. Ormai
mi ero
rassegnato, ma non potevo fare a meno di non pensarci. Lo amavo ancora.
“Ben
arrivate, Phoebe.” La salutò, cordialmente,
Chirone, anche se sapevo bene che era nervoso. “Immagino che
vogliate parlare
della questione a cui mi avevate accennato.”
“Esatto.”
Ribatté la ragazza, rivolta al centauro. “La
Luogotenente di Artemide, Talia Grace è sparita.
È stata rapita, per la
precisione.”
“Cosa!?”
Sbottò Jason, che sembrò, diventare una statua
di sale.
“Non
sto mentendo. Noi l’abbiamo vista, mentre veniva
trascinata via. Abbiamo provato a difenderla, ma era troppo tardi.
Quelle
guerriere erano sparite troppo velocemente.” Rispose la
cacciatrice, fissando
il figlio di Giove.
Un
mormorio generale si sollevò tra gli altri
capigruppo, mentre assorbivo il vero significato di quelle parole.
Conoscevo
Talia Grace, l’avevo vista combattere più volte ed
era una forza. Nessuno
avrebbe potuto sconfiggerla, lo sapevo bene. A meno che non avesse un
grande
vantaggio.
“Hai
detto guerriere.”
Disse Annabeth, ad un certo punto. “Erano tutte donne?
Amazzoni, forse?”
“No…
no, erano cacciatrici.” Spiegò Phoebe,
improvvisamente in imbarazzo.
“Aspetta.
Vuoi dire che ci sono delle traditrici, nel
tuo gruppo?” Chiese Percy, sorpreso.
Anche
a me e a molti altri pareva strano. Le
cacciatrici erano un gruppo molto fedele e unito. Non riuscivo ad
immaginare
cosa le avrebbe potute portare al tradimento.
“Non
lo sappiamo nemmeno noi. Sappiamo solo che alcune
di loro erano simili a noi. Abbiamo anche riconosciuto Bianca di
Angelo, una
delle cacciatrici morte nell’impresa di Atlante.”
Spiegò, guardandomi
intensamente.
Improvvisamente
mi sentii gelare il sangue nelle vene,
mentre tutti cadevano in un profondo e inquietante silenzio. Percy e
Annabeth
si scambiarono una delle loro occhiate complici che, sapevo, essere un
dialogo
comprensibile solo a loro.
Intanto, io continuavo a sentirmi il cuore terribilmente pesante.
Non potevo credere che Bianca stesse fingendo di non ricordare nulla,
solo per
nascondersi tra noi.
Eppure…
No,
non mi sarei lasciato sfuggire mia sorella, solo
perché una cacciatrice diceva che una tizia che ci
somigliava le aveva
attaccate. Nella mia mente misi a tacere la voce che, maligna, mi
suggeriva di
diffidare di Bianca. No, non l’avrei persa di nuovo.
“Com’è
possibile che mia sorella si sia fatta catturare
così!?” Protestò Jason, stringendo i
pugni. “Lei è una figlia di Zeus! Avrebbe
combattuto.”
“È
vero, noi stesse abbiamo fatto di tutto per
salvarla. Ma c’era qualcosa di strano. Abbiamo provato a
tirare, ma il vento si
è alzato, deviando le nostre frecce. Quando si è
accorta di essere attaccata,
ha cercato di evocare i fulmini, ma quelli non hanno
risposto.” Spiegò
la cacciatrice, abbassando il capo.
“Impossibile!
Gli elementi del celo dovrebbero
ubbidirle.” Protestò Leo, perplesso.
“Eppure
è proprio quello che è successo. Non sappiamo
come sia possibile, ma ci siamo ritrovate davvero in una situazione
impossibile.” Ribadì Phoebe.
“Ci
sono molte cose che non si spiegano.” Fece notare,
Annabeth, accigliata.
“Non
ha importanza. Chirone, lei ci ha promesso aiuto e
anche una spiegazione. Mi dice la verità?”
Una
spiegazione? Non vorrà consegnare Bianca!? Alzai
gli occhi sul centauro, come per cercare conferma e, come per riflesso,
lui
incontra il mio. Ci fissiamo un lungo istante. Lo prego di non dire
nulla, di
dare a lei e a me, una possibilità. Abbassa lo sguardo,
dispiaciuto. Odio quando
mi mostrano quella pietà. Io non sono debole, ma se mi
dessero ascolto, ogni
tanto, non farebbe male.
“In
effetti… c’è una cosa che posso
dirvi.” Iniziò,
cautamente. “Una settimana fa, abbiamo accolto, tra noi, una
mezzosangue. La
mezzosangue in questione… ecco…”
Si
fermò a fissarmi, mentre io serravo i pugni per la
rabbia.
“Lei
è molto simile a Bianca di Angelo, la ragazza che
è morta, insieme a Zoe, nella missione contro Atlante. Lei
dice di non
ricordare niente… ma alla luce di quanto
affermate.”
“Non
è stata lei!” Sbottai, d’impulso,
attirandomi
tutti gli sguardi su di me.
“Non
lo puoi sapere!” Ribatté la cacciatrice.
“Sei
anche imparziale, figlio di Ade.”
“Nico,
sii ragionevole.” Mi consiglio Chirone,
avvicinandosi a me. “Capisco il tuo dolore e i tuoi dubbi, in
questo momento,
ma nessuno di noi può sapere chi sia davvero quella ragazza.
Non ci sono prove
che sia davvero tua sorella.”
“Non
lo può sapere!” Urlai.
“Chirone,
Nico ha ragione.” Ci bloccò Percy,
all’improvviso, separandoci. Il tocco della sua mano contro
la mia spalla mi
fece rabbrividire. “Se davvero fosse Bianca, senza ricordi?
Non abbiamo delle
vere prove per accusarla di nulla.”
Mi sentii un po’ meglio. Succedeva sempre, da quando gli
avevo detto la verità.
Nonostante tutto mi sosteneva ancora e mi dava ragione. Alla fine
eravamo
riusciti a trovare una sorta di rapporto intermedio.
“Ragazzi,
ascoltate, il campo mezzosangue non può
permettersi di entrare in conflitto con le Cacciatrici. Artemide tende
ad
essere molto vendicativa e non sarà felice di aver perso la
sua luogotenente…
se la ragazza è coinvolta, non possiamo
escluderlo.” Disse il centauro,
battendo nervosamente gli zoccoli sul pavimento di legno.
“C’è
un modo per accontentare tutti.” Ci informò
Phoebe, avvicinandosi a noi. “Se la ragazza è
davvero Bianca di Angelo e non è
una traditrice, allora potrà riunirsi a noi.”
“COSA!?”
Esclamai, esterrefatto. Questo non l’avrei
accettato.
Jack
mi venne in aiuto: “Mi pare che lei sia… morta.
Una volta che si muore, ogni giuramento fatto in vita viene sciolto,
anche
quelli con gli Dei. Queste sono regole antiche.”
“Forse…
ma se lei non è colpevole, non ha nulla da
temere, a tornare con noi. Invece sarebbe se una Cacciatrice risorta
non facesse
la stessa cosa. Potrebbe apparire…
sospetto.”Disse, facendo intuire tutti i
significati insiti delle sue parole.
Strinsi
i denti, quasi fino a spaccarmeli, ma ebbi
abbastanza autocontrollo da non esplodere. “Molto bene. Ma
sarà una sua
scelta.” Precisai, a malavoglia.
“Allora
convocatela.” Ordinò Chirone, voltandosi verso
Jason.
Il
figlio di Giove, ancora scosso per la notizia, si
diresse verso la porta. Mentre camminava io mi sentii improvvisamente
male. Non
volevo provare di nuovo, quello che era accaduto anni fa. Atlante,
cacciatrici,
mia sorella. Doveva essere un incubo, per forza. Sembrava di rivivere
quei
momenti. Strinsi forte il bordo del tavolo da ping-pong, sapendo che
tutti mi guardavano
con pietà.
Avrei tanto voluto che non lo facessero. Non avevo bisogno della loro
pietà. Se
davvero volevano aiutarmi, allora avrebbero dovuto appoggiarmi.
“Nico,
posso parlarti?” Chiese una voce accanto a me.
Alzai
lo sguardo e incontrai gli occhi verdi di Percy.
Il mio cuore accelerò e sentii la rabbia scemare un
po’. Annuii e ci appartammo
in un angolo.
“Ascolta,
Nico, io sono dalla tua parte. Sono certo che
lei sia Bianca. Farò di tutto affinché non ti
abbandoni. Non la costringerò,
ma, per quanto sia in mio potere, farò di tutto per non
separarvi di nuovo.” Mi
assicurò, dandomi una pacca sulla spalla.
“Grazie.”
Risposi, semplicemente, abbassando lo sguardo
commosso.
Sapevo che si sentiva anche lui, in colpa per mia sorella. Dopotutto
lui era
presente, quando lei era morta, ma fui comunque felice di sapere che
lui era
dalla mia parte.
“Non
dirlo nemmeno. Direi che è il minimo, dopo tutto
quello che ti ho fatto.” Disse il figlio di Poseidone, con un
sorriso sghembo.
“Certo.”
Affermai, per poi bloccarlo con la mano che mi
tremava. “Percy… posso abbracciarti?”
Chiesi, notando che nessuno, a parte
Annabeth, ci guardava.
Lui
sembrò un attimo sorpreso, ma poi si chinò un
attimo stringendomi in un caldo abbraccio. Per pochi secondi ispirai il
suo
odore di salsedine, lasciando che mi sciogliessi. Per poco, per il
tempo do
quell’abbraccio, ogni mia preoccupazione sparì. Ad
altri saremmo apparsi due
fratelli, ma era qualcosa di più profondo. Da quando gli
avevo confessato i
suoi sentimenti, Percy mi era stato vicino. Aveva detto che non
ricambiava, ma
che non voleva farmi soffrire, così, insieme ad Annabeth, mi
aveva quasi adottato,
diventando una sorta di fratello maggiore. Gli confessavo segreti e
paure,
sapendo che sarebbero stati al sicuro ed in quei momenti era come se
fossimo
solo noi due. Sapevo che stava con Annabeth, ma, in quei momenti, era
come se
lui fosse mio.
Poi,
però, lui si staccò ed i problemi tornarono,
perché, nello stesso istante, Jason aprì la
porta, spingendo Bianca all’interno.
Io e Percy tornammo al nostro posto.
“Che
volete?” Chiese ansiosa. Sarò stato imparziale, ma
il tono era troppo convincente per essere finto.
Chirone
si mosse un po’ sul posto e disse: “Bianca, so
che sembra strano, ma le Cacciatrici vorrebbero che tu ti unissi
nuovamente a
loro. Sono successe delle cose che… diciamo che avrebbero
bisogno che tu
ritornassi con loro.”
“Me
lo state… ordinando?” Chiese inarcando le
sopracciglia, dubbiosa.
“Non
è un ordine… è solo una
richiesta.” Specificò
Percy, fissando il centauro, facendogli capire che mentire non era
giusto.
Bianca
abbassò lo sguardo, incrociando le braccia,
facendomi ricordare come lei, spesso, in passato, rifletteva nella
stessa
posizione. Alzò gli occhi su di me, facendomi rabbrividire.
Tremai al solo
pensiero di perderla, poi la vidi guardare Jack. Il figlio di Borea
stava
fissando la rete da ping-pong, accigliato. Mi parve di vederlo saettare
le
pupille verso di lei, per poi tornare come prima.
“Mi
spiace.” Disse, alla fine Bianca. “Ma non posso
accettare. Preferisco rimanere al Campo Mezzosangue.”
Tirai
un sospiro di sollievo. Forse ero stato egoista,
ma fui felice di sentire quelle parole. Non avevo perso mia sorella.
Forse non
era tutto uguale a prima. Magari non sarebbe morta di nuovo.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo Autore]
Sono
Tornato, felici!? NOOOOOOOO! *Prendono i
forconi*
Certo, certo, sono in ritardo, ma cavolo, gente, io ho anche
io devo finire
i corsi. Mi hanno un attimo devastato e ho dovuto anche finire alcuni
esami.
Cavolo, che fatica, ma finalmente, ecco il capitolo.
Questo capitolo è MOOOOOOOOOOOOOOOOOOLTO importante. Da qui
le cose andranno
sempre peggio. :3
Preparatevi a vedere una Bianca sempre più reattiva e
combattiva, mentre i
nostri altri eroi, incredibilmente, diventeranno sempre più
al ‘negativo’.
Ad ogni modo, spero che la storia continui a piacermi.
Ringrazio
Silvia_Fangirl, sei grande, grazie per le recensioni, spero che la
storia
continui a piacerti. J
_Littles_
Sìììììììììììììììì
*^* adoro il tuo modo di recensire, spero che
questo capitolo ti piaccia ancora di più J
A presto, gente, mi raccomando, recensite.
AxXx
|
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Capitolo 8 *** Bianca - Mio fratello parte per una Missione Suicida ***
Bianca
– Mio fratello parte per una Missione Suicida.
Dopo
la riunione mi ritrovai a cena, al tavolo di Ade,
insieme a Nico che, non sapevo se dire, essere tranquillo o no. Di
sicuro era
più rilassato, lo notavo dal fatto che teneva le spalle
più morbide, come se gli
avessero tolto un peso. Una parte della mia mente intuiva che fosse
felice del
fatto che io non mi fossi unita alla Cacciatrici, ma, allo stesso
tempo,
lanciava occhiate nervose al Tavolo di Artemide. Di solito vuoto, ma,
in quel
momento, occupato da Phoebe e le sue compagne, che mi guardavano, quasi
tutte
con astio. Mi sentii un po’ a disagio, così mi
concentrai su altro. Poco
lontano Jason e Piper erano seduti allo stesso tavolo, proprio come
Percy e
Annabeth. Di regola non avrebbero dovuto farlo, ma Chirone aveva dato
una sorta
di permesso speciale per quei
quattro
a rimanere insieme, anche perché tenerli separati si era
rivelata, per tutti,
un impresa impossibile.
Quella
sera, però, l’atmosfera era molto pesante, ed io
sapevo perché: il problema ero io. Tutti mi guardavano male
e intuivo che
nessuno credesse alla mia innocenza. Talia, a quel che avevo capito,
era una
persona importane per i ragazzi del Campo Mezzosangue. Saperla in
pericolo
aveva messo in allarme non pochi di loro. Erano in pochi ad ignorare il
fatto
che c’entrassi io o che, per lo meno, non mi lanciassero
sguardi assassini.
Iniziavo a credere che fosse un abitudine dei semidei, guardarmi male.
Sospirai
e guardai il mio piatto, sentendolo inutile, dato che il mio stomaco
era
tappato.
“Dovresti
mangiare qualcosa.” Mi fece notare Nico,
osservandomi attentamente.
Strinsi
le spalle, indifferente: “Non ho fame.”
Spiegai.
“Capisco,
nemmeno io.” Sbuffò. “Tra poco
c’è la Caccia
alla Bandiera, siamo con i figli di Ares, Ermes e Percy.”
Annuii
poco convinta. Capivo il suo tentativo di farmi
cambiare discorso, ma ero ancora concentrata sul tentativo di Phoebe di
riportarmi tra le cacciatrici. Intuii che si trattava di una proposta
mossa,
non da una reale voglia di avermi tra loro, ma per un tentativo di
avermi
vicina per tenermi d’occhio. Sospettavano di me e volevano
avermi sotto gli
occhi, in modo da potermi controllare.
La
cena continuò in modo abbastanza silenzioso, a parte
per i figli di Ermes che se la ridevano e scherzavano tutti insieme, al
loro
tavolo. Alla fine tutti iniziarono a radunarsi all’armeria,
così li seguii a
ruota, insieme a Nico. In quel momento, però, Chirone si
avvicinò a noi e lo
prese da parte, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Mio
fratello annuì e,
sorprendentemente, si avviò verso la Casa Grande, insieme al
centauro. Mi sentii
stranamente in ansia.
Guardai i figli di Ares che si mettevano i pettorale e
l’equipaggiamento da
battaglia.
“Dovresti
indossarlo anche tu.” Mi fece notare Percy,
dandomi la protezione.
La
soppesai con aria critica, mentre continuavo a
guardare la Casa Grande- “Senti, Percy… posso
chiederti un favore?” Chiesi,
ridandogli l’armatura.
“Cosa?”
“Puoi
coprirmi? Sono in ansia per Nico.” Dissi,
abbassando la voce, per assicurandomi che nessuno ci sentisse.
Per
un attimo temetti che lui mi fermasse, ma poi mi
sorrise in modo affascinante. “Certo, vai pure. Non farti
scoprire.” Mi
raccomandò. Dovevo ammettere che non mi sorprendeva che
Annabeth fosse
innamorata di lui. Era un ragazzo fantastico.
Corsi
veloce verso la Casa Grande stando attenta a non
farmi vedere da nessuno. Non volevo che pensassero che stessi facendo
qualcosa
di male, soprattutto, non dopo l’affare di Talia. Con molta
cautela aprii la
porta sul retro, dell’edificio , superai la sala relax e mi
appostai dietro la
porta che dava sulla Sala Riunioni, dove mi chinai ad origliare.
“…
ma non possiamo lasciare che le cacciatrici si
mettano contro di noi. Non puoi negare che sia sospetta.”
Questo doveva essere
Chirone. Stava certamente parlando di me.
“Chirone,
ti prego! Non è stata lei,
gliel’assicuro!”
Questo, invece, era Nico.
“L’hanno
vista, Nico. Non abbiamo prove contrarie.
Ufficialmente, lei è colpevole.”
“E
le altre cacciatrici?” Chiese mio fratello. “Non
possono ignorarle.”
“Ma
loro hanno riconosciuto solo lei!” Replicò il
centauro. “è accaduto prima che lei apparisse,
quindi potrebbe essere la
colpevole. Magari sta fingendo. Non possiamo essere sicuri di
nulla.”
“D’accordo.”
Sbuffò Nico. “Mi lasci andare a cercare
Talia… posso farlo, se la riporto indietro, lei potrebbe
sapere la verità.”
Sentii improvvisamente, la gola secca. Non poteva,davvero, rischiare
così
tanto. Non per me.
Ci
fu un attimo di silenzio, poi Chirone disse, con
voce un po’ troppo bassa: “D’accordo,
Nico. Vai pure, ma sappi che le risposte
potrebbero non piacerti.”
Mentre
i due uscivano, io ne approfittai per
sgattaiolare via. La battaglia era già iniziata, ma non mi
interessava più. Corsi
veloce verso la Casa tredici, conscia del fatto che Nico sarebbe andato
lì per
prepararsi per il viaggio ed io dovevo parlargli. Infatti lo trovai
vicino al
letto, con uno zaino che veniva riempito.
“Bianca,
che ci fai qui?” Chiese, sentendomi aprire la
porta. “Non dovresti essere a Caccia alla
Bandiera?”
“Nico,
so cos’hai in mente.” Cominciai, avvicinandomi a
lui, per beccarmi un’occhiataccia.
“Hai
spiato!”
“Ma
non devi!” Continuai, ignorandolo. “Non sono
così
importante, non sappiamo nemmeno se sono davvero tua sorella.
È troppo
pericoloso, per te!”
Lui
si accigliò. “Non sono un bambino, sono un figlio
di Ade, so badare a me stesso!” Ribadì fermamente,
con voce che aveva assunto
una nota leggermente minacciosa.
“Ma
non devi! Senti: lei era figlia di Zeus ed è stata
sopraffatta. Se a te succedesse lo stesso? Non voglio che ti succeda
qualcosa.”
Dissi, appoggiandogli una mano sulla spalla.
“E
a te che importa!?” Sbottò, improvvisamente
furioso.
I suoi occhi sembrarono accendersi di una rabbia improvvisa.
“Non sono come te,
io! Tu mi hai abbandonato! Credi di poter tornare e cambiare le cose!?
Bene, ti
informo che sono cresciuto, mentre tu non c’eri e non mi
importa nulla di
quello che pensi! Ho vissuto da solo per anni! Se davvero mi volevi
bene, non
te ne saresti andata!”
Indietreggiai,
sentendomi ferita nell’anima. Non avevo
la forza di ribattere. Nemmeno la voglia di farlo. Sentivo il cuore
pesarmi
come un macigno nel petto, mentre tutta la rabbia di quelle parole mi
investivano. Ogni sillaba una freccia incandescente piantata nel
torace. Gli
occhi iniziarono a pizzicare, ma mi sforzai di non mostrare lacrime,
nascondendo il viso tra le mani.
Nico sembrò riprendersi all’improvviso, rendendosi
conto di quello che aveva
detto. Si avvicinò, ma non troppo, rendendosi conto che, non
poteva rimangiarsi
tutto. Anche perché era la verità.
“Bianca,
senti…” Iniziò, deglutendo. La voce
leggermente roca. “Io… non volevo dire
questo… cioè, non volevo dirtelo così,
davvero. Scusa se mi sono arrabbiato.”
Mi
gettai sul letto, singhiozzando. Mi sentivo una
stupida ragazzina lagnona, ma non potevo farci nulla. Ero disperata, mi
sentivo
sporca. Sapevo che lui aveva ragione, ma ero stanca di non ricordare
nulla. Se
solo avessi potuto avere un motivo, per cui scusarmi, forse, lui
l’avrebbe
accettato. Gli avrei messo il cuore in pace. Invece ero uno stupido
pupazzo di
carne senza ricordi su cui scaricare rabbia e frustrazione.
“So
cosa volevi dirmi.” Risposi con voce strozzata. “Lo
so, ti ho abbandonato, e hai ragione ad essere
arrabbiato. Per questo ti chiedo di non andare. Non devi
fare nulla, per
me. Non mi devi nulla.”
Sentivo
il suo sguardo su di me, ma non volevo
incontrarlo. Se avessi potuto, avrei voluto sparire dalla faccia della
terra.
Forse avrei fatto un favore a tutti, rimanendo morta. E non ricordavo
nemmeno
quello. Possibile che avessi rapito, prima una ragazza e poi perso la
memoria e
venuta qui? Non potevo escludere che fosse successo.
“Senti,
Bianca. Io… scusa. Sono certo che avevi le tue
ragioni. Siamo fratelli. Voglio scoprire la
verità… se vado a cercare delle
risposte, forse scoprirò anche la verità su di
te.” Spiegò con un tono
stranamente docile.
Annuii
a malavoglia. “Allora vai pure, ma stai attento,
per favore.” Gli raccomandai, sospirando. Mi ero calmata,
finalmente. Solo che
avevo una brutta sensazione su quel viaggio. Sperai non dovesse essere
qualcosa
di terribile.
“Lo
prometto… quando tornerò risolveremo anche il tuo
problema.” Assicurò, posandomi una mano sulla
schiena, facendomi correre un
brivido.
Dopodiché
prese il suo zaino e la sua spada, uscendo
dalla porta con passo lento, mentre io stringevo il cuscino, rosa dai
sensi di
colpa. Sospirai, contro il cuscino che tenevo stretto, mentre lacrime
amare
scorrevano sulle mie guance. Ero triste per tutto, soprattutto per me
stessa.
Ero così meschina? Non sapevo darmi risposta. Mi sentivo
smarrita, in balia di
un mondo che non capivo. Ci volle molto tempo, ma alla fine, non so
come, ma
riuscii ad addormentarmi.
Mi
svegliai con il Sole che mi friggeva gli occhi dalle
finestre che non avevo chiuso. Sbuffai, mugugnando qualcosa che non
capii
nemmeno io, mentre mi rigiravo nel letto, ancora distrutta per il
giorno prima.
Avrei voluto dormire, così, magari, non avrei dovuto
affrontare tutti i
problemi che mi aspettavano. Poi, però, mi dissi che non
potevo scappare di nuovo.
Così, con un enorme sforzo di volontà, alzai la
testa e mi misi seduta. Mi
sistemai alla bell’e meglio, prima di uscire e andarmene.
Probabilmente mi ero
persa la colazione.
Ovviamente
il giorno passò peggio del precedente. Le
cacciatrici continuavano a lanciarmi occhiatacce, mentre tutti gli
altri mi
evitavano. Solo all’ora della lezione di scherma riuscii a
parlare civilmente
con qualcuno.
“Chirone
mi ha detto che Nico è partito, ieri serra.
Sai dov’è andato?” Chiese Percy, mentre
ci riposavamo sugli spalti dell’arena.
Annuii,
sentendomi sempre più abbattuta. “Sta andando a
cercare Talia per capire se ci sono davvero io, dietro.”
Risposi, facendo
oscillare la spada. Ultimamente ci stavo davvero prendendo la mano,
anche se
ero ancora una principiante.
“Oh…
lo immaginavo.” Disse il figlio di Poseidone,
corrugando la fronte. “Ero certo che ci avrebbe provato. Lui
ci tiene molto a
te.”
“Non
credo.” Ribattei, sospirando tristemente.
“Perché?”
All’inizio,
non me la sentii, poi pensai che, comunque,
Percy sembrava essere il miglior amico di Nico. Magari poteva capire la
situazione meglio di me. Così presi un respiro profondo ed
iniziai a
raccontargli tutto, anche del litigio improvviso, che era scoppiato
quella
sera. Gli dissi tutto, anche delle mie paure e timori. Alla fine lui
aveva un
aria concentrata e anche un po’ malinconica, forse?
“Nico
ne ha passate tante.” Disse,
alla fine. “Credo si senta confuso.
Vuole essere sicuro che tu sia tu, proprio ora che tu sei
tornata.”
“Lo
so, solo… mi sento in colpa.” Sussurrai, sentendo,
di nuovo, le lacrime pizzicarmi gli occhi. “Non so nemmeno
chi sono, e le
uniche persone a cui mi sento vicina mi odiano.”
“Questo
non è vero.”
Alzai gli occhi, asciugandomi le lacrime, mentre Percy mi regalava un
sorriso
amichevole.
“Lui ti vuole bene. È solo confuso. Ha paura di
perderti.” Spiegò, dandomi una
pacca sulla spalla.
“Grazie,
Percy. Solo che vorrei davvero ricordare
qualcosa. Poi questa storia di Talia Grace… se fossi stata
davvero io? Se poi
mi avessero cancellato la memoria?” Chiesi, improvvisamente
allarmata. Non era
da escludere che io avessi volontariamente abbandonato Nico per
collaborare con
la strana voce che nei sogni mi sussurrava parole inquietanti dal cielo
nero su
cui dominava.
“Io
non ci credo. Senti, prima non ti sarai comportata
benissimo, ma volevi bene a Nico ed eri una brava persona. Una volta mi
dissi
che avevi lasciato Nico al campo proprio perché
c’erano persone come me. Mi
dispiace non aver mantenuto quella promessa. Ma sono certo che tu
volessi bene
a tuo fratello.”
“Ma
non so nemmeno sequella sono io.” Gli ricordai.
“Secondo
me lo sei, insomma, sei uguale.” Ribatté il
ragazzo, osservandomi.
Accidenti,
per lui sembrava tutto semplice e,
sinceramente, quella sua dote di vedere sempre il meglio di tutto, mi
piaceva.
Sembrava volermi dire: non serve a nulla
farsi dei problemi che non puoi risolvere. Fai quello che puoi. Voleva
che
fosse lui quello con i problemi e liberare gli altri dai loro.
Però, per me,
era troppo personale. Volevo scoprire cosa nascondesse il mio passato.
“Grazie,
Percy. Sei un amico. Se devo dire, sono felice
di sapere che ci siamo conosciuti e sei stato mio amico.”
Risposi, con un
sorriso, forse un po’ tirato, ma sincero.
Ci
allenammo ancora un po’, poi decisi di fare un giro
nella foresta, per poter respirare un po’ d’aria
fresca. Ero stanca di trovarmi
sempre sotto gli occhi di qualcuno che mi guardava male. Vicino al
campo di
fragole vidi Leo che aiutava Calipso a curare le piante e i fiori,
mentre si
scambiavano sguardi complici e occhiatine che, intuivo, fossero molto
romantiche. Poco lontano Jason e Piper erano stretti l’uno
all’altra in riva al
mare. Ultimamente stavo spiando un po’ troppe coppiette, cosa
che trovai
preoccupante. Mi misi a camminare tra gli alberi.
C’era
un venticello fresco che spirava da nord rendeva
la giornata estiva più sopportabile, portando, di tanto in
tanto, qualche
nuvola dalla forma strana che copriva il sole, dando un po’
di sollievo dalla
calura. Ad un certo punto vidi, seduto sotto un albero, un ragazzo.
Inizialmente non lo riconobbi, dato che teneva davanti al viso, un
grosso
blocco da disegno. Era Jack. Le ali erano rilassate e piegate dietro la
schiena.
Stringeva una matita da disegno facendo quello che, per quel che potevo
capire,
era lo schizzi di un disegno più complesso. Ogni tanto si
fermava, fissava il
suo lavoro e tornava a disegnare, migliorando il lavoro iniziale. Era
talmente
preso che non si era accorto di me.
“Ciao,
Jack!” Lo salutai, chiamandolo. “Cosa
disegni?”
Lui
sembrò sorpreso di vedermi lì, infatti
sobbalzò di
colpo e mi fissò come se fossi un fantasma. “Ciao,
Bianca. Scusa… non ti
aspettavo.” Disse con voce stranamente tremula.
“Non
sapevo disegnassi.” Dissi, sedendomi accanto a
luim, mentre rimetteva a posto il blocco da disegno.
“Infatti
non lo sono. Non sono nulla di speciale, solo
che mi piace disegnare.” Si schermì, arrossendo un
po’. “A te invece? Che cosa
ti piace?”
“Magari
lo sapessi.” Sospirai mestamente, mentre
fissavo il cielo. “Non ricordo nulla, di ciò che
mi piace.”
“Ognuno
ama fare qualcosa.” Replicò il figlio di Borea,
rigirandosi la matita tra le dita. “Io adoro disegnare, anche
se molti dicono
che è una cosa da figli di Apollo. Anche tu ricorderai cosa
ti piace fare.”
“Lo
spero.”
Per
alcuni istanti un imbarazzante silenzio dominò
nella piccola valle in cui stavamo. Per qualche ragione mi chiesi come
sarebbe
stato toccare i ricci capelli di Jack. Sembrava stranamente attraente
tanto che
dovetti darmi una botta in testa per ricordarmi di non fare
stupidaggini. Cola
dei dannati ormoni di una stupida da poco resuscitata. Sì,
doveva essere
sicuramente quello, il motivo.
“Mio
fratello è partito.” Dissi, così, a
caso, pur di
rompere quel maledetto silenzio.
“Oh,
capisco. Immagino.. che sia per scoprire cosa ti
sia successo.” Ipotizzò Jack, fissando il cielo.
Per un attimo il vento si fece
leggermente più fresco e intenso, ma non fastidioso.
“Anche.”
Risposi elusiva. Non avevo voglia di
riraccontare tutto. “Sono preoccupata per lui.”
“Non
mi sorprende.” Ammise. “Solo che lui è
uno dei
Semidei migliori che io conosca.”
“Me
lo dicono tutti.”
“Proprio
per questo non sarei così in ansia,
Probabilmente in questo momento, è più
preoccupato lui per te. Qualsiasi cosa
stia facendo, spero che la faccia in fretta, così ti
potrà tornare la memoria.”
“Lo
spero anche io.” Conclusi, lasciandomi i jeans che
si erano riempiti di foglie e fili d’erba. “Io
torno al campo, tu che fai?”
“Io
rimango un po’ da solo.” Rispose il figlio di
Borea. “Ma tornerò presto alla mia casa, ho un
paio di cose da fare.”
“Rimani
ad ascoltare il vento?” Chiesi, rimettendomi in
piedi. Stare con lui mi tranquillizzava ed era un tipo piacevole.
“Potresti chiedergli
se ha notizie di mio fratello?”
“Non
lo so, i venti sono strani, ma se mi dovessero
dire qualcosa, ti farò un fischio, contaci.” Mi
assicurò, annuendo. Sembrava
stranamente serio.
Ci
salutammo poco dopo, mentre chiacchieravamo del più
e del meno, lui diretto alla Casa di Borea, il alla mia, che,
improvvisamente,
sentivo troppo grande per essere solo mia. Osservai il letto di Nico,
sentendomi colta da una punta di nostalgia. Non volevo pensarci. Ci
eravamo
salutati in malo modo. Se solo avessi moderato le parole, forse non
sarebbe
partito. O almeno si sarebbero salutati in modo normale. Invece si
erano messi
ad urlare, come due idioti. Sospirai, mettendomi a cercare qualcosa da
fare.
Decisi di dare una pulita, giusto per non perdere tempo.
Iniziai a spolverare, togliere sporcizia dagli angoli, rendendomi, per
la prima
volta conto, che non si era mai davvero sforzato di pulire. Si era
limitato a
spostare lo sporco negli angoli. Mentre toglievo la polvere da uno
scaffale
notai che, su di esso, erano posti, in modo ordinato, degli strani
soldatini in
miniatura con, accanto, un mazzo di carte.
“Cosa
sono?” Mi chiesi, da sola, afferrandole.
“Mitomagia.”
Lessi, mentre sfogliavo le immagini degli
Dei, che combattevano. Strano che esistesse un gioco del genere,
proprio con
gli Dei dell’Olimpo esistenti. Mi venne da ridere al solo
pensiero.
Stavo per rimettere tutto a posto, quando vidi una strana miniatura che
mi
sembrava vagamente familiare: Ade, c’era scritto sul
piedistallo. Nostro padre?
La afferrai e mi chiesi perché mi sembrava di averla
già vista.
“Che
hai preso!?” Urlò la voce di Percy.
“Non ho preso nulla!” Ribattei, sentendomi
mortalmente colpevole. Insomma, cosa
poteva fare una miniatura buttata via?
“Hai preso l’arco? Te lo sei tenuto? Ricordi
cos’ha detto Zoe? Prendere
qualcosa da qui è pericoloso!”
“No io…” Mentre le lacrime iniziavano a
scorrere mostrai ciò che tenevo in
mano. Una miniatura, con so scritto ‘Ade’
“Manca solo questa, a Nico…. È solo
una miniatura!”
Sobbalzai,
riaprendo gli occhi, mentre quelle immagini, riaffioravano nella mia
mente,
facendomi venire l’angoscia. Che fossero miei ricordi? Non ne
ero certa, ma
avevo riconosciuto la voce di Percy e quella statuina. La misi al suo
posto,
con attenzione, mentre cercavo di ragionare su ciò che era
successo. Forse la
mia memoria stava tornando. Non sapevo se essere spaventata o no.
Decisi di
rimandare qualsiasi riflessione ad un momento meno pressante.
Quella
sera, mentre ero a cena, cercai di non pensare
al fatto di essere sola, a quel tavolo, ripetendomi che Nico sarebbe
tornato
presto. Mio fratello aveva affrontato la Crono e Gea. Cosa ci poteva
essere di
peggio? Ormai era un esperto, sicuramente avrebbe saputo gestire
qualsiasi cosa
gli si parasse davanti. Forse le mie preoccupazioni erano infondate.
Cercai di
convincermi di questo, mentre il sole calava, illudendomi che tutto
andasse
bene, quando era palese, che mi sbagliavo di grosso. Il peggio doveva
ancora
arrivare.
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[Angolo Autore]
Salve,
gente, cosa vi aspettavate? Che vi foste liberati di
me? Davvero?
Invece no!, AxXx è tornato per rompervi le scatole, ancora,
con questa bruttissima
storia. Allora, che ve ne pare?
Spero che vi stia piacendo e che vi facciate tanti filmini mentali per
quello
che è successo. D’altra parte, Nico vuole bene
alla sorella, però, notare che
è anche
arrabbiato (e noi sappiamo
perché) indovinate cosa succederà?
Sì, ho piani malvagissimi. *Sorriso malvagio*
Ad ogni modo, ringrazio:
Silvia_Fangirl,
con cui mi scuso per aver fatto così tardi.
_Littles_ , che ringrazio sempre tantissimo. J
_Heartland_ Spero che continuerà a recensire. J
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