The Lost Song

di Obsidian_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


The Lost Song

Lyanna osservava gli stendardi della sua Casata, un metalupo d’argento su uno sfondo perlaceo, agitarsi nella brezza primaverile tipica delle Terre del Sud. Quella carrozza la stava soffocando e le parole di Septa Briony non erano che un pigro sproloquio circa le convenzioni che avrebbe dovuto osservare dinanzi alla famiglia reale.
Thunder nitriva con vigore e Lyanna si morse le labbra per non emettere il perentorio ordine di farla scendere da quell’Inferno a quattro ruote. Suo padre, Lord Rickard Stark, un uomo austero il cui volto sembrava essere stato scolpito direttamente dalla dura pietra delle cripte, le aveva ordinato di smontare da cavallo per sistemarsi come si competeva ad una nobile fanciulla. Appena giunti nelle Terre della Corona gli occhi grigi di Lord Rickard, distaccati e gelidi come la Barriera, avevano incontrato quelli di lei e Lyanna aveva compreso che cavalcare al fianco di Bran e Ned sino alle porte della Fortezza Rossa le sarebbe stato impossibile.
Poteva udire la risata tonante di Brandon, l’erede di suo padre, un fiero e splendido ventenne che combatteva con la stessa irruenza di un cavaliere esperto, sebbene non riuscisse a distinguerlo dalla massa di cavalieri, paggi e servitori che suo padre aveva deciso di condurre nella capitale. Sicuramente lui e Ned, il lupo tranquillo, avevano deciso di gareggiare per arrivare prima alla loro meta.
Gli occhi chiari di Lyanna, perlacei e profondi, erano adombrati di mestizia e d’invidia. Suo padre non era solito frenarla ben comprendendo che la sua natura era quella di una lupa selvaggia e libera di correre per i boschi e le brughiere della sua terra natia. Eppure non aveva esitato a rammentarle che Approdo del Re non era Grande Inverno e che gli Stark non erano ben visti dai Targaryen.
In quegli anni regnava Aerys, secondo del suo nome, e di lui si narrava fosse folle, che facesse bruciare i suoi nemici nella sala del trono senza essere mosso a compassione. Il suo governo era nato con la promessa di pace e serenità dopo che i Targaryen avevano sconfitto gli ultimi pretendenti Blackfyre, la famiglia di bastardi generati da Aegon l’Indegno. Tuttavia Aerys aveva infranto quella speranza e suo figlio, il Principe Rhaegar, la cagione per la quale si stavano recando nella capitale, era osannato come il solo e unico uomo che avrebbe potuto risollevare le sorti del reame.
Se anche Rhaegar si fosse rivelato un folle, come gran parte della sua famiglia, Lyanna pensò, allora i Sette Regni ne sarebbero usciti annientati nel profondo.
« Lyanna, hai compreso?» esclamò la Septa mentre le sistemava gli orli della veste, macchiati di fango. Septa Briony era una donna gentile ed era stata l’unica madre che aveva mai conosciuto. Quando Lady Felys, la cui risata risuonava ancora alta tra le pareti di Grande Inverno, era morta nel letto del parto, Lyanna aveva sette anni e nulla era rimasto di lei se non il profumo di fiori dei suoi lunghi capelli neri e la voce melodiosa che cantava per farla addormentare.
« Certo, Septa,» replicò tentando di mantenere un tono cordiale. Aveva sempre tentato, nonostante fossero trascorsi quasi otto anni dalla sua scomparsa, di pensare a sua madre il meno possibile. Nessuno osava nominarla nel castello. Suo padre l’aveva  proibito. Lord Rickard non parlava mai di sua moglie. Fingeva non fosse mai esistita. Fingeva di non provare dolore per quella perdita devastante, ma da qual giorno era divenuto più cupo, severo e la scintilla nei suoi occhi si era quasi spenta del tutto.
« Non stavi ascoltando. Altrimenti avresti saputo che non ho detto nulla,» la riprese la donna mentre le intrecciava i lunghi capelli scuri in una treccia stretta, un’acconciatura scomoda che le faceva male, ma che avrebbe dovuto sopportare se davvero avesse bramato rendere suo padre fiero di lei.
Aveva indossato il suo abito migliore, grigio come i suoi occhi e come il vessillo di Casa Stark, rifinito d’argento sul corpetto dalle maniche ampie. Sembrava quasi una bambola, una di quelle sciocche donzelle delle canzoni che sospiravano per i cavalieri, che rimanevano nelle loro torri dorate attendendo che un uomo andasse a salvare. Lyanna le odiava. Erano storie di donne deboli. Le uniche canzoni che adorava ascoltare narravano di avventure, di draghi e castelli, di donne potenti come Visenya o Nymeria, che avrebbero potuto avere il mondo ai loro piedi grazie al loro carisma e alla forza del loro spirito.
Brandon aveva riso nel guardarla, gli occhi azzurri levati verso il cielo. Lyanna era arrossita, mentre si ordinava di mantenere la calma per la presenza di suo padre, e Ned le aveva baciato entrambe le gote assicurandole che nessuna Lady avrebbe potuto competere con lei, placando il suo imbarazzo e la sua furia.
« Hai visto, Lya? Siamo arrivati,» esclamò felice Benjen, il più giovane dei suoi fratelli, un bambino di otto anni dagli occhi grigi e ridenti e folti riccioli scuri, cavalcava il suo pony tentando di farlo andare al passo dei destrieri dei suoi fratelli maggiori. Con scarsi risultati, dovette ammettere Lyanna. Quelli di Brandon e Ned erano stalloni da guerra, splendidi e nobili, purosangue così come Thunder, l’ultimo dono di sua madre. Suo fratello era stato lasciando indietro ed era costretto a cavalcare al fianco della carrozza.
Era stati invitati dal re Aerys per le celebrazioni in onore di suoi figlio. Rhaegar aveva raggiunto la maggior età e con essa il titolo di Signore di Roccia del Drago, la roccaforte dei primi draghi a Westeros. Si sarebbe tenuto un torneo, il più imponente a memoria d’uomo, o almeno così recitava la convocazione ufficiale.
Suo padre riteneva che Re Aerys avrebbe scelto la sposa per suo figlio e che quella era la vera causa dell’evento. Per quella ragione il re aveva invitato anche le figlie dei suoi Lord principali. E per quello Lyanna doveva essere perfetta. La giovane fanciulla aveva scosso il capo quando suo padre lo aveva affermato poiché non desiderava essere regina di nulla se non delle nevi della sua terra.
I Targaryen erano superbi. Si riteneva fossero avvenenti per le loro particolarità, per i capelli d’argento e gli occhi d’ametista. Erano una stirpe del Sud e non avevano alcuna attrattiva.
La carrozza si bloccò mentre Lyanna contava e riconosceva i vessilli che abbellivano la città. Il Leone dorato di Casa Lannister di Castel Granito. Il Cervo nero di Casa Baratheon, di Capo Tempesta. Si morse le labbra sperando che Robert avesse dimenticato quelle folli pretese per un matrimonio tra di loro. Il Falco degli Arryn della Valle. Jon Arryn era stato un padre per Ned, molto più presente di quello naturale. La Trota d’argento dei Tully. Suo fratello Brandon avrebbe sposato la primogenita di Lord Hoster pochi mesi dopo. Il Sole ardente delle terre infuocati di Dorne, emblema della famiglia Martell, i discendenti della regina Nymeria. E poi vi erano i vessilli delle famiglie minori. Lyanna non ne conosceva, ma era egualmente affascinante notare la quantità di nobili che si erano riversati nella capitale per omaggiare il Principe.  
Erano giunti in prossimità della più alta collina quando il viso di Brandon apparve alla sua altezza, una barba nera e folta, curata e affascinante, che li copriva le gote sempre pallide. Gli occhi grigi di suo fratello erano colmi di quella gioia di vivere che Bran aveva ereditato dalla loro madre e le labbra erano arcuate in un sorriso. Lyanna lo ricambiò con piacere, grata che quella tortura fosse volta al termine.
Brandon le porse il braccio, aiutandola a scendere. Il mondo colorato, quel caleidoscopio di sensazioni che era la capitale, le si rivelò dinanzi agli occhi, stordendola nella sua intensità.
La Fortezza Rossa era imponente, l’aveva sempre immaginato, ma osservata da quella breve distanza sembrava più alta di Grande Inverno. Si potevano udire i rumori per gli allestimenti del torneo, le risate delle giovani fanciulle che passeggiavano per i giardini reali.
Brandon la condusse all’interno, verso quella che si rivelò essere la sala del trono. Era un luogo silenzioso, sebbene Lyanna potesse udire il sussurro di un bambino, le sue risate mescolate a quelle di una donna.
Lyanna osservò i resti dei draghi che erano stati conservati in quell’immensa struttura ariosa e piena di luce, i passi che risuonavano talmente leggeri da risultare impercettibili. Balerion, il Terrore Nero, era il primo e il più imponente, il suo scheletro oscuro che si estendeva per metri. Meraxes, Vhaghar, Ali d’Argento. La fanciulla del Nord conosceva le storie di ognuno di loro e scorgerli vicino a sé, ad un passo, sapendo di poterli sfiorare, la fece sorridere di meraviglia.
« Vostre grazie.»
La voce di suo padre la riportò alla realtà, dinanzi alla famiglia reale, ai piedi del trono di spade. Il Re era vestito interamente di nero, come si confaceva al suo vessillo. Era un uomo ma scarno, le gote incavate e piene di una barba lanuginosa che lo faceva apparire più vecchio dei suoi anni. Le unghie lunghe, troppo affilate per poter essere di un uomo, si stringevano spasmodicamente alle else delle spade come per cercare sempre un appiglio solido, come se qualcuno avesse potuto attaccarlo da un momento all’altro. i suoi occhi viola, che Lyanna riusciva ad intravedere a stento, saettavano dai diversi angoli della sala per cercare un nemico invisibile.
La regina era accomodata accanto a suo marito e Lyanna fu colpita dall’aura di magnificenza che sprigionava. La sua veste era d’argento così come i suoi capelli raccolti, la pelle perlacea sembrava risplendere di luce propria. Un sorriso dolce le distendeva le labbra sottili mentre ninnava un neonato tra le braccia, il principe Viserys. Eppure Lyanna riconosceva le occhiaie scure sotto i suoi occhi ametista e un’ombra di tristezza talmente evidente da incupire anche lei.
« Lord Stark. Benvenuto ad Approdo del Re. Mio figlio ed erede, il Principe Rhaegar, Signore di Roccia del Drago,» li accolse il re, riavutosi da quel momento di timore, issandosi in piedi mentre suo padre cadeva in ginocchio per omaggiare il sovrano subito seguito dai suoi fratelli. Lyanna rimase in piedi e si esibì nella riverenza che per anni la Septa aveva tentato di inculcarle. Dovette risultare abbastanza credibile poiché la regina chinò il capo in sua direzione con un cenno di accomodamento.
Il re aveva indicato loro un giovane uomo che prima Lyanna non aveva notato poiché era quasi nell’ombra, accomodato nel posto in cui la giovane pensava fosse destinato il Primo Cavaliere.
L’avvenenza del Principe Rhaegar era stata decantata in ogni angolo dei Sette Regni, così come la sua bontà di cuore e la sua passione per la musica. Lyanna aveva creduto fossero semplice storie sciocche raccontate per rabbonire la popolazione nei confronti della monarchia che aveva attraversato un periodo buio e irto di pericoli.
Eppure Rhaegar Targaryen era bello. Somigliava incredibilmente a sua madre, Lyanna dovette riconoscere. Nei suoi occhi, però, l’ombra era più marcata, l’anima più tormentata e il sorriso meno luminoso. Tuttavia accolse la sua famiglia con più gentilezza di quanta ne avesse dedicata suo padre, chinandosi con deferenza.
« Posso presentarvi i miei figli? Brandon, il mio erede. Eddard e Benjen. Mia figlia, Lady Lyanna,» presentò Lord Rickard, issandosi in piedi e mostrando i suoi figli con orgoglio. Lyanna notò che il suo nome era stato pronunciato con amore e le riscaldò il cuore. L’aveva reso fiero mostrandosi come una vera Lady. I suoi occhi si posarono sulla figura scattante del Principe, splendido in quel farsetto nero percorso da impalpabili ghirigori cremisi. La stava guardando.
No.
Non la stava guardando. Gli occhi viola di Rhaegar Targaryen la stavano attraversando.
Per un attimo Lyanna fu costretta a chinare i propri. Lo sguardo del Principe era intenso. Insostenibile. Sperò che le gote non le si fossero imporporate come quelle di una sciocca donzella delle ballate.
Quando li risollevò, notò che il Principe perdurava ad osservarla con il suo sguardo d’ametista e uno vago senso di timore si impossessò del suo animo.  

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Capitolo 2
*** I ***


Maegor il Crudele, il secondo sovrano di Westeros dall’insediamento della famiglia Targaryen, aveva ordinato che le biblioteche reali fossero poste in una torre di poca importanza, una struttura discreta. Si affacciava direttamente sulle mura perimetrali dalle quali era quasi possibile essere bagnati dalla spuma del mare durante le tempeste. Re Jaehaerys il Conciliatore aveva incaricato i vari Gran Maestri che si erano succeduti nel corso dei lunghi anni del suo regno di riempire quelle sale, ampie e ariose, di tomi provenienti da ogni angolo del regno. Era stato un lavoro di imponente portata, di attenta analisi e di ricopiature fedeli alle opere originali. Suo figlio Baelon aveva invitato i migliori orefici e scultori delle Terre dell’Ovest, la più consona a quelle attività per la presenza di miniere d’oro e rubini, per rendere quelle sale monumentali e confortevoli.
Rhaegar Targaryen, signore di Roccia del Drago, le aveva amate sin dalla più tenera infanzia e in quei luoghi aveva trascorso i suoi giorni di bambino alla ricerca insaziabile di conoscenza. Alle sue spalle si scherzava asserendo che sua madre aveva ingoiato un libro e una candela quando lo attendeva. Al Principe non era mai importato. Aveva subito il fascino di quelle sale che profumavano di carta ingiallita e di pelle trattata, del penetrante odore d’inchiostro. Erano la sede della pace, ben lontane dai rumori che animavano la Fortezza Rossa, teatro di scontri e avanzate verso il potere.
Rhaegar si era rifugiato nella torre, l’anima inquieta e gli occhi colmi di incredulità. Le dita sottili e lunghe pizzicavano pigramente le corde dell’arpa cesellata, dono che sua madre gli aveva con gentilezza concesso quando si era resa conto della passione di suo figlio. Era d’argento, come si confaceva al Principe d’Argento, aveva asserito sua madre con un sorriso, e rappresentava un drago che per occhi aveva due rubini fiammeggianti.
La musica inondò le sale sempre silenziose, ma non era armoniosa né gentile. Sembrava il canto di un uomo disperato. Rhaegar scosse il capo, contrariato da se stesso e dai quei pensieri nefasti che gli stavano invadendo la mente, un nemico che avrebbe potuto sconfiggere semplicemente ignorandolo. Adagiò l’arpa sul tavolo, gli occhi d’ametista che vagavano verso l’orizzonte.
Il Mare Stretto era calmo, nessuna brezza lo animava. L’opposto del suo cuore. Quel pensiero gli fece incurvare la labbra rosee e sottili.
Tutti i principali signori di Westeros erano giunti nella capitale che era colma della loro presenza, delle loro risate e di quella strenua lotta che, anche se non palesata, li vedeva contrapposti per poter aver un titolo di rilievo nel variegato panorama della corte. Suo cugino Robert Baratheon era stato l’unico a non avvicinarsi a lui per interesse, ma soltanto per assestargli un deciso colpo mentre si allenavano con il Maestro d’Armi.
Robert, nonostante avessero la stessa età, era più imponente e lo sovrastava di una spanna abbondante. Aveva spalle più larghe e possenti e le sue mani, da guerriero, diverse da quelle gentili di Rhaegar, sembravano essere state modellate per poter impugnare una mazza ferrata. I suoi occhi, di un azzurro più chiaro del cielo, quasi di ghiaccio, erano sempre velati di ubriachezza. Eppure l’istinto di soldato era talmente radicato nel suo animo da fargli parare qualsiasi colpo.
Rhaegar non l’aveva. Lo poteva scorgere distintamente quando si scontrava con Arthur Dayne, la Spada del Mattino. Rhaegar combatteva con grazia e onore, ma non vi era passione nei suoi affondi né desiderio di sottomettere l’avversario. Non vi era trionfo nelle sue vittorie né pena nelle sue sconfitte. Il Principe combatteva per dovere.
Si mormorava malignamente, e Rhaegar era certo della fonte di quei sussurri, che il Principe ereditario, il Signore di Roccia del Drago, non provasse dei sentimenti, che il suo animo fosse arido come il deserto, che la sua unica brama fosse il trono.
Rhaegar relegò quell’infamia nell’angolo più recondito della mente mentre un ricordo sfuggente gli ottenebrava la vista.
La fanciulla.
Gli Stark di Grande Inverno, l’ultima famiglia ad essere giunta nella capitale, erano stati accolti quella mattina, sul far del mezzogiorno.
Lyanna.
Il nome della giovane era Lyanna. Il padre l’aveva asserito con orgoglio, lo stesso tono che sua madre adoperava quando discorreva di lui.
La sua bellezza non era quella consueta cantata da bardi e menestrelli. Era un’avvenenza pacata, nascosta, selvaggia come il vento del Nord. I lunghi capelli scuri erano stati raccolti in un’acconciatura particolare, poco comune nelle terre del Sud, così come l’abito che recava onore alla sua nobile Casata. Il volto era pallido, gli zigomi alti e marcati, le labbra sottili come petali di rose, impalpabili e delicate.
Tutto ciò che aveva attratto il Principe, però, era stato il suo sguardo magnetico, quelle due pozze d’acqua limpida, quelle due perle rare che l’avevano ammaliato come se fossero state delle sirene.
Lyanna.
Rhaegar aveva sentito un contatto con quella fanciulla che sembrava essere a disagio, come se avesse compreso che Approdo del Re non era l’alcova di magnificenza e lustro come bramava apparire, bensì una tana di serpente che insinuante si abbarbicava sulle sue torri pronto a rilasciare il suo veleno mortifero.
Quello sguardo, quella curiosità, il peso della tragedia che si solleva per un attimo dal suo cuore. Non avrebbe saputo spiegare cos’era accaduto dentro di lui neanche a se steso.
« Mio Principe,» esclamò una voce greve, profonda, baritonale. La voce di un uomo forte, di un cavaliere indomito e di un Lord giusto. Gerold Hightower, il Lord Comandante della Guardia di suo padre, era a pochi metri da lui, sulla soglia della biblioteca mentre attendeva che gli desse il proprio consenso.
« Ser Gerold, parla liberamente,» mormorò Rhaegar con un sorriso tranquillo. Gerold, il Toro bianco, era stato al servizio di re Aegon l’Improbabile, il padre di suo padre, e nessuna Guardia era stata tanto ligia al proprio dovere quanto lui. Per quel motivo suo padre aveva deciso di porlo a protezione di sua moglie e dell’ultimo nato nella famiglia Targaryen.
« La Regina ti domanda udienza nelle sue stanze.»
Il tono del cavaliere dagli occhi scuri e dai tratti decisi, dalla mascella squadrata coperta da una curata peluria nera, non sembrava essere angustiato, né inquieto. Tuttavia era colmo della severità consueta.
« È forse accaduto qualcosa?» domandò quasi allarmato. Sua madre raramente interrompeva la quiete dei suoi pensieri. La Regina Rhaella era una donna in grado di comprendere il valore del silenzio. Sin da giovane era stata consapevole del proprio ruolo all’interno di quel disegno intrecciato da suo padre. Era la figlia di un re, la sorella del suo erede e sarebbe divenuta una regina. Aveva dovuto imparare la gentilezza, la grazia che si confacevano ad una monarca, sebbene di notte, protetta dal suo baldacchino e da quella corte di Lady che avevano tentato di consolare i suoi timori, sognasse di un cavaliere indomito che non avrebbe mai potuto offrirle nulla se non il suo amore.
« Non che io abbia notato, Principe Rhaegar,» lo rassicurò il cavaliere. Rhaegar annuì e abbandonò a malincuore quel regno di pace che racchiudeva al suo interno un tenero segreto.
Mentre passeggiavano verso le stanze della regina, nella roccaforte di Maegor, il luogo più sicuro di Westeros, Rhaegar notò la figura esile e gentile della principessa di Dorne, Elia Nymeros Martell, che giocava con sua figlia, una bambina che dai folti capelli neri e dagli occhi colmi di gioia e innocenza. Si rincorrevano tra i corridoi deserti della fortezza, le loro risate che li rendevano per un attimo privi di malizia e di quella corruzione che si era talmente insediata al suo interno da macchiare persino i muri.
Rhaegar chinò il capo con deferenza verso la giovane donna dagli occhi neri e i morbidi capelli scuri che scendevano come onde sulla sue veste color del fuoco. Elia Martell indossava volentieri i colori della sua Casata sebbene non ne facesse più parte da poco più di tre anni. Carezzò di sfuggita il capo della piccola Drusilla, che somigliava a sua madre, ma che possedeva gli occhi viola di suo padre, ed Elia gli rivolse un sorriso cortese per poi tornare a seguire la bambina. Arthur, il suo più caro confidente, l’uomo a cui avrebbe affidato la sua vita, il ragazzo che con lui era cresciuto a Roccia del Drago e con lui aveva ricevuto il cavalierato, aveva scelto bene la propria sposa. Elia era una buona donna, arguta, dotta e capace. Era una Dorniana, la principessa di Lancia del Sole.
Suo padre l’aveva presa in considerazione in un primo tempo per mantenere la stirpe del Drago pura. Gli anni di distanza tra loro, però, l’avevano dissuaso. Non era confacente che la donna fosse più adulta del marito.
Rhaegar quasi scosse il capo contrariato da quella superstizione. Sua madre avrebbe desiderato che sposasse la figlia di una delle sue più care amiche, ma la parola del Re era legge e non poteva essere mutata.
« Avanti.»
La voce di sua madre era soffusa, come una carezza di una farfalla che leggera si poteva su un petalo di rosa. Era stata una delle più avvenenti fanciulle di Westeros, meno sensuale della Principessa Tyene, la madre di Elia, e meno arguta di Lady Joanna Lannister. Eppure Rhaella aveva una forza dentro di sé, una luce che la guidava, e Rhaegar l’aveva sempre ammirata.
« Madre mia,» sussurrò il Principe con dolcezza notando che sua madre era seduta accanto alla culla di suo fratello mentre lo sfiorava delicata con la mancina. Viserys era un bambino tranquillo. Non piangeva mai. Sembrava consapevole che la sua esistenza doveva essere il più silenziosa possibile all’interno della Fortezza Rossa. Rhaegar aveva colto il lampo di delusione dello sguardo di suo padre quando Gran Maestro Pycelle aveva annunciato la nascita di un altro maschio.
Se Aerys aveva tentato di essere presente durante la sua infanzia, facendogli doni che Rhaegar aveva sempre declinato con gentile fermezza, con Viserys aveva trascorso pochi momenti e si era rifiutato persino di prenderlo tra le braccia e riconoscerlo come proprio.
Rhaegar rammentava sua madre dopo il parto, il volto colmo di lacrime di gioia per aver messo al mondo un figlio perfetto e in ottima salute, la fronte madida di sudore, le labbra pallide e il petto ansante. E rammentava ancor meglio la delusione che le aveva fatto aggrottare la fronte quando Aerys aveva lasciato le sue stanze senza una parola di affetto.
Rhaegar s’era avvicinato, le aveva baciato entrambe le gote e aveva accolto quel bambino dallo sguardo più chiaro del proprio tra le sue braccia. Viserys l’aveva guardato con curiosità per poi ridere e agitare le piccole mani verso il suo volto.
« Oh Rhaegar, ti attendevo, figliolo,» esclamò sua madre issandosi in piedi, la veste color dell’argento che scendeva morbidamente lungo il suo corpo delicato, gli occhi colmi d’amore nei riguardi dei suoi figli, « Puoi lasciarci soli, Ser. Mio figlio mi proteggerà egregiamente,» continuò rivolta verso Ser Gerold che chinò il capo e li lasciò soli, chiudendo la porta alle sue spalle.
Rhaegar percorse i pochi metri che li dividevano in poche e decise falcate, con la sua consueta andatura elegante e tranquilla, e posò le labbra sulla fronte di sua madre che gli fece cenno di accomodarsi al suo fianco.
Le stanze di sua madre erano splendide, ma vuote, colme di silenzio e tristezza, sterili. Suo padre le frequentava raramente prima della nascita di Viserys e aveva perduto qualsiasi speranza di poter avere una figlia da sua moglie.
« Viserys ti allieta. Il tuo volto è più sereno,» mormorò sfiorando il volto ovale e pallido del bambino, addormentato con le labbra schiuse. Viserys somigliava ad Aerys tanto quanto Rhaegar alla loro madre. Il Principe si ritrovò a sperare che il carattere fosse ben diverso.
« Avere un bambino tra le proprie braccia è qualcosa di meraviglioso, Rhaegar. Anche tu dovresti provarlo,» affermò sua madre versando il vino in due calici d’oro per poi porgergliene uno. Il suo tono era privo di qualsiasi inclinazione, ma Rhaegar ebbe la certezza che fugò qualsiasi remora precedente.
« Allora i sussurri sono veri. Il Re deciderà chi sarà la mia consorte in questo torneo,» esclamò incuriosito osservandola bere il proprio vino. Rhaella annuì e posò il calice sul tavolo accanto a sé per poi tornare a guardare Viserys che si era agitato nella sua culla.
« Aerys ha già deciso invero.»
« Lady Cersei?» domandò rammentando il volto del Primo Cavaliere. Tywin Lannister gli aveva presentato sua figlia due giorni prima e suo padre aveva dato ordine che fosse seduta accanto a lui durante il ricevimento. Rhaegar aveva trovato la sua compagnia piacevole, certamente meno imbarazzante di quella di sua cugina Giselle, una dolce fanciulla di quattordici anni protetta strenuamente da Robert e Stannis.
Cersei Lannister aveva quindici anni ed era amabile nell’aspetto. Una Dea d’oro che sembrava ergersi imperiosa e impietosa sui comuni mortali. Sapeva sostenere una discussione nonostante la sua giovane età. Sedeva con eleganza e sapeva danzare leggiadra. Il suo sorriso era dolce e i suoi occhi verdi brillavano di arguzia. Sarebbe stata una buona regina, ma Rhaegar non aveva provato nulla al suo fianco, nulla che potesse fargli ammettere che sarebbe stata anche una buona moglie.
« Tywin è il suo Primo Cavaliere. E Lady Cersei è un’affascinante fanciulla. Forse troppo giovane per te, ma la sua avvenenza è indubbia,» asserì la Regina, sfiorandogli le dita con le proprie, mani che tanto si somigliavano dalle venature bluastre che si intravedevano dalla pelle chiarissima.
« Non è questo che mi turba, madre,» replicò Rhaegar, carezzandole il volto con il palmo della mancina e scostandole una ciocca che era sfuggita dall’acconciatura elegante, un insieme di trecce abilmente strette sulla nuca.
Lyanna.
Soltanto lei era stata in grado di animare il suo cuore, stringendolo in una morsa di dolce inquietudine.
« Hai forse già incontrato la sua promessa?» chiese aggrottando le folte sopracciglia candide come i suoi capelli, negli occhi identici ai propri una luce di speranza. Rhaella aveva bramato trovare una sposa degna di suo figlio sin da quando Rhaegar era stato capace di ricordare. Rhaegar era il suo Principe, la sua unica ragione di vita prima della nascita di Viserys. Rhaegar, però, si era rivelato ostico e imprevedibile. Sembrava non essere interessato a nulla se non alla musica, ai libri e a Summerhall.
« Non le ho neanche rivolto la parola,» mormorò Rhaegar tentando di non rimuginare sulla bella fanciulla di Grande Inverno, quei suoi zigomi alti e rosati, quel mento fiero che era rimasto sollevato anche dinanzi alla famiglia reale sino a quando non aveva incrociato il suo sguardo. L’orgoglio di Lyanna era diverso da quello di Cersei Lannister, Rhaegar l’aveva chiaramente compreso.
« Lyanna Stark,» esclamò, gli occhi violetti resi più grandi dallo stupore mentre un sorriso le faceva arcuare le labbra. Rhaegar non commentò né le diede alcun segno d’assenso eppure sua madre riconobbe nei suoi occhi la palese realtà, « La Lupa del Nord. Il fuoco e il ghiaccio. Oh figliolo, quella profezia…»
« Non è solo per quello, madre mia,» la interruppe il Principe, il tono più severo e malinconico. La profezia, la canzone perduta di Summerhall, l’aveva perseguitato sin dalla nascita, avvenuta tra il fuoco e le ceneri del castello più amato da suo nonno, Re Aegon, mentre egli tentava di riportare in vita il Drago. Soltanto sua madre, suo padre e suo zio Steffon s’erano salvati e la nuova Regina aveva partorito mentre ancora si poteva udire lo strepitio delle fiamme, « Non ho potuto scostare il mio sguardo dai suoi occhi.»
« Hai il tempo di conoscerla. Nulla è stato deciso. Le parole sono vento,» lo rassicurò gentile carezzandogli il volto. Rhaegar non era mai stato interessato a cercare una compagna che lo soddisfacesse. Avrebbe accettato chiunque suo padre avesse deciso. Eppure quella fanciulla del Nord l’aveva attirato con un solo sguardo e Rhaegar si domandò se le canzoni dei bardi avessero un fondo di verità.
Le porte si aprirono con violenza, sbattendo contro i cardini e il muro candido delle stanze. Rhaegar si volse di scatto e i suoi occhi ametista incontrarono quelli più chiari di suo padre. Aerys era stato un bell’uomo in gioventù, affascinante ed irriverente, facilmente si poteva udire la sua risata seguita da quella di qualche servetta.
L’uomo che trovò dinanzi a sé sembrava uno spettro, invece. I lunghi e lanuginosi capelli chiarissimi scendevano incolti sulle spalle larghe, seguiti da una barba dello stesso colore. Una barba che non radeva mai, non dal giorno in cui era stato rapito e tenuto prigioniero. Gli occhi erano due stille di insensibile crudeltà, il volto scarno era colmo di cicatrici che si procurava con le unghie troppo lunghe.
Rhaegar non era che un bambino di nove anni quando suo padre divenne il mostro degli incubi della Regina.
« Rhaella.»
La voce di Aerys, del Re, era quasi lamentosa, un nuovo taglio che faceva sgorgare sangue dallo zigomo destro. Rhaegar si lasciò sfuggire un sospiro mentre scorgeva sua madre avanzare verso suo marito e soppesare la natura della ferita. Aerys sembrava un infante più di Viserys in taluni momenti, quando si abbandonava tra le braccia di sua sorella per lasciarsi medicare. E quando la cura bruciava sulla pelle, si scostava come una belva colpita, gli occhi offesi e pieni di turbamento e odio.
« Padre,» lo accolse issandosi in piedi e chinandosi rispettoso. Aerys sembrò accorgersi della sua presenza soltanto mentre Rhaella si sporse per prendere un decotto alle erbe. Gli occhi di suo padre non mostrarono affetto né risentimento. Erano freddi. Distanti.
« Oh figlio, sei qui allora. Sei nelle liste?»
« Era tuo desiderio che vi figurassi,» asserì il Principe, posato, chinandosi sulla culla di Viserys che era stato destato dalle parole del padre. Suo fratello non piangeva, ma mugolava e Rhaegar lo prese tra le braccia ninnandolo e sorridendogli.
Il torneo era in suo onore per celebrare il nuovo titolo che suo padre gli aveva concesso. L’antica sede dei Targaryen era stato l’unico dono che Rhaegar aveva accolto con affetto, sebbene avesse preferito che il Re gli avesse permesso di ricostruire Summerhall.
« Bene. Tywin Lannister pensa che ti farò sposare quella bambolina di sua figlia. Non sarà così. Gli ho dato sin troppo credito. Sapete cosa si mormora alle mie spalle? Che è lui è il re. Lui,» esclamò con voce stridula, non attendendo una loro risposta, le unghie che graffiavano il legno del tavolo, spezzandosi. Un rivolo di sangue fuoruscì dall’indice e Rhaegar notò lo sguardo severo di sua madre.
Tywin Lannister aveva risollevato le sorti del reame che viveva un’era di florida pace. Era stato Primo Cavaliere per diciassette anni ed era fedele ai regnanti. Il modo migliore per ripagarlo sarebbe stato rendere sua figlia la futura regina. Eppure quei sussurri corrispondevano al vero. molti schernivano suo padre alle spalle per aver concesso troppo potere ai Leoni di Castel Granito negato ad altre nobili famiglie. L’antica acredine per l’amore per la moglie di Tywin, poi, era stata capace di rendere Aerys ancora più sospettoso nei riguardi di quell’uomo taciturno e rigoroso, esigente e imperioso.
« Queste calunnie non debbono essere motivo di rabbia per te, padre. Sono semplici sussurri.»
« E dicono che tu vuoi il trono prima del tempo,» perdurò insinuante fingendo di non aver udito le parole del figlio. Rhaegar si irrigidì, un lampo negli occhi scuri. Sapeva chi osava accusarlo di bramare il potere, quell’uomo di Lys, il Maestro dei Sussurri, Lord Varys. Suo padre sembrava udire soltanto i suoi consigli, negando udienza persino a Tywin che si rivolgeva al Principe per poter amministrare il reame.
« Aerys, mio re, davvero crederesti che Rhaegar, il nostro Rhaegar, sia capace anche soltanto di immaginare un crimine così efferato?» esclamò Rhaella notando la rabbia e il dolore che gli infiammavano il petto. Aerys sollevò le spalle, indifferente alle parole di sua moglie, continuando a scrutarlo con sospetto, gli occhi resi più sottili dalla diffidenza che lo feriva più di una lama. Non lo riconosceva più. Aveva le sembianze di quell’uomo che l’aveva sollevato ridendo quando gli aveva recitato i nomi di tutti i regnanti Targaryen. Eppure era talmente diverso.
Quell’uomo che aveva dinanzi a sé non era più suo padre. non era più neanche il Re. Quello spettro era un estraneo per il suo stesso figlio ed erede.

N.d.A.
Ben trovati. In questo piccolo spazio volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito, messo la storia in una delle categorie e che l’hanno semplicemente letta. Siete stati gentilissimi e sono contenta che questa long possa piacere. I più attenti lettori della saga avranno notato che ho reso Aerys e Rhaella figli di Aegon l’Improbabile e non di Jaehaerys. Questo per la serie dell’HBO che ha omesso questo personaggio. Quindi Robert, Stannis, Renly e Giselle, personaggio da me inventato, sono cugini diretti di Rhaegar e nipoti di Aerys. 

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Capitolo 3
*** II ***


La Fortezza Rossa era un intricato labirinto di corridoi e sale ariose, illuminate da vetrate che lasciavano intravedere la luce splendente del Sole. Era un gioco di torri e bastioni, coronati dal vessillo nero come la notte, e nella parte centrale, ben protetta da mura possenti e impenetrabili, giaceva la torre più imponente del palazzo, quella della famiglia reale.
Gli appartamenti destinati alla famiglia protettrice di Grande Inverno erano posizionati nelle Torre Ovest, semplice e confortevole, dalla quale era possibile scorgere il mare. Lyanna l’aveva osservato, una mano a reggerle il volto, gli occhi di perla fissi in quello spettacolo a cui non aveva mai assistito. Giselle aveva sorriso nello scorgerla tanto assorta, lei nata e cresciuta a Capo Tempesta, dove le onde si infrangevano sugli scogli e li cullava la notte. La fanciulla Baratheon, timida e gentile, ben diversa dal roboante Robert, condivideva con lei le stanze ampie dal pavimento di marmo e un letto immenso intarsiato d’argento.
Giselle era di buona compagnia, di poche parole come la ricordava quand’era giunta in visita a Grande Inverno con suo fratello. La sera prima, strette sotto le coltri di pelle, con le braci del camino che bruciavano ancora riscaldandole, la fanciulla le aveva preso le mani, gli occhi cristallini come quelli di Robert accesi di una speranza infantile. Le aveva raccontato quant’amore suo fratello nutrisse nei riguardi di quella regina del Nord che gli aveva stregato il cuore, e l’aveva quasi implorata affinché acconsentisse alle nozze.
Il sorriso di Lyanna, intenerito dai quei modi gentili che odoravano d’Estate, s’era spento e aveva scosso lentamente il capo. Non avrebbe sposato Robert Baratheon. A nulla erano valse le insistenze di Ned che lo considerava un fratello e Giselle non aveva saputo convincerla. Robert era bello, affascinante con quei suoi occhi che catturavano e quella barba incolta che lo faceva assomigliare ad un dio tempestoso e indomabile, ma Lyanna sapeva che il suo talamo sarebbe stato freddo per molte notti. Robert non era un uomo che avrebbe potuto amare una sola fanciulla per la vita. L’aveva già dimostrato avendo una figlia bastarda nella Valle. Lyanna era certa che non sarebbe stata l’unica.
Giselle s’era intristita per un attimo poi Lyanna le aveva stretto maggiormente le mani, chiamandola sorella, e la fanciulla era tornata a sorriderle mentre incominciava una discussione futile sulle altre nobildonne che erano ospiti. Avevano parlato sino a notte fonda mentre Giselle rideva raccontandole della dolcezza di suo fratello Renly che intrecciava corone di fiori per lei. Lyanna s’era addormentata con il suono armonioso della sua risata mentre il pensiero sfuggente che Giselle sarebbe stata perfetta per Brandon si faceva spazio nella sua mente.
S’era destata all’alba, il Sole che le accarezzava il volto, le mani ancora intrecciate a quelle della fanciulla profondamente addormentata. Era bella come suo fratello maggiore. I tratti del viso tondo, contornato da due fossette profonde, erano morbidi e candidi come la neve. Le lunghe ciglia nere arrivavano sino agli zigomi mentre i capelli neri erano sparsi sul cuscino. Si somigliavano, sebbene Lyanna fosse più alta e snella, frutto degli allenamenti con la spada e delle lunghe corse a cavallo, e i suoi tratti erano duri e spigolosi, tipici degli Stark.
Aveva indossato un abito chiaro e leggero, semplice e non ingombrante, adatto ad una passeggiata tra i boschi, e aveva raggiunto la sala principale. Aveva trovato soltanto suo padre intento a gustare il suo pasto frugale e semplice. S’era chinato a baciargli la gota irsuta e Lord Rickard le aveva sorriso indicandole il posto al suo fianco. Avevano mangiato in silenzio come di consueto, una quiete spezzata soltanto dalla risata di Bran che stava accompagnando Giselle al loro tavolo. Ned e Robert non li avrebbero raggiunti per potersi preparare al meglio per il torneo.
Giselle era arrossita e aveva chinato lo sguardo cristallino, sebbene Lyanna avesse potuto scorgere il sorriso deliziato che le arcuata le labbra sottili, mentre anche Stannis faceva la sua comparsa. Il mezzano dei Baratheon era ben diverso dai suoi fratelli. Se Robert era affabile e sorrideva con semplicità, Stannis era taciturno e digrignava spesso i denti emettendo un suono riconoscibile e fastidioso. Lyanna non credeva fossero mai esistiti due fratelli tanto dissimili. Nonostante il carattere schivo di Ned, la sua severità e l’espressione nobile che aveva ereditato dal loro padre, il suo sorriso era identico a quello di Bran così come l’amore e il senso di protezione che nutrivano nei confronti della loro famiglia.
« Giselle, bambina, sei già stata promessa?» esclamò suo padre con gentilezza, spezzando la quiete. Stannis digrignò i denti e Giselle sembrò non accorgersene continuando a sorridere cortese.
« No, Lord Rickard. In verità la Regina desiderava sposassi il Principe Rhaegar per la parentela e il bene che scorre tra le nostre famiglie, ma nulla è certo,» spiegò la fanciulla mentre la serva riempiva il suo calice.
Lyanna quasi sobbalzò nel sentire il nome del Principe, di quell’uomo, quel cavaliere malinconico dagli occhi profondi, che l’aveva osservava con tanta intensità senza neanche conoscerla, e a Bran non sfuggì. Assottigliò lo sguardo chiaro come il suo in un muto interroggativo, ma la fanciulla scosse il capo, issandosi in piedi e congedandosi con un rispettoso cenno del capo verso il padre.
Il suo cuore era colmo di turbamento mentre ripensava al volto nobile del Principe colmo di una mestizia che la fanciulla del Nord non aveva mai incontrato in nessuno degli uomini che aveva conosciuto. Aveva bisogno di pregare. Gli Dei l’avrebbero protetta e aiutata a comprendere, mitigando quella folle sensazione che le faceva percepire un legame con il Signore di Roccia del Drago.
Lyanna passeggiava per i giardini reali tentando di trovare la strada per il Parco degli Dei. Non vi era nessuno. Dovevano aver raggiunto il padiglione per il torneo. Non avrebbe certamente seguito il primo incontro, ma non le interessava. Robert le aveva domandato di favorirlo donandogli un pegno del suo affetto e Lyanna non aveva avuto cuore di negarglielo la sera prima.  
« Questi uomini del Sud non sanno neanche posizionare degli alberi,» sbuffò la fanciulla frustrata bloccandosi accanto ad un roseto ben curato colmo dei suoi fiori preferiti, bianchi, schiusi e perfetti. Poteva scorgere una fontana di marmo candido arricchita da un drago di pietra dal quale fuorusciva acqua limpida e zampillante, e delle scale di granito che conducevano al fiume, ma neanche l’ombra dei suoi amati Dei. 
« Mia signora, potrei esserti d’aiuto?»
Riconobbe prontamente quel tono così gentile e pacato, una voce adatta al canto malinconico di un dio che percepiva oramai lontana la sua eternità. La fanciulla si volse di scatto, attirata da quell’uomo misterioso, e lo scorse dinanzi a sé. Prima il farsetto nero, poi il volto volitivo e candido e infine gli occhi violetti. Poteva osservarli da vicino, più scuri in prossimità della pupilla, la forma lievemente assottigliata e le ciglia lunghe che li coronavano.
« Principe Rhaegar,» mormorò inchinandosi dinanzi a lui. La riverenza non fu forzata e certamente non perfetta, ma fu sufficiente a farle riprendere il controllo della propria mente. Non riusciva a spiegarsi cosa accadesse quando guardava Rhaegar Targaryen. Non era più Lyanna Stark, l’indomita cavallerizza che sapeva vincere anche contro Brandon, bensì una fanciulla che arrossiva come una sciocca principessina delle fiabe, « Cercavo il Parco degli Dei,» continuò mite scostando lo sguardo da quel mare scuro che erano gli occhi del Principe.
« Siamo distanti. Devi esserti perduta,» asserì Rhaegar porgendole il braccio sinistro, in un silenzioso invito. Lyanna annuì e lo accettò, lasciandosi guidare. Il Principe era caldo, come se un fuoco lo animasse dall’interno, e profumava di menta fresca. Era più alto di lei, gli occhi di Lyanna arrivavano sino alle sue labbra morbide e rosee.
« Non ho domando indicazioni. Credevo di trovarlo nei giardini,» spiegò Lyanna in un mormorio risoluto. Non aveva incontrato che delle dame in ritardo per il torneo ed era certa che non l’avrebbero saputa aiutare.
« È all’interno della Fortezza. Cosa non ti convince, lady Lyanna?» esclamò con un sorriso divertito notando il suo sguardo torvo e assottigliato, le labbra piegate in un’espressione pensierosa.
« Gli alberi non ricevono luce sufficiente per crescere rigogliosi,» replicò la fanciulla del Nord sempre più convinta che gli uomini a Sud dell’Incollatura non sapessero come costruire le fortezze.
« Non sono in molti a pregare gli Antichi Dei nel Sud. Soltanto i discendenti dei Primi Uomini.»
L’andatura del Principe era cadenzata e leggera. Assomigliava a quella di Ned così come la presa sicura con cui la stringeva. Lyanna poteva scorgere il suo sguardo carezzarle il volto senza insistenza, delicato come le ali di una farfalla.
« Ho udito che parteciperai al torneo, vostra grazia,» esclamò interrompendo quel breve silenzio calato tra loro. non era imbarazzante, ma confortevole, familiare persino. Quei giardini sembravano essere costruiti per una passeggiata tra loro in una tiepida mattina in cui il Sole giocava con le nuvole e la brezza spirava dal mare. 
« Mi scontrerò con Robert tra poco, » confermò il Principe continuando ad osservala con un’atipica curiosità, come poteva essere guardata una scultura che mostrava qualcosa da decifrare. Robert non l’aveva mai osservata in quel modo. L’aveva appellata come la più bella fanciulla dei Sette Regni, ma non aveva mai avuto il desiderio di andare oltre l’apparenza, penetrare nel suo animo e arrivare al cuore, « Mio cugino è forse motivo di turbamento per te, mia signora? I tuoi occhi sono spenti,» soggiunse chinandosi a sfiorarle una ciocca nera scostandogliela dal volto. Le dita curate e affusolate indugiarono un attimo sugli zigomi e Lyanna si ritrovò a socchiudere gli occhi e a sorridere d’innocenza. Scosse il capo. Robert non esisteva, non quando il tocco del Principe era ancora sulla sua pelle.
« Il Parco degli Dei,» le mostrò cortese una distesa d’alberi ben curati dai tronchi candidi e dalle fronde rossastre. Non avevano volti, né gli occhi che l’avrebbero protetta né le labbra che avrebbero potuto confortarla. Non l’avrebbero udita. Si costrinse a non sospirare. Il Principe era stato gentile ad accompagnarla e di certo non avrebbe compreso il suo dolore. Era un uomo del Sud, votato ai Sette.
« Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato,» sussurrò gentile posando la mancina sul primo tronco. Era liscio e umido di rugiada mattutina. Gli alberi erano molto più giovani di quelli a Grande Inverno dove il Parco si estendeva per miglia e tra le loro fronde la brezza era troppo lieve.
« Pregare è di vitale importanza in questi tempi. Tentare di schiarire la mente e comprendere cosa sia davvero rilevante, quali imprese abbandonare e quali scontri da intraprendere. Chiunque trova la quiete in luoghi differenti.»
Non sembrava parlare con lei. Il sussurro sembrava essere indirizzato a se stesso, ma gli occhi cercavano ancora i suoi e Lyanna annuì mentre Rhaegar scioglieva la presa dal suo braccio. Sentì freddo. Il fuoco del Principe era caldo e benevolo. Senza di esso sembrava che il mondo avesse perduto qualsiasi speranza, sprofondato in quell’abisso che prima non era che una pallida minaccia.
« Principe Rhaegar, spero che tu vinca lo scontro.»
« Sei molto gentile ad augurarmelo, Lady Lyanna,» mormorò dolcemente chinandosi a sfiorarle la mancina con le sue labbra morbide ed eteree. Non aveva un pegno da donargli e, anche se avesse avuto il nastro grigio che Ned le aveva preparato per porgerlo a Robert, non avrebbe potuto donarlo al Principe. Giselle l’avrebbe sposato, non lei, non la Stark di Grande Inverno che nulla possedeva della donne del Sud. Lyanna era il ghiaccio del Nord, era la neve che cadeva pesante sulle lande brulle, era la brezza che animava le fronde degli alberi, era il cielo terso. E Rhaegar era il fuoco più puro, il figlio del Drago, il soffio rovente di un essere superiore a qualsiasi altro.
Rhaegar si volse a fatica, come se anche per lui quel distacco fosse fonte di dispiacere, e la sua figura scomparve presto dalla sua visuale. Lyanna si lasciò cadere contro l’albero-cuore, l’animo smarrito di un cucciolo senza guida.
*
Cersei Lannister s’era destata con una strana sensazione quella mattina, le parole della Rana impresse nella mente come ferri roventi sul corpo. Poi aveva scosso il capo, dandosi della sciocca. Quella megera era soltanto un pallido ricordo, un essere che non avrebbe mai potuto ferirla, troppo debole per colpire la figlia del Primo Cavaliere, la promessa sposa del Principe ereditario.
S’era lasciata pettinare i capelli dalla propria servitrice, una ragazza svelta e silenziosa, la figlia di un Lord minore dell’Ovest, e le aveva ordinato di intrecciarli come quelli della Regina, un gioco sapiente di opali e smeraldi tra i lunghi riccioli dorati. Doveva essere splendida. Quel giorno avrebbe donato il suo pegno al Principe che avrebbe sconfitto il suo avversario e il Re avrebbe annunciato il loro fidanzamento ufficiale dinanzi alla corte.
Jaime sarebbe entrato a far parte della Guardia Reale e non si sarebbero mai separati. Il suo gemello s’era incupito quando s’era mostrata compiacente e felice alla proposta di sposare Rhaegar. Era geloso. Non avrebbe desiderato separarsi da lei per nulla al mondo. Doveva essere Cersei a richiamarlo al buon senso.
Se avessero vissuto nella corte, avrebbero avuto modo di amarsi come a Castel Granito prima che Lady Joanna, inorridita da ciò che aveva visto, ordinasse che le loro camere fossero situate l’una dall’altra parte della fortezza rispetto all’altra.
La loro madre era morta, però, uccisa da quel mostro deforme del nano, e nessuno più avrebbe potuto dividerli. Neanche Lord Tywin sospettava del loro amore e Cersei doveva essere forte sia per lei che per il suo gemello.
Nessuno comprendeva il legame tra loro. Jaime era la sua metà. Non poteva sopportare di non poter unirsi con lui. Se avesse sposato un altro Lord e Jaime fosse rimasto alla Rocca per imparare a governarla, l’avrebbe irrimediabilmente perduto e ciò non poteva accadere. Il suo piano non doveva fallire.
Si sistemò la veste smeraldina che le faceva risaltare gli occhi e si diresse verso lo studio di suo padre nelle sale del primo Cavaliere. Tywin lavorava instancabilmente per il reame, firmando le carte del Re, dando ordini alla Guardia cittadina e amministrando con giustizia le cause. Aerys l’avrebbe ricompensato facendo della sua unica figlia la futura regina. Sua zia Genna gliel’aveva promesso, raccomandandole di non farne parola con nessuno sebbene Cersei non avesse potuto tenerlo segreto a Jaime.
« Padre,» esclamò Cersei, socchiudendo la porta di quercia. Vi erano due soldati alle porte, ma erano rimasti in silenzio dinanzi a lei chinando i capi e permettendo alla fanciulla di entrare. Tywin stava compilando delle carte, un calice d’oro di vino accanto a sé, la bottiglia quasi intera. Suo padre era solito stemperare il vino di Arbor anche durante i ricevimenti.
« Accomodati, bambina,» mormorò guardandola con il consueto orgoglio facendole cenno di entrare e chiudere la porta. Suo padre aveva sempre un sorriso speciale e celate per lei, non con le labbra, ma con gli occhi. Soltanto per lei, neanche per Jaime.
« Quando potrò sposare il Principe, padre? Quando lo annuncerete alla corte?» domandò impaziente lisciando le pieghe inesistenti, gli occhi verdi pieni di aspettativa. Sapeva che suo padre non l’avrebbe delusa. Tywin scosse il capo, però, e il sorriso della fanciulla si spense nei suoi occhi, la sensazione che aveva provato al risveglio che si animava maggiormente.
« Il Re non ha acconsentito alla mia proposta. Troverò un marito più degno di te,» replicò per nulla turbato, come se il Re non avesse reagito senza alcun riguardo verso il suo lavoro. Cersei percepì lacrime di rabbia agli angoli degli occhi di giada, ma le ricacciò indietro. Era una leonessa. Non si sarebbe mai fatta piegare da un drago. Aveva bisogno di un piano. Un piano per sposare Rhaegar. Un piano per rimanere con Jaime.

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