La profezia perduta

di _Fedra_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Insonnia ***
Capitolo 2: *** Parenti ficcanaso e altri guai ***
Capitolo 3: *** Dissennatori al "Palace Hotel" ***
Capitolo 4: *** L'Ordine della Fenice ***
Capitolo 5: *** La realtà e l'incubo ***
Capitolo 6: *** L'udienza ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Nel nido delle serpi ***
Capitolo 9: *** Sottosopra ***
Capitolo 10: *** Provvedimenti ***
Capitolo 11: *** Riunione segreta ***
Capitolo 12: *** L'Esercito di Silente ***
Capitolo 13: *** Storie di giganti ***
Capitolo 14: *** Faccia a faccia con la morte ***
Capitolo 15: *** Un freddo Natale ***
Capitolo 16: *** Una strana empatia ***
Capitolo 17: *** Evasione di massa ***
Capitolo 18: *** Il potere nascosto ***
Capitolo 19: *** La Legilistrega e il Rettilofono ***
Capitolo 20: *** Scoperti ***
Capitolo 21: *** Disordine ***
Capitolo 22: *** Missione al Ministero della Magia ***
Capitolo 23: *** Lotta contro le tenebre ***
Capitolo 24: *** Il segreto dei gemelli ***
Capitolo 25: *** Oltre il pregiudizio ***



Capitolo 1
*** Insonnia ***







 

CAPITOLO 1

Insonnia

~

 
 
 
 
 
 
Quando Alhena Black riaprì finalmente gli occhi, si ritrovò distesa sul pavimento in posizione fetale, con le mani e i piedi legati da due robusti pezzi di corda.
Era ormai notte fonda e la luce perlacea della luna illuminava a tratti i mobili rovesciati del piccolo studio semicircolare, comparendo e scomparendo tra le basse nubi che promettevano pioggia.
La Strega Suprema ghignò nell’oscurità polverosa.
Di certo, le impressioni che le aveva dato Jane Potter quattro anni prima si erano rivelate esatte.
Dietro quell’aria da folletto impaurito, con quei grandi occhi verdi spalancati e la folta criniera di riccioli corvini, si nascondeva davvero un leone pronto a tirare fuori zanne e artigli nel momento in cui la sua sopravvivenza fosse stata in grave pericolo.
Una vera Grifondoro.
Di certo era cresciuta, negli ultimi tempi.
Pensava che avrebbe dovuto metterci molto di più a spaventare il piccolo angioletto e indurlo a fare qualcosa di completamente estraneo alla sua anima bianca come il latte, come per esempio afferrare una lampada e scaraventarla in testa a una donna voltata di spalle.
Avvertiva ancora il sangue rappreso colarle lungo la schiena dalla ferita che le aveva aperto tra i capelli scuri, che ora bruciava più che mai.
Ma non importava: sicuramente la Potter non era rimasta con le mani in mano e, per quell’ora, i prigionieri dovevano essere ormai lontani. In casa non era rimasto nessuno.
Era sola.
La lama d’argento di un corto pugnale abbandonato sul pavimento ricoperto di detriti rifletté i suoi occhi neri, sgranati in un’espressione folle.
Quanto erano belli, le diceva sempre sua madre.
Occhi d’ebano, che alla luce del sole si scioglievano in una densa sfumatura color cioccolato.
Erano grandi, allungati all’estremità, con delle ciglia folte e sensuali.
Gli occhi dei Black.
Ciascuno di loro li possedeva.
Erano il tratto distintivo della famiglia sin dalla prima generazione.
Chiunque ne era affascinato e impaurito allo stesso tempo.
In lontananza, un gufo lanciò il suo sinistro richiamo e il corpo di Alhena venne percorso da un brivido.
Conosceva bene quella sensazione, anche se negli anni aveva imparato a nasconderla, ma mai prima di allora era stata così forte, tale da farle battere i denti nell’oscurità.
Paura.
Il piano era funzionato alla perfezione, fino a quel momento.
Ora restava solo l’ultima parte, quella che temeva di più.
Erano quasi quindici anni che la Strega Suprema sapeva di essere condannata.
Era stata una decisione presa molto tempo prima e lei, come voleva la tradizione dei Black, non si sarebbe mai rimangiata un giuramento.
Solo che allora, presa com’era da tutt’altre emozioni, così giovane, potente e fragile allo stesso tempo, ignorava del tutto la portata che avrebbe avuto il suo gesto.
Tante volte aveva ucciso a sangue freddo e provato un misto di gioia ed eccitazione nel vedere scorrere il sangue.
Ma, ora che toccava a lei morire, il terrore la paralizzava.     
Sentiva che la morte era lì, sempre più vicina.
Avvertiva i suoi passi frusciare sul tappeto verde e argento, a pochi metri da lei.
−Alhena Black.
La Strega Suprema levò il capo a fatica e per poco non si lasciò sfuggire un urlo.
Tante volte aveva immaginato il suo ritorno, con un misto di paura e speranza.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rivedere anche solo per un attimo quei tratti affilati e aristocratici, i fluenti capelli scuri e i suoi bellissimi occhi blu carichi di ardore.
Ma la creatura che in quel momento era china su di lei non era più il Tom Riddle che ricordava.
Al suo posto c’era un essere dagli occhi iniettati di sangue, la pelle cerea come quella di un cadavere che gli ricopriva il volto scarno simile a un teschio, in cui il naso e la bocca si aprivano come due fessure scavate nel gesso.
−Ti aspettavo – fu tutto quello che riuscì a sussurrare in risposta.
−Lui dov’è? – chiese Lord Voldemort.
−È morto.
Ci fu un attimo di silenzio.
−Bene, − sussurrò lui rigirandosi tra le lunghe dita il pugnale d’argento – vorrà dire che presto vi rivedrete all’inferno.
Alhena si sentì svenire per la paura, ma resistette con tutte le sue forze all’impulso di serrare gli occhi.
Voleva avere lui come ultimo ricordo della sua vita, quel volto simile a un teschio che era stato allo stesso tempo la sua felicità e la sua dannazione.
−Eccomi, sono pronta – gemette.
E, quasi senza rendersene conto, sorrise al suo destino.
 
***
   
−NO, TI PREGO! NOOOOOOOOOOO!
Gli ci vollero diversi secondi prima di rendersi conto di essere al sicuro in camera sua e che l’ombra che incombeva su di lui non era altri che Peter, che lo fissava carico di preoccupazione.
−Non è niente, Ed, calmati. È tutto finito – cercò di consolarlo il fratellastro prendendolo tra le braccia robuste.
Edmund si lasciò andare sulla sua spalla, scosso dai brividi.
Era completamente madido di sudore e non riusciva a smettere di tremare.
Peter lo cullò per qualche secondo, sussurrandogli parole di conforto.
Sussultarono entrambi quando la porta si spalancò di colpo e nella semioscurità comparve il volto scarmigliato di Susan.
−Volete smetterla con questo casino? – sussurrò inviperita. – Così sveglierete Lucy!
−Scusaci, Susan – si schermì Peter.
Edmund si staccò da lui, colmo di imbarazzo, scostandosi la frangia sudata dagli occhi.
−Di nuovo quell’incubo, Ed? – chiese la ragazza sedendosi sul letto.
L’altro annuì.
Susan sbuffò.
–Vieni, ti preparo una tisana – disse prima di rialzarsi e andare di sotto.
Edmund abbassò gli occhi.
Si sentiva un verme.
Peter gli diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla.
−Dai, andiamo – gli disse con un sorriso, porgendogli la sua vestaglia.
−No, davvero, vado da solo…
−Non dire sciocchezze!
−Peter, hai bisogno di dormire.
−Sono sveglissimo.
Il ragazzo gli lanciò un largo sorriso, anche se si vedevano fin troppo bene i due aloni violacei al disotto degli occhi azzurri.
Con uno sbuffo, Edmund si liberò delle coperte, infilandosi la vestaglia celeste e seguendo il fratellastro al piano di sotto.
Susan era già ai fornelli nell’angolo cottura.
I colori fosforescenti dell’orologio annunciavano che erano da poco passate le quattro del mattino.
Dalle finestre penetrava la luce pallida dei lampioni.
Nel soggiorno, la televisione era accesa a volume basso.
Trasmettevano un documentario della National Geographic sulla vita degli animali selvaggi in Africa.
Una testa scura emergeva dalla testiera del divano, tutta presa dal programma.
−Siamo mattinieri, eh? – chiese una voce vellutata.
−Lasciamo stare! – sibilò Susan mentre versava la tisana calda in quattro grosse tazze.
Caspian si stiracchiò sul divano, trascinandosi accanto a lei.
Salutò Peter ed Edmund con uno dei suoi sorrisi cordiali.
–Allora, − chiese tranquillamente – quale incubo ti ha tenuto sveglio, stavolta?
−Non mi va di parlarne – rispose Edmund sempre più imbarazzato, prendendo a giocherellare con la bustina del tè che galleggiava pigramente nella sua tisana.
−Ah, no! – sbottò Susan inviperita. – Adesso, per favore, fai lo stesso sforzo di giugno e ci racconti che cosa ti tormenta. Insomma, Ed, è ormai un mese che vivi a casa nostra e ogni notte ti svegli urlando come se avessi visto il demonio in persona. Io non ho problemi a prepararti tisane calmanti e aspettare che ti tranquillizzi, ma non può continuare così. Secondo me, è ora che ti fai vedere da qualcuno, che Silente lo voglia o no.
−Silente è stato fin troppo chiaro su questo: niente psicologo – le rammentò Peter.
−Silente è rimasto ancorato al Medioevo, per certe cose – ribatté Susan. – Non lo vedete come sta? Ha subìto dei traumi terribili, ha bisogno di un sostegno per superarli! Non guarirà mai, se continua a prendere solo tisane. Sbaglio, Ed?
Edmund la fissò con uno sguardo carico di afflizione.
–Non lo so – si schermì. – Non ho mai sentito parlare di cose simili. Si tratta per caso di un Guaritore?
−In un certo senso – disse Peter. – Diciamo che è un Babbano che si occupa delle persone che hanno avuto dei traumi. Tu ti siedi, gli racconti i tuoi problemi e lui ti aiuta a risolverli.
−Ma io non voglio parlare dei miei problemi!
Susan levò gli occhi al soffitto, esasperata.
−Coraggio, ragazzi – tentò di calmare le acque Caspian. – Se Edmund non vuole, non ha senso costringerlo. Sappiamo fin troppo bene che quello che ha vissuto è a dir poco disumano e che ci vorrà del tempo per superarlo, quindi non bisogna forzarlo.
−Parli facile tu, che vivi al contrario – bofonchiò Susan.
−Che ci posso fare se la notte tendo a dormire pochissimo? – si schermì lui con un’alzata di spalle.
−Se vuoi, domani sera lo parcheggio nella stanza degli ospiti con te. Poi ne riparliamo.
−Domani sera saremo così stanchi che persino Edmund si godrà un po’ di sano riposo – scherzò Peter.
−Già, domani – Susan si era fatta di colpo cupa e pensierosa, mescolando il suo tè con più foga.
−Potremmo anche dire fra qualche ora, già che ci siamo – soggiunse Peter, lanciando un’occhiata all’orologio.
Edmund prese a sorseggiare nervosamente la sua tisana.
Quella sera, anche lui avrebbe finalmente avuto un padre.
Era il 2 agosto, il giorno in cui Evelyn Pevensie e Charlie Winston si sarebbero sposati.
Ecco che cosa rendeva Susan così furiosa.
Lei non aveva mai accettato del tutto il fatto che i suoi genitori avessero divorziato e che Philip, il suo vero padre, fosse andato a vivere con un’altra donna senza dire niente a nessuno.
−Per fortuna, la zia Alberta questa volta non pernotta a casa nostra – commentò lei nervosamente.
−Sì, ma come ce l’ha fatto pesare, anche se lei dice sempre che non vuole disturbare! – soggiunse Peter con un sospiro.
−Ma che senso ha venire il giorno prima, con tutte le cose che abbiamo da fare?
−Lei dice per aiutare la mamma – ipotizzò Peter.
−Per farsi gli affari altrui, vorrai dire! – lo corresse Susan.
−Perlomeno, io le ho fatto una buona impressione – scherzò Caspian.
−Come può fargliela un ragazzo di ventuno anni con i capelli lunghi e l’aria da cantante rock fine anni ‘80 che sta con una sedicenne! – brontolò Susan.
−Ma grazie! – rise l’altro.
−Fidati, con te è stata molto carina e formale, ma non appena è uscita di qui sarà sicuramente andata al primo pub a lamentarsi con il mondo intero su che razza di delinquente frequenta sua nipote.
−Non vorrei essere nei panni di zio Harold e Eustace, poveretti! – esclamò Peter.
−Lascia stare, sono due santi. Non capisco come abbia fatto lo zio a sposare una simile arpia.
−Diciamo che non è mai stato un tipo molto sicuro di sé, altrimenti avrebbe puntato senza esitazione su qualcosa di meglio.
Dal suo canto, Edmund non poteva proprio rimproverare tutte le varie perfidie che i fratelli maggiori stavano lanciando ai loro zii materni.
Aveva avuto la sfortuna di incontrarli per la prima volta proprio quella mattina e aveva avuto immediatamente un’impressione molto sgradevole di loro.
Era stato lui ad aprire la porta, nel momento in cui aveva sentito suonare il campanello.
Si era ritrovato davanti un ragazzo grassoccio con la faccia da roditore e l’aria corrucciata, con indosso un triste maglioncino color cachi.
Per diversi istanti, i due si erano squadrati lungamente, come se fosse scontato che si conoscessero; poi il roditore aveva chiesto in tono sbrigativo: − Sei tu quello nuovo?
−Eh?
Edmund non capiva.
Nessuno, nemmeno la Strega Suprema, si era mai rivolto a lui in quel modo prima d’ora.
−Volevo dire, sei tu il ragazzo che la zia ha adottato? Quello con problemi mentali?
A quelle parole, gli occhi di Edmund si sgranarono a tal punto da assomigliare paurosamente a due palle da tennis.
Lui un malato mentale?
−Non so che cosa ti abbiano raccontato a casa, ma, per quanto mi riguarda, io sto benissimo – ribatté sulla difensiva.
−La mamma mi ha raccontato che all’orfanatrofio ti maltrattavano e per questo hai dei disturbi comportamentali – rispose il ragazzino gonfiando il petto orgoglioso. – Stai tranquillo, so bene che cosa stai vivendo. Sono un appassionato di scienza e medicina, sai,  leggo un sacco di libri a riguardo e posso affermare con certezza che soffri della sindrome di…
−Nessuna sindrome, Eustace – era intervenuto tempestivamente Peter, frapponendosi tra i due come se temesse che stessero per prendersi a pugni. – Come al solito, la zia tende a precipitare un po’ troppo le cose – fece l’occhiolino a Edmund, che nel frattempo aveva assunto un cipiglio omicida. – Bene, ragazzi, perché ora non rientriamo?
La prima impressione di Edmund  su colui che da quel giorno in poi sarebbe stato suo cugino non si era rivelata affatto errata.
Eustace Clarence Scrubb era davvero il ragazzo più odioso che avesse mai visto.
Brutto come la fame e dotato di un’insopportabile aria da saputello, si aggirava in ogni angolo della casa armato di un inquietante taccuino, annotando qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, allungando critiche e perle di saggezza a chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarlo.
E non era affatto facile scollarselo di dosso, dal momento che si attaccava come una cozza a tutti quanti, minacciando di seguirli ovunque, persino in bagno.
Dopo una serie di vani tentativi di levarselo di torno, Edmund si era arreso a quella ingombrante presenza, cercando di autoconvincersi che la sua insopportabile voce nasale sarebbe stata il sottofondo fisso dei prossimi due giorni.
Del resto, non ci si doveva stupire se a sedici anni Eustace versasse in quelle condizioni, visti i genitori che si ritrovava, i quali stravedevano per lui, il loro bellissimo, perfetto, unico figlio.
Della coppia, zio Harold era certamente quello più innocuo.
Era l’essere più insignificante che Edmund avesse mai visto.
Piccolo di statura e pingue come il figlio, zio Harold aveva l’aspetto più anonimo che si potesse immaginare, con la sua testa pelata e lucida e i corti baffetti grigi che spiccavano sul volto grassoccio da tenore.
Alternava alle maniche di camicia d’estate il solito maglioncino grigio d’inverno e parlava pochissimo, quasi sempre di politica.
Lavorava in un ufficio del comune, da cui non usciva quasi mai.
Sicuramente, la sua mancanza di loquacità era compensata dalla lingua biforcuta di zia Alberta.
Alta, magrissima, sempre fresca di parrucchiere e alla moda, la zia Alberta si riteneva la perfezione incarnata.
Nulla a questo mondo sembrava degno di essere risparmiato dalle sue critiche implacabili.
Era completamente diversa dalla sorella maggiore, sempre calma e pacata, che però si portava decisamente meglio io suoi quarantacinque anni di età.
Di poco più giovane, infatti, la zia era già un intrico di rughe.
Forse, suggeriva malignamente Susan, per il fatto che sin da adolescente avesse usato senza ritegno una quantità spropositata di creme e lozioni di bellezza.
Ora la vecchia arpia si aggirava per ogni angolo della casa con il pretesto di aiutare gli altri nelle varie faccende che precedevano la cerimonia, che nascondeva in realtà la scusa di impicciarsi di tutto l’impicciabile.
Spesso allungava commenti e frecciatine con il suo sorriso falso, accompagnato da uno sguardo di sufficienza misto a compassione che avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque.
Il problema non erano tanto queste piccole torture psicologiche, quanto il fatto che zia Alberta era una donna tremendamente invidiosa e pettegola, che avrebbe annotato ogni particolare della cerimonia con la stessa minuzia maniacale di suo figlio nei confronti del taccuino, andando poi a sparlarne con le amiche una volta rientrata a casa.
Era chiaro che tutti non vedevano l’ora che quell’incubo finisse e che quella vecchia arpia se ne tornasse a Cambridge, specialmente Susan.
Quella donna orribile stava dando il meglio di sé per rovinare il giorno che sua madre aveva atteso per mesi, finalmente amata da un uomo che accettava la natura magica dei figli.
Certo, Charlie non avrebbe mai sostituito Philip come padre, ma non si poteva dire che non lo aveva superato in responsabilità.
Quando a giugno Lucy era stata rapita, aveva preso personalmente l’iniziativa di raggiungere Peter e Susan a Hogwarts e aveva fatto di tutto per aiutare Evelyn a superare quel terribile momento.
Era stato lui a incoraggiarla ad adottare Edmund e, la settimana precedente, li aveva accompagnati tutti con entusiasmo a Diagon Alley a comprare l’occorrente che serviva per il nuovo anno a Hogwarts.
Non poteva accettare un simile scempio proprio adesso.
−Allora, possiamo tornare a dormire per un altro paio d’ore? – chiese a un certo punto Peter con un sorriso.
Edmund fissò il fondo della sua tazza ormai vuota e annuì.
−Bene − commentò Susan incrociando le braccia.
–Sparite – soggiunse lanciando loro un sorriso di sfuggita.
Dopo un rapido saluto, i ragazzi si defilarono al piano di sopra.
Rimasti soli, Susan e Caspian crollarono davanti alla televisione.
Sullo schermo, un ghepardo rincorreva una gazzella tra l’erba alta della savana.
−Forse abbiamo sbagliato a portarlo qui – disse a un certo punto Susan.
−In che senso? – esclamò Caspian accarezzandole il fianco.
−Edmund. In fondo, non sappiamo nulla di lui. E se ci avesse raccontato un sacco di sciocchezze?
−Lui? Non credo. Guardalo, Sue: è solo un ragazzo. Un ragazzo molto solo e spaventato, per di più. Anche io lo sarei, se avessi avuto un’infanzia simile.
−Gli hanno scagliato addosso la Maledizione Cruciatus un sacco di volte. E se gli avesse davvero danneggiato il cervello?
−Madama Chips dice di no.
−Ma comunque si vede che è ancora sotto shock. E se fosse segno di disturbi comportamentali o della memoria? A queste persone succede.
−Quelle sono ferite che vanno curate con molto, molto tempo. Ma credimi, secondo me faremmo solo un danno a portarlo da un medico babbano, una persona che non crede alla magia. Sarebbe costretto a raccontargli un sacco di balle e di certo questo non lo aiuterebbe a guarire. L’unica cosa di cui ha bisogno adesso è di ricominciare daccapo, in tranquillità. Vedrai che, una volta a Hogwarts, le cose andranno subito meglio.
−Dici? Per me, parlare di magia lo terrorizza ancora di più. Hai visto com’era teso a Diagon Alley? Continuava a guardarsi alle spalle, come se temesse di essere seguito.
−Anch’io l’avrei fatto, se fossi stato nei suoi panni. Cerca di capirlo. Tu-Sai-Chi è di nuovo là fuori e sicuramente gli starà dando la caccia.
−È proprio questo a preoccuparmi.
−Stai tranquilla: Silente ha stregato la casa. Fino a quando non sarete tutti e quattro maggiorenni, nessuno potrà farvi del male qui dentro.
−Non sono preoccupata per un possibile attacco dei Mangiamorte a Victoria Street. Sto dicendo che ci sono parecchie cose del passato di Edmund che non mi tornano. Hai visto come viveva?
−Era in un sotterraneo.
−E che sotterraneo! Quella stanza, okay, era da incubo, ma aveva tutti i comfort. Non era mica il buco puzzolente dove quella psicopatica ci ha sbattuti quando ci ha catturati! E poi, come mai voleva trasformarlo in un mago oscuro, allevandolo sin da quando era un neonato? E perché, una volta scoperto il suo fallimento, non l’ha ucciso come tutti gli altri? Ci sono troppe cose che non mi tornano in questa storia.
−Silente si fida di lui, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di entrare in casa vostra.
−Silente è un essere umano e si può anche sbagliare. Hai visto che Harry Potter non riesce neanche a guardalo in faccia senza provare dolore alla cicatrice?
−Me ne ha parlato lui di persona. Dice che, ogni volta che entra in contatto con Edmund, avverte la rabbia di Tu-Sai-Chi dentro di lui. È furioso perché gli è stata sottratta una vittima. Non capisci che lo vuole morto, Susan? Edmund è pericoloso, per lui.
−Per quale motivo?
−Non lo so, ma è chiaro che Alhena avesse in mente un piano ben preciso. Sicuramente aveva capito che Tu-Sai-Chi sarebbe caduto e voleva correre ai ripari. In che modo, non lo so. Forse un giorno lo scopriremo. L’importante, ora, è aver salvato un innocente.
−Già.
Susan levò lo sguardo verso il caminetto.
Dalla mensola, l’immagine di suo fratello David le sorrideva raggiante, ignaro che tutta quella felicità sarebbe stata spazzata via dopo poco tempo.
−Sto vivendo troppi cambiamenti tutti insieme, Caspian – sussurrò rannicchiandosi ancora di più contro il suo fianco.
−Ma tu vuoi bene a Charlie ed Edmund, vero? Nessuno ti chiede di rimpiazzare le persone che hai perso, ma sappi che loro sono molto legati a te. Sei una figlia e una sorella.
Susan annuì piano.
–Devo solo abituarmi, tutto qui.
−So che è difficile, per te.
−Aiutami, se puoi.
Caspian le sorrise dolcemente, baciandole i lunghi capelli castani.
–Sono qui per questo – sussurrò.
 
***
   
Hold up 
hold on 
don't be scared 
you'll never change what’s been and gone 

may your smile
shine on
don't be scared
your destiny may keep you warm 

cos all of the stars 
are fading away 
just try not to worry 
you'll see them some day 
take what you need 
and be on your way 
and stop crying your heart out

 
Edmund ascoltava le parole degli Oasis sussurragli nelle orecchie attraverso gli auricolari del lettore CD disteso sulla schiena, con le coperte tirate su fino al petto e gli occhi fissi al soffitto.
Coraggio, gli dicevano, doveva avere coraggio.
Era stata Jane a regalargli quel CD, pochi giorni prima di partire per l’Austria insieme ai Collins, la sua famiglia adottiva.
I due si assomigliavano molto: entrambi orfani, entrambi all’oscuro del loro passato per anni.
Avevano avuto immediatamente un’incredibile empatia, anche se Edmund agli inizi aveva fatto molto per nasconderlo.
Non era abituato ad avere qualcuno accanto con cui si sentisse a proprio agio.
Era stato proprio a Jane che aveva confidato per la prima volta gli orrori del suo passato, senza temere il suo giudizio.
Aveva qualcosa che lo rassicurava.
Forse il suo sguardo dolce.
O il modo in cui l’abbracciava al momento giusto, quando aveva bisogno di avvertire un po’ di calore umano.
Jane era l’unica persona da cui Edmund avrebbe voluto farsi toccare.
Odiava il contatto fisico più di ogni altra cosa.
Lo associava al dolore del suo passato.
Proprio quello che sognava ogni notte, da quando era entrato in casa Pevensie.
Certo, si sentiva già molto legato alla nuova famiglia. Erano stati immediatamente adorabili con lui.
Ma ciò non era sufficiente a cancellare il senso di colpa che lo torturava.
Non riusciva a sopportare l’idea di dormire nel letto di un altro che avrebbe dovuto essere al posto suo, quel ragazzino sorridente e lentigginoso la cui foto era ancora esposta sul caminetto del salotto.
Quel ragazzino che aveva visto uccidere davanti ai suoi occhi.
Sono un mostro.
Edmund strinse ancora più forte il lettore CD al suo petto.
Nell’oscurità, Peter si rigirò tra le coperte.
Come potevano quelle persone tollerare il solo pensiero di avere la causa della morte di David in casa loro?
Si sentiva un impostore, della risma più spregevole.
Un pulcino di cuculo introdotto con l’inganno in un nido a cui era stato sottratto un uovo.
In effetti, che cosa c’entrava lui con i Pevensie?
Nulla.
Erano diversi anche fisicamente.
Loro erano tutti dei ragazzoni dal fisico atletico, con i capelli chiari e gli occhi azzurri.
Lui era piccolo e mingherlino, con una folta chioma di capelli neri, i tratti affilati e due grandi occhi scuri.
Tante volte, il peso dei suoi incubi si era fatto così insopportabile da indurlo a fuggire, ma all’ultimo istante ci aveva ripensato.
Voldemort era là fuori e gli stava dando la caccia.
Sapeva che gli era sfuggito.
Per questo aveva ucciso Alhena.
  
Stop crying your heart out
Stop crying your heart out
 
Edmund si tirò le coperte fin sopra la testa.
Ai suoi incubi si aggiungeva il dubbio di essere stato ingannato da coloro che si proclamavano i suoi salvatori.
Per quattordici anni, gli era stato detto che Silente e i suoi seguaci erano dei pericolosi criminali che lo volevano morto.
Eppure, erano stati proprio loro a dimostrargli il contrario.
Che fosse una trappola?
Chi aveva ragione?
Stava forse impazzendo?
Nelle settimane che erano seguite, Edmund si era letteralmente barricato nella biblioteca del loro quartiere.
Per fortuna, era molto fornita.
Negli anni della sua solitudine, l’unica compagnia erano stati i libri.
La biblioteca di villa Black era un vero gioiello.
Al suo interno vi erano custoditi dei manoscritti di inestimabile valore sulla storia e la cultura della comunità magica.
Nel mondo babbano c’erano altrettanti libri, di cui non aveva mai sentito parlare prima d’ora, ma che ora gli risultavano altrettanto utili.
Di certo il suo aspetto da sociopatico non giocava a suo favore nel momento in cui faceva ingresso nel reparto di Medicina e Criminologia.
Alle occhiate diffidenti che gli scoccava la bibliotecaria, la signora Mason, Edmund rispondeva esibendo il certificato scritto e firmato da Peter.
Era una richiesta di prestito per motivi di studio, cosa che in parte era vera, dal momento che il ragazzo si era iscritto nella facoltà di Medicina.
Peter era infatti l’unico membro della famiglia che appoggiasse le ricerche di Edmund.
In fondo, il fratellastro non stava certo progettando di sterminare l’intera famiglia Pevensie.
Voleva semplicemente informarsi su ciò che aveva vissuto, accertandosi per primo della portata delle conseguenze del suo shock psichico.
Era vissuto per quattordici anni da solo con una serial killer affetta da una grave forma di disturbo bipolare, non poteva certo essere biasimato per questo!
Ciononostante, quando Susan aveva trovato uno di questi volumi sul comodino di Edmund, aveva scatenato il putiferio.
Diceva che già il ragazzo era a pezzi e a poco sarebbe servito alimentare la sua mente con ulteriori immagini da incubo.
Per fortuna, sia Peter che Caspian si erano opposti, ed Edmund continuava le sue consultazioni di nascosto.
In fondo, aveva scoperto delle cose interessanti.
Innanzitutto, non era lui a essere pazzo, almeno non per il momento.
Aveva ritrovato la malattia di Alhena in un volume dedicato alle patologie neurologiche: eccessiva aggressività, lunaticità, crisi di pianto e tendenza a mentire.
Con un tuffo al cuore, aveva scoperto che ciò che gli avevano detto i suoi nuovi amici era vero.
Alhena soffriva davvero di disturbi psichici e quel male la stava uccidendo lentamente, giorno dopo giorno.
Ora il problema restava lui. Perché mai la Strega Suprema aveva scelto di allevarlo di nascosto, lontano da tutti gli altri esseri umani?
Che cosa aveva visto di tanto terribile da considerarlo un mago oscuro potente quanto Voldemort?
E che cosa aveva fatto lei di così grave da passare dalla sua più grande alleata a una vile traditrice?
Che stesse pensando di usarlo come un’arma per spodestarlo?
Edmund si sentiva sempre più confuso e spaventato.
Avvertiva dentro di lui qualcosa di oscuro e inafferrabile, che gli suggeriva di essere diverso da tutti gli altri.
Qualcosa che, di tanto in tanto, si agitava come un aspide, insidiandogli la mente con pensieri velenosi.
Aveva trascorso troppi anni nella rabbia e nella paura, senza poter sfogare in alcun modo le proprie emozioni con qualcuno.
Ora temeva che quei sentimenti prendessero il sopravvento, trasformandolo nello spettro di quella donna crudele che era stata il suo unico punto di riferimento.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento Edmund desiderava più che mai il contatto con quelli della sua specie.
In quelle quattro settimane nel mondo babbano, gli era mancata la confidenza con qualcuno che capisse che cosa provava e che sapesse dargli i giusti consigli.
In casa Pevensie questi discorsi non si potevano fare. Conoscevano la magia da troppo poco tempo per essergli di aiuto in quel senso e, soprattutto, ne erano intimoriti quasi quanto lui.
Persino Peter, dopo aver concluso i M.A.G.O. con ottimi voti, aveva deciso di appendere la scopa al chiodo e di iscriversi a Medicina.
No, gli serviva la compagnia di qualcuno che con la magia avesse una confidenza viscerale, in particolar modo con la Magia Oscura e i modi per combatterla.
E non era Caspian.
Erano due maghi molto più giovani e, Edmund ne era sicuro, molto più potenti.
Come a rispondere ai suoi pensieri, un improvviso tonfo contro il vetro della finestra per poco non gli provocò un infarto.
Peter, completamente immerso nel mondo dei sogni, bofonchiò qualcosa che riguardava Susan e si girò dall’altra parte.
Tremando come una foglia, Edmund estrasse la bacchetta dal cassetto del comodino (come se servisse a qualcosa, visto che non sapeva pronunciare neanche mezzo incantesimo) e strisciò oltre il letto del ragazzo.
Scostò le tende e, con un altro tuffo al cuore, si trovò a fissare gli occhi tondi e scuri di un gigantesco allocco che lo fissava impettito, arruffando le piume.
Aveva una busta legata alla zampa.
Fremente dall’eccitazione, Edmund spalancò la finestra e afferrò la lettera, mentre il gufo faceva schioccare il becco acuminato, nella speranza di rimediare qualche biscotto.
Dalla calligrafia minuta e tondeggiante, il ragazzo intuì subito chi fosse.
 
Edmund Pevensie
Camera da letto
Victoria Street n° 17, Londra, UK
 
Era Jane, che annunciava il suo arrivo per le dodici di quel giorno.





Buongiorno a tutti! :) Vi sono mancata? * spero di sì! *
Avrei tanto voluto aggiornare prima, ma i miei soliti impegni (università e ora anche il lavoro in redazione) sommati alla mia intramontabile pignoleria mi hanno portata a rimandare di continuo questo momento.
Mi scuso innanzitutto per l'ennesimo salto sulla sedia che vi ho fatto fare all'inizio della storia, promettendovi che da ora in poi farò la brava (almeno in questo sequel, perché man mano che andremo avanti l'atmosfera diventerà sempre più dark).

Per tutti coloro che mi leggono per la prima volta, vi lascio volentieri il link de "Il risveglio delle Streghe", il prequel di questa fanfiction: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1703500&i=1
Non è necessario che la leggiate, ma se comunque vi va di passare a trovarmi sappiate che siete i benvenuti!

Se avete voglia di contattarmi su Facebook e conoscere in tempo reale notizie, foto e curiosità sulle mie storie, vi invito a visitare la mia pagina ufficiale:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Sappiate fin d'ora che gli aggiornamenti cadranno ogni martedì mattina, salvo imprevisti, che vi verranno comunicati per tempo.

Colgo l'occasione per mandare un saluto calorosissimo a Joy_10, mia carissima amica di penna e straordinaria scrittrice!

Un abbraccio a tutti e a presto! :)

P.S. La canzone che ascolta Edmund è "Stop crying your heart out" degli Oasis, la band preferita di Jane insieme ai Killers. Vi invito tutti ad ascoltarla!

F.

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Capitolo 2
*** Parenti ficcanaso e altri guai ***




 

CAPITOLO 2

Parenti ficcanaso e altri guai

~

 

 
 
 
 
 
La monovolume rosso scuro percorse Magnolia Crescent a passo d’uomo e imboccò Privet Drive, fermandosi davanti al numero 4.
−È questa? – chiese Albert affacciandosi dal finestrino.
−Sì – rispose Jane, accoccolata sul sedile del copilota.
Il suo sguardo si soffermò sulla muraglia di villette bifamiliari che si estendeva a perdita d’occhio.
Erano tutte uguali, a due piani con il tetto spiovente e i prati ben tenuti.
Quell’ordine maniacale era ben lontano dall’aspetto selvaggio degli antichi cottagedi Finchley, dove la ragazza viveva.
−Devo proprio scendere anch’io? – domandò di nuovo Albert.
−Sì, papà – disse Jane con un sospiro.
Entrambi non erano molto entusiasti di ritrovarsi faccia a faccia con quei simpaticoni dei Dursley.
Jane non riusciva ancora a farsi una ragione che quei tre fossero davvero suoi parenti.
Petunia era la sorella di Lily, la donna che avrebbe dovuto chiamare madre.
Aveva sposato Vernon, un tizio più largo che alto con un paio di minacciosi baffi da tricheco, con il quale aveva avuto Dudley, un bullo che amava trascorrere il tempo a rendere la vita un inferno al povero Harry.
I Dursley erano le persone più ordinarie e noiose che Jane avesse avuto la sfortuna di incontrare.
Ossessionati dalla mania di apparire persone perbene, avevano il terrore della magia e di tutto ciò che andasse fuori dall’ordinario.
La ragazza si era sempre chiesta perché Silente avesse spedito Harry a vivere con gente del genere, che lo odiavano con tutto il cuore, a tal punto da farlo dormire nel sottoscala e mandarlo in giro vestito di stracci.
Certo, erano i suoi parenti più stretti, ma allora perché non avevano affidato loro anche Jane?
Forse per il fatto che i Dursley non avrebbero mai accettato di occuparsi di ben due maghi?
O la verità era un’altra?
−Allora, andiamo? – incalzò Albert, riscuotendo la figlioccia dai suoi cupi pensieri.
La ragazza scrollò le spalle e si slacciò la cintura di sicurezza.
−Ti consiglio di legarti i capelli – soggiunse lui.
A quelle parole, Jane gli scoccò un’occhiata di fuoco.
–Devo proprio? – si lagnò.
−Non avevi detto che dovevamo essere presentabili? – scherzò Albert, fingendo di controllare dallo specchietto retrovisore che i suoi corti capelli biondi striati di grigio fossero sufficientemente pettinati all’indietro.
Jane gli fece la linguaccia e imprigionò la sua lunga chioma ribelle in un elastico per capelli.
−Adesso sembro una ragazza perbene? – chiese in tono di sfida.
−Direi di sì!
I due scesero dall’auto e si avviarono lungo il vialetto del numero 4.
Subito ebbero entrambi la sgradevole sensazione di essere spiati da occhi indiscreti che sbirciavano da dietro le tendine di pizzo.
Albert si fece coraggio e premette il lungo dito sul campanello di ottone.
Si sentì un rumore affrettato di passi sulla moquette, poi la porta verniciata di fresco si spalancò, rivelando il volto cavallino di zia Petunia, incorniciato da una massa di corti ricci neri.
Teneva le labbra strette come se stesse succhiando un ghiacciolo.
−Buongiorno, signora –la salutò gentilmente Albert.
−Buongiorno, signor Collins. Che piacere vederla. Prego, si accomodi – rispose lei freddamente, senza degnare Jane di un’occhiata.
I due entrarono nel pianerottolo, facendo poi ingresso nel salotto adiacente.
Non erano neanche le dieci del mattino, eppure sul tavolino era già pronto un vassoio colmo di biscotti e fumanti tazze di tè.
Lo zio Vernon li attendeva vestito di tutto punto su una poltrona color rosa confetto.
−Buongiorno, dottor Collins – salutò a sua volta, alzandosi per andargli a stringere la mano.
Anche lui non sembrò notare molto la presenza di Jane.
−Come vanno le cose in reparto? Scommetto che in questi giorni avete un mucchio di lavoro, vero? – proseguì imperterrito.
−Non ci lamentiamo, per ora – rispose Albert con gentilezza.
Jane tirò un sospiro di sollievo.
I Dursley non sembravano avere problemi con suo padre.
Forse perché credevano che il suo aspetto professionale e curato lo rendesse automaticamente simile a loro.
O forse perché era conosciuto come uno dei chirurghi più abili d’Inghilterra.
−Prendete una tazza di tè, mentre il ragazzo di prepara – disse Petunia, che era rientrata in quel momento.
I due andavano abbastanza di fretta, ma sapevano che con i Dursley era inutile opporre resistenza.
Sprofondarono quindi nel divano con aria rassegnata.
Mentre masticava una insipida galletta dietetica, Jane immaginò con orrore che razza di vita avesse condotto Harry prima di scoprire di essere un mago.
Lei non avrebbe sopportato neanche cinque minuti di convivenza forzata in quella casa.
Con i Collins era sempre stata una sorta di ragazzaccio di campagna, trascorrendo le giornate a rincorrersi insieme ai fratelli per le campagne di Finchley.
Al numero 4 di Privet Drive, invece, sembrava che qualunque cosa avesse a che fare con il correre e lo schiamazzare fosse categoricamente proibita.
Improvvisamente, un rumore di passi ovattati sulle scale annunciò l’arrivo di Harry.
Dimenticando la rigida etichetta che si era imposta negli ultimi cinque minuti, Jane scattò in piedi, correndo incontro a suo fratello.
I gemelli Potter si assomigliavano in maniera spaventosa.
Erano entrambi piccoli e mingherlini, con una massa disordinata di capelli neri e due grandi occhi verdi.
Tutti e due soffrivano di miopia, ma mentre Harry si era ormai rassegnato a portare i suoi storici occhiali rotondi, Jane, che non li sopportava per principio, era entrata da un paio d’anni nel mondo delle lenti a contatto.
−Serve una mano? – chiese la ragazza dopo aver stretto il fratello in un caloroso abbraccio.
−Magari! Non riesco a portare giù il mio baule senza usare la magia.
I due gemelli si arrampicarono fino al piano di sopra, dove Harry, pochi anni prima, aveva finalmente ottenuto una camera da letto tutta sua.
Non appena Albert aveva telefonato ai Dursley quella mattina per avvisarli del loro arrivo, il ragazzo aveva radunato le sue cose a tempo record, ansioso di lasciare una volta per tutte quell’odiosa topaia.
Rinchiusa nella sua gabbia, Edvige, la civetta bianca, lanciò uno strillo acuto a mo’ di saluto.
−Ciao, bellissima – la salutò Jane, accarezzandole il piumaggio soffice da dietro le sbarre. – Lasciala pure libera, Harry. Ci seguirà in volo.
−Fossi matto! Se fosse stato di notte, ci avrei pure pensato; ma mettiti nei panni dei nostri vicini, se mai vedessero una civetta bianca uscire dalla mia finestra…
−Ah, giusto!
La ragazza trotterellò accanto al fratello, aiutandolo a sollevare il suo pesante baule e trasportandolo al piano di sotto, con il rischio di rompersi entrambi l’osso del collo un paio di volte.
Albert venne prontamente loro incontro, salvandoli dagli ultimi gradini.
Per ultima, portarono giù Edvige, che fece scattare il becco con stizza nel momento in cui comprese che sarebbe rimasta rinchiusa ancora a lungo.
−Bene, signori, vi ringraziamo dell’ospitalità – disse il signor Collins, una volta che tutto fu pronto. – Sono felice che abbiate accettato di lasciare Harry a casa nostra per tutto il mese di agosto.
−Oh, no. Siamo noi che ringraziamo lei per tutti i sacrifici che sta facendo per occuparsi del ragazzo – rispose zio Vernon in tono formale. In realtà, si vedeva benissimo che non vedeva l’ora di sbarazzarsi di Harry per un altro anno.
−Vi faremo sapere presto – proseguì Albert.
−Non vi preoccupate a spendere soldi in telefonate – lo liquidò il signor Dursley.
Dopo essersi scambiati una rapida stretta di mano, Albert guidò i ragazzi lungo il viale, alla volta della sua auto parcheggiata.
I Dursley restarono a spiarli da dietro le tende fino a quando non furono tutti e tre a bordo, gli sguardi tesi per la paura che qualche vicino ficcanaso si affacciasse proprio in quel momento.
Una volta al sicuro sul sedile posteriore dell’abitacolo, Harry tirò un sospiro di sollievo.
–Grazie per avermi salvato anche questa estate – disse mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
−Non c’è di che, Harry! – esclamò Albert cordiale, accendendo il motore. – Mi domando come il vostro Preside abbia potuto permettere una cosa simile. Insomma, quando Jane è arrivata avremmo potuto benissimo occuparci anche di te.
−Ma poi avete avuto Cecilia, sbaglio? Adesso avreste quattro figli – osservò il ragazzo saggiamente.
−All’epoca i medici ci avevano detto che Wendy non avrebbe potuto sostenere altre gravidanze – rispose Albert tranquillamente.
−Però è successo lo stesso.
−È vero.
−I Dursley sarebbero molto contenti di farti venire a stare da noi per sempre – intervenne Jane.
−Già, peccato che Silente continua a ripetermi fino alla nausea che devo tornare da loro ogni estate – brontolò Harry.
−Già, Silente… − Jane si era di colpo fatta pensierosa. – Hai per caso ricevuto notizie da lui, Harry?
−No, neanche una lettera. E tu?
−Idem. A parte il fatto che ero in Austria.
−Già, però scommetto che in Austria ci sarà stato qualche gufo.
−Non è facile come pensi! Ero in posto pieno di Babbani e di certo non mi sono messa ad andare tutta sola in cerca di maghi. E poi, di questi tempi non è sicuro mandare posta via gufo. Può essere intercettata.
−Avresti potuto chiamare Privet Drive, qualche volta.
−Ci ho provato, ma hanno sempre risposto i Dursley e mi dicevano che non eri in casa. A cercarti sul cellulare è pressoché impossibile, dal momento che ce l’hai sempre spento.
−I Dursley non mi comprano le ricariche, lo sai fin troppo bene, e io non posso certo pagarmele con falci e zellini.
−Però puoi sempre ricevere le chiamate, no? O per caso ti hanno tolto anche la corrente elettrica per ricaricare quel coso?
Colto in fallo, Harry sprofondò in un silenzio imbufalito.
–Almeno Ron e Hermione ti hanno cercata? – chiese dopo un po’.
−Te l’ho detto, ero all’estero.
−Anche gli altri anni sono andati all’estero, ma ci hanno sempre scritto.
−Gli altri anni la situazione era leggermente diversa. Ti ricordi che cosa ha detto Silente, quando sono partita? ‘Vai in un posto dove non ti possono rintracciare per via magica’. E così ho fatto. Ho ripreso i contatti giusto stamattina. Mi è arrivata una lettera da Susan. Ci ha pensato lei a contattare Ron, Hermione e Neville per oggi pomeriggio.
−Potevate portarmi in Austria con voi, almeno.
−Ma Silente ha detto di no.
Harry incrociò le braccia furibondo. – Là fuori gira di nuovo quel pazzo e nessuno si prende la briga di informarci. Bella roba.
−Io non ho sentito nessuna notizia strana. E tu?
–Sono sempre incollato alla finestra del salotto a origliare i telegiornali, con il rischio di essere preso per un maniaco, ma, a parte l’emergenza caldo e i pappagallini che fanno lo sci nautico, non ho ancora sentito niente di strano.
−Dunque è tornato? – chiese Albert a quel punto, gli occhi fissi sulla strada.
−Sì – rispose Harry.
Il signor Collins si fece cupo.
–Il nostro governo non ne parla – commentò a un certo punto.
−Il che è strano. Voglio dire, quando Sirius è evaso da Azkaban mi ricordo che ne parlavano anche i telegiornali Babbani. Un mago pericoloso come Voldemort dovrebbe avere un impatto mediatico ben maggiore – disse Jane.
−Ma non c’è. Il che mi preoccupa. Non so se hai ricevuto La Gazzetta del Profeta negli ultimi giorni.
−Te l’ho detto, ero…
−…fuori, giusto. Ebbene, non c’è scritto niente a riguardo. Tutto tranquillo.
Jane si morse il labbro nervosamente.
–Non vorrei che le minacce di Caramell si fossero avverate – sussurrò con timore. – Dovevi vederlo, quella volta in infermeria. Non voleva ammettere che Voldemort era tornato e ha aggredito pesantemente me e Silente. E ti ha dato del pazzo.
−Caramell mi è sempre stato antipatico, sappilo.
−Ma non vuoi capire, Harry? Stiamo parlando del Ministro della Magia! È un uomo potentissimo e non vorrei che stesse davvero cercando di mettere a tacere tutto, a costo di screditarci.
−E tu pensi che Silente non riesca a tenergli testa? In fondo, dietro ogni mossa di Caramell c’è sempre lui.
−È proprio questo a preoccuparmi. Caramell è un debole e lui lo sa. E se la paura lo spingesse a credere che Silente voglia controllarlo?
−Dai, è impossibile!
−Impossibile non è una parola ammessa tra i maghi.
Cadde di nuovo il silenzio, questa volta così cupo che Albert, per stemperare la tensione, si sentì in dovere di accendere la radio.
−Che dice Susan? – chiese a un certo punto Harry.
−Che è decisamente su di giri per oggi pomeriggio – rispose Jane. – Ah, e c’era un post scriptum per te, Harry. Dice che devi assolutamente tenere nascosta la cicatrice.
 
***
   
In casa Pevensie regnava il caos più totale, che sembrava alimentare spaventosamente il perfido buonumore di zia Alberta, che pregustava già i succulenti aneddoti che avrebbe raccontato alle sue amiche una volta ritornata a Cambridge.
Susan stava sfiorando paurosamente l’esaurimento nervoso.
Ora che il giorno della cerimonia era finalmente arrivato, la nostalgia per la sua vecchia famiglia (normale, felice e, soprattutto, integra) le era piombato alle spalle con una tale violenza da travolgerla completamente.
Nell’arco di poche ore era riuscita a litigare praticamente con tutti.
Aveva sgridato Lucy perché aveva occupato la doccia troppo a lungo, aveva avuto una bella litigata con sua madre per via del suo carattere troppo svenevole ed era persino riuscita a rispondere male a Caspian, che aveva evitato per un pelo di essere centrato in piena fronte da un battipanni.
Peter ed Edmund, almeno per le prime ore del mattino, avevano avuto l’accortezza di svignarsela, trovando scampo nel laboratorio del barbiere più vicino per farsi accorciare i capelli.
Quelli di Edmund, in particolare, non vedevano un paio di forbici da diversi mesi e molte ciocche ribelli gli arrivavano ormai alle spalle.
Quasi gli dispiacque quando le vide cadere ai suoi piedi, ma in fondo quello faceva parte del grande cambiamento che aveva imboccato la sua vita. Prima di uscire, la zia Alberta aveva suggerito malignamente di farli accompagnare da Caspian, ma la proposta era stata troncata appena in tempo da Susan, che aveva decretato che la folta chioma scura del suo ragazzo andava benissimo così com’era, anche se assomigliava spaventosamente a quella di un cantante rock anni ’80.
La fuga mattutina aveva dato un leggero sollievo ai due Pevensie, allontanandoli per un po’ dall’atmosfera domestica, che negli ultimi giorni si era fatta fin troppo pesante.
Fu quasi un tuffo all’inferno il momento in cui fecero nuovamente ingresso al numero 17 di Victoria Street, con la casa messa praticamente a soqquadro dagli ultimi preparativi e le grida isteriche che si sentivano fin dalla strada.
Nell’arco di un’ora, la zia Alberta era riuscita a distruggere per l’ennesima volta l’autostima di Evelyn, elencandole una lista interminabile di cose (tutte di infima importanza, come per esempio la marca di una tovaglia rispetto a un’altra) che secondo lei non andavano bene nella cerimonia.
Sua sorella era andata su tutte le furie e nel giro di un attimo entrambe avevano preso a litigare come due arpie assatanate.
Quando Edmund e Peter entrarono nel soggiorno, evitarono per un soffio un piatto scagliato a mo’ di fresbee dall’angolo cottura, che andò in mille pezzi sulla carta da parati a pochi centimetri dalle loro teste.
Susan arrivò di corsa armata di scopa, precipitandosi a dividere le due litiganti, mentre zio Harold leggeva il giornale come se niente fosse dalla poltrona accanto alla televisione e Eustace scriveva febbrilmente sul suo taccuino con la lingua tra i denti.
−Dov’è Caspian? – chiese Peter ad alta voce, cercando di sovrastare le urla disumane che esplodevano tutto intorno.
−Di sopra – squittì Eustace, dal momento che zio Harold non dava segni di vita.
−Vallo a chiamare, Ed – disse il ragazzo, precipitandosi poi a dare manforte a Susan.
Felice di potersi defilare da quella baraonda, Edmund si precipitò al piano di sopra, dove trovò Caspian e Lucy asserragliati nella camera delle ragazze.
−Chiudi la porta – lo invitò Caspian con un sorriso.
Nel momento in cui egli ubbidì, le urla al piano di sotto si spensero come per magia.
−Come hai fatto? – esclamò il ragazzo sgranando gli occhi.
−Incantesimo Insonorizzante. Ti consiglio di impararlo, una volta a Hogwarts – rispose l’altro.
−Peter ha detto che devi scendere – proseguì Edmund. – A quanto pare, la mamma e zia Alberta stanno cercando di ammazzarsi tra di loro.
−Per caso oggi pomeriggio inviterete anche un esorcista? È da ieri che non fanno altro che beccarsi, quelle due – sospirò Caspian facendo per andare di sotto. – Fai in modo che Lucy non scenda. Non sono un bello spettacolo, le due sorelle. Spero solo di non doverle Schiantare.
−Va bene.
Caspian si rimboccò le maniche, estraendo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e precipitandosi di sotto.
Edmund si accoccolò sul tappeto accanto a Lucy, tutta presa nella lettura di un grosso volume.
−Cosa leggi? – le chiese.
Storia di Hogwarts di Bathilda Bath – rispose lei orgogliosa.
Il ragazzo sorrise, prendendo a leggere insieme a lei.
La sorellina si rannicchiò al suo fianco, appoggiandogli la testa fulva sulla spalla.
A quel contatto, Edmund si irrigidì, ma non la scacciò.
Aveva come l’impressione che, in confronto a lui, la ragazzina fosse così fragile da poter andare in mille pezzi alla minima distrazione.
−Sei emozionato per oggi? – gli chiese lei.
−Sì.
−Anch’io! Finalmente avremo un padre anche noi. Sai, quando Philip e David se ne sono andati, io ero così piccola che neppure mi ricordo di loro. Ho solo le foto. Però è come se non ci fossero mai stati. Non è strano?
−Sì, stranissimo – a quel pensiero, Edmund si incupì all’istante.
−Anche tu non ti ricordi dei tuoi genitori? – chiese lei.
−Lucy, scusami, ma preferirei non parlarne. Oggi dobbiamo essere tutti felici, okay? Il passato è passato. Si va avanti.
−Giusto, hai ragione – Lucy ritornò alla sua lettura.
Edmund non riusciva a trovare il modo di liberarsi dalla stretta che gli attanagliava lo stomaco.
Vedrai, ancora poche ore e si sistemerà tutto, pensò nervosamente, cercando immaginarsi per l’ennesima, inutile volta come una persona normale.
 
***
       
−Chissà che cosa intendeva Susan quando ha detto ‘nascondi la cicatrice’ – disse Jane mentre Albert parcheggiava davanti al numero 17 di Victoria Street.
La risposta arrivò automaticamente quando il signor Collins spense l’autoradio.
Le urla e il rumore di piatti in frantumi si sentivano benissimo anche con i finestrini tirati su.
−Okay, nascondiamo la cicatrice – sentenziò Jane frettolosamente, sporgendosi verso Harry e appiattendogli la frangia sulla fronte.
−E ti consiglio di liberare Edvige. Non credo sia ben accetta qui dentro – aggiunse Albert preoccupato.
Harry annuì nervosamente, aprendo il finestrino e spalancando la gabbia di Edvige.
La civetta lanciò un fischio acuto e si defilò nel cielo grigio.
−Ho paura che lei sarà quella che si divertirà di più, stasera – bofonchiò il ragazzo.
−Dai, smettila di fare il solito asociale! I Pevensie hanno bisogno di noi per affrontare i parenti serpenti – disse Jane.
−Appunto.
−Coraggio, non saranno mica peggio di Voldemort!
−Io non ne sarei tanto sicuro.
−Non ci resta che scoprirlo – disse laconico Albert, osando uscire per primo dalla macchina.
I tre si avviarono lungo il vialetto che conduceva alla veranda, le urla che si facevano sempre più forti a ogni passo.
Dovettero scampanellare un paio di volte, prima di farsi sentire.
Il volto pallido e scarmigliato di Susan emerse da dietro la porta.
Aveva un livido violaceo che spiccava al centro della fronte e parecchi graffi sulle guance lentigginose.
−Benvenuti all’inferno – salutò in tono desolato.
−Coraggio, bella, ci siamo noi qui con te! – la rassicurò Jane, stringendola tra le sue braccia. – Ma che sta succedendo, qui dentro?
Susan sospirò.
–Vieni e lo saprai. Attenta ai piatti – rispose.
−Attenta a cosa?
Jane non aveva neppure finito la frase, che il vetro del soggiorno andò in frantumi per via dell’impatto con una grossa padella.
−Oh…santo…cielo! – esclamò Susan esasperata.
Un attimo dopo, le urla di acquietarono di colpo.
I quattro si precipitarono in cucina, dove trovarono Caspian, ritto di fronte a Evelyn e zia Alberta stese a terra.
Peter si stava riparando alla meglio dietro la porta spalancata del frigo.
−Insomma, signore, – stava dicendo Von Telmar, visibilmente arrabbiato – vi sembra questo il modo di comportarvi davanti ai vostri figli? Oggi dovrebbe essere un giorno felice, ma voi due ci state mettendo tutto l’impegno per renderlo un incubo, anche quando ci sono ospiti a casa!
Nel sentire la parola ospiti associata all’ingresso di Albert, Jane e Harry, gli occhi di zia Alberta sia accesero di cupidigia e la donna si affrettò a balzare in piedi, spolverandosi nervosamente il cardigan.
−Oh, ma voi siete i famosi Potter? Che piacere conoscervi! – si precipitò a salutarli, come se fino a trenta secondi prima non stesse gridando come un’aquila.
Susan si precipitò a fianco di sua madre.
−Ora, per favore, andatevene di sopra, tutti quanti! – proseguì Caspian severo. – Io e Peter vediamo di mettere a posto questo campo di battaglia e di preparare qualcosa da mangiare.
I presenti obbedirono all’istante, senza stare a farsi pregare; il cipiglio omicida che aveva assunto Von Telmar era fin troppo convincente.
Susan stava per guidare i gemelli al piano di sopra, quando il passo le fu sbarrato da Eustace, i cui occhietti acquosi sembravano schizzare da una parte all’altra come le palline di un flipper.
−Ehi, Susan! Lui è il famoso Harry Potter? Quello con la testa spaccata in due? – squittì.
A quelle parole, Susan sembrò gonfiarsi pericolosamente, tanto da assomigliare a un gigantesco bollitore da tè.
–EUSTACE, − ruggì – FUORI DAI PIEDI!
−Questa è matta! – strillò il ragazzo portandosi subito fuori tiro, il taccuino già sfoderato per annotare minuziosamente anche quel particolare.
−Scusatelo, è mio cugino – disse Susan mentre salivano le scale. – Un ragazzo a dir poco odioso.
Nel momento in cui raggiunsero il corridoio del piano di sopra, la porta della stanza delle ragazze si aprì piano.
Il volto di Jane si illuminò nel momento in cui scorse quel paio di occhi scuri seminascosti dalla frangia spettinata a cui aveva pensato per tutta l’estate.
−EDMUND!
In un attimo, le sue braccia avevano circondato il collo del ragazzo, stampandogli un bacio spettacolare sulla guancia lentigginosa.
Il ragazzo trasalì, travolto da un simile entusiasmo, poi, felice di avere di nuovo Jane accanto a sé, l’abbracciò a sua volta, rosso come un peperone.
−Ciao, Ed – lo salutò Harry, reprimendo a fatica una smorfia di dolore per via della fitta che gli aveva appena percorso la cicatrice.
−Harry – disse lui sorridendo. – Come stai?
−Ho visto estati migliori. E tu?
−Il solito.
−Edmund, dov’è Lucy? – chiese Susan nervosamente.
−Stai tranquilla, sta leggendo qui con me. Non ha sentito nulla dell’uragano al piano di sotto. Come avete fatto a calmarle?
−Temo che Caspian le abbia Schiantate.
−Ah, bene!
In quel preciso istante, una serie di passi affrettati sulle scale annunciarono l’arrivo di Peter.
–Il pranzo è pronto – disse con un sorriso.
–Avete già fatto? Non ci credo! – esclamò Susan titubante, precedendo gli altri al piano di sotto.
In effetti, suo fratello e Caspian erano stati davvero due razzi nel rimettere a posto tutta quella devastazione.
L’angolo cottura era di nuovo al suo posto, lindo e impeccabile come non lo era mai stato, e i piatti che fino a pochi minuti prima giacevano in frantumi nei vari angoli della casa erano impilati ordinatamente nella credenza.
Il vetro del salotto era stato riparato con un colpo di bacchetta e sul tavolo campeggiava una fila di piatti dall’aria invitante.
Caspian era persino riuscito a modificare al volo la memoria di zia Alberta, anche se il sorrisetto da squalo stirato sulle sue labbra lucenti di rossetto non prometteva nulla di buono.
Si aggirava tra i presenti mostrandosi stranamente gentile con tutti, il che, a detta di Susan, era indice che stava scegliendo con cura il punto dove affondare il prossimo colpo.
In effetti, l’essere appena sopravvissuta al suo primo Schiantesimo sembrava averla resa se possibile ancora più maligna del solito, anche se per il momento non sembrava cercare lo scontro in campo aperto. La sua lingua biforcuta continuava a fare domande a destra e a manca, cercando di sapere il più possibile sui nuovi arrivati tra una richiesta di avere un po’ più di zuppa di piselli e l’altra.
In particolar modo, Albert sembrava quello che suscitava di più il suo interesse, dal momento che la sua fama di chirurgo era arrivata anche a Cambridge.
–Ho saputo che lei è in grado di effettuare degli interventi che nessun altro medico si azzarderebbe a fare. Per esempio, quello della signorina McHills, ricordo male? Sa, è figlia di un’amica della zia di Albert, quindi ho seguito molto da vicino la vicenda…Stava cercando di scavalcare una recinzione privata insieme ad alcuni teppistelli della sua scuola, avete tutti presente quelle con gli spuntoni di ferro battuto sulla sommità? Ebbene, a un certo punto, la ragazzina è caduta su uno di questi cosi ed è rimasta sventrata come un pesce. Le si potevano vedere le budella che le uscivano dalla pancia, oh sì! E lei l’ha completamente ricucita senza doverle togliere nulla.
–Diciamo che, in casi così estremi, ho potuto contare su alcuni aiuti eccezionali della mia equipe – si schermì Albert, leggermente in imbarazzo.
–Ѐ vero che è stato l’unico a volerla operare? – incalzò implacabile la zia Alberta.
–Diciamo che è stata una scelta molto combattuta. Nessuno in reparto voleva toccarla, non in quelle condizioni agghiaccianti. Ma non potevamo lasciarla così, non so se mi spiego. È una questione di pura e semplice morale. Abbiamo sfidato la sorte e lottato contro il tempo fino alla fine. È stata più una questione di fortuna, piuttosto che di bravura. Non sono sicuro di poter ripetere un intervento del genere, un domani.
Nel soggiorno era calato un silenzio imbarazzato.
Improvvisamente, nessuno sembrava avere più tanta voglia di mangiare.
Edmund era talmente schifato dai particolari di quel racconto agghiacciante, da essere rimasto a osservare con un’aria da pesce lesso il sugo del suo pasticcio di carne gocciolargli lentamente dal cucchiaio sul piatto ancora colmo.
–Trovo che la medicina sia un argomento affascinante – intervenne disperatamente Susan, cercando disperatamente di sviare il discorso.
–Oh, sì! – squittì di rimando Eustace. – Dottor Collins, sappia che io sono uno dei suoi più grandi estimatori. Ho letto tutte le sue pubblicazioni, anche quelle per conto dell’università. Volevo chiederle, nell’articolo del 12 marzo 1999…
Jane e Susan si fissarono con aria rassegnata.
A quanto pareva, quel giorno non si sarebbero salvati dalle interminabili dissertazioni su malattie mentali di vario tipo, sezionamenti di cadaveri e altre orrende patologie senza speranza di guarigione.
Alla fine del pranzo, zia Alberta allungò un’affettuosa gomitata a Eustace, allungandogli un flaconcino privo di etichetta colmo di un liquido trasparente.
–Prendi, tesoro. È l’ora della medicina – cinguettò dolcemente. – Cinque gocce, mi raccomando.
–Che cos’è? – chiese d’istinto Albert, mentre il ragazzo si versava la sua dose di medicinale nel bicchiere davanti a sé.
–Oh, semplici precauzioni – rispose la donna. – Il povero Eustace Clarence ha avuto un’infanzia difficile, sa? Sin da piccolissimo è stato un continuo calvario tra medici e ospedali e nessuno sembrava capire che cosa avesse. Ora non le sto a raccontare tutto nei dettagli. In ogni caso, il nostro ragazzo è perfettamente guarito. Deve solo prendere qualche medicinale di tanto in tanto, così, per sicurezza.
–Capisco.
Jane non riusciva a staccare gli occhi dal liquido trasparente che spariva inesorabilmente nella gola di Eustace e dal leggero velo di rossore che si intravedeva sotto i numerosi strati di fondotinta di zia Alberta.
Quella storia non le piaceva. Sembrava quasi che gli Scrubb stessero nascondendo qualcosa, un fardello talmente imbarazzante e doloroso che spiegava molte cose sul carattere disturbato e maniacale del ragazzo.
Non vedeva l’ora di parlarne con gli altri, se mai avessero avuto un solo attimo di privacy.
Una volta che quell’interminabile pranzo fu finito e la tavola fu sparecchiata, tutti si divisero in vari gruppetti, in attesa di andarsi a preparare per la cerimonia che sarebbe avvenuta nel tardo pomeriggio.
Peter, Harry e Caspian si rifugiarono in giardino, mentre Lucy e Susan si asserragliarono in bagno per dare inizio alle grandi manovre dedicate a trucco e acconciature.
Edmund e Jane rimasero soli sul divano del salotto, entrambi senza sapere che cosa dire.
–Allora, ti piace la tua nuova famiglia? – gli chiese a un certo punto Jane, decisa a rompere il ghiaccio.
–Oh, sì! Un po’ burrascosa, alle volte, ma non mi lamento – rispose lui con un sorriso. Era davvero felice che la ragazza fosse di nuovo al suo fianco.
–Ti sta bene questo taglio di capelli – disse lei scompigliandogli la frangia per gioco.
–Avevo voglia di cambiare – fece lui arrossendo.
–Allora, ti è arrivata la lettera da Hogwarts? Io l’ho ricevuta stamattina. Devo assolutamente trovare il tempo di andare a Diagon Alley a comprare tutto.
–Io ci sono stato la settimana scorsa.
–Wow! Quindi sei già passato da Olivander per la bacchetta?
–Sì, siamo andati io e Lucy.
–Grande! E che cosa vi è capitato?
–A Lucy una bacchetta di media lunghezza, di cedro e crini di unicorno. Anche a me è capitato il crine di unicorno, ma il legno è di agrifoglio.
–Anch’io ho il nucleo di unicorno. È indice di purezza. Una simile bacchetta non dovrebbe lanciare sortilegi di Magia Nera.   A quell’affermazione, Edmund tirò un sospiro di sollievo. – E il legno? – chiese.
–Non ho mai sentito parlare di una bacchetta in agrifoglio, prima d’ora. Posso vederla?
–Oh, sì!
I due ragazzi salirono furtivamente al piano di sopra, facendo ingresso nella stanza di Edmund.
–Allora è qui che tu vivi – osservò Jane, indicando la piccola stanza in cui entravano a malapena due letti e un armadio.
–Lo so, è un po’ piccola – si schermì lui. – Però ho sempre tanta luce.
I due ragazzi si sedettero sul pavimento, accanto a uno dei letti.
Edmund estrasse la sua bacchetta dal cassetto del comodino, gelosamente conservata dentro una lunga scatoletta di cartone.
Curiosa, Jane la prese, soppesandola tra le dita sottili.
Il legno color cioccolato era finemente intagliato.
–Ne hai dovute provare molte? – chiese pensierosa.
–Abbastanza. Diciamo che non ho avuto la fortuna immediata di Lucy. Mi esplodevano tutte in mano. Alla fine, il signor Olivander mi ha dato questa. Mi ha detto che solitamente non è una bacchetta facile, ma con me voleva provare lo stesso. Funziona con i maghi che soffrono di un forte conflitto interiore e che nella vita si troveranno ad affrontare delle prove difficili, in cui dovranno mostrare tutto il loro coraggio.
–Mi sembra una bacchetta fatta apposta per te! – scherzò Jane. – E tu come stai, Edmund? – chiese poi, ritornando di colpo seria.
–Sto bene, davvero.
–Non mentirmi. Sai che me ne accorgo subito.
Il ragazzo arrossì per l’ennesima volta in quella lunga giornata.
–Non è facile come sembra – sputò lì.
–Lo so.
–Per poco Susan non mi caccia di casa. So di essere diventato insopportabile. La notte, tengo tutti svegli per colpa dei miei incubi.
–Sai che tu e Harry dovreste andare a vivere insieme? Sul serio. Lui ne fa anche tre o quattro per notte. Un vero spasso.
Edmund la fissò torvo.
–Possibile che hai sempre una battuta pronta per tutto? – domandò esterrefatto.
–Come dovrei fare altrimenti, con la vita che mi sono ritrovata? Meglio riderci su, no? Ti dà tutta un’altra prospettiva.
–Tu dici?
–Quando affronterai il tuo primo Molliccio, capirai che cosa intendo.
Il ragazzo annuì, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Quel folletto stravagante che gli aveva salvato la vita riusciva sempre a trovare il modo di sorprenderlo.
 –Oh, ti sono piaciuti i miei CD? – chiese a quel punto Jane, indicando il lettore portatile abbandonato sul letto.
–Oh, sì! Mi piace molto la tua musica. Peccato che non potrò portarla a Hogwarts, visto che tutti i manufatti babbani impazziscono tra le sue mura.
–Mmm, non è detto. Basta saper fare l’incantesimo giusto. Tu sei vuoi portalo, il lettore, poi ci penso io.
–Grazie.
–Non c’è di che. Posso fartene degli altri, se lo desideri.
–Mi piacerebbe tanto.
I due si sorrisero.
Gli occhi di Jane brillavano come due smeraldi.
–Mi sei mancato, Ed – sussurrò.
–Anche tu.
In quel momento, la porta si spalancò di colpo, rivelando il muso da roditore di Eustace.
Lanciò loro uno sguardo di puro trionfo, come se li avesse sorpresi a fare qualcosa di tremendamente imbarazzante.
–Uuuuh, allora le cose stanno così? – sogghignò. – Un’altra bella coppia di innamorati?
A quell’affermazione, persino le lentiggini di Edmund parvero prendere fuoco.
I suoi occhi assunsero un cipiglio omicida che avrebbe terrorizzato chiunque.
–Tu…piccolo…sudicio…
Il ragazzo scattò in piedi, furibondo, muovendo un passo verso Eustace, che fuggì dalla stanza urlando: – Mi vuole picchiare! Mi vuole picchiare!
–E farebbe bene! – tuonò in quel momento la voce di Susan dal corridoio.
Un attimo dopo, la testa della ragazza, avvolta da un asciugamano, fece capolino nella stanza.
–Che diavolo succede qui? – chiese accigliata.
–Niente, era solo Eustace – si schermì Jane, mentre Edmund continuava a sbuffare come un toro inferocito.
–Bene, perché è il caso che vi andiate a preparare – gli occhi di Susan si socchiusero in una smorfia complice. – E, Jane, sbaglio o è vero quello che dice Harry?
–Cosa si è messo in testa, mio fratello? – chiese lei esasperata.
–Che stasera indosserai un vestito.



Buongiorno a tutti! :)
Spero che la lunghezza di questo capitolo non vi abbia dissuasi dalla lettura. In tal caso, fatemelo sapere, così mi regolo per la stesura di quelli che seguiranno.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito quello precedente, oltre che all'esercito di lettori silenziosi che continuano a seguire le avventure di Jane ed Edmund da ormai diversi mesi. Sono davvero felice che le mie storie, per quanto gotiche, continuino ad appassionarvi!

Per tutti coloro che non riescono ad aspettare fino al prossimo martedì, lascio il link di un piccolo spin-off dedicato a Jane:
 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2318124&i=1
Mi è venuto di getto la settimana scorsa e spero tanto che vi piaccia!

Vi ricordo anche che ho aperto una pagina Facebook dove potrete seguire in tempo reale tutti i miei aggiornamenti, oltre che ad accedere a foto e contenuti inediti: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra 
Vi aspetto lì!

Un bacio a tutti e grazie mille a coloro che lasceranno un piccolo parere/inseriranno la storia nelle preferite o seguite!

F.

 
 
 

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Capitolo 3
*** Dissennatori al "Palace Hotel" ***



CAPITOLO 3

Dissennatori al “Palace Hotel”

~

 
 
 
 
 
 
Man mano che le ore passavano, il cielo si faceva sempre più basso e grigio.
Verso le tre del pomeriggio, una pioggerellina leggera e insidiosa prese a cadere lentamente sui tetti spioventi di Victoria Street.
−Sposa bagnata, sposa fortunata – disse Peter in tono di incoraggiamento, mentre fissava quel triste paesaggio dalla finestra del soggiorno.
Lui e gli altri ragazzi erano stati i primi a prepararsi.
In fondo, a loro era bastato pettinarsi all’indietro i capelli e indossare un completo scuro per apparire presentabili.
Le ragazze, invece, erano sparite nel bagno al piano di sopra da più di un’ora e mezzo.
Ogni tanto, un grido isterico squarciava l’aria fin troppo calma.
Il più delle volte, Edmund riconobbe la voce di Jane.
−Ma che stanno combinando? – chiese a un certo punto, preoccupato.
−Diciamo che a Jane non sono mai piaciute le occasioni formali – rispose Harry sorridendo. – Prima di partire, Susan si è fatta promettere che si sarebbe messa qualcosa di elegante. A quanto pare, non si sono capite.
Un paio di strilli più tardi, Susan scese le scale con fare teatrale.
I ragazzi le andarono incontro, stentando quasi a riconoscerla.
Caspian in particolare non l’aveva mai vista così bella prima d’ora.
Sembrava molto più grande della sua età.
Una vera donna.
I lunghi capelli scuri erano acconciati elegantemente in una serie di trecce sulla sommità del capo e le curve morbide del suo corpo erano fasciate da un leggero abito celeste senza maniche, che si intonava con il colore dei suoi occhi.
−La mia principessa! – esclamò il ragazzo avvicinandosi a lei e sfiorandole la mano bianca con le labbra.
Susan sorrise, arrossendo; poi si rivolse agli altri.
–Ora voglio che mi diciate tutti che cosa ne pensate di quella ragazza lassù – disse indicando qualcuno di molto impacciato che stava scendendo le scale con tutto l’entusiasmo di una persona costretta a camminare sui carboni ardenti.
Sia Edmund che Harry dovettero sbattere più volte le palpebre per assicurarsi che fosse davvero Jane.
La sua indomabile chioma scura era stata accuratamente pettinata e domata e ora appariva in tutto il suo splendore, raccolta elegantemente sulla nuca, con le ciocche più lunghe che scendevano sinuose lungo la schiena. Indossava un rifinitissimo vestito color rosa antico, che le lasciava nude le spalle e le creava un lungo strascico ai piedi.
Un leggero velo di mascara le metteva in risalto i grandi occhi verdi e le sue labbra non erano mai state così rosse prima d’ora.
−Ho i tacchi! – strillò Jane, aggrappandosi goffamente al corrimano.
−Oh, quante storie! – la canzonò Susan sorridendo. – Sei bellissima.
Edmund provò quasi istintivamente l’impulso di venirle incontro, quando la strada gli fu sbarrata da Harry, che prese sottobraccio la sorella, sorridendo radioso.
–Se fossi andata così al Ballo del Ceppo, a quest’ora tu e Ron sareste come minimo sposati – le disse dolcemente.
−C’è sempre oggi pomeriggio, ammesso che i miracoli accadano anche per le streghe – rispose Jane facendogli una smorfia di sfida.
Tutti risero, compreso Edmund, anche se dentro di sé avvertì una leggera fitta dalle parti del torace che gli suscitò uno strano senso di fastidio.
Scrollò il capo con noncuranza, seguendo gli altri sulla veranda per scattare le prime foto.
Pochi minuti dopo, Evelyn si unì a loro, tenendo per mano la piccola Lucy.
Era così bella, che persino zia Alberta non riuscì a trovare nulla da ridire, almeno per il momento.
La mamma dei Pevensie schioccò un sonoro bacio sulle guance dei figli, gli occhi carichi di emozione.
Peter la prese dolcemente sottobraccio, accompagnandola alla macchina.
Gli altri la seguirono, accomodandosi ciascuno nelle proprie automobili decorate con fiocchi bianchi e dando inizio al corteo nuziale, mentre la pioggia si faceva sempre più gelida e intensa.
La chiesa non era molto lontana dal loro quartiere, a circa una decina di minuti di macchina.
Al loro arrivo, c’erano già tutti.
Di fronte all’ingresso Ron, Hermione e Neville attendevano con ansia i loro amici.
Jane notò subito che Hermione era più bella e radiosa che mai, di nuovo avvolta nello scintillante abito rosa che indossava al Ballo del Ceppo.
−Jane! – esclamò la ragazza gettandole le braccia al collo. – Come stai? Hai trascorso delle belle vacanze?
−Oh, sì! L’Austria è davvero bella – rispose lei, sforzandosi di non guardare Ron. – E tu?
–Indovina un po’? Sono stata da Viktor per una settimana intera! Oh, ti devo raccontare tante di quelle cose…
Quella notizia spiazzò Jane come se l’amica le avesse appena detto di essere incinta di due gemelli.
Una vampa di calore le attraversò il petto, mentre il cuore accelerava i battiti come un cavallo impazzito.
Lanciò una rapida occhiata a Ron oltre la spalla di Hermione e notò che aveva improvvisamente assunto un allarmante colorito verdastro.
Dovette mordersi la lingua per non lanciare un grido di trionfo.
Se Hermione era cotta di Viktor, significava una cosa sola: poteva di nuovo tentare di provarci con Weasley.
Questa volta sarebbe stata brava, non poteva sbagliare.
Si avvicinò quindi a Ron, stampandogli automaticamente due baci sulle guance.
–Ti trovo bene, Ronald – disse sfoggiando il suo sorriso più luminoso.
−Ciao, Jane – borbottò lui, stringendola in un goffo abbraccio.
Edmund era rimasto in disparte, contemplandosi le punte dei piedi.
Non sapeva perché, ma il senso di fastidio cresceva di attimo in attimo.
Da quando Harry aveva accennato alla cotta che Jane aveva per Ron, il suo malumore era visibilmente peggiorato.
Ma perché, poi?
Era forse geloso?
Ma cosa c’entrava lui, con Jane?
E che diritto aveva di impicciarsi nei suoi affari?
Del resto, lei conosceva Ron da quando era poco più di una bambina.
Era anche giusto che si mettessero insieme, prima o poi.
No, Jane era solo un’amica, una grande, grandissima amica, ma ci si fermava qui.
Facile, no?
−Ehi, come stai? – lo riscosse la voce cordiale di Neville alle sue spalle.
−Ciao – lo salutò Edmund, sforzandosi di sorridere.
Almeno, ora aveva una scusa per non guardare nella direzione di Jane.
Pochi minuti dopo, il corteo fece il suo ingresso in chiesa.
All’interno c’era Wendy, insieme a Dennis e Cecilia.
Albert raggiunse a grandi passi il resto della famiglia, stringendo la moglie in un abbraccio.
I gemelli Potter lo seguirono a ruota. Accanto all’altare, con l’aria più emozionata di questo mondo, stava Charlie Winston, il futuro marito di Evelyn.
Sfoggiava un elegantissimo completo nero e gli imponenti baffoni rossi e la fluente criniera fulva erano pettinati come mai prima d’ora.
La signora Pevensie fece ingresso nella chiesa, tenuta a braccetto da Peter.
In un angolo, Eustace continuava a scrivere febbrilmente sul suo taccuino.
I quattro fratelli Pevensie erano riuniti in prima fila, proprio di fronte all’altare.
Una volta terminata la marcia nuziale, la cerimonia iniziò.
La funzione fu molto lunga e solenne, intervallata di tanto in tanto dai canti arrangiati da alcuni amici di Charlie, che suonavano in un complesso jazz.
Il momento più emozionante fu certamente quello in cui Lucy, con i grandi occhi tondi colmi di emozione, arrivò all’altare portando le fedi.
Vennero pronunciate le frasi di rito e poi, finalmente, Evelyn e Charlie si scambiarono un profondo bacio d’amore, tra gli applausi concitati di tutti i presenti.
Jane intravide Susan trattenere a stento un singhiozzo.
Peter le mise una mano sulla spalla, attirandola dolcemente a sé per consolarla.
L’atmosfera all’uscita della chiesa era decisamente più rilassata.
Nel frattempo, l’intensità della pioggia era aumentata e, quando arrivò il momento di lanciare il riso, la folla venne abbagliata dai lampi.
Ci fu un disordinato fuggi fuggi verso le macchine, poi il corteo ripartì strombazzando alla volta del Palace Hotel, dove si sarebbe tenuto il rinfresco.
Il ristorante era una villa signorile degli inizi del Novecento completamente ristrutturata.
Sorgeva all’interno di un grande parco pieno di fontane e vialetti ghiaiosi, a cui si accedeva attraverso un complicato sistema di terrazze e scale di marmo.
Il ricevimento era stato allestito all’ultimo piano, in una grande sala drappeggiata di bianco solcata da lunghi tavoli.
In fondo, c’era un’ampia pista da ballo.
Ciascuno prese il proprio posto (i ragazzi si sedettero tutti vicini) e, dopo un commovente discorso tenuto dai novelli sposi, entrò un piccolo esercito di camerieri per servire gli antipasti.
−Bene, ora si mangia! – esclamò Ron, gettandosi rudemente sul suo piatto, sotto lo sguardo orripilato di Hermione.
−È stata una bella cerimonia – commentò Jane rivolta a Susan.
−Già – rispose la ragazza torva.
Sembrava così persa nei suoi pensieri, da non accorgersi neanche dalla mano di Caspian che le accarezzava la schiena.
−Quindi ora non vi chiamerete più Pevensie, giusto? – domandò Harry.
−Certo che manterranno il cognome! – disse Hermione in tono pignolo. – Fa parte del Codice Civile babbano, no?
−Non mi dire che conosci anche quello! – esclamò Ron esasperato.
−Per tua informazione, Ronald, io tra i Babbani ci vivo per almeno due mesi l’anno e per di più senza poter usare la magia!  
Come al solito, Ron non esitò a ribattere e da lì si scaturì uno dei loro soliti battibecchi, che fece calare un velo di malumore su tutta la tavolata.
Per fortuna, la tensione si stemperò non appena arrivarono i primi piatti e in breve i presenti si riappropriarono della sana parlantina di sempre.
−Avete avuto notizie dal nostro mondo? – chiese a un certo punto Harry a bassa voce.
−No, nessuna – rispose laconico Ron.
−Neanche da Silente?
−Di che cosa state parlando? – Eustace, che sedeva nell’angolo più lontano del tavolo, ascoltava piegato in avanti, gli occhi carichi di avidità.
−Niente, niente – si affrettò a rispondere Susan. – Cose di scuola.
−Già, Silente è il Preside di Hogwarts, la nostra scuola – intervenne Peter.
−Mai sentita nominare – ribatté Eustace.
−Per forza, si trova in Scozia!
−Come se il fatto che si trovi in Scozia fosse un problema, per un divoratore di libri come me! L’anno scorso ho fatto una ricerca di geografia su tutte le scuole del Regno Unito e posso assicurarvi che non ne ho trovata neanche una che si chiamasse Hogwarts.
−Ne sei sicuro? Sicuramente ti sarà sfuggita. Non è una scuola molto grande, sai? Ci sono pochi iscritti, quindi è logico che venga messa un po’ in secondo piano – commentò Hermione.
−Io invece ho un’altra versione dei fatti: mi state raccontando tutti un mucchio di balle. Che bisogno c’è di andare a studiare fino in Scozia quando siamo a Londra?
−Forse il fatto che siamo stati ammessi in una scuola di eccellenza? – incalzò Peter.
−Hogwarts esiste eccome. Hai un suo professore proprio davanti a te – disse Susan indicando Caspian.
A quell’affermazione, Eustace strabuzzò gli occhi.
Evidentemente, il giovane non corrispondeva pienamente con il suo ideale di insegnate.
–Tu? – chiese sconcertato. – Ma hai solo ventuno anni!
−Ventidue tra qualche giorno, prego. Diciamo che a scuola ero uno studente particolarmente brillante – si schermì Caspian.
−E che cosa insegneresti? – domandò Eustace sospettoso.
−Letteratura inglese – si affrettò a rispondere Susan per lui.
In fondo, era l’unico argomento babbano che avrebbe permesso al suo ragazzo di sopravvivere al bombardamento di domande teoriche che gli avrebbe rivolto il cugino di lì a poco.
Difatti, non appena Eustace riuscì a riprendere fiato, il povero Caspian dovette subire un vero e proprio interrogatorio sugli autori britannici dal poema Beowulf  fino a Tolkien.
Un paio di portate dopo, finalmente giunse il momento della musica.
Evelyn e Charlie aprirono le danze sulla pista, tra gli applausi dei presenti.
Poi, fu il turno di tutti gli altri. Caspian fu uno dei primi ad alzarsi e a invitare la sua bella a danzare.
Jane si ritrovò per un attimo in una sorta di fuoco incrociato tra gli sguardi di Harry, Edmund e Neville, tutti e tre indecisi su chi avrebbe dovuto chiederle di ballare, visto che era la cosa che la ragazza amava di più al mondo; poi, dal momento che nessuno faceva la prima mossa, suo fratello si alzò in piedi e la condusse verso la pista.
Lei gli cinse le spalle raggiante e insieme si abbandonarono alle danze.
Non appena partì il secondo pezzo, Harry invitò Hermione, mentre Jane ripeteva l’esperienza del Ballo del Ceppo insieme a Neville.
Nel frattempo, Susan aveva trascinato sulla pista anche Peter, salvandolo per un pelo dalle grinfie di zia Alberta, che non esitò a puntare Albert, acciuffato per la cravatta appena in tempo da Wendy, e Caspian, che non riuscì a trovare un’altra partner.
Anche Lucy volle unirsi agli altri, afferrando un recalcitrante Edmund per la mano e trascinandolo nella mischia.
Ron rimase seduto in disparte, preferendo concentrarsi sui dolci piuttosto che ballare.
A un certo punto, Jane provò ad avvicinarsi a lui con una scusa per chiedergli un giro di pista, ma lui declinò quasi immediatamente l’offerta, farfugliando qualcosa con la bocca piena.
Profondamente seccata, Jane si sedette in un angolo, andando a versarsi qualcosa da bere, quando si rese conto che anche Edmund aveva avuto la sua stessa identica idea.
−Te la cavi bene con le danze – scherzò lei mentre il ragazzo le versava dell’acqua nel suo bicchiere.
−Non ho saputo dire di no a Lucy – si schermì lui.
−È una ragazzina adorabile. Ti va di ballare il prossimo pezzo?
−Ehm…
−Dai, scommetto che ci divertiremo un sacco!
Gli occhi di Jane avevano assunto un’espressione così speranzosa, che Edmund non se la sentì di deluderla.
–Va bene, – disse – però ti avverto: non ho mai ballato seriamente in vita mia!
−Ti insegno io, vieni!
Jane lo accompagnò sulla pista, in mezzo alla calca di persone che danzavano a ritmo di musica.
Il ragazzo divenne di un allarmante color porpora quando lei gli prese delicatamente la mano e gliela pose sul suo fianco, mentre l’altra gli sfiorava la spalla.
Era talmente imbarazzato che all’inizio non riusciva neanche a guardarla in faccia, rischiando di inciampare nei suoi piedi.
Con sua grande sorpresa, Jane scoppiò a ridere e lo corresse, portando lei per i primi minuti, finché il ragazzo non imparò le regole del gioco e afferrò le redini delle danze.
Sentendosi finalmente a suo agio, Edmund iniziò davvero a divertirsi, lasciandosi trasportare dalla musica e dimenticando per un attimo tutto il resto.
Jane era davvero bella, pensava mentre la ragazza gli prendeva le mani e volteggiava attorno a lui.
Okay, non era quel tipo di bellezza eterea da togliere il fiato.
Era molto piccola di statura e aveva un fisico mingherlino e nodoso.
Aveva il naso leggermente aquilino e non si preoccupava di sfoltirsi le sopracciglia nere.
Però la sua era una bellezza diversa, che veniva dall’interno: il modo in cui rideva, l’espressione intensa dei suoi occhi, la leggerezza dei movimenti, il suono a un tempo dolce e squillante della sua voce.
Quasi gli dispiacque quando il pezzo finì e Harry venne nella loro direzione, chiedendo di poter parlare in privato con lei.
Anche Jane sembrava contrariata, ma seguì comunque il ragazzo all’esterno.
Edmund stava per tornare a sedersi, quando venne intercettato di nuovo da Lucy.
−Posso ballare il prossimo pezzo con te? – chiese speranzosa.
Il ragazzo le sorrise, poi si lasciò di nuovo guidare verso la pista.
 
***
 
Susan non ce la faceva davvero più.
Le sembrava di vivere nei panni di un’altra, quella sera, osservando i festeggiamenti di una famiglia che non era la sua.
Osservava sua madre e Charlie muoversi tra la folla, entrambi bellissimi e radiosi, mentre la gente si complimentava con loro.
Ovunque c’era aria di allegria.
Come avrebbe dovuto chiamarlo d’ora in poi?
Papà?
O solo Charlie?
Negli ultimi giorni, Susan aveva atteso con ansia notizie dal suo vero padre.
È vero, da quando la ragazza aveva deciso di studiare la magia, Philip Pevensie aveva troncato definitivamente ogni rapporto con lei, andando a formare a sua insaputa una nuova famiglia.
Ma almeno avrebbe potuto farsi vivo, una volta saputo che la sua ex moglie si era finalmente risposata.
O no?
Di certo, suo padre non era mai stato un cuor di leone.
Non aveva voluto prendersi le sue responsabilità con la morte di David, chiudendosi nel suo silenzio e fregandosene di tutto il resto.
Forse, se suo fratello non se ne fosse mai andato, tutto questo non sarebbe mai successo e in quel momento sarebbero stati ancora insieme, una famiglia felice.
Ma era davvero così, poi?
Anche quando le cose sembravano andare per il verso giusto, Philip non era mai stato un padre molto presente.
Tornava sempre stanco dal lavoro e non voleva sentir volare una mosca in casa.
Trascurava la moglie, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di accontentarlo, ed era eccessivamente severo con i figli.
Soprattutto con David, il più discolo dei quattro, non era difficile vederlo assestare qualche scapaccione.
Forse era stata proprio la paura di una sgridata coi fiocchi a far allontanare il bambino da casa, sette anni prima.
Susan ricordava quel giorno come se fosse ieri.
David stava giocando a pallone in casa, tanto per cambiare, e aveva distrutto uno dei preziosi vasi della mamma.
Conoscendo bene le sfuriate di Philip, Susan lo aveva strigliato ben bene e David, intimidito e spaventato, era scappato con rabbia a nascondersi nel giardino.
Da lì era completamente sparito.
Nessuno l’aveva più rivisto, né vivo né morto.
Alhena Black, una strega squilibrata quanto sanguinaria, lo aveva scelto come sua prossima vittima.
Proprio come era avvenuto con Edmund, strappato dalla sua famiglia quando era ancora in fasce.
Susan si morse il labbro con rabbia.
Sapeva che lei sarebbe stata in grado di evitare quella tragedia.
Se solo quel pomeriggio avesse accantonato la sua rabbia per andare a cercare suo fratello, invece che lasciarlo uscire così, allo sbaraglio, e non preoccuparsi di lui fino al calare del sole…
Non è colpa tua, prese a ripetersi disperatamente.
Levò lo sguardo verso Edmund, che girava in tondo tenendo Lucy tra le mani.
La bambina strillava e rideva, incitandolo ad andare più forte.
Il ragazzo non poteva essere più diverso da David.
No, pensò Susan, Edmund non avrebbe mai preso il suo posto, per quanto fosse la persona più adorabile di questo mondo.
In quel momento, una voce pettegola la riscosse dai suoi pensieri.
Era zia Alberta, di ritorno dalla toilette in compagnia di una zia di Charlie che Susan non conosceva.
Tecnicamente, non avrebbe dovuto nemmeno conoscerla sua zia.
−Oh, Celestine, sono così felice che mia sorella abbia conosciuto suo nipote! – stava dicendo la vecchia arpia in tono melodrammatico. – Sapeste con che razza di bruto si era sposata, la poverina! Un certo Philip Pevensie, un ferroviere. Ma dico! Quel tipo non mi è mai piaciuto neanche un po’. Rozzo da morire e secondo me era anche un poco di buono. Ma lo sa che il ragazzo moro, quello con i capelli corti, non è figlio loro? Lo hanno adottato la scorsa estate. Pare che abbia subìto dei maltrattamenti, sì, una storiaccia. Sì, avevano un altro bambino dell’età di questo qua. David, si chiamava. È morto a dieci anni in circostanze misteriose. Non si è mai capito che cosa sia successo, ma conoscendo Philip non escludo che ci sia dietro qualche fattaccio che mia sorella non avrà mai il coraggio di raccontare. Ora la mia preoccupazione è Susan, la grande. Anche lei si è trovata un poco di buono, lo sa? Oggi, mentre preparavo il pranzo, mi ha aggredita senza motivo.
Zia Alberta si concesse una pausa teatrale, fingendo di essersi accorta di Susan solo in quel momento.
–Oh, eccoti qua, zuccherino – disse sfoderando un sorriso perfido.
−Sei solo una vecchia e invidiosa megera! – sibilò la ragazza con rabbia. – Me la pagherai per tutte le cattiverie che continui a sparare sulla mia famiglia!
Detto questo se ne andò di corsa, lottando contro gli occhi che le bruciavano in maniera insopportabile.
Non voleva darle la soddisfazione di vederla piangere a causa sua.
Sentì chiaramente sua zia che diceva:
−Visto? Completamente assuefatta da quel Caspian, la poverina… − prima di uscire finalmente all’esterno.
La pioggia aveva smesso di cadere e la temperatura si era abbassata di parecchi gradi.
La pallida falce di luna e le luci dei lampioni facevano brillare la vegetazione ricoperta di rugiada.
Rabbrividendo per il freddo, Susan si addentrò nel parco, lasciando che le lacrime trovassero la loro via di uscita.
Camminava a passo spedito per i sentierini ghiaiosi, soffocando singhiozzi di rabbia e di dolore ogni volta che i suoi piedi quasi completamente nudi incontravano qualche sassolino.
In pochi minuti, l’orlo del suo vestito fu completamente intriso d’acqua e fango, ma lei sembrò non accorgersene neppure.
Camminò per un tempo interminabile, fino a quando non udì due voci familiari provenire da una radura.
−Tutte le notti faccio lo stesso sogno. Sto camminando in un corridoio sotterraneo e di colpo mi trovo davanti a una porta chiusa. Vorrei aprirla, ma non ci riesco. Poi mi sveglio di colpo tutto sudato, con la cicatrice che mi fa male – stava dicendo Harry.
−Non mi piace, fratello, non mi piace neanche un po’ – rispose Jane a bassa voce. – Se la cicatrice ti fa male, vuol dire che in qualche modo c’entra Voldemort. Qualsiasi cosa sia, cerca di scacciarla.
−Lo so, ma il fatto è che…sono curioso. Un po’ come te l’anno scorso, no? Non sei stata tu a sognare Edmund, prima di scoprire che il ragazzo esiste davvero?
−Ssst, abbassa la voce. Sta arrivando qualcuno.
Ci fu un trambusto di passi affrettati sulla ghiaia, poi i volti dei due gemelli apparvero tra la vegetazione, debolmente illuminati dalla luce dei lampioni.
−Oh, sei tu, Susan – disse Jane con un sospiro di sollievo. Poi, notò il suo volto striato di lacrime e di mascara. – Che cosa è successo?
La fecero accomodare su una panchina nella radura.
Harry le porse la sua giacca, mentre sua sorella cercava di calmarla.
Susan raccontò tutto, sfogando finalmente la sua rabbia.
−La odio, quella donna! – singhiozzò la ragazza. – È venuta fin qui per rovinare tutto!
In quel momento, si udì un rumore di cespugli spostati e, dopo pochi attimi, dall’oscurità saltò fuori Edmund.
−Oh, eravate qui! – esclamò il ragazzo con un sospiro di sollievo. – Vi ho cercati dappertutto. Mi hanno mandato a chiamarvi perché tra poco c’è la torta.
−Arriviamo subito, Ed – disse Susan asciugandosi frettolosamente il viso con il gomito.
−Di che cosa stavate parlando? – squittì improvvisamente una voce pettegola alle loro spalle.
Tutti trasalirono all’unisono, ma nessuno riuscì a superare l’espressione esasperata che assunse Edmund in quel momento.
–ANCORA TU? – ruggì furibondo.
Eustace balzò fuori dai cespugli.
–Qualche problema? – domandò gonfiando il petto come un tacchino. – Di sopra mi stavo annoiando. La musica è troppo alta per i miei gusti.
−E così hai pensato bene di venire a rompere le scatole a noi, giusto? – ribatté l’altro con stizza.
−Sai una cosa, cugino? Non mi sei per niente simpatico. Anzi, direi che sei proprio un asociale disadattato, per quanto non possa biasimarti per il tuo passato. Da quando sono arrivato, non fai altro che trattarmi male, come se fossi stupido. E, credimi, questo non è l’atteggiamento giusto da avere con i parenti più stretti, specie se sono ospiti a casa tua. Perché io, che ti piaccia o no, faccio parte della tua famiglia.
−SMETTILA!
Edmund era talmente arrabbiato che i suoi occhi erano diventati più scuri che mai.
Faceva quasi paura.
−E non ho finito! Sei anche un bruto, proprio come lo zio prima di Charlie. Si vede a un miglio di distanza che ti piace Jane, anche se non è tutta questa bellezza, e non hai nemmeno il coraggio di ammetterlo in pubblico…
−ORA BASTA! – rapido come un serpente, Edmund scattò in avanti, afferrando Eustace per il bavero, la bacchetta premuta contro la gola.
Nello stesso istante, tutte le luci del parco si spensero contemporaneamente, lasciando i ragazzi nell’oscurità più totale.
−Oddio, è pazzo! – strillò l’altro. – Aiuto! AIUTO!
−Eustace, zitto! – si udì la voce di Jane sibilare nell’oscurità. – Mollalo, Ed. Ho detto mollalo!
Con riluttanza, Edmund lasciò andare il cugino.
−Sei stato tu a spegnere le luci? – chiese Susan nervosamente.
−Che cosa? No, io volevo solo…
−Lo sai che non possiamo usare…quella fuori da scuola, vero? – incalzò Harry.
−Ma io non volevo usarla! Volevo solo spaventarlo un po’ – ribatté Edmund.
−Sei sicuro, Ed? Guarda che è facile perdere il controllo, specie all’inizio. Mettila via, ti prego! – implorò Susan.
−No, non metterla via – era la voce di Harry, molto diversa dal tono di prima.
    Improvvisamente, il ragazzo si era fatto guardingo.
Anche Jane era in allarme, armeggiando febbrilmente con la sua borsetta mentre si gettava intorno occhiate impaurite.
−Che diavolo volete farmi? Perché siamo tutti al buio? Oddio, aiuto! Mamma! MAMMA!
−State tutti vicini! – esclamò Jane. – Tenete le bocche chiuse!
La temperatura si era fatta improvvisamente fredda, troppo fredda per essere agli inizi di agosto.
Dense nuvolette di vapore si sollevavano al ritmo con il loro respiro.
La notte sembrava più buia che mai, come se anche la luna e le stelle fossero state inghiottite dall’oscurità.
−Che cosa sta succedendo? – chiese Susan spaventata.
Di colpo, avvertiva le sue angosce schiacciarla come una lapide.
Immagini terribili dal passato affiorarono nella sua mente, senza che ella potesse fare nulla per scacciarle.
Susan, dov’è David?
Non lo so, ma vedrai che appena sentirà le prime gocce tornerà a casa.
Tornerà a casa…
−ESIGO DELLE SPIEGAZIONI! – continuava a sbraitare Eustace. – VOI SIETE DEI PAZZI E VIOLENTI, ECCO CHE COSA SIETE! AIUTO, AIUTO!
−EUSTACE, CHIUDI QUELLA BOCCA! – ruggì Harry spaventato, premendogli una mano sulle labbra.
Il ragazzino si divincolò con la furia di una belva in gabbia e si dileguò tra gli alberi.
−NON DEVE ALLONTANARSI! – esclamò Jane.
−Vado io! Tu tieni la bacchetta pronta, qualsiasi cosa accada – ordinò Harry lanciandosi al suo inseguimento.
−Ma che succede? – chiese Susan sul punto di mettersi di nuovo a piangere.
Al suo fianco, avvertiva il respiro affannoso di Edmund.
−Dissennatori!
−Dissenna…che?
Susan non seppe mai la risposta.
Un urlo atroce lacerò l’aria: Eustace.
Un attimo dopo, un bagliore argenteo illuminò a giorno la radura, mentre un enorme cervo perlaceo si librava alto tra gli alberi, colpendo forte qualcosa che si contorceva sibilando.
Fu lì che Susan vide per la prima volta il demone.
Alto quasi tre metri, completamente ricoperto da un mantello grigio e logoro, il Dissennatore protendeva in avanti le mani putride, mentre il cervo tornava a colpire.
Un attimo dopo, tutto ritornò buio.
Dall’oscurità era emerso un altro Dissennatore, il silenzio rotto solo dal rantolo sordo che era il suo respiro, gettandosi sui ragazzi con gli artigli protesi.
Susan urlò e si gettò a terra, coprendosi il volto con le mani.
Tutto attorno a lei era dolore e disperazione, come se tutta la felicità del mondo fosse stata improvvisamente risucchiata via.
−NO! LASCIALOOOOOO! – le urla di Jane si sommarono a quelle di Edmund, che era stato scagliato a terra dalla creatura.
Susan si costrinse a guardare.
Il ragazzo era disteso sulla schiena, gli occhi serrati, con le mani putrefatte del Dissennatore strette attorno alla gola, mentre un’impercettibile aura trasparente si staccava dal suo corpo per sparire dritta nel cappuccio del demone: la sua anima.
Edmund urlava e scalciava come se fosse di nuovo sotto la Maledizione Cruciatus, graffiando il terreno fino a sanguinare.
EXPECTO PATRONUM! – gridò Jane levando la bacchetta.
Subito un gigantesco pegaso argenteo si staccò dalla punta, galoppando contro il Dissennatore e impennandoglisi contro, le grandi ali che sbattevano con rabbia.
Il demone incespicò a cadde, mentre il Patronus continuava a infierire su di lui con i denti e gli zoccoli, fino a quando non ebbe la meglio.
Il Dissennatore scomparve nel nulla e, improvvisamente, nella radura tornarono a brillare le luci dei lampioni e delle stelle.
−Che…che cos’era? – domandò Susan, inzaccherata da capo a piedi.
Ma Jane non l’ascoltava.
Era crollata in ginocchio accanto a Edmund, cercando in tutti i modi di farlo riprendere dallo shock.
Il ragazzo era pallido come un cadavere e sudava freddo, gli occhi chiusi e il respiro affannoso.
−È tutto finito, Ed, tutto finito… − sussurrò Jane stringendolo a sé.
Susan si sedette al suo fianco, decisa a darle manforte, quando un improvviso scricchiolio attirò la loro attenzione.
Qualcuno stava venendo nella loro direzione.
Qualcuno che non era Harry.
−Stai giù e tieni la bacchetta pronta! – ordinò Jane balzando in piedi e levando la sua.
Lo Schiantesimo stava quasi per colpire, quando il volto di Caspian emerse tra gli alberi.
−Che cosa vi è saltato in mente? – esclamò questi sconvolto. – Andarvene per boschi da soli in piena notte! Ho visto il Patronus e… − lo sguardo cadde su Susan ed Edmund.
Il giovane si accovacciò al loro fianco.
Susan gli gettò d’istinto le braccia al collo, scoppiando in un pianto silenzioso.
−Dove sono Harry e Eustace? – chiese lui nervosamente.
Come a rispondere alla sua domanda, tra gli alberi si udirono una serie di imprecazioni poco gentili, fino a quando il ragazzo non comparve nella radura, trascinando malamente Eustace, che teneva la testa appoggiata contro la sua spalla e borbottava parole senza senso.
−Non voglio…non voglio… − continuava a farfugliare.
−Roba da matti! – esclamò Harry furibondo. – Dissennatori qui dentro, in un posto pieno zeppo di Babbani!
−Come sarebbe a dire Dissennatori? – chiese Caspian sgranando gli occhi.
−Due, per l’esattezza – precisò Jane. – Pensavi forse che ci fossimo messi a evocare Patronus per divertirci?
−Certo che no! Ma in ogni caso avete…
Caspian si bloccò di colpo.
Un fruscio sinistro proruppe nella semioscurità.
Il giovane Von Telmar si levò in piedi silenziosamente, la bacchetta levata, pronto a proteggere i ragazzi da qualunque cosa stesse strisciando verso di loro.
Poi, improvvisamente, dai cespugli emerse l’ultima cosa che si sarebbero aspettati in quel momento.
La luce della sua bacchetta illuminò per pochi attimi i loro volti.
−Caspian Von Telmar? – chiese la voce di una giovane donna.
Era una ragazza sui vent’anni, con due grandi occhi neri e vispi.
Indossava un lungo mantello da viaggio e, cosa difficilissima da non notare, aveva i capelli di un color rosa acceso.
−Ci conosciamo? – chiese il ragazzo sospettoso.
−Piacere, mi chiamo Tonks – rispose lei facendogli l’occhiolino. – Sono qui per ordine di Albus Silente.
 
 
 
 
Buongiorno a tutti! :) Come state?
Sono un po' preoccupata per il calo di recensioni avuto nell'ultimo capitolo...Spero che questa storia non si riveli un flop!
Ringrazio comunque tutti coloro che stanno continuando a leggere e inseriscono questa fanfiction nelle preferite/seguite/da ricordare.
Un ringraziamento particolare va a Joy_10 per tutti i consigli e gli incoraggiamenti che mi sta dando in questi ultimi mesi. Sei un'amica fantastica! <3

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina ufficiale di Facebook, dove potrete trovare tutti gli aggiornamenti in tempo reale, oltre che a foto e indiscrezioni: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Ci vediamo di martedì prossimo, con il nuovo capitolo e gli auguri di Natale!
Un abbraccio.

F.



 
 

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Capitolo 4
*** L'Ordine della Fenice ***



 


CAPITOLO 4

L’Ordine della Fenice

~
 
 

 
 
 
 
Caspian rimase interdetto per diversi attimi,  fissando con aria sospettosa le dita tese di Tonks emergere dai guanti di pelle.
Dietro di lui, i Potter non volevano accennare ad abbassare le bacchette.
–Come faccio ad essere sicuro che stai dicendo la verità? – chiese il ragazzo stringendo gli occhi neri a due fessure.
–La nostra presenza dovrebbe bastarti, giovanotto – rispose una voce burbera e familiare nell’oscurità, sufficiente a far accapponare la pelle a Jane.
La ragazza non si sarebbe mai abituata facilmente a considerare Malocchio Moody uno dei loro alleati più preziosi, non dopo che un Mangiamorte aveva preso le sue sembianze per un anno intero.
Alla pallida luce dei lampioni, il vecchio Auror sembrava ancora più brutto di come lo ricordava, con il volto segnato da orrende cicatrici e il gigantesco occhio magico che saettava in tutte le direzioni.
Dietro di lui, Remus Lupin, uno dei professori di Difesa Contro le Arti Oscure più amati della storia di Hogwarts, marciava a bacchetta levata, seguito a ruota da un mago nero vestito con un lungo mantello blu.
–Tutto a posto, ragazzi? – chiese il primo con la sua solita voce stanca.
–Siamo stati attaccati da due Dissennatori. Come dovremmo sentirci? – rispose Harry furioso.
–Avremmo potuto evitarlo – ringhiò Tonks. – Se non fosse stato per quella carogna di Monudungus…
–Calmati, Ninfadora – cercò di placarla Lupin.
–NON CHIAMARMI NINFADORA! – esclamò lei con stizza. Con grande stupore dei presenti, i suoi capelli divennero all’istante di un rosso fuoco. – Mondungus era di turno stanotte, aveva preso l’impegno! Come gli è saltato in testa di Smaterializzarsi così, da un momento all’altro, magari per sbrigare l’ennesimo affare di dubbia legalità? Non pensava che forse era proprio quello il momento che i Mangiamorte aspettavano per attaccare?
–Che cosa? Non vorrete dire che ci stavate spiando, spero! – intervenne Harry inviperito.
–Ordini di Silente, Potter. C’è poco da discutere – disse Moody in tono sbrigativo.
–Oh, certo! Non faccio altro che ricevere ordini da lui dall’inizio dell’estate, ma nessuno si prende mai la briga di dirmi che cosa succede!
–Harry, non è il momento di fare scenate, d’accordo? – intervenne Lupin. – Dobbiamo andare tutti all’hotel. Ci sono dei feriti di cui occuparci – soggiunse indicando Eustace ed Edmund, che avevano assunto un allarmante colorito cadaverico.
Il mago nero, che rispondeva al nome di Kingsley, afferrò Eustace, che gli crollò addosso come un peso morto, continuando a piagnucolare sottovoce.
Lupin, invece, si chinò su Edmund.
–Va tutto bene, Jane – la rassicurò dopo avergli sentito le pulsazioni. – La sua anima è al sicuro.
La ragazza annuì nervosamente, gli occhi ancora sgranati dal terrore, aiutando il professore a rimettere in piedi il ragazzo.
La sua testa le ciondolò sulla spalla nel momento in cui lo rimisero in piedi.
–Fateci strada – ordinò Moody.
Harry guidò il drappello alla volta dell’hotel, seguito a ruota dagli altri.
Caspian sorreggeva Susan per le spalle, il volto pallido ancora rigato dalle lacrime.
–Come hanno fatto quei Dissennatori a venire fin qui? – chiese Jane rivolta a Lupin.
–Non lo so, ma sicuramente c’è la mano di qualcuno dietro questa storia – rispose cupamente il professore. – Se Caramell non si decide a prendere sul serio la nostra causa, scene come questa potrebbero ripetersi altre volte.
–Che cosa?
–Non hai letto gli ultimi numeri della Gazzetta del Profeta? – chiese Tonks, che li aveva raggiunti a grandi passi.
–Ehm, no. Per ordine di Silente, io e Harry siamo rimasti un tantino isolati nelle ultime settimane – si schermì Jane.
–Ah, bene – fece Tonks. – Allora preparatevi, perché non riceverete notizie piacevoli.
–Era proprio quello che avevo bisogno di sentirmi dire – sospirò la ragazza in tono funereo.
–Non ti perdi mai d’animo, eh?
–A quanto pare. Piuttosto, tu, come fai a cambiare il colore dei capelli così velocemente?
–Sono una Metamorfostrega – rispose Tonks allegramente. – Non siamo in molti, a dire il vero. Riesco a cambiare aspetto quando e come voglio, anche se non mi piace esagerare. Più che altro, lo faccio per ridere. Senza contare che, visto il lavoro che faccio, la capacità di trasformarsi senza ricorrere ogni volta alla Pozione Polisucco può essere davvero di grande aiuto. Pensa che, quando ho dovuto dare l’esame di Camuffamento, non ho neppure studiato!
–Non dirmi che sei un Auror! – esclamò Jane ammirata.
–Risposta esatta! – disse Tonks facendole l’occhiolino.
In quel momento, il gruppo arrivò alla volta dell’hotel, che brillava illuminato a giorno dalle luci dei lampioni che danzavano sulla sua facciata di un bianco perfetto.
Il loro ingresso non fu dei più trionfali.
In molti nella grande sala ricevimenti, vedendo quella compagine di persone così male assortite, lanciarono urla, in particolar modo le vecchie zie imbellettate di Charlie; ma nessuna voce riuscì a eguagliare quella di zia Alberta.
–EUSTACE! – strillò la donna strappandolo letteralmente dalle mani di Kingsley e adagiandolo sul pavimento. – IL MIO BAMBINO, IL MIO BELLISSIMO BAMBINO!
–Signora Scrubb, si calmi! – cercò di intervenire Caspian. – Ѐ tutto a posto…
Nel sentire la sua voce, gli occhi di zia Alberta si tinsero di una luce rossastra.
–Tu! – esclamò inviperita, puntandogli contro l’indice ossuto. – Tu, bruto, hai aggredito mio figlio!
–Ma cosa dice? No, assolutamente no! – si difese Caspian costernato.
 –Zia, ha ragione lui! – intervenne Susan. – Siamo stati aggrediti.
Un coro di mormorii percorse la sala in lungo e in largo.
Ron, Hermione e Neville corsero subito incontro ai gemelli, facendosi raccontare tutto per filo e per segno, senza curarsi che la maggior parte dei presenti non avrebbe afferrato il senso della parola “Dissennatore” e li avrebbe presi per pazzi.
I Pevensie, invece, si affrettarono a raggiungere Susan e Caspian, difendendoli dalla valanga di insulti con cui li stava investendo la zia Alberta.
Albert, dal canto suo, era chino su Edmund, che, al contrario di Eustace, sembrava non voler rinvenire.
–Eustace, Eustace! – stava singhiozzando istericamente la zia Alberta, il volto del figlio ormai completamente fradicio per le lacrime. – Di’ qualcosa, ti prego, di’ qualcosa alla tua mamma!
–Aspetti, ci penso io – intervenne in quel momento Albert, arrivando con una tazza di cioccolata fumante.
Istruito da Jane e Lupin, infatti, il dottor Collins aveva preso le redini della situazione, ben sapendo che Alberta Scrubb non avrebbe permesso a nessun altro di toccare suo figlio.
Si chinò sul ragazzo, facendogli scivolare nelle labbra ceree una buona quantità di bevanda calda.
Subito, Eustace riprese un poco del suo solito colorito rosa maiale.
–Tesoro mio, guardami! – strillò sua madre afferrandolo per le guance e costringendolo a fissarla dritta negli occhi. – Di’ qualcosa, ti prego!
Eustace sbatté un paio di volte le palpebre, poi borbottò piano: – Il ragazzo…
–Chi, chi ti ha aggredito?
Il ragazzo fece un debole tentativo di divincolarsi.
–Quello con gli occhiali… – disse con fatica. – Anche lui…ha quella cosa lì. L’ho visto.
A quelle parole, zia Alberta divenne di un allarmante color terriccio.
I suoi piccoli occhi neri passarono in rassegna ogni invitato presente all’interno della sala, ben sapendo di avere tutti i loro sguardi fissi su di lei.
Sembrava improvvisamente terrorizzata, come se qualcuno potesse puntarle il dito addosso e insultarla pesantemente per chissà quale atto vergognoso.
–Bene, – disse riacquistando il solito sorriso falso – credo che ora noi andremo all’ospedale, non è vero, Eustace? Su, tesoro, in piedi!
–No! – per la prima volta nella loro vita, i Pevensie lo videro opporsi a sua madre.
–Che cosa hai detto? Devi aver battuto la testa… – obiettò zia Alberta, la voce che suonava sempre più nervosa.
–Non ci vengo all’ospedale con te! – gridò Eustace.
Ormai, nessuno nella sala nutriva il dubbio che il ragazzo avesse completamente ripreso conoscenza.
–Sto bene, davvero – aggiunse Eustace, riuscendo a mettersi seduto da solo.
–Eustace Clarence Scrubb, ho detto vieni subito via con me! – sbraitò di rimando zia Alberta, perdendo immediatamente il tono mieloso di prima, la pelle di un allarmante colore giallognolo.
Il ragazzo stava per ribattere per l’ennesima volta, quando un ammasso di piume color topo attraversò a volo radente l’intera sala e atterrò maldestramente sul tavolo del buffet, scagliando a terra una buona quantità dolci e scatenando il panico tra i presenti.
–State indietro! – ordinò Moody avanzando a grandi passi verso il volatile e afferrando la busta di pergamena legata alla sua zampa. – Signori Potter, credo sia per voi – disse allungandola ai gemelli.
Harry afferrò la lettera con le mani che gli tremavano per l’eccitazione, aprendola e iniziando a leggere febbrilmente insieme a Jane.
Con suo sommo orrore, non erano affatto i chiarimenti di Silente che attendeva con così tanta impazienza.
Era un ordine di espulsione da Hogwarts per aver praticato un Incanto Patronus davanti a dei Babbani.
–Ѐ uno scherzo, vero? – esclamò Jane con voce stridula. – Non possono averci espulsi! Stavamo cercando di salvarci la vita!
Harry restò in silenzio.
Fissava la lettera con gli occhi sbarrati, pallido come un cadavere.
Non era possibile, aveva ragione Jane, era tutto uno scherzo…
Cosa avrebbero fatto, ora che le porte del mondo magico si erano definitivamente chiuse per loro?
Avrebbero vissuto come degli emarginati, rischiando di fare la fine di Hagrid?
–Verranno a distruggerci le bacchette! – soggiunse sua sorella indicando l’ultima riga del messaggio. – Non possiamo permetterlo! Dobbiamo andarcene subito di qui!
Come a rispondere alle sue parole cariche di panico, un altro gufo entrò da una finestra aperta e atterrò davanti ai due gemelli.
La grafia sottile e leggermente obliqua che contrassegnava la busta appesa alla sua zampa fu sufficiente a indovinare chi l’avesse inviata.
–SILENTE! – esclamarono all’unisono i due ragazzi.
Ma il loro momentaneo sollievo svanì nel momento esatto in cui lessero il lapidario messaggio contenuto all’interno:
 
Restate dove siete.
 
–Ah, ma grazie! – tuonò Jane, più pallida che mai. – Ѐ sempre di grande aiuto, il nostro Preside.
–Jane, vedrai che tutto si sistemerà – cercò di calmarla Lupin. – Non ci muoveremo di qui finché non sarà necessario e faremo di tutto per difendervi dagli uomini del Ministero.
La ragazza annuì nervosamente, stringendosi a Harry con tutte le sue forze.
Nella sala era calato un silenzio di tomba.
Tutti i presenti si scambiavano sguardi interrogativi, senza capire quello che stava accadendo.
Gli Auror continuavano a scoccarsi occhiate esasperate tra di loro, consci che quella notte avrebbero avuto almeno una cinquantina di memorie da modificare.
Improvvisamente, un nuovo frullare d’ali annunciò l’arrivo del terzo gufo.
–Buone notizie, ragazzi! – esclamò Peter, che era stato il primo a raggiungere la lettera.
–Siamo stati scagionati? – chiese Jane in tono speranzoso.
–No, ma siete stati convocati per un’udienza al Ministero per il 12 agosto.
–Ma è uno scandalo! – intervenne Albert con gli occhi sbarrati. – Processare dei ragazzi di quindici anni come dei criminali qualunque…mai sentita una cosa del genere nel mondo civile!
–Non se il capo del governo si chiama Cornelius Caramell, il più grande imbecille che abbia mai occupato quella poltrona – ghignò Moody in tono amaro.
–Cornelius Caramell? Ma si può sapere in che epoca vivete? Siete tutti pazzi, qui dentro! – esclamò zia Alberta, ormai completamente fuori di sé.
–Nel mondo dei maghi, mia signora – ribatté l’Auror puntandole addosso entrambi gli occhi.
L’effetto fu così grottesco, che la donna lanciò un grido di terrore.
–Maghi come suo figlio, che a quest’ora dovrebbe studiare a Hogwarts insieme a questi ragazzi – proseguì Moody.
–Che cosa sta insinuando? Come si permette di definire Eustace un…
–…un ragazzo dotato di poteri magici proprio come i suoi nipoti? – disse in quel momento una voce antica e profonda dal fondo della sala.
I gemelli Potter non riuscirono a trattenere il tuffo al cuore che mozzò loro il fiato in gola nel preciso istante in cui scorsero Albus Silente farsi strada tra i presenti, che lo fissavano allibiti. In fondo, non si poteva dar loro torto, visto che la barba argentea e la lunga veste viola del vecchio mago sembravano decisamente fuori luogo in un hotel di lusso alla periferia di Londra.
Lei? – squittì zia Alberta facendosi piccola piccola.
–Ѐ un piacere rivederla di nuovo, signora Scrubb – la salutò cortesemente il Preside di Hogwarts.
–Che cosa? – esclamò Susan esterrefatta. – Voi…voi vi conoscete?
–Ho avuto il piacere di incontrare tua zia qualche anno fa, quando una lettera di Hogwarts restò senza risposta – spiegò Silente con calma. – A volte capita, quando arriva la richiesta di iscrizione per i bambini nati in un contesto completamente privo di magia. In quel caso, una visita da parte mia è necessaria a dimostrare che non si tratta di una truffa, anche se so che non è facile risultare convincenti.
–Un momento! – intervenne Eustace furibondo. – Io non sapevo di essere stato ammesso in questa scuola!
–Silenzio, Eustace – lo redarguì seccamente sua madre. – Ricordati che, fino a quando non compirai diciotto anni, sarai sempre sotto la tutela dei tuoi genitori. Come potevamo mandarti in quella scuola persa tra le montagne della Scozia, senza poterti vedere per mesi e mesi, rinunciando alla tua brillante carriera da studente negli istituti privati più prestigiosi di Londra?
–E se io avessi voluto andare proprio in quella scuola?
–Oh, sciocchezze! Certo che non avresti voluto. Tuo padre ed io abbiamo preferito risparmiarti il rischio di una scelta infruttuosa. In fondo, avevi solo undici anni. E poi, come potevamo mandarti in giro da solo, con tutti i tuoi problemi di salute?
–O, per una buona volta, piantala con questa cazzata!
–EUSTACE! Chiedi subito scusa!
–Scusa un cazzo! Non so che cosa mi abbia aggredito di preciso, ma, di colpo, ho ricordato tutto, di come ho iniziato a spostare oggetti senza toccarli o addirittura a farli esplodere, di come le maestre e i compagni mi additavano per le mie stranezze, di tutte le visite mediche e le conseguenti torture a cui quei pazzi in camice bianco mi hanno sottoposto per anni. Non sono malato, la mia era magia! E voi non avete fatto altro che soffocarla in tutti i modi, imbottendomi di farmaci per tutta la vita! Siete stati voi a farmi ammalare, a forza di drogarmi. Ma ora basta. Sono ormai abbastanza grande e voglio andare a studiare a Hogwarts.
–Tu non andrai mai in quella scuola di svitati, hai capito? Tu resti qui con me!
–Per colpa tua, ho perso ciò che volevo fare davvero nella vita!
–Ah, sentiamo! Volevi distruggere il tuo futuro per quattro trucchi di magia?
–Ebbene sì! Sicuramente risulterei più simpatico. Sono sicuro che il dottor Collins sia d’accordo con me – Eustace raggiunse Albert a grandi passi, estraendo dalla tasca il flaconcino trasparente con la sua medicina. – Ecco, queste sono le schifezze che prendo tre volte al giorno da ormai sei anni – disse in tono amaro.
 Il dottore soppesò il flaconcino, fissando il ragazzo con gli occhi sbarrati.
–Psicofarmaci? – esclamò esterrefatto.
–Ebbene sì.
 Albert scoccò ad Alberta un’occhiata di fuoco.
–Mi meraviglio di lei, una donna che si ritiene così attenta verso il proprio figlio – disse in tono severo. – Mi reputo una persona responsabile e assennata, tuttavia non ho opposto resistenza quando ho scoperto che Jane era dotata di poteri magici. Non sta a me soffocare la vera natura dei miei figli, tantomeno quando è in ballo la loro stessa sopravvivenza. Ciononostante, non credo che la cosa mi abbia privato del mio titolo di primario o abbia peggiorato il mio modo di operare. Ѐ tutta una questione di intelligenza e sensibilità. E vuole sapere una cosa? In quanto medico, non tollero quei pazienti che si fanno le diagnosi da soli. Allora, perché ostinarsi a venire da noi?
La zia Alberta ascoltò il rimprovero con gli occhi sbarrati.
Sembrava che dovesse scoppiare a piangere da un momento all’altro.
–Se mi avessi lasciato studiare come i Potter, questa notte avrei saputo difendermi dalla cosa che mi ha attaccato – incalzò Eustace. – Il che non mi sembra un vero e proprio gioco di prestigio.
–Il ragazzo ha ragione, signora Scrubb – intervenne Silente. – Proprio come avvenuto con la signorina Pevensie, all’epoca non volli insistere quando rifiutò di iscrivere Eustace nella mia scuola. Erano altri tempi, in cui la nostra comunità era in pace. Ora, però, le cose non stanno più così. Lord Voldemort, il più terribile stregone del secolo, è di nuovo in circolazione e può star certa che le sue prime vittime saranno proprio i figli dei Babbani. Eustace sarà mille volte più al sicuro tra le mura di Hogwarts, dove potrà imparare a difendersi.
–Tutte bugie. La sua è solo una scusa per spillare soldi a un’onesta famiglia di lavoratori.
–Bugie? – esclamò Harry, che ormai non sopportava più quella grottesca imitazione di zia Petunia.
Avanzò a testa alta verso di lei, sollevandosi la frangia in modo tale da far vedere bene la cicatrice a forma di saetta.
–Pensa che me la sia fatta tatuare, questa cosa? O che forse me l’abbia inferta Lord Voldemort in persona?
Nel vedere la ferita, zia Alberta lanciò l’ennesimo urlo. – Voi siete pazzi! – squittì.
–Pazzi o meno, la cosa non è dipesa da noi – ringhiò Harry.
–A proposito di Voldemort, – intervenne Silente rivolgendosi a Lupin – credo che non sia saggio per i Potter restare qui. Sirius vi sta aspettando al Quartier Generale.
–Perfetto, partiremo subito – annuì l’altro.
–Signor Weasley, signorina Granger, ovviamente è bene che anche voi seguiate i vostri amici.
–Sì! – esclamarono i due all’unisono, raggiungendo i gemelli a grandi passi.
–Dove andranno? – chiese Wendy preoccupata. – Non possono restare con noi, con l’udienza imminente?
–Mi dispiace, signora Collins. È una questione di sicurezza, per voi e per loro. Più tardi vi darò delle disposizioni più precise su come raggiungerli.
–E noi? – chiese Susan.
–Preferirei che restiate qui, accanto ai vostri genitori. Non vi preoccupate: il signor Von Telmar veglierà su di voi, come ha sempre fatto finora.
–Ci sentiremo presto – la consolò Jane, gettandole le braccia al collo.
–Non volevo che finisse così – disse l’amica tristemente.
–Abbi cura di Edmund anche da parte mia.
–Lo farò, te lo prometto.
I gemelli passarono a salutare gli altri invitati, tra un ringraziamento e una frase di scuse.
Il momento peggiore fu quando Jane dovette congedarsi dalla sua famiglia adottiva, che non voleva lasciarla andare per nessun motivo.
Wendy piangeva silenziosamente, mentre Albert stringeva la figlia in un caloroso abbraccio.
Dennis e Cecilia erano anche loro tristi e afflitti, lottando per non mettersi a piangere anche loro.
Per ultimo, Jane passò da Edmund, che giaceva ancora privo di sensi su un divanetto della hall.
–Stai tranquilla, mi occuperò io di lui. Se la caverà – la rincuorò Albert.
L’altra annuì piano; poi, senza neanche sapere perché, allungò un rapido bacio sulla fronte pallida del ragazzo.
–Spero di rivederti presto – disse piano, prima di sparire nella notte.
 
***
 
Il corteo di maghi procedeva a passo spedito, gli Auror che circondavano i ragazzi con le bacchette levate, scrutando l’oscurità attorno a loro.
–Su, non essere così triste – disse Tonks rivolta a Jane, stringendole dolcemente una spalla per farle coraggio.
La ragazza fece un gesto laconico con il capo, tenendo gli occhi bassi.
Avrebbe tanto voluto che quella serata andasse diversamente.
Era terrorizzata dall’idea di essere tagliata fuori per sempre dal mondo magico, ritrovandosi addirittura a dover lasciare la sua famiglia adottiva che tanto amava.
E se fosse dovuta fuggire, senza poter tornare più indietro?
Se le cose stessero ancora peggio di quello che sembravano?
–Vedrai che, non appena ritornerai nel tuo habitat naturale, ti sentirai subito meglio – proseguì la Metamorfostrega per farle coraggio. – Non sei da sola.
In tutta risposta, Jane strinse ancora più forte la mano a Harry, che camminava al suo fianco a passo spedito.
Stavano procedendo per i vialetti del parco dell’hotel, perdendosi tra gli alti alberi che nascondevano alla vista lo sfavillante edificio.
–Come ci arriviamo, al posto in cui dobbiamo andare? – chiese il ragazzo titubante.
–Volando, ovvio – rispose Tonks.
Si fermarono in cerchio in una piccola radura silenziosa.
Lupin agitò la bacchetta e dal nulla apparvero otto scope.
–Sceglietene una e montate sopra – disse con un sorriso stanco.
–Chissà come farà Ulisse senza di me – sospirò Jane mentre montava in sella alla sua Tornado Sette.
–Senza contare che abbiamo lasciato tutte le nostre cose in macchina – brontolò Harry.
–Silente provvederà a farvi avere i vostri effetti al più presto, non preoccupatevi – disse Kingsley.
–Basta con le chiacchiere, ora – intervenne Moody bruscamente. – Ci muoveremo in formazione compatta. Io e Lupin andiamo per primi, mentre Tonks e Kingsley si metteranno in coda. Voi ragazzi volerete al centro della formazione. Non fatevi neppure sfiorare dall’idea di abbandonare il vostro posto. Se qualcuno di noi viene aggredito o ucciso, gli altri devono continuare per la loro strada, chiaro?
–Sempre ottimista, Alastor – scherzò Tonks facendo l’occhiolino ai ragazzi.
–Pronti? – abbaiò Moody. – Via!
Tutte le scope si staccarono da terra, prendendo quota rapidamente e sparendo all’interno di un denso banco di nubi che si era abbassato all’orizzonte.
In pochi minuti, furono tutti zuppi da capo a piedi.
–Era proprio necessario? – gemette Tonks battendo i denti.
–Semplici accorgimenti di sicurezza – ringhiò Moody, continuando a volare come se niente fosse.
Quel viaggio rocambolesco sembrò durare un’eternità, cosa che in parte era vera, visto che Alastor continuava a deviare la direzione per paura di essere seguito dai Mangiamorte.
Finalmente, dopo quelle che parvero ore, le luci di Londra apparvero sotto di loro.
–Abbassiamoci! Direzione nord-ovest! – abbaiò Moody puntando la sua scopa verso il basso.
Gli altri lo seguirono a ruota, il vento gelido che penetrava fin dentro le ossa, mentre sparivano nel labirinto di case.
Stavano sorvolando una zona molto malfamata della città, piena di edifici cadenti e mucchi di immondizia agli angoli delle strade.
Tutto sembrava avvolto da una luce grigia e triste, come se quelle case non vedessero mai il sole.
Atterrarono in un tetro piazzale, di fronte a quello che un tempo doveva essere un fazzoletto di prato verde, ora un ammasso di cemento ed erbacce informi.
Nonostante in quel posto regnasse la desolazione più totale, Jane ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa fuori posto.
Osservò attentamente i numeri civici posti all’ingresso dei due enormi palazzoni dall’intonaco scrostato che aveva davanti.
Il primo recava in bella vista il numero 10, mentre il secondo passava direttamente al 14.
La ragazza sapeva bene che, quando in un paesaggio babbano mancava un particolare, era sempre indice della presenza di qualcosa di magico nelle vicinanze.
Lo stesso binario dell’Espresso di Hogwarts era nascosto tra due banchine della stazione di King’s Cross.
Moody fece un passo avanti e batté a terra per tre volte il suo nodoso bastone da passeggio.
I ragazzi sussultarono nell’avvertire un pesante boato, come se qualcosa di grosso si stesse spostando di lato.
Improvvisamente, i due palazzi presero ad accartocciarsi, come se fossero stati fatti di cartone, mentre nell’enorme buco lasciato tra loro prese forma un grande edificio di pietra nera, decorato con rifinitissimi gargoyles neogotici che li fissavano torvi dall’alto delle finestre.
Un brivido percorse la schiena di Jane, facendole salire quel leggero senso di nausea che negli anni aveva imparato a riconoscere.
–Siamo sicuri di essere nel posto giusto? – chiese titubante.
–Il segreto di un buon nascondiglio è andare nell’ultimo posto in cui il nemico penserebbe che ti andresti a cacciare – rispose seccamente Moody, spingendo i ragazzi ad avanzare.
Il drappello sparì all’interno del numero 12, ritrovandosi in uno stretto corridoio buio e polveroso.
A ogni passo nell’oscurità, il senso di nausea di Jane cresceva in maniera insopportabile.
C’era qualcosa di venefico che si annidava nella moquette lisa e nella carta da parati un tempo verde brillante, ora annerita dalla muffa, qualcosa che strisciava sinistro nella polvere che ricopriva ogni cosa.
La ragazza levò lo sguardo sui mobili tarlati e avvertì i peli delle braccia rizzarsi tutti insieme, come se fossero stati percorsi da una scarica elettrica.
Ai piedi delle scale, impilate in tante teche di vetro come una grottesca collezione di storia naturale, c’erano le teste di almeno una trentina di elfi domestici, che li fissavano con gli occhi tondi e vuoti, fissati per sempre in un’espressione di pura sorpresa.
Nel vedere quell’orrenda collezione, Hermione non riuscì a trattenere un gemito.
–Andate al piano di sopra, nelle vostre stanze – ordinò Moody. – Vi chiameremo non appena sarà finita la riunione.
–Quale riunione? – chiese Harry in tono sospettoso.
–Vi spiegheremo tutto dopo. Ora andate e, per l’amor del cielo, non toccate niente!
–Venite – incalzò Hermione, precedendo gli altri sulle scale scricchiolanti.
–Ma come gli è venuto in testa di rifugiarci qui? Questo posto pullula di Magia Nera! Se io fossi Voldemort, mi troverei perfettamente a mio agio – commentò Jane rabbrividendo.
–Appunto per questo Silente l’ha scelto come Quartier Generale dell’Ordine della Fenice. Tu-Sai-Chi non sospetterebbe mai una cosa simile e inoltre la casa è protetta da dei potenti incantesimi. Non riuscirebbe a entrare facilmente – rispose Hermione tutto d’un fiato.
–La tua onniscienza inizia a spaventarmi, Herm – commentò Jane. – Come fai a sapere tutte queste cose se non sei mai stata qui prima d’ora?
In tutta risposta, Hermione rallentò leggermente l’andatura, incurvando le spalle come se fosse imbarazzata.
–Ehm, a dire il vero io e Ron siamo già stati qui – disse a bassa voce.
–Cosa? E quando? – domandò Harry.
–Tutta l’estate.
–Ci state prendendo in giro, forse?
Hermione si voltò piano verso di lui, ma ormai era tardi per qualsiasi scusa. Avevano superato la soglia limite per far andare Harry su tutte le furie.
–CHE COS’Ѐ QUESTA STORIA? – prese infatti a sbraitare lui. – PERCHЀ VOI DUE SIETE STATI QUI PER TUTTA L’ESTATE, MENTRE IO E JANE SIAMO RIMASTI ISOLATI DAL MONDO PER ORDINE DI SILENTE, CON VOLDEMORT IN GIRO A DARCI LA CACCIA? CHI DI NOI QUATTRO L’HA AFFRONTATO L’ANNO SCORSO? CHI, IN TUTTI QUESTI ANNI, SE L’Ѐ SEMPRE VISTA CON LUI? AVREMMO PUR DIRITTO DI SAPERE CHE DIAVOLO STA TRAMANDO E COME POSSIAMO FARE PER FERMARLO, NO? BELLA GRATITUDINE, COMPLIMENTI! CONTINUATE A LASCIARCI IN QUESTO LIMBO TRA I BABBANI, DOVE TORNEREMO BEN VOLENTIERI UNA VOLTA ESPULSI DA HOGWARTS, IN ATTESA CHE VOLDEMORT ARRIVI E CI SCANNI…
Harry non riuscì a finire la frase.
L’improvvisa apparizione di Fred e George, i due fratelli gemelli di Ron, per poco non lo fece ruzzolare giù dalle scale.
–Ciao, Harry – lo salutò Fred in tono cordiale.
–Abbiamo sentito i tuoi toni soavi mentre provavamo a spiare la riunione, perciò abbiamo pensato che fossi qui… – proseguì George disinvolto.
–Che diavolo stavate facendo, voi? – chiese Ron.
–Orecchie Oblunghe, bello – rispose Fred estraendo dalla tasca dei jeans quello che sembrava un lungo filo color carne. – Ottime per spiare le conversazioni segrete. Peccato che abbiano stregato la porta della cucina, quindi non siamo riusciti a sentire un granché.
–Ciao, ragazzi – intervenne in quel momento Ginny Weasley, uscendo dalla camera da letto con Grattastinchi, il gatto di Hermione, stretto tra le braccia.
–Che posto è mai questo? – chiese Jane, sempre più nervosa.
–Avverti anche tu la nera presenza del male tra queste pareti? – la provocò George con un ghigno.
–Non siete divertenti – si schermì lei incrociando le braccia.
–Come siamo velenose, questa sera.
–Lo sai che la Magia Oscura mi rende nervosa.
–Peccato, però, perché questo posto è una vera figata – osservò Fred. – Apparteneva alla famiglia di Sirius, sapete? Ѐ piena di aggeggi oscuri. Gli adulti ci hanno sguinzagliati per casa nella speranza che la disinfestassimo, anche se la tentazione di studiare questa roba è davvero troppo forte.
–Dovete stare attenti a quello che toccate – li rimproverò Hermione. – Questa casa può nascondere cose davvero pericolose. Basta pensare a quel completo viola che l’altro giorno ha tentato di strangolare Ronald…
–Venite a vedere – disse Fred indicando loro il soggiorno.
Entrarono in una grande stanza buia, la cui parete di fondo era completamente occupata da un gigantesco arazzo verde e argento che riproduceva l’albero genealogico della famiglia Black, in cui ciascuno dei suoi membri era contrassegnato da un raffinatissimo ritratto correlato di cartellino.
–Serpeverde, eh? – commentò Jane in tono acido.
–Temo che nessuno sia finito in altre Case, a parte Tonks, ovviamente, la nostra piccola Tassorosso, e Sirius, che era del Grifondoro – disse George, indicando un riquadro bruciato.
–Tonks è imparentata con Sirius? – chiese Harry.
–Per forza, è sua nipote! È la figlia di sua cugina Andromeda, quella scappata di casa.
–Perché il suo ritratto è bruciato?
–A quanto pareva, la mamma di Sirius serbava questo trattamento a tutti i membri della famiglia che riteneva disonorevoli, non potendo farlo su quelli in carne e ossa.
–Ehi, ma c’è anche Malfoy! – esclamò a quel punto Harry.
–Certo che c’è – disse Ron. – I Purosangue sono tutti imparentati tra di loro, che ti credi? Anche noi Weasley dovremmo esserci, ma non siamo stati dipinti per ovvi motivi. Comunque, il vecchio Draco è anche lui un nipote di Sirius, visto che Narcissa, la sorella di Andromeda, ha sposato quel simpaticone di Lucius Malfoy.
–Chi l’avrebbe mai detto, eh, Jane? – esclamò Harry sconcertato, ma sua sorella non lo ascoltava.
I suoi occhi erano fissi sulla prima delle quattro sorelle Black, quella accanto a Bellatrix.
Era la più anziana e la più bella di tutte, terrificante come se la ricordava, quando la incontrò per la prima volta in quella gelida notte di cinque anni prima.
I capelli erano ancora neri, lisci e setosi, che le ricadevano elegantemente lungo l’ovale perfetto del volto, su cui si aprivano quegli occhi grandi, scuri come l’inchiostro, che la fissavano con un’aria rapace, ben lontana da quella di sufficienza delle sorelle, come se volessero divorare con lo sguardo chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarla.
Alhena Black, la Strega Suprema, colei che Jane temeva ancora più di Voldemort, anche se ora di lei non restava altro che cenere.
I suoi cupi pensieri vennero riscossi da un rumore di passi felpati alle loro spalle.
–Tutto questo interesse per il mio albero genealogico? – chiese una voce sorniona alle loro spalle.
–SIRIUS!
I ragazzi corsero incontro al mago dai lunghi capelli scuri e gli occhi ardenti che era appena apparso sulla porta.
Harry era il più raggiante di tutti.
–Ciao, campione – lo salutò Sirius abbracciandolo forte. – E, Jane, che bello rivederti!
–Ciao, zio Sirius – salutò lei, stampando un bacio sulla guancia del suo padrino.
–Allora è vero quello che si dice? Che avete steso due Dissennatori?
–Guarda, non è il caso – ripensando a quanto era accaduto quella sera, Harry si era subito incupito.
–Remus non ha fatto altro che vantarsi dell’avervi insegnato l’Incanto Patronus per tutta la riunione. Forza, non pretendo che siate affamati dopo il matrimonio, ma almeno venite giù a degnarci della vostra compagnia!
–Così magari ci direte qualcosa – soggiunse Jane, seguendo a ruota gli altri al piano di sotto.
Arrivarono in cucina, dove trovarono la signora Weasley e il marito intenti a conversare fittamente con Moody e Lupin, mentre Tonks apparecchiava la tavola.
Nel vederli entrare, la mamma di Ron strinse i due gemelli in un caloroso abbraccio e li costrinse a servirsi di un paio di porzioni di torta alla melassa, la preferita di Harry, appena uscita dal forno.
–Hermione ci ha parlato dell’Ordine della Fenice. Che cos’è esattamente? – chiese il ragazzo non appena fu riuscito a liberarsi la bocca.
La signora Weasley scoccò un’occhiata titubante ai presenti, come se avesse tutte le risposte sulla punta della lingua ma non volesse dirle.
–Si tratta di una società segreta fondata da Silente per combattere Tu-Sai-Chi – rispose Lupin pazientemente. – Esisteva già da prima della sua caduta, a dire il vero. Noi siamo i superstiti della prima generazione.
–Quindi sapete che cosa ha in mente Voldemort? – domandò Harry, fingendo di ignorare il brivido che percorse la piccola stanza nel sentir pronunciare il suo nome.
–Non ne siamo certi al cento per cento – rispose Sirius, prima che la signora Weasley potesse fermarlo. – Di sicuro, il suo ritorno non è andato come voleva. I suoi piani erano quelli di ucciderti e di riformare il suo esercito nell’ombra, per poi colpire nel momento più opportuno. Ma tu, riuscendo a fuggire, gli hai rovinato tutto. Per ora, la situazione è abbastanza tranquilla, se si tolgono i Dissennatori. Pare che Voldemort sia alla ricerca di qualcosa che non aveva l’ultima volta, una specie di arma, per capirci…
–Ora basta, questi ragazzi sono troppo giovani! Digli ancora qualcos’altro e tanto vale farli entrare direttamente nell’Ordine! – intervenne la signora Weasley bruscamente.
–Perché no? – incalzò Harry.
–Non se ne parla neanche! – lo zittì l’altra, costringendolo a servirsi della terza fetta di torta.
–In ogni caso, siamo certi che i piani di Tu-Sai-Chi non hanno niente a che vedere con l’atteggiamento di Caramell, anche se la cosa torna tutta a suo favore – disse Lupin.
–In che senso?
–Non avete letto i giornali? Il Profeta sta facendo di tutto per screditare Silente.
–Che cosa?
Lupin passò loro una serie di copie della Gazzetta del Profeta, lasciandoli letteralmente sbigottiti.
I titoli della pagina dedicata alla politica interna parlavano della presunta demenza di Silente e Harry, che millantavano il ritorno di Lord Voldemort, il tutto utilizzando dei termini decisamente poco gentili.
–Caspita, Harry, non ti facevo così psicopatico! – commentò Jane furibonda.
–Ma perché? – domandò il fratello desolato.
–Abbiamo sempre saputo che Caramell fosse un uomo debole, ma non avevamo messo in conto la sua ossessione per il potere – spiegò Lupin. – Dietro ogni sua mossa, c’è sempre stato Silente. Ora, lui teme che voglia prendere il potere al posto suo, usando la storia di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato come alibi.
–Ma tutto questo è assurdo!
–Lo so.
–Ma non potrebbe essere sotto la Maledizione Imperius?
–Ci abbiamo pensato anche noi, ma, a quanto pare, Caramell sta agendo di testa sua, per ora.
–Bella roba.
–Va bene, ora basta – intervenne la signora Weasley in tono sbrigativo. – Questi ragazzi hanno avuto una giornata impegnativa ed è il caso che vadano a dormire. Domani parleremo con più calma.
Dopo delle inutili proteste generali, i ragazzi furono spediti tutti al piano di sopra per dormire.
Harry e Ron si sistemarono in una stanza, mentre Jane, Hermione e Ginny si accamparono in quella adiacente.
Hermione prestò una tuta da ginnastica a Jane da usare come pigiama e insieme si ficcarono sotto le coperte di un vecchio divano-letto cigolante.
–Non riuscirò mai a dormire in questa topaia – disse Jane fissando il soffitto buio.
A ogni respiro, aveva la sgradevole sensazione di ingoiare una manciata di polvere.
Aveva una voglia matta di andare a parlare con Harry di quanto avevano appena udito.
Un pensiero terribile la stava tormentando da prima che lasciassero la cucina.
−Un’arma – disse Hermione, indovinando i suoi pensieri. – Di che cosa potrebbe trattarsi?
–Forse qualcosa per provocare dolore? – azzardò Ginny.
–Non credo: ha già la Maledizione Cruciatus, per fare male – la contraddisse l’altra.
–Allora potrebbe essere un modo per uccidere in maniera molto dolorosa, no?
–E se invece fosse una persona? – azzardò Jane con voce atona.
–Cosa vorresti dire con questo? – chiese Hermione.
Jane chiuse gli occhi, poi si decise a pronunciare a voce bassissima quel nome che ormai le bruciava sulla punta della lingua.
–Edmund.


Buongiorno a tutti! :)
Come vedete, i preparativi per il Natale (che da me somiglierà in maniera spaventosa al matrimonio dei Pevensie) non mi hanno dissuasa dal continuare a scrivere. 
Spero che, tra un panettone e una tombolata, troviate il tempo di passare a leggere questo nuovo capitolo.
Ringrazio ancora tutti voi per la passione con cui seguite questa storia. Ogni giorno siete sempre più numerosi e questa per me è una grandissima soddisfazione.
Vi faccio i miei più sentiti auguri di buon Natale e vi lascio questo piccolo regalo:
 
http://www.youtube.com/watch?v=rFVxLh3s8wc
Si tratta di un video sul personaggio di Edmund, uno dei più belli che ho trovato su Youtube. Enjoy that! ;)
A presto e buone feste!

F.


indirizzo fanpage: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
  
 

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Capitolo 5
*** La realtà e l'incubo ***




CAPITOLO 5

La realtà e l’incubo

~
 
 
 
 
 
 
Un fischio acuto proruppe dal bollitore, interrompendo il silenzio ovattato del soggiorno. 
Susan si precipitò ai fornelli prima che il rumore svegliasse tutti gli abitanti della casa, anche se nutriva forti dubbi sul fatto che si trovassero nel mondo dei sogni.
Il matrimonio di sua madre non poteva concludersi nel modo peggiore.
Non appena i Potter se ne erano andati, la zia Alberta aveva ricominciato a sbraitare come un’aquila, rischiando di scatenare la seconda rissa della giornata.
Questa volta le urla non erano dirette a Evelyn, ma a Eustace, che si era categoricamente rifiutato di seguirla.
Sembrava che l’aggressione del Dissennatore, rievocando i suoi peggiori ricordi, lo avesse miracolosamente messo a posto, restituendo a quella specie di roditore sovrappeso la parvenza del ragazzo dal carattere di ferro quale avrebbe dovuto essere.
Di colpo, Eustace non sembrava temere più nulla e teneva fieramente testa alla madre (Harold non venne neanche preso in considerazione, visto che se ne stava in un angolino a fissare la scena con gli occhi sbarrati).
Alla fine, era stato Silente a calmare le acque.
Aveva detto che Eustace, essendo un mago, sarebbe diventato maggiorenne a diciassette anni e da lì nessuno avrebbe potuto impedirgli in alcun modo di studiare la magia.
Nel frattempo, però, la zia Alberta doveva immediatamente smetterla di imbottirlo di farmaci o avrebbe perso i suoi poteri, annientati dalle sostanze chimiche.
Sempre se ci fosse stato ancora qualcosa da fare, visto che ormai Eustace viveva come un tossicodipendente.
Una volta scemati i bollenti spiriti, Caspian si era Smaterializzato insieme a Silente e nella sala era calato un silenzio di tomba.
L’atmosfera ormai era tutto meno che allegra e in breve tempo gli invitati avevano iniziato ad andarsene, con un sorriso imbarazzato stirato sulle facce pulite per l’occasione.
Fu lì che, una volta restati solo pochi intimi, Albert era riuscito a occuparsi dei ragazzi.
Per Eustace non c’erano state molte difficoltà: dopo avergli somministrato una cioccolata calda, il signor Collins si era raccomandato di smettere per gradi con quelle orribili medicine e di farsi vedere da qualche Medimago del San Mungo, l’ospedale per i maghi, per constatare l’effettiva portata dei danni ai suoi poteri.
Per Edmund, invece, le cose erano state un tantino più complicate.
Dopo essere stato portato nella hall dell’albergo per farlo respirare meglio, il ragazzo aveva perso i sensi e ora se ne stava abbandonato su un divanetto rosso dell’ingresso, circondato da Lucy e Peter, accompagnati da Dennis e Cecilia.
Dopo diversi minuti, Albert era riuscito a farlo rinvenire, ma Edmund presentava ancora i postumi dello shock: era pallido come un cadavere e sudaticcio, senza riuscire a frenare il tremore alle gambe e alle braccia, e non riusciva a spiccicare parola.
Alla fine, oltre alla cioccolata, il dottor Collins aveva dovuto somministrargli anche un calmante, ma la cosa non sembrava sortire molto effetto.
Lo avevano riportato a casa e avevano provato a metterlo a letto, ma il ragazzo non voleva restare da solo.
Non si capiva che cosa avesse, dal momento che non ne voleva parlare con nessuno, ma appariva chiaramente sconvolto e spaventato, come se nell’attimo in cui il Dissennatore gli aveva serrato gli artigli attorno alla gola avesse rivissuto tutti i momenti più terribili della sua prigionia.
Forse in quel momento, alle quattro del mattino, era ancora sveglio, intento a fissare il soffitto, oppure (Susan lo attendeva da un momento all’altro) si era addormentato e presto si sarebbe svegliato urlando in preda all’ennesimo incubo.
La ragazza sospirò, sorseggiando nervosamente il suo tè.
L’orologio sopra il forno aveva appena segnato le quattro del mattino e Caspian non era ancora tornato.
E lei, fino a quando il suo ragazzo non avesse fatto il suo ingresso in casa vivo e vegeto, non si sarebbe mossa di lì.
Era ancora terrorizzata per quanto avvenuto quella notte.
Non riusciva a credere che simili creature potessero aggirarsi indisturbate in un posto così pieno di Babbani.
Di colpo si sentiva terribilmente vulnerabile, molto lontana dall’atmosfera accogliente e sicura delle basse case tutte uguali di Victoria Street, dove l’unica preoccupazione era quella dei cani che lasciavano i loro bisognini sulle aiuole più vicine alla strada.
E poi c’era stata l’espulsione dei Potter.
Susan non avrebbe mai creduto che una cosa del genere potesse capitare proprio a loro.
Nel suo profondo, non riusciva minimamente a immaginare un anno senza Jane al suo fianco, pronta a proteggerla e a consigliarla.
No, era stata abbandonata anche da lei.
Era sola contro i mostri.
In quel preciso istante, una serie di colpetti investì la porta di ingresso.
Susan trasalì per lo spavento, rovesciandosi una buona parte del tè bollente sulla vestaglia.
Con le mani tremanti, la ragazza afferrò la bacchetta e si avvicinò allo spioncino, salvo constatare con sollievo che si trattava proprio di Caspian.
Rivedere i suoi grandi occhi neri e dolci che le sorridevano sornioni al disotto di un paio di ciocche spettinate le diedero la sensazione di avere della cioccolata calda che le scorreva nelle vene al posto del sangue.
Spalancò la porta e si tuffò tra le braccia di Von Telmar, affondando le labbra nelle sue.
−Ehi, quanta fiducia! – esclamò il giovane prendendola per le spalle.
La ragazza si staccò subito da lui, fissandolo con aria sospettosa.
–Perché? – chiese di getto.
−Be’, potrei anche essere un Mangiamorte che ha preso il mio aspetto.
−Ma non lo sei!
−E se invece lo fossi?
−Caspian, non giocare con me! – Susan appariva davvero spaventata.
−Lo so che è un ragionamento antipatico, ma voglio che tu sia pronta, nel caso dovesse succedere – la consolò Caspian prendendole delicatamente il volto tra le mani.
−E come potrei distinguerti da un impostore? – chiese Susan fissandolo dritto negli occhi.
−Prova a chiedermi una cosa che so solo io.
La ragazza gli lanciò un sorriso complice, poi lo baciò di nuovo, con maggiore forza e trasporto.
Questa volta, lui la lasciò fare, circondandola con le braccia e baciandola a sua volta, lasciando che la paura lasciasse il posto alla passione.
−Sì, sei decisamente tu – disse Susan sorridendo una volta che le loro labbra furono di nuovo separate. – Un Mangiamorte non avrebbe mai baciato in questo modo una sporca Mezzosangue.
−Non dire mai più una cosa del genere! – sbottò Caspian scandalizzato.
In tutta risposta, Susan scoppiò a ridere. 
–È inutile, tu proprio non me la fai! – constatò scuotendo il capo.
I due fecero ingresso nel soggiorno deserto e crollarono sul divano.
Caspian, con ancora indosso il completo nero che aveva alla cerimonia, prese a massaggiarsi gli occhi, soffocando un paio di sbadigli.
−Cosa ha detto Silente? – chiese Susan accoccolandosi al suo fianco.
−Che non insegnerò più a Hogwarts.
−Come? Ma aveva promesso…
−Cause di forza maggiore, Sue. Sta succedendo un macello al Ministero ed è più prudente che io stia fuori da Hogwarts. Vedi, pare che Caramell sia impazzito e sta facendo di tutto per ostacolare Silente e Harry. Senza contare che il Ministro ha dei Mangiamorte tra i suoi più stretti collaboratori, come per esempio Malfoy. Silente non può mandare nessuno dei suoi uomini più fidati a controllarli, sono tutti troppo riconoscibili. Ecco perché ha affidato l’incarico a me.
−Che cosa?
−Kingsley Shaklebolt mi ha aiutato a entrare nel Ministero. Lavorerò come Auror e allo stesso tempo controllerò che Caramell non faccia danni.
−Ma è pericoloso!
−Lo so.
La ragazza si morse il labbro inferiore in preda al nervosismo.
Ci mancava anche quella: Caspian che si trovava a fare il doppio gioco sotto il naso di Lucius Malfoy.
Se solo quell’essere spregevole se ne fosse accorto…
−Ma ho ancora due settimane prima di prendere l’incarico – si affrettò ad aggiungere Caspian. – Per questo, sempre su consiglio di Silente, ho pensato di fare a tutti un piccolo regalo. Che ne pensi se partiamo anche noi, mentre Evelyn e Charlie saranno in viaggio di nozze? Ovviamente, porteremmo anche Peter, Edmund e Lucy. Penso che allontanarci per un po’ dall’Inghilterra sia la cosa più saggia da fare, in attesa di tornare a Hogwarts.
−Una vacanza?
−Io pensavo una cosa come l’Italia. Ti piacerebbe visitare la Toscana? Ci sono molte città d’arte che ti potrebbero interessare e inoltre prenderemmo tutti un po’ di sole, il che non ci farebbe male!
Susan gli scoccò un’occhiata perplessa.
–Dici che possiamo permettercelo? – chiese.
−I Potter sono al sicuro a casa di Sirius e non credo che li rivedremo prima dell’inizio della scuola. Silente ci tiene a tenerli sotto chiave, in posti non raggiungibili da Voldemort e i suoi seguaci. L’alternativa a questa drastica soluzione sarebbe quella di lasciare l’Inghilterra.
La ragazza si rannicchiò sul divano, appoggiando la testa sulla spalla di Caspian.
Il suo sguardo di ghiaccio indugiò sulle superfici linde del soggiorno, sullo schermo nero del televisore e infine sull’eterno sorriso di David incorniciato sulla mensola del caminetto.
Tutto ciò le dava un senso di nausea e oppressione.
Forse, una volta all’esterno sarebbe cambiato tutto.
−Quando partiamo? – chiese quasi senza pensarci.
 
***
   
La porta del sotterraneo si aprì con violenza, rivelando una figura bassa e scarmigliata, gli enormi occhi neri che ardevano nell’oscurità.
−Dove ti sei nascosto, razza di ingrato? – gridò nell’oscurità la voce stridula di Alhena Black. – So che sei qui dentro!
Edmund si nascose d’istinto sotto il letto a baldacchino, reprimendo a fatica un singhiozzo di terrore.
Le sue ginocchia premute contro il petto facevano sembrare i battiti frenetici del suo cuore tante piccole cannonate.

La Strega Suprema sbatté la porta con fragore, per eliminare qualsiasi via di fuga, e prese ad avanzare a grandi passi nella cella sotterranea, fiutando l’aria come una lupa affamata.
Improvvisamente, il suo volto deformato dalla follia emerse da sotto il letto, fissando Edmund con gli occhi sbarrati.

−Eccoti qua! – ghignò.
Il ragazzo lanciò un urlo e si tuffò fuori dal proprio nascondiglio, prendendo a scappare in tutte le direzioni, anche se sapeva che sarebbe stato inutile, nulla lo avrebbe salvato dalla furia cieca di quel demonio quando voleva scaricarla su di lui.
−TORNA QUI, HO DETTO! – gridò Alhena rovesciando mobili e prendendo a inseguirlo come una furia. – LUI STA VENENDO QUI PER UCCIDERCI ED È SOLO COLPA TUA! CI HA SCOPERTI E ORA CI AMMAZZERÀ COME TOPI! MALEDETTO MOSTRICIATTOLO, TI ODIO! NON CI SARÀ BISOGNO DEL SIGNORE OSCURO PER FARTI SPUTARE LE BUDELLA, A QUELLO CI PENSERÒ IO! AVANTI, VIENI QUI! VIENI QUI, HO DETTO!
Fulminea come una serpe, la Strega Suprema riuscì finalmente ad afferrare Edmund per i capelli, scagliandolo contro la fredda parete di pietra con una forza inimmaginabile per una donna così minuta e gracile.
Un dolore lacerante gli attraversò la spalla e la schiena mentre il ragazzo si afflosciava a terra come una bambola di pezza, la bocca piena di sangue.

Poi ritornò il dolore, tremendo, insopportabile come lo ricordava.
Era come se ogni singolo centimetro della sua pelle andasse a fuoco, trafitto da centinaia di migliaia di aghi roventi.
Bruciava così tanto, da non riuscire a capire se le urla che squarciavano l’aria fossero davvero le sue o un semplice frutto della sua immaginazione.
Ogni istante che passava il dolore sembrava aumentare sempre di più, come se il fuoco stesse consumando completamente le sue carni.

Edmund voleva solo che finisse, voleva morire per non doversi risvegliare di nuovo in quella fredda cella sotterranea, in attesa che la tortura ricominciasse, ancora e ancora, senza finire mai.
E poi, come se qualcuno avesse voluto esaudire quel suo disperato desiderio, il dolore iniziò a diminuire e il ragazzo ebbe l’impressione di galleggiare in un vuoto senza fine.
L’ultima cosa che vide fu il soffitto buio della sua prigione e il volto mostruoso della Strega Suprema che ghignava sopra di lui.

 
Edmund morse per l’ennesima volta il cuscino, ingoiando nuove lacrime.
Mai prima d’ora le immagini di quel passato che stava tentando disperatamente di sotterrare negli anfratti della sua memoria erano tornate così vivide e terribili, come se le stesse vivendo di nuovo.
Non aveva idea di che cosa lo avesse aggredito quella notte, ma improvvisamente si era ritrovato di nuovo lì, in quella buia prigione, aveva percepito ancora una volta il dolore lacerante che gli dilaniava ogni singolo centimetro di pelle, aveva avvertito tutta la disperazione e la paura prendere possesso della sua mente, inchiodandolo al pavimento gelido e polveroso senza alcuna via di fuga.
Ma tutte quelle sensazioni non erano niente in confronto alla terribile consapevolezza che tutto ciò che era accaduto negli ultimi mesi fosse solo un sogno destinato a svanire, che tutte le persone che lo avevano circondato e si erano prese cura di lui fossero semplici ombre evanescenti.
In fondo, per Edmund le cose potevano stare benissimo così: il mondo al di fuori delle alte mura di villa Black era qualcosa di lontano e impalpabile, qualcosa che non avrebbe mai conosciuto.
La realtà era fatta solo di dolore, un dolore senza fine che si era meritato per ragioni che non riusciva a comprendere, ma inequivocabilmente giuste.
E forse negli ultimi tempi aveva fatto qualcosa di ben peggiore, che aveva portato la sua pena a diventare ancora più insopportabile.
Sapere che persone come i Pevensie, come Jane, non esistevano, dopo che lo avevano coccolato, amato e protetto come mai gli era capitato prima d’ora, era di gran lunga la più atroce delle torture.
La vista del soffitto della stanza, illuminato debolmente dalla luce della lampada, vacillò mentre nuove lacrime rigavano il volto pallido di Edmund.
Sapeva di essere al sicuro, a Victoria Street, ma temeva di trovarsi ancora in un sogno da cui avrebbe dovuto presto risvegliarsi per affrontare di nuovo quel mostro e forse (il ragazzo addentò di nuovo il cuscino) l’ira di Voldemort.
Solo la notte prima, si sarebbe attaccato subito al lettore CD per ascoltare le canzoni che gli aveva masterizzato Jane, se la paura di non rivedere mai più la ragazza non lo paralizzasse in quel modo.
Si ricordava come se fosse ieri il momento in cui aveva aperto gli occhi nell’infermeria di Hogwarts e aveva incontrato per la prima volta il suo profilo esile e sorridente, illuminato da una luce accecante, quasi divina.
Era il suo angelo, Jane, colei che lo aveva salvato. L’eco della sensazione a un tempo meravigliosa e terribile di quando gli aveva messo una mano sulla fronte, con la sua pelle che di colpo aveva preso a scottare, o di quando lo aveva abbracciato sotto la pioggia, promettendogli di restargli sempre accanto, in quel momento feriva la sua mente come la lama di un rasoio.
Se solo la ragazza avesse saputo la verità, che cosa avrebbe pensato di lui?
Lo avrebbe abbandonato?
O lo avrebbe ucciso, come molte volte minacciava la Strega Suprema?
−Edmund?
Il ragazzo sussultò sotto le coperte, salvo ritrovarsi a pochi centimetri dai grandi occhi tondi di Lucy.
−Non riesco a dormire – disse lei con voce innocente. – Susan e Caspian si sono chiusi nello studio e mamma e Charlie hanno spento la luce da più di un’ora.
−Siamo in due, allora – rispose Edmund a bassa voce, attento a non disturbare Peter, che russava profondamente.
−Ti va di farmi compagnia di là, tempo che torna Susan?
Edmund sospirò.
Alla luce della lampada, i contorni di Lucy sembravano più nitidi che mai.
−Lucy, sei davvero tu o sto sognando? – si lasciò sfuggire in tono amaro.
−Certo che sono io! – esclamò lei perplessa.
−Ah, ecco. Scusami, sono ancora un po’ intontito. Che cosa è successo al ristorante?
−Sei stato aggredito da un Dissennatore. Jane ha evocato un Patronus e ti ha salvato, altrimenti quello ti avrebbe mangiato l’anima. Solo che lei non poteva fare magie fuori da Hogwarts ed è stata espulsa.
−CHE COSA?
−Non ancora, però. Voglio dire, lei e Harry devono andare a una specie di udienza per farsi scagionare. Ma hanno bisogno di testimoni per dimostrare la loro innocenza. Eustace si è offerto volontario.
−Eustace? Quello zotico?
−Dopo l’aggressione, è molto cambiato.
−Non mi fido a lasciarlo da solo con i Potter. Devo andare anch’io.
−Chiedi alla mamma.
Edmund trovò la forza di mettersi a sedere.
Si massaggiò la fronte dolorante, gli occhi chiusi.
Si sentiva improvvisamente vivo, come se il sangue avesse ripreso a scorrere regolarmente nelle sue vene.
Dunque Jane si era messa nei guai per salvarlo.
Era stato di nuovo per causa sua se le persone che gli erano vicine avevano perso tutto.
Ma questa volta non lo avrebbe permesso.
Sarebbe stato lì, invece, e si sarebbe preso le sue responsabilità fino alla fine.
A qualunque costo.
 
***
   
Quando Susan tornò nella sua camera, stanca, distrutta, ma con uno strano senso di calma che le invadeva le membra intorpidite, trovò Lucy ed Edmund profondamente addormentati nello stesso letto.
Lei aveva la testa appoggiata al petto di lui, che, per la prima volta da quando era arrivato in casa Pevensie, sembrava vivere un sonno senza incubi.
Un libro era ancora aperto nella sua mano, abbandonato sulle coperte.
Avevano dimenticato la luce accesa.
Susan non se la sentì di disturbarli e, dopo aver spento la luce, si infilò in punta dei piedi nel suo letto.


 
 
 
 
No, ragazzi, non pensate che abbia in mente di scrivere l'ennesimo pairing EdmundxLucy, perché ne girano già troppi!
Però volevo inserire un momento molto tenero tra i due: in fondo, anche voi avreste voluto un po' di coccole se vi foste trovati nei loro panni
, no?

Comunque, anche in vista degli impegni universitari, ho deciso che da oggi in poi scriverò in capitoli leggermente più corti del solito.
Spero che questa scelta vada bene anche a voi.
In ogni caso, aspetto vostri pareri!

Un grazie infinito a tutti voi lettori che continuate a leggere e recensire, aumentando giorno dopo giorno.
Siete semplicemente fantastici!
Vi auguro un fantastico 2014, sperando che sia un anno indimenticabile!
Baci

F. 

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Capitolo 6
*** L'udienza ***



CAPITOLO 6

L’udienza

~
 
 
 
 
 
 
Jane credette di avere un infarto nel momento in cui il tintinnio della sveglia la strappò dal mondo dei sogni per farla ripiombare nella sudicia camera polverosa di Grimmauld Place.
Quel rumore atroce poteva significare una cosa sola: il 12 agosto era arrivato e con esso l’udienza che avrebbe stabilito se lei e Harry sarebbero potuti ritornare a Hogwarts o meno l’anno successivo.
Imprecando tra i denti, la ragazza sgusciò fuori dalle vecchie coperte logore, cercando a tentoni le ciabatte e trascinandosi fino in bagno, che trovò già occupato da Hermione.
Dopo aver atteso per qualche interminabile minuto nel pianerottolo pieno di spifferi, finalmente poté darsi una sistemata davanti allo specchio scheggiato.
Ora più che mai desiderava tornare a casa sua, linda e pulita, per potersi fare finalmente un interminabile bagno caldo.
Si sentiva terribilmente sporca e appiccicosa, come se tutta la polvere che ricopriva ogni singola superficie di casa Black le fosse entrata fin dentro le ossa.
Il suo malessere non migliorò affatto nel momento in cui rientrò in camera per indossare il vestito che Wendy, in una delle rare visite che le erano concesse, le aveva portato da uno dei migliori negozi di Londra.
A suo avviso era semplicemente delizioso e avrebbe di certo fatto una buona impressione sulla corte, ma secondo Jane era la cosa più scomoda e inappropriata che potessero costringerla a indossare.
Era un abitino stretto dal taglio classico, di un delicato rosa pastello, che andava abbinato a delle ballerine e una borsetta di pelle.
−Si intona con il colore dei tuoi occhi! – aveva esclamato Wendy nel momento in cui la figlioccia lo aveva soppesato con la stessa cautela con cui si afferra una granata sul punto di esplodere.
Jane non se l’era sentita di soffocare l’entusiasmo della madre con una delle sue battute mordaci e aveva accettato l’abito senza proferire nemmeno una sillaba.
In fondo, andare a quell’udienza vestita da maschio come era sua abitudine non avrebbe di certo migliorato la situazione.
Doveva adattarsi alle convenzioni, almeno per una volta.
Si spazzolò e legò i lunghi capelli corvini; poi scese al piano di sotto, dove gli altri la attendevano per la colazione.
Si sedette accanto a Harry, che trangugiava il suo porridge con lo sguardo perso nel vuoto. 
Era la prima volta che Jane lo vedeva in giacca e cravatta.
La cosa le fece una pessima impressione: era come se suo fratello si fosse trasformato improvvisamente in un impiegato di banca.
−Ciao, sorella – la salutò lui non appena si accorse della sua presenza.
Jane gli accennò un sorriso nervoso, servendosi anche lei di una piccola porzione di porridge.
La tensione le aveva completamente chiuso lo stomaco.
Quelle ultime due settimane sembravano essere volate via nell’arco di un battito di ciglia, anche se non era accaduto praticamente nulla.
I membri dell’Ordine della Fenice andavano e venivano all’interno della casa, scambiandosi nient’altro che sporadiche battute che non dicevano nulla di particolare, all’infuori dei turni di guardia a una cosa misteriosa.
Forse si trattava proprio dell’arma che Voldemort stava cercando, ma Jane nutriva anche un’altra ipotesi, ben più inquietante.
In quei giorni interminabili non aveva fatto altro che pensare a Edmund e al suo terribile passato.
Che fosse lui l’arma?
La ragazza non riusciva a capire che cosa avesse visto in lui la Strega Suprema: Edmund sembrava del tutto immune alla Magia Oscura e di certo non poteva costituire una minaccia.
Eppure, man mano che i giorni passavano Jane si rendeva sempre più conto che in quella storia c’erano troppi particolari che non quadravano.
E il fatto che gli adulti si rifiutassero di parlare con lei non le era affatto di aiuto.
Lo stesso Harry era titubante nei confronti di questa ipotesi, giustificando il dolore alla cicatrice suscitato dalla sola presenza di Edmund con il fatto che Voldemort era semplicemente furioso per aver perso una potenziale vittima.
−L’udienza è alle undici precise – disse in quel momento il signor Weasley controllando l’orologio. – Ho dato appuntamento ai Collins tra mezz’ora esatta di fronte al Parlamento.
−Bene, allora non c’è un minuto da perdere – disse la signora Weasley prendendo a sparecchiare frettolosamente la tavola e controllando che i gemelli fossero perfettamente in ordine. – Coraggio, ragazzi, andate di sopra a prendere le vostre cose.
Jane fu la prima ad alzarsi da tavola, avviandosi in camera sua con gli occhi bassi.
Infilò a fatica la bacchetta nella borsa (si sentiva terribilmente vulnerabile, visto che non poteva tenerla in tasca o nascosta nella manica della veste, a portata di mano) e fece per avviarsi al piano di sotto, quando per poco non andò addosso a Ron, che era sbucato proprio in quel momento nel pianerottolo.
−Attenta, Jane! – disse lui sfoggiando il suo solito sorriso sghembo.
−Scusami, è l’agitazione! – si schermì lei, mentre le sue guance prendevano fuoco.
Si maledisse a elevazione di potenza per il leggero tremore che le aveva scosso la voce in quel momento.
Prese a giocherellare con la borsetta per non guardare Ron dritto negli occhi, mentre il cuore le martellava con furia contro il petto.
L’unica cosa positiva accaduta in quelle settimane era stata forse la nuova vicinanza che aveva avuto con il ragazzo, che condivideva il suo stesso pianerottolo.
A scuola non erano mai così vicini.
Erano sempre divisi da un dormitorio e, quando si incrociavano a lezione, era Harry la compagnia privilegiata del rosso, l’unico a cui fosse concesso fargli da tramite con il misterioso mondo femminile.
Ma ora erano di nuovo maledettamente vicini, separati solo da una sottile parete scrostata.
Erano entrambi chiusi nello stesso ambiente, costretti a incrociarsi di continuo.
Alle volte, durante le ore più silenziose della notte, Jane riusciva persino a sentirlo parlare con Harry nella stanza accanto, lasciandosi trasportare dalla fantasia in quei tre metri quadrati che non poteva vedere.
Cercava di immaginarsi Ron, stretto nel suo pigiama scozzese, sdraiato tra le coperte polverose intento a parlare oppure profondamente addormentato, con la luce rossastra delle candele che giocava con il rosso fuoco dei suoi capelli e l’incarnato pallido del volto.
−Andrà tutto bene, vedrai – la rassicurò il ragazzo cingendole le spalle esili con un braccio.
A quel contatto, Jane si sentì avvampare, irrigidendosi d’istinto.
−Hai fatto la cosa giusta – proseguì Ron.
−Davvero? – finalmente, la ragazza si costrinse a guardarlo dritto negli occhi per constatare con sollievo che stava sorridendo, salvo poi accorgersi che la sua mano aveva lasciato impercettibilmente le sue spalle.
−Certo! Voglio dire, te e Harry lo stavate facendo per salvarvi la vita, no? Non possono mica espellervi!
−No, no…certo.
Jane si lasciò scortare al piano di sotto, dove l’attendevano gli altri.
Hermione le gettò letteralmente le braccia al collo, snocciolandole una serie infinita di decreti in cui si autorizzava l’uso della magia minorile in caso di pericolo mortale, ma la ragazza non sembrò prestarle attenzione.
Era troppo tesa per ascoltare qualunque cosa.
Voleva solo tornare a Hogwarts, ma non prima di concedersi quel maledetto bagno a casa sua.
Salutò la signora Weasley e Tonks con un abbraccio; poi passò ai suoi amici.
Mentre si avviava verso la porta con Harry, si voltò un’ultima volta verso di loro, non senza trattenere una fitta al petto.
Forse li stava salutando per l’ultima volta, senza rendersene conto.
Se mai lei e Harry fossero stati espulsi, che ne sarebbe stato di loro?
Sarebbero dovuti fuggire per vivere per sempre una vita da reietti, braccati dai Mangiamorte in ogni dove?
A quel pensiero, la ragazza tornò indietro a grandi passi e, quasi senza che nessuno la vedesse, si alzò sulle punte e stampò un rapido bacio sulla guancia di Ron, per poi scomparire alla velocità della luce nell’atrio inondato di luce, raggiungendo finalmente il mondo esterno.
 
***
   
Era la prima volta che Edmund viaggiava in metropolitana.
Non si era mai trovato in posto simile, pieno di gallerie sotterranee in cui centinaia di persone sparivano nell’oscurità all’interno di un treno sferragliante.
In quel momento si trovava pigiato nella calca di pendolari mattutini, la schiena incollata sul rigido schienale del sedile che aveva eroicamente conquistato al suo arrivo, la sua coscia premuta contro quella di Susan, che continuava a gettarsi intorno occhiate nervose.
Caspian era in piedi davanti a loro, sondando l’oscurità che si dipanava fuori dal finestrino con gli occhi stretti a due fessure, la mano stretta all’interno della manica sinistra, dove aveva nascosto la bacchetta.
Alle loro spalle, stretti tra un barbone e una casalinga disperata, stavano Peter e Eustace, entrambi troppo tesi per dire alcunché.
In molti li scrutavano all’interno del vagone, incuriositi dal loro aspetto tirato a lucido.
−Quanto manca ancora? – chiese Susan improvvisamente, rivolgendosi a Caspian.
−Non molto – rispose lui senza smettere di fissare fuori dal finestrino.
In quel momento, una voce metallica annunciò l’avvicinarsi della stazione successiva.
Molti passeggeri presero ad avvicinarsi tempestivamente all’uscita più vicina.
Susan afferrò Edmund per un braccio e lo costrinse ad alzarsi.
−È la nostra? – chiese tentando di sbirciare oltre la selva di teste che sciamavano fuori dal convoglio.
−Credo proprio di sì – rispose Caspian con un sorriso, indicando qualcosa sulla banchina.
A un centinaio di metri da loro, un anziano mago dalla lunga barba argentea e gli occhiali a mezzaluna li aspettava immobile come una statua, sfiorato appena dai passanti che lo superavano senza degnarlo nemmeno di uno sguardo, come se solo io giovani maghi potessero vederlo.
 
***
   
I gemelli Potter correvano a perdifiato lungo i corridoi sotterranei del Ministero della Magia, le gambe che dolevano per lo sforzo.
A quanto pareva, il Wizengamot aveva deciso di fare il bastardo fino alla fine, anticipando l’udienza di ben due ore e il tutto senza avvisare nessuno all’infuori del vecchio collega barbuto di Arthur Weasley, che quella mattina si era presentato in puntuale ritardo.
Arthur, Wendy, Dennis e il signor Weasley  tenevano loro il passo a fatica, ansimanti e paonazzi.
Attraversarono il grande Atrium circondato da camini in cui maghi e streghe di tutte le età continuavano a materializzarsi in mezzo allo sfavillio delle fiamme, oltrepassarono la fontana dei Magici Fratelli, che occupava l’ambiente fino al soffitto, e infine si chiusero in un vecchio ascensore dorato, premendo il pulsante che li avrebbe condotti dritti nei sotterranei.
Ufficio Misteri – annunciò una voce metallica dopo minuti che parvero durare ore.
−Svelti, svelti – incalzò il signor Weasley spingendo gli altri verso l’esterno. – Mi chiedo solo perché abbiano spostato l’udienza in questo luogo orribile…
I gemelli non seppero mai la risposta esatta, ma dedussero immediatamente che i membri del Wizengamot avessero tutti uno sgradevole gusto per il macabro.
Si trovavano in un buio corridoio di pietra nera debolmente illuminato da delle torce bluastre.
Passarono rapidamente di fronte a una porta chiusa e si fermarono di fronte a un’altra, più grande e dall’aria ufficiale.
−Voi andate avanti, ragazzi, − disse il signor Weasley. – A me non è concesso entrare. Buona fortuna.
I gemelli strinsero il mago in un forte abbraccio; poi entrarono nell’aula con gli occhi bassi, seguiti a ruota dai Collins.
Non appena furono all’interno, a Jane per poco non venne un infarto: lei e Harry erano già stati lì il maggio precedente, quando erano precipitati in un ricordo di Silente.
Era stato proprio una quella sorta di segreta sotterranea grande quanto una cattedrale che Bellatrix Lestrange, sorella di Alhena Black, era stata processata per i suoi crimini.
A quanto pareva, quella schiera di maghi rivestiti di porpora voleva riservare il medesimo trattamento ai due ragazzi.
−Harry e Jane Potter, − tuonò la voce di Cornelius Caramell nella penombra – cinque minuti di ritardo. Non mi sembra affatto un buon inizio.
−Ci dispiace – rispose Harry. – Il messaggio non ci è stato recapitato per tempo.
−Sciocchezze! Ora sedetevi.
Jane impallidì nel riconoscere le due imponenti sedie che li attendevano sinistre, con le catene che pendevano inerti dai braccioli.
Si aspettava che tornassero ad animarsi come serpenti per bloccarle braccia e gambe, ma per fortuna ciò non avvenne.
−Signori Potter, siete accusati di aver effettuato un Incanto Patronus di fronte a dei Babbani la sera del 2 agosto scorso – prese a leggere Caramell in tono solenne. – Pertanto la pena prevista per un tale reato è l’espulsione dalla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nonché la distruzione delle vostre bacchette. Gli imputati hanno qualcosa da dire in propria difesa?
−Ehm…
−È vero che sapete evocare un Incanto Patronus? – chiese improvvisamente una voce femminile in tono curioso.
A quella domanda, il volto di Harry si illuminò all’istante.
–Sì! – esclamò con il cuore che gli batteva forte per l’emozione.
−Corporeo?
−Sì. Il mio ha la forma di un cervo, mentre quello di Jane è un pegaso.
−Interessante…
−Suvvia, Madama Bones, le sembra forse il momento di fare simili domande? – la interruppe bruscamente Caramell in tono piccato.
−Siamo stati costretti a evocarlo! – si difese Harry irato. – Siamo stati attaccati da dei Dissennatori!
−Ehm, ehm!
I ragazzi sussultarono.
La voce che aveva parlato in quel momento era molto diversa dalle precedenti, acuta come quella di una bambina, e apparteneva a una donna grassa con due sporgenti occhi da rospo avvolta in un pelosissimo cardigan rosa acceso.
−Dissennatori in giro per i sobborghi di Londra? – chiese in tono zuccheroso. – La trovo una storia davvero ben costruita e potete avere i miei complimenti per la vostra fervida immaginazione, ma temo che abbiate tralasciato un dettaglio molto importante: i Dissennatori sono controllati direttamente dal Ministero e a nessuno di loro è concesso allontanarsi senza un’autorizzazione. Non ci risulta che due di essi fossero lontani da Azkaban la notte del 2 agosto, pertanto…
−Abbiamo dei testimoni che potranno sciogliere ogni dubbio – intervenne improvvisamente una voce antica e profonda che i gemelli Potter avrebbero riconosciuto tra mille.
In quel momento, Albus Silente fece ingresso nella segreta con il suo incedere lento e pacato, seguito a ruota da Eustace, Susan ed Edmund.
−Albus, − lo salutò Caramell sfoderando un sorriso tirato – immagino tu abbia ricevuto il mio avviso di anticipazione dell’udienza.
−Temo mi sia sfuggito, ma fortunatamente io e i testimoni siamo arrivati al Ministero con due ore di anticipo – rispose lui con calma.
−Bene, bene – il sorriso sul volto del Ministro della Magia si gelò all’istante. – E che cos’hanno da dire questi ragazzi? Vedo che hai portato con te anche un Babbano, giusto? – soggiunse indicando Eustace. – I Babbani non possono vedere i Dissennatori.
−Io non sono un Babbano! – protestò il ragazzo. – Ho perso i miei poteri, è vero, ma non sono un Babbano. E, anche se non ho potuto vedere in faccia quella creatura, l’ho sentita! Di colpo, tutto è diventato freddo e buio e io mi sono sentito malissimo, come se non avessi mai più potuto essere felice. Ho ricordato delle cose orribili, come se le stessi vivendo di nuovo. Poi Harry mi ha salvato. Ho visto il cervo che attaccava qualcosa tra gli alberi e di colpo sono ritornate le stelle.
−Anche per noi è stato così – soggiunse Susan con determinazione. – Eravamo usciti all’esterno del ristorante per sgranchirci un po’ dopo il ricevimento, quando di colpo siamo stati attaccati. Eustace aveva litigato con Edmund e se n’era andato per conto suo. Per fortuna, Harry ha percepito la presenza dei Dissennatori e lo ha seguito per proteggerlo.
−Noi invece siamo rimasti con Jane – intervenne Edmund. – Di colpo, qualcosa di viscido mi ha scagliato a terra e mi ha serrato le mani attorno alla gola. È stata la cosa più orrenda che mi sia mai capitata. Avevo come l’impressione che qualcuno mi stesse risucchiando via ogni ricordo felice, lasciandomi solo quelli più terribili. Li ho rivissuti tutti, uno per uno, e credevo di morire, quando di colpo è arrivato il Patronus e mi ha salvato. Jane era accanto a me, con la bacchetta levata. Poi temo di aver perso i sensi.
–La legge magica parla chiaro – disse Silente in tono severo. – Un minorenne è autorizzato a usare la magia per difendersi in caso di grave pericolo. Questi ragazzi non hanno infranto alcuna regola e l’unica accusa per cui li si sta processando come dei criminali qualunque è quella di essersi salvati la vita. Rifletti, Cornelius: vale la pena optare per una decisione così impopolare?
L’ultima frecciata sembrò centrare il bersaglio.
Il volto di Caramell sembrava congelato in un orribile sorriso di cortesia, mentre i suoi sporgenti occhi celesti guizzavano da una parte all’altra del Wizengamot.
−Direi che sia il caso di procedere con le votazioni – disse in tono innaturale. – Quanti a favore della condanna?
Molte mani si alzarono con un fruscio sinistro, prima fra tutte quella della donna con il cardigan rosa. Jane sentì il terreno mancarle sotto i piedi.
−Quanti invece a favore dell’assoluzione? – chiese di nuovo Caramell.
Con somma sorpresa dei gemelli, un numero maggiore di mani scattò in aria.
−Assolti – decretò il Ministro in tono glaciale.
A quella notizia, Harry e Jane si saltarono letteralmente al collo, stringendosi in un caloroso abbraccio sollevato, a cui si aggiunsero immediatamente i Collins.
Mentre un fragoroso scalpiccio di passi sulle tribune annunciava che la seduta era definitivamente tolta, i ragazzi raggiunsero di corsa i loro salvatori, salvo trovare solo i Pevensie.
−Dov’è Silente? – chiese Harry aggrottando le sopracciglia.
−Se n’è andato non appena è stata pronunciata la sentenza – rispose Susan.
−Dovevo parlargli – borbottò l’altro.
−Ne avrai sicuramente l’occasione non appena torneremo a Hogwarts.
−Lo spero!
Nel frattempo, Edmund si era avvicinato timidamente a Jane.
−Ti ringrazio per essere venuto – disse lei sorridendo.
−Io? Ma niente, era il minimo che potessi fare. Non dovevi metterti nei guai per me – si schermì lui scrollando le spalle.
−E lasciarti in mano al Dissennatore? Sai che non l’avrei mai fatto.
Finalmente, il gruppo uscì fuori dall’aula, dove ritrovarono un pallidissimo signor Weasley.
Osservava con gli occhi sbarrati due figure seminascoste nell’oscurità.
Nel riconoscerle, Jane strinse istintivamente i pugni: erano il Ministro Caramell e Lucius Malfoy.
−Ora capisco tante cose – ringhiò Susan nell’orecchio dell’amica. – Che essere spregevole!
−Andiamo via, ragazzi – disse il signor Weasley senza perdere d’occhio i due.
−Credete che Malfoy stia controllando Caramell con la Maledizione Imperius? – chiese Susan non appena furono al sicuro all’interno dell’ascensore.
−No, purtroppo – risposero i gemelli all’unisono.
In quel momento, le sbarre dorate dell’ascensore si chiusero ed essi presero a risalire rapidamente verso la luce del giorno.


 
    
   
    
   
Buongiorno, tessssori! :)
Passate buone feste?
Spero che anche questo capitolo vi piaccia come i precedenti.
Ringrazio di cuore tutti i miei recensori e followers per la pazienza e l'entusiasmo con cui continuate a leggere!
Un abbraccio particolare a Joy_10, mia grandissima amica di penna!

Ne approfitto per lasciarvi anche il link della mia pagina ufficiale di facebook: 
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Baci e a martedì prossimo per il nuovo capitolo, dove i nostri eroi arriveranno finalmente a Hogwarts!

F.

 

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***




CAPITOLO 7


Ritorno a casa

~
 
 



 
 
 
Harry era furibondo.
Fissava la banchina del binario nove e tre quarti oltre il finestrino dell’Espresso per Hogwarts, dove un grosso cane nero scodinzolava nella sua direzione, come se potesse vederlo.
−Non doveva venire – ringhiò il ragazzo senza riuscire a staccare gli occhi da Sirius in versione canina.
−Cerca di capirlo, Harry: sono settimane che non vede la luce del sole – osservò Jane comprensiva.
−Sì, ma non mi sembra questo il posto ideale per farlo! – disse lui indicando la lunga chioma biondo platino di Lucius Malfoy che si allontanava a braccetto con la moglie.
Come a voler confermare i suoi peggiori sospetti, il silenzio dello scompartimento deserto venne interrotto da una voce untuosa che ai gemelli risultò fin troppo familiare.
−Tutti soli, Potter? Come mai non siete nella carrozza dei Prefetti?
−Non sono affari tuoi – tagliò corto Harry con il volto premuto contro il vetro del finestrino.
−Oh, Potty non è stato nominato Prefetto? Cos’è, Silente ha finalmente capito che sei fuori di testa?
−Lascialo in pace – ringhiò Jane fissando Malfoy dritto nei suoi freddi occhi grigi.
Con suo sommo orrore, il suo sguardo omicida non sembrò intimidire il biondo come accadeva di solito.
Con un ghigno compiaciuto, Malfoy si avvicinò a lei, fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo naso.
La ragazza riuscì a sentirgli persino l’odore pungente del dopobarba.
–Ascoltami, piccola Mezzosangue, − disse con voce fredda – al contrario di voi, da adesso in poi io sono un Prefetto e ho il potere di aggiungere e togliere punti a mio piacimento. Ergo, comincerò subito con cinque punti in meno a Grifondoro per la rispostaccia di tuo fratello e altri cinque a te perché frequenti Mezzosangue e filobabbani.
−Credo che per le punizioni dobbiamo aspettare perlomeno il banchetto di stasera – disse una voce decisa alle sue spalle.
Malfoy si discostò con violenza da Jane, appiattendosi contro il muro mentre Susan, Edmund e Lucy facevano ingresso nello scompartimento.
Evidentemente, non si era ancora dimenticato di quando la ragazza lo aveva schiaffeggiato davanti a tutta la scuola solo un anno prima.
−La carrozza dei Prefetti è più avanti, Malfoy, e immagino che ci stiano aspettando per darci le istruzioni – proseguì Susan con decisione.
−Ti hanno nominata Prefetto? – domandò l’altro con gli occhi sgranati dall’orrore.
In tutta risposta, Susan fece balenare la spilla appuntata sul maglione.
–Non ti conviene abusare del tuo potere o qualcuno potrebbe pentirsi di avertelo dato. Sappi che io e il professor Piton abbiamo un ottimo rapporto.
Draco abbassò il capo, mormorando qualcosa tra i denti che assomigliava sgradevolmente a ‘sporca Mezzosangue’, ma la mano levata con violenza di Susan bastò a farlo schizzare fuori dallo scompartimento come se lo avesse picchiato di nuovo.
−Sì, bravo, scappa! Come se non ci rivedessimo tra cinque minuti… − gli urlò dietro la ragazza.
−Lascia stare, Sue – le disse Jane.
−Roba da non credere: utilizzare i propri poteri da Prefetto per fare il bullo! – brontolò lei una volta rientrata nello scompartimento.
−Tipico di Malfoy – commentò Harry in tono sarcastico.
−Perché non siete anche voi nella carrozza dei Prefetti?
−Non siamo stati nominati. Ron e Hermione invece sì.
−Mmm, un po’ me lo sarei aspettato, sapete? In fondo, avete già tante cose a cui pensare…Ora però devo andare di là. Vi posso affidare Edmund e Lucy? Sono sicura che non vi dispiaceranno.
−Oh, a noi fa molto piacere! – esclamò Jane strizzando un occhio a Edmund.
−Ci vediamo dopo, allora!
Non appena Susan ebbe varcato la porta, nello scompartimento calò un silenzio imbarazzato.
Edmund e Lucy si erano seduti di fronte ai gemelli, pigiati l’uno contro l’altra.
Di tanto in tanto, gli occhi di lui incontravano quelli di Jane, che gli sorridevano raggianti.
−Allora, siete emozionati? – chiese la ragazza per rompere il ghiaccio.
−Oh, sì! – trillò Lucy entusiasta. – Possiamo scegliere la Casa in cui vogliamo andare?
−No, a quello ci pensa il Cappello Parlante – rispose Harry. – Nel momento in cui te lo mettono sulla testa, lui vede le tue attitudini e ti colloca nella Casa che secondo lui è più adatta a te. Ma tu puoi sempre dirgli dove non vuoi finire, per semplificargli il lavoro. A me è successo.
−Non voleva assegnarti a Grifondoro? Proprio tu che hai sconfitto Tu-Sai-Chi? – esclamò Lucy incredula.
−Eh, già! Secondo lui, dovevo finire a Serpeverde.
−No! E perché mai?
−Non lo so. Io comunque non voglio avere niente a che fare con loro e perciò mi sono opposto con tutte le mie forze. E lui mi ha ascoltato.
−Con me invece è stato tutto molto più facile: mi ha messa subito a Grifondoro – disse Jane.
−E voi dove vorreste finire? – chiese Harry.
−Non a Serpeverde! – si affrettò a dire Edmund.
−Io sono indecisa tra Grifondoro come Peter e Corvonero come Susan. Mi piacerebbe molto stare con mia sorella, ma temo di non essere così portata per lo studio come lei – rispose Lucy.
−Non credo che finirete a Serpeverde – li rassicurò Harry. – Non ne avete proprio l’aria!
−Già, nessuno di voi due sembra coltivare l’odio per l’umanità! – aggiunse Jane ridacchiando.
In quel momento, un rumore di passi nel corridoio annunciò il ritorno di Susan, seguita a ruota da Ron e Hermione.
−Fatto tutto? – chiese Harry.
−Sì – rispose Hermione mentre si sedeva di fronte a lui. – Sarà un anno duro, questo. Noi Prefetti avremo un sacco di mansioni da svolgere: dobbiamo pattugliare i corridoi, assegnare punti e punizioni e controllare che nessuno studente si aggiri fuori dal dormitorio oltre il coprifuoco. Senza contare che stasera dovremo presentare la Casa a quelli del primo anno.
−La vedo dura – borbottò Ron. – Come se i GUFO non fossero già abbastanza.
−Vuoi fare a cambio con me? – domandò Harry.
−No grazie, fratello.
−Comunque, Sue, non abbiamo ancora ringraziato te ed Edmund come si deve per essere venuti all’udienza – si affrettò a sviare il discorso Jane. – Ma Eustace?
−È rimasto a casa nostra fino a quando non siamo partiti per l’Italia insieme a Caspian – sospirò lei. – Peter l’ha accompagnato al San Mungo più volte, ma i Medimaghi gli hanno dato scheda bianca. Non so quante e quali schifezze gli abbiano rifilato i medici babbani, ma in ogni caso pare che quella roba gli abbia completamente bruciato i poteri. È come se fosse un Magonò.
−Oh, mi dispiace. Poveretto!
−Con l’aiuto di tuo padre, i Medimaghi stanno comunque facendo delle ricerche sul tipo di terapia a cui è stato sottoposto Eustace, ma non è detto che si trovi un antidoto. Lui, comunque, cerca di non perdere la speranza, anche se si è giocato l’iscrizione a Hogwarts.
−Fossi in lui, avrei già strangolato vostra zia – commentò Harry.
−Ci abbiamo pensato tutti, credimi!
−Come sono andate le vacanze, invece?
–Benissimo! Mentre i miei erano in viaggio di nozze, noi abbiamo affittato una casa in Toscana per le ultime due settimane di agosto. Caspian faceva la spola tra noi e il Ministero, ma almeno ci siamo distratti un po’.
−Io ho provato persino ad andare a cavallo – disse Edmund.
−Davvero? – gli occhi di Jane si illuminarono.
−Sì. Nel posto dove alloggiavamo organizzavano delle escursioni. Mi sono davvero divertito!
−Allora devo farti provare Ulisse, una volta a Hogwarts – disse lei. – Credo che diventereste degli ottimi amici.
−Non so come me la cavo con le vertigini.
−Non è mica obbligatorio volare!
−Ragazzi, − intervenne in quel momento Hermione – mi spiace interrompervi, ma credo che sia arrivato il momento di indossare le nostre divise.
 
***
       
Si era ormai fatto buio da un pezzo quando l’Espresso di Hogwarts prese a rallentare sulle rotaie fino a fermarsi alla stazione di Hogsmeade, una lunga banchina deserta che sembrava sospesa in una dimensione senza tempo.
Edmund uscì dal bagno a passi incerti, osservandosi per la prima volta con indosso la veste nera che da quel giorno in poi sarebbe stata la sua divisa scolastica.
Durante la sua prigionia, Alhena gli faceva indossare degli abiti abbastanza eleganti, molto diversi da quelli dei Babbani, ma nessuno di loro somigliava a quel lungo mantello nero che gli nascondeva il maglione e i pantaloni grigi.
Si sentiva terribilmente strano, lui che per anni aveva associato la magia a qualcosa di orribile, che poteva provocare solo dolore.
Un po’ come Susan, a pensarci bene.
In quel preciso istante, Lucy uscì dal bagno delle ragazze, i lunghi capelli castano ramato raccolti in due treccine sulla nuca.
Era eccitata come non l’aveva mai vista prima d’ora.
–Come sto? – chiese raggiante, facendo un rapido giro su se stessa.
–Come una strega – sorrise Edmund.
Lei scoppiò in un risata limpida e lo abbracciò forte, facendolo incespicare visibilmente.
–Oh, Ed, sono così felice di essere qui! – esclamò. – Pensa che lo desideravo da quando è arrivato Peter. Tutte quelle cose che mi raccontava sulle Case, il Quiddich, gli incantesimi…oh, ho sempre desiderato di essere come lui!
–E lo sarai – rispose il ragazzo con una stretta allo stomaco. – Hai tutte le carte in regola per diventare una strega molto valorosa.
–State vicini, voi due – intervenne in quel momento Susan, che si era affacciata dalla porta del suo scompartimento trascinando una pesante valigia.
In quel momento, tutti gli studenti si stavano riversando sulla banchina come uno sciame di pipistrelli neri.
I Pevensie seguirono i gemelli Potter, Ron e Hermione nella notte, cercando di stare il più vicino possibile.
–Ciao, Susan! – esclamò una voce acuta.
La ragazza abbassò lo sguardo e si trovò a fissare i grandi occhi celesti di Nigel Crewey, un ragazzino del secondo anno a cui aveva salvato la vita il suo primo giorno di scuola, diventando inevitabilmente una sua grande amica.
La ragazza notò subito che si era alzato di parecchi centimetri dall’ultima volta che l’aveva visto.
–Ciao – lo salutò sorridendo. – Conosci Edmund e Lucy, i miei fratelli?
–Piacere! – si presentò Nigel stringendo la mano a Edmund; poi, quando vide Lucy, si prostrò in un profondo inchino.
Lei scoppiò in una risata timida, arrossendo visibilmente.
 –Ormai il danno è fatto – sussurrò Jane nell’orecchio di Susan, facendola pentire amaramente di ciò che aveva appena combinato.
–PRIMO ANNO, PRIMO ANNO SEGUITEMI!
I Potter, Ron e Hermione sussultarono nell’udire la perentoria voce femminile che aveva appena parlato, dal momento che si aspettavano di sentir proferire quelle parole da Hagrid, come avveniva di solito.
La cosa non prometteva niente di buono.
–Primo anno, da questa parte! – ripeté in quel momento la donna dai corti capelli scuri che era appena apparsa davanti a loro, seguita da dei timidi ragazzini di undici anni.
–Ehm, professoressa Caporal, – esordì Jane – dov’è Hagrid?
–Questi non sono affari tuoi – rispose lei in tono sbrigativo. – Potter, giusto? È tuo l’europeo grigio che è atterrato davanti alle serre non meno di cinque minuti fa?
–Sì, è Ulisse, il mio pegaso. Tutto in regola, spero.
–Assolutamente sì. Vedi, cara, dovendo sostituire Hagrid per un po’ di tempo e visto che quest’anno dovrete studiare le varietà di ungulati tra gli animali fantastici, volevo chiederti se potevi renderlo disponibile per alcune lezioni pratiche. Come ben sai, non è un animale tipico di queste latitudini e gli allevatori del sud chiedono spesso cifre esorbitanti per avere un esemplare in prestito.
–Non si preoccupi, faccia pure.
–Bene, dunque, piccola, tu vieni con me – disse la Caporal rivolta a Lucy, che la seguì titubante.
–Ci sono anch’io! – esclamò Edmund, accodandosi al gruppo dei ragazzi del primo anno.
Era impossibile non notare che li superava tutti in altezza.
Molti di loro gli lanciavano sguardi intimiditi.
–Non lasciare mai Lucy, capito? – gli gridò Susan, restando a fissarli fino a quando non furono scomparsi del tutto nell’oscurità.
–Tranquilla, Sue – la confortò Hermione. – Il tempo oggi è buono e non credo che troveranno problemi nell’attraversare il lago.
–Sarà, ma non ho dei bei ricordi di quella esperienza – borbottò l’altra.
Al suo fianco, Nigel parve sprofondare fino alla punta del naso nel colletto della camicia.
Il gruppetto si avviò lentamente verso il principio della Foresta Proibita, gli stomaci che cominciavano a brontolare visto che le scorte di Cioccorane e Api Frizzole erano finite da diverse ore.
–Cosa intendeva dire la Caporal con il sostituire Hagrid per qualche tempo? – continuava a domandare Harry preoccupato.
–Forse è in missione – ipotizzò Jane.
–Forse è malato – soggiunse Ron.
–O forse…
Fortunatamente per la serenità generale, Hermione non fece mai in tempo a finire la frase.
Di fronte a loro era comparso Neville, rimasto solo, che stringeva tra le braccia quello che sembrava un gigantesco cactus in vaso ricoperto da delle disgustose pustole verdi al posto delle spine.
La pianta pulsava leggermente, come se respirasse.
–Ciao, ragazzi – li salutò lui con un sorriso.
–Ciao, Neville – rispose Jane. – Rimasto a piedi?
–Dean e Seamus non mi hanno voluto sulla carrozza con loro dopo che la mia Mimbulus Mimbletonia li ha ricoperti di Puzzalinfa da capo a piedi.
–Mimblu…che? – chiese Ron.
–Mimbulus Mimbletonia – spiegò Neville orgoglioso, indicando il cactus. – Me l’ha regalata la nonna per il mio compleanno. Sapete, è una pianta molto utile.
I gemelli Potter si scambiarono uno sguardo complice: entrambi erano a conoscenza dell’innata passione di Neville per Erbologia, l’unica materia di Hogwarts in cui riusciva a prendere buoni voti.
 –Oh, ecco la carrozza! – esclamò a quel punto Ron.
I ragazzi si accalcarono attorno alla carrozza priva di cavallo che si era avvicinata a loro con un lento cigolio, tranne Harry, che fissava le stanghe vuote con gli occhi sbarrati.
–Andiamo, Harry! – lo incalzò Jane.
–Ma lo vedete anche voi…quel coso? Quello che tira il calesse? – chiese lui indicando il vuoto.
–Niente tira la carrozza, Harry, come sempre – rispose Hermione. – Coraggio, il banchetto sta per iniziare!
Pregando di non essere uscito completamente di senno, Harry salì finalmente a bordo, cercando inutilmente di ignorare gli sguardi interrogativi che gli stavano lanciando i suoi amici.
 
***
 
Edmund non riusciva più a contenere il proprio stupore.
In meno di mezz’ora aveva attraversato il Lago Nero a bordo di una barca senza nocchiere e ora se ne stava lì, di fronte alla porta chiusa della Sala Grande, mentre la professoressa McGranitt spiegava allo stuolo di studenti terrorizzati ciò che li avrebbe attesi dall’altra parte, tra regole da rispettare, premi e punizioni.
Aveva illustrato le quattro Case di Hogwarts (Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde) e il modo in cui sarebbero stati assegnati a una di esse in base alle loro attitudini personali.
Edmund continuava a ripensare a quello che gli aveva detto Harry, immaginandosi nei suoi panni, intento a implorare il Cappello Parlante di non spedirlo a Serpeverde.
In fondo, cosa c’entrava lui con loro?
Non condivideva nulla degli ideali di purezza del sangue, di meschinità e brama sconfinata di potere.
Lui voleva solo avere una vita tranquilla, al fianco delle persone che amava.
Stava forse chiedendo troppo?
In quel preciso istante, la porta si aprì, inondando i ragazzi del primo anno di una luce dorata.
Lucy trattenne a stento un grido di eccitazione, affondando le unghie nell’avambraccio di Edmund.
Il ragazzo quasi non se ne accorse, perso nella contemplazione di quel soffitto incantato che sfociava direttamente nel cielo puntellato di stelle, delle candele sospese a mezz’aria per magia, di tutti quei volti che li osservavano incuriositi.
Riuscì a distinguere gli sguardi dei Potter che levavano i pollici verso l’alto dal tavolo di Grifondoro e lo sguardo raggiante di Susan, che parlava con un ragazzo di Corvonero.
Si fermarono di fronte al tavolo dei professori, dove li attendeva lo sgabello su cui riposava il Cappello Parlante.
Silente si trovava al centro, sorridendo benevolo ai nuovi venuti attraverso gli occhiali a mezzaluna.
Edmund non riuscì a trattenere un cenno di saluto nel momento in cui incontrò i suoi occhi azzurri.
Quello sguardo lo rassicurò.
Di colpo, era come sentirsi veramente a casa, amato e protetto.
La professoressa McGranitt sfiorò il Cappello Parlante con la punta della bacchetta.
Subito, la tela strappata appena sopra la tesa si increspò come se fosse una bocca e il Cappello prese a cantare la sua canzone.
Raccontò della fondazione di Hogwarts, di come Salazar Serpeverde si separò dagli altri fondatori, fino a lasciare definitivamente il castello, creando una spaccatura che avrebbe portato solo odio e disprezzo tra le Case.
Poi, improvvisamente, la melodia cambiò.
 
Mi spiace dividervi, ma è mio dovere:
eppure una cosa pavento sapere.
Non so se sia utile voi separare:
la fine che temo potrà avvicinare.
Scrutate i pericoli, i segni leggete,
la storia v’insegna, su non ripetete
l’errore commesso nel nostro passato.
Adesso su Hogwarts sinistro è calato
un grande pericolo, un cupo nemico
l’assedia da fuori pericolo antico.
Uniti e compatti restar dobbiamo
se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo.
Io qui ve l’ho detto, avvertiti vi ho…
e lo Smistamento or comincerò.   
   
Il Cappello tornò immobile e subito uno scroscio di applausi esplose dai quattro tavoli, anche se non privo di un certo mormorio di fondo, come se la canzone avesse suscitato scalpore.
–Quando sentirete il vostro nome, verrete a sedervi qui – disse la professoressa McGranitt prendendo il Cappello Parlante tra le lunghe dita sottili, in modo tale da liberare lo sgabello su cui era appoggiato. – Eloise Budgmore!
La prima matricola della serata venne subito assegnata a Tassorosso.
Subito dopo vennero due Serpverde, un Corvonero e tre Grifondoro.
La lista si accorciava sempre di più e, man mano che si avvicinava alla lettera P, Lucy si faceva sempre più emozionata, ancorandosi spasmodicamente all’avambraccio di Emdund, il quale si sentiva lo stomaco in subbuglio per il nervosismo.
Di tanto in tanto, lanciava uno sguardo speranzoso verso il tavolo di Grifondoro, desiderando con tutto il cuore di potersi sedere tra loro pochi minuti dopo, accanto a Jane…
–Edmund Pevensie – annunciò in quel momento la professoressa McGranitt.
Sentendosi tutti gli sguardi puntati addosso, Edmund si avvicinò timidamente al Cappello Parlante, fissandolo come se si fosse trattato di un serpente velenoso.
Con estrema lentezza, il ragazzo si sedette sullo sgabello, serrando gli occhi.
Una parte di lui voleva che quell’agonia finisse il prima possibile, ma un’altra sperava con tutto il cuore che il terribile verdetto che tanto temeva non arrivasse mai.
Avvertì la McGranitt che abbassava il Cappello sulla sua testa come una mannaia, la tesa che ormai sfiorava i suoi capelli scuri, quando la parola che avrebbe decretato il suo destino risuonò per tutta la Sala Grande con la potenza di un tuono.
Serpeverde!
 


 
  



Salve a tutti!
Scusatemi per l'abissale ritardo con cui ho aggiornato, ma sono rimasta senza Internet per tre giorni e perciò mi è stato impossibile caricare il nuovo capitolo.
Spero che comunque non demordiate nella lettura.
In mia discolpa, posso dire che gli aggiornamenti torneranno sempre di martedì, per accorciare i tempi di attesa (ma non prima della serata, in quanto la mattina ho un colloquio molto importante all'università).

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Capitolo 8
*** Nel nido delle serpi ***



CAPITOLO 8

Nel nido delle serpi

~
 
 
 
 
 
 
Per un attimo, Edmund credette che la voce che aveva appena parlato fosse frutto della sua immaginazione, un brutto scherzo dettato dall’ansia che lo perseguitava senza requie da settimane. 
Eppure tutti gli sguardi puntati su di lui e il silenzio irreale che era calato sulla Sala Grande indicava che ormai il suo posto era stato assegnato, senza che egli potesse fare nulla per ribattere, nonostante il Cappello Parlante non fosse stato nemmeno calato sulla sua testa.
Era come se lo avesse riconosciuto a prima vista, smascherandolo definitivamente.
–Signor Pevensie, quarto tavolo a destra, per favore – disse la McGranitt senza battere ciglio.
L’ultima speranza che si trattasse solo di un brutto scherzo gli era appena scivolata tra le dita.
Disperato, Edmund si alzò con estrema lentezza, gli occhi sgranati per lo shock.
Tra i bambini del primo anno, Lucy lo fissava con aria incredula e ferita, come se anche lei non capisse che cosa stava accadendo.
No, non poteva essere stato assegnato proprio a Serpeverde!
Con un ultimo moto di speranza, Edmund si voltò verso Silente, lo sguardo carico di supplica, ma il Preside si limitò a fissarlo con uno sguardo carico di comprensione, facendogli un debole cenno di incoraggiamento con il capo.
Sembrava profondamente incuriosito dalla sua reazione.
Capendo che non c’era più niente da fare, il ragazzo si avviò definitivamente verso i suoi futuri compagni di Casa, superando il tavolo dei Grifondoro e andandosi ad accomodare di malavoglia tra i Serpeverde, scegliendo l’angolo più appartato possibile.
Avrebbe tanto voluto scomparire.
Sentiva gli sguardi ostili dei presenti bruciargli addosso.
Nessuno di loro volle rivolgergli direttamente la parola, ma più d’uno prese a borbottare ad alta voce nell’orecchio del compagno.
–Ma come, lui, l’amico dei Potter?
–Ma non è un Purosangue!
–Pare che sia adottato. Magari i suoi genitori lo erano.
–Chissenefrega. È pur sempre un filobabbano.
Pochi istanti dopo, Lucy venne assegnata a Grifondoro.
Edmund si sentì sprofondare.
Quanto avrebbe voluto essere al suo posto in quel momento!
I Serpeverde sembravano contenti quanto lui di averlo tra loro.
Il più entusiasta era sicuramente Malfoy, che continuava a fissarlo con i suoi freddi occhi grigi, continuando a confabulare con Tiger e Goyle, i suoi giganteschi tirapiedi.
–Chissà come la prenderanno i fratelli maggiori, con questo colpo. Magari sta venendo finalmente fuori l’elemento buono della famiglia – sghignazzava, attirando le risatine sarcastiche di molti compagni.
Edmund cercò di ignorarlo, ma dentro di lui moriva dalla voglia di prenderlo a pugni davanti a tutta la scuola.
Era letteralmente schifato da se stesso.
Forse la Strega Suprema aveva ragione: era davvero un mostro.
Probabilmente, la sua famiglia adottiva e i Potter non avrebbero più voluto saperne di lui.
Forse Evelyn avrebbe fatto in modo di disdire l’adozione e spedirlo in un orfanatrofio.
E, soprattutto, né Harry né Jane gli avrebbero più rivolto la parola, ma lo avrebbero giudicato con disprezzo.
A quel pensiero, Edmund si lasciò sfuggire un gemito, che per fortuna non venne udito. Silente si era appena alzato in piedi.
–Benvenuti e bentornati a tutti voi studenti – esordì sorridendo. – Bene, vorrei dare subito alcune comunicazioni urgenti per questo inizio anno. La prima è che abbiamo due nuovi acquisti all’interno del corpo insegnanti, ovvero la professoressa Caporal, che tornerà a sostituire Hagrid per certo periodo, e la professoressa Umbridge, che insegnerà…
–Ehm, ehm…
L’intera Sala Grande parve congelarsi, ma mai quanto le budella di Edmund.
Conosceva quella voce, l’aveva sentita in un’occasione ben precisa: l’udienza dei Potter.
Era di nuovo lei, quell’orribile strega con il cardigan rosa e gli occhi da rospo, che da quel giorno in poi sarebbe stata una loro insegnante.
Fantastico.
Mentre la Umbridge intonava un pomposo discorso ufficiale dall’aria preconfezionata, il ragazzo udì distintamente Malfoy commentare ad alta voce: – Dolores Jane Umbridge è amica di mio padre. Sottosegretario Anziano al Ministero, praticamente il braccio destro di Caramell. Finalmente, questo posto avrà la raddrizzata che merita. Silente si è preso fin troppe libertà, con tutti quegli ibridi e filobabbani in giro per il castello.
–Per non parlare dei Grifondoro. Pare che esistano solo loro, qui dentro – si lamentò Pansy Parkinson, una ragazza dai capelli scuri e lo sguardo truce.
–Oh, non vedo l’ora di vedere come reagirà Potty, nel momento in cui la sua immeritata celebrità verrà messa a tacere una volta per tutte – ghignò Malfoy, scatenando l’ennesimo coro di risatine maliziose.
Edmund era semplicemente disgustato.
Avrebbe tanto voluto alzarsi e andare dai suoi amici a informarli di quanto aveva udito, ma una parte di lui gli diceva che era meglio restare lì, nascosto, perché sicuramente non sarebbe stato creduto, ormai bollato come membro della schiera nemica.
La serata sembrò non trascorrere mai.
Nonostante fosse un estimatore della buona cucina.
Edmund non toccò niente delle squisite pietanze che gli si materializzavano continuamente sotto il naso, prendendo a fissare torvo gli altri Serpeverde che si abbuffavano senza ritegno a conversavano con il Barone Sanguinario, il loro sinistro fantasma completamente ricoperto di macchie di sangue argentato.
Quando Piton, il loro Direttore, passò con gli orari delle lezioni, il ragazzo se lo ficcò in tasca senza neanche guardarlo.
Non gli importava più niente di Hogwarts.
Voleva andare a casa, se solo ne avesse avuta una.
Dopo un tempo che sembrò durare un’eternità, Silente diede ufficialmente la buonanotte agli studenti.
Un rumore di sedie spostate e di piedi sul pavimento di pietra annunciò che gli studenti avevano preso a sciamare verso i rispettivi dormitori.
–Tutti i marmocchi del primo anno sono gentilmente pregati di seguirci, grazie – disse Malfoy levandosi in piedi.
Aveva un’espressione gongolante stampata sul viso affilato, come se Natale fosse arrivato in anticipo.
Evidentemente, non vedeva l’ora di farsi bello di fronte alla marmaglia di bambini del primo anno che ancora ignoravano che razza di canaglia fosse in realtà.
–Le ragazze seguano la signorina Parkinson, mentre i gentiluomini verranno con me. Anche i ripetenti, ma solo per stasera – proseguì Draco, lanciando un’occhiata maliziosa a Edmund mentre pronunciava l’ultima frase. – Su, svelti! Non ho intenzione di sprecare tutta la notte a causa vostra.
Le matricole seguirono Malfoy all’esterno della Sala Grande, perdendosi nel labirinto di corridoi dalle ampie finestre.
–Sicuramente la maggior parte di voi conoscerà la Casa di Serpeverde come un covo di malfattori della peggior specie. Bene, non è così. Salazar Serpeverde era il più lungimirante dei quattro fondatori. Lui voleva solo i migliori, capite? Non tutti sarebbero potuti arrivare ai livelli che lui richiedeva. I maghi e le streghe che avrebbero seguito i suoi insegnamenti, sarebbero diventati padroni di poteri inimmaginabili. Tutta roba che quegli altri tre mollaccioni non immaginavano neppure.
–Tutte bugie, specie se dette da uno che ha costruito una camera nascosta nel castello solo per piazzarci dentro un mostro – commentò Edmund ad alta voce.
Ora ci mancava solo la lezione di storia fatta da quel figlio di Mangiamorte!
–Nessuno ti ha dato il permesso di parlare, Pevensie – lo freddò Malfoy. – Che ti piaccia o no, qui le regole le stabilisco io. Tu non devi fare altro che rispettarle senza ribattere.
–Mi rifiuto di dormire sotto lo stesso tetto di un assassino!
–Nessuno ti obbliga, Pevensie. Ora però ti conviene stare zitto, o ne pagherai le conseguenze.
–E che cosa credi di fare? Togliere punti alla tua stessa Casa?
A quella frecciata, gli occhi grigi di Malfoy si tinsero di una sfumatura gelida. – Stai attento, Pevensie. Qui Potty non può venire a salvarti.
I due maghi si scambiarono un’occhiata omicida, torreggiando sugli studenti del primo anno; poi Draco si voltò lentamente, intimando agli altri di seguirlo.
Edmund si sentì mancare il terreno sotto i piedi.
Stavano scendendo giù, sempre più giù, verso i sotterranei.
Una nuova prigione.
Ancora una volta.
Basilisco – disse Malfoy non appena si fermarono davanti a una ruvida parete di pietra. – Questo è l’ingresso alla nostra sala comune – spiegò. – Non dimenticate la parola d’ordine, perché non verrò a cercarvi dopo le nove di sera in giro per il castello, chiaro?
I ragazzini lo seguirono intimiditi oltre la soglia, ritrovandosi in una vasta sala sotterranea piena di poltrone e divani di velluto verde.
Al centro, un grande camino di pietra torreggiava fino al soffitto.
Ovunque c’erano decorazioni che raffiguravano serpenti intrecciati.
L’atmosfera verdastra metteva semplicemente i brividi.
Edmund si chiedeva come avrebbe potuto resistere per quattro anni in quelle condizioni.
Forse era anche peggio del sotterraneo di Villa Black.
–I dormitori dei ragazzi sono a destra, quelli delle ragazze a sinistra – proseguì Malfoy indicando una serie di porte laterali. – Ciascuno è munito di bagno con ampie vasche a idromassaggio. Troverete le vostre cianfrusaglie ai piedi dei letti. Ora sparite, che domani le lezioni iniziano alle nove. Be’, buonanotte!
Edmund si accodò ai ragazzi del primo anno per raggiungere il dormitorio, salvo scoprire che il suo letto non c’era, nonostante fossero divisi per anno.
Bussò imbarazzato alle porte di quelli del secondo, terzo e quarto anno, ma erano tutti al completo.
Con suo sommo orrore, si accorse che i suoi effetti erano stati depositati sul letto accanto a quello di Draco Malfoy.
–Cos’hai da guardare? – chiese questi in tono brusco mentre si sfilava mantello e maglione.
Edmund entrò timidamente, raggiungendo di soppiatto il suo letto.
Tiger, Goyle e Zacharias Smith gli lanciarono delle occhiate velenose.
–Bene, credo che Pithya abbia bisogno di sgranchirsi le spire – dichiarò Malfoy chinandosi sul suo baule.
–Pithya? – un atroce sospetto si fece largo nella mente di Edmund, facendolo inorridire al solo pensiero di che cosa si potesse nascondere in quella stanza.
–Oh, è il mio pitone reale – rispose Draco in tono annoiato, colpendo il baule con la punta della bacchetta.
Ci fu uno schiocco secco, poi la serratura si aprì.
Un sibilo stizzoso ruppe il silenzio; poi un grosso corpo squamoso cadde sul pavimento del dormitorio.
Alla vista del serpente, Edmund lanciò un urlo.
Innervosito, l’animale si mise in posizione d’attacco.
–Mettilo via, mettilo via! – gridò sguainando la bacchetta, anche se sapeva che gli sarebbe servita a poco.
Gli altri Serpeverde ridevano a crepapelle. 
–Perché dovrei farlo, Pevensie? – chiese Malfoy con aria divertita. – Non ti piace?
Terrorizzato, Edmund afferrò il suo baule e si precipitò fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, il cuore che gli pulsava nelle orecchie e le gambe che non la smettevano di tremare.
Un serpente in camera?
Il ragazzo odiava quelle creature prive di zampe, gli incutevano una paura che non riusciva a dominare in nessun modo.
Lottando per non dare di matto, Edmund si lasciò crollare sul divano più vicino al fuoco, massaggiandosi le tempie.
Possibile che fosse finito in un simile incubo?
–Ehi, vuoi stare attento a dove ti siedi? – protestò una voce a pochi centimetri dal suo sedere.
Edmund schizzò in piedi come se avesse appena preso la scossa.
Tra l’ammasso di coperte adagiato sul divano era comparsa la testa di un ragazzo sui quattordici anni dai folti capelli castani e i lineamenti aristocratici, che lo fissava imbufalito con i suoi penetranti occhi blu.
–Scusami, è che Malfoy tiene un serpente nel dormitorio e io…
–…sei stato sfrattato come me, giusto? – concluse lo sconosciuto in tono comprensivo. – Tranquillo, neanch’io sono una celebrità tra i Serpeverde. Non appena sono arrivato, ho scoperto che il mio letto è sotto una Maledizione Strangolante, non so se mi spiego. Per poco non vengo strozzato dal mio pigiama.
–Come mai ce l’hanno con te? – chiese Edmund incuriosito, sedendosi a distanza di sicurezza.
–Indovina un po’? Sono un Mezzosangue.
–Cosa? Qui a Serpeverde?
–Di che cosa ti stupisci? I Purosangue ormai si contano sulla punta delle dita. Se i nostri avi non avessero sposato dei Babbani, a quest’ora saremmo tutti estinti. Peccato che a molti dei nostri compagni di dormitorio la cosa non vada giù, come se fossero migliori degli altri.
–Quindi tu sei figlio di Babbani?
–Mio padre. Mia madre è una Greengrass, ne avrai sicuramente sentito parlare. Lei lavora al Ministero della Magia, mentre mio padre sta in quello Babbano. Si sono incontrati a metà strada, per caso. Lui non ha avuto problemi con la magia, ma la famiglia di lei sì. Sono dovuti scappare in Francia, dove sono nato io, e sono rientrati solo dopo la morte dei miei nonni e la caduta di Tu-Sai-Chi.
–Anch’io credo di essere nato all’estero, ma non so nulla dei miei genitori – disse Edmund. Quel ragazzo gli stava sempre più simpatico; avevano tante cose in comune.
–Nulla? – chiese l’altro perplesso. – E i Pevensie, allora?
–Sono stato adottato. È complicato.
–Va bene, d’accordo. Comunque, io sono Adam Johnson, tuo compagno di sventura.
–Piacere, Edmund.
–Accomodati pure – disse Adam agitando la bacchetta. Dal nulla apparve un’altra coperta con un cuscino. – Visto che saremo fuori sede per un bel po’, meglio metterci comodi.
–Ti ringrazio. Pensi che quegli altri ci verranno a disturbare mentre dormiamo?
–Non credo. Sono troppo occupati a fumare, drogarsi o a divertirsi con le ragazze del dormitorio di sinistra. Malfoy sta facendo a gara con Smith su chi ne porta a letto di più.
–Ah.
Edmund si liberò delle scarpe e del mantello e si ficcò sotto la coperta, prendendo a rimirare il fuoco.
Al suo fianco, Adam aveva già ripreso a dormire.
Si sentiva terribilmente solo e triste, di nuovo prigioniero di una realtà che non aveva voluto.
Come e quando sarebbe uscito da quella situazione, non lo sapeva.
Il ragazzo restò sveglio fino a notte fonda, contemplando le fiamme che si spegnevano lentamente.
Nella sala comune regnava il silenzio più totale.
Alla fine, scivolò nel sonno senza neanche accorgersene.
Sognò corridoi sotterranei, serpenti giganti che lo inseguivano strisciando e sibilando minacciosamente, creature incappucciate che sussurravano quel nome che negli anni aveva imparato a odiare.
Poi arrivò Jane e gli disse che sarebbe andato tutto bene.  



 


 
Carissimi lettori, buonasera! :)
Scusate se anche questa volta ho tardato ad aggiornare, ma sono rimasta all'università fino a tardi e per questo mi sono potuta sedere davanti al computer solo ora.
Dalla prossima settimana tornerò a essere puntuale come sempre, promesso! :P

Nel frattempo, mi sta ronzando in mente un nuovo progetto.
Non vi spoilero nulla, tranne l'epoca storica in cui verrà ambientato: Parigi alla fine del Settecento.
Intriga?

Nell'attesa di nuovi aggiornamenti, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook, qualora vogliate ricevere direttamente tutte le notizie sulle mie storie: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A prestissimo!
Baci

F.


 
 
     
   
 
   
    

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Capitolo 9
*** Sottosopra ***





CAPITOLO 9

Sottosopra

~

 
 
 
 
 
 
 
Quando Edmund riaprì gli occhi la mattina successiva, sulle prime fu convinto di essersi sognato tutto e che la schiena indolenzita fosse il frutto della tensione per il suo imminente arrivo a Hogwarts.
Ma nel momento in cui si rese conto di trovarsi nella gelida sala comune di Serpeverde, abbarbicato alla bell’e meglio su un divano di pelle con i piedi che per poco non finivano in faccia a un emerito sconosciuto, il ragazzo capì che ormai l’unica cosa che gli restava da fare era quella di alzarsi e affrontare qualsiasi cosa lo aspettasse.
Ora che il sole aveva fatto capolino dietro le montagne, Edmund si rese conto di quanto la sua nuova dimora fosse grande.
Innanzitutto, con il buio non aveva notato la grande vetrata gotica che occupava l’intera parete di fondo della stanza, rivelando il paesaggio mozzafiato del Lago Nero circondato dalle montagne.
La pallida luce dell’alba conferiva all’ambiente un aspetto meno tetro, facendo risaltare l’argento delle suppellettili e il vivace color verde dei tendaggi.
Sperando di non dover affrontare subito in suoi nuovi compagni, il ragazzo sgattaiolò in bagno, si lavò il viso e cercò di sistemarsi la sua chioma ribelle; poi si cambiò la camicia e si rassettò il maglione.
Restò per un tempo interminabile a fissare la cravatta verde e argento che pendeva floscia dal rubinetto del lavandino, quasi fosse stata un serpente velenoso.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per non poterla mai indossare, eppure quella cosa inerte era lì, quasi come se non aspettasse altro di stringersi come un cappio attorno al suo collo esile.
Dopo una serie di minuti interminabili, Edmund chiuse gli occhi e finì di vestirsi, caracollando nuovamente verso la sala comune.
Lì trovò Adam già sveglio e vestito di tutto punto, che si passava una generosa quantità di gelatina sui folti capelli castani.
–‘giorno, Pevensie – lo salutò con un sorriso assonnato. – Dormito bene?
–Sì – mentì Edmund. – Spero solo di non averti dato fastidio. Sai, ho il sonno molto agitato.
–Mmm, non credo, sai? Ero talmente stanco…anche se un paio di volte ho avuto come l’impressione di avere un alluce ficcato su per il naso.
A quell’osservazione, l’altro divenne di tutti i colori e per il resto della mattinata preferì non rivolgere nemmeno mezza parola al suo compagno di sventure.
Scesero di sotto separatamente, sistemandosi a due lati diversi del tavolo.
Malfoy era già arrivato ed era intento a sfogliare l’ultimo numero de La Gazzetta del Profeta con una smorfia di profonda soddisfazione stirata sul viso spigoloso.
–Dormito bene, Pevensie? – ghignò non appena il ragazzo si presentò nella Sala Grande, ma Edmund aveva altro a cui pensare.
Gli passò davanti senza degnarlo di uno sguardo e si concentrò sulla sua razione di corn flakes.
Non aveva il coraggio di levare lo sguardo verso il tavolo dei Grinfondoro, anche se a quell’ora erano ancora pochi gli studenti scesi per la colazione.
Non voleva correre il rischio di incrociare per sbaglio lo sguardo dei Potter o, peggio ancora, quello delle sorelle.
Finì in fretta e furia la colazione e si precipitò all’esterno, ripescando l’orario stropicciato dalla tasca dei pantaloni.
Bene, a quanto pareva seguiva quasi sempre i corsi insieme a quelli del primo e del secondo anno, tranne Cura delle Creature Magiche (che avrebbe frequentato insieme ai suoi coetanei), il che significava che fino a giovedì poteva dormire sonni tranquilli, se mai ci fosse riuscito.
 Sospirando con fare rassegnato, Edmund si trascinò verso l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
 
***
   
Per fortuna, la sua prima settimana di scuola Edmund ebbe così tante cose a cui pensare, che il fatto di essere finito a Serpeverde diventò l’ultimo dei problemi.
Ogni giorno c’erano almeno otto ore di lezione da seguire, più Astronomia, che si teneva puntualmente di notte.
E poi c’erano i compiti.
In tutta la sua vita, Edmund non si era mai posto il problema dei compiti.
Certo, negli anni che avrebbero dovuto corrispondere alle elementari, la Strega Suprema si era premurata di insegnargli perlomeno a leggere e scrivere, ma il fatto che in seguito il ragazzo avesse trovato piacere nel divorare la biblioteca di Villa Black era una cosa del tutto personale.
I libri che prendeva dagli scaffali erano semplicemente quelli che più lo attraevano, senza mai porsi il problema di ripeterli a memoria a qualcun altro.
Figuriamoci mettersi a scriverci sopra un tema!
Senza contare dell’uso della magia.
Edmund non si era mai sentito così impacciato in vita sua.
Nonostante fosse stato salvato e adottato da dei maghi e avesse scelto deliberatamente di iscriversi a Hogwarts, il ragazzo provava ancora una certa repulsione nell’eseguire gli incantesimi.
Il più delle volte, quando agitava la bacchetta non succedeva praticamente nulla.
Altre, la sua magia avveniva a scoppio ritardato, nel momento in cui si rilassava e liberava tutta la tensione che aveva accumulato durante la lezione, scatenando il panico nei corridoi o in biblioteca, l’unico posto in cui potesse studiare in santa pace e che, suo malgrado, gli ricordasse la vecchia vita prima di finire sepolto vivo nel sotterraneo.
Il problema era che, dopo la cinque, la biblioteca chiudeva e un paio di volte Edmund fu cacciato via in malo modo da Madama Pince, l’anziana bibliotecaria.
A quel punto, non gli restava che trascinarsi a cena, dove non mangiava praticamente nulla, e poi giù, di nuovo nella Sala Comune, dove gli riusciva quasi impossibile concentrarsi con tutto il chiasso provocato dagli studenti impegnati in epiche partite a Spara Schiocco o a scacchi dei maghi.
Uno di loro aveva stregato una vecchia radio babbana, che strillava a tutto volume una serie interminabile di canzoni heavy metal fino a tarda notte.
Solo allora il povero Edmund poteva ritornare al suo divano, dividendolo insieme ad Adam, ormai ufficialmente sfrattato dal suo dormitorio.
–Sai, temo che dovremo farci l’abitudine – disse questi la seconda sera. – E pensare che Serpeverde è sempre stata considerata la Casa dei vip.
–Ma tu hai tua madre al Ministero, no? – domandò Edmund perplesso. – Se solo sapesse che cosa stai passando…
–Quello che dice mia madre non conta, qui dentro. Per loro, ha tradito la propria razza. No, se permetti, vado molto più fiero di questo divano che del solito letto a baldacchino.
Stavano diventando molto amici, lui e Adam.
Il fatto di essere così soli, snobbati da tutti, li aveva portati a essere uniti.
Dal terzo giorno in poi, Edmund ebbe finalmente qualcuno con cui parlare.
Nonostante certe volte Adam gli sembrasse eccessivamente pieno di sé, i due riuscivano ad andare d’accordo su molte cose, trovando il lato positivo anche in quella scomoda situazione.
Aveva quel pungente senso dell’umorismo che riusciva quasi sempre a ristabilire il buonumore, se non ad azzittire Malfoy per qualche minuto con una frecciatina ben assestata.
Grazie a lui, i primi giorni di scuola sembrarono trascorrere molto più velocemente.
Era ormai giunto al secondo martedì a Hogwarts quando Edmund, leggermente più rilassato rispetto al primo impatto, si avviò tutto solo verso il bagno dei maschi al quarto piano durante la ricreazione.
Si era chiuso dentro da pochi istanti, quando una voce familiare proruppe dall’esterno.
–Edmund?
Il ragazzo trasalì, sentendosi montare il panico.
–Harry?
–Posso parlarti un secondo?
–Va bene.
Con le mani tremanti, Edmund tirò lo sciacquone e uscì fuori dal cubicolo, trascinandosi al primo rubinetto libero.
Harry lo stava aspettando, grattandosi distrattamente la cicatrice.
–Immaginavo fossi da queste parti – disse senza alcuna traccia di ostilità nello sguardo e nella voce. – La cicatrice si è messa a prudere non appena ho messo piede qua dentro.
–Mi dispiace. Ma, Harry, che hai fatto alla mano? – solo allora Edmund aveva notato una serie di sottili segni rossi disegnati sul palmo della mano destra di Harry, che il ragazzo si affrettò subito a cacciare in tasca.
–Niente – si affrettò a rispondere.
Senza curarsi di strappargli un gemito di dolore, Edmund gli afferrò il polso e gli esaminò la mano, sgranando gli occhi dall’orrore.
Sulla pelle rosea appariva la scritta insanguinata Non devo dire bugie, nitida come se fosse stata incisa da un bisturi.
–Chi ti ha fatto questo? – domandò sconvolto.
–Oh, la Umbridge – si affrettò a rispondere Harry, liberando la mano con uno strattone e cacciandola sotto un getto d’acqua fredda. – Ho…alzato un po’ la voce con lei e per questo sono stato messo in punizione per una settimana.
–Per la barba di Merlino! Ma davvero fanno queste cose a Hogwarts?
–No, è la novità di quest’anno. Che essere odioso.
–Ma che cosa le hai detto di tanto grave?
–Semplicemente che Voldemort è tornato, ma a quanto pare tutti pensano che io sia pazzo. Ho litigato con mezzo dormitorio, questa settimana. Sto impazzendo.
Edmund lo fissò dritto negli occhi, cercando disperatamente di apparire comprensivo.
–Io ti credo – fu tutto quello che riuscì a dire.
In tutta risposta, Harry gli rivolse un sorriso solidale. – Grazie, Ed – disse con la voce colma di gratitudine.
–Di niente, Harry. Mi dispiace che stiano accadendo tutte queste cose. Mi dispiace davvero.
–Tu come stai? Ci hai fatto stare in pensiero.
A quelle parole, Edmund trasalì. – Come, scusa?
–Siamo tutti molto preoccupati per te. Da quando il Cappello Parlante ti ha messo a Serpeverde, ci è stato impossibile avvicinarti. Scappavi sempre.
L’altro prese a fissarsi le scarpe con lo sguardo carico di vergogna. – Credevo che non voleste più saperne di me, ora che sono lì – disse piano.
–Ma no, cosa dici? – lo rassicurò Harry. – Più che altro, siamo sorpresi. Sinceramente, tu dovresti essere l’ultima persona al mondo a finire a Serpeverde.
–Anche tu. Voglio dire, il Cappello pensava la stessa cosa anche di te. Però ti ha dato una possibilità. A me no.
–Sono sicuro che Silente sa qualcosa di questa storia. Se solo riuscissimo a parlargli…
–Perché, non si può?
–Negli ultimi tempi, è diventato molto più sfuggente di te.
–Fantastico.
Harry finì di sciacquarsi la mano ferita e l’asciugò sui pantaloni della divisa.
–Non farne parola con Jane, d’accordo? – disse. – Se solo mia sorella lo venisse a sapere, sarebbe capace di radere al suolo la scuola.
–Stai tranquillo – assicurò Edmund, sorridendo al pensiero di una Jane inferocita che dava una lezione alla Umbridge.
Odiava quella donna ora più che mai.
–Vieni con noi, domani a colazione – lo invitò Harry con un sorriso.
A quell’invito inaspettato, Edmund si sentì letteralmente sciogliere.
–Davvero? – chiese con il cuore che gli batteva forte per l’emozione.
–Ma certo. Immagino che tu abbia bisogno di disintossicarti un po’ dai Serpeverde.
–Oh, sì, verrò volentieri! Grazie, grazie!
Di colpo, la vita a Hogwarts che Edmund aveva tanto desiderato sembrava diventare realtà.
E quella, secondo lui, fu la prima vera magia che gli riuscì.



COMUNICAZIONE: visto che sto scrivendo dei capitoli molto corti, vi piacerebbe se aggiornassi più volte a settimana? In caso, vi avviserei via mail o comunque tramite la mia pagina facebook. Che ne pensate? Aspetto i vostri pareri e mi regolerò in base a quelli.

Per il resto, spero che la storia continui a piacervi.
Vi ringrazio tantissimo per l'appoggio che mi state dando: non è una cosa da tutti! :)
Un abbraccio particolare a Joy_10, che sta dando un senso alle mie giornate con le sue storie!

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Capitolo 10
*** Provvedimenti ***



CAPITOLO 10

Provvedimenti

~
 
 
 
 
 
 
Quella notte, Edmund non chiuse praticamente occhio, restando disteso a pancia in su sul divano con gli occhi sgranati nel vuoto, ansioso di affrontare i Grifondoro la mattina seguente.
Chissà se Harry gli aveva detto la verità.
E se fosse solo una scusa per denigrarlo di fronte a tutta la scuola?
Se gli altri non fossero d’accordo ad accoglierlo di nuovo tra loro?
A quel pensiero, il ragazzo si contorceva nella coperta per i crampi allo stomaco, strappando più di un mugugno da parte di Adam, che dormiva disteso nell’altro verso.
Edmund lasciò il dormitorio di Serpeverde molto prima che il sole sorgesse, andando a sistemarsi in bagno con movimenti febbrili e caracollando al piano di sopra con tutta l’aria di chi si avvia al patibolo, la borsa che ciondolava inerte dalla sua spalla.
La Sala Grande era ancora deserta, a eccezione di un paio di fantasmi e una ragazza di Corvonero dai lunghi capelli biondi e crespi che le arrivavano fin sotto al sedere.
Con sommo sconcerto del ragazzo, la sconosciuta stava tranquillamente parlando con il perlaceo spettro di una donna mentre si versava il latte nella tazza.
−Ciao – lo salutò lei non appena percepì la sua presenza dietro le sue spalle.
−Ciao.
Edmund non poté fare a meno di notare i suoi giganteschi occhi celesti, che sporgevano leggermente dalle orbite dandole un’aria di eterna sorpresa, per non dire svampita.
La cosa lo mise se possibile ancora più a disagio.
−Tu sei il fratello di Susan Pevensie, non è vero? – proseguì la sconosciuta in tono sognante.
−Sono Edmund – si affrettò a rispondere lui.
−Io ho cercato di tranquillizzare tua sorella, sai? Le ho detto che in fondo non stai poi così male a Serpverde. Il Cappello Parlante non sbaglia mai.
Edmund era sul punto di risponderle per le rime, quando una voce familiare proruppe alle sue spalle.
−EDMUND!
Un attimo dopo, le braccia di Jane gli avevano letteralmente circondato le spalle, stringendolo in un abbraccio così forte e sincero da fugare ogni sua paura sulle reazioni dei Grifondoro.
−Si può sapere perché diamine ci eviti tutti di punto in bianco? – chiese lei senza staccarsi di un millimetro. – Sei per caso diventato uno snob come Malfoy?
−Oh, no, tranquilla! – esclamò lui sollevato prendendole il viso tra le mani.
Si rese conto troppo tardi di quello che aveva fatto, avvertendo le lentiggini che prendevano fuoco una a una.
−Ragazzi, voi vi sposerete – commentò in quel momento la Corvonero con la massima calma.
Entrambi si staccarono l’uno dall’altra come se fossero stati percorsi da una scarica elettrica, prendendo a fissarsi le scarpe.
−Ma dai, Luna! – si schermì Jane, cercando di darsi un contegno. – Lo sai come stanno le cose.
−Smetti di illuderti su Ron, Jane. È fin troppo chiaro che gli piace Hermione.
−Ma Hermione sta con un altro! – si affrettò a concludere la Grifondoro, assumendo il suo peggior cipiglio omicida. – Scusaci, Luna, ma credo che sia arrivato mio fratello.
In effetti, Harry aveva appena messo piede nella Sala Grande, seguito da Ron, Hermione e Neville.
I primi studenti presero a riversarsi nella Sala Grande, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare negli ultimi minuti.
−Davvero a Ron piace Hermione? – domandò Edmund sottovoce mentre raggiungevano gli altri.
−Non lo so – mentì Jane, avvertendo una stretta allo stomaco nel momento in cui posò gli occhi sul rosso.
Non doveva piangere, non davanti a Edmund.
−Tutto bene?
Troppo tardi, se n’era accorto.
−Sì – si schermì lei, continuando a fissare il soffitto per ricacciare indietro le lacrime.
−Chi era quella?
−Luna Lovegood, del quarto anno. Non è una cattiva ragazzi, anzi, solo che certe volte è un po’…brutale, ecco.
−Anche un po’ strana, direi.
−Un po’, sì.
Era chiaro che Jane stava rimuginando quello che aveva appena detto Luna.
Il suo sguardo omicida non era mutato di un millimetro.
Con sua somma sorpresa, Edmund si ritrovò a sperare che la bislacca Corvonero avesse ragione su Ron e Hermione.
Lanciò al rosso uno sguardo di sfuggita.
No, decisamente non era il tipo di Jane.
Era troppo rude e maldestro per una ragazza pratica e decisa come lei.
Ma se a Jane piaceva, cosa poteva fare per dissuaderla?
Le avrebbe provocato solo un dispiacere.
Per cosa, poi?
Mica le piaceva!
−Buongiorno! – li salutò Harry correndo loro incontro con un sorriso cordiale.
−Edmund ha appena conosciuto Luna – rispose Jane in tono laconico.
−Ah, davvero? Magari ci fa anche un pensierino sopra, eh? – scherzò lui, ottenendo come risposta un aumento vertiginoso del malumore di Jane.
I ragazzi si andarono a sedere al loro posto al tavolo di Grifondoro.
Subito, una serie di posate, tazze e pietanze si materializzò sotto i loro occhi.
Con sua somma sorpresa, Edmund notò che era stato apparecchiato anche per lui.
 –Stai tranquillo, anche a Susan capita quando fa colazione al nostro tavolo – lo rassicurò Jane accennando a un sorriso. – Porridge?
In quel momento, Lucy e Susan arrivarono al loro tavolo, seguiti a ruota da Nigel.
Non appena vide Edmund, la sorellina minore gli saltò letteralmente al collo, strillando per la felicità.
−Razza di delinquente! – lo salutò Susan mettendogli una mano sulla spalla.
−È sempre il solito Edmund – la rassicurò Harry.
Non capisco perché il Cappello Parlante lo abbia spedito a Serpeverde – commentò Hermione.
−Forse per farci passare un po’ di pregiudizi, come l’anno scorso con Caspian – rispose Jane, strizzando un occhio a Susan, che le fece la linguaccia.
−Davvero non siete arrabbiati con me? – domandò Edmund sorpreso.
−Arrabbiati per cosa? – ribatté Susan a sorpresa. – Per non essere venuto come ci aspettavamo? Ci hai presi forse per Alhena Black?
In quel momento, il ragazzo avrebbe tanto voluto mettersi a piangere per la felicità e allo stesso tempo inscenare un balletto scatenato attorno al tavolo dei Grifondoro.
Dove li avrebbe trovati altri amici come loro?
−Ehi, guarda un po’ chi c’è! – esclamò in quel momento la voce di Fred al disopra delle sue spalle.
−Il nostro bel tenebroso! – proseguì George, dandogli il cinque. – Come sono i Serpeverde, amico?
−Spaventosi – rispose Edmund, strappando una risata all’intera compagnia.
−Sappi che per i pasti puoi sempre venire al tavolo con noi – lo rassicurò Harry. – Nel frattempo, cercheremo di trovare una soluzione.
−Come va con l’insonnia? – domandò Susan.
−Mmm, insomma.
−Potrei prepararti una Pozione Rilassante – si offrì Neville. – Con me funziona, quando sono in ansia per gli esami.
−Fidati di Neville: è il miglior erborista che questa scuola abbia mai avuto – disse Hermione.
−Davvero lo faresti? – chiese Edmund.
−Nessun problema. Te ne porto un po’ stasera a cena, se vuoi – rispose Neville.
−Oh, grazie!
In quel momento, uno stormo di gufi planò tubando sulla Sala Grande, lasciando cadere sui tavoli una gran quantità di pacchi e pacchetti.
Uno di loro lasciò di fronte a Hermione una copia del Profeta arrotolata con uno spago.
Lei la afferrò con avidità a prese a leggere febbrilmente.
Per poco non si sputò addosso una gran quantità di latte e cereali.
−Che succede? – domandò Harry preoccupato.
−Sturgis Podmore, uno dei nostri…È stato spedito ad Azakaban per aver tentato di forzare una porta al Ministero. È chiaro che Caramell ci sta dando giù pesante.
−Come se non ce ne fossimo accorti: guardate che bel regalo ci ha fatto con la Umbridge! – commentò Jane in tono acido.
−Che danno, vorrai dire. Non si è mai visto un professore di Difesa Contro le Arti Oscure che non ci permette di usare la magia in classe, proprio questo che è l’anno dei GUFO! – la corresse Hermione furibonda.
−Meglio, no? Vorrà dire meno roba da studiare – se ne uscì Ron, rischiando di venire strangolato dall’intero tavolo di Grifondoro.
−Proprio non capisci, Ronald? – abbaiò Hermione minacciosa. – Non è un caso se hanno scelto proprio quest’anno per i GUFO: siamo nell’età giusta per mostrare dei poteri particolari, oltre a quelli che già abbiamo. Guarda Seamus, con la sua padronanza del fuoco, o Calì, che ha il dono della divinazione. È in base a queste attitudini che potremo scegliere la nostra professione futura. Lasciarle sopite senza stimolare la magia potrebbe avere delle conseguenze drammatiche.
−Ma io non ho poteri particolari! – protestò Ron.
Per poco non si prese un ceffone.
−POTTER! POTTER! – ruggì una voce inferocita alle loro spalle, facendo trasalire i gemelli.
In quel momento, una ragazza nera con i capelli legati in tante treccine stava avanzando a passo di marcia verso di loro, con tutta l’aria di voler menare le mani.
−Ti sei fatto mettere in punizione per una settimana dalla Umbridge, non è così? Lo sapevi che giovedì ci dovevano essere le selezioni per il nuovo portiere! Ora mi spieghi come faccio se non ho tutta la squadra al completo? – tuonò rivolta a Harry.
−Angelina, mi dispiace… − si schermì lui facendosi piccolo piccolo per l’imbarazzo.
−Apri bene le orecchie, Potter: impara a tenere a freno la lingua o mi toccherà sbatterti fuori dal Grifondoro, sono stata chiara?
Detto questo, Angelina Johnson si andò a sedere accanto a Fred, lasciando Harry più triste e avvilito che mai.
−Coraggio, amico, in fondo sono solo delle frasi da copiare – cercò di consolarlo Ron.
−Già – bofonchiò l’altro. – Jane, posso chiederti che cosa provi quando cerchi di sondare la Umbridge?
Odio – rispose lei fissando la professoressa che rivolgeva uno dei suoi sorrisi zuccherosi in direzione del loro tavolo. – Puro odio.
 
***
 
DECRETO DIDATTICO N°23
            Per ordine del Ministero della Magia, Dolore Jane Umbridge assumerà l’incarico di Inquisitore Supremo presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, con la facoltà di sottoporre a verifica i colleghi insegnanti per assicurarsi che risultino all’altezza del loro compito.
 
L’avviso campeggiava ovunque: nei dormitori, nelle sale comuni, negli spogliatoi delle squadre di Quiddich e perfino nei bagni.
Edmund si era svegliato dalla prima notte sotto l’effetto della Pozione Rilassante con il viso da rospo della Umbridge che gli sorrideva da sopra il caminetto.
−In fondo, non biasimo il Ministero – commentò Adam mentre lo accompagnava alle lezione di Pozioni. – In questa scuola c’è fin troppa anarchia. Un po’ d’ordine non ci farà male.
Edmund stava per ribattere, quando improvvisamente un dolore atroce alla testa gli mozzò il fiato in gola.
Adam lanciò un urlo, portandosi febbrilmente le mani al naso.
In pochi istanti, si trovarono rispettivamente con due orecchie enormi e un gigantesco grugno di porco.
In quel momento, la gang di Draco Malfoy li superò sghignazzando.
−Belle orecchie, Pevensie! – li apostrofò lui.
−Razza di…
−Attento alla lingua, Johnson: da oggi in poi facciamo parte della Squadra di Inquisizione. Non vorrai passare dei guai con la Umbridge, spero, non quando la tua cara mamma si trova in una situazione non proprio stabile al Ministero – lo redarguì Malfoy facendo scintillare la spilla che teneva appuntata sul mantello.
A quelle parole, Adam divenne di tutti i colori, ma non disse nulla, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Sempre ridendo, Malfoy e i suoi tirapiedi sparirono per il corridoio.
−Devo fare l’abitudine anche a questo? – domandò Edmund furibondo.
−Ah, c’è anche di peggio!
−CHE DIAVOLO SUCCEDE QUI?
Ecco il peggio, pensò Edmund.
Vani furono i tentativi di nascondere le orecchie e il grugno agli occhi di Susan, che in quel momento era apparsa in veste di Prefetto inferocito.
−Chi vi ha fatto questo? – domandò in tono inquisitorio. – ALLORA?
−Malfoy – rispose il fratello in tono rassegnato.
−Nell’ufficio di Piton. Subito!
Senza tante cerimonie, Susan li afferrò entrambi per il colletto della camicia e li trascinò nell’ufficio del loro direttore, che si trovava in una delle segrete più buie e anguste dei sotterranei.
Il professor Piton li accolse con un sorriso stirato, nell’evidente sforzo di non scoppiare a ridere di fronte allo stato pietoso in cui versavano i suoi allievi.
Annotò rapidamente l’accaduto sul suo registro, dicendo in tono ironico che avrebbe informato al più presto l’Inquisitore Supremo sulla condotta della sua Squadra di Inquisizione; poi autorizzò Edmund e Adam ad andare in infermeria, scrivendo loro la giustificazione per l’ora di lezione perduta.
Susan li trascinò al piano di sopra senza proferire parola.
Una volta in infermeria, trovarono Nigel piegato in due su un secchio, intento a vomitare senza freno mentre Lucy gli sorreggeva la testa.
 –Che cosa è successo? – domandarono le due sorelle all’unisono.
−Malfoy che si diverte con le fatture. E lui? – disse Susan.
−Ehm…
−Glielo dico io che cosa è successo! – tuonò in quel momento Madama Chips, l’infermiera, arrivando con una tazza di pozione fumante tra le mani. – A quanto pare, il signor Crewey ha ingerito una merendina che a quanto pare è stata stregata. Signorina Pevensie, gli faccia bere questa pozione non appena riesce a prendere fiato. Io torno dal signor Carson. Pare che anche lui sia rimasto intossicato da qualcosa.
−Questo Carson non è anche lui di Grifondoro? – domandò Susan non appena Madama Chips si fu allontanata.
−Sì – rispose Lucy diventando di colpo pallida.
−Possibile che siate stati così stupidi da mangiare cose abbandonate per il vostro dormitorio?
−Veramente noi…
−O forse ve le ha fatte mangiare qualcuno?
−Ehm…
−Allora?
In quel momento, Fred e George fecero irruzione nell’infermeria, impietrendosi nel momento in cui videro Susan al capezzale di Nigel.
Uno di loro si affrettò a nascondere un sacchetto di caramelle dietro la schiena.
 −Allora siete voi due la causa di questo spettacolo disgustoso! – li apostrofò la ragazza furiosa, strappando a George il sacchetto incriminato. – Pasticche Vomitose?
−È la nostra ultima creazione – si schermì lui, assicurandosi che Madama Chips fosse a distanza di sicurezza. – Se mordi il lato sinistro, inizi a vomitare fino a disidratarti; se mordi quello destro smetti subito. Solo che non avevamo ancora trovato l’antidoto, perciò…
−MI STATE DICENDO CHE STATE TESTANDO QUESTE SCHIFEZZE SU QUELLI DEL PRIMO ANNO?!
−Mi sono offerto volontario – balbettò Nigel prima di cadere di nuovo con la testa dentro il secchio in preda all’ennesimo conato di vomito.
−Siete due bestie! La McGranitt ne verrà subito informata!
−No, ti prego! Non puoi farci questo!
−Ah, no? Perfetto, vorrà dire che ci andrò con Hermione. E tu, − sottolineò additando Lucy – se solo scopro che accetti qualsiasi cosa da questi due criminali, puoi scordarti la paghetta a vita, intesi?
Detto questo, Susan uscì a grandi passi dall’infermeria, tra i rimproveri di Madama Chips per tutto quel baccano.
−Perché ultimamente Susan è così insopportabile? – domandò Fred sconvolto.
Edmund e Lucy si limitarono a scuotere il capo con rassegnazione.
 
***
   
Nel frattempo, la Umbridge aveva iniziato a colpire.
La prima a subirne le conseguenze fu la Cooman, una vecchia impostora che insegnava Divinazione.
Visto che prevedeva la morte di Harry ogni mercoledì da ormai tre anni, a Jane non stava molto simpatica, ma vederla umiliare in quel modo dalla Umbridge le aveva fatto prudere le mani per tutta l’ora.
Avrebbe tanto voluto confidarsi con Harry, ma il ragazzo era sgusciato subito nell’ufficio dell’Inquisitore Supremo, dal momento che aveva totalizzato un’altra settimana di punizione per non aver saputo trattenere i freni inibitori ancora una volta.
Per questo motivo, la ragazza aveva deciso di restare sveglia fino a tardi, attendendolo di fronte al caminetto della sala comune.
Negli ultimi giorni, aveva sempre visto il fratello stanco e frustrato ed era sicura che avesse bisogno di un po’ di conforto prima di andare a dormire.
Solidali, Ron e Hermione decisero di restare svegli per farle compagnia.
Quando Harry rientrò verso le undici, stanco e sanguinante, di certo non si aspettava tutta quella accoglienza.
Inutili furono i suoi tentativi di sgusciare via inosservato.
−Beccato! – esclamò Jane afferrandogli la mano per gioco, salvo accorgersi con orrore che la sua si era impregnata del sangue di suo fratello. – CHE COSA TI HA FATTO?
Harry parve rimpicciolirsi contro il muro scarlatto della sala comune, pronto a sorbirsi l’esplosione che aveva tanto atteso negli ultimi giorni.
Ron e Hermione raggiunsero subito Jane, esaminando la mano del ragazzo.
−Quella donna è un mostro! Ti sta torturando!  Devi andare subito da Silente – esclamò Hermione inorridita.
–A che pro, se quello non mi vuole neanche vedere? – protestò Harry.
−Ci vai lo stesso!
−Io non sto a scomodare uno che non si degna neppure di parlarmi, non dopo tutto quello che sta succedendo. E poi, se mi andassi a lamentare farei solo il gioco della Umbridge.
−Mannaggia a te e al tuo maledetto orgoglio, Harry! – sbottò Jane. – Se solo…
−SIRIUS! – esclamò in quel momento Ron indicando il caminetto.
In effetti, la testa del padrino di Harry stava galleggiando al centro del focolare acceso.
−Non ho molto tempo, ragazzi – disse. – Come vanno le cose? Ho saputo che Caramell vi ha appioppato la Umbridge.
−Una schifezza – rispose Harry inginocchiandosi di fronte al camino. – Ci impedisce perfino di usare la magia a lezione e controlla i professori con la minaccia di licenziarli da un momento all’altro.
−Per forza! Caramell teme che Silente stia organizzando un esercito di studenti per rovesciarlo.
−Cosa? Ma è assurdo!
Sirius stava per aggiungere qualcos’altro, quando una mano grassoccia e inanellata apparve all’interno del caminetto, cercando di afferrarlo.
Il mago riuscì a svanire appena in tempo, lasciando quel palmo tozzo ad agitarsi furibondo tra le fiamme come un ragno, sotto gli sguardi inorriditi dei ragazzi.
−La Umbridge controlla anche i camini – disse Hermione non appena il fuoco si spense e la mano scomparve. – Non possiamo continuare così. Voi-Sapete-Chi è là fuori e noi non abbiamo i mezzi per combatterlo. Dobbiamo trovare qualcuno che ci insegni Difesa Contro le Arti Oscure al posto della Umbridge. Qualcuno che la conosca meglio di chiunque altro.
−E chi potrebbe farlo, secondo te? Caspian?
−Tu, Harry.  




Buonasera a tutti! :)
Ce ve ne pare di quest'ultimo capitolo?
Mi dispiace di non essere riuscita ad aggiornare più di una volta, ma sto lavorando ad altre due storie. 
Presto vi farò avere notizie a riguardo.
Nel mentre, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook, per conoscere tutti i retroscena.
Un bacio a tutti e a presto!


https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
   
  
   
 
 
    
    
 
 

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Capitolo 11
*** Riunione segreta ***



 
CAPITOLO 11

Riunione segreta

~
 
 
 
 
 
 
La pozione di Neville cominciò a sortire il suo effetto.
Finalmente Edmund poteva concedersi un po’ di meritato riposo, sprofondando in un sonno senza sogni dopo una faticosa giornata di studio.
Quasi non faceva più caso al fatto di dover condividere lo stesso divano con Adam.
Ormai, i due ragazzi erano fermamente convinti che non avrebbero più visto un letto fino alla fine dell’anno scolastico.
L’ultimo sabato di settembre, Edmund si svegliò molto più tardi del solito, finalmente con una sana sensazione di benessere nelle membra intorpidite.
Erano ormai le dieci passate e un pallido sole d’autunno appariva a tratti tra le basse nubi grigie che si rincorrevano nel basso cielo scozzese.
Vista l’ora, il ragazzo decise di prendersela con la massima calma, dal momento che per quel giorno non ci sarebbero state lezioni da frequentare.
Si cambiò i vestiti e caracollò verso la Sala Grande in tutta tranquillità.
Con un tuffo al cuore, si rese conto che al tavolo di Grifondoro era rimasta solo Jane, intenta a sorseggiare una tazza di latte con aria assente.
−‘giorno – la salutò Edmund sedendosi timidamente di fronte a lei.
−Ciao! – rispose la ragazza soffocando uno sbadiglio.
−Stanca?
−Un po’. Abbiamo un sacco di compiti da fare per via dei GUFO e i professori non ci danno un attimo di tregua con le verifiche. Dubito che uscirò viva da quest’anno.
−Capisco. E gli altri? Sono ancora a letto?
−Oh, no! Hermione ha sequestrato più o meno tutto il dormitorio per via del suo programma di ripasso, ma io mi sono prontamente dileguata. Non credo che riuscirei a stare sui libri anche oggi. Harry invece si sta finalmente allenando con la squadra di Quiddich. Più tardi lo raggiungerò per vedere le selezioni per il nuovo Portiere. Vieni anche tu?
Colto di sorpresa da quell’invito, così spontaneo e innocente, Edmund non riuscì proprio a rifiutare.
−Certo, mi farebbe piacere! – sputò con il cuore in gola.
Davvero avrebbe passato del tempo da solo con Jane, senza tutti i Grifondoro attorno?
Calma, si disse, è solo un’amica.
−Hai visto Susan? – chiese pochi istanti dopo.
−Mmm, no. Credo che sia già in biblioteca a studiare. Ultimamente è diventata un po’ scontrosa con tutti.
−Già, ho notato. Appunto per questo volevo chiederti se per caso ne avevi intuito il motivo, visto che siete molto amiche.
−Temo sia per Caspian. Non solo non si vedono da settimane, ma lui neanche le scrive più. Susan teme che la stia lasciando.
−Ah – a quella notizia, Edmund si rabbuiò. In fondo, Caspian gli stava molto simpatico e gli sarebbe davvero dispiaciuto se avesse rotto con sua sorella.
−Non è che per caso ti ha contattato, vero? – gli chiese Jane.
−No. Ho ricevuto giusto un paio di lettere da Peter.
−Ho capito.
Jane finì di bere il suo latte in silenzio.
Non appena ebbe finito, Edmund trovò il coraggio di farle la domanda che gli bruciava da settimane.
−Ci sono notizie da…Tu-Sai-Chi? – chiese a voce bassissima, chinandosi verso di lei.
Jane scosse il capo.
−Silenzio totale – rispose rabbuiata. – Il che non mi piace. Significa che Voldemort si sta muovendo nell’ombra, in attesa di colpire. A meno che non ci sia qualcosa che Silente non ci vuole dire apposta, il che mi preoccupa il doppio.
Edmund annuì, avvertendo una dolorosa stretta alle viscere per la tensione.
Anche se in quel momento era al sicuro tra le mura del castello, Voldemort aveva sicuramente scoperto la sua fuga e probabilmente gli stava dando la caccia.
Le tracce della sua permanenza a Villa Black erano fin troppo evidenti.
I due ragazzi finirono la colazione in silenzio; poi si avviarono lentamente verso il campo di Quiddich, che sorgeva sulle pendici erbose del castello, a pochi passi dal lago.
Si accomodarono sulle tribune, assieme ad alcuni Grifondoro che erano accorsi ad assistere alle selezioni.
In quel momento, l’intera squadra fece ingresso nel campo, riconoscibile dalle divise color rosso e oro e le scope da corsa in mano.
Angelina Johnson, il capitano, precedeva i compagni con il suo passo di marcia, tenendo sottobraccio la cassa con le palle.
Di fronte a lei erano schierati un gruppo di studenti in tuta da ginnastica, ciascuno con la propria scopa.
−Oh, cielo, ma quello è Ron! – esclamò Jane indicando il più alto di tutti.
Edmund trasalì, imprecando tra i denti.
Possibile che il rosso fosse sempre ovunque, rovinandogli puntualmente la compagnia di Jane?
Rabbuiatosi, il ragazzo grugnì qualcosa in tono di risposta, incrociando le braccia sul petto.
In quel momento, Angelina soffiò nel fischietto, chiamando la squadra a raccolta.
I giocatori montarono a cavallo delle scope e presero a fare alcuni giri di riscaldamento a quindici metri dal suolo.
Anche gli aspiranti Portieri li imitarono, seguiti pazientemente da Angelina.
Al suo secondo fischio, i membri della squadra si piazzarono ai propri posti e un ragazzo del secondo anno volò di fronte ai tre anelli che fungevano da porta, mentre la Pluffa veniva liberata.
−Ti piace il Quiddich? – domandò Jane in tono distratto mentre l’aspirante Portiere si faceva segnare tre reti di fila.
−Peter me l’ha spiegato quest’estate, ma non ci ho mai giocato – rispose Edmund in tono laconico.
Anche il secondo Portiere se la cavò malino.
−Ciao, ragazzi! – salutò una vocetta acuta alle loro spalle.
−Hermione! – rispose Jane sorridendo. – Già finito?
−Potevo forse perdermi la selezione di Ronald? Quell’idiota non mi ha detto niente, ho saputo tutto da Dean! – fece lei sedendosi al suo fianco visibilmente accaldata.
In quel momento, Ron si piazzò di fronte agli anelli.
Era più paonazzo che mai e le mani strette al manico di scopa gli tremavano vistosamente.
−Forza, Ron! – strillarono all’unisono Jane e Hermione, facendo salire una generosa quantità di bile al povero Edmund.
Il primo goal fu parato senza problemi, facendo alzare un urlo di trionfo da parte delle Grifondoro, a cui seguì un secondo, ma il terzo fallì clamorosamente.
Angelina fischiò e Ron volò giù con aria afflitta.
−In fondo, finora è stato quello che ne ha parate di più – commentò Hermione preoccupata. – Di certo, Ron ha una preparazione migliore alle spalle, essendosi sempre allenato con i fratelli, che giocano a Quiddich da una vita, a parte Percy, ovvio…
−Abbiamo capito, Herm – la zittì prontamente Jane, ben sapendo che l’amica aveva appena iniziato uno dei suoi frenetici discorsi in cui riusciva a parlare così precipitosamente da dimenticarsi persino di respirare.
In effetti, i Portieri successivi non fecero decisamente di meglio.
Uno di essi, un tremulo ragazzino del terzo anno, riuscì persino a cadere dalla scopa nel tentativo di prendere la Pluffa e dovette essere portato a braccia fino in infermeria.
Alla fine di quella mattinata estenuante, Angelina pronunciò il verdetto finale, non senza una nota di sofferenza nella voce: − Il nuovo portiere del Grinfondoro è Ronald Weasley, con il totale di 100 punti!
Dalle tribune, Hermione e Jane balzarono in piedi con un urlo selvaggio, prendendo a saltellare su e giù e inscenando un balletto scatenato.
Edmund si limitò a fissarle con aria perplessa.
Incredulo, Ron avanzò verso la squadra, accolto dai compagni come un vero campione.
Mentre Hermione si precipitava nel campo per complimentarsi con il rosso, Jane si voltò verso Edmund, rivolgendogli un sorriso dolce.
−Hai da fare sabato prossimo? – gli chiese a bassa voce, ponendogli la mano minuta sull’avambraccio.
Per la seconda volta in quella strana giornata, il ragazzo non se la sentì di dire di no.
 
***
 
La gita a Hogsmeade era ormai una tradizione consolidata tra gli studenti di Hogwarts.
Il primo di ottobre fu la prima data utile per riversarsi nel piccolo paesino che sorgeva a un paio di chilometri dal castello, celebre in tutta l’Inghilterra per l’essere popolato esclusivamente da maghi e streghe.
Era una sorta di Diagon Alley persa fra le montagne, in cui il caotico ambiente urbano in cui erano dislocati i negozi più strani era stato sostituito da basse case dal tetto spiovente e strette stradine fangose.
Edmund avanzava a passo svelto in mezzo alla folla di studenti presi dalla febbre per lo shopping, con il bavero del cappotto tirato fin sotto gli occhi per proteggersi dalle fredde folate di vento che quel giorno sembrava non voler dare requie.
Continuava a guardarsi intorno circospetto, temendo di essere scoperto.
Certo, ciò che stava facendo era una follia, questo il ragazzo lo sapeva benissimo.
Riunirsi di nascosto per fondare un gruppo di Difesa Contro le Arti Oscure proprio sotto il naso della Umbridge equivaleva a un suicidio di massa.
Eppure, quando Jane glielo aveva proposto, il ragazzo aveva visto quel corso come qualcosa di indispensabile.
Con Voldemort alle calcagna, più si esercitava con la magia, meglio era.
Se poi a insegnargli qualche incantesimo utile era proprio Harry, allora Edmund poteva considerarsi più che al sicuro.
Mancavano ormai pochi metri al Testa di Porco, il pub in cui aveva l’appuntamento, quando Adam lo raggiunse trafelato, con tutta l’aria di chi è in preda al panico.
−Pevensie, amico mio, ti ho cercato dappertutto! – esclamò ansimando.
−Non ora – rispose lui in tono burbero. – Sono in ritardo.
−Non posso venire con te?
Alla sola prospettiva di trascinarsi un Serpverde a un appuntamento del genere, Edmund si sentì gelare.
−Non credo ti convenga – buttò lì. – Susan mi ha incaricato di badare a Lucy e ai suoi amici del primo anno. Sai, di questi tempi non vuole che vada in giro da sola.
−Posso aiutarti a fare da baby sitter, no? – incalzò Adam in tono speranzoso.
−Guarda, so per certo che ti faranno disperare. Non mi va di coinvolgerti in una cosa del genere, davvero. E poi tra un’oretta devo vedermi con alcuni ragazzi di Grifondoro per un gruppo di ripasso.
−Splendido, anch’io ho bisogno di ripassare! Sono davvero nei casini, quest’anno, e un po’ di studio…
−Adam, davvero, non posso portarti con me – tagliò corto Edmund, facendo per andarsene.
−MA NON PUOI LASCIARMI QUI! – esclamò lui disperato. – Ascolta, Malfoy ha detto a quel mostro di Clarissa Budgeton che sono pazzo di lei e ora mi sta cercando per tutta Hogsmeade con intenti poco puritani!
−Oh, cavolo!
Edmund aveva ben presente Clarissa Budgeton, una ragazza di Serpeverde che frequentava il terzo anno.
Alta un metro e ottanta, dotata di un fisico da giocatrice da rugby e armata di uno spaventoso apparecchio per i denti, la tipa in questione aveva una cotta storica per Adam, appiccicandoglisi come una cozza ogni qual volta ne aveva l’occasione e bersagliandolo di bigliettini sdolcinati.
Il fatto che Malfoy se ne fosse uscito con una balla di quelle dimensioni equivaleva a un vera e propria catastrofe.
−Scusate, qualcuno ha visto Adam Johnson? – domandò in quel momento una voce perentoria, ben udibile nonostante si trovasse nella via accanto.
È lei! – squittì il ragazzo, diventando di un allarmante color terriccio. – Ti prego, amico, farò qualunque cosa pur di togliermela di torno!
−Anche tacere qualunque cosa vedrai? Di qualsiasi cosa si tratti? – chiese Edmund fissandolo dritto negli occhi con l’espressione più decisa che riuscì a sfoderare.
−Qualunque cosa.
Senza por tempo in mezzo, Edmund lo agguantò per la manica del cappotto e lo trascinò per una traversa laterale, un attimo prima che Clarissa si affacciasse nel punto in cui erano rintanati.
 
***
 
Fortuna che erano solo un paio di persone, pensò Harry angosciato mentre la piccola saletta del Testa di Porco che Hermione era riuscita a prenotare solo per loro si riempiva sempre di più.
Avevano già esaurito le sedie e molti studenti furono costretti a sedersi sul pavimento polveroso.
Il colmo dei colmi fu l’ingresso di Edmund, seguito a ruota da un altro ragazzo di Serpeverde, che continuava a lanciarsi attorno occhiate nervose.
La loro presenza fu causa di molte occhiatacce.
−Che ci fanno qui? – sussurrò più di qualcuno.
−E se fossero delle spie?
−Magari dopo la riunione andranno di filato dalla Umbridge a raccontarle tutto!
−Un attimo di attenzione, per favore! – intervenne Hermione levandosi in piedi.
Il brusio si interruppe all’istante.
−Benvenuti a tutti – proseguì lei in tono risoluto, anche se non senza tradire una lieve nota di imbarazzo. – Sono contenta che abbiate partecipato in così tanti e spero che apprezziate ciò che ho da dirvi. Come molti di voi hanno notato, la Umbridge ci impedisce di usare la magia in classe, cosa che rende completamente inutile l’insegnamento della Difesa Contro la Arti Oscure. Visti i tempi che corrono, propongo di organizzare un gruppo di studio in cui ci eserciteremo per conto nostro, di nascosto, al fine di essere comunque pronti a usare gli incantesimi di difesa qualora si presentasse la necessità.
−E quale sarebbe, la necessità? – domandò Adam dubbioso.
−Ah, non lo so – rispose Harry infastidito. – Forse Voldemort?
Un brivido percorse l’intera sala.
Lo stesso Adam arricciò involontariamente le labbra.
−Non ci sono prove sul suo ritorno – incalzò in tono gelido.
−La mia testimonianza non ti basta? Io l’ho visto tornare, torturare e uccidere – rispose Harry assumendo un cipiglio omicida.
Jane lo trattenne prontamente per un braccio.
−Voldemort o meno, non dimentichiamo le sparizioni che ci sono state lo scorso anno a opera di…ignoti. Come vedete, bisogna comunque essere pronti a difenderci in caso di emergenza, che il Ministero lo voglia oppure no – rispose in tono deciso.
−E chi ci insegnerebbe? Potter?
−Hai forse problemi? – ringhiò Harry furibondo. – Se la cosa non ti sta bene, allora vattene. Non so che farmene di quelli che mi vedono solo come un fenomeno da baraccone.
Adam stava per rispondergli, ma Edmund lo azzittì con un’occhiata di fuoco.
–Ti avevo avvertito – disse a voce bassissima. – Ora stai qui e ascolta. Le critiche lasciale per dopo.
−Lo sai che mi stai cacciando nei guai, non è vero? – disse lui furibondo.
−Lo so. Preferivi forse Clarissa?
L’altro non rispose.
−È vero che sai evocare un Patronus corporeo? – chiese in qual momento Luna Lovegood in tono sognante.
−Sì, l’ho visto io – rispose Susan.
−E in secondo anno ha ucciso il mostro della Camera dei Segreti con una spada estratta dal Cappello Parlante – disse Ginny Weasley.
−Per non parlare di tutte le prove affrontate l’anno scorso – incalzò Neville.
−Ragazzi, per favore! – intervenne Harry, visibilmente a disagio. – So che a sentirle raccontare queste cose possono sembrare incredibili, ma la verità è che ho avuto fortuna. Io conosco solo pochi incantesimi e non posso neanche vantare di essere il primo della classe. Quando si è a un passo dall’essere torturati o uccisi non è come a un esame, in cui puoi fare meglio la prossima volta. Mi dispiace dirlo, ma la vita non è come a scuola. Non lo sapete cosa si prova in realtà e non c’è niente di grandioso in quello che ho fatto. Mi dispiace di avervi fatto venire inutilmente, oggi. Sarà meglio per tutti se uscite subito da qui e dimenticate l’accaduto.
−Ma tu quelle cose le hai fatte comunque – disse Edmund levandosi in piedi. – Lo so che non c’è niente di eroico, ma almeno potresti insegnarci qualcosa di più, no? A chi potremmo rivolgerci, altrimenti, ora che i professori non fanno più il loro dovere? Io voglio imparare a difendermi, anche se sono un disastro negli incantesimi; voglio essere pronto quando accadrà.
−Anch’io sono d’accordo con lui! – esclamò Neville entusiasta. – Anche se dovessi insegnare a due sole persone, noi ci saremo!
−Ci sono anch’io! – aggiunse Susan.
−E io! – strillò Lucy levando la mano.
Uno dopo l’altro, tutti i presenti si unirono ai volontari, a eccezione di Adam, che se ne stava con le spalle appoggiate al muro con aria di sfida.
−Chi è d’accordo sul fatto che sia Harry a insegnare? – domandò Hermione una volta riconquistata la sua verve.
Tutte le mani scattarono in aria.
−Perfetto. Ora dobbiamo solo trovare un posto sicuro dove incontrarci, lontano dalla Umbridge.  Fatevi venire qualche idea, mi raccomando! Nel frattempo, vi invito tutti a scrivere in vostri nomi su questa pergamena, ma vi avverto: il foglio è stregato e, se per caso qualcuno di voi proverà a fare la spia, se ne pentirà amaramente. Tutto chiaro?
Ci fu un brusio generale, poi tutti si precipitarono in fila indiana a porre il proprio nome sulla lista.
L’ultimo fu Edmund, che scrisse rapidamente nome e cognome con la sua grafia sottile.
−Il tuo amico non firma? – chiese Harry, indicando con lo sguardo Adam, ancora appoggiato alla parete in fondo alla stanza.
−Mi dispiace, non sono riuscito a liberarmene – si scusò l’altro a disagio. – È un bravo ragazzo, stai tranquillo.
−Tienilo d’occhio, Ed. Non oso pensare alle conseguenze se la Umbridge ci scoprisse.
−Non ti preoccupare.
−Grazie per essere venuto – gli disse Jane sorridendo, accarezzandogli la spalla.
−Grazie a te per l’invito – le rispose lui arrossendo.
Si voltò e uscì prima che i presenti se ne accorgessero.
−Cosa non faresti per la dolce Potter, eh? – commentò Adam mentre uscivano dal locale e si avviavano per le strade di Hogsmeade.
−Sta’ zitto – ringhiò Edmund. Era furibondo per il comportamento vergognoso che aveva tenuto l’amico durante tutta la riunione.
−Che c’è? In fondo è carina. Non ti biasimerei se ti piacesse, anzi!
−Non mi sto riferendo a Jane, ma a come mi hai fatto vergognare oggi.
−Ma che dici?
−Ti avevo detto di far finta di niente, se volevi venire con me, non di metterti a fare polemica su qualsiasi cosa.
Colto in fallo, Adam si bloccò di colpo, paonazzo.
−Scusami tanto se ti ho rovinato l’appuntamento galante, ma non potevo proprio starmene zitto di fronte a una cosa simile! – sbottò furibondo. – Ti rendi conto in che pasticcio ti sei messo per imparare due trucchi di magia? Stai infrangendo le regole della scuola! Potresti essere espulso!
−Ma almeno uscirò di lì con la capacità di difendermi.
−Ma da cosa? Non dirmi che credi a tutte quelle balle su Tu-Sai-Chi! Andiamo, si vede da un chilometro che Potter è pazzo!
A quel punto, Edmund non seppe più trattenersi.
−Stammi bene a sentire, − disse in tono gelido – lo sai chi c’era dietro a tutte quelle sparizioni, l’anno scorso? La strega che mi ha tenuto prigioniero per quattordici anni.
−Che…cosa…stai…?
−Sì, hai capito bene. Lo sai benissimo che i Pevensie sono la mia famiglia adottiva da un anno. Prima di questa estate, io ero sepolto vivo dentro un sotterraneo, in balia di una squilibrata che uccideva i figli dei Babbani per divertirsi. Ho provato la sua follia sulla mia pelle, giorno dopo giorno. Non so quante volte mi ha scagliato addosso la Maledizione Cruciatus solo perché aveva avuto una brutta giornata o mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ho visto morire davanti ai miei occhi un sacco di persone innocenti, tra cui il fratello di Susan e Lucy, che oggi dovrebbe essere al posto mio. Non so per quale motivo mi abbia tenuto in vita per tutti questi anni, ma ho sempre vissuto con il terrore e la certezza che Tu-Sai-Chi non voleva che sopravvivessi e che un giorno sarebbe tornato a darmi la caccia. La notte in cui sono stato salvato, il Marchio Nero tatuato sull’avambraccio di quella strega è tornato a bruciare. Sai che cosa significa, vero?
Di colpo, Adam era diventato pallido come un cencio.
−Che è tornato, capito? Tornato – concluse Edmund per lui. – E ora cercherà di terminare quello che ha iniziato, a partire dal massacro dei Nati Babbani, e poco importa se sono figli di parlamentari oppure no. Davanti alla morte sono tutti uguali. Ecco perché ci tengo ad avere almeno una chance, se dovessi trovarmi faccia a faccia con lui. E tu? Pensaci, Adam. Se già non riesci a dormire nel tuo letto per colpa dell’intolleranza degli altri Serpverde, figurati tra qualche tempo, quando Tu-Sai-Chi deciderà di tornare allo scoperto.
Adam non rispose, continuando a fissare il terreno fangoso con gli occhi sbarrati.
Neanche cinque minuti dopo, il ragazzo tornò al Testa di Porco, ponendo la propria firma sotto lo sguardo esterrefatto di Harry e i suoi amici.

Salve a tutti! :)
Mi scuso immediatamente se avevo accennato che in questo capitolo ci sarebbe stato Caspian, ma per ragioni di spazio ho deciso di spostare la scena all'inizio del prossimo.
Davvero, mi dispiace se ho optato per questa soluzione, spero che capirete!

Comunque, per tutti coloro che avessero voglia di leggere qualcos'altro scritto da me, ho appena pubblicato una nuova storia nel fandom di Lady Oscar. Sono ancora al primo capitolo e gli aggiornamenti cadranno ogni giovedì. Ecco il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2445501

Vi ricordo anche il link della mia pagina facebook, dove potrete seguire tutti gli aggiornamenti, le curiosità e le notizie in tempo reale: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?ref=hl

Baci e alla prossima puntata! :)

F.


   
        
   
   
     
   
   
 
    

 

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Capitolo 12
*** L'Esercito di Silente ***





CAPITOLO 12

L’Esercito di Silente

~

 
 
 
 
 
 
Erano ormai le otto di sera quando Edmund trovò Adam in biblioteca, intento a russare a faccia in giù su un gigantesco manuale di Incantesimi.
–Ti ho cercato dappertutto – gli disse non appena riuscì a svegliarlo.
–Sono nei pasticci, Pevensie, davvero nei pasticci – bofonchiò l’amico tra uno sbadiglio e l’altro. – Se continuano a riempirci di compiti e verifiche in questo modo, non uscirò vivo agli esami di fine anno. E fortuna che non ho i GUFO, per ora!
–Volete decidervi ad andare a dormire, voi due? La consultazione è sospesa già da dieci minuti – tuonò in quel momento Madama Pince, la bibliotecaria, in tono imperioso.
–Come se avessimo un letto a disposizione – rognò Adam a denti stretti mentre infilava le sue cose nella cartella e seguiva Edmund di sotto.
Non avevano fatto che pochi passi, quando la voce beffarda di Malfoy proruppe nel corridoio.
Sembrava che ce l’avesse a morte con qualcuno nascosto nell’ombra.
–Come mai ti aggiri da queste parti, se la biblioteca ha già chiuso?
–Io…dovevo solo andare in bagno! – piagnucolò la vocetta acuta di quello che aveva tutta l’aria di essere un ragazzino del primo anno.
–E dovrei anche crederti, razza di moccioso? No, tu per me stavi cercando solo una scusa per andartene in giro fuori dall’orario. Adesso vieni subito con me nell’ufficio della Umbridge. Marsch!
–Non dobbiamo farci scoprire! – bisbigliò Adam inorridito, trascinando via Edmund, che invece voleva restare a difendere quel povero studente.
–Non possiamo lasciarlo! – esclamò sottovoce, cercando di liberarsi dalla sua presa.
–EHI, CHI Ѐ LÀ? – tuonò in quel momento la voce di Malfoy.
La sua ombra, seguita da quelle gigantesche di Tiger e Goyle, si allungò sul pavimento alla luce spettrale delle torce.
–Corri!
Questa volta, Edmund non ebbe bisogno di farsi pregare.
Entrambi si lanciarono in una folle corsa per il corridoio, tentando disperatamente di seminare i loro inseguitori.
In pochi minuti, avevano entrambi il fiato grosso e le costole doloranti per lo sforzo, ma avvertivano ancora i passi della Squadra di Inquisizione a pochi metri da loro.
Se solo avessero rallentato, li avrebbero visti.
A un certo punto, si ritrovarono davanti a una parete cieca, ricoperta da un gigantesco arazzo che scendeva dal soffitto al pavimento, su cui era raffigurato un povero mago preso a bastonate da un gigantesco troll vestito da ballerina.
È quello che succederà a noi tra poco, pensò Edmund in preda al panico.
–Merda! – ringhiò Adam scostando l’arazzo e trovandovi dietro solo la liscia parete di pietra. – Merda, merda!
Sentendo il cuore accelerare per lo sforzo e la paura, Edmund prese a passeggiare su e giù, le mani nelle tasche, cercando disperatamente di trovare una soluzione.
I passi di Malfoy si facevano sempre più vicini.
Se solo si aprisse una porta nel muro per lasciarci passare!, pensò il ragazzo disperato.
–Ehi! – esclamò in quel momento Adam. – Qui c’è una porta!
Edmund si sentì letteralmente sciogliere.
–Cosa aspetti? Entriamo! – squittì, spintonandolo oltre la soglia.
–Per un soffio! – ansimò Adam, che sembrava aver perso ogni facoltà fisica e mentale.
Edmund si appoggiò al battente con tutto il suo peso, cercando di riprendere fiato.
Le gambe gli tremavano ancora.
–Dove siamo? – chiese non appena riuscì a trovare la forza di parlare.
–Non ne ho la minima idea.
In effetti, erano finiti in una stanza molto strana.
Era piccola, con le pareti rivestite da una strana sostanza specchiante.
–Malfoy starà sicuramente facendo la ronda qui fuori – disse a un certo punto Edmund, appoggiando l’orecchio alla porta nella speranza di udire qualsiasi cosa dall’esterno.
–Non riusciremo mai a rientrare nel dormitorio prima delle nove – gemette Adam crollando a terra, visibilmente distrutto. – A quanto pare, stanotte ci toccherà dormire direttamente sul pavimento.
–Non credo, sai? – osservò l’altro indicando qualcosa a pochi passi da loro.
In un angolo della stanza, si erano materializzati due grandi e morbidi letti a baldacchino.
Senza pensarci due volte, Adam si gettò sul primo che gli capitò a tiro senza neanche togliersi le scarpe, rotolandosi sul piumone e restando disteso a pancia in su con le braccia aperte.
–Un letto! – esclamò in tono euforico. – Ѐ da più di un mese che non vedo un letto!
Edmund si sedette sul secondo, stendendosi anche lui.
Aveva dimenticato la sensazione di beatitudine che si provava ogni volta che le membra sprofondavano nel materasso e il profumo delle coperte appena lavate.
–Non è proprio il nostro dormitorio, ma almeno qui staremo da dio – commentò ad alta voce.
Non aveva nemmeno finito la frase, che attorno a loro si materializzarono un caminetto acceso, uno stereo e una TV al plasma.
–Meglio del nostro dormitorio, direi! – esclamò Adam estasiato, correndo ad accendere la televisione.  –Ma guarda un po’! Stasera gioca il Manchester! Dio, quanto tempo era che non mi guardavo una partita!
–Ti piace il calcio?
–Da matti, Pevensie! Anche più del Quiddich, a dire il vero. Tutta colpa di papà – a quell’ultima affermazione, il ragazzo ridacchiò in tono nostalgico.
Nel frattempo, Edmund aveva sollevato il cuscino, trovandovi sotto un morbidissimo pigiama fresco di bucato.
Rassegnatosi all’idea di dormire lì, il ragazzo se lo infilò rapidamente, ficcandosi sotto le coperte e prendendo a fissare il soffitto con le mani dietro la nuca.
–Che strana, questa stanza – commentò. – Sembra che tutto quello che desideriamo si materializzi dal nulla.
–Ѐ fantastica! – esclamò Adam raggiante. – Dovremmo passarci più spesso. Magari potremmo stare qui tutte le notti, invece che prenderci a calci su quel maledetto divano. Oppure potremmo usarla come base per lo studio.
In realtà, Edmund aveva ben altri progetti per la testa.
Non sembrava un posto molto conosciuto e, se Malfoy non era riuscito a trovarli, allora forse neanche la Umbridge avrebbe potuto scoprire dove si nascondevano.
Come sede per le loro riunioni, era semplicemente perfetta.
Come a rispondere ai suoi pensieri, la parete di fondo si allungò improvvisamente, mentre un’alta libreria stipata di grossi volumi sorgeva dal pavimento come una gigantesca pianta.
–Ma tu pensi sempre e solo a leggere? – domandò Adam scuotendo il capo, mentre il portiere del Manchester parava un calcio di rigore della squadra avversaria.
Edmund non rispose, alzandosi dal letto e prendendo in mano il primo volume che gli capitò a tiro.
– Sono tutti manuali di Difesa Contro le Arti Oscure! – esclamò raggiante. – Alcuni sono addirittura nel Reparto Proibito della biblioteca. E ora possiamo leggerli anche noi!
–Che vuoi dire?
–Che abbiamo trovato un posto dove allenarci.
Detto questo, Edmund caracollò sul letto e si tuffò nella lettura del suo prezioso tomo, ritornando per un attimo all’unica gioia che aveva nella vita precedente: leggere, leggere e ancora leggere, in attesa di scoprire che cosa lo aspettasse là fuori.
 
***
 
La mattina dopo, finalmente riposati dopo un mese di notti insonni, Edmund e Adam scesero per la colazione nella Sala Grande, trovandola nel caos più totale.
Notando lo sguardo compiaciuto della Umbridge al tavolo dei professori, non fu difficile per loro indovinare che cosa fosse successo.
–Lucy? – domandò Edmund intercettando la sorellina che era appena arrivata.
–La Umbridge ha emesso un nuovo decreto – rispose lei con aria triste. – Tutte le associazioni, squadre o gruppi con più di tre studenti sono sciolti, a meno che la Umbridge non ne approvi la legalità.
–Oh, cavolo!
Una simile catastrofe poteva significare una sola cosa: quel mostro sapeva che Harry e i suoi amici stavano architettando qualcosa sotto il suo naso.
–Vai al tavolo dei Serpeverde. Ti raggiungo subito – intimò ad Adam prima di seguire Lucy alla volta dei Grifondoro.
In quel momento, Hermione aveva appena mandato via due Tassorosso, intimando loro di non attirare troppo l’attenzione.
–Lo sa? – chiese Edmund sottovoce mentre si sedeva accanto a Susan.
Hermione annuì in tono serio.
–Che facciamo? – chiese Harry nervosamente.
–Si fa lo stesso, che domande! – rispose Hermione in tono perentorio.
–Ma è una follia! Non permetterò che quella megera scortichi le mani a qualcuno per causa mia! O peggio, che lo espella!
–Meglio espulsi ma preparati alla vita che in questo posto senza poter fare nulla – sentenziò Jane con decisione.
–Ma non sappiamo ancora dove incontrarci! – si lamentò Harry.
–Io lo avrei trovato – intervenne Edmund sfoderando un sorriso soddisfatto. – Un posto di cui la Umbridge non sospetta neppure l’esistenza.
 
***
   
–La Stanza delle Necessità. Ma certo! – esclamò Hermione quando lei, Harry, Ron, Jane, Edmund e Adam tornarono di fronte all’arazzo con il mago bastonato dai troll. – La Storia di Hogwarts di Bathilda Bath ne dà solo un accenno, forse perché lei stessa non è mai riuscita a trovarla.
–Come facciamo a entrare? – chiese Harry.
–Dobbiamo concentrarci sulla cosa di cui abbiamo bisogno – rispose Hermione. – Forza, tutti insieme. Uno…due…tre.
Edmund chiuse gli occhi, concentrandosi con tutte le sue forze sulla ricca biblioteca di Difesa Contro le Arti Oscure che si era materializzata davanti ai suoi occhi la sera prima.
Un rumore sordo annunciò che la porta era di nuovo aperta.
Questa volta, la Stanza delle Necessità appariva più grande, delle dimensioni di una piccola palestra.
Una trentina di persone ci sarebbero entrate senza problemi.
Sul pavimento erano disposti dei cuscini di porpora rossa e le pareti erano interamente occupate da scaffali pieni di libri e dispositivi magici di ogni tipo.
–Grande, Ed! – esclamò Harry soddisfatto. – Ora non ci resta che aspettare gli altri.
Verso le otto iniziarono ad arrivare gli altri studenti.
Susan entrò insieme a Luna Lovegood, Cho Chang (Jane fulminò Harry con lo sguardo), Marietta Edgecombe, e una ragazza del quinto anno dai folti capelli ricci con una lieve sfumatura viola.
–Abbiamo un’allieva in più, questa sera – disse Susan presentando quest’ultima a Harry.
–Nessun problema, sei la benvenuta – rispose lui stringendole la mano.
–Piacere, Natalie Prewett – disse lei sorridendo.
–Prewett? – domandò Hermione sorpresa.
–Sì, sono la figlia dei due Auror massacrati dai Mangiamorte – rispose lei con naturalezza, senza incrinare di un millimetro il suo sorriso.
Edmund si sentì gelare, così come Harry.
Dietro le loro spalle, Neville accennò alla nuova venuta un sorriso solidale.
–Bene, ora che ci siamo tutti, credo che sia venuto il momento di darci un nome – disse a un certo punto Hermione.
–Che ne dite di Squadra Anti-Umbridge? – propose Dean Thomas, scatenando l’ilarità generale.
–Non sarebbe meglio Comitato la Umbridge Fa Schifo? – ribatté Fred.
–Meglio: Esercito Anti-Ministero! – fece eco George.
–Che ne pensate di Esercito di Silente? – propose Hermione. – In fondo, è proprio quello che la Umbridge teme.
–Aggiudicato! – tuonarono i gemelli Weasley all’unisono, acclamati da tutti gli altri.
–Esercito di Silente, in codice ES – recitò Hermione, scrivendo il nome sulla pergamena con la lista degli studenti.
–Bene, possiamo cominciare – disse Harry. – Come prima lezione, avevo pensato di iniziare da qualcosa di semplice, ma che in casi estremi può davvero salvare la vita: l’Incantesimo di Disarmo. Vi dispiacerebbe dividervi a coppie?
L’intera stanza fu percorsa dallo scalpiccio degli studenti che si cercavano un compagno.
Lucy e Nigel, gli unici del primo anno, si trovarono automaticamente abbinati.
Hermione scelse Ron, precedendo Jane di pochi istanti.
–Siamo dispari – osservò Susan a un certo punto.
–Chi è rimasto senza un compagno? – domandò Harry.
–I Serpeverde, Neville, Luna e la Prewett – rispose Ron.
–Allora, facciamo così: Neville vai con Luna; Adam, tu puoi andare con Natalie. Ed, tu invece farai a turno con me e Susan – propose Jane.
Non appena si ritrovò davanti il Serpeverde, Natalie perse completamente il suo sorriso, sfoderando uno sguardo di ghiaccio con i suoi penetranti occhi neri.
–Ehi, solo perché sono un Serpverde non significa che i miei genitori siano dei Mangiamorte! – si schermì Adam, indovinando il suo malumore, ma lei non rispose, sfoderando la bacchetta con aria di sfida.
D’altro canto, Edmund fu molto sollevato nel ritrovarsi insieme a Susan e a Jane, che gli sorrideva raggiante.
–Puoi venire un attimo per una dimostrazione? – la chiamò Harry.
Lei lo raggiunse a grandi passi, sguainando la bacchetta.
–Ecco quello che dovrete fare – spiegò il ragazzo, mettendosi in posizione d’attacco. – Expelliarmus!
La bacchetta di Jane volò a tre metri di distanza, facendola trasalire per la sorpresa.
–Tutto qui? – domandò Adam perplesso.
–Ne riparleremo quando ti ritroverai di fronte un Mangiamorte determinato a ucciderti – tagliò corto Harry. – Forza, iniziamo!
L’intera sala fu percorsa dalle urla degli studenti che si lanciavano incantesimi, seguiti dalle varie bacchette che schizzavano da una parte e dall’altra.
Al primo colpo, Adam fu disarmato e beffato da Natalie, che gli restituì la bacchetta solo dopo innumerevoli suppliche.
Anche Lucy sembrò padroneggiare subito l’incantesimo, nonostante la giovane età.
Neville, invece, non riusciva a smuovere di un millimetro la bacchetta di Luna, che si limitava a osservarlo con aria paziente.
Susan e Jane riuscirono a disarmarsi a vicenda al primo colpo.
–Tocca a te, Ed – disse la Potter con un sorriso.
Il ragazzo si concentrò, levando la bacchetta.
–Fa’ finta che io sia un Mangiamorte – lo incoraggiò Jane, vedendolo in preda al panico.
–Expelliarmus! – l’incantesimo colpì la ragazza in pieno petto, mandandola a terra. –Oh, Jane! Scusami, scusami! – esclamò il ragazzo costernato, correndo al suo fianco.
–Non è niente, tranquillo – rispose lei con un sorriso.
Lui le cinse d’istinto le spalle con il braccio.
Con un tuffo al cuore, si rese conto che Jane si stava sorreggendo a lui.
Doveva averle fatto davvero male, pensò con un brivido.
Dal suo canto, Susan sembrava improvvisamente interessata al soffitto.
–Hai davvero tanta energia, Ed – commentò Jane rassettandosi i vestiti e rimettendosi in attacco. – Ora prova a dosarla per quello che ti serve, okay? Riproviamo!
Fortunatamente, il secondo tentativo andò leggermente meglio, anche se non riuscì a disarmare del tutto Jane.
Non riusciva a trovare la concentrazione necessaria, era troppo nervoso.
Dopo circa un’ora, Harry batté le mani per comunicare la fine della lezione.
–Per oggi, basta così – disse. – Ci vediamo mercoledì prossimo alle otto, va bene? Uscite a piccoli gruppi, mi raccomando, e cercate di non dare nell’occhio.
–Un’ultima cosa – intervenne Hermione, prendendo in mano un sacchetto e distribuendo ai presenti un galeone d’oro a testa. – Tranquilli, sono finti – si affrettò a precisare notando l’espressione di Ron. – In caso di cambiamenti, diventano di colpo caldi e vi appare sopra la nuova data. Così non daremo nell’occhio con assembramenti sospetti verso il tavolo di Grifondoro.
–Geniale! – esclamò Fred. – Magari trovassimo una soluzione del genere per la squadra di Quiddich.
–Che cosa? – domandò Ron esterrefatto.
–Con il Decreto Didattico numero 24, il Grifondoro è ufficialmente sciolto – rispose Angelina tristemente. – Domani ho il colloquio con la Umbridge per dimostrare che non spacciamo droga o cose simili.
–Speriamo che ti dia il permesso!
–Io non ci metterei la mano sul fuoco, purtroppo.
Dopo gli ultimi saluti (Edmund arrossì vistosamente quando Jane gli stampò due sonori baci sulle guance), i Serpeverde si defilarono in punta dei piedi verso il loro dormitorio.
–Come ti è sembrato? – domandò Edmund, una volta che furono di nuovo sul loro vecchio divano, di fronte al caminetto acceso.
–Non male, davvero – rispose Adam pensieroso. – Solo che quella Natalie è una vera vipera. Ho capito che i Mangiamorte le hanno massacrato la famiglia, ma questo non l’autorizza a prendersela tanto con me che non c’entro niente!
–Forse le piaci – ironizzò Edmund, cercando di fare il gradasso alla pari dell’amico.
–Ah, sta’ zitto, Pevensie! – rognò l’altro girandosi dall’altra parte e fingendo di addormentarsi subito.
Ridacchiando tra sé e sé, Edmund si sistemò anche lui sotto la coperta e cercò di prendere sonno, continuando a pensare al contatto delle spalle esili di Jane sul suo braccio e le dita sottili di lei che cercavano appiglio in quelle di lui mentre l’aiutava a rialzarsi.
 
***
 
Edmund si svegliò di soprassalto.
Doveva essere ormai notte fonda e nel caminetto restavano solo pochi tizzoni ardenti che illuminavano la sala comune di un’inquietante luce rossastra.
Il ragazzo avvertì il suo cuore battere come un forsennato nel petto. Era letteralmente paralizzato dal terrore.
No, non era stato un incubo a svegliarlo questa volta.
C’era davvero qualcuno nella stanza.
Qualcuno che lo osservava.
Afferrò d’istinto la bacchetta da sotto il cuscino e mormorò: – Lumos.
Quasi gli venne un infarto quando il pallido fascio di luce bianca illuminò i grandi occhi tondi di uno strano essere dalle orecchie da pipistrello, che indossava un’assurda quantità di calzini e cappelli di lana.
–Chi sei? – domandò Edmund terrorizzato.
–Dobby, signore, Dobby l’elfo domestico – rispose lui con un inchino che mandò a terra quasi tutti i cappelli. – Dobby aiuta volentieri gli amici di Harry Potter.
–Conosci Harry? – chiese il ragazzo in tono sospettoso.
–Oh, sì! Harry Potter ha dato la libertà a Dobby quando era in secondo anno, signore! Ѐ un ragazzo tanto buono e generoso e Dobby è convinto che il suo amico lo è altrettanto, anche se è finito a Serpeverde per sbaglio, signore!
–Per sbaglio? Vuoi dire che potrebbero mettermi a Grinfondoro, una volta chiarita la situazione?
–Solo Albus Silente può saperlo, signore. Il professor Silente ha mandato Dobby ad avvertirla che vuole parlare con lei.
A quelle parole, Edmund si sentì nuovamente invadere dalla speranza.
–Davvero vuole vedermi? – domandò con il cuore che gli batteva forte per l’emozione.
–Domani sera alle sette, signore. La parola d’ordine per entrare nel suo ufficio è Api Frizzole.   


Taaaaa-daaaaan!
Lo so, oggi ho aggiornato con diverse ore di ritardo (cosa che tra l'altro si ripeterà anche nelle prossime settimane, visti i nuovi orari delle lezioni), ma in compenso ho cercato di scrivere un bel capitolo lungo in cui accadono moltissime cose.
Consiglio a tutti voi di ascoltare la canzone che ha ispirato quest'ultima parte della storia, che tra le altre cose per me è diventata una sorta di "Jadmund Theme", che mi ha suggerito una scena che leggerete tra qualche tempo. Per tutti i curiosi, questo è il link:
 http://www.youtube.com/watch?v=WR3E9VzPDnU

Colgo l'occasione per ringraziarvi tutti, ancora una volta. Siete dei lettori fantastici, che ogni giorno mi fanno capire quanto i miei personaggi vi stiano a cuore, come lo sono per me: parte di una famiglia immaginaria, ma pur sempre presente nel quotidiano. Vi ringrazio anche a nome loro, che non mi abbandonano mai!

Prima di salutarci fino al prossimo giovedì, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete seguire tutti gli aggiornamenti in tempo reale:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Un abbraccio e a presto! :)

F.   
 

 

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Capitolo 13
*** Storie di giganti ***





CAPITOLO 13

Storie di giganti

~
 

 
 
 
 
 
L’ufficio di Silente era esattamente come Edmund ricordava.
Gli scaffali stipati di libri e strani congegni argentei, la grande scrivania di quercia e i ritratti dei Presidi che lo avevano preceduto nei secoli erano sempre al loro posto, come se fosse passato poco più di un attimo dalla sua prima e ultima visita.
−Accomodati – disse il vecchio mago non appena Edmund bussò alla porta dell’ufficio alle sette in punto come stabilito.
Nonostante fosse ormai convinto che Silente stesse inequivocabilmente dalla parte dei buoni, il ragazzo non riusciva a controllare in alcun modo le farfalle nello stomaco che lo tormentavano nel momento in cui si trovava al suo cospetto, suscitando in lui un misto di soggezione e diffidenza.
Devo smetterla con questi vecchi incubi, pensò con rabbia ricordando tutte le storie che Alhena Black gli aveva raccontato sul suo conto.
−Albus Silente è un mago vile e crudele, pronto a manovrare il prossimo come una pedina pur di fare i suoi interessi – diceva spesso. – Conosco storie su di lui che farebbero accapponare la pelle perfino al Signore Oscuro.
Una volta gli aveva raccontato che in realtà Silente odiava i Babbani esattamente come i Mangiamorte, solo che, nel momento in cui Voldemort era salito al potere, si era sentito surclassato e per rimediare si era atteggiato a paladino della giustizia solo per diventare altrettanto celebre.
Un’altra, invece, gli aveva confessato che da giovane aveva ucciso sua sorella perché debole e malata.
Di certo quella descrizione raccapricciante non coincideva affatto con il vecchio mago sorridente che Edmund si trovava di fronte, colui che aveva fatto in modo di trovargli una famiglia disposta ad accoglierlo a braccia aperte e di aiutarlo a superare l’orrendo buco nero del suo passato.
−Accomodati pure – disse Silente.
Edmund obbedì senza fiatare.
−Allora, ho saputo dai tuoi insegnanti che ti stai inserendo bene all’interno della scuola – proseguì il Preside tranquillamente. – La professoressa McGranitt mi riferisce spesso gli ottimi voti che riesci a prendere alle verifiche, nonostante qualche insicurezza negli incantesimi, e gli altri membri del corpo docente non sono da meno, il professor Piton compreso. Ma ora veniamo a noi. Suppongo che tu abbia qualche domanda da pormi.
Edmund esitò, incerto.
Aveva un trilione di cose da chiedere al Preside, ma in quel momento avvertiva una sorta di vuoto nella sua testa che gli impediva di ragionare, come se in fondo le cose non andassero poi così male.
−Dobby mi ha detto che preferisci dormire sul divano della sala comune, piuttosto che nel tuo letto – gli venne incontro Silente.
−Non è colpa mia! – si difese Edmund, trovando finalmente qualcosa da dire. – Non voglio dormire nella stessa stanza di Draco Malfoy e i suoi compagni, che passano l’intera giornata a dire cose disgustose su di me e i miei amici. Io non ho niente a che vedere con loro e non capisco come mai sono finito proprio a Serpeverde. Perché non ho avuto la possibilità di scegliere, come è accaduto a Harry? Quello stupido cappello non mi ha dato nemmeno il tempo di rispondere. Ha sparato subito la sua sentenza senza neanche dare il tempo alla McGranitt di mettermelo in testa!
−Tutto questo è assai curioso. Anch’io, con tutta sincerità, mi aspettavo che scegliessi di andare in un’altra Casa – rispose Silente in tono pensoso, scrutando il soffitto con i profondi occhi celesti. – Tuttavia, vorrei ricordarti che, nonostante la pessima fama, Serpeverde è e rimane una delle quattro Case di Hogwarts. In fondo, il nobile Salazar non nutriva solo ideali distruttivi contro la sua stessa razza, ma ne condivideva altri assai nobili ed elevati in maniera addirittura superiore agli altri Fondatori. Pensa solo a quanto vengono valorizzati l’orgoglio e l’astuzia tra di voi. Sono valori importanti, Edmund, che il Cappello Parlante avrà sicuramente visto in te più di ogni altra cosa.
−Ma io non sono né orgoglioso né astuto! – protestò il ragazzo.
−Forse non ora, ma sicuramente nutri il seme di queste qualità nelle pieghe più profonde della tua indole e solo una Casa come Serpeverde può aiutarti a coltivarle nel migliore dei modi.
−Sinceramente, preferivo il coraggio dei Grifondoro.
−Mio caro ragazzo, ti vorrei far notare che per adesso hai visto solo il lato negativo dei Serpeverde e questo ti porterà a maggior ragione ad avvicinarti al loro fanatismo. Apri gli occhi, piuttosto: credi forse che i Fondatori avrebbero mantenuto comunque la Casa di Salazar Serpeverde se fosse stata solo un covo di maghi oscuri e niente più?
−No – rispose Edmund, ma in realtà non era convinto per niente.
−Serpeverde sforna ogni anno maghi e streghe eccezionali, che riescono comunque a trovare un posto rispettabile nel mondo senza essere dei Mangiamorte – proseguì Silente.
−Ma io ancora non capisco perché il Cappello Parlante mi ha assegnato proprio a Serpeverde, quando io non avrei voluto finirci in ogni caso.
−Secondo me, il Cappello ha voluto metterti alla prova, così come ha fatto con Harry. Nel suo caso, voleva semplicemente instillargli il dubbio se scegliere la via della grandezza o quella del coraggio. Per quando riguarda te, evidentemente il Cappello ha avvertito qualcosa di più profondo, più grande e imprevedibile, qualcosa che non si può risolvere con un semplice dilemma. Mandarti a Serpeverde equivale a darti la possibilità di farti le ossa e sopravvivere a delle sfide che, se la sorte fosse andata diversamente, ti apparirebbero insormontabili.
−Quindi lei pensa che il Cappello mi stia mettendo alla prova, costringendomi a vivere con le persone che odio?
−Non sono forse proprio l’odio e la rabbia i sentimenti che più ti hanno logorato in questi anni?
Quella risposta lo spiazzò completamente.
Certo, di odio e rabbia ne aveva provati fin troppo mentre si trovava rinchiuso nel sotterraneo, senza alcun contatto con il mondo esterno, sepolto vivo per dei crimini che non aveva mai commesso; ma non erano nulla in confronto alla paura.
Sì, lui odiava ciò che gli faceva paura.
E provava raccapriccio, tanto raccapriccio, a tal punto da sfociare nel panico ogni qual volta che qualcuno nel suo dormitorio millantava la superiorità dei Purosangue.
−Io non sono come loro – disse in tono deciso. – Non so a che gioco sta giocando il Cappello Parlante, ma credo che abbia preso uno sbaglio. I miei genitori erano dei perseguitati, non dei Mangiamorte! Il mio posto non è tra i figli di coloro che hanno ucciso tanti innocenti per divertimento. Per favore, tutto quello che voglio adesso è poter cambiare Casa.
−Mio caro ragazzo, temo che ciò non sia possibile – disse Silente diventando serio. – La decisione del Cappello Parlante è inappellabile. Ma ciò non ti preclude la possibilità di scegliere. Al contrario, lui ti ha dato una grandissima opportunità: quella di essere un Serpeverde diverso da tutti gli altri. Tu hai delle qualità straordinarie, Edmund, qualità che lo stesso Godrick Grifondoro apprezzava in Salazar Serpeverde prima che il fanatismo lo accecasse: un’intelligenza e una forza d’animo straordinarie, arricchite dal giusto senso del dovere. Non è cosa da tutti possedere queste doti, che di certo ti rendono molto diverso dal giovane Draco Malfoy.
−Ecco perché mi sento una mosca bianca lì dentro. Sono solo.
−Tu non sei da solo. Sempre Dobby mi ha raccontato della tua amicizia con Adam Johnson, un mago davvero eccezionale. E non credere che lui sia l’unico Mezzosangue all’interno di Serpeverde. In realtà, ve ne sono molti più di quanto tu possa immaginare, solo che si guardano bene dal dirlo in giro – a quelle parole, Silente gli rivolse un’eloquente occhiata d’intesa.
Edmund non rispose, prendendo a fissarsi la punta delle scarpe.
Si ricordava di come Adam si fosse congedato da lui all’ora di cena, entrambi sicuri che quella notte Edmund avrebbe finalmente cambiato Casa.
Si ricordava il groppo alla gola che aveva nel momento in cui si erano salutati. In fondo, si erano affezionati l’uno all’altro.
Se Edmund avesse davvero cambiato Casa, a chi avrebbe chiesto aiuto Adam?
Il ragazzo sospirò, sentendosi definitivamente in trappola.
Ancora una volta, aveva la sgradevole sensazione di creare solo dolore inutile ogni volta che provava a muovere un passo.
Silente continuava a fissarlo con aria pensosa, un’espressione indecifrabile dipinta sul suo volto antico.
−Si sa qualcosa di…Lord Voldemort? – si azzardò a chiedere Edmund dopo una lunghissima pausa di silenzio.
−Mi aspettavo che me lo chiedessi – rispose il Preside di Hogwarts, prendendo a fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle. – No, purtroppo non si sa ancora nulla. L’unica cosa certa è che sta cercando un’arma, qualcosa che non aveva con sé la notte in cui perse i suoi poteri.
A quelle parole, Edmund si sentì invadere dal gelo.
–Signore… − balbettò. – Lei pensa che…in qualche modo…possa…? – non aveva neanche il coraggio di finire la frase, tanto terribile era la verità che si aspettava di ricevere in risposta.
−No, Edmund, non sei tu. Di questo ne sono più che sicuro – lo rassicurò Silente con un sorriso. – Credo di avere una mezza idea di che cosa si tratti, ma non voglio confonderti le idee con qualcosa di terribilmente oscuro, troppo grande per non sconvolgere una mente così giovane. Spero che tu comprenderai la precauzione di un vecchio.
−Sì, signore – annuì Edmund, mentre il cuore gli batteva all’impazzata per il sollievo. – Mi chiedevo solo se posso parlarne con Harry Potter. Sa, io e lui siamo ormai amici e si è più volte lamentato con me del fatto che non vuole riceverlo. Vede, anche lui è molto in ansia per questa faccenda.
−Comprendo ciò che sta passando, ma non posso permetterti di rivelargli quanto avvenuto qui dentro stasera, Edmund – rispose Silente tornando serio ancora una volta. – Vedi, la notte in tentò di uccidere Harry, Voldemort creò un collegamento involontario tra lui e il ragazzo. Ecco perché Harry riesce a percepire i suoi pensieri, a entrare nella sua testa. È un dono che può tornare utile, ma che allo stesso tempo può rivelarsi estremamente pericoloso. Se solo Voldemort scoprisse che Harry può entrare nella sua testa, potrebbe cercare di manipolare i suoi pensieri o addirittura di usare i suoi ricordi per estorcere informazioni estremamente importanti per lui. Ecco perché mi sto rifiutando di vedere il ragazzo in questo periodo: non voglio che Voldemort veda o senta cose che potrebbero tornargli utili, a partire dal fatto che Harry venga a conoscenza di questo dono nascosto.
−Ma così siamo tutti in pericolo, io per primo! – esclamò Edmund terrorizzato. – Voldemort mi sta dando la caccia e potrebbe usare Harry per sapere dove sono! Ecco perché gli fa sempre male la cicatrice quando mi guarda negli occhi – a quel pensiero, il ragazzo ebbe un moto di vertigine per la paura.
−Voldemort saprà sicuramente della tua fuga, ma non può toccarti in alcun modo. Qui sei al sicuro, Edmund, e anche fuori sei protetto da incantesimi che gli impediranno comunque di far del male a te e alla tua famiglia adottiva – lo rassicurò Silente. – Tuttavia, devi promettermi che non rivelerai a Harry ciò che ti ho confidato questa sera. Capisci che, nelle mani di Voldemort, una simile informazione avrebbe dei risvolti catastrofici.
−Certamente, signore. Ha la mia parola – assicurò Edmund. – Però non è giusto! Insomma, è orribile restare isolati dal mondo senza sapere che cosa succede là fuori. Se io fossi Harry, impazzirei. Possibile che non si possa fare proprio niente?
A quella domanda, il Preside sorrise sornione.
–Stagli vicino, Edmund. Confortalo più che puoi. Harry ti vuole bene, anche se sei di Serpeverde, e ora più che mai ha bisogno di un amico su cui contare veramente. Non è poco, credimi.  
Il ragazzo annuì.
–Cercherò di fare del mio meglio, signore.
−Bene, mi ha fatto piacere parlare di nuovo con te dopo tutti questi mesi. Ora però è meglio se torni nel tuo dormitorio: si è fatto tardi e non credo che la professoressa Umbridge conceda deroghe a noi poveri docenti.
−Anche per me è stato un piacere. Buonanotte, signore.
Edmund si alzò in piedi e fece per andarsene, quando la voce del Preside lo costrinse a voltarsi un’ultima volta.
−Edmund, − disse questi in tono pacato – c’è qualcosa che vorresti dirmi?
Inizialmente il ragazzo pensò di dire di no, era troppo stanco e confuso per restare a discutere; poi, però, fu colto da un’improvvisa illuminazione.
−Sì – rispose sfoderando un sorriso luminoso.
Si sedette di nuovo alla scrivania e gli raccontò dell’ES.
 
***
   
Il venerdì mattina, Susan aveva ben due ore di buco a disposizione.
Solitamente, le impiegava per anticiparsi i compiti, ma quel giorno aveva ben altro da fare.
Stando attenta a non attirare troppo l’attenzione, la ragazza superò a passo felpato la Sala d’Ingresso e s’inoltrò nel parco, gettandosi un’ultima occhiata nervosa alle spalle per accertarsi di non essere stata seguita.
Certo, quella non sembrava la giornata ideale per fare due passi all’esterno, tuttavia Susan non aveva altra scelta.
Camminò speditamente per i prati avvolti dalla nebbia, stringendosi alla meglio negli abiti, le dita ormai gelate che stringevano febbrilmente la tracolla della borsa.
Non tirava un alito di vento e il silenzio era assoluto.
La ragazza proseguì ancora, fino a raggiungere i primi alberi della Foresta Proibita.
Imboccò il sentiero, stando attenta a evitare un drappello di Tassorosso che si dirigeva a Cura delle Creature Magiche, e puntò verso il lago, fino alla radura in cui pochi mesi prima era stata aggredita insieme alla persona da cui non riceveva notizie ormai da un mese.
Si fermò sul terreno cosparso di foglie secche, osservando immobile l’alta sagoma incappucciata che l’attendeva seduta su un tronco caduto.
Le dita le si strinsero prontamente attorno alla bacchetta.
−Caspian? – domandò con la voce spezzata.
La figura si sollevò con un lieve fruscio, togliendosi prontamente il cappuccio.
Inutile descrivere le sensazioni che travolsero Susan nel momento in cui rivide di nuovo il ragazzo che amava dopo così tanto tempo.
Da una parte fu travolta da una gioia irresistibile, dall’altra ebbe come la sensazione di essere stata colpita a morte.
Si soffermò sul suo sorriso luminoso e i brillanti occhi neri, dolci e sensuali.
Era più bello che mai, ma la sua era una bellezza che faceva male.
−Susan! – esclamò lui venendole incontro.
In un attimo, le loro labbra furono una cosa sola.
−Mi sei mancato – gemette Susan affondando una mano nel suo mare di capelli scuri e baciandolo con foga, come se volesse trasmettergli tutta l’angoscia che provava con quel semplice gesto.
−Mi dispiace, sono riuscito a venire da te solo oggi – si scusò lui scostandole una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso.
−Potevi scrivermi – rispose l’altra, di colpo gelida.
−La posta è controllata e i camini sono sotto osservazione.
−Potevi usare uno pseudonimo e cambiare gufo ogni volta, come fa Harry con Sirius.
−Non è così semplice. Io sto facendo il doppio gioco: ho un ruolo all’interno del Ministero e tutti mi conoscono per quello. Non posso mettermi in mostra, non ora che sto cercando di aiutare Silente.
−Certo, e Silente sarebbe più importante di me?
−Susan, siamo in guerra…
La ragazza fece un passo indietro con stizza, scostandosi da lui.
−Appunto perché siamo in guerra non posso stare lontana da te – disse a voce bassissima, fissando il suolo. – Non puoi capire quello che sto passando. Ogni giorno ho il terrore che ti scoprano, che ti catturino. Non oso pensare a quello che potrebbero farti quei mostri. Mi basta e avanza ciò che la Umbridge compie all’interno di Hogwarts senza che nessuno possa alzare un dito per fermarla. Questo tuo silenzio, questa tua assenza, è per me la più lenta e atroce delle agonie.
Caspian provò a riavvicinarsi, ma Susan si scostò ancora di più.
Si sentiva tradita e offesa, come se di colpo al suo ragazzo non gli importasse più nulla di lei.
Certo, erano in guerra, ma anche in quelle situazioni coloro che si amano riescono a tenersi in contatto.
O no?
−Mi dispiace, Susan – fu tutto quello che riuscì a dire Caspian. – Non era mia intenzione ferirti, ma prova a metterti nei miei panni. In questo ultimo mese non ho più avuto un attimo di tregua. Sto svolgendo una missione per conto di Silente, una missione difficile e piena di pericoli.
−Quale missione? – domandò Susan tagliente.
–Non posso parlartene. Scusami.
−Ah.
Susan si strinse nei vestiti, infreddolita e allo stesso tempo a disagio.
Stava lottando contro le lacrime che minacciavano di sfuggirle da un momento all’altro.
Era finita, questo lo sapeva.
Quella con Caspian era stata solo una storia passeggera, di quelle che finiscono velocemente come cominciano.
Del resto, il giovane Von Telmar aveva qualche anno più di lei, che andava ancora a scuola.
Erano due mentalità completamente diverse.
Lentamente, tra loro era tornato a stendersi il velo che divideva il professore dalla studentessa solo un anno prima.
Solo che Caspian non aveva il coraggio di troncare.
Neanche Susan, del resto.
−Non pensare che ti voglia abbandonare. Non pensarlo neanche per un momento – disse lui sfidando la sua ostilità, circondandole la vita con le braccia e affondandole il volto nei capelli.
Susan cercò di rimanere impassibile ai suoi baci e alle sue carezze, ma qualcosa dentro di lei urlava di dolore a quella resistenza.
Avvertiva il profumo esotico di lui, il tocco delle sue mani e delle sue labbra, la sorprendente dolcezza con cui le sue braccia forti la stringevano a sé.
Senza pensarci oltre, la ragazza si voltò a sua volta, baciandolo con passione e tirandolo a sé.
Per poco le sue dita non gli graffiarono la schiena e il collo, ma poi la sua presa divenne più morbida e dolce, cullata da quella di lui.
Ecco perché mi piaci, pensò Susan mentre una lacrima le solcava il viso e si posava sul mento di Caspian. Mentre io sono sempre così dura con me stessa e con gli altri, tu sai tirare fuori tutta la dolcezza che ho paura di dimostrare.
−Susan! – esclamò il giovane posandosi un dito sul mento bagnato. – Ma…stai piangendo?
−Scusami – gemette lei, nascondendosi il volto dietro il palmo della mano.
Lui la abbracciò forte, cercando di farle coraggio.
−Sono stato un bastardo – mormorò. – Non volevo che pensassi che ti stavo abbandonando. Ti prego, credimi: l’ho fatto per proteggerti. Non hai idea di quello che sta succedendo là fuori.
Susan levò lo sguardo su di lui, gli occhi di ghiaccio che fremevano dalla rabbia.
−Non farlo mai più – scandì con decisione.
−No, Sue – la rassicurò lui. – Mai più.  
 
***
 
La vita a Hogwarts era diventata un vero inferno, specie dopo il Decreto Didattico numero 25, in cui la Umbridge si era annoverata il diritto di distribuire punizioni a suo piacimento.
Era stato così che Harry, dopo che Angelina aveva così faticosamente ottenuto il permesso di ricostituire il Grifondoro, si era beccato un’espulsione a vita insieme ai gemelli Weasley per aver risposto per le rime a Goyle dopo che questi lo aveva buttato giù dalla scopa a suon di Bolidi.
Dopo la disastrosa partita, Jane aveva cercato il fratello più o meno per tutto il castello, aiutata da Ron e Hermione.
Il fatto che il ragazzo fosse stato espulso le faceva male quasi quanto a lui: sin dal primo anno, la giovane strega si era abituata a vederlo sfrecciare in sella a una scopa, acclamato dall’intera scuola.
Era bravo a volare, Harry. Era una sorta di talento naturale, ereditato da suo padre.
Il volo era il suo elemento, dove riusciva a essere finalmente se stesso, libero da qualsiasi preoccupazione, a partire dalla cicatrice che continuava a bruciare in maniera allarmante.
Ora che la Umbridge lo aveva privato anche di quello, che senso aveva restare a Hogwarts?
     Jane maledisse quel mostro fino alla ventesima generazione.
Stava distruggendo la vita di suo fratello giorno per giorno, assillandolo e torturandolo con sadica lentezza, in modo tale da condurlo gradualmente alla disperazione.
Quell’essere le risultava ancora più spregevole di Alhena Black, così falso e perfido.
Avrebbe tanto voluto trasformarla in uno scarafaggio e calpestarla.
Verso sera, iniziò a nevicare. Jane, Ron e Hermione trovarono Harry nella sala comune del loro dormitorio, sprofondato su una poltrona davanti al caminetto.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto come quello dei drogati.
−Harry! – esclamò Jane rannicchiandosi al suo fianco e stringendosi a lui.
−Voglio stare da solo – mugugnò il ragazzo senza tanti complimenti.

−Harry, devi venire con noi – intervenne Hermione in tono sbrigativo. – È successa una cosa. Guarda tu stesso.
Il ragazzo si levò in piedi di malavoglia, caracollando verso la finestra e osservando il punto che l’amica gli indicava con il dito.
Con un tuffo al cuore, si rese conto che le finestre della capanna di Hagrid erano illuminate.
 
***
   
Negli ultimi tempi i ragazzi erano decisamente cresciuti.
Jane se ne rese conto nel momento in cui dovettero stringersi parecchio sotto il Mantello dell’Invisibilità, che ormai non bastava più a coprirli tutti e quattro.
Con suo sommo piacere, si ritrovò letteralmente incollata al fianco di Ron.
Se solo avesse potuto, avrebbe iniziato a fare le fusa, anche se poi si sarebbe vergognata a vita di una cosa del genere.
Il quartetto riuscì a eludere tutti i sistemi di sorveglianza piazzati per il castello e riuscì a raggiungere la capanna di Hagrid prima che facesse buio.
In effetti, il gigante buono era tornato davvero: Ron lo vide chiaramente dalla finestra mentre metteva sul fuoco il bollitore del tè.
−Hagrid, siamo noi! – gridò Harry prendendo a bussare come una furia.
Nel momento in cui l’amico venne ad aprire loro, i ragazzi si lasciarono sfuggire un’esclamazione di orrore.
L’intero volto del gigante era gonfio e tumefatto, come se fosse reduce da una violenta rissa.
 –Venite dentro – intimò loro con fare sbrigativo. – Non potevate aspettare fino a domattina per venire qui, eh?
−Eravamo preoccupati per te – domandò Harry sprofondando in una vecchia poltrona grande come un letto a due piazze.
Thor, il gigantesco cane di Hagrid, gli fu letteralmente addosso, leccandogli tutta la faccia.
−Anch’io sono preoccupato per voi – rispose il gigante tirando fuori cinque tazze grandi come secchi da muratore. – Dissennatori in mezzo ai Babbani. Roba da matti!
−Dove sei stato? – incalzò Harry.
−Missione segreta. Top secret.
−A noi puoi dirlo.
−Sai che non posso.
−Se ce lo dici, io ti racconto dei Dissennatori.
Hagrid lo fissò con aria truce; poi borbottò: − E va bene. Io e Olympe siamo stati dai giganti.
Giganti? – squittì Hermione incredula.
−Ma sì, non sono difficili da trovare, anche se vivono confinati in una riserva in Siberia, dove sono liberi di ammazzarsi tra di loro. Io e Olympe eravamo quasi riusciti a convincerli a passare dalla nostra parte, ma sul più bello sono arrivati i Mangiamorte e li hanno portati dalla loro. Per poco non ci ammazzano. La missione è fallita nel peggiore dei modi.
−Quindi adesso i giganti stanno dalla parte di Tu-Sai-Chi? – domandò Ron con un brivido.
−Certo che sì! E non c’è da scherzare, con dei tipi grossi come loro.
−Almeno sei tornato vivo – cercò di confortarlo Jane, anche se in cuor suo tremava alla sola idea di trovarsi di fronte a un vero gigante.
−Non è stato tutto inutile. Ho scoperto delle cose, mentre ero lì – aggiunse Hagrid. – Si raccontano strane storie tra i giganti. Negli ultimi cinquant’anni, pare che Lilith, una gigantessa particolarmente sanguinaria, abbia avuto una relazione con un mago di quelle parti.
−Che cosa? Com’è possibile? – esclamò Harry disgustato.
−Sono cose che succedono – spiegò Hagrid pazientemente. − Anche tra mio padre e mia madre fu così, sapete? Fatto sta che questa gigantessa è rimasta incinta e ha avuto una bambina, una strega. Per questo sono state cacciate dalla comunità e di loro non si è saputo più niente.
−Aspetta, Hagrid  – chiese in quel momento Jane, la mente che galoppava. – Stai forse dicendo che questa bambina è Jadis?
In quel momento, una violenta scarica di colpi si abbatté contro la porta.
La tazza che Hermione reggeva tra le mani cadde a terra e si ruppe in mille pezzi.



Buongiorno a tutti! :)
Come state?
Ebbene sì, la tanto attesa scena con Susan e Caspian è tornata a farsi viva, anche se ho dovuto pregarli un bel po' prima di farli rientrare in scena. Cosa ne pensate della loro relazione? Riuscirà ad andare avanti o entrambi si trovano al preludio di un lasciaggio molto triste? Riceverete comuque la risposta nei prossimi capitoli.

Vi ringrazio ancora tutti quanti per la passione con cui leggete questa mia piccola follia. Vi adoro! :D

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete trovare tutti gli aggiornamenti e le foto dei personaggi: 
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Un abbraccio e a presto! :D

F.
 

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Capitolo 14
*** Faccia a faccia con la morte ***




CAPITOLO 14

Faccia a faccia con la morte

~
 

 
 
 
 
 
Un velo di terrore cadde nella piccola stanza.
Nessuno osava muoversi, per paura che il solo respiro bastasse a tradirsi.
–Ѐ lei! – squittì Hermione in preda al panico.
–Lei chi? – chiese Hagrid perplesso.
–Sotto! – intimò Harry coprendo gli amici con il Mantello dell’Invisibilità e andandosi a rifugiare nell’angolo più lontano della capanna.
All’ennesima scarica di colpi, Hagrid fu costretto ad aprire.  
Si dovette guardare intorno per parecchi istanti, prima di rendersi conto che a bussare con quella forza vigorosa era stata una donna bassa e larga che gli sorrideva con aria zuccherosa all’altezza della cintola.
–Posso entrare? – chiese la Umbridge con simulata cortesia.
–E lei chi diavolo è? – chiese Hagrid perplesso.
–Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo di Hogwarts – si presentò lei in tono ufficiale.
–E sarebbe?
L’altra strabuzzò gli occhi.
Evidentemente, quella specie di zotico non capiva l’importanza smisurata di quel ruolo, si stava dicendo visibilmente contrariata.
–In vista delle ultime mancanze presentate dalla scuola, sono stata incaricata dal Ministro della Magia in persona di sorvegliare e valutare l’operato degli insegnanti, affinché si mostrino all’altezza del loro compito – disse, mimando ogni singola parola come se avesse a che fare con un ritardato.
La cosa convinse Hagrid ancora di più di avere a che fare con una vecchia pazza.
–Cosa dovrebbe fare lei? – domandò nuovamente, chiedendosi se fosse il caso di portare quella poveretta in infermeria.
–Presenzierò alle lezioni e prenderò nota di quanto svolto – rispose la Umbridge, questa volta scandendo le sillabe e fingendo di scrivere su una lavagna invisibile. – Ora, permette di farle un paio di domande?
–Ma certo, si accomodi!
Non sapendo più come comportarsi, Hagrid la fece entrare all’interno della capanna.
La Umbridge si guardò intorno con aria disgustata, sondando ogni singolo centimetro polveroso come se potesse passarvi attraverso con lo sguardo.
Più di una volta indugiò sul punto in cui si erano rintanati Harry e i suoi amici, ma non diede avviso di averli notati.
–Aspettava visite, Hagrid? – domandò a un certo punto.
–No – si affrettò a rispondere lui.
–Come spiega la presenza di impronte davanti casa sua, allora? O il fatto che ha tutte queste tazze sul tavolo?
–Che ne so, sono appena rientrato! Magari qualcuno è passato a vedere se c’ero e se n’è andato. Quanto alle tazze, mi servono per degli impacchi per i lividi. Non me ne basta una sola, sa? Poi, mentre bussava, una è caduta a terra…
–Come si è procurato quei lividi? – incalzò la Umbridge implacabile.
–Sono caduto dalla scopa di un mio amico.
–Vedo, lei ha proprio il fisico da giocatore di Quiddich – il sorriso della Umbridge si allargò ancora di più. – Come mai si trovava da quest’amico, se la scuola è ricominciata da due mesi?
–Mi sono preso un permesso per motivi di salute. Sa, avevo bisogno di cambiare aria…
–Come se l’aria di montagna non ci fosse anche qui.
–Saranno fatti miei, no? – Hagrid cominciava davvero a seccarsi.
–Molto bene – concluse la Umbridge con un sorriso. – Verrò presto a farle visita alla sua lezione di Cura delle Creature Magiche. Sono proprio curiosa di vederla all’opera. Buona serata.
Detto questo, la strega se ne andò, non prima di essersi spruzzata una generosa quantità di profumo sul collo.
Umiliato e confuso, Hagrid rimase seduto sulla sua sedia, fino a quando i ragazzi non trovarono il coraggio di uscire allo scoperto.
–Come ha fatto Silente a far entrare quella cosa nel castello? – chiese non appena se li ritrovò al suo fianco.
–Non è stata una sua scelta – rispose Harry furibondo. – Caramell è impazzito e vuole controllare tutto quello che accade qui dentro, a costo di usare la forza.
–Hagrid, ti prego! – lo supplicò Hermione, conoscendo la sua passione per le creature pericolose. – Stai molto attento con lei: so per certo che è un’accanita sostenitrice della lotta contro gli ibridi e sicuramente non vede l’ora di cacciarti dalla scuola! Per favore, almeno per quest’anno, potresti seguire il programma della Caporal?
–Potresti chiederci di allevare i Vermicoli come l’anno scorso – azzardò Ron speranzoso.
–Con i G.U.F.O. in ballo? Nossignore! – li zittì Hagrid deciso. – Ho in serbo per voi un programma davvero speciale e non intendo cambiarlo per colpa di quella lì. Preparatevi: giovedì avrete una lezione memorabile.
–Per favore, Hagrid! – squittì Hermione.
–Vedrete che non ve ne pentirete. Ora però filate nei vostri dormitori: ormai è buio e non voglio che vi mettiate nei guai per causa mia.
Per assicurarsi di essere stato abbastanza chiaro, Hagrid li afferrò tutti e quattro per la collottola, trascinandoli all’ingresso della capanna.
–Non ve ne pentirete! – disse facendo loro l’occhiolino, prima di chiudere la porta e lasciarli soli con le caviglie sprofondate nelle neve.
–Spero solo di aver capito male – disse Harry in tono funereo.
Gli altri preferirono non rispondere.
 
***
 
Il giovedì sembrò arrivare in un lampo.
Jane corse a lezione il prima possibile, sperando di riuscire a parlare con Edmund.
Negli ultimi giorni, tra interrogazioni e verifiche, non era mai riuscita a stare sola con lui.
Doveva dirgli urgentemente che cosa aveva appreso da Hagrid la domenica precedente.
La fortuna fu dalla sua parte: lo trovò infatti che scendeva verso la foresta proibita in compagnia di Adam, che continuava a ripassare mentre camminava reggendo un pesante manuale tra le dita.
–Ciao! – salutò lei superandoli.
–Ciao, Jane – rispose Edmund.
Adam si limitò a farle un cenno con il capo per poi sprofondare di nuovo nella lettura.
–Posso parlarti? – chiese Jane a Edmund.

–Fai pure, tanto non sono di grande compagnia – rispose Adam al posto suo.
–Grazie mille! Te lo riporto subito! – la ragazza afferrò Edmund sottobraccio e insieme presero a scendere verso la Foresta Proibita.
A ogni passo, il cuore del ragazzo accelerava come un cavallo al galoppo.
Finalmente erano di nuovo soli! Si guardò intorno, terrorizzato alla sola idea che Ron potesse sbucare da dietro l’angolo, ma per fortuna non avvenne.
–Ho delle novità – disse Jane, non appena furono al sicuro da orecchie indiscrete.
–Su cosa? – chiese Edmund abbassando la voce.
–Jadis.
Il ragazzo rabbrividì, ricordando quella donna orribile capace di tramutarsi in serpente.
–Cosa ha fatto? – chiese sulle spine.
–Ho scoperto da dove viene. È figlia di una gigantessa e di un mago. L’ha scoperto Hagrid andando in Siberia. Pare che sia stata cacciata dal suo stesso clan e sia migrata a Occidente per sopravvivere.
–Cosa vuol dire?
–I giganti sono terribilmente sanguinari e ossessionati dalla magia. Un essere del genere al fianco di Voldemort può essere ancora più terribile di Alhena Black. Nutre solo odio e brama di potere. Non ha sentimenti, niente. È una bestia travestita da donna.  
Edmund si sentì gelare.
Si ricordava come se fosse ieri il giorno in cui la Strega Bianca era riuscita a trovarli.
Non aveva mai visto Alhena apparire così piccola e insignificante di fronte a qualcuno, né tantomeno tremare di terrore.
Gli sembrava ancora di vedere il corpo screziato del gigantesco serpente ergersi su di lei, facendo saettare la lingua biforcuta.
–Cosa c’è? – chiese Jane, notando il suo sguardo perso nel vuoto.
–Niente – mentì Edmund.
Lei gli cinse le spalle con un braccio, cercando di fargli forza.
Lui provò il bisogno istintivo di abbracciarla.
–Non ti preoccupare, la fermeremo – gli disse lei in tono deciso.
Non parlarono più fino a quando non giunsero alle pendici della Foresta Proibita, dove li attendeva Hagrid.
Jane raggiunse gli altri Grifondoro, mentre Edmund tornò da Adam.
Con sommo disappunto di Harry e i suoi amici, Hagrid portava sulla spalla quella che sembrava parte della carcassa di una mucca.
–Seguitemi, ragazzi! Oggi faremo una lezione molto speciale – annunciò il mezzogigante con orgoglio, prendendo ad avviarsi tra i primi alberi.
–Di male in molto peggio – disse Harry a bassa voce.
Anche gli altri stavano pensando la stessa cosa.
Avventurarsi per la Foresta Proibita insieme ad Hagrid di solito equivaleva come minimo a tornare ricoperti di tagli e contusioni varie. Se poi aveva deciso di usare una carcassa come esca, Dio solo sapeva quale bestia feroce stavano andando a vedere!
Malfoy era del loro stesso avviso: il suo piagnucolio terrorizzati si sentivano da diversi passi di distanza.
–Va bene qui – disse Hagrid a un certo punto, fermandosi al centro di una vasta radura.
Depositò la carcassa ai suoi piedi e fece un verso agghiacciante.
In molti si coprirono le orecchie con le mani, spaventati.
Per diversi minuti non accadde nulla; poi, improvvisamente, poche mani presero a indicare un punto imprecisato tra gli alberi.
Calì urlò quando alcuni pezzi di carne presero a staccarsi dalla carcassa, come se fossero strappati da denti invisibili.
–Quanti di voi riescono a vederli? – chiese Hagrid gongolante.
Harry, Luna, Neville, Edmund e un altro ragazzo di Serpeverde furono gli unici ad alzare le mani.
–Neville, dicci cosa vedi – lo esortò il mezzogigante.
–Sembrano una specie di…cavallo. Sì un cavallo con le ali. Però hanno qualcosa di strano. Sembrano quasi…
–…un serpente – concluse Edmund sottovoce, rabbrividendo.
Non riusciva a staccare gli occhi da quelle creature dagli occhi bianchi che banchettavano a pochi metri da lui.
Certo, aveva imparato ad andare a cavallo quando era stato in Toscana con Caspian e i fratelli, appassionandosi moltissimo a quegli animali meravigliosi, ma quella pallida imitazione lo faceva tremare dalla paura.
–Perché solo loro possono vederli? – chiese in quel momento una ragazza di Serpeverde.
–Sono Thestral – rispose Hagrid. – Possono vederli solo quelli che hanno visto morire qualcuno. Per questo alla gente non ci piacciono. Pensano che sono pericolosi o che portano sfortuna. Il fatto che sono un po’ meno belli di un pegaso e che mangiano carogne non li aiuta. Però non è vero che sono aggressivi. In realtà sono molto docili e utili: hanno un ottimo senso dell’orientamento e trasportano carichi pesantissimi. Lo sapete che sono loro a tirare le carrozze di Hogwarts?
In molti trasalirono.
Evidentemente erano tutti convinti che le carrozze si muovessero da sole grazie alla magia.
Più di qualcuno sgranò gli occhi spaventato.
–Hogwarts vanta di uno dei più grandi allevamenti di Thestral in Europa – continuò Hagrid. – Forza, qualcuno vuole provare ad accarezzarli?
Luna fu l’unica a fare un passo avanti.
Si avvicinò con calma alla carcassa e prese ad accarezzare il primo Thestral.
Colpito dalla sua docilità, Edmund decise di provare, lasciando un terrorizzato Adam a fissare il vuoto.
Si mise accanto a Luna, che gli lanciò un sorriso raggiante, e guardò uno dei Thestral.
Questi gli ricambiò lo sguardo con gli occhi bianchi.
Era alto, molto più di un normale cavallo.
La sua forza traspariva da ogni muscolo, che fremeva al ritmo con il suo respiro.
Il Thestral dilatò le narici e si avvicinò lentamente a Edmund.
Il ragazzo allungò una mano tremante.
La creatura poggiò il muso tra le sue dita, continuando a fissarlo.
Il mago prese ad accarezzarlo.
Al tatto, il manto nero era morbido e setoso.
Il Thestral restò immobile, con le orecchie in avanti.
–Ehi, Edmund, pare che ci piaci proprio a Tenebrus! Di solito non si fa accarezzare da nessuno! – si complimentò Hagrid. – Perché ora non provi a darci da mangiare?
Il ragazzo deglutì.
Lottando contro il ribrezzo, afferrò un pezzo di carne e lo porse al Thestral.
Tenebrus annusò di nuovo la sua mano con gli occhi gelidi e poi inghiottì il boccone senza masticare.
Una volta finito, gli diede un buffetto affettuoso con il muso, sporcandogli la guancia di sangue.
–Ne vuole ancora – disse Hagrid.
Edmund ripeté l’operazione.
Ai mostri piacciono gli altri mostri, pensò con ribrezzo mentre Tenebrus inghiottiva anche il secondo pezzo di carne.
–Non devi aver paura – gli disse Luna. – La gente li evita perché sono diversi, non perché sono cattivi. La natura li ha fatti un po’ bruttini, ma questo è un modo per difendersi dai predatori. È vero che mangiano carne, però sempre di animali già morti. Sono solo degli spazzini che tengono pulita la foresta.
Edmund fissò di nuovo Tenebrus, accarezzandolo di nuovo.
In fondo, quella creatura era come lui: molte volte gli era stato detto di essere un mostro.
Ma in fondo, lo era davvero?
Improvvisamente, provò una grande simpatia per il Thestral.
–Bravissimi, ragazzi. Ora perché non ci montate sopra? – disse Hagrid.
Che?
Luna era già balzata a cavallo, sedendosi all’amazzone.
Perplesso, Edmund si arrampicò su un tronco e da lì si diede lo slancio per montare in sella.
Tenebrus lo lasciò fare senza muoversi di un centimetro.
Hagrid li fece passeggiare per qualche minuto; poi, a un suo battito di mani, i due animali partirono al galoppo, spalancando le ali e staccandosi da terra.
Edmund urlò nel momento in cui passò a volo radente sopra le teste dei compagni spaventati, per poi raggiungere il cielo plumbeo di novembre.
Stringeva spasmodicamente le mani attorno al collo del cavallo fino a farsi male.
Tenebrus sorvolò il lago con grazia, ignorando il terrore del suo cavaliere.
Cercando di ricordarsi le lezioni prese in Toscana, il ragazzo provò a dargli una direzione spingendolo con le gambe.
Il Thestral lo assecondò dolcemente.
Incredulo, il ragazzo provò a fargli fare una serie di virate, fino a quando il fischio di Hagrid non risuonò in lontananza.
A quel punto, Tenebrus e il suo compagno ritornarono verso la Foresta Proibita.
Al momento dell’atterraggio, trovarono la Umbridge che passeggiava attorno ad Hagrid.
–Le sembrano creature da far studiare a dei ragazzini di quinto anno? – stava chiedendo l’Inquisitore Supremo, scrivendo febbrilmente sulla sua tavoletta.
–Ma non sono pericolosi! – si difese inutilmente Hagrid.
–Questo lo deciderà il Ministero. Prego, continui la sua lezione. Io nel frattempo farò qualche domanda in giro.
Edmund si affrettò a scendere da cavallo, andandosi a rifugiare accanto ad Adam.
Nel frattempo, Jane si era avvicinata ai Thestral, provando a dar loro da mangiare e trasalendo nell’attimo in cui il pezzo di carne che reggeva tra le mani sparì inghiottito dal nulla.
–Come trova le lezioni di Hagrid? – stava chiedendo in quel momento la Umbridge a Draco Malfoy.
–Orribili – rispose lui, tirando fuori il suo peggior vittimismo. – Una volta sono stato aggredito da un Ippogrifo.
–E io sono stato morso da un Vermicolo – intervenne Goyle.
–Interessante, interessante – borbottò la Umbridge scrivendo febbrilmente sulla sua lavagnetta  – E lei? – chiese poi rivolta a Edmund, indugiando sul colletto della camicia e il viso imbrattati di sangue. – Ha per caso visto morire qualcuno, caro?
A una simile domanda, Edmund si sentì rivoltare lo stomaco come un calzino.
Si voltò verso la Umbridge, sfoderando uno sguardo omicida che avrebbe terrorizzato chiunque, gli occhi più neri che mai.
–Non sono affari suoi – rispose gelido. – Con permesso.
La sua occhiata era stata talmente eloquente che la stessa Umbridge non trovò una motivazione sufficiente per metterlo in punizione.
 
***
 
Novembre volò via rapido e piovoso, lasciando il posto alla neve di dicembre.
Nonostante la ferrea disciplina imposta dalla Umbridge, per i corridoi di Hogwarts si respirava il clima natalizio già dai primi giorni del mese.
Come di consueto, Hagrid aveva decorato il castello con dei giganteschi abeti che aveva portato personalmente dalla Foresta Proibita, che in seguito erano stati decorati con solerzia dal professor Vitious e alcuni suoi allievi, tra cui Ron e Hermione.
Durante la ricreazione, i fantasmi improvvisavano delle carole natalizie e non era raro udire qualche melodia affine provenire dalle armature.
L’atmosfera era così invitante che coloro che avrebbero lasciato il castello per le vacanze erano del tutto reticenti a partire.
Tra questi c’erano anche i Pevensie, che sarebbero rientrati dalla famiglia per Natale.
In quel frangente, gli incontri dell’ES procedevano in piena clandestinità. Edmund stava impiegando anima e corpo per migliorare, ma faceva ancora fatica a usare i suoi poteri.
Dal punto di vista teorico, la sua conoscenza degli incantesimi avrebbe potuto fare benissimo concorrenza a Hermione, ma quando si trattava di usarli era di gran lunga più impacciato di Neville.
Avvertiva la magia fluire nelle vene, formicolando lungo le braccia e le gambe, ma all’ultimo istante si bloccava lì dov’era, paralizzandolo.
Tutta questa energia repressa lo torturava per ore con dei dolori alle ossa e ai muscoli paragonabili alla Maledizione Cruciatus.
–Ѐ tutta una questione di testa – gli aveva spiegato Jane nel momento in cui aveva notato il suo scoramento. – Tu sei un mago molto dotato e hai dei poteri straordinari, solo che non riesci a controllarli. Vedrai che, lavorandoci su, riuscirai a sfruttarli al meglio.
L’ultimo mercoledì di scuola fu anche l’ultimo incontro dell’ES prima delle vacanze.
Per l’occasione, la Stanza delle Necessità si fece trovare addobbata con festoni di vischio che pendevano dalle arcate gotiche.
In vista di due settimane di nullafacenza, Harry aveva programmato una lezione molto intensa in cui avrebbero ripassato tutti gli incantesimi imparati in quelle settimane.
Si divisero tutti a coppie come di consueto, simulando un duello.
Questa volta, Jane capitò con Ron.
Edmund si trovò a fissarli più volte con aria torva.
La ragazza riuscì a Disarmare il rosso, facendosi rincorrere per tutta la sala con la bacchetta in mano.
L’altro stette al gioco, inseguendola tra gli studenti e schivando gli incantesimi volanti. Non appena la raggiunse, l’afferrò per la vita, prendendo a farle il solletico.
Jane lanciò uno strillo divertito e, alla fine, gli restituì la bacchetta.
Edmund trasalì, mentre la bacchetta gli schizzava via dalle mani per finire in quelle di Neville.
–Ben fatto – si complimentò Harry passando accanto a loro. – Cerca di non distrarti, Ed!
Detto questo, il ragazzo si diresse verso Cho e Marietta, che aveva lasciato volutamente per ultime, correggendo la posizione del polso della prima con un timido gesto di confidenza.
Cho si voltò verso di lui e gli sorrise.
Nel frattempo, Ron era riuscito finalmente a Disarmare Jane.
La ragazza corse a cercare la bacchetta che era schizzata in mezzo alla selva di scarpe e mantelli.
Mentre si aggirava carponi per la sala, fu colpita come da uno schiaffo dalla voce di Fred che chiacchierava tranquillamente con il gemello mentre duellavano insieme.
–Non gli passerà mai – stava dicendo il ragazzo ad alta voce.
–Dici? – rispose George. – Non credo che Hermione lasci Krum tanto facilmente.
–Forse non sei stato informato sugli ultimi avvenimenti. Pare che siano in crisi.
–Ah.
Jane rimase in ascolto, paralizzata sul pavimento di pietra.
Solo la mano si muoveva febbrilmente alla ricerca della bacchetta.
–Ron non vede l’ora che arrivino alla rottura – stava continuando a dire Fred. – Insomma, lo sappiamo tutti che gli piace Hermione sin dal primo anno, ma quello zuccone non riuscirà mai a trovare il coraggio di dirglielo. Poi non si lamentasse se lei preferisce uscire con un campione mondiale di Quiddich.
–Ecco perché il nostro fratellino si è messo in testa di diventare Portiere: vuole rimediare.
–Chissà, magari riuscirà a fare colpo.
–Sarebbe ora.
Jane non volle sentire altro.
Acciuffò la bacchetta da sotto i piedi di Ernie Macmillian e si allontanò il più veloce possibile dai gemelli con il volto in fiamme.
Certo, la ragazza sapeva fin troppo bene che non doveva farsi illusioni su Ron, tuttavia, specie da quando Hermione si era messa con Krum, aveva coltivato segretamente un barlume di speranza, almeno fino a quel momento. Hermione non era una semplice cotta.
Era amore vero.
La partita con Ron era chiusa.
Jane tornò al suo posto.
Lanciò al rosso un sorriso tirato, lottando contro il bruciore che le risaliva ai lati degli occhi e la morsa che le stringeva il torace, riprendendo a duellare, senza però l’entusiasmo di prima.
Avrebbe tanto voluto che Harry non l’avesse mai messa in coppia con Ron.
Chissà, forse anch’egli aveva sperato che il suo migliore amico accettasse finalmente i sentimenti che la sorella provava per lui.
Jane scoccò un’occhiata di sfuggita al gemello, che stava ancora ronzando attorno a Cho.
La strega continuava a sorridergli con dolcezza, gli occhi a mandorla che brillavano di euforia.
Ogni tanto, le sfuggiva una risatina alle sue battute di incoraggiamento.
Le piaceva, eccome se le piaceva.
Tutte queste smancerie non fecero altro che aumentare il senso di nausea di Jane.
Alla fine, la ragazza preferì demordere.
–Ti dispiace esercitarti un po’ con Hermione? Io faccio un giro di ricognizione, visto che Harry ormai si è impantanato con Cho – disse freddamente a un certo punto, voltandosi prima che Ron potesse aprire bocca.
Prese ad aggirarsi tra i membri dell’ES come un leone in gabbia, il malumore che le cresceva a dismisura a ogni passo.
Jane lo sfogò criticando praticamente tutti; poi, una volta finito il giro, si andò a sedere in un angolo.
Ormai mancavano pochi minuti.
La fine della lezione fu per lei un sollievo inimmaginabile.
–Bene, ragazzi, noi ci salutiamo qui – disse Harry una volta che i compagni smisero di duellare. – State lavorando tutti in maniera eccezionale e ho notato numerosi miglioramenti. Noi ci vedremo di nuovo il primo mercoledì dopo le vacanze.
–Evviva Harry! – gridò George alzando il pugno con un gesto di trionfo.
–Dai che stracciamo la vecchia rospa ai G.U.F.O.! – fece eco Justin Finch-Fletechey.
Tutti proruppero in un forte applauso, che lasciò Harry a un tempo sorpreso e imbarazzato.
Una volta terminati gli auguri, tutti ripresero le proprie borse e cominciarono ad avviarsi a piccoli gruppi verso i propri dormitori.
Adam ne approfittò per scivolare di soppiatto alle spalle di Natalie Prewett, china sulla sua cartella.
–Be’, buon Natale – disse ad alta voce.
La ragazza si girò a fissarlo dal basso con aria omicida.
–Buon Natale – rispose levandosi in piedi e superandolo a grandi passi.
Perlomeno parla, pensò il ragazzo provando un sottile moto di soddisfazione dentro di sé.
Dall’altra parte della stanza, Edmund si era appena congedato da Harry e gli altri Grifondoro.
Solo una mancava all’appello.
Il ragazzo aveva atteso quasi con impazienza che Jane lo passasse a salutare prima della partenza, ma della ragazza non c’era traccia.
La trovò in un angolo della stanza, mentre metteva ordine qua e là con un’espressione torva dipinta sul viso sottile.
–Volevo augurarti buon Natale – disse il ragazzo timidamente, avvicinandosi a lei.
Nell’udire la sua voce, Jane si riscosse, abbozzando l’ennesimo sorriso simulato.
–Oh, scusami! – farfugliò. – Buon Natale anche a te, Ed. Salutami i tuoi.
–Qualcosa non va?
La ragazza si morse il labbro.
Sollevò lo sguardo verso Edmund, incrociando i suoi occhi scuri che la fissavano con aria interrogativa.
Senza volerlo, si lasciò sfuggire un brivido.
Lui se ne accorse.
Per la prima volta, era lei ad avere bisogno di conforto e di protezione.
D’istinto, il ragazzo la circondò con le braccia, stringendola contro il suo petto.
Jane non lo respinse, affondando le mani nelle maniche del suo maglione, la testa premuta contro il suo cuore.
Improvvisamente sembrava molto più piccola e fragile di quanto già lo fosse, le spalle esili scosse da tremiti.
Edmund avvertiva in lei un dolore e una fragilità incolmabili, ai quali non sapeva come far fronte.
–Non innamorarti mai, Edmund – disse lei non appena si staccò dalle sue braccia, fissandolo con tristezza.
Detto questo, la ragazza afferrò la borsa da terra e si avviò verso il suo dormitorio con le spalle curve.
Edmund rimase a fissare la sua figura esile allontanarsi, la mente tormentata da cupi pensieri.
Non c’era bisogno che Jane gli ricordasse una cosa del genere.
Lui era un mostro e mostri non possono sapere che cos’è l’amore.
 
***
   
Jane tornò nella sala comune quando ormai tutti erano andati a letto da un pezzo.
Andò a controllare se Harry fosse rientrato, ma di lui non c’era traccia per tutta la torre di Grifondoro.
Incapace di prendere sonno, la ragazza decise di aspettarlo davanti al caminetto, approfittandone per ripassare un po’ di incantesimi.
Era ormai passata la mezzanotte quando suo fratello spuntò dal buco del ritratto della Signora Grassa con l’espressione più euforica che Jane gli avesse mai visto in faccia, le gote paonazze come se avesse corso per chilometri.
–Che c’è? – chiese lei sbirciando oltre lo schienale del divano. – Sembri un drogato!
–Cho mi ha baciato – rispose lui crollando di fronte a lei.
Cosa?
–Ho baciato Cho. O lei ha baciato me, non ricordo di preciso.
–Stai scherzando, spero! – esclamò Jane disgustata, scostandosi come se suo fratello avesse la lebbra.
–Cosa c’è che non va? Insomma, lei mi piace!
–Ma lei non piace a me!
–Infatti non sei tu quella che deve uscire con lei.
–Perché, ti ha per caso chiesto di uscire?
–Esattamente.
Jane si voltò dall’altra parte, fingendo di riprendere a studiare.
Qualcosa di doloroso le stringeva lo stomaco in una morsa soffocante.
Se solo avesse potuto, avrebbe spaccato la faccia a suo fratello.
–Che cos’hai? Sei gelosa? – domandò Harry preoccupato.
–Gelosa io? Ah! – rispose l’altra con sarcasmo.
–Dai, sorellina! Quando capiterà anche a te capirai.
–Non capiterà.
–Solo perché ti è andata male con Ron…
Colpita sul suo punto debole, la ragazza scattò in piedi come se si fosse scottata.
–Mi chiedo perché ultimamente vi sentite tutti dei grandi esperti in amore, senza pensare che anch’io ho dei sentimenti!
Detto questo, Jane schizzò nel suo dormitorio, lasciando Harry più sorpreso e confuso che mai.
Non c’era niente da fare: le donne erano tutte tremendamente strane e imprevedibili.
La stessa Cho, per quanto fosse speciale, rientrava in quella categoria.
Bastava pensare a quanto accaduto quella sera.
Un attimo prima stava piangendo come una fontana per la morte di Cedric, il suo ex ragazzo, e pochi istanti dopo aveva baciato Harry come se nulla fosse accaduto.
Sentendosi la testa in fiamme, il ragazzo caracollò anch’egli nel suo dormitorio, infilandosi in fretta e furia il pigiama e cercando di addormentarsi nonostante Ron e Neville russassero all’unisono come due tromboni.
Quasi non si accorse della differenza tra sogno e realtà.
Scivolava ventre a terra sul gelido pavimento di pietra.
Era in un buio corridoio scavato direttamente nella roccia.
La sua lingua scattò in avanti, saggiando l’aria davanti a lui.
Un’alta figura ammantata di nero gli dava le spalle, avanzando verso una porta chiusa.
I suoi lunghi capelli scuri gli sfioravano le spalle muscolose.
Harry si mise d’istinto in posizione di attacco, emettendo un sibilo minaccioso.
Lo sconosciuto si voltò di scatto, puntandogli addosso la bacchetta. I suoi grandi occhi scuri si sgranarono in un’espressione di puro terrore.
–CASPIAN, NON TI MUOVERE! – gridò una voce alle spalle di Harry.
Il ragazzo si voltò di scatto e attaccò.
Le sue zanne affondarono nel fianco di un uomo dai radi capelli rossi, che cadde ai suoi piedi con un tonfo sordo.
Inebriato dal sapore del sangue, Harry provò l’istinto di mordere ancora e ancora, alla cieca, avvertendo un piacere euforico nel provocare dolore, fino a quando non si ritrovò disteso supino nel suo letto con la fronte madida di sudore e la cicatrice in fiamme, urlando a pieni polmoni.
 
***
   
–Il signor Weasley, hanno aggredito il padre di Ron! – continuava a farfugliare Harry mentre la McGranitt lo trascinava verso l’ufficio di Silente.
Dietro di lui, Jane, Ron e Hermione lo seguivano con gli occhi sbarrati.
Il rosso era più pallido che mai per lo sgomento.
Trovarono Silente già in piedi, con indosso una vestaglia di seta viola.
Li fece accomodare con un cenno del capo, senza incrociare lo sguardo di Harry.
–Nel sogno hai assistito la scena dall’alto? – chiese fissandosi le lunghe dita sottili.
–Io…ero il serpente, signore! – rispose Harry disperatamente.
–Molto bene. Phineas!
Il ritratto di uno dei Presidi smise all’istante di dormire e si sporse dalla cornice.
–Cosa c’è, Preside? – domandò in tono annoiato.
–Corri al Ministero. Un membro dell’Ordine è stato appena aggredito – rispose Silente. – Quanto a voi, dovete raggiungere subito il quartier generale. Anche voi due – soggiunse rivolto ai gemelli.
–L’hanno già trovato, signore – rispose pochi istanti dopo Phineas, già ricomparso nella sua cornice. – Sembra conciato male, ma se la caverà.
–Grazie, Phineas.
Silente afferrò una ciotola d’argento dalla sua scrivania, puntandole contro la bacchetta.
L’oggetto emise una lieve vibrazione nel momento in cui il mago pronunciò un Incantesimo Non Verbale.
–Questa Passaporta vi porterà al più presto a Grimmauld Place – disse piano. – Non c’è altro da dire.
Confusi e spaventati, i ragazzi circondarono la scrivania, preparandosi a toccare l’oggetto che li avrebbe riportati a casa.
Un attimo prima di sparire, Harry alzò lo sguardo verso Silente ed provò l’irresistibile istinto di mordere.



Buonasera, gente! :)
Come promesso su Facebook, oggi il capitolo è doppiamente lungo. 
Molte cose sono accadute, tra cui la formazione dei primi pairing...che ne pensate?
Spero che il capitolo non sia venuto uno schifo, visto che l'ho buttato giù durante un'ora di buco all'università.

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, per restare sempre aggiornati. Ci sono delle grandi novità in arrivo!

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Capitolo 15
*** Un freddo Natale ***





CAPITOLO 15

Un freddo Natale

~

 
 
 
 
 
 
Ritrovarsi a Grimmauld Place fu per Jane un piccolo shock.
Mai avrebbe pensato di varcare di nuovo la soglia di quel posto così sudicio e opprimente.
Le sembrava di avvertire la puzza di polvere fin dalla strada.
Venne ad aprire loro Caspian, più pallido e sconvolto che mai.
Insieme a lui c’erano Lupin, Tonks e Sirius.
−Dov’è la mamma? – chiesero Ginny e Ron all’unisono.
−È andata al San Mungo con vostro padre – rispose Caspian scortandoli in cucina. – Sta bene, ma c’è mancato davvero poco.
−Che cosa è successo di preciso? – domandò Ron.
−Stavo montando la guardia al Ministero quando di colpo mi si è parato di fronte un serpente lungo almeno dodici metri. Non ho mai visto niente di più spaventoso in vita mia. Stavo per difendermi, quando Arthur ha tentato di prenderlo alle spalle. Quello però se n’è accorto e lo ha azzannato al fianco. Io ho cercato di colpirlo, ma sembrava che i miei incantesimi non avessero alcun effetto su di lui. Alla fine, è scomparso non appena si sono uditi dei passi nel corridoio.
Caspian crollò a sedere all’altra estremità del tavolo, massaggiandosi le tempie con le dita.
−Sono riuscito a prestargli le prime cure e a fermare l’emorragia, prima che arrivassero i Medimaghi a portarlo via. Ai miei superiori ho detto che avevo sentito dei rumori sospetti ed ero andato a controllare – continuò con voce stanca.
Dall’altra parte del tavolo, Harry sembrava pietrificato, fissando il vuoto con gli occhi spalancati.
La cicatrice sembrava non smettere di bruciare.
−Tutto bene? – gli chiese Jane preoccupata.
−La cicatrice – rispose lui senza guardarla.
−Harry ha visto l’aggressione del signor Weasley in un sogno – spiegò la ragazza rivolta a Caspian.
−Come sarebbe a dire? – esclamò il giovane incredulo.
−A lui capita spesso di vedere cose che accadono nella mente di Voldemort, vero Harry?
−Quindi pensate che sia stato lui ad attaccarci, questa notte?
−Non credo che Voldemort in persona si sia esposto a un simile rischio, non quando il suo piano è quello di restare nascosto – intervenne Lupin. – Probabilmente stava possedendo il serpente. Ecco perché Harry è riuscito a entrare nella sua mente.
Possessione? – disse Caspian sgranando gli occhi. – È una delle forme più oscure di magie esistenti! Persino a Durmstrang è proibito usarla.
−Pare che Tu-Sai-Chi prediliga questo sistema, visto che io sono stata posseduta da lui per un anno intero senza che nessuno se ne accorgesse. Mi ha fatto fare delle cose orribili – rispose Ginny.
−Non è un caso che sia il più potente mago oscuro della Storia – aggiunse Lupin. – A quanto pare, fa uso di poteri che lo stesso Silente ignora. Ecco perché è fondamentale proteggere l’arma: potrebbe essere l’unica cosa che gli manca per essere invincibile.
−Quindi sapete che cos’è, no? – domandò Jane. – Non potete portarla via con voi?
−Cara Jane, magari le cose fossero così semplici! – sospirò il lupo mannaro tristemente.
−Potreste perlomeno provare a distruggerla, visto che ci teniamo tanto a non farla finire tra le mani del nemico – propose Sirius in tono sarcastico. – Stiamo perdendo tempo e nel mentre Voldemort sta radunando i suoi alleati. Non ce la faremo mai a contrastarlo se continuiamo a stremarci di fronte a una porta chiusa in attesa di non so cosa.
Lupin fece per ribattere, quando un’improvvisa scarica di colpi alla porta d’ingresso li fece sobbalzare per la paura.
Le urla del ritratto della madre di Sirius echeggiarono per tutto l’ingresso.
−Chi può essere a quest’ora di notte? – domandò Caspian scattando in piedi.
−Siamo stati scoperti? – ipotizzò Tonks con un brivido.
−Fuori le bacchette! – esclamò Lupin. – Vado io.
Sirius e Caspian lo seguirono, decisi a coprirgli le spalle.
Tonks restò con i ragazzi, piantandosi di fronte alla porta della cucina in posizione di combattimento.
Dopo aver placato le urla della signora Black, Lupin si acquattò dietro la porta e sbirciò all’esterno.
I suoi occhi si sgranarono per la sorpresa non appena si accorse di chi lo fissava da dietro lo spioncino.
−Caspian, credo che ci sia una visita per te – disse rivolgendogli un sorriso d’intesa.
L’espressione interrogativa del ragazzo mutò in sorpresa nel momento in cui Susan e Peter fecero irruzione nell’ingresso.
I capelli di lei erano intrisi di neve.
−Cosa ci fai qui? – domandò incredulo.
−Allora è qui che si riunisce l’Ordine della Fenice – disse lei gettandosi un’occhiata intorno.
−Come fai a saperlo? – chiese l’altro sulla difensiva.
−Pensavi forse che Jane mi nascondesse tutto, come hai fatto tu fino per tutti questi mesi?
−Tutto a posto, sono con me – intervenne in quel momento Moody, entrando anche lui con la sua solita andatura claudicante. – Silente ha spedito qui la signorina Pevensie dopo che ella ha insistito lungamente per vederti. Del resto, come biasimarla?
−SUSAN!
In quel momento, Jane e Hermione attraversarono il corridoio a rotta di collo, circondando la ragazza in un caloroso abbraccio.
In tutto quel trambusto, la signora Black ricominciò a urlare più forte di prima, venendo zittita da Sirius con una potente fattura e una generosa quantità di imprecazioni.
−Come stanno gli altri? – domandò Jane scortando Susan verso la cucina.
−Edmund e Lucy sono al sicuro a Hogwarts. Silente li rimanderà a casa domattina. Peter si è offerto di accompagnarmi per non lasciarmi andare da sola – rispose l’altra scoccando un’occhiata d’intesa al fratello.
Al loro ingresso nella cucina, vennero accolti da Harry, Ron, Hermione e Ginny.
A Tonks non restò che mettere su il bollitore del tè, sperando di riuscire a stemperare un po’ gli animi.
Caspian sembrava furibondo.
La giovane Auror stava per mettere le tazze, quando un’altra scarica di colpi li fece sussultare di nuovo.
 −Spero che sia perlomeno un Mangiamorte! – esclamò Sirius avviandosi a passo di marcia verso la porta.
Un attimo dopo, rientrò con l’ultima persona che i gemelli si sarebbero aspettati di vedere: il professor Piton.
−Come mai qui a quest’ora? – domandò Moody scrutandolo con entrambi gli occhi.
−Silente mi ha incaricato di parlare in privato con i Potter – rispose lui increspando le labbra in un sorriso. – Potreste lasciarci da soli, per favore?
−Per quale motivo, Mocciosus? – ruggì Sirius piantandosi dietro le spalle di Harry.
−Informazione riservata. Ordini di Silente.
−E io dovrei fidarmi a lasciare questi ragazzi da soli con un ex Mangiamorte?
−Sirius, per favore! – intervenne Lupin. – Se Silente si fida di Severus, un motivo ci sarà.
L’altro lanciò a Piton un’occhiata omicida; poi si allontanò lentamente da Harry, seguito a ruota dagli altri all’esterno.
−Ti avverto, Mocciosus – disse un attimo prima di varcare la soglia. – Sono qui fuori.
 
***
   
Rimasti soli, Piton si rivolse finalmente ai gemelli con un’espressione indecifrabile stirata sul viso.
−Quanto avvenuto stanotte non doveva succedere – disse fissando soprattutto Harry.
−Non può incolparmi di aver sognato l’aggressione del signor Weasley! Anzi, dovrebbe ringraziarmi piuttosto per avergli salvato la vita – ribatté il ragazzo furibondo.
−Silenzio, Potter! Non hai la minima idea della gravità di quanto accaduto, perciò taci e ascoltami. Pare che ci sia un collegamento tra la tua mente e quella del Signore Oscuro. Per questo riesci a vedere quello che vede lui.
−Be’, meglio così, no? Potrebbe essere un modo per scoprire quali sono i suoi piani.
−Non mi interrompere o sarò costretto a usare la magia per annodarti la lingua! Questa notte, il Signore Oscuro ha avvertito la tua presenza nella sua testa…
−Come fa a saperlo?
−SILENZIO! Il Signore Oscuro vanta di un grande talento in campo di Legilimanzia: egli riesce a controllare la mente delle sue vittime, torturandole con visioni spaventose e costringendole a vedere ciò che lui vuole che vedano, in modo tale da piegarle completamente al suo volere. Chiedi alla signorina Weasley, se nutri qualche dubbio. Hai idea di che cosa significherebbe se riuscisse a entrare nella tua testa?
−Ma signore, io…
−VUOI FARLO PARLARE O NO? – sbottò Jane con rabbia.
Piton le rivolse una lunga occhiata riconoscente.
−Gli avvenimenti di questa notte sono troppo gravi per essere ignorati – continuò il professore. – Per questo Silente mi ha incaricato di insegnarvi l’arte dell’Occlumanzia, affinché riusciate a chiudere la mente e difendervi dagli attacchi del Signore Oscuro. Inizierete le lezioni non appena rientrerete a scuola dalle vacanze, nel mio ufficio. Harry verrà il lunedì alle sei, mentre tu Jane sei attesa il martedì alla stessa ora.
−Perché anche io? – domandò la ragazza.
−Sei la persona a cui Harry è più legato e di conseguenza quella più facile da colpire secondo il Signore Oscuro – spiegò Piton. – Inoltre, Silente ritiene opportuno prendere provvedimenti dopo gli strani sogni che lo scorso giugno ti hanno portata a finire dritta tra le mani di Alhena Black.
−Ma è stato proprio grazie a quei sogni se ho salvato Edmund! – replicò Jane con un brivido. – Che cosa significa questo, professore?
−Nessuno vuole insinuare la predilezione del signor Pevensie verso le Arti Oscure, né tantomeno la sua pericolosità. Probabilmente quelle visioni sono state frutto di un incidente, proprio come quelle di Harry, tuttavia ciò resta indice di una tua particolare sensibilità alla mente altrui, che nelle mani sbagliate potrebbe essere immensamente pericolosa. Capisci cosa intendo?
−Sì, signore.
−Vi prego di impegnarvi al massimo in queste lezioni: la nostra sopravvivenza potrebbe dipendere da loro – si raccomandò Piton guardandoli dritti negli occhi.
Harry si limitò ad abbassare lo sguardo, chiudendosi in un silenzio carico di orgoglio e di rabbia: era ancora convinto che la Legilimanzia fosse un potere troppo prezioso per rinunciarvi.
Dal suo canto, Jane si era fatta di colpo pensierosa.
Lei aveva visto ciò che accadeva nella mente di Alhena Black, colei che fino a quel momento era stata in assoluto la seguace più vicina a Voldemort.
Chissà, magari ne aveva carpito alcuni segreti.
Certo, la Strega Suprema era ormai malata da tempo e la pazzia l’aveva corrosa fino al midollo, tuttavia Jane continuava a coltivare il dubbio che i suoi sogni su Edmund non fossero stati un semplice frutto del caso.
E se Alhena Black avesse voluto farlo salvare proprio da lei?
 
***
 
Caspian era come pietrificato.
Non riusciva a staccare gli occhi da Susan, che lo fissava in silenzio con le spalle appoggiate all’arazzo polveroso con l’albero genealogico della famiglia Black.
–Dunque sai dell’Ordine della Fenice – disse a un certo punto.
–Potevo forse ignorarlo, dopo che Alhena Black ha ucciso mio fratello e rapito me e i miei migliori amici? Che ti piaccia o no, io faccio parte di questa storia e voglio mantenere un ruolo attivo nella battaglia contro Voldemort – rispose Susan con determinazione.
–Non hai idea di che cosa ti stai sobbarcando! Io lo vedo tutti i giorni, mentre monto la guardia al Ministero con Lucius Malfoy a due passi dal mio ufficio e Caramell che continua a spulciare nei dossier di tutti alla ricerca di prove per incriminarci. Se solo scoprissero che sono legato a te e ti usassero per farmi parlare… – il giovane le cinse le spalle esili con le mani, un’espressione terrorizzata dipinta sui tratti esotici. – Non voglio che ti facciano del male, Susan. Sei troppo preziosa per me.
–E per questo saresti anche disposto a perdermi, vero? – ribatté lei in tono gelido.
Caspian abbassò lo sguardo.
–Lo farei, se fosse necessario – rispose a malincuore.
–A che servirebbe? Ricordati che io sono una delle migliori amiche di Jane Potter. Ho visto in prima persona gli orrori commessi da Voldemort e la sua cerchia. Non c’è bisogno che il Ministero mi usi come esca per arrivare a te.
–In ogni caso, non puoi combatterli armata solo di arco e frecce.
–Ah, no? – con la massima naturalezza, Susan estrasse la bacchetta, evocando nella stanza buia prima uno sciame di farfalle, poi delle scintille rosse e oro. – Dopo il rapimento di giugno, ho preso molto sul serio i miei studi di incantesimi – spiegò con un tono che non ammetteva repliche.
–Susan, io…
–Niente ma, Caspian. Anche se decidessi di lasciarmi, ciò non mi impedirà di combattere a fianco delle persone che amo. Non sono una persona a cui piace restare con le mani in mano e, se per caso lo credi, allora non sono la ragazza di cui sei innamorato.
A quelle parole, il giovane restò interdetto.
Lo sguardo di Susan emanava lampi.
–Stanotte ho creduto davvero di perderti – proseguì lei. – Jane mi aveva detto che facevi il doppio gioco al Ministero, ma mai avrei creduto che potessero affidarti una missione così pericolosa.
–Non so se lo sai, ma sono un ottimo conoscitore delle Arti Oscure – replicò Caspian incrociando le braccia sul petto.
–Questo lo so fin troppo bene. Il fatto è che…
Il giovane le fece un cenno carico di comprensione.
–Capisci ora come mi sento quando penso che anche tu vuoi far parte di questa battaglia? – chiese.
Susan non rispose.
In un attimo, fu tra le sue braccia.
Non tremava, né piangeva.
Voleva solo restare lì, premuta contro il suo petto, avvertendo la presenza confortante del suo ragazzo accanto a sé.
Possibile che solo poche ore prima aveva rischiato di morire, mentre lei se ne stava beatamente a dormire nel suo letto a baldacchino?
A quel pensiero, la ragazza si strinse ancora di più a Caspian, che la circondò con le sue braccia forti.
–Anch’io ho paura per te, ogni giorno, ogni attimo – disse Susan. – Non credere che stando al sicuro a Hogwarts non abbia il sentore di ciò che affronti ogni giorno, anche se non vuoi dirmelo. Vivo costantemente nell’angoscia che ti succeda qualcosa, senza che possa fare nulla per aiutarti. Conoscendomi, credi che questo mi incentivi a restare a scuola piuttosto che venirti a cercare a Londra nella speranza di ritrovarti vivo?
A quel pensiero, Caspian rabbrividì.
–No – rispose piano.
–Egoista.
–Non volevo che arrivassimo a questo.
Susan si staccò da lui, tornando a fissarlo con aria torva.
–Se ci tieni davvero a me, allora rendimi partecipe della tua vita – disse in tono severo.
–Anche se ciò che verrai a sapere non ti piacerà?
La ragazza sfoderò un sorriso complice, allungando una mano per sfiorargli il viso.
–L’importante è che lo sappia.
 
***
 
La vigilia di Natale venne salutata da una generosa nevicata che ricoprì di una coltre gelida e bianca la periferia di Londra.
Susan rimase per tutta la mattina a osservare i grossi fiocchi di neve che cadevano lenti fuori dalla finestra, imbiancando il fazzoletto di prato che sorgeva davanti casa.
I suoi pensieri continuavano a vagare verso le viscere del Ministero della Magia, dove sapeva esserci Caspian, di nuovo di guardia davanti a quella maledetta porta.
Aveva promesso di venire quella sera, alla faccia di zia Alberta, che sarebbe già stata sufficientemente furibonda per il fatto che non vedeva il figlio da mesi, dal momento che si era rifiutato di tornare da Eton per le vacanze nonostante le suppliche.
Susan sperava solo che i Mangiamorte non decidessero di attaccare proprio quel giorno.
Nel primo pomeriggio, la neve smise finalmente di cadere e nel cielo striato di grigio comparve un pallido sole di metà inverno, che in pochi minuti illuminò i tetti innevati di una luce scarlatta.
Susan ne approfittò per infilarsi sciarpa e guanti e andare a sistemare il giardino.
Si armò di badile e prese a spalare il vialetto di fronte alla veranda, quando di colpo di fermò davanti a un punto preciso della siepe.
Si fermò di colpo, posando il badile a terra e fissando le foglie innevate davanti a sé.
Valanghe di ricordi le mozzarono il fiato in gola.
–Susan?
La ragazza si voltò di scatto.
Edmund era appena apparso alle sue spalle, stringendosi nel suo cappotto nero.
–Ti cercano in casa – proseguì il ragazzo. – Tutto bene?
–Ѐ qui che ho visto David per l’ultima volta – rispose la ragazza indicando la siepe. – Era fine agosto e stava arrivando un forte temporale. Io mi ero molto arrabbiata con lui perché si era messo a giocare a palla in soggiorno e aveva rotto un vaso. Sai, era un regalo che aveva fatto papà alla mamma per il loro anniversario. Io credo di essere stata troppo dura con lui. L’ho sgridato a lungo, gli ho detto delle cose pesanti. Ero davvero arrabbiata. Gli ho ordinato di non farsi più vedere. Lui si è voltato senza dire una parola ed è scappato in giardino. Non l’ho più visto.
Edmund era come pietrificato.
Sapeva come sarebbe andata a finire la storia, aveva visto con i suoi occhi il terrore dipingersi in quei grandi occhi azzurri prima che si spegnessero per sempre.
Non riusciva più a portare quel peso.
Non quando faceva ormai parte di quella famiglia.
–Susan, c’è una cosa che dovresti sapere – disse quasi meccanicamente. – Una cosa terribile.
–Cosa?
–Io…io ho visto David, mentre ero lì. Io… – il ragazzo chiuse gli occhi, lottando contro le visioni spaventose che si accalcavano nella sua mente. – L’ho visto morire.
Susan sgranò gli occhi, la bocca spalancata in un urlo silenzioso.
–Cosa hai detto?
–Mi dispiace, io fino ad allora non sapevo chi fosse veramente Alhena Black. Nemmeno io credevo che potesse fare una cosa simile a un ragazzino come me.
La ragazza restò a fissarlo come pietrificata.
–So che ora mi odierai – proseguì Edmund. – Ti capisco, in fondo. Anch’io mi sento un mostro, a occupare il suo letto. Se solo avessi potuto fermarla…
–Cosa avresti potuto fare, Ed? Eri solo un bambino.
Il ragazzo annuì, abbassando lo sguardo.
–Ѐ stato allora che hai provato repulsione verso la magia? – chiese Susan con la voce che tremava.
–Sì.
Con sua somma sorpresa, la ragazza lo strinse in un forte abbraccio.
–Sei davvero la persona più coraggiosa che conosco – mormorò scostandosi da lui. – Sappi io ti considero come se fossi davvero mio fratello. Sono fiera di te, Ed.
Il ragazzo arrossì visibilmente.
Di colpo, si sentiva molto più leggero, anche se non riusciva a dominare il senso di commozione che gli opprimeva il petto.
Susan gli afferrò la mano ed entrambi presero a contemplare la siepe striata di rosso.
Il colore del sangue, pensò Edmund con un brivido.
Improvvisamente, era come se David fosse di nuovo lì con loro, una piccola e terribile presenza.
–Posso chiederti una cosa? – domandò Susan a un certo punto. – David ha sofferto molto prima di morire?
–No, è stato tutto molto veloce – rispose Edmund, anche se in cuor suo sapeva di mentire.





Buonasera a tutti! :)
Sì, questa settimana tutti gli aggiornamenti sono anticipati di un giorno, causa imprevisto (domani rientrerò tardissimo e non ci sarà il tempo di aggiornare).
Spero che questo capitolo, nato in un'ora di buco all'università, si venuto bene come gli altri.
Ho voluto lasciare finalmente spazio alla coppia Suspian che, come vi avevo promesso, resiste fieramente alla minaccia di lasciaggio.
Spero solo che il finale non sia troppo crudo, ma devo avvertirvi che da qui in poi le atmosfere dark non faranno che aumentare.
Spero solo che questo non vi scoraggi dall'andare avanti: non cambierò rating, almeno per questa fiction.

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F.

   
   
  
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Una strana empatia ***




CAPITOLO 16

Una strana empatia

~

 
 
 
 
 
 
Erano lei sei in punto quando Jane andò a bussare all’ufficio di Piton.   
–Avanti – rispose la voce untuosa di lui dall’interno.
La ragazza spalancò la porta ed entrò timidamente.
La piccola stanza sotterranea era illuminata come sempre dalla pallida luce delle candele, che si rifletteva lugubre sulla fila di barattoli colmi di creature in salamoia stipati sugli scaffali.
–Accomodati – disse Piton indicandole la sedia di fronte alla scrivania.
Jane obbedì senza fiatare.
–Immagino che tuo fratello fosse sconvolto, quando è tornato dalla mia lezione la scorsa notte – esordì il professore, indovinando i pensieri della sua allieva.
–Era molto stanco e irritabile – rispose lei.
–Non ne dubito. L’Occlumanzia è una scienza che richiede una mente molto sensibile e allo stesso tempo potente, cosa di cui tuo fratello ne è purtroppo privo. Non riesce a concentrarsi per più di due secondi e questo, nelle mani del Signore Oscuro, può rivelarsi un’arma letale.
–Immagino che dovrò riferirgli questo per il suo bene, vero? – chiese Jane istintivamente.
Le labbra di Piton si arricciarono in un sorriso impercettibile.
–Ѐ più probabile che dia più ascolto all’adorata sorella che al professore più odiato di Hogwarts – rispose.   
–Non creda che il mio parere conti più del suo, professore. Sa bene quanto sia testardo mio fratello.
Piton annuì con fare comprensivo.
–Cominciamo – disse, esortandola a levarsi in piedi e a sguainare la bacchetta. – Simuleremo subito una situazione che si potrebbe presentare se il Signore Oscuro tentasse di sondarti la mente da molto vicino. Il modo migliore per difendersi è innanzitutto quella di chiuderla, bloccando i tuoi pensieri, specie quelli più intimi. Mi sono spiegato?
–Sissignore.
–A quel punto, potrai usare l’Incantesimo di Protezione, che immagino tu conosca già a fondo. Ti avverto che non sarà né facile né piacevole, ma devi sforzarti al massimo per riuscirci. Chiaro?
–Va bene.
–Perfetto – Piton si mise in posizione di attacco. – Legilimens!
Jane non ebbe neanche il tempo di reagire.
Fu come se di colpo un cappuccio le fosse calato sugli occhi, appannandole la vista.
Un vortice di immagini sfocate prese a scorrere davanti a lei, diventando sempre più nitido attimo dopo attimo.
 
Un bambino dai grandi occhi verdi la fissava con aria terrorizzata dal suo pagliericcio.
“Come ti chiami?”.
“Harry, Harry Potter”.
“Come ti sei fatto quella cicatrice?”.
 
I pezzi di una gigantesca scacchiera si muovevano minacciosi verso di lei.
Erano alti come colonne e si animavano per uccidere senza pietà non appena qualche pezzo faceva la mossa sbagliata.
Stavano perdendo: la regina distruggeva a colpi di lancia tutto quello che le capitava a tiro.
Ormai nulla la separava da Harry, così piccolo e insignificante in confronto alla sua colossale armatura di marmo bianco.
“Devo andare io!”, gridò Ron a un certo punto dalla sella del suo cavallo.
“No, Ron, non puoi!”, gridò Harry.
“Che cosa succede?”, esclamò Hermione.
“Ha deciso di sacrificarsi!”.
“Devo farlo! Così Harry farà scacco matto. Lo volete capire che è l’unico modo per prendere la Pietra Filosofale?”.
Jane fissava la scena con gli occhi sbarrati, incapace di reagire.
Ron fece la mossa.
La regina gli si avvicinò lentamente e levò la lancia.
 
Un uomo dai due volti incombeva in uno specchio polveroso.
Jane tentava di scollare il professor Raptor da Harry, mentre tentava di strangolarlo, gli occhi rossi di Voldemort fissi nei suoi.
Non li avrebbe scordati mai più.
Una gomitata nelle costole, urla, polvere, ossa che si sgretolavano; poi Harry privo di sensi a terra, completamente ricoperto di sangue.
Jane singhiozzava al suo fianco, pregando che non fosse morto.
Improvvisamente, una mano sulla spalla: Silente.
 
Estate.
Jane e Ron camminavano insieme nel giardino incolto che circondava la Tana.
La ragazza gli lanciava dolci sorrisi, il cuore a mille per l’emozione, fino a quando non trovò il coraggio di rivelargli una cosa che portava dentro da molto tempo.
“Ron, ti devo parlare…”.
 
Questo no!, pensò Jane in preda al panico, i ricordi che le bruciavano ancora dentro. – Protego!
La vista le tornò all’istante.
Questa volta fu Piton a crollare in ginocchio sul pavimento.
Improvvisamente, la ragazza venne inghiottita da un vortice senza fine.
Annaspò e cercò di liberarsi, mentre tutto attorno a lei aleggiava un nulla minaccioso, che incuteva paura: era un vuoto senza fine, un’assenza di qualcosa di inimmaginabile, lacerante, terribile.
Jane provò a urlare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.
Si aggrappò disperatamente a quella voragine spaventosa, quando di colpo le arrivò un dolce profumo di rose.
Aprì gli occhi.
Una cerva argentea la attraversò al galoppo e scomparve nel nulla.
Hai gli occhi di tua madre.
Jane si ritrovò lunga distesa sul pavimento.
Piton era a pochi metri da lei, sorreggendosi a malapena alla scrivania, una mano premuta sul cuore come se fosse scosso da delle fitte di dolore.
–Cosa è successo? – domandò la ragazza rialzandosi.
–Niente, non è niente – rispose Piton scuotendo il capo. – Sei stata molto brava. Credo che per stasera basti così.
–Ѐ sicuro di sentirsi bene? – domandò lei preoccupata.
–Non è niente. Ho solo bisogno di stare un attimo da solo. Perdonami.
Jane annuì comprensiva.
Si congedò rapidamente e uscì dalla stanza quasi correndo.
Mai nella sua vita avrebbe creduto di poter vedere il professor Piton così sconvolto.
Non avrebbe mai creduto che dentro di lui potesse esserci un vuoto così spaventoso.
Ecco perché era sempre così tetro e odioso con tutti: non doveva essere facile vivere con quel peso.
Chissà quale terribile ricordo gli aveva provocato una simile ferita.
Poteva esistere una cosa così dolorosa che profumava di rose?
Amore, rispose una voce maligna nella sua testa. Soltanto l’amore.
 
***
   
Di colpo, Jane si sentiva improvvisamente triste e non sapeva neanche il perché.
Forse era per la vista dei ricordi di Piton, talmente cupi da accecarla, forse perché, senza sapere come, sentiva i suoi sentimenti non corrisposti per Ron bruciarle più che mai.
Voleva piangere, ma non trovava le forze per farlo.
Harry la stava aspettando davanti al caminetto della sala comune, finendo di rileggere il tema di Storia della Magia che avrebbe dovuto consegnare l’indomani.
Aveva un’aria stranamente trasognata.
Jane lo riconobbe subito come un campanello d’allarme.
–Tutto okay con Piton? – la precedette il ragazzo non appena l’altra crollò al suo fianco.
–Le lezioni non sono poi così terribili come dici tu, caro il mio testone – rispose lei con simulata disinvoltura.
–Niente mal di testa? Niente di niente?
Nada. Sarà perché sono la sua cocca – Jane gli fece una linguaccia maliziosa. – Cos’è quest’aria così gasata? È successo qualcosa?
–Cho mi ha chiesto di uscire per San Valentino.
–Ah.
–Che c’è di male?
–Calma, bro’, non ti scaldare tanto.
Nonostante le sue parole, Jane era visibilmente irritata.
Sapeva quanto potesse diventare mieloso suo fratello quando era innamorato.
Avrebbe tanto voluto filmarlo per poi fargli rivedere la sua faccia da deficiente e farlo vergognare per il resto dei suoi giorni.
–Sei solo invidiosa – cantilenò il ragazzo, deciso a litigare.
–Solo perché sono l’allieva preferita di Piton, ciò non ti autorizza a prendermi per il culo – rispose Jane in tono velenoso, alzandosi di scatto e uscendo dalla sala comune il più veloce che poteva.
Alla tristezza ora si era sommata la rabbia, che le divorava le viscere come se avesse appena bevuto un litro di acido.
Camminò senza meta per un tempo interminabile, le mani nelle tasche e lo sguardo basso.
Doveva sbollire in qualche modo, o probabilmente avrebbe fatto a pezzi Harry nel sonno.
Quasi non si accorse di Edmund, che rientrava dalla biblioteca con le braccia cariche di libri, travolgendolo come un treno in corsa.
Entrambi finirono a terra come due sacchi di patate.
–Sei per caso impazzita? – domandò il ragazzo, rialzandosi tutto ammaccato.
–Scusami, non ti avevo visto – rispose l’altra profondamente imbarazzata, aiutandolo a raccogliere i libri.
–Non dovevi essere a lezione da Piton?
–Già fatto. Credo che ora andrò un po’ da Ulisse. Mi accompagni?
–Volentieri!
Dal sorriso che sfoderò Edmund in quel momento, sembrava che Pasqua fosse arrivata in largo anticipo.
I due ragazzi scesero insieme verso le serre, dei grandi edifici di vetro anneriti dai profili contorti di centinaia di piante dai poteri curativi.
–Va tutto bene, Jane? Ti vedo pensierosa – disse a un certo punto Edmund.
–Pensavo – rispose la ragazza continuando a camminare.
–A cosa?
Jane ci pensò un attimo, poi rispose: – A mia madre.
–A Wendy?
–No, non lei. A quella vera. A Lily.
–Strano, di solito non parli mai di lei.
–Ѐ perché non l’ho mai avvertita come tale. Voglio dire, io sono sempre vissuta con i Collins, loro sono la mia famiglia. Mi hanno cresciuta, accudita, mi hanno sostenuta anche a costo di cambiare le loro vite quando hanno scoperto che sono una strega. Lily…insomma, di lei non mi è rimasto nulla. Nemmeno un ricordo. È come se non ci fosse mai stata. Ed è brutto pensare che la donna che ti ha cresciuta non è tua madre e nello stesso tempo che chi ti ha dato al mondo è un’estranea.
–So come ti senti. Anch’io non ho mai conosciuto la mia vera madre.
Di colpo, tra i due era calato un silenzio colmo di tensione, ciascuno preso a rimestare i propri pensieri.
–Edmund, posso chiederti una cosa? – disse di colpo Jane. – Anni fa, ti è mai capitato di sognare qualcuno che venisse a liberarti?
–Che io sappia, no. Perché?
–Niente, niente. Era solo una curiosità.
–Ah, d’accordo.
Si fermarono poco prima della capanna di Hagrid, dove era stata allestita una costruzione in legno che l’anno precedente aveva ospitato i giganteschi pegasi di Beauxbatons.
Ulisse aveva sentito i loro passi sul prato e li stava aspettando con il collo proteso fuori dalla finestra del box, nitrendo sommessamente per la felicità.
Jane si batté la bacchetta sul palmo della mano, facendovi apparire una manciata di crusca.
–Tieni, piccolo – disse dolcemente mentre gli porgeva il bocconcino.
Ulisse sbuffò soddisfatto e prese a mangiare voracemente.
–Ѐ da tanto che ce l’hai? – domandò Edmund accarezzandogli il collo.
–Ormai ha quattro anni. Me l’ha regalato Hagrid quando sono arrivata qui. Sapeva che abito in campagna e che mi piacciono i cavalli. Lui era rimasto orfano di madre quando era ancora dentro l’uovo. Mi pare sia stato uno dei ragni della foresta. Comunque, Hagrid ha pensato di regalarmelo. Mi ha aiutata a seguire gli ultimi giorni di cova. Avevamo messo l’uovo dentro un paiolo ricoperto di paglia e coperte. Alla fine, è nato davanti ai miei occhi e da lì siamo cresciuti insieme. A volte, penso che sia convinto che sia io la sua mamma.
A quelle parole, Ulisse le strofinò affettuosamente il muso sulle orecchie. Jane rise e gli abbracciò la grossa testa.
–Sai che Hagrid mi ha chiesto di aiutarlo con i Thestral? – disse Edmund a un certo punto.
–Davvero? – esclamò Jane sorridendo.
–Sì. Sai, anche a me piacciono i cavalli. Ho praticato un po’ di equitazione mentre ero in Italia. Ho fatto qualche passeggiata.
–Anch’io ho preso qualche lezione di equitazione, quando ero piccola. Ora, con Ulisse, faccio tutto da sola.
–Ѐ bellissimo.
–Anche i Thestral dovrebbero essere belli.
–Sono simpatici, ma non ti perdi niente a non vederli. Sono un po’ inquietanti.
–Non significa che siano cattivi, però.
–No, niente affatto.
Jane gli sorrise, sbirciando Edmund da dietro il collo di Ulisse.
Più il tempo passava, più il ragazzo le ricordava qualcuno che conosceva; ma chi?
Si soffermò sui suoi tratti affilati, i capelli neri e spettinati, il sorriso appena sghembo che gli conferiva un fascino irresistibile, gli occhi nerissimi che trasmettevano a un tempo sicurezza e inquietudine.
–Ti va un giro? – gli chiese di getto.
–Su Ulisse? Ma possiamo?
–Certo!
–Allora va bene.
Raggiante, Jane andò a prendere i finimenti e sellò il pegaso di tutto punto; poi aiutò Edmund a salire, accomodandosi dietro di lui.
Il ragazzo trasalì quando avvertì le braccia della ragazza stringergli la vita.
–Prendi tu le redini o preferisci se guido io? – chiese Jane a pochi centimetri dal suo orecchio.
–Per questa volta, fai tu – rispose lui, pregando che non notasse le sue orecchie paonazze.
Jane afferrò le redini e fece partire Ulisse nella notte.
 
***
 
Era di nuovo nel corridoio buio, avanzando lentamente alla luce violacea delle torce.
Questa volta, nessuno sembrava intralciare il suo cammino.
Con sua somma sorpresa, la porta era socchiusa.
Inspirò forte, allungando le dita per abbassare la maniglia di ottone.
Si ritrovò in una grande stanza circolare in cui si aprivano tante porte.
Ne scelse una a caso e passò oltre.
Si ritrovò in una sala grande come una cattedrale, piena di scaffali colmi di tante sfere argentee.
Si incamminò verso la fila 94, dove c’era qualcosa che lo chiamava.
Ecco, era lì davanti a sé.
Ma cosa c’era scritto sulla sfera luminosa che aveva attirato la sua attenzione?
–Harry? HARRY?
Il ragazzo trasalì, madido di sudore, trovandosi a pochi centimetri dal naso di Jane.
Solo un attimo dopo realizzò che si trovava nella sala comune e che evidentemente si era addormentato con la faccia sul manuale di Divinazione.
–Va tutto bene? – domandò ancora Jane.
Ron e Hermione stavano in piedi alle sue spalle, fissandolo preoccupati.
–Come vi è saltato in mente di svegliarmi? – sbottò Harry furibondo. – Finalmente ero riuscito ad aprire la porta e a vedere che cosa c’era dietro!
A quelle parole, Ron impallidì, mentre Hermione e Jane assumevano un cipiglio omicida.
–Tanto meglio se lo abbiamo fatto, allora! – esclamò la sorella. – Quante volte ti dobbiamo ripetere che non devi sognare queste cose? E se fosse un trucco di Voldemort per farti vedere dove si trova l’arma e fartela prendere al posto suo?
–Sono tutte cazzate che ti ha messo in testa Piton! Non capisci che in questo modo posso conoscere informazioni importantissime per capire come si muove il nostro nemico? Se non ci fossi stato io, chi avrebbe salvato il signor Weasley?
–Caspian – sentenziò Hermione in tono deciso.
–Voi non capite. Siete solo una manica di egoisti! – sputò Harry.
–Modera i termini, Quattrocchi! – ribatté Jane furiosa. – Ti stiamo solo aiutando, sempre se non l’avessi notato.
–Per colpa tua non sono riuscito a scoprire che tipo di arma sta cercando Voldemort. Ti sembra un aiuto, questo? – gridò l’altro balzando in piedi.
–Sì, se l’informazione è di dubbia attendibilità. Come puoi fidarti di un sogno?
–Mi meraviglia sentir dire queste cose da una spostata che per un anno intero ha continuato a farneticare su un ragazzino in pericolo.
–Si dà il caso che quel ragazzino c’era davvero! E, in ogni caso, dopo quell’episodio ho deciso di chiudere definitivamente la mente a questo tipo di visioni.
 –Tu non…
 Harry non riuscì a finire la frase.
Si accasciò sul divano con la testa tra le mani e gli occhi serrati, scoppiando in una risata fredda e concitata, senza gioia.
Quando finalmente riuscì a riprendere il controllo, tremando dalla testa ai piedi, le uniche parole che riuscì a dire furono:
–Ѐ felice.



Buonasera a tutti!
Scusate se oggi sarò molto breve, ma non vedo l'ora di tornarmene sotto le coperte * sono bloccata con una forma influenzale antipaticissima * Non potevo però lasciarvi senza aggiornamento!

Vi ricordo come sempre l'indirizzo della mia pagina facebook con tutte le notizie e le indiscrezioni sulle mie storie:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Ci vediamo la settimana prossima con un capitolo...da brivido!
Ebbene sì, sta per tornare l'atmosfera gotica de "Il Risveglio delle Streghe" ;)

F.
   

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Evasione di massa ***





CAPITOLO 17

Evasione di massa

~
 

 
 
 
 
 
La risposta all’improvvisa gioia di Voldemort arrivò puntuale la mattina seguente, campeggiando in prima pagina su La Gazzetta del Profeta.
Notando il brusio concitato degli studenti chini sulle copie del quotidiano, Jane si affrettò a raggiungere Hermione per scoprire che cosa era accaduto.
Non appena lesse il titolo dell’articolo, che sovrastava i ritratti di dieci maghi laceri con tutta l’aria di essere dei criminali, la ragazza pregò con tutto il cuore di stare ancora sognando.
 
EVASIONE DI MASSA DA AZKABAN
 
Dieci Mangiamorte sono evasi dalla prigione di Azkaban intorno alle 22:00 di ieri sera, facendo crollare una buona porzione dei muri che sigillavano le loro celle.
Nessuno dei guardiani è riuscito a far fronte alla situazione.
Secondo gli inquirenti, i prigionieri sono stati liberati dall’unico mago che prima di loro è riuscito nell’impossibile impresa: il pluriomicida Sirius Black, tuttora latitante.

 
–Ancora con questa storia? – ringhiò Harry a bassa voce.
Nel frattempo, Jane scorreva con lo sguardo le biografie degli evasi, rabbrividendo a ogni riga.
Pluriomicidi, torture, sequestri, estorsioni.
In confronto, ciò per cui era stato incriminato Sirius sembrava uno scherzo da ragazzi.
Si bloccò quando lesse di Antonin Dohlov, che aveva massacrato i genitori di Natalie Prewett; poi i suoi occhi si fissarono sull’unico nome di donna presente nell’elenco, lasciandosi sfuggire un gemito.
Anche Harry stava fissando lo stesso punto.
Anche se era meno bella di Alhena Black, Bellatrix Lestrange aveva ereditato il fascino letale della sorella.
Aveva la sua stessa pelle bianchissima, i lunghi capelli un tempo neri e setosi ingrigiti e arruffati dagli anni di prigione.
Sul volto magrissimo risaltavano gli stessi occhi neri da assassina, dilatati dalla follia.
Sotto la sua foto in bianco e nero, una didascalia recitava implacabile: Bellatrix Lestrange, 39 anni, responsabile del sequestro e la tortura fino alla follia di Alice e Frank Paciock.
I Potter non furono gli unici a levare lo sguardo verso Neville.
Il ragazzo continuava a sorseggiare la sua cioccolata come se niente fosse, ma dalla tensione delle sue nocche sbiancate mentre stringeva tra le mani una copia del giornale si intuiva fin troppo il suo effettivo stato d’animo.
In quel momento, Edmund si sedette accanto a lui.
–Ciao, ragazzi – li salutò sorridendo, ignaro di tutto. – Cosa succede?
Poi i suoi occhi scattarono sulla copia del Profeta che Neville gli stava sventolando sotto il naso.
Improvvisamente, il ragazzo divenne pallido come un cadavere, un’espressione di puro orrore dipinta sul volto.
–Non può essere vero! – gemette.
–Mi dispiace, Ed – mormorò Jane.
In quel momento, anche Susan si unì a loro, reagendo in modo ancora più spaventato del fratello.
Lei? – squittì inorridita.
–Lei – annuì Jane, lo sguardo perso nel vuoto.
Susan si portò la testa tra le mani.
Di colpo, le sembrò di rivivere tutto il terrore che l’aveva accompagnata l’anno precedente.
–Credete che ricominci a…?
–Non so quali siano i suoi piani. Forse Caspian…
–Vado subito a scrivergli. Ci vediamo a lezione! – esclamò la ragazza balzando in piedi e correndo a perdifiato fuori dalla Sala Grande.
Edmund la seguì con lo sguardo, ancora spaventato.
–Mi darà la caccia – disse non appena rimasero di nuovo soli.
–Lei sa che eri prigioniero di Alhena? – domandò Hermione.
–Non lo so. Non l’ho mai vista – rispose Edmund freddamente.
–Credo sia improbabile. L’hanno arrestata nel ’92 – intervenne Neville.
–Io nel ’92 già c’ero – lo corresse l’altro con un brivido.
–Ѐ pur sempre la sorella di Alhena –  osservò Jane.
–Tu pensi che Bellatrix sapesse dei suoi piani? – chiese Harry.
–Non credo proprio. Vi ricordate che cosa ci ha detto Sirius l’anno scorso? Quelle due si odiavano: sono sempre state in competizione. Non credo che Alhena avrebbe rivelato un piano che le stava molto a cuore proprio a lei – fece Hermione.
–E se invece Bellatrix fosse riuscita a scoprirlo per conto proprio? – ipotizzò Harry.
–Allora potete considerarmi un uomo morto – gemette Edmund.
Neville gli strinse l’avambraccio con fare solidale.
–Siamo pur sempre a Hogwarts. Qui nessuno può farci del male – disse con decisione.
–Tranne la Umbridge – commentò Harry.
–Quello è il male minore. Qualche anticipazione per la lezione di stasera? – domandò Neville, un lampo che gli attraversò improvvisamente gli occhi grigi.
 
***
   
–Tutto bene, Pevensie? – cercò di tirarlo su Adam mentre si avviavano verso la Stanza delle Necessità.
–Per niente – borbottò il ragazzo scuro in volto. – La sorella di chi mi ha rovinato la vita è di nuovo in circolazione. Come dovrei sentirmi?
–Terrorizzato a morte?
–Come minimo.
L’atmosfera nel quartier generale dell’ES non era meno tesa di quella mattina, anzi, con il passare delle ore gli animi sembravano essersi incupiti ancora di più.
In molti continuavano a discutere dell’articolo sul Profeta, confidandosi a vicenda i loro timori su un possibile attacco ad amici e parenti rimasti nel vulnerabile mondo babbano.
La stessa Susan aveva avvertito tempestivamente Peter di stare in guardia e di tenere sempre la bacchetta a portata di mano, anche se ormai la sua vita sarebbe stata tra la gente priva di poteri magici.
–Ti dispiace se mi allontano un attimo? Torno subito – annunciò a un certo punto Adam, posando la cartella in un angolo della stanza.
Edmund gli lanciò una lunga occhiata interrogativa, che mutò immediatamente in un sorriso carico di complicità nel momento in cui intuì la causa di quella richiesta.
–Sei davvero un grande amico – disse Adam battendogli una pacca sulla spalla e raggiungendo Natalie Prewett, che era appena arrivata.
–Ciao – la salutò, cercando di sembrare disinvolto.
–Ciao – rispose lei freddamente, continuando a rovistare nella sua cartella.
Quel gesto ormai sembrava diventato automatico nel momento in cui Adam le rivolgeva la parola.
–Come stai? – proseguì lui.
–Come vuoi che stia? L’assassino dei miei genitori è di nuovo in libertà – rispose Natalie levando la testa di scatto.
–Non ti arrabbiare. Volevo solo aiutarti, tutto qui – si schermì il ragazzo indispettito.
–Non mi serve il tuo aiuto – rispose l’altra fulminandolo con lo sguardo.
–Aiuto o meno, era comunque una forma di cortesia.
Natalie gli lanciò una lunga occhiata penetrante, come se stesse cercando di sondare ogni centimetro del suo viso fin sotto l’epidermide.
–Dove vuoi arrivare? – domandò a un certo punto.
–Non capisco perché sei sempre così sospettosa con me. Ti sembro forse un cattivo ragazzo? Ehi, sveglia: il mio migliore amico è stato per anni prigioniero di una pericolosa Mangiamorte!
Natalie lanciò una lunga occhiata a Edmund, che stava chiacchierando animatamente con un gruppo di Grifondoro.
–Chi, lui? – domandò. – Susan non me ne ha mai parlato.
–L’avresti fatto al suo posto?
–No.
Adam le abbozzò un sorriso, poi tornò fischiettando dai suoi amici, sentendo il suo sguardo assassino bruciargli sulla nuca.
 
***
 
Con somma sorpresa dei presenti, quella sera Jane si presentò da sola.
Si sedette a gambe incrociate sullo sgabello che di solito usava Harry per spiegare e afferrò il fischietto.
–Buonasera, gente! – esordì con la sua voce squillante. – Ebbene sì, oggi sarò io a farvi lezione. Harry non stava molto bene e per questo mi ha nominata sua supplente. Visto il buongiorno che abbiamo ricevuto stamattina, pensavo di fare una lezione un po’ più intensiva. Niente Expelliarmus, ma un bel ripasso di Incantesimi di Difesa che potrebbero tornarci utili. Siete d’accordo?
L’intera sala venne percorsa da un brusio di assenso.
–Molto bene – Jane si levò in piedi, cercando inutilmente di sembrare più alta. – Per cominciare, vediamo subito gli Schiantesimi. Li trovo di gran lunga più efficaci dell’Expelliarmus, perché ci consentono di neutralizzare temporaneamente l’avversario senza però ucciderlo o ferirlo gravemente. Nello stesso tempo, però, noi avremo un bel vantaggio per darcela a gambe, no? Perfetto, vi chiedo solo di disporvi nelle solite coppie…Hermione, puoi venire un attimo al centro, così facciamo vedere agli altri come si fa?
La ragazza la raggiunse a grandi passi. Entrambe si fronteggiarono; poi Hermione gridò: – Stupeficium!
Jane cadde a terra priva di sensi. In molti nella sala urlarono, in particolar modo Edmund.
Hermione si chinò sul corpo dell’amica e sussurrò: – Innerva.
La ragazza spalancò di nuovo i suoi grandi occhi verdi e le rivolse un sorriso.
–Ecco cosa dovrete fare – spiegò alzandosi in piedi. – Ciascuno di voi Schianterà e rianimerà a turno il proprio compagno; poi proverete a simulare un vero e proprio duello come al solito. Pronti? Al mio tre: uno…due…
Al fischio di Jane, la sala si trasformò nella solita bolgia infernale, con gli incantesimi che schizzavano da una parte e dell’altra schiantandosi sul soffitto.
La ragazza dovette abbassarsi più volte per non essere presa in pieno mentre passava a controllare il lavoro dei compagni.
Con sua somma soddisfazione, sia Edmund che Neville stavano facendo dei passi da gigante.
Evidentemente, l’evasione di Bellatrix Lestrange li aveva resi ancora più determinati di prima.
Edmund in particolare sembrava aver trovato finalmente il coraggio di tirare fuori i suoi poteri, anche se quella sera stava tendendo a esagerare.
Al secondo capitello mandato in frantumi dal ragazzo, Jane fu costretta a farlo smettere, invitandolo a ripassare il più innocui Incantesimi di Disarmo, con grande sollievo di un ammaccato Neville.
Mentre passava in rassegna i compagni, la ragazza avvertiva una strana sensazione.
Ogni volta che si avvicinava a loro, le sembrava di avvertire uno strano senso di vertigine, come se stesse provando emozioni che non le appartenevano: tensione, euforia, spavento, dolore, determinazione.
Era come se gli incantesimi scagliati dagli studenti scorressero direttamente nelle sue vene.
Era qualcosa che non la abbandonava dal momento in cui era entrata nella testa di Piton.
Alla fine della lezione, Jane era distrutta ma soddisfatta.
Salutò gli altri e si avviò verso la torre di Grifonforo insieme a Ron, Hermione e Ginny.
Lì trovarono Harry dove lo avevano lasciato, sommerso fin sopra la testa dai manuali di Incantesimi.
–Buonaseraaaaaa! – trillò Jane prendendolo alle spalle e facendogli fare un salto spettacolare per la paura. – Si può sapere perché ci eviti da stamattina?
–Niente, sono solo indietro con i compiti – borbottò il ragazzo risistemandosi gli occhiali sul naso.
–Bugiardo, lo sai che me ne accorgo subito quando mi nascondi qualcosa – rispose lei giocherellando distrattamente con una ciocca di capelli scuri. – Allora, ti decidi a sputare il rospo o devo procurarmi una dose massiccia di Veritaserum?
Harry non rispose, abbassando lo sguardo sui libri e fingendo di studiare.
–Harryuccio, – cantilenò Jane implacabile – a noi puoi dirlo!
–E va bene, razza di rompipalle che non sei altro! – sbottò lui furibondo. – Vi sto evitando per il vostro bene, visto che ho paura di essere posseduto.
–Che vai farneticando? – domandò la sorella, tornando di colpo seria.
–Lo volete sapere come sono andate esattamente le cose la notte dell’aggressione del signor Weasley? Io ero il serpente, sono stato io ad attaccare, e anche dopo ho avuto sempre l’istinto di mordere e fare male, persino quando Silente mi ha guardato nel suo ufficio! Ecco perché vi sto evitando: ho paura di aggredirvi.
–Non essere ridicolo! – intervenne Ginny bruscamente. – Ti posso assicurare che non sei posseduto. A me è capitato. Non ricordavo nulla di quello che era successo. Mi risvegliavo in un posto senza sapere come ci ero arrivata. Mi pare che tu finora non hai avuto questi sintomi, vero?
–No – borbottò Harry.
–Piton ha ragione: devi impegnarti con l’Occlumanzia, costi quel che costi – disse Hermione severa.

Il Sopravvissuto non rispose, continuando a fissare il fuoco davanti a sé.
L’ultima cosa che voleva a questo mondo era farsi dare consigli da Piton.
 
***
  
Bellatrix Lestrange osservava la grande stanza sotterranea di fronte a lei, il labbro superiore arricciato in un’espressione mista fra la rabbia e il piacere.
Aveva trovato la porta di ferro spalancata, l’interno della cella deserto.
Eppure i segni inconfutabili della presenza di qualcuno erano ancora freschi, come se fosse passato pochissimo tempo dalla sua scomparsa.
Il letto era sfatto e sul cuscino si intravedeva l’impronta di una testa che faceva capolino sotto un pesante strato di polvere.
La libreria era piena di libri, alcuni dei quali sparsi sul pavimento.
C’erano un tavolo e delle sedie rovesciati; per terra campeggiavano i resti di un pasto mai consumato tra i frammenti delle stoviglie fracassate.
In un angolo, un pitale ancora colmo inondava l’ambiente di un fetore nauseabondo.
–Sei per caso giunta alle mie stesse conclusioni? – chiese una voce fredda a pochi centimetri dal suo orecchio.
Nell’udirla di nuovo dopo così tanti anni, Bellatrix provò un brivido di euforia e terrore.
Si voltò di scatto, restando allibita per diversi istanti.
L’affascinante Tom Riddle che conosceva un tempo aveva perso i tratti angelici del volto e i folti capelli neri.
Al suo posto, vi era un essere pallido ed emaciato, il cranio irretito di vene violacee e due terribili occhi rossi dalla pupilla verticale che brillavano nell’oscurità.
–Mio signore! – gridò la strega con voce stridula, crollando a terra e prendendo a baciargli l’orlo della veste.
–Silenzio! – sibilò Voldemort, scostandosi da lei con veemenza. – Ti ho fatto una domanda.
–Qualcuno viveva qui, fino a non molto tempo fa – rispose lei, contorcendosi sul pavimento come un verme.
–La domanda è: chi? Conoscevi tua sorella. Lei non serbava molti riguardi per i prigionieri – le pallide dita bianche di Voldemort carezzarono i dorsi dei libri disposti ordinatamente lungo gli scaffali. – Storia della Magia, leggende del mondo magico, fiabe per bambini…
–Vi giuro che non si tratta di lui! L’ho consegnato io stessa nelle mani di Greyback come avevate ordinato! È morto, mio signore! Morto! – implorò Bellatrix terrorizzata.
–A quanto pare, la piccola Alhena mi ha mentito ancora una volta – sibilò il Signore Oscuro con un fremito di rabbia. – Quella serpe sapeva tessere gli inganni meglio di chiunque altro. Sono felice di averle inferto la morte che meritava.
Bellatrix rabbrividì, ripensando al mucchio di cenere che aveva trovato nello studio al suo arrivo.
La sua rivale numero uno non c’era più.
I suoi occhi si accesero di cupidigia.
–Non avrei mai creduto che avesse osato tanto – proseguì Voldemort percorrendo la cella a grandi passi. – Ho iniziato ad avere dei sospetti al momento della mia caduta, quando Alhena non venne mai a cercarmi come avevo creduto. Non importa, ho trovato qualcuno che mi servirà molto più fedelmente di lei. Qualcuno che, la notte in cui sono tornato, mi ha rivelato che avrei trovato una piccola sorpresa, una volta arrivato qui. Un piccolo segreto che Alhena custodiva gelosamente da quattordici anni.
–Come ci è riuscita? – domandò Bellatrix a denti stretti.
–Incantesimi di Protezione, evidentemente. Continui spostamenti in giro per l’Europa. Non importava, nessuno riesce a sfuggire tanto a lungo a Lord Voldemort. Peccato che quella notte sia arrivato qualcuno prima di me.
–Chi, mio signore?
–Jane Potter, una nota ficcanaso. Era prigioniera proprio qui, la notte del mio ritorno. A quanto pare, ha notato questa cella e il suo piccolo, ignaro buon cuore le ha suggerito di portar via il suo occupante senza chiedersi chi fosse.
–Aha! – Bellatrix scoppiò a ridere sguaiatamente. – Quella sciocca ragazzina! Vorrei proprio vedere la sua faccia quando scoprirà chi è! A quel punto, ci penseranno direttamente gli Auror a ucciderlo.
–Non credo proprio. A quanto pare, Silente l’ha preso sotto la sua ala protettiva. Mi è impossibile avvicinarmi a lui quanto a Potter. Sono entrambi intoccabili e, ironia della sorte, sono diventati amici per la pelle.
–Ma signore, tutto ciò è impossibile!
–Le cose quadrano fin troppo bene, invece – rispose Voldemort con fredda lentezza, gli occhi che mandavano lampi. – Mia cara e fedele Bellatrix, ti piacerebbe rimediare alle mancanze della tua defunta sorella?
–Oh, sì mio signore! – esclamò la donna con un ghigno perverso.
–Portami il ragazzo. Lo voglio vivo – rispose lo stregone con calma.
Lo sguardo di Bellatrix si illuminò.
–Sarà fatto – rispose con esaltata euforia.
Ѐ ora di fare visita a mia sorella Narcissa, pensò un istante dopo, pregustando il dolce sapore della vendetta sulle labbra.





Ciao, belli! Come state? :)
Ebbene sì, sono tornate le care vecchie atmosfere dark che ci hanno accompagnato nella storia precedente e, man mano che andremo avanti, si faranno sempre più cupe.
Pertanto, vi consiglio di leggere con la luce accesa e possibilmente lontano dai pasti, specie più in là!
Lettore avvisato, mezzo salvato ;)

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Ci vediamo la settimana prossima! * e nel mentre non dimenticate di passare a leggere "L'ultima notte" nel fandom di "Lady Oscar"!*
A presto, gente!
Basia

F.
   

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Capitolo 18
*** Il potere nascosto ***




CAPITOLO 18

Il potere nascosto

~

 
 
 
 
 
 
Nei lunghi anni della sua prigionia, Edmund non aveva mai sentito parlare di San Valentino.
Ecco perché, negli ultimi giorni, sembrava non capire la strana atmosfera di frenesia mista a malinconia che aleggiava in ogni angolo del castello.
Improvvisamente, le coppie sembravano triplicate.
Gli capitava sempre più spesso di trovare gente avvinghiata nei bagni o negli angoli dei corridoi, sfidando la spietata sorveglianza della Umbridge.
Del resto, la stessa Squadra di Inquisizione non poteva non dirsi complice di quell’improvviso tripudio d’amore, anche se membri come Malfoy o Zabini avevano un’idea decisamente meno sentimentale del concetto.
Edmund li sorprese più di una volta sparire nel loro dormitorio con delle ragazze ridacchianti al seguito, per poi uscirne con una strana aria di compiacimento e la camicia ancora sbottonata.
–Almeno loro sanno come divertirsi – bofonchiava Adam quando si trovavano ad assistere queste scene.
Edmund non rispondeva, limitandosi a fissare il vuoto in silenzio.
Non capiva perché, ma tutto quello gli provocava un pizzico di fastidio.
Per tutta la vita, non si era mai posto il problema della relazione con l’altro sesso.
Era un mostro, in fondo, un essere che doveva rimanere segregato per sempre dal resto del mondo.
Non avendo mai conosciuto dei suoi simili, non si era neanche posto la questione di dover restare da solo.
Negli ultimi tempi, però, le cose erano leggermente cambiate.
Aveva trovato degli amici, delle persone che, per la prima volta nella sua vita, gli volevano bene.
Molte volte, il ragazzo pensava che fossero degli incoscienti a prestargli così tanta fiducia senza neanche domandarsi chi fosse in realtà.
D’altra parte, però, egli trovava sollievo nel constatare che le cose stavano andando così.
Il problema ora era un altro: Jane.
Edmund non riusciva a definire le sensazioni che provava quando era in sua compagnia.
Non riusciva a staccare lo sguardo da lei, come se fosse incantato.
Gli piaceva il verde brillante dei suoi occhi, il mare scuro dei suoi capelli arruffati, il suo sorriso da orecchio a orecchio, il suono squillante della sua voce.
Ogni volta che si sedeva accanto ai Grifondoro, aspettava con ansia di restare solo con lei, senza nessuno attorno.
Quando si trovava in sua compagnia, di colpo tutto l’orrore che lo accompagnava ogni giorno svaniva nel nulla.
Per non parlare poi di quando lo toccava: ogni volta che sentiva la sua piccola mano sfiorare le sua dita o le sue labbra umide premute lungo lo zigomo, il ragazzo non poteva fare a meno di rabbrividire.
Nessuno lo aveva mai fatto sentire così. Jane era il suo angelo, colei che lo aveva salvato dalle tenebre dei suoi ricordi.
Non avrebbe mai potuto sopportare di stare lontano da lei, nemmeno se un giorno la verità sulle sue origini sarebbe venuta a galla.
Ma era amore, questo?
–Tutto bene, amico? – gli domandò Adam una sera, mentre si avviavano verso la Stanza delle Necessità.
–Sì – mentì Edmund, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé.
–Tu non me la racconti giusta. Mi sembri quasi una femmina col ciclo.
Eh?! – il ragazzo gli scoccò un’occhiata inorridita.
–Scusa, scusa. Non ti facevo così puritano. Hai mai pensato di farti prete? – lo stuzzicò l’amico.
–Per favore, Adam, ho altro per la testa.
–Non è che per caso ti sei innamorato?
A quelle parole, Edmund si bloccò istintivamente.
Una morsa terribile gli serrò lo stomaco.
–Bingo! – esclamò Adam facendogli l’occhiolino.
–Per favore, non mi va di parlarne. Tanto ama un altro – borbottò l’altro riprendendo a camminare, rosso per la vergogna.
–Questa è una scusa che ti sei inventato tu. Sai benissimo che Weasley non ricambierà mai. È troppo preso dalla Granger.
–No, a Jane piace davvero Ron, da tanti anni.
–Questa è la conferma che non te ne intendi proprio di donne, vero?
–Ah, perché tu?
–Che c’entra, io sono già stato fidanzato una volta. Sono stato con una di Tassorosso il terzo anno. Una piattola allucinante.
Edmund non rispose.
Avrebbe tanto voluto tirargli dietro qualcosa di grosso e pesante, possibilmente con tanti spigoli.
–E dai, sto cercando di tirarti su! – incalzò Adam. – La vuoi sapere una cosa? Io ti ci vedo con la Potter. Davvero. E poi, è stata lei a salvarti.
–Jane è solo un’amica. Non può nascere niente tra noi – disse Edmund meccanicamente.
–Non è vero! Sono sicuro che lei ricambierebbe, invece. Ho notato il modo in cui ti guarda. Secondo me, è innamorata pazza di te dal primo momento che ti ha visto, solo che anche lei ha paura di ammetterlo perché teme che tu la tratti come ha fatto Weasley e allora si inventa un sacco di balle per nasconderlo.
Temo che tu abbia dannatamente ragione, pensò Edmund soppesando le parole dell’amico, ma in tutta risposta borbottò:
–Non funzionerebbe comunque. Io…non posso!
–Si può sapere perché? Sei per caso gay?
–Ti sembro forse gay?
–Gay no, ma ti vedo molto bene in un convento.
–Piantala!
Adam scoppiò a ridere.
–Non credo che un altro avrebbe rischiato il collo per venirti a salvare – tornò a stuzzicarlo.
–Lei era prigioniera della Black, ricordi? Non poteva sapere nulla di me.
–Però anche dopo il salvataggio ti è stata vicina, forse più di chiunque altro.
–Sì, be’…
–Non hai scuse, Ed. Quella ragazza ha solo bisogno di essere conquistata.
–Ma a me non piace conquistare le ragazze!
–Me ne sono accorto. Però lei ti piace.
–Adam, per favore…
–Ti piace o no?
Edmund si fermò nuovamente, fissando l’amico dritto negli occhi.
–E va bene – disse furibondo. – Se la vuoi proprio mettere in questi termini, sì, Jane mi piace.
In tutta risposta, Adam gli sfoderò un largo sorriso.
–Perfetto allora. Passiamo alla fase due!
–E sarebbe?
–Devi chiederle di uscire. Da soli, mi raccomando!
–Ma tu sei matto!
–E chi dovrebbe farlo, altrimenti? Una donna che invita il proprio uomo a un appuntamento, parte sempre col piede sbagliato. Tocca svegliarti, bello mio!
–No, non ce la posso fare.
–Dai! Non aspetta altro.
–E si può sapere come e quando possiamo rimanere un attimo da soli, con tutto il dormitorio di Grifondoro che si accolla non appena ci prendiamo cinque minuti di intimità?
–Guarda caso, San Valentino capita proprio il giorno della gita a Hogsmeade…
–No, no, no! Lo sai che Jane odia quella festa sdolcinata peggio di me.
–Allora trova il modo di farle cambiare idea.
Edmund non rispose.
Era più furibondo che mai.
I due amici arrivarono di fronte alla Stanza delle Necessità.
Dentro, trovarono quasi tutti i membri dell’ES intenti a chiacchierare e a disporsi per la lezione.
Harry e Jane si stavano esercitando su alcuni incantesimi che avrebbero spiegato quella sera.
Non appena vide la ragazza, Edmund prese a sudare freddo ed ebbe l’istinto di nascondersi dietro un pilastro.
–Ora ti faccio vedere come si fa con una donna – spiegò Adam facendogli l’occhiolino.
Prima che l’amico potesse rispondere, il ragazzo si avviò con decisione verso Natalie Prewett, intenta a parlare con Susan.
–Ciao, Nat! Ti posso parlare un momento? – le domandò sfoderando il suo migliore sorriso.
La ragazza gli scagliò un’occhiata omicida.
–Cosa c’è? – gli chiese in tono sbrigativo, trascinandolo in un angolo appartato della stanza.
–Ti andrebbe di venire a prendere qualcosa con me sabato prossimo? – fece Adam con tutta la sfacciataggine che riuscì a tirare fuori.
Dal modo in cui Natalie lo guardò, Edmund fu convinto che stesse per tirargli uno schiaffo.
–Ho già organizzato il mio San Valentino, grazie – rispose lei asciutta.
–Ah, sì? E con chi? – domandò l’altro senza incrinare il sorriso di un millimetro.
–Con Roger Davies. Sai, è il mio ragazzo. Scusami.
Natalie girò i tacchi e se ne andò, lasciando Adam imbambolato come se gli avessero appena scagliato un Incantesimo della Pastoia Total Body.
Solo dopo minuti che parvero durare ore, il ragazzo tornò da Edmund.
Sembrava che gli avessero disegnato il sorriso con un pennarello indelebile, tanto contrastava con l’aria ferita del suo sguardo.
–Grande intenditore di donne, eh? – lo beccò l’altro.
–Di solito le Corvonero sono molto più stronze delle Grifondoro – rispose lui in tono innaturale.
–Certo, certo.
–Un attimo di attenzione, per favore! – annunciò in quel momento la voce di Harry.
La lezione era appena iniziata.
 
***
   
–Oggi faremo una lezione un po’ diversa dal solito – proseguì Harry, indicando un enorme armadio alle sue spalle. – Qualcuno di voi sa che cos’è un Molliccio?
–Io! – esclamò Neville alzando la mano. – Ѐ un Mutaforma. Nessuno conosce il suo vero aspetto, perché ogni volta che viene allo scoperto assume le sembianze di ciò che ci fa più paura.
 Un mormorio nervoso percorse l’intera stanza.
–Esiste un modo semplice e divertente per sconfiggere la paura – spiegò Harry. – Dobbiamo pensare a qualcosa di buffo in cui trasformare il nostro Molliccio. Solo allora diventerà totalmente inoffensivo. Neville, ti dispiacerebbe darci una dimostrazione?
–Proprio io? Uhm, va bene – borbottò il ragazzo avanzando titubante verso l’armadio e sguainando la bacchetta.
–Forza, Neville! – lo incitò Edmund in tono solidale.
–Al mio tre – disse Harry facendo per aprire le ante dell’armadio. – Uno…due…TRE!
La porta si spalancò e dal suo interno buio emerse…il professor Piton!
Più di uno studente urlò mentre il più odiato insegnante di Hogwarts avanzava verso Neville con un sorriso compiaciuto.
Più pallido che mai, il ragazzo gli puntò contro la bacchetta e urlò:
Riddikulus!
In un attimo, il professor Piton si ritrovò abbottonato in uno stretto e tarlato abito da strega verde brillante, i capelli unticci nascosti sotto un imponente cappello con un avvoltoio impagliato in cima.
L’intera classe scoppiò a ridere fragorosamente.
–Piton negli abiti di tua nonna è sempre affascinante – commentò Harry ridendo. – Forza, mettetevi in fila e vedete cosa sapete farne!
In meno di un attimo, i membri dell’ES si disposero in fila indiana, spintonandosi per affrontare per primi il Molliccio.
Edmund fu uno dei pochi a rimanere indietro, insieme a Ron.
A pochi metri da lui, il Molliccio si trasformava in creature spaventose per poi mutare in qualcosa di tremendamente ridicolo.
L’intera sala era scossa dalle risate degli studenti, che stavano letteralmente scatenando la loro fantasia creativa.
Ron fu l’ultimo prima di Edmund.
Il suo Molliccio si trasformò in un ragno gigantesco, che prese ad avanzare vero di lui facendo schioccare minacciosamente le sue tenaglie lucenti.
Molte ragazze urlarono terrorizzate.
R-Riddikulus! – piagnucolò Ron pallido come un cencio.
In un attimo, il ragno si trasformò in un grosso pallone bucato che schizzò dall’altra parte della stanza con un fischio acuto, tra le risate e gli applausi dei presenti.
Ron si allontanò dalla fila con aria soddisfatta, battendo il cinque ad alcuni Grifondoro.
Con una stretta allo stomaco, Edmund si ritrovò completamente solo di fronte al Molliccio.
Qualcosa di grosso prese ad allungarsi lungo il pavimento, mentre un sibilo minaccioso prorompeva dal suo corpo informe.
Un serpente enorme, lungo almeno dodici metri, si erse in tutta la sua statura di fronte al ragazzo, facendo scattare la lingua biforcuta in avanti.
In molti urlarono, ritraendosi il più lontano possibile dal mostro.
Edmund rimase come paralizzato.
Non riusciva a muovere un muscolo.
I suoi occhi sgranati erano fissi sul corpo screziato del rettile, che prese a strisciare minaccioso verso di lui, pronto ad attaccare.
–Coraggio, Edmund! L’incantesimo! – lo incitò Jane, per niente spaventata.
Nel sentire la voce della ragazza, il serpente voltò la brutta testa triangolare verso di lei. Jane ammutolì di colpo, mentre la creatura si preparava ad attaccarla.
Edmund non pensò neanche a quello che fece.
In un attimo, si era parato di fronte a lei, le braccia spalancate, gridando:
–No, lei no! STAI INDIETRO!
Un brivido di terrore percorse la sala.
Il serpente lo fissò dritto negli occhi per qualche istante; poi, con un lieve sibilo, si acciambellò sul pavimento simile alla mostruosa imitazione di un grosso cane.
Riddikulus! – esclamò Harry, accorso al suo fianco.
In un attimo, il serpente venne sostituito da un grosso salame, che si dissolse nel nulla con uno sbuffo di vapore.
Tutti i presenti tenevano lo sguardo fisso su Edmund.
Molti bisbigliavano il suo cognome, additandolo di nascosto.
Il ragazzo notò con orrore che persino Adam e Neville non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso.
Che cosa poteva aver fatto di tanto terribile?
–Edmund, – disse in quel momento Jane in tono innaturale – hai appena parlato in Serpentese!


Buonasera a tutti! :)
Scusate per il capitolo corto, ma, come avrete notato, ultimamente ho pochissimo tempo per scrivere e non me la sentivo di lasciarvi a bocca asciutta.
Spero che  comunque questo aggiornamento vi sia piaciuto. Finalmente, il nostro Edmund si sta svegliando, anche se con qualche perplessità.
Cosa credete che accadrà il giorno di San Valentino?
Lo scoprirete giovedì prossimo ;)

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Buonasera ancora e buon appetito! :D

F.
    

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Capitolo 19
*** La Legilistrega e il Rettilofono ***





CAPITOLO 19

La Legilistrega e il Rettilofono

~

 
 
 
 
 
 
Edmund sembrava paralizzato.
Era come se tutti quei volti che lo scrutavano attoniti si trovassero al di là di un vetro appannato, simili a un sogno.
O a un incubo.
Le orecchie gli ronzavano fastidiosamente.
La pressione della mano di Jane sul suo braccio lo fece trasalire come se si fosse scottato.
La ragazza lo fissava con i profondi occhi verdi sgranati per la sorpresa, ma non sembrava spaventata.
Era come se anche lei stentasse a credere a ciò che aveva appena visto.
−Che cosa ho fatto? – chiese Edmund a voce bassissima.
−Sei un Rettilofono – rispose Jane con calma. – Come Harry.
Il ragazzo levò lo sguardo di scatto verso il Sopravvissuto.
−Io…parlo con i serpenti? – domandò spaventato.
Harry annuì.
In presa al panico, Edmund incalzò:
−Sono tanti i maghi che possono farlo, vero?
−Solo tu ed io, Ed. E Voldemort.
Il ragazzo non seppe mai se fu peggio la risposta lapidaria di Harry o il mormorio concitato che si scatenò nel sentir nominare il loro peggior nemico.
L’unica certezza fu che in quel preciso istante Edmund scattò in avanti come se fosse mosso da fili invisibili, oltrepassando la folla di studenti che non riuscivano a staccare gli occhi da lui e precipitandosi fuori dalla Stanza delle Necessità.
Non appena si trovò solo nel corridoio illuminato dalla tremula luce delle torce, il ragazzo si mise letteralmente a correre, il cuore che gli martellava dolorosamente nelle orecchie.
Si sentiva le vertigini e avvertiva i sudori freddi corrergli lungo la schiena.
Salazar Serpeverde era un Rettilofono.
Quante volte aveva letto quella frase su Storia di Hogwarts?
E quante altre volte Alhena Black aveva insinuato che il ragazzo possedesse quel dono raccapricciante, nonostante fosse letteralmente terrorizzato dai serpenti?
Con il cuore in gola, Edmund arrivò di fronte al grande gargoyle che sorvegliava l’ufficio di Silente, biascicò la parola d’ordine e si precipitò su per la scala a chiocciola che comparve dal nulla all’interno del muro.
Quasi sfondò la porta, nel tentativo di entrare.
Nonostante l’ora tarda, Silente era ancora in piedi, avvolto in un’ampia vestaglia di seta viola.
Era seduto alla sua scrivania e stava sfogliando tranquillamente un enorme codice medievale spalancato davanti a lui.
Era come se sapesse che il ragazzo sarebbe piombato lì da un momento all’altro.
−Immagino che tu voglia dirmi qualcosa, Edmund – disse sorridendogli di sottecchi.
−Ho parlato in Serpentese – rispose il ragazzo, crollando a sedere di fronte a lui.
Silente annuì piano, come se non fosse per nulla sorpreso.
La cosa terrorizzò Edmund ancora di più.
−Alhena diceva sempre che solo i discendenti di Salazar Serpeverde parlavano il Serpentese – proseguì il ragazzo con il fiato mozzo. – È…è vero?
−Anche Harry Potter è un Rettilofono, ma ciò non significa che sia un mago oscuro, tantomeno l’Erede di Serpeverde. Anche lui ha avuto una crisi molto simile alla tua, nel momento in cui scoprì il suo dono. Ma ti posso assicurare che non c’è nessun nesso tra il poter parlare ai Serpenti e la Magia Oscura. Sono solo coincidenze.
−Io so che Harry ha ricevuto questo dono direttamente da Voldemort, la notte in cui ha perso i suoi poteri.
Silente levò gli occhi azzurri sul ragazzo, scrutandolo profondamente.
Suo malgrado, Edmund si sentì raggelare.
Era come se vedesse scritto nel suo sguardo la terribile verità che Alhena non aveva fatto altro che inculcargli per quattordici anni.
−C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, non è vero? – chiese il Preside con calma.
Edmund inspirò forte, cercando di trovare le parole giuste; poi mormorò:
−Ha per caso scoperto qualcosa sui miei genitori? Erano degli Auror, vero?
Silente abbassò lo sguardo, come se si fosse improvvisamente rabbuiato.
−No – disse piano.
Il ragazzo annuì con fare comprensivo.
−Cerca di ricordare, Edmund – lo incalzò improvvisamente il Preside. – Scava nei tuoi ricordi più profondi, anche quelli che stai tentando disperatamente di seppellire. La risposta alla tua ricerca potrebbe trovarsi proprio lì.
Edmund scosse il capo.
−Immagino che lei sappia perfettamente cosa mi passa per la testa, signore. Glielo leggo negli occhi – rispose il ragazzo, sull’orlo di una crisi di nervi. – È quello che credo, non è vero? Sono davvero il mostro che doveva restare segregato dal resto del mondo?
–So quanto la verità possa essere terribile, ma cerca di guardare oltre i fatti. Ti sei mai chiesto perché Voldemort ti volesse uccidere, al pari del suo peggior nemico? Hai mai pensato di trovare una risposta al fatto che ti avesse posto sullo stesso piano di Harry Potter? E che voi due siete molto più simili di quanto tu creda? Pensa solo al legame involontario che Harry ha con Voldemort, un legame così profondo e terribile che impedisce loro di distruggersi l’un l’altro. Oserei dire che sono come padre e figlio.
A quell’affermazione, Edmund trasalì vistosamente.
–Non dica queste cose su Harry! Lui non ha niente a che vedere con quel demonio! – esclamò turbato.
−Non fermarti all’apparenza di un legame imposto dalla natura, Edmund. Guarda piuttosto come sono loro stessi, nel profondo dell’anima. Nonostante siano molto simili, Harry ha scelto una via diversa da quella di Voldemort. Ha preferito l’amore alla paura, l’umiltà al potere. Ha usato i suoi stessi identici poteri, ma per fini totalmente diversi. Anche l’essere Rettilofono, in un certo senso, ha avuto la sua parte in questo. Se non fosse stato per il suo dono, Harry non sarebbe mai riuscito a salvare un ragazzo di Tassorosso dall’attacco di un cobra quando era in secondo anno.
−Davvero? Non me ne ha mai parlato.
−Eppure è così. Ora, ti sembra forse che Harry sia un mago oscuro, nonostante abbia questo potere?
–No, signore.
−Lo stesso Salazar Serpeverde, prima di abbandonarsi alla follia, era un mago assai magnanimo. Il problema è che la Storia ha continuato a tramandare la parte peggiore di lui, con sommo gaudio degli ignoranti. So che ti piace leggere, Edmund. Sono certo che, dopo opportune ricerche, scoprirai molte cose che non sapevi sulla storia della tua Casa. Credo che, se solo il giovane Malfoy ne venisse a conoscenza, cambierebbe improvvisamente atteggiamento verso i suoi compagni.
A quell’osservazione, Edmund non poté fare a meno di sorridere.
−Dite davvero? – domandò.
−Chiedi a Madama Pince, la bibliotecaria. Lei ti darà sicuramente tutte le indicazioni per consultare i libri giusti.
−Lo farò senz’altro.
Silente gli rivolse un sorriso carico di comprensione.
In quel momento, l’attenzione di Edmund venne catturata da un grande bacile di pietra ricolmo di una sostanza argentea che si trovava in un angolo della stanza.
−Che cos’è? – domandò.
−Un Pensatoio. È molto utile, se hai sempre la testa troppo piena di pensieri. Puoi riporvi dentro i ricordi più ingombranti e tornare a vederli con calma al momento opportuno.
−Credo che finirò per procurarmene uno anch’io – commentò il ragazzo ad alta voce.
−Non sarebbe una cattiva idea – rispose Silente sorridendo. – Ora però credo sia il caso di tornare al tuo dormitorio. Sono certo che i tuoi amici saranno preoccupati.
−Non credo, dopo quello che è successo poco fa.
−Non dubitare di loro. Conosco i Potter. Non sono persone dai facili pregiudizi.
–Lo spero.
Edmund si rialzò lentamente.
−Buonanotte, professore. E grazie per la pazienza – si congedò.
−Grazie a te per la chiacchierata. Buona fortuna, Edmund.
Il ragazzo sorrise.
−Ne avrò bisogno – sussurrò in tono appena percettibile.
 
***
      
Il ragazzo non aveva fatto che pochi passi fuori dall’ufficio di Silente, quando si ritrovò davanti la combriccola più inaspettata che potesse immaginare.
Harry, Jane, Adam e Susan avanzavano a passo spedito verso di lui, sprezzanti del rischio che correvano di farsi mettere tutti in punizione.
Nel vederli così determinati, Edmund ebbe l’istinto di voltarsi e fuggire dalla parte opposta.
−Immaginavo che fossi da queste parti – disse Harry, raggiungendolo per primo.
−Perché mi avete seguito? – domandò l’altro in tono rassegnato.
−Perché siamo stufi di vederti scappare per la minima cosa. Mica hai la lebbra! – sentenziò Jane fissandolo dritto negli occhi.
−Ah, no? – esclamò Edmund esasperato. – Sono stato spedito a Serpeverde senza avere nemmeno il tempo di giustificarmi e ora salta fuori che parlo ai serpenti. Dopo essere vissuto a Villa Black per tutti quegli anni con la testa piena di menzogne, qualche pensiero verrà pure a me, non vi pare?
−Ed, ne abbiamo già parlato. Tu non sei un mago oscuro – disse la ragazza.
−Ma se invece lo fossi?
−Secondo me, sei solo sotto stress – osservò Adam perplesso. – Non mi sembra che hai ammazzato qualcuno.
−Anzi, mi hai appena salvato la vita – intervenne Jane. – Posso almeno ringraziarti?
A quelle parole, Edmund restò completamente interdetto. Lui che salvava la vita a qualcuno?
−Ed, non so se l’hai notato, ma nessuno di noi ce l’ha con te per quello che hai fatto – lo rassicurò Susan. – Siamo tutti ammirati, invece. Sei stato davvero coraggioso. Mai mi sarei aspettata un simile sangue freddo da parte tua.
−Non siete spaventati? – domandò il ragazzo sbalordito.
−Certo, Pevensie, stiamo tremando dalla paura – lo canzonò Adam ridacchiando. – Ma smettila, fifone! Ricordami di regalarti uno specchio, per il tuo compleanno.
−Capisco come ti senti, Ed – disse Harry mettendogli una mano sulla spalla, nonostante avesse il volto contratto da una smorfia per la fitta di dolore che gli percorse la cicatrice in quel momento. – Non è niente, davvero. Ti sono grato per aver protetto mia sorella. Hai tutta la mia stima.
−Sei stato meraviglioso! – ridacchiò Jane schioccandogli un rapido bacio sulla guancia.
Gli altri scoppiarono a ridere.
−Smettila! – esclamò Edmund, sentendosi avvampare.
In tutta risposta, Jane gli fece una linguaccia spettacolare.
−Bene, ragazzi, ora credo che sia il caso di andare a dormire. Non mi va di affrontare la Umbridge a quest’ora – li riportò alla realtà Susan.
Gli altri annuirono, anche se di malavoglia.
Lo stesso Edmund si sentiva molto più sereno, una volta ritornato in compagnia degli amici.
Si salutarono rapidamente; poi lui e Adam ritornarono nei sotterranei a passo spedito, guardandosi più volte alle spalle nella speranza di non essere seguiti.
−Però, che figata parlare in Serpentese – commentò a un certo punto l’amico mentre scendevano le scale che li riportavano al loro dormitorio. – Non è che per caso sei parente di Salazar Serpeverde, giusto?
−Dillo un’altra volta e ti trasformo in una teiera! – ringhiò Edmund, ignorando l’improvvisa morsa che gli attanagliò le viscere.
 
***
 
Il 14 febbraio, Edmund si svegliò con una dolorosa gomitata nelle costole da parte di Adam.
Il ragazzo era più pallido che mai e aveva la frangia incollata sulla fronte madida di sudore.
−Che ti prende? – esclamò Edmund spaventato.
−Mi sa che ho la febbre – mugugnò Adam sparando due potenti colpi di tosse. – Credo che oggi rimarrò qui in sala comune.
−Mi stai dicendo che mi lasci andare da solo a Hogsmeade? – esclamò l’altro inorridendo. – Non posso restare qui con te?
−Non credo che ti sarò di grande compagnia e poi ti annoierai a morte. Non pensi a Jane?
−Lei uscirà con gli altri.
−E allora aggregati a loro. Le farà piacere.
−Senti, Adam, io…
−Edmund – l’occhiata che gli lanciò l’amico fu fin troppo eloquente. – Mica sono tutte come la Prewett.
−Ora non la chiami neanche più per nome?
−Mi è andata male. Posso farci qualcosa? In fondo, si vedeva che non le interessavo. Tu invece…
−È solo un’amica.
−Certo, certo. Comunque, ti consiglio di uscire. Hai bisogno di prendere un po’ d’aria, amico.
−Come se l’aria non ci fosse anche dentro – commentò Edmund in tono sarcastico.
−Se non vai, ti scatarro dalla testa ai piedi.
−Grazie, no. E va bene.
Sotto il debole ma raggiante sguardo di Adam, Edmund si vestì rapidamente e si avviò verso la Sala Grande per la colazione.
Al suo arrivo, rimase letteralmente pietrificato nel vedere Jane seduta tra Harry e Ron.
Quest’ultimo stava parlando animatamente con lei.
Proprio oggi si doveva svegliare, quel cretino?, pensò Edmund furibondo, ma ormai non poteva più dileguarsi: Susan l’aveva visto e gli stava facendo cenno di sedersi vicino a loro.
Il ragazzo non parlò per quasi tutta la colazione e alla fine, con suo enorme sollievo, riuscì a filarsela insieme a Neville.
I due scelsero una delle ultime carrozze in partenza per Hogsmeade e si sedettero uno a fianco all’altro, chiacchierando animatamente.
Per fortuna, nemmeno Neville sembrava particolarmente sconvolto dal suo dono di Rettilofono, anzi, non toccarono quasi mai l’argomento.
Purtroppo, però, una volta arrivati l’amico si dileguò insieme ad alcuni Grifondoro.
Il ragazzo gli chiese gentilmente se voleva venire anche lui, ma Edmund declinò subito l’offerta, immaginandosi l’ostilità degli altri.
Non gli restò che incamminarsi lungo il sentiero innevato che conduceva al villaggio, stringendosi nel cappotto e nella sciarpa di lana, i piedi che affondavano nella neve fino alle caviglie.
Infreddolito e bagnato, il ragazzo trovò rifugio nella prima libreria che gli capitò a tiro, ma si stancò quasi subito.
Era come se di colpo i suoi amati volumi non gli dessero più la solita soddisfazione.
Rabbuiato, si fece coraggio e uscì di nuovo all’esterno senza comprare niente.
Attraversò il villaggio in lungo e in largo, ignorando la lunga fila di vetrine che gli si dispiegava davanti, fino a giungere al confine con il bosco, dove sorgeva una piccola locanda dalle pareti candide, simile a un gigantesco bignè alla panna.
Sull’insegna simile a una nuvola si leggeva Da Madama Piediburro.
Con suo sommo orrore, dalla porta continuavano a entrare e uscire coppie di studenti, molti dei quali mano nella mano.
Quando due di essi cominciarono a pomiciare tranquillamente davanti ai suoi occhi, le spalle di lei inchiodate sulla parete liscia della locanda, il ragazzo provò l’istinto di vomitare.
In quel momento, una voce famigliare giunse alle sue orecchie: Harry.
Con il cuore in gola, Edmund levò lo sguardo.
L’amico stava arrivando nella sua direzione, mano nella mano con Cho Chang.
Aveva un’aria leggermente imbarazzata, ma felice.
I pensieri del ragazzo andarono tutti a Jane, immaginandola in quel mentre con un ragazzo che non fosse lui, magari lo stesso Ron.
Quello era davvero troppo per i suoi nervi.
Senza attendere oltre, Edmund si defilò sul retro della locanda, tagliando per il bosco e ricongiungendosi al villaggio dall’altra parte.
Temendo di essere scorto, aveva corso più del necessario e i rami più bassi degli alberi lo avevano inzaccherato di neve semisciolta dalla testa ai piedi.
Tremando di freddo, il ragazzo si avviò su un sentiero solitario che portava al castello.
In quel momento, voleva solo tornare a Hogwarts e sedersi davanti al caminetto a parlare del più e del meno insieme ad Adam.
In quel momento, però, qualcosa gli fece dimenticare di colpo i suoi propositi.
A pochi metri da lui, Jane stava camminando lentamente lungo la staccionata che costeggiava il sentiero, le mani nelle tasche e la testa bassa.
Improvvisamente, un’ondata di calore lo invase dalla testa ai piedi.
Erano completamente soli, tutti e due, senza nessuno tra i piedi.
Non poteva sperare in un’occasione migliore.
−Jane! Ehi, Jane! – esclamò quasi senza pensarci.
Nell’udire la sua voce, la ragazza si fermò di colpo, voltando la testa verso di lui.
Il suo sguardo si illuminò all’istante.
−Ed! – esclamò correndogli incontro e gettandogli le braccia al collo. −Anche tu da solo, oggi? – chiese in tono innocente dopo avergli stampato un bacio spettacolare sulla guancia.
Calma, fa così anche con il fratello, pensò il ragazzo disperatamente mentre una vocina nella sua testa rideva a crepapelle.
−Sì, Adam sta male e sinceramente mi andava di stare un po’ da solo. Sai, faccio ancora fatica a capire tutte queste coppiette in giro. Non me ne intendo molto, di queste cose – borbottò scrollando le spalle.
−Anche per me è così, non sai quanto! – esclamò Jane solidale. – Harry, poi, è diventato insopportabile con il fatto che deve uscire con Cho. Sono contenta di essermeli tolti dalle scatole per qualche ora. Spero solo che si presenti ai Tre Manici di Scopa  a mezzogiorno.
−Perché?
−Siamo riusciti ad accordarci con il padre di Luna per fare uscire una sua intervista sul Cavillo, per dargli modo di raccontare la verità sul ritorno di Voldemort.
−Caspita, siete davvero coraggiosi! – esclamò Edmund ammirato.
−Lui però sembra più preso da Cho che dalla guerra – fece Jane incupendosi.
−A te non piace Cho, vero?
−Per niente. Non so per quanto potrà durare. Ma, aspetta… − la ragazza afferrò improvvisamente una ciocca di capelli del ragazzo. – Ed, sei completamente bagnato! Che cosa ti è successo?
−Io…niente – biascicò lui imbarazzato.
 Jane estrasse la bacchetta e l’agitò sopra la sua testa.
Di colpo, un piacevole fiotto di aria calda lo asciugò completamente.
−Secondo me, Harry sta facendo una sciocchezza con Cho – proseguì imbufalita.
−Come mai?
−È difficile da spiegare. È come una sensazione…Insomma, lo so e basta.
−Non è che per caso anche tu hai qualche potere strano? – la incalzò Edmund sorridendo.
Jane gli rivolse un sorriso d’intesa.
−Sai mantenere un segreto? – domandò. – Sono una Legilistrega: ho il dono di percepire il bene o il male nelle persone.
−Davvero? – esclamò Edmund impallidendo.
−Ho sempre sospettato di possedere una cosa simile, visto che quando c’è della Magia Oscura nelle vicinanze mi sento subito male, ma l’altra sera Piton mi ha dato la conferma. Sono pochissimi i maghi e le streghe in grado di riuscirci e la maggior parte di essi perdono questo potere negli ultimi anni dell’infanzia.
−In che senso percepisci il bene o il male?
−È come una sensazione. Riesco a provare le stesse emozioni di chi mi sta accanto e a tradurle nella mia testa. Così posso vedere pensieri e sentimenti. Quando sono molto intensi, lo vivo in maniera fisica: profonda gioia se ho accanto una persona piena di Magia Bianca, dolore atroce se sono nelle vicinanze di un mago oscuro.
−Quindi non scherzi quando dici che nessuno ti può nascondere niente – osservò Edmund, sentendosi improvvisamente nudo di fronte a lei.
−Incredibilmente, sono serissima – rispose lei sorridendo.
−Allora sai tutto anche di me?
Jane lo fissò dritto negli occhi.
−Sì – disse. – E no. Insomma, quello che percepisco io è molto diverso da quello che vuoi farmi vedere.
−In che senso?
Jane trasse un profondo respiro.
−Vuoi sapere se sei davvero un mago oscuro, giusto? – rispose.
−Tu…potresti togliermi questo dubbio?
−Sempre se vuoi.
−Lo voglio.
Jane sorrise e allungò timidamente la mano verso il suo viso.
Gli accarezzò le palpebre, le labbra e alla fine il cuore.
Il suo sguardo vagava lontano, come se fosse tremendamente imbarazzata.
Con suo sommo stupore, Edmund si rese conto che stava tremando anche lei.
−Vuoi sapere tutta la verità? – disse a un certo punto, gli occhi verdi che brillavano.
−Cosa?
Jane sorrise.
−Non ho mai avvertito un’anima così bella e pura come la tua. Sei la Magia Bianca incarnata – disse tutto d’un fiato.
A quelle parole, Edmund avvertì il sangue riprendere a scorrergli nelle vene.
−Davvero? – esclamò incredulo.
−Se fossi davvero un mago oscuro, a quest’ora non riuscirei nemmeno a starti vicino. E invece eccomi qui.
−Non mentirmi, Jane! Sai che non lo sopporterei – si raccomandò lui serio in volto.
Jane gli afferrò entrambe le mani e se le portò al cuore, gli occhi carichi di determinazione.
−Credi forse che mi prenderei gioco di te, con tutto quello che hai passato? Non sono una vile, Edmund. Sei una persona importante per me e non permetterò a nessuno di farti del male.
Il ragazzo sgranò gli occhi, rabbrividendo.
Strinse appena le sue dita attorno a quelle di Jane, portandole dolcemente verso di lui.
Lei gli sorrise dolcemente.
Il suo volto era più vicino che mai.
Per la prima volta, Edmund guardava negli occhi la vera Jane, senza quel velo da finta dura con cui le piaceva atteggiarsi di solito.
In quel momento, il ragazzo ebbe come la certezza che, in qualche modo, i suoi occhi rispecchiassero il suo sguardo, anch’essi carichi di speranze, paure ed emozioni che non riuscivano a controllare.
L’incantesimo durò solo pochi attimi; poi un velo scuro tornò a coprire il volto di Jane, come se improvvisamente le fosse tornato in mente un pensiero doloroso.
−Sì è fatto tardi. Gli altri mi staranno già aspettando – disse piano.
−Vai, non ti preoccupare. Io credo che tornerò al castello – rispose Edmund laconico.
−Perché non vieni anche tu? Ci sarà anche Susan, con noi.
Il ragazzo tentennò, spostando nervosamente un mucchietto di neve con la punta del piede.
A quanto pareva, Jane voleva restare con lui ancora per un po’.
Lui, d’altro canto, non aspettava altro che glielo chiedesse.
−D’accordo – disse abbozzandole un sorriso. – Se a te fa piacere…
Jane gli rivolse un’espressione raggiante.
Si avviarono silenziosamente per il sentiero che conduceva a Hogsmeade, camminando fianco a fianco sul terreno ricoperto di neve.
Nessuno dei due parlò, anche se dai loro sguardi dritti davanti a sé si intuiva benissimo che erano entrambi alla ricerca delle parole giuste per poter imbastire un nuovo discorso.
Improvvisamente, in maniera quasi impercettibile, la piccola mano di Jane si avvicinò a quella di Edmund.
I loro palmi si sfiorarono appena; poi il ragazzo, con la massima delicatezza, le prese le dita tra le sue.



Buonasera! :)
Come avete potuto constatare di persona, oggi sono in vena di spoiler. Ormai credo che vi sia chiara l'origine di Edmund, anche se quel capoccione non vuole ammetterlo...e neanche i suoi amici, primo fra tutti Harry! Come credete che agiranno quando scopriranno la verità? Aspetto le vostre ipotesi...

Spero che il capitolo un po' più lungo del solito non sia risultato troppo stancante: stavo infatti pensando di condensare più avvenimenti per puntata, per evitare di lasciarvi con il fiato sospeso per una settimana.

A proposito di settimane, è probabile che per i prossimi due aggiornamenti capiteranno in giorni diversi dal solito per motivi tecnici. Vi dico già da adesso che la settimana di Pasqua-ponte del 25 aprile non ci saranno aggiornamenti * motivo in più per prendersi una vacanza! ;) *, ma farò comunque in modo di farvi recuperare, magari regalandovi due puntate a settimana invece che una. Vedremo.

In ogni caso, per restare sempre aggiornati anche su questo punto, vi lascio come sempre il mio indirizzo facebook: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A prestissimo!
Baci :)

F.

   
 

 

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Capitolo 20
*** Scoperti ***




CAPITOLO 20

Scoperti

~

 
 
 
 
 
 
Nelle settimane successive, Hogwarts sprofondò nella paranoia più totale.
L’articolo su Harry non tardò a uscire e, quando il lunedì successivo alla gita a Hogsmeade Il Cavillo registrò il più alto record di copie vendute nella storia, la Umbridge si vide costretta a passare alle maniere forti.
Il primo a farne le spese fu proprio il ragazzo, a cui vennero proibite tutte le future uscite con la scuola più un’altra settimana di punizione.
Nonostante tutte le copie incriminate fossero state sequestrate e distrutte, gli studenti dettero ancora una volta prova di essere più scaltri dell’Inquisitore Supremo.
Bastò un semplice incantesimo per camuffare la copertina del Cavillo con quella di un’altra rivista, continuando a leggere indisturbati sotto gli occhi da rospo della Umbridge.
La reazione alle dichiarazioni di Harry fu quasi immediata.
In molti si resero conto che la deposizione del ragazzo e quella del Ministero non combaciavano in molti punti e che a confronto la seconda era molto meno credibile. Il fatto che l’articolo fosse stato firmato nientemeno che da Rita Skeeter, una delle più agguerrite giornaliste della Gazzetta del Profeta, si rivelò un ulteriore punto a favore di questa tesi.
Improvvisamente, gli sguardi ostili verso Harry iniziarono finalmente a diminuire.
Più di qualcuno si avvicinò a lui tra una lezione e l’altra per porgergli le sue scuse.
Alcuni gli chiesero timidamente di potersi iscrivere all’ES.
Tra questi ci fu Seamus Finnigan, l’unico Grifondoro che aveva definitivamente voltato le spalle al Sopravvissuto, che fu accolto nella Stanza delle Necessità tra il plauso generale.
Nel mentre la Umbridge, avvertendo il focolaio della ribellione alimentarsi sempre più, decise di iniziare la sua opera di pulizia.
Agli inizi di marzo, la professoressa Cooman si ritrovò tra le mani inanellate una lettera ufficiale che la sollevava da ogni incarico e la invitava a lasciare immediatamente il castello.
La povera donna venne salvata all’ultimo momento da Silente, che la invitò a restare a Hogwarts, nonostante non potesse più lavorare.
Vedere la Cooman sbattuta all’ingresso tremante e con il volto da cicala rigato dalle lacrime mentre Gazza le posava ai piedi due grosse valigie lasciò gli studenti in uno stato di shock.
Nessun insegnante di Hogwarts, nemmeno il più odioso, era stato umiliato in quel modo prima d’ora.
La Umbridge non aveva preso bene la contraddizione fatta da Silente, né tantomeno apprezzava la sua scelta di far sostituire la Cooman dal centauro Fiorenzo, a suo dire un pericoloso e selvaggio ibrido.
Era fin troppo evidente che stava pianificando una nuova mossa, se possibile ancora più crudele della precedente.
I Potter temevano che il prossimo sarebbe stato Hagrid.
Dal suo canto, il loro amico non sembrava molto preoccupato, sicuro che Silente lo avrebbe difeso fino alla fine.
Peccato che Silente stava diventando una personalità sempre più schiva e silenziosa man mano che il potere della Umbridge aumentava.
L’atmosfera di oppressione non fece che alimentare il desiderio di ribellione da parte degli studenti.
Le lezioni dell’ES si facevano sempre più difficili e i ragazzi iniziavano a prendere confidenza con incantesimi e fatture di Difesa molto avanzate, raccogliendo buoni risultati.
Gli stessi Edmund e Neville, che erano stati per mesi gli ultimi della classe, stavano padroneggiando la magia in maniera del tutto inaspettata.
Edmund in particolare riuscì ad affrontare senza problemi il Molliccio e a Disarmare e Schiantare con un’abilità e una classe tutta sua.
Finalmente, il vero mago nascosto in lui stava venendo alla luce senza più paure.
La prima settimana di aprile, Harry decise di affrontare l’argomento dei Patronus.
Edmund provò più e più volte.
All’inizio, la sua bacchetta emise solo un leggero filo di fumo argenteo, ma dopo numerosi tentativi (e grazie all’assistenza di Jane), il ragazzo riuscì a evocare finalmente un Patronus corporeo a forma di cavallo.
Nel vedere il destriero rampare nell’aria, la ragazza trasalì vistosamente per la sorpresa.
–Che cosa c’è? – domandò Edmund.
–Abbiamo lo stesso Patronus – rispose Jane agitando la bacchetta.
Dalla punta si scaturì un altro cavallo argentato, che raggiunse al galoppo quello del ragazzo.
I due si annusarono; poi si sfiorarono affettuosamente i lunghi colli con il muso.
I ragazzi restarono a fissarli incantati.
Era come se i loro Patronus stessero rispecchiando i loro stessi sentimenti.
Edmund fece per voltarsi verso Jane, la bocca dischiusa mentre cercava di dirle qualcosa, ma le parole gli morirono in gola sul nascere.
L’intera Stanza delle Necessità era di colpo piombata nel silenzio più totale.
Tutti gli occhi erano puntati su una figuretta esile che stava attraversando la sala a tutta velocità, fermandosi ansimante di fronte a Harry.
–Dobby! – esclamò il ragazzo riconoscendo l’Elfo domestico. – Che succede?
–Harry Potter deve andare subito via di qui! – squittì lui. – Lei sa che siete qui. Sta arrivando!
Un senso di gelo calò improvvisamente nella stanza.
Tutti si lanciarono occhiate terrorizzate, sentendosi presi in trappola.
–Che state aspettando? – esclamò Harry. – SCAPPATE!
Senza farselo ripetere due volte, i membri dell’ES si accalcarono verso la porta, cercando di lasciare la Stanza delle Necessità il prima possibile.
Harry riuscì a fatica a contenere il panico, dividendo gli studenti in piccoli gruppi per non destare sospetti.
Natalie e Roger sgusciarono da una porticina laterale e fecero per dirigersi verso la torre di Corvonero, la mano di lei stretta in quella fredda e sudata di lui.
Improvvisamente, un rumore di passi esplose alle loro spalle.
–Chi è là? – tuonò la voce da baritono di Montague, un colossale ragazzo della Squadra di Inquisizione.
In preda al panico, Roger si mise a correre più forte.
–Sbrigati, Nat! – le intimò tra i denti.
–Non ce la faccio! – esclamò lei premendosi una mano sulle costole, la borsa carica di libri che le rallentava il passo.
Roger parve non ascoltarla, correndo ancora più forte.
I passi di Montague si facevano sempre più vicini.
A un certo punto, Natalie inciampò e rovinò a terra.
La caviglia si piegò dolorosamente sotto il suo peso.
Roger le lanciò un’occhiata di sottecchi; poi si dileguò.
–Roger, aspetta! – gridò Natalie con le lacrime agli occhi per il dolore, ma il ragazzo non si voltò, sparendo dietro l’angolo. – Maledetto bastardo – gemette la ragazza tentando di rialzarsi, ma ricadde a terra subito dopo.
La caviglia si stava gonfiando a vista d’occhio.
Con suo sommo orrore, Natalie vide gli enormi piedi a papera di Montague comparire da dietro l’angolo.
–Bene, bene, bene. Chi abbiamo qui? – sogghignò il ragazzo con perfidia.
–Attento, Montague! – lo minacciò la ragazza sguainando la bacchetta.
Bastò una leggera flessione del polso per mandare il gigante lungo disteso sul pavimento di pietra.
–Ora ti faccio vedere io chi comanda, troietta! – ululò lui furibondo, facendo per rispondere al fuoco, quando la sua bacchetta volò a più di tre metri di distanza, finendo sotto il tacco della scarpa di Adam.
–Tu non fai un bel niente, razza di pachiderma – lo minacciò il ragazzo, spezzando in due la bacchetta.
Montague lanciò un ululato furibondo e fece per avventarglisi contro, ma Adam fu più rapido.
Stupeficium – disse con decisione.
L’altro cadde rovinosamente a terra senza nemmeno un lamento.
–Ben ti sta – commentò il ragazzo abbassando la bacchetta, una strana aria di soddisfazione dipinta in volto.
Natalie lo fissava con tanto d’occhi, sbalordita.
–Perché l’hai fatto? – chiese subito dopo, rimettendosi sulla difensiva. – Guarda che me la sarei cavata benissimo da sola.
–Con una gamba fuori uso? Non farmi ridere! – esclamò Adam chinandosi su di lei.
La ragazza si irrigidì d’istinto, lanciandogli un’occhiata omicida.
–Dov’è il tuo cavaliere? – sogghignò Adam in tono di sfida.
Natalie lanciò un sospiro furibondo.
–Se l’è filata – rispose controvoglia.
–Ammirevole. Spero che tu gliela faccia pagare.
–Contaci.
Adam scoppiò a ridere.
–Mi domando perché non sei finita a Serpeverde. Voglio dire, l’orgoglio e il veleno non ti mancano – la provocò.
–Sono troppo intelligente per voi serpi – rispose lei con una smorfia.
–Ooooh, scusami! Non ti arrabbiare, stavo scherzando.
Prima ancora che Natalie potesse rendersene conto, Adam la sollevò tra le braccia.
La ragazza lanciò un urlo di sorpresa, aggrappandosi d’istinto alle sue spalle.
–Niente panico, ti sto solo portando in infermeria – la rassicurò lui facendo levitare la borsa con la bacchetta.
–Proprio non ti arrendi, eh? – commentò lei.
–Vuoi che ti lasci qui un altro po’? – rispose lui ridendo.
La ragazza sbuffò con fare rassegnato.
–Se non altro, sei simpatico – si lasciò sfuggire.
In tutta risposta, Adam non poté fare altro che sorridere.
 
***
 
Jane ed Edmund correvano come forsennati lungo il corridoio, entrambi terrorizzati alla sola idea di trovarsi la Umbridge alle calcagna.
Improvvisamente, i due ragazzi inciamparono in un gradino invisibile e si trovarono riversi lungo il gelido pavimento di pietra.
Sopra di loro, torreggiavano i volti ghignanti di Malfoy, Tiger e Goyle.
–Prendeteli! – ordinò Draco con noncuranza.
I suoi tirapiedi afferrarono i ragazzi per le spalle, costringendoli a levarsi in piedi e inchiodandoli al muro.
–Direi un buon bottino – sogghignò il biondo avvicinandosi a Jane. – Sarebbe perfetto sapere dove sono andati gli altri. Avanti, Potter, dove è andato il tuo adorato fratello?
In tutta risposta, Jane gli sputò in faccia.
Malfoy gridò, coprendosi il volto paonazzo con le mani.
–Sudicia Mezzosangue! – gridò. – Ora ci penso io a scioglierti la lingua.
–Bada a come parli, Malfoy! – ringhiò Edmund, divincolandosi con rabbia dalla stretta di Goyle.
A un freddo cenno di Draco, il suo tirapiedi lo centrò in faccia con un pesante manrovescio.
Mille stelle incandescenti esplosero nel suo campo visivo mentre si afflosciava lungo la parete.
Il dolore era così forte, che il ragazzo credette di perdere i sensi se non fosse stato per il sapore ferruginoso del sangue sulla lingua.
Nel vederlo inerme sul pavimento, Goyle lanciò una risata stupida e prese a tempestarlo di calci.
Jane lanciò un grido straziante, gli occhi carichi di orrore.
–Smettila, ti prego, SMETTILA! Prenditela con me, se sei un uomo! – gridò.
Malfoy sogghignò con aria sadica.
–Allora è vero che hai un debole per Pevensie, eh, Potter? Dimmi dove si trova tuo fratello o lascerò Goyle fare a pezzi il tuo amico.
–Non ce ne sarà bisogno, faccia di merda. Sono qui – irruppe la voce di Harry dal fondo del corridoio.
–Ma che serata proficua! – esclamò Malfoy pelandosi le mani.
Goyle smise all’istante di torreggiare su un semisvenuto Edmund per immobilizzare Hrarry, trascinando anche lui contro la parete.
–Ben fatto, ragazzi – si complimentò la Umbridge, venendo allo scoperto con la bacchetta levata. – Ora venite con me. Andiamo a fare una bella visita a Silente – soggiunse con un ghigno perfido, premurandosi di scortare Harry di persona.
Malfoy scoppiò in una risata untuosa, seguendola a ruota.
Tiger afferrò Jane per i capelli, trascinandola via sgarbatamente, mentre Goyle rimise in piedi Edmund a forza, obbligandolo a camminare.
–Lasciami, mi fai male! – esclamò Jane divincolandosi, ma Tiger la strattonò ancora più forte, strappandole un gemito di dolore.
La ragazza lottava per non voltarsi verso Edmund, che sapeva dietro di lei: non voleva dare un’ulteriore soddisfazione ai loro aguzzini.
Le lacrime le bruciavano più che mai agli angoli degli occhi, ma la ragazza riuscì a dominarle.
L’ufficio di Silente era già occupato da Kingsley Shaklebolt e Caspian.
In un angolo della stanza, immobilizzata per un braccio da Pansy Parkinson, stava Marietta Edgecombe, l’amica di Cho, che tentava disperatamente di nascondersi il volto dietro la mano libera.
–Li abbiamo presi, proprio nel posto in cui diceva la signorina Edgecombe! – annunciò la Umbridge trionfante mentre trascinava i prigionieri di fronte a Silente. – Questi ragazzi stavano tentando di scappare e hanno persino aggredito la Squadra di Inquisizione nel tentativo di riuscirci. Ha ancora qualcosa da obbiettare sulla loro immediata espulsione?
–Incredibilmente sì, Dolores – rispose Silente con calma. – Vede, se c’è qualcuno da incriminare, quello sono io. Io ho dato a Harry l’idea di creare un esercito con il quale avrei un giorno rovesciato il Ministero della Magia. Io gli ho detto dove poteva nascondersi e trovare i libri di incantesimi. Il ragazzo non sapeva nulla dei miei piani. Ne è stato solo l’esecutore involontario, dovuto alla sua costante ma ingenua lealtà. Non sia troppo severa con lui.
–Allora è vero! – esclamò lei, il volto deformato da un’espressione folle.
–Assolutamente – rispose Silente sfoderando un sorriso sornione.
–Shaklebolt! Von Telmar! – squittì la Umbridge. – PRENDETELO!
–Temo che stia trascurando un particolare importante, Dolores – intervenne il Preside levandosi in piedi. – Non potete pretendere di arrestarmi senza che io opponga resistenza.
–Ah, no? Be’, lo vedremo!
La Umbridge colpì per prima.
Il suo incantesimo non era ancora andato a segno che Silente, con un sorriso furbo, batté le mani a mezz’aria, raggiunto al volo da Fanny.
Entrambi svanirono in una vampa di fuoco, lasciando tutti di stucco.
Persino Marietta aveva scostato la mano dagli occhi, lasciando scoperto il volto butterato da un’acne spaventosa che formava la parola SPIA.
–Non può essere andato lontano. Trovatelo! – sbraitò la Umbridge, rossa di rabbia.
I due Auror non se lo fecero ripetere e si dileguarono per le scale, fingendo di gettarsi in una ricerca frenetica.
–Voi sparite nei vostri dormitori. Ne riparleremo, sulla vostra punizione – ringhiò l’Inquisitore, gettandosi a sua volta all’inseguimento, seguita a ruota dalla Squadra di Inquisizione.
Marietta si divincolò come una furia dalla presa di Pansy, svignandosela anche lei.
Rimasti soli, i Potter volsero lo sguardo verso Edmund, abbandonato sul pavimento, imbrattandolo con il sangue che gli sgorgava copioso dal labbro spaccato.
–Deve andare in infermeria – disse Harry preoccupato.
–Ci penso io – si offrì Jane. – Sarà meglio se torni nel dormitorio a controllare che gli altri stiano bene.
–Hai ragione. Mi raccomando, non fare tardi.
–Tranquillo.
Jane aiutò Edmund a rialzarsi, prendendo a trascinarlo giù per le scale.
Il ragazzo ansimava vistosamente, il colletto della camicia ormai lordo di sangue.
A un certo punto, si accasciò lungo una colonna con un gemito, la mano premuta contro il fianco.
–Ed, che succede? – esclamò Jane preoccupata.
Il ragazzo non rispose, premendo la mano ancora più forte come se fosse scosso da dei dolori atroci.
–Fermo, non farlo! Potrebbe esserci un’emorragia interna! – lo bloccò la ragazza scostandogli il braccio e denudandogli il fianco.
La pelle aveva assunto un colore violaceo nel punto in cui Goyle aveva infierito a suon di calci.
Nel momento in cui Jane lo sfiorò, Edmund lanciò un urlo.
–Calmo, calmo. Hai una costola rotta – disse la ragazza cercando di controllarsi.
Sollevò la bacchetta e inspirò forte.
Reparo – sussurrò.
Improvvisamente, la pelle tornò normale ed Edmund smise all’istante di ansimare.
Jane ripose la bacchetta con aria sollevata, rimettendogli a posto il maglione.
–Per un pelo! – sospirò.
–Perché sempre a me? – gemette il ragazzo furibondo.
–Su, su! C’è di peggio! – lo rassicurò Jane. – Fammi vedere il labbro, piuttosto.
Edmund mugugnò qualcosa, ma non oppose resistenza nel momento in cui la ragazza estrasse un fazzoletto e prese a tamponargli con delicatezza il labbro inferiore.
–Ti rompi sempre lì. Un  po’ come succede con il braccio destro di Harry – commentò lei con tenerezza.
–Avrei tanto voluto evitarlo – protestò lui profondamente imbarazzato.
–Per tua fortuna, sono abituata a fare da crocerossina – rispose Jane ridendo.
Edmund non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
–Che canaglie, però – aggiunse Jane, continuando a premere forte il fazzoletto. – Non avrei mai creduto che potessero arrivare a tanto.
–Sono figli di Mangiamorte. Ti aspettavi qualcosa di diverso?
–Uno spera sempre nelle nuove generazioni. Te la senti di andare in infermeria? Così, per scrupolo.
Edmund annuì, rialzandosi lentamente.
Jane lo prese sottobraccio e lo accompagnò di sopra.
Madama Chips curò il labbro del ragazzo con una massiccia dose di pomata al Purvincolo e constatò che la costola si era perfettamente risanata.
Sollevati, i ragazzi si avviarono verso i loro dormitori.
–Grazie, per stasera. Se non fosse stato per te, credo che quel pazzo mi avrebbe ucciso – disse Edmund quando giunse il momento di lasciarsi.
–Niente di personale – rispose Jane stringendosi nelle spalle; poi, improvvisamente, gli schioccò un bacio sulla guancia, a pochissimi centimetri dall’angolo della bocca, e sparì a tutta velocità verso la torre di Grifondoro.



Carissime! :)
Vi siete riprese o siete ancora in estasi per queste ultime righe? Ebbene sì, la situazione tra i nostri due pasticcioni sta evolvendo alla grande e presto arriverà il grande momento per entrambi di mettere a nudo i loro sentimenti...okay, okay, per scrivere quella parte mi devo un attimo concentrare: davvero, mi sento più a mio agio nello scrivere le scene splatter piuttosto che quelle sentimentali. Sarà perché il mio romanticismo è fuori luogo quanto i Rammstein sulla spiaggia nel video di "Mein Land"? * chi sta seguento "L'ultima notte" sa a che cosa mi riferisco, vero Rosalie? * Comunque, prenderò questa storia come una sfida: alla fine, riuscirò a tingere questa storia di rosa!

Scommetto che nel leggere questo capitolo la mia amica Joy_10 avrà sorriso più di una volta: ebbene sì, a noi i nostri protagonisti maschili piace maltrattarli! ;)

Purtroppo la settimana prossima non potrò aggiornare. Ci rivediamo tutti martedì 29. Buona Pasqua e statemi bene! :D
Un abbraccio fortissimo! :)

F.

P. S. Come dimenticarlo? Ecco il link della mia pagina facebook:
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Capitolo 21
*** Disordine ***




CAPITOLO 21

Disordine

~

 
 
 
 
 
 
Dalla notte della fuga di Silente, Hogwarts sprofondò nel caos più totale.
Improvvisamente, tra le mura del castello tutti sembravano essersi coalizzati in una sorta di ribellione silenziosa contro la Umbridge e la Squadra di Inquisizione.
Incidenti e disordini erano all’ordine del giorno, alcuni di essi talmente assurdi da rendere palese la loro assoluta mancanza di casualità, anche se era impossibile scovare il colpevole visto che tutti sembravano non aver notato nulla di strano.
I più colpiti erano proprio i Serpeverde, i quali si presentavano spesso a lezione con la pelle piena di pustole o con imbarazzanti protuberanze che sbucavano da diversi punti del corpo.
Montague, il gigantesco Portiere della squadra di Quiddich, sparì per una settimana e fu ripescato in stato confusionale sopra la tazza del bagno delle femmine, tra gli ululati di Mirtilla Malcontenta.
Visto che non riusciva a fronteggiare in alcun modo le orde di studenti che svenivano, vomitavano o perdevano litri di sangue dal naso durante le sue ore (tutto merito delle Merendine Marinare di Fred e George), delle scritte che improvvisamente andavano a imbrattare i muri dei corridoi e delle aule e dei bagni che traboccavano ogni genere di schifezza, la Umbridge decise di mettere in punizione intere classi, sperando così di scoraggiare il colpevole, ma a ogni serie di torture la sua tenacia sembrava aumentare sempre di più, affinando la sua tecnica di genio del male fino ad arrivare a livelli inimmaginabili.
A fare le spese delle persecuzioni furono soprattutto gli studenti del primo anno, dal momento che l’Inquisitore Supremo riteneva che loro giovani menti fossero le più facili da traviare.
Era ormai l’ora di cena quando Fred e George, ormai venerati in tutta la scuola come due veri eroi, attraversarono il porticato d’ingresso per andare nella Sala Grande.
Improvvisamente, dei singhiozzi sommessi attirarono la loro attenzione.
−Non è niente, Nigel. Vedrai che passerà – stava dicendo dolcemente la voce di Lucy Pevensie da dietro una colonna.
−Fa male! Brucia! – piagnucolò la voce di lui.
−Che succede qui? – domandò Fred avvicinandosi.
La scena che si presentò davanti ai due gemelli li lasciò entrambi interdetti.
Lucy e Nigel erano seduti sul muretto del portico, lei che reggeva la mano sanguinante di lui, che aveva il volto rigato dalle lacrime.
Sul palmo, le lettere della penna stregata della Umbridge si erano incise così in profondità da non essere più distinguibili, sommerse da un mare di sangue e carne lacerata.
Anche Lucy aveva la destra fasciata da una benda piena di macchie rosse.
Non appena li videro arrivare, i due ragazzini si affrettarono a nascondere le ferite dietro la schiena.
−Quella donna è un mostro! – esclamò George scandalizzato.
−Fate vedere, piccoli. Non dovete vergognarvi. Piuttosto, dovremo essere noi a scontare la punizione – disse Fred desolato, afferrando la mano di Nigel. – Vulneras Sanentur – sussurrò levando la bacchetta.
Subito, la carne si ricostituì perfettamente, lasciando solo un segno rosso al posto delle ferite.
−Grazie! – esclamò Nigel debolmente, gli occhi ancora colmi di lacrime.
Nel frattempo, George aveva appena guarito Lucy, che gli lanciò un sorriso raggiante.
−Allora, che cosa avete combinato? – domandò questi.
−Un ragazzo del nostro dormitorio ha lanciato un’intera confezione di Caccabombe in mezzo all’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, ma non ha voluto confessare il misfatto. E un suo amico del primo anno ha liberato una generosa quantità di Fuochi d’Artificio Filibustier – rispose Lucy.
−Voi matricole siete sempre le migliori! – rise Fred scompigliandole i capelli rossicci.
−Giusto, fratello. Credo che sia giunto il momento di lasciare a loro il nostro testimone – soggiunse George.
−Che volete dire? – domandò Nigel perplesso.
−Ormai io e Fred siamo maggiorenni. Abbiamo ben altri progetti per la testa, piuttosto che stare rinchiusi qui dentro a prendere ordini da quella vecchia rospa. Dico bene, fratello?
−Hai assolutamente ragione, George.
−Ci stavamo riservando il gran finale per il giorno degli esami, ma il futuro non può attendere.
−Che cosa avete in mente di fare? – domandò Lucy preoccupata.
−Lo vedrete – rispose Fred facendole l’occhiolino. – Mi raccomando, acqua in bocca!
−Dateci il tempo di procurarci un paio di cose e daremo inizio allo spettacolo – fece eco George. – Ora però dobbiamo andare. Meglio non far tardi per la cena. Ci vediamo, belli!
I due gemelli si allontanarono ridacchiando, mentre il cielo si riempiva rapidamente di stelle.
Una frizzante aria primaverile gonfiava i mantelli strappando un brivido a coloro che li indossavano.
−Credi che raderanno al suolo la scuola? – domandò Nigel pochi istanti dopo.
−Spero di no – rispose Lucy preoccupata. – Hai idea di come reagirebbe mia sorella se accadesse?
Pochi giorni dopo, una serie di esplosioni interruppero per l’ennesima volta la lezione di Difesa Contro le Arti Oscure.
Quando la Umbridge fece per andare a vedere che cosa stava accadendo, venne letteralmente travolta da una valanga di fuochi d’artificio che invasero completamente l’aula, seminando il panico tra gli studenti.
Sconvolta e bruciacchiata, la Preside tentò di fermarli a colpi di bacchetta, ma a ogni incantesimo quelli aumentavano di dimensioni e quantità.
Nell’arco di pochissimi minuti, l’intera scuola era un unico, gigantesco spettacolo pirotecnico.
C’erano bengala infuocati, petardi dall’odore nauseabondo che facevano rumori imbarazzanti quando esplodevano, fuochi talmente grandi da prendere le sembianze di draghi e altre creature fantastiche, altri che invece tracciavano parolacce lunghe dodici metri.
Ma non era finita lì. L’intero secondo piano, infatti, era stato completamente invaso da una distesa d’acqua pestilenziale, a tal punto che il povero Gazza si vide costretto a traghettare da una parte all’altra gli studenti che dovevano andare a lezione.
Dal loro canto, i professori finsero di ignorare completamente quanto stava accadendo, limitandosi a chiamare distrattamente i membri della Squadra d’Inquisizione nella vana e divertita speranza che riprendessero il controllo della situazione.
Quando ormai l’intero castello si era riversato all’esterno, tra studenti schiamazzanti e bruciacchiati, arrivarono loro, le vere star della scuola.
Fred e George sorvolarono la folla a cavallo delle loro scope, dopo aver scassinato l’ufficio della Umbridge, inondandola di volantini che pubblicizzavano l’imminente apertura del loro negozio di scherzi a Diagon Alley.
−Non dimenticatevi di noi! – gridò Fred levando in aria il pugno come un condottiero vittorioso.
−Già, continuate a perpetuare la nostra opera contro quella maledetta megera! Che non ci sia più un giorno di tregua a Hogwarts fino a quando non tornerà il suo vero Preside, Albus Silente! − gli fece eco George, acclamato da tutti.
−FERMATELI! – ululò la Umbridge, fumante di rabbia e per le numerose bruciature sul cardigan rosa.
Ma prima ancora che un solo incantesimo potesse partire contro di loro, i gemelli Weasley erano già sfrecciati via nel cielo infuocato dal tramonto, sparendo per sempre alla vista.
Di una cosa erano certi: Hogwarts non li avrebbe dimenticati tanto facilmente.
 
***
   
Dopo l’eroica fuga di Fred e George, la situazione a Hogwarts sembrava completamente sfuggita di mano.
Molti studenti, ispirati dal loro esempio, decisero di imitarli escogitando scherzi ancora più eclatanti.
Finiti i fuochi d’artificio dei due gemelli, vennero presto rimpiazzati da altri ancora più potenti, importati direttamente da Diagon Alley.
Ormai la Umbridge non sapeva più che pesci prendere e, ormai arrivata allo stremo, dovette rinunciare alle sue orribili punizioni per via delle ondate di gufi di protesta da parte delle famiglie, compreso quello della madre di Adam, che al Ministero faceva tremare di paura maghi e streghe a prescindere dal ruolo che occupavano al suo interno.
L’atmosfera goliardica generale non aveva però inciso sugli studenti del quinto anno, ormai arrivati alla paranoia per i G.U.F.O. imminenti.
I gemelli Potter erano quelli diventati più insopportabili.
Jane in particolare si era completamente isolata dal mondo, rispondendo male per qualsiasi cosa.
Nessuno sapeva che cosa avesse, a parte Voldemort che dava la caccia a lei e a Harry appena fuori dalle mura del castello e le vessazioni della Umbridge.
In effetti, la stessa Jane si vergognava ad ammettere la causa del suo costante malumore, ritenendola stupida e inutile.
Tutto era cominciato il giorno della finale di Quiddich, vinta per il quarto anno consecutivo dal Grifondoro.
Non era bastato che Hagrid facesse irruzione in piena partita per presentare loro il suo colossale fratello minore, trascinato a forza dalla Siberia per non farlo ammazzare dai suoi simili e confinato nel cuore della Foresta Proibita, con sommo disappunto dei Centauri.
Non era sufficiente venire a sapere che, in caso di fuga del loro amico, avrebbero dovuto fare da baby sitter al gigante.
Ci si era messo anche Ron a complicare la situazione, il Re della giornata, che aveva totalizzato in pochi minuti un numero spettacolare di parate che avevano sancito la vittoria definitiva della loro Casa.
Era accaduto tutto alla festa organizzata alla torre di Grifondoro, quando, nel caos generale, il rosso aveva preso il volto di Jane tra le mani e le aveva baciato i capelli davanti a tutti.
–Lo fa per amicizia, niente di che – aveva puntualizzato subito Hermione.
Non poteva uscirsene con una frase peggiore.
Da quel momento in poi, Jane era diventata una tomba.
Non parlava quasi con nessuno e si faceva vedere di rado.
Aveva allentato i rapporti persino con Edmund, nonostante solo poche settimane prima lo avesse assistito senza alcun pudore e gli avesse stampato un sonoro bacio sulla guancia.
Non sapeva perché, ma di colpo la vista del ragazzo la infastidiva più di ogni altra cosa.
Non sopportava che parlasse con altre ragazze, che stesse da solo con Adam al tavolo di Serpeverde.
In fondo, dopo quell’episodio, non lo aveva più cercato.
Aveva paura di essersi sbilanciata troppo, di aver fatto capire cose che non erano vere, o meglio, che non voleva ammettere.
In fondo, lei ed Edmund erano solo amici, no?
Che senso aveva tutto questo?
Jane non lo sapeva, né lo voleva sapere.
Trascorreva le sue serate distesa a pancia in su sul suo letto, con le cuffie infilate nelle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto.
Sentiva le risate degli amici al piano di sotto, ma non voleva scendere.
Sapeva che negli ultimi tempi Hermione, non contenta di averle soffiato Ron, si era avvicinata molto anche a Edmund.
Li vedeva spesso insieme a chiacchierare e confidarsi come due amici di vecchia data.
Negli ultimi tempi, era più probabile che il ragazzo si sedesse vicino a lei piuttosto che a Jane.
In fondo, Hermione era sempre stata un gradino più in alto di Potter bis. Era molto più bella di lei, i suoi voti a scuola erano insuperabili ed era molto spigliata e sicura di sé.
Niente a vedere con quella specie di scricciolo nodoso e mingherlino qual era Jane, troppo sensibile a ciò che pensavano gli altri, troppo orgogliosa per donare loro una parte di sé.
Non era stata brava, tutto qui.
Del resto, con il peso che si trovava sulle spalle, non aveva altra scelta se non quella di restare da sola.
Meglio pensare agli esami.
Per fortuna, dopo aver tagliato definitivamente i ponti con Cho, Harry era tornato il fratello presente e affettuoso di sempre.
Era l’unico con cui Jane potesse trascorrere un po’ di serenità.
In fondo, stavano combattendo entrambi la stessa battaglia. Si capivano a vicenda, i due gemelli.
Molte volte si scambiavano parole di conforto, altre si limitavano a stendersi uno accanto all’altro, dividendo lo stesso auricolare.
Facevano un po’ per uno, nella scelta delle canzoni.
Harry amava i REM, i Kean e i Green Day, mentre Jane preferiva gli Oasis, The Killers e I Simple Plan. Entrambi andavano d’accordo su The Ark e gli U2.
Anche Neville si stava mostrando un caro amico.
Era l’unico ragazzo oltre a Harry con cui Jane parlasse, anche se non toccavano mai l’argomento Edmund.
Ora che l’ES era stato definitivamente sciolto, Jane si limitava a insegnare qualche ulteriore incantesimo all’amico, ignorando che nel mentre quest’ultimo stava facendo da tramite a Edmund, anche lui confuso e preoccupato ai massimi storici.
Lo stesso valeva per Luna, con cui stava nascendo una bellissima amicizia.
Fu proprio dalla frequentazione con Luna che Edmund capì che differenza ci fosse tra lei e Jane.
Con la bionda Lovegood parlava e scherzava tranquillamente, ma c’era sempre una sorta di barriera a dividerli, un limite che non si poteva superare.
Con Jane era tutto diverso.
Non era solo lo stare bene insieme.
Era tutto.
Una sensazione indescrivibile che faceva capire che sarebbe stata solo lei la persona che avrebbe voluto al suo fianco.
Al solo pensiero, sommato all’improvviso silenzio della ragazza, Edmund si sentiva sciogliere le ginocchia dalla paura.
–Lei sta pensando le stesse cose che pensi tu – lo rincuorava Luna con tranquillità. – Ron l’ha molto ferita e ha paura che succeda la stessa cosa con te. Tutto qui.
Anche Hermione era dello stesso avviso, solo che il suo punto di vista era decisamente più pratico.
Per questo la sera prima dell’esame, senza dire niente a nessuno, fece irruzione nel dormitorio femminile, trovando Jane distesa sul letto esattamente come si era aspettata.
–Allora, stai aspettando la fine dell’esame o tutta l’eternità per farti rivedere in giro? – le chiese strappandole le cuffie dalle orecchie.
Jane trasalì irritata, lanciandole un’occhiata omicida.
–Scusami, stasera non ho voglia di discutere – si schermì rannicchiandosi contro il cuscino.
–Lo faccio per il tuo bene, Jane. Per il vostro bene. 
–Mio e di chi, scusa?
–Edmund. Chi altri?
–Non gli avrai per caso…
Hermione incrociò le braccia con fare di sfida.
–Gli stai facendo rodere il fegato, a quel povero ragazzo – disse con determinazione.
–Ah, tu lo sai meglio di me, giusto? – sputò Jane furibonda, decisa a vuotarle addosso tutto il veleno che le scorreva dentro. – Non ti bastava Ron? A me Edmund piace! State sempre insieme voi due e io non vi sopporto più! Dopo avergli salvato la vita, essergli stato vicino tutto questo tempo…e ora mi tocca vedermelo portare via da te! Ti credevo mia amica!
–Jane, ma che cazzo dici?
La ragazza trasalì. Sentir dire una parolaccia da Hermione poteva significare solo che la fine del mondo era vicina.
–Non pensavo che i tuoi film mentali avessero superato nettamente il livello da Oscar – proseguì l’amica profondamente offesa. – Sai qual è il tuo problema? Non sai distinguere l’amore dall’amicizia. Non lo vedi come ti guarda Edmund? Come arrossisce quando ti avvicini? Come abbassa gli occhi quando gli parli? Come si arrabbia se per caso qualcuno si intromette mentre state da soli, soprattutto Ron? Credi forse che lo faccia per scortesia, lui che, nonostante tutto, si comporta da vero gentiluomo meglio di chiunque altro in questo castello?
Jane abbassò lo sguardo, sentendosi sprofondare.
–E che ne so? – brontolò furiosa.
–Per tua informazione, Edmund Pevensie è cotto di te dal primo momento che ti ha vista. Sei sempre nei suoi pensieri.
–Questa te la sei inventata tu.
–No, me l’ha detta lui.
A quell’affermazione, per poco gli occhi di Jane non schizzarono fuori dalle orbite.
–CHE COSA?! Non gli avrai per caso scagliato addosso la Maledizione Cruciatus per farlo cantare, spero!
In tutta risposta, Hermione scoppiò in una fragorosa risata.
–No, ha fatto tutto da solo. Non aveva altra scelta. Di colpo sei sparita nel nulla e lui non sa più come fare per parlarti. Ha detto tutto a me, Neville e Luna. Harry non sa niente perché ha paura che la prenda male.
–E chi la prende male? – esclamò Jane come in trance.
Hermione le strizzò un occhio.
L’altra si prese la testa tra le mani, scoppiando in singhiozzi.
–Mio Dio, che cosa ho fatto? Come ho potuto? – gemette.
Hermione le sorrise dolcemente, stringendola in un caloroso abbraccio.
Jane le si aggrappò addosso come se temesse di vederla scivolare via da un momento all’altro.
–Scusami, Herm. Sono stata una vera stronza con tutti voi.
–Sssssh, tranquilla. Va tutto bene.
Hermione le baciò i capelli per confortarla.
Improvvisamente, la loro straordinaria amicizia era ritornata più forte di prima.
–Che faccio adesso? – domandò Jane a un certo punto, prendendosi la testa tra le mani.
–Come minimo dovresti andare da lui a chiedergli scusa e magari dirgli che cosa provi. Sono certa che gli farà molto piacere – rispose l’amica sorridendo.
–Domani. Domani dopo l’esame andrò da lui e vuoterò il sacco – rispose Jane con determinazione.
–Così mi piaci! – esclamò Hermione strizzandole un occhio. – Te l’avevo detto che un giorno avresti trovato un ragazzo che avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti.
Quella notte, Jane non riuscì a chiudere occhio.
Il suo cuore le martellava contro le costole come un cavallo al galoppo.
L’indomani, forse, sarebbe stato il giorno più bello della sua vita.
 
***
   
I G.U.F.O. si rivelarono un vero e proprio sequestro di persona.
I ragazzi del quinto anno restarono chiusi nella Sala Grande per tre giorni di fila, chini sulle file di banchi che erano andati a sostituire i tavoli e le panche che la occupavano solitamente.
La commissione, scelta personalmente dal Ministro della Magia, era assolutamente inflessibile ed esigente.
Non ci si poteva scambiare neppure uno sguardo senza essere severamente redarguiti.
Inutile dire che alla fine delle prove Jane era così stremata da non trovare le forze di andare al tavolo di Serpeverde e chiedere a Edmund di parlare un attimo da soli.
Era una cosa troppo delicata per affrontarla con il cervello in stand-by.
Dal canto suo, Hermione non la incoraggiava. Sapeva che la faccenda era troppo importante per lei e di quanto Jane, troppo simile a Harry, si facesse prendere dal panico in queste situazioni.
–Domani, dopo il compito di Storia della Magia – dichiarò Jane la notte prima dell’ultima prova.
Il giorno seguente, la ragazza non riusciva a concentrarsi. Scrisse quattro stupidaggini sul suo foglio di pergamena, finendo secoli prima dei compagni e trascorrendo il resto del tempo a guardare per aria, la testa immersa in tutte le catastrofiche prospettive che la aspettavano una volta sola con Edmund e lo stomaco sigillato in una morsa.
L’enorme orologio appeso al muro annunciava che mancavano cinque minuti alla fine del compito.
Ora Ed sta a Erbologia. Mi incammino verso le serre e gli chiedo se vuole aiutarmi a dar da mangiare a Ulisse.
Quattro minuti.
Che faccio, mi scuso per non avergli rivolto la parola per settimane? Forse è il caso…
Tre minuti.
E poi che gli dico? Prendo tempo o affronto subito il discorso?
Due minuti.
Ma come si fa a dirgli una cosa del genere? “Ciao, Edmund! Volevo dirti che mi piaci un sacco!”?. No, no, no, è orribile! Non ce la posso fare!
Un minuto.
Non ce la posso fare…ma devo farlo! Okay, calma, Jane. Vai da lui e improvvisa sul momento.
Tempo scaduto.
Sono pronta!
In quel momento, un tonfo sordo fece voltare l’intera Sala Grande.
Harry si era accasciato a terra, le mani premute contro la cicatrice, urlando di dolore.




Buongiorno a tutti! :)
Mi scuso ancora per la mia prolungata assenza...Spero che questo capitolo sia stato sufficiente a compensare l'attesa! Finalmente, Edmund e Jane sono arrivati a una svolta cruciale. Che dite? Riuscirà la nostra Potter a trovare il coraggio di dirgli la verità? O forse ci penserà il destino a far emergere i loro reciproci sentimenti? E come la prenderà quando Voldemort reclamerà Edmund?
Lo saprete nei prossimi capitoli ;)
Ne approfitto di questi giorni per portarmi avanti con la scrittura...
La settimana prossima, scenderemo dritti nel cuore dell'Ufficio Misteri!
Siete pronti alla battaglia? ;)

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina * dovessi aggiornare prima * :
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo 

A presto :D

F.
  
     
   
 
   

  
   
  
 
 
   
 
 

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Capitolo 22
*** Missione al Ministero della Magia ***




CAPITOLO 22

Missione al Ministero della Magia

~

 
 
 
 
 
 
Jane rimase come pietrificata.
Erano anni che non sentiva suo fratello urlare in quel modo, con le mani premute contro la cicatrice in fiamme.
Fu come risprofondare nell’incubo dei primi tempi nel mondo magico, quando sembrava che Voldemort si nascondesse ovunque.
Senza curarsi delle decine di sguardi puntati su di lei, la ragazza attraversò di corsa le file di banchi per inginocchiarsi accanto a Harry, prendendogli il volto tra le mani.
Un attimo dopo, i loro occhi verdissimi si incontrarono.
–Felpato – sussurrò il ragazzo a mezza voce. – Ha preso Felpato.
Jane si sentì stringere lo stomaco in una morsa d’acciaio.
Era fin troppo chiaro che Harry aveva appena avuto un’altra visione.
La cicatrice aveva assunto un allarmante color rosso sangue, come accadeva ogni volta che Voldemort era vicino, dannatamente vicino.
–Mio fratello non si sente molto bene – disse la ragazza rivolgendosi alla commissione. – Posso accompagnarlo in infermeria? Stavo giusto per consegnare.
Gli anziani esaminatori si lanciarono un’occhiata di sottecchi, poi il presidente rivolse alla ragazza un rapido cenno d’assenso.
Jane rivolse loro un timido sorriso di riconoscenza, aiutando Harry a rimettersi in piedi e accompagnandolo fuori dalla Sala Grande, il suo braccio sottile stretto attorno alle sue spalle.
–Sei sicuro di quello che hai visto? – gli chiese una volta al sicuro da orecchie indiscrete.
–Eccome se sono sicuro! – esclamò Harry con il fiato mozzo. – Ero di nuovo nella testa di Voldemort. Ho visto tutto.
–Sssssh, calmati, per favore! Raccontami la visione.
–Voldemort ha portato Sirius nell’Ufficio Misteri. Voleva costringerlo a prendere una cosa per lui, una specie di sfera di cristallo, ma Sirius si è rifiutato e allora… – Harry represse a fatica un gemito di dolore, portandosi una mano alla cicatrice. – Lo sta torturando, forse da ore. Ha detto che lo ucciderà, alla fine.
Gli occhi di Jane si colmarono di orrore.
–Che facciamo? – domandò in preda al panico.
–Dobbiamo andare da lui!
–No! E se fosse quello che Voldemort vuole?
–Jane, per favore! Sirius morirà, se non interveniamo! Lo abbiamo fatto tante altre volte.
–Allora Voldemort non era altro che un’inoffensiva nuvola di vapore e niente più. Ora è tornato ed è più pericoloso che mai. Non so quante possibilità avremo di sfuggirgli.
–Io ci sono riuscito lo scorso giugno! Da solo!
–Non mi va di sfidare la sorte in questo modo, fratello. Abbiamo bisogno di un aiuto per riuscire a entrare lì dentro.
–Non dire sciocchezze. Ci siamo già stati, sappiamo come fare.
–Dove credete di andare? – domandò in quel momento la vocetta acuta di Hermione alle loro spalle.
Entrambi i gemelli trasalirono nel momento in cui se la videro comparire davanti seguita a ruota da Ron, Neville e Susan.
–Voldemort ha preso Sirius e lo ha portato nell’Ufficio Misteri. Qualcuno dica a mio fratello che è una follia cercare di andarlo a recuperare da soli – disse Jane con determinazione.
–Parla quella che l’anno scorso è andata di sana pianta dritta dentro la casa di Alhena Black – la beccò Harry furibondo.
–Ed è stata una sciocchezza, lo so – tagliò corto l’altra esasperata.
–Jane ha ragione. Se davvero Voldemort è a conoscenza del fatto che le vostre menti sono unite, userei questa risorsa per farti fare esattamente quello che voglio – osservò Hermione saggiamente.
–Vi sembra questo il momento di stare a discutere? Ogni minuto perso potrebbe essere sottratto alla vita di Sirius! – ululò Harry sul punto di esplodere.
–Calma, dimentichi che noi possiamo sapere se Sirius è stato veramente rapito – proseguì Hermione.
–Ah, sì? E come?
–L’Ordine della Fenice, ovvio.
–E come credi di riuscire a contattarli, con tutti i camini della scuola controllati dalla Umbridge?
–Si dà il caso che ce ne sia uno che non lo è affatto: il suo!
Un lampo di gelo percorse i ragazzi al solo pensiero di penetrare di nascosto nell’ufficio dell’Inquisitore Supremo.
Ma, in fondo, che scelta avevano?
–Dobbiamo lavorare di squadra per riuscire a distrarla – intervenne Neville. – Per esempio, io e Ginny potremmo andare al secondo piano e dire che è pieno di Gas Strozzante. Con tutto il macello che sta succedendo in questi giorni, credo che basti la parola per scatenare il panico.
–Ottima idea, Neville! Io e Ron, invece, potremmo distrarre Gazza dicendogli che Pix sta radendo al suolo il Dipartimento di Trasfigurazione – soggiunse Susan in tono pratico.
–Potremmo andare direttamente da Pix per farglielo fare per davvero – azzardò Ron.
–Hai le spalle coperte, Harry. Devi solo entrare in quell’ufficio e cercare di scoprire la verità – disse Hermione determinata.
Il ragazzo posò lo sguardo su ciascuno di loro con aria critica, pronto a rovesciargli addosso uno dei suoi celebri monologhi sul fatto che non volesse mettere in mezzo nessuno, quando l’ennesima fitta alla cicatrice gli fece capire che era meglio sbrigarsi ad attuare il piano.
Dopo essersi divisi i compiti, Harry, Jane e Hermione sgattaiolarono verso l’ufficio della Umbridge, appostandosi dietro l’angolo.
Dopo pochi minuti, un ragazzo di Serpeverde bussò alla sua porta, affermando che il corridoio del secondo piano era pieno di Gas Strozzante e che due studentesse del secondo anno avevano appena rischiato la vita.
Non aveva nemmeno finito la frase, che la Preside si era lanciata fuori dalla stanza, sparendo come una furia oltre le scale con il ragazzo al seguito.
Con un sorriso di intesa, i ragazzi sgusciarono nell’ufficio.
Hermione e Jane si misero di guardia con le bacchette sguainate, mentre Harry afferrava una manciata di Polvere Volante e la lanciava nel caminetto acceso.
Subito le fiamme divennero di un acceso color verde brillante.
–Numero 12 di Grimmauld Place – disse il ragazzo mentre la cenere infuocata gli entrava nelle narici.
Subito ebbe la sgradevole sensazione che la testa gli si staccasse dal corpo e venisse lanciata a chilometri di distanza.
Un attimo dopo, nel suo campo visivo comparve una squallida stanzetta semibuia, in cui si intravedevano le gambe di molte sedie: la cucina di Sirius. La figura incartapecorita di un vecchio Elfo Domestico si aggirava sul pavimento sudicio.
–Kreacher! Ehi, Kreacher! – lo chiamò Harry disperatamente.
La creatura gli lanciò un’occhiata velenosa con i grandi occhi acquosi.
–Cosa desidera Harry Potter dal povero Kreacher? – domandò con falsa cortesia.
–Dov’è Sirius?
–Uscito.
–Come sarebbe a dire uscito? Per dove? Quando se n’è andato?
–Padron Sirius è uscito diverse ore fa e non è più tornato.
–Aveva detto dove andava?
Harry non riuscì a finire la frase.
Una morsa d’acciaio gli si strinse attorno alla gola, scaraventandogli la testa all’indietro.
In un attimo, tutto fu cenere e fumo, che gli invasero i polmoni come una pioggia di fuoco.
Poi, il ragazzo si ritrovò a pochi centimetri dagli occhi da rospo della Umbridge, che gli premeva la bacchetta sulla gola, tenendolo per i capelli.
Hermione e Jane erano inchiodate al muro, le mani bloccate da diversi giri di corda e tenute sotto tiro dal ragazzo di Serpeverde che era venuto a dare l’allarme.
Un attimo dopo, Malfoy e i suoi sgherri entrarono nella stanza, trascinandosi dietro Susan, Ron, Neville e, con somma sorpresa dei loro amici, Luna ed Edmund.
–Beccato mentre tentava di difendere la sorella – disse Malfoy rivolto a quest’ultimo, mentre Tiger gli mollava un violento spintone.
Il ragazzo non disse nulla, tenendo gli occhi bassi e le spalle curve.
Come gli altri, era stato legato e imbavagliato.
–Ottimo lavoro, ragazzi – si complimentò la Umbridge compiaciuta. – Credo che stanotte a Hogwarts ci saranno un bel po’ di espulsioni. E ora veniamo a noi, signor Potter. Con chi stava cercando di mettersi in contatto?
–Sono affari miei! – rispose lui sfacciatamente.
In tutta risposta, la Umbridge gli assestò uno schiaffo talmente forte da mozzargli il fiato in gola.
Jane lanciò un urlo, cercando disperatamente di divincolarsi dai legacci che la imprigionavano.
–Non importa. Se non vuole parlare di sua spontanea volontà, allora non mi lascia altra scelta. Signor Malfoy! Mi vada a chiamare il professor Piton, per favore.
A quella notizia, Harry si sentì sciogliere.
Forse c’era ancora una speranza.
Pochi minuti dopo, il professor Piton varcò la soglia dell’ufficio.
Il ragazzo non era mai stato così felice di vederlo in vita sua.
–Mi avete fatto chiamare, signora Preside? – domandò con la sua solita voce untuosa.
–Mi serve immediatamente una dose di Veritaserum per interrogare il signor Potter – rispose la Umbridge in tono imperioso.
–Sono spiacente, ma avete finito tutte le mie scorte per interrogare gli studenti sospettati di illegalità. A meno che non voglia avvelenare Potter, e in tal caso avrebbe tutta la mia simpatia, non potrò fornirle dell’altro Veritaserum se non prima di un mese.
–Grazie lo stesso, Severus. Il suo contributo non è più richiesto in questa faccenda – tagliò corto la Umbridge fumante di rabbia.
–HA PRESO FELPATO! LO HA PORTATO NELLA STANZA DOV’Ѐ NASCOSTA! – gridò Harry non appena vide che il professore stava per lasciare la stanza.
–Felpato? Chi è Felpato? – domandò la Umbridge sospettosa.
–Non ne ho idea. In fondo, sappiamo tutti che Potter è pazzo. Buona serata – rispose Piton, congedandosi in tutta fretta.
Se c’era ancora una speranza di salvare Sirius, era scivolata via dalle loro mani proprio in quell’istante.
–Non importa. Vuol dire che lei non mi lascia nessun’altra alternativa, signor Potter – proseguì la Umbridge con calma. – La Maledizione Cruciatus basterà a scioglierle la lingua.
–NOOOOOOO!!!!!
Sia Jane che Hermione lanciarono un urlo, mentre Edmund e Neville presero a divincolarsi come due furie.
Nel vedere che la Umbridge stava puntando con sadica calma la bacchetta contro Harry, Jane sferrò un calcio negli stinchi di Goyle, facendo per liberarsi, ma il ragazzo l’afferrò per i capelli e la scaraventò a terra, inchiodandole la faccia al pavimento.
Edmund urlò, ritrovandosi la bacchetta di Montague conficcata nel pomo di Adamo.
–Tu, carina, hai qualcosa da dire? – domandò la Umbridge con voce zuccherosa, afferrando Jane sotto il mento e costringendola ad alzare la testa.
–Vecchia vigliacca schifosa! – ringhiò la ragazza fissandola con odio.
Crucio!
L’intera stanza venne invasa dalle urla di Jane, che si accasciò a terra prendendo a contorcersi in preda al dolore atroce che le divorava ogni singolo centimetro di pelle, come se fosse trafitta da tanti aghi incandescenti.
Nel vedere la ragazza sotto tortura, Edmund perse completamente il lume della ragione.
Soffocando un urlo bestiale, il ragazzo si avventò contro Montague, colpendolo allo stomaco con un calcio; poi si avventò sulla Umbrigde.
Bastò il contatto con le sue mani legate per farla crollare a terra priva di sensi, come se fosse stata colpita da una potentissima scossa elettrica.
Le urla di Jane cessarono all’istante.
Edmund corse al suo fianco, facendole scudo.
Gli occhi della ragazza erano carichi di orrore.
–Attento, Ed!
In quel momento, Malfoy tentò di colpire Edmund alle spalle, ma fu fermato da Susan, che lo centrò con un calcio.
Tutti gli altri prigionieri accorsero in suo aiuto, scagliandosi sui Serpeverde con una ferocia inaudita.
In pochi attimi, tutti furono liberi, mentre l’intera Squadra d’Inquisizione si ritrovò legata e imbavagliata lungo il muro assieme alla Umbridge.
–Jane! – esclamò Harry correndo incontro alla sorella e stringendola tra le braccia.
La ragazza scoppiò in singhiozzi sulla sua spalla, scossa dal dolore e dalla paura.
–Ssshhh, è tutto finito – la confortò il fratello accarezzandole dolcemente i capelli e la schiena.
Edmund restò in disparte, aiutando gli altri a recuperare le loro bacchette.
Aveva il volto pieno di lividi e graffi a seguito della colluttazione, ma poco gli importava.
Nelle sue orecchie echeggiavano ancora le urla di Jane.
Non avrebbe mai creduto che la persona che amava potesse subire ciò che aveva passato lui.
In quel momento, avrebbe tanto voluto uccidere la Umbridge, se solo avesse potuto.
–Sei stato un vero leone, Ed – si complimentò Neville battendogli una pacca sulla spalla, ma lui neanche se ne accorse.
–Allora, come andiamo a Londra? – incalzò in quel momento Ron.
–Dopo tutto quello che è successo, volete ancora andare a Londra? – esclamò Harry esasperato.
–Non hai scuse, Harry. Non ti lasceremo da solo contro il nostro comune nemico. L’ES serviva a questo, no? Essere preparati ad affrontare Voldemort – intervenne Susan.
–Ma non intendevo andare a cercare il pericolo deliberatamente!
–Siamo tuoi amici, Harry, e questa è la nostra battaglia. Del resto, abbiamo forse altra scelta? – osservò Neville.
–D’accordo, d’accordo. E, secondo voi, come andiamo fin laggiù?
–Abbiamo un camino. L’unico che permetta di Smaterializzarci direttamente nel cuore del Ministero – disse Hermione puntando il dito alle sue spalle.
Harry lanciò un’occhiata al focolare.
–Voi siete pazzi – commentò esasperato. – E va bene. Io vado per primo.
–Io chiudo la fila – si offrì Jane.
Harry le mise una mano sulla spalla.
–Sono fiero di te, sorella – disse sorridendole dolcemente.
Jane lo abbracciò forte e gli stampò un sonoro bacio sulla guancia.
–Ci vediamo dopo – gli sussurrò in un orecchio.  
Harry lanciò un profondo sospiro, poi afferrò nuovamente una manciata di Polvere Volante e la scagliò tra le fiamme.
–Al Ministero della Magia! – gridò mentre scompariva nel fuoco.
Gli altri lo seguirono titubanti.
L’ultimo fu Edmund, ancora scosso per quanto accaduto.
–Ehi.
–Cosa c’è?
La ragazza inspirò forte.
Il momento che stava aspettando da giorni era arrivato, eppure improvvisamente sembrava aver perso completamente l’uso della parola.
–Grazie – fu tutto quello che riuscì a dire.
In tutta risposta, Edmund le si avvicinò, stringendola in un abbraccio molto diverso da quelli che si era abituata a ricevere da lui.
La sua stretta si era fatta improvvisamente forte, ma allo stesso tempo dolce, come se temesse di spezzarle la schiena da un momento all’altro.
–Ti ricordi della promessa che mi hai fatto tempo fa? – domandò il ragazzo guardandola dritta negli occhi.
–Che non avrei mai permesso a nessuno di farti di nuovo del male? – mormorò Jane a mezza voce.
I loro volti non erano mai stati così vicini.
–Vale anche per te.
Detto questo, Edmund le sfiorò le labbra con le sue.
Jane strabuzzò gli occhi, incredula.
Non si era trattato di un vero bacio…o ?
In quel momento, la ragazza non avrebbe saputo dirlo.
–Niente di personale – disse Edmund abbassando lo sguardo. – Andiamo?
Jane annuì debolmente.
Aveva come l’impressione che le sue ossa si stessero sciogliendo a vista d’occhio.
–Andiamo.




https://www.youtube.com/watch?v=W85beCb0-EA
Peppepeppepepepppeeeeeeeeeeeee buongiorno! :)
Per caso anche voi state facendo i trenini per tutta casa dopo aver letto questa scena? Ebbene sì, ci ho messo una settimana esatta a scrivere le ultime dieci righe, ma ce l'ho fatta! 
Come pensate che evolva la situazione?
E cosa accadrà ora che i nostri eroi si troveranno ad affrontare Voldemort?
Lascio la questione aperta. Nel mentre, godetevi la festa! * io stessa non sono mai stata così felice di scrivere una scena di bacio come questa, forse perché sono particolarmente affezionata ai protagonisti *

Come sempre, vi lascio il link della pagina, dovessi riuscire a scrivere presto il nuovo capitolo e ad aggiornare in anticipo: 
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A presto! :D

F.
  
 
 
    

 

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Capitolo 23
*** Lotta contro le tenebre ***




CAPITOLO 23

Lotta contro le tenebre

~

 
 
 
 
 
 
Quando finalmente Jane ed Edmund sbucarono da uno dei camini dell’Atrium sembrava trascorsa un’eternità.
La ragazza non riusciva ancora a rendersi pienamente conto che solo un minuto prima era stata baciata.
Le sembrava quasi di aver sognato.
Edmund era al suo fianco, silenzioso e immobile come una statua, gli occhi più neri che mai.
La sua mano stesa lungo il fianco era così vicina che a Jane sarebbe bastato allungare le dita di qualche millimetro per afferrargliela, se solo avesse avuto il coraggio, ma un improvviso senso di gelo si era impadronito di lei nel momento in cui aveva visto Harry e gli altri apparire da dietro le fiamme verde smeraldo.
Erano di nuovo in missione, a un passo dal loro nemico mortale.
La ragazza conosceva bene quella sensazione mista a eccitazione e paura.
Con gli anni, aveva imparato a conviverci.
Sapeva che lei e suo fratello avrebbero rischiato la vita ogni giorno, almeno fino a quando Voldemort non sarebbe stato definitivamente sconfitto.
Il loro compito era quello di lottare contro il male, a qualsiasi costo.
Quella volta, però, Jane provò per la prima volta qualcosa di diverso.
Fino a poco tempo prima, poco le importava se probabilmente non sarebbe uscita viva da uno scontro frontale con il nemico.
Ora invece era diverso.
Avvertiva Edmund al suo fianco e ciò la faceva sentire fragile.
Se solo le fosse accaduto qualcosa, qualsiasi cosa, chi si sarebbe preso cura di lui?
E se il ragazzo fosse rimasto ucciso, cosa avrebbe fatto lei?
Al solo pensiero, Jane inorridì.
Non dovevano morire, non quella notte.
Dovevano sopravvivere, a qualsiasi costo.
–Tutto bene? – domandò Harry rivolto alla sorella.
–Sì – annuì lei, assumendo tempestivamente la sua solita aria da dura.
–Restiamo vicini. Seguitemi.
Il Sopravvissuto si incamminò lungo il corridoio deserto dell’Atrium, seguito a ruota dagli altri.
I loro passi rimbombavano spettrali lungo le pietre nere del pavimento.
Oltrepassarono la fontana dei Magici Fratelli e si rinchiusero tutti nel primo ascensore che trovarono, scendendo fino al nono livello.
–Ufficio Misteri – gracchiò una fredda voce femminile non appena il mezzo si arrestò con un tonfo.
I ragazzi si districarono a fatica e si precipitarono nel corridoio vuoto, le bacchette sguainate.
Esattamente come aveva sognato, Harry trovò la porta dell’Ufficio Misteri socchiusa.
La spinse con mano tremante, ritrovandosi all’interno di un’enorme stanza circolare illuminata dalla luce bluastra delle torce, su cui si aprivano almeno una dozzina di altre porte tutte uguali.
–Andiamo dritti – disse Harry con decisione, quando improvvisamente Hermione lanciò un urlo.
Neville aveva appena chiuso la porta da dove erano entrati.
Non era trascorso neppure un istante che l’intera stanza aveva preso a girare su se stessa a una velocità spaventosa, fermandosi  con un rombo sinistro dopo minuti che parvero ore.
–Oh, no! – gemette Jane. – Come facciamo a ritrovare l’uscita?
–Proviamole tutte – disse Harry in tono poco convinto, imboccando la prima porta che gli capitò a tiro.
–Aspettate – intervenne Hermione, rimasta per ultima.
Con un colpo di bacchetta, la ragazza tracciò una croce fiammeggiante sul legno un attimo prima di chiuderla.
–Dove siamo? – domandò Susan atterrita.
Erano arrivati in una sorta di enorme anfiteatro, al centro del quale, simile a un sinistro palcoscenico, sorgeva un’arcata completamente vuota.
Harry la fissava con uno sguardo stranamente vacuo.
–Che succede? – domandò Jane nervosamente.
–Non sentite le voci? – ribatté il ragazzo.
–Certo! – rispose Luna tranquillamente.
Edmund aveva preso improvvisamente a fissarsi le punte dei piedi.
–Non mi piace. Andiamo via, per favore! – squittì Susan.
–Dai, Harry! Ricordati di Sirius! – lo riscosse Jane con veemenza.
Non le piaceva affatto il modo in cui suo fratello si era imbambolato di fronte a quel maledetto arco.
Il ragazzo la seguì titubante, lanciandosi di continuo delle occhiate nervose alle spalle.
Una volta usciti all’esterno, la stanza riprese nuovamente a ruotare su se stessa.
Per fortuna, la croce di Hermione rimase ben in vista per tutto il tempo.
–Proviamo questa – disse Harry infilando un’altra porta a caso.
Questa volta si ritrovarono in una stanza enorme, grande come una cattedrale, in cui erano stipati orologi di tutte le forme e dimensioni all’interno di immensi armadi di cristallo.
–Non è questa – tagliò corto Harry. – Proviamone un’altra.
Al nuovo tentativo, si ritrovarono in una stanza se possibile ancora più inquietante delle precedenti.
L’interno era occupato quasi completamente da un’enorme vasca colma di un liquido verde acido, in cui sguazzavano pigramente delle strane creature viscide e biancastre.
–Cervelli? – esclamò Ron inorridito, avvicinatosi al bordo.
–Andiamo via di qui! – sentenziò Hermione afferrandolo per un braccio. – Non so perché, ma ho una brutta sensazione.
Tentarono una nuova porta, ma questa non volle saperne di aprirsi, neanche con l’uso della magia.
Rassegnati, i ragazzi ne provarono un’altra, questa volta con successo.
–Ѐ questa! – esclamò Harry sottovoce.
Gli altri furono percorsi da un fremito di paura, in particolar modo Edmund.
Jane avvertiva il suo respiro affannoso a pochi centimetri da lei.
Gli afferrò il polso, cercando di fargli forza.
Avvertiva il suo cuore correre come un cavallo impazzito sotto le sue dita.
–State pronti – sussurrò Hermione levando la bacchetta. – Guardatevi alle spalle: potrebbero averci teso un’imboscata.
–Sbrighiamoci! – ringhiò Harry, ormai arrivato al culmine della tensione.
Gli altri lo seguirono nel labirinto di scaffali che si apriva davanti ai loro occhi.
Erano file e file di sfere di cristallo che si levavano dal pavimento fino a sparire nel soffitto buio.
–Che cosa sono? – domandò Susan indicandole.
–Profezie – rispose Hermione. – Tutte le profezie pronunciate dalla notte dei tempi a oggi, credo. Saranno migliaia, forse miliardi.
–Dannazione! – sbottò Harry fermandosi davanti alla fila 94.
–Che succede? – domandò Jane guardinga.
Non c’è!
–Cosa?
–Sirius era qui!
Sia Jane che Hermione gli lanciarono una delle loro occhiate in stile “te lo avevo detto”, ma nessuna delle due osò parlare.
Le varianti da prendere in considerazione in quel momento erano davvero troppe e terribili per mettersi a fare la predica.
Forse Voldemort aveva avvertito Harry nella sua testa ed era fuggito per evitare che i suoi piani venissero rovinati dagli Auror come era avvenuto la notte dell’aggressione al signor Weasley.
Oppure era semplicemente troppo tardi.
–Harry, guarda! C’è il tuo nome, qui! – esclamò improvvisamente Neville indicando gli scaffali.
Il ragazzo si avvicinò al punto indicato dall’amico.
In effetti, aveva ragione.
C’era davvero una profezia che riportava il suo nome sull’etichetta, accanto a un’altra contrassegnata con quello di Voldemort.
Edmund fissava la sfera di cristallo con aria stranamente incuriosita.
Di colpo, non riusciva più a staccare gli occhi da quella del loro nemico, come se fosse ipnotizzato.
Al suo interno, una nebulosa figura argentea con un enorme paio di occhiali stava aprendo e chiudendo la bocca ritmicamente, come se stesse parlando.
–Non capisco – disse in quel mentre Harry afferrando la sfera con il suo nome. – Che ci faccio io quaggiù?
–Se proprio vuoi saperlo, fai il bravo e dammi la profezia – disse una voce untuosa alle sue spalle.
I ragazzi trasalirono, stringendosi uno all’altro e sfoderando le bacchette.
Dieci Mangiamorte stavano emergendo lentamente dagli scaffali, i volti celati dalle maschere simili a un teschio, circondandoli da ogni lato.
Sembrava un incubo, il peggiore degli incubi.
Ormai, non avevano scampo.
–Prima dovrai vedertela con me, Malfoy! – esclamò Harry rivolto al Mangiamorte che aveva parlato poco prima.
Deficiente, pensò Jane esasperata.
In tutta risposta, una risata stridula proruppe nell’oscurità, gelida e isterica come se la donna che l’avesse appena lanciata fosse in preda a un’euforica follia.
–Potty sa come si gioca, eh? – squittì, un attimo prima di rivelare il suo volto.
Un lampo di gelo e di rabbia percorse il gruppo non appena la videro.
Bellatrix Lestrange era davvero la copia vivente di sua sorella Alhena, anche se gli anni ad Azkaban l’avevano segnata in maniera indelebile.
Il volto era scavato come quello di un teschio, facendo risaltare ancora di più gli enormi occhi scuri, e i capelli un tempo neri erano ormai striati di grigio, crespi e incolti come la criniera di una belva rabbiosa.
Nel vedere l’aguzzina dei suoi genitori, Neville strinse le dita attorno alla bacchetta fino a far sbiancare le nocche.
Al suo fianco, Edmund per poco non svenne.
Non avrebbe mai creduto che un giorno si sarebbe di nuovo trovato di fronte a quegli occhi dilatati dalla follia.
Il suo peggiore incubo era di nuovo lì, davanti a lui.
Avrebbe tanto voluto urlare, ma ogni suo muscolo si era come congelato.
–Avanti, Potter – incalzò Lucius Malfoy. – Dammi la profezia e nessuno si farà male.
–No! Dov’è Sirius?
Dov’è Sirius? – gli fece il verso Bellatrix tirando fuori la lingua.
–Straordinario come il Signore Oscuro riesca a plagiare le menti, soprattutto quelle deboli e altruiste come la tua, Potter – rispose Malfoy in tono compiaciuto. – Sai, forse dovresti imparare a distinguere i sogni dalla realtà. Grazie a un Elfo Domestico di nome Kreacher, ora il nostro signore conosce ogni tuo punto debole per costringerti a fare ciò che vuole.
–Ed è questa stupida sfera di cristallo, quello che vuole? – sbottò Harry, furioso con se stesso per essere stato così stupido da mandarli tutti verso una morte certa. – Perché non è venuto a prendersela da solo?
–Vedi, solo il destinatario della profezia può prenderla dallo scaffale – spiegò Malfoy pazientemente.
–Qui ce n’è un’altra che parla di lui. Non gli bastava?
–Quella profezia non riguarda il Signore Oscuro. È stata etichettata per errore. Ma questa è un’altra storia, Potter. Piuttosto, non sei curioso di sapere perché sei stato proprio tu il Prescelto? Non vuoi conoscere il segreto della tua cicatrice?
–Preferisco restare nell’ignoranza. Reducto!
A un segnale invisibile, tutti loro levarono le bacchette e le puntarono contro gli scaffali.
Otto fatture diverse partirono contemporaneamente in tutti gli angoli della stanza, distruggendo decine di profezie che si schiantarono al suolo con un fragore spaventoso di vetri in frantumi.
Figure perlacee si sollevavano dai frammenti, parlando con una voce distante prima di dissolversi nel nulla.
I Mangiamorte urlarono, riparandosi come poterono.
I ragazzi ne approfittarono per fuggire.
Infilarono la prima porta che trovarono, chiudendosela alle spalle.
Erano arrivati nella stanza piena di orologi.
–Aspettate! – esclamò Susan, appoggiandosi alla porta con tutto il suo peso. – Dove sono finiti Ron e Luna?
Non ricevette alcuna risposta.
Improvvisamente, la porta si spalancò con una violenza inaudita, centrando la ragazza in pieno.
Susan si accasciò a terra con un urlo soffocato, premendosi le mani sul volto insanguinato, mentre due Mangiamorte entravano nella stanza, calpestandola.
–Sono qui! EHI, LI ABBIAMO TROVATI! – gridò il primo rivolto verso qualcuno all’esterno.
Silencio! – lo zittì Hermione centrandolo con un incantesimo.
In tutta risposta, il Mangiamorte levò la bacchetta, facendo un sinistro movimento con il polso.
La ragazza cadde a terra senza neppure un lamento, restando inerte come una bambola rotta.
Stupeficium! – gridò Jane colpendo a sua volta.
Il Mangiamorte attraversò al volo la stanza, accasciandosi privo di sensi in un mare di vetri rotti.
Il suo compagno fece per rispondere al fuoco, ma venne prontamente atterrato da Neville.
–Hermione! – esclamò Jane inginocchiandosi al suo fianco. – Oddio, è morta!
–Il polso c’è – disse Harry, pallido come un cadavere. – Usciamo di qui, prima che sia troppo tardi.
I ragazzi imboccarono una porta che sorgeva davanti a loro, trascinando via Hermione e Susan, il cui naso non smetteva più di sanguinare.
Per poco non si scontrarono con Ron e Luna, nella stanza dei cervelli.
Il ragazzo era completamente ricoperto di sangue e continuava a ridere come un ossesso.
–Che cosa vi è successo? – esclamò Harry fuori di sé.
–Siamo finiti in una stanza piena di pianeti e un Mangiamorte ha fatto esplodere Urano in faccia a Ron – spiegò Luna come se si trattasse di una cosa da niente.
–Ci pensi, Harry? Abbiamo visto Urano! – ridacchiò Ron aggrappandosi spasmodicamente al braccio dell’amico.
–Di male in molto peggio. Andiamocene!
–Ma Harry, aspetta, non vuoi vedere i cervelli? Accio cervello! – rise Ron levando la bacchetta.
Con sommo orrore di tutti, un viscido cervello biancastro schizzò fuori dalla vasca, volando dritto verso Ron.
Lunghi tentacoli di ricordi presero a staccarsi dalla sua superficie, arrampicandosi come serpenti lungo le braccia del ragazzo.
–Non mi piace! Basta! Fa male!
Improvvisamente, l’espressione inebetita di Ron era mutata in puro terrore.
Senza neanche pensarci, Jane levò in aria la bacchetta.
Reducto! – urlò.
Il cervello esplose in mille pezzi gommosi, che inondarono letteralmente la stanza.
Ron si accasciò a terra privo di sensi, ma salvo.
Non avrebbe mai funzionato con te, pensò Jane con rammarico.
Improvvisamente, un’esplosione di passi alle loro spalle li fece trasalire all’unisono.
–Stanno arrivando! Fuori! FUORI! – gridò Harry caricandosi Ron sulla spalla e puntando alla porta successiva.
Con loro sommo orrore, tutte le croci segnate da Hermione erano scomparse.
Disperato, Harry puntò dritto davanti a sé.
Andavano così veloci, che finirono per rotolare giù dalle gradinate dell’anfiteatro, trovandosi a pochi passi dall’arcata vuota che avevano visto all’inizio.
Un attimo dopo, i Mangiamorte superstiti irruppero nella stanza, dando inizio a una lotta furibonda.
Inebriato dalla rabbia e dalla paura, Neville si scagliò contro il primo incappucciato che gli arrivò a tiro, Schiantandolo.
Il suo compagno lo afferrò alle spalle, immobilizzandolo.
Il ragazzo tentò di divincolarsi come una furia, ma il Mangiamorte gli torse un braccio dietro la schiena fino a mozzargli il fiato.
–Paciock, vero? – domandò Bellatrix in tono sadico, mentre si avvicinava con la bacchetta levata. – Ho avuto il piacere di incontrare i tuoi genitori. Come stanno adesso?
–Molto meglio, ora che sto per vendicarli!
Crucio!
Tutti smisero all’istante di duellare, nel momento in cui la stanza venne riempita dalle urla di Neville.
Il Mangiamorte che lo aveva catturato lo aveva lasciato crollare a terra, fissandolo con distacco come se niente fosse.
–NO! – gridò Edmund Schiantando a tradimento il suo avversario e facendo per avventarsi su Bellatrix.
La donna levò d’istinto lo sguardo verso di lui.
I loro occhi neri si incrociarono.
Un lampo percorse i loro sguardi, come se entrambi si fossero riconosciuti.
Il terrore si impadronì di Edmund, mentre il volto di Bellatrix si trasformò in una maschera di euforia.
–I tuoi occhi…
–STA’ LONTANA DA LUI!
Jane si scagliò con tutte le sue forze contro Bellatrix, prendendola alle spalle.
Entrambe rotolarono giù dai gradini che le separavano dall’arco, rovinando sul terreno di pietra nuda come un ammasso di stracci neri.
–Come osi, sudicia Mezzosangue? – berciò Bellatrix afferrandola per i capelli e costringendola a levarsi in piedi, la bacchetta premuta contro la gola. – Non hai idea di quello che stai facendo.
–Lo so eccome, vecchia megera!
–Ti insegno io un po’ di buone maniere, ragazzina!
Jane serrò gli occhi, aspettando di avvertire il dolore inimmaginabile dalla Maledizione Cruciatus dilaniarle le membra, ma quello non venne mai.
Avvertì un’onda inarrestabile di energia schiaffeggiarle il viso e scagliarla lontano, come se non avesse avuto peso.
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò a pochi metri da Caspian, la bacchetta ancora levata, mentre Bellatrix giaceva ai suoi piedi, completamente immobilizzata.
In quell’istante, l’Ordine della Fenice era comparso sulla sommità delle gradinate, precipitandosi a dare battaglia.
–Dov’è Susan? – le chiese il ragazzo nervosamente.
–Sta bene – boccheggiò Jane.
–Raduna gli altri e andatevene.
–D’accordo. Arrivi sempre al momento giusto, tu!
La ragazza si rialzò barcollando, precipitandosi dagli altri.
Si premurò di recuperare per primo Edmund, ancora visibilmente scosso.
–Guai a te se mi giochi un altro scherzo come questo! – lo redarguì afferrandolo per un polso e andando a cercare Neville.
Non sapeva perché, ma nel momento in cui Bellatrix lo aveva guardato le si era gelato il sangue nelle vene.
Qualcosa di terribile era successo in quell’istante.
Qualcosa su cui era meglio non indagare.
Alle loro spalle, un Mangiamorte era appena riuscito a liberare la strega dai legacci invisibili che la tenevano imprigionata, scagliandosi poi su Caspian.
Bellatrix stava per colpire il giovane a tradimento, ma venne intercettata da Sirius.
–Prenditela con me, cugina – la incalzò con un sorriso di sfida.
Capendo che ormai la situazione era disperata, Jane e Harry radunarono i compagni e fecero per fuggire, quando di colpo un Mangiamorte sbucò da dietro una delle gradinate, acciuffando il ragazzo per la caviglia e mandandolo lungo disteso a terra.
La profezia gli sfuggì di mano e schizzò a un paio di metri di distanza, andando in mille pezzi.
–Prendi questo! – gridò Harry centrandolo in faccia con un calcio.
–Coraggio, tutto qui quello che sai fare? – stava gridando in quel momento Sirius rivolto a sua cugina.
Per poco non finì la frase.
L’anatema lanciato da Bellatrix lo colpì in pieno petto.
Un’espressione di pura sorpresa si delineò sul suo volto; poi, lentamente, il mago scivolò oltre l’arcata vuota, scomparendo alla vista.
Di colpo, tutti avevano smesso di nuovo di combattere.
Un’atmosfera di gelo era calata sulla stanza.
Harry rimase inebetito per diversi secondi, aspettandosi che il suo padrino sbucasse fuori da un momento all’altro; poi, resosi conto che ciò non sarebbe mai successo, si lanciò in una folle corsa verso l’arco, trattenuto a fatica da Lupin.
Le sue urla disperate echeggiarono nella semioscurità dell’anfiteatro.
Sirius Black era morto.
Bellatrix abbassò la bacchetta, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto, voltandosi di scatto e dileguandosi oltre le gradinate.
Con un ultimo sforzo, Harry si liberò dalla stretta di Lupin, gettandosi al suo inseguimento.
–Edmund, qualsiasi cosa succeda, resta con gli altri, capito? – esclamò Jane prima di seguire il fratello oltre la stanza.
Riuscì a imboccare la porta giusta appena prima che le pareti riprendessero a girare, risalendo fino all’Atrium.
La voce di Bellatrix rimbombava a pochi passi da loro.
–Vieni a prendermi, Potter! Vieni a vendicare il tuo padrino, se ne hai il coraggio!
Crucio!
La strega lanciò un grido, accasciandosi al suolo, ma non si contorse come era avvenuto per Neville.
Si limitò a guardare Harry con aria di sfida.
–Che cosa fai, razza di cretino? Così ti abbassi al suo livello! – gridò Jane costringendolo ad abbassare la bacchetta.
–Non ti affannare troppo, dolcezza. A quanto pare, tuo fratello non capisce che deve volerlo davvero, cosa di cui non è capace. Anche se non credevo che la sua ingenuità non fosse nulla, paragonata alla tua – ridacchiò Bellatrix lanciando loro un’occhiata di puro disprezzo.
–Ci sono magie ben più potenti di una stupida maledizione – le rispose Jane sfacciatamente.
–Ma davvero? Vorrei proprio vedere se sarai ancora dello stesso avviso, una volta che avrai provato la Maledizione Cruciatus sulla tua pelle. A meno che il tuo adorato fratello non mi voglia dare la profezia.
–Risparmia il fiato. È andata distrutta proprio grazie a un tuo amico Mangiamorte. Non c’è più. Ora come lo dirai al tuo signore? – intervenne Harry, facendo da scudo a Jane con il suo corpo.
A quelle parole, gli occhi di Bellatrix sembrarono schizzare fuori dalle orbite.
–Come sarebbe a dire distrutta? Oh, padrone, abbiate pietà di me!
–Ѐ inutile che ti agiti, tanto non ti può sentire!
Non posso, Potter?
Jane lanciò un grido.
Erano passati quattro anni da quando aveva udito quella voce fredda l’ultima volta.
Non avrebbe mai dimenticato quel volto emaciato scavato dal male, con quegli occhi rossi dalla pupilla verticale che brillavano come tizzoni ardenti nell’oscurità.
Ora però quel volto aveva anche un corpo tutto suo, alto, magro, spaventosamente forte.
Improvvisamente, le statue colossali dei Magici Fratelli si animarono.
Due di esse si piantarono davanti ai gemelli, facendo loro da scudo.
In quel momento, Albus Silente apparve dal nulla.
–Finiamola con questa storia, Tom – gli disse con calma. – Stanno arrivando altri Auror.
–Per allora me ne sarò già andato e tu sarai morto – rispose Voldemort levando la bacchetta.
Un vortice di incantesimi si abbatté sui due maghi.
Fiamme, onde alte sei metri, piogge di vetri affilati: questo fu lo spettacolo spaventoso che i gemelli Potter si trovarono ad assistere in quel momento, nascosti dietro la statua che li stava proteggendo.
Jane si rannicchiò con tutte le sue forze contro il fianco di Harry, affondando le unghie e il volto contro la sua spalla.
Il ragazzo la strinse a sé, proteggendola.
Sentiva che sarebbero morti da un momento all’altro.
Almeno, se ne sarebbero andati insieme, proprio come i loro genitori.
Improvvisamente, Voldemort scomparve.
Il corpo di Harry si irrigidì come se di colpo fosse stato privo di vita.
Il ragazzo cadde a terra, davanti allo sguardo terrorizzato di Jane.
I suoi occhi erano diventati improvvisamente rossi.
–Che cosa aspetti? – sibilò nel momento in cui Silente accorse al loro fianco. – Uccidimi, ora che puoi.
–Jane – mormorò il Preside rivolto alla ragazza inorridita.
–Lo sta possedendo…mio Dio! – singhiozzò lei disperata.
–Non ti ho fatto studiare Legilimanzia per niente. Solo tu puoi salvare Harry, ora.
La ragazza annuì nervosamente; poi si chinò su suo fratello.
–Harry! Ti prego, Harry!
Avvertiva il male più forte che mai, ancora più forte di quanto ne serpeggiasse già all’interno dell’Ufficio Misteri.
Aveva come l’impressione di essere sul punto di svenire.
–Harry.
Jane provò a prendergli il viso tra le mani, ma fu come abbracciare un enorme ferro rovente.
La vista le divenne improvvisamente nera, come se fosse stata investita da una pioggia di cenere incandescente.
Il male ormai era ovunque e stava divorando suo fratello un pezzo alla volta.
Jane urlò.
La nausea era insopportabile.
Si voltò dall’altra parte e vomitò sul pavimento di pietra.
–Resisti, Jane! – la incalzò Silente con voce calma.
Singhiozzando per la paura e per il dolore, la ragazza afferrò di nuovo il volto di Harry, lottando contro tutta la pioggia di sensazioni terribili che l’attaccarono in quel momento.
Era di gran lunga peggio dell’attacco di un Dissennatore.
Chiuse gli occhi, premendo la fronte contro quella del ragazzo.
La cicatrice scottava più che mai. Lottando contro la pioggia scura che le impediva la vista, Jane andò oltre, cercando di leggere la mente di suo fratello.
Ciò che vide per poco non la fece vomitare di nuovo.
Il ragazzo giaceva in una stanza buia, tra le spire di un serpente.
Proprio come Edmund nel sogno di un anno prima.
–Sei uno sciocco, Harry Potter – stava dicendo la creatura mostruosa. – Non vedi quanta gente è morta a causa tua, solo per il tuo vizio di fare l’eroe? I tuoi genitori, Cedric e ora Sirius. Quanti ancora dovranno subire la tua stupidità? Scegli la via della grandezza, Harry Potter, e forse per te ci sarà ancora una speranza. Amore è solo una parola, ricordatelo. Io non smetterò mai di ripetertelo. Sei un mago troppo potente per andare distrutto e tu sai quanto apprezzo la grandezza.
–NON ASCOLTARLO! – gridò Jane. – Harry, lo vuoi sapere qual è il tuo unico vero difetto da una che ti conosce più di ogni altro? Ti preoccupi troppo di quanto tu e Voldemort siete simili, piuttosto delle cose in cui siete diversi! Sei una persona altruista, Harry, che non conosce pregiudizi ed è sempre pronta a sacrificarsi per gli altri. Questo Voldemort lo sa? Sarebbe mai in grado di amare qualcuno?
Vedendo che il serpente voltava lo sguardo verso di lei, Jane levò la bacchetta ed evocò il suo Patronus.
Il cavallo alato galoppò contro il mostro, accecandolo.
Nello stesso momento, la ragazza trasse un profondo respiro e baciò la cicatrice sulla fronte del ragazzo.
La pelle sembrò esplodere contro le sue labbra.
A quel contatto, Voldemort lanciò un urlo straziante, come se stesse bruciando vivo.
Tutto venne avvolto da una luce accecante, che spazzò via ogni cosa.
Jane venne sbalzata sul pavimento gelido.
Non avvertiva più alcuna sensazione.
Era solo stremata, sul punto di svenire.
L’unica certezza che aveva e che le balenava sul sorriso stirato sulle sue labbra era che Harry era salvo.
L’ultima cosa che vide prima di precipitare nell’oscurità fu il volto di Edmund a pochi centimetri dal suo, che la teneva delicatamente tra le braccia e chiamava disperatamente aiuto.



Salve, gente! :)
In vista della battaglia finale, oggi ho pensato di regalarvi un capitolo molto più lungo del solito (sono quasi 10 cartelle). Spero che non l'abbiate trovato troppo noioso!

Siamo ormai arrivati alla terzultima puntata della Triologia dell'Erede e ci sono ancora tante cose da svelare. Nel mentre, ho steso buona parte del sequel, anche se tra esami e un'altra storia che sto pubblicando sul fandom di Lady Oscar la vedo un po' lunga prima che possiate leggerlo. Vi chiedo quindi un po' di pazienza. Nel mentre, godetevi queste ultime pagine. La tenerezza e le risposte non mancheranno, soprattutto nel prossimo capitolo.

Se il vero destinatario della profezia non è Voldemort, allora di chi si tratta? Lo so, mi sa che avete indovinato tutti...

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A martedì prossimo! :)
Baci

F.
     
 
   

  
         
    
 
 

 

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Capitolo 24
*** Il segreto dei gemelli ***



 
CAPITOLO 24

Il segreto dei gemelli

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Jane impiegò diversi secondi per realizzare dove fosse.
Si sentiva completamente ammaccata dalla testa ai piedi e faceva fatica a tenere gli occhi aperti.
Fuori albeggiava.
Un debole raggio di luce penetrava dalla finestra, illuminando lievemente gli strani congegni argentati che costellavano l’ufficio di Silente.
Silente, già, Silente…
Di colpo, tutti i terribili ricordi della notte appena trascorsa riaffiorarono nella sua memoria: la Umbridge, le torture subìte, l’Ufficio Misteri, Edmund, Bellatrix, la morte di Sirius, Voldemort, Harry…
Con un nodo alla gola, Jane voltò la testa di lato, constatando sollevata che suo fratello era lì accanto a lei, rannicchiato sul pavimento ai piedi del divano su cui era stata adagiata.
Le loro dita si sfioravano appena.
Come se avesse percepito la sua presenza, Harry si voltò sul fianco.
Il suo volto pallido e insanguinato non accennava a un sorriso.
–Ti sei svegliata, finalmente – disse piano.
–Dove sono gli altri?
–Tutti salvi. Silente li ha fatti rientrare al castello circa un’ora fa. Quando hai perso i sensi, è arrivato Caramell. Ha fatto in tempo a vedere Voldemort in faccia prima che sparisse.
Nell’udire quel nome, Jane si lasciò sfuggire un singhiozzo.
Saltò giù dal divano, circondando Harry con le braccia.
–Ho avuto paura di perderti! – singhiozzò premendo il volto contro la sua spalla.
Il ragazzo la strinse a sé dolcemente, cercando di farle coraggio nonostante fosse completamente distrutto.
–Ѐ stata tutta colpa mia – mormorò con la voce carica di rancore. – Dovrei ascoltarti di più, sorella. Se non avessi dato retta al mio egoismo, questa notte tutto questo non sarebbe successo e Sirius sarebbe ancora vivo.
–Mi rincresce, ma temo che la colpa sia mia e soltanto mia.
I ragazzi trasalirono.
Silente si era appena Materializzato nella stanza.
Sembrava più vecchio e stanco che mai.
–Non è vero! – sbottò Harry alzandosi in piedi.
–Calmati, Harry – tentò di rabbonirlo il Preside. – Sono stato uno sciocco, evitandoti tutto l’anno. Pensavo di proteggerti e invece ti ho solo esposto ancora di più al pericolo.
Silente non poteva dire cosa peggiore per fare inferocire ancora di più il ragazzo, questo Jane lo sapeva fin troppo bene.
Infatti, Harry sferrò d’istinto un calcio rabbioso contro un tavolino, sparpagliando a terra tutti gli oggetti che lo ingombravano.
–E certo! – urlò. – Vi svegliate tutti quando ormai è troppo tardi e il danno è fatto. Nessuno di voi si è domandato come mi sentissi durante tutto quest’anno di merda! Nessuno è venuto a dirmi come stavano esattamente le cose. Per mesi e mesi sono rimasto in balìa di quel mostro della Umbridge senza sapere che cosa stava accadendo là fuori e, quando sono cominciate quelle visioni terribili, mi avete sbattuto a prendere corsi supplementari con Piton, come se a lui fregasse qualcosa di me!
–Le lezioni di Legilimanzia erano state programmate apposta per evitare quello che è accaduto stanotte, ma non avevo tenuto conto che alcune ferite del professor Piton fossero ancora così vive nella sua memoria – intervenne Silente.
–Be’, poteva continuare a farmele lei, allora! – tuonò Harry.
Jane tentò di calmarlo, ma lui la scacciò con un brusco cenno della mano.
–Credo che sia giunto il momento di spiegarvi come stanno veramente le cose – disse Silente con calma. – Avrei dovuto farlo sin dal primo giorno in cui siete arrivati a Hogwarts, ma allora eravate troppo giovani per portare un simile peso. Mi dispiace, ma credo di essermi affezionato troppo a entrambi e ciò mi ha portato a essere indulgente di fronte a una verità che purtroppo non potrò tenervi nascosta un minuto di più, non dopo stanotte.
–Allora ce la dica, questa verità! – sbottò Harry furibondo.
–Il legame tra te e Voldemort è molto più profondo di quanto tu possa pensare – spiegò Silente. – Non è solo la sua capacità di leggere e plasmare la tua mente a suo piacimento. Non è solo uno scambio di poteri avvenuto la notte in cui ha tentato di ucciderti per la prima volta.
Il vecchio mago si concesse una pausa, come se stesse scegliendo le parole giuste da dire, poi riprese.
–Il giorno in cui assunsi la professoressa Cooman, Voldemort era ancora all’apice dei suoi poteri. Era quasi la fine del 1990, la gente viveva nel terrore. Invitai la professoressa a un colloquio al piano di sopra del Testa di Porco e lì, improvvisamente, lei pronunciò la stessa profezia che i Mangiamorte hanno tentato di trafugare stanotte, una profezia che annunciava l’arrivo di un mago che avrebbe sconfitto per sempre Lord Voldemort. Per fortuna, ne conservo una copia nel mio Pensatoio.
Silente afferrò il bacile di pietra nascosto dentro un armadio e invitò i gemelli ad avvicinarsi.
Al semplice tocco della sua bacchetta, la sagoma perlacea della Cooman si materializzò davanti ai loro occhi, prendendo a parlare.
Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore…nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del settimo mese…l’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto…e l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive…
I ragazzi ascoltarono la profezia con gli occhi sbarrati.
Jane si strinse d’istinto al fianco di Harry, immobile come una statua.
Se l’erano aspettato, lo sapevano dal primo momento in cui avevano saputo di essere dotati di poteri magici, ma sentire quelle parole così, in quella maniera fredda e brutale, fu come ricevere una randellata in testa.
–Ѐ così, allora? – chiese Harry dopo un tempo interminabile. – Dovrò essere io a uccidere Voldemort?
–Ѐ così – rispose Silente. – Purtroppo, nel momento in cui fu pronunciata la profezia, c’era una spia nascosta dietro la porta ad ascoltare. Fortunatamente, venne riconosciuta in tempo e allontanata, impedendole di ascoltarla per intero. L’unica cosa che riferì al suo padrone fu l’avvento del suo nemico alla fine di luglio. Non gli disse però che sarebbe stato lui a sceglierlo. Si dà il caso che alla fine di luglio furono ben tre i neonati che vennero alla luce: voi due e Neville Paciock.
Entrambi i gemelli si scambiarono un’occhiata di stucco.
Era vero, tra loro e Neville passava poco più di una settimana di differenza.
–Perché ha scelto me? – domandò Harry.
–Probabilmente non lo sapremo mai. Forse perché James e Lily erano tra gli Auror più impegnati nella lotta contro Voldemort. Quando ha visto che eravate in due, ha scelto te perché, dall’alto dei suoi pregiudizi, ha pensato che solo un maschio potesse rappresentare una minaccia per lui. Per questo ti ha elevato a suo eguale. Ma ignorava quanto potesse essere forte l’amore di Lily, un amore che vive ancora in Petunia e in te, Jane.
–Io? – domandò lei perplessa.
–Voldemort non ha tenuto in considerazione il fatto che tu potessi prendere così tanto da tua madre. Hai la sua stessa sensibilità, il suo stesso coraggio, il suo stesso istinto di proteggere i più deboli senza esitazione. La sua dolcezza e i suoi poteri sono passati a te in una forma ancora più potente di quella di Lily, conferendoti il dono di leggere l’anima delle persone. Ecco perché stanotte hai salvato la vita a Harry. Voldemort avrà anche preso il suo sangue per rendersi immune, ma non il tuo. Ecco perché non sopporta il tuo contatto: la protezione di Lily è ancora viva nelle tue vene.
Jane abbassò lo sguardo pensierosa.
–Perché ci ha divisi, allora? – domandò.
–Eri troppo piccola per portare un simile fardello e c’erano ancora troppi seguaci di Voldemort in circolazione. Saresti stata sempre in pericolo. Per questo ti abbiamo affidata alla famiglia Collins, nascosta nelle campagne e protetta da potenti incantesimi. Al sicuro tra i Babbani, lontana dagli orrori che avresti affrontato una volta cresciuta, avresti sviluppato in segreto il tuo potere per poterlo tirare fuori nel momento in cui avresti ritrovato tuo fratello. Questo è precisamente ciò che è avvenuto la notte in cui Alhena Black vi ha rapiti, pensando di mettervi a tacere per sempre.
Nel sentir nominare quel nome, Jane represse a fatica un moto di vertigine.
I suoi pensieri andarono subito a Edmund e con essi le sue paure crebbero a dismisura.
–Professore, c’è una cosa che vorrei chiederle da tempo – disse piano. – Dopo quello che è successo stanotte, non ho potuto fare altro che pensare al modo in cui ho trovato Edmund. E se fosse stato tutto un trucco di Alhena, una volta scoperto il mio potere di leggere nel pensiero? In fondo, era molto vicina a Voldemort. So che è assurdo, ma ho paura che abbia usato la Legilimanzia per portarmi da lei. I miei sogni somigliavano troppo a quelli di Harry sull’Ufficio Misteri.
–Comprendo i tuoi timori, Jane, ma è giunto il momento di distinguere la realtà dalla paura – la tranquillizzò Silente. – Ti sembra forse che Edmund sia pericoloso? Se lo fosse stato davvero, stanotte non avrebbe rischiato la vita pur di combattere al vostro fianco. Qualsiasi siano le sue origini, quel ragazzo ha scelto deliberatamente da che parte stare e sarà molto difficile convincerlo a cambiare idea. Il fatto che tu lo abbia sognato lo scorso anno ha probabilmente un fondamento. Credo che tu abbia colpito Alhena molto più di quanto si sarebbe aspettata da una bambina di dieci anni, la notte in cui ti ha rapita. Non credo che si aspettasse tanta fierezza e determinazione da parte tua. La cosa deve averla impressionata non poco e il tuo ricordo, nella sua terribile solitudine, deve essere tornato più volte alla sua memoria, diventando quasi un’ossessione. Oscuri misteri accadono in una mente malata, soprattutto durante il sonno. Non puoi mai sapere dove va. Probabilmente, Alhena ti ha trasmesso quelle immagini inconsciamente. Eri l’unico contatto che le era rimasto con il mondo esterno. Niente di premeditato: non ne aveva più la facoltà già da tempo. Il resto è stato solo fortuna.
–Professore, ora che ci penso, c’era un’altra profezia accanto alla mia. Una su Voldemort. È vero che non si riferiva a lui? – domandò Harry.
–No, non si riferiva a Voldemort. Vedete, pochissime settimane dopo la prima profezia, la Cooman ne pronunciò una seconda di fronte a una persona che, pur di proteggere l’enorme segreto di cui era venuta a conoscenza, fece su di sé un potente incantesimo che le avrebbe impedito di rivelarlo a chiunque, a costo della sua stessa vita. Nessuno sa che cosa sia stato detto, tranne il fatto che si riferisse a un potente mago oscuro. Molte leggende sono circolate da lì in poi, una più assurda dell’altra. Ma forse non sapremo mai la verità.
–Un mago oscuro? – esclamò Jane sbiancando. – Non sarà per caso…
–Vedo che siamo giunti alla stessa conclusione – commentò Silente. – Sì, Alhena Black è stata l’unica altra persona ad ascoltare la profezia. Credo che anche lei, al pari di Voldemort, l’abbia un po’ interpretata a modo suo, scegliendo un ragazzo che in realtà non ha niente a che vedere con essa. Per quanto le sue ignote origini possano essere legate alla Casa di Serpeverde, egli non sarà mai un mago oscuro. Morirebbe, piuttosto.
–Forse è per questo che Voldemort voleva ucciderlo? Aveva paura di trovarsi di fronte un nuovo nemico?
–Credo che non ci sia altra spiegazione.
–Ma allora perché è stato allevato proprio dalla sua seguace più devota?
–Sono solo supposizioni, ma poco tempo prima della sua caduta tra Voldemort e Alhena ci fu una spaccatura incolmabile. Lei sparì nel nulla, improvvisamente, e nessuno la vide più fino a pochi anni fa. Le cause restano un mistero. In ogni caso, è certo che lei avesse deciso di continuare la sua battaglia da sola. Per riuscirci, però, aveva bisogno di un’arma abbastanza forte da contrastare Voldemort. Per fortuna, i suoi calcoli sono risultati errati.
–Ma allora perché non l’ha ucciso, quando ha scoperto che non sarebbe mai diventato un mago oscuro?
–Temo che a questo non posso risponderti, Jane. Forse la risposta sta proprio in quella profezia perduta di cui non sapremo mai il contenuto. Ma ora basta guardare al passato. Dobbiamo andare avanti e prepararci alla battaglia finale, che temo sia sempre più vicina.
–Un potere che Voldemort non conosce… – ripeté Harry a bassa voce. – Io non credo di essere così speciale.
Silente sorrise comprensivo.
–Nell’Ufficio Misteri c’è una porta che nessuno riesce ad aprire. Al suo interno è nascosto uno dei più grandi, terribili e inspiegabili misteri dell’universo.
–E quale sarebbe?
–Il cuore.



Buonasera! :)
Spero che dopo questo capitolo abbiate un po' più chiara la situazione. Prendetelo come un vero e proprio prologo del sequel, a cui dovrei iniziare a lavorare a breve.
Si partirà infatti dalla profezia perduta, che ha come protagonista proprio Edmund, e dal terribile segreto che essa nasconde. Ma non voglio farvi troppi spoiler questa sera ;)
Ci vediamo il prossimo martedì con il capitolo conclusivo di questa puntata.
Ringrazio tutti voi per aver seguito con pazienza e passione per tutti questi mesi: è bello sapere che questa piccola storia è stata apprezzata da qualcuno.
I personaggi vi ringraziano di persona per averli portati nel cuore!

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, per restare in contatto per gli aggiornamenti: 
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A presto! :)
Baci

F. 
         

 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Oltre il pregiudizio ***





CAPITOLO 24

Oltre il pregiudizio

~

 
 
 
 
 
 
Susan rilesse per l’ennesima volta l’articolo sulla Gazzetta del Profeta con un sorriso di profonda soddisfazione stirato sulle labbra carnose.
Finalmente, le cose sembravano tornate alla normalità, perlomeno all’interno di Hogwarts.
Silente era tornato a rivestire il suo ruolo di Preside e la Umbridge era stata rinviata a giudizio per tutte le malefatte che aveva compiuto nel corso dell’anno, comprese le torture agli studenti.
Ma la cosa più importante era il fatto che Caramell aveva finalmente accettato il ritorno di Voldemort.
In quegli ultimi giorni, il Ministero era sprofondato nel caos più totale.
L’intera comunità magica viveva in stato di allarme e l’inizio della nuova guerra era ormai sulle bocche di tutti.
In molti pensavano di abbandonare il Paese, in particolar modo i maghi Mezzosangue.
Ormai si vociferavano persino le imminenti dimissioni del Ministro della Magia.
La ragazza ripose il giornale sul comodino, prendendo a osservare fuori dalla finestra con aria pensosa.
Certo, la aspettavano dei tempi difficili, questo lo sapeva.
Ma l’avere di nuovo Silente a guidarli e il Ministero dalla loro parte la rassicurava.
Perlomeno, avevano le spalle coperte da una parte, senza più doversi nascondere nella loro lotta silenziosa, di gran lunga più pericolosa di quella che si sarebbe prospettata loro di lì in avanti.
Le ferite riportate durante il combattimento al Ministero della Magia stavano guarendo lentamente e spesso le davano fastidio.
Madama Chips aveva preferito lasciarla in infermeria più del dovuto per assicurarsi che le sue effettive condizioni non fossero così gravi.
O forse, come Susan sospettava, per evitarle l’assillo degli studenti che volevano apprendere la vicenda nei minimi dettagli.
–Ancora a letto? – domandò in quel momento una voce che avrebbe riconosciuto anche in mezzo a una folla sterminata.
La ragazza sorrise mentre Caspian si sedeva sulla sponda del letto.
–Come è andato il lavoro, oggi? – gli chiese.
–Siamo con l’acqua alla gola. A quanto pare, Caramell non ha smesso di dare di matto. Vede Mangiamorte dappertutto.
–Tranne quelli giusti – concluse Susan per lui con un sospiro rassegnato.
–Per fortuna c’è l’Ordine – osservò Caspian.
–Quale sarà la prossima mossa?
–Di certo l’intromissione al Ministero ha sconvolto tutti i piani di Tu-Sai-Chi, dal momento che è saltata la sua segretezza. Ora non potrà più attaccarci di sorpresa.
–Dicono che ci sarà una guerra, non è vero?
–Sì, purtroppo. Dobbiamo essere pronti.
–Io lo sono.
Caspian la guardò con tanto d’occhi.
–Sue, ne abbiamo già parlato. È troppo…
–Ancora non ti fidi di me? Ho affrontato più volte Voldemort e i suoi seguaci e ho combattuto come un uomo. L’Ordine ne risentirebbe se perdesse un membro così utile per loro.
–Ma Susan, tu…
–Sono maggiorenne, ormai. Anche se l’anno prossimo frequenterò ancora Hogwarts, posso benissimo decidere da sola. È un modo per proteggere la mia famiglia. Per proteggere anche te, Caspian.
Il ragazzo sorrise, scostandole una ciocca di capelli neri che le era finita davanti agli occhi.
–Sei proprio una leonessa – scherzò.
–Preferivi forse una fanciulla da salvare? – lo provocò Susan avvicinandosi pericolosamente al suo viso.
–Diciamo che mi hai semplificato molto il lavoro – ridacchiò lui.
Lei sorrise, sfiorandogli le labbra con un rapido bacio.
–Allora, quando mi porti in missione con te? – domandò strizzandogli un occhio.
 
***           
 
–E questo lo chiami baciare, razza di coglione? – ululò Adam in preda a un eccesso di risate.
Edmund incrociò le braccia sul petto con aria di sfida, profondamente offeso.
–Che altro dovevo fare? Mica ho avuto il tempo di esercitarmi! – brontolò.
–Ma stavo scherzando, amico! Comunque, bella mossa. E lei?
–Non siamo più tornati sulla questione.
–Ma non puoi lasciarla morire così. Insomma, le sarà piaciuto…
–Stavamo andando ad affrontare Voldemort, con la vaga possibilità di non tornare vivi. Ti sembrava forse il momento di stare a fare i romantici?
–Se non altro, di cogliere l’attimo.
–Bah, lasciamo perdere. Con te c’è poco da discutere.
Adam assunse d’istinto l’aria più innocente che sapesse simulare.
–Come va con Natalie? – chiese Edmund a un certo punto.
–Sembra bene. Stasera starò con lei per il banchetto d’addio – rispose il ragazzo con noncuranza.
–Significa che vuoi lasciarmi al tavolo di Serpeverde da solo? – ruggì l’altro inorridito.
–Calma, Pevensie. Prendila come un’occasione per andare dalla tua bella.
–Con tutti i Grifondoro che si fanno gli affari loro? No, grazie.
–Come vuoi. Ma sappi che stai sprecando un’occasione.
–Sì, sì, lo so.
Quella sera, Edmund aveva voglia di tutto meno che stare rinchiuso dentro la Sala Grande, per di più gomito a gomito con il figlio del Mangiamorte che aveva tentato di ucciderli poche sere prima.
Lucius Malfoy era stata sbattuto ad Azkaban il giorno dopo l’incursione all’Ufficio Misteri, ma la ben più pericolosa Bellatrix Lestrange era ancora in circolazione.
E quello era il motivo per cui ultimamente Edmund aveva perso definitivamente il sonno, dal momento che i suoi incubi erano tornati più spaventosi che mai.
Quella donna non si era limitata a guardarlo in faccia mentre si trovavano nell’Ufficio Misteri.
Quella donna lo aveva riconosciuto.
In fondo, Bellatrix era la sorella minore di Alhena.
Anche se non lo aveva mai visto, sicuramente sapeva della sua esistenza, in qualche modo.
Altrimenti perché lo avrebbe guardato in quel modo mentre combattevano?
Con un moto di orrore, Edmund ripensò a tutto ciò che gli aveva detto Alhena sulle sue origini.
E se quelle storie fossero state vere?
Un motivo in più per allontanarsi dai Potter.
Se solo avessero appreso la verità, ci avrebbero pensato loro a farlo fuori.
Il ragazzo sapeva fin troppo bene di essere più braccato che mai.
Gli avevano riferito che Bellatrix era riuscita a fuggire insieme a Voldemort.
Sicuramente, a quell’ora gli avrebbe detto tutto.
Se le cose stavano come pensava, in quel momento non sapeva se aveva più Mangiamorte alle calcagna di Harry.
Per fortuna, Hogwarts e casa Pevensie erano più protette che mai.
Ma cosa sarebbe accaduto una volta diventato maggiorenne?
Sempre più terrorizzato da se stesso, Edmund caracollò al piano di sotto, inondato dalla luce del tramonto.
Gli studenti sciamavano allegramente verso la Sala Grande, ma lui non aveva voglia di unirsi a loro per il banchetto d’addio.
Troppa tristezza aleggiava nel suo cuore e in quello dei suoi amici.
Intravide di sfuggita Adam e Natalie camminare mano nella mano nel portico d’ingresso e la cosa gli serrò lo stomaco in una morsa d’invidia.
Quanto avrebbe voluto essere al loro posto insieme a Jane!
Chissà cosa aveva pensato del suo goffo tentativo di baciarla.
In fondo, gli era venuto tutto molto istintivamente.
Lo avrebbe sbeffeggiato come Adam?
Edmund preferiva non saperlo.
Per questo ciondolò lentamente verso la Foresta Proibita, portando con sé un po’ della carne secca che gli era avanzata dalle lezioni di Cura delle Creature Magiche.
Abbandonò i prati e si inoltrò nel primo macchione di alberi.
Lì in mezzo era praticamente buio.
Raggiunse una radura tranquilla e si sedette sopra un tronco caduto, le gambe sottili a ciondoloni nel vuoto.
Non passò molto tempo che loro arrivarono.
Erano due esemplari giovani, con il manto nero e lucido come il velluto.
Poco dopo arrivò anche Tenebrus, che trotterellò al suo fianco per salutarlo.
–Li vedo anch’io adesso, sai? – esclamò una voce familiare alle sue spalle.
Edmund trasalì.
Jane era appena apparsa nella radura, facendosi largo timidamente tra i rami.
–Ti ho spaventato? – domandò lei guardinga.
–No, è che non ti ho sentita arrivare. Vieni a sederti qui, se ti va.
La ragazza gli sorrise timidamente, arrampicandosi sul tronco.
Edmund le tese una mano per aiutarla.
In pochi istanti, furono uno accanto all’altra.
–Non sono così brutti come dicono – commentò Jane tendendo la mano verso Tenebrus.
–Io li trovo un po’ inquietanti. Come me, insomma. Ecco perché andiamo così d’accordo.
–Ma tu non sei inquietante.
Edmund le lanciò un’occhiata di stucco.
–Ah, no?
–Assolutamente no. Sono speciali, ecco.
–Quindi io sarei speciale.
Jane scoppiò in una fragorosa risata.
–Diciamo che sei un tipo molto originale – rispose sorridendo.
–Insomma, sono strano.
L’altra rise ancora più forte.
–Io con te ci rinuncio! – esclamò levando gli occhi al cielo.
Edmund non rispose, continuando a distribuire pezzetti di carne ai Thestral.
–Sei stato molto coraggioso, giù al Ministero – disse a un certo punto Jane. – Hai combattuto davvero come un leone. Sono fiera di te. Non sono ancora riuscita a ringraziarti come si deve per quello che hai fatto per tutti noi.
Detto questo, la ragazza gli sfiorò la guancia con le labbra.
Edmund avvertì la pelle avvampare a quel contatto.
Lei ritornò ad accoccolarsi sul tronco, le spalle improvvisamente incurvate come se fosse a disagio.
–Cosa c’è? – domandò il ragazzo sulla difensiva.
–Niente, non ti preoccupare.
–Ti posso fare una domanda? Che cosa significa per te quel “niente di personale”?
Jane non rispose, arrossendo dalla testa ai piedi.
Improvvisamente, sul suo viso si era dipinta un’espressione di puro allarme.
–Secondo te? – domandò timidamente.
–Io…non so se te ne sei accorta, ma ti ho baciata.
–Ehm…era un bacio?
–Lo so, era un po’…ma…sì, alla fine era un bacio.
Jane gli sorrise raggiante.
La cosa confortò per un attimo Edmund.
–Volevo solo avere la conferma – gli disse lei.
–Spero solo che ti sia piaciuto.
–Da matti! Ma dimmi…se quello era un bacio, allora io ti…
Io ti piaccio? – si affrettò a chiederle Edmund, preparandosi al colpo.
A quella domanda, gli occhi di Jane sembrarono diventare giganteschi.
–Se ti rispondessi di sì, tu che faresti? – gli domandò a voce bassissima.
Con il cuore impazzito contro le sue costole, Edmund si avvicinò piano al suo viso.
–Posso baciarti ancora?
Jane sorrise, avvicinandosi a sua volta.
–Quando vuoi – mormorò.
–Prometti di non ridere, però, se sono troppo imbranato, okay?
–Tu non sei imbranato. Sei bravissimo.
Edmund deglutì, sentendosi sciogliere.
Le labbra di Jane erano a pochissimi millimetri dalle sue.
Gli occhi verdi di lei lo osservavano curiosi e sorridenti, più luminosi che mai.
Tremando come una foglia, il ragazzo chiuse gli occhi e le si avvicinò piano.
Di nuovo avvertì quel contatto leggero, umido, che aveva provato per la prima volta poche sere prima.
Questa volta, però, non fuggì subito.
Con suo sommo stupore, si rese conto che le labbra di Jane si muovevano nelle sue.
Anche lei lo stava baciando, timidamente, goffamente, ma allo stesso tempo trasmettendogli tutta la forza dei sentimenti che aveva tentato disperatamente di nascondergli per tutto quel tempo.
In preda a un impulso irresistibile, Edmund affondò la mano nel mare dei suoi capelli scuri, attirando dolcemente la sua testa verso di lui.
Jane si lasciò cullare, le sue dita strette attorno al colletto della camicia di lui.
Allora è questo l’amore, pensò il ragazzo con un brivido.
Potente, bellissimo.
Proprio come lei, l’angelo che lo aveva salvato dalle tenebre del suo passato e che ora stava rannicchiato tra le sue braccia.
Ed era lui il ragazzo che Jane aveva sempre desiderato segretamente di avere al suo fianco.
Qualunque fossero state le sue intenzioni, in quel momento la ragazza non poté fare a meno di ringraziare Alhena Black per averli fatti incontrare.  


 



FINE SECONDO VOLUME



 
Eh, sì: siamo arrivati proprio alla fine! :(
Perlomeno, vi lascio con questa * spero! * dolcissima visione di Edmund e Jane, che finalmente hanno lasciato uscire allo scoperto i loro rispettivi sentimenti.
Ma, come potete immaginare, la storia non è ancora finita: prima o poi la terribile verità sulle origini del ragazzo verrà alla luce, insieme al contenuto della profezia perduta. 
Voldemort riuscirà ad arrivare a Edmund e allora la vita del ragazzo dipenderà solo dal coraggio dei gemelli Potter...riusciranno questi ultimi a salvarlo, nonostante tutto? E come pensate che reagisca Jane quando scoprirà come stanno le cose?
Questo è suppergiù l'incipit del sequel, che sto già scrivendo e che presto potrete leggere su efp. Visto che sarà molto lungo, vorrei però controllare bene alcuni aspetti della trama prima di pubblicarlo: sono sicura infatti che dovrò rimaneggiare alcuni punti che non mi convincono.
Nel frattempo, non resterete a bocca asciutta.
C'è qualcuno di voi che è appassionato di Lady Oscar? In tal caso, vi consiglio di passare alla mia seconda fanfiction in corso, L'ultima notte.
Credo che ne avrete per tutta l'estate ;)
Per qualsiasi info, visitate pure la mia pagina Facebook, dove troverete tutto ciò che vi serve: 
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Colgo questa occasione per salutare con affetto tutti voi lettori per la pazienza e l'entusiasmo con cui avete seguito questa storia negli ultimi mesi. Leggere le vostre recensioni, scriverci e scambiarci opinioni è stata un'esperienza bellissima, che mi ha permesso di conoscere tante persone straordinarie. Non vi nascondo che alcuni dei vostri pareri hanno inciso fortemente sulla trama (Edmund e Jane vi ringraziano per questo!).
Un carissimo saluto alla mia grande amica di penna Joy, che ho avuto la fortuna di incontrare proprio grazie a questa fanfiction. Sei una scrittrice straordinaria e ti voglio un bene dell'anima! <3
Grazie anche ad Annalisa, che mi regala sempre delle bellissime chiacchierate serali su Facebook.
E un saluto a tutti voi, che siete rimasti con Harry fino alla fine (tanto per citare zia Row!).
A presto e grazie mille per tutto :D

F.


 

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