The Sign of Four

di crazy640
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Sign of Three ***
Capitolo 2: *** R U Mine? ***
Capitolo 3: *** Little by little ***
Capitolo 4: *** I knew that when I held you I wasn't lettin' go ***



Capitolo 1
*** The Sign of Three ***


The Sign of three

 

WARNING: Questa è un Omegaverse con conseguente Mpreg ed è ambientata in un universo parallelo.

Se le tematiche vi possono infastidire, "it was nice to meet you". :D

Qui sotto troverete una breve definizione dei tre "ruoli" fondamentali nell'Omegaverse; Alpha Beta e Omega:

Ogni persona ha un odore distintivo della propria personalità che si forma nelle prime settimane di vita.

Gli Alpha sono coloro che ricoprono il ruolo più alto nella Società( posizioni nell'Esercito o nei vari Ministeri saranno inevitabilmente ricoperte da Alpha) Questi possono essere sia uomini che donne, spesso provengono da famiglie antiche ed agiate e raggiungono il loro status attraverso prestanza fisica o creando alleanze importanti all'interno della Società; generalmente dominante.

 

I Beta vengono subito dopo gli Alpha nella scala gerarchica della Società, dal carattere cordiale e amorevole; il loro senso dell'olfatto non è molto sviluppato, il che li favorisce nel campo medico( specialmente nel ruolo di ostetriche, infermieri etc.), in quanto restano immuni dai diversi odori. Possono accoppiarsi soltanto con altri Beta, in quanto la loro parziale sterilità, metterebbe a rischio la continuità della specie.

Gli omega sono considerati, da alcuni, l'anello debole della Società e, da altri, qualcosa di raro e prezioso da proteggere.

Anche questi possono essere sia maschi che femmine e, per quanto riguarda gli Omega maschi producono lubrificante "naturale" che permette loro di restare "incinti" durante l'Estro( periodo che va dai due ai nove giorni in cui l'Omega è maggiormente fertile): durante quest'esperienza due amanti possono formare un Legame( un morso alla base del collo del proprio partner durante il piacere massimo dell'orgasmo, in modo da suggellare la propria unione) e questo Legame è indissolubile.

Coppie di Alpha-Omega possono sviluppare un legame empatico con il proprio partner; un Alpha Unito ad un Omega è tendenzialmente possessivo e geloso del proprio partner mentre le Omega tendono ad essere più remissive per accontentare il proprio partner.

 

Come ogni mattina, da nove anni, la sveglia di John Watson suonò alle sette precise.

Un gemito uscì dalle labbra dischiuse dell’uomo seminascosto dalle coperte, mentre una mano si faceva spazio fra fodere e sovraccoperte per spegnere quel rumore infernale.

Quando finalmente la stanza fu nuovamente avvolta nel silenzio, come ogni mattina, John si baloccò con l’idea di concedersi altri cinque minuti nel caldo del suo letto, ma come sempre dovette cedere alla parte razionale del suo cervello e rizzarsi a sedere.

Seduto nella propria parte del letto matrimoniale, come ogni mattina John mosse le spalle, prima la destra e poi la sinistra per sciogliere i muscoli; fece scrocchiare il collo per poi alzarsi in piedi e afferrare la vestaglia di tartan da sempre ai piedi del letto, prima di dirigersi verso il bagno, pronto per la doccia mattutina che lo avrebbe aiutato a svegliarsi e che gli avrebbe concesso dieci minuti di pace e solitudine ulteriori.

Esattamente dieci minuti dopo era nuovamente nella propria camera da letto, i capelli ancora leggermente umidi, intento ad indossare i vestiti che aveva preparato la sera prima e che aveva sistemato ordinatamente sul comò: niente di troppo elegante, un paio di blue jeans, una camicia a scacchi rossa, ed un cardigan sempre rosso ma di una tonalità leggermente più scura, abiti che ispiravano allo stesso tempo sicurezza e giovialità.

Soltanto quando fu perfettamente vestito e dopo aver sistemato la stanza, aprì la porta della camera da letto ed uscì nel salotto, fermandosi sulla soglia con un sorriso sorpreso sulle labbra.

Quasi all’istante, due occhi azzurro ghiaccio si sollevarono dal libro posato sulle ginocchia nascoste da un plaid e incontrarono i suoi, chiaramente in attesa.

-Da quanto sei in piedi?- domandò John.

Matthew Watson, nove anni ed un cervello troppo brillante per la sua età, alzò le spalle.

-Ho sentito l’allarme della tua sveglia.

Credo che dovresti riconsiderarne il volume-gli consigliò prima di sciogliere i loro sguardi per posarlo nuovamente sul libro.

John sorrise e con un lieve cenno del capo, si mosse verso la cucina.

-Tua sorella sta ancora dormendo?-gli chiese accendendo il bollitore per la sua tazza di tea mattutina.

-Non la sveglierebbero neanche le cannonate…Deve aver ripreso da te in questo-commentò il bambino.

-Tu invece devi aver ripreso il mio senso dell’umorismo-rispose l’uomo senza scomporsi.

Continuando a muoversi agilmente per la cucina che ormai conosceva come il palmo della sua mano, John sistemò due fette di pane nel tostapane e tirò fuori una tazza e una ciotola prima di rialzare lo sguardo verso il ragazzo.

-Hai intenzione di fare colazione? E in quel caso: toast, cereali o uova?-gli domandò, come faceva ogni mattina.

Matthew fece un suono indecifrabile, continuando a tenere lo sguardo fisso sul libro.

-In un linguaggio comprensibile, per favore- ribatté ancora John.

-Sono combattuto: so di dare il meglio quando affronto un test a stomaco vuoto, ma al contempo dovrei aspettare fino all’ora di pranzo prima di potermi rilassare completamente e mangiare…Ed anche allora non so se avrò appetito-considerò il bambino.

John osservò suo figlio in attesa, cercando di combattere l’istinto che gli consigliava di usare la sua autorità Alpha su suo figlio, consapevole allo stesso tempo che non avrebbe ottenuto nessun risultato.

-Credo di poter correre il rischio di un toast con marmellata- decise finalmente Matthew.

L’uomo annuì ed aggiunse un'altra fetta nel tostapane.

-Nel frattempo che ne dici di andare di sopra, svegliare tua sorella e vestirvi?-disse rivolgendogli un nuovo sorriso.

-Ma…-tentò di ribattere il bambino.

-Matty continuare a studiare ora non ti servirà a nulla, ti renderà soltanto più ansioso; hai i voti più alti di tutta la classe, se escludiamo tua sorella, quindi, rilassati e va di sopra a vestirti-gli disse con voce affabile.

Era evidente che suo figlio non fosse affatto convinto del suo discorso, ma fortunatamente Matthew si limitò ad sospirare, raccogliere i propri libri e avviarsi verso la rampa di scale che l’avrebbe portato nella vecchia camera di John ora trasformata nella camera dei ragazzi.

Una lieve vibrazione nella tasca dei jeans lo avvertì dell’arrivo di un messaggio proprio nel momento in cui il  bollitore iniziò a fischiare; dopo aver versato l’acqua bollente nella propria tazza ed aver tirato fuori il latte dal frigo, John aprì il proprio cellulare per leggere il messaggio.

Mycroft passerà a prendere i bambini dopo la scuola e li porterà dal sarto per la prova dei vestiti. Il nostro appuntamento è per le cinque. G

John accennò un sorriso, controllando velocemente il calendario per controllare che quel giorno i suoi figli non avessero attività extrascolastiche.

Malgrado fossero insieme da sei anni ed avessero un bambino, alle volte gli sembrava ancora strano pensare a Greg Lestrade, il suo migliore amico, Capo Detective Investigativo di Scotland Yard, e Mycroft Holmes, eminenza grigia del Governo Britannico, come una amorevole coppia.

Eppure loro, malgrado i loro impegni e le loro responsabilità erano riusciti dove John aveva fallito…

Niente colori pastello. Matthew mi farebbe sanguinare le orecchie a forza di lamentele. E di al tuo uomo di non viziarli troppo come al suo solito JW

-Buongiorno papà!-

Il rumore di passi veloci sulle scale lo portò a rialzare lo sguardo e a lasciare il cellulare sul piano accanto al bollitore, prima di rivolgere un sorriso alla piccola della famiglia.

Amelia Victoria Watson mal sopportava essere la piccola di casa, anzi non mancava di sottolineare che era stato soltanto per pochi minuti che suo fratello Matthew Arthur Watson le aveva rubato il titolo di primogenito.

Dopo avergli posato un bacio veloce sulla guancia, Amelia si sedette al proprio posto attorno al tavolo, versando subito i cereali nella ciotola, lasciandogli addosso un lieve sentore di lavanda che fin dalla nascita John associava alla bambina.

-Possibile che questa mattina non riesca ad avervi tutti e due nello stesso posto per iniziare la giornata? Dov’è tuo fratello?- le domandò versando una goccia di latte nel proprio tea e passando poi la bottiglia alla bambina.

-Sta cercando di dare un ordine ai suoi ricci-rispose lei.

John la guardò stupito.

-Da quando tuo fratello si preoccupa di avere i capelli in ordine?

Ha per caso una fidanzatina?-domandò sistemando la propria tazza, ed il piatto a capotavola.

Amy fece una smorfia disgustata e proprio in quel momento Matt entrò in cucina, l’odore di miele e solvente chimico perfettamente amalgamato creando un odore unico che ormai era diventato la sua caratteristica, ad annunciare il suo arrivo.

-E’ per l’insegnante di storia…Nel caso dovessi sbagliare qualche domanda-disse alzando le spalle come fosse la risposta più ovvia.

John lo guardò incredulo per qualche istante prima di scuotere la testa.

Cos’altro potevo aspettarmi da Sherlock Holmes  Jr.?” si chiese, dandosi mentalmente dell’idiota.

Sorseggiando lentamente il proprio tea, John osservò i propri figli, impegnati nella propria colazione e con indosso le uniformi della scuola e per la millesima volta si chiese come avesse fatto ad essere così fortunato.

Certo quella non era la vita che aveva immaginato da ragazzo, ma quante volte i sogni di bambino si realizzano?

John Hamish Watson, trentanove anni, Alpha, aveva sempre pensato che alla soglia dei quaranta avrebbe avuto uno studio medico ben avviato, una discreta sicurezza economica, una casa in campagna, un cane, un compagno accanto e un indefinito numero di figli.

Ed in parte era riuscito nel proprio obiettivo: aveva uno studio medico, con pazienti che gli volevano bene e lo rispettavano, una sicurezza economica in parte guadagnata con il proprio lavoro e in parte grazie all’aiuto della sua famiglia acquisita, aveva una casa che, malgrado non fosse di proprietà o in campagna, era l’unico posto al mondo dove si sentisse al sicuro, e stava considerando di regalare un cane ai bambini per Natale.

A chi importava se aveva raggiunto quel traguardo attraverso rabbia, sangue, sudore, dolore, la paura di non ritornare più quello di un tempo, la sofferenza per un cuore spezzato e la consapevolezza di non essere abbastanza?

John scosse leggermente la testa, scacciando quei pensieri dalla mente e posò lo sguardo su Matthew, Matty, il suo primogenito.

Fin dal primo istante in cui era venuto al mondo, aveva fatto emergere il suo carattere, urlando a pieni polmoni finché non gli si prestava attenzione, anche soltanto accarezzandogli le piccole dita o il piedino, ma inaspettatamente bisognoso di costante contatto umano, al punto che John aveva dovuto portarlo con sé ovunque nel marsupio durante i primi mesi di vita.

Come non bastassero i suoi capelli nero corvino, i suoi riccioli, ed i suoi occhi blu ghiaccio, per capire a chi appartenesse gran parte del suo patrimonio genetico.

Malgrado l’apparenza distante, quasi algida, Matty era il più fragile dei suoi figli, legato a suo padre in maniera viscerale, alcuni avrebbero detto quasi morbosa, portandolo a chiedere gran parte dell’attenzione di John, che era disposto a condividere soltanto con sua sorella.

Con il passare degli anni, l’intelligenza prettamente Holmes si era messa sempre di più in mostra, facendolo eccellere nelle scienze, ma costringendolo a lavorare il doppio nelle materie che chiaramente non lo interessavano.

Proprio come suo padre aveva da sempre avuto problemi a relazionarsi con gli altri bambini, ma al contrario di Sherlock, Matthew aveva avuto l’aiuto di Amy che, in un primo tempo si era eletta a suo difensore, e poi lo aveva aiutato a farsi nuove amicizie.

All’età di sei anni aveva deciso di voler imparare uno strumento e John aveva acconsentito ad una sola condizione: tutti gli strumenti erano concessi tranne il violino.

Era disposto anche ad avere un arpa in casa pur di non sentire più il suono di un violino per il resto della sua vita…

Fortunatamente Matthew non era apparso particolarmente interessato a quello strumento, propendendo fin da subito per il pianoforte.

Così, dopo aver riorganizzato i mobili del salotto, sotto l’attenta guida di Amy e con l’aiuto di due uomini muscolosi gentilmente offerti da Mycroft, un bellissimo pianoforte a coda aveva fatto il suo ingresso al 221B di Baker Street invadendo gran parte del salotto.

Ma il sorriso raggiante che era apparso sul volto di Matthew non appena aveva visto lo strumento aveva ripagato John di ogni metro quadrato perso.

Da completo autodidatta, nel giro di poche settimane Matthew aveva imparato le basi dello strumento, per poi migliorare sempre più velocemente, arrivando ad eccellere al pari di un professionista in meno di due anni.

John aveva conosciuto soltanto una persona con altrettanto talento musicale…

Scacciando nuovamente quei suoi pensieri indesiderati, John accarezzò il retro del collo del bambino attento a non spettinargli i capelli, rivolgendogli un sorriso quando Matty incontrò i suoi occhi.

-Oggi viene a prendervi zio Myc all’uscita dalla scuola- annunciò prima di dare un morso al proprio toast.

-Ci sarà anche Martin?- domandò Amy.

Martin Holmes-Lestrade era il solo figlio di Mycroft e Greg, ed avendo solo quattro anni, era il piccolo della famiglia provocando un sentimento di protezione in Amelia e, inaspettatamente anche in Matthew.

L’affetto era ricambiato in pieno, visto che Martin stravedeva per i due cugini più grandi, al punto da invitarli più volte a restare per la notte, o a presentarli come i propri fratelli quando i tre bambini si trovavano insieme al parco.

John annuì.

-Zio Myc vi porterà dal sarto per la prova dei vestiti del matrimonio- spiegò loro.

Amelia batté le mani, chiaramente eccitata all’idea di vestiti nuovi, al contrario del fratello che si lasciò scappare un gemito.

-Sta tranquillo Matty, ho parlato con zio Greg e gli ho fatto giurare che non ci saranno colori o vestiti stravaganti-lo rassicurò.

-Giuro che se il vestito scelto da zio Myc non mi piace, mi presento alla cerimonia in pigiama!-minacciò il bambino.

-Ti credo sulla parola-rispose il biondo, provocando le risate divertite di Amelia.

-Posso avere un abito rosa?-chiese la bambina, una goccia di latte che le scivolava dall’angolo destro della bocca.

John alzò le spalle.

-Non vedo perché no…In fondo avrai un vestito diverso da tuo fratello e Martin, fa in modo che sia speciale-le rispose tendendole un fazzolettino.

Il viso di Amelia si illuminò, la mente già impegnata a catalogare i possibili modelli che l’avrebbero resa la più bella di tutti al matrimonio.

Malgrado condividesse l’enorme intelligenza con suo fratello, Amelia Watson era in tutto e per tutto figlia di John: aveva i suoi capelli biondo cenere, i suoi occhi blu inquisitivi e ridenti, il suo naso dalla punta leggermente alzata, e almeno per il momento aveva ereditato la sua passione per il calcio.

Quando avevano tre anni, John aveva provato in tutti i modi a stuzzicare l’attenzione di Matthew perché il bambino si interessasse allo sport ma, come avrebbe dovuto aspettarsi da un Holmes, Matty non aveva concesso alla palla neanche un istante del proprio prezioso tempo, mentre invece Amelia aveva iniziato a giocare con lui.

Con gli anni John l’aveva iscritta ad una scuola femminile di calcio in cui aveva assunto il ruolo di portiere, e ogni sabato lui ed Amy si sedevano sul divano a guardare le partite del Chelsea, mentre Matthew li osservava dalla cucina scuotendo la testa, impegnato con i propri libri.

Grazie all’intervento di Mycroft erano anche stati ospiti nella tribuna d’onore del Chelsea allo Stamford Bridge, incontrando la squadra a fine partita, e ricevendo in regalo i guanti del portiere.

Amelia aveva dormito con quei guanti sotto il cuscino per due settimane, prima di decidersi ad appenderli al muro.

Contrariamente a suo fratello, la bambina era più indipendente e, forse grazie ai geni Watson, più spigliata ed estroversa; era stata lei la prima a farsi degli amici durante i primi giorni di scuola, senza però abbandonare mai il fratello, malgrado le proteste del bambino che “quelle attività fossero noiose e poco stimolanti a livello intellettuale”, aiutandolo allo stesso tempo a farsi un piccolo gruppo di amici.

La prima volta che aveva dormito fuori casa per un pigiama party, John si era ritrovato inspiegabilmente in lacrime, messo bruscamente a confronto con il tempo che passava: presto i suoi figli sarebbero andati all’università e lui si sarebbe ritrovato nuovamente solo in quella casa troppo piena di fantasmi e il cui solo pensiero di andar via gli mozzava il fiato.

Scosse per l’ennesima volta la testa per allontanare quei pensieri tetri; forse era davvero arrivato il momento di comprare quel cane, almeno così avrebbe avuto un po’ di compagnia…

-Papà?-

John riportò la propria attenzione su Matthew, notando velocemente il toast mangiato a metà e il bicchiere di latte vuoto.

-Scusami, ero distratto-

-Da quanto tempo si conoscono lo zio Greg e lo zio Myc?-domandò il bambino, cogliendolo di sorpresa.

John aggrottò leggermente la fronte, calcolando velocemente gli anni trascorsi.

-Si conoscono da quando avevano vent’ anni, ma sono insieme da dieci anni, Uniti da sei-rispose l’uomo.

-Perché hanno aspettato tanto tempo?-chiese curiosa Amy.

John sorrise.

-Vostro zio Myc è un uomo molto timido…Per molto tempo è stato innamorato dello zio Greg senza dire nulla, convinto che potessero essere soltanto amici-raccontò, alterando leggermente la verità.

-Finché lo zio Greg non si è fatto avanti…-disse Matthew.

-Una specie-rispose sibillino John.

Matty restò in silenzio qualche istante, ma conoscendo il bambino, John restò in silenzio sorseggiando il proprio tea, perfettamente consapevole che avesse ancora delle domande.

-Perché allora hanno aspettato fino ad adesso per sposarsi?-domandò infatti il bambino.

John restò qualche istante ancora in silenzio, interrogandosi su come rispondere a quella domanda, finché non rialzò lo sguardo sul bambino e si lasciò andare ad un sospiro.

-Vi ricordate il discorso che abbiamo fatto su come ognuno di noi sia un’ Alpha, un’ Omega o un Beta?-disse per introdurre il discorso.

I due bambini annuirono quasi all’unisono.

-Voi sapete benissimo che io sono un’Alpha e che vostro padre era un’ Omega.

La stessa cosa vale per lo zio Myc e lo zio Greg.

Ora quando un’Alpha  ed un’Omega si innamorano e decidono di stare insieme, mettono in atto un processo chiamato Unione, un legame molto forte ed indissolubile che dimostra alle altre persone che lo zio Myc o lo zio Greg non vogliono fidanzati…-

-Perché sono innamorati l’uno dell’altro- s’intromise Amelia candidamente.

John sorrise.

-Esattamente.

Grazie all’Unione tutti sanno che due persone appartengono l’una all’altra, ma capita come nel caso dei vostri zii che si voglia renderlo ufficiale con un matrimonio-concluse, sperando di non aver confuso maggiormente le idee dei gemelli.

Matthew lo guardò attentamente, mille pensieri per la testa, ma John capì che al momento non era disposto a condividerli con lui.

-Sembra molto romantico…-commentò Amy.

-Tu trovi tutto romantico-ribatté il fratello in tono quasi disgustato.

-Ok prima di far scoppiare l’ennesima guerra fra Watson, andate a lavarvi i denti e a prendere le vostre borse.

E’ ora di andare a scuola-disse alzandosi in piedi e spostando i piatti sporchi nel lavello.

Amy corse verso il bagno, ma per qualche istante John sentì su di sé lo sguardo penetrante di Matthew, chiaramente combattuto se fargli quell’ultima domanda o meno.

Per incoraggiarlo, John alzò la testa ed incontrò il suo sguardo, rivolgendogli un sorriso sereno e rassicurante.

L’attimo dopo, Matthew lasciò la cucina in silenzio.

 

 

Puntuale come ogni mattina, ferma all’angolo fra Baker Street e Bell Road, una figura era in attesa.

Incurante della gente che avvolta nei propri cappotti lo superava per raggiungere la fermata della metropolitana con la speranza di arrivare in tempo al lavoro, un uomo restava immobile con le spalle rivolte al muro e gli occhi fissi sulla porta nera dall’altra parte della strada.

John era da sempre un uomo puntuale, anche se lui aveva fatto di tutto per fargli perdere quell’abitudine noiosa ed inutile, ma quando era diventato padre quell’ insulso bisogno di stabilità e di ordine si era radicato maggiormente dentro di lui.

Ricordava fin troppo bene le tante discussioni avute in nome dell’ordine e del bisogno di Amelia e Matthew di orari e schemi fissi fin dalla più tenera età, per farli crescere un ambiente sereno e stabile.

 

Non ricordavo fossi così noioso…”

Con un gesto ormai automatico, prese il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne portò una alla bocca, accendendola l’istante dopo, scacciando i cattivi pensieri con le volute di fumo azzurrino che si levavano verso l’altro.

Non doveva pensarci, non ora, non dopo tutto quello che aveva affrontato per essere lì, sul quel marciapiede, di fronte quella porta chiusa.

Come se le persone all’interno dell’appartamento fossero a conoscenza dei suoi pensieri, in quel momento la porta si aprì e l’uomo lasciò che le sue labbra si curvassero leggermente verso l’alto: otto e quaranta in punto.

La prima persona che vide fu Amy, avvolta in un cappotto blu che le arrivava alle ginocchia, i capelli biondo cenere perfettamente sistemati in una treccia e la borsa da cui si intravedeva il logo della scuola sulle spalle, le dita della mano destra strette a pugno attorno a una palla colorata: guanti.

Malgrado la lontananza, l’uomo riuscì a scorgere i piccoli cambiamenti avvenuti nel breve periodo di lontananza: in due settimane le sue guance erano diventate più piene, i capelli erano stati leggermente accorciati, anche se soltanto un occhio esperto avrebbe potuto notare la differenza, ed era cresciuta di due centimetri, anche se ormai sembrava evidente che i geni Watson su di lei avevano avuto il sopravvento.

Rendendola adorabile ai suoi occhi.

L’attimo dopo Matthew la raggiunse sul marciapiedi, il corpo slanciato e infantile in un cappotto nero dai risvolti rialzati che gli strapparono un sorriso.

Anche lui ha un aspetto misterioso e affascinante con i risvolti del cappotto rialzati, John?

I capelli neri ricci sembravano più controllati del solito, portandolo a chiedersi cosa avesse richiesto quello sforzo in più dato il solito disordine che governava i riccioli del bambino.

Così come era successo con Amelia, l’uomo focalizzò tutta la sua attenzione su Matthew assimilando le nuove informazioni: la nuova altezza, il modo in cui aveva deciso di portare i capelli, il viso che lentamente stava perdendo il suo aspetto infantile, dandogli un’espressione seria e composta.

Osservandoli insieme notò la differenza d’altezza fra i due bambini, come Amelia arrivasse soltanto alla spalla del bambino strappandogli un altro sorriso.

Vederli insieme era allo stesso tempo un balsamo per le sue ferite ed il tizzone ardente che utilizzava per riaprirle nuovamente.

Entrambi i bambini avevano lo sguardo rivolto verso l’interno nella casa, dove dalla porta aperta l’uomo riusciva ad intravedere la figura di John affaccendarsi per controllare che tutto fosse in ordine prima di uscire in strada a sua volta e chiudersi la porta nera alle spalle.

I bambini si sistemarono ai lati di John, prendendogli la mano, in un copione che aveva visto ripetersi molte mattine e che ogni volta gli provocava una inspiegabile fitta allo stomaco.

Seguendoli a distanza di sicurezza mentre si avviavano verso la Abercorn School osservò i muscoli rilassati della schiena di John, il chiacchiericcio continuo di Amelia e le sporadiche interazione di Matthew si scoprì geloso della loro intimità.

John e i bambini erano un entità impossibile da sciogliere, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto separare.

Lo vedeva chiaramente dal modo in cui Matthew inclinava la testa per incontrare lo sguardo di John, nel sorriso dolce dell’uomo, nel battibecco scherzoso fra i due gemelli.

Se avesse voluto quel privilegio sarebbe potuto essere suo…

Scuotendo nuovamente la testa, l’uomo continuò a seguire il trio fino ai cancelli della scuola, dove dovette fermarsi a pochi metri di distanza per non essere visto dalle spie di Mycroft che ogni giorno pattugliavano il palazzo.

Nascosto in una delle stradine secondarie, Sherlock Holmes osservò John fare le ultime raccomandazioni ai bambini, prima di salutare i due gemelli con un abbraccio e posare un bacio sulla testa di entrambi.

L’attimo dopo i due bambini erano oltre il cancello, già impegnati a salutare i loro amici.

Chi l’avrebbe mai detto: due Holmes con degli amici…

No.

Watson.

Osservò i due bambini finché non scomparirono oltre l’entrata della scuola insieme ai loro compagni per poi voltarsi e scomparire velocemente.

Aveva molto da fare prima di poter tornare a casa.

 

 

Sono tanti piccoli accorgimenti che contraddistinguono un buon medico, o almeno questo è ciò che John Watson ha sempre pensato fin dal primo giorno in cui ha aperto il suo studio medico ai pazienti: puntualità, cortesia, sincerità e, soprattutto, un sorriso sempre pronto.

Dopo anni passati ad esercitare in cliniche private e non, spinto dalla necessità di essere sempre reperibile per le baby sitters che occasionalmente si occupavano di Amy e Matty, aveva deciso di darsi alla pratica privata e aprire il proprio studio.

Dopo averne parlato con Mrs. Hudson ed esserci sincerato che i suoi risparmi gli permettessero un cambiamento così radicale, aveva iniziato i lavori nell’appartamento C di Baker Street, lavorando per togliere le infiltrazioni che causavano le macchie d’umidità e dando poi al piccolo locale un aspetto confortevole e caldo che fosse rassicurante per i suoi pazienti fin dal primo istante in cui vi entravano.

Fortunatamente la sua professionalità e il rapporto d’affetto che si era creato con alcuni dei suoi pazienti lo aveva aiutato, facendosi sì che questi lo seguissero allo studio privato invece di scegliere un nuovo medico della clinica.

Da sempre specializzato nella cura di Alpha e Beta, a distanza di sette anni poteva affermare di avere uno degli studi medici più conosciuti di Londra.

John era consapevole che parte del suo successo era dovuto alla totale attenzione che metteva nel proprio lavoro: i suoi pazienti sapevano di poter contare su di lui, sulla sua discrezione, e sulla sua professionalità.

Ma soprattutto, la sua fama era dovuta all’assenza di altre distrazioni nella sua vita.

C’era stato un tempo in cui un uomo dai capelli neri, completamente pazzo, lo faceva correre per le strade di Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte a caccia di ladri e assassini, mettendolo nei guai con i suoi colleghi della clinica ed i suoi pazienti…e rendendolo incredibilmente felice.

Quando quel meraviglioso pazzo era uscito dalla sua vita con un gesto drammatico del suo lungo cappotto senza neanche guardarsi indietro, nella sua vita erano rimaste solo tre cose: il suo lavoro, Amelia e Matthew.

Ed erano state queste tre cose che gli avevano impedito di lasciarsi andare e crollare.

Da sei anni le sue giornate erano organizzate in modo quasi militare: dopo aver accompagnato a scuola i gemelli, John ritornava a casa e apriva lo studio medico ai propri pazienti, tenendo fede ai propri appuntamenti fino a mezzogiorno quando si concedeva una breve pausa per il pranzo ed una tazza di tea, prima di riprendere a lavorare fino alle quattro, orario in cui chiudeva lo studio e andava a prendere i bambini a scuola.

Ogni giorno la stessa tabella di marcia, fatta eccezione per i giorni in cui i gemelli avevano dei club scolastici che li trattenevano a scuola oltre l’orario delle lezioni, in cui lo studio era aperto per un’ora oltre l’orario normale, per  le feste e i fine settimana.

Con gli anni aveva creato attorno a sé una rete di supporto che gli permetteva di continuare il proprio lavoro anche durante le settimane di half-term in cui i gemelli erano in vacanza, contando sull’appoggio di Mrs. Hudson, Mycroft e Greg, Molly e alcune mamme degli amici dei ragazzi.

Nessuno dall’esterno avrebbe mai immaginato che in quella macchina bene oliata ci fosse un importante pezzo mancante ed era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno gli aveva fatto domande sulla sua Omega che se per caso si ritrovava ad affrontare quell’argomento con un estraneo, John si limitava a fare un’espressione triste e a scuotere la testa, mettendo a disagio il suo interlocutore.

In fondo dopo la morte di Sherlock non era stato poi neanche così difficile… Il suicidio di Sherlock era stata soltanto la conferma definitiva che l’uomo non sarebbe più tornato a casa, che quel meraviglioso capitolo della sua vita si era definitivamente concluso.

Come tutti i giorni, dopo essere tornato a casa, John si concentrò sul proprio lavoro fermandosi soltanto per il pranzo, ma la sua mente non era completamente concentrata sui suoi pazienti come al solito: continuava a pensare alla conversazione avuta quella mattina con i gemelli e all’espressione pensierosa che era apparsa sul volto di Matty.

Malgrado il bambino non avesse fatto nessun accenno a ciò che lo turbava, e che durante il breve tragitto fino alla scuola era tornato ad essere enigmatico come al solito, chiaramente concentrato sul test di storia che avrebbe affrontato di lì a poco, John era consapevole che suo figlio non aveva lasciato cadere l’argomento.

Era davvero un Holmes in certe cose…

John aveva sempre saputo che presto o tardi sarebbe arrivato il giorno in cui i suoi figli avrebbero iniziato a fargli domande su Sherlock ma, dopo la morte del detective, aveva sperato di mettere un freno a quelle domande o almeno di dirottarle verso territori più sicuri.

In fondo che domande potresti mai avere su un padre che non hai mai conosciuto?

Ma a quanto pare aveva sottovalutato la situazione… O forse aveva sperato che almeno in quella circostanza il lato Watson avrebbe avuto il sopravvento, mettendo a tacere la curiosità.

Incapace di liberarsi di quei pensieri, aveva concluso le ultime visite e aveva chiuso lo studio, per poi prendere un taxi verso Saville Row dove aveva appuntamento con Greg.

Nella loro società, rigidamente impostata sui ruoli e sulle classi in cui ognuno di loro si ritrovava inserito dai dodici anni in su, era raro trovare un Omega ed un Alpha diventare amici, senza il secondo fine di stringere con il tempo un Unione.

Ma Gregory Lestrade e John Watson erano una delle rare eccezioni.

Forse in un’altra vita sarebbero stati perfetti l’uno per l’altro, avrebbero vissuto una vita felice e avrebbero fermamente creduto di aver trovato l’anima gemella.

Ma quando nella loro vita si erano intromessi fin dall’infanzia i fratelli Holmes, quella che poteva essere una perfetta storia d’amore si era trasformata in una grande amicizia.

Era stato Greg a sostenerlo quando Sherlock se ne era andato, aiutandolo con i bambini e accompagnandolo al pub perché potesse sbronzarsi e parlare senza sosta del detective; era stato lui a dargli la notizia della sua morte, con le lacrime agli occhi, ancora scioccato per averlo visto volare giù dal tetto del Barts, sedendosi accanto a lui mentre John dava sfogo al suo dolore, senza parlare, piangendo silenziosamente, consapevole che non esistevano parole adatte per confortare un Alpha che aveva perso tragicamente il proprio Omega.

Allo stesso tempo, John lo aveva accompagnato in ospedale quando l’Omega era entrato in travaglio restando accanto a lui finché Mycroft non era arrivato in ospedale, lo aiutava ancora saltuariamente con alcuni casi che per lui risultavano “impossibili” e lo ascoltava le poche volte in cui l’uomo aveva bisogno di sfogare la frustrazione accumulata contro Mycroft.

In fondo nessuno poteva capire quanto fosse stressante vivere con un Holmes quanto lui…

Quando il suo taxi si fermò davanti a Saville Row, l’Ispettore era già lì, impegnato a controllare i messaggi sul proprio cellulare: considerata l’ora Martin doveva essere già uscito da scuola e dal movimento nervoso delle dita, Greg stava cercando con tutto sé stesso di controllare i propri istinti Omega e non chiamare Mycroft ed il bambino, interrompendo così il loro pomeriggio padre e figlio.

-Aspetti da molto?-domandò John fermandosi a pochi metri di distanza.

Greg scosse la testa.

-Sono appena arrivato…Vogliamo entrare? Ho bisogno di una distrazione…- commentò il detective prima di precederlo all’interno della sartoria.

Fu chiaro fin da subito che la famiglia Holmes era una cliente abituale di quella sartoria da molti anni; tutti i commessi si dimostrarono estremamente gentili con Greg e rispettosi verso John, facendogli sentire il peso del suo lato Alpha come poche volte prima d’ora, offrendo loro tazze di tea e mini cupcakes, mostrandogli vari tipi di completi che secondo la loro opinione erano perfetti per una cerimonia d’Unione.

Lasciando il proprio tea a metà, John aveva preso un paio di completi e si era diretto verso il camerino per provare entrambi, dandosi mentalmente dell’idiota per il nodo che gli stringeva lo stomaco e che gli impediva di rilassarsi.

Malgrado i suoi difetti, John Watson era un buon amico: ecco perché si trovava lì in quel momento, impegnato ad indossare un vestito da cinquecento sterline malgrado avrebbe volentieri fatto a meno di presenziare alla cerimonia.

Non si poteva certo dire che la sua Unione era stata fra le più felici…

“Questa casa mi toglie il respiro.

Nessuno ti obbliga a restare Sherlock… Puoi sempre prendere la porta ed andartene in uno di quei gesti drammatici che ti piacciono tanto”

Scacciando dalla mente quei pensieri, John riemerse dal camerino con indosso un completo Principe di Galles nero completo di panciotto, ma Greg lo rimandò nel camerino dopo avergli concesso soltanto un’occhiata.

-Ricorda troppo lo stile di Mycroft…Non credo ti si addica-gli disse.

-Vorresti dirmi che non ho stile come il tuo fidanzato?-lo prese in giro il dottore.

-Oh hai fin troppo stile, è la classe che ti manca…-lo punzecchiò l’altro ironico.

John lo fissò con un espressione fintamente scioccata sul volto.

-Ricordami perché ho accettato di farti da testimone…-

-Perché sei l’unico che, sono certo, farà di tutto per farmi cambiare idea fino all’ultimo-rispose prontamente Greg-E poi nessuno mi capisce meglio di te…-aggiunse il detective.

-Neanche Myc?- domandò curioso John disse dirigendosi nuovamente verso il camerino.

Greg si lasciò scappare un suono sarcastico dalle labbra dischiuse.

-Gli Holmes avranno un gran cervello, ma come ben sai sono “incredibilmente ignoranti” quando si tratta di certe cose-si limitò a commentare.

John annuì in silenzio, impegnato a cambiarsi d’abito, lasciando nuovamente che i pensieri volgessero al passato, ricordando la prima volta che quelle parole erano state urlate contro di lui, seguite subito dopo da una rivista medica che per poco con lo aveva colpito in pieno viso.

“Ma è il Sistema Solare!

Cosa vuoi che mi importi chi sia il Primo Ministro o se la Terra gira intorno al Sole o ad un orsacchiotto di peluche al centro di un giardino?”

Decisamente altri tempi, si disse John finendo di abbottonare la giacca blu del completo ed uscendo nuovamente dall’angusta cabina.

Greg lo osservò attentamente per alcuni istanti prima di annuire.

-Decisamente questo-gli disse.

John si voltò verso lo specchio a figura intera, osservando il completo: i pantaloni, il panciotto, la camicia e la cravatta blu scuro gli davano un aria distinta ed elegante mettendo allo stesso tempo in risalto i suoi occhi blu oceano.

-Diciamo che può andare…-commentò lanciando un’occhiata all’amico attraverso lo specchio.

Greg alzò gli occhi al cielo senza rispondergli, mentre un commesso della sartoria lo invitò a salire su un piccolo piedistallo per potergli prendere le misure in modo da fare delle piccole modifiche al vestito.

-C’è qualcosa che ti preoccupa…-commentò Greg osservandolo attentamente.

John restò in silenzio, incerto se condividere con l’amico i propri pensieri su ciò che era successo quella mattina, limitandosi a seguire alla lettera le istruzioni del commesso.

-E’ successo qualcosa?-gli chiese ancora Greg, chiaramente deciso a non lasciar perdere.

John scosse la testa.

-Sinceramente non lo so…E’…-disse lasciandosi scappare un sospiro frustrato-E’ solo che sono un po’ preoccupato per Matty-disse.

Greg corrugò la fronte.

-Questa  mattina stava pensando a suo padre e la cosa mi preoccupa un po’, tutto qui-disse John, cercando di non ingigantire la faccenda.

-Ha detto qualcosa?-gli domandò Greg, fissando attentamente il volto dell’amico.

John scosse la testa.

-Non ce ne è bisogno…E’ mio figlio, lo conosco.

Come se non bastasse è un Holmes: anche se non ne parla mai non significa che ha smesso di pensare a lui-commentò John.

Greg annuì.

Se c’era una cosa che contraddistingueva gli Holmes era il cervello sempre in movimento, concentrato su mille problemi e percorsi mentali diversi allo stesso momento.

-Come hai fatto a capirlo?-gli chiese.

John sospirò nuovamente e si passò una mano fra i capelli corti.

-E’ cominciato tutto con la storia dei vestiti per la cerimonia; sembrava tutto tranquillo, finché Amy non mi ha chiesto come mai dopo tutto questo tempo tu e Mycroft avete deciso di sposarvi…-

-Questa è facile: perché abbiamo un bambino e siamo innamorati-lo interruppe Greg, leggermente divertito.

Ai suoi occhi non c’era spiegazione più semplice di quella.

John annuì.

-Ed è stato proprio quello che le ho risposto.

Però sai bene quanto me che si può essere innamorati e stare insieme anche senza essere sposati; così ho cercato di spiegare ad entrambi che alle volte, malgrado due persone siano Unite, alle volte sentono il bisogno di qualcosa di più forte, duraturo…-raccontò John.

-Non c’è niente di più forte dell’Unione-ribatté Greg.

John gli lanciò un’occhiataccia.

-Vuoi davvero iniziare questo discorso? Soprattutto con il sottoscritto?-gli domandò.

Entrambi erano consapevoli che avventurarsi nuovamente in quella discussione avrebbe soltanto riaperto vecchie ferite mai veramente rimarginate e l’ultima cosa che Greg desiderava era veder soffrire l’amico.

-Scusa, va avanti…-

John annuì e per qualche istante restò in silenzio, rimettendo insieme i propri pensieri e approfittando di quel momento per togliersi la giacca da cerimonia e sistemarla sul primo manichino nudo disponibile, andando poi a sedersi su una sedia di fronte al detective.

-Amy si è accontentata della spiegazione, lei è una Watson, non ha voglia di complicarsi inutilmente la vita…Ma Matty moriva dalla voglia di farmi un’altra domanda.

Glielo leggevo chiaramente negli occhi-gli disse.

-Quale domanda?-domandò l’altro.

John alzò le spalle.

-Non lo so…E’ questo il problema con Matty: finché non è pronto non riesci a cavargli nulla da bocca.

L’unica cosa che so è che riguardava suo padre-aggiunse.

Ancora una volta, Greg aggrottò la fronte.

-Fanno spesso domande su Sherlock?-s’informò.

Un espressione seccata apparve sul volto del dottore, prima che questi si alzasse in piedi cercando di scaricare la propria tensione nervosa.

-Cosa dovrebbero chiedere?

Non lo hanno mai conosciuto, se ne è andato quando avevano soltanto due mesi!

Siamo sempre stati soltanto noi tre.

Fino a qualche anno fa tenevo una sua fotografia sulla mensola del camino, in modo che i ragazzi avessero almeno un’immagine del padre, finché un giorno sono rientrato a casa e l’ho trovata in frantumi sul parquet del salotto.

E’ stato il loro modo per dirmi che quella foto doveva sparire, che lo consideravano un estraneo…-gli raccontò senza nessun’emozione nella voce.

Era strano per Greg osservare ed ascoltare John parlare di Sherlock in quel modo così impersonale, come se si trattasse realmente di un estraneo invece che del padre dei suoi figli, ricordando allo stesso tempo quella stessa voce che lodava il detective per la sua intelligenza e le sue deduzioni, che difendeva Sherlock da tutto e tutti.

La stessa voce che parlava del detective con infinito amore…

-Cosa hai intenzione di fare?-gli domandò allontanandosi dai propri pensieri e concentrandosi nuovamente sull’amico chiaramente in difficoltà.

John scosse la testa sconsolato.

-Non ne ho la più pallida idea.

Matthew assomiglia terribilmente a suo padre…

Fin dalla sua morte averlo accanto è stata la mia ancora con la realtà, ancor più di Amelia, per ricordarmi che quel periodo della mia vita è realmente accaduto, che non l’ho immaginato… Come se un pezzo di Lui mi fosse stato restituito-gli confessò sincero.

Greg lo osservò per qualche istante in silenzio, indeciso se fare o meno quella domanda che lo tormentava fin dalla morte di Sherlock.

-Posso farti una domanda?-si decise a chiedergli.

John annuì.

-Perché non hai mai pensato di cercare un’altra Omega quando Sherlock se n’è andato? Oppure dopo la sua morte quando la vostra Unione si è spezzata?-gli domandò cauto.

John tornò a sedersi accanto all’amico e si prese un lungo istante prima di rispondere.

Nessuno, neanche Mycroft o Greg avevano mai capito fino in fondo il legame che aveva unito lui e Sherlock…Era impossibile spiegarlo quando erano insieme, praticamente inseparabili, come avrebbe potuto spiegarlo ora, dopo anni di solitudine?

Quali erano le parole adatte per spiegare al detective che, malgrado la morte di Sherlock, John sentiva la loro Unione ancora solida con tutte le implicazioni che questo comportava?

Come spiegargli che cercare una nuova Omega avrebbe avuto per lui lo stesso effetto di tradire Sherlock, quasi l’uomo facesse ancora parte della sua vita?

-Ci ho pensato.

Per un po’ ho considerato l’idea di frequentare una beta, anche soltanto per un breve periodo, ma alla fine avrebbe richiesto troppo impegno.

Specialmente adesso che i ragazzi sono più grandi avrei dovuto sottrarre delle attenzioni a loro per concentrarle su questa nuova “persona” e lo sai anche tu quanto è geloso Matty…Non so davvero cosa sarebbe successo se avessi incontrato qualcuno, come minimo avrebbe fatto esplodere la cucina per rappresaglia-commentò con un sorriso affettuoso sulle labbra.

Greg si unì al sorriso restando in silenzio, certo che l’amico non avesse ancora finito.

-Ma credo che la motivazione principale sia sempre la stessa: per quanto io possa cercare, non troverò mai una persona che mi completi e si adatti perfettamente a me come faceva Lui…Ne abbiamo passate tante insieme, fra il suo totale rifiuto per il proprio Sesso, e la mia difficoltà nell’ammettere i miei sentimenti, senza dimenticare la sua tossicodipendenza e tutto il resto.

La parte razionale di me lo sa che se decidessi di avvicinarmi ad un’altra persona non avremmo tutti quei problemi, ma…-disse incapace di dar voce ai propri pensieri.

-Non sarebbe lo stesso, vero?-disse Greg al suo posto.

John annuì lentamente, un sorriso triste a distendergli le labbra.

-Gli Holmes possono essere dei rompicoglioni, ma malgrado tutto ne vale sempre la pena-commentò tristemente John.

-Nessuno può essere più d’accordo di me…-disse posandogli una mano sulla spalla destra.

John si strofinò il volto con entrambi le mani, cercando di allontanare i pensieri tristi che quel giorno sembravano tormentarlo.

-Cosa farai con Matty?-gli domandò dopo un po’ Greg.

Il dottore alzò le spalle.

-Non lo so…Sono sinceramente combattuto; in fondo anche Lui è suo padre, quindi se Matty ha delle domande e vuole sapere qualcosa in più su di lui, risponderò a tutte le sue domande-concluse, giungendo ad una decisione sul momento.

Greg annuì lentamente prima di fissare John per qualche istante, portando l’altro ad aggrottare la fronte.

-Che c’è?-

Il detective scosse la testa prima di alzarsi in piedi, chiaramente diretto verso il camerino di prova.

-E’ solo che mi sono reso conto che sono anni che non ti sento dire il nome di Sherlock…

Sarà meglio che vada a provare il mio vestito…-aggiunse prima di voltargli le spalle.

John restò in silenzio, lo sguardo fisso sulle proprie mani.

Che bisogno aveva di dire il nome di Sherlock ad alta voce quando questo era un costante sussurro nella sua mente?

 

 

Matthew Watson amava passare del tempo con lo zio Mycroft.

Fra tutte le persone che facevano parte della sua famiglia, era l’unico che lo capiva con un solo sguardo, senza il bisogno di parlare.

Anche suo padre aveva quell’abilità, a quanto pare acquisita in anni di conoscenza e convivenza con l’Omega che li aveva abbandonati, ma al contrario dello zio Mycroft, suo padre preferiva restare in disparte aspettando che fosse lui a cercare il suo conforto ed i suoi consigli evitando di fargli pressione.

Forse era per questo che Matthew era così legato a suo padre: la sua intelligenza era abbastanza sviluppata da renderlo consapevole di essere estremamente fortunato.

Se ci fosse stato qualcun altro al posto di John Watson, qualcuno meno comprensivo, meno accomodante, meno innamorato della sua intelligenza, allora la sua vita non sarebbe stata così facile.

Matthew avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo padre, anche a costo di frenare la propria curiosità.

Quello che era successo quella mattina ne era un chiaro esempio: ciò che era iniziato come un banale discorso sui vestiti da cerimonia sia era trasformato presto in una conversazione più complicata che aveva portato la sua mente in quel territorio inesplorato che era l’Omega a cui suo padre era stato legato e che era morto tre anni prima.

Molte volte osservando il rapporto fra lo zio Greg e lo zio Mycroft si era ritrovato a fare dei paragoni e a chiedersi cosa fosse andato storto nella relazione fra suo padre e l’Omega, ma non aveva mai fatto domande consapevole che quello non era un discorso facile per suo padre, malgrado lui affermasse il contrario.

Quei pensieri non lo avevano abbandonato per tutta la giornata, venendo accantonati momentaneamente durante l’orario scolastico, ma ora che si trovavano a casa dello zio Greg e dello zio Mycroft erano tornati prepotentemente a occupare la sua attenzione, portandolo ad isolarsi dai giochi che Amelia e Martin stavano facendo a pochi metri di distanza.

Fortunatamente sua sorella lo conosceva fin troppo bene da sapere che quando era così profondamente assorto nei propri pensieri era meglio non disturbarlo per nessun motivo.

-Matthew…-

Una voce lo strappò dai propri pensieri, portandolo a voltare la testa verso destra, dove in piedi accanto alla poltrona su cui era seduto, svettava lo zio Myc.

Matty lo fissò qualche istante, prima di rivolgergli un sorriso accennato.

-Va tutto bene?-domandò l’uomo aggirando con grazia la poltrona e andando a sedersi di fronte al bambino.

Questi annuì.

-Oggi sei stato piuttosto silenzioso-gli fece notare l’adulto-C ’è qualcosa che ti preoccupa?-

Matthew mantenne lo sguardo dello zio per qualche istante, riflettendo velocemente se metterlo a conoscenza dei propri pensieri, che quasi certamente l’uomo aveva già letto sul suo volto, oppure se negare tutto e bandire nuovamente quelle riflessioni dalla sua mente.

-Zio Myc…Cosa è successo a mio padre?-gli domandò iniziando tentennante il discorso.

Mycroft accavallò le gambe, per nulla turbato da quella domanda, consapevole che quel momento sarebbe arrivato prima o poi.

-Lo sai cosa gli è successo: sfortunatamente è morto quando tu ed Amelia avevate sei anni-gli rispose senza particolari inflessioni nella voce.

Il bambino fece un lieve cenno con il capo.

-Lo so, ma come?- chiese ancora.

-Cosa ti ha detto tuo padre al riguardo?-gli domandò a sua volta Mycroft.

Quell’argomento Sherlock era sempre stato un argomento delicato e pieno di insidie, sia per i bambini che per John, fin da quando il detective aveva sbattuto la porta in faccia al proprio compagno ed ai loro figli; le poche volte in cui Mycroft aveva provato ad iniziare una conversazione con John sul detective, i suoi tentativi si erano conclusi con un nulla di fatto.

Quella era la prima volta in cui Matthew ammetteva apertamente di pensare a suo padre, anche soltanto di sfuggita.

-Che era un detective e che stava combattendo contro un criminale quando è morto-riassunse brevemente Matty.

Mycroft annuì, chiaramente soddisfatto.

-Non avrei saputo dirlo meglio-rispose poi.

Matthew corrugò la fronte, allontanando lo sguardo dallo zio, ancora una volta incerto se parlare ancora o chiudere il discorso una volta per tutte.

C’era qualcosa in quella faccenda, a cui non riusciva a trovare una spiegazione, e malgrado avrebbe volentieri chiuso quel discorso per non aprirlo mai più, dimenticando suo padre e l’alone di mistero che la sua figura portava con sé, c’era quella sensazione alla base del cranio che non lo lasciava in pace.

-Cosa c’è? E’ successo qualcosa?-gli domandò ancora lo zio Mycroft, questa volta chiaramente preoccupato.

Matthew scosse la testa.

-Allora perché improvvisamente tutto questo interesse per tuo padre?-si sentì chiedere.

Lui non è mio padre!

-Perché non so nulla su di lui…E non mi piace non sapere le cose.

Tutto quello che avevo era una fotografia… Converrai con me che era l’indizio meno utile per conoscere una persona-si limitò a commentare.

-Sono certo che tuo padre sarà felice di rispondere alle tue domande…-disse il funzionario britannico dopo un brevissimo istante di silenzio.

Matthew scosse la testa prima di alzare nuovamente la testa ed incontrare il suo sguardo.

Non poteva parlarne con suo padre…

-Amava mio padre?-gli chiese lasciando vincere la curiosità.

-Sì…Molto-rispose Mycroft senza indugi.

Malgrado tutto quello che era successo, i continui sbagli e le parole piene di rabbia che i due uomini si erano urlati contro nel corso degli anni, Mycroft non aveva mai dubitato, neanche per un’istante della profondità di sentimenti di Sherlock.

-Papà ci ha detto che quando una coppia è innamorata, come te e lo zio Greg decide di Unirsi e qualche volta anche di sposarsi…

Anche loro erano Uniti,vero?-disse il bambino.

-Esatto-

-Perché allora se ne è andato?

Un’Omega sopravvive raramente senza il proprio Alpha, eppure lui è riuscito a vivere tranquillamente per anni prima della sua morte.

Io ed Amelia non lo abbiamo mai conosciuto…E’ stato per colpa nostra?-domandò ancora Matty, cercando di nascondere i propri timori nel tono fermo e deciso della propria voce.

Ma niente poteva sfuggire allo sguardo vigile di Mycroft Holmes a cui bastò un’occhiata per accorgersi di quanto fosse radicata nel bambino quella paura; in un gesto istintivo, Mycroft si sedette sul bracciolo della poltrona in cui era seduto Matty e gli posò un braccio sulle spalle.

-No, tu ed Amelia non siete la ragione per cui vostro padre se ne è andato-gli disse con voce ferma- Vostro padre era particolare e…-aggiunse.

-Non ci voleva-commentò il bambino fissando il vuoto davanti a sé.

Mycroft lo fece voltare verso di sé in modo da incontrare il suo sguardo e scosse la testa.

-Matthew…-iniziò.

-E’ così non è vero?-

-No.

Vostro padre vi amava molto…Ma amava di più il suo stile di vita e non era disposto a rinunciarci-spiegò l’uomo.

Neanche per amore dei suoi figli o per il suo Alpha…

Matty annuì lentamente, ancora confuso dalle nuove informazioni.

Organizzare tutte quelle nuove informazioni nel suo Palazzo Mentale avrebbe richiesto molto tempo.

-Questo è tutto quello che posso dirti sull’argomento, ma ti consiglio di parlarne con tuo padre se vuoi maggiori informazioni-gli disse in tono affettuoso.

Il bambino scosse nuovamente la testa.

-Non posso…Finirei per ferirlo-

Un sorriso leggero apparve sul volto dell’uomo prima che una carezza rassicurante gli stringesse la spalla sinistra.

-Potresti rimanere sorpreso, sai?Tuo padre è uno degli uomini più forti che abbia mai conosciuto.

Ed ora basta parlare di argomenti tristi, che ne dici di risollevarci il morale con una fetta di torta?-gli domandò alzandosi in piedi, chiudendo definitivamente l’argomento.

Matthew restò immobile per qualche istante, indeciso se seguire lo zio Mycroft oppure perdersi nuovamente nei propri pensieri, ma alla fine giunse alla conclusione che quella sera, senza l’aggiunta di maggiori informazioni non avrebbe raggiunto nessuna conclusione importante, quindi poteva smetterla di pensare all’Omega.

L’uomo non meritava tutta quella considerazione.

 

 

Fin dalla nascita Amelia Watson aveva sempre avuto due fardelli: essere l’unica donna in una grande famiglia di uomini ed essere la più piccola della famiglia.

Anche Martin, a soli quattro anni, si sentiva in dovere di proteggerla.

Ma fin da quando era bambina, Amy Watson si era assunta il compito di rallegrare le persone che le stavano intorno, soprattutto suo padre e suo fratello.

Per questo, da bambini, quando era apparso evidente che Matty non si sarebbe mai appassionato al football, si era seduta accanto a suo padre sul divano davanti alla partita per evitare che restasse deluso, finendo poi per appassionarsi a quello sport.

Era stata lei, e non Matty come credeva a tutt’oggi suo padre, a mandare in frantumi la foto sul camino che raffigurava l’ Omega che li aveva partoriti, perché sapeva che quella semplice foto non faceva altro che far nascere quesiti che sarebbero rimasti senza risposta nella mente di Matty e rendere triste suo padre al ricordo dell’uomo che li aveva abbandonati senza pensarci due volte.

Amelia Watson era stata la prima amica di suo fratello, pronto a difenderlo quando i bambini dell’asilo lo consideravano strano ed era stata sempre lei ad aiutarlo ad uscire dal suo guscio favorendo così le sue prime amicizie.

Sapeva quando Matty aveva bisogno di restare da solo con i propri pensieri e quando invece offrirgli il suo aiuto per lasciarlo sfogare e dirgli la sua opinione riguardo al problema che lo assillava.

Quando quella sera Matty si era seduto al pianoforte ed aveva iniziato a suonare “Rapsodia in Blu”, interrompendo poi la sinfonia bruscamente a metà perché incapace di concentrarsi, lei aveva capito subito che i pensieri nella sua mente erano diventati troppo rumorosi e che rischiavano di prendere il sopravvento sulla razionalità che da sempre guidava ogni mossa del ragazzo.

Le bastò un’occhiata per capire che anche suo padre si era accorto del problema, ma era evidente dall’espressione del suo volto che avrebbe aspettato che fosse Matty a farsi avanti per evitare di mostrarsi troppo apprensivo.

Meno male che lei non si poneva certi problemi…

-Che succede? E’ tutto il giorno che sei strano-gli domandò quando furono nella camera da letto che ancora condividevano.

Avevano finito di mettersi il pigiama, ma entrambi erano ancora seduti sul proprio letto, senza fare il minimo cenno a tornare al piano inferiore.

Matty restò in silenzio qualche istante, lo sguardo fisso sulla coperta che ricopriva il suo letto.

-Non riesco a smettere di pensare all’Omega-le disse senza incontrare il suo sguardo.

Amy aggrottò la fronte: aveva immaginato qualcosa di simile, ma non che l’Omega fosse diventata così importante per il fratello.

-Perché?-

-Non lo so!

E’ solo che non riesco a smettere di pensarci, di farmi delle domande…

Da quando questa mattina papà ci ha parlato del matrimonio degli zii continuo a chiedermi perché noi dobbiamo essere così diversi-le disse incontrando il suo sguardo.

Loro non affrontavano mai quell’argomento; a sei anni, di comune accordo avevano deciso di non fare più domande sull’Omega che li aveva partoriti: sapevano chi era, il suo nome, la sua professione, avevano anche scoperto cosa lo aveva lo portato al suicidio leggendo tutte le informazioni che avevano potuto trovare su internet.

Ma da quel momento avevano smesso di porre domande: se l’Omega aveva vissuto felice per tanti anni senza di loro, allora i due fratelli potevano vivere tranquillamente senza di lui.

Perché ora Matty sembrava ossessionato da quell’uomo?

-Noi non siamo diversi-ribatté prontamente Amy.

-Non essere stupida! Sai bene quanto me che alcuni ragazzi a scuola non ci parlano per via della nostra famiglia.

Tutto quello che abbiamo è papà, un Alpha…Non si è mai visto prima d’ora un Omega che abbandona i propri figli, va contro natura- le disse certo delle sue affermazioni.

Amy restò in silenzio, consapevole che il fratello non aveva ancora finito.

 -Poi ci sono lo e zio Myc e lo zio Greg, un altro Alpha ed un Omega, ma loro sono troppo diversi da noi e questo li esclude dall’essere i nostri genitori-le disse pensieroso.

-Credi che papà non sia il nostro vero padre?-chiese Amy, chiaramente scettica.

Nella loro Società era impensabile che un Alpha, con i suoi istinti territoriali e possessivi, accettasse i figli di un altro Alpha, non importa quanto potesse essere innamorato dell’Omega.

Matty scosse la testa in modo quasi frenetico.

-No, non intendevo questo… Tu sei identica a papà, quindi una parte del suo DNA deve essere per forza coinvolta…Almeno per quanto ti riguarda-aggiunse l’attimo dopo.

Amy scosse la testa, capendo finalmente il discorso del gemello.

-No-disse con quel tono categorico che la faceva assomigliare tanto al loro padre.

-Oh andiamo Amy guardami…

Non assomiglio affatto a papà, né nell’aspetto che nel comportamento.

Niente-ripeté con veemenza quasi volesse convincere entrambi.

-Allora tu cosa suggerisci?-gli chiese Amy- Pensi davvero che papà ti ha trovato all’uscita dell’ospedale e ha deciso di portarti a casa per il tuo bel faccino?-

Matty la fissò senza parlare, confermando così le sue assurde teorie.

-Ora sei tu ad essere ridicolo-commentò la ragazza.

-E’ l’unica possibilità-le rispose lui serio.

-Oppure potresti essere veramente mio figlio-s ’intromise una voce accanto alla porta della camera.

I gemelli si voltarono, chiaramente sorpresi e leggermente imbarazzati ad essere stati sorpresi durante quel discorso privato e “proibito”, verso la porta della loro stanza, dove appoggiato tranquillamente contro lo stipite della porta era fermo John, un’espressione seria e preoccupata in volto.

-Non siete mai così lenti nel tornare al piano di sotto dopo aver messo il pigiama-commentò, le braccia conserte contro il petto.

-Papà…-iniziò Amy, pronta a rimediare ai danni che quella conversazione poteva aver provocato involontariamente.

-Un’istante solo Amy-disse l’uomo avanzando lentamente nella stanza ed andando a sedersi sul letto della ragazza, lo sguardo fisso su Matty che per il momento rifiutava di incontrare i suoi occhi.

-Lo zio Myc mi ha chiamato e mi ha detto della vostra conversazione… Devo chiederti scusa Matty: avevo capito che avevi molte domande dopo la nostra conversazione di questa mattina, ed avevo pensato che fosse meglio lasciarti un po’ di tempo prima che fossi pronto a parlarne, ma non avevo considerato Mycroft e le informazioni che lui poteva darti-gli disse con voce calma.

Matty alzò lo sguardo finalmente incontrando quello del padre, senza trovarvi rabbia o rancore.

-Perciò ti chiedo scusa e sono pronto a rispondere a tutte le tue domande-disse con un sorriso rassicurante sulle labbra.

Il bambino annuì.

-Siamo davvero i tuoi figli?-gli chiese subito.

John annuì.

-Non ho il minimo dubbio al riguardo…Posso anche dirti il giorno esatto in cui  siete stati concepiti-rispose John senza indugi.

-Quando è successo?-domandò Amelia curiosa.

-Un pomeriggio freddo di Gennaio, credo fosse il secondo giorno dell’estro di vostro padre-rispose con un lieve sorriso ad incurvargli le labbra.

Matty fissò attentamente il volto di suo padre cercando ancora una volta le possibili somiglianze che erano così evidenti sul viso di sua sorella.

-Perché non ti assomiglio?-gli chiese.

-Tu ami la scienza Matty, sai bene quanto me come funziona la biologia: c’è il 50% di probabilità di avere due gemelli identici che assomigliano ad uno solo dei genitori, ed un 50% di probabilità che i bambini rassomiglino uno all’Alpha e l’altro all’Omega.

Con Amy i geni Watson hanno avuto la meglio, mentre con te i geni Holmes non hanno avuto nessuna concorrenza-rispose.

-Come è possibile? Io e lo zio Myc non ci assomigliamo per niente!-ribatté chiaramente poco convinto il ragazzo.

-Non è vero… Voi due avete la stessa intelligenza, la stessa struttura ossea, l’altezza.

Del resto, neanche tuo padre e Mycroft si assomigliavano molto e vedrai con il tempo assomiglierai sempre di più a tuo padre…Le somiglianze saranno davvero incredibili-commentò John osservandolo per un’istante senza vederlo.

Amy fissò l’espressione trasognata che era apparsa sul volto del padre al minimo accenno dell’Omega e per l’ennesima volta si chiese come facesse suo padre ad amarlo ancora malgrado gli anni e tutto quello che era successo fra di loro.

-Non voglio assomigliare a lui-disse Matty, un’espressione battagliera in volto.

A quelle parole John si riscosse e fissò Matthew con uno sguardo triste.

-Oh Matty…Tuo padre era un brav’uomo-gli disse.

-Non è vero-ribatté il ragazzo.

-Ha ragione lui papà- s’intromise Amy, attirando su di sé lo sguardo del padre.

-Amy…-

Forse era venuto il momento di affrontare quell’argomento una volta per tutte…

-Tu hai molti ricordi, invece noi non lo abbiamo mai conosciuto non abbiamo niente, soltanto i tuoi racconti e quelli degli zii…- disse lei dando manforte al fratello.

-Lui ci ha abbandonato! Come puoi dire che era un brav’uomo se non ci ha pensato neanche un’istante prima di voltare le spalle ed andarsene?

Era l’Omega ed avrebbe dovuto restare con noi…E’ scritto su tutti i libri di biologia umana che senza il collegamento empatico e fisico con la propria Omega, l’80% dei figli muore nelle prime settimane dall’abbandono.

 Avremmo potuto morire senza di lui eppure ha preferito il suo lavoro alla sua famiglia-aggiunse Matty dando voce ai pensieri che lo avevano tormentato tutto il giorno.

Quando finalmente i due ragazzi smisero di parlare, John si concesse un istante per organizzare i propri pensieri, affondando il viso nelle proprie mani, chiedendosi come aveva fatto a non accorgersi quello che preoccupava i suoi figli: da quanto tempo i gemelli provavano tanto risentimento verso Sherlock?

Come aveva fatto a non capire che malgrado i suoi sforzi l’assenza dell’Omega aveva pesato molto durante la loro crescita e ne aveva condizionato le interazioni sociali?

 Come poteva definirsi un buon padre se non si era accorto di nulla?

Dopo un prolungato silenzio, John tornò a posare lo sguardo sui propri figli, prendendo un respiro profondo prima di parlare nuovamente.

-E’ vero.

Lui era l’ Omega, ma incontrandolo per la prima volta avreste creduto di avere di fronte un Alpha.

Faceva di tutto per nascondere il suo Sesso, utilizzando degli inibitori dell’ odore e dell’ estro, era riuscito anche a mettere a punto uno spray per mascherare il suo odore chiaramente Omega trasformandolo in uno Alpha, convinto che lo avrebbe aiutato nel suo lavoro.

Vostro padre era un Omega ma prima di tutto, di me, della famiglia, della sua sicurezza e della sua salute, veniva il suo lavoro: non c’è niente che vostro padre amasse più del suo lavoro, dei suoi misteri e dei suoi puzzle-disse John, cercando di spiegare ai propri figli quella creatura meravigliosa e complicata che era sempre stata Sherlock Holmes.

Amy aggrottò la fronte.

-Non c’è niente che un’Omega ami più del proprio Alpha-commentò poco convinta.

John sorrise tristemente.

-Malgrado la nostra Unione, vostro padre diceva di essere “sposato con il suo lavoro”.

Il lavoro era la sua vita…Ed io l’ho sempre saputo.

Fin dal primo giorno, da quando ha inventato la sua carriera di consulente detective, ma mi sono innamorato lo stesso di lui, quindi forse un po’ di colpa ce l’ho anche io-commentò.

-Tu però sei rimasto-gli fece notare Matthew.

John alzò un sopracciglio, prima di allungare una mano ed affondarla nei riccioli folti del bambino in una carezza rassicurante.

-Certo che sì.

Non ho mai preso in considerazione la possibilità di scappare o di non avervi nella mia vita.

I miei istinti mi avrebbero distrutto nel giro di pochi giorni…-disse sincero.

Amy si avvicinò al padre sul letto finché non poté poggiare la testa sul suo avambraccio destro.

-Quindi ora capisci il nostro punto di vista…-gli disse in un sussurro.

E malgrado non gli piacesse ammetterlo e si sentisse parzialmente colpevole per come erano finite le cose, John capiva perfettamente i gemelli.

Senza parlare, Matty si alzò ed andò a sedersi sulle ginocchia del padre, la testa contro la sua spalla sinistra un gesto che faceva sempre più raramente ora che aveva undici anni e che dimostrava tutta la sua insicurezza ed il suo bisogno di conforto in quella situazione.

Respirando profondamente l’odore peculiare dei suoi figli, John chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di trasmettere ai gemelli il proprio amore ed il proprio supporto per far capire ad entrambi che niente era cambiato, che i due ragazzi avevano ancora il tutto il suo amore incondizionato e la sua devozione.

Quando capì che l’atmosfera nella stanza si era rasserenata, John annuì prima di voltarsi leggermente verso Amelia.

-Non sapevo che anche tu la pensassi come Matty-le disse.

-Matty ha sempre dato voce ai sentimenti di entrambi-rispose la bambina guardandolo da sotto in su.

-Mi dispiace non averlo capito prima…Mi dispiace non essermi accorto di tante cose-disse ad entrambi.

-Va tutto bene papà…Sapevamo  che per te Lui era molto importante.

Però possiamo smettere di parlarne?

E’ assurdo pretendere che Lui faccia parte della nostra famiglia quando invece ci ha voltato le spalle alla prima occasione-disse Amy.

-Lui non ci ha mai voluto, perché dobbiamo continuare a piangere e rattristarci per la sua morte?-aggiunse Matty con lo stesso tono di voce.

John annuì lentamente.

-Ok, faremo come preferite.

Ma ad una condizione: voglio che mi promettiate che non appena c’è qualcosa che vi preoccupa, qualsiasi cosa, voi verrete da me e ne parleremo insieme, invece di ingigantire la questione come è successo adesso.

Ed io prometto che farò qualsiasi cosa per aiutarvi-

I gemelli si scambiarono uno sguardo e poi annuirono brevemente.

Il trio restò in quella posizione a lungo, bisognoso di affermare nuovamente il proprio Legame e di liberarsi una volta per tutte del fantasma di Sherlock.

Circondato dall’affetto dei propri figli, John si decise che era venuto anche per lui il momento di dimenticare e di andare avanti con la propria vita: Sherlock  era stato l’amore della sua vita, l’unica persona con cui avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni, ma malgrado sentisse ancora un Legame empatico con l’uomo nonostante tutti quegli anni di lontananza, se ne era andato.

Era venuto il momento di voltare pagina e dirgli addio una volta per sempre.

 

 

Negli ultimi trenta minuti, le telecamere che circondavano la sua proprietà avevano intercettato dei movimenti sospetti.

Mycroft conosceva benissimo l’identità dell’intruso.

Consapevole che sarebbe riuscito a gestire la situazione da solo, aveva richiamato il servizio di sicurezza e gli aveva ordinato di lasciar passare l’intruso, certo che questi avrebbe trovato la strada per il suo ufficio senza troppi problemi.

Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. Erano settimane che lo aspettava e lo temeva allo stesso tempo.

Le telecamere in giro per Londra avevano intercettato la figura di Sherlock Holmes negli ultimi trenta giorni, inizialmente a zonzo per le strade della città vestito come uno dei suoi amati senzatetto; poi nel corso delle settimane aveva abbandonato i suoi travestimenti ed aveva ripreso, per la prima volta in tre anni, i suoi abiti firmati, trovandosi sempre più spesso nei pressi di Baker St.

Le guardie che controllavano l’Abercorn School avevano notato la sua presenza, ma si erano trattenute dall’intervenire in quanto Sherlock non aveva fatto il minimo accenno ad avvicinarsi a John o ai bambini, limitandosi a guardarli da lontano.

Ed ora, la sua presenza lì, a quell’ora tarda, poteva voler dire soltanto una cosa.

Sherlock Holmes era tornato.

Finalmente la porta del suo studio si aprì e Mycroft, senza allontanare lo sguardo dal proprio portatile, la sentì richiudersi con delicatezza.

-Mi sembra di ricordare che nostra madre ti abbia insegnato le buone maniere fratellino caro-gli disse salvando il documento su cui stava lavorando.

-Devo averle cancellate per far spazio a qualche informazione più importante fratello caro-rispose la voce calma e profonda.

Chiudendo con la mano destra il portatile, Mycroft alzò gli occhi sul fratello ancora fermo davanti alla porta.

Tre anni d’esilio ed in continuo assetto da combattimento avevano avuto il proprio peso su Sherlock: l’uomo era decisamente sottopeso, il grasso corporeo rimasto sostituito dai muscoli da cui pendeva un completo di ottimo taglio, ma chiaramente vecchio di quattro anni, delle occhiaie profonde facevano da contorno a due occhi tormentati ed in continuo movimento; i capelli ricci erano stati decolorati in una sfumatura castana e mentre di solito erano tenuti sotto controllo da creme e prodotti ora erano liberi e decisamente arruffati, dandogli l’aria di un pulcino bagnato.

L’uomo respirava faticosamente, il che avrebbe potuto far pensare ad una leggera apprensione per quell’incontro, ma Sherlock aveva smesso di aver paura di lui da quando aveva sei anni, quindi doveva esserci almeno una costola rotta e non curata.

Concludendo il suo veloce assestamento, Mycroft si lasciò andare contro l’alto schienale della sedia e accavallò le lunghe gambe, incontrando nuovamente gli occhi di ghiaccio del fratello.

-Finalmente ce l’hai fatta a farti vivo…E’ da una settimana che aspetto la tua visita-disse con un tono leggermente annoiato.

Sherlock raddrizzò le spalle e si mosse nell’ufficio con velocità e grazia fino a raggiungere una delle sedie di fronte alla scrivania.

-Ed io che pensavo di essere riuscito ad evadere la tua sorveglianza-commentò.

-Devo dedurre che tutto si è concluso nel migliore dei modi-disse Mycroft deciso a restare su argomenti “professionali”.

Sapeva qual era il vero motivo della sua visita, ma non gli avrebbe reso la vita facile: poche volte nella sua vita, Mycroft aveva avuto l’enorme potere di poter rinfacciare qualcosa al suo caro fratellino ed ora, che Sherlock si trovava lì per elemosinare il suo aiuto, l’uomo si sarebbe goduto quella sensazione fino all’ultimo.

-Hai saputo che tutto si è concluso nel migliore dei modi nel momento in cui gli idioti di cui ti circondi hanno trovato il cadavere di Moran.

La rete criminale di Moriarty è stata completamente distrutta ed il mio lavoro è finalmente terminato-rispose l’altro, arrogante come al solito.

Mycroft annuì leggermente.

-Devi sentirti così orgoglioso di te stesso in questo momento-commentò.

Sherlock alzò le spalle.

-Un po’-ammise, senza falsa modestia.

Non era cosa da poco smascherare e distruggere completamente da solo un cartello criminale radicato talmente in profondità da avere succursali in tre diversi continenti e centinaia di “impiegati”.

I due fratelli si fissarono per qualche secondo in silenzio, entrambi consapevoli di quello che sarebbe successo di lì a poco, ma tutti e due bisognosi di qualche ulteriore istante di pace prima dell’inevitabile lite che sarebbe scoppiata di lì a poco.

-C’è un ulteriore motivo per cui sei piombato in casa mia senza farti annunciare?-chiese Mycroft unendo le dita delle mani e portandole a poca distanza dalla bocca.

-Non posso semplicemente sentire la tua mancanza fratello caro?-

Un’espressione dura apparve all’istante sul volto del funzionario britannico, chiaramente poco incline ad ulteriori tentennamenti.

-Non abbiamo mai sentito il bisogno di fare conversazioni inutili, vuoi davvero cominciare ora?

Perché sei qui?-gli domandò nuovamente.

Un’espressione altrettanto seria apparve sul volto di Sherlock.

-Sai perché sono qui-si limitò a rispondere.

-Naturalmente.

E posso dirti fin da ora che per quanto mi riguarda puoi anche uscire da quella porta e sparire nel buio della notte-rispose subito l’altro.

-Voglio tornare a Londra e far sapere a tutti che sono ancora vivo.

E voglio vedere John-continuò imperturbato il più piccolo degli Holmes.

Mycroft annuì lentamente, come se stesse considerando quella possibilità.

-Sono certo che ti accoglierà con le lacrime agli occhi ed un grande abbraccio dopo undici anni-

-Voglio conoscere i miei figli-aggiunse Sherlock.

Una risatina sarcastica riecheggiò nella stanza, mentre un sorriso amaro incurvava le labbra di Mycroft.

-Sono di John-gli fece notare.

-Sono anche figli miei-ribatté Sherlock prontamente.

-No, non lo sono!-disse l’altro alzando leggermente la voce- Te ne sei andato quando avevano soltanto due mesi…Non hai nessun diritto su di loro.

Non ti conoscono, non sanno neanche il tuo nome.

Credi davvero che ti accoglierebbero con amore se domani ti presentassi alla loro porta?-chiese Mycroft cercando di controllare la propria irritazione ed i propri istinti Alpha.

Mycroft Holmes e molti Alpha del suo circolo avevano una grande ammirazione per John Watson: nessuno prima d’ora era riuscito nell’arduo compito di crescere dei figli completamente da solo senza la propria Omega, o senza sceglierne un’altra che lo “completasse”, dando il meglio di sé malgrado i propri istinti.

L’idea che Sherlock adesso potesse rovinare la tranquillità che John ed i bambini avevano raggiunto soltanto per soddisfare un proprio capriccio lo rendeva furioso.

L’istante dopo, consapevole di essere vicino a perdere il controllo, Mycroft prese un respiro profondo e allontanò lo sguardo dal volto dell’altro.

-Per una volta nella tua vita, fa la cosa più giusta e lasciali in pace-aggiunse l’attimo dopo.

Sherlock restò in silenzio qualche istante, prima che Mycroft lo sentisse prendere un respiro profondo preparandosi a parlare di nuovo.

-Non posso.

Devo conoscerli.

Tutte le mattine aspetto che escano di casa per poter cogliere anche solo pochi sguardi…Adoro vederli insieme, il modo in cui sembrano integrarsi perfettamente l’uno all’altro ed ora che sono al sicuro voglio far parte della loro vita.

Voglio conoscerli…Sapere cosa amano, cosa odiano…Dannazione! Sono il loro Omega!-esclamò alla fine.

-Te ne ricordi soltanto adesso?-gli domandò Mycroft concedendogli uno sguardo freddo.

Frustrato Sherlock scattò in piedi, voltandogli per qualche istante le spalle prima di tornare a fulminarlo con lo sguardo.

-Mycroft…Non ti ho mai chiesto nulla…-disse Sherlock terribilmente vicino a supplicare per la prima volta in decenni.

-Eccetto aiutarti nel tuo piano e mantenere il tuo dannato segreto!-gli fece notare l’altro-Hai una vaga idea di quello che succederà quando Greg e John scopriranno il mio coinvolgimento nella tua finta morte?-

-Era la mia unica possibilità e tu lo sai…-rispose prontamente il moro, una mano fra i riccioli ribelli, prima di puntare un dito verso il fratello- Come ti sentiresti se Greg non ti permettesse di vedere Martin?-gli chiese.

Il viso di Mycroft si trasformò in una maschera imperturbabile, combattendo contro i propri istinti che chiedevano a gran voce una punizione per l’Omega insolente: Sherlock non aveva nessun diritto di tirare in ballo la sua famiglia.

-Non parlare di cose che non puoi capire fratellino caro…-disse soltanto.

Svuotato da ogni istinto battagliero, Sherlock si lasciò cadere sulla poltrona.

-Ho bisogno del tuo aiuto-disse nuovamente mettendo da parte il proprio orgoglio.

Mycroft lo fissò attentamente per qualche istante: era evidente che Sherlock fosse sincero, che volesse davvero instaurare un rapporto con i gemelli e soprattutto che volesse rincontrare John… Ma quanto sarebbe durato quel desiderio?

Quante ore, giorni, mesi prima che qualche crimine, puzzle o delle stupide ceneri di tabacco distraessero la sua attenzione portandolo ad allontanarsi nuovamente dai gemelli e da John?

Cosa sarebbe successo se malauguratamente le sue aspettative non fossero state soddisfatte?

Se si fosse sentito ancora una volta soffocare e avesse sentito il bisogno di scappare per l’ennesima volta?

La famiglia Watson aveva faticato molto per raggiungere il proprio equilibrio e per la prima volta nella vita, Mycroft doveva anteporre il bene di qualcun altro a quello di Sherlock.

-Lo so…Ma non posso aiutarti questa volta Sherlock.

Non distruggerò il fragile equilibrio che John ed i bambini hanno raggiunto soltanto perché hai deciso di giocare alla famiglia felice… Che succederà quando cambierai idea un’altra volta?-gli domandò fissandolo con aria severa.

-Non cambierò idea. Non questa volta-rispose prontamente l’altro.

Mycroft atteggiò il volto in un’espressione felice.

-E’ meraviglioso… Sarà meglio chiamare John quanto prima per dargli la bella notizia cosicché possa stendere il tappeto rosso-lo canzonò.

-Non prendermi in giro-disse Sherlock fra i denti, chiaramente irritato.

-Non ne ho alcun bisogno…Stai facendo un ottimo lavoro da solo- disse sporgendosi leggermente verso di lui sul piano della scrivania- Puoi raccontarti tutte le bugie che preferisci, qualsiasi cosa ti aiuti a dormire la notte, ma tu ed io sappiamo che è stata la noia a farti abbandonare la tua famiglia, molti anni prima di Moriarty ed i suoi giochetti, quindi preferisco morire piuttosto che permetterti di avvicinarti ai tuoi figli soltanto per ferirli un’altra volta-disse in un sibilo minaccioso.

Sherlock fissò il fratello per qualche istante, percependo i feromoni Alpha che avevano iniziato ad impregnare la stanza e che riaffermavano l’autorità di suo fratello e conferivano un velo di minaccia alle sue parole.

-Quindi non  vuoi aiutarmi…-commentò per nulla turbato.

Mycroft tornò a sedersi comodamente sulla propria sedia, le mani pigramente abbandonate sul grembo.

-Ti aiuterò a tornare nel mondo dei vivi, ma ti suggerisco vivamente di lasciarli in pace.

Con la mia autorità Alpha e di fratello maggiore ti proibisco di contattare John o di avvicinarti ai bambini-disse in tono perentorio e chiudendo definitivamente il discorso.

Un lieve tremore attraversò la schiena di Sherlock a quell’ordine, ma fortunatamente il tremore alle ginocchia e l’impulso di obbedire all’ ordine dell’ Alpha erano svaniti molti anni prima.

-Interessante…-disse alzandosi in piedi, un sorriso ironico sulle labbra-Peccato che tu non sia il mio Alpha…E della tua autorità di fratello non so che farmene.

Come sempre è stato un piacere fratello caro-lo salutò voltandogli le spalle e uscendo pochi attimi dopo dallo studio.

 

 

Era cominciato tutto con un messaggio, come tante volte era capitato in passato.

Dopo aver messo a letto i gemelli, John era tornato in salotto sedendosi sulla sua vecchia poltrona, una bottiglia di whiskey sistemata accanto a sé per dare il proprio addio a Sherlock.

Avrebbe dovuto farlo molti anni prima ed andare avanti con la propria vita, ma non era mai riuscito a liberarsi dalla sensazione che malgrado la morte il Legame con Sherlock non si era mai interrotto, rendendo impensabile l’idea di cercare un nuovo Omega.

Aveva chiuso gli occhi e si era abbandonato ai ricordi, desiderando per un’istante di poter cancellare dal proprio hard-drive i ricordi più dolorosi e anche quelli più emozionanti e felici in modo da dimenticare più facilmente l’uomo con cui aveva sperato di condividere il resto della sua vita.

Dopo il primo bicchiere, per evitare di cadere nella tristezza e nell’ autocommiserazione, aveva acceso la televisione e aveva iniziato a fare zapping fra i canali senza concentrare la propria attenzione su nessun programma in particolare.

Fu in quel momento che il suo cellulare, lasciato sul pianoforte di Matthew, vibrò.

Il primo istinto fu di lasciare il cellulare sul pianoforte, leggendolo l’indomani mattina, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio, portandolo ad alzarsi in piedi e ad avvicinarsi al piano.

Il numero era sconosciuto, ma non appena diede un’occhiata alle parole sullo schermo, John si sentì gelare.

Senza troppi giri di parole: non sono morto. -SH

Una mano scattò contro il pianoforte per supportare il suo peso, mentre il suo cervello sembrò scollegarsi per alcuni istanti.

Era impossibile.

Sherlock era morto…Greg lo aveva cadere dal tetto del Barts e non gli avrebbe mai mentito per tutti quegli anni, non dopo essergli stato accanto nei primi giorni dopo l’accaduto.

Respirando profondamente, John cercò di calmarsi, le dita serrate attorno al proprio cellulare.

Non poteva permettere ad un perfetto estraneo di sconvolgerlo in quel modo soltanto per farsi una risata alle sue spalle: Sherlock era morto e non poteva riaprire quel capitolo proprio adesso che aveva deciso di voltare pagina una volta per tutte.

Non so chi tu sia, ma questo è uno scherzo di pessimo gusto: Sherlock Holmes è morto. –JW

Con le gambe ancora tremanti si avvicinò nuovamente alla propria poltrona e si versò un nuovo bicchiere di whiskey, bevendolo poi tutto d’un fiato.

In quei brevi istanti di “normalità”, John si convinse che si era trattato davvero di uno scherzo di pessimo gusto; nonostante fossero passati anni dalla morte di Sherlock c’era ancora gente che si sentiva in dovere di esprimere il proprio parere al riguardo, fosse questo positivo o negativo.

Nessuno però fino a quel momento era riuscito a trovare il suo numero privato; doveva parlarne con Mycroft in modo che potesse prendere provvedimenti contro l’anonimo mittente.

Il suo cellulare vibrò nuovamente e prima che se ne rendesse conto, John aveva già alzato il cellulare vicino al viso ed aveva aperto il nuovo messaggio.

Oh John…E’ la mia prolungata assenza che ti ha reso così stupido? –SH

Che faccia tosta!

Un occhio meno attento lo avrebbe potuto scambiare per l’originale… Sicuramente conosceva le caratteristiche basilari del comportamento di Sherlock, ma chiunque fosse stato a contatto con il detective per cinque minuti sapeva che l’uomo considerava ogni persona che lo circondava uno stupido.

Sherlock Holmes non sarebbe qui a scrivermi…E lui sa perché –JW

Vediamo se questo fosse stato sufficiente a farlo smettere.

Non erano passati neanche trenta secondi prima che il suo cellulare vibrò di nuovo.

Vuoi ancora diventare vecchio con me nella nostra casa nel Surrey? –SH

Oh Cazzo…

Nessuno era a conoscenza di quel particolare: in quel momento c’erano solo lui e Sherlock.

Possibile che…

Oh Sherlock… Come hai potuto prendermi in giro ancora una volta?

Riprendendo il controllo di sé, John prese un respiro profondo e compose un veloce messaggio di risposta prima di abbandonare il cellulare sul tavolino da tea.

Sherlock Holmes è morto. Dimenticati questo numero –JW

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** R U Mine? ***


R U Mine

 

And the thrill of the chase moves in mysterious ways
So in case I'm mistaken,
I just wanna hear you say you got me baby
Are you mine?

 

La prima volta che i suoi occhi si erano posati su Sherlock Holmes, John Watson aveva nove anni.

 Suo padre, Hamish Samuel Watson, era fin dalla sua nascita il medico personale della famiglia Holmes.

Malgrado la famiglia Holmes potesse permettersi medici migliori e con maggiori credenziali di suo padre, Andrew Holmes e Hamish Watson si erano conosciuti durante la Seconda Guerra Mondiale e, per qualche sconosciuto motivo, erano da sempre rimasti legati al punto che alla fine della guerra il vecchio Holmes aveva insistito affinché suo padre accettasse di diventare il medico personale della famiglia.

Quel giorno suo padre si era recato a Holmes Manor per il consueto controllo medico mensile e, per la prima volta, aveva  chiesto al piccolo John di accompagnarlo e John, malgrado la giornata insolitamente calda, che non ti lasciava alcun desiderio se non quello di chiuderti in camera e leggere un libro sdraiato sul letto avvolto nella penombra, aveva accettato felice di trascorrere qualche ora da solo con suo padre.

Non appena la macchina si fermò davanti al Manor, John si sentì mozzare il fiato  trovandosi di fronte tutto quello sfarzo e quel lusso per la prima volta, sentendosi immediatamente in soggezione, e stringendo al petto la copia de “Il Signore degli Anelli” che aveva portato con sé per passare il tempo, quasi fosse uno scudo.

Furono accolti da una governante in uniforme blu marine che salutò cordialmente suo padre e rivolse un mezzo sorriso al piccolo John, uno strano sguardo negli occhi che John non riuscì ad identificare, guidandoli verso un corridoio infinito con molti specchi alle pareti che li condusse ad un salotto con due divani, un tavolino di legno intarsiato e decine di ritratti antichi alle pareti.

-Non ci vorrà molto-lo aveva rassicurato suo padre con un sorriso prima di seguire la governante fuori dal salotto e sparire nei meandri della casa.

John  si guardò intorno, ancora leggermente spaventato, prima di tirare indietro le spalle, prendere un respiro profondo e abbassare lo sguardo sul libro che ancora stringeva convulsamente fra le dita della mano sinistra: si stava comportando come un fifone!

Non era la prima volta che accompagnava suo padre nel suo lavoro, inoltre l’uomo aveva promesso di tornare presto, quindi non aveva nulla da temere.

Si sistemò più comodamente sul divano a fiori, appoggiando la schiena allo spalliera rigida e scomoda e sciolse la presa dal  volume, aprendo il libro fino a ritrovare il punto in cui si era interrotto l’ultima volta.

Si perse nel racconto del primo incontro fra Frodo, Sam e Gollum e si dimenticò di ciò che lo circondava, ritornando alla realtà soltanto quando si accorse di non essere più solo.

Alzò lo sguardo dalla pagina e sobbalzò leggermente quando vide accanto a sé, seduto a gambe incrociate su una poltrona un bambino che lo fissava attentamente.

La prima cosa che notò del bambino furono i  folti capelli neri riccioluti che mettevano in risalto il pallore del viso; il naso dritto, perfettamente simmetrico, il volto leggermente lungo ingentilito dagli zigomi alti e dalle labbra rosee disegnate a formare un cuore.

Ma ciò che lo colpì maggiormente furono i suoi occhi: se fosse stato possibile, John li avrebbe definiti ghiaccio liquido per la capacità di cambiare espressione da un momento all’altro.

Indossava un paio di pantaloni corti al ginocchio ed una camicia bianca a maniche corte che lo faceva assomigliare allo stesso tempo ad un marinaio e ad un piccolo lord.

Per qualche istante, John restò in silenzio osservando a sua volta l’ospite inatteso, non sapendo se alzarsi in piedi o restare seduto finché non gli fosse stata rivolta la parola.

-Tu devi essere Watson-disse in quell’istante il bambino.

John annuì.

Il bambino lo fissò in silenzio, gli occhi penetranti intenti a scrutare ogni minimo particolare del suo viso, ma non sembrò intenzionato a presentarsi o ad aggiungere altro, così dopo qualche istante John tornò a sistemarsi comodamente sul divano e fece  per riaprire il libro e riprendere la lettura interrotta, quando il bambino parlò nuovamente.

-Mio padre mi ha mandato a farti compagnia mentre è occupato con il tuo-gli disse.

John rialzò lo sguardo sul bambino dai capelli neri e dopo qualche istante alzò le spalle.

-Grazie, non dovevi disturbarti-rispose memore delle buone maniere che sua madre gli aveva insegnato.

Il bambino alzò le spalle a sua volta.

-Ero pronto a passare il tempo con il mio libro…-aggiunse.

-Bene! Così posso tornare ai miei esperimenti!-rispose prontamente l’altro alzandosi in piedi e avviandosi verso la porta, chiaramente convinto di aver assolto il suo dovere.

-Aspetta!-lo bloccò John, riportando l’attenzione del bambino su di sé- Hai detto esperimenti?-gli chiese curioso.

L’altro sospirò chiaramente annoiato, ma annuì.

-Che tipo di esperimenti?-

-Ho trovato un uovo in un nido e sto cercando di farlo schiudere con una coperta ed una lampada-spiegò il moro.

Un sorriso apparve sul volto di John, il libro abbandonato sul divano accanto a sé.

-Fico! Posso vedere?-gli domandò.

Un’espressione sorpresa apparve sul volto del bambino a quelle parole.

-Davvero?-

John annuì con decisione, alzandosi in piedi.

-Ok…Seguimi-disse alla fine l’altro, lasciando andare le sue ultime remore.

John lo raggiunse e si sistemò al suo fianco, uscendo dal salotto e percorrendo nuovamente il corridoio pieno di specchi, ma questa volta addentrandosi sempre di più all’interno della casa, trovandosi davanti ad una scala di marmo dai grandi gradini.

-A proposito …Io sono John-si presentò il bambino lanciando un’occhiata al ragazzino accanto a sé sulle scale.

-Lo so, sei il figlio del dott. Watson-rispose l’altro.

-Tu invece sei?-chiese John curioso di sapere il nome del suo compagno d’avventure.

-Sherlock-rispose l’altro fermandosi davanti ad una porta bianca con decorazioni ed intarsi.

-Piacere di conoscerti-gli disse mentre l’altro apriva la porta della stanza.

John ebbe appena il tempo di fare un passo all’interno della stanza prima di restare sconvolto: quella camera era grande quanto la sua cameretta e quella di Harry messe insieme!

Ed era per una persona sola!

Un letto enorme a due piazze era sistemato accanto alla finestra che dava sui giardini, a poca distanza da un armadio di mogano, un intera parete era occupata da un tavolo da lavoro ricoperto da bricchi, provette e altri componenti chimici; accanto al letto era sistemato un piccolo violino con il suo leggio ricoperto di spartiti, una parete nel muro lasciava intravedere un bagno, un’altra scrivania, decisamente più piccola e meno utilizzata, era sistemata in un altro angolo ed era lì che si trovava l’uovo avvolto con attenzione nella coperta illuminato dalla lampada.

-Wow…Questa camera è enorme! E’ sicuramente due volte la mia stanza-commentò John continuando a guardarsi intorno.

-Mh…-commentò semplicemente Sherlock, diretto verso la scrivania.

-La mia però è più pulita, mamma mi metterebbe in punizione per un anno se lasciassi tutto questo disordine-commentò ancora il biondo.

-Il disordine è sinonimo di una mente creativa-ribatté Sherlock.

John accennò un sorriso e si avvicinò al tavolo, lanciando un’occhiata prima all’uovo e poi a Sherlock.

-Come ti sei procurato quest’uovo?-gli domandò curioso.

-Tu che dici? Ero sul vecchio olmo perché Mycroft mi infastidiva e ho trovato il nido; c’erano tre uova e ho pensato che…-raccontò il bambino.

-Chi è Mycroft?-domandò John tornando a posare lo sguardo sul moro.

-Mio fratello…Ed il più grande rompiscatole che abbia mai conosciuto-commentò Sherlock.

Un’ombra passò sul volto di John a quelle parole.

-Non dovresti dire quella parola-lo rimproverò gentilmente.

-Ti sto imbarazzando?-gli domandò l’altro con un sorriso ironico sulle labbra.

John lo fissò qualche istante, gli occhi inspiegabilmente concentrati sulle labbra prima di scuotere la testa.

-No è solo che…Quanti anni hai? 5?-gli domandò.

-Ho 7 anni!-ribatté prontamente Sherlock infastidito.

-Non è comunque una cosa carina da dire, specialmente se si tratta di tuo fratello-replicò John- Se ti avesse sentito avresti ferito i suoi sentimenti-aggiunse.

-Mycroft non ha sentimenti-ribatté Sherlock con una risatina divertita-E comunque non mi faccio alcun problema a dirgli certe cose in faccia-

Malgrado volesse rimproverarlo ancora una volta, John non riuscì a trattenere un sorriso divertito per quel ragazzino di sette anni che cercava di fare lo sbruffone a tutti i costi.

-Sei strano-gli disse continuando a sorridere.

Sherlock annuì.

-Lo so, me lo dicono tutti-commentò alzando le spalle.

-Mi piace-

A quelle parole Sherlock aggrottò la fronte, chiaramente sorpreso.

-D-Davvero?-domandò incerto.

Questa volta toccò a John annuire.

-Certo! Sei un ragazzino strano con un laboratorio nella propria camera e con abbastanza coraggio da dire sempre quello che pensa…Anche i ragazzi della mia età non sono così coraggiosi-commentò con convinzione.

Sherlock lo fissò per qualche istante, assimilando le sue parole prima che un sorriso lieve apparve sul suo volto, illuminando i suoi occhi di ghiaccio.

-Mi piaci-decise portando John a ricambiare il suo sorriso.

L’istante dopo si avvicinò alla scrivania, attratto dal batuffolo bianco sistemato con attenzione sulla piano del tavolo, prima che i suoi occhi blu oceano si posassero nuovamente su Sherlock.

-Quando pensi che si schiuderà?-domandò tornando a fissare l’uovo.

Sherlock alzò le spalle.

-C-Credo nelle prossime 12- 24 ore se continua a stare al caldo e sotto la lampada-rispose il moro avvicinandosi con cautela al tavolo.

-Sai già che specie di uccello è?-chiese curioso John.

-Uno con le ali?-rispose semplicemente Sherlock, facendo nascere un’espressione divertita sul volto di John e provocando pochi attimi dopo lo scoppio di una risata divertita.

-Più tardi voglio farti vedere l’alveare nel cortile sul retro e mostrarti la regina-disse Sherlock, una lieve eccitazione nella voce.

John sorrise.

-Ho gli abiti adatti per incontrare la Regina?-gli domandò lanciando uno sguardo ai pantaloni al ginocchio e alla camicia bianca a mezze maniche che indossava.

-Cosa?-chiese Sherlock aggrottando la fronte.

John scosse la testa, un sorriso ad incurvargli le labbra.

-Non importa…Ti piacciono le api?-

Sherlock annuì.

-Come si fa a non essere affascinati dalle api?-domandò il moro, una lieve eccitazione nella voce.

-Perché le loro punture fanno male-rispose prontamente John.

-Soltanto se non si presta la massima attenzione-ribatté Sherlock.

Ancora una volta John alzò le spalle, sempre più affascinato da quel misterioso bambino.

-Quindi tu ti occupi delle api?-gli domandò curioso voltando le spalle all’uovo e fissando Sherlock a pochi passi di distanza da sé.

-Non ancora…Dicono che sono troppo piccolo…Ridicolo!

Jeffrey, il nostro maggiordomo, si occupa degli alveari e mi sta insegnando tutto quello che c’è da sapere sull’apicoltura e sul miele.

Quando sarò vecchio comprerò una casa nel Surrey dove produrrò il migliore miele d’Inghilterra e mi occuperò delle api-disse con convinzione Sherlock.

John fissò il bambino per qualche istante, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni corti; perché c’era qualcosa di inspiegabilmente affascinante in Sherlock?

Erano gli occhi di ghiaccio che lo rendevano distante e sotto i quali si nascondeva un fuoco sempre acceso?

Oppure erano i capelli folti, un caos di ricci che gli incorniciavano il viso lungo e che gli conferivano un aria birichina?

-Posso venire con te?-si sentì chiedere sorprendendo anche sé stesso-Magari posso essere il tuo Jeffrey-aggiunse velocemente, abbassando lo sguardo per un istante sulle proprie scarpe.

A quelle parole Sherlock spalancò gli occhi, sorpreso quanto e più di lui della sua domanda e per alcuni istanti i due bambini si limitarono a fissarsi prima che Sherlock si riscuotesse per primo da quell’inaspettato torpore.

-C-Certo…-rispose incerto.

John rispose a quelle parole con un grande sorriso rassicurante, felice di non aver rovinato le basi di una possibile amicizia.

-Bene…Almeno ho qualcosa da aspettare per quando sarò vecchio-disse continuando a sorridere.

La stanza tornò a scivolare nel silenzio; Sherlock si era seduto sul proprio letto, a gambe incrociate lo sguardo fisso su John che, dal canto suo, era ancora in piedi, le spalle rivolte alla scrivania e divideva la propria attenzione fra l’uovo avvolto nella coperta e Sherlock.

-Tu lo sai perché tuo padre ti ha portato qui oggi, vero?-domandò Sherlock interrompendo il silenzio.

John rialzò lo sguardo incontrando gli occhi di ghiaccio dell’altro e alzò le spalle.

-Forse non aveva voglia di fare il viaggio da solo…-rispose.

-Mh…No, non è la prima volta che viene al Manor da solo.

Davvero non lo sai?-chiese ancora, un’espressione sorpresa sul volto.

John corrugò la fronte.

-Cosa?-

-Non è stato un caso se oggi ci siamo incontrati.

Era stato deciso così perché potessimo conoscerci e “fare amicizia”, perché un giorno tu sarai il mio Omega ed io sarò il tuo Alpha-disse Sherlock con voce neutrale.

Per un lungo istante John combatté contro l’istinto che gli diceva di scoppiare a ridere e non prendere minimamente in considerazione quelle parole; ma l’espressione seria sul volto di Sherlock gli fece capire che prenderlo in giro era l’ultimo pensiero del moro.

Sherlock sarebbe diventato il suo Alpha?

-Cosa?-si ritrovò a dire, incapace di trovare qualcosa di più profondo.

-Non mi hai sentito?-domandò Sherlock sereno.

-Certo che ti ho sentito! Ma è impossibile! Siamo troppo giovani…-commentò staccandosi dalla scrivania e lasciandosi cadere sulla sedia poco distante.

Sherlock restò in silenzio qualche secondo, il labbro inferiore tormentato dai denti, chiaramente immerso nei propri pensieri prima di riportare la sua completa attenzione su John.

-Hai mai sentito parlare del Maggiore Lestrade?-gli domandò.

John annuì.

-Era con mio padre al fronte-

-Precisamente. Mio padre era con loro.

Il Maggiore Lestrade ha un figlio, Graham o qualcosa del genere, di 13 anni che lo scorso anno si è rivelato essere un’Omega.

Così mio padre ha deciso che sarebbe stato un Compagno adatto per mio fratello, un futuro Alpha, e questo ha portato alla firma di un contratto in cui mio padre si impegnava a prendersi cura dell’Omega finché lui e mio fratello non avessero formato un Unione ed in cui il Maggiore rinunciava ai propri diritti sull’Omega che sarebbe diventato parte della nostra famiglia a tutti gli effetti-lo informò Sherlock in tono pratico e distaccato.

-Lo hanno lasciato andare così?-domandò incredulo John, leggermente stordito da tutte quelle parole.

-Cosa avrebbero dovuto fare?-gli chiese il moro.

-E’ il loro unico figlio!-replicò John.

-Non più…Beh nel tuo caso è diverso visto che tu hai una sorella, così il distacco per la tua famiglia sarà meno doloroso-commentò ancora Sherlock.

Già lui aveva una sorella Harry, un Alpha, che avrebbe portato grande onore e molte soddisfazioni alla famiglia.

-Siamo una vecchia famiglia e anche se i nostri metodi possono sembrare antiquati, nessuno si è mai lamentato: l’Omega potrà studiare e, se lo desidererà e se mio fratello sarà d’accordo, gli sarà concesso di lavorare finché non formeranno un’Unione ed avranno figli-continuò Sherlock.

John portò lo sguardo sul moro, fissandolo qualche istante: quello strano ragazzino, con i suoi occhi misteriosi e la sua passione per le api, sarebbe diventato il suo Alpha?

Lui ci aveva sicuramente guadagnato, ma che dire di Sherlock? Sarebbe stato felice della loro Unione?

-Questo è quello che succederà anche a noi?-gli domandò titubante.

Sherlock incontrò nuovamente il suo sguardo, leggendo chiaramente i suoi timori e le sue paure per il futuro prima di annuire.

-Come ho detto per il momento siamo troppo giovani, dobbiamo ancora conoscerci e vedere se siamo compatibili, ma quando ti Presenterai come un’Omega, le nostre famiglie firmeranno il nostro contratto-gli spiegò.

-E se non fossi un’Omega?-gli domandò-Che succede se sono un Beta?-

Sherlock alzò gli occhi al cielo, chiaramente annoiato da tutte quelle domande.

-E’ improbabile…Non c’è un Beta maschio nella tua famiglia da quasi cent’anni-gli rispose.

-Ok…E che succede se scopriamo che tu non sei un’Alpha?-chiese ancora John.

A quella domanda Sherlock si lasciò andare ad una risatina ironica che risuonò nella stanza come gocce di pioggia sui vetri.

-Impossibile.

La famiglia Holmes ha prodotto maschi Alpha per generazioni-rispose sicuro.

John annuì lentamente.

-Quindi è deciso…-commentò.

-Più o meno…Tu saresti d’accordo?-gli chiese Sherlock, gli occhi fissi sul suo volto.

Non mi sembra di avere molta scelta…”

-Sei d’accordo di diventare il mio Omega?-gli domandò ancora il moro.

John alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock, fissandolo per qualche istante.

Era una notizia assurda quella che aveva appena ricevuto, ma se le cose stavano davvero come gli aveva detto Sherlock, se lui era davvero un’Omega, allora avere qualcuno accanto con cui superare i momenti terribili che sicuramente si sarebbero presentati sul suo cammino, lo avrebbe aiutato e lo avrebbe fatto sentire meno solo.

-Credo di sì.

Ma non voglio avere figli subito dopo la Presentazione-chiarì subito.

Sherlock scosse la testa con forza.

-Oh Dio no! Non riesco ad immaginare niente di più orribile-si limitò a commentare.

-E voglio diventare un dottore come mio padre!-aggiunse velocemente John- Me lo permetterai?-gli chiese l’attimo dopo.

Sherlock annuì.

-Non vedo perché dovrei fermarti, in fondo può sempre tornare utile-rispose.

John sorrise, chiaramente soddisfatto.

-Allora sarò felice di essere il tuo Omega-gli disse con voce sicura.

Sherlock annuì e accennò un sorriso a sua volta.

-Ed io sarò felice di essere il tuo Alpha-rispose, suggellando con quelle poche parole un patto che avrebbe cambiato il corso delle loro vite.

 

Mycroft Holmes era un uomo abituato ad ottenere tutto quello che desiderava nella vita.

O almeno questa era la visione che il mondo esterno aveva di lui: agli occhi della gente, Mycroft appariva come un soddisfatto maschio Alpha di quarantadue anni, con una solida posizione nel Governo britannico(anche se soltanto pochi fortunati erano a conoscenza delle vere qualifiche che l’uomo ricopriva e dell’importanza del suo ruolo), un figlio di quattro anni ed un’ Omega affettuosa ed amorevole al proprio fianco.

Gregory.

L’unico che potesse davvero ricoprire quel ruolo fondamentale nella sua vita.

Ciò che la gente non sapeva era che tutte quelle conquiste erano state ottenute con fatica e dopo lunghe tribolazioni: essendo il primogenito della famiglia Holmes era caduto su di lui il compito di inserirsi all’interno del Governo e ricoprire con il tempo una posizione di rilievo, ma le difficoltà dei primi anni lo avevano portato più volte a dubitare che quella fosse realmente il suo destino, minando seriamente la sua autostima.

Anche in quel caso Gregory(indispensabile, meraviglioso e brillante) lo aveva aiutato a capire che lui non era inferiore agli altri, che nessuno poteva permettersi di “mettere i piedi in testa” a Mycroft Holmes(“a meno che non abbiano un forte istinto suicida”) e gli era stato accanto per tutti gli anni difficili del tirocinio, delle missioni all’estero, senza mai fare domande, finché non aveva potuto finalmente occupare il posto che gli spettava di diritto.

Agli occhi del mondo esterno la famiglia Holmes, con l’ovvia aggiunta degli Watson, mostrava un fronte unito ed indivisibile, e Mycroft si riteneva fortunato per la sua famiglia consapevole che in molte occasioni sarebbe bastata una decisione diversa, un gesto sbagliato per cambiare il corso degli eventi e trasformare quell’unità affettuosa e coesa in un’altra casata fredda e indifferente al destino degli altri componenti.

Molte volte in passato, soprattutto durante i primi anni in cui era a Cambridge, Mycroft si era ritrovato a maledire silenziosamente suo padre per gli accordi presi con il Maggiore Lestrade che lo legavano a Gregory, chiedendosi cosa sarebbe successo quando si fossero ritrovati insieme senza nulla di cui parlare o senza niente che li legasse, ma ancora una volta il suo Gregory(speciale, unico, insostituibile) gli era venuto incontro gettando le basi per un’amicizia che nel giro di pochi mesi Mycroft aveva visto trasformarsi nell’amore più puro grazie a gesti accennati, risate, progetti per il futuro.

Un futuro che li vedeva insieme.

Se soltanto non avesse aspettato anni prima di ammettere i propri sentimenti per paura di vederli respinti…

La famiglia era il punto cardine della sua esistenza, attorno al quale roteava tutto il resto.

Tutti, amici e nemici, ne erano a conoscenza, ma Mycroft Holmes era riuscito a trasformare il proprio punto debole in un punto di forza.

Con un'unica eccezione…Sherlock.

Ogni famiglia ha la propria pecora nera e la famiglia Holmes non faceva eccezione.

I problemi della loro famiglia erano iniziati quando Sherlock si era Presentato frantumando tutti i sogni dell’uomo di una vita da Alpha e neanche la sicurezza di avere un’ Alpha affettuoso ed amorevole come John Watson aveva messo un freno alla rabbia e all’insoddisfazione di Sherlock.

Ed ora che suo fratello era ritornato a Londra la pace vissuta in quegli anni sarebbe stata spazzata via un’altra volta.

Dopo che Sherlock era uscito dal suo ufficio la sera prima, Mycroft era rimasto seduto dietro la propria scrivania, lo sguardo fisso sul muro di fronte a sé immerso nei propri pensieri, mettendo a punto possibili piani per prevenire o controbattere ogni intemperanza di Sherlock e proteggere la famiglia dalla tempesta mediatica che si sarebbe scatenata a causa del suo ritorno.

Si accorse di aver passato tutta la notte seduto in poltrona soltanto quando la casa cominciò a svegliarsi attorno a lui, rendendolo consapevole dei primi raggi del sole e dei propri muscoli atrofizzati dalla prolungata immobilità.

Poco dopo sentì aprirsi la porta dell’ ufficio e mosse velocemente il suo sguardo verso l’entrata dove, ancora con indosso il pigiama e la vestaglia, era fermo Gregory.

Un lieve sorriso apparve non appena i suoi occhi si posarono sull’uomo, il suo fedele compagno da oltre vent’anni.

La prima volta che si erano incontrati lui aveva dodici anni e Gregory tredici, ora erano entrambi oltre i quaranta e malgrado i problemi e le incomprensioni non avrebbe cambiato nulla del loro rapporto: aveva avuto il piacere di veder quel giovane insicuro che si era presentato al loro primo incontro in un adolescente strafottente e poco propenso alle regole, seguito dal giovane adulto sicuro delle proprie scelte e dei propri sentimenti fino all’uomo sicuro e fermo che era davanti a sé.

L’unico uomo che avrebbe mai amato per il resto della sua vita.

-Buongiorno-lo salutò Gregory avanzando nello studio dopo essersi chiuso la porta alle spalle.

Mycroft gli rivolse un sorriso stanco, allontanando leggermente la sedia dalla scrivania e mostrando un atteggiamento aperto ed accomodante che convinse Greg ad aggirare la scrivania e a sedersi sulle sue ginocchia, un braccio abbandonato attorno alle sue spalle.

-Buongiorno mio caro-disse rispondendo al saluto, lasciandosi avvolgere dall’odore dell’Omega.

Fin dal primo istante, Mycroft sarebbe riuscito a ritrovare Gregory in una stanza affollata grazie al suo odore peculiare(caramello e nocciole), arrivando ad identificarlo con la propria idea  di “casa”, ma da quando sei anni prima si erano Legati, l’odore di Gregory era cambiato, lasciando una lieve traccia del suo vecchio odore unito a quello predominante del suo Alpha perché tutti sapessero che Gregory era Suo.

-Hai dormito almeno un po’ ieri notte?-gli domandò Greg, le dita lievi ad accarezzare la base del collo dell’Alpha.

-Non molto, no…Mi dispiace non essere venuto a letto-gli disse accarezzandogli un ginocchio.

Gregory accennò un sorriso.

-Non importa.

Voglio dire, adoro quando sei nel letto accanto a me ma non è la prima notte che passo da solo e sicuramente non sarà l’ultima-rispose senza acrimonia.

Mycroft fece un gesto impercettibile con il capo prima di abbandonare la testa contro la spalla del compagno, attirandolo maggiormente contro di sé.

Consapevole che Mycroft era preoccupato, Greg mise in mostra il proprio collo dandogli la possibilità di strofinare la punta del naso contro la ghiandola “ormonale” dove il suo odore era più forte.

-Cosa ti preoccupa?-gli domandò continuando ad accarezzargli i capelli castani.

-Oh il solito-si limitò a rispondere l’Alpha, leggermente più calmo grazie alla presenza del suo compagno.

Greg annuì.

-Mh… Quindi non ha niente a che fare con l’ospite inaspettato arrivato ieri sera?-gli chiese ancora.

Mycroft aggrottò la fronte, sentendo i propri muscoli irrigidirsi all’istante per quella domanda inaspettata.

-Ospite?-chiese con quella che sperò essere una voce innocente.

Greg accennò nuovamente un sorriso e ne approfittò per accarezzargli una guancia.

-Mycroft Holmes…Tu sei davvero bravo a mentire, puoi anche essere definito un maestro alle volte, ma io sono l’unico che sa vedere oltre le tue stronzate-commentò Greg con voce sicura.

-Ah davvero?-domandò Mycroft incapace di controllare il sorriso ironico che gli incurvò le labbra.

Greg annuì nuovamente.

-Ho guadagnato questo privilegio in oltre vent’anni di amicizia e amore e sei di Legame e soprattutto conosco il nostro ospite-

A quelle parole, il sorriso divertito scomparve dal volto di Mycroft, portandolo a staccarsi dal compagno, la schiena nuovamente contro lo schienale della sedia.

-E’ tornato non è vero? Sherlock-disse Greg guardandolo negli occhi.

-Come…-domandò l’altro improvvisamente senza parole ed incapace di mentire.

Un sorriso inspiegabilmente dolce apparve sul volto di Greg, mentre le dita di una mano si chiusero attorno alla guancia destra dell’Alpha in un gesto rassicurante.

-Sono il tuo Omega…Lo sapevo perché tu ne eri a conoscenza.

Quando Sherlock si è buttato giù dal tetto del Barts eri scioccato come tutti noi, ma subito dopo non ho avvertito nessun dolore in te: eri arrabbiato, preoccupato e teso e tutti questi sentimenti ti sono rimasti addosso per lungo tempo anche dopo la sua morte.

Se poi aggiungi le decine di nemici pubblici N.1 i cui cadaveri sono venuti a galla, o che sono stati arrestati dopo la morte di Sherlock non è stato difficile tirare le somme: il nostro caro Sherlock era ancora vivo-concluse Greg in tono quasi professionale.

Mycroft lo fissò qualche istante, prima di prendere un lungo sospiro sinceramente sollevato all’idea di non dover dire la verità sulla morte di Sherlock al compagno.

-Ho sempre saputo che eri un fantastico ispettore…-commentò tornando a fissare il suo volto- Ed il migliore Omega per me.

Sei arrabbiato?-gli domandò cercando di tenere a freno la preoccupazione.

Questa volta toccò a Greg sospirare, passandosi poi una mano fra i capelli corti, riflettendo sulla risposta più adatto.

-Lo sono stato-ammise sincero- Credimi ero incazzato nero, specialmente perché non me ne avevi parlato: capisco se si tratta di segreti di stato o della sicurezza nazionale, ma erano le nostre vite Myc…-aggiunse.

-Ho dovuto farlo.

Ti ho promesso che non ti avrei tenuto all’oscuro di nulla che potesse ferire la nostra famiglia e ho mancato alla mia promessa.

Non hai idea di quante volte avrei voluto darti un indizio, un minimo accenno perché tu potessi mettere insieme tutti i pezzi e arrivare alla giusta conclusione, ma Sherlock mi ha fatto promettere di mantenere il segreto ed ho dovuto farlo, andando contro anche ad i miei istinti-gli disse sincero e angosciato allo stesso tempo.

Greg gli accarezzò lo zigomo destro, incapace di vedere il proprio Alpha afflitto senza far nulla per risollevargli il morale.

-Sei stato fortunato che all’epoca Martin era ancora un neonato, altrimenti sarei stato incazzato più a lungo, ma gli ormoni post gravidanza e il dovermi concentrare su di lui hanno messo in secondo piano il tuo stupido fratello-commentò.

Per qualche istante Mycroft restò in silenzio, sollevato di non dover affrontare la rabbia del proprio compagno e che il segreto che li aveva divisi per tre anni era finalmente stato svelato; ora poteva finalmente mettere Gregory al corrente dei motivi che avevano spinto Sherlock, e di conseguenza anche lui, a mantenere quel velo di segretezza.

-Moriarty era pronto ad uccidere te, John ed i gemelli se Sherlock non si fosse buttato…C’erano cecchini pronti ad eseguire l’ordine che aspettavano soltanto il suo comando.

Ecco perché Sherlock ha inscenato la sua morte ed io mi ho mantenuto il suo segreto e l’ho aiutato tutti questi anni-confessò evitando lo sguardo di Greg.

Per alcuni lunghissimi istanti, Greg restò immobile, i muscoli rigidi, incapace di liberarsi della sensazione di pericolo e della tensione che quelle parole avevano provocato, prima di buttar fuori un respiro e cercare lo sguardo del proprio compagno.

-Quel fottuto bastardo…-commentò con un filo di voce.

Intuendo il bisogno di protezione di cui aveva bisogno l’Omega, Mycroft l’attirò a sé, un braccio stretto attorno alla vita mentre le dita della mano sinistra gli accarezzavano lentamente la schiena in un gesto rassicurante.

-Non potevo permettere che arrivasse a te…Non quando finalmente eravamo una vera coppia, non con Martin appena nato.

Ho protetto la mia famiglia e so che avrei dovuto dirtelo, ma a quanto pare non c’è bisogno che io ti dica tutto…Tu lo sai già-aggiunse con un lieve sorriso orgoglioso sulle labbra.

Greg accennò un sorriso a sua volta, accarezzandogli la base del collo.

-A quanto pare ho anche io i miei trucchi magici…

Allora, cosa voleva?-gli domandò cambiando discorso e ritornando serio.

-Non lo immagini?-chiese a sua volta Mycroft lasciandosi scappare un sospiro frustrato.

-Mh…Tuo fratello riesce sempre ad andare oltre la mia più assurda previsione-commentò Greg.

-La sua missione è finita e ieri sera mi ha informato che vuole far sapere a tutti che è ancora vivo e soprattutto vuole incontrare John ed i gemelli-lo informò l’altro.

Greg si lasciò andare ad una risata ironica.

-Già…Gli auguro tanta fortuna-commentò sarcastico.

Mycroft annuì.

-E’ proprio quello che gli ho detto ieri sera, proibendogli di incontrare John ed i bambini, ma il mio fratellino caro mi ha “gentilmente” ricordato che la mia influenza come Alpha non ha nessun effetto su di lui…-

-Quindi come al solito, farà di testa sua-concluse per lui Greg.

Mycroft annuì.

-Senza preoccuparsi della vita di chi gli sta intorno…-commentò ancora il detective.

-Mio fratello ha smesso di preoccuparsi di queste cose quando ha scoperto di essere un’Omega- spiegò  Mycroft.

-Quello che non capisco è perché adesso?

Moriarty ha catturato la sua attenzione quattro anni e mezzo fa, quindi se davvero voleva costruire un rapporto con i gemelli avrebbe potuto farsi avanti prima, quando ancora erano piccoli-considerò Greg.

-Sono ancora piccoli…-gli fece notare l’altro.

-Sai bene quanto me che gli Holmes crescono molto in fretta-commentò Greg con un sorriso.

Niente di più vero…Sembrava passato soltanto un giorno da quando la levatrice aveva messo un Martin avvolto nelle coperte ed urlante fra le sue braccia per la prima volta, facendogli conoscere l’essere umano che per nove mesi era stato protetto dal corpo di Gregory a lui cui aveva parlato, fatto ascoltare musica, e che aveva fissato incredulo mentre lo vedeva stiracchiarsi nel suo spazio limitato nel ventre del padre.

Quel piccolo fagotto, a distanza di quattro anni, era una bomba di energia incapace di stare fermo nello stesso posto per più di cinque minuti (ricordandogli terribilmente suo fratello), con una curiosità insaziabile, sempre con un sorriso per chiunque, l’orso Teddy sempre accanto ed un amore infinito per lui e Gregory.

-Loro sono degli Watson-disse allontanando la propria attenzione da quei ricordi.

Quasi riuscisse a vedere chiaramente dove lo aveva portato la sua mente, Gregory si avvicinò e gli posò un bacio lieve sulla tempia destra.

-Soltanto di nome-commentò a bassa voce.

Per un lungo intervallo nella stanza scese il silenzio mentre la coppia rafforzava il proprio legame, leggermente scalfito dalla confessione di Mycroft e dal ritorno di Sherlock, ritrovando conforto l’uno nel calore e nell’odore dell’altro(vicino, rassicurante, Mio), con lievi carezze e piccoli gesti mentre oltre la porta chiusa dello studio il resto della casa continuava a svegliarsi.

Greg non aveva idea di che ora fosse, ma fortunatamente prima di entrare nello studio aveva chiesto a Millie, una delle cameriere più anziane, di occuparsi di Martin, pensando a vestirlo e a preparargli la colazione.

Solitamente si occupava lui della routine mattutina di suo figlio, ma in quel momento il suo posto era lì, accanto al suo Alpha che aveva chiaramente bisogno di lui.

-Credo che all’epoca stesse ancora combattendo contro il suo Sesso e, a posteriori, ritengo sia stata la scelta migliore: se quel pazzo di Moriarty fosse stato a conoscenza dei gemelli non avrebbe esitato neanche un’istante prima di trasformarli in pedine nell’assurdo gioco che stava conducendo con mio fratello…Come poi inevitabilmente è successo.

Se vogliamo davvero trovare una motivazione a questo improvviso istinto paterno, direi che l’unica spiegazione plausibile è l’essersi trovato ad un passo dalla morte più volte negli ultimi tre anni-commentò Mycroft rompendo il silenzio.

-John lo sa?-domandò Greg senza alzare la testa dalla spalla del compagno.

Proprio in quell’istante, arrivò alle loro orecchie il suono lontano del campanello esterno.

-Lo sapremo presto-rispose Mycroft.

Sentendo nuovamente la tensione irradiarsi nei muscoli della schiena dell’uomo, Greg si rizzò a sedere a sua volta, voltando leggermente il capo verso la porta ancora chiusa.

-Vuoi che me ne vada?-domandò Greg tornando a fissare l’Alpha.

Mycroft scosse la testa impercettibilmente.

-Credo sia meglio che ci sia anche tu-

Pochi secondi e nello studio risuonò l’interfono.

-Mr. Holmes, Mr. Watson ha appena  superato la sicurezza-lo informò una voce maschile.

-Conducetelo direttamente nel mio studio-ripose Mycroft prima di chiudere la comunicazione.

Greg si alzò in piedi e, nervoso, si avvicinò per alcuni istanti alla finestra che affacciava sul giardino interno, tornando a voltarsi soltanto quando sentì bussare due volte alla porta.

Ad una prima occhiata era evidente che neanche John aveva dormito molto la sera precedente.

L’aspetto esteriore avrebbe potuto ingannare qualsiasi estraneo, ma uno sguardo attento avrebbe facilmente riconosciuto l’aria stanca e gli occhi arrossati cerchiati dalle occhiaie.

-Buongiorno John-lo salutò Mycroft, ancora dietro la propria scrivania.

John rivolse all’uomo un cenno del capo.

-Buongiorno Mycroft. Ciao Greg-rispose l’altro salutando entrambi.

Greg si avvicinò nuovamente alla scrivania e rivolse un sorriso amichevole al biondo.

-Ciao John. Cosa ti ha portato qui così presto?-gli domandò in tono affabile.

John abbassò lo sguardo per alcuni istanti, chiaramente indeciso se renderli partecipi di quello che era accaduto e che era la causa della sua visita, prima di rialzare la testa e cercare gli occhi di Mycorft.

-Ieri sera ho ricevuto uno strano messaggio…

Da parte di tuo fratello-aggiunse l’attimo dopo.

Il biondo restò in silenzio, aspettandosi che uno o l’altro dei due uomini lo rassicurasse che era impossibile, che si era chiaramente trattato di un errore dato che Sherlock era morto e quindi incapace di messaggiare chiunque.

Quando né Greg né Mycroft vennero in suo soccorso, John prese un respiro profondo e ricominciò a parlare.

-All’inizio ho pensato si trattasse di uno scherzo, ma… Questa persona sa delle cose di cui soltanto io e Lui eravamo a conoscenza-aggiunse.

-Che genere di informazioni?-domandò Mycroft, le mani giunte poco sotto il mento.

John scosse la testa.

-Non ha importanza…Sto davvero diventando matto oppure è stato davvero Lui a mandarmi quel messaggio ieri sera?

E’ ancora vivo?-chiese a sua volta John.

I due Alpha si fissarono per un lungo istante, John chiedendo silenziosamente all’altro di rassicurarlo, di mentire, di promettere che si sarebbe occupato dell’impostore il prima possibile; mentre Mycroft cercava il modo migliore per affrontare quella conversazione senza scatenare la famosa rabbia del biondo.

Sciogliendo le mani e avvicinandosi alla scrivania, Mycroft dischiuse le labbra e prese un breve respiro.

-Prima di tutto ho bisogno che tu capisca che c’è una spiegazione dietro…-iniziò.

-Oh Gesù…-commentò John con un filo di voce, il viso improvvisamente pallido.

-Dietro la decisione di Sherlock di inscenare la propria morte-continuò Mycroft senza allontanare lo sguardo dal biondo.

Come una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili, John si piegò sulle proprie ginocchia, una mano a coprire la bocca.

-Quel figlio di puttana…Oh Dio…-mormorò incredulo.

Preoccupato per l’amico, Greg aggirò la scrivania e gli andò incontro, aiutandolo a rialzarsi in piedi e accompagnandolo ad una delle sedie di fronte alla scrivania.

-Mi dispiace John…-disse l’ispettore.

-Tu lo sapevi, non è vero Mycroft?- domandò John incontrando nuovamente gli occhi nocciola dell’uomo.

Il funzionario britannico annuì.

-Sì, lo sapevo.

Ma non l’ho fatto per lui, ma per la mia famiglia-spiegò Mycroft, gli occhi privi di rimorso.

John prese una serie di respiri profondi, cercando di controllarsi, prima di annuire.

-Lo hai visto? Ti ha detto cosa vuole?-gli domandò ancora.

-Non dovreste parlarne faccia a faccia?-

-Perché? Non abbiamo nulla da dirci-ribatté prontamente John.

Mycroft sospirò.

-Vuole incontrarti e inoltre vorrebbe conoscere i gemelli-lo informò.

John abbassò leggermente il capo e rise amaramente, prima di scuotere la testa più volte.

-Se lo può scordare…-commentò, prima che il suo volto si illuminasse di un’improvvisa epifania- Oh Dio i gemelli…Soltanto ieri ho dovuto rassicurare Matty che era davvero mio figlio e non un orfano raccattato dalla strada e promettere loro che non avremmo mai più parlato del loro padre…Ha scelto davvero il momento migliore per ritornare nel mondo dei vivi-commentò acido John- Come cazzo glielo spiego, eh?-

-Troverai le parole giuste-disse Greg cercando di rasserenare l’amico.

-Come? Crederanno che ne ero a conoscenza e che per tutti questi anni non ho fatto altro che mentire!-ribatté John chiaramente angosciato.

-John, i tuoi figli ti adorano, praticamente venerano il terreno su cui cammini!  Sanno che Sherlock era coinvolto in uno stupido gioco contro Moriarty quindi sono certo che troverai le parole adatte per spiegargli cosa è successo- replicò Greg con maggiore forza.

John annuì lentamente, cercando di autoconvincersi che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi e che la ricomparsa di Sherlock non avrebbe rovinato il suo rapporto con i gemelli.

Dopo un respiro profondo, rialzò lo sguardo ed incontrò quello di Mycroft che per la durata di quel breve colloquio era rimasto in silenzio.

-Come hai fatto a tenere il segreto per tutto questo tempo? Credevo fossimo amici-gli disse chiaramente confuso.

-Siamo più che amici, siamo una famiglia…Tu sei un fratello per me.

Ecco perché l’ho fatto: la tua vita e quella dei gemelli era in pericolo e io non ho esitato un istante a fare tutto il possibile per proteggervi-

I due Alpha si fissarono per un lungo istante finché John annuì.

-Ok ti credo-disse semplicemente prima di alzarsi in piedi.

Greg alzò lo sguardo verso il suo volto, ancora preoccupato per l’amico, ma John si limitò ad annuire ancora una volta, prima di tirare indietro le spalle e irrigidire la schiena.

-Ho bisogno di tempo per riflettere…Ci sentiamo presto-

L’attimo dopo voltò le spalle ai due uomini diretto verso la porta dello studio.

 

 

“Tu ed io. Beggars Bench. 10.30. –JW”

Il sole era sorto inaspettatamente dopo una notte insonne.

Nel suo appartamento provvisorio di Montague Street, Sherlock aveva passato le ore aspettando un nuovo messaggio, una chiamata da John, qualsiasi cosa che gli permettesse di riaprire il discorso, che gli consentisse di spiegare all’ Alpha perché era stato lontano tutti quegli anni, perché era dovuto ricorrere a quell’espediente così meschino, ma John non aveva voluto concedergli quella possibilità, lasciando cadere nuovamente il silenzio.

Durante le ore notturne, l’Omega era velocemente andato nel panico domandandosi cosa avrebbe fatto se John si fosse categoricamente rifiutato di ascoltarlo…Era un suo diritto, poteva farlo, e Sherlock conosceva poche persone ostinate e testarde come il suo Alpha.

Poi un pensiero fastidioso ed inaspettato si insinuò nella sua mente: cosa ne sarebbe stato di lui se nei tre anni conseguenti alla sua morte, John avesse trovato una nuova Omega?

Un’Omega banale ed ordinaria, ma che rendeva felice John?

Impossibile!

Nei suoi appostamenti non aveva mai notato nulla che facesse pensare ad una simile possibilità…A meno che il rapporto non fosse ancora agli inizi e John preferisse incontrare l’Omega lontano da Baker Street e dai gemelli.

No…Era un’idea inaccettabile!

Quando il messaggio era arrivato sul suo cellulare poco dopo le 9.30. il suo cuore aveva sussultato, calmando velocemente la sua ansia.

John voleva incontrarlo… Tutto sarebbe tornato a posto…

Si era fatto una doccia veloce, aveva scelto gli abiti che meglio si adattavano al suo fisico, indebolito dalla lotta e dagli anni passati in volontario isolamento, ed era uscito dall’appartamento, prendendo un taxi al volo.

 Beggers Bench era legato al periodo più buio del passato di Sherlock; quello indissolubilmente collegato alla dipendenza e alla cocaina: durante gli anni della tossicodipendenza si avventurava spesso per Hampsted Heath, nei punti più oscuri e malfamati del parco, ed ogni singola volta, quando la sua mente annebbiata lo riconduceva allo scoperto, verso la luce e la “civiltà”, gli bastava guardarsi intorno per pochi istanti per individuare John.

Il suo faro di luce.

Sempre sulla stessa panchina. In attesa. Chiaramente amareggiato e preoccupato per lui, ma ugualmente pronto a mettere da parte i propri sentimenti pur di proteggerlo anche in quella situazione.

Ogni volta, Sherlock si lasciava cadere sulla panchina, la testa sulle ginocchia di John, completamente stordito dalle droghe, felice di potersi godere il suo trip certo che nessuno lo avrebbe infastidito o gli avrebbe fatto del male.

Non con il suo Alpha accanto.

Per la prima volta da più di dieci anni, Sherlock risalì la collina di Hampsted Heath e si diresse con passo sicuro verso la panchina, scorgendo da lontano la figura che ben ricordava e che era chiaramente indecisa se sedersi sulla panchina o meno.

Soltanto quando si trovarono a pochi metri di distanza, John si accorse della sua presenza e si voltò verso di lui, osservandolo in silenzio mentre percorreva gli ultimi metri fino alla panchina.

Il tempo era stato clemente con John: i capelli erano ancora biondi, fatta eccezione per alcune ciocche grigie sulle tempie e sulla fronte che si amalgamavano perfettamente con il resto della capigliatura; il viso era più maturo di quello che ricordava, con rughe d’espressione a segnargli e a dare maggiore personalità al volto.

Ciò che evidentemente non era cambiato malgrado gli anni era il suo stile: sempre i maglioni con la stessa fantasia ed i jeans.

Chiunque altro, venuto in possesso di gran parte della fortuna degli Holmes, ne avrebbe approfittato per darsi una ripulita, acquistare quanti più completi firmati e fatti su misura, ma John non ne era mai stato tentato, preferendo sempre abiti pratici e comodi all’eleganza e allo stile.

Incapace di allontanare lo sguardo dall’uomo dinanzi a sé, Sherlock gli rivolse un lieve cenno con il capo, le mani affondate nelle tasche del cappotto, desiderose di afferrarlo e rannicchiarsi contro di lui.

-John- lo salutò rompendo il silenzio nervoso.

Il biondo deglutì e prese un respiro profondo, cercando a sua volta di controllare le emozioni ed il proprio temperamento, prima di indicare la panchina con la mano aperta.

-Siedi. Non voglio attirare troppa attenzione-gli disse prima di sedersi a sua volta.

Sherlock gli sedette accanto, le lunghe gambe accavallate all’altezza del ginocchio e fissò lo sguardo dinanzi a sé sull’ampia veduta del parco sotto di sé.

-Eccoci qui…Chi l’avrebbe detto, eh?-disse dopo qualche istante di silenzio.

-Tu odi fare conversazione, quindi per favore chiudi la bocca!-rispose John a denti stretti.

Sherlock alzò le spalle, cercando di mostrarsi indifferente e di tacitare quella voce dentro di sé che gli diceva di fare qualcosa per tranquillizzare il suo Alpha visibilmente nervoso.

-Almeno hai detto per favore-commentò prima di lanciare uno sguardo all’uomo accanto a sé- Resteremo qui in silenzio a lungo?-gli chiese ancora l’attimo dopo.

-Per tutto il tempo che mi servirà per non prenderti a pugni, quindi fattene una ragione!-ribatté John.

Sherlock mise a tacere i propri istinti ancora una volta e sospirò lasciandosi scivolare contro lo schienale della panchina e fissando il cielo coperto di nuvole bianche.

-Allora godiamoci la vista ed il silenzio…-

Per un lungo interminabile intervallo, i due uomini restarono in silenzio uno accanto all’altro, persi nel proprio mondo, osservando distrattamente le persone che affollavano il parco in quella mattina lavorativa, cercando di venire a patti con la nuova realtà con cui si trovavano a fare i conti, fino a quando inaspettatamente John prese un profondo respiro e dischiuse le labbra.

-Durante gli anni del nostro…Qualsiasi cosa fosse…-iniziò John.

-La parola che stai cercando è Legame-lo interruppe Sherlock prontamente, voltandosi leggermente verso il biondo concentrando su di lui la sua completa attenzione.

-Hai fatto molte cose stupide, mettendo in pericolo te stesso ed i gemelli…-continuò imperturbato John.

-Non ho MAI messo in pericolo i nostri figli!-ribatté Sherlock voltandosi completamente verso John, furioso per la sola insinuazione.

Finalmente John incontrò il suo sguardo, per nulla spaventato dai fulmini che vedeva chiaramente negli occhi di Sherlock.

-Dobbiamo davvero affrontare quell’argomento un’altra volta? Adesso?-gli domandò in tono risoluto.

Sherlock lo fissò qualche istante prima di abbassare lo sguardo e sospirare.

-Ok, va avanti…-

John annuì al suo fianco, sentendo sciogliere la tensione nei suoi muscoli.

-Non importa quanto pazze o pericolose fossero le tue avventure, c’era una cosa su cui potevo sempre contare…Sapevo che mi avresti sempre detto la verità: non importa quanto questa fosse dolorosa o crudele, non mi hai mentito.

E’ una delle cose che ho sempre amato di te…

Ma c’è sempre una prima volta, no?-commentò il biondo lasciandosi andare ad un sorriso amaro.

-John…- tentò Sherlock, leggermente spaventato dalle tante parole non dette contenute in quel discorso.

-In tutti questi anni non ho mai spezzato il nostro Legame perché volevo essere pronto in caso ti fossi trovato in pericolo o avessi avuto bisogno di me, malgrado te ne fossi andato-continuò John imperterrito.

-John, per favore…-

-Poi con la tua morte ho pensato che, malgrado il legame empatico fosse ancora forte, l’unica spiegazione possibile era che fosse soltanto un ricordo di tutto quello che avevo perso e che finalmente ero libero di cercare una nuova Omega…-

-Vuoi davvero la compagnia di una noiosa e inutile Omega?-gli domandò Sherlock cercando di nascondere la propria gelosia.

-In cambio di cosa? Di un letto vuoto? Del sentirmi solo ed non desiderato dal mio stesso Compagno?

L’alternativa non è così terribile-elencò John amaro.

-Sono io il tuo Omega!-gli ricordò Sherlock, sporgendosi inconsapevolmente verso il biondo.

John lo fissò per un lungo istante prima di sospirare.

-Le cose sono cambiate ora…Molte coppie nella nostra situazione e con molti meno problemi sono riusciti a spezzare il Legame…- disse John senza guardarlo.

-Non se ne parla-ribatté Sherlock scuotendo la testa.

-Mycroft potrebbe aiutarti a trovare un nuovo appartamento dove potresti concentrarti esclusivamente sul tuo lavoro e sui tuoi esperimenti.

Potremmo chiedere a Mycroft di…-continuò John, eludendo lo sguardo di Sherlock, certo che altrimenti non sarebbe riuscito a portare avanti quel difficile discorso.

-Hai sentito quello che ho detto? Non voglio rompere il nostro Legame!

Tu sei il mio Alpha e io non permetterò a nessuno di decidere sul destino della nostra unione-ripeté con forza Sherlock.

Confuso, John si decise ad incontrare gli occhi di ghiaccio dell’altro, fissandolo per qualche istante in silenzio.

-Perché?-gli chiese poi.

-Cosa?-

-Perché  vuoi continuare questa farsa? Se lo fai per la protezione contro gli altri Alpha che ricevi tramite il nostro Legame sono certo che Mycroft ti potrà essere d’aiuto…-disse John.

A quelle parole Sherlock aggrottò la fronte.

-Sei davvero così stupido?-gli domandò, incapace di credere che John avesse anche solo pensato ad una simile proposta.

Possibile che John non capisse che l’unica cosa di cui aveva bisogno, che aveva sempre voluto ancor prima di scoprire di essere un’Omega era lui?

 Capì, però, di aver detto la cosa sbagliata quando vide irrigidirsi i muscoli della mascella del biondo.

-Forse lo sono-commentò John con voce dura.

-Non voglio la protezione di Mycroft!

Voglio il mio Alpha!  Voglio la sola persona al mondo capace di sopportarmi fin da quando eravamo bambini, l’unico che mi è stato accanto anche nei momenti più difficili, che è stato con me anche quando ero una persona orribile…Il solo che riesce a capire con uno sguardo se qualcosa non va; ed il fatto che tu abbia suggerito una simile possibilità è offensivo e umiliante-concluse Sherlock senza mai allontanare lo sguardo da quello di John.

L’Alpha trattenne il suo sguardo per qualche istante prima di abbassare gli occhi e fissare le proprie mani, emotivamente provato dal fiume di parole che lo aveva investito.

Prendendo un respiro profondo si voltò sulla panchina tornando a fissare il parco davanti a sé, rimettendo la giusta distanza di sicurezza fra sé e Sherlock.

-Ti conoscevo allora…Ora non so più chi sei.

Cazzo hai lasciato che tutti ti credessero morto per tre anni!-disse.

-Era necessario per la tua sicurezza e quella dei gemelli.

Moriarty aveva una pallottola con il vostro nome sopra; mi voleva morto e sapeva che voi eravate l’unica arma con cui poteva minacciarmi e per cui avrei rinunciato volentieri alla mia vita-confessò il moro.

Questa volta toccò a John aggrottare la fronte: nella sua mente molte questioni irrisolte trovarono finalmente una spiegazione, ma allo stesso tempo portavano con sé nuove domande.

-Perché fingere allora?-gli chiese infatti-Perché non sei tornato dopo la sua morte?-

-Perché non eravate al sicuro; Moriarty era morto, ma la minaccia era ancora concreta: ho passato gli ultimi tre anni smantellare la sua rete criminale, uccidendo tutti coloro che potevano essere un pericolo per me e per voi-

John annuì lentamente, assimilando le nuove informazioni.

-Hai detto “amato ”-disse ancora Sherlock dopo qualche istante di silenzio.

-Mh?-

-Prima hai detto “amato”…Non mi ami più?-gli domandò, la voce leggermente più bassa.

John tornò ad incontrare il suo sguardo e sospirò.

-Onestamente?

Non lo so…Amo i nostri ricordi, come eravamo perfetti insieme, ma sono passati anni da allora e tante cose sono cambiate-gli rispose sincero.

-Possiamo ancora essere perfetti insieme…-ribatté Sherlock.

-Non ci siamo soltanto noi adesso! La mia priorità ora sono i gemelli: presto i giornali non faranno altro che parlare di te, di quello che hai fatto e del tuo ritorno dai morti e non so se avranno delle domande o quali saranno le loro reazioni…-disse John sinceramente preoccupato.

Sherlock lasciò cadere nuovamente il silenzio, concedendosi alla propria mente di cullarsi per qualche istante con l’immagine dei propri figli: Amelia e Matthew.

Così simili eppure così diversi… Era passato talmente tanto di quel tempo dall’ultima volta che era stato accanto a loro, che aveva potuto respirare il loro odore peculiare( una forte traccia dell’odore di John e un debole effluvio del suo odore Omega, che li avrebbe protetti nei primi mesi di vita e che li rendeva inconsapevolmente unici e speciali ai suoi occhi).

-Chiedono mai di me?-si ritrovò a chiedere senza quasi rendersene conto.

John gli lanciò uno sguardo triste, considerando brevemente tutto quello a cui Sherlock aveva voltato le spalle.

-Te ne sei andato…-disse semplicemente.

-Lo sai perché l’ho fatto!-rispose prontamente il moro voltandosi ancora una volta verso John.

-Già…Io ero un adulto e vederti andar via mia ha quasi devastato.

Credi davvero che possa raccontare ai miei figli che il loro padre ci ha voltato le spalle perché considerava la nostra vita insieme noiosa quando invece per me è perfetta?-gli domandò amaro.

-Le cose sono diverse ora-ripeté ancora una volta Sherlock.

-Come fai a dirlo?-

-Sono pronto.

Voglio far parte della nostra famiglia: voglio conoscerli e voglio stare con te perché in tutti questi anni non c’è stato un giorno in cui non ho pensato a te e ai gemelli-gli disse sincero.

John si portò due dita alla base del naso, premendo forte per combattere il mal di testa che sentiva avvicinarsi sempre più velocemente.

-Ti amo ancora John-

Quelle parole lo portarono a rialzare lo sguardo e ad affondare gli occhi in quelli di ghiaccio dell’uomo accanto a sé, improvvisamente senza fiato, un tumulto di emozioni dentro di sé che soltanto Sherlock era capace di provocare.

-Non c’è stato nessun altro in questi anni… Sono ancora Tuo-aggiunse il moro.

-Vorrei che fosse così semplice…-mormorò John.

Un sorriso triste apparve sulle labbra di Sherlock.

-Lo so.

Credi che non mi sia accorto del fatto che non hai detto il mio nome neanche una volta?-gli domandò scatenando un lieve rossore sulle guance dell’altro- Ma ho bisogno di sapere che nessuno ha preso il mio posto, che tu sei ancora Mio….Perché se lo sei, sono pronto a fare qualsiasi cosa vorrai per convincerti che l’unica cosa che voglio è tornare da te e dai nostri figli-disse sincero come poche volte prima d’ora.

John fissò il volto regale ed etereo di Sherlock, combattendo contro il desiderio di far scivolare le dita su quello zigomo pronunciato e perfetto, di accarezzare la guancia incavata, di lasciarsi circondare dall’odore del suo Omega per la prima volta dopo più di dieci anni.

Andando contro i propri istinti John si alzò in piedi, concedendo al moro un lieve cenno del capo.

-Devo rifletterci sopra-gli disse.

Sherlock annuì a sua volta, lasciandosi andare contro lo schienale della panchina, svuotato di ogni spirito combattivo.

John gli voltò le spalle e fece per allontanarsi, ma dovette cedere a quel lato della sua natura totalmente incapace di far del male a Sherlock.

-Vivo con uno Sherlock in miniatura-gli disse tornando a voltarsi ed incontrando lo sguardo sorpreso del moro.

-E’ meraviglioso, la luce dei miei occhi, ma allo stesso tempo è possessivo e geloso proprio come te.

Anche se avessi voluto non avrei potuto cercare una nuova Omega perché Matthew l’avrebbe considerato un tradimento, avrebbe pensato che lui ed Amy non erano abbastanza per me e questa è l’ultima cosa che voglio…

Loro sono tutto il mio mondo…Proprio come lo eri tu.

Quindi no.

Non c’è stato nessun altro in tutti questi anni-

Dopodiché tornò a voltarsi e si incamminò velocemente lungo il sentiero che l’avrebbe condotto all’uscita più vicina, un inferno di pensieri incontrollati nella testa.

 

 

 Il trascorrere delle ore era stato scandito dalle tazze di tea che lentamente si erano accumulate nel salotto e sul piano della cucina.

Dopo aver lasciato Sherlock, John era tornato lentamente verso Baker Street, percorrendo un lungo tratto di strada a piedi prima di decidersi a prendere la metropolitana che lo avrebbe ricondotto a casa.

Per tutto il tragitto la sua mente non aveva smesso di concentrarsi sugli eventi provocati dalle novità apprese quella mattina.

Sherlock era vivo…Sherlock era tornato.

Non era a conoscenza di tutti i particolari che accompagnavano la complicata faccenda “Moriarty”, ma da quel poco che aveva intuito era evidente che per la prima volta, Sherlock aveva trovato qualcuno al suo livello, un  degno avversario con cui giocare ad armi pari.

Che questa persona fosse un pazzo a capo di un’organizzazione criminale estesa in vari continenti era soltanto un dettaglio, qualcosa che lo rendeva sicuramente meno noioso agli occhi del consulente detective.

Dal momento in cui Sherlock gli aveva voltato le spalle ed era uscito dalla sua vita, John aveva sempre mantenuto le distanze, decidendo di dare uno sguardo veloce ai giornali soltanto quando il nome di Sherlock era esplicitamente scritto nei vari articoli, lasciando all’uomo la “solitudine” di cui tanto aveva bisogno.

Ecco perché si era accorto troppo tardi di quello che stava succedendo, e quando ormai tutta la stampa e l’opinione pubblica inglese si erano rivoltati contro il consulente detective, lui non aveva potuto fare nulla per proteggerlo o per salvarlo da sé stesso.

Ma del resto, cosa avrebbe potuto fare?

Al momento della sua “morte” lui e Sherlock avevano interrotto qualsiasi contatto da oltre sei anni…Che senso avrebbe avuto correre in suo soccorso lancia in resta?

Sherlock probabilmente lo avrebbe odiato, ricordandogli per l’ennesima volta che sapeva badare a sé stesso e che non aveva bisogno della protezione di un’Alpha.

Con la morte di Sherlock quel capitolo della sua vita si era chiuso per sempre…O almeno questo era ciò che aveva pensato fino a ventiquattro ore prima.

Ancora una volta Sherlock era riuscito a sconvolgere tutti i suoi piani…

Era andato a quell’appuntamento con un’idea ben chiara in mente, pronto ad esporre il suo piano per poi andarsene deciso a non lasciare all’uomo nessun diritto di replica…Ma quando mai Sherlock gli aveva concesso l’ultima parola?

Essendo onesto fino in fondo con sé stesso, John doveva ammettere che rivedere il proprio Omega dopo tutti quegli anni gli aveva fatto uno strano effetto: l’immagine che per anni gli aveva fatto compagnia era molto diversa dall’uomo che si era presentato all’appuntamento quella mattina.

Un uomo, non più un ragazzino.

I riccioli che tanto amava erano stati sacrificati per la grande missione provocandogli una stretta al cuore inaspettata, i chili persi durante gli anni erano stati recentemente sostituiti da tessuto muscolare, ma comunque non evitavano che avesse un aspetto malnutrito e malcurato.

In fondo Sherlock non era mai stato capace di prendersi cura di sé stesso.

La rabbia aveva preso il sopravvento nei primi minuti del loro incontro, facendogli temere che avrebbe finito per prenderlo a pugni incurante dei propri buoni propositi, ma fortunatamente era riuscito a controllarsi e ad esporre il suo piano.

Quando quella mattina aveva preso in considerazione l’idea di rompere il loro Legame, aveva sinceramente creduto che fare quella proposta a Sherlock sarebbe stata soltanto una formalità, che il detective sarebbe stato felice di sciogliere la loro unione e non sentirsi più legato a lui da nessun legame, vero o di forma.

Sicuramente non si era aspettato un rifiuto tanto netto…Né una dichiarazione d’amore così appassionata.

Perché quel meraviglioso idiota non aveva fatto quella confessione anni prima quando era ancora possibile salvare qualcosa del loro rapporto?

Perché dirgli proprio ora quelle cose quando sembrava chiaro che il loro rapporto era destinato a finire?

Ma se davvero era così allora perché John aveva sentito il bisogno di dargli quell’ultima rassicurazione prima di andarsene?

Avrebbe potuto semplicemente continuare a camminare senza aggiungere altro, invece aveva dato ascolto ai suoi istinti che gli urlavano di mettere in chiaro le cose, di rassicurare il suo Omega che niente era cambiato, che lui era ancora Suo e che nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo, malgrado tutti i suoi difetti e gli errori del passato.

Forse era proprio a causa di quegli istinti vecchi di millenni che non riusciva a smettere di pensare a quell’incontro.

Consapevole che presto i gemelli sarebbero tornati da scuola, John si adoperò per riordinare il salotto e la cucina, caotici più del normale e si preparò l’ennesima tazza di tea, preparandosi ad affrontare l’argomento con i suoi figli.

Si lasciò poi cadere sul divano, la testa abbandonata contro lo schienale di pelle e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.

Fu svegliato dal rumore della porta del loro appartamento che si apriva lasciando entrare i suoi figli.

-Ciao papà!-lo salutò Amy ferma sulla soglia, impegnata a togliersi il cappotto e la sciarpa, impedendo così al fratello di entrare.

-Ehi ragazzi!-li salutò John, quando finalmente anche Matty fece capolino nell’appartamento-Come è andata a scuola?- domandò rizzandosi a sedere.

-Noiosa come al solito-rispose prontamente Matty avviandosi in cucina, dove sua sorella aveva già tirato fuori dal frigo due succhi di mela per entrambi- Mr. Davids ci ha assegnato un nuovo progetto per scienze, questa volta sul corpo umano.

Credi che potremmo farci aiutare dalla zia Molly?-domandò sedendosi attorno al tavolo accanto a Amy.

John si alzò in piedi, la tazza di tea in una mano ed entrò in cucina, lanciando un’occhiata ad entrambi prima di alzare le spalle.

-Non vedo perché no…Ma voglio controllare il progetto e dare l’ok prima che voi lo sviluppiate, d’accordo?- rispose sedendosi a sua volta attorno al tavolo.

Due teste si mossero all’unisono prima di concentrarsi sulla propria merenda.

-Come mai non eri a casa quando ci siamo svegliati questa mattina?-domandò Matthew alzando gli occhi sul suo volto.

Era davvero strano trovarsi sotto quello scrutinio così attento due volte in così poco tempo…

John giocherellò per qualche istante con la propria tazza, cercando le parole più adatte per iniziare quel discorso così importante, finché si rese conto che soltanto con la verità  sarebbe riuscito a far capire ai gemelli cosa lo aveva spinto fuori di casa all’alba.

-So di avervi fatto una promessa ieri…Ma dobbiamo parlare ancora una volta di vostro padre-iniziò, lo sguardo sui propri figli.

Matty corrugò la fronte.

-Perché?-chiese il bambino.

-Davvero papà non ce ne è bisogno; va tutto bene adesso-aggiunse Amy.

John annuì.

-Lo so. Ma è importante che affrontiamo ancora una volta quest’argomento perché…Ci sono stati dei cambiamenti.

Presto tutti i giornali si occuperanno di vostro padre e l’ultima cosa che voglio è che voi scopriate la verità dai notiziari o dai vostri amici, perciò voglio che mi ascoltiate attentamente, ok?-disse loro con voce calma ed autoritaria.

Entrambi i ragazzi annuirono.

-Vi ricordate cosa vi ho detto a proposito della sua morte?-domandò poi.

Matty annuì.

-Che si era ucciso gettandosi dal tetto di un palazzo-rispose prontamente.

Questa volta toccò a John fare un cenno con il capo.

-Esattamente. Qualcosa è cambiato ieri…Ho scoperto che vostro padre è stato costretto a saltare giù dal quel tetto-disse cercando le parole più adatte per affrontare quel discorso delicato.

-Che vuoi dire costretto? Lo hanno buttato giù?-chiese Amy, una strana espressione in volto.

John scosse la testa.

-No. E’ stato minacciato: quest’uomo, il criminale che stava cercando di arrestare, aveva promesso di far del male a noi se non si fosse buttato…-spiegò l’uomo.

-Perché?-lo interruppe Matthew.

-Che vuoi dire?-chiese John alzando un sopracciglio.

-Noi non contiamo nulla per lui, quindi perché avrebbe dovuto gettarsi da un palazzo pur di proteggerci?-gli spiegò il bambino con voce pacata.

Ciò che ferì maggiormente John in quella frase non furono le parole, ma il tono di voce calmo e convinto con cui Matty le aveva espresse: l’assoluta certezza che Sherlock aveva smesso di pensare o di avere dei sentimenti per loro nel momento in cui se ne era andato.

Neanche John aveva mai pensato una cosa simile…

Allungando una mano sul tavolo per prendere quella più vicina a sé di Matty, John scosse la testa.

-Oh  Matty… Certo che siamo importanti! Voi eravate le persone più importanti nella vita di vostro padre-si affrettò a rassicurarlo.

-Papà per favore possiamo evitare di parlare ancora di questo?-gli chiese il bambino, liberando la mano dalla sua.

-In fondo che importa? Ok è stato minacciato e non lo ha fatto volontariamente, ma questo non cambia il fatto che è morto…-disse Amy cercando di superare quel momento di impasse.

-No, non lo è-rispose John tornando a guardare i due gemelli.

Un’espressione confusa mista a scetticismo, perfettamente identica, si dipinse su entrambi i volti.

-C-come?-domandò Amy.

-E’ ancora vivo- confessò John prima di prendere un respiro profondo- Vi giuro che non ne avevo la minima idea fino a questa mattina, ma vostro padre è ancora vivo-

-Come è possibile? Non si sopravvive ad una caduta da quell’altezza…-chiese ancora la bambina, dando voce alle domande di entrambi.

John annuì.

-E’ vero, sono perfettamente d’accordo con te.

Sinceramente non ho la minima idea di come ci sia riuscito, ma c’è l’ha fatta ed ha passato gli ultimi tre anni in giro per il mondo impegnato a smantellare una rete criminale in modo che nessuno potesse farci del male.

E..E ora è tornato a Londra-concluse.

-Lo hai incontrato?-domandò Matty, parlando nuovamente dopo un lungo silenzio.

John posò lo sguardo sul bambino ed annuì.

-Questa mattina, mentre voi eravate a scuola-confermò.

-Perché?-chiese incredula Amy.

A quella domanda, l’uomo si lasciò andare ad un sospiro spezzato.

-Non è facile…Ho deciso di incontrarlo con un’idea chiara in mente…-raccontò.

-Volevi rompere il vostro Legame-lo interruppe Matty, leggendo chiaramente le sue intenzioni sul suo volto.

-Già quella era la mia idea-confermò John sincero.

-Ma non lo hai fatto-continuò il bambino.

Quel brevissimo scambio fece sorridere John, ricordandogli quante volte si era ritrovato in quella posizione con Sherlock, costretto a rivelare segreti che non era ancora pronto a confessare soltanto perché un lieve tremore nei suoi muscoli facciali lo aveva tradito.

-No, non l’ho fatto…Ed ora sono indeciso- disse portando lo sguardo ancora una volta su entrambi i gemelli-Vostro padre vuole incontrarvi-annunciò.

Le reazioni a quella notizia non avrebbero potuto essere più diverse: mentre sul volto di Amelia apparve chiaramente la confusione e la sorpresa, il volto di Matthew si chiuse alle emozioni, rendendo ancora più evidente la somiglianza con Sherlock.

-Non capisco…-disse Amy in un sussurro.

-Vostro padre si è scusato per averci lasciato e mi ha detto che vorrebbe ricominciare da capo…Che il suo più grande desiderio è provare a conoscervi…-

-Tu cos’hai risposto?-domandò con voce dura Matty.

-Gli ho detto che ne avrei parlato con voi e che sareste stati voi a decidere cosa fare-rispose prontamente John.

-E tu? Lo rivedrai ancora?-gli domandò Amy.

John notò una inaspettata ambivalenza osservando Amy: lo sguardo negli occhi di sua figlia lo implorava di dirle che avrebbe visto nuovamente Sherlock, ma il suo tono di voce sembrava esortarlo a negare, a rassicurare entrambi che quel capitolo doloroso della loro vita si sarebbe chiuso presto una volta per tutte.

-Non lo so davvero…Ero pronto a vivere il resto della mia vita da solo, prendendomi cura di voi due-disse scegliendo di essere onesto come aveva sempre fatto.

-Ma adeso lui è tornato e non riesci a reprimere i tuoi istinti Alpha-commentò Matty, facendolo quasi sentire incolpa.

-Anche, ma non è soltanto questo…Vostro padre ed io, nonostante tutti i nostri problemi, abbiamo sempre avuto un forte legame fin da quando eravamo bambini-disse incapace di trattenere un sorriso mentre i ricordi di un’infanzia lontana riaffioravano nella sua mente- Probabilmente non ci credereste, neanche se vi raccontassi tutto fin dal principio, ma io sono stato davvero fortunato ad incontrare vostro padre.

Lui è stato il mio migliore amico, prima di diventare il mio Omega, e spesso in questi anni ho sentito la sua mancanza.

Nessuno è mai riuscito a capirmi come lui.

So che forse non riuscirò a salvare il nostro Legame, ma voglio provare a salvare la nostra amicizia.

-Detto questo però, non vi farò nessuna pressione perché voi instauriate un rapporto con vostro padre.

Come ho già detto, è una vostra decisione ed io la rispetterò completamente, qualunque essa sia-concluse, certo che i suoi figli avrebbero visto la profonda sincerità delle sue parole.

Per un lungo istante nella piccola cucina cadde il silenzio, mentre i due ragazzi rifletterono sulle parole del padre, analizzandole da ogni punto di vista.

Il primo a parlare fu, ovviamente, Matty che ruppe il silenzio prendendo sospirando rumorosamente.

-Per quanto mi riguarda non è cambiato nulla: lui è un estraneo per me, quindi non voglio incontrarlo-disse sostenendo lo sguardo di John.

L’uomo annuì, accennando un sorriso rassicurante per dimostrare al figlio che, nonostante le loro scelte fossero diverse, John lo amava ancora incondizionatamente.

-Ok, lo capisco-si limitò a commentare.

-Io invece voglio incontrarlo-disse Amelia cogliendo i due uomini di sorpresa.

John portò lo sguardo sulla bambina, sentendo accanto a sé Matty voltarsi a volta verso la sorella.

-Io sono d’accordo con te Matty, ma allo stesso tempo sono curiosa e adesso che ne ho la possibilità voglio fargli tutte quelle domande che non hanno trovato risposta in tutti questi anni.

Perciò voglio incontrarlo-ripeté guardando il fratello.

I due gemelli intrattennero una conversazione silenziosa fatta di sguardi che portò Matthew ad annuire lentamente.

John incontrò lo sguardo di sua figlia, scoccandole un lieve sorriso.

-Ok-

-Però non voglio che venga qui, possiamo incontrarci da qualche altra parte?-gli domandò.

-Certo, nessun problema-la rassicurò John.

-Ok, possiamo andare in camera nostra?-domandò ancora Amy, dopo essersi lasciata andare ad un lieve sospiro.

-Sì, ma prima voglio un abbraccio-disse l’uomo alzandosi in piedi.

I due bambini aggirarono la tavola e si tuffarono fra le sue braccia, cercando in quell’abbraccio protezione e la rassicurazione che malgrado i cambiamenti inaspettati, niente li avrebbe allontanati o avrebbe modificato il loro rapporto.

 

 

 

Alle dodici e trenta del giorno dopo, poche ore prima che la notizia del suo ritorno nella terra dei vivi venisse comunicata alla stampa, Sherlock era seduto in un anonimo Starbuck, osservando gli uomini d’affari in pausa pranzo che mangiavano il loro pranzo con il naso immerso nel BlackBerry, i turisti con una guida sotto il braccio alle prese con il menù sconosciuto, le mamme e papà del circolo “Omega & Kids” che si raccontavano le avventure della loro settimana e le gioie e dolori di essere neogenitori, uno sguardo sempre vigile verso la porta in attesa del suo ospite.

John lo aveva contattato quella mattina tramite messaggi, invitandolo allo Starbuck in Marylebone Street, poco distante da Baker Street, ma a dedita distanza da evitare eventuali incontri spiacevoli.

Incontrarsi in un luogo privo di ricordi o di significato poteva essere un segno positivo, la dimostrazione che John era pronto a ricominciare da zero ed offrirgli una seconda possibilità, oppure poteva essere un chiaro segno negativo con cui John intendeva fargli capire che da quel momento le loro strade si sarebbero separate definitivamente.

A salvarlo dalla girandola dei suoi pensieri, come sempre, arrivò John che scelse proprio quel momento per entrare nel caffè.

Si guardò velocemente intorno e, dopo averlo individuato ad un tavolino d’angolo, si diresse verso il bancone per fare la propria ordinazione.

Sherlock lo scrutò attentamente nei brevi minuti che l’uomo passò in attesa del proprio caffè, notando la tensione dei suoi muscoli, le spalle del cappotto umide di pioggia ed i capelli sconvolti dal vento.

Come al solito aveva preferito correre sotto la pioggia piuttosto che portarsi dietro un ombrello…

Finalmente l’uomo si avvicinò al tavolo e gli fece un cenno di saluto con il capo, gli occhi fissi sul suo volto.

-Ciao Sherlock-lo salutò.

Decisamente un passo avanti rispetto al loro primo incontro…

-Ciao John-lo salutò a sua volta osservandolo mentre si sedeva di fronte a sé- Non ti ho visto per anni e invece adesso non riusciamo a stare lontani per più di 24 ore…Mi sento fortunato-commentò cercando di rompere il ghiaccio neanche fossero una coppia al primo appuntamento.

John accennò un sorriso, facendo accelerare i battiti del cuore del detective.

-Già…Mi sento fortunato anche io…-commentò prima di prendere un lungo sorso dal proprio bicchiere.

(Caffè, una spruzzata di latte, niente zucchero)

Per alcuni istanti i due uomini restarono in silenzio, guardandosi di sottecchi, bevendo i propri drink, godendo della compagnia silenziosa dell’altro, finché John non  si schiarì la gola, pronto ad affrontare l’argomento che li aveva condotti lì.

-Dunque… Ho parlato con i ragazzi e ho provato a spiegare loro come era possibile che malgrado fossi caduto dal tetto del Barts non eri davvero morto…-iniziò.

-Altra fortuna?-tentò Sherlock.

-Non esagerare Sherlock…Comunque, gli ho detto che volevi vederli e che sarebbe stata una loro decisione incontrarti o meno e soprattutto che non sarei rimasto deluso in un modo o nell’altro…-continuò il biondo.

-E?-

John prese un profondo respiro e tornò ad incontrare il suo sguardo, le mani strette attorno alla tazza.

-Matty non vuole vederti.

Mi ha chiaramente fatto capire che non ha intenzione di cambiare idea su di te-gli disse, una nota triste nella voce.

Sherlock annuì lentamente.

-Lo capisco…Fa male, però posso capirlo-commentò.

-Matthew è identico a te…-disse John, un lieve sorriso ad inarcargli le labbra-Alle volte è una cosa positiva altre invece significa soltanto guai.

Ha bisogno di tempo per riflettere ed elaborare i propri sentimenti-gli disse convinto.

Il moro arricciò le labbra incerto: se suo figlio aveva una minima percentuale del suo carattere, allora avrebbe continuato a portare rancore per il resto della sua vita.

-Che mi dici di Amelia?-gli domandò allontanando la mente da quei pensieri bui.

-Beh, è stata una sorpresa, ma ha deciso che vuole incontrarti-lo informò John.

-Oh…-disse Sherlock, incredulo prima di riprendere il controllo di sé- Beh, se avessi dovuto scegliere un membro della famiglia Watson che si mostrasse disponibile e mi offrisse un ramoscello d’ulivo, avrei sicuramente scelto lei-

John aggrottò la fronte, portando il moro ad accennare un sorriso.

-Amelia è identica a te: il suo lato Watson deve essere terribilmente curioso, proprio come lo eri tu-commentò fissando gli occhi blu oceano dell’ Alpha.

Sentendo la forza dello sguardo di ghiaccio dell’uomo, John deglutì visibilmente prima di abbassare lo sguardo sul tavolino.

-Credo di sì…

Ha detto che è disposta ad incontrarti, ma che non sei ammesso a Baker Street-gli disse.

-Posso capirlo, in fondo quella è casa  vostra- convenne il moro.

John annuì.

-Quindi decideremo dove potrete incontrarvi, magari un posto tranquillo dove potrete parlare con calma, e ovviamente ci sarò anche io nel caso le cose dovessero mettersi male e Amy volesse tornare a casa prima del previsto…-spiegò John in modo pratico.

-Ovviamente.

Fammi sapere dove e quando e sarò lì-gli promise Sherlock.

John scelse quel momento per sollevare la tazza di caffè e coprire parte del volto in modo da nascondere parzialmente lo scetticismo che quelle parole avevano provocato in lui.

Cosa sarebbe successo se, una volta organizzato l’appuntamento, Sherlock non si fosse presentato deludendo così non soltanto lui, ma anche Amelia?

Era davvero pronto a correre quel rischio?

-Che mi dici di noi?-gli domandò Sherlock riportando la sua attenzione al presente.

Tornando a posare la tazza semivuota sul tavolo, John sospirò.

-Non lo so…Ho passato tutta la notte a rifletterci sopra.

Una parte di me mi urla di continuare a vivere la mia vita come ho sempre fatto, evitando così nuove delusioni e di riaprire vecchie ferite.

Ma c’è una voce dentro di me…-gli disse senza incontrare il suo sguardo.

-Cosa?-lo esortò l’altro.

Stanco di nascondersi, John affondò lo sguardo in quello dell’Omega.

-Mi manchi.

Mi manca il mio migliore amico…Il bambino di 7 anni che mi ha mostrato l’uovo d’uccello avvolto nella coperta come se fosse la più grande scoperta scientifica di tutti i tempi; o il bambino di 13 anni che mi ha convinto a baciarlo sostenendo per tutto il tempo che si trattava di un esperimento, anche se entrambi sapevamo che era una balla…

Mi manca osservarti immerso nel tuo Palazzo Mentale e la luce che si accendeva nei tuoi occhi ogni volta che arrivavi alla soluzione di un mistero, o quando dicevo qualcosa di terribilmente banale ma che per te era brillante…

Posso riavere tutte queste cose?-gli domandò incapace di nascondere un lieve tremore nella voce.

Sherlock lo fissò in silenzio per qualche secondo, combattendo contro il desiderio di aggirare il tavolo e sedersi sulle sue ginocchia per confortarlo, per rassicurarlo che per tutti quegli anni lui c’era sempre stato, nonostante la lontananza, fargli capire con ogni mezzo possibile che John Watson era l’unica persona al mondo capace di renderlo intero.

-Ho smesso di prendere i soppressori dell’odore-disse invece.

John a quelle parole aggrottò la fronte, chiaramente sorpreso da quel repentino cambio d’argomento.

-Non voglio più nascondermi, voglio che tutti sappiano che sono un’Omega e che ho un Legame, non importa quanto assurdo o impossibile possa sembrare agli occhi della gente-gli disse.

-E’ una sorta di dichiarazione politica?-gli domandò leggermente offeso John.

Sherlock scosse la testa.

-No, è il mio modo di dimostrarti che sono davvero pronto.

Mi ricordo quanto ti piacesse il mio odore e quanto ne hai sentito la mancanza quando ho iniziato ad usare i soppressori, quindi ho deciso di farlo per te.

Farei qualsiasi cosa per riaverti…Dì una parola e sarò di nuovo Tuo, in tutti i modi possibili-gli disse terribilmente sincero.

Ancora una volta John deglutì rumorosamente, spiazzato di fronte a tanta sincerità e si inumidì le labbra, prima di fare un minimo cenno con il capo.

-Ok…Ma faremo le cose con calma.

Ci incontreremo una o due volte la settimana per un caffè e per fare quattro chiacchiere, sui ragazzi o su quello che ci è capitato durante la settimana, e vedremo se stiamo ancora bene insieme… (“Se c’è ancora qualcosa che vale la pena salvare nel nostro rapporto…)Ed insieme decideremo come procedere-gli disse con la tipica voce sicura dell’Alpha.

Sherlock annuì, felice che John fosse disposto a concedergli un’altra possibilità.

-Bene...Visto che siamo d’accordo, sarà meglio che torni verso casa…E’ quasi ora di tornare al lavoro-disse alzandosi in piedi.

-Ti faccio sapere qualcosa non appena Amelia decide dove e quando vuole incontrarti-aggiunse.

-Quando posso rivederti?-gli domandò Sherlock.

John si passò una mano sulla fronte, riflettendo velocemente.

-Venerdì. I gemelli restano a scuola fino alle cinque per i loro club, quindi non dovrei avere problemi-

Sherlock annuì.

-A venerdì-lo salutò.

John annuì a sua volta, le mani affondate nelle tasche del cappotto.

-A venerdì-

 

 

Salve a tutti!!!

Come state? Prima di tutto volevo ringraziarvi la risposta inaspettata che questa FF ha ricevuto: non avendo mai visto Omegaverse su questo sito ho temuto che anche "The Sign of Four" sarebbe stata snobbata...Sono tremendamente felice di essermi sbagliata!

Inoltre volevo scusarmi per il terribile edit che è stato fatto nel 1 capitolo, ed ammetto le mie colpe, ma in quei giorni mi stavo riprendendo dall'influenza e dalla febbre, quindi sono stata meno attenta del solito...Prometto che non si ripeterà più!

Non fatevi scupolo a fare domande se ci sono dei termini che non vi sono chiari, o se avete bisogno di un Omegaverse glossario, sarà mio piacere venirvi incontro.

Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e chiedo scusa per eventuali errori di ortografia e/o battitura.

Il titolo e la frase all'inizio del capitolo sono tratti da una canzone omonima degli Artic Monkeys.

Ed ora i ringraziamenti:Miriam Malfoy(Grazie per i complimenti!Se devo essere sincera, all'inizio ero restia verso le Omegaverse, ma dopo aver letto la prima sono entrata nel tunnel e ancora non ne sono uscita XD; Anche io adoro Matty, anche se nella mia mente c'è in lui qualcosa di Matt Smith, forse i capelli, ed il renderlo così simile a Sherlock è stata quasi una sfida con me stessa, padre e figlio sono allo stesso tempo diversi, ma complementari, e le loro differenze verranno fuori soprattutto quando i due saranno costretti ad interagire nei prossimi capitoli...Per quanto riguarda John, c'è un limite di delusioni che il cuore è disposto ad accettare prima di rifiutare per sempre una persona, speriamo solo che Sherlock non si sia giocato tutte le sue possibilità),Luuuuula(Benvenuta in questa nuova FF!Ahahahahah già La Caduta è un perfetto punto di partenza per un inizio carico di angst, ma come hai visto in questo capitolo i problemi sono iniziati molto tempo prima dell'arrivo di Moriarty e sono tutti imputabili al nostro adorato Sherlock...Però posso dirti che, contrariamente all'altra fiction, Sherlock farà tutto il possibile per dimostrare a John il suo amore),Little Fanny(Ho realizzato un sogno senza saperlo... ^_^ Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, ma come puoi vedere, sembro incapace di scrivere capitoli brevi XD ...Eh già, un'idea che qualcosa non fosse proprio come doveva il nostro John l'aveva avuta, ma aveva preferito convincersi che fosse solo suggestione o dovuta all'intensità del loro Legame, principalmente per evitare di soffrire ancora di più dopo la morte di Sherlock...Per una volta ho voluto dipingere Mycroft come un uomo che farebbe di tutto per la propria famiglia, anche andare contro il proprio adorato fratello, senza però lasciarsi andare alla crudeltà come ho letto tante volte in altre FF...Myc sarà autoritario e freddo, ma non riesco proprio ad immaginarlo come l'orco cattivo della situazione XD...Amelia e Matthew sono il mio tesoro, personalmente li adoro, perchè finora sono unicamente Watson, ma prima o poi la loro parte Holmes dovrà venir fuori, e non vedo l'ora di scatenarmi...),Neryssa(Prima di tutto ti ringrazio per avermi fatto notare i miei obbrobbri, ma quella settimana ero uno straccio ed ho tralasciato un'ulteriore verifica del capitolo prima di postarlo sul sito...Prometto che non accadrà di nuovo! XD ... Se hai bisogno di qualche altra spiegazione riguardo all'Omegaverse, non farti scrupolo e chiedi pure, sarò felice di aiutarti! ^_^ ... Prometto che il passato di John & Sherlock verrà spiegato e con esso i motivi che hanno portato Sherlock ad andarsene).

Bene, per il momento io vi saluto e vi do appuntamento al prox capitolo...

"Have we ever met before?"

Baci,Eva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Little by little ***


Little by little

 

 

Maybe a thief stole your heart
Or maybe we just drifted apart
I remember driving
In my daddy's car to the airfield
Blanket on the hood, backs against the windshield
Back then this thing was running on momentum, love and trust
That paradise is buried in the dust

“If you're wondering why
All the love that you long for eludes you
And people are rude and cruel to you
I'll tell you why

You just haven't earned it yet, baby
You just haven't earned it, son
You just haven't earned it yet, baby
You must suffer and cry for a longer time
You just haven't earned it yet, baby”

 

Dopo il loro primo incontro, John e Sherlock vennero spinti l’uno verso l’altro con la speranza, mal celata, dei propri genitori, di far nascere un’amicizia che con il tempo si sarebbe tramutata in un amore.

Dal canto loro i bambini erano ben felici di passare quanto più tempo possibile insieme.

 Sherlock non aveva mai avuto un vero amico, escluso ovviamente il contorto rapporto che lo legava a Mycroft e che si era parzialmente interrotto quando il giovane si era prima Unito a Gregory e poi era partito per Cambridge, anche a causa del suo carattere restio e diffidente che lo portava ad evitare tutti coloro che giudicava inferiori a sé.

La sua enorme intelligenza, già fin troppo sviluppata in giovane età, gli aveva impedito di vivere un’infanzia convenzionale insieme ai suoi pari, confinandolo in una “torre d’avorio” fatta di esperimenti, libri e taccuini su cui annotava tutte le proprie deduzioni( aveva imparato fin troppo presto quanto poco queste venissero apprezzate dagli adulti).

Finché John non era entrato nella sua vita.

John con il suo sorriso sempre pronto, i suoi grandi occhi blu capaci di essere sorridenti l’attimo prima e confusi trenta secondi dopo, la sua risata accennata quasi si vergognasse di far sentire agli altri che trovava divertenti le “oltraggiose” battute di Sherlock.

John, che ascoltava i suoi pensieri e le sue deduzioni e li trovava brillanti, degni d’attenzioni.

Durante l’anno scolastico i due ragazzi potevano vedersi soltanto durante i week end passando insieme poche ore in cui Sherlock cercava di recuperare tutto il tempo perduto, parlando velocemente per mettere John al corrente delle sue ultime scoperte e correndo da un lato all’altro dell’ enorme casa perché John potesse vedere con i suoi occhi i cambiamenti che erano avvenuti dall’ultima volta che era stato lì.

John era una persona estroversa, solare e spigliata, capace di far amicizia con un estraneo con poche parole, quindi Sherlock era consapevole che l’altro aveva molti amici nella scuola che frequentava durante la settimana, ragazzi e ragazze che avevano un contatto giornaliero con John, osservarlo cinque giorni la settimana ma incapaci di notare le piccole differenze che avvenivano sul suo volto o di stabilire quali avvenimenti ne rafforzavano o contribuivano a cambiarne il carattere.

Soltanto Sherlock. Nessuno conosceva John come lui.

Dal canto suo John, malgrado cercasse di nasconderlo ai propri genitori e a Harry aspettava con ansia quei fine settimana, desideroso di passare quanto più tempo con Sherlock, di allontanare la mente dalla scuola, dalla propria famiglia e di affidarsi alle cure di colui che un giorno sarebbe diventato il suo Alpha, ma che al momento era il suo migliore amico.

Quegli incontri andarono avanti per tre anni, con la stessa spensieratezza e la stessa serenità che accompagnava la loro età.

All’età di 10 anni, Sherlock aveva completamente annullato la differenza d’altezza fra di loro, in modo che i due ragazzi potessero guardarsi in volto senza che l’uno dovesse alzare leggermente la testa.

-E’ una caratteristica Alpha: essere alti e imponenti per proteggere il proprio Omega.

Dimostra che mi prenderò cura di te al meglio delle mie capacità-gli disse Sherlock chiaramente soddisfatto.

-Speriamo che cresca anche tutto il resto-commentò ironico John, 12 anni ed un orgoglio ben radicato nel suo animo.

Quelle parole avevano portato Sherlock ad arrossire violentemente e avevano portato il biondo ad abbassare lo sguardo, colpevole di aver infranto una regola non scritta fra di loro.

Entrambi erano consapevoli che in un futuro lontano John sarebbe “appartenuto” a Sherlock, che il suo Marchio sarebbe stato ben visibile sul collo di John, e soprattutto che il suo primo Estro avrebbe provocato delle reazioni inaspettate in entrambi che avrebbe creato un legame più forte della loro amicizia; ma al momento entrambi preferivano evitare quell’argomento, specialmente la parte fisica della loro Unione, non ancora pronti ad immaginare quella parte del loro futuro.

C’era ancora tempo per pensare a quello che sarebbe successo quando la biologia avrebbe messo loro i bastoni fra le ruote.

Per il momento erano amici. Ed erano inseparabili.

Sherlock si stupiva ogni volta che John si mostrava interessato ai suoi esperimenti e gli faceva i complimenti per le sue deduzioni, e allo stesso tempo, John continuava a chiedersi quando sarebbe arrivato il momento in cui Sherlock avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe reso conto di quanto fosse banale ed ordinario John Watson, ribellandosi alla decisione dei loro genitori interrompendo così ogni loro rapporto.

Era stato proprio grazie a quel legame cosi stretto che era bastato soltanto uno sguardo perché Sherlock si accorgesse di qualcosa di diverso in John.

Era arrivato al Manor come al solito per trascorrere il week end, ma il suo volto era teso, la mente distratta dietro pensieri lontani dalle mura alte dell’enorme villa, incapace di prestare attenzione al fiume di parole che come ogni volta Sherlock aveva riversato su di lui fin dal suo arrivo.

Ferito nell’orgoglio e segretamente convinto che John avesse trovato qualcuno più interessante di lui, Sherlock si era chiuso nella propria camera da letto, senza chiedere a John di accompagnarlo, lasciandolo vagare per il giardino immerso nei propri pensieri, finché il biondo non aveva bussato timidamente alla porta della stanza ed era rimasto sulla soglia in attesa di un gesto che gli permettesse di entrare.

-Hai intenzione di restare lì impalato tutto il pomeriggio?-gli aveva domandato Sherlock continuando a voltargli le spalle.

La porta della stanza si era chiusa, seguita pochi istanti dopo dai passi pesanti di John per la camera finché questi non aveva raggiunto il letto e vi si era seduto sopra, le gambe leggermente aperte ed i piedi poggiati sul pavimento.

Per un lungo istante il silenzio era calato opprimente fra i due ragazzi, fino a quando John aveva alzato lo sguardo su Sherlock, ancora ostinatamente concentrato sul lavoro davanti a sé, ed aveva preso un respiro profondo.

-Ti devo delle scuse-aveva iniziato.

Gli occhi di Sherlock si erano allontanati dal microscopio, ma il moro aveva volutamente tenuto la testa bassa consapevole che se avesse alzato lo sguardo sul volto di John, il moro si sarebbe intimorito e avrebbe smesso di parlare.

-So di non essere stato di grande compagnia finora…E di averti trattato male… Sono davvero un pessimo Omega-aveva commentato fra i denti.

Una protesta era nata istantanea sulle labbra di Sherlock, ma facevano appello al suo autocontrollo, il ragazzo la bloccò prima che potesse trovare voce.

-Mia madre…-aveva iniziato John, bloccandosi per sciogliere il nodo evidente che gli serrava la gola- Mia madre è malata-

Finalmente gli occhi blu ghiaccio di Sherlock si erano sollevati sul volto di John, incontrando all’istante il suo sguardo, accompagnato da un affettuoso sorriso accennato.

Malgrado il bambino stesse cercando di mostrarsi forte, Sherlock notò il battito cardiaco accelerato, le mani serrate a pugno per cercare di controllare la rabbia che quella situazione portava con sé, il pomo d’Adamo in costante movimento che combatteva contro la tempesta d’emozioni che in quel momento imperversava in John, e poi notò i suoi occhi: i sinceri occhi blu oceano che in quel momento sembravano ancora più limpidi a causa delle lacrime trattenute a stento.

Fu grazie a quei piccoli indizi che capì ciò che John non aveva avuto il coraggio di dire ad alta voce.

Cynthia Watson stava morendo.

Inconsciamente Sherlock aveva fatto un cenno d’assenso con il capo.

-C’è qualcosa che posso fare?-gli aveva chiesto.

John gli aveva sorriso, deglutendo nuovamente prima di parlare.

-Nessuno può fare niente-aveva poi risposto.

Per tutto il fine settimana Sherlock fu insolitamente silenzioso, restando al fianco di John, una mano in quella del biondo, facendogli sentire la sua presenza senza però essere eccessivamente soffocante, convinto che il compito di un buon Alpha fosse quello di rassicurare il proprio Omega ogni volta che questo mostrasse segni di infelicità o di stress.

Per i tre mesi successivi, durante la malattia di Mrs. Watson, Sherlock decise di comportarsi come al solito, deciso a distogliere la mente di John da quello che succedeva a casa, al progressivo peggioramento della salute di sua madre, desideroso di concedergli qualche ora di relax(per quanto effimero), ogni volta che erano insieme: continuò a parlargli dei propri progetti, a mostrargli i propri progressi con le api ed lo coinvolse in un gioco di deduzioni, invitandolo a puntare il dito in mezzo alla folla, scegliendo una persona a caso, perché Sherlock potesse scoprire tutti i suoi segreti nel giro di pochi istanti, provocando le risate incontrollate di John.

Finché un giorno non accadde l’inevitabile.

Un mercoledì pomeriggio la macchina degli Watson si fermò davanti al Manor e John scese mestamente dal sedile posteriore, accompagnato da una sconosciuta.

Sherlock gli andò incontro come al solito e, dopo aver osservato le spalle curve e gli occhi arrossati di John, capì che Mrs. Watson era morta.

Senza parlare, aveva stretto una mano in quella di John e si era avviato verso l’enorme giardino, seguito mestamente dal biondo.

Avevano camminato a lungo, allontanandosi finché nessuno affacciandosi da una delle tante finestre del Manor avrebbe potuto vederli, arrivando accanto ad un salice piangente i cui lunghi rami ricurvi toccavano il terreno con la grazia e l’eleganza di una ballerina classica.

Sherlock si era seduto a terra, tirando giù con sé anche John, entrambi con la schiena contro il tronco del grande albero ed aveva lasciato cadere il silenzio fra di loro, interrotto soltanto dal canto intermittente dei grilli.

-Raccontami qualcosa Sherlock-si era sentito chiedere all’improvviso, dopo un lasso di tempo imprecisato.

Il moro si era voltato leggermente verso l’amico, osservando gli occhi blu oceano fissi sul cielo sgombro di nuvole, notando per la prima volta le nocche della mano destra graffiate(deve aver preso a pugni il muro per sfogare la rabbia ed il dolore), domandandosi quale argomento avrebbe potuto risollevare l’animo triste di John.

Senza quasi rendersene conto, Sherlock aveva dischiuso le labbra e aveva iniziato a parlare, disquisendo sullo spazio, del Sistema Solare, dei vari pianeti e delle loro diverse caratteristiche, continuando poi con le costellazioni e delle stelle più famose che costituivano la Via Lattea.

Durante il suo discorso, in silenzio, John si era avvicinato a lui e aveva abbandonato la testa contro la sua spalla destra ed in silenzio, mentre Sherlock era impegnato a dimostrare la possibilità di vita su Marte, John aveva iniziato a piangere.

In silenzio, con pudore, cercando di non dare fastidio.

Fu soltanto quando le sue spalle iniziarono ad essere scosse da violenti singhiozzi che Sherlock si accorse dello stato d’animo dell’amico e, senza interrompere il suo discorso, aveva attirato John a sé, muovendosi in modo da poter circondare le spalle tremanti di John con un braccio, portando così il biondo a nascondere il volto contro il collo niveo dell’altro.

All’istante, le braccia di John si erano serrate contro la vita sottile del bambino, aggrappandosi a lui in cerca di sostegno, protezione e aiuto, chiedendo al proprio Alpha di non abbandonarlo e allo stesso tempo chiedendogli perdono per quel momento di debolezza.

Sherlock non seppe mai quanto tempo trascorsero in giardino sotto il salice piangente, ma quando finalmente i singhiozzi di John cessarono, il bambino che Sherlock aveva conosciuto tre anni prima era scomparso, lasciando precocemente il posto all’uomo che John sarebbe diventato con il tempo.

Quella sera, mentre osservava John dormire nel letto singolo sistemato accanto al suo, Sherlock aveva cancellato dal suo cervello ogni minima nozione sullo spazio e sul Sistema Solare, lasciando intatto il ricordo del volto sconvolto dal dolore di John.

Immerso nelle tenebre della notte, Sherlock promise a sé stesso che da quel momento in poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare che John soffrisse di nuovo.

 

_________________________

 

 

Avvertì la loro presenza non appena entrarono dalla porta del cafè.

I suoi occhi blu ghiaccio si mossero veloci verso l’entrata, distogliendo lo sguardo all’istante, concedendo a padre e figlia l’intimità ed il tempo di cui avevano bisogno per le ultime raccomandazioni, deciso a concedere ad Amelia tutto il tempo di cui aveva bisogno per approcciarsi a lui.

Aveva atteso quel momento per otto lunghi anni, non avrebbe permesso alla curiosità e all’impazienza di rovinare tutto; quindi concentrò la propria attenzione sulla tazza di ceramica bianca posata a poca distanza dalla sua mano destra, accarezzandone il manico con la punta dell’indice e del medio, notando l’impercettibile alone marrone chiaro di caffeina attorno ai bordi che non era scomparso neanche con i potenti detergenti industriali ed i frequenti lavaggi.

Due minuti e trentasei secondi dopo, un’ombra si materializzò davanti al suo tavolino, portandolo ad alzare lo sguardo.

Ferma, davanti alla sedia vuota di fronte alla sua, Amelia lo fissava in silenzio e per i successivi quindici secondi padre e figlia si osservarono, imbarazzati e incapaci di spicciare parola.

Ricordando le buone maniere che sua madre aveva cercato inutilmente di insegnargli, Sherlock si alzò in piedi, troneggiando sopra di lei e incurvò impercettibilmente le labbra nell’accenno di un sorriso.

Forse rassicurata da quel gesto cavalleresco o dal suo “sorriso”, Amelia uscì dall’immobilità che l’aveva colpita fin da quando si era avvicinata al tavolo e dischiuse le labbra in un lieve sorriso tipicamente Watson, che portò il cuore di Sherlock a mancare un battito.

-Salve. Sono Amelia Victoria Watson-si presentò con voce chiara e ferma.

Sherlock fece un cenno con il capo.

-Ed io sono Sherlock Holmes. Piacere di conoscerti.

Prego, siediti-le disse indicandole la sedia vuota davanti alla bambina.

Amelia si slacciò il cappotto blu notte e lo sistemò ordinatamente sulla spalliera della sedia, rivelando un paio di sneakers rosa dei jeans neri ed una camicia bianca coperta da un cardigan rosa in tinta con le scarpe.

-Ero certo che tuo padre ti avrebbe accompagnato al tavolo-le disse, scegliendo di iniziare la conversazione con un argomento neutro.

La bambina annuì.

-Voleva farlo...Ma io gli ho ricordato che ho 9 anni e tre quarti e non ho bisogno di un accompagnatore.

E’ seduto laggiù-disse voltandosi leggermente sulla sedia per indicare la sezione del cafè vicino alla porta.

-Due tavoli alla nostra destra, poco distante dalla porta, dove può vedere bene sia me che te, ma soprattutto il tuo volto, in modo da intervenire se dovessi aver bisogno d’aiuto-elencò Sherlock con sicurezza.

Amelia tornò a voltarsi verso di lui e lo fissò per qualche istante sorpresa, un lampo di curiosità negli occhi, prima di abbassare lo sguardo sul tavolo( devono averle detto che fissare troppo a lungo una persona è maleducazione…Mycroft!).

-Deve avere la vista di un falco…-commentò.

Sherlock accennò un sorriso, contagiando anche la bambina.

-Qualcosa del genere. Vuoi qualcosa da bere?-le domandò ricordandosi il comportamento più adatto in certe situazioni.

Amelia annuì.

-Un succo di mela, per favore-rispose in maniera estremamente educata.

Sherlock si alzò dalla propria sedia e si diresse verso il bancone, lanciando un’occhiata di sottecchi a John e notando che il biondo lo stava osservando a sua  volta, prima di concentrarsi sul proprio compito.

Con voce estremamente educata ordinò del succo di mela per Amelia, osservando velocemente la cameriera e scoprendo la sua infelice relazione con un cugino di secondo grado e i debiti universitari che non era in grado di ripagare con il lavoro part-time al cafè che la portavano a considerare un secondo lavoro in un locale notturno.

-Ecco a te-disse una volta tornato al proprio tavolo e restando in silenzio qualche istante mentre Amelia prendeva qualche sorso dal proprio bicchiere.

Osservandola, Sherlock si disse che era impossibile che il suo patrimonio genetico avesse preso parte alla creazione di quella bambina: ogni più piccola cosa, partendo dal colore dei capelli alla punta del naso, per finire alle mani piccole, era esclusivamente John.

C’era stato un tempo in cui la versione maschile di quel patrimonio genetico scorrazzava per Holmes Manor senza nessun pensiero per la testa, spensierato e felice di trovarsi insieme al proprio migliore amico…al proprio futuro Alpha…

-Com’è andato l’allenamento di calcio?-le domandò allontanando quei pensieri dalla mente.

Amelia alzò le spalle.

-Sarebbe potuto andare meglio-commentò.

-Come mai?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la fronte.

-E’ venerdì…Il venerdì facciamo sempre il peggior allenamento: tutti sono concentrati sul fine settimana e cosa faranno in quei due giorni, e non si impegnano abbastanza durante l’allenamento-spiegò quasi fosse un dato di fatto.

-Può essere noioso, lo capisco-concesse Sherlock.

-Davvero noioso!-confermò Amelia calcando sull’ultima parola.

Il detective accennò un nuovo sorriso confrontandosi finalmente con la prima vera prova della presenza dei suoi geni nella bambina; pochi istanti ed il suo sorriso si accentuò ancora di più quando si rese conto che era una delle caratteristiche che facevano imbestialire John.

-Quindi tu sei il mio padre Omega-disse la bambina, riportando la sua attenzione sul suo volto.

Sherlock la fissò qualche istante, notando la sua esitazione e l’imbarazzo ad affrontare quell’argomento e allo stesso tempo il bisogno di ottenere una risposta.

-Sì, sono io-confermò.

Questa volta toccò ad Amelia osservarlo per qualche istante in silenzio, e Sherlock sperava di scorgere nel suo volto qualche rassomiglianza, qualche piccolo particolare che confermasse le sue parole e quelle di John.

-Sei identico alle foto su internet- disse alla fine, prima di bere un altro sorso dal proprio bicchiere.

-Vedo che hai fatto una piccola ricerca su di me-le disse il moro.

Amelia annuì.

-Era più facile-si limitò a commentare.

-Vostro padre non parla mai di me?-le chiese sinceramente curioso.

-Sei davvero un detective?-gli domandò lei evitando di rispondere alla sua domanda.

-Consulente detective-precisò automaticamente Sherlock-Quando Scotland Yard ha bisogno di un aiuto, quindi la maggior parte delle volte, vengono da me e io risolvo i loro casi-

-Quindi lavori con Scotland Yard?-

-Soltanto con la Sezione Omicidi-disse ancora.

Amelia restò in silenzio qualche istante, chiaramente pensierosa, le labbra premute l’una contro l’altra, mentre le dita della mano destra giocherellavano nervosamente con il polsino del cardigan della mano sinistra.

-Quindi ti preoccupi di arrestare i criminali-concluse.

-Io fornisco le prove che serviranno agli agenti di Scotland Yard per arrestare i criminali, ma si può dire che la tua affermazione è corretta-affermò Sherlock.

-E’ pericoloso?-gli domandò ancora la bambina.

Sherlock prese un respiro profondo e rifletté qualche istante, indeciso se dire la verità o meno: se si fosse limitato a svolgere il proprio lavoro fra le quattro mura del proprio appartamento, osservando i files e conducendo esperimenti non sarebbe stato un lavoro pericoloso, ma il 99,9% delle volte, Sherlock si gettava a capofitto nell’inseguimento del sospettato…

-Il più delle volte-ammise, scegliendo di essere sincero.

-Quindi perché lo fai?-gli chiese Amelia, la fronte leggermente corrucciata per la confusione.

Per l’ebbrezza dell’inseguimento… Per l’adrenalina che mi scorre nelle vene ogni volta che un’omicida o uno stupratore o un bombarolo viene arrestato grazie a me…Per evitare che la mia mente marcisca a causa della noia”

-E’ il mio lavoro.

Così come tuo padre aiuta le persone facendo di tutto perché guariscano e vivano il più a lungo possibile, io faccio del mio meglio perché la città sia sicura-le rispose, sperando che fosse la risposta più giusta.

-E’ divertente?-gli domandò ancora la bambina.

“Oh Dio si…”

-Qualche volta-

Amelia annuì e con  un lungo sorso finì il proprio succo di mela.

-Come va la scuola?-le chiese Sherlock, cambiando argomento.

Ancora una volta, Amelia alzò le spalle.

-Bene. Matty, mio fratello, ti direbbe che è noiosa, ma a me piace-rispose con una sincerità che poteva essere trovata soltanto nei bambini.

-Quali sono le tue materie preferite?-

-Inglese, Storia e Biologia-rispose prontamente lei.

-E tuo fratello invece? Quali sono le sue materie preferite?-tentò il detective, senza grandi speranze.

Amelia abbassò per un’istante lo sguardo sul proprio polsino prima di incontrare nuovamente i suoi occhi.

-Forse dovresti chiederlo a lui…-rispose in tono dolce, chiaramente imbarazzata.

Sherlock le sorrise, rassicurandola che quel rifiuto non l’aveva indispettito in nessun modo ed annuì.

-Hai ragione…Ok, mi hai già detto che giochi a calcio, qual è il tuo ruolo?-le domandò cambiando nuovamente argomento, deciso a superare in fretta quel momento d’imbarazzo.

Per qualche secondo Amelia lo guardò incerta, quasi non fosse sicura se potesse fidarsi di lui o meno, prima di rilassarsi nuovamente.

-Sono il portiere. Papà e lo zio Greg dicono che sono anche abbastanza brava-commentò, alzando le spalle per l’ennesima volta, in un gesto pieno di insicurezza- Ti piace il calcio?-gli domandò poi.

Sherlock sorrise a sua volta.

-Non posso dire di essere un fan appassionato, o un conoscitore esperto delle regole.

C’è stato un periodo, quando eravamo giovani, che ero capace di sedere sul divano accanto a tuo padre per tutta la partita, ascoltandolo mentre gridava insulti all’arbitro o alla squadra avversaria, o mentre esultava per la vittoria del Chelsea-le raccontò.

Amelia aggrottò la fronte a quelle parole.

-Perché?-

Sherlock mosse entrambe le mani sul piano del tavolino, incapace di trovare una spiegazione sensata.

-John ama il calcio ed io amo lui-rispose semplicemente alla fine.

Dopo quelle parole Amelia restò in silenzio per un lungo istante, fissandolo quasi lo vedesse per la prima volta e fu allora che Sherlock capì: quella semplice frase aveva creato un piccolo terremoto interno nelle convinzioni della bambina.

Sherlock se ne era andato quando lei e Matthew erano in fasce, quindi l’unica spiegazione possibile era che l’Omega aveva smesso di amare suo padre e aveva deciso di abbandonare lui ed i loro cuccioli.

A distanza di otto anni, Sherlock era lì davanti a lei, a parlare dei propri sentimenti per John al presente, come se fossero più vivi e forti che mai…Quindi cosa aveva spinto l’Omega ad abbandonarli?

-Cos’ altro avete fatto insieme?-gli domandò all’improvviso chiaramente curiosa.

“Siamo andati all’inferno e ritorno più e più volte…E nel percorso siamo diventati adulti e l’unica persona davvero indispensabile per l’altro”

-Una volta, tuo padre avrà avuto 18 anni, all’improvviso ha deciso che voleva imparare a cucinare.

Io ovviamente fui la sua cavia-le raccontò.

-Cosa successe?-gli domandò curiosa Amelia.

-Fu un’esperienza orribile!-si limitò a rispondere l’uomo.

-Papà sa cucinare molto bene!-ribatté la bambina correndo prontamente in difesa del padre.

Sherlock annuì lentamente.

-Non metto in dubbio che ora la sua cucina sia decisamente migliorata, ma se non ricordo male quella era la prima volta in cui tentò di cucinare la pasta.

Malgrado le istruzioni ben chiare sul libro di cucina uscì così dura che la usammo come sassolini nel laghetto delle oche a Regent’s Park-le raccontò, ricordando l’espressione esasperata e delusa di John di fronte al cibo immangiabile, il modo in cui erano riusciti a risollevare le sorti di quella giornata grazie all’improvvisa idea di portare i granitici pezzi di grano duro al parco e compararli ai sassi che asfaltavano i vialetti di Regent’s Park in una gara nel laghetto.

Amelia rise.

Una piccola cascata di risate squillanti che accelerò i battiti cardiaci di Sherlock e che scatenò un inaspettato calore sul suo volto: era questo che John provava tutti i giorni stando a contatto con lei e Matthew?

-Già…E non apriamo il discorso dolci!

E’ sempre stato una nota dolente per John…L’ultima volta che ha provato ha fare un dolce abbiamo dovuto lasciare l’appartamento per una notte a causa della puzza di bruciato-le raccontò ancora il moro con un leggero sorriso sulle labbra.

Amelia continuò a ridere per qualche altro minuto, finché le sue risate non scemarono lentamente ed il suo viso ritornò serio, gli occhi fissi sul volto di Sherlock, permettendo così all’uomo di prepararsi psicologicamente per  quella che, senza dubbio, sarebbe stata una domanda molto importante.

-Lo amavi?-gli domandò infatti la bambina.

Sherlock annuì senza la minima esitazione.

-Lo amo ancora. Tuo padre è l’unico uomo che abbia mai amato-le confessò sincero.

Amelia abbassò lo sguardo, portandolo nuovamente sul proprio polsino, ricominciando a tormentarlo fra le dita nervose e per qualche istante i due restarono in silenzio, finché la bambina parlò nuovamente, evitando accuratamente di incontrare i suoi occhi blu ghiaccio.

-Allora perché te ne sei andato?-gli chiese.

Sherlock espirò rumorosamente dal naso, cercando le parole più semplici per spiegare il suo rapporto con John.

Vent’anni di amicizia e di vita in comune…Vent’anni di amore e di liti…

-E’ complicato…-disse, malgrado odiasse lui stesso quelle parole.

Amelia gli rivolse un piccolo sorriso ironico.

-Papà dice sempre la stessa cosa-commentò.

-Ti prometto che un giorno cercherò di spiegarlo sia a te che a tuo fratello, se vorrà ascoltarmi-le disse sporgendosi leggermente in avanti sul piano del tavolino.

Amelia annuì impercettibilmente, ancora chiaramente confusa, poi l’attimo dopo dischiuse le labbra per fare una nuova domanda ma cambiò idea l’istante dopo.

Decisamente arrabbiata con sé stessa, scosse la testa e tirò indietro le spalle con un gesto che Sherlock aveva visto fare tante volte a John in passato e incontrò il suo sguardo.

-Te ne sei andato per colpa nostra?-gli domandò alla fine.

Un’inaspettata immobilità s’impossessò del corpo di Sherlock a quelle parole.

Era davvero questo quello che pensavano i suoi figli?

Analizzò velocemente le proprie parole, frustrato perché in possesso soltanto di dati parziali( chissà cosa ha detto loro John durante questi anni…No, John non avrebbe mai detto nulla di intenzionalmente meschino o maligno su di lui ai loro figli!) e capì perché Amelia gli aveva fatto quella domanda: aveva appena ammesso di aver sempre amato John, che i suoi sentimenti non erano cambiati, nonostante il passare degli anni e la lontananza, l’unico elemento di “disturbo” era stata la nascita dei gemelli e due mesi dopo, Sherlock se ne era andato.

-Voglio essere onesto con te-iniziò con voce seria, ma allo stesso tempo con una vena di dolcezza al suo interno-Credo che sia il mimino che tu possa aspettarti da me dopo tutti questi anni…

Fu un’idea di tuo padre quella di avere dei cuccioli.

Io non ne ero convinto, ma avrei fatto qualsiasi cosa per John e così acconsentii.

Quando scoprimmo che ero incinto, tuo padre era al settimo cielo per la felicità, ma io no-confessò.

Amelia continuava a fissarlo con un’espressione illeggibile sul volto, senza perdere neanche una parola del suo discorso.

-So che può sembrare crudele, ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era tutto ciò che non avrei potuto più fare a causa della gravidanza, tutto ciò che mi era vietato perché ora non era più soltanto il mio corpo, ma anche il vostro e dovevo proteggervi e pensare a voi prima di tutto.

Durante la gravidanza John passava ore a parlare al mio stomaco, a voi, oppure mi guardava con quel suo meraviglioso sorriso capace di illuminare un’intera stanza e io sapevo che era felice… Veramente felice come mai prima d’ora e tutto grazie a me, ed ero capace di crogiolarmi in quella felicità, contento per aver fatto nascere quel bellissimo sorriso sul suo volto senza sforzo, soltanto grazie al mio essere Omega.

Ero soddisfatto di averlo reso felice…- disse interrompendo la frase a metà prima che i suoi pensieri traditori si tramutassero in parole.

(Averlo reso l’uomo più felice della Terra dopo tutte le delusioni e la sofferenza che aveva provato a causa mia; dopo tutte le volte che lo avevo amareggiato con il mio comportamento…).

Un lieve sorriso incurvò le labbra di Sherlock mentre nella sua mente nuove immagini felici si sostituivano a quelle tristi di poco prima.

-Quando voi siete nati ed… eravate perfetti.

La cosa più bella che avessi mai visto-le disse sostenendo il suo sguardo.

-Vi ho amato dal primo momento in cui ho posato il mio sguardo su di voi e non ho mai smesso. Malgrado tutto quello che è successo nel corso degli anni-concluse.

Padre e figlia si fissarono per qualche istante in silenzio, venendo a patti con il discorso di Sherlock, finché Amelia non dischiuse nuovamente le labbra.

-Mi racconterai quello che è successo un giorno?-gli chiese in un sussurro.

Sherlock annuì.

-Te lo prometto-

Amelia annuì a sua volta per poi alzarsi in piedi e fermarsi accanto alla sedia.

-Devo andare-disse recuperando il cappotto dalla spalliera della sedia.

-Grazie per essere venuta-le disse alzandosi in piedi a sua volta.

-Grazie per essere stato onesto-rispose Amelia cogliendolo di sorpresa.

La bambina finì di abbottonarsi il cappotto e fece per allontanarsi verso il tavolo dove John era in attesa, ma dopo due passi si voltò e cercò nuovamente lo sguardo di Sherlock.

-Ti vedrò di nuovo?-gli domandò, una leggera nota d’insicurezza nella voce.

Sherlock le sorrise rassicurante.

-Ogni volta che vorrai-

Dopo qualche istante Amelia annuì.

-Arrivederci Sherlock-lo salutò per poi voltargli le spalle e avviarsi verso John.

Sherlock la osservò andar via, incontrando per un breve istante lo sguardo blu oceano di John, prima che i due si allontanassero insieme verso l’uscita, un’unità compatta da cui lui era escluso.

-Ciao love-

 

____________________________

 

-Allora? Com’è andata?-

Matthew si complimentò con sé stesso quando riuscì a trattenere la sua curiosità ed il fiume di domande che premeva per uscire dalle sue labbra per ben tre minuti dopo il ritorno di Amy dall’ incontro con l’Omega.

Suo padre si era fermato nell’ufficio al 221C, consapevole di dover lasciare qualche minuto ai due gemelli per parlare in solitudine dell’incontro, senza la sua presenza fra i piedi, dando così a Matthew la libertà di fare tutte le domande che altrimenti avrebbe censurato.

Amelia, per nulla sorpresa dalla domanda, appese il proprio cappotto all’attaccapanni accanto alla porta voltandosi verso il fratello con un sorriso eccessivamente affettuoso.

-Ciao Amy. Come stai?

Oh, ciao Matty! Grazie per averlo chiesto…- disse la bambina in tono ironico.

-Smettila!

Lo sai che odio fare conversazione a vuoto-le ricordò prima di ricominciare con le sue domande- Com’è andata? Cosa vi siete detti? Lui com’è?- chiese a raffica in un solo fiato.

-A quale domanda devo rispondere per prima?-domandò a sua volta Amelia, andando a sedersi sul vecchio divano.

-Non importa, basta che rispondi!-disse Matthew andandole dietro e sedendosi sulla poltrona dall’alto schienale che da sempre era di fronte a quella di suo padre-Per favore…-aggiunse l’attimo dopo.

Amelia lo fissò qualche istante, prima di lasciarsi scappare un sospiro.

-Ok…All’inizio ero un po’ spaventata, prima di incontrarlo, e papà non era per niente d’aiuto!

Anzi credo fosse più nervoso di me: continuava a dirmi che avrei dovuto fargli un cenno appena mi fossi sentita a disagio, che era ad un tavolo di distanza, che sarebbe venuto in mio soccorso…

E poi l’ho visto-raccontò la bambina incrociando le gambe sul divano.

-Assomiglia alle foto che abbiamo visto?-le domandò Matty senza distogliere lo sguardo dal volto della sorella.

Amelia sembrò pensierosa per alcuni istanti prima di annuire.

-Un po’; è più vecchio, più…maturo.

Non so come spiegarlo, ma credo sia dovuto alle esperienze fatte durante questi anni-gli disse.

-Cosa ha fatto?-chiese ancora Matty.

Malgrado non gli facesse piacere ammetterlo, era estremamente curioso nei confronti di quell’uomo.

Avrebbe voluto cancellare la sua esistenza, continuare a vivere la sua vita come aveva fatto finora, con la sua famiglia, ma aveva bisogno di sapere se quest’uomo(il suo padre Omega) poteva essere una minaccia.

Per sé stesso, per Amelia e soprattutto per suo padre.

-Io ho ordinato un succo di mela e lui un caffè, ma non lo ha bevuto…Ed abbiamo parlato.

Mi ha chiesto della scuola, della squadra di calcio, ma non con un tono accondiscendente, era davvero interessato alle mie risposte...-

-Ti ha chiesto di me?-le domandò suo malgrado, mordendosi la lingua l’attimo dopo, quasi volesse punirsi per quell’eccesso di curiosità.

Lo considerava una causa persa visto non aveva voluto incontrarlo?

Amy annuì.

-Un paio di volte.

Ma ho evitato di rispondere perché so che non ti avrebbe fatto piacere-rispose la sorella.

Questa volta toccò al bambino fare un cenno d’assenso.

-Ottima scelta. Come ha reagito?-

-Ha preso atto della cosa, ma era evidente che fosse ancora curioso sul tuo conto e un po’ dispiaciuto-rispose sincera lei.

Un suono ironico scappò dalla gola di Matty sorprendendo entrambi.

-Dispiaciuto? Che cosa si aspettava?-le domandò, una punta di acidità nella voce.

Amelia lo fissò con affetto per qualche istante, prima di alzare le spalle.

-Non si aspettava nulla, ma questo non significa che debba essere contento per come stanno le cose-gli fece notare.

Matthew evitò di farle notare che se l’Omega si trovava in quella situazione era soltanto per colpa delle sue scelte sbagliate, certo che quell’affermazione avrebbe aperto un lungo dialogo che sarebbe potuto finire in malo modo.

-Ha risposto alle tue domande?-le chiese invece.

Amelia annuì.

-Lui…Lui è stato molto onesto, proprio come papà e mi ha detto che lo amava molto e che lo ama ancora adesso…E io gli credo, perché potevo vederlo chiaramente dai suoi occhi ogni volta che parlava di papà…-

-Che vuoi dire?-domandò il bambino aggrottando la fronte.

-Ogni volta che pronunciava il nome di papà, o mi raccontava qualcosa del loro passato insieme, c’era una luce nei suoi occhi, un sorriso quasi infantile sulle sue labbra-cercò di spiegargli Amy.

-Allora perché se ne è andato?-rimarcò Matty.

-Gli ho fatto la stessa domanda e anche lui, come papà, dice che è una storia complicata e che un giorno, se vorremmo ascoltarlo ci racconterà tutto, ma che era un argomento troppo difficile per un primo incontro-spiegò velocemente la bambina.

Matthew annuì lentamente: in fondo non si era aspettato una risposta diversa.

-Ti ha detto altro?-le domandò poi incontrando nuovamente il suo sguardo.

Amelia restò in silenzio qualche istante, chiaramente incerta se condividere l’ultima parte della loro conversazione con il fratello: non aveva mai nascosto nulla a Matty, ma era consapevole che il fratello non vedeva di buon occhio l’Omega, infatti era stato contrario fin dal principio al suo incontro con l’uomo.

Doveva davvero raccontargli cosa le aveva confidato rischiando così di peggiorare la situazione?

Alla fine espirò profondamente e, presa la propria decisione fissò il volto del bambino.

-Ha detto che malgrado non se ne sia andato per colpa nostra, ha ammesso che se fosse dipeso da lui noi non saremmo qui ora-gli confidò.

-Lo sapevo!-disse Matthew ricordando la conversazione avuta una settimana prima con lo zio Mycroft, prima che un’espressione costernata si dipingesse sul suo volto-Ha cercato di liberarsi di noi?-

In fondo dall’Omega poteva aspettarsi  di tutto.

Amelia scosse la testa con forza.

-No! Mi ha raccontato che all’epoca fu papà il primo a volere dei cuccioli e che lui ha acconsentito soltanto perché lo amava, non perché fosse desideroso di avere dei cuccioli a sua volta.

Però ha affermato anche che ha cambiato idea non appena ci ha visto, subito dopo il parto…Ha detto che si è innamorato di noi a prima vista-concluse chiaramente affaticata da quel discorso.

Matthew rise amaramente, cercando di far trasparire tutta la propria incredulità ed il proprio scetticismo per le parole della sorella.

-Questo non cambia il fatto che se l’è data a gambe due mesi dopo-commentò alzandosi in piedi, bisognoso di scaricare la tensione.

-Ha detto che i suoi sentimenti per noi non sono cambiati-aggiunse Amy, senza cercare di incontrare il suo sguardo.

-Ah si? Dov’è quest’amore?

Non posso vederlo, non posso toccarlo, non posso neanche sentirlo!

So che papà ci ama perché lo dimostra ogni giorno fin da quando ho memoria, ma non mi interessa se un estraneo all’improvviso professa il suo amore eterno per me o per te-le disse con voce secca.

-Noi non conosciamo tutta la storia Matty…-tentò di fargli notare la bambina.

-Cambierebbe il quadro generale delle cose?-le domandò lui voltandosi verso Amelia.

La bambina alzò le spalle, decisa a tenergli testa.

-Forse. Oppure no. Non lo sappiamo ancora-

-Quindi è per questo che lo vedrai di nuovo?-la incolpò quasi fosse un crimine imperdonabile.

Amelia sospirò: era ormai evidente che si sarebbero trovati sempre su due posizioni diverse riguardo quell’argomento.

La bambina era sinceramente confusa: da una parte c’era il suo personale risentimento verso l’Omega, l’uomo che le aveva dato la vita e che si era lavato le mani di lei e di suo fratello alla prima occasione, senza mai voltarsi indietro e chiedersi cosa ne era stato di loro.

Dall’altra c’era Sherlock, l’uomo elegante e distinto che aveva incontrato quel giorno, chiaramente interessato a lei, disponibile al dialogo che non si era tirato indietro a nessuna delle sue domande, cercando di darle una risposta anche quando l’argomento era spiacevole.

Possibile che nella stessa persona convivessero due anime così diverse fra loro?

-Sono incuriosita…E sinceramente non capisco come tu possa voltare le spalle a tutte queste informazioni e ignorarle completamente quasi non ti riguardassero- commentò.

-Perché lui ci ha fatto del male!-sbottò Matthew, sorprendendo sua sorella e sé stesso.

Possibile che fossero tutti così ciechi in quella famiglia? Come potevano fidarsi di quell’uomo, con quale coraggio gli permettevano di insinuarsi nuovamente nelle loro vite?

Amelia spalancò gli occhi e lo fissò in silenzio, chiaramente desiderosa di allungare una mano e confortarlo, ma consapevole che anche un minimo gesto avrebbe complicato ancora di più le cose.

-Ha fatto del male a tutti noi! A me, te, papà! E sono certo che lo farà di nuovo se gli diamo un’altra opportunità-continuò con voce più controllata.

Amelia sospirò leggermente triste.

-Dovresti avere un po’ di fiducia…Ci deve essere del buono in lui se papà lo ha scelto come Compagno.

Non è mica uno stupido-gli fece notare Amy.

Matthew scosse la testa.

-No, ma quando si sono incontrati per la prima volta erano bambini-commentò.

Per qualche istante nel salotto scese il silenzio, lasciando ai gemelli il tempo di riflettere su quello che si erano detti finora, cercando un punto d’incontro, una possibile soluzione temporanea ai loro problemi, finché non apparve evidente che almeno per il momento la situazione era irrisolvibile.

-Vuoi restare da solo per un po’?-domandò Amelia rompendo il silenzio.

Matthew scosse la testa, avvicinandosi al pianoforte e lasciando scivolare la punta delle dita sulla tastiera coperta.

-No, ho bisogno di pensare…Credo che suonerò qualcosa per un po’-le disse senza guardarla.

Ancora una volta Amelia annuì, sistemandosi meglio sul divano, in modo da avere una perfetta visuale del pianoforte e seguendo con lo sguardo mentre Matty si sedeva di fronte allo strumento e sollevava il coperchio che proteggeva i tasti.

-Lo so che ci ha fatto del male-parlò nuovamente Amelia, poco prima che il bambino iniziasse a suonare- Ma questa potrebbe essere l’occasione che stavamo aspettando…

Vuole far parte di questa famiglia, vuole dimostrarci di esserne degno… Il minimo che possiamo fare è concedergli una chance-

L’istante dopo il silenzio fu sostituito dal suono grave della musica.

 

_____________________________

 

 

Un diverso cafè, un nuovo incontro.

Due giorni dopo il suo primo incontro con Amelia, Sherlock era seduto ad un altro tavolino in uno dei tanti Starbuck nel centro di Londra, in attesa.

Nelle quarantotto ore precedenti aveva scambiato vari messaggi con John, alcuni insignificanti, a cui non aveva ricevuto risposta, che servivano soltanto per informare il biondo della sua giornata, ed altri, a cui aveva ricevuto risposta, in cui aveva chiesto a John di vedersi nuovamente.

Fin dagli anni Ottanta, con l’avvento dei primi cellulari, Sherlock era sempre riuscito a procurarsene un paio, uno per sé ed uno per John, in modo da essere sempre in contatto anche quando erano distanti.

Con il passare degli anni, la sua capacità di stare al passo con la tecnologia aveva superato quella di John, che non era mai riuscito a superare la sua innata avversione per tutto ciò che non fosse “ strettamente necessario” , ma erano sempre riusciti a tenersi in contatto.

Fino a otto anni prima.

Seduto a quel tavolino, Sherlock si ritrovò incredibilmente felice di poter nuovamente raggiungere John soltanto premendo un tasto sul proprio telefono, come era solito fare anni addietro.

Era un piccolo passo verso la normalità.

Alzando lo sguardo verso la porta del cafè, Sherlock vide la figura compatta di John ed un sorriso istantaneo incurvò le sue labbra; John si guardò attorno per qualche istante nel cafè prima di incontrare il suo sguardo e muoversi nella sua direzione.

-Ciao-lo salutò una volta fermo davanti a lui.

Sherlock inclinò la testa in un gesto di saluto.

-Ciao John. Grazie per essere venuto-lo salutò a sua volta il moro.

Il dottore annuì.

-Nessun problema. Hai già ordinato?-gli domandò indicando con il pollice della mano destra la cassa e la piccola fila di persone in attesa.

-No, stavo aspettando te-

-Ok…Torno subito-rispose John avviandosi verso la cassa.

-Nero…-gli disse Sherlock.

-Con due cucchiai di zucchero. Lo so-disse John completando la frase e lanciandogli uno sguardo sopra la propria spalla destra.

Sherlock accennò un sorriso e si sistemò nuovamente sulla sedia, cercando una posizione comoda, cercando di controllare i battiti leggermente accelerati del suo cuore.

Due minuti dopo, John era di nuovo davanti al tavolo, una tazza in ogni mano, sistemando quella nella mano sinistra di fronte a Sherlock, prima di sedersi di fronte al moro.

Per alcuni istanti i due uomini sorseggiarono i loro drink in silenzio, evitando lo sguardo dell’altro, consapevoli che una volta iniziata la conversazione, la relativa tranquillità fra di loro si sarebbe spezzata.

-Allora…Eccoci qui-disse Sherlock, stanco di quel silenzio carico di sottintesi.

John annuì, lo sguardo sulla tazza che stringeva fra le mani.

-Già…Ho visto che sei di nuovo sui giornali-gli disse senza nessun’inflessione particolare nella voce.

Sherlock alzò le spalle, la tazza a mezz’aria.

-Credo fosse inevitabile-commentò prima di prendere un sorso di caffè.

L’ aspetto  mediatico era una parte che aveva sempre odiato del proprio lavoro: ogni volta che era stato possibile, si era mantenuto nell’ombra, lasciando che altri si prendessero il merito delle sue intuizioni e del suo lavoro.

Odiava i giornalisti e le loro domande idiote, pronti ad avventarsi sulla notizia del giorno senza, alle volte, fare i dovuti riscontri.

La stampa era stata una pedina importante nel piano di Moriarty, convincendo l’opinione pubblica che il “Grande” Sherlock Holmes non era altro che una frode grazie ad articoli in prima pagina, titoli eclatanti e il dossier di quell’insulsa “giornalista” Kitty Riley.

-Com’è tornare nel mondo dei vivi?-gli domandò John riportando i pensieri di Sherlock al presente e incontrando finalmente il suo sguardo.

-Noioso-rispose, facendo nascere un lieve sorriso sul volto di John- Al momento sto firmando una montagna di documenti.

Diciamo che per ora sono nel mezzo: per alcune istituzioni sono di nuovo vivo, mentre per alcune sono ancora morto, malgrado mi vedano sulle prime pagine dei giornali o su tutti i notiziari-spiegò.

John si strofinò la fronte con la punta delle dita.

-E’ davvero strano il modo in cui ne parli…-commentò prima di scuotere leggermente la testa, cercando di allontanare i pensieri negativi dalla propria mente-Mycroft ti sta aiutando?-gli domandò poi.

Questa volta toccò al moro scuotere la testa.

-Anthea-rispose portando John ad annuire –Il mio caro fratello ha dimostrato chiaramente fin dall’inizio dove fosse la sua lealtà.

Ma per una volta sono d’accordo con lui-aggiunse prendendo un altro sorso di caffè.

Un lungo silenzio seguì quelle parole, portando John a riflettere su quanto fossero cambiati gli equilibri della loro famiglia, anche se ad un occhio esterno tutto sarebbe potuto risultare uguale.

Mycroft, da sempre attento alle esigenze e ai bisogni di Sherlock, specialmente dopo che questi si era Presentato come un’Omega, aveva permesso che un’altra persona la gestione della sicurezza del detective.

Non avrebbe potuto scegliere un metodo più eclatante per dichiarare la scelta in quella difficile situazione.

-Amelia mi ha detto che eri nervoso-disse Sherlock, interrompendo il silenzio e riportandolo al presente, consapevole dei pensieri che si affollavano nella mente dell’uomo.

Al solo sentire il nome della bambina, John accennò un sorriso.

-Amy è una bambina davvero sincera... –commentò.

- Alle volte anche troppo-gli venne in aiuto Sherlock.

John annuì, il sorriso sulle sue labbra che s’ingrandiva ad ogni cenno del capo.

-Già.

E’ vero, ero abbastanza nervoso per via del vostro incontro.

Era preoccupata anche lei anche se non ha voluto ammetterlo-aggiunse.

-Che idea ti sei fatto da dove eri seduto?-gli domandò il moro sinceramente curioso.

Aveva sempre apprezzato le opinioni di John in passato, ricevendo nuovi spunti di riflessione da piccoli commenti o dal punto di vista “terribilmente normale” dell’uomo, ed ora ne aveva bisogno più che mai considerato che nessuno conosceva Amelia bene quanto John.

-Eravate entrambi molto educati…-iniziò John, portando entrambe le mani sul piano del tavolino ed intrecciando le dita.

-Ti aspettavi una scenata per caso?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la fronte.

Il biondo sospirò, alzando le spalle, mostrando per la prima volta la propria confusione e lo smarrimento che accompagnava ogni suo gesto in quella situazione.

-Non lo so…Come ti ho detto la prima volta che ci siamo visti, i bambini non parlano mai di te quindi non sapevo davvero cosa aspettarmi-gli rispose sincero.

-Ma sei sollevato del fatto che siamo riusciti ad avere una conversazione pacifica-continuò per lui il detective, lo sguardo penetrante fisso sul suo volto.

-Certo che sì! E’ anche tua figlia e voglio che tu la conosca-confermò John cercando di controllare l’effetto che quegli occhi blu ghiaccio avevano da sempre su di lui.

Sherlock inarcò quasi impercettibilmente le labbra, abbassando il proprio sguardo sulla tazza dinanzi a sé prima di portarla alle labbra e bere un lungo sorso di caffè.

-A prima vista non si direbbe che è mia figlia…Poi quando inizi a parlare con lei, ti ritrovi a sorridere senza nessun motivo ed il tuo cuore si riempie di gioia ed è allora che…-disse interrompendosi bruscamente senza terminare la frase.

John abbassò leggermente la testa, cercando di intercettare il suo sguardo.

-Cosa?-gli chiese cauto.

Sherlock scosse la testa.

-Niente-

-Che c’è Sherlock?-domandò ancora John.

Il moro rialzò la testa all’improvviso, buttando fuori un respiro rumoroso e incontrando finalmente lo sguardo del compagno.

-Vedere Amelia seduta di fronte a me, sentirla parlare di argomenti comuni che per lei erano importanti e che avrei definito banali se fosse stata un’altra persona, tranquilla e serena, mi ha fatto pensare a te.

A quando eravamo bambini ed ero capace di starti ad ascoltare per ore di quello che ti era successo durante la settimana…

Così vivo e pieno di energie…-disse censurando per la seconda volta i propri pensieri.

Colpito in pieno da quell’inaspettato fiume di parole, John deglutì rumorosamente, cercando di riportare i battiti del proprio cuore nella norma, mentre una parte del proprio cervello cercava una soluzione al ronzio fastidioso che imperversava nelle sue orecchie.

Perché Sherlock doveva ogni volta rendergli la vita così complicata? Perché doveva uscirsene con frasi così affettuose mentre lui stava facendo tutto il possibile per non ricadere per l’ennesima volta nella sua trappola, quando era impegnato a schivare il suo sguardo, il suo sorriso, l’effetto che le sue deduzioni brillanti avevano da sempre su di lui?

Perché ogni volta che voleva essere furioso con Sherlock Holmes, e questa volta aveva un’infinità di motivi, all’uomo bastavano poche parole per abbattere le sue difese?

-Amelia è la tua copia, con l’aggiunta della grazia innata di una ragazza-aggiunse ancora Sherlock.

A quelle parole John non riuscì a trattenere un sorriso.

-Aspetta di vederla arrabbiata poi cambierai idea sulla sua “grazia”- commentò ironico.

Sherlock si unì al suo sorriso.

-So come affrontare un Watson furioso-

John annuì lentamente.

-Già…-disse semplicemente senza allontanare lo sguardo da quello di Sherlock.

-Parlando di Watson furiosi: come sta Matthew?-gli domandò il moro cambiando discorso.

Cercando di prender tempo alla ricerca della risposta più adatta, John sospirò per poi alzare le spalle.

-Bella domanda…Al momento Matthew sta evitando di affrontare il problema o anche solo di pensare ai possibili cambiamenti dovuti al tuo ritorno.

E’ decisamente testardo come te…-commentò, prendendo la tazza di tea in una mano e sollevandola a mezz’aria.

-Io non sono testardo!-ribatté con voce quasi infantile il moro.

L’unica reazione che ottenne con quelle parole fu l’inclinazione ironica del sopracciglio destro di John e l’accenno di un sorriso, sfortunatamente coperto dalla tazza.

-Ok, forse un po’…-concesse l’attimo dopo.

John si lasciò andare ad una lieve risatina divertita prima di ritornare serio.

-Sono ancora convinto che presto la sua curiosità avrà la meglio sulla testardaggine e finirà per farmi qualche domanda o deciderà che vuole incontrarti.

Dobbiamo solo essere pazienti-aggiunse.

Sherlock annuì.

Se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi tre anni era che tutto accadeva al momento giusto e non, come era aveva fermamente creduto durante il corso della sua vita, quando lui era annoiato.

Era un’importante lezione di vita acquisita dopo ore passate ad una finestra in una lurida camera di Mumbai in attesa che un ragazzino di sedici anni, mago del computer, si trovasse nel posto giusto al momento giusto in mezzo al fiume di persone che affollano le strade a qualsiasi ora del giorno e della notte, inconsapevole di essere un bersaglio mobile.

Oppure su una banchina della metropolitana a Napoli alle prime ore del mattino, dove il suo crimine doveva essere compiuto in pochi istanti: il tempo di una veloce spinta di fronte ai vagoni del treno, in modo da non lasciare scampo alla sua vittima.

-Non ho fretta, ho imparato ad essere paziente-si limitò a commentare.

John lo fissò attentamente, cercando di carpire qualche informazione in più dall’espressione del suo volto, chiedendosi ancora una volta cosa era accaduto in quei tre anni in cui tutti lo avevano creduto morto, prima che la sua attenzione si concentrasse su un altro particolare.

Un piccolo particolare che per molti sarebbe sembrato insignificante, ma che per John era una riscoperta, quasi un ritorno al passato.

-Riesco a sentire il tuo odore-gli disse, scoprendo sorpreso il tono arrocchito della propria voce.

Sherlock annuì.

-Lo so-

Inconsciamente John respirò profondamente, quasi volesse immagazzinare quell’odore peculiare nella sua memoria per quando si sarebbe ritrovato solo.

-E’ così strano…Anche quando eravamo ragazzi sono riuscito a sentirlo soltanto brevemente-commentò.

L’ultima volta che Sherlock gli aveva permesso di sentire il suo odore risaliva a quasi undici anni prima, nei i giorni precedenti e quelli durante l’Estro in cui avevano concepito i gemelli.

Anche se la parte primordiale del suo cervello sarebbe stata in grado di riconoscere i sintomi dell’Estro, nessun’ Alpha si sarebbe mai accoppiato con un Beta, consapevole che questi non avrebbe potuto concepire e soprattutto non sarebbe sopravvissuto all’accoppiamento.

-Era ora di uscire allo scoperto-rispose Sherlock.

-Perché?-domandò John, ritirando le mani dal tavolo e posandole sulle cosce, consapevole dell’effetto che l’odore di Sherlock, il suo legittimo Omega, stava avendo sul suo corpo.

-Te l’ho detto.

Voglio dimostrarti che sono pronto a stare con te completamente e senza remore; inoltre so che il mio comportamento in passato ti ha ferito, più di quanto hai mostrato all’esterno, e questa è una colpa che dovrò espiare fin quando sarà necessario-gli disse con voce seria, ma allo stesso tempo serena.

John scosse la testa, leggermente preoccupato dal significato nascosto di quelle parole.

-Non devi espiare nessuna colpa…-gli ricordò.

-Lo so. Sono io che voglio farlo.

Voglio mostrarti che questa volta non ti deluderò-

Il dottore sospirò leggermente scoraggiato, lasciando vagare la mente al passato per qualche istante, ricordando un giorno in particolare, risentendo nelle sue orecchie le proprie parole neanche le avesse dette poche ore prima, rivedendo nella propria mente la reazione incredula di Sherlock e l’espressione sofferente che si era dipinta sul suo volto quando lo aveva visto voltargli le spalle.

L’ultima immagine che aveva avuto di lui per otto lunghi anni.

-Tu non mi hai deluso-gli disse senza incontrare gli occhi di ghiaccio del detective- Lo sai che è così.

Anzi sono io quello che dovrebbe riparare agli errori commessi in passato-commentò.

-Smettila!- lo rimproverò fermamente Sherlock sporgendosi leggermente sul piano del tavolino, cercando di incontrare il suo sguardo finché dopo qualche istante di tentennamento, John cedette ed incontrò nuovamente gli occhi del compagno- Tu hai fatto la cosa giusta! Non ti ho mai incolpato per quello che è successo-gli disse sincero.

John annuì, affondando lo sguardo negli occhi dell’altro, prima di gettar fuori un respiro che aveva trattenuto inconsapevolmente, subito investito dall’odore peculiare e penetrante di Sherlock.

-Dio, quanto mi è mancato il tuo odore…-commentò il biondo, arrossendo leggermente l’istante dopo, rendendosi conto delle sue parole.

Sherlock accennò un sorriso.

-Vuoi avvicinarti un po’?-lo stuzzicò, abbassando di un ottava il tono della voce.

John si lasciò andare ad una piccola risatina imbarazzata di fronte ai suoi piccoli tentativi di approccio e sorrise.

-Un passo alla volta-gli disse, senza escludere possibili cambiamenti nei prossimi incontri.

Il moro annuì.

-Un passo alla volta-convenne.

L’istante dopo John era in piedi accanto alla propria sedia, lo sguardo che dall’alto in basso fissava gli occhi di Sherlock.

-Sarà meglio che vada-gli disse.

-Grazie per il caffè- rispose Sherlock ricordandosi le buone maniere su cui tante volte lui e l’Alpha avevano discusso- Ci sentiamo?-gli domandò cercando di nascondere quella vena di insicurezza che sempre accompagnava quei momenti.

John sorrise ed annuì.

-Certo-rispose prima di allontanarsi verso la porta.

L’istante dopo Sherlock aveva il cellulare fra le mani, impegnato a comporre un messaggio per John.

Non dimenticarti che preferisco i messaggi alle telefonate -SH

Il detective ebbe appena il tempo di finire la propria tazza di caffè, ormai fredda, e di alzarsi in piedi diretto a sua volta verso l’uscita, che il suo cellulare gli vibrò nelle mani.

 Non ho dimenticato nulla che ti riguardi Sherlock Holmes -JW

 

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Il progetto di scienze andava consegnato fra due giorni e Matthew, a causa dei cambiamenti avvenuti nel suo nucleo famigliare, ancora non aveva avuto il tempo di fare le dovute ricerche.

Amy aveva deciso di fare coppia con Poppy, la sua migliore amica, documentando la gravidanza della madre di quest’ultima fin nei minimi dettagli, ma Matthew, aveva considerato il progetto troppo semplice fin da quando Amy gliene aveva parlato la prima volta decidendo così di seguire una strada diversa.

Alla fine, dopo aver scartato numerose possibilità, anche per colpa di suo padre che gli aveva fatto notare quanto queste fossero troppo avanzate per una classe composta da bambini di nove anni, Matthew aveva ripiegato sulla mappatura della  lingua.

Ne aveva parlato con suo padre e questi aveva contattato la zia Molly chiedendole se poteva dargli una mano nel suo “esperimento”.

Fortunatamente la zia Molly aveva proprio quello di cui aveva bisogno: un cadavere donato alla scienza da cui avrebbero potuto estrarre la lingua senza che qualcuno potesse in seguito presentare qualche rimostranza.

Quel pomeriggio Matthew entrò nell’obitorio del Barts con la stessa sicurezza con cui un altro pre-adolescente sarebbe entrato in un campo da calcio o in una piscina.

Suo padre,lo zio Greg e la stessa zia Molly, lo avevano portato lì molte volte, e in quel posto insolitamente silenzioso, e impregnato di odori chimici Matthew si sentiva a suo agio.

-Ciao zia Molly!- disse ad alta voce, superando le porte dell’obitorio, muovendo lo sguardo nei grandi padiglioni alla ricerca della donna.

Molly, una Beta dai capelli e dagli occhi castani e dalla corporatura esile, alzò lo sguardo dal tavolo di lavoro su cui era leggermente chinata e gli rivolse un sorriso.

-Ciao tesoro! Come stai?-gli domandò venendogli incontro.

Matty alzò le spalle.

-Bene, pronto per mettermi al lavoro-commentò, accettando l’abbraccio ed il lieve bacio che la donna gli posò sulla guancia destra.

Molly sorrise.

-Lo so, ho parlato con tuo padre riguardo al tuo progetto di scienze-gli disse la donna dirigendosi verso uno dei vari “loculi” refrigeranti dove erano contenuti i cadaveri.

-Hai quello di cui ho bisogno?-chiese il bambino togliendosi il cappotto ed i guanti e abbandonandoli su un tavolo da lavoro libero.

Molly annuì aprendo la porta di una celletta isolante.

-Beh, non potevo lasciarti giocare con la testa di un uomo morto, per ovvie ragioni, perciò ho estratto la lingua al posto tuo- disse tornando verso di lui con un contenitore di acciaio su cui era sistemata la lingua e parte della mascella di un ignoto donatore.

Matty osservò l’oggetto del suo esperimento prima di alzare le spalle.

-Non capisco i motivi della tua reticenza nel farmi estrarre la lingua da solo, ma per questa volta mi accontenterò-commentò.

-Matthew hai una vaga idea di cosa succederebbe se tuo padre o tuo zio Mycroft scoprissero che ti ho lasciato estrarre chirurgicamente parte della mascella di un cadavere?

Tuo padre è il primo a stimolare la tua curiosità scientifica, ma credo che anche lui ti metterebbe un freno  in questo caso-gli fece notare.

Il bambino sbuffò.

Suo padre era il suo primo sostenitore: fin da quando era bambino aveva fatto di tutto per mettere in evidenza la sua dote scientifica, comperandogli il suo primo set da “piccolo chimico”, permettendogli di frequentare il laboratorio e le lezioni  di Anatomia del suo vecchio amico Mike Stamford e di girare indisturbato nell’obitorio della zia Molly, ma sfortunatamente c’erano delle volte in cui la sua giovane età giocava a suo sfavore.

Proprio come in quel caso.

-Va bene-concesse alla fine.

Molly accennò un sorriso.

-Ti prendo un camice di laboratorio e tutto quello di cui avrai bisogno ci mettiamo al lavoro-

Nell’ora successiva, Matty lavorò senza nessun’interruzione, esaminando l’ “esemplare” dinanzi a sé per registrare le prime osservazioni, iniziando poi a fare dei piccoli tagli precisi con il bisturi per raccogliere un campione da esaminare al microscopio.

Era talmente concentrato sul proprio lavoro da registrare soltanto marginalmente l’avvertimento della zia Molly che lo informava che si sarebbe allontanata soltanto per pochi minuti per prendere qualcosa da mangiare alla caffetteria.

Fu soltanto quando le porte dell’obitorio si aprirono rumorosamente annunciando l’arrivo di un nuovo ospite che Matty alzò lo sguardo dal proprio lavoro.

-Molly ho bisogno…-una voce profonda e leggermente autoritaria risuonò nei gradi padiglioni.

Matthew posò lo sguardo sull’uomo fermo a pochi passi dalla soglia e capì all’istante di chi fosse.

Capelli neri corti dalle punte arricciate, zigomi alti e pronunciati, una bocca a cuore perfettamente disegnata, un lungo cappotto scuro che copriva un completo elegante e chiaramente firmato.

L’ Omega.

-Oh…-disse l’adulto, sorpreso quanto lui di trovarsi uno di fronte all’altro- Salve, sono…-aggiunse l’istante dopo.

-Lo so chi sei-lo interruppe Matty senza allontanare lo sguardo dal volto del moro.

Sherlock annuì.

-Giusto. Cercavo Molly-gli disse tornando a voltare lo sguardo per l’obitorio.

-E’ andata a prendere qualcosa da mangiare-lo informò il bambino, allontanando a sua volta lo sguardo e concentrandosi nuovamente sul proprio lavoro.

L’uomo alzò le spalle.

-Vorrà dire che dovrò pensarci da solo-disse fra sé e sé avvicinandosi ad un tavolo da lavoro e spogliandosi del proprio cappotto come aveva fatto Matty un’ora prima.

Con la coda dell’occhio Matty lo osservò estrarre varie sostanze e campioni dalle tasche del cappotto e sistemarle accanto al microscopio, prima di avvicinare a sé una fila di provette, reagenti chimici e vetrini.

“Si comporta come se fosse il padrone di casa!” pensò il bambino leggermente stizzito dal comportamento dell’adulto.

Suo padre gli aveva sempre insegnato che, quando non erano a casa, prima di fare qualcosa doveva sempre chiedere il permesso all’adulto più vicino.

Erano le buone maniere e Matthew era certo che fossero valide anche per gli adulti!

Deciso ad ignorare la presenza fastidiosa nella stanza, Matty si focalizzò nuovamente sul proprio lavoro, cercando di prelevare un campione di tessuto del muscolo longitudinale inferiore.

-Lo stai facendo nel modo sbagliato-risuonò la voce saccente dell’uomo.

Matty alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock.

-Invece no-rispose prima di corrugare la fronte- Tu non sai neanche cosa sto facendo…-aggiunse pronto a spiegargli il proprio progetto e a mettere in mostra il proprio sapere.

-Certo che lo so-ribatté prontamente l’altro- Vuoi catalogare i muscoli ed i nervi della lingua.

Ma facendo l’incisione che stai per fare, in quella sezione specifica, avresti reciso anche il muscolo genio-glosso e di conseguenza avresti perso informazioni importanti-gli spiegò.

A quelle parole Matthew corrugò ancora di più la fronte.

-Ci sono soltanto 8 muscoli nella lingua ed io ne ho già trovati 4!-

Perché gli stava ancora rispondendo?

Doveva concentrarsi sul proprio progetto se voleva finire in tempo prima dell’ora di cena.

Sherlock scosse leggermente la testa.

-Impossibile-replicò con calma serafica nella voce-Un muscolo, il palato-glosso è stato danneggiato durante l’estrazione, quindi è impossibile ricavare dati attendibili da questo.

Tre muscoli sono di tipo intrinseco quindi muscoli fibrosi e l’unico modo per notare le varie differenze è con un’attenta analisi al microscopio-spiegò Sherlock.

Matthew sbuffò chiaramente seccato.

-Allora vorrà dire che preleverò dei campioni di tessuto e li esaminerò a casa con il microscopio-replicò deciso a non cedere di fronte all’uomo.

-Perché aspettare quando qui hai a disposizione tutti gli strumenti di cui hai bisogno?-

Ancora una volta il silenzio scese pesante nell’obitorio, mentre le due copie carbone l’uno dell’altro si osservavano in silenzio, entrambe determinate a non concedere neanche un piccolo passo all’altro.

-E’ un progetto per la scuola?- domandò alla fine Sherlock.

Matty annuì, riportando lo sguardo sul campione umano posizionato a pochi metri di distanza sul tavolo.

-Per scienze. So che ho fatto la scelta più giusta quando ho deciso di catalogare i muscoli della lingua quindi non ti permetterò di insinuare dubbi nella mia mente…-iniziò partendo all’attacco.

-Non era assolutamente questa la mia intenzione.

E’ davvero un’ottima idea, anzi se devo essere onesto sono un po’ geloso perché alla tua età non mi era concesso fare questo tipo di esperimenti, ma fortunatamente tuo padre ha una mente più aperta del mio…-commentò.

-Non parlare di mio padre-lo rimproverò il bambino con voce ferma.

Sherlock annuì lentamente.

-Va bene, mi dispiace- gli disse prima di restare in silenzio qualche istante- Hai bisogno di aiuto?-gli chiese poi.

-Posso aspettare che zia Molly ritorni- rispose Matty senza la minima esitazione.

Sherlock alzò le spalle.

-Considerato il tempo che ci vuole da qui alla caffetteria credo che Molly sia tornata indietro, ci abbia visto insieme e abbia deciso di lasciarci un po’ di privacy…Se così la vogliamo chiamare-gli fece notare alzandosi in piedi.

Il bambino abbassò lo sguardo sul piano da lavoro e espirò profondamente.

-Non va bene…-mormorò.

-Dipende da quale prospettiva guardi la situazione-gli fece notare l’adulto.

Chiaramente infastidito dalla presenza dell’adulto che stava rovinando quella che fino a poco prima era stata un perfetto pomeriggio di studio all’obitorio, ma davvero desideroso di ottenere il meglio per la propria ricerca, Matthew sbuffò.

-Eh va bene, ti andrebbe di darmi una mano con la mia ricerca?-gli domandò a denti stretti.

Sherlock accennò un sorriso.

-Ne sarei felice-

-Ma di soltanto una parola non legata ai muscoli della lingua e ti buttò fuori-lo minacciò il bambino con un’espressione seria in volta.

Sherlock annuì in segno d’assenso prima di avvicinarsi al tavolo dietro quale era seduto il bambino.

Per le due ore successive padre e figlio lavorarono insieme, principalmente restando in silenzio o scambiandosi poche informazioni necessarie allo sviluppo della ricerca.

Molly ritornò nell’obitorio trenta minuti dopo che i due avevano iniziato a lavorare insieme e, trovandoli assorti nel loro lavoro, si limitò a salutare Sherlock e a sistemare una bottiglia d’acqua e un sandwich a poca distanza da Matthew, prima di rifugiarsi nel proprio ufficio.

Malgrado non se ne rendessero conto, padre e figlio erano in perfetta sincronia, quasi un motore perfettamente oliato: Sherlock sapeva già quale sarebbe stata la prossima richiesta o mossa del bambino prima ancora che questi aprisse bocca, anticipandolo e facilitando così il loro lavoro.

-Credo che abbiamo finito-commentò Matthew finendo di scrivere le ultime osservazioni sul proprio taccuino prima di sistemarsi meglio sulla sedia e stirare i muscoli intorpiditi della schiena.

Sherlock annuì, allontanandosi a sua volta dal microscopio e seguendo con la coda dell’occhio i movimenti del bambino mentre questi prendeva il proprio cellulare fra le mani e spediva un veloce messaggio (Starà avvertendo John che può venire a prenderlo).

L’attimo dopo gli occhi di Matthew erano ancora una volta fissi sul suo volto, chiaramente incerti su cosa dire.

-Immagino che dovrei ringraziarti per l’aiuto che mi hai dato-disse tentennante.

Sherlock inclinò la testa verso di lui in un mezzo inchino.

-Figurati-

-Ok-commentò il bambino alzando le spalle, più sereno per essersi tolto quel peso- Addio-lo salutò, tornando a concentrare la propria attenzione sui propri libri.

Matty raccolse tutto il proprio materiale ed i suoi libri e li infilò confusamente nel proprio zainetto, prima di metterlo su una spalla e prendere il cappotto nell’altra mano, dirigendosi poi verso la porta dell’obitorio, senza rivolgere un’ulteriore sguardo al detective.

Nel breve intervallo di tempo in cui Sherlock si ritrovò da solo nel silenzio dell’obitorio la sua mente intrattenne velocemente l’idea di riprendere l’esperimento che lo aveva condotto fin lì e che era stato bruscamente interrotto per quella strana esperienza “padre-figlio”, ma quando fece per avvicinarsi nuovamente al proprio tavolo da lavoro, le porte dell’obitorio si aprirono lasciando entrare ancora una volta Matthew.

Sherlock incontrò lo sguardo del bambino e restò in attesa: ciò che aveva ricondotto Matthew sui propri passi era scritto fin troppo chiaramente nell’espressione battagliera del suo volto, ma per una volta, Sherlock restò in attesa senza lanciarsi come al suo solito nelle sue classiche deduzioni che, questa volta, avrebbero finito per mettere la parola fine al suo rapporto con Matthew.

-So che hai conosciuto mia sorella-iniziò il bambino.

Sherlock annuì.

-Esatto-

Matthew fece un paio di passi nella stanza e posò il proprio cappotto sul primo tavolo libero.

-Lei è la persona più importante della mia vita. Insieme a papà ovviamente- continuò- E non permetterò a nessuno di far loro del male-

-Non è nelle mie intenzioni-lo rassicurò il detective.

-Perché sei tornato?-gli domandò fissandolo con due occhi duri e penetranti.

-Voglio riparare ai miei errori-rispose sincero Sherlock.

-Credi davvero sia possibile?-si sentì chiedere.

Il detective alzò le spalle, mostrando in quel gesto tutta la speranza e la sua ignoranza nei riguardi del futuro.

-Uno può sempre sperare, no?-

Matthew lo fissò per qualche istante, soppesando quello che era stato detto finora, l’atteggiamento di Sherlock, chiedendosi cosa avrebbe potuto dire per scoraggiare definitivamente i tentativi di riappacificazione dell’uomo.

L’Omega era una minaccia per la sua famiglia.

Certo, ora si mostrava docile e gentile per entrare nelle grazie di suo padre e di sua sorella, ma Matthew sapeva benissimo di cos’era capace, aveva letto tutto il materiale sull’uomo su cui era riuscito a mettere le mani e ne era uscito fuori il ritratto di una persona maleducata, insensibile, che non si fermava di fronte a nulla pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Era davvero questo il tipo di Omega che suo padre voleva accanto?

-Non mi fido di te-gli disse.

Sherlock annuì lentamente.

-Lo so-

-Se fossi un po’ più grande o se soltanto papà e Amy mi dessero ascolto ti sarebbe proibito di vederli di nuovo-lo avvertì.

-Devi lasciarmi il beneficio del dubbio-gli fece notare Sherlock, per nulla colpito dalle sue parole.

-Lo so che non ti fidi di me, o che non ti piaccio.

Lo vedo chiaramente sul tuo volto, in ogni piccolo gesto del tuo corpo-continuò parlando con voce calma e profonda- Ed io potrei parlare per ore e ore, cercando di convincerti che amo tuo padre che farei di tutto per evitare di fargli del male un’altra volta, ma so che non mi crederesti-

-Quindi cos’hai intenzione di fare?-gli domandò Matty con un tono di sfida nella voce.

-Te lo dimostrerò…Anzi te lo sto già dimostrando-replicò Sherlock.

Un’espressione scettica si disegnò sul volto di Matthew a quelle parole.

Ma chi voleva prendere in giro quell’Omega?

-Ah davvero?-

L’uomo annuì in maniera quasi solenne.

-Hai dato un’occhiata a tuo padre negli ultimi giorni?-gli chiese a sua volta.

Matty alzò le spalle.

-E allora?-

Un sorriso si dipinse inaspettatamente sulle labbra piene di Sherlock, portando Matty ad incurvare la fronte.

-Sei un ragazzo brillante Matty, davvero, ma non sei ancora al massimo delle tue capacità, altrimenti avresti notato i piccoli cambiamenti avvenuti in tuo padre ultimamente.

Da quando l’ho visto l’ultima volta, la settimana scorsa, la sua pelle ha ripreso colore, i suoi occhi non sono più così infossati, e non ha più quell’aria afflitta che lo accompagnava durante il nostro primo incontro-elencò prontamente come sempre.

-Mio padre non ha l’aria afflitta!-replicò con forza Matty, pronto a difendere l’uomo dall’Omega.

-Un’Alpha che non ha la minima idea di dove si trovi il suo Omega è soggetto ad attacchi di panico, depressione e insonnia; sono sicuro che se cerchi a fondo fra le sue cose nell’armadio troverai ancora qualcuno dei miei vestiti, conservati con cura per preservare il mio aroma…-disse Sherlock con calma.

-Papà non farebbe mai una cosa del genere!-ribatté ancora una volta il bambino, chiaramente irritato.

Perché l’Omega stava raccontando tutte quelle bugie? Che gusto c’era a sminuire la figura di suo padre?

Per l’ennesima volta, Sherlock gli rivolse un sorriso triste.

-Tu vedi ma non osservi.

Quando me ne sono andato voi eravate ancora piccoli, quindi è chiaro che non hai mai notato niente, inoltre sono sicuro che dopo otto anni John sarà più sicuro di sé stesso e maggiormente capace di nascondere i sintomi.

Ma non puoi giudicare una relazione lunga trent’anni soltanto da un piccolo passo falso- gli fece notare.

-Un passo falso? Tu ci hai lasciati!-gli ricordò Matty alzando leggermente la voce, prima di chiudere momentaneamente gli occhi e respirare profondamente- Ecco perché non volevo incontrarti o affrontare questo discorso con te…-gli disse.

L’attimo dopo due identiche paia di occhi blu ghiaccio si incontrarono: uno era sereno, malgrado la seria conversazione, l’altro invece era furente, gli occhi vivi e cristallini.

-Tu non capisci quello che abbiamo passato, quello che papà ha sofferto per colpa tua! TU…-

-Invece ti sbagli-lo interruppe bruscamente Sherlock, facendo un piccolo passo in avanti verso il bambino.

- Come ho detto tu vedi ma non osservi.

Un’Omega che lascia spontaneamente i propri cuccioli due mesi dopo il parto è condannata a morte certa.

I miei istinti mi facevano a pezzi per non essere lì con voi, che avevate bisogno di me, ed il mio prescelto Alpha, che amavo e che mi avrebbe protetto sempre e da qualunque pericolo-gli disse senza lasciarsi scappare lo sguardo del bambino.

-Ma la mia mente razionale sapeva che se fossi rimasto avrei rovinato le vite di tutti e quattro.

Lasciarvi è stato la scelta migliore per tutti noi e vostro padre, con il suo cuore generoso e la sua anima coraggiosa, lo ha capito anche se questo ha avuto delle forti ripercussioni su tutti e due.

-Sarei dovuto morire subito dopo essermi allontanato da voi, ma se sono ancora qui è sempre grazie a tuo padre-concluse.

Cercando di dare un senso al fiume di parole che lo aveva investito Matty respirò profondamente, corrugando allo stesso tempo la fronte.

-Non capisco…-

-Un forte legame empatico fra un’Alpha ed il suo Omega resta tale fin quando l’Alpha lo permette.

Quindi non importa quanto possano essere stati duri quei primi giorni o quelle prime settimane per vostro padre, lui sapeva che per me sarebbe stato cento volte peggio ed è rimasto forte perché restassi in vita attraverso il nostro legame-gli spiegò.

Padre e figlio si fissarono per l’ennesima volta in quell’interminabile pomeriggio e dopo alcuni istanti entrambi espirarono rumorosamente, quasi all’unisono.

-Non puoi giudicare la mia relazione con tuo padre soltanto dalla nostra rottura, perché non è mai stata una vera rottura.

E’ vero, non ero presente lì con voi, e pagherò il prezzo della mia scelta per molto tempo ancora, ma  così come vostro padre sapeva che io ero vivo e stavo bene, a mia volta attraverso il nostro legame empatico io sapevo che voi due eravate amati e al sicuro e che stavate bene.

E’ per questo che non mi arrendo!-gli disse facendo un’ulteriore passo in avanti verso il bambino.

-Ti dimostrerò che per me non c’è niente di più importante di te di tua sorella e di tuo padre e che questa volta sono tornato per restare.

Ci vorrà del tempo, è vero, ma se è di questo che hai bisogno per credere alle mie parole allora sono disposto a concederti tutto il tempo di cui hai bisogno-

Matty annuì e dopo alcuni istanti di immobilità in cui si perse nei propri pensieri, recuperò il proprio cappotto e si avviò verso la porta dell’obitorio.

-Buona fortuna!-gli disse senza voltarsi, in un tono quasi ironico.

Sherlock si concesse un sorriso a quelle parole.

-Mi piacciono le sfide! Specialmente quando il premio finale è così sostanzioso…-commentò.

L’attimo dopo Matty se ne era andato, ma Sherlock era sicuro di aver lasciato al bambino molto materiale su cui riflettere fino al loro prossimo incontro.

Se c’era una cosa che gli Holmes amavano era un confronto ad armi pari… Ci sarebbe stato da divertirsi.

 

 

Salve a tutti!!!

Innanzitutto Buona Pasqua, anche se con una settimana di ritardo! XD

Come state? Avete fatto delle buone vacanze? Le mie sono state abbastanza tranquille, tendenti alla noia, ma personalmente non ho mai amato molto la Pasqua, molto meglio il Natale(soprattutto dopo aver vissuto a Londra, l'atmosfera natalizia ti entra nelle vene e non ti abbandona fino al 31 dicembre).

Comunque...Eccoci qui con un nuovo capitolo dell' OmegaVerse, e devo scusarmi per tutto il tempo intercorso fra un capitolo e l'altro, non mi ero sinceramente resa conto che fossero passate tutte queste settimane!

Fortunatamente l'altra Sherlock fic che sto scrivendo è quasi completata, quindi potrò concedere maggiore attenzione a questa :D

Alcuni passi avanti importanti li abbiamo fatti in questo capitolo: entrambi i bimbi hanno incontrato il "terribile" Omega e come c'era da aspettarsi ci sono state delle reazioni completamente diverse.

Inoltre volevo aggiungere una piccola postilla riguardo al compito di Matty per biologia: so che tecnicamente ad un bambino di 9 anni non verrebbe mai in mente di sezionare e catalogare i muscoli della lingua, ma in questo caso stiamo parlando di un Holmes quindi i parametri sono leggermente diversi.

Ho preso spunto da un sito in cui si elencavano vari esperimenti scientifici da poter fare con i propri figli in tt sicurezza: l'idea di partenza era fare la mappatura della lingua con sapori diversi concentrandosi così sulle papille gustative, ma per Matty e la grande intelligenza Holmes sarebbe stato troppo "banale".

Inoltre ho raccolto tutte le informazioni possibili mentre scrivevo quel frammento, ma in caso avessi sbagliato qualche termine o muscolo, chiedo umilmente scusa!

Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e mi scuso per eventuali errori di battitura o di ortografia.

Le canzoni utilizzate in questo capitolo sono: "Little by little" degli Oasis per il titolo, "The way we were" e "You just haven't earn it yet" rispettivamente dei The Killers e dei The Smiths.

Ed ora i ringraziamenti:RomanceInBlack(Grazie per i complimenti!L'argomento Mpreg non è ancora stato affrontato del tutto, però prometto che quando succederà sarà fatto con eleganza e cercando di non offendere nessuno...Sono perfettamente d'accordo con te: ci vogliono più Mystrade! PEr me Myc è un personaggio talmente complesso che è impossibile apprezzarlo a pieno soltanto con poche battute o inquadrature, anche se queste ce lo fanno adorare!),Holie(Qualsiasi dubbio sull'OmegaVerse non farti scrupolo: chiedi e sarò felice di aiutarti! Per ora oltre al piccolo bignami all'inizio del primo capitolo, posso dirti che la società in cui vivono è la stessa in cui viviamo noi, ma mentre noi teniamo in maggiore considerazione il sesso Primario= Maschio/Femmina, loro si concentrano su quello Secondario= Alpha/ Beta/Omega),Damon_Soul93(Grazie per i complimenti! Non sei assolutamente perversa fidati...Anche io all'inizio ero molto molto scettica,ma credo fosse dovuto al diverso fandom, perchè quando ho letto la prima OmegaVerse su Sherlock sono entrata nel tunnel e ancora non ne vedo l'uscita XD... Come Sherlock ha detto a Matty non giudicare la loro relazione dalla fine: ok Sherlock ha fatto qualcosa "contro natura", ma andando avanti con la storia vedrai le varie sfumature e ciò che lo ha spinto a quella scelta...Sinceramente non capisco come si possa guardare Mark Gatiss e immaginarlo crudele e senza cuore! E' un tale cucciolone *_*),Luuuuuuuuuuuula(Benarrivata!!!! E grazie per i complimenti! Ahahahah Parafrasando le parole di Jessica Rabbit "Non sono io che li descrivo bene, sono loro che sono sono adorabili e dolcissimi", soprattutto Sherlock, ho quest'idea che sia uno spilungone con una massa di ricci incontrollati sempre davanti gli occhi...Che mi dici di questo primo confronto fra padre e figlio?),Music_lou(La tua recensione mi fa davvero piacere,perchè è davvero un onore essere riuscita a convertire un lettore che solitamente non lascia mai un commento, quindi ti ringrazio dal profondo del mio cuore ^_^ Inoltre mi fa piacere averti tenuto compagnia in una giornata di pioggia, so quanto possono essere noiose...Anche io nell'ultimo anno ho letto molte Omegaverse con e senza Mpreg, sempre in inglese, e mi ha dato fastidio il fatto che non ci fosse neanche un esempio di questo filone nella nostra lingua, quindi perchè non rimediare?Sono felice ti piacciano i capitoli lunghi perchè io sembro incapace di scrivere capitoli al di sotto delle 40 pagine XD Ti ringrazio anche per i complimenti su "Come what may"! *_*),Little Fanny(Grazie per i complimenti!Ho riflettuto a lungo su come impostare il confronto fra Sherlock e John, essendo da sempre contraria alla scelta troppo softy di Sir ACD di far svenire John al ritorno di Sherlock dopo La caduta; mi sono chiesta se anche in questo caso Sherlock si meritasse un paio di pugni,ma poi mi sono resa conto che la cosa che lo avrebbe spaventato maggiormente, invece della violenza, sarebbe stata la possibilità di perdere tutto proprio ora che era ad un passo dal tornare a casa: Moriarty e Moran sono morti, ha messo da parte le sue paure e vuole ricostruire la sua famiglia, ma basterebbe una parola da parte dell'Alpha per rendere nullo il loro Legame, almeno agli occhi della legge...Meno male che John è irreparabilmente innamorato di Sherlock!).

Bene per il momento è tutto io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo appuntamento...

"You'll never walk alone"

Baci,Eva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** I knew that when I held you I wasn't lettin' go ***


I knew that when I held you, I wasn't lettin' go

 

 

WARNING:In questo capitolo ci sono parole normalmente sconosciute nel mondo delle FF, che si incontrano spesso nell'Omegaverse.

Quindi ecco a voi un  piccolo vocabolario del mondo Omega:

"Scenting": Uno dei passi fondamentali per instaurare un Legame fra un' Omega e un'Alpha Non Legati. L'Omega scopre il collo privo di segni verso l'Alpha mostrando il proprio interesse e dando così il proprio benestare all'Unione.

Nel caso di una coppia Legata, si usa il scenting quando una coppia è stata lontana molto tempo oppure a contatto con molti Alpha, o in casi estremi quando ci si ritrova in situazioni di pericolo o di stress.

"Frenesia": Legato in parte al "scenting". Quando una coppia di A/O si ritrova in una situazione come quella che stanno vivendo Sherlock e John, l'odore di Sherlock avrà soltanto un vago ricordo dell'odore del proprio Alpha; in questo caso, altri Alpha potrebbero cercare di fare le proprie avances all'Omega per allontanarla dall'Alpha.

Se in quelle occasioni l'Alpha è nei paraggi i propri istinti prendono il sopravvento, scatenando una "frenesia" che se non controllata in tempo lo potrebbe portare a sfidare gli "avversari" per dimostrare la propria superiorità ed i propri privilegi nei riguardi dell'Omega.

Detto questo, spero di esservi stata di aiuto e vi auguro buona lettura! A dopo...

 

 

“It's a hard life 
To be true lovers together 
To love and live forever in each other’s hearts 
It's a long hard fight 
To learn to care for each other 
To trust in one another right from the start 
When you're in love


L’anno seguente la morte di Cynthia Watson fu il più difficile per John.

Neanche una settimana dall’episodio del salice piangente si svolsero  i funerali a cui tutta la famiglia Holmes partecipò in segno di rispetto e di affetto.

Prima che la cerimonia iniziasse Sherlock aveva provato a sedersi accanto a John per mostrargli il proprio sostegno, ma suo padre lo aveva ripreso e costretto a sedersi due panche indietro, lasciando così John da solo con il suo dolore.

Nelle settimane e nei mesi successivi, la vita di Sherlock era ritornata sui soliti binari fatta di noiose ed inutili lezioni durante la settimana e due meravigliosi giorni in cui John arrivava al Manor per stare con lui.

L’Omega però era sempre distante, quasi costantemente distratto e soggetto a cambiamenti d’umore repentini che lo portavano a sfogare la propria rabbia sul primo oggetto che gli capitava fra le mani e, una volta liberatosi dal livore, afflosciarsi neanche un sacco vuoto sul pavimento, completamente privo di forze, gli occhi blu oceano pieni di lacrime.

Sherlock non era mai stato un ragazzo capace di empatia ed ora che a undici anni e mezzo si ritrovava quasi quotidianamente a combattere con emozioni o comportamenti che non riusciva a comprendere e che lo confondevano si rendeva conto di essere completamente impreparato ad affrontare situazioni simili.

Gli avevano sempre insegnato a controllare le proprie emozioni, fin dalla tenera età, rendendolo consapevole che queste potevano essere delle “armi” usate contro di lui, e venire a contatto con la chiara sofferenza di John lo destabilizzava, dimostrandogli per la prima volta quanto fosse incapace nel suo ruolo di Alpha.

John stava soffrendo. Possibile che lui, il suo Alpha, la prima persona a cui John si rivolgeva per avere conforto, non era in grado di far nulla per alleviare quel dolore?

Malgrado le sue insicurezze però, John sembrava sereno ogni volta che erano insieme: quella rabbia che lo accompagnava da mesi sembrava quietarsi portando il ragazzo a rilassarsi completamente e a godere della compagnia del proprio Alpha, anche soltanto restando in silenzio e osservandolo immerso nei propri esperimenti spronandolo così ad esporgli i propri pensieri o considerazioni sull’esperimento arrivando qualche volta a prendere appunti su un piccolo taccuino, o nei suoi esercizi al violino, sereno come poche volte in quei lunghi mesi.

Il giorno del tredicesimo compleanno di John, il 31 Marzo, il giovane Omega, contrariamente agli anni passati, aveva categoricamente vietato alla propria famiglia e agli Holmes di organizzare una festa.

John si sarebbe trovato al Manor durante il suo compleanno e Sherlock era deciso a rispettare la sua volontà ma allo stesso tempo era incapace di mettere a tacere la voce Alpha nel suo cervello che lo obbligava a fare qualcosa per rasserenare John e per dimostrargli quanto fosse apprezzato.

Aveva pensato a lungo ad un possibile espediente per “raggirare” John e raggiungere il proprio obiettivo senza rischiare di incorrere nell’ira del ragazzo e alla fine aveva trovato una soluzione.

L’unica soluzione che lo avrebbe soddisfatto senza però venire incontro alla volontà di John.

-Voglio fare un esperimento-

Erano nella sua camera da letto, la pioggia battente che scrosciava sui vetri delle finestre ed impediva loro di avventurarsi in giardino.

John fino a quel momento aveva concentrato la sua attenzione sul libro che aveva fra le mani, lasciando spazio a Sherlock per i propri esercizi di musica, ma quando sentì la voce del giovane e l’improvvisa interruzione della sinfonia alzò lo sguardo sul volto dell’Alpha, aggrottando leggermente la fronte.

-Ok. Che tipo di esperimento?-gli domandò con cauta curiosità.

Non era certo la prima volta che Sherlock esclamava quella frase, e sicuramente non era la prima occasione in cui un piano apparentemente semplice comportava inaspettate sorprese o effetti collaterali.

Sherlock ripose il proprio violino ed archetto nella custodia con cura per poi avvicinarsi a John, lasciandosi cadere sul letto accanto al ragazzo.

-Voglio che tu mi baci-gli disse fissando il volto dell’Omega.

John alzò le spalle, mettendo da parte il proprio libro.

-Va bene. Avresti potuto semplicemente chiedere-commentò con voce serena, l’accenno di un sorriso sulle labbra.

L’attimo dopo si avvicinò a Sherlock, posando un bacio veloce sulla guancia destra del ragazzo, allontanandosi l’istante successivo.

-Che te ne pare?-gli domandò incontrando i suoi occhi.

Sherlock alzò gli occhi al cielo, trattenendo a stento un sospiro frustrato.

-Noioso. Non è questo quello che ti ho chiesto-mugugnò.

La fronte di John tornò a corrucciarsi ed il suo volto mostrò un’inaspettata insicurezza alle parole dell’amico.

-Voglio un bacio vero-gli spiegò Sherlock.

-Cosa?-esclamò John incredulo, incapace di nascondere lo stupore che si dipinse chiaramente sul suo volto.

Sherlock incrociò le gambe sotto di sé, cercando di contenere in pochi gesti l’energia nervosa che sembrava essersi impadronita di lui e tornò a fissare l’Omega.

-Non capisco perché ti stupisci tanto-disse con voce calma.

-Forse perché è la prima volta che mi chiedi un bacio?-domandò a sua volta John.

Questa volta Sherlock lasciò andare il respiro frustrato che aveva trattenuto tanto a lungo.

-Dovremmo pur cominciare da qualche parte…-commentò il moro.

John inarcò un sopracciglio.

-Stai dicendo sul serio?-

-Certo che sì! Non voglio arrivare al tuo primo Estro senza avere la più pallida idea di cosa fare.

Il bacio è il primo passo verso il processo che dovremmo affrontare insieme e considerato che ci sono procedimenti più complicati di questo…-spiegò ampiamente Sherlock.

John annuì velocemente cercando di interrompere quel fiume di parole.

-Penso che possiamo saltarli per il momento, non credi anche tu?-gli disse, mentre un lieve rossore si dipingeva sulle guance del biondo.

-Va bene…Ma devi ammettere che la mia richiesta non è per niente assurda-ribatté ancora Sherlock.

John scosse la testa.

-No, direi di no…Come hai detto anche tu, dovremo pur cominciare da qualche parte-

Un sorriso vittorioso apparve sulle labbra dell’Alpha.

Era sempre sorprendente vedere come John decidesse di affidarsi a lui, come si fidasse completamente di lui, anche se in passato aveva avuto delle dimostrazioni che il più delle volte non era la scelta più saggia.

-Eh va bene-concesse alla fine John-Da dove cominciamo?-

-Ho fatto qualche ricerca…-iniziò.

John ridacchiò, coprendo subito la bocca con una mano quasi si vergognasse.

-Scusa…Perché non ne sono sorpreso?-lo punzecchiò.

Sherlock lo fissò con per qualche istante pronto a ribattere prima di scuotere la testa e sostenere lo sguardo del biondo in silenzio.

-Mi lasceresti…-domandò.

Perché accidenti si sentiva in imbarazzo ora?

Non era mai in imbarazzo con John, neanche quando parlavano del loro futuro come coppia! Quella era la prima volta in cui si sentiva a disagio con John e la cosa non gli piaceva per niente.

Fortunatamente John gli venne in soccorso, scoccandogli quel sorriso rassicurante ed affettuoso e annuendo impercettibilmente.

Con una lentezza che non gli si addiceva affatto Sherlock si avvicinò a John finché i loro volto furono ad una minima distanza l’uno dall’altro e quando i loro sguardi si incontrarono, annullò lo spazio fra di loro con un movimento veloce facendo incontrare le loro labbra con un gesto impercettibile provocando uno schiocco che risuonò nella stanza silenziosa.

Il moro ritornò nella sua posizione originale, la distanza fra i loro corpi nuovamente ristabilita, lo sguardo impegnato a carpire ogni più piccola ed insignificante informazione.

-Come è andata?-domandò qualche secondo dopo.

John alzò le spalle.

-Come se fosse stata mia zia a baciarmi-rispose timidamente il ragazzo.

Questa volta toccò all’Alpha aggrottare la fronte, sinceramente confuso.

-Da quando tua zia ti bacia sulle labbra?-gli chiese.

John alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

-E’ un modo di dire Sherlock!

E’ stato un bacio molto gentile e breve…Non l’ho quasi sentito-commentò considerando brevemente le proprie sensazioni.

Dalle informazioni che aveva raccolto durante la sua ricerca, Sherlock era giunto alla conclusione che l’unione delle labbra di due persone innamorate poteva essere un’esperienza davvero piacevole, al punto da voler essere ripetuta più volte di seguito.

Ma se doveva essere sincero con sé stesso, Sherlock non aveva avuto il tempo di raccogliere informazioni vista la brevità del gesto, e se avesse dovuto prendere una decisione basandosi soltanto su quel test allora avrebbe cancellato i baci dal suo Palazzo Mentale considerandoli irrilevanti.

-Mh…Forse dovremmo provare di nuovo?-domandò incerto.

John annuì.

-Forse questa volta dovrebbe durare un po’ di più-propose John insicuro quasi quanto lui.

Ancora una volta la fronte di Sherlock si aggrottò, mostrando la propria confusione.

-Quanto dovrebbe essere lungo?-gli chiese, la curiosità scientifica che faceva capolino nella sua voce.

John si passò una mano alla base del collo e abbassò lo sguardo.

-Non lo so…Vuoi cronometrarlo?-

-Ottima idea John!-esclamò entusiasta Sherlock.

-Stavo scherzando Sherlock!-ribatté prontamente il biondo riportando lo sguardo sull’amico.

L’Alpha sbuffò, sinceramente seccato per aver perso un’opportunità così ricca di dati.

-Va bene…Allora diciamo 30 secondi.

E cerca di seguire le mie labbra questa volta-aggiunse prima di avvicinarsi nuovamente a John.

Il biondo annuì.

Questa volta si accorsero entrambi che il bacio era diverso: fu più lungo, forse anche più dei 30 secondi che avevano stabilito, le labbra sottili di John si incastrarono quasi perfettamente con quelle morbide e gonfie di Sherlock seguendo i movimenti accennati e goffi dell’Alpha e quando finalmente si separarono un sorriso imbarazzato apparve sulle labbra di John.

-Questo era decisamente un bacio vero-mormorò John, quasi avesse paura di farsi sentire da qualcun altro oltre a Sherlock.

L’Alpha sorrise sinceramente felice del risultato ottenuto.

-Sei soddisfatto?-domandò John, un adorabile rossore sulle guance.

-Non lo so.

E’ stato meglio del primo, questo è certo, ma nelle mie ricerche ho letto che qualche volta si usa anche la lingua-disse il moro.

-Per cosa?-chiese leggermente confuso John.

-Una persona spinge la lingua nella bocca dell’altro-spiegò brevemente Sherlock.

-Poi che succede?-

Sherlock alzò le spalle.

-Non ne ho idea.

La mia ricerca non ha prodotto risposte utili al riguardo-commentò leggermente seccato di non avere una risposta esaustiva.

John ridacchiò leggermente, consapevole di quanto l’Alpha odiasse essere all’oscuro di qualcosa.

-Sembra un po’ violento…-commentò.

-Da quanto ho letto alla gente piace-rispose sinceramente sorpreso Sherlock.

John annuì.

-Mh…Vogliamo provare?-gli domandò incerto l’altro.

-A te va?-

-In nome della scienza, giusto?-gli ricordò con un sorriso John.

Sherlock annuì ricambiando il suo sorriso.

-Voglio provare io questa volta-disse John sporgendosi verso l’amico.

John voltò leggermente il corpo verso quello di Sherlock in modo che i loro volti fossero nuovamente uno di fronte all’altro e gli rivolse un sorriso timido, mettendo in mostra tutta la sua inesperienza e la sua curiosità per “l’esperimento”, per poi avvicinare i loro volti per la terza volta.

Quando fu ad una minima distanza dalla bocca di Sherlock si inumidì il labbro inferiore con la punta della lingua, chiedendosi velocemente se Sherlock gli avrebbe permesso di fare lo stesso con il suo perfetto labbro inferiore, ma prima che potesse fare qualsiasi mossa, l’Alpha spalancò completamente la bocca, assumendo così un’espressione buffa che inevitabilmente fece ridere John.

Risentito dalla risata mal trattenuta di John, Sherlock si tirò indietro, l’orgoglio ferito per il gesto dell’amico.

-Non dovresti ridere!-lo rimproverò con voce seria, sperando con tutto sé stesso che i suoi sentimenti feriti non fossero chiari nelle sue parole.

-Lo so, mi dispiace…-disse John, accarezzandogli inaspettatamente una gamba-E’ solo che avevi un’aria così buffa!-commentò, ridacchiando nuovamente.

Sherlock sbuffò e fece per alzarsi in piedi.

-Lasciamo perdere!-

Le mani di John gli afferrarono un polso l’istante prima che potesse allontanarsi, convincendolo a sedersi un’altra volta.

-Aspetta, mi dispiace. Davvero.

Fammi provare un’altra volta-gli disse.

Ancora una volta John si avvicinò all’Alpha, trattandolo quasi fosse un’animale selvatico spaventato ed una volta a poca distanza prese il volto di Sherlock fra le mani e gli sorrise rassicurante.

Remore dell’errore precedente, Sherlock lasciò la bocca chiusa e restò in attesa.

John posò le labbra su quelle di Sherlock con delicatezza, accarezzandole più volte quasi volesse chiedergli scusa con quel gesto per la poca delicatezza dimostrata l’attimo prima; lasciandosi guidare dall’istinto fece scivolare la punta della lingua sul labbro inferiore del moro convincendolo così a dischiudere leggermente la bocca permettendogli  così di insinuare la lingua nella sua bocca dove toccò timidamente i denti perfetti prima di incontrare la sua gemella.

Quando finalmente si separarono, i volti di entrambi erano rossi per l’imbarazzo e, consapevole che Sherlock avrebbe desiderato un po’ di privacy, John tornò a ritirarsi nel proprio angolo, lo sguardo sul copriletto blu notte.

-Come è stato per te?-gli domandò.

-Bagnato-commentò Sherlock prontamente, immerso nei propri pensieri-Ancora non capisco perché le persone vorrebbero mettere la lingua nella bocca di un altro, ma non è stato terribile…-aggiunse.

La sua mente era in tumulto, cercando di catalogare le emozioni provate con quell’ultimo bacio e chiedendosi cosa John stesse provando.

-Personalmente penso che il bacio migliore sia stato l’ultimo-commentò John.

-Guarda caso proprio quello in cui avevi tu il comando…-ribatté ironico Sherlock, senza alcuna malizia.

John accennò un sorriso, arrossendo ancora di più al ricordo delle sue azioni.

Sherlock sospirò.

Aveva bisogno di tempo e di silenzio per riflettere su quello che era accaduto: quell’esperimento doveva essere un regalo per John invece aveva avuto degli effetti collaterali anche su di lui.

-Ho molte informazioni da catalogare-esclamò ponendo così fine alla conversazione.

John annuì e riprese il proprio libro, dimenticato nell’istante in cui era iniziato quel pazzo esperimento, sistemandosi comodamente con la schiena contro lo schienale del letto.

L’attimo dopo Sherlock gli era addosso: il corpo sistemato fra le sue gambe aperte e la testa di riccioli neri sul torace, incastrandosi perfettamente per non dar fastidio all’Omega; sistemò le dita delle mani giunte di fronte a sé, poco sotto il mento e chiuse gli occhi pronto ad iniziare la sua analisi, quando le dita di John affondarono fra i suoi capelli disordinati accarezzandoli quasi inconsapevolmente.

Sherlock accennò un sorriso e aprì gli occhi.

-John?-lo chiamò.

-Mh?-

-Buon compleanno-

Un sorriso si affacciò lentamente sul volto di John ed in quel momento il ragazzo si accorse che, nonostante tutto, era stato davvero un buon compleanno.

 

____________________________

 

 

Greg batté più volte le palpebre cercando di riconoscere l’ambiente che lo circondava attraverso la nebbia del sonno e, non appena i suoi occhi assonnati si focalizzarono sulla cosa più vicina a lui, un sorriso stanco distese le sue labbra.

Ancora addormentato accanto a lui, un braccio stretto attorno alla sua vita in un gesto allo stesso tempo protettivo e possessivo, era disteso il suo Alpha con un’ espressione rilassata e beata che si concedeva soltanto poche volte e che soltanto pochi eletti avevano l’onore di conoscere.

Greg si mosse nel letto, trattenendo un lieve gemito quando i suoi muscoli indolenziti gli ricordarono gli sforzi compiuti nei giorni precedenti, e si sistemò più vicino a Mycroft, sistemando la testa sotto il mento dell’uomo.

Nel dormiveglia, l’Alpha modificò la propria posizione in modo che entrambi potessero essere più comodi, sollevando il braccio lungo la schiena di Greg fino a raggiungere la base del collo, dove affondò le dita nei corti capelli sale e pepe del detective.

Presto Mycroft si sarebbe svegliato, ma per il momento Greg era ben felice di lasciarlo dormire ed osservarlo indisturbato, godendosi quella vicinanza.

Il suo Estro era ormai agli sgoccioli, in poche ore si sarebbe concluso e la loro vita sarebbe tornata alla normalità fatta di segreti internazionali, una famiglia ed un paese da governare ed i mille imprevisti che sempre accompagnavano coloro che erano associati alla famiglia Holmes.

Ma per il momento, nella loro camera da letto, in una casa deserta di domestici e personale di sicurezza(tenuto a distanza per evitare di essere contagiato dalla frenesia ormonale della coppia), c’erano soltanto loro.

Due uomini che malgrado le difficoltà e le diffidenze erano riusciti a trovare l’unica persona al mondo senza la quale sarebbero stati persi.

Non era stato facile raggiungere quella “perfezione”.

C’era voluto molto lavoro e molto impegno da parte di entrambi, e non erano certo mancate liti, incomprensioni e periodi in cui avevano volontariamente preferito evitare l’altro, ma alla fine erano riusciti a trovare un punto d’incontro su cui costruire la loro storia.

Greg sorrise ricordando la rabbia che lo aveva travolto quando suo padre lo aveva informato dell’accordo stretto con Mr. Holmes e dell’immensa solitudine che lo aveva colto quando era arrivato a Holmes Manor per la prima volta.

Come se non bastasse a prima vista il suo Alpha sembrava un ragazzo freddo e distaccato che avrebbe preferito essere ovunque tranne che con lui.

Ed infatti alla prima occasione era scappato ad Cambridge…

Greg sorrise lievemente ripensando a quei momenti e come erano state mal interpretate le azioni di Mycroft.

-Riesco a sentire i tuoi pensieri fin qui…-lo sorprese una voce arrocchita dal sonno.

Greg mosse leggermente la testa sulla spalla dell’Alpha e gli rivolse un sorriso.

-Buongiorno amore-lo salutò strofinando il naso nell’incavo fra la spalla ed il naso lasciandosi avvolgere dall’odore dell’Alpha.

Sia fasciato in completi a tre pezzi di alta sartoria che completamente nudo, Mycroft Holmes possedeva sempre un aura di potere attorno alla sua persona, al punto che Greg era certo che il suo compagno sarebbe stato capace di condurre un meeting con le più alte cariche politiche anche in quel momento, nonostante il torace nudo ben in mostra.

-Buongiorno mio caro.

Come ti senti?-domandò subito Mycroft, una leggera ansia nella voce.

Greg si premette se possibile ancora di più contro il proprio Alpha per trasmettergli la propria tranquillità e la sicurezza che sentiva in sua presenza.

Alla fine di ogni Estro, quando i processi cognitivi ritornavano attivi e la parte animale del loro cervello andava a nascondersi nei meandri più nascosti del loro essere, ogni Alpha(almeno tutti quelli degni e rispettosi del proprio Omega), si preoccupavano di non essere stati troppo impetuosi durante l’accoppiamento, facendo inconsciamente del male all’Omega.

Era perciò compito di ogni Omega rassicurare all’istante il proprio compagno e tranquillizzarlo sugli eventi dell’Estro.

-Un po’ dolorante, ma decisamente soddisfatto-commentò strappando una risatina al proprio Alpha-Hai dormito bene?-gli domandò l’attimo dopo.

I fratelli Holmes non erano mai stati capaci di prendersi cura di sé stessi, spingendo il proprio corpo fino all’ultimo limite, rimandando i bisogni più elementari a favore dei propri brillanti processi mentali, ma fortunatamente lui e John erano entrati nella loro vita fin dalla tarda infanzia ed avevano letteralmente tenuto in vita i due uomini(soprattutto nel caso di Sherlock).

-Mh…Credo di poter affermare in tutta sicurezza di aver dormito abbastanza per i prossimi quattro mesi-rispose Mycroft con la sua peculiare ironia.

Greg sogghignò.

-Sempre felice di poter essere utile-commentò, intrecciando una gamba fra quelle dell’Alpha-In ogni modo possibile- aggiunge inarcando le sopracciglia in modo malizioso.

Mycroft scosse la testa sul cuscino, scompigliando ancora di più i propri capelli castano rossicci, cercando di nascondere il proprio sorriso divertito.

-Sciocco…Vieni qui, resta qui accanto a me ancora un po’-gli chiese, sistemando nuovamente il braccio attorno alla schiena di Greg.

Per alcuni istanti nella camera da letto ci fu il silenzio, mentre i due amanti si godevano il semplice e raro piacere di essere insieme, senza imminenti impegni o senza dover dividere la propria reciproca adorazione con Martin.

Amavano entrambi il loro primogenito, ma tutti e due sentivano il bisogno di riaffermare il proprio legame, di ricordare a sé stessi e all’altro che erano soprattutto una coppia prima di essere una famiglia.

Fu proprio quella linea di pensiero che portò Greg a posare un piccolo bacio sul collo del compagno, proprio sotto la ghiandola che secerneva l’odore peculiare che da sempre associava a Mycroft.

-Quanto credi che ci vorrà?-domandò Mycroft, accarezzandogli la schiena con punta delle dita.

Greg alzò le spalle.

-Se tutto va bene il mio odore dovrebbe cambiare in un paio di settimane-gli disse anche se l’Alpha conosceva benissimo la risposta-Probabilmente sarai tu il primo ad accorgertene.

Voglio dire, con Martin è stato così…-

-Gregory calmati…-lo ammonì l’altro.

Greg sospirò sentendo la frustrazione impadronirsi di sé e si mosse nell’abbraccio di Mycroft per allontanarsi dall’Alpha e voltarsi sulla schiena.

Quello non era stato un Estro come gli altri.

Ironicamente era stato il ritorno di Sherlock a fargli venire l’idea: malgrado i rapporti conflittuali fra i due fratelli, nessuno poteva negare che entrambi avrebbero fatto qualsiasi cosa per l’altro.

Inoltre Martin adorava Matthew e Amelia al punto da essere quasi devastato quando i due gemelli ritornavano a casa.

Così Greg aveva esposto la sua idea a Mycroft ammettendo allo stesso tempo le proprie paure e le sue insicurezze e alla fine la coppia aveva deciso di tentare: quella stessa sera, Greg aveva smesso di prendere gli anticoncezionali e quando il suo Estro era iniziato, oltre a goderne ogni istante come facevano sempre, un obiettivo comune era ben chiaro nella mente di entrambi.

Avere un figlio.

Ma ora che gli ormoni dell’Estro avevano allentato la presa, Greg era nuovamente assalito da quelle stesse paure e insicurezze.

-Voglio solo essere sicuro che non perderemo di vista la realtà…-commentò osservando il soffitto.

-Smettila con queste sciocchezze-ribatté prontamente Mycroft, bisognoso di confortare il proprio compagno, ma consapevole che al momento Gregory aveva bisogno di spazio.

Con un movimento veloce, Greg si girò su un fianco, voltandosi nuovamente verso Mycroft, il peso del corpo su un gomito ed una mano a sostenere la testa.

-No, ascoltami un attimo…Dobbiamo considerare anche l’altra opzione-replicò a sua volta Greg.

-Che sarebbe?-

Greg sospirò, la spensieratezza di pochi minuti prima completamente svanita dal suo volto.

-Che io sia troppo vecchio per avere altri figli-gli disse.

Mycroft si lasciò andare ad un lungo sospiro frustrato, prima di passarsi una mano sul volto.

-Oh per favore…Ecco perché non volevo ascoltarti-

-E’ la verità Myc.

E’ difficile per un Omega oltre i quarant’anni restare incinto e, anche se ci riesce, c’è un alto rischio di aborto spontaneo e di complicanze per il bambino- elencò prontamente il Capo di Scotland Yard.

-Posso ricordarti che abbiamo avuto una discussione simile prima che tu restassi incinto di Martin?-gli fece notare l’Alpha, perfettamente calmo, quasi a voler controbilanciare l’agitazione del compagno.

-Ed ora sono più vecchio di quattro anni.

Alla mia età molte Omega hanno dozzine di figli…-

-Dozzine?-disse Mycroft incapace di trattenere un sorriso divertito.

-Non prendermi in giro-lo ammonì Greg, il volto serio e la voce perentoria.

Mycorft scosse la testa e fece per muoversi nel letto per avvicinarsi a Greg cambiando idea all’ultimo istante per poi allungare una mano verso il centro del letto, il palmo rivolto verso l’alto in un gesto affettuoso e rassicurante.

-Non ti sto prendendo in giro amore mio…Capisco perfettamente le tue paure ma ho deciso di non condividerle-gli disse con voce calma.

-Perché no?-domandò l’Omega fissando la mano del compagno.

Mycroft restò in silenzio finché Greg non alzò nuovamente lo sguardo per incontrare i suoi occhi e gli rivolse un sorriso.

-Abbiamo deciso insieme di aspettare prima di avere dei figli, così come abbiamo deciso insieme di avere Martin-gli ricordò.

-Ma cosa succederà se non dovessimo avere altri figli? Resterai deluso se Martin è l’unico figlio che avremo?-gli domandò dando voce alla sua paura più grande.

Greg avrebbe potuto sopravvivere a qualsiasi cosa la vita gli avesse messo di fronte, era certo di poter vivere serenamente il resto della sua vita anche senza altri figli, ma aveva bisogno di sapere che Mycroft gli sarebbe rimasto accanto.

Per un’ Alpha avere un’Omega fertile ed incinta è sinonimo di potenza e di orgoglio.

Una dimostrazione della propria superiorità rispetto agli altri Alpha.

Molti Legami si erano infranti quando si era scoperto che l’Omega era sterile, ed era ancora molto comune, malgrado il passare degli anni, la pratica di un contratto prematrimoniale in cui la famiglia dell’Alpha richiedeva almeno un erede maschio all’Omega.

Gregory e Mycroft non avevano mai firmato un contratto prematrimoniale visto l’accordo stipulato dai loro genitori, e malgrado avessero già un erede maschio per il grande impero Holmes, l’Omega in Gregory aveva bisogno di sapere che non aveva deluso il proprio Alpha.

Leggendo chiaramente i pensieri nella mente del compagno, Mycroft prese il volto dell’uomo fra le mani con estrema delicatezza e lo avvicinò al suo.

-Come puoi pensare una cosa simile?

Martin è la seconda persona che amo di più al mondo, per cui darei la mia vita e se lui sarà il nostro unico figlio allora cercheremo di dargli il meglio.

Allo stesso modo, se saremo fortunati da avere un altro figlio e questo dovesse avere bisogno di cure o attenzioni particolari, allora noi due faremo del nostro meglio per assisterlo e aiutarlo.

Farei qualsiasi cosa per la mia famiglia- gli rispose Mycroft con voce pacata, fissandolo il compagno con occhi seri.

Greg ascoltò in silenzio le parole del suo Alpha, osservando attentamente i suoi occhi azzurri e quando finalmente Mycroft concluse il suo discorso, un enorme peso fu sollevato dalle sue spalle, permettendogli di lasciarsi andare fra le braccia del proprio compagno e di nascondere il viso nell’incavo fra la spalla ed il collo.

-Non hai idea di quanto avessi bisogno di sentirtelo dire…-mormorò.

Mycroft rafforzò la stretta attorno alle spalle di Greg e senza sciogliere l’abbraccio manovrò entrambi affinché fossero sdraiati nuovamente sul letto.

-Perché non pensiamo ad un argomento più piacevole?-gli domandò dopo qualche istante di silenzio.

Il volto di Greg riemerse dal suo nascondiglio e lo fissò con un’aria interrogativa.

-Spero che il bambino ti assomigli-disse il funzionario britannico accennando un sorriso.

Greg sorrise a sua volta e accarezzò il torace nudo dell’uomo, soffermandosi sulle lentiggini che lo ricoprivano.

-A me piacciono le tue lentiggini…Ad essere sincero sarei la persona più felice del mondo se il bambino avesse la tua carnagione ed i tuoi capelli rossi-gli confessò.

Mycroft storse leggermente la bocca.

-Così sarà costretto a passare il resto della vita a nascondersi dal sole-commentò.

Greg rise posando un bacio sulla spalla destra.

-Non è vero! Ti ho visto prendere il sole qualche volta-gli ricordò.

-Raramente vorrai dire-ribatté subito l’altro.

-Va bene…Che mi dici degli occhi?-

-Marrone cioccolato-rispose prontamente il maggiore degli Holmes.

Proprio come quelli di Gregory.

Greg scosse leggermente la testa.

-Vedi non andremo mai d’accordo, perché io penso che i tuoi occhi azzurri siano bellissimi…Inoltre Martin ha i miei occhi, sarebbe giusto che il bambino avesse i tuoi-

-Beh visto che abbiamo deciso che il bambino sarà costretto a vivere con il mio incarnato ed i miei capelli per il resto della vita, voglio avere l’ultima parola sul colore degli occhi-s‘ impuntò Mycroft.

La risata di Greg risuonò allegra nella stanza prima che l’uomo nascondesse il volto contro la spalla dell’Alpha.

-La sai che non funziona realmente così, vero?-lo punzecchiò ironico-Con la nostra fortuna ci ritroveremo a combattere per i prossimi diciotto anni con una copia di tuo fratello-

-Che idea orribile! Uno non è abbastanza?- rabbrividì l’uomo provocando nuove risate nel compagno.

Greg si sporse verso il compagno e gli posò un piccolo bacio sulle labbra per fargli tornare il sorriso.

-Vorresti una femmina o un maschio?-gli domandò sistemandosi per metà sul corpo del compagno, le gambe intrecciate a quelle di Mycroft ed i gomiti sistemati accanto alle spalle ossute dell’Alpha.

-Sono combattuto: mi piace l’idea di un altro maschio, in modo da poter creare maggiore complicità anche con Martin, ma mi intriga l’idea di una bambina-confessò Mycroft sincero.

Greg annuì.

-Anche io.

Voglio dire, amo Martin con tutto me stesso, ma certe volte guardo John ed Amy e mi rendo conto di come siano diverse le loro interazioni da quelle che io ho con nostro figlio.

Sono curioso…-ammise.

-Se avremo un figlia ci sarà un’assurda quantità di oggetti rosa in giro per casa-constatò Mycroft quasi sovrappensiero.

-Mh…E’ vero, ma siamo sopravvissuti a situazioni peggiori-gli fece notare Greg, intrecciando le mani all’altezza del costato dell’Alpha e posandovi sopra il mento in modo da poter osservare il suo volto.

-Se è una femmina mi piacerebbe chiamarla Emma-aggiunse qualche attimo dopo.

-Emma Lestrade-Holmes... Mi piace-concordò Mycroft.

-Probabilmente dovremmo chiamarla Violet visto che John e Sherlock non ci hanno pensato.

Emma Violet Lestrade-Holmes.

Proposte al maschile?-gli domandò poi.

-Se fosse un maschio mi piacerebbe chiamarlo Winston-rispose prontamente Mycroft.

Greg ridacchiò posandogli un nuovo bacio sul petto.

-Certe volte sei terribilmente inglese…-lo prese bonariamente in giro.

-Winston Alistair Lestrade- Holmes-continuò Mycroft senza dar ascolto alle provocazioni del compagno.

-Possiamo fare Alistair Winston?-propose l’Omega.

Mycroft sospirò con aria da martire.

-Eh va bene-concesse.

Greg si sollevò facendo forza sulle proprie braccia e si portò faccia a faccia con l’Alpha posando un bacio sui zigomi sporgenti.

-Emma e Winston…-disse accompagnando ogni parola con un bacio scendendo lentamente verso le labbra sottili dell’uomo.

Mycroft sorrise sotto le labbra dell’Omega prima di aumentare la stretta attorno alla vita di Gregory e, con un movimento dei fianchi, capovolse le loro posizioni portando Greg contro il materasso e sotto di sé.

Torreggiando sul compagno Mycroft abbassò il volto mordicchiando il collo ed il mento dell’uomo fino ad arrivare alle sua labbra.

-Credo sia mio dovere come Alpha fare tutto il possibile perché il nostro obiettivo venga raggiunto al primo tentativo…-mormorò premendo il bacino contro quello dell’Omega, rendendolo partecipe della propria erezione che si andava risvegliando velocemente.

Greg sorrise malizioso, intrecciando le braccia attorno alle spalle dell’Alpha.

-Un lavoro così faticoso…-commentò prima di lasciarsi scappare un gemito di piacere.

Mycroft rialzò il volto dalla gola dell’uomo e lo fissò con occhi illuminati d’amore e di passione.

-Fortunatamente per te amore mio, hai a disposizione l’unica persona adatta per questo duro lavoro…-

 

____________________________

 

John era un padre molto presente.

Molti Alpha preferivano delegare alla propria Omega il difficile compito della crescita e dello sviluppo mentale ed emotivo dei figli limitandosi soltanto ad impartire la disciplina, ma viste le circostanze avverse che si era trovato ad affrontare fin da quando i gemelli erano neonati, John aveva si era completamente occupato di ogni aspetto riguardante la vita dei propri figli.

Era stato accanto ai gemelli in ogni importante momento della loro crescita, dal momento in cui avevano stati svezzati al primo dentino, al primo passo alla prima parola, fino ad arrivare al primo giorno di scuola e alle molteplici scoperte che i gemelli compivano ogni giorno grazie al contatto con un ambiente ricco di conoscenza e all’ interazione con altri bambini della loro età.

John Watson era incredibilmente fiero dei propri figli e non perdeva occasione perché loro lo sapessero.

Era consapevole di essere considerato un’anomalia ed un esempio da imitare nella loro società, ma personalmente non era interessato alla gloria senza senso che sembrava derivare dall’aver fatto il proprio dovere di padre; tutto ciò di cui aveva bisogno era la certezza che i suoi figli fossero felici e soddisfatti  e che non avevano nulla da rimproverargli.

Quando Matthew aveva iniziato a suonare il pianoforte, John era in prima fila ad ogni concerto per la scuola a cui il ragazzo partecipava, pronto a dimostrargli il suo appoggio e a mostrare a tutti il suo orgoglio per quel bambino meraviglioso e così pieno di talento che aveva contribuito soltanto in minima parte a creare.

Così come quando Amelia si era iscritta alla scuola di calcio, leggermente più a suo agio in un ambiente sportivo, John non aveva perso nessuna partita importante, pronto sempre a dare il proprio consiglio o la propria opinione a fine partita se Amy glieli avesse chiesti.

Ecco perché in un pomeriggio piovoso di fine ottobre si trovava nella palestra del centro sociale del quartiere osservando attentamente la bambina intenta a chiacchierare con le proprie amiche prima del riscaldamento.

Quella settimana era stata più pesante del solito, in quanto si era dovuto occupare anche di Martin, permettendo così a Greg e Mycroft di godersi il proprio Estro in piena tranquillità e senza pensieri.

Fortunatamente però i bambini andavano perfettamente d’accordo e non c’erano stati litigi.

L’unico pensiero fastidioso che aveva accompagnato John per tutta la settimana era dovuto all’incredibile somiglianza caratteriale di Martin con Sherlock: molte volte, mentre erano seduti sul divano a guardare un film, il bambino si era alzato all’ improvviso affermando di essere “annoiato”, proprio come lo zio andando poi in giro per l’appartamento alla ricerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione; e forse era dovuto alla sua mente contorta, ma John era certo di aver scorto il sorriso di Sherlock sul volto del bambino.

Dal canto suo il consulente detective stava facendo del suo meglio per essere presente anche nella sua assenza.

Da quando si erano incontrati la settimana precedente per un caffè, Sherlock aveva iniziato a tempestarlo di messaggi, proprio come faceva un tempo, tenendolo al corrente di ciò che gli succedeva durante la giornata, ponendogli domande mediche e informandosi sui gemelli.

Inizialmente John aveva evitato di rispondere a quei messaggi, catalogandoli come un sintomo della noia che affliggeva da sempre il detective, ma alla fine la curiosità aveva avuto la meglio ed ora erano arrivati a scambiarsi una media di cinquanta messaggi al giorno.

Specialmente la sera, quando i bambini erano a letto.

Negli ultimi giorni però era stata Amy a dargli un motivo per contattare Sherlock, chiedendogli se le era permesso invitare il detective alla partita di calcio che si sarebbe tenuta quel mercoledì.

L’Alpha non aveva fatto promesse, ma si era impegnato a parlarne con Sherlock e quando aveva affrontato il discorso con l’Omega tutto si era aspettato tranne un immediata risposta positiva ed una promessa di essere lì.

Nonostante Sherlock avesse confermato più volte la sua presenza, John non riusciva a scrollarsi di dosso quell’incertezza che sempre accompagnava i suoi recenti rapporti con Sherlock: il loro rapporto era ancora talmente fragile, ancora ferito dalla lontananza e dagli errori del passato che l’Alpha aveva la sensazione di camminare su una corda sospesa a mezz’aria, una mano tesa verso il cornicione più vicino a lui dove ad attenderlo c’era Sherlock, incapace però di fare un passo senza prima voltarsi indietro a controllare i progressi fatti fino a quel momento.

-John!-

Una voce lo allontanò dai propri pensieri portandolo a voltarsi verso destra dove vide venirgli incontro Ellie, la madre della migliore amica di Amy.

Un sorriso amichevole apparve all’istante sul suo volto.

-Ehi! Sei stata trascinata anche tu in questa follia?-le domandò scherzosamente quando la donna gli fu accanto.

Ellie, un’Omega di trent’anni ed un Legame con un’Alpha, sorrise divertita.

John conosceva la donna fin da quando Amy e Suzie, la figlia di Ellie, avevano iniziato a frequentare la Abercrombe School, diventando in breve tempo  grandi amiche e passando sempre più tempo insieme.

Malgrado la donna fosse un’Omega Legata(John aveva incontrato David, l’Alpha di Ellie in un paio di occasioni, ma aveva capito fin dal principio che il loro rapporto non sarebbe mai potuto progredire oltre la semplice conoscenza)e lui avesse a sua volta un legame con Sherlock, fra di loro si era sviluppata un amicizia che, però, non aveva mai superato i limiti del decoro.

-Il giorno che convincerò David a prendere il mio posto e potrò restarmene a casa a guardare Jeremy Kyle sarò una donna felice- rispose lei scherzosamente.

John ridacchiò.

L’Alpha di Ellie era il classico Alpha che interveniva soltanto quando bisognava “disciplinare” i propri figli o fare il proprio dovere durante l’Estro: estremamente affettuoso con moglie e figli, ma totalmente concentrato sul suo lavoro, perdendosi così gran parte della crescita dei ragazzi e della propria vita coniugale.

-Il giorno che succederà ti offrirò il caffè più costoso che Starbucks possa offrire-la sfidò John.

Ellie rise e gli posò una mano sull’avambraccio destro.

-Ah proposito, stavo per dimenticarmene…Dobbiamo organizzare la fiera per il raccolto alla scuola delle ragazze…-iniziò la donna.

John aggrottò la fronte.

-Accidenti, è già quel periodo dell’anno? Fra poco dovremmo cominciare a pensare alle decorazioni e alla recita di Natale-commentò John sinceramente sorpreso.

Ellie annuì con un sorriso.

-Te la sentiresti di darci una mano? Abbiamo organizzato una riunione del comitato dei genitori fra dieci giorni e volevo sapere se potevo contare su di te-gli chiese, gli occhi pieni di un’inaspettata luce speranzosa.

John dischiuse le labbra per parlare, ma una figura fin troppo riconoscibile ai margini della palestra attirò la sua attenzione.

Voltando leggermente la testa verso sinistra, lo sguardo di John incontrò anche a distanza gli occhi azzurro ghiaccio di Sherlock, facendo nascere un sorriso sulle sue labbra.

Ancora una volta quell’adorabile bastardo era riuscito a sorprenderlo…

Fissando l’Omega per qualche altro istante, dimenticandosi completamente della gente intorno a sé e del luogo in cui si trovavano, John fece un passo in avanti pronto ad avvicinarsi al detective per salutarlo, prima che la buon’educazione facesse nuovamente capolino nella sua mente annebbiata dalla consapevolezza che Sherlock era lì a pochi metri da lui e gli ricordasse la presenza di Ellie accanto a sé.

-Conta su di me…Fammi sapere dove e quando e ci sarò-le promise con un sorriso prima di allontanarsi verso la zona della palestra dove si trovava Sherlock.

Il detective indossava il suo amato Belstaff nero, il colletto rialzato per proteggersi dalla pioggia, da cui si intravedevano una camicia rosa pallido e un completo di alta sartoria nero che si sposava perfettamente con la sua carnagione ed i suoi riccioli neri.

-Ciao-lo salutò una volta arrivato di fronte all’Omega.

Sherlock lo salutò con l’accenno di un sorriso, gli occhi impegnati nel suo consueto scrutinio per assimilare quante più informazioni possibili sul proprio Compagno.

-Sei venuto-disse John incapace di trattenersi.

Il detective annuì.

-Ti ho promesso che sarei venuto…Ed eccomi qui-commentò con voce calma e profonda.

John sorrise a sua volta.

-Amy sarà molto felice di vederti-gli disse sincero.

-Soltanto Amelia?-chiese curioso l’altro.

John abbassò velocemente lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe, consapevole di quello che l’Omega gli stava chiedendo, incapace di nascondere il lieve rossore che si propagò sulle sue guance in pochi attimi.

-Anche a me fa  piacere rivederti-confermò affondando per la seconda volta lo sguardo in quello dell’Omega.

Questa volta il sorriso di Sherlock fu di pura soddisfazione, anticipando il piccolo passo in avanti che l’uomo fece per avvicinarsi a John e sistemarsi al suo fianco.

-Bene. Anche io sono felice di essere qui.

Così posso tenere d’occhio la situazione…-commentò muovendo velocemente lo sguardo attorno alla palestra e soffermandosi su vari gruppi di persone.

John aggrottò la fronte e alzò la testa lo stretto indispensabile per riportare lo sguardo sul volto di Sherlock.

-Quale situazione?-gli domandò.

-Quell’Omega con cui stavi parlando non riusciva a toglierti occhi e mani di dosso…-gli spiegò il detective individuando Ellie fra la folla ed osservandola attentamente come soltanto lui era capace.

-Ma chi Ellie? No, è la mamma di Suzie, la migliore amica di Amy.

Ok è un’ Omega ma ha un Legame con un’Alpha e…-gli spiegò John scuotendo la testa.

-E quest’Alpha è spesso assente o poco presente a causa del suo lavoro e della sua segretaria Beta su cui ha delle strane fantasie, quindi non mi sorprende che quest’Omega abbia a sua volta delle mire su di te.

Un’Alpha così affascinante, premuroso ed affettuoso con i propri figli…-replicò altrettanto velocemente Sherlock, chiaramente soddisfatto dall’analisi compiuta su Ellie.

Sicuramente aver  trovato una debolezza o qualche segreto imbarazzante che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio in un eventuale “difesa” del proprio territorio.

Dal canto suo John era sinceramente scettico: era possibile che tutte le attenzioni che fino a quel momento aveva catalogato come gesti di amicizia erano invece dei puri e semplici atti di corteggiamento, per quanto velati o sottintesi?

E perché dopo tanti anni e milioni di deduzioni restava ancora affascinato dal lavoro veloce di quella fantastica mente?

-Sul serio?-si ritrovò a chiedere quasi senza rendersene conto.

Sherlock tornò ad incontrare il suo sguardo e gli sorrise.

-Questa è una delle cose che ho sempre amato di te: non hai mai capito quanto sei affascinante.

Mi è stato sicuramente d’aiuto perché se ti fossi davvero reso pienamente conto del tuo potenziale, probabilmente a quest’ora non saremo qui…

Ti inviterà a prendere un caffè nei prossimi giorni, magari in un posto dove non siete soliti andare, probabilmente inventandosi una scusa banale o facendo appello all’amicizia delle bambine, in modo che possiate stare soli e lei possa farti qualche avance più spinta senza essere scoperta- concluse il detective ritornando sull’argomento principale.

John evitò accuratamente di dirgli che aveva ricevuto già una simile proposta, e che quella che fino a pochi minuti prima era una buona occasione per rendersi utile e fare la propria parte per la scuola dei ragazzi, ora sembrava un appuntamento al buio organizzato da amici fin troppo solerti.

-Credi che dovrei andare da lei e presentarmi?-gli chiese Sherlock interrompendo i suoi pensieri.

John alzò le spalle.

-Cosa vorresti dirle?-gli domandò a sua volta.

-La verità naturalmente.

Che sono il tuo Omega tornato a casa dopo un lungo periodo di lontananza dovuta al lavoro…O qualcosa del genere.

Se legge anche il segmento della cronaca oltre a quello dei gossip, probabilmente avrà letto il mio nome sui giornali nelle settimane passate-commentò, lasciando che una punta di acidità trasparisse nella sua voce.

John ridacchiò divertito.

-Non vedo l’ora di vedere la sua faccia…

L’attimo dopo tutti i presenti nella palestra sapranno chi sei ed il tuo nome-

Sherlock si voltò leggermente verso l’Alpha, per un’istante completamente dimentico del resto della folla attorno a loro.

-Ti da fastidio?-gli domandò preoccupato.

Il biondo scosse la testa.

-No, certo che no.

D’altronde è la verità: tu sei il mio Omega, ma non completamente…Almeno per il momento-rispose sincero.

Sherlock gli scoccò un ghigno malizioso.

-Dammi solo un po’ di tempo…-commentò abbassando la propria voce di un’ottava, rendendola così roca ed estremamente seducente.

Il rossore che John era riuscito a nascondere solo pochi attimi prima tornò ad impossessarsi delle sue guance, scendendo poi sul collo, costringendolo ad allontanare lo sguardo da quello azzurro ghiaccio dell’altro e a cercare con lo sguardo Amelia nel gruppo di giocatori impegnati nel riscaldamento.

Nessuno lo conosceva come Sherlock: l’Omega era al corrente di tutti i suoi punti di forza e delle sue debolezze, e volendo sarebbe stato capace di distruggerlo o renderlo la persona più felice del pianeta soltanto con un piccolo gesto.

-Dov’è Matthew?-domandò il detective ritornando su un argomento più sicuro.

-E’ andato alla caffetteria con Martin per prendere degli snack-

-Chi?-chiese Sherlock aggrottando la fronte.

John alzò gli occhi al cielo.

-Tuo nipote! Il figlio di Mycroft e Greg-lo informò.

Possibile che Sherlock non conoscesse neanche il nome del proprio nipote? Era consapevole che Martin era nato durante il periodo di “non morte” di Sherlock, impedendogli di conoscerlo o incontrarlo di persona, ma addirittura non sapere il suo nome?

-Perché è con te?-chiese ancora il moro.

Un sorriso divertito incurvò le labbra di John.

-Capisco che è passato molto tempo dall’ultima volta, ma hai davvero cancellato anche la biologia primaria?-lo prese in giro l’attimo dopo.

Il dottore vide chiaramente quando il significato delle sue parole attecchì nella mente di Sherlock, provocando una reazione scioccata sul volto dell’uomo e facendogli scuotere la testa più volte quasi volesse far uscire l’immagine attraverso le orecchie.

-Oh John…Non avevo davvero bisogno di saperlo!

 John rise e si portò più vicino all’altro.

-Greg mi ha chiamato e mi ha detto che presto sarà qui per prendere Martin perciò cerca di essere gentile-si raccomandò.

Un’espressione fintamente innocente apparve sul volto di Sherlock.

-Non so davvero di cosa parli io sono sempre gentile-ribatté l’Omega.

John ridacchiò sinceramente divertito, lasciando poi cadere il silenzio fra di loro per qualche istante, non sapendo bene come affrontare il nuovo argomento di conversazione.

Doveva fare un piccolo preambolo oppure essere diretto?

Probabilmente conoscendo Sherlock, l’uomo sapeva già cosa gli girava per la testa quindi la soluzione migliore era essere il più diretti possibile ed arrivare al punto.

-Matty mi ha detto del vostro “fortunato” incontro-gli disse lo sguardo sempre fisso dinanzi a sé.

-Mh…Non credo che Matthew la pensi allo stesso modo-commentò distrattamente Sherlock.

Per il detective era stato uno degli incontri più importanti della sua vita.

Fino ad una settimana prima, l’unica immagine che aveva di Matthew(escluse ovviamente quelle rubate dai suoi appostamenti fuori la porta di Baker Street)  era quella di un neonato di pochi mesi il cui unico desiderio era mangiare e dormire.

Non molto interessante ad essere onesti.

Ora invece c’era questo fantastico ragazzo in età pre-adolescenziale, con le proprie passioni, le proprie opinioni pronto ad essere plasmato grazie un gesto da parte sua o di John.

Completamente diverso da Amelia e, in un modo sconcertante, splendido alla stessa maniera.

-No, non direi-convenne John riportando lo sguardo sull’Omega- Non mi ha raccontato molto, ha soltanto detto che vi siete incontrati all’obitorio del Bart’s e che gli hai dato una mano con il suo progetto di Scienze-riassunse brevemente il biondo.

-Era davvero un ottimo progetto-commentò Sherlock ancora adesso, a distanza di una settimana, sinceramente colpito che un bambino di nove anni avesse il permesso di fare esperimenti così avanzati per la sua età.

John restò in silenzio per qualche istante, annuendo lentamente.

-Che ne pensi?-gli domandò poi.

L’Alpha sapeva di aver fatto del suo meglio per occuparsi dei gemelli, pensando principalmente ai propri figli e ai loro bisogni prima che a sé stesso, ma non poteva negare che era leggermente in ansia per il giudizio di Sherlock: in fondo lui era il suo Omega, l’unico che avrebbe avuto il diritto di esprimere un parere negativo e se Sherlock avesse trovato da ridire sull’educazione dei gemelli, John avrebbe potuto soltanto ascoltare in silenzio ed accettare le critiche.

Il moro si voltò verso di lui, la fronte corrugata in un’espressione confusa, pronto a ribattere che aveva già espresso la propria opinione sul progetto, prima di capire il vero senso della domanda.

-Oh…Stai parlando di Matthew.

Beh posso dirti che è molto passionale, ha molte opinioni e sicuramente non ha paura di esprimerle, e a mio giudizio è semplicemente fantastico-riassunse brevemente.

Un’espressione incredula trasfigurò il volto di John a quelle parole, lasciandolo incapace di parlare per qualche istante.

-Sul…Sul serio?-gli domandò dopo aver inghiottito il nodo che gli stringeva la gola.

Il moro annuì.

-Il modo in cui mi ha affrontato e mi ha chiesto di stare lontano dalla vostra famiglia, senza alcuna paura e con la piena sicurezza delle sue azioni, sinceramente convinto delle sue idee…Semplicemente fantastico.

Da grande sarà un meraviglioso Alpha-commentò pienamente convinto.

-Sherlock…-lo riprese John, il cuore che batteva più velocemente per le parole che l’altro aveva appena detto sul loro bambino.

-Lo so, lo so…Credimi ho imparato fin troppo bene la lezione.

Quello che voglio dire è che mi riconosco in Matthew: anche io avrei fatto la stessa cosa se qualcuno fosse comparso all’improvviso, sconvolgendo gli equilibri famigliari e minacciando la mia famiglia-continuò il moro.

John incontrò i suoi occhi azzurro ghiaccio e per un’istante fu tentato di allungare una mano e accarezzare quella di Sherlock più vicina a sé.

-Se non ricordo male lo hai fatto…-gli disse invece.

Sherlock annuì lentamente.

-Sono entrambi meravigliosi John.

Hai fatto un ottimo lavoro con loro…-

-Sherlock!-

La voce squillante e decisamente infantile di Amelia interruppe la loro conversazione portando entrambi gli adulti a voltarsi verso di lei.

Un istantaneo sorriso apparve sul volto di Sherlock prima che l’uomo si piegasse sulle ginocchia per essere all’altezza della bambina.

-Ciao Amelia-la salutò.

-Sei venuto!-esclamò ancora Amy, incapace di nascondere la propria gioia nel vederlo lì.

-Una promessa è una promessa-commentò il moro.

-Mi guarderai giocare?-gli domandò ancora la bambina eccitata.

Sherlock annuì.

-Assolutamente. Sarò il tuo primo fan!-la rassicurò Sherlock.

Amy sorrise prima di lanciare un veloce sguardo a John, quasi si fosse resa conto solo in quel momento della sua presenza.

-Fico! Di solito i portieri non hanno fans…-disse poi riportando la propria totale concentrazione su Sherlock.

Il moro alzò le spalle.

-Allora devi essere un portiere davvero in gamba Amelia Watson…-si limitò a commentare il detective.

L’istante dopo la bambina corrugò la fronte, abbandonando il sorriso che fino a quel momento le aveva illuminato il volto.

-Ma hai detto di non saperne molto di calcio…-gli fece notare lei.

Sherlock annuì.

-Vero.

Ma sapendo che sarei venuto qui ho fatto una veloce ricerca sulle regole del football e ho visto varie partite per prepararmi a quest’incontro-la rassicurò l’uomo.

Il sorriso tornò ad illuminare il volto della bambina prima che una voce alle sue spalle attirasse la sua attenzione per un’istante.

-Devo riprendere il riscaldamento-gli disse facendo un passo verso il campo prima di fermarsi e cercare lo sguardo di Sherlock.

-Posso dire ai miei amici che sei qui?-gli domandò timorosa.

Non sapendo bene come rispondere, Sherlock si voltò a sua volta verso John che si limitò ad alzare le spalle: prima o poi la verità sarebbe venuta fuori, quindi perché non lasciare che fosse Amy ad annunciare a tutti il ritorno dell’Omega?

-Non vedo perché no-rispose Sherlock voltandosi nuovamente verso Amelia.

La bambina si lasciò andare ad un gesto di eccitazione, concedendosi un piccolo salto, facendo sorridere i due adulti.

-Grande! Non vedo l’ora di dirlo alla mia amica Suzie-commentò.

Anche senza voltarsi Sherlock sentì chiaramente la battaglia che John compì su sé stesso per non scoppiare a ridere in fronte alla loro bambina a quelle parole.

L’attimo dopo però il volto di Amy tornò ad annuvolarsi.

-Che cosa c’è?-le domandò il moro pronto ad intervenire.

-Se i miei amici non mi credono posso portarli da te e presentarteli?-gli domandò improvvisamente timida.

Sherlock decise in quell’istante che non amava vedere la propria figlia in quell’atteggiamento così timoroso e titubante: i Watson erano pieni di coraggio e sprezzanti del pericolo, capaci di sopravvivere alle peggiori avversità e Sherlock promise a sé stesso che avrebbe fatto di tutto perché Amelia fosse sempre sicura di sé e delle proprie capacità.

-Certo che puoi-la rassicurò.

Amelia gli scoccò un sorriso raggiante e corse nuovamente verso il gruppo di bambini al centro del campo.

L’Omega si voltò leggermente verso John ed i loro sguardi si incontrarono per un lungo istante silenzioso, entrambi consapevoli della tensione elettrica che si era creata fra di loro prima che John alzasse una mano per accarezzare distrattamente la base del proprio collo.

-Sarà meglio che vada a controllare che Matty e Martin non stiano combinando qualche guaio-

Sherlock annuì.

-A dopo-lo salutò John avviandosi verso l’uscita della palestra.

Sherlock seguì con uno sguardo pieno di bramosia la schiena perfettamente eretta di John che si allontanava con passi moderati, consapevole che sarebbe bastato un gesto, un piccolissimo cenno da parte dell’Alpha per farlo correre al suo fianco e Presentargli il collo privo da troppo tempo di marchi in modo che John potesse riaffermare il suo possesso su di lui.

Il detective prese un respiro profondo e cercò di controllare i propri istinti, ripetendo a sé stesso che per ora la vicinanza era tutto ciò che poteva sperare, che era fortunato e che presto le cose sarebbero migliorate.

O almeno così sperava.

 

__________________________________

 

Matthew non era una persona sportiva.

Faceva i propri esercizi di ginnastica durante l’ora obbligatoria a scuola, ma fin dalla più tenera età aveva sempre preferito la propria mente al suo corpo.

Non riusciva davvero a capire cosa Amy ci trovasse di interessante o divertente nell’ osservare per novanta minuti un gruppo di ragazzini scatenati che avevano come unico obiettivo infilare una palla in una porta rettangolare di tela bianca che lei doveva difendere.

Davvero assurdo.

Ciò che gli riusciva ancora più difficile da capire era l’oscura motivazione perché suo padre lo “costringeva” ad assistere alle partire della sorella: non poteva restare a casa con Mrs. Hudson e dedicarsi al proprio pianoforte? O ai propri studi? O meglio ancora ai propri esperimenti?

Che senso aveva perdere tempo prezioso con questi assurdi passatempi?

Come se non bastasse, a rovinare ancora di più il suo umore c’era la presenza dell’Omega.

Matthew aveva ascoltato distrattamente la conversazione fra suo padre ed Amy, in cui la sorella gli aveva chiesto di invitare l’Omega alla prossima partita, ma aveva sinceramente sperato che suo padre si dimenticasse di girare l’invito, o meglio ancora che l’Omega decidesse di non presentarsi.

Ma a quanto pare, quella non era la sua giornata fortunata.

Matthew doveva ammettere che senza i consigli dell’uomo forse la sua ricerca non avrebbe ottenuto l’ A+( voto più alto di tutta la classe), ma soltanto una semplice A, ma questo non gli permetteva assolutamente di insinuarsi nella sua famiglia come stava facendo.

Osservando suo padre e l’Omega, ai due lati opposti della palestra, il bambino considerò per l’ennesima volta che i due uomini erano troppo diversi, nell’aspetto, nel comportamento, anche negli atteggiamenti.

Lo si vedeva chiaramente dal modo in cui suo padre osservava la partita incapace di restare fermo, completamente immerso nel gioco, pronto a controbattere le decisioni dell’arbitro se le riteneva sbagliate, mentre l’Omega restava in un angolo poco distante dalla porta di Amy, osservando immobile e in silenzio, quasi un tutt’uno con le pareti di linoleum della palestra.

Cosa accidenti aveva spinto due persone così agli estremi a Legarsi per la vita?

Durante l’intervallo le squadre si rifugiarono nello spogliatoio e Matty fece per avvicinarsi a suo padre, indeciso se chiedergli o meno se poteva tornare a casa con lo zio Greg, quando questi avesse deciso di andarsene, ma qualcosa di insolito attirò la sua attenzione.

Solitamente, durante l’intervallo, suo padre ne approfittava per prendersi un caffè e scambiare quattro chiacchiere con gli altri genitori, ma in quel momento era immobile, tutti i muscoli in tensione, lo sguardo fisso verso la parte della palestra dove si trovava l’Omega.

 Seguendo lo sguardo di suo padre, Matty cercò l’Omega e lo trovò immerso nel proprio cellulare, del tutto inconsapevole degli Alpha( due uomini ed una donna) che gli gironzolavano attorno, cercando chiaramente di capire se fosse Legato o meno a qualcuno, pronti a fare le proprie avances per mostrarsi più valorosi degli altri pretendenti.

Matty tornò a guardare suo padre e lo vide aprire e chiudere più volte il pugno destro, abbandonato lungo il fianco, un espressione rabbiosa sul volto, il labbro superiore ritratto a mostrare i denti e si chiese cosa avrebbe potuto fare per aiutarlo: doveva avvicinarsi? Doveva interrompere il gioco di sguardi e distrarlo permettendogli così a rilassarsi?

Prima che potesse intervenire però, suo padre si voltò e uscì a passi veloci dalla palestra.

Confuso e allo stesso tempo curioso di osservare i successivi sviluppi, Matty tornò a fissare l’Omega: l’uomo aveva sollevato lo sguardo dal proprio telefono e aveva cercato con lo sguardo suo padre, un’espressione a Matty sconosciuta sul volto.

Cosa stava pensando? Era offeso che l’attenzione di suo padre non fosse più concentrata su di lui? Beh certamente poteva rifarsi con quella dei tre Alpha che continuavano a girargli intorno, pensò malignamente.

L’Omega si guardò intorno e fu come se soltanto allora si rendesse conto della presenza degli altri Alpha attorno a sé: anche a quella distanza Matty riuscì chiaramente a vedere la sua espressione seccata, prima che l’uomo riponesse il cellulare nella tasca del cappotto e si avviasse a sua volta verso l’uscita, sparendo pochi istanti dopo oltre la porta aperta.

Matthew restò immobile, indeciso sul da farsi prima di muoversi velocemente a sua volta verso l’uscita della palestra.

A causa della sua frustrazione, suo padre emanava più feromoni del solito, lasciando una chiara scia del proprio profumo, quindi per il ragazzo non fu difficile seguire le sue tracce fino al piccolo sentiero che conduceva al parcheggio, fermandosi allo spogliatoio del personale del centro sociale.

Delle voci giunsero fino a lui, costringendolo ad appiattirsi contro il muro per non essere visto e, soltanto quando il suo respiro fu tornato normale, Matty si sporse leggermente la testa oltre il muro: suo padre era a pochi metri di distanza da lui, accovacciato sulle ginocchia, la schiena contro il muro ancora leggermente umido di pioggia, una mano fra i capelli.

L’Omega era a sua volta piegato sulle ginocchia, per poter essere al livello di suo padre e lo osservava in silenzio.

-John…-disse l’Omega con voce ferma e profonda.

A quelle parole Matty, trattenne il respiro per non essere scoperto.

-John guardami…. Sono io, sono qui! Parlami!-continuò l’uomo dai capelli neri con lo stesso tono di voce di poco prima.

Matty osservò attentamente suo padre, notando per la prima volta il movimento veloce delle sue labbra da cui non usciva nessun suono, gli occhi chiusi e le dita che stringevano le ciocche bionde dei suoi capelli con forza.

Cosa stava succedendo a suo padre? Non lo aveva mai visto così prima d’ora…Doveva correre a chiedere aiuto?

Ma se lo avesse fatto allora avrebbe dovuto ammettere che si trovava lì e che stava spiando suo padre e l’Omega.

Perso nei propri pensieri, Matthew non si rese conto immediatamente dell’istante in cui suo padre riaprì gli occhi, puntandoli sull’Omega, interrompendo il movimento frenetico delle proprie labbra, ma riportò la propria attenzione sui due uomini quando sentì la voce di suo padre.

-Sherlock…-mormorò l’Alpha in tono spezzato.

Un sorriso rassicurante apparve sul volto del moro, prima che le sue dita lunghe e pallide affondassero nelle ciocche bionde dell’Alpha, accarezzandole con estrema dolcezza.

-Eccoti qui…Ti avevo perso per qualche istante…-gli disse cercando di mantenere un tono ironico.

Ciò che accadde l’attimo dopo scioccò Matthew completamente: suo padre osservò per un’istante l’Omega dinanzi a sé poi, con uno scatto improvviso, gli gettò le braccia attorno alla vita nascondendo il volto nel torace dell’uomo.

Per un brevissimo istante sembrò che i due uomini dovessero cadere a terra per lo spostamento d’equilibrio, ma l’Omega riuscì a sostenere entrambi, allacciando le proprie braccia lunghe attorno alle spalle di suo padre e riportandoli in posizione eretta.

-Troppi Alpha?-gli sentì chiedere Matthew, osservandolo mentre affondava una mano fra i corti capelli dell’Alpha e iniziava ad accarezzarli lentamente.

Suo padre restò in silenzio qualche secondo, strofinando più volte il viso contro il torace dell’uomo.

Perché si comportava così? Matty non aveva mai visto suo padre così vulnerabile! Che accidenti gli aveva fatto l’Omega per ridurlo in quello stato?

-Il tuo odore…-rispose finalmente John- E’ talmente forte che riuscivo a sentirlo anche se eri dall’altra parte della palestra e tutto quello che riuscivo a pensare era che dovevo proteggerti, dovevo far sapere a tutti che…-confessò.

-Cosa?-chiese l’Omega con la stessa voce calma e profonda con cui aveva parlato finora, senza smettere di accarezzare i capelli biondi dell’Alpha.

Finalmente suo padre rialzò la testa, ritrovandosi faccia a faccia con l’Omega, senza però fare il minimo accenno a sciogliere il loro abbraccio.

-Non c’è più alcuna traccia del mio odore su di te-gli disse con voce quasi addolorata.

-Questo non cambia la realtà delle cose John…Sono ancora Tuo.

Soltanto Tuo-lo rassicurò il moro posando la fronte contro quella dell’Alpha.

Matthew vide suo padre deglutire e chiudere gli occhi, chiaramente rassicurato a quelle parole, le dita serrate contro i risvolti del cappotto dell’Omega.

-Non c’è più alcuna traccia del mio odore su di te…-ripeté, una nota sconsolata nella voce.

Matty prese un respiro profondo e osservò attentamente i due uomini: fin da che aveva memoria, suo padre era stato la sua roccia, il porto sicuro contro tutte le tempeste, pronto a rassicurarlo con un piccolo gesto o un sorriso.

Ed ora era lì, tremante ed insicuro nelle braccia di un uomo che più volte si era dimostrato indegno del suo amore e della sua devozione.

Cosa scattava nella mente di un uomo per ridurlo in quello stato?

Era davvero questo l’amore?

Continuando a seguire l’interazione fra i due uomini, Matty vide l’Omega sollevare il volto di suo padre con entrambe le mani e sorridergli.

-Allora dobbiamo rimediare-gli sentì dire.

L’istante dopo, una mano pallida dalle dita affusolate si insinuò nelle pieghe del cappotto fino alla camicia e slacciò i primi due bottoni lasciando scoperto il collo.

-C- Cosa?-domandò suo padre prima di lanciare uno sguardo veloce al collo lungo e altrettanto pallido e deglutire nervosamente.

-Mostra a tutti che sono Tuo, che sono Legato, e che ho il migliore Alpha che potessi mai desiderare-gli disse l’Omega.

-Sherlock…E’ passato troppo tempo…-rispose suo padre.

Perché non rifiuta? Perché non si scioglie da quell’assurdo abbraccio e torna in palestra?

Perché accidenti è ancora qui?

-Mordimi. Annusami. Ricoprimi con il tuo odore-continuò l’Omega imperterrito-So che riuscirai a controllarti-lo rassicurò poi.

-Davvero?-gli chiese ancora incerto suo padre.

-Assolutamente certo-

-Come fai ad esserne così sicuro?-sentì chiedere ancora a suo padre, una nota più sicura nella voce.

-Quando è stata l’ultima volta che hai perso il controllo?-gli domandò a sua volta l’Omega.

Matty osservò il lungo sguardo che i due uomini si scambiarono, assolutamente convinto che suo padre si sarebbe tirato indietro da un momento all’altro, rifiutando l’offerta e ritornando nella palestra, ma sorprendendolo ancora una volta, l’Alpha compì un movimento veloce, cambiando le loro posizioni e portando l’Omega con le spalle al muro per poi avvicinare il viso e strofinare la punta del naso contro il collo e la guancia del moro.

Aveva iniziato il processo di “scenting”! Era incredibile che si fosse lasciato convincere da quell’orribile Omega!

Continuando a fissare la coppia, Matty vide il volto di suo padre scendere nuovamente verso il collo lungo del moro, strofinarvi contro la punta del naso più volte, respirando profondamente l’odore dell’Omega prima di affondare i denti nella pelle priva di segni dell’altro.

Sotto le attenzioni di suo padre l’Omega si sciolse completamente, avvolgendo le braccia attorno alla vita dell’Alpha e reclinando la testa all’indietro contro il muro leggermente umido, gli occhi socchiusi.

-Mi sei mancato così tanto…-disse suo padre interrompendo il silenzio teso- Sono ancora incazzato nero con te… anche se so che non dovrei-aggiunse poi.

Un gemito sommesso scappò dalle labbra dischiuse del moro prima che questi rialzasse leggermente la testa, riportando lo sguardo ancora offuscato sulla testa bionda di suo padre e deglutisse.

-Lo so. Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con me…-gli sentì dire.

Almeno riconosce le sue colpe, pensò Matty.

-Se penso che ho rischiato di perderti per colpa di quello psicopatico-commentò l’Alpha, muovendosi verso il lato sinistro del collo dell’Omega mostrando i vari segni che la sua bocca aveva lasciato sulla pelle candida.

-John…-

A sentire il suo nome, suo padre rialzò la testa ad incontrare lo sguardo dell’Omega, un’ espressione seria sul volto.

-Non ero lì Sherlock! Tu avevi bisogno di me ed io non c’ero.

Sono il peggior Alpha che ti…-

Le mani del moro scattarono all’istante per posarsi su entrambe le guance di suo padre mentre un’espressione determinata cancellava l’aria beata che fino a quel momento era presente sul viso dell’Omega.

-No! Tu sei il miglior Alpha che potessi mai avere.

Mi hai messo davanti ad una scelta ed hai rispettato la mia decisione, prendendoti cura dei nostri figli per tutti questi anni in maniera esemplare.

Un altro Alpha mi avrebbe costretto a restare malgrado fosse consapevole che sarei stato miserabile per il resto della mia vita-gli disse di nuovo con voce seria e profonda.

Matty osservò suo padre riflettere su quelle parole, prima di tornare a posare la fronte sulla spalla dell’uomo rilassandosi nel suo abbraccio.

-Ti dirò tutto quello che vuoi sapere…Tutto quello che ho fatto in questi 8 anni e non tralascerò nessun dettaglio-disse il moro.

-Me lo prometti?-

Davvero suo padre era interessato a sapere cosa era successo all’Omega in quegli anni? Perché voleva saperlo quando era evidente che l’uomo aveva preferito andare in giro per il mondo piuttosto che restare con la propria famiglia?

Ancora una volta gli sguardi dei due uomini tornarono ad incontrarsi e Matty vide il breve cenno d’assenso che l’Omega rivolse a suo padre.

-Vieni al mio appartamento domani e ti racconterò tutto-gli promise Sherlock.

Quando Matthew vide suo padre annuire prima di tornare a strofinare la guancia contro quella dell’uomo, si sentì inspiegabilmente tradito.

Il bambino aveva accettato di non poter contare su Amy in questa strana battaglia in quanto la sorella sembrava inspiegabilmente affascinata dall’Omega, ma aveva creduto fermamente di avere un alleato in suo padre; del resto l’Alpha sapeva cosa poteva aspettarsi e di cosa era capace l’Omega e avrebbe sicuramente fatto di tutto per evitare ogni contatto non necessario con l’uomo.

-Non sai quanto vorrei baciarti in questo momento…-la voce di suo padre lo riportò al presente.

Un sorriso divertito apparve sul volto dell’Omega.

-Che cosa te lo impedisce?-gli chiese.

-Me stesso. Se inizio a baciarti non riuscirò più a fermarmi…E’ passato troppo tempo-gli confessò.

L’Omega si lasciò andare ad una breve risata profonda che riuscì a strappare un sorriso anche a suo padre.

-Allora sarà meglio tornare dentro.

Voglio mostrare a tutti i miei nuovi segni prima dell’inizio della partita-commentò il moro in tono serio.

Questa volta toccò a suo padre scoppiare in una risata piena e divertita che provocò un’ennesima fitta di gelosia nel bambino.

L’Omega aspettò che l’eco della risata si fosse completamente spento prima di sciogliere il loro abbraccio e di chinare la testa in modo da poter posare un piccolo bacio sulla guancia destra di suo padre.

-Non hai idea di quanto mi sia mancata la tua risata…-gli disse in un sussurro.

Incapace di osservare quello spettacolo per un altro minuto, Matty voltò le spalle alla coppia e si avviò velocemente alla palestra.

Era scioccato e ferito da ciò che aveva visto ed era stato uno spettacolo talmente inaspettato da fargli mettere in discussione le tue certezze: cosa sarebbe successo ora?

Era possibile che suo padre riallacciasse i rapporti con l’Omega?

Doveva temere che l’uomo si schierasse, come aveva già fatto Amy, con quell’orribile Omega?

E in quel caso lui cosa avrebbe fatto?

Avrebbe permesso che accadesse oppure avrebbe cercato di impedirlo?

 

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Se in passato John Watson si era trovato a dover fare i conti con un’Omega incredibilmente anticonvenzionale di un metro e novanta, capace di spendere giornate intere sdraiato sul divano in contemplazione del soffitto ed immerso nei propri pensieri, pronto a sparare al muro del soggiorno al primo accenno di noia, ora doveva fare i conti con la versione in miniatura.

Un metro e dieci dai capelli neri che, contrariamente al proprio padre, preferiva sfogare la propria rabbia sui tasti bianchi e neri del pianoforte.

John aveva capito all’istante che Matty era di pessimo umore, fin da quando era terminata la partita di calcio di Amy, ma aveva sinceramente sperato che il ritorno a casa avrebbe mitigato l’umore nero del bambino.

Quella partita era stata davvero particolare: l’arrivo inaspettato di Sherlock, la scoperta, grazie alle brillanti deduzioni del detective, che Ellie era attratta da lui, e soprattutto quello che era successo durante l’intervallo con Sherlock.

Anche adesso, a qualche ora di distanza e con la mente più serena, John non sapeva trovare una risposta alla sensazione che lo aveva colpito pochi istanti prima di scappare fuori dalla palestra; ricordava benissimo di come si fosse sentito mancare l’aria, di come riuscisse chiaramente a distinguere l’odore di Sherlock nel miasma di odori presenti nella palestra affollata e poi ricordava l’inaspettato senso di possesso che lo aveva colpito neanche un pugno allo stomaco quando aveva notato le attenzioni dei tre Alpha attorno a Sherlock.

Era stato sul punto di fare una scenata, ritrovando solo all’ultimo momento il controllo sui propri istinti prima di uscire velocemente dalla palestra.

L’arrivo di Sherlock in quel vialetto seminascosto era stata una sorpresa ed una benedizione: John ora si rendeva perfettamente conto di essere quasi caduto in una “frenesia” dovuta alla sovra stimolazione e senza l’aiuto dell’Omega non aveva la minima idea di cosa sarebbe potuto succedere.

Sherlock invece gli aveva parlato con tranquillità, facendogli riprendere il controllo di sé stesso e lo aveva aiutato a capire quello di cui aveva bisogno.

Certo, ora che la parte razionale del suo cervello era di nuovo perfettamente funzionante, John era decisamente imbarazzato per i segni che aveva lasciato in bella mostra sul collo perfetto di Sherlock, ma in quel momento la parte animale di sé aveva il controllo e tutto quello a cui pensava era lasciare il maggior numero segni possibili del suo possesso sull’uomo.

I due uomini si erano separati poco dopo la fine della partita, giusto il tempo necessario perché Amy salutasse Sherlock e gli strappasse una nuova promessa di rivedersi.

Matthew dal canto suo aveva evitato l’Omega, restando tutto il tempo con Greg e Martin, finché non era venuto il momento di avviarsi verso casa ed anche durante il breve viaggio in taxi era stato incredibilmente silenzioso, proiettando nell’abitacolo il proprio malumore.

Una volta giunti nell’appartamento di Baker Street, Amy era corsa nella propria camera per prepararsi per la notte e Matty si era seduto al pianoforte, sollevando l’alzatina che copriva i tasti bianchi e neri dello strumento.

Pochi istanti e nel salotto erano risuonate le note di una sonata di Beethoven.

Nonostante fossero passati anni da quando Sherlock aveva cercato di farlo avvicinare ed appassionare alla musica classica, John era ancora ben lontano dall’essere un esperto; aveva delle sonate e dei compositori che conosceva meglio di altri, ma sicuramente non sarebbe stato capace di riconoscerli alla prima nota.

Con Matthew però, era più semplice: la sua musica e la scelta dei compositori era legata all’umore del ragazzo nel momento in cui si sedeva di fronte al pianoforte.

Se era allegro allora avrebbe suonato Gershwin o si sarebbe avventurato in un genere più insolito come le colonne sonore e se invece era malinconico la sua prima scelta era sempre Chopin ed i suoi “Notturni”.

Ma quando era arrabbiato, come in quel caso, c’era un solo autore che lo avrebbe potuto aiutare a sfogare la propria rabbia e frustrazione: Beethoven.

Forse era il compositore che John riconosceva più facilmente negli ultimi anni.

Quando le note potenti e veloci iniziarono a diffondersi per la stanza, John lanciò uno sguardo preoccupato al bambino prima di ritirarsi in cucina per accendere il bollitore.

Per i quaranta minuti seguenti non ci fu nessun’ interruzione, una sonata era seguita all’istante dall’altra, impedendo così all’adulto di intromettersi e di chiedere al bambino cosa lo avesse reso così furioso, ma negli ultimi dieci minuti la musica era diventata più forte del solito, portando John a preoccuparsi che il suono della musica potesse infastidire Mrs. Hudson.

-Matty…-richiamò il proprio figlio, sperando che questo capisse il motivo del suo richiamo e diminuisse il volume.

Al contrario, Matty prese a pigiare sui tasti con ulteriore veemenza aumentando così di quasi un’ottava il volume già eccessivo.

-MATTHEW!-esclamò John, costretto ad alzare la voce per farsi sentire sopra il volume dello strumento.

La musica s’interruppe all’improvviso, riportandogli alla mente le tante volte in cui Sherlock sollevava l’archetto dal proprio violino a metà di una sonata prima di voltarsi ed incontrare il suo sguardo.

Anche Matty si voltò leggermente sullo sgabello, permettendogli così di vedere il suo volto e quando John incontrò i suoi occhi di ghiaccio si sorprese della rabbia che vi lesse dentro.

Che accidenti era successo in quelle poche ore per far infuriare a tal punto il ragazzo?

-COSA C’è? Che vuoi?-gli domandò Matty con voce seccata e scortese.

-Potresti abbassare il volume, per favore?-gli domandò John, evitando di rimarcare il tono del bambino, convinto che fosse dovuto alla concentrazione persa.

-In caso non lo avessi notato non c’è un bottone che posso spingere per abbassare o alzare il volume-ribatté acido il bambino.

-Bada a come parli Matthew-lo rimproverò John.

Matty chiuse con impazienza l’alzatina che ricopriva i tasti e schizzò in piedi, aggirando il pianoforte per trovarsi di fronte a John, gli occhi ancora pieni di rabbia.

-Verrà a vivere con noi adesso?-gli domandò a denti stretti.

John aggrottò leggermente la fronte.

-Chi?-non poté evitare di chiedergli.

-Lo sai benissimo chi! Quell’Omega-rispose sprezzante il bambino.

John si passò la punta della lingua sul labbro inferiore e annuì lentamente, dandosi dello stupido per non aver capito prima cosa avesse provocato la rabbia di suo figlio.

-Matty lo so che per te è difficile, ma Sherlock è sempre tuo padre…-iniziò con cautela.

-LUI NON è MIO PADRE!!-gridò il bambino scandendo con chiarezza ogni parola e dando voce a tutta la rabbia che lo animava.

Un’ espressione seria apparve sul volto di John dinanzi a quello scatto di rabbia.

-Se vuoi avere questa conversazione con me ti consiglio di controllare il tono della tua voce, altrimenti puoi andare nella tua stanza giovanotto-lo avvertì con quella che Sherlock aveva sempre chiamato la voce del “Capitano Watson”.

Matthew sbuffò seccato.

-Ti stai già schierando dalla sua parte-commentò amareggiato.

John scosse la testa, facendo un passo verso il bambino.

-Come puoi credere che sarei capace di schierarmi con l’uno o con l’altro? Lui è il mio Omega e tu sei mio figlio…E’ semplicemente impossibile!-gli disse sincero.

-Un Omega indegno che ci ha lasciato ed è sparito per anni senza mai preoccuparsi di darti alcun’informazione…-

-Matt non dovresti davvero giudicare senza prima conoscere tutti i fatti-lo ammonì John.

-Ah davvero?-gli domandò il bambino, un velo d’ironia nella voce- Allora spiegami perché sei ricoperto del suo odore-lo esortò poi.

L’istante dopo il bambino scosse la testa, interrompendo sul nascere qualsiasi risposta di John.

-Anzi lascia perdere. Ti ho visto-gli disse in tono accusatorio.

John aggrottò la fronte, leggermente confuso.

Era possibile che Matty avesse assistito al suo breve interludio con Sherlock?

-Che cosa hai visto?-gli domandò.

-Ti ho visto con l’Omega fuori dalla palestra-rispose prontamente il bambino.

La fronte di John si corrugò ancora di più.

Era sinceramente imbarazzato che Matthew lo avesse visto così vulnerabile, ma un’altra parte di sé era infastidita in quanto si rendeva conto che non era successo per caso: Matty li aveva seguiti di proposito, aveva spiato un momento chiaramente privato ed ora se ne stava servendo per accusarlo di un crimine che non aveva commesso.

-Mi stavi spiando?-gli domandò, la voce più ferma a mostrare la propria disapprovazione.

-Stavo cercando di proteggerti!-ribatté prontamente il bambino, iniziando a camminare avanti ed indietro nervosamente- Quell’Omega è pericoloso e farebbe di tutto per mettersi fra di noi-aggiunse.

-Che cosa? Andiamo Matty questo è assurdo…-commentò John incredulo.

All’ennesima replica del padre, Matthew si lasciò andare ad un ringhio frustrato per poi incontrare gli occhi dell’adulto.

-Possibile che tu sia così cieco?-gli domandò alzando nuovamente la voce.

John restò in silenzio, ogni muscolo del proprio corpo a mostrare la propria disapprovazione per le parole ed il comportamento del bambino.

-Ti ha permesso di morderlo ed annusarlo perché così sarete più vicini e rafforzerà i tuoi istinti verso di lui…Fa tutto parte di un piano!

Prima che tu possa fare qualcosa per impedirlo, inizierà il suo Estro e allora i tuoi istinti ti costringeranno ad aiutarlo, dandogli la scusa che sta aspettando da settimane per trasferirsi in casa nostra e ripiombare nelle nostre vite.

Fa tutto parte di un piano e prima che tu te ne renda conto sarà troppo tardi per liberarsi di lui.

Accidenti! E’ soltanto biologia…Possibile che non riesci a controllarti?-gli domandò con voce quasi tagliente.

John restò in silenzio finché non fu sicuro che Matty avesse concluso, le braccia incrociate all’altezza del petto, lo sguardo fisso sul volto del bambino, ancora incredulo per le cose che Matthew gli aveva appena vomitato addosso.

Si schiarì la gola e alzò leggermente la testa, assumendo una posizione quasi militare.

-In questo momento ti stai comportando e stai parlando esattamente come la persona che dici di odiare così tanto-iniziò.

Matty fece per ribattere, offeso dall’insinuazione, ma John lo bloccò con uno sguardo severo, convincendo il bambino a restare in silenzio.

-Se durante questi anni avessi trovato un’altra Omega lui probabilmente avrebbe detto le stesse cose che hai appena detto tu.

Hai ragione, Sherlock è un uomo pericoloso.

Lo è sempre stato, fin dal primo giorno che ci siamo incontrati, ma invece di scappare lontano, mi sono ritrovato a corrergli dietro oppure al suo fianco perché lui ha questa straordinaria capacità, proprio come te e tua sorella, di rendere ogni singolo giorno della mia vita unico e speciale.

Ma hai anche torto-aggiunse, cancellando il lieve sorriso compiaciuto che era nato sulle labbra di Matthew all’inizio del suo discorso.

-Sherlock sa perfettamente che la mia priorità al momento siete tu ed Amy, non importa quali siano i miei sentimenti verso di lui, e mi ha promesso che non interferirà nel nostro rapporto perché è consapevole che sarebbe il modo più efficace e veloce per rovinare tutto.

Ha permesso che lo annusassi e lo mordessi perché stavo per scivolare in una “frenesia”: sapevo che il mio Omega era nelle vicinanze, ma non riuscivo a scovare nessuna traccia del mio odore su di lui ed avevo paura che potesse essere oggetto delle attenzioni degli altri Alpha, come in effetti è accaduto.

Ero sul punto di fare una scenata, ma Sherlock è riuscito a calmarmi e a farmi tornare in me, permettendomi di riaffermare il mio possesso su di lui.

Lo ha fatto per me. Per la mia salute. Non per rendere più forte il nostro Legame o la sua morsa su di me.

Il nostro Legame è sopravvissuto a 8 anni di separazione, durante tre dei quali ho davvero pensato che fosse morto.

Credi sul serio che si servirebbe di questi trucchetti per tenermi Legato a sé?-gli domandò John.

-Lui sa che hai considerato l’idea di rompere il vostro Legame….-gli fece notare Matty.

John scosse la testa.

-Tesoro ti voglio bene, ed ho promesso di rispondere a tutte le tue domande, ma ci sono questioni troppo personali che non ti riguardano e che sinceramente sono difficili da capire anche per me…

Però posso rispondere ad un’altra questione-disse l’Alpha cambiando argomento- Onestamente non so nulla sull’Estro di Sherlock, è passato troppo tempo, non so neanche se stia prendendo dei soppressori, ma so che se dovesse andare in Estro io gli sarò accanto.

Questo però non significa che Sherlock avrebbe il “via libera” per ritornare qui: ne abbiamo parlato e lui sa che può tornare a casa soltanto quando sia tu che tua sorella sarete a vostro agio in sua presenza.

E non lo faccio soltanto per far star zitta la mia natura.

Il mio rapporto con Sherlock è…E’ molto più complesso Matty: sono trent’anni di vita in comune, di amicizia, di segreti e scoperte, di lacrime e risate, di litigi furiosi e porte sbattute, di abbracci e baci.

Sherlock è la persona più importante della mia vita, e non perché la mia natura mi dice che è il mio compagno ideale, ma perché è sempre stato presente nei momenti più significativi della mia vita, non importa se belli o brutti, e malgrado le apparenze è il migliore Omega che potessi desiderare.

Non sai quanto darei perché tu potessi rendertene conto…-concluse con una nota triste nella voce altrimenti ferma.

Matty abbassò la testa, incapace di sostenere ulteriormente lo sguardo del padre.

-Finirà per farti del male…-mormorò.

John annuì.

-Sicuramente.

Ma anche io gli farò del male; litigheremo e uno di noi se ne andrà sbattendo la porta, ma alla fine finiremo per fare la pace…Abbiamo sempre fatto questo balletto e probabilmente continueremo a farlo finché saremo troppo vecchi per urlarci contro.

E’ così che funziona in una coppia-commentò.

-Non mi fido di lui…-ribatté ancora Matty rialzando lo sguardo sul volto dell’adulto.

La rabbia che fino a quel momento aveva animato il bambino era finalmente scomparsa, ma al suo posto era comparsa un’insicurezza insolita per Matty che strinse il cuore di John.

Seguendo il proprio istinto annullò la distanza fra di loro ed avvolse le braccia attorno al bambino, premendolo contro di sé, respirando a pieni polmoni l’odore peculiare di Matthew e sorridendo sollevato quando sentì le braccia esili e lunghe del ragazzo stringersi attorno alla sua vita.

-Lo so tesoro…Ma ti prego, dagli una chance-gli disse con voce calma e rassicurante.

Matty si allontanò di un passo in modo da poter incontrare i suoi occhi e lo fissò con uno sguardo risoluto.

-No.

Mi avevi promesso che non avremmo più parlato di quest’argomento-gli ricordò.

John sorrise.

-Sei stato tu ad iniziare questa conversazione figliolo.

E’ vero, ho promesso che non ti farò pressioni, ma non puoi certo aspettarti che resti in un angolo senza fare nulla-gli disse.

Matty sospirò chiaramente frustrato e John gli accarezzò i riccioli disordinati, riflettendo in silenzio per qualche istante.

-Immagina per un istante se la situazione fosse stata diversa, se io fossi stato al posto di Sherlock, cercando ogni scusa per avvicinarmi a te e ad Amy dopo tutti questi anni-gli disse.

Matthew scosse la testa.

-Tu non ti saresti mai comportato come lui-replicò con ferma convinzione, rifiutando l’idea categoricamente.

John sorrise triste.

-La vita alle volte è imprevedibile amore mio.

Tu avresti avuto un ottimo rapporto con Sherlock, di questo ne sono certo…Ma mi avresti permesso di conoscerti? Sapendo quello che sai ora, sul rapporto che abbiamo io e te e conoscendo quello a cui avresti rinunciato?-gli domandò, invitandolo a riflettere.

Matty fissò a lungo il suo sguardo prima di scuotere la testa.

-Non lo so…Probabilmente no-ammise alla fine.

John annuì.

-Così non sapresti mai cosa hai perso-gli disse abbassandosi sulle ginocchia per essere alla stessa altezza del bambino.

-Ecco perché insisto nel dirti che devi dargli una possibilità: non hai idea di quanto sei importante per me e quanto io ti amo, quanto sia importante per me la nostra relazione padre e figlio, ma sono consapevole che alle volte ti deludo perché non riesco a tenere il passo con la tua meravigliosa intelligenza…-gli disse sincero.

Matthew scosse la testa con veemenza.

-Tu non mi deludi mai!-replicò con fermezza.

John sorrise e fece scivolare la mano che fino a quel momento era fra i folti capelli neri fino alla guancia destra.

-La mia mente non è veloce come la vostra tesoro, è qualcosa che ho accettato molto tempo fa…Io sono il “conduttore di luce” e lui il genio.

Ma la mente di Sherlock è attenta e acuta come la vostra e potrebbe aiutarti a scoprire delle capacità nascoste che ancora non sai di possedere.

Ecco perché ti chiedo di nuovo di riflettere a lungo prima di decidere di negargli la possibilità di conoscerti-gli disse serio.

Matty annuì lentamente rifugiandosi nuovamente nelle braccia di suo padre, posando la testa sulla spalla destra, le parole che l’adulto gli aveva appena dentro che si rincorrevano freneticamente nella sua mente.

-Ho bisogno di riflettere…Posso andare in camera mia?-gli domandò con un filo di voce.

John annuì e lo osservò avviarsi a passi veloci verso la scala che lo avrebbe condotto nella propria stanza prima di rialzarsi e strofinarsi una mano sul volto.

Improvvisamente si sentì esausto.

Quella giornata era stato un susseguirsi di emozioni e anche lui come Matty aveva bisogno di riflettere a lungo sul da farsi.

Aveva decisamente bisogno di qualcosa di più forte del tea per arrivare alla fine di quella giornata.

 

_________________________________

 

 

Nonostante non volesse ammetterlo neanche a sé stesso, Sherlock Holmes era deluso.

Aveva sinceramente sperato che John mantenesse la sua promessa e si presentasse nel suo appartamento di Montague Street.

Dopo una notte insonne passata a ripensare a quello che era successo fra di loro, accarezzando inconsciamente con la punta delle dita i segni viola che John gli aveva lasciato sul collo, il detective aveva calcolato che l’ arrivo di John era quasi certo per quella mattina, mentre i gemelli erano a scuola; ma mentre le ore passavano lente e non c’era alcun segno dell’uomo le sue convinzione erano venute meno portandolo a chiedersi se avesse male interpretato quel breve momento di intimità.

O, peggio, se John avesse deciso di cancellarlo dalla propria mente considerandolo un errore.

Incapace di sfogare la propria frustrazione come avrebbe voluto, Sherlock torturò il proprio violino ottenendo dallo strumento dei suoni sgraziati e senza alcun senso, cercando di tenere impegnata la propria mente e non ritornare con il pensiero a quei brevi istanti in cui John era stato incredibilmente vicino, senza le barriere che aveva inevitabilmente alzato fin dal suo ritorno, permettendogli di scorgere i suoi veri sentimenti.

Il messaggio era arrivato durante la “tortura” del violino e Sherlock, avendo abbandonato il proprio cellulare sul tavolo della cucina nel tentativo di controllarsi e non tempestare John di messaggi e telefonate, lo lesse soltanto quindici minuti dopo.

Baker Street. Se ti è possibile, vieni subito. –JW

Due minuti il primo era arrivato un secondo messaggio.

Se non ti è possibile, vieni subito –JW

Sherlock aveva recuperato soltanto il proprio cappotto ed era corso fuori dalla porta dell’appartamento, senza controllare di avere con sé le chiavi di casa o il portafogli.

L’attimo dopo era in strada, un taxi nero fermo dinanzi a lui, in attesa di farlo salire.

-Baker Street. Cinque sterline di mancia se arrivi lì il prima possibile- gli promise dopo essersi accertato della presenza del portafogli nella tasca interna del Belstaff.

In meno di dieci minuti era arrivato a destinazione e, dopo aver lanciato una manciata di banconote al taxista si diresse a passi veloci verso la porta nera del palazzo e, senza perdere tempo a suonare il campanello, estrasse da una delle tasche il kit da scassinatore ed aprì la porta in pochi secondi.

-John?-chiamò chiudendosi la porta alle spalle iniziando a salire le scale velocemente.

Quando arrivò in cima, di fronte alla porta dell’appartamento B, la spalancò senza la minima esitazione, ed entrò nell’appartamento fronteggiando il salotto e facendo girare il cappotto aperto attorno a sé con la velocità dei propri movimenti.

La scena che lo accolse lo lasciò di stucco: perfettamente rilassato, John Watson era seduto comodamente nella propria poltrona con un giornale fra le mani ed una tazza di tea sistemata sul tavolino poco distante.

Sentendolo il trambusto provocato dal suo arrivo alzò lo sguardo dal quotidiano e nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, un sorriso distese le sue labbra.

-Ciao Sherlock.

Ti andrebbe una tazza di tea?-

 

Salve a tutti!!!! E ben ritrovati! Come state?

Spero siate rimasti soddisfatti dal capitolo, malgrado la sua lunghezza di cui mi scuso ancora una volta, ma come al solito quando inizio a scrivere ho il capitolo bene in mente e rendere il capitolo più breve significherebbe spezzarlo a metà e fargli perdere di significato.

Spero sinceramente che il piccolo vocabolario all'inizio vi sia stato d'aiuto, in caso contrario, non esitate a chiedere!

Ed ora direte voi...Ma non è ciò che è successo alla fine?

No! Tranquilli...Anche se può sembrare che abbia dimenticato un pezzo, il capitolo è finito, con un piccolo cliff-hanger lo ammetto, ma potete considerarlo finito.

Nel prossimo riprenderemo esattamente da questo istante e spiegherò cosa è passato per la mente di John per spingerlo a mandare qui messaggi.

Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e chiedo scusa per eventuali errori di battitura e/o ortografia.

Il titolo del capitolo è una frase presa da "Runaways" dei The Killers e la frase in corsivo è tratta da "It's a hard life" dei Queen.

Ed ora i ringraziamenti:Nidia1956(Grazie per i complimenti!! E benvenuta!),Music_lou(Grazie per i complimenti!Comehai già notato qualcosa di non detto c'è, ma si scoprirà più avanti...Anche io adoro i flash-back del passato, è forse l'unico modo che ho per mostrare il vero legame che c'è fra i Johnlock riuscendo ad amalgamare momenti tristi, come nello scorso capitolo e momenti divertenti come in questo; d'altronde sarebbe stato impossibile raccontare 30 anni di vita insieme in un solo capitolo XD),Damon_Soul93(Spero di non averti fatto aspettare parecchio,ma con un'altra FF in dirittura d'arrivo è una situazione un pò caotica... XD Grazie dei complimenti!!!Come è stato messo in evidenza da questo capitolo, i sentimenti di John sono in conflitto: non soltanto x via dei figli, maanche perchè lui è pieno di rabbia sia verso Sherlock che verso sè stesso x non essere stato accanto a Sherlock quando il detective ha avuto a che fare con Moriarty...Per scoprire il motivo per cui Sherlock ha lasciato la famiglia quando i gemelli erano ancora neonati bisognerà aspettare ancora un pò, ma prometto che spiegherò tutto e se sarò abbastanza brava vi lascerò a bocca aperta...Finger crossed),Luuuuuula(Grazie per i complimenti! Nella mia mente Amelia è una versione in miniatura di John, quindi è ovvio che Sherlock straveda per lei, anzi sarebbe strano il contrario...Pensando a Matty e Sherlock invece mi viene in mente il classico "Scontro fra Titani" XD Sono entrambi testardi e cocciuti, caparbi quanto basta per ottenere sempre quello che vogliono, ma in questo caso tutti e due vogliono avere la meglio sul povero John che si trova nel mezzo...Povero! :( Venendo a noi: come hai detto tu, c'è l'avviso per Mpreg e posso già dirti che come è successo nell'altra FF ci saranno scene Slash...Ciò che non posso dirti è se l' Mpreg dell'avviso è o meno quella dei gemelli...).

Bene per il momento è tutto, io vi saluto e vi do appuntamento al prox capitolo...

"Under Pressure"

Baci,Eva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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