Reverse

di Jenni Skeletron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I.Fumo negli occhi ***
Capitolo 2: *** II.Uno contro tutti ***
Capitolo 3: *** III. Uprum ***
Capitolo 4: *** IV. Illusioni ***
Capitolo 5: *** V. Nel centro del mirino ***
Capitolo 6: *** VI. Senza tracce ***
Capitolo 7: *** VII. Sospetti ***
Capitolo 8: *** VIII. Oro e ghiaccio ***
Capitolo 9: *** IX. Conto in sospeso ***
Capitolo 10: *** X. A denti stretti ***
Capitolo 11: *** XI. Saturo di follia ***
Capitolo 12: *** XII. Persi nella notte ***
Capitolo 13: *** XIII. Attimi di tranquillità ***
Capitolo 14: *** XIV. È tutta colpa mia ***
Capitolo 15: *** XV. Appesi A Un Filo ***



Capitolo 1
*** I.Fumo negli occhi ***


Sentivo l’intenso odore del fumo nelle narici e riuscii con uno sforzo disumano ad aprire le palpebre.
Tutto ciò che vedevo erano i mobili divorati dalle fiamme accompagnati dal cigolio del tetto.
Dovevo uscire da quella trappola infernale, ma non riuscivo a muovere le gambe.
Ero ancora sdraiato sulle assi del parquet cercando in tutti i modi di liberarmi quando le fiamme cominciarono a lambirmi i piedi.

“Sei proprio patetico.”

-Chi diavolo sei?
Ero terrorizzato e quella voce non mi aiutava affatto. Così vicina eppure così lontana, continuava a tormentarmi puntandomi addosso quegli occhi di pietra.
Sapevo che mi stesse osservando, impassibile, nell’attesa che facessi qualcosa, eppure, per quanto mi affannassi nella sua ricerca non rimaneva  che un’ombra nella mia testa.

Finalmente riuscii a spostare la credenza che mi era crollata addosso. Riuscivo a vedere l’osso attraverso il taglio provocato da un vetro, ma se volevo vivere dovevo ignorarlo.
Il femore doveva essersi rotto e tutto ciò che mi rimaneva da fare era strisciare.

Il mio cammino veniva tracciato da una vistosa scia di sangue ed il fumo mi annebbiava la vista costringendomi a procedere alla cieca fino a quando non mi scontrai con un fagotto o almeno quello che sembrava tale.
Mi paralizzai non appena vidi di cosa si trattasse e tutto ciò che desideravo era che fosse un brutto un brutto sogno da cui mi sarei potuto risvegliare nel giro di pochi minuti, ma a nulla valsero le mie preghiere perché quello rimase il corpo senza vita del mio fratellino.

“Avresti dovuto sentirlo mentre chiamava il tuo nome. Ahahahahah .  Era così impaurito e disperato. Mi ha fatto quasi tenerezza quando ha smesso di respirare.”

Non riuscii a trattenere un conato di vomito al suono di quelle parole ed alla risata che avevano scatenato.
Aveva gli occhi ancora spalancati, persi nel vuoto e privi della vivacità che li aveva sempre animati. L’ultima traccia della vita che gli avevano appena strappato era il suo viso rorido.
Quello sguardo di terrore era indirizzato a me ed all’ombra che stava continuando a perseguitarmi, ma sapevo che la colpa era mia, soltanto mia.
Lo strinsi forte a me nella speranza di trarne un po’ di conforto, ma non era che un corpo senza vita, un ammasso di organi incapaci di funzionare, una macchina a cui era stata staccato la spina.

“Smettila di perdere tempo ed alza il culo. Non voglio fare la fine del topo in questo buco.”

Gli abbassai le palpebre prima di lasciarlo andare completamente. Per quanto stessi soffrendo e volessi zittire quella voce per sempre feci ciò che diceva lasciando che il fuoco banchettasse con quel piccolo involucro.

“ Allora non sei poi così stupido come sembra. “

-Chiudi quella boccaccia.
Facevo fatica a parlare ed ormai avevo capito che continuare a cercare di vederlo sarebbe stato uno sforzo vano; tanto non sarebbe andato da nessuna parte.
La sua voce era troppo vicina al mio orecchio per essere fuori dalla stanza, ma se era nelle vicinanze perché non mi stava aiutando?

-Qualcuno ci aiuti, vi prego!
- Mamma…
Il mio fu poco più di un sussurro dettato dall’incredulità e dal fumo nei polmoni.
Era ancora viva e potevo sentire la sua voce provenire da dietro la porta della loro camera.
Forse sia lei che papà erano ancora vivi, forse potevo salvarli entrambi.

-Aiutateci.
Le sue grida disperate erano come coltelli, ma finché le sentivo potevo essere sicuro di avere ancora una possibilità.

“ Cosa diavolo vuoi fare?! E` spacciata, tu non puoi farci nulla.”

-Stai zitto!
Per la prima volta la sua voce era stata inclinata da una nota di preoccupazione e ne ero felice.
Ero a pochi metri dalla porta quando le richieste di soccorsi si affievolirono sotto l’effetto dei violenti colpi di tosse.
- Mamma! Mamma sto venendo da voi!

Sarei riuscito a salvarli e saremo riusciti a scappare insieme.
Purtroppo il mio sogno si infranse in una miriade di piccoli frammenti.
-Vattene! Sei solo un mostro!
Qualcosa dentro di me si spezzò.
Mi stava rifiutando, ricacciando nell’inferno senza speranze da cui ero appena uscito.
-Mamma sono io, Braight.
Il groppo che avevo in gola mi impediva di parlare. Quello che stava accadendo non aveva senso .
Doveva essere sotto shock per cacciare il proprio figlio e negare la sua esistenza o probabilmente non mi aveva riconosciuto.
-VATTENE! TU NON SEI MIO FIGLIO!

“ Sono stufo di queste stronzate “

Le urla disgustate di mia madre furono l’ultima cosa che sentii.

Al mio risveglio ero bloccato in un letto d’ospedale con gli sguardi stupefatti di tutti puntati su di me, ero sopravvissuto per miracolo.
Persi il conto degli interrogatori a cui venni sottoposto perché essendo l’unico sopravvissuto dovevo subirne le conseguenze.
Non era altro che uno degli effetti collaterali del vivere.

I miei genitori erano stati uccisi dal fumo mentre il mio fratellino era stato soffocato da un cuscino.
Sapevo che era opera sua, ma dirlo ai poliziotti sarebbe stato inutile mi avrebbe solo costretto ad ulteriori sedute psichiatriche.

Fui dimesso nel giro di pochi mesi, ma la vera scocciatura furono gli assistenti sociali.
Dissero che non avevo nessun altro al mondo che potesse prendersi cura di me e dato che avevo già passato i 18 anni nessuno mi avrebbe mai voluto adottare.

L’incasso dell’assicurazione mi premise di cambiare siccome ormai nulla mi legava a quel luogo.
Quell’incendio è tutto ciò che ricordo della mia vita precedente.





Angoletto Autori:

Jenni: eccovi la nostra nuova storia originale. Avete capito bene, ho detto proprio nostra. Sappiate che questo racconto non e` altro ch il prodotto di due menti malate. 
Arsonist: salve. Non sono bravo a parlare ed odio le domande difficili; queste cose le lascio a lei. Per ora possso solamnete dirvi che in questo raccoto infilero` ogni stranezza che mi passa per la testa. Logicamente sempre se approvata dall'altra mente malata.
Jenni: ecco bravo, mettiamo subito le cose in chiaro. Account mio, io sono il capo.
Arsonist: io sono la mente e tu sei il braccio ricordatelo, non oltrepassare mai il tuo ruolo.
Jenni: si, certo certo, hai sempre ragione tu.
Arsonist: grazie
Jenni: bene avete avuto la sfortuna di fare la nostra conoscenza. Speriamo che il capitolo sia stato di vostro gradimento. 
Arsonist: altrimenti passerete le pene dell'inferno.
Jenni: tranquilli lui e` innocuo.
Arsonist: mi chiamo Arsonist per un motivo. Si, sono malato di incemdi problemi?
Jenni: qui l'unica cosa che ha preso fuoco e` la nostra sanita` mentale.
Arsonist: e il suo linguaggio arcaico. Eccovi anche il link della pagina 
https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist

Al prossimo capitolo,
Jenni ed Arso <3 ( il cuoricino e` una sua idea )

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Capitolo 2
*** II.Uno contro tutti ***


Correvo lungo un corridoio infuocato mentre le loro voci mi rincorrevano urlandomi contro con disprezzo ed i loro occhi pieni di odio mi incenerivano.

Mi risvegliai con un urlo nella mia camera rischiando di cadere dal letto, il mio respiro si era fatto affannoso, pesante mentre delle gocce di sudore mi correvano lungo la schiena.

“Sei il solito fallito”

-Tieni chiusa quella bocca.
Sentivo come un macigno posto sul petto, ma quella voce era troppo irritante per non rispondervi.
Per il resto della notte non riuscii a riprendere sonno.

Le calde luci dell’alba davano un aspetto accogliente alla stanza ancora sommersa dagli scatoloni.
Non avevo ancora avuto la voglia di sfarli perché non mi sentivo parte di quel luogo, ma era quanto di meglio avessi trovato, forse anche troppo.
Come loft era molto spazioso ed in confronto alle mie esigenze ne sarebbe bastato uno grande la metà, ma non era il caso di lamentarsi.
L’agente immobiliare fu ben felice quando lo presi; dopotutto i miei mi avevano lasciato un’eredita` di tutto rispetto.

Indossai dei jeans scuri ed una felpa grigia senza dimenticare un borsone nero in cui mettere quei pochi libri che mi sarebbero stati necessari.
Dopo tanto tempo stavo tornando a scuola ,nonostante avessi dovuto superare degli esami per evitare di perdere l’anno.

-Togliti di mezzo.
Un giovane biondo aveva rischiato di investirmi con la bici al cancello dell’edificio, cominciavo ad averne abbastanza di tutta quella gente.
Erano solo una massa di ragazzini esaltati.

“Mi disgustano, proprio come te in fondo ahahah”

Al suono della campanella si gettarono nei corridoi come un gregge di pecore rendendomi difficoltoso anche solo raggiungere la segreteria.
- Tu devi essere quello nuovo.
Ad “accogliermi” vi era una donna sulla cinquantina tarchiata e dal viso tondeggiante incorniciato da dei capelli neri palesemente tinti raccolti dieto la nuca in un fermaglio, ma la cosa piu` racapricciante era il suo sguardo. Gli occhi neri erano privi di emozione, per lei non ero che carne da macello.
Presi il foglio e mi diressi verso la classe; cominciavo a rimpiangere di aver scelto di tornare ad una vita “normale”.

“Guarda un po`”

L’unico posto libero era accanto ad un ragazzo accasciato sul banco, lo stesso che mi aveva quasi investito.
Non aveva l’aria molto intelligente, mi ricordava un ghiro.
Appena mi vide impallidi`.
Aveva i capelli biondi scompigliati con dei ciuffi che tentavano di nascondere dei grandi occhi azzurri, non sembrava cattivo, ma solo privo di acume.

Passò l’intera ora a studiarmi da dietro i suoi libri trovando il coraggio di parlarmi solo verso la fine della lezione.
- Mi dispiace per quello che e` successo poco fa. Io sono Jules!
- Braight.
Strinsi quella mano sudaticcia, forse poteva essere divertente soprattutto quando dimostro` quanto fosse impacciato.
- Avevano parlato di un nuovo arrivo, ma non mi aspettavo che ti mettessero nella mia classe e poi sei… come dire… diverso.
- Come sarebbe a dire?!
Non eravamo nemmeno arrivati a meta` mattinata e gia` tutta la scuola ne era a conoscenza.
-Come dire…  Mi aspettavo qualcosa di particolare, qualche cicatrice o simili...
Non lo feci finire alzandomi dal mio posto e chiedendo il permesso di allontanarmi dalla classe.

-Certo, una qualche cicatrice, stupido idiota...
Non si aspettava che il mo viso fosse integro, che entrambi i miei occhi fossero al loro posto o che avessi ancora i capelli?
Avevo una notizia per lui: non tutte le cicatrici sono visibili all’esterno e non sono certo un vanto.

- Ti ho gia` detto di sparire Saphira. Sei sorda oltre che sqilibrata?
Una voce famminile proveniva dalla fine del corridoio, vicino alla tromba delle scale.

“ Ci sarà da divertirsi”

Mi stavo avvicinando spinto dalla curiosità finché non le vidi.
Una bionda ossigenata con kili di trucco  in faccia stava sbraitando contro un’altra dai lunghi capelli mogano. La prima era la tipica Barbie in minigonna l’altra invece era immobile nel suo maglione nero  lasciando alla vista le lunghe gambe fasciate da dei leggins.
- Sto parlando con te.
L’aveva spinta per attirare la sua attenzione, ma questa continuava a tenere lo sguardo basso.
- Sei proprio una pazza.

Stavo per intervenire quando la bionda ruzzolò dalle scale in seguito a una spinta della mora, che subito si volto` verso di me.
I nostri sguadi si incrociarono e li vidi, degli stupendi occhi azzurro-grigi, come il cielo dopo un temporale.
Tornai in classe facendo finta di nulla. Non conoscevo nessuna delle due e non volevo certo farmi notare; desideravo solo essere come un’ombra nell’oscurità.

Nel giro di venti minuti tutti seppero della ragazza caduta a causa del frastuono causato dall’ambulanza venuta a soccorrerla, invece per quanto riguarda la mora non circolò alcuna voce.
- Sei stato tu bastardo!
Un ragazzo ben tarchiato mi si era avvicinato pericolosamente.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando.
Non era affatto un buon segno.
- Non fare il finto tonto con me. Eri nel corridoio quando l’hanno spinta, devi essere tu.
Mi aveva afferrato per la felpa e potevo vedere i suoi occhi lucidi.
- Te lo ripeto, non so di cosa stai parlando.
- Smettila stronzetto.
Questa volta mi colpi` con un pugno alla bocca dello stomaco.

“ Non vorrai farti pestare da queste teste vuote?!”

-Ascoltami bene ragazzino non so chi tu sia o da dove venga, ma rimpiangerai di avermi incontrato.
Gli studenti ci accerchiarono per vedere cosa stesse accadendo assieme ai professori.
Questa fu una buona motivazione per catapultarmi fuori dalla scuola appena terminate le lezioni per sfuggire ai loro sguardi indagatori.

Mentre giravo per le strade un senso di inadeguadezza mi rendeva irrequieto e ad ogni vicolo mi fermavo per vedere cosa accadesse alle mie spalle seguito dalla sua stupida risata.
- Che hai da ridere?
Il silenzio che mi veniva in risposta era occupato solo dai miei passi; forse stavo solo esagerando.

Il giorno seguente fu un inferno.
Jules mi tormentava di domande durante la lezione, ma come tutti gli altri evitava di farsi vedere con me.

“Come al solito incontri solo persone false.Non dovresti far altro che liberartene.”

Mi ero rifugiato nel bagno alla ricerca di un po’ di tranquillità e di sollievo, quando ero allo specchio riuscivo quasi a vederlo.
- Non e` una novita` che siano tutti ipocriti.

Il mio banco non faceva che riempirsi di lettere minatorie, ma non avevo intenzione di fare la spia; ero semplicemente un estraneo e quella ragazza mi preoccupava. Quando la vedevo aggirarsi per i corridoi appariva diversa.

La sensazione di essere seguito continuava a perseguitarmi come la sua risata fino a quando non ne potei piu`, erano giorni che sghignazzava.
- Dimmi perché diavolo stai ridendo.

“ Non te ne sei accorto? Qualcuno ci sta seguendo.”

Fu allora che rividi quegli occhi di ghiaccio brillare nel buio.





Angoletto autori:

Arsonist: ma che tocca rifa` l'angoletto autori? E soprattutto perche` inizio sempre io?
Jenni: si', come in tutti i capitoli. E inizi tu perche` mi diverte farti rompere il ghiaccio.
Arsonist: non sono bravo in queste cose. La prossima volta inizi te, io staro` zitto.
Jenni: non fare tante storie. Ad ogni modo eccovi il nuovo capitolo, speriamo vi piaccia.
Arsonist: se non vi piace la colpa e` sua. Le mie idee sono oro, oro colato ;)
Jenni: senza di me saresti niente.
Arsonist: lo stesso vale per te.
Jenni: dai che infondo ti voglio bene, molto infondo.
Arsonist: caso mai e` il contrario .-. Ad ogni modo spero vi piaccia, in caso contrario conoscete le conseguenze.
Jenni: tranquilli, e` solo un paroliere.
Arsonist: usa parole moderne -.-
Jenni: pff. Vi ricordiamo che abbiamo anche una pagina fb in cui potrete minacciarci https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist

Al prossimo capitolo, 
Jenni ed Arsonist 

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Capitolo 3
*** III. Uprum ***





La sua esile figura emerse dall’ombra e fu allora che la riconobbi.
I capelli sciolti le incorniciavano il viso da bambola, le mani erano guantate e del pizzo nero fuoriusciva dal cappotto cremisi che indossava.
Era autunno inoltrato, ma sebbene non facesse poi così freddo non appena i nostri occhi si incrociarono un gelido brivido mi percorse la schiena immobilizzandomi.
- Saphira...
Il mio respiro si era fatto affannoso ed il terrore che avevo negli occhi pareva aver scatenato la sua ilarità a giudicare dal ghigno che aveva sul volto.
- Cosa vuoi da me? Perché mi stai seguendo?
Ad ogni suo passo arretravo fino a trovarmi con le spalle al muro, ma senza alcun risultato perché ora il suo volto era a pochi centimetri dal mio.
- Io so chi sei veramente, Uprum.
Un lampo le illuminò il volto mentre sentivo la testa pulsare ed un sentimento di odio e rabbia farsi spazio dentro di me. Sentivo di conoscere quel nome; come se fosse parte di me.

Scomparì proprio come era comparsa lasciandomi con le spalle ancora appoggiate ai mattoni e pieno di nuovi interrogativi.

“Non mi piace affatto”

Non mi resi nemmeno conto di cosa mi stesse succedendo attorno, dell’auto che rischiò di investirmi o della pioggia che lenta aveva cominciato a dipingere il paesaggio, solo quando varcai la porta di casa cominciai a riprendermi da quel torpore.

Quella ragazza doveva sapere qualcosa e forse poteva aiutarmi a capire cosa e perché accadde quella notte. Questi furono i pensieri che mi impedirono il sonno fino alle prime luci dell’alba.

Fu il suono  della pioggia incessante a risvegliarmi mentre batteva conto i vetri delle finestre assieme al piacevole odore di terra.
Adoravo quel tempo.
Il freddo non troppo pungente e lo scorrere dell’acqua sull’asfalto mi accompagnarono a scuola, ma senza riuscire a liberarmi dai pensieri che mi affollavano la mente. Fu proprio durante il tragitto che decisi di cercarla, parlarle era necessario per dare una risposta alle mie domande.
La fortuna volle che non dovessi attendere a lungo tanto da incontrarla non appena varcai la soglia dell’istituto.
- Saphira.
La chiamai, ma qualcosa in lei era diverso, sembrava tranquilla ed il senso di inquietudine che mi aveva provocato fino ad allora era sparito lasciando il posto ad una serenità che non sentivo da tempo.
- Buongiorno...
Pareva non conoscere il mio nome, ma il caldo sorriso con cui mi accolse mi fece quasi dimenticare la paura provata il giorno precedente.
- Braight... Potrei parlarti? Da solo possibilmente.
Era assieme ad altre ragazze che avevano già cominciato a confabulare dandomi sui nervi, ma lei accettò e lasciò che andassero avanti.
Potevo sentire gli sguardi interrogatori degli studenti seguirci rendendo quasi impossibile avere una conversazione tranquilla ed in disparte.
- Di cosa volevi parlarmi?
Dovetti farmi coraggio per porle la domanda che fino ad allora mi era ronzata in testa senza lasciarmi alcuna via di scampo.
- Chi è Uprum?
Fu una questione di pochi secondi, ma lo vidi: il lampo di cattiveria e follia era tornato e mi fece ricordare il gusto della paura.
Si avvicinò fino a posare le labbra a pochi centimetri del mio orecchio.
- Sembri un coniglietto impaurito.
Mi scostai guidato dalla sensazione di pericolo che mi aveva pervaso le membra provocandole una risata.
Il suono della campanella la fece rinsavire e dopo avermi salutato con la mano la vidi sparire nel corridoio e sarei rimasto in quel posto se non fosse stato per Jules.

Continuai ad avere la mente persa in quegli occhi di ghiaccio tutta la mattinata col loro improvviso cambiamento.
Ero talmente sovrapensiero da non rendermi conto di essermi scontrato con la persona sbagliata.

- Non ti è bastata l’ultima volta?
Mi prese per la giacca sbattendomi contro il muro; lo scimmione doveva essersi allenato dall’ultima volta.
-Lasciami andare!
Non avevo tempo per lui, volevo solo avere delle conferme e per fare ciò avevo bisono di parlare con Saphira.
- I tuoi occhioni verdi non mi ingannano, io so che sei colpevole.
Questa volta non colpiva a caso guidato dalla disperazione, ma per fare male.
Dopo l’ennesimo pugno sentii il sangue sgorgare dall’angolo della bocca e la cosa mi irritava.

“Sei solo un debole”

Fu in quel momento che scattai e lo colpii in pieno volto atterrandolo. Non tardarono ad arrivare i suoi compagni e con loro i professori guidati dalla ressa.
- Non sarò il vostro capro espiatorio.
Mi sentivo strano, come se non fossi più io, strano ed in preda ad una malsana euforia per poi vederla in mezzo alla folla mentre mi sorrideva.

Fui convocato dal preside e sospeso in quanto colpevole della rissa. Avevo tre giorni a disposizione e di certo non li avrei sprecati: volevo delle risposte il prima possibile.
La mattina seguente misi il cappotto nero e la sciarpa: dovevo farmi notare il meno possibile.

“Sicuro di ciò che stai facendo?”

In vita mia non ero mai stato così sicuro, ma non fu facile come speravo. Dovetti attendere che uscisse da scuola, calarmi nell’ombra, ma era troppo guardinga e persi le sue tracce lungo la strada. Il giorno dopo ebbe lo stesso esito e poi il fallo.

Stava tornando a casa, ma c’era qualcosa che non quadrava nella strada che stava percorrendo. Aveva preso una strada senza uscita e bastò un istante di disattenzione perché il sibilo di un taglierino passò a pochi centimetri dal mio viso.
- Questo è solo un avvertimento. Stammi lontano.
Con quelle parole sparì nuovamente nel buio e capii che contro di lei non avevo speranze.

Tornato a scuola divenni il ragazzo da tenere alla larga ed evitare, ma durante l’intervallo la vidi avvicinarsi con la sua espressione innocente.
- Ti devo un favore, ma non tirare troppo la corda.
Non sapevo se avere più paura di lei nei suoi momenti  di tranquillità o pazzia.

- Come hai fatto ad avvicinarla?!
La voce di jules mi aveva fatto riprendere, ma a giudicare dalla sua espressione incredula non ero l’unico assente.
- Diciamo che è stata lei ad avvicinare me.
Suonò la campana per la fine dell’intervallo risparmiandomi il dover dare altre spiegazioni e mentre il mio compagno aveva lo sguardo trasognato perso nel vuoto intravidi una chioma rossa sulla soglia della classe.

Il pensiero di Saphira non mi abbandonò un solo istante perché qualcosa in lei era cosi` familiare.
Aveva detto di non tirare troppo la corda, ma sarei riuscito a far breccia in quella follia.

- Braight! Braight sveglia!
Ero talmente assorto nei miei pensieri da non rendermi conto della fine delle lezioni ed ora mi trovavo ad essere richiamato alla realtà da uno dei più sognatori che avessi mai incontrato.
- Cosa c’e`?
- Si direbbe che tu stia facendo una strage di cuori.
- Non essere sciocco Jules.
A parlare era stata una ragazza dai lunghi capelli rossi. Era di corporatura esile e molto carina, ma ciò che attirava l’attenzione erano dei magnetici occhi smeraldini.
- Questa bellezza è Thayla. Sembra venuta apposta per te.
A quell’affermazione il suo volto si tinse di porpora.
- Ecco...Io... Sabato pomeriggio vorreste uscire?
Parlarci sembrava esserle costato molto coraggio ed non sapevo dire cosa la spinse ad invitarmi, forse pietà, ma non era importante.
- Potrebbe essere divertente.

Uscire a fare shopping con loro non rientrava certamente nelle mie priorità, ma non c’era nulla di male nel cercare di distrarmi dai miei pensieri e a passare un po’ di tempo in compagnia ed ora eravamo al tavolo di un bar.
- Chi stiamo aspettando?
Erano una decina di minuti che attendevamo e loro si ostinavano a non dirmi chi fosse l’ospite tanto atteso.

Jules portava un paio di jeans strappati e la giacca aperta nel tentativo di dare l’aria da cattivo ragazzo che non gli si addiceva affatto mentre Thayla portava una minigonna arancio ed un maglione beige sotto il cappotto in modo da riprendere i colori del paesaggio autunnale.
Io invece mi ero limitato a dei pantaloni scuri ed una giacca in pelle.

Fu mentre sorseggiavo il mio caffè che la vidi avvolta nel suo cappotto rosso con un grande fiocco sulla schiena a mo di cintura.
- Direi che ci siamo tutti.





Angoletto autori:

Jenni: ecco il tanto atteso terzo capitolo.
Arsonist: evvaiiii.
Jenni: almeno lui e` contento.
Arsonist: prova ad esserlo anche tu. Ogni tanto non fa male xD
Jenni : parla mr. ottismo....
Arsonist: pff. Io sono negativo a prescindere, anche adesso sono negativo.
Jenni: per il prossimo capitolo potreste non rivedere piu` Arso che se me lo ritrovo tra le mani lo scotenno cosi` impara a farmi faticare -.-
Arsonist: convinta te...
Jenni: vi lasciamo il link della paginetta come al solito e per qualsiasi minaccia o in caso voleste l'indirizzo di Arso potete contattarci la' ;)



https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist


Con affetto,
Jenni & Arsonist.

 

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Capitolo 4
*** IV. Illusioni ***





Avrei dovuto aspettarmi un simile tiro da parte di quei due, ma dalle parole di Jules non sembrava molto popolare o propensa alla compagnia.
- Saphira! Finalmente sei arrivata.
Portava lo stesso identico cappotto lungo dell’ultima volta.
I bottoni e il fiocco color della pece risaltavano sullo sfondo sanguigno come avrebbero potuto fare dei brillanti, ma nulla era paragonabile ai suoi occhi.
Erano come calamite dello stesso colore del cielo ed avrei osato affermare che fossero più chiari del solito, infiniti...
- Ho qualcosa in faccia?
Quelle parole erano divenute la mia ancora di salvezza nonostante fossero anche una fonte d'imbarazzo.
- Che ne direste di avviarci?
Cambiare argomento mi era parso sensato ed era l’unica cosa che mi fosse venuta in mente, ma dai loro sorrisi mal celati non sembrava più una buona idea.
Persino Saphira stava nascondendo una magnifica mezzaluna di luce dietro le sottili dita guantate.
I suoi gesti aggraziati si scontravano con quelli dell’altra ragazza che non poteva fare a meno di tenersi la pancia in preda ad una risata e di Jules dalle fattezze scimmiesche.
- Come preferisci, Braight.

Avevo accettato di uscire con loro sperando di potermi rilassare ed essere come gli altri, ma la mia occasione si era presentata in soprabito rosso e certamente non avrebbe potuto avere la stessa reazione, non con tutta quella gente.
- Cosa vi piacerebbe fare?
Thayla camminava al fianco di Jules ed allo stesso tempo si tormentava le maniche del maglione facendole uscire da sotto la giacca e sebbene la sua domanda fosse al plurale avrei giurato che la sua opinione sarebbe stata la più influente.
- Se per voi va bene io dovrei fare un salto al negozio di musica nel centro commerciale qui vicino.
- Per me va bene. Accanto c’è anche una bella libreria.
A parlare questa volta era stata la mora.
Mi era stato detto che era una delle migliori di tutto l’istituto ed a gudicare da ciò che aveva appena detto pareva completamente fuori dal contesto degli altri due, proprio come me.
- C’è anche un negozietto di vestiti per te Thayla. Potresti trovare qualcosa di carino.
Come immaginavo erano bastate poche parole dalla persona giusta per farle ardere il viso.
La loro spensieratezza era invidiabile.
Stavo ancora osservando i due davanti a noi quando per la prima volta mi stava rivolgendo una domanda.
- È la prima volta che esco in questa zona. Mi affido a voi.
- Provi cosi` tanto disgusto per le persone?

“Non fidarti di lei.”

-Non vado molto d’accordo con le folle.
- Sei sempre il solito.
Prima che potessi dirle qualsiasi cosa mi superò ricongiungendosi ai due.
Sarà una lunga giornata.

Era la prima volta, a quanto ricordavo almeno, che visitavo un centro commerciale. Non era un edificio molto grande ed era posto su un solo piano. Era anche abbastanza moderno, ma per qualche strano motivo me lo sarei aspettato più vivo invece le persone che lo popolavano si potevano contare sulle dita di una mano, commercianti esclusi.
- Presto lo demoliranno.
- Per quale ragione?
- Per costuirne un altro, mi pare ovvio
Messa in quei termini la cosa aveva senso, ma come avrebbero fatto le persone che vi lavoravano?

Le piante ai punti di ritovo parevano sofferenti, come consapevoli del loro maledetto destino ed il suono di un piccolo gioco d’acqua le accompagnava; sembrava il loro lamento.

“ Fa meno il sentimentale. “

-Quando arriverà il momento mi mancherà questo posto.
La voce nostalgica di Thayla era in contrasto con le musichette allegre e commerciali trasmesse dagli autoparlanti e già irritanti di per sé, ma Jules era riuscito ad alleggerire la tensione ed a farla sorridere in qualche modo.

Le ragazze si erano fermate ad osservare diverse vetrine  di generi completamente opposti.
Thayla era attirata dai colori vivaci, caldi ed alla moda senza contare come le si illuminavano gli occhi davanti ai negozi di accessori e gioielli; sembrvano delle luci di natale.
Saphira invece veniva attirata dalle vetrine a tema vintage o da quelle in cui regnavano gli stessi colori che portava adosso, ma soprattutto quelle contenenti oggetti di antiquariato.
- Ti piacciono proprio pizzi e merletti.
Era la decima volta che si femava ad ammirare un negozietto di piccole dimensioni in contemporanea con la rossa che era corsa verso una rinomata marca giovanile.
- Io e mia madre andavamo sempre a comprarli assieme.
Nella sua voce avevo colto una nota di nostalgia.
- Non lo fate più adesso?
Fu un attimo ed i suoi occhi mi fulminarono gelandomi il sangue.
- Ti ho già detto di non ficcanasare nella mia vita.
Parlare con lei era come muoversi in un campo minato e sapevo benissimo che lei era veramente una bomba inesplosa ed il suo meccanismo era pronto a scattare in qualsiasi momento.

Jules era entrato in un piccolo negozio di musica ignorando completamente quello più grande e certamente meglio fornito al suo fianco.
- Come mai siamo entrati qui?
Gli occhi smeraldini della mia coetanea erano più sorpresi dei miei.
- Avevo detto di doverci fare un salto.
La sua risposta non era certo stata delle migliori, ma il saluto che si scambiò con il ragazzo dietro il bancone era abbastanza, almeno dal mio punto di vista...
- Credevo andassimo nell’altro.
- Joe hai quello che ti avevo chiesto?
- Certo. Sono arrivate questa mattina e tu continui ad essere il mio cliente più esigente.
- Sai quanto tengo alla manutenzione ed alla qualità.
Non mi aspettavo di afferrare tutto ciò che si stessero dicendo, ma non quanto Thayla che si sentiva esclusa più di chiunque altro.
- Non ti facevo così capace.
Saphira aveva distrattamente guardato alcuni CD per tutto il tempo ignorando tutto il resto eppure ora sembrava compiaciuta come una dimostrazione della detective alla propria ipotesi, ma l’unica risposta che ebbe fu l’aria interrogativa di Jules.
- Quelle sono le corde per un contrabbasso.
Aveva l’espressione tra il soddisfatto e l’annoiato per averlo dovuto spiegare.
La prima volta che lo incontrai feci caso ai calli sulle sue dita, ma un tipo del genere lo avrei visto più facilmente con una chitara in mano.
- Opera dei miei genitori, ma ne è valsa la pena. Non voglio vantarmi, ma sono uno dei migliori.
- Modestie a parte.
Quel ragazzo era una continua sorpresa e Thayla gli girava attorno come le api coi fiori.

Non ero interessato ai loro amoreggiamenti e mi diressi a mia volta verso dei dischi che avevano attirato la mia attenzione.
Tutti quei nomi non mi dicevano nulla, mi sentivo come un bambino non appena apre gli occhi ed ero molto curioso.
- Questo dovrebbe piacerti.
Le sue candide mani mi posarono un album tra le mani intitolato Meteora. Su uno sfondo color seppia tendente al verde era raffigurato un graffitista con indosso una maschera ricordante quelle dei soldati. Sul retro vi era raffigurato quello che sembrava un mixer da dj assieme alla lista delle canzoni.

- Di cosa si tratta?
- Metal. Ascolta questa: è una delle mie preferite.
- Come si intitola?
- Numb.

Ascoltammo molte altre canzoni di diversi gruppi tra cui alcune commerciali, come quelle che si potevano ascoltare negli autobus.
- Cosa ne pensi?
- Mi piacciono.
- Lo immaginavo.
Si era appena tolta le cuffie e risistemata i capelli fermandoli col cerchietto rosso eppure quel viso angelico nascondeva qualcosa, ne ero sicuro.
- Ho come l’impressione che tu...
Non ero riuscito a concludere la frase senza che le sue unghie mi si conficcasero nella pelle.

“ Lascia perdere.”

-Se tieni alla tua vita smettila di provocarmi.
Non appena aveva allentato la presa le mezzelune rosse si erano presentate in tutto il loro rossore. Un altro po` e ne sarebbe uscito del sangue.
Ogni volta che riuscivo ad intravedere una crepa in quel suo scudo inviolabile ecco che questo si incendiava e le fiamme mi rimettevano al mio posto.

Entrammo in una libreria con caffetteria annessa e nel giro di pochi secondi la nuova coppietta si era diretta al bancone per ordinare qualcosa quando il loro ultimo caffè risaliva a meno di un’ora fa.

-Scusa per prima.
Non avrei mai rinunciato a scoprire cosa nascondeva, ma di certo dovevo cambiare approccio  e poi non volevo rimanere con i due piccioncini.
Senza indugi si era diretta ad uno scaffale e con gli occhi illuminati da una strana luce aveva afferrato un libro portandoselo al petto.
La copertina conteneva tutti i toni più cupi del verde, ma questi non caratterizzavano tanto il prato quanto il cielo che lo sovrastava e nel bel mezzo di tutto vi era una giovane donna.
In quella posa sembrava tranquilla e ne avevo profittato per porgerle le mie scuse.
- Di cosa parla?
- Un processo di triplice omicidio alternato alla vita della protagonista.
Non potevo certo aspettarmi un libro che parlasse di unicorni, non per una che veniva attirata da MadApple.
- I tuoi occhi.
- Come scusa?
- Sono dello stesso colore della copertina.
Aveva avvicinato il palmo della mano al mio viso sfiorandolo e per la prima volta il suo tocco non era gelido, ma caldo come quello di una madre.

Mi scostai a causa di un tonfo poco distante da noi.
Jules aveva fatto cadere un libro nero sul quale spiccava l’immagine di una cravatta argentea assieme alla scritta “50 sfumature di grigio”.
- Vedi ad essere troppo curiosi?
Anche Thayla aveva in mano un romanzo, ma non mi ispirava affatto. “Tre metri sopra il cielo” non poteva che parlare di amori da teenagers.
Finalmente anche io fui attratto da un’austera copertina decorata solo dalla scritta “Dr. Jekyll e Mr. Hide” .
- Ti piacciono i classici?
- Non saprei, ma mi ispira.
- Dovresti leggere questo.
Saphira mi pose delicatamente uno scritto tra le mani con la stessa cura che avrebbe posto nello sfiorare una piuma.
Sullo sfondo rosso sangue spiccava la sagoma della statua della libertà sovrastata da quello che doveva essere il nome dell’autore.
- L’uomo in fuga.
Lessi ad alta voce interessato.
- Uno dei tanti capolavori di Stephen King .
Fu l’unica cosa che comprai quel giorno e quando la ringraziai per il consiglio ottenni un sorriso in grado di togliermi il fiato.

Ci fermammo in una pizzeria per mangiare qualcosa mentre il centro commerciale cominciava a popolarsi soprattutto di famiglie con piccole pesti.
- Mamma! Mamma io voglio quello!
Un bambino seduto nel tavolo accanto aveva cominciato a urlare senza un motivo fondato e stava per farmi saltare i nervi, ma qualcuno arrivò al limite della sopportazione prima di me.
- Chiudi quella bocca stupido moccioso e smettila di farci sanguinare le orecchie con quel tuo snervante squittio!
Si era alzata di scatto facendo svolazzare la gonna nera e tremare il tavolo per la forza con cui lo aveva colpito ed ora il piccolo aveva cominciato a piangere per lo spavento tra le braccia della madre sbiancata a sua volta.

“ Mi sta diventando simpatica.”

-Saphira era solo un ragazzino. Non c’era bisogno di sgridarlo così.
Thayla era rimasta scioccata da quella scena, ma se non mi avesse preceduto avrei avuto la stessa reazione.
- Non importa. Il mondo è ingiusto e non guarda certo l'età. Sta nell’intelligenza umana accettare quel che ci viene dato senza lamentarci.
La tomba di quello che era mio fratello ne era la prova e per la prima volta da quando ci eravamo incontrati i suoi occhi non erano più di ghiaccio, ma caldi ed accoglienti, pieni di comprensione per ciò che avevo appena detto.
Il silenzio scese sulla nostra compagna assieme ad un nuovo spunto di riflessione che solo Jules ebbe il coraggio di scalfire.

Le portammo in un negozio di abbigliamento ed ora aspettavamo fuori dai camerini con gli abiti che si sarebbero dovute provare anche se il mio mucchio era meno della metà dell’altro.
- Sembrate anime gemelle.
- Come scusa?
- Lei sembra conoscerti.
Allora non era così stupido, non quanto sembrava almeno.
-Cosa ne pensate?
Entrambe scostarono le tendine per mostrarsi.
Thayla indossava un paio di jeans attillati e pieni di strass con una camicetta a fiori ed un foulard coordinato.
- Stai benissimo.
Agli occhi del biondo doveva senz’altro sembrare bellissima, ma per me lo era Saphira.
Lei portava una gonna blu sopra il ginocchio ed una maglia abbinata. La stoffa della prima le fasciava delicatamente il busto prima di allargarsi per finire in una nuvola di pizzo bianco come quello che fuoriusciva dalle maniche.
Provarono molte altre combinazioni, ma ne comprarono solo due a testa.
In seguito ci avviamo verso la strada del ritorno.

Correre, dovevo continuare a correre senza fermarmi o non avrei avuto scampo.
- Questo pomeriggio non sembravi così spaventato.
La sua voce era come una lama: bellissima, ma pericolosa.
Quando ci eravamo salutati non sembrava avere nulla di strano eppure ora aveva di nuovo quello sguardo, dello stesso colore del coltello che mi aveva puntato alla gola.
Le strade si susseguivano velocemente, tutte uguali tra loro e lei era sempre più vicina.
I miei polmoni erano arrivati al loro limite e le gambe erano solo pesanti macigni invece lei continuava a camminare nel suo nuovo abito.

Dolore folle e lancinante, il freddo del metallo che mi aveva colpito conficcandosi nella gamba facendomi cadere e l’asfalto contro il mio viso.
- Perché non lo aiuti Uprum? Non togliermi tutto il divertimento.
Riprese l’arma senza un minimo di grazia e con un calcio mi fece girare e mi piantò un tacco nella mano.
Urlai per il dolore.
- Perché?
Lo girò nella carne rendendo la sofferenza ancora piu` forte.

Un altro calcio alle costole.
Da quanto andava avanti quest’inferno?
Sapevo solo di aver perso i sensi un paio di volte.

“Patetico.”

-Sei senza spina dorsale. Mi stai annoiando Braight.
- Saphira perché lo stai facendo?
Si era allontanata di qualche passo ed io ne avevo approfittato per poggiare la schiena al muro.
- Saphira non lo farebbe mai, ma è Uprum che voglio e se l’unico modo per averlo è ucciderti sarò felice di sporcarmi le mani.
Mai il suo incedere mi era sembrato così lento ed il sorriso che troneggiava sul suo volto era gemello dell’acciaio che aveva in mano.

Si mise cavalcioni sulle mie gambe per evitare che si muovessero poi fu solo dolore.
Il manico era tutto cio` che emergeva dal mio addome e presto quel legno si sarebbe tinto del mio sangue.
- Addio Braight.
Il profumo dei suoi capelli, la morbidezza delle sue labbra sulle mie.
Era questo il suo estremo saluto? Un bacio in punto di morte?
L’ultima cosa che vidi fu una lacrima fare capolino dal suo occhio destro mentre l’altro brillava ancora di follia poi fu solo il buio pronto a cullarmi eternamente.



Angoletti autori:


Jenni: Prima di essere attaccati vorrei puntualizzare che e` stata un'idea di Arso.
Arsonist: Va bene, va bene lo ammetto e` colpa mia. Anche se le correzioni che facevo sulla parte finale non me le ha accettate.
Jenni: Dettagli u.u 
Arsonist: Non sai dire altro?
Jenni: Che i miei cambiamenti seguono la legge di gravita`.
Arsonist: Convinta tu. 
Jenni: Come al solito vi ricordiamo della pagina fb per chi non vi avesse ancora messo Mi Piace.   https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist


Con affetto,
Jenni & Arsonist 

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Capitolo 5
*** V. Nel centro del mirino ***






Sobbalzai nel letto alzandomi di scatto e rischiando di cadere.
Con ancora le immagini che mi avevano accompagnato fino a quando avevo riaperto gli occhi sollevai la maglia del pigiama alla ricerca del manico del pugnale. Potevo ancora sentire il dolore lancinante lacerarmi le carni ed il sudore scorrere copioso sulla mia schiena.
Possibile che fosse solo un sogno?
Eppure era stato così forte, reale, eppure trovai nemmeno i segni che mi aveva fatto il pomeriggio

Sarò  felice di sporcarmi le mani.

Le sue parole risuonavano nelle mie orecchie alla stregua di un martello pneumatico per incidersi sempre più a fondo.
Dovevo calmarmi. Sentivo il cuore battere all’impazzata, le vene del collo soffrire sotto la tanta pressione ed i polmoni annaspare nella disperata ricerca di ossigeno, ma c’era qualcosa di peggio.
Continuavo a vedere quegli occhi in ogni angolo della stanza e credo di poter asserire che se ne avessero avuto il potere mi avrebbero strappato la pelle ed il resto del corpo lacerandolo fino a lasciare solo le ossa.

I vestiti gettati sulla sedia erano ombre terrificanti pronte ad afferrarmi e trascinarmi tra le sue grinfie permettendole di compiere ciò che aveva tentato nel sogno.
Passarono minuti, interminabili come le ore quando finalmente la luce riuscì a filtrare dalle tende scacciando la follia che mi attanagliava il petto.
- Sto diventando paranoico.

I segni di quella notte priva di raziocinio si stavano ripercuotendo sul mio volto e la dimostrazione erano le livide occhiaie che mi circondavano gli occhi  velati da alcune ciocche corvine madide di sudore.

“Che aspetto pietoso.”

- Questa volta sono costretto a darti ragione.
Sorrisi amaramente prima di gettare il viso nell’acqua gelida del lavandino alla ricerca di sollievo.
Non bastava la sua voce irritante a tormentarmi, ora ci si metteva anche Saphira.
Tanto valeva lasciarsi affogare.

Mi asciugai il viso e finii di sistemarmi, nella speranza di non dover sopportare Jules e le sue domande una volta arrivato a scuola.
Alla luce del sole la mia stanza non mi inquietava più come poco prima, ma avevo ancora l’impressione di cogliere con la coda dell’occhio il suo sguardo di ghiaccio.
Non importava quanta gente mi fosse attorno; potevo chiaramente sentire il suono dei suo stivali seguirmi, distinguersi chiaramente da quelli degli altri e la sua risata ad un soffio dalle mie orecchie.
- LASCIAMI IN PACE!
Senza rendermene conto avevo urlato in mezzo alla strada provocando la sorpresa dei passanti e fu con ancora quel suono tanto meraviglioso quanto terribile che corsi via.
-Ehi Braight! Cos’e` quella faccia?
- Ho solo dormito poco.
A quanto pare i segni erano troppo evidenti e mio malgrado avevano attirato la loro attenzione.
- Sono certa che domani riuscirai a risolvere tutto e sarai fresco come una rosa.
Devo ammettere che il sorriso di Thayla era rassicurante, sincero e se non altro mi illudeva che potessero essere veramente preoccupati per me...

“ A chi mai potrebbe interessare di uno come te.”

Aveva ragione, dannatamente ragione, persino Saphira aveva ammesso di non essere io quello che voleva, ma un certo Uprum.
Non era la prima volta che sentivo quel nome e la sua familiarità era così palese ed imponente, ma non riuscivo a ricordare le sue origini, le radici che lo legavano a quegli stracci di memoria che erano riusciti a farsi spazio tra i fumi dell’incendio.

Il suono della campanella, la voce di Jules che mi esorta a non rimanere indietro e ad affrettarmi sembrano cose così sciocche ed infantili, lontane dalla realtà e dannatamente fittizie rispetto a ciò che sapevo sarebbe stato il mio destino.
- Dove si trova Saphira?
Continuo a tenere lo sguardo basso per la paura di vederla passeggiare per il corridoio eppure dentro di me sento la necessità di incontrarla e di sapere cosa diamine sta cercando.
- L’ho vista di sfuggita. Ha detto che aveva qualcosa da fare.
Pedinarmi come suo solito e farmi impazzire come minimo.
- Braight sei sicuro di stare bene? Stai tremando.
- Sto bene.
Certo avere una pazza schizofrenica lancia taglierini come stalker era il sogno di tutta la mia vita; non poteva minimamente turbarmi togliendomi il senno.
Respira Braight, calmati. Non andrai da nessuna parte in questo modo, non con quella falsa ironia.
Non mi resi nemmeno conto del saluto della rossa davanti alla nostra classe.

La prima ora avremmo dovuto avere scienze seguita da fisica e letteratura , ma ancora oggi non potrei essere sicuro di quali fossero stati gli argomenti trattati in quelle tre ore infernali.
Continuavo a sentire la sua presenza, a vedere il suo viso in quello delle altre ragazze che erano nella mia classe ed i tentativi di portare la mia mente altrove erano vani poiché le sue parole continuavano a riecheggiare nella mia testa.

Sei senza spina dorsale.
Mi stai annoiando.


Avrei fatto qualsiasi cosa per farla smettere; per far tornare tutto come prima. La paura mi attanagliava il petto e con esso la mente ed ora eccola bellissima e spietata appoggiata al mio banco.
- Cosa vuoi da me?
- Uprum.

-Ti senti bene?
La voce del professore l’aveva fatta sparire.
- Forse è meglio che qualcuno lo accompagni in infermeria. È pallido come un lenzuolo.
- Non è necessario.
Rimasi al mio posto nonostante l’aria interrogativa e poco convinta dell’insegnante perché ero sicuro che se fossi uscito da quell’aula l’avrei incontrata volente o nolente.
Mio malgrado nemmeno la campanella riuscì a salvarmi.

Nel giro di pochi minuti a seguito dell’inizio dell’intervallo vidi apparire Thayla ed a sua volta Saphira.
Sentii il cuore balzarmi in gola per il terrore, le mie mani tremavano ed il mio respiro moriva abbandonando i polmoni a loro stessi eppure ne parve sorpresa.
La rossa invece non vi aveva nemmeno fatto caso e senza preoccuparsi di nulla uscì assieme a Jules.
- Non sapevo di farti quest’ effetto.
Questa volta non era un’allucinazione, ma era davvero così inconsapevole?
Non era la stessa che mi aveva distrutto la notte, i suoi occhi erano diversi e nonostante il loro colore glaciale erano attraversati da una calda preoccupazione in grado di tranquillizzarmi.
Probabilmente era tutto colpa della mia mente, ma facevo ancora fatica a separare realtà e finzione poi avvenne.
Saphira mi stava abbracciando.
- Andrà tutto bene.

“Non contarci.”

Si allontanò spaventata e per la prima volta vidi il suo viso attraversato dalla paura, ma fu solo un attimo prima di avere un ghigno soddisfatto e correre via sotto il mio sguardo incredulo.
Cosa diavolo era successo?

Le ore successive non furono certo migliori delle precedenti solo mi parvero più sopportabili per quanto possibile mi stavo arrendendo a quell’assurda situazione.
La stanza non era più normale, ma popolata dai suoi occhi, dal suo sorriso e dal suo profumo che convergevano nella sua figura appoggiata al mio banco divertita. Non avevo nemmeno più la forza di tentare di cacciarla perché ero ben consapevole di quanto sarebbe stato inutile.
Non facevo nemmeno più caso ai tentativi del mio compagno di banco di portarmi alla realtà; ormai ero andato, partito per un altro mondo.

- Braight cosa non va? E non raccontarmi stronzate dicendomi che va tutto bene.
Mi voltai lentamente verso di lui e appresi quanto dovesse essere preoccupato. Avevo riacquistato un minimo di lucidità, abbastanza da rendermi conto di essere nel cortile scolastico e di aver attirato l’attenzione di molti.
Potevo studiare i loro volti uno ad uno dalla ragazza bionda in prima fila al ragazzo segnato dall’acne alle sue spalle: tanto erano tutti uguali.
Ognuno di loro mi stava guardando con disprezzo, disgusto da chi si era improvvisato un figlio dei fiori dell’età moderna con tanto di segno della pace sulla maglia appena comprata a chi sculettava nei propri jeans attillati alla ricerca di attenzione perché tutti loro erano stati fatti con la stessa matrice e mi facevano ribrezzo tanto da costringermi a volgere gli occhi al cielo.
Era così bello nella sua perfezione privo di ipocrisia, coerente ed in equilibrio con se stesso, libero da quelle stupide regole imposte dalla società eppure necessarie a noi uomini, a noi infimi esseri che ci illudevamo di poter controllare la natura e piegare le sue leggi al nostro volere.
Mi sentivo bene illuminato dai raggi del sole che filtravano tra le foglie degli alberi che costeggiavano il viale e lo tingevano di rosso ed arancione, ma allo stesso tempo imprigionato dalla grandezza del cielo sopra di noi.
- Voglio svelarti una cosa Jules. A volte anche con la luce ad illuminarci il cammino essa non è sufficiente a renderci nota la strada da percorrere e non si può far altro che finire in un baratro oscuro senza via di fuga.

- Braight...
Quel ragazzo stava diventando insopportabile con il suo fare ingenuo e quella mania di impicciarsi negli affari degli altri. Gli avrei volentieri impartito una lezione ed al solo pensiero un ghigno mi solcò il viso, ma non avevo tempo ed ero già saltato all’occhio.
Ora che avevo il controllo sapevo benissimo cosa fare ed era il momento di entrare in azione.
Non era nel cortile all’uscita, ma ero sicuro di trovarla là.

Ci avevo messo poco più di una ventina di minuti per arrivare al parco comunale senza nemmeno passare per l’appartamento; incontrarla era troppo importante ed avevo poco tempo.
Solo le lamentele di un bambino che aveva perso il proprio palloncino catturarono la mia attenzione dandomi una stilla di piacere e fu allora che la vidi.
Si era tolta il cappotto rosso rimanendo avvolta nella candida sciarpa di lana bellissima e letale come non mai, seduta su una panchina mentre giocherellava con alcune foglie secche.
Non parve nemmeno accorgersi di me quando la raggiunsi sotto il pino, ma appena i nostri sguardi si incontrarono fu palese che mi stesse aspettando.
Il vento le scompigliava i capelli lasciando che qualche ciocca si ponesse tra noi rendendo ancora più forte il contrasto con i due pezzi di ghiaccio che le illuminavano il viso.
- Finalmente sei uscito allo scoperto.
- Ne è passato di tempo, Leonore.



Angoletto Autori:

Jenni: *rullo di tamburi* Eccovi finalmente il quinto capitolo.
Arsonist: Molte svolte nella storia appariranno d'ora in poi. Non prendetevela se muore qualcuno...
Jenni: Con la mia arte tentero` di rendere piacevole il loro trappasso mentre Arso provvedera` a nascondere le armi garantendoci di sopravvivere.
Arsonist: Potrei fare un lavoro piu` pulito del previsto. Detto questo divertitevi e preparatevi ai prossimi capitoli.
 


 
*Kills coming soon*


 
Vi ricordiamo la paginetta fb https://www.facebook.com/Reverse.Jenni.Arsonist

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Capitolo 6
*** VI. Senza tracce ***





Ogni volta era la solita storia; io cercavo di parlarle e lei mi puntava il coltello contro.
Era proprio come la ricordavo. I suoi movimenti aggraziati miravano alla gola e se non fossi stato io il suo bersaglio ne sarei rimasto incantato.
Quella ragazza era tutt'uno con la propria lama, una sua estensione.
- Vedo che non ti smentisci mai.
- Non è con i complimenti che mi impedirai di ucciderti.
- Non era mia intenzione.
Scattai verso destra per evitare un suo nuovo affondo. Stava utilizzando il suo coltello a serramanico, quello dal manico in argento e non il solito oggetto di fortuna. Questo non poteva che significare quanto prendesse sul serio la cosa.
I suoi occhi erano due tizzoni ardenti di rabbia che ad ogni colpo a vuoto divampava guadagnando sempre maggiore forza.
Era troppo furiosa e schivare i suoi colpi era un gioco da ragazzi, mi faceva sorridere come si facesse dominare dalle emozioni, ma stava diventando monotona e noiosa.
Era arrivato il momento di fare sul serio.
- Mi stai annoiando.
Bastarono quelle tre parole dette a pochi centimetri dal suo volto per farla precipitare nel panico.
Indietreggiò terrorizzata e questo mi permise di avvicinarmi. Tentò di ferirmi nuovamente, ma i suoi affondi non erano più precisi, avevano acquistato forza, ma avevano perso di tecnica rendendomi possibile disarmarla.
Ero riuscito a prenderle il polso con cui teneva l’arma e a sbilanciarla facendola cadere a terra.
Lei ci sapeva fare con le armi, ma senza era alla mia mercé.
- Cosa stai aspettando?
Tenevo la lama puntata sul suo collo e non potevo fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello segnare quel candido collo per l’eternità, ma per il momento mi serviva.
- Non sono venuto qui per ucciderti, anche se mi piacerebbe molto.
- Perché allora?
- Hai novità?
Il suo sguardo divenne consapevole e parve mettere da parte la propria rabbia.
- Ho perso le loro tracce.
- Spero che lo stesso valga per loro.

Avevo allentato la presa; il discorso era troppo importante e per una volta avremmo dovuto collaborare.
- Per farcela dovremmo trovare gli altri.
- Hai più avuto notizie di Reiner?
Per quanto li odiassimo non potevo non chiedere di lui ed al suono di quel nome anche lo sguardo di lei parve come addolcirsi.
- Nulla. Forse si sono sbarazzati dei rifiuti.
- No. Per loro non è sostituibile, non così facilmente.
- Spero che tu abbia ragione.
Il cielo sopra di noi cominciò a tingersi di arancio divenendo tutt'uno con le foglie. Il tempo era volato con lo scontro, ma avevo ancora molte cose da chiarire.

- Hai calcato troppo la mano.
Non facevo che pensarci da quando avevo assistito alla scena e quello era la prova di quanto il suo controllo fosse misero.
- A cosa ti riferisci?
La sua aria interrogativa valeva più di mille parole. Davvero non se ne rendeva conto?
- Logicamente ai problemi in cui ci hai coinvolto. Dovresti stare più attenta per le scale.
Il mio sguardo era severo. La colpa era sua e di conseguenza sarebbe dovuta essere lei a risolvere il tutto.
- Avevamo le nostre buone motivazioni.
- Non mi importa, ma ci sono dei testimoni.
- Basterà sbarazzarcene.
Ero partito con l’idea che avrebbe dovuto cavarsela da sola, ma ciò che aveva appena detto mi stava allettando parecchio.
Attirò la mia attenzione e rimasi ad ascoltare l’idea che le era balenata nella mente mentre il sole scompariva dietro le montagne.

La sera prima ci eravamo dati appuntamento in un bar vicino all’ospedale. Fremevo al solo pensiero di ciò che avremo fatto di lì a poco perché per quanto odiassi ammetterlo Leonore sapeva come farmi divertire.
La vidi avvicinarsi al tavolo con lo stesso identico sorriso che solcava il mio volto. Entrambi non vedevamo l’ora di portare a termine il nostro piano.

Attendemmo ancora qualche minuto per essere sicuri che cominciasse l’orario di visita per poi dirigerci dal nostro obbiettivo.
Nonostante portasse dei jeans scuri ed un maglione color cenere nel tentativo di imitare qualsiasi altra ragazza della sua età qualcosa nel suo viso, nella sua andatura la rendeva più simile ad un angelo della morte. Allo stesso modo ero consapevole del sorriso maligno stampato sulle mie labbra.

L’edificio non era nulla di particolare, ma qualcosa parve agitarsi dentro di me perché infondo odiavamo gli ospedali, i medici e tutto ciò che ne seguitava.
All’esterno non era che un ammasso di cemento e mattoni che un qualche architetto aveva cercato di rendere piacevo alla vista, come se si potesse nascondere ciò che vi accade ogni giorno, le pene e le sofferenze che provoca un luogo simile ed una volta all’interno la situazione non era certo migliore.
L’odore di disinfettante aleggiava nell’aria impregnando il mobilio e serrandoci lo stomaco.
Una volta a casa avrei buttato i vestiti direttamente in lavatrice e se lo avrei ritenuto necessario li avrei buttati.
- Posso aiutarvi?
Dietro il bancone vi era un uomo di mezz'età con un notevole principio di calvizie.
Aveva un’aria malaticcia e non era certamente in forma smagliante, ma soprattutto la sua espressione era atona, priva di emozioni o semplicemente non gli importava minimamente ciò che gli accadeva attorno.
- Stiamo cercando una nostra amica... vede lei sta molto male...
Leonore aveva risposto scossa da quelli che parevano dei singhiozzi e per eccellere nella recita si era portata le mani al volto come in preda ad un crollo emotivo e l’uomo parve crederle; era una brava attrice ed io non sarei certo stato da meno.
- La perdoni, ma è molto scossa. La nostra amica è stata portata qui priva di sensi dalla scuola ed ora si trova in coma.
- Certo, non si preoccupi. Se ho ben capito a chi vi riferite la troverete la terzo piano, nel corridoio a destra, stanza 45. Spero di esservi stato d’aiuto.
- Non immagina nemmeno quanto.
Presi Leonore sotto braccio come a consolarla mentre ci dirigevamo verso le scale ed una volta scomparsi alla vista della portineria rividi quel sorriso compiaciuto anche se solo per un attimo.
Dovevamo continuare ad atteggiarci come amici dispiaciuti per una triste fatalità.

Ci aggiravamo tra medici, pazienti e familiari addolorati e tutto ciò non mi aiutava a mantenere il controllo, come se tentasse in tutti i modi di liberarsi di me, ma avevo dei doveri e non gli avrei permesso di mettermi i bastoni tra le ruote.
I corridoi erano a loro modo decorati da anonimi quadri rappresentanti paesaggi in fiore e da file di sedie in plastica scura attaccate a muri di un bianco accecante. 
Nessuno parve accorgersi di noi quando entrammo nella stanza vuota forse a causa della disperazione che aleggiava in quel reparto.

La stanza era di un giallo smorto quasi beige e, probabilmente a causa della gravità della situazione, vi era solo un letto occupato.
La prima volta la vidi solo di sfuggita, ma qualcosa mi diceva che in quelle condizioni era irriconoscibile a chiunque. Il viso che allora mi era parso esageratamente abbronzato ora era pallido, le labbra enormi si erano ridotte in una sottile striscia rosea sotto la maschera e dei capelli voluminosi non rimanevano che sottili ciocche scomposte.
Era così indifesa ed inconsapevole di cosa sarebbe accaduto di lì a pochi minuti, di come il suo sonno sarebbe stato eterno...
- Rimani vicino alla porta ed assicurati che non entri nessuno.
Sebbene contro voglia feci come mi aveva chiesto mentre dalla propria borsa stava tirando fuori una lunga siringa. A lungo avevamo discusso su quale sarebbe stato il modo migliore per farla fuori ed entrambi avevamo concordato che doveva sembrare un incidente se volevamo rimanere nell’ombra come avevamo fatto finora.

- Amore sono torn...
Pochi secondi ed il mio corpo si mosse da solo. Bastò un colpo alla base del collo per tramortirlo a dispetto della sua stazza. Era lo stesso ragazzo che aveva cercato di fare il bullo e di incolparmi per ciò che era successo alla sua ragazza.
Per ora era solo svenuto, ma bisognava sistemarlo.
- Cosa hai intenzione di fare?
Il suo sguardo gelido continuava ad essere rivolto alla propria vittima.
Non mi presi nemmeno la briga di risponderle che lo trascinai verso la finestra.
- Buon viaggio.
Pochi secondi ed il suo corpo non era altro che un contenitore vuoto privo di vita accompagnato nell’ade dall'allarme dei macchinari.

Nessuno ci vide uscire dalla stanza e sparimmo nella confusione come se non fossimo mai passati in quell’ospedale.
L’adrenalina che mi scorreva nelle vene era una sensazione fantastica, il brivido di uccidere qualcuno era quanto di meglio potessi desiderare.
Ci lasciammo nello stesso bar in cui ci eravamo incontrati, ma una volta a casa non fui più in grado di frenarlo.

Mi risvegliai sul mio letto a causa di un messaggio sul cellulare.

Spero che oggi tu stia meglio.
Si può sapere cosa ti è preso ieri?
Jules.


Non avrei saputo rispondergli neanche volendo; tutto ciò che ricordavo era avvolto da una spessa e fitta nebbia oscura.





Angoletto Autori:

Arsonist: finalmente un po' di azione non trovate?
Jenni: io veramente sono ancora sconvolta.
Arsonist: per cosa?
Jenni: perche` si dice calvizie invece di calvizia.
Arsonist: *bip* non mi sembra una buona motivazione per essere sconvolta.
Jenni: per chi se lo chiedesse sappiate che Arso si e` meritato il bip. Siamo degli autori rispettabili e non ci insultiamo ( non davanti ai lettori)
Arsonist: ovvio ;)
Jenni: vi lascio il link della pagina come al solito.


https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist

Alla prossima,
Arso & Jenni

 

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Capitolo 7
*** VII. Sospetti ***







Il giorno dopo a scuola vi fu il putiferio.
Ovunque mi voltassi vedevo persone in lacrime o vestite di nero, ma non riuscivo a capirne il motivo, non fino a quando trovai Thayla nelle braccia di Jules scossa dal pianto.
- Cosa è successo?
I loro sguardi attoniti erano increduli davanti alla mia ignoranza.
- Come fai a non saperlo? Sono morti due studenti.
Il viso della ragazza si nascose nuovamente nel petto dell’altro

Le lezioni parvero continuare come ogni giorno se non fosse stato per il silenzio che aleggiava nei locali scolastici che fino al giorno prima erano pieni di risate.
Nessuno osava palare dell’accaduto o anche solo accennarvi ed io non avevo osato chiedere.

- È triste.
Saphira si trovava davanti a me, appoggiata al banco mentre si guardava le unghie. La cosa non sembrava toccarla nemmeno lontanamente.
- Non mi sembri rammaricata.
- Almeno non faccio l’ipocrita. Nemmeno la metà di loro poteva sopportarli. Credi che se non fossero stati la coppia più popolare della scuola avremmo avuto lo stesso risultato?
Non aveva tutti i torti e poi nemmeno io riuscivo a soffrire come facevano gli altri, la loro morte mi era indifferente.
Ormai erano settimane che quella ragazza si trovava in coma e per come mi aveva accusato il suo ragazzo tutto muscoli e niente cervello la cosa non mi faceva certamente disperare.

“ Dovresti esserne felice”

Ancora quella voce ed il pensiero di gioire per la morte di un altro essere umano  mi dava la nausea, ma allo stesso tempo potevo assaporarne il sapore che sembrava tanto dolce quanto terribile.
- È assurdo.
- Prima o poi ci farai l’abitudine. Non siamo dei santi e non può importarci di ogni persona che muore. Prima lo accetti, prima spariranno i sensi di colpa.
C’era una certa saggezza nella sua voce ed allo stesso tempo quello che qualcuno avrebbe chiamato cinismo, eppure non riuscivo a non essere dannatamente d’accodo.

Il suono della campanella la destò e dopo avermi salutato uscì fuori dalla classe.
Il ricordo di lei che spingeva quella ragazza dalle scale era ancora vivido nella mia mente e non potevo fare a meno di pensarci perché ora era morta e forse a causa sua, ma quella sua tranquillità era disarmante, come se il tutto non la riguardasse, come se ciò non facesse parte del suo mondo.

Pochi erano gli sprazzi della lezione che riuscivo a cogliere.
 –Sono rammaricato per la perdita che ci ha colpito, ma dovremo andare avanti con il nostro programma per cui datemi la vostra attenzione.
Porteremo avanti lo studio della psicoanalisi secondo Freud. Il nostro subconscio è formato da due parti: Superio ed Es. Il primo è l’insieme delle leggi imposteci dalla società mentre il secondo è caratterizzato da passioni, istinti e desideri.
L’ Io invece è ciò che li equilibra impedendoci di venire considerati come persone perverse o di andare incontro a malattie mentali.

Ormai la scuola sembrava divenuta tutt’uno con le lacrime degli studenti. Erano veramente così ottusi?
Potevano dar sfogo alla loro sofferenza, ma nulla avrebbe potuto riportare indietro i loro amici ed io lo sapevo bene. Avevo visto i corpi senza vita dei miei genitori e di mio fratello, avevo visto la mia casa bruciare, cadere a pezzi ed io stesso avevo dovuto guadare in faccia la morte; come poteva toccarmi la scomparsa di due persone di cui a malapena conoscevo il nome.
Loro non avevano nulla a che fare con me.
L’aria nei corridoi era pesante, satura di dolore ed ipocrisia. Quanti di loro erano veramente scossi per ciò che era successo, quanti di loro tentavano di farsi prendere da quell’atmosfera solo per rispettare le circostanze?
Per il mondo se non piangi per la fine prematura di due giovani non sei che un insensibile, ma nessuno di loro mi aveva teso la mano, anche solo una volta, appena arrivato nell’istituto.
Ero un pezzo di carne, tutti lo eravamo e non aveva senso affannarsi per le vite altrui, soprattutto se non si riusciva a mettere la propria a posto.

- Presto ci sarà il trasporto.  Ti va di venire con noi?
La voce di Thayla aveva rotto il filo dei miei pensieri davanti al cancello in ferro battuto ancora spalancato.
- Saphira l’invito è anche per te.
Si erano presentate davanti alla nostra classe alla fine delle lezioni proponendo di fare un pezzo di strada assieme; era palese fin dal principio cosa la rossa avesse in mente.
- Va bene, ma non sono sicura che sarebbero felici di saperci al loro funerale.
- Mi è indifferente. Posso affermare con sicurezza di non essere mai stato simpatico a quell’armadio a quattro ante.
Come dimenticare le sue infondate accuse, la sua aggressione, ma soprattutto l’euforia che provai nel restituirgli quel pugno.
Saphira doveva aver provato la stessa sensazione quando spinse quella ragazza dalle scale.

I giorni successivi furono identici ai precedenti.
La tristezza continuava imperterrita ad aleggiare sulla scuola, ma con minor peso ed ogni tanto era possibile cogliere un barlume di felicità nei volti degli altri studenti, ma soprattutto erano ricominciati a girare dei pettegolezzi.
Non facevano che parlare dell’accaduto, di come sembrasse un omicidio-suicidio.
Chiari erano i battibecchi tra chi diceva di conoscere bene la coppia, chi riteneva impossibile una simile azione da parte del ragazzo e chi invece riportava a galla vecchi tradimenti o litigi pur di giustificare il tutto.
Erano convinti di ciò che dicevano, come se avessero potuto conoscerli veramente, dando per scontato che il loro Io fosse ciò che si trovava in superficie; se fosse stato veramente così sarebbe stato tutto più semplice.

Poi arrivarono.
Si trattava di un uomo abbastanza giovane, alto e slanciato che sarebbe potuto passare per qualsiasi altro insegnante se non fosse stato per una scintilla negli occhi e per i due in divisa che lo accompagnavano.
Li notai parlare con diversi studenti soprattutto delle classi dei defunti. Fui colto dall’ansia ed un moto di terrore cominciò a farsi strada nella mia mente.
- Lei deve essere Braight.
Una donna sulla cinquantina mi si avvicinò tentando un sorriso rassicurante in grado di portare in secondo piano la divisa che le metteva in evidenza le generose forme, ma senza alcun risultato.
- Sì. Chi lo vuole sapere?
- Io sono Sophie. Dovresti venire con me.
Non avevo idea di cosa potessero volere da me, ma ero costretto a seguirla; avevo già attirato l’attenzione e se mi fossi opposto sarebbe stato molto peggio.
L'altro era un uomo più giovane, intorno ai trent’anni, dall’aria non molto sveglia ed al suo fianco vidi Saphira.

Non ci portarono in commissariato, ma si limitarono ad usare l’ufficio del preside.
Ora che lo avevo davanti potevo osservare meglio il volto di quello che doveva essere il capo.
La camicia aveva delle macchie sul colletto  e sui polsini che venivano a malapena nascosti dalla giacca che indossava sopra.
- Bright, dico bene? Io sono l'ispettore di polizia John Beat, è un piacere fare la vostra conoscenza.
- Cosa ci faccio qua?
- Verrò subito al punto. Conosceva le vittime?
- Se si riferisce alla ragazza in coma no. Il giorno stesso in cui misi piede in questa scuola è accaduto l’incidente. Per quanto riguarda il ragazzo nulla che vada oltre il vederlo nei corridoi.
- Capisco. È mai andato a trovare la giovane in ospedale?
- Si, ma non ho la minima intenzione di rispondere ad altre domande.
Mi aveva sottovalutato. Non avevo intenzione di dargli informazioni che mi si potessero ritorcere contro. Avevano cercato solo noi e la cosa non era un buon segno.
Non persi tempo con i convenevoli e senza lasciarlo fiatare me ne andai; ci saremmo rivisti in futuro.

Le lezioni perdevano la loro importanza, la preoccupazione del proprio rendimento scolastico diveniva futile davanti a ciò che era successo perché anche gli insegnanti sembravano esserne stati colpiti.
Nel giro di qualche ora avremmo assistito al loro funerale e non sarebbe certo stata una cosa piacevole.

“Sentono la morte più vicina.”

La scuola chiuse prima per concedere a tutti di partecipare al funerale.
Non avevo intenzione di mettere un completo o simili, mi limitai ad indossare jeans scuri ed una maglia a maniche lunghe sotto la giacca nera.
La chiesa era incredibilmente piccola e decisi di aspettare fuori.
Si trattava di un piccolo edificio in pietra di qualche secolo fa, in contrasto con gli ammassi di cemento circostanti eppure dava un senso di quiete.
Ero ormai appollaiato sul sagrato quando vidi Saphira.
I lunghi capelli neri erano costretti in una crocchia ed aveva sostituito al cappotto rosso uno nero più stretto e con delle cinghie al posto dei bottoni.
- Non vuoi entrare?
Si sedette al mio fianco e potevo chiaramente sentire il suo profumo, dolce e deciso allo stesso tempo.
- Ti ho già detto di non voler essere ipocrita.
Sorrideva mentre estraeva una pacchetto di sigarette dalla borsa e me ne porgeva una.
- Non fumo.
- Ne sei sicuro?
Giusto. Non ricordavo nulla del mio passato, tanto meno se fumavo.
Il tabacco aveva un sapore così familiare e nonostante l’iniziale colpo di tosse che la fece ridere riuscivo a gustarla, come se fosse una vecchia amica.
Lei invece non l’aveva nemmeno tirata fuori dal pacchetto. Cosa ci faceva con delle sigarette se non erano per lei?
Non riuscii a farle quella domanda che me le infilò nella tasca del giubbotto e le porte della chiesa si aprirono per far uscire le due bare.

Entrambe le casse erano in cedro come dimostravano il loro colore chiaro e le venature dorate.
A portarle erano otto ragazzi della nostra scuola, pronti a caricarle sui carri funebri davanti a noi; due lunghe jaguar nere dai finimenti argentei li avrebbe accompagnati nel loro ultimo viaggio.
Non osai voltarmi indietro e vedere le loro famiglie uscire perché potevo sentire i loro pianti in sottofondo.

Ci unimmo al corteo camminando al fianco di Jules e Thayla. Anche i suoi ribelli capelli rossi erano stati richiamati all’ordine da una lunga treccia che ricadeva sul piumino nero mentre l’altro le teneva una mano sulla spalla avvolto a sua volta nella giacca.
Il cimitero era poco distante e vi arrivammo dopo una ventina di minuti.
Da quando mi ero trasferito non avevo più messo piede in un camposanto; non aveva senso andarci e ne avrei volentieri fatto a meno.
Quando arrivammo i buchi nel terreno erano già stati preparati non molto distanti l’uno dall’altro.

- È solo colpa vostra!
Le grida di una donna ruppero il silenzio.
Era bionda, non troppo alta ed il trucco le colava sul viso a causa del pianto facendola assomigliare ad un clown. Cadde per terra nonostante il tentativo di sorreggerla di quello che doveva essere il compagno.
Inveiva contro una ragazza più giovane anch’essa col volto stravolto nascosto dalla veletta di un cappello.
- Non è l’unica ad aver perso una persona cara. Se mio fratello non si fosse mai messo con sua figlia sarebbe ancora qui!
Ora stavano urlando entrambe e degli uomini stavano intervenendo per separarle.

“Lo spettacolo non è niente male”

Parevano insensibili alle bare dei propri parenti accecate dal dolore e dalla rabbia credendo che incolparsi a vicenda portasse a qualcosa.

Andammo via prima che finissero di seppellire i corpi sfruttando la confusione creatasi a causa del litigio.
Thayla non aveva sopportato l’interramento delle salme e Jules si era offerto di riaccompagnarla a casa lasciando nuovamente me e Saphira da soli. Sembrava più rilassata come quel pomeriggio rendendo piacevole passeggiare assieme.
- Come sono morti?
Erano giorni che mi ponevo quell’interrogativo, ma non sapevo a chi poterlo chiedere.
- Lei a causa di un’ embolia, lui pare si sia buttato dalla finestra dell’ospedale. Chi non ha mai lottato per la propria vita non le dà il giusto peso.
Il suo viso si era rabbuiato come in preda a dei ricordi spiacevoli. Il suo passato doveva essere stato tumultuoso per parlare così.
- Hai perfettamente ragione.

Nel silenzio arrivammo fino al mio appartamento.
- C’è una cosa di cui avrei bisogno di parlarti; ti dispiace se...
- Accomodati pure.
Provavo ancora un moto d’inquietudine in sua presenza, ma dalla sua voce avevo intuito che si trattava di qualcosa di importante.
Avevo ancora qualche scatola abbandonata a qualche angolo, soprattutto quelle contenenti i ricordi della mia famiglia.
Ci accomodammo su due delle poltrone in pelle del salotto, candide e completamente in contrasto con i nostri abiti.
Mi tolsi la giacca e lei fece lo stesso col proprio cappotto: indossava una gonna nera una decina di centimetri sotto il ginocchio che lasciava ben intravedere i pompon delle calze, uguali a quelli attaccati alle maniche del maglione.
- Posso offrirti qualcosa?
La mia domanda la sorprese e notai che aveva lo sguardo puntato sui cartoni alle mie spalle.
Non la lasciai rispondere dirigendomi in cucina per preparare una cioccolata calda. Non mi andava che indagasse troppo nella mia vita e poi continuavo ad essere convinto che sapesse più di quanto volesse farmi credere; il pacchetto che avevo in tasca ne era la prova.
- Sono le foto della tua famiglia?
Era alle mie spalle, ma la sua voce non era minacciosa, solo... malinconica.
Annuii con un cenno della testa e sentii la sua mano poggiarsi tra le mie scapole, dove si trovava l’unica cicatrice dell’incendio.
- Mi dispiace.
Fu solo un attimo, ma fu piacevole poi quel contatto sparì e la vidi armeggiare con uno sportello della cucina per poi vederla sorridere con un pacco di marshmallow in mano.
Tornammo in sala, ma ebbi un capogiro e dovetti stendermi sul divano.

- Che disgusto. Eri venuta qua per parlarmi o cosa.
- Come diavolo fa a mangiare questa roba?
Scostò la tazza accavallando le gambe con un’espressione tra lo schifato e lo stufo per poi incrociare le dita sotto il proprio mento. Quegli occhi di ghiaccio avevano il loro fascino.
- Non ho molto tempo. Parla Leonore.
- Si tratta di quel Jhon Addams. Non si darà per vinto.
- Abbiamo già un alibi, lo avevamo previsto.
- I biglietti del cinema non sono abbastanza. ci farà delle domande specifiche e dovremo dare risposte coerenti.
Detestavo darle ragione, ma quella donna era paranoica e questo le permetteva di vagliare tutti i possibili sviluppi di ogni situazione.
- Sono tutto orecchi.

Al mio risveglio ero sdraiato sul divano con Saphira seduta al mio fianco.
- Hai perso i sensi, mi hai fatto preoccupare.
Sentivo ancora un grande caos nella testa, ma mi tirai comunque su sedendomi a mia volta.
- Quanto sono stato incosciente?
- Una manciata di minuti. Forse è il caso che ti lasci riposare.
Notai la tazza oltremare ancora colma e poggiata ad un angolo del tavolo così la trattenni per il polso mentre stava per prendere il proprio cappotto.
- Finisci almeno la tua cioccolata.
Fummo entrambi colti dall’imbarazzo e mentre sentivo il mio viso avvampare notai che anche il suo era divenuto porpora.

Il giorno seguente riapparvero gli stessi poliziotti dell’ultima volta, ma questa volta ebbero il tatto di procedere all’uscita da scuola.
Ancora una volta pareva ce l’avessero solo con noi due, ma evitarono l’ufficio del preside portandoci al commissariato.
Dovetti aspettare il mio turno su una panca in legno appoggiato al muro giallo pastello con la sola compagnia di una pianta dall’aspetto malaticcio.
Dalla mia postazione potevo vedere un altro locale pieno di scrivanie ed un uomo dai capelli brizzolati attirò la mia attenzione. Sembrava stesse avendo uno scambio di opinioni abbastanza cruento con la fotocopiatrice che si trovava all’angolo.
Ingannai il tempo osservando tutto ciò che mi circondava, dal tavolo pieno di post-it del tipo “comprare il latte” o “chiamare tale” a quello pieno di foto con bambini o animali domestici.

- È il tuo turno.
La voce di Saphira mi richiamò al presente. Non avevo idea di cosa le avessero chiesto, ma sembrava soddisfatta.

Entrai nel commissariato e l’ispettore mi fece segno di accomodarmi nella sedia davanti a lui. A separarci vi erano diversi fogli sparsi qua e la` ed una cornice di bassa qualità.
- Perché mi avete chiamato questa volta?
Non avevo intenzione di farmi spaventare da lui.
- Abbiamo trovato dei tuoi capelli e tracce della tua pelle sul ragazzo.
- E con ciò? tutta la scuola può conformare che tra noi non scorresse buon sangue e del suo fallito pestaggio. Se allora non mi fossi difeso oggi sarei io quello sottoterra.
- Dov’eri il giorno in cui sono morti?
- Ero con la ragazza appena uscita da qui. Eravamo andati al cinema.
I miei ricordi erano confusi, ma era come se mi stessero suggerendo le risposte e di certo non mi sarei fatto incastrare.
Anche da morto continuava a darmi dei fastidi.
- Cosa eravate andati a vedere?
- Fight club. Vuole che le racconti anche la trama?
Dall’espressione sul suo viso intuii che era vicino all’esasperazione. Doveva averle fatto le stesse domande e non era riuscito a farci contraddire. Doveva essere realmente convinto che la loro morte fosse opera nostra.
Delle violacee occhiaie segnavano quegli occhi da vecchio rapace ed indossava la stessa camicia dell’ultima volta.
- Signore ci sono delle novità.
- Parla.
- Hanno trovato la siringa che avrebbe ucciso la ragazza... Vi erano le impronte dell’altra vittima.
A portare la notizia era stato un ragazzo poco più grande di me in uniforme.
- Puoi andare.
Prima di uscire vidi l’ispettore abbandonarsi sulla propria poltrona con un’espressione attonita.
Si era sbagliato e la cosa doveva averlo turbato parecchio, ma era come se ai suoi occhi continuassimo ad essere dei mostri.

Le accuse caddero ed il caso fu chiuso, i giornali parlarono ancora per diversi giorni della tragedia shakespeariana che aveva travolto la città portando due adolescenti alla morte.
Ogni giornalista enfatizzava come poteva i fatti facendo assomigliare i due a Romeo e Giulietta con la sola differenza che era stato lui ad uccidere l’amata perché, a parere dei vari scrittori, troppo scioccato dal coma per poi suicidarsi.
La loro morte se non altro aveva arricchito i quotidiani, ma nessuno citò me o Saphira permettendoci di rimanere nell’ombra.
“Tieni gli occhi aperti.”






Angoletto autori:

Chiediamo umilmente perdono per il ritardo, ma ci faremo perdonare. Speriamo che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Al prossimo,
Arso & Jenni

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Capitolo 8
*** VIII. Oro e ghiaccio ***





L’ispettore aveva gettato la spugna e nessuno era più venuto a disturbarci permettendoci di tornare alla vita di tutti i giorni.
Le voci sul nostro conto si erano placate, ma nonostante ciò nessuno ci porse le proprie scuse.
I corridoi si erano nuovamente animati ritornando gioiosi come il giorno prima della tragedia a costo che nessuno li nominasse; nemmeno coloro che portarono le loro salme lo avevano più fatto.
La cosa non mi importava, ma dovetti ammettere che Jules sapeva essere di gran compagnia con il suo tono scherzoso.

Le lezioni riacquistarono il vigore perduto ed anche per i professori l’accaduto sarebbe diventato un aneddoto interessante da raccontare ai propri figli o prossimi studenti senza ricordare i loro nomi. La dimostrazione era la lezione di letteratura italiana che procedeva senza il minimo intoppo, come se nulla fosse più importante di andare a ricercare le figure retoriche nel Paradiso di Dante.
L’unica cosa in grado di spezzare quello sfiancante ed irritante ritorno alla normalità era la voce nella mia testa. Qualcosa l’aveva messa in allerta, ma da quando mi aveva avvisato di tenere gli occhi aperti pareva essere scomparsa.
Anche Saphira aveva qualcosa di diverso.
Da quando ci eravamo incontrati a casa mia mi aveva a malapena rivolto la parola e qualsiasi aggressività nel suo sguardo pareva scomparsa cedendo il posto solo alla preoccupazione.
La vedevo sempre al seguito di Thayla o di qualche altra ragazza con la quale non l’avevo mai vista parlare prima.
Era successo qualcosa quel giorno, ne ero sicuro. Ero svenuto eppure ero convinto di dimenticare ciò che era più importante.

“ Non preoccupartene.”

Forse aveva ragione. Non valeva la pena fasciarsi tanto la testa per una ragazza che aveva tentato più volte di uccidermi.
- Braight.
Avevo appena deciso di lasciar stare quando mi si avvicinò.
Portava un paio di jeans scuri ed un maglioncino rosso sul quale ricadeva la lunga treccia scura.
Era passata più di una settimana dall’ultima volta in cui mi aveva rivolto la parola , ma quegli occhi cristallini riuscivano a farsi perdonare di tutto.
- Dimmi.
- Ti va di fare la strada assieme?
Cominciammo ad avviarci verso casa nel silenzio. Senza gli altri due era difficile dar vita ad un discorso spensierato che andasse bene per una camminata.
Teneva lo sguardo basso, ma con i capelli costretti in quell’intreccio potevo comunque vedere lo sguardo assente che le segnava il volto.
- C’è qualcosa che non va?
La mia domanda parve prenderla alla sprovvista, ma fu questione di attimi.
- Non hai anche tu questa strana sensazione?
Era inquieta, quasi spaventata, ma sapevo a cosa si riferisse. Quella consapevolezza di essere braccati, in trappola costretti all’attesa di essere davanti al proprio persecutore, ma nessuno sarebbe potuto essere interessato a ricercarmi. I legali mi avevano detto di essere solo al mondo e di non avere nemmeno un parente alla lontana che potesse preoccuparsi di me.

“Sta arrivando.”

Un brivido mi percorse la schiena e lo stesso parve accadere a Saphira che fu scossa da un tremito.
- Cosa sta succedendo?
Silenzio.
Né la voce né la ragazza che sorreggevo mentre mi stringeva il braccio mi risposero.
Una testolina castana dall’altra parte della strada attirò la mia attenzione. Ci osservava con un sorriso maligno.
- Lasciami.
- Saphira?
- TI HO DETTO DI LASCIARMI!
I suoi occhi erano tornati freddi e mi guardavano con rabbia, odio eppure potevo scorgerci della paura, una richiesta d’aiuto.
Quando riuscì a liberarsi la ragazzina era già scomparsa dietro il traffico.
Mi lanciò uno sguardo di disapprovazione prima di lanciarsi tra le auto in corsa.
Quello era solo l’inizio.

- Avete visto la nuova del primo anno?
Eravamo appena arrivati in classe quando fummo investiti dalle nuove chiacchiere di corridoio. A parlarne erano un paio di ragazzi che attirarono subito l’attenzione di Jules.
La cosa non mi interessava molto, ma sentivo di dover ascoltare quella conversazione.

- Ho sentito dire che si è trasferita da una scuola privata.
- A me invece avevano detto che faceva parte di uno scambio culturale.
Ascoltandoli mi chiedevo cosa avessero detto di me appena arrivato.
Ricordavo ancora le parole di Jules con le quali mi defini` “normale” quando invece nel suo immaginario il mio aspetto era quello di un mostro pieno di cicatrici.
- Finalmente Saphira avrà una rivale.
Questa volta erano le ragazze ad essersi immerse nei pettegolezzi.
- Hai ragione. Adesso la smetterà di fare sempre la superiore.
Sapevano essere veramente crudeli.
L’immagine della bionda che le dava della pazza e la insultava era ancora vivida nella mia mente ed ora rivedevo in ognuna di loro quel comportamento. Definivano il suo silenzio irritante, ma non immaginavano nemmeno come potesse sentirsi, me ne ero reso conto quel giorno; lei era uguale a me.
Il suo passato doveva averle lasciato una traccia indelebile e probabilmente nessuno l’aveva aiutata uccidendo qualsiasi fiducia nell’umanità e lei gli aveva voltato le spalle a sua volta.
- Voi non sapete nulla di lei!
Senza rendermene nemmeno conto avevo alzato la voce dirigendomi al banco ed avevo gettato il borsone a terra prima di sedermi al mio posto.
Facevo fatica a controllare la rabbia e sarebbe bastata un’altra parola contro di lei per farmi scattare, ma non avvenne. Dovevo averli spaventati parecchio e di certo ora avevano un nuovo argomento per i loro pettegolezzi.

Entrò il professore di  biologia con un enorme tomo sotto braccio. Non provavo molta simpatia nei suoi confronti; aveva qualcosa che non andava e quel suo camice bianco mi dava sui nervi. Aveva al massimo una trentina d’anni a giudicare dai suoi lineamenti e capelli scuri dal taglio giovanile.
Nei suoi occhi marroni dalle striature verdi potevo intravedere una nota di pazzia ed in sua presenza mi sentivo una cavia.
Era una sensazione strana in grado di farmi raggelare il sangue. La causa dovevano essere i mesi che avevo passato in ospedale, ma questo non giustificava il mio odio.
Il suo viso mi era troppo familiare...

Al suono dell’intervallo mi precipitai alla ricerca di Saphira; dopo quello che era successo non ero più riuscito a contattarla.
Mi feci dire da Thayla quale fosse la sua classe, ma non ve la trovai.
L’aula era identica alla nostra solo con qualche banco in meno. Sulle pareti bianche spiccavano un paio di cartine ed una tavola periodica assieme ad un’enorme lavagna piena di formule e schemi.
- Cosa ci fai qui?
- Ti stavo cercando.
Dal tono della voce capii che era ancora arrabbiata per ciò che era successo il giorno prima ed i suoi occhi glaciali confermarono i miei sospetti, ma una confusione proveniente dal corridoio attirò la mia attenzione.
Un gruppo di ragazzi circondava l’esile figura di una ragazzina alta poco più di un metro e sessanta sormontandola. Parevano ammaliati dai suoi occhi dorati, dal volto allungato e sottile incorniciato da un caschetto castano chiaro, quasi biondo.
Un piccolo naso alla francese svettava nel mezzo del volto mentre le labbra sottili come la linea di una matita abbozzavano un timido sorriso. Non si poteva considerare poi tanto diversa dalle altre ragazze della sua età. Indossava un paio di jeans chiari ed un maglioncino color carta da zucchero dal profondo scollo a v mentre una candida pashmina le circondava il lungo collo.
Doveva essere colei di cui tutti parlavano, ma quando i nostri occhi si incrociarono rividi lo stesso ghigno di quando era dall’altro lato della strada perché ne ero sicuro; era lei.
In principio non l’avevo riconosciuta, ma quel ghigno era lo stesso e non fui l’unico a rendermene conto ora che Saphira era al mio fianco. Stringeva i pugni con tale violenza da far sbiancare le proprie nocche e l’altra ne sembrava compiaciuta.
Nello stesso modo in cui arrivo se ne andò accompagnata dallo stuolo di ragazzi .
- Va tutto bene?
Poggiai una mano sulla spalla della mora al mio fianco, ma la scansò per dirigersi indispettita verso il proprio banco.
- Hai detto che mi stavi cercando. Perché?
- Conosci quella ragazza?
Un lampo che avevo imparato a conoscere le attraversò il viso ed un paio di forbici si arrestarono  a pochi centimetri dalla mia gola.
- Non sono affari tuoi, Uprum.
Ancora quel nome.
Il suo viso parve addolcirsi, ma avevo ricevuto il messaggio e me ne andai prima di poter sentire qualsiasi altra parola.

Ero convinto che qualcosa fosse cambiato dal giorno del funerale, ma a quanto pare ero ancora un fastidio per lei.
Non pretendevo di immischiarmi nel suo passato, ma speravo di potermi avvicinare abbastanza da estorcerle quel che sapeva del mio passato e col tempo sentivo l’idea che ne facesse parte attecchire sempre di più.
Alla fine delle lezioni mi precipitai all’uscita: volevo evitare ad ogni costo il corteo scatenato dalla ragazzina del primo anno.
Attraversai il cortile a grandi falcate sfuggendo alla confusione e feci finta di nulla quando notai Saphira appoggiata al muretto del cancello; dopo quel che era successo non avevo la minima intenzione di rischiare un nuovo oggetto acuminato troppo vicino al mio corpo.
Avevo ancora il pacchetto di sigarette che mi mise nella tasca del giubbotto. Ne feci uscire una dall’angolo in cui la carta argentea era strappata e la portai alla bocca per accenderla.
Dal giorno dell’incidente portavo sempre con me uno zippo cromato che avevano ritrovato tra le macerie della casa. Avevo dovuto faticare un po’ per riportarlo al proprio splendore, ma ne era valsa la pena e poterlo usare era una splendida sensazione.

I giorni successivi continuarono ad essere maledettamente caotici: nostante quella testolina dorata avesse riscosso molto successo tra i ragazzi non si poteva dire lo stesso tra le ragazze che non mancavano di fulminarla con lo sguardo ad ogni passo.
La vita continuava a scorrere mentre l’unica preoccupazione degli studenti era la loro vita sociale, in fondo quella era la loro normalità senza incidenti o minacce.
Dal canto mio invece aspettavo che si calmassero le acque. Non volevo arrendermi, ma dovevo comunque lasciare che le cose si sistemassero da sole se non volevo rimetterci.
Saphira pareva aver avuto la mia stessa idea anche se ogni tanto mi sembrava di intravederla sulla soglia della classe per poi sparire.

- Tu devi essere Braight.
Era da poco cominciato l’intervallo quando una voce acuta distolse la mia attenzione dal cielo plumbeo e carico di pioggia.
Ora che la vedevo da vicino sembrava ancora più esile, il volto pareva talmente affilato da tagliarti solamente sfiorandolo e gli occhi felini erano pura luce.
Il suo sorriso ammaliante toglieva il fiato compensando le labbra fin troppo sottili, le scapole lottavano per lacerare la pelle diafana . Quella ragazza sembrava fatta di spigoli.
- Sono Jane. Mi sono trasferita da poco e dato che sei nella mia stessa situazione mi chiedevo se...
Non ebbe il tempo di concludere il proprio discorso che Saphira le fu alle spalle.

“ La cosa si fa interessante.”

I loro sguardi erano lame ed ogni volta che si scontravano erano stoccate, se fosse stato possibile uccidersi in quel modo lo avrebbero già fatto.
Il volto di Saphira faceva fatica a nascondere la rabbia ed i segni della stanchezza erano ben visibili nelle violacee occhiaie.
- Braight devo parlarti. Vieni con me.
Scostò in malo modo la più giovane e mi trascinò fuori per il polso.
Mi lasciò in una parte dell’edifico che non avevo ancora visitato. Era visibilmente nervosa, ma il cielo dei suoi occhi si era schiarito assumendo una meravigliosa sfumatura azzurra.
- Mi dispiace.
Un cristallino sussurro, completamente diverso dallo sfacciato scampanellio dell’altra.
- Ti ho aggredito ed ho esagerato. Non potevi sapere.
Teneva lo sguardo basso, pensieroso indecisa su cosa dire. La sua insicurezza era ciò che aspettavo, era il momento giusto ed era il punto su cui far leva per convincerla a raccontarmi tutto ciò che sapeva, tutto ciò che ancora non ricordavo.
- Chi e` Uprum?
- N-n-non so di cosa tu stia parlando.
- Mi hai chiamato in quel modo, non negarlo. Ti prego Saphira, dimmi la verità.
L’avevo colta di sorpresa ed i suoi occhi si erano sgranati al suono di quel nome e guardarono attorno alla ricerca di una qualche via di fuga. Non l’avrei lasciata andare, non ora.
- Lasciami andare.
- Tu sai qualcosa del mio passato.
Il suo viso si fece duro ed il cielo si rabbuio lasciando solo delle pagliuzze del colore precedente.
- Ne ho abbastanza di te.
In un attimo si liberò dalla mia presa con la stessa agilità di un gatto. Mi aspettavo di essere nuovamente attaccato, ma non fu così, si limitò ad allontanarsi ed a sparire nel corridoio.

- Che brutta litigata.
Jane emerse dall’ombra con un leggero passo saltellante fingendo un tono preoccupato.
- Cosa vuoi?
Non avevo tempo e nemmeno voglia di parlare con una ragazzina irritante e piena di se.
- Senza volerlo ho ascoltato degli stralci della conversazione e..
- Stavi origliando!
Rabbia, irritazione, frustrazione, erano i sentimenti che mi attanagliavano e sapere che qualcuno ci aveva spiati non mi faceva certo sentire meglio.
- Posso aiutarti.
Il tono non era più cantilenante, ma serio con una nota sadica, consapevole di dove e cosa colpire per andare a segno.
- Parla.
Dovevo mantenere la calma per essere lucido. Mi ero fatto prendere dalle emozioni ed avevo appena bruciato un’opportunità.
- Ti faccio una proposta. Questa notte vieni al 114 di Alley Street.
- Al cantiere?
- Esattamente. Ti dirò tutto ciò che la tua amica non ha mai voluto dirti, Uprum.
Sparì allo stesso modo in cui era arrivata.
Cominciavo ad odiare quel nome.

Il freddo aveva cominciato a farsi sempre più pungente a causa dell’inverno imminente. Quando arrivai al luogo dell’incontro il vento mi sferzava violentemente il viso.
Ovunque vi erano i materiali per l’imminente costruzione di un nuovo complesso abitativo. Lo scheletro dell’edificio era già presente e le fondamenta facevano ormai parte del paesaggio. Presto quella piana sarebbe divenuta l’ennesima traccia dell' uomo e la piccola cittadina in cui avevo deciso di nascondermi rischiava di ampliarsi fino a divenire nient’altro che un ammasso di ferro e cemento.
Ovunque mi voltassi c’erano componenti per la costruzione  a partire da grandi pile di sbarre metalliche fino ai grandi cumoli di sabbia e gli utensili abbandonati a loro stessi.
Alcune attrezzature di protezione non erano state adeguatamente rimesse al loro posto come dimostravano gli elmetti gialli lasciati qua e là.
La tramontana ululava tra le impalcature e potevo veder luccicare nel buio i vari macchinari tra cui la gru che non smetteva di far ondeggiare il suo gancio.
Il suono dei suoi passi leggeri attirò la mia attenzione nel silenzio della notte.
Le gambe esili e sottili erano fasciate da dei leggins scuri ed una lunga felpa grigia le fasciava il busto coprendole la capigliatura dorata con il proprio cappuccio.
Le nuvole che fino ad allora avevano oscurato la luce della luna si diradarono permettendo alla lama dell’accetta di risplendere come il suo ghigno.
Avanzava lentamente sicura di se, incurante del fatto che l’avessi vista, anzi ne pareva divertita.
L’arma lasciava il proprio segno sulla ghiaia lasciandomi pietrificato a quella vista, allo stesso sguardo di sadica irrazionalità.

“SCAPPA”

Indietreggiai di qualche passo, ma era già pericolosamente vicina.
- Ci sono battaglie che valgono la pena di essere combattute, la tua è già persa in partenza.
Non fui abbastanza svelto da schivare completamente il fendente che diede vita ad una chiazza di sangue che impregnò la manica della giacca.
Chiusi gli occhi a causa del dolore provocato dal taglio.
- Gli avevo detto di stare attento.
- Non pensavo ti facessi vedere così presto.
- Credevi che ti avrei lasciato fare i tuoi comodi?
- Contavo che fosse uno scontro più semplice.
Portò indietro l'arma preparando un nuovo colpo mirando alla testa, ma questa volta fu più lenta e riuscii a schivarla senza troppe difficoltà. La scaraventai su un cumulo di sabbia e pozzolana afferrandole il braccio, ma nonostante l’impatto la vidi rialzarsi in mezzo alla polvere pronta ad un nuovo assalto.
Era più veloce di quanto ricordassi.
Il sorriso che fino a poco prima le solcava il volto ora si era spento.
- Sei migliorata, Jane, ma non abbastanza.
Riuscii ad afferrare l’ascia con la quale aveva tentato di colpirmi ed a togliergliela per scaraventarla vicino a delle pile di ferri.
Il suo sguardo fu attraversato dal terrore, senza la sua arma non era nulla.
Corse per tentare di riprenderla ed io la colpii fra le scapole buttandola a terra. Strisciò nel tentativo di avvicinarcisi arrancando col fiato che le avevo mozzato, potevo sentire il terrore impadronirsi di lei e vidi il briciolo di speranza che le era rimasto morire nei suoi occhi dorati quando un paio di stivali neri si frapposero tra la sua mano e l’oggetto del suo desiderio.
Leonore portava un paio di aderenti pantaloni neri ed una giacca dello stesso colore che la faceva ancora più magra di quanto già non fosse. I capelli raccolti in una coda mettevano in evidenza il viso indurito e gli occhi glaciali.
Non rientrava nei suoi piani; contava di potermi affrontare da solo.
- Sei un’ingenua. Credevi davvero che non sarei intervenuta?
- Non c’era bisogno.
- Guarda come ti ha conciato.
La superò venendomi a fianco ed esaminando la ferita sul braccio per legarci un candido fazzoletto attorno.
La preoccupazione di Saphira nei miei confronti diede la possibilità a Jane di rialzarsi. Sentivo la testa pulsare assieme al braccio soprattutto ora che il dolore si faceva più acuto.
Sebbene a fatica si era rimessa in piedi ed allontanata riprendendo l’arma.
- Vuoi veramente rischiare?
- La prossima volta non l’avrete vinta.
L’ascia sibilò tra noi andando a piantarsi in uno dei sacchi di cemento alle nostre spalle.

- Si può sapere cosa avevi in mente?!
- Non sarai mica preoccupata?
- Comportandoti così ci farai scoprire. Devi imparare a tenerlo a bada.
Aveva ragione. Perdevo il controllo, le emozioni prendevano il sopravvento e mi impedivano di combattere come si deve.
- Hai sbagliato a venire qui da solo.
- Finché avremo a che fare con i pesci piccoli posso anche occuparmene da solo.



Angoletto Autori:

Jenni: visto come ci siamo fatti perdonare?
Arsonist: in un modo o nell'altro riusciamo a cadere in piedi
Jenni: soprattuto con tanto olio di gomito..
Arsonist: eheheheheh
Jenni: ora pretendo un biscotto :3
Arsonist: quando avro` la voglia di spedirlo per posta lo faro`
Jenni: >.<

Arsonist: intanto buona lettura <3

Ricordate la pagina https://ww.facebook.com/Reverse.Jenni.Arsonist
Con affetto,
Arso & Jenni <3


 

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Capitolo 9
*** IX. Conto in sospeso ***




Col buio facevo fatica ad orientarmi per la città ed il dolore che mi annebbiava la vista non era d’aiuto.
Lasciavo che Saphira mi guidasse per gli angusti vicoli del centro cittadino che si intersecavano in un dedalo infinito o semplicemente cercava a sua volta di depistarmi.
- Siamo arrivati.
Entrammo in un palazzo costruito da non molto tempo e salimmo con l’ascensore a quello che doveva essere l’ultimo piano.
Aprì la pesante porta in legno  attraverso la quale entrammo in un piccolo corridoio dalle bianche pareti. Si trattava di un ambiente abbastanza spoglio ad eccezione di uno specchio e di un mobiletto sul quale poggiò le chiavi.
- Accomodati pure.
Mi indicò lo spazioso salone al centro del quale c’era un circolare tavolo in legno con quattro sedie dello stesso materiale, ma a parte quello era lampante che vi vivesse da sola.
- Aspettami qui.
Mi sedetti seguendo la sua figura con gli occhi per poi vederla sparire e ricomparire in quello ce doveva essere il bagno con garze e disinfettante.
- Perché ti preoccupi così tanto?
- Togliti la giacca ed anche la maglia.
Le diedi retta e le porsi il braccio col taglio che fece ruotare delicatamente tra le esili dita per poi pulirlo con ciò che aveva portato poco prima.
- Sei un incosciente.
- Fa attenzione.
Anche se il suo tocco era leggero doveva disinfettare a fondo la ferita ed a quanto vedevo era anche abbastanza profonda e se non avessi dovuto spiegare come me l’ero procurata sarebbe stato intelligente andare all’ospedale e non cercare di medicarla nel salotto di una ragazza che aveva più volte attentato alla mia incolumità.
- Così dovrebbe andare.
- Grazie.
Aveva fermato le bende con delle fascette facendo un lavoro ad opera d’arte.
- Sarebbe l’ora di andarmene.
Il suo viso era completamente diverso da quello dei giorni passati, la rabbia nei miei confronti era stata rimpiazzata da preoccupazione e tristezza da quando aveva visto la ferita, ma non volevo approfittarne ed avevo bisogno di riposare.
- Puoi rimanere.
Il suo era stato poco più di un sussurro a capo chino, ma anche così potevo vedere il suo viso imporporarsi per l’imbarazzo.
- Non voglio disturbare.
Mi misi la maglia alzandomi.
- Jane potrebbe essere ancora là fuori.
Aveva ragione anche se dubitavo fortemente di potermela ritrovare davanti dopo la batosta che aveva appena subito, ma sentire la sua nuca fra le scapole era una bella sensazione e non valeva la pena rischiare.

Approfittai del bagno per togliermi la polvere dal viso e dai capelli.
Le mattonelle erano d'un verde chiaro il quale si fondeva con quello più scuro del pavimento . Il mobile del lavandino spiccava nell’ambiente grazie al suo legno scuro e mentre guardavo il mio riflesso nello specchio non facevo che pensare a quegli occhi dorati ed alla follia omicida che vi abitava.
Tornai nella sala trovando il tavolo apparecchiato per due e Saphira che trafficava con una padella e quelle che dovevano essere delle uova.
- Devi aver fame.
- Leggermente. Vuoi una mano?
- Non preoccuparti ed accomodati.
- Posso farti una domanda?
- Non ti assicuro di rispondere.
- Vivi da sola?
- Sì.
La sua voce si era impercettibilmente inclinata e decisi di non indagare oltre, non dopo ciò che stava facendo per me.
Cenammo in silenzio, assaporando quel piatto tanto semplice quanto delizioso.
Ora che ci trovavamo l’uno di fronte all’altra potevo scrutare in quei pericolosi occhi, in quei delicati lineamenti e in quel volto incorniciato dai lunghi capelli corvini che ora erano stati costretti in una treccia che le ricadeva sulla spalla scontrandosi col pigiama azzurrino.
- Potresti evitare di fissarmi?
- Sembri diversa...
- Sono sempre la stessa.
- A volte non ne sono sicuro.

La aiutai a ripulire l’angolo cottura ed a riporre le stoviglie al proprio posto nella credenza in noce e marmo mentre lei cercava di rendere il divano più confortevole con un gigantesco cuscino e delle coperte in pile.
 Ogni mobile era in vero legno e non in quelle sottospecie di truciolati che si trovavano in giro come dimostravano le venature scure della cucina o quelle rosse tipiche del mogano in cui erano fatti libreria e scrittoio agli angoli della sala.
- Perché stai facendo tutto questo?
- Siamo sulla stessa barca.
- Saphira...
Si era diretta alla propria camera ed ora mi guardava con aria interrogativa.
- Buonanotte.
- Buonanotte Braight.
Uno splendido sorriso le illuminò il volto prima di sparire dietro la porta.
Mi adagiai sul divano posando tutto quello che avevo nelle tasche sul vicino tavolo in vetro in attesa del sonno mentre le immagini di ciò che era avvenuto nelle ore precedenti mi affollava la mente.

Al mio risveglio mi sorpresi di essere ancora in quella casa constatando che tutti gli eventi della sera precedente non erano stati un sogno ed a provarlo c’era anche la fasciatura sul mio braccio.
Approfittai del bagno e notai la vasca bagnata , come il tappetino in spugna e lo specchio che stava cominciando a spannarsi mentre un profumo di vaniglia si diffondeva nell’aria.
Aprii un paio di cassetti trovandoci solo cosmetici e simili; forse era solo una ragazza normale...
Il piano cottura era ben messo ed a giudicare dal contenuto del frigo aveva fatto da poco la spesa e mi presi la libertà di prepararle la colazione. Gli utensili erano tutti riposti ordinatamente nei cassetti e dovetti aprire tutti e tre gli sportelli della credenza per trovare il pane in cassetta da tostare ed il caffè mentre latte, burro e marmellata erano nel frigo.
Non ero certo che sarebbe stata una colazione di suo piacimento, ma se era nella dispensa doveva farne uso.

Bussai alla porta della sua stanza prima di entrare, ma non ricevetti risposta.
Il locale era illuminato da un’enorme finestra a fianco del letto ad una piazza e mezza facendo riversare la luce sui muri spugnati di blu oltremare e le rose dello stesso colore dipinte sull’enorme armadio parevano completamente estranee alla ragazza che l’abitava.
Le lenzuola erano dello stesso colore delle pareti, perfettamente intonate all’ambiente ed una decina di cuscini erano vi erano adagiati sopra assieme ad un’ enorme pantera di peluche dagli occhi dello stesso colore di quelli di Saphira. La vista di quell’animale di pezza mi fece sorridere al pensiero di quanto quei due si assomigliassero.
Uscii dalla stanza per riprendere la mia ricerca della padrona di casa.
Diedi uno sguardo allo scrittoio nella speranza che avesse lasciato un qualche messaggio se fosse uscita, ma tutte le carte che vi si trovavano erano bianche o  scarabocchiate ed anche controllando nei cassetti ero riuscito a trovare solo delle boccette di inchiostro o raccoglitori di documenti che non osai aprire anche in semplice atto di rispetto.
La libreria attirò a sua volta la mia attenzione.
Si trattava di un enorme mobile ricolmo di libri di ogni tipo e dimensione, dalla trilogia di Cuore d’inchiostro a Silver linings playbook, dal Cavaliere inesistente a Cuori in Atlantide e via dicendo con una decina di cornici qua e là, ma tutte rigorosamente vuote...
Il mio sguardo si posò su altri voluminosi tomi dalla copertina consumata a causa del grande utilizzo e fui costretto ad aprirne uno per conoscerne il contenuto: si trattava di un libro di medicina con i capitoli di psichiatria decorati da appunti.

Una folata di vento fece ondeggiare una tenda beige facendo intravedere un piccolo balcone a cui non avevo fatto caso fino ad allora.
Saphira si era accomodata su una piccola poltrona in vimini con lo sguardo rivolto al cielo plumbeo ed i capelli ancora fradici che le ricadevano sulle spalle.
- Alla fine è giunto il momento, Leonore.
Fu solo un bisbiglio perso nel vento mattutino.
- Ho preparato la colazione.
I suoi occhi erano immensamente malinconici, ma anche il solito fatto di aver attirato la sua attenzione era un buon segno.
- Pane e marmellata?
- Anche burro se preferisci.
Un sorriso le illuminò il viso e dopo avermi ricontrollato la ferita  facemmo colazione insieme.
- Sono passata da casa tua prima.
- Cosa?
- Ieri ti sono cadute le chiavi e sarebbe meglio liberarti di quei vestiti.
La cosa mi irritava, ma non mi stupiva.
Raggiunse il mobiletto della tv camminando a piedi nudi sul parquet e mi consegnò un borsone nero poggiato davanti ad esso nel quale c’erano alcuni miei indumenti.

Avevamo passato un’ora davanti al telegiornale, ma parevano non esserci notizie su ciò che avvenne il giorno precedente ed ora che ci trovavamo al cancello della scuola non facevo altro se non interpellarmi su Jane.
Per la prima volta da quando era arrivata nessun gruppo di ragazzi bloccava i corridoi, ma forse noi non l’avevamo semplicemente incontrata o almeno ci speravo fino all’intervallo.
- Quella nuova sembra non essere venuta oggi. Deve aver reso tristi tutti i ragazzi del liceo.
Il tono di Jules era canzonatorio, ma la sua figura sul ghiaino era ancora vivida nella mia mente e cominciavo a pensare che doveva essere parecchio ammaccata.

Passò una settimana senza che lei si presentasse a scuola il che mi rendeva inquieto soprattutto perché ero fortemente consapevole di esserne colpevole, almeno in parte  e la cosa sembrava irritare anche Saphira per lo più a causa delle voci che avevano cominciato a girare.
Le ragazze non facevano che darle la colpa ed i ragazzi non facevano che guardarmi con disprezzo per il semplice motivo di averci visto parlarle e tutte quelle insinuazioni erano veramente insopportabili con tutte quelle supposizioni di gelosia verso un giovane angelo ed avrei volentieri stroncato tale immagine se solo il fatto di avermi attaccato con un’ascia fosse stato credibile.

Prendemmo uno dei pullman che si dirigevano in una delle aree periferiche della città.
Jules aveva invitato l’intera compagnia a cena poiché aveva la casa a propria disposizione. Al contrario di lui e Thayla noi vivevamo in pieno centro e avremmo dovuto girovagare un po’ prima di arrivare a destinazione.
L’ambiente in cui risiedevano era completamente diverso da quello che caratterizzava la parte in cui abitavamo:  a parte la strada in cui ci aveva lasciato il pullman si trattava di vicoletti stretti ed angusti che costeggiavano le piccole proprietà.
- Dovremmo andare di qua.
I due ci avevano spiegato come raggiungerli e Saphira aveva provveduto a fare una specie di cartina; era la prima volta che mi trovavo in quella parte della città.
Svoltammo più volte a destra costeggiando i vari giardini accompagnati dalla luce dei lampioni e rischiando più volte di incappare in buche o gatti che comparivano nel bel mezzo della stradina.

Era una decina di minuti che camminavamo quando i passi della mia compagna smisero di riecheggiare sull’asfalto. Un suono sordo mi fece voltare e la vidi sdraiata a terra mentre il ferro  risplendeva nella notte.
- Credo di averla sistemata.
Il suo sorriso maligno era inconfondibile nonostante le ombre che le si gettavano sul viso cancellandone i lineamenti.
- Jane.
- Questa volta non verrà nessuno ad aiutarti, Uprum.
In istante mi si gettò addosso brandendo una spranga che riuscii miracolosamente ad evitare, ma sapevo di non aver speranze in un combattimento a mani nude e la pozza di sangue che si espandeva tra i capelli corvini mi costrinse a scappare.
Saphira aveva bisogno di aiuto sempre che non fosse già troppo tardi e per questo mi gettai tra i vicoli arrancando in quell’infimo spazio mentre la sua risata continuava a seguirmi senza stancarsi, senza cadere di tono, ma sempre stridula ed acuta. Ruzzolai a terra a causa di un gatto che mi tagliò la strada nel bel mezzo della corsa impedendomi di evitarlo.
Un energico colpo raggiunse la mia spalla impedendomi di rialzarmi e costringendomi a voltarmi per guardarla negli occhi traboccanti di follia.
Mirò al volto credendo che fosse così facile sbarazzarsi di me, ma la ferita non ancora del tutto chiusa si era riaperta con l’urto e non riuscii ad evitare completamente la barra che mi procurò un taglio al volto.
- Allora vuoi proprio morire.
Il suo sangue parve fermarsi allontanandosi dal volto che era divenuto estremamente pallido nel vedermi rialzare.
Presa dalla disperazione cominciò ad agitare violentemente l’arma nel tentativo di difendersi riuscendo a colpirmi gli avambracci con cui tentavo di ripararmi.
Vacillai per un attimo, ma in quello stesso momento si aprì una breccia. Il mio contrattacco fu rapido e pulito alla bocca dello stomaco.
Le mozzai il fiato, ma non fu abbastanza e ad ogni mio nuovo affondo la spranga veniva in suo soccorso scorticandomi le nocche che stavano cominciando a sanguinare.
Sferrai un calcio mirando alla sua testa, ma lei si abbassò schivandolo e riuscì a togliermi l’unico punto d’appoggio con un violento colpo facendomi rovinare a terra.
Cominciavo a sentire la stanchezza mentre Jane pareva ancora nel pieno delle energie, come se quegli interminabili minuti di scontro non fossero mai avvenuti.
- Ti ricordavo più forte, Uprum.
- Non è ancora finita, Jane.
Feci leva sulle gambe con le braccia e tentai di colpirla invano, i colpi della spranga ricominciarono a farsi sempre più fitti e mi costrinsero ad indietreggiare fino ad inciampare nel marciapiede finendo al suolo con le spalle al muro.
Cominciavo a credere che il freddo della roccia sarebbe stato il mio ultimo ricordo ad ogni suo minaccioso passo quando i suoi occhi argentei brillarono nel buio e le ultime grida di dolore di Jane si consumavano tra le sue dita.
- Io ero la più debole...
Il suo sguardo dorato si era spento per sempre.

Saphira stringeva fra le mani il proprio coltello a serramanico con la lama brillante screziata di rosso che ripuli` con la manica prima di rimetterlo nella tasca dei jeans.
Mi caricai il corpo sulle spalle mentre lei cercava di ripulirsi il viso per metà scarlatto.
Girovagammo alla ricerca di un modo per darle una sepoltura muovendoci nell’ombra, evitando qualsiasi strada conosciuta, ma tutto ciò che riuscimmo a trovare fu un cumolo di scarti agricoli dovuti alle potature invernali e pronti per essere bruciati.
- Credi sia veramente un modo sicuro?
- Jane era come noi, non esiste e nessuno verrà mai a cercarla.
- Loro potrebbero.
- Attirerebbero troppa attenzione.
La adagiai sulle foglie secche e ci allontanammo mentre le fiamme raggiungevano il cielo.

Sfruttammo una fontanella per renderci presentabili e dovetti fasciarle la nuca per evitare che la ferita si infettasse, ma era troppo tardi per prendere un pullman, soprattutto in quelle condizioni costringendoci a bussare alla sua porta.
Eravamo in ritardo e le loro preoccupazioni parvero prendere vita non appena ci videro. La loro carnagione perse qualsiasi colore e per un attimo pensai che Thayla sarebbe svenuta ed avremo dovuto prenderci cura di lei.
- Cosa diavolo vi é successo?!
Non risposi subito intento a sistemare la fasciatura di Saphira ed a pulire la ferita come si deve mentre sentivo gli avambracci gonfiarsi e notai con disappunto che due strisce violacee si stavano formando.
- DANNAZIONE BRAIGHT! IN COSA VI SIETE CACCIATI?
- Abbiamo avuto un incidente.





Angoletto Autori:

Arso: Eccoci qui per un nuovo angoletto autori :)
Jenni: E dire che una volta non ti piaceva...
Arso: Ogni tanto, dipende dai giorni.
Jenni: Mi stai diventando lunatico.
Arso: Nha, picole ripercussioni dovute ad una squallida routine.
Jenni: Quando fai cosi` ti picchierei. Comunque chiediamo venia per il ritardo.
Arso: Pardon, my mistake
Jenni:
come al solito vi lasciamo la pagina fb dove potrete seguirci (o minacciarci)

https://www.facebook.com/Reverse.Jenny.Arsonist

Con affetto,
Jenni & Arso

 

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Capitolo 10
*** X. A denti stretti ***






Jules continuava ad inveirmi contro alla ricerca di qualche risposta ed a scrollarmi per le spalle come fossi un fantoccio.
Nella sua mente doveva esserci una spiegazione razionale alle nostre ferite, l’idea che potevamo aver ucciso qualcuno pareva fare capolino attraverso il terrore nei suoi occhi, ma cercava continuamente di ricacciarla indietro.
Aveva ucciso qualcuno.
Per quanto mi ripetessi che era stata legittima difesa, che aveva quasi ucciso entrambi e che erano state le mani di Saphira a macchiarsi del suo sangue, non le mie, quella consapevolezza continuava a tormentarmi ed a farmi ribrezzo, ma ogni volta, sul punto di cedere, qualcosa mi impediva di dire la verità dando vita al silenzio che portava alla disperazione del ragazzo davanti a me.
- Siamo stati aggrediti.
Sebbene fosse quello che era successo la sentii come una menzogna.
- Chi vi ha conciato così?
Nonostante fosse stata la mora a rispondergli continuava a cercare il mio sguardo in attesa che fossi io a spiegargli.
- Cosa ti cambierebbe saperlo? Vorresti vendicarci o simili?
Il mio cinismo era tagliente e pensavo di aver colpito, ma il suo volto si accese nuovamente di irritazione.
- SMETTILA DI FARE IL VISSUTO CON ME! Io sono tuo amico, lo siamo entrambi.
Thayla gli si era accostata ed ora verde smeraldo ed azzurro cielo si fondevano riversando tutta la loro tristezza in quello che ormai non era che il fondo di una bottiglia.
- Dei tizi della scuola. Hanno colpito Saphira e poi si sono buttati su di me.
Quella menzogna fu quanto di più facile fossi mai riuscito a dire.
Finalmente la sua presa scomparve mentre tutto il resto spariva ridandogli un’espressione sollevata: non doveva essere la prima volta che accadeva qualcosa di simile.

Né io né Saphira riuscimmo a mangiare con lo stomaco chiuso dal peso delle menzogne al contrario di Jules e Thayla.
La casa non era di grandi dimensioni, ma il suo sviluppo su due piani aiutava a considerarla una villetta di campagna.
Al piano terra si trovavano una cucina di modeste dimensioni, un bagno di servizio ed un enorme salone in cui avevamo mangiato occupato da un paio di divani attorno ad un tavolinetto di legno davanti al quale si trovava il televisore.
Aiutai il padrone i casa ad aprire i due sofà mentre le ragazze salivano al piano di sopra alla ricerca di coperte e cuscini; avremmo passato la notte a casa sua ed il giorno dopo saremmo tornati alle nostre abitazioni dopo aver perso la nostra aria da sopravvissuti.
Fui costretto a dormire con Jules, col suo russare e rischiai di cadere più volte dal letto e di rimanere senza coperte.
Saphira si era addormentata quasi subito probabilmente a causa del grande mal di testa che la stava tormentando.
Il suo viso era bellissimo e per la prima volta da quando la conoscevo era rilassata ed in pace con se stessa.

Al mio risveglio la dura realtà pareva affievolirsi e perdersi tra le luci soffuse dell’alba tanto da credere che tutto ciò che era accaduto potesse essere solo un sogno, ma i miei avambracci erano segnati da due spesse linee nere e tra i capelli di Saphira spiccava ancora la fasciatura.
Mi alzai data l’assenza degli altri due e dopo averle rimboccato le coperte mi diressi in cucina li trovai a preparare una moka di caffè e tirar fuori dei pachi di biscotti al cioccolato.
- Hai dormito bene?
- Intendi a parte il tuo russare?
La rossa rise ed anche Jules ne parve divertito. Invidiavo la loro spensieratezza e la facilità con cui un sorriso riusciva a solcare le loro labbra; vedendoli sembrava che non potesse accadere nulla di brutto.
- Dite che dovremmo andare a svegliarla?
- Chi dovreste svegliare?
Anche Saphira si era alzata e ci aveva raggiunto.
La sua voce era ancora impastata dal sonno e pareva un gatto da come si strofinava gli occhi col dorso della mano.
- La colazione è pronta bell’addormentata.
- Braight potresti...
Si indicò la nuca probabilmente nella speranza di disfarsi della vistosa garza.

Il bagno era piccolo e stretto per due persone, ma non mi pareva il caso di medicarla in sala.
La ferita aveva smesso di sanguinare e con i capelli sciolti era molto difficile notarla.
- Dei punti sarebbero stati la cosa migliore.
- Lo so.
Non mi diede modo di replicare tornando in sala e sedendosi a fianco di Thayla dove già l’attendeva una tazza scura colma di caffellatte.
Consumammo la colazione con il telegiornale in sottofondo ascoltandolo in religioso silenzio, in attesa che ne parlassero poi la voce della conduttrice ci colpì con la forza di un proiettile.
Avevano ritrovato un corpo carbonizzato nel bel mezzo della campagna, ma tutte le loro conoscenze si fermavano al sapere che si trattasse di un’ adolescente.
Al suo posto saremmo potuti esserci noi.
Non sapevo se i nostri commensali avessero avuto il nostro stesso pensiero, ma la cosa sembrava averli scossi anche se non ci avevano collegati ad esso.

Salimmo al piano di sopra alla ricerca di qualche vestito.
Sul piano vi erano quattro stanze tutte dalle porte chiuse.
- Le cose di mia sorella dovrebbero starle. Non si renderà conto se le mancherà un paio di jeans o un maglione.
Non sapevo che avesse una sorella, ma dopotutto non glielo avevo mai chiesto.
- Braight vieni con me. Ti presterò una maglietta, non puoi andare in giro sporco di sangue.
Entrammo nella sua stanza, piccola ed essenziale mentre Saphira e Thayla entravano in quella accanto.
L’arredamento consisteva in un letto ad una piazza ancora sfatto, una scrivania o almeno sembrava tale sotto la massa di fogli che la ricopriva ed in un armadio sebbene la maggior parte dei vestiti sembravano sparsi per la stanza. Buona parte dei muri erano decorati da poster di varia natura: la maggior parte di gente che non conoscevo e non avevo mai visto.
- Sei leggermente più alto di me, ma questa dovrebbe andarti bene.
Mi porse una felpa rossa con cappuccio da mettere sopra i jeans e sebbene non fosse il mio stile non potevo fare lo schizzinoso ed era pur sempre un atto di gentilezza.
- Grazie.
Osservai la maglia che avevo indossato poco prima e dovetti ammettere che non avevano tutti i torti considerando che era macchiata in più punti e strappata in altri.
- Possiamo entrare?
Le due ragazze entrarono a loro volta nella camera.
Anche Saphira non era a proprio agio nel maglione rosa confetto e nei jeans pieni di strass che indossava, ma gli abiti che teneva fra le mani erano vermigli.

Fortuna volle che fosse domenica e che non dovessimo recarci a scuola ed essendoci svegliati prima riuscimmo a prendere uno dei primi pullman che giravano per la città per tornare a casa senza attirare troppo l’attenzione.
I genitori di Jules non sarebbero rientrati a casa prima del giorno seguente, ma non volevamo rimanere troppo a lungo in quella casa o comunque nelle loro vicinanze.
Ormai era palese che ci stessero dando la caccia ed anche se non riuscivo ancora a comprendere tutto ciò che stava accadendo non potevo far altro che seguire Saphira e sperare che i danni si limitassero perché anche se desideravo fortemente che fosse stato solo un sogno entrambi eravamo feriti e la nostra vita era in serio pericolo.
Lasciai a lei l’ingrato compito di disfarsi delle prove che ci portavamo addosso.

La casa era nelle stesse condizioni in cui l’avevo lasciata non un mobile era fuori posto, ma non riuscivo a non pensare che già Saphira vi aveva messo piede e che non doveva essere poi così difficile scassinare la serratura.

“La cambieremo”

Quella voce stava divenendo sempre più parte di me e cominciavo a trovarla meno irritante del solito soprattutto dopo quello che era successo.
Certamente sapeva qualcosa e ricordava cosa fosse successo in passato, ma se ogni volta che cercavo di rammentare taceva doveva esserci qualche motivazione.
Mi diressi nella mia camera e gettai nella cesta della roba sporca la felpa che mi era stata prestata. Nel giro di una settimana mi ero procurato più ferite di quante non me ne avesse causato l’incendio: gli avambracci non erano che due enormi chiazze violacee e lo stesso colore compariva qua e là sul resto del busto mentre l` enorme taglio sul braccio dal colore poco raccomandabile probabilmente a causa di un’infezione.
Tentai di disinfettarla nuovamente, la lacerazione sfrigolava sotto l’influsso dell’acqua ossigenata e strinsi i denti mentre la crosta si distruggeva dando spazio alla carne viva.
Lasciai che si asciugasse senza garze o simili e mi gettai sul letto alla ricerca di riposo e pace.

Dormii tutto il giorno fino al mattino seguente, ma invece di sentirmi rinvigorito ero ancora più stanco ed allo specchio non vedevo che un volto scarno e disfatto.  Da quando ero tornato dalla casa di Jules non avevo messo nulla nello stomaco.
Cominciavo a sentirmi affamato, ma il solo pensiero del cibo mi dava la nausea e dovevo sopprimere un conato di vomito. Avessi potuto scegliere avrei evitato di presentarmi a scuola, ma dovevo mantenere quella facciata di normalità nonostante tutto stesse andando a rotoli.
Indossai il primo paio di jeans che trovai, una maglia nera e la sciarpa; sarei presto dovuto andare a comprarmi una giacca nuova.
L’aria era pungente, ma assorto nei miei pensieri il freddo non mi sfiorava.

Non avevo ancora avuto l’occasione di vedere un qualsiasi telegiornale ed il titolo in prima pagina esposto fuori da un’edicola mi fece raggelare il sangue.
Non appena arrivato a scuola mi gettai alla ricerca di Saphira.
Era nella sua classe e cercava di ripulire il proprio banco dalle varie lettere e minacce che lo popolavano.
- Cosa è successo?
- Ho trovato Thayla che cercava di nasconderle. Forse dovresti controllare anche da te.
Ne presi una in mano e non potei non fare caso al linguaggio con cui le si rivolgevano, agli insulti che le muovevano ed a quelle che sembravano maledizioni.
La aiutai a buttarle e come immaginavo anche Jules cercava di nascondere le gemelle a me indirizzate.
- Non capisco perché ce l’abbiano tanto con voi.
Le lezioni furono un supplizio mentre lo sguardo di tutti i miei compagni cercava di fulminarli, ma non facevo che ripensare a ciò che avevo letto.
Avevano dedicato un servizio speciale alle morti della nostra scuola ed alla scomparsa di una nuova arrivata dai documenti falsificati. Avevo cercato di parlarne con Saphira, ma non ne avevo avuto modo ed a quanto avevo capito anche lei doveva averlo visto.
Durante l’intervallo attraversare il corridoio fu una vera impresa  e rischiai di vedermi rovesciare addosso più di un caffè delle macchinette senza contare i tentativi di sgambetti per dar vita a qualche rissa.
Mi sentivo la sua guardia del corpo perché mentre io avevo a che fare con dei tizi tutti muscoli e niente cervello lei si trovava nella fossa delle iene, perfide e spietate.

I giorni successivi non furono migliori soprattutto per lei. Volendo si sarebbe potuta difendere, ma avrebbe solo peggiorato le cose per cui la vedevo tener duro e stringere i denti davanti ai suoi libri ed ai suoi abiti rovinati da forbici o simili.
L’intero istituto pareva odiarci e nel giro di pochi giorni mi ero ritrovato immischiato in tantissime risse rischiando più volte dei richiami disciplinari, ma quando facevo a pugni sentivo una malsana gioia di vivere e la voce mi esortava a fare di più fino a quando i suoi occhi di ghiaccio non mi chiedevano di smetterla. Nostro malgrado avevamo messo in mezzo anche Jules e Thayla che nel loro tentativo di appoggiarci si erano solo gettati in  grossi guai entrando a loro volta nel mirino con la sola differenza che a loro era stata data l’opportunità di scegliere.

Nel frattempo avevo cambiato la serratura di casa ed ogni volta cercavo percorsi alternativi per far perdere le mie tracce in caso di nuovi attentati alla mia incolumità; col tempo Saphira pareva addolcirsi e la follia attenuarsi.
- Braight!
Come un tornado era piombata in casa mia con una rivista scientifica tra le mani e gli occhi le si erano illuminati di gioia nonostante ciò che aveva dovuto passare negli ultimi giorni.
- Cosa succede?
Non faceva che sventolarmi la rivista sotto il naso in attesa che capissi da solo cosa avesse dovuto attirare la mia attenzione
- Leggi!
Sembrava una bambina nel giorno di Natale dall’eccitazione e mi costrinse a sedermi al tavolino vicino a lei per leggere l’articolo che aveva destato tale euforia.


L’inizio era particolare nel riportare una citazione di Freud in cui definiva gli schizofrenici distolti dalla realtà esteriore, ma capaci di penetrare quella interiore impenetrabile a qualsiasi altro essere umano.
Il trafiletto descriveva i vari sintomi che accumunava tale patologia ad un accentuato bipolarismo dalla sensazione di avere il mondo intero contro alle allucinazioni tra cui quelle uditive, ma allo stesso tempo si chiedeva se queste fossero realmente malattie. Esponeva la propria teoria per cui tali voci non fossero solo opera di una mente in preda al delirio, ma come qualcosa di incurabile.
Per un momento mi illusi di comprendere cosa mi stesse succedendo e che tutto non fosse altro che una mia visione distorta della realtà.

 Il tutto era stato firmato da un certo professor Reiner Scott. Non capivo cosa avesse potuto renderla così felice poi una serie di immagini e di ricordi mi affollarono la mente .
Ognuno di essi era popolato da bambini che giocavano e soprattutto da una ragazzina; in ogni scena lei era presente.
Erano pezzi di un puzzle che mi venivano forniti, scombinati e troppo pochi per avere un quadro completo, ma la mia memoria sembrava finalmente ricostruirsi.
Conoscevo quel nome e la sensazione di aver già incontrato Saphira era divenuta certezza perché quella ragazzina era lei, ne ero sicuro.
- Tu eri la mia compagna di giochi...
- Cosa stai dicendo?
- Hai capito benissimo. SAPHIRA IO MI RICORDO DI TE!
L’avevo colta di sorpresa, ma in un certo modo ne pareva sollevata come se un grosso peso le fosse uscito dal petto e la cosa mi fece imbestialire di più.
- Noi due passavamo le giornate insieme, e quell’ uomo... quell’uomo faceva parte della nostra vita!
Stavo gridando e lei non faceva che rispondermi col più completo silenzio in attesa  che finissi la mia sfuriata e mi calmassi.
- Perché non me lo hai detto prima?
- Quando ti ho visto ho capito che qualcosa non andava e decisi che fosse meglio aspettare che ricordassi.
Non aveva del tutto torto, ma la cosa mi dava fastidio perché anche se lo avesse fatto per il mio bene non era giusto.

I ricordi continuarono a riaffiorare nei giorni seguenti divenendo la principale tematica dei miei sogni.
Un uomo che chiamavamo lo zio Reiner ci leggeva spesso delle fiabe o ci portava al parco mentre altre volte vedevo quelli che parevano dei medici come se fosse stata parte integrante della mia infanzia.
- Come facevamo ad essere così vicini?
All’inizio era stata titubante e non voleva darmi spiegazioni mentre ora si dileguava dal discorso dicendo semplicemente che i nostri genitori erano colleghi e che spesso venivamo lasciati all’asilo della compagnia almeno fino a quando i suoi non cambiarono città.
Continuavo ad avere dei dubbi su quanto mi raccontasse, ma il senso di abbandono era fortemente collegato a tutto ciò che mi tornava alla mente dandole comunque credito.
- Cerchiamolo.
Mi era venuta di getto, senza pensarci, ma ero convinto che fosse un buon modo per capire cosa sesse accadendo alle nostre vite.
- Davvero?
Aveva abbandonato la propria forchetta sul piatto ed aveva cominciato a tormentarsi le mani.
- Leonore abbiamo bisogno di lui.
- Credi davvero che sia così facile?
- Dobbiamo tentare.
Tentammo in tutti i modi di risalire dalla rivista a qualcuno che potesse darci informazioni, ma ogni volta incappavamo in un vicolo cieco, in strade fatte apposta per depistarci e fallire miseramente.
Avevamo tentato a mandare diverse lettere alla redazione per risalire al giornalista, ma nessuno era in grado di risponderci fino a quando non decidemmo di mollare.
Avevamo estremamente bisogno di lui per sopravvivere ed avere una maggiore possibilità di rimanere lontani da occhi indiscreti, ma a forza di tentare di scovarlo ci stavamo gettando tra le sue fauci.

Stavamo rientrando a casa quando una risata attirò la nostra attenzione.
- Leonore, Uprum ne è passato di tempo dall’ultima volta.
Da allora era cresciuto abbastanza da superarmi in altezza e doveva essersi deciso ad andare in palestra a giudicare dai muscoli delle braccia soprattutto calcolando che fino a qualche anno prima non era che un ragazzino tutto pelle ed ossa.
- Thunder...
I capelli biondo cenere brillavano alla luce del lampione a cui si era appoggiato.
Saphira aveva già tirato fuori il proprio coltello pronta a difendersi.
L’ultima volta non le avevo dato retta, ma questa volta avremmo evitato i nostri problemi fin da subito.
Gli saltammo addosso nel tentativo di colpirlo, ma era impossibile perché poco prima che potessimo andare a segno ecco che si scansava evitando i nostri affondi uno dopo l'altro senza centrarlo neanche una volta nonostante le numerose sferzate.
- Credete davvero che sia così facile?
Negli anni lui era esponenzialmente migliorato noi invece ci eravamo arrugginiti costretti a rimanere nella loro ombra e la mancanza di memoria non era certo a nostro favore.
Ci aveva sopraffatti fin dal principio ed avevamo perso in partenza e senza troppa fatica riuscì a prendere Leonore che scattava in tutte le direzioni possibili ed a disarmarla torcendole violentemente il polso tanto da renderle gli occhi lucidi.
- Bastardo.
- Fossi in te non lo farei.
Avevo intenzione di recuperare il coltello, ma capii abbastanza in fretta cosa avrebbe fatto: Saphira sarebbe stato un perfetto scudo. Non ero interessato alla sua vita, ma era la mia unica alleata e finché eravamo dalla stessa parte avevamo qualche possibilità.
- Cosa intendi fare? Denunciarci?
- Dovevo solo trovarvi. Non avrete mai alcuna possibilità.
Un sorriso sornione prese possesso del suo viso e dopo averla lasciata si allontanò nello stesso modo in cui era venuto a farci visita.
Questa volta non sarebbe stato così facile.




Angoletto Autori:

Arso: Noooo! Angoletto autori noooo!
Jenni: Siamo lieti di presentarvi il nuovo capitolo appena sfonato.
Arso: Evvai! Finalmente ce l'abbiamo fatta!
Jenni: Tutta colpa della scuola che mette a dura prova la nostra sopravvivenza e sanita` mentale.
Arso: Presto avro` i capelli bianchi per lo stress.
Jenni: Veramente devi farteli verdi.
Arso: E tu rosa.
Jenni: -.-

Vi ricordiamo la pagina https://www.facebook.com/Reverse.Jenni.Arsonist



ENJOY ^^
 

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Capitolo 11
*** XI. Saturo di follia ***





Mi risvegliai in preda all’asia, madido di sudore e col respiro affannoso. Mi diressi in bagno alla ricerca di sollievo tuffandomi nell’acqua fresca , ma nulla parve cancellare quello che era accaduto il giorno precedente.
Quel ragazzo, quel Thunder , faceva parte del mio passato ne ero sicuro eppure non riuscivo a ricordarne nulla.
Saphira era ancora addormentata sul divano sicuramente esausta a causa di quel che era accaduto.
Mi sentivo stanco, stranito, come se il mondo in cui mi trovassi non avesse senso come se la mia vita fosse divenuta l’epicentro di una catastrofe.
Ogni volta che le cose parevano sul punto di ristabilirsi e di tornare alla normalità qualcosa riusciva a gettare nuovamente tutto nel caos più totale.
Se solo conoscessi il mio passato…

“Non cambierebbe nulla.”

Non ero della stessa opinione, ma ogni volta che cercavo di frugare in quegli stralci di memoria che ero riuscito a riconquistare era come se un muro mi sbarrasse la strada impedendomi di andare oltre controllando cosa dovessi rammentare e cosa no.
- Ci stai ancora pensando?
Si era alzata e mi aveva raggiunto in cucina.
- Stai continuando a nascondermi qualcosa.
- Braight non riesci nemmeno ad immaginare quanto tu sia fortunato. Darei l’anima pur di dimenticare come hai fatto tu.
Aveva abbassato lo sguardo e a giudicare dalla sua espressione malinconica e seria intuii che forse non era il momento di farle altre domande e che doveva esserci qualcosa d’altro a bloccarla.

Consumammo quella che doveva essere la nostra colazione in silenzio dividendo un pacco di biscotti al cioccolato davanti a due tazze di caffè latte.
Lasciai che si cambiasse nel bagno mentre lavavo i piatti per poi andare insieme a scuola e nonostante non riuscissi a comprendere perfettamente la situazione capivo da solo che girare in coppia era più sicuro.
Non riuscivo a scacciare il pensiero degli avvenimenti accaduti e di tutti gli interrogativi che giorno dopo giorno continuavano ad apparire e ad affollarsi nella mia mente impedendo ad altro di farsi strada e scansarli.

Ancora oppresso dalle mie preoccupazioni varcammo i cancelli della scuola mentre delle forti volate di vento ci sferzavano il viso.
Ogni volta che vedevamo Jules e Thayla con i loro sfolgoranti sorrisi tutto sembrava andare per il verso giusto ed i misteriosi avvenimenti che ci avevano colpito fino ad allora parevano un pessimo gioco del destino come se fosse tutto un sogno o meglio; un incubo.
Tentai di concentrarmi sulle lezioni, ma nonostante i miei sforzi immani non riuscivo a seguire il filo delle lezioni per più di dieci minuti.
Il tempo pareva scorrere fin troppo velocemente o la mia concezione era semplicemente diversa soprattutto vedendo la faccia del mio compagno di banco pronta ad investigare su ogni possibile via di scampo dalla lezione di latino.
- Voi due infondo. Credete di poter degnare Seneca della vostra attenzione?
La professoressa doveva avercela con noi a giudicare dall’espressione crucciata con cui ci guardava. Si trattava di una donna sulla quarantina dai capelli perennemente raccolti dietro la nuca e se non fosse stato per l’aspetto austero e severo chiunque l’avrebbe considerata a malapena una trentenne.
I capelli di un rosso innaturale si scontravano con la carnagione olivastra e gli occhi come pece, ma per il resto qualcuno avrebbe potuto dire che disponeva di un certo fascino.
La campanella ci risparmiò una sfuriata ed il professore di chimica pareva aver fretta di cominciare la propria ora.

Il passare nei corridoi durante la ricreazione era diventato il momento preferito per il nostro calvario anche se i ragazzi non smettevano di seguire la figura di Saphira col suo passo leggero.
- Quelle ragazze non ti staccano gli occhi di dosso.
- Anche tu non passi certo inosservata.
- Parla il ragazzo misterioso.
Riusciva a scherzare lasciando tutto l’accaduto degli ultimi giorni fuori, come se fossero due vite diverse.
- Dopo scuola Thayla ha insistito di andare tutti insieme a prendere un caffè.
- Hai idea di cosa abbia in mente?
- Sinceramente no, ma dovremmo cercare di goderci la quiete.
Aveva riacquistato la stessa aria truce della mattina in preda all’ inquietudine.

Appena usciti ci dirigemmo ad una caffetteria in centro caratterizzata da rustici tavolini in legno, dolci tradizionali ed un’ampia scelta di cioccolata calda.
Ordinammo da bere e dei dolcetti da consumare nell’ambiente confortevole creato dai mobili scuri e dai comodi cuscini in velluto.
- Ragazzi avete qualche progetto per questo Natale?
- Nessuno. Le festività non fanno per me.
Saphira aveva abbandonato la propria forchettata di Sacher sul piattino a tale domanda, probabilmente una simile avversità era legata al suo vivere da sola.
- Dai! Potremmo prendere in affitto un cottage in montagna tutti insieme; sarà divertente.
Avevamo bisogno di svagarci, ne ero certo, ma non ne ero entusiasta ed ero preoccupato al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere soprattutto dopo tutti coloro che stavano stravolgendo la nostra vita.
- Dubito che la nostra opinione valga qualcosa. Avrete già organizzato tutto.
Thayla sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori e dalla borsa estrasse un depliant e cominciò a mostrarci ciò che aveva attirato la loro attenzione.
Alla vista non era affatto male, un piccolo edificio in legno poco distante da un paesino immerso nelle montagne sarebbe stato perfetto per scappare dai nostri problemi e dimenticare almeno per un po’ tutto quello che ci stava distruggendo.
- Poco distante c’è anche un’ impianto sciistico di cui potremmo approfittare.
Saphira sospirò ormai vinta dall’entusiasmo fanciullesco dei nostri compagni.
- Entro quando dovremmo prenotare?

Mi gettai sotto la doccia dopo una lunga giornata.
Non facevo che pensare a quello che era successo, a quel ragazzo e a ciò che aveva detto.
Accesi la televisione buttandomi sul divano quando l’immagine di alcuni bambini prese posto nella mia memoria. Tra i quali si distinsero Saphira, una bambina più piccola di lei ed ero quasi sicuro che fosse Jane e due ragazzini che giocavano assieme.
Uno di loro ero io e non facevo che ridere e giocare con quello che doveva essere Thunder completamente diverso da come era adesso, ma in cuor mio ero sicuro che si trattasse di lui.
I nostri pomeriggi passati assieme cominciarono ad affollarsi ed a divenire una massa indistinta di risate e divertimenti. Se tutto ciò era vero allora perché ci avevano attaccato e perché noi eravamo stati costetti ad ucciderli?
Non rimanevano che interrogativi fino a quando ciò che erano adesso non straziavano quell’immagine idilliaca. Avrei solo voluto capirci qualcosa.

Il tempo parve volare sulle ali di un falco ed in men che non si dica mi ritrovai nel bel mezzo di preparativi futili per le vacanze natalizie e mentre la città si illuminava di luci al neon che penzolavano in tristi fiocchi di neve sopra le grigie strade asfaltate e le vetrine si riempivano di giocattoli ed addobbi.
Non avevo la minima idea di cosa volesse dire passare il Natale in compagnia di qualcuno e tanto meno di cosa volesse dire ricevere o fare dei regali.

“Tanto non ne riceverai nemmeno uno.”

Su questo aveva ragione, ma passando davanti ad un negozio non potei fare a meno di notarla. Era una lunga sciarpa cremisi con disegni che simulavano il pizzo nero ed un paio di guanti in pelle ad essa coordinati. Forse le sarebbero piaciuti...
Erano passati giorni da quando lo trovammo fuori dalla mia casa, ma ogni tanto avevo come l’impressione di avere il suo sguardo addosso, di essere perseguitato dalla sua risata in ogni vicolo o strada, come se fosse diventato la mia ombra.
Forse la mia era solo paranoia eppure pareva così reale, il pericolo così vicino da impedirmi di chiudere occhio la notte, tanto da sentirmi come l’Amleto di Shakespeare.

Rischiai di avere un infarto quando l’otto Dicembre gli altri bussarono alla mia porta soprattutto poiché non attendevo nessuno, benché meno una squadra pronta a costringermi a decorare un albero di Natale.
Jules portava sulle spalle uno di essi di piccole dimensioni mentre Thayla pareva aver costretto Saphira a portare con lei due scatole di addobbi.
- Non avrete mica intenzione di...
- Questo è come se fosse il tuo primo Natale, giusto?
- Non sono interessato a festeggiarlo.
Ogni volta che i trovavo davanti dei bambini urlanti che non facevano che piangere ed implorare i genitori per un futile regalo  non facevo che ripensare al corpo di quello che un tempo era il mio fratellino e non potevo fare a meno di chiedermi cosa gli avrei regalato o cosa i nostri genitori avrebbero organizzato per festeggiare, se eravamo una famiglia felice ed eravamo abituati a trascorrere le vacanze insieme, ma quei momenti erano andati perduti per sempre.
- La tua vita è come una tela bianca, dovresti cercare di riempirla con cose positive finché ne hai l’opportunità.
Mi lasciai convincere e aiutai il biondo a sistemare l’albero in salotto.
Nelle scatole vi erano una miriade di palle di vetro blu ed argentee pronte a mischiarsi con delle luci bianche.
Avevo una  mezza idea di chi le avesse scelte.
Passammo un intero pomeriggio a montarlo e per la prima volta da quando la conoscevo anche Saphira si stava comportando come una bambina felice e spensierata e stavo per essere contagiato a mia volta da quell’ atmosfera gradevole dove tutto profumava di cioccolato e biscotti,  quando lo vidi fuori dalla finestra, appoggiato ad un lampione, avvolto nel suo giubbotto nero con un ghigno stampato in volto co i capelli biondo cenere  mossi dal vento.
- È lui, è tornato.
La tazza che avevo in mano si ruppe in una moltitudine di pezzi non appena raggiunse il pavimento attirando l’attenzione del resto dei presenti che accorsero a controllare cosa stesse accadendo.
Il mio sistema nervoso stava crollando come se le fragili fondamenta avessero avuto il colpo di grazia, non ho idea di come mi sia comportato in seguito ad aver avuto quell’assurda visione, bensì dovetti fare affidamento su ciò che la mora mi disse.
- Calmati, riprendi il controllo Uprum. Non c’e` nessuno là fuori.
Quando mi risvegliai ero sul divano con addosso una coperta in pile ed una nuova tazza ricolma di cioccolata era stata appoggiata sul tavolino.
Mi faceva male la gola e dovevo aver urlato, i muscoli delle braccia erano indolenziti e come minimo mi ero ritrovato a fare a botte con Jules che aveva cercato di trattenermi ed a giudicare dal cerchio che mi attanagliava la testa dovevo aver avuto una crisi piuttosto forte.
- Come ti senti? Ci hai spaventato.
Thayla sembrava preoccupata, ma grazie a quegli occhi azzurro cielo riuscimmo a convincerla che non era nulla e che forse la miglior cosa era lasciarmi riposare fino al mattino seguente.
Avevano praticamente completato la loro opera e non era necessario che passassero la notte a farmi da balia.

Rimasto da solo mi diedi una rinfrescata prima di distendermi sul letto nel più completo silenzio.
Non c’erano altro che bambini ridenti più o meno una decina di età diverse. Giocavano tutti assieme come una grande famiglia.
“Da grande voglio essere forte come te fratellone”
Era un ragazzino scarno e lentigginoso dai capelli a scodella con una fessura tra gli incisivi e si stava rivolgendo a me.
“Prova a prendermi!”
Una bambina dai ricci neri non faceva che saltellare da ogni parte felice, ma poi tutto si dissolse.
L’uomo che ci leggeva le storie scomparve lasciandoci da soli ed a causa dei nostri genitori non potemmo più  giocare assieme facendomi precipitare in un abisso di solitudine dove il mio unico compagno era una voce profonda sempre pronta a denigrarmi.

Fui svegliato da un insistente bussare alla porta. Passai alcuni secondi a fissare l’orologio prima di essere consapevole che erano le due di notte e che non stavo sognando prima di alzarmi e dirigermi ad aprire.
Non riuscivo a capire perché qualcuno potesse essere fuori da casa mia ad un’ora tanto assurda, ma oramai la mia vita non era altro che un susseguirsi di situazioni completamente fuori dal mio controllo sull’orlo dell’assurdo.
Controllai dallo spioncino di chi si trattasse ormai pronto a qualsiasi evenienza, ma ciò che vidi mi fece aprire la serratura più velocemente di quanto credessi fosse possibile.
Davanti a me si trovava Saphira ricoperta di sangue.




Angoletto autori:


Arso: Siamo tornati dopo tanto tempo. Non preoccupatevi, non moriremo prima di aver concluso il libro.
Jenni: Parla per te.
Arso: La vita e` lunga e la vecchiia arrivera` presto, ma non diperate: ce la faremo lo stesso
Jenni: In caso Arso continuera` nonostante la mia scomparsa, al massimo avrete bisogno di un traduttore per la forma.
Arso:
Grazie per i tuoi bellissimi complimenti.


Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e vi lasciamo il link https://www.facebook.com/Reverse.Jenni.Arsonist

Baci e abbracci,
Jenni & Arso

 

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Capitolo 12
*** XII. Persi nella notte ***





Stavo preparando del caffè quando la sentii avvicinarsi alle mie spalle attratta dall’odore sprigionato dalla caffettiera.
Era rimasta a dormire da me dopo essersi concessa una doccia ed avermi permesso di prestarle il primo soccorso. Sebbene non avesse ferite gravi, ma solo qualche graffio sulle braccia ed uno leggermente più profondo alla gamba, preferii che si fermasse da me per la notte in modo da evitare altri incontri spiacevoli.
Nel giro di poche settimane sembravano essere divenuti il nostro pane quotidiano ed anche se non riuscivo ancora a comprendere cosa stesse realmente accadendo Saphira era la mia unica alleata.
- Come ti senti?
- Ancora un po’ ammaccata.
Le avevo prestato una mia felpa per dormire che lasciava in bella vista le candide fasciature che le decoravano gli arti.
Riempì la propria tazza per poi buttarci dei quadretti di cioccolata che tenevo nella credenza.

- Cosa è successo ieri?
Vedendola ricoperta di sangue mi ero seriamente preoccupato soprattutto sapendo che le ferite dell’ultima volta non erano ancora guarite del tutto.
- Stavano cercando casa mia quando li ho incrociati.
- Ti hanno inseguita?
- Sono riuscita a darmela a gambe. Qualcosa mi dice che siamo riusciti a farli incazzare parecchio.
Un sorriso maligno e divertito le solcò il viso; poteva anche essere preoccupata, ma nulla le avrebbe impedito di godersi lo spettacolo, il loro viso pieno di rabbia per essere stati imbrogliati e la stessa cosa valeva per me.

Prima che si svegliasse avevo fatto un salto a casa sua per procurarle dei vestiti puliti ed il necessario per la giornata scolastica ed appena finì la propria colazione le consegnai il borsone con i libri ed il cambio.
- La prossima volta preferirei che non entrassi in casa senza il mio permesso.
- Non avevi vestiti.
Con un gesto di strizza si diresse nell’altra stanza. Quel suo comportamento mi faceva quasi credere che fossimo veramente dei ragazzi normali e che i nostri problemi si limitassero all’imbarazzo giovanile, ma la sola vista delle fasciature mi riportava alla realtà.
Non avevo voluto rovistare troppo nel suo armadio ed avevo preso le prima cose che mi erano capitate sotto mano portandole un paio di jeans scuri ed una felpa nera con la stampa di un cuore alato sanguinante sulla schiena.
- Sono pronta.
Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo, ma senza riuscire a domare quelle ciocche ribelli che continuavano ad incorniciarle il viso.
- Andiamo.

Il cielo plumbeo non lasciava il passo ad alcun raggio di sole rendendo l’atmosfera ancora più fredda di quanto già non fosse.
Le strade cominciavano a popolarsi di giovani diretti a scuola e di adulti presi dalle loro faccende che si trattasse del loro lavoro, della propria pensione o di fare la spesa creando una folla silenziosa e variopinta.
Però, in mezzo a tutta quella gente, un brivido mi percorse la schiena e la stessa cosa parve accadere anche a Saphira che in tutta risposta si mise il cappuccio.
Qualcuno ci stava osservando.
Cercai di guadarmi intorno, ma non erano che volti sconosciuti.
- Maledetti.
La sua voce era una conferma di quanto tutto ciò fosse reale e non solo frutto delle mie ansie e da come afferrò il mio braccio pareva sul punto di correre e darsela a gambe se non fosse stato per i passanti .
Più volte cambiammo strada, passando anche in piccoli vicoli nascosti sperando di far perdere loro le nostre tracce.
- Braigt, Saphira!
Senza volerlo eravamo passati davanti alla fermata dell’autobus dove scendevano Jules e Thayla. Sarebbe stato facile ignorarli e sarebbe stata la cosa migliore per tutti, ma erano nostri amici e per quanto il nostro non potesse essere altro che egoismo li lasciammo unirsi a noi fingendo un sorriso.

Gocce di pioggia cominciarono a decorare i vetri dell’edificio non appena ne varcammo la soglia pronte ad infierire su quell’uggiosa giornata.
Le ore erano accompagnate dal loro aumento e dai momenti di calma che ci portavano a guardare fuori dalla finestra ed a chiederci se all’uscita saremmo stati in grado di arrivare nelle nostre case senza essere dei pulcini o a quanti dei nostri programmi fossero stati rovinati da un tempo così volubile ed incerto.
Fu durante un momento di quiete che un ombrello giallo attirò la mia attenzione nel bel mezzo della terza ora. Portava un parka verde militare e le sue labbra si mossero in un sorriso maligno.
- Trovati.
La paura prese il sopravvento facendomi alzare di scatto e buttare la sedia a terra attirando l’attenzione del resto della classe, soprattutto del mio compagno di banco.
- Braight!
La sua voce era solo un sussurro lontano che arrivava ovattato alle mie orecchie, vi eravamo solo io e quella figura della stessa consistenza dello Stregatto di "Alice nel paese delle meraviglie" ed avrei continuato a fissarlo se non mi avesse afferrato per il braccio facendomi tornare in me.
- Calmati.
I suoi occhi azzurri erano disperati, pieni di preoccupazione per la mia salute, per la prima volta credetti di poter avere veramente un amico.
Anche la professoressa era preoccupata, ed in un certo qual modo ,anche infuriata per aver perso tempo e scusandomi, mi rimisi al mio posto cercando di mantenere un minimo di compostezza , ma in quel momento era sparito.
Mi immersi nuovamente nei mie pensieri in attesa che quell’agonia finisse per poterle parlare.

Durante l’intervallo andammo a  trovare le ragazze nella loro classe constatando che non ero l’unico ad essere teso ed irritato. Non ero sicuro che anche lei lo avesse visto eppure conoscevo quello sguardo gelido pieno di ansia e rabbia.

“Sono ovunque.”

Odiavo ammetterlo, ma aveva dannatamente ragione.
Riuscimmo a malapena a scambiarci due parole prima di dover tornare in aula e dovetti  sopportare l’espressione preoccupata di Jules e tutte le sue domande su cosa fosse accaduto pur sapendo che non vi era un modo per spiegargli tutto ciò che stava condizionando la mia vita senza apparire pazzo. Il solo cercare di costruire un discorso che potesse servire a tale scopo pareva dannatamente assurdo persino a me stesso.
Avrei veramente voluto aprirmi con lui e sentirmi dire che tutto questo non era una semplice allucinazione ed allo stesso tempo volevo che continuasse a credere che fossi un ragazzo normale proprio come lui.
Lasciai che le ore passassero senza prestare troppa attenzione a ciò che i professori tentavano invano di spiegarci lasciando che mi destasse solo il suono della campanella.

- Oggi e` stata veramente una giornata pesante.
Jules si stiracchiava mentre camminava al fianco di Thayla sotto il suo ombrello porpora.
- Per te ogni giornata è pesante.
Sotto quelle nubi cariche di pioggia loro erano un piccolo raggio di sole.
- Ma oggi la lezione era veramente difficile.
- Che ne dite di andare a prendere un caffè?
Mi stupii della mia proposta, ma volevo perdere tempo e rimanere il più possibile in mezzo alla gente come sperando che ciò potesse proteggermi.
- Come sta Saphira?
Mi voltai di scatto alla ricerca di quella voce senza trovare nulla, solo aria, vuoto ed un’orribile sensazione.
Nessun altro parve accorgersene e la mia proposta provocò una ventata di gioia in tutta la comitiva, almeno per un po’ la tensione si sarebbe allentata.

Non riuscimmo a trattenerci a lungo a causa di una chiamata da parte dei loro genitori e sfruttando la luce del pomeriggio andammo a casa di Saphira permettendole di prendere qualche altro cambio. Rimanervi da sola non era sicuro ora che sapevano dove si trovasse. Ci mise una decina di minuti a preparare il borsone a quadri neri e rossi e ad inserire l’allarme.
- Hai preso tutto?
- Sì.
Le portai il piccolo bagaglio per tutto il tragitto fino al mio palazzo constatando che non era molto pesante.
Arrivati a casa appoggiai il tutto vicino al divano sul quale si buttò accendendo la tv.
- Come vanno le ferite?
- Stanno guarendo.
Il giorno precedente aveva comunque perso molto sangue e la cosa doveva averle sottratto tante energie.
- Fammele controllare.
Di malavoglia si tolse la felpa rimanendo in canottiera e mi porse il braccio. La fasciatura era candida e sotto di essa il taglio si era ormai rimarginato.
- Dovresti lasciarle asciugare senza le bende.
- Oggi sei strano. Qualcosa non va?
La sua domanda mi prese alla sprovvista facendomi abbassare lo sguardo ed alzare per andare in cucina.
- Assolutamente nulla.
Le tenebre calarono presto come spesso accade nei giorni invernali e cenammo  mentre la televisione continuava a trasmettere un programma di fantascienza senza sprecare troppe parole.
Le cedetti il mio letto sebbene fosse contraria ad usufruirne, ma il fatto che fosse mia ospite fu un’argomentazione a cui non poté ribattere.

Sapere di non essere solo in quella casa mi rassicurava, soprattutto ora che stavo riuscendo a comprendere come comportarmi con lei e quanto i suoi occhi potessero essere indicativi di tutto ciò.
- Buonanotte Braight.
- Buonanotte.
Sembra così dolce ed indifesa nel pigiama azzurro che eravamo andati a prendere a casa sua ed i capelli raccolti in una treccia da un elastico dello stesso colore dando vita ad una piacevole sensazione familiare.

Passai una notte tranquilla libera dai brutti sogni ed a svegliarmi fu un piacevole odore di caffè e cioccolata.
- Ho pensato di prepararti la colazione.
Saphira era in cucina già lavata e vestita di tutto punto nella gonna scozzese a vita alta e nel maglione nero con un piccolo fiocco sulla spalla sinistra mentre i capelli erano raccolti un uno chignon.
- Che ore sono?
- Le 9.
Non riuscivo a credere di aver passato tutto quel tempo tra le braccia di Morfeo.
Mi concessi una doccia veloce mentre lei finiva di preparare la colazione e presi dall’armadio un paio di jeans puliti, una maglia chiara ed una felpa grigia per poi trovare il tavolino apparecchiato con tanto di frittelle.
- Wow.
- Ti ho forse stupito?
- Non credevo fossi così brava.
- È domenica.
Mi servì tale leccornia nel piatto e non potei fare a meno di apprezzarne il sapore.
- Sono deliziose.
In tutta risposta mi sorrise e mi piazzò davanti un’enorme tazza di una bevanda scura dall’odore dolciastro e pungente di cacao e caffè.
Mangiai il tutto con grande gusto; la mia cucina non era nulla in confronto alla sua.
- Prima ho parlato con Thayla.
La stavo aiutando a raccogliere i piatti per metterli a lavare.
- È successo qualcosa?
- Dovevo accompagnarla a prendere i regali di Natale, ma ha disdetto. Ti andrebbe di...
- Fare un giro per negozi? Non vedo cosa ci sia di male.
L’imbarazzo che stava sorgendo nel farmi tale domanda era stato immediatamente soppiantato dalla mia proposta lasciando che il suo viso venisse solcato da un sorriso.

Pranzammo fuori e continuammo a passare la giornata tra le vetrine illuminate a festa fino a quando il cielo non cominciò a scurirsi.
- Dovrei passare un attimo da casa.
- Va bene.
Le stavo portando un paio di pacchetti con qualche maglione ed attesi fuori dall’appartamento rimanendo basito e divertito da ciò che aveva dimenticato il giorno precedente.
- Non ridere.
Fra le mani aveva la grande pantera di pezza che avevo visto la prima volta che avevo passato la notte da lei.
- Sei così...
Non riuscivo a finire la frase senza sorridere, ma la verità era che la trovavo molto carina con in braccio quel peluche.
- È molto importante per me.
- Mettilo nella borsa, così lo portiamo a casa.

I nostri sorrisi si spensero non appena uscimmo dall’edificio.
Seduta su di una panchina vi era una ragazza bionda dalle lunghe gambe avvolte in un paio di jeans blu come il cappotto che le fasciava il busto prosperoso.
Si stringeva in una grande sciarpa di lana grigia ed a quanto pare dovevamo aver attirato la sua attenzione a giudicare dagli occhi blu con cui ci fissava, ma non era la sola.
Dietro di lei appoggiato ad un lampione vi eraun ragazzo dai capelli castano scuro come gli scarponi che portava ai piedi e con indosso un piumino dello stesso colore di quello della compagna che delimitava la sua figura longilinea.
Anche i suoi occhi dall’iride scura quasi quanto la pupilla si erano posati su di noi.
- È da un po’ che non ci si vede.
Riconobbi quella voce e non poteva significare altro se non guai.


Angoletto autori:

Oggi scrivo io che Arso deve ancora riprenderi da pandori e panettoni (tanto e` uno stecchino e puo` permetterselo xD) Avremmo voluto pubblicare ieri, ma la linea ha deciso di abbandonarmi. 
Vi auguriamo buone feste,
Jenni & Arso.
ps. non esagerate con i dolci ;)

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Capitolo 13
*** XIII. Attimi di tranquillità ***





Indietreggiai di qualche passo mentre sentivo le gambe tremare e presi Saphira per le spalle. Ci eravamo riconosciuti a vicenda e stavamo per finire nuovamente nei guai.
- Non dirmi che hai paura.
La voce della ragazza era soffice e sinuosa, come il suono di un flauto, senza contare il sorriso sornione a noi diretto.
- Che palle. Sono stufo di dovervi fare da baby-sitter.
Il ragazzo aveva fatto un paio di passi nella nostra direzione e si era stiracchiato con fare annoiato.
- È tutta colpa di Thunder. Se non si fosse fatto vedere adesso staremmo a bordo piscina e non a morire di freddo in questo buco di città.
- Se solo potessimo divertirci un po`...
I suoi occhi si fissarono su di noi con fare omicida.
- Hai ragione. È un vero peccato dover stare solo a guardare.
- Siete sempre i soliti casinisti.
Un lampione si accese all’improvviso illuminando il giaccone scuro e la capigliatura biondo cenere.
- Senti chi parla.
Non ci voleva; già contro loro due eravamo in svantaggio, con anche lui di mezzo sarebbe stato impossibile vincere. Non avevo ancora il controllo delle mie capacità e Leonore era troppo impulsiva.
Nel suo sguardo ardeva una luce folle di rabbia e pareva usare tutte le proprie forze per controllarsi.

Thunder rivolse un’espressione contrariata ai due che lo avevano preceduto zittendoli immediatamente per poi puntare la propria malignità verso di noi.
- Vi chiedo scusa per loro.
La cosa mi lasciò di stucco, ma si trattò solo di un istante.
- Vi ho tenuto d’occhio ultimamente e devo ammettere che siete diventati estremamente noiosi, soprattutto quando andate d’amore e d’accordo. Mi fate ribrezzo.
-Tsk.
Cominciò a frugare nella tasca interna della giacca e quando trovò l’oggetto della propria ricerca riprese a parlare.
- Sbaglio o cercavate informazioni sul vostro amico?
Lanciò sull’asfalto che ci divideva delle cartelle e delle foto, alcune di esse macchiate dal sangue.
Non riuscii più a contenermi ed assieme a quella che ormai era una pantera ci scagliammo con forza verso di lui pronti a sfigurare quel viso.
Fu un grosso errore.
Sapeva benissimo cosa stavamo per fare e ciò ci rendeva vulnerabili.
Gli bastò fare un passo in avanti per schivarci ed una gomitata tra le spalle per permetterci di ammirare le crepe di un asfalto mai sistemato.
- Bastardo!
- Lucas, Haley... Andiamocene via.
Senza fare storie e forse un po’ delusi per la nostra disfatta, ci superarono e se ne andarono senza degnarci di uno sguardo.
I suoi passi sfiorarono i nostri visi.
- Per ora l’ordine è solo di osservare.
Un grande sospiro.
- La prossima volta non sarete così fortunati.

Con fatica riuscii a vincere il dolore che mi mozzava il fiato ed a girarmi volgendo gli occhi al cielo.
- Non è giusto.
La sentii picchiare le nocche sull’asfalto in preda alla disperazione.
Il sole era già tramontato e le stelle facevano la loro comparsa una ad una. Le foto erano nel mio campo visivo, vicino alla vita di Saphira, ma cercavo con tutto me stesso di ignorarle e far finta di nulla.
Potevano esserne la conferma.
Eravamo soli.
Nessuno sarebbe venuto ad aiutarci, non saremmo più riusciti a scappare o a nasconderci, nemmeno il mantello che ci ricopriva ne sarebbe stato in grado.
Lasciai che alcune lacrime fuggissero al mio controllo perché quelle di lei non erano abbastanza.  Eravamo fottuti.
- Cosa possiamo fare?
I suoi singhiozzi erano come scosse di terremoto, lame in grado di trafiggere ed uccidere.
- Non ne ho idea.
Anche lei si rialzò ed ebbe il coraggio di raccoglierli sebbene con fare tremante.
Le foto erano vecchie, rovinate dal tempo e dall’usura. Eravamo noi, ancora docili ed innocenti bambini, ma anche lui. Allora era ancora un giovane uomo alle prime armi, con indosso un camice troppo grande, sorridente e felice, ma quell’espressione era stata deturpata.
Nell’altra era legato ad una sedia col viso livido e gonfio in più parti, pieno di tagli ed escoriazioni. Non aveva più nemmeno gli occhiali.
- Dobbiamo trovarlo.
Presi la mano che si era portata alle labbra come ad impedire che da esse il dolore ed il disgusto potessero prendere piede.
Si limitò ad accennuire ed asciugarsi le lacrime. Non ci furono più parole quella sera.
Ci dirigemmo silenziosi e sconfitti al suo appartamento.

Non ne parlammo più.
Lasciammo che i giorni ci scivolassero addosso fino all’inizio delle vacanze, immersi nella frenesia degli altri studenti felici di lasciare quella che era una galera, mentre per noi non era altro che la salvezza.
Chiunque altro ci avrebbe preso per pazzi eppure non avremmo cambiato idea. Più un luogo era affollato meno loro avrebbero attentato alle nostre vite .
Il gioco non valeva la candela.
- Mi raccomando. Domani siate puntuali.
- Si, certo. Non preoccupatevi.
Già da tempo avevamo organizzato la nostra vacanza e data la felicità di quelli che piano piano erano riusciti ad entrare nelle nostre vite ci aveva impedito di tirarci indietro.
- Allora andremo?
Si erano appena allontanati mentre noi ci stavamo dirigendo con passo svogliato a fare la spesa per la cena.
- Sì.
- Spero solo che vada tutto bene... Ho un brutto presentimento.
Anche io ero percorso da giorni da quella malaugurata sensazione che mi impediva di dormire e tormentava i miei sogni.
- Andrà tutto bene.
Volevo convincere entrambi che il nostro istinto si stesse sbagliando, ma il sorriso forzato di Saphira diceva tutt’altro e non poteva nasconderlo.

Avrei voluto essere pervaso dall’allegria di un bambino al solo pensiero della neve mentre preparavo la valigia. Le vette incontaminate, il cielo azzurro, il dolce tepore di una baita avrebbero dovuto destare ricordi piacevoli, o almeno così credevo. Tutto ciò che riusciva a far luce al loro pensiero era il nulla.
- Non ci siamo mai stati.
Appena uscita dalla doccia e con indosso il pigiama rosso, aveva fatto capolino nella mia stanza.
- Dovremmo almeno esserne curiosi.
Prese il grande peluche e si sedette sul letto.
- Ci stiamo esponendo troppo. E se gli accadesse qualcosa?
Avevo le sue stesse paure ed ormai non riusciva ad inquietarmi nemmeno con i suoi occhi di ghiaccio, ma ora parevano laghi e mi sentivo sciogliere.
- Non permetteremo che accada.
Per un attimo mi sentii rassicurato e lo stesso effetto parve esserci su di lei.

- Si può sapere cosa diavolo ci hai messo dentro?
Ci eravamo svegliati in orario con l’aiuto della sua suoneria, ma a causa dei pullman perennemente non in orario avevamo dovuto fare una corsa disumana per arrivare alla fermata e portare le nostre valigie mi aveva sfiancato.
- Solo lo stretto indispensabile.
- Spero che con “indispensabile” tu non ti riferisca a borse e scarpe.
Mi fulminò con lo sguardo, ma aveva un’aria divertita.
Ci vollero dieci minuti per arrivare alla stazione dove ad aspettarci vi erano Thayla e Jules. La prima portava un piumino corto color cioccolata e ben due valigie grosse quanto quella di Saphira mentre il secondo si limitava ad un borsone poco più piccolo del mio.
- Il treno è appena arrivato. Ci conviene prendere posto se vogliamo stare tutti insieme.
Ci aspettavano diverse ore di viaggio e sinceramente ci tenevo a passarle comodo.

Non appena trovammo posto i vagoni cominciarono ad affollarsi, per la maggior parte di famiglie con tanto di bambini al seguito, piccoli mostriciattoli chiassosi che ci avrebbero impedito di dormire o stare in pace.
In un certo qual modo provavo dell’invidia nei loro confronti e, a giudicare dalla presa ferrea che Saphira aveva sulla propria copia di “The maze runner”,  nemmeno a lei andavano tanto a genio le loro urla e schiamazzi.
La bellezza dei paesaggi era da togliere il fiato, ma la stanchezza accumulata ebbe il sopravvento e mi addormentai sognando i prati ricoperti di neve.
- Siamo arrivati.
Saphira mi aveva scosso leggermente per la spalla fino a svegliarmi.
Non eravamo veramente arrivati e ci aspettava ancora un’ora di pullman prima di arrivare nel paesino che avevamo scelto, ma nel giro di dieci minuti avremmo dovuto prendere la coincidenza.

La giornata aveva già cominciato ad incupirsi ed il sole a tramontare tingendo il tutto di rosso e quando fummo davanti alla baita era già buio.
Non era che una piccola casupola di 60 metri quadri e poco distante ve ne erano molte altre dalla struttura simile. Quelle che dovevano essere delle fioriere che ne costeggiavano i lati erano piene di terra, ma il legno di cui era fatta riusciva a renderla comunque molto graziosa con delle tendine in pizzo che si intravedevano dalle finestre ed il comignolo pronto a riempirsi di fumo.

Entrammo nell’abitazione e lasciammo le valigie in un angolo del salotto.
La stanza era occupata da un paio di divanetti letto a due posti, un tavolo in legno vicino alla cucina ed una vetrinetta alle sue spalle. Non c’era nessuna televisione, ma andava bene così.
- Non so voi, ma io sono troppo stanco per cucinare.
- Non ti smentisci mai, eh Jules?
Scoppiammo a ridere mentre abbandonavamo i nostri cappotti sull’appendi abiti.
- E va bene. Questa sera cucineremo io e Saphira, ma non fateci l’abitudine.

Lasciammo che le ragazze si impadronissero della piccola cucina e portammo le loro valigie nella camera dove nel mezzo vi era un enorme letto matrimoniale tutto per loro ed un grande armadio a quattro ante che arrivava fino al soffitto.
Il piumino era rosa confetto, sorrisi. Non era certo il colore preferito di Saphira.
Sistemammo anche gli asciugamani nel bagno attaccandoli a quelli che sembravano dei pomelli in legno.

Aiutammo anche ad apparecchiare prendendo alcuni piatti in porcellana dalla vetrinetta ed una tovaglia dal cassetto.
- Speriamo vi piaccia.
Portarono in tavola due teglie di pizza fatta in casa e dal loro profumo dovevano essere decisamente squisite. Jules doveva pensarla allo stesso modo soprattutto per come agognando al pezzo più grosso fissava le forbici tagliarla.
Le nostre aspettative non furono tradite e se solo avessi avuto uno stomaco più grande ne avrei preteso almeno un altro po'.

Si erano fatte le dieci di sera quando finimmo di sistemare la cucina ed il sonno cominciava ad avere il sopravvento. Ci demmo la buonanotte ed aprimmo i divanetti senza troppa fatica. Devo ammettere che nonostante tutto erano davvero comodi.

Ci svegliammo presto o meglio, Jules ci svegliò presto.
Fece un baccano infernale tirando fuori la propria attrezzatura da sci ed ignorarlo fu impossibile.
- Tutti giù dal letto! Ci aspetta una splendida giornata.
Non fece in tempo a finire la frase che un cuscino lo colpì in piena faccia.
- La prossima volta ti lancio la lampada.
- Ma quello non è...
Saphira era uscita in tutta fretta senza accorgersi di avere la pantera di peluche sotto braccio e non appena ne fu consapevole il suo viso divenne porpora e fece un fulmineo dietrofront nella propria camera.
Quella scena fu troppo esilarante quando ricomparve a colazione fu difficile trattenere il riso.
- Non osare dirlo a nessuno.
Jules ci avrebbe certamente rimesso un arto se fosse andato a raccontarlo in giro.

Mangiammo pane e marmellata per colazione ripromettendoci di andare a comprare qualche cosa per i prossimi giorni e ci avviamo alle piste.
Non ricordavo di essere mai stato sulla neve e di certo non mi aspettavo di essere bravo, ma non ci sono parole per descrivere quanto fossi imbranato.

- Non è poi così difficile.
Se io ero il peggiore di tutti, Jules non aveva rivali nella propria bravura.
Mentre noi eravamo costretti a stare con i principianti lui avrebbe potuto benissimo abbandonarci ed andare con i professionisti.
- Parla per te.
Shapira non sembrava avere molti problemi, ma Thayla era quasi ai miei stessi livelli. Entrambi avevamo fatto più voli in mezzo al manto nevoso che altro e la rossa era sul punto di demordere.
Inutile dire che il biondo approfittò della situazione per restare un po’ da solo con lei e cercare di aiutarla.

Saphira passò il resto del giorno tentando di insegnarmi qualcosa e dovette dar sfogo a tutta la propria agilità per evitare che le finissi addosso e la cosa diede i suoi frutti.
Se non altro ero arrivato in fondo alla pista senza cadere o urtare nessuno...
- Visto? Ci siamo riusciti.
- Tutto merito tuo.
Era bello vederla sorridere, essere finalmente tranquilli, senza la paura che qualcuno potesse attentare alla nostra vita, essere come tutti gli altri.

- Ho paura.
Eravamo seduti su una panchina in paese ad attendere gli altri.
- Presto tutto questo finirà e noi ci stiamo affezionando troppo.
Cercai di scorgere quegli splendidi occhi glaciali tra le ciocche di capelli corvini e vi rividi l’angoscia che stavamo cercando di seppellire dietro un mucchio di fantasie e bei ricordi.
- Non permetteremo che gli facciano del male.
Credevo fermamente nelle mie stesse parole e questo parve risollevarle il morale.
- È una promessa?
- È una promessa.

“Non potrai mai mantenerla.”

Nonostante ciò riacquistammo il sorriso e quel briciolo di pace che tanto andavamo anelando.
Girammo per il paesino fatto di piccole strade innevate e neri comignoli sbuffanti fumo ininterrottamente, nulla a che vedere con la città inquinata e trafficata a cui eravamo abituati. Non avevamo scelto una meta molto comune il che la rendeva ancora più incontaminata.
Tornammo alla baita che il sole era già tramontato da un pezzo ed accendemmo subito il camino per riscaldarci.
Cenammo o meglio, divorammo ciò che avevamo nel piatto e dopo aver finito sia io che Saphira ci buttammo su uno dei divani.
- Forza pigroni, mica vorrete andare già a letto?
- Abbiamo portato un paio di cose.
Li fissammo con aria interrogativa, ma tutto quello che ricevemmo furono delle facce divertite.

- Forza, ce la puoi fare!
Era più di un’ora che stavamo giocando ed avevamo già sotto di ben undici punti. Thayla e Jules sembravano avere uno strano linguaggio segreto e ci stavano stracciando. Non ricordavo le regole del gioco, ma anche se le avessi conosciute a mena dito sarebbe stato veramente impossibile riuscire a vincere.
Semplicemente non sapevo giocare a taboo.
Loro facevano affidamento su conoscenze comuni per poter rendere ovvio il loro obbiettivo mentre per noi la cosa era quasi impossibile.
- Dai Braight! È qualcosa di morbido, ne posseggo uno e mi ci hai visto stamattina.
- Dici Baghera forse?
Forse non dovevo dirlo. La sua era stata una confessione del giorno in cui eravamo tornati a riprendere il pupazzo a casa ed a giudicare dal suo viso era sul punto di fucilarmi.

A fine serata la metà di noi era crollata addormentata sul divano ad esclusione di me e della mora.
- Mi daresti una mano?
Thayla era abbastanza leggera e non feci alcuno sforzo a sollevarla per portarla a letto.
- Mi sono divertita.
- Anche io.
- Ma la prossima volta lasciami Parco della Vittoria.
Scoppiammo a ridere. Tutta quella tranquillità era bellissima.

Il sole fu accompagnato dal profumo di frittelle e frutti di bosco.
Saphira stava versando parte dell’impasto sulla padella; capelli raccolti, tuta candida e grembiule a quadri bianchi e rossi.
- Thayla si sta finendo di vestire.
- Posso?
Erano troppo invitanti per potervi resistere, ma il mestolo che mi venne puntato contro rendeva la cosa possibile.
- Mio.
Jules, ancora in boxer, ne aveva afferrata una e stava per darsela a gambe quando fu preso per l’orecchio e costretto a mollarla. Abbandonai subito l’idea di tentare a mia volta l’impresa.

La pista era più affollata del giorno prima e muoversi fra tutte quelle persone non si prospettava semplice, oserei dire che tale affollamento fosse dovuto al fatto che fosse la vigilia.
- E se ne facessimo una intermedia?
- Non credi sia troppo presto?
- Per me va bene.
In fin dei conti non mi pareva giusto che fossero costretti a quel marasma di gente a causa mia.
- Braight, sei sicuro?
- Non preoccupatevi.
- Allora... Si parte!
Non pensavo di potermene pentire.

Le cose stavano andando bene, non avevo nemmeno fatto troppi capitomboli, ma qualcosa stava tramando nell’ombra.
Fu un attimo, nulla di più. Il manto di neve cominciò a incresparsi ed un rombo sordo ci investì.
Tutto si fece nero.
 




Angoletto autori:


Chiediamo venia per il ritardo, ma teletu mi odia ed Arso non e` voluto andare a letto con qualche dirigente.
Speriamo vi piaccia,
Jenni & Arso

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Capitolo 14
*** XIV. È tutta colpa mia ***




 “Apri gli occhi.”

La sua voce mi svegliò di soprassalto ed una fitta di dolore mi percorse la nuca mentre cercavo di capire cosa diavolo fosse accaduto.
Arrivò tutto insieme.
La valanga e le urla dei miei amici si mescolavano assieme, l’immagine di Saphira e degli altri mentre venivano travolti dalla neve e poi più nulla, solo paura e gelo o forse speranza che tutto fosse finito una volta per tutte. Invece ero sopravvissuto senza avere idea di dove mi trovassi.

Pareva la stanza di un ospedale dai muri candidi ed asettici, privi di finestre o di altre fonti di luce al di fuori della lampadina al neon del soffitto. Notai alcune prese d’aria con delle sbarre ad impedirne l’accesso e finalmente tutto fu chiaro. Mi avvicinai alla porta; sembrava massiccia in metallo ed a nulla servirono i miei tentativi di aprirla.

“Sei in trappola.”

Mai fui più d’accordo con lui.
Era chiaro che non potessi aprire la porta dall’interno ed ero certo che avessero preso tutte le precauzioni per impedirmi di scappare.
Mi buttai sul letto attendendo di avere qualche risposta quando sentii dei chiavistelli scattare ed un cigolio accompagnò la fonte di tutte le risposte che stavo cercando.
- Alla fine vi abbiamo presi.
Thunder aveva il solito ghigno beffardo e feci fatica a reprimere la rabbia che mi assaliva.
- Cosa è successo?
- È bastata una valanga per mettervi fuorigioco. Pensavano che non fosse abbastanza, che ci avreste dato più problemi. Vi siete rammolliti. Una volta avresti lasciato quei tizi a crepare sotto la neve ecco perché ti hanno stanato.
Non fui più in grado di trattenermi e scattai verso di lui nel tentativo di colpirlo senza rendermi conto di aver già perso in partenza e sfruttando la forza che avevo messo nel colpo mi atterrò con un pugno allo stomaco.
Mentre mi contorcevo dal dolore vidi un camice bianco entrare nella stanza, afferrarmi il braccio ed iniettarmi qualcosa.

Prendendomi di peso cominciarono a farmi girare per dei corridoi asettici, identici l’uno all’altro ed ogni volta che tentavo di focalizzarmi sui particolari che potevano aiutarmi a distinguerli ecco che tutto diveniva sfocato, come avvolto dalla nebbia.
Saranno stati pochi minuti, ma nella mia testa parve un tempo interminabile passato in quell’orribile labirinto.

Quando cominciai finalmente a capirci qualcosa mi ritrovai in una stanza praticamente identica a quella in cui mi trovavo in precedenza ad eccezione di un enorme vetro sostituto di una delle pareti e la vidi.
Nella camera speculare, oltre la parete trasparente, vi era Saphira, inginocchiata a terra con gli occhi fissi nel vuoto.
Invano provai a chiamarla, a picchiare sull’ ampio cristallo nella speranza che riuscisse a sentirmi, ma non servì a nulla. Tutto ciò che fece fu voltarsi verso di me, ma il suo era uno sguardo rassegnato.

L’unica porta presente si aprì con lo stesso cigolio di chiavistelli mal oliati.
- Maledetti...
Sputai fuori quelle parole alla loro vista. Haley comparve a fianco di un giovane medico appena sopra la ventina che non avevo mai visto prima in tutta la mia vita.
Era della stessa altezza della ragazza, portava un paio di occhiali ed i capelli parecchio corti, ma al contrario degli altri sembrava in qualche modo... confuso, come in preda ad un dilemma sul da farsi o forse era solo una mia impressione.
La stessa cosa avvenne da Saphira con la sola differenza che da lei entrò Lucas.
- Allora... Braight, 19 anni, altezza 1.80, peso 75 kili, capelli mori ed occhi verdi. Ottima salute.
Haley, 20 anni, altezza 1.75, peso 65 kili, capelli biondi ed occhi azzurri. Anche lei in ottima salute. Direi che possiamo dare inizio al test.

-Test?
Nessuno si prese la briga di rispondermi e non appena l’uomo uscì dalla stanza la bionda mi piombò addosso.
- Che lo spettacolo abbia inizio.
Con un sorriso sadico mi colpì alla bocca dello stomaco atterrandomi col viso rivolto al vetro.
Anche Saphira stava combattendo, evitando tutti gli affondi di Lucas, ma era disarmata. Non era abituata a combattere a mani nude, sempre accompagnata dal suo coltellino esso era diventato una parte di lei.
- Non dirmi che sei già fuori gioco.
Mi prese per il colletto della maglia ed iniziò a sollevarmi fino a rimettermi in piedi e potevo chiaramente vedere quanto desiderasse poter continuare ad infierire  coi propri colpi.
- Per ora può bastare.
Il suo tono altisonante accese un interruttore nella sua mente e mi lasciò andare.
- La prossima volta non ci andrò così leggera.

Non appena mi lasciò andare mi accasciai sul pavimento, fissandola. Dalla velocità a cui il suo petto si alzava ed abbassava cominciava ad essere distrutta dalla stanchezza, ma riusciva a difendersi. Non si era arrugginita.
Che  fine avranno fatto Thayla e Jules? Me lo chiedo da quando mi sono risvegliato.
Ho visto Saphira ed è nella mia stessa condizione, ma gli altri non sono come noi, persone normali con le amicizie sbagliate. Da giorni eravamo in preda ad un’orribile sensazione di malessere ed avevamo fatto di tutto per convincerci che non avesse nulla a che fare con la realtà ed a causa nostra erano in pericolo.

“ Sapevi che non ce l’avreste fatta.”

-Non è ancora detto.
Nella mia vita non ho mai avuto una ragione per lottare che fosse diversa dalla rabbia o dall’odio fino a quando non ho re-incontrato Saphira e gli altri, stringendo con loro ciò che è più simile alla definizione di amicizia.
Quei due possono ancora salvarsi ed io voglio continuare a vederla sorridere.

- Puoi tornare nella tua stanza.
Adesso che mi si era avvicinato e potevo vederlo in faccia ebbi nuovamente quella sensazione.
- Perché lo state facendo?
Da anni mi tormentavo con quella domanda senza trovare nemmeno una risposta che potesse avere senso.
Non rispose, forse nemmeno lui ne era in grado e scese il silenzio mentre ci muovevamo per i corridoi.
Essi erano asettici, privi di qualsiasi elemento identificativo ad eccezione di alcune porte in ciò che doveva essere vetro o simile sovrastate da un numero. Anche adesso che non ero più sotto l’effetto di quella sostanza non sarei stato in grado di potermi orientare. Sembravano stati fatti apposta per impedire a chiunque di scappare.
Di tanto in tanto si potevano incontrare anche delle piante abbandonate a loro stesse in un angolo; per fare il loro lavoro era necessario essere incuranti degli esseri viventi.

Vista da fuori la mia porta era completamente diversa, piena di serrature e doveva essere spessa svariati centimetri per impedirne lo sfondamento.
- Finalmente posso fare la tua conoscenza, Uprum.
- E tu chi diavolo saresti?
La cosa peggiore dell’essere chiamato in quel modo era esservi abituato.
- Che sbadato... io sono Rick.
In quella che avevano definito come la mia stanza vi era un ometto non molto alto e tarchiato, probabilmente aveva passato da diversi anni la quarantina a giudicare dalla pelata, ma la cosa peggiore erano i suoi occhi: piccoli spilli marroni affamati di conoscenza. Lui era uno di noi.
- Non mi interessa il tuo nome.
La cosa parve offenderlo e non poco dalla piega che assunsero le sue labbra, ma la cosa non mi importava.

“Continua cosi`. Non vedo l’ora di vederlo esplodere.”

- Certo, tu sei superiore a tutti gli altri...
- Dove sono i miei amici?
Forse non era la mossa più intelligente, ma dovevo sapere.
- Non mi avevano detto che tu fossi così rammollito.
- Rispondi.
Scattai senza accorgermene e lo afferrai per la cravatta.

“ Bastardo.”

Mi aveva puntato qualcosa di affilato all’addome, potevo sentirne la punta graffiarmi la pelle.
- Ti offro uno scambio.
- Cos’hai in mente?

Quel figlio di puttana ci sapeva fare ed alla fine avevo accettato, la loro vita per evitare che io gli causassi rogne.
Avrei voluto rompergli il collo, ma non sarebbe bastato. Da anni non seguivamo più le loro ricerche e non avevo idea fino a che punto fossero arrivanti a perfezionarsi.
Io e Leonore eravamo degli ibridi, dovevamo convivere con quei due, gli altri avevano il pieno controllo.

- Braight.
Saphira era la prima ad essere stata accompagnata in quella sottospecie di salotto privo di qualunque accoglienza, ma con solo un tavolo e delle sedie in plastica dura. Non ci trovavamo in nessuna delle stanze in cui eravamo stati portati in precedenza, pareva più una sala d’attesa.
Il duello di poche ore prima l’aveva sfiancata ed ammaccata a giudicare dai lividi che sbucavano dalle maniche della maglia.
Mi chiesi se avesse già fatto la conoscenza di Rick; bastò lo sguardo che gli rivolse non appena lo vide. Aveva incastrato anche lei.

La porta si aprì nuovamente lasciandoli entrare.
Thayla era terrorizzata, tremava visibilmente e non aveva intenzione di staccarsi dal maglione di Jules.
Se non avessi passato gli ultimi mesi in sua compagnia mi sarei chiesto se fosse completamente folle  o cercasse in tutti i modi di mantenere la calma per il suo bene.
Nonostante tutto stavano fisicamente bene, non un capello fuori posto o ferite superficiali eppure ci doveva essere qualcosa che non andava...
- State bene?
Saphira cercò immediatamente risposte rivolgendosi ai diretti interessati.
- Sì. Abbiamo rischiato grosso con la valanga, ma grazie a te e Braight siamo ancora interi.
Fu il biondo a rispondere mentre al solo ricordo la rossa vi si stringeva ancora di più.
Dietro di loro vi era lo stesso tizio che avevo incontrato al mio risveglio eppure era irrequieto.

Bastò un attimo.
Le urla di Thayla mentre Rick l’afferra per i capelli, le lacrime che le scendono per il collo e sangue: il sangue di Jules.
Né io né Saphira avevamo potuto impedirlo, ma per entrambi la colpa non poteva essere che nostra.
Si era messo in mezzo ed il coltello destinato alla rossa si era piantato nel suo collo permettendoci di vederne la punta dalla parte opposta.
Sputò sangue e non appena tolse la lama cadde a terra, con un sorriso. Dovevi proprio essere orgoglioso della tua morte.
Non riesco a togliermi le urla di Thayla dalla testa.
 

Angoletto autori:

Jenni: indovina cosa ti attende...
Arso: l'angoletto autori?
Jenni: wiiiiiiiii *in realta` utilizzo un si` con una voce infantile e squillante, ma nello scritto e` impossibile riprodurlo*
Arso: certo che era un sacco che non pubblicavamo
Jenni: prenditela con lo stato e quella cosa orribile definita esame di maturita`
Arso: ma veramente io ti avevo dato la storyboard dopo il mio compleanno...
Jenni: le foto non si leggevano
Arso: tu mi hai detto a giugno che non si leggevano
Jenni: avevo troppo da studiare. In ogni caso vi prego di non prendervela con noi, bensi`, se desiderate, sono pronta a fornirvi nomi, cognomi ed indirizzi dei nostri professori e vi autorizziamo a presentervi da loro armati di torce e forconi.
Arso: speriamo almeno che il capitolo vi piaccia.

Con affetto,
Arso & Jenni


 

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Capitolo 15
*** XV. Appesi A Un Filo ***




Cadde in un tonfo ai piedi di Thayla, riverso nel suo stesso sangue.

“Ormai è troppo tardi.”

Il suo petto si alzò faticosamente un paio di volte prima di fermarsi  nel bel mezzo di una pozza scarlatta. Non riuscivo a muovere un singolo muscolo, pensare era ancora più difficile tra le urla di Thayla che echeggiavano nella stanza ed i miei occhi non potevano staccarsi dal suo corpo privo di vita.
Avrei voluto urlare, distruggere quel bastardo, ma ero come un burattino a cui avevano appena tagliato i fili.
Volsi lo sguardo verso Saphira per notare che i suoi occhi erano vuoti, terrorizzati nonostante ciò che era accaduto nei mesi precedenti; avevamo ucciso Jane senza battere ciglio ed ora che le nostre mani non erano macchiate di sangue venivamo straziati dal senso di colpa.

-Portateli via.
Alla voce di quel bastardo i suoi scagnozzi si erano mobilitati ed accaniti contro di noi bloccandoci le mani dietro la schiena, o almeno ci stavano provando. Non opposi la minima resistenza quando mi torsero le braccia. Saphira invece tentava in ogni modo di ribellarsi urlando e scalpitando come una bestia feroce. Mi rivolse lo sguardo alla ricerca di un aiuto che non ero in grado di darle ed in tutta risposta i suoi occhi si tinsero di delusione.

-Lasciatemi!
Stavano cercando di portare via anche Thayla. Chissà cosa ne avrebbero fatto...una nuova cavia? Il giocattolo personale di Rick? O sarebbe divenuta carne da macello?
Mi voltai verso di loro appena in tempo per vedere la rossa che veniva strattonata per i capelli da Haley il cui viso era solcato da un’espressione di sadico piacere.
Fu un lampo e mi liberai dei tre che fino a quel momento mi avevano bloccato, spazzandoli via come fossero un castello di carte e scattai verso di loro.
Non avrebbero preso anche Thayla, lo avrei impedito.

-Credi davvero di poterla salvare?
- Basterà liberarmi di una sgualdrina come te.
La bionda lasciò la presa e la sua preda si raggomitolò` accanto a quel che rimaneva di Jules. Potevo batterla, dovevo o non saremmo usciti mai più da quell’inferno.
Evitai per un soffio il pugno con cui aveva mirato alla mia faccia; dovevano averla resa più veloce...
L’umiliazione dell’ultima volta era ancora vivida nella mia mente e l’avrebbe pagata per allora, non avevo fatto sul serio, ma adesso era giunto il momento di farle assaggiare la sua stessa medicina.
Non appena evitai il suo colpo la colpii alla bocca dello stomaco, le mancò il fiato e la cosa mi diede un brivido di gioia. Vederla soffrire ed arrancare era una vera gioia per gli occhi, la stavo mettendo alle strette ad ogni colpo il suo respiro si mozzava, poi perse i sensi e la lasciai.

Mi sentivo pervaso da una gioia disumana, delirante, inebriante.
Saphira era alle prese con Lucas e proprio come l’ultima volta non aveva un graffio, ma senza un’arma non avrebbe potuto porre fine a quel combattimento o almeno non in suo favore.
Fu un attimo, non si accorse di me fino a quando non gli fui addosso. Le sue ossa erano così fragili, non dovetti usare nemmeno tutta la mia forza per dar vita a quel sonoro “crack” e spezzargli una volta per tutte il collo. Avevo dimenticato quanto fosse eccitante il loro sguardo vitreo , il loro sangue sulle mani e soprattutto il loro muto grido di aiuto, la loro speranza in un mio atto di misericordia.
- Potevo farcela da sola.
- Senza un’arma? Ne dubito fortemente.
Vidi una stiletta di odio eppure vi era un velo di riconoscenza...

Un gruppo di uomini armati spuntarono dalla porta alle nostre spalle, ma la oro sicurezza svanì non appena videro Lucas ed Haley a terra.
- Mi occupo io di loro.
Leonore partì senza un attimo di esitazione;  adesso si sarebbe divertita anche lei.
Avevo perso di vista quel figlio di puttana, ma allo stesso modo ero sicuro che non avesse lasciato la stanza. Voleva vederci combattere, soffrire e soccombere.
Ciò che mi faceva ribrezzo era il fatto che non si sporcasse le mani lui stesso. Odio chi lascia fare il lavoro sporco ai propri burattini lasciando che siano loro a rischiare la vita accontentandosi delle sensazioni da dietro le quinte.

Poi lo vidi, in un angolo con una ragazzina al fianco. Era minuta, vestita di nero con un paio di scarponi da biker, jeans strappati e maglietta a maniche lunghe, ma la cosa che colpiva di più era il colore dei suoi capelli. Ricordava una ragazzina dai capelli color pece ed ora doveva essere nel bel mezzo della sua ribellione adolescenziale a giudicare dalla frangetta blu elettrico.
Pochi passi verso di loro e lei aveva già cominciato a mobilitarsi.
- Fatti da parte, Amy.
- Altrimenti? Mi spezzerai il collo come a Lucas?
- Dipende da te.

La mia forza era come se non sortisse effetto. Ogni volta che la colpivo era come se le facessi il solletico; dovevano aver fatto proprio un buon lavoro con lei.
Leonore non faceva in tempo a far fuori degli scagnozzi che ne ricomparivano in numero maggiore impedendole, sebbene con l’ausilio di un’arma, di raggiungere Thayla.
Dovevamo portarla via da lì o sarebbe finita male per tutti, non potevamo proteggerla e pensare a salvarci, era un peso di cui non potevamo caricarci.

Non facevo che sferrare colpi a vuoto, inutili e stancanti, sentivo i muscoli bruciare e l’adrenalina stava scomparendo davanti a quel muro impenetrabile ed insofferente poi accadde.
Thayla si fiondò addosso a Rick ferendolo con un coltello alla spalla. Non saprei dire se fosse a causa dello shock, della disperazione o di chissà quale altra componente gli scorresse nelle vene, ma era riuscita in ciò che stavo tentando di fare da troppo tempo.
- Dovrei forse urlare?
Persino la ragazza davanti aveva  avuto un tremito di paura dinanzi a quella scena, ma era scomparso non appena aveva visto la ferita.
Con un gesto della mano tolse il coltello con cura e lo scaraventò lontano. Una volta tolto la pelle tornò come nuova.
Pensavo fosse solo un altro pazzo che si divertisse a manipolare e sperimentare la propria follia sugli altri, ma a quanto vedevo era uno di noi, qualcuno che si era sottoposto volontariamente alle nostre stesse sofferenze.
I suoi occhi smeraldini si dipinsero di terrore .
- Povera piccola, non sa nulla di noi. Che ne dite se ponessi fine alle sue sofferenze?
Gli strinse le mai al collo sollevandola come se fosse una foglia, i suoi occhi parvero uscire fuori dalle orbite ed un sorriso animalesco gli solcò il viso.
-Thayla!

Leonore tentò di correre verso di lei, ma Amy gli bloccò la strada.
Cercava in tutti i modi di liberarsi scalciando nella sua direzione e portando le mani alla gola, nel tentativo di allentare la presa che le stava bloccando il fiato, inutilmente.

“Salvala.”

Scattai e con un colpo al suo addome riuscii a fargli perdere la presa.
- Amy!
Il suo era un ruggito di rabbia e disprezzo per non avergli impedito quella che per lui era una pena inutile e priva di significato. Avrebbe pagato per quel colpo andato a segno.
La ragazza corse verso di lui mentre altre guardie si frapponevano tra di noi.
- Dammi una mano.
Saphira era accorsa in aiuto di Thayla che respirava a malapena e tanto meno sembrava essere in grado di rialzarsi e scappare.
- Dobbiamo andarcene.
Me la caricai sulle spalle e cominciammo a corre nel tentativo di sfuggire a quella trappola mortale.
Continuammo a  svoltare tra i vari corridoi nel tentativo di raggiungere quel bastardo fino a quando un clangore metallico ci chiuse la strada.

Davanti a noi era calata una pesante grata di metallo bloccandoci la strada come se fossimo stati troppo vicino al nostro obbiettivo.
Tornammo indietro nel vano tentativo di salvarci la pelle quando un nuovo gruppo di uomini armati di fucile cominciarono a spararci.
Tre colpi ed una ricarica; abbastanza da riuscire a contrattaccare senza rimetterci troppo, soprattutto nel caso di Saphira.  Ci avvicinammo di un paio di metri alle nostre prime sbarre in modo da mettere Thayla al sicuro in un’intercapedine del muro, ma quando cercammo di contrattaccare ecco piombare un secondo cancello proprio davanti a loro impedendoci di colpirli.
- Dannazione.
Un nuovo cigolio ci sorprese.
Mai nella nostra vita fummo più veloci e per un soffio non rimasi bloccato dalla parte sbagliata.
Tirammo un sospiro di sollievo nel ritrovare la rossa dove l’avevamo lasciata.
Ormai eravamo nel loro parco giochi.
 

 
Angoletto autori:
Scussateci per il tempo lungo, infinito e senza precedenti e per la scarsa lunghezza del capitolo, ma nostro malgrado siamo stati sconfitti da quell'orribile mostro chiamato universita`. Faremo di tutto per essere piu` diligenti, carini e coccolosi. 
Con affetto ,
Jenni & Arso

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