Furry Love

di Prinzesschen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Black Dog ***
Capitolo 2: *** 2. Troublemaker ***
Capitolo 3: *** 3. Trapped ***
Capitolo 4: *** 4. Magic ***
Capitolo 5: *** 5. Bloody Mary ***
Capitolo 6: *** 6. Gunnin' ***
Capitolo 7: *** 7. On the run ***
Capitolo 8: *** 8. You're beautiful ***
Capitolo 9: *** 9. Don't let me be misunderstood ***
Capitolo 10: *** 10. Fortune's fool ***
Capitolo 11: *** 11. Stolen secrets ***
Capitolo 12: *** 12. Danger ***
Capitolo 13: *** 13. About us ***
Capitolo 14: *** 14. Back ***
Capitolo 15: *** 15. Titanium ***
Capitolo 16: *** 16. Forever ***



Capitolo 1
*** 1. Black Dog ***


Furry Love

Furry Love

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1- Strange fascination fascinating me
Changes are taking the pace
I'm going through

 

La pioggia cadeva fitta fuori dalla grande finestra e  probabilmente non avrebbe neanche smesso troppo presto, a giudicare dai nuvoloni densi e minacciosi che oscuravano il cielo pomeridiano di quel languido ma tremendamente caldo Agosto.
-..e quindi se n’è andata, senza lasciare neanche un biglietto e portando con sé i bambini.- concluse il mio cliente lanciandomi uno sguardo supplichevole, le occhiaie accentuate almeno quanto le profonde rughe d’espressione che sottolineavano lo stato di forte stress in cui versava. Non era male come uomo, obiettivamente parlando, ed era un vero peccato che tutte quelle grane sciupassero i suoi tratti altrimenti delicati e allo stesso tempo virili. Ma ero il suo avvocato, non la sua fidanzata né la sua analista, dopotutto.
-Non si preoccupi, signor Grayson, innanzitutto mireremo ad addebitare la separazione a sua moglie e tratteremo con il giudice delle ragionevoli condizioni per l’affidamento condiviso. Purtroppo il tradimento non la rende perseguibile penalmente e dunque non possiamo neanche richiedere alcuna misura di protezione che comporti l’affidamento esclusivo dei bambini a suo favore.
Annuì, placido e ben consapevole che nella pratica era sempre la moglie ad ottenere un trattamento privilegiato e che ad ogni modo avrei fatto il possibile per tutelarlo.
-Abbiamo gli elementi per darle qualche gatta da pelare, non ne dubiti.
Si alzò, scostando la sedia e mi porse educatamente la mano per poi stringerla con vigore.
-La ringrazio, avvocato Kane. Mi affido completamente a lei.
-Non se ne pentirà.
Lo accompagnai sorridente fino alla porta della mia stanza per poi affidarlo alla segretaria dello Studio che lo scortò all’uscita.
Studio Associato Kane, Mars e Russell.  Avevo svolto il mio praticantato in quello stesso studio, allora gestito da Russell senior e dalla giovane Kate Mars e qualche anno vi ero rientrata come avvocato a pieno titolo, a fianco di Jason Russell e della stessa Kate Mars.
-E’ meraviglioso. Ma com’è che li trovi tutti tu, Hannah?
Scossi il capo, ancora scomodamente appoggiata allo stipite della porta della mia stanza, mentre Joanne McDay tornava alla sua scrivania con le braccia spalancate, sconcertata dalla mia- parole sue- fortuna sfacciata.
-Sono una fottuta calamita, Jo, lo sai.
-Sempre elegante, mia adorata Kane.- commentò Jason facendo la sua entrata trionfale, i capelli perfettamente pettinati e carichi di gel, lo sguardo magnetico e ammiccante da seduttore incallito e le mani affondate nelle tasche del completo gessato.
-Il tuo tempismo è impressionante, Jason. Mi sorge sempre il dubbio che tu stia appostato dietro la mia porta pronto ad intervenire ad ogni occasione.
Joanne trattenne il fiato, sentendomi rivolgere l’ennesima frecciatina al figlio del proprietario dello studio.
-A proposito di occasione, Kane, avrei una proposta molto allettante da farti. Vuoi sentirla?
Storsi le labbra in un sorriso forzato.-La farai comunque, sputa il rospo.
Conoscevo Jason dai tempi dell’università e quei battibecchi erano sempre stati il nostro pane quotidiano; io lo consideravo un borioso figlio di papà abituato ad avere tutto in qualsiasi momento decidesse di volerlo e lui considerava la sottoscritta una strana ragazza di periferia approdata a London City con più ideali che cosmetici in borsetta e, per questo, come una sorta di sfida.
Erano anni che mi svolazzava intorno come un’ape ostinata ed io continuavo senza alcuna ritrosia a ridurre all’osso, ovvero al semplice ambito professionale, qualsiasi rapporto.
-Dopodomani c’è un corso di aggiornamento al Palace e organizzano anche una cena. Sono stato invitato a far le veci di mio padre che purtroppo non potrà presenziare e mi piacerebbe se tu volessi accompagnarmi .
La mia espressione doveva essere parecchio eloquente perché mi si avvicinò, sbuffando, abbandonando la sua aria da sbruffone, come spesso accadeva davanti alle mie reazioni per lui inusuali. –Eddai, Kane, è un’occasione d’oro per te! Ci saranno gli avvocati e i magistrati più in gamba d’Inghilterra e..
-D’accordo.
-Come?- mi chiese immobilizzandosi e fissandomi con gli occhi scuri spalancati dalla sorpresa.
-Verrò con te.- ripetei con un sorriso impertinente, divertita dalla sua espressione scioccata.
Si illuminò per un attimo ma poi, schiarendosi la voce, pensò bene di darsi un contegno e di riappropriarsi dei suoi modi da uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
-Ovviamente, saresti stata una sciocca a rifiutare. Ti passo a prendere Venerdì alle sette, non un minuto più tardi, Kane!
Lanciai uno sguardo divertito e allo stesso tempo esasperato a Joanne, mentre lui si allontanava, e lei ricambiò, sconvolta quanto il mio collega.
-Sei impazzita?- scandì perché leggessi il labiale.
-E’ solo un incontro di lavoro, Jo. Solo un incontro di lavoro.

Quando uscii dallo studio la pioggia, come previsto, non era ancora cessata e dovetti coprirmi il capo con la borsa per non inzupparmi nel tragitto fino alla mia macchina.
Era una macchina abbastanza inusuale per una donna, a detta di molti, una Jeep scura e meravigliosa che adoravo con tutta me stessa e che mi ero regalata due anni prima per il mio venticinquesimo compleanno.
Osservai nello specchietto retrovisore i miei capelli biondi, già tendenzialmente crespi, ridotti ad un groviglio informe ed umido che sarebbe stato terribile districare e poi lo riposizionai ad inquadrare il vetro posteriore, mettendo in moto diretta verso casa.
Quando finalmente scorsi le villette a schiera di Little Whinging attraverso la pioggia fitta mi sentii sollevata.
Svoltai nel mio vialetto e spensi il motore lanciando un’occhiata alla casa, stranamente silenziosa, dei vicini: solitamente il vecchio Dursley deliziava il vicinato con i suoi toni soavi mentre la magra moglie lanciava occhiate preoccupate dalla finestra, temendo il giudizio di noi vicini; giudizio che, per quel che mi riguardava, era comunque pessimo. Mi era capitato più di una volta di difendere quel delinquente del figlio, Dudley, per atti vandalici e risse che per lo più consistevano nella sua abitudine di pestare i più piccoli.
L’altro ragazzo, il nipote, era un tipo davvero strano. Lo tenevano praticamente segregato in casa e mi era capitato raramente di incrociarlo, seminascosto dietro dei grossi e tondi occhiali e con l’aria decisamente infelice. Si diceva che l’avessero spedito al Centro Di Massima Sicurezza San Bruto per Criminali Irrecuperabili. Se quel posto esistesse davvero o no, per me, restava un mistero.
Mi preparai a nuotare fino alla porta e mi tuffai fuori dall’auto, camminando a passo svelto fino al portico.
Sobbalzai notando una macchia scura accucciata sul mio tappetino e mi feci indietro, improvvisamente incurante della pioggia, quando la macchia scura prese a ringhiarmi contro, aggressiva.
-A cuccia, bello. Parliamone.
In linea di massima adoravo i cani ma quello sembrava proprio odiarmi e di tendergli la mano non ne avevo la minima intenzione.
Mi squadrò per qualche secondo e smise di ringhiare, inclinando il muso con aria curiosa.
Era davvero un cane strano, tutto nero ed arruffato e con degli incredibili occhi grigi che sembravano scrutarmi attraverso la pelle.
Infine guaì piano e mi si avvicinò, leccandomi una mano.
-Non sei poi così feroce, in realtà. Vero, cucciolone?
Mi chinai sulle ginocchia e presi ad accarezzarlo, cauta.-Sei zuppo e hai fatto bagnare anche me, cattivone.
Mi sollevai e presi le chiavi nella borsa ormai fradicia mentre lui non perdeva neanche un mio movimento, feci scattare la serratura ed entrai, facendomi da parte e rivolgendomi all’animale.
-Su, entra pure. Non vorrai mica restare fuori ad inzupparti ancora?
Il cucciolone avanzò, diffidente, oltre la soglia senza smettere di fissarmi ma una volta che ebbi chiuso la porta alle sue spalle notai che la coda aveva iniziato timidamente a muoversi.
Gettai la borsa per terra e attraversai l’ingresso togliendomi le scarpe e saltellando da un piede all’altro.
Mi catapultai nella mia stanza più veloce possibile togliendomi di dosso i vestiti bagnati per restare in biancheria intima e così svestita e sotto lo sguardo vigile dell’enorme batuffolo nero che mi aveva seguita come un’ombra, andai in bagno.
Scossi i lunghi capelli chiari e quando pochi istanti dopo sentii il cane fare lo stesso con il suo pelo, poco oltre la soglia del bagno, mi voltai rivolgendogli un’occhiata di rimprovero al quale quello rispose con un guaito di scuse, zampettando sul posto e intenerendomi definitivamente.
Mi frizionai per qualche minuto i capelli così da asciugarli un po’ e poi con la stessa asciugamano presi a massaggiare il pelo del cagnolone che sembrava godere da matti di quelle attenzioni a giudicare dal modo in cui scodinzolava sbattendo la coda contro la porta di legno.
Risi, divertita, e stringendo la lingua tra i denti passai ad asciugargli il muso, stringendogli le orecchie pelose e il capoccione scuro mentre lui odorava freneticamente l’asciugamano che probabilmente profumava ancora del balsamo alla pesca dei miei capelli.
Quando mi sembrò finalmente un po’ più asciutto mi tirai su, posando le mani sui fianchi e guardandolo, interdetta.
-Cosa ci faccio io, con te?
Fin da quand’ero bambina i cani erano sempre stati i miei animali preferiti, di gran lunga più affettuosi e fedeli dei gatti, infidi e calcolatori.
I miei vivevano in una casa in campagna che ospitava da sempre almeno quattro esemplari di quella adorabile specie e quindi ero cresciuta, per forza di cose, con quella forma mentis che, in quel momento, mi imponeva di accogliere il pelosone in casa mia. Non potevo di certo gettarlo di nuovo per strada, non aveva un collare e a giudicare dal suo odore non faceva un bagnetto da un bel po’ di tempo, ragion per cui non avevo elementi per ritenere che avesse un padrone, nel quartiere, che lo potesse rivendicare.
Gli posai la mano sul capo e lo accarezzai, energica. –Stasera sono troppo stanca ma domani ti tocca un bel bagnetto profumato.
Abbaiò, in risposta, facendomi sussultare ma in quel verso non c’era più alcuna traccia della ferocia iniziale e con la lingua penzoloni e la bocca spalancata sembrava invece l’immagine della felicità.
Indossai una enorme t-shirt e mi stravaccai sul divano sul quale avevo steso una vecchia e logora tovaglia da tavola sulla quale battei forte la mano, guardando il mio nuovo amico che si era accomodato di fronte a me e mi guardava, vispo.
-Salta su, Rain.
Il nome che gli avevo affibbiato sembrava piacergli molto e una volta posizionatosi sul divano, al mio fianco, mi regalò una generosa leccatina sul braccio e si raggomitolò su se stesso, soddisfatto ed appagato.
Accesi la tv e la sintonizzai sul canale che mandava il mio programma musicale preferito ma il mio sguardo continuava a cadere sul cane che mi sonnecchiava accanto.
Mentre MTV trasmetteva un live di Changes di David Bowie nella mia mente andava facendosi spazio un pensiero tanto inaspettato quanto dolce: quella casa sembrava improvvisamente meno vuota e il senso di solitudine che ogni sera mi pervadeva non aveva ancora fatto la sua triste comparsa. Avevo sempre amato la pioggia estiva.

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Capitolo 2
*** 2. Troublemaker ***


furry2modificato Furry Love 2

Furry Love

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2- There's a million mouths to feed
And I've got everything I need
I'm breathing
And there's a hurting thing inside
But I've got everything to hide
I'm grieving

La mattina successiva la pioggia era cessata ma l’afa non aveva fatto altrettanto, era evidente, considerato il groviglio di lenzuola che mi trovai avvolto ai piedi e la posizione scomoda che avevo assunto, insofferente persino durante il sonno.
Mi sollevai a sedere a gambe incrociate e premetti le mani sugli occhi, massaggiandomi le palpebre.
Un guaito mi fece sussultare e mi ricordò del mio nuovo coinquilino che molto più sveglio e pimpante di me stava accanto ai piedi del letto, scodinzolando.
-Vuoi farmi venire un infarto, per caso?- lo rimproverai ridendo per poi gettarmi di nuovo con la schiena sul materasso con un sonoro sbuffo.
L’idea di chiudere gli occhi si dimostrò decisamente pessima. –Che schifo, Rain!
Il grosso cagnolone era balzato sul letto, silenzioso come un predatore, e mi aveva regalato una generosissima leccata sul viso, per poi accomodarsi accanto a me con estrema naturalezza, come se quel letto fosse sempre stato anche il suo.
-Avrei voluto farti il bagno prima ma.. fai pure, prego!
Certo, non era esattamente normale parlare con un cane ma ero sempre stata convinta che fossero capaci di capire e di provare sentimenti, come le persone e forse anche di più, e lo sguardo impertinente di Rain, mentre cominciava a rotolarsi sulla schiena torcendosi tutto, non fece che confermare la mia tesi.
-Forza.- decretai alzandomi ed infilando la maglietta extralarge che avevo abbandonato sulla poltrona accanto al letto.-Andiamo a spulciarci, balordo.
Mi seguì ubbidiente fino al bagno ed io indicai la vasca, con fare autoritario. –Lì! Salta dentro.
Si sedette, ostinato, e mi rivolse uno sguardo che avrei potuto tranquillamente definire contrariato.
-Non farei tanto la schizzinosa, se fossi al posto tuo.
Si allungò sulle zampe davanti nascondendovi in mezzo il muso per non guardarmi emettendo uno strano suono.
-Ti rispedisco in strada, brutto ruffiano presuntuoso!
Come se avesse compreso la mia minaccia si sollevò svogliatamente e con passo flemmatico e senza rivolgermi neanche uno sguardo entrò nella vasca, una zampa dopo l’altra.
-Guarda tu.- borbottai scuotendo il capo ed aprendo il getto d’acqua che lo colpì dritto al muso facendolo abbaiare, infastidito.
Quando ebbi finito di lavarlo e lui di schizzarmi più per dispetto che per asciugarsi, misi il resto delle lasagne precotte della sera prima in un piatto che posai sul pavimento per poi uscire a fare la spesa raccomandandogli di non demolire la casa durante la mia assenza, quasi rassicurata dal modo in cui aveva tirato indietro le orecchie.
Durante il tragitto verso il supermarket, rigorosamente a piedi, mi immersi nei miei pensieri e mi ritrovai a sorridere.
Rain era stato la novità che mi mancava per riprendere la mia proverbiale voglia di vivere: la routine mi stava uccidendo, la mia vita era un continuo correre da casa allo Studio e dallo Studio a casa che sembrava ogni giorno più vuota, più triste.
Avevo ventisei anni e la maggior parte delle mie amiche era ormai sposata o condivideva la propria vita con l’uomo giusto mentre il mio unico compagno di vita era il lavoro e la mia amante l’abitudine.
Ero un avvocato realizzato, lavoravo nel migliore studio di tutta Londra e se avessi voluto avrei potuto avere anche le mie due o tre storielle, di tanto in tanto.
Non ero quella che poteva considerarsi una bella donna, troppo minuta, da sempre, il mio naso non era all’insù come quello delle ragazze sulle copertine delle riviste e non avevo neanche la loro terza di reggiseno. L’unica cosa di cui ero sempre stata molto fiera erano i miei occhi azzurri che, tuttavia, sembravano scuri e freddi per il novanta per cento del tempo.
-Ops, scusami!
Lo strano nipote dei Dursley si sistemò gli occhiali sul naso e mi rivolse uno sguardo verdissimo e mortificato. –Andavo di fretta e..
-Non ti preoccupare.- lo rassicurai. Mi era arrivato addosso mentre procedeva di gran carriera nella direzione opposta alla mia. –Tutto bene?
-Sicuro!- mi rispose, poco convinto. –Devo portare questo ai miei zii.
La smorfia che si dipinse sul suo volto mentre mi mostrava una enorme busta della spesa mi fece sorridere. –Devono essere terrificanti se ti fanno correre così tanto.
Sgranò gli occhi, stupido ed evidentemente felice di non essere l’unico a pensarla a quel modo. –Non immagini neanche quanto! Allora io.. vado!
Sollevò timidamente una mano in segno di saluto e con un mezzo sorriso riprese a correre verso casa.
Tornai sui miei passi, diretta verso la meta della mia piccola passeggiata mattutina ma sembrava proprio che avessero tutti una gran fretta quel giorno, perché pochi istanti dopo uno strano uomo con un lungo cappotto di pelle e i capelli neri e lunghi quasi mi travolse, camminando a passo svelto.
Lo fissai, sbigottita, quando passò come un razzo ad un soffio da me come se non mi avesse neanche vista.
-Ma cosa è successo a tutti quanti, oggi?

La sera del grande evento cui il giovane avvocato Russell mi aveva gentilmente concesso di accompagnarlo a dimostrazione di quanto magnanimo fosse il suo spirito, arrivò prima del previsto e i vestiti nel mio armadio sembravano tutti profondamente inadeguati nonostante fossi ormai abituata a convegni e cene di lavoro di ogni tipo.
Erano le sei e mezza ed io stavo in accappatoio e con i capelli ancora umidi lasciati ricadere sulle spalle davanti alla fila di grucce guardandole con aria di sfida.
-Tu che dici,-mi rivolsi a Rain che sonnecchiava a pochi passi da me-questo o questo?
Sollevai alternativamente due vestiti, un semplice ma elegante tubino nero ed un altro decisamente più aggressivo e scollato che non avevo mai messo ma del tipo che ero abituata a vedere addosso alle mie platinate ed agguerrite colleghe che partecipavano a questi eventi solo per incontrare uomini d’affari ed entrare in giri proficui che spesso prevedevano una piccola tappa nel letto dei pezzi grossi.
-Eccessivo, non credi?- chiesi di nuovo, alludendo all’ultimo vestito.
Nascose il muso tra le zampe come aveva fatto la mattina precedente davanti all’idea di dover essere lavato e volli interpretare quel gesto come una conferma.
Posai le mani sui fianchi e continuai a fissare l’armadio per poi darmi un colpetto sulla fronte, entusiasta della mia trovata.
-E se mettessi quello verde?

Uscii di casa qualche minuto prima delle sette per non lasciare a Jason la soddisfazione di rimproverarmi per aver ritardato neanche un minuto che lui di certo avrebbe trasformato in cinque o dieci minuti abbondanti.
Era una serata molto umida e dovetti tirare temporaneamente su i capelli per evitare che il sudore li arricciasse ma proprio mentre vi avvolgevo intorno l'elastico un particolare insolito catturò la mia attenzione.
Harry Potter, così si chiamava il nipote di quegli esaltati dei vicini, era di nuovo di corsa e sembrava parecchio agitato allontanandosi dalla villetta con un enorme baule a carico e trascinando su di esso quella che sembrava una enorme gabbia.
Sembrava veramente sconvolto e continuava a guardarsi intorno con aria nervosa senza però accennare a rallentare minimamente; mi mossi di qualche passo verso la direzione che aveva imboccato quando una sfavillante decappottabile si accostò al marciapiede proprio davanti a me.
-Non sai che le donne come si deve si fanno sempre aspettare almeno un po’?
-Non sono una donna come si deve, Jason, dovresti averlo capito ormai.- risposi facendo il giro e salendo sulla vettura.
-Però hai classe, dolcezza. Quel vestito ti sta d’incanto.
-Risparmiami i convenevoli e parti altrimenti facciamo tardi e di certo non sarà colpa mia.

-Avvocato Kane, che piacere rivederla!
Marius Donovan era uno dei più ricchi notai di tutta l’Inghilterra e si stava avvicinando a me con la mano protesa verso la mia che non tardò a stringere.
Era un uomo panciuto sulla sessantina, un portamento elegante e l’aria socievole.
-Signor Donovan, il piacere è tutto mio, come sempre!- risposi, sorridente.
-Jason Russell! Che fine ha fatto tuo padre, ragazzone? E’ un po’ che non si fa vedere!- aveva spostato l’attenzione da me al mio accompagnatore che era decisamente più a suo agio della sottoscritta, in quel contesto.
Volteggiava su e giù per la sala salutando questo e quell’altro importante magistrato o politico esibendosi nella sua migliore performance di galanteria con impeccabili baciamano alle mogli con coliere di perle al collo.
-Si sta godendo un po’ di meritato riposo, adesso che dello Studio ci occupiamo noi e l’avvocato Mars.- spiegò posandomi con nonchalance una mano sulla schiena.
-Kate è fortunata a collaborare con due brillanti giovani come voi. A proposito, avvocato Kane, non è ancora passata in giudicato la sentenza di divisione della Woods inc.?
Cominciammo a parlare di lavoro e mi sentii molto più a mio agio: era proprio quella discrezione che rendeva Marius Donovan una piacevolissima compagnia. Non chiedeva mai della mia vita privata e mi stimava davvero per le mie doti professionali a differenza della maggior parte dei suoi colleghi che impiegavano prevalentemente il loro tempo spiando nella mia assolutamente deludente scollatura.
-Ma guarda un po’ chi si vede! Cornelius!
Cornelius Fudge si avvicinava a noi con il suo solito sorriso tirato. Era un grosso esponente della politica inglese, su questo non avevo dubbi, ma non mi ero mai interessata a lui tanto da approfondire le mie conoscenze riguardo il suo ruolo sociale.
Sembrava sempre molto teso ed ogni suo tentativo di dissimulare quella stessa tensione finiva per renderla ancora più evidente dandogli un’aria molto insicura.
Era più o meno coetaneo di Donovan e la cosa che più di ogni altra mi colpiva ogni volta che mi ritrovavo a conversare con lui era la sua voce che ricordava tremendamente il verso di un barbagianni del quale, tra l’altro, aveva tutto l’aspetto.
-Marius, carissimo! Avvocato Russell, avvocato Kane, che piacere!- salutò tutti con tono quanto più possibile gioviale e si unì a noi, portando le braccia dietro la schiena.
-Che succede, Cornelius? Ti vedo parecchio sulle spine..- chiese Donovan e dovetti trattenermi dall’aggiungere uno dei miei commenti acidi alla sua affermazione, cosa che Jason dovette notare perché mi rivolse uno sguardo ammonitore ma allo stesso tempo inevitabilmente divertito.
Se c’era una cosa certa era che Jason mi conosceva molto bene, dopo tutti quegli anni. I battibecchi erano il nostro pane quotidiano, adoravo smontare il suo atteggiamento da playboy ma in fin dei conti avevamo ormai imparato a volerci bene e rispettarci.
-Purtroppo si, Marius. Sono molto preoccupato, sai se John ha ricevuto il fax che gli ho inviato la settimana scorsa?
John Roy Major era il Primo ministro inglese in carica nonché grande amico sia del vecchio Donovan che di Fudge.
-Non ho sue notizie da un paio di settimane, a dirti la verità. Che succede?
-E’ ancora un’informazione riservata, i media non sono stati portati a conoscenza del fatto e per questa ragione devo chiedervi la maggiore discrezione possibile.- ci avvertì con tono grave prima di continuare.-un pluriomicida, molto pericoloso ed imprevedibile, è recentemente evaso e non abbiamo idea di dove si trovi adesso.
Aggrottai la fronte, confusa. Non sapevo che Fudge si occupasse del settore della Sicurezza Pubblica.
Dopo un attimo di silenzio prese a frugarsi nelle tasche mormorando parole incomprensibili per poi estrarne un foglio piegato in quattro e piuttosto malconcio che porse al signor Donovan.
-E’ lui, Cornelius? Sono sicuro che John si è già mobilitato per avviare le ricerche.
Non riuscivo a vedere la foto sul foglio ma notai che i due continuavano a scambiarsi sguardi preoccupati e sembrano volersi dire più di quanto non si fossero sbilanciati ad esprimere.
-Posso?- chiese Jason allungando la mano verso il foglio, senza fretta.
-Certo, giovanotto, certo.- rispose Donovan riscuotendosi dai suoi pensieri e porgendo la foto al mio collega che mi si avvicinò così che anch’io potessi vedere il volto del pericoloso latitante.
Il viso scarno e gli occhi infossati che mi fissavano attraverso la carta non mi erano nuovi e mi chiesi dove mai avessi potuto incrociare un criminale, pluriomicida, per altro: probabilmente doveva essere successo in occasione di qualche udienza penale, mi dissi. Vedevo continuamente passare file di delinquenti in manette, al tribunale, e probabilmente tra di loro c’era anche quello che dalla didascalia risultava chiamarsi Sirius Black.
Dopo qualche minuto i miei interlocutori cambiarono argomento riportando la conversazione su un piano meno spiacevole e gravoso ma il ricordo di quegli occhi continuava a rendermi inquieta per ragioni che neanche io sarei riuscita a spiegare.

Il tragitto fino a casa fu parecchio strano, sentivo la radio come se fosse estremamente lontana e avevo una gran voglia di ridere abbandonando qualsiasi ostentata resistenza all’umorismo indubbiamente efficace del mio improvvisato autista.
Ridevo forte eppure anche la mia risata risuonava lontana, insieme alla sua, e la città, fuori dal finestrino, si muoveva in modo innaturalmente veloce e confuso.
Non avevo mai retto granché l’alcol, soprattutto se si trattava di vino bianco pregiato e forte come quello che aveva più volte riempito il mio bicchiere, quella sera.
La macchina di Jason imboccò il vialetto di casa mia senza che potessi davvero realizzare quanto fosse durato il viaggio fino a lì ed io chiusi gli occhi, cercando di riprendere il controllo sul mio corpo.
-Allora vado. Grazie del passaggio.- dissi con voce insolitamente strascicata ma meno imbarazzante di quanto temessi mentre mi accingevo ad aprire lo sportello.
-Ti accompagno alla porta, non vorrei che cadessi rovinando irrimediabilmente il tuo bel faccino.
Sbuffai, contrariata, ma quando cercai di mettermi in piedi traballai pericolosamente sui tacchi e dovetti aggrapparmi a lui che aveva velocemente fatto il giro dell’auto venendo in mio soccorso.
-Sei velocissimo!
-No, sei tu che ti muovi a rallentatore, Kane. Possibile che ti ubriachi ancora come un’adolescente?- mi chiese, divertito, passandomi un braccio attorno ai fianchi e chiudendo la macchina.
-Zitto, Jason Russell. All’università eri tu il re delle sbornie, se ben ricordi.
-Beh diciamo che l’atmosfera e la compagnia spesso conciliavano l’ebbrezza alcolica.- ribatté con un sorriso malizioso dei suoi facendomi venir voglia di picchiarlo.
-Non sorridere in quel modo, lo sai che con me non attacca.- lo accusai una volta arrivati, poggiandomi contro la colonna del portico.
-Il solo fatto che tu lo abbia notato sembrerebbe significare l’esatto contrario.- mi redarguì, divertito, scostandomi una ciocca di capelli ribelli dal viso e portandola dietro l’orecchio.
-Accontentati del fatto che.. è stata una bella serata.
Alzò le sopracciglia sorpreso e colpito, posandosi una mano sul cuore. –Uh uh, Hannah Kane, la donna dal cuore di granito, ammette di aver trascorso una bella serata con il sottoscritto. Devi essere parecchio sbronza, tesoro.
Strinsi le labbra e lo fulminai prima di battere forte le mani e congedarmi.
-Probabilmente, quindi è meglio che vada dentro. Buonanotte, Russell.
Feci per voltarmi ed aprire la porta quando sentii la sua presa calda e ferma attorno al braccio che mi costrinse a voltarmi e un istante dopo le mie labbra erano incollate alle sue, inspiegabilmente.
In un primo momento sentii l’impulso di tirarmi indietro ma non potevo negare che, complici l’alcol e l’atmosfera, quel bacio si stava rivelando estremamente piacevole. Il tocco delle sue labbra era leggero e intrigante e quando schiusi le mie e le nostre lingue si incontrarono non potei fare a meno di portare la mano alla sua nuca mentre la sua stava saldamente posata sulla mia schiena, reggendomi e allo stesso tempo attirandomi a sé.
Aveva un profumo piacevole, probabilmente l’acqua di colonia più costosa sul mercato che in quel momento mi attraversava le narici stuzzicando la parte più istintiva di me; non mi concedevo un simile contatto maschile da troppo tempo, immersa anima e corpo nel lavoro e nella carriera che avevo sempre sognato, avevo evitato ogni fonte di distrazione nella convinzione che una donna indipendente non avesse bisogno di un uomo al suo fianco per sentirsi bene con se stessa.
Non ero di certo innamorata di Jason, neanche con il cervello intorpidito dall’alcol avrei potuto azzardare un simile pensiero, ma quel bacio mi stava facendo impazzire e mi sentivo una sciocca adolescente.
Quando ci separammo avevo il fiato corto e una assurda voglia di rituffarmi su quelle labbra sottili ed attraenti dalle quali non riuscivo a staccare gli occhi.
-Vuoi.. entrare?- gli chiesi in un improvviso moto di intraprendenza e lui in risposta mi baciò di nuovo, sorridendo contro le mie labbra.
-Spero sia una domanda retorica.- mormorò senza allontanarsi.
Frugai nella borsa alla ricerca delle chiavi e tra il mio equilibrio decisamente precario e le sue labbra che mi accarezzavano senza tregua il collo fu quasi un’impresa trovarle.
Aprii la porta e lui mi spinse piano dentro casa senza smettere di baciarmi.
Una volta chiusa la porta vi posai contro la schiena mentre lui premeva il suo corpo contro il mio e sentivo confusamente le sue mani ovunque senza poter trattenere dei piccoli sospiri che si mescolavano al suono dei suoi baci.
La casa era buia e se non avessi acceso la luce saremmo crollati a terra contro il primo mobile dato che la mia mente in quel momento non era assolutamente capace di ricomporre virtualmente la disposizione dell’arredamento, così con la mano raggiunsi l’interruttore, facendolo scattare.
Dopo qualche secondo lo sentii bloccarsi e riaprii gli occhi che avevo chiuso per godere al meglio di quelle sensazioni , rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
-Il tuo cane ci sta fissando, Kane.
Feci scattare lo sguardo verso il pavimento e notai che Rain era comodamente seduto a pochi passi da noi e ci guardava, impertinente.
-Aspetta un attimo.. un cane? Da quando hai un cane?- mi chiese, sconvolto, aggrottando la fronte e allontanando un po’ il suo corpo dal mio.
Ancora qualche istante e mi sarei pentita di quel che stavo facendo, ne ero certa. Consapevole di questo strinsi il colletto della sua camicia chiara e lo attirai nuovamente verso di me.
-Da due giorni. Ora zitto e baciami.
Non se lo fece ripetere e cercando di ignorare lo sguardo insistente ed indagatore del mio nuovo e grosso cane nero tornò a baciarmi, anche se con meno convinzione.
Bau.
Quell’abbaio suonò tanto come un rimprovero e Jason si separò definitivamente da me, posando il capo contro la porta, accanto al mio.
-Non ce la faccio, così. Possiamo andare nella tua stanza?
No, in realtà. Non potevamo affatto perché in tutto quel trambusto il mio cervello si era mosso velocemente realizzando che stavo davvero per andare a letto con il più donnaiolo degli avvocati di Londra e che questo avrebbe di certo avuto non poche ripercussioni sul nostro lavoro.
-No, Jason, è.. meglio che tu vada.- dissi passandomi una mano sul viso e allontanandomi di qualche passo, sottraendomi alle sue mani.
-Cosa? Perché? –chiese sinceramente allibito.
-Perché stavamo per fare un grosso errore.
Fu il suo turno di sbuffare e sbatté senza alcuna delicatezza la testa sulla porta. –Ti preferivo ubriaca, Kane. Sei la solita guastafeste.
Incrociai le braccia, fermandomi, ancora non esattamente padrona delle mie gambe.
-E tu il solito gentiluomo, Russell. Credo davvero che sia il caso che tu vada. Ci vediamo lunedì allo Studio.
Capita l’antifona e non senza avermi rivolto un’occhiata velenosa riaprì la porta ed uscì. –Buonanotte, Hannah.
Era raro che mi chiamasse per nome ed ero consapevole che facendolo volesse davvero dirmi qualcosa di più ma non ero psicologicamente
abbastanza presente da rifletterci davvero.
-Che hai da guardare tu?- chiesi, arrabbiata, a Rain che aveva assistito al disastro più grande che la sua padrona avesse combinato negli ultimi mesi. Anni. Probabilmente decenni. Il peggiore dopo la scelta di non mettere l’apparecchio, ad occhio e croce.

Song: I saved the world today - Eurythmics 

Artwork: HilaryC


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Capitolo 3
*** 3. Trapped ***


furry love 3

Furry Love

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3- Isn't anyone tryin' to find me?
Won't someone please take me home?
It's a damn cold night
Trying to figure out this life
Won't you take me by the hand,
take me somewhere new?
I dont know who you are
but I'm with you.

 

I giorni successivi Jason si mostrò, se possibile, ancora più indisponente del solito lanciandomi continuamente occhiatacce e alternandole con battutine pungenti sotto lo sguardo di Joanne che invece non perdeva occasione per mormorare “te l’avevo detto”.
Quando quella mattina arrivai in ufficio pronta all’ennesima giornata di inferno, notai che le pratiche si erano accumulate in modo spaventoso e una pila di carpette troneggiava minacciosa sulla mia scrivania; ne afferrai una, la più esterna, e la aprii.
Era una causa che avevo affrontato per conto di Jason e il termine per il deposito scadeva a giorni, ragion per cui mi serviva assolutamente una sua firma. Dovevo mettere da parte, con una certa urgenza, l’istinto di trucidarlo e di tagliargli quella sua lingua biforcuta e soprattutto dovevo trascinarmi fino al suo ufficio e bussare. Poche semplici mosse che però costavano una fortuna in termini di orgoglio e fastidio.
Joanne parlava velocemente con il ricevitore premuto contro l’orecchio scribacchiando appunti sull’enorme blocco ce occupava mezza scrivania e non potei neanche chiederle se Jason si trovasse o meno nel suo ufficio, perciò mi avviai lungo l’ampio corridoio soffermandomi sul panorama londinese che mi accompagnava scorrendo oltre le grandi vetrate alla mia sinistra.
Sentii delle voci e mi bloccai davanti alla porta dell’ex ufficio dell’avvocato Russell senior, interdetta. Non veniva praticamente mai allo studio e soprattutto non riceveva più clienti.
-Sta tornando, ti dico, e credo proprio che tu debba fidarti. Lo sai che il nostro Signore non tollera alcuna indecisione, un tempo saresti stato pronto a tutto per lui.- una voce melliflua aveva pronunciato quelle parole e pochi istanti dopo giunse la risposta di Russell.
-Un tempo, prima che uno stupido moccioso lo mettesse al tappeto, Lucius..
-Fossi in te non parlerei così di lui, non è mai stato particolarmente incline al perdono.
Le parole del suo interlocutore suonavano tremendamente come una minaccia ed io non riuscivo ad allontanarmi da quella porta, come incatenata.
-La fuga di quel Black ha sollevato un gran polverone e il vostro stupido ministro si mostra particolarmente sospettoso.
-Non è il mio ministro, lo sai.
-Fudge lo è invece? Un inetto.  Cieco e vanesio.
-Che diamine stai facendo, Kane?
La voce di Jason mi fece sobbalzare ed allontanare dalla porta, come scottata.
-Io..ehm, cioè non.. ti stavo cercando e..- colta alla sprovvista e troppo sconvolta per quella insolita conversazione non riuscii a trovare una scusa degna di essere definita tale neanche quando la porta si aprì mostrando due figure dall’aria decisamente infastidita.
-Avvocato Kane, quale piacere.
Lucius Malfoy, il braccio destro di Fudge, si stagliava, biondo e tronfio come sempre, sulla soglia fissandomi con un piglio minaccioso.
-Kane non mi sembra di averla fatta chiamare, non origliava quando era una semplice praticante e lo fa adesso?- mi chiese stizzito Russell incrociando le braccia al petto e incurvando le sopracciglia cespugliose.
Era un uomo distinto ed elegante, la versione anziana del figlio, altrettanto bello nonostante l’età e caratterialmente molto simile a Jason.
-Mi scusi, passavo per caso, cercavo Jason io non.. non avevo alcuna intenzione di..
-Fossi in lei non ficcherei il naso negli affari di chi l’ha resa quel che è oggi, avvocato.- mellifluo e sgradevole come sempre Malfoy stava ancora saldamente ancorato al suo bastone da passeggio, totalmente inutile a mio avviso, considerata l’età affatto avanzata. Non avrebbe potuto avere più di quarantacinque anni ed era di certo in ottima salute.
-Ho delle cose da sbrigare, ad ogni modo. A presto, Russell. Jason.- ignorandomi bellamente si incamminò verso l’uscita.-Conosco la strada.
Quel giorno restai a lavorare sgranocchiando un panino anche durante la pausa pranzo e così per tutto il pomeriggio impiegando il doppio del tempo anche per le cose più semplici troppo distratta dal ricordo della conversazione che avevo ascoltato per concentrarmi davvero sul lavoro. La montagna di scartoffie, tuttavia, non si sarebbe di certo dissolta nel nulla e per questa ragione restai in ufficio anche quando tutti se ne furono andati, compreso Jason non senza avermi rivolto un paio delle sue solite frecciatine.
Quando guardai l’orologio, sfinita, mi accorsi che erano ormai le due e mezza passate della notte e mi decisi a tornare a casa per concedermi una doccia e qualche ora di sonno.
Purtroppo quando le cose vanno male la sorte ne approfitta per ricordarti che non c’è fine al peggio e una volta salita in macchina l’unica cosa che ottenni girando la chiave fu un fastidioso stridio.
-Che cavolo, vuoi metterti in moto?- provai ancora e ancora per almeno un quarto d’ora ma senza il minimo risultato.
-Porca buttana.- diedi un pugno al volante e scivolai fuori dall’abitacolo lasciandomelo alle spalle, posteggiato nel parcheggio dello studio.
Quando raggiunsi la metropolitana la trovai deserta e con una rapida occhiata appresi che la prossima metro non sarebbe passata prima di dieci minuti.
Troppo assonnata anche solo per pensare mi abbandonai su una panchina, distrutta.
Quella giornata era stata un inferno e non vedevo l’ora di tornare a casa, coccolare un poco Rain e affondare la testa nel mio adorato e morbido cuscino perché si, io il letto lo usavo per dormire.
-Cosa usi contro le ragnatele, Kane? Perché sono sicuro che comincino a diventare un problema.
Jason sapeva essere davvero inopportuno e sgradevole quando ci si metteva e quella era solo una delle tante battutacce con le quali mi aveva deliziata negli ultimi giorni e il fatto che continuassero a vorticarmi in testa a quel modo mi infastidiva più della loro cattiveria vera e propria.
Un lampo di luce catturò la mia attenzione e il mio sguardo volò fino all’imbocco della metro dalla quale si intravedevano delle ombre via via sempre più vivide.
Sembravano degli uomini incappucciati e quando sbucarono oltre il varco ne ebbi la conferma. Erano in tre e camminavano a passo spedito nella mia direzione.
Mi guardai intorno e mi ricordai di essere completamente sola quando un raggio mi mancò di poco, dritto dritto oltre la mia spalla.
Terrorizzata presi a correre verso l’uscita voltandomi di tanto in tanto e trovandomi quegli uomini ancora alle calcagna nonostante non accennassero ad affrettare il passo, sembrava proprio che non ne avessero bisogno.
Corsi a perdifiato realizzando solo in quel momento che quella stazione della metro doveva essere in assoluto la più ampia di Londra perché nonostante i miei piedi si muovessero veloci non avevo ancora raggiunto l’uscita.
Quando giunsi a pochi metri dalla mia unica via di fuga vidi altre due ombre segnalare la presenza di nuovi uomini incappucciati e mi bloccai, raggelata.
Ero spacciata. A qualunque setta appartenessero io ero ufficialmente l’agnello sacrificale per chissà quale strano rito si sarebbero apprestati a compiere e non avrei potuto fare nulla per evitarlo.
Evitai l’ennesimo raggio rosso raggomitolandomi su me stessa, troppo spaventata anche per chiedermi quale fosse la sua origine e pochi istanti dopo mi trovai circondata.
Uno di loro si fece avanti ed io istintivamente indietreggiai cozzando contro il petto di uno dei miei inaspettati aguzzini.
-Che cosa volete?- sputai ormai rassegnata tirando fuori l’unico sentimento che mi teneva in piedi e mi impediva di svenire e restare definitivamente inerme in mezzo a loro. Non risposero ma l’uomo contro il quale avevo sbattuto mi afferrò stringendo le dita sulle mie spalle.
-Ho dei soldi in borsa se è questo che cercate e non ho addosso gioielli di valore, spiacente.
-La babbana è persino impertinente, oltre che ficcanaso.- gracchiò uno di loro.
Non sapevo di cose stesse parlando e nonostante la tragica situazione quell’insulto mi suonò parecchio insolito. Erano pure squilibrati, altro che delinquenti.
Ero finita in mezzo ad un branco di invasati che mi avrebbero staccato la testa e avrebbero di certo usato il mio teschio come vaso per crisantemi, grandioso.
Avevo sempre sentito dire che nelle situazioni estreme l’adrenalina faceva strani scherzi e se nel mio caso l’unica cosa che avevo ottenuto era un incremento al mio dark humor era stato davvero un grande affare, sul serio.
-Gettala sui binari, sembrerà un incidente.
-Cosa? Hey, non..
Prima che potessi dire qualsiasi cosa l’energumeno mi spinse con forza sulle rotaie facendomi sbattere violentemente la caviglia.
Provai ad alzarmi ma doveva essere rotta perché rovinai sui binari gelidi, gemendo.
Gli uomini incappucciati erano scomparsi abbandonandomi alla morte più atroce che si potesse immaginare.
Avevo spesso pensato, da bambina, a quanto strana sarebbe stata la mia morte e crescendo avevo accantonato i conflitti tra supereroi e tutto il resto immaginandomi circondata da figli e nipoti e magari con la mano dell’uomo che amavo stratta alla mia. Niente di tutto ciò su cui avevo fantasticato sarebbe avvenuto, né i supereroi né l’amore di alcun figlio, nipote o marito; sarei morta quella notte sotto una stupida metro e magari non mi avrebbero neanche riconosciuta, ridotta a brandelli.
L’odore di benzina e di umidità invase le mie narici mentre mi trascinavo verso il margine, poggiando la schiena contro la fredda pietra.
Un abbaio fortissimo mi fece sollevare lo sguardo e vidi Rain correre verso di me, lungo il marciapiede della metropolitana.
Doveva essere un’allucinazione o comunque un cane che gli somigliava perché il mio Rain era chiuso in casa e ci sarebbe rimasto a lungo, pensai amaramente, finché i miei genitori non fossero venuti a raccattare le mie cose per mettere in vendita l’immobile.
Stavo davvero pensando ai miei genitori che vendevano la mia casa in seguito alla mia prematura dipartita?
Il campanello mi avvertì che la metro si stava avvicinando e pochi istanti dopo vidi i fari e sentii il terreno sotto di me tremare fortissimo.
-Hannah.
Fu tutto troppo veloce: quella voce apparteneva ad uno strano uomo, forse un angelo avvolto in uno scuro e lungo cappotto di pelle che mi afferrò poco prima della fine e in un battito di ciglia, inspiegabilmente, il paradiso si rivelò essere il salotto di casa mia. E poi il buio.

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Capitolo 4
*** 4. Magic ***


furry love 4 corretto

Furry Love

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4- Oh, oh, oh
It's magic, you know!
Never believe it's not so.
It's magic, you know!
Never believe, it's not so.

Ripresi coscienza sentendo in lontananza uno strano e timido rumore metallico che mano a mano che i miei neuroni si risvegliavano riconobbi essere il suono di un cucchiaino su un bicchiere.
Aprii piano gli occhi e mi ritrovai sul mio letto, con addosso una delle mie magliette troppo larghe e le gambe coperte da un lenzuolo.
Mi puntellai sui gomiti per tirarmi su, ancora troppo intontita per pensare alcunché di razionale quando un dolore lancinante alla caviglia mi fece sussultare. –Ahia, caz..-
-Stai giù, credo sia rotta.-
Quasi mi prese un colpo quando un uomo varcò la soglia della mia camera con un bicchiere in mano, avanzando nella mia direzione.
-Chi diavolo sei? Io.. cosa..-
Mi guardai intorno e nonostante il dolore mi sollevai mettendomi a sedere pur sapendo che con la caviglia in quelle condizioni non sarei riuscita a scappare neanche volendo.
Doveva essere tutto vero, quindi, ed inspiegabilmente ogni pezzo del mio corpo era ancora al suo posto. O quasi.
Tornai a guardare l’uomo che nel frattempo aveva poggiato il bicchiere sul comodino accanto al mio letto: i capelli cadevano lunghi e scuri attorno al viso scavato e la barba incolta gli dava un’aria particolarmente trasandata. Gli occhi, incredibilmente grigi, mi fissavano con insistenza in attesa di una mia reazione e quando incrociò le braccia al petto mi accorsi che indossava una camicia chiara e fin troppo familiare.
-Hai..frugato nei miei cassetti.-
Indossava una delle camicie che mio padre aveva lasciato a casa mia durante una delle sue permanenze a Londra su dei jeans che, realizzai, avevano la stessa provenienza.
-Uno sconosciuto passeggia indisturbato per casa tua e la tua preoccupazione riguarda i vestiti che indossa?- mi chiese incredulo e saccente rivolgendomi un’occhiata dubbiosa.
Il mio cervello doveva essersi totalmente destato perché in pochi istanti ricollegai tutti i tasselli. Era l’uomo che avevo incrociato per strada, qualche giorno prima, e anche l’uomo che Fudge ci aveva mostrato dichiarando essere un pericoloso latitante.
Il panico prese possesso del mio corpo e aprii un paio di volte la bocca per ribattere senza che da essa uscisse alcun suono.
Lanciai istintivamente un’occhiata al cassetto del comò dentro il quale tenevo una pistola ed un caricatore. Gli anni in cui avevo frequentato il poligono di tiro e la fatica per ottenere il porto d’armi, evidentemente, potevano tornarmi utili.
-Io so chi sei. E so che là fuori ti stanno dando la caccia. Come diavolo hai fatto ad entrare in casa mia?- mentre pronunciavo quelle parole mi ero trascinata fuori dal letto e cercai di raggiungere il comò puntellandomi con le mani sul muro per sorreggermi e cercando di non badare al dolore lancinante alla caviglia.
-Mi ci hai fatto entrare tu, Hannah. E’.. complicato.-
Approfittando del momento di distrazione dell’uomo che si era portato una mano alla nuca, pensieroso, alla ricerca delle giuste parole da dire, aprii velocemente il cassetto ed impugnai la pistola inserendo il caricatore e puntandola contro di lui, saldamente stretta nella mano libera mentre con l’altra mi reggevo per non cadere.
-Ti ho salvato la vita, stanotte. Voi babbani non sapete mostrare neanche un minimo di ricon..-
-Babbani? Tu.. sei uno di loro!-
Lo avevo urlato ed evidentemente il timore di una pallottola incastonata in fronte doveva averlo convinto a difendersi perché in un istante estrasse uno strano oggetto ligneo e la pistola mi scivolò di mano, rovinando sul pavimento.
-Adesso calmati ed ascoltami. Ti posso spiegare.-
Istintivamente indietreggiai, spaventata e finii per crollare anch’io sul pavimento troppo lontano dalla mia pistola per poterla riagguantare; gemetti forte mentre il piede, dopo quell’ulteriore colpo, sembrava lì lì per staccarsi dalla gamba.
Si avvicinò e si chinò vicino a me che sferrai un pugno che però riuscì ad evitare per poi afferrarmi saldamente il braccio, bloccandolo.
-Non ti farò del male, Hannah. Devi ascoltarmi, sei in pericolo.-
Rassegnata ed impotente lasciai che i miei occhi, intimoriti, incontrassero i suoi e inaspettatamente mi sembrarono limpidi, sinceri. Avevo sempre vantato una cerca capacità di capire le persone, di classificarle e definirle e se non avessi saputo che quello che avevo di fronte era un pericoloso criminale avrei di certo ceduto più facilmente all’istinto di fidarmi.
Mi porse la mano, cauto.
-Ti aiuto a rimetterti a letto. Quella sul comodino è acqua con dello zucchero, ti rimetterà in forze così, quando avrò finito di spiegarti come stanno le cose, potrai prendermi a pugni quanto ti pare.-
-Come faccio a fidarmi di te?-
-Se non puoi fidarti di me, forse, potrai fidarti di lui.-
Non avrei saputo spiegare come né quanto velocemente ma nell’esatto punto in cui fino a pochi istanti prima si trovava quell’uomo apparve Rain rivolgendomi lo stesso identico sguardo turbato.
-Sono..tutta orecchie.-

Il racconto che seguì fu il più assurdo che le mie orecchie fossero mai state costrette ad ascoltare ma, incredibilmente, ogni cosa assunse un significato, anche le parole di quel Malfoy e del padre di Jason.
Disse che erano dei maghi e che lui era riuscito a scappare da una prigione magica nella quale era stato rinchiuso per un crimine che non aveva commesso. Era venuto a Little Winghing per proteggere il suo figlioccio che viveva con gli zii nella casa accanto e che dedussi essere proprio il giovane Potter.
Aveva il potere di trasformarsi in cane ogni volta che voleva ed aveva girovagato per il quartiere per un paio di settimane prima di essere accolto in casa mia.
-Cosa volevano quegli uomini da me?-
-Questo non saprei dirtelo. Sono i seguaci di un mago malvagio, il più temibile di tutti i tempi. Spietato, folle. Non capisco cosa tu possa aver fatto per inimicarteli.-
-C’entra con il fatto che ospito un criminale, forse?- chiesi senza riuscire ad evitare un tono piuttosto sarcastico.
-Non sono un criminale e no, non credo proprio. Nessuno sa che sono qui. La mia natura di animagus non è dichiarata.-
-Aniche?-
-Cane.-
-Ah.-
Stava seduto ai piedi del letto e si passava continuamente le mani tra i capelli in un rituale nervoso ed inquieto.
-Credo di aver sentito parlare di questo.. mago? Ieri Lucius Malfoy era allo Stud..-
-Lucius Malfoy?!-
Scattò come una molla, inarcando le sopracciglia.
-Si, il braccio destro di Fudge.-
-Come conosci Fudge?-
Confuso mi fissava con gli occhi sgranati in attesa di una risposta sensata che mi ci volle più tempo del previsto a formulare.
-E’ un ministro, non so di cosa, essenzialmente, ma mi è capitato spesso di incontrarlo durante degli eventi cui ho partecipato per conto dello studio per cui lavoro.-
-E’ il Ministro della Magia.- mi spiegò con semplicità.- E Malfoy è un Mangiamorte, uno dei seguaci di Voldemort.-
Dedussi che quello doveva essere il nome del nemico numero uno di cui mi aveva parlato fino a qualche minuto prima e mi affrettai a raccontargli il resto.
-Ho ascoltato una conversazione tra Malfoy e l’avvocato Russell. Dicevano che qualcuno stava tornando, qualcuno di molto vendicativo e in cerca di seguaci.
-Non conosco questo Russell ma evidentemente è anche lui uno dei suoi, o comunque è disposto ad aiutarli. Ora è tutto chiaro, avevi sentito troppo e dovevano eliminarti.-
-Strano modo di uccidere, per dei maghi.-
-Se ti avessero fatto un incantesimo avrebbero destato sospetti ed è l’ultima cosa che vogliono. Voldemort sta risorgendo e non è ancora tempo per mosse azzardate.-
Era tutto così assurdo che mi era venuto il mal di testa ma quello che avevo di fronte era indubbiamente l’unica persona che avrei dovuto ringraziare se ero ancora viva e non potevo far altro che fidarmi.
Portai le gambe al petto e mi ricordai di essere ancora in mutande con solo una enorme maglietta a coprire lo stretto necessario.
-Hey! Mi hai.. spogliata!-
-E’ da quando sono arrivato qui che ti vedo girare per casa in lingerie, credi che la cosa possa avermi turbato? I tuoi vestiti erano sporchi, dopo esserti rotolata per mezza metropolitana, e non era affatto igienico metterti a letto in quelle condizioni.-
Mi zittii all’istante realizzando con estremo imbarazzo che quello che avevo considerato fino a quel momento come il mio fedele amico a quattro zampe in realtà non lo era affatto.
-Posso farti una domanda io, adesso?- mi chiese facendosi improvvisamente pensieroso.
-Cosa?-
-Che diamine di nome è Rain?-

L’acqua e zucchero che mi aveva così premurosamente preparato si era rivelata un vero toccasana e completò l’opera curandomi la caviglia con quella che appresi essere una bacchetta magica, di quelle che le streghette con il naso aquilino agitavano nei film e con la quale mi aveva elegantemente disarmata neanche mezzora prima.
-Bene, adesso che sai tutto e non hai neanche dato eccessivamente di matto, a parte puntarmi contro una pistola, credo che..-
Fu interrotto dal trillare del mio telefono che si illuminava nella tasca del jeans che indossavo la notte precedente e che inspiegabilmente non si era frantumato a causa della caduta rovinosa sulle rotaie, caduta che, per inciso, non ero ancora riuscita a metabolizzare del tutto.
-Scusami.-
Mi alzai e istintivamente cercai di allungare la maglietta abbastanza da coprire il sedere lanciandogli uno sguardo torvo, non avevo ancora dimenticato la sua battutina sulla mia lingerie.
-Pronto?-
-Hannah.. stai bene?- era Jason e sembrava anche preoccupato. Guardai l’orologio appeso al muro accanto alla porta e notai che effettivamente ne aveva tutte le ragioni, era passato mezzogiorno e non mi ero presentata allo Studio.
-Si, sto bene è solo che ieri ho fatto tardi e stamattina non mi sono svegliata. Scusami.-
Qualche istante di silenzio e a seguire un sospiro.
-Pensavo fossi stata rapita dagli alieni, sei sempre così fastidiosamente ligia al dovere che..-
-Hai ricominciato con le cattiverie, Russell? Perché se è così sappi che non è aria.-
-No, non era mia intenzione. E visto che ci troviamo a conversare in toni civili io.. vorrei vederti, dovremmo parlare.-
Aggrottai la fronte interdetta davanti a quell’atteggiamento così inusuale e remissivo.
-Va bene, domani mattina allo studio ci..-
-Intendevo fuori dallo studio. Non voglio che quella pettegola della McDay si metta in testa chissà quale strana idea.-
Dal tono con cui aveva pronunciato quella frase realizzai che era tornato in sé e che il momento di umiltà si era ufficialmente concluso.
-Posso passare da te per un caffè?-
-Non te lo correggo mica, sai?-
Rise piano, all’altro capo del telefono. –A dopo, Kane.-
Chiusi la conversazione e lanciai il telefono sul materasso mancando di poco il mio mago da compagnia nuovo di zecca, per così dire.
-Era il tizio con le mani lunghe?-
Lo guardai, incredula, posando le mani sui fianchi senza spostarmi di un millimetro.
-Si, Mister Bacchetta Magica, proprio lui.-
-Gli ho rovinato una serata promettente, l’ultima volta.- ghignò storcendo le labbra e fissandomi con la stessa impertinenza che caratterizzava la sua versione pelosa.
-Sta’ zitto!- sventolai una mano votandogli le spalle e andando verso il bagno per fare una doccia prima che Jason arrivasse.
-Dato che là fuori vogliono farti la pelle più di quanto non vogliano farla a me, ti permetto di restare.- lo informai, poggiata contro lo stipite della porta del bagno.-ma credo proprio che tu debba riappropriarti di pelo e pulci perché, come avrai intuito, aspetto visite.-
Mi pentii di avergli accordato un simile permesso quando il campanello suonò e prese a seguirmi, incollato come un francobollo, per assicurarsi che Jason non avesse le stesse intenzioni del padre e non fosse lì per uccidermi.
Nonostante gli avessi assicurato che Jason non poteva essere uno di loro, le mie argomentazioni non lo avevano convinto minimamente e così, quando aprii la porta, abbaiò forte.
-Mi odia proprio, il tuo cane.- borbottò una volta entrato in casa sotto lo sguardo vigile dell’animale.
-Come dargli torto. Vieni, accomodati.-
-Sempre adorabile. Se posso permettermi, ti consiglierei di mettere un cucchiaino di zucchero in più nel tuo caffè. Ne hai decisamente bisogno.-
Scossi la testa e insieme ci recammo in cucina dove lui si accomodò al tavolo, spostando rumorosamente una sedia ed io presi a trafficare con la macchina del caffè espresso.
Restammo in silenzio per tutto il tempo in cui mi occupai dei caffè ed infine gli porsi la sua tazzina, indecisa se prendere la parola o lasciare a lui quell’incombenza.
-Grazie.-
Sorseggiai il mio caffè, poggiata con la schiena al ripiano della cucina, finché lui non parlò.
-Io non credo che stessimo facendo un errore, l’altra sera.-
Aveva pronunciato quelle parole con incredibile naturalezza e senza la minima malizia e questo mi lasciò davvero spiazzata.
-Io invece credo di si, non funzionerebbe tra di noi e non posso permettermi di venire a letto con te e fare finta di niente al mattino dopo. Lavoriamo insieme, Jason.-
Posò la tazzina, quieto, e mi guardò negli occhi.
-Non avrei fatto finta di niente, la mattina dopo. Non è questo che voglio.-
Nonostante i continui e taglienti botta e risposta che adoravamo inscenare non ci eravamo mai davvero trovati a parlare del nostro rapporto. Per lo più le conversazioni di quel tipo ondeggiavano tra una sua allusione oppure un suo invito a cena ed un mio fantasioso rifiuto.
Risi, alzando gli occhi al cielo e strofinandomi un braccio come spesso facevo nei momenti di tensione.
-Era questo che dicevi alla clienti che mi accollavi dopo essertele portate a letto?-
Lo vidi contrarre la mascella ed alzarsi.
-Smettila. Lo sai che non è la stessa cosa.-
-Non lo è?-
Era così vicino che potevo sentire il suo respiro sulla fronte e le sue mani stringevano il bordo del lavello ai lati del mio corpo.
-No. Ma qualsiasi approccio con te è sempre sbagliato. Se mi comporto correttamente non mi prendi sul serio ma in fondo non lo fai neanche quando sono come tu ti aspetti che io sia.-
Non mi aveva mai parlato con quell’intensità e nei suoi occhi leggevo una frustrazione che non avevo mai pensato potesse appartenergli mentre non accennava ad interrompere il contatto visivo come invece feci io qualche istante dopo, svincolandomi dalla sua presa.
-E’ meglio lasciare le cose come stanno, Jason. Lo sai anche tu. Mi conosci, non so far funziona certe cose.-
-Ti conosco e so che tu hai solo paura. Mentre il realtà, con me accanto, non dovresti più averne per nessuna ragione.-
Se non avessi scoperto tutte quelle stramberie riguardo suo padre, Malfoy, Fudge e il resto di quella assurda comunità magica, probabilmente quella sua frase non avrebbe scalfito la superficie delle mie certezze come fece e la mia testa si riempì di interrogativi.
-Permettimi di farti cambiare idea.-
Intenerita mi riavvicinai a lui e gli posai una mano sul viso, accennando un sorriso.
-Nonostante tu sia un maledetto fighetto stronzo io ci tengo a te, Jason. Non voglio illuderti.-
Era il mio modo per alleggerire quella surreale conversazione e lui parve capirlo perché si sforzò di sorridere a sua volta, rassegnato.
-Prima o poi cederai anche tu al mio fascino, Kane. E non mi rassegnerò finché questo non accadrà.-
Parlammo un po’ di lavoro, serenamente, mentre Sirius, o meglio Rain, non accennava a volerci lasciare soli, fissando il mio ospite con palese ostilità finché quest’ultimo non si fu congedato.
-Non demorde, il damerino.-
-Sai, Sirius Black, ti preferisco pulcioso e zitto.-

Song: Magic - Pilot

Artwork: HilaryC

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Capitolo 5
*** 5. Bloody Mary ***


furry love 5

Furry Love

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5-Oh girls just want to have fun.
That's all they really want..
Some fun!
When the working day is done
Girls? They want to have fun!
Oh girls just want to have fun!

La convivenza con Sirius si era rivelata meno tragica di quanto avessi temuto e le sue abilità magiche mi erano più volte tornate utili.
-Non sono il tuo personale Bob l’Aggiustatutto, Hannah.- aveva borbottato, contrariato, davanti all’ennesima tazzina che gli porgevo affinché usasse uno dei suoi abracadabra per ripararla.
-Se tu non avessi rotto quel vaso, la scorsa settimana, non avrei scoperto che potevi farlo e avresti potuto continuare ad oziare tutto il giorno!-
Non molto tempo prima, infatti, la sua versione canina, sfrecciando avanti e indietro per l’intera casa per sfuggire alle mie grinfie e al bagno che intendevo fargli, aveva urtato e distrutto un bellissimo e antico vaso che i miei mi avevano regalato quando avevo preso casa a Londra.
Di tanto in tanto il mago scompariva per poi tornare e giustificare le sue assenze prolungate spiegandomi che stava disperatamente cercando di trovare un modo per entrare nella scuola che il suo figlioccio frequentava e cacciare un topo.
-Un topo?-
-Non è veramente un topo, come io non sono davvero un cane.-
-Continuo a pensare che sarebbe stato molto meglio se fosse stato così, invece.- brontolai quella sera in risposta alla sua affermazione, decisa a non indagare oltre.
Stavamo seduti sul divano del salotto sgranocchiando pop-corn caldi davanti ad un film di Tim Burton, Edward mani di forbice.
-Voi babbani mi avete sempre incuriosito. Questo, ad esempio! E’ una specie di magia, in fondo.-
Ci avevo messo un po’ a capire cosa stesse cercando di dire con la bocca piena di pop-corn e il dito puntato verso il televisore.
-Ti.. incuriosiamo?-
Gli rivolsi un’occhiata scettica per poi strappargli di mano la ciotola che stava per finire tutto da solo, per niente preoccupato di condividerne il contenuto con la sottoscritta.
-Parecchio! Mia madre era disperata, avevo tappezzato la mia stanza di immagini di motociclette e pin up e avevo lanciato un incantesimo di Adesione Permanente su ognuno impedendo al nostro elfo domestico di staccarle.- si lasciò sfuggire una risata, lo sguardo ancora fisso sullo schermo.-Non scorderò mai quella voltai che trovai Kreacher appeso alla copertina di Playboy cercando di strapparla dal muro.
-Playboy?! Quelle non sono mica pin up!- lo informai, indignata, mentre approfittando del mio momento di distrazione si riappropriava dei pop-corn e mi rivolgeva un’occhiata maliziosa.
-Lo so, biondina, il mio era un arredamento eclettico. E poi le streghe solitamente hanno un’idea abbastanza minimalista del vestire mentre voi babbane siete molto più fantasiose. Tipo certi tuoi completini, quello viola è adorabile e somiglia tanto a quello di..
Non poté finire la frase perché senza pensarci gli avevo scagliato contro una manciata di pop-corn, indecisa se infuriarmi o ridere della sua totale mancanza di pudore.
-Che c’è?! Era un complimento!
-Non farmi più nessun complimento, per l’amor del cielo. E fammi seguire il film.
-Hai detto di averlo visto cento volte.
-Non rovinarmi la centounesima volta, allora.

La mia vita professionale scorreva liscia come l’olio, Jason sembrava aver seppellito davvero l’ascia di guerra e avevamo ripreso a battibeccare come sempre mentre suo padre non si era più fatto vedere allo studio.
Sembrava che le acque, in famiglia, fossero un po’ agitate. Avevo sentito più di una volta Jason urlare dalla sua stanza contro la cornetta del telefono per poi scoprire che il destinatario di quei toni tanto animati era proprio Russell senior.
-Non ho più visto il tuo cliente, quello bello!- esordì Joanne mentre sedeva insieme a me e Jason alla caffetteria all’angolo, durante la pausa pranzo.
-Con colleghi come me a cosa servono i clienti affascinanti?- ribatté l’uomo affondando la forchetta nell’insalata.
-Deve essersi fatto intimorire dall’avvenenza dell’avvocato Russell, Jo.
Lei rise, ben consapevole che il mio humor avrebbe dato vita ad uno dei soliti scambi di cattiverie e che lei, neutrale come la Svizzera, avrebbe ottenuto almeno dieci minuto di Cabaret gratuito; purtroppo quel promettente scontro a fuoco fu bloccato sul nascere da una alta e sorridente ragazza bionda che si avvicinò al nostro tavolo.
-Pensavo fossi scappata in Alaska, Han!
-Gea!
Mi alzai, altrettanto allegra e sorridente e dopo esserle andata incontro la abbracciai, contenta di rivederla. Georgie Summers era una delle mie più care amiche, ci eravamo conosciute ad un concerto, ormai cinque anni prima, ed aveva subito fatto breccia nel mio cuore di granito, come l’avrebbe definito Jason.
Non ero esattamente una tipa facile e le uniche amiche che frequentavo più o meno assiduamente erano proprio Georgie e Veronica, mia amica storica e compagna di classe al liceo.
-Quand’è che degnerai me e Veronica della tua compagnia? Sei sempre così impegnata.
-Hai ragione, sono un disastro.- mi scusai, consapevole che le volte in cui avevo rifiutato di unirmi a loro per le nostre, un tempo abituali, cene del venerdì, superavano di gran lunga il livello medio di tollerabilità.-Potremmo cenare da me, stasera.
Si illuminò, felice per poi sporgersi e lanciare un’occhiata curiosa alle mie spalle.
-Quello è Jason Russell?
Aveva una specie di cotta per lui, anni prima, e si ritrovava spesso a passare per pura coincidenza da casa mia ogni volta che Jason era lì per studiare insieme, o meglio per screditare i miei metodi di studio.
-Si, in tutta la sua malefica persona.
-Ti ronza ancora intorno?
-Ti racconterò stasera.- tagliai corto con una smorfia.-Senti tu Veronica? Io torno in ufficio, farò in modo di sbrigarmi prima possibile.
Quel pomeriggio lasciai lo studio alle cinque in punto e dopo aver fatto una capatina al supermarket tornai a casa decisa a mettermi ai fornelli e preparare una cenetta con i fiocchi alle mie amiche.
-E’ la prima volta che ti vedo armeggiare con i fornelli per qualcosa che non siano surgelati o roba precotta. C’è da preoccuparsi?
Sirius Black stava stravaccato sul divano, intento a fare zapping, e di tanto in tanto mi lanciava occhiate dubbiose mentre correvo avanti e indietro dal frigo al ripiano della cucina.
-No, ho ospiti a cena! Credi di poter trovare un’occupazione alternativa per la serata?- chiesi speranzosa dando una mescolata agli spinaci che si scongelavano nella padella.
-Sai che abbandonare i propri animali domestici è un’azione riprovevole? – ribatté fingendosi indignato e raggiungendomi con passo strascicato e l’aria annoiata e lievemente curiosa.
-Lo è molto di più ingannare una giovane donna dal cuore tenero fingendosi un cucciolone nero.
-Saresti tu la giovane donna dal cuore tenero? -
-Piantala e dammi una mano.- gli porsi un mescolo e lui lo guardò, interdetto, come se fosse un oggetto sconosciuto e potenzialmente pericolo.-Mescola in quel pentolino o si brucerà la besciamella. -
Eseguì il mio ordine e cucinare, contrariamente a quanto si potesse presumere dall’impatto iniziale, sembrò piacergli.
-Chi hai a cena stasera? Non dirmi che è quell’idiota.-
-No, Sirius, sono due mie amiche.-
Sembrò illuminarsi e il suo sguardo si fece improvvisamente ammiccante.
-Quanto ci sei stato in quella maledetta prigione? Sembra che tu non veda una donna da..-
-Tredici anni. -
La sua voce si era fatta improvvisamente cupa ed il suo viso aveva perso ogni traccia di ilarità. I suoi tratti sembrarono tornati duri e gli occhi ombrosi come nella foto che avevo visto tra le mani di Fudge e non potei che pentirmi della mia infelice battuta.
-Scusami.
Chinai il capo a mia volta, senza guardarlo più e mi concentrai sulla sfoglia che stavo stendendo, gli occhi fissi sul mattarello e avrei persino contato i granelli di farina pur di non dover di nuovo incontrare il suo sguardo distrutto.
Continuammo a cucinare in silenzio ed aprivo bocca solo per affibbiargli qualche altro compito, di tanto in tanto, mentre lui sembrava gradualmente rasserenarsi, tutto preso e compreso da padelle e utensili da cucina.
-Puoi rilassarti, ora.- mi disse tutt’ad un tratto asciugandosi le mani con uno strofinaccio ed affiancandosi a me, la testa inclinata in modo tale da portare i suoi occhi nella direzione dei miei, schivi.
Sospirai e finalmente mi decisi a guardarlo, colpevole.
-Non avrei dovuto dirlo.. è che è tutto così strano. Non so come sia il vostro mondo, come siano le vostre prigioni e nella mia testa il tutto si prospetta come una sorta di mondo di fiaba, di quello che leggi nei libri o vedi nei film.-
Pronunciai quelle parole infilando la teglia nel forno e spegnendo il fuoco sotto la padella in cui soffriggevano le verdure.
-Neanche io so come siano le vostre, di prigioni, ma posso assicurarti che non c’è niente di fiabesco in Azkaban.-
Si sedette su una delle sedie ed io lo imitai.
-Le guardie sono delle creature spaventose, si chiamano Dissennatori perché, come suggerisce il nome stesso, ti portano alla follia. Risucchiano via la felicità, portano a galla qualsiasi brutto pensiero o ricordo che si trovi nella tua mente e te la svuotano per riempirla di urla e paura.
Lo vidi rabbrividire e allungai una mano verso la sua, abbandonata sul tavolo.
-Eppure tu sei qui. Ce l’hai fatta, a resistere.
-Sapevo si essere innocente, sapevo che da qualche parte fuori da quel luogo di sofferenza e tormento c’era il figlio di Lily e James e che era mio dovere sopravvivere per proteggerlo e prendermi cura di lui. Non potevo impazzire, non potevo permettermelo.
Sorrisi e lui ricambiò, inaspettatamente, il mio sorriso e lo vidi lottare contro tutta quella tristezza, cercando di riacquistare il suo piglio impertinente.
-Allora non me le presenti proprio le tue amiche?

Quando quella sera Gea e Veronica arrivarono Sirius si era già, e non senza una lunga serie di polemiche, trasformato in Rain e aveva scodinzolato allegro mentre le due ragazze lo coccolavano ed io cercavo di non pensare a quanto avrei voluto appenderlo al balcone per la coda.
-Non c’è una legge che vieta alle amiche di scomparire come hai fatto tu?- chiese Veronica, sarcastica come sempre, trangugiando un cucchiaio colmo di couscous.
Era totalmente diversa da me, Veronica, gli occhi erano scuri e i capelli, in origine, lo erano altrettanto come sottolineava la quasi impercettibile ricrescita alla radice della sua chioma ramata.
Portava degli occhiali molto grandi che avrebbero appesantito i tratti di chiunque tranne che i suoi, calzandole a pennello e dandole invece, complici gli occhioni scuri e le ciglia lunghe, un’aria da intrigante intellettuale.
Era una psicologa e mi fissava sempre come se stesse cercando di individuare i tratti patologici della mia personalità per affibbiarmi un disturbo di qualche tipo che, prevedibilmente, cambiava ogni volta che ci vedevamo proporzionalmente a quanto fantasiosa si sentisse.
-Puoi sempre fare una petizione per proporla, V. Che mi sono persa, nelle ultime settimane?
-Settimane? Quanto sei ottimista!- mi rimbeccò Gea per niente preoccupata di parlare con la bocca piena, agitando il cucchiaio. –Comunque la mia specialistica procede alla grande ed ho un nuovo responsabile di reparto, un giovane ricercatore affascinante come pochi!
Gea studiava medicina, era sempre stato il suo sogno che aveva coltivato parallelamente a quello per il teatro che, tuttavia, ormai era stato declassato a semplice ed occasionale hobby.
-Che ne è dell’attore con la erre moscia?
-L’ha scaricato un paio di settimane fa.- mi informò annoiata Veronica allungandosi verso il tortino agli spinaci per tagliarne una fetta.
-Raccontagli del tuo amante schizzoide, piuttosto!-
Veronica la liquidò con un gesto della mano. –Sembrava uno a posto.
-Non avrebbe avuto bisogno di te, se lo fosse stato.- commentai, ovvia, ghignando e dandole un pizzicotto.
-Tu che fai tanto la furba, piuttosto! Gea ha detto che oggi eri impegnata con Jason Quantomelatiro Russell. Cosa hai da dire a tua discolpa?
-Già! Ti ricordo che ho la precedenza storica.- mi minacciò Gea brandendo la forchetta con gli occhi ridotti a due fessure.
-Eravamo in pausa e c’era anche Joanne. Anche se..
-Ecco, lo sapevo.
Veronica spinse via il piatto e si accomodò meglio sulla sedia, incrociando le braccia al petto nella sua tipica posizione da ascolto. –Scaglia la bomba, ragazza.
-Stavamo per finire a letto insieme.
-Cosa cosa cosa?- Gea si portò una mano all’orecchio con fare teatrale, non per niente era un’attrice, e si avvicinò di più a me, facendo stridere i piedi della sedia sul pavimento.
-Ero un po’ brilla, dopo una cena di lavoro e l’ho invitato ad entrare. Stavamo per.. beh ma alla fine ho capito che stavamo per fare un enorme sbaglio.
-Sai come si chiama questa?
-No, Veronica, ma so già che me lo dirai.
-Schizofrenia. Almeno è bravo?
Gea mi fissava, avida di particolari, senza riuscire a trattenere un sorriso ammirato.
-Ci sa fare.
-E allora che ti è preso?
-Oh, quanto siete pedanti!- scattai cominciando ad impilare i piatti per portarli in cucina ma loro mi seguirono, con la scusa di aiutarmi. –E’ che ho avuto paura, lo sapete..
-Neanche stessi pomiciando con Bloody Mary.- sbuffò Veronica appoggiando la schiena al frigo e rivolgendomi uno sguardo compassionevole.
-Questa mi manca.- commentò l’altra afferrando uno strofinaccio per asciugare i piatti che nel frattempo io stavo sciacquando.
-Non lo sai? Quando eravamo al liceo la qui presente bionda ha perso una scommessa con la sottoscritta, ben conscia di quanto fosse fifona. L’ho costretta a fare il rituale di Bloody Mary e per poco non c’è rimasta secca. Ha evitato gli specchi per un mese. A proposito, come hai fatto a lavare i denti?
Gea rise, sinceramente divertita beccandosi un’occhiata torva da parte mia che subito dopo minacciai di lanciare il piatto in fronte alla rossa. –Di che rituale si trattava?
-Dovevi girare davanti ad uno specchio per tre volte ripetendo il nome del fantasma e quello sarebbe apparso alle tue spalle.-spiegai, secca, con lo sguardo fisso sulla schiuma del detersivo.
Non ero una che si spaventava facilmente ma l’occulto mi aveva sempre dato una impressione tremenda, non amavo i film horror e se non fosse stato per quella ricattatrice della mia migliore amica non avrei neanche mai preso parte ad alcun rituale.
Se avessi raccontato loro della mia disavventura con i Mangiamorte di certo non l’avrebbero trovata divertente ma con ogni probabilità non mi avrebbero creduto. In quell’occasione avevo avuto davvero paura. Nessuna leggenda, nessun rituale. Solo la morte troppo vicina sottoforma di una stupida metro in corsa.
Sospirai, lavando l’ultimo piatto.
-Bene. Tequila?

A fine serata le accompagnai alla porta, barcollante, senza riuscire a smettere di ridere. Avevamo alzato un po’ il gomito, con loro non avevo bisogno di controllarmi e misurare l’euforia. Potevo essere me stessa e divertirmi davvero.
Avevo persino dimenticato che Rain in realtà era Sirius e aveva quindi ascoltato tutto, compresi i discorsi sulle nostre rispettive abitudini o preferenze sessuali e cercai di fare mente locale sperando di non essermi sbilanciata troppo.
-Che ne hai fatto di Hannah?- chiese infatti il mio mago da compagnia, comodamente seduto sul divano del salotto poco dopo che le mie amiche se ne furono andate.
Ero appena uscita dal bagno dopo essermi sciacquata la faccia e mi sentivo un po’ meno brilla quando mi gettai pesantemente accanto a lui, stremata.
-Ogni tanto la mando a farsi un giro e mi diverto un po’. E’ un male?- chiesi, innocentemente, voltandomi verso di lui.
-Assolutamente no. Ma la prossima volta che mi darai del pervertito per le mie copertine di Playboy avrò un sacco di buoni argomenti da opporti, avvocato.
Ghignava, astuto, gettando la testa indietro con aria rilassata.
Il suo viso non sembrava più così provato e risultava addirittura ringiovanito rispetto alla prima immagine che avevo di lui.
I capelli, sempre lunghi e scompigliati, ricadevano puliti e profumati sulle spalle e la camicia blu, in parte sbottonata, lasciava intravedere la peluria scura del petto, virile e non eccessiva.
Era bello, Sirius Black, doveva esserlo sempre stato. Mi aveva raccontato di essere uno dei ragazzi più popolari della scuola che frequentava, quasi vent’anni prima, la stessa nella quale cercava di fare irruzione per raggiungere e proteggere il figlioccio.
Se fino a qualche giorno prima quella sua dichiarazione mi era sembrata presuntuosa, non potevo che cominciare a pensare che invece fosse semplicemente la verità.
-Avevi davvero paura di Bloody Mary?- mi prese in giro beccandosi un pugno sulla spalla.-Smettila di picchiarmi! Ad Hogwarts era pieno di fantasmi, il Barone Sanguinario, Nick Quasi-senza-testa..
-Quasi-senza-testa?
-Si, la sua decapitazione non era andata esattamente come avrebbe dovuto.
Storsi le labbra in un’espressione disgustata.
-E adesso? Avresti ancora paura?
-Sono un’adulta adesso. Non ci credo più a queste cose.
Si tirò un po’ su, sollevando la schiena dalla spalliera e guardandomi con aria di sfida. –Provalo!
-Che cosa? Devi essere davvero pazzo come tutti pensano..
-Fifona.
Boccheggiai, alla ricerca di una risposta acuta e tagliente da affibbiargli ma nessuna di quelle presenti nel mio repertorio sembrava adeguata, non ero preparata a sentirmi dare della fifona ormai da anni.
-Ho affrontato dei Mangiamorte!
-Veramente ti hanno semplicemente e facilmente gettata sotto le ruote della metro. Il termine “affrontato” mi sembra un tantinello azzardato.
Ringhiai, piano, guardandolo in cagnesco per poi alzarmi e procedere a grandi passi verso lo specchio.
Tirai un profondo respiro e mi voltai trovando affacciato al divano, sornione e curioso come un bambino.
-Bloody Mary.
Girai una volta su me stessa. La mia immagine riflessa ricambiava il mio sguardo, rassegnata.
-Bloody Mary.
Il ricordo della paura che avevo provato l’ultima volta che mi ero trovata costretta a compiere quello stupido rituale mi costrinse a serrare gli occhi e a maledire il mio stupido orgoglio per avermi indotta a cogliere quella sfida infame.
-Bloody Mary.
Prima che potessi aprire gli occhi sentii due mani afferrarmi per i fianchi e istintivamente strillai mentre il cuore mi faceva una capriola nel petto.
-Che cuor di leone, tesoro!- Sirius Black se la rideva ma grazie al cielo non mollò la presa, altrimenti le gambe mi avrebbero ceduto, tremanti e malferme com’erano. La lingua sembrava bloccata e non riuscivo a proferir parola, né per insultarlo né per gridare ancora.
-Hey..
Dovevo essere davvero pallida perché il suo sguardo si fece improvvisamente preoccupato e mi condusse fino al divano, facendomi sdraiare.
Tutta la paura di quella notte in metro e la tensione che mi aveva accompagnata per giorni ogni volta che mettevo piede fuori di casa si riversarono su di me come una secchiata di acqua gelida e strinsi convulsamente il suo braccio, cercando di riprendere il controllo sul mio corpo.
Si sdraiò accanto a me e mi strinse finché non sentì il mio cuore rallentare e il mio respiro tornare regolare.
Inspiravo il profumo del mio bagnoschiuma dalla pelle del suo braccio che mi cingeva e i capelli scuri mi solleticavano la nuca.
-Non volevo farti davvero paura.
-Non sei stato tu.. è solo la tensione degli ultimi giorni. Essere nel mirino di una specie di setta di maghi e aver rischiato di essere fatta a pezzi da un treno non è di certo piacevole. Soprattutto se hai vissuto per ventisei anni credendo che niente di tutto questo esistesse.
Avevo ripreso la mia solita lingua lunga e mi ero voltata in modo tale da fronteggiarlo. Non mi sembrava affatto di stare stretta tra le braccia di uno sconosciuto.
Aveva una presa tremendamente familiare, un tocco gentile e delicato che non mi fece sentire a disagio neanche per un istante. Dopotutto, come non faceva che ricordarmi, non c’era niente che non avesse visto o fatto quando pensavo che fosse solo un tenero cagnolone in cerca di affetto. Avevo dormito nello stesso letto con la sua versione pelosa più di una volta.
-Sei un imbecille, ad ogni modo.
-Sei tornata in te.- ridacchiò scostandomi una ciocca di capelli dal viso.-Mi stavo chiedendo..
-Qualcosa mi dice che qualsiasi cosa fosse non mi piacerà.
-Magari se non avessi intimidito il tuo spasimante ti avrebbe stretta proprio così, su questo stesso divano.-aveva solo finto un tono tenero decisamente poco credibile per via dello sguardo malizioso che non era riuscito ad evitare.
-E’ possibile.- risposa decisa a non permettergli di mettermi in imbarazzo come una ragazzina.
-“Ci sa fare”, eh? A me sembra solo un cretino con la puzza sotto il naso.
Alzai le sopracciglia, interdetta, scostandomi un po’.
-Ero io quella che stava per farci sesso, non tu. Non mi sembra che sia nella posizione di giudicare la sua potenziale performance.
-Non è in quel modo che si tocca una donna.- mormorò accarezzandomi lieve una guancia e tingendo quelle parole di una sensualità quasi casuale cui non riuscii a ribattere.
Improvvisamente allontanò il suo corpo dal mio, mettendosi a sedere e lasciandomi lì a fissarlo come una scema.
-Che ti prende?
-Non posso starti così vicino solo qualche ora dopo aver ascoltato l’ottanta per cento delle tue fantasie erotiche. Non è affatto sano.- rispose, malandrino, alzandosi e rivolgendomi un saluto militare.
-Mi sarei alzata io, comunque!- gli urlai dietro sollevandomi a mia volta, imbronciata.

Song: Girls just want to have fun - Cyndi Lauper

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Capitolo 6
*** 6. Gunnin' ***


furry love 6 new

Furry Love

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6- There's a nail in the door
And there's glass on the lawn
Tacks on the floor
And the TV is on
And I always sleep with my guns
When you're gone

La mattina dopo mi svegliai e trovai la casa di nuovo silenziosa e deserta, Sirius non avvertiva mai quando andava via, cosa che peraltro era più che plausibile considerato che si supponeva io non avessi un coinquilino a parte il mio grosso cane nero.
Nessun biglietto, nessun cenno a quando avrebbe fatto ritorno.
La giornata a lavoro trascorse lenta e pesante quasi quanto il mal di testa che mi trapanava il cervello, reduce dalla sbornia della sera prima; come se non bastasse la colonna sull’agenda pullulava di appuntamenti ai quali non potei sottrarmi e ricevetti tre clienti di fila per un totale di sei ore no-stop di consulenza legale.
Quando l’ultimo, un automobilista indispettito per essere stato più che giustamente multato, se ne fu andato mi abbandonai sulla scrivania, con la testa completamente vuota e gli occhi pesanti.
-Hannah, sei occupata?- mi chiese Joanne facendo capolino oltre la porta con l’aria mortificata di chi sapeva perfettamente che quel giorno non avevo avuto neanche il tempo di andare a mangiare un boccone.
-Si, Jo, sono occupata a richiamare all’ordine i miei neuroni che stanno meditando di suicidarsi, uno dopo l’altro.-
-L’avvocato Russell vorrebbe parlarti. Io sto andando via, lo faccio entrare?-
Qualsiasi cosa volesse Jason da me e qualunque fosse la ragione per cui si era persino fatto annunciare io non avevo assolutamente la forza per darmi una risposta e mi limitai ad annuire, mesta, pregustando già la calma di casa mia cui avrei, forse, fatto ritorno di lì a poco.
Un lieve bussare precedette l’ingresso di quello che, erroneamente, pensavo essere Jason.
-Permesso.-
Richard Russell entrò nella stanza con il suo solito passo elegante, le mani affondate nelle tasche e un portamento fiero che ricordava tremendamente quello del figlio.
-Avvocato Russell.- scattai in piedi e feci cenno alla poltrona che avevo liberato, invitandolo a prendere il mio posto come era usanza fare quando si riceveva un collega o, in questo caso, un superiore o presunto tale.
-Stia comoda, non scalpito all’idea di tornare dietro una scrivania. Avrei continuato ad esercitare se avessi voluto farlo.-
Si sedette di fronte a me che per l’ennesima volta nelle ultime settimane mi ritrovai incapace di dire alcunché; ero sempre stata una gran chiacchierona, persino petulante e potenzialmente pericolosa armata della temibile lama dell’oratoria ma tutte le cose che mi erano successo e le assurdità di cui ero venuta a conoscenza mi impedivano di agire o pensare razionalmente.
Per quel che ne sapevo quell’uomo che per tanto tempo mi era sembrato solo un avvocato bastardo e incredibilmente cinico avrebbe potuto sfoderare una bacchetta e farmi fuori senza neanche il tempo di dire “magicabula”.
-In cosa posso aiutarla, avvocato?- chiesi cercando di nascondere quel tumulto di emozioni che infuriavano nel mio petto, prima fra tutte la paura.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola con lei, avvocato Kane, è una donna intelligente e brillante e questi sono tempi difficili.-
-Sono lusingata dai suoi complimenti ma non credo che sia questo il fulcro della questione.- ribattei, diretta.
-No, non lo è. E questi complimenti non provengono da me, bensì da mio figlio. Ritengo che l’amicizia di Jason sia per lei un gran vantaggio e le assicuro che se non fosse per lui non sarebbe ancora dietro questa scrivania.
Furbo, il boss. Nonostante a chiunque quelle parole avrebbero fatto pensare ad una sfiducia di carattere professionale e ad un potenziale licenziamento era chiaro come il sole che, fosse stato per lui, io non sarei stata né dietro quella scrivania né in nessun altro posto se non tre metri sotto terra.
-Dovrei ringraziarlo, allora? O forse è la mia buona stella che devo..-
-Non so come abbia fatto ma ho i miei sospetti e scoprirò cosa c’è sotto, quant’è vero che mi chiamo Richard Russell.-
-Non sono più tanto certa neanche di questo.-
-Le consiglio di tenere la bocca chiusa e di tenersi strette le giuste amicizie.- disse alzandosi e raddrizzando il mio tagliacarte con fare casuale.-La ruota gira e la fortuna non sarà sempre dalla sua. C’è chi la vuole qui ancora meno di quanto non la voglia io.-
-La ringrazio per i preziosi consigli, avvocato. E’ sempre utile il parere dei più saggi.-lo liquidai, gelida, senza sollevare altro che lo sguardo.

Quando quella sera rientrai a casa Sirius non era ancora tornato e dopo aver trangugiato mezza vaschetta di gelato mi abbandonai sul letto senza curarmi di disfarlo. Il verso delle cicale fuori dalla finestra socchiusa mi cullò e mi ritrovai in uno stato di dormiveglia confuso ed agitato. Ombre scure vorticavano davanti ai miei occhi cercando di afferrarmi ed io tentavo di evitarle ma sentivo le mie mani bloccate contro il materasso come avvolte da grosse catene.
Non sembrava più un sogno ed una delle ombre si stava avvicinando, la sentii ridere, crudele, e cominciai a scalciare per allontanarla, sferrando goffi pugni con le mani magicamente libere.
-Hannah, svegliati.-
Aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai davanti quelli turbati di Sirius che mi aveva bloccato i polsi e li teneva stretti senza farmi male.
-Era solo un incubo.-
Strinsi gli occhi e mi portai a sedere, a gambe incrociate, al centro del letto passandomi le mani un po’ tremolanti tra i capelli e notando che la mia fronte era imperlata di sudore freddo.
-Scusami.- borbottai, afflitta, e lui posò una mano sulla mia spalla.-Quando sei tornato?-
-Poco fa. Ero di là a guardare un po’ di roba su quello schermo magico quando ho sentito dei rumori e ti ho trovata..così.-
Sembrava sinceramente dispiaciuto e mi sforzai di sorridere, voltandomi verso di lui.
-E’ successo qualcosa, mentre non c’ero?-
-Niente di che. Sono solo troppo tesa.-
Non volevo fare la parte della fifona, la scenetta della sera prima bastava e avanzava per farmi sembrare una sciocca ragazzina influenzabile ed esagerata.
-Stai mentendo.-
Corrugai la fronte, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
-Quando dici una bugia fai una smorfia strana, lo fai sempre.- si giustificò, sorridendomi rassicurante.-Sarò pure stato un ammasso di pelo per la maggior parte del tempo ma mi divertivo ad osservare le tue espressioni quando parlavi al telefono con i tuoi.-
Emisi un piccolo sbuffo divertito, incredula, scuotendo il capo e puntando lo sguardo alla parete di fronte nella speranza che il discorso cadesse lì e non mi chiedesse nient’altro.
-La verità?-
-Oggi ho ricevuto una visita da parte di Richard Russell che mi ha neanche troppo velatamente minacciata. Sospetta qualcosa, forse faresti meglio a..- le parole mi morirono in gola. Non volevo che andasse via.
Era già abbastanza triste trovare di nuovo la casa vuota quando spariva per andare chissà dove mentre quando c’era mi teneva compagnia, rallegrava e riempiva quel posto rendendolo mille volte più accogliente e caldo.
-Che cosa ti ha detto? Che voleva da te?-
-Informarmi che se ho ancora la testa attaccata al collo è solo grazie alla mia amicizia con suo figlio e qualche strano aiuto esterno di cui scoprirà presto la natura.
-Non permetterò che ti facciano del male, Hannah.-
-E’ proprio questo il punto, Sirius. Per il momento nessuno di loro mi associa a te ma non voglio che tu ti esponga rischiando di essere scoperto per colpa mia.-
-Neanche i Mangiamorte sanno che sono un Animagus, al momento. Ho ancora il mio travestimento pulcioso.- mi zittì cercando di alleggerire la tensione.
Fuori dalla finestra il cielo era ancora scuro sentii di nuovo il corpo pesante ed abbandonato.
-Dormi, adesso.-
Fece per alzarsi ma io lo bloccai, tirandolo per una manica della camicia. Si voltò immediatamente come se avesse previsto già quel mio gesto: non sapevo come chiedergli di restare, ero sempre stata troppo orgogliosa e rigida per richieste come quella ma il pensiero di ripiombare in quegli incubi da sola mi faceva rabbrividire.
Fortunatamente non ci fu bisogno di parole, fece il giro del letto e si stese accanto a me, rigorosamente senza sfiorarmi e lo ringraziai infinitamente per quel riguardo che mi dimostrava.
Sorrisi, la testa premuta contro il cuscino, e l’ultima sensazione che provai prima di addormentarmi fu la sicurezza che il suo corpo adagiato a pochi centimetri da me mi trasmetteva.

Non appena riaprii gli occhi lo sguardo mi cadde sulla sveglia che segnava le dieci passate e mi tirai a sedere, allarmata.
-Cazzo.
Sgambettai sul letto scavalcando la sagoma dormiente di Sirius e gettandomi all’impazzata sui cassetti alla ricerca di un abbinamento veloce meno improbabile possibile.
-Che diavolo t’è preso?- biascicò l’uomo rotolando sulla schiena e strofinandosi gli occhi arrossati dal sonno.
-Sono in ritardo! Più che in ritardo!- la mia voce aveva un non so che di disperato mentre immaginavo lo sguardo di rimprovero che Joanne, Jason e Kate mi avrebbero rivolto una volta entrata allo studio, in ritardo per l’ennesima volta e con un sacco di scartoffie impunemente ignorate ed impilate sulla scrivania.
-E’ sabato, razza di psicotica babbana bionda.- sbottò, indignato, prendendo un cuscino e premendoselo sulla faccia.
Mi bloccai con in mano una maglietta azzurra che prontamente rigettai nel cassetto, richiudendolo con un tonfo e tirando un sospiro di sollievo.
-Hai ragione.
Un grugnito mi giunse in risposta da sotto il cuscino e senza smettere di sorridere mi riavvicinai al letto, decisa a riprendere il mio riposino da dove l’avevo interrotto.
-Non ci provare.
-Prego?
Gettò di lato il cuscino e si sollevò sui gomiti. Notai che aveva tolto la camicia, probabilmente per la temperatura troppo calda che continuava a tormentare gli abitanti del quartiere, e percorsi con lo sguardo il suo petto non esattamente scolpito ma definito, non aveva neanche un filo di pancetta di troppo, le spalle magre erano ampie e la pelle scura.
-Quando avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me ignote, gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il minimo che tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso di sabato mattina.
-Despota. Se non fosse per me vivresti sotto un ponte in mezzo ai ratti.
-Almeno non loro mi avrebbero svegliato con l’irruenza di una ruspa fuori controllo.
Feci schioccare la lingua sul palato e sparii in cucina per preparare la colazione. Preparai alcune fette di pane tostato e quando Sirius entrò in cucina ne tenevo già una stretta tra i denti mentre armeggiavo con la caffettiera.
-Grazie per avermi aspettato, avvocato.-
-Non è mica colpa mia se sei di una pigrizia inaudita, si stavano raffreddando. Toh.- gli porsi un barattolo di marmellata e poi zuccherai il mio caffè, lui lo prendeva amaro e ormai lo sapevo bene.
Facemmo colazione in silenzio e l’atmosfera che si era ricreata aveva un non so che di familiare ed intimo, complici l’aroma di caffè che invadeva l’aria, mescolandosi a quella del pane tostato, e il continuo ronzio del frigo che, come ripetevo da giorni, avrebbe avuto bisogno di un pizzico di magia. Agli occhi di chiunque ci avesse visti in quel momento saremmo sembrati una coppia serena intenta nelle ordinarie faccende quotidiane.
Il rumore del campanello ruppe l’idillio del momento e scattai in piedi, non avevo idea di chi potesse essere e ringraziai il cielo di aver indossato una tuta, quella mattina, invece che una delle solite t-shirt.
-Jason! Che ci fai qui?-
Jason Russell mi fissava oltre la soglia con un sorriso ammiccante dei suoi e le mani occupate: in una stringeva una carpetta di lavoro e nell’altra una busta dello Starbucks.
-Ho ritirato una copia della perizia giudiziale del caso Barnes e dato che alla prossima udienza dovrai sostituirmi ho pensato di portartela.-
-Di sabato mattina?-
-L’udienza è lunedì, Kane.-
Non avendo altre obiezioni da opporgli mi feci da parte per farlo entrare e immediatamente il pensiero di Sirius comodamente seduto al tavolo in cucina mi fece raggelare.
-Ehm.. potremmo sederci qui!- proposi indicando il salotto.-
-Non fare la formale, Kane, ho portato i muffin dello Starbucks. Non vorrai sporcare ovunque?-
Continuò imperterrito a procedere verso la cucina ma fulminea mi parai davanti a lui simulando un sorrisino innocente.
-C’è un sacco di confusione, ieri ho fatto tardi e..-
-Ho visto la tua cucina in condizioni disastrose, si può sapere che ti prende?
-Non è gentile farmelo notare, Russell, sai?- non potei trattenermi dal rispondergli con tono piccato rimuginando su quella affermazione a mio parere profondamente ingiusta quando Rain corse verso di me per poi darmi un colpetto con i muso, come a volermi tranquillizzare.
Mi permisi di respirare e seguii Jason, che non aveva minimamente accennato ad ascoltare neanche una mia parola, in cucina.
-Et voilà!-
Aprì la busta e tirò fuori tre tipi di muffin dall’aria incredibilmente soffice che sembravano urlarmi “mangiaci, siamo tuoi!”. –Quello al cioccolato è mio, attento a quello che fai!
Rise e prendendolo con un tovagliolo mi porse l’oggetto dei miei desideri.-A lei.-
-Avresti potuto darmela ieri, la perizia, avrei avuto più tempo per leggerla e dubito che tu l’abbia ritirata di sabato mattina. Sbaglio?-
Il mio tono vagamente inquisitorio dovette infastidirlo perché sbuffò sonoramente rivolgendomi un’occhiata scocciata.
-Frena le seghe mentali, Kane. E’ vero, l’ho ritirata ieri ma non sono passato affatto dall'ufficio, avevo un sacco di faccende da sbrigare. Non ogni mia azione è diretta a circuirti o sabotarti, sai?-
-Il più delle volte. Non dovrebbe sorprenderti la mia diffidenza.-
-Se avessi voluto circuirti davvero ci sarei già riuscito da un pezzo. Peccato che io sia un uomo così corretto.- sospirò, passandosi un tovagliolo sulle labbra.
Mi limitai ad una smorfia poco convinta e afferrai uno strofinaccio per togliere le briciole dal tavolo.
-Esci con me stasera.-
-Ecco, non avevo dubbi che ci fosse qualcosa sotto questa inaspettata visita mattutina.- ribattei, rassegnata, mantenendomi ad una certa distanza da lui.
Non potevo negare che il suo corpo esercitasse sul mio una attrazione non indifferente e che mi era capitato più di una volta di pensare a cosa sarebbe successo, quella sera, se le cose fossero andate diversamente.
-Ti porto a mangiare indiano. Ci stai?-
-Ne abbiamo già parlato..-
-Se davvero ritieni che qualsiasi cosa ci sia tra noi sia sbagliata e soprattutto se sei certa di poterne fare a meno non avrei alcun problema ad uscire con me. Mi comporterò bene.-
-Perché sei così ostinato?- lo chiesi abbassando lo sguardo e dondolandomi da un piede all’altro, ripetutamente, combattuta e infastidita dalla forte voglia di accettare che premeva all’altezza della gola per uscire sotto forma di assenso.
Era parecchio egoista da parte mia ma probabilmente si trattava di un ragionamento in linea con la logica femminile: Jason mi faceva sentire desiderata e non solo per il mio corpo. Ogni donna ha continuamente bisogno di essere rassicurata riguardo la propria femminilità, la propria capacità di attrarre con la mente e con tutto il resto ed io non facevo di certo eccezione.
-Perché per me qualcosa è cambiato e vorrei tanto farti capire che può cambiare anche per te. Esci con me. Dopotutto quante volte siamo usciti insieme in anni ed anni di amicizia?-
-Hai detto bene, amicizia. Non mi sembra che sia questo che hai in mente.-
Mi strinsi le braccia intorno al petto come a volermi proteggere dal suo sguardo indagatore mentre ponderavo la possibilità di accettare o meno.
-D’accordo ma ricordati che hai promesso di comportarti bene!- lo minacciai puntandogli contro l’indice e a quel gesto lui alzò le braccia in segno di resa con un gran sorriso stampato sul volto.
-Sono un uomo di parola.-

La sera arrivò troppo velocemente per i miei gusti e mi trovavo di nuovo immersa in quel silenzio pesantissimo che governava tra le mura di casa; Sirius si era di nuovo volatilizzato e vanificando la mia aspettativa di un battibecco epico riguardo il mio appuntamento con Jason, magari non aveva neanche ascoltato la conversazione.
Passai le mani sulle pieghe del leggero vestito che indossavo e agitai le dita dei piedi fissando le scarpe basse che avevo scelto e chiedendomi se la dimensione hobbit avrebbe scoraggiato Jason; afferrai una catenina per metterla al collo e cominciai ad armeggiare con la chiusura contorcendomi e cercando di beccare l’anellino.
-Lascia, faccio io.-
Sirius avanzò verso di me, stranamente pacato, e si posizionò alle mie spalle scostandomi i capelli e adagiandoli su una spalla per poter agganciare la collana.
-Grazie. E’ inquietante il fatto che tu possa entrare in casa senza preavviso comparendo dal nulla.-tentai di fare conversazione, a disagio sotto il suo sguardo insolitamente freddo.
-Non sbucherò dal nulla in momenti poco opportuni, se è questo che temi. –ribattè, con nonchalance, sedendosi sul bordo del letto.-Anzi stanotte sarò fuori per occuparmi di alcune cose così non dovrai..-
-Stanotte? Ma sei appena tornato!- mi voltai per fronteggiarlo, allargando le braccia e sentendomi infinitamente stupida. Non doveva rendere conto a me dei suoi spostamenti, questo era certo.
-Dubito che tu voglia trovarmi in giro per casa quando tornerai con Russell.-
Aveva pronunciato quelle parole con tono spaventosamente acido ed irruento spostando lo sguardo al pavimento per non incrociare i miei occhi, increduli.
-E’ questo il problema? E poi.. da quando lo chiami con il suo nome e non.. cretino, femminuccia, damerino o che so io?-
-Da quando ho capito che a te importa e che non sono nessuno per sbucare dal nulla e giudicare la gente che ti circonda.-
Restai spiazzata dalle sue parole e in qualche modo mi resi conto che quella convivenza aveva creato un legame particolare, tra di noi, che non aveva niente a che fare con qualsiasi cosa mi fosse mai capitata prima. Mi piaceva condividere i miei spazi con lui e questo, indubbiamente, era strano per una persona schiva e intollerante come me.
Ero contenta che fosse sbucato dal nulla, come aveva appena detto, e non potevo dimenticare che era stato lui a salvarmi la vita e avrebbe dovuto ricordarsene anche lui.
Il campanello suonò interrompendoci, per la seconda volta in un solo giorno, e Sirius alzò lo sguardo su di me, stirando le labbra in un sorriso.
-Non fare aspettare il principe azzurro o gli scoppierà un embolo per lo stress.-
Accennai una risata e scossi la testa, afferrando la borsetta e avviandomi verso l’ingresso.
-Hannah?-
Mi voltai e notai che il sorriso si era allargato un po’.
-Stai benissimo, con quel vestito.-

Joanne beveva il suo thè freddo, seduta all’altro capo della scrivania, mentre io ruotavo in modo molto infantile sulla mia sedia girevole, le mani arpionate ai braccioli.
-E così esci con Jason. Se me l’avessero detto quando ho cominciato a lavorare per voi non ci avrei creduto neanche un po’.- buttò lì cercando di celare la curiosità che da giorni vedevo brillare nei suoi occhi indagatori.
L’appuntamento con Jason, quella sera, si era rivelato abbastanza piacevole e come promesso si era comportato bene, non una parola né un gesto di troppo e questo mi aveva convinta che, forse, concedermi una cena con lui, una volta ogni tanto, non era poi un’idea così malvagia.
Sirius spariva più spesso del solito e per tempi più lunghi, approfittando dei fine settimana che la scuola concedeva agli studenti di trascorrere ad Hogsmeade per dare tenere d’occhio Harry nonostante i tempi non fossero ancora maturi per incontrarlo a quattr’occhi come avrebbe disperatamente voluto. Ogni volta che parlava del figlioccio il suo sguardo era insieme entusiasta e malinconico, due emozioni così diverse ma che, nei suoi occhi, convivevano costantemente in mezzo a ricordi di cui non era ancora pronto a parlare.
Le sue prolungate assenze mi avevano ricordato cosa significasse la solitudine e mi ero resa conto che non ero psicologicamente pronta ad accettarla, non più, e Jason era ben felice di occupare il mio tempo libero.
-Mh.-
-Mh? Dov’è finita la Hannah logorroica che conosco?-
Mi strinsi nelle spalle. –Che posso dirti, Jo? Ci vediamo spesso ma non abbiamo una relazione. Finché dura vediamo come va.-
-Il tuo punto di vista non costituisce un buon presupposto sui cui costruire un rapporto, lo sai vero?-
Tacqui, mordendomi la guancia dall’interno ben consapevole che di non poter darle torto ma avevo deciso di prendere le cose in modo tranquillo, di accettare il corso degli eventi senza troppe aspettative né paure. Ero continuamente in pericolo e ogni volta che mi ritrovavo sola, per strada, a casa o a lavoro, paranoie infinite mi perseguitavano ed erano per me intollerabili: non avevo propriamente paura ma avvertivo un profondo senso di impotenza, non ero così sciocca da credere di poter fare qualcosa contro la magia di cui disponevano i miei aguzzini ma per ogni evenienza avevo cominciato a spostarmi con la pistola e il caricatore in borsa. Non mi avrebbero colta del tutto impreparata.
-Io credo che lui sia davvero preso da te.- continuò, imperterrita, stringendo la tazza tra le mani.
-Sa perfettamente come la vedo io, non lo sto illudendo se è questo che insinui.-
Avevo usato un tono troppo brusco e la vidi abbassare lo sguardo, intimorita dalla mia veemenza.
-Scusami, non stavo insinuando niente.- si alzò e afferrò un fascicolo che le avevo preparato sul bordo della scrivania. –Vado a farti queste fotocopie e te le porto già timbrate.-
Quando uscì dalla stanza mi rigettai pesantemente con la schiena contro la spalliera, esasperata dai toni accusatori che i miei stessi pensieri stavano assumendo dando voce alla mia petulante e retta coscienza che non accettava simili atteggiamenti da parte mia.
Il cellulare squillò e risposi senza neanche guardare dal display chi fosse, portandolo direttamente all’orecchio.
-Si?-
-Hannah, sono io.- era la voce di Sirius e mi tirai istintivamente su, preoccupata. Erano tre giorni che non si faceva vedere.
-Sir..-
-Non dirlo, sto chiamando da una.. tambina telefonica.-
Malgrado la preoccupazione non riuscii a trattenermi dal ridere sentendolo storpiare l’ennesimo nome.-Si dice cabina.-
-Fa lo stesso. Sei a lavoro?-
-Si. Che fine hai fatto tu, piuttosto?-
-La stessa di sempre, Han. A che ora finisci di lavorare?-
Tutte quelle domande mi insospettirono non poco e nonostante cercasse di apparire tranquillo sentivo che qualcosa non andava. Che gli fosse successo qualcosa? Che l’avessero scoperto?
-Perché me lo chiedi? Che sta succedendo?-
-Ti spiego tutto dopo. Dimmi a che ora finisci di lavorare e mi farò trovare fuori dal tuo Studio.-
-Ci vediamo alle sei, allora.-

Alle sei in punto trovai Rain seduto accanto al portone principale e quando mi vide abbaiò, contento, ed io mi chinai per accarezzarlo; si irrigidì per un istante mentre lo coccolavo e mi preparai una scusa plausibile nel caso mi avesse chiesto il perché di quelle carezze affettuose che avrei giustificato con la necessità di salvare le apparenze perché, ufficialmente, lui era il mio cane.
Mi seguì fino alla macchina e quando ebbi aperto lo sportello saltò su prendendo posto davanti al sedile del passeggero e agitandosi un po’ per via del poco spazio disponibile per poi abbaiare di nuovo, contrariato.
-Il sedile non si sposta più di così, sei tu ad essere troppo grosso.
Mi misi in marcia verso Little Whinging ormai rassegnata al fatto che non si sarebbe trasformato finché non fossimo stati soli e al sicuro a casa e che non avrei avuto alcuna risposta.
Durante il tragitto, giunti in una strada totalmente deserta che normalmente imboccavo per accorciare il percorso, notai un posto di blocco e l’agente, sollevando la paletta, mi ordinò di fermarmi.
Era solo e la cosa mi sembrò parecchio strana.
-Documenti, prego.-
Mi allungai verso la borsa per estrarre la patente e poi presi la carta di circolazione dal cruscotto, porgendogli entrambe le cose.
Le osservò con sguardo vacuo e movimenti lenti per poi restituirmele. –Scenda dalla macchina.-
Rain abbaiò, guardandomi dritto negli occhi ed io capii che doveva esserci qualcosa di strano in quel fermo.
-Vado di fretta.-
-Non me lo faccia ripetere, abbandoni la vettura.-
Lo vidi portare la mano alla cintura, con gli stessi movimenti lenti e meccanici di poco prima.
-I miei documenti sono perfettamente in regola, sono un avvocato e..-
-Le ho detto di scendere!- sfoderò la pistola e me la puntò contro mentre Rain cominciava ad abbaiare come un forsennato, premendo contro lo sportello per uscire.
-Lentamente.- mi ordinò mentre prendevo la borsa ed aprivo lo sportello per poi sollevare le mani in alto sotto il suo sguardo perso. Sembrava in trance e, pensai, probabilmente lo era davvero.
Sirius, o meglio Rain, mi seguì, fulmineo, avventandosi alla gamba dell’agente e dandomi il tempo di estrarre la pistola ed inserire il caricatore.
-Spostati. – gli ordinai puntando la pistola contro il mio aggressore e quando Rain si fece da parte sparai un colpo in modo da colpire la gamba sana senza centrarla in pieno ma abbastanza da fargli perdere l’equilibrio e cadere a terra.
-Andiamocene!-
Corsi di nuovo verso il posto del guidatore facendo prima salire il mio grosso cane nero e quando misi in moto, sgommando, vidi dallo specchietto retrovisore una figura incappucciata che emergeva appena dietro il tronco di un albero dopo essersi evidentemente goduto la scena da quella posizione privilegiata.
-Bastardi.-
Le mani mi tremavano sul volante e governare i movimenti dei miei piedi era quasi impossibile troppo deconcentrata nel timore che i lampi di luce ricominciassero come quella notte in metropolitana e che quei pazzi mi fossero alle calcagna.
Fortunatamente nessuno parve seguirci e quando mi fui richiusa la porta alle spalle Sirius riprese le sue sembianze umane.
-Adesso hai capito perché non volevo che tornassi da sola?- chiese passandosi una mano tra i capelli, avvilito, e passeggiando avanti e indietro per l’ingresso un paio di volte mentre io cercavo di smaltire la tensione per riprendere il dono della parola.
-Come lo sapevi?-
-Lucius Malfoy era ad Hogsmeade oggi e l’ho sentito parlare con un altro dei loro. Non ero certo di cosa avrebbero escogitato ma era chiaro che volessero muoversi.-
-Quell’agente..- boccheggiai pensando all’uomo che avevo lasciato steso in mezzo alla strada, ferito ad entrambe le gambe prima dal morso di Rain e poi dal mio proiettile.
-Era solo la Maledizione Imperius. Permette di controllare le persone.-
Cercai di regolarizzare il mio respiro ma più ci provavo più sembrava che lo spazio intorno a me fosse totalmente sotto vuoto e mi portai una mano alla bocca, colta improvvisamente da una paura più razionale e, purtroppo per me, più che plausibile.
-Troveranno l’agente ferito e tramite il proiettile della mia pistola non ci metteranno molto ad arrivare a me e..-
Si fece vicino e mi prese il viso tra le mani con quel suo tocco così rassicurante per poi parlare con tono grave.
-Pensi davvero che lasceranno vivere quell’uomo, Hannah? Non hai ancora capito di che gente si tratta.-
Inspirai più forte rompendo le barriere che per la tensione avevano occluso le mie vie respiratorie e strinsi gli occhi per qualche istante per poi puntarli di nuovo in quelli di Sirius.
-Mi hai salvato la vita, di nuovo.
Appoggiò la fronte contro la mia e con le mani calde scese fino al collo e poi alle spalle stringendole un po’ e sospirando. –Sei in gamba con la pistola. L’ho scampata bella, l’ultima volta.-
Sorrisi, sentendo il cuore rallentare e riprendere a battere ad un ritmo accettabile.
-Tu hai i tuoi Abracadabra ed io ho i miei.-
-Siamo una bella squadra, noi due.-

Song: Goodnight moon - Shivaree

Artwork: HilaryC

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Capitolo 7
*** 7. On the run ***


furry love 7

Furry Love

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7- If you are looking for disappointment
You can find it around any corner
In the middle of the night I hold on to you tight
So both of us can feel protected

 POP!
-Che diavolo..Sirius!- esclamai sollevando la testa dal fascicolo della causa McGregor così violentemente da far scricchiolare le ossa del collo, già notevolmente provate dall’umidità delle sere di fine estate.
Sirius era piombato nella mia stanza come un enorme chicco di grandine, solo perfettamente ritto sulle gambe e con un sorriso che mostrava più denti di quanti pensavo fosse umanamente possibile avere e che lo ringiovaniva tremendamente.
-Aspetta!- disse senza smettere di sorridere e avvicinandosi alla porta.
-Che stai facendo?-
-Ssh.-
Estrasse la bacchetta e mormorò strane parole prima di voltarsi nuovamente verso di me e procedere a grandi passi fino alla mia scrivania.
-Ho fatto un incantesimo di isolamento acustico, così nessuno potrà sentirci.-
-Sei sempre più inquietante.- asserii fissandolo con aria scettica con ancora la penna saldamente stretta in mano e la schiena nuovamente curva verso la scrivania.-Pensi di farmi fuori?-
-No, devo darti una grande notizia!- non l’avevo mai visto tanto felice, sembrava un bambino cui avevano regalato il primo giocattolo.-Ho trovato un modo, Hannah! Posso entrare ad Hogwarts, eliminare Codaliscia, raggiungere Harry e..-
-Hey hey hey..- lo raggiunsi e sorridendo a mia volta lo costrinsi a sedersi accomodandomi di fronte a lui così vicini che le nostre ginocchia si sfioravano. –Farò finta di non aver sentito il termine “eliminare” e.. è fantastico! E’ ciò per cui scompari continuamente, no?-
-Si! E’.. tu non sai quanto significhi questo per me, è.. è..- sembrava totalmente fuori di sé e non potei che pensare a quanto fosse bello che avesse sentito il bisogno di raccontare a me di un evento per lui tanto importante, che avesse deciso di condividerlo, in un certo senso.
Si sporse verso di me e senza smettere di raccontare mi afferrò le mani stringendole forte ad ogni parola per poi sistemarmi distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio senza neanche accorgersi di quanto fossimo vicini.
Io lo guardavo ipnotizzata e nonostante non stessi perdendo una parola del suo racconto il mio sguardo vagava incessantemente dalle sue labbra ai suoi occhi che sembravano brillare di una luce tutta nuova.
-Non metto piede ad Hogwarts dal mio ultimo anno.-
-Raccontami di Hogwarts. Com’era? Somiglia alle nostre scuole?-
Scosse il capo ridendo piano e facendo ondeggiare  lunghi capelli scuri prima di passarci le dita in mezzo per tenerli a bada.-No, Hannah, non lo è affatto. E’ un posto incredibile. Lì ogni cosa è magia, pura magia. E’ stato sconvolgente persino per me che avevo sempre vissuto in mezzo ad incantesimi ed oggetti magici, appartenendo ad una famiglia purosangue.-
-Purosangue?-
-Si, discendenza pura insomma. Niente babbani nell’albero genealogico, per intenderci.-
-Tipo.. dei nobili?- ero sinceramente curiosa e pensare che a nostra insaputa il mondo fosse pieno zeppo di magia mi lasciava ogni volta senza fiato.
-In un certo senso, si. Beh è una gran stronzata, comunque.-
Per la prima volta quel giorno vidi il suo sguardo incupirsi ma durò solo qualche istante.
-Ho lasciato casa mia quando avevo sedici anni, non sopportavo la loro smania di superiorità e sapevo perfettamente quanto in là potessero spingersi.-
La mia occhiata interrogativa palesò che io, invece, non avevo la minima idea di cosa volesse dire e dopo aver piegato le labbra in una smorfia scocciata si affrettò a spiegare nonostante fosse evidente che avrebbe volentieri evitato.
-Mangiamorte, Hannah. La maggior parte della mia famiglia ne fa parte.-
Non potei trattenere un’espressione sorpresa e aggrottai la fronte, perplessa: Sirius era evidentemente tutt’altro che simpatizzante per quei folli incappucciati e non riuscivo davvero a credere che la sua famiglia invece figurasse in quella losca cerchia.
-E dove sei andato? Da solo?-
-Non ero affatto solo. Avevo Hogwarts,- sembrò riflettere e soppesare le parole, in bilico tra la tenerezza e la malinconia, -e avevo James.-
-James? Il padre del ragazzo?-
-Si. Era come un fratello per me. Quante ne combinavamo!- un sorriso assolutamente disarmante si disegnò sul suo volto e sentii distintamente le mie labbra piegarsi automaticamente all’insù, contagiata. Tutta quell’energia, quell’entusiasmo mi stupivano ogni istante di più portando a galla una parte di lui che non conoscevo e non avrei mai neanche potuto immaginare. –non per niente amavamo definirci Malandrini. Mi ricordo quella volta che disilludemmo tutti i libri di Remus che andò proprio fuori di testa!-
-Remus?-
-Si, anche lui era un Malandrino. E anche Minus lo era.-
Un sonoro bussare ci fulminò e lui ritrasse immediatamente le mani che avevano continuato a stringere le mie e allontanò il volto che aveva tenuto per tutto il tempo vicinissimo al mio, ipnotizzato da quel racconto.
-Tranquilla, adesso mi Disilludo.-
Non sapevo cosa volesse dire ma quando la sua sagoma sparì sotto il colpo della sua stessa bacchetta trasformandolo in una sorta di enorme camaleonte mi convinsi che era in ogni caso una soluzione.
-Avanti!-
Jason fece capolino oltre la soglia e nella mia testa risuonò un campanello di allarme. Jason e Sirius nella stessa stanza erano potenzialmente un enorme problema, soprattutto considerato che il modo inaspettato in cui avevo abbassato le mie difese aveva convinto il mio collega di potersi prendere libertà talvolta un tantino eccessive.
-Non hai un bell’aspetto, Kane. Sembri una che è appena ruzzolata dalle scale. Guarda la tua faccia.-
Beh, almeno sotto quel punto di vista non era cambiato. Niente frasi dolci, niente smancerie di alcun tipo.
-Sei sempre così dolce che l’eccesso di zuccheri nel sangue potrebbe uccidermi dopo ogni tua visita.- rilanciai con un sorrisino stronzo poggiando la schiena alla scrivania.
-Non sarò dolce ma ho sicuramente altre qualità.- mormorò avvicinandosi con fare da predatore, le mani prevedibilmente affondate nelle tasche e l’espressione maliziosa di sempre.
Sentivo la presenza di Sirius a pochi metri da noi e sapevo perfettamente che qualsiasi cosa avesse in mente Jason l’avrebbe decisamente indisposto.
Non che potesse avanzare alcun diritto sulla sottoscritta, questo era ovvio. Eravamo solo buoni amici ma era evidente che non nutriva alcuna simpatia per il giovane avvocato e che il sospetto che fosse anche lui un Mangiamorte tormentava lui ancora più di quanto non tormentasse me.

-A cosa devo questa visita?- chiesi, mordendomi il labbro, chiaramente in difficoltà.

-Mi mancavi.-

Il mio sguardo corse al braccio massiccio di Jason che mi aveva incastrata contro la scrivania, protendendosi in avanti.
Una sottile strisciolina nera faceva capolino oltre la manica arrotolata della camicia e ricordai l’avvertimento di Sirius che mi aveva informata della sorta di tatuaggio che contraddistingueva i Mangiamorte.
-Cos’hai lì?- chiesi allungando le dita verso il braccio e sfiorandolo. –E’ un tatuaggio?-
Se lo portò dietro la schiena ma non si scompose minimamente. –Ce l’ho da tanto tempo, Hannah, non mi guardi per niente, eh?-
Chinò il capo avvicinando il volto al mio collo ed io mi tirai un po’ indietro, provando ad insistere.-Quando studiavamo insieme non ce l’avevi, allora la indossavi qualche t-shirt ogni tanto, l’avrei notato!-
-Vuoi stare un po’ zitta, Sherlock?- mi afferrò il voltò tra le mani e lo attirò a sé senza darmi il tempo di pensare e sentii il suo corpo premere contro il mio.
Immediatamente nella mia testa si accese una lampadina e quell’idea surclassò la preoccupazione per Sirius che chissà in quale punto della stanza si trovava costretto ad assistere a quella scena. La smaterializzazione era piuttosto rumorosa e si sarebbe tradito.
Se Jason non voleva mostrarmi quel tatuaggio avrei dovuto scoprirlo da sola per sapere se era solo un innocente tribale o se il mio collega ed ex compagno di studi era davvero uno di quelli che cercavano di farmi la pelle. Era mio diritto sapere, dopotutto, e Sirius avrebbe capito.
Posai le mani sul suo collo percorrendolo lievemente con le dita mentre lui, sorpreso della mia insolita accondiscendenza, mi baciò con maggiore passione e coinvolgimento per poi scendere ad accarezzare la mia gola con le labbra.
Approfittai del momento per cominciare a sbottonargli la camicia pregustando già l’acre sapore della verità che di lì a poco avrei scoperto mettendo a nudo quello che temevo fosse il segno che lo avrebbe tradito.
Per non farlo insospettire decisi di rallentare e gli accarezzai il torace per qualche istante rivolgendogli uno sguardo languido e baciandolo piano sulle labbra, leggera e delicata.
Sembrava ormai arreso e totalmente privo di alcuna volontà che non includesse me e lui avvinghiati su quella scrivania così ripresi a slacciargli la camicia e una vocina dentro la mia testa esultò quando l’ultimo bottone cedette sotto le mie dita.
Improvvisamente si irrigidì e si separò da me.
-Non è una buona idea, siamo in ufficio.-
-E quindi? Joanne non mi disturba mai quando c’è qualcuno nel mio studio e poi è.. –mi maledissi per quello che stavo per dire per il modo in cui stavo svilendo la mia volontà ma dovevo sapere, non riuscivo più ad accettare il fatto di non avere la minima idea di chi potermi fidare. -eccitante. Non trovi?-
Mi fissò, sofferente, spezzato in due dalla voglia di assecondare quella mia inaspettata voluttà e da un non precisato timore.
Improvvisamente affondò gli occhi nei miei, serio ed intenso. Quello sguardo poteva solo voler dire che aveva capito perfettamente a che gioco stavo giocando, non era di certo uno sprovveduto: aveva notato il mio interesse per quel tatuaggio e aveva realizzato di essere quasi stato fregato.
Non disse nulla, si limitò a voltarsi per riabbottonare la camicia chiara e perfettamente stirata, come sempre, per poi uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi ancora più confusa. O forse solo più convinta che la verità fosse esattamente quella che temevo e non volevo accettare.
-Credo che il termine corretto sia nauseante, piuttosto.-
La voce di Sirius mi colse impreparata così come l’espressione ferita che lessi sul suo volto quando mi voltai verso di lui il cui corpo aveva ripreso consistenza.
-Non è come credi, io stavo solo..-
Con un sonoro POP scomparve dalla mia vista, smaterializzandosi e lasciandomi sola con la mia inquietudine  ed una strana sensazione di fastidio all’altezza dello stomaco. Senso di colpa, probabilmente.
Aspettai che tutti fossero andati via e assicurai a Joanne che avrei chiuso io lo studio, quella sera.
Speravo che quel teatrino non fosse stato completamente vano e che perlomeno nello studio di Jason avrei trovato le risposte che cercavo.
Mi avviai lungo il corridoio buio fino alla porta che cercavo e che, notai con grande disappunto, era chiusa. Inveii contro la sorte avversa e il mio cervello cominciò ad elaborare una possibile alternativa all’ingresso pacifico che mi era stato così bellamente negato.
Mi sfilai una forcina dai capelli, non era la prima volta che aprivo una serratura con quel rudimentale ma efficace metodo: quando i miei amici ed io restavamo fuori casa, a tarda notte e senza permesso, io ero l’addetta allo scassinamento delle porte di casa. Finché non fui scoperta, almeno.
Trafficai per almeno un quarto d’ora stringendomi la lingua tra le labbra finché un adorabile clack non mi avvertii che non avevo ancora perso il mio tocco magico.
-Incassa il colpo, bello.-
Parlare sola era uno dei primi segni della schizofrenia che insorgeva ma dopotutto avevo sempre sostenuto di non essere esattamente una persona normale e dopo aver scoperto che maghi, streghe e scope volanti esistevano davvero la mia stranezza sembrava a confronto parecchio tollerabile.
Accesi la luce e perlustrai con lo sguardo la stanza perfettamente illuminata alla ricerca di.. non sapevo esattamente cosa. Una bacchetta? No, i maghi la portavano con loro. Una scopa? Poco probabile. Un cappello a punta?
Rovistai nei cassetti badando bene di non far casino e non trovai nulla di sconcertante a parte una enorme scatola di preservativi dalla dubbia utilità professionale.
Presi a controllare le carpette che ingombravano il ripiano della scrivania finché, sollevandone una, vidi un block notes con un foglio malamente strappato e le lettere “nd” scribacchiate sul brandello restate.
Afferrai una matita dal portapenne e come nei migliori polizieschi la passai varie volte nel punto in cui doveva essere stato trasferito il tratto del foglio strappato e finalmente potei intravedere un nome delinearsi sulla carta. Era un indirizzo, benché poco leggibile dati i numerosi tagli con i quali Jason aveva evidentemente cercato di cancellarlo: 153, Spinner’s end.
Perché cancellare con tanto impegno un indirizzo? E perché mai Jason avrebbe dovuto segnare l’indirizzo di un quartiere tanto malfamato?
Continuai a grattare pur non sperando di trovare altro quando un'altra scritta, molto più in basso, si delineò, più chiara della prima.
11:OO p.m.
Bingo. Quale incontro di lavoro avrebbe mai potuto aver luogo alle undici della sera? L’appunto, peraltro, doveva essere recente considerato che nessun altro foglio del block notes era stato utilizzato e, lo sapevo bene, Jason aveva la fastidiosissima abitudine di disegnare o in alternativa scrivere il suo nome ovunque.
Cercai di rimettere tutto a posto, esattamente come l’avevo trovato, e filai fuori dallo studio immergendomi nel buio di quella notte particolarmente grigia cercando di evitare il ricordo di una notte simile in occasione della quale avevo rischiato davvero di rimetterci le penne e avevo scoperto quel mondo di magia che non avrei potuto immaginare.
La macchina, fortunatamente, partì subito e tirai un sospiro di inevitabile sollievo cominciando a guidare verso Spinner’s end.
La radio, a basso volume, mandava una canzone di Marilyn Manson, come se la situazione non fosse già abbastanza inquietante di per sé e spazientita cambiai stazione cominciando a canticchiare una canzoncina commercialissima e cercando di non pensare al guaio in cui mi stavo volontariamente cacciando. Insomma, stavo zampettando con le mie ardite gambine in quella che era all’ottanta per cento delle probabilità la tana del lupo e probabilmente mi ci sarei ritrovata totalmente sola, a differenza della volta precedente.
Lo sguardo ferito di Sirius si fece di nuovo nitido nella mia mente e strinsi più forte il volante. Non mi sembrava affatto che lui avesse fatto alcun passo verso di me, sul piano sentimentale, e quella che ormai era evidentemente una immotivata gelosia mi dava proprio sui nervi.
Avevo ammesso a me stessa da un po’ il fatto che Sirius avesse in qualche modo oltrepassato le mie barriere facendosi strada oltre la ritrosia che giornalmente mostravo nei confronti di qualsiasi prospettiva di approfondire un rapporto, quale che fosse la sua natura, ma continuava a scomparire continuamente e se la sua presenza costituiva una luce nuova nella mia vita, quella sua intermittenza annichiliva sempre ogni mia concreta speranza.
Non avevo bisogno di qualcuno che entrasse ed uscisse continuamente dalla mia vita, ne avevo avute fin troppe di persone così,  avevo bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di restarci.
Una insegna penzolante e il suo sinistro cigolio mi riportarono con i piedi per terra e mi accorsi di essere arrivata a destinazione.
Le case si susseguivano tutte ugualmente scure e fatiscenti, alcune avevano le finestre sprangate da enormi assi di legno, evidentemente disabitate da tempo, mentre altre sembravano uscite da un fumetto di Dylan Dog.
Scorsi con lo sguardo i numeri civici fino al numero 153. L’ingresso doveva trovarsi nel vicolo che costeggiava l’edificio e ne ebbi la conferma quando vidi due uomini guardarsi nervosamente intorno per poi fermarsi a metà del vicolo.
Quando la porta si aprì e la fievole luce investì i due mi accorsi che uno di loro era proprio il vecchio avvocato Russell con un’espressione tremendamente nervosa a deformargli i tratti solitamente abbastanza affascinanti.
L’uomo che lo affiancava, tuttavia, non era Jason e tirai un sospiro di sollievo accostandomi a distanza di sicurezza dal vicolo e scendendo dalla vettura per prendere un po’ d’aria.
Quando avevo visto Russell senior il mio cuore aveva cominciato a martellare nel petto, inarrestabile, temendo di scorgere al suo fianco il mio collega e, ormai, amico.
Tirai un profondo respiro quando improvvisamente un raggio di luce mi colpì ai piedi e, come se fossero stati stretti da funi invisibili, persi l’equilibrio e per poco non strofinai il naso sulla strada sterrata cercando di frenare la caduta con le mani aperte e graffiandomi dolorosamente i palmi.
-Non è saggio aggirarsi per queste vie di notte e non è affatto educato spiare.-
Una voce conosciuta mi raggiunse da dietro la mia macchina e strisciando un po’ senza rialzarmi, temendo un altro incantesimo, vidi Jason, avvolto in uno scuro mantello nero, avvicinarsi alla mia auto e scrutarne la targa.
-Cosa..Hannah?-
Mi sollevai e poggiai le spalle al muro, sotto il suo sguardo atterrito.
-Che cosa ti è saltato in mente, eh? Devi andare via, subito! Come hai.. oh non importa!- si avvicinò a me e mi afferrò per un braccio strattonandomi verso la macchina.-Vattene immediatamente!-
-Sei uno di loro! Non posso crederci!-
Il suo viso era una maschera di emozioni: rabbia, paura, frustrazione, inquietudine.
-Hai accolto il nostro inatteso ospite, figliolo?- la voce alta di Richard Russell ci fulminò entrambi e ci voltammo contemporaneamente indietro vedendo tre uomini svoltare l’angolo del vicolo e venirci incontro.
-Vattene, vattene, vattene!-
Feci per salire in auto quando fui colpita di nuovo e ricaddi indietro prontamente afferrata da Jason.
-Oh, che sorpresa. La giovane Hannah Kane. Ecco spiegato perché c’hai messo tanto.-
Lo spaventoso trio era ormai vicino e vidi in volto gli altri due uomini che mi fissavano, accigliati e notevolmente contrariati a differenza di Russell che sembrava quasi divertito dal nostro incontro.
Uno dei due aveva lunghi capelli neri, visibilmente unti, e un naso aquilino dominava incontrastato il suo viso mentre l’altro mi colpì per le numerose cicatrici che ne distorcevano i tratti dandogli l’aria di un predatore, complici gli occhi scuri pieni di cattiveria.
-Hannah si è.. persa, papà. Le stavo indicando la strada.- tentò Jason con voce poco convinta e vagamente incrinata dal nervosismo.
-Certamente, Jason. Greyback, Piton, voi che ne dite?- il padre, con tono mellifluo, interpellò i due allargando le braccia con fare teatrale e sorridendo, sinistro. –Che terribile inconveniente, perdersi in Spinner’s end.-
-Il giovane Russell continua a proteggere la ragazza, vedo.-scandì, lento e maligno, l’uomo con i capelli neri. –Abbiamo cose più importanti a cui pensare, datevi una mossa.-
Si voltò per tornare sui suoi passi.-Sbrigate questa faccenda, vi aspetto dentro.
Io ero rimasta immobile, appiattita contro il muro sentendomi come un topo con le zampe invischiate nella trappola e con una mano corsi ad afferrare la pistola, dentro la borsa, senza però mostrarla. Non ancora.
-Bene bene, signorina Kane. Ha aggiunto dettagli al quadro generale dei fatti? Ha origliato le nostre conversazioni e adesso ci ha persino pedinati. Qual è la prossima mossa? Andrà a denunciare alla polizia la presenza di maghi criminali che attentano alla sua vita?-
Russell  ghignò e qualche istante dopo la sua risata risuonò in modo grottesco rimbalzando sulle pareti umide della stretta strada in cui ci trovavamo.
Mi morsi la lingua, troppo impegnata ad escogitare un modo per fuggire per trovare una risposta diplomatica che non accelerasse la mia fine.
-Papà, basterà obliviarla non..-
-Che tenerezza. E’ innamorato di lei.- latrò l’altro uomo che fino a quel momento aveva risparmiato sulle parole limitandosi ad occhiate sadiche, leccandosi continuamente le labbra in modo osceno.
-Fatti da parte, ragazzo.- intimò Richard Russell al figlio, avanzando verso di noi, la bacchetta saldamente stretta in pugno e puntata su di me, non fece una piega neanche quando, estratta la pistola, feci partire un colpo verso il basso mancando di poco la sua gamba a causa del tremore delle mie mani.
La paura mi stava raggelando, cominciava a rallentare i miei riflessi, i miei movimenti. Tutti i miei sensi avrebbero dovuto essere all’erta ma sembravano piuttosto intorpiditi dal panico che mi scorreva freddo nelle vene.
-Bel tentativo, ragazzina, ma non sono un babbano pilotato come quell’agente. Mi è stato riferito che hai dato del filo da torcere ai nostri, qualche giorno fa.- con un fluido movimento della mano e senza che alcun lampo di luce mi raggiungesse mi fece fluttuare a mezz’aria come se una mano invisibile mi avesse afferrata per la caviglia e mi tenesse sospesa, a testa in giù.
Neanche un urlo scaturì dalla mia gola riarsa ma mi agitai muovendo ripetutamente braccia e gambe come a volermi liberare da quella presa e scatenando inevitabilmente le loro crudeli risate.
Non mi ero mai sentita tanto umiliata, tanto spaventata, tanto stupida.
Mi ero cacciata in quel pasticcio da sola, convinta che l’essere scampata loro già due volte mi assicurasse la buona riuscita del terzo tentativo ma, ahimè, non era stato affatto così.
Si avvicinarono piano a me mentre Jason continuava ad urlare al padre di lasciarmi andare correndo a recuperare la bacchetta che lo stesso gli aveva fatto volar via di mano qualche istante prima.
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?- mi interpellò, sadico, il mio aguzzino inclinando il capo verso la spalla per potermi osservare meglio. Feci per sollevare la mano con la pistola ma con un violento colpo la allontanò facendomi mollare la presa sull’arma che rotolò sull’asfalto.
-Potresti lasciarla a me, prima. Troverei di certo modi più fantasiosi per punire questa farfallina.- intervenne quello che avevo intuito dovesse chiamarsi Greyback per poi sfiorarmi il viso con un dito ruvido ed in tutta risposta gli sputai in faccia, rabbiosa. Sapevo che erano i miei ultimi istanti ma la mia dignità non sarebbe morta prima di me.
-Finite incantatem!- Jason mi liberò e rovinai al suolo poco prima di vederlo pararsi davanti a me puntando la bacchetta contro gli altri due.
Greyback ringhiava, basso, e Richard Russell fissava il figlio con astio.
-Osi minacciare tuo padre per una stupida biondina ficcanaso?- alzò nuovamente la bacchetta puntandola contro di me quando Jason agitò la sua e il padre si immobilizzò come pochi istanti dopo fece l’altro. Sembravano statue di cera.
-Vattene, Hannah, e nasconditi. Sai troppo adesso e non li terrò a bada per sempre. – pronunciò quelle parole con aria sofferente ed io potei solo annuire, troppo sconvolta dalla piega che gli eventi avevano preso, quella sera.
-Fai attenzione.-
Corsi in auto e misi in moto ripartendo velocemente verso casa e mettendo quanta più distanza possibile tra me e quel posto orribile.
Non avrei saputo dire per quanto guidai né quanto sangue era realmente colato dal mio zigomo a causa del modo in cui il mio viso si era scontrato con l’asfalto. Quando aprii la porta, barcollante e in preda ad un incontrollabile tremore, non accesi neanche la luce.
-Sirius.-
Nessuno rispose e dovetti poggiarmi alla porta per non perdere l’equilibrio.
-SIRIUS!-
Vidi la sua sagoma delinearsi nel buio dell’ingresso e mi gettai tra le sue braccia stringendolo convulsamente, gli occhi sbarrati per il terrore che non mi aveva ancora abbandonata.
-Dobbiamo andare via di qui, subito.
Singhiozzavo senza riuscire neanche a piangere, totalmente presa dal panico, mentre lo scuotevo forte tirandolo verso la porta.
-Cosa è successo?- mi accarezzò lo zigomo sanguinante con un’espressione attonita.
-Mi hanno beccata, Russell e altri due e.. per poco non mi uccidevano, se non fosse stato per Jason, lui è un mangiamorte ma mi ha…Sirius dobbiamo andare, mi verranno a cercare, portami via ti prego!-
Non avevo mai pronunciato un discorso tanto confuso in vita mia ma lui non chiese altro: mi strinse a sé, tutto vorticò, terribilmente, e serrai gli occhi finché i nostri piedi non toccarono di nuovo il pavimento.
Non mi guardai neanche intorno, non chiesi dove fossimo né quanta distanza avessimo messo tra noi e Londra. Mi limitai ad aggrapparmi a lui mentre mi accompagnava in una stanza con un grande letto sul quale mi sdraiai, silenziosa, e lui si stese al mio fianco.
Non si preoccupò di mantenere le distanze, non si preoccupò di essere indiscreto, mi circondò con le sue braccia e mi tenne stretta mentre le mie mani artigliavano le sue e le palpebre si facevano pesanti.
-Non avrei mai potuto perdonarmi se tu..non ti lascerò mai più da sola.
Mi chiedi se avesse davvero pronunciato quelle parole se fossero state frutto della mia immaginazione, nel dormiveglia, e nel giro di pochi minuti piombai in un sonno senza sogni.

Song: Tell me where it hurts - Garbage

Artwork: JeyCholties 

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Capitolo 8
*** 8. You're beautiful ***


furry love 8

Furry Love

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8. Your eyes are holding up the sky
Your eyes make me weak I don't know why
Your eyes make me scared to tell the truth
I thought my heart was bullet-proof
Now I'm just dancing on the roof

-Possibile che tu non abbia trovato di meglio?-
Eravamo in fuga ormai da quattro giorni e avevo spedito Sirius a racimolare lo stretto indispensabile, quanto a vestiario e cibo, a casa mia: tra i due era sicuramente il candidato migliore per certe spedizioni, considerate la sua capacità di rendersi invisibile, o meglio di disilludersi, come soleva correggermi severamente, e la mia, invece, incapacità di smaterializzarmi.
Sirius aveva anche fatto una serie di incantesimi affinché la casa disabitata che aveva scelto come nascondiglio continuasse a sembrare tale nonostante la nostra permanenza e speravo vivamente che funzionassero.
-Il coniglietto ti dona.- ribatté con un sorriso dispettoso indicando con un movimento del capo la mia t-shirt per poi concludere con una strizzatina d’occhio.
-Avrei preferito gli Stones.- abbassai lo sguardo sul piccolo roditore dalle orecchie lunghe che sorrideva sulle mie tette e automaticamente mi imbronciai come una bambina.
I primi due giorni della nostra permanenza in quella casa erano stati terribili, la paura aveva continuato ad aleggiare proprio sopra la mia testa come fosse la mia nuvoletta personale e il mio compagno di fuga sembrava, se possibile, più turbato del solito.
Il pensiero del pericolo che avevo corso a sua insaputa lo innervosiva parecchio e pensandoci bene non era poi così insensato come mi era parso inizialmente, in fondo ero l’unica persona che avesse al mondo.
-Sono felice di.. vederti sorridere di nuovo.- buttai lì, sperando che non approfondisse, e quando si voltò verso di me, smettendo di sparecchiare la tavola della cucina, mi ritrovai ad arrossire. Mi capitava raramente di arrossire o comunque di mostrare imbarazzo, era una debolezza che non amavo manifestare e che normalmente mascheravo dietro battute sarcastiche o risposte velenose.
-Anche tu sembri più serena, oggi.- rispose, dopo lunghi istanti di silenzio, raggiungendomi in salotto per poi accomodarsi sulla poltrona di fronte alla mia.
-Si, mi sto riprendendo.. o almeno credo. Spero solo che Jason abbia trovato una buona scusa, allo Studio, per giustificare la mia assenza.
A quel pensiero l’immagine di Jason solo ad affrontare suo padre e chissà quanti altri di quei Mangiamorte mi bloccò il respiro.
-Fossi in te non mi preoccuperei né per lui né per il lavoro. Quei bastardi se la cavano sempre e sono dei bravissimi produttori di alibi.- mi rassicurò, a modo suo, accorgendosi del mio stato d’animo e schioccando la lingua contro il palato.
-Lo spero.-
Erano le nove della sera e come spesso ci capitava in quei giorni di forzata prigionia, stavamo vicini e in silenzio; non era più sparito e mi sentivo un po’ un peso, un indesiderato impegno a tempo pieno. Gli avevo chiesto più volte di smetterla di preoccuparsi tanto ma non c’era stato verso di farlo schiodare da casa se non per qualche minuto, il tempo di materializzarsi a casa mia e tornare indietro.
-E così.. Jason rappresenta il tuo uomo ideale? Insomma.. capelli gellati, dentiera e tutto il resto?- chiese improvvisamente, con un sopracciglio sollevato e la braccia incrociate al petto. Era decisamente buffo e per poco non scoppiai a ridere.
-Non porta mica la dentiera!-
-Deve comunque aver portato l’apparecchio per l’equivalente di un’era geologica per avere quei denti.
-Riferirò che hai apprezzato il lavoro del suo dentista, Sirius.- scossi il capo, divertita, raccogliendo le gambe al petto e circondandole con le braccia.
-Non hai risposto alla mia domanda.- incalzò con tono pedante.
-No, non lo è. O per lo meno.. è l’uomo che ho sempre pensato di dover cercare, l’uomo perfetto.-
-Per te?-
-No, l’uomo perfetto e basta. Ha una carriera, è bello, brillante, profondamente rompiscatole come piace a me ma..- mi concessi qualche attimo per riflettere. Quali erano i miei “ma”? Perché Jason non era mai riuscito a conquistarmi davvero?
-Ma?-
-Ma non mi travolge.-
Mi rivolse uno sguardo confuso, senza dire una parola, gli occhi grigi ed attenti concentrati su di me. Era una strana sensazione quella che mi trasmettevano i suoi occhi incollati addosso, era come se mi leggessero dentro e quei piccoli contatti mi sembravano sempre così preziosi che sentivo l’istinto di prolungarli il più a lungo possibile.
-Io ho sempre pensato che l’amore, quello vero, non possa scindersi dalla passione. Ho sempre voluto un amore che mi travolgesse, un groviglio di cuore, occhi, mani e labbra che non mi lasciasse il tempo di pensare, di spaventarmi e richiudere i battenti. Perché è questo che faccio.-
-Mi sembra che lui le mani le abbia usate eccome e per quanto riguarda le labbra..-
-Non è questo. E’ diverso. E’ vero, lui mi attrae e mi a sentire desiderata, anche, ma aspetto ancora l’istante in cui il cervello si spengnerà, l’istante in cui smetterò di chiedermi se sono al posto giusto e con la persona giusta.- sospirai, consapevole di quanto folle fosse il mio discorso e mi stupii nel notare che invece lui sembrava aver capito, non c’era traccia di compassione, nel suo sguardo, per la mia instabilità sentimentale, piuttosto una sorta di empatia.- E tu? Com’è la tua donna ideale?-
-Penso che sia una gran stronzata, quella dell’ideale. O comunque con me non funziona.-
Risi vedendolo alzare gli occhi al cielo e guardare altrove, in difficoltà.-Sei stato tu ad iniziare, ti tocca!-
Sbuffò senza riuscire a trattenere un sorriso. -Non ho avuto relazione abbastanza durature o serie da poter capire quale sia il mio ideale di donna.-
Non potei evitare di infastidirmi pensando a come quella risposta evasiva potesse essere dovuta a chissà quante precedenti storie. Non ero la sua donna né niente di lontanamente simile ma la nostra convivenza andava avanti ormai da un po’ e una parte di me, nonostante la mettessi continuamente a tacere, non riusciva a sopportare l’idea che avesse avuto una simile intesa con chissà quale giovane strega, in passato: io non l’avevo mai avuta con nessun altro.
-E poi non ne ho avuto mai l’occasione. Finita la scuola la lotta contro Voldemort tra le fila dell’Ordine mi ha assorbito totalmente, ero troppo impegnato a sopravvivere per preoccuparmi di qualsiasi faccenda sentimentale. E poi Azkaban.. qualunque donna possa essere passata di lì di certo non rispecchiava un mio ipotetico ideale. Probabilmente quello che cerco è una persona che riempia i miei spazi vuoti.-
Le sue parole mi avevano spiazzata, il suo discorso aveva preso una piega molto diversa da quella che avevo immaginato e sicuramente meno frivola. Anche io cercavo un incastro che funzionasse e non potei fare a meno di chiedermi se, in qualche modo, saremmo riusciti a trovarlo insieme, se sarei riuscita a lenire il dolore di quegli anni che gli erano stati strappati via, prima dalla lotta contro il mago che i miei persecutori così fedelmente veneravano e poi da quella lunga ed ingiusta prigionia.
Improvvisamente imbarazzata sentii l’urgenza di allontanarmi da lì e mi alzai trovandomi però, inspiegabilmente, ancora più vicina a lui che doveva aver sentito lo stesso impellente bisogno, a giudicare dalla lieve sfumatura di panico che gli aveva attraversato gli occhi nell’istante in cui ci eravamo trovati così vicini.
-Io ehm.. scusa.- mormorai, abbassando lo sguardo senza tuttavia spostarmi di un passo.
-No, scusami tu, stavo andando in cucina a..- indugiò un istante e con una rapidissima occhiata vidi la sua fronte corrugarsi,-a prendere un bicchiere d’acqua.-
Feci per spostarmi per farlo passare ma lui era andato nella stessa direzione e ci scontrammo di nuovo mentre una risatina nervosa e innaturalmente stridula faceva capolino dalla mia gola, più che dalle mie labbra.
-Sai una cosa? Te lo prendo io un bicchiere d’acqua.- tentai di costruirmi una buona scusa per allontanarmi velocemente e sfuggire a quella strana tensione che si era venuta a creare ma proprio mentre stavo per voltargli le spalle la sua mano si mosse veloce verso di me e si adagiò, lieve, sul mio fianco.
-Stai chiudendo i battenti anche adesso, non è vero?- soffiò, serio, citando le parole che avevo usato qualche minuto prima.
Non avrei saputo spiegare per quale ragione, ma portai le mie dita ad intrecciarsi con le sue e fissai lo sguardo su di esse concentrandomi sui lievi movimenti dei polpastrelli che di tanto in tanto si sfioravano.
-Hannah.-
Voleva che alzassi lo sguardo, voleva che permettessi ai suoi occhi di affondare di nuovo nei miei ma sapevo che ci avrebbe letto troppe cose e troppo in profondità, sarebbe riuscito a scavare dentro tutta quella confusione che la sua vicinanza continuamente mi procurava e che non avrei avuto via di scampo.
Lasciò andare la mia mano e sentii la delusione invadermi finché non lo sentii sollevarmi il viso verso il suo ma io continuai a tenere lo sguardo basso e lui, evidentemente, rinunciò. Mi superò dopo avermi affibbiato un buffetto sulla guancia e un sorriso paziente e si recò in cucina.
Mi lasciai ricadere sulla poltrona e strinsi le labbra, contrariata. Mi ero lasciata sfuggire l’ennesimo momento giusto.

-Hannah! Come sta tua zia?- qualsiasi cosa volesse dire Joanne, chiaramente, mi era ignota così optai per un dignitoso silenzio nell’attesa che continuasse e mi desse qualche indizio in più per rispondere mentre la mano che stringeva il cellulare sudava tremendamente, neanche fossi tornata a dare esami all’università.
-Jason mi ha detto che sei dovuta partire immediatamente per tornare a casa dei tuoi, spero non sia nulla di grave.-
Così era quello il fantastico alibi che Jason mi aveva fornito, una vecchia zia moribonda che, per inciso, non avevo. –Oh, non preoccuparti, si rimetterà! Purtroppo però devo restare qui ancora qualche giorno, almeno finchè..-
Brava, Hannah, almeno finché cosa? La mia testa sembrava svuotata di qualsiasi capacità di inventare balle ma grazie al cielo Joanne continuò:-Non devi assolutamente preoccuparti! Ho rimandato tutti i tuoi appuntamenti e delle udienze che avresti dovuto avere si sta mano a mano occupando Jason. E’ tutto sotto controllo.-
L’apprensione nella sua voce e quella dolcezza così spontanea mi fecero sentire una vera arpia per il modo in cui l’avevo trattata qualche giorno prima e mi ricordai che non avevamo ancora avuto occasione di chiarire.
-Jo senti io.. volevo chiederti scusa per l’altro giorno. Ho esagerato, sono stata davvero sgarbata e non te lo meritavi.-
Nonostante non la vedessi sapevo perfettamente che stava sorridendo dal tono di voce con il quale mi rispose.
-Va tutto bene, Hannah, se il capo non fosse un po’ sgradevole, ogni tanto, di cosa potrei lamentami con le colleghe degli altri studi?-
Scossi la testa e sorrisi, era sempre la solita.-Non fa una piega. Ora devo andare, Jo. Grazie della telefonata, ci vediamo presto.-
Chiusi il telefono mentre entravo nella stanza da letto e vidi Sirius afferrare un cuscino e venirmi incontro per uscire dalla stanza.
-Dove vai?-
-A dormire in salotto.- rispose, ovvio, con un sorriso tranquillo stampato sul volto.-Stai meglio, oggi, non c’è bisogno che dorma con te.-
-Lo dici come se fossi una bambina capricciosa, o peggio, come se ti fosse dispiaciuto!- sbottai, guardandolo torva mentre mi superava.
-Non ho mai detto che mi sia dispiaciuto. Ma sulla prima parte non ho obiezioni, vostro onore.-
Grugnii mentre usciva dalla stanza e feci per chiudere la porta quando improvvisamente ci ripensai e con un sospirò mi ci poggiai contro, fissando la sua schiena mentre sistemava i cuscini del divano.
-Dormi qui. E’ scomodo il divano.-
-Credi sia più comodo dormire con una che scalcia tutta la notte come un cavallo?-
-Cosa?!-
-E per di più russi!-
-Io non russo! Goditi il tuo divano, mago dei miei stivali!- chiusi la porta con un tonfo e marciai fino al letto per poi stendermi imponendomi di dormire e reprimere l’istinto di tornare in salotto e soffocarlo.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi e richiudersi e poi il materasso abbassarsi.
-Vattene.-
-Santo cielo quanto brontoli.- sbottò cercando di nascondere la sfumatura divertita che colorava la sua voce.
-Scalcio, russo e brontolo! Che ci stai a fare qui, allora?- lo sfidai voltandomi e incenerendolo con lo sguardo.
-Perché sei anche maledettamente bella.-
Sgranai gli occhi, folgorata da quella affermazione appena sussurrata, mentre lui mi carezzava la guancia, lento e delicato e sentivo tutto il mio corpo tendersi verso il suo, desideroso di un contatto che una manciata di centimetri ancora impedivano.
Stavamo sdraiati su quel letto come tante volte avevamo fatto, uno di fronte all’altra, ma quella sera sembravamo i poli opposti di una calamita.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma restai in silenzio, temendo di infrangere la magia dei nostri sguardi legati.
Fu lui a protendere il viso verso il mio, senza interrompere quel contatto, e mi ritrovai a socchiudere gli occhi, aspettando di sentire le sue labbra posarsi sulle mie.
Trascorsero istanti che mi sembrarono eterni prima che la sua bocca incontrasse la mia in un bacio morbido e desiderato, pieno di affetto e di complicità.
Non approfondì quel contatto, né lo prolungò abbastanza a lungo perché fossi io a farlo, ma continuò ad accarezzarmi il viso ed io mi sentivo creta tra le sue mani.
Qualsiasi cosa fosse scattata tra di noi non ero più capace di spegnerla e neanche avevo intenzione di provarci, perciò mi avvicinai a lui intrecciando le gambe alle sue e baciandolo a mia volta, senza fiato.
Il nostro secondo bacio fu più urgente e passionale e fu lui a spingere il mio corpo contro il suo premendo la mano sulla mia schiena mentre le mie mani, un po’ tremanti per l’emozione, si chiudevano attorno al suo viso: quella situazione era tremendamente strana e non riuscivo a definirci in alcun modo. Quei baci contenevano l’emozione della novità ma aveva tutto il gusto di una complicità troppo profonda e radicata.
Posò la fronte contro la mia e ci ritrovammo entrambi a respirare a fatica, ancora sconvolti da quell’inaspettato turbinio di sensazioni.
-Credo che adesso tu possa..- fece una pausa e senza smettere di stringermi lo vidi trattenere una risata.-Si, credo proprio che tu adesso possa russare a scalciare quanto ti pare.-

Song: Your eyes - Alexz Johnson

Artwork: HilaryC

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Capitolo 9
*** 9. Don't let me be misunderstood ***


furry love 9

Furry Love

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9. Yeah I've been feeling everything
From hate to love
From love to lust
From lust to truth
I guess that's how I know you
So I hold you close to help you give it up

Quando mi svegliai, la mattina successiva, la sensazione di aver il cuore in gola non costituì di certo un buon modo per cominciare la giornata e per un solo istante, quando notai che Sirius si era già alzato, ne fui sollevata.
Il sollievo lasciò ben presto il posto alla preoccupazione che quel bacio avesse rovinato tutto. Come poteva, un mago, provare davvero qualcosa per una come me, che non aveva alcun potere se non quello di combinare guai ad ogni passo?
Mi strofinai gli occhi e prima di alzarmi per andare alla ricerca del mio coinquilino alitai contro il palmo della mano, per verificare il grado di sopportabilità del mio respiro, e storsi il naso, infastidita.
Sgambettai fino al bagno cercando di non far rumore e cominciai a strofinare i denti con lo spazzolino. Nonostante fosse ufficialmente un eccezionale baciatore, Sirius non era altrettanto sveglio e aveva preso dall’armadietto il vecchio spazzolino che avevo dimenticato di gettare quando avevo comprato quello nuovo e lo maledii mentalmente mentre le setole storte e usurate mi graffiavano selvaggiamente le gengive.
Quando alzai lo sguardo verso lo specchio, l’immagine che mi restituì fu ancor più traumatizzante dell’alito di qualche minuto prima. Ogni ciocca dei miei capelli aveva preso una direzione diversa dalle altre, sembrava quasi che in cima alla mia testa troneggiasse un  corno biondo, mentre gli occhi, struccati ormai da giorni, sembravano quelli di un tale deceduto in seguito ad una gran paura e le labbra erano tutte screpolate.
Aveva davvero baciato le mie labbra in quelle condizioni? Dov’era il mio cervello quando quegli strani eventi avevano avuto luogo? Probabilmente si era perso insieme al mio amor proprio. Innervosita per l’assenza di un qualsiasi surrogato di burrocacao a disposizione, lanciai un’occhiata inviperita al mio riflesso e mi recai di malavoglia in cucina dove trovai Sirius intento a versare del caffè mentre un cucchiaino animato di vita propria mescolava il contenuto di un’altra tazza.
-Buongiorno!- mi accolse, di buon umore, per poi rivolgermi un’occhiata quasi preoccupata.-Che è quella faccia?-
-Questa sistemazione è davvero poco funzionale, Sirius, davvero poco funzionale.-
-Ancora per la storia dello spazzolino? Sei troppo esigente, Hannah, uno vale l’altro!-
-Dillo alle mie gengive, Merlino!-
A giudicare da quello scambio di dolci paroline le cose tra di noi non erano poi così cambiate e questo, invece di rassicurarmi, mi allarmò. Mi resi conto che era proprio vero quel che gli uomini andavano continuamente farneticando riguardo il mondo femminile: mi sentivo una contraddizione ambulante e brontolona, una parte di me voleva sfuggire l’imbarazzo di un confronto mentre l’altra, quella romantica e ancora notevolmente emozionata per i baci della sera prima, aveva preso davvero male il modo in cui l’argomento era stato efficacemente glissato.
Non che gliene avessi dato occasione, a dirla tutta. Chi intavolerebbe una conversazione a sfondo sentimentale con una che aveva l’espressione di un barbagianni con le scatole rivoltate a trecentosessanta gradi?
-Hai.. dormito bene?- chiesi per poi mordermi la lingua sentendo la mia voce come fosse totalmente estranea, stridula e innaturale com’era venuta fuori.
-Si, non hai scalciato tanto. Te l’avessi detto qualche giorno prima mi sarei risparmiato un po’ di lividi.-
Se io ero un barbagianni lui era decisamente una scimmia dispettosa e con un sospiro rassegnato lasciai perdere ogni tentativo di sollevare la questione “bacio”.
-Quando pensi che potremo tornare?-
-Dovresti chiederlo al tuo avvocato preferito, Hannah. Non è lui che si sta occupando del fronte secondario?-
Se le parole fossero state acide com’erano suonate avrebbero corroso il tavolo della cucina e la già citata parte di me, quella romantica, stava già gongolando della sua gelosia.
-Pensi che dovrei chiamarlo?-
Forse stavo forzando un po’ la mano ma per quanto inopportuna potesse essere sembrata la mia domanda, non era per suscitare il suo fastidio che l’avevo posta, volevo davvero sapere cosa fare.
Erano anni che prendevo le mie decisioni da sola, non amavo chiedere aiuto né farmi influenzare in alcun modo, ma di solito non c’erano di mezzo maghi psicopatici dalla maledizione facile e Jason, nonostante tutto, era uno di loro.
Rispose con un’alzata di spalle ed io affondai il viso nella tazza che mi aveva appena passato.-Grazie.-
-Non dirgli dove ci troviamo, ovviamente.-
-Se lo sapessi io, ad esempio, sarebbe un inizio. E per chi mi hai presa, comunque?-sbottai innervosita dalla sua puntualizzazione.-Beh effettivamente pensavo proprio di invitarlo a prendere un the per le cinque e mi sarebbe sembrato scortese non estendere l’invito ai suoi compagni di giochi.-
-Ho messo del latte nel tuo caffè, se continui così diventerà acido e imbevibile.-
-Mi adeguo alla compagnia.- mi giustificai, tagliente, bevendo un sorso.-E poi tu hai bloccato la tua vita per fare da balia a me e non mi va affatto, non sono mai stata un peso per nessuno e non vorrei cominciare ad esserlo adesso.-
-Dopo ieri sera speravo fosse chiaro che non è perché mi sento in dovere, che resto.-rispose, stizzito, corrugando la fronte e stringendo le mani sul bordo del piano cottura. –Devo dedurre che il tuo fosse solo un modo per sdebitarti, altrimenti.-
Posai la tazza e mi alzai, fronteggiandolo e rivolgendogli uno sguardo incredulo.
-Dimmi che stai scherzando.-
-Tu stavi scherzando, forse?-
Boccheggiai per qualche istante, furiosa, per poi voltargli le spalle e tornare di gran carriera in camera da letto.
Guardai il cellulare e notai che la spia lampeggiava informandomi che avevo un nuovo messaggio da leggere.
Lasciami il tempo di definire i dettagli dell’accordo con la controparte, ti riferirò i termini della transazione quando tornerai allo studio. Spero che tua zia stia bene, Jason.
Era ovviamente un messaggio in codice e la controparte erano i suoi compari con grossi problemi nella gestione della rabbia. Stava negoziando la mia sicurezza e sperava che stessi bene.
Mi lasciai cadere sul letto, il telefono stretto in mano, mentre un’ondata di angoscia mi investiva in pieno.
Il bip del telefono attirò nuovamente la mia attenzione e lessi: Ps: mi manchi.
Nonostante fosse uno dei cattivi, non potevo fare a meno di pensare che il Jason che avevo sempre conosciuto non poteva essere solo una costruzione.
Era solo una parte di lui, probabilmente, solo un aspetto della sua multiforme personalità, il mago e l’uomo, il difensore della giustizia e il criminale.
Ci vediamo presto, ci sono alcune informazioni di cui ho bisogno.
Digitai quelle parole dopo aver provato numerose combinazioni che sembravano tutte troppo rischiose ed infine inviai.
-Tutto bene?- chiese Sirius facendo capolino oltre la soglia dopo aver bussato piano.
Aveva un ‘espressione un po’ colpevole e un sorriso insolitamente timido.-Credo di averne fin sopra i capelli di pizze surgelate, pensi che potremmo cucinare qualcosa di più sano?-
Sorrisi, rassegnata alla mia totale incapacità di tenergli il broncio per più di qualche ora e notando che, in quell’occasione, il nuovo record era di soli dieci minuti.
-Che hai preso da casa mia, ieri?-
Ci pensò su strizzando gli occhi e scrocchiandosi le dita delle mani.
-Vediamo.. un pacco di pasta, una confezione di uova, della pancetta e qualche verdura.- elencò enumerando sulle dita.
-Qualcosa mi inventerò, vieni.- ordinai facendo strada verso la cucina.
-Agli ordini, chef.-

Non parlammo più di quella sera, probabilmente eravamo entrambi troppo confusi e decisamente troppo irascibili per non rischiare di azzannarci alla prima parola sbagliata.
Il giorno successivo trascorse tra le telefonate quasi minatorie dei miei clienti che lamentavano la mia scomparsa e che puntualmente dirottavo a Jason.
Il figlio della signora Pattinson disse persino che sua madre aveva quasi avuto una crisi di nervi, non avendo avuto più mie notizie, e non servì nessuno dei miei tentativi di rassicurarli del buon esito assicurato della divisione giudiziale che stava loro tanto a cuore.
“Mia madre è anziana, avvocato, cerchi di capire. Vorrebbe avere la certezza di poterci assicurare la quota che le spetta, questa storia le sta togliendo il sonno”
Come se non fosse abbastanza evidente che l’unico a non dormirci la notte era proprio lui che, squattrinato e inaffidabile, era corso ad attaccarsi alla gonnella della vecchia mamma dopo essere stato scaricato dalla moglie ed aver perso al gioco anche le mutande.
Avevo chiesto a Sirius di procurarmi il mio portatile e grazie ad una connessione dati usb avevo la possibilità di collegarmi alla mia casella di posta elettronica; stavo rispondendo ad alcune email di lavoro, già in pigiama da un pezzo, quando un noto muso nero mi picchettò sulla mano, il naso umido e nero dietro cui brillavano due occhi grigi che, cane o uomo che fosse, restavano qualcosa di meraviglioso.
-Rain, mi sei mancato da morire!- lo accarezzai e poi spostai un po’ il computer mentre lui saliva sul letto.
-Mi hai lasciata in compagnia di quel balordo, tu si che sei bello e dolce.- soffiai, ruffiana, accarezzandolo dietro le orecchie e facendogli strizzare gli occhi, appagato.
Si sistemò accovacciato dietro di me così che potessi appoggiarmi a lui mentre riprendevo a picchettare con le dita sulla tastiera.
Doveva essere il suo modo di farsi perdonare per la discussione avuta il giorno prima e in qualche modo, quando terminai il mio lavoro e chiusi il portatile, mi sentii in dovere di dire qualcosa.
Mi voltai a pancia in giù e ricominciai ad affondare le mani nel pelo nero, guardandolo intenerita.
Aveva la lingua penzoloni e l’aria pacifica di un vero cagnolone di casa, tutto soddisfatto della sua posizione e delle attenzioni che riceveva.
-Non l’ho fatto per sdebitarmi, Sirius.- mormorai, non sapendo bene se volevo che mi sentisse o meno. Sollevò le orecchie e inclinò il capo emettendo un suono strano, come a chiedermi di continuare.
-E sono felice di non essere un peso per te, non lo insinuerò più.- gli strapazzai un po’ il muso e gli schioccai un bacio sul capoccione peloso.-Certo, se tu restassi sempre così sarebbe proprio il massimo..b
uonanotte.-
Lo spinsi un po’ di lato liberando il mio posto sul letto e mi sdraiai dandogli le spalle, senza smettere di sorridere neanche per un attimo.
Dopo qualche istante sentii un braccio circondarmi la vita e il suo fiato tra i capelli; la mia schiena premeva sul suo petto e aveva posato il capo sulla mia spalla.
-Stronza.-

Song: Kiss me - Ed Sheeran

Artwork: JeyCholties 

Okay, lo so, il capitolo è cortino ma con il prossimo mi farò perdonare, purtroppo non potevo dividerlo in alcun modo senza perdere l'effetto e così questo è rimasto più come una specie di ponte tra una parte e l'altra della storia. Perdonatemi. :P Alla prossima! A.

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Capitolo 10
*** 10. Fortune's fool ***


furry love 10

Furry Love

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10. Whenever I'm alone with you
You make me feel like I am home again
Whenever I'm alone with you
You make me feel like I am whole again

-Full!
Decretai calando la mano e sorridendo, vittoriosa.
Sirius sbuffò, poggiandosi mollemente contro lo schienale della sedia. –Potessi sfidarti ad una partita di Scacchi Magici ti toglieresti di certo quel fastidioso ghigno dalla faccia.-
-Che vuoi farci, mio il mondo mie le regole. Quando mi porterai in tour nella Londra magica avrai la tua rivincita!-
Si illuminò, afferrando le carte e cominciando a mescolarle.
-Ti piacerebbe?-
-Certo! Finora ho visto solo il lato oscuro della magia ma non credo che siate tutti così, voi maghi.-
-No, non lo siamo.- confermò, critico, alludendo probabilmente a Jason e alla sua natura di Mangiamorte.-Quando tutto questo sarà finito e tutti sapranno che sono innocente ti poterò con me a Diagon Alley, ti piacerà, ne sono certo!-
Erano passati due giorni da quel bacio e nessuno dei due aveva più sollevato la questione, solo di tanto lo sorprendevo intento a fissarmi con uno sguardo indecifrabile, come se volesse dire qualcosa ma finisse per tenerla per sé.
Il mio cellulare squillò e mi catapultai a rispondere.
-Hannah?-
La voce di Jason, che non sentivo ormai dalla sera del mio improvvisato spionaggio, mi sembrò tremendamente strana ma allo stesso tempo mi rassicurò, probabilmente era arrivato il momento di tornare a casa.
-Jason. Come.. procede?- chiesi, incerta, rivolgendo uno sguardo eloquente a Sirius che sentendo pronunciare il nome del mio collega si era alzato, a braccia conserte, avvicinandosi a me.
-Bene, domani puoi tornare a casa. Ma prima vorrei incontrarti, ti devo delle spiegazioni, mi pare.-
Il suo tono era insolitamente neutro e piatto e questo mi insospettì ma l’idea di poter riprendere la mia vita di tutti i giorni surclassò qualsiasi timore, facendomi sorridere.
-Perfetto! Dove?-
-Hai presente quel parco, un centinaio di metri più avanti dello Studio? Potremmo vederci lì.-
-D’accordo, va bene. Il parco andrà benissimo. Tu come..-stavo per chiedergli come stava, non avendo ancora liberato del tutto la mia mente da una serie di scene più o meno raccapriccianti delle possibili punizioni che il padre potesse aver escogitato.
-A domani.- mi interruppe, freddo, prima di chiudere la conversazione.
Aggrottai la fronte e posai il telefono sul tavolo.
-Che cosa ha detto?-
-Domani potremo tornare a casa.-
-Di che parco stavi parlando?- si informò Sirius, serissimo, posizionandosi di fronte a me che intanto mi stringevo le braccia attorno al torace, indecisa su come interpretare il tono del mio collega e su quanto conveniente fosse coinvolgere Sirius in quell’incontro.
-Vuole parlarmi, prima, e ci siamo dati appuntamento in un parco poco lontano dallo studio.-
 Si strinse nelle spalle, scuotendo piano il capo.-Ci passeremo prima di materializzarci a casa tua.-
-Sirius io non credo che sia una buona idea che tu venga con me. -
-Dovrei lasciarti incontrare da sola un uomo che potrebbe potenzialmente farti fuori a sangue freddo?-
Le sue parole avevano senso, ovviamente, ma lui non conosceva Jason. Non mi avrebbe mai attirata in una trappola mortale, neanche sotto tortura.
-Non lo farà, Sirius, lui è..-
-Non me ne frega niente se quell’imbecille è innamorato di te, è un Mangiamorte e quelli come lui odiano i babbani.
 -Lui non è così!- sbottai, contrariata, guardandolo in tralice.
-Sono cresciuto in mezzo a gente come lui, Hannah, ti posso assicurare che lo è.-
Inspirai forte, voltandogli le spalle e cercando di controllarmi. Sapevo che era semplicemente preoccupato per me e sapevo anche che non sarei riuscita a farlo desistere.
-Verrai con me ma te ne starai nascosto e interverrai solo,-sottolineai la mia condizione,-se dovesse tirar fuori bacchette, coltelli o fucili. Siamo d’accordo?-

Depositai i piatti nel lavello e mi stiracchiai un po’.
-Ahia.- le mie spalle avevano emesso un sinistro crack che non sfuggì a Sirius, a pochi passi da me.
-Non sono proprio sicuro che debbano fare tanto rumore, le tue ossa. Sei messa molto male.-
Lo precedetti in salotto e mi adagiai sul divano mentre lui armeggiava con la bacchetta per attirare tutti gli oggetti che avevamo portato con noi e indirizzarli verso un scatolone.
- Mi ci vorrebbe una delle tue magie.- risposi indossando un broncio infantile e guardandolo, supplichevole, mentre mi raggiungeva e si posizionava al mio fianco.
-Non ci sono magie contro gli acciacchi della vecchiaia, per quello esistono i massaggi e non mi sembra affatto il caso.- asserì con tono piatto.
Lo guardai, torva. -Vecchio sarai tu, mago da strapazzo. E un massaggio sarebbe comunque bene accetto. Chi è che ti da i croccantini, Fuffy?-
Alzò le sopracciglia, interdetto e si sistemò meglio sul divano.
-Spero tu stia scherzando.-
-Affatto.-
Il verso di una cicala, fuori dalla finestra, riempì gli istanti di silenzio che seguirono la mia risposta convinta e gli diedi prontamente le spalle, posizionandomi a gambe incrociate.
-Va bene.-
-Va bene?- chiesi, repentina ed incredula, voltandomi verso di lui e notando che sul suo viso era apparso un sorriso poco rassicurante che di solito riservava solo ai momenti in cui parlava delle fantasie della mia biancheria intima che spesso mi vedeva riporre nei cassetti o stesa ad asciugare, era rimasto una sorta di tormentone che continuava a ripropormi sapendo quanto mi imbarazzasse.
Disegnò un paio di cerchi con l’indice in aria ordinandomi di voltarmi e troppo sconvolta per obiettare lo feci: sentii la sua mano alla base della schiena salire facendo una leggera pressione per poi accompagnare la linea delle mie spalle e massaggiare con piccoli movimenti circolari lo spazio subito sopra le scapole.
Indossavo una canottiera abbastanza scollata e le sue mani erano quindi a diretto contatto con la mia pelle muovendosi in modo inaspettatamente rilassante. Piegai il collo da un lato godendo del suo tocco che avrei quasi definito premuroso finchè la pressione non si fece più insistente premendo un po’ di più nel punto che congiungeva il collo alle spalle e dovetti trattenere un sospiro.
Lo sentivo respirare vicino al mio orecchio e il suo fiato caldo mi accarezzava involontariamente il collo mentre quella situazione cominciava a sembrarmi sempre meno innocente.
Nessuno dei due osava parlare e mi accorsi con grande imbarazzo che il mio respiro si era fatto leggermente più pesante e rumoroso, con un dito percorse la spina dorsale per quasi tutta la lunghezza per poi ricominciare il massaggio risalendo lentamente.
In un istante indefinito sentii le sue mani spostarsi sulle braccia e accarezzarle fino a che le sue dita con giunsero ai palmi delle mie che si aprirono, automaticamente, mentre il suo petto cominciava a sfiorare le mie spalle e non potei evitare di appoggiarmi a lui; ormai non avevo più neanche la forza di controllare il mio respiro e lui se ne accorse perché con un braccio mi cinse lentamente i fianchi, all’altezza del ventre e mi attirò ancora di più a sé posando la bocca sulla pelle delicata del collo.
Il respiro mi si ruppe in gola e portai una mano dietro di me per affondarla tra i suoi capelli mentre con gesti fluidi accompagnavo il suo capo che ondeggiava. Le labbra che aveva tenuto immobili a contatto con la mia pelle bollente si strinsero in un bacio silenzioso che ripeté poco più in alto, verso il collo.
Gettai la testa indietro, sulla sua spalla, senza che la mia mano abbandonasse i suoi capelli scuri e respirai pesantemente tendendo tutto il corpo verso il suo, impaziente di voltarmi per leggere nei suoi occhi lo stesso desiderio che aveva invaso ogni fibra del mio essere.
Ruotai, in ginocchio sul divano, e gli presi il viso tra le mani notando gli occhi liquidi che mi guardavano, adoranti e famelici, prima di tuffarsi sulle mie labbra che risposero immediatamente mentre mi indirizzava in modo che mi sedessi a cavalcioni sui suoi fianchi per poi adagiare la schiena indietro senza mollare la presa sui miei fianchi e tenendomi stretta.
Quando le mani, che si erano fatte strada sotto la canottiera, la sfilarono, Sirius affondò il viso nel mio petto posando baci leggeri ma decisi e accarezzandomi contemporaneamente le gambe ancora fasciate dal pantalone della tuta.
I suoi baci sapevano di promesse silenziose, di desiderio nascosto troppo a lungo che ci stava aggredendo come un’onda, come una tempesta.
-Sirius..-
Afferrai la sua t-shirt dai lembi e la tirai su, liberandolo dal primo indumento di troppo che mi fosse capitato a tiro, per poi chinarmi a mia volta verso di lui e percorrere con le labbra le linee degli addominali e risalire fino al collo dove mi soffermai per poi mordergli piano il lobo destro, soffiando involontariamente sulla sua pelle.
Per farlo mi ero leggermente separata da lui che impetuoso mi riacciuffò ripristinando la pressione dei nostri corpi stretti in quell’abbraccio tanto sensuale.
-Non voglio più fare a meno di te, di questo.- mi sussurrò sulle labbra.-Voglio averti così ogni volta che vorremo, guardarti non mi basta più.-

Quella notte fu magnifica. Qualsiasi dubbio, qualsiasi ritrosia erano completamente sparite. Facemmo l’amore un numero indefinito di volte come a voler recuperare il tempo perso dietro a remore senza senso e quando la mattina dopo la luce cominciò a filtrare oltre la finestra io ero già sveglia, stretta a lui, sul letto a due piazze della camera da letto e con il capo dolcemente posato sul suo petto che si alzava ed abbassava ad intervalli regolari.
Sollevai lo sguardo e con gli occhi accarezzai le labbra morbide e i tratti decisi del suo volto, la barba, più corta rispetto al nostro primo incontro, segnava il contorno degli zigomi e le palpebre, fino a quel momento rilassate, cominciarono a tremolare finchè non si sollevarono e quei suoi occhi grigi che tanto amavo incontrarono i miei.
-Buongiorno.- biascicò avvicinandomi ancora di più a sé per poi posare la labbra sui miei capelli.
-Ciao.- risposi, raggiante, ben felice che si fosse finalmente svegliato.-Avresti dovuto trasformarti in un ghiro, anziché in un cane.-
La sua risata risuonò roca e le vibrazioni del suo petto scossero anche me.-Tu invece, fossi stata una strega e un animagus, saresti di certo stata un gatto, antipatico da morire.-
-Non mi ci vedo a miagolare.- mi lamentai, storcendo la bocca.
-Io si, invece.- mi contraddisse con tono malizioso prima di rotolare su di me e posare una lunga serie di baci sul collo nudo.
-Se continui così non ci alzeremo da questo letto per il resto della giornata, l’esperienza dovrebbe servirci da lezione.- mi lamentai, divertita, accarezzandogli le spalle ampie.
-Non imparo mai, o almeno così mi è sempre stato detto.-
Lo baciai con foga mentre con le mani percorreva il mio corpo che bruciava al suo passaggio e mi stesi su di lui, invertendo le posizioni e accomodandomi sul suo petto.
-Resta così per i prossimi..- finse di pensarci su,-tre anni. Ti sta bene?-
Risi e scossi il capo schioccandogli un bacio proprio al centro del petto.
-Sai una cosa?-
-Quando cominci così è probabile che sganci una bomba.-
-Non mi hai lasciato il tempo di pensare. Ho spento il cervello, non mi sono chiesta se fossi la persona giusta e se ci penso adesso non ne ho dubbi.- dissi, cercando di sembrare il meno patetica possibile, alludendo alla descrizione che avevo fatto qualche giorno prima dell’amore che aspettavo.
-Non chiuderai i battenti, quindi?- si assicurò avendo evidentemente colto il mio riferimento.
-No. E tu?-
-No. Ma dovremmo sperimentare meglio questa storia dell’incastro, insomma..-il suo tono non lasciava presagire niente di buono e sicuramente niente di innocente come confermarono le sue mani che si erano fatte ogni istante più intraprendenti.-Siamo sicuri che funziona?-

Dopo un’altra sessione di recupero del tempo perso ci alzammo e facemmo una doccia, pronti a partire per tornare a casa.
-Sei pronta?- mi chiese dalla cucina mentre finivo di pettinarmi i capelli, le scarpe ancora slacciate malamente calzate ai piedi.
-Arrivo!- saltellai attorcigliando i lacci fino a raggiungerlo e lo vidi sorridere della mia condizione disperata.
-Non prendermi in giro! E’ tutta colpa tua!- lo accusai puntandogli il dito contro.
-Mia? E quale sarebbe l’accusa, di grazia?- mi abbracciò e gli diedi mentalmente del bastardo manipolatore.
-Non ho chiuso occhio stanotte!-
-Come se ti fosse dispiaciuto.- ribattè, schioccando la lingua contro il palato.-Pronta?-
-Lo scatolone?-
-Tornerò a prenderlo quando ti saprò a casa e al sicuro. Leviamoci il pensiero del tuo appuntamento.-sottolineò l’ultima parola con una smorfia decisamente infastidita.
-Teletrasportaci, Otello.- lo esortai e la mia risata venne risucchiata insieme a noi che pochi secondi dopo ci ritrovammo qualche metro oltre il mio Studio, nascosti dietro un albero.
-Dov’è il parco?- si informò guardandosi intorno con aria nervosa.
-Trasformati in Rain e seguimi, andrà tutto bene.- feci per precederlo quando mi afferrò per un braccio e mi riattirò delicatamente a sé per poi baciarmi, intensamente.
-Stai attenta.-
Poco dopo procedevo già verso il parco con il mio cane nero a seguito e quando vidi in lontananza la macchina di Jason gli feci cenno di nascondersi dietro un cespuglio.
Mi avvicinai al mio collega che stava mollemente poggiato contro il cofano dell’auto, in attesa.
Con un sms mi aveva dato un orario che io avevo anticipato di qualche minuto.
-Sei in anticipo.-esclamai, raggiungendolo, mentre lui sollevava lo sguardo su di me.-Stai bene?-
Alzò gli occhi al cielo ed estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette.
Fumava solo quando era particolarmente nervoso e dai bruschi movimenti delle sue mani doveva esserlo parecchio.
-Starei meglio se tu non fossi finita in mezzo a questa storia, Hannah.-
-Voglio la verità. Tutta.-
-Sai già abbastanza, sicuramente molto più di quanto dovresti.- mi ammonì, severo, dopo aver tirato una lunga boccata.-E so per certo che hai un mago, dalla tua. Non saresti riuscita a sparire senza lasciar tracce altrimenti.-
Non risposi ma ressi il suo sguardo, silenziosa e seria.
-Come hai fatto a nasconderlo per così tanto tempo?- chiesi infine.
-Prudenza. Quella che manca a te.- mi accusò gettando il mozzicone di sigaretta.-Sono riuscito a convincerli che non sarai un pericolo, dimmi solo che non rovinerai tutto.-
-Non dirò nulla ma tu devi..-
-No.- si sollevò e mi venne incontro, afferrandomi saldamente con una mano.-Devi dimenticare ogni cosa.-
-Cosa? Tu non puoi! Io non..- mi puntò la bacchetta contro e non potei terminare la frase né sottrarmi alla sua presa.
-Oblivion.-
Sentii una forza estranea entrare nella mia mente e i ricordi degli ultimi mesi cominciarono a vorticare nella mia testa come risucchiati in uno scarico.
L’incontro tra Russell e Lucius Malfoy, il volto di Sirius sul foglio di Fudge, l’attacco dei Mangiamorte, il primo incontro con Sirius.
La mia lingua era come incollata al palato e non riuscivo a controllare il mio corpo mentre ogni istante di quei ricordi si ridefiniva davanti ai miei occhi per poi scomparire.
Vidi Sirius su di me, i capelli scuri e disordinati ad incorniciargli il viso e gli occhi grigi che mi fissavano, adoranti. –Ti amo, Hannah.-
Si stava chinando su di me per baciarmi, era uno stralcio di memoria di quella notte e mi ritrovai ad aggrapparmi disperatamente ad esso mentre tutto veniva attirato fuori di me, ogni odore, ogni pensiero, ogni cosa.
Improvvisamente quella sorta di ipnosi si interruppe e prima di crollare a terra, priva di sensi, vidi un cane nero mordere Jason. Poi il buio.

Song: Lovesong - The Cure

Artwork: HilaryC 

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Capitolo 11
*** 11. Stolen secrets ***


Furry love 11

Furry Love

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11. As far as my eyes can see
There are shadows approaching me
And to those I left behind, I wanted you to know
You've always shared my deepest thoughts
You follow where I go

Bip bip bip.
Quel suono, costante e fastidioso, mi echeggiava nelle orecchie ad un volume spropositato, infastidendomi.
-Hannah?-
Ci misi un po’ a riprendere il controllo sul mio corpo e pian piano sollevai le palpebre, immediatamente aggredita dalla luce del sole che mi fece strizzare gli occhi.
-Oh, grazie al cielo ti sei svegliata.- Jason stava accanto a me, seduto su una sedia visibilmente scomoda, in quella che aveva tutta l’aria di essere una camera d’ospedale.
-Che cosa..- feci per tirarmi su ma ero ancora troppo intontita.-Cosa mi è successo?
-Sei caduta e hai sbattuto la testa.- mi informò, prendendomi la mano.
-Come è successo?- chiesi, incapace di ricordare. L’unico ricordo che la mia mente mi concedeva era quello di una giornata di pioggia, stavo guidando per tornare a casa dopo una estenuante giornata di lavoro.
-Una macchina stava per investirti e per evitarla ti sei gettata per terra e hai sbattuto la testa.-
Vidi che la mia mano presentava dei graffi ancora freschi.
-Quanto sono stata incosciente?- non capivo perché Jason si trovasse lì invece che le mie amiche o i miei genitori.
-Ti ho portata qui ieri mattina, te la sei presa comoda.- tentò di scherzare passandosi una mano tra i capelli gellati.
-Che ci fai tu qui?- non potei che essere diretta e forse anche leggermente inopportuna ma Jason non era esattamente la prima persona che speravo di vedere al mio fianco dopo un trauma del genere. Mi bastava già doverlo sopportare a lavoro ogni giorno senza trovarlo al mio capezzale anche in casi estremi come quello.
-Come..- sembrò turbato, la fronte aggrottata e le labbra strette.-non ricordi? Di me e di te, intendo.-
-Cosa dovrei ricordare?- quella situazione cominciava davvero ad innervosirmi e avrei gradito la presenza di un maledetto dottore che mi spiegasse cosa stava succedendo.
-Il Dottor Anderson aveva ragione, quindi.- mormorò, accarezzandomi una mano come se fosse la cosa più normale del mondo.
-Su cosa aveva ragione?- sbottai, ormai del tutto cosciente e decisamente spazientita.
-Aveva ipotizzato che tu potessi aver perso la memoria ma aveva parlato di un vuoto breve, al massimo di qualche giorno. Non di settimane. Qual è l’ultima cosa che ricordi?-
-Io.. stavo tornando a casa, avevo appena ricevuto il signor Grayson per la sua causa di divorzio e..-
-Quello è successo due mesi fa.- mi informò, sconvolto dalla mia affermazione.-Dannazione.. peggio di quanto pensassi.-
Si massaggiò le tempie e dopo aver inspirato profondamente si sporse su di me, accarezzandomi il viso.
-Noi due stiamo insieme, Hannah, ci frequentiamo da quasi un mese. Stavi raggiungendo me al bar quando hai avuto l’incidente.-

Mi dimisero il giorno successivo, considerando probabile che la mia memoria sarebbe tornata naturalmente nel giro di qualche settimana. Non era raro, aveva detto il dottore, un simile episodio di amnesia post-trumatica e nel novanta per cento dei casi non rappresentava un handicap definitivo.
La settimana successiva Jason non mi lasciò sola neanche un attimo e a casa mia trovai numerosi segni della relazione che sosteneva avessimo avuto. Avevo un paio di sue camice appese nell’armadio, le sue iniziali cucite sui polsini ad attestarne la proprietà, il pane integrale, l’unico che il principino era disposto a mangiare, occupava metà dispensa e in bagno c’era il suo classico dopobarba perfettamente integrato in mezzo ai miei profumi.
Mi aveva raccontato che la nostra relazione era cominciata una sera, dopo una cena di lavoro. Eravamo entrambi un po’ brilli ed eravamo finiti a letto insieme rendendoci conto dell’attrazione che ci spingeva inevitabilmente l’uno verso l’altra.
Non potevo negare di averlo sempre considerato un bell’uomo e il suo racconto, per quanto strano, non mi sembrò affatto improbabile. Quando bevevo perdevo davvero ogni buon senso.
Sentii Gea e Veronica, entrambe molto preoccupate per me, e mi confermarono che ultimamente il rapporto tra il mio collega e me era decisamente cambiato.
Continuava a raccontarmi episodi su episodi sperando di aiutarmi ad indirizzare la mia memoria nella giusta direzione ma i suoi sforzi si dimostravano puntualmente vani ma i baci, dapprima sporadici e prettamente sperimentali, cominciarono a diventare pian piano sempre più frequenti finché non mi rassegnai alla sua presenza e cominciai a pensare che, forse, non era poi così male avere un fidanzato bello, ricco e intelligente.
Dopo sette giorni di quasi totale clausura lo convinsi di essere in grado di arrivare al supermarket sulle mie gambe e, soprattutto, da sola.
Mi incamminai verso la mia meta inspirando a fondo l’aria fresca dei primi giorni di Novembre.
Il mio ultimo ricordo risaliva alla fine di Agosto.
-Hannah!-
Prima che potessi chiedermi chi fosse stato a chiamarmi fui travolta da un abbraccio così inaspettato che non ebbi tempo né modo di riconoscere l’uomo che mi stringeva.
-Stai bene?- chiese uno strano uomo con i capelli lunghi e disordinati avvolgendomi il viso tra le grandi mani.-Quel deficiente non ti ha lasciata un attimo ed io..-
-Ci conosciamo?- chiesi, dubbiosa, scostandomi un po’ in modo da poterlo osservare meglio. Niente da fare, doveva essere una conoscenza recente perché la mia mente non mi suggeriva nulla.
Aprì e chiuse la bocca per un paio di volte, gli occhi sbarrati e un’espressione disperata stampata sul volto.
-Scusami io.. ho sbattuto la testa!- esclamai, agitando le mani e gesticolando in modo esagerato,-cioè, so che ti sembrerà strano ma ho perso la memoria e non ricordo nulla degli ultimi due mesi e non credo di ricordarmi di te. Potresti..?-
La mia spiegazione doveva sembrare parecchio folle a giudicare dallo sguardo che mi rivolse ma improvvisamente lo vidi avvicinarsi di nuovo a me, un po’ troppo per i miei gusti.
-Hey, che stai..?-non potei terminare la domanda che l’uomo premette le labbra sulle mie, con forza, finché con un’energia che non credevo neanche di avere lo spinsi via, portandomi una mano alla bocca.
-Sei impazzito?! Chiunque tu sia.. lasciami in pace! Non mi ricordo di te, se non ti fosse ancora chiaro, e non credo che tu possa conoscermi abbastanza da baciarmi!- lo aggredii, facendo qualche passo indietro per allontanarmi da lui.-Ho perso la memoria degli ultimi due mesi, non di un paio di anni, e ho un fidanzato che potrebbe venire e prenderti a pugni da un momento all’altro.-
Mi mossi velocemente verso il supermarket, sconvolta da quell’incontro, e quando mi voltai per accertarmi che quel pazzo non mi stesse seguendo vidi che era scomparso, completamente scomparso.

-Arrivo!-
Cercai di mantenere l’equilibrio sui tacchi per arrivare alla porta. Jason e puntualità camminavano fastidiosamente di pari passo e non ci avrei mai davvero fatto l’abitudine.
-Wow!- finse si essere stordito dalla mia apparizione e fece un passo indietro premendosi una mano sul petto. –Dovresti venire allo studio conciata così ogni giorno.-
Scossi il capo e mi sporsi per dargli un veloce bacio sulle labbra prima di voltargli le spalle e tornare verso la mia camera.
-Anche se pensandoci poi dovrei uccidere tutti i tuoi clienti. Non sarebbe affatto conveniente per le tue finanze. A che punto sei?- nonostante stesse parlando dall’ingresso e non potessi vederlo sapevo perfettamente che aveva appena sollevato la manica della giacca per controllare il suo costosissimo orologio e misurare il mio ritardo. –Pensavo dovessimo essere da Georgie alle sette.-
Erano passati tre mesi da quando avevo perso la memoria per scoprire, al mio risveglio, di avere un fidanzato e altrettanti ne erano passati dall’inizio della storia della mia amica Gea e del suo responsabile di reparto, Michael, che da poco avevano iniziato la loro convivenza.
Gea aveva insistito per avere me e Veronica a cena insieme ai rispettivi partners nonostante fossimo già state a casa sua varie volte, quella settimana, per il caffè.
-Non si mette fretta alla perfezione, Jason. Dovresti saperlo!-
-Stai alludendo alla mia, di perfezione?- gongolò posizionandosi alle mie spalle, davanti allo specchio, e circondandomi la vita con le braccia.
Eravamo effettivamente una bella coppia e in quella mise elegante sembravamo due attori del cinema.
Portava i capelli perfettamente pettinati e una leggera barbetta curata che ammorbidiva i suoi tratti altrimenti decisi ed esageratamente perfetti come i denti bianchi che scintillavano illuminando il sorriso fiero; indossava una giacca del tipo che lui definiva “sportivo” ma che in realtà era semplicemente meno seriosa del solito e una camicia bianca stirata in modo impeccabile.
Io, che nonostante i tacchi alti ero comunque parecchio più bassa di lui, avevo optato per un vestito molto allegro e colorato e i capelli, leggermente più mossi, ricadevano come onde bionde sulle spalle.
Nonostante l’immagine che lo specchio mi restituiva rasentasse, appunto, la perfezione, c’era comunque qualcosa di stonato, di incolore. Ma non riuscivo a capire cosa fosse.
-Posso?- chiesi voltandomi e facendo cenno con il capo ai suoi capelli mentre lui mi rivolgeva un’occhiata confusa.
Allungai una mano e glieli spettinai un po’ mentre lui si contorceva per sfuggire al mio attentato all’ordine.
-Vuoi smetterla, per favore?-
-Ecco.- decretai sorridendo impertinente.-Adesso si che sei perfetto.-
Gli schioccai un bacio sulla guancia e afferrai il cappotto e la borsetta.-Andiamo?-

-Heilà, quale onore avere qui la coppia dell’anno!-
L’accoglienza di Gea fu molto teatrale mentre con le braccia spalancate si faceva da parte per farci entrare.
-Dov’è il povero Michael? Non lo starai schiavizzando, vero?- chiesi dopo averla abbracciata velocemente mentre Jason si chinava per salutarla cominciando ad elogiare le qualità della nuova casa.
-E’ di là con Veronica e Tom, sta mostrando loro la sua collezione di vini invecchiati.-
Raggiungemmo gli altri in salotto e dovetti trattenere una risata vedendo Tom, il fidanzato nuovo di zecca della mia amica psicologa, chiacchierare animatamente con Michael davanti ad una serie pressocchè infinita di vini mentre Veronica sbadigliava, troppo pigra anche solo per fingersi interessata all’argomento.
-Interessante, mh?- la schernii dopo aver salutato i due uomini e aver lasciato Jason alle presentazioni.
-Fossero state birre artigianali, forse.-
-Raggiungiamo Gea in cucina? Conoscendola avrà da controllare almeno dodici pentole.- proposi avviandomi verso la cucina con Veronica al seguito.
-E quattro teglie.-
Come previsto Gea armeggiava con un numero indefinito di pietanze mettendo sale qui e pepe là come se destreggiarsi ai fornelli fosse stata la vocazione della sua vita.
-Attrice medico e anche cuoca. Michael ha fatto un colpaccio.- la presi in giro mentre mi posava tra le mani un cestino con delle fette di pane ordinandomi di portarlo in sala da pranzo.-Dimenticavo dispotica.-
-Sembra un tipo a posto!- stava dicendo Gea alla nostra amica mentre ritornavo in cucina ticchettando con i miei superaffilati tacchi dodici.
-E’ carino!- rincarai io poggiandomi al bordo del tavolo. Tom mi sembrava proprio il tipo di uomo adatto a Veronica: aveva tratti eleganti e le labbra sottili, quasi sempre incurvate in un sorriso capace di mutare ad una velocità impressionante dalla timidezza all’irriverenza, gli occhi erano chiari e il naso stranamente meno prominente rispetto agli standard della mia storica amica. –Ma non ci hai mai raccontato come vi siete conosciuti, brutta arpia riservata.-
-E’ il proprietario di una catena di negozi di articoli musicali,- spiegò sorridente –seguo sua sorella, una brava ragazza.-
-Lei ti paga in contanti e lui in natura, dunque?-
-Gea!- Veronica si finse indignata dall’osservazione poco consona della padrona di casa ma nel giro di pochi secondi stavamo tutte ridendo a crepapelle.
-Avete finito di fare le pettegole, voi tre?- chiese Michael, fingendosi severo e sporgendo la testa oltre la porta.-Uomini avere fame!-
Aiutammo Gea a portare i piatti a tavola e poi ci accomodammo accanto ai nostri rispettivi uomini e il mio, nello specifico, mi strinse la mano che tenevo posata in grembo.
Gli rivolsi un sorriso e la strinsi a mia volta, invasa da un repentino impeto di riconoscenza.
Jason non mi aveva lasciata un attimo, da quando ero uscita dal’ospedale, senza mostrarsi opprimente e dando prova di una pazienza che non pensavo potesse appartenergli e aveva riempito i miei vuoti di memoria a tal punto che quei due mesi di buio totale sembravano essersi colmati definitivamente.
Mi sentivo parecchio in colpa, alle volte, quando i dubbi cominciavano a tormentarmi e non riuscivo a mostrargli la devozione di cui lui invece mi faceva dono ogni santo giorno, quando mi ritrovavo nella più totale impossibilità di ricambiare le sue attenzioni e, purtroppo, capitava sempre più spesso.
Ogni tanto mi tornava in mente il volto dello strano uomo che avevo incontrato, mesi prima, e che mi aveva prepotentemente baciata senza darmi alcuna spiegazione plausibile. Possibile che fosse solo un pazzo che se ne andava in giro ad importunare giovani donne? E come faceva a conoscere il mio nome?
Erano domande alle quali non avrei potuto, neanche volendo, trovare una risposta perché da quel giorno non lo avevo più rivisto e avevo coscienziosamente deciso di non far parola a Jason di quanto mi era accaduto.
-Pensierosa?- mi chiese, premuroso, mentre portavo un’altra forchettata di spaghetti alla bocca.
-No, solo stanca.-

La serata trascorse pacifica e gradevole, dopo cena ci sistemammo in salotto ed io mi rifugiai tra le braccia di Jason, decisa a zittire tutti quei pensieri che, quella sera, sembravano essere tornati alla carica per qualche strana ragione.
Noi ragazze lasciammo i vini pregiati ai nostri uomini e brindammo alla nuova casa di Gea con delle semplici birre, ben consapevoli che bere, nel nostro caso, non era affatto indicato in quel contesto. Veronica  fece riferimento ad una sera di qualche mese prima in cui c’eravamo prese una sbornia epocale e nonostante non la ricordassi affatto feci finta di niente; la mia amnesia non faceva che appesantire l’atmosfera, ogni volta che in qualche modo veniva sollevata la questione, e non avevo intenzione di rovinare la serata a tutta la compagnia.
In momenti come quelli mi sentivo tremendamente estranea, fuori posto, così mi imposi di sorridere mentre tutti ridevano per chissà quale divertente battuta ed io guardavo fuori dalla finestra chiedendomi quanti ricordi avessi perso e se mai li avrei ritrovati, in qualche angolo della mia mente.
Quando Jason mi riaccompagnò a casa, quella sera, gli augurai la buonanotte con un veloce bacio, troppo stanca e con i piedi doloranti per pensare di restare a flirtare con lui sul portico per tutta la notte. Era ormai abituato ai miei sbalzi di umore, ai miei silenzi, e come sempre non chiedeva nulla, discreto e rispettoso.
-Se hai bisogno di me chiamami, sarò qui in un baleno.-
Lo diceva ogni volta che mi lasciava sola.
-Credi che se il lupo cattivo venisse a rapirmi avrei il tempo di chiamarti?- ironizzai facendogli una carezza, ferma sul portico di casa e stretta nella giacca a vento blu.
-Posso sempre restare qui.-
-No, vai a casa. E’ da una settimana che passi la notte da me, dovrai tornarci prima o poi.-
-E’ il turno dell’amante?- sbottò incrociando le braccia al petto e facendomi ridere.-Oh no, non c’è niente da ridere! Vorrei almeno saperlo, almeno faccio allargare le porte. Non sia mai che le corna non ci passino.-
-Stupido.- lo ammonii per poi sollevarmi sulle punte e baciarlo. Il mio avrebbe voluto essere un bacio lieve e veloce ma lui mi acciuffò, impetuoso, e approfondì il contatto facendomi quasi venire le vertigini, presa alla sprovvista.
Ricambiai con altrettanta foga e arpionai le mani alle sue spalle, stringendomi a lui.
-Questo era un bacio della buonanotte.- spiegò staccandosi da me con un sorriso malizioso.-quello che mi hai affibbiato tu prima sarebbe andato bene se avessimo avuto dodici anni.-
-So cosa stai cercando di fare ma non cambierò idea!- lo spinsi giocosamente giù per i gradini facendolo indietreggiare.
-Ogni vostro desiderio è un ordine, milady.- recitò improvvisando un baciamano prima di voltarmi le spalle e tornare dritto e fiero come sempre alla sua decappottabile.
Se mi avessero detto, ai tempi dell’università, che un giorno sarei stata la donna di Jason Russell l’avrei presa come un’immane offesa.
Lo osservai scomparire nella notte e feci per rientrare quando un’ombra scura attirò la mia attenzione.
-Chi c’è?-
Ero sempre sulle spine e non era la prima volta che mi sentivo osservata, negli ultimi tempi. Avevo attribuito quella sensazione al trauma dell’amnesia ma quella sera sembrava tutto molto più reale. Qualcuno mi stava decisamente guardando.
Mi mossi, tesa come una corda di violino, lungo il vialetto quando un enorme cane nero sbucò dai cespugli facendomi sussultare; una improvvisa e logorante sensazione di dejavu mi pervase come una iniezione di ghiaccio in vena e istintivamente feci qualche passo indietro mentre l'animale, veloce come un fulmine, si gettava dentro casa.
-Hey! No! Che diavolo fai, sacco di pulci?- spazientita mi tolsi le scarpe alte e corsi dentro casa decisa a cacciare l’intruso. Adoravo i cani, a dire la verità, ma quella era violazione di proprietà privata e dato che non c’era un comma di alcuna legge che punisse i criminali a quattro zampe mi sarei fatta giustizia da sola.
-Dove ti sei cacciato?-
Accesi la luce dell’ingresso e restai in ascolto, sperando di individuarlo e facendo scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
-Qui, bello!- fischiai come mi aveva insegnato il nonno quando ero bambina e proprio mentre stavo per congratularmi con me stessa per quanto bene fosse uscito quel suono, il mio cuore perse un battito.
Lo strano uomo che avevo incontrato tre mesi prima stava proprio di fronte a me, comodamente appoggiato allo stipite della porta della cucina con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indecifrabile.
-Come hai fatto ad entrare?- mentre lo dicevo mi sporsi verso la consolle per afferrare il telefono portatile ma lui fu più veloce e si posizionò fra me e l’unico strumento che mi avrebbe permesso di chiamare aiuto. Magari se avessi urlato i vicini avrebbero sentito e chiamato la polizia.
-AIUT..- fulmineo mi premette una mano sulla bocca, immobilizzandomi in una morsa inaspettatamente delicata.
-Hannah devi ascoltarmi.-
Aveva di nuovo pronunciato il mio nome. Quell’uomo mi conosceva.
Colta da una improvvisa intraprendenza gli morsi forte la mano e sgusciai fuori dalla sua presa, furibonda.
-Come sai il mio nome? Perché continui a perseguitarmi?- il mio tono era rabbioso e la voce mi tremava. Sentivo dentro di me un turbinio di sensazioni che non riuscivo a spiegare, come se una qualche parte di me, chissà a quale profondità nel mio subconscio, fosse curiosa invece che spaventata.-Mi hai spiata, sono settimane che lo fai, mh? O forse mesi!-
-Non voglio farti del male! Tu non.. non ricordi niente? Guardami.- disse sporgendosi verso di me ma fui più veloce ad indietreggiare.
Lanciai un’occhiata alla mia stanza dove tenevo una pistola e un caricatore da tirar fuori in casi come questo.
-Non ci pensare nemmeno.- sbottò, quasi divertito.-Lascia perdere quella maledetta pistola.-
Per quanto folle potesse sembrare l’unica spiegazione era che quell’uomo riuscisse a leggermi nel pensiero e la cosa mi turbò in modo considerevole rendendomi praticamente impossibile pensare in modo razionale.
-Hannah non sono un folle. Sono io, sono Sirius.- disse le ultime parole con una dolcezza disarmante e con uno sguardo tremendamente triste.
-Io non mi ricordo di te, te l’ho già detto.- berciai, rassegnata.
Sospirò passandomi le mani sul volto esasperato e sedendosi sulla spalliera del divano.
-Guarda quella macchia.- disse infine indicando un segno rossastro sulla seduta del sofà. -Ketchup, stavamo mangiando le patatine davanti ad una delle tue adorate commedie romantiche all’americana e tu me ne hai tirato una sporcando il divano. Hai piagnucolato per due giorni ogni volta che ti ci sedevi.-
Effettivamente non avevo mai capito cosa avesse causato quella macchia, l’unica cosa certa era che doveva essere accaduto durante il periodo che la mia mente aveva rimosso perché al giorno in cui risaliva il mio ultimo ricordo quel divano era assolutamente perfetto.
Quando l’avevo vista, affranta e sotto shock, avevo chiesto spiegazioni a Jason che mi aveva liquidata con una scrollata di spalle.
-Stai.. mentendo.- tentai nonostante non fossi più sicura di nulla.
-Lo sai che non è vero.-
Lo guardai a lungo e lui ricambiava il mio sguardo. C’era qualcosa di stranamente familiare in quegli occhi grigi e in quell’espressione corrucciata, come il ricordo sfocato di un sogno quando al mattino sai di aver sognato ma non sai cosa.
-Ascoltami. Ti posso spiegare.
Ascoltami. Ti posso spiegare. la sua voce riecheggiò nella mia testa mentre quella odiosa sensazione di dejavu tornava a tormentarmi.
Portai le mani alla testa che mi doleva tremendamente e mi accasciai sul divano affondando le dita tra i capelli.
-Ti prego vattene, qualsiasi cosa sia non voglio saperla.-
Mi alzai di nuovo, repentina, prendendo a camminare come un’invasata avanti e indietro per il salotto, gli occhi sbarrati e i movimenti molto meno fluidi di quanto avrei voluto.
-Ascoltami bene. E’ tutto già un casino senza che uno strambo sconosciuto e il suo cane entrino in casa mia e..hey. Dov’è finito il cane?- mi guardai intorno, alla ricerca di quella montagna di pelo ma doveva essere scappato dalla finestra o in qualche altro folle mode così continuai.-Ad ogni modo, non importa. Tu e il tuo cane dovete scomparire da qui e dalla mia vita. Non seguirmi. Non cercarmi. Non parlarmi. D’accordo?-
Mi ero avvicinata a lui sventolando l’indice con aria minacciosa e dovevo aver parlato davvero troppo velocemente a giudicare dalla sua aria confusa, a metà tra lo sconcerto e il divertimento.
-Mi sono ritrovata su un letto d’ospedale con un fidanzato che non sapevo di avere e che, parliamoci chiaro, non avrei neanche mai pensato di scegliere tra le trilioni di persone che calpestano le strade di questa maledetta città, e con due mesi di vuoto totale. Una specie di buco nero che ha inghiottito qualsiasi cosa io abbia fatto o pensato per tutto quel tempo ma che evidentemente mi ha procurato un forte esaurimento nervoso e ha peggiorato oltremisura la mia già esagerata instabilità emotiva. Ti è chiaro il concetto? Fuori di qui.- avevo blaterato quell’insensato discorso con una foga incredibile spingendolo verso la porta e stupendomi della scarsa resistenza che opponeva quando ad un tratto si fermò, a neanche un metro dalla soglia.

-Se mai cambiassi idea, se mai dovessi aver voglia di sapere la verità.. mi troverai. Non rinuncerò a te, Hannah. Mai.- mi aveva sfiorato piano il viso con le nocche della mano grande e scura mentre il grigio dei suoi stessi occhi sembrava averlo avvolto in una coltre di malinconia che fluiva verso di me che stavo immobile di fronte a lui. -Jason non è chi tu pensi che sia.-

Afferrai la sua mano e la allontanai bruscamente dal mio viso, risentita, strizzando gli occhi per la frustrazione e quando li riaprii, pronta a dirgliene quattro, lui era sparito. Nel nulla. Nel buio dell'ennesima notte piena di dubbi.

Song: Old and wise - Alan Parson Project

Artwork: JeyCholties (aka Gea) che ha realizzato anche l'immagine dell'altra storia che sto pubblicando "Time After Time" e che non finirò mai di abbastanza questi suoi piccoli doni e per l'affetto che mi dimostra <3

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Capitolo 12
*** 12. Danger ***


furry love 12

Furry Love

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12. I was alone, falling free,
Trying my best not to forget
What happened to us,
What happened to me,
What happened as I let it slip.

-Obiezione!-
Okay, forse avevo un tantino esagerato con i toni ma il mio assistito era davvero stato messo in una posizione scomoda ed io ero sull’orlo di una crisi di nervi.
-In base a che cosa, avvocato?- rispose il giudice, una donna di mezza età con evidenti frustrazioni personali impunemente riversate sulla sua condotta professionale. I giudici donna erano la categoria peggiore esistente sulla faccia della terra e se una strenua sostenitrice della causa femminista si trovava costretta a simili considerazioni, il mondo stava davvero andando a rotoli.
-Il mio assistito non ha sicuramente tenuto una condotta indecorosa come sostiene il collega, ogni sua azione è perfettamente scusabile in quanto reazione alla plateale infedeltà della signora Raley e se di abbandono del tetto coniugale si può parlare allora parleremo anche di un equo risarcimento dei danni morali dovuti dalla parte attrice nei confronti del mio cliente.-
Avevo i nervi a fior di pelle e troppe cose per la testa che mi avevano distolta dalla preparazione della difesa di Tayler O’ Brien che mi stava fissando, disperato, annuendo vigorosamente ad ogni mia parola. Non era stato affatto professionale il mio comportamento, senza contare che la storia della mia amnesia aveva fatto il giro di tutti i maggiori studi della città e la mia disattenzione non faceva che rendermi ancora più ridicola di quanto già non mi sentissi.
-Comprensibilmente, collega, credo abbia dimenticato le modalità di classificazione del danno morale e..-
-Non ho dimenticato proprio un bel niente, Jersen!- sbottai, ormai fuori controllo, sbattendo un pugno sul banco. Quell’infido e abietto omuncolo era stato mio collega all’università e con quell’atteggiamento arrogante che si era cucito addosso avrebbe potuto incantare chiunque tranne la sottoscritta, ricordavo troppo bene i suoi occhialoni da imbecille e l’indescrivibile proliferazione di brufoli sulla sua faccia da schiaffi.
-Avvocato la prego di mantenere dei toni adatti ad un’aula di tribunale, questo non è un mercato.
Abbassai il capo, sconfitta, e aspettai che il giudice deliberasse, rassegnata ad una disfatta epocale. Inaspettatamente il giudice optò per un rinvio a giudizio che mi avrebbe quantomeno fatto guadagnare del tempo per recuperare terreno.
Quando lasciammo l’aula ed ebbi congedato il mio cliente feci appena in tempo a vedere Jersen sfrecciarmi a fianco come fossi stata invisibile e affrettai il passo, raggiungendolo e strattonandolo per la giacca.
-Kane! Santo cielo, ti vedo un po’ agitata.-
-Agitata?! Jersen cerca di non sfidarmi perché non m’importa niente se te la fai con un magistrato, adesso, per me resti sempre un imbecille e a rovinarti ci impiego cinque minuti e giusto due telefonate.- berciai, dura.
-Mi stai minacciando?-
-Si che lo sto facendo, quant’è vero che mi chiamo Hannah Kane.-
-Data la tua recente amnesia potresti anche sbagliarti.-
-Lo stai rifacendo, brutto imbecille e non te lo ripeterò un’altra volta! Per tua informazione ricordo benissimo sia te che i tuoi fallimentari inviti a cena balbettati attraverso quel tuo maledetto e ridicolo apparecchio.- lo ghiacciai a voce alta facendo voltare numerosi colleghi prima di voltargli le spalle e allontanarmi.
Almeno avevo sfogato un po’ di rabbia.  

Due mani forti mi accarezzavano i fianchi e il mio collo era ripetutamente lambito da baci ora delicati ora troppo intraprendenti mentre sentivo l’eccitazione salire e invadere ogni fibra del mio corpo, sospiravo ma dalla mia bocca non usciva alcun suono.
Guardai le dita che accompagnavano lente ogni curva del mio corpo e mi resi conto che quelle mani non erano affatto di Jason.
-Sirius.-.
Mi sentii sussurrare pochi istanti dopo, il respiro rotto, la voce tremante.
Il contatto tra il mio corpo e quello dell’uomo che mi stringeva si faceva sempre più intenso, più intimo e non riuscivo a fermarmi, ad occhi chiusi accompagnavo i suoi movimenti come ipnotizzata, come a non voler perdere neanche un secondo di quel dolce tormento.
-Sirius..-
Aprii di scatto gli occhi, sicura di aver davvero pronunciato quel nome, e mi ritrovai a respirare affannosamente; portai le mani al viso e lo strofinai più volte, ancora sconvolta per l’intensità di quel sogno, chiedendomi che senso avesse sognare un pazzo con tendenze persecutorie e, peraltro, in atteggiamenti non esattamente ortodossi.
Mi misi a sedere e aspettai di regolarizzare il mio respiro mentre il mio sguardo correva alla sveglia che dal comodino mi avvertiva che erano già le otto del mattino.
Il sole filtrava timidamente dalla serranda appena socchiusa e mi imposi di alzarmi per aprire la finestra e fare entrare un po’ d’aria che riattivasse il ragionevole flusso dei miei pensieri per poi afferrare il telefono e chiamare il mio fidanzato.
Mi sentii strana nel farlo. Normalmente chiamare Jason non era esattamente il mio primo pensiero e mi sentivo un po’ come una compagna infedele con la coda di paglia quando, in realtà, era semplicemente stato un sogno e volendo avrei anche potuto raccontarglielo e riderne insieme a lui. O forse no.
-Buongiorno, tigre. Dormito bene?- mi interrogò la voce di Jason dopo neanche due squilli.
-Io?- ero sovrappensiero e tra le tante cose stupide che avrei potuto dire e tra le tante voci stupide che avrei potuto usare la scelta non era decisamente stata delle migliori.
-No, parlavo con la caffettiera.-
-Il tuo sarcasmo è veramente inopportuno, Jason Russell, lo sai che la mattina appena sveglia ci metto un po’ più del dovuto a connettere.-
-E così ti sei appena svegliata. Strano, normalmente sono io a chiamarti di prima mattina, considerato che sei il mio primo e ultimo pensiero della giornata. Devo preoccuparmi? Qual è il prossimo passo, mi chiederai di sposarti?-
-Sogna, Jason, magari ci credi.-
Brutta scelta lessicale, terribile collegamento mentale. Sogno, uomo, sesso, Sirius. Avvampai e ringraziai il cielo che Jason non potesse vedermi. Dovevo sciacquarmi il viso o forse farmi persino una doccia fredda anche se probabilmente un colpo in testa sarebbe stato il rimedio più efficace.
-Beh oggi avrai occasione di chiedere la mia mano a mio padre, bellezza. Ceniamo da lui.-
-Ti hanno mai detto che funziona al contr.. cosa? Da tuo padre? Stasera? Stai scherzando.- non potevo andare a cena dal mio capo e lui non poteva avvertirmi con così scarso anticipo.
Non ero mai stata ufficialmente presentata all’avvocato Russell senior come compagna di Jason e soprattutto mi ero sempre rifiutata di restare per pranzo o cena, in anni e anni di conoscenza, in quella enorme villa che loro chiamavano casa.
Avevano anche una domestica che cucinava e si occupava di tutto con un anacronistico completino che, a mio parere, serviva solo a risvegliare i bollenti spiriti del padre di Jason, di certo non meno donnaiolo del figlio nonostante l’età. Era un bell’uomo, Richard Russell, ma mi aveva sempre trasmesso una incredibile soggezione.
-No, non sto scherzando.- disse con voce meno allegra di quanto avrei sperato. Magari se l’era presa per il mio ennesimo rifiuto. Ero una fidanzata terribile, non solo mi permettevo di fare sogni erotici su altri uomini ma rifiutavo persino di cenare con papino. Aveva ragione il mio, di papà, quando diceva che ero troppo cattiva per una relazione sentimentale.
-Va bene.- sospira dunque, rassegnata. –Cena formale?-
-Cena con mio padre, rende formale anche ciò che non lo è.-
-Disse il signor Cravatta.- lo schernii e finalmente lo sentii ridere all’altro capo del telefono e ne fui inaspettatamente rincuorata.
-Ti passo a prendere alle sette, mia bella. Saresti stupenda anche se venissi nuda, non stare troppo a ragionare sul vestito come sempre.-
-Ti piacerebbe.-
-Non lo nego.- potevo immaginare il suo sorriso storto che accompagnava puntualmente risposte ad effetto come quella e scossi il capo.
-A stasera, playboy.-
-Nuda?-
-Ciao, Jason!.-

Vagabondai per negozi per tutta la giornata provando una quantità inenarrabile di abiti alla ricerca di qualcosa di adatto ma non pretenzioso e finendo sempre per cambiare idea dopo la quarta giravolta davanti allo specchio.
Le commesse, disperate, dopo aver rivoltato ogni stand per soddisfare le mie psicotiche e confuse richieste, cercavano puntualmente di convincermi che quel delizioso vestito azzurro si intonava perfettamente ai miei occhi facendoli risaltare ma che in fin dei conti anche quell’altro semplice tubino color ghiaccio era molto fine e adatto al mio fisico.
Mi sentivo un po’ una bizzarra Julia Roberts in Pretty Woman ma bionda, molto più sbadata e decisamente meno avvenente.
-Prenderò questo.- decretai infine rivolta alle commesse dell’ultimo negozio dopo aver provato l’ultimo vestito dell’ultimo stand dell’ultima stagione e notai con disappunto il sollievo delle donne quando una di loro si affrettò alla cassa quasi preoccupata che cambiassi nuovamente idea.
Ero abbastanza soddisfatta della mia scelta. Il vestito era semplice ma elegante e Richard Russell non avrebbe avuto nulla a che dire e magari avrebbe smesso di trattarmi al pari di una qualsiasi praticante come non ero più da tempo.

-Tanto sforzo per un vestito che ti toglierò tra poche ore, voi donne siete davvero incomprensibili.- decretò Jason cingendomi la vita con le braccia e strofinando il naso contro il mio.
-Pensi di farlo proprio sotto il naso di papà?- lo presi in giro mordendogli giocosamente il labbro inferiore.
-Ci sono stanze di quella casa ancora da collaudare, non credi? Tra una portata e l’altra potremmo..-
-Riordina gli ormoni, non ho intenzione di dare nell’occhio né di sembrare una delle imbarazzanti galline che sei solito portare a casa.-
-Pensi davvero che abbia portato tutte le donne con cui sono stato a cena con mio padre?-
-Mi stupisce che un bravo avvocato come te badi così poco alle parole, prova a riferirti di nuovo a tutte le tue fiamme e dovrai chiamarne urgentemente una per rimpiazzarmi.- lo minacciai puntandogli contro un dito con aria inviperita.
Lui rise e mi baciò con trasporto affondando le mani tra i miei capelli. –Non c’è ragione perché tu sia gelosa. Nessuna donna ha mai contato tanto, per me, quanto te adesso.-
Incapace di ribattere mi limitai a sorridere, intenerita, e ad accarezzargli il volto.
-Andiamo?- sussurrai dopo qualche istante di indecisione su quale fosse il modo meno inopportuno per infrangere l’armonia di quel momento e metterci in marcia verso casa Russell sulla Russell-mobile.
-Tu e il romanticismo viaggiate su due binari paralleli, Hannah. Non credo mi ci abituerò mai.- sospirò prendendomi per mano e avviandosi verso l’uscita.

-Suo padre vi raggiungerà tra qualche istante.- disse Charlotte, la governante, rivolta a Jason mentre entravamo in casa. Doveva aver fatto qualcosa ai capelli perché l’ultima volta che l’avevo vista era decisamente più bionda.
-Buonasera, Charl..-
Jason mi diede una leggera gomitata bloccandomi mentre la ragazza mi rivolgeva un’occhiata confusa.-Lei si chiama Cassie.-
-Che fine ha fatto Charlotte?- chiesi sottovoce mentre la superavamo per raggiungere il salotto e lui mi rispose con una scrollata di spalle.
-Avvocato Kane, che piacere!- mi salutò, cerimonioso, Richard Russell raggiungendoci, stretto nel suo completo gessato.
-Il piacere è mio, avvocato Russell. Allo studio si sente moltissimo la sua mancanza.- mentre lo dicevo mi maledii per la mia incapacità di trovare una osservazione migliore e possibilmente più intelligente.
-Posso chiamarti Hannah, adesso, mh?- chiese indicando con il capo la mano di Jason ancora intrecciata alla mia e fui quasi certa di notare un lampo di fastidio attraversare i suoi occhi magnetici.
-Certamente, signore.-
-Tu chiamami pure Richard.- concluse sbrigativo procedendo verso il tavolo della sala da pranzo e prendendo posto.
Avrei davvero dovuto chiamare il mio capo per nome? Richard potresti per favore passarmi la saliera? No. Niente da fare, avvocato Russell sarebbe bastato. Per sempre.
-Cassie, puoi cominciare a servire l'antipasto.- decretò, imperioso, quando ci fummo accomodati al grande tavolo mentre con gli occhi scorrevo le numerose posate che circondavano il servizio di pregiata porcellana e i bicchieri di vetro così sottile che, ne ero certa, ne avrei distrutto uno prima della fine della serata. Nella migliore delle ipotesi.
-Allora, Hannah, quale novità mi porti? Come procede con la Hughster Financing? Uno degli azionisti coinvolti è un mio caro amico e non fa altro che elogiare il tuo operato.-
-Ne sono lusingata, avvocato. In pratiche come questa impiego il quadruplo dell’attenzione e della diligenza perché sono in ballo somme a dir poco esorbitanti e non rischierei mai di causarne la perdita.-
-Devi sempre fare molto attenzione.-
A quelle parole sentii qualcosa nel mio cervello scattare e non mi accorsi neanche che Cassie aveva servito le tartine alle verdure; il tono di Richard Russell aveva un qualcosa di minaccioso, nonostante il sorriso di circostanza che increspava le labbra sottili ed ebbi l’impressione che non fosse la prima volta che mi trovavo in una situazione simile.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola con lei, avvocato Kane, è una donna intelligente e brillante e questi sono tempi difficili.
Sentii la voce di Richard Russell nella mia testa come una sorta di interferenza e per un attimo strizzai gli occhi, sorpresa da una improvvisa fitta alla testa.
-Tutto bene?- chiese Jason, premuroso, stringendomi la mano posata sul bordo del tavolo e mi accorsi di aver accartocciato tra le dita il pregiato tovagliolo di stoffa color panna.
Alzai nuovamente lo sguardo sul padre del mio fidanzato e vidi che mi stava ancora fissando come se stesse cercando di guardarmi attraverso e portai istintivamente una mano alla fronte che pulsava furiosamente come se il cuore stesse pompando sangue ad una pressione eccessiva.
-Si, non.. non preoccuparti.-
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?-
Era ancora la voce di Russell? O era la mia immaginazione che mi stava giocando brutti scherzi? Mi sembrava di aver la testa invasa da pensieri estranei e dolorosi.
-Scusatemi, devo andare un attimo..- ero troppo agitata e confusa per scegliere quale vocabolo tra bagno e toilette fosse il più appropriato ma Jason capì e annuì.
-Ti accompagno?-
-No, Jason, sono sicura di potermela cavare.- ironizzai sperando di tranquillizzarlo prima di uscire da quella stanza e tirare un profondo respiro.
In bagno mi sciacquai ripetutamente il viso con acqua fredda, incurante del trucco che sarebbe venuto via e poi mi concessi qualche secondo arpionando il bordo del lavandino con le dita e fissando la mia immagine riflessa.
Il mal di testa sembrava essersi attutito e quando fui sicura di poter tornare ad affrontare una conversazione in modo civile tornai verso la sala da pranzo.
-Com’è possibile?- sentii Jason ringhiare tra i denti e mi nascosi dietro la porta, istintivamente.
-Non ne ho idea, Jason, ma quella stupida ficcanaso sta cominciando a ricordare. Sono solo piccoli flash ma nessuno ci assicura che non riacquisterà del tutto la memoria.-
-Papà, è impossibile! Ogni ricordo dovrebbe essere stato totalmente cancellato.-
-Hai detto di essere stato interrotto da quel dannato cane, probabilmente non ha funzionato come avrebbe dovuto. Sai che non c’è altra soluzione, adesso, non possiamo più rischiare.-
La voce di Richard Russell era ferma e glaciale contrariamente a quella disperata di Jason che sentivo distintamente muoversi avanti e indietro per la stanza.
-No!-
-Jason, smettila. Non ti permetterò di mettere a rischio la nostra copertura per una maledettissima cotta. Per una babbana, poi.-
-Io sono innamorato di lei, chiaro? E non ti permetterò di..-
-Non me lo permetterai?- scandì, lento e crudele, Russell.-Non costringermi a usare su di te lo stesso rimedio che avevi trovato per lei. A differenza tua io non fallirei.-
Quelle parole non avevano senso. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione e per la prima volta negli ultimi mesi ebbi paura. Non frustrazione, non esasperazione, paura.
Indietreggiai, attenta a non far rumore e dopo aver dato una veloce occhiata intorno uscì da casa Russell cominciando a correre nella notte fredda.
Ero arrivata lì con la macchina di Jason e ovviamente non avevo le chiavi, così corsi più veloce che potevo per allontanarmi da quello che mi sembrava ogni istante di più un castello di menzogne e omissioni. Non avevo perso la memoria, mi era stata portata via in un modo che non ero ancora capace di spiegare.
Russell mi aveva davvero minacciata e se quei frammenti di memoria erano veri era anche arrivato vicinissimo all’eliminarmi.
Ma perché? Non riuscivo a spiegarmi cosa potessi aver fatto né che tipo di copertura avrei potuto far saltare. Cosa c’era dietro? E che diavolo di insulto era babbana?
Con il fiato corto e il petto in fiamme mi fermai, cercando di respirare a fondo con tutta l’intenzione di riprendere la mia corsa quando sentii un fruscio e mi voltai, immediatamente.
Mi sentivo osservata e per la prima volta il pensiero che qualcuno stesse vegliando su di me mi rincuorò. Non poteva essere Jason, né suo padre ma entrambi avrebbero potuto raggiungermi in macchina nel giro di pochi minuti e non avrei avuto scampo.
C’era solo una persona che poteva avermi seguita fin lì.
-Sirius! -
Nessuna risposta né rumore giunse alle mie orecchie e temetti di aver immaginato tutto.
-Sirius, dannazione, lo so che ci sei! Voglio sapere la verità credo di essere.. in pericolo.- terminai quella frase con voce fievole, rivolta alla notte scura. Nessuno mi stava osservando né ascoltando. Ero sola sul ciglio della strada mentre le macchine mi sfrecciavano a fianco.
-Aggrappati a me e chiudi gli occhi.-
Era la sua voce.
Non ero il tipo di persona che accettava alcun ordine ma sentii di dovermi fidare e feci come mi aveva detto.
Mi voltai mi lasciai avvolgere dalle sue braccia mentre chiudevo gli occhi e il profumo della sua pelle mi invadeva le narici. Tutto sembrò vorticare come se fossimo stati inghiottiti da un tornado e poi sentii di nuovo l’aria intorno a me fermarsi e la presa dei miei piedi al suolo farsi più salda così come quella delle mie mani sulle sue spalle.
-Dobbiamo parlare.-
 

Song: Meds - Placebo

Artwork: HilaryC 

PS: ci tenevo a specificare che la prima parte del capitolo potrebbe essere, o meglio sicuramente è, molto approssimativa. Il fatto che io studi Giurisprudenza non mi ha comunque ancora dato le conoscenze necessarie per descrivere un'udienza vera e propria, sono ancora solo al secondo anno e le procedure sono ancora lontane. Se qualcuno di voi studia Giurisprudenza e ha notato stranezze in quel passaggio sappia che è per questo motivo! Un bacio, A.

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Capitolo 13
*** 13. About us ***


furry love 13

Furry Love

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13. I'm sorry I'm not gonna give up
And I know you much better where you are now
Read my lips my love will last
I'd like to swing
This world inside your head

-E’.. tutto vero?-
Non riuscivo a credere alla storia che mi aveva raccontato, mi sembrava di essere in una sorta di universo parallelo e totalmente folle ma il nostro repentino teletrasporto da quella maledetta strada a questo piccolo cottage in montagna non sarebbe stato altrimenti spiegabile al pari della insolita bestiolina con le sembianze di un pollo e la portata di un cavallo di razza che ci fissava poco distante, con stizza.
-Si, Hannah. Ogni cosa.-
-Ricapitoliamo un secondo per sicurezza, è quello che un buon avvocato fa sempre. Lo sai che sono un avvocato, vero?- blaterai, gesticolando ed alzandomi in piedi per percorrere nervosamente l’intero perimetro della stanza.-Tu sei un mago, di quelli che agitano la bacchetta e fanno volare gli oggetti, come mi hai mostrato, in modo totalmente innocente e inoffensivo mentre il mio capo e il mio fidanzato sono degli stregoni malvagi e psicotici che vogliono farmi la pelle. Fin qui è esatto?-
-Più o meno.- mi concesse con un’espressione scettica e lievemente spiazzata, immobile su una poltrona rivestita di rosso.
-Bene. Tu sei scappato da una prigione delle vostre e sei stato per mesi a casa mia nell’attesa di poter andare a vendicarti di colui che ha condannato a morte certa i tuoi migliori amici consegnandoli nelle mani della guida dei miei aguzzini, dico bene?-
Lui annuì per poi affondare la testa tra le mani e tirarsi lievemente i capelli con aria esasperata.
-E l’hai fatto?-
-No, quell’abominevole traditore è riuscito a scappare e sono ancora un ricercato.- sbottò, esausto e nervoso alzandosi in piedi e raggiungendomi.-Vuoi stare un po’ ferma?!-
-Ferma?! Ferma equivale a calma e calma significherebbe che non dovrei ritenerti un pazzo furioso. Perché quella sottospecie di..-
-Non ti conviene! Gli ippogrifi sono molto orgogliosi, non ho intenzione di passare il resto della notte a ricomporti.-
Rabbrividii al solo pensiero e cercai di addolcire lo sguardo che rivolgevo all’animale ma ottenni solo di risultare più terrorizzata.
Sirius, nel frattempo, mi aveva raggiunta e mi aveva bloccato le mani, deciso.
-Adesso sei al sicuro, ci sono incantesimi di protezione tutto intorno alla zona e Remus ci porterà ogni giorno tutto ciò di cui avremo bisogno fin quando resteremo qui.-
Non osai chiedere chi fosse Remus né fino a quanto avrei dovuto restare rinchiusa in quella casa con lui ma sospirai forte, rassegnata.
-Vieni, ti mostro la stanza dove dormirai.- mi prese per mano e mi condusse su per le scale per poi aprire una porta e lasciarmi vedere una stanza abbastanza grande ed illuminata con un grande letto matrimoniale posizionato al centro.
-Grazie, Sirius.-
-Mi mancava sentirti pronunciare il mio nome.- sorrise, intenerito, poggiandosi mollemente contro lo stipite della porta mentre io entravo nella mia stanza e a quelle parole mi voltai.
-Ti ho chiamato prima, per strada.-
-Non hai pronunciato il mio nome, in quel caso, l’hai più che altro strillato.- puntualizzò, scuotendo il capo per poi dedicarmi un sorriso allusivo.-Non che fosse la prima volta.-
Qualcosa nel tono con cui aveva pronunciato quelle parole o forse nella sua espressione maliziosa mi fece arrossire e mi voltai a guardare fuori dalla grande finestra.
-Io e te..- cominciai incerta, cogliendo l’occasione che mi aveva fornito con quell’allusione, per chiarirmi le idee.
-Si, tu ed io.- disse soltanto, senza muoversi, più serio di quanto sperassi.
-Stavamo.. insieme, quindi.-
-No, ma sicuramente non stavi neanche con quell’imbecille in cravatta.- sbottò incrociando le braccia al petto, fiero, mentre una ciocca di capelli scuri gli piombava davanti agli occhi.
-Mi chiedevo come mai. Voglio dire.. ha cancellato la mia memoria, come faccio a ricordare quei flash?-
-L’ho azzannato mentre compiva l’incantesimo e non è andato del tutto a buon fine, per fortuna.-
Avevo dimenticato il dettaglio del cane e mi premetti una mano sulla fronte, non granchè consapevole di cosa aspettarmi.
-Ti lascio riposare, è stata una notte difficile. A domani, Hannah.- fece un cenno con la mano e con sguardo triste uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Mi abbondai sul letto e cominciai a fissare il soffitto dapprima concentrandomi sulle crepe di umidità che ne intaccavano qua e là il candore poi dissociandomi totalmente dalla realtà e cominciando a vagare con la mente tra gli avvenimenti degli ultimi giorni e immaginando tutto ciò che potevo aver dimenticato; ogni ipotesi sembrava più spaventosa della precedente ma non avevo ragione di credere che ciò che Sirius mi aveva raccontato fosse falso.
C’erano troppe cose che non tornavano, troppe lacune che Jason non era riuscito a colmare e tutto questo perché lui, in realtà, non c’era.
Mi aveva ingannata, mi aveva privata dei miei ricordi violando la mia mente e riusciva evidentemente a convivere benissimo con questa consapevolezza mentre suo padre meditava di farmi fuori.
Riconoscevo Jason più in quella versione calcolatrice e tendenzialmente criminale che nella versione amorevole con cui avevo avuto a che fare negli ultimi mesi ma non potevo evitare di sentire un grande senso di delusione invadere le mie ossa come un liquido freddo e inarrestabile. Mi stavo davvero innamorando di Jason e quella consapevolezza mi schiacciò con tutto il suo peso, stavo per innamorarmi di un bugiardo, di un impostore. Ero sempre stata una persona diffidente all’inverosimile, accorta e guardinga ai limiti del tollerabile e avevo finito per farmi ingannare da un uomo come avevo giurato a me stessa di non permettere mai.
Qualsiasi cosa mi fosse successa, prima di perdere la memoria, doveva aver abbassato le mie difese, doveva aver scoperto il mio cuore senza lasciarmi la possibilità di ricostruire una barricata che lo proteggesse e Jason ne aveva, più o meno consapevolmente, approfittato.
Qualcosa mi diceva che Sirius fosse per me più di quanto affermava, qualcosa nel suo sguardo triste, forse, o nel suo modo di sfiorarmi tanto delicato ed esperto, nella sintonia che immediata si era manifestata tra di noi. Non stavamo insieme, aveva detto, ma qualcosa c’era stata e dubitavo che fosse stato semplice sesso.
Volevo ricordare, ne avevo bisogno. Eppure i flash erano scomparsi e il buio si era raddensato nella parte del mio cervello che era stata brutalmente violata.
Scivolai nell’incoscienza continuando a pormi domande alle quali non trovavo alcuna risposta mentre il volto di Jason si mescolava a quello di Sirius per poi sbiadire lasciando il posto ad un sonno senza sogni.

Quando la mattina successiva mi trascinai in cucina indossando gli stessi vestiti del giorno prima e con i capelli scompigliati per poco non mi prese un colpo trovando un uomo intento a sistemare dei pacchi nella dispensa.
-Ciao!- esclamò, sorridente, voltandosi verso di me che evidentemente non avevo un passo tanto leggero come avevo sempre creduto.
-Ciao.. tu devi essere Remus, giusto?- mi informai, incerta.
L’uomo chiuse a forza lo stipetto i cui cardini dovevano essere un po’ arrugginiti e poi si voltò verso di me, avvicinandosi un po’.
Aveva un’aria un po’ trascurata, i vestiti che indossava non erano esattamente all’ultima moda e i capelli erano parecchio disordinati tanto che i miei sembrarono, in quel frangente, il risultato di una lunga seduta dal parrucchiere, a confronto; il viso era molto pallido e magro come fosse stato reduce da una lunga degenza.
-Esatto. Remus Lupin.- si presentò tendendomi la mano che io strinsi. -Hannah, sbaglio?-
-Non sbagli. Hannah Kane. Anche se, a dirti la verità, non sono più sicura di niente ormai.- abbassai lo sguardo prendendo a torturarmi le mani e abbandonandomi su una sedia vuota.
-Sirius mi ha raccontato tutto. Sei al sicuro qui e ci sono buone probabilità che tu possa recuperare parte dei ricordi che hai perso se davvero l’incantesimo è stato sabotato in tempo.- spiegò, rassicurante, mentre si sfilava il giaccone e lo poggiava su una sedia. Doveva essere un mago anche lui, su questo non c’erano dubbi, e se era lì, quella mattina, doveva essere anche una persona della quale Sirius si fidava ciecamente.
-Lunastorta, come mai così mattiniero?- borbottò il soggetto in questione entrando in cucina a torso nudo stropicciandosi gli occhi.
-Sai da quando ho perso il lavoro non ho granché da fare.- ribattè quello, amaro, sospirando.
-Com’è successo?- chiesi, cercando di fare conversazione e di non guardare Sirius che si aggirava mezzo nudo per la cucina inducendomi a pensare che qualsiasi cosa ci fosse stata tra di noi sarebbe stato di certo utile un ripasso.
Mi diedi mentalmente della stupida e concentrai la mia attenzione su Remus Lupin che aveva preso posto al tavolo proprio di fronte a me.
-Non sono sicuro che tu voglia saperlo, hai già ascoltato abbastanza stranezze negli ultimi tempi.-
-Una in più una in meno.. che differenza vuoi che faccia? Al massimo quando tutta questa storia sarà finita sarò costretta a trascorrere un fine settimana con il mio analista.-
-Con la fortuna che hai, in fatto di uomini, è probabile che si tratti di un vampiro.- mi schernì Sirius accomodandosi accanto a me dopo avermi passato una tazza di caffè macchiato e prendendo a sgranocchiare dei cereali.
-Molto divertente, apprendista stregone.- risposi lanciandogli un’occhiataccia e pentendomene subito dopo. Cosa c’era di così difficile o scomodo nell’indossare una maledetta t-shirt? E soprattutto come faceva a sapere come preferivo il caffè? Lo aveva anche zuccherato al punto giusto.
-Dicevi?- domandai tornando a fissare il nuovo arrivato per sfuggire al vortice di interrogativi che mi stava risucchiando per l’ennesima volta.
-Sono un lupo mannaro e la cosa è recentemente venuta a galla insieme al sospetto che io abbia dato libero accesso a Sirius Black, pericoloso latitante, ad Hogwarts. C’è poco da sorprendersi che i genitori dei ragazzi non mi ritengano un insegnate affidabile.- spiegò tristemente passandosi le mani sul volto smunto.
-Sciocchezze. Sono tutti degli idioti e quel bastardo di Piton non ha di certo messo una buona parola.-
-E’ stato schiantato da una studentessa in circostante a dir poco confuse, tu avresti per caso messo una buona parola a mio favore?-
-Certo.- borbottò l’altro mentre io li fissavo, confusa, con la fronte aggrottata a tal punto che cominciò a dolermi. Follia, non c’era altro termine per descrivere tutto ciò che stava succedendo o era successo intorno a me.
-Lo perderò anche io, il lavoro, senza essere un licantropo nè avere un cappello a punta. Non posso neanche chiamare Jason, sarebbe troppo pericoloso.-
"Non dirgli dove ci troviamo, ovviamente."
-Un momento. Siamo già scappati da lui, per caso?-
Sirius lasciò la presa sulla busta dei cereali e puntò gli occhi grigi su di me, illuminandosi e rivolgendomi uno sguardo pieno di speranza.
-Si! Stai ricordando qualcosa?-
-Solo una tua frase, mi consigliavi di non svelare il nostro nascondiglio.- spiegai.-Geniale, effettivamente, se davvero eravamo in fuga il tuo deve essere stato un consiglio decisivo.-
-Hai perso la memoria ma non il tuo proverbiale sarcasmo, ed io che speravo che saresti stata meno corrosiva.-
-Vi lascio ai vostri battibecchi e vado via, ci sono alcune faccende di cui mi devo occupare.- ci interruppe Remus afferrando il giaccone. –Harry continua a scrivermi chiedendomi di te, credo abbia escogitato una specie di linguaggio in codice. Cosa devo fare?-
-Gli scriverò io, non ti preoccupare.- rispose facendosi di nuovo serio e malinconico.
-Vedrai che si sistemerà tutto, Felpato.- Remus gli posò una mano sulla spalla.-Adesso sa che sei innocente, sa la verità. –
-A cosa serve la verità se non posso tenerlo con me? Avevo dato la mia parola a James che mi sarei preso cura del ragazzo e non posso mantenere la promessa. Che razza di padrino sono?-
-Un giovane padrino latitante che al momento deve occuparsi di un avvocato in fuga.- scherzò l’amico dandogli una pacca sulla schiena e muovendo piano il capo verso la mia direzione.
Prima che potessi lamentarmi di quella affermazione ci salutò e scomparve nel nulla come dovevamo aver fatto io e Sirius la notte precedente.
-Si è..-
-Smaterializzato.-
-Mh.-
Giocherellai un po’ con la tazza facendo ondeggiare il caffè rimasto sul fondo mentre il silenzio ci avvolgeva e l’aria frizzantina di Marzo faceva capolino dalla finestra socchiusa facendomi rabbrividire.
-Sirius?-
Alzò lo sguardo su di me rivolgendomi un’occhiata interrogativa.
-Ti spiacerebbe indossare una maglietta?-

Feci una doccia e considerando troppo rischiosa una visitina a casa mia in quelle circostanze Sirius mi prestò una sua camicia e un pantalone che dovetti stringere all’inverosimile per evitare di rimanere in mutande davanti a lui che continuava a fissarmi divertito e malizioso mentre mi rigiravo davanti allo specchio sentendomi una specie di travestito. Avevo spento il cellulare in modo da far durare la batteria in caso di emergenza per almeno qualche altra ora e capii che avrei dovuto farmi bastare quel che avevamo a disposizione finchè Remus non avesse provveduto.
-Sei.. affascinante.- mi prese in giro trattenendo una risata.
-Sono un figo da paura, stai scherzando?- risposi imitando una voce bassa e roca da maschiaccio e affibbiandogli un pugno sulla spalla.
Mi rivolse un’occhiata piena di sconcerto e poi cominciò a gesticolare scuotendo il capo. –Piantala, per cortesia, rischi di inquinare il ricordo molto più femminile che ho di te.-
-Quanto femminile?- chiesi cercando di non arrossire ma tornando alla mia voce. Volevo sapere esattamente qual’era il nostro rapporto, volevo che mi raccontasse di quei mesi e che almeno lui fosse sincero anche se, inevitabilmente, fidarmi sarebbe stato molto difficile dopo essere stata ingannata per tanto tempo dall’uomo che avrebbe dovuto essere il mio fidanzato.
-Abbastanza, direi.- mormorò avvicinandosi e scostandomi affettuosamente una ciocca di capelli sfuggita alla coda disordinata che avevo fatto. –Come avrai notato i flash si presentano nel momento in cui si ricreano situazioni simili a quelle vissute e forse potremmo.. riprovare a farti ricordare. Che ne pensi?-
Era molto vicino e la sua proposta non lasciava alcun margine di dubbio riguardo il tentativo che aveva in mente e al quale, personalmente, non ero esattamente sicura di volermi opporre.
C’era qualcosa che mi spingeva verso di lui, qualcosa probabilmente legata al passato, a ciò che avevamo condiviso e che io avevo dimenticato.
-Tentar non nuoce.- borbottai distogliendo lo sguardo da lui con la salivazione ridotta a zero per la tensione.
Mi sollevò piano il viso portandolo verso il suo ed incrociai i suoi occhi che non mi erano mai sembrati più luminosi ed intensi, mai da quel che potevo ricordare, almeno.
Ricambiai lo sguardo, incerta e nervosa. Non era più un bacio rubato come quello del nostro primo incontro, in quel momento eravamo entrambi vicini, entrambi decisi a ritrovare qualcosa di perduto mentre un’inspiegabile sensazione di paura mi invadeva.
Quel bacio avrebbe potuto concedermi qualche frammento di verità ma avrebbe distrutto altri tasselli di una realtà costruita e falsa alla quale mi ero aggrappata troppo a lungo. Sentivo tutto intorno a me frantumarsi, pezzi di memoria e di emozioni infrangersi al suolo e disintegrarsi.
Chiusi li occhi, immobile, aspettando di sentire le sue labbra sulle mie senza riuscire a capire davvero se fosse ciò che volevo e pochi istanti dopo lo sentii poggiare piano la fronte contro la mia e accarezzarmi il volto.
Riaprii gli occhi e capii che non aveva alcuna intenzione di baciarmi. Mi guardava paziente, così vicino che il suo respiro si mescolava al mio e i suoi capelli mi solleticavano le guancie e il collo.
-Perché non..?-
-Non ho intenzione di baciarti di nuovo contro la tua volontà. E non dirmi che è quello che vuoi perché conosco ogni reazione del tuo corpo abbastanza bene da sapere che non è vero. Hai paura.- sussurrò quasi rassegnato inclinando un po’ il capo per potermi guardare meglio.
-Non è di te che ho paura.-
-Lo so.-
Mi sfiorò con le labbra un punto indefinito tra la bocca e la guancia e poi tutto il calore che mi aveva avvolta svanì mentre si allontanava da me.
-Spero solo che tu non abbia dimenticato come si cucina, avvocato, perché non sono mai stato un grande cuoco.-

Song: Drowned in destiny - Sandra Nasic

Artwork: JeyCholties 

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Capitolo 14
*** 14. Back ***


furry love 14

Furry Love

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14. Every new beginning
comes from some other beginning's end and
I know who I want to take me home

Mi tirai a sedere sul letto scostando malamente le lenzuola profumate e artigliandomi i capelli con le dita ancora intorpidite dal sonno; dagli spiragli delle persiane facevano capolino dei timidi fasci di luce argentata che ovviamente non illuminavano più di qualche metro oltre il davanzale fino al quale mi trascinai indossando velocemente una delle magliette ampie e comode che Sirius mi aveva prestato e che avevano un odore tremendamente familiare e rassicurante.
Percorsi con lo sguardo il panorama fuori dalla finestra, la strada di campagna era deserta e le poche case che potevo scorgere erano buie e silenziose in quella notte così insolitamente calma che anche il vento sembrava aver rinunciato a turbare.
La luce esterna mi permise di scorgere l’ora sul quadrante dell’orologio che Jason mi aveva regalato qualche settimana prima, elegante ma privo dei fronzoli che, il mio fidanzato lo sapeva bene, odiavo a morte.
Erano quasi le quattro del mattino dell’ultimo giorno della mia prima settimana da latitante. La prima che ricordassi, quantomeno.

"Non tornare a casa fin quando non te lo dico io."

Grazie, Jason, per il tuo premuroso consiglio, e dire che pensavo proprio di tornare a casa tra le braccia dei miei aguzzini. Non riuscivo proprio a fidarmi di lui né dei suoi ovvi sms ma sapevo bene che non potevo fare altrimenti e una parte di me sentiva persino la sua mancanza.
Uscii dalla stanza e mi mossi silenziosamente attraverso il corridoio soffermandomi davanti alla porta del mio coinquilino.
Sirius era una persona davvero strana, un mago davvero strano, ad essere precisi, ma quella convivenza nonostante tutto non mi pesava affatto, risultava sempre così familiare che non faticavo più a credere che, tra di noi, ci fossero dei precedenti.
Scorsi la sua sagoma distesa sul letto e il suo petto nudo che si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro regolare che mi convinse a non disturbarlo. Nel suo caso, tra l’altro, il detto “non svegliare il can che dorme” non era esattamente un modo di dire considerato che alla stranezza delle sue abilità magiche si aggiungeva la capacità di trasformarsi in un adorabile cagnolone nero.
Rain.
Quel nome mi era tornato in mente come un lampo, qualche giorno prima, e Sirius sentendomelo pronunciare aveva sorriso come un bambino e mi aveva abbracciata, forte.
Sorrisi arrivando fino alla cucina per prendere un bicchiere d’acqua e poi abbandonarmi su una sedia con un sospiro rassegnato. Non avrei più chiuso occhio, questo era certo.
Sentii una voce provenire dal salotto e subito scattai in piedi, ero facilmente impressionabile, nell’ultimo periodo e nessun uomo o mago sano di mente avrebbe mai neanche lontanamente potuto pensare di darmi torto senza beccarsi una sonora capocciata sul naso.
Avevo scoperto di essere stata ingannata e manipolata, ero stata costretta a scappare da mio suocero che si era rivelato essere un mago in preda ad un’implacabile follia omicida e convivevo con un uomo che si dichiarava, tra le righe, un mio ex e che di tanto in tanto amava farsi grattare le orecchie sotto forma di canide: avevo ogni sacrosanto diritto di essere tesa ma questo non impedì alla mia stupida, stupidissima incoscienza di trascinarmi fino al luogo dal quale sentivo provenire la voce che scoprii appartenere ad un giornalista che dallo schermo della televisione parlava placido scandendo parole che non riuscii immediatamente a captare, troppo distratta dalla convinzione di non aver mai visto prima quella tv in quella stanza.
“..la casa è stata quasi totalmente distrutta dalle fiamme. I coniugi Kane, cinquanta e cinquantasei anni, sono deceduti durante la corsa verso l’ospedale più vicino. Il figlio, di anni venti, non ha superato la notte.”
Mi sentii mancare e mi inginocchiai mentre sullo schermo si susseguivano immagini della casa in campagna nella quale ero cresciuta, di quel che ne restava: fredde e mute macerie del mio passato che mi era stato ancora una volta strappato insieme alle persone che più amavo sulla faccia della terra.
Ero sola, la mia più grande paura si era realizzata e con ogni probabilità la colpa era mia e solo mia.
Piansi in silenzio per qualche istante mentre i volti dei miei genitori e di mio fratello si dipingevano, colmi di terrore, nella mia mente che ricostruiva le possibili e atroci dinamiche di quel disastro, vedevo Russell che appiccava fuoco alla mia casa, vedevo la mia famiglia intrappolata tra le fiamme e nelle mie orecchie c’erano le urla che ero stata troppo lontana per sentire, le richieste di un aiuto che non gli avevo concesso.
-NO!
Urlavo stringendomi le gambe al petto e affondando il viso tra le mani mentre voci dentro e fuori dalla mia testa continuavano a ripetere che era stata colpa mia, la voce di mia madre continuava a chiedermi dove fossi, perché non li avessi salvati e neanche tapparmi le orecchie serviva mentre il sangue mi pulsava frenetico nelle vene pompato a mille dal cuore in tumulto.
-Hannah?- Sirius corse in cucina e si accasciò al mio fianco, stringendomi. –Per la barba di Merlino, che diav..?-
Si zittì mentre io continuavo a singhiozzare e lo sentii irrigidirsi contro di me che mi ero abbandonata stretta tra le sue braccia con il viso premuto sul suo petto nudo, incapace di respirare, incapace di pensare.
-RIDDICULUS!- urlò quella parola con rabbia ed io singhiozzai ancora più forte mentre lui mi prendeva tra le braccia e mi sollevava.
-Va tutto bene, Hannah, non era reale.
-Si che lo era.. io.. loro sono morti ed io.. io non c’ero e..- parlavo a fatica con voce strozzata tirando forte i capelli quasi a volerli staccare dalla testa mentre lui cercava di allontanare le mie mani per evitare che mi ferissi. Ma non sentivo alcun dolore fisico mentre affogavo dentro me stessa e dentro la mia più grande paura.
-Sono sola, adesso, Sirius.-
-Ssh.- mi posò delicatamente su un letto che riconobbi come il suo e mi prese il viso tra le mani. –Hannah, guardami.-
Continuavo a singhiozzare e non riuscivo ad aprire gli occhi ancora colmi di lacrime che sembravano scottare e sanguinare.
-Non era reale, Hannah, era una creatura magica. I Mollicci si trasformano nella cosa che più temiamo e se non sei preparato ti annientano come quello di prima ha fatto con te. Devi credermi.-
-NO!-
-Chiama i tuoi genitori, vedrai che stanno bene.- mormorò porgendomi il mio cellulare e scostandomi i capelli fradici di lacrime dal viso. –Ma prima respira, li ucciderai tu se ti sentiranno in queste condizioni, sai? Se ti vedessero poi..-
Il tono dispettoso che aveva adoperato mi scosse ed emisi uno strano suono a metà tra un singhiozzo e un risolino isterico.
Afferrai il telefono e come in trance composi il numero del cellulare di mio padre che rispose dopo così tanti squilli che mi sembrò di impazzire.
-Pronto?-
-Papà!- cercai di reprimere le lacrime di gioia e sollievo che tuttavia ricominciarono a rigarmi, copiose, il viso.
-Tesoro che succede?- chiese allarmato e potei immaginarlo mentre si tirava a sedere sul letto facendo saltare in aria mia madre; “Sta male?” la sentii infatti mormorare dopo qualche istante mentre una improvvisa e irrefrenabile voglia di ridere e piangere insieme mi invadeva come una scarica.
-Niente, niente solo.. un brutto sogno e avevo bisogno di sentire la vostra voce.- confessai, imbarazzata, sperando di suonare credibile.
Seguirono lunghi istanti di silenzio e poi un grugnito contrariato.
-Lucy torna a dormire, tua figlia è semplicemente pazza.- lo sentii biascicare, nervoso, e mi ritrovai a sorridere come una scema sotto lo sguardo sollevato di Sirius che, seduto accanto a me, mi fissava con una espressione finalmente rilassata e quasi divertita.
-Non sono pazza, è solo che mi mancate e..-
-No, infatti, non sei pazza, sei una criminale. Adesso torniamo a dormire, fatti prescrivere una buona dose di valeriana che aiuti a dormire te e noi.- sbuffò, probabilmente pentito del tono scocciato che aveva assunto. -Anche tu ci manchi, Hannah, ma se chiamassi che so.. all’ora di pranzo, probabilmente ti odieremmo meno.-
-Scusatemi. Tornate a dormire, vi.. vi voglio bene.- risposi reprimendo un risolino.
Chiuse la chiamata ed io gli occhi, tirando un profondo respiro.
-Ti pregherei di farmi una carrellata di tutte le strambe creature in cui rischio di imbattermi in tua compagnia perché, e dico sul serio, la prossima potrebbe essermi fatale.-

Restammo stesi sul suo letto in silenzio fino a quando le prime luci dell’alba non cominciarono a filtrare attraverso le persiane; mi ero rannicchiata vicino al suo petto e ne inspiravo continuamente il profumo che sembrava avere uno strano potere calmante sui miei nervi così come le sue mani che mi accarezzavano piano i capelli chiari intorpidendo i miei sensi fin quasi a farmi piombare di nuovo nella dormiveglia.
-Cosa hai visto, tu?- chiesi ad un tratto sollevando lo sguardo per incrociare il suo.
-James. Il padre del mio figlioccio e mio migliore amico.- disse con un filo di voce assumendo un’espressione malinconica che lo rese improvvisamente vulnerabile ai miei occhi.
Sapevo, a grandi linea, la storia dell’omicidio dei Potter e della sua ingiusta condanna ma decisi ugualmente di approfondire l’argomento sperando che, parlarne, avrebbe affievolito il dolore che quello scontro aveva rinnovato.
-E’ la tua più grande paura? Non capisco, hai detto che il Molliccio si trasforma in ciò che noi più temiamo.-
-Mi guardava arrabbiato, il suo volto era pallido e gli occhi freddi mentre sembrava accusami della sua morte.-
-Sei innocente, perché avrebbe dovuto?-
-Perché fui io a consigliargli di scegliere Peter Minus come Custode, pensai che se avesse scelto me sarebbe stato troppo scontato e che nessuno avrebbe mai pensato a lui. Non sapevo che fosse lo schifoso traditore che è diventato o che, forse, è sempre stato.- parlò con concitazione e istintivamente la mia mano corse ad afferrare la sua, stretta a pugno, che subito si rilassò intrecciando le sue dita alle mie.
-Non potevi saperlo.-
-Forse se avessero scelto me sarebbero ancora vivi, io.. sarei morto piuttosto che tradirli.-
Gli circondai il torace con le braccia e mi strinsi a lui con il suo cuore che batteva forte nelle mie orecchie e la sua pelle nuda e calda contro la mia; dopo qualche istante di sorpresa rispose alla stretta e ci ritrovammo intrecciati e vicini come non ricordavo che fossimo mai stati.
Percepivo il suo dolore come fosse il mio e una parte di me aveva sentito l’impulso di approfondire quel contatto come se fosse scontato, come se non potessi farne a meno.
-Sirius.-
-Mh?- la sua risposta mi vibrò sulla pelle attraverso le labbra premute contro la mia spalla scoperta dallo scollo della t-shirt.
-Voglio ricordarmi di te. Ti rivoglio indietro perché so che ci sei, da qualche parte dentro la mia testa. Devo solo.. ritrovarti.-
Mi sollevai un po’ per portare il mio viso all’altezza del suo e vidi i suoi occhi grigi brillare di una intensità magnifica e affondare nei miei mentre con le labbra accarezzavo le sue, prima piano, quasi impercettibilmente, poi con maggiore decisione stringendo il labbro inferiore in un bacio vero.
Lo sentii fremere e poi le sue mani salirono lungo la mia schiena per arrivare alla nuca e spingere il mio volto contro il suo mentre respiravo l’aria da lui e non sentivo nient’altro.
Gli accarezzai il petto con le mani aperte e sospirò contro la mia bocca mentre mi premevo contro di lui colta da una improvvisa frenesia.
Le sue mani sembravano infuocare la mia pelle al loro passaggio e le sue labbra morbide si modellavano sulle mie che rispondevano senza alcun imbarazzo a baci sempre più passionali.
Percorse con la bocca la linea della mia mascella e poi il collo facendomi sospirare forte e stringergli il viso tra le mani mentre le sue mi sollevavano la t-shirt sfiorando la pelle che fino a quel momento era rimasta nascosta da quell’ostacolo di cotone.
Jason non era capace di farmi sentire come stava facendo Sirius, il sesso con il mio fidanzato, che non avrei più neanche dovuto definire tale, non somigliava neanche lontanamente a quel che stava accadendo tra di noi, non ne aveva l’intensità e mancava l’intesa incredibile che invece si era istantaneamente creata negli ultimi istanti.
Sapevo dove toccarlo, sapevo dove le mie labbra potevano farlo sospirare e lui riusciva a farmi tendere come una corda di violino rischiando di farmi impazzire anche solo guardandomi con quei suoi occhi magnetici.
Mi ritrovai su di lui, le sue mani costringevano dolcemente il mio corpo contro il suo mentre continuavo a baciarlo come se non potessi mai averne abbastanza.
Rividi per un istante noi due nel salotto di una casa che non conoscevo, vicini e imbarazzati e poi avvinghiati l’uno e all’altra.
Sentii la sua voce nella mia testa che sussurrava parole dolci provenienti da ricordi che riaffioravano, incerti.

-Non voglio più fare a meno di te, di questo. Voglio averti così ogni volta che vorremo, guardarti non mi basta più.-

Esitai un istante, fermandomi e trattenendo il respiro.

-Quando avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me ignote, gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il minimo che tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso di sabato mattina.-

Istintivamente mi venne da ridere e lo feci gettando la testa indietro mentre lui si fermava, le mani ancora ancorate ai miei fianchi e lo sguardo confuso.
-Che ti prende?-
Ridevo di gioia e gli circondai il collo con le braccia premendo le labbra sul suo collo tante e tante volte senza smettere di ridere.
-Non è gentile ridere in certi frangenti, te l’hanno mai detto?-
-Mi ricordo, Sirius. Mi ricordo di te.-
Emise una sorta di grido di gioia e si sollevò per abbracciarmi forte facendomi ricominciare a ridere mentre rotolavamo sul letto come due bambini un po’ troppo svestiti.
-Ora capisci perché avrei volentieri evirato quell’imbecille del tuo falso fidanzato?-

Song: Closing time - Semisonic

Artwork: HilaryC 

Post scriptum: Non odiatemi per il mio indecoroso ritardo, sono una giovane studentessa universitaria che vive in una ridente cittadina sul meraviglioso Mediterraneo.. non è facile conciliare l'estate con le responsabilità, dalle mie parti! Vi adoro. Ciao.

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Capitolo 15
*** 15. Titanium ***


furrylove15

Furry Love

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15. I'm bulletproof, nothing to lose
Fire away, fire away
Ricochet, you take your aim
Fire away, fire away
You shoot me down but I won't fall
I am titanium

Mi rigirai piano nel letto trovando Sirius beatamente addormentato al mio fianco. Stava sdraiato a pancia in giù, il lenzuolo copriva il suo corpo nudo fino alla vita e il suo viso era rivolto verso di me, rilassato e bellissimo. Mi ritrovai ad accarezzare con lo sguardo i ribelli e lunghi capelli scuri che ricadevano sulle spalle in modo disordinato e molto sensuale e sentii le guancie imporporarsi al pensiero della notte appena trascorsa.
In tutto il tempo che avevo trascorso con lui senza ricordarmi del nostro passato mi sembrava di aver perso momenti preziosi ma, da quella notte, era cambiato tutto: avevo capito perché lo sentissi così vicino, perché anche solo il minimo contatto mi facesse continuamente rabbrividire e mi desse allo stesso tempo un incredibile senso di sicurezza.
Sorrisi e mi alzai, piano, afferrando una delle sue camice ed indossandola nonostante fosse ovviamente enorme per poi recarmi in cucina.
Tutta presa dalla caffettiera e dalla scelta dei biscotti più buoni non sentii il rumore dei passi di Sirius e sobbalzai quando le sue braccia si strinsero attorno alla mia vita e poggiò la testa sulla mia spalla, teneramente.
-Buongiorno.- lo salutai sorridente mentre mi voltavo per circondargli il collo con le braccia.
-Non può che essere un buon giorno quando trovi la tua donna che prepara il caffè con la tua camicia addosso.- mormorò con un sorriso storto prima di baciarmi e stringermi più forte a sé.
Il mio cuore fece un balzo sentendolo definirmi come la sua donna. Avevo avuto una lunga relazione con Jason basata, però, su una montagna di bugie e omissioni che pesavano invisibili sul nostro rapporto rendendolo sempre meno spontaneo di quanto avrebbe dovuto essere mentre con Sirius era stato diverso sin dall’inizio. Dal vero inizio.
-Sono la tua donna?-
-So che sei troppo forte e indipendente per poter pensare di appartenere a qualcuno ma quello che intendevo è..-
Mi sentii in dovere di bloccare quel fiume di giustificazioni dopo averlo involontariamente messo in difficoltà perciò gli posai l’indice sulle labbra e la fronte contro la sua. –So quello che intendevi e sono felice di essere la tua donna, Sirius.-
Raramente avevo visto tutta quella felicità riempirgli gli occhi e mi ritrovai a ridere forte mentre mi sollevava per poi depositarmi sul ripiano della cucina.
Gli presi il viso tra le mani e lo tenni vicino al mio senza però permettergli di baciarmi né attirarlo di più a me e in cambio ottenni un’espressione confusa e quasi indispettita.
-Tu cosa sei, invece? Il mio mago?-
-Beh, non so esattamente a quale tipo di magie tu ti riferisca ma si, credo proprio di si.- mi prese in giro guardandomi con intensità e malizia e dopo aver ricevuto un giocoso colpo in testa da parte della sottoscritta prese a baciarmi il collo sorridendo contro la mia pelle mentre con le mani sollevava la camicia.
-Questa me la riprendo.-

Trascorremmo giorni tranquilli, guardavamo film babbani, cucinavamo schifezze, facevamo l’amore e restavamo fino all’alba a parlare, parlare e ancora parlare di tutto e di niente, Sirius mi raccontava dei mesi in cui io ero stata involontariamente qualcun altro, mi raccontava del suo mondo e rispondeva, come sempre, ai miei interrogativi sulle stranezze della magia mentre io, d’altro canto, andavo ripescando nella memoria tutte le cose che ancora non sapeva di me per far in modo che mi conoscesse davvero e completamente.
Non avevo mai sentito il bisogno di mentirgli né di agire di nascosto fino a quel giorno di Aprile, il cielo sembrava di malumore proprio come me e furiosi lampi continuavano a squarciare quella distesa di nuvole troppo scure e cupe considerato che l’orologio segnava solo le tre del pomeriggio.
Continuavo a girare in tondo intorno al tavolo da cinque minuti senza avere la minima idea di cosa fare: un’ora prima il mio cellulare aveva squillato avvisandomi di un messaggio in arrivo e il mittente era in assoluto la persona più inaspettata del pianeta, la persona alla quale avrei volentieri tirato in testa il tavolo della sala da pranzo e strappato i capelli, uno per uno, a mani nude.
“Alle 5 in punto a casa tua, ho bisogno di vederti. Ti prego, dammi la possibilità di spiegarti.”
Dargli la possibilità di spiegare cosa? Come mi aveva impunemente ingannata giocando al piccolo telecineta con la mia testa o per avermi incasinato la vita con tutte quelle stronzate da brutti stregoni cattivi?
Eppure una parte di me voleva sapere, aveva bisogno di sapere.
Avevo appreso da Sirius che ci trovavamo in una zona periferica di Londra discretamente lontana dalle aree abitate ma c’era una metro babbana a dieci minuti da casa; dovevo solo arrivarci senza che lui lo sapesse.
Sapevo perfettamente che questo lo avrebbe ferito, sapevo anche che si sarebbe spaventato a morte ma se gliene avessi parlato non mi avrebbe mai appoggiata in quella follia.
-Han, faccio una doccia. Vuoi venire?- chiese allegro dal bagno.
-Fa freddo, magari dopo!- risposi sperando ce non si insospettisse e strinsi gli occhi in attesa.
-Peggio per te, donna!- borbottò ironico mentre tiravo un profondo respiro, sollevata.
Aspettai di sentire lo scroscio dell’acqua e afferrai carta e penna scrivendo un biglietto che dimostrasse che non ero stata rapita per poi uscire, in silenzio, e muovermi veloce lungo la strada un po’ dissestata; mi voltai indietro dopo qualche minuto e, incredula, mi accorsi che la casa non c’era più, doveva essere uno degli incantesimi di protezione che vi erano stati fatti intorno e mi sentii quasi sollevata prima di realizzare probabilmente non sarei più riuscita a superare a barriera neanche se avessi voluto.
“Scusami, Sirius. Andrà tutto bene e tornerò da te. Ti amo.”
Senza perdere altro tempo mi affrettai seguendo le indicazioni verso la metropolitana e, una volta arrivata, scesi di corsa le scale mentre il consueto puzzo di chiuso e rotaie arrugginite mi invadeva le narici ricordandomi di quella assurda notte in cui tutta quella follia aveva avuto inizio.
Vidi il treno avvicinarsi e saltai su non appena le porte si aprirono senza guardami indietro. Sirius si sarebbe davvero arrabbiato da matti.

Quando arrivai davanti a casa mia erano passate da poco le cinque del pomeriggio e la villetta schiera non mi era mai sembrata tanto spettrale ed estranea.
Era stata casa mia per tanto tempo ma anche testimone silenziosa di una montagna di bugie che mi aveva reso tremendamente insicura. Una volta crollato quel castello di inganni mi ero resa conto di essere stata in pericolo per tutti il tempo. Jason mi avrebbe davvero fatta fuori al comando di suo padre? Ne sarebbe stato capace?
Lo avrei scoperto di lì a pochi minuti, pensai mio malgrado percorrendo il patio fino alla porta e fissando lo sguardo sulla superficie lignea. Respirai profondamente chiudendo gli occhi e racimolando coraggio e determinazione per poi girare la chiave nella serratura che scattò immediatamente, evidentemente già aperta da qualcun altro. Jason aveva una copia delle mie chiavi ed era di certo dentro ad aspettarmi.
Era ora di dar inizio alle danze.
-Jason?- chiamai ad alta voce cercando di suonare il più decisa e sicura possibile e guardandomi intorno. –Jason piantala lo so che ci sei, la porta era aperta. Non credi di aver già dato in quanto a bugie e omissioni?-
-Non abbastanza, signorina Kane.-
Quella voce non apparteneva a Jason e ne ebbi la conferma quando Russell senior si fece avanti dopo essere passato inosservato fino a quel momento, seminascosto nell’oscurità di un angolo buio.
-Lei.- scandii stringendo i pugni per celare il tremore.
–Jason manda paparino agli appuntamenti con la sua fidanzata?- continuai cercando di apparire sprezzante e di riversare in quelle parole tutto il veleno che avevo accumulato dalla sera in cui ero scappata da casa Russell. O forse, a memoria recuperata, da molto prima.
-No, mia cara, Jason non sa del nostro appuntamento.- rispose quello con tono altrettanto corrosivo sollevando un cellulare che riconobbi essere l’iphone del mio ex-fidanzato.
Inspirai a fondo e lanciai velocemente un’occhiata intorno a me per cercare una via di fuga come il mio istinto di sopravvivenza mi suggeriva.
-Non puoi scappare, stupida ragazza. Questa casa sarà la tua tomba.- spiegò l’uomo facendo oscillare tra le dita una bacchetta magica. Notai che non indossava il mantello nero che avevo sempre visto addosso ai Mangiamorte in azione.
-Scommetto che fuori è pieno di maghi come lei.- sputai tra i denti indicando la finestra con un cenno del capo mentre lui annuiva, semplicemente. –Mi sento lusingata. Non credevo che la mia esecuzione richiedesse la presenza di più maghi contemporaneamente. Devo avervi sopravvalutati.-
La mia indole da giurista mi consigliava di continuare a tergiversare. Anche Russell era un avvocato e magia o no non si sarebbe fatto scappare l’occasione di uno scontro a base di retorica e presunzione. Ne ero certa.
-Sono venuti per trattenere chiunque pensi di aiutarti. Che si tratti di mio figlio e di qualunque altro stolto che, stanne certa, morirà per causa tua.-
Pensai a Sirius sperando ardentemente che non venisse in mio soccorso e che quantomeno, una volta trovato il mio biglietto, trovarmi avrebbe richiesto più tempo possibile.
-Sarebbe disposto ad uccidere il suo stesso figlio per togliere di mezzo me?-
Russell si strinse nelle spalle mentre un raggio verde mi raggiungeva ed io mi ritrovavo tempestivamente inginocchiata a terra per schivarlo.
-Non male per una babbana, Kane. Di certo la magia ha perso l’elemento sorpresa.-
Scattai in piedi e feci per correre verso la porta ma un raggio di luce mi si avvolse intorno ai piedi e caddi prona parando l’impatto con le mani aperta.
-Per poco non rovinavi quel tuo bel faccino.- cantilenò, mellifluo, camminando verso di me. –Bada che non ti servirà ancora per molto.-
-Perché non mi uccide?- ringhiai voltandomi in modo da sedermi rivolta verso di lui mentre il suo incantesimo mi impediva qualsiasi minimo movimento degli arti inferiori dal ginocchio in giù.
Ero spacciata, non c’era alcun dubbio su questo. Ma non sarei morta supplicando né piangendo.
Non era mai stato nella mia natura, non mi mostravo debole mai davanti a nessuno perché odiavo l’idea che chiunque volesse schiacciarmi avesse la soddisfazione di vedermi cedere e, se fino a quel momento quella era stata solo la metafora della mia infrangibile dignità, in quelle circostanze aveva assunto contorni più reali e definiti mentre Russell premeva la scarpa griffata e perfettamente lucida sulla mia spalla costringendomi a terra.
-Perché mi hai creato più problemi di quanti avrei potuto permettere e hai plagiato mio figlio rendendolo uno smidollato.-
Forse Jason mi aveva mentito, aveva giocato con la mia mente, ma di certo non era crudele come il padre e mi sentii meschina per averne dubitato. Jason non mi avrebbe mai fatto del male.
-Ma non è un problema, mi capirà un giorno o l’altro e tornerà ad essere il promettente mago che era.-
-Che era prima di cosa? Di capire che suo padre è un bastardo?- berciai divincolandomi ma ottenendo solo di conficcare la punta rinforzata della sua scarpa nel collo e lui ne approfittò per premere e rendermi difficile respirare. Sentivo ognuno dei miei sensi acutizzato dal panico e dall’adrenalina che mi scorreva nelle vene mentre il cuore rimbombava senza sosta in ogni parte del mio corpo martellandomi nelle orecchie.
-Prima di incontrare te.-
Nonostante avessi ormai capito che le armi da fuoco non avevano una grande utilità nello scontro con un mago, approfittai del fatto che Russell non aveva idea che avessi una pistola con me e la estrassi dalla tasca posteriore. Era una pistola piccola, di quelle da difesa, ed era carica.
Gliela puntai contro e feci fuoco, fulminea.
Indietreggiò stringendosi la spalla destra, la bacchetta ormai fuori dalla sua presa era rotolata fino a me e l’avevo afferrata per impedirgli di chiamarla nuovamente a sé.
-Sorpresa.- sussurrai, cattiva, trafiggendolo con lo sguardo. L’aria aveva ricominciato ad affluire nei miei polmoni e udii numerosi schiocchi nella stanza, proprio alle mie spalle.
Un lampo di luce passò sopra la mia testa e raggiunse Russell che si immobilizzò, come pietrificato. E forse lo era davvero.
Mi voltai verso l’origine del rumore sorridendo e pregustando già la sensazione delle braccia forti di Sirius attorno a me ma quello che vidi spense tutto il mio entusiasmo.
-Oh no. Ancora maghi.- mormorai, esasperata, affondando il viso tra le mani e scuotendo forte il capo. Non ero affatto pronta per un secondo round e di certo non avrei potuto affrontare uno schieramento di cinque maghi pronti a cancellare la memoria di una testimone scomoda.
Sentii abbaiare forte e vidi un ammasso di pelo nero correre a rotta di collo verso di me per poi cominciare a leccarmi il volto guaendo e mugolando senza sosta.
Lo avvolsi tra le braccia affondando il viso nel folto pelo nero e finalmente mi concessi qualche secondo di pace convinta che niente sarebbe davvero potuto andare così male mentre stavo stretta a lui, in qualunque forma si presentasse a me.
-Richard Russell lei è in arresto.- i maghi afferrarono Russell e lo immobilizzarono con manette incantate sollevandolo a mezz’aria mentre quello muoveva ferocemente gli occhi, impossibilitato a muovere qualsiasi altro muscolo. –Suo figlio Jason si è costituito e ha confessato tutti i crimini da voi commessi, in combutta e singolarmente.-
-Signorina, venga con me.- uno dei maghi mi aiutò a sollevarmi e mi rivolse uno sguardo gentile nonostante le sue intenzioni, per quando politicamente corrette, non lo sarebbero state altrettanto.
Sirius, o meglio Rain, abbaiò forte posizionandosi al mio fianco con aria fiera.
-E’ il suo cane?-
Sorrisi, istintivamente, posandogli una mano sul capo. –Si.-

Song: Titanium - David Guetta ft Sia

Artwork: JeyCholties 

Bene rispondendo alla recensioni mi sono scusata singolarmente per il ritardo (okay lo so, è più che un semplice ritardo) nell'aggiornamento e lo farò anche qui. PERDONATEMI.

Questo è il penultimo capitolo, il prossimo segnerà la fine di un percorso che per me è stato importantissimo, come ho già avuto occasione di dire Hannah rappresenta una parte di me, forse più di una. E' il lato peggiore e il lato migliore di me, è una giovane donna che crede ancora nell'amore e che non si arrende mai davvero.

Ci tengo a riabilitare per quanto possibile il personaggio di Jason del quale ho adorato scrivere e sottolineo che il mio personalissimo Fassbender versione mago era davvero innamorato di Hannah, non fingeva affatto su questo. Lui, a differenza di Hannah, rappresenta per me invece un sacco di cose che odio negli uomini ma che alla fine finiscono per affascinarmi. Maledetti bipedi senza cervello.

I ringraziamenti generali li rinvio al prossimo capitolo che, non temete, è già nero su bianco quindi non passeranno altri trentordicimila ere, però ci tengo a ringraziare qui intanto le mie due adorabili artiste, JeyCholties e HilaryC che hanno realizzato i due bellissimi banner che ho alternato nel corso degli aggiornamenti e che fanno, credetemi, davvero l'ottanta per cento della buona riuscita dei capitoli. 

See you soon, guys! <3

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Capitolo 16
*** 16. Forever ***


furry love 16

Furry Love

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16. And all the roads we have to walk are winding
And all the lights that light the way are blinding
There are many things that I would like to say to you
But I don't know how
I said maybe you're gonna be the one that saves me
And after all you're my wonderwall

Cara Hannah,
Tra qualche istante mi consegnerò agli Auror e li manderò a casa tua dove, sono certo, mio padre è venuto a cercarti.
Quando leggerai questa lettera probabilmente sarà tutto finito, tu sarai viva e noi saremo ad Azkaban, dove meritiamo di stare.
Hai tutte le ragioni del mondo per essere infuriata con me, di sentirti delusa e tradita, dopotutto ti ho detto tante, troppe bugie e non lo meritavi affatto.
Su di una cosa, però, giuro di non aver mai mentito: ti amo, Hannah Kane e per questo, solo per questo, sto per fare la cosa giusta.
Nei mesi trascorsi con te ho ritrovato una parte di me che non credevo esistesse più, la mia parte migliore, quella che merita una seconda possibilità ma purtroppo non posso averla senza prima affrontare la giusta punizione per la dissolutezza della vita mia e della mia famiglia, nella quale non avrei mai dovuto né voluto coinvolgerti.
Ti auguro tutto ciò che di buono tu possa ottenere dalla vita e spero ardentemente che, lontano da me, tu possa riuscire a tenerti lontana dai guai anche se, conoscendoti, domani stesso potresti imbatterti nella mafia russa e uscirne comunque illesa. Sei una donna in gamba.

Tuo, Jason Russell.

Ritrovare quella lettera tra i miei fascicoli a distanza di mesi mi fece sorridere nonostante una sorta di nostalgia stesse prendendo piede dentro di me, partendo dallo stomaco, come accadeva ogni volta che leggevo quelle parole.
-Avanti!- urlai sentendo bussare alla porta per poi nascondere nuovamente la lettera in mezzo alle carpette.
-Signorina Kane, stamane è arrivato un gufo per lei. E’ del portavoce del Ministro Babbano, la transazione in seguito all’incidente dei servizi igienici della metropolitana non soddisfa le loro aspettative.- mi informò Gilda McStanley entrando nel mio ufficio come un piccolo tornado dai capelli corvini e parlando velocemente. –Non ritengono bastevoli le misure di sicurezza adottate né la cifra stabilità per il risarcimento.-
Sbuffai ributtandomi indietro sulla sedia girevole e mi portai le mani ai capelli stringendone alcune ciocche.
-Tutto per dei dannati gabinetti rigurgitanti.-
Non mi sarei mai davvero abituata ai nuovi oggetti delle mie pratiche ma quell’incarico era stato senza dubbio la mia salvezza, una volta chiuso lo studio di Richard Russell.
Dopo l’arrivo degli Auror, quel pomeriggio di quasi sei mesi prima, uno di loro si apprestava a cancellarmi nuovamente la memoria ma l’intervento di un altissimo e ieratico mago piuttosto anziano aveva rimescolato le carte.
Albus Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, di cui Sirius mi aveva tanto parlato, non solo aveva convinto gli altri maghi a non obliviarmi ma mi aveva persino procurato un colloquio al Ministero della Magia per il posto di Legale per Le Controversie con i Babbani.
Ed eccomi lì, sommersa da pratiche più o meno assurde, in un ufficio abbastanza grande da poterci dare una festa.
-Gliela lascio qui, la lettera.- mi informò Gilda depositando una busta sulla mia scrivania. –E’ tardi. Dovrebbe andare a casa, signorina Kane.-
Sorrisi raggiante e mi alzai in piedi. –Hai ragione, Gilda. Ci vediamo domani mattina.-

I corridoi erano affollati e corsi per raggiungere l’ascensore incastonandomi in mezzo agli altri impiegati del Ministero.
-Oh, buonasera signor Weasley!-
L’adorabile mago dai capelli rossi con cui mi trovavo spesso a collaborare ricambiò con un sorriso e mi strinse la mano con fare tutt’altro che formale. –Ciao, Hannah! Tutto bene?-
-Direi di si, anche se sembra proprio che la storia dei gabinetti della metropolitana non finirà mai.-
Arthur Weasley sembrò pensieroso. –Faccenda spinosa, non hanno smesso di rigurgitare per tre giorni di fila.-
Non essendo una strega non potevo utilizzare la metropolvere né le passaporte, ragion per cui il percorso di uscita era per me decisamente più lungo così come la durata del tragitto verso casa; quando finalmente mi ritrovai per strada, alle sette di quella tiepida sera di Ottobre, la quiete e il silenzio che mi circondavano mi sembrarono la ricompensa migliore dopo una lunga giornata di lavoro; anche se, pensai, la vera ricompensa mi aspettava in una casetta appena fuori Londra e stava probabilmente coccolando Fierobecco invece che me.
Sirius continuava a nascondersi, ancora latitante, ed io continuavo a sgattaiolare da lui ogni giorno, incapace di stargli lontana.
Guidai fino a quella che era ormai più casa nostra che sua e infine lo trovai steso sul divano e intento a sonnecchiare con un’espressione serena e adorabile.
-Sveglia, brutto addormentato.- sussurrai sulle sue labbra stendendomi accanto a lui e spingendolo un po’ per farmi spazio.
-Uhm.- mugugnò agitandosi un po’.-perché sei sempre così irruenta e prepotente?-
Lo fissai accigliata. –Perché quando torno dal lavoro dopo una giornata sfiancante gradirei un po’ di attenzioni da parte del mio uomo.-
-Sei ancora nervosa per la storia delle Cassette MangiaLettere?- domandò quasi pentito abbracciandomi e stringendomi a sé. –E’ stato uno scherzo di pessimo gusto, non devi per forza difendere quell’idiota.-
-Non sono nervosa ma è l’unico modo per ottenere un tuo abbraccio, a quanto pare.-
Era bello esattamente come il primo momento in cui i miei occhi si erano posati su di lui, quando con la camicia azzurra di mio padre si era accostato al mio letto con un bicchiere di acqua zuccherata dopo avermi recuperata sulle rotaie della metropolitana.
Addolcii lo sguardo e gli accarezzai la barba curata e poi le labbra che senza neanche riflettere mi chinai a baciare; ogni cosa di lui continuava ad esercitare su di me un’attrazione incredibile, sembrava quasi che le nostre mani fossero fatte per stringersi e le nostre gambe per intrecciarsi.
Mi baciò dolcemente a sua volta, sorridendo divertito. –Sei molto stanca?-
Lo fissai interrogativa e lievemente accigliata per quella domanda fuori luogo. –Non più del solito, perché?-
Si tuffò sulle mie labbra e cominciò a sbottonarmi la camicia senza lasciarmi il tempo di fare o dire alcunché.
-Perché ho intenzione di farmi perdonare.-
-Coff coff.-
Mi staccai dalle sue labbra e tirai via le sue mani dalla mia camicia nonostante lui opponesse resistenza per poi voltarmi e trovare un imbarazzatissimo Remus Lupin ritto sulla soglia della cucina.
-Oh, dannazione Lunastorta! Dobbiamo proprio ritornare allo stratagemma della cravatta sulla maniglia?- sbuffò Sirius mettendosi a sedere e rivolgendo uno sguardo torvo all’amico che si grattò la nuca, in difficoltà.
-Allora eri uno studente scapestrato, non un ricercato, e non avevo motivo di materializzarmi nel tuo salotto.- rilanciò l’altro, logico.
Non ero esattamente sicura del mio stato d’animo relativo alla storia della cravatta sulla maniglia e della sua funzione e palesai il mio disappunto strattonando la mia camicia dalla sua presa e cominciando a riabbottonarla.
-Beh? Che succede?- tagliò corto il mio uomo all’indirizzo dell’amico dopo avermi rivolto un sorriso storto.
-Abbiamo potenzialmente un bel problema. Karkaroff è ad Hogwarts.
Vidi l’espressione di Sirius cambiare mutando repentinamente in una smorfia di rabbia mista a fastidio.
-Chi è Karkaroff?- chiesi spostando lo sguardo da lui a Remus che si fissavano accigliati.
-Un maledetto idiota come il tuo ex-fidanzato.-
Sorvolai sull’acido contenuto in quelle poche semplici parole e restai in silenzio in attesa di capirci di più.
-Perché?-
-Quest’anno avrà luogo il torneo Tremaghi e lui è il preside di Durmstrang.- spiegò, ovvio, Remus scuotendo il capo e allargando le braccia. –Hannah credi di poter tenere occhi e orecchie aperte al Ministero? Nel caso Malfoy si lasciasse sfuggire qualche parola di troppo.-
-Non lo fa mai.- sbottò brusco Sirius alzandosi in piedi. –Per di più Hannah deve restare fuori da questa ennesima follia.-
Mi alzai dietro di lui e lo rincorsi per fronteggiarlo. –Ho neutralizzato da sola un dannatissimo Mangiamorte, credo di potermi rendere utile.-
La mia non era una gentile offerta di collaborazione ma una brusca presa di posizione. Odiavo essere trattata come l’anello debole solo perché non avevo i loro abracadabra a disposizione.
Nell’ultimo anno e mezzo mi ero ritrovata costretta a fare i conti con la magia in più occasioni di quante ne potessi immaginare e se c’era una cosa che avevo capito era proprio che i seguaci di Voldemort erano dei folli megalomani e che la paura delle conseguenze avrebbe sempre e comunque impedito loro di disertare davvero. Al Ministero mi ero imbattuta, grazie alla mia straordinaria capacità di infrangere più o meno volontariamente ogni regola esistente, in alcuni fascicoli ufficiali del Wizengamot, o meglio in infiniti tomi attestanti i processi a non pochi Mangiamorte, e mi era parso con non scarsa evidenza che la redenzione non rientrasse mai davvero tra le loro opzioni, testimonianze o meno che avessero fornito.
-Devo parlare con Harry. Troverò un modo.- continuò Sirius prendendomi la mano e stringendola nella sua in segno di scuse.
Ricambiai la sua stretta intrecciai le mie dita fredde alle sue.
Era l’inizio di un’altra folle avventura magica e, in qualche modo, ero felice di essere al fianco di Sirius. Per quel che mi riguardava, mi ritrovai a pensare, lo sarei stata per sempre.

The end

Song: Wonderwall - Oasis

Artwork: HilaryC

Finita. Adesso è davvero finita ed è arrivato il momento di tirare le somme.

Credo di averla già ringraziata nel corso degli aggiornamenti di questa storia, di Time after time e di tutte le mie storie precedenti ma intendo rifarlo perchè, davvero, senza di lei non avrei portato a termine nessuno di questi percorsi. Grazie, Letstarthekilling. Non ti ringrazierò per aver letto/corretto/sopportato i miei deliri ma per essere sempre stata mia amica, tutto il resto è solo una adorabile conseguenza e un salvifico intervento sulla discutibile punteggiatura. Vabbè. Non amo le smacerie, lo sai, perciò.. buona la prima. 

Grazie, nuovamente, a JeyCholties e HilaryC per i loro meravigliosi banner, vi linko le loro pagine perchè sono eccezionali qualsiasi cosa facciano (nel caso di Jey anche nelle registrazioni di Whatsapp :P).

http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=218066 <-- JeyCholties (pagina EFP) 

http://hilarycolsenbanner.tumblr.com/ <-- HilaryC (pagina Tumblr)

Un bacio gigantesco poi a tutti coloro che hanno seguito la mia storia, che l'hanno messa tra i preferiti o l'hanno recensita, a tutti coloro che, insomma, sono in qualche modo entrati in questo mio piccolo mondo fittizio e hanno condiviso anche solo una o due emozioni con la sottoscritta. GRAZIE.

Ultima (giuro) puntualizzazione per quanto riguarda il finale un po' "aperto": ritengo che in un fandom enorme come è quello di HP e in un universo altrettanto spettacolare qual è quello inventato dalla Row sia giusto lasciare il giusto spazio all'immaginazione e ognuno, dunque, può immaginare la love story di Sirius e Hannah da questo momento in poi come meglio crede.

Detto questo, però, badate bene che non si tratta di un addio. Sentirete ancora parlare di me ed io mantengo sempre le mie minacc.. promesse. Alla prossima!

Anna.


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