Furry Love di Prinzesschen (/viewuser.php?uid=44265)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Black Dog ***
Capitolo 2: *** 2. Troublemaker ***
Capitolo 3: *** 3. Trapped ***
Capitolo 4: *** 4. Magic ***
Capitolo 5: *** 5. Bloody Mary ***
Capitolo 6: *** 6. Gunnin' ***
Capitolo 7: *** 7. On the run ***
Capitolo 8: *** 8. You're beautiful ***
Capitolo 9: *** 9. Don't let me be misunderstood ***
Capitolo 10: *** 10. Fortune's fool ***
Capitolo 11: *** 11. Stolen secrets ***
Capitolo 12: *** 12. Danger ***
Capitolo 13: *** 13. About us ***
Capitolo 14: *** 14. Back ***
Capitolo 15: *** 15. Titanium ***
Capitolo 16: *** 16. Forever ***
Capitolo 1 *** 1. Black Dog ***
Furry Love
Furry Love
1- Strange fascination fascinating me
Changes are taking the pace
I'm going through
La
pioggia cadeva fitta fuori dalla grande finestra e probabilmente
non avrebbe neanche smesso troppo presto, a giudicare dai nuvoloni
densi e minacciosi che oscuravano il cielo pomeridiano di quel languido
ma tremendamente caldo Agosto.
-..e quindi se n’è andata, senza lasciare neanche un
biglietto e portando con sé i bambini.- concluse il mio cliente
lanciandomi uno sguardo supplichevole, le occhiaie accentuate almeno
quanto le profonde rughe d’espressione che sottolineavano lo
stato di forte stress in cui versava. Non era male come uomo,
obiettivamente parlando, ed era un vero peccato che tutte quelle grane
sciupassero i suoi tratti altrimenti delicati e allo stesso tempo
virili. Ma ero il suo avvocato, non la sua fidanzata né la sua
analista, dopotutto.
-Non si preoccupi, signor Grayson, innanzitutto mireremo ad addebitare
la separazione a sua moglie e tratteremo con il giudice delle
ragionevoli condizioni per l’affidamento condiviso. Purtroppo il
tradimento non la rende perseguibile penalmente e dunque non possiamo
neanche richiedere alcuna misura di protezione che comporti
l’affidamento esclusivo dei bambini a suo favore.
Annuì, placido e ben consapevole che nella pratica era sempre la
moglie ad ottenere un trattamento privilegiato e che ad ogni modo avrei
fatto il possibile per tutelarlo.
-Abbiamo gli elementi per darle qualche gatta da pelare, non ne dubiti.
Si alzò, scostando la sedia e mi porse educatamente la mano per poi stringerla con vigore.
-La ringrazio, avvocato Kane. Mi affido completamente a lei.
-Non se ne pentirà.
Lo accompagnai sorridente fino alla porta della mia stanza per poi
affidarlo alla segretaria dello Studio che lo scortò
all’uscita.
Studio Associato Kane, Mars e Russell. Avevo svolto il mio
praticantato in quello stesso studio, allora gestito da Russell
senior e dalla giovane Kate Mars e qualche anno vi ero rientrata come
avvocato a pieno titolo, a fianco di Jason Russell e della stessa Kate
Mars.
-E’ meraviglioso. Ma com’è che li trovi tutti tu, Hannah?
Scossi il capo, ancora scomodamente appoggiata allo stipite della porta
della mia stanza, mentre Joanne McDay tornava alla sua scrivania con le
braccia spalancate, sconcertata dalla mia- parole sue- fortuna
sfacciata.
-Sono una fottuta calamita, Jo, lo sai.
-Sempre elegante, mia adorata Kane.- commentò Jason facendo la
sua entrata trionfale, i capelli perfettamente pettinati e carichi di
gel, lo sguardo magnetico e ammiccante da seduttore incallito e le mani
affondate nelle tasche del completo gessato.
-Il tuo tempismo è impressionante, Jason. Mi sorge sempre il
dubbio che tu stia appostato dietro la mia porta pronto ad intervenire
ad ogni occasione.
Joanne trattenne il fiato, sentendomi rivolgere l’ennesima frecciatina al figlio del proprietario dello studio.
-A proposito di occasione, Kane, avrei una proposta molto allettante da farti. Vuoi sentirla?
Storsi le labbra in un sorriso forzato.-La farai comunque, sputa il rospo.
Conoscevo Jason dai tempi dell’università e quei
battibecchi erano sempre stati il nostro pane quotidiano; io lo
consideravo un borioso figlio di papà abituato ad avere tutto in
qualsiasi momento decidesse di volerlo e lui considerava la
sottoscritta una strana ragazza di periferia approdata a London City
con più ideali che cosmetici in borsetta e, per questo, come una
sorta di sfida.
Erano anni che mi svolazzava intorno come un’ape ostinata ed io
continuavo senza alcuna ritrosia a ridurre all’osso, ovvero al
semplice ambito professionale, qualsiasi rapporto.
-Dopodomani c’è un corso di aggiornamento al Palace e
organizzano anche una cena. Sono stato invitato a far le veci di mio
padre che purtroppo non potrà presenziare e mi piacerebbe se tu
volessi accompagnarmi .
La mia espressione doveva essere parecchio eloquente perché mi
si avvicinò, sbuffando, abbandonando la sua aria da sbruffone,
come spesso accadeva davanti alle mie reazioni per lui inusuali.
–Eddai, Kane, è un’occasione d’oro per te! Ci
saranno gli avvocati e i magistrati più in gamba
d’Inghilterra e..
-D’accordo.
-Come?- mi chiese immobilizzandosi e fissandomi con gli occhi scuri spalancati dalla sorpresa.
-Verrò con te.- ripetei con un sorriso impertinente, divertita dalla sua espressione scioccata.
Si illuminò per un attimo ma poi, schiarendosi la voce,
pensò bene di darsi un contegno e di riappropriarsi dei suoi
modi da uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
-Ovviamente, saresti stata una sciocca a rifiutare. Ti passo a prendere
Venerdì alle sette, non un minuto più tardi, Kane!
Lanciai uno sguardo divertito e allo stesso tempo esasperato a Joanne,
mentre lui si allontanava, e lei ricambiò, sconvolta quanto il
mio collega.
-Sei impazzita?- scandì perché leggessi il labiale.
-E’ solo un incontro di lavoro, Jo. Solo un incontro di lavoro.
Quando uscii dallo studio la pioggia, come previsto, non era ancora
cessata e dovetti coprirmi il capo con la borsa per non inzupparmi nel
tragitto fino alla mia macchina.
Era una macchina abbastanza inusuale per una donna, a detta di molti,
una Jeep scura e meravigliosa che adoravo con tutta me stessa e che mi
ero regalata due anni prima per il mio venticinquesimo compleanno.
Osservai nello specchietto retrovisore i miei capelli biondi,
già tendenzialmente crespi, ridotti ad un groviglio informe ed
umido che sarebbe stato terribile districare e poi lo riposizionai ad
inquadrare il vetro posteriore, mettendo in moto diretta verso casa.
Quando finalmente scorsi le villette a schiera di Little Whinging attraverso la pioggia fitta mi sentii sollevata.
Svoltai nel mio vialetto e spensi il motore lanciando un’occhiata
alla casa, stranamente silenziosa, dei vicini: solitamente il vecchio
Dursley deliziava il vicinato con i suoi toni soavi mentre la magra
moglie lanciava occhiate preoccupate dalla finestra, temendo il
giudizio di noi vicini; giudizio che, per quel che mi riguardava, era
comunque pessimo. Mi era capitato più di una volta di difendere
quel delinquente del figlio, Dudley, per atti vandalici e risse che per
lo più consistevano nella sua abitudine di pestare i più
piccoli.
L’altro ragazzo, il nipote, era un tipo davvero strano. Lo
tenevano praticamente segregato in casa e mi era capitato raramente di
incrociarlo, seminascosto dietro dei grossi e tondi occhiali e con
l’aria decisamente infelice. Si diceva che l’avessero
spedito al Centro Di Massima Sicurezza San Bruto per Criminali
Irrecuperabili. Se quel posto esistesse davvero o no, per me, restava
un mistero.
Mi preparai a nuotare fino alla porta e mi tuffai fuori dall’auto, camminando a passo svelto fino al portico.
Sobbalzai notando una macchia scura accucciata sul mio tappetino e mi
feci indietro, improvvisamente incurante della pioggia, quando la
macchia scura prese a ringhiarmi contro, aggressiva.
-A cuccia, bello. Parliamone.
In linea di massima adoravo i cani ma quello sembrava proprio odiarmi e di tendergli la mano non ne avevo la minima intenzione.
Mi squadrò per qualche secondo e smise di ringhiare, inclinando il muso con aria curiosa.
Era davvero un cane strano, tutto nero ed arruffato e con degli
incredibili occhi grigi che sembravano scrutarmi attraverso la pelle.
Infine guaì piano e mi si avvicinò, leccandomi una mano.
-Non sei poi così feroce, in realtà. Vero, cucciolone?
Mi chinai sulle ginocchia e presi ad accarezzarlo, cauta.-Sei zuppo e hai fatto bagnare anche me, cattivone.
Mi sollevai e presi le chiavi nella borsa ormai fradicia mentre lui non
perdeva neanche un mio movimento, feci scattare la serratura ed entrai,
facendomi da parte e rivolgendomi all’animale.
-Su, entra pure. Non vorrai mica restare fuori ad inzupparti ancora?
Il cucciolone avanzò, diffidente, oltre la soglia senza smettere
di fissarmi ma una volta che ebbi chiuso la porta alle sue spalle notai
che la coda aveva iniziato timidamente a muoversi.
Gettai la borsa per terra e attraversai l’ingresso togliendomi le scarpe e saltellando da un piede all’altro.
Mi catapultai nella mia stanza più veloce possibile togliendomi
di dosso i vestiti bagnati per restare in biancheria intima e
così svestita e sotto lo sguardo vigile dell’enorme
batuffolo nero che mi aveva seguita come un’ombra, andai in bagno.
Scossi i lunghi capelli chiari e quando pochi istanti dopo sentii il
cane fare lo stesso con il suo pelo, poco oltre la soglia del bagno, mi
voltai rivolgendogli un’occhiata di rimprovero al quale quello
rispose con un guaito di scuse, zampettando sul posto e intenerendomi
definitivamente.
Mi frizionai per qualche minuto i capelli così da asciugarli un
po’ e poi con la stessa asciugamano presi a massaggiare il pelo
del cagnolone che sembrava godere da matti di quelle attenzioni a
giudicare dal modo in cui scodinzolava sbattendo la coda contro la
porta di legno.
Risi, divertita, e stringendo la lingua tra i denti passai ad
asciugargli il muso, stringendogli le orecchie pelose e il capoccione
scuro mentre lui odorava freneticamente l’asciugamano che
probabilmente profumava ancora del balsamo alla pesca dei miei capelli.
Quando mi sembrò finalmente un po’ più asciutto mi
tirai su, posando le mani sui fianchi e guardandolo, interdetta.
-Cosa ci faccio io, con te?
Fin da quand’ero bambina i cani erano sempre stati i miei animali
preferiti, di gran lunga più affettuosi e fedeli dei gatti,
infidi e calcolatori.
I miei vivevano in una casa in campagna che ospitava da sempre almeno
quattro esemplari di quella adorabile specie e quindi ero cresciuta,
per forza di cose, con quella forma mentis che, in quel momento, mi
imponeva di accogliere il pelosone in casa mia. Non potevo di certo
gettarlo di nuovo per strada, non aveva un collare e a giudicare dal
suo odore non faceva un bagnetto da un bel po’ di tempo, ragion
per cui non avevo elementi per ritenere che avesse un padrone, nel
quartiere, che lo potesse rivendicare.
Gli posai la mano sul capo e lo accarezzai, energica. –Stasera
sono troppo stanca ma domani ti tocca un bel bagnetto profumato.
Abbaiò, in risposta, facendomi sussultare ma in quel verso non
c’era più alcuna traccia della ferocia iniziale e con la
lingua penzoloni e la bocca spalancata sembrava invece l’immagine
della felicità.
Indossai una enorme t-shirt e mi stravaccai sul divano sul quale avevo
steso una vecchia e logora tovaglia da tavola sulla quale battei forte
la mano, guardando il mio nuovo amico che si era accomodato di fronte a
me e mi guardava, vispo.
-Salta su, Rain.
Il nome che gli avevo affibbiato sembrava piacergli molto e una volta
posizionatosi sul divano, al mio fianco, mi regalò una generosa
leccatina sul braccio e si raggomitolò su se stesso, soddisfatto
ed appagato.
Accesi la tv e la sintonizzai sul canale che mandava il mio programma
musicale preferito ma il mio sguardo continuava a cadere sul cane che
mi sonnecchiava accanto.
Mentre MTV trasmetteva un live di Changes di David Bowie nella mia
mente andava facendosi spazio un pensiero tanto inaspettato quanto
dolce: quella casa sembrava improvvisamente meno vuota e il senso di
solitudine che ogni sera mi pervadeva non aveva ancora fatto la sua
triste comparsa. Avevo sempre amato la pioggia estiva.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2. Troublemaker ***
furry2modificato
Furry Love 2
Furry
Love
2- There's a million
mouths to feed
And I've got everything I need
I'm breathing
And there's a hurting thing inside
But I've got everything to hide
I'm grieving
La
mattina successiva la pioggia era cessata ma l’afa non aveva
fatto altrettanto, era evidente, considerato il groviglio di lenzuola
che mi trovai avvolto ai piedi e la posizione scomoda che avevo
assunto, insofferente persino durante il sonno.
Mi sollevai a sedere a gambe incrociate e premetti le mani sugli occhi,
massaggiandomi le palpebre.
Un guaito mi fece sussultare e mi ricordò del mio nuovo
coinquilino che molto più sveglio e pimpante di me stava
accanto
ai piedi del letto, scodinzolando.
-Vuoi farmi venire un infarto, per caso?- lo rimproverai ridendo per
poi gettarmi di nuovo con la schiena sul materasso con un sonoro sbuffo.
L’idea di chiudere gli occhi si dimostrò
decisamente pessima. –Che schifo, Rain!
Il grosso cagnolone era balzato sul letto, silenzioso come un
predatore, e mi aveva regalato una generosissima leccata sul viso, per
poi accomodarsi accanto a me con estrema naturalezza, come se quel
letto fosse sempre stato anche il suo.
-Avrei voluto farti il bagno prima ma.. fai pure, prego!
Certo, non era esattamente normale parlare con un cane ma ero sempre
stata convinta che fossero capaci di capire e di provare sentimenti,
come le persone e forse anche di più, e lo sguardo
impertinente
di Rain, mentre cominciava a rotolarsi sulla schiena torcendosi tutto,
non fece che confermare la mia tesi.
-Forza.- decretai alzandomi ed infilando la maglietta extralarge che
avevo abbandonato sulla poltrona accanto al letto.-Andiamo a
spulciarci, balordo.
Mi seguì ubbidiente fino al bagno ed io indicai la vasca,
con fare autoritario. –Lì! Salta dentro.
Si sedette, ostinato, e mi rivolse uno sguardo che avrei potuto
tranquillamente definire contrariato.
-Non farei tanto la schizzinosa, se fossi al posto tuo.
Si allungò sulle zampe davanti nascondendovi in mezzo il
muso per non guardarmi emettendo uno strano suono.
-Ti rispedisco in strada, brutto ruffiano presuntuoso!
Come se avesse compreso la mia minaccia si sollevò
svogliatamente e con passo flemmatico e senza rivolgermi neanche uno
sguardo entrò nella vasca, una zampa dopo l’altra.
-Guarda tu.- borbottai scuotendo il capo ed aprendo il getto
d’acqua che lo colpì dritto al muso facendolo
abbaiare,
infastidito.
Quando ebbi finito di lavarlo e lui di schizzarmi più per
dispetto che per asciugarsi, misi il resto delle lasagne precotte della
sera prima in un piatto che posai sul pavimento per poi uscire a fare
la spesa raccomandandogli di non demolire la casa durante la mia
assenza, quasi rassicurata dal modo in cui aveva tirato indietro le
orecchie.
Durante il tragitto verso il supermarket, rigorosamente a piedi, mi
immersi nei miei pensieri e mi ritrovai a sorridere.
Rain era stato la novità che mi mancava per riprendere la
mia
proverbiale voglia di vivere: la routine mi stava uccidendo, la mia
vita era un continuo correre da casa allo Studio e dallo Studio a casa
che sembrava ogni giorno più vuota, più triste.
Avevo ventisei anni e la maggior parte delle mie amiche era ormai
sposata o condivideva la propria vita con l’uomo giusto mentre
il mio unico compagno di vita era il lavoro e la mia amante
l’abitudine.
Ero un avvocato realizzato, lavoravo nel migliore studio di tutta
Londra e se avessi voluto avrei potuto avere anche le mie due o tre
storielle, di tanto in tanto.
Non ero quella che poteva considerarsi una bella donna, troppo minuta,
da sempre, il mio naso non era all’insù come
quello delle
ragazze sulle copertine delle riviste e non avevo neanche la loro terza
di reggiseno. L’unica cosa di cui ero sempre stata molto
fiera
erano i miei occhi azzurri che, tuttavia, sembravano scuri e freddi per
il novanta per cento del tempo.
-Ops, scusami!
Lo strano nipote dei Dursley si sistemò gli occhiali sul
naso e
mi rivolse uno sguardo verdissimo e mortificato. –Andavo di
fretta e..
-Non ti preoccupare.- lo rassicurai. Mi era arrivato addosso mentre
procedeva di gran carriera nella direzione opposta alla mia.
–Tutto bene?
-Sicuro!- mi rispose, poco convinto. –Devo portare questo ai
miei zii.
La smorfia che si dipinse sul suo volto mentre mi mostrava una enorme
busta della spesa mi fece sorridere. –Devono essere
terrificanti
se ti fanno correre così tanto.
Sgranò gli occhi, stupido ed evidentemente felice di non
essere
l’unico a pensarla a quel modo. –Non immagini
neanche
quanto! Allora io.. vado!
Sollevò timidamente una mano in segno di saluto e con un
mezzo sorriso riprese a correre verso casa.
Tornai sui miei passi, diretta verso la meta della mia piccola
passeggiata mattutina ma sembrava proprio che avessero tutti una gran
fretta quel giorno, perché pochi istanti dopo uno strano
uomo
con un lungo cappotto di pelle e i capelli neri e lunghi quasi mi
travolse, camminando a passo svelto.
Lo fissai, sbigottita, quando passò come un razzo ad un
soffio da me come se non mi avesse neanche vista.
-Ma cosa è successo a tutti quanti, oggi?
La sera del grande evento cui il giovane avvocato Russell mi aveva
gentilmente concesso di accompagnarlo a dimostrazione di quanto
magnanimo fosse il suo spirito, arrivò prima del previsto e
i
vestiti nel mio armadio sembravano tutti profondamente inadeguati
nonostante fossi ormai abituata a convegni e cene di lavoro di ogni
tipo.
Erano le sei e mezza ed io stavo in accappatoio e con i capelli ancora
umidi lasciati ricadere sulle spalle davanti alla fila di grucce
guardandole con aria di sfida.
-Tu che dici,-mi rivolsi a Rain che sonnecchiava a pochi passi da
me-questo o questo?
Sollevai alternativamente due vestiti, un semplice ma elegante tubino
nero ed un altro decisamente più aggressivo e scollato che
non
avevo mai messo ma del tipo che ero abituata a vedere addosso alle mie
platinate ed agguerrite colleghe che partecipavano a questi eventi solo
per incontrare uomini d’affari ed entrare in giri proficui
che
spesso prevedevano una piccola tappa nel letto dei pezzi grossi.
-Eccessivo, non credi?- chiesi di nuovo, alludendo all’ultimo
vestito.
Nascose il muso tra le zampe come aveva fatto la mattina precedente
davanti all’idea di dover essere lavato e volli interpretare
quel
gesto come una conferma.
Posai le mani sui fianchi e continuai a fissare l’armadio per
poi
darmi un colpetto sulla fronte, entusiasta della mia trovata.
-E se mettessi quello verde?
Uscii di casa qualche minuto prima delle sette per non lasciare a Jason
la soddisfazione di rimproverarmi per aver ritardato neanche un minuto
che lui di certo avrebbe trasformato in cinque o dieci minuti
abbondanti.
Era una serata molto umida e dovetti tirare temporaneamente su i
capelli per evitare che il sudore li arricciasse ma proprio mentre vi
avvolgevo intorno l'elastico un particolare insolito catturò
la
mia attenzione.
Harry Potter, così si chiamava il nipote di quegli esaltati
dei
vicini, era di nuovo di corsa e sembrava parecchio agitato
allontanandosi dalla villetta con un enorme baule a carico e
trascinando su di esso quella che sembrava una enorme gabbia.
Sembrava veramente sconvolto e continuava a guardarsi intorno con aria
nervosa senza però accennare a rallentare minimamente; mi
mossi
di qualche passo verso la direzione che aveva imboccato quando una
sfavillante decappottabile si accostò al marciapiede proprio
davanti a me.
-Non sai che le donne come si deve si fanno sempre aspettare almeno un
po’?
-Non sono una donna come si deve, Jason, dovresti averlo capito ormai.-
risposi facendo il giro e salendo sulla vettura.
-Però hai classe, dolcezza. Quel vestito ti sta
d’incanto.
-Risparmiami i convenevoli e parti altrimenti facciamo tardi e di certo
non sarà colpa mia.
-Avvocato Kane, che piacere rivederla!
Marius Donovan era uno dei più ricchi notai di tutta
l’Inghilterra e si stava avvicinando a me con la mano protesa
verso la mia che non tardò a stringere.
Era un uomo panciuto sulla sessantina, un portamento elegante e
l’aria socievole.
-Signor Donovan, il piacere è tutto mio, come sempre!-
risposi, sorridente.
-Jason Russell! Che fine ha fatto tuo padre, ragazzone? E’ un
po’ che non si fa vedere!- aveva spostato
l’attenzione da
me al mio accompagnatore che era decisamente più a suo agio
della sottoscritta, in quel contesto.
Volteggiava su e giù per la sala salutando questo e
quell’altro importante magistrato o politico esibendosi nella
sua
migliore performance di galanteria con impeccabili baciamano alle mogli
con coliere di perle al collo.
-Si sta godendo un po’ di meritato riposo, adesso che dello
Studio ci occupiamo noi e l’avvocato Mars.- spiegò
posandomi con nonchalance una mano sulla schiena.
-Kate è fortunata a collaborare con due brillanti giovani
come
voi. A proposito, avvocato Kane, non è ancora passata in
giudicato la sentenza di divisione della Woods inc.?
Cominciammo a parlare di lavoro e mi sentii molto più a mio
agio: era proprio quella discrezione che rendeva Marius Donovan una
piacevolissima compagnia. Non chiedeva mai della mia vita privata e mi
stimava davvero per le mie doti professionali a differenza della
maggior parte dei suoi colleghi che impiegavano prevalentemente il loro
tempo spiando nella mia assolutamente deludente scollatura.
-Ma guarda un po’ chi si vede! Cornelius!
Cornelius Fudge si avvicinava a noi con il suo solito sorriso tirato.
Era un grosso esponente della politica inglese, su questo non avevo
dubbi, ma non mi ero mai interessata a lui tanto da approfondire le mie
conoscenze riguardo il suo ruolo sociale.
Sembrava sempre molto teso ed ogni suo tentativo di dissimulare quella
stessa tensione finiva per renderla ancora più evidente
dandogli un’aria molto insicura.
Era più o meno coetaneo di Donovan e la cosa che
più di
ogni altra mi colpiva ogni volta che mi ritrovavo a conversare con lui
era la sua voce che ricordava tremendamente il verso di un
barbagianni del quale, tra l’altro, aveva tutto
l’aspetto.
-Marius, carissimo! Avvocato Russell, avvocato Kane, che piacere!-
salutò tutti con tono quanto più possibile
gioviale e si
unì a noi, portando le braccia dietro la schiena.
-Che succede, Cornelius? Ti vedo parecchio sulle spine..- chiese
Donovan e dovetti trattenermi dall’aggiungere uno dei miei
commenti acidi alla sua affermazione, cosa che Jason dovette notare
perché mi rivolse uno sguardo ammonitore ma allo stesso
tempo
inevitabilmente divertito.
Se c’era una cosa certa era che Jason mi conosceva molto
bene,
dopo tutti quegli anni. I battibecchi erano il nostro pane quotidiano,
adoravo smontare il suo atteggiamento da playboy ma in fin dei conti
avevamo ormai imparato a volerci bene e rispettarci.
-Purtroppo si, Marius. Sono molto preoccupato, sai se John ha ricevuto
il fax che gli ho inviato la settimana scorsa?
John Roy Major era il Primo ministro inglese in carica
nonché grande amico sia del vecchio Donovan che di Fudge.
-Non ho sue notizie da un paio di settimane, a dirti la
verità. Che succede?
-E’ ancora un’informazione riservata, i media non
sono
stati portati a conoscenza del fatto e per questa ragione devo
chiedervi la maggiore discrezione possibile.- ci avvertì con
tono grave prima di continuare.-un pluriomicida, molto pericoloso ed
imprevedibile, è recentemente evaso e non abbiamo idea di
dove
si trovi adesso.
Aggrottai la fronte, confusa. Non sapevo che Fudge si occupasse del
settore della Sicurezza Pubblica.
Dopo un attimo di silenzio prese a frugarsi nelle tasche mormorando
parole incomprensibili per poi estrarne un foglio piegato in quattro e
piuttosto malconcio che porse al signor Donovan.
-E’ lui, Cornelius? Sono sicuro che John si è
già mobilitato per avviare le ricerche.
Non riuscivo a vedere la foto sul foglio ma notai che i due
continuavano a scambiarsi sguardi preoccupati e sembrano volersi dire
più di quanto non si fossero sbilanciati ad esprimere.
-Posso?- chiese Jason allungando la mano verso il foglio, senza fretta.
-Certo, giovanotto, certo.- rispose Donovan riscuotendosi dai suoi
pensieri e porgendo la foto al mio collega che mi si
avvicinò
così che anch’io potessi vedere il volto del
pericoloso
latitante.
Il viso scarno e gli occhi infossati che mi fissavano attraverso la
carta non mi erano nuovi e mi chiesi dove mai avessi potuto incrociare
un criminale, pluriomicida, per altro: probabilmente doveva essere
successo in occasione di qualche udienza penale, mi dissi. Vedevo
continuamente passare file di delinquenti in manette, al tribunale, e
probabilmente tra di loro c’era anche quello che dalla
didascalia
risultava chiamarsi Sirius Black.
Dopo qualche minuto i miei interlocutori cambiarono argomento
riportando la conversazione su un piano meno spiacevole e gravoso ma il
ricordo di quegli occhi continuava a rendermi inquieta per ragioni che
neanche io sarei riuscita a spiegare.
Il tragitto fino a casa fu parecchio strano, sentivo la radio come se
fosse estremamente lontana e avevo una gran voglia di ridere
abbandonando qualsiasi ostentata resistenza all’umorismo
indubbiamente efficace del mio improvvisato autista.
Ridevo forte eppure anche la mia risata risuonava lontana, insieme alla
sua, e la città, fuori dal finestrino, si muoveva in modo
innaturalmente veloce e confuso.
Non avevo mai retto granché l’alcol, soprattutto
se si
trattava di vino bianco pregiato e forte come quello che aveva
più volte riempito il mio bicchiere, quella sera.
La macchina di Jason imboccò il vialetto di casa mia senza
che
potessi davvero realizzare quanto fosse durato il viaggio fino a
lì ed io chiusi gli occhi, cercando di riprendere il
controllo
sul mio corpo.
-Allora vado. Grazie del passaggio.- dissi con voce insolitamente
strascicata ma meno imbarazzante di quanto temessi mentre mi accingevo
ad aprire lo sportello.
-Ti accompagno alla porta, non vorrei che cadessi rovinando
irrimediabilmente il tuo bel faccino.
Sbuffai, contrariata, ma quando cercai di mettermi in piedi traballai
pericolosamente sui tacchi e dovetti aggrapparmi a lui che aveva
velocemente fatto il giro dell’auto venendo in mio soccorso.
-Sei velocissimo!
-No, sei tu che ti muovi a rallentatore, Kane. Possibile che ti
ubriachi ancora come un’adolescente?- mi chiese, divertito,
passandomi un braccio attorno ai fianchi e chiudendo la macchina.
-Zitto, Jason Russell. All’università eri tu il re
delle sbornie, se ben ricordi.
-Beh diciamo che l’atmosfera e la compagnia spesso
conciliavano
l’ebbrezza alcolica.- ribatté con un sorriso
malizioso dei
suoi facendomi venir voglia di picchiarlo.
-Non sorridere in quel modo, lo sai che con me non attacca.- lo accusai
una volta arrivati, poggiandomi contro la colonna del portico.
-Il solo fatto che tu lo abbia notato sembrerebbe significare
l’esatto contrario.- mi redarguì, divertito,
scostandomi
una ciocca di capelli ribelli dal viso e portandola dietro
l’orecchio.
-Accontentati del fatto che.. è stata una bella serata.
Alzò le sopracciglia sorpreso e colpito, posandosi una mano
sul
cuore. –Uh uh, Hannah Kane, la donna dal cuore di granito,
ammette di aver trascorso una bella serata con il sottoscritto. Devi
essere parecchio sbronza, tesoro.
Strinsi le labbra e lo fulminai prima di battere forte le mani e
congedarmi.
-Probabilmente, quindi è meglio che vada dentro. Buonanotte,
Russell.
Feci per voltarmi ed aprire la porta quando sentii la sua presa calda e
ferma attorno al braccio che mi costrinse a voltarmi e un istante dopo
le mie labbra erano incollate alle sue, inspiegabilmente.
In un primo momento sentii l’impulso di tirarmi indietro ma
non
potevo negare che, complici l’alcol e l’atmosfera,
quel
bacio si stava rivelando estremamente piacevole. Il tocco delle sue
labbra era leggero e intrigante e quando schiusi le mie e le nostre
lingue si incontrarono non potei fare a meno di portare la mano alla
sua nuca mentre la sua stava saldamente posata sulla mia schiena,
reggendomi e allo stesso tempo attirandomi a sé.
Aveva un profumo piacevole, probabilmente l’acqua di colonia
più costosa sul mercato che in quel momento mi attraversava
le
narici stuzzicando la parte più istintiva di me; non mi
concedevo un simile contatto maschile da troppo tempo, immersa anima e
corpo nel lavoro e nella carriera che avevo sempre sognato, avevo
evitato ogni fonte di distrazione nella convinzione che una donna
indipendente non avesse bisogno di un uomo al suo fianco per sentirsi
bene con se stessa.
Non ero di certo innamorata di Jason, neanche con il cervello
intorpidito dall’alcol avrei potuto azzardare un simile
pensiero,
ma quel bacio mi stava facendo impazzire e mi sentivo una sciocca
adolescente.
Quando ci separammo avevo il fiato corto e una assurda voglia di
rituffarmi su quelle labbra sottili ed attraenti dalle quali non
riuscivo a staccare gli occhi.
-Vuoi.. entrare?- gli chiesi in un improvviso moto di intraprendenza e
lui in risposta mi baciò di nuovo, sorridendo contro le mie
labbra.
-Spero sia una domanda retorica.- mormorò senza allontanarsi.
Frugai nella borsa alla ricerca delle chiavi e tra il mio equilibrio
decisamente precario e le sue labbra che mi accarezzavano senza tregua
il collo fu quasi un’impresa trovarle.
Aprii la porta e lui mi spinse piano dentro casa senza smettere di
baciarmi.
Una volta chiusa la porta vi posai contro la schiena mentre lui premeva
il suo corpo contro il mio e sentivo confusamente le sue mani ovunque
senza poter trattenere dei piccoli sospiri che si mescolavano al suono
dei suoi baci.
La casa era buia e se non avessi acceso la luce saremmo crollati a
terra contro il primo mobile dato che la mia mente in quel momento non
era assolutamente capace di ricomporre virtualmente la disposizione
dell’arredamento, così con la mano raggiunsi
l’interruttore, facendolo scattare.
Dopo qualche secondo lo sentii bloccarsi e riaprii gli occhi che avevo
chiuso per godere al meglio di quelle sensazioni , rivolgendogli
un’occhiata interrogativa.
-Il tuo cane ci sta fissando, Kane.
Feci scattare lo sguardo verso il pavimento e notai che Rain era
comodamente seduto a pochi passi da noi e ci guardava, impertinente.
-Aspetta un attimo.. un cane? Da quando hai un cane?- mi chiese,
sconvolto, aggrottando la fronte e allontanando un po’ il suo
corpo dal mio.
Ancora qualche istante e mi sarei pentita di quel che stavo facendo, ne
ero certa. Consapevole di questo strinsi il colletto della sua camicia
chiara e lo attirai nuovamente verso di me.
-Da due giorni. Ora zitto e baciami.
Non se lo fece ripetere e cercando di ignorare lo sguardo insistente ed
indagatore del mio nuovo e grosso cane nero tornò a
baciarmi,
anche se con meno convinzione.
Bau.
Quell’abbaio suonò tanto come un rimprovero e
Jason
si separò definitivamente da me, posando il capo contro la
porta, accanto al mio.
-Non ce la faccio, così. Possiamo andare nella tua stanza?
No, in realtà. Non potevamo affatto perché in
tutto quel
trambusto il mio cervello si era mosso velocemente realizzando che
stavo davvero per andare a letto con il più donnaiolo degli
avvocati di Londra e che questo avrebbe di certo avuto non poche
ripercussioni sul nostro lavoro.
-No, Jason, è.. meglio che tu vada.- dissi passandomi una
mano
sul viso e allontanandomi di qualche passo, sottraendomi alle sue mani.
-Cosa? Perché? –chiese sinceramente allibito.
-Perché stavamo per fare un grosso errore.
Fu il suo turno di sbuffare e sbatté senza alcuna
delicatezza la
testa sulla porta. –Ti preferivo ubriaca, Kane. Sei la solita
guastafeste.
Incrociai le braccia, fermandomi, ancora non esattamente padrona delle
mie gambe.
-E tu il solito gentiluomo, Russell. Credo davvero che sia il caso che
tu vada. Ci vediamo lunedì allo Studio.
Capita l’antifona e non senza avermi rivolto
un’occhiata
velenosa riaprì la porta ed uscì.
–Buonanotte,
Hannah.
Era raro che mi chiamasse per nome ed ero consapevole che facendolo
volesse davvero dirmi qualcosa di più ma non ero
psicologicamente
abbastanza
presente da rifletterci davvero.
-Che hai da guardare tu?- chiesi, arrabbiata, a Rain che aveva
assistito al disastro più grande che la sua padrona avesse
combinato negli ultimi mesi. Anni. Probabilmente decenni. Il peggiore
dopo la scelta di non mettere l’apparecchio, ad occhio e
croce.
Song:
I saved the world today -
Eurythmics
Artwork: HilaryC
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3. Trapped ***
furry love 3
Furry Love
3- Isn't anyone tryin' to find me?
Won't someone please take me home?
It's a damn cold night
Trying to figure out this life
Won't you take me by the hand,
take me somewhere new?
I dont know who you are
but I'm with you.
I
giorni successivi Jason si mostrò, se possibile, ancora
più indisponente del solito lanciandomi continuamente
occhiatacce e alternandole con battutine pungenti sotto lo sguardo di
Joanne che invece non perdeva occasione per mormorare “te
l’avevo detto”.
Quando quella mattina arrivai in ufficio pronta all’ennesima
giornata di inferno, notai che le pratiche si erano accumulate in modo
spaventoso e una pila di carpette troneggiava minacciosa sulla mia
scrivania; ne afferrai una, la più esterna, e la aprii.
Era una causa che avevo affrontato per conto di Jason e il termine per
il deposito scadeva a giorni, ragion per cui mi serviva assolutamente
una sua firma. Dovevo mettere da parte, con una certa urgenza,
l’istinto di trucidarlo e di tagliargli quella sua lingua
biforcuta e soprattutto dovevo trascinarmi fino al suo ufficio e
bussare. Poche semplici mosse che però costavano una fortuna in
termini di orgoglio e fastidio.
Joanne parlava velocemente con il ricevitore premuto contro
l’orecchio scribacchiando appunti sull’enorme blocco ce
occupava mezza scrivania e non potei neanche chiederle se Jason si
trovasse o meno nel suo ufficio, perciò mi avviai lungo
l’ampio corridoio soffermandomi sul panorama londinese che mi
accompagnava scorrendo oltre le grandi vetrate alla mia sinistra.
Sentii delle voci e mi bloccai davanti alla porta dell’ex ufficio
dell’avvocato Russell senior, interdetta. Non veniva praticamente
mai allo studio e soprattutto non riceveva più clienti.
-Sta tornando, ti dico, e credo proprio che tu debba fidarti. Lo sai
che il nostro Signore non tollera alcuna indecisione, un tempo saresti
stato pronto a tutto per lui.- una voce melliflua aveva pronunciato
quelle parole e pochi istanti dopo giunse la risposta di Russell.
-Un tempo, prima che uno stupido moccioso lo mettesse al tappeto, Lucius..
-Fossi in te non parlerei così di lui, non è mai stato particolarmente incline al perdono.
Le parole del suo interlocutore suonavano tremendamente come una
minaccia ed io non riuscivo ad allontanarmi da quella porta, come
incatenata.
-La fuga di quel Black ha sollevato un gran polverone e il vostro stupido ministro si mostra particolarmente sospettoso.
-Non è il mio ministro, lo sai.
-Fudge lo è invece? Un inetto. Cieco e vanesio.
-Che diamine stai facendo, Kane?
La voce di Jason mi fece sobbalzare ed allontanare dalla porta, come scottata.
-Io..ehm, cioè non.. ti stavo cercando e..- colta alla
sprovvista e troppo sconvolta per quella insolita conversazione non
riuscii a trovare una scusa degna di essere definita tale neanche
quando la porta si aprì mostrando due figure dall’aria
decisamente infastidita.
-Avvocato Kane, quale piacere.
Lucius Malfoy, il braccio destro di Fudge, si stagliava, biondo e
tronfio come sempre, sulla soglia fissandomi con un piglio minaccioso.
-Kane non mi sembra di averla fatta chiamare, non origliava quando era
una semplice praticante e lo fa adesso?- mi chiese stizzito Russell
incrociando le braccia al petto e incurvando le sopracciglia
cespugliose.
Era un uomo distinto ed elegante, la versione anziana del figlio,
altrettanto bello nonostante l’età e caratterialmente
molto simile a Jason.
-Mi scusi, passavo per caso, cercavo Jason io non.. non avevo alcuna intenzione di..
-Fossi in lei non ficcherei il naso negli affari di chi l’ha resa
quel che è oggi, avvocato.- mellifluo e sgradevole come sempre
Malfoy stava ancora saldamente ancorato al suo bastone da passeggio,
totalmente inutile a mio avviso, considerata l’età affatto
avanzata. Non avrebbe potuto avere più di quarantacinque anni ed
era di certo in ottima salute.
-Ho delle cose da sbrigare, ad ogni modo. A presto, Russell. Jason.-
ignorandomi bellamente si incamminò verso
l’uscita.-Conosco la strada.
Quel giorno restai a lavorare sgranocchiando un panino anche durante la
pausa pranzo e così per tutto il pomeriggio impiegando il doppio
del tempo anche per le cose più semplici troppo distratta dal
ricordo della conversazione che avevo ascoltato per concentrarmi
davvero sul lavoro. La montagna di scartoffie, tuttavia, non si sarebbe
di certo dissolta nel nulla e per questa ragione restai in ufficio
anche quando tutti se ne furono andati, compreso Jason non senza avermi
rivolto un paio delle sue solite frecciatine.
Quando guardai l’orologio, sfinita, mi accorsi che erano ormai le
due e mezza passate della notte e mi decisi a tornare a casa per
concedermi una doccia e qualche ora di sonno.
Purtroppo quando le cose vanno male la sorte ne approfitta per
ricordarti che non c’è fine al peggio e una volta salita
in macchina l’unica cosa che ottenni girando la chiave fu un
fastidioso stridio.
-Che cavolo, vuoi metterti in moto?- provai ancora e ancora per almeno un quarto d’ora ma senza il minimo risultato.
-Porca buttana.- diedi un pugno al volante e scivolai fuori
dall’abitacolo lasciandomelo alle spalle, posteggiato nel
parcheggio dello studio.
Quando raggiunsi la metropolitana la trovai deserta e con una rapida
occhiata appresi che la prossima metro non sarebbe passata prima di
dieci minuti.
Troppo assonnata anche solo per pensare mi abbandonai su una panchina, distrutta.
Quella giornata era stata un inferno e non vedevo l’ora di
tornare a casa, coccolare un poco Rain e affondare la testa nel mio
adorato e morbido cuscino perché si, io il letto lo usavo per
dormire.
-Cosa usi contro le ragnatele, Kane? Perché sono sicuro che comincino a diventare un problema.
Jason sapeva essere davvero inopportuno e sgradevole quando ci si
metteva e quella era solo una delle tante battutacce con le quali mi
aveva deliziata negli ultimi giorni e il fatto che continuassero a
vorticarmi in testa a quel modo mi infastidiva più della loro
cattiveria vera e propria.
Un lampo di luce catturò la mia attenzione e il mio sguardo
volò fino all’imbocco della metro dalla quale si
intravedevano delle ombre via via sempre più vivide.
Sembravano degli uomini incappucciati e quando sbucarono oltre il varco
ne ebbi la conferma. Erano in tre e camminavano a passo spedito nella
mia direzione.
Mi guardai intorno e mi ricordai di essere completamente sola quando un
raggio mi mancò di poco, dritto dritto oltre la mia spalla.
Terrorizzata presi a correre verso l’uscita voltandomi di tanto
in tanto e trovandomi quegli uomini ancora alle calcagna nonostante non
accennassero ad affrettare il passo, sembrava proprio che non ne
avessero bisogno.
Corsi a perdifiato realizzando solo in quel momento che quella stazione
della metro doveva essere in assoluto la più ampia di Londra
perché nonostante i miei piedi si muovessero veloci non avevo
ancora raggiunto l’uscita.
Quando giunsi a pochi metri dalla mia unica via di fuga vidi altre due
ombre segnalare la presenza di nuovi uomini incappucciati e mi bloccai,
raggelata.
Ero spacciata. A qualunque setta appartenessero io ero ufficialmente
l’agnello sacrificale per chissà quale strano rito si
sarebbero apprestati a compiere e non avrei potuto fare nulla per
evitarlo.
Evitai l’ennesimo raggio rosso raggomitolandomi su me stessa,
troppo spaventata anche per chiedermi quale fosse la sua origine e
pochi istanti dopo mi trovai circondata.
Uno di loro si fece avanti ed io istintivamente indietreggiai cozzando contro il petto di uno dei miei inaspettati aguzzini.
-Che cosa volete?- sputai ormai rassegnata tirando fuori l’unico
sentimento che mi teneva in piedi e mi impediva di svenire e restare
definitivamente inerme in mezzo a loro. Non risposero ma l’uomo
contro il quale avevo sbattuto mi afferrò stringendo le dita
sulle mie spalle.
-Ho dei soldi in borsa se è questo che cercate e non ho addosso gioielli di valore, spiacente.
-La babbana è persino impertinente, oltre che ficcanaso.- gracchiò uno di loro.
Non sapevo di cose stesse parlando e nonostante la tragica situazione
quell’insulto mi suonò parecchio insolito. Erano pure
squilibrati, altro che delinquenti.
Ero finita in mezzo ad un branco di invasati che mi avrebbero staccato
la testa e avrebbero di certo usato il mio teschio come vaso per
crisantemi, grandioso.
Avevo sempre sentito dire che nelle situazioni estreme
l’adrenalina faceva strani scherzi e se nel mio caso
l’unica cosa che avevo ottenuto era un incremento al mio dark
humor era stato davvero un grande affare, sul serio.
-Gettala sui binari, sembrerà un incidente.
-Cosa? Hey, non..
Prima che potessi dire qualsiasi cosa l’energumeno mi spinse con
forza sulle rotaie facendomi sbattere violentemente la caviglia.
Provai ad alzarmi ma doveva essere rotta perché rovinai sui binari gelidi, gemendo.
Gli uomini incappucciati erano scomparsi abbandonandomi alla morte più atroce che si potesse immaginare.
Avevo spesso pensato, da bambina, a quanto strana sarebbe stata la mia
morte e crescendo avevo accantonato i conflitti tra supereroi e tutto
il resto immaginandomi circondata da figli e nipoti e magari con la
mano dell’uomo che amavo stratta alla mia. Niente di tutto
ciò su cui avevo fantasticato sarebbe avvenuto, né i
supereroi né l’amore di alcun figlio, nipote o marito;
sarei morta quella notte sotto una stupida metro e magari non mi
avrebbero neanche riconosciuta, ridotta a brandelli.
L’odore di benzina e di umidità invase le mie narici
mentre mi trascinavo verso il margine, poggiando la schiena contro la
fredda pietra.
Un abbaio fortissimo mi fece sollevare lo sguardo e vidi Rain correre verso di me, lungo il marciapiede della metropolitana.
Doveva essere un’allucinazione o comunque un cane che gli
somigliava perché il mio Rain era chiuso in casa e ci sarebbe
rimasto a lungo, pensai amaramente, finché i miei genitori non
fossero venuti a raccattare le mie cose per mettere in vendita
l’immobile.
Stavo davvero pensando ai miei genitori che vendevano la mia casa in seguito alla mia prematura dipartita?
Il campanello mi avvertì che la metro si stava avvicinando e pochi
istanti dopo vidi i fari e sentii il terreno sotto di me tremare
fortissimo.
-Hannah.
Fu tutto troppo veloce: quella voce apparteneva ad uno strano uomo,
forse un angelo avvolto in uno scuro e lungo cappotto di pelle che mi
afferrò poco prima della fine e in un battito di ciglia,
inspiegabilmente, il paradiso si rivelò essere il salotto di
casa mia. E poi il buio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 4. Magic ***
furry love 4 corretto
Furry
Love
4- Oh, oh, oh
It's magic, you know!
Never believe it's not so.
It's magic, you know!
Never believe, it's not so.
Ripresi
coscienza sentendo in lontananza uno strano e timido rumore metallico
che mano a mano che i miei neuroni si risvegliavano riconobbi essere il
suono di un cucchiaino su un bicchiere.
Aprii piano gli occhi e mi ritrovai sul mio letto, con addosso una
delle mie magliette troppo larghe e le gambe coperte da un lenzuolo.
Mi puntellai sui gomiti per tirarmi su, ancora troppo intontita per
pensare alcunché di razionale quando un dolore lancinante
alla
caviglia mi fece sussultare. –Ahia, caz..-
-Stai giù, credo sia rotta.-
Quasi mi prese un colpo quando un uomo varcò la soglia della
mia
camera con un bicchiere in mano, avanzando nella mia direzione.
-Chi diavolo sei? Io.. cosa..-
Mi guardai intorno e nonostante il dolore mi sollevai mettendomi a
sedere pur sapendo che con la caviglia in quelle condizioni non sarei
riuscita a scappare neanche volendo.
Doveva essere tutto vero, quindi, ed inspiegabilmente ogni pezzo del
mio corpo era ancora al suo posto. O quasi.
Tornai a guardare l’uomo che nel frattempo aveva poggiato il
bicchiere sul comodino accanto al mio letto: i capelli cadevano lunghi
e scuri attorno al viso scavato e la barba incolta gli dava
un’aria particolarmente trasandata. Gli occhi,
incredibilmente
grigi, mi fissavano con insistenza in attesa di una mia reazione e
quando incrociò le braccia al petto mi accorsi che indossava
una
camicia chiara e fin troppo familiare.
-Hai..frugato nei miei cassetti.-
Indossava una delle camicie che mio padre aveva lasciato a casa mia
durante una delle sue permanenze a Londra su dei jeans che, realizzai,
avevano la stessa provenienza.
-Uno sconosciuto passeggia indisturbato per casa tua e la tua
preoccupazione riguarda i vestiti che indossa?- mi chiese incredulo e
saccente rivolgendomi un’occhiata dubbiosa.
Il mio cervello doveva essersi totalmente destato perché in
pochi istanti ricollegai tutti i tasselli. Era l’uomo che
avevo
incrociato per strada, qualche giorno prima, e anche l’uomo
che
Fudge ci aveva mostrato dichiarando essere un pericoloso latitante.
Il panico prese possesso del mio corpo e aprii un paio di volte la
bocca per ribattere senza che da essa uscisse alcun suono.
Lanciai istintivamente un’occhiata al cassetto del
comò
dentro il quale tenevo una pistola ed un caricatore. Gli anni in cui
avevo frequentato il poligono di tiro e la fatica per ottenere il porto
d’armi, evidentemente, potevano tornarmi utili.
-Io so chi sei. E so che là fuori ti stanno dando la caccia.
Come diavolo hai fatto ad entrare in casa mia?- mentre pronunciavo
quelle parole mi ero trascinata fuori dal letto e cercai di raggiungere
il comò puntellandomi con le mani sul muro per sorreggermi e
cercando di non badare al dolore lancinante alla caviglia.
-Mi ci hai fatto entrare tu, Hannah. E’.. complicato.-
Approfittando del momento di distrazione dell’uomo che si era
portato una mano alla nuca, pensieroso, alla ricerca delle giuste
parole da dire, aprii velocemente il cassetto ed impugnai la pistola
inserendo il caricatore e puntandola contro di lui, saldamente stretta
nella mano libera mentre con l’altra mi reggevo per non
cadere.
-Ti ho salvato la vita, stanotte. Voi babbani non sapete mostrare
neanche un minimo di ricon..-
-Babbani? Tu.. sei uno di loro!-
Lo avevo urlato ed evidentemente il timore di una pallottola
incastonata in fronte doveva averlo convinto a difendersi
perché
in un istante estrasse uno strano oggetto ligneo e la pistola mi
scivolò di mano, rovinando sul pavimento.
-Adesso calmati ed ascoltami. Ti posso spiegare.-
Istintivamente indietreggiai, spaventata e finii per crollare
anch’io sul pavimento troppo lontano dalla mia pistola per
poterla riagguantare; gemetti forte mentre il piede, dopo
quell’ulteriore colpo, sembrava lì lì
per staccarsi
dalla gamba.
Si avvicinò e si chinò vicino a me che sferrai un
pugno
che però riuscì ad evitare per poi afferrarmi
saldamente
il braccio, bloccandolo.
-Non ti farò del male, Hannah. Devi ascoltarmi, sei in
pericolo.-
Rassegnata ed impotente lasciai che i miei occhi, intimoriti,
incontrassero i suoi e inaspettatamente mi sembrarono limpidi, sinceri.
Avevo sempre vantato una cerca capacità di capire le
persone, di
classificarle e definirle e se non avessi saputo che quello che avevo
di fronte era un pericoloso criminale avrei di certo ceduto
più
facilmente all’istinto di fidarmi.
Mi porse la mano, cauto.
-Ti aiuto a rimetterti a letto. Quella sul comodino è acqua
con
dello zucchero, ti rimetterà in forze così,
quando
avrò finito di spiegarti come stanno le cose, potrai
prendermi a
pugni quanto ti pare.-
-Come faccio a fidarmi di te?-
-Se non puoi fidarti di me, forse, potrai fidarti di lui.-
Non avrei saputo spiegare come né quanto velocemente ma
nell’esatto punto in cui fino a pochi istanti prima si
trovava
quell’uomo apparve Rain rivolgendomi lo stesso identico
sguardo
turbato.
-Sono..tutta orecchie.-
Il racconto che seguì fu il più assurdo che le
mie
orecchie fossero mai state costrette ad ascoltare ma, incredibilmente,
ogni cosa assunse un significato, anche le parole di quel Malfoy e del
padre di Jason.
Disse che erano dei maghi e che lui era riuscito a scappare da una
prigione magica nella quale era stato rinchiuso per un crimine che non
aveva commesso. Era venuto a Little Winghing per proteggere il suo
figlioccio che viveva con gli zii nella casa accanto e che dedussi
essere proprio il giovane Potter.
Aveva il potere di trasformarsi in cane ogni volta che voleva ed aveva
girovagato per il quartiere per un paio di settimane prima di essere
accolto in casa mia.
-Cosa volevano quegli uomini da me?-
-Questo non saprei dirtelo. Sono i seguaci di un mago malvagio, il
più temibile di tutti i tempi. Spietato, folle. Non capisco
cosa
tu possa aver fatto per inimicarteli.-
-C’entra con il fatto che ospito un criminale, forse?- chiesi
senza riuscire ad evitare un tono piuttosto sarcastico.
-Non sono un criminale e no, non credo proprio. Nessuno sa che sono
qui. La mia natura di animagus non è dichiarata.-
-Aniche?-
-Cane.-
-Ah.-
Stava seduto ai piedi del letto e si passava continuamente le mani tra
i capelli in un rituale nervoso ed inquieto.
-Credo di aver sentito parlare di questo.. mago? Ieri Lucius Malfoy era
allo Stud..-
-Lucius Malfoy?!-
Scattò come una molla, inarcando le sopracciglia.
-Si, il braccio destro di Fudge.-
-Come conosci Fudge?-
Confuso mi fissava con gli occhi sgranati in attesa di una risposta
sensata che mi ci volle più tempo del previsto a formulare.
-E’ un ministro, non so di cosa, essenzialmente, ma mi
è
capitato spesso di incontrarlo durante degli eventi cui ho partecipato
per conto dello studio per cui lavoro.-
-E’ il Ministro della Magia.- mi spiegò con
semplicità.- E Malfoy è un Mangiamorte, uno dei
seguaci
di Voldemort.-
Dedussi che quello doveva essere il nome del nemico numero uno di cui
mi aveva parlato fino a qualche minuto prima e mi affrettai a
raccontargli il resto.
-Ho ascoltato una conversazione tra Malfoy e l’avvocato
Russell.
Dicevano che qualcuno stava tornando, qualcuno di molto vendicativo e
in cerca di seguaci.
-Non conosco questo Russell ma evidentemente è anche lui uno
dei
suoi, o comunque è disposto ad aiutarli. Ora è
tutto
chiaro, avevi sentito troppo e dovevano eliminarti.-
-Strano modo di uccidere, per dei maghi.-
-Se ti avessero fatto un incantesimo avrebbero destato sospetti ed
è l’ultima cosa che vogliono. Voldemort sta
risorgendo e
non è ancora tempo per mosse azzardate.-
Era tutto così assurdo che mi era venuto il mal di testa ma
quello che avevo di fronte era indubbiamente l’unica persona
che
avrei dovuto ringraziare se ero ancora viva e non potevo far altro che
fidarmi.
Portai le gambe al petto e mi ricordai di essere ancora in mutande con
solo una enorme maglietta a coprire lo stretto necessario.
-Hey! Mi hai.. spogliata!-
-E’ da quando sono arrivato qui che ti vedo girare per casa
in
lingerie, credi che la cosa possa avermi turbato? I tuoi vestiti erano
sporchi, dopo esserti rotolata per mezza metropolitana, e non era
affatto igienico metterti a letto in quelle condizioni.-
Mi zittii all’istante realizzando con estremo imbarazzo che
quello che avevo considerato fino a quel momento come il mio fedele
amico a quattro zampe in realtà non lo era affatto.
-Posso farti una domanda io, adesso?- mi chiese facendosi
improvvisamente pensieroso.
-Cosa?-
-Che diamine di nome è Rain?-
L’acqua e zucchero che mi aveva così
premurosamente
preparato si era rivelata un vero toccasana e completò
l’opera curandomi la caviglia con quella che appresi essere
una
bacchetta magica, di quelle che le streghette con il naso aquilino
agitavano nei film e con la quale mi aveva elegantemente disarmata
neanche mezzora prima.
-Bene, adesso che sai tutto e non hai neanche dato eccessivamente di
matto, a parte puntarmi contro una pistola, credo che..-
Fu interrotto dal trillare del mio telefono che si illuminava nella
tasca del jeans che indossavo la notte precedente e che
inspiegabilmente non si era frantumato a causa della caduta rovinosa
sulle rotaie, caduta che, per inciso, non ero ancora riuscita a
metabolizzare del tutto.
-Scusami.-
Mi alzai e istintivamente cercai di allungare la maglietta abbastanza
da coprire il sedere lanciandogli uno sguardo torvo, non avevo ancora
dimenticato la sua battutina sulla mia lingerie.
-Pronto?-
-Hannah.. stai bene?- era Jason e sembrava anche preoccupato. Guardai
l’orologio appeso al muro accanto alla porta e notai che
effettivamente ne aveva tutte le ragioni, era passato mezzogiorno e non
mi ero presentata allo Studio.
-Si, sto bene è solo che ieri ho fatto tardi e stamattina
non mi sono svegliata. Scusami.-
Qualche istante di silenzio e a seguire un sospiro.
-Pensavo fossi stata rapita dagli alieni, sei sempre così
fastidiosamente ligia al dovere che..-
-Hai ricominciato con le cattiverie, Russell? Perché se
è così sappi che non è aria.-
-No, non era mia intenzione. E visto che ci troviamo a conversare in
toni civili io.. vorrei vederti, dovremmo parlare.-
Aggrottai la fronte interdetta davanti a quell’atteggiamento
così inusuale e remissivo.
-Va bene, domani mattina allo studio ci..-
-Intendevo fuori dallo studio. Non voglio che quella pettegola della
McDay si metta in testa chissà quale strana idea.-
Dal tono con cui aveva pronunciato quella frase realizzai che era
tornato in sé e che il momento di umiltà si era
ufficialmente concluso.
-Posso passare da te per un caffè?-
-Non te lo correggo mica, sai?-
Rise piano, all’altro capo del telefono. –A dopo,
Kane.-
Chiusi la conversazione e lanciai il telefono sul materasso mancando di
poco il mio mago da compagnia nuovo di zecca, per così dire.
-Era il tizio con le mani lunghe?-
Lo guardai, incredula, posando le mani sui fianchi senza spostarmi di
un millimetro.
-Si, Mister Bacchetta Magica, proprio lui.-
-Gli ho rovinato una serata promettente, l’ultima volta.-
ghignò storcendo le labbra e fissandomi con la stessa
impertinenza che caratterizzava la sua versione pelosa.
-Sta’ zitto!- sventolai una mano votandogli le spalle e
andando
verso il bagno per fare una doccia prima che Jason arrivasse.
-Dato che là fuori vogliono farti la pelle più di
quanto
non vogliano farla a me, ti permetto di restare.- lo informai, poggiata
contro lo stipite della porta del bagno.-ma credo proprio che tu debba
riappropriarti di pelo e pulci perché, come avrai intuito,
aspetto visite.-
Mi pentii di avergli accordato un simile permesso quando il campanello
suonò e prese a seguirmi, incollato come un francobollo, per
assicurarsi che Jason non avesse le stesse intenzioni del padre e non
fosse lì per uccidermi.
Nonostante gli avessi assicurato che Jason non poteva essere uno di
loro, le mie argomentazioni non lo avevano convinto minimamente e
così, quando aprii la porta, abbaiò forte.
-Mi odia proprio, il tuo cane.- borbottò una volta entrato
in casa sotto lo sguardo vigile dell’animale.
-Come dargli torto. Vieni, accomodati.-
-Sempre adorabile. Se posso permettermi, ti consiglierei di mettere un
cucchiaino di zucchero in più nel tuo caffè. Ne
hai
decisamente bisogno.-
Scossi la testa e insieme ci recammo in cucina dove lui si
accomodò al tavolo, spostando rumorosamente una sedia ed io
presi a trafficare con la macchina del caffè espresso.
Restammo in silenzio per tutto il tempo in cui mi occupai dei
caffè ed infine gli porsi la sua tazzina, indecisa se
prendere
la parola o lasciare a lui quell’incombenza.
-Grazie.-
Sorseggiai il mio caffè, poggiata con la schiena al ripiano
della cucina, finché lui non parlò.
-Io non credo che stessimo facendo un errore, l’altra sera.-
Aveva pronunciato quelle parole con incredibile naturalezza e senza la
minima malizia e questo mi lasciò davvero spiazzata.
-Io invece credo di si, non funzionerebbe tra di noi e non posso
permettermi di venire a letto con te e fare finta di niente al mattino
dopo. Lavoriamo insieme, Jason.-
Posò la tazzina, quieto, e mi guardò negli occhi.
-Non avrei fatto finta di niente, la mattina dopo. Non è
questo che voglio.-
Nonostante i continui e taglienti botta e risposta che adoravamo
inscenare non ci eravamo mai davvero trovati a parlare del nostro
rapporto. Per lo più le conversazioni di quel tipo
ondeggiavano
tra una sua allusione oppure un suo invito a cena ed un mio fantasioso
rifiuto.
Risi, alzando gli occhi al cielo e strofinandomi un braccio come spesso
facevo nei momenti di tensione.
-Era questo che dicevi alla clienti che mi accollavi dopo essertele
portate a letto?-
Lo vidi contrarre la mascella ed alzarsi.
-Smettila. Lo sai che non è la stessa cosa.-
-Non lo è?-
Era così vicino che potevo sentire il suo respiro sulla
fronte e
le sue mani stringevano il bordo del lavello ai lati del mio corpo.
-No. Ma qualsiasi approccio con te è sempre sbagliato. Se mi
comporto correttamente non mi prendi sul serio ma in fondo non lo fai
neanche quando sono come tu ti aspetti che io sia.-
Non mi aveva mai parlato con quell’intensità e nei
suoi
occhi leggevo una frustrazione che non avevo mai pensato potesse
appartenergli mentre non accennava ad interrompere il contatto visivo
come invece feci io qualche istante dopo, svincolandomi dalla sua presa.
-E’ meglio lasciare le cose come stanno, Jason. Lo sai anche
tu. Mi conosci, non so far funziona certe cose.-
-Ti conosco e so che tu hai solo paura. Mentre il realtà,
con me
accanto, non dovresti più averne per nessuna ragione.-
Se non avessi scoperto tutte quelle stramberie riguardo suo padre,
Malfoy, Fudge e il resto di quella assurda comunità magica,
probabilmente quella sua frase non avrebbe scalfito la superficie delle
mie certezze come fece e la mia testa si riempì di
interrogativi.
-Permettimi di farti cambiare idea.-
Intenerita mi riavvicinai a lui e gli posai una mano sul viso,
accennando un sorriso.
-Nonostante tu sia un maledetto fighetto stronzo io ci tengo a te,
Jason. Non voglio illuderti.-
Era il mio modo per alleggerire quella surreale conversazione e lui
parve capirlo perché si sforzò di sorridere a sua
volta,
rassegnato.
-Prima o poi cederai anche tu al mio fascino, Kane. E non mi
rassegnerò finché questo non accadrà.-
Parlammo un po’ di lavoro, serenamente, mentre Sirius, o
meglio
Rain, non accennava a volerci lasciare soli, fissando il mio ospite con
palese ostilità finché quest’ultimo non
si fu
congedato.
-Non demorde, il damerino.-
-Sai, Sirius Black, ti preferisco pulcioso e zitto.-
Song: Magic - Pilot
Artwork: HilaryC
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5. Bloody Mary ***
furry love 5
Furry Love
5-Oh girls just want to have fun.
That's all they really want..
Some fun!
When the working day is done
Girls? They want to have fun!
Oh girls just want to have fun!
La
convivenza con Sirius si era rivelata meno tragica di quanto avessi
temuto e le sue abilità magiche mi erano più volte
tornate utili.
-Non sono il tuo personale Bob l’Aggiustatutto, Hannah.- aveva
borbottato, contrariato, davanti all’ennesima tazzina che gli
porgevo affinché usasse uno dei suoi abracadabra per ripararla.
-Se tu non avessi rotto quel vaso, la scorsa settimana, non avrei
scoperto che potevi farlo e avresti potuto continuare ad oziare tutto
il giorno!-
Non molto tempo prima, infatti, la sua versione canina, sfrecciando
avanti e indietro per l’intera casa per sfuggire alle mie grinfie
e al bagno che intendevo fargli, aveva urtato e distrutto un bellissimo
e antico vaso che i miei mi avevano regalato quando avevo preso casa a
Londra.
Di tanto in tanto il mago scompariva per poi tornare e giustificare le
sue assenze prolungate spiegandomi che stava disperatamente cercando di
trovare un modo per entrare nella scuola che il suo figlioccio
frequentava e cacciare un topo.
-Un topo?-
-Non è veramente un topo, come io non sono davvero un cane.-
-Continuo a pensare che sarebbe stato molto meglio se fosse stato
così, invece.- brontolai quella sera in risposta alla sua
affermazione, decisa a non indagare oltre.
Stavamo seduti sul divano del salotto sgranocchiando pop-corn caldi davanti ad un film di Tim Burton, Edward mani di forbice.
-Voi babbani mi avete sempre incuriosito. Questo, ad esempio! E’ una specie di magia, in fondo.-
Ci avevo messo un po’ a capire cosa stesse cercando di dire con
la bocca piena di pop-corn e il dito puntato verso il televisore.
-Ti.. incuriosiamo?-
Gli rivolsi un’occhiata scettica per poi strappargli di mano la
ciotola che stava per finire tutto da solo, per niente preoccupato di
condividerne il contenuto con la sottoscritta.
-Parecchio! Mia madre era disperata, avevo tappezzato la mia stanza di
immagini di motociclette e pin up e avevo lanciato un incantesimo di
Adesione Permanente su ognuno impedendo al nostro elfo domestico di
staccarle.- si lasciò sfuggire una risata, lo sguardo ancora
fisso sullo schermo.-Non scorderò mai quella voltai che trovai
Kreacher appeso alla copertina di Playboy cercando di strapparla dal
muro.
-Playboy?! Quelle non sono mica pin up!- lo informai, indignata, mentre
approfittando del mio momento di distrazione si riappropriava dei
pop-corn e mi rivolgeva un’occhiata maliziosa.
-Lo so, biondina, il mio era un arredamento eclettico. E poi le streghe
solitamente hanno un’idea abbastanza minimalista del vestire
mentre voi babbane siete molto più fantasiose. Tipo certi tuoi
completini, quello viola è adorabile e somiglia tanto a quello
di..
Non poté finire la frase perché senza pensarci gli avevo
scagliato contro una manciata di pop-corn, indecisa se infuriarmi o
ridere della sua totale mancanza di pudore.
-Che c’è?! Era un complimento!
-Non farmi più nessun complimento, per l’amor del cielo. E fammi seguire il film.
-Hai detto di averlo visto cento volte.
-Non rovinarmi la centounesima volta, allora.
La mia vita professionale scorreva liscia come l’olio, Jason
sembrava aver seppellito davvero l’ascia di guerra e avevamo
ripreso a battibeccare come sempre mentre suo padre non si era
più fatto vedere allo studio.
Sembrava che le acque, in famiglia, fossero un po’ agitate. Avevo
sentito più di una volta Jason urlare dalla sua stanza contro la
cornetta del telefono per poi scoprire che il destinatario di quei toni
tanto animati era proprio Russell senior.
-Non ho più visto il tuo cliente, quello bello!- esordì
Joanne mentre sedeva insieme a me e Jason alla caffetteria
all’angolo, durante la pausa pranzo.
-Con colleghi come me a cosa servono i clienti affascinanti?-
ribatté l’uomo affondando la forchetta nell’insalata.
-Deve essersi fatto intimorire dall’avvenenza dell’avvocato Russell, Jo.
Lei rise, ben consapevole che il mio humor avrebbe dato vita ad uno dei
soliti scambi di cattiverie e che lei, neutrale come la Svizzera,
avrebbe ottenuto almeno dieci minuto di Cabaret gratuito; purtroppo
quel promettente scontro a fuoco fu bloccato sul nascere da una alta e
sorridente ragazza bionda che si avvicinò al nostro tavolo.
-Pensavo fossi scappata in Alaska, Han!
-Gea!
Mi alzai, altrettanto allegra e sorridente e dopo esserle andata
incontro la abbracciai, contenta di rivederla. Georgie Summers era una
delle mie più care amiche, ci eravamo conosciute ad un concerto,
ormai cinque anni prima, ed aveva subito fatto breccia nel mio cuore di
granito, come l’avrebbe definito Jason.
Non ero esattamente una tipa facile e le uniche amiche che frequentavo
più o meno assiduamente erano proprio Georgie e Veronica, mia
amica storica e compagna di classe al liceo.
-Quand’è che degnerai me e Veronica della tua compagnia? Sei sempre così impegnata.
-Hai ragione, sono un disastro.- mi scusai, consapevole che le volte in
cui avevo rifiutato di unirmi a loro per le nostre, un tempo abituali,
cene del venerdì, superavano di gran lunga il livello medio di
tollerabilità.-Potremmo cenare da me, stasera.
Si illuminò, felice per poi sporgersi e lanciare un’occhiata curiosa alle mie spalle.
-Quello è Jason Russell?
Aveva una specie di cotta per lui, anni prima, e si ritrovava spesso a
passare per pura coincidenza da casa mia ogni volta che Jason era
lì per studiare insieme, o meglio per screditare i miei metodi
di studio.
-Si, in tutta la sua malefica persona.
-Ti ronza ancora intorno?
-Ti racconterò stasera.- tagliai corto con una smorfia.-Senti tu
Veronica? Io torno in ufficio, farò in modo di sbrigarmi prima
possibile.
Quel pomeriggio lasciai lo studio alle cinque in punto e dopo aver
fatto una capatina al supermarket tornai a casa decisa a mettermi ai
fornelli e preparare una cenetta con i fiocchi alle mie amiche.
-E’ la prima volta che ti vedo armeggiare con i fornelli per
qualcosa che non siano surgelati o roba precotta. C’è da
preoccuparsi?
Sirius Black stava stravaccato sul divano, intento a fare zapping, e di
tanto in tanto mi lanciava occhiate dubbiose mentre correvo avanti e
indietro dal frigo al ripiano della cucina.
-No, ho ospiti a cena! Credi di poter trovare un’occupazione
alternativa per la serata?- chiesi speranzosa dando una mescolata agli
spinaci che si scongelavano nella padella.
-Sai che abbandonare i propri animali domestici è
un’azione riprovevole? – ribatté fingendosi
indignato e raggiungendomi con passo strascicato e l’aria
annoiata e lievemente curiosa.
-Lo è molto di più ingannare una giovane donna dal cuore tenero fingendosi un cucciolone nero.
-Saresti tu la giovane donna dal cuore tenero? -
-Piantala e dammi una mano.- gli porsi un mescolo e lui lo
guardò, interdetto, come se fosse un oggetto sconosciuto e
potenzialmente pericolo.-Mescola in quel pentolino o si brucerà
la besciamella. -
Eseguì il mio ordine e cucinare, contrariamente a quanto si
potesse presumere dall’impatto iniziale, sembrò piacergli.
-Chi hai a cena stasera? Non dirmi che è quell’idiota.-
-No, Sirius, sono due mie amiche.-
Sembrò illuminarsi e il suo sguardo si fece improvvisamente ammiccante.
-Quanto ci sei stato in quella maledetta prigione? Sembra che tu non veda una donna da..-
-Tredici anni. -
La sua voce si era fatta improvvisamente cupa ed il suo viso aveva
perso ogni traccia di ilarità. I suoi tratti sembrarono tornati
duri e gli occhi ombrosi come nella foto che avevo visto tra le mani di
Fudge e non potei che pentirmi della mia infelice battuta.
-Scusami.
Chinai il capo a mia volta, senza guardarlo più e mi concentrai
sulla sfoglia che stavo stendendo, gli occhi fissi sul mattarello e
avrei persino contato i granelli di farina pur di non dover di nuovo
incontrare il suo sguardo distrutto.
Continuammo a cucinare in silenzio ed aprivo bocca solo per
affibbiargli qualche altro compito, di tanto in tanto, mentre lui
sembrava gradualmente rasserenarsi, tutto preso e compreso da padelle e
utensili da cucina.
-Puoi rilassarti, ora.- mi disse tutt’ad un tratto asciugandosi
le mani con uno strofinaccio ed affiancandosi a me, la testa inclinata
in modo tale da portare i suoi occhi nella direzione dei miei, schivi.
Sospirai e finalmente mi decisi a guardarlo, colpevole.
-Non avrei dovuto dirlo.. è che è tutto così
strano. Non so come sia il vostro mondo, come siano le vostre prigioni
e nella mia testa il tutto si prospetta come una sorta di mondo di
fiaba, di quello che leggi nei libri o vedi nei film.-
Pronunciai quelle parole infilando la teglia nel forno e spegnendo il fuoco sotto la padella in cui soffriggevano le verdure.
-Neanche io so come siano le vostre, di prigioni, ma posso assicurarti che non c’è niente di fiabesco in Azkaban.-
Si sedette su una delle sedie ed io lo imitai.
-Le guardie sono delle creature spaventose, si chiamano Dissennatori
perché, come suggerisce il nome stesso, ti portano alla follia.
Risucchiano via la felicità, portano a galla qualsiasi brutto
pensiero o ricordo che si trovi nella tua mente e te la svuotano per
riempirla di urla e paura.
Lo vidi rabbrividire e allungai una mano verso la sua, abbandonata sul tavolo.
-Eppure tu sei qui. Ce l’hai fatta, a resistere.
-Sapevo si essere innocente, sapevo che da qualche parte fuori da quel
luogo di sofferenza e tormento c’era il figlio di Lily e James e
che era mio dovere sopravvivere per proteggerlo e prendermi cura di
lui. Non potevo impazzire, non potevo permettermelo.
Sorrisi e lui ricambiò, inaspettatamente, il mio sorriso e lo
vidi lottare contro tutta quella tristezza, cercando di riacquistare il
suo piglio impertinente.
-Allora non me le presenti proprio le tue amiche?
Quando quella sera Gea e Veronica arrivarono Sirius si era già,
e non senza una lunga serie di polemiche, trasformato in Rain e aveva
scodinzolato allegro mentre le due ragazze lo coccolavano ed io cercavo
di non pensare a quanto avrei voluto appenderlo al balcone per la coda.
-Non c’è una legge che vieta alle amiche di scomparire
come hai fatto tu?- chiese Veronica, sarcastica come sempre,
trangugiando un cucchiaio colmo di couscous.
Era totalmente diversa da me, Veronica, gli occhi erano scuri e i
capelli, in origine, lo erano altrettanto come sottolineava la quasi
impercettibile ricrescita alla radice della sua chioma ramata.
Portava degli occhiali molto grandi che avrebbero appesantito i tratti
di chiunque tranne che i suoi, calzandole a pennello e dandole invece,
complici gli occhioni scuri e le ciglia lunghe, un’aria da
intrigante intellettuale.
Era una psicologa e mi fissava sempre come se stesse cercando di
individuare i tratti patologici della mia personalità per
affibbiarmi un disturbo di qualche tipo che, prevedibilmente, cambiava
ogni volta che ci vedevamo proporzionalmente a quanto fantasiosa si
sentisse.
-Puoi sempre fare una petizione per proporla, V. Che mi sono persa, nelle ultime settimane?
-Settimane? Quanto sei ottimista!- mi rimbeccò Gea per niente
preoccupata di parlare con la bocca piena, agitando il cucchiaio.
–Comunque la mia specialistica procede alla grande ed ho un nuovo
responsabile di reparto, un giovane ricercatore affascinante come pochi!
Gea studiava medicina, era sempre stato il suo sogno che aveva
coltivato parallelamente a quello per il teatro che, tuttavia, ormai
era stato declassato a semplice ed occasionale hobby.
-Che ne è dell’attore con la erre moscia?
-L’ha scaricato un paio di settimane fa.- mi informò
annoiata Veronica allungandosi verso il tortino agli spinaci per
tagliarne una fetta.
-Raccontagli del tuo amante schizzoide, piuttosto!-
Veronica la liquidò con un gesto della mano. –Sembrava uno a posto.
-Non avrebbe avuto bisogno di te, se lo fosse stato.- commentai, ovvia, ghignando e dandole un pizzicotto.
-Tu che fai tanto la furba, piuttosto! Gea ha detto che oggi eri
impegnata con Jason Quantomelatiro Russell. Cosa hai da dire a tua
discolpa?
-Già! Ti ricordo che ho la precedenza storica.- mi
minacciò Gea brandendo la forchetta con gli occhi ridotti a due
fessure.
-Eravamo in pausa e c’era anche Joanne. Anche se..
-Ecco, lo sapevo.
Veronica spinse via il piatto e si accomodò meglio sulla sedia,
incrociando le braccia al petto nella sua tipica posizione da ascolto.
–Scaglia la bomba, ragazza.
-Stavamo per finire a letto insieme.
-Cosa cosa cosa?- Gea si portò una mano all’orecchio con
fare teatrale, non per niente era un’attrice, e si
avvicinò di più a me, facendo stridere i piedi della
sedia sul pavimento.
-Ero un po’ brilla, dopo una cena di lavoro e l’ho invitato
ad entrare. Stavamo per.. beh ma alla fine ho capito che stavamo per
fare un enorme sbaglio.
-Sai come si chiama questa?
-No, Veronica, ma so già che me lo dirai.
-Schizofrenia. Almeno è bravo?
Gea mi fissava, avida di particolari, senza riuscire a trattenere un sorriso ammirato.
-Ci sa fare.
-E allora che ti è preso?
-Oh, quanto siete pedanti!- scattai cominciando ad impilare i piatti
per portarli in cucina ma loro mi seguirono, con la scusa di aiutarmi.
–E’ che ho avuto paura, lo sapete..
-Neanche stessi pomiciando con Bloody Mary.- sbuffò Veronica
appoggiando la schiena al frigo e rivolgendomi uno sguardo
compassionevole.
-Questa mi manca.- commentò l’altra afferrando uno
strofinaccio per asciugare i piatti che nel frattempo io stavo
sciacquando.
-Non lo sai? Quando eravamo al liceo la qui presente bionda ha perso
una scommessa con la sottoscritta, ben conscia di quanto fosse fifona.
L’ho costretta a fare il rituale di Bloody Mary e per poco non
c’è rimasta secca. Ha evitato gli specchi per un mese. A
proposito, come hai fatto a lavare i denti?
Gea rise, sinceramente divertita beccandosi un’occhiata torva da
parte mia che subito dopo minacciai di lanciare il piatto in fronte
alla rossa. –Di che rituale si trattava?
-Dovevi girare davanti ad uno specchio per tre volte ripetendo il nome
del fantasma e quello sarebbe apparso alle tue spalle.-spiegai, secca,
con lo sguardo fisso sulla schiuma del detersivo.
Non ero una che si spaventava facilmente ma l’occulto mi aveva
sempre dato una impressione tremenda, non amavo i film horror e se non
fosse stato per quella ricattatrice della mia migliore amica non avrei
neanche mai preso parte ad alcun rituale.
Se avessi raccontato loro della mia disavventura con i Mangiamorte di
certo non l’avrebbero trovata divertente ma con ogni
probabilità non mi avrebbero creduto. In quell’occasione
avevo avuto davvero paura. Nessuna leggenda, nessun rituale. Solo la
morte troppo vicina sottoforma di una stupida metro in corsa.
Sospirai, lavando l’ultimo piatto.
-Bene. Tequila?
A fine serata le accompagnai alla porta, barcollante, senza riuscire a
smettere di ridere. Avevamo alzato un po’ il gomito, con loro non
avevo bisogno di controllarmi e misurare l’euforia. Potevo essere
me stessa e divertirmi davvero.
Avevo persino dimenticato che Rain in realtà era Sirius e aveva
quindi ascoltato tutto, compresi i discorsi sulle nostre rispettive
abitudini o preferenze sessuali e cercai di fare mente locale sperando
di non essermi sbilanciata troppo.
-Che ne hai fatto di Hannah?- chiese infatti il mio mago da compagnia,
comodamente seduto sul divano del salotto poco dopo che le mie amiche
se ne furono andate.
Ero appena uscita dal bagno dopo essermi sciacquata la faccia e mi
sentivo un po’ meno brilla quando mi gettai pesantemente accanto
a lui, stremata.
-Ogni tanto la mando a farsi un giro e mi diverto un po’.
E’ un male?- chiesi, innocentemente, voltandomi verso di lui.
-Assolutamente no. Ma la prossima volta che mi darai del pervertito per
le mie copertine di Playboy avrò un sacco di buoni argomenti da
opporti, avvocato.
Ghignava, astuto, gettando la testa indietro con aria rilassata.
Il suo viso non sembrava più così provato e risultava
addirittura ringiovanito rispetto alla prima immagine che avevo di lui.
I capelli, sempre lunghi e scompigliati, ricadevano puliti e profumati
sulle spalle e la camicia blu, in parte sbottonata, lasciava
intravedere la peluria scura del petto, virile e non eccessiva.
Era bello, Sirius Black, doveva esserlo sempre stato. Mi aveva
raccontato di essere uno dei ragazzi più popolari della scuola
che frequentava, quasi vent’anni prima, la stessa nella quale
cercava di fare irruzione per raggiungere e proteggere il figlioccio.
Se fino a qualche giorno prima quella sua dichiarazione mi era sembrata
presuntuosa, non potevo che cominciare a pensare che invece fosse
semplicemente la verità.
-Avevi davvero paura di Bloody Mary?- mi prese in giro beccandosi un
pugno sulla spalla.-Smettila di picchiarmi! Ad Hogwarts era pieno di
fantasmi, il Barone Sanguinario, Nick Quasi-senza-testa..
-Quasi-senza-testa?
-Si, la sua decapitazione non era andata esattamente come avrebbe dovuto.
Storsi le labbra in un’espressione disgustata.
-E adesso? Avresti ancora paura?
-Sono un’adulta adesso. Non ci credo più a queste cose.
Si tirò un po’ su, sollevando la schiena dalla spalliera e guardandomi con aria di sfida. –Provalo!
-Che cosa? Devi essere davvero pazzo come tutti pensano..
-Fifona.
Boccheggiai, alla ricerca di una risposta acuta e tagliente da
affibbiargli ma nessuna di quelle presenti nel mio repertorio sembrava
adeguata, non ero preparata a sentirmi dare della fifona ormai da anni.
-Ho affrontato dei Mangiamorte!
-Veramente ti hanno semplicemente e facilmente gettata sotto le ruote
della metro. Il termine “affrontato” mi sembra un
tantinello azzardato.
Ringhiai, piano, guardandolo in cagnesco per poi alzarmi e procedere a grandi passi verso lo specchio.
Tirai un profondo respiro e mi voltai trovando affacciato al divano, sornione e curioso come un bambino.
-Bloody Mary.
Girai una volta su me stessa. La mia immagine riflessa ricambiava il mio sguardo, rassegnata.
-Bloody Mary.
Il ricordo della paura che avevo provato l’ultima volta che mi
ero trovata costretta a compiere quello stupido rituale mi costrinse a
serrare gli occhi e a maledire il mio stupido orgoglio per avermi
indotta a cogliere quella sfida infame.
-Bloody Mary.
Prima che potessi aprire gli occhi sentii due mani afferrarmi per i
fianchi e istintivamente strillai mentre il cuore mi faceva una
capriola nel petto.
-Che cuor di leone, tesoro!- Sirius Black se la rideva ma grazie al
cielo non mollò la presa, altrimenti le gambe mi avrebbero
ceduto, tremanti e malferme com’erano. La lingua sembrava
bloccata e non riuscivo a proferir parola, né per insultarlo
né per gridare ancora.
-Hey..
Dovevo essere davvero pallida perché il suo sguardo si fece
improvvisamente preoccupato e mi condusse fino al divano, facendomi
sdraiare.
Tutta la paura di quella notte in metro e la tensione che mi aveva
accompagnata per giorni ogni volta che mettevo piede fuori di casa si
riversarono su di me come una secchiata di acqua gelida e strinsi
convulsamente il suo braccio, cercando di riprendere il controllo sul
mio corpo.
Si sdraiò accanto a me e mi strinse finché non
sentì il mio cuore rallentare e il mio respiro tornare regolare.
Inspiravo il profumo del mio bagnoschiuma dalla pelle del suo braccio che mi cingeva e i capelli scuri mi solleticavano la nuca.
-Non volevo farti davvero paura.
-Non sei stato tu.. è solo la tensione degli ultimi giorni.
Essere nel mirino di una specie di setta di maghi e aver rischiato di
essere fatta a pezzi da un treno non è di certo piacevole.
Soprattutto se hai vissuto per ventisei anni credendo che niente di
tutto questo esistesse.
Avevo ripreso la mia solita lingua lunga e mi ero voltata in modo tale
da fronteggiarlo. Non mi sembrava affatto di stare stretta tra le
braccia di uno sconosciuto.
Aveva una presa tremendamente familiare, un tocco gentile e delicato
che non mi fece sentire a disagio neanche per un istante. Dopotutto,
come non faceva che ricordarmi, non c’era niente che non avesse
visto o fatto quando pensavo che fosse solo un tenero cagnolone in
cerca di affetto. Avevo dormito nello stesso letto con la sua versione
pelosa più di una volta.
-Sei un imbecille, ad ogni modo.
-Sei tornata in te.- ridacchiò scostandomi una ciocca di capelli dal viso.-Mi stavo chiedendo..
-Qualcosa mi dice che qualsiasi cosa fosse non mi piacerà.
-Magari se non avessi intimidito il tuo spasimante ti avrebbe stretta
proprio così, su questo stesso divano.-aveva solo finto un tono
tenero decisamente poco credibile per via dello sguardo malizioso che
non era riuscito ad evitare.
-E’ possibile.- risposa decisa a non permettergli di mettermi in imbarazzo come una ragazzina.
-“Ci sa fare”, eh? A me sembra solo un cretino con la puzza sotto il naso.
Alzai le sopracciglia, interdetta, scostandomi un po’.
-Ero io quella che stava per farci sesso, non tu. Non mi sembra che sia
nella posizione di giudicare la sua potenziale performance.
-Non è in quel modo che si tocca una donna.- mormorò
accarezzandomi lieve una guancia e tingendo quelle parole di una
sensualità quasi casuale cui non riuscii a ribattere.
Improvvisamente allontanò il suo corpo dal mio, mettendosi a sedere e lasciandomi lì a fissarlo come una scema.
-Che ti prende?
-Non posso starti così vicino solo qualche ora dopo aver
ascoltato l’ottanta per cento delle tue fantasie erotiche. Non
è affatto sano.- rispose, malandrino, alzandosi e rivolgendomi
un saluto militare.
-Mi sarei alzata io, comunque!- gli urlai dietro sollevandomi a mia volta, imbronciata.
Song: Girls just want to have fun - Cyndi Lauper
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 6. Gunnin' ***
furry love 6 new
Furry
Love
6- There's a nail in the door
And there's glass on the lawn
Tacks on the floor
And the TV is on
And I always sleep with my guns
When you're gone
La
mattina dopo mi svegliai e trovai la casa di nuovo silenziosa e
deserta, Sirius non avvertiva mai quando andava via, cosa che peraltro
era più che plausibile considerato che si supponeva io non
avessi un coinquilino a parte il mio grosso cane nero.
Nessun biglietto, nessun cenno a quando avrebbe fatto ritorno.
La giornata a lavoro trascorse lenta e pesante quasi quanto il mal di
testa che mi trapanava il cervello, reduce dalla sbornia della sera
prima; come se non bastasse la colonna sull’agenda pullulava
di appuntamenti ai quali non potei sottrarmi e ricevetti tre clienti di
fila per un totale di sei ore no-stop di consulenza legale.
Quando l’ultimo, un automobilista indispettito per essere
stato più che giustamente multato, se ne fu andato mi
abbandonai sulla scrivania, con la testa completamente vuota e gli
occhi pesanti.
-Hannah, sei occupata?- mi chiese Joanne facendo capolino oltre la
porta con l’aria mortificata di chi sapeva perfettamente che
quel giorno non avevo avuto neanche il tempo di andare a mangiare un
boccone.
-Si, Jo, sono occupata a richiamare all’ordine i miei neuroni
che stanno meditando di suicidarsi, uno dopo l’altro.-
-L’avvocato Russell vorrebbe parlarti. Io sto andando via, lo
faccio entrare?-
Qualsiasi cosa volesse Jason da me e qualunque fosse la ragione per cui
si era persino fatto annunciare io non avevo assolutamente la forza per
darmi una risposta e mi limitai ad annuire, mesta, pregustando
già la calma di casa mia cui avrei, forse, fatto ritorno di
lì a poco.
Un lieve bussare precedette l’ingresso di quello che,
erroneamente, pensavo essere Jason.
-Permesso.-
Richard Russell entrò nella stanza con il suo solito passo
elegante, le mani affondate nelle tasche e un portamento fiero che
ricordava tremendamente quello del figlio.
-Avvocato Russell.- scattai in piedi e feci cenno alla poltrona che
avevo liberato, invitandolo a prendere il mio posto come era usanza
fare quando si riceveva un collega o, in questo caso, un superiore o
presunto tale.
-Stia comoda, non scalpito all’idea di tornare dietro una
scrivania. Avrei continuato ad esercitare se avessi voluto farlo.-
Si sedette di fronte a me che per l’ennesima volta nelle
ultime settimane mi ritrovai incapace di dire alcunché; ero
sempre stata una gran chiacchierona, persino petulante e potenzialmente
pericolosa armata della temibile lama dell’oratoria ma tutte
le cose che mi erano successo e le assurdità di cui ero
venuta a conoscenza mi impedivano di agire o pensare razionalmente.
Per quel che ne sapevo quell’uomo che per tanto tempo mi era
sembrato solo un avvocato bastardo e incredibilmente cinico avrebbe
potuto sfoderare una bacchetta e farmi fuori senza neanche il tempo di
dire “magicabula”.
-In cosa posso aiutarla, avvocato?- chiesi cercando di nascondere quel
tumulto di emozioni che infuriavano nel mio petto, prima fra tutte la
paura.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola con lei, avvocato Kane,
è una donna intelligente e brillante e questi sono tempi
difficili.-
-Sono lusingata dai suoi complimenti ma non credo che sia questo il
fulcro della questione.- ribattei, diretta.
-No, non lo è. E questi complimenti non provengono da me,
bensì da mio figlio. Ritengo che l’amicizia di
Jason sia per lei un gran vantaggio e le assicuro che se non fosse per
lui non sarebbe ancora dietro questa scrivania.
Furbo, il boss. Nonostante a chiunque quelle parole avrebbero fatto
pensare ad una sfiducia di carattere professionale e ad un potenziale
licenziamento era chiaro come il sole che, fosse stato per lui, io non
sarei stata né dietro quella scrivania né in
nessun altro posto se non tre metri sotto terra.
-Dovrei ringraziarlo, allora? O forse è la mia buona stella
che devo..-
-Non so come abbia fatto ma ho i miei sospetti e scoprirò
cosa c’è sotto, quant’è vero
che mi chiamo Richard Russell.-
-Non sono più tanto certa neanche di questo.-
-Le consiglio di tenere la bocca chiusa e di tenersi strette le giuste
amicizie.- disse alzandosi e raddrizzando il mio tagliacarte con fare
casuale.-La ruota gira e la fortuna non sarà sempre dalla
sua. C’è chi la vuole qui ancora meno di quanto
non la voglia io.-
-La ringrazio per i preziosi consigli, avvocato. E’ sempre
utile il parere dei più saggi.-lo liquidai, gelida, senza
sollevare altro che lo sguardo.
Quando quella sera rientrai a casa Sirius non era ancora tornato e dopo
aver trangugiato mezza vaschetta di gelato mi abbandonai sul letto
senza curarmi di disfarlo. Il verso delle cicale fuori dalla finestra
socchiusa mi cullò e mi ritrovai in uno stato di dormiveglia
confuso ed agitato. Ombre scure vorticavano davanti ai miei occhi
cercando di afferrarmi ed io tentavo di evitarle ma sentivo le mie mani
bloccate contro il materasso come avvolte da grosse catene.
Non sembrava più un sogno ed una delle ombre si stava
avvicinando, la sentii ridere, crudele, e cominciai a scalciare per
allontanarla, sferrando goffi pugni con le mani magicamente libere.
-Hannah, svegliati.-
Aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai davanti quelli turbati di
Sirius che mi aveva bloccato i polsi e li teneva stretti senza farmi
male.
-Era solo un incubo.-
Strinsi gli occhi e mi portai a sedere, a gambe incrociate, al centro
del letto passandomi le mani un po’ tremolanti tra i capelli
e notando che la mia fronte era imperlata di sudore freddo.
-Scusami.- borbottai, afflitta, e lui posò una mano sulla
mia spalla.-Quando sei tornato?-
-Poco fa. Ero di là a guardare un po’ di roba su
quello schermo magico quando ho sentito dei rumori e ti ho
trovata..così.-
Sembrava sinceramente dispiaciuto e mi sforzai di sorridere, voltandomi
verso di lui.
-E’ successo qualcosa, mentre non c’ero?-
-Niente di che. Sono solo troppo tesa.-
Non volevo fare la parte della fifona, la scenetta della sera prima
bastava e avanzava per farmi sembrare una sciocca ragazzina
influenzabile ed esagerata.
-Stai mentendo.-
Corrugai la fronte, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
-Quando dici una bugia fai una smorfia strana, lo fai sempre.- si
giustificò, sorridendomi rassicurante.-Sarò pure
stato un ammasso di pelo per la maggior parte del tempo ma mi divertivo
ad osservare le tue espressioni quando parlavi al telefono con i tuoi.-
Emisi un piccolo sbuffo divertito, incredula, scuotendo il capo e
puntando lo sguardo alla parete di fronte nella speranza che il
discorso cadesse lì e non mi chiedesse nient’altro.
-La verità?-
-Oggi ho ricevuto una visita da parte di Richard Russell che mi ha
neanche troppo velatamente minacciata. Sospetta qualcosa, forse faresti
meglio a..- le parole mi morirono in gola. Non volevo che andasse via.
Era già abbastanza triste trovare di nuovo la casa vuota
quando spariva per andare chissà dove mentre quando
c’era mi teneva compagnia, rallegrava e riempiva quel posto
rendendolo mille volte più accogliente e caldo.
-Che cosa ti ha detto? Che voleva da te?-
-Informarmi che se ho ancora la testa attaccata al collo è
solo grazie alla mia amicizia con suo figlio e qualche strano aiuto
esterno di cui scoprirà presto la natura.
-Non permetterò che ti facciano del male, Hannah.-
-E’ proprio questo il punto, Sirius. Per il momento nessuno
di loro mi associa a te ma non voglio che tu ti esponga rischiando di
essere scoperto per colpa mia.-
-Neanche i Mangiamorte sanno che sono un Animagus, al momento. Ho
ancora il mio travestimento pulcioso.- mi zittì cercando di
alleggerire la tensione.
Fuori dalla finestra il cielo era ancora scuro sentii di nuovo il corpo
pesante ed abbandonato.
-Dormi, adesso.-
Fece per alzarsi ma io lo bloccai, tirandolo per una manica della
camicia. Si voltò immediatamente come se avesse previsto
già quel mio gesto: non sapevo come chiedergli di restare,
ero sempre stata troppo orgogliosa e rigida per richieste come quella
ma il pensiero di ripiombare in quegli incubi da sola mi faceva
rabbrividire.
Fortunatamente non ci fu bisogno di parole, fece il giro del letto e si
stese accanto a me, rigorosamente senza sfiorarmi e lo ringraziai
infinitamente per quel riguardo che mi dimostrava.
Sorrisi, la testa premuta contro il cuscino, e l’ultima
sensazione che provai prima di addormentarmi fu la sicurezza che il suo
corpo adagiato a pochi centimetri da me mi trasmetteva.
Non appena riaprii gli occhi lo sguardo mi cadde sulla sveglia che
segnava le dieci passate e mi tirai a sedere, allarmata.
-Cazzo.
Sgambettai sul letto scavalcando la sagoma dormiente di Sirius e
gettandomi all’impazzata sui cassetti alla ricerca di un
abbinamento veloce meno improbabile possibile.
-Che diavolo t’è preso?- biascicò
l’uomo rotolando sulla schiena e strofinandosi gli occhi
arrossati dal sonno.
-Sono in ritardo! Più che in ritardo!- la mia voce aveva un
non so che di disperato mentre immaginavo lo sguardo di rimprovero che
Joanne, Jason e Kate mi avrebbero rivolto una volta entrata allo
studio, in ritardo per l’ennesima volta e con un sacco di
scartoffie impunemente ignorate ed impilate sulla scrivania.
-E’ sabato, razza di psicotica babbana bionda.-
sbottò, indignato, prendendo un cuscino e premendoselo sulla
faccia.
Mi bloccai con in mano una maglietta azzurra che prontamente rigettai
nel cassetto, richiudendolo con un tonfo e tirando un sospiro di
sollievo.
-Hai ragione.
Un grugnito mi giunse in risposta da sotto il cuscino e senza smettere
di sorridere mi riavvicinai al letto, decisa a riprendere il mio
riposino da dove l’avevo interrotto.
-Non ci provare.
-Prego?
Gettò di lato il cuscino e si sollevò sui gomiti.
Notai che aveva tolto la camicia, probabilmente per la temperatura
troppo calda che continuava a tormentare gli abitanti del quartiere, e
percorsi con lo sguardo il suo petto non esattamente scolpito ma
definito, non aveva neanche un filo di pancetta di troppo, le spalle
magre erano ampie e la pelle scura.
-Quando avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me
ignote, gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il
minimo che tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso
di sabato mattina.
-Despota. Se non fosse per me vivresti sotto un ponte in mezzo ai ratti.
-Almeno non loro mi avrebbero svegliato con
l’irruenza di una ruspa fuori controllo.
Feci schioccare la lingua sul palato e sparii in cucina per preparare
la colazione. Preparai alcune fette di pane tostato e quando Sirius
entrò in cucina ne tenevo già una stretta tra i
denti mentre armeggiavo con la caffettiera.
-Grazie per avermi aspettato, avvocato.-
-Non è mica colpa mia se sei di una pigrizia inaudita, si
stavano raffreddando. Toh.- gli porsi un barattolo di marmellata e poi
zuccherai il mio caffè, lui lo prendeva amaro e
ormai lo sapevo bene.
Facemmo colazione in silenzio e l’atmosfera che si era
ricreata aveva un non so che di familiare ed intimo, complici
l’aroma di caffè che invadeva l’aria,
mescolandosi a quella del pane tostato, e il continuo ronzio del frigo
che, come ripetevo da giorni, avrebbe avuto bisogno di un pizzico di
magia. Agli occhi di chiunque ci avesse visti in quel momento saremmo
sembrati una coppia serena intenta nelle ordinarie faccende quotidiane.
Il rumore del campanello ruppe l’idillio del momento e
scattai in piedi, non avevo idea di chi potesse essere e ringraziai il
cielo di aver indossato una tuta, quella mattina, invece che una delle
solite t-shirt.
-Jason! Che ci fai qui?-
Jason Russell mi fissava oltre la soglia con un sorriso ammiccante dei
suoi e le mani occupate: in una stringeva una carpetta di lavoro e
nell’altra una busta dello Starbucks.
-Ho ritirato una copia della perizia giudiziale del caso Barnes e dato
che alla prossima udienza dovrai sostituirmi ho pensato di portartela.-
-Di sabato mattina?-
-L’udienza è lunedì, Kane.-
Non avendo altre obiezioni da opporgli mi feci da parte per farlo
entrare e immediatamente il pensiero di Sirius comodamente seduto al
tavolo in cucina mi fece raggelare.
-Ehm.. potremmo sederci qui!- proposi indicando il salotto.-
-Non fare la formale, Kane, ho portato i muffin dello Starbucks. Non
vorrai sporcare ovunque?-
Continuò imperterrito a procedere verso la cucina ma
fulminea mi parai davanti a lui simulando un sorrisino innocente.
-C’è un sacco di confusione, ieri ho fatto tardi
e..-
-Ho visto la tua cucina in condizioni disastrose, si può
sapere che ti prende?
-Non è gentile farmelo notare, Russell, sai?- non potei
trattenermi dal rispondergli con tono piccato rimuginando su quella
affermazione a mio parere profondamente ingiusta quando Rain corse
verso di me per poi darmi un colpetto con i muso, come a volermi
tranquillizzare.
Mi permisi di respirare e seguii Jason, che non aveva minimamente
accennato ad ascoltare neanche una mia parola, in cucina.
-Et voilà!-
Aprì la busta e tirò fuori tre tipi di muffin
dall’aria incredibilmente soffice che sembravano urlarmi
“mangiaci, siamo tuoi!”. –Quello al
cioccolato è mio, attento a quello che fai!
Rise e prendendolo con un tovagliolo mi porse l’oggetto dei
miei desideri.-A lei.-
-Avresti potuto darmela ieri, la perizia, avrei avuto più
tempo per leggerla e dubito che tu l’abbia ritirata di sabato
mattina. Sbaglio?-
Il mio tono vagamente inquisitorio dovette infastidirlo
perché sbuffò sonoramente rivolgendomi
un’occhiata scocciata.
-Frena le seghe mentali, Kane. E’ vero, l’ho
ritirata ieri ma non sono passato affatto dall'ufficio, avevo un sacco
di faccende da sbrigare. Non ogni mia azione è diretta a
circuirti o sabotarti, sai?-
-Il più delle volte. Non dovrebbe sorprenderti la mia
diffidenza.-
-Se avessi voluto circuirti davvero ci sarei già riuscito da
un pezzo. Peccato che io sia un uomo così corretto.-
sospirò, passandosi un tovagliolo sulle labbra.
Mi limitai ad una smorfia poco convinta e afferrai uno strofinaccio per
togliere le briciole dal tavolo.
-Esci con me stasera.-
-Ecco, non avevo dubbi che ci fosse qualcosa sotto questa inaspettata
visita mattutina.- ribattei, rassegnata, mantenendomi ad una certa
distanza da lui.
Non potevo negare che il suo corpo esercitasse sul mio una attrazione
non indifferente e che mi era capitato più di una volta di
pensare a cosa sarebbe successo, quella sera, se le cose fossero andate
diversamente.
-Ti porto a mangiare indiano. Ci stai?-
-Ne abbiamo già parlato..-
-Se davvero ritieni che qualsiasi cosa ci sia tra noi sia sbagliata e
soprattutto se sei certa di poterne fare a meno non avrei alcun
problema ad uscire con me. Mi comporterò bene.-
-Perché sei così ostinato?- lo chiesi abbassando
lo sguardo e dondolandomi da un piede all’altro,
ripetutamente, combattuta e infastidita dalla forte voglia di accettare
che premeva all’altezza della gola per uscire sotto forma di
assenso.
Era parecchio egoista da parte mia ma probabilmente si trattava di un
ragionamento in linea con la logica femminile: Jason mi faceva sentire
desiderata e non solo per il mio corpo. Ogni donna ha continuamente
bisogno di essere rassicurata riguardo la propria
femminilità, la propria capacità di attrarre con
la mente e con tutto il resto ed io non facevo di certo eccezione.
-Perché per me qualcosa è cambiato e vorrei tanto
farti capire che può cambiare anche per te. Esci con me.
Dopotutto quante volte siamo usciti insieme in anni ed anni di
amicizia?-
-Hai detto bene, amicizia. Non mi sembra che sia questo che hai in
mente.-
Mi strinsi le braccia intorno al petto come a volermi proteggere dal
suo sguardo indagatore mentre ponderavo la possibilità di
accettare o meno.
-D’accordo ma ricordati che hai promesso di comportarti
bene!- lo minacciai puntandogli contro l’indice e a quel
gesto lui alzò le braccia in segno di resa con un gran
sorriso stampato sul volto.
-Sono un uomo di parola.-
La sera arrivò troppo velocemente per i miei gusti e mi
trovavo di nuovo immersa in quel silenzio pesantissimo che governava
tra le mura di casa; Sirius si era di nuovo volatilizzato e vanificando
la mia aspettativa di un battibecco epico riguardo il mio appuntamento
con Jason, magari non aveva neanche ascoltato la conversazione.
Passai le mani sulle pieghe del leggero vestito che indossavo e agitai
le dita dei piedi fissando le scarpe basse che avevo scelto e
chiedendomi se la dimensione hobbit avrebbe scoraggiato Jason; afferrai
una catenina per metterla al collo e cominciai ad armeggiare con la
chiusura contorcendomi e cercando di beccare l’anellino.
-Lascia, faccio io.-
Sirius avanzò verso di me, stranamente pacato, e si
posizionò alle mie spalle scostandomi i capelli e
adagiandoli su una spalla per poter agganciare la collana.
-Grazie. E’ inquietante il fatto che tu possa entrare in casa
senza preavviso comparendo dal nulla.-tentai di fare conversazione, a
disagio sotto il suo sguardo insolitamente freddo.
-Non sbucherò dal nulla in momenti poco opportuni, se
è questo che temi. –ribattè, con
nonchalance, sedendosi sul bordo del letto.-Anzi stanotte
sarò fuori per occuparmi di alcune cose così non
dovrai..-
-Stanotte? Ma sei appena tornato!- mi voltai per fronteggiarlo,
allargando le braccia e sentendomi infinitamente stupida. Non doveva
rendere conto a me dei suoi spostamenti, questo era certo.
-Dubito che tu voglia trovarmi in giro per casa quando tornerai con
Russell.-
Aveva pronunciato quelle parole con tono spaventosamente acido ed
irruento spostando lo sguardo al pavimento per non incrociare i miei
occhi, increduli.
-E’ questo il problema? E poi.. da quando lo chiami con il
suo nome e non.. cretino,
femminuccia,
damerino o che
so io?-
-Da quando ho capito che a te importa e che non sono nessuno per
sbucare dal nulla e giudicare la gente che ti circonda.-
Restai spiazzata dalle sue parole e in qualche modo mi resi conto che
quella convivenza aveva creato un legame particolare, tra di noi, che
non aveva niente a che fare con qualsiasi cosa mi fosse mai capitata
prima. Mi piaceva condividere i miei spazi con lui e questo,
indubbiamente, era strano per una persona schiva e intollerante come me.
Ero contenta che fosse
sbucato dal
nulla,
come aveva appena detto, e non potevo dimenticare che era stato lui a
salvarmi la vita e avrebbe dovuto ricordarsene anche lui.
Il campanello suonò interrompendoci, per la seconda volta in
un solo giorno, e Sirius alzò lo sguardo su di me, stirando
le labbra in un sorriso.
-Non fare aspettare il principe azzurro o gli scoppierà un
embolo per lo stress.-
Accennai una risata e scossi la testa, afferrando la borsetta e
avviandomi verso l’ingresso.
-Hannah?-
Mi voltai e notai che il sorriso si era allargato un po’.
-Stai benissimo, con quel vestito.-
Joanne beveva il suo thè freddo, seduta all’altro
capo della scrivania, mentre io ruotavo in modo molto infantile sulla
mia sedia girevole, le mani arpionate ai braccioli.
-E così esci con Jason. Se me l’avessero detto
quando ho cominciato a lavorare per voi non ci avrei creduto neanche un
po’.- buttò lì cercando di celare la
curiosità che da giorni vedevo brillare nei suoi occhi
indagatori.
L’appuntamento con Jason, quella sera, si era rivelato
abbastanza piacevole e come promesso si era comportato bene, non una
parola né un gesto di troppo e questo mi aveva convinta che,
forse, concedermi una cena con lui, una volta ogni tanto, non era poi
un’idea così malvagia.
Sirius spariva più spesso del solito e per tempi
più lunghi, approfittando dei fine settimana che la scuola
concedeva agli studenti di trascorrere ad Hogsmeade per dare tenere
d’occhio Harry nonostante i tempi non fossero ancora maturi
per incontrarlo a quattr’occhi come avrebbe disperatamente
voluto. Ogni volta che parlava del figlioccio il suo sguardo era
insieme entusiasta e malinconico, due emozioni così diverse
ma che, nei suoi occhi, convivevano costantemente in mezzo a ricordi di
cui non era ancora pronto a parlare.
Le sue prolungate assenze mi avevano ricordato cosa significasse la
solitudine e mi ero resa conto che non ero psicologicamente pronta ad
accettarla, non più, e Jason era ben felice di occupare il
mio tempo libero.
-Mh.-
-Mh?
Dov’è finita la Hannah logorroica che conosco?-
Mi strinsi nelle spalle. –Che posso dirti, Jo? Ci vediamo
spesso ma non abbiamo una relazione. Finché dura vediamo
come va.-
-Il tuo punto di vista non costituisce un buon presupposto sui cui
costruire un rapporto, lo sai vero?-
Tacqui, mordendomi la guancia dall’interno ben consapevole
che di non poter darle torto ma avevo deciso di prendere le cose in
modo tranquillo, di accettare il corso degli eventi senza troppe
aspettative né paure. Ero continuamente in pericolo e ogni
volta che mi ritrovavo sola, per strada, a casa o a lavoro, paranoie
infinite mi perseguitavano ed erano per me intollerabili: non avevo
propriamente paura ma avvertivo un profondo senso di impotenza, non ero
così sciocca da credere di poter fare qualcosa contro la
magia di cui disponevano i miei aguzzini ma per ogni evenienza avevo
cominciato a spostarmi con la pistola e il caricatore in borsa. Non mi
avrebbero colta del tutto impreparata.
-Io credo che lui sia davvero preso da te.- continuò,
imperterrita, stringendo la tazza tra le mani.
-Sa perfettamente come la vedo io, non lo sto illudendo se è
questo che insinui.-
Avevo usato un tono troppo brusco e la vidi abbassare lo sguardo,
intimorita dalla mia veemenza.
-Scusami, non stavo insinuando niente.- si alzò e
afferrò un fascicolo che le avevo preparato sul bordo della
scrivania. –Vado a farti queste fotocopie e te le porto
già timbrate.-
Quando uscì dalla stanza mi rigettai pesantemente con la
schiena contro la spalliera, esasperata dai toni accusatori che i miei
stessi pensieri stavano assumendo dando voce alla mia petulante e retta
coscienza che non accettava simili atteggiamenti da parte mia.
Il cellulare squillò e risposi senza neanche guardare dal
display chi fosse, portandolo direttamente all’orecchio.
-Si?-
-Hannah, sono io.- era la voce di Sirius e mi tirai istintivamente su,
preoccupata. Erano tre giorni che non si faceva vedere.
-Sir..-
-Non dirlo, sto chiamando da una.. tambina telefonica.-
Malgrado la preoccupazione non riuscii a trattenermi dal ridere
sentendolo storpiare l’ennesimo nome.-Si dice cabina.-
-Fa lo stesso. Sei a lavoro?-
-Si. Che fine hai fatto tu, piuttosto?-
-La stessa di sempre, Han. A che ora finisci di lavorare?-
Tutte quelle domande mi insospettirono non poco e nonostante cercasse
di apparire tranquillo sentivo che qualcosa non andava. Che gli fosse
successo qualcosa? Che l’avessero scoperto?
-Perché me lo chiedi? Che sta succedendo?-
-Ti spiego tutto dopo. Dimmi a che ora finisci di lavorare e mi
farò trovare fuori dal tuo Studio.-
-Ci vediamo alle sei, allora.-
Alle sei in punto trovai Rain seduto accanto al portone principale e
quando mi vide abbaiò, contento, ed io mi chinai per
accarezzarlo; si irrigidì per un istante mentre lo coccolavo
e mi preparai una scusa plausibile nel caso mi avesse chiesto il
perché di quelle carezze affettuose che avrei giustificato
con la necessità di salvare le apparenze perché,
ufficialmente, lui era il mio cane.
Mi seguì fino alla macchina e quando ebbi aperto lo
sportello saltò su prendendo posto davanti al sedile del
passeggero e agitandosi un po’ per via del poco spazio
disponibile per poi abbaiare di nuovo, contrariato.
-Il sedile non si sposta più di così, sei tu ad
essere troppo grosso.
Mi misi in marcia verso Little Whinging ormai rassegnata al fatto che
non si sarebbe trasformato finché non fossimo stati soli e
al sicuro a casa e che non avrei avuto alcuna risposta.
Durante il tragitto, giunti in una strada totalmente deserta che
normalmente imboccavo per accorciare il percorso, notai un posto di
blocco e l’agente, sollevando la paletta, mi
ordinò di fermarmi.
Era solo e la cosa mi sembrò parecchio strana.
-Documenti, prego.-
Mi allungai verso la borsa per estrarre la patente e poi presi la carta
di circolazione dal cruscotto, porgendogli entrambe le cose.
Le osservò con sguardo vacuo e movimenti lenti per poi
restituirmele. –Scenda dalla macchina.-
Rain abbaiò, guardandomi dritto negli occhi ed io capii che
doveva esserci qualcosa di strano in quel fermo.
-Vado di fretta.-
-Non me lo faccia ripetere, abbandoni la vettura.-
Lo vidi portare la mano alla cintura, con gli stessi movimenti lenti e
meccanici di poco prima.
-I miei documenti sono perfettamente in regola, sono un avvocato e..-
-Le ho detto di scendere!- sfoderò la pistola e me la
puntò contro mentre Rain cominciava ad abbaiare come un
forsennato, premendo contro lo sportello per uscire.
-Lentamente.- mi ordinò mentre prendevo la borsa ed aprivo
lo sportello per poi sollevare le mani in alto sotto il suo sguardo
perso. Sembrava in trance e, pensai, probabilmente lo era davvero.
Sirius, o meglio Rain, mi seguì, fulmineo, avventandosi alla
gamba dell’agente e dandomi il tempo di estrarre la pistola
ed inserire il caricatore.
-Spostati. – gli ordinai puntando la pistola contro il mio
aggressore e quando Rain si fece da parte sparai un colpo in modo da
colpire la gamba sana senza centrarla in pieno ma abbastanza da fargli
perdere l’equilibrio e cadere a terra.
-Andiamocene!-
Corsi di nuovo verso il posto del guidatore facendo prima salire il mio
grosso cane nero e quando misi in moto, sgommando, vidi dallo
specchietto retrovisore una figura incappucciata che emergeva appena
dietro il tronco di un albero dopo essersi evidentemente goduto la
scena da quella posizione privilegiata.
-Bastardi.-
Le mani mi tremavano sul volante e governare i movimenti dei miei piedi
era quasi impossibile troppo deconcentrata nel timore che i lampi di
luce ricominciassero come quella notte in metropolitana e che quei
pazzi mi fossero alle calcagna.
Fortunatamente nessuno parve seguirci e quando mi fui richiusa la porta
alle spalle Sirius riprese le sue sembianze umane.
-Adesso hai capito perché non volevo che tornassi da sola?-
chiese passandosi una mano tra i capelli, avvilito, e passeggiando
avanti e indietro per l’ingresso un paio di volte mentre io
cercavo di smaltire la tensione per riprendere il dono della parola.
-Come lo sapevi?-
-Lucius Malfoy era ad Hogsmeade oggi e l’ho sentito parlare
con un altro dei loro. Non ero certo di cosa avrebbero escogitato ma
era chiaro che volessero muoversi.-
-Quell’agente..- boccheggiai pensando all’uomo che
avevo lasciato steso in mezzo alla strada, ferito ad entrambe le gambe
prima dal morso di Rain e poi dal mio proiettile.
-Era solo la Maledizione Imperius. Permette di controllare le persone.-
Cercai di regolarizzare il mio respiro ma più ci provavo
più sembrava che lo spazio intorno a me fosse totalmente
sotto vuoto e mi portai una mano alla bocca, colta improvvisamente da
una paura più razionale e, purtroppo per me, più
che plausibile.
-Troveranno l’agente ferito e tramite il proiettile della mia
pistola non ci metteranno molto ad arrivare a me e..-
Si fece vicino e mi prese il viso tra le mani con quel suo tocco
così rassicurante per poi parlare con tono grave.
-Pensi davvero che lasceranno vivere quell’uomo, Hannah? Non
hai ancora capito di che gente si tratta.-
Inspirai più forte rompendo le barriere che per la tensione
avevano occluso le mie vie respiratorie e strinsi gli occhi per qualche
istante per poi puntarli di nuovo in quelli di Sirius.
-Mi hai salvato la vita, di nuovo.
Appoggiò la fronte contro la mia e con le mani calde scese
fino al collo e poi alle spalle stringendole un po’ e
sospirando. –Sei in gamba con la pistola. L’ho
scampata bella, l’ultima volta.-
Sorrisi, sentendo il cuore rallentare e riprendere a battere ad un
ritmo accettabile.
-Tu hai i tuoi Abracadabra ed io ho i miei.-
-Siamo una bella squadra, noi due.-
Song: Goodnight moon - Shivaree
Artwork: HilaryC
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 7. On the run ***
furry love 7
Furry Love
7- If you are looking for disappointment
You can find it around any corner
In the middle of the night I hold on to you tight
So both of us can feel protected
POP!
-Che diavolo..Sirius!- esclamai sollevando la testa dal fascicolo della
causa McGregor così violentemente da far scricchiolare le ossa
del collo, già notevolmente provate dall’umidità
delle sere di fine estate.
Sirius era piombato nella mia stanza come un enorme chicco di grandine,
solo perfettamente ritto sulle gambe e con un sorriso che mostrava
più denti di quanti pensavo fosse umanamente possibile avere e
che lo ringiovaniva tremendamente.
-Aspetta!- disse senza smettere di sorridere e avvicinandosi alla porta.
-Che stai facendo?-
-Ssh.-
Estrasse la bacchetta e mormorò strane parole prima di voltarsi
nuovamente verso di me e procedere a grandi passi fino alla mia
scrivania.
-Ho fatto un incantesimo di isolamento acustico, così nessuno potrà sentirci.-
-Sei sempre più inquietante.- asserii fissandolo con aria
scettica con ancora la penna saldamente stretta in mano e la schiena
nuovamente curva verso la scrivania.-Pensi di farmi fuori?-
-No, devo darti una grande notizia!- non l’avevo mai visto tanto
felice, sembrava un bambino cui avevano regalato il primo
giocattolo.-Ho trovato un modo, Hannah! Posso entrare ad Hogwarts,
eliminare Codaliscia, raggiungere Harry e..-
-Hey hey hey..- lo raggiunsi e sorridendo a mia volta lo costrinsi a
sedersi accomodandomi di fronte a lui così vicini che le nostre
ginocchia si sfioravano. –Farò finta di non aver sentito
il termine “eliminare” e.. è fantastico! E’
ciò per cui scompari continuamente, no?-
-Si! E’.. tu non sai quanto significhi questo per me, è..
è..- sembrava totalmente fuori di sé e non potei che
pensare a quanto fosse bello che avesse sentito il bisogno di
raccontare a me di un evento per lui tanto importante, che avesse
deciso di condividerlo, in un certo senso.
Si sporse verso di me e senza smettere di raccontare mi afferrò
le mani stringendole forte ad ogni parola per poi sistemarmi
distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio senza
neanche accorgersi di quanto fossimo vicini.
Io lo guardavo ipnotizzata e nonostante non stessi perdendo una parola
del suo racconto il mio sguardo vagava incessantemente dalle sue labbra
ai suoi occhi che sembravano brillare di una luce tutta nuova.
-Non metto piede ad Hogwarts dal mio ultimo anno.-
-Raccontami di Hogwarts. Com’era? Somiglia alle nostre scuole?-
Scosse il capo ridendo piano e facendo ondeggiare lunghi capelli
scuri prima di passarci le dita in mezzo per tenerli a bada.-No,
Hannah, non lo è affatto. E’ un posto incredibile.
Lì ogni cosa è magia, pura magia. E’ stato
sconvolgente persino per me che avevo sempre vissuto in mezzo ad
incantesimi ed oggetti magici, appartenendo ad una famiglia purosangue.-
-Purosangue?-
-Si, discendenza pura insomma. Niente babbani nell’albero genealogico, per intenderci.-
-Tipo.. dei nobili?- ero sinceramente curiosa e pensare che a nostra
insaputa il mondo fosse pieno zeppo di magia mi lasciava ogni volta
senza fiato.
-In un certo senso, si. Beh è una gran stronzata, comunque.-
Per la prima volta quel giorno vidi il suo sguardo incupirsi ma durò solo qualche istante.
-Ho lasciato casa mia quando avevo sedici anni, non sopportavo la loro
smania di superiorità e sapevo perfettamente quanto in là
potessero spingersi.-
La mia occhiata interrogativa palesò che io, invece, non avevo
la minima idea di cosa volesse dire e dopo aver piegato le labbra in
una smorfia scocciata si affrettò a spiegare nonostante fosse
evidente che avrebbe volentieri evitato.
-Mangiamorte, Hannah. La maggior parte della mia famiglia ne fa parte.-
Non potei trattenere un’espressione sorpresa e aggrottai la
fronte, perplessa: Sirius era evidentemente tutt’altro che
simpatizzante per quei folli incappucciati e non riuscivo davvero a
credere che la sua famiglia invece figurasse in quella losca cerchia.
-E dove sei andato? Da solo?-
-Non ero affatto solo. Avevo Hogwarts,- sembrò riflettere e
soppesare le parole, in bilico tra la tenerezza e la malinconia, -e
avevo James.-
-James? Il padre del ragazzo?-
-Si. Era come un fratello per me. Quante ne combinavamo!- un sorriso
assolutamente disarmante si disegnò sul suo volto e sentii
distintamente le mie labbra piegarsi automaticamente
all’insù, contagiata. Tutta quell’energia,
quell’entusiasmo mi stupivano ogni istante di più portando
a galla una parte di lui che non conoscevo e non avrei mai neanche
potuto immaginare. –non per niente amavamo definirci Malandrini.
Mi ricordo quella volta che disilludemmo tutti i libri di Remus che
andò proprio fuori di testa!-
-Remus?-
-Si, anche lui era un Malandrino. E anche Minus lo era.-
Un sonoro bussare ci fulminò e lui ritrasse immediatamente le
mani che avevano continuato a stringere le mie e allontanò il
volto che aveva tenuto per tutto il tempo vicinissimo al mio,
ipnotizzato da quel racconto.
-Tranquilla, adesso mi Disilludo.-
Non sapevo cosa volesse dire ma quando la sua sagoma sparì sotto
il colpo della sua stessa bacchetta trasformandolo in una sorta di
enorme camaleonte mi convinsi che era in ogni caso una soluzione.
-Avanti!-
Jason fece capolino oltre la soglia e nella mia testa risuonò un
campanello di allarme. Jason e Sirius nella stessa stanza erano
potenzialmente un enorme problema, soprattutto considerato che il modo
inaspettato in cui avevo abbassato le mie difese aveva convinto il mio
collega di potersi prendere libertà talvolta un tantino
eccessive.
-Non hai un bell’aspetto, Kane. Sembri una che è appena ruzzolata dalle scale. Guarda la tua faccia.-
Beh, almeno sotto quel punto di vista non era cambiato. Niente frasi dolci, niente smancerie di alcun tipo.
-Sei sempre così dolce che l’eccesso di zuccheri nel
sangue potrebbe uccidermi dopo ogni tua visita.- rilanciai con un
sorrisino stronzo poggiando la schiena alla scrivania.
-Non sarò dolce ma ho sicuramente altre qualità.-
mormorò avvicinandosi con fare da predatore, le mani
prevedibilmente affondate nelle tasche e l’espressione maliziosa
di sempre.
Sentivo la presenza di Sirius a pochi metri da noi e sapevo
perfettamente che qualsiasi cosa avesse in mente Jason l’avrebbe
decisamente indisposto.
Non che potesse avanzare alcun diritto sulla sottoscritta, questo era
ovvio. Eravamo solo buoni amici ma era evidente che non nutriva alcuna
simpatia per il giovane avvocato e che il sospetto che fosse anche lui
un Mangiamorte tormentava lui ancora più di quanto non
tormentasse me.
-A cosa devo questa visita?- chiesi, mordendomi il labbro, chiaramente in difficoltà.
-Mi mancavi.-
Il mio sguardo corse al braccio massiccio di Jason che mi aveva incastrata contro la scrivania, protendendosi in avanti.
Una sottile strisciolina nera faceva capolino oltre la manica
arrotolata della camicia e ricordai l’avvertimento di Sirius che
mi aveva informata della sorta di tatuaggio che contraddistingueva i
Mangiamorte.
-Cos’hai lì?- chiesi allungando le dita verso il braccio e sfiorandolo. –E’ un tatuaggio?-
Se lo portò dietro la schiena ma non si scompose minimamente.
–Ce l’ho da tanto tempo, Hannah, non mi guardi per niente,
eh?-
Chinò il capo avvicinando il volto al mio collo ed io mi tirai
un po’ indietro, provando ad insistere.-Quando studiavamo insieme
non ce l’avevi, allora la indossavi qualche t-shirt ogni tanto,
l’avrei notato!-
-Vuoi stare un po’ zitta, Sherlock?- mi afferrò il
voltò tra le mani e lo attirò a sé senza darmi il
tempo di pensare e sentii il suo corpo premere contro il mio.
Immediatamente nella mia testa si accese una lampadina e
quell’idea surclassò la preoccupazione per Sirius che
chissà in quale punto della stanza si trovava costretto ad
assistere a quella scena. La smaterializzazione era piuttosto rumorosa
e si sarebbe tradito.
Se Jason non voleva mostrarmi quel tatuaggio avrei dovuto scoprirlo da
sola per sapere se era solo un innocente tribale o se il mio collega ed
ex compagno di studi era davvero uno di quelli che cercavano di farmi
la pelle. Era mio diritto sapere, dopotutto, e Sirius avrebbe capito.
Posai le mani sul suo collo percorrendolo lievemente con le dita mentre
lui, sorpreso della mia insolita accondiscendenza, mi baciò con
maggiore passione e coinvolgimento per poi scendere ad accarezzare la
mia gola con le labbra.
Approfittai del momento per cominciare a sbottonargli la camicia
pregustando già l’acre sapore della verità che di
lì a poco avrei scoperto mettendo a nudo quello che temevo fosse
il segno che lo avrebbe tradito.
Per non farlo insospettire decisi di rallentare e gli accarezzai il
torace per qualche istante rivolgendogli uno sguardo languido e
baciandolo piano sulle labbra, leggera e delicata.
Sembrava ormai arreso e totalmente privo di alcuna volontà che
non includesse me e lui avvinghiati su quella scrivania così
ripresi a slacciargli la camicia e una vocina dentro la mia testa
esultò quando l’ultimo bottone cedette sotto le mie dita.
Improvvisamente si irrigidì e si separò da me.
-Non è una buona idea, siamo in ufficio.-
-E quindi? Joanne non mi disturba mai quando c’è qualcuno
nel mio studio e poi è.. –mi maledissi per quello che
stavo per dire per il modo in cui stavo svilendo la mia volontà
ma dovevo sapere, non riuscivo più ad accettare il fatto di non
avere la minima idea di chi potermi fidare. -eccitante. Non trovi?-
Mi fissò, sofferente, spezzato in due dalla voglia di
assecondare quella mia inaspettata voluttà e da un non precisato
timore.
Improvvisamente affondò gli occhi nei miei, serio ed intenso.
Quello sguardo poteva solo voler dire che aveva capito perfettamente a
che gioco stavo giocando, non era di certo uno sprovveduto: aveva
notato il mio interesse per quel tatuaggio e aveva realizzato di essere
quasi stato fregato.
Non disse nulla, si limitò a voltarsi per riabbottonare la
camicia chiara e perfettamente stirata, come sempre, per poi uscire
dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi ancora
più confusa. O forse solo più convinta che la
verità fosse esattamente quella che temevo e non volevo
accettare.
-Credo che il termine corretto sia nauseante, piuttosto.-
La voce di Sirius mi colse impreparata così come
l’espressione ferita che lessi sul suo volto quando mi voltai
verso di lui il cui corpo aveva ripreso consistenza.
-Non è come credi, io stavo solo..-
Con un sonoro POP scomparve
dalla mia vista, smaterializzandosi e lasciandomi sola con la mia
inquietudine ed una strana sensazione di fastidio
all’altezza dello stomaco. Senso di colpa, probabilmente.
Aspettai che tutti fossero andati via e assicurai a Joanne che avrei chiuso io lo studio, quella sera.
Speravo che quel teatrino non fosse stato completamente vano e che
perlomeno nello studio di Jason avrei trovato le risposte che cercavo.
Mi avviai lungo il corridoio buio fino alla porta che cercavo e che,
notai con grande disappunto, era chiusa. Inveii contro la sorte avversa
e il mio cervello cominciò ad elaborare una possibile
alternativa all’ingresso pacifico che mi era stato così
bellamente negato.
Mi sfilai una forcina dai capelli, non era la prima volta che aprivo
una serratura con quel rudimentale ma efficace metodo: quando i miei
amici ed io restavamo fuori casa, a tarda notte e senza permesso, io
ero l’addetta allo scassinamento delle porte di casa.
Finché non fui scoperta, almeno.
Trafficai per almeno un quarto d’ora stringendomi la lingua tra le labbra finché un adorabile clack non mi avvertii che non avevo ancora perso il mio tocco magico.
-Incassa il colpo, bello.-
Parlare sola era uno dei primi segni della schizofrenia che insorgeva
ma dopotutto avevo sempre sostenuto di non essere esattamente una
persona normale e dopo aver scoperto che maghi, streghe e scope volanti
esistevano davvero la mia stranezza sembrava a confronto parecchio
tollerabile.
Accesi la luce e perlustrai con lo sguardo la stanza perfettamente
illuminata alla ricerca di.. non sapevo esattamente cosa. Una
bacchetta? No, i maghi la portavano con loro. Una scopa? Poco
probabile. Un cappello a punta?
Rovistai nei cassetti badando bene di non far casino e non trovai nulla
di sconcertante a parte una enorme scatola di preservativi dalla dubbia
utilità professionale.
Presi a controllare le carpette che ingombravano il ripiano della
scrivania finché, sollevandone una, vidi un block notes con un
foglio malamente strappato e le lettere “nd” scribacchiate
sul brandello restate.
Afferrai una matita dal portapenne e come nei migliori polizieschi la
passai varie volte nel punto in cui doveva essere stato trasferito il
tratto del foglio strappato e finalmente potei intravedere un nome
delinearsi sulla carta. Era un indirizzo, benché poco leggibile
dati i numerosi tagli con i quali Jason aveva evidentemente cercato di
cancellarlo: 153, Spinner’s end.
Perché cancellare con tanto impegno un indirizzo? E
perché mai Jason avrebbe dovuto segnare l’indirizzo di un
quartiere tanto malfamato?
Continuai a grattare pur non sperando di trovare altro quando un'altra
scritta, molto più in basso, si delineò, più
chiara della prima.
11:OO p.m.
Bingo. Quale incontro di lavoro avrebbe mai potuto aver luogo alle
undici della sera? L’appunto, peraltro, doveva essere recente
considerato che nessun altro foglio del block notes era stato
utilizzato e, lo sapevo bene, Jason aveva la fastidiosissima abitudine
di disegnare o in alternativa scrivere il suo nome ovunque.
Cercai di rimettere tutto a posto, esattamente come l’avevo
trovato, e filai fuori dallo studio immergendomi nel buio di quella
notte particolarmente grigia cercando di evitare il ricordo di una
notte simile in occasione della quale avevo rischiato davvero di
rimetterci le penne e avevo scoperto quel mondo di magia che non avrei
potuto immaginare.
La macchina, fortunatamente, partì subito e tirai un sospiro di
inevitabile sollievo cominciando a guidare verso Spinner’s end.
La radio, a basso volume, mandava una canzone di Marilyn Manson, come
se la situazione non fosse già abbastanza inquietante di per
sé e spazientita cambiai stazione cominciando a canticchiare una
canzoncina commercialissima e cercando di non pensare al guaio in cui
mi stavo volontariamente cacciando. Insomma, stavo zampettando con le
mie ardite gambine in quella che era all’ottanta per cento delle
probabilità la tana del lupo e probabilmente mi ci sarei
ritrovata totalmente sola, a differenza della volta precedente.
Lo sguardo ferito di Sirius si fece di nuovo nitido nella mia mente e
strinsi più forte il volante. Non mi sembrava affatto che lui
avesse fatto alcun passo verso di me, sul piano sentimentale, e quella
che ormai era evidentemente una immotivata gelosia mi dava proprio sui
nervi.
Avevo ammesso a me stessa da un po’ il fatto che Sirius avesse in
qualche modo oltrepassato le mie barriere facendosi strada oltre la
ritrosia che giornalmente mostravo nei confronti di qualsiasi
prospettiva di approfondire un rapporto, quale che fosse la sua natura,
ma continuava a scomparire continuamente e se la sua presenza
costituiva una luce nuova nella mia vita, quella sua intermittenza
annichiliva sempre ogni mia concreta speranza.
Non avevo bisogno di qualcuno che entrasse ed uscisse continuamente
dalla mia vita, ne avevo avute fin troppe di persone così,
avevo bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di restarci.
Una insegna penzolante e il suo sinistro cigolio mi riportarono con i
piedi per terra e mi accorsi di essere arrivata a destinazione.
Le case si susseguivano tutte ugualmente scure e fatiscenti, alcune
avevano le finestre sprangate da enormi assi di legno, evidentemente
disabitate da tempo, mentre altre sembravano uscite da un fumetto di
Dylan Dog.
Scorsi con lo sguardo i numeri civici fino al numero 153.
L’ingresso doveva trovarsi nel vicolo che costeggiava
l’edificio e ne ebbi la conferma quando vidi due uomini guardarsi
nervosamente intorno per poi fermarsi a metà del vicolo.
Quando la porta si aprì e la fievole luce investì i due
mi accorsi che uno di loro era proprio il vecchio avvocato Russell con
un’espressione tremendamente nervosa a deformargli i tratti
solitamente abbastanza affascinanti.
L’uomo che lo affiancava, tuttavia, non era Jason e tirai un
sospiro di sollievo accostandomi a distanza di sicurezza dal vicolo e
scendendo dalla vettura per prendere un po’ d’aria.
Quando avevo visto Russell senior il mio cuore aveva cominciato a
martellare nel petto, inarrestabile, temendo di scorgere al suo fianco
il mio collega e, ormai, amico.
Tirai un profondo respiro quando improvvisamente un raggio di luce mi
colpì ai piedi e, come se fossero stati stretti da funi
invisibili, persi l’equilibrio e per poco non strofinai il naso
sulla strada sterrata cercando di frenare la caduta con le mani aperte
e graffiandomi dolorosamente i palmi.
-Non è saggio aggirarsi per queste vie di notte e non è affatto educato spiare.-
Una voce conosciuta mi raggiunse da dietro la mia macchina e
strisciando un po’ senza rialzarmi, temendo un altro incantesimo,
vidi Jason, avvolto in uno scuro mantello nero, avvicinarsi alla mia
auto e scrutarne la targa.
-Cosa..Hannah?-
Mi sollevai e poggiai le spalle al muro, sotto il suo sguardo atterrito.
-Che cosa ti è saltato in mente, eh? Devi andare via, subito!
Come hai.. oh non importa!- si avvicinò a me e mi afferrò
per un braccio strattonandomi verso la macchina.-Vattene
immediatamente!-
-Sei uno di loro! Non posso crederci!-
Il suo viso era una maschera di emozioni: rabbia, paura, frustrazione, inquietudine.
-Hai accolto il nostro inatteso ospite, figliolo?- la voce alta di
Richard Russell ci fulminò entrambi e ci voltammo
contemporaneamente indietro vedendo tre uomini svoltare l’angolo
del vicolo e venirci incontro.
-Vattene, vattene, vattene!-
Feci per salire in auto quando fui colpita di nuovo e ricaddi indietro prontamente afferrata da Jason.
-Oh, che sorpresa. La giovane Hannah Kane. Ecco spiegato perché c’hai messo tanto.-
Lo spaventoso trio era ormai vicino e vidi in volto gli altri due
uomini che mi fissavano, accigliati e notevolmente contrariati a
differenza di Russell che sembrava quasi divertito dal nostro incontro.
Uno dei due aveva lunghi capelli neri, visibilmente unti, e un naso
aquilino dominava incontrastato il suo viso mentre l’altro mi
colpì per le numerose cicatrici che ne distorcevano i tratti
dandogli l’aria di un predatore, complici gli occhi scuri pieni
di cattiveria.
-Hannah si è.. persa, papà. Le stavo indicando la
strada.- tentò Jason con voce poco convinta e vagamente
incrinata dal nervosismo.
-Certamente, Jason. Greyback, Piton, voi che ne dite?- il padre, con
tono mellifluo, interpellò i due allargando le braccia con fare
teatrale e sorridendo, sinistro. –Che terribile inconveniente,
perdersi in Spinner’s end.-
-Il giovane Russell continua a proteggere la ragazza,
vedo.-scandì, lento e maligno, l’uomo con i capelli neri.
–Abbiamo cose più importanti a cui pensare, datevi una
mossa.-
Si voltò per tornare sui suoi passi.-Sbrigate questa faccenda, vi aspetto dentro.
Io ero rimasta immobile, appiattita contro il muro sentendomi come un
topo con le zampe invischiate nella trappola e con una mano corsi ad
afferrare la pistola, dentro la borsa, senza però mostrarla. Non
ancora.
-Bene bene, signorina Kane. Ha aggiunto dettagli al quadro generale dei
fatti? Ha origliato le nostre conversazioni e adesso ci ha persino
pedinati. Qual è la prossima mossa? Andrà a denunciare
alla polizia la presenza di maghi criminali che attentano alla sua
vita?-
Russell ghignò e qualche istante dopo la sua risata
risuonò in modo grottesco rimbalzando sulle pareti umide della
stretta strada in cui ci trovavamo.
Mi morsi la lingua, troppo impegnata ad escogitare un modo per fuggire
per trovare una risposta diplomatica che non accelerasse la mia fine.
-Papà, basterà obliviarla non..-
-Che tenerezza. E’ innamorato di lei.- latrò l’altro
uomo che fino a quel momento aveva risparmiato sulle parole limitandosi
ad occhiate sadiche, leccandosi continuamente le labbra in modo osceno.
-Fatti da parte, ragazzo.- intimò Richard Russell al figlio,
avanzando verso di noi, la bacchetta saldamente stretta in pugno e
puntata su di me, non fece una piega neanche quando, estratta la
pistola, feci partire un colpo verso il basso mancando di poco la sua
gamba a causa del tremore delle mie mani.
La paura mi stava raggelando, cominciava a rallentare i miei riflessi,
i miei movimenti. Tutti i miei sensi avrebbero dovuto essere
all’erta ma sembravano piuttosto intorpiditi dal panico che mi
scorreva freddo nelle vene.
-Bel tentativo, ragazzina, ma non sono un babbano pilotato come
quell’agente. Mi è stato riferito che hai dato del filo da
torcere ai nostri, qualche giorno fa.- con un fluido movimento della
mano e senza che alcun lampo di luce mi raggiungesse mi fece fluttuare
a mezz’aria come se una mano invisibile mi avesse afferrata per
la caviglia e mi tenesse sospesa, a testa in giù.
Neanche un urlo scaturì dalla mia gola riarsa ma mi agitai
muovendo ripetutamente braccia e gambe come a volermi liberare da
quella presa e scatenando inevitabilmente le loro crudeli risate.
Non mi ero mai sentita tanto umiliata, tanto spaventata, tanto stupida.
Mi ero cacciata in quel pasticcio da sola, convinta che l’essere
scampata loro già due volte mi assicurasse la buona riuscita del
terzo tentativo ma, ahimè, non era stato affatto così.
Si avvicinarono piano a me mentre Jason continuava ad urlare al padre
di lasciarmi andare correndo a recuperare la bacchetta che lo stesso
gli aveva fatto volar via di mano qualche istante prima.
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?- mi interpellò,
sadico, il mio aguzzino inclinando il capo verso la spalla per potermi
osservare meglio. Feci per sollevare la mano con la pistola ma con un
violento colpo la allontanò facendomi mollare la presa sull’arma
che rotolò sull’asfalto.
-Potresti lasciarla a me, prima. Troverei di certo modi più
fantasiosi per punire questa farfallina.- intervenne quello che avevo
intuito dovesse chiamarsi Greyback per poi sfiorarmi il viso con un
dito ruvido ed in tutta risposta gli sputai in faccia, rabbiosa. Sapevo
che erano i miei ultimi istanti ma la mia dignità non sarebbe
morta prima di me.
-Finite incantatem!- Jason mi liberò e rovinai al suolo poco
prima di vederlo pararsi davanti a me puntando la bacchetta contro gli
altri due.
Greyback ringhiava, basso, e Richard Russell fissava il figlio con astio.
-Osi minacciare tuo padre per una stupida biondina ficcanaso?-
alzò nuovamente la bacchetta puntandola contro di me quando
Jason agitò la sua e il padre si immobilizzò come pochi
istanti dopo fece l’altro. Sembravano statue di cera.
-Vattene, Hannah, e nasconditi. Sai troppo adesso e non li terrò
a bada per sempre. – pronunciò quelle parole con aria
sofferente ed io potei solo annuire, troppo sconvolta dalla piega che
gli eventi avevano preso, quella sera.
-Fai attenzione.-
Corsi in auto e misi in moto ripartendo velocemente verso casa e
mettendo quanta più distanza possibile tra me e quel posto
orribile.
Non avrei saputo dire per quanto guidai né quanto sangue era
realmente colato dal mio zigomo a causa del modo in cui il mio viso si
era scontrato con l’asfalto. Quando aprii la porta, barcollante e
in preda ad un incontrollabile tremore, non accesi neanche la luce.
-Sirius.-
Nessuno rispose e dovetti poggiarmi alla porta per non perdere l’equilibrio.
-SIRIUS!-
Vidi la sua sagoma delinearsi nel buio dell’ingresso e mi gettai
tra le sue braccia stringendolo convulsamente, gli occhi sbarrati per
il terrore che non mi aveva ancora abbandonata.
-Dobbiamo andare via di qui, subito.
Singhiozzavo senza riuscire neanche a piangere, totalmente presa dal panico, mentre lo scuotevo forte tirandolo verso la porta.
-Cosa è successo?- mi accarezzò lo zigomo sanguinante con un’espressione attonita.
-Mi hanno beccata, Russell e altri due e.. per poco non mi uccidevano,
se non fosse stato per Jason, lui è un mangiamorte ma mi
ha…Sirius dobbiamo andare, mi verranno a cercare, portami via ti
prego!-
Non avevo mai pronunciato un discorso tanto confuso in vita mia ma lui
non chiese altro: mi strinse a sé, tutto vorticò,
terribilmente, e serrai gli occhi finché i nostri piedi non
toccarono di nuovo il pavimento.
Non mi guardai neanche intorno, non chiesi dove fossimo né
quanta distanza avessimo messo tra noi e Londra. Mi limitai ad
aggrapparmi a lui mentre mi accompagnava in una stanza con un grande
letto sul quale mi sdraiai, silenziosa, e lui si stese al mio fianco.
Non si preoccupò di mantenere le distanze, non si
preoccupò di essere indiscreto, mi circondò con le sue
braccia e mi tenne stretta mentre le mie mani artigliavano le sue e le
palpebre si facevano pesanti.
-Non avrei mai potuto perdonarmi se tu..non ti lascerò mai più da sola.
Mi chiedi se avesse davvero pronunciato quelle parole se fossero state
frutto della mia immaginazione, nel dormiveglia, e nel giro di pochi
minuti piombai in un sonno senza sogni.
Song: Tell me where it hurts - Garbage
Artwork: JeyCholties
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 8. You're beautiful ***
furry love 8
Furry
Love
8. Your eyes are holding up the sky
Your eyes make me weak I don't know why
Your eyes make me scared to tell the truth
I thought my heart was bullet-proof
Now I'm just dancing on the roof
-Possibile
che tu non abbia trovato di meglio?-
Eravamo in fuga ormai da quattro giorni e avevo spedito Sirius a
racimolare lo stretto indispensabile, quanto a vestiario e cibo, a casa
mia: tra i due era sicuramente il candidato migliore per certe
spedizioni, considerate la sua capacità di rendersi
invisibile,
o meglio di disilludersi, come soleva correggermi severamente, e la
mia, invece, incapacità di smaterializzarmi.
Sirius aveva anche fatto una serie di incantesimi affinché
la
casa disabitata che aveva scelto come nascondiglio continuasse a
sembrare tale nonostante la nostra permanenza e speravo vivamente che
funzionassero.
-Il coniglietto ti dona.- ribatté con un sorriso dispettoso
indicando con un movimento del capo la mia t-shirt per poi concludere
con una strizzatina d’occhio.
-Avrei preferito gli Stones.- abbassai lo sguardo sul piccolo roditore
dalle orecchie lunghe che sorrideva sulle mie tette e automaticamente
mi imbronciai come una bambina.
I primi due giorni della nostra permanenza in quella casa erano stati
terribili, la paura aveva continuato ad aleggiare proprio sopra la mia
testa come fosse la mia nuvoletta personale e il mio compagno di fuga
sembrava, se possibile, più turbato del solito.
Il pensiero del pericolo che avevo corso a sua insaputa lo innervosiva
parecchio e pensandoci bene non era poi così insensato come
mi
era parso inizialmente, in fondo ero l’unica persona che
avesse
al mondo.
-Sono felice di.. vederti sorridere di nuovo.- buttai lì,
sperando che non approfondisse, e quando si voltò verso di
me,
smettendo di sparecchiare la tavola della cucina, mi ritrovai ad
arrossire. Mi capitava raramente di arrossire o comunque di mostrare
imbarazzo, era una debolezza che non amavo manifestare e che
normalmente mascheravo dietro battute sarcastiche o risposte velenose.
-Anche tu sembri più serena, oggi.- rispose, dopo lunghi
istanti
di silenzio, raggiungendomi in salotto per poi accomodarsi sulla
poltrona di fronte alla mia.
-Si, mi sto riprendendo.. o almeno credo. Spero solo che Jason abbia
trovato una buona scusa, allo Studio, per giustificare la mia assenza.
A quel pensiero l’immagine di Jason solo ad affrontare suo
padre
e chissà quanti altri di quei Mangiamorte mi
bloccò il
respiro.
-Fossi in te non mi preoccuperei né per lui né
per il
lavoro. Quei bastardi se la cavano sempre e sono dei bravissimi
produttori di alibi.- mi rassicurò, a modo suo, accorgendosi
del
mio stato d’animo e schioccando la lingua contro il palato.
-Lo spero.-
Erano le nove della sera e come spesso ci capitava in quei giorni di
forzata prigionia, stavamo vicini e in silenzio; non era più
sparito e mi sentivo un po’ un peso, un indesiderato impegno
a
tempo pieno. Gli avevo chiesto più volte di smetterla di
preoccuparsi tanto ma non c’era stato verso di farlo
schiodare da
casa se non per qualche minuto, il tempo di materializzarsi a casa mia
e tornare indietro.
-E così.. Jason rappresenta il tuo uomo ideale? Insomma..
capelli gellati, dentiera e tutto il resto?- chiese improvvisamente,
con un sopracciglio sollevato e la braccia incrociate al petto. Era
decisamente buffo e per poco non scoppiai a ridere.
-Non porta mica la dentiera!-
-Deve comunque aver portato l’apparecchio per
l’equivalente di un’era geologica per avere quei
denti.
-Riferirò che hai apprezzato il lavoro del suo dentista,
Sirius.- scossi il capo, divertita, raccogliendo le gambe al petto e
circondandole con le braccia.
-Non hai risposto alla mia domanda.- incalzò con tono
pedante.
-No, non lo è. O per lo meno.. è l’uomo
che ho sempre pensato di dover cercare, l’uomo perfetto.-
-Per te?-
-No, l’uomo perfetto e basta. Ha una carriera, è
bello,
brillante, profondamente rompiscatole come piace a me ma..- mi concessi
qualche attimo per riflettere. Quali erano i miei
“ma”?
Perché Jason non era mai riuscito a conquistarmi davvero?
-Ma?-
-Ma non mi travolge.-
Mi rivolse uno sguardo confuso, senza dire una parola, gli occhi grigi
ed attenti concentrati su di me. Era una strana sensazione quella che
mi trasmettevano i suoi occhi incollati addosso, era come se mi
leggessero dentro e quei piccoli contatti mi sembravano sempre
così preziosi che sentivo l’istinto di prolungarli
il
più a lungo possibile.
-Io ho sempre pensato che l’amore, quello vero, non possa
scindersi dalla passione. Ho sempre voluto un amore che mi travolgesse,
un groviglio di cuore, occhi, mani e labbra che non mi lasciasse il
tempo di pensare, di spaventarmi e richiudere i battenti.
Perché
è questo che faccio.-
-Mi sembra che lui le mani le abbia usate eccome e per quanto riguarda
le labbra..-
-Non è questo. E’ diverso. E’ vero, lui
mi attrae e
mi a sentire desiderata, anche, ma aspetto ancora l’istante
in cui il cervello si spengnerà, l’istante in cui
smetterò di chiedermi se sono al posto giusto e con la
persona
giusta.- sospirai, consapevole di quanto folle fosse il mio discorso e
mi stupii nel notare che invece lui sembrava aver capito, non
c’era traccia di compassione, nel suo sguardo, per la mia
instabilità sentimentale, piuttosto una sorta di empatia.- E
tu?
Com’è la tua donna ideale?-
-Penso che sia una gran stronzata, quella dell’ideale. O
comunque con me non funziona.-
Risi vedendolo alzare gli occhi al cielo e guardare altrove, in
difficoltà.-Sei stato tu ad iniziare, ti tocca!-
Sbuffò senza riuscire a trattenere un sorriso. -Non ho avuto
relazione abbastanza durature o serie da poter capire quale sia il mio
ideale di donna.-
Non potei evitare di infastidirmi pensando a come quella risposta
evasiva potesse essere dovuta a chissà quante precedenti
storie.
Non ero la sua donna né niente di lontanamente simile ma la
nostra convivenza andava avanti ormai da un po’ e una parte
di
me, nonostante la mettessi continuamente a tacere, non riusciva a
sopportare l’idea che avesse avuto una simile intesa con
chissà quale giovane strega, in passato: io non
l’avevo
mai avuta con nessun altro.
-E poi non ne ho avuto mai l’occasione. Finita la scuola la
lotta
contro Voldemort tra le fila dell’Ordine mi ha assorbito
totalmente, ero troppo impegnato a sopravvivere per preoccuparmi di
qualsiasi faccenda sentimentale. E poi Azkaban.. qualunque donna possa
essere passata di lì di certo non rispecchiava un mio
ipotetico
ideale. Probabilmente quello che cerco è una persona che
riempia
i miei spazi vuoti.-
Le sue parole mi avevano spiazzata, il suo discorso aveva preso una
piega molto diversa da quella che avevo immaginato e sicuramente meno
frivola. Anche io cercavo un incastro che funzionasse e non potei fare
a meno di chiedermi se, in qualche modo, saremmo riusciti a trovarlo
insieme, se sarei riuscita a lenire il dolore di quegli anni che gli
erano stati strappati via, prima dalla lotta contro il mago che i miei
persecutori così fedelmente veneravano e poi da quella lunga
ed
ingiusta prigionia.
Improvvisamente imbarazzata sentii l’urgenza di allontanarmi
da
lì e mi alzai trovandomi però, inspiegabilmente,
ancora
più vicina a lui che doveva aver sentito lo stesso
impellente
bisogno, a giudicare dalla lieve sfumatura di panico che gli aveva
attraversato gli occhi nell’istante in cui ci eravamo trovati
così vicini.
-Io ehm.. scusa.- mormorai, abbassando lo sguardo senza tuttavia
spostarmi di un passo.
-No, scusami tu, stavo andando in cucina a..- indugiò un
istante
e con una rapidissima occhiata vidi la sua fronte corrugarsi,-a
prendere un bicchiere d’acqua.-
Feci per spostarmi per farlo passare ma lui era andato nella stessa
direzione e ci scontrammo di nuovo mentre una risatina nervosa e
innaturalmente stridula faceva capolino dalla mia gola, più
che
dalle mie labbra.
-Sai una cosa? Te lo prendo io un bicchiere d’acqua.- tentai
di
costruirmi una buona scusa per allontanarmi velocemente e sfuggire a
quella strana tensione che si era venuta a creare ma proprio mentre
stavo per voltargli le spalle la sua mano si mosse veloce verso di me e
si adagiò, lieve, sul mio fianco.
-Stai chiudendo i
battenti anche adesso, non è vero?-
soffiò, serio, citando le parole che avevo usato qualche
minuto prima.
Non avrei saputo spiegare per quale ragione, ma portai le mie dita ad
intrecciarsi con le sue e fissai lo sguardo su di esse concentrandomi
sui lievi movimenti dei polpastrelli che di tanto in tanto si
sfioravano.
-Hannah.-
Voleva che alzassi lo sguardo, voleva che permettessi ai suoi occhi di
affondare di nuovo nei miei ma sapevo che ci avrebbe letto troppe cose
e troppo in profondità, sarebbe riuscito a scavare dentro
tutta
quella confusione che la sua vicinanza continuamente mi procurava e che
non avrei avuto via di scampo.
Lasciò andare la mia mano e sentii la delusione invadermi
finché non lo sentii sollevarmi il viso verso il suo ma io
continuai a tenere lo sguardo basso e lui, evidentemente,
rinunciò. Mi superò dopo avermi affibbiato un
buffetto
sulla guancia e un sorriso paziente e si recò in cucina.
Mi lasciai ricadere sulla poltrona e strinsi le labbra, contrariata. Mi
ero lasciata sfuggire l’ennesimo momento giusto.
-Hannah! Come sta tua zia?- qualsiasi cosa volesse dire Joanne,
chiaramente, mi era ignota così optai per un dignitoso
silenzio
nell’attesa che continuasse e mi desse qualche indizio in
più per rispondere mentre la mano che stringeva il cellulare
sudava tremendamente, neanche fossi tornata a dare esami
all’università.
-Jason mi ha detto che sei dovuta partire immediatamente per tornare a
casa dei tuoi, spero non sia nulla di grave.-
Così era quello il fantastico alibi che Jason mi aveva
fornito,
una vecchia zia moribonda che, per inciso, non avevo. –Oh,
non
preoccuparti, si rimetterà! Purtroppo però devo
restare
qui ancora qualche giorno, almeno finchè..-
Brava, Hannah, almeno
finché
cosa? La mia testa sembrava svuotata di qualsiasi capacità
di
inventare balle ma grazie al cielo Joanne continuò:-Non devi
assolutamente preoccuparti! Ho rimandato tutti i tuoi appuntamenti e
delle udienze che avresti dovuto avere si sta mano a mano occupando
Jason. E’ tutto sotto controllo.-
L’apprensione nella sua voce e quella dolcezza
così
spontanea mi fecero sentire una vera arpia per il modo in cui
l’avevo trattata qualche giorno prima e mi ricordai che non
avevamo ancora avuto occasione di chiarire.
-Jo senti io.. volevo chiederti scusa per l’altro giorno. Ho
esagerato, sono stata davvero sgarbata e non te lo meritavi.-
Nonostante non la vedessi sapevo perfettamente che stava sorridendo dal
tono di voce con il quale mi rispose.
-Va tutto bene, Hannah, se il capo non fosse un po’
sgradevole,
ogni tanto, di cosa potrei lamentami con le colleghe degli altri studi?-
Scossi la testa e sorrisi, era sempre la solita.-Non fa una
piega. Ora devo andare, Jo. Grazie della telefonata, ci vediamo presto.-
Chiusi il telefono mentre entravo nella stanza da letto e vidi Sirius
afferrare un cuscino e venirmi incontro per uscire dalla stanza.
-Dove vai?-
-A dormire in salotto.- rispose, ovvio, con un sorriso tranquillo
stampato sul volto.-Stai meglio, oggi, non c’è
bisogno che
dorma con te.-
-Lo dici come se fossi una bambina capricciosa, o peggio, come se ti
fosse dispiaciuto!- sbottai, guardandolo torva mentre mi superava.
-Non ho mai detto che mi sia dispiaciuto. Ma sulla prima parte non ho
obiezioni, vostro onore.-
Grugnii mentre usciva dalla stanza e feci per chiudere la porta quando
improvvisamente ci ripensai e con un sospirò mi ci poggiai
contro, fissando la sua schiena mentre sistemava i cuscini del divano.
-Dormi qui. E’ scomodo il divano.-
-Credi sia più comodo dormire con una che scalcia tutta la
notte come un cavallo?-
-Cosa?!-
-E per di più russi!-
-Io non russo! Goditi il tuo divano, mago dei miei stivali!- chiusi la
porta con un tonfo e marciai fino al letto per poi stendermi
imponendomi di dormire e reprimere l’istinto di tornare in
salotto e soffocarlo.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi e richiudersi e poi il
materasso abbassarsi.
-Vattene.-
-Santo cielo quanto brontoli.- sbottò cercando di nascondere
la sfumatura divertita che colorava la sua voce.
-Scalcio, russo e brontolo! Che ci stai a fare qui, allora?- lo sfidai
voltandomi e incenerendolo con lo sguardo.
-Perché sei anche maledettamente bella.-
Sgranai gli occhi, folgorata da quella affermazione appena sussurrata,
mentre lui mi carezzava la guancia, lento e delicato e sentivo tutto il
mio corpo tendersi verso il suo, desideroso di un contatto che una
manciata di centimetri ancora impedivano.
Stavamo sdraiati su quel letto come tante volte avevamo fatto, uno di
fronte all’altra, ma quella sera sembravamo i poli opposti di
una
calamita.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma restai in silenzio, temendo di
infrangere la magia dei nostri sguardi legati.
Fu lui a protendere il viso verso il mio, senza interrompere quel
contatto, e mi ritrovai a socchiudere gli occhi, aspettando di sentire
le sue labbra posarsi sulle mie.
Trascorsero istanti che mi sembrarono eterni prima che la sua bocca
incontrasse la mia in un bacio morbido e desiderato, pieno di affetto e
di complicità.
Non approfondì quel contatto, né lo
prolungò
abbastanza a lungo perché fossi io a farlo, ma
continuò
ad accarezzarmi il viso ed io mi sentivo creta tra le sue mani.
Qualsiasi cosa fosse scattata tra di noi non ero più capace
di
spegnerla e neanche avevo intenzione di provarci, perciò mi
avvicinai a lui intrecciando le gambe alle sue e baciandolo a mia
volta, senza fiato.
Il nostro secondo bacio fu più urgente e passionale e fu lui
a
spingere il mio corpo contro il suo premendo la mano sulla mia schiena
mentre le mie mani, un po’ tremanti per l’emozione,
si
chiudevano attorno al suo viso: quella situazione era tremendamente
strana e non riuscivo a definirci in alcun modo. Quei baci contenevano
l’emozione della novità ma aveva tutto il gusto di
una
complicità troppo profonda e radicata.
Posò la fronte contro la mia e ci ritrovammo entrambi a
respirare a fatica, ancora sconvolti da quell’inaspettato
turbinio di sensazioni.
-Credo che adesso tu possa..- fece una pausa e senza smettere di
stringermi lo vidi trattenere una risata.-Si, credo proprio che tu
adesso possa russare a scalciare quanto ti pare.-
Song: Your eyes - Alexz Johnson
Artwork: HilaryC
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 9. Don't let me be misunderstood ***
furry love 9
Furry Love
9. Yeah I've been feeling everything
From hate to love
From love to lust
From lust to truth
I guess that's how I know you
So I hold you close to help you give it up
Quando
mi svegliai, la mattina successiva, la sensazione di aver il cuore in
gola non costituì di certo un buon modo per cominciare la
giornata e per un solo istante, quando notai che Sirius si era
già alzato, ne fui sollevata.
Il sollievo lasciò ben presto il posto alla preoccupazione che
quel bacio avesse rovinato tutto. Come poteva, un mago, provare davvero
qualcosa per una come me, che non aveva alcun potere se non quello di
combinare guai ad ogni passo?
Mi strofinai gli occhi e prima di alzarmi per andare alla ricerca del
mio coinquilino alitai contro il palmo della mano, per verificare il
grado di sopportabilità del mio respiro, e storsi il naso,
infastidita.
Sgambettai fino al bagno cercando di non far rumore e cominciai a
strofinare i denti con lo spazzolino. Nonostante fosse ufficialmente un
eccezionale baciatore, Sirius non era altrettanto sveglio e aveva preso
dall’armadietto il vecchio spazzolino che avevo dimenticato di
gettare quando avevo comprato quello nuovo e lo maledii mentalmente
mentre le setole storte e usurate mi graffiavano selvaggiamente le
gengive.
Quando alzai lo sguardo verso lo specchio, l’immagine che mi
restituì fu ancor più traumatizzante dell’alito di
qualche minuto prima. Ogni ciocca dei miei capelli aveva preso una
direzione diversa dalle altre, sembrava quasi che in cima alla mia
testa troneggiasse un corno biondo, mentre gli occhi, struccati
ormai da giorni, sembravano quelli di un tale deceduto in seguito ad
una gran paura e le labbra erano tutte screpolate.
Aveva davvero baciato le mie labbra in quelle condizioni? Dov’era
il mio cervello quando quegli strani eventi avevano avuto luogo?
Probabilmente si era perso insieme al mio amor proprio. Innervosita per
l’assenza di un qualsiasi surrogato di burrocacao a disposizione,
lanciai un’occhiata inviperita al mio riflesso e mi recai di
malavoglia in cucina dove trovai Sirius intento a versare del
caffè mentre un cucchiaino animato di vita propria mescolava il
contenuto di un’altra tazza.
-Buongiorno!- mi accolse, di buon umore, per poi rivolgermi un’occhiata quasi preoccupata.-Che è quella faccia?-
-Questa sistemazione è davvero poco funzionale, Sirius, davvero poco funzionale.-
-Ancora per la storia dello spazzolino? Sei troppo esigente, Hannah, uno vale l’altro!-
-Dillo alle mie gengive, Merlino!-
A giudicare da quello scambio di dolci paroline le cose tra di noi non
erano poi così cambiate e questo, invece di rassicurarmi, mi
allarmò. Mi resi conto che era proprio vero quel che gli uomini
andavano continuamente farneticando riguardo il mondo femminile: mi
sentivo una contraddizione ambulante e brontolona, una parte di me
voleva sfuggire l’imbarazzo di un confronto mentre l’altra,
quella romantica e ancora notevolmente emozionata per i baci della sera
prima, aveva preso davvero male il modo in cui l’argomento era
stato efficacemente glissato.
Non che gliene avessi dato occasione, a dirla tutta. Chi
intavolerebbe una conversazione a sfondo sentimentale con una che aveva
l’espressione di un barbagianni con le scatole rivoltate a
trecentosessanta gradi?
-Hai.. dormito bene?- chiesi per poi mordermi la lingua sentendo la mia
voce come fosse totalmente estranea, stridula e innaturale
com’era venuta fuori.
-Si, non hai scalciato tanto. Te l’avessi detto qualche giorno prima mi sarei risparmiato un po’ di lividi.-
Se io ero un barbagianni lui era decisamente una scimmia dispettosa e
con un sospiro rassegnato lasciai perdere ogni tentativo di sollevare
la questione “bacio”.
-Quando pensi che potremo tornare?-
-Dovresti chiederlo al tuo avvocato preferito, Hannah. Non è lui che si sta occupando del fronte secondario?-
Se le parole fossero state acide com’erano suonate avrebbero
corroso il tavolo della cucina e la già citata parte di me,
quella romantica, stava già gongolando della sua gelosia.
-Pensi che dovrei chiamarlo?-
Forse stavo forzando un po’ la mano ma per quanto inopportuna
potesse essere sembrata la mia domanda, non era per suscitare il suo
fastidio che l’avevo posta, volevo davvero sapere cosa fare.
Erano anni che prendevo le mie decisioni da sola, non amavo chiedere
aiuto né farmi influenzare in alcun modo, ma di solito non
c’erano di mezzo maghi psicopatici dalla maledizione facile e
Jason, nonostante tutto, era uno di loro.
Rispose con un’alzata di spalle ed io affondai il viso nella tazza che mi aveva appena passato.-Grazie.-
-Non dirgli dove ci troviamo, ovviamente.-
-Se lo sapessi io, ad esempio, sarebbe un inizio. E per chi mi hai
presa, comunque?-sbottai innervosita dalla sua puntualizzazione.-Beh
effettivamente pensavo proprio di invitarlo a prendere un the per le
cinque e mi sarebbe sembrato scortese non estendere l’invito ai
suoi compagni di giochi.-
-Ho messo del latte nel tuo caffè, se continui così diventerà acido e imbevibile.-
-Mi adeguo alla compagnia.- mi giustificai, tagliente, bevendo un
sorso.-E poi tu hai bloccato la tua vita per fare da balia a me e non
mi va affatto, non sono mai stata un peso per nessuno e non vorrei
cominciare ad esserlo adesso.-
-Dopo ieri sera speravo fosse chiaro che non è perché mi
sento in dovere, che resto.-rispose, stizzito, corrugando la fronte e
stringendo le mani sul bordo del piano cottura. –Devo dedurre che
il tuo fosse solo un modo per sdebitarti, altrimenti.-
Posai la tazza e mi alzai, fronteggiandolo e rivolgendogli uno sguardo incredulo.
-Dimmi che stai scherzando.-
-Tu stavi scherzando, forse?-
Boccheggiai per qualche istante, furiosa, per poi voltargli le spalle e tornare di gran carriera in camera da letto.
Guardai il cellulare e notai che la spia lampeggiava informandomi che avevo un nuovo messaggio da leggere.
Lasciami il tempo di definire i
dettagli dell’accordo con la controparte, ti riferirò i
termini della transazione quando tornerai allo studio. Spero che tua
zia stia bene, Jason.
Era ovviamente un messaggio in codice e la controparte erano i suoi
compari con grossi problemi nella gestione della rabbia. Stava
negoziando la mia sicurezza e sperava che stessi bene.
Mi lasciai cadere sul letto, il telefono stretto in mano, mentre un’ondata di angoscia mi investiva in pieno.
Il bip del telefono attirò nuovamente la mia attenzione e lessi: Ps: mi manchi.
Nonostante fosse uno dei cattivi, non potevo fare a meno di pensare che
il Jason che avevo sempre conosciuto non poteva essere solo una
costruzione.
Era solo una parte di lui, probabilmente, solo un aspetto della sua
multiforme personalità, il mago e l’uomo, il difensore
della giustizia e il criminale.
Ci vediamo presto, ci sono alcune informazioni di cui ho bisogno.
Digitai quelle parole dopo aver provato numerose combinazioni che sembravano tutte troppo rischiose ed infine inviai.
-Tutto bene?- chiese Sirius facendo capolino oltre la soglia dopo aver bussato piano.
Aveva un ‘espressione un po’ colpevole e un sorriso
insolitamente timido.-Credo di averne fin sopra i capelli di pizze
surgelate, pensi che potremmo cucinare qualcosa di più sano?-
Sorrisi, rassegnata alla mia totale incapacità di tenergli il
broncio per più di qualche ora e notando che, in
quell’occasione, il nuovo record era di soli dieci minuti.
-Che hai preso da casa mia, ieri?-
Ci pensò su strizzando gli occhi e scrocchiandosi le dita delle mani.
-Vediamo.. un pacco di pasta, una confezione di uova, della pancetta e qualche verdura.- elencò enumerando sulle dita.
-Qualcosa mi inventerò, vieni.- ordinai facendo strada verso la cucina.
-Agli ordini, chef.-
Non parlammo più di quella sera, probabilmente eravamo entrambi
troppo confusi e decisamente troppo irascibili per non rischiare di
azzannarci alla prima parola sbagliata.
Il giorno successivo trascorse tra le telefonate quasi minatorie dei
miei clienti che lamentavano la mia scomparsa e che puntualmente
dirottavo a Jason.
Il figlio della signora Pattinson disse persino che sua madre aveva
quasi avuto una crisi di nervi, non avendo avuto più mie
notizie, e non servì nessuno dei miei tentativi di rassicurarli
del buon esito assicurato della divisione giudiziale che stava loro
tanto a cuore.
“Mia madre è anziana,
avvocato, cerchi di capire. Vorrebbe avere la certezza di poterci
assicurare la quota che le spetta, questa storia le sta togliendo il
sonno”
Come se non fosse abbastanza evidente che l’unico a non dormirci
la notte era proprio lui che, squattrinato e inaffidabile, era corso ad
attaccarsi alla gonnella della vecchia mamma dopo essere stato
scaricato dalla moglie ed aver perso al gioco anche le mutande.
Avevo chiesto a Sirius di procurarmi il mio portatile e grazie ad una
connessione dati usb avevo la possibilità di collegarmi alla mia
casella di posta elettronica; stavo rispondendo ad alcune email di
lavoro, già in pigiama da un pezzo, quando un noto muso nero mi
picchettò sulla mano, il naso umido e nero dietro cui brillavano
due occhi grigi che, cane o uomo che fosse, restavano qualcosa di
meraviglioso.
-Rain, mi sei mancato da morire!- lo accarezzai e poi spostai un po’ il computer mentre lui saliva sul letto.
-Mi hai lasciata in compagnia di quel balordo, tu si che sei bello e
dolce.- soffiai, ruffiana, accarezzandolo dietro le orecchie e
facendogli strizzare gli occhi, appagato.
Si sistemò accovacciato dietro di me così che potessi
appoggiarmi a lui mentre riprendevo a picchettare con le dita sulla
tastiera.
Doveva essere il suo modo di farsi perdonare per la discussione avuta
il giorno prima e in qualche modo, quando terminai il mio lavoro e
chiusi il portatile, mi sentii in dovere di dire qualcosa.
Mi voltai a pancia in giù e ricominciai ad affondare le mani nel pelo nero, guardandolo intenerita.
Aveva la lingua penzoloni e l’aria pacifica di un vero cagnolone
di casa, tutto soddisfatto della sua posizione e delle attenzioni che
riceveva.
-Non l’ho fatto per sdebitarmi, Sirius.- mormorai, non sapendo
bene se volevo che mi sentisse o meno. Sollevò le orecchie e
inclinò il capo emettendo un suono strano, come a chiedermi di
continuare.
-E sono felice di non essere un peso per te, non lo insinuerò
più.- gli strapazzai un po’ il muso e gli schioccai un
bacio sul capoccione peloso.-Certo, se tu restassi sempre così
sarebbe proprio il massimo..buonanotte.-
Lo spinsi un po’ di lato liberando il mio posto sul letto e mi
sdraiai dandogli le spalle, senza smettere di sorridere neanche per un
attimo.
Dopo qualche istante sentii un braccio circondarmi la vita e il suo
fiato tra i capelli; la mia schiena premeva sul suo petto e aveva
posato il capo sulla mia spalla.
-Stronza.-
Song: Kiss me - Ed Sheeran
Artwork: JeyCholties
Okay,
lo so, il capitolo è cortino ma con il prossimo mi farò
perdonare, purtroppo non potevo dividerlo in alcun modo senza perdere
l'effetto e così questo è rimasto più come una
specie di ponte tra una parte e l'altra della storia. Perdonatemi. :P
Alla prossima! A.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 10. Fortune's fool ***
furry love 10
Furry Love
10. Whenever I'm alone with you
You make me feel like I am home again
Whenever I'm alone with you
You make me feel like I am whole again
-Full!
Decretai calando la mano e sorridendo, vittoriosa.
Sirius sbuffò, poggiandosi mollemente contro lo schienale della
sedia. –Potessi sfidarti ad una partita di Scacchi Magici ti
toglieresti di certo quel fastidioso ghigno dalla faccia.-
-Che vuoi farci, mio il mondo mie le regole. Quando mi porterai in tour nella Londra magica avrai la tua rivincita!-
Si illuminò, afferrando le carte e cominciando a mescolarle.
-Ti piacerebbe?-
-Certo! Finora ho visto solo il lato oscuro della magia ma non credo che siate tutti così, voi maghi.-
-No, non lo siamo.- confermò, critico, alludendo probabilmente a
Jason e alla sua natura di Mangiamorte.-Quando tutto questo sarà
finito e tutti sapranno che sono innocente ti poterò con me a
Diagon Alley, ti piacerà, ne sono certo!-
Erano passati due giorni da quel bacio e nessuno dei due aveva
più sollevato la questione, solo di tanto lo sorprendevo intento
a fissarmi con uno sguardo indecifrabile, come se volesse dire qualcosa
ma finisse per tenerla per sé.
Il mio cellulare squillò e mi catapultai a rispondere.
-Hannah?-
La voce di Jason, che non sentivo ormai dalla sera del mio improvvisato
spionaggio, mi sembrò tremendamente strana ma allo stesso tempo
mi rassicurò, probabilmente era arrivato il momento di tornare a
casa.
-Jason. Come.. procede?- chiesi, incerta, rivolgendo uno sguardo
eloquente a Sirius che sentendo pronunciare il nome del mio collega si
era alzato, a braccia conserte, avvicinandosi a me.
-Bene, domani puoi tornare a casa. Ma prima vorrei incontrarti, ti devo delle spiegazioni, mi pare.-
Il suo tono era insolitamente neutro e piatto e questo mi
insospettì ma l’idea di poter riprendere la mia vita di
tutti i giorni surclassò qualsiasi timore, facendomi sorridere.
-Perfetto! Dove?-
-Hai presente quel parco, un centinaio di metri più avanti dello Studio? Potremmo vederci lì.-
-D’accordo, va bene. Il parco andrà benissimo. Tu
come..-stavo per chiedergli come stava, non avendo ancora liberato del
tutto la mia mente da una serie di scene più o meno
raccapriccianti delle possibili punizioni che il padre potesse aver
escogitato.
-A domani.- mi interruppe, freddo, prima di chiudere la conversazione.
Aggrottai la fronte e posai il telefono sul tavolo.
-Che cosa ha detto?-
-Domani potremo tornare a casa.-
-Di che parco stavi parlando?- si informò Sirius, serissimo,
posizionandosi di fronte a me che intanto mi stringevo le braccia
attorno al torace, indecisa su come interpretare il tono del mio
collega e su quanto conveniente fosse coinvolgere Sirius in
quell’incontro.
-Vuole parlarmi, prima, e ci siamo dati appuntamento in un parco poco lontano dallo studio.-
Si strinse nelle spalle, scuotendo piano il capo.-Ci passeremo prima di materializzarci a casa tua.-
-Sirius io non credo che sia una buona idea che tu venga con me. -
-Dovrei lasciarti incontrare da sola un uomo che potrebbe potenzialmente farti fuori a sangue freddo?-
Le sue parole avevano senso, ovviamente, ma lui non conosceva Jason.
Non mi avrebbe mai attirata in una trappola mortale, neanche sotto
tortura.
-Non lo farà, Sirius, lui è..-
-Non me ne frega niente se quell’imbecille è innamorato di
te, è un Mangiamorte e quelli come lui odiano i babbani.
-Lui non è così!- sbottai, contrariata, guardandolo in tralice.
-Sono cresciuto in mezzo a gente come lui, Hannah, ti posso assicurare che lo è.-
Inspirai forte, voltandogli le spalle e cercando di controllarmi.
Sapevo che era semplicemente preoccupato per me e sapevo anche che non
sarei riuscita a farlo desistere.
-Verrai con me ma te ne starai nascosto e interverrai solo,-sottolineai
la mia condizione,-se dovesse tirar fuori bacchette, coltelli o fucili.
Siamo d’accordo?-
Depositai i piatti nel lavello e mi stiracchiai un po’.
-Ahia.- le mie spalle avevano emesso un sinistro crack che non sfuggì a Sirius, a pochi passi da me.
-Non sono proprio sicuro che debbano fare tanto rumore, le tue ossa. Sei messa molto male.-
Lo precedetti in salotto e mi adagiai sul divano mentre lui armeggiava
con la bacchetta per attirare tutti gli oggetti che avevamo portato con
noi e indirizzarli verso un scatolone.
- Mi ci vorrebbe una delle tue magie.- risposi indossando un broncio
infantile e guardandolo, supplichevole, mentre mi raggiungeva e si
posizionava al mio fianco.
-Non ci sono magie contro gli acciacchi della vecchiaia, per quello
esistono i massaggi e non mi sembra affatto il caso.- asserì con
tono piatto.
Lo guardai, torva. -Vecchio sarai tu, mago da strapazzo. E un massaggio
sarebbe comunque bene accetto. Chi è che ti da i croccantini,
Fuffy?-
Alzò le sopracciglia, interdetto e si sistemò meglio sul divano.
-Spero tu stia scherzando.-
-Affatto.-
Il verso di una cicala, fuori dalla finestra, riempì gli istanti
di silenzio che seguirono la mia risposta convinta e gli diedi
prontamente le spalle, posizionandomi a gambe incrociate.
-Va bene.-
-Va bene?- chiesi, repentina ed incredula, voltandomi verso di lui e
notando che sul suo viso era apparso un sorriso poco rassicurante che
di solito riservava solo ai momenti in cui parlava delle fantasie della
mia biancheria intima che spesso mi vedeva riporre nei cassetti o stesa
ad asciugare, era rimasto una sorta di tormentone che continuava a
ripropormi sapendo quanto mi imbarazzasse.
Disegnò un paio di cerchi con l’indice in aria ordinandomi
di voltarmi e troppo sconvolta per obiettare lo feci: sentii la sua
mano alla base della schiena salire facendo una leggera pressione per
poi accompagnare la linea delle mie spalle e massaggiare con piccoli
movimenti circolari lo spazio subito sopra le scapole.
Indossavo una canottiera abbastanza scollata e le sue mani erano quindi
a diretto contatto con la mia pelle muovendosi in modo inaspettatamente
rilassante. Piegai il collo da un lato godendo del suo tocco che avrei
quasi definito premuroso finchè la pressione non si fece
più insistente premendo un po’ di più nel punto che
congiungeva il collo alle spalle e dovetti trattenere un sospiro.
Lo sentivo respirare vicino al mio orecchio e il suo fiato caldo mi
accarezzava involontariamente il collo mentre quella situazione
cominciava a sembrarmi sempre meno innocente.
Nessuno dei due osava parlare e mi accorsi con grande imbarazzo che il
mio respiro si era fatto leggermente più pesante e rumoroso, con
un dito percorse la spina dorsale per quasi tutta la lunghezza per poi
ricominciare il massaggio risalendo lentamente.
In un istante indefinito sentii le sue mani spostarsi sulle braccia e
accarezzarle fino a che le sue dita con giunsero ai palmi delle mie che
si aprirono, automaticamente, mentre il suo petto cominciava a sfiorare
le mie spalle e non potei evitare di appoggiarmi a lui; ormai non avevo
più neanche la forza di controllare il mio respiro e lui se ne
accorse perché con un braccio mi cinse lentamente i fianchi,
all’altezza del ventre e mi attirò ancora di più a
sé posando la bocca sulla pelle delicata del collo.
Il respiro mi si ruppe in gola e portai una mano dietro di me per
affondarla tra i suoi capelli mentre con gesti fluidi accompagnavo il
suo capo che ondeggiava. Le labbra che aveva tenuto immobili a contatto
con la mia pelle bollente si strinsero in un bacio silenzioso che
ripeté poco più in alto, verso il collo.
Gettai la testa indietro, sulla sua spalla, senza che la mia mano
abbandonasse i suoi capelli scuri e respirai pesantemente tendendo
tutto il corpo verso il suo, impaziente di voltarmi per leggere nei
suoi occhi lo stesso desiderio che aveva invaso ogni fibra del mio
essere.
Ruotai, in ginocchio sul divano, e gli presi il viso tra le mani
notando gli occhi liquidi che mi guardavano, adoranti e famelici, prima
di tuffarsi sulle mie labbra che risposero immediatamente mentre mi
indirizzava in modo che mi sedessi a cavalcioni sui suoi fianchi per
poi adagiare la schiena indietro senza mollare la presa sui miei
fianchi e tenendomi stretta.
Quando le mani, che si erano fatte strada sotto la canottiera, la
sfilarono, Sirius affondò il viso nel mio petto posando baci
leggeri ma decisi e accarezzandomi contemporaneamente le gambe ancora
fasciate dal pantalone della tuta.
I suoi baci sapevano di promesse silenziose, di desiderio nascosto
troppo a lungo che ci stava aggredendo come un’onda, come una
tempesta.
-Sirius..-
Afferrai la sua t-shirt dai lembi e la tirai su, liberandolo dal primo
indumento di troppo che mi fosse capitato a tiro, per poi chinarmi a
mia volta verso di lui e percorrere con le labbra le linee degli
addominali e risalire fino al collo dove mi soffermai per poi mordergli
piano il lobo destro, soffiando involontariamente sulla sua pelle.
Per farlo mi ero leggermente separata da lui che impetuoso mi
riacciuffò ripristinando la pressione dei nostri corpi stretti
in quell’abbraccio tanto sensuale.
-Non voglio più fare a meno di te, di questo.- mi
sussurrò sulle labbra.-Voglio averti così ogni volta che
vorremo, guardarti non mi basta più.-
Quella notte fu magnifica. Qualsiasi dubbio, qualsiasi ritrosia erano
completamente sparite. Facemmo l’amore un numero indefinito di
volte come a voler recuperare il tempo perso dietro a remore senza
senso e quando la mattina dopo la luce cominciò a filtrare oltre
la finestra io ero già sveglia, stretta a lui, sul letto a due
piazze della camera da letto e con il capo dolcemente posato sul suo
petto che si alzava ed abbassava ad intervalli regolari.
Sollevai lo sguardo e con gli occhi accarezzai le labbra morbide e i
tratti decisi del suo volto, la barba, più corta rispetto al
nostro primo incontro, segnava il contorno degli zigomi e le palpebre,
fino a quel momento rilassate, cominciarono a tremolare finchè
non si sollevarono e quei suoi occhi grigi che tanto amavo incontrarono
i miei.
-Buongiorno.- biascicò avvicinandomi ancora di più a sé per poi posare la labbra sui miei capelli.
-Ciao.- risposi, raggiante, ben felice che si fosse finalmente
svegliato.-Avresti dovuto trasformarti in un ghiro, anziché in
un cane.-
La sua risata risuonò roca e le vibrazioni del suo petto
scossero anche me.-Tu invece, fossi stata una strega e un animagus,
saresti di certo stata un gatto, antipatico da morire.-
-Non mi ci vedo a miagolare.- mi lamentai, storcendo la bocca.
-Io si, invece.- mi contraddisse con tono malizioso prima di rotolare su di me e posare una lunga serie di baci sul collo nudo.
-Se continui così non ci alzeremo da questo letto per il resto
della giornata, l’esperienza dovrebbe servirci da lezione.- mi
lamentai, divertita, accarezzandogli le spalle ampie.
-Non imparo mai, o almeno così mi è sempre stato detto.-
Lo baciai con foga mentre con le mani percorreva il mio corpo che
bruciava al suo passaggio e mi stesi su di lui, invertendo le posizioni
e accomodandomi sul suo petto.
-Resta così per i prossimi..- finse di pensarci su,-tre anni. Ti sta bene?-
Risi e scossi il capo schioccandogli un bacio proprio al centro del petto.
-Sai una cosa?-
-Quando cominci così è probabile che sganci una bomba.-
-Non mi hai lasciato il tempo di pensare. Ho spento il cervello, non mi
sono chiesta se fossi la persona giusta e se ci penso adesso non ne ho
dubbi.- dissi, cercando di sembrare il meno patetica possibile,
alludendo alla descrizione che avevo fatto qualche giorno prima
dell’amore che aspettavo.
-Non chiuderai i battenti, quindi?- si assicurò avendo evidentemente colto il mio riferimento.
-No. E tu?-
-No. Ma dovremmo sperimentare meglio questa storia dell’incastro,
insomma..-il suo tono non lasciava presagire niente di buono e
sicuramente niente di innocente come confermarono le sue mani che si
erano fatte ogni istante più intraprendenti.-Siamo sicuri che
funziona?-
Dopo un’altra sessione di recupero del tempo perso ci alzammo e facemmo una doccia, pronti a partire per tornare a casa.
-Sei pronta?- mi chiese dalla cucina mentre finivo di pettinarmi i
capelli, le scarpe ancora slacciate malamente calzate ai piedi.
-Arrivo!- saltellai attorcigliando i lacci fino a raggiungerlo e lo vidi sorridere della mia condizione disperata.
-Non prendermi in giro! E’ tutta colpa tua!- lo accusai puntandogli il dito contro.
-Mia? E quale sarebbe l’accusa, di grazia?- mi abbracciò e gli diedi mentalmente del bastardo manipolatore.
-Non ho chiuso occhio stanotte!-
-Come se ti fosse dispiaciuto.- ribattè, schioccando la lingua contro il palato.-Pronta?-
-Lo scatolone?-
-Tornerò a prenderlo quando ti saprò a casa e al sicuro. Leviamoci il pensiero del tuo appuntamento.-sottolineò l’ultima parola con una smorfia decisamente infastidita.
-Teletrasportaci, Otello.- lo esortai e la mia risata venne risucchiata
insieme a noi che pochi secondi dopo ci ritrovammo qualche metro oltre
il mio Studio, nascosti dietro un albero.
-Dov’è il parco?- si informò guardandosi intorno con aria nervosa.
-Trasformati in Rain e seguimi, andrà tutto bene.- feci per
precederlo quando mi afferrò per un braccio e mi riattirò
delicatamente a sé per poi baciarmi, intensamente.
-Stai attenta.-
Poco dopo procedevo già verso il parco con il mio cane nero a
seguito e quando vidi in lontananza la macchina di Jason gli feci cenno
di nascondersi dietro un cespuglio.
Mi avvicinai al mio collega che stava mollemente poggiato contro il cofano dell’auto, in attesa.
Con un sms mi aveva dato un orario che io avevo anticipato di qualche minuto.
-Sei in anticipo.-esclamai, raggiungendolo, mentre lui sollevava lo sguardo su di me.-Stai bene?-
Alzò gli occhi al cielo ed estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette.
Fumava solo quando era particolarmente nervoso e dai bruschi movimenti delle sue mani doveva esserlo parecchio.
-Starei meglio se tu non fossi finita in mezzo a questa storia, Hannah.-
-Voglio la verità. Tutta.-
-Sai già abbastanza, sicuramente molto più di quanto
dovresti.- mi ammonì, severo, dopo aver tirato una lunga
boccata.-E so per certo che hai un mago, dalla tua. Non saresti
riuscita a sparire senza lasciar tracce altrimenti.-
Non risposi ma ressi il suo sguardo, silenziosa e seria.
-Come hai fatto a nasconderlo per così tanto tempo?- chiesi infine.
-Prudenza. Quella che manca a te.- mi accusò gettando il
mozzicone di sigaretta.-Sono riuscito a convincerli che non sarai un
pericolo, dimmi solo che non rovinerai tutto.-
-Non dirò nulla ma tu devi..-
-No.- si sollevò e mi venne incontro, afferrandomi saldamente con una mano.-Devi dimenticare ogni cosa.-
-Cosa? Tu non puoi! Io non..- mi puntò la bacchetta contro e non
potei terminare la frase né sottrarmi alla sua presa.
-Oblivion.-
Sentii una forza estranea entrare nella mia mente e i ricordi degli
ultimi mesi cominciarono a vorticare nella mia testa come risucchiati
in uno scarico.
L’incontro tra Russell e Lucius Malfoy, il volto di Sirius sul
foglio di Fudge, l’attacco dei Mangiamorte, il primo incontro con
Sirius.
La mia lingua era come incollata al palato e non riuscivo a controllare
il mio corpo mentre ogni istante di quei ricordi si ridefiniva davanti
ai miei occhi per poi scomparire.
Vidi Sirius su di me, i capelli scuri e disordinati ad incorniciargli
il viso e gli occhi grigi che mi fissavano, adoranti. –Ti amo, Hannah.-
Si stava chinando su di me per baciarmi, era uno stralcio di memoria di
quella notte e mi ritrovai ad aggrapparmi disperatamente ad esso mentre
tutto veniva attirato fuori di me, ogni odore, ogni pensiero, ogni cosa.
Improvvisamente quella sorta di ipnosi si interruppe e prima di
crollare a terra, priva di sensi, vidi un cane nero mordere Jason. Poi
il buio.
Song: Lovesong - The Cure
Artwork: HilaryC
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11. Stolen secrets ***
Furry love 11
Furry Love
11. As far as my eyes can see
There are shadows approaching me
And to those I left behind, I wanted you to know
You've always shared my deepest thoughts
You follow where I go
Bip bip bip.
Quel suono, costante e fastidioso, mi echeggiava nelle orecchie ad un volume spropositato, infastidendomi.
-Hannah?-
Ci misi un po’ a riprendere il controllo sul mio corpo e pian
piano sollevai le palpebre, immediatamente aggredita dalla luce del
sole che mi fece strizzare gli occhi.
-Oh, grazie al cielo ti sei svegliata.- Jason stava accanto a me,
seduto su una sedia visibilmente scomoda, in quella che aveva tutta
l’aria di essere una camera d’ospedale.
-Che cosa..- feci per tirarmi su ma ero ancora troppo intontita.-Cosa mi è successo?
-Sei caduta e hai sbattuto la testa.- mi informò, prendendomi la mano.
-Come è successo?- chiesi, incapace di ricordare. L’unico
ricordo che la mia mente mi concedeva era quello di una giornata di
pioggia, stavo guidando per tornare a casa dopo una estenuante giornata
di lavoro.
-Una macchina stava per investirti e per evitarla ti sei gettata per terra e hai sbattuto la testa.-
Vidi che la mia mano presentava dei graffi ancora freschi.
-Quanto sono stata incosciente?- non capivo perché Jason si
trovasse lì invece che le mie amiche o i miei genitori.
-Ti ho portata qui ieri mattina, te la sei presa comoda.- tentò di scherzare passandosi una mano tra i capelli gellati.
-Che ci fai tu qui?- non potei che essere diretta e forse anche
leggermente inopportuna ma Jason non era esattamente la prima persona
che speravo di vedere al mio fianco dopo un trauma del genere. Mi
bastava già doverlo sopportare a lavoro ogni giorno senza
trovarlo al mio capezzale anche in casi estremi come quello.
-Come..- sembrò turbato, la fronte aggrottata e le labbra strette.-non ricordi? Di me e di te, intendo.-
-Cosa dovrei ricordare?- quella situazione cominciava davvero ad
innervosirmi e avrei gradito la presenza di un maledetto dottore che mi
spiegasse cosa stava succedendo.
-Il Dottor Anderson aveva ragione, quindi.- mormorò,
accarezzandomi una mano come se fosse la cosa più normale del
mondo.
-Su cosa aveva ragione?- sbottai, ormai del tutto cosciente e decisamente spazientita.
-Aveva ipotizzato che tu potessi aver perso la memoria ma aveva parlato
di un vuoto breve, al massimo di qualche giorno. Non di settimane. Qual
è l’ultima cosa che ricordi?-
-Io.. stavo tornando a casa, avevo appena ricevuto il signor Grayson per la sua causa di divorzio e..-
-Quello è successo due mesi fa.- mi informò, sconvolto
dalla mia affermazione.-Dannazione.. peggio di quanto pensassi.-
Si massaggiò le tempie e dopo aver inspirato profondamente si sporse su di me, accarezzandomi il viso.
-Noi due stiamo insieme, Hannah, ci frequentiamo da quasi un mese.
Stavi raggiungendo me al bar quando hai avuto l’incidente.-
Mi
dimisero il giorno successivo, considerando probabile che la mia
memoria sarebbe tornata naturalmente nel giro di qualche settimana. Non
era raro, aveva detto il dottore, un simile episodio di amnesia
post-trumatica e nel novanta per cento dei casi non rappresentava un
handicap definitivo.
La settimana successiva Jason non mi lasciò sola neanche un
attimo e a casa mia trovai numerosi segni della relazione che sosteneva
avessimo avuto. Avevo un paio di sue camice appese nell’armadio,
le sue iniziali cucite sui polsini ad attestarne la proprietà,
il pane integrale, l’unico che il principino era disposto a
mangiare, occupava metà dispensa e in bagno c’era il suo
classico dopobarba perfettamente integrato in mezzo ai miei profumi.
Mi aveva raccontato che la nostra relazione era cominciata una sera,
dopo una cena di lavoro. Eravamo entrambi un po’ brilli ed
eravamo finiti a letto insieme rendendoci conto dell’attrazione
che ci spingeva inevitabilmente l’uno verso l’altra.
Non potevo negare di averlo sempre considerato un bell’uomo e il
suo racconto, per quanto strano, non mi sembrò affatto
improbabile. Quando bevevo perdevo davvero ogni buon senso.
Sentii Gea e Veronica, entrambe molto preoccupate per me, e mi
confermarono che ultimamente il rapporto tra il mio collega e me era
decisamente cambiato.
Continuava a raccontarmi episodi su episodi sperando di aiutarmi ad
indirizzare la mia memoria nella giusta direzione ma i suoi sforzi si
dimostravano puntualmente vani ma i baci, dapprima sporadici e
prettamente sperimentali, cominciarono a diventare pian piano sempre
più frequenti finché non mi rassegnai alla sua presenza e
cominciai a pensare che, forse, non era poi così male avere un
fidanzato bello, ricco e intelligente.
Dopo sette giorni di quasi totale clausura lo convinsi di essere in
grado di arrivare al supermarket sulle mie gambe e, soprattutto, da
sola.
Mi incamminai verso la mia meta inspirando a fondo l’aria fresca dei primi giorni di Novembre.
Il mio ultimo ricordo risaliva alla fine di Agosto.
-Hannah!-
Prima che potessi chiedermi chi fosse stato a chiamarmi fui travolta da
un abbraccio così inaspettato che non ebbi tempo né modo
di riconoscere l’uomo che mi stringeva.
-Stai bene?- chiese uno strano uomo con i capelli lunghi e disordinati
avvolgendomi il viso tra le grandi mani.-Quel deficiente non ti ha
lasciata un attimo ed io..-
-Ci conosciamo?- chiesi, dubbiosa, scostandomi un po’ in modo da
poterlo osservare meglio. Niente da fare, doveva essere una conoscenza
recente perché la mia mente non mi suggeriva nulla.
Aprì e chiuse la bocca per un paio di volte, gli occhi sbarrati e un’espressione disperata stampata sul volto.
-Scusami io.. ho sbattuto la testa!- esclamai, agitando le mani e
gesticolando in modo esagerato,-cioè, so che ti sembrerà
strano ma ho perso la memoria e non ricordo nulla degli ultimi due mesi
e non credo di ricordarmi di te. Potresti..?-
La mia spiegazione doveva sembrare parecchio folle a giudicare dallo
sguardo che mi rivolse ma improvvisamente lo vidi avvicinarsi di nuovo
a me, un po’ troppo per i miei gusti.
-Hey, che stai..?-non potei terminare la domanda che l’uomo
premette le labbra sulle mie, con forza, finché con
un’energia che non credevo neanche di avere lo spinsi via,
portandomi una mano alla bocca.
-Sei impazzito?! Chiunque tu sia.. lasciami in pace! Non mi ricordo di
te, se non ti fosse ancora chiaro, e non credo che tu possa conoscermi
abbastanza da baciarmi!- lo aggredii, facendo qualche passo indietro
per allontanarmi da lui.-Ho perso la memoria degli ultimi due mesi, non
di un paio di anni, e ho un fidanzato che potrebbe venire e prenderti a
pugni da un momento all’altro.-
Mi mossi velocemente verso il supermarket, sconvolta da
quell’incontro, e quando mi voltai per accertarmi che quel pazzo
non mi stesse seguendo vidi che era scomparso, completamente scomparso.
-Arrivo!-
Cercai di mantenere l’equilibrio sui tacchi per arrivare alla
porta. Jason e puntualità camminavano fastidiosamente di pari
passo e non ci avrei mai davvero fatto l’abitudine.
-Wow!- finse si essere stordito dalla mia apparizione e fece un passo indietro premendosi una mano sul petto. –Dovresti venire allo studio conciata così ogni giorno.-
Scossi il capo e mi sporsi per dargli un veloce bacio sulle labbra prima di voltargli le spalle e tornare verso la mia camera.
-Anche se pensandoci poi dovrei uccidere tutti i tuoi clienti. Non
sarebbe affatto conveniente per le tue finanze. A che punto sei?-
nonostante stesse parlando dall’ingresso e non potessi vederlo
sapevo perfettamente che aveva appena sollevato la manica della giacca
per controllare il suo costosissimo orologio e misurare il mio ritardo.
–Pensavo dovessimo essere da Georgie alle sette.-
Erano passati tre mesi da quando avevo perso la memoria per scoprire,
al mio risveglio, di avere un fidanzato e altrettanti ne erano passati
dall’inizio della storia della mia amica Gea e del suo
responsabile di reparto, Michael, che da poco avevano iniziato la loro
convivenza.
Gea aveva insistito per avere me e Veronica a cena insieme ai
rispettivi partners nonostante fossimo già state a casa sua
varie volte, quella settimana, per il caffè.
-Non si mette fretta alla perfezione, Jason. Dovresti saperlo!-
-Stai alludendo alla mia, di perfezione?- gongolò posizionandosi
alle mie spalle, davanti allo specchio, e circondandomi la vita
con le braccia.
Eravamo effettivamente una bella coppia e in quella mise elegante sembravamo due attori del cinema.
Portava i capelli perfettamente pettinati e una leggera barbetta curata
che ammorbidiva i suoi tratti altrimenti decisi ed esageratamente
perfetti come i denti bianchi che scintillavano illuminando il sorriso
fiero; indossava una giacca del tipo che lui definiva
“sportivo” ma che in realtà era semplicemente meno
seriosa del solito e una camicia bianca stirata in modo impeccabile.
Io, che nonostante i tacchi alti ero comunque parecchio più
bassa di lui, avevo optato per un vestito molto allegro e colorato e i
capelli, leggermente più mossi, ricadevano come onde bionde
sulle spalle.
Nonostante l’immagine che lo specchio mi restituiva rasentasse,
appunto, la perfezione, c’era comunque qualcosa di stonato, di
incolore. Ma non riuscivo a capire cosa fosse.
-Posso?- chiesi voltandomi e facendo cenno con il capo ai suoi capelli mentre lui mi rivolgeva un’occhiata confusa.
Allungai una mano e glieli spettinai un po’ mentre lui si contorceva per sfuggire al mio attentato all’ordine.
-Vuoi smetterla, per favore?-
-Ecco.- decretai sorridendo impertinente.-Adesso si che sei perfetto.-
Gli schioccai un bacio sulla guancia e afferrai il cappotto e la borsetta.-Andiamo?-
-Heilà, quale onore avere qui la coppia dell’anno!-
L’accoglienza di Gea fu molto teatrale mentre con le braccia spalancate si faceva da parte per farci entrare.
-Dov’è il povero Michael? Non lo starai schiavizzando,
vero?- chiesi dopo averla abbracciata velocemente mentre Jason si
chinava per salutarla cominciando ad elogiare le qualità della
nuova casa.
-E’ di là con Veronica e Tom, sta mostrando loro la sua collezione di vini invecchiati.-
Raggiungemmo gli altri in salotto e dovetti trattenere una risata
vedendo Tom, il fidanzato nuovo di zecca della mia amica psicologa,
chiacchierare animatamente con Michael davanti ad una serie
pressocchè infinita di vini mentre Veronica sbadigliava, troppo
pigra anche solo per fingersi interessata all’argomento.
-Interessante, mh?- la schernii dopo aver salutato i due uomini e aver lasciato Jason alle presentazioni.
-Fossero state birre artigianali, forse.-
-Raggiungiamo Gea in cucina? Conoscendola avrà da controllare
almeno dodici pentole.- proposi avviandomi verso la cucina con Veronica
al seguito.
-E quattro teglie.-
Come previsto Gea armeggiava con un numero indefinito di pietanze
mettendo sale qui e pepe là come se destreggiarsi ai fornelli
fosse stata la vocazione della sua vita.
-Attrice medico e anche cuoca. Michael ha fatto un colpaccio.- la presi
in giro mentre mi posava tra le mani un cestino con delle fette di pane
ordinandomi di portarlo in sala da pranzo.-Dimenticavo dispotica.-
-Sembra un tipo a posto!- stava dicendo Gea alla nostra amica mentre
ritornavo in cucina ticchettando con i miei superaffilati tacchi dodici.
-E’ carino!- rincarai io poggiandomi al bordo del tavolo. Tom mi
sembrava proprio il tipo di uomo adatto a Veronica: aveva tratti
eleganti e le labbra sottili, quasi sempre incurvate in un sorriso
capace di mutare ad una velocità impressionante dalla timidezza
all’irriverenza, gli occhi erano chiari e il naso stranamente
meno prominente rispetto agli standard della mia storica amica.
–Ma non ci hai mai raccontato come vi siete conosciuti, brutta
arpia riservata.-
-E’ il proprietario di una catena di negozi di articoli
musicali,- spiegò sorridente –seguo sua sorella, una brava
ragazza.-
-Lei ti paga in contanti e lui in natura, dunque?-
-Gea!- Veronica si finse indignata dall’osservazione poco consona
della padrona di casa ma nel giro di pochi secondi stavamo tutte
ridendo a crepapelle.
-Avete finito di fare le pettegole, voi tre?- chiese Michael,
fingendosi severo e sporgendo la testa oltre la porta.-Uomini avere
fame!-
Aiutammo Gea a portare i piatti a tavola e poi ci accomodammo accanto
ai nostri rispettivi uomini e il mio, nello specifico, mi strinse la
mano che tenevo posata in grembo.
Gli rivolsi un sorriso e la strinsi a mia volta, invasa da un repentino impeto di riconoscenza.
Jason non mi aveva lasciata un attimo, da quando ero uscita
dal’ospedale, senza mostrarsi opprimente e dando prova di una
pazienza che non pensavo potesse appartenergli e aveva riempito i miei
vuoti di memoria a tal punto che quei due mesi di buio totale
sembravano essersi colmati definitivamente.
Mi sentivo parecchio in colpa, alle volte, quando i dubbi cominciavano
a tormentarmi e non riuscivo a mostrargli la devozione di cui lui
invece mi faceva dono ogni santo giorno, quando mi ritrovavo nella
più totale impossibilità di ricambiare le sue attenzioni
e, purtroppo, capitava sempre più spesso.
Ogni tanto mi tornava in mente il volto dello strano uomo che avevo
incontrato, mesi prima, e che mi aveva prepotentemente baciata senza
darmi alcuna spiegazione plausibile. Possibile che fosse solo un pazzo
che se ne andava in giro ad importunare giovani donne? E come faceva a
conoscere il mio nome?
Erano domande alle quali non avrei potuto, neanche volendo, trovare una
risposta perché da quel giorno non lo avevo più rivisto e
avevo coscienziosamente deciso di non far parola a Jason di quanto mi
era accaduto.
-Pensierosa?- mi chiese, premuroso, mentre portavo un’altra forchettata di spaghetti alla bocca.
-No, solo stanca.-
La serata trascorse pacifica e gradevole, dopo cena ci sistemammo in
salotto ed io mi rifugiai tra le braccia di Jason, decisa a zittire
tutti quei pensieri che, quella sera, sembravano essere tornati alla
carica per qualche strana ragione.
Noi ragazze lasciammo i vini pregiati ai nostri uomini e brindammo alla
nuova casa di Gea con delle semplici birre, ben consapevoli che bere,
nel nostro caso, non era affatto indicato in quel contesto.
Veronica fece riferimento ad una sera di qualche mese prima in
cui c’eravamo prese una sbornia epocale e nonostante non la
ricordassi affatto feci finta di niente; la mia amnesia non faceva che
appesantire l’atmosfera, ogni volta che in qualche modo veniva
sollevata la questione, e non avevo intenzione di rovinare la serata a
tutta la compagnia.
In momenti come quelli mi sentivo tremendamente estranea, fuori posto,
così mi imposi di sorridere mentre tutti ridevano per
chissà quale divertente battuta ed io guardavo fuori dalla
finestra chiedendomi quanti ricordi avessi perso e se mai li avrei
ritrovati, in qualche angolo della mia mente.
Quando Jason mi riaccompagnò a casa, quella sera, gli augurai la
buonanotte con un veloce bacio, troppo stanca e con i piedi doloranti
per pensare di restare a flirtare con lui sul portico per tutta la
notte. Era ormai abituato ai miei sbalzi di umore, ai miei silenzi, e
come sempre non chiedeva nulla, discreto e rispettoso.
-Se hai bisogno di me chiamami, sarò qui in un baleno.-
Lo diceva ogni volta che mi lasciava sola.
-Credi che se il lupo cattivo venisse a rapirmi avrei il tempo di
chiamarti?- ironizzai facendogli una carezza, ferma sul portico di casa
e stretta nella giacca a vento blu.
-Posso sempre restare qui.-
-No, vai a casa. E’ da una settimana che passi la notte da me, dovrai tornarci prima o poi.-
-E’ il turno dell’amante?- sbottò incrociando le
braccia al petto e facendomi ridere.-Oh no, non c’è niente
da ridere! Vorrei almeno saperlo, almeno faccio allargare le porte. Non
sia mai che le corna non ci passino.-
-Stupido.- lo ammonii per poi sollevarmi sulle punte e baciarlo. Il mio
avrebbe voluto essere un bacio lieve e veloce ma lui mi
acciuffò, impetuoso, e approfondì il contatto facendomi
quasi venire le vertigini, presa alla sprovvista.
Ricambiai con altrettanta foga e arpionai le mani alle sue spalle, stringendomi a lui.
-Questo era un bacio della buonanotte.- spiegò staccandosi da me
con un sorriso malizioso.-quello che mi hai affibbiato tu prima sarebbe
andato bene se avessimo avuto dodici anni.-
-So cosa stai cercando di fare ma non cambierò idea!- lo spinsi
giocosamente giù per i gradini facendolo indietreggiare.
-Ogni vostro desiderio è un ordine, milady.- recitò
improvvisando un baciamano prima di voltarmi le spalle e tornare dritto
e fiero come sempre alla sua decappottabile.
Se mi avessero detto, ai tempi dell’università, che un
giorno sarei stata la donna di Jason Russell l’avrei presa come
un’immane offesa.
Lo osservai scomparire nella notte e feci per rientrare quando un’ombra scura attirò la mia attenzione.
-Chi c’è?-
Ero sempre sulle spine e non era la prima volta che mi sentivo
osservata, negli ultimi tempi. Avevo attribuito quella sensazione al
trauma dell’amnesia ma quella sera sembrava tutto molto
più reale. Qualcuno mi stava decisamente guardando.
Mi mossi, tesa come una corda di violino, lungo il vialetto quando un
enorme cane nero sbucò dai cespugli facendomi sussultare; una
improvvisa e logorante sensazione di dejavu mi pervase come una
iniezione di ghiaccio in vena e istintivamente feci qualche passo
indietro mentre l'animale, veloce come un fulmine, si gettava dentro
casa.
-Hey! No! Che diavolo fai, sacco di pulci?- spazientita mi tolsi le
scarpe alte e corsi dentro casa decisa a cacciare l’intruso.
Adoravo i cani, a dire la verità, ma quella era violazione di
proprietà privata e dato che non c’era un comma di alcuna
legge che punisse i criminali a quattro zampe mi sarei fatta giustizia
da sola.
-Dove ti sei cacciato?-
Accesi la luce dell’ingresso e restai in ascolto, sperando di
individuarlo e facendo scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
-Qui, bello!- fischiai come mi aveva insegnato il nonno quando ero
bambina e proprio mentre stavo per congratularmi con me stessa per
quanto bene fosse uscito quel suono, il mio cuore perse un battito.
Lo strano uomo che avevo incontrato tre mesi prima stava proprio di
fronte a me, comodamente appoggiato allo stipite della porta della
cucina con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indecifrabile.
-Come hai fatto ad entrare?- mentre lo dicevo mi sporsi verso la
consolle per afferrare il telefono portatile ma lui fu più
veloce e si posizionò fra me e l’unico strumento che mi
avrebbe permesso di chiamare aiuto. Magari se avessi urlato i vicini
avrebbero sentito e chiamato la polizia.
-AIUT..- fulmineo mi premette una mano sulla bocca, immobilizzandomi in una morsa inaspettatamente delicata.
-Hannah devi ascoltarmi.-
Aveva di nuovo pronunciato il mio nome. Quell’uomo mi conosceva.
Colta da una improvvisa intraprendenza gli morsi forte la mano e sgusciai fuori dalla sua presa, furibonda.
-Come sai il mio nome? Perché continui a perseguitarmi?- il mio
tono era rabbioso e la voce mi tremava. Sentivo dentro di me un
turbinio di sensazioni che non riuscivo a spiegare, come se una qualche
parte di me, chissà a quale profondità nel mio
subconscio, fosse curiosa invece che spaventata.-Mi hai spiata, sono
settimane che lo fai, mh? O forse mesi!-
-Non voglio farti del male! Tu non.. non ricordi niente? Guardami.-
disse sporgendosi verso di me ma fui più veloce ad
indietreggiare.
Lanciai un’occhiata alla mia stanza dove tenevo una pistola e un caricatore da tirar fuori in casi come questo.
-Non ci pensare nemmeno.- sbottò, quasi divertito.-Lascia perdere quella maledetta pistola.-
Per quanto folle potesse sembrare l’unica spiegazione era che
quell’uomo riuscisse a leggermi nel pensiero e la cosa mi
turbò in modo considerevole rendendomi praticamente impossibile
pensare in modo razionale.
-Hannah non sono un folle. Sono io, sono Sirius.- disse le ultime
parole con una dolcezza disarmante e con uno sguardo tremendamente
triste.
-Io non mi ricordo di te, te l’ho già detto.- berciai, rassegnata.
Sospirò passandomi le mani sul volto esasperato e sedendosi sulla spalliera del divano.
-Guarda quella macchia.- disse infine indicando un segno rossastro
sulla seduta del sofà. -Ketchup, stavamo mangiando le patatine
davanti ad una delle tue adorate commedie romantiche
all’americana e tu me ne hai tirato una sporcando il divano. Hai
piagnucolato per due giorni ogni volta che ti ci sedevi.-
Effettivamente non avevo mai capito cosa avesse causato quella macchia,
l’unica cosa certa era che doveva essere accaduto durante il
periodo che la mia mente aveva rimosso perché al giorno in cui
risaliva il mio ultimo ricordo quel divano era assolutamente perfetto.
Quando l’avevo vista, affranta e sotto shock, avevo chiesto
spiegazioni a Jason che mi aveva liquidata con una scrollata di spalle.
-Stai.. mentendo.- tentai nonostante non fossi più sicura di nulla.
-Lo sai che non è vero.-
Lo guardai a lungo e lui ricambiava il mio sguardo. C’era
qualcosa di stranamente familiare in quegli occhi grigi e in
quell’espressione corrucciata, come il ricordo sfocato di un
sogno quando al mattino sai di aver sognato ma non sai cosa.
-Ascoltami. Ti posso spiegare.
Ascoltami. Ti posso spiegare. la sua voce riecheggiò nella mia testa mentre quella odiosa sensazione di dejavu tornava a tormentarmi.
Portai le mani alla testa che mi doleva tremendamente e mi accasciai sul divano affondando le dita tra i capelli.
-Ti prego vattene, qualsiasi cosa sia non voglio saperla.-
Mi alzai di nuovo, repentina, prendendo a camminare come
un’invasata avanti e indietro per il salotto, gli occhi sbarrati
e i movimenti molto meno fluidi di quanto avrei voluto.
-Ascoltami bene. E’ tutto già un casino senza che uno
strambo sconosciuto e il suo cane entrino in casa mia e..hey.
Dov’è finito il cane?- mi guardai intorno, alla ricerca di
quella montagna di pelo ma doveva essere scappato dalla finestra o in
qualche altro folle mode così continuai.-Ad ogni modo, non
importa. Tu e il tuo cane dovete scomparire da qui e dalla mia vita.
Non seguirmi. Non cercarmi. Non parlarmi. D’accordo?-
Mi ero avvicinata a lui sventolando l’indice con aria minacciosa
e dovevo aver parlato davvero troppo velocemente a giudicare dalla sua
aria confusa, a metà tra lo sconcerto e il divertimento.
-Mi sono ritrovata su un letto d’ospedale con un fidanzato che
non sapevo di avere e che, parliamoci chiaro, non avrei neanche mai
pensato di scegliere tra le trilioni di persone che calpestano le
strade di questa maledetta città, e con due mesi di vuoto
totale. Una specie di buco nero che ha inghiottito qualsiasi cosa io
abbia fatto o pensato per tutto quel tempo ma che evidentemente mi ha
procurato un forte esaurimento nervoso e ha peggiorato oltremisura la
mia già esagerata instabilità emotiva. Ti è chiaro
il concetto? Fuori di qui.- avevo blaterato quell’insensato
discorso con una foga incredibile spingendolo verso la porta e
stupendomi della scarsa resistenza che opponeva quando ad un tratto si
fermò, a neanche un metro dalla soglia.
-Se
mai cambiassi idea, se mai dovessi aver voglia di sapere la
verità.. mi troverai. Non rinuncerò a te, Hannah. Mai.-
mi aveva sfiorato piano il viso con le nocche della mano grande e scura
mentre il grigio dei suoi stessi occhi sembrava averlo avvolto in una
coltre di malinconia che fluiva verso di me che stavo immobile di
fronte a lui. -Jason non è chi tu pensi che sia.-
Afferrai
la sua mano e la allontanai bruscamente dal mio viso, risentita,
strizzando gli occhi per la frustrazione e quando li riaprii, pronta a
dirgliene quattro, lui era sparito. Nel nulla. Nel buio
dell'ennesima notte piena di dubbi.
Song: Old and wise - Alan Parson Project
Artwork: JeyCholties (aka Gea) che ha realizzato anche l'immagine dell'altra storia che sto pubblicando "Time After Time" e che non finirò mai di abbastanza questi suoi piccoli doni e per l'affetto che mi dimostra <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12. Danger ***
furry love 12
Furry Love
12. I was alone, falling free,
Trying my best not to forget
What happened to us,
What happened to me,
What happened as I let it slip.
-Obiezione!-
Okay, forse avevo un tantino esagerato con i toni ma il mio assistito
era davvero stato messo in una posizione scomoda ed io ero
sull’orlo di una crisi di nervi.
-In base a che cosa, avvocato?- rispose il giudice, una donna di mezza
età con evidenti frustrazioni personali impunemente riversate
sulla sua condotta professionale. I giudici donna erano la categoria
peggiore esistente sulla faccia della terra e se una strenua
sostenitrice della causa femminista si trovava costretta a simili
considerazioni, il mondo stava davvero andando a rotoli.
-Il mio assistito non ha sicuramente tenuto una condotta indecorosa
come sostiene il collega, ogni sua azione è perfettamente
scusabile in quanto reazione alla plateale infedeltà della
signora Raley e se di abbandono del tetto coniugale si può
parlare allora parleremo anche di un equo risarcimento dei danni morali
dovuti dalla parte attrice nei confronti del mio cliente.-
Avevo i nervi a fior di pelle e troppe cose per la testa che mi avevano
distolta dalla preparazione della difesa di Tayler O’ Brien che
mi stava fissando, disperato, annuendo vigorosamente ad ogni mia
parola. Non era stato affatto professionale il mio comportamento, senza
contare che la storia della mia amnesia aveva fatto il giro di tutti i
maggiori studi della città e la mia disattenzione non faceva che
rendermi ancora più ridicola di quanto già non mi
sentissi.
-Comprensibilmente, collega, credo abbia dimenticato le modalità di classificazione del danno morale e..-
-Non ho dimenticato proprio un bel niente, Jersen!- sbottai, ormai
fuori controllo, sbattendo un pugno sul banco. Quell’infido e
abietto omuncolo era stato mio collega all’università e
con quell’atteggiamento arrogante che si era cucito addosso
avrebbe potuto incantare chiunque tranne la sottoscritta, ricordavo
troppo bene i suoi occhialoni da imbecille e l’indescrivibile
proliferazione di brufoli sulla sua faccia da schiaffi.
-Avvocato la prego di mantenere dei toni adatti ad un’aula di tribunale, questo non è un mercato.
Abbassai il capo, sconfitta, e aspettai che il giudice deliberasse,
rassegnata ad una disfatta epocale. Inaspettatamente il giudice
optò per un rinvio a giudizio che mi avrebbe quantomeno fatto
guadagnare del tempo per recuperare terreno.
Quando lasciammo l’aula ed ebbi congedato il mio cliente feci
appena in tempo a vedere Jersen sfrecciarmi a fianco come fossi stata
invisibile e affrettai il passo, raggiungendolo e strattonandolo per la
giacca.
-Kane! Santo cielo, ti vedo un po’ agitata.-
-Agitata?! Jersen cerca di non sfidarmi perché non
m’importa niente se te la fai con un magistrato, adesso, per me
resti sempre un imbecille e a rovinarti ci impiego cinque minuti e
giusto due telefonate.- berciai, dura.
-Mi stai minacciando?-
-Si che lo sto facendo, quant’è vero che mi chiamo Hannah Kane.-
-Data la tua recente amnesia potresti anche sbagliarti.-
-Lo stai rifacendo, brutto imbecille e non te lo ripeterò
un’altra volta! Per tua informazione ricordo benissimo sia te che
i tuoi fallimentari inviti a cena balbettati attraverso quel tuo
maledetto e ridicolo apparecchio.- lo ghiacciai a voce alta facendo
voltare numerosi colleghi prima di voltargli le spalle e allontanarmi.
Almeno avevo sfogato un po’ di rabbia.
Due mani forti mi accarezzavano i
fianchi e il mio collo era ripetutamente lambito da baci ora delicati
ora troppo intraprendenti mentre sentivo l’eccitazione salire e
invadere ogni fibra del mio corpo, sospiravo ma dalla mia bocca non
usciva alcun suono.
Guardai le dita che accompagnavano lente ogni curva del mio corpo e mi resi conto che quelle mani non erano affatto di Jason.
-Sirius.-.
Mi sentii sussurrare pochi istanti dopo, il respiro rotto, la voce tremante.
Il contatto tra il mio corpo e quello
dell’uomo che mi stringeva si faceva sempre più intenso,
più intimo e non riuscivo a fermarmi, ad occhi chiusi
accompagnavo i suoi movimenti come ipnotizzata, come a non voler
perdere neanche un secondo di quel dolce tormento.
-Sirius..-
Aprii di scatto gli occhi, sicura di aver davvero pronunciato quel
nome, e mi ritrovai a respirare affannosamente; portai le mani al viso
e lo strofinai più volte, ancora sconvolta per
l’intensità di quel sogno, chiedendomi che senso avesse
sognare un pazzo con tendenze persecutorie e, peraltro, in
atteggiamenti non esattamente ortodossi.
Mi misi a sedere e aspettai di regolarizzare il mio respiro mentre il
mio sguardo correva alla sveglia che dal comodino mi avvertiva che
erano già le otto del mattino.
Il sole filtrava timidamente dalla serranda appena socchiusa e mi
imposi di alzarmi per aprire la finestra e fare entrare un po’
d’aria che riattivasse il ragionevole flusso dei miei pensieri
per poi afferrare il telefono e chiamare il mio fidanzato.
Mi sentii strana nel farlo. Normalmente chiamare Jason non era
esattamente il mio primo pensiero e mi sentivo un po’ come una
compagna infedele con la coda di paglia quando, in realtà, era
semplicemente stato un sogno e volendo avrei anche potuto
raccontarglielo e riderne insieme a lui. O forse no.
-Buongiorno, tigre. Dormito bene?- mi interrogò la voce di Jason dopo neanche due squilli.
-Io?- ero sovrappensiero e tra le tante cose stupide che avrei potuto
dire e tra le tante voci stupide che avrei potuto usare la scelta non
era decisamente stata delle migliori.
-No, parlavo con la caffettiera.-
-Il tuo sarcasmo è veramente inopportuno, Jason Russell, lo sai
che la mattina appena sveglia ci metto un po’ più del
dovuto a connettere.-
-E così ti sei appena svegliata. Strano, normalmente sono io a
chiamarti di prima mattina, considerato che sei il mio primo e ultimo
pensiero della giornata. Devo preoccuparmi? Qual è il prossimo
passo, mi chiederai di sposarti?-
-Sogna, Jason, magari ci credi.-
Brutta scelta lessicale, terribile collegamento mentale. Sogno, uomo,
sesso, Sirius. Avvampai e ringraziai il cielo che Jason non potesse
vedermi. Dovevo sciacquarmi il viso o forse farmi persino una doccia
fredda anche se probabilmente un colpo in testa sarebbe stato il
rimedio più efficace.
-Beh oggi avrai occasione di chiedere la mia mano a mio padre, bellezza. Ceniamo da lui.-
-Ti hanno mai detto che funziona al contr.. cosa? Da tuo padre?
Stasera? Stai scherzando.- non potevo andare a cena dal mio capo e lui
non poteva avvertirmi con così scarso anticipo.
Non ero mai stata ufficialmente presentata all’avvocato Russell
senior come compagna di Jason e soprattutto mi ero sempre rifiutata di
restare per pranzo o cena, in anni e anni di conoscenza, in quella
enorme villa che loro chiamavano casa.
Avevano anche una domestica che cucinava e si occupava di tutto con un
anacronistico completino che, a mio parere, serviva solo a risvegliare
i bollenti spiriti del padre di Jason, di certo non meno donnaiolo del
figlio nonostante l’età. Era un bell’uomo, Richard
Russell, ma mi aveva sempre trasmesso una incredibile soggezione.
-No, non sto scherzando.- disse con voce meno allegra di quanto avrei
sperato. Magari se l’era presa per il mio ennesimo rifiuto. Ero
una fidanzata terribile, non solo mi permettevo di fare sogni erotici
su altri uomini ma rifiutavo persino di cenare con papino. Aveva
ragione il mio, di papà, quando diceva che ero troppo cattiva
per una relazione sentimentale.
-Va bene.- sospira dunque, rassegnata. –Cena formale?-
-Cena con mio padre, rende formale anche ciò che non lo è.-
-Disse il signor Cravatta.- lo schernii e finalmente lo sentii ridere
all’altro capo del telefono e ne fui inaspettatamente rincuorata.
-Ti passo a prendere alle sette, mia bella. Saresti stupenda anche se
venissi nuda, non stare troppo a ragionare sul vestito come sempre.-
-Ti piacerebbe.-
-Non lo nego.- potevo immaginare il suo sorriso storto che accompagnava
puntualmente risposte ad effetto come quella e scossi il capo.
-A stasera, playboy.-
-Nuda?-
-Ciao, Jason!.-
Vagabondai per negozi per tutta la giornata provando una
quantità inenarrabile di abiti alla ricerca di qualcosa di
adatto ma non pretenzioso e finendo sempre per cambiare idea dopo la
quarta giravolta davanti allo specchio.
Le commesse, disperate, dopo aver rivoltato ogni stand per soddisfare
le mie psicotiche e confuse richieste, cercavano puntualmente di
convincermi che quel delizioso vestito azzurro si intonava
perfettamente ai miei occhi facendoli risaltare ma che in fin dei conti
anche quell’altro semplice tubino color ghiaccio era molto fine e
adatto al mio fisico.
Mi sentivo un po’ una bizzarra Julia Roberts in Pretty Woman ma
bionda, molto più sbadata e decisamente meno avvenente.
-Prenderò questo.- decretai infine rivolta alle commesse
dell’ultimo negozio dopo aver provato l’ultimo vestito
dell’ultimo stand dell’ultima stagione e notai con
disappunto il sollievo delle donne quando una di loro si
affrettò alla cassa quasi preoccupata che cambiassi nuovamente
idea.
Ero abbastanza soddisfatta della mia scelta. Il vestito era semplice ma
elegante e Richard Russell non avrebbe avuto nulla a che dire e magari
avrebbe smesso di trattarmi al pari di una qualsiasi praticante come
non ero più da tempo.
-Tanto
sforzo per un vestito che ti toglierò tra poche ore, voi donne
siete davvero incomprensibili.- decretò Jason cingendomi la vita
con le braccia e strofinando il naso contro il mio.
-Pensi di farlo proprio sotto il naso di papà?- lo presi in giro mordendogli giocosamente il labbro inferiore.
-Ci sono stanze di quella casa ancora da collaudare, non credi? Tra una portata e l’altra potremmo..-
-Riordina gli ormoni, non ho intenzione di dare nell’occhio
né di sembrare una delle imbarazzanti galline che sei solito
portare a casa.-
-Pensi davvero che abbia portato tutte le donne con cui sono stato a cena con mio padre?-
-Mi stupisce che un bravo avvocato come te badi così poco alle parole, prova a riferirti di nuovo a tutte
le tue fiamme e dovrai chiamarne urgentemente una per rimpiazzarmi.- lo
minacciai puntandogli contro un dito con aria inviperita.
Lui rise e mi baciò con trasporto affondando le mani tra i miei
capelli. –Non c’è ragione perché tu sia
gelosa. Nessuna donna ha mai contato tanto, per me, quanto te adesso.-
Incapace di ribattere mi limitai a sorridere, intenerita, e ad accarezzargli il volto.
-Andiamo?- sussurrai dopo qualche istante di indecisione su quale fosse
il modo meno inopportuno per infrangere l’armonia di quel momento
e metterci in marcia verso casa Russell sulla Russell-mobile.
-Tu e il romanticismo viaggiate su due binari paralleli, Hannah. Non
credo mi ci abituerò mai.- sospirò prendendomi per mano e
avviandosi verso l’uscita.
-Suo padre vi raggiungerà tra qualche istante.- disse Charlotte,
la governante, rivolta a Jason mentre entravamo in casa. Doveva aver
fatto qualcosa ai capelli perché l’ultima volta che
l’avevo vista era decisamente più bionda.
-Buonasera, Charl..-
Jason mi diede una leggera gomitata bloccandomi mentre la ragazza mi rivolgeva un’occhiata confusa.-Lei si chiama Cassie.-
-Che fine ha fatto Charlotte?- chiesi sottovoce mentre la superavamo
per raggiungere il salotto e lui mi rispose con una scrollata di spalle.
-Avvocato Kane, che piacere!- mi salutò, cerimonioso, Richard Russell raggiungendoci, stretto nel suo completo gessato.
-Il piacere è mio, avvocato Russell. Allo studio si sente
moltissimo la sua mancanza.- mentre lo dicevo mi maledii per la mia
incapacità di trovare una osservazione migliore e possibilmente
più intelligente.
-Posso chiamarti Hannah, adesso, mh?- chiese indicando con il capo la
mano di Jason ancora intrecciata alla mia e fui quasi certa di notare
un lampo di fastidio attraversare i suoi occhi magnetici.
-Certamente, signore.-
-Tu chiamami pure Richard.- concluse sbrigativo procedendo verso il tavolo della sala da pranzo e prendendo posto.
Avrei davvero dovuto chiamare il mio capo per nome? Richard potresti per favore passarmi la saliera? No. Niente da fare, avvocato Russell sarebbe bastato. Per sempre.
-Cassie, puoi cominciare a servire l'antipasto.- decretò,
imperioso, quando ci fummo accomodati al grande tavolo mentre con gli
occhi scorrevo le numerose posate che circondavano il servizio di
pregiata porcellana e i bicchieri di vetro così sottile che, ne
ero certa, ne avrei distrutto uno prima della fine della serata. Nella
migliore delle ipotesi.
-Allora, Hannah, quale novità mi porti? Come procede con la
Hughster Financing? Uno degli azionisti coinvolti è un mio caro
amico e non fa altro che elogiare il tuo operato.-
-Ne sono lusingata, avvocato. In pratiche come questa impiego il
quadruplo dell’attenzione e della diligenza perché sono in
ballo somme a dir poco esorbitanti e non rischierei mai di causarne la
perdita.-
-Devi sempre fare molto attenzione.-
A quelle parole sentii qualcosa nel mio cervello scattare e non mi
accorsi neanche che Cassie aveva servito le tartine alle verdure; il
tono di Richard Russell aveva un qualcosa di minaccioso, nonostante il
sorriso di circostanza che increspava le labbra sottili ed ebbi
l’impressione che non fosse la prima volta che mi trovavo in una
situazione simile.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola
con lei, avvocato Kane, è una donna intelligente e brillante e
questi sono tempi difficili.
Sentii la voce di Richard Russell nella mia testa come una sorta di
interferenza e per un attimo strizzai gli occhi, sorpresa da una
improvvisa fitta alla testa.
-Tutto bene?- chiese Jason, premuroso, stringendomi la mano posata sul
bordo del tavolo e mi accorsi di aver accartocciato tra le dita il
pregiato tovagliolo di stoffa color panna.
Alzai nuovamente lo sguardo sul padre del mio fidanzato e vidi che mi
stava ancora fissando come se stesse cercando di guardarmi attraverso e
portai istintivamente una mano alla fronte che pulsava furiosamente
come se il cuore stesse pompando sangue ad una pressione eccessiva.
-Si, non.. non preoccuparti.-
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?-
Era ancora la voce di Russell? O era la mia immaginazione che mi stava
giocando brutti scherzi? Mi sembrava di aver la testa invasa da
pensieri estranei e dolorosi.
-Scusatemi, devo andare un attimo..- ero troppo agitata e confusa per
scegliere quale vocabolo tra bagno e toilette fosse il più
appropriato ma Jason capì e annuì.
-Ti accompagno?-
-No, Jason, sono sicura di potermela cavare.- ironizzai sperando di
tranquillizzarlo prima di uscire da quella stanza e tirare un profondo
respiro.
In bagno mi sciacquai ripetutamente il viso con acqua fredda, incurante
del trucco che sarebbe venuto via e poi mi concessi qualche secondo
arpionando il bordo del lavandino con le dita e fissando la mia
immagine riflessa.
Il mal di testa sembrava essersi attutito e quando fui sicura di poter
tornare ad affrontare una conversazione in modo civile tornai verso la
sala da pranzo.
-Com’è possibile?- sentii Jason ringhiare tra i denti e mi nascosi dietro la porta, istintivamente.
-Non ne ho idea, Jason, ma quella stupida ficcanaso sta cominciando a
ricordare. Sono solo piccoli flash ma nessuno ci assicura che non
riacquisterà del tutto la memoria.-
-Papà, è impossibile! Ogni ricordo dovrebbe essere stato totalmente cancellato.-
-Hai detto di essere stato interrotto da quel dannato cane,
probabilmente non ha funzionato come avrebbe dovuto. Sai che non
c’è altra soluzione, adesso, non possiamo più
rischiare.-
La voce di Richard Russell era ferma e glaciale contrariamente a quella
disperata di Jason che sentivo distintamente muoversi avanti e indietro
per la stanza.
-No!-
-Jason, smettila. Non ti permetterò di mettere a rischio la
nostra copertura per una maledettissima cotta. Per una babbana, poi.-
-Io sono innamorato di lei, chiaro? E non ti permetterò di..-
-Non me lo permetterai?- scandì, lento e crudele, Russell.-Non
costringermi a usare su di te lo stesso rimedio che avevi trovato per
lei. A differenza tua io non fallirei.-
Quelle parole non avevano senso. C’era qualcosa di profondamente
sbagliato in quella situazione e per la prima volta negli ultimi mesi
ebbi paura. Non frustrazione, non esasperazione, paura.
Indietreggiai, attenta a non far rumore e dopo aver dato una veloce
occhiata intorno uscì da casa Russell cominciando a correre
nella notte fredda.
Ero arrivata lì con la macchina di Jason e ovviamente non avevo
le chiavi, così corsi più veloce che potevo per
allontanarmi da quello che mi sembrava ogni istante di più un
castello di menzogne e omissioni. Non avevo perso la memoria, mi era
stata portata via in un modo che non ero ancora capace di spiegare.
Russell mi aveva davvero minacciata e se quei frammenti di memoria
erano veri era anche arrivato vicinissimo all’eliminarmi.
Ma perché? Non riuscivo a spiegarmi cosa potessi aver fatto
né che tipo di copertura avrei potuto far saltare. Cosa
c’era dietro? E che diavolo di insulto era babbana?
Con il fiato corto e il petto in fiamme mi fermai, cercando di
respirare a fondo con tutta l’intenzione di riprendere la mia
corsa quando sentii un fruscio e mi voltai, immediatamente.
Mi sentivo osservata e per la prima volta il pensiero che qualcuno
stesse vegliando su di me mi rincuorò. Non poteva essere Jason,
né suo padre ma entrambi avrebbero potuto raggiungermi in
macchina nel giro di pochi minuti e non avrei avuto scampo.
C’era solo una persona che poteva avermi seguita fin lì.
-Sirius! -
Nessuna risposta né rumore giunse alle mie orecchie e temetti di aver immaginato tutto.
-Sirius, dannazione, lo so che ci sei! Voglio sapere la verità
credo di essere.. in pericolo.- terminai quella frase con voce fievole,
rivolta alla notte scura. Nessuno mi stava osservando né
ascoltando. Ero sola sul ciglio della strada mentre le macchine mi
sfrecciavano a fianco.
-Aggrappati a me e chiudi gli occhi.-
Era la sua voce.
Non ero il tipo di persona che accettava alcun ordine ma sentii di dovermi fidare e feci come mi aveva detto.
Mi voltai mi lasciai avvolgere dalle sue braccia mentre chiudevo gli
occhi e il profumo della sua pelle mi invadeva le narici. Tutto
sembrò vorticare come se fossimo stati inghiottiti da un tornado
e poi sentii di nuovo l’aria intorno a me fermarsi e la presa dei
miei piedi al suolo farsi più salda così come quella
delle mie mani sulle sue spalle.
-Dobbiamo parlare.-
Song: Meds - Placebo
Artwork: HilaryC
PS:
ci tenevo a specificare che la prima parte del capitolo potrebbe
essere, o meglio sicuramente è, molto approssimativa. Il fatto
che io studi Giurisprudenza non mi ha comunque ancora dato le
conoscenze necessarie per descrivere un'udienza vera e propria, sono
ancora solo al secondo anno e le procedure sono ancora lontane. Se
qualcuno di voi studia Giurisprudenza e ha notato stranezze in quel
passaggio sappia che è per questo motivo! Un bacio, A.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13. About us ***
furry love 13
Furry Love
13. I'm sorry I'm not gonna give up
And I know you much better where you are now
Read my lips my love will last
I'd like to swing
This world inside your head
-E’.. tutto vero?-
Non riuscivo a credere alla storia che mi aveva raccontato, mi sembrava
di essere in una sorta di universo parallelo e totalmente folle ma il
nostro repentino teletrasporto da quella maledetta strada a questo
piccolo cottage in montagna non sarebbe stato altrimenti spiegabile al
pari della insolita bestiolina con le sembianze di un pollo e la
portata di un cavallo di razza che ci fissava poco distante, con stizza.
-Si, Hannah. Ogni cosa.-
-Ricapitoliamo un secondo per sicurezza, è quello che un buon
avvocato fa sempre. Lo sai che sono un avvocato, vero?- blaterai,
gesticolando ed alzandomi in piedi per percorrere nervosamente
l’intero perimetro della stanza.-Tu sei un mago, di quelli che
agitano la bacchetta e fanno volare gli oggetti, come mi hai mostrato,
in modo totalmente innocente e inoffensivo mentre il mio capo e il mio
fidanzato sono degli stregoni malvagi e psicotici che vogliono farmi la
pelle. Fin qui è esatto?-
-Più o meno.- mi concesse con un’espressione scettica e
lievemente spiazzata, immobile su una poltrona rivestita di rosso.
-Bene. Tu sei scappato da una prigione delle vostre e sei stato per
mesi a casa mia nell’attesa di poter andare a vendicarti di colui
che ha condannato a morte certa i tuoi migliori amici consegnandoli
nelle mani della guida dei miei aguzzini, dico bene?-
Lui annuì per poi affondare la testa tra le mani e tirarsi lievemente i capelli con aria esasperata.
-E l’hai fatto?-
-No, quell’abominevole traditore è riuscito a scappare e
sono ancora un ricercato.- sbottò, esausto e nervoso alzandosi
in piedi e raggiungendomi.-Vuoi stare un po’ ferma?!-
-Ferma?! Ferma equivale a calma e calma significherebbe che non dovrei
ritenerti un pazzo furioso. Perché quella sottospecie di..-
-Non ti conviene! Gli ippogrifi sono molto orgogliosi, non ho intenzione di passare il resto della notte a ricomporti.-
Rabbrividii al solo pensiero e cercai di addolcire lo sguardo che
rivolgevo all’animale ma ottenni solo di risultare più
terrorizzata.
Sirius, nel frattempo, mi aveva raggiunta e mi aveva bloccato le mani, deciso.
-Adesso sei al sicuro, ci sono incantesimi di protezione tutto intorno
alla zona e Remus ci porterà ogni giorno tutto ciò di cui
avremo bisogno fin quando resteremo qui.-
Non osai chiedere chi fosse Remus né fino a quanto avrei dovuto
restare rinchiusa in quella casa con lui ma sospirai forte, rassegnata.
-Vieni, ti mostro la stanza dove dormirai.- mi prese per mano e mi
condusse su per le scale per poi aprire una porta e lasciarmi vedere
una stanza abbastanza grande ed illuminata con un grande letto
matrimoniale posizionato al centro.
-Grazie, Sirius.-
-Mi mancava sentirti pronunciare il mio nome.- sorrise, intenerito,
poggiandosi mollemente contro lo stipite della porta mentre io entravo
nella mia stanza e a quelle parole mi voltai.
-Ti ho chiamato prima, per strada.-
-Non hai pronunciato il mio
nome, in quel caso, l’hai più che altro strillato.-
puntualizzò, scuotendo il capo per poi dedicarmi un sorriso
allusivo.-Non che fosse la prima volta.-
Qualcosa nel tono con cui aveva pronunciato quelle parole o forse nella
sua espressione maliziosa mi fece arrossire e mi voltai a guardare
fuori dalla grande finestra.
-Io e te..- cominciai incerta, cogliendo l’occasione che mi aveva
fornito con quell’allusione, per chiarirmi le idee.
-Si, tu ed io.- disse soltanto, senza muoversi, più serio di quanto sperassi.
-Stavamo.. insieme, quindi.-
-No, ma sicuramente non stavi neanche con quell’imbecille in
cravatta.- sbottò incrociando le braccia al petto, fiero, mentre
una ciocca di capelli scuri gli piombava davanti agli occhi.
-Mi chiedevo come mai. Voglio dire.. ha cancellato la mia memoria, come faccio a ricordare quei flash?-
-L’ho azzannato mentre compiva l’incantesimo e non è andato del tutto a buon fine, per fortuna.-
Avevo dimenticato il dettaglio del cane e mi premetti una mano sulla fronte, non granchè consapevole di cosa aspettarmi.
-Ti lascio riposare, è stata una notte difficile. A domani,
Hannah.- fece un cenno con la mano e con sguardo triste uscì
dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Mi abbondai sul letto e cominciai a fissare il soffitto dapprima
concentrandomi sulle crepe di umidità che ne intaccavano qua e
là il candore poi dissociandomi totalmente dalla realtà e
cominciando a vagare con la mente tra gli avvenimenti degli ultimi
giorni e immaginando tutto ciò che potevo aver dimenticato; ogni
ipotesi sembrava più spaventosa della precedente ma non avevo
ragione di credere che ciò che Sirius mi aveva raccontato fosse
falso.
C’erano troppe cose che non tornavano, troppe lacune che Jason
non era riuscito a colmare e tutto questo perché lui, in
realtà, non c’era.
Mi aveva ingannata, mi aveva privata dei miei ricordi violando la mia
mente e riusciva evidentemente a convivere benissimo con questa
consapevolezza mentre suo padre meditava di farmi fuori.
Riconoscevo Jason più in quella versione calcolatrice e
tendenzialmente criminale che nella versione amorevole con cui avevo
avuto a che fare negli ultimi mesi ma non potevo evitare di sentire un
grande senso di delusione invadere le mie ossa come un liquido freddo e
inarrestabile. Mi stavo davvero innamorando di Jason e quella
consapevolezza mi schiacciò con tutto il suo peso, stavo per
innamorarmi di un bugiardo, di un impostore. Ero sempre stata una
persona diffidente all’inverosimile, accorta e guardinga ai
limiti del tollerabile e avevo finito per farmi ingannare da un uomo
come avevo giurato a me stessa di non permettere mai.
Qualsiasi cosa mi fosse successa, prima di perdere la memoria, doveva
aver abbassato le mie difese, doveva aver scoperto il mio cuore senza
lasciarmi la possibilità di ricostruire una barricata che lo
proteggesse e Jason ne aveva, più o meno consapevolmente,
approfittato.
Qualcosa mi diceva che Sirius fosse per me più di quanto
affermava, qualcosa nel suo sguardo triste, forse, o nel suo modo di
sfiorarmi tanto delicato ed esperto, nella sintonia che immediata si
era manifestata tra di noi. Non stavamo insieme, aveva detto, ma
qualcosa c’era stata e dubitavo che fosse stato semplice sesso.
Volevo ricordare, ne avevo bisogno. Eppure i flash erano scomparsi e il
buio si era raddensato nella parte del mio cervello che era stata
brutalmente violata.
Scivolai nell’incoscienza continuando a pormi domande alle quali
non trovavo alcuna risposta mentre il volto di Jason si mescolava a
quello di Sirius per poi sbiadire lasciando il posto ad un sonno senza
sogni.
Quando la mattina successiva mi trascinai in cucina indossando gli
stessi vestiti del giorno prima e con i capelli scompigliati per poco
non mi prese un colpo trovando un uomo intento a sistemare dei pacchi
nella dispensa.
-Ciao!- esclamò, sorridente, voltandosi verso di me che
evidentemente non avevo un passo tanto leggero come avevo sempre
creduto.
-Ciao.. tu devi essere Remus, giusto?- mi informai, incerta.
L’uomo chiuse a forza lo stipetto i cui cardini dovevano essere
un po’ arrugginiti e poi si voltò verso di me,
avvicinandosi un po’.
Aveva un’aria un po’ trascurata, i vestiti che indossava
non erano esattamente all’ultima moda e i capelli erano parecchio
disordinati tanto che i miei sembrarono, in quel frangente, il
risultato di una lunga seduta dal parrucchiere, a confronto; il viso
era molto pallido e magro come fosse stato reduce da una lunga degenza.
-Esatto. Remus Lupin.- si presentò tendendomi la mano che io strinsi. -Hannah, sbaglio?-
-Non sbagli. Hannah Kane. Anche se, a dirti la verità, non sono
più sicura di niente ormai.- abbassai lo sguardo prendendo a
torturarmi le mani e abbandonandomi su una sedia vuota.
-Sirius mi ha raccontato tutto. Sei al sicuro qui e ci sono buone
probabilità che tu possa recuperare parte dei ricordi che hai
perso se davvero l’incantesimo è stato sabotato in tempo.-
spiegò, rassicurante, mentre si sfilava il giaccone e lo
poggiava su una sedia. Doveva essere un mago anche lui, su questo non
c’erano dubbi, e se era lì, quella mattina, doveva essere
anche una persona della quale Sirius si fidava ciecamente.
-Lunastorta, come mai così mattiniero?- borbottò il
soggetto in questione entrando in cucina a torso nudo
stropicciandosi gli occhi.
-Sai da quando ho perso il lavoro non ho granché da fare.- ribattè quello, amaro, sospirando.
-Com’è successo?- chiesi, cercando di fare conversazione e
di non guardare Sirius che si aggirava mezzo nudo per la cucina
inducendomi a pensare che qualsiasi cosa ci fosse stata tra di noi
sarebbe stato di certo utile un ripasso.
Mi diedi mentalmente della stupida e concentrai la mia attenzione su
Remus Lupin che aveva preso posto al tavolo proprio di fronte a me.
-Non sono sicuro che tu voglia saperlo, hai già ascoltato abbastanza stranezze negli ultimi tempi.-
-Una in più una in meno.. che differenza vuoi che faccia? Al
massimo quando tutta questa storia sarà finita sarò
costretta a trascorrere un fine settimana con il mio analista.-
-Con la fortuna che hai, in fatto di uomini, è probabile che si
tratti di un vampiro.- mi schernì Sirius accomodandosi accanto a
me dopo avermi passato una tazza di caffè macchiato e prendendo
a sgranocchiare dei cereali.
-Molto divertente, apprendista stregone.- risposi lanciandogli
un’occhiataccia e pentendomene subito dopo. Cosa c’era di
così difficile o scomodo nell’indossare una maledetta
t-shirt? E soprattutto come faceva a sapere come preferivo il
caffè? Lo aveva anche zuccherato al punto giusto.
-Dicevi?- domandai tornando a fissare il nuovo arrivato per sfuggire al
vortice di interrogativi che mi stava risucchiando per l’ennesima
volta.
-Sono un lupo mannaro e la cosa è recentemente venuta a galla
insieme al sospetto che io abbia dato libero accesso a Sirius Black,
pericoloso latitante, ad Hogwarts. C’è poco da
sorprendersi che i genitori dei ragazzi non mi ritengano un insegnate
affidabile.- spiegò tristemente passandosi le mani sul volto
smunto.
-Sciocchezze. Sono tutti degli idioti e quel bastardo di Piton non ha di certo messo una buona parola.-
-E’ stato schiantato da una studentessa in circostante a dir poco
confuse, tu avresti per caso messo una buona parola a mio favore?-
-Certo.- borbottò l’altro mentre io li fissavo, confusa,
con la fronte aggrottata a tal punto che cominciò a dolermi.
Follia, non c’era altro termine per descrivere tutto ciò
che stava succedendo o era successo intorno a me.
-Lo perderò anche io, il lavoro, senza essere un licantropo
nè avere un cappello a punta. Non posso neanche chiamare Jason,
sarebbe troppo pericoloso.-
"Non dirgli dove ci troviamo, ovviamente."
-Un momento. Siamo già scappati da lui, per caso?-
Sirius lasciò la presa sulla busta dei cereali e puntò
gli occhi grigi su di me, illuminandosi e rivolgendomi uno sguardo
pieno di speranza.
-Si! Stai ricordando qualcosa?-
-Solo una tua frase, mi consigliavi di non svelare il nostro
nascondiglio.- spiegai.-Geniale, effettivamente, se davvero eravamo in
fuga il tuo deve essere stato un consiglio decisivo.-
-Hai perso la memoria ma non il tuo proverbiale sarcasmo, ed io che speravo che saresti stata meno corrosiva.-
-Vi lascio ai vostri battibecchi e vado via, ci sono alcune faccende di
cui mi devo occupare.- ci interruppe Remus afferrando il giaccone.
–Harry continua a scrivermi chiedendomi di te, credo abbia
escogitato una specie di linguaggio in codice. Cosa devo fare?-
-Gli scriverò io, non ti preoccupare.- rispose facendosi di nuovo serio e malinconico.
-Vedrai che si sistemerà tutto, Felpato.- Remus gli posò
una mano sulla spalla.-Adesso sa che sei innocente, sa la
verità. –
-A cosa serve la verità se non posso tenerlo con me? Avevo dato
la mia parola a James che mi sarei preso cura del ragazzo e non posso
mantenere la promessa. Che razza di padrino sono?-
-Un giovane padrino latitante che al momento deve occuparsi di un
avvocato in fuga.- scherzò l’amico dandogli una pacca
sulla schiena e muovendo piano il capo verso la mia direzione.
Prima che potessi lamentarmi di quella affermazione ci salutò e
scomparve nel nulla come dovevamo aver fatto io e Sirius la notte
precedente.
-Si è..-
-Smaterializzato.-
-Mh.-
Giocherellai un po’ con la tazza facendo ondeggiare il
caffè rimasto sul fondo mentre il silenzio ci avvolgeva e
l’aria frizzantina di Marzo faceva capolino dalla finestra
socchiusa facendomi rabbrividire.
-Sirius?-
Alzò lo sguardo su di me rivolgendomi un’occhiata interrogativa.
-Ti spiacerebbe indossare una maglietta?-
Feci una doccia e considerando troppo rischiosa una visitina a casa mia
in quelle circostanze Sirius mi prestò una sua camicia e un
pantalone che dovetti stringere all’inverosimile per evitare di
rimanere in mutande davanti a lui che continuava a fissarmi divertito e
malizioso mentre mi rigiravo davanti allo specchio sentendomi una
specie di travestito. Avevo spento il cellulare in modo da far durare
la batteria in caso di emergenza per almeno qualche altra ora e capii
che avrei dovuto farmi bastare quel che avevamo a disposizione
finchè Remus non avesse provveduto.
-Sei.. affascinante.- mi prese in giro trattenendo una risata.
-Sono un figo da paura, stai scherzando?- risposi imitando una voce
bassa e roca da maschiaccio e affibbiandogli un pugno sulla spalla.
Mi rivolse un’occhiata piena di sconcerto e poi cominciò a
gesticolare scuotendo il capo. –Piantala, per cortesia, rischi di
inquinare il ricordo molto più femminile che ho di te.-
-Quanto femminile?- chiesi cercando di non arrossire ma tornando alla
mia voce. Volevo sapere esattamente qual’era il nostro rapporto,
volevo che mi raccontasse di quei mesi e che almeno lui fosse sincero
anche se, inevitabilmente, fidarmi sarebbe stato molto difficile dopo
essere stata ingannata per tanto tempo dall’uomo che avrebbe
dovuto essere il mio fidanzato.
-Abbastanza, direi.- mormorò avvicinandosi e scostandomi
affettuosamente una ciocca di capelli sfuggita alla coda disordinata
che avevo fatto. –Come avrai notato i flash si presentano nel
momento in cui si ricreano situazioni simili a quelle vissute e forse
potremmo.. riprovare a farti ricordare. Che ne pensi?-
Era molto vicino e la sua proposta non lasciava alcun margine di dubbio
riguardo il tentativo che aveva in mente e al quale, personalmente, non
ero esattamente sicura di volermi opporre.
C’era qualcosa che mi spingeva verso di lui, qualcosa
probabilmente legata al passato, a ciò che avevamo condiviso e
che io avevo dimenticato.
-Tentar non nuoce.- borbottai distogliendo lo sguardo da lui con la salivazione ridotta a zero per la tensione.
Mi sollevò piano il viso portandolo verso il suo ed incrociai i
suoi occhi che non mi erano mai sembrati più luminosi ed
intensi, mai da quel che potevo ricordare, almeno.
Ricambiai lo sguardo, incerta e nervosa. Non era più un bacio
rubato come quello del nostro primo incontro, in quel momento eravamo
entrambi vicini, entrambi decisi a ritrovare qualcosa di perduto mentre
un’inspiegabile sensazione di paura mi invadeva.
Quel bacio avrebbe potuto concedermi qualche frammento di verità
ma avrebbe distrutto altri tasselli di una realtà costruita e
falsa alla quale mi ero aggrappata troppo a lungo. Sentivo tutto
intorno a me frantumarsi, pezzi di memoria e di emozioni infrangersi al
suolo e disintegrarsi.
Chiusi li occhi, immobile, aspettando di sentire le sue labbra sulle
mie senza riuscire a capire davvero se fosse ciò che volevo e
pochi istanti dopo lo sentii poggiare piano la fronte contro la mia e
accarezzarmi il volto.
Riaprii gli occhi e capii che non aveva alcuna intenzione di baciarmi.
Mi guardava paziente, così vicino che il suo respiro si
mescolava al mio e i suoi capelli mi solleticavano le guancie e il
collo.
-Perché non..?-
-Non ho intenzione di baciarti di nuovo contro la tua volontà. E
non dirmi che è quello che vuoi perché conosco ogni
reazione del tuo corpo abbastanza bene da sapere che non è vero.
Hai paura.- sussurrò quasi rassegnato inclinando un po’ il
capo per potermi guardare meglio.
-Non è di te che ho paura.-
-Lo so.-
Mi sfiorò con le labbra un punto indefinito tra la bocca e la
guancia e poi tutto il calore che mi aveva avvolta svanì mentre
si allontanava da me.
-Spero solo che tu non abbia dimenticato come si cucina, avvocato, perché non sono mai stato un grande cuoco.-
Song: Drowned in destiny - Sandra Nasic
Artwork: JeyCholties
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14. Back ***
furry love 14
Furry Love
14. Every new beginning
comes from some other beginning's end and
I know who I want to take me home
Mi
tirai a sedere sul letto scostando malamente le lenzuola profumate e
artigliandomi i capelli con le dita ancora intorpidite dal sonno; dagli
spiragli delle persiane facevano capolino dei timidi fasci di luce
argentata che ovviamente non illuminavano più di qualche metro
oltre il davanzale fino al quale mi trascinai indossando velocemente
una delle magliette ampie e comode che Sirius mi aveva prestato e che
avevano un odore tremendamente familiare e rassicurante.
Percorsi con lo sguardo il panorama fuori dalla finestra, la strada di
campagna era deserta e le poche case che potevo scorgere erano buie e
silenziose in quella notte così insolitamente calma che anche il
vento sembrava aver rinunciato a turbare.
La luce esterna mi permise di scorgere l’ora sul quadrante
dell’orologio che Jason mi aveva regalato qualche settimana
prima, elegante ma privo dei fronzoli che, il mio fidanzato lo sapeva
bene, odiavo a morte.
Erano quasi le quattro del mattino dell’ultimo giorno della mia
prima settimana da latitante. La prima che ricordassi, quantomeno.
"Non tornare a casa fin quando non te lo dico io."
Grazie,
Jason, per il tuo premuroso consiglio, e dire che pensavo proprio di
tornare a casa tra le braccia dei miei aguzzini. Non riuscivo proprio a fidarmi
di lui né dei suoi ovvi sms ma sapevo bene che non potevo fare altrimenti e una parte di me
sentiva persino la sua mancanza.
Uscii dalla stanza e mi mossi silenziosamente attraverso il corridoio soffermandomi davanti alla porta del mio coinquilino.
Sirius era una persona davvero strana, un mago
davvero strano, ad essere precisi, ma quella convivenza nonostante
tutto non mi pesava affatto, risultava sempre così familiare che
non faticavo più a credere che, tra di noi, ci fossero dei
precedenti.
Scorsi la sua sagoma distesa sul letto e il suo petto nudo che si
alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro regolare che mi convinse a
non disturbarlo. Nel suo caso, tra l’altro, il detto “non
svegliare il can che dorme” non era esattamente un modo di dire
considerato che alla stranezza delle sue abilità magiche si
aggiungeva la capacità di trasformarsi in un adorabile cagnolone
nero.
Rain.
Quel nome mi era tornato in mente come un lampo, qualche giorno prima,
e Sirius sentendomelo pronunciare aveva sorriso come un bambino e mi
aveva abbracciata, forte.
Sorrisi arrivando fino alla cucina per prendere un bicchiere
d’acqua e poi abbandonarmi su una sedia con un sospiro
rassegnato. Non avrei più chiuso occhio, questo era certo.
Sentii una voce provenire dal salotto e subito scattai in piedi, ero
facilmente impressionabile, nell’ultimo periodo e nessun uomo o
mago sano di mente avrebbe mai neanche lontanamente potuto pensare di
darmi torto senza beccarsi una sonora capocciata sul naso.
Avevo scoperto di essere stata ingannata e manipolata, ero stata
costretta a scappare da mio suocero che si era rivelato essere un mago
in preda ad un’implacabile follia omicida e convivevo con un uomo
che si dichiarava, tra le righe, un mio ex e che di tanto in tanto
amava farsi grattare le orecchie sotto forma di canide: avevo ogni
sacrosanto diritto di essere tesa ma questo non impedì alla mia
stupida, stupidissima incoscienza di trascinarmi fino al luogo dal
quale sentivo provenire la voce che scoprii appartenere ad un
giornalista che dallo schermo della televisione parlava placido
scandendo parole che non riuscii immediatamente a captare, troppo
distratta dalla convinzione di non aver mai visto prima quella tv in
quella stanza.
“..la casa è stata quasi totalmente distrutta dalle
fiamme. I coniugi Kane, cinquanta e cinquantasei anni, sono deceduti
durante la corsa verso l’ospedale più vicino. Il figlio,
di anni venti, non ha superato la notte.”
Mi sentii mancare e mi inginocchiai mentre sullo schermo si
susseguivano immagini della casa in campagna nella quale ero cresciuta,
di quel che ne restava: fredde e mute macerie del mio passato che mi
era stato ancora una volta strappato insieme alle persone che
più amavo sulla faccia della terra.
Ero sola, la mia più grande paura si era realizzata e con ogni probabilità la colpa era mia e solo mia.
Piansi in silenzio per qualche istante mentre i volti dei miei genitori
e di mio fratello si dipingevano, colmi di terrore, nella mia mente che
ricostruiva le possibili e atroci dinamiche di quel disastro, vedevo
Russell che appiccava fuoco alla mia casa, vedevo la mia famiglia
intrappolata tra le fiamme e nelle mie orecchie c’erano le urla
che ero stata troppo lontana per sentire, le richieste di un aiuto che
non gli avevo concesso.
-NO!
Urlavo stringendomi le gambe al petto e affondando il viso tra le mani
mentre voci dentro e fuori dalla mia testa continuavano a ripetere che
era stata colpa mia, la voce di mia madre continuava a chiedermi dove
fossi, perché non li avessi salvati e neanche tapparmi le
orecchie serviva mentre il sangue mi pulsava frenetico nelle vene
pompato a mille dal cuore in tumulto.
-Hannah?- Sirius corse in cucina e si accasciò al mio fianco, stringendomi. –Per la barba di Merlino, che diav..?-
Si zittì mentre io continuavo a singhiozzare e lo sentii
irrigidirsi contro di me che mi ero abbandonata stretta tra le sue
braccia con il viso premuto sul suo petto nudo, incapace di respirare,
incapace di pensare.
-RIDDICULUS!- urlò quella parola con rabbia ed io singhiozzai
ancora più forte mentre lui mi prendeva tra le braccia e mi
sollevava.
-Va tutto bene, Hannah, non era reale.
-Si che lo era.. io.. loro sono morti ed io.. io non c’ero e..-
parlavo a fatica con voce strozzata tirando forte i capelli quasi a
volerli staccare dalla testa mentre lui cercava di allontanare le mie
mani per evitare che mi ferissi. Ma non sentivo alcun dolore fisico
mentre affogavo dentro me stessa e dentro la mia più grande
paura.
-Sono sola, adesso, Sirius.-
-Ssh.- mi posò delicatamente su un letto che riconobbi come il
suo e mi prese il viso tra le mani. –Hannah, guardami.-
Continuavo a singhiozzare e non riuscivo ad aprire gli occhi ancora colmi di lacrime che sembravano scottare e sanguinare.
-Non era reale, Hannah, era una creatura magica. I Mollicci si
trasformano nella cosa che più temiamo e se non sei preparato ti
annientano come quello di prima ha fatto con te. Devi credermi.-
-NO!-
-Chiama i tuoi genitori, vedrai che stanno bene.- mormorò
porgendomi il mio cellulare e scostandomi i capelli fradici di lacrime
dal viso. –Ma prima respira, li ucciderai tu se ti sentiranno in
queste condizioni, sai? Se ti vedessero poi..-
Il tono dispettoso che aveva adoperato mi scosse ed emisi uno strano
suono a metà tra un singhiozzo e un risolino isterico.
Afferrai il telefono e come in trance composi il numero del cellulare
di mio padre che rispose dopo così tanti squilli che mi
sembrò di impazzire.
-Pronto?-
-Papà!- cercai di reprimere le lacrime di gioia e sollievo che tuttavia ricominciarono a rigarmi, copiose, il viso.
-Tesoro che succede?- chiese allarmato e potei immaginarlo mentre si
tirava a sedere sul letto facendo saltare in aria mia madre; “Sta
male?” la sentii infatti mormorare dopo qualche istante mentre
una improvvisa e irrefrenabile voglia di ridere e piangere insieme mi
invadeva come una scarica.
-Niente, niente solo.. un brutto sogno e avevo bisogno di sentire la
vostra voce.- confessai, imbarazzata, sperando di suonare credibile.
Seguirono lunghi istanti di silenzio e poi un grugnito contrariato.
-Lucy torna a dormire, tua figlia è semplicemente pazza.- lo
sentii biascicare, nervoso, e mi ritrovai a sorridere come una scema
sotto lo sguardo sollevato di Sirius che, seduto accanto a me, mi
fissava con una espressione finalmente rilassata e quasi divertita.
-Non sono pazza, è solo che mi mancate e..-
-No, infatti, non sei pazza, sei una criminale. Adesso torniamo a
dormire, fatti prescrivere una buona dose di valeriana che aiuti a
dormire te e noi.- sbuffò, probabilmente pentito del tono
scocciato che aveva assunto. -Anche tu ci manchi, Hannah, ma se
chiamassi che so.. all’ora di pranzo, probabilmente ti odieremmo
meno.-
-Scusatemi. Tornate a dormire, vi.. vi voglio bene.- risposi reprimendo un risolino.
Chiuse la chiamata ed io gli occhi, tirando un profondo respiro.
-Ti pregherei di farmi una carrellata di tutte le strambe creature in
cui rischio di imbattermi in tua compagnia perché, e dico sul
serio, la prossima potrebbe essermi fatale.-
Restammo stesi sul suo letto in silenzio fino a quando le prime luci
dell’alba non cominciarono a filtrare attraverso le persiane; mi
ero rannicchiata vicino al suo petto e ne inspiravo continuamente il
profumo che sembrava avere uno strano potere calmante sui miei nervi
così come le sue mani che mi accarezzavano piano i capelli
chiari intorpidendo i miei sensi fin quasi a farmi piombare di nuovo
nella dormiveglia.
-Cosa hai visto, tu?- chiesi ad un tratto sollevando lo sguardo per incrociare il suo.
-James. Il padre del mio figlioccio e mio migliore amico.- disse con un
filo di voce assumendo un’espressione malinconica che lo rese
improvvisamente vulnerabile ai miei occhi.
Sapevo, a grandi linea, la storia dell’omicidio dei Potter e
della sua ingiusta condanna ma decisi ugualmente di approfondire
l’argomento sperando che, parlarne, avrebbe affievolito il dolore
che quello scontro aveva rinnovato.
-E’ la tua più grande paura? Non capisco, hai detto che il
Molliccio si trasforma in ciò che noi più temiamo.-
-Mi guardava arrabbiato, il suo volto era pallido e gli occhi freddi mentre sembrava accusami della sua morte.-
-Sei innocente, perché avrebbe dovuto?-
-Perché fui io a consigliargli di scegliere Peter Minus come
Custode, pensai che se avesse scelto me sarebbe stato troppo scontato e
che nessuno avrebbe mai pensato a lui.
Non sapevo che fosse lo schifoso traditore che è diventato o
che, forse, è sempre stato.- parlò con concitazione e
istintivamente la mia mano corse ad afferrare la sua, stretta a pugno,
che subito si rilassò intrecciando le sue dita alle mie.
-Non potevi saperlo.-
-Forse se avessero scelto me sarebbero ancora vivi, io.. sarei morto piuttosto che tradirli.-
Gli circondai il torace con le braccia e mi strinsi a lui con il suo
cuore che batteva forte nelle mie orecchie e la sua pelle nuda e calda
contro la mia; dopo qualche istante di sorpresa rispose alla stretta e
ci ritrovammo intrecciati e vicini come non ricordavo che fossimo mai
stati.
Percepivo il suo dolore come fosse il mio e una parte di me aveva
sentito l’impulso di approfondire quel contatto come se fosse
scontato, come se non potessi farne a meno.
-Sirius.-
-Mh?- la sua risposta mi vibrò sulla pelle attraverso le labbra
premute contro la mia spalla scoperta dallo scollo della t-shirt.
-Voglio ricordarmi di te. Ti rivoglio indietro perché so che ci
sei, da qualche parte dentro la mia testa. Devo solo.. ritrovarti.-
Mi sollevai un po’ per portare il mio viso all’altezza del
suo e vidi i suoi occhi grigi brillare di una intensità
magnifica e affondare nei miei mentre con le labbra accarezzavo le sue,
prima piano, quasi impercettibilmente, poi con maggiore decisione
stringendo il labbro inferiore in un bacio vero.
Lo sentii fremere e poi le sue mani salirono lungo la mia schiena per
arrivare alla nuca e spingere il mio volto contro il suo mentre
respiravo l’aria da lui e non sentivo nient’altro.
Gli accarezzai il petto con le mani aperte e sospirò contro la
mia bocca mentre mi premevo contro di lui colta da una improvvisa
frenesia.
Le sue mani sembravano infuocare la mia pelle al loro passaggio e le
sue labbra morbide si modellavano sulle mie che rispondevano senza
alcun imbarazzo a baci sempre più passionali.
Percorse con la bocca la linea della mia mascella e poi il collo
facendomi sospirare forte e stringergli il viso tra le mani mentre le
sue mi sollevavano la t-shirt sfiorando la pelle che fino a quel
momento era rimasta nascosta da quell’ostacolo di cotone.
Jason non era capace di farmi sentire come stava facendo Sirius, il
sesso con il mio fidanzato, che non avrei più neanche dovuto
definire tale, non somigliava neanche lontanamente a quel che stava
accadendo tra di noi, non ne aveva l’intensità e mancava
l’intesa incredibile che invece si era istantaneamente creata
negli ultimi istanti.
Sapevo dove toccarlo, sapevo dove le mie labbra potevano farlo
sospirare e lui riusciva a farmi tendere come una corda di violino
rischiando di farmi impazzire anche solo guardandomi con quei suoi
occhi magnetici.
Mi ritrovai su di lui, le sue mani costringevano dolcemente il mio
corpo contro il suo mentre continuavo a baciarlo come se non potessi
mai averne abbastanza.
Rividi per un istante noi due nel salotto di una casa che non
conoscevo, vicini e imbarazzati e poi avvinghiati l’uno e
all’altra.
Sentii la sua voce nella mia testa che sussurrava parole dolci provenienti da ricordi che riaffioravano, incerti.
-Non
voglio più fare a meno di te, di questo. Voglio averti
così ogni volta che vorremo, guardarti non mi basta più.-
Esitai un istante, fermandomi e trattenendo il respiro.
-Quando
avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me ignote,
gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il minimo che
tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso di sabato
mattina.-
Istintivamente
mi venne da ridere e lo feci gettando la testa indietro mentre lui si
fermava, le mani ancora ancorate ai miei fianchi e lo sguardo confuso.
-Che ti prende?-
Ridevo di gioia e gli circondai il collo con le braccia premendo le
labbra sul suo collo tante e tante volte senza smettere di ridere.
-Non è gentile ridere in certi frangenti, te l’hanno mai detto?-
-Mi ricordo, Sirius. Mi ricordo di te.-
Emise una sorta di grido di gioia e si sollevò per abbracciarmi
forte facendomi ricominciare a ridere mentre rotolavamo sul letto come
due bambini un po’ troppo svestiti.
-Ora capisci perché avrei volentieri evirato quell’imbecille del tuo falso fidanzato?-
Song: Closing time - Semisonic
Artwork: HilaryC
Post
scriptum: Non odiatemi per il mio indecoroso ritardo, sono una giovane
studentessa universitaria che vive in una ridente cittadina sul
meraviglioso Mediterraneo.. non è facile conciliare l'estate con
le responsabilità, dalle mie parti! Vi adoro. Ciao.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15. Titanium ***
furrylove15
Furry Love
15. I'm bulletproof, nothing to lose
Fire away, fire away
Ricochet, you take your aim
Fire away, fire away
You shoot me down but I won't fall
I am titanium
Mi
rigirai piano nel letto trovando Sirius beatamente addormentato al mio
fianco. Stava sdraiato a pancia in giù, il lenzuolo copriva il
suo corpo nudo fino alla vita e il suo viso era rivolto verso di me,
rilassato e bellissimo. Mi ritrovai ad accarezzare con lo sguardo i
ribelli e lunghi capelli scuri che ricadevano sulle spalle in modo
disordinato e molto sensuale e sentii le guancie imporporarsi al
pensiero della notte appena trascorsa.
In tutto il tempo che avevo trascorso con lui senza ricordarmi del
nostro passato mi sembrava di aver perso momenti preziosi ma, da quella
notte, era cambiato tutto: avevo capito perché lo sentissi
così vicino, perché anche solo il minimo contatto mi
facesse continuamente rabbrividire e mi desse allo stesso tempo un
incredibile senso di sicurezza.
Sorrisi e mi alzai, piano, afferrando una delle sue camice ed
indossandola nonostante fosse ovviamente enorme per poi recarmi in
cucina.
Tutta presa dalla caffettiera e dalla scelta dei biscotti più
buoni non sentii il rumore dei passi di Sirius e sobbalzai quando le
sue braccia si strinsero attorno alla mia vita e poggiò la testa
sulla mia spalla, teneramente.
-Buongiorno.- lo salutai sorridente mentre mi voltavo per circondargli il collo con le braccia.
-Non può che essere un buon giorno quando trovi la tua donna che
prepara il caffè con la tua camicia addosso.- mormorò con
un sorriso storto prima di baciarmi e stringermi più forte a
sé.
Il mio cuore fece un balzo sentendolo definirmi come la sua donna.
Avevo avuto una lunga relazione con Jason basata, però, su una
montagna di bugie e omissioni che pesavano invisibili sul nostro
rapporto rendendolo sempre meno spontaneo di quanto avrebbe dovuto
essere mentre con Sirius era stato diverso sin dall’inizio. Dal
vero inizio.
-Sono la tua donna?-
-So che sei troppo forte e indipendente per poter pensare di appartenere a qualcuno ma quello che intendevo è..-
Mi sentii in dovere di bloccare quel fiume di giustificazioni dopo
averlo involontariamente messo in difficoltà perciò gli
posai l’indice sulle labbra e la fronte contro la sua. –So
quello che intendevi e sono felice di essere la tua donna, Sirius.-
Raramente avevo visto tutta quella felicità riempirgli gli occhi
e mi ritrovai a ridere forte mentre mi sollevava per poi depositarmi
sul ripiano della cucina.
Gli presi il viso tra le mani e lo tenni vicino al mio senza
però permettergli di baciarmi né attirarlo di più
a me e in cambio ottenni un’espressione confusa e quasi
indispettita.
-Tu cosa sei, invece? Il mio mago?-
-Beh, non so esattamente a quale tipo di magie tu ti riferisca ma si,
credo proprio di si.- mi prese in giro guardandomi con intensità
e malizia e dopo aver ricevuto un giocoso colpo in testa da parte della
sottoscritta prese a baciarmi il collo sorridendo contro la mia pelle
mentre con le mani sollevava la camicia.
-Questa me la riprendo.-
Trascorremmo giorni tranquilli, guardavamo film babbani, cucinavamo
schifezze, facevamo l’amore e restavamo fino all’alba a
parlare, parlare e ancora parlare di tutto e di niente, Sirius mi
raccontava dei mesi in cui io ero stata involontariamente qualcun
altro, mi raccontava del suo mondo e rispondeva, come sempre, ai miei
interrogativi sulle stranezze della magia mentre io, d’altro
canto, andavo ripescando nella memoria tutte le cose che ancora non
sapeva di me per far in modo che mi conoscesse davvero e completamente.
Non avevo mai sentito il bisogno di mentirgli né di agire di
nascosto fino a quel giorno di Aprile, il cielo sembrava di malumore
proprio come me e furiosi lampi continuavano a squarciare quella
distesa di nuvole troppo scure e cupe considerato che l’orologio
segnava solo le tre del pomeriggio.
Continuavo a girare in tondo intorno al tavolo da cinque minuti senza
avere la minima idea di cosa fare: un’ora prima il mio cellulare
aveva squillato avvisandomi di un messaggio in arrivo e il mittente era
in assoluto la persona più inaspettata del pianeta, la persona
alla quale avrei volentieri tirato in testa il tavolo della sala da
pranzo e strappato i capelli, uno per uno, a mani nude.
“Alle 5 in punto a casa tua, ho bisogno di vederti. Ti prego, dammi la possibilità di spiegarti.”
Dargli la possibilità di spiegare cosa? Come mi aveva
impunemente ingannata giocando al piccolo telecineta con la mia testa o
per avermi incasinato la vita con tutte quelle stronzate da brutti
stregoni cattivi?
Eppure una parte di me voleva sapere, aveva bisogno di sapere.
Avevo appreso da Sirius che ci trovavamo in una zona periferica di
Londra discretamente lontana dalle aree abitate ma c’era una
metro babbana a dieci minuti da casa; dovevo solo arrivarci senza che
lui lo sapesse.
Sapevo perfettamente che questo lo avrebbe ferito, sapevo anche che si
sarebbe spaventato a morte ma se gliene avessi parlato non mi avrebbe
mai appoggiata in quella follia.
-Han, faccio una doccia. Vuoi venire?- chiese allegro dal bagno.
-Fa freddo, magari dopo!- risposi sperando ce non si insospettisse e strinsi gli occhi in attesa.
-Peggio per te, donna!- borbottò ironico mentre tiravo un profondo respiro, sollevata.
Aspettai di sentire lo scroscio dell’acqua e afferrai carta e
penna scrivendo un biglietto che dimostrasse che non ero stata rapita
per poi uscire, in silenzio, e muovermi veloce lungo la strada un
po’ dissestata; mi voltai indietro dopo qualche minuto e,
incredula, mi accorsi che la casa non c’era più, doveva
essere uno degli incantesimi di protezione che vi erano stati fatti
intorno e mi sentii quasi sollevata prima di realizzare probabilmente
non sarei più riuscita a superare a barriera neanche se avessi
voluto.
“Scusami, Sirius. Andrà tutto bene e tornerò da te. Ti amo.”
Senza perdere altro tempo mi affrettai seguendo le indicazioni verso la
metropolitana e, una volta arrivata, scesi di corsa le scale mentre il
consueto puzzo di chiuso e rotaie arrugginite mi invadeva le narici
ricordandomi di quella assurda notte in cui tutta quella follia aveva
avuto inizio.
Vidi il treno avvicinarsi e saltai su non appena le porte si aprirono
senza guardami indietro. Sirius si sarebbe davvero arrabbiato da matti.
Quando arrivai davanti a casa mia erano passate da poco le cinque del
pomeriggio e la villetta schiera non mi era mai sembrata tanto
spettrale ed estranea.
Era stata casa mia per tanto tempo ma anche testimone silenziosa di una
montagna di bugie che mi aveva reso tremendamente insicura. Una volta
crollato quel castello di inganni mi ero resa conto di essere stata in
pericolo per tutti il tempo. Jason mi avrebbe davvero fatta fuori al
comando di suo padre? Ne sarebbe stato capace?
Lo avrei scoperto di lì a pochi minuti, pensai mio malgrado
percorrendo il patio fino alla porta e fissando lo sguardo sulla
superficie lignea. Respirai profondamente chiudendo gli occhi e
racimolando coraggio e determinazione per poi girare la chiave nella
serratura che scattò immediatamente, evidentemente già
aperta da qualcun altro. Jason aveva una copia delle mie chiavi ed era
di certo dentro ad aspettarmi.
Era ora di dar inizio alle danze.
-Jason?- chiamai ad alta voce cercando di suonare il più decisa
e sicura possibile e guardandomi intorno. –Jason piantala lo so
che ci sei, la porta era aperta. Non credi di aver già dato in
quanto a bugie e omissioni?-
-Non abbastanza, signorina Kane.-
Quella voce non apparteneva a Jason e ne ebbi la conferma quando
Russell senior si fece avanti dopo essere passato inosservato fino a
quel momento, seminascosto nell’oscurità di un angolo buio.
-Lei.- scandii stringendo i pugni per celare il tremore.
–Jason manda paparino agli appuntamenti con la sua fidanzata?-
continuai cercando di apparire sprezzante e di riversare in quelle
parole tutto il veleno che avevo accumulato dalla sera in cui ero
scappata da casa Russell. O forse, a memoria recuperata, da molto prima.
-No, mia cara, Jason non sa del nostro appuntamento.- rispose quello
con tono altrettanto corrosivo sollevando un cellulare che riconobbi
essere l’iphone del mio ex-fidanzato.
Inspirai a fondo e lanciai velocemente un’occhiata intorno a me
per cercare una via di fuga come il mio istinto di sopravvivenza mi
suggeriva.
-Non puoi scappare, stupida ragazza. Questa casa sarà la tua
tomba.- spiegò l’uomo facendo oscillare tra le dita una
bacchetta magica. Notai che non indossava il mantello nero che avevo
sempre visto addosso ai Mangiamorte in azione.
-Scommetto che fuori è pieno di maghi come lei.- sputai tra i
denti indicando la finestra con un cenno del capo mentre lui annuiva,
semplicemente. –Mi sento lusingata. Non credevo che la mia
esecuzione richiedesse la presenza di più maghi
contemporaneamente. Devo avervi sopravvalutati.-
La mia indole da giurista mi consigliava di continuare a tergiversare.
Anche Russell era un avvocato e magia o no non si sarebbe fatto
scappare l’occasione di uno scontro a base di retorica e
presunzione. Ne ero certa.
-Sono venuti per trattenere chiunque pensi di aiutarti. Che si tratti
di mio figlio e di qualunque altro stolto che, stanne certa,
morirà per causa tua.-
Pensai a Sirius sperando ardentemente che non venisse in mio soccorso e
che quantomeno, una volta trovato il mio biglietto, trovarmi avrebbe
richiesto più tempo possibile.
-Sarebbe disposto ad uccidere il suo stesso figlio per togliere di mezzo me?-
Russell si strinse nelle spalle mentre un raggio verde mi raggiungeva
ed io mi ritrovavo tempestivamente inginocchiata a terra per schivarlo.
-Non male per una babbana, Kane. Di certo la magia ha perso l’elemento sorpresa.-
Scattai in piedi e feci per correre verso la porta ma un raggio di luce
mi si avvolse intorno ai piedi e caddi prona parando l’impatto
con le mani aperta.
-Per poco non rovinavi quel tuo bel faccino.- cantilenò,
mellifluo, camminando verso di me. –Bada che non ti
servirà ancora per molto.-
-Perché non mi uccide?- ringhiai voltandomi in modo da sedermi
rivolta verso di lui mentre il suo incantesimo mi impediva qualsiasi
minimo movimento degli arti inferiori dal ginocchio in giù.
Ero spacciata, non c’era alcun dubbio su questo. Ma non sarei morta supplicando né piangendo.
Non era mai stato nella mia natura, non mi mostravo debole mai davanti
a nessuno perché odiavo l’idea che chiunque volesse
schiacciarmi avesse la soddisfazione di vedermi cedere e, se fino a
quel momento quella era stata solo la metafora della mia infrangibile
dignità, in quelle circostanze aveva assunto contorni più
reali e definiti mentre Russell premeva la scarpa griffata e
perfettamente lucida sulla mia spalla costringendomi a terra.
-Perché mi hai creato più problemi di quanti avrei potuto
permettere e hai plagiato mio figlio rendendolo uno smidollato.-
Forse Jason mi aveva mentito, aveva giocato con la mia mente, ma di
certo non era crudele come il padre e mi sentii meschina per averne
dubitato. Jason non mi avrebbe mai fatto del male.
-Ma non è un problema, mi capirà un giorno o
l’altro e tornerà ad essere il promettente mago che era.-
-Che era prima di cosa? Di capire che suo padre è un bastardo?-
berciai divincolandomi ma ottenendo solo di conficcare la punta
rinforzata della sua scarpa nel collo e lui ne approfittò per
premere e rendermi difficile respirare. Sentivo ognuno dei miei sensi
acutizzato dal panico e dall’adrenalina che mi scorreva nelle
vene mentre il cuore rimbombava senza sosta in ogni parte del mio corpo
martellandomi nelle orecchie.
-Prima di incontrare te.-
Nonostante avessi ormai capito che le armi da fuoco non avevano una
grande utilità nello scontro con un mago, approfittai del fatto
che Russell non aveva idea che avessi una pistola con me e la estrassi
dalla tasca posteriore. Era una pistola piccola, di quelle da difesa,
ed era carica.
Gliela puntai contro e feci fuoco, fulminea.
Indietreggiò stringendosi la spalla destra, la bacchetta ormai
fuori dalla sua presa era rotolata fino a me e l’avevo afferrata
per impedirgli di chiamarla nuovamente a sé.
-Sorpresa.- sussurrai, cattiva, trafiggendolo con lo sguardo.
L’aria aveva ricominciato ad affluire nei miei polmoni e udii
numerosi schiocchi nella stanza, proprio alle mie spalle.
Un lampo di luce passò sopra la mia testa e raggiunse Russell
che si immobilizzò, come pietrificato. E forse lo era davvero.
Mi voltai verso l’origine del rumore sorridendo e pregustando
già la sensazione delle braccia forti di Sirius attorno a me ma
quello che vidi spense tutto il mio entusiasmo.
-Oh no. Ancora maghi.- mormorai, esasperata, affondando il viso tra le
mani e scuotendo forte il capo. Non ero affatto pronta per un secondo
round e di certo non avrei potuto affrontare uno schieramento di cinque
maghi pronti a cancellare la memoria di una testimone scomoda.
Sentii abbaiare forte e vidi un ammasso di pelo nero correre a rotta di
collo verso di me per poi cominciare a leccarmi il volto guaendo e
mugolando senza sosta.
Lo avvolsi tra le braccia affondando il viso nel folto pelo nero e
finalmente mi concessi qualche secondo di pace convinta che niente
sarebbe davvero potuto andare così male mentre
stavo stretta a lui, in qualunque forma si presentasse a me.
-Richard Russell lei è in arresto.- i maghi afferrarono Russell
e lo immobilizzarono con manette incantate sollevandolo a
mezz’aria mentre quello muoveva ferocemente gli occhi,
impossibilitato a muovere qualsiasi altro muscolo. –Suo figlio
Jason si è costituito e ha confessato tutti i crimini da voi
commessi, in combutta e singolarmente.-
-Signorina, venga con me.- uno dei maghi mi aiutò a sollevarmi e
mi rivolse uno sguardo gentile nonostante le sue intenzioni, per quando
politicamente corrette, non lo sarebbero state altrettanto.
Sirius, o meglio Rain, abbaiò forte posizionandosi al mio fianco con aria fiera.
-E’ il suo cane?-
Sorrisi, istintivamente, posandogli una mano sul capo. –Si.-
Song: Titanium - David Guetta ft Sia
Artwork: JeyCholties
Bene
rispondendo alla recensioni mi sono scusata singolarmente per il
ritardo (okay lo so, è più che un semplice ritardo)
nell'aggiornamento e lo farò anche qui. PERDONATEMI.
Questo
è il penultimo capitolo, il prossimo segnerà la fine di
un percorso che per me è stato importantissimo, come ho
già avuto occasione di dire Hannah rappresenta una parte di me,
forse più di una. E' il lato peggiore e il lato migliore di me,
è una giovane donna che crede ancora nell'amore e che non si
arrende mai davvero.
Ci
tengo a riabilitare per quanto possibile il personaggio di Jason del
quale ho adorato scrivere e sottolineo che il mio personalissimo
Fassbender versione mago era davvero innamorato di Hannah, non fingeva
affatto su questo. Lui, a differenza di Hannah, rappresenta per me
invece un sacco di cose che odio negli uomini ma che alla fine
finiscono per affascinarmi. Maledetti bipedi senza cervello.
I ringraziamenti generali li rinvio al prossimo capitolo che, non
temete, è già nero su bianco quindi non passeranno altri
trentordicimila ere, però ci tengo a ringraziare qui intanto le
mie due adorabili artiste, JeyCholties e HilaryC che hanno realizzato i
due bellissimi banner che ho alternato nel corso degli aggiornamenti e
che fanno, credetemi, davvero l'ottanta per cento della buona riuscita
dei capitoli.
See you soon, guys! <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16. Forever ***
furry love 16
Furry Love
16. And all the roads we have to walk are winding
And all the lights that light the way are blinding
There are many things that I would like to say to you
But I don't know how
I said maybe you're gonna be the one that saves me
And after all you're my wonderwall
Cara Hannah,
Tra qualche istante mi
consegnerò agli Auror e li manderò a casa tua dove, sono
certo, mio padre è venuto a cercarti.
Quando leggerai questa lettera
probabilmente sarà tutto finito, tu sarai viva e noi saremo ad
Azkaban, dove meritiamo di stare.
Hai tutte le ragioni del mondo per
essere infuriata con me, di sentirti delusa e tradita, dopotutto ti ho
detto tante, troppe bugie e non lo meritavi affatto.
Su di una cosa, però, giuro di
non aver mai mentito: ti amo, Hannah Kane e per questo, solo per
questo, sto per fare la cosa giusta.
Nei mesi trascorsi con te ho
ritrovato una parte di me che non credevo esistesse più, la mia
parte migliore, quella che merita una seconda possibilità ma
purtroppo non posso averla senza prima affrontare la giusta punizione
per la dissolutezza della vita mia e della mia famiglia, nella quale
non avrei mai dovuto né voluto coinvolgerti.
Ti auguro tutto ciò che di
buono tu possa ottenere dalla vita e spero ardentemente che, lontano da
me, tu possa riuscire a tenerti lontana dai guai anche se,
conoscendoti, domani stesso potresti imbatterti nella mafia russa e
uscirne comunque illesa. Sei una donna in gamba.
Tuo, Jason Russell.
Ritrovare
quella lettera tra i miei fascicoli a distanza di mesi mi fece
sorridere nonostante una sorta di nostalgia stesse prendendo piede
dentro di me, partendo dallo stomaco, come accadeva ogni volta che
leggevo quelle parole.
-Avanti!- urlai sentendo bussare alla porta per poi nascondere nuovamente la lettera in mezzo alle carpette.
-Signorina Kane, stamane è arrivato un gufo per lei. E’
del portavoce del Ministro Babbano, la transazione in seguito
all’incidente dei servizi igienici della metropolitana non
soddisfa le loro aspettative.- mi informò Gilda McStanley
entrando nel mio ufficio come un piccolo tornado dai capelli corvini e
parlando velocemente. –Non ritengono bastevoli le misure di
sicurezza adottate né la cifra stabilità per il
risarcimento.-
Sbuffai ributtandomi indietro sulla sedia girevole e mi portai le mani ai capelli stringendone alcune ciocche.
-Tutto per dei dannati gabinetti rigurgitanti.-
Non mi sarei mai davvero abituata ai nuovi oggetti delle mie pratiche
ma quell’incarico era stato senza dubbio la mia salvezza, una
volta chiuso lo studio di Richard Russell.
Dopo l’arrivo degli Auror, quel pomeriggio di quasi sei mesi
prima, uno di loro si apprestava a cancellarmi nuovamente la memoria ma
l’intervento di un altissimo e ieratico mago piuttosto anziano
aveva rimescolato le carte.
Albus Silente, preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts,
di cui Sirius mi aveva tanto parlato, non solo aveva convinto gli altri
maghi a non obliviarmi ma mi aveva persino procurato un colloquio al
Ministero della Magia per il posto di Legale per Le Controversie con i
Babbani.
Ed eccomi lì, sommersa da pratiche più o meno assurde, in un ufficio abbastanza grande da poterci dare una festa.
-Gliela lascio qui, la lettera.- mi informò Gilda depositando
una busta sulla mia scrivania. –E’ tardi. Dovrebbe andare a
casa, signorina Kane.-
Sorrisi raggiante e mi alzai in piedi. –Hai ragione, Gilda. Ci vediamo domani mattina.-
I corridoi erano affollati e corsi per raggiungere l’ascensore incastonandomi in mezzo agli altri impiegati del Ministero.
-Oh, buonasera signor Weasley!-
L’adorabile mago dai capelli rossi con cui mi trovavo spesso a
collaborare ricambiò con un sorriso e mi strinse la mano con
fare tutt’altro che formale. –Ciao, Hannah! Tutto bene?-
-Direi di si, anche se sembra proprio che la storia dei gabinetti della metropolitana non finirà mai.-
Arthur Weasley sembrò pensieroso. –Faccenda spinosa, non hanno smesso di rigurgitare per tre giorni di fila.-
Non essendo una strega non potevo utilizzare la metropolvere né
le passaporte, ragion per cui il percorso di uscita era per me
decisamente più lungo così come la durata del tragitto
verso casa; quando finalmente mi ritrovai per strada, alle sette di
quella tiepida sera di Ottobre, la quiete e il silenzio che mi
circondavano mi sembrarono la ricompensa migliore dopo una lunga
giornata di lavoro; anche se, pensai, la vera ricompensa mi aspettava
in una casetta appena fuori Londra e stava probabilmente coccolando
Fierobecco invece che me.
Sirius continuava a nascondersi, ancora latitante, ed io continuavo a
sgattaiolare da lui ogni giorno, incapace di stargli lontana.
Guidai fino a quella che era ormai più casa nostra che sua e
infine lo trovai steso sul divano e intento a sonnecchiare con
un’espressione serena e adorabile.
-Sveglia, brutto addormentato.- sussurrai sulle sue labbra stendendomi
accanto a lui e spingendolo un po’ per farmi spazio.
-Uhm.- mugugnò agitandosi un po’.-perché sei sempre così irruenta e prepotente?-
Lo fissai accigliata. –Perché quando torno dal lavoro dopo
una giornata sfiancante gradirei un po’ di attenzioni da parte
del mio uomo.-
-Sei ancora nervosa per la storia delle Cassette MangiaLettere?-
domandò quasi pentito abbracciandomi e stringendomi a sé.
–E’ stato uno scherzo di pessimo gusto, non devi per forza
difendere quell’idiota.-
-Non sono nervosa ma è l’unico modo per ottenere un tuo abbraccio, a quanto pare.-
Era bello esattamente come il primo momento in cui i miei occhi si
erano posati su di lui, quando con la camicia azzurra di mio padre si
era accostato al mio letto con un bicchiere di acqua zuccherata dopo
avermi recuperata sulle rotaie della metropolitana.
Addolcii lo sguardo e gli accarezzai la barba curata e poi le labbra
che senza neanche riflettere mi chinai a baciare; ogni cosa di lui
continuava ad esercitare su di me un’attrazione incredibile,
sembrava quasi che le nostre mani fossero fatte per stringersi e le
nostre gambe per intrecciarsi.
Mi baciò dolcemente a sua volta, sorridendo divertito. –Sei molto stanca?-
Lo fissai interrogativa e lievemente accigliata per quella domanda
fuori luogo. –Non più del solito, perché?-
Si tuffò sulle mie labbra e cominciò a sbottonarmi la
camicia senza lasciarmi il tempo di fare o dire alcunché.
-Perché ho intenzione di farmi perdonare.-
-Coff coff.-
Mi staccai dalle sue labbra e tirai via le sue mani dalla mia camicia
nonostante lui opponesse resistenza per poi voltarmi e trovare un
imbarazzatissimo Remus Lupin ritto sulla soglia della cucina.
-Oh, dannazione Lunastorta! Dobbiamo proprio ritornare allo stratagemma
della cravatta sulla maniglia?- sbuffò Sirius mettendosi a
sedere e rivolgendo uno sguardo torvo all’amico che si
grattò la nuca, in difficoltà.
-Allora eri uno studente scapestrato, non un ricercato, e non avevo
motivo di materializzarmi nel tuo salotto.- rilanciò
l’altro, logico.
Non ero esattamente sicura del mio stato d’animo relativo alla
storia della cravatta sulla maniglia e della sua funzione e palesai il
mio disappunto strattonando la mia camicia dalla sua presa e cominciando a riabbottonarla.
-Beh? Che succede?- tagliò corto il mio uomo all’indirizzo dell’amico dopo avermi rivolto un sorriso storto.
-Abbiamo potenzialmente un bel problema. Karkaroff è ad Hogwarts.
Vidi l’espressione di Sirius cambiare mutando repentinamente in una smorfia di rabbia mista a fastidio.
-Chi è Karkaroff?- chiesi spostando lo sguardo da lui a Remus che si fissavano accigliati.
-Un maledetto idiota come il tuo ex-fidanzato.-
Sorvolai sull’acido contenuto in quelle poche semplici parole e restai in silenzio in attesa di capirci di più.
-Perché?-
-Quest’anno avrà luogo il torneo Tremaghi e lui è
il preside di Durmstrang.- spiegò, ovvio, Remus scuotendo il
capo e allargando le braccia. –Hannah credi di poter tenere occhi
e orecchie aperte al Ministero? Nel caso Malfoy si lasciasse sfuggire
qualche parola di troppo.-
-Non lo fa mai.- sbottò brusco Sirius alzandosi in piedi.
–Per di più Hannah deve restare fuori da questa ennesima
follia.-
Mi alzai dietro di lui e lo rincorsi per fronteggiarlo. –Ho
neutralizzato da sola un dannatissimo Mangiamorte, credo di potermi
rendere utile.-
La mia non era una gentile offerta di collaborazione ma una brusca
presa di posizione. Odiavo essere trattata come l’anello debole
solo perché non avevo i loro abracadabra a disposizione.
Nell’ultimo anno e mezzo mi ero ritrovata costretta a fare i
conti con la magia in più occasioni di quante ne potessi
immaginare e se c’era una cosa che avevo capito era proprio che i
seguaci di Voldemort erano dei folli megalomani e che la paura delle
conseguenze avrebbe sempre e comunque impedito loro di disertare
davvero. Al Ministero mi ero imbattuta, grazie alla mia straordinaria
capacità di infrangere più o meno volontariamente ogni regola esistente, in alcuni fascicoli ufficiali del Wizengamot, o meglio in
infiniti tomi attestanti i processi a non pochi Mangiamorte, e mi era
parso con non scarsa evidenza che la redenzione non rientrasse mai
davvero tra le loro opzioni, testimonianze o meno che avessero fornito.
-Devo parlare con Harry. Troverò un modo.- continuò
Sirius prendendomi la mano e stringendola nella sua in segno di scuse.
Ricambiai la sua stretta intrecciai le mie dita fredde alle sue.
Era l’inizio di un’altra folle avventura magica e, in
qualche modo, ero felice di essere al fianco di Sirius. Per quel che mi
riguardava, mi ritrovai a pensare, lo sarei stata per sempre.
The end
Song: Wonderwall - Oasis
Artwork: HilaryC
Finita. Adesso è davvero finita ed è arrivato il momento di tirare le somme.
Credo
di averla già ringraziata nel corso degli aggiornamenti di
questa storia, di Time after time e di tutte le mie storie precedenti
ma intendo rifarlo perchè, davvero, senza di lei non avrei
portato a termine nessuno di questi percorsi. Grazie, Letstarthekilling.
Non ti ringrazierò per aver letto/corretto/sopportato i miei
deliri ma per essere sempre stata mia amica, tutto il resto è
solo una adorabile conseguenza e un salvifico intervento sulla
discutibile punteggiatura. Vabbè. Non amo le smacerie, lo sai,
perciò.. buona la prima.
Grazie, nuovamente, a JeyCholties e HilaryC
per i loro meravigliosi banner, vi linko le loro pagine perchè
sono eccezionali qualsiasi cosa facciano (nel caso di Jey anche nelle
registrazioni di Whatsapp :P).
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=218066 <-- JeyCholties (pagina EFP)
http://hilarycolsenbanner.tumblr.com/ <-- HilaryC (pagina Tumblr)
Un
bacio gigantesco poi a tutti coloro che hanno seguito la mia storia,
che l'hanno messa tra i preferiti o l'hanno recensita, a tutti coloro
che, insomma, sono in qualche modo entrati in questo mio piccolo mondo
fittizio e hanno condiviso anche solo una o due emozioni con la
sottoscritta. GRAZIE.
Ultima
(giuro) puntualizzazione per quanto riguarda il finale un po' "aperto":
ritengo che in un fandom enorme come è quello di HP e in un
universo altrettanto spettacolare qual è quello inventato dalla
Row sia giusto lasciare il giusto spazio all'immaginazione e ognuno,
dunque, può immaginare la love story di Sirius e Hannah da
questo momento in poi come meglio crede.
Detto
questo, però, badate bene che non si tratta di un addio.
Sentirete ancora parlare di me ed io mantengo sempre le mie minacc..
promesse. Alla prossima!
Anna.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2630106
|