All you need is love and some chocolate

di _charlotteedwards99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                  All you need is love and some chocolate

   Capitolo 1

Passeggiava da sola davanti a quel mare dalle mille sfumature dorate interrotte da qualche raggio rossiccio del sole calante. Era in vacanza con i suoi genitori, in una noiosa vacanza in Francia. Il paese dell’amore. L’amore. Quella cosa che lei non aveva mai trovato. Strano data l’età. Sedici anni di pura solitudine. Sedici anni senza aver mai trovato un ragazzo. Sedici anni vissuti senza nessuno che l’abbia mai amata. Sedici anni con la consapevolezza di non aver mai trovato un ragazzo, per colpa del suo aspetto fisico. Per colpa dei suoi capelli mossi color cioccolato, sempre disordinati. Per colpa dei suoi occhi neri sempre lontani da tutto e da tutti. Per colpa dei suoi fianchi un po’ troppo prosperosi e della sua esagerata altezza. Forse anche per colpa del suo carattere. Era una ragazza fin troppo calma, solitaria e chiusa in sé stessa, non faceva facilmente amicizia e non le piaceva stare al centro dell’attenzione. Continuava a passeggiare da sola, voltava la testa di tanto in tanto alle sue spalle per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Non sapeva che fare mentre guardava le luci multi color di una festa davanti ai suoi occhi. Sarebbe andata a divertirsi? No. Non era quello il suo genere di divertimento. Preferiva di gran lunga le cose più tranquille. Preferiva star stesa sulla sabbia fredda a fissare le stelle senza pensare e niente, senza pensare alla sua vita, ai suoi amici, alla sua famiglia. Preferiva annebbiare totalmente le mente e la ragione per qualche secondo. Preferiva perdersi in quell’immensità e annegare nel blu indaco tutti i pensieri e i problemi giornalieri. Continuò a camminare bagnandosi i piedi con l’acqua limpida e ghiacciata che pian piano stava diventando nera, per qualche altro metro, fin quando non risalì il bagno-asciuga e si stese a terra a gambe unite bagnandosi le spalle con la sabbia umida e i sassolini freddi che ricoprivano gran parte della spiaggia. Non si preoccupava dei suoi vestiti che si sarebbero sicuramente rovinati. A lei non importavano questo genere di cose. Odiava la moda e lo shopping. Era l’esatto contrario di una normale sedicenne. Lei non era normale, questo lo sapeva. Sapeva di essere una ragazza strana in tutto e per tutto, per questo non aveva amici, o meglio, aveva Lucy, ma per lei non era un’amica, era una sorella. Si erano conosciute in prima elementare, ed erano subito diventate inseparabili. Comunque, ritornando a noi … la sedicenne era ancora lì, immobile. Di tanto in tanto buttava lo sguardo sulla discoteca dove si stava svolgendo la festa. Immaginava già la scena: persone che si dimenavano a destra e a manca, alcool, droga e chi più ne ha più ne metta. Non avrebbe messo piede lì nemmeno per tutto l’oro del mondo. Ad un certo punto, mentre era immersa nei suoi pensieri, sentì una presenza alle sue spalle. Alzò lievemente la testa affossata nella sabbia e la prima cosa che vide furono delle All Star bianche. Non si mosse, rimase immobile, impassibile, aspettando qualche reazione dallo sconosciuto. D’improvviso questo si piegò sulle ginocchia, tese una grande mano verso la ragazza e con una voce roca e impastata si presentò:
  • Ciao, io sono Harry, tu?
La ragazza alzò lo sguardo e lo poté finalmente vedere in viso. I suoi occhi. Questi furono la prima cosa che la ragazza notò. Iridi completamente verdi, luminose come smeraldi e magnetiche come calamite, sembravano degli specchi che riflettevano gli ultimi raggi pallidi del sole. Le sue labbra rosee erano aperte in un gioviale sorriso che metteva in mostra due adorabili fossette. Aveva dei capelli color nocciola con riflessi dorati che gli ricadevano scompigliati sulla fronte. Erano mossi, come i suoi, quelli della nostra sedicenne, ed erano completamente bagnati facendo sì che piccole goccioline di acqua salata gli scorressero sulle guance rosse. Indossava solo un costume dai colori sgargianti, bagnato anch’esso, come tutto il resto del corpo. “Strano, indossa un costume e delle scarpe da ginnastica” pensò la sedicenne. Appena la ragazza riuscì a realizzare che un ragazzo di nome Harry le avesse posto una domanda si svegliò dal suo stato di trance e si affrettò a rispondere con un sussurro:
  • Charlotte -
Il ragazzo non smise di sorridere e si sedette affianco a lei. Harry era lì solo per riuscire ad uscire con quella ragazza misteriosa, farla innamorare, e magari spezzarle il cuore. Infondo era quella la scommessa che aveva fatto con Louis e Niall. Doveva riuscirci. Doveva riuscire a baciare quella ragazza in una sera. Così, senza dire niente iniziò a fissare il mare. Charlotte era stupita, non era mai stata da sola con un ragazzo, e questa cosa non le piaceva affatto. Si sentiva in imbarazzo, si sentiva terribilmente osservata. Ad un certo punto il ragazzo si voltò verso la sedicenne e lentamente disse:
  • Sei qui in vacanza? -
Charlotte non si girò nemmeno, forse per non far notare al ragazzo le sue guance che stavano letteralmente andando a fuoco, e con la sua dolce e timida voce disse:
  • Sì, sono in vacanza con i miei. Tu? -
Lei non era realmente interessata al ragazzo, non le interessava sapere se lui era in vacanza oppure no, magari, dopo quella sera non l’avrebbe più rivisto, gli aveva posto quell’insignificante domanda solo per cortesia.
  • Sì sono in vacanza con i miei migliori amici – rispose lui con non-chalance , ma anche con un pizzico di delusione, forse per le risposte brevi e disinteressate della sedicenne.
  • Quanti anni hai? – continuò Harry.
La ragazza era rimasta spiazzata, perché quel ragazzo continuava a farle domande?
  • Sedici -
Solo questa fu la sua risposta. Non disse neanche un “tu?”, non lo riteneva necessario. Il ragazzo avrebbe comunque risposto continuando ad infastidirla. Infatti, dopo pochi secondi Charlotte risentì quella voce roca e impastata.
  • Io diciotto –
Sembrava quasi che volesse far sentire la sedicenne inutile, piccola e indifesa.
  • Forte – disse la ragazza.
Charlotte non avrebbe mai pensato di rispondere in quel modo, ma era proprio quello che pensava, desiderava avere diciotto anni più di qualunque cosa in quel momento. Continuarono a fissare il mare e il cielo che sembravano un tutt’uno per una manciata di secondi che parevano interminabili, fin quando Harry si stancò di questo clima distante e freddo, così passò all’azione. Decise di rompere il ghiaccio, decise di porre alla ragazza la domanda che lo aveva portato a sedersi vicino a lei.
  • Come mai sei qui da sola? Perché non sei alla festa a divertirti? – disse incuriosito.
La stava mettendo in difficoltà? Probabilmente sì, ma a lui non interessava. Certo, forse se ne sarebbe andata senza dare una risposta ad Harry lasciandolo lì come un deficiente.
  • Se ci sei tu non sono da sola. E … le feste non mi piacciono – disse Charlotte molto diretta e con un tono di voce più presente.
Harry nel frattempo scoppiò in una sonora risata.
  • Hai ragione ci sono io – disse avvicinandosi sempre di più alla sedicenne.
  • Ti do fastidio? – finì fermandosi di botto.
Si conoscevano da poco, molto poco, non era una domanda sensata, ma da quanto aveva potuto osservare Charlotte il ragazzo sembrava presuntuoso, antipatico, impiccione, saccente, arrogante, troppo vicino al suo corpo, molto, ma molto fastidioso.
  • No – disse la ragazza – ma preferisco non dare troppa confidenza a ragazzi che conosco da appena due minuti -
Harry si allontanò velocemente. Sapeva che quella ragazza sarebbe stata una vera e propria sfida, ma, doveva essere sua.
  • Lo sai che sei simpatica? – disse all’improvviso il diciottenne.
Charlotte non sapeva che dire, era stata scontrosa, superba, distante, conosceva quel ragazzo da tre minuti e già le aveva fatto un complimento. Non era mai successo, non era mai successo che un ragazzo le avesse fatto un complimento, nemmeno suo cugino. “Probabilmente ha qualche scopo secondario” pensò Charlotte che comunque cominciò ad agitarsi. Non sapeva come comportarsi e diventò immediatamente rossa. Le sue guance erano infuocate e la sua bocca aveva incominciato a seccarsi. Harry se ne accorse, era soddisfatto dei suoi complimenti alla “Casanova”.
  • Che fai? Diventi rossa? Non te l’aveva mai detto nessuno che sei simpatica? – disse lui d’improvviso.
Charlotte si sentì mancare, come aveva fatto a capirlo? Sì, le guance erano rosse, ma era sera, come aveva fatto a notarlo?
  • E’ così tanto evidente? Comunque no, nessun ragazzo mi ha mai fatto un complimento. Sei tu il primo – disse la ragazza.
Harry credeva di aver fatto bingo. Era sicuro che avrebbe vinto la scommessa e le sue £200. Però, quello non era il tipo di ragazza che voleva far soffrire. “Sembra piccola, indifesa, innocente …” pensò lui.
Stettero entrambi in silenzio per un po’ fin quando Harry si alzò in piedi tendendo la sua mano destra verso il corpicino smilzo della sedicenne.
  • Ti và … t-ti và di ballare? – disse.
Le parole non riuscivano ad uscirgli scorrevoli, provava timidezza verso la ragazza, imbarazzo, nervosismo. Perché? Perché quella ragazza gli faceva questo strano effetto? Fino a poco tempo fa, riusciva benissimo a darsi tante arie con la sedicenne, ma ora quando doveva fare il vero passo avanti iniziava a provare timidezza. Charlotte rimase scossa, stava iniziando a pensare che il ragazzo avesse seri problemi mentali.
  • Ballare? E dove? – disse lei alzando lo sguardo quasi disgustato.
  • Hai detto che le feste non ti piacciono. Balliamo qui – continuò il ragazzo facendo spuntare di nuovo un sorriso sulle sue labbra.
No, lei non avrebbe mai accettato, non si sarebbe mai fatta toccare da un perfetto sconosciuto.
  • Senti, mi dispiace, ma io non sono il tipo che balla con ragazzi che ho appena conosciuto, su una spiaggia deserta. Alla festa ci sono moltissime ragazze, balla con loro, ti accontenteranno.- disse lei speranzosa.
  • Loro non sono come te. Io voglio ballare con te. – disse Harry.
Charlotte si rassegnò acconsentendo alla sua richiesta. Il diciottenne sempre con la sua grande mano destra aiutò la sedicenne ad alzarsi in piedi. Appena furono uno davanti all’altro Harry le cinse i fianchi facendo sì che i corpi dei due ragazzi combaciassero perfettamente. Charlotte non sapeva cosa fare, non aveva mai ballato con un ragazzo, così decise di appoggiare le sue piccole mani sudaticce sul collo del diciottenne e toccare i suoi riccioli umidi. Entrambi si accorsero che la musica delle casse della discoteca affianco non si addiceva al loro ballo lento e al clima che si era creato tra i due, così Harry decise di iniziare a cantare. Charlotte non aveva mai sentito una voce più dolce e celestiale della sua. Non sapeva bene che canzone stesse cantando il diciottenne, ma era consapevole che non l’avrebbe mai dimenticata. Passarono i minuti e i due ragazzi erano ancora lì che volteggiavano talvolta inciampando nei dossi di sabbia, ormai diventata nera. Si guardavano negli occhi cercando di capire le proprie intenzioni a vicenda, ma non ci riuscivano. Harry non riusciva a capire come conquistare la ragazza, e Charlotte non riusciva a capire cosa voleva quel ragazzo da lei. Il diciottenne continuava a cantare e Charlotte continuava a rimanere incantata dalla sua voce. La faceva sentire tranquilla, rilassata, le sue braccia, che le circondavano i fianchi, che ogni tanto si muovevano accarezzandole la schiena, la facevano sentire al sicuro, protetta. Quel ragazzo la faceva sentire bene. Era strano, non era mai successo prima. Ad un certo punto una voce la fece tornare sulla terraferma, non era Harry, il quale, aveva appena smesso di cantare, era una voce più sottile e squillante.
  • Harry! Harry! Che stai facendo? –
Il diciottenne lasciò i fianchi della ragazza e si allontanò leggermente da lei.
  • Louis? – disse Harry girandosi a sua volta.
Una figura nera si stava avvicinando ai due ragazzi i quali erano rimasti immobili. Charlotte non riusciva a capire niente. La prima teoria che le venne in mente, era che forse quel ragazzo era uno dei suoi migliori amici, quelli che erano venuti in vacanza con lui.
  • Forza, vieni! Ti stiamo aspettando tutti alla festa! – continuò il ragazzo appena arrivato.
 Non si riuscivano a distinguere bene i lineamenti del viso, così Charlotte decise di lasciar perdere il riconoscimento del nuovo arrivato.
Harry non disse niente, guardò Charlotte supplichevole come per convincerla a seguirlo. La ragazza era immobile, ferma , non sapeva che fare. Sentì un’altra voce, dal lato opposto della spiaggia. Una voce maschile a lei molto familiare. Quella di suo fratello, o meglio del suo fratellastro.
  • Charlotte! Ti ho cercato ovunque! – disse il ragazzo avvicinandosi.
  • Chi è lui? – continuò riferendosi ad Harry.
  • Ah, nessuno. Dai andiamo – disse la ragazza.
Harry non si era mosso continuando imperterrito a guardare la sedicenne sperando cambiasse idea all’ultimo momento. Questa aveva iniziato ad avvicinarsi a suo fratello per andare via, ma, Harry la bloccò prendendola per il polso sinistro. Charlotte si girò di scatto guardando prima il polso e poi Harry.
  • Aspetta! Dammi perlomeno il tuo numero! – disse lui stupendosi delle parole che gli erano uscite da bocca.
La sedicenne si avvicinò così tanto al ragazzo da riuscire a sentire i battiti del suo cuore, sempre più veloci.
  • Harry - era la prima volta che lo aveva chiamato per nome - credi nel destino?
Harry era leggermente deluso dalla risposta della ragazza, cosa voleva dire con “credi nel destino”?
  • Non lo so - disse.
Lui davvero non sapeva cosa significasse “destino”. Per lui era una parola senza senso, non ha mai pensato al destino, non ha mai pensato al futuro, per ora voleva godersi il presente.
  • Beh, allora, se il destino esiste ci incontreremo di nuovo. E ti darò il mio numero – disse la ragazza lasciando la presa di Harry.
 Si allontanò di nuovo da lui e finalmente raggiunse il fratello. Harry era sempre più sorpreso delle doti e delle risposte risolute di quella ragazza. Lo attraeva come non mai. Doveva per forza incontrarla di nuovo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Cinque mesi dopo …
Gli occhi di Charlotte si aprirono lentamente cercando di evitare i primi raggi del sole mattutino che entravano dalla finestra della sua camera. Continuava a rigirarsi nel letto. Aveva freddo e non sapeva come fare a riscaldarsi, così tirò le sue morbide a calde coperte color vaniglia fino al suo nasino ghiacciato. Aveva fatto di nuovo quel sogno, aveva sognato di nuovo quel ragazzo. Da quel 17 agosto non era più uscito dalla sua mente. Si alzò contro-voglia immaginando ogni attimo di quella sera. Varcò la soglia della sua stanza e velocemente raggiunse il bagno strusciando sul parquet la suoletta di plastica della sue pantofole di lana-cotta nere provocando un leggero e fastidioso rumore. Tutti dormivano ma Charlotte non si preoccupava di fare silenzio avrebbero dovuto comunque svegliarsi. Appoggiò la mano sulla maniglia d’ottone della porta di legno bianca del bagno, spinse provocando uno stridulo rumore, ed entrò. La prima cosa che vide fu la sua immagine riflessa nello specchio sopra al lavandino, posizionato proprio al centro della stanza. Si guardava, si scrutava, cercava di trovare qualcosa di bello in sé stessa. Ma non ci riusciva. Per quanto si sforzasse a trovare un pregio in ogni suo difetto davvero non ci riusciva. Decise di lasciar perdere lo specchio e di iniziarsi a lavare, altrimenti avrebbe fatto tardi a scuola. Già la scuola. Il suo inferno. Aprì l’acqua bollente della doccia e senza pensarci troppo si buttò sotto al getto. Avrebbe voluto passare tutta la giornata lì, immobile, sentendo l’acqua scorrerle sulle spalle, come se qualcuno l’accarezzasse e la stringesse a sé. Come aveva fatto Harry. Ricordava ancora il suo nome. E come dimenticarlo? Come dimenticare il nome del primo ragazzo che si era minimamente interessato a lei? Impossibile. Chiuse il rubinetto e aprì la prima anta che separava la doccia dal resto del bagno. Appoggiò il suo piede sinistro sul tappetino spugnoso a forma di cuore celeste e uscì dalla doccia raggiungendo lo sgabello dove era poggiato il suo accappatoio a pois. Lo prese e se lo mise velocemente addosso per asciugare in tutta fretta le goccioline che scorrevano su tutto il suo corpo. Ormai da quando aveva iniziato il liceo, cioè da tre anni, la sua vita era diventata completamente monotona, faceva le stesse cose ogni singolo giorno, era stufa di questa routine. Corse in camera sua per scegliere cosa indossare per la scuola. Spalancò le ante dell’armadio, cacciò quanti più vestiti poteva, e li lanciò tutti sul letto. Si abbassò per controllare quale delle sue tante inutili magliette avrebbe dovuto indossare per il primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie, ne prese una a caso e se la infilò, seguita dal pantalone e da una giacchetta. Scese velocemente le scale facendo attenzione a non inciampare nel tappeto davanti la porta e uscì di casa senza salutare nessuno. L’aria fuori era gelida, nevicava e Charlotte cercava invano di non bagnarsi i capelli appena lavati. Aveva un passo svelto, doveva raggiungere la scuola, e non avrebbe dovuto fare per nessuno motivo un altro ritardo. Si guardava intorno, vedeva solo grigio, con qualche mucchietto di bianco candido ai cigli della strada. Era stanca di quel posto, del posto in cui viveva da quando era nata, ma quel posto era proprio come lei, grigio, scuro, solitario. Continuò a camminare per qualche altra manciata di minuti cercando di far finta di non sentire quell’insopportabile rumore delle suole consumate delle sue Timberland gialle. Fin quando non arrivò davanti ad un palazzone color vainiglia e caramello, contornato da qualche arbusto sempre-verde, davanti a quel palazzone da dove uscivano ragazzi da ogni porta, davanti a quel palazzone che ha rovinato la vita a più di un milione di persone, comunemente chiamato “scuola”. Esatto la scuola, il peggior incubo di Charlotte. O meglio, non era tanto la scuola quello che rendeva la vita impossibile a Charlotte, non era quello, ma era un ragazzo che frequentava la sua stessa classe in biologia e storia internazionale, un pakistano, trasferitosi da tre anni nel quartiere più triste e meno popolato di Londra, un pakistano che si chiamava Zayn Jawaad Malik. Le aveva rovinato la vita, le aveva fatto dimenticare ogni ricordo felice che aveva della sua adolescenza e le aveva fatto provare sensazioni strazianti. Non la sopportava, le aveva distrutto l’esistenza e Charlotte ancora non aveva capito il perché. Quel ragazzo sì, era bello, quasi ogni ragazza gli sbavava dietro, ogni ragazza venerava la sua altissima cresta corvina, la sua pelle ambrata, le sue iridi color cioccolato d’inverno , ed oro d’estate. Ma Charlotte non era così, non aveva mostrato mai un particolare interesse verso quel ragazzo, forse era proprio per questo che Zayn la tormentava, non riusciva a sopportare l’indifferenza della ragazza. Charlotte, immersa nei suoi pensieri, non si rese nemmeno conto di essere già entrata nell’edificio che tanto odiava, e di aver già attraversato una buona parte del corridoio gremito di adolescenti fumatori e sciupa-femmine, di ragazzine solitarie o altre fin troppo loquaci. La sedicenne si avvicinò a quel gruppo di ragazze che avevano passato con lei tutto il primo quadrimestre, ma che solo Lucy era diventata ed era sempre stata la sua migliore amica. La società scolastica era divisa in gruppi, quasi come le caste in India, oppure come le piramidi sociali dell’antico Egitto. All’inizio c’erano i fighetti (compreso Malik) e le puttanelle della scuola (ovvero le cheerleader),si sa che loro sono sempre sulla vetta della piramide sociale, sotto ai fighetti c’erano quelle persone che non erano veramente importanti per la società scolastica ma che praticavano uno sport che sia basket o football e questo li avvantaggiava molto, ancora sotto c’erano i ragazzi e le ragazze del corso artistico che pur essendo una sottospecie in via di sviluppo di emarginati si davano da fare con i fighetti e le puttanelle, poi, alla base della piramide sociale c’era Charlotte, che faceva parte del gruppo degli emarginati totali, coloro che uscivano raramente, non partecipavano a feste e festini, che non avevano un ragazzo, che erano acidi con tutti, che erano i soliti secchioni che passavano i pomeriggi interi a leggere o a studiare, che preferivano il silenzio al rumore, che preferivano stare stesi a guardare il soffitto piuttosto che stare stesi a guardare la tv come persone normali. Beh, lei era fatta così. Appena arrivò davanti alle sue amiche accennò una forma di saluto alzando la testa, poi prese sottobraccio Lucy, che si trovava tra loro, e iniziarono a camminare dirette verso i propri armadietti. Camminavano velocemente e a testa bassa, cercando di non farsi notare dalla moltitudine di adolescenti che aspettavano il suono della campanella per poter entrare in classe. Appena arrivarono davanti ai propri pezzi di metallo scricchiolanti decisero di girarsi, aprire gli armadietti con discrezione e iniziare a parlare per non essere notate o sentite da nessuno.
  • L’ho sognato di nuovo Lucy! Non ce la faccio più! Forse saranno i sensi di colpa? Nel senso che quando potevo non gli ho dato il mio numero, e ora mi si rigira contro la cosa! – disse Charlotte cercando di “urlare in silenzio”.
La risposta di Lucy fu sempre la stessa e Charlotte decise di non dare più conto alle sue affermazioni ormai troppo scontate:
  • No, vedrai che prima o poi lo dimenticherai! Comunque lo sai che è arrivato un nuovo ragazzo e studierà qui solo per un anno? Non potrebbe essere lui? Si dice che venga da Londra, la vera Londra.
Appena Charlotte sentì queste parole, si girò di scatto, era interessata a capire chi fosse questo nuovo ragazzo, ma era più che sicura che non sarebbe stato il suo principe azzurro.
  • Non sarà sicuramente lui, la vita non è come nelle favole Lucy, lui rimarrà sempre e solo uno dei miei sogni e dei miei incubi nott… - Charlotte non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che qualcuno con forza appoggiò il gomito sul suo armadietto.
Appena si girò vide l’ultima persona che avrebbe voluto vedere sulla faccia della Terra. Zayn Jawaad Malik.
  • Ei Edwards, - disse riferendosi a Charlotte – senti, ho bisogno di ripetizioni di matematica extra e visto che tu sei brava pensavo che avresti potuto aiutarmi. –
NO. Charlotte non avrebbe mai e poi mai accettato, dopo tutto quello che le ha fatto passare, in tre anni d’inferno, ora pretendeva anche di voler fare delle ripetizioni di matematica. No, no e poi no!
  • Non ci pensare nemmeno! – disse Charlotte girandosi per andarsene, ma venne bloccata da Zayn che mise tutte due i gomiti sull’armadietto.
  • Che c’è? – disse con un sorrisetto malizioso – hai paura?
Charlotte non si fece sopraffare dal timore che aveva per quel ragazzo e rispose:
  • Quello che dovrebbe avere paura sei tu. Dovresti avere paura dei tuoi pessimi voti in matematica e del fatto che io non ti aiuterò mai e poi mai a migliorarli -
Appena Charlotte finì di dire quella frase Zayn si avvicinò pericolosamente al suo orecchio.
  • Non vorrai che ricomincio quello che non ho finito di fare l’anno scorso … -
Alla ragazza le si raggelò il sangue. Non di nuovo. Non avrebbe potuto sopportare di nuovo lo strazio che aveva passato l’anno precedente.
Zayn si allontanò notando che la ragazza non dava segni di vita.
  • Pensaci – le sussurrò prima di scomparire tra la moltitudine di persone.
Lucy che aveva assistito alla scena, si avvicinò immediatamente a Charlotte pretendendo delle spiegazioni.
  • Cosa ti ha detto? – disse lei allarmata.
  • No, niente di ché, le solite cretinate alla Malik.- rispose Charlotte mentendo spudoratamente.
Lucy non sapeva niente. Non sapeva tutto quello che le aveva fatto passare quel ragazzo. Tutte le volte che l’aveva maltrattata, tutte le volte che l’aveva picchiata, tutte le volte che era stata costretta a tornare a casa con qualche livido e qualche sbucciatura o taglio in più, tutte le volte che era stata costretta a mentire ai suoi genitori per non farli preoccupare. Lucy non sapeva chi era Zayn Malik, non sapeva come teneva in pugno la sua migliore amica, non sapeva quanto era pericoloso.
  • Ok, ma non ti fidare troppo di lui. – continuò Lucy dopo l’affermazione di Charlotte.
Fidarsi?! Come poteva fidarsi della persona che l’ha maltrattata, l’ha derisa e l’ha resa uno schifo per ben tre anni? Era impossibile.
 Ad un certo punto sentirono il suono della campanella. Dovevano andare in classe se non volevano essere richiamate per l’ennesima volta dalla professoressa d’italiano. Iniziarono a correre cercando l’aula di lettere. Arrivarono lì tutte accaldate. Mentre si sistemavano ai propri posti la prof entrò dicendo tre sole parole:
  • Compito in classe –
Nell’aula iniziò ad echeggiare un vocio, e tra le ventidue voci delle ventidue persone che formavano la classe c’erano anche quelle di Lucy e Charlotte.
  • Questa è pazza! – disse Charlotte
  • Solo ora lo capisci? – rispose Lucy.
Rimasero tutti in silenzio pronti per scoprire le tracce del compito. Finito di dettare, la prof si sedette di nuovo al suo posto iniziando a giocherellare con il suo cellulare di ultima generazione. Passarono le ore e finalmente quando suonò la campanella che avvisava dell’inizio dell’intervallo tutti consegnarono il compito catapultandosi fuori dall’aula. Lucy raggiunse un gruppetto che frequentava con lei il corso di biologia, mentre Charlotte rimase da sola, così decise di raggiungere il distributore di merendine per mangiare qualcosa. Iniziò a camminare più lentamente del suo solito, ma, senza accorgersene, si ritrovò con il sedere a terra. Era scivolata? No, il pavimento non era bagnato. Era inciampata? No, i lacci delle sue scarpe erano ben legati. Forse, qualcuno l’aveva fatta cadere? Charlotte alzò lo sguardo e lo vide. Iridi completamente verdi, luminose come smeraldi e magnetiche come calamite. Le sue labbra rosee erano aperte in un gioviale sorriso che metteva in mostra due adorabili fossette. Aveva dei capelli color nocciola con riflessi dorati che gli ricadevano scompigliati sulla fronte. Erano mossi, come i suoi. No, non poteva essere lui. Era impossibile. Non poteva essere qui. E invece era proprio davanti a lei. Sì, era proprio lui, era rimasto uguale, uguale a quel giorno, tranne per i capelli bagnati e il costume. Infatti indossava una felpa college blu e grigia, un jeans attillato e le sue solite ed amate All Star. Charlotte vide il ragazzo abbassarsi cercando di aiutarla con i libri che le erano caduti dalla sua stretta presa. Appena gli occhi dei due ragazzi s’incrociarono non riuscirono più a staccarsi.
  • Charlotte?  – disse il ragazzo
  • Harry? – disse la ragazza.
  • O mio Dio! Sei davvero tu?! – rispose il ragazzo
  • Sì! Ti giuro che non ci credo che sei davanti a me!- dichiarò Charlotte gioiosa.
Si alzarono contemporaneamente e una volta ricomposti Harry iniziò a parlare.
  • Dove eri andata? Nel senso che in vacanza non ti ho visto più! Eri come scomparsa! Ho chiesto a un sacco di gente di te, ma nessuno sapeva niente! –
  • Sono andata via il giorno dopo! Se l’avessi saputo ti avrei avvertito! – disse la ragazza più felice e sorpresa che mai – comunque che ci fai qui?
  • Ci studio da quest’anno! E tu? – domandò lui
  • Anch’io studio qui. E quindi sei tu il ragazzo nuovo? – rispose lei.
  • Già. – disse lui – Ehm … Che ne dici se mangiamo qualcosa insieme in giardino? Ah, no aspetta – disse mettendosi il braccio sulla fronte -  mi sta aspettando la mia ragazza in palestra. Sai, è il capitano delle cheerleader e mi ha chiesto se potevo vedere i suoi allenamenti oggi. E poi devo allenarmi anche io. Facciamo un’altra volta? Ti và?
Aveva una ragazza?! Tutta la felicità che Charlotte aveva accumulato con l’incontro col ragazzo era stata distrutta con “la mia ragazza”. Non se l’aspettava di incontrare di nuovo Harry, ma non si aspettava nemmeno che lui avesse una ragazza. “Ma ovvio che ce l’ha!” pensò Charlotte. Perché avrebbe dovuto pensare a lei? Perché avrebbe dovuto aspettare di incontrarla di nuovo solo per sperare nel suo numero di telefono?
  • Ok – disse Charlotte. Non era delusa, no. Era nervosa, arrabbiata, furiosa, ma non con Harry, con se stessa, si odiava. Già, si odiava.
  • Scusa, sul serio. Ci vediamo in giro – disse lui iniziando a correre verso la palestra.
  • E … ah – disse lui voltandosi immediatamente – stò iniziando a credere nel destino –
 A Charlotte scappò un sorriso. Quel ragazzo l’avrebbe fatta impazzire, ne era sicura.
La campanella suonò e la sedicenne non aveva nemmeno mangiato, così decise di andare nell’aula di matematica pronta ad affrontare un’ ora con il professor McQueen.

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