Someone

di Tripudium tantum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fallen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Someone
 
 
Prologo.
 

Solo un pensiero attraversò la sua mente appena vide i due cadaveri inermi nel pavimento.
Assassinio.
Aron Styles non aveva mai neanche lontanamente pensato che una cosa del genere potesse succedere a loro, ma quella parola gli alleggiava nella mente come dell'acqua dentro una bottiglia. Indietreggiò piano, pensando che stessero dormendo. Andò vicino a scuotere suo padre, e, notando che non accennava al solito sbadiglio, accompagnato da un “Buongiorno eroe” si preoccupò.
Si catapultò verso la madre, invocando più volte il suo nome; ma niente, non rispondeva.
Si guardò intorno spaventato, accartocciandosi sul muro. Cominciò a piangere atterrito, in attesa che da un momento all’altro i due si alzassero e scoppiassero a ridere, facendolo sentire idiota ma tremendamente felice.
Ma questo non successe.


Elisabeth correva veloce sotto la pioggia battente, rischiando di perdere l'equilibrio più volte nelle mattonelle scivolose dei marciapiedi. La sua bambina continuava a piangere, chiedendole disperatamente cosa stava succedendo. Si guardò a destra e a sinistra: le case della periferia di Londra erano tutte dannatamente uguali.
Sorrise senza pensarci, quando vide la targhetta su un campanello: “Astrea, Harry e Aron Styles
Suonò ripetutamente, ma nessuno si decideva a rispondere. Così, guardando meglio trovò il cancello aperto a calci, e la porta scassinata. Il cuore le saltò in gola. Entrò velocemente nell’abitazione, vedendo due corpi stesi per terra e Aron che piangeva a dirotto. Il suo istinto materno la portò a lasciare un attimo la mano della sua bambina e andare ad abbracciare il piccolo, che ormai era un fiume di lacrime.
- Shh, va tutto bene.- sussurrò la donna portandosi al petto Aron.
- Chi li ha uccisi, zia?- domandò singhiozzando.
La donna spalancò la bocca, riportandoselo al petto. Gli accarezzò premurosa i capelli, sussurrando un: - qualcuno che non esiste…
Aron, aveva dodici anni, ma era straordinariamente intelligente. Infatti si alzò, andando verso i suoi defunti genitori.
- Intendi quelli di cui parlavano ogni sera, quando credevano che dormissi?- sussurrò privo di voce.
Elisabeth fece un balzo, chiedendogli cosa intendesse dire.
- Ogni sera parlavano di persone che li cercavano, e che dovevano tenermi al sicuro. Che se li avessero trovati avrebbero preso anche me, che non dovevo sapere niente.-
Ad Elisabeth vennero i brividi. Non aveva idea di come rispondere, non lo sapeva proprio. Poteva dirgli: “Di cosa stai parlando?” oppure spiegargli tutto. Sapeva che Astrea e Harry non avevano mai voluto che Aron facesse la vita di un fuggitivo, ogni trasloco, per lui, era per il lavoro del padre.
- Tu ne sai qualcosa?- domandò il ragazzo, risvegliandola dai suoi pensieri.
Ci fu un lungo minuto di silenzio, poi la donna rispose:- Non ne ho idea, piccolo mio.

-Alzatevi, prego. Siamo qui oggi riuniti, per celebrare il quinto anniversario di morte di Astrea e Harry Styles, mancati tragicamente all’affetto dei loro cari.-
Aron strinse i pugni, guardando in basso alle sue scarpe da ginnastica. Una volta finita la messa fu il primo a catapultarsi fuori, ma nessuno lo guardò. Ormai lui era conosciuto, era conosciuto nel modo in cui non era. Era quel ragazzo asociale, quello dal comportamento strano, quello incapace di amare e di essere amato.
Il suo telefono vibrò impercettibilmente, e scocciato stava per mettere giù, quando vide che era sua zia.
- Aron, dove sei?- domandò lei preoccupata.
Lui sbuffò senza farsi sentire:- sono al parco vicino casa, zia. Tranquilla.
La donna emise un sospiro di sollievo, sorridendo dall’altro capo del telefono.
- Ti prego, torna entro le sette che dobbiamo…-
- Sì sì, dobbiamo traslocare ho capito.- e riattaccò.
Lui non era sempre stato così; anzi, era stato il ragazzo più dolce del mondo pochi anni fa. Poi, la morte dei suoi genitori lo cambiò radicalmente. Si chiuse in se stesso, parlava con meno gente possibile, e se qualcuno gli dimostrava affetto, si ritraeva volontariamente.
Si sedette sulla panchina di legno marcio, e cominciò ad osservare l’orizzonte. Il sole era dimezzato da una striscia di terra, il che lo rendeva uno spettacolo mozzafiato.
- E anche quest’anno è andata.- sussurrò una voce femminile.
Il ragazzo non si voltò. Skyler Jhonson si sedette di fianco a lui, stando attenta a mantenere le distanze. I lunghi capelli castani scendevano morbidi lungo le spalle, incorniciando i suoi occhi del colore del mare.
- Non dovresti essere con i tuoi amici, ora?- domandò Aron senza un filo di emozione.
La ragazza si alzò, posizionandosi davanti a lui. Il ragazzo alzò quasi senza volere lo sguardo, e appena incontrò i suoi occhi, si stupì di quanto fossero belli. Era stupido, ogni volta che la guardava non poteva fare a meno di meravigliarsi. Aron non si era mai permesso di pensarlo, ma in quel momento, sotto la calda luce del tramonto, Skyler era bellissima.
- Dovrei.- sussurrò, risvegliandolo dai suoi pensieri.
Poi si voltò ad osservare il tramonto, spostandosi per farlo vedere anche ad Aron.
- Tutti i libri che leggo parlano di “lieto fine”; ma cosa c’è di lieto, nella fine?- pensò ad alta voce. – non è altro che il termine delle prove che hai affrontato per ottenere ciò che hai. Ma dopo averlo avuto, cosa c’è? D’altronde, si dice “non è la meta che conta, ma il viaggio”. Eppure, perché tutti alla disperata ricerca del “lieto fine”?-
Aron si chiese se avesse dovuto rispondere, ma in ogni caso non l’avrebbe fatto. Skyler si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi.
- Allora ci vediamo a casa.- e senza lasciargli il tempo di replicare se ne andò.
Aron rifletté sulle parole appena dette da Skyler, come suo solito. Ogni sera, senza dirsi niente s’incontravano là, e, nonostante volessero stare soli, a loro piaceva restare soli insieme.
Era come un appuntamento segreto, mai divulgato dalla bocca dei due.
Il loro appuntamento.

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Capitolo 2
*** Fallen ***


Skyler camminava veloce, con la mano sul cuore. Faceva due passi in velocità e subito cominciava a battere forte, come se stesse pensando a lui.
Già, aveva sempre pensato che se la malattia non l’avrebbe uccisa, l’avrebbe fatto sicuramente lui. Era così meschino e crudele non riuscire a pensarlo, che subito il suo battito accelerava in maniera anormale, come se dovesse schizzarle fuori dal petto.
La strada di casa era lunga e piena di insidie, uomini nei vicoli che si scolavano bottiglie intere di birra, drogati e a volte perfino terroristi.
Per fortuna Skyler sapeva dove andare e dove non. Arrivata davanti alla soglia di casa c’era sua madre Elisabeth, con una faccia piuttosto preoccupata.
- Dov’eri?- fu la prima cosa che le chiese.
- Al parco.- rispose lei.
- Dovevi essere qui un’ora fa! E dov’è Aron?- domandò agitata.
Skyler ruotò gli occhi al cielo:- Ha quasi diciassette anni, sa cavarsela anche da solo.
Entrò in fretta e furia, entrando nella sua stanza e buttandosi di peso sul letto disfatto. Le pareti bianche panna rendevano tutto più monotono e triste. Così, mettendosi una mano sul petto, si addormentò, sperando di non morire.

Stava cominciando a piovere e Aron era ancora sulla via del ritorno. Il cappuccio lo proteggeva abbastanza, ma era comunque già fradicio: da lì a poco sarebbe diluviato.
Non poteva neanche andare troppo veloce altrimenti sarebbe scivolato. Un lampo squarciò il cielo, seguito da un assordante tuono. Involontariamente pensò a Skyler, e alla sua fobia dei temporali. Bastava che vedesse un fulmine e subito si nascondeva in cantina, dove iniziava a cantare canzoni per allontanare la pioggia. Sorrise senza accorgersene, lei credeva davvero che avrebbe funzionato.
Non si accorse neanche che era appena arrivato davanti all’uscio di casa sua. Si riparò sotto il balcone che sta proprio sopra la porta e bussò.
Gli venne ad aprire sua zia, che, mettendosi una mano sul cuore borbottò un ringraziamento diretto al cielo. Lui la scansò poco delicatamente, andando subito verso la sua stanza, cadendo immediatamente tra le braccia di Morfeo.

Il mattino seguente tutto prospettava un’aria diversa. Non si sentivano i passi di sua zia, né le dolci noti di Skyler che canticchiava al piano di sotto. Si alzò e trasalì quando i suoi piedi toccarono il marmo freddo del pavimento. Girovagando per la casa constatò che non ci fosse nessuno, neanche il solito gatto nel giardino.
Strano.
Arrivato in cucina, si mise sul tavolo, appoggiando i gomiti al tavolo. Poi, abbassando lo sguardo, un tuffo al cuore.
Una chiazza rossa, ancora umida, faceva capolino nel legno d’abete bianco. Balzò dalla sedia, si infilò malamente le scarpe e prese il giubbotto contenente il cellulare, non si curò nemmeno di chiudere la porta.
Correva, non sapendo bene neanche cosa cercare, cosa fare, dove andare. Il cellulare vibrò insistentemente, ma ora non aveva tempo, non ne aveva neanche un po’. Dopo i due minuti di squilli, divenne tremendamente fastidioso, e con l’intenzione di attaccare, infilò la mano nella tasca. Appena vide il numero, rispose.
- Ospedale San Grace, parla Aron Styles?- chiese una voce femminile.
Aron rimase in silenzio una manciata di secondi:- Sì.
- La prego di venire alla stanza 1205, c’è sua sorella che ha avuto un grave incidente.- lo informò.
- Che tipo di incidente?- domandò lui.
La donna sembrava riluttante sul dirlo:- La prego di venire.
E una seria di segnali acustici che avvisavano che la telefonata era conclusa. Imprecò sottovoce, dirigendosi verso l’ospedale.

La corsa era stata lunga e faticosa, non si sentiva più i polmoni. Era ansimante, e qualche infermiera si era fermata per chiedergli come stesse. Non rispose a nessuna, andando a trovare la stanza 1205. Non si fermò a chiedere dove era, neanche in che piano; i numeri erano sconnessi tra loro, e non poteva neanche cercare tra i settori, perché non sapeva cosa le fosse successo.
Al terzo piano, in fondo al corridoio, finalmente trovò la stanza tanto bramata. Si posizionò esattamente di fronte, socchiudendola in modo cauto. Vi ci trovò un uomo in camice, probabilmente un medico, con una cartella clinica in mano. Decise di entrare.
Appena varcò la soglia, il medico alzò lo sguardo, venendo verso di lui:- Aron Styles?
Lui si leccò le labbra, non riusciva a vederla:- Cosa è successo a mia sorella?
Non l’aveva mai chiamata in quel modo, neppure da piccolo. Nonostante la sentisse tale, a tutti gli effetti. Lui l’aveva sempre respinta, ferita, rifiutata perfino come amica, ma lei non aveva mai mollato. Solo in quel momento si rese conto che lei era proprio una sorella, per lui.
L’uomo saettò con lo sguardo da Skyler a lui, poi chiuse la porta. Si tolse gli occhiali, e lo guardò dritto negli occhi.
- Skyler stanotte ha avuto gravissima crisi respiratoria, dove il sangue ha riempito i suoi polmoni. Abbiamo operato tutta la notte, ma non siamo riusciti a estrarre tutto il sangue. Un movimento brusco e potrebbe rimanere soffocata. Attualmente è collegata ad una macchina che l’aiuta a respirare.- spiegò brevemente. – la prego di attendere nella sala d’attesa con sua zia.
Aron non si mosse:- Voglio vederla.
Il suo tono non ammetteva repliche, ma nonostante ciò, l’uomo gli si parò davanti.
- Le chiedo un minuto.- si addolcì.
Riluttante, il dottore lo lasciò entrare, chiudendo la porta dietro di sé. Aron le dava le spalle, un po’ per paura di vederla, forse.
Si girò con circospezione, trasalendo vedendola. Una serie di tubi infilati nel suo braccio e una mascherina che copriva naso e bocca facevano uno strano affetto. Accanto al suo letto c’era un contatore di battiti cardiaci.
Se glielo avessero detto tre giorni fa, di trovare Skyler su un letto d’ospedale, quasi in fin di vita, probabilmente non avrebbe avuto nessuna reazione. Ora invece era quasi triste, quasi gli importava di lei. La sua pelle era più bianca del solito, gli occhi azzurri, sempre pieni di vita, ora chiusi. Prese un respiro profondo, sedendosi sul letto di fianco a lei. Stava lì, intento a guardarla, come la luna nelle notte in cui era piena, oppure quando, dentro i cassetti, trovava foto di lui da bambino con i suoi genitori; con un misto di incredulità e malinconia.
Strinse i denti e uscì in fretta e furia dalla stanza.

C’era una cosa però che Aron non sapeva.
Skyler, stava morendo.



 

Ehi pelle pimpeee.
Scusatemi se ci ho messo un sacco ad aggiornare, ma (come credo anche a voi) la scuola mi tartassa come mia madre la mattina per alzarmi, lol.
Spero vi piaccia, perché ci ho messo taaanto(?)
Alla prossima dfghjk
Trippa.

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