I would have loved you all my life

di Inathia Len
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo -Must come back- ***
Capitolo 2: *** 1. Two years ***
Capitolo 3: *** 2. Finding you ***
Capitolo 4: *** 3. I've missed you, Mr... ***
Capitolo 5: *** 4. A ***
Capitolo 6: *** 5. Love is much more ***
Capitolo 7: *** 6. Gun ***
Capitolo 8: *** 7. Together or not at all ***
Capitolo 9: *** 8. I think I wanna marry you ***
Capitolo 10: *** 9. I'm still learning to love, and I'm saying goodbye ***
Capitolo 11: *** Epilogue - Quelli che restano- ***



Capitolo 1
*** Prologo -Must come back- ***


 

 

MUST COME BACK

 

-È così grave?-

Mycroft lanciò un'occhiata gelida al fratello e gli passò gli esami. Sherlock li passò in rassegna con sufficienza, sfogliandoli appena.

-Se tu ti fossi fatto curare fin da subito...- lo riprese Mycroft.

-Poteva andare peggio, comunque- commentò Sherlock.

Mycroft sbuffò, ma non replicò.

-I patti sono patti. La rete di spie di Moriarty non esiste più, io torno a Londra.-

-Non mi sembra il momento.-

-Per te non è mai stato il momento, Mycroft. Sono sei mesi che mi tieni qui senza motivo.-

Mycroft lanciò un'occhiata eloquente ai fogli che Sherlock gli aveva gettato sulla scrivania.

-Io devo tornare a Londra. E, per una volta, non per fare un favore a te o per catturare chissà chi. Devo tornare.-

-John non abita più a Baker Street, è andato avanti...-

-A... Avanti?- balbettò Sherlock. Questa non se l'aspettava.

-Bè, fratellino caro, sono passati due anni...-

-E per colpa di chi?- urlò Sherlock, battendo un pugno sul tavolo.

-Te lo avevo detto, affezionarsi non è un vantaggio- ribatté Mycroft, senza scomporsi.

-Io non mi sono affezionato- ringhiò Sherlock.

-Oh, dimenticavo. John Watson è qualcosa di più del tuo pesciolino rosso.-

-Se anche fosse, tu cosa ne sapresti?- lo stuzzicò Sherlock.

-Il caro dottore ti crede morto, fratellino caro, pensi che gli farebbe piacere celebrare il tuo ritorno con un secondo funerale?-

Sherlock sbiancò e strinse i pugni.

-Non è così grave.-

-Non lo è o lo speri? Perché le carte dicono il contrario...-

-Smettila con i tuoi giochetti, non sono una delle tue pedine.-

-Già, non lo sei, anche se gli ultimi due anni li hai passati a lavorare per me.-

-Con te.-

-Come ti pare.-

-Io torno a Londra.-

-Oh, fai pure, vai dal tuo pesciolino rosso e muorigli tra le braccia. Pensa che fortuna, cassa e lapide già ce li abbiamo. Questa volta potrei persino fare un salto al tuo funerale.-

-E cosa dovrei fare, quindi, secondo te, rimanere qui?-

Mycroft annuì brevemente.

-Ti ricordo che è per colpa tua se mi trovo in questa situazione...-

-Pensavo avessimo un accordo.-

-Ma questo non ne faceva parte!- esplose Sherlock, afferrando i fogli dei suoi esami e sbattendoli per terra. Quelli caddero in turbinio bianco, Mycroft seguì il loro volo in silenzio. -Questo non ne faceva parte- mormorò Sherlock, passandosi una mano sul volto e tra i capelli, cercando di calmarsi.

-E allora fai pure, torna a Londra per un ultimo saluto.-

Sherlock si alzò traballando, piano.

-Solo... Sappi che la tua perdita mi spezzerà il cuore- mormorò Mycroft in un sussurro, mentre Sherlock usciva dalla stanza.

 

 

 

 

 

 

Angolo della persona che dovrebbe stare attenta in classe e invece continua a scrivere fic su fic:

 

Saaaaaaalve gente sopravvisuta alla lettura di questo prologo, sappiate che vi voglio bene anche se non vi conosco :) comunque, la storia è molto semplice, la si poù intendere come una specie di terza stagione alternativa, con nessunissima Mary o Magnussen (brutto pezzo di... non gli perdonerò mai di aver fatto quello che ha fatto con il camino di Baker Street!), ma solo uno Sherlock malato di... e il suo ritorno a una vita "normale". 

come la prenderà John?

Ah, lo saprete alla prossima puntata :) sappiatemi dire se la storia vi piace, così vedo se continuarla o no. dovrei aggiornare questo week end :)

 

 

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Capitolo 2
*** 1. Two years ***


 

 

TWO YEARS

 

 

Due anni.

Due anni senza mettere piede in quella città.

Due anni in cui non c'era stata notte in cui non avesse sognato il ritorno.

Due anni in cui si era reso davvero conto di cosa significasse la solitudine e in cui aveva deciso che non faceva per lui.

Due anni che non si potevano cancellare in attimo.

Due anni...

E ora gli rimanevano solo pochi giorni, settimane. Non aveva voluto sapere quanto, esattamente, la sua vita era sempre stata al limite e aveva sempre ricercato il brivido contro la noia. Mai avrebbe creduto di desiderare una vita qualsiasi. Anche senza crimini, anche senza corse contro il tempo, anche... Solo una vita normale. Era vero, non ci si rendeva conto di quanto si aveva fin quando non lo si aveva perso. E ora Sherlock aveva perso tutto e lo stava per perdere di nuovo.

Scese dal taxi traballando. Gli sembrò di non aver fatto null'altro nella sua vita. Quasi non ricordava un tempo in cui camminare era semplice come respirare, in cui la strada dritta non gli sembrava in salita e faticosa...

Pagò e rimase un secondo a guardare la porta. 221B, Baker Street.

Casa.

John.

Frugò in tasca con mano tremante, la testa che gli mandava fitte. Ormai ci conviveva da mesi, non gli facevano più effetto, ma le gente attorno a lui lo guardava strano. Certo, un uomo dal lungo cappotto nero che sbandava come un ubriaco già di primo mattino ed era pallido come un morto non doveva essere un gran bello spettacolo. Ma non poteva lasciar perdere, non adesso che finalmente stava tornando. A casa.

-Signora Hudson?- chiamò, chiudendo la porta alle sue spalle. La donna uscì dalla cucina, il grembiule allacciato in vita e i bigodini nei capelli. Mycroft l'aveva avvertita del ritorno di Sherlock, ma questo non impedì alle sue lacrime di cominciare a scendere.

-Sherlock... Ho sperato tanto in questo giorno- mormorò, abbracciandolo forte. E Sherlock si aggrappò a lei, a quella donna tanto minuta e tanto forte, stringendola a sé. -Ma cos'hai?- chiese, indagando, prendendogli il volto tra le mani e scrutandolo. Sherlock distolse lo sguardo, posandolo sul pavimento.

-Nulla, davvero.-

-Sherlock- cominciò lei, per poi interrompersi, come cambiando idea. -La tua stanza non l'abbiamo toccata. Non abbiamo toccato nulla.-

-Grazie- mormorò Sherlock, sfinito. Tutto quello che voleva era salire quelle maledette scale -che non gli erano mai sembrate così tante e così in salita- e buttarsi sul divano.

-Se hai bisogno di qualsiasi cosa...-

-Grazie, signora Hudson. Ma lei è la padrona di casa, non la mia domestica.-

 

Aveva ragione, tutto era rimasto esattamente con due anni prima. Stesso disordine ordinato, stessa disposizione dei mobili, stesso... tutto. C'era persino il suo violino, abbandonato sulla sua poltrona nera, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Lasciò cadere la giacca per terra e tirò fuori il cellulare, prima di sprofondare sul divano.

 

Arrivato. Tutto ok.

SH

 

Prendi le medicine o ti riporto qui.

MH

 

Sherlock buttò il telefono per terra e rimase a fissare il soffitto. Ce l'aveva fatta, era a casa. Ora mancava solo John, magari un caso o due da risolvere... Ma poi si ricordò del patto, dell'ultimo che aveva stretto con Mycroft. Nessuno, a parte chi era strettamente necessario, doveva sapere del suo ritorno. Certo, la rete di Moriarty non esisteva più, ma non era un personaggio amato, Sherlock Holmes. Meglio non mettere in pericolo nessuno. Quindi, nessun caso. Avrebbe fatto il casalingo... per il tempo che gli rimaneva.

Scacciò quel pensiero dalla mente, recuperò il violino e si mise a pizzicare le corde. La signora Hudson entrò in quel momento, insieme a un vassoio con the e biscotti.

-Grazie.-

-Morire ti ha reso educato, Sherlock Holmes. Dovresti farlo più spesso- scherzò lei, ma Sherlock non rise. Aveva freddo, ma stava sudando. Si avvolse nel panno che stava sul divano, cercando di nascondere il tutto alla signora Hudson, ma lei se me accorse e lo guardò interrogativa.

-Sherlock, cosa c'è che non va? Perché sei tornato?-

-C'erano cosa che dovevo fare, prima di... Cose da fare, ecco- liquidò lui con un gesto della mano.

-John sa che sei tornato?-

Sherlock scosse la testa.

-Bè, che aspetti a dirglielo? E prendi qualcosa...-

Sherlock represse un conato di vomito.

-No, davvero, grazie. Mycroft mi ha detto che John è andato avanti...-

-Si è trasferito. Saranno circa... uhm, fammi pensare... Sei mesi?-

Da quando io mi sono ammalato, rifletté Sherlock. Se solo fossi tornato prima, se non fossi andato in Africa...

-Ma uno di questi giorni dovrebbe passare... Ha lasciato delle cose nella sua vecchia stanza che deve recuperare.-

-Potrebbe farsi dire quando?-

-Sherlock, mi vuoi dire che cosa sta succedendo?- insistette la signora Hudson, sedendosi accanto a lui.

-È complicato. E poi mi creda, è meglio che non lo sappia. Sono tornato solo per poco...-

-Gli spezzerai di nuovo il cuore- mormorò.

Non c'era bisogno di dire a chi.

-Lo so, ma ho bisogno di rivederlo, prima di...-

-Sherlock, così mi spaventi.-

-Non è nulla di che, davvero- minimizzò Sherlock, rabbrividendo e reprimendo un secondo conato. -Tornerò a lavorare con Mycroft tra circa un mese. Ero in zona e sono voluto passare a fare un saluto.-

-Ti abbiamo creduto morto per due anni- ribatté dura lei. -Ti abbiamo seppellito, abbiamo pianto per te...- cominciò, per poi interrompersi a causa di un singhiozzo. -Non farcelo passare di nuovo. Dicci dove andrai, non farci stare in pensiero. Ce lo devi, ci devi la verità.-

Poi si alzò e portò via il the e i biscotti che Sherlock non aveva nemmeno toccato e lui rimase solo. Restò sul divano per tutto il resto del pomeriggio, alternando momenti in cui aveva terribilmente freddo e rabbrividiva a momenti in cui la sua temperatura si alzava ben oltre il normale, la nausea tornava, insieme alle fitte alla testa. Mycroft glielo aveva spiegato bene, anche i suoi medici erano stati chiari. Avrebbe passato tutto quello circa ogni due giorni, avrebbe potuto anche avere la febbre alta, tensione ai muscoli... Il suo corpo si stava consumando, non c'era modo di fermare il processo.

Si alzò barcollando, sempre avvolto nella coperta, e si diresse verso il piano superiore. John aveva lasciato lì delle cose, lo aveva detto la signora Hudson, e John era il motivo principale -se non l'unico- del suo ritorno.

Aprì la porta della sua stanza con la sensazione di aprire una porta sul passato. Non ci era mai entrato, ma quella camera sapeva di casa più di tutto il 221B di Baker Street messo insieme. Perché lì sapeva di John.

Camminò con passo incerto verso l'armadio e afferrò la prima cosa che le sue dita incontrarono, prima di franare sul pavimento, stringendo forte una vecchia camicia del dottore. Se la infilò tremante. Gli andava male, non era della sua taglia, corte le maniche e larga sul petto, ma era di John. Era di John.

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Capitolo 3
*** 2. Finding you ***


 

FINDING YOU

 

Stava dormendo.

O era sveglio?

Forse era nel dormiveglia.

Oppure sognava.

Sentiva delle voci, venivano dal piano di sotto. Quindi era sveglio, o quanto meno non dormiva proprio del tutto. Si tirò su piano. Aveva dormito sul pavimento, solo adesso se ne rendeva conto, e aveva ancora indosso la camicia di John, l'aveva infilata sulla giaccia.

Si aggrappò alla parere e fece per scendere, quando le voci si fecero più vicine. Non riusciva a sentire bene, ma c'era la signora Hudson -di sicuro, che voce femminile poteva esserci, altrimenti, in quella casa?- e una voce maschile.

John?

John.

Indeciso sul da farsi, rimase immobile. Era a metà strada verso la porta, stava per afferrare la maniglia... quando qualcuno lo fece al posto suo, dall'altro lato, dal corridoio.

-Ma potevi avvertire John, ti avrei fatto trovare qualcosa di pronto... Un the...- stava dicendo la signora Hudson, chiaramente a disagio.

-Devo solo prendere due cose in croce, davvero, non è necessario- rispose John, aprendo la porta e paralizzandosi.

La stanza era in penombra, Sherlock lo sapeva e si era messo apposta nella parte più buia, ma John non si sarebbe fatto ingannare nemmeno dal nero pesto, non quando si trattava di Sherlock.

Rimasero entrambi immobili, mentre alla signora Hudson scappava un singhiozzo.

-Io vado di sotto- mormorò, sparendo giù per le scale.

-John- provò Sherlock, sentendosi ridicolo e togliendosi la camicia. L'altro chiuse la porta e la riaprì una seconda volta.

-Sei ancora lì- disse, a nessuno in particolare.

Chiuse la porta e la riaprì una terza e una quarta volta.

-Sei ancora lì.-

-Non me ne vado- mormorò Sherlock, sentendosi il peggior bugiardo del mondo. Non era vero. Ancora una volta, non era lì per restare.

-Sei ancora lì- disse una terza volta John. -Non sei morto.-

Sherlock allargò le braccia per poi lasciarle cadere di nuovo lungo i fianchi. Aveva immaginato quel momento troppe volte... Ma mai così. Non con quella malattia di mezzo, non con la freddezza di John...

-Non sono morto- confermò, ringraziando di essere stato male il giorno prima. Per un paio di giorni sarebbe stato bene.

Forse.

-Questo lo vedo. Devo convincermi che sia vero- ribatté John. -Sai, non sarebbe la prima volta che ti immagino tornare.-

-Darmi un pizzicotto aiuterebbe?-

John si avvicinò piano e poggiò la sua mano sul volto di Sherlock. Lui chiuse gli occhi a quel contatto.

Poi arrivò lo schiaffo, dritto in volto.

-E questo?- chiese, tenendosi lo zigomo dolorante.

-Ok, sei reale. Non sei morto.-

Secondo schiaffo.

-Non sei morto!- gridò, altro schiaffo. E un altro ancora.

Stava per arrivare il quinto, ma Sherlock lo intercettò e gli chiuse il polso in una morsa.

-Non sei morto!- urlò John, mentre lacrime spuntavano ai suoi occhi. -Non sei morto... Non sei morto...-

Sherlock gli lasciò la mano e John lo afferrò per il colletto della camicia. Poi gli gettò le braccia al collo, a metà tra un abbraccio e il desiderio di strangolarlo.

-Non sono morto- lo strinse Sherlock, per quanto gli permettevano le poche forze.

-Ma perché?- chiese John, sciogliendosi dall’abbraccio.

-“Perché” cosa? Perché non sono morto? Perché sono qui, nella tua stanza, e ho dormito sul pavimento con una tua vecchia camicia addosso? O perché sono tornato?-

-Scegline uno tu, per me vanno tutte bene… anzi, è meglio se rispondi a tutto quanto.-

-È complicato.-

-La signora Hudson stava giusto mettendo su un po’ di the. Abbiamo tempo- replicò John, forse un po’ troppo duramente per i gusti di Sherlock. –Abbiamo tempo.-

Non quanto tu credi, pensò Sherlock.

 

Un quarto d’ora dopo quasi tutte le spiegazioni erano state date, tranne le più importanti. Della non-morte disse poco o niente, ma a John sembrava non importare. Superato lo shock iniziale, ora lo guardava come se fosse un miracolo uscito dai suoi sogni, non gli toglieva gli occhi di dosso.

Di fatto, Sherlock gli aveva detto di aver lavorato con Mycroft durante quei due anni e di essere dovuto sparire dalla circolazione per proteggere lui, Lestrade e la signora Hudson. Quasi la verità, in pratica. Gli aveva detto di aver girato il mondo sotto copertura per smantellare la rete di spionaggio di Moriarty, ma non gli aveva detto esattamente dove era stato. John era un medico, avrebbe subito collegato i sintomi…

No, John non doveva sapere.

Del fatto, poi, che fosse tornato, aveva detto solo che passava per Londra e che aveva voluto dire loro la verità, ora che erano al sicuro. E poi aveva detto che presto sarebbe ripartito, che presto se ne sarebbe dovuto andare di nuovo. Non menzionando che, questa volta, sarebbe stato davvero per sempre.

-E quando tornerai?-

John si sporse verso di lui e gli poggiò una mano sul ginocchio. Sherlock rabbrividì per il contatto e per la bugia che sarebbe seguita alla sua domanda.

-Non lo so. Non presto, di sicuro. Potrei anche non tornare, questo lo devi mettere in conto- disse cercando di mantenere la voce calma.

-E sei tornato solo per dirmi che te ne andrai di nuovo?-

-Volevo solo… volevo solo vederti, John, dirti la verità. Sul passato.-

-Mi hai fatto passare due anni di inferno- mormorò John, passandosi una mano sul viso. –Non puoi pretendere che sia tutto come l’hai lasciato.-

-Hai conosciuto qualcun altro?- chiese Sherlock, la voce strozzata. –Perché Mycroft mi ha detto che sei andato avanti e poi la signora Hudson se ne esce con quella storia che ti sei trasferito…-

-Cosa ti aspettavi che facessi? Eri morto, Sherlock. M-O-R-T-O!- gridò, per poi calmarsi un attimo. –E comunque no, certo che no, idiota.-

-Oh- fu l’unico commento di Sherlock, l’ombra di un sorriso sul volto, -io…- ma si interruppe, una fitta alla testa improvvisa lo fece urlare e cadere sul pavimento.

-SHERLOCK!- gridò John, precipitandosi al suo fianco.

-Sto.Bene- sibilò l’altro, allontanando il compagno con un gesto della mano.

-Oh, lo vedo! Chiamo un’ambulanza…-

-Non serve, sto bene- ansimò Sherlock, mentre una seconda fitta e un contato di vomito lo zittivano. –Non dovrei stare così… non è normale…- mormorò.

-Certo che non è normale!-

-Io…- provò ad alzarsi, ma perse l’equilibrio e ricadde a terra. –Scrivi a Mycroft, digli che sta peggiorando.-

-Che cosa sta peggiorando?- gridò John, afferrandolo mentre cadeva e tenendolo stretto. –Stai su, cerca di rimanere dritto…-

-Sta passando… sta passando- sussurrò Sherlock, accasciandosi tra le braccia di John, scosso da brividi. –Sta passando.-

-Mio Dio, sei bollente- esclamò John, mettendogli una mano sulla fronte. –Mi spieghi cosa sta succedendo?-

-Non è niente, davvero. È tutto ok- cercò di minimizzare Sherlock, sottraendosi dalle cure di John e rimettendosi sulla poltrona.

-Non è tutto ok. Non è ok! Dimmi che cavolo è successo, perché so che tu lo sai.-

Sherlock rimase in silenzio e si prese la testa tra le mani, calmando i brividi e il respiro affannoso.

-RISPONDIMI!-

-John…- mormorò, sollevando gli occhi e incrociando quelli del compagno. –Io sto morendo.-

 

 

 

 

 

 

Inathia's Nook:

 

angst, dolore, lacrime e chi ne ha più ne metta. sono cattiva, lo so, e quando scrivo queste cose, ve lo assicuro, mi faccio paura da sola. ma siamo ancora all'inizio... (immaginatevi una bella risata satanica di sottofondo).

nuntio vobis magno cum gaudio che ho finito definitivamente la storia e che quindi aggiornerò ogni martedì e venerdì. contenti, no?

in realtà non so bene cosa scrivervi in queste benedette note d'autrice, dato che non ho davvero nulla da dirvi, ma una caaaaara personcina (tanti cuori, se stai leggendo. no, tanti cuori comunque, sai chi sei, immagino) mi ha detto che le note forse potrebbero aiutare un po' a tirarvi su di morale... Boh, ci ho provato.

questo modo di scrivere, così cattivo e brutale mi è del tutto nuovo (se vi fate un giro sulla mia pagina ve ne renderete conto) e quindi le vostre opinioni sono sempre ben accette.

ok, ora me ne vado, prima di cominciare a scrivere riguardo al tempo atmosferico.

ci si vede venerdì, signore care


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Capitolo 4
*** 3. I've missed you, Mr... ***


 

 

I'VE MISSED YOU, MR...

 

 

 

-È malaria.-

La voce di Sherlock rimbombò nel silenzio del salotto. Se ne stava seduto a distanza di sicurezza da John, mentre quest’ultimo era sul bordo della sua poltrona rossa, quasi pronto a spiccare il volo verso le sue parole.

Lo aveva detto, alla fine la confessione era stata completa. In fondo, non era mai riuscito a nascondere niente a John, neppure i propri sentimenti.

E guarda dove ti hanno portato, i sentimenti, riuscì quasi a sentire la voce di Mycroft dire. La scacciò.

-Ma non è mortale... Non sempre almeno.-

-Hai ragione, non lo è, ma solo se viene presa in tempo. Io non ho potuto... voluto... Ho pensato che fosse una puntura come un'altra e quando ce ne siamo accorti era troppo tardi.-

-Malaria...- mormorò John, deglutendo a vuoto. -Ma Mycroft sapeva. È colpa sua!- disse, mentre la sua voce si alzava pericolosamente di tono. 

-È colpa sua quanto mia. Ho insistito io a partecipare alla spedizione, quel giorno. Avevo lavorato tre mesi per trovare quella base ed ero convinto che...-

-Idiota- disse John e a Sherlock spuntò un mezzo sorriso. -Ma almeno Mycroft avrebbe potuto farti curare!-

-Mi conosci. Non gliel'ho permesso. Ero convinto fosse una cosa da poco... E poi, sinceramente, all'epoca non c'era ancora alcuna possibilità per il mio ritorno. E allora ho pensato che morire sarebbe stato meglio di una vita del genere.-

John si prese la testa tra le mani e Sherlock si sentì morire dentro. Non era così che sarebbe dovuta andare, non era così che se l'era immaginato. 

-Quanto tempo hai... abbiamo...?- chiese John, la voce incrinata. 

-Giorni. Non so quanti, non l'ho voluto sapere.-

-Giorni- ripeté John. -Giorni perché tu sei un cretino idiota orgoglioso dalla testa vuota che non si è lasciato curare!-

Sherlock fece per mettersi in piedi, ma un capogiro lo ributtò sulla poltrona.

-Dove pensi di andare?- chiese John, confuso.

-Me ne vado, ti lascio alla tua vita- rispose lui, riuscendo miracolosamente ad alzarsi senza traballare.

-Vita? Che vita? Tu sei stato... Tu eri morto!- esclamò John, raggiungendolo. Alzò la testa ma, nonostante quello, non riuscì comunque a guardarlo negli occhi. Un sorriso stanco si disegnò sul volto di Sherlock. 

-Quando sono andato alla tua tomba- riprese John, con la voce rotta ridotta a un sussurro, -quando ci sono andato, ti ho chiesto un miracolo, ti ho chiesto di non essere morto. Ma non sono stato abbastanza preciso, forse- disse, la voce rotta dal pianto. -Perché ora non sei morto, ma lo sarai tra poco.-

-Ti ho appena detto che se mi fossi lasciato curare non saremmo in questa situazione e tu dai la colpa a te, a un desiderio espresso davanti a una lapide?- mormorò Sherlock, lasciandosi sfuggire una risata stanca. -Mi sei mancato, John Watson.-

John fece una smorfia e gli venne più vicino.

-Lo sai, vero, come avviene il contagio?- 

-A causa della puntura del parassita Plasmodio.-

-Corretto, signor Holmes. Quindi con questo non dovrei correre rischi...- sussurrò, facendosi ancora più vicino. Il cervello di Sherlock smise di ragionare, si spense quando i suoi occhi incontrarono quelli di John pieni di lacrime e amore e quando le dita dell'altro si intrecciarono alle sue. Stava per morire, lo sapeva, il suo corpo glielo ricordava in continuazione, soprattutto nelle situazioni meno indicate, ma allo stesso tempo non si era mai sentito più vivo. 

Era John, era sempre stato lui.

Per lui era morto una volta, per lui sarebbe morto una seconda volta.

-Mi sei mancato anche tu, Sherlock Holmes- sussurrò John, appoggiando le sue labbra su quelle di Sherlock. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angoletto della bestiola scrivente:

 

ed ecco finalmente svelato il nome della misteriosa malattia, spero non siate delusi. Ne ho passate in rassegna parecchie, ma non volevo che Sherlock avesse qualcosa di "comune", per quanto terribile. E così mi è venuta in mente la malaria. Perchè, se identificata in tempo, questa è davvero curabile e rende il tutto ancora più drammatico... ok, lo so, sono sadica, ma voi mi amate/accettate anche per questo vero? vero? verooooooo?

non odiatemi perchè il capitolo è cortino, ma lo credo piuttosto intenso e, piuttosto che pubblicare un mattone immenso ogni morte di papa, preferisco spezzettare la storia qua e là.

prossimo aggiornamento, venerdì 18. prima, mie adorate, sono a Parigi in gita scolastica ;)

un mega bacio a tutte, e uno stra gigante a Johnlock is the way, una dada speciale <3

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Capitolo 5
*** 4. A ***


 

A "YES" DAY

 

Non si sarebbe mai abituato alla sensazione di svegliarsi con John accanto a sé.

E non era retorica o voglia di fare il romantico, bensì la pura e semplice verità. 

Non si sarebbe mai abituato alla sensazione di svegliarsi con John accanto a sé.

Aveva anche pensato di andarsene, di lasciare la città nella notte, ma aveva deciso di non fargli questo.

Di non farsi questo.

E così era rimasto e sarebbe rimasto fino alla fine, perché tanto ormai mancava poco. Lo sentiva nelle ossa e nel suo respiro sempre più affannoso, nelle fitte alla testa che si facevano sempre più forti e che ci mettevano sempre di più ad andarsene, nella febbre che saliva sempre più e lo lasciava ogni volta più debole. E allora John aveva insistito perché dicesse la verità almeno a Lestrade, perché meritava di sapere che Sherlock sarebbe morto per lui e che lo aveva quasi fatto. 

-La colazione- annunciò John, entrando in quel momento e Sherlock fece leva sui gomiti e si mise a sedere. Ormai, una settimana dopo il suo rientro, non si alzava quasi più di letto -se non per spostarsi sul divano o sulla poltrona-. 

-Grazie- sussurrò in risposta, -ma non ho fame.-

-Devi mangiare qualcosa- insistette John, sedendoglisi accanto e misurandogli la temperatura con un bacio sulla fronte. -Almeno adesso, fidati del dottore- disse, mettendogli il vassoio sulle gambe. 

-Io mi fido di te- ribatté Sherlock, guardandolo intensamente. 

-Greg arriva tra un'ora. Vedi di essere presentabile- lo prese in giro, distogliendo lo sguardo.

-Pensavo di essere super elegante, nel mio vecchio pigiama sporco.-

-Oh, una vera meraviglia!- commentò John ridendo, uscendo dalla stanza. -Sbrigati!-

-Comunque, chi diavolo è Greg?-

-Come chi è Greg?-

-Spazio cerebrale.-

-Lestrade non ti dice nulla?-

-Greg è Lestrade?- ripeté Sherlock, alzandosi e andando verso il bagno. John lo sostenne mentre sbandava e gli passò il braccio attorno alla vita.

-Eh già- rise John. -Incredibile come vanno le cose oggigiorno, no?-

-Che nome assurdo- borbottò Sherlock. -Vabbè, tanto me lo dimenticherò tra due secondi. Meglio così. Comincio a credere che questo non sia mancanza di spazio cerebrale, bensì un meccanismo di autodifesa.-

-Smettila. E vedi di essere pronto in tempo. Io vado di là, se hai bisogno non fare il super uomo e chiamami. Ok?-

-Già, questo sì che sarebbe un bel titolo per il giornale di domani. "Sherlock Holmes redivivo trovato morto nel bagno di casa sua, strozzato dalla tenda della sua doccia".-

John ridacchiò e poi lasciò la presa sulla schiena del compagno.

-Ti aspetto di là.-

 

Greg Lestrade suonò alla porta in perfetto orario. Sherlock e John erano in salotto che bisticciavano, tanto per cambiare, sulla necessità o meno del primo di mangiare qualcosa. 

-Almeno un biscotto. Non dico il latte con i cereali, una fetta di torta... Ma un biscotto, un piccolo, misero, biscotto!-

-John, sono serio, non ho fame. E se anche ne avessi, non farebbe in tempo ad arrivare allo stomaco che il mio corpo lo espellerebbe di nuovo. Hai visto che fine ha fatto la cena.-

-Appunto, praticamente non mangi da ieri a pranzo! E anche lì, non è che tu abbia mangiato molto...-

Un lieve scampanellio lo interruppe e John andò ad aprire. La signora Hudson era uscita, John aveva insistito perché in casa ci fossero solo loro due. Greg non sapeva nulla, era stato convocato praticamente in segreto -su richiesta di Sherlock- ed era meglio non fare troppo baccano. 

John scese le scale per andare alla porta e Sherlock rimase solo in salotto. Non sapeva bene come l'avrebbe presa Lestrade, non lo conosceva così bene. Avevano risolto casi insieme per circa cinque anni e, dall'esterno, potevano quasi sembrare amici, ma Sherlock era convinto di non averne. Lui aveva John, e di certo non erano amici da parecchio. Anzi, forse non lo erano mai stati.

Si portò una mano alla testa, più per abitudine che per altro, sperando di stare abbastanza bene. Già aveva passato una nottata d'inferno -e di conseguenza anche John- non voleva che il giorno ne fosse una replica esatta. Ma doveva essere una di quelle rare giornate sì, in cui il malessere lasciava spazio a una strana euforia che quasi lo illudeva che tutto fosse possibile.

-Ehm, Greg, c'è una cosa che dovresti sapere, prima di entrare- sentì la voce di John dire, mentre saliva le scale. -C'è un motivo per cui ti ho chiamato qui, oggi.-

-Immagino abbia a che fare con il tuo buonumore. Erano due anni che non ti vedevo sorridere.-

Sherlock sentì John ridere e gli si scaldò il cuore. Lui rendeva John felice? Aveva sempre creduto di essere lui quello che aveva bisogno dell'altro, non avrebbe mai potuto pensare al vice versa. Ma Lestrade lo aveva notato, Lestrade sapeva. 

-Ho sempre che eri l'unico poliziotto valido in quel mare di idioti- disse, concludendo il commento con un colpo di tosse.

Alle sue parole seguì il silenzio, sentì solo John sospirare. La porta si aprì e Lestrade era sulla soglia, la bocca spalancata, John accanto che guardava storto Sherlock.

-Avevamo detto di andarci piano- borbottò, andandosi a sedere sulla sua poltrona rossa. 

-Non ci credo- mormorò Lestrade, passandosi una mano tra i capelli. -Tu sei... vivo?-

Sherlock fece una smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso. Il mal di testa stava tornado e John gli lanciò un'occhiata allarmata. Non avevano previsto cosa fare nel caso in cui Sherlock si fosse sentito male mentre Greg era lì, non avevano nemmeno deciso se dirgli o meno della malattia. 

-Versione breve: non sono morto.-

-Bastardo- fu l'unico commento di Lestrade, mentre si fiondava sul divano per stringerlo in un abbraccio. -Sei un bastardo, lo sai vero?-

John ridacchiò mentre Sherlock gli batteva una mano sulla spalla, imbarazzato. 

-Come diavolo...?- chiese, sedendosi accanto a Sherlock sul divano. -E da quand'è che "non sei morto"?-

-Una settimana, ufficialmente- rispose John, lanciando un'occhiata a Sherlock. -Ma forse è di nuovo in partenza.-

Sherlock lo guardò sorpreso. Allora non avrebbero detto nulla? 

-Già...- mormorò, senza staccare gli occhi da John. -Tornerò a lavorare con Mycroft, mio fratello. È quello che ho fatto negli ultimi due anni e...-

-Bè, meglio che risolvere i casi della polizia ed essere anche accusato di essere il colpevole- borbottò Greg. -Se è per quello che te vai di nuovo, sappi che Donovan e Anderson sono stati prima sospesi e poi trasferiti. Se tu dovessi tornare... Bè, loro non lavorerebbero più con noi, con te.-

-Oh... uhm... bene. Ma comunque non credo tornerò. Sono qui solo di passaggio- concluse e, a quelle parole, John distolse lo sguardo per puntarlo sul soffitto, cercando di nascondere le lacrime. Lestrade non doveva sapere, Sherlock non sapeva perché, ma John aveva deciso che Lestrade non dovesse sapere nulla. Sperò che il mal di testa rimanesse sotto controllo e si strinse nella coperta. John colse il suo movimento con la coda dell'occhio e gli lanciò uno sguardo a metà tra l'allarmato e l'interrogativo, ma Sherlock scosse la testa. Per adesso, andava tutto bene. 

-Comunque, è una grande notizia. Chi altri già lo sa? Dobbiamo andare fuori a festeggiare... Hanno giusto aperto un nuovo pub in fondo alla strada.-

-Non lo sa quasi nessuno. Solo tu, la signora Hudson, mio fratello e Molly. Ah, e i miei genitori, ovvio. Preferirei non spargessi la voce, Gunther.-

-È Greg- lo riprese John, l'ombra di un sorriso sul volto.

-Come ti pare.-

-Per oggi glielo lascio passare.-

-Non credere che domani lo avrò imparato.-

-Bene- interruppe John, alzandosi. -Greg, rimani a pranzo? Ormai è ora... Sherlock e io moriamo di fame- disse, dirigendosi verso la cucina. 

Allora era quello il suo piano. Non dire nulla a Greg così da obbligarlo a mangiare davanti a lui, oppure dirgli la verità.

-Già... Sto morendo- disse, lanciando un'occhiata obliqua a John e alzandosi per raggiungerlo. Era praticamente a metà strada verso la cucina quando inciampò nel tappeto -nuovo acquisto, regalo della signora Hudson- e finì per terra, sbattendo le testa.

-Sherlock... Sherlock mi senti?-

La voce di Lestrade e John gli arrivava ovattata, il mondo attorno a lui stava diventando rapidamente tutto nero.

-John- mormorò, prima di perdere conoscenza del tutto. 

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Capitolo 6
*** 5. Love is much more ***


 

A poco a poco il nero lasciò il posto anche ad altri colori, mentre apriva piano gli occhi. Era sera, si rese conto, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra, ed era in ospedale. Il rumore dell’elettrocardiogramma e l’odore glielo confermarono in un attimo, così come anche la flebo infilata nel suo braccio e l’infermiera che stava controllando i suoi parametri.

Ricordava poco o niente di quello che era successo. Sapeva che Lestrade era venuto a casa loro, che li aveva invitati a uscire per mangiare qualcosa, ma John aveva detto di no… poi lui si era alzato, forse, ma poi era caduto.

Dopo quello, il nulla.

Si voltò verso l’infermiera, una donna sulla cinquantina che gli ricordava un roseo uovo di Pasqua, e studiò la stanza, ma non c’era nulla, lì dentro, che gli potesse fornire qualche indizio.

Provò a muoversi, ad alzarsi leggermente, ma un capogiro lo obbligò a fermarsi.

-Signor Holmes, stai fermo- lo rimproverò l’infermiera-uovo, senza staccare gli occhi dalla sua cartella clinica. –Sono tre giorni che cerchiamo di tenerti in vita, cerca di non rovinare tutto subito- disse, sorridendogli alla fine della tirata. Non era brutta, ma c’era qualcosa in quel sorriso che lo inquietava. Forse, era colpa dei denti storti e gialli. Per il resto, i capelli biondi e fini erano raccolti in una coda alta e gli occhi scuri erano gentili.

-Tre giorni?- chiese Sherlock, la voce in un sussurro.

-Esatto. Hai fatto il bel addormentato per un sacco di tempo. Ci hai fatto preoccupare, sai?- disse l’infermiera, parlandogli come se avesse cinque anni e avesse speso tutta la sua paghetta in dolci, finendo per procurarsi una carie.

-John?- fu l’unica cosa che gli venne da chiedere. Se lui era rimasto incosciente per tre giorni, John doveva essere morto dalla paura…

-Intende l’uomo che era con lei, il dottor Watson? È di là, nella sala d’aspetto. Sono tre giorni che l’aspetta.-

Due anni, l’avrebbe voluta correggere Sherlock, ma lasciò perdere.

-Comunque è là fuori, credo stia dormendo- concluse l'infermiera, rivolgendogli un sorriso gentile. Di sicuro quella donna era pagata da Mycroft, nessuno gli avrebbe mai sorriso gratuitamente. Sherlock si lasciò cadere sui cuscini.

-Che ore sono?-

-Le quattro di mattina.-

-Può farlo entrare?-

Di nuovo la donna sorrise e, ancora di più, a Sherlock sembrò un uovo di Pasqua.

-Lo vado a chiamare. Lei rimanga a letto, però.-

Poi la donna-uovo sparì, aprendo la porta e facendo passare uno spiraglio di luce. Sherlock socchiuse gli occhi.  Per quanto minima, quella luce era troppo forte dopo tre giorni di buio assoluto.

-...non lo faccia affaticare- stava dicendo l'infermiera. -Ma direi che il peggio è passato. Ha solo bisogno di riposo.-

John risposte con un borbottio sommesso e poi si avvicinò al letto.

-Come ti senti?- chiese, stropicciandosi gli occhi stanchi.

-Da quanto tempo non dormi?- ribatté Sherlock, lasciando John senza parole.

-Sei stato in coma per tre giorni e io avrei dovuto dormire?-

-Possiamo smetterla di rispondere alla domanda dell'altro con una domanda?-

-E tu cosa hai appena fatto?-

Sherlock fece una smorfia.

-Quello doveva essere un sorriso- mormorò, facendo spazio a John perché potesse sedersi accanto a lui sul letto.

-Lo avevo intuito. Comunque, per rispondere alla tua domanda, sono riuscito a dormire solo quando mi hanno detto che eri stabile e che non mi avrebbero fatto entrare. Circa ieri pomeriggio, quindi.-

-E io, per rispondere alla tua, di domanda, sto abbastanza bene. In fondo, sono tre giorni che dormo.-

John tirò fuori il cellulare.

-A chi scrivi?-

-Greg... Oh, Lestrade, smettila di faremo ripetere ogni volta. Voleva che gli mandassi un messaggio quando ti saresti svegliato.-

Sherlock chiuse gli occhi e John si appoggiò a lui, su un fianco, una volta messo via il telefono. Gli poggiò la testa sul petto e gli circondò la vita con un braccio, affondando la testa nel suo collo e inspirando profondamente.

-Non farlo mai più, ok?- mormorò, stringendolo forte.

-Sarà inevitabile. E non sarà una cosa che potrò programmare... O tu preferiresti...?-

John sospirò.

-Io non "preferisco" un bel corno- virgolettò in aria, staccandosi per un momento dal corpo del compagno. -Quindi vedi di fare poche cavolate. Ci deve essere qualcosa, una cura...-

Sherlock scosse la testa piano, sempre con gli occhi chiusi.

-Mi sarei dovuto far curare prima, te l'ho già detto. Non possiamo semplicemente vivere questi ultimi giorni?-

Sentì John deglutire e sospirare pesantemente.

-Non puoi chiedermi una cosa del genere, non posso stare qui e vederti morire senza fare nulla. Non posso- mormorò con voce dura.

Fu il turno di Sherlock di sospirare.

-John, sai quanto sia difficile per me affrontare questo tipo di discorso. Non sono bravo con i sentimenti, né con i miei, né tanto meno con quelli altrui. Ci ho messo una vita e mezza ad accorgermi di quello che provavo per te e del fatto che noi potevamo essere qualcosa di più. Quindi ascoltami bene, perché probabilmente questo sproloquio è solo frutto dei mille medicinali che scorrono nel mio corpo e non si ripeterà mai più. Io ti amo, John Watson. È l'unica cosa certa della mia vita al momento, oltre al fatto che tra qualche giorno non potrei più esistere. Ti amo e sei stato la cosa più bella di tutta la mia vita.-

John lo baciò dolcemente e poi chiuse gli occhi, poggiando la sua fronte su quella di Sherlock.

-Dovresti prenderle più spesso, queste medicine.-

 

Tornò a casa un pomeriggio che pioveva, una settimana dopo il ricovero. I medici non avrebbero voluto lasciarlo uscire, non dopo così poco tempo e con le così alte possibilità di una ricaduta. Ma probabilmente era bastata una telefonata di Mycroft e Sherlock e John si erano ritrovati su un taxi diretti a Baker Street. Alla signora Hudson non avevano detto nulla, si erano inventati di essere stati fuori per un caso. In fondo, quando era uscita, sapeva che stava vendendo a trovarli Lestrade, quindi era piuttosto probabile che si fossero fatto coinvolgere nell'ennesimo caso.

Dopo aver sistemato un traballante Sherlock sul divano, avvolto nella coperta che ormai era la sua migliore amica, John era sceso dalla signora Hudson.

-John, finalmente siete tornati!- esclamò vedendolo, stringendolo forte. -Dove siete stati di bello?-

-In... Scozia- buttò lì John, accasciandosi sulla sedia.

-Scozia? È un bel viaggetto... Ma che hai, caro? Sembri stanco. Bisticcio tra innamorati?- chiese con tono da cospiratrice. -Perché ricordo quando litigavo con mio marito e il muso che mi veniva era proprio quello lì- stabilì, mettendo sul fuoco la teiera.

-Non abbiamo litigato, signora Hudson.-

Mentire stava diventando sempre più difficile. Amava Sherlock, se ne era accorto tardi, stavano insieme da appena qualche mese quando lui era "morto", e non voleva perderlo, non voleva affrontare tutto quello da solo. Ma non poteva parlarne con nessuno, Sherlock non avrebbe voluto.

Si prese la testa tra le mani, sospirando.

-Ora sarà meglio che torni di sopra, Sherlock si starà per svegliare.-

-Scommetto che si è addormentato sul divano- gli fece l'occhiolino la signora Hudson, spingendolo fuori dalla piccola cucina. -Vai, vai su. Che ti trovi lì quando si sveglia.-

-Sì, vado- mormorò John. -Vado.-

Prima che sia troppo tardi, pensò.

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Capitolo 7
*** 6. Gun ***


 

 

 

 

Era passata un'altra settimana, ma sembrava che le cose, nella loro schifezza, si fossero stabilizzate. Erano sempre loro due, ogni tanto Mycroft mandava messaggi ai quali Sherlock non rispondeva e Lestrade passava per parlare con loro dei casi. La signora Hudson faceva trovare sempre pronta la colazione e forse aveva intuito qualcosa, e quantomeno il fatto che non uscivano più di casa era sospetto. Molly aveva telefonato una volta, ma aveva detto che non ce la faceva a passare, non l'avrebbe sopportato. Evidentemente lei sapeva.

E così i giorni passavano lenti, ma troppo velocemente per John. Ogni mattina poteva essere l'ultima, ogni notte poteva essere fatale. Non riusciva a credere che un giorno, quell'uomo che dormiva accanto a lui più o meno tranquillamente, non si sarebbe più svegliato, sarebbe diventato marmo freddo e inerme. E così le ore si allungavano e restringevano allo stesso tempo, le parole erano soffocate dall'angoscia e gli sguardi sì velavano di lacrime. John non era pronto, non voleva passarci di nuovo. E questa volta il lutto sarebbe stato solo suo, il mondo non avrebbe dovuto sapere e quindi sarebbe dovuto andare a lavoro sorridendo come se nulla fosse, avrebbe dovuto parlare con la gente, si sarebbe dovuto mostrare normale... Perché non era solo Sherlock che stava morendo, la malaria non stava uccidendo solo lui. John si consumava ogni giorno, tormentandosi sapendo che ogni bacio, ogni parola, ogni sguardo sarebbe potuto essere l'ultimo.

-John- lo chiamò nella notte Sherlock, svegliandolo da un sonno leggero. -John ho freddo- mormorò.

-Non abbiamo più coperte. Hai già addosso anche il piumone...-

-C'è quella che teniamo sul divano, il plaid.-

-Vado a prendertela.-

Scalciò le coperte e si precipitò in salotto. Non era un buon segno, lo sapeva, la febbre che tormentava il suo compagno da giorni forse non sarebbe mai passata, anzi... Poteva solo peggiorare.

Afferrò il pile e tornò verso la camera da letto trascinando i piedi, ma, quando giunse sulla soglia della stanza, si bloccò.

Sherlock si era alzato, avvolto in quattro strati di lana, e stava armeggiando con il comodino di John.

-Che stai facendo?- chiese lui, allarmato. -Ti ho portato la coperta.-

Sherlock si girò, le pupille dilatate. Stringeva in mano la pistola di John, la sua vecchia pistola che, per paura di ladri o ripercussioni dovute ai casi che avevano seguito, teneva carica nel primo cassetto del comodino. La sua stupida pistola.

-John... Mi dispiace- sussurrò Sherlock, togliendo la sicura e avvicinando la canna alla testa. -Mi dispiace davvero tanto.-

-Sherlock, cosa...?-

-John, non ce la faccio più- disse.

Stava piangendo. Sherlock Holmes stava piangendo. A John andò il cuore in frantumi.

-Mettila giù adesso. Ti prego. Ti ho portato la coperta, vedi? Così non avrai freddo- lo pregò John. -Mettila giù.-

-Io volevo solo tornare a casa... Volevo solo che voi foste al sicuro...-

-E quello che hai fatto è stato bellissimo. Ci hai donato la vita. Lascia che io faccia lo stesso per te, adesso. Metti giù la pistola e passamela.-

-Non piangere, John.-

-Ti stai per uccidere, pezzo di cretino, dovrei ridere?-

-Forse aiuterebbe.-

-Io non ti voglio aiutare, non in questo.-

-Ma la fine arriverà, prima o poi.-

-Esatto, prima o poi. Magari hai ancora qualche mese davanti.-

Sherlock scosse la testa.

-Sto male, John. Non voglio morire agonizzante in un letto, soffocato dalla mia stessa bava. Non farmi questo- disse, avvicinando di più la pistola alla tempia.

-Tu vuoi che io viva, vero?- Sherlock sembrò spiazzato da quella domanda. -Perché se tu ti spari adesso, ti giuro su tutto quello che vuoi che il prossimo proiettile è per la mia, di testa.-

-John...- si allarmò Sherlock.

-Perché sei tornato, Sherlock, eh? Perché non sei morto saltando da quel cavolo di ospedale? Tu ami la vita, non vuoi morire!-

-Non ho alternative. Tra al massimo una settimana sarò morto sul serio.-

-Ti chiedo un ultimo regalo, un ultimo regalo. Non ucciderti ora, non farlo. Aspettiamo, vediamo quanto rimane, esattamente. E quando verrà il momento, potrai farlo come vorrai, anche dandoti fuoco a Piccadilly, la tanica la porto io. Ma aspettiamo, ti prego.-

-Voglio qualcosa in cambio, però.-

John lo guardò stralunato, gli occhi fissi sulla canna della pistola che si stava lentamente allontanando dalla fronte di Sherlock.

-Quello che vuoi, ma dammi quella pistola, adesso.-

-Giurami che quando me ne sarò andato, quando sarò morto, tu non mi seguirai, per quanto terribile e doloroso sarà. Promettimi questo e io chiederò a Mycroft quanti giorni mi rimangono esattamente e non ne salterò nemmeno uno.-

-Lo giuro- disse John, di slancio. -Ma ora dammi la pistola.-

Sherlock gliela passò facendola scivolare sul pavimento.

-Questa sparisce per un bel po'- commentò John, raccogliendola. -E ora rimettiti a letto, idiota.-

-Devo scrivere a Mycroft...- mormorò Sherlock, accoccolandosi sotto le coperte e chiudendo gli occhi. -Devo...- ma stava già dormendo prima della fine della frase.

John tornò in salotto, il cuore che gli batteva come un tamburo. Non pensava che Sherlock fosse così al limite, che la malattia lo stesse divorando così dall'interno. Si lasciò cadere sulla poltrona nera, quella che ben presto sarebbe rimasta vuota per sempre. Come avrebbe fatto a sopportare tutto quello di nuovo? Non che lo avesse superato, ma ormai erano passati due anni dal "salto" quando Sherlock era tornato, stava cominciando a farsi un'idea del fatto che dovesse andare avanti in un qualche modo. Ci stava riuscendo, trasferirsi da un'altra parte aveva aiutato, stava tornado alla vita. E ora sarebbe morto di nuovo. Ce l'avrebbe fatta?

Aprì la pistola e tolse i proiettili, lanciandoli uno ad uno fuori dalla finestra, sfogando la sua rabbia contro dei poveri piccioni innocenti che avevano la sola colpa di passeggiare sul marciapiede davanti casa loro. Poi prese il telefono.

 

Quanto?

 

La risposta di Mycroft non si fece attendere.

 

Fino al 30 settembre. I miei medici sono piuttosto precisi.

 

Poi arrivò un secondo messaggio, circa due secondi dopo il primo.

 

Mi dispiace, John.

 

John lanciò un'occhiata angosciato al calendario e poi al sole che stava sorgendo.

Era l'alba del 30 settembre.

 

 

 

 

 

 

Inathia's nook:

chiedo ufficialmente scusa se non potrò aggiornare la prossima settimana, ma è probabile che sarò morta per allora. nel caso, cercate Johlock is the way, perchè è stata lei. caaaaara mia, ti prego.... la storia non è ancora finita..... posso vivere almeno fino all'epilogo?

tornando a noi, spero che il capitolo vi sia piaciuto. è sempre più angst, me ne rendo conto, ma credo con il prossimo di tirarvi un po' su. bè, almeno con la prima parte... cioè, con buona parte del capitolo.

ok, mi eclisso, sparisco. 

se non aggiornerò, saprete già chi cercare ;)

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Capitolo 8
*** 7. Together or not at all ***


 

 

 

TOGETHER OR NOT AT ALL

 

John rimase a fissare imbambolato la finestra, il cuore che accelerava sempre più rapidamente, nelle orecchie quel messaggio come se glielo stesse sussurrando Satana in persona.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

Fino al 30 settembre.

In uno scatto d’ira aprì le imposte e gettò fuori il telefono, che finì sull’asfalto, proprio di fianco ai proiettili che aveva lanciato poco prima. Quando c’era ancora speranza.

Lo sapeva che sarebbe successo, lo sapeva fin dall’inizio, per una volta Sherlock era stato chiaro. Quando si erano rivisti gli aveva detto che davanti a lui aveva ancora sì e no un mese e quel mese ora stava venendo a chiedere il conto. Era come se Sherlock gli fosse stato restituito giusto in tempo per un addio vero e proprio. E poi se ne sarebbe andato di nuovo e per molti sarebbe stato come se non fosse mai stato lì davvero.

Si alzò e si infilò la giaccia sul pigiama, una meta ben precisa in mente. Prima di uscire, afferrò il cellulare di Sherlock. Non doveva sapere, non doveva mettersi in contatto con Mycroft. E poi a John il telefono serviva davvero, non ci aveva pensato quando aveva buttato giù dalla finestra il suo.

In strada regnava il silenzio. Erano le sette e mezzo del mattino di un lunedì mattina uggioso, poca gente in giro. John fermò il primo taxi che vide e si fece portare in centro. Doveva fare in fretta, prima che Sherlock si svegliasse e notasse la sua assenza.

Mentre Londra sfrecciava davanti ai suoi occhi, John tirò fuori il telefono di Sherlock. Per un attimo il salva-schermo lo fece ridere. Era una sua foto, John Watson era il salva-schermo di Sherlock Holmes. Si chiese quando gliel’avesse scattata, perché non se lo ricordava. Indossava il suo maglione preferito, quello color panna, e stava alla scrivania del soggiorno di casa loro digitando sulla tastiera del computer. Doveva essere uno primi giorni della loro relazione, ricordava di una volta in cui, mentre aggiornava il blog, aveva sentito uno strano rumore. Ma quando si era voltato, Sherlock aveva esibito la faccia più innocente del mondo ed era tornato ad armeggiare con il cellulare.

Aveva scattato quella foto.

Solo in quel momento John si rese davvero conto di quanto il compagno gli sarebbe mancato. E non solo fisicamente, ma quanto l’aria che respirava. Sherlock era stato la sua roccia e la sua dannazione, non poteva perderlo di nuovo.

Mandò velocemente un altro messaggio a Mycroft e poi scese dal taxi, dicendo al conducente che sarebbe tornato in pochi secondi. Entrò nella prima che vide, non aveva in mente nulla di troppo appariscente, conosceva i gusti di Sherlock meglio dei suoi, ma fu quando lo vide che capì che era quello giusto. Chiese al commesso un pacchetto regalo e lui aggiunse anche un fiocco, facendogli l’occhiolino. John rispose con un sorriso che sarebbe dovuto essere allegro.

Tornò a bordo del taxi nell’esatto momento in cui Mycroft gli rispondeva con un ok.

Ora bastava convincere Sherlock.

 

Nonostante John fosse entrato in casa con il passo più leggero possibile, Sherlock lo sentì lo stesso. Ultimamente dormiva male, molto male e spesso –quando non rimetteva- passava la notte a guardare il soffitto. Ma non quella notte. Quella notte aveva fatto di peggio. Non era del tutto sicuro di poter discolpare se stesso dando la colpa solo alla malattia, soffriva e non ne poteva più e quella gli era sembrata una buona idea. Allontanare John con una scusa, prendere la sua pistola… con un colpo avrebbe sistemato molte cose. Ma John era intelligente, John era tornato in tempo. John aveva pianto.

E anche lui lo aveva fatto, ma per un altro motivo.

Non doveva andare così, aveva sognato per due anni il ritorno, lo aveva perfezionato nella sua mente, e poi era andato tutto al diavolo.

E così aveva sperato di mettere fine a tutto quello, un proiettile in testa era un modo molto più rapido di andarsene piuttosto che stare in un letto aspettando chissà che cosa. Non voleva morire soffocato dalla sua stessa bava, lo aveva detto a John. E cosa aveva ottenuto in cambio? Uno stupido patto, una promessa…

Quando John se n’era andato, era andato fino al salotto, ma la pistola era stata privata di tutti i colpi.

John era intelligente, John era molto intelligente, altrimenti lui non avrebbe mai potuto amarlo.

E così non gli era rimasto altro che tornare barcollando fino al letto –dopo una visitina al bagno, dove il lavandino aveva accolto la sua cena- e rimettersi sotto i quintali di coperte.

Si era svegliato di nuovo quando John era tornato. Lo aveva sentito aprire la porta d’ingresso e, involontariamente, aveva sorriso. Suo fratello lo aveva detto quando li aveva visti insieme per la prima volta: John Watson lo avrebbe potuto rendere migliore o il peggiore tra gli uomini. Lo aveva reso migliore, o almeno così piaceva credere a Sherlock.

-Come ti senti?-

John sapeva di strada, di taxi, di persone, di mattino, di normalità… e di paura.

-Che succede?- chiese, cercando di puntellarsi sui gomiti.

-Pensavo avessimo smesso di risponderci con delle domande.-

Sherlock gli fece un mezzo sorriso e si tirò la coperta sulla testa.

-Sai,- cominciò John, sdraiandosi accanto a lui. –stavo pensando al fatto che tu non vuoi che nessuno sappia del tuo ritorno. Perché?-

-Perché è inutile dire a della gente che non sono morto per poi morire il giorno dopo. Una questione pratica.-

-A me lo hai detto.-

-Tu non sei “della gente”- virgolettò, emergendo dal piumone. –Se volevi sentirmi dire questo, perché non sei andato dritto al punto?-

John scrollò le spalle.

-Quindi non vuoi che si sappia in giro?-

-Pensavo ne avessimo già discusso.-

-Come ti senti?-

-Pensavo che anche questo me lo avessi già chiesto.-

-Sì, ma non mi hai risposto.-

-Sto così così. Finché sto orizzontale va tutto bene- mentì.

-Te la sentiresti di uscire?-

-Ma se ti ho appena detto… Che c’è? Cosa mi vuoi dire che non stai dicendo?- chiese indagatore, facendosi più vicino.

John si alzò di scatto.

-Niente, solo… ecco, non volevo fosse qui. Pensavo a qualcosa di meglio.-

-John, che cavolo…?- esclamò, mettendosi a sedere e ignorando il giramento di testa.

Ma John si era inginocchiato di fianco al letto e stava tirando fuori dalla tasca una scatolina. Sherlock non capiva e non aveva nulla a che fare con la malaria. Proprio non stava capendo cosa stesse succedendo.

-Sherlock Holmes- cominciò John, schiarendosi la gola. –Vuoi… sposarmi?- 

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Capitolo 9
*** 8. I think I wanna marry you ***


 

I THINK I WANNA MARRY YOU

 

Sherlock fissò senza parole la scatolina aperta davanti ai suoi occhi. All’interno c’era un anello, due fascette di oro e argento intrecciate. Era bellissimo, persino per lui che non aveva mai avuto interesse per i gioielli.

-John, stai...?- si bloccò Sherlock, guardando l'anello come se potesse morderlo da un momento all'altro. -Tu mi...?-

-Sì, pezzo di cretino, te lo sto chiedendo davvero. Ora, potresti dire di sì, così mi tiro su? Sai, il pavimento non è molto comodo...- scherzò John.

-John, non capisco...-

-Ti sto chiedendo di sposarmi, Sherlock. Nulla di troppo complicato.-

-Hai presente quella parte della cerimonia "finché morte non vi separi"? Sicuro di voler essere mio marito fino al tramonto?-

John sussultò. Sherlock non sapeva, non poteva sapere... Magari stava male e questo gli faceva vedere tutto nero, ma non poteva essere a conoscenza della verità. Lo aveva detto lui stesso, non aveva voluto leggere il fascicolo...

-Sherlock- lo riprese John, cercando di rimanere calmo, -William Sherlock Scott Holmes, mi vuoi sposare?-

-Come fai a sapere il mio nome completo?-

-Sherlock, smettila di cambiare argomento!-

-Va bene, sì- disse Sherlock alla fine, cercando di alzarsi da letto ma finendo con l'ingarbugliarsi ancora di più nelle coperte. John rimase immobile mentre il compagno si metteva faticosamente in piedi. Sapeva che Sherlock non avrebbe voluto il suo aiuto, non in quello. Quando finalmente raggiunse una certa stabilità, Sherlock gli porse una mano pallida e tremante e John gli infilò l'anello al dito.

-Lo sai che sei fuori di testa vero? Non pensavo che la tua più grande aspirazione fosse diventare vedovo prima dei quarant'anni...- ma John zittì lo sproloquio di Sherlock con un bacio.

-Pensi di riuscire a prepararti in mezz'ora?-

-Sei decisamente fuori di testa.-

John gli misurò la temperatura con un bacio sulla fronte.

-La febbre ti è quasi passata, devi solo coprirti bene. Ce l'hai un maglione in quel tuo armadio o solo camicie e completi da figo?-

Sherlock si lasciò sfuggire una risata e lo abbracciò da dietro mentre John spalancava le ante.

-Oh, ma sei un disastro!- esclamò John, passando in rassegna il contenuto.

-Potrei sempre mettermi qualcosa di tuo. Sai come si dice ai matrimoni, qualcosa di prestato...-

-Non pensavo fossi un esperto di matrimoni.-

-Non pensavo tu potessi organizzarne uno in un'ora.-

-Se ti dicessi che si sta occupando di tutto Mycroft?-

-Ti risponderei che non ne sono sorpreso. Dove, quindi? E quanta gente? Lo sai che odio la gente...-

-Solo tuo fratello, la signora Hudson, Molly e Greg.-

-Greg?-

John sbuffò tra l'esasperato e il divertito.

-Lestrade?-

-Quindi siamo solo noi e i testimoni. Dove?-

-Questo non te lo dico. Hai bisogno di aiuto per prepararti?-

-Direi di no, ma se senti un tonfo sono io che casco per terra.-

-Idiota- fu l'unico commento di John, prima di uscire dalla stanza sorridendo.

 

Sherlock comparve in salotto mezz'ora dopo, puntuale.  Era fiero di essere riuscito a vestirsi da solo, rischiando di cadere una sola volta. Effettivamente si sentiva meglio. Non sapeva se il merito dov'essa andare alla proposta di John o al semplice caso, ma la febbre gli era momentaneamente passata e non riusciva a credere di aver desiderato di morire solo poche ore prima. Se ripensava a quella notte si sentiva un verme egoista, se chiudeva gli occhi rivedeva le lacrime di John e sentiva di nuovo la voce implorarlo... Eppure, nonostante tutto quello, nonostante il suo ESSERE SHERLOCK, John era uscito di casa e aveva vagato alla ricerca del l'unica gioielleria aperta di Lunedì mattina all'alba per chiedergli di sposarlo. Era orgoglioso di poter dire di essere amato da John Watson.

-Che bel figurino- lo prese in giro John, quando entrò in salotto. -Sai, non credo di averti mai visto in jeans e maglione.-

Quello, che sarebbe dovuto essere un commento scherzoso, in qualsiasi altro contesto, fu come un pungo nello stomaco per Sherlock. Aveva messo un vecchio paio di jeans che non ricordava nemmeno più di avere e il maglione bianco di John, l'unico che non gli andava piccolo. Non era ben sicuro se si fosse preparato per il proprio matrimonio o per il proprio funerale, ma finché si sentiva bene e John era -o fingeva di essere- di buon umore, andava tutto bene.

-Andiamo?- chiese, infilandosi il cappotto.

-Il taxi dovrebbe essere già giù- commentò John, dando un'occhiata dalla finestra e intrecciando le sue dita con quelle di Sherlock.

-Allora si va in scena.-

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Capitolo 10
*** 9. I'm still learning to love, and I'm saying goodbye ***


 

 

I'M STILL LEARNING TO LOVE, AND I'M SAYING GOODBYE

 

 

Il posto scelto da John si rivelò essere Hyde Park, Sherlock lo aveva capito non appena erano entrati nel cab. Mycroft, Lestrade, Molly e la signora Hudson erano già lì, assieme a un uomo che immaginò essere l'officiante. In un'altra vita gli sarebbe bastata un'occhiata per sapere tutto di lui, ma in quel momento si accontentò di stringergli la mano.

Si sentiva piuttosto bene, era persino euforico per tutto quello che stava accadendo così in fretta. La testa aveva smesso di fargli male mentre erano in taxi e non aveva fatto colazione, così da evitare di interrompere la cerimonia rimettendo sull'erba.

LA CERIMONIA.

Si aggrappò al braccio di John mentre avanzavano nell'erba. Non poteva essere vero, non meritava tutto quello, John non stava davvero per diventare suo marito...

John gli sorrise e a Sherlock che quel sorriso rivelasse e nascondesse cose al tempo stesso, ma decise di non badarci. Aveva deciso in taxi che al termine della cerimonia avrebbe chiesto a Mycroft QUELLA COSA, ma ora non ne era più tanto sicuro.

Si sentiva bene e non voleva pensare a nient'altro.

-Bene, signori, se vogliamo cominciare- disse l'officiante, mentre i quattro si disponevano dietro John e Sherlock. Molly e Greg sarebbe stati i testimoni del primo, Mycroft e la signora Hudson del secondo. Sherlock strinse forte la mano di John e di nuovo quello gli rivolse lo strano sorriso.

-John?- chiese a mezza voce, terrorizzato dall'idea che avesse cambiato idea, ma John non rispose.

La cerimonia fu semplice e breve e in un attimo erano già arrivati alle promesse. A Sherlock sembrava di passare da un sogno ad un altro e quasi non si accorse di Molly che si era fatta avanti porgendo la fede a John.

-Sherlock- cominciò John, prendendo un lungo respiro, -che ti amo lo sai già, altrimenti non saremmo qui oggi. Quello che vorrei dire nel mio discorso è grazie. Grazie per aver reso la mia vita migliore, perché ero solo, così solo, e ti devo tanto. Devo a te l'aver ritrovato il sorriso, anche se questo spesso significava finire a ridacchiare come due bambini sulla scena del crimine. Devo a te l'aver ritrovato la fiducia in me stesso, perché quando mi hai conosciuto ero un soldato rotto dentro e ora sono un medico innamorato. Devo a te l'aver ritrovato la speranza, perché quando si tratta di Sherlock Holmes, ho imparato, nemmeno la morte è definitiva. E so che ce la faremo anche questa volta, me lo sento. E quindi sono qui oggi per dirti grazie, per avermi riportato alla vita, per avermi mostrato un modo migliore di viverla e per avermi permesso di amarti. Perché io ti amo, Sherlock Holmes, che questo matrimonio duri solo fino a sta sera o no, io ti amerò fino alla fine del tempo- concluse, facendo scivolare la fede al dito di Sherlock. -E voglio che tu sappia che avrei passato tutta la mia vita con te, perché senza non è vita, già lo so. Sarebbe stato un privilegio, invecchiare con te.-

La signora Hudson singhiozzò dietro di loro e Sherlock si schiarì la voce per cominciare il proprio discorso.

-Sai che non sono il tipo da discorso lungo, soprattutto in pubblico, a meno che non si tratti di autocelebrazione. E ti posso assicurare che, questa volta, non lo è. Perché ho ben poco di cui andare fiero. Ti sto per lasciare di nuovo e questa volta per sempre. Lo so, potrebbero esserci ancora giorni, ma il concetto è lo stesso: io non posso permetterti il "per sempre" che meriteresti. Ed è per questo mi voglio scusare, perché sono un tremendo egoista. Perché, anziché lasciarti alla tua vita, anziché lasciarti andare avanti, sono tornato. Perché avevo bisogno di te, perché tu mi rendi migliore. Ma se non lo avessi fatto, non avrei potuto avere questo che posso definire, in tutta onestà, il mese più bello della mia vita. Ma ancora una volta si tratta di me. Perché questo è il mio modo di amare e, grazie a Dio, a te va bene così, perché senza di te sarei perso. L'ho realizzato davvero in quei due anni che sono stato via, ma tu, John Watson, sei la mia ancora e il mio faro. Quindi perdonami per essere stato l'idiota egoista orgoglioso testa vuota che ha voluto fare l'eroe della situazione, perdonami se il mio essere stato ME ci impedirà di avere il "vissero per sempre felici e contenti" che meriti più di qualsiasi altro essere umano su questa cavolo di terra. Ma sono fiero del fatto che si potrà dire di me "era il marito di John Watson, lo amava." Perché io ti amerò sempre, anche dopo domani.-

-Sai, dovresti farli più spesso questi discorsi che non ti riescono bene- fu l'unico commento di John, mentre la fede scivolava lungo il suo anulare.

Il bacio che seguì fece scendere un brivido lungo la schiena di Sherlock. Era un bacio che sapeva di tutto e di niente. C'era tutto l'amore che provavano l'uno per altro, la disperazione per la consapevolezza del fatto che, per quanto si illudessero, domani non sarebbe durato per sempre, la felicità di essersi riusciti a ritrovare prima della fine.

Sherlock poggiò la fronte su quella di John e vide il suo stesso viso riflesso in quello del MARITO. Sapeva che le stesse lacrime bagnavano le sue guance, lo sentiva, e sapeva che quei pozzi di dolore e amore e tristezza che erano gli occhi di John erano identici ai suoi.

Si poteva essere felici da impazzire e tristi con il cuore spezzato al tempo stesso?

Poi, così come se n'erano andati, i dolori tornarono tutti insieme.

All'improvviso.

Tornarono le fitte alla testa, così forti da costringerlo ad aggrapparsi a John per non cadere.

E tornò il freddo, così tanto da costringerlo a battere i denti anche se il sole splendeva in cielo.

E tornarono i brividi, tanti da fargli battere i denti e tremare.

E tornò la febbre, alta e terribile da annebbiargli la vista, facendo scomparire John dal suo mondo.

-John...- mormorò, prima di accasciarsi, perdendo la presa sul cappotto dell'altro.

-Sherlock, sono qui- fu il rantolo strozzato di John, mentre sosteneva la sua caduta e gli si inginocchiava accanto. -Mycroft- ringhiò poi, girandosi, -Avevi detto fino al 30...-

-Fino al 30- ripeté quello, guardando come ipnotizzato quello che stava succedendo.

Greg si precipitò accanto a John e lo aiutò a sdraiare Sherlock per terra.

-John, dove sei?- sussurrò Sherlock. -John...!-

-Sono qui, Sherlock, non me ne vado. Non ti lascio, sono qui- disse, stringendogli la mano, mentre le lacrime cominciavano a scendere. Non poteva credere che fino a pochi istanti prima era stato l'uomo più felice di tutta la terra.

Gli altri si fecero da parte, lasciando loro lo spazio. Sherlock stava aggrappato alla giacca di John, come a tirarlo verso di sé e, allo stesso tempo, assicurarsi della sua presenza. John gli era praticamente sdraiato addosso, come a coprirlo dalla vista degli altri, come se le sue spalle potessero bloccare tutto il male del mondo. Molly sosteneva una sconvolta signora Hudson, cercando di spiegare con voce rotta quello che stava succedendo, mentre Mycroft, una statua di dolore, aveva una mano arpionata sulla spalla di Greg, pallido e tremante.

-John? JOHN!-

-Calma, sono qui- cercò di rassicurarlo John, baciandolo attraverso le lacrime.

-Sarebbe stato bello essere sposati, ma sarei stato un marito pessimo- provò a farlo ridere Sherlock e John si sforzò almeno di sorridere. -Lo sapevi, sapevi che era oggi.-

John annuì anche se non era stata una domanda.

-John, te l'ho mai detto che Sherlock è un nome da donna?-

-Ma la vuoi smettere di dire stronzate?-

-Dico davvero.-

-Ti amo anche io, idiota- sussurrò John.

-È bello qui. È un bel giorno per morire.-

-Non farmi questo, ti prego. Non di nuovo. Non adesso.-

-Sarei rimasto con te per sempre. È stato un onore essere tuo marito, John Watson-Holmes.-

Poi non si mosse più.

Per quando John tirasse pugni e urlasse il suo nome, per quando John lo minacciasse e piangesse, Sherlock Holmes-Watson non riaprì gli occhi.

Rimase immobile mentre Mycroft e Greg staccavano John dal suo corpo.

Rimase immobile mentre la signora Hudson chiamava tremante l'ambulanza, rifiutandosi di ammettere la realtà.

Rimase immobile quando giunsero i soccorsi, che non poterono fare altro che attestarne il decesso.





Rimase immobile.

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Capitolo 11
*** Epilogue - Quelli che restano- ***


 

QUELLI CHE RESTANO

 

Un anno dopo

 

-Non posso darle le pillole che mi chiede, non credo siano neppure in commercio. Mi dispiace, signor Watson-Holmes.-

-Solo Watson.-

-Ma la sua scheda...-

-Lo so cosa c'è scritto- ringhiò John. -Ma è solo Watson.-

Non stava andando bene, non andava bene affatto. Era passato un anno e quella era la prima volta che usciva di casa, che usciva dalla loro stanza.

Greg aveva insistito, Mycroft aveva insistito, la signora Hudson aveva insistito, Milly aveva insistito... Ma lui si era deciso solo spinto dalla necessità.

Non ce la faceva più. Quell'anno era stato lungo e vuoto e altrettanti anni identici a quello lo aspettavano.

-Va bene, signor Watson, come preferisce. Ma quelle pillole non gliele posso dare lo stesso. Forse qualcosa per dormire...-

John guardò il terapista, scettico.

-Io non voglio dormire. Io ho bisogno di dimenticare.-

-Si dia del tempo. Ciò che ha passato negli ultimi tre anni...-

-Lo so cosa ho passato- lo interruppe John, stringendo i pugni. -Lo so. Quindi non mi dica quello che devo fare, perché potrei scriverci un manuale, su come superare il lutto.-

-Bè, non mi sembra stia funzionando, signor Watson-Holm... scusi, signor Watson. Perché lei sta male come il primo giorno, se non di più.-

John distolse le sguardo e lo puntò sul soffitto per nascondere le lacrime.

Ormai non se lo sognava più solo la notte, ma era diventato una presenza costante al suo fianco. Erano come allucinazioni, visive e sonore. Era arrivato a credere di sentirlo muoversi per casa, c'erano sere che preparava la cena per due e poi faceva per mandargli un messaggio quando non arrivava. A volte, invece, lasciava scattare la segreteria solo per sentire le loro voci insieme.

-Signor Watson?-

-Lei non capisce. Io ho bisogno di dimenticare.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre anni prima

 

-John, mi passi il telefono?-

La voce di Sherlock gli arrivò ovattata attraverso l'acqua scrosciante. Possibile che il suo coinquilino ne avesse sempre una, soprattutto quando lui era sotto la doccia?

Chiuse l'acqua e si infilò l'accappatoio. Jack era al computer -il suo laptop- e guardava accigliato lo schermo.

-John?-

-E dove sarebbe?- chiese, frizionandosi i capelli con l'asciugamano.

-Giacca- fu la bisillaba risposta. 

John sospirò e infilò una mano nella giacca che Sherlock indossava, raggiungendo la tasca interna. Gettò il cellulare sul tavolo e si chinò sopra la spalla di Sherlock per vedere cosa stesse facendo.

-Stai di nuovo controllando la grammatica del mio blog!- esclamò indignato, cercando di rubargli il computer. -Ma la vuoi smettere?-

-John, non è colpa mia, è il tuo blog che implora il mio aiuto...- cominciò, ma si dovette interrompere perché l'altro aveva cominciato a colpirlo sulla testa con un giornale arrotolato.

-Idiota.-

-Lo so, ma sono in buona compagnia- ribatté Sherlock, un sorriso sornione sul volto.

-Bah, vado a vestirmi o farò tardi a lavoro.-

-Sta sera andiamo fuori a cena- gli gridò dietro Sherlock.

-Non sono il tuo appuntamento- mise in chiaro John, girando i tacchi e tornando verso il salotto.

-Bè, potresti provare. Potremmo. Sarebbe un esperimento.-

-Un esperimento?- chiese scettico John, sollevando un sopracciglio.

-Solo per questa volta- gli promise Sherlock...

 

 

 

 

 

 

 

-Ma non è stato solo per quella volta, vero? È stata solo la prima di molte, no?-

Le parole del terapista lo riportarono bruscamente al presente. Aveva parlato ad alta voce?

-John, -posso chiamarla John?- vada a casa. Magari cambi appartamento, giro di amicizie, ma non si chiuda. È peggio, mi creda. Sono sicuro che suo marito avrebbe voluto...-

-Vivere, ecco cosa Sherlock avrebbe. Ma non ha potuto, non ce l'abbiamo fatta, non questa volta.-

 

 

 

 

 

 

 


Due mesi dopo

 

Fu Greg ad arrivare per primo sulla scena. Una signora aveva chiamato in centrale dicendo di aver sentito uno sparo mentre portava il cane a fare i bisogni al parco.

Greg sapeva di cosa si trattava, di chi, ancora prima di mettere piede ad Hyde Park. Un colpo di pistola, uno solo, aveva oltrepassato il cervello del poveretto, da tempia a tempia. L'arma la teneva ancora stretta in mano, il sangue gli imbrattava il volto.

Riconosceva quel luogo Greg, ci era stato solo un anno e due mesi prima. Avevano celebrato un matrimonio, all'epoca, e poi avevano perso tutti tutto.

Ma John era stato quello che aveva perso più di tutti.

E ora Greg si sentiva in colpa. Se gli fosse stato più vicino, se non si fosse ributtato subito a capofitto nel lavoro...

-Signore, abbiamo trovato questo accanto al corpo- disse uno della scientifica, porgendogli una busta con dentro un foglio di carta. Un biglietto d'addio. -Direi che si tratti di suicidio.-

Greg abbassò lo sguardo e lesse le parole che quella mano tremante aveva tracciato.

 

Ci ho provato, non ce l'ho fatta.

Sto arrivando.

 

E Greg si tolse il cappello in segno di saluto quando il corpo senza di vita di John Watson-Holmes venne caricato sull'ambulanza.

 

 

 

 

 

 

Inathia's nook:

è con il cuore in lacrime che spunto la casellina "completa" di questa storia. perdonatemi il finale, ma non pensavo ci fosse altro modo per concluderla. Non ce lo vedevo John allegro e felice come una pasqua, non dopo tutto quello che gli era successo. E Sherlock è morto davvero, questa volta. Perdonatemi davvero, signore, ho un groppo al cuore ogni volta che rileggo tutta la storia. 

La foto iniziale del capitolo è un quadro di Boccioni che ho trovato tremendamente perfetto per l'epigolo. In realtà, mi ha accompagnata per tutta la scrittura e quindi ho deciso di inserirlo alla fine.

eeeeee, niente. 

Grazie mille per essermi state vicine per queste settimane. Un ringraziamento particolare va a Johnlock is the way perchè è pucciosissima e se lo merita. e poi c'è un grosso bacio sbavoso per voi tutte anime pie che avete recensito pazientemente capitolo per capitolo, facendomi ridere e sentirmi un po' in colpa con i vostri commenti ;) un grandissimo abbraccio a chi ha letto silenziosa, ha ricordato e preferito la storia, seguendo i miei svarioni tragici settimana dopo settimana. 

e infine grazie a te, lettore/lettrice random, che ti sei letta la storia tutta d'un fiato. grazie della tua fiducia, spero che ti sia piaciuta.

e ora, come si dice sempre:


"Larga è la foglia,

stretta è la via,

dite la vostra

che io ho detto la mia"

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