Invisible.

di madelifje
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** That girl. ***
Capitolo 2: *** Red ***
Capitolo 3: *** Twenty-one ***
Capitolo 4: *** Don't belive in humans ***
Capitolo 5: *** Glowing ***
Capitolo 6: *** Words ***
Capitolo 7: *** New job ***
Capitolo 8: *** Ghosts from the past ***
Capitolo 9: *** Good day to die ***
Capitolo 10: *** War in my mind ***
Capitolo 11: *** Back to the stars ***
Capitolo 12: *** Mask ***
Capitolo 13: *** Alien ***
Capitolo 14: *** In the wolf's den ***
Capitolo 15: *** Skinny love ***
Capitolo 16: *** Good girls go to haven ***
Capitolo 17: *** His little bird ***
Capitolo 18: *** Exceptions ***
Capitolo 19: *** Inside of the darkness ***
Capitolo 20: *** Sinking ***
Capitolo 21: *** Hallucinations ***
Capitolo 22: *** Christmas Lights ***
Capitolo 23: *** No Angel ***
Capitolo 24: *** Nothing left to say ***
Capitolo 25: *** Oblivion ***
Capitolo 26: *** In your head ***
Capitolo 27: *** See you soon ***



Capitolo 1
*** That girl. ***


Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.

*banner in fase di completamento*

That girl.

 



A Giulia, che si è scervellata quanto me per cercare un nome adatto alla protagonista ♥




Non sono un tipo da “Caro diario”.
Non lo sono mai stata.
Non ho mai scritto con la penna blu su della carta rosa e non ho mai messo i cuoricini al posto dei puntini sulle “i”.
Neanche da piccola.
Perciò non aspettatevi riquadri con le iniziali del ragazzo che mi piace, dialoghi insensati su amori non corrisposti ed abbreviazioni varie.
Ho sempre odiato High School Musical e non ho mai avuto nessunissima cotta segreta per Zac Efron.
Come non ho mai avuto una cotta per Brian Holloway, il figo di turno a cui tutte hanno sbavato dietro almeno una volta nella vita.
Io ero quella che andava in bici nel boschetto perché doveva fotografare quel maledetto scoiattolo, o suo padre non le avrebbe mai regalato una reflex.
Quella che a dodici anni aveva tirato un pugno al summenzionato Brian Holloway dopo che lui aveva dichiarato di odiare i Pink Floyd. E che il giorno dopo era rimasta stupita dal fatto che nei corridoi non si parlasse del gusto musicale di merda di Brian, ma della rissa tra lui e quella primina con le lentiggini. Come si chiamava? Ah, sì. Ali.
Un estraneo a cui capitasse di entrare alla Roseville High School vedrebbe una ragazza con degli amici. Una ragazza che viene invitata alle feste, nonostante partecipi raramente. Una ragazza che viene considerata, anche se in modo diverso rispetto alle altre.
Già, ma un estraneo non sarebbe neanche in grado di capire la verità.
Forse è per questo che quando ho trovato questo diario blu piccolissimo e vecchio nel cassetto dei maglioni ho deciso di scriverci sopra. Per far conoscere la verità. O forse per la foto di Giselle infilata tra la copertina e la prima pagina.
 
I miei dormono. Li ho sentiti russare mentre percorrevo silenziosamente il corridoio e posizionavo la sedia sotto alla vetrata del lucernario. Come quasi ogni notte, ho aperto la finestra, ho tirato giù la scala a pioli e sono salita. Il tetto di casa mia è in assoluto il posto che preferisco al mondo. Ho scoperto come arrivarci quando ancora la gente non mi trattava con i guanti e quando ero nella mia fase dark bimbominkiosa. In sintesi, avevo trovato la scala a pioli in prima media.
Galileo, il gatto, aveva fatto cadere in giardino il mio orologio subito dopo averci vomitato sopra una palla di pelo. Disgustata, avevo sceso le scale sul retro ed ero andata a recuperare l’orologio. Mentre cercavo qualcosa con cui prenderlo senza dover toccare il pelo rigurgitato, avevo trovato la scala. E mentre cercavo un modo per fotografare il cielo senza mettere a fuoco il vetro del lucernario, mi era venuta in mente l’idea di salire sul tetto.
Lo spettacolo da quassù è bellissimo. Si vedono le ultime luci ancora accese delle case, i lampioni che illuminano le strade deserte e, alla mia destra, i campi.
Mi sdraio sul plaid cercando di trovare la stella polare. Poi controllo di avere montato l’obbiettivo giusto sulla mia Canon, metto a fuoco e scatto la foto.

Giselle diceva che un giorno Alianna Crawford sarebbe diventata qualcuno.
Oggi è il 7 settembre 2012 e sono le ventitré e quindici minuti.
Alianna Crawford è ancora la ragazza invisibile. 



HOLA! (leggetemi)
Dopo giorni e giorni di scervellamenti, l'ho pubblicata. YEAH!

Sono Gaia, la tizia di Like Falling Stars, You always will be my agel e Non sono chi tu pensi che sia.
A questo punto quelle che già mi conoscono saranno già scappate via, e non posso biasimarle C:
Ho due ff in corso e un'originale, solo a una persona totalmente fuori di testa poteva venire in mente di pubblicare un'altra long. Non so quanto sarà lunga.

Tengo paricolarmente a questa storia (per una serie di motivi che non sto qua ad elencarvi), quindi ricevere un vostro commentuccio mi farebbe davvero piacere.
Non date niente per scontato. Questa non è la solita storia in cui lei è una sfigata che si innamora del figo di turno che magicamente la ricambia. Tanto per cominciare, Ali è abbastanza popolare. "Invisibile", significa un'altra cosa, che capirete più avanti :)
Oggi mi piace fare la misteriosa LOL
Detto questo, fado a fare una torta :3
Al prossimo capitolo gentaglia!
tanti baci,
Gaia

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Capitolo 2
*** Red ***


*ancora niente banner*

Red.


Colore? Lei è rosso. Come l'amore è rosso.
Tempesta. Uragano che ti spzza via.
Terremoto che fa crollare il corpo a pezzi.
-Bianca come il latte rossa come il sangue, Alessandro d'Avenia



A settembre il cortile della scuola è sempre pieno. I ragazzi vogliono godersi le ultime belle giornate, mentre gran parte delle ragazze cerca ancora di abbronzarsi. Si sdraiano sull’erba e stanno lì per tutta la pausa pranzo, con gli occhi chiusi e i capelli sparsi intorno alla testa.
Oggi c'è il sole.
Non ho intenzione di mettermi a cercare di assorbire i raggi solari come una lucertola, quindi mi sistemo come al solito sul muretto di mattoni grigi. C’è ombra e  il caldo è sopportabile , l’unica pecca è l’odore di sigaretta che alleggia nell’aria. Tiro fuori la macchina fotografica dalla borsa, per passare il tempo in attesa che Bridget si faccia vedere. Vincent Sunders sta pomiciando con la sua nuova fiamma pochi metri alla mia sinistra, così evito di guardare da quella parte.
Monto un nuovo obbiettivo sulla mia Canon. Se non sapessi che la loro storia durerà al massimo una settimana, li fotograferei. Mi sono iscritta a un maledetto concorso in cui bisogna immortalare “emozioni e sentimenti”. Una coppia di innamorati fa decisamente al caso mio. Purtroppo so già cosa succederà: Vince se la spasserà con questa ragazza per poco tempo, troverà una scusa per lasciarla e dopo non vorrà più sentire parlare di lei. Non potrei mai inserire la foto di loro due in un portfolio.
Una figura si frappone tra me e il sole, facendomi sobbalzare leggermente. - Ecco qua, focaccia liscia – dice Bridget consegnandomi la mia merenda. Infilo la macchina fotografica nella borsa e predo la focaccia. Lei intanto si è seduta di fianco a me e ha fatto un cenno di saluto a Vincent Sunders e alla sua ragazza, che al momento stanno riprendendo fiato.
- Lloyd, ti sei intascata il mio resto? – Non sarebbe neanche la prima volta.
Bree assume la solita espressione da gnorri. Le mie occhiatacce però sono molto efficaci, così la ragazza estrae due dollari dalla tasca e me li porge. Alzo gli occhi al cielo. Lei mi manda un bacio. È una normalissima pausa pranzo di settembre: cortile, focacce, amiche cleptomani e macchina fotografica. Si colloca agli inizi di una lunga serie di pause pranzo identiche, che termineranno a giugno con la cerimonia di diploma. Va bene così.
- Wow, certo che ti sta scannerizzando per bene!
So perfettamente a chi si riferisce. Gli occhi chiari penetranti di Ed Sheeran sono fissi su di me da cinque minuti buoni, nonostante lui sia dalla parte opposta del cortile. Di norma gli altri non mi guardano. Mai. Le rare volte in cui sorprendo qualcuno intento a fissarmi lui distoglie subito lo sguardo e arrossisce. Ed Sheeran invece sta guardando sfacciatamente dalla mia parte senza fare nulla per nasconderlo. Perché proprio lui?
Sono convinta che Ed Sheeran si ricordi di me. Della ragazza con le lentiggini che l’ha urtato durante il suo primo giorno nella nostra scuola. Della ragazza che l’ha aiutato a raccogliere i libri. Della ragazza che piangeva. Quel giorno Ed se la cavò con due sole parole: Tutto bene? Una domanda ridicola, perché se vieni urtato da qualcuno che sta scappando via in lacrime, è ovvio che stia di merda. 
Ricordo di aver fissato i suoi capelli rossi, prima di annuire. Erano di un rosso intenso, i più rossi che avessi mai visto. Tipo Rupert Grint, quel figo che tutti conoscono come Ronald Weasley.
E adesso il ragazzo con i capelli rossi mi sta fissando.
Distolgo in fretta lo sguardo da lui, a disagio. Come ci si comporta in questi casi?
- Lascia stare, ad Ali non interessa questo genere di cose – dice Vincent avvicinandosi a noi. – A lei importa solo della sua macchina fotografica.
- Vince, la cavità orale di quella ragazza non ha già più segreti per te?
- Almeno io vivo la mia adolescenza.
Alzo gli occhi al cielo e do un morso alla focaccia. – Da quando in qua essere un donnaiolo significa “saper vivere”?
- Devi ricominciare, Ali, non puoi andare avanti così.
So a cosa si riferisce. Non faccio mai niente di avventato da quel giorno di un anno e mezzo fa.  Il consulente scolastico ha spiegato a mia madre che è come se mi fossi “spenta” e forse questa è l’unica cosa intelligente che abbia detto in tutta la sua vita. Non riesco ad andare avanti? Forse è vero. Mi chiedo come facciano gli altri a comportarsi come se nulla fosse successo. Mi chiedo perché il mondo continui a girare come se fosse tutto normale, quando invece non lo è. Non c’è niente di normale. Faccio finta, recito abbastanza bene la mia parte, ma l’irrealtà di questa situazione a volta è soffocante.
- Ehi Sheeran! Vieni un po’ qui!  –urla Vincent.
-Ma che… zitto, Vince!
Ed sembra imbarazzato. Probabilmente non sa se alzare il suo morbido culo per venire da noi o continuare ad ignorare Vince.
- Yuhu, hai sentito? – continua l’idiota.
A questo punto gli occhi di tutta la scuola sono puntati su Ed, che si alza e si dirige velocemente verso di noi. Da vicino è un po’ più basso e a molte più lentiggini di quello che mi aspettavo. Indossa una t-shirt grigia leggermente scolorita e tiene le mani ben infilate nelle tasche dei jeans. Vince fa schioccare la lingua.
- Senti, io, la Crawford e Bridget pensavamo di saltare le ultime due ore, non è che ci faresti compagnia?
Ad essere sincera, la Crawford non aveva intenzione di fare proprio nulla fino a qualche secondo fa.
- Ma sei impazzito? Perché lui? Ci farà scoprire!– esclama Bridget non proprio a bassa voce. tra tutte le persone che popolano la nostra scuola, Ed è il meno adatto per una bella bigiata. Lo sanno tutti.
Io un po’ spero che ci scoprano, ma ovviamente non posso dirlo.
- Già, perché io? – le fa eco Ed. Il suo accento inglese è ancora molto marcato, dopotutto è negli Stati Uniti solo da un anno.
- Perché così puoi guardare Ali più da vicino. – È la risposta.
- Invece no, perché Ali non viene – dichiaro.
Né Vince né Bridget si comportano come se mi avessero sentito.
 
Fino ad un anno e mezzo fa non mi sarei fatta problemi a saltare le ore dopo la pausa. Fa uno strano effetto rendersi conto che “la procedura” sia rimasta identica; e probabilmente rimarrà la stessa fino al giorno in cui qualcuno verrà beccato. Io spero ardentemente che quel giorno sia oggi.
Al suono della campanella, nessuno di noi si muove. Bridget continua a prendere a calci un sassolino, Vincent mastica una gomma, io guardo le nuvole mentre Ed è disorientato. Vince gli fa cenno di aspettare.
Quando il cortile diventa deserto, Bridget conta fino a settanta. Poi camminiamo fino al muretto, quello nascosto dagli alberi e invaso dalle piante rampicanti, quello dove nessuno si siede mai.
Vince è veloce: in quattro secondi è già dall’altra parte. Quando Bridget arriva in cima, spreca tre preziosi secondi per controllare che non ci sia nessuno prima di scendere. Ed mi guarda. È il mio turno.
Fa uno strano effetto rendersi conto di ricordare alla perfezione dove trovare ogni singolo appiglio.
 Mi arrampico in cima, mi issò sulla sommità del muro e faccio dondolare le gambe per qualche istante. Poi salto.
Le mie All Star pseudo-vintage atterrano rumorosamente sulla ghiaia. Sono fuori. L’ho fatto davvero. Di nuovo.

Portare una persona sul portapacchi della bici ha molto vantaggi e svantaggi. Il fatto che tu debba utilizzare la bicicletta è una prova schiacciante del tuo non-possedimento di una macchina. Portare un peso supplementare ti allena i muscoli delle gambe. Ad un minimo movimento del tuo passeggero finite entrambi per terra. Lui si spacca il fondoschiena mentre tu sei comodamente seduta sul sellino. Lui non può, per nessuna ragione al mondo, appoggiare i piedi a terra. Non sono molte le persone che possono affermare di aver provato il portapacchi di Ali Crawford. Dall’otto settembre 2012 Ed Sheeran è entrato nella lista. Fortuna che questa mattina ho legato la bicicletta fuori dalla scuola.
- Volete dirmi dove mi state portando?
- No – dice allegramente Bridget.
- Devi sentirti onorato: ti stiamo portando nel rifugio BAVG. – Per poco l’inglese non cade dalla bici. È la frase più lunga che mi abbia mai sentito dire, sono sicura che si segnerà la data sul calendario. Ovviamente decide di prendere la palla al balzo.
- BAVG?
Non rispondo. Mi sono resa conto solo adesso di quello che ho detto.
- Bridget, Ali, Vincent e Giselle. Non mi guardare così, avevamo dodici anni – spiega Vince.
Aspetto la fatidica domanda. So che la farà. Vince ha appena pronunciato quattro nomi, noi siamo solo in tre.
Invece Ed Sheeran mi stupisce.
- È una reflex quella nella borsa?
 
Scendo dalla bici prima di frenare. Probabilmente Ed avrà perso dieci anni di vita, ma non mi interessa.
Abbiamo trovato il laghetto nell’estate della terza media. Il portafogli di Giselle era caduto durante il nostro giro in bicicletta di routine. Era finito nel bel mezzo di un cespuglio e lei mi aveva obbligato a strisciarci in mezzo per recuperarlo. Quel maledetto pezzo di pelle era rotolato molto in fondo e, se non mi fossi data tutto quello slancio per riuscire a prenderlo, non sarei mai sbucata dall’altra parte e non mi sarei mai trovata davanti al laghetto.  La definizione “pozzanghera troppo cresciuta” rende meglio l’idea, ma non è esattamente il massimo. Il punto più profondo misura circa tre metri, mentre ai lati l’acqua è bassa. L’ideale per tuffarsi in un afoso giorno di agosto.
Per noi è una specie di angolo di paradiso. Se Ed Sheeran si azzardasse ad insultarlo verrebbe preso a sprangate sugli stinchi.
Il rosso non si è lamentato nell’attraversare il cespuglio, ma non è rimasto nemmeno troppo meravigliato nel vedere il Rifugio.
Non appena Vince mette piede nella radura in miniatura si toglie maglietta e scarpe. Bridget calcia via le vans ed inizia a spogliarsi. Poi mi guarda.
- Che fai lì impalata?
- Niente.
- Ali, so che hai il costume. Dovevamo andare in piscina dopo la scuola.
Mi volto verso Vince. L’ha fatto apposta, è ovvio. Ma come faceva a sapere…?
- Forza, Crawford – mi incita il mio cosiddetto amico.
Perché dovrei fare una cosa così stupida? Ed ha già lanciato via la maglietta grigia e si sta facendo strada verso il laghetto. Almeno non è un tipo schizzinoso.
Bridget si butta in acqua con un sonoro splash. Aspetto che Vincent si tuffi scatenando uno tsunami, poi prendo la mia macchina fotografica dalla borsa. Lui non mi sta guardando.
L’avvicino all’ occhio destro e chiudo il sinistro. Casualmente, Ed Sheeran è perfettamente a fuoco. È immerso fino alla vita e sta ridendo per qualcosa che ha detto Bridget. La luce fa risaltare ancora di più il rosso dei suoi capelli… Non riesco a resistere.
Apro il diaframma per sfocare lo sfondo e imposto un tempo di esposizione leggermente elevato. So che verrà un po’ luminosa, ma è esattamente il mio obbiettivo.
Purtroppo lo scatto della mia Canon analogica non è esattamente silenzioso. E Ed non è sordo, perciò si volta subito dopo lo scatto.
Ha capito tutto, realizzo avvampando. Ritiro in fretta la reflex, pregando che se ne dimentichi in fretta.
Ed però non se ne dimentica.
Lo schizzo mi coglie impreparata e dà il colpo di grazia ai miei jeans. Quando sollevo lo sguardo pronta a fare una carneficina, vedo solamente Sheeran che ride.
E succede una cosa inspiegabile.
Sorrido anche io, poi tolgo lentamente la maglietta scoprendo il costume a righe bianche e blu.
Do un ultimo sguardo al sole e mi tuffo.



HOLA!
Buonasera!
Scusate per il ritardo madornale çç
Questo capitolo è una sorta di assaggio, un modo per farvi conoscere anche altri personaggi oltre ad Ali. 
Dal prossimo si entrerà nel vivo della storia ;)
Spero che vi piaccia. Mi sto impegnando in maniera particolare per questa storia, perchè è diversa dalle altre (quelle che già mi conoscono se ne saranno accorte) e ci tengo davvero.
Basta, mi eclisso.
tantissimi baci,
Gaia



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Capitolo 3
*** Twenty-one ***




*Lo so, avete aspettato 3 capitoli per il banner, e questo è il risultato*


Twenty-one.

 


Should I, should I? 
Maybe I'll get drunk again 
I'll be drunk again 
I'll be drunk again 
To feel a little love
-Drunk, Ed Sheeran ♥ 


 

Cananybody hear me? Am I talking to myself? My mind is running empty in the search for someone else. Who doesn't look right through me. It's all just static in my head Can anybody tell me why I'm lonely like a satellite?
Mi sono sempre piaciuti i Simple Plan, ma da quando ho ascoltato Astronaut li amo. Sembra scritta appositamente per me. Ovviamente, per la me dei monenti in cui si sente sola come un cane, incompresa da brava adolescente, e che si chiede come facciano cinque tizi canadesi a riassumere così bene la sua vita. 
Ecco, questo è uno di quei momenti. Vorrei tanto ascoltare quella canzone, ma non posso. Willow, rossetto impeccabile e un umore particolarmente cattivo, sta parlando senza sosta da un’ora, ovviamente di cose perfettamente inutili. Tipo l’ultima fiamma di Robert Pattinson.
Dio, ti prego, uccidimi. Anzi, uccidi lei. E già che ci sei anche l’ultima ragazza di Robert Pattinson, così andranno all’Inferno insieme.
In fondo mi dispiacerebbe se succedesse qualcosa a Willow. Ok, molto in fondo. Siamo amiche da dieci anni, da quel giorno della terza elementare in cui lei fece cadere la pellicola della mia usa e getta nuova, rendendola inutilizzabile. La feci sentire come una merdaccia e forse fu per quello che, alle tre di quello stessso pomeriggio, sua madre bussò alla nostra porta con un’usa e getta nuova e dei muffin. Si scoprì che le nostre madri erano amiche di lunga data e che la casa dei Reed era a cinque minuti a piedi dalla nostra. Da lì cominciò la nostra amicizia. Che fortuna.
Siamo cane e gatto, abbiamo gusti totalmente opposti e non siamo d’accordo su nulla. Eppure, quando lei non ha niente da fare e vuole andare al 21, chiama sempre la sottoscritta.
Si tratta di un vecchio rituale. Il 21 è uno dei pochissimi locali della nostra città e Willow mi ci trascina da anni. La terza media, per essere precisi. Ci sediamo a un tavolo, parliamo, beviamo o  mangiamo qualcosa (solo io, perché lei segue sempre quelle diete allucinanti che spopolano tra le star di Hollywood). Poi arriva qualche ragazzo e si presenta. Non sono mai interessati a me. Mai. Will lo sa, sospetto che sia anche per questo che continua ad invitarmi. Voglio dire, sono consapevole di non essere di molta compagnia.  
- Willow, e se andassimo da qualche altra parte? – propongo. Conosco già la risposta, ma tentare non nuoce.
- Scherzi? E dove vorresti andare?
Qualche mese fa Bridget mi ha chiesto perché continui a frequentarla. Loro due non si sopportano, così ho evitato di cantare le lodi di Willow davanti a lei.
E poi, cos'avrei potuto dirle? Che quando tutti gli altri erano spariti Willow c’era, forse. Che quando ho smesso di esistere per gran parte del mondo, compresa Bridget, Willow ha continuato a cercarmi. Non è mica una cosa che posso dimenticare facilmente.
- Lo sai, – rispondo. Lei inarca un sopracciglio. Certo che lo sa. È solo convinta che i miei passatempi siano la cosa più noiosa del mondo. Per sua fortuna, il destino decide di mandarla una via di fuga. 
- Aspetta! - esclama, raddrizzandosi improvvisamente sulla sedia. - Arriva un tizio!
Il “tizio” in questione è Connor Morris. Abbiamo frequentato insieme le scuole medie, ormai più o meno ci conosciamo. È il classico ragazzo stereotipato, bello, impossibile e dannato, per cui mi stupisce che si stia dirigendo verso di noi. Anzi, verso Willow. Di solito la dinamica è completamente opposta e sono le ragazze ad andare da lui.
- Ehm, ciao Will.
- Connor! - Neanche fossero migliori amici. - Come va?- E in un attimo è riuscita a iniziare una conversazione decente. Dio, se la invidio.
Connor è accompagnato da un amico, un tipo più basso e meno muscoloso che non mi sembra di avere mai visto. Evidentemente quest’ultimo non vuole fare la figura del terzo incomodo, perché mi si avvicina e sorride.
- Ciao. Io sono Andrew.
È timido ma sicuro di sé. Non durerà a lungo.
- Ali. Ali Crawford, molto piacere.
Eccola, l’Espressione. Io posso anche non averlo mai visto, ma lui sa perfettamente chi io sia e sta cercando disperatamente un modo per uscire da questa situazione. Alla fine opta per un grande classico.
- Sì, Chad? - esclama. - Arrivo subito! – Senza rivolgermi nemmeno un’occhiata di scuse, Andrew si fionda verso un tavolo sul lato opposto della sala. Chad, che non si aspettava di vederselo comparire, mormora qualcosa come “tutto ok?”. A quel punto il ragazzo che sta parlando con Chad si volta verso di noi. Oh merda.
Mi abbasso, fingendo di raccogliere qualcosa. Contenta di aver trovato una scusa per non guardarlo, rimango in quella tutt'altro che comoda posizione. Decisamente troppo a lungo.
- Ali, ma cosa stai facendo? – chiede Willow. Potrei anche raccontarle tutto, dopotutto lei è brava in queste cosa, ma sicuramente non quando Connor si trova a portata d’orecchio. Non posso spiegare davanti a lui il perché mi stia nascondendo da Ed Sheeran.
- Cerco il burro cacao, - – invento. Ti prego Dio, fa che non mi abbia visto. Riesco a scorgerlo da uno spiraglio tra la sedia di Willow e la gamba del tavolo. Ed è ancora seduto. Proprio mentre penso che qualcuno lassù abbia ascoltato le mie preghiere, tutto decide di andare a rotoli.
Con la mia solita fortuna, mi sbilancio troppo e cado per terra come un pollo. Accompagnata dal frastuono sorprendentemente assordante del bicchiere di plastica spessa che finisce sul pavimento con me.
Per la prima volta dopo tanto tempo, tutte le persone del 21 non evitano di guardare la ragazza invisibile.
Non serve pensare al modo più indolore per suicidarmi, ci penserà sicuramente Willow una volta uscite da qui.
La mia amica si sporge verso di me. - Ehm, Ali? Tutto bene? – chiede a voce bassissima.
- Sì, - borbotto rimettendomi seduta. Fulmino con un’occhiata gli spettatori, che tornano a fingere di non vedermi. Tutti tranne lui, ovviamente. Devo ancora capire se faccia apposta, se davvero non sappia niente o se sia solo irrimediabilmente ingenuo.
- Ciao Ali! – dice Ed Sheeran spuntando alle spalle di Connor.
- Ed, – rispondo. Non si gira nessuno. Un saluto non è poi così strano, non tanto quanto l’intenzione di Ed di fare conversazione con la sottoscritta.
- Ti sei fatta male, prima?
- No.
- Come va?
- Bene.
Il calcio di Willow mi colpisce in pieno stinco. Significa “non boicottare la conversazione come al solito”. Ormai abbiamo sviluppato tutto un linguaggio composto da calci.
- Senti, non ti ho più visto dopo l’altro ieri.
- Adesso siamo qui, no? – mi sforzo di sorridere. È una cosa che direbbe una persona amichevole, giusto?
- Già! – esclama Ed, entusiasta per la mia risposta non a monosillabi. – Magari uno di questi giorni potremmo rifar…
- Adesso però devo davvero andare! Ciao, Will! – dico a voce volutamente alta. Il pel di carota ci rimane male, per quello che è chiaramente un comportamento da cafoni, ma non fa commenti. Io approfitto del silenzio per defilarmi: mi alzo, afferro il cellulare e marcio verso l’uscita.
Purtroppo, ho sottovalutato Ed Sheeran. - Che coincidenza! Anche noi dobbiamo andare, vero Chad? Chad!
Chad non si è ancora mosso, probabilmente stufo di essere tirato in mezzo da tutti. Sbuffando, saluta Andrew e si avvia verso la porta. Intanto, Ed ne approfitta per fare le presentazioni.
- Ali, lui è il mio amico Chad. Chad, lei è Ali.
- Sì, ci conosciamo, – dice Chad. Ed è vero, ma ormai non parliamo da due anni. Sono stufa di questa storia. Stufa di essere ignorata, trattata con i guanti e guardata con compassione. Ho perso lei e tutti i conoscenti che avevo in un colpo solo, adesso è come se vivessi per inerzia.
- Ciao Chad – mormoro.
- Dove stai andando? - continua Ed.
- A fanculo. Vuoi venire?
Chad lotta per reprimere una risata. – Seriamente, All, – replica l'altro, per nulla offeso.
Perché, tra tutti i modi possibili e immaginabili, mi ha chiamato esattamente come faceva Giselle?
- Dal fotografo. Devo far sviluppare alcune foto.
Per fortuna avevo in programma di andarci dopo l’uscita con Willow.
- Ti accompagniamo! – dice Ed.
Sospiro.
 
- Perché Andrew è scappato? Chad non lo aveva chiamato davvero, sai. Gli hai detto qualcosa? – chiede il rosso dopo un po’.
- Chiedilo a lui.
- Ma tu lo sai, vero?
Certo che lo so. Perché deve fare domande così stupide? Su che pianeta vive?
- Sì.
Per evitare che faccia altre domande imbarazzanti, apro la porta del negozio di fotografia. Fortunatamente Chad interviene giusto in tempo, afferra il suo amico per un gomito e gli impedisce di seguirmi all'interno. La porta si chiude tintinnado alle mia spalle. Sospiro.
- Ehi, Wallace! – Il proprietario del negozio di fotografia fa capolino da dietro il bancone e mi sorride.
- Ali! Che bello vederti.
Adoro Wallace. Sul serio. E non solo perché è uno dei pochi di mia conoscenza che sa cosa sia un polarizzatore. Ormai sono un’abitué del negozio e penso che lui mi conosca molto meglio di mia madre.
- Ecco qua, - dico appoggiando la busta sul tavolo.
- Non le vuoi sviluppare tu?
- Non ho tempo… Ho una verifica importante e quelle foto mi servono per un portfolio. - Non ho neanche una camera oscura decente, ma non c'è bisogno di farlo presente.
Wallace annuisce. Le foto saranno pronte in tre giorni, come al solito. Saluto e mi avvio verso l'uscita. Fuori ci sono ancora Ed e Chad. Cavolo, quel ragazzo è insistente.
Il mio cellulare vibra.
Domani ci sarà un’esibizione al Moon. Vieni e porta anche Ed.
Vincent
Merda.

 

Hola!
Buonasera gentaglia! ♥
Salutate il banner :) Sì, l'ho fatto io. Sì, un po' mi vergogno a pubblicare una cosa del genere. A mia discolpa va detto che mi devo arrangiare senza Photoshop, quindi uso Gimp e i risultati sono quelli che sono çç
Adesso passo al capitolo. Cosa ne pensate? Ripeto, non date niente per scontato :)
Volevo ringraziare tutti quelli che stanno seguendo-preferendo-ricordando-recensendo-leggendo la mia storiella. Siete molti di più di quanto mi aspettassi *-*
Ricordo di fare un salto dalle mie altre storie (a vostro rischio e pericolo) se ne avete voglia ;) 
Bene, mi dileguo 
tantissimi baci,
Gaia ♥


 

 
 
 

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Capitolo 4
*** Don't belive in humans ***




Don’t belive in humans.

 

Give me love like never before 
Cos lately I've been craving more 
And It's been a while but I still feel the same 
Maybe I should let you go
Ed Sheeran - Gime me love


La scuola è silenziosa. Riesco a sentire solo il leggero rumore dei miei passi. Devo raggiungere la palestra, anche se non so perché. C’è qualcosa che non va, me lo sento. Il pavimento ondeggia sotto ai miei piedi, impedendomi di proseguire. Io devo andare avanti. Non posso fermarmi… Poi il rumore. Quello che non dimenticherò mai.
- No! NO! – Mi siedo di scatto, ansimando. Sono nel mio letto, nella mia stanza ed è notte. È successo di nuovo.
- Ali, dormi, – bofonchia mia madre dalla sua camera. Un’occhiata all’orologio digitale mi comunica che sono solo le tre e mezza. Non ho più un briciolo di sonno e il fatto che le mie mani continuino a tremare mi suggerisce che tornare a dormire non è proprio un’idea brillante. Mi alzo, prendo la Canon,  infilo il primo paio di calze che trovo e vado in corridoio.  Cinque minuti dopo sono sul tetto.
La mia sveglia suona alle sei, devo trovare qualcosa da fare per due ore e mezza.
Dopo un’ora si tende a scoprire che esiste un limite al numero di scatti possibili che un comune mortale può fare all’Orsa Maggiore. Oltre quella cifra scatta una sorta di odio profondo misto a repulsione per quelle maledette stelle e tutti i buoni propositi vanno a farsi benedire. Soprattutto se si sta utilizzando un obiettivo che sta alla visione notturna come Bridget alla danza classica.
Si passa quindi al canto, perché tua madre si sarà di sicuro riaddormentata e non ti sentirà mai.
-A warning to the people | The good and the evil | This is war | To the soldier, the civillian | The martyr, the victim | This is war.
Vincent ama questa canzone. La canta una decina di volte al giorno, in modo da farmela rimanere bene in mente. Quel ragazzo è un idiota.
Sospiro. La notte è strana. Normalmente non mi sognerei nemmeno di mettermi a cantare dal tetto, ma di notte è diverso. Si è da soli, in mezzo agli alberi e sotto un cielo così grande che è meglio evitare di pensarci. Non è mica bello, rendersi conto di essere delle nullità in confronto all'universo.
Oggi non è serata. Non riesco a stare comoda, le tegole mi distruggono la schiena in qualsiasi posizione mi metta. Stufa, striscio fino al terrazzo. Tengo sempre un plaid per precauzione. Tolgo la giacca, la appallottolo e la uso come cuscino.
Decisamente meglio.
Il sole sta già spuntando da dietro gli alberi quando le mie palpebre diventano pesantissime…
 
- Ali! Dove diavolo sei? Spegni quella sveglia. Ali!
La voce della mamma è ovattata. Sembra anche abbastanza incazzata. Troppo incazzata. È solamente mattina.
Senza aprire gli occhi rotolo su un fianco, ignorando le fitte lancinanti alla schiena. Poi ricordo.
Sono ancora sul terrazzo.
- Ali! Tra un minuto mi alzo.
Dato che non posso passare dalla portafinestra perché le chiavi sono all’interno della casa, mi arrampico sul tetto. Striscio fino al lucernario e scendo. 
La sveglia ha raggiunto il volume massimo. Per quanto possa amare i Green Day, è ancora troppo presto per Konw your enemy sparata a palla. Quando la spengo sento chiaramente lo sbuffo di mia madre.
Dopo aver mangiato una fetta di torta mi vesto, tento di sistemare i capelli, afferro la borsa e corro fuori. Solo dopo essere saltata sulla bici ed aver iniziato a pedalare mi accorgo di aver lasciato la giacca sul terrazzo.
 
È il giorno dell’esibizione di Vince. Mezza scuola sarà al Moon questa sera, un quarto giurerà di non mettere piede in quel postaccio e poi verrà comunque, mentre il quarto restante è troppo ossessionato dallo studio per uscire di venerdì sera.
- I gotta fellin’,  that tonight’s gonna be a good night! - canticchia Vincent nell’atrio.
- Citi i Black Eyed Peas? Non pensavo che potessi cadere così in basso - dice Bridget comparendo alle sue spalle.
- Lloyd, dato che stasera non ci sarai, non hai diritto di parola.
- Un momento… Stasera non ci sarai? – chiedo allarmata. Non sopporto questo genere di serate, senza Bridget a farmi compagnia sono nella merda.
- Farò un weekend lungo con Tyson.
Un weekend lungo? Dubito che Tyson-il-morfinomane riesca a stare per più di tre ore senza tutte le sue sostanze che dovranno restare senza nome. Non ho intenzione di scoprire i dettagli della loro vacanza, oh no.
- Tonight’s the night, let’s live it up! – continua Vince. Ho superato da un pezzo la fase house, quindi prego che gli vada di traverso la saliva, in modo da farlo smettere di cantare. Ma ovviamente non succede. Vince mi afferra per un braccio e mi fa volteggiare, sotto lo sguardo allibito di tutti. Per una volta non cerco di divincolarmi, ma vengo comunque salvata dalla campanella.
- Hai avvisato Ed? – urla Vincent mentre mi allontano.
- Sì! – Non è esattamente una bugia. Gli ho inviato un messaggio su facebook a mezzanotte, mentre era scollegato. Spero che non sia un patito del computer. In questo caso non gli sarà venuto in mente di connettersi alle sette del mattino per controllare le notifiche.
Spero che non venga. Quel ragazzo ha un effetto decisamente preoccupante su di me.  
 
Entro nell’aula di spagnolo e mi posiziono in fondo, da parte a Lisbeth Duncan. Lei sta giocando a Ruzzle come al solito e si limita a farmi un cenno con la mano. 
La Martinez sta blaterando qualcosa su Picasso e sono piuttosto sicura che non la stia ascoltando nessuno.
- Scusi per il ritardo! – esclama Ed Sheeran spalancando la porta. Merda. Da quando abbiamo spagnolo insieme? L’inglese si accomoda nel banco dietro al mio con nonchalance, mentre io faccio del mio meglio per ignorarlo.
- Ali, aiutami! – sibila Beth. – Mancano solo quaranta secondi!
Adesso sono trentacinque, penso lanciando una rapida occhiata al suo iPhone. Trovo tutte parole banali che ovviamente lei avrà già selezionato.
- Arbitro, - dico dopo un po’.
Beth si illumina, mentre sento il grattare della sedia di Ed Sheeran sul pavimento. Si sta avvicinando in un modo a dir poco pericoloso a me.
- Ho letto il tuo messaggio, - annuncia.
Merda.
- Crawford! – esclama Lisbeth sottovoce.
- Serata! Dimmi, Ed.
- Ovviamente ci sarò… - continua lui – Ma Chad potrebbe avere impegni… conto sulla tua compagnia?
Da quando la mia si può definire “compagnia” e non “mutismo”?
La gomitata della mia compagna di banco mi ricostringe a concentrarmi su Ruzzle.
- Affermativo.
- Perfetto! - dice Beth.
- Perfetto! – le fa eco Ed.
Mi sento impallidire. – No, io…
- Crawford, Sheeran e Duncan. Cosa estais fasiendo? E, Lisbeth, faccio finta di non vedere aquelo che hai en mano – ruggisce la Martinez, facendo trasalire tutti con il suo odioso accento a metà tra lo spagnolo e il ridicolo.
Vorrei tirare qualcosa sulla testa di Ed. Esiste qualcuno che nel ventunesimo secolo usa ancora “affermativo” per dire “sì”? O mi ha scambiata per James Bond?
 
- Non posso credere che tu mi abbia trascinato in questa situazione!
- Ti conviene iniziare a farlo.
- Ali, tu hai seri problemi. Ho fatto la rima!
“Ali” non fa rima con “problemi”, ma Willow è già abbastanza stressata d suo, senza che io metta in dubbio la sua intelligenza linguistica. Dopotutto l’ho praticamente trascinata qui con l’inganno e il mio piano - evitare Ed - è così subdolo che non l’ho nemmeno messa al corrente.
Il Moon è pieno, nonostante il nome degno del cervello di uno gnu. Ultimamente ho una strana fissa per gli gnu.
Ho già incoraggiato Vince dietro le quinte, adesso è da qualche parte con la band a mettere in pratica uno di quei riti anti-iella imbarazzanti.
Il miniabito aderente rosa di Willow con quelle scarpe altissime abbinate è decisamente fuori luogo. Soprattutto se paragonato al mio maglione, ai jeans sbiaditi e alle Vans. Ho raccolto i capelli in una crocchia che pende stile Torre di Pisa e ho rigorosamente la Canon al collo, nonostante le minacce della mia accompagnatrice.
Di Ed nemmeno l’ombra. Forse ha avuto un contrattempo. Certo, come no. Forse la nonna ha esagerato con la vodka ed è stata ricoverata in ospedale. Fattene una ragione: ti ha tirato pacco.
- Ma non potevi chiedere a qualcuno dei tuoi amici alternativi di accompagnarti?
Vorrei indicarle le ragazze che si sentono le più fighe del liceo, sedute sui divanetti. Sono venute esclusivamente per twittare in tempo reale e per poter dire “io c’ero” nel caso qualcuno venga assassinato. Vorrei anche indicarle il gruppo dei fighi a pochi metri dal palco, ma poi dovrei farle da spalla mentre ci prova con loro. No, meglio di no.
Un tizio del terzo anno, che sono piuttosto sicura si chiami Tom Daley (sì, è davvero il suo nome) presenta la band di Vincent, gli Shadows. La fantasia non è il loro forte. I testi sono banalissimi, ma il cantante ha una bella voce e gli altri suonano bene. Se io non fossi io e il locale non fosse così pieno di gente, potrei anche divertirmi.
- I miei amici non sono alternativi. – Non tutti, almeno. – E siamo qui per sentire uno di loro, o te ne sei dimenticata?
- No, tu sei qui per sentirli. Io sono qui perché mi hai costretto e Ed Sheeran è qui per vedere te.
A quel nome mi guardo intorno. Eccolo là, con Chad, mentre parla con due ragazzi che non conosco. Il momento buono per cercare di mimetizzarsi tra la folla.
Mi faccio largo verso il bancone del bar, dalla parte opposta rispetto a loro, seguita a ruota da Will.
Il flashback mi coglie totalmente impreparata.
Giselle che balla sui tavoli prima dell’apertura. Vince che le dice “Non dovresti bere così presto, Dawson” anche se lei non ha toccato neanche un goccio d’alcool. La mia risata. La mia vera risata. Giselle che corrompe chi si sta esibendo per far suonare loro delle canzoni non ballabili, in modo da restare sole in pista. Io che chiedo a una ragazza di farci una foto.  Noi che balliamo.
- Dammi un cocktail. Non troppo forte, ma fai in fretta, – dico al barista. Lui mi guarda in modo strano, ma ubbidisce.
 
- Però, non è niente male, – commenta Willow poco dopo.
- Avrà venticinque anni.
- Lo so.
- Tu non ne hai ancora diciotto!
- So anche questo.
- Fa’ come vuoi. – Non se lo fa ripetere due volte. In due secondi sono rimasta sola con il mio coktail azzurrino, senza sapere cosa ci sia dentro, mentre la mia cosiddetta amica fa l'oca con il barista. Do un altro sorso.
- Ehi, Ali! – Di bene in meglio.
- ‘Sera Ed. Hai ucciso Chad, per caso?
Arrossisce violentemente. Probabilmente l'ha legato nel ripostiglio, oppure ha semplicemente finto di dover andare in bagno. I ragazzi non ci vanno in coppia.
- N…no. È andato via. Tu non giri mai senza macchina fotografica?
- Voglio ottenere una foto con un effetto simile al video di Charlie Brown, - rispondo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Potevi metterti a vendere braccialetti fosforescenti all’entrata – replica Ed ridacchiando. Ok, conosce i Coldplay.
- Non sarebbe stato spontaneo. – Mi fissa. Quello sguardo mi scava troppo a fondo, così mi giro di scatto. Willow sta ballando con il barista. Fantastico, non posso guardare neanche da quella parte.
Intanto gli Shadows sono alla loro terza canzone. Alcuni ragazzi stanno pogando sotto al palco e tra di loro riconosco Brian Holloway, Quello Figo.
- La canzone non è così brutta, dai – commenta Ed.
- Stai scherzando? Parla di un ragazzo che litiga con la fidanzata per una camicia! Un pollo ubriaco che per sbaglio fa una frittata con il futuro figlio sarebbe stato meglio.
Incredibilmente, scoppiamo a ridere entrambi.
La battuta era pessima, eppure nessuno dei due riesce più a controllarsi. Rido fino alle lacrime, poi mi impongo di smettere. Ed va avanti ancora per un po' prima di iniziare a tossire e bere un sorso d'acqua.
- Ok, il testo è penoso, - concorda, riprendendo fiato.
- Puoi dirlo forte.
Ed mi prende per un braccio. Mi fa volteggiare, poi mi attira verso di sé e si avvicina al mio orecchio.
- Scappiamo?
- Sì, – dico semplicemente.


HOLA!
Le vostre recensioni sono qualcosa di stupendo. 
Punto. Il caso è chiuso ♥
Scusatemi tantissimo per il ritardo, ma ero rimasta indietro con il capitolo di un'altra storia. Sono due settimane che ho in mente questo e finalmente ho trovato il tempo per scriverlo. Ho anche messo una delle mie canzoni preferite come introduzione *^*
Spero davvero che vi piaccia ;)
Basta, vado a gaurdare Honey Boo-boo e a chiedermi perchè esista gente del genere :)
tantissimi baci,
Gaia



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Capitolo 5
*** Glowing ***




Glowing.



Look at the stars 
look how they shine for you 
and everything you do 
yeah they were all yellow. 

Coldplay - Yellow


- Dove mi stai portando?
- Se te lo dico che sorpresa è? – ribatte Ed. Mi ha trascinato fuori dal locale e sta correndo per le strade deserte della città da dieci minuti. Per mia fortuna ho un fiato discreto e ho avuto il buonsenso di non mettere i tacchi.
Sono solo le undici, eppure in giro non c’è anima viva. L’unico rumore che si sente sono i miei passi e quelli di Ed. Ci fermiamo davanti al vecchio cinema abbandonato e finalmente Ed lascia andare il mio braccio. Fa il giro del cinema, si abbassa e gattona fino alla finestrella della cantina sul retro. Il vetro è rotto. Ed ci infila la mano come se fosse la cosa più naturale del mondo, apre la maniglia, spalanca la finestrella e salta giù. Mi avvicino e guardo in basso.
- Ma è legale?
- Se ti dicessi di sì non mi crederesti. – Non ha tutti i torti. – Non so cosa solitamente tu faccia di notte, ma io vengo qui.
- In un piccolo cinema abbandonato?
- Ali, salta.
Non ho niente da perdere, così obbedisco. Quando atterro sul pavimento sono costretta a far ondeggiare le braccia per non cadere. È buio, ma sono convinta che Ed stia sorridendo.
Mi fa strada lungo un corridoio stretto e impolverato. Sto iniziando a pensare che mi stia trascinando a un incontro clandestino di drogati, quando scorgo una luce alla fine del corridoio e sento chiaramente il suono di una risata.
- Ali Crawford, benvenuta nella caffetteria notturna di Roseville. Qui è pieno di persone che non sanno cosa fare di notte. Io ci vengo per scrivere i testi delle mie canzoni, – dichiara Ed aprendo la porta.
- Tu scrivi canz... - il suono di tante voci mi interrompe. Devo sbattere le palpebre un po’ di volte prima di abituarmi alla luce. L’interno sembra quello di una taverna frequentata da marinai. Stile Pirati dei Caraibi. Al posto di Johnny Depp, però, ci viene incontro un signore robusto sui quaranta.
- Ed! è la prima volta che ti vedo con qualcuno. È la tua ragazza?
Lui scoppia a ridere. – Bart, ci conosciamo solo da una settimana. Lei è Ali. Ali, lui è Bart.
Una settimana. Davvero non ti ricordi?
Tendo la mano verso Bart, pregando che non mi riconosca.
- Ali Crawford? – Merda.
- Già, – dico freddamente. Mi aspetto il solito “Oh!” e il rapido cambio di discorso che invece non arrivano.
- Mi ricordo. Fino a sei mesi fa lavoravo in un’edicola.
Questo spiega tutto. I giornali hanno parlato di quello che è successo per settimane.
Non so cosa rispondere a Bart, così fisso il pavimento.
- Ed, ti sei scelto una ragazza con le palle. – Ed fa per ribattere, ma rinuncia. – Forza, vi accompagno a un tavolo.
E' notte fonda, eppure i tavoli sono quasi tutti pieni. Ci accomodiamo in un angolo e Ed ordina un caffè e una torta alle ciliegie.
- Ma il caffè non ti tiene sveglio?
- Nah, tranquilla. Prendi una torta, qui i dolci sono fantastici.
Dubbiosa, ordino un caffè e una torta ai lamponi. – Perché mi hai portato qui?
Limpidi. Ecco un aggettivo che descrive gli occhi di Ed. È un bravo ragazzo, la classica persona di cui potersi fidare ciecamente. L’esatto contrario di me.
- Perché eri fuori posto in quel postaccio tanto quanto me. Perché ti stimo e muoio dalla voglia di sapere cosa pensi di questo locale. E questa è solo la prima tappa.
Sto ancora riflettendo sulle sue parole quando Bart compare con un vassoio. Appoggia i dolci e i caffè sul tavolo e dice che per stasera offre la casa. Non so che idea si sia fatto su di me, ma se quell’idea mi permette di mangiare gratis, ben venga.
Bevo il caffè in due sorsi e mi dedico alla torta. Me ne innamoro dopo un solo morso.
Non so chi abbia inventato i dolci. Chiunque sia stato, dovrebbe essere fatto santo.
Guardo Ed divorare la sua fetta e mi lascio sfuggire un sorriso.
- Di solito sto sul tetto di casa mia, – butto lì.
- Cofa? – chiede, con la bocca piena.
- Prima hai detto di non sapere cosa faccia di notte: di solito sto sul tetto di casa mia a fare foto.
- Allora sei la persona giusta.
 

- Mi rispieghi cosa ci facciamo al bowling a quest’ora?
- Aspettiamo che gli altri se ne vadano.
Oh, questa sì che è una risposta sensata. Afferro una palla blu, prendo la rincorsa e tiro. Quando quattro miseri birilli cadono, mi lascio sfuggire un’imprecazione. Frustrata, prendo la palla rosa. Cinque birilli. La voglia di mandare a cagare tutto e tutti è alta. La palla di Ed finisce nel canale laterale per la sesta volta. Non capisco perché mi abbia portato qui, quando è ovvio che il bowling non sia il suo gioco.
- Non mi vuoi dire a cosa si riferiva Bart?
Non voglio. Non voglio perdere una delle poche persone che ancora mi tratta normalmente, non come se fossi… Ali Crawford.
- Si riferiva a quello che è successo un anno e mezzo fa.
Sto per aggiungere un “non ne voglio parlare” ma capisco che non ce n’è bisogno.
Anche l’ultima coppietta ha portato il suo amabile fondoschiena fuori dalla porta. Ed se ne accorge, calcia via le orribili scarpe del bowling e salta fino al bancone. È mezzanotte. Penso che il ragazzo alla cassa non si stupisca più di nulla; cosa che deve essere vera, data l’indifferenza con cui spegne tutte le luci, lasciando accese solo quelle sulla pista.
Non faccio in tempo a chiedere a Ed cosa stia facendo. Appoggia un piede sul parquet liscissimo. Fa solo un passo. Poi scivola.
Percorre scivolando tutta la prima pista, poi salta a destra e passa sull’altra. E ride come un idiota.
- Cosa aspetti?
- Qualcuno che mi dica che siamo su candid camera.
È buio pesto, eppure sono sicura che Ed abbia appena alzato gli occhi al cielo.
Questo ragazzo mi ha appena trascinato nel locale segreto della città. Sono sicura che non avesse mai portato nessuno al bowling a mezzanotte per pattinare, prima di stasera.
Eppure l’ha fatto. Ci ha portato me.
Il minimo che posso fare è provarci, no?
Sapendo che me ne pentirò, tolgo le scarpe e lo raggiungo. Per i primi tre secondi la paura di cadere mi immobilizza. Poi Ed mi prende per un braccio e mi fa girare. Il parquet è così scivoloso che basta una spinta leggera per volteggiare fortissimo.  Rido. Quando salto sulla pista a sinistra Ed esulta e urla un “Vai Ali!” per poi iniziare a ballare. Cerco di imitarlo ma, essendo coordinata come uno gnu, inciampo e finisco lunga distesa sul parquet.
Dall’altra parte della città, Vincent starà concludendo il suo concerto. Una settimana fa probabilmente sarei rimasta lì, ma adesso ho capito. Non posso tenere nascosta la vera Ali per sempre. Ed continua a ballare, mentre il ragazzo alla cassa accende la radio.
Cause in my mind, yeah we will always be 
Singing our hearts out standing on chairs 
Spending our time like we are millionaires  
Laughing our heads of, the two of us there 
Spending our time like we are millionaires 
Millionaires 

E saranno gli Script, sarà il testo della canzone che calza a pennello con stasera, ma sono felice.
 

Se sapete cosa significa dormire cinque ore, avete una pallida idea di come mi senta questa mattina. Un bradipo ha molta più voglia di vivere di me e sono simpatica come uno gnu durante quei giorni del mese. Ma perché devo sempre tirare in ballo gli gnu?
- Amami. Ti ho fatto dormire mezz’ora in più, – dichiara Willow alle sette e venti di mattina. 
- Non è colpa mia se sono senza macchina. –Apro la portiera del suo pick-up e mi lascio cadere sul sedile. 
- Invece sì, visto che hai usato tutti i pochi risparmi che avevi per la nuova Nikon digitale.
- È una Canon e non è digitale. – Willow sbuffa. Appoggio la testa al finestrino. Mi sembra di essere salita da un minuto quando le gomitate di Will mi riportano alla realtà. 
- Siamo alla tua scuola, alza il culo.
- Cos'è successo ieri con il barista?
- Ti basti sapere che ho dimenticato l'orologio a casa sua. - La mia curiosità è appena defunta. La saluto e mi avvio lungo il viale d'entrata.
Vincent è euforico nonostante abbia dormito anche meno di me. Saluta tutti gli studenti come se fossero i suoi miglior amici e cammina fischiettando. Se io non fossi io ma una persona più espansiva, lo tempesterei di domande. Ma io sono io, per cui mi limito a rispondere con un “mm” a tutto quello che esce dalla sua bocca. Fino a quando non si addentra in un territorio pericoloso.
- A Ed è piaciuto lo spettacolo?
- Be’…. Sì… Ha detto che…
- Vince! – Ed spunta da dietro l’angolo e stringe la mano del mio amico. Parli del diavolo…
Vincent si illumina. – Ieri sera sei stato grande, - continua Ed. 
-I testi facevano cagare – commento a bassa voce. Purtroppo mi sentono entrambi. 
- Vuoi provare a scriverli tu? – chiede seccamente Vincent.
- No, non io… - guardo Ed, il quale diventa di tutti i colori dell’arcobaleno passando anche dall’indaco. Non sarò la persona più loquace del mondo, ma sostenere il mio sguardo non è facilissimo. Ed cede dopo una manciata di secondi e torna a rivolgersi balbettando a Vincent.
- Se v-vuoi… po-posso ten..tare. - Non mi aspettavo che dicesse di sì. Se devo essere sincera, ero convinta che gli avrebbe sputato in un occhio. Ma Vincent Sunders non finirà mai di stupirmi.
- Ti va una birra dopo la scuola? – E Non penso di averlo mai visto sorridere così.
- Certo! – esclama Ed. Mi guarda.
Il mio sguardo cade sul cellulare, dove il messaggio che stavo aspettando lampeggia sul display.
- Non posso. Devo fare una cosa.
 

- Wallace, tu sei magico! – dico entrando nel negozio.
L’uomo annuisce con aria solenne e deposita sul bancone la busta.
- Quindici dollari, ma solo perché sei tu. Sono venute spettacolari come al solito, Ali.
Pago e apro in fretta la busta.
La vista dal tetto di casa mia all’alba, Vince che porta Brideget sul manubrio della bicicletta, Willow al 21, il mio cane che dorme sotto il sole, il cortile della scuola, dei ragazzi del secondo anno che giocano a pallone, Lisbeth che mangia un ghiacciolo, un pettirosso sul davanzale, Bridget che ride, la vista dal tetto di casa mia al tramonto… Dov’è finita?
È in fondo.
Esattamente dopo la mia vicina di casa  che annaffia i fiori con un orribile cappellino giallo a pois (non dovrà mai sapere dell’esistenza di questa foto).
l'immagine volutamente sovraesposta fa risaltare i riflessi sull’acqua del laghetto.
I capelli rossi sono al centro dell’inquadratura.
Ed sta ridendo.  

AUGH.
Chiedo perdono in tutte le lingue a me note (italiano, inglese, francese, milanese e dialetto di Culonia).
So di essere in straritardo çç date la colpa alla scuola, al pianoforte, all'ispirazione, alla fotografia (ho una nuova reflex lol) e alla connessione lenta.
Il blocco è andato finalmente via, e ho le idee chiare per i prossimi.... quattro capitoli ;) Spero che questo vi piaccia! 6 recensioni allo scorso, wow *-*
mi dileguo, gentaglia ♥
siete le migliori,
baci,
Gaia



   

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Capitolo 6
*** Words ***




Words.

Everything that I want
I want from you,
but I just can't have you
Green Day - Stray Heart


Ci sono fondamentalmente quattro tipi di persone ai matrimoni (escludendo ovviamente gli sposi).
1) I parenti stretti, gli amici e le persone a cui comunque l'avvenimento interessa davvero. In genere loro sono quelli che si commuovono e che fanno dei regali abbastanza guardabili.
2) I parenti che nessuno ha mai visto prima. A loro non può fregare di meno della cerimonia e tutto il resto. Vengono solo per ammazzare il tempo, per il cibo e per poter fare una bella figura nei loro completi eleganti. Normalmente sono quelli dei regali inguardabili, che finiranno nella prossima pesca di beneficenza senza passare dal via.
3) Gli imbucati. Agli invitati dello sposo dicono di essere parenti della sposa e viceversa. Vengono esclusivamente per rimorchiare e per il bar. Ai matrimoni bevono tutti.
4) I bastardoni. Quelli che criticano ogni cosa e fanno scherzi idioti, tipo rovesciare il vino addosso allo sposo, che nelle foto comparirà con una bella macchia rossa sulla giacca.
In due anni sono andata a sette matrimoni. Mia cugina Sabrina è stata la numero cinque e, dal giorno delle sue nozze, sta cercando di trovarmi un ragazzo. Al matrimonio di sua zia mi ha costretto a sedermi di fianco a tale Finch, che ruttava a intervalli regolari (quattro minuti). I miei cuginetti hanno avuto l’infelice idea di offrigli della Coca Cola e i risultati sono stati a dir poco disastrosi. Stavolta, al matrimonio della cugina di non so che grado Cornelia e di tale Thomas, tocca a un altro ragazzo.
Non gli sto dando nemmeno una possibilità: non mi sono neanche avvicinata al tavolo, con la scusa dei cugini cleptomani. In compenso ho trovato qualcosa di decisamente migliore per ammazzare il tempo.
- Solo uno scatto!
- Mi dispiace, non lascio usare il mio gioiellino alla prima ragazzina che passa per strada!
Spero che un piccione ti caghi sull'obiettivo.
- Una foto! Può cancellarla subito se non le piace!
- Non hai nessun altro da tormentare?
Non ce l’ho. E il fotografo con il suo ultimo modello di Canon EOS è una tentazione troppo forte. Non riesco a resistere.
Gli lancio il mio migliore sguardo da cocker, ma quel tizio non ha nemmeno un minimo di umanità.
- Oddio, guardi! – Indico un punto imprecisato davanti a me, sforzandomi di sembrare sconvolta. L’uomo è così ingenuo da cascarci e, non appena gira la testa, io gli sfilo la macchina fotografica dalle mani.
Una sola foto. Ho promesso di scattare una sola foto e così faccio. Poi mi faccio strappare la macchina di mano dall’uomo e mi dirigo verso il mio tavolo.
Quando vedo il ragazzo a cui in teoria dovrei sedere vicino, per poco non svengo. È Andrew, il tizio che è scappato dal 21 dopo essersi presentato. Anche lui mi riconosce e inizia a tossire.
- A..Ali!
- Andrew.
- Chiamami Drew.
Perché mai dovrei chiamare con un diminutivo uno stronzo del genere?
- Che  ci fai qui? – chiede, imbarazzato dal mio silenzio.
- Cornelia è mia cugina.
- Io sono un amico di Thomas. – Non faccio nemmeno finta di sembrare interessata. Allontano leggermente la sedia dal tavolo e mi ci lascio cadere sopra. Potrei approfittare del tempo che mi separa dall’inizio del pasto per superare quel maledetto livello di Candy rush saga che mi sta facendo diventare matta da una settimana. Ho appena preso il cellulare quando mi accorgo che qualcuno mi sta facendo ombra. E non si tratta di "Drew".
- Pensavo non sprecasse il suo tempo con le prime ragazzine che passano per strada, – dico gelidamente al fotografo. Lui arrossisce di colpo e balbetta qualcosa di incoerente.
- Potrei aver dato un’occhiata al tuo scatto.
Buon per te.
- La foto è… davvero bella. E poi ho notato che hai usato l’esposizione e la messa a fuoco manuale, perché hai dimenticato di rimetterle sull’automatico…
- Ok.
- Non lo dico così tanto per. Sei brava, ragazzina.
- Grazie. Davvero. E, tanto per la cronaca, dovrebbe usare un obiettivo più luminoso.
Si schiarisce la gola. - Ti interesserebbe lavorare part-time nel mio negozio?
Per poco non svengo. Da qualche parte, nella mia testa, qualcuno si è messo a cantare l’Alleluia.
Maledizione, Ali, stai calma! Non mostrarti troppo entusiasta.
- Posso chiedere a qualcun altro, – si affretta a dire, mal interpretando il mio mutismo.
- NON CI DEVE NEANCHE PROVARE! – Prendo fiato. – Accetto volentieri.
L’uomo sorride e deposita un biglietto da visita sul tavolo, esattamente da parte al mio piatto. Poi torna al lavoro.
Cerco di assimilare la notizia. Ho un lavoro. In un negozio di fotografia. Gli angoli della bocca si sollevano involontariamente.
Dieci anni. Tra dieci anni, quando sarai una fotografa famosissima di qualche rivista, mi manderai una lunga lettera in cui mi descriverai la tua stupenda vita, intesi? All, ricordatelo. Cavolo, ti ho sopportato per tutto questo tempo solamente per poter dire di conoscerti quando sarai famosa! Non deludermi.”
Già, dieci anni. Che per Giselle non sarebbero mai passati. Scaccio velocemente il ricordo dalla testa.
- Scusa per come mi sono comportato al 21, – dice Drew per rompere il ghiaccio.
- Non importa, - mento, – lo fanno quasi tutti dal… funerale.
Forse non si aspettava di sentimi pronunciare quella parola. A dire il vero non me lo aspettavo nemmeno io. Sta di fatto che il ragazzo di fianco a me diventa bordeaux e cerca un modo per sfuggire a quella conversazione. Esattamente come tutti gli altri. Diavolo, perché hanno così paura?
- Non avrei dovuto comunque. Vorrei rimediare.
- Davvero, non…
- Che ne dici di uscire un pomeriggio?
Non ho niente in comune con uno del genere. Proprio niente. Eppure accetto. Drew si rilassa e si dedica finalmente all’antipasto. Nel tavolo da parte, a mia cugina Sabrina brillano gli occhi. Sei fuori strada, vorrei urlare, ma i camerieri fanno il loro ingresso in sala.
Do un’occhiata al piatto: salmone affumicato. Lo sto praticamente divorando quando Drew decide che il suo bisogno di conversazione non è ancora stato colmato.
- Quindi hai appena ottenuto un lavoro?
No, mi stava prendendo per il culo.
- Così sembra.
- Cosa c’è di così eccitante nello scattare delle foto?
Non è una critica. Sembra davvero interessato, poverino. Dall’altro capo del tavolo, una bambina bionda che sono sicura di non avere mai visto sta tirando la pasta addosso a quello che deve essere suo fratello, dato che lui continua ad urlare “Se non la smetti lo dico alla mamma”.
- Non saprei… - inizio. – Ho iniziato quando mio padre mi ha regalato un’usa e getta, a sette anni. Non sapevo nemmeno da che parte iniziare, così andai in biblioteca e lessi praticamente tutto quello che avevano sulla fotografia, nonostante i libri fossero pieni di paroloni. Poi ho iniziato ad appassionarmi. Sono… abbastanza ossessionata, direi. Ti esalteresti anche tu se riuscissi ad immortalare un momento bellissimo e ti assicuro che dopo non vorresti più smettere. È come... non saprei. Guardare nel mirino, riuscire a cogliere quel dettaglio che sembrerebbe assolutamente insignificante, se preso da solo. Quel particolare a cui nessuno pensa, hai presente? E poi guardi la foto. Tecnicamente è solo un'immagine. Eppure trasmette tutto. Il vento. I suoni. Il calore del sole. I profumi. Nell'immagine non ci sono, eppure tu li vedi. Quello è... non c'è niente di paragonabile, ecco.
La bocca di Andrew si allarga in un sorriso dolcissimo. – Quindi sai parlare anche tu.
Arrossisco. – Sai, si vede che ami davvero la fotografia: ti brillano gli occhi quando ne parli. Un po’ come quando tutte le altre ragazze parlano dei gossip di qualche star.
Le adolescenti che conosco io non passano esattamente tutto il loro tempo a pensare alle star, ma evito di farglielo notare. Dopotutto quella frase voleva essere un complimento.
- Ali, mi dispiace sul serio interromperti, ma Cornelia sta per tagliare la torta… - Sabrina è dispiaciuta sul serio. Per quello che ne sa lei, potrebbe aver appena rovinato il primo appuntamento con il mio futuro marito.
- Non importa, - dico, – io ed Andrew ci conoscevamo già.
 
Quando finalmente mi libero dei tacchi mi sembra di sognare. Mi massaggio i piedi doloranti e accendo il computer. Facebook mi comunica che ho una richiesta d’amicizia, un messaggio e qualche notifica. La richiesta è di Andrew. Mi scappa un sorriso mentre accetto e clicco sull’icona dei messaggi.
Cercasi un’opinione sincera: Ti piace?

White lips, pale face 
Breathing in snowflakes 
Burnt lungs, sour taste 
Light's gone, day's end 
Struggling to pay rent 
Long nights, strange men 

And they say 
She's in the Class A Team 
Stuck in her daydream 
Been this way since 18 
But lately her face seems 
Slowly sinking, wasting 
Crumbling like pastries 
And they scream 
The worst things in life come free to us 
Cos we're just under the upperhand 
And go mad for a couple of grams 
And she don't want to go outside tonight 
And in a pipe she flies to the Motherland 
Or sells love to another man 
It's too cold outside 
For angels to fly 
Angels to fly 

Ripped gloves, raincoat 
Tried to swim and stay afloat 
Dry house, wet clothes 
Loose change, bank notes 
Weary-eyed, dry throat 
Call girl, no phone 


And they say 
She's in the Class A Team 
Stuck in her daydream 
Been this way since 18 
But lately her face seems 
Slowly sinking, wasting 
Crumbling like pastries 
They scream 
The worst things in life come free to us 
And we're all under the upperhand 
Go mad for a couple of grams 
And we don't want to go outside tonight 
And in a pipe we fly to the Motherland 
Or sell love to another man 
It's too cold 
For angels to fly 
Angels to fly 
To fly, fly 
Or angels to die


Rileggo le parole più volte, immaginando il possibile ritmo e le note. Apro un’altra finestra. Le mie dita volano sulla tastiera mentre aggiorno lo stato.
Stuck in her daydream
Cit. Qualcuno.

Nuovo messaggio:
Ed Sheeran - Lo prendo per un sì (:
Ali Crawford - Fai come vuoi
Ed Sheeran – It’s too cold outside for angels to fly.
Ali Crawford – Non è un po’ da megalomania autocitarsi?
Ed Sheeran – Sono stato ispirato, quelle parole non sono esattamente mie.
Ali Crawford – Allora non ti dovrebbe interessare la mia opinione.
Ed Sheeran – Come fai a spegnere sempre tutti?
Ali Crawford – Un vero mago non rivela mai i propri trucchi.
Ed Sheeran – Quindi non devo dirti chi sia stato ad ispirarmi?
Ali Crawford – Non te l’ho mai chiesto. Anche perché la canzone potrebbe benissimo essere sulla prostituzione.
Ed Sheeran – Ma ti interessa?

Bloccata nella sua fantasia. Non vuole uscire. Ha provato a nuotare e a restare a galla.
Ali, non essere stupida. Non puoi pensarlo davvero.
Cercando disperatamente di allontanare quel pensiero, mi disconnetto.
È inutile, non riesco a concentrarmi su niente. Salgo sul tetto senza neanche pensare. Conto sette tegole a destra dal comignolo e sposto la numero otto e nove. L’album con la copertina rossa è ancora lì, esattamente dove l’avevo lasciato. Il sorriso di Ed sull’ultima pagina fa accelerare i battiti del mio cuore.
Di sicuro so chi ha ispirato me. 

HOLA!
Scusate per il ritardo madornale, il liceo mi sta uccidendo e ho avuto anche problemi di connessione.
Spero che questo capitolo vi piaccia :)
Non ho molto tempo e non so nemmeno quando riaggionerò çç Con le vacanze sarà molto più costante, ve lo giuro.
8 recensioni. OTTO. Nel fandomi di Ed. Io vi amo ♥
Basta, devo salutarvi
tantissimissimi bacioni,
Gaia

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Capitolo 7
*** New job ***


Sono (ero)  I_am_a_panda ♥



New job.



Hey, little kid 
Did you wake up late one day and 

You're not so young, but you're still dumb 

And you're numb to your old glory but now it's gone

Green Day  -  X-kid


Gale Shepley – Fotografo.

L’insegna non è delle migliori, ed il fatto che stia diluviando di certo non migliora la mia prima impressione.
Sta diluviando, il mio ombrello è finito sotto ad una macchina e il negozio è chiuso.
Controllo per l’ennesima volta l’orologio: le tre e mezza. Siamo in perfetto orario.
-Sicura di non aver capito male? –chiede Ed.
-Sicurissima. Ho appena ricontrollato la mail. –Guardo con invidia il cappuccio della sua felpa, ormai completamente fradicio, e cerco di ricordare cosa ci abbia spinto a venire in pullman.
-Perché hai insistito tanto per accompagnarmi?
-Non avevo niente di meglio da fare.
Lui sì che è una persona sincera. Quanto a Gale Shepley, può benissimo considerarsi morto.
Non ricordo di essere mai stata in questa zona della città. Sembra di trovarsi in alta montagna, non in un piovoso buco dell’Oregon. Le strade a ciottoli e i vecchi lampioni danno un’idea settecentesca che porta il mio stato di esaltazione alle stelle. Peccato per la pioggia.
Basta, ho aspettato anche troppo. Faccio dietrofront e mi dirigo verso la fermata. In quel momento si sente un cigolio e una finestra al primo piano si apre.
-Ragazzina! Stavo cominciando a perdere le speranze. –dice Gale Shepley sbracciandosi.
-Lei stava perdendo le speranze? –una gomitata di Ed evita il mio licenziamento immediato.
-Vengo subito ad aprirvi! –esclama uscendo dalla nostra visuale.
Un minuto dopo la porta si apre rumorosamente. Ci vuole tutta la mia buona volontà per non correre all’interno, ma riesco a simulare una camminata disinteressata.  Ho impiegato un’ora solo per scegliere il look adatto. Non voglio sembrare troppo elegante o montata, quindi ho evitato i tacchi, le giacche e le camice bianche con il colletto.
Forse avresti potuto evitare la vecchia felpa grigia di tuo padre e la sciarpa arancione. E anche le Superga infangate.
Sì, avrei potuto. Ma me ne sono resa conto troppo tardi.
La prima cosa che noto entrando sono gli obiettivi. Sono tantissimi, ed occupano un mobile di fronte alla porta. Faccio un passo avanti ma Ed mi ributta fuori dalla porta.
-Ma che cazz…!
-Ragazzina, evita di ammazzare il mio cane. –dice Gale ridacchiando.
Quale cane?!Abbasso lo sguardo. Spalmato sullo zerbino c’è il più grosso basset-hound che abbia mai visto. Russa. Non pensavo che un cane potesse fare tanto rumore.
-Oh, -dico scavalcandolo –Non l’avevo visto.
-Einstein passa abbastanza inosservato.
Mentre Ed si china per accarezzare Einstein, io mi do un’occhiata intorno. La parete a ridosso della vetrina è interamente coperta dalle fotografie. La Tour Eiffel, il Taj Mahal, il Cremlino, il Colosseo, la Muraglia Cinese… questo tizio deve aver girato tutto il mondo. Un treppiede con una macchina fotografica è posto davanti all’unica parete bianca, evidentemente destinata alle fototessere.
-Come hai detto che ti chiami? -chiede Gale sedendosi dietro al grande bancone in legno. Questo posto sembra uscito da un vecchio film.
-A dire il vero non gliel’ho detto.
-Fallo adesso.
-Ali Crawford. Ali sta per “Alianna”.
-Bel nome, -borbotta l’uomo appoggiando un modulo davanti a me. Il mio contratto. Strofino le mani sui jeans per eliminare il sudore, leggo velocemente e firmo.
È fatta, sono assunta.
Gale mi mette a fare le fototessere e a rispondere al telefono. Dice che mi devo “guadagnare” gli incarichi più importanti, e sotto sotto so che ha ragione.
Però è impossibile che le fototessere vengano bene. Cioè, tutti hanno sempre delle espressioni da drogati nella carta d’identità/patente/passaporto. Non sono esattamente dei capolavori.
In tutto il pomeriggio scatto foto ad una famigliola che vuole rinnovare il passaporto. La figlia undicenne non è per niente fotogenica.
-Ti piace? –chiedo mostrandole lo schermo della reflex.
-NO. –dice lei con voce piatta.
-Ma tesoro, è stupenda! –esclama la madre. Diavolo, dovevo consigliarle il mio oculista. È un idiota che gonfia i guanti di gomma e poi li spaccia per galline, ma almeno sa fare il suo lavoro.
-Ho un’idea: adesso ne facciamo un’altra senza cancellare questa, così poi potrai decidere meglio. Ci stai? –dico cercando di sembrare amabile. La ragazzina e la madre annuiscono. Mentre mi risistemo dietro al treppiede incrocio lo sguardo di Ed, che mi fa l’occhiolino. Avvampo e mi concentro in fretta sulla macchina fotografica. Vorrei non continuare a pensare alla conversazione dell’altra sera. Vorrei essere una persona con più fegato, così non dovrei continuare a fingere che vada tutto bene, che la mia vita non sia passata in pochi giorni da spenta a ricca di emozioni. Ma non ci riesco.
-Stai ferma, -ricordo alla ragazzina. Poi scatto.
Nei momenti di pausa rimango in adorazione delle foto appese alla parete, chiedendomi perché mai un uomo così bravo si limiti a gestire un negozietto nel quartiere antico della città. Potrebbe mirare molto più in alto, perché restare qui? Darei qualsiasi cosa per scappare.
Per tutto il tempo Ed rimane seduto sulla poltroncina e mi osserva. Il suo sguardo mi trapassa la schiena e sta iniziando seriamente a farmi venire i nervi quando il mio turno finisce. Gale mi liquida con un semplice “Ci vediamo domani” e sento l’entusiasmo assalirmi di nuovo. Tutti i lavori fanno questo effetto?
 
-Sei disgustosamente allegra oggi. Ti prego, Ali, smettila. –dice Willow dondolando su una delle sedie scure del 21.
-Tu sei particolarmente stronza.
Lei sbuffa e dà un sorso al suo crodino. –Quando hai intenzione di uscire con… come si chiama?
-Drew… Andrew!
-Andrew? Ma non era quel coglione amico di Kiran?
-Connor. –replico seccamente. Tipico di Will, non vede un ragazzo per pochi giorni e già si dimentica il suo nome.
Lei mi lancia un’espressione da “Ci siamo capite” ed alza gli occhi al cielo. Ridacchio.
-C’è anche Ed Sheeran. Sicura che non ti stia seguendo?
Mi volto di scatto. –Dove?
-Cos’è tutto questo interesse? Comunque è là, vicino a Chad e… -Will si blocca. Mi giro di nuovo verso di lei e la trovo pallida. Troppo pallida.
-Will? Tutto bene?
-Certo! Sai Ali, forse è meglio andare. –dice afferrando la borsa e alzandosi.
-Cosa sta succedendo?
-Niente! Davvero, è tutto a posto. Possiamo andare al negozio di Wallace, se ti va.
Willow non proporrebbe mai di sua spontanea volontà di andare in un negozio di fotografia. Mai.
C’è decisamente qualcosa che non va. Guardo dalla parte di Chad, cercando di capire cosa sia.
-Allora? Andiamo, mi sono stufata di stare qui!
Poi lo vedo.
È appoggiato ad un tavolo e sta parlando con Chad e gli altri della compagnia.
No. Non può essere.
-No, non farlo! –Willow mi afferra per un braccio –Ali, lascia stare, vieni via!
Non posso farlo.
Non posso andarmene.
Non con Nathan Morris a pochi metri di distanza da me.
"C'è qualcosa in lui che non mi convince!" 
"All, secondo te tutti hanno qualcosa da nascondere" Giselle sorride dolcemente. In piedi, sul muretto del ponte, aspetta il momento migliore per tuffarsi. La luce di oggi è stupenda, verrebbe una bellissima foto. Ma so che Gis mi ammazzerebbe, gliene ho già scattate tantissime.
"Dagli tempo! Lui è un bravo ragazzo, credimi!"
Si piega leggermente sulle ginocchia e salta, scomparendo tra le acque del fiume.
Un bravo ragazzo. Oh Gis, quanto ti sbagliavi.
Mi divincolo dalla stretta di Willow e corro verso di lui.
Nel locale cala il silenzio.
-Ehi, guarda chi si vede! –esclama il bastardo.
-Che ci fai qui, Nathan?


HOLA!
Buonasera! Il capitolo è un po' corto, mi serve come.... "passaggio" :)
Nathan diventerà fondamentale nella ff, quindi non sottovalutatelo. Tra poco si scoprirà la verità su Giselle ewe non vedo l'ora di scrivere quel capitolo aonbiygbqfhf
Scusate il ritardo... i prof sono stati capaci di assegnare compiti anche per l'ultimo giorno di scuola... Tra esattamente quattordici ore dirò ciao al liceo per tre mesi *-*
Poi, vediamo.... sto elaborando un nuovo banner, questo mi ha già stancato (:
basta, mi eclisso
ricordatevi che siete le migliori ♥
bacioni,
Gaia

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Capitolo 8
*** Ghosts from the past ***




Ghosts from the past.

 
Just close your eyes 
The sun is going down
You'll be alright 
No one can hurt you now 
Come, morning light 
You and I'll be safe and sound
-Taylor Swift


-Che ci fai qui, Nathan?
-Avevo voglia di Redbull. –indica la lattina come conferma. Serro i pugni.
-Sai cosa intendo. E il nostro accordo? –A quelle parole ogni essere vivente presente nel 21 si fa più attento.
-Non prendo ordini da te, Alianna. –Per quanto mi sforzi di restare calma, non ci riesco. Il cuore mi martella nel petto e ho i brividi.
Chad fa un passo avanti. –Dai, Nathan, vieni via.
-Non ci penso nemmeno. Non voglio darle la possibilità di dire altre stronzate su di me.
-Che tu ci creda o no, non sei il centro dei suoi pensieri –interviene Willow. –Vai via.
Nathan si limita a ignorarla e fa un passo verso di me. Alcune persone, tra cui Chad, escono dal locale. Vedo Ed bloccarsi sulla porta a guardarmi, ma faccio finta di non accorgermene. Voglio che se ne vada, prima che Nathan dica troppo. Non voglio che cambi idea su di me.
-Perché cazzo sei tornato?
-L’Oregon è la mia casa. Mi annoiavo nel Maine da mia zia. La Est Coast è troppo… snob per i miei gusti. Ero sicuro che tu avessi dimenticato tutto quello che è successo.
-COME FACCIO A DIMENTICARE COS’HAI FATTO?! –urlo.  –Solo tre persone sanno la verità, Nathan: tu, io e lei. –sento le lacrime lottare per venire alla luce, ma non posso permettermelo.
-Non vorrei sconvolgerti, ma lei è morta.  –Willow e un altro ragazzo mi afferrano per le braccia e mi impediscono di tirare un pugno in faccia a quel bastardo.
-Sei almeno quindici centimetri meno di lui, Dio santo, -mi sibila Will –E tu vai a fanculo.
-Willow, non sei cambiata affatto. Quanto a te, Ali, gli incidenti capitano. Non puoi incolpare nessuno.
-Invece posso, perché non è stato un incidente.
-Giusto. E tutti qui dentro sanno cos’è successo. –Appoggia una mano sulla mia spalla. –Tranquilla, non credo sia stata colpa tua.
Questo è troppo. -Certo che non lo credi, la colpa è tua! E giuro che troverò il modo per provarlo!
L’ho fatto. Ho accusato Nathan Morris davanti a tutti. Il mio sguardo corre automaticamente alla porta. Ed non c’è.
-Sono cose molto brutte da dire. Spero che quando ci rivedremo, in futuro, tu sarai più amichevole.
Sto per vomitare. Mi libero dalla stretta che mi tiene immobilizzata e corro via. Non mi fermo dopo aver sbattuto la porta alle mie spalle, e nemmeno dopo essere uscita dalla via. Continuo semplicemente a correre, finché il ritmo dei miei passi sull’asfalto diventa più regolare, finché il mio respiro si fa meno affannoso e il cuore smette di minacciare di esplodere. Quando mi fermo mi lascio cadere a terra, stremata. Sotto di me c’è dell’erba. Riconosco immediatamente i cespugli e striscio in avanti finché non mi ritrovo davanti al laghetto. Solo adesso inizio a piangere.
Nei film americani questa è più o meno la scena in cui il più figo della scuola va a cercare l’eroina, si baciano, si sposano e fanno tanti figli magrissimi e belli. Questo però non è un film, e nessuno viene a consolare la ragazza invisibile.
 
-No, non posso farlo!
-Ali, dai! Lui è al secondo piano, a salutare i professori. Non sei obbligata a parlarci. –Bridget mi trascina dentro a scuola e non molla la presa nemmeno quando siamo davanti all’aula di matematica.
Eppure non riesco a concentrarmi, non con Nathan Morris esattamente sopra la mia testa. Resisito per l’ora di matematica e storia, poi non ne posso davvero più. Al suono della campanella raccolgo la borsa e mi dirigo in fretta verso l’uscita di sicurezza. Supero il gruppo dei dark che si diverte a saltare le lezioni e mi scontro con un ignaro Vincent che sta uscendo dal bagno.
-Ehi! Come mai tutta questa fretta? –non gli rispondo e Vince impiega poco a fare due più due. –No, cazzo! Oggi non posso bigiare, ho una verifica importante… Ali, non puoi andartene da sola!
Oh, posso eccome.
Scavalco il muretto senza pensarci due volte. Non appena i miei piedi toccano terra mi sento decisamente meglio. Sono fuori, lontano da tutti, lontano da lui.
Non posso andare al laghetto da sola, finirei per pensare a lei e non voglio.
-Nate. Nathan Morris. –dice il ragazzo alto. Giselle sorride. Conosco quello sguardo: sta facendo un pensierino su quel ragazzo. Non è nemmeno così bello…
-Piacere, Nate. Io sono Giselle Dawson.
Voglio tornare indietro. Tornare indietro di due maledettissimi anni e impedire tutto.
Entro in un bar.
-Una media chiara, grazie.
-Un documento, grazie. –risponde candidamente il barista.
-Ok, vada per il crodino.
L’uomo fa scivolare la bottiglietta in vetro sul bancone, la blocco con una mano e prendo un apribottiglie.
Sono arrivata a metà quando sento qualcosa.
Una voce.
Una voce che conosco.
We'll stay quiet 
Underneath shooting stars 
If it helps you sleep 
And hold me tight 
Don't let me breathe 
Feeling like 
You won't believe.

Maledetta canzone che mi fa venire voglia di piangere.
Do un altro sorso al crodino. Ho riconosciuto la voce, per questo ho paura di voltarmi. Perché non voglio che lui mi veda così.
Sento uno sgabello da parte a me strusciare sul pavimento.
-Cammini veloce quando non vuoi essere seguita.
-Stavo scappando, è leggermente diverso. –precisai.
-Giusto.
-E tu hai deciso di bigiare perché…?
Sta sorridendo. Non lo vedo, ma potrei giurarci.
-Perché non sembravi una da lasciare da sola. Ti ho visto, sai? E il fatto che tu non te ne sia accorta è preoccupante.
Ha ragione, come al solito.
There's a firefly 
Loose tonight 
Better catch it 
Before it burns this place down

-Allora, cosa succede? Ieri al 21 non ho capito molto.
Diglielo. Di’ finalmente la verità a qualcuno che non la conosceva.
-Se te lo dico mi reciti tutto il testo della canzone?
Finalmente mi volto verso Ed.
Avevo ragione, sta sorridendo.
-Firefly.
-Cosa?
-Il titolo della canzone.
Deglutisco.
Non so da dove iniziare.
Non ne ho la più pallida idea.
Alla fine opto per quella frase.
-È un bel giorno per morire.
Mi guarda perplesso.  -Lei lo diceva sempre. Le piaceva urlarlo prima di tuffarsi dal ponte. Ci andavamo tutte le estati, è così che ho imparato a lavorare con i soggetti in movimento. Un giorno è arrivato lui. Nathan Morris, della nostra scuola. All’epoca non ero la ragazza invisibile, eppure lui sembrava vedere solo Giselle.
-Aspetta. –Ed mi tappa la bocca con una mano, mi afferra per un gomito e mi tira su. –Non qui.
 
Non so dove abbia intenzione di andare. Attraversiamo camminando speditamente tutto il quartiere, fino al vecchio parco giochi. Vista l’ora è completamente vuoto, ad eccezione di una vecchia signora seduta al sole con gli occhi chiusi.
Mi siedo sull’altalena e Ed fa lo stesso. C’è un silenzio innaturale, che mi fa passare ancora di più la voglia di continuare il racconto.
-Quando Nathan iniziò a venire tutti i giorni al fiume sembrava il ragazzo perfetto, ma aveva quell’aria tormentata che aveva sempre attratto Gis. Alla fine dell’estate si fidanzarono. All’inizio ero felice per la mia migliore amica, soprattutto perché lei non mi trascurava affatto. Continuava ad uscire con me, Vincent, Bridget ed altri della compagnia. Poi lui divenne troppo assillante. Lo trovavamo dappertutto, le mandava un sacco di messaggi, voleva sapere tutto quello che faceva e voleva andare a letto con lei… A novembre Giselle decise di lasciarlo. Venne da me una sera e mi disse che aveva parlato con Nathan ed erano tornati semplici amici. Andava tutto bene, Ed, eravamo… felici. Fino a quando, all’inizio di dicembre, a Nathan non bastò più essere un semplice amico. Gis mi disse che aveva deciso di cambiare, che il sesso non gli interessava più. Io ci credetti.
-Sei sicura? Giselle, sei davvero sicura?
-Sì, scema. Dovresti fidarti di me, che dici?
Fidarmi della ragazza che beve granite a novembre? Non lo so.
-Facciamo così: se mi accorgo che è ancora un coglione lo lascio immediatamente. Ci stai?
Deglutisco. Sta per iniziare la parte difficile, ma Ed sembra non essersene accorto.
-A dicembre le cose andarono benissimo. Nate era tornato il ragazzo modello ed aiutò Gis a vincere una borsa di studio.
-E non è una cosa positiva?
-No. Cinque mesi dopo lei è morta per colpa sua.


HOLA!
Questo capitolo è tristissimo, cavolo. Non temete, il prossimo sarà anche peggio .-.
Nel prossimo capitolo, finalmente, tutta la verità verrà a galla. 
Ho paura di scrivere una schifezza lol
Salutate il banner, perchè questa sarà l'ultima volta che lo vedrete.
Poooi, vediamo. Ho ripristinato twitter. Dopo aver perso sia nome utente che password, ho deciso finalmente di creare un altro account @walkingcrash (se mi seguite  ricambio ewe)
Devo prepararmi per gli allenamenti, vi saluto ♥
bacioni,
Gaia


P.S. la scena del parco :) Amo quella canzone

You'll be mine and I'll be yours | via Tumblr

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Capitolo 9
*** Good day to die ***




Good day to die.



Silenzio.
L’unico suono che riesco a sentire è il fruscio del vento sulle fronde degli alberi.
Ed non parla. Non pensavo che il mio racconto fosse in grado di sconvolgere qualcun altro oltre a me.
Cammina avanti e indietro, facendo scricchiolare la ghiaia sotto alle suole delle sue scarpe malandate.
-Perché non sei andata alla polizia? –chiede infine.
-Perché non ho uno straccio di prova. Sarebbe la mia parola contro la sua, e a chi pensi che crederebbero?
-Ali… devo andare. Ho una verifica importante, non posso…
-Ok. Non c’è problema.
-Sicura di potercela fare?
Annuisco e mi alzo. Voglio andare via da quel parco. I ricordi riemergono ad una velocità impressionante e oggi non voglio cacciarli indietro. Voglio solo andare via.

All long it was a fever
A cold with high-headed belivers

Qualche bambino piccolo entra nel parco accompagnato dai nonni, io me ne accorgo appena.
Rivedo quel giorno di aprile. Rivedo i nostri compagni di scuola vestiti di nero. Piangono tutti. Ricordo la mano di Bridget che tiene stretta la mia per tutto il tempo. Ricordo di aver fissato il prato, perché non riuscivo a leggere il suo nome su quella maledetta lastra di marmo.

I threw my hands in the air I said show me something
He said, if you dare come a little closer.

Non riuscivo nemmeno a piangere. Eppure intorno a me lo facevano tutti, ne ero sicura. Ricordo il momento di silenzio in seguito ad una frase della signora Dawson, il momento in cui tutti si aspettavano una mia risposta. Dovevo dire qualcosa. Qualcosa su Giselle.
Ricordo di aver impiegato qualche secondo prima di articolare il suo nome. È incredibile come il discorso sia ancora nitido nella mia memoria.
«Giselle… » Erano troppe le cose da dire su di lei. Non avevo abbastanza tempo. «Non passava inosservata. Mai. Era il genere di persona che si alza al ristorante e urla a tutti i presenti che è il tuo compleanno.» Deglutii. Perché dovevo piangere proprio adesso? «Il genere di persona che balla sui tavoli dei locali prima che aprano. Che non riesce a rimanere arrabbiata per più di due ore. Che mette l’anima in qualsiasi cosa faccia.» Una lacrima rotolò lungo la mia guancia e non riuscii a impedire che ne scendesse un’altra. «Che è terribilmente stonata eppure canta ad alta voce e in pubblico perché "lei lo faceva per se stessa, non obbligava nessuno ad ascoltarla". Testuali parole, ovviamente» Qualcuno sorrise.  Adesso stavo davvero piangendo. «Che riesce ad imitare perfettamente le voci degli altri. Che trova soprannomi assurdi alle persone solo perché non ricorda mai i nomi.»

Round and around and around and around we go.
Oh now tell me now tell me now you know.

«Che sognava di girare l'Europa in autostop. Che era sempre così disgustosamente ottimista, indipendentemente dalle circostanze.» feci una pausa.
In quel momento ricordo di aver visto Nathan. Una pugnalata mi avrebbe fatto molto meno male. Nessuno se ne accorse. Quando mi videro tornare vicino a Bridget pensarono che fossi stata troppo triste per continuare. Non feci né dissi nulla fino alla fine della cerimonia, poi andai da lui.
«Vai via.»
«Forse non ci crederai, ma anche io voglio salutarla.»
«Tu sei solo il bastardo che l’ha uccisa. Vai via!»
Tutte le teste dei presenti si voltarono verso di noi. Loro vedevano solo la migliore amica disperata e distrutta che era stata testimone di quello che era successo, e il bravo ragazzo che sarebbe andato a Yale. Non mi credevano. Nessuno di loro.
«Ali, non dire scemenze. Torniamo a casa, ok?» sibilò mia madre comparendo alle mie spalle.
«Non è stata colpa di nessuno, Ali. Solamente di Giselle.»
«Io so tutto, Nate!»
Mia madre scandì lentamente il mio nome e cercò di trascinarmi via da lui, ma mi divincolai.
«So come la trattavi, so delle minacce, so dei lividi che lei cercava di nascondere con il fondotinta! Non puoi negarlo. » singhiozzai.
«Giselle era scossa per la morte di sua nonna. Sai benissimo quanto fosse fragile. Ha esagerato, ed è finita male. Tutto qui. »
Nathan si chinò verso di me e mi abbracciò. Un abbraccio finto e calcolato, che serviva solo a permettergli di farmi sentire due frasi. Due maledette frasi che mi avrebbero perseguitato anche un anno e mezzo dopo.
«Se proprio vuoi incolpare qualcuno, io sono l’ultimo dei candidati. Chi è che non è arrivato in tempo?»
Lo spinsi via. Ci stavano guardando tutti e parlavano. Nathan pronunciò qualche patetica frase di condoglianze ai Dawson, poi se ne andò, lasciandomi in ginocchio sul prato.

Not really sure how to feel about it,
Something in the way you move.
Make me felling like I can’t live without you
It takes me all the way.

C’erano dei giornalisti al funerale, e non si erano persi nemmeno un particolare. Sarei stata sul quotidiano del giorno dopo, ma non mi interessava. Volevo solo piangere.
“Chi è che non è arrivato in tempo?”

I want you to stay.

Altri ricordi. Più dolorosi e meno recenti.
Dov’è andato Ed? Non ce la faccio…
«Spaccia droga. L’ho scoperto, non ha cercato nemmeno di negare. » era febbraio. Giselle mi aveva telefonato dopo cena, terrorizzata.
«Gis, devi lasciarlo!»
«Lui mi ama. Ho paura, All, potrebbe finire in prigione!»
«Oppure potresti finire nei guai anche tu. E a quel punto, niente Harvard. Lascialo.»
Ci aveva provato. Una settimana dopo venne a casa mia in lacrime, dicendo di aver dato un ultimatum a Nathan. Lui le aveva tirato uno schiaffo in pieno volto. E non era stata l’unica volta. Nathan la picchiò tre volte. Lei cerava di lasciarlo, ma lui minacciava di rovinarla, di metterle addosso della droga e di farla finire in prigione.
Quando morì nonna Dawson, lei era a pezzi.

The reason I hold on 
cause I need this hole gone 

Non riesco a non pensarci. Non riesco a non pensare a quel maledettissimo giorno.
Ero a scuola. Due giorni dopo la morte della nonna della mia migliore amica, e tre dall’ultma volta in cui Nathan le aveva messo le mani addosso.
Giselle mi mandò un messaggio dicendo di non aspettarla perché sarebbe arrivata in ritardo.
Bridget si era appena fidanzata con Tyson, così passai la mattinata ad ascoltarla parlare di lui, e non mi accordi dell’assenza di Gis. Perché era troppo in ritardo.
Successe durante l’ora di storia europea.
La prof blaterava qualcosa sul medioevo, mentre io scarabocchiavo qualcosa sul diario.
Ero particolarmente felice quel giorno, così decisi di mandare un messaggio a Willow per chiederle di andare al 21.
Non feci in tempo, perché trovai un messaggio di tre minuti prima da parte di Giselle.
Era semplice.
Una sola frase.
È un buon giorno per morire
-G.
La sua frase preferita.
Non so come feci a capire.
Eppure quella consapevolezza si fece strada dentro di me facendomi venire i brividi.
Alzai la mano e chiesi di andare in bagno prima che la prof mi chiamasse, poi corsi fuori.
Sentii delle ragazze chiacchierare nei bagni del nostro piano, così non entrai nemmeno.
Non avevo mai avuto una simile paura.
Con il cuore che batteva fortissimo, cercai disperatamente di ragionare.
Quelli del secondo piano? No, sono esattamente di fronte ad una classe.
Il piano terra.
Corsi per i corridoi e mi precipitai giù per le scale. Non mi accorsi delle piastrelle bagnate, così caddi rovinosamente per terra.
Ricordo un dolore tremendo al ginocchio.
Zoppicai più in fretta che potei fino ai bagni, ma li trovai deserti. Volevo mettermi a piangere, ma non c’era tempo. Perché sapevo di non essermi sbagliata.
La palestra.

Funny all the broken ones but I’m the only one
Who needed saving

Non riuscivo a camminare in fretta.
I corridoi erano deserti e non si sentiva volare una mosca.
Ricordo di essere arrivata a metà corridoio e di aver sentito rimbombare il tonfo. L’inconfondibile rumore di una sedia che cade.
“No. Ti prego, no!”
Impiegai un prezioso minuto per arrivare in palestra, esattamente dall’altra parte del piano.
Cinque secondi per spingere la porta antipanico.
Tre per realizzare cosa stavo vedendo.
Altri quattro per correre verso di lei, sollevarle i piedi, sentire il polso e rendermi conto che non c’era battito.
Poi urlai.
Urlai fino a quando una bidella non irruppe nella palestra, vide la scena e chiamò il 911.
Tagliò la corda e Giselle cadde a terra. Non respirava. Noi non eravamo in grado di praticare quel maledetto massaggio cardiaco.
Quando arrivò l’ambulanza, ero troppo sconvolta per parlare.
Vedevo la bocca dei paramedici muoversi, ma non capivo.
Poi riuscii ad articolare due parole. «Si riprenderà?»
«Mi dispiace. È morta.»
Poi il buio.

Cause when you never see the light
It’s hard to know which one of us is caving
 
Credo che la ragazza invisibile sia nata in quel momento.
Quando nella scuola si sparse la voce su come Giselle Dawson si fosse impiccata in palestra e come la sua migliore amica, Ali Crawford, non avesse fatto in tempo a salvarla.
Quelli che non hanno paura di me sono amici di Nathan, quindi mi ignorano.  Ai pochi restanti faccio pena.
Il risultato è sempre lo stesso: fingono tutti di non vedermi. Come se fossi invisibile.
-Ali! –è la voce di Ed. Mi impongo di alzarmi e cerco di sembrare meno sconvolta di quanto sia in realtà.
 -Come stai? Dio, non volevo andarmene ma quella di lettere mi avrebbe ucciso se non… Tieni, ti ho portato questo.
Mi porge un sacchetto caldo, dentro c’è un toast. Nonostante non sia una fan di McDonald’s, penso di poter reggere un semplice toast. Soprattutto perché non ho nemmeno fatto colazione. Ringrazio Ed e addento il pane ancora bollente.  Faccio una fatica incredibile a mangiare. Mi accorgo di stare piangendo solo quando sento le forti braccia di Ed dietro alla schiena, e il suo tono rassicurante dire idiozie come “Va tutto bene”.
-No invece! C’è una cosa che non ti ho detto…
Non l’ho mai detto a nessuno. Non ho uno straccio di prova, sembrerei solamente pazza.
-Quando i Dawson chiesero l’autopsia, si scoprì che Giselle aveva ingerito una quantità assurda di pillole poco prima di morire. Secondo la polizia si è drogata, per questo… ha fatto quello che ha fatto.  –deglutisco. –Quelle però non erano pillole normali. È difficilissimo procurarsele, servono ricette molto specifiche dei medici e bisogna avere una malattia grave. Lei non avrebbe potuto averle in nessuno modo.
-Magari… -tentò Ed.
-I genitori di Nathan sono farmacisti.

I want you to stay.
 



Rihanna - Stay
 
AUGH. (leggere plis)
Cavolo, questo capitolo è tristissimo.
Ha ragione Alice, non sono fatta per i capitoli tristi .-.
spero si capisca qualcosa in questo ammasso di frasi, perchè volevo dare l'idea della confusione di Ali.
Penso che sia il più introspettivo che abbia mai scritto ewe
E finalmente si sa la verità! *tadadadaaaan*
Ve l'aspettavate? Vi aspettavate qualcosa di simile?  
Non ho messo la citazione iniziale per via di "Stay" presente nella testa di Ali (?) per tutto il tempo.
Poooi, vediamo... giusto, il nuovo banner.  
Ho impiegato tre quarti d'ora a farlo, spero apprezziate c:
Ok, vado a cucinarmi qualcosa per cena.
Tantissimissimi baci,
Gaia ♥ (@walkingcrash su twitter)


 
 

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Capitolo 10
*** War in my mind ***


War in my mind.

I’m gonna pick up the pieces,
And build a lego house.

Ed Sheeran – Lego House
 

Domani sera alle sei? –D.
Il biglietto che Drew mi ha fatto arrivare tramite un cameriere del 21 è corto (quattro misere parole), eppure riesce a scombussolarmi in un attimo.
Non ero esattamente dell’umore giusto per un appuntamento. Anzi, non ero dell’umore giusto per fare qualsiasi cosa. Strappo un foglio e prendo una penna.
Mia nonna è diventata un serial killer e devo aiutare la polizia a catturarla.
Non è nemmeno lontanamente credibile.
Guarda, mi piacerebbe ma ho un impegno.
Prendo in considerazione per due secondi l’idea di accettare. Non posso. Sarei una compagnia terribile e il mio mutismo metterebbe Drew a disagio. Scaccio dalla testa la vocina che urla “Sono tutte scuse”.
Mi dispiace ma non posso. –A.
 
Sono passati quattro giorni. Sto bene, abbastanza da non scoppiare a piangere nel bel mezzo di una lezione. È questo che si prova a confidarsi con qualcuno? Il sollievo, un’inspiegabile felicità, ma anche la paura? Paura di aver sbagliato, paura di perdere anche lui. Non lo so. Non so più niente.
Nathan è davanti a scuola anche stamattina. Appoggio la bicicletta alla rastrelliera dietro alla colonna e frugo nella borsa cercando le chiavi della catena. Niente. Sparite.
Nathan mi ha visto. Ha interrotto la conversazione con l’altro ragazzo dell’ultimo anno e ha iniziato a guardare dalla mia parte. Facendo finta di niente, seppellisco buona parte del viso sotto alla sciarpa, raccolgo le mie cose e spero che a nessuno venga in mente di rubare una vecchia bici verde menta.
La seconda persona che sto cercando di evitare sta parlando con i miei amici e gli altri della compagnia. Ad essere più precisi, è impegnato a ridere per una battuta di Vincent.
-Ehi, Ali! Vieni qui! –esclama Vince facendomi cenno con una mano.
Obbedisco, camminando più lentamente che posso. Come al solito, sono tutti un po’ seduti e un po’ appoggiati sul muretto che divide la scuola dai campi. Gli amici di Vincent stanno fumando, mentre le ragazze –amiche di Bridget e alcune anche mie- chiacchierano a bassa voce. Il muretto rimarrà il nostro ritrovo per circa tre settimane, dopo farà troppo freddo per poter stare all’aperto alle otto meno un quarto del mattino.
Mi sistemo vicino a Bridget fingendomi interessata al racconto di Missy, che le sta spiegando perché mai abbia deciso di tingersi i capelli di rosa. Non è un’impresa facile, soprattutto perché non me ne può fregare meno dei capelli di Missy. L’unica cosa di cui sono pienamente cosciente è lo sguardo di Ed che mi trapassa la schiena.
-Ehi! -esclama Vincent notandomi. Mi afferra per un braccio e mi tira verso di loro. Esattamente quello che volevo evitare. -Ed é un vero genio! Pensa che ieri abbiamo scritto due pezzi in tre ore! Due fantastici pezzi!
Sorrido orgogliosa, come se la bravura di Ed fosse merito mio. -Quindi vi siete messi in affari?
-Se così si può dire... -Ed mi strizza l'occhio, -Ieri ci siamo trovati a casa di Vin come al solito, e siamo arrivati ad un accordo: se riescono ad incidere il disco, io prendo il 15%.
-Non mi sembra tanto, -interviene Missy -potresti aspirare a qualcosa di più.
-No, perché i testi sono anche suoi, -indica Vince -non sono solo opera mia.
Vincent é radioso. É da tanto che non lo vedo così felice.
 
-Il quadro svedese, -gracchia la Milton, -dovete impiegarci al massimo un minuto e quindici secondi, andata a ritorno. Fatelo bene e vi lascerò giocare a pallavolo, nonostante la mia avversione per quello sport. Signorina Tate, vogliamo iniziare?
Guardo Johanna impallidire, fare un passo in avanti e salire lentamente sul quadro svedese. La Milton non va mai in ordine alfabetico, si diverte troppo a tenere sulle spine la classe, quindi non sai mai quando arriverà il tuo turno.
-Crawford, sbrigati! -abbaia cinque studenti dopo.
Ho permesso ai flashback di uscire una volta, adesso non sarà così facile ricacciarli indietro. Riesco ad avvertirli un secondo prima che mi sommergano, ma é troppo tardi.
Primo anno, la Milton annuncia megatorneo di pallavolo tra le matricole e quelli di seconda. Né io né Giselle vogliamo partecipare. Io, perché sono negata a pallavolo e farei sicuramente perdere la squadra, lei perché nonostante faccia la battuta migliore della classe non riesce a resistere alla tensione.
-Ho sentito che Spencer Abbott si fa pagare per falsificare le firme. -bisbiglia Giselle mentre la prof distribuisce le autorizzazioni.
-Se ci beccano mi offri tre pizze. Non margherite.
-Dai All, andrà tutto bene. Ti fidi di me, vero?
Un anno dopo entro in quella maledetta palestra e la vedo lì, la sciarpa lunghissima e viola intorno al collo, appesa al quadro svedese.
Sì, mi fidavo ciecamente di lei. Per questo credevo davvero che sarebbe andato tutto bene.
-Non ce la faccio. Mi dispiace, non posso proprio.

A pranzo, faccio scivolare il vassoio sul piano di metallo del buffet.
La cuoca si aspetta probabilmente una richiesta, ma non la ottiene.
Sono una persona problematica. A nessuno piacciono i disastri.
La mia inesistente vita sentimentale ne é una prova. Come la mia incapacità di stringere delle vere amicizie. Posso contare i miei veri amici sulle dita di una mano. Automaticamente penso a Ed. É l'unico che ho conosciuto dopo tutto quello che é successo, forse é  per questo ci tengo così tanto. Sì, perché lui é diventato spaventosamente importante e io non so come comportarmi.
Posso soffocare i dispiaceri nel cibo. Oppure cercare di essere problematica e magra, che é comunque un passo avanti.
-Cara...? -mi sollecita la cuoca, riportandomi di colpo alla realtà.
Forse é meglio mangiare.
-Non puoi.
-Mangiare una pizza?
-É sbagliato per tantissimi motivi. -ribatte Ed Sheeran.
-La pizza é sbagliata?
-Ti fai del male e basta.
-Mangiando una pizza? Non fa così ingrassare...
Alza gli occhi al cielo e si appoggia al mio tavolo.
-Non é stata colpa tua.
Controllo che nessun altro nei paraggi abbia sentito. Vincent sta rivolgendo tutta la sua attenzione all' insalata di Bridget, mente quest'ultima parla al telefono con Tyson.
-Tu non c'eri. -dico infine.
-Il tuo racconto era preciso. La colpa é di due persone: Nathan e Giselle.
-Quel bastardo molto probabilmente verrà fuori da scuola, con la coscienza a posto, e io non posso farci niente. Non posso provarlo in nessun modo.
Ed si sporge ancora più in avanti. -Abbiamo educazione fisica insieme. Ho visto tutto e ho capito.
-Onnipresente e onnipotente. Chi sei, il Grande fratello?
-Non vivi più, Ali. Perché ti tratti così male?
-Non è vero.
-Non ci sei mai. In nessuna delle tua fotografie. Immortali spessissimo i tuoi amici, mai te stessa.
É la verità. Per questo fa così male. -Certo, io scatto. -ribatto.
-L'autoscatto non esiste? La tua immagine del profilo di facebook é di due anni fa. Vai quasi ogni giorno al 21, solo perché Willow vuole conoscere dei ragazzi. Entri in un locale solo quando Vincent vuole che tu ci sia. "Stuck in her daydream", ricordi? Quand' é stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa di avventato, per una tua scelta?
La sera del concerto ero scappata dal locale. No, la decisione era stata di Ed.
Il giorno in cui siamo usciti per la prima volta avevo bigiato. No, mi aveva obbligato Vincent.
La risposta alla domanda era semplice: non me la ricordavo.
Non parlo.
-Facciamo un patto. Io ti aiuto a mandare in galera quel bastardo, ma tu devi staccarti dal mirino della macchina fotografica. Devi essere dall' altra parte.
Non ha mai conosciuto la vera Ali. Forse é arrivato il momento di presentargliela.
La vera Ali cerca sempre di andare oltre ai limiti.
La vera Ali ha picchiato Brian Holloway perché non conosceva i Pink Floyd.
La vera Ali farebbe di tutto per portare la verità a galla.
La vera Ali accetterebbe l'invito di Drew.
 
Anche la mia risposta al messaggio di Andrew é breve. Tre parole scritte su un post it giallo e consegnate al povero cameriere del 21.
Ho cambiato idea. -A.
Devo solo aspettare un giorno.
 
Non ho mai avuto un vero appuntamento. Le mie relazioni risalgono all'era arcaica ed ero troppo piccola per un appuntamento degno del termine.
-Cosa mi devo mettere?
-Qualcosa che riesca a farlo scappare.
-Willow!
-Cosa c'é? Ti ho detto che quel tipo mi sta sul culo.
-É con me che ha un appuntamento. -ribatto, più duramente di quanto in realtà vorrei.
-Ok, allora metti un vestito corto e i tacchi. E, Ali, cerca di non essere insopportabile.
-Ci proverò.
Non ho molti vestitini. Non sono esattamente un'icona di stile. Per cui impiego un'eternità a trovare le scarpe da abbinare al vestito bianco di pizzo e alla vecchia felpa blu da football. Somiglio ad una comparsa di un video di Lana del Rey, ma non mi importa.
Andrew si presenta in perfetto orario, sopporta tutti i commenti di mia madre e riesce perfino a sorriderle. Poi mi accompagna nella sua vecchia Ford e fa attenzione a non sbattere la porta. Si sforza in tutti i modi di essere perfetto, infatti rallenta ad ogni semaforo giallo e contemporaneamente manda avanti la conversazione. Sì, perché io ho capito di non essere in grado.
-Sai già dove andare l'anno prossimo?
Siamo già arrivati all'argomento università e non abbiamo nemmeno varcato la soglia del ristorante.
-Pensavo alla Brown, -butto lì -o magari Williams.
-Con i tuoi voti potresti anche mirare a Harvard o Yale.
Yale, l'università di Nathan. Mi si accartoccia lo stomaco.
-A dire il vero non ho ancora deciso.
-Io andrò alla Columbia. -dice Drew.
Mi porta in un ristorante aperto da poco più di sei mesi. Il cameriere ci sorride falsamente e ci trascina ad un tavolino per due persone con un “Accomodatevi, signori!”. La cosa di per sé non sarebbe tanto strana, se un suo collega non avesse appena fatto la stessa cosa con due persone. Una è un ragazzo biondo e paffuto, l’altro… è Ed.
-Oh. –diciamo contemporaneamente Ed, Drew ed io.
A rendere tutto più imbarazzante, i camerieri ci salutano dicendo di divertirci.
Fantastico.
Gli occhi chiari di Ed guizzano da me a Drew. Si è fatto un’idea completamente sbagliata e non so come fare a chiarire le cose senza far sembrare Andrew una merda. 
Lo saluto rapidamente con un cenno del capo e mi siedo al tavolo.  Ed si sistema dal lato opposto dell’altro tavolo. Quando vedo Andrew strisciare sulla panca di fronte a me, realizzo con orrore che Ed rimarrà nel mio campo visivo per l’intera serata. Oh mio Dio.
Il menù. Bridget prenderebbe qualcosa di strano, tipo la piovra. Willow qualcosa di sofisticato, tipo un filetto di pesce. Giselle… lei avrebbe preso qualcosa di divertente, tipo delle lasagne. Io invece non ho idea. Andrew decide per una bistecca, poi pone la fatidica domanda.
-Cosa prendi?
Scruto attentamente quel foglio giallo plastificato, come se non abbia già letto tutto.
-Ho sentito dire che qui fanno delle pizze grandiose. –commenta Ed.
-Amico, sono allergico ai pomodori. Lo sai benissimo. –gli fa notare l’altro ragazzo, prima di rendersi conto che la frase non fosse diretta a lui.
-Una margherita. –dico senza pensare. È assurdo. Andrew mi ha proposto di uscire come amici, perché mi devo fare tutti questi problemi?
Devo ignorare Ed.
 
Ci riesco. Andrew chiacchiera per tutta la serata, e sono sicura che potrebbe essere una persona piacevole –addirittura simpatica - se io non fossi… be’, io.
Mi riporta a casa alle undici e mezza, probabilmente per rimanere nelle grazie di mia madre, e mi saluta con un rapido bacio sulla guancia.
Potrei crollare sul letto e dormire per i prossimi ottant'anni, ma non ho voglia. Stranamente, l'idea di stare da sola mi fa star male.
Prendo il telefono e chiamo Bridget.
-Pronto? -Tyson. Merda. Ma cosa sono, gemello siamesi?
-Salve, le interessa cambiare gestore telefonico? -Non so nemmeno da deve mi sia uscita una stronzata del genere.
-No, veda di farsi una vita sociale. -e riattacca. É così idiota da non aver nemmeno letto il mio nome sullo schermo del telefono.
É mezzanotte, il sonno non ha nessuna intenzione di farsi sentire e io sono ancora sola. Ottimo.
 
Esiste un solo Sheeran sull’elenco telefonico.
Digito in fretta il numero sul mio vecchissimo telefono fisso e spero che mia madre non mi senta.
-Pronto? -fa una voce di donna. Farfuglio di incoerente qualcosa e chiudo la chiamata, sentendomi una completa idiota.
Non era per forza la sua ragazza, dio santo! Poteva semplicemente essere la madre!
Riprovo.
-Scusi, era caduta la linea -balbetto.
-Nessun problema.
-C'é Ed? -ecco, Ali, adesso devi sperare che sia la madre.
-È uscito da un’ora, -afferma la signora Sheeran,  si scusa e dice di non sapere bene dove sia andato. Ma io sì.
 
La caffetteria ha lo stesso aspetto marinaro e trasandato che ricordavo. Il vecchio Bart mi riconosce immediatamente e indica con un cenno della testa un tavolino, su cui Ed e un altro ragazzo giocano a carte. Mi avvicino, cercando allo stesso tempo una via di fuga, e mi schiarisco la gola.
Ed distoglie lo sguardo dalle carte. -Oh Ali! Che... Sorpresa!
-Già, cioè... Ciao.
L'altro ragazzo é un tipo biondo con due occhi scurissimi e un forte accento del Texas.
-Quindi é lei! Finalmente ti vedo!
Si sente un colpo, seguito da un lamento del texano e da un'occhiata di fuoco di Ed.
Il rosso avvicina una sedia al tavolo e mi fa cenno di accomodarmi, mentre l'altro tende una mano.
-Ehm, Ali. Ali Crawford.
-Lo so. Che razza di nome é?
Prima che possa pensare ad una risposta, Ed lo ammonisce con un "J, piantala."
-Io sono Jack Maynard Masters, detto J-Man o J. -grugnisce infine.
-Che razza di nome é? –ribatto.
-Hai vinto, baby.
-Che ci fai qui? -chiede Ed.
Ok, il "passavo per caso" é fuori discussione. Idem per "volevo vederti".
-Non lo so, ad essere sincera. Hai presente il nostro patto? I locali squallidi mi sembrano un buon inizio. Un po' come le maratone di serie televisive.
-Giusto. E per gustarti bene un locale squallido ti servono una birra e delle noccioline.
-Noccioline? E comunque non ho ventun'anni.
-J-Man sì, baby -replica J. -e le noccioline sono davvero formidabili.
Adesso che ci penso, Ed non mi ha ancora fatto sentire la canzone.
 
Hujambo!
No, non sono pazza. E' solo swahili :)
Scusate il ritardo, sono tornata ieri sera e partirò domani mattina (alle sei. Dio.)
Quindi devo andare a nanna anche se è prestissimo ♥
spero che il capitolo vi piaccia
siete sempre le migliori,
Gaia @walkingcrash

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Capitolo 11
*** Back to the stars ***



 

Back to the stars.

 


Ora lo vedo. Il momento in cui sai di non essere una storia triste. Sei vivo. E ti alzi in piedi e vedi le luci sui palazzi e tutto quello che ti fa restare a bocca aperta. E senti quella canzone, su quella strada con le persone a cui vuoi più bene al mondo. E in questo momento, te lo giuro, noi siamo infinito.

-Ragazzo da parete, Stephen Chbosky

 
Sottofondo: 
http://www.youtube.com/watch?v=EdBym7kv2IM

C’è un periodo in cui andare in bicicletta mi piace particolarmente: l’autunno. In particolare ottobre e l’inizio di novembre, quando non fa ancora così freddo, quando bastano i guanti per sopravvivere al tragitto casa-scuola, senza dover desiderare ardentemente le aule calde. Le foglie cadono, e la vista di ogni angolo mi fa venire voglia di scendere dalla bici e scattare fotografie.
È difficile arrivare puntuali in autunno, ma non questa mattina. Il vento è così forte da riuscire a mandarmi i capelli negli occhi, nonostante stia pedalando al massimo della velocità. Sollevo una mano per sollevare lo sciarpone fino a coprirmi il naso ma, così facendo, sbando. Inchiodo di colpo e sento il retro della bici sollevarsi. Due secondi dopo sono per terra, con il ginocchio e il gomito sinistro doloranti e un enorme graffio sul mento. Fantastico, sono appena passata da ragazza invisibile a ragazza-strega con tendenze invisibili.
Anche il signor Philips deve aver pensato qualcosa del genere, infatti evita qualsiasi commento sul mio ritardo e il mio aspetto e continua tranquillamente la lezione.
Rumore di sedia che struscia sul pavimento. Se Ed sta cercando di farsi notare, tanto vale estrarre il cartello “Lavori in corso”.
-Cosa fai? –sibilo senza voltarmi.
-Mi avvicino, così possiamo parlare meglio.
-Parli come il Lupo Cattivo.
-A proposito di cattivi…
Fruscio da carta. Qualcosa di bianco striscia sui banchi e metto a fuoco i fogli che Ed mi sta passando.
-Ascoltami. –dice Ed. –Mi sono informato,  sembra che Giselle avesse ingerito una dozzina di pillole. Alcune erano banali antidepressivi, le altre… contenevano riluzolo. Fin ora è l’unico farmaco approvato per la cura della sla.
Mi si annoda lo stomaco.
-Non è uno scherzo, ha degli effetti collaterali abbastanza gravi per cui, come dicevi tu, è difficile procurarselo.  È praticamente impossibile che Giselle ci sia riuscita, mentre per Nathan lo spacciatore figlio di farmacisti, è decisamente più semplice. La polizia non sa dell’occupazione di Nathan, ma della farmacia sì. Per questo è strano che non abbiano indagato.
-Aspetta… non hanno indagato su di lui? Non l’hanno nemmeno interrogato?
-Forse sì, ma dal fascicolo del caso non risulta. –aveva un tono professionale, come se fosse un agente federale.
Assurdo, la polizia aveva interrogato me e non lui.
-C’è qualcosa che non quadra. Mancano dei pezzi. Ma tu come fai a sapere…?
-Ho un amico in polizia che mi ha fatto fare un giretto nel loro archivio.
-Crawford e Sheeran, volete anche dei pasticcini? –cinguettò il signor Philips. La nostra riunione è finita.
 
-Adesso tocca a te. –il vassoio di Ed scivola accanto al mio e il suo proprietario si siede al nostro tavolo, ignorando gli sguardi meravigliati degli altri.
-Di’ un po’, ma tu non avevi anche altri amici? –borbotto.
-Sì, ma giocare al Detective Conan con te è più divertente.
Alzo gli occhi al cielo. Quello che è successo è appena diventato il Detective Conan?
Arrotolo gli spaghetti con la forchetta. –Cosa vuol dire “tocca a te”?
-Ti ricordi l’altra parte del nostro patto? Non prendere impegni per sabato sera, All.
Ancora quel maledetto nomignolo. Il suo nomignolo.
Ed dà un morso alla sua mela e si gira a parlare con gli amici di Vincent. Bridget mi fissa con uno sguardo ambiguo che non riesco a sostenere, quindi divoro in fretta gli spaghetti e mi alzo. Prendere a calci i sassi del cortile è un ottimo modo per scaricare la tensione, a quanto dicono.
 
-Il luna park?
-Già.
-Hai guidato un’ora e un quarto per un luna park?
-No, per il Luna Park. Con l’articolo e le maiuscole.
-Tu sei pazzo, Ed Sheeran.
-Probabile.
Un bambino va a sbattere contro la mia gamba e per miracolo riesco a salvare il suo zucchero filato.
Odio Ed per avermi imposto di lasciare in macchina la canon. Il luna park è un classico della fotografia!
Guardo il mio amico, che mastica assorto delle noccioline. Quando mi sorprende a fissarlo mi tende il pacchetto pieno di arachidi, sorridendo.
È sorprendente il numero di persone che decide di passare il sabato sera in un luna park, per quanto grande possa essere. C’è una fila abbastanza lunga nella maggior parte delle attrazioni, ma per Ed questo non sembra essere un problema. Una volta scesi dal calcinculo (altrimenti chiamato “le catene”) mi trascina senza nessuna esitazione verso gli autoscontri.
-Guidi tu, -gli ordino mentre infila i gettoni in tasca.
-Non sono capace. –ammette Ed.
-Io sì? Hai la macchina. Almeno un po’ dovresti essere abituato!
-Non è mica la stessa cosa!
La verità è troppo imbarazzante. Se lo convinco a guidare, potrebbe non accorgersi di niente…
-Facciamo così: tu guidi per i primi due giri, poi vado io.
Non ho nessuna scusa sensata per rifiutare. Deglutisco.
-Bene ragazzi, iniziamo!
Non avrò una grande esperienza in fatto di luna park, ma è possibile che i gestori degli autoscontri abbiano tutti la stessa identica voce?
Afferro saldamente il volante e aspetto.
-Devi premere l’acceleratore. –dice Ed con calma.
-Oh! Giusto!
Esattamente quello che volevo evitare. Schiaccio l’unico pedale che vedo e la macchinina fa uno scatto in avanti.
Da subito risulta lampante una cosa: non riesco ad andare dritta. Dopo aver beccato in pieno un bambino di nove anni ed averlo fatto piangere, rinuncio.
-Non l’avevi mai fatto, vero? –chiede dolcemente Ed.
Scuoto la testa, rossa fino alla radice dei capelli. Sheeran ridacchia, si sporge verso di me e appoggia le sue mani calde sulle mie.
-Non è così difficile.
-Lo dici tu. –borbotto, al limite dell’imbarazzo.
-Raddrizza il volante, All. –ridacchia lui. Godeva un mondo nel suo nuovo ruolo da insegnante, il bastardo.
-Dici? Secondo me è più divertente così! –giro di colpo a destra, facendo finire Ed addosso a me.
-Davvero? Che ne dici di… così? –lui gira il volante a sinistra e ride quando sbatto contro la sua spalla.
Questa la dedichiamo ai ragazzi della 14, che sembrano avere qualche problema di guida.
 Inizia Hall of fame proprio alla fine del primo giro. Inserisco un altro gettone, ridendo.
-Problemi di guida? You can be the brainest, you can be the best....
-Non capiscono la nostra arte. Non pensavo che questa fosse il tuo genere.
-Non lo è, però è bella.
Standing in the hall of fame
And the world’s gonna know you name
‘cause you burn with the brightest fame
And the world’s gonna know your name.
Alla fine dei cinque giri ho collezionato parecchi lividi sui gomiti e la voglia di altre noccioline. Non voglio dare soddisfazione a Ed, così mi limito a sorridere come un’ebete.
-Cosa prevede il programma?
-Siamo alla portata principale.
Ed indica avanti a sé, verso i ragazzi che sfrecciano sulle montagne russe.
-Oh no!
-Oh sì!
Mi prende a braccetto e trotterella come un bambino fino al signore che vende i biglietti.
-Prima volta anche qui? –chiede, sedendosi. Annuisco e mi preparo ad una nuova battutina.
-Vedrai.
La barra di metallo si abbassa sulle nostre gambe, vanificando ogni mio tentativo di fuga.
Partiamo. Appoggio la testa indietro e guardo le stelle.
È notte. Tu sei sulle montagne russe, nel punto più alto, pochi istanti prima della discesa. Senti le grida, le risate, le voci della gente. Guardi lontano e vedi il panorama illuminato, la spiaggia, le stelle. Da parte a te, il tuo amico sta cercando in tutti i modi di scacciare la paura e tu ridi, perché l’idea di salire su quell’attrazione è stata sua. Ti avvicini alla discesa. Il tuo stomaco si annoda mentre l’adrenalina ti scorre nelle vene e d’un tratto non vedi l’ora che arrivi quel momento. Poi succede. La sensazione di vuoto, il vento, le urla, quello che ti circonda si fa meno nitido e senti quella canzone, che qualcuno sta ascoltando senza sapere della tua presenza. È il momento giusto.
Sollevi le braccia.
 
-È… è stato… stupendo! –balbetto scendendo dalla macchina. Lui mi dà ragione e chiude la portiera alle mie spalle.
-Eccoci. Ti ho portato a casa all’una e un quarto.
L’una e un quarto?! Impreco ad alta voce. Anticipando le domande di Ed, gli spiego in fretta che il coprifuoco durante l’anno scolastico è a mezzanotte e mezza, e che mia madre mi ucciderà.
-Non deve saperlo, basta che non la svegli…
-Genio, vedi per caso una borsa? Non ho portato le chiavi!
Il sospiro di Ed è anche fin troppo eloquente. Sono nei guai.   
-Scavalca. –dice d’impulso.
-Tu sei andato. Completamente.
-Vuoi davvero citofonare?
La mia è una delle pochissime case americane con il muro di cinta. Senza appigli.
Ed intreccia le dita delle mani e si avvicina al muro. Vuole davvero farmi da scaletta?
Sarà l’adrenalina che è ancora in circolo, sarà la paura di mia madre, oppure semplicemente la voglia di fare qualcosa di rischioso per una volta, ma accetto. Appoggio il piede destro sulle mani di Ed e mi do la spinta. Devo avergli tirato inavvertitamente un calcio, perché si lascia sfuggire un gemito. Le mani si staccano e io riesco per un pelo ad aggrapparmi.
Stiamo entrambi rotolando dalle risate, lui per terra e io sul muretto di casa mia. Non riesco a togliermi dalla testa quella scena di The perks of being a wallflower, quando Sam e Charlie si alzano in piedi sul retro del furgoncino, nella galleria. Ho capito cosa intende lo scrittore: è la stessa sensazione delle montagne russe. Felicità pura.
-Ed, cosa diavolo faccio adesso? È alto! E piantala di ridere! –è contagioso, non riesco a smettere nemmeno io.
-Crawford, iscriviti a kung fu. Sul serio, è il tuo sport. –farfuglia massaggiandosi la spalla.
-A… Ali? –ci voltiamo entrambi. La mia vicina cinquantenne in piena crisi di mezza età è fuori dalla sua Porsche. A giudicare dal vestito cortissimo, è di ritorno da una delle sue seratone – eppure ha il coraggio di guardarmi male perché sono seduta sul muro di cinta.
-Signora Lane, se non chiama la polizia le darò parte della refurtiva. –Ed sghignazza ancora più forte e cerco di tirargli un calcio senza cadere giù.
-Va’ a dormire, che è meglio. –borbotta lei, avviandosi verso la porta di casa sua.
-All, salta. –dice Ed. –È come quel giorno a scuola, ti ricordi?
Certo che mi ricordo. Non è così facile da dimenticare…
Sposto le gambe dall’altra parte del muro e salto. Cammino fischiettando fino al portaombrelli, prendo la chiave di scorta e entro in casa. Prima di richiudere alle mie spalle, mi giro un’ultima volta verso Ed. La sue testa arancione spunta dal muro e per un attimo mi chiedo come abbia fatto ad arrampicarsi senza aiuto. Mi fa ciao con la mano, e io rispondo con il saluto militare.
-A lunedì! –urla.
-Ok!
Non vedo l’ora.  


HOLA!
Sono di ultra fretta. 
Spero che il capitolo vi piaccia, perchè mi sono impegnata tantissimo. Anche se è ispirato ad una storia vera ahahah (sì, anche l'ultima parte. Non chiedete)
Grazie per le recensioni, siete le migliori ♥
vi saluto, prima che la batteria si esaurisca del tutto
bacioni,
Gaia

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Capitolo 12
*** Mask ***


Dark Paradise | via Tumblr

Mask.

Is there a right way for how this goes? 
You got your friends, and you got your foes. 
They want a piece of something hot, 
Forget you name like they forgot. 

Ain't that something? 
So I wanna see you crash and burn, 
And criticize your every word 
I'm tring to keep you from goin' insane, 
Ain't that the way of this whole damn thing? 

Trying to be something, more. 

Sleeping with sirens - Roger rabbit
 


-Non è così difficile.
-Zitto.
-Sul serio, devi solo…
-Ti ho detto di stare zitto!
-Hai dimenticato lo specchietto…
-Cosa c’è di così difficile in “devi stare zitto”? Devo rubare la penna di Dolores Umbridge per fartelo capire?
Nell’abitacolo della vecchia Harley cala finalmente il silenzio. Sospirando, controllo che lo specchietto retrovisore sia a posto. Le mani mi formicolano ma non ho nessuna intenzione di lasciar andare il volante. Cos’ha detto Ed? Togli il freno a mano e premi con delicatezza l’acceleratore. La macchina ha il cambio automatico.
No, non sembra così difficile.
Stacco la mano destra dal volante e la appoggio sul freno a mano il più velocemente possibile. Faccio un respiro profondo. Sto per tirare la leva quando avverto la presenza di Ed più vicina di quanto non lo fosse un paio di secondi fa. Cerco di guardarlo con la coda dell’occhio, ma l’unica cosa che vedo è un’enorme bolla rosa, che mi esplode in faccia con un sonoro pock.
-EDWARD!
-Dimmi! –cinguetta. Con la gomma da masticare in bocca sembra una mucca intenta a ruminare.
Potrei buttarlo giù. Siamo ancora fermi, non si farebbe male. Però è anche l’unico dei due che sappia guidare, cosa che lo rende automaticamente intoccabile. E odioso.
Tiro con decisione la leva del freno a mano e schiaccio il pedale. La macchina fa uno scatto avanti, obbligandomi a diminuire la pressione sull’acceleratore.
-Ed… Ed! –gli tiro delle pacche leggere sulla spalla. –Ce l’ho fatta!
-Mani sul volante, Ali.
Giusto. Mi sforzo di mantenere una velocità costante. Di per sé non sarebbe male, se “costante” non fosse sinonimo di “dieci chilometri orari”.  Quando un uomo sulla settantina in bicicletta ci supera, sento la tensione di Ed salire alle stelle e per un attimo penso abbia l’intenzione di strapparmi il volante dalle mani.
-Devo curvare…
-Metti la freccia, aspetta che il semaforo sia verde, controlla che non stia passando nessuno nell’altra corsia e rallen… anzi, non serve.
Simpatico come una zanzara vicino all’orecchio.
-Perché diavolo mi sono rivolta a te?
-Perché non ti ho riso in faccia quando hai ammesso di non saper guidare a quasi diciott’anni.
Grazie al cavolo, a cosa mi serve saper guidare se l’unico mezzo di trasporto in mio possesso è una bicicletta? Una bellissima bicicletta, per giunta.
Quando ho chiesto una mano a Willow prima è scoppiata a ridere, poi –dopo aver preso fiato- ha affermato che non mi lascerebbe mai e poi mai toccare il volante della sua macchina. Per concludere, mi ha riattaccato in faccia.
Vincent ha il cellulare spento, Bridget è senza macchina per via di uno scontro tra lei e un palo della luce avvenuto una settimana prima e nessuno dei miei genitori è a casa. Rimane solo Ed.
-Notizia flash: esiste un posto chiamato scuola guida. Vuoi provare a parcheggiare? –chiede Ed, una curva e non so quanti litri di sudore dopo.
-E tu vuoi così male alla tua macchina? –sembra rifletterci per qualche secondo.
-Ok, faccio io. Ancora non capisco perché ti sia venuta questa voglia di guidare.
Mi fermo. Ed scende dalla macchina mentre io passo scavalcando dal sedile del guidatore a quello del passeggero, sentendomi molto più tranquilla.
-Non voglio andare in una scuola guida, ci sono troppi quindicenni per i miei gusti. Comunque è colpa della signora Crawford. Secondo lei è impensabile che io vada al college senza saper andare in macchina. Io penso che abbia visto semplicemente troppi film, in cui il figlio perfetto carica in macchina la sua roba e parte per l’università, con l’immancabile sole che splende all’orizzonte e la musica allegra di sottofondo. Di solito è la scena prima dei titoli di coda.
Ed inserisce la retro marcia e si volta. –Hai mai pensato di fare la regista?
-Sì, ma la fotografia è più adatta.
 
 
-Tu frequenti il liceo, vero? –non è un buon momento per fare conversazione. Gale Shepley è comodamente seduto con i piedi appoggiati al bancone, mentre io lotto per rimanere in equilibrio su un’instabilissima scala in legno appoggiata alla libreria.
Emetto un versetto di assenso, infilando un almanacco di fotografia sotto al mio mento in modo da avere le mani libere.
-Ho un amico che lavora al Pratt Insitute di Brooklyn. A quanto pare organizzano una specie di stage fotografico sulle montagne durante il periodo delle vacanze invernali. –dice con indifferenza.
Vorrei davvero rispondere, ma il libro che sto cercando (per Gale) appare davanti ai miei occhi come un miraggio e ci vuole tutta la mia logica da giocatrice di tetris per non far crollare tutto e prenderlo.
-Potresti iscriverti, -continua Shepley, mal interpretando il mio silenzio.
-Non voglio andare in un istituto d’arte. –inizio la discesa, con il libro bloccato tra il mento e il petto.
-Si tratta solo di uno stage. Ali, se non fossi una fotografa decente non te lo proporrei nemmeno. Promettimi che ci penserai.
Uno scampanellio annuncia l’arrivo di un cliente. Potrebbe essere la scusa perfetta per ignorare il mio capo, ma me ne esco ugualmente con un “ok”.
 
Lauren Wild ti ha invitato ad un evento “MASKED BALL – HALLOWEEN 2012”
Non spreco nemmeno due secondi per leggere i dettagli della festa e clicco su “no”.
A volte mi chiedo cosa ci faccia ancora su facebook.
Lauren Wild è la classica aspirante Miss America. Tinta di biondo, abbonata alla palestra comunale da quando aveva quattordici anni, reginetta indiscussa di tutti i balli di fine anno e ragazza più desiderata della scuola. L’esatto opposto di me, sotto tutti i fronti.
-Hai ricevuto l’invito alla festa? –trilla Bridget non appena rispondo al telefono.
-Sì, e trovo che sia tremendamente triste mandare gli inviti via facebook.
Lei sospira, come se non sapesse più cosa fare con me. –Che maschera indosserai?
-Nessuna. Non vengo.
Allontano il cellulare dall’orecchio di qualche centimetro, perché so già cosa succederà.
-Tu devi esserci! Perché credi che io abbia accettato? –urla. In effetti me lo stavo chiedendo anche io: lei non è il tipo da balli in maschera.
-E perché non me l’hai chiesto?
-Ho visto che Ed Sheeran ha accettato, così l’ho dato per scontato.
Riapro immediatamente la pagina dell’evento e scorro la lista dei partecipanti. Eccolo lì, una massa di capelli arancioni che sorride in una foto idiota.
-Non siamo gemelli siamesi. –dico. Sento qualcosa crescermi nello stomaco, come una specie di… voglia.
-Non saprei, siete sempre appiccicati.
Non le rispondo. Ho visto qualcun altro nella lista dei partecipanti, e la cosa mi ha stupito ancora di più. Il nome di quel qualcuno compare scritto a lettere bianche nella casella della chat. Il messaggio è corto anche stavolta: Ci vediamo alla festa?
La lascio lì a lampeggiare. Meglio che Drew non sappia che ho letto il messaggio.
-Abbiamo fatto una specie di patto. –dico infine, ricordandomi di Bridget.
La chat di Ed Sheeran compare da parte a quella di Andrew.
Me n’ero dimenticato:
I fell in love next to you
Burning fires in this room
It just fits
Light and smooth
Like my feet in my shoes
Little one, lie with me
Sew you heart to my sleeve
We’ll stay quiet
Underneath shooting stars
If it helps you sleep
And hold me tight
Don’t let me breathe
Feeling like
You won’t believe

 
Accidenti a lui. Come si fa ad avere un simile tempismo? Sembra quasi che possa leggermi nel pensiero. Come ho fatto a diventare così dipendente da Ed Sheeran in un mese?
Chiudo il portatile e corro fuori dalla mia camera. Sono passati mesi dall’ultima volta in cui un essere umano ha messo piede nella mia soffitta così, mentre apro la porta, spero che gli insetti non abbiano preso il potere. Mi ci vuole qualche secondo per abituarmi alla totale mancanza di luce. Ci sono così tante ragnatele che basterebbero a far venire un colpo a mia madre, ma almeno non vedo scarafaggi.
La scatola è esattamente dove la ricordavo. Mi ero ripromessa di non aprirla più, dentro ci sono troppi ricordi.
Alzo lo spesso coperchio di cartone sollevando una nuvola di polvere. La maschera nera è proprio in cima al mucchio.
 
-Dolcetto o scherzetto?
-Fatti curare, G. –Vincent fa per sbatterci la porta in faccia ma io sono più veloce e la blocco con un piede.
-Chi siamo? –chiede Giselle, facendo una piroetta nel suo costume da Hermione Granger.
-Due undicenni troppo cresciute?
-Dio, quanto sei simpatico. –sbuffo. Giselle apre la mia borsa e prende la mia macchina fotografica. La passa a Vincent e mi stringe in un abbraccio. Faccio appena in tempo a togliere la maschera (non c’entra nulla con il mio costume da Bellatrix Lestrange, ma è obbligatoria per entrare alla festa) e a ringhiare un “usa il flash e ti uccido” a Vincent, prima che lui scatti la foto.
Vince mostra la foto a Giselle, che annuisce soddisfatta.
-Ecco, adesso non abbiamo scuse per dimenticarci di questa serata.
 
La foto è esattamente sotto alla maschera. Asciugo rapidamente una lacrima, poi richiudo la scatola.
Sì, andrò a quella festa.
Loro però non mi vedranno, è questo il bello delle maschere. 


HOLA!
Lo so, il capitolo è orribile.
Dovevo introdurre la festa in qualche modo .-.
La gif iniziale mi sembrava più adatta del banner, ecco perchè non l'ho messo ;)
Sono in partenza... credo che non ci sentiremo più fino a dopo ferragosto. Avrò tempo di scrivere, ma senza connessione a internet non posso pubblicare :(
Ok, basta annoiarvi
tantissimi baci,
Gaia ♥
@walkingcrash su twitter

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Capitolo 13
*** Alien ***




Alien.

A falling stars fell from your heart
And landed in my eyes
-Florence and the machine, Cosmic love
 
La frenesia dei giorni che precedono la vigilia di Ognissanti -comunemente conosciuta come Halloween- è spaventosa.
I miei compagni non vedono l'ora del ballo in maschera e nei corridoi non si parla d'altro. Anzi, magari fossero solo i corridoi. I bigliettini volano durante le ore di lezione e a pranzo tre quarti delle ragazze sono a dieta. É incredibile come non solo non sia per niente elettrizzata all'idea, ma speri addirittura di prendermi un'influenza il trenta novembre, in modo da saltare la festa. Peccato che abbia fatto una promessa a me stessa.
Mi sento un'aliena in un mondo di esseri umani.
Persino Bridget è stata trascinata nel vortice dei preparativi.
Durante l'intervallo dell'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze è tutta presa dalla minuziosa descrizione del suo costume, quando Lauren si piazza in mezzo a noi, interrompendola. Faccio un rapido cenno di saluto all'organizzatrice della maledetta festa.
-Lloyd, chi porterai al ballo? -chiede facendo finta di non vedermi.
-Tyson Night, il mio ragazzo. -Lauren annota rapidamente sul blocchetto e fa per andarsene, ma le mie parole la bloccano.
-Non sapevo ci volesse un accompagnatore. -mi guarda meravigliata, come se fossi improvvisamente diventata una sorta di ninfa.
-Tu non avevi mica rifiuta...
-Ho sbagliato a cliccare, -dico stupidamente. Imbarazzata, sprofondo di nuovo nel mio mutismo.
-Sì, bisogna essere in coppia. É scritto nei dettagli su facebook. -come se li avessi letti. -Vincent? -annuisco per dimostrare di aver capito, ma non sono più nel campo visivo di Lauren. Vince, a qualche metro di distanza, urla che andrà alla festa da solo. Non vuole avere impegni di nessun genere. La biondina gli ordina di non spezzare il cuore a nessuno e si rivolge nuovamente a me.  -Sai Ali, sono felice che tu ci sia. Non vai a molte feste da... -si interrompe, in imbarazzo.
Non voleva essere una cattiveria, ma riesce comunque a farmi arrabbiare.
-Se lo dici ad alta voce non evocherai il suo fantasma. Puoi stare tranquilla.
Prendo la focaccia e mi allontano, ma Lauren trotterella dietro di me come un cagnolino. -Mi dispiace! Scusami. Sai per caso con chi verrà Ed Sheeran?
No. E anche se lo sapessi non glielo direi. Scrollo le spalle.
 
-Certo che ci vuole un accompagnatore! Vivi proprio su un altro pianeta! -esclama Willow quattro ore dopo al 21. -Per questo l'altro giorno ho detto a Connor di non prendere impegni.
Connor? É davvero sopravvissuto dopo così tanto tempo? É un record per Willow. Vorrei dirglielo. Vorrei anche chiederle perché mai continui a trascinarmi in questo locale se adesso è impegnata, ma voglio tenerla buona. Mi servono consigli.
-Prendi esempio: chiama Ed Sheeran. -per poco non mi strozzo con la fanta.
-Cosa c'entra lui?
-Per quello che sai tu lui non ha altre alternative. E tu nemmeno, tesoro.
Connor e il suo seguito entrano chiacchierando dalla porta principale. Certo che non hanno niente di meglio da fare...
-A dire il vero sì.
Andrew si è appena seduto ad un tavolo quando percepisce di essere osservato. I nostri sguardi si incrociano.
 
-Carina, -dico accennando alla Ford di Connor. Lui sorride orgogliosamente e mi apre la portiera. Drew è già seduto dall'altro lato del sedile posteriore, elegantissimo nel suo smoking da James Bond. Forse avremmo dovuto accordarci sul costume.
-Buonasera. Lei è...
-Emily the Strange. -in versione fai-da-te. É il costume che più s'addice al mio umore.
La maschera nera pesa nella mia tasca come un promemoria. Riesco quasi a sentire la voce di Giselle mentre mi impone di lasciarmi andare e di imprimere nella mente questa serata. Non penso di riuscirci. Non mi avvicino alle feste di Halloween da quando lei non può più andarci con me.
-Non credo di conoscerla. -dice Andrew interrompendo bruscamente i miei pensieri.
-Ti perdi la più asociale, dark e con problemi di memoria della storia. -interviene Willow dal sedile anteriore. La sua frase trasuda disapprovazione e io faccio sistematicamente finta di non accorgermene. Non cerco nemmeno di difendere l'onore di Emily.
La casa di Lauren è esattamente come lei: perfetta e stereotipata. Sono sicura che se aprissi un armadio mi crollerebbero addosso chili di oggetti troppo poco perfetti per essere mostrati. E forse vale anche per la stessa Lauren.
Non appena supero l'immancabile zerbino con la scritta "Welcome" capisco che questa non sarà la solita festa caotica con tanto di angolo riservato alla droga. L'unica cosa che stona con tutta questa eleganza è la presenza di Vincent e del resto della band in giardino. Saluto il mio amico con un cenno prima che Willow mi trascini nella mischia. Come forse ho già detto in precedenza, non so minimamente ballare. Voglio solo sedermi e prendere la macchina fotografica -l'atmosfera é stupenda- ma so che non posso. Non ancora, almeno.
-Balli? -chiede Andrew muovendosi a tempo con Without you. Evidentemente David Guetta serve a riempire i buchi in attesa che la band sia pronta. Una sorta di musichetta delle chiamate in attesa. Mi chiedo chi sia il genio che mette musica house in una festa che dovrebbe essere sofisticata.
-Non sono capace -urlo per sovrastare la musica.
-Avrei dovuto immaginarlo. Ali Crawford non balla.
Qualcosa in quella frase mi fa saltare i nervi. É assurdo, Drew ha semplicemente detto la verità, nonostante ciò mi dà fastidio. Sono io a decidere se ballare o meno, non la mia reputazione.
 
Il dj mette un pezzo hip hop. Qualcuno inizia ad improvvisare dei passi, io non so proprio come muovermi. Guardo Giselle, che è ferma immobile al centro della pista. Poi inizia a ridere forte e mi prende le mani. Muoviamo le braccia su e giù come due bambine, chiedendo mentalmente scusa ad Eminem. Qualcuno intorno a noi ride. Non ci interessa. Ci siamo solo noi e la musica che non sappiamo ballare.
 
Andrew va a prendere qualcosa da bere. Dovrei aspettarlo, ma mi sento una perfetta idiota. Esco sulla terrazza e guardo in alto, cercando di non piangere. Non posso. Non ora. Non voglio. Ho promesso a me stessa e a lei. Alcuni ragazzi stanno giocando a biliardino in cortile e mi rendo conto di conoscerli. Così marcio decisa verso la testa arancione che chiacchiera con Bridget.
-Qualcuno ha preso molto seriamente il patto. –commenta Sheeran.
-Zitto e balla.
Non fa domande, ma sono sicura che abbia capito. Un luccichio gli attraversa gli occhi. -L'hai detto, Crawford.
David Guetta è stato sostituito da Beauty and beat. Ed sembra ancora più imbranato di me. Dopo aver accennato a qualche passo senza riuscirci mi prende per i polsi e inizia a girare. Andiamo veloce, la sala intorno a noi è sfocata e la musica è alta. L'assurdità della situazione mi fa ridere. Forte. Per la prima volta nella serata. Lui mi imita, senza rallentare. È come se fossimo in un vortice, lontani da tutto e da tutti.
Quando la testa inizia a girare vorticosamente ci fermiamo, e devo appoggiarmi alla sua spalla per non cadere. Il rosso fa per andare a prendere della birra ma va a sbattere contro Drew.
-A…Ali! –balbetta quest’ultimo. Mi tende un bicchiere con quello che sembra un cocktail. Conoscendo Andrew, sarà analcolico. Gli sorrido e do un sorso. È dolce, con un retrogusto all’arancia che mi piace.
-Stavate… ballando?
-Più o meno. A dire il vero era una danza della pioggia. –dice Ed.
Lo fulmino con lo sguardo. Perché è diventato così… strano?
-Davvero?
Ok, Andrew non è famoso per la sua perspicacia.
-No! –esclamo –Ed sta solo… scherzando.
Percepisco Andrew prendermi a braccetto. Mi aspetto che Ed distolga lo sguardo e ci lasci da soli con qualche scusa banale, ma non succede. Anzi.
-Sei venuta con lui? –chiede, quasi… rassegnato. Annuisco.
-Dai Ali, uno così te lo mangi a colazione!
-Evidentemente no, -sibila Andrew infastidito.
-Sarà anche introversa, ma Ali ha la bocca.
-E tu non avevi un amico? –ribatte l’altro. Evidentemente si riferisce a J-man, che era con Ed al ristorante, ma è completamente fuori strada.
-Sì, ma è appunto solo un amico. E secondo lui a questo genere di feste vanno solo i montati figli di papà. Forse aveva ragione.
Forse dovrei dire qualcosa. Cercare di evitare che si sfidino a duello o robe del genere. Ma parlare non è mai stato il mio forte.
Gli occhi di Andrew passano rapidamente da Ed a me, poi ancora Ed. –Emory the Strange, vieni?
Ed lo corregge con veemenza mentre ci allontaniamo. Giuro che non lo capisco.
Mi invita a ballare, ma rifiuto.  -Va tutto bene? –chiede Drew una volta lontani dal rosso. Ovviamente no, ma lui non può capirlo. E io non so assolutamente come fare a spiegarmi.
Sai a cosa servono le maschere? A nascondersi. A fingere di essere qualcun altro. Non volevo venire a questo maledetto ballo. Non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea. L’ho fatto unicamente per una persona. Poi ho avuto la tremenda idea di indossare questa maschera. L’avevo già messa, sai? Due anni fa. Alla festa di Halloween. Io ero Bellatrix Lastrange, Giselle era Hermione. Non pensavo che facesse così male. Anzi, ero sicura che mi avrebbe fatto sentire meglio. Invece no. Sai perché? Perché quella è stata una delle serate più belle della mia vita, e ho promesso che non me ne sarei dimenticata. Perché lei era appena uscita dalla rottura con Nathan, e le avevo promesso che si sarebbe divertita. Perché  adesso devo stare bene anche io, o non sarei coerente. Quindi no, non va tutto bene. Ma sai qual è il bello? Se ti dicessi tutto questo, Andrew, tu non capiresti. Sarebbe stupido e inutile. Dovrei raccontarlo a Ed. Anzi, lui dovrebbe essere al tuo posto.
-Io… devo… -farfuglio –andare un attimo in bagno.
Lo lascio lì impalato e cammino velocemente fuori dalla sala da ballo. Supero il bagno e torno sulla terrazza, prendendo grosse boccate d’aria. Almeno ho evitato la figura della psicopatica davanti a lui.
Il gruppo del biliardino si è sciolto. Non ho idea di dove siano Bridget, Willow e Connor e non mi interessa nemmeno. L’unica cosa che vorrei fare è dormire. O meglio, ubriacarmi.
Mi trascino all’interno della casa e rubo due bicchieri di champagne senza essere vista, poi esco di nuovo. Solo che la terrazza non è più vuota.
-‘Sera All.
Ed, che regge un boccale di birra e se ne sta seduto sul balcone. All'inizio penso con orrore che stia per buttarsi giù. Sento il cuore battere più forte mentre stringo tra le dita il bicchiere. Poi capisco. Non vuole saltare. Semplicemente trova che le sedie siano troppo normali e conformiste per lui.
-Dai Ali, vieni.
Obbedisco titubante e mi arrampico da parte a lui.
-Allora? -dondolo leggermente le gambe -Quali dispiaceri hai deciso di affogare nell'alcool?
-Diciamo che si tratta della mia coglionaggine.
-Non sono sicura che esista come parola.
-Ma quello che rappresenta sì.
Non so cosa rispondere, così bevo.
-E tu?
-Complicato.
-Mi piacciono le cose complesse.
Una vocina nella mia testa mi ricorda quanto sia facile parlare con lui. Molto più semplice che confidarsi con Drew. Andrew. Dovrei essere con lui adesso, e non a bere con Ed. Soprattutto dopo la discussione di prima.
-Voglio scappare via. -gli confido -Voglio andare in un posto dove non mi conoscono, dove quello che faccio non importa a nessuno e soprattutto dove ogni singola cosa non mi ricordi lei.
-Potremmo farlo -dice Ed -Buttare le valige nel bagagliaio della vecchia Harley e scappare. Dove vorresti andare?
Non devo pensarci a lungo. -Al mare. In inverno. Oppure a vedere le cascate del Niagara. O magari in Canada.
Annuisce. -Hai buoni gusti.
-Sarebbe bello. -Per un po' nessuno dei due parla, impegnati come siamo a fantasticare sulla fuga. Probabilmente da sobri la questione non sarebbe mai venuta a galla.
So per certo che a me piacerebbe fuggire con lui, anche senza alcool in corpo.
-Perché sei venuta con Andrew? -l'intonazione è strana. Stanca. Quasi... Amareggiata.
-Non lo so, -mento. Invece lo so benissimo: mi stavo nascondendo da lui. Stavo indossando una maschera con l'unica persona che mi vede davvero.
-Ali, io non posso continuare così. Non riesco a fare finta di niente. Io... Ho paura di rovinare tutto.
Non capisco dove vuole arrivare.
-Mi ripeto che mi basta essere tuo amico, ma non è vero. Cerco di convincermi che manderei a puttane la nostra amicizia, ma non funziona. Cazzo, non riesco più a stare attento durante le lezioni perché l'unica cosa che vorrei fare è baciarti!
Il resto del mondo è sparito. Il balcone, lo champagne, la festa, tutto. I battiti del mio cuore mi rimbombano nella testa e temo di scoppiare da un momento all'altro.
-Cosa diavolo stai aspettando? -sussurro.
E lui lo fa. Si avvicina e preme le sue labbra sulle mie. Sono così stupita da rimanere immobile, senza sapere dove mettere le mani. Sto ricambiando il bacio? Credo di sì. Dio, lo volevo da tanto di quel tempo...
Ci separiamo, entrambi a corto di fiato.
Le mie guance vanno a fuoco mentre lo guardo, e devo trattenermi per non affondare le mani in quei capelli arancioni. Ma ho paura. Paura di aver rovinato tutto per l'ennesima volta, di averlo perso.
Faccio la cosa che mi riesce meglio: scappare.
 
 

AUGH.
Eccomi, tornata dalle vacanze e in piena depressione da fine estate.
So di essere in ritardo, ma ho deciso di aspettare a pubblicare i capitoli per poter andare avanti nello sviluppo della trama. Adesso ho le idee più chiare e ho scritto altri tre capitoli. Scusatemi tantissimo, ma questa pausa mi serviva (:
Il capitolo è lungo, troppo lungo. Non sapevo cosa togliere .-. Spero di non avervi annoiato. Non troppo ;)
Ebbene sì, sì sono baciati. Da ubriachi. Lascio a voi i commenti ahahah
E ho anche cambiato banner. Di nuovo. Uffa, sono un'eterna indecisa.

Boh, ditemi cosa ne pensate :)
Bacioni,
Gaia

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Capitolo 14
*** In the wolf's den ***




In the wolf’s den.
 

I don't get waves of missing you anymore
they're more like tsunami tides in my eyes
never getting dry
-Ed Sheeran

Salto giù dalla ringhiera, scendo rapidamente i gradini e corro in giardino. È buio, forse Ed rinuncerà all’idea di seguirmi.
Sono una stupida.
Sono stata io a dirgli di farlo, perché sono scappata? Sono davvero così incapace di lasciarmi andare? Cos’ho di sbagliato?
Sto respirando affannosamente. Indietreggio fino a sbattere contro il muro e scivolo lentamente in basso, fino a quando non tocco terra. Mi ci vuole un grande sforzo per smettere di tremare, ma non riesco ad impedirmi di scoppiare a piangere.
Per la tensione, Giselle, la maschera, Ed, Nathan e tutto quello che mi sta succedendo. Sento che non posso farcela, non più, non da sola. È questo che sono, sola, dato che ho appena perso Ed. Dopo quello che ho fatto mi odierà.
Questo pensiero mi fa piangere ancora più forte.
-Vuoi abbassare quella cazzo di voce? Non c’è bisogno che tutta la casa ti senta! –quella voce mi fa gelare il sangue nelle vene. Appartiene a qualcuno che riconoscerei tra mille, qualcuno che non dovrebbe essere qui.
-Scusami Nate! Ho bevuto un po’ troppo! –ridacchia un’altra voce. Conosco anche questa.
-Questo lo vedo. Vedi di abbassare il volume, o giuro che me ne vado con la tua macchina. –ribatte Nathan. Sono vicini, molto vicini. Devono essere vicino al lato adiacente della casa, esattamente dall’altra parte dell’angolo rispetto a me. Striscio silenziosamente verso di loro, sperando che non si veda la mia ombra.
-Calmati! Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto, non hai il dovere di trattarmi così!
-Il diritto, al limite. Connor, fossi in te eviterei i paroloni. Soprattutto se sei sbronzo.
Se Connor è qui, che fine ha fatto Willow?
-Lei non è così male, sai? –farfuglia Connor ignorandolo.
-Non dimenticare il nostro scopo. Quella stronza di Ali è intelligente. Eppure, per nostra fortuna, fragile come il cristallo. Tienilo presente.
Rabbrividii. Non riuscivo più nemmeno a piangere dalla paura e dovetti mordermi il labbro per non singhiozzare rumorosamente.
-Lo so, Nate.
-Ok. Porta a casa Willow. Ci vediamo dopo nella farmacia dei miei.
Non mi muovo fino a quando non sono sicura di essere sola. Poi prendo il cellulare, dico a Willow che tornerò a casa con Bridget e corro via.
 
Provo una certa soddisfazione nello svegliarmi tardi nei giorni di vacanza. È difficile alzarsi di malumore, se sai che normalmente a quell'ora saresti a scuola. Questa mattina però non riesco a dormire. Dopo essermi rigirata nel letto per mezz'ora decido di alzarmi, alle sei e mezza del mattino. Mi trascino lentamente fino in bagno, raccolgo i capelli e mi butto sotto il familiare getto della doccia calda. Quando esco mi sento come rinata, e la prospettiva di un altro giorno sul pianeta Terra non è così orribile.
Come uno zombie arrivo fino alla veranda. Spero che l'aria insolitamente gelida riesca ad attenuare i postumi della sbornia, ma ovviamente non funziona.
Il ragazzo dei giornali mi colpisce in piena faccia con un quotidiano e pedala via sghignazzando.
-È vacanza e sono le sette. Almeno io sono a casa al caldo, non su una bici merdosa! –gli grido dietro.
Quello succede durante il resto dell'anno, ma non sono affari suoi. E comunque tra poco anche io avrò una macchina.
Devo tenermi impegnata. Corro fino alla soffitta per rimettere a posto la maschera. Stamattina fa leggermente meno male aprire La Scatola, ma non è certo piacevole. Soprattutto con quella foto in bella vista in cima al mucchio. La prendo.  La fisso per qualche istante. La rimetto dov’era. Chiudi il coperchio, Ali. Mormorando una parolaccia, riprendo la foto e la metto in tasca. So che me ne pentirò.
Devo assolutamente tenermi impegnata.
Se non avessi un'idea che mi ronza in testa sarebbe anche fattibile, ma non sono così fortunata. L'unica persona con cui vorrei condividere questo progetto folle è anche l'unica con cui non posso assolutamente farlo.
Più frustrata che mai, afferro la macchina fotografica e il cappotto ed esco.
Il mio intento è quello di perdere tempo, così vado a piedi e cammino molto lentamente. Non so dove stia andando, lascio che siano i miei piedi a comandare. Perciò, quando mi accorgo di essere al laghetto, non sono troppo meravigliata. Ho un assoluto bisogno di rilassarmi e, nonostante questo posto sia intriso di ricordi, mi fa sentire bene. A casa. Imposto la canon sull’effetto bianco e nero e mi guardo intorno. Sono dell’idea che con il cielo nuvoloso le foto in bianco e nero vengano particolarmente bene. C’è quel non so cosa di malinconico che le fa risultare bellissime.
Dopo la morte di Giselle, il consulente scolastico suggerì ai miei genitori di farmi parlare con uno psicologo. L’idea non mi sembrò così malvagia, ero sicurissima che sarei finita dallo psichiatra. Dopotutto avevo smesso di parlare.
Era qui che venivo dopo la terapia. Quando piangevo ed avevo paura di tornare a casa. Quando a scuola tutti iniziarono a guardarmi con quello sguardo colmo di pietà e smisero di rivolgermi la parola. Quando i miei amici non facevano che chiedermi se stessi bene, e io avrei tanto voluto dirgli la verità.
Al laghetto c’eravamo solo io, la macchina fotografica, e i ricordi di giornate stupende.
L’unica che non ha cambiato atteggiamento dopo quello che è successo è Willow. È per questo che ho continuato ad accompagnarla al 21. Per lei non sono mai stata un’aliena.
Già, Willow.
Devo assolutamente riferirle la conversazione tra Nathan e Connor. Anche se non so bene cosa dire, in effetti. Non ho sentito niente di concreto. A parte che Nathan pensa che io sia una stronza, intelligente e fragile. Eppure c’è qualcosa sotto, lo sento.
Dobbiamo parlare.
Il messaggio di Ed mi fa trasalire. Ma come diavolo fa? Solo il pensare a lui mi fa arrossire, così ignoro il messaggio. Ma lui non demorde.
Ali, so che sei sveglia.
Sbuffo. Sono al laghetto.
Hai fatto colazione?
Al 21 tra ventuno minuti?
Simpatica :)
Prima che possa ripensarci, mi incammino verso il locale.
Il 21 è anche un bar da quando il proprietario è diventato padre e molto più ottimista verso il resto del mondo. In fin dei conti è stato un bene: il loro bacon è eccellente…
C'è poca gente. Quando entro facendo tintinnare il campanello sulla porta e tutti si voltano a guardarmi. Mi sistemo ad un tavolo appartato ed aspetto. Ed arriva con un anticipo di sette minuti. Indossa una felpa grigia, ma ha comunque le guance arrossate dal freddo. Mi saluta e si siede, con la sua solita aria da bravo ragazzo.
-Hai già ordinato? -scuoto la testa.
-E come vanno le cose a casa? -che razza di domanda è?
-Bene. Mio padre è tornato dal Michigan. -annuisce come se la cosa gli faccia piacere.
Prendo l'ultimo briciolo di coraggio che mi è rimasto e lo guardo negli occhi azzurri.
-Ed io... -comincio.
-Ali io... -dice nello stesso istante. Ridacchiamo facendo sparire parte della tensione.
-Non volevo farlo. Cioè, sì, lo volevo eccome, ma pensavo che anche tu...
Lo interrompo, mentre il senso di colpa gioca a freccette con il mio stomaco. -Lo volevo anche io! Ho solo... Avuto paura di rovinare tutto.
È una bugia. Lo sappiamo entrambi.
-Senti, fa...facciamo finta che non sia successo. Amici come prima.
Deglutisco cercando di scacciare il groppo alla gola. -Certo.
-Io e te abbiamo ancora un patto, -mi ricorda sorridendo.
Questo mi riporta alla mente il mio folle piano.
-C'è una cosa che ti volevo dire a proposito... -non so perché, ma non gli dico della conversazione tra Nathan e Connor. Forse perché sarebbe un po' come confessargli che stavo piangendo anche per colpa sua. -Ieri mi è venuta in mente una cosa. Se Nathan si è procurato il riluzolo grazie ai suoi genitori, potrebbe essere rimasto qualcosa nell'archivio della farmacia. Tipo una ricevuta.
Lui ci pensa su. -Non se pensiamo che l'abbia ordinato di nascosto.
-Non credo proprio. I suoi l'avrebbero sicuramente beccato.
-Cosa proponi?
Prendo fiato. -Se riuscissimo a trovare una prova, avremmo una specie di "arma del delitto". Certo, non possiamo ancora provare nulla e Nathan potrebbe procurarsi un alibi, ma almeno verrà indagato. Per questo dobbiamo dare un'occhiata nella farmacia.
Mi guarda come se fossi pazza. -Certo. "Signora Morris, potremmo frugare nel vostro archivio?" Ali, anche questo è un reato!
-Non so tu, ma non ho nessuna intenzione di farmi beccare. Tu distrai chiunque sia in negozio, io entro dal retro e controllo. Dai, Ed! -dico sbuffando.
-E se non hanno un'entrata sul retro?
-Non è possibile. -non gli dico che quando Giselle incontrava Nate in farmacia passava sempre da lì. E nemmeno che io la accompagnavo in bici.
-Ok. -dice Ed alla fine. Sorrido soddisfatta. Sento che co stiamo avvicinando alla verità sempre di più. Manderò in galera quel bastardo.
-Guarda un po’. Io vengo in questo posto al mattino per stare da sola e cosa trovo? Ali Crawford e la testa arancione. Magnifico. –Willow sposta una sedia e si unisce al nostro duo. Le cose si fanno imbarazzanti. Stringo il bicchiere di aranciata tra le mani e fisso il bacon. Se la liquido non mi parlerà per mesi, ma non ho altra scelta.
-Will, ecco… noi stavamo…
Capisce al volo. –Chiaro. Me ne vado. Come vuoi. –si appoggia al tavolo e fa per alzarsi, ma un idiota a caso la blocca.
-No! –esclama Ed. –Ali, ci serve una terza persona. –sibila rivolto a me.
-Per cosa? –squittisce Willow. Ecco, fantastico. Adesso sarà impossibile tagliarla fuori.
Ed le snocciola brevemente tutto quello che sappiamo, tralasciando i dettagli di quel maledetto giorno.
-Non le interessa, Ed. Lei e Giselle non si sopportavano.
Willow arrotola nervosamente i capelli intorno all’indice. –Non è… proprio così. Diciamo che sono in debito con lei. Un grosso debito. E che Nathan non mi è mai piaciuto. Vi aiuterò, anche se penso che siate diventati pazzi.
 
Mettere Willow al corrente di tutto è stato molto più difficile del previsto, ma almeno ci ha permesso di studiare un piano che non faccia acqua da tutte le parti. Ed entrerà in farmacia e terrà occupato chiunque sia al bancone, mentre io troverò un modo qualsiasi per entrare dal retro e cercherò qualche prova nell’archivio. Willow rimarrà fuori, telefono alla mano, a farci da “palo”.
La farmacia dei Morris si trova al piano terra della loro villetta. Willow parcheggia dall’altro lato della via e spegne il motore. Non appena sento lo scampanellio che segue l’ingresso di Ed entro nel giardino. La porta sul retro è chiusa a chiave, tuttavia la finestra no e, essendo al piano terra, riesco ad entrare senza problemi. Non ho idea di cosa si sia inventato Ed, ma non ho comunque tutto il tempo del mondo. Mi trovo in una specie di ripostiglio, ingombro fino all’inverosimile di scatoloni. Al centro della stanza c’è una scrivania, sommersa da cartellette e fogli volanti. Sopra ad una pila di fogli giallognoli, un portatile. Decido di cominciare dalle cartellette. Ricette, certificati, appunti scritti frettolosamente a penna, tutti risalenti al 2012. Continuo a cercare e mi imbatto in un raccoglitore del 2010. Manca un anno. Che, casualmente, è proprio quello che mi interessa. Rifaccio mentalmente i conti. Giselle è morta ad aprile del secondo anno di liceo. Il dodici aprile 2011. È una coincidenza? Continuo a cercare. Mi capita in mano una ricetta datata ottobre 2011, che sempre casualmente è nella cartella sbagliata. Speranzosa, controllo tutti i raccoglitori vicini. Settembre, agosto, luglio, giugno, maggio…. Marzo, febbraio, gennaio.
Manca un intero mese dall’archivio.
Apro il portatile e faccio scorrere rapidamente l’indice sul pannello, pregando che sia accesso. Mi trovo davanti alla schermata azzurra di windows 7 e mi rendo conto con orrore che chiede la password.
Ragiona, Ali.
Inizio dai grandi classici: 1234, password, 0000 e farmaciamorris, ma non funziona. I Morris non hanno cani. Sto cominciando a temere che sia la data dell’anniversario, quando mi rendo conto di non aver provato con una cosa. Il compleanno di Nathan.
La schermata cambia e mi ritrovo a fissare una foto di lui da bambino.
Cerco la cartella 2011 nei documenti, ma all’interno trovo solo fogli di excel di cui non capisco nulla. Sto per chiudere tutto, quando mi accorgo di uno strano promemoria sul desktop.
Contattare Maple’s Hill!
Ho già sentito quel nome, così apro una finestra di navigazione in incognito e cerco.
Un centro di recupero giovanile.
Qualcosa mi dice che Nathan non ha passato tutto questo tempo dalla misteriosa zia nel Maine.
È andato in un centro di recupero.
Se se n’è andato significa che è pulito, giusto? Allora perché i genitori hanno tutta questa urgenza di contattare Maple’s Hill? C’è qualche faccenda burocratica in ballo o è qualcosa di più serio?
Nathan è costantemente fatto, basta guardarlo in faccia per capirlo. È praticamente ai livelli del batterista della band di Vincent, che a scuola che conosciuto come Marijuana-Boy. Quindi perché lasciarlo tornare a casa?
Magari la droga non c’entra nulla. Forse i genitori hanno scoperto qualcosa di più serio sul suo conto. Tipo la verità su quello che è successo a Giselle.
C’è qualcosa sotto, ne sono sicura.
Memorizzo sul cellulare il numero del centro di recupero e chiudo la finestra.
In quel momento sento l’inconfondibile rumore di una chiave che gira nella serratura.


Augh.
Otto giorni. La mia puntualità sta leggermente migliorando. E dire che il capitolo era già pronto .-.
Sì, lo so, è un'emerita schifezza. Utile per la trama, ma resta comunque uno schifo. 
Il prossimo capitolo sarà fondamentale, ve lo dico già ;)
Sia per quello che riguarda la Ed/Ali sia per la "cosa di Giselle".
Nove recensioni per lo scorso capitolo? Stiamo scherzando? Io non so davvero come ringraziarvi ♥
Questa storia è anche tra le più popolari. Quando l'ho visto sono rimasta a bocca aperta.
Siete le migliori.
scappo, sto diventando troppo sdolcinata ahah
bacioni,
Gaia

 

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Capitolo 15
*** Skinny love ***




Skinny love.
 

Sono abbastanza vicino da notare che ha gli occhi azzurri;
abbastanza vicino per rendermi conto che nessuno
si avvicina abbastanza per notare che ha gli occhi azzurri.
-David Levithan, Ogni giorno
 
Oddio. E adesso cosa faccio? Rimango in piedi come un cactus mentre qualcuno mi scopre a frugare tra i documenti della farmacia? Non voglio finire in prigione. Non senza Nathan a farmi compagnia.
Faccio l’unica cosa che mi viene in mente: mi raggomitolo sotto al tavolo e spero che il nuovo arrivato non accenda la luce. La porta sul retro si apre e un uomo entra fischiettando.  Forse è il signor Morris. Chiunque sia, non presta la minima attenzione a quello che gli succede intorno. Attraversa il ripostiglio, urta qualcosa e lancia un grido di dolore seguito da un’imprecazione. Poi raggiunge l’altra porta, quella che conduce alla farmacia, e scompare senza accorgersi di nulla.
Ho sfidato la sorte anche per troppo tempo, meglio filarsela. Prendo il cellulare pronta a mandare un messaggio minatorio a Willow, ma trovo due chiamate perse della mia amica. Il telefono era silenzioso, senza vibrazione. Sono un’idiota.
Uno scatolone è stato spostato. Forse è qui che è inciampato il signor Morris. Le parole “RICEVUTE E SCONTRINI” sono state scritte con un pennarello nero. Potrebbe essere il mio giorno fortunato.
Dentro è pieno di agende su cui sono riportati gli anni. Non è difficile trovare il 2011 e scorro in fretta le pagine di aprile. Alla fine del secondo giorno del mese sono state cancellate tre righe con la penna nera. La pagina successiva è stata strappata.
 
-Dio, Ali! –sbotta Willow abbracciandomi –Pensavo fossi già in galera! Perché cazzo non hai risposto?
-Lascia stare…  -borbotto. Facciamo uno squillo al rosso per comunicargli di interrompere la farsa. Quando esce è piegato in due dalle risate e si sta asciugando una lacrima.
-Sul serio, dovevate vedere la faccia della signora Morris mentre ho finto un attacco di prurito e mi sono gettato a terra. Continuava a dire “chiamo un ambulanza!”. Dio, è stata una scena epica.
Immagino. Ai miei amici basta un’occhiata per capire che ho scoperto qualcosa.
Decidiamo di andare al campo da football, dato che il 21 è pieno di gente che conosciamo e a causa del freddo sicuramente oggi non verrà nessuno ad allenarsi. Si siedono sulle gradinate fredde e aspettano pazienti che inizi a raccontare.
-Credo che i signori Morris sappiano qualcosa. –comincio.
-E lasciano che il loro figlio se ne vada in giro tranquillamente come se… -una gomitata di Willow blocca le obiezioni di Ed sul nascere e la ragazza mi fa cenno di continuare.
-Dall’archivio manca tutto il mese di aprile, quanto all’agenda… guardate voi stessi.
Tiro fuori il libricino in cuoio da sotto il maglione. Prometto che lo riporterò indietro prima che uno dei due apra bocca e mostro loro le pagine. Anzi, la pagina, visto che l’altra non c’è più.
Il primo a parlare è Ed. –Forse possiamo riuscire a capire cosa ci sia scritto sotto. Si intravedono delle lettere. All, ti farei una statua solo per questo.  –Arrossisco e mi riprendo l’agenda.
-E Nathan è finito in un centro di recupero. –racconto loro di Maple’s Hill e mi godo le espressioni stupite.
Non siamo d’accordo su cosa fare adesso che siamo in possesso di altre informazioni, così decidiamo di incontrarci domani dopo la scuola alla pista.
 
-Ricordati della festa di compleanno di dopodomani. Capito, Ali? –urla Gale dalla finestra. Gli mostro il pollice alzato e continuo la mia lotta personale con la catena della bici. A causa del freddo non ho nessuna intenzione di togliere i guanti, che però rendono un po’ complicato maneggiare il lucchetto e la chiave. Finalmente sento il familiare click e monto in sella.
Un po’ di vento freddo è esattamente quello che ci vuole alla mia testa per riordinare le idee. Nathan ordina il riluzolo tramite la farmacia, convinto di farla franca. E probabilmente ci riesce. Però finisce ugualmente in un centro di recupero. E la polizia non lo interroga nemmeno?
Ho forato. Fantastico. Tre quarti d’ora a piedi fino a casa, al freddo e spingendo la bici. Cazzo.
Vengo affiancata da un pick-up dopo circa dieci minuti. Continuo a camminare, fingendo di non essermi accorta.
-A qualcuno serve un passaggio. –dice il guidatore.
-Uh, no. Io abito qui… -indico vagamente alla mia destra.
-Ali, ti sei trasferita? –finalmente guardo il mio interlocutore. Connor, grazie a Dio.
Mi fa salire a bordo e carica la bici sul retro del pick-up, mentre io continuo a ringraziarlo.
-Devi anche scusarti per avermi scambiato per un molestatore –dice ridacchiando. Preme il pulsante del lavaggio vetri e io mi ritrovo a fissare il movimento ritmico dei tergicristalli. Connor mi fa qualche domanda sulla festa e io rispondo senza dilungarmi troppo. Lui non si offende, non sono certo famosa per la mia loquacità.
Sto anche iniziando a riscaldarmi quando noto qualcosa che non dovrebbe essere qui. Una collanina argentata dondola appesa allo specchietto retrovisore. Sono sicura di averla già vista.
Connor se ne accorge. –Ti piace la collana? A dire il vero è di mio cugino Nathan, se l’è dimenticata a casa mia.
Mi manca l’aria. La testa pulsa come se il cuore fosse finito per sbaglio al posto del cervello.
Sono una stupida.
Connor Morris.
Avrei dovuto accorgermene quando si è presentato a Willow. Hanno lo stesso cognome.
L’abitacolo è diventato improvvisamente strettissimo e sento il bisogno di scendere. Forse mi è venuta la febbre, sento delle vampate di calore…
-Oddio, scusa. Tu e Nathan non siete proprio in buoni rapporti, non ci ho pensato.
Non lo sto più ascoltando, perché adesso so dove ho già visto la collana. Le mani mi tremano dentro ai guanti mentre apro la cerniera della borsa ed estraggo la foto.
Io ho le guance gonfie e Giselle sta facendo la linguaccia. I capelli mossi da Hermione le ricadono disordinatamente sul viso e buona parte del mento è coperta dalla sciarpa di Grifondoro. Eppure eccola lì. La collanina argentata che spicca sulla giacca scura.
All’improvviso ho paura. La conversazione che ho origliato alla festa adesso ha senso, e mi fa paura.
Non posso ripetere a voce alta tutte le domande che mi affollano la testa. Non posso nemmeno fidarmi di lui. Non più.
-Tutto bene? –chiede Connor, ignaro di tutto.
-Sai, mi… sono ricordata di dover fare u…una commissione. Puoi lasciarmi qui, grazie mille.
All’inizio è un po’ restio, poi sembra abboccare all’amo e mi lascia scendere. Vorrei correre via, ma non ci riesco. Mantengo la calma fino a casa mia. Saluto in fretta i miei e mi chiudo in camera.
 
Quando arrivo a scuola, il giorno seguente, sembro un fantasma. Gli incubi mi hanno tenuta sveglia per gran parte della notte, costringendomi a pensare a Giselle e alla collana.
Non ascolto una parola delle prime ore di lezione, pranzo da sola e non rivolgo la parola a nessuno. Tutti capiscono che è una “giornata no” e mi stanno alla larga. È strano non avere Ed intorno, ma è meglio così. Anzi, non lo vedo nemmeno fino all’ultima ora: musica.
La Freeman sta disperatamente cercando un modo per ricevere attenzione così, da un paio di settimane a questa parte, ci fa analizzare i testi delle canzoni. A nostra scelta.
Oggi il gruppo delle romanticone ha votato per Skinny love. Vorrà dire che passerò un’altra ora a dormire nel mio angolino da parte a Vincent.
-“Quando due persone si amano ma sono troppo timide per ammetterlo, eppure dimostrano il loro amore”.
Scarabocchio il logo dei Rolling Stones su un foglio.
Uffa, non sono in grado di riprodurre delle labbra accettabili.
Poi una frase della prof mi riporta sulla Terra.
-Tu cosa ne pensi, Sheeran?
-È stupido. -la voce di Ed mi colpisce in pieno. Lascio cadere la matita.
-La timidezza non importa, se davvero due persone si amano, prima o poi il coraggio lo trovano. Sempre. -la Freeman annuisce, contenta che finalmente qualcuno abbia risposto in modo sensato. Io però mi sento ribollire. Cosa sta insinuando quella stupida testa arancione?
-Non è davvero timidezza. Ma paura. Pura e semplice paura. -mi sento borbottare. La frase mi è uscita durante un momento di silenzio. Tutti hanno recepito il messaggio. La Freeman non crede alle proprie orecchie.
-Un dibattito! Tra Sheeran e... Alianna Crawford? -la capisco. Faccio fatica a crederci anche io. -Prego, continuate.
-Paura di cosa? -sbotta Ed.
-Di rovinare tutto? Non siamo più ai tempi di Romeo e Giulietta o Dante e Beatrice, non basta vedere una persona per innamorarsene. Bisogna conoscersi. Sapere anche o difetti dell'altro. È lì che nasce la paura, quando credi di poter distruggere il rapporto che si è creato.
-Ma quel rapporto prima o poi non basterà più. Allora perché aspettare?
Non ho idea di che colore sia diventata la mia faccia. Gli altri mi guardano a bocca aperta. Non mi sentivano pronunciare frasi così lunghe da anni. La cosa più assurda è che niente di tutto questo mi interessa. Vorrei andare da lui e prenderlo a pugni, ma mi accontento di cacciare le mani nelle tasche, dove possono nuocere solo a qualche scontrino dimenticato lì dopo una gita dal panettiere.
-Ne vale la pena, invece. Non dico che sia facile. Si arriva ad un punto in cui basta vedere l'altra persona per essere felici. 
-Così non si affronta mai la propria paura. Ingiustificata, tra l'altro, se si è davvero innamorati.
-Ingiustificata? L'amore platonico non esiste. Una coppia alla Twilight è un'utopia. Nel caso non te sia accorto, le persone prima o poi se ne vanno.
Il silenzio è così assoluto che gli altri potrebbero sentire i nostri battiti cardiaci.
-Non si parla più della canzone, vero? -sibila Vince.
-Se davvero si amano, non se ne andranno. Oppure ritorneranno indietro. -dice Ed con calma.
Rispondo di getto. -Non sempre le persone se ne vanno volontariamente.
Hanno capito tutti. Lo si intuisce dalle facce. Ha capito anche la Freeman, per questo non parla.
-E allora perché non provarci? Perché non essere felice, finché puoi?
E poi quella stupida campanella suona.

Raccolgo i libri e mi precipito fuori con Vince che mi segue trottando. Prima ha accennato ad un passaggio, e visto che non ho ancora cambiato la gomma della bici ho tutta l’intenzione di approfittare. Prima però lui deve provare “un paio di pezzi – ti giuro che saranno al massimo quattro” con la band. Poco male, devo completare qualche missione di Subway Sufers.
Tuttavia Vincent non è disposto a lasciarmi in pace. Nemmeno durante il tragitto verso l’auditorium.
-Riguardo a quello che hai detto in classe: va' da Ed e bacialo. Intesi?
Arrossisco. -Ricordi la definizione di "Skinny love"? Non è possibile.
-Ok. Prendi Bridget e Tyson. Ormai sono una cosa sola, un giorno si sposeranno e avranno tanti marmocchi metallari. Fine. Lo sanno tutti. Come tutti sanno che tu e Sheeran siete... Magnetici. Hai avuto la fortuna di incontrare una persona del genere al liceo, cosa cazzo stai aspettando?
-La venuta del Messia, -sbuffo irritata. Vince sospira e mi mette una mano sulla spalla.
-Senti, fai come vuoi. Ma quello che lui ha detto prima è giustissimo.
Sentire Vincent fare discorsi del genere è destabilizzante. È il ragazzo più puttaniere della scuola!
Cerco di cambiare argomento e chiedo conferma per lo strappo a casa.
-Tranquilla, a Louise non darà fastidio. –risponde.
-E chi è Louise?
-La mia ragazza, -dichiara, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Da quando?
-La festa di Lauren Wild. Gran bella serata.
-E fino a quando? -lo prendo in giro.
-Non tantissimo. -guarda la mia espressione -un giorno anche tu ti stancherai di essere una suora di clausura.
-Probabile. E quando succederà... Saprò dove trovarti. -l'ho spiazzato.
Boccheggia per un momento. Vince non è in grado di capire l’ironia. -Scordatelo. Non sei il mio tipo. E poi... Sei Ali! Cazzo. Da non crederci. -scoppio a ridere, mentre lui indietreggia fino al palco, dove la band lo aspetta per provare il famoso "paio di pezzi".
Gioco distrattamente con il cellulare, finché la voce di Vince viene sostituita da qualcun altro.

Come and skinny love
Pour a little salt we were never here 
My, my, my, my, my, my, my, my 
Staring at the sink of blood and crushed veneer 



No. non può essere. Perchè lui? E perchè proprio oggi?
-Fantastico! –dice Marijuana-Boy –dobbiamo assolutamente cantare questa cover. Ed, continua!
La testa arancione non se lo fa ripetere due volte. Vorrei tanto tirargli una scarpa.

I tell my love to wreck it all 
Cut out all the ropes and let me fall 
My, my, my, my, my, my, my, my 
Right in the moment this order's tall 


Lo guardo.
Lui mi guarda.
Non fa nessun cenno del capo, niente.
Non ce n’è bisogno. 


HOLA!
Uffa, ero convinta che fosse passato meno tempo dallo scorso aggiornamento. Scusatemi.
Tutte quelle che avrebbero tanto voluto picchiarmi dopo lo scorso capitolo forse adesso prenderanno in considerazione l'idea di risparmiarmi. Sì, Ali (Alice, non Alianna), mi sto decisamente riferendo a te ♥
Probabilmente tutte sospettavate di Connor, ma... ve l'aspettavate? 
All'inizio pensavo che questa storia sarebbe durata una ventina di capitoli, ma adesso (visto che ho scoperto di essere già al 15esimo) credo che sarà un tantino più lunga ahaha Sì, non ho intenzione di lasciarvi in pace.
Vado a fare un po' di pianoforte, va. 
Grazie a tutti, bacioni,
Gaia

 

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Capitolo 16
*** Good girls go to haven ***




Good girls go to haven.


Ci sono delle immagini che ti tornano alla mente all’improvviso e senza nessun motivo apparente. Magari non ci pensavi da secoli, e ti trovi a chiederti come cavolo tu abbia fatto a non ricordartene.
Uno di questi flash mi viene quando chiedo a Vincent di accompagnarmi alla pista per incontrare Ed e Willow.
-Fai inversione! –dico di getto.
-Cosa?
-Portami a casa. Ci vorranno cinque minuti. Per favore, è molto importante.
Il tono della mia voce deve essere davvero convincente, poiché Vincent fa inversione a U e passa nell’altra corsia senza battere ciglio. Ignora le maledizioni provenienti dagli altri automobilisti e sfreccia verso casa mia. Se Vince non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
Spalanco la portiera quando la macchina non è ancora del tutto ferma, apro il cancelletto e corro verso casa.
Ho passato tutto il giorno a cercare di ricordare qualcosa sulla collana e finalmente ce l’ho fatta.
Salgo nel ripostiglio e riapro la scatola da cui avevo preso la maschera. Tre volte in meno di una settimana, è praticamente un record.
Stavolta devo scavare a fondo prima di trovarlo. Lo riconosco immediatamente. Io scrivo sempre sui miei rullini di che foto si tratta e comunque non mi sembra di averne qualcuno che non sia già stato sviluppato.
Su questo piccolo cilindro di plastica, invece, non c’è annotato nulla.
Perché non è uno dei miei rullini.
 
Sono sdraiata sul divano con le cuffie nelle orecchie e il laptop sulle ginocchia. Devo assolutamente smettere di trascorrere così tanto tempo su tumblr. Mio padre mi si para davanti. Non riesco a sentire quello che dice e il labiale non è proprio il mio forte, perciò me ne esco con un brillante “Eh?” che gli fa perdere le pazienza. Chiude il laptop schiacciandomi le dita e mi convince a togliere le cuffie.
-C’è Giselle! –abbaia.
La mia amica, alle sue spalle, mi rivolge un timido sorriso. Ha gli occhi rossi e il trucco sbavato. Se non la conoscessi bene, direi che ha passato gli ultimi minuti a lavare via le righe di mascara dalle guance. Abbandono il computer sul divano e la trascino nella mia stanza, chiudendo la porta con un giro di chiave.
-Ho sentito di tua nonna, -mormoro –sul serio, Gis, chiamami per qualsiasi cosa.
-I dottori dicono che non c’è più niente da fare. –tiene le mani serrate in grembo, le nocche sbiancate. Potrei tirare fuori dal cilindro qualche frase fatta sulla speranza che è l’ultima a morire. Potrei, ma non lo faccio. le stronzate non aiutano nessuno. La abbraccio. È l’unica cosa che so di saper fare bene.
Dopo quella che sembra un’ora lei smette di piangere e ci stacchiamo lentamente.
-Mi fai un favore? È molto importante.
-Tutto quello che vuoi. A parte un portfolio su Vincent in mutande.
Riesco a strapparle un sorriso.
-Sono andata da Nathan per dirgli che è finita ma… Ali, sono successe troppe cose. Giuro che ti spiegherò tutto. nel frattempo puoi tenermi questo?
Apre di poco una mano e appoggia sul letto un cilindro di plastica, di quelli che contengono le pellicole.
-Cosa ha fotografato? –domando rigirandomelo fra le mani.
-Non è importante. Cioè sì, ma non adesso. Lo farai?
-Ok. Ma tu giurami che non vedrai più quel bastardo.
Annuisce mentre si soffia il naso. Voglio assolutamente cambiare argomento, così le sorrido e chiedo da dove venga la catenina argentata che porta al collo.
 
Quella sera mi telefonò in lacrime per dirmi che nonna Dawson non ce l’aveva fatta e due giorni dopo la trovai in quella maledetta palestra.
Ovviamente Giselle non ha mai recuperato il rullino da casa mia e io me ne sono completamente dimenticata. La collana, però, era finita nelle mani di Nathan.
La chiave potrebbe essere all’interno di questo cilindro in plastica. Cerco di capire che pellicola ci sia all’interno. Una Kodak X Plus, trentacinque millimetri. Merda, ci vorrà circa un giorno per sviluppare tutti i negativi.
Vincent, ancora in macchina, suona il clacson.
 
La “pista” è uno dei posti preferiti dei ragazzi della mia zona. Attaccata al campo da basket ai margini di un parco, è la migliore rampa per skateboard del circondario. Non importa a che ora tu ci vada: c’è sempre qualcuno. Willow mi aspetta seduta sul muretto. Fa dondolare le gambe tenendo le caviglie incrociate e non appena mi vede salta giù. Fa un rapido cenno a Vince, ignora completamente Louise e si rivolge a me.
-Perché diavolo ci hai messo così tanto?
-Ho fatto un salto a casa. Ed? –apro la portiera e metto una gamba fuori.
-Non s’è visto. A proposito, un uccellino mi ha raccontato quello che è successo a musica. Sono abbastanza fiera di te, ragazza, ma non è questo il punto. Perché diavolo non l’hai baciato?
Ma che cos’hanno tutti? –Non è così semplice. –borbotto.
-Un giorno ti stancherai di essere la suora di clausura della situazione e capirai che avevo ragione.
-Per la prima volta nella vita siamo d’accordo, Willow.  –dice Vincent sinceramente meravigliato.
-Non ci fare l’abitudine. Ali, scendi. –obbedisco e saluto la coppietta. La macchina di Vincent parte sgommando e facendo svolazzare i nostri capelli. Sento Willow grugnire un “esibizionista” subito prima di prendermi a braccetto e di avviarsi verso la pista.
L’arrivo di Ed mi salva dalla continuazione di quel discorso imbarazzante.
-Buongiorno donzelle! Che la riunione clandestina abbia inizio!
Vuole davvero fare finta di niente?
Stupida, penso fa finta di niente perché non è successo nulla.
Stringo forte il rullino nella mia tasca. Considero l’idea di raccontare tutto ai miei amici, ma la accantono subito. Dovrei dire loro della collana, e di Connor. E non posso. Non davanti a Willow. Non ha mai frequentato un ragazzo per così tanto tempo e io non posso impedirglielo, perché di fatto non ho niente contro di lui. Solo uno stupido grado di parentela. Io odio Nathan, sono paranoica e decisamente strana. Perché Willow dovrebbe credermi?
Farò sviluppare le foto, e se troverò qualcosa di interessante racconterò tutto a lei e Ed.
Gli altri due non si sono nemmeno accorti della mia distrazione ed hanno continuato tranquillamente i loro discorsi da CSI dei poveri.
-Io dico che dovremmo mostrare alla polizia quello che abbiamo trovato sull’agenda.
-Certo. Ammettiamo di averli derubati, non è mica un reato. –sbuffa Willow. Non possiamo che darle ragione.
-Abbiamo ancora una specie di pista. Possiamo chiamare quelli di Ma… -vengo interrotta dal suo arrivo.  Sono sbalordita, perché non sapevo andasse in skateboard. Spendo un prezioso secondo per notare quanto gli stia bene quella giacca di pelle. Non lo vedo da un po’, è probabile che se la sia comprata di recente. Ad essere sincera non vedo Andrew dal giorno della festa, quando… Oh.
Mi abbasso scomparendo dietro al muretto.
-Io non ci sono. –bisbiglio. Willow ridacchia.
-Buondì! –esclama Andrew dopo qualche secondo.
Fa che non mi veda, ti prego!
-Ciao. –dice seccamente Ed.
Dalla mia posizione riesco a scorgere solamente le loro ombre. E questo significa che anche lui potrebbe vedere la mia. Cerco di appiattirmi il più possibile contro ai mattoni.
-Ali dov’è? –il ragazzo non perde tempo.
-Ti sembro forse sua madre? –ribatte Willow.
-Allora le avete fregato la borsa. –la borsa. L’ho dimenticata sull’angolo del muro. Mentre spero in una scusa decente da parte dei miei amici penso che se Andrew ha notato solo la mia borsa, probabilmente è troppo distante per vedere anche me. Poi però fa un passo in avanti. Rapidamente, Ed si siede sul muretto.
-L’ha dimenticata a scuola questa mattina.
Credibile.
-E voi due siete usciti insieme? –adesso la voce di Andrew è incredula. Ed e Willow non sono esattamente due che potrebbero sembrare amici. Willow è troppo sofisticata, mentre lui è... lui.  
-A dire il vero sì! –l’ombra di Ed attira quella di Willow verso di sé.
-Non siete credibili. Primo, tu esci con Connor. Secondo, tu sei palesemente innamorato di Ali.
Un incendio scoppia nella mia testa.
-Dai, ditemi dov’è.
-Andrew, hai rotto. Vai a divertirti sullo skate e lasciaci in pace. –sbotta Willow. Silenzio. L’ombra di Andrew si allontana fino a sparire dalla mia visuale. Sento Ed contare a bassa voce fino a venti, poi un braccio mi tira verso l’alto.
-Amami. –dice Will. Borbotto un ringraziamento. –Non fraintendermi, Ali, io detesto quel ragazzo e sono davvero felice che tu abbia iniziato ad evirarlo, ma… Perché?
Tanto vale confessare. Willow è l’ultima persona al mondo che potrebbe giudicarmi su questo genere di cose mentre Ed semplicemente non può. La colpa è anche sua.
-L’ho abbandonato alla festa di Lauren usando la classica scusa del “devo andare in bagno”.
-Oh.
-A mia difesa c’è da dire che quando l’ho detto non pensavo affatto di andarmene e dopo… dopo mi sono completamente dimenticata.
Ed tossicchia. Lo fulmino con lo sguardo.
-Ragazza, -inizia Willow –sono sicura di parlare anche a nome di quel coglione di Vincent. Sono molto, molto, fiera di te.
 
-Maple’s Hill, posso aiutarla?
-Sì! Mi servirebbe un’informazione dalla cartella di mio figlio.
-Come si chiama?
-Nathan Morris.
Silenzio.
Il battito cardiaco aumenta. Tranquilla. Hai impostato il numero provato, non posso rintracciarti. E comunque non ti scopriranno.
-Domani ha un incontro con il terapista. Mi servirebbe sapere la data e la valutazione della sua ultima visita. –è una domanda perfettamente lecita, vero?
-Signora Morris, non posso riferirle la valutazione tramite il telefono. La visita è avvenuta il ventinove ottobre, ma non posso dirle altro. Il medico gliene avrà parlato, no?
-Ha discusso con mio marito. –incrocio lo sguardo di due preoccupatissimi Ed e Willow.
-Signora, Nathan ha bruciato la cartella.
Si dice che la speranza sia l'ultima a morire. Ma quando vedi affondare quella che sembrava l'ultima spiaggia, non ti rimane proprio nulla.

Loro lo sanno.
I signori Morris sanno cosa ha fatto Nathan durante l'ultima visita, per questo hanno impostato quella nota sul computer. Contattare Maple's Hill. Perché temono che qualsiasi problema avesse il loro figlio possa essere tornato. 
Ed e Willow sono scoraggiati, ma io ho ancora due elementi a disposizione. La collana e il rullino. Mentre con la prima non posso fare molto, il secondo è ancora in attesa di essere sviluppato.
Non posso rischiare che Gale Shepley veda le foto (anche perché non so cosa raffigurino), così mi rivolgo al vecchio Wallace. 
Ho quasi vergogna quando entro nel negozio, dall'ultima volta in cui ci sono stata è passato un mese.
-Ehi Crawford! Eri passata al digitale per un po'?
Rido.  -Lo so, perdonami. Ecco qua il rullino. 
-Accidenti a te che decidi di ricomparire di venerdì. Mi dispiace ma non penso di farcela prima di lunedì.
Deglutisco. -Ok. Nessun problema. 
 
È il freddo a svegliarmi. Raggomitolata sotto al piumone, non vorrei altro che trascorrere i restanti anni che mi separano dalla fine del mondo in quella posizione. Assaporare la domenica mattina e sapere di avere davanti altre lunghe ore di libertà. La vita può anche essere uno schifo, ma i giorni festivi sono stati inventati apposta. Apposta per essere desiderati per tutto il resto della settimana, per essere venerati, per permettere al cervello di rilassarsi, perché "tanto domani è domenica!". Ci sarebbe anche una ragione religiosa, ma in questo momento non mi interessa. Anche perché c'è qualcosa che colpisce la mia finestra ad intervalli più o meno regolari.
Mi alzo, massacro chiunque sia l'artefice di tutto questo e torno a letto.
I miei piedi non trovano le ciabatte e sono costretti a trascinarsi sul pavimento, freddo come può essere il parquet in una mattina di novembre.
E lo vedo. Un sassolino che rimbalza contro il vetro e precipita. Probabilmente è mia madre che è rimasta chiusa fuori.
-L'altra chiave è sotto al portaombr... Ed. -il ginger ha un braccio alzato e sta caricando un nuovo lancio. Poi mi vede. Il sasso rimbalza sui suoi piedi.
-Vorrei chiederti quale ragione contorta ti abbia spinto fino a qui per impersonale un cliché tipico dei film, tuttavia ho paura di essere troppo scontata.
-Allora mi limiterò a dirti di preparare velocemente la borsa.
-E perché mai?
-Perché stiamo scappando.

 

Buon noncompleanno!
E scusate il ritardo madornale çç
Sono stata impegnatissima e in più tra qualche giorno dovrei pubblicare una nuova originale...
Sappiate che aspettavo di scrivere il prossimo capitolo da tantissimo tempo **
Ci saranno degli sviluppi molto interessanti che cercherò di non anticiparvi :)
Domandina: secondo voi perchè Nathan è finito nel centro di recupero?
Devo scappare.
bacioni e grazie di tutto,
Gaia ♥

 

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Capitolo 17
*** His little bird ***




His little bird.



"Perché stiamo scappando."
In un certo senso è la frase che aspettavo da tutta la vita.
-Un attimo.
È strano. I miei hanno il sonno pensante, ma è comunque un rischio andarsene alle… sette meno un quarto. Sento l’adrenalina scorrermi nelle vene. Se avessi più tempo probabilmente mi metterei a piroettare nella mia stanza ma ho fretta. Raccolgo a caso le mie cose e sgattaiolo in corridoio.
Dopo anni di allenamento riesco a scendere le scale senza far scricchiolare nemmeno un gradino.
Quando apro il cancelletto e mi trovo davanti al faccione lentigginoso di Ed le guance mi fanno male per il troppo sorridere.
-Sai di averci messo dieci minuti?
-Per me è praticamente un record, quindi non rompere. –ride sguaiatamente e mi trascina in strada. Percorriamo correndo tutta la mia via e ci ritroviamo nel grande prato. La rugiada mi bagna gli anfibi, inizio a non sentire più la punta del naso e sospetto che Ed abbia intenzione di scappare a piedi. Poi lo vedo.
È verde foresta. Sulla parte superiore color panna sono stati attaccati alcuni adesivi e qualcuno ha scribacchiato una “S” con la bomboletta.
-È… -bellissimo. Il mio sogno da quado ho visto Into the wild. Uno dei motivi per cui vorrei la patente.
-…Un pulmino? –mi aiuta.
-Ma…?
-Me l’ha lasciato mio nonno. Io e mio cugino lo usavamo per andare in campeggio.
Mi legge nel pensiero?
-E…?
-Non ho intenzione di svelarti la nostra meta.
-Ti spiacerebbe lasciarmi finire una frase?
Spalanca la portiera del passeggero.
-E i miei genitori?
-Troveranno un biglietto attaccato alla porta che dice “Sono da Bridget”. Non fare domande.
Obbedisco.
In fondo la nostra meta non mi interessa.
È difficile. Obbligarsi a non guardare i cartelli stradali. Mordersi la lingua ogni volta che si è sul punto di fare la fatidica domanda. Ma ce la faccio.
Il sole si sta timidamente facendo largo nel cielo, e adesso è abbastanza tiepido da scaldarmi la pelle. Chiudo gli occhi. Ed guida bene, rispettando in maniera tanto diligente quanto disgustosa i limiti di velocità. Valuto l’idea di scendere a spingere. Ma nessuno vuole fare fatica la domenica.
-Dio santissimo. Accelera, ti stanno superando anche le tartarughe! –sbotto.
-Alle ragazze di solito dà fastidio.
-Tu hai visto troppi vecchi film.
La testa arancione ride, e finalmente schiaccia quel benedetto pedale. Il pulmino parte ruggendo per quella che sembra la versione made in Oregon della route 66. Giro la manopola per abbassare il finestrino.
Eccola, una delle sensazioni che preferisco. Il sole, il rombo del motore, la curiosità, la gioia da domenica mattina, le battute squallide alla radio, Ed. La voce di Ed.
La voce di Ed che fa battute squallide in pulmino, in una soleggiata domenica mattina, mentre sfrecciamo verso nord.
Non ho il cellulare. Non ho l’iPod. Non ho le chiavi di casa. Nella mia borsa ci sono solo la macchina fotografica analogica e un paio di guanti. La sacca di Ed invece è pesantissima. E stracolma. Potrebbe benissimo contenere in cadavere di un cinghiale, invece dentro c’è… nutella. Sollevo il barattolo più grande e lui scrolla le spalle.
-Non credo che Alexander Supertramp avesse della nutella.
-Ma noi siamo più intelligenti, quindi l’abbiamo portata.
Io non ho fatto proprio nulla. Prendo una nutellina senza farmi vedere e sbircio nello scomparto della portiera, sperando che Ed e suo cugino ragionino come mia madre. E infatti sono lì. Decine e decine di cassette. Ne pesco una degli Artic Monkeys e la faccio partire.
Passano due ore. Cantiamo fino a quando quella sottospecie di muggito emesso dalle mie corde vocali non diventa ancora più rauco. La voce di Ed è ancora perfetta. Ovviamente. Allora troviamo un modo alternativo per passare il tempo: le nuvole.
-Ma come fai a non vederlo?
-La domanda giusta sarebbe “come fai a vederlo”. –ribatto.
-Ma è proprio lì! Un lupo che corre.
-Io vedo Yoshi.
Scoppia a ridere. Cavolo. Non può ridere così. Non oggi. Non adesso. Non in questo pulmino. Non mentre stiamo guardando le nuvole. Anche io ho dei sentimenti, da qualche parte.
-Oddio, la vedi? –esclamo.
-Cosa?
-Una mano. Quella nuvola grossissima…
-Cavolo, sì! Fa quasi impressione!
 
Un cartello ci dà il benvenuto nello stato di Washington. L’euforia inizia a farsi sentire.
Mi affaccio dal finestrino e scatto una foto che vorrebbe essere artistica alla strada.
-Una volta io e Giselle siamo scappate in questo stato. Siamo salite su un pullman a caso e siamo arrivate fino a Seattle. Avevamo quattordici anni.
-Ehi. I pensieri tristi sono tabù. Assolutamente vietati.
-Come il nome di Voldemort ne I doni della morte?
-Esattamente.
E fu così che Ed Sheeran guadagnò altri cento punti.
 
Il nostro viaggio dura per un’ora, poi il pulmino svolta e ci ritroviamo in una strada sterrata piena di buche. Vedo solo alberi. Sto iniziando a sospettare che Ed abbia organizzato un picnic, quando la foresta si apre davanti a noi. Allora lo vedo. Il mare.
-A venti minuti a piedi da qui c’è il confine con il Canada. La dogana è un po’ una rottura, per questo ci siamo fermati qui. –dice.
Sono senza parole.  -Ti sei ricordato.
Si limita a sorridere. Certo che si è ricordato. È Ed.
La sabbia in inverno è molto più compatta e grigia rispetto all’estate. All’inizio passeggiamo. Osservo le orme lasciate dai nostri piedi. L’acqua non può raggiungerle per cui  non scompaiono, non subito. Vorrei chiede ad un passante di farci una foto, ma la mia macchina è interamente manuale e non voglio correre rischi. Non ha nemmeno l’autoscatto, maledizione. Forse potrei…
-… paga il caffè! –dichiara la voce di Ed da un universo parallelo.
-Eh?
-VIAAA! –la testa arancione fa un incredibile scatto in avanti e corre. Anche un idiota tipo Tiger o Goyle capirebbe che si tratta di una gara. Non so la destinazione e non ho nemmeno capito quale sia la posta in gioco. Però corro.
Per essere una negata in ogni sport che comprenda una palla, me la cavo stranamente bene nella corsa. Se dopo dieci metri Ed è sul punto di stramazzare al suolo, io ho ancora abbastanza fiato. Ma lui è in vantaggio. Accelero fino ad arrivare al massimo della velocità. La milza non reggerà mai. Non vedo quasi niente a causa del vento e l’aria gelida ha un effetto terribile sulla mia gola. Davanti a me c’è la sagoma arrancante di Sheeran e dopo qualche metro uno scoglio enorme –il traguardo, evidentemente.
-Non ce la farai mai, Crawford!
-Sei sleale, -gli grido –non ti stavo nemmeno ascoltando!
-Oh, ancora peggio! Questa me la ricorderò! Prepara i soldi per il caffè!
Dai Ali, fagliela vedere. Mantieni alto l’onore dei capelli castani.
Allungo un braccio. Ed è praticamente arrivato. Cerco di sporgermi in avanti il più possibile. E le mie dita sfiorano la superficie umida. –E ce la fa!
Ci appoggiamo alla pietra, stremati.
-Cazzo, bel recupero.  –ansima.
-Non… avevi speranze.
-Ok, Ali Bolt. Avrai il tuo caffè.
Estrae qualcosa di piccolo e bianco dalla sua borsa di Mary Poppins.
“Ed Sheeran è stato qui” scrive sulla roccia. Potrei chiedergli perché si porti dietro un gessetto. Potrei anche cancellare l’orribile zampata che ha disegnato sotto alla frase. Invece gli strappo dalle mani il gesso e firmo con il mio nome completo. Manco fossimo degli esploratori arrivati in cima a un monte dell’Himalaya dopo una lunga scalata. Siamo solo due pazzi che hanno deciso di salire a bordo di un vecchio pulmino e di scappare, armati solo di macchine fotografiche e nutella. Sempre che la nutella si possa considerare un’arma. Indugio un po’ con il gessetto in mano. Ed sospetta che abbia problemi di spelling. Idiota.
-Dai vieni, andiamo a mangiare.
-Ti seguo!
Ed si incammina. Io però non ho ancora finito.
“Alianna Crawford è stata qui”, dice la scritta nella mia pessima calligrafia, “ed è felice.”
 
Corro fino a quando non l’ho raggiunto. Ed canticchia qualcosa allegramente, io calcio i sassi e mi sistemi i capelli dietro alle orecchie. Succede quando riabbasso il braccio destro. Le nostre dite si sfiorano, per sbaglio, e si allontanano in fretta. È la mano di Ed che torna indietro e prende la mia. Gliela stringo.
 
Mio padre tolse le rotelle dalla mia bicicletta nell’estate dei miei cinque anni. Sosteneva che il modo migliore per imparare fosse iniziare già dalla nostra stradina per nulla trafficata, così le mie ginocchia portavano i segni delle cadute sull’asfalto. Ero scoraggiata: montavo in sella, provavo a pedalare, facevo circa un metro e cadevo di lato. Poi piangevo, mi rialzavo, rimontavo in sella, riprovavo a pedalare, percorrevo un altro metro e cadevo dallo stesso lato. Un giorno andai a piangere dal papà, frustrata. Lui si limitò a sorridere. Mi aiutò a salire sulla bici, mise le mani sul retro del sellino e mi disse di pedalare, tenendo le mani ben salde sul manubrio. Obbedii. Lui correva e io andavo veloce, tanto veloce. Non riuscivo a crederci. Volavo senza essermi staccata da terra. Impiegai qualche secondo per rendermi conto che lui si fosse fermato, tuttavia continuai a pedalare e a tenere saldamente il manubrio della bicicletta rosa e verde. Aveva smesso di spingermi, ma stavo ancora volando.
Adesso, la pelle morbida di Ed sotto alle mie dita, mi rendo conto che la sensazione è la stessa.
 
Quando finiamo di pranzare in un piccolo ristorante appena fuori dalla spiaggia –perché la nutella va conservata per dopo -sono quasi le tre. Convinco non so come la testa arancione e lasciarmi scattare qualche foto.
Qualche gabbiano, il mare e gli scogli. E poi Ed sulla spiaggia, Ed che ride, che fa “l’angelo” sulla sabbia, che prova a costruire un castello, che incide i nostri nomi sul bagnasciuga con un ramoscello. Ed a pochi passi dall’acqua, che fa delle smorfie stranissime e che starnutisce (quest’ultima foto passerà alla storia).
A questo punto mi strappa praticamente la macchina dalle mani e sostiene che non può esserci solo lui, nelle fotografie.
Scopro che non ha mai usato una reflex.
-Guarda dentro. Dovresti vedere un cerchio e una leva. Regola il diaframma fino a quando la leva non attraversa il cerchio nel centro, ok?
-Ma non ti vedo bene…
-Devi girare la… rotella della messa a fuoco.
-Quella più dura o l’altra?
-L’altra. –le mie parole vengono coperte da un’onda.
-Eh?
-Cavolo, quando ti piace scatta! Stai solo attento al cerchio e alla leva.
-Ma non ti capisco se parli così…
-Sto sorridendo, idiota!
Scoppia a ridere proprio un secondo prima di scattare.
Il primo barattolo di nutella finisce di sera, davanti ad un falò, con il plaid tirato fino alla punta del naso. Per fortuna nonno Sheeran aveva dotato il pulmino di una sorta di riscaldamento, ma visto che noi due siamo tanto masochisti, decidiamo di accamparci all’aria aperta. Almeno fino a quando il freddo non sarà insopportabile.
-Cosa facciamo? Racconti dell’orrore davanti al fuoco? O preferisci qualche macabra leggenda inglese?
-No per carità!
Mi guarda malissimo. –Ed, canti qualcosa?
So che ha la chitarra. Ho visto al custodia nel retro del pulmino mentre prendevo il sacco a pelo.
-Ma Ali…
-Muoviti.
-A dire il vero ce n’è una che ti volevo far ascoltare…
Si intrufola nel pulmino per recuperare la chitarra. Io infilo un dito nel secondo barattolo di nutella.
-Eccomi. Se fa schifo dimmel…. Wow. –termina, lo sguardo fisso sull’indice della mano destra che sto leccando.
-Fof fommeffare. –gli intimo. E in effetti obbedisce.  Inarca un sopracciglio, si siede sul sasso che già da prima usava come sgabello e controlla che la chitarra sia accordata.
 
If we take this bird in
With its broken leg
We could nurse it
She said
Come inside
For a little lie down with me
If you fall asleep
It wouldn’t be the worst thing
But when I wake up
Your make-up is on my shoulder
And tell me, if I lie down
Would you stay now
And let me hold you?

 
-Per ora è quasi diabetica. –commento acida. Non ci ha creduto nemmeno per un secondo, ne sono sicura. Ormai Ed Sheeran mi conosce come le tasche bucate del suo giaccone. Sa che le sue canzoni mi piacciono tantissimo, nonostante non siano il mio genere.
 
But if I kiss you
Will your mouth read this truth?
Darling, how I miss you
Strawberries taste how lips do
And it’s not complete yet
Mustn’t get our feet wet
Cos that leads to regret
Diving in too soon
And I’ll owe it all to you
My little bird

 
Suona l’ultimo accordo e mi guarda, in attesa.
-Ed. –una scintilla zampilla via dalle fiamme e finisce sulla sabbia. –Mi fai un favore?
Probabilmente si aspetta una frase sarcastica o un invito a buttarsi in mare.
-Quando sarai diventato famoso, perché tu diventerai famoso prima o poi, cerca di rimanere il solito idiota che ama la birra, le chitarre e le battute squallide.
Sorride. –Be’, se un giorno diventerò uno stronzo mitomane tu sarai lì a tirarmi un calcio negli stinchi.
Diamine. Non può uscirsene in questo modo, non dopo una giornata del genere!
Deglutisco. –Puoi giuraci, testa arancione.
 
Corro per i corridoi della scuola. La palestra. Perché non ho pensato prima alla palestra? Era la scelta più ovvia. Ci sono quasi. Ancora pochi metri e sarò lì. Appoggiato alla porta antipanico, però, c’è qualcuno.
-Connor, spostati!
-Non posso. –sta masticando qualcosa, con tutta la calma del mondo. Io inizio seriamente a sentirmi male.
-Ti prego! Devo entrare lì dentro, prima che…
-Prima che cosa? Hai paura di non fare in tempo? Ali, è già troppo tardi. –mi prende per l’avambraccio e mi trascina all’intero della palestra. E lei è lì, appesa a quella maledetta corda.
Tremo. Ho la nausea e in bocca sento il sapore metallico del sangue.
-Era questo che volevi evitare, Ali? –continua Connor. Mi trascina più vicino a lei.
-Lasciami andare… -sussurro.
-Come vuoi. –lui molla la presa, ma io non posso correre via. Perché sono bloccata. Le mie gambe sono diventate rigide come un blocco di cemento e non si spostano di un millimetro. Non riesco più nemmeno a ruotare la testa.
Devo guardarla.
Mi tiro su di scatto. È buio. So di essere nel retro del pulmino. Nel mio sacco a pelo. Al sicuro. Non ricordo di esserci arrivata, ma non importa. Lottando contro la cerniera mi libero dal sacco a pelo e scendo in fretta dal pulmino. Mi appoggio ad un albero e do di stomaco fino a quando non iniziano a scendere le lacrime.
Non voglio piangere. Non voglio piangere. Non devo piangere per uno stupido sogno.
Torno tremando nel pulmino e mi rinfresco bevendo un po’ d’acqua. Già che ci sono sciacquo la bocca un po’ di volte e mangio una caramellina. Ho recuperato un minimo di autocontrollo così faccio per tornare a dormire. Ma l’idea di chiudere gli occhi è insopportabile.

And tell me, if I lie down
Would you stay now
And let me hold you?

 
Trascino materasso e sacco a pelo vicino alla sagoma addormentata di Ed e mi stendo.
Lui non si muove. Non emette suono. Eppure sono sicura che sia sveglio.

[Ed Sheeran, Little bird]



Augh.
Buonasera a tutte! 
Scusate il ritardo immenso, ma lo studio mi sta logorando e questo capitolo non voleva saperne di venire come volevo. 
Può sembrare molto inutile e smielato, ma vi assicuro che non è così. Non troppo. 
Non è inutile ma resta sempre un orrore. Ho voluto inserire un po' di uno dei miei film preferiti (Into the wild) in questa storia, e l'idea di questo capitolo mi ronzava in testa da un po', così.... ta-daa!
Dai, spero che vi piaccia almeno un po'. 
Ho avuto la malsana idea di iniziare un'originale. Se ancora non ne avete abbastanza della sottoscritta e delle sue follie fateci un salto (basta cliccare sul banner)
baci,
Gaia ♥

 

La memoria genetica è il ricordo di esperienze che non abbiamo mai vissuto di persona, ma che sono state ereditate e sono presenti alla nascita. Alcuni, come Freud, non ci credono. Altri le chiamano “vite passate”. 

Parigi, 1889 – Arielle è intrappolata nella sua vita e l’unica via d’uscita sembra essere Stephane.
San Pietroburgo, 1907 – Leon aiuta Vera a fuggire dalla reggia dello zar durante la rivoluzione russa.
Nuova Delhi, 1818 – Samira è promessa sposa ad un uomo che non ama. E poi è arrivato James.
Kingston, 1703 – Rosalyn, travestita da uomo, si imbarca su un veliero e cerca di mantenere il suo segreto. Con il mozzo Henry, però, è più difficile.

North Dakota, 1704 – la Cheyenne Malia scappa dalla sua tribù con Gilbert, l’uomo bianco che le ha salvato la vita
Londra, 2013 –tutti si incontrano di nuovo. Ariel, Stefan, Vivian, Liam, Sam, Jace, Rain, Erik, Maya e Gideon. 
Perché la storia ha la brutta abitudine di ripetersi.

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Capitolo 18
*** Exceptions ***




Exceptions.
 


Come le conchiglie, semplici, ma con il mare intero dentro.
-Alessandro D'Avenia


Profumo di bacon. È la prima cosa che percepisco appena sveglia e mi fa venire l’acquolina in bocca.
Infilo un maglione e scendo dal pulmino. I prati sono umidi di rugiada e il sola è ancora troppo debole per poter riscaldare. Ed è seduto su un masso, vicino ai resti del falò di ieri sera. Sta cuocendo del bacon, o almeno, ci sta provando. Le mie vans calpestano un ramo, che scricchiola e fa trasalire la testa arancione.
-Buongiorno! –ok, è imbarazzante. Si è svegliato prima di me e avrà sicuramente notata la vicinanza tra i nostri sacchi a pelo. Lui però è Ed, e non dice nulla.
-‘Giorno. Dormito bene? –stupida, stupidissima Ali.
-Sì, grazie. Bacon? –sorride. “Va tutto bene” dicono i suoi occhi. “Tranquilla”. annuisco e mi siedo su un tronco. Guardo a sinistra: dopo il boschetto di alberi e la distesa di sabbia, il mare è mosso. C’è costì tanto silenzio che riusciamo a sentire l’infrangersi delle onde sul bagnasciuga. Percepisco di essere osservata e mi volto. Anche Ed gira la testa, mentre le guance gli diventano dello stesso colore dei capelli.
-Ed…
-Non stavo guardando te! Io ero…
-… C’è odore di bruciato. –termino. Diventa così rosso che non mi stupirei se gli uscisse del fumo dalle orecchie. Si affretta a togliere il bacon dal fuoco, perché in effetti anche lui inizia a percepire l’odore.
-Almeno è croccante. –borbotta.
Sono le sette e mezza del mattino. Dovrei essere a casa, a buttare all’aria l’armadio per cercare qualcosa di decente da mettermi. Oppure sulla macchina di Bridget a ripassare letteratura. Di sicuro non in una spiaggia dello stato di Washington con Ed.
-Dobbiamo rimetterci in macchina, per tornare all’ora in cui normalmente usciamo da scuola. –dice Ed. Io gli faccio cenno di aspettare.
Le mie vans hanno decisamente conosciuto tempi migliori, penso mentre corro per il boschetto di alberi. Sarò anche un’egoista, ma preferisco che ad essere felice sia io piuttosto che un paio di scarpe. Saranno anche fantastiche, ma sono pur sempre delle calzature. Non ci metto tanto a trovarla. In spiaggia non c’è nessuno e le forti onde del mare hanno trasportato di tutto sulla sabbia. Lei è in mezzo ad uno spiazzo vuoto, come se mi stesse aspettando. La raccolgo, spazzo via i granelli che la ricoprono e torno indietro. Prima però saluto il mare.
-Tieni! –Ed solleva appena la testa. Sta ammucchiando tutte le cose che compongono il nostro campeggio in un borsone. Dato che è impossibile che ci stiano tutte, sta facendo di tutto per ottimizzare gli spazi.
-Una… conchiglia?
-Esatto.
-Bella.
Alzo gli occhi al cielo. La avvicino al suo orecchio e finalmente quell’idiota fa due più due.
-Il mare. –la sua mano destra si appoggia sulla conchiglia e io sfilo delicatamente la mia.
-Così ti ricorderai. –dico semplicemente. Sorride. Sì, si ricorderà. Della nostra fuga mattutina, del pulmino, delle cassette, del mare, della corsa sulla spiaggia, dei gessetti, della nutella, del falò, della notte. E magari anche di me.
 
Il viaggio di ritorno è diverso. Malinconico. Nessuno dei due sa cosa dire. Se non fosse per la radio, nel pulmino ci sarebbe il silenzio assoluto. So che lui non ama il silenzio. È impossibile che resista fino a casa. Così faccio uno sforzo per iniziare una conversazione.
-Miglior compleanno? –chiedo.
Una macchina sportiva ci sfreccia da parte.
-I nove anni. Secondo mio nonno ero diventato un uomo, così venne a svegliarmi alle sei del mattino per portarmi a pesca.
-Wow! E avete preso qualcosa?
-Diciamo che qualcosa ha preso me. Sono finito nel lago. –scoppio  a ridere, immaginando una testa arancione in miniatura che si dimena cercando di stare a galla.
-Ero così incazzato che abbandonai la canna da pesca nella barca e giurai che non l’avrei più toccata. Mio nonno mi obbligò a fare un altro tentativo e in effetti quella volta presi qualcosa. Mi disse che si trattava di un pesce rarissimo e costoso. Qualche anno dopo ho scoperto che in realtà era solo una banalissima carpa.
-Tuo nonno è fantastico.
Lui sorride. –Sì, lo era.
-E il tuo? –domanda poi, probabilmente per scacciare dei ricordi dalla mente.
Rifletto un attimo. –I quindici anni. Giselle venne a buttarmi giù dal letto a mezzanotte precisa. Avevano organizzato una festa a sorpresa sul tetto del palazzo di Bridget. Una delle nottate più belle della mia vita.
E l’ultimo compleanno con la mia migliore amica.
-Voi americani non siete normali.
-No, sono gli inglesi ad essere noiosi.
-Noi siamo gente seria, è diverso.
-La gente seria scappa con la nutella?
-Ci sono le eccezioni che confermano la regola, Crawford.
 
Il pulmino si ferma a pochi metri dal mio cancello. Spero che mia madre non decida di affacciarsi proprio adesso.
-Non so perché tu l’abbia fatto, ma… Grazie. –dico chiudendo la portiera.
Ed si passa una mano fra i capelli. –Mi sembravi una che voleva uscire dagli schemi. Per una volta.
Ha ragione, ovviamente. Lui ha ragione praticamente sempre.
-Non sbagliavi infatti. –gli faccio una specie di cenno di saluto. Dovrei girare sui tacchi ed entrare, ma le mie gambe non si muovono. Ed mi saluta con un “ciao”. E tutto viene in modo maledettamente naturale. La distanza fra di noi diminuisce, ci sporgiamo leggermente in avanti e le nostre labbra si incontrano a metà strada. Per due secondi riesco a percepire le sue labbra sulle mie, poi ci separiamo. So di avere la stessa aria stupefatta che leggo sulla faccia di Ed. Sbatto le palpebre. Nel giro di un attimo le sue mani sono sulle mie spalle e ci stiamo baciando sul serio.
Lui profuma ancora di bacon carbonizzato. La barba cortissima mi punge le guance. L’amore sarà anche cieco, ma mia madre do sicuro no e non ci stiamo esattamente nascondendo. Eppure non mi interessa perché, cavolo, aspettavo questo momento da tantissimo tempo.
Non voglio scappare. Non stavolta.
Ci allontaniamo di nuovo, stavolta sorridendo con aria da deficienti.
-Allora ciao! –dico.
-Già, ciao.
È forse il saluto più stupido della storia. Sale sul pulmino. Io suono il campanello. Mia madre apre ad una velocità allarmante e Ed mette in moto. Quando io imbocco il vialetto lui sta già svoltando l’angolo. Mi appoggio alla porta. Tra un po’ inizieranno a farmi male gli zigomi, ma davvero non riesco a smettere di ridere.
Entro in casa e vado a sbattere contro la mamma.
-Ciao.
-Signorina. Dove sei stata?
-A scuola? –ti prego, fa che non abbia chiamato la mamma di Bridget.
-E perché la cartella è sulla tua scrivania?
Cerco di mascherare il sospiro di sollievo.
-L’ho dimenticata, così mi sono fatta prestare dei fogli e delle penne.
-E dove sono?
-Nell’armadietto. –la mia storia sta in piedi e lei non ha nessun motivo per dubitare di me. normalmente avvertirei un leggero senso di colpa, ma oggi no. Oggi sono davvero felice.
 
Un messaggio di Wallace mi riporta alla vita reale.
Sono pronte. Vieni quando vuoi.
-W
-Oh, fanculo. –sbotto. Me n’ero dimenticata. Per poche ore sono davvero riuscita a dimenticarmene.
Anche se muoio dalla voglia di scoprire cosa ci sia in quelle foto, sono consapevole di non poterlo fare: devo studiare per quel maledetto test di storia di domani.
Impiego il doppio del tempo che mi ci vorrebbe normalmente. Il mio sguardo cade in continuazione sullo schermo del cellulare che non si illumina e non segnala l’arrivo di un messaggio.
Scrivimi, maledizione. Cosa stai aspettando?
Frustrata, accendo il computer. Ed non è online, ma in compenso Willow mi chiede che fine io abbia fatto. Non sono per niente in vena, quindi le rispondo anche peggio di quello che vorrei. “Bigiare non ti fa bene” è la replica, “Sì. Io so tutto”.
Visto che sei tipo il Grande Fratello, sai qualcosa di Ed?
Si apre anche la chat di Andrew. Probabilmente Dio, il Fato, Zeus o chiunque ci sia lassù vuole darmi il colpo di grazia.
Dobbiamo parlare.”
Lo ignoro. Anche perché Willow mi ha finalmente risposto.
Come se parlassi con quel ginger.”
Lui però non demorde. “Ali, so che hai letto. Dopodomani, ore diciassette al 21. Vedi di esserci”.
Mi scollego.
 
Niente incubi stanotte. Solo il ricordo dei baci di oggi pomeriggio e la sensazione indescrivibile che questo comporta. Prima di addormentarmi prendo in mano il cellulare, il quale non ha ancora dato segni di vita. Con un nodo allo stomaco schiaccio un tasto a caso, ma lo schermo rimane nero.
La batteria è scarica. Mi viene da ridere.
 
 
Lui non c’è. Non è in cortile, nei corridoi, vicino al suo armadietto, nell’aula di geografia (fortunatamente è nello stesso corso di Vincent), in bagno, in palestra, in mensa, in presidenza, nel parcheggio e nemmeno nel ripostiglio delle scope.
Passa la prima ora. Il cortile si svuota, la marea di studenti si sposta nei corridoi, le ante degli armadietti sbattono, alcuni approfittano per andare in bagno prima di riempire nuovamente le aule e la palestra, altri vengono spediti in presidenza mentre la mensa resta chiusa. Meglio non indagare su quello che succede nel ripostiglio delle scope.
Lui non c’è.
Posso solo rileggere i tre messaggi che mi ha inviato ieri sera e che io ovviamente ho letto solo stamattina.
C’è ancora un barattolo di nutella. Domani all’ora di pranzo?
All?
Ok, buonanotte.
Alle tre e mezza gli telefonerò. Non so perché proprio a quell’ora, ma avere una sorta di appuntamento mi fa arrivare fino all’ultima ora senza impazzire del tutto.
 
Voglio una macchina, penso alle due del pomeriggio mentre pedalo verso il negozio di Wallace.
Ho le mani troppo congelate per riuscire a tirare il freno, e mi tocca fermare la bicicletta con le suole delle scarpe. Uno scampanellio annuncia il mio ingresso. Wallace sta cambiando una lampadina.
-Oh, Ali! Ti stavo aspettando! –giro al largo dalla sedia che sta usando come scala e mi attacco al calorifero.
-Le tue foto sono pronte. Mi togli una curiosità? –gli rispondo con un mugolio di assenso. La sedia ondeggia pericolosamente.
-Chi le ha scattate? –attenta, Ali.
-Un’amica. Perché?
-Pura curiosità. Non sembrano affatto il tuo stile. Sono molto belle, non fraintendermi, però sono anche… inquietanti. –mi viene da vomitare. La sedia ondeggia sempre più. Scatto in avanti e la tengo, prima che Wallace si ammazzi.
-Grazie, Ali. Ecco a te. –appoggio i soliti venti dollari sul bancone mentre lui recupera le mie foto e me le consegna. La sensazione di nausea aumenta mentre apro al busta, le dita tremano e devo fare parecchi tentativi.
La prima foto raffigura me e Bridget. Siamo fuori da scuola e sorridiamo. Lei ha ancora l’apparecchio. Mi ero completamente dimenticata di questa foto. la seconda era stata scattata allo specchio. Nathan bacia Giselle sulla guancia e lei regge la macchina fotografica. Faccio fatica a guardarla.
Dalla terza foto la scena cambia completamente. Buio. Un locale, forse. Nathan è con qualche amico. Stanno tutti bevendo. Nella quarta immagine c’è anche Giselle, in braccio a lui. La mia amica è anche il soggetto della quinta fotografia, eppure non compare solo lei. Deve essere un autoscatto. Giselle è pallida, fissa con gli occhi sbarrati qualcosa oltre la macchina fotografica.
È chiaramente un locale, penso. Lo si capisce dai tavoli, i cubi, i bicchieri da cocktail e lo specchio alle spalle di Giselle. Lo specchio che mostra due ragazzi mentre picchiano un terzo.
Anche la sesta foto è un autoscatto. La mano di Giselle è tesa in avanti per coprire il volto. Il terzo ragazzo è a terra.
Ma è la settima foto a farmi più paura. È leggermente mossa: qualcuno probabilmente stava passando al momento dello scatto, perché nel lato destro si vede chiaramente una manica blu elettrico macchiata di arancione.
Nathan circonda le spalle di Giselle con un braccio. Lei è terrorizzata.
Intorno al terzo ragazzo non c’è più nessuno, ma in compenso le mani di Morris sono macchiate da una sostanza scura.

Devo parlare con Ed. 





Augh!
Non uccidetemi. Vi prego. Lasciatemi (tentare di) spiegare. 
Lo studio è massacrante, gli allenamenti anche e in più ho anche avuto la cattivissima idea di cacciarmi in un pasticcio. Vi dico solo che c'entrano un pianoforte e San Valentino. Se ci penso sto già male. 
In più questo capitolo è stato maledettamente difficile. Forse perchè è importante -sia dal punto di vista Eli/Crawran o come diavolo volete chiamarli sia per quanto riguarda Giselle e Nathan-. Da qui in poi le cose inizieranno a cambiare. Ma non vi anticipo niente. 
Ecco, adesso potete anche ammazzarmi.
Volevo ringraziarvi per le 100 recensioni positive -cento- e per aver fatto entrare questa storia nella sezione delle più popolari. Ancora non ci credo. 
Boh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po' :)
Prometto che il prossimo arriverà più in fretta.
bacioni,
Gaia ♥

 

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Capitolo 19
*** Inside of the darkness ***



 

Inside of the darkness.


 
It's so hard letting go,
I'm finally at peace, but it feels wrong,
Slow I'm getting up,
My hands and feet are weaker than before.
And you are folded on the bed
Where I rest my head,
There's nothing I can see,
Darkness becomes me.
-Of Monster and men, Silhouettes


 

Non vi racconto quanto sia stata terribile la scorsa notte, perché almeno questo voglio risparmiarvelo.
Non ho nemmeno considerato l’idea di dormire e ho guardato e riguardato quelle foto.
Sono state scattate ad una festa? Dove? Chi è il ragazzo che viene picchiato? E perché? Cosa c’entra tutto questo con Giselle?
Perché deve in qualche modo essere tutto collegato.
Lei non vuole che Nathan prenda il rullino con le foto, quindi me lo consegna. Una settimana dopo muore.
Chiamo Ed per la decima volta della giornata, ma il suo cellulare è ancora spento. Ho chiesto a Vincent, Bridget, Willow, persino Chad, ma nessuno l’ha visto.
C’è solo un posto in cui non ho ancora controllato.
 
J-man sta giocando a carte con un ragazzo interamente ricoperto di tatuaggi. All’inizio non si accorge minimamente della mia presenza, poi però solleva lo sguardo per scacciare una mosca sopravvissuta chissà come al freddo, e allora mi vede. Fa smammare il tipo tatuato ad una velocità impressionante e poi mi invita a sedermi.
-Birra? –chiede quando il mio fondoschiena si appoggia sulla sedia e la mia borsa sul tavolo di legno.
-Ma come fai a bere?
-Con la bocca?
Ecco Capitan Ovvio. –Ehi, tu hai diciotto anni!
La sedia di J striscia sul pavimento per avvicinarsi e lui assume un tono cospiratorio. –Mike Capellone, il barista, -e qui la sua testa si muove in direzione dell’uomo –è convinto che io mi sia appena laureato al college. È bello quando Bart si prende dei giorni di ferie. Allora, dolcezza, ripeto: birra?
Rifiuto ancora e mi passo una mano fra i capelli. –Stasera passo.
Ed non si vede e io sono troppo timida per porre qualsiasi domanda diversa da “che ore sono?”. Bevo un sorso dalla Heineken di J quando lui si volta e mi immergo nelle mie riflessioni.
Non deve per forza esserci sotto qualcosa. Non è mica obbligato ad andare a bere tutte le sere! È all’ultimo anno anche lui, dovrà pur studiare.
-Senti, forse è meglio che me ne vada.
È stata decisamente una pessima idea e spero che J non lo vada a raccontare a…
-Ali? –mi blocco. –Quando vedi Ed, digli che è uno stronzo. Solo gli stronzi danno buca agli amici per due sere di fila!
 
A scuola ancora non si vede. Ogni volta che qualcuno mi chiede di lui vorrei mettermi ad urlare.
Nemmeno i precoci preparativi per il ballo di Natale riescono ad innervosirmi come una volta.
È tutto così normale, troppo normale. Potrei chiudere gli occhi e descrivere tutto quello che sta succedendo e che succederà a breve. Potrei elencare i discorsi che verranno affrontati dai vari gruppetti e anche il luogo in cui avverranno. Potrei avvertire la signora Fogg di non parcheggiare lì la sua Audi, perché Brian Holloway gliela righerà anche oggi. E quel ragazzo con i capelli lunghi non dovrebbe ascoltare le classifiche del baseball in radio anche oggi, perché la sua fidanzata non le sopporta. So che Bridget farà fare a me la coda per la focaccia, che Vincent riceverà una dichiarazione d’amore, che la prof di storia dimenticherà il libro in aula insegnanti, che Ella McHenry si scotterà con la cioccolata calda che in realtà sarebbe per la sua compagna di corso –ma che lei assaggia ogni giorno-, che Willow mi invierà un messaggio a metà della terza ora, che il bidello calvo canterà le canzoni dei Queen mentre lava il pavimento del corridoio del primo piano, che il bidello alto si farà figo perché lui sì che ha i capelli e che al ragazzo che legge gli annunci del mattino andrà di traverso la fanta lemon.
A volte è bello essere la ragazza invisibile.
Non oggi.
Oggi è solo maledettamente snervante.
Perché lui non c’è da giorni, eppure tutto continua ad essere schifosamente normale.
L’ultima campanella arriva dopo una lentissima agonia, e se non fosse per il pensiero di Andrew e quelle foto che pesano nella mia borsa come un promemoria, probabilmente mi metterei a cantare.
Però posso sempre correre via da qui.
 
Mi sembra di essere tornata indietro.
Prima che a Vincent venisse in mente di chiedere ad un certo Ed Sheeran di bigiare con noi, perché l’aveva sorpreso a guardarmi durante l’intervallo. E dire che, solitamente, non mi guarda mai nessuno.
Mangio, bevo, parlo di cose insignificanti, scatto foto e faccio pensieri troppo strani.
Come fa Ed Sheeran a ridurmi così?
 
Davanti a me c’è una lattina di coca cola alla ciliegia. Alla fine ho avuto il coraggio di comprala.
Andrew è in ritardo, o forse io sono arrivata decisamente troppo in anticipo, sta di fatto che sono sola. E non è bello assaggiare la coca cola alla ciliegia da soli.
Willow entra nel bar come quasi ogni santo pomeriggio. I suoi occhi schizzano automaticamente verso il nostro tavolo abituale e mi vedono. Oggi però la reazione è leggermente diversa. Bocca spalancata, occhi sbarrati, orecchie che diventano sempre più rosse e parole concitate rivolte a qualcuno ancora fuori dalla porta. Qualcuno che evidentemente decide di non ascoltarla. Vincent entra, mi vede e, per un attimo, considera l’opzione di ignorarmi. Esibisco la mia migliore faccia perplessa e mi assicuro che entrambi se ne accorgano. Infatti Vince ride, mentre Willow mi mostra il dito medio.
A: Tu odi i miei amici alternativi, le ricordo in un messaggio.
La risposta è immediata.
W: Non farti troppi film mentali. Vince ha perso una scommessa e siamo usciti. Scommettiamo che non durerà neanche mezz’ora?
A: Durerà fidati. E tu l’hai appena chiamato Vince.
W: [messaggio visualizzato alle ore 16.50]
Soffoco una risata. Willow si alza e chiede qualcosa al barista, il quale ricompare nel giro di due secondi con un mazzo di carte.
È inutile che si sforzi tanto, Vincent è uno che non molla.
Torno alla coca cola alla ciliegia, mentre al tavolo dei miei amici inizia una partita a scala quaranta. Willow che dondola sulla sedia sicura di vincere, Vince che si gode il non-appuntamento più bizzarro della sua vita.
La porta si apre di nuovo. Andrew sfoggia un giubbotto Colmar e un’incredibile quantità di gel sui capelli. Si siede al mio tavolo senza cambiare espressione.
Willow cade dalla sedia.
-STO BENE! –urla mentre il povero Vincent si precipita da lei.
-Ciao.
-Ciao, Ali.
W: scappa, finché sei in tempo.
Andrew è tranquillo. Appoggia il telefono sul tavolo, guarda con sospetto la mia bibita –alla ciliegia? Ma è buona? – e chiama il cameriere per ordinare.
Le casse del 21 diffondono una canzone degli Artic Monckeys e le nike di Andrew battono a ritmo sul pavimento. A quanto pare Willow si è fatta male, ma sta cercando in tutti i modi di nasconderlo a Vince.
-Quello non è Vincent Sunders? –chiede Drew per rompere il silenzio.
-Sì, -dall’altra parte della stanza, Vince ha sollevato Willow e la sta aiutando a sedersi –ma al momento è impegnato.
-Sì, lo vedo.
Ancora silenzio. Ho deciso che la coca cola alla ciliegia mi piace.
-Perché siamo qui? –Ma sì, facciamola finita.
-Per parlare. Di quello che è successo alla festa.
Ecco. Lo sapevo.
-Sì, infatti… io volevo davvero scusarmi con te per… scusa. Hai tutto il diritto di non perdonarmi. Mi ero…
Completamente dimenticata di te. Come faccio a dirglielo?
-No, invece accetto le tue scuse. Avevo appena litigato con Ed, forse non… non avremmo dovuto, ecco. Amici?
-Sì. Amici. –tanto probabilmente non ci rivedremo mai più.
Lui sembra decisamente più rilassato. Felice, forse. Cosa ci trova in me?

C’è stato un tempo in cui parlare con Andrew mi risultava abbastanza facile. Oggi, con Ed che non si fa vivo da giorni e tutta la storia delle foto che non mi fa dormire, vorrei che fosse ancora così. Per questo lo assecondo mentre parla di scuola, di suo padre che vuole comprare una barca e circumnavigare il Sudamerica, della sua domanda d’ammissione al Williams College… e incredibilmente gli racconto della mia domanda alla Columbia, di cui non avevo avuto il coraggio di parlare a nessuno. Sto pensando che potremmo davvero tornare amici, quando lui si toglie la giacca. Sotto indossa una felpa. È blu elettrico, con una macchia arancione sul gomito.
I suoni si fanno ovattati. È come essere sulla giostra che gira del parco giochi, nel momento in cui sembra che si stia per sollevare da terra. Sai che non puoi scendere, non puoi fare assolutamente nulla oltre a chiudere gli occhi e urlare.
-Oh, hai visto la macchia? –chiede Drew, ignaro di tutto –Ce l’ho da anni, secondo Chad dà un tocco artistico alla felpa.
-Adesso devo proprio andare a casa.
-Ali?
Deglutisco e cerco di sembrare meno pazza. –Domani c’è un test importante e non voglio prendere una F. Scusa ma me ne ero dimenticata.
Lui ci crede. –Se vuoi ti do uno strappo.
-Ok. –prima arrivo a casa meglio è.  
Ci alziamo.
Andrew era con Nathan e Giselle quella sera. La sera in cui qualcuno è stato picchiato. Perché quelle foto sono così importanti? Cos’è successo veramente? Andrew è coinvolto? E dove cazzo è Ed, adesso che ho così bisogno di lui?
L’ultima cosa che Willow e Vincent si aspettano è vedermi uscire con Drew.
-Ali? Cos’hai bevuto? ALI! Non ti azzardare ad uscire! Non con lui! A…
Quando la porta si chiude non riesco a sentire la fine del discorso di Willow, ma posso immaginarla. Se non fossi così sconvolta probabilmente scoppierei a ridere.
Andrew è venuto con una vecchia panda. La sua macchina si è rotta e questo è il meglio che è riuscito a recuperare.
Dentro c’è profumo di limone e… oddio, naftalina!
-Era di mia madre… -si giustifica lui, con un sorriso che farebbe cedere le magre gambe di Willow.
Mette in moto. Scappare a casa non mi servirà a niente, perché è l’unico in grado di dirmi come sono realmente andate le cose. È a lui che devo chiedere.
Prendo fiato.
-So della festa.
Sistema lo specchietto retrovisore. –Quale festa?
-Probabilmente l’ultima a cui Giselle abbia partecipato.
La strada in mezzo ai boschi che porta a casa mia è silenziosa. C’è un silenzio quasi irreale, che mi permette di sentire il respiro di Andrew farsi leggermente affannoso.
-Come…?
-Avevi quella felpa.
-Il mondo è pieno di ragazzi con felpe di questo colore.
-Sì, ma quanti ne hanno una macchiata di arancione sul gomito? E quanti, tra questi, conoscono Nathan, Connor e… Giselle?
Nega. Di’ che tu in realtà non c’entri. Inventati qualsiasi cosa, ma non…
-Non avresti dovuto scoprirlo.
No. Non anche tu.
-Tu sai cos’è successo. –mormoro.
-Ali, è stato un incidente.
-Lei si è uccisa. Nessun incidente.
-Ma io non sto parlando di quello! Alla festa… non doveva andare così.
C’è tensione. Il sole, come dovrebbe succedere in ogni novembre che si rispetti, è già tramontato nonostante siano appena le sei e mezza di sera. Piove. Ogni tanto incontriamo qualche lampione fulminato e dalla bocca di Andrew scappa una parolaccia perché dannazione, questa proprio non ci voleva.
Io a malapena me ne accorgo.
-Ti riferisci al ragazzo che è stato picchiato?
Nessuna risposta. –Andrew, tu hai sempre saputo tutto. Eppure non me l’hai detto! Per questo volevo frequentarmi? Per tenermi d’occhio?
-No! –si volta verso di me –Sapessi quanto si è incazzato Nathan quando gliel’ho detto…
Non facevo fatica ad immaginarlo.
-E perché? Perché proprio io? Sapevi che saresti finito nei guai, però mi hai invitato ad uscire ugualmente!
Sorride. Il sorriso più aspro e triste che abbia mai visto. –Giselle me l’aveva detto. Mi ha parlato di te, quella sera, mentre impostava l’autoscatto. Io ero stupito, perché quasi nessuno sa usare le reflex analogiche, e allora lei mi ha spiegato che gliel’aveva insegnato la sua migliore amica Ali. Era una tipa tosta, forse non molto gentile, ma la persona migliore che conosceva. Mi ha detto di quella volta in cui hai tirato un pugno a Brian Holloway perché odiava i Pink Floyd. Tra parentesi, io ho sempre pensato che Brian fosse un coglione.
La pioggia batte incessantemente sul parabrezza. Mi rendo conto di stare per piangere e cerco di impedire al labbro di tremare così forte.
-Cosa… cosa le è successo?
Non mi ascolta. –Lei voleva parlare, capisci? Ma Nathan non poteva permetterlo, perché aveva paura. Non gli avrebbe creduto nessuno! Era troppo strano per sembrare un incidente. Lei però insisteva…
-Che incidente?
Come parlare al muro. -Eravamo coinvolti tutti. Avremmo dovuto mantenere il segreto. Ma lei no! Era testarda, Gis. E una bravissima ragazza.  Anche io avrei voluto parlare, solo che… Non c’entravo niente con loro, ok? Io ero lì perché a Connor serviva un amico sobrio per tornare a casa. Non potevo immaginare come sarebbe andata a finire.
Mi manca l’aria. Un’idea ancora troppo indefinita e sfocata per essere espressa ad alta voce si fa strada nella mia testa. -E come è andata a finire?
La vibrazione del cellulare segnala una chiamata in arrivo.
Quando leggo il nome sul display mi sento morire.
Ed ha davvero un tempismo allucinante.
Schiaccio la cornetta verde e stringo il telefono tra le mani, come ho visto fare nei film, sperando che lui senta. Lui deve sentire.
-Lei voleva parlare. –la sua voce si spezza e gli ci vuole qualche secondo prima di continuare –Quello che forse non sai, è che anche Nathan aveva paura. Più di noi. Ali, non potevo dirtelo. Mi avresti odiato.
-Dirmi che cosa?!
E Andrew, come una bottiglietta di coca cola che qualcuno ha agitato troppo a lungo, scoppia. Crolla, Drew, e una lacrima gli riga la guancia destra. Solo una, perché lui ha la prontezza di asciugarla.
-Il ragazzo si chiamava Miguel. Era un cliente di Nathan, e un giorno gli ha richiesto più pillole del solito. Non so di che farmaco si trattasse.
Fari. Non so da dove siano spuntati. Tra la pioggia e il movimento dei tergicristalli non si vede quasi nulla.
-Andrew…
-È successo tutto così in fretta… Giselle non poteva parlare. –Ed? Sei ancora lì? –E io nemmeno. È meglio non farlo arrabbiare, Nate, soprattutto se è già terrorizzato. Lei l’ha fatto davvero incazzare. Non so cosa le abbia fatto e neanche se le abbia fatto qualcosa, ma di sicuro so cosa l'abbia spinta a fare quello che ha fatto.
I fari sono troppo vicini.
Urlo il nome di Andrew.
Lui si volta, appena in tempo per vedere  l’altro veicolo venirci addosso.
Freni che stridono, le gomme che scivolano, un colpo e il terrificante rumore di vetri infranti.
Stavolta è la fine.
Un’esplosione.
Dolore, tanto dolore.
Poi il buio.  
 



Non uccidetemi. Probabilmente me lo merito, ma almeno lasciatemi spiegare. 
Senza troppi giri di parole: il capitolo non voleva uscire.
Tra lo studio, il pianoforte, gli allenamenti e altri casini proprio non riuscivo a scrivere.
Mi fa ancora schifo, ma ho capito che meglio di così non posso fare. Dopo più di un mese passato a fissare quel maledetto cursore lampeggiante di word, finalmente ci sono riuscita. Tra ieri e oggi, ma ci sono riuscita.
Visto che stasera non posso uscire, mi sono detta «Perché non aggiorni Invisible?» e, purtroppo per voi, l'ho fatto.

Ho deciso di cambiare impaginazione perché penso che così sia meno stancante da leggere (ho scoperto che per il mio galaxy bata diminuire di poco lo zoom), soprattutto per i computer fissi che hanno lo schermo più largo. 
Ho capito come concludere la storia - finalmente - e penso di arrivare massimo ai 30 capitoli, ma credo di concludere prima. 
Ho anche iniziato un'altra ff su Ed. Forse rimarrà nel mio pc, ma se mai dovessi pubblicarla sarà dopo questa o comunque quando avrò finito di scrivere Invisible.
Poi boh, mi sembra incredibile che ci sia ancora qualcuno che legge questa storia. I vostri messaggi nella posta di efp sono dolcissimi, siete davvero le migliori. Grazie, grazie davvero ♥
Baci,
Gaia ♥

P.S. so che mi odierete per la fine di questo capitolo :)

 

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Capitolo 20
*** Sinking ***




Sinking.


 
È difficile lasciare Ed Sheeran senza parole.
Tra le sue pochissime qualità c’è anche quella di sapere sempre cosa dire.
Ma stavolta no.
Non ha più la cognizione del tempo, la sua mente è vuota e sta fissando lo stesso punto da… parecchi minuti.
Ed li odia, gli ospedali.
Ed odia anche se stesso, ma questa è un’altra faccenda.
Tanto per cominciare, non ha abbastanza palle per farsi due piani di scale e andare a trovare Ali. Il suo senso di colpa è così pesante da schiacciarlo su quella sedia in plastica verde acqua all’angolo tra il bar dell’ospedale e un corridoio.
Trascorre il tempo così, con la musica, il caffè e il whisky.
Vincent gli porta il whisky.
Ormai Ed ha preso così tanto caffè che i gestori del bar dell’ospedale gli fanno una sorta di offerta 3x2.
Ed sta affogando.
Continua a riascoltare un album degli Of Monster and Men. Che nome del cazzo. Se un giorno lui dovesse decidere di incidere un disco, userebbe “Ed Sheeran” anche come nome d’arte. Si conosce: si stuferebbe di qualsiasi altro nome dopo appena una settimana.
Nome della band a parte, l’album è davvero bello. My head is an animal. Sembra fatto apposta per lui.
-Ti conviene alzarti e scappare.
Ed riconosce la voce. Non accetta il consiglio, perché sa di meritarsi qualsiasi cosa lei abbia in mente di fargli e perché comunque non riuscirebbe a fuggire in tempo. La ragazza è molto più veloce di lui. Così decide di fare il finto tonto. –Perché?
-Perché ho intenzione di ammazzarti.
-Allora ho una buona notizia: non riesco più ad alzarmi.
Lei non risponde. Fa due lunghi passi in avanti.
Lo schiaffo colpisce in pieno Ed e lui non fa niente per evitarlo.
-Te lo meriti, grandissima testa di…
-Come sta? –adesso come adesso, di quello che lei pensa di Ed Sheeran non gliene potrebbe importare di meno.
-La vogliono tenere in coma farmacologico per un po’. Quegli idioti usano solo paroloni e io… -la voce di Willow si spezza e le sfugge un singhiozzo -io non ci capisco un cazzo!
Crolla sulla sedia da parte a lui ed entrambi si ritrovano a fissare l’orribile linoleum del pavimento.
-Non sei ancora andato a trovarla, eppure Vincent dice che sei qui da quasi due giorni. Cosa stai aspettando, la venuta del messia?
Ed vorrebbe tanto avere una risposta a questa domanda. Una risposta che non gli faccia fare la figura del vigliacco.
-Se tu non fossi sparito, -continua Willow –lei non sarebbe mai uscita con Andrew, non sarebbe salita su quella macchina e ora non si troverebbe qui! Dov’eri finito?
Immagini. La pioggia, un ragazzo con la felpa verde, dolore, fango e ancora pioggia.
Ed sta affogando e non riesce a tornare in superficie.
-Ho avuto dei problemi.
-Problemi?
-Sì. Qualcosa di un po’ più grave di un’unghia spezzata.
È facile prendersela con Willow. Il loro rapporto è una specie di costante. Continuano a non andare d’accordo anche dopo tutto quello che è successo. In un certo senso è rassicurante.
-Ma sei coglione o fai finta? –si rialza. Dove trova tutta questa forza?
-Stiamo parlando di Ali. Lei non ti dirà mai certe cose, ed evidentemente tu non ci arrivi. Non so cosa sia successo tra voi due. Posso immaginare, ma di fatto non lo so. Se è successo quello che penso sia successo… -deglutisce, cercando di non incartarsi nelle sue stesse parole -…e tu dopo te ne sei andato, allora sei anche più idiota di quello che credevo. Perché l’hai lasciata sola?
Ed sbuffa e sposta il ciuffo arancione dietro alle orecchie. Adesso Willow può vedere bene il suo viso, e trattiene rumorosamente il fiato.
-Non dirmi che...?
-Te l’ho detto: ho avuto dei problemi. Non potevo mica farmi vedere da lei così.
-Potevi almeno scriverle.
-Anche il mio telefono ha avuto un incidente. L’ho ricomprato solo il giorno in cui Ali…
Willow annuisce, dando modo ad Ed di non finire la frase. –E l’ho chiamata, quel pomeriggio. Willow, lei… lei ha risposto.
Gli occhi verdi di Willow si spalancano. Si sporge un po’ verso di lui ed abbassa il tono di voce.
-Era con Andrew?
-Sì. Erano in macchina. Non so perché, ma stavano parlando di Giselle e di come sia morta. Andrew sa qualcosa. C’è stata una specie di festa ed erano lì entrambi, lui e Giselle. E Nathan, ovviamente. C’entrava un certo Miguel, un cliente di Nathan, e sembra che Giselle volesse raccontare a qualcuno una cosa spaventosa. Secondo Andrew era stato un caso.
-Che cosa, è stato un caso?
-È questo il punto. Non lo so. Non lo so perché prima che finisse la frase, lui ed Ali hanno avuto l’incidente.
Willow si alza. Si posiziona di fronte a Ed e lo obbliga a guardarla negli occhi.
-Stai dicendo che tu hai sentito l’incidente mentre avveniva? Per questo mi hai scritto chiedendo dove fosse Ali?
Gli sfugge un sorriso amaro. –Chi pensi che abbia chiamato l’ambulanza? Sono salito in macchina immediatamente e, quando tu mi hai risposto, ho guidato sulla strada che va dal 21 a casa di Ali e li ho trovati.
-Non ci posso credere, -sussurra Willow –non ci posso davvero credere.
-Will. Come sta Andrew?

 
La porta è blu.
La maniglia nera.
È una stanza doppia tuttavia, stando a Bridget, Ali è da sola.
Tutti dettagli inutili che la mente di Ed non può fare a meno di registrare. Si trova in quel corridoio da circa due ore, cioè da quando Bridget ha interrotto lui e Willow con La Frase. "Ali è sveglia."
L’orario delle visite è quasi terminato, così come l’occasione di Ed per tirare fuori le palle ed entrare. Cerca disperatamente delle scuse. Con lei ci sono i suoi genitori. Non può mica interromperli! Oltretutto, lui non ha ancora deciso cosa dirle.
Scuse. Sono tutte delle patetiche scuse.
Ed scatta in piedi. Contemporaneamente la porta si apre, e una pallida signora Crawford si allaccia i bottoni del cappotto.
-Sa… salve. –balbetta Ed.
-Ciao. Tu sei?
-Ed…ward. Un amico di sua figlia.
È un sorriso stanco quello che spunta sulla bocca della signora Crawford. Il sorriso di qualcuno che è invecchiato di quindici anni in due giorni.
-Allora entra. Le farà piacere vederti. –i suoi occhi nocciola si soffermano sul livido che copre l’occhio di Ed, ma per fortuna non dicono nulla.
Lo spero anche io, sa?
La stanza è spoglia, come ogni camera di ospedale che si rispetti. La televisione è accesa e sintonizzata su mtv, ma la ragazza sdraiata sul letto non la sta guardando.
Inizialmente non si accorge nemmeno di Ed. Poi lui tossisce, facendola sobbalzare. Ali si volta. Spalanca la bocca e sposta una ciocca color mogano dagli occhi.
-Ehi. –mormora Ed. Che saluto stupido.
-Ed. –risponde Ali.
Il ragazzo si siede sulla sedia di fianco al letto e finalmente trova il coraggio per guardarla davvero.
È pallida. Il labbro inferiore è spaccato e una benda le avvolge la fronte. Appoggiata ai cuscini, Ali sembra maledettamente debole.
Ed sta affogando.
Il senso di colpa per averla lasciata sola lo appesantisce, impedendogli di stare a galla.
-Come stai? –ha pronunciato solo due frasi, ed entrambe sono completamente idiote.
-Come una che ha avuto un incidente in macchina, -è la risposta -E tu?
Il cervellino di Ed ci mette un po’ a capire. Il suo occhio. –Oh, io… ho sbattuto contro un palo. Poi sono dovuto andare di corsa da mia zia perché… lei aveva… partorito. Adesso ho un cugino che si chiama John.
Non sa da dove gli sia uscita una cazzata del genere. Ali alza gli occhi al cielo.
-Il palo aveva per caso un guanto da pugile? E tu hai fatto avanti e indietro dall’Inghilterra in così pochi giorni? Vai al diavolo, Ed.
Perché non riesce a dirle la verità? Perché è così vigliacco?
Ammettilo, Ed. Tanto peggio di così non può andare.
-C’è stata una rissa, lunedì sera. Se ti interessa, l’altro è messo molto peggio di me. Purtroppo i due giorni seguenti non ero esattamente in forma. E non volevo che tu mi vedessi così.
Gli occhi grigi si fanno più attenti. –Chi è stato?
Deglutisce. Ci prova, Ed, ma quel nome proprio non vuole venire fuori.
È difficile lasciare Ed Sheeran senza parole. Eppure, pare sia una prerogativa di Ali Crawford.
Ali, che male interpreta il suo silenzio e si volta dalla parte opposta.
-Ho avuto tanta paura, All. Quando tu hai risposto alla mia chiamata, e io ho sentito… tutto. non riuscivo neanche a pensare mentre salivo in macchina. Sapevo solo che dovevo venire da te. Ho scritto a Willow quasi senza accorgermene e mi sono preso una multa per eccesso di velocità mentre mi fiondavo nella strada che dal 21 porta a casa tua. E sono rimasto lì impalato davanti all’immagine della macchina distrutta. Non mi sono mosso, poi ho visto Andrew. Non ho avuto neanche il coraggio di cercarti, ho direttamente chiamato un’ambulanza. A tirarti fuori ci ha pensato un camionista di passaggio, io ero ancora lì come un coglione.
Gli prende la mano. Inaspettatamente, la mano fredda di Ali si posa sulla sua.
Una lacrima cola lungo la guancia lentigginosa.
-Scusa. Per tutto. Scusami.
-Ho fatto la stessa cosa anche io, in passato. –mormora lei –In quel momento non riuscivo a fare nulla. Non ti devi scusare, scemo che non sei altro.
Ed sorride, ma non la guarda negli occhi.
-Dimmi una cosa. Perché nessuno vuole dirmi come sta Andrew?
A Ed manca l’aria. Non ce la può fare, non lui. Deglutisce. Cerca le parole giuste ma presto scopre che, in questi casi, non ci sono. Bisogna parlare e basta.
-Ali, lui… lui non ce l’ha fatta. L’airbag non si è aperto.
Quegli occhi grigi. Ed non dimenticherà mai gli occhi di lei in questo momento. Sono due pozzi, due gorghi senza fondo in cui rischia di precipitare.
Ed sta affogando, ma con lui, sul fondo del mare, c’è anche Ali. 



 



Buon anno!

















Scusate, non potevo non mettere gli gnu ♥
Vi avevo promesso che con le vacanze di Natale avrei aggiornato prima, e infatti rispetto alla scorsa volta questo è un GRAN passo avanti. Vorrei tornare ad aggiornare settimanalmente come una volta, ma non so se ci riuscirò.
Ok, adesso passiamo alla trama.
Era da una vita che volevo scrivere un capitolo dal punto di vista di Ed. Visto che la storia è raccontata in prima persona da Ali, che in teoria sta scrivendo tutto su un quaderno (non se ne ricordava più nessuno, vero? Ok, sono una scrittrice disastrosa), la terza persone a focalizzazione interna mi sembrava più adatta. Per questo motivo ho anche cambiato carattere, per mettere ancora più distanza tra il quaderno di Ali e il punto di vista di Ed.
Andrew è morto. Era l'unico (Nathan escluso) a sapere davvero qualcosa, ed è morto. Odiatemi. Questo avrà delle conseguenze, soprattutto sulla povera Ali. E, per estensione, su Ed. A proposito di Ed... si è capito più o meno il motivo della sua sparizione, ma ancora non si sa niente di questa rissa....
Nel prossimo capitolo ci sarà molta più Ed/Ali, ve lo prometto. Ho già scritto il loro dialogo da tipo tre settimane. 
Va bene, smetto di annoiarvi oltre.
baci,
Gaia ♥

P.S. preferite il testo centrato o allineato a destra, com'era prima?

 

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Capitolo 21
*** Hallucinations ***



Hallucinations.


Look into my eyes, 
it's where my demons hide
-Imagine Dragons


-Buon Natale!
-Taci.
-Su bella bambina, dammi la tua letterina!
-TACI!
-Lloyd, stai distruggendo la magia del Natale.
-Tu stai distruggendo le mie palle, Vince.
Ed soffocauna risata  e per poco non gli esce la coca cola dal naso.
-Non faceva così ridere. –obiettano gli altri due.
Lui sbatte rapidamente le palpebre, toglie la cuffietta dall’orecchio sinistro e -Eh? Parlate con me? Dio, questo audiolibro fa scompisciare dal ridere!
Bridget sembra valutare l’idea di tirargli addosso qualcosa. Il suo vassoio del pranzo, ad esempio. Poi però ci ripensa e si rivolge a me. –Come fai a sopportarlo?
-Non lo so.
-Ah, andiamo bene. –la mia amica strappa il cappello da Babbo Natale dalla testa di Vincent il quale, dall’altra parte del tavolo, sta intonando Silent Night.
È l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale e tutti in teoria dovrebbero essere più buoni. In pratica, l’atmosfera pseudo-natalizia ha solo aumentato la follia di questo posto. Da bravi studenti dell’ultimo anno i miei compagni dovrebbero studiare giorno e notte, invece organizzano gare Renne vs. Pupazzi di neve nei corridoi (corse in cui i pupazzi di neve sono primini infilati a forza in costumi di gommapiuma).
A circa un mese dall’incidente, tutto sembra tornato alla normalità. Forse è addirittura troppo normale.
Tutti i miei amici si sono meravigliati dalla velocità con cui ho superato la Faccenda Andrew, ma la verità è che loro non conoscono tutta la storia. Se fosse così, capirebbero quanto si sbagliano.
Qualcuno però lo sa, penso. Ed Sheeran, che nell’ultimo mese è stato assolutamente fantastico. Lo è sempre, intendiamoci, ma non credo che senza di lui sarei uscita da… diciamo che non avrei mai superato quello che è successo.
La situazione tra di noi è molto strana. Ci sono stati alcuni baci, qualche (tre) uscita solo-noi-due e a volte capita che, camminando, mi prenda per mano. Eppure non abbiamo ufficializzato niente.
La sua situazione sentimentale su facebook è nascosta, ma tutta la scuola sa che Ed Sheeran non è disponibile.
Va bene così. Per adesso.
-Allora?
La voce di Vincent mi riporta sul pianeta Terra. –Cosa?
-Buongiorno. Ali, ti ho appena chiesto cosa farai a Natale.
-Pranzo con i parenti, come al solito. Cosa dovrei fare?
Lui scrolla le spalle. –Non lo so, magari una cenetta romantica con…
-Vincent. –lo ammonisce Bridget, prima che entri nel campo minato. Lui infilza un po’ di insalata con la forchetta, arrossendo.
-Tu, Ed? –si affretta a chiedere, lasciando in sospeso la frase di prima.
-Credo che starò a casa, -ostenta un tono indifferente, a cui però non crede nessuno –I miei zii tornano in Inghilterra ma… a me non piacciono i pranzi in casa Sheeran.
Nessuno indaga. Se i tuoi genitori non ci sono più, è abbastanza normale non morire dalla voglia di passare il Natale in famiglia. Vorrei dire qualcosa di carino ma, come al solito, non sono capace.
Anche Vincent si accorge dell’imbarazzo e si prenderebbe volentieri a sprangate per la sua domanda stupida.
-Ali, sai per caso se Willow andrà da qualche parte? –chiede, facendola sembrare una domanda casuale.
-Sì, da una zia nel Maine. Perché?
Lui arrossisce ancora di più e mette decisamente troppo aceto nel piatto.
-Perché muore dalla voglia di baciarla. E non solo... –risponde Bee al suo posto –Cavolo, hai intenzione di mangiarla?
-Perché? Cos’ha la mia insalata che non va? –ne mastica un po’, per confermare quello che sta dicendo.
-Comunque, Vinnie, la tua bella è fidanzata.
-Con Connor Morris. –precisa Ed.
-Sai, ti preferivo quando stavi zitto.
 
Le mie dita gelate litigano con il lucchetto della catena della biciletta. Aprirlo con i guanti è impossibile, ma sono sicura che se li togliessi poi dovrebbero amputarmi le mani. All’ennesimo tentativo finalmente il lucchetto scatta e io butto la catena nel cestino.
Sto per montare in sella, quando lo vedo. Un ragazzo che apre la portiera di una vecchia panda. Un ragazzo praticamente identico ad Andrew. Il mio respiro si fa affannoso. Non può essere lui. Drew è morto. Un mese fa. Quella panda è stata completamente distrutta. Eppure…
Si volta. Dio, è proprio lui. Non so cosa fare. Non riesco a muovermi. Stringo forte il manubrio.
-Crawford? Tutto bene? –la prof di letteratura, carica di borse come al solito, mi sta osservando. Annuisco. Quando mi volto di nuovo, Andrew è sparito. Al suo posto c’è un ragazzo della squadra di football che bacia una cheerleader e il panico che blocca il mio corpo.
 
 
Capisci di essere la peggiore fidanzata ufficiosa del millennio quando è il ventidue dicembre e tu non hai ancora comprato il regalo al tuo quasi-ragazzo, nonostante avresti dovuto averglielo già consegnato. Così finisce che ti ritrovi a passeggiare per il centro della città guardando sconsolata le vetrine, dato che, lo sai, non troverai nulla di adatto a Ed.
Che poi, cosa è adatto a uno come lui?
Stupida, se conoscessi la risposta a questa domanda non saresti nella merda, ti pare?
I piedi sono troppo freddi nelle vans che ormai è troppo tardi per indossare. Il tuo respiro si condensa in piccole nuvolette e tu ti diverti a vedere quanto grandi le riesci a fare. Poi decidi di smettere, perché non hai più sei anni da un pezzo e il centro tende ad essere affollato in questo periodo dell’anno. Hai lasciato i guanti a casa, non ti senti più le dita, preghi che le poche monete nella tua tasca bastino per comprare un biglietto dell’autobus (le banconote sono destinate unicamente al regalo), fantastichi su quanto ti piacerebbe suonare il pianoforte, ti chiedi perché mai ti sia venuto in mente proprio adesso e poi un volantino fucsia fluo svolazzante finisce sulla punta di una delle tue vans. Scrolli il piede. Poi però devi piegarti, perché non vuole venire via, il maledetto. Riesci a staccarlo e finalmente leggi quello che c’è scritto sopra, in un fastidioso inchiostro blu. Scoppi a ridere: finalmente hai trovato il regalo.
A quanto pare avrai i soldi per il pullman, anche se parte delle banconote verrà utilizzata per la stronzata che regalerai a Ed Sheeran per non destare sospetti.
Un giorno Ed ti ha detto delle cose che volevi sentire da secoli. Tu eri in ospedale. Nessuno si era preso la briga di dirti «Ehi, Drew è morto», così sei rimasta giusto un tantino sconvolta dalle parole di Ed. Così sconvolta che i dottori hanno dovuto somministrarti delle medicine in più. Ai tuoi genitori questo non è piaciuto granché, e Ed Sheeran è stato bandito dalla tua stanza. Almeno fino a quando non si è travestito da infermiere e, il pensiero ti fa ancora sorridere, si è appiccicato degli stupidi baffi finti. Doveva parlarti ed era urgente.
«Cazzo, tu sei scappato via» «Di solito è questo che fanno gli idioti» «La prima cosa giusta che hai detto» «Vorrei una macchina del tempo» «Anche io. Non lo lascerei salire su quella cazzo di macchina» «Non farei quella cazzata» «Quale?»
E lui non te lo poteva dire. Ti sei arrabbiata. Sei stata seriamente sul punto di cacciarlo via, ma poi ha aperto quella maledetta boccaccia.
«Mi hanno picchiato per una cosa stupida che ho fatto io. Perché avevo paura, quindi sono andato a bere, ho esagerato, c’era anche lui, ho detto delle stronzate e mi ha picchiato» «Perché avevi paura?» «Avevo appena capito una cosa» «Vuoi dirmelo o preferisci aspettare la venuta del messia?» «Cazzo Ali, avevo appena capito di essermi innamorato»
Era calato il silenzio a quel punto. Uno strano silenzio, perché ti sembrava che il tuo cuore facesse un rumore infernale.
«Innamorato di Alex Pettyfer?» «Ti sembro gay?» «Nah. Neanche troppo» «Di te, comunque» «Di me cosa?» «Cazzo, Ali»
Lui l’aveva ripetuto. Si era innamorato di te.
Adesso sei stranamente soddisfatta di te stessa, ti concedi ancora qualche vistosa nuvoletta di condensa e poi ti accorgi che le cose minuscole che ti si posano sui capelli color mogano sono fiocchi di neve.
 
 
Il bello del tetto di casa mia è che, a meno che non ci cada sopra un meteorite o una bomba, sarà sempre qui. Potrò sempre sedermi sulle tegole con la mia Canon in mano, indipendentemente da quanto la vita faccia schifo.
Adesso tra le mie mani non c’è la macchina fotografica, ma il vecchissimo Nokia che sostituisce il mio cellulare, dato che dopo l’incidente non sono più riuscita a trovarlo.
Sullo schermo c’è il numero di Ed. L’unica cosa che devo fare è premere il tasto verde. E chiamarlo. E parlargli. E proporgli quella cosa che mi ronza in testa da circa quattro ore.
Maledizione, non può essere così difficile!
Avvicino il cellulare all’orecchio e mi ritrovo a sperare che risponda la segreteria telefonica.
-Ali? –dice invece la voce di Ed.
-Ciao. Disturbo?
Lui ansima, come se stesse correndo. Attorciglio una ciocca di capelli intorno all’indice.
-No! Certo… Che no.
-Ed?
-Sto correndo… Scusa ma… Chad! Non… Così… Veloce!
E qui le cose iniziano davvero a diventare strane perché, tanto per cominciare, Ed Sheeran non corre. Scaccio dalla testa la vocetta che continua a ripetere riattacca come una sorta di mantra e decido di indagare.
-Stai correndo?
-Sì. A quanto pare… Tutta la gente… Figa… Corre. E Chad… Si sente… Figo.
Certo. Figo come può essere qualcuno che passa il suo tempo a imparare le battute di Frodo Baggins.
-Oh.
-Già. E vuole… Compagnia… Quindi… Cristo, sto… Parlando… Ma non… Vedi?
Ridacchio. –Tutto bene… All? –continua. Ma perché non si ferma un attimo?
È il momento giusto per raccontargli il piccolo incidente del parcheggio. Se solo ne avessi il coraggio, si intende.
-Sì. Ti volevo chiedere una cosa. Anzi, è più una proposta. Ma è comunque una sorta di domanda perché non te lo sto ordinando e…
-All.
-Okay –com’è il detto? “Via il dente via il dolore”? –Ti ricordi quello che stavamo dicendo in mensa?
-CHAD! Oh, fanculo. –pausa –ecco, mi sono fermato. Intendi la vita sentimentale di Vince?
-No. Il Natale.
-Ah.
Il quarto di dollaro con cui sto armeggiando dall’inizio della telefonata mi sfugge di mano, rimbalza sulle tegole e cade dal tetto.
 Fantastico. Non solo non ho più niente da usare come anti-stress, ma ci ho anche smenato un quarto di dollaro.
Inspiro profondamente. –Nonèchetiandrebbediveniredame?
-Eh?
-Oh, hai capito.
Ha capito sul serio. –Sei seria?
-No, Ed, ti sto prendendo per il culo! –poi cambio tono, perché in fondo non volevo essere così stronza. –Tranquillo, ci saranno solo i miei e qualche parente fuori di testa.
-E a loro non dispiace se vengo anche io?
-Scherzi? Sono ancora in piena fase “Non contraddiciamo Ali”.
Ed sembra pensarci seriamente. La fase NCA sarebbe già conclusa da tempo se non fosse per tutti i… problemi. Probabilmente lui si sente in colpa ad approfittarne, ma se lo merita. Che cavolo, lui è Ed.
-Ali?
-Mhm?
-Grazie.
-Lo prendo per un sì, Sheeran.
 
Tra le tante cose che lo psichiatra mi ha consigliato, non pensare a Giselle è in assoluto in cima alla lista. Ed e Willow pensano che, con tutto quello che è successo, io abbia smesso di indagare.
Si sbagliano. L’ultima conversazione con Andrew mi riecheggia ancora in testa. Gli incubi non se ne sono andati. Le foto sono ancora infilate in un vecchio blocco da disegno nel cassetto della mia scrivania. Le guardo quasi ogni giorno, chiedendomi cosa mi sfugga e a quale incidente alludesse Drew prima di morire. Morire. Il pensiero riusciva ancora a provocarmi la nausea e anche qualcos’altro. Qualcosa di cui non è a conoscenza quasi nessuno.
 
È notte. Ho sete, tanta sete. Il desiderio di un bel bicchiere di acqua frizzante mi sta facendo impazzire e, visto che di dormire non c’è verso, perché non fare una toccata e fuga alle macchinette? E così faccio. con le gambe deboli e qualche monetina in tasca esco dalla stanza C124 e mi avventuro nei corridoi del Memorial. Non ho più la flebo e i pochi medici di turno sono troppo assonnati per fare caso a me. Le macchinette sono nella sala d’aspetto, che ovviamente a quest’ora è deserta.
Probabilmente passerò dei guai, penso schiacciando l’interruttore della luce. La lampada a neon sfarfalla per qualche secondo poi si spegne del tutto, fulminata. Merda. Fingo che il buio non mi faccia nessun effetto. Ho quasi diciott’anni, maledizione, non dovrebbe darmi fastidio. Le dita indugiano sui tasti della macchinetta. L’ansia aumenta.
Va tutto bene va tutto bene va tutto bene va tutto…
Poi lo vedo. Una sagoma scura sospesa a mezz’aria. Un corpo.
Non ha nessun senso. Una corda non può spuntare dal soffitto, dovrebbe essere legata a qualcosa, giusto?
Ho già assistito a questa scena. Oddio, non può essere Giselle, lei è già morta, si è impiccata quasi due anni fa.
Non è Giselle.
È Andrew.
Si sentono delle urla. Capisco di essere io solo quando i dottori irrompono nella stanza.
C’è qualcosa che non va.
 
-Sono stanca di fingere di star bene, Gis. –dico a voce alta, sperando che lei in qualche modo riesca a sentirmi.
 
-Chi è che lavora alla pre-vigilia di Natale?
-Tu.
-Era una domanda retorica, Gale.
Il furgoncino si ferma davanti alla vecchia casa in stile vittoriano. Il mio capo sorride, borbottando per la milionesima volta che dovrei proprio prendere la patente e si accende una sigaretta. La festa di compleanno di un bambino è un incarico facile. Il genere di cose che il mio datore di lavoro reputa troppo noiose e così affibbia alla sua apprendista, perché “tu devi fare esperienza”. Il bambino in questione si chiama Timmy –No Ali, il cognome proprio non me lo ricordo –e ha appena compiuto dieci anni.
Però a me non serve sapere il cognome. Ho riconosciuto la casa e, nonostante speri ardentemente di sbagliarmi, conosco benissimo chi ci abita.
I padroni di casa impiegano un po’ a venire ad aprirmi, forse a causa della sigla di qualche cartone animato giapponese sparata a tutto volume. Yu gi oh, se non sbaglio.
Quando finalmente la porta si apre, apro la bocca per presentarmi, ma la richiudo subito. Sulla soglia c’è la madre di Nathan Morris e sembra intenzionata a lasciarmi fuori al freddo.
-A… Alianna? –articola infine.
-Sono la fotografa.
-Oh.
Direi che “oh” riassume bene tutto il caos che regna nella mia testa.
-Se vuole chiamo il mio capo e vedo di far venire lui…
Scuote in fretta la testa. Non vuole qualcun altro, sa che io con la macchina fotografica me la cavo bene. E poi suo figlio non è in casa. Entro, gettando un’ultima occhiata all’insegna spenta della farmacia, e guardo la porta chiudersi. Non ho più vie di scampo.
La festa di compleanno di rivela facile come mi aspettavo. Foto ai regali, foto a Timmy con i regali, Timmy che spegne le candeline, tutti i bambini radunati intorno alla torta, i bambini che mangiano la torta, qualche scatto durante i giochi organizzati e “No, l’obiettivo non si tocca”. Se i membri della famiglia Morris non mi guardassero così male forse potrei addirittura divertirmi.
Succede tutto intorno alle cinque di pomeriggio. La pioggia batte forte sui vetri e la ricezione del vecchio Nokia va e viene. Per cui quando Bridget mi telefona sull’orlo di una crisi di nervi dopo una lite con Tyson, la sua voce va a scatti. Girare per la casa con il telefono in mano aspettando che compaia un’altra tacca sembra una buona idea. O almeno, lo è fino a quando delle voci in corridoio non mi fanno realizzare di essere in un’ala proibita agli ospiti. Così me ne esco con la cosa più idiota che potrei fare: entro nella prima stanza che trovo e mi richiudo la porta alle spalle.
-No, mio figlio non tornerà in quel posto –mormora la signora Morris dal corridoio.
-Mayrise, neanche io vorrei. Però non abbiamo scelta. Nathan ha picchiato un altro ragazzo.
Un altro?
-Ma perché? Ha giurato di non… Sai… Di non fare più quella cosa.
Se fossi una persona giusto un po’ più coraggiosa, a quest’ora sarei già dall’altra parte della soglia e chissà cosa direi ai Morris. Purtroppo non lo sapremo mai.
-Stavolta la droga non c’entrava. Non mi ha detto il motivo, ma sinceramente non mi interessa. Nostro figlio è pericoloso.
-Non possiamo rimandarlo a Maple’s Hill.
-Ha ucciso un ragazzo!
 
«Alla festa non doveva andare così» «Ti riferisci al ragazzo che è stato picchiato?» «Era troppo strano per essere un incidente» «Lei voleva parlare» «Il ragazzo si chiamava Miguel. Era un cliente di Nathan, e un giorno gli ha richiesto più pillole del solito»



Sono imperdonabie, lo so.
In questo mese e mezzo la fortuna NON è stata a mio favore.
Mi sono iscritta ad un concorso, poi però l'originale che stavo scrivendo si è cancellata e adesso non so se ritirarmi direttamente o ricominciare da capo. C'è stato anche il concerto di S. Valentino e le prove, lo studio, qualcosa di simile alla vita sociale e infine la mancanza di ispirazione. Ho dovuto scrivere questo capitolo CINQUE volte e ancora non mi convince del tutto. Quindi scusatemi, scusatemi davvero.
Riguardo la trama: nel prossimo capitolo ci saranno altri flashback che chiariranno meglio le allucinazioni di Ali. 
Vi devo ringraziare per le 10 bellissime recensioni allo scorso capitolo (a cui giuro che risponderò) e per aver reso questa storia quinta nella classifica delle più popolari (per i preferiti, se contiamo le recensioni dovrebbe essere al terzo posto ♥). Davvero, non so cosa dire se non grazie :)
Visto che ci stiamo lentamente avvicinando alla fine, la mia mente malata ha già iniziato a pensare ad un'altra long. Ok, diciamo che ho già scritto quattro capitoli. Ci saranno nuovi personaggi e, per introdurli, ho deciso che scriverò delle brevi One-Shot.
Qui trovate quella di Ed, Plettri http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2420588&i=1

alla prossima,
Gaia
P.S. ho visto che preferite il testo non centrato ma, visto che sui computer fissi è davvero difficile da leggere in georgia 14, ho deciso di ingrandire un po' il carattere

 

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Capitolo 22
*** Christmas Lights ***




Christmas Lights.


-E questo è per Ali! –esclama Vincent.
Afferro il pacco rettangolare con un grande sorriso e lo infilo nella borsa di cuoio, proprio sopra al regalo di Tyson –che ha tutta l’aria di essere una tazza.
-Chissà che cos’è! –esclama ironicamente Bridget.
-Io dico un pallone da calcio -rincara la dose Willow. Le due ragazze si guardano esterrefatte, perché questa è forse la prima volta che sono in sintonia da quel funesto giorno in cui ho deciso di presentarle.
-Dite quello che volete, ma il mio lib… regalo le piacerà molto più dei vostri.
-Oh, ne siamo convinte.
Vince sospira e deposita tra le mani di Bridget e Willow rispettivamente un pacchetto informe e una borsa di carta a cui è stata pinzata l’apertura.
Questo crea parecchio imbarazzo perché, se c’è una cosa che Will non farebbe mai, è senz’altro comprare regali di Natale per i miei “amici alternativi”. Perciò lei non ha niente con cui ricambiare il gentile pensiero di Vince e si sente una merda. Anche Willow ha una morale, in fondo.
War is over, if you want it, war is ov…
Sì, il genio al quale è stato affidato il compito di preparare la compilation natalizia del 21 ha sbagliato a tagliare l’ultima canzone. C’è un sospiro di sollievo collettivo, poi qualcuno fa ripartire il cd. Per la terza volta.
Il summenzionato genio avrebbe potuto mettere qualche canzone in più.
Tra la consegna dei regali di Bridget e quella di Missy, la cameriera sbatte sul tavolo la cioccolata calda. A nessuno fa piacere lavorare il giorno della vigilia.
Si sente uno scampanellio. Ogni volta che qualcuno entra nel bar il mio cuore si ferma, e inizio a pregare che non sia Nathan. Dopo quello che ho scoperto ieri non credo di essere in grado di fronteggiarlo. Anzi, vorrei solo prendere da parte Ed e Willow e raccontare loro tutta la storia, ma non voglio rovinare il Natale.
C’è tempo. Nathan non va da nessuna parte, purtroppo.
-Allora? Chi consegna adesso, Ed o Ali?
-E se io non avessi portato nulla? –domanda Ed.
-Allora cosa c’è in quella borsa? –lui ha la decenza di non rispondere.
Caccio una mano nel mio zaino, faccio scivolare i pacchetti in modo che arrivino davanti ai legittimi proprietari e poi continuo a soffiare sulla mia cioccolata. Non sono un tipo da troppi convenevoli.
-Il tuo te lo do domani. –comunico alla testa arancione. Mi rendo conto di aver commesso un errore madornale quando le bocche di tutti si spalancano. Per fortuna, qualcuno sceglie proprio questo momento per entrare nel bar, distogliendo l’attenzione da me e le implicazioni della mia frase.
Sfortunatamente, quel qualcuno è Nate.
 
-Ha ucciso un ragazzo!
Conto fino a venti. In corridoio non c’è più nessuno, posso uscire. La mia mano è già sulla maniglia quando realizzo dove mi trovo. Mi sono rifugiata nella stanza di Nathan.
Non riesco a respirare.
Calma. Devi stare calma.
Respiri profondi.
Uno. Due. Tre… Sei. Sette.
Noto una piccola catenina argentata dall’aria familiare sulla scrivania.
Una catenina che ho già visto.
Mi avvicino. Non mi ero mai accorta che sulla medaglietta ci fosse incisa una “M”.
M di Morris?
O M di Miguel?
Non riesco a respirare. Devo uscire da lì.
 
-Allora? Non avete niente da dirci?
-Vince, passerò il Natale a casa sua. Fine.
-Come se fosse poco.
-Ma è poco!
-Ali non mi ha mai invitato a casa sua durante le feste.
-Vince, cazzo!
-Ok, Will, la smetto.
Anche lui ha commesso un grosso errore. Quel “Will” alleggia tra di noi come un’eco.
-C’è qualcosa che devi dirmi, Vincent Sunders? –inizia Bridget.
Qualsiasi scusa Vincent abbia inventato, non la saprò mai. Dopo aver soffiato sulla cioccolata per circa due minuti, porto la tazza alla bocca. Il sapore che mi pizzica la lingua, però, è metallico. Anche la consistenza è strana. Perplessa, allontano la tazza dalle labbra e ci guardo dentro. Rosso. Rosso vivo. Sapore metallico. Grido e mollo la presa. A rallentatore, vedo il sangue rovesciarsi sui miei vestiti, mentre la tazza si schianta per terra finendo in mille pezzi.
Solo dopo, quando vedo le macchie marrone scuro sui miei vestiti e lo sguardo sconvolto dei miei amici, capisco cosa sia successo. Mi viene da vomitare.
-Era… Troppo calda. –balbetto.
Spero che almeno qualcuno ci creda.
E forse è proprio quella la cosa peggiore. Loro ci credono. Non capiscono. Non si accorgono di come stia tremando come una foglia, delle gambe, molli, della paura, perché Dio, è successo di nuovo.
 
“Devo cambiarmi” ho detto. La verità è che sto andando a casa unicamente per prendere quegli orrendi psicofarmaci, che hanno quegli orrendi effetti collaterali, che mi faranno stare male, male anche a Natale, e allora come lo spiego al resto della famiglia? Come lo spiego a Ed? Sento i suoi passi alle mie spalle, che corrono sulla strada ghiacciata, e ogni tanto scivola, l’idiota, ma io non mi volto.
-Ali!
No, non mi devo voltare.
-Aspetta! –poi grida un’imprecazione. Sì, è scivolato e si è appoggiato allo specchietto di una macchina per non cadere.
-Vai via.
-No.
-Non era una domanda.
-Lo so.
-Bene.
-Bene.
Corre ancora. Lui appartiene a quella categoria di persone a cui piace il rischio. O forse sono solo degli idioti.
Io continuo a camminare, con la suola delle sue scarpe ormai completamente levigata che fanno di tutto per seguirmi. E una parte di me in fondo spera che ci riescano.
-Perché non mi dici cosa succede?
Perché è orribile. Perché capiresti quanto davvero io stia male.
-Se è complicato non ci sono problemi, ho tutto il tempo del mondo.
-Non è affatto complicato. Si può riassumere in una parola.
-E allora…
Oh, fanculo.
Mi giro di scatto. Lui inchioda. Gli occhi azzurri sono fissi nei miei grigi. Il tempo si è fermato. 
-DPTS –dico con rabbia –sai cosa cazzo significa?
Ed lo sa. Lo spiego comunque, poiché per qualche strano motivo ho bisogno di dirlo ad alta voce.
-Disturbo post traumatico da stress –mormoro –a quanto pare sono pazza.
 
-Sai, forse dovresti scendere –dice la voce di Ed Sheeran al telefono. Scosto una delle tende della mia camera e lo vedo, fuori, le mani in tasca e il respiro che si condensa in nuvolette. Ho un miliardo di ragioni per non obbedire: è notte, fa freddo, sto giusto per guardare il Grinch, ho una certa paura di Ed e delle sue idee folli. Questo pomeriggio gli ho confessato di stare male. Probabilmente inizierà anche lui con Quel Tono e Quello Sguardo e non credo di potercela fare.
-Vestiti pesante –aggiunge. Io sospiro incazzata perché so che, alla fine, andrò con lui anche questa volta.
 
-Vuoi scherzare?! –esclamo, dopo essere scesa dalla mia camera tramite il vecchio ciliegio, essermi spezzata due unghie ed aver trovato ad aspettarmi Ed Sheeran e la sua bicicletta.
-No.
-Ma lo sai quanti gradi ci sono?
-Ero senza benzina. –Oddio.
Monta in sella e mi fa cenno di salire. Sono ancora in tempo per ritirarmi, ma non lo farei mai.
Lui pedala sulla sua bici da donna e io sono sul portapacchi, sobbalzo ad ogni buca e sento il culo squadrarsi sempre di più. Se non fossi avvinghiata alla sua schiena calda e profumata sono certa che salterei giù.
Succede più o meno dopo dieci minuti di viaggio. Ed stacca una mano dal manubrio – con mio grande orrore – se la infila in tasca ed estrae il cellulare. Lo vedo smanettare per un po’ prima di sentire le prime note di una canzone.
- Alzati in piedi.
- Tu sei tutto deficiente.

Christmas night, another fight 
Tears we cried a flood 
Got all kinds of poison in 
Poison in my blood 


Ed canticchia a voce alta, noncurante dei passanti e delle macchine che minacciano di ucciderci ad ogni incrocio. E, cazzo, se ha una bella voce.
Fa freddo, molto freddo. Ma lui continua a pedalare e a cantare e quella canzone è stupenda e forse io ho visto troppe volte Noi siamo infinito per i miei gusti.
-Sei stabile? –urlo.
-Scherzi? Io e la bici siamo una cosa sola!
Nei miei primi sedici anni di vita posso dire di aver commesso un buon numero di sconsideratezze. Questa, però, si piazza abbastanza in alto nella classifica.
Sposto le mani dalla schiena alle spalle di Ed. Indietreggio un po’ e nella distanza tra i nostri corpi posiziono il piede destro. Pregando, mi appoggio completamente sulle sue spalle e mi alzo. Quando entrambi i miei piedi sono sul portapacchi, Ed lancia un ululato.

I took my feet 
To Oxford Street 
Trying to right a wrong 
Just walk away 
Those windows say 
But I can't believe she's gone 


-Vai così, All!
-Tu pensa a pedalare. Giuro che se cadiamo ti uccido.
-Ehi, nessuno ti ha obbligato!
Non credo che dimenticherò mai questa sensazione. È un po’ come quando sei finalmente arrivato in cima alla montagna dopo la camminata più lunga della tua vita e sotto di te c’è tutta la valle. Un po’ come quando in barca a vela ti affidano il timone. Tu guardi fuori dal finestrino dell’aereo e ti accorgi di essere sopra alle nuvole. Tuo padre lascia andare il sellino della bici, tu hai cinque anni e pedali e vai avanti e non cadi. Sei ad un concerto e il gruppo suona la tua canzone preferita. È estate, sei in macchina con i tuoi amici, abbassate il finestrino e fate partire a tutto volume quella musica molto tamarra. Arrivi in cima alla Tour Eiffel. Hai appena finito la color run e tutti lanciano in aria il sacchetto pieno di colore. Ecco, uno di quei momenti lì.
-Ali!
-Eh.
-Apri quelle braccia.

When you're still waiting for the snow to fall 
Doesn't really feel like Christmas at all 


E non c’è Nathan, non c’è l’incidente, non ci sono quelle foto, non c’è il disturb post traumatico da stress, non ci sono le pillole. Ci siamo io, Ed, la sua bici da donna, i Coldplay, la notte e le stelle.
 
-Posso aprire gli occhi?
-No.
-Ma dai, stiamo camminando da ore!
-La solita esagerata. E comunque questo è il mio regalo di Natale. Se tieni gli occhi chiusi è un po’ come se fosse incartato, no?
-No.
Lo sento ridere e, dopo un secondo di imbarazzo, mi bacia sulla guancia. Prego che le sue mani schiacciate sui miei occhi gli impediscano di vedere quanto sia arrossita.
Però mi schiarisco la gola e –Ruffiano, – sussurro.
Qualche minuto e parecchie rampe di scale dopo sento l’aria fresca scompigliarmi i capelli. Le mani di Ed si sollevano e per poco non svengo.
Siamo sul tetto di un palazzo. La prima cosa che vedo sono le lucine di Natale. Tante lucine di Natale. Sono attorcigliate un po’ ovunque, anche sul vecchio divano rosso. C’è una stufa, vicino ad una pila di plaid. Il fornelletto che abbiamo portato anche nella nostra fuga. La nutella. La cosa più incredibile, però, è il “soffitto”.

Up above candles on air flicker 
Oh they flicker and they float 
But I'm up here holding on 
To all those chandeliers of hope


Una distesa di barattoli vuoti, ognuno con all’interno una lucina, è stata appesa a degli spessi cavi di metallo, distanti abbastanza da permettere di vedere le stelle. E sì, adesso mi viene proprio da piangere.
-È…
-Il terrazzo di Chad, – termina lui – opportunamente modificato.
-Allora? –chiede Ed titubante.
-Allora? –ripeto, incredula –Allora?! Questa è in assoluto la cosa più bella che abbiano mai fatto per me, idiota! E sappi che non riuscirai a farmi commuovere…
-Non era mia intenzione, tranquilla. –replica, nonostante i miei occhi siano già lucidi.
-Senti, non possiamo sederci e basta?
 
Auden scrisse “Ama l’imperfetto tuo prossimo con l’imperfetto tuo cuore”, che è forse una delle frasi più belle che abbia mai sentito. La notte di Natale del 2012 ho capito che l’imperfetto mio cuore ama Ed Sheeran, lo ama eccome.

Like some drunken Elvis singing 
I go singing out of tune 
Saying how I always loved you darling 
And I always will 


E ci siamo noi, e c’è la nutella, le luci, la musica, le chiacchiere a bassa voce, le risate, il mio corpo vicino al suo, le sue braccia che stringono le mie spalle e io che di quelle mani non ne avrò mai abbastanza.
Non nomina il disturbo post traumatico da stress. Anzi, non nomina proprio nulla. Le nostre conversazioni sono dei cliché, ma non sono così male, neanche quando mi chiede –Giorno più bello e giorno più brutto. Dai.
Anche se lui conosce entrambe le risposte.
-Un giorno una certa crapa rossa mi ha trascinato in una folle fuga a bordo di un pulmino. Credo che quello sia stato il giorno più bello. Il più brutto… è stato un bel giorno per morire. –e non serve che aggiunga altro.
-Adesso però tocca a te.
-Il giorno più bello credo sia oggi. Il più brutto è stato quando i miei sono morti.
Non me ne ha mai parlato così esplicitamente. Ho paura di rovinare tutto, chiedendo, ma allo stesso tempo non ne posso fare a meno. Capisco quanto possa essere difficile per Ed, ma lui ha visto il peggio di me. Lui i miei demoni li conosce.
-Cos’è successo?
È tranquillo mentre risponde.
-Credo la cosa più banale di tutte: io ero dalla nonna, era notte, pioveva e loro hanno avuto un incidente stradale.
-Mi dispiace. –che frase idiota.
-Anche a me.
Per un po’ ci limitiamo a bere, in silenzio. Poi il casuale dell’iPod (che è stato prontamente collegato a delle casse) sceglie quella canzone.

Oh when you're still waiting for the snow to fall 
Doesn't really feel like Christmas at all 


-Vuole ballare, signorina Crawford?
-Mi stai prendendo per il culo.
Lui però si alza e mi tende una mano. E no, non sta scherzando.
-Ed…!

Those Christmas lights 
Light up the street 
Down where the sea and city meet 
May all your troubles soon be gone 
Oh Christmas lights keep shining on 


-Dio, Ali!
Rido forte prima di afferrare la sua mano. Lentamente, lo sento cingermi i fianchi. Ancora più lentamente le mie mani si posano sulle sue spalle calde. E iniziamo a muoverci, totalmente a caso, perché nessuno dei due sa ballare e, in fondo, chissenefrega.
Ed Sheeran come al solito aveva ragione: è questo il giorno più bello.

Those Christmas lights 
Light up the street 
Maybe they'll bring her back to me 
Then all my troubles will be gone 
Oh Christmas lights keep shining on 



-Ed?
-Dimmi.
-Perché Chad ha un divano sul tetto?

Oh Christmas lights 
Light up the street 
Light up the fireworks in me 
May all your troubles soon be gone 
Oh Christmas lights keep shining on


Il campanile batte la mezzanotte. Adesso è ufficialmente Natale.
 





 

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Capitolo 23
*** No Angel ***




No Angel



-Questa è forse la cosa più stupida che abbiamo mai fatto –dice Willow. Ed è tutto un dire, perché noi di cose davvero stupide ne abbiamo fatte a bizzeffe. Questa, però, le batte davvero tutte.
Finiremo in un mare di guai, i miei non mi permetteranno più di mettere il naso fuori di casa, non riusciremo mai a scoprire la verità e Nathan Morris continuerà ad essere libero.
 
Il 2013 è iniziato malissimo.
Willow è venuta a bussare furiosamente alla mia porta alle dieci e mezza del primo gennaio, e io inizialmente l’ho presa per un’allucinazione perché, dai, era impossibile che fosse già sveglia. Invece lei era davvero nel mio vialetto perché “mi doveva dare una notizia molto importante e io come al solito avevo il cellulare spento”. Siccome non volevo che svegliasse tutto il vicinato, l’ho fatta salire. Sono così venuta a conoscenza di una sua conversazione con Connor Morris avvenuta intorno alle nove e quaranta (sì, erano entrambi svegli nonostante la festa della sera prima), in cui Conny le aveva inavvertitamente comunicato di aver dormito a casa dei suoi zii, nella stanza di Nathan, perché i suoi erano partiti per Aspen e lui si era dimenticato le chiavi nella sua cucina. All’affermazione “Spero per te che Nathan non russi”, Connor aveva risposto che in realtà Nate a casa non c’era.
-È a Maple’s Hill. Sono sicura. Connor ha cambiato discorso nel giro di due secondi! –ha dichiarato Willow, seduta sul mio divano. Ne ero abbastanza certa anche io, motivo per cui alle dieci del mattino seguente eravamo fuori dalla casa di Ed con già le valige preparate. Dopotutto, era la nostra unica occasione per parlare seriamente con Nathan.
-Non vorrei fare una domanda troppo ovvia –ha detto il rosso –ma… Cosa diamine state facendo?
Noi ci siamo limitate a trascinarlo nella macchina di Willow.
Ammetto che convincere mia madre sia stato abbastanza difficile. Secondo lei il due gennaio sono partita per quel famoso stage di fotografia di cui mi aveva parlato Gale tempo fa ed è bene che continui a crederlo. L’unica raccomandazione è stata “ricordati delle medicine”.
 
Che Willow guidasse malissimo già lo sapevo, ma del lato truzzo di Ed ero completamente ignara. Ha iniziato a scattare selfie circa dopo mezz’ora di viaggio, più o meno quando Willow ha deciso di superare il limite di velocità e io ho richiuso il mio libro (meglio evitare di vomitare sui sedili della bionda), e ha messo via il cellulare solo quando entrambe abbiamo minacciato di buttarlo giù dalla macchina in corsa. Allora ha scavato tra i cd di un’imbarazzatissima Willow, dando inizio ad una serie di esibizioni canore a cui mi pento di aver partecipato. Dopo aver fatto rivoltare Freddie Mercury nella tomba per un po’, Ed ha dato via al gioco degli indovinelli.
Sembrava che stessimo facendo un viaggio di piacere.
Adesso, fuori dai cancelli di Maple’s Hill, Seattle, nessuno ha più voglia di scherzare.
 
-Sono un’amica di Nathan Morris –dico alla signora nell’ingresso –posso vederlo?
Stavolta fuori a fare da palo è rimasto Ed. Ha usato la scusa del “qualcuno non deve farsi vedere, nel caso dovessimo fare un altro tentativo domani”, ma io non gli ho creduto. C’è dell’altro, glielo si legge in faccia. Tuttavia non era il caso di mettersi a psicanalizzarlo, così ho fatto finta di averla bevuta e mi sono incamminata con Willow per il lungo vialetto.
Il piano era semplice: io entro e parlo con Nathan, Willow cerca di mettere le mani sul fascicolo (“So che lui l’ha bruciato, ma è impossibile che non ne abbiano una copia”).
-Sicura di non voler fare cambio? Non ho paura di lui –sussurra la mia amica.
-Sicurissima. –devo vederlo. Non voglio che la sua faccia continui a perseguitarmi nelle mie allucinazioni, insieme a Andrew e, be’, Giselle.
Mi faccio scortare lungo un corridoio troppo stretto e finalmente la donna –un’infermiera, presumo –apre la quinta porta sulla destra. Ci troviamo in una specie di sala ricreativa, con persone che giocano a Trivial Pursuit e altri che disegnano.
Nathan è seduto vicino ad una delle grandi finestre, tutto concentrato in un solitario con le carte da scala quaranta.
-Ecco qui –dice l’infermiera –vi lascio da soli. Hai mezz’ora, cara, poi è ora di pranzo.
Nathan solleva lo sguardo. Di solito il suo volto non tradisce nessuna emozione, ma stavolta proprio non riesce a contenere lo stupore. Sono esattamente l’ultima persona che si aspettava di vedere. Ovviamente si ricompone subito e le sue labbra si increspano nel solito sorriso strafottente.
-Ali –mi saluta.
-Ciao.
-A cosa devo l’onore? Non sono ancora venuti nemmeno i miei genitori.
Ripenso alla conversazione che ho origliato in casa loro e non mi risulta così difficile credergli. –Cosa ci fai qui?
-Hanno trovato dell’eroina in casa mia. Solita storia.
Da parte a noi c’è una ragazza poco più piccola di me che parla da sola. Sta chiedendo ad una certa signora Blossom se vuole dell’altro thè.
Al suo posto potrei esserci io. Se non miglioro, è in un posto del genere che finirò.
Desiderosa di andarmene presto da qui, rompo il silenzio. -Nathan, ti devo parlare.
-Bene.
-Già.
-Hai intenzione di stare lì impalata o pensi di sederti?
Scosto una sedia dal tavolo e mi ci siedo sulla punta, pronta ad alzarmi in qualsiasi momento.
Ho tante cose da dirgli e non so da dove iniziare, questa è la verità. La Vivident Xylit che sto masticando ormai ha perso completamente il sapore ed è diventata disgustosa, ma sputarla significherebbe trovarsi di colpo senza un’occupazione, così continuo a ruminare e a fare qualche bolla. 
Nathan impreca. A quanto pare ha perso il suo solitario.
-Ero al funerale di Andrew. –che strano modo per rompere il silenzio.
-Mi aspettavo di vedere anche te, ma eri ancora in ospedale.
-Lo so.
-Perché non vai direttamente al punto, Ali? Così potrai tornare da Ed Sheeran.
Per poco non ingoio la gomma da masticare. –Cosa ne sai tu di lui? –balbetto.
-Lo conosco. È un bravo ragazzo, Sheeran. Quasi quasi mi pento di averlo picchiato.
Il mondo si è fermato. Il mio respiro è più affannato, una mano comincia a tremare e non riesco più a ricordare se quella mattina ho preso le pillole.
-Di cosa stai parlando?
-Non te l’ha detto?! Eppure è successo la stessa settimana in cui Drew ci ha lasciati… Il tuo amico si è anche difeso abbastanza bene. 
«Come stai?» «Come una che ha avuto un incidente in macchina, e tu?» «Oh, io… ho sbattuto contro un palo. Poi sono dovuto andare di corsa da mia zia perché… lei aveva… partorito. Adesso ho un cugino che si chiama John.» «Il palo aveva per caso un guanto da pugile? E tu hai fatto avanti e indietro dall’Inghilterra in così pochi giorni? Vai al diavolo, Ed.»
-Che cazzo gli hai fatto?
-Oddio, allora non te l’ha detto davvero.
«C’è stata una rissa, lunedì sera. Se ti interessa, l’altro è messo molto peggio di me. Purtroppo i due giorni seguenti non ero esattamente in forma. E non volevo che tu mi vedessi così.»
«Chi è stato?»
-Fattelo spiegare da lui, Crawford, non mi va di sentirti frignare.
E poi la vedo. Giselle, in giardino, proprio dall’altra parte della vetrata. Probabilmente è un’allucinazione. Insomma, lei è morta. Però lei mi sorride, e io ricordo perché sono lì, perché io, Ed e Willow stiamo facendo tutto questo e perché è così importante scoprire la verità. Deglutisco, senza staccare lo sguardo da Giselle, mi alzo, appoggio entrambi i palmi sul tavolo e mi piego in avanti.
-Dimmi subito cos’è successo quella sera, Nathan –sibilo.
-Cazzo, ad Andrew dovevi piacere davve…
Sbatto una mano sul tavolo, così forte da farmi male.
-Se non ti calmi ti sbatteranno fuori da qui –dice sottovoce.
-Allora vedi di fare in fretta.
-Sai, Giselle non stava bene, –perché sorridi, bastardo? Perché sorridi mentre parli di lei? –era depressa. I Dawson temevano che le venisse un esaurimento.
-Tu la picchiavi, brutto figlio di…
-Poi è morta la sua adorata nonna e lei non ce l’ha fatta più. Fine. Dispiace anche a me.
Ci vuole tutto il mio autocontrollo per non colpirlo.
-E le pillole di riluzolo dove le avrebbe trovate?
-I miei hanno una farmacia e lei ci veniva a trovare spesso.
Sta in piedi. La storia sta in piedi. Non posso permettergli di fare una cosa simile.
-E Miguel?
E l’espressione di Nathan cambia. Non sorride più, l’odiosa scintilla nei suoi occhi scuri è sparita. Se non lo conoscessi bene direi che ha paura. Si morde un labbro e infila una mano in tasca, per non farmi vedere quanto stia tremando.
-Tu non sai niente.
-Allora dimmelo.
Tre infermiere si avvicinano in fretta al nostro tavolo. Forse ho alzato un po’ troppo la voce.
-Sei stato tu?
-Sai qual è il bello, Ali?
Una donna bionda mi dice che forse è meglio che me ne vada.
-È stato un maledetto incidente. L’abbiamo spinto. Miguel ha battuto la testa. Eppure per quello è morta anche lei.
 
Willow è esattamente dove ci eravamo separate neanche mezz’ora prima. È incredibile come mi sembri passata un’eternità. Parliamo solo quando il pesante portone di Malple’s Hill si chiude alle nostre spalle.
-Ce l’hai fatta? –mormoro.
-Ovvio. Dio, dovrei entrare nella CIA.
Riesco addirittura a sorridere.
-Tu? Scoperto qualcosa?–domanda Will.
Non rispondo, ma infilo una mano in tasca e premo il pulsante che ferma il registratore del cellulare.
 
La stanza dell’hotel è minuscola. Le valige di Willow ne occupano circa due terzi, mentre io devo ancora capire dove incastrare le mie –sotto al letto non ci passano. Questo è comunque un problema di cui mi occuperò dopo. Ed è seduto sulla scrivania, quell’aria ansiosa che può significare solo “avanti, raccontante tutto” e quella faccia da schiaffi. Qualcuno ha inserito il cd degli Arctic Monkeys nello stereo e adesso Willow balla mentre sistema i suoi vestiti su ogni ometto-gancio-sporgenza qualsiasi che trova. Perché “non gliene frega niente se io e Ed vogliamo fare i piccioncini, lei in stanza da sola non ci sta”. E comunque non avrei mai trovato la forza necessaria per chiedere a Ed di stare in camera con me.
-Ok, io vado a farmi una doccia. Voi due riuscite a non fare sesso sul mio letto?
Non le rispondiamo nemmeno.
Nessuno dei due apre bocca fino a quando al rumore dell’acqua che scorre si aggiunge anche la voce di Willow, in quella che sembra una sua versione di Empire State of mind.
Ed mi fissa.
-Vuoi finalmente dirmi cosa sta succedendo?
Vorrei, davvero. Ma tutto quello che esce dalla mia bocca è –Tu e Nathan vi siete picchiati.
Si passa una mano fra i capelli, imprecando sottovoce. Annuisce.
-Perché non…?
-Ti avevo appena baciato. Sai, dopo il nostro viaggio. Ero su di giri, volevo urlarlo più o meno a tutto il mondo, ma mi sono accontentato di offrire una birra a J. Lui però era in ritardo. Al bar c’erano anche Nathan e i suoi amici. Avevo bevuto, non ero esattamente in me. Poi loro mi hanno riconosciuto, hanno iniziato con  le solite stronzate tipo “Lui è l’amico di quella puttana della Crawford”, eccetera. Non c’ho visto più, All. volevo farlo stare zitto.
Non so cosa dire. Come si risponde ad un racconto del genere?
Ma forse le parole non servono. Sa anche lui che non doveva farlo, mica c’è bisogno che glielo dica. Quello di cui lui forse ha bisogno - di cui io ho disperatamente bisogno – è qualcuno che lo tenga. E io voglio essere quel qualcuno. Così gli butto le braccia al collo e lo stringo, appoggiando la guancia sulla sua spalla e respirando il suo profumo buonissimo.
Dal bagno proviene uno “Youu shook me aaaaaaall niiiight loonnng”. Una coppia sta litigando furiosamente nel corridoio dell’albergo. La batteria del mio cellulare è scarica. Willow sta palesemente inventando le parole della canzone degli ACDC. Ma sto abbracciando Ed, e questa è l’unica cosa importante.




Sooono tornata!
Invisible vi era mancata? Ok, molto probabilmente no.
Come ho spiegato nell'avviso - il quale ha appena fatto puf - volevo prima finire di scrivere la storia, poi avre postato tutti i capitoli settimanalmente.
E l'ho fatto.
Tra venerdì e sabato ho finito di scrivere Invisible. 

Adesso vi posso dire con esattezza che mancano due capitoli, poi ci sarà l'epilogo. Due capitoli molto, molto lunghi. Adesso siete liberi di odiarmi.
Spero che i passaggi di questo capitolo vi siano chiari. Ricapitolando: Willow scopre che Nathan è tornato a Maple's Hill, così Il Trio - ok, fa tanto Harry Potter - decide di partire per Seattle. Voglio sottolineare che Ed e Will non sanno di tutta la faccenda di Miguel. Nathan praticamente confessa di aver ucciso un ragazzo e Willow ruba una copia del suo fascicolo. Cosa ci sarà scritto? Lo scoprirete nel prossimo episodio *musichetta*.
Spero abbiate passato una buona Pasqua :)
Grazie ancora per tutti i vostri feedback, siete stupendi (e la storia è terza nella classifica delle più popolari. Terza. Ancora non ci credo, grazie)
Gaia ♥

 

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Capitolo 24
*** Nothing left to say ***




Nothing left to say.
 



Non lo direste mai, ma Willow è una persona mattiniera. Di solito anche io, tuttavia le medicine mi provocano una certa sonnolenza, per cui alzarsi all’alba anche in vacanza non mi sembra un’idea accettabile.
Perciò, quando il giorno dopo mi sveglio, sono completamente sola.
-Non farti strane idee –dico ad un assonnato Ed Sheeran, dopo che questi è venuto ad aprirmi. –Su MTV danno Giovani Sposi e quella puntata la so a memoria. Il wi-fi dell’albergo è lento da far schifo. Il mio stomaco reclama cibo. Devo fare la ricarica al cellulare. E Willow non c’è. Sono venuta da te semplicemente perché non ho alternative.
-Davvero? –grugnisce, stropicciandosi gli occhi.
-No.
Sorride e si fa da parte per farmi passare. Indossa una maglia deformata verde scuro, dei pantaloncini grigi e i calzini. Potrei ricattarlo a vita per questa mise.
Come previsto, la stanza di Ed Sheeran è un disastro. Ci sono vestiti e fogli sparsi ovunque, bicchieri di caffè vuoti e la televisione accesa senza audio.
Mi lascio cadere sul letto sfatto mentre lui si infila dei vestiti a casaccio, scartando solo quelli troppo stropicciati per essere indossati.
Ci incamminiamo verso lo Starbucks più vicino parlando del tempo, scommettendo sul perché quella vecchia laggiù abbia così tanta fretta e commentando la ridicola suoneria del telefono di un uomo d’affari.
-Quella era la canzone preferita di Giselle –dico di punto in bianco.
-Farò di te un uomo, di Mulan? –chiede Ed, incredulo.
-Già. Quando era piccola vedeva sempre quel film con sua nonna.
-Doveva volerle molto bene.
Annuisco. Non sai quanto. Parlava sempre male di lei, perché era sorda, testarda, impicciona e imbrogliava sempre a monopoli; ma le voleva molto bene, si vedeva. Era praticamente una madre per lei. Quando aveva iniziato a stare male, Gis la andava a trovare tutti i giorni e si precipitava da lei ogni volta che la chiamava. Su una cosa Nathan ha ragione: quando era morta sua nonna, Giselle semplicemente era crollata.
-Tutto bene?
Sbatto le palpebre e metto a fuoco un preoccupato Ed. Sorrido per rassicurarlo.
-Benissimo. Stamattina ho preso le medicine, non ti preoccupare.
Sembra più rilassato mentre mi passa un braccio intorno alle spalle, anche se so che quella non è la risposta che voleva sentire. In ogni caso Ed Sheera è sempre Ed Sheeran.
-E sarai veloce come è veloce il vento. E sarai un uomo vero senza timore.
Scoppio a ridere –E sarai potente come un vulcano attivo.
-Quell’uomo sarai, che adesso non sei tuuu –terminiamo all’unisono.
-Gran bel film, Mulan. –lo bacio delicatamente sulle labbra e quasi quasi mi dispiace essere già arrivata da Starbucks.
Quelli isolati in un paese in cui non succede mai nulla di nuovo non sono Starbucks normali. Lo dimostra la pila di giochi di società che si intravede da dietro il bancone. E quella è una cosa troppo squallida perché Ed Sheeran se la possa far scappare.
-Ho visto una scatola di Risiko.
-Per l’amor di Dio, Ed.
Ma tanto so che vincerà lui. Vince sempre lui.
 
-Voi due siete patetici. –la voce acuta risuona nel bar praticamente vuoto.
-‘Giorno anche a te, Will.
-Molto patetici.
-Almeno io evito di imitare gli ACDC quando sono sotto la doccia, soprattutto negli hotel con i muri così sottili.
-Uh, colpo basso!
-Fanculo, Ali.
-Dov’eri? –chiede Ed, che non sa dei rituali mattutini della mia amica.
Willow sposta una sedia da un tavolo vicino e ci si siede sopra, le gambe aperte e la pancia contro lo schienale in legno. Sbircia le carte che ho in mano. Questa è forse la partita a Macchiavelli peggiore della mia vita. Non chiuderò mai.
-Siete così squallidi che, quando ho chiesto alla tizia della reception che fine avessero fatto i miei amici e lei mi ha detto che eravate usciti, vi ho trovati al primo tentativo. -Non ha risposto alla domanda. Perché? Ed però non ha detto nulla... Devo essere io che sto diventando paranoica. Sì, sicuramente.
-Wow, avrai dei poteri magici. –Non voglio ridere ad una battuta del genere, eppure non posso farne a meno.
-No, sono Saw l’enigmista. Tra un po’ la polizia mi troverà, mi chiuderà in un manicomio e… oh –finalmente realizza quello che sta blaterando e tronca la frase a metà.
Quello che è successo ieri ci crolla improvvisamente addosso. Cala un silenzio imbarazzante che dura circa tre minuti, poi la bionda si schiarisce la gola.
-Ali ha qualcosa da dirci –annuncia Will.
-Davvero?
Gli altri due annuiscono. E ovviamente hanno ragione. Un po’ li capisco: non sanno niente del rullino o di Miguel. Per loro il fatto che Nathan sia tornato a Maple’s Hill è solo una buona occasione per parlargli e scoprire cosa sia veramente successo prima della morte di Giselle.
-Una settimana prima di morire Giselle mi ha dato un rullino ancora da sviluppare, di cui io mi sono completamente dimenticata fino a un paio di mesi fa.
-E l’hai portato da un fotografo? –domanda Ed.
Annuisco. Racconto delle foto, di quelle ombre terrificanti, di Miguel che viene picchiato, di Nathan e di Andrew. Alla fine cala un silenzio imbarazzante.
-Cazzo –commenta Willow.
-Questo spiega la vostra conversazione prima dell’incidente –dice Ed lentamente. –Ho sempre avuto paura di… sai, tirare fuori l’argomento.
Giusto. La telefonata. -Volevo che qualcuno ascoltasse nel caso fosse successo qualcosa a me. E deve essere anche quello che ha pensato Giselle prima di affidarmi il rullino con le foto. Voglio dire, con le macchine analogiche non puoi sapere con certezza cosa hai fotografato –spiego.
-E perché non ci hai mai detto niente?
Willow non sembra incazzata. Nemmeno delusa. La sua è una semplicissima domanda, eppure nel rispondere mi si annoda la gola.
-Io… non sono stata molto bene. –non gliela dirò mai, la verità. Non ne ho il coraggio. Da sotto il tavolo le dita calde di Ed si intrecciano alle mie. È chiaro che nessuno dei due stia più pensando alla partita. “Va tutto bene” mi dice con lo sguardo. Sorrido.
Willow si schiarisce la gola.
-Ok, ricapitolando. Sono in un locale. Miguel è un cliente di Nathan. Quella sera gli chiede più roba del solito. Molto probabilmente non ha i soldi, viene picchiato e, stando a quello che dice Nate, prende una botta in testa e muore. Nessuno dei presenti vuole finire in prigione, perciò ovviamente decidono di non dire niente a nessuno.
-Giselle invece si ribella, Nathan la droga e lei, già depressa per quello che è successo alla nonna, si suicida –termino con un filo di voce.
Per un attimo nessuno parla. Ha tutto un senso, adesso.
Ed impreca a voce alta e  -Non abbiamo nemmeno uno straccio di prova! –urla.
Willow mi guarda. Sospira, caccia una mano in tasca e appoggia sul tavolo una cartelletta.
Avevamo ragione: nell’archivio sul computer di Maple’s Hill il fascicolo di Nathan c’era ancora. Attualmente cercava di superare un problema con la droga, ma quella non era la ragione del suo primo ricovero.
-Dovete assolutamente leggere qui… -mormora Will.
Un pensiero strano inizia a formarsi nella mia mente: se Willow è andata a correre, perché portarsi dietro…?
-“I genitori dichiarano di aver ricevuto una segnalazione da parte di un’amica di Nathan.” –legge Ed. –“Sosteneva che il ragazzo fosse stato coinvolto in un tragico incidente e che avesse bisogno di aiuto”. Oh mio Dio.
 
 
 
Decidiamo di tornare a casa questa sera stessa, fanculo alla scusa dello stage di fotografia. Spiegherò tutto ai miei genitori quando questa storia sarà finita.  Durante il viaggio in macchina non parla nessuno, almeno fino a quando non veniamo sorpresi da una pioggia fortissima che ci costringe a fermarci in un motel a un’ora e mezza da casa. È un posto semi-sperduto, gestito da una coppia di anziani, che probabilmente non vedono clienti dagli anni Novanta (prostitute e clienti annessi a parte). Ci accolgono con fin troppo calore e ci vengono assegnate due camere umide e adiacenti al secondo piano.
C’è puzza i vecchio e l’idea di dormire tra quelle lenzuola è nauseante, ma sono troppo stanca per protestare e mi addormento quasi subito. Per fortuna.
 
La stanza è stretta. È troppo buio perché io riesca a vedere qualcosa, ma mi basta aprire le braccia per toccare i muri. E, con orrore, mi rendo conto che si stanno restringendo.  Urlo. Qualcuno mi sentirà. Qualcuno deve sentirmi.
Sono sull’orlo di un attacco di panico. Forse, se aspetto che i muri siano abbastanza vicini, riuscirò ad arrampicarmi. Perché dall’alto proviene una luce debolissima che decisamente non è artificiale, e se non è artificiale significa che c’è una finestra. Poi però sento quel rumore. Acqua. In una manciata di secondi mi arriva alle caviglie, poi alle ginocchia, e sale, sale, continua ininterrottamente a salire.
Aiuto! Qualcuno mi aiuti!
«È brutto, vero?»
«Gi-Giselle?» non la vedo ma so che è lei.
«Ali, adesso capisci quanto è brutto? Quando ti serve aiuto ma sei completamente sola?»
«Tu non eri affatto sola, Gis» singhiozzo.
«Certo, tu hai fatto così tanto per aiutarmi.»
Piango. E non per l’acqua che ormai mi arriva alla vita, e nemmeno per l’aria soffocante e la luce sopra di me che inizia a sparire. Piango perché so che Giselle ha ragione.
«Ti prego, aiutami. Non lasciarmi morire.»
«Altrimenti tu cosa fai?»
L’acqua raggiunge le mie spalle. Poi il mento, e i muri sono troppo vicini. Provo a nuotare, ma non ci riesco. Provo a trattenere il fiato, ma ho paura di affogare.
Sto morendo.
Cerco di chiamare ancora Giselle, ma le parole vengono soffocate dall’acqua.
 
Mi sveglio tossendo. Raggiungo il bagno giusto un attimo prima di vomitare anche l’anima. Grazie a Dio Willow non c’è.
La ceramica bianca del lavandino è piacevolmente fresca rispetto alla mia pelle bollente e sudata. C’è silenzio. Un silenzio soffocante, come i muri del mio sogno. Non voglio questo silenzio.
È notte, è buio, sto male, sto andando a fuoco, non riesco a respirare. Se chiamo aiuto non mi sentirà nessuno.
E poi, chi accidenti dovrei chiamare? Willow non c’è.
Sono le tre del mattino e Willow non c’è.
Se non fosse giovedì, probabilmente non mi preoccuperei. Ma Willow è convinta che andare a ballare il giovedì sera sia da sfigati, così non mette mai il naso fuori di casa. Lei non è esattamente un tipo da bowling o pub nascosti.
Dio, che nottata di merda.
Mi sciacquo la bocca, poi la faccia, i polsi e gli avambracci, fino a quando non riesco di nuovo a respirare regolarmente. Il rumore dell’acqua che scorre è quasi assordante in questo silenzio e non fa che ricordarmi del sogno.
Le medicine. Prendi le medicine.
Obbedisco a quella che credo sia la mia coscienza.
 
Busso forte sulla porta verde scuro per la settima volta. Se non fossimo gli unici ospiti, a quest’ora avrei già svegliato tutti.
-Chi è? –grugnisce una voce dall’interno.
-Chi vuoi che sia?
E allora si sentono dei lamenti e dei passi, poi la porta si apre e scopro che Ed Sheeran dorme con dei boxer di Superman.
-Sexy.
-La prossima volta piomberò io in camera tua nel bel mezzo della notte.
-Non mi coglierai impreparata. –Ed esce in corridoio per potermi guardare meglio. C’è odore di deodorante per ambienti e dai caloriferi proviene un fastidioso ronzio. Le luci un po’ fioche del corridoio ci donano un’aria spettrale degna di un film dell’orrore. Come si chiamava quello di Hitchcock ambientato in un hotel?
Ovviamente in giro non c’è anima viva.
-Stai bene? –chiede Ed. Devo avere un aspetto a dir poco pietoso.
-Il solito –rispondo. –Ma c’è un problema…
 
-Non può essere andata… non lo so… in discoteca?
-No. Lei non va mai a ballare di giovedì. È convinta che porti sfiga.
Ed evita di commentare le assurde fissazioni della nostra amica.
-Hai provato a chiamarla al cellulare? –e sì, ci ho provato già cinque volte, e per cinque volte ho mandato a quel paese la voce metallica della segreteria.
-Non è normale, Ed –dico infine. Uscire adesso è assolutamente da pazzi, soprattutto perché tra meno di tre ore dovrebbe sorgere il sole. Una parte di me spera di veder comparire Willow ubriaca alle sei, in modo da potermi incazzare come si deve e farle la predica. Ma in questa situazione c’è qualcosa di strano e, me lo sento, non ha niente a che fare con la discoteca.
Finiamo così per continuare la nostra partita a Macchiavelli con delle vecchie carte che Ed ha trovato nel cassetto del suo comodino. Sono conciate male, un pezzo di scotch contraddistingue l’asso di picche e non riusciamo a trovare la seconda donna di cuori da nessuna parte. Però ci accontentiamo. A nessuno dei due importa così tanto del gioco.
Non so bene a che punto della serata mi sia addormentata, ma quando riapro gli occhi sono le dieci e mezza, dalla bocca di Ed cola della saliva e Willow non mi ha ancora richiamato.
C’è qualcosa che non va.

 


Ta da da daaaan!
Siamo troppo vicini alla fine. Troppo troppo. Cavolo, non credo di potercela fare.
Ricapitolando, abbiamo degli strani viaggi mattutini di Willow, un po' di Aled (grazie Als) - che non fa mai male - e il fascicolo di Nathan. Poi, quando tutto sembrava quasi risolto, Willow sparisce. 
Il prossimo capitolo è IL capitolo. All'inizio avevo riempito otto pagine e mezza di word, poi mi sono accorta di non aver approfondito abbastanza delle parti, così ho preso l'intelligente decisione di dividerlo in due. 
Questo significa che dovrete sopportare Invisible per una settimana in più.
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!
Oggi ho creato un account di Ask.fmera ora ahaha
Se a qualcuno di voi piace Hunger Games, non è che fareste un saltino QUI? Si tratta di una one shot che ho scritto in uno dei miei momenti da persona non sana di mente e, visto che è un esperimento, mi farebbe davvero piacere un vostro parere :)
Grazie a tutte per i feedback,
Gaia ♥

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Capitolo 25
*** Oblivion ***




Oblivion.
 



-Una ragazza bionda, alta così, che è uscita nel cuore della notte. Andiamo, non può non ricordarsi! –sbraito contro il donnone alla reception.
La signora anziana ha un orribile vestito a fiori, uno chignon piccolissimo e una targa sulla scrivania che dice “Grace A.”.
-Tesoro, di regola non mi faccio domande sulle ragazze bionde che lasciano questo posto a orari strani –commenta con un sorrisino eloquente. Sospiro irritata.
-Però, adesso che mi ci fai pensare… una delle tre biondine di stasera diceva di avere fretta. Voleva sapere dove trovare la fermata dell’autobus più vicina perché “un ragazzo l’aspettava”. Ha per caso un accento del sud?
Noi scuotiamo la testa. –Allora era proprio lei.
-Ha detto altro?
Grace finge di pensarci a lungo. –Solo di avvisare la sua compagna di stanza di aspettarla per le nove.
-Grazie per averlo fatto, eh –borbotta Ed.
-Voi non siete scesi prima di venti minuti fa, signorino!
Arrabbiarsi adesso è pressoché inutile. È mezzogiorno, il sole asciuga l’asfalto dopo il diluvio di ieri e di Willow non c’è traccia. Mi domando cosa possa averle detto Connor per convincerla a guidare con quel tempaccio, di notte per giunta. Sì, perché il ragazzo in questione deve essere per forza lui. Non ci sono altre alternative.
Forse non dovremmo preoccuparci. Se Will decide di passare la notte con qualcuno tecnicamente sono affari suoi, però non ha per niente senso. Perché proprio Connor l’ha cercata ieri notte?
Mi sembra di impazzire.
Abbiamo trovato il cellulare di Willow sul suo comodino, la modalità silenziosa attivata. Naturale che non ci abbia mai risposto.
-Qual è la sua password dei messaggi? –chiede Ed.
-Cosa ti fa pensare che lo sappia?
-Una data?
-No. Conosco Will, avrà messo dei numeri a caso. Un segno, magari.
Ed ha già provato con le banalissime 258 e 456, ma non hanno funzionato. Tenta con triangoli, rombi, x, forme contorte, saette… niente da fare. Nisba.
Avanti, ragiona. Sei Willow. Vuoi mettere una password ai messaggi, qualcosa che ti ricordi. Cosa…
-1159. Prova con 1159.
La schermata di blocco scompare e ci troviamo davanti all’elenco delle chat di Willow. Sorrido.
-Come facevi a saperlo?
-Le undici e cinquantanove. Lunga storia.
«Esprimo sempre i desideri alle undici e cinquantanove.» «Perché?»
-Un giorno me la dirai?
«Perché è proprio un minuto prima che lo facciano tutti gli altri. Perché mi piace vedere i numeri dell’orologio digitale che si azzerano. E perché suona maledettamente bene.»
-Chissà –ridacchio. L’ultimo messaggio ricevuto è di Connor, a mezzanotte e un minuto.
“McDonald’s all’una.”
Tratteniamo entrambi il fiato rumorosamente.
Ovviamente, se ti arriva un messaggio del genere nel bel mezzo della notte tu decidi di ascoltare quel pazzo di Connor Morris e andare. Idea geniale.
Willow ha risposto “Sono lontana”.
Connor ci ha messo meno di un minuto per digitare “Lo so, ma è urgente. Ti prego, W”.
Quel “lo so” mi fa venire i brividi.
Eppure non c’è motivo di avere così tanta paura. Nathan è a Maple’s Hill e Connor ama la mia amica, non del farebbe mai del male. E poi, dai, Will gira con uno spray al peperoncino dal giorno del suo tredicesimo compleanno.
Quindi devo stare tranquilla. Questa storia è solo un enorme malinteso. Lei sta bene.
E poi ricevo quella telefonata.
Vincent chiama per il motivo più stupido del mondo: ha perso il suo raccoglitore con gli spartiti e il portachiavi con la Tour Eiffel; e vuole sapere se per caso ce li abbia io. Quando gli faccio notare che del suo raccoglitore e di quel portafortuna non me ne faccio nulla, lui scoppia a ridere e fa per riattaccare, per poi ricordarsi di una cosa che voleva assolutamente dirmi.
-Penso che Connor cornifichi Willow.
A questo proprio non so cosa dire, quindi –Ah –mormoro.
-Stamattina ero a correre con Bridget e Tyson e sai dove l’ho visto? Vicino a quella catapecchia giù al laghetto. Tutti vanno lì a pomiciare!
-Considerando che tu sei stato con mezza città, devi essere un esperto –commento.
-Simpatica, Ali. Comunque, proprio perché sono un esperto, so riconoscere l’espressione di un ragazzo quando fa qualcosa di sbagliato. E Connor Morris, stamattina, sembrava un bambino sorpreso con un barattolo di nutella tra le mani subito prima dell’ora di cena.
Nei due secondi che seguono mi chiedo come abbia fatto ad essere così stupida.
-Nella catapecchia, eh? –domando, sforzandomi di restare calma.
-Yeah. Quel bastardo! Ha anche fatto finta di non riconoscermi!
-Sono sicura che non stesse fingendo –certo, come no. –Senti Vince, adesso devo proprio andare. Ci si vede, ok?
-‘Kay. Ciao Ali. Ah, se trovi le mie cose… stai attenta alla Tour. È fragile come il cristallo, anche se non sembra.
Chiudo la chiamata. Oggi Vincent è in vena di paragoni. Fragile come il cristallo. L’ho già sentita, questa.  Solo che non riesco a ricordare…
-Allora? Scoperto qualcosa?
Sto per rispondere a Ed, ma vengo interrotta dalla suoneria del mio cellulare. Convinta che sia Vincent che ha trovato le sue cose e me lo vuole comunicare, non controllo nemmeno il nome sul display e schiaccio la cornetta verde.
-Di’ che è tua madre –dice una voce maschile che chiaramente non appartiene a Vince. Mi si gela il sangue nelle vene.
Devo solo continuare a respirare normalmente e andrà tutto bene.
-Ciao mamma. –rivolgo un finto sorriso a Ed ed esco dall’hotel, per poter parlare meglio.
Non ce la faccio. Mi manca l’aria. Oddio. Cosa sta…
-Chi sei? –sibilo.
-Vogliamo le foto. E la registrazione. O ce le porti, o alla tua amica succede qualcosa di molto brutto.
Il mondo si ferma. La mia paura peggiore è appena diventata realtà. –Non so di cosa stai parlando.
-Io invece credo di sì. Di’ ciao ad Alianna –dall’altra parte proviene un singhiozzo –A… Ali…
Non riesco a respirare.
-Will! Oddio, stai bene?
-Per ora sì –risponde la voce maschile di prima. –Ma se tu non fai come ti abbiamo detto…
Non voglio neanche sentire la fine di quella frase.
-D’accordo –singhiozzo –Ok, avrete le vostre foto. E la registrazione.
-E se dici qualcosa a qualcuno, qualsiasi cosa, te ne pentirai. Non ti azzardare ad andare dalla polizia e non coinvolgere Ed Sheeran. Devi venire da sola, Ali. Alle dieci di stasera al laghetto.
-Non provare a farle del male. Mi hai sentito, brutto bastardo? –ma ha già riattaccato.
Non sta succedendo. È solo un incubo, niente di tutto questo è reale. Non sta succedendo a me.
Devo chiamare Ed.
No, non posso. O loro faranno del male a Willow.
Loro. Non si tratta solo di Connor. Ci sono degli altri. Oh mio Dio.
Non posso non avvertire Ed, ma lui non mi permetterà mai di andare all’incontro da sola, e allora…
Potrebbero prendere anche te. Nessuno saprà mai quello che ti è successo. Giselle è morta, perché tu dovresti essere trattata diversamente?
-No! Basta!
Devo fare come dicono. Non ci sono alternative.
Devo andare a casa, prendere le foto, mettere la registrazione su una chiavetta usb e consegnargliela. La metterò anche su un cd e la porterò alla polizia quando tutta questa storia sarà finita e Willow sarà al sicuro.
Il problema è che Willow stanotte si è presa la macchina.
 
-Chiama un taxi.
-Cosa? –Ed salta giù dal letto –E Willow?
-È andata a casa, hai letto anche tu i messaggi. Non ha senso restare qui –ribatto. Ti prego, non fare troppe domande.
-Sei sicura?
-Certo. Dove potrebbe essere sennò? E giuro che quando la vedo le faccio un culo così! –butto le mie cose alla rinfusa dentro la valigia, mentre Ed va a sistemare la sua stanza senza aggiungere altro.
So di stare sbagliando. Dovrei dirgli tutto. Dovrei andare dalla polizia. Ma non posso rischiare.
 
Mettendo insieme i nostri risparmi riusciamo a malapena a pagare il tassista. A dire il vero ci mancano ancora dieci centesimi, ma l’uomo ha almeno la decenza di non incazzarsi.
Dopo che la macchina gialla si allontana, mi rendo conto di dovermi sbarazzare di Ed.
-Ok, senti, sono stanca. Voglio solo andare a casa. Se senti Willow chiamami, ok? –dico, pur sapendo perfettamente che non succederà. Quello che ho detto non è proprio una bugia, ma il senso di colpa mi tormenta ugualmente. Ed non sembra neanche troppo convinto. Però annuisce.
Mi saluta con un rapido bacio sulle labbra e si incammina verso casa sua.
Bene.
Adesso devo anche spiegare ai miei genitori cosa ci faccio a casa con un giorno e mezzo di anticipo.
Magnifico.
Sospirando, tiro fuori le chiavi ed entro.
 
Fa tanto freddo.
Siamo in gennaio, tecnicamente è normale, ma questo gelo che entra nelle ossa e ti divora lentamente è quasi innaturale. Devo infilarmi due paia di guanti prima di poter anche solo pensare di salire sulla bicicletta, poi butto la borsa nel cestino e inizio a pedalare.
L’ultima volta che sono salita su una bici nel cuore della notte con me c’era Ed.
No. Basta. Non farlo.
Giusto. Non devo farlo. Devo tenere l’immagine di Ed lontana dalla mente.
L’unico rumore che si sente è il ronzio dei pedali che mettono in funzione la dinamo. La luce è debole e ogni tanto sfarfalla, ma se non ci fosse credo che impazzirei. Purtroppo non posso tenerla accesa a lungo, non voglio che loro vedano la mia bici. Al momento è l’unico mezzo per fuggire che ho.
 
All’inizio il buio mi paralizza.
Dovevo immaginarlo: nelle vicinanze non ci sono né case né lampioni. Quello che assolutamente non mi aspettavo è il silenzio. Non c’è un filo di vento, non ci sono animali, macchina… nulla. Si sentono solo i miei passi che cercano di essere leggeri.
Abbandono la bicicletta su quello che penso sia un cespuglio. Quando sono sufficientemente lontana accendo la torcia e stringo forte la borsa. Dentro ci sono l’album e la chiavetta usb e pesano come macigni. Nella tasca interna, invece, c’è un coltellino svizzero. Non si sa mai.
-C’è qualcuno? –balbetto, forse è la frase più idiota della storia –Ehi!
Ho una paura fottuta. Sono così ingenua da sperare che qualcuno compaia con Willow, prenda le foto e la registrazione e se ne vada.
Chi cazzo vuoi prendere in giro? Non te ne andrai mai da qui.
Lo sforzo per mantenere un minimo di autocontrollo è atroce. Se solo riuscissi a smettere di tremare come una foglia…
Un fruscio. Immediatamente illumino la zona alle mie spalle. Niente. Solo alberi.
Respira, Ali. Andrà tutto bene.
Stronzate. Non andrà bene per niente.
Non riesco a respirare. Non riesco a…
Le medicine. Non ho preso le mie medicine.
Un altro fruscio, stavolta più vicino.
Poi un colpo. La torcia cade a terra.




 
Scusate, sono di fretta e non ho molto da dire. Vi avevo detto che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma avevo davvero troppe cose da scrivere e ho dovuto dividerlo in due. Come avrete notato, in questi ultimi capitoli ci sono stati parecchi riferimenti all'inizio della fanfiction, spero che siate riusciti a seguire. 
E niente, spero che vi sia piaciuto.
Grazie come al solito per i feedback,
Gaia ♥

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Capitolo 26
*** In your head ***




In your head.



But you see it's not me, it's not my family 
In your head, in your head, they are fighting 
With their tanks, and their bombs 
And their bombs, and their guns 
In your head, in your head they are cryin
In your head, in your head, Zombie, Zombie
In your head, what's in your head Zombie
The Cranberries - Zombie



La prima cosa di cui mi rendo conto è il dolore al collo. Devo fare uno sforzo assurdo per tirare su la testa e guardarmi intorno. Inizialmente le immagini continuano ad andare fuori fuoco, poi la stanza smette di girare e la luce della lampadina che penzola dal soffitto non è più così dolorosa. Sono nella catapecchia vicino al lago, realizzo.
-Finalmente è sveglia! –esclama una voce maschile. Sono seduta su una scomoda sedia di metallo, dietro ad un tavolo su cui c’è la mia borsa. La stanza non è arredata, ci sono solo un grande armadio di metallo e delle attrezzature da pesca sparse in giro.
Non so per quanto tempo sia rimasta incosciente. Non so proprio nulla, a dire il vero.
-Come stai, Ali?
Male, vorrei dire. La testa fa malissimo e in bocca ho ancora il sapore metallico del sangue. Invece non parlo.
-Non vogliamo rendere le cose ancora più spiacevoli, giusto? –questo è indiscutibilmente Connor. Vederlo qui, vederlo davvero, fa stranamente male. Una parte di me aveva continuato a sperare fino a questo momento che lui fosse innocente. Dopotutto ci conosciamo da tantissimo tempo e frequenta una mia amica. Willow. Oh mio Dio, come ho fatto a dimenticarmi di lei? 
Deglutisco e cerco di non lasciar trapelare nessuna emozione.
-Siete voi che mi avete dato una botta in testa.
Sono tutti in piedi dall’altro lato del tavolo. Connor, due ragazzi che non conosco… Chad e un membro della band di Vincent.
Non piangere. Qualsiasi cosa ma non piangere.
-Non avevamo scelta –dice uno dei due sconosciuti. È albino, gli occhi così chiari da sembrare trasparenti. L’altro ha i capelli rasati e un piercing sul sopracciglio. Non ricordo di averli mai visti prima.
-Quando ti abbiamo telefonato – interviene Chad – pensavamo davvero di lasciarti andare. Ma poi tu saresti andata dalla polizia… Vogliamo solo assicurarci che non succeda, Ali.
È impossibile. Lui e Ed sono amici. In un certo senso anche io e lui lo eravamo.
-Certo che sarebbe successo –e qui mi si spezza la voce. Non piangere, cazzo. –Avete ucciso una persona. Per colpa vostra è morta la mia migliore amica!
-Non doveva andare così –inizia Connor. –All’inizio volevamo solo fargli paura, a Miguel. Lo spingevamo, io ho tirato fuori il coltello… non gli avrei mai fatto nulla, lo giuro. Nathan però quella sera era strafatto. Ha iniziato a prenderlo a calci, non so quante volte. Poi Miguel ha battuto la testa contro qualcosa e… Giselle è diventata isterica. Urlava di voler andare dalla polizia, che dovevamo chiamare aiuto, che forse potevano ancora salvarlo… Poi però abbiamo capito che non c’era più niente da fare, e allora abbiamo giurato. Avremmo mantenuto il segreto a qualsiasi costo. Ma lei no, ovviamente. Era facile per Giselle, tecnicamente era innocente. Non aveva ammazzato nessuno, lei. Diceva a Nathan che aveva bisogno di aiuto per disintossicarsi e cambiare vita. E poi ha giurato che avrebbe parlato. Un giorno è andata a casa dei miei zii con l’intenzione di dire tutto, Nate l’ha presa appena in tempo e l’ha picchiata – il giorno in cui mi ha dato il rullino, penso. – Era diventata pericolosa, così Nathan ha rubato quelle pillole e l’ha imbottita per bene. La cosa bella è che quella puttana aveva già avvertito i genitori, che l’hanno fatto rinchiudere. È colpa sua se è morta, capisci?
Per tutta risposta, mi piego di lato e vomito. Ormai non mi sforzo più di trattenere le lacrime, tanto è inutile. 
Il ragazzo albino mi porge dei fazzoletti di carta. Li prendo.
Chad continua a raccontare. –Quando Nathan è tornato, qualche mese fa, voleva essere sicuro che tu avessi smesso di impicciarti. Quindi ha chiesto a Connor di avvicinarsi alla tua amica e a me di uscire con… Ed, un po’ più spesso.
-“Ali è intelligente. Eppure fragile come il cristallo.” Vi ho sentiti, alla festa di Halloween. –finalmente ricordo. Connor annuisce lentamente.
-Dopo che sei andata via da Maple’s Hill Nathan mi ha telefonato. Ha detto che sapevi di Miguel e che dovevamo farti stare zitta. I dettagli sulle fotografie, ce li ha raccontati per bene Will, non è vero piccola?
Solo adesso la vedo. Su un’altra sedia, in un angolo, il labbro inferiore spaccato e i lividi già neri. “Mi dispiace” prova a dire. Non serve. È a me che dispiace.
-Perché mi avete raccontato tutto?
-Perché, Ali –sussurra l’amico di Vincent –siamo sicuri che dopo stasera non lo dirai a nessuno.
 
Mi hanno dato qualcosa da bere e mi hanno spostato nell’angolo con Willow.
È solo quando al posto del ragazzo albino mi trovo davanti Andrew che realizzo di non avere nemmeno preso le medicine.
Devo andare via di qui, alla svelta.
Non senza Willow.
Sono rimasti solo in tre: Connor, Chad e Occhi Chiari. Probabilmente gli altri sono fuori a fumare.
-Will –sussurro. –Ho un coltellino nella borsa. Se riesco a prenderlo…
Lei annuisce impercettibilmente.
-State zitte! –grida Connor.
Qualsiasi cosa mi abbiano fatto bere, sta iniziando a fare effetto. Faccio fatica a pensare lucidamente, ma riesco comunque a trovare una specie di scusa.
-Le stavo dicendo che mi servono… delle medicine. Nella borsa. –lui esita. –Per favore… Vi ho già dato il telefono…
Sento salire l’adrenalina solo quando Connor mi appoggia la borsa sulle gambe e grugnisce di fare in fretta.
Le immagini si sdoppiano. Dove diavolo ho messo il coltellino?
Il mio piano fa acqua da tutte le parti.
Non mi sento per niente bene, loro sono in tre, possono chiamare aiuto da un momento all’altro e i polsi di Willow sono legati dietro alla sua schiena.
Dio, sto per vomitare di nuovo.
La tasca interna. Il coltellino è nella tasca interna.
Aspetto che tutti e tre stiano guardando da un’altra parte, prima di fare scivolare il coltellino tra le mani di Willow e tirare fuori il tubetto di plastica verde con le pastiglie dalla mia borsa.
Connor sta parlando al telefono. Chad e Occhi Chiari discutono sottovoce. Spero solo che gli altri due siano abbastanza lontani…
-Fatto –mormora Willow. La corda che la teneva legata adesso è a terra, tagliata a metà.
Riprendo il coltello. –Ok. Qualsiasi cosa succeda tu devi andare alla porta, la devi aprire e devi correre via. Capito? Willow, qualsiasi cosa succeda.
-Ma…
-No. Fallo e basta. -le sorrido cercando di sembrare fiduciosa, mentre in realtà vorrei solo svegliarmi e scoprire che si è trattato solo di un incubo.  -Sto per vomitare! –esclamo poi a voce più alta. 
-Cazzo. Non dovevi colpirla in testa così forte –sbotta Chad. Nello stato in cui mi ritrovo, simulare un conato non mi riesce nemmeno così difficile. Nel giro di due secondi mi ritrovo davanti al viso uno di quei secchi in cui i pescatori mettono i pesci, retto dal ragazzo albino.
Prima vomito, poi sollevo lo sguardo verso Occhi Chiari. Lo colpisco con tutta la forza che ho. Il ragazzo, che non se l’aspettava, cade all’indietro. Io e Willow scattiamo in piedi e ci lanciamo verso la porta, a cui però si è già parato davanti Chad. Grazie a Dio è il più basso dei tre. Tiro fuori il coltello e –Togliti! –urlo.
-Oh, Alianna è armata! Mettilo via, dai, non bisogna giocare con certe cose.
Non mi fermo neanche a riflettere. Lo sento imprecare e gridare di dolore, mentre la sua mano sanguina copiosamente e Willow apre la porta. È quasi finita. Ce l’abbiamo fatta.
Poi qualcuno mi afferra per le spalle e mi tira indietro. Mi divincolo, tiro calci, urlo, piango, cerco addirittura di morderlo. Ma Connor è maledettamente forte e non molla la presa.
-Tu non vai da nessuna parte –mi sussurra. È così vicino al mio orecchio da farmi venire i brividi lungo la spina dorsale. Non devo cedere. Manca così poco… Con un ultimo, disperato tentativo, raccolgo tutte le forze che mi rimangono e sbatto la testa indietro contro il cranio di Connor.
Si sente un orrendo crac e il sangue caldo di un naso rotto mi cola addosso. Cadiamo entrambi. Devo colpirlo con un paio di calci prima di essere libera, poi posso finalmente correre fuori.
L’aria è gelida. Un po’ a causa del buio e un po’ per la droga, non riesco a vedere nemmeno dove sto andando. Continuo a correre e basta. Ogni tanto sbatto contro il tronco di un albero. C’è un sentiero, da qualche parte, devo solo…
Inciampo, cado e mi rialzo subito. Non mi posso fermare.
Continuo a correre. Alle mie spalle ci sono delle voci e dei passi decisamente troppo veloci.
Non ti puoi fermare. Non ti devi fermare. Cazzo, corri.
E poi urlo. Urlo anche se so di essere troppo lontana da qualsiasi centro abitato. Anche se così la testa pulsa ancora di più.
La terra si muove. Si alza e si abbassa sotto i miei piedi, come il pavimento di quelle case stregate dei luna park. Mi devo appoggiare ad un tronco umidiccio, con i polmoni in fiamme e gli occhi serrati.
Vai avanti, maledizione. Ti raggiungeranno.
La luce delle torce inizia già a danzare alle mie spalle. Ormai è solo questione di tempo prima che mi trovino.
Ghiaia sotto alle mie scarpe. Dio, grazie.
Ci sono quasi.
E poi cado di nuovo. La strada è in discesa, perciò rotolo per parecchi metri prima di sbattere la schiena contro qualcosa di duro e irregolare. Il dolore mi toglie il fiato per un po’.
Se solo il mondo smettesse di girare. Se solo avessi preso quelle maledette medicine. Se solo avessi fatto finta di bere qualsiasi cosa mi abbiano dato. Mi rannicchio in posizione fetale.
Ti ricordi l’altra volta che sei venuta in questa foresta di notte? Avevi quindici anni. Era una scommessa tra te, Vincent e Giselle. Voi due dovevate trascorrere almeno due ore in mezzo a quegli alberi, al buio… adesso ti ricordi? Ti ricordi delle barzellette stupide che vi raccontavate per passare il tempo e non morire di paura?
No. Per favore, no. Adesso no.
-Aaaaliii!! Giochi a nascondino? –canticchia Occhi Chiari. Inizio a singhiozzare.
-Siamo arrivati alla fine, eh? Non è emozionante?
È tutto nella tua testa. Non è davvero la sua voce.
-Gi…Giselle?
-Tra un po’ ti troveranno. Ormai sono vicini. Oppure rinunceranno e ti lasceranno qui. Non ti illudere, Ali, morirai comunque congelata.
È nella tua testa. Non è reale.
-Gis. Gis, mi dispiace! Mi dispiace così tanto! So che è colpa mia. Dovevo fare in tempo. Volevo solo...
-Shhh, lo so cosa volevi. Ma è finita così. Ti aspetto, Ali.
-No! Non mi lasciare qui da sola! Ti prego! Giselle!
È troppo buio perché riesca a vedere, ma so che se n’è andata. E qui fa davvero troppo, troppo freddo.
Nei miei sogni mi capita di annegare, di essere strangolata e di morire con Andrew nell’incidente. Non mi sarei mai aspettata di congelare.
 
Tempo, è passato tempo. Non so quanto. Nei film dicono sempre di non addormentarsi, di fare di tutto per rimanere svegli. Quello che non dicono mai è quanto sia difficile. Non sono in grado di rialzarmi, questo ormai è chiaro. Ho perso la sensibilità alle dita delle mani, al naso e ai piedi. Non riesco più a distinguere le allucinazioni dalla realtà e ho tanto freddo.
Spero che qualcuno mi trovi, va bene anche Connor, basta che mi portino via da qui.
-Aiuto. Per favore, aiutatemi –gracchio. Figuriamoci, nemmeno io riesco a sentire la mia stessa voce.
 
-Ali… Ali parlami… Di’ qualcosa… Va bene tutto, piccola, però parla, ok?
-Ed?
-Sono qui. Sono qui, Ali, tranquilla. I poliziotti stanno arrestando Connor e gli altri, noi dobbiamo solo aspettare che arrivi l’ambulanza. All, mi senti?
-Speravo quasi di trovarti già morta. Sarebbe stato meglio. Dovevi morire tu, sai, non Andrew e Giselle.
-Ed? Ma… Cosa stai…?
È nella tua testa. Non è vero.
-Resisti. Tieni duro, Ali. Come gli “uomini veri” della canzone di Mulan. Com’è che faceva? Me ne canti un pezzo? “Sarai, veloce come è veloce il vento, e sarai…”
-Perché è tutta colpa tua, lo sai? No? E di chi credevi che fosse? Dovevi morire tu.
No. Non è reale. È tutto nella tua testa.
È solo un’allucinazione. Ed ti ama. Andrà tutto bene.
È nella tua testa.
-Sei… Ven…uto
-Certo che sì. Anzi, scusa se ci ho messo così tanto, ma quegli idioti gli sbirri all’inizio non mi credevano nemmeno. Ho sul serio detto “gli sbirri”? Sembro uno di quelli di Criminal Minds. Tu lo guardi? Dio, ti prende troppo, è così…
-E…d…
-Giusto. Scusa. Sei tu che dovresti parlare. Andrà tutto bene, All, te lo giuro.
-Non…
-Lo so che non si giura, ma tanto tu non lo dirai a nessuno. Vero?
Visto? Lui non ti farebbe mai del male.
-Ti ho detto quanto mi ha spaventato la tua telefonata? Erano tipo le otto e mezza, io stavo cercando di mangiare e… volevo convincerti a non farlo e forse sarebbe stato meglio. Il tuo piano però era intelligente. Sei coraggiosa, All, sei tu che porti i pantaloni nella coppia.
-Fr…ed…do…
-Lo so. Lo so, piccola. Non ti devi preoccupare, l’ambulanza sta arrivando. È finita. Ce l’abbiamo fatta. Quei bastardi andranno in prigione ed è tutto merito tuo. Giselle sarebbe fiera di te. Anzi, lo è. Giselle è molto fiera di te.
Dio quanto ti amo.
-Ti amo, Ali. Ti amo tantissimo.
-…nche… Io…
-Andrà tutto bene.
Lo so. Andrà tutto bene per davvero.





 

No, non posso aver finito l'ultimo capitolo. Manca solo l'epilogo, vi rendete conto? Oggi sono particolarmente sentimentale, un po' la colpa è de "Il Circo della Farfalla" l'avete mai visto? E dire che di solito non piango mai per i film. 
Basta divagare.
Questo era l'ultimo capitolo. Il titolo è tratto da quella fantastica canzone dei Cranberries che è riportata anche all'inizio - ascoltatela se non la conoscete, merita tantissimo. Avevamo lasciato Ali in balia di Connor e compagnia bella, adesso finalmente sapete tutta la verità. Spero anche che abbiate capito. Le ultime parti sono volutamente confuse, a causa del pov. Se Ali rimanesse perfettamente lucida in momenti del genere sarebbe completamente ooc. 
Rimando i ringraziamenti e i sentimentalismi vari alla prossima volta, adesso lascio la parola a voi :) Ho notato un calo nelle recensioni, se non vi piace quello che scrivo ditelo, mica mi offendo ahah

Ci vediamo all'epilogo
Gaia ♥

 

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Capitolo 27
*** See you soon ***





See you soon.
 



Sottofondo musicale



A Nina, perché questa storia ci ha fatto conoscere
Ad Alice, che crede ancora che Ed sia suo (sai che ti voglio bene)
A Sara, perché prima di questa storia manco sapeva che scrivessi
E infine, a Ed






Una sera di fine gennaio Vincent Sunders cambia la sua situazione sentimentale su Facebook da “single” a “impegnato”. Da qualche parte, davanti al suo computer, Willow Reed sorride.
 
 
Un pomeriggio di metà marzo Ed Sheeran scopre, grazie ad una misteriosa telefonata, di essere il vincitore di un concorso a cui non si è mai iscritto. Le parole “inciderai un disco” lo fanno saltare e improvvisare danze tribali per dieci minuti buoni, poi decide di richiamare la casa discografica, giusto per essere sicuro di non avere le allucinazioni.
«Io non mi sono mai iscritto» dichiara.
«Sì invece.»
«Le dico di no. Me lo ricorderei, in caso contrario.»
«Senti, Ed, non puoi goderti la vincita e basta?» A quanto pare è tutto vero.
«Mi scusi?»
«Ti sarai iscritto e poi l’avrai dimenticato. Capita.»
«Non sono così tanto rintronato!»
Il povero dipendente della casa discografica sa benissimo che il ragazzo ha ragione. Ha solamente giurato di non dirglielo.
 
Successe a febbraio, a una settimana dal termine delle iscrizioni al concorso. Una ragazza con i capelli castano mogano e gli occhi grigi si presentò praticamente all’orario di chiusura e gli sventolò davanti un volantino fucsia.
«È il posto giusto?»
«Sì. Quel cartello appeso sulla porta è lì apposta» le aveva fatto notare l’operatore – Bill.
L’espressione stoica della ragazza non cambiò. Dopo aver armeggiato un po’ con la borsa, tirò fuori un cd. Sulla copertina c’era scritto il nome “Ed Sheeran” con un pennarello blu.
«E questo cos’è?» chiese Bill.
«A lei cosa sembra? Ed Sheeran. Un partecipante che non potrà essere presente alle selezioni per… motivi familiari. Ecco il modulo di iscrizione, – e a questo punto aveva appoggiato anche una cartelletta trasparente sulla scrivania di Bill – non dovrebbero esserci problemi, giusto?»
Bill diede un’occhiata ai fogli. Erano firmati da una certa Sandy Parker che dichiarava di essere la zia e tutrice legale di Ed Sheeran.
«Diventa maggiorenne tra una settimana» spiegò la ragazza.
«Non so se…»
«Diamine, guardi quel video. È lui la persona che cercate. Senza “ma”. E con questo la saluto.»
Aveva fatto appena quattro passi in direzione dell’uscita prima di voltarsi di nuovo, titubante.
«Mi giura una cosa?»
«Non si giura.»
Lei respirò profondamente, come se si stesse trattenendo dall’ammazzare Bill.
«Tanto avrà già capito tutto, quindi... Quando vincerà il concorso, perfino quell’idiota di Ed Sheeran si farà due domande. Allora telefonerà. Lei mi deve giurare che non gli dirà niente di me e del video. Neanche una parola. Intesi?»
Bill invece non riusciva a capire; la ragazza sbuffò esasperata. «Andiamo, siamo in America! Nei film questo genere di cose succede sempre. Me lo giuri e basta» aveva insistito lei.
Bill aveva effettivamente visto parecchi film su quel tema e si lasciò convincere (anche lui desiderava il sogno americano, dopotutto). Alla fine la ragazza riuscì perfino a farlo giurare.

Adesso, come da previsione, Ed Sheeran ha telefonato. È arrivato il momento di mantenere quel giuramento, il problema è che questo ragazzo è un osso duro.
 
Bill sospira. «Ok. Probabilmente i miei anni al Purgatorio aumenteranno per colpa tua, ma… dettami l’indirizzo mail.» Ed, che ormai ha imparato a non fare più domande, obbedisce. Controlla la casella di posta elettronica dopo cinque minuti e scopre che il simpaticone al telefono gli ha inviato un video. Ed non si chiede niente nemmeno mentre apre VLC e guarda il filmato.
Un prato.
Delle mani sollevano la telecamera. Un giubbotto verde. Capelli scuri. Occhi grigi. Occhi che lui riconoscerebbe tra mille. La proprietaria di quegli occhi incredibili si schiarisce la voce.
«Ok, salve, sono Ali. Non sarò io a cantare, vorrei risparmiarvi i terribili suoni prodotti dalle mie corde vocali. Ho filmato il mio amico Ed mentre canta parecchie volte e quell’idiota non se n’è mai accorto. Non preoccupatevi, non sarà la reincarnazione di Alber Einstein, ma canta da dio. Io però non vi ho detto niente. Anzi, mi fate un grosso favore? Non fategli vedere questo video. Anche quando l’avrete scelto, perché lo sceglierete, non ditegli nulla del filmato. Questo è tipo il mio regalo di Natale in ritardo.»  
Sorride, il viso paonazzo, ancora incredula per quello che sta facendo.
Una lacrima riga la guancia di Ed.
Poi parte il primo filmato. Lui al locale di Bart, che canta la sua cover di Wanderwall. In macchina, il vento che gli scompiglia i capelli, le lentiggini e Wish you were here che ad Ali era piaciuta così tanto. Infine, dei cortometraggi che lo lasciano a bocca aperta. Lui sulla spiaggia, la sera della loro fuga. Chasing cars, Guiding lights e Someone like you.
Ormai sta piangendo come una femminuccia, ma non ci può fare nulla.
L’inquadratura torna ancora su Ali.
«Avete sentito, no?  È bravo, diamine. C’è ancora una cosa che voglio farvi sentire. Non ditegli nulla, eh, dopo quest’ultima canzone potrei fare una brutta fine. E sapete perché? Be’ sapete, l’ha scritta lui. Sì, il mio amico Ed Sheeran è un cantautore. Questo pezzo si intitola Give me love. L’ho registrato di notte, sul tetto di un palazzo, quindi l’audio non è dei migliori. Dopo questa capirete che il pazzo che stavate cercando è lui...» sorride, gli occhi lucidi «Non ringraziatemi. Ciao a tutti
Sullo schermo compare un’immagine dell’oceano e dopo due secondi parte la registrazione.
Ed ricorda quel giorno come se fosse ieri. Il vento, il freddo di metà febbraio, la birra disgustosa e le risate. Era San Valentino. Lui e Ali avevano ballato su quel tetto fino a notte fonda e lei a un certo punto l’aveva addirittura convinto a cantare. E quale migliore occasione di quella, per inaugurare Give me love? Dopotutto l’aveva scritta pensando a lei. In tutto quello che Ed Sheeran scrive c’è un po’ di Ali, a partire da The A Team – tranne che per la parte sulla prostituzione – fino alle sue ultime canzoni.
Quando finalmente smette di tirare su con il naso, riprende il telefono e va sui registri di chiamata.
«Senta, lei è ancora quello di prima?»
«Dipende. Tu sei Ed?» chiede Bill.
Quella vale già come risposta alla sua domanda. «Va bene.»
«Va bene?»
Ed annuisce, pur sapendo che l’altro non può vederlo. Guarda lo sfondo del suo computer, una foto di lui e Ali al lago. Dio, quanto ti amo.
«Mi godrò la vincita e inciderò quel disco. Quando si comincia?»
«Ti contatteremo noi. Ascolta, Ed… tieniti stretto quella ragazza. E se le dici qualcosa sei morto, perché mi aveva fatto giurare di tenere la bocca chiusa.»
«Ma non si giura.»
«Lo so.»
 
 
 
 
È una mattina di inizio giugno.
Ali Crawford abbandona la bicicletta contro il muro senza legarla, perché tanto nessuno gliela ruberà mai.
Cammina. Ogni tanto si passa una mano tra i capelli corti – se pensa alla reazione di Willow ride ancora – e sorride. Ci voleva proprio un cambiamento del genere.
Ha una strana sensazione allo stomaco, come quando aspetti i risultati di una verifica o stai per aprire una lettera importante.
Ali Crawford cammina. In mano regge un mazzo di margherite e il diario blu, perché finalmente l’ha finito. L’ha davvero finito.
Non è mai stata un tipo da “caro diario”, lei, e non ha mai usato la penna blu sulla carta rosa.
Ha sempre odiato High School Musical e non ha mai avuto una cotta per Zac Efron, perché i capelli che aveva da piccolo erano alquanto terrificanti.
Lei è solo la ragazza invisibile – ormai da anni.
Però non le dispiace. Non più.
Ha iniziato quel diario per via della foto di Giselle infilata tra la copertina e la prima pagina e ha deciso che forse quello era un buon sistema per far conoscere la verità. E c’è riuscita. A modo suo, ma c’è riuscita.
Si arrampica su per quella collinetta assurdamente ripida e quando arriva in cima quasi non ci crede. Ha un groppo in gola.
Appoggia diario e mazzo di fiori contro la pietra grigia. Sospira. Ha già fatto tre passi nella direzione da cui è arrivata quando una folata di vento più forte delle altre la blocca.
Doveva aspettarselo.
Gira sui tacchi e si siede, la schiena appoggiata alla vecchia quercia e le gambe distese in avanti.
Ali Crawford sorride.
«Non potevi lasciarmi andare via così, vero?»
Le risponde solo il vento che muove le fronde degli alberi.
«Ciao. È da un po’ di tempo che non facciamo una bella chiacchierata, noi due. Forse ti starai chiedendo perché abbia deciso di farmi viva proprio oggi. Be’… domani parto per la Columbia. Quella Columbia. Sì, hai capito bene. Ci credi? Sono diventata una secchiona di merda. Sto per andare al college, donna. – Ridacchia. – Bridget andrà alla NYU a fare giornalismo. Probabilmente condivideremo l’appartamento. Vincent frequenterà una scuola d’arte in California, mentre Willow farà medicina. Ovviamente. Non è una che si accontenta, lei. Un giorno mi ha detto che ti deve un favore. Non mi direte mai di cosa si tratta, vero? Accidenti a voi. – Ha gli occhi lucidi e, anche se non lo ammetterà mai, il labbro inferiore le trema giusto un po’. – Un mese fa c’è stato il processo. Li hanno condannati tutti. Dopotutto, sono già maggiorenni. “Prigione dei grandi”. Ma non parliamo di loro.»
«Questi mesi sono stati folli. Ed ha registrato il suo primo disco che, tra parentesi, esce tra due settimane. Dio. Forse la fama gli darà alla testa e lo troveremo in una di quelle assurde feste dei vip, hai presente? Me lo immagino, Ed, in mezzo a quella gente. – Fa una pausa. La scusa è quella di prendere fiato, ma in realtà ha un assoluto bisogno di soffiarsi il naso. – Le cose tra di noi vanno così bene… Comincio a credere che forse non morirò zitella con quattordici cani, come ho sempre pensato. Forse passerò il resto della mia vita con un cantautore pazzo e ginger, a cantare sui tetti e a girare l’America su un furgoncino hippie. Sarebbe una figata. Una figata assurda. Perché lo amo, sai. Amo Ed Sheeran. E pensa che sono perfino riuscita a dirglielo. Pazzesco. Ti sarebbe piaciuto, sai? – singhiozza, – Ed. Ti sarebbe piaciuto un casino. Con i gusti da sfigati che vi ritrovate... Non so chi sia messo peggio, ad essere sincera. Lui l’anno prossimo mi seguirà a New York, dato che ha vinto una borsa di studio per il canto. Ha anche promesso che a luglio ce ne andremo entrambi a Parigi. Io non vedo l’ora, ma questo non dirglielo. Stiamo già mettendo da parte i soldi, anche se con quel disco farà i milioni e potrà permettersi un jet privato. Diventerò la ragazza scontrosa di un cantante famoso, quella che ogni tanto tiene dei corsi di fotografia e per non fare la figura della mantenuta.»
Ali guarda il cielo. C’è una nuvola che somiglia in un modo impressionante ad un hot dog.
«Mi manchi tantissimo. Adesso sono quasi guarita. Praticamente le allucinazioni non ci sono più. Però tu continui a mancarmi e mi sa tanto che sarà sempre così. Anche adesso che so cos’è successo davvero, anche adesso che vorrei prenderti a sberle perché non sei venuta da me. Mi manchi anche in questo momento. Perché mi sa che il dolore non passa, diventa solo più gestibile. Il punto è che avresti dovuto essere qui. Saresti stata euforica per il college, avresti letto il famoso discorso alla cerimonia del diploma, mi avresti telefonato nel cuore della notte per farmi domande stupide, avresti fatto comunella con Ed, non mi avresti mai fatto guidare la tua macchina, avremmo nuotato nel laghetto in estate e mi avresti trascinata in un assurdo viaggio on the road fino al Gran Canyon, proprio come volevamo da piccole.»
Ali Crawford  si alza in piedi, tenendo lo sguardo fisso sulla lapide.

Giselle Marie Dawson, 1995 – 2011

Accarezza l’incisione e, senza smettere di sorridere, appoggia contro la lapide una foto di loro due al lago, proprio sopra al diario blu.
Poi inizia a ridiscendere la collinetta.
Si blocca ancora, stavolta a metà strada, mentre una rondine disegna degli ampi cerchi nell’aria sopra di lei.
«Tu quello che ti ho raccontato lo sapevi già, ne sono sicura. Sei sicuramente lassù che mi guardi e ridi del mio nuovo taglio di capelli. Ti conosco, io – Ali Crawford ride. – Pensa a quante foto stupende potrò fare a New York City!»
Tre passi.
«Ciao, Gis. Ti voglio bene.»
Ali raggiunge la sua bici - perché le macchine, si sa, non fanno per lei. Monta in sella, avverte Ed Sheeran che sta per arrivare e pedala via.


 

 

 

Non dovevo pubblicare oggi. Stasera però devo stare a casa (causa: levataccia domani) e non me la sentivo di tenere questo capitolo nel mio pc ancora per molto.
Dio santo, l'ho finita davvero.
Probabilmente vi aspettavate un epilogo completamente diverso. Se sì, mi unisco anche io. Ci ho anche provato, a scrivere un epilogo diverso, ma circa alla seconda pagina word mi sono resa conto che questa storia doveva finire così e non c'è niente da fare. Un finale alternativo sarebbe stato semplicemente assurdo e forse sarei andata OOC. A dire il vero la scena finale ce l'avevo in mente da tanto - e con tanto intendo il capitolo sei - non sono riuscita a trattenermi.
Spero vi sia piaciuta. Lo spero davvero, con tutto il cuore, perché ci ho seriamente messo l'anima. Non avevo mai scirtto una fic del genere e sono felice di averlo fatto. Spero che vi siate affezionate ad Ali al "mio" Ed, a Willow, Bridget, Vincent, Nathan, Giselle e tutti gli altri. Io l'ho fatto. Schiacciare il pulsante "completa" ha fatto un effetto allucinante. Invisible è finita. E devo ringraziarvi tanto tanto, perché non mi aspettavo nessuno tipo di "successo" e sicuramente non pensavo che sarei arrivata al terzo posto tra le storie più popolari. Grazie sul serio ♥
Me lo fate un favore? Potreste lasciare un commento all'epilogo, anche le lettrici silenziose? Lo apprezzerei tantissimo.
Grazie ancora.
Buona estate a tutti,
Gaia♥


P.S.Il titolo di quest'epilogo è tratto ovviamente dalla stupenda canzone dei Coldplay. In questo periodo sono ossessionata. 

Qui c'è una os che dovrebbe fare da sequel:


Sono Ed e Ali. Lui fa lo sdolcinato, lei lo smonta (arrossendo segretamente). Ancora una volta sono arrivati sull’orlo del precipizio e ancora una volta riusciranno a tornare indietro. Funziona così. Sotto sotto addirittura le piace.
 

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