My mum's secret diary

di Onedirection_robsten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who is he? ***
Capitolo 2: *** Asthma attack ***
Capitolo 3: *** Dad. ***
Capitolo 4: *** He. ***
Capitolo 5: *** Quello sconosciuto di mio padre ***
Capitolo 6: *** Fotocopie ***
Capitolo 7: *** She's dead. ***
Capitolo 8: *** I Wilson ***
Capitolo 9: *** Il metodo della nonna ***



Capitolo 1
*** Who is he? ***


- credo che passerò un po’ di giorni in ospedale, sai piccola?- chiese dolcemente mia madre, sedendosi sul divano accanto a me.
Misi in pausa il film, girando la testa verso di lei; il coraggio di guardarla negli occhi non l’avevo, tantomeno quello di parlare. In quel periodo era diventato tutto più difficile, mangiava sempre meno, dormiva poco, e a malapena aveva la forza di reggersi in piedi; ed io ero lì, ferma, che non potevo fare niente se non vederla scomparire dai vestiti.
Lanciai un’occhiata alle sue mani, sempre più magre, sempre più sottili, sempre più fragili. Non portava neanche più la fede ormai, si era fatta troppo grande per lei, le usciva e aveva paura di perderla; però l’aveva attaccata ad una collanina che portava al collo, accanto ad un ciondolo a forma di “E”, ovvero l’iniziale del mio nome. Diceva che le piaceva sapere che io e papà eravamo sempre accanto a lei, in ogni momento, in ogni istante; “Quando le cose non vanno tanto bene, stringo forte la collana e ho la forza di andare avanti” mi ripeteva in continuo, solitamente la sera, prima di andare a dormire.
Anche se sapevo che lei non dormiva, restava a fissarmi mentre dormivo, accarezzandomi i capelli e il volto, scolpendosi nella mente ogni mio più piccolo particolare; del resto era quello che io facevo con lei mentre riposava. Non volevo ammetterlo, ma la consapevolezza che lei se ne stesse andando si faceva sempre più viva, ed io volevo ricordarmela in ogni sua più piccola sfaccettatura.
Sapere che mi avrebbe potuto lasciare da un giorno all’altro mi faceva impazzire, volevo fare con tutta me stessa qualcosa per bloccare la sua malattia, per impedire al tumore di espandersi ancora di più, ma non potevo fare niente, e la cosa mi distruggeva ancor di più.
Forse la cosa peggiore di tutte era che, una volta persa mamma, sarei rimasta da sola. Papà era sempre in viaggio per lavoro, lui e i suoi stupidi affari non gli permettevano mai di restare per più di una settimana a casa, a volte non lo vedevo per mesi; da quando avevano rilevato il cancro a mamma la situazione era persino peggiorata: le chemio costavano, e per far si che ci fossero abbastanza soldi lui lavorava ancora di più, anche se, secondo me, non era altro che un modo per distrarsi dalla malattia di mia madre; come se pensare meno alla cosa rallentasse il processo di infezione delle cellule, beh, si sbagliava.
Mia nonna non l’avevo mai conosciuta, dato che mamma era rimasta incinta di me ai soli sedici anni l’aveva cacciata di casa, dicendole di non farsi più vedere; i genitori di mio padre, invece, erano tragicamente morti in un incidente. Inoltre papà era figlio unico, per cui non avrei avuto neanche un sostegno da parte di zii o cugini; mamma aveva una sorella minore, ma come i miei nonni, non l’avevo mai conosciuta.
 
Portai lo sguardo sul viso di mia madre, con un sorriso sincero dipinto sulle labbra; sorrideva sempre, anche se sforzatamente, lei sorrideva. Per lei la vita era un dono, e andava vissuta fino all’ultimo giorno con il sorriso; nessun dono di Dio doveva essere sprecato, tantomeno una vita.
- perché?- domandai, con voce tremante.
Sospirò, aggiustandosi i capelli con una mossa veloce. Da quando aveva iniziato la chemio i capelli erano sempre di meno, era stata costretta a tagliarli. La chemio l’aveva distrutta, le stava togliendo la voglia di vivere, ed era una cosa che non potevo accettare.
Per quel motivo ogni giorno cercavo di renderla fiera, cercavo un’attività con la quale intrattenerla, cercavo di farle spuntare quel bel sorriso che aveva. Perché mia madre era bellissima, e non lo dicevo solo in quella situazione, lei era davvero la donna più bella che avessi mai visto; aveva, prima che l’inferno cominciasse, dei lunghi capelli castani, era magra, alta, con le curve sviluppate al punto giusto, ma niente batteva i suoi occhi. Blu, come l’oceano, bellissimi; ogni giorno risplendevano di una strana luce, una luce bellissima. E dopo tanti anni, vedere i suoi occhi spenti, senza quella luce, era bruttissimo.
 
Mi resi conto da sola della stupidità della mia domanda. Perché doveva andare in ospedale? Sicuramente non per una visita ai bambini malati.
- vedi, un paio di giorni fa i medici mi hanno fatto una proposta…- iniziò, accarezzandomi il viso.
M’accigliai – che proposta?- domandai subito, girandomi con il corpo verso di lei.
Allargò per pochi secondi il suo sorriso, sussurrandomi di stare tranquilla.
- non è nulla di grave, tesoro, appena arriva papà ti spiegherò meglio la cosa-
Annuii, senza insistere sulla situazione, anche se capivo benissimo la delicatezza della cosa. Se voleva papà al suo fianco c’erano solo due opzioni: o era una cosa difficile, o era una cosa bella. E date le circostanze, potevo intuire benissimo di cosa si trattasse.
In quei giorni l’unica cosa che potevo fare era aspettare, e a quanto pareva, avrei continuato a farlo.
- che stavi vedendo?- chiese poi allegramente.
Sorrisi – Mulin Rouge-
Si mise comoda accanto a me, posando la testa sulla mia spalla e i piedi sul tavolino. Certo, non poteva andare meglio di così: un film dove lei alla fine moriva, un film per niente adatto alla situazione.
Guardammo silenziosamente la tv, mentre la sua mano stringeva e accarezzava dolcemente la mia; mamma aveva un tocco delicatissimo, e negli ultimi giorni la sua temperatura corporea era scesa, ogni tocco equivaleva ad un brivido di freddo.
 
Quando entrambe sentimmo il rumore della serratura che scattava, drizzammo le teste, guardando con ansia la porta. La figura di papà apparve dietro di essa, composta come sempre, con la cravatta ben annodata e la camicia chiusa fino all’ultimo bottone.
La valigetta di pelle marrone era stretta nella mano sinistra, mentre con la destra tolse le chiavi dalla serratura; richiuse la porta con il suo peso, appoggiando la giacca e la valigetta sulla panca, per poi allargare le braccia.
Corsi verso di lui, facendomi stringere dalle sue braccia forti, facendomi infondere quella sicurezza che stava vendendo a mancare giorno dopo giorno; era quello lo scopo del padre, no? Dare forza e sicurezza alla famiglia.
Dopo che mi staccai, andò verso di mamma, chinandosi leggermente su di lei per lasciarle un dolce bacio a stampo; lei sorrise, lui fece lo stesso, ed io inevitabilmente non potei fare a meno di copiare le loro mosse.
Papà si tolse anche la giacca, posandola sul bracciolo del divano.
- vado a farmi la doccia e torno subito, ok?- domandò, rivolgendo uno sguardo prima alla sua amata, poi a me.
Io e mamma annuimmo, e lui, prima di salire per lavarsi, lasciò un ultimo bacio sulle labbra di mia madre. Tornai a sedermi accanto a lei, rimettendo in onda il film.
 
- quindi, quale sarebbe la proposta dei medici?- domandai, una volta finita la cena.
Mamma allungò una mano verso papà, prendendola e stringendogliela forte, così forte da fargli male.
- c’è un operazione che potrebbe salvarmi, diciamo- spiegò mamma, senza distogliere lo sguardo dagli occhi grigi di mio padre.
Da una parte avrei voluto urlare di gioia, abbracciare entrambi e ringraziare il Signore per aver ascoltato tutte le mie preghiere, ma l’altra mi bloccava, mi confondeva, perché gli sguardi che i miei genitori si scambiavano non erano affatto felici.
- ma?- chiesi.
Mamma abbassò lo sguardo, e lì capii che avrebbe continuato papà, per cui rivolsi tutta la mia attenzione a lui.
- ma potrebbe non reggere l’intervento e…e andarsene prima che i medici esportino il cancro-
Spalancai gli occhi, restando immobile nella mia posizione; il fiato mi si bloccò in gola, così come il nodo che mi si venne a creare nel sentire quelle parole. Non poteva morire per un intervento, non lei, non gliel’avrei permesso.
Le scene d funerali viste nei film si succedevano nella mia mente, avevo gli occhi fissi su un punto indefinito del tavolo, le mani strette a pungo sulle mie gambe. Stava per cominciare l’incubo.
Restai in silenzio per diverso tempo, per minuti, forse per molto di più. Non riuscivo a reagire, non riuscivo a piangere, non riuscivo ad urlare, non riuscivo a muovere un muscolo. Mi sentivo come rinchiusa in una cintura di forza, con qualcuno che mi continuasse a dare continui schiaffi in faccia; mi sentivo sola, persa. Sentivo già l’angoscia scendere su di noi, così come la tristezza, l’agonia, la malinconia.
Volevo che mamma scoppiasse a ridere e dicesse che era tutto uno scherzo, perché si, l’avrei perdonata; volevo che papà mi prendesse in braccio come faceva quando ero più piccola, che mi sorridesse e mi dicesse che tutto andava bene. Volevo qualcuno, chiunque, che mi venisse a svegliare, perché io in quell’incubo non volevo più starci.
Un’adolescente doveva pensare a problemi come cosa indossare il giorno dopo, o come conquistare un ragazzo; non a quali medicine dovesse prendere sua madre alle tre del pomeriggio.
Avrei dato la mia vita per salvare quella di mia madre, ma non sarebbe servito a nulla, lei stava morendo.
Stava morendo, anche in quel momento, davanti ai miei occhi, incapace di guardare sua figlia per la paura. Ma paura di cosa? Paura che le girassi le spalle? Che l’abbandonassi?
Lei non mi aveva abbandonato quando all’età di sedici anni era rimasta incinta di me, ed io non l’avrei fatto.
 
- di qualcosa Emily…- mi pregò mia madre, facendo scontrare i nostri occhi.
Sospirai profondamente, lasciandomi andare contro la sedia. Cosa avrei potuto dire? Era la sua vita in fin dei conti, decideva lei come gestirla; lei era adulta, probabilmente prendeva decisioni che io non potevo ancora capire, io avevo quindici anni, lei trentuno, c’era una grande differenza.
- hai deciso che fare?- chiesi, incrociando le braccia al petto.
Annuì, poco sicura, ritornando per l’ennesima volta con lo sguardo su mio padre. Il suo sguardo sofferente e impaurito mi faceva ritorcere lo stomaco, non era possibile che fosse intimorita da dire una cosa a me, a sua figlia, alla persona che le era stata più vicino in tutta la sua vita.
- mi opero-
Mi sentii crollare all’istante, se non fossi stata seduta probabilmente sarei sbattuta per terra. Sembrava quel tipo di periodo in cui accadevano solo cose brutte, dove c’erano cose brutte e dovevano arrivarne di peggiori, e peggiori ancora. La mia vita mi ricordava uno dei tanti film drammatici che avevo visto, ma quello che stavo vivendo era fottutamente reale. Pensavo che se vedevo più film dove la protagonista moriva, mi sarei abituata all’idea della morte, al non avere più mia madre accanto, eppure mi resi conto che non era così, che quei film non facevano altro che portarmi ancora più tristezza.
- quando?- domandai ancora, mantenendo per me le lacrime.
- dopo…dopodomani- balbettò, con il labbro tremolante.
No, non poteva piangere. Se piangeva lei, crollavamo tutti, io per prima, seguita a ruota da papà; in casa, probabilmente, era mamma la colonna portante, non papà. Non era un offesa a mio padre, era solamente la realtà dei fatti.
Annuii soltanto, senza aggiungere altro; fare domande era inutile, così come provare a farle cambiare idea.
 
Quella notte non dormii, come tutte le altre, ma sapere che ci fosse mio padre a stringere mia madre mi faceva sentire più sicura. Il mio unico pensiero era la sua operazione, un giorno e l’avrebbero operata, un solo fottuto giorno, sarebbe potuto essere l’ultimo che passavo con lei, in sua compagnia.
Avevo una strana sensazione, una cattiva però. Sentivo come se le stesse per succedere qualcosa di brutto, qualcosa dentro di me mi diceva di spiegarglielo, di non farle prendere quella decisione; qualcuno mi stava mettendo in allerta, facendomi capire che mia madre non sarebbe sopravvissuta all’intervento. Avevo paura, paura di perderla, paura di non poterla più abbracciare, di non potermi più prendere cura di lei. Stavo morendo dalla paura, ma lei stava morendo e basta.
- mamma, posso non andare a scuola, per favore? Non mi sento bene- mentii, facendo il mio ingresso in cucina.
Lei guardò un attimo mio padre, con fare incerto; ovvio, mi conosceva, sapeva che stavo mentendo, che non volevo andare a scuola solo per restare quanto più tempo possibile con lei.
Mio padre sorrise, facendole un occhiolino. Sorrisi involontariamente a quella scena, mi ricordavano due adolescenti della mia età che si mettevano d’accordo con piccoli gesti. Mia madre annuii, dicendomi che la colazione era pronta.
- io vado a sbrigare alcune cose, torno per le undici e ti accompagno in ospedale- disse papà, mettendole una mano sul fianco prima di stamparle un bacio sulla guancia.
Salutò me alla stessa maniera, poi uscì dalla porta di retro della cucina. Sospirai, sedendomi sullo sgabello e iniziando a girare lentamente lo zucchero nel latte, nell’attesa che si sciogliesse. Mamma si posizionò di fronte a me, bevendo il suo caffè obbligatoriamente amaro a piccoli sorsi.
- mi aiuti a fare la valigia dopo?- chiese, con un sorrisetto – o stai troppo male?-
Sorrisi anch’io, scuotendo la testa e bevendo il latte, finendolo prima del previsto.
Non mi piaceva il clima che si era creato quella mattina, i miei genitori erano più tesi del solito, ed ovviamente la cosa si riversava anche su di me. Ero sicura che fosse per l’operazione, fin troppo delicata, fin troppo rischiosa per una persona fragile come mia madre; ma sapevo che sotto c’era dell’altro, altro che loro mi stavano nascondendo.
Stavo per chiedere a mia madre delle spiegazioni, ma non feci in tempo a fare niente visto che si alzò di corsa correndo via dalla cucina. Stupido pensare dove stesse andando, era ovvio che la sua meta fosse il bagno; vomitare era un’azione quotidiana, ed era tutta colpa della chemio.
Da quando aveva iniziato il ciclo di cura non smetteva più di correre in bagno, e non capivo perché, infondo non mangiava quasi più, perché vomitava?!
Avevo così tanti dubbi nella mente, tanti dubbi che nessuno era pronto a risolvere, a cui io stessa non volevo trovare una risposta.
Vederla ogni volta piegata in due sul water mi faceva un brutto effetto, vedere quel liquido uscire dalla sua bocca mi faceva capire quanto stesse soffrendo. Le avevano trovato la malattia da pochi mesi, eppure lei sembrava non esserne rimasta sconvolta, anzi, sembrava quasi indifferente alla cosa.
Quello, era uno dei miei tanti dubbi, come il perché non mi volesse mai portare ad una visita con lei; pensavo che non volesse per non farmi preoccupare, ma non capiva che così mi faceva agitare ancora di più.
 
La raggiunsi velocemente, ma quando arrivai, la trovai già in piedi a lavarsi i denti. Mi sorrise apertamente quando ebbe finito, avvicinandosi e passandomi una mano tra i capelli.
- andiamo?- domandò, spingendomi fuori dalla stanza.
Annuii, entrando nella sua camera e sedendomi sul letto suo e di papà, ancora non fatto, osservandola mentre cacciava i vari vestiti che le sarebbero serviti dall'armadio. Mi rilassai, sprofondando con la testa nel cuscino, senza staccare i miei occhi da lei; ed io come avrei fatto a non averla più accanto?
L’osservavo mentre ripiegava le magliette in modo ordinato, assicurandosi che non fossero aggrinzite; chi mi avrebbe ripiegato le magliette dopo che se ne fosse andata?
Mi sorrise dolcemente; chi mi avrebbe più sorriso così?
Iniziò a canticchiare a bassa voce; ed io di chi avrei più ascoltato la bellissima voce?
Asciugai velocemente una lacrima mentre era girata, alzandomi di scatto e dicendole di sedersi per riposarsi, ma no, ovviamente, doveva fare sempre tutto lei, senza l’aiuto di nessuno.
- ed ora il borsone…- sospirò, prima di inginocchiarsi e mettere la testa nell’armadio enorme, cercandolo sul fondo.
Quando si alzò, in mano, non aveva soltanto il borsone, ma anche un piccolo diario rosso, chiuso con un cinturino. Aggrottai le sopracciglia, mentre lei sorrideva emozionata e incredula. Ma di cosa?
Poggiò il borsone per terra e si sedette sulla punta del letto, attenta a non schiacciare i vestiti.
- cos’è?- chiesi, sedendomi vicino a lei.
Il suo sorriso si ampliò, facendo formare la fossetta sulla guancia sinistra; io avevo entrambe le fossette, lei una sola, che a malapena si vedeva.
Passò delicatamente una mano sulla copertina, come se l’oggetto che avesse tra le mani fosse la cosa più importante di tutta la sua vita.
- l’ho cercato per anni..- iniziò, senza guardarmi – qui, c’è tutta la mia vita-
La guardai confusa, non capendo di cosa stesse parlando. Era un diario segreto, e c’ero arrivata, ma non capivo tutta quell’emozione nel rivederlo.
La sentii sospirare ancor più profondamente, per poi vederla chiudere gli occhi e porgere il diario verso di me, ma continuando a tenerlo stretto fra le dita.
- voglio che tu lo legga, e che impedisca a me di fare lo stesso- disse seria.
Scossi la testa, rifiutandomi di prenderlo.
- mamma, è il tuo diario segreto, non il mio!- esclamai.
Aprì gli occhi, sorridendo, e posandomi delicatamente il diario sulle gambe.
- c’è scritta la mia più grande storia d’amore, in tutti i particolari- sussurrò, stringendo la mia mano.
- non voglio sapere i particolari della tua storia con papà- sbuffai.
Sorrise, per l’ennesima volta in quella giornata, portandosi la mia mano alla bocca e lasciandoci un bacio sopra.
- leggilo- disse ancora una volta, prima di alzarsi e finire di mettere le cose nel borsone.
Rimasi stordita per alcuni minuti, chiedendomi perché voleva per forza che io leggessi il suo diario? Io non avrei mai voluto che mia figlia leggesse il mio, se mai ne avessi avuto uno, erano cose private quelle.
Mamma mi avvisò che si andava a preparare, e mi chiese gentilmente di rifarle il letto. Posai il diario sul comodino e le rifeci il letto, facendo attenzione a fare tutto come lei esigeva: la trapunta non doveva toccare a terra, la piega doveva essere ben fatta e i cuscinetti dovevano essere posti in ordine di colore.
Andai in camera mia, facendo il mio letto, anche se in maniera molto più disordinata, e poi andai nel bagno di sotto per lavarmi visto che in quello al piano di sopra c’era mamma. In realtà avevamo tre bagni in tutta la casa, ma uno era più uno sgabuzzino che un bagno, era troppo piccolo.
Mi cambiai subito, pensando a cosa avrei potuto fare nella mattinata; eravamo a inizio giungo, il tempo era perfetto per fare una passeggiata, per andare al parco, per restare in giardino a leggere un libro. Eppure sapevo che avrei passato la giornata davanti la tv, a deprimermi mentre pensavo cosa stessero facendo a mia madre.
Mi vestii velocemente, mettendo un semplice pantaloncino ed una maglietta bianca con le scritte nere, faceva troppo caldo per indossare cose diverse da quelle.
 
Quando uscii da bagno, sentii delle voci da sopra, per cui capii che papà era rientrato. Salii lentamente le scale, andando prima in camera mia per riporre il pigiama, poi in quella dei miei genitori per vedere cosa stessero facendo.
- e dopo che l’avrà letto che succederà?- chiese mio padre, quasi in un sussurro.
Mia madre sospirò – è una sua scelta-
Entrai spedita nella stanza, sorridendo falsamente ad entrambi. Mi nascondevano qualcosa, ed io dovevo capire cosa prima che fosse troppo tardi.
- noi andiamo-
Papà mi anticipò sul tempo, prendendo il borsone di mamma e mettendoselo in spalla. Sbuffai, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuendo.
Lui scese, mentre io lo raggiunsi lentamente con mamma, che aveva bisogno di un supporto per scendere le scale, era troppo debole per farcela da sola.
- ci vediamo presto, ok?- chiese.
Annuii, facendomi stringere forte dalle sue braccia e aspirando il suo profumo buonissimo. Mi sarebbe mancato non potermi stringere a lei nei giorni più brutti, non poter avere il suo conforto.
Mi diede un bacio forte sulla guancia quando si staccò, accarezzandomi l’altra con una mano. Dopo avermi sorriso raggiunse papà, il quale dopo averla aiutata a sedersi in macchina, venne verso di me.
- appena finiscono gli accertamenti ti passo a prendere, ok?- domandò, sorridendo appena.
Annuii felice, per poi salutarlo e chiudere la porta.
Corsi al piano di sopra, in camera dei miei, recuperando il diario segreto di mia madre e scendendo nuovamente di sotto, sedendomi sul divano.
L’aprii velocemente, impaziente di scoprire qualcosa di più su mia madre. Ma non appena lessi la prima frase, rimasi sconcertata.
“Caro diario,
ciao, sono Holly, una qualsiasi ragazza di quindici anni che vive in un piccolo paese, Holmes Chapel. Non ho amici veri, per cui ho deciso di comprare te, e so che mi rimarrai sempre fedele. Scriverò esclusivamente di una persona, di lui, del mio grande amore. Harry Styles.” 



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Salve a tutte! Volevo ringraziarvi di esservi fermate a leggere la mia storia. So che non è un granché, ma vi assicuro che i prossimi capitoli saranno migliori, questa è solo un'introduzione! ;) 
 

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Capitolo 2
*** Asthma attack ***


Rimasi sconcertata dal leggere quelle parole, cosa c’entrava Harry Styles? E chi era? Perché mamma non me ne aveva mai parlato? Perché il suo grande amore era quell’Harry e non mio padre?
Tanti dubbi che potevo risolvere leggendo quel diario.
“ 9 gennaio 2009
Caro diario, oggi ho visto Harry a scuola dopo le vacanze di Natale, è bellissimo, più bello dell’ultima volta! Sai, indossava il maglione che gli aveva regalato mia madre l’anno scorso, continua a stargli a pennello. Oggi appena mi ha visto mi ha sorriso, e mi è venuto incontro lasciandomi un bacio sulla guancia, è stato dolcissimo, ti giuro che avevo le farfalle nello stomaco! Adesso vado che papà mi sta chiamando per la cena, alla prossima! Baci, Holly”
 
Sorrisi appena mentre leggevo, immaginando mia madre alla mia età con la cotta per quell’Harry; chissà come sarebbe continuata la storia tra di loro, e soprattutto, chissà se mio padre era a conoscenza della cosa. C’era ancora tempo, per cui decisi di andare avanti nel leggere, sperando di capirci qualcosa di più, e scoprire cosa mi stava nascondendo mia madre.
 
“14 gennaio 2009
Caro diario, sono giorni che non ti scrivo eh? Beh, purtroppo i professori ci stanno caricando di compiti e non ho molto tempo per fare ciò che voglio… comunque, sono successe cose bellissime in questi cinque giorni. No, nulla che tu credi, davvero. Harry continua ad essere dolce con me, ieri mi ha difesa davanti a tutti mentre Mark mi prendeva in giro per il mio frontino, è stato un vero cavaliere! Oggi siamo tornati insieme a casa, (siamo vicini di casa, non so se te l’ho detto) e prima di andarsene mi ha abbracciato forte e mi ha sussurrato che per me ci sarà sempre… ho ancora il suo profumo addosso, non penso laverò mai questa felpa! È strano il modo in cui si comporta con me, voglio dire, a scuola non mi da molta retta, ma quando siamo soli diventa la persona più dolce del mondo! Vado a studiare prima che mamma s’arrabbi con me, ci vediamo presto! Baci, Holly”
 
Mia madre innamorata di un ragazzo che non fosse mio padre non me l’ero mai immaginata, mai; avevo sempre pensato che lui fosse stato il suo primo amore, non avevo mai chiesto loro come si fossero conosciuti, pensavo che in certe cose non avrei dovuto intromettermi, erano cose private.
Sbuffai quando notai che erano le dodici, e che avrei dovuto provvedere al pranzo se non volevo restare a digiuno; non che avessi molto voglia di mangiare in quel periodo, ma non riuscivo a restare a stomaco vuoto. Certo, la curiosità di leggere il diario era tanta, ma la fame era più forte.
Misi il diario sul divano, alzandomi e andando in cucina per vedere cosa avrei potuto mangiare; potevo cucinarmi un piatto di pasta, o farmi una cotoletta nel microonde, forse un panino sarebbe stato ancora meglio.
Mentre decidevo, il mio telefono squillò, e corsi in salone per andare a prenderlo. Era Jenny, una mia amica di classe, una di quelle a cui ero più legata.
- ehi Jenny - risposi poco entusiasmata, tornando in cucina.
Lei rise appena – dormivi?-
- no, leggevo, non stai scuola?-
Sbuffò – certo che si, volevo solo sapere perché non eri venuta-
Mi sedetti sul tavolo, indecisa se dirgli la verità o no. Purtroppo nella scuola si era sparsa voce del tumore di mamma, per cui tutti i miei amici e i miei professori cercavano di trattarmi bene, di accontentarmi sempre, di assecondarmi; nessuno che mi contraddiceva. Era una situazione piuttosto odiosa, non volevo la compassione della gente, potevo benissimo andare avanti senza far loro pena.
Detestavo quando qualcuno mi chiedeva come stessi, perché la risposta era alquanto ovvia; ma io dicevo quello che loro volevano sentire, così avrei evitato ulteriori domande stupide: “sto bene, è un periodo difficile, ma la vita continua”. Tutti sorridevano, mi dicevano di essermi vicini, e nessuno sapeva come in realtà mi sentissi dentro, uno schifo.
- mamma si opera domani… al cinquanta vive, al cinquanta muore- dissi schietta.
La sentii trattenere il fiato per più di qualche secondo, decisamente scioccata dalla notizia, proprio come l’ero stata io non appena me l’avevano detto.
- mi… mi dispiace..- balbettò – vuoi che vengo da te oggi pomeriggio?-
Sospirai profondamente – no, vado in ospedale da lei, ma grazie lo stesso-
- di niente, ora torno in classe che la Parker mi sta per uccidere.. chiama se hai bisogno di qualcosa-
- certo, ciao-
Chiusi senza darle il tempo di rispondere, buttando alla cieca il cellulare sul tavolo. Leggendo quel diario mi ero quasi dimenticata dell’operazione di mia madre, ero troppo presa dalla sua immagine di normale ragazzina quindicenne per pensare al suo tumore.
Decisi di non pensarci, non potevo abbattermi, non in quel momento mentre lei aveva bisogno di me.
Presi un pacco di patatine gigante dalla dispensa e una lattina di coca cola dal frigo, andandomi a buttare sul divano e accendendo la televisione. Uno di quei programmi stupidi che mandavano a ora di pranzo mi avrebbe sicuramente distratto, o almeno avrei provato a farmi distrarre.
Sapevo che mangiare quella roba non mi faceva bene, e che mamma si sarebbe arrabbiata quando l’avrebbe scoperto, ma non mi andava di mettermi a cucinare e quella era la cosa più facile da mangiare.
Una volta che ebbi finito, mi stesi di fianco sul divano, continuando a guardare i Simpson; e man mano, come da programma, mi addormentai.
 
- Emily… Emily, svegliati!-
Sbuffai irritata quando mio padre cercò di svegliarmi, girandomi dall’altra parte del divano, ma cadendo sfortunatamente per terra.
Lui rise, aiutandomi ad alzarmi.
- Emi, guarda che l’operazione di mamma è stata spostata- disse, sedendosi sul divano accanto a me.
Lo guardai con la coda del’occhio, chiedendogli a quando.
- alle otto di questa sera-
Sgranai gli occhi, girandomi di colpo verso di lui, ma il mio vero bersaglio non era mio padre, era l’orologio appeso alla parete che segnava le cinque.
- co..cosa?- farfugliai – no!-
Sospirò, passandomi una mano sui capelli e facendomi accoccolare al suo petto, come quando ero più piccola.
- dimmi la verità, qual è la vera percentuale?-
Abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. Forse anche lui sentì il rumore del mio cuore che si sgretolava.
- lei..lei lo sa?-
- si- ammise – e mi ha pregato di non dirtelo-
Le lacrime non ressero più, e scoppiai a piangere, aggrappata al petto di mio padre.
Lui mi stringeva forte, mi accarezzava la schiena e mi sussurrava che ci sarebbe sempre stato lui con me. Ma non era la stessa cosa, no, diamine. Io volevo mia madre, io volevo la giovane donna che ogni mattina mi svegliava con un bacio e mi preparava la colazione con i fiocchi; volevo la donna che a fine giornata mi stringeva forte e mi diceva quanto mi volesse bene; volevo la donna che mi aveva visto crescere giorno per giorno; volevo la donna che si accorgeva se qualcosa non andava solo guardandomi negli occhi; volevo mia madre, la mia mamma, la donna che ti accompagnava tutta la vita.
Lei non meritava di morire. Non potevo fare niente per cambiare le cose, non potevo fare niente per provare a farle cambiare idea; quando mamma decideva una cosa, era quella e basta.
Ed io con quale coraggio sarei entrata in ospedale sapendo che quelle erano le ultime ore che avrei passato con lei? Con quale coraggio l’avrei guardata negli occhi, sapendo che sarebbe stata l’ultima volta? Con quale coraggio avrei sorriso, sapendo che lei stava morendo?
 
Ero in camera con lei e papà da quasi due ore, avevamo scherzato di tutto e lei ci aveva dato un paio di consigli sulla casa in quei “giorni” che non ci sarebbe stata. Certo, perché secondo lei io credevo ancora alla balla che mi stava raccontando.
Era bello vederla lì a sorridere, come se non ci fossero problemi, come se non si accorgesse che in realtà stava morendo. La mia mamma era il mio eroe, lei non se ne rendeva conto, ma m’insegnava più cose lei che la scuola; i suoi insegnamenti erano stati i più efficaci, e non solo quelli pratici. Da lei non avevo appreso solo come si facessero i servizi, o come si preparasse una torta, ma anche come non abbattersi nelle situazioni più difficili, come riuscire a camminare a testa alta dopo un’umiliazione, come tener testa a un uomo, come adattarmi alle situazioni anche se brutte. Lei era stato il mio esempio perfetto, e gliene sarei sempre stata grata.
Papà uscì, andando a chiedere qualcosa ai medici e lasciando a me e mamma del tempo per restare da sole. Avevo molte domande da farle su quell’Harry, troppe.
- l’hai più lavata quella felpa?- chiesi, quasi a sfottò.
Lei capì al volo, mettendosi a ridere. Era così bella mentre rideva, il suono melodico della sua risata mi sarebbe mancato più di ogni altra cosa.
- purtroppo si- ammise – quindi lo stai leggendo?-
Annuii, partendo subito con l’altra domanda.
- non è papà il grande amore della tua vita?-
Mi sorrise dolcemente, alzando di poco le spalle. Cosa avrei dovuto intendere da quel gesto? Era un si? Un no? Che voleva dire?
- Harry mi ha lasciato la cosa che amo più di tutte- disse, con l’aria assente e gli occhi sognanti.
Presi un bel respiro, mentre la mia mente entrava in una totale confusione. Era un regalo? E quale? Perché non me n’ero mai accorta?
Gli chiesi cosa fosse, ma lei mi rispose che l’avrei scoperto leggendo. E no, non andava bene, perché io volevo saperlo in quel momento, perché lei stava morendo e non avrei più potuto parlarne. Perché diamine doveva essere così misteriosa? Non avrebbe semplicemente potuto dirmi chi rappresentava quel ragazzo per lei? Il suo primo bacio, la sua prima volta? Si vergognava così tanto a dirmelo?
- lo..tu lo a..ami ancora?- chiesi balbettando, con il cuore che iniziava a decelerare.
Perché se la risposta fosse stata affermativa, sarei davvero crollata. Perché non avrei capito più niente. Non avrei capito perché si era sposata con papà, non avrei capito perché non mi aveva mai detto niente. Inoltre non avrei più creduto nei valori del matrimonio, o della sincerità della coppia. A meno che papà non fosse stato al corrente di tutto, ma ne dubitavo fortemente.
Non fece in tempo a rispondermi perché mio padre rientrò in stanza, facendo notare ad entrambe che era arrivata l’ora.
No. Non volevo lasciare mia madre. Non ero pronta per dirle addio. Non ero pronta per diventare sola. Lei non poteva morire, lei era mia madre, non doveva morire, non l’avrei permesso. E neanche
papà avrebbe dovuto, perché non faceva niente? Perché non la fermava? Perché non le diceva che era tutta una pazzia?
Le lacrime iniziarono a scendere silenziose dal mio viso, e non mi affrettai neanche ad asciugarle, perché sapevo già che ne sarebbero scese altre.
Mamma mi rivolse uno sguardo dispiaciuto, sofferente. I suoi occhi erano rossi, come i miei, ma erano molto più piccoli. Non piangeva. Resisteva. Lei resisteva sempre.
Le pareti bianche rendevano quella stanza vuota, fredda. Come lei, come mia madre, come la donna stesa sul quel lettino, che non aveva neanche più la forza di restare in piedi. Andando in ospedale si era rotta una gamba perché era diventata troppo sottile, incapace di sorreggere il peso del suo corpo. Era inguardabile, aveva le guance praticamente scavate, delle occhiaie molto più che evidenti, ma era ugualmente bellissima. Sembrava che nel giro di una giornata le sue condizioni fossero peggiorate di dieci volte.
 
Papà sospirò pesantemente, poggiandomi una mano sulla spalla. Non appena sentii il suo tocco, scattai, buttandomi tra le braccia di mia madre.
- non lo fare, ti prego mamma, non lo fare!-
Urlai, strepitai, tirai pugni al materasso e la strinsi talmente forte da farle male. Non potevo permetterle una cavolata del genere, lei non poteva morire di sua volontà.
- mamma- la supplicai, mentre mi asciugava le lacrime con i pollici – mamma ti prego-
Mi sorrise dolcemente, iniziando a far cadere delle goccioline sulle sue guancie; sempre più velocemente.
- shh- sussurrò, facendomi stendere accanto a lei e accarezzandomi dolcemente il viso, i capelli – va tutto bene-
Piansi ancora più forte, stringendomi a lei, bagnando la sua veste bianca. Piansi così forte da non riuscire a capire più niente; la testa mi faceva male, la voce se ne stava andando, e gli occhi non riuscivano a restare aperti per le troppe lacrime.
Iniziai a respirare a fatica, il respiro mi mancava e non riuscivo più a sentire cosa stesse dicendo mia madre. La sua faccia era preoccupata, muoveva le labbra velocemente, ma io non capivo nulla.
Stavo avendo un attacco d’asma. Mi capitava raramente, solo nelle situazioni più brutte. Avrei dovuto pensarci prima, era ovvio che mi sarebbe venuto in quel caso.
Odiavo avere gli attacchi d’asma, non sapevo come gestirli, non sapevo come uscirne. A volte, quando sentivo che uno si stava avvicinando, prendevo l’inalatore e lo mettevo in bocca; però quando ne venivo colta alla sprovvista non sapevo mai come reagire.
 
Bianco, vedevo tutto bianco. Figure colorate non definite che si muovevano intorno a me. Poi nero, tutto buio, all’improvviso. Avevo paura. Ma sarebbe passata, perché passava sempre. Mamma diceva che quando entravo in quella fase dovevo solo rilassarmi, pensare a cose belle, anzi, alla più bella e stare tranquilla.
Allora feci ricorso ai miei ricordi, e la prima cosa che mi venne in mente fu mia madre. Pensai a tutti i momenti belli passati con lei, e se mi fosse stato possibile, sarei scoppiata nuovamente a piangere.
 
POV. HOLLY
La dottoressa aveva detto che Emily stava bene, l’attacco ero stato causato dall’agitazione del momento, ma presto si sarebbe ripresa.
Jason era accanto a me, con la mano che stringeva forte la mia e lo sguardo su nostra figlia. Era un uomo col cuore grande, ed io gli dovevo la vita, senza di lui non avrei potuto fare niente.
- come farò?- chiese in un sussurro – non riesco ad essere forte anche per lei-
Gli accarezzai il braccio, sorridendogli appena.
- ce la farai Jason, ce l’hai sempre fatta- lo rassicurai.
Si girò verso di me, abbassandosi per lasciarmi un bacio sulle labbra. Ricambiai volentieri, approfittando di quegli ultimi momenti da soli che ci rimanevano. Io ero sulla sedia a rotelle, lui in piedi, c’era troppa differenza d’altezza per i miei gusti.
Rivolsi lo sguardo a mia figlia, notando che nonostante stesse dormendo, continuava a piangere. Mi sentivo uno schifo, non avrei mai voluto lasciarla in quel modo, non avrei mai voluto farla diventare orfana di madre a soli quindici anni, ma era arrivato il mio momento.
I medici avevano detto che mi rimanevano un paio di giorni, ed era una cosa di cui Emily non era a conoscenza, e non lo sarebbe mai stata; ma io, come madre, non potevo permettere che lei soffrisse maggiormente ritrovandomi magari morta nel letto. Si sarebbe incolpata, si sarebbe fatta i complessi per non avermi sentita la notte mentre urlava aiuto, e no, non potevo permettere che qualcosa del genere accadesse, non a mia figlia.
Il mio tumore era durato molto più tempo di quanto lei sapesse, ma non potevo dirgli la verità in punto di morte, l’avrei uccisa psicologicamente. Certo, leggendo il mio diario l’avrebbe scoperto, ma preferivo che subisse un trauma per volta, già la mia morte l’avrebbe sconvolta, non volevo aggiungere altro.
- grazie per tutto quello che hai fatto per me, te ne sono debitrice- dissi sinceramente, stringendo forte entrambi le mani di Jason.
Lui sorrise, sedendosi sul letto della ragazzina e guardandomi, facendo scontrare i suoi grigi con i miei azzurri.
- grazie a te per aver fatto parte della mia vita, sei stata l’amica migliore che potessi desiderare-
Ci guardammo per diversi attimi, ricordando in silenzio tutti i bei momenti passati assieme, tutte le notti passate a mangiare gelato, tutte le passeggiate fatte al parco, tutti i desideri che non si erano avverati. Non avrei potuto scegliere uomo migliore di lui. Inoltre, sapevo che sarebbe rimasto vicino ad Emily anche dopo la mia morte, era troppo responsabile per non farlo.
- quindi… chi è questa Carla?- chiesi, riducendo gli occhi a due fessure.
Sorrise, abbassando lo sguardo e rialzandolo imbarazzato, mordendosi il labbro. Mi fece tenerezza, soprattutto perché aveva trentun anni.
- una collega.. dovresti conoscerla, è fantastica-
Mi sporsi verso di lui, abbracciandolo forte e accarezzandogli la schiena; sussurrai “sono davvero felice per te”. Perché era la verità, ero felice che lui avesse trovato un’altra donna, magari migliore di me e che lo amasse davvero.
Emily fece diversi versi, segno che si stava per svegliare, per cui Jason si alzò, dicendomi che era meglio che restassimo un po’ sole.
- Jas, solo una cosa…- dissi, afferrandogli la mano prima che uscisse.
Lui annuì, facendomi segno di andare avanti.
- non dire niente a Emi di Carla, non voglio che…-
Non mi fece finire di parlare, mutandomi con un bacio a fior di labbra.
- non ti preoccupare-
Dopodiché uscì, lasciandomi sola con mia figlia. Trascinai la carrozzina più vicino a lei, e le presi la mano, carezzandogliela dolcemente. Sembrava così delicata, fatta di porcellana. Aveva le labbra molto rosse, e la carnagione abbastanza chiara, un contrasto perfetto. Il nasino era piccolo, come il mio, così come il taglio degli occhi. Mi era dispiaciuto che non avesse preso il mio stesso colore d’occhi, ma li aveva verdi, come quelli di suo padre. Restava comunque bellissima.
S’agitò nel lettino, girandosi a destra e poi a sinistra, infine spalancò gli occhi.
- mamma- sussurrò, un po’ confusa – che ci fai qui? E l’intervento?- domandò.
Le sorrisi dolcemente, accarezzandole la fronte e scostandole i capelli dietro l’orecchio.
- volevo assicurarmi prima che tu stessi bene-
Annuì, poco convita, asciugandosi il viso bagnato con il polso sinistro. Sembrava ancora una bimba in certe situazioni, invece dovevo ricordarmi che era un’adolescente, un’adolescente molto più matura di tutte le altre. Aveva quindici anni e ragionava come una di venti, e la causa probabilmente ero io, e la mia malattia.
Non potendo più fare i servizi, o andare a pagare le bollette, toccò a lei svolgere quei compiti, e ci riusciva sempre alla perfezione. Era brava a fare tutto; era brava a scuola, era obbediente, non mi faceva sgolare per chiederle un favore. Certo, disordinata fino al midollo, ma era un difetto a cui mi ero abituata molto tempo prima con suo padre.
- parlami di lui- disse all’improvviso, con lo sguardo rivolto al soffitto.
Capii subito di chi stesse parlando, ma ci misi un po’ di tempo per rispondere. Non potevo lasciarmi prendere dai ricordi, avrei finito per ferire me e lei, tantomeno potevo continuare a tenerle tutto nascosto. Dovevo trovare una strada intermedia, neutra.
Beh, cosa avrei potuto dirle di Harry? Al solo pensarci mi veniva da sorridere.
- era il ragazzo più invidiato della scuola, ed era il mio migliore amico.. in un certo senso. Era alto, non aveva un fisico da paura, ma infondo aveva quindici anni all’epoca. I capelli erano ricci, riccissimi, senza una forma precisa, e gli occhi… ah, i suoi occhi erano la cosa più meravigliosa del mondo. Verdi, di un verde che brillava sempre, non solo alla luce del sole. Il sorriso era stupendo, contornato da due fossette e le labbra erano piene ma non eccessivamente carnose. Era bellissimo, e non solo di aspetto, era una bellissima persona- presi una pausa, gettando un occhio a mia figlia che mi guardava incuriosita e vogliosa di saperne di più – aiutava tutti, a prescindere se fosse un suo amico o un conoscente. Aveva un cuore enorme, non sarebbe stato capace di far del male a nessuno. Voleva apparire tosto e duro agli occhi altrui, ma non era così, era un fifone, aveva paura persino del buio, o peggio, aveva la fobia dei ragni- sorrisi tra me e me, contagiando anche Emily – aveva una voce incantevole, era particolare, non la classica bella voce liscia e pura, no. La sua era un po’ roca, per me tremendamente sexy, ma questo è un altro conto…. comunque, sapeva suonare uno strumento piccolo, tipo una fisarmonica, mi sembra si chiamasse kazoo. Era una palla, se la portava sempre dietro. E poi niente, era dolce, romantico, a volte stronzo, ma sapeva farsi amare con tutti i suoi difetti-
Decisi di fermarmi lì, come descrizione mi sembrava abbastanza approfondita, non c’era bisogno d’aggiungere altro alla faccenda, anche perché non avrei più smesso di parlare se mi avesse chiesto dell’altro.
- ne eri davvero innamorata- affermò.
Potei notare una punta di delusione nella sua voce, forse perché si aspettava che io parlassi così di suo padre, non di uno “sconosciuto”.
- leggi il diario fino alla fine- dissi, prendendole una mano e stringendola forte – ti servirà-
- date di riferimento?- chiese, alzando un sopracciglio – sai, quel diario è lunghissimo-
E chissà per quale motivo, ebbi l’impressione che lei iniziò a capire qualcosa, che magari era suonato il campanello d’allarme nella sua testa che l’aveva messa sull’attenti; era furba, ci avrebbe messo poco a capire.
- uhm… 8 novembre 2010, 2 gennaio 2011, 31 maggio 2011 e 8 luglio 2011.. credo siano queste le più importanti- risposi.
- a cosa corrispondono? Eccetto l’ultima, voglio dire, è la mia data di nascita-
- scoprilo tu- sorrisi.
Annuì, sbuffando appena e ripetendo sottovoce le date che le avevo appena detto, in modo da non scordarsele. 



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Ehy, grazie a tutte le persone che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite e le seguite, ve ne sono davvero grata! Inoltre un immenso saluto a Feffalolla123456 che ha compiuto gli anni un paio di giorni fa! :) Questo è uno dei capitoli che io chiamo "di passaggio", vi assicuro che nei prossimi scoprirete molte altre cose! :) 

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Capitolo 3
*** Dad. ***


Un’infermiera mi avvisò che tra cinque minuti dovevo andare nella sala per l’operazione, e ovviamente, Emily si agitò nuovamente. Senza piangere, senza muoversi, semplicemente fece scattare il suo sguardo prima su di me, poi sul soffitto, poi per terra.
Io ero impotente, e la cosa mi dispiaceva. Potevo solo dirle che non volevo piangesse la mia morte, che non doveva abbattersi, che doveva continuare a camminare a testa alta. Ma sapevo che sarebbero state cose inutili, perché conoscevo mia figlia, e sapevo benissimo come avrebbe reagito, e sapevo anche che in quel momento mi stava odiando, ma col tempo avrebbe capito.
Preferivo morire ora con la consapevolezza che lei stesse bene e che non mi detestasse, che dopo, quando avrebbe scoperto la verità e probabilmente non mi avrebbe più rivolto la parola.
Non era facile neanche per me accettare l’idea della morte, non lo era affatto. Stavo morendo, ed ogni giorno dovevo fare faccia a faccia con mille dolori; mi stavo distruggendo, e ormai le medicine non avevano più nessun effetto su di me, così come le chemio. Quello era il settimo ciclo di chemio che affrontavo in trent’anni di vita; il primo a sei anni. Ero ancora una bambina quando me lo rilevarono, non capivo nulla, non sapevo di poter morire da un momento all’altro. I miei mi dissero chiaramente la verità solo quando compii tredici anni, quando fui abbastanza grande per capire la gravità della situazione.
Io ci misi più tempo a dirlo ad Emily, e sinceramente, neanche avrei voluto dirglielo, ma era troppo sveglia per continuare a nasconderglielo. Così inventammo una falsa e le dicemmo che mi avevano appena rilevato il tumore, e che purtroppo era ad uno stadio troppo avanzato per fermarlo.
Ad essere sincera, ero felice di essere arrivata fino a quel punto; a otto anni i dottori mi diedero massimo altri due anni di vita, invece ero arrivata a trentuno, ed anche in “splendida” forma. Avevo raggiunto molti traguardi nella vita, quello di avere un fidanzato, quello di sposarmi, quello di riuscire a trovare un lavoro, quello di essere una donna indipendente; ma più di tutti, quello di aver dato al mondo una figlia. Perché si, sarei dovuta morire durante il parto, o anche prima, invece no, ero stata accanto alla mia bambina nella sua crescita, e non potevo essere più fiera di me stessa.
 
- devi proprio?- chiese Emily, guardandomi supplice.
Sospirai, accarezzandole il volto.
- si amore mio, devo-
Tirò sul col naso, mantenendo le lacrime e “ok” sussurrò. Si sedette sulla punta del letto, toccando a terra solo con le punte dei piedi. Mi guardò dritto negli occhi, senza piangere, per fortuna. I suoi occhi erano un debole per me, troppo simili a quelli di suo padre; a volte mi chiedevo come sarebbe stato avere una famiglia con lui, se Emily sarebbe stata più felice. Avevo tanti rimorsi, ne avevo accumulati troppi nella vita; il primo fu quello di andarmene di casa a sedici anni, magari mia figlia risentiva della mancanza dei suoi nonni più di quanto io pensassi.
Una lacrima cadde silenziosa sulla sua guancia, ma si affrettò ad asciugarla ed ad accennarmi un sorrisino.
In un attimo mi venne in mente una scena, la più brutta della mia vita.
 
Lo guardai dispiaciuta, mordendomi il labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue. Sapevo che sarebbe stato difficile lasciarlo, ma non avevo previsto che mi avrebbe fatto un discorso su quanto mi amasse. Mi sentivo un’ingrata, stupida, una delusione per lui.
- per te è stato tutto un gioco?- chiese, continuando a tirare su col naso.
Scossi la testa, mettendogli una mano sul braccio.
- non è così, io ti amo, lo sai- sussurrai, con il cuore che si spaccava.
Si ritrasse immediatamente al mio tocco, continuando a piangere. I suoi occhi erano diventati rossi, troppo lucidi. Non potevo vederlo così, dovevo andarmene il prima possibile. Era sbagliato, lo sapevo, ma dovevo fare il grande passo e lasciarmi tutto alle spalle.
La stanza era piena dei suoi singhiozzi, il suono che più odiavo al mondo. Si accasciò contro il muro, scivolando sul pavimento.
Presi un bel respiro – scusami se puoi. Adesso devo andare, spero che tu possa avere una bella vita. Ti amo, e ti assicuro che non amerò più nessuno così. Ciao riccio- conclusi in modo dolce, passandogli una mano tra i capelli e voltandomi subito.
- HOLLY ASPETTA!- urlò, afferrandomi una mano.
Mi liberai velocemente della sua presa, uscendo fuori dalla sua camera. I suoi singhiozzi aumentarono a dismisura, di velocità ed intensità.
La vista fu appannata dalle lacrime, dovetti mettermi una mano sulla bocca per impedire ai miei singhiozzi di uscire. In meno di venti secondi era fuori da casa sua. Corsi lungo la strada, dando libero sfogo al mio pianto.
L’avrei amato per sempre.
 
- mamma, mamma ci sei?-
Alzai di scatto lo sguardo su Emily, intenta a richiamarmi e a guardarmi confusa. Annuii distrattamente, con la testa in un altro posto.
- l’operazione- dissi – credo di dover andare-
Sospirò, alzandosi e infilandosi le scarpe che i medici le avevano tolto per stenderla sul lettino. Si mise dietro di me, spingendo la carrozzina fuori dalla stanza.
L’infermiera era dietro la porta, e ci sorrise gentilmente quando ci vide, dicendoci di seguirla. Quel percorso mi sembrava infinito, come se stessi andando al patibolo, e forse la differenza non era molta.
Jason stava parando col dottore che mi avrebbe operata, facce già da funerale, fantastico. Lo fulminai con lo sguardo, facendogli capire che Emily non doveva capire niente. Accennò un sorriso e venne verso di me, abbassandosi alla mia altezza.
Si risparmiò battute del tipo “andrà tutto bene”, perché ormai tutti e tre sapevano qual’era il mio verso destino.
Mi accarezzò dolcemente il viso, lasciandomi tanti baci sulla guancia, infine uno sulle labbra. Il bacio durò tre minuti, o forse più, ma nessuno ci disse niente, nessuno poteva dirci niente. L’ultimo bacio con mio marito, non era facile accettarlo.
- ti voglio bene- sussurrò al mio orecchio, continuando ad accarezzarmi l’altra guancia con la mano.
Sorrisi, mettendogli le braccia attorno al collo e stringendolo forte, dicendogli che anch’io gli volevo bene, un bene dell’anima.
Dopodiché toccò ad Emily salutarmi, e se con Jason fu difficile, con lei fu mille volte peggio. Si inginocchiò per terra, stringendomi fortissimo la vita; mi mancava il respiro, ma non le dissi niente, la mia bambina poteva stringermi quando voleva.
Pianse. Lo feci anch’io. Le accarezzai la schiena e le baciai la testa, sperando che si calmasse, non volevo che lei venisse un altro attacco.
- ti amo piccola mia, ti amerò sempre, ok? Ricordatelo- dissi a bassa voce, asciugandole le lacrime.
- ti amo anch’io mamma- rispose, con la voce impiastricciata.
La strinsi un’altra volta, per poi lasciarla andare. Un’infermiera mi spinse di pochi centimetri verso la sala, ma io mi fermai, mi girai e guardai mia figlia.
- si- dissi.
Lei aggrottò le sopracciglia.
- lo amo ancora- conclusi.
Jason sorrise, guardando poi la reazione scioccata di Emily nel sentire quelle parole.
Le inviai un bacio con la mano e mi feci portare dall’infermiera nella stanza, chiedendole a bassa voce di fare il prima possibile. Niente ripensamenti quella volta.
 
POV. EMILY
- mamma no!- urlai, mettendomi a correre dietro di lei.
Le braccia di papà furono prontamente attorno la mia vita, bloccandomi e facendomi quasi cadere.
- papà- lo supplicai, con le lacrime che scendevano interdotte.
Scosse la testa, portandomi con forza verso la sala d’attesa. Strepitavo, piangevo e mi disperavo; ma a lui non importava, lui restava immobile, tenendomi ferma tra le sue braccia. Dopo un’ora, forse, mi arresi, mettendomi comoda tra le sue braccia e continuando a piangere.
Non disse niente, non provò neanche a consolarmi, semplicemente mi accarezzava i capelli.
Non avevo fatto niente, eppure mi era parsa la giornata più stancante della mia vita. Le lacrime erano cessate, semplicemente guardavo un punto qualsiasi del soffitto mentre mio padre continuava a tenermi.
- dormi Emi- sussurrò – l’operazione è molto lunga, se succede qualcosa ti sveglio-
Annuii, cercando di scacciare il pensiero di mia madre dalla mia testa e provando a chiudere gli occhi.
 
Quando mi risvegliai ero su un lettino, ma non di casa mia, uno di quelli dell’ospedale. Papà non c’era, ed ero parecchio confusa.
Estrassi il telefono dalla tasca, controllando l’orario. Erano le tre del mattino. L’operazione doveva essere finita, per forza.
Andai nel corridoio, guardandomi attorno disorientata. Chiamai mio padre, che mi rispose al primo squillo.
- dove sono? E dove sei?- chiesi.
Lo sentii ridacchiare – stai ferma lì, arrivo-
Rientrai in stanza, sedendomi sul letto e perdendo tempo con il telefono. Le mie dite premettero automaticamente sul nome “mamma” in rubrica. Che cosa stupida.
Papà entrò in stanza con un dottore e un infermiere, che mi chiesero come mi sentissi. In quel momento ero solo a disagio per la presenza di tre uomini, di cui uno giovane e bello.
- perché?-
- non ricordi?- chiese il dottore – hai avuto una specie di crisi nel sonno…-
Scossi la testa, guardando mio padre. Mi sorrise incoraggiante, facendomi segno di stare tranquilla.
Povero papà, non solo era a pezzi per l’operazione di mamma, mi ci aggiungevo anch’io con i miei attacchi d’asma e le crisi.
Chiesi di mamma, e la risposta non fu quella che volevo sentire. “È complicato” rispose papà, mentre gli altri due uscivano. Si sedette accanto a me, cercando si spiegarmi in parole semplici cosa era successo.
Mamma non era morta, ma non era neanche viva. L’operazione non aveva avuto effetti, ma il cuore di mia madre continuava a battere. I dottori non capivano perché non si svegliasse, se fosse a causa dell’anestesia (anche se l’effetto era finito) o di altro che non avevano capito.
- quindi è viva!- esclamai.
La faccia di mio padre mi fece reprimere quella felicità, dunque c’era qualcos’altro che doveva dirmi.
- c’è una probabilità su un milione che si risvegli-
Sbuffai, ristendendomi sul letto e abbracciando il cuscino. Papà si stese accanto a me, abbracciandomi la vita e tirandomi contro il suo corpo. Doveva essere parecchio stanco, ed io mi sentivo troppo egoista nei suoi confronti, soprattutto in quel momento.
- che ne dici se dormiamo un po’?- chiese.
Annuii, senza voltarmi. Non volevo che vedesse le mie lacrime, non volevo che soffrisse ulteriormente a causa mia.
 
Passarono due giorni dall’operazione quando finalmente i dottori diedero un verdetto: era finita in coma, ma non in un qualsiasi coma, in coma terminale.
“Non sappiamo altro, non possiamo neanche dire quanto durerà, ci dispiace”, i dottori non seppero dicci altro.
La settimana dopo fu infernale, non chiusi occhio se non per due ore il giovedì pomeriggio; piangevo dalla mattina alla sera, mi rifiutavo di allontanarmi dal lettino di mia madre in ospedale. Papà si arrabbiava con me perché non mangiavo, ma non ne avevo la forza, tantomeno la voglia. Andavo avanti con pacchetti di patatine, biscotti e altre schifezze, tutto ciò che la macchinetta vicino camera di mia madre poteva offrirmi. Inoltre papà voleva che tornassi a scuola almeno per gli ultimi giorni prima delle vacanze estive, ma non se ne parlava minimamente.
Andavo a casa per mezz’ora al giorno, il tempo di cambiarmi, prendere la circolare e tornare da mamma. Papà aveva ripreso a lavorare perché il suo capo non gli aveva concesso altri giorni di ferie, nonostante sua moglie stesse per morire.
Nei pomeriggi c’era sempre qualche infermiera che si veniva a fare una chiacchierata con me, che provava a strapparmi un sorriso o ad allontanarmi anche per poco da mia madre; ma nessuna ci riusciva. Rispondevo a monosillabi, non prestavo attenzione e l’unica cosa che dicevo era “grazie per essere venuta” quando se ne andava.
Papà mi raggiungeva la sera, mi chiedeva cosa avessi mangiato, salutava mamma e se ne andava perché non poteva rimanere. Era uno strazio.
Mi sentivo vuota, una parte di me era morta. Non avevo voglia di fare niente, di parlare, di mangiare, neanche di camminare. Passavo tutto il giorno in silenzio, stringendo la mano di mia madre, fissandola come se fosse già morta; perché infondo, lei era morta, mi stavo solo abituando all’idea di non averla più accanto.
 
Una sera, verso le dieci e mezza, il macchinario collegato al cuore di mamma iniziò a suonare. I medici accorsero in stanza, portando via il lettino di mia madre. Una dottoressa mi chiese se potevo chiamare mio padre e dirgli di venire subito, ed io lo feci.
Aspettammo con ansia, senza avere risultati.
- secondo te si sveglia?-
Avevo chiesto a mio padre, con un po’ di speranza nella voce. Scosse la testa, “è impossibile” sussurrò. Annuii delusa, mordendomi l’interno della guancia per cercare di calmare la rabbia. Perché si, in quei giorni tutta la mia tristezza si era trasformata in rabbia. Rabbia perché non capivo perché proprio mia madre tra mille persone, perché lei, che aveva avuto una vita difficile, perché lei, perché lei! Ero andata fuori di testa, mi ero fatta uscire il sangue dal braccio e neanche me n’ero accorta, non riuscivo ad accettare la cosa.
 
Quella sera papà mi riportò a casa con sé perché i dottori tennero mamma sotto osservazione in una stanza particolare, nella quale nessuno poteva entrare.
Fu tutto silenzioso, i viaggio, l’arrivo a casa, la “cena”; le uniche parole che ci scambiammo furono quelle della buonanotte prima di dividerci nelle nostre stanze. Papà aveva bisogno di stare solo, io no, ma preferivo dargli i suoi spazi, ognuno affrontava la situazione in modo diverso.
Fissai il muro per diverso tempo prima di avere un’idea.
Mi alzai, andando verso la scrivania e scostando i vari oggetti; nel buio più totale era ancora più difficile trovare quel diario. Quando finalmente lo identificai, tornai sul letto, accendendo la luce sul comodino per leggere.
La prima data che mamma mi disse fu l’8 novembre, per cui andai a cercarla.
“8 novembre 2010
Caro diario, non potrai mai credere a ciò che ti sto per raccontare. Dopo un anno e dieci mesi di fidanzamento, finalmente, l’altra notte, io ed Harry abbiamo fatto l’amore. È stata la notte più bella della mia vita, sto ancora sognando, te lo giuro. Prima abbiamo cenato (ha cucinato sua madre, lui crede che io non lo sappia, ma Anne mi aveva detto la verità), lui ha apparecchiato in maniera perfetta, al lume di candela! Certo, abbiamo quasi incendiato i fiori, ma non fa niente dai. Abbiamo riso tutta la serata, ci siamo divertiti da morire. Dopo cena abbiamo visto un film, eravamo sotto la stessa coperta, abbracciati. Quando è finito ero parecchio imbarazzata, soprattutto perché la sua mano era poggiata sulla mia coscia e si muoveva sempre più verso l’alto. Gli ho chiesto cose stupide, e lui rideva e diceva , ed io ridevo con lui perché era vero. Poi ha iniziato a baciarmi, è sceso al collo e ha iniziato a succhiare (non credevo che i succhiotti fossero così dolorosi). Una cosa tira l’altra, mi ha preso in braccio e siamo andati in camera sua, sul letto. Mi ha continuato a baciare e man mano mi ha tolto la maglia…..”
Decisi di saltare il pezzo in cui descriveva nei particolari, mi sembrava di invadere troppo la sua privacy a quel punto, così andai direttamente alle considerazioni finali.
“… e poi ci siamo addormentati abbracciati. LA NOTTE PIU’ BELLA DELLA MIA VITA! Ok, ammetto che oggi ho fatto fatica a camminare bene, che ho avuto un dolore lì tutto il tempo e che ieri ho aperto così tanto le gambe che oggi mi faceva male tenerle chiuse; ma sono troppo felice. Lui è stato dolcissimo tutto il tempo, non faceva che chiedermi se andava tutto bene, se mi volevo fermare o se mi faceva male. È stata una notte magica, penso che adesso si sia creato quel filo tra di noi che non si spezzerà mai. Lo amo, è la mia vita, sono sicura che un giorno gli dirò tutta la verità. Baci, Holly”
 
Che verità? Cosa nascondeva mia madre al suo ragazzo? Perché quella donna era sempre stata piena di misteri? Certo, leggere per scoprire, ma a me le domande venivano spontanee; come mi veniva spontaneo pensare a lei in quel momento, chissà che aveva fatto poi, se era tornata alla condizione precedente o era entrata in un’altra.
 
“2 gennaio 2011
Caro diario, ieri era capodanno, io ed Harry siamo stati insieme. Ci siamo coccolati e abbiamo rifatto l’amore; è stato bello come la prima volta, ma il finale non è stato piacevole stamattina.
Gli ho detto di sentire il bisogno di cambiare aria, gli ho detto che c’era una cosa che gli stavo nascondendo; ho provato a lasciarlo, ma lui mi ha fatto un discorso lunghissimo su quanto mi amasse. Avevo solo voglia di baciarlo, di stringerlo e dargli la lieta notizia, però non l’ho fatto. So di avergli rotto il cuore, so che adesso probabilmente mi odia, ma io non posso fare altrimenti, e tu lo sai bene. Non posso dirgli di essere incinta, diamine! Se glielo dico, dovrò dirgli anche del tumore, e capirebbe che non ho fatto altro che mentirgli!
Non posso farlo, anche per lui; non voglio intralciargli la carriera. Ha sedici anni, è piccolo, e sfonderà con la sua nuova band, se sono sicura, io e il bambino saremmo un peso, e non voglio questo.
In ogni caso, lui adesso mi odia, non c’è più niente da fare. Mamma non vuole che io parta, ma devo farlo per forza, non posso restare più qui ad Holmes Chapel; ha comunque detto che lei per me ci sarà sempre, infondo la mamma è la mamma!
Il biglietto l’ho comprato e le valigie sono fatte. Londra sto arrivando. Baci, Holly”
 
Lasciai cadere il diario dalle mie gambe, sprofondando la testa tra le mani. Iniziai a piangere, in silenzio per non svegliare papà, o meglio, Jason.
Chi ero io? Chi era mio padre? Perché mamma mi aveva riempita di frottole fin da piccola? Perché?!
Piangevo, mi sentivo presa in giro; mi sentivo una stupida. Diamine, avrei dovuto capire subito che quello non era mio padre, non avevamo niente in comune! Eravamo diversi in tutto e per tutto, di fisico e di carattere; non c’era nulla che ci accomunava, nulla.
Perché dopo quindici anni, mia madre non mi aveva detto la verità? Non mi aveva detto che mio padre in realtà era quell’Harry Styles, e non Jason; non mi aveva detto che aveva il cancro da prima che uscisse incinta di me; non mi aveva neanche detto la verità sui miei nonni. Per anni gli avevo odiati, avevo pensato a loro come dei mostri senza cuore, insomma, chi avrebbe cacciato la figlia a sedici anni di casa perché era incinta? Solo dei mostri potevano farlo. Invece no, loro non erano così, anzi, secondo me erano bravissime persone.
Immaginai mia nonna simile a mia madre, con lo stesso carattere allegro e tremendamente dolce; e mio nonno, un signore dal cuore grande, magari con la pancia e la barba bianca. L’immagine, per la prima volta, dei miei nonni come persone buone, e non crudeli. Sentii improvvisamente la mancanza dell’affetto di un nonno, ma non quella che si sente quando ne muore uno, no; io volevo conoscere i miei nonni, volevo sapere cosa voleva dire essere amata da una persona che non erano i miei genitori.
Nella mia vita avevo ricevuto solo il loro affetto, oltre a quello degli amici, invece avrei sempre desiderato avere una sorella, un cugino con il quale giocare; ma niente, solo mamma e papà.
Ma ci avevano mai pensato a me quei due? E mamma, come aveva potuto farmi una cosa del genere? Mi aveva sottratta a mio padre, mi aveva mentito, mi aveva allontana dalla mia vera famiglia.
Iniziarono a crescere i dubbi sul bene che mi voleva mia madre; se ci avesse davvero tenuto a me, non mi avrebbe raccontato un sacco di bugie. Arrivata ad una certa età, avrebbe dovuto dirmi la verità, o almeno provare a spiegarmela; l’avrei capita, diamine, l’avrei anche perdonata, ma non poteva farmelo venire a sapere così!
Non potevo neanche chiederle il perché, stava morendo, e le occasioni per parlare con lei si erano esaurite una settimana prima. Mi sentivo di fottere, mi sentivo uno scherzo della natura, messo al mondo per essere preso per il culo dagli altri.
E Jason? Lui era a conoscenza che io fossi in realtà la figlia di Harry, e non sua, o mamma aveva detto una bugia anche a lui? E se ne era a conoscenza, me la sarei scontata anche con lui; perché sì, anche lui aveva contribuito alle menzogne di mia madre per quindici anni. Si fingeva mio padre, quando non lo era affatto.
Non potevo credere che mia madre fosse quel genere di persona, non era possibile che una donna come lei in realtà fosse una bugiarda. No, era un incubo. Mi ero soltanto addormentata e a momenti mi sarei svegliata, si, per forza, non c’erano altre spiegazioni.
Mia madre era sempre stata una donna sincera, dolce, mi diceva sempre tutto, non mi avrebbe mai nascosto una verità del genere.
 
“e dopo che l’avrà letto che succederà?”
“è una sua scelta”

 
Jason, lui sapeva benissimo tutta la situazione. Era un bugiardo, anche lui.
 
Mi asciugai le lacrime col il dorso della mano, riprendendo il diario e sfogliando le pagine, arrivando al 31 maggio.
“31 maggio 2011
Cario diario, ti ricordi Jason? Quel tizio di cui ti ho parlato qualche giorno fa, che viene sempre al bar dove lavoro per vedermi? Bene, ieri siamo usciti assieme, ed è stata una serata bellissima. Non ci ha provato, anzi, è stato molto gentile e usava parole delicate; mi ha chiesto a che mese fossi, e dove fosse il padre… non so perché, ma gli ho detto tutta la verità. Lui mi ha raccontato la sua vita. I suoi genitori sono morti in un incidente, e lui è figlio unico; vive da solo in casa e, senti un po’ che cosa strana, mi ha proposto di andare a viere da lui. Mi fido di Jason, sembra un ragazzo apposto, e ho accettato visto che l’hotel in cui alloggiavo mi ha cacciata.
Oggi, a casa sua, abbiamo parlato dell’eventualità di costruire una famiglia, e l’idea potrebbe realmente andare in porto. A lui non importa che la bambina sia di un altro, vuole solo aiutarmi, ha detto che ha una cotta per me dal primo giorno in cui mi ha vista nel bar (eh cavolo, ne sono passati di mesi) e che posso contrare su di lui, fidanzato o no. L’adoro già, penso non lo lascerò mai. Baci, Holly”.
 
Quindi Jason sapeva tutto, dall’inizio, e quindi i miei genitori non erano innamorati. E allora perché si erano sposati? Contavano così poco per loro i valori del matrimonio? Io mi sarei sposata solo con l’uomo che amavo, con l’uomo della mia vita; non sarei mai riuscita a fingere di amare una persona, di conviverci, di averci un figlio! Mai!
Decisi di andare a leggere l’ultima pagina, ovvero quella della mia nascita, magari avrei concluso il ciclo di domande.
 
“8 luglio 2011
Caro diario, sai che il tempo è volato? Stamattina alle otto in punto è nata Emily, dovresti vederla, è bellissima. Sono sicura che sarà un misto perfetto tra me ed Harry, è il segno del nostro amore.
Mentre partorivo Jason non c’era, era a scuola. Ed io mi sono ritrovata da sola con la mia bambina, ed i medici ovviamente. È stato doloroso, parecchio, ma alla fine l’importante è che sia io che lei stiamo bene. C’era una probabilità che una delle due non ce la facesse, non è facile affrontare una gravidanza con il tumore, però ce l’abbiamo fatta, entrambe.
Appena l’ho vista sono scoppiata a piangere, e non per la felicità, ma perché sentivo incredibilmente la mancanza di Harry. Vendendo mia figlia mi ero resa conto di quanto fosse stato ingiusto non dire la verità al padre, e piangevo perché ormai era troppo tardi per fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Jas è corso da me dopo scuola, si è emozionato vendo Emily. Tra di noi le cose vanno bene, e lui ha smesso di essere interessato a me; è il mio migliore amico, in assoluto il migliore. È perfetto, e si preoccupa per me e lei come se fosse il suo vero padre. Prima di andarsene mi ha chiesto di sposarlo, ed io, beh, ho accettato. Non nego che per qualche secondo al posto suo ci ho immaginato Harry, ma è passata subito. Jason è un ragazzo dolce, gentile, attento e capace di badare ad una bambina. Si, sono felice di passare con lui la mia vita.
Forse un giorno dirò tutta la verità ad Emily, su suo padre intendo, e spero che lei potrà perdonarmi per ciò che ho fatto. Lei è tutta la mia vita adesso, darei la mia vita pur di salvarla. Devo allattarla, baci, Holly”.
 
Ed io avrei dato la mia vita per lei, ma le cose non sempre andavano come volevamo noi. Cosa avrei dovuto fare io a quel punto? Parlare con Jason, ovviamente, ma non sarebbe bastato per placare la mia curiosità. No, perché io volevo conoscere mio padre, quello vero.
Provai anche ad immaginarlo, stando alla descrizione che mi aveva fatto mia madre. Doveva essere davvero un bel tipo, come mamma del resto, erano una coppia di belli. Forse lui aveva un carattere più come il mio, più furbo, più diretto, estroverso e scherzoso, non timido come quello di mamma.
Dopo aver costruito, a occhio e croce, la figura di mio padre, provai ad immaginare un paio di momenti con lui e mamma. No, non erano delle immagini piacevoli. Non perché fossero brutte, ma perché mi ferivano nel profondo.
Avevo scoperto più cose in una serata che in quindici anni di vita. Non era facile accettare la verità dei fatti; sapere di non essere figlia di chi pensavi, sapere che i tuoi nonni in realtà non erano come pensavi tu, sapere che tua madre aveva il cancro fin da ragazzina. Non per niente facile accettare quelle cose, ma era la mia vita, e dovevo farmene una ragione.
Chissà cosa aveva fatto poi Harry, se aveva sfondato, come diceva mamma, o si era bloccato lì con la band; chissà che band era, e chissà se mamma gli aveva mai seguiti.
 
Erano le quattro, ed io avevo tutto, ma non sonno. Accesi il computer e lo misi sul letto, stendendomi a pancia sotto. Cercai su Google “Harry Styles” e subito mi apparvero un miliardo di notizie sul suo conto, andai su Wikipedia, in modo da avere informazioni chiare e precise.
Era nato il primo febbraio, stesso anno di mia madre, 94; vissuto ad Holmes Chapel con sua madre Anne e suo padre Des, aveva un sorella maggiore di nome Gemma. I suoi divorarono quando aveva sette anni, e sua madre si risposa con un certo Robin. Prima faceva parte di una band scolastica, poi partecipando ad X Factor entra a far parte dei One Direction.
Il nome di quella band mi era famigliare, non era ancora morta, a volte si sentiva qualche canzone in radio; gli conoscevo soprattutto perché mamma ne era una grande appassionata.
E tutto quadrò nuovamente. Certo che c’era appassionata, c’era Harry!
Harry era davvero bello, anche a trentun anni si manteneva benissimo, ne mostrava molti di meno; effettivamente avevamo dei tratti in comune: il colore degli occhi era quello, anche le labbra e le fossette ai lati della bocca; inoltre avevamo alcuni lineamenti identici. Si, era senza dubbio lui il mio vero padre, l’unico problema sarebbe stato quello di riuscire a rintracciarlo. Sicuramente, essendo famoso, il suo numero non era più quello di prima; ma avrei potuto comunque tentare, no?
No. Che diamine stavo facendo? Tentare cosa? E se lui non avesse voluto conoscermi? Se si era fatto una vita, e non voleva più saperne niente di Holly? Chi ero io per guastare tutto?
Sua figlia! Ero sua figlia! Anche se lui non mi conosceva, io ero sua figlia!
 
Passai due ore o forse più ad elencare i pro e i contro nel ritracciare mio padre o meno. Ero sempre stata una persona ottimista, i contro a malapena riuscivo a vederli.
E se lui se la fosse presa con mia madre? Non l’avrei potuto accettare, affatto. Del resto mia madre l’avevo fatto per proteggerlo, non voleva che lui soffrisse alla sua morte, e che dovesse fare i conti con una bambina.
Mi alzai di scatto, aprendo la porta e correndo nella camera di mio padre; ovviamente sveglio.
Accesi la luce, andando poi a sedermi a gambe incrociate vicino a lui.
- che c’è Emily?- chiese, sorreggendosi sui gomiti per guardarmi meglio.
Strinse gli occhi a causa della luce che avevo accesso improvvisamente, cercando di non richiuderli.
- dobbiamo parlare, Jason – dissi seria – adesso-
La sua espressione si fece seria, e forse, intuì l’argomento ancor prima che io parlassi.




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Salve a tutte, grazie ancora per aver letto la storia! Beh, penso che questo capitolo sia stato il più sconvolgente, no? Ci ho messo tutta me stessa per scriverlo, spero vi sia piaciuto. Alla prossima! :) 

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Capitolo 4
*** He. ***


Parlare con lui non mi era stato d’aiuto, mi aveva detto cose su mamma che già sapevo, e su Harry non sapeva dirmi niente visto che non l’aveva mai conosciuto. Mi spiegò anche perché non me l’avevano mai detto, ma erano ragioni che avevo già compreso di mio.
Disse che restavo la sua bambina, che mi voleva bene come se fossi sua figlia e per me ci sarebbe sempre stato; io ci credevo. Sapevo che era così, infondo ero cresciuta con l’idea che Jason fosse mio padre, e non riuscivo a vederlo in modo diverso.
- e come faccio a contattare Harry?- chiesi.
Alzò le spalle – questo non lo so-
Lo guardai un attimo, pensando a tutti i modi possibili per riuscire a rintracciarlo. Facebook era poco affidabile, Twitter neanche, lui era troppo vecchio per saperlo usare; i social network erano esclusi a prescindere. Il telefono sicuramente era privato, e su internet non c’era il suo numero.
- abita a Londra – dissi tra me e me, facendo corrugare le sopracciglia di Jason – abita a Londra!- esclamai.
In men che non si dica ero corsa al piano di sotto, dritta di fronte alla libreria, a cercare quella maledettissima rubrica. Era la mia unica speranza. Doveva avere per forza una casa, e quindi un numero di casa; sempre che non fosse stato privato anch’esso.
Papà si sedette sul divano accanto a me, capendo subito le mie intenzioni.
Andai a Londra, poi sfogliai i cognomi con la S. Seguii la fila con il dito, facendo più attenzione quando entrai in quelli con “St”.
“Styles… Frederic”, no. “Styles… Lucy”, no. “Styles…Harry”, bingo!
Picchiettai con dito sul nome, sorridendo soddisfatta.
- non t’illudere tesoro, potrebbe non essere lui-
Annuii, posando il grande libro sul tavolino ed andando in cucina per recuperare un foglietto ed una penna; tornai in salone, copiandomi l’indirizzo ed il numero di casa.
- domani non lavori, vero?- chiesi, guardandolo.
Sbuffò – ho alternative?-
Risi a bassa voce, stampandogli un bacio sulla guancia.
 
Il giorno dopo, girammo a vuoto per diverse case. A quanto pareva, Harry aveva cambiato diverse case e i proprietari ci mandarono di casa in casa; ma lui non c’era mai.
Avevamo iniziato la ricerca alle nove, e alle dodici non avevamo ancora finito. Era più difficile di quanto avessi pensato.
- e se ci rivolgessimo alle autorità?- chiesi, abbassando il volume della radio in macchina, mentre ci dirigevamo verso l’ennesima casa.
Jason rise – e cosa vuoi dire loro? Che sei la figlia di un cantante super famoso e intendi rintracciare tuo padre?-
Annuii energicamente, e lui rise di nuovo.
- no Jas, sul serio- m’intestardii – è mio padre, e in un modo o nell’altro deve conoscermi-
Lui sospirò ed annuì, sapendo che io avevo pienamente ragione. In realtà, volevo rintracciare Harry prima che mamma se ne andasse definitivamente; volevo che lui la vedesse ancora una volta, perché mi sembrava giusto nei suoi confronti.
 
Quando arrivammo alla casa, potei ben notare che era molto più isolata di quelle precedenti e anche molto più grande.
Scesi di corsa dalla macchina, mentre Jason finiva di parcheggiare. Gli dissi di restare in macchina, tanto se non fosse stato Harry quello, saremmo dovuto ripartire verso un’altra meta.
Bussai quasi freneticamente, un suono forte e prolungato. La porta si aprì poco dopo, e diamine, dovetti sorreggermi allo stipite della porta per non cadere a terra.
 
Si, davanti a me c’era proprio lui. Harry. Papà. Cazzo, era più bello che in foto! Per lui gli anni si erano bloccati a venticinque, non ne dimostrava affatto trentuno. Era altissimo e la maglia a maniche corte metteva in evidenza i suoi bicipiti muscolosi e le spalle larghe. Gli occhi verdi, identici ai miei, i capelli ricci apparentemente senza una forma precisa.
Si, era decisamente lui.
 
- ciao- disse sorridente.
In un attimo Jason mi fu affianco e mi mise una mano sulla spalla, come a farmi sentire il suo sostegno.
- Harry Styles?- chiesi, con il fiato spezzato.
Prima di annuire, mi squadrò bene; rimase per più di qualche secondo a fissare il mio volto.
- ok ehm…- guardai Jason, il quale mi fece un sorriso incoraggiante – sono Emily Wilson – dissi di botto.
Vidi i suoi occhi fermarsi per qualche secondo nei miei, poi gli spalancò e fece un passo indietro. Certo, non doveva essere facile per lui sentire il cognome della sua ex (?) fidanzata. In ogni caso, non gli avrei detto subito di essere sua figlia, volevo solo che lui vedesse mia madre.
- so che tutto ciò ti può sembrare pazzesco e senza senso, e forse lo è, ma ti prego, devi venire con me in ospedale-
Corrugò le sopracciglia. Capii che non c’era nulla da fare se non dirgli la verità.
- mamma sta morendo-
Scosse la testa, portandosi una mano a tirarsi indietro i capelli.
- cos’è, uno scherzo?- chiese, divertito.
- vorrei lo fosse- sussurrai, abbassando lo sguardo.
I suoi occhi si velarono di tristezza e il suo corpo parve immobilizzarsi. Mi aveva creduta? Per favore, doveva essere così!
- Holly?- chiese, con un tono talmente basso che era appena udibile – la mia Holly?-
Girai automaticamente la testa verso Jason, che aveva la mascella testa e i pugni serrati. Doveva essere dura per lui ritrovarsi davanti il ragazzo che per tanti anni aveva occupato il cuore di sua moglie.
- si- risposi – per favore, vieni-
 
Annuì.
 
Si. Lo fece. Sarebbe venuto. Avrebbe visto mia madre. Lei l’avrebbe sentito un’ultima volta!
 
Senza perdere tempo, ci rimettemmo in macchina. Harry ci seguiva con la sua, e dal suo sguardo potevo capire che era ancora confuso da tutta quella situazione.
Certo, anch’io lo sarei stata. Una ragazzina si presentava alla tua porta per dirti che una tua vecchia fiamma stava morendo; un’assurdità.
Non sapevo neanche perché aveva accettato, sapevo solo di esserne felice.
 
Arrivammo all’ospedale intorno all’una, giusto l’orario delle visite. Percorsi velocemente il tragitto per andare in camera di mia madre, salutando tutte le infermiere che avevo conosciuto.
Jason si fermò fuori dalla stanza di mamma, che aveva la porta chiusa, come sempre.
- andate voi, vi aspetto qui- disse, accennando un sorriso.
Annuii e mi girai verso Harry, il quale si stava mordendo nervosamente il labbro e mi guardava con aria strana.
Presi un bel respiro ed aprii la porta, era sempre un colpo al cuore vederla lì, stesa inerme sul quel lettino.
Mi feci di lato, facendo entrare Harry e richiudendo la porta.
Il riccio avanzò fino al letto di mia madre, sedendosi accanto a lei e prendendole una mano.
- Hol…-
Non finì neanche di pronunciare il nome di mia madre, che scoppiò a piangere. 





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Hi! Scusate se il capitolo è corto, ma non ho molto tempo per scrivere ultimamente :( Spero vi sia piaciuto, prometto che il prossimo sarà più lungo! Alla prossima :)

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Capitolo 5
*** Quello sconosciuto di mio padre ***


Erano passati cinque minuti o forse più da quando eravamo entrati, ed Harry stava ancora piangendo. Era silenzioso, non sentivo il rumore dei suoi singhiozzi, ma potevo ben vedere le sue spalle che si alzavano e abbassavano irregolarmente.
Ero ferma nell’angolo della stanza, con le braccia conserte e la schiena poggiata al muro. Veniva da piangere anche a me, però non potevo farlo.
Papà e mamma. Mamma e papà. Erano entrambi lì, con me, per la prima volta.
 
Harry aveva sussurrato parole incomprensibili, accarezzandole il volto, il collo, le mani. La toccava come se fosse di vetro, come se avesse paura di farle del male.
Guardandomi in giro mi accorsi che qualcuno le aveva portato dei fiori. Chi era stato? Infermiere, medici, amici? Tutto era probabile, ma come al solito io continuavo a non sapere niente.
 
- quando…quando è andata in coma?-
Quando sentii la sua voce un brivido mi attraversò la schiena. Bassa e roca, in quel momento anche spezzata dal pianto. Mi dispiaceva vederlo così, mi dispiaceva che stesse male per una donna che in passato l’aveva abbondato.
- da un po’..- risposi vaga.
- cos’ha?-
Sospirai, avanzando verso di lui. Fissai mia madre, la sua bocca sottile e la sua mano avvolta in quella di Harry.
- tumore- dissi ferma – ovunque-
Si passò una mano tra i capelli, per poi asciugarsi le lacrime con il polso e il dorso della mano. I suoi occhi erano rossi e gonfi, così come le labbra.
Perché reagiva così? L’amava ancora o era soltanto preso dal momento?
Solo lui conosceva la risposta ai miei dubbi, purtroppo.
 
Restammo in silenzio altri venti minuti, fissando entrambi la donna che giaceva sul lettino. Le lacrime uscivano silenziose dai nostri occhi; a me in quantità minore, avevo pianto così tanto nei giorni precedenti che ero a corto di acqua.
Lui invece era una vera e propria fontana.
- come fai a conoscermi?- chiese all’improvviso.
Alzai appena le spalle – è una lunga storia-
Cercò di accennare un sorriso – ho tutto il tempo del mondo-
Così passai tre buoni quarti d’ora a raccontare a quello sconosciuto di mio padre tutto ciò che era successo da quando mamma aveva trovato il diario. Le parti più dolore furono quando gli dissi che lei non l’avrebbe mai voluto lasciare e che aveva il cancro da quando aveva sei anni. Pianse forte, mettendosi la testa fra le mani e dandosi dell’idiota per non averlo capito prima.
 
E mentre lui s’insultava, io gli sedevo di fronte, insicura se continuare sul racconto o meno. Cosa gli avrei detto a proposito di me? Come gli avrei fatto capire che io in realtà era sua figlia? E se non mi avesse creduta?
Non potevo rischiare di perderlo. Era mio padre, colui che mi aveva generato. Ero sangue del suo sangue. Avrebbe potuto rifiutarmi, fregarsene di me. Aveva appena rivisto mia madre dopo tanti anni, come potevo dargli tutte quelle notizie assieme? Un’ex morta che lo amava ancora e una figlia, avrebbe dato di matto.
 
- e tu?- domandò, sempre con calma.
Le sue domande erano sempre state discrete e si era mostrato molto gentile. Mi aveva persino messo una mano sulla spalla quando ero scoppiata a piangere.
- io cosa?- chiesi confusa.
- da dove esci fuori?-
Eccolo lì. Il momento della verità.
- dalla pancia di mia madre- sdrammatizzai.
Sorrise, scuotendo la testa.
Ripresi la parola, schiarendomi la voce prima di parlare.
- Harry io…- sospirai, sotto il suo sguardo confuso – mamma non se n’è andata solo per il cancro…. Lei era incinta ma non voleva ostacolarti la vita con un figlio. Tu stavi diventando famoso e…-
Mi bloccai quando notai che il suo sguardo era fisso fuori dalla finestra. Aveva capito che ero sua figlia, si? Anche perché dopo che mamma se ne fosse andata, io non avevo la minima intenzione di restare con Jason e continuare a dargli fastidio.
- posso..posso restare solo?- chiese.
Annuii, abbassando lo sguardo e uscendo, chiudendomi la porta alle spalle.
 
Il mio futuro dipendeva solo da lui.
 
POV. HARRY
Fissavo la mia bellissima Holly da un paio di minuti. Nonostante gli anni e la malattia, era comunque bellissima.
L‘ultima volta che l’avevo vista aveva dei lunghissimi capelli castani, adesso invece erano parecchio corti. Delle profonde occhiaie erano scavate attorno ai suoi occhi e le labbra non erano mai state così sottili e asciutte.
Mille fili collegati al suo corpo, proprio lei che aveva sempre avuto paura degli ospedali.
Era ancora molto magra, forse per colpa del cancro, e le curve si erano sgonfiate. Ma più la guardavo, più mi rendevo conto di quanto fosse bella, più mi accorgevo di quanto fossi stato stupido ad averla fatta scappare quel maledettissimo 2 gennaio.
 
Ed Emily? Mia figlia. Io, padre. Io, il ragazzo che pensava di aver perso ormai la sua amata Holly per sempre. Una figlia con lei. Una figlia con la donna che avevo amato e che avrei amato per sempre. Io ed Holly, genitori di una bellissima bambina.
Mi sarebbe piaciuto vederla crescere, giocare, mettere i suoi primi passi. Mi sarebbe piaciuto avere una famiglia con entrambe. Avrei voluto poter tornare indietro e rendermi conto di tutto. Avrei dovuto stringerla forte e dirle che tutto andava bene. Averi dovuto prendermi cura di nostra figlia, invece neanche ne conoscevo l’esistenza.
 
Innamorato di una donna che stava morendo. Non poteva esserci un finale migliore per la mia vita. Per tanti anni avevo cercato di dimenticarla, di andare avanti, di cercare un’altra donna. Ma non era servito a nulla, anzi, mi ero solo incasinato la vita.
Davo tutto me stesso per il lavoro. Cercavo di concentrarmi su quello e basta, senza pensare ad Holly. Le fan, la musica, i miei migliori amici. Basta, solo loro.
 
Gettando uno sguardo fuori dalla finestra mi accorsi che il cielo era diventato grigio e scuro, coperto da gigantesche nuvole, sembrava quasi lo specchio della mia anima.
 
Accarezzai dolcemente la mano della mia amata, sorridendo mentre ricordavo tutte le volte in cui l’avevo chiamata in quel modo e lei si era arrabbiata.
 
- ehi amore- sussurrai, avvicinando ancor di più la mia sedia al suo letto – n’è passato di tempo, vero? Quindici anni, li ho contanti uno ad uno amore mio. Gli anni peggiori della mia vita, ma ora ti ho trovato. È stata tua figlia a rintracciarmi, sai? Cioè, nostra figlia. Ah, ma perché non me l’hai mai detto? Avrei voluto crescere con lei, con voi-
Sospirai. Perché parlavo da solo? Sembravo uno psicopatico, eppure sentivo il bisogno di sfogarmi, di dirle che l’amavo, che ci sarei sempre stato per la piccola e che non l’avrei mai dimenticata.
- dopo che te ne sei andata è stato così brutto…- dissi, angosciato – i giorni sembravano non passare più e tutto prendeva un senso sbagliato. Ma i ragazzi mi hanno aiutato molto e sono andato avanti. Cercavo te in ogni ragazza che iniziavo a frequentare e ogni volta ne restavo deluso perché mi rendevo conto di quanto fosti unica.
Poi, sei anni fa, Taylor, una mia ex, è rimasta incinta. Le ho fatto una proposta di matrimonio perché volevo che il bambino nascesse in una famiglia già formata, ma ti assicuro, amore mio, che non l’ho mai amata. Io amo te, solo te, lo farò per sempre… infatti un paio di anni fa io e lei abbiamo divorziato e d’allora ho smesso di cercare altre donne. Io voglio solo te-
Le lacrime iniziarono a cadere dai miei occhi quando mi resi conto dell’assurdità che stavo dicendo. Era in coma terminale, stava morendo. Lì, dinnanzi i miei occhi, lei stava morendo. Non l’avrei mai avuta, non avrei più sentito la sua bellissima voce. Non avrei accarezzato più nessuna mano sempre fredda per riscaldarla. Non avrei fatto niente di tutto ciò perché lei stava morendo.
 
- ti prego amore- dissi, in preda ai singhiozzi – dimmi che anche tu mi ami ancora, ti prego!-
Posai la testa dal materasso del suo letto, piangendo rumorosamente. Ma non m’importava, dovevo sfogarmi, dovevo togliermi quel peso che mi stava facendo affondare.
 
Sentii una lievissima pressione sul mio dito ed alzai la testa di scatto. Lo giuravo, cazzo lo giuravo! Avevo visto i suoi occhi! I suoi magnifici occhi azzurri, quelli che riuscivano sempre a calmami. Quegli occhi che nonostante mi conoscessero benissimo, continuavano a guardarmi con curiosità. I suoi bellissimi occhi che erano azzurri come il mare, come il cielo, come la sua maglietta preferita. I suoi occhi per me erano ineguagliabili, erano qualcosa di così perfetto che mi ero sempre chiesto se fossero reali.
 
Una pressione più accentuata sul mio dito e l’ombra di un sorriso sul volto.
Che stava succedendo? Perché era tutto così maledettamente complicato con le persone che cadevano in coma? Era solo una coincidenza o una reazione alle mie parole?
 
Scattai in piedi, correndo alla porta e spalancandola. Emily e l’uomo erano seduti sulle sedie d’attesa proprio di fronte la stanza e non appena mi videro, scattarono in piedi. Vennero verso di me preoccupati, soprattutto la bambina.
- chiamate un dottore- dissi alla svelta – ha aperto gli occhi-
I due spalancarono la bocca ma Emily fu così rapida nell’apprendere la notizia che subito scattò in direzione della sala dei dottori.
L’uomo la seguì subito dopo ed io rientrai da Holly. Aveva gli occhi aperti, ancora, non batteva ciglio. Guardava il soffitto, senza muovere di un millimetro la pupilla e sorrideva. Merda, era così bella mentre sorrideva.
Stava mettendo in mostra la sua fossetta, quella che le dava quell’aria costantemente dolce.
 
- MAMMA!-
Emily urlò, cacciando tutto il fiato che avesse in corpo. Fece per scattare verso di lei, ma un dottore la bloccò prontamente mentre altri si avvicinavano alla donna. Emily si dimenava e furono costretti a portarla fuori.
- Holly, Holly, mi sente?- chiese un dottore, scuotendola di poco.
Ma no, lei non dava nessun segno di vita.
- lei chi è?- mi domandò un altro.
- sono un…un vecchio amico- borbottai, mettendo le mani in tasca.
Un altro prese la parola - ci racconti cosa è successo-
Sospirai, poggiandomi contro il muro, con lo sguardo fisso sull’amore della mia vita.
- le stavo parlando di… ehm…-
- è estremamente importante-
Sospirai – di quanto l’amassi e le ho chiesto di dirmi che lei mi amava come prima, allora ho sentito una pressione sul dito e quando ho alzato la testa lei aveva gli occhi aperti e sorrideva. Ma è… incantata- finii la frase guardando altrove.
 
Il macchinario attaccato al suo corpo iniziò a dare di matto, suonando all’impazzata e facendo scattare un piccolo allarme che iniziò a produrre suoni sgradevoli.
I dottori, allarmati, spostarono subito il suo lettino altrove. Uscirono velocemente dalla stanza, lasciandomi da solo. Ero preoccupato e avevo l’agitazione a mille. Dovevo tranquillizzarmi se non volevo essere preso da un attacco d’asma.
Emily era seduta su una delle sedie a piangere, con la testa tra le mani. Non l’avevo mai vista così disperata, sembrava che da un momento all’altro avrebbe ceduto.
Mi sedetti accanto a lei e sospirando, le misi un braccio attorno le spalle. Si rannicchiò sul mio petto, continuando a piangere forte. Le accarezzai i capelli, cercando di farla calmare.
 
Per la prima volta, stavo stringendo mia figlia. E una cosa era certa, non sarebbe stata l’ultima. 






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Grazie per aver letto la storia! Come promesso, ecco un capitolo più lungo ;) Ho aggiornato il prima possibile, scusate... Comunque, ci vediamo alla prossima!:) 

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Capitolo 6
*** Fotocopie ***


Erano passate ben quarantotto ore e la situazione di Holly non si era ancora stabilizzata. Erano due giorni che non la vedevamo, due giorni che la tenevano chiusa in quella camera. Nessuno poteva entrare e nessuno ci dava novità su ciò che stava succedendo.
Emily non si era mossa un momento, se non per andare in bagno o a cambiarsi. Più la guardavo, più mi rendevo conto di quanto somigliasse a sua madre. Erano due gocce d’acqua e non solo fisicamente.
Anche quel Jason non appena finiva di lavorare correva in ospedale. Mi si raggelava il sangue quando pensavo alle mani di quell’uomo sulla mia Holly. Mi ero ripromesso che nessuno l’avrebbe più toccata, ma lui era suo marito, il che cambiava davvero troppe cose.
 
Avevo provato a fare una conversazione con Emily, anche se era piuttosto difficile visto che rispondeva a monosillabi o sottosforzo. Potevo ben capirla, piccola, stava perdendo la madre ai soli quindici anni.
Mi rivolgevo a lei come se fosse una bambina, chiedendole cosa stupide come “qual è la tua materia preferita?” o “hai una migliore amica?”. Ma mi stavo rendendo conto che lei fosse molto più matura di quel che dimostrava.
Anche Holly era sempre stata più grande della sua età, Emily era la fotocopia.
 
- e il fidanzatino non ce l’hai?- chiesi, con tono divertito.
Quella mattina sembrava più allegra rispetto le due precedenti, per cui volevo cercare di farla distrarre in qualsiasi modo. Era uno spettacolo, la ragazzina più bella che avessi mai visto. Certo, essendo mia figlia il mio giudizio era di parte, ma non per quello avrei smesso di pensare che fosse una meraviglia.
Era bello guardarla e riconoscere i miei stessi occhi, o le mie fossette o notare che avesse preso il mio stesso senso dell’umorismo.
- no- mormorò, diventando rossa sulle guance – non ho ancora incontrato quello giusto-
Accennai un sorriso, pensando a quanto fosse dolce. Diamine, mi ricordava così tanto Holly con tutti quei piccoli movimenti o con quel rossore sulle guance, tipico di sua madre.
Mi schiarii la voce – meglio così, sono un padre geloso-
I suoi occhi verdi schizzarono nei miei, sorpresi da ciò che avevo appena detto. In quei giorni avevamo cacciato poco l’argomento padre- figlia ma avremmo dovuto iniziare a farlo più spesso. Già stavo perdendo il mio amore, non volevo perdere anche mia figlia. E non avrei permesso a nessuno di portarmela via, soprattutto a quel Jason.
 
Il mio telefono prese a squillare e dopo aver letto il mittente, mi scusai e mi alzai. Emily non sapeva ancora niente di Taylor e di Mike, ed io non ero sicuro di volerglielo dire. Avevo paura di un rifiuto, non era facile accettare un’altra famiglia.
- pronto?-
- Harry, dove sei? Sto bussando a casa tua da dieci minuti- disse, col suo solito tono acido.
Come diavolo avevo fatto a sposare una donna del genere, che pazzia farlo solo perché i suoi occhi mi ricordavano quelli di Holly.
- dio Tay, scusa ma è successo un casino e non posso stare con Mike per un po’…-
- cosa?! Ed io cosa dico al bambino?!-
Sospirai – passamelo-
La sentii richiamare il bambino, che probabilmente aveva iniziato a scorrazzare per il cortiletto anteriore della casa, quello non recintato.
- papà!-
Sorrisi a vuoto quando sentii la voce del mio piccolo, mi mancava parecchio, erano due settimane che non lo vedevo.
- campione, papà ha un problema e non può stare con te per un po’ di tempo. Prometti che fai il bravo con la mamma?-
Lui sbuffò – ma papà…-
- appena torno giuro che passiamo un’intera settimana solo io e te, ci stai? Questa cosa è davvero troppo importante per me-
- va bene, però voglio un gelato supergrande al cioccolato!-
Ridacchiai – certo tesoro, non preoccuparti. Adesso vado, ci vediamo preso, ok?-
- ok, ciao!-
Chiusi la telefonata, non dando il tempo a Taylor di chiedere ulteriori spiegazioni. Non ero mai mancato ai miei doveri di padre, per Mike ero sempre stato più che presente. Stavo attraversando una situazione piuttosto complicata, la mia ex moglie avrebbe capito.
Certo, si sarebbe arrabbiata per non averglielo detto prima ma avrebbe capito e mi avrebbe aiutato. Infondo era una donna matura e non aveva mai provato rancore nei miei confronti dopo il divorzio, sarebbe stato davvero infantile da parte sua visto che avevamo un figlio assieme.
L’aveva sempre saputo, nel mio cuore c’era spazio per una sola persona e quella persona era Holly.
 
- chi era?- chiese curiosa Emily, non appena mi sedetti accanto a lei.
Alzai le spalle indifferente, rendendomi conto che fosse arrivato il momento della verità.
- la mia ex moglie-
- ah, eri sposato?-
Annuii, evitando di guardarla negli occhi – lei era incinta e volevo che il bambino vivesse una vita tranquilla… ma il matrimonio è stato quasi impossibile dall’inizio visto che io amavo tua madre… un paio d’anni fa abbiamo divorziato-
Lei sorrise e chiese euforica – ho un fratellino?-
- si, si chiama Mike ed ha sei anni-
- mi somiglia?- chiese ancora, con la stessa allegria.
Ci pensai un po’, mettendo a confronto i miei due figli. Cavolo, due figli. Pensare che i ragazzi mi prendevano in giro per il fatto di avere un solo figlio.
Cazzo! I ragazzi! Non avevo avvisato nessuno di loro, erano sicuramente preoccupati per me! Una volta finita la conversazione con Emily avrei dovuto chiamarli, per forza.
- un po’- risposi – lui ha i capelli sul castano chiaro, biondo scuro. Di occhi si, li avete presi entrambi da me… i lineamenti del viso sono diversi, lui mi somiglia un po’ di più rispetto a te che sei la fotocopia di Holly. Caratterialmente però siete simili, certo, è ancora piccolo per dirlo ma posso assicurarti che è simpatico e tanto dolce-
Lei sorrise intenerita, chiedendomi se avessi una sua foto. Presi il telefono e gliela mostrai, mentre Emily s’incantò a guardarla.
- ho sempre voluto un fratellino…- mormorò.
Ero davvero stupito da mia figlia, non pensavo potesse legarsi così tanto a me in soli due giorni; inoltre non si era arrabbiata quando le avevo detto di essere già padre. Cavolo, andava tutto così bene con lei che non credevo potesse essere vero.
Certo, l’angoscia incombeva ancora su di noi visto che Holly era ancora in quella sala, ma il fatto di avere Emily mi dava più sicurezza di quanto fosse possibile.
 
“A casa tua non c’è nessuno, dove sei finito?”.
Louis, l’unico ragazzo che alle tre del pomeriggio di un giorno qualsiasi andava a trovare un amico.
“È una storia troppo lunga amico, ti spiegherò quando tutto sarà sistemato”
“D’accordo, se hai bisogno fai uno squillo x”
Sorrisi e poggiai la testa contro il muro dietro di me, fissando una macchia sul soffitto. In quel momento fissare quella macchina mi sembrava la cosa più interessante di tutta la terra visto che non potevo fare altro.
Emily dormiva in una stanza dell’ospedale, sfinita dopo un pianto lunghissimo; e lei era l’unica con cui condividevo le mie giornate.
Era passato il terzo giorno e di Holly ancora niente, i dottori ci avevano detto che continuava a chiudere gli occhi, ad aprirli e sorridere. Eppure il suo cuore andava ad un ritmo così lento che tutti si stavano ancora chiedendo come facesse a vivere.
Avevo accennato a Jason la faccenda dell’affidamento della ragazzina e lui non era sembrato molto felice della cosa. Certo, l’aveva cresciuta come una figlia e avrebbe fatto male staccarsene, ma lei era la mia bambina e non me la sarei fatta portare via di nuovo. Non gli avrei impedito di vederla, no di certo, non ero mica un mostro. Inoltre sapevo quanto Emily gli volesse bene, del resto per quindici anni l’aveva visto come un padre. Però lei sarebbe dovuta venire a vivere con me, era mia figlia e d’allora mi sarei preso io cura di lei. Dovevo la vita a Jason per aver preso Holly ed Emily e averle portate in casa sua, ma erano di mia proprietà, entrambe.
 
- ciao-
Mi girai di scatto quando riconobbi quella voce così famigliare.
- Zayn, cosa ci fai qui?-
- eri sparito e grazie al trova Iphone ti ho trovato. Allora, cosa ci fai tu qui?-
Sospirai, sedendomi sulla sedia più vicina. Lui si accomodò al mio fianco, pronto a sentire le mie spiegazioni.
Gli raccontai tutto, dalla mattina in cui Jason ed Emily avevano bussato a casa mia fino alla macchia sul soffitto. Piansi, e per la prima volta dopo tanti giorni, avevo una spalla su cui farlo. Mi era mancato l’appoggio dei miei amici, dovevo ricordarmi che loro per me c’erano sempre, qualsiasi cosa mi succedesse.
C’eravamo conosciuti a sedici anni e dopo quindici anni eravamo ancora insieme, era incredibile come non mi stancassi mai della loro compagnia. Erano i miei migliori amici, anzi, erano molto di più, erano la mia famiglia.
- lei dov’è?- domandò.
- chi?-
- la bambina-
- dorme… dio Zay, devi vederla, è bellissima-
Lui sorrise, passandomi una mano sulla schiena. Stava per dire qualcosa, ma il suo telefono prese a squillare e fu costretto a rispondere.
- si…sto al terzo piano, subito dopo a sinistra… d’accordo… ti aspetto-
Aggrottai la fronte, chiedendogli chi fosse.
- Eric ha fatto una specie di incidente con la bici-
- tutto bene?-
- è un Malik, è a prova di cadute-
Ridacchiai e scossi la testa, pensando a quanto fossero simili quei due. Eric era un piccolo Zayn: spericolato, intraprendete, con la battuta sempre pronta e una marea di ragazzine ai piedi. Tutto suo padre, come diceva sempre Perrie.
Quella povera ragazza non sapeva a chi dover dar più retta, se al marito o al figlio quattordicenne. Che poi, per avere quattordici anni Eric era davvero alto, alto e con un bel fisichetto. Certo, non era chissà quale modello, per la sua età non era affatto male.
 
POV. EMILY
Mi ero appena risvegliata, come sempre, in una stanza dell’ospedale. Nel letto accanto al mio, una donna stava leggendo un giornale. Mi sorrise appena, chiedendomi come mi chiamassi.
Perché mai avrei dovuto risponderle? Non la conoscevo e mamma mi aveva sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti.
Ma guardandola bene, dovetti ricedermi. Se mia madre stava morendo, lei era già morta. La pelle bianca e le ossa da fuori. Come potevo trattare male una signora del genere?
- Emily – risposi.
- un bel nome per una bella ragazzina- constatò – e dimmi Emily, cosa ci fai qui?-
Sospirai – mamma sta morendo-
- oh, tesoro mi dispiace-
Annuii – mi scusi, mio padre mi aspetta-
Non le diedi il tempo di rispondere che mi ero già precipitata fuori dalla stanza, con le lacrime che mi appannavano la vista.
Più il pensiero di mia madre si faceva largo nella mia testa, più le lacrime aumentavano. Non vedevo niente e i rumori attorno a me sembravano tutti scomparsi all’improvviso. Stavo correndo, correndo per raggiungere Harry e farmi stringere da lui, da mio padre. Perché quando ero con lui, tutto sembrava andare meglio.
 
Urtai violentemente contro qualcosa, anzi, qualcuno.
- oddio stai bene? Perché piangi?-
Mi asciugai le lacrime con il polso, notando un ragazzo della mia età di fronte a me. I capelli mori alzati in un ciuffo, gli occhi nocciola ed un cappellino rosso della Nike in testa. Uno di quei tipi che credevano di essere al centro del mondo, quando in realtà non erano altro che stupidi ragazzini montati.
- vattene!- urlai, spingendolo via.
Lui indietreggiò, guardandomi male.
- stai calma! Volevo solo aiutarti!-
- ah davvero?- chiesi ironica – e magari lo fai perché “non sopporti vedere le ragazze che piangono”! Senti, lascia perdere, non ho tempo da perdere-
Lo sorpassai velocemente, continuando per la mia strada.
Stupido ragazzino. 





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Ehilà, scusate il ritardo ma lo studio mi sta uccidendo. Comunque, grazie per aver letto anche questo! Scusate eventuali errori ma appena l'ho finito di scrivere l'ho pubblicato.... Spero vi sia piaciuto, alla prossima! 

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Capitolo 7
*** She's dead. ***


POV. EMILY
- e beh… questa è la tua camera- disse Harry, aprendo l’ultima porta del corridoio.
Annuii e mi soffermai ad osservarla. Carina, non eccessivamente grande, con una finestra che affacciava sul giardino posteriore della casa. Il letto era ad una piazza e mezzo, con una trapunta rossa a coprirlo ed un tappeto, anch’esso rosso, che occupava gran parte del pavimento. I mobili erano tutti sul bianco con qualche accenno sul rosso.
Mi piaceva la mia nuova camera, non era come l’altra, ma era bello vedere l’impegno che ci aveva messo Harry per farmi sentire a mio agio.
Mamma continuava a non dare segni di miglioramento, così i miei due padri iniziarono a svolgere le pratiche per l’adozione. Ovviamente non c’erano problemi, ero la figlia di sangue di Harry, il giudice era dalla sua parte.
Avevo anche origliato una conversazione che aveva avuto Jason con una certa Carla, probabilmente la sua nuova compagna. Beh, non potevo vietargli di avere un’altra donna, magari che l’amasse davvero e con la quale avere dei figli. Del resto io avrei avuto Harry che si sarebbe preso cura di me; Harry era mio padre ed era giusto che andasse così.
Poi, all’incirca una settimana dopo che Harry ricevette la mia custodia, mamma decise di lasciarci. Era successo tutto così velocemente che non riuscivo ancora ad abituarmi alla situazione. Ricordavo perfettamente quella sera, probabilmente non l’avrei mai scordata.
 
Ero tra le braccia di Harry, lui canticchiava distrattamente qualcosa mentre io mi facevo cullare dal suono della sua voce. Ci credevo che faceva, o che aveva fatto, il cantante, aveva una voce bellissima.
Prese una mia ciocca di capelli in mano, iniziandola ad arrotolarla attorno al suo dito. Ricordavo quando lo faceva mamma, solo che lui sembrava ancor più delicato. E mentre me ne andavo a sonno, vidi l’infermiera uscire di corsa da camera di mia madre. Mi alzai di scatto, seguita da Harry. Tre o quattro dottori entrarono velocemente nella sala, richiudendosi la porta alle spalle. Si sentivano delle urla, urla di mia madre. Urlava che voleva morire, che stava soffrendo, che voleva essere lasciata in pace.
Poi urlò di amarmi, amarmi più di se stessa, amarmi più di qualsiasi altra cosa al mondo. E poi urlò di amare di Harry, di voler rivedere i suoi occhi per un’ultima volta, di voler baciare ancora le sue labbra.
Urlava, urlava cose senza senso. Fece svegliare l’intero reparto, piangere diverse persone.
Ed io ero lì, fuori quella porta, accasciata al muro a piangere. Harry era lì, vicino a me, a darmi quel sostegno che nessun altro poteva darmi.
Le urla cessarono, tutto divenne calmo. Il mondo non emetteva più nessun suono, neanche il più minimo rumore.
La porta si aprì ed un dottore con l’aria desolata ne uscì. Scosse la testa, con lo sguardo basso e le mani strette in un pungo.
Allora tutto perse senso. Tutto ciò che mi circondava non aveva più un valore per me. L’unica persona che realmente amavo se n’era andata. Se n’era andata per sempre. Se n’era andata per davvero, senza neanche salutarmi un’ultima volta, senza stringermi tra le sue braccia e sussurrarmi “ti voglio bene”. Lei era morta, ed io non trovavo più una ragione per vivere.
 
- Emi…- disse Harry, mettendomi una mano sulla spalla – tutto ok?-
Lo guardai velocemente, accorgendomi di essermi incantata a guardare la stanza. Annuii e tirai un sorriso, trascinando i bagagli all’interno della stanza.
- io sono giù, per qualsiasi cosa chiama-
Annuii nuovamente e lui uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Mi lasciai andare sul letto, fissando il soffitto completamente bianco. Io e quel soffitto in quel momento eravamo più simili di quanto potessi immaginare: eravamo bianchi, vuoti, non esprimevamo assolutamente nulla. Almeno lui serviva a tenermi al caldo, invece il mio compito qual’era? Nessuno.
Due giorni dalla morte di mia madre, ed io non mi capacitavo di ciò che stava succedendo. Era morta lei, ed ero morta io.
Scherzando mi aveva sempre detto che non avrei dovuto piangere alla sua morte, ma come facevo io? Ero appena una quindicenne, avevo bisogno di una madre che mi guidasse nella vita, una madre che mi accompagnasse a comprare i vestiti, o che mi rimproverasse per non dare mai una mano in casa.
Volevo una madre rompipalle, come quelle di tutti i miei amici. Volevo una madre che mi accompagnasse nella mia crescita. Invece no. No, io avrei avuto un padre, un padre che conoscevo dall’incirca tre settimane.
 
Sistemai la roba negli armadi, posizionai le fotografie sulle mensole, misi i libri negli scaffali. La camera era perfettamente in ordine, ma conoscendomi, sarebbe durato davvero poco. Mamma diceva sempre “tutto tuo padre”; certo, all’epoca pensavo che fosse Jason, ma adesso sapevo che si riferiva ad Harry.
Eppure la casa mi era sembrata abbastanza ordinata, magari crescendo aveva fatto progressi. Harry sembrava più un ragazzo che un uomo adulto. Era maturo e responsabile, ma si atteggiava ancora come un ragazzo e soprattutto, stava cercando di instaurare con me un rapporto di amicizia che uno padre-figlia.
Mi piaceva Harry, poco invadente e parecchio fiducioso. Ero sicura che le cose tra noi sarebbero andate bene.
 
- c’è una cosa di cui dovrei parlarti…- disse, raggiungendomi sul divano.
Avevamo appena finito di cenare e lui aveva messo apposto la cucina, chiedendomi di aspettarlo in salone per parlarmi.
Annuii e lui proseguì.
- domani ci sarà il funerale di Holly e.. e credo sia giusto avvisare i suoi genitori-
Spalancai gli occhi all’istante. Perché non ci avevo pensato prima? Era ovvio che doveva avvisare i miei nonni! Erano i genitori di mia madre infondo.
Cavolo, il pensiero di conoscerli mi metteva addosso una strana agitazione. Chissà come sarebbe stato il nostro primo incontro. Chissà come sarebbero stati loro, se mi avrebbero abbracciata e consolata o se mi avrebbero incolpato della morte di Holly.
Chissà che aspetto avrebbero avuto, me li ero immaginati così tante volte che non mi sembrava reale poterli finalmente conoscere. Certo, avrei preferito conoscerli in altre circostanze, ma sapere che avrei finalmente conosciuto i miei nonni mi emozionava.
- e se non mi accettano?- chiesi, insicura.
Sorrise, passandomi una mano sul braccio.
- ti accetteranno, sono delle persone fantastiche- mi rassicurò.
La cosa strana fu che le parole di Harry mi rassicurarono sul serio. Ma era andata così fin dal primo giorno: mi fidavo ciecamente di lui. Qualsiasi cosa dicesse per me era vera, la sua parola era indiscutibile.
Speravo che le sue parole non mi avrebbero delusa proprio quella volta. Per me era davvero una cosa importante conoscere i miei nonni, sarebbe stato qualcosa di sensazionale.
- ci saranno anche i miei, mia sorella e forse i suoi parenti…- continuò incerto – volevano tutti molto bene a tua madre-
Annuii.
Avrei conosciuto anche i nonni paterni; quattro in una volta. Diamine, l’affetto di quattro nonni, quattro! Nella mia vita avevo sempre avuto solo i miei genitori, anzi, solo mia madre e Jason, non potevo credere che presto avrei conosciuto i miei nonni e le mie zie. Non stavo più nella pelle, non vedevo l’ora di scoprire i loro volti, di conoscerli a fondo, di farmi raccontare da loro quante più cose possibili su mia madre. Sapevo così poco della sua infanzia, aveva sempre limitato i racconti ed io mi ero sempre ostentata dal chiederglieli. Pensavo che a lei facesse male ricordare, pensavo che non volesse ricordare tutta quella falsa che per anni mi aveva raccontato.
- i genitori di mia madre si ricorderanno di te?- chiesi.
Fece spallucce – dovrebbero, voglio dire, a sedici anni avevo chiesto a tuo nonno la mano di tua madre-
- cosa?!- esclamai incredula, alzandomi sulle ginocchia – volevi sposarla?-
Ridacchiò – in futuro, però volevo abituarlo all’idea… avevo sedici anni, quando ci penso non riesco a credere di averlo fatto-
Scoppiai a ridere, immaginandomi mio padre sedicenne mentre chiedeva a mio nonno di sposare mia madre.
- e lui?- domandai curiosa.
- mi disse di si-
Sorrise malinconico, guardando il vuoto. Nei suoi occhi passarono mille emozioni: paura, rassegna, rabbia, dolore, tristezza, amore. Soprattutto amore. Harry aveva sempre quello sguardo quando si parlava di mia madre. Gli occhi lucidi e il sorriso spontaneo, probabilmente neanche se ne accorgeva.
Harry era un uomo davvero forte, stava reggendo la situazione per entrambi.
- come glielo dirai?-
Tornai seria, pensando a quanto dovesse essere in difficoltà mio padre. Non era mica facile dire a qualcuno “ehi, è morta tua figlia e io ho scoperto di avere una figlia con lei”. Cioè, era davvero il peggiore degli incubi.
- non lo so… dirò la verità, no?-
Annuii e lui accennò un sorriso per rassicurarmi.
- mi manca- ammisi, alzando gli occhi per trattenere le lacrime – mi manca più di ieri-
Sospirò – vieni qui, piccola-
Mi lasciai avvolgere dalle sue braccia forti, cercando di mantenere i singhiozzi. Basta piangere! Basta! Mia madre non avrebbe voluto vedermi così!
 
POV. HARRY
Far addormentare Emily quella sera fu un’impresa ardua. Non smetteva più di piangere, continuava a dirmi quanto le mancasse Holly, quanto si sentisse in colpa per non averle detto più volte quanto le volesse bene o quanto fosse importate per lei.
Povera la mia bambina, soffriva così tanto ed io non potevo fare niente se non stringerla a me e dirle che sarebbe andato tutto bene. Ma non ne ero convinto io, come potevo convincere anche lei? Era una bambina, aveva solo quindici anni, non era giusto che affrontasse tutto quel dolore.
Holly mancava anche a me, da morire. L’amore della mia vita mi aveva lasciato, quella volta per sempre. Non potevo riaverla, ma non potevo abbattermi, avevo una figlia a cui badare. Anzi, a due, non potevo di certo trascurare Mike, era mio figlio ed era importante tanto quanto Emily. Solo che lei in quel momento aveva bisogno di me, il piccolo avrebbe potuto aspettare un altro po’.
Era come se un pezzo di me se ne fosse andato, come se mi avessero staccato qualche arto. Ma no, nessun arto, era un pezzo del cuore quello che avevo perso. All’epoca avrei giurato che tutto il mio cuore appartenesse ad Holly, ma non era così, perché il mio cuore era anche dei miei figli. Cavolo, i miei figli erano la cosa più importante della mia vita, avrei dato la mia vita per loro. Anche per Emily, che conoscevo dall’incirca tre settimane.
 
Era mezzanotte inoltrata e dovevo ancora avvisare i signori Wilson. Presi il telefono di casa, raggirandomelo tra le mani. Il numero lo sapevo a memoria, io ed Holly passavamo pomeriggi interi a parare al telefono quando eravamo ancora due adolescenti.
Presi un bel respiro e composi il numero. Uno, due, tre squilli, poi la voce di quella ragazzina che all’epoca era la dolce Rachel, la sorella minore di Holly. Quanti anni aveva adesso? L’ultima volta che la vidi io avevo sedici anni e lei dieci; quindi, se la matematica non era un’opinione, doveva avere venticinque anni. Cavoli, venticinque anni, chissà quanto era cresciuta.
- pronto? C’è nessuno?- chiese ancora.
Mi risvegliai dai miei pensieri, tossendo imbarazzato.
- parlo con Rachel?-
- si, lei chi è?- domandò confusa, e anche un po’ assonnata.
Sospirai – sono Harry Styles, uhm… ero.. ero un amico di..-
- Harry – sussurrò sconvolta – sei tu?-
Si ricordava di me? Come faceva? Era una bambina quando io stavo con sua sorella, erano passati anni dall’ultima volta che c’eravamo visti! L’avevo sempre adorata, coccolata e viziata, ma era così piccola che non credevo fosse possibile che lei si ricordasse di me.
- sono io- confermai – ci sono i tuoi genitori?-
- si, un attimo-
Passarono un paio di minuti ed una strana sensazione iniziò a farsi spazio nel mio stomaco. Come avrei fatto a dirglielo? Loro figlia era morta, ed aveva lasciato loro una bellissima nipotina. Merda, dove avrei trovato il coraggio di dirgli tutta la verità?
- sei in vivavoce- m’avviso Rachel.
Presi un bel respiro – salve signori Wilson –
- carissimo, è un piacere risentirti- disse dolcemente Kate – a cosa dobbiamo questa telefonata?-
- non porto belle notizie, affatto-
Non li sentii più per diverso tempo, probabilmente stavano ipotizzando cosa potesse essere successo alla loro bambina. Ma Holly, da quanto mi aveva detto Emily, aveva un tumore da quando era piccola, era abbastanza facile indovinare cosa fosse accaduto.
- domani…domani i funerali-
- no!-
L’urlo disperato di sua madre mi fece rimpicciolire il cuore. I suoi singhiozzi mi arrivavano dritti al petto, perforandolo e spaccandomi il cuore a metà. La sua bambina era morta e lei non le aveva neanche detto addio.
Sentii anche quelli di Rachel, più silenziosi e meno frequenti. Holly amava sua sorella, avrebbe dato la vita per lei, tra di loro c’era un rapporto bellissimo. Holly si comportava un po’ come una mamma per Rachel, la portava al parco, l’aiutava a fare i compiti, si prendeva cura di lei come se fosse sue figlia, non sua sorella. Ma Holly era così, Holly amava tutti.
- tu come sei rientrato in contatto con lei? Voi… lei era partita per allontanarsi da te- disse la madre, facendo un grande sforzo per parlare.
Sospirai – mi ha rintracciato Emily, sua figlia… cioè, nostra figlia-
- o mio Dio- sussurra Kate, scoppiando nuovamente a piangere – era incinta!-
Cosa? Non lo sapevano? Avevano lasciato andare via la figlia sedicenne senza neanche sapere che fosse incinta? Certo che Holly aveva combinato proprio un gran bel casino. Andarsene dalla propria città sapendo di essere incinta ed avendo un tumore. Cavolo, io non avrei mai lasciato andare Emily!
- domattina saremo da te, Harry – mi avvisaòsuo padre – dimmi dove e quando-
Diedi loro l’indirizzo di casa mia, per poi richiudere la telefonata.
I miei suoceri sarebbero arrivati l’indomani ed io pensavo solo ad una cosa: come l’avrebbe presa Emily? 






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Salve a tutti! Vi prego, non mi uccidete per il ritardo :( Comunque, Holly ci ha lasciato e presto Emily conscerà i suoi nonni, come sarà questo fatidico incontro? Alla prossimaaaaa! :D

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Capitolo 8
*** I Wilson ***


Quella mattina avevo deciso di lasciare Emily in pace, più dormiva, meno pensava a sua madre. Mi ero svegliato alle sei precise e dopo un caffè preso al volo, avevo iniziato a mettere in ordine la casa. Il padre di Holly mi aveva sempre messo in soggezione, era un uomo altissimo, con una corporatura non indifferente.
Quando ero un adolescente mi faceva paura e puntualmente Holly mi prendeva per il culo e mi diceva che suo padre era l’essere più buono del pianeta. Beh, con le sue figlie forse, lei non vedeva le occhiatacce che mi mandava quando le stavo vicino o la tenevo per mano.
La nostra relazione era stata chiara a tutti fin dal primo giorno; niente di nascosto, niente di cui vergognarsi. Eravamo due ragazzini innamorati che si tenevano spesso per mano e si guardavano costantemente negli occhi.
Era un peccato che Emily non avesse preso i bellissimi occhi blu di sua madre. Dio, quanto amavo i suoi occhi, mi fecero innamorare di lei dal primo istante in cui la vidi. Ok, forse non dal primo visto che avevo solo due anni quando ci conoscemmo, ma erano una parte di lei che avevo sempre amato.
Holly parlava con gli occhi, bastava che i nostri sguardi s’incontrassero un attimo per capirci. Mi ero sempre vantato di essere il suo ragazzo, lei era così bella che tutti i miei amici m’invidiavano. Mi sentivo fortunato, ero fidanzato con una ragazza meravigliosa.
I miei genitori l’avevano sempre adorata, la consideravano un po’ come una terza figlia visto che passava molto tempo a casa nostra. Così come io passavo quasi ogni giorno a casa sua. “Sei uno di famiglia, tesoro” mi diceva Kate, con quel tono dannatamente dolce.
Diamine, come avevo fatto a stare lontano da tutto ciò per quindici anni? Improvvisamente sentivo la mancanza della mia infanzia, della mia famiglia, di Holmes Chapel, di Holly. Ma alla mancanza di Holly, ormai, c’avevo fatto l’abitudine.
Quando ero ancora nella band e avevamo i periodi di pausa, io evitavo di tornare a casa. Preferivo starmene a Los Angeles per conto mio, magari qualche volta facevo venire la mia famiglia da me, ma di tornare nel mio paesino non se ne parlava. Troppi ricordi, troppi volti famigliare, troppe persone che sapevano.
Una volta, avevo ventitré anni, ero tornato a casa per passare il Natale con i miei genitori e mentre camminavo tranquillo per le stradine di Holmes Chapel mi ritrovai davanti una vecchietta. Ci misi poco a riconoscerla, era la vicina di casa mia e di Holly, non potevo credere che fosse ancora viva. Era conosciuta in tutta la città come la smemorata, perché non ricordava mai nulla, a volte si scordava persino il suo nome. E quella svampita cosa si andò a ricordare? La storia tra me e Holly. Mi bloccò per un braccio e mi squadrò da capo a piedi, poi mi chiese “Harry, caro, come sta la tua bellissima fidanzata?”. E diavolo, erano sette anni che non la vedevo! “Non lo so, io e lei non stiamo più assieme”. Non sapevo neanche perché avevo risposto, per educazione probabilmente.
“Oh cielo, e perché mai? Eravate così innamorati!”.
Dopo averla mandata a quel paese proseguii per la mia strada, tornando velocemente a casa e preparando la valigia. Non potevo restare lì un secondo di più.
La mia vita era condizionata da Holly, lo era sempre stata.
 
- a cosa si deve tutto quest’ordine, viene la regina Elisabetta?- scherzò Emily.
Era già pronta, indossava un pantaloncino di jeans ed una maglietta rossa, ai piedi solo un paio di calzini.
Sorrisi quando ricordai che Holly aveva l’abitudine di camminare scalza per casa, quella cosa l’aveva presa sicuramente da sua madre.
- peggio- risposi, con finta aria drammatica.
Mi rivolse uno sguardo confuso, sedendosi al tavolo della cucina. Presi la tazza di latte e gliela misi davanti, prendendo poi i suoi biscotti preferiti al cioccolato.
Mi sedetti accanto a lei, passandomi una mano tra i capelli. Era arrivato il momento di dirglielo, e niente giri di parole.
- i tuoi nonni materni-
Restò col biscotto a mezz’aria, guardandomi sconvolta.
- e me lo dici così?!-
Diamine, ecco! Lo sapevo che non l’avrebbe presa bene. Come avevo potuto pensare che sarebbe andato tutto bene? Non aveva mai visto i suoi nonni, non sapeva chi fossero. Oddio, che stupido egoista che ero stato, avrei dovuto…
- potevo vestirmi meglio!- quasi urlò.
Alzai un sopracciglio, chiedendole se facesse sul serio. Vestirsi meglio? Avrebbe conosciuto i suoi nonni e si preoccupava di come era vestita? Era quella la sua più grande preoccupazione?
- voglio fare una buona impressione su di loro- spiegò in fretta – quando arrivano?-
Aprii la bocca per rispondere ma il suono del campanello mi anticipò. Mi rivolse uno sguardo terrorizzato ed io sforzai un sorriso per incoraggiarla. Incoraggiarla di cosa? Avevo più paura io di lei!
- io vado ad aprire, tu rimetti in ordine la cucina- disse velocemente – mi raccomando, bella figura-
Scoppiò a ridere ed annuì, alzandosi e mettendo la tazza nel lavandino.
Raggiunsi il salone, prendendo un bel respiro prima di aprire la porta.
Una fitta mi attraversò il cuore quando gli occhi blu di Kate incontrarono i miei. Troppo, troppo simili a quelli di sua figlia. Anzi, delle sue figlie. Rachel e Holly avevano gli stessi occhi.
Guardai prima Mark, quanti anni aveva? Cinquanta? Gli anni non erano passati per lui, era sempre in ottima forma. I capelli un po’ più bianchi e qualche ruga sulla faccia, ma il corpo possente e l’altezza erano rimasti. La mia stazza eguagliava la sua, in passato non l’avrei mai creduto possibile.
Poi guardai la donna al suo fianco. Bella quindici anni prima, bella adesso. I capelli castani, ovviamente tinti, le ricadevano a caschetto sulla testa; la frangetta le copriva di poco gli occhi. Il braccio esile era stretto attorno a quello del marito e lo sguardo era piantato nel mio. Qualche ruga in più, qualche accenno di mezza età, eppure il suo fisico si manteneva alto e snello come un tempo.
Guardai infine colei che avevo visto crescere, quella bambina con dei grandi occhi blu e le guance paffute. Quella bambina che si era trasformata in una bellissima donna.
Caspita, aveva avuto un cambiamento impressionante. Beh, del resto l’ultima volta che l’avevo vista aveva solo dieci anni, doveva ancora maturare. Probabilmente era la donna più bella che avessi mai visto, dopo Holly, non a caso erano sorelle.
Era poco più bassa di me, con dei lunghi capelli castani che le scendevano fino a metà schiena. Gli occhi blu, di quel blu intenso che non avrei pensato di poter vedere ancora. Sia Mark che Kate avevano gli occhi azzurri, le loro figlie avevano gli occhi più spettacolari della terra.
Il suo corpo era magro, nascosto dietro quello dei suoi genitori. Quella pancetta che aveva quand’era bambina era totalmente sparita, così come le guance paffute.
Mark e Kate erano bellissimi e avevano avuto due figlie che erano paragonabili a delle dee.
 
- tesoro- sussurrò Kate, prima di stringermi in un abbraccio.
Il suo profumo. Quel profumo di casa. No, diamine, non potevo credere che dopo tanti anni fosse rimasto sempre lo stesso.
Ricambiai quell’abbraccio, facendomi cullare da quelle braccia materne. Braccia che mi avevano sempre stretto, sempre protetto. Braccia forti sulle quali avevo sempre potuto contrare.
Mi rivolse un sorriso, accarezzandomi dolcemente la guancia. Sorrisi a mia volta, aprendo la porta per lasciarle loro lo spazio di entrare. Kate fu la prima a varcare la soglia. Quando Mark mi fu affianco, mi rivolse uno sguardo riconoscente.
- ciao, figliolo- sussurrò, mettendomi una mano sulla spalla.
Sostenni lo sguardo dell’uomo, cercando con tutto me stesso di non piangere. Figliolo. Erano passati quindici anni e lui mi chiamava ancora figliolo. Mi considerava un figlio. “Sei quel figlio maschio che non ho mai avuto” diceva ridendo quando ero ancora un bambino. Certo, quando mi ero messo con sua figlia aveva iniziato a comportarsi da padre geloso, ma non c’era stata una volta in cui mi avesse voltato le spalle o in cui non avesse approvato qualche mia decisione.
Era un uomo fantastico.
- ciao Mark – risposi, accennando un sorriso.
Entrò anche lui ed io focalizzai il mio sguardo sulla piccola Rachel. No, non aveva decisamente niente di piccolo ormai. Indossava un jeans scuro ed una maglia a righe blu e bianca.
Oh, Louis. Qualsiasi cosa a righe mi ricordava il mio migliore amico, era più forte di me.
- ehi piccola Wilson – dissi sorridente, allargando le braccia.
Lei ricambiò il sorriso e mi abbracciò, strofinando il naso sul mio petto. Cavolo, era così piccola l’ultima volta che l’avevo abbracciata, non potevo credere di star stringendo la dolce Rece.
- Dio, quanto mi sei mancato Harry – disse, ancora tra le mie braccia.
Le lasciai un bacio sulla fronte – anche tu piccolina-
Si staccò ancora sorridente ed io chiusi la porta di casa, osservando i tre Wilson. Guardavano tutti e tre la casa meravigliati, già, neanche io mi sarei mai aspettato di andare a vivere in una villetta così grande.
A volte, scherzando, con Holly avevo parlato sul nostro futuro: il matrimonio, una casa grande e tanti figli. La facevamo facile all’epoca, eravamo solo due ragazzini. Anzi, io ero un ragazzino, lei probabilmente era molto più matura di me visto quella grave malattia che si portava sulle spalle.
- bella casa- commentò Rachel, continuando a guardarsi attorno.
Accennai un sorriso e – grazie- dissi.
Emily. Oh, giusto. Dovevo fare un paio di presentazioni. Girai lo sguardo verso la porta della cucina, dove mia figlia stava osservando i suoi nonni e sua zia. Era emozionata, potevo ben dirlo dai suoi occhi lucidi.
I Wilson si accorsero di lei solo in un secondo momento e iniziarono a fissarla incuriositi.
Bene, era arrivato il mio momento.
- Kate, lei è Emily, mia figlia- dissi, indicando prima la donna e poi la ragazza – Emily, lei è Kate, tua…nonna-
La donna sorrise, emozionata quanto sua nipote. Emily mi lanciò uno sguardo imbarazzato, senza saper che fare. Beh, mi dispiaceva per lei, ma io ero nelle sue stesse condizioni.
- ciao- disse Kate – è davvero bello fare la tua conoscenza-
La ragazzina ampliò il sorriso, correndo verso sua nonna e abbracciandola forte. Kate ricambiò l’abbraccio, accarezzandole la schiena e versando qualche lacrima silenziosa. Cavolo, quella era mia figlia. Mia figlia che abbracciava sua nonna. La madre della ragazza che amavo.
- ciao nonna- rispose Emily in un sussurro.
Kate scoppiò letteralmente a piangere. Ma erano lacrime di gioia, non di tristezza. Così come quelle di Emily, era bello vedere mia figlia felice dopo tutto quello che stava passando.
Si staccarono e la moretta mi guardò nuovamente, accennando un sorriso.
- lui è Mark, tuo nonno- dissi, indicando l’uomo.
Lei sorrise e corse ad abbracciarlo, lasciandosi stringere dal nonno. Erano troppo giovani per essere già nonni quei due. Perlomeno, non nonni di una ragazzina di quindici anni.
- Dio, sei identica a mia madre!- esclamò Emily.
- e tu sei identica a mia sorella… Vieni qui nipotina bella!-
Emily ridacchiò e si lasciò abbracciare da Rachel, che la strinse forte e le diede mille baci sulla guancia.
- hai finito di consumare mia figlia?- domandai divertito a mia cognata.
Lei mi fece la linguaccia e continuò a tener stretta sua nipote. Scossi la testa in un gesto esasperato, per poi chiedere ai signori Wilson se volessero qualcosa da bere.
Ci accomodammo tutti sul divano ed Emily si posizionò accanto a me, prendendomi una mano e stringendola forte tra le sue.
Tranquilla piccola, non ti lascio.
 
POV. KATE
Emily era così simile a lei, alla mia bambina. Erano uguali, in qualsiasi cosa. Avevano lo stesso viso, gli stessi lineamenti. E il carattere, accidenti, mi sembrava di parlare ancora con mia figlia.
Avevano la stessa risata, persino il suono della loro voce era simile. Emily però aveva gli occhi verdi, come quelli di Harry, di suo padre.
Chi l’avrebbe mai detto? Mia figlia era incinta e mi aveva nascosto tutto, ed io come una stupida l’avevo lasciata andare via. Non era stato facile, non volevo farglielo fare, ma come potevo dire di no a quegli occhi imploranti?
“Mamma, lo amo troppo, ti prego lasciami andare, stare qui mi ucciderebbe. Non voglio farlo soffrire mamma, ti prego”. Ricordavo ancora quella sera in cui mi convinse che andarsene sarebbe stata la cosa giusta per la sua vita. Aveva promesso che saremmo rimaste in contatto, che mi avrebbe chiamata in continuo, invece non appena prese l’aereo cambiò numero e fece del suo meglio per farci perdere sue tracce.
Io e mio marito eravamo comunque riusciti a rintracciarla, sapevamo che era sposata con un certo Jason, ma non avevamo idea che avesse una figlia. Una figlia con Harry.
 
- mamma, oggi Harry mi ha regalato la sua maglia preferita, sai? Dio, credo di non aver mai amato così tanto una persona- esclamò Holly.
Sorrisi, continuando a piegare le magliette di Rachel.
- per una maglietta?- domandai divertita.
Sbuffò, stendendosi sul letto.
- ma quale maglietta, io lo amo per come mi fa sentire. Mi fa sentire una principessa, mamma, mi fa sentire la ragazza più bella del mondo. Sono troppo fortunata ad averlo, è l’uomo della mia vita, giuro che un giorno me lo sposo-
Ridacchiai, scuotendo la testa – ah, l’amour-
Mi rivolse un sorrisino furbo. Ed io conoscevo bene mia figlia, sapevo cosa mi stava per chiedere e sapevo anche che mi sarei pentita di averla ascoltata.
- tu e papà a che età l’avete fatto la prima volta?-
- HOLLY!- la rimproverai, senza riuscire a trattenere un sorriso.
- oh andiamo, io ed Harry stiamo insieme da quasi due anni e ci conosciamo da una vita, è normale che noi… si, insomma hai capito, no?-
Mi passai una mano tra i capelli, alzando gli occhi al cielo. Non potevo credere che mia figlia non fosse più vergine. Certo, amavo Harry, era un ragazzo fantastico e lo consideravo un figlio, ma ciò non gli dava il diritto di mettere le mani sulla mia bambina.
- è stata la notte più bella della mia vita, mamma- continuò, parlando più con se stessa che con me – io lo amo. Io voglio passare la mia vita con lui-
Sospirai – è presto per dirlo, non credi?-
- no, so quello che provo e soprattutto, so quello che voglio. E io voglio Harry mamma, lo voglio per sempre-
 
Spostai lo sguardo sul ragazzo, notando come scherzava allegramente con mio marito. Le fossette erano ben in vista e il braccio era attorno le spalle di Emily. “Amo le sue fossette, gli danno quell’aria così da bambino!”, diceva ogni volta Holly.
Io e lei avevamo un rapporto bellissimo, mi diceva tutto, anche la cosa più stupida. Ero la sua migliore amica e lei, in un certo senso, era la mia. Avevo instaurato con lei un rapporto d’amicizia ed ero davvero fiera dei risultati.
Holly era sempre stata una ragazza decisa, se c’era una cosa che voleva, se la prendeva. Così era stato con Harry, voluto e avuto. Ma del resto, era bellissima, chi non l’avrebbe voluta? Ok, forse il mio parare era di parte visto che ero la madre, ma ciò non toglieva che fosse una ragazza bellissima.
Avevo una nipotina, una nipotina bellissima. Una nipotina che era il frutto dell’amore di due adolescenti.
Che poi, amore di due adolescenti un corno, non avevo mai visto due persone amarsi tanto quanto Harry ed Holly. I loro cuori battevano all’unisco, quasi fossero uno solo. Erano una coppia bellissima e Holly, la mia bambina, quanto aveva sofferto quando l’aveva lasciato. La mia piccola poteva morire da un momento all’altro, non voleva rendere Harry partecipe di quel dolore, non poteva farlo.
 
Continuavo a tenere lo sguardo su Harry, su quello che ormai era un uomo maturo e responsabile. Sapevo che era divorziato, che aveva un figlio più piccolo, che era ancora famoso. Anne, sua madre, era una mia cara amica nonché vicina di casa e nonostante i nostri figli si fossero lasciati, la nostra amicizia era durata.
Harry era un uomo con la testa sulle spalle, sapevo che sarebbe stato in grado di prendersi cura di Emily perfettamente. Non potevo credere di essere nonna, non potevo credere di non aver visto mia nipote mettere i primi passi, o dire la prima parola.
Holly era sempre stata matura e indipendente, ma non credevo fino a tal punto da prendere tutto e andarsene in un’altra città, non con una bambina in grembo. Avrei voluto essere lì mentre faceva la prima ecografia, mentre le dicevano che era una femminuccia. Avrei voluto stringerle la mano mentre metteva al mondo quella meraviglia. Avrei voluto esserle accanto in ogni momento della sua vita, consigliarle quelle piccole cose da mamma. Invece no, lei aveva fatto tutto da sola, aveva cresciuto Emily da sola, nonostante fosse del tutto inesperta nel capo di “mamma”.
Non c’ero stata nella vita di mia nipote, ma da quel giorno, non me ne sarei più andata. 






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Eccomi qui con un altro capitolo! Finalmente Emily conosce i suoi nonni! Ci vediamo al prossimo capitolo gente, grazie a tutti quelli che seguono la storia o la tengono tra le preferite! <3 

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Capitolo 9
*** Il metodo della nonna ***


POV. EMILY
La messa procedeva lenta e straziante, con diverse interruzioni da parte di parenti di mia madre che piangevano ad alta voce. Mia nonna aveva avvisato tutti i suoi parenti e la chiesa era gremita di persone. Oltre la miriade di parenti, Harry mi aveva detto che c’erano i suoi amici e la sua ex moglie. Feci una smorfia quando m’informò della presenza di quell’ultima, ma lui mi spiegò che non sapeva che sarebbe venuta. C’erano alcuni amici di mio padre e altri di mia madre e di Jason, forse c’era anche quella Carla. Anche i miei amici di scuola erano presenti, con alcuni insegnati.
C’erano anche i genitori e la sorella di Harry, ma non avevo fatto in tempo a conoscere nessuno visto che zia Rece ci aveva fatto ritardare. Quella ragazza era un vero e proprio spasso, per tutta la mattinata non aveva fatto altro che farmi ridere, raccontandomi cosa facevano lei e mia madre quando erano piccole. Inoltre, la cosa che più amavo di lei, erano i suoi occhi. Erano come quelli di mia madre, erano di quel blu intenso che credevo di aver abbandonato per sempre.
Quando guardavo mia zia mi sembrava di rivedere mia madre, era bello e doloroso allo stesso tempo, ma mi piaceva, mi piaceva che ci fosse una persona così simile a mia madre.
 
Ogni volta che il prete diceva il nome di mia madre era un colpo al cuore. Harry se ne accorgeva e mi stringeva prontamente la mano. Ero al primo banco, tra Harry e mia nonna. A seguire c’erano nonno e zia. Dietro di noi, probabilmente, c’erano i genitori di Harry ma non avevo fatto neanche in tempo a vedere i loro volti.
Il prete chiese se volevo dire qualcosa, ma mi rifiutai di farlo. Già stavo piangendo, non avevo la forza di salire ed espormi agli occhi di tutti. Non avrei retto, era davvero troppo per me.
Mia madre mi mancava immensamente e quella messa non stava facendo altro che ricordarmi il fatto che non sarebbe più tornata indietro.
Sempre gli stessi pensieri, sempre le stesse mancanze; quei giorni erano in assoluto i più brutti della mia vita.
- Emi, stai tranquilla- sussurrò Harry, mettendomi un braccio attorno le spalle e stringendomi a lui.
Continuai a singhiozzare sul suo petto, cercando rifugio in quelle braccia che iniziavano a diventare dannatamente famigliari.
Non ero mai stata una che si fidava subito delle persone, che si faceva abbracciare e consolare da sconosciuti; eppure con Harry era successo, era successo tutto all’improvviso. Era entrato nella mia vita come un uragano e me l’aveva sconvolta.
Ok, forse ero io ad essere entrata nella sua e ad averla sconvolta. Si, insomma, ci eravamo sconvolti a vicenda, ma non potevo chiedere uno sconvolgimento migliore.
Era il padre perfetto, sempre pronto ad ascoltare, a consolare, a parlare, a farmi fare una risata. Era un padre un po’ bizzarro in realtà: mi trattava come se fossi una sua amica, non sua figlia. Però la cosa mi piaceva, c’era meno imbarazzo tra di noi.
Mamma sarebbe stata orgogliosa di lui, del fatto che mi aveva subito accettata, del comportamento che assumeva con me. Mamma doveva essere orgogliosa anche di me. L’avevo perdonata, nonostante mi avesse sottratto a mio padre e mi avesse riempito di bugie, io l’avevo perdonata; l’amavo troppo per fare un torto del genere.
 
La messa era finita e io, Harry, i nonni e zia Rece, eravamo fermi davanti l’altare a subirci le condoglianze da parte di tutti.
Nonna mi stava presentando tutti i suoi parenti, ma erano così tanti che dopo due minuti ne scordavo già i nomi. Alcune mie zie mi guardavano con tanta tenerezza, dicendomi di essere la fotocopia di mia madre; altre mi abbracciavano; altre ancora mi stritolavano le guance. Una mi aveva guardato e poi era scoppiata a piangere, stritolandomi in un abbraccio.
Tutti i parenti di mamma salutavano dolcemente anche Harry, dandogli pacche affettuose o sorrisi incoraggianti. Non credevo che tutti lo conoscessero, invece dovevo ricedermi.
 
Abbassai immediatamente lo sguardo quando qualcosa sbatté contro le mie gambe. Anzi, qualcuno. Un bambino con due grandi occhi verdi mi guardava confuso. Era caduto con il culetto per terra e si teneva una mano sulla testa per la botta data contro il mio ginocchio.
- Ben!- lo richiamò una donna, vendendo a passo veloce verso di noi – quante volte devo dirti di non correre?- lo rimproverò dolcemente, prendendolo in braccio.
Era alta, con dei lunghi capelli castani e gli occhi identici ai miei. Aveva persino le due fossette ai lati della bocca e lo stesso sorriso di Harry.
- Emily, lei è Gemma, mia sorella – disse il riccio – Gemma, lei è Emily, mia figlia-
Gemma diede il bambino ad Harry e poi si fiondò su di me, abbracciandomi forte e dandomi tanti baci sulla testa.
- la mia nipotina! Ma quanto sei bella?- chiese, squadrandomi – tutta tua madre- continuò, con un sorriso malinconico.
Ricambiai il sorriso e guardai le persone alle sue spalle. Un uomo con in braccio una bellissima bambina e una coppia, un po’ più maturi dell’uomo.
- lui è Victor, mio marito- disse zia Gemma – e lei è la mia primogenita, Sam. Il piccoletto è Ben-
Annuii e sorrisi alla bambina, chiedendole quanti anni avesse.
- sei- rispose, sorridendo – tu sei la sorella di Mike?-
Annuii e mi girai verso Harry, intento a far ridere Ben.
- sono i miei cugini, giusto?- chiesi, accarezzando la guancia del bambino.
- esattamente- rispose, mettendo il piccolo a terra – loro invece sono i tuoi nonni, Anne e Robin. Mamma, Robin, lei è mia figlia, Emily – disse, presentandomi alla coppia.
Nonna mi abbracciò immediatamente, versando qualche lacrima di gioia. Come me, del resto.
Cavolo, le lacrime sembravano non voler finire mai in quell’ultimo mese.
- sono così felice di conoscerti, tesoro- disse nonna, accarezzandomi un braccio.
Ricambiai il sorriso – anch’io, nonna-
Anche Robin mi abbracciò, con un po’ più di imbarazzo. Chissà dov’era il mio vero nonno. Forse era morto, o forse aveva solo perso i contatti con Harry; avrei dovuto chiederglielo.
Le mie nonne si abbracciarono forte e nonna Anne consolò nonna Kate. Quell’ultima mi aveva detto che lei e la madre di Harry erano molto amiche, passavano quasi ogni giorno assieme da ormai più di trent’anni.
Robin parlò un po’ con Mark e zia Gemma scambiò qualche chiacchiera con zia Rece.
- noi vi aspettiamo fuori- disse nonna Anne, sorridendo.
Tutti annuirono e gli Styles uscirono, facendo spazio ad un altro grande gruppo di persone.
 
C’erano davvero troppe persone. Mi dovetti subire le condoglianze di tutti i miei amici, degli amici di mamma e Jason, di alcuni dei miei insegnanti e dei colleghi di mia madre.
La chiesa finalmente parve svuotarsi, rimanevano ormai pochissime persone. Tra quelli potei riconoscere Zayn, quell’amico di Harry che vidi in ospedale. Immaginai, quindi, che fossero gli altri ex componenti della band.
Guardando i vari volti, ne riconobbi uno famigliare.
Spalancai gli occhi. Lo stupido ragazzino! Oh, fantastico, meglio di così non poteva andare.
- ragazzi, lei è Emily, mia figlia- disse Harry, posandomi una mano sulla spalla – allora, lui è Zayn, ma già lo conosci-
Il moro mi sorrise e mi fece le condoglianze, andando poi dai miei nonni.
- lei è Perrie, sua moglie-
La donna era bionda, con gli occhi celesti ed un pancione enorme; era sicuramente incinta. Anche lei, come il marito, mi salutò e mi fece le condoglianze per poi passare alla famiglia di mia madre.
- lui è Louis e lei è sua moglie Eleanor- continuò Harry – Liam e Danielle- indicò l’altra coppia – e Niall- concluse, guardando un biondo.
Sorrisi a tutti e loro si presentarono, facendo le condoglianze prima a me, poi ai miei nonni.
- oh, scusa Eric, non ti avevo visto- disse il riccio – Emily, lui è Eric, il figlio di Zayn e Perrie-
Accennai un sorriso e gli strinsi la mano, mentre lui mi sorrideva divertito.
- condoglianze- disse in seguito.
Annuii e distolsi lo sguardo, guardandomi in giro imbarazzata. Continuava a fissarmi e la cosa iniziava a darmi altamente sui nervi.
- il mondo è piccolo, vero?- domandò – chi l’avrebbe mai detto che eri la figlia di Harry!-
Gli rivolsi un sorriso veloce e mi girai verso il grande gruppo di persone in cerca di Harry, però non lo trovai. Mi guardai confusa attorno, notando mio padre che parlava con una bionda. Strano, quella bionda aveva un’aria famigliare.
- è Taylor Swift, la sua ex moglie- disse Eric.
Spalancai gli occhi. Taylor Swift? La cantante? Non che io l’ascoltassi, però era abbastanza famosa. Faceva quelle musiche lente e delicate che ascoltavano gli adulti e i ragazzi vecchio stampo; era brava e se non sbagliavo, a breve avrebbe dovuto iniziare un tour.
- non fare quella faccia, tuo padre era tre volte più famoso di lei- ridacchiò il moretto.
Mi sorpresi quando disse quella frase; come aveva fatto a capire ciò che stavo pensando? Continuai a guardare Harry mentre parlava velocemente e gesticolava. Lei annuiva in continuo e faceva gli occhi dolci.
- ci sta provando!- esclamai, indicandola.
- è da quando si sono lasciati che ci prova, piccola-
Mi girai verso di lui ed alzai un sopracciglio, contrariata dal quel soprannome.
- piccola? Probabilmente sono più grande di te, ragazzino-
Roteò gli occhi – tra poco compierò quindici anni, quindi, piccola, non c’è molta differenza tra di noi-
Feci per rispondere, ma la voce di Harry mi bloccò. Mi rigirai e lo trovai di fronte a me, con accanto la bionda.
- lei è Taylor, la mia ex moglie- spiegò – lei è Emily –
Strinsi la mano della bionda, che mi sorrise con immenso sforzo. Bene, non le stavo neanche simpatica. Non che lei mi andasse del tutto a genio, ovviamente. Sentivo già che ci sarebbe stata tensione tra di noi in futuro.
 
- santo cielo Ben, smettila di correre!- esclamò zia Gemma.
Ridacchiai e aprii le braccia, afferrando al volo il bambino che era corso verso di me. Aveva solo due anni, eppure era una vera e propria peste.
Per quella notte sarebbero rimasti tutti da noi. E per tutti intendevo i miei nonni sia materni che paterni e le mie due zie.
- sei cresciuta tantissimo, Rachel!- esclamò nonna Anne.
Erano tutti seduti sul divano, a eccezione di Sam che si era piantata davanti la televisione, Ben che correva ovunque ed io che correvo dietro il piccolino.
- non la vedi ogni giorno?- chiese Harry confuso.
- quanti anni sono che non abiti più a Holmes Chapel? Sette?- chiese ancora nonna Anne.
Zia annuì e mi sorrise quando mi sedetti accanto a lei.
- dove sei stata?- domandò Harry.
- sono andata a studiare alla Juilliard e dopo aver avuto la laurea sono venuta ad abitare a Londra –
Spalancai gli occhi – la Juilliard? Zia ma è la più importante Università di musica!-
Ridacchiò ed annuì.
- in cosa ti sei laureata?-
- principalmente come pianista e compositrice, ma me la cavo con quasi tutti gli strumenti-
Rimasi incantata mentre mia zia raccontava le sue esperienze in quella scuola. Accidenti, doveva essere davvero fiera di sé, la Juilliard non era per tutti. Mamma, che era una violinista, mi aveva sempre detto che molte sue amiche si erano iscritte a quell’università per poi andarsene dopo un mese. Ritmi troppo duri da gestire, professori esigenti e commissioni esterne sempre pronte a giudicare. Beh, stavamo parlando della più grande università di musica del mondo (oltre la Royal), era quasi scontato che fosse difficile e parecchio impegnativa.
Anche a me piaceva molto la musica, probabilmente ce l’avevo nel sangue: un padre cantante e una madre violinista; ero più che certa che il mio futuro si sarebbe ambientato in campo musicale.
Sapevo suonare la chitarra e sapevo di avere una bella voce. Mamma me lo diceva sempre ma lei era l’unica a sapere della mia bravura, mi vergognavo troppo a cantare davanti ad altre persone, le parole mi si bloccavano in gola. “Panico da palcoscenico” diceva lei “Alla tua età e normale”. Probabilmente aveva ragione, infondo ero solo una ragazzina e come tutte le adolescenti della mia età, avevo paura di essere giudicata da tutti. Mamma diceva sempre che crescendo avrei acquisito più fiducia in me stessa e avrei imparato a non aver paura di mostrarmi agli altri per come ero realmente. Beh, lo speravo davvero.
 
POV. RACHEL
Ero completamente immersa nel mio racconto, ricordando tutti quei bei momenti passati all’università. Tutti mi ascoltavano, mi facevano domande e si complimentavano per il risultato raggiunto. Emily era in assoluto la più curiosa, continuava a farmi un sacco di domande: i professori, gli esami, l’edificio. Sembrava davvero interessata alla faccenda della Juilliard, chissà, un giorno magari avrebbe potuto frequentarla lei. Avrei dovuto avvisarla però, avrei dovuto dirle che era davvero molto impegnativa come scuola e soprattutto, che non potevi permetterti periodi di pausa. Perdevi una lezione e ti eri segnato la tua condanna, era sempre stato così.
Mamma e papà erano super orgogliosi di me, del cammino che stavo facendo. Dopo la laurea ero tornata in Gran Bretagna perché la distanza dai miei genitori e dai miei amici mi uccideva, ma non potei tornare ad Holmes Chapel, lì non c’erano abbastanza opportunità lavorative.
Così iniziai a lavorare a Londra, ero un’insegnate di pianoforte in un conservatorio. I miei si offrirono di comprarmi un appartamento, però rifiutai il loro aiuto. Mi avevano già pagato l’università e tutti i biglietti d’aereo per tornare a casa, non volevo sfilare loro altri soldi. Avevo trovato un appartamento davvero carino vicino il conservatorio; era al quarto piano di una palazzina molto moderna. Lo condividevo con una ragazza della mia stessa età, Lucy. Lei veniva da Liverpool e come me, non conosceva nessuno nella grande e caotica Londra. Nel giro di un anno eravamo diventate inseparabili.
Tornavo a casa non appena potevo, a volte anche solo per un giorno. Ero molto legata ai miei genitori, era grazie a loro se avevo potuto coronare il mio sogno di andare alla Juilliard. A volte pensavo a quanto sarebbe stata fiera di me Holly, la mia sorellona. Quando se ne andò di casa avevo solo dieci anni, non capivo la situazione e soprattutto, non sapevo della sua malattia. I miei mi dissero la verità solo a quindici anni, quando fui abbastanza matura per comprendere e non avercela con lei per avermi lasciata sola.
 
Mamma era ancora in lacrime sul mio letto, mentre cercava di spiegarmi meglio la situazione. Ma non m’importavano le sue parole, il primo pensiero che mi attraversò la mente quando mi disse che Holly se n’era andata, fu Harry. Corsi fuori e percorsi quei pochi metri che ci dividevano, bussai freneticamente alla porta di casa sua e la dolce Anne mi venne ad aprire. Non la salutai neanche, semplicemente corsi di sopra e mi fiondai in camera di Harry. Era rannicchiato sul letto, mentre continuava a fissare una foto. Erano lui e Holly, sorridevano felici ed avevano due gelati in mano.
Mi guardò confuso, mettendosi seduto sul letto.
- Rece, che ci fai qui?-
Le lacrime iniziarono ad uscire dai miei occhi e in meno di tre secondi, ero corsa verso di lui per dargli dei pugni sul petto.
- è colpa tua! È colpa tua se se n’è andata!- urlai, continuando a colpirlo.
Sospirò, senza dire niente, senza bloccarmi. Continuai la mia crisi di pianto e violenza su di lui finché non fui stanca. Finché, ancora piangendo, posai la testa sulla sua spalla e venni dolcemente stretta dalle sue braccia.
- Rece, non è colpa mia se lei è andata via- sospirò – se vuoi sapere la verità, non so neanche perché se n’è andata-
Continuai a piangere, mentre lui mi accarezzava la schiena e mi diceva di stare tranquilla perché sarebbe tornata. Mi fidavo di Harry, era un fratello per me. Così mi addormentai, cullata dalle sue braccia.
 
- zia? Ehi zia, ci sei?-
Emily mi passò una mano davanti al volto, risvegliandomi dai miei pensieri. Sorrisi ed annuii, dando uno sguardo veloce ai presenti. Erano tutti perplessi, probabilmente ero rimasta in silenzio più del dovuto. Guardai anche Harry, il quale mi rivolse uno sguardo comprensivo.
- e l’esame finale?- chiese mia nipote, curiosa più di prima.
Harry sbuffò – Emi, basta stressare tua zia, la stai facendo esaurire con le tue domande-
La ragazzina mise il broncio ed io le baciai scherzosamente la guancia, per poi sorridere grata al riccio che ricambiò con un occhiolino. Come faceva sempre a capire la situazione e a fare la cosa giusta? Quel ragazzo era un angelo, aveva ragione mia sorella quando lo diceva.
- per quanto pensate di intrattenervi?- domandò Harry – giusto per organizzarmi, sapete, la spesa…-
- io vorrei restare ma il lavoro chiama- disse dispiaciuta Gemma, mentre stringeva forte il piccolo Ben, ormai dormiente – domattina andiamo via-
- credo anche noi, Harry – rispose Anne – non vogliamo disturbare-
Mamma annuì in accordo – poi magari ci sentiamo e ci organizziamo meglio per passare un po’ di tempo assieme-
Harry annuì e poco dopo, ci demmo tutti la buonanotte. Nella stanza degli ospiti dormivano i miei genitori, con la piccola Sam in mezzo; nell’altra stanza ospiti ci dormivano Anne e Robin.
Io sarei stata in camera del piccolo Mike, nel letto singolo. Gemma e Victor avrebbero occupato la camera di Emily e Emily avrebbe dormito con Harry e Ben.
Sistemazioni arrangiate, ma nessuno poteva permettersi di lamentarsi in quella situazione.
 
Erano le due, forse le tre quando mi svegliai di colpo. Il cuscino era inondato di lacrime, così come le mie guance. Un incubo, un orribile incubo. C’era Holly, c’era il buio, c’erano i miei che piangevano disperati.
Avevo sognato la curda realtà e non riuscivo a far smettere il mio cuore di battere così velocemente.
Mi alzai di scatto, uscendo fuori da quella camera e scendendo immediatamente al piano inferiore, raggiungendo la cucina. Necessitavo di un bicchiere d’acqua.
Però, non appena varcai la soglia della stanza, quasi non persi venticinque anni di vita. Harry scoppiò a ridere, forse per la mia faccia terrorizzata. Era seduto al tavolo, con solo la luce del cellulare ad illuminargli il volto.
- che diamine stai facendo?!- urlai a bassa voce.
Fece spallucce – sto messaggiando con un mio amico-
- e tu e il tuo amico messaggiate alle due di notte?-
- sono le quattro- ridacchiò – ci saremmo chiamati, ma lui ha sua moglie affianco che dorme-
Sospirai – di chi stiamo parlando?-
- Liam- rispose semplicemente.
- e perché sei al buio?-
Non mi rispose, semplicemente alzò le spalle e rispose all’ennesimo messaggio.
- beh, io sono reduce da un incubo e voglio la luce accesa- dissi, accendendola.
E diamine, non l’avessi mai fatto. Indossava solo un paio di pantaloncini grigi, mettendo in bella mostra il suo fisico marchiato dall’inchiostro dei tatuaggi. Avevo già visto Harry a torso nudo, ma parlavamo di quindici anni prima, quando al posto di quegli addominali c’era una tenera pancetta e quei bicipiti così sviluppati erano inesistenti.
Spostai lo sguardo altrove, sicura di non reggere più quella visione. Accidenti, era solo Harry, non dovevo e non potevo reagire in quel modo.
- che incubo?- chiese, alzandosi.
Mi diede le spalle, andando verso il frigo per prendere qualcosa. Oh, fantastico, aveva anche un profilo B dannatamente perfetto.
- Ho..Holly – balbettai, e di certo non per l’incubo.
Suvvia, avevo venticinque anni e vivevo da sola, non mi spaventavo per dei brutti sogni, era la realtà che mi faceva paura.
Annuì e versò del liquido bianco in un bicchiere, versandoci poi lo zucchero e girando il tutto con un cucchiaino. Quando ebbe finito, mise il cucchiaino nel lavandino e prese il bicchiere, venendo verso di me per darmelo.
- il latte era il metodo della nonna- ridacchiai, afferrando il bicchiere.
Sorrise ed annuì – Holly lo usava sempre quando non riuscivo a dormire-
Ne bevvi un sorso ed alzai un sopracciglio.
- tu e mia sorella avete dormito assieme?-
- come pensi che sia rimasta incinta? Per opera dello Spirito Santo?- chiese divertito.
Sorrisi anch’io e mi andai a sedere, continuando a sorseggiare il mio latte freddo. Lui prese posto accanto a me, rispondendo velocemente ad un messaggio del suo amico e tornando con lo sguardo su di me.
- quante volte avete dormito assieme?- domandai, incuriosita.
Non sapevo praticamente nulla della storia di Harry e Holly. Cioè, qualcosa la sapevo, ma ero ancora piccola e col tempo avevo rimosso parecchi ricordi.
- uhm… capitava spesso in campeggio o quando restavamo a dormire da amici-
- e ogni volta…-
Ridacchiò e scosse la testa.
- la prima volta che lo facemmo fu l’8 novembre del 2010, eravamo a casa mia… quella notte sarei dovuto rimanere da solo e lei disse ai tuoi che andava a dormire da un’amica, invece venne da me e… successe- sorrise, abbassando lo sguardo.
Cavolo, quanto era tenero. Probabilmente stava ricordando tutti i dettagli di quella notte che per lui doveva essere stata molto importante; così come per mia sorella.
- la seconda ed ultima volta invece fu il 2 gennaio… lo stesso giorno in cui se ne andò-
Annuii, abbastanza imbarazzata da non saper cosa dire. Forse cacciare quell’argomento non era stata un’idea geniale da parte mia.
- è rimasta incinta di Emily alla prima botta, sai?- domandò sorridente – ho fatto i calcoli per esserne sicuro. Emily è nata l’8 luglio, esattamente nove mesi dopo la nostra prima volta-
Sorrisi anch’io, per poi fare una domanda alquanto bizzarra.
- sei felice che sia rimasta incinta? O avresti preferito continuare a vivere la tua vita come prima, senza Emily?-
- sono felicissimo che sia rimasta incinta, sono felicissimo di aver avuto una figlia con lei, sono felicissimo di aver ritrovato le persone che veramente amo e sono ancor più felice di essere di nuovo felice-
Sorrisi e mi alzai di scatto, abbracciandolo di slancio e facendo finire entrambi per terra. Lui prese una bella botta di schiena, ma dato che non si lamentò, io non accennai ad alzarmi. Mise le sue braccia attorno al mio corpo, stringendomi ancor di più a lui, per quanto fosse possibile visto che ero praticamente stesa sul suo corpo.
- mi mancavano i tuoi abbracci improvvisi, piccola Wilson – sussurrò, guardandomi negli occhi e sorridendo – mi mancava anche il tuo profumo al cioccolato, una cosa di cui andavi pazza da quando eri bambina- ridacchiò, accarezzandomi la guancia con una mano – mi mancava stringerti a me quando c’era qualche problema o rassicurarti quando eri giù- continuò, mettendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sospirò, diventando improvvisamente serio – Dio piccolina, non sai quanto mi sei mancata- concluse, abbracciandomi nuovamente.
Affondai la testa nell’incavo del suo collo, mentre le sue mani mi accarezzavano dolcemente la schiena.
- mi sei mancato anche tu- dissi, stampandogli un bacio sulla guancia.
Lui sorrise e io gli scompigliai i capelli, per poi alzarmi e ricompormi.
- comunque, cognatino bello, puoi vedermi tutte le volte che vuoi dato che abito a meno dieci minuti di qui-
Sgranò gli occhi, incredulo.
- sul serio? Vivi a Londra? Perché non me l’hai mai detto? Avremmo potuto vederci per un caffè, mi avrebbe fatto piacere!-
Alzai un sopracciglio – Harry, sei serio? Dovevo chiamarti e dirti “Ehi sono la piccola Wilson, da oggi abito a Londra e mi chiedevo se ti andasse di prendere un caffè con me!”-
Lui annuì frenetico ed io alzai gli occhi al cielo, finendo di bere il liquido contenuto nel bicchiere.
- lavori?-
- si, insegno pianoforte in un conservatorio-
Sorrise – quindi da oggi la tua presenza nella mia vita diventerà costante? Bene, ecco un altro motivo per cui essere felice!- guardò l’ora – adesso vado a dormire, domani sarà una giornata movimentata. Vai anche tu piccola Wilson –
Annuii e dopo aver farfugliato un “buonanotte”, mi chiusi in camera di Mike.
 
“La tua presenza nella mia vita diventerà costante? Bene, ecco un altro motivo per cui essere felice!”.
Non dovevo pensarci. Era mio cognato. Era l’uomo che amava mia sorella. Era il padre di mia nipote.
Ero solo stanca, si, stanca e contenta di averlo rivisto. Dovevo solo dormirci su e il giorno dopo mi sarei tolta dalla testa quella follia. 
















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Eccone un altro! Spero vi sia piaciuto, alla prossima! :)

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