Le ragazze che...

di LadySpleen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza sotto la pioggia ***
Capitolo 2: *** La ragazza con il broncio ***
Capitolo 3: *** La ragazza col fiocco rosso ***
Capitolo 4: *** La ragazza seduta sulla panchina ***
Capitolo 5: *** La ragazza senza speranza ***



Capitolo 1
*** La ragazza sotto la pioggia ***





La ragazza sotto la pioggia

Non aveva nome, non aveva età.
Era una ragazza giovane, forse più giovane di quanto sembrasse.
Ma poteva anche essere una bambina.
Indossava una felpa nera, col cappuccio alzato. Un ciuffo di capelli corvini le oscurava per metà il volto. Il resto era un paio di occhiali e un rossetto un po’ troppo scuro. La pelle così diafana.
Se ne stava lì, sotto la pioggia, con la schiena appoggiata ad un lampione.
La luce spietata e arancione che la illuminava malamente dall’alto.
I jeans bagnati dello stesso colore della notte.
Se ne stava lì e attendeva. Era già trascorsa quasi mezz’ora. Ma lei attendeva.
E continuava a ripetersi che presto lui sarebbe arrivato.
Intanto la pioggia scorreva, sulle lenti degli occhiali, sulle mani. Cadeva fitta e rendeva quell’attesa un po’ più magica, con quell’atmosfera un po’ velata e lo scrosciare sull’asfalto e l’aria fredda.
Se ne stava lì, immobile, respirando il profumo della terra e dell’erba bagnata, guardando impassibile il solitario passaggio di un’auto per quella via di un quartiere un po’ fuori mano, ma tuttavia vicino al centro. Aspettava ed era certa che lui sarebbe arrivato e le avrebbe dato una spiegazione, che aveva avuto un imprevisto, e anche se fosse stata una menzogna lei ci avrebbe creduto.
La pioggia continuava a cadere ed oramai era passata un’ora.
Lei non si era mossa.
Avrebbe voluto piangere, ma si tratteneva, forse per orgoglio, forse per paura che lui arrivasse trovandola in lacrime.
E no, non doveva succedere.
“Lasciamo che si sfoghi il cielo…”
Che tanto poi, lui, non se ne sarebbe accorto.
Sarebbero state lacrime ed acqua mischiate sul suo viso e con quel buio non avrebbe notato gli occhi rossi e forse sarebbe stato troppo preso dalle sue labbra per potersi accorgere d’altro, mentre all’orecchio le sussurrava scuse e versi di poesia.
Ma no, non poteva piangere, che si sarebbe sbavato il trucco e lui stava di certo per arrivare.
Si era truccata con tanta attenzione, quella sera. Matita nera calcata sopra e sotto l’occhio, magari un po’ sbavata verso l’esterno e quel rossetto scuro, che si notava tanto anche da lontano, anche se teneva il viso leggermente reclinato verso il basso e il cappuccio e il ciuffo le coprivano per metà il viso, pallido e tondo come la luna.
Se ne stava lì e sospirava, aspettando.
Fragile figura affiancata da un lampione, che triste accompagnatore.
Sagoma nera nel nero della notte.
Ripensava a quante bugie aveva dovuto raccontare, per uscire quella sera.
E aveva dovuto strillare e impuntarsi, ricorrere a tutta la sua arguzia e alla sua diplomazia, che non era mai stata il suo forte. Lei, così impulsiva.
Poteva far paura, con quel carattere aggressivo. Eppure nascondeva una tale insicurezza… Anche quello poteva far paura.
Ma lei, allora, quella notte, sola sotto la pioggia, aveva avuto paura?
Le tremavano le gambe per il freddo e la stanchezza. Oramai, non contava nemmeno più i minuti.
Quanto tempo era passato? Un’ora e mezza, due? Ma che importanza poteva avere?
Presto l’avrebbero chiamata, per chiederle se i genitori di quella sua amica la stessero portando a casa e lei avrebbe risposto che se n’erano appena andati e stava per citofonare.
Se non fosse stata così infreddolita e triste, a quel pensiero, avrebbe anche riso: se avessero saputo che non si era nemmeno allontanata dal portone di casa?
Infine, pochi istanti prima della mezzanotte, si voltò e scomparve sotto la pioggia. Verso casa.
Ed io, che la osservavo di lontano, dall’altro lato della strada, nell’ombrosa sicurezza di uno slargo male illuminato, rimasi seduto dov’ero a fissare quel lampione, ora tanto solo.
E ora, che non so nemmeno più quanto tempo è passato; ora che non posso più dire di essere un adolescente avventato, mentre ricordo tutto questo, mentre non cerco nemmeno più una giustificazione...
mi sforzo di non ricordare il suo nome.







Commenti dell'autrice
Una raccolta di brevi racconti introspettivi su diverse ragazze, tutte anonime così come i loro "narratori", era un'idea che mi venne una sera di parecchi mesi fa, mentre portavo a spasso il mio cane (^^)ma che, una volta passato l'inverno, misi in cantiere. Forse è per questo che i toni sono così cupi, così tristi e tipicamente invernali.
Ritrovando i file nel pc ho pensato però che in fondo non mi dispiaceva così tanto quello che già avevo scritto, che in fondo aveva un suo senso raccontare di ragazze banali, senza nome, quasi senza volto.
Ragazze che potrebbero essere chiunque, che magari almeno una volta nella vita siamo state...
E così ho deciso di pubblicare i primi quattro capitoli, che avevo già composto. Questo è il primo che ho scritto.

Spero di ricevere un vostro parere su questo mio lavoro, le critiche sono sempre ben accette perchè spesso costruttive.

GRAZIE A TUTTI ^_^


A presto, vostra LadySpleen

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Capitolo 2
*** La ragazza con il broncio ***






La ragazza con il broncio

La incontravo spesso, una volta, quando la sera rientravo a casa.
Poi è scomparsa per un po’… o sono io ad essermi eclissata, chissà.
Più tardi, la vidi saltuariamente, quasi per caso, per poi perderci ognuna nella propria vita.
Non ci siamo mai parlate.
Mai, a parte il saluto e qualche domanda di circostanza, le solite mezze frasi che vengono mormorate in ascensore, tanto per non starsene a contare i pulsanti o i neon sul soffitto. È una cosa che faccio sempre, in ascensore, come fissarmi la punta delle scarpe, ma con lei non riuscivo a resistere alla tentazione di lanciarle uno sguardo, con la coda dell’occhio, di osservarla di nascosto, anche solo per un istante.
Aveva tre anni più di me ed era piccola, non bassa, ma proprio piccola , minuta e magrissima.
Accanto a lei mi sentivo enorme, eppure arrivavo appena al metro e sessanta.
Ma non era certo la sua statura ad incuriosirmi tanto… beh, forse un po’ anche quella…
Tuttavia ciò che tentavo di sbirciare nei pochi secondi di salita in ascensore era il suo viso: un volto sottile e allungato, dagli zigomi pronunciati, il colorito pallido, le labbra incurvate, sempre, in una smorfia composta, come di leggero disappunto e i capelli lisci e scuri, come gli occhi perennemente adombrati da un’espressione irata.
Mai, mai mi è capitato di vederla sorridere, o assorta, o triste.
Il suo sguardo era sempre quello, carico di astio e rancore, come se odiasse il mondo intero e volesse incenerirlo solo con la forza dei suoi occhi irati. Occhi scuri, castani, forse troppo grandi per quel viso spigoloso e pallido. E corrucciati. Sempre.
La prima volta che lo notai, credetti che avesse litigato con qualcuno, pensai che avesse i suoi motivi per cui essere così tanto arrabbiata.
La seconda mi chiesi se non fossi io la causa di quello sguardo imbronciato, poi ricordai a me stessa che non ero tanto importante o particolare da attirare l’ira o l’invidia di qualcuno.
La terza volta, poi, capii… o almeno credetti di capire.
Il suo, era semplicemente un modo come un altro per esternare la sua avversione per il mondo. Perché lo sapevo anche io, che era tutto un gran immondezzaio, questo mondo dove siamo costretti a vivere, per decisione di chi, ancora non è stato capito, e da una parte credo sia meglio così.
Era una ragazza che ce l’aveva con tutti, indistintamente.
Forse perché la vita era stata crudele con lei. Forse perché le andava e motivi non ne aveva.
In fondo, non è obbligatorio avere sempre un motivo, una spiegazione. Ci sono cose che si fanno e basta, senza troppi perché, che complicano le cose e non risolvono nulla.
Io la ammiravo, quella ragazza imbronciata, perché con i suoi occhi riusciva a esprimere quello che io covavo dentro. Quel rancore che cresceva costantemente ogni volta che uscivo di casa, che aprivo un giornale o accendevo il televisore… ogni volta che mi guardavo allo specchio e non sapevo rispondermi, quando mi chiedevo chi fossi e perché mi trovassi lì.
Quel senso di insoddisfazione, di delusione, magari anche un po’ frustrata, che mi trascinavo nello stomaco e nell’anima, lo vedevo nel suo viso e pensavo:
“Brava, così si fa… Dobbiamo farlo sapere a tutti, a chiunque incroci il nostro cammino e ci osservi anche per un’istante, cosa pensiamo di questo mondo, di questa vita…”
E avrei voluto dirglielo, ma non sono mai stata abbastanza coraggiosa. Poi il tempo è passato.
Lei non l’ho più vista, ho cambiato casa.
Sono trascorsi inverni ed estati, alcuni di sole, altri di pianto, alternandosi nella solita, monotona routine. Ho vissuto, nonostante il mio disprezzo, in questo mondo che ho imparato ad apprezzare. E nei miei occhi c’è molto di quello che ho visto e meno di quello che ho dentro, c’è molto di quello che gli altri mi hanno donato e meno di quello che io ho preso loro, ora che posso dire di saperne un po’ di più di vita e di mondo, ripensandoci, mi dico:
“Però, com’è triste non vedere altro che la propria rabbia…”








Commenti dell’autrice
Questa in ordine cronologico è l’ultima che ho scritto, ma ho deciso di postarla in anticipo per via del fatto che è l’unica ad essere raccontata esplicitamente da un anonimo osservatore femminile. Sinceramente non mi piace molto, spero di ricevere i vostri pareri ^__^

RINGRAZIAMENTI!
Grazie infinitamente a tutti coloro che hanno letto! Ma in particolare a quei gentilissimi che si sono scomodati nel recensire il capitolo precedente:

Vale8001: grazie mille per i complimenti e per aver messo la storia tra i preferiti, spero che anche questo secondo capitolo possa piacerti, secondo me non regge il confronto con quello prima, anche se in effetti è un'altra situazione…

Hermione_06: grazie ^_^

Crazyforever: sei troppo gentile, e troppo modesta! Ricorda: ognuno scrive in modo diverso… è un po’ come le impronte digitali, lo stile di ognuno di noi è assolutamente personale!

Saku_chan the crazy dreamers: grazie mille anche a te, spero continuerai a seguirmi – in fondo ci sono solo altri due chappy ^_^”

KuroNekoChan: Ryu-chaaaaaaaaaaaan!!! *ç* dove? Dov’è il mio unico e grande amore? – ok, se lo sapesse qualcuno potrebbe uccidermi, ma va beh…si ricompone e tenta di mantenere un contegno dignitoso - dicevo: grazie infinitamente anche a te Neko! Si, mi dici sempre che scrivo benissimo, ma tu sei esagerata!!! Cmq, mi fa piacere che ti sia piaciuta… sinceramente e imparzialmente fammi sapere che ne pensi anche di questa! Arigatou gozaimasu! – sparisce raccogliendo i petali sparsi precedentemente dalla cugi nekosa -

Bene, e con questo chiudo
A presto, vostra
LadySpleen

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Capitolo 3
*** La ragazza col fiocco rosso ***




Speciale dedica:Alla mia unica e inimitabile Neko-chan, alla nostra diversità che ci rende in fondo tutti uguali…

La ragazza col fiocco rosso

La prima volta che la vidi era novembre e faceva freddo.
Alla fermata dell’autobus non c’era nessuno. Solo lei, infagottata nel giaccone scuro.
E quella fiammella accesa a metà gamba.
Aveva un fiocco rosso legato intorno al ginocchio sinistro, per il resto era completamente vestita di nero. O forse sotto la giacca portava una maglia di un altro colore.
Come posso saperlo?
Non seppi mai il suo nome, né quanti anni avesse, ma m’innamorai di lei appena la vidi.
Non era bella, non era né alta né bassa, non era né magra né grassa.
Era semplicemente lei, con quel fiocco rosso legato intorno al ginocchio, ferma ad aspettare l’autobus e chissà quale storia aveva da raccontare.
Perché tutti abbiamo una storia e io avrei voluto ascoltare la sua.
Avrei voluto sapere il significato di quel minuzioso dettaglio: perché quel colore, perché quel ginocchio, perché quel nastro d’organza…
Avrei voluto chiederle tante cose ed ero certo che l’avrei trovata stupenda ed unica.
Come il suo fiocco.
Non sapevo niente su di lei, ma l’amavo.
Perché quel fiocco voleva dire tutto.
Sentivo che era qualcosa di più che il semplice vezzo di un’adolescente eccentrica. Era la personificazione del suo carattere e del suo modo di vedere la vita.
Immaginavo già gli sguardi dei passanti, che di certo la giudicavano una ragazzina piena di sé, che voleva solamente attirare l’attenzione, oppure pensavano fosse strana e forse anche un po’ matta.
Sicuramente la trovavano ridicola e m’immaginavo le vecchine sdegnate e le signore di mezz’età che si scambiavano occhiate eloquenti con le mamme, i bambini per mano che guardavano e ridevano.
E tutti che la schivavano, un po’ diffidenti, un po’ sorpresi.
Perché la diversità spaventa sempre un poco e il motivo non l’ho mai capito.
Ma io, invece, amavo quel fiocco rosso e amavo lei che aveva avuto l’ardire di mostrarsi, di differenziarsi, di alzare silenziosamente la voce: “ Io non sono come tutti voi e ne vado fiera.”
Sì, erano di sicuro questi i suoi pensieri.
E amavo il suo viso comune, reso distinto da quell’aria di malinconica indifferenza, come se vedesse tutto da molto lontano, come se non le importasse di quello che il resto del mondo pensava, perché lei era così e non avrebbe mai voluto essere diversa.
E sapevo che lei mi avrebbe capito, che ci saremmo compresi, uguali nelle nostre diversità.
Quando arrivò l’autobus, mi accorsi che ero rimasto immobile ad osservarla, impalato dall’altra parte della strada.

La rividi una volta soltanto, due mesi dopo.

Ma il fiocco era scomparso dal ginocchio: lo portava intrecciato tra i capelli e le stava d’incanto. Avrei voluto dirglielo, passandole velocemente accanto, mentre una sua amica le rideva in faccia per quella sua stravaganza.
Ma come sempre, rimasi impacciato nella mia diversa informità.
Chissà se si era accorta di me, quella volta alla fermata.
Chissà, forse lei mi avrebbe accettato.
Non lo saprò mai.






Commenti dell’autrice
Ed eccoci dunque, al terzo capitolo. Anche questo scritto in inverno, di getto. Una piccola riflessione sul fatto che siamo tutti diversi, tutti divisi gli uni dagli altri da ciò che ci rende unici e invece di trovare queste differenze come qualcosa di interessante, un nuovo punto di vista da scoprire, le vediamo solo come qualcosa di nemico, di estraneo, qualcosa di cui diffidare.

Ringraziamenti
Grazie a tutti, quelli che hanno letto, recensito e non.
In particolare:
Saku_chan the crazy dreamers: Grazie infinite per i commenti ^^ non sai quanto mi fanno piacere… allora: stampa pure le mie storie, anzi, basta che non ti scordi dei diritti d’autore!!! poi… beh, forse hai ragione… le due protagoniste hanno qualcosa in comune con le due Nana, ma ti assicuro che non mi sono assolutamente ispirata a loro, anzi, c’è sempre un pizzico di autobiografia in quello che scrivo… spero che ti piaccia anche questo chappy, grazie ancora!

hermione_06: ^\\\^ con tutti sti complimenti arrossisco! Non so che dire se non grazie… senza di voi non credo che posterei più!

Selhin: Un bel commento serio, sisi, grazie mille anche a te! Quanto “all’immondezzaio”… beh, la vita fa schifo… ma in fondo credo che sia per questo che la trovo così stramaledettamente interessante…forse perché spero che qualcosa un giorno possa cambiare… ma ci credo poco.

KuroNekoChan: beh, che dire? La mia fan più accanita… specialmente quando mi pigli a botte!!! Dunque, sono storie di genere diverso, è normale che una possa piacere più dell’altra… oramai ai tuoi commenti dopati non rispondo più, tanto non facciamo altro che ripeterci le stesse cose no? Dunque, - si mi piace dire dunque =_= - dopodomani solo 15! Finalmente, benvenuta nel club!!! (ma che cazzo sto dicendo? Boh, sarà il caldo o che mi manca…blablabla) quanto a Bass…O__O noooo ti prego noooo… scatenami contro Ryu-chan in tutta la sua –mancata- virilità di uke muahahah, ok basta, grazie mille neko, lo sai che ti adoro vero?



E con questo è tutto, alla prossima, vostra
LadySpleen

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Capitolo 4
*** La ragazza seduta sulla panchina ***


La ragazza seduta sulla panchina

Dicembre, una sera fredda e ventosa.
I passanti camminano svelti, avvolti nei loro pesanti cappotti, scuri come i loro pensieri.
Ognuno con la sua vita, il suo pesante bagaglio di ricordi, rimpianti e rimorsi, sogni infranti e sogni restaurati che si trascina lentamente alle loro spalle, un lento passo dopo l’altro verso una non meglio specificata meta.
Il mio umore è grigio, la città è grigia, il cielo è plumbeo e gli edifici e le strade e le facce di quelli che incontro anche.
Tutto è grigio.
Ma una panchina verde affianco ai giardini spezza la monotonia.
Verde. Una panchina in mezzo al grigio.
E sulla panchina una ragazza, con il viso arrossato tra le mani.
Posa i gomitti sulle ginocchia strette, coperte solo dai collant neri.
Una gonna scozzese verde evidenziatore spunta da sotto la giacca grigia.
Verde e grigio. Ancora.
E i capelli scuri di lei, scompigliati dal vento.
Forse sta male, forse piange.
No, sicuramente piange.
Non è il luccichio di una lacrima, quello che vedo sulla sua guancia sferzata dal vento, appena coperta dalle mani che nascondono il volto?
Mi chiedo perché stia piangendo.
Poi la guardo meglio, lei solleva un istante gli occhi.
Dolore, una stretta all’altezza dello stomaco.
E paura. Un qualcosa di fastidiosamente acre mi attanaglia dentro, chiude la gola e accellera il respiro.
È… lei.
È tornata…
Un mese dopo è di nuovo qui, alla stessa ora, nello stesso posto.


“ è che ho paura.”
“ di cosa?”
“ di fare io il primo passo.”
Un sorriso. Una mano sul viso.
“ potevi dirmelo prima.”
Un altro sorriso.
Le sue labbra. Sulle mie.
Il resto è storia.


Improvvisamente mi chiedo cosa ci faccia io, lì. In piedi, appoggiato al muro, una sigaretta nella destra, nell’altra il cellulare.
Ah, sì, aspetto un amico.
E lei è lì seduta che piange.
O rimpiange?
Quello che era, che poteva essere, che non è stato.
Che si aspettava da me, che le ho fatto credere le avrei dato. Che le ho rubato.
No, non è possibile, è solo una coincidenza, non può essere lei… e se lo è…
Non piange per me.
La guardo per un ultimo, lungo istante: una bimba tremante, e non per il freddo.
Basta.
Mi allontano a passo svelto, guardando per terra, qualcuno mi scontra, ma non ha importanza.
Cammino veloce, via dai ricordi, da lei e dalle sue lacrime.
La lascio al suo dolore, alla sua malinconica esistenza, insignificante comparsa nella mia vita, presto svanita così come era arrivata. Quello che c’è stato, oramai, è finito e passato.
Storia finita e archiviata, e presto cadrà nel dimenticatoio, a prendere polvere e nient’altro.
Niente lacrime.
Sì, è così, è inutile rivangare, inutile come lei.

Ma allora… perché mi sento così maledettamente in colpa?




Commenti dell’autrice
Ed eccoci giunti all’ultimo capitolo. Sono particolarmente affezionata a questa one-shot, forse perché di tutte è quella emotivamente più autobiografica. Ovviamente il fatto non è accaduto nella realtà, ma la panchina verde e la ragazza con la gonna verde evidenziatore esistono davvero.
Non so come ringraziare tutti quelli che hanno letto, recensito, messo la storia nei preferiti.
Grazie infinite a tutti voi!!!

E in particolare:

Selhin:Grazie per avermi seguita fino alla fine! Le tue recensioni “serie” mi hanno sempre riempita di gioia, anche perché non credo di scrivere poi così bene. Mi auguro che anche quest’ultimo capitolo ti abbia colpito come quelli precedenti. Quanto alla diversità: siamo tutti diversi e in questo tutti uguali… è naturale il desiderio di omologarsi, per alcuni, così come per altri è naturale la voglia di “emergere” e distinguersi… io sono sempre stata molto attaccata alla mia “unicità” forse perché un tempo discriminata, ho fatto delle mie differenze il mio punto d’orgoglio. Grazie ancora!

Hermione_06: ^_^ sono d’accordo con te, sono le piccole cose, spesso, le più magiche. Grazie mille anche a te, Adriana!

KuroNekoChan:Beh, a te che dire? Non saprei proprio, visto che le cose davvero importanti le diciamo di persona! Beh, grazie, grazie per tutte le belle cose che mi scrivi e mi dici e anche per tutti i pizzicotti che mi dai XD anche quelli servono!!! Muahaha…

Kokky:Grazie anche a te ^^

Bene! E con questo è tutto!!!
Alla prossima, vostra
LadySpleen

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Capitolo 5
*** La ragazza senza speranza ***


La ragazza senza speranza

Era una delle ragazze più belle che avessi mai conosciuto.
Sì, perché lei la conoscevo, solo di vista certo, però la conoscevo.
E non vi dirò il suo nome.
Non ne ho il diritto.
Così come non ho il diritto di raccontarvi questo frammento della sua storia, ma lo farò lo stesso.
Era bellissima.
Non molto alta, un fisico perfetto, stupendi occhi verdi, leggermente allungati, magnetici come quelli di un gatto, un viso latteo, ma attraente.
Vestiva con attillatissimi shorts di jeans pieni di strappi e una giacca di pelle rossa.
Ora non è più così, ma a me piace ricordarla com’era allora.
Coi lunghi capelli castani già rovinati dalle continue meches, prima verdi, poi blu, poi arancioni. Adesso dubito che sappia quale fosse il suo colore naturale.
Sinceramente, dubito che al momento possa avere una minima coscienza di sé.
Deve aver perso anche quella, assieme alla bellezza, alla lucidità, alla voglia di fare qualsiasi cosa oltre che continuare a rifugiarsi in quel magico mondo, colorato e virtuale, che la droga può regalare ad ognuno di noi.
Di lei so abbastanza poco da poter affermare che non ha avuto una vita difficile, nessuna situazione frustrante la cui unica scappatoia che sia riuscita a trovare sia l’acido.
Niente di tutto questo, almeno, a dar ragione a chi l’ha conosciuta meglio di me.
Eppure lei odiava la vita.
Odiava il mondo, non faceva che ripetere che era tutto uno schifo, e io di certo non posso darle torto… solo mi chiedo, perché allora, non cercare di fare qualcosa, una qualsiasi inezia, nel tentativo di migliorarlo?
Probabilmente è una soluzione troppo impegnativa.
È molto più semplice la strada che scelse lei.
Scomparire.
Fuggire da sé stessa come da tutto il resto.
Trovare conforto solo nel flash, nello stordimento provocato dall’acido.
Aveva la mia età. Aveva anche un futuro, davanti a sé.
Ma lo ha rinnegato.
Preferendo l’autoabnegazione, il disconoscimento di tutto.
Quel pomeriggio, l’ultima volta che le parlai, era primavera, l’estate quasi alle porte.
Faceva caldo, lo ricordo bene.
La incontrai in una stradina, insieme ad altri, che conoscevamo entrambe.
Erano appena le quattro del pomeriggio, ma era già sbronza.
Rideva, ciondolava, camminava avanti e indietro, già che i suoi compagni si erano fermati.
Per girare una canna.
Mi salutò, cadde a terra e riprese a ridere.
Urlò al mondo quanto lo odiasse.
Quanto aveva voglia di prendere a pugni qualcuno, di farsi prendere a pugni.
Urlò ai muri imbrattati di scritte che lei era stata anoressica. Che adesso era bulimica.
Che avrebbe voluto cacciarsi due dita in gola, in quel preciso momento, ma non lo avrebbe fatto perché così le sarebbe passata la sbornia più velocemente e quello no, che non doveva succedere.
L’ascoltai senza sapere cosa dire, troppo sconvolta dallo spettacolo che offriva.
Un perfetto esempio di vita in decomposizione.
A un tratto mi guardò.
“Sai qual è il mio sogno?” disse. Ma non sembrava si stesse rivolgendo a me o a chiunque altro.
Nessuno oltre a me sembrava prestarle attenzione.
“Il mio sogno è avere 18 anni, andarmene in un bagno della stazione, un laccio intorno al braccio, farmi un’iniezione d’eroina. E morire. Morire di over-dose.”
L’ennesimo scoppio di risa la rovesciò a terra, qualcuno cercò di aiutarla ad alzarsi.
Senza salutare, mi voltai, allontanandomi il più in fretta possibile, via dalla puzza del vicolo, dalla sua ombra ammuffita e quelle risa isteriche.
Accolsi come una benedizione il caos confuso del traffico, la luce del pomeriggio.
Non ho mai saputo realmente chi fosse, sebbene conosca il suo nome e il suo viso.
Non ho mai saputo niente di lei oltre alle sue scelte sbagliate.
Questa è l’ultima immagine che ho di lei.
Una creatura ferita dalla sua stessa fragilità, ormai rassegnata ad annegare nello squallore che circonda tutti, ma a cui solo alcuni, forse i più deboli, forse i più furbi, chiudono gli occhi e si lasciano andare.

“Io sono solo uno dei tanti che sparisce, che la droga si porta via, ecco tutto.
(…)
E riparto, i pollici infilati nei passanti dello zaino.
Mezzanotte e dieci, del 7 settembre 1969.
Ho ventinove anni e mezzo, peso 48chili.
Sono un junkie che va a morire sulle montagne.”


Da: “FLASH” di Charles Duchaussois


Commenti dell’autrice
Ragazze, non so come ringraziarvi. I vostri complimenti mi hanno lusingata tanto che mi son decisa a scrivere un altro capitolo… ed ecco cosa è venuto fuori.
Un po’ in ritardo, lo ammetto e mi dispiace, perché, lo so, fa schifo.
L’ho scritto di getto, l’ho riletto, non mi è piaciuto per niente. Ma oramai era lì… e l’ho postato ugualmente. Mi spiace, immagino che vi avrò deluso… vi prometto che cercherò di fare di meglio.
Visto che questa raccolta vi è piaciuta così tanto prenderò seriamente in considerazione di farne una seconda, ma questa la termino qui.
Ancora una volta vi ringrazio una per una:

Selhin, che con le sue recensioni “serie” mi ha riempita d’orgoglio

Hermione_06, o meglio, Adriana, dolcissima, che mi ha scongiurato di scrivere ancora

Vale_Hiwatari:Grazie per la recensione. Sì crudele come spesso è la vita reale. E infatti è una storia vera.

KuroNekoChan, che mi sostiene e mi appoggia sempre, anche con i pizzicotti XD

Questo è tutto.
LadySpleen

p.s per chi non sapesse cos’è un junkie nel libro è descritto così: un drogato allo stato terminale.

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