Die Bitch

di giamma21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo omicidio ***
Capitolo 2: *** Piacere, sono una sfigata. ***
Capitolo 3: *** Pericolo scampato ***
Capitolo 4: *** Segreti pericolosi ***
Capitolo 5: *** L'identità del serial killer ***
Capitolo 6: *** Non sono chi tu pensi che io sia. ***
Capitolo 7: *** I sogni malati di Spencer Matthews. ***
Capitolo 8: *** Una serie di sfortunati eventi ***
Capitolo 9: *** Il segreto di Josh ***
Capitolo 10: *** La morte senza veli ***
Capitolo 11: *** Il confronto finale ***
Capitolo 12: *** La nuova vita ***
Capitolo 13: *** Come ai vecchi tempi. ***
Capitolo 14: *** Il passato ritorna ***
Capitolo 15: *** La morte ti aspetta ***



Capitolo 1
*** Il primo omicidio ***


Sono dell’idea che se dovessi venire interrogata domani alla lezione di chimica, farei un’enorme figura di merda!
Questo era il più imponente dei pensieri che si manifestava nella mente di Crystal Shaye, 16 anni, la ragazza più popolare della scuola di Nastake Hill, sconosciuta cittadina nell’angolo più remoto degli Stati Uniti.
Crystal era la classica ragazza pompon che non se la cavava per niente nelle altre materie scolastiche.
L’Iphone ornato con perline luminose della ragazza iniziò a suonare, riproducendo la (ormai famosa) suoneria a dodici note.
Crystal afferrò il telefono, quasi graffiandolo con le sue lunghe unghie finte. Nello schermo era riportato il nome “Johanna Sailor” con accanto ad un cuoricino multicolore.
-Beccatela!- Crystal aprì la conversazione con fare molto giovanile.
-Ehi Cris, hai saputo che Brianna Hoachlie è rimasta incinta alla festa di un mese fa a casa di Sean?- Johanna Sailor, 16 anni anche lei, era la migliore amica di Crystal, e in quel momento sembrava che quello che stesse raccontando fosse lo scoop del momento!
Sean Connelly era il ragazzo di Crystal, capitano della squadra di football, e playboy della scuola.
-Non ci posso credere – Crystal scandì ogni parola per bene – Comunque Brianna non è mai stata una santarellina, ti ricordi quando diceva in giro di essere mia amica?- il suo tono iniziò a farsi più ironico.
-Quanto è sfigata- Johanna pensava probabilmente di essere una divinità, dopo Crystal ovviamente.
-Si beh... per lei c’è sempre un posto a Teen Mom!-
Le ragazze risero. Crystal aprì lo zaino e ne estrasse un pacchetto di gomme da masticare rosa.
-Hai sentito dell’assassino fuggito dal manicomio sulla scogliera?- Johanna era probabilmente informata dell’esistenza del telegiornale – Me l’ha detto Phil!- O forse no.
Il manicomio sulla scogliera si trovava appunto sulla Scogliera dei dannati. C’era in giro una leggenda riguardo all’origine della scogliera. Narrava la vicenda di un dio antico che era arrabbiato per un motivo sconosciuto, e per sfogare la sua ira colpì il fondale marino con un pugno fortissimo, distruggendolo e formando con le rocce volate in aria una specie di enorme colonna sul mare. La leggenda fu poi smentita da persone più competenti. Le rocce erano già all’origine di dimensioni enormi, quindi con qualche lavoretto fatto bene, fu costruito un manicomio. Distaccati dal mondo reale, i prigionieri tentarono la fuga svariate volte, ovviamente finirono tutti per sfracellarsi il cranio trapassato da qualche scoglio affilato.
-Oddio non ci posso credere!- Crystal era chiaramente poco interessata all’argomento.
-Si.. ehi! Giovedì esce al cinema Die Bitch 3: L’urlo della morte! Lo andiamo a vedere vero?- il tono di Johanna mutò da una misteriosa voce a uno stridulo, eccitato schiamazzo.
-Ovvio che lo andiamo a vedere! Channing Tatum sarà il protagonista, e Zac Efron suo fratello- Die Bitch era il film più famoso dell’intero universo, non solo per il fatto che fosse un’enorme schifezza commerciale riguardo a un assassino vestito da prostituta che uccideva prostitute, ma anche perché era un film eccessivamente splatter! Budella di qua budella di là, gli attori non davano spessore ai personaggi, ma questo non veniva notato dai teenager in piena crisi ormonale dei vari stati del mondo. La serie divenne famosa soprattutto all’uscita di Die Bitch 2: Viaggio nella tridimensionalità, utile espediente per guadagnare dal 3D e pagare gli stipendi degli attori.
- Il secondo film è stato emozionante! Gente in sala che urlava e piangeva!- Crystal era evidentemente un’amante dei film horror.
-Si è vero ma Timothy Richardson lo schifa nel suo sito di recensioni, lo definisce una “cag*ta canadese”!- Johanna era più informata di quanto qualcuno potesse aspettarsi.
-Timothy Richardson mi guarda sempre le tette durante le partite di football- disse Crystal con nonchalance.
-Timothy Richardson è anche uno stalker inquietante, c’è gente che dice che un giorno una ragazza gli ha dato picche all’invito al ballo, e lui l’ha attaccata al suo camioncino trasportandola per qualche chilometro- Johanna credeva sul serio in quello che diceva.
-Sarebbe in carcere!- probabilmente – Infatti è una leggenda metropolitana- concluse Johanna con fierezza.
-Senti, io sono stanchissima, perciò ora mi metto nel letto a dormire, oggi con gli allenamenti abbiamo esagerato. Inoltre domani rischio di essere interrogata in chimica, e non so proprio niente- Crystal sbadigliò al termine della sua frase – Ci vediamo domani Jo!- dopo i saluti, Johanna terminò la chiamata per prima, lasciando Crystal spiazzata.
- Solo io posso riattaccare il telefono per prima…- La ragazza sembrava “delusa” – Almeno è stato indolore.
Crystal si posizionò sotto le coperte del suo letto rosa, con le lenzuola probabilmente da 500 dollari, e i cuscini da 100 l’uno.
Appena la ragazza spense la luce, il telefono trillò un messaggio.
- Uffa Johanna, fammi dormire…- Crystal rimase sorpresa alla visione del numero estraneo alla sua rubrica. 53550, tutto qui.
Non era solo il fatto che il numero ribaltato significasse "sesso" a lasciare nuovamente spiazzata Crystal, ma il contenuto del messaggio. Ciao tro, dormito bene? –Ma che ca- il trillo di un nuovo messaggio colse di sorpresa la ragazza. Muoviti a rispondere.
Crystal iniziò a digitare sulla tastiera digitale.
Chi cavolo sei, “tro”? Qualche secondo dopo l’invio del messaggio, il telefono trillò di nuovo. Sono l’assassino di prostitute, e sono qui per te.
-Ah ah ah, Johanna sei banale – Crystal sospirò rispondendo un’ultima volta. Johanna ti sei scoperta, torna a dormire! Crystal ripose il telefono sul comodino.
Non arrivò più nessun messaggio nei minuti a seguire.
I capelli biondi e gli occhi verdi della ragazza risaltavano illuminati dalla luce della luna. Che pezzo di ragazza! O meglio, che schianto!
Improvvisamente il telefono trillò ancora una volta. Crystal lo controllò. Tro, non sono Johanna, non dormire, non riposarti, non lo meriti! – Crystal ebbe la sensazione di non sapere chi ci fosse dietro a quei messaggi macabri. Se non sei Johanna, cosa vuoi? Attese pazientemente la risposta, quando la ottenne. Voglio aprirti a metà, la vendetta mi ripagherà. Crystal rimase maggiormente colpita dalla frase. Di grande effetto, ma so di certo che questa è la frase usata dall’assassino di prostitute nel film Die Bitch! Torna a giocare con le barbie, stupido. Crystal s’impose definitivamente l’obbligo di dormire.
Prostituta ora morirai, è giunto il tuo turno! – Che palle!- Cris era annoiata dai messaggi di minaccia, pensava che fossero passati di moda dai tempi di So cosa hai fatto.
Ok sfigato, buona notte!
Crystal si alzò in piedi, dimenticando per quale motivo si fosse alzata, andò in bagno ad ammirare la sua bellezza, per colmare il vuoto. Era proprio una ragazza bellissima, il vetro sembrava farle brillare la pelle. – Twilight, vai così- Dopotutto era anche una fan dei film romantici su vampiri pallidi e licantropi pompati.
Qualcosa all’angolo della stanza colse la sua attenzione.
Un’ombra si era formata dietro la tenda della finestra.
-Chi è?- urlo istintivamente Crystal, nonostante sapesse che fosse la cosa più sbagliata da dire se qualcuno era “veramente” dietro alla tenda. Si avvicinò lentamente all’armadio e cercando con la mano, estrasse una mazza da baseball in alluminio. La figura umana dietro alla tenda la inquietava. Avvicinò la mano al tessuto colorato e velocemente la scostò, rivelando che non c’era nessuno. Solo dopo qualche istante realizzò che l’ombra era proiettata dall’interno della stanza tramite un gioco di luci. –Muori prostituta!- e un colpo d’accetta stese Crystal Shaye per il resto della sua vita. Almeno si era risparmiata l’interrogazione di chimica.

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Capitolo 2
*** Piacere, sono una sfigata. ***


Il rumore fastidioso della sveglia elettronica destò il riposo di Spencer Matthews, 16enne, era una compagna di classe di Crystal. Era. I suoi lunghi capelli bruni lasciavano la scena agli occhi grigio-verdi. Al suo risveglio pronunciò una frase che diceva molto di lei.
-Sono una sfigata- e schiacciando la sveglia diede inizio alla radio mattutina.
Il conduttore incitò la popolazione giovanile di Nastake Hill a svegliarsi velocemente, in tempo per l’autobus. Seguirono poi pezzi storici di canzoni ormai dimenticate da chiunque avesse avuto un sano gusto musicale. L’unica canzone che si salvava era un dolce brano sull’amore, lento e profondo.
-Finalmente mettono qualcosa di decente!- Spencer tirò via le coperte, rivelando un “inconveniente” ai piani bassi. –Oh mer*a!- I pantaloncini della ragazza erano totalmente rossi, che fosse sangue o qualcos’altro non si capì mai.
Spencer riuscì in due mosse a indossare dei pantaloncini puliti e a infilarsi un tampax in modo (involontario) che gli si vedesse.
Il clacson dell’autobus diede al tutto un pizzico di commedia, come se la giornata non fosse iniziata tragicamente.
-Ehi! Aspettate!- Spencer corse fino alla fine della strada, come un cane che inseguiva una palla, ma l’autobus l’aveva abbandonata indietro come una scema. Per aggravare il tutto iniziò a piovere.
I pantaloncini corti e la maglietta di Spencer non furono gli unici ad assorbire l’acqua. –Porca tro*a- che vita di mer*a.
Passarono venti minuti prima che arrivasse a scuola, e fortunatamente la campanella era appena suonata. I suoi non poterono accompagnarla perché Spencer viveva solo con la madre alcolizzata, mentre il padre si sospettava fosse morto in guerra. Si sospettava. La madre rimase incinta a soli 16 anni.
La scuola era molto grande, rossa e gialla a strisce, con un ampio giardino talvolta riempito con tavoli della caffetteria esterna, e due fontane, dove alcuni ragazzi immergevano i loro piedi sporchi e sudati, facendo fuoriuscire una sostanza grigiastra. –Che schifo- e con questo Spencer entrò a scuola.
Tutti stavano già entrando in classe, quindi si unì alla massa e attraversò due corridoi prima di chiudersi alle spalle la porta di “chimica”. Spencer dopo qualche istante notò che la sedia all’ultimo posto, quella di Crystal, era vuota.
-Facciamo esplodere quella rana! Avanti!- disse un ragazzo.
-Per quale motivo dovremmo farlo?- rispose l’amico. Ok.
La lezione iniziò dopo venti minuti, ma subito qualcuno bussò alla porta.
- Avanti- pronunciò ad alta voce il professore, sulla quarantina, di bell’aspetto.
Con sorpresa di tutti entrò lo sceriffo Paul Smith, anche lui sulla quarantina, ma ne dimostrava di più.
-Ciao ragazzi, salve professore- disse sistemandosi il cappello sulla testa.
-A cosa dobbiamo questa sua visita, sceriffo?- chiese il professore con un pizzico d’ironia.
-Beh, non sarà facile… ragazzi, la vostra compagna Crystal Shaye è stata trovata morta questa mattina-.
A parte lo shock generale, la notizia non colpì Spencer più di tanto. Lei odiava Crystal, e molto probabilmente Crystal non sapeva neanche della sua esistenza.
Johanna, trattenendosi i capelli biondi dietro alla testa, iniziò a piangere e le mancava il fiato, i suoi occhi marroni erano riempiti di lacrime.
La lezione terminò in un batter d’occhio.
Tutto il giorno passò con lezioni mai iniziate e momenti di riflessione sulla morte e sull'opinione degli studenti a riguardo di ciò che era successo.
Quello era lo scoop del giorno, a quanto pareva…
Spencer arrivò in tempo sul cortile della scuola, dove si stava tenendo una rissa.
-Ma che stai facendo? Josh!- gridò Spencer trascinando via il suo migliore amico Josh Richards, diciassettenne, gay fino al midollo.
Il ragazzo stava picchiandosi con il fidanzato della deceduta Crystal, Sean.
A quanto pare Josh era in svantaggio rispetto al suo avversario, esperto nel tirare cazzotti.
-Si può sapere cosa pensi di fare?- chiese Spencer impaziente. –Ah sai, le classiche risse del liceo- rispose Josh. – Quel finocchio mi ha guardato male! Tu non guardi me male!- Sean sembrava più interessato a continuare a fare a botte che per la morte della sua ragazza!
-Ma che diavolo fai? Ti metti a picchiare gente innocente per esprimere il tuo odio e la tua frustrazione?- Spencer sapeva il fatto suo.
-Quale odio e frustrazione?- rispose ad alta voce Sean.
-Insomma, la tua ragazza è appena morta!- disse Spencer come se tutto fosse assurdo.
-Ma quale ragazza? Ci frequentavamo da neanche una settimana!- questa era la cosa più assurda che qualcuno avesse mai potuto dire in un momento come quello.
-O mio dio, ma sei fumato?- Spencer era incredula.
-Potrebbe darsi! E allora?-
-Beh, si da il fatto che è morta comunque una nostra compagna, dovremmo supportarci a vicenda!-
-Tu la odiavi, Spencer- disse con tono indagatorio Josh.
-Si, sto solo cercando di non farti finire in ospedale!- sussurrò ad alta voce l’amica.
-Quindi, vai a fanculo Sean!- concluse girandosi.
-Sentite questa sfigata!- Spencer si voltò imbestialita, con il pugno pronto a sfrecciare verso il volto del ragazzo.
Se qualcuno non avesse lasciato la buccia di una banana sul pavimento, probabilmente Spencer non sarebbe caduta schiantandosi il sedere.
Scoppiarono tutti a ridere mentre Josh alzava Spencer e la riportava dentro la scuola.
- Che figura di merda!- intonò l’amico ridendo.
-Ridi ridi, tutto questo non sarebbe successo se avessi tenuto gli occhi nei tuoi sporchi limiti- disse Spencer massaggiandosi il sedere dolorante.
I due andarono nell’infermeria.
C’era un cartello con scritto Torno tra un po’ appeso alla porta. –Che gente del cavolo che c’è in questo posto!- disse una ragazzina asiatica che aspettava da molto tempo seduta.
-Hai ragione- rispose Spencer con tono amichevole.
-Non parlavo con te idiota!- la ragazzina si alzò e mostrando il video su youtube della caduta fuori della scuola, le diede un calcio alla gamba. Spencer gridò dal dolore.
–Stupida bambina di me-!- ma la sua aguzzina se n'era già andata via trotterellando.
-Ma si può sapere che succede in questo posto?- disse invocando gli dei.
Josh stava ridendo come un matto, la sua faccia era rossa come i pantaloni di Spencer quella stessa mattina.
-Fanculo, dopo che ti ho salvato la vita- e la ragazza aprì la porta dell’infermeria come se fosse una cosa abituale che non ci fosse mai nessuno a soccorrere gli studenti.
Spencer trovò il disinfettante nell’armadietto con l’enorme croce rossa stampata sopra. Si sedette accanto a Josh, e iniziò a pulirgli la faccia, rossa come il sangue nei suoi pantaloncini quella stessa mattina.
-Si piò sapere cosa pensavi di fare?- chiese l’amica con tranquillità.
-Volevo solo vedere cosa si prova a perdere qualcuno di importante, ma a quanto pare a lui non importava di Crystal- rispose Josh rassegnato.
-E’ ovvio che non gliene importava, è un’idiota. La sua politica è: morto un papa se ne fa un altro!-.
-Lo so ma, lasciamo perdere. Povera Crystal-
-Si, io provavo odio verso di lei da quando mi aveva presa in giro alle medie- iniziò a raccontare Spencer.
- Un tempo eravamo amiche, giocavamo sempre insieme alle elementari. Poi è cresciuta in modo sbagliato, i suoi genitori le compravano quello che voleva e lei iniziò ad adattarsi a quel tipo di vita. Si fece nuove amiche, e si dimenticò di me!- forse era una storia che valeva la pena di essere ascoltata – Può sembrare una storia da film drammatico ma credevo ancora in lei un pochino-
-Mi dispiace, so cosa stai provando- Josh parlò in tono solidale – Quando feci coming out tutti i miei amici mi cancellarono dalla loro vita, persino i miei ebbero difficoltà ad accettare quello che sono…- Spencer sospirò.
-Però ci sono io, che ti accetto per quello che sei!- il suo tono si rallegrò.
-Già, per fortuna. Se non ci fossimo conosciuti alle medie, non ci saremmo mai parlati, ci pensi?-.
-E oggi saresti rimasto a farti spaccare la faccia da Sean Connelly!- i due amici risero sul serio questa volta.
Quando Spencer finì di medicare Josh, uscirono dall’infermeria e si salutarono, lei aveva bisogno di andare a rinfrescarsi un attimo e lui aveva un corso pomeridiano sulla sessualità.
Spencer uscì da sola dopo qualche minuto passato a osservare i sintomi dell’ansia, dal corridoio all’ultimo piano.
Ripensò a quello che era successo quel giorno.
Il sole fuoriuscito dalle nuvole del mattino illuminava la scuola. Erano le quattro del pomeriggio, e oltre alle persone nel giardino a oziare, probabilmente era l’unica a girovagare ancora nell’edificio.
Il bagno delle ragazze era pieno di scritte volgari sui muri, sui vetri e sui gabinetti. C’era anche del fumo che continuava sempre ad arieggiare, ma nessuno capiva da dove uscisse.
Spencer fece per sciacquarsi la faccia, attese però dieci secondi prima che l’acqua divenne da marrone scura a trasparente. Le tubature erano difettose.
Pensò che il bagno dei maschi era probabilmente più pulito del loro. O forse no. Il problema della pulizia era che le cricche della scuola comprendevano il ghetto dei neri, il cosiddetto “nigga clan”, che dipingeva i muri e scriveva frasi minatorie sulle macchine dei professori e nei bagni.
La cricca delle ragazze pompon era però la più influente nella scuola, le ragazze bellissime ma senza cervello erano sempre all’ordine del giorno, chissà a chi sarebbe passato il ruolo di presidente ora che Crystal era morta… forse a Lisa Michelle, o a Stacey Cooper, chi lo sa?
- Di certo non a Brianna Hoachlie- pensò Spencer.
La cricca dei palestrati era in stretto collegamento con quella delle ragazze pompon, avevano quasi tutti una relazione con loro.
Poi c’era la cricca dei “mai emersi”, quelli come Spencer, e Josh, e molti altri studenti della scuola. Dopotutto però, la ragazza si sentiva fiera di essere parte di un gruppo così numeroso. Prendeva sempre parte a dibattiti riguardo a questo, dibattiti per cui la maggior parte delle volte finiva per essere strabattuta dal contendente di turno.
Quando Spencer aprì la borsa per estrarre i fazzoletti per asciugarsi il viso, cadde un foglietto rosso.
-E questo che cos’è?- chiese interrogandosi.
Il pezzo di carta rosso si illuminava sottoposto alla luce del sole. Spencer dovette inclinarlo per leggere ciò che c’era scritto. So che hai fatto sesso con Sean Connelly, Tro. Ora è il tuo turno. Alla lettura di quello che c’era scritto il cuore della ragazza ebbe un colpo.
Chi aveva scritto quel biglietto? Come faceva a sapere che la sera della festa di Sean, Spencer aveva avuto una relazione con lui, nella camera dei suoi?
-Porca troia- esclamò la ragazza.
Una voce destò la sua attenzione. –Scusa? Dici a me?- una ragazza dalla carnagione scura uscì dalla cabina del bagno con la porta mezza aperta. –No, cavolo, scusami!- Spencer lasciò il bagno in men che non si dica.
Scese due piani percorrendo i lunghi corridoi prima di ritrovarsi di fronte ad una scena inquietante.
Nel mezzo del corridoio c’era uno sgabello, sopra di esso c’era una corda appesa al lucernario che formava un nodo ovale. A separare Spencer dalle scale del primo piano, per uscire dalla scuola, c’era quello che sembrava un imminente suicidio. Però chi si sarebbe suicidato? Forse l’acqua del bagno le stava provocando delle allucinazioni?
Spencer dovette ricredersi quando una donna con lunghi collant trasparenti, una giacca di pelle, delle mutande nere e degli stivali con tacchi affilati come una lama iniziò a camminare verso di lei. –Die Bitch... - pronunciò Spencer deglutendo.
La donna sfrecciò all’improvviso come se qualcuno avesse acceso una miccia. I tacchi affilati graffiavano il pavimento.
Spencer iniziò ad indietreggiare quando la psicopatica sfilò un’accetta dalla sua fondina nera. La ragazza ebbe l’impulso di gridare, ma non ce la faceva.
L’unica cosa che riuscì a fare fu prendere lo zaino in mano e di colpire in faccia l’assassina. La donna fece una mezza capriola prima di schiacciare il pavimento duro con la faccia. Spencer si inginocchiò per togliere il cappuccio che copriva il volto della donna misteriosa, sembrava svenuta ma non ne poteva essere sicura.
Prese l’estremità del cappuccio e iniziò a sfilarlo quando ella si risvegliò di colpo brandendo l’accetta!
La roteò contro Spencer e gliela scaglio contrò, ma la ragazza si spinse contro il pavimento, proprio accanto a dove l’accetta ne distrusse in seguito qualche pezzo, provocando un buco al suolo privato della scuola.
Spencer gridò e si rialzò a fatica, quando la maniaca le afferrò il piede.
-Dove credi di andare?- disse con la voce di un uomo che imitava una donna. Non era quello che cercava di sembrare, ma era proprio quello il particolare più inquietante.
Spencer ebbe un’espressione terrorizzata e calciò in faccia l’uomo.
Alzandosi sfrecciò contro le scale e arrivò al piano principale.
Iniziò a sentirsi al sicuro, proprio mentre ci passava davanti, l’ascensore di servizio si aprì e usci l’assassino scagliando ferocemente l’accetta verso Spencer!

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Capitolo 3
*** Pericolo scampato ***


L’accetta attraversò l’aria. Spencer si chinò velocemente, schivando il colpo che crepò enormemente la parete. E così aumentarono i danni ad edifici pubblici. -Cosa vuoi da me?- urlò la ragazza. -Giustiziarti per i tuoi crimini orrendi!- rispose rimproverandola l’assassino. -Perché, il sesso è un crimine?- chiese Spencer. -Prematrimoniale. Prostituta!- l’assassino attaccò ancora. L’arma affilata sfrecciò contrò la vittima, che saltò indietro. -Non sapevo che fossi una puritana!- Spencer sapeva benissimo che era un uomo armato con cattive intenzioni e travestito da prostituta, e che scherzare in un momento come quello poteva costarle la vita, ma scherzare riusciva a “tranquillizzarla”. -Ora muori, sgualdrina- concluse l’assassino. -Eih! Che sta succedendo?- urlò lo sceriffo in fondo al corridoio. Il killer si voltò e vide che lo sceriffo aveva già puntato l’arma. -Brutta tro!- l’assassino spinse Spencer e fuggì via. Lo sceriffo corse da Spencer, stringendole le braccia. -Stai bene? Tutto ok?- non le diede neanche il tempo di risponder che era già fuggito a inseguire l’assassino, ma Spencer annui quindi era probabile che stava bene veramente. La ragazza tornò a prendere la borsa dimenticata al piano superiore. La sedia del suicidio era ribaltata a terra, e il cappio stringeva la testa di un manichino. Spencer si avvicinò lentamente e voltò la testa. La sua faccia era stata ritagliata da una foto e incollata al volto povero di dettagli del manichino. -Ha anche preso la mia foto più brutta- sdrammatizzò Spencer. Prese la borsa e tornò al piano principale, non c’era nessuno quindi decise di tornarsene a casa. Lo sceriffo non si sarebbe neanche ricordato di lei. Era arrabbiata e ancora spaventata. Prese la strada più lunga perché aveva bisogno di pensare. Sapeva che se fosse tornata a casa avrebbe trovato sua madre nel divano, immersa in una puzza di alcool e sudore, perciò mise le cuffie nelle orecchie. Fece partire la playlist “momenti tristi”, ne aveva una in caso di… momenti trisi. Passeggiava tranquillamente, mentre guardava le case e la natura, i volti delle persone che passeggiavano tranquilli, i bambini che giocavano felici, i volantini sulla morte di Crystal, i vicoli bui della città, individui misteriosi, spacciatori loschi, assassini di prostitute. Nella sua mente visualizzò il killer, vestito in un modo bizzarro, era proprio quello che era terrificante, con quei tacchi affilati, come la lama della sua accetta. Spencer iniziò a chiedersi se fosse sul serio una prostituta, forse l’assassino aveva ragione, era una tro che aveva fatto sesso con una persona qualsiasi, e per di più prima del matrimonio! Tuttavia aveva fatto sesso un’unica volta, mentre altre ragazze della scuola davano via il loro corpo come una canna, se la passavano tutti. -Non morirò. Non oggi, non domani, non morirò- disse con convinzione Spencer. Si fermò al Coffee Drink, il bar della città. Se avevi bisogno di pensare o volevi qualcosa per riscaldarti un po’, necessitavi di cioccolato immediatamente, quello era il locale adatto a te. Spencer occupò il posto vicino alla finestra, non c’erano molte persone, il che le piaceva. Era una ragazza normale, purtroppo non era nata fortunata come Crystal Shaye, Sean Connelly o Johanna Sailor, lei era solo Spencer Matthews, la ragazza che perse la verginità con l’unico ragazzo che sapeva di non poter avere, e che comunque non l’ha mai più calcolata. Ordinò una cioccolata calda con la panna, l’avrebbe aiutata a riflettere, oltre che a rilassarla. -Ecco tesoro- disse Jillian la cameriera, avrà avuto più di cinquant’anni. Lei conosceva Spencer, ogni tanto parlavano. -Grazie Jill- rispose -Ho saputo della ragazza della tua scuola, come stai?- -Non proprio bene, non per quello, sia chiaro io odiavo Crystal… ma per… tutto. -Ti capisco tesoro - disse silenziosamente Jillian accarezzandole i capelli. -Mia madre è assente, un assassino cerca di uccidermi- Spencer venne interrotta da Jillian. -Aspetta, che hai detto? Un assassino cerca di ucciderti? Che vuoi dire?- chiese preoccupata. -Si, oggi sono stata attaccata a scuola e per poco non ci rimettevo la vita. Sospetto che il killer uccida ragazze che hanno fatto sesso prima di essere sposate…- -Vuoi dire che tu hai fatto sesso?- -Solo una volta, più o meno…- rispose Spencer sinceramente. -Senti, se un assassino è sul serio in cerca di giovani ragazze che hanno perso la loro verginità, allora questa città perderà gran parte della sua popolazione!- concluse Jillian ironicamente –Ma tu non morirai!- Spencer pensò che la donna aveva ragione, forse c’era qualcosa di più sotto. Pago per la sua cioccolata e lasciò il bar. Il sole iniziò a calare quando arrivo alla porta d’ingresso. Appoggiò la borsa sul comodino e ne estrasse il telefono. Digitò il numero di Josh. Dopo qualche secondo partì la segreteria. –Ehi Josh, sono stata attaccata a scuola dal killer- Spencer iniziò a piangere, le lacrime trasparenti percorrevano il suo viso -Puoi richiamarmi quando senti questo messaggio? Grazie, cia- il bip terminatore della segreteria la interruppe, lasciandola frustrata. Non sapeva con chi parlare per liberarsi, era come se avesse un’enorme quantità di emozioni contrastanti sulle spalle e dovesse parlarne con qualcuno per liberarsi e stare meglio. Sua madre era come al solito svenuta ubriaca sul divano. Spencer aprì il frigorifero e prese una bottiglietta di acqua fresca. Svitò il tappo e iniziò a bere, sedendosi al tavolo. Sospirò asciugandosi le lacrime, mantenendo la bottiglietta salda nella mano sinistra. Nonostante i suoi sforzi, pianse. -Ehi tesoro… com’è andata a scuola?- disse sua madre tossendo, ancora stanca. Non si accorse che Spencer stava piangendo. Puzzava di alcool e di altre schifezze. Lauren Matthews, quarant’anni, ma ne dimostrava di meno. I suoi ricci biondi avevano bisogno di essere rimessi in sesto. Aprì il frigorifero anche lei, e prese un sandwich preconfezionato. Si sedette al tavolo, e iniziò a masticare. Spencer si asciugò le restanti lacrime. -Ehi ma, stai piangendo?- chiese sua madre preoccupata. -No… - la figlia tentò di mascherare la sua distruzione. -Avanti dimmi. Cos’è successo? Ti hanno presa in giro? Qualcuno ha parlato male di te o della tua famiglia?- la madre era evidentemente preoccupata. -Sono stata attaccata da un assassino!- Spencer ricominciò a piangere – Nessuno mi ascolta, non so con chi parlare, una ragazza della mia scuola è stata uccisa! Mia madre è un’alcolizzata che non fa altro che dormire. Sono una sfigata e oltre al mio migliore amico gay a nessuno importa di me!- la ragazza sembrava aver scaricato tutti i suoi problemi contro qualcuno che odiava profondamente. -Attaccata da un assassino?- la voce della madre dava l’impressione che non credesse a quello che la figlia diceva. - Mi ci vuole dell’alcool per questo…- Lauren prese una bottiglia di birra e si chiuse in camera. Spencer rimase ferma a guardare verso la porta della stanza di sua madre. Era arrabbiata come una bestia, ma almeno si sentiva libera dai problemi. Era una sensazione che le piaceva. Dopo qualche istante si alzò e butto nel lavandino tutto il liquido delle bottiglie di alcool che erano in casa. Nei nascondigli segreti e nei mobili. Tutto. Mise le bottiglie di vetro in un sacchetto e uscì a buttarlo nel bidone. Erano le sette e mezzo, ma sembrava più tardi per essere una serata di pieno Maggio. Il cielo era ornato di stelle che contribuivano a illuminare il mondo. La quiete era solo interrotta dal bidone che si apriva e si richiudeva. -Che vada al diavolo!- pronunciò Spencer. Si preparò un panino e dopo averlo mangiato corse in camera sua. Accese il computer ed entrò su Facebook, dove il suo amico le aveva lasciato mille messaggi. Spencer come stai? Che cosa è successo? Non ho i soldi nel telefono! Scusami, perdonami, ti prego! Josh era un amico vero, e Spencer lo sapeva bene. Rispose a quei messaggi raccontandogli tutto l’accaduto, dall’attacco fino al confronto con la madre. Lui era esterrefatto, non poteva crederci. Su Facebook tutti scrivevano della morte di Crystal, la ragazza perfetta. Johanna creò una foto memoriale della ragazza pompon. Qualcuno aveva anche scritto di un attacco avvenuto nel pomeriggio a scuola. Non siamo più al sicuro, neanche a scuola! Scrisse Brianna Hoachlie, ma qualcuno la neutralizzò rispondendole: tu sei in dolce attesa, non ci vai neanche a scuola! Spencer non poté fare a meno di ridere. - Geniale - sorrise. Le notizie erano limitate a Nastake Hill, oltre non era trapelato niente riguardo alla morte di Crystal Shaye. Che cosa triste, però non poteva prendersi tutte le attenzioni dopotutto! A mezzanotte Spencer spense il computer. Non le importava se il giorno dopo non si sarebbe svegliata, il suo pensiero principale ora era che qualcuno avrebbe ritentato di ucciderla e forse ci sarebbe riuscito. Era spaventata di dormire. E se l’assassino l’avesse uccisa mentre dormiva? E se sua madre fosse morta nel tentativo di chiedere aiuto? Poteva continuare all’infinito con le domande “se”, ma sapeva che non era costruttivo pensare in quel modo. Non aveva letto riguardo all’arresto del killer perciò se l’erano fatto scappare, ed era ancora a piede libero. Che cosa frustrante, pensò Spencer. Nella sua mente rivisse la notte in cui fece sesso per la prima volta, a Gennaio, la notte del nuovo anno. La festa a casa di Sean Connelly, che era il ragazzo più popolare della scuola, e suo segreto amore.

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Capitolo 4
*** Segreti pericolosi ***


Era il trentun dicembre, e Spencer non aveva intenzione di andare alla più grande festa di capodanno che ci fosse mai stata in tutta Nastake Hill.
Josh ci sarebbe andato, ma non senza la sua migliore amica.
-Avanti Spenc, devi venire!- esclamò implorandola.
-No, non ci penso proprio, non voglio fare una figuraccia con Johanna-
-Quale figuraccia dovresti fare, spiegami?- chiese Josh, pensando che erano tutte scuse.
-Non lo so, magari mi prende in giro per come sono vestita- e con questo si ricordò di un altro particolare – E per lo più non ho neanche un vestito!-
-Troveremo qualcosa- e così dicendo Josh convinse Spencer a venire alla festa.
Si era ricordata di avere qualche vestito carino in fondo al suo guardaroba. Indossava dei jeans carini e una bella giacca beige, con sotto una maglietta nera.
-Ora non mi abbandonare ok?- disse con fermezza a Josh, appena entrati in casa.
-Certo, non lo farei mai!- e se ne andò alla prima occasione.
La casa era piena zeppa di persone, il giardino con la piscina riscaldata era occupato da studenti dell’ultimo e penultimo anno.
Spencer si sentiva proprio come un pesce fuor d’acqua.
Le cricche meno popolari si erano mischiate senza distinzioni, mentre i “famosi” facevano i padroni, bevendo birre e baciandosi in continuazione.
La festa era evidentemente fuori controllo.
Spencer andò in cucina e si stappò una birra, due ragazze stavano litigando ad alta voce, ma la musica le sovrastava.
Le bollicine esplodevano e riemergevano.
Sapeva che se non avesse voluto sentirsi un’estranea avrebbe dovuto ubriacarsi, poi magari qualcuno se la sarebbe "fatta".
NO. Rifletti Spencer, non è giusto. Se devi farlo, lo devi fare con qualcuno che ami veramente.
La coscienza parlava per lei.
-Io faccio quello che voglio!- urlò Spencer completamente andata.
Si rintanò in bagno e vomitò tutto quello che aveva bevuto,ciò che le stava corrompendo il sistema.
-Mai più… dannazione- si promise Spencer.
Gli effetti della birra erano evidentemente molto potenti, perché la ragazza prese il primo ragazzo che vide masticando e lo baciò, estraendo la chewing-gum.
-E’ stato pazzesco!- esclamò il ragazzo, evidentemente troppo eccitato per l’avvenimento.
Spencer girò i tacchi non appena vide che il ragazzo era intento a ricambiare il suo bacio.
Masticando la sua gomma dal sapore migliore di quello del vomito, la ragazza trovò in un angolo Josh, con i suoi ricciolini biondi che si sbaciucchiava con un’altra persona del suo stesso sesso.
-Merda, mi serve dell’alcool per questo- Spencer andò in cucina per la seconda volta ma si fermò, vedendo che qualcuno stava baciando il frigorifero.
-Porca vacca- si voltò e andò a chiudersi in una stanza da letto.
Era una camera lussuosa, solo un ricco se la poteva permettere, le tende erano marroni chiare, un bel colore, il letto era probabilmente molto costoso.
Spencer si sdraiò gettandocisi sopra.
-Non ne posso più, qualcuno mi salvi- la testa le faceva male.
Improvvisamente la porta si aprì e qualcuno entrò nervosamente.
-Dio santo, stanno spaccando tutto!- era una voce che Spencer conosceva, amichevole ma anche misteriosa.
-Ora che faccio?...- sussurrò a se stessa.
Sean era entrato nella stanza, lei era sdraiata sul suo letto ed era una situazione imbarazzante, visto che era inusuale che due cricche si mischiassero insieme intimamente.
A che stai pensando maledizione? Non succederà niente, e lo sai. Non farti illusioni.
La coscienza non sapeva come divertirsi, molto probabilmente.
Spencer si mise in una posizione sensuale.
-Oh!- Sean si accorse di lei – Ciao… Spen..- cercava di ricordare il suo nome, ma già il fatto che ne sapesse quattro lettere la faceva sentire felice.
-Spencer, ma questo non importa- la ragazza rivolse le braccia verso il posto vuoto al suo fianco –Se vuoi puoi venire qua vicino a me…-
-Ehm, io…- Sean rifletté un attimo.
Alla fine anche la sua coscienza cedette.
Sean si gettò praticamente sopra a Spencer, ma non era perché era inciampato o perché voleva picchiarla. Era attratto da lei.
La "cosa" durò qualche ora.
Al suo risveglio Spencer si sentiva intontita e la testa le faceva un male cane. Sean dormiva, quindi la ragazza pensò che la cosa migliore da fare fosse quella di andarsene, ma prima doveva trovare Josh.
La casa era un disastro. Casino ovunque.
Centinaia di persone sparse ovunque, persino in piscina.
-Cavolo che casino…- disse fra se e sé.
Non riuscì a trovare Josh, forse era andato a casa, forse era in qualche stanza da letto.
Nella fretta di fare tutto in silenzio, Spencer si era dimenticata che giorno era. Primo Gennaio, era un anno nuovo!
-Forte!- disse a bassa voce guardando l’orologio che segnava le otto del mattino.
Sua madre non si sarebbe preoccupata, probabilmente dormiva ancora dalle nove della sera prima.
Aprì la porta d’ingresso, che stranamente era chiusa a chiave. La sicurezza prima di tutto!
Il sole era cresciuto da poco.
Spencer lo vedeva da un altro punto di vista, il mondo.
Respirava aria nuova, fresca e pulita. Poi qualcosa la fece sobbalzare.
Qualcuno urlò dall’interno della casa!
-Cosa succede?- chiese come se ci fosse qualcuno insieme a lei.
Ritornò velocemente nella casa, ruotò la maniglia, ma era bloccata.
Spencer fece il giro della casa, scavalcando la recinzione di legno.
Alla vista della piscina completamente rossa rabbrividì.
Tutti i presenti alla festa erano morti.
Le loro golo erano aperte, e il sangue pulsava ancora fuori.
Lo stesso macabro spettacolo era anche all’interno della non più accogliente casa.
Chiunque fosse stato lì dentro era storia.
Le due ragazze che litigavano all’inizio della serata erano “incollate” tramite una lunga lancia che le trapassava e terminava dentro a un muro.
-O mio dio- Spencer corse subito nella stanza da letto, dove udì delle grida… di piacere.
Aprì la porta, qualcuno stava sopra a Sean, nel letto.
Spencer ebbe l’istinto di vomitare, ma lo trattenne.
Aggirò il letto e scoprì che Sean era morto, con del sangue che gli fuoriusciva dalla bocca.
Sopra di lui c’era l’assassino, che la guardava con una faccia sensuale.
-Non si fa prostituta- pronunciò lentamente Spencer.
Poi estrasse un’accetta e le taglio la testa. Il sangue le spruzzava in faccia.
NO! –No!- gridò fortemente Spencer, sudata sotto le coperte del letto.
-Era solo un incubo, solo un brutto sogno- disse cercando di calmarsi.
Si alzò in piedi e accese il computer.
La pagina di Youtube si aprì per errore, nei video più popolari c’era il tentativo fallito di colpire Sean nella faccia da parte di Spencer.
-E che cavolo però!- la ragazza spense il computer.
La sveglia segnava le quattro del mattino. Il caldo probabilmente aveva provocato gli incubi di Spencer.
Ma di certo l’attacco dell’assassino aveva largamente contribuito a farle passare una delle notti più brutte della sua vita.
C’era qualcosa di strano nell’aria. La porta era socchiusa, e c’erano delle impronte su tutto il pavimento. Qualcuno era stato nella sua camera mentre dormiva.
Spencer oltrepassò la porta, fece un veloce controllo delle stanze, e scese le scale.
C’erano delle macchie di sangue su tutto il pavimento perciò decise di non andare oltre.
Cadde sulle scale, piangendo.
-Mammina… cosa è successo?- chiese ad alta voce.
Qualcuno iniziò a camminare verso le scale.
Capì che non era sua madre quando vide gli stivali affilati.
Spencer aprì gli occhi al massimo, si asciugò le lacrime e iniziò a indietreggiare.
-Tesoro, sono qui- la voce sadica del killer era molto peggio di quella di una madre.
Improvvisamente, il suo volto comparve dalla stanza!
Sorrise. La faccia era ricoperta da fasciature bagnate di sangue.
Spencer gridò e corse nella sua camera.
L’assassino lanciò l’accetta in tempo per bloccare la chiusura della porta.
-Merda!- la ragazza tentò di spingerla ma non riusciva a chiudersi.
Corse immediatamente alla finestra, per fuggire da lì.
Mentre la attraversava, l’assassino le afferrò la gamba, squarciandola con la lama dell’accetta.
Spencer gridò dal dolore. Riuscì a dimenarsi e calciò in faccia il killer.
Inciampò nelle mattonelle, rotolò fino alla fine del tetto e senza neanche riuscire ad aggrapparsi da qualche parte, Spencer cadde giù.

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Capitolo 5
*** L'identità del serial killer ***


Il dolore era lancinante. La schiena le faceva un male bestiale.
Per essere la sua prima caduta da un tetto, non era cominciata bene.
Devi alzarti! Devi scappare Spencer!
La sua forza interiore le permise di alzarsi e correre.
La ferita alla gamba pulsava e questo la rallentava, ma comunque correva senza mai fermarsi.
Girò davanti alla casa e corse lungo la strada.
L’assassino non la stava più seguendo.
Spencer riuscì ad andare nella casa di un vicino e chiamò la polizia.
Dopo una decina di minuti arrivarono due volanti, una dello sceriffo.
La accompagnarono a casa dopo aver fatto alcune domande ai vicini.
La prima cosa che Spencer fece fu di andare a controllare in camera della madre.
Aprì la porta senza esitazioni.
Quando entrò nella stanza, trovò sua madre legata al letto, con la bocca tenuta ferma dal nastro adesivo.
-Mamma!- Spencer slegò la madre, mentre i poliziotti ispezionavano la casa.
-Si può sapere cosa vuole quest'assassino da te?- chiese il poliziotto mentre la interrogava seduti al tavolo.
-Io penso che voglia punirmi per aver fatto sesso-
-Punirti per aver fatto sesso?- il poliziotto sembrava incredulo.
-Si, ho trovato un biglietto che mi minacciava per questo e anche l’assassino me l’ha detto esplicitamente.
-Quindi tutte le ragazze di questa città che hanno fatto sesso, sono destinate a morire?- il ragionamento dello sbirro non sembrava del tutto sbagliato.
-Non lo so perché, ma è fissato con me!  E’ la seconda volta che vengo attaccata da quello psicopatico, oggi a scuola è successo, ricorda?- disse rivolgendosi allo sceriffo.
-Si, eri tu quella ragazza che urlava- rispose ascoltando bene la conversazione, lo sceriffo.
-Esatto, grazie per l’assistenza- Spencer era ironica – E non urlavo!-.
-Sai chi è quest’uomo?- chiese il poliziotto che faceva le domande.
-Secondo lei? So solo che sta imitando il killer del film Die Bitch, è vestito da prostituta e va in giro a uccidere le cosiddette “prostitute”-.
- Il nuovo film è in uscita nelle sale… abbiamo un serial killer, capo- disse il "poliziotto delle domande" allo sceriffo.
Dopo due ore, Spencer si fece medicare la ferita alla gamba e ritornò a letto.
La porta non si chiudeva più. Dopo neanche tre ore la sveglia suonò.
Spencer dovette usare la sua forza di volontà per svegliarsi e andare a scuola. Non spense la sveglia, la lanciò contro al muro direttamente.
Quando prese l’autobus non incontrò Josh.
- Uffa- e si sedette da sola.
Arrivata a scuola si rasserenò.
Il preside annunciò la sua chiusura fino a nuovo ordine, e un coprifuoco delle sette di sera.
-Almeno qualcosa di buono è capitato- Spencer non aveva voglia di ritornare a casa, nonostante fosse stanchissima.
Decise così di andare al Coffee Drink, forse avrebbe incontrato Josh, quello era il loro bar preferito.
Passò per la strada più breve, la città era piena di giovani poiché la scuola era chiusa.
Il Coffee Drink era piuttosto piccolo se visto dall’esterno, mentre dentro manteneva le caratteristiche di un fast food.
-Ciao Jillian- disse Spencer sedendosi al bancone.
-Ehi zuccherino, come stai oggi?- chiese con tono consolante.
-Dimmelo tu- e così la ragazza mostrò la ferita alla gamba.
-Oh, signore! Che cosa è successo?- chiese Jillian ad alta voce.
-Ieri sera sono stata attaccata nuovamente-
-Ma che diavolo dici?-
-Si, non so più cosa fare. E’ la seconda volta che scappo dall’assassino, quindi ora è molto più arrabbiato- disse preoccupandosi per se stessa.
-C’è gente che sospetta che il killer sia l’uomo scappato dal manicomio- sussurrò Jillian.
-E’ quello che credono tutti- ribatté come se fosse una cosa ovvia.
-Dev’essere uno tosto se è riuscito a scappare da lassù- e dicendo questo, la donna indicò in direzione del manicomio.
-Mi chiedo perché lo stia facendo, perché proprio imitare l’assassino di un film- Spencer non aveva alcuna idea.
-Le persone sono malate, ragazza, certa gente non sarebbe mai dovuta nascere… e chi starebbe imitando, quest’uomo?- chiese Jillian con stupore.
-L’assassino di Die Bitch. Non so se lo conosci-
-Beh, io so una cosa, se le nostre forze dell’ordine si devono mettere a cercare un assassino allora andiamo di male in peggio- e la donna salutò Spencer, andando a servire i clienti.
La ragazza non era completamente soddisfatta dalla conversazione con Jillian. Di solito lei era la dispensatrice di consigli, ma questa volta non era stata capace di rassicurarla. Faceva solo critiche alla città... e aveva ragione.
Quando Spencer uscì dal Coffee Drink vide Johanna che appendeva foto di Crystal, ovunque passasse.
Decise di andare a parlarle.
-Ciao, puoi fare pubblicità al funerale per favore?- chiese distrutta la ragazza, appena vide che si avvicinava.
-Ehm, certo- Spencer non era molto sicura.
-Grazie mille, significa molto-
-Mi dispiace per Crystal, io non la conoscevo molto bene ma lei ogni tanto mi prendeva in giro…- disse velocemente.
-Questo era suo tipico- ribatté appoggiandosi di schiena all’albero dove aveva appena pinzato un foglio.
-Mi dispiace, forse aveva delle buone ragioni- sospirò Johanna.
-Buone ragioni? Era una stronza!- Spencer aveva raggiunto il limite.
-Che cosa hai detto?- Johanna si fece oscura.
-E’ vero! Era un’ipocrita e tutti la odiavano perché lei schifava chiunque non fosse “popolare” come lei o come te! Sono convinta che tutta questa scenata delle persone che piangono per lei senza neanche averla mai conosciuta sia ipocrisia, per di più!- a quanto pare gran parte del suo odio risiedeva ancora nella sua testa.
-Sei proprio una sfigata! Come ti permetti? Crystal era un angelo, un cristallo come il suo nome!- Johanna continuò a urlare mentre Spencer la abbandonava velocemente.
-Quella è fuori di testa- disse voltandosi a guardarla gesticolare bruscamente e a litigare con se stessa.
Per tutto il giorno telefonò al suo amico.
-Josh dove sei? Chiamami, ok?- questa era la frase che aveva ripetuto più volte.
Si sedette su una panchina quando controllò l’orario.
Erano le 10 del mattino, ma il brutto tempo non dava l’impressione che fosse Maggio.
Appeso sul muro del cinema, c’era il poster di Die Bitch 3.
Spencer si mise le cuffie alle orecchie. La canzone che riproduceva in quel momento era adatta per i suoi sentimenti. Proveniva dalla playlist "momenti tristi". La sua vita stava cadendo a pezzi in modo lento e doloroso. Un qualche spietato serial killer uscito da un film horror per teenagers aveva in programma la morte della ragazza, e lei non avrebbe potuto proteggersi per sempre, alla fine sarebbe crollata. Non riusciva più a parlare con nessuno, entro tre giorni, sarebbe uscito il nuovo film nei cinema di tutto il mondo.
Le rimanevano solo settantadue ore per smascherare l’assassino, e sopravvivere. Secondo la sua teoria.
Chissà cosa sarebbe successo quando tutti quanti avrebbero iniziato a entrare nel cinema. Magari lei sarebbe già stata assassinata, e l’assassino sarebbe fuggito nel cinema, e tutti sarebbero morti.
Spencer Spencer Spencer, devi riprenderti. Se continui a pensare male, non ce la farai di sicuro.
- No- disse silenziosamente, sapendo che la sua coscienza era lei, e che era repressa solo dalla sua insicurezza. Erano i suoi pensieri migliori, perciò per una volta, quell’occasione che l’avrebbe potuta salvare; decise di ascoltarla.
La ragazza si alzò, il vento le scompigliava i capelli. In quel momento si sentiva potente, sapeva che qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe stata la sua salvezza. Doveva andare a casa, aveva bisogno di saperne di più. Percorse la strada correndo, come se ciò che l'aspettava a casa fosse la sua unica ragione di vita. Non le importava se la gamba le faceva male, doveva correre. Giunse alla porta di casa, prese le chiavi sotto lo zerbino e entrò, corse subito in camera sua.
Le scale sembravano interminabili, il sudore le colava dalla faccia, non troppo ma neanche poco.
La porta della sua stanza era aperta, il colpo d’accetta l’aveva ridotta male. Gettò la borsa sul letto, qualche oggetto ne uscì fuori, rotolando sulle coperte. Il computer era pronto ad aspettarla. Alzò lo schermo, che s’illuminò. Digitò la password velocemente, perciò al primo tentativo la mancò. Dovette riscriverla due volte prima che potesse entrare nel suo computer.
Aprì Facebook, anche lì sbaglio la password. Era incerta su ciò che avrebbe potuto trovare, la notizia del giorno riportava il suo attacco da parte del serial killer, c’era chi diceva che la “ragazza del pugno mancato” non era sopravvissuta. Dicevano che era morta, ora erano tutti in pericolo. No! Doveva scrivere che non era vero, che lei era viva e vegeta. C’era gente che ripubblicava il video della sua caduta, foto sue con dediche.
Improvvisamente iniziarono a spuntare nuove notizie, più importanti della morte della “ragazza dal pugno mancato” a quanto pare. Venivano direttamente dal giornale locale.
La polizia e lo staff del manicomio avevano smentito la notizia della fuga dello psicopatico omicida. Era sì, riuscito a evadere dall’edificio, ma come gli altri che tentarono la fuga… morì nel disperato tentativo di gettarsi dagli scogli.
Il suo cadavere fu ritrovato quella stessa mattina, ancora incastrato tra le rocce insanguinate. Spencer sentì qualche colpo al cuore. Se non era lui l’assassino di Nastake Hill, l’uomo che uccise Crystal Shaye e che tentò di uccidere Spencer Matthews, chi era allora? La ragazza andò alla finestra, il sole stava fuoriuscendo dalle nuvole tenebrose.
-Oh no- pronunciò lentamente, mentre cominciava a chiedersi chi fosse l’assassino di prostitute.
Poteva essere Johanna, forse un po’ improbabile, magari si sentiva inferiore a Crystal perciò la uccise. Ma cosa voleva da lei? Poteva essere Timothy Richardson? Il critico di film horror che, talmente amareggiato dalla qualità del nuovo Die Bitch, impazzì e iniziò a uccidere gente. Ma cosa voleva anche lui da Spencer? Forse si erano imposti tutti l’obbligo di uccidere come nel film, il primo malcapitato di turno?
Sean? Aveva validi motivi per uccidere sia Crystal che Spencer… forse pensava che la prima era una viziata ragazza ricca che dava il suo corpo al primo ragazzo che le piaceva, perciò decise di toglierla dal nostro mondo, perché non sarebbe stata utile alla società. Poi c’era lei, Spenc, la ragazza che nessuno conosceva e che molto probabilmente nessuno voleva conoscere. Lei pensò sempre che Sean non si fosse mai ricordato di quello che successe la notte di capodanno. Forse sapeva di essere andato a letto con qualcuno, ma di certo non ricordava di aver avuto un rapporto con Spencer. Non glielo aveva mai fatto intendere comunque, poteva saperlo se avesse voluto, ma forse pensò che era meglio se tutti e due non avessero mai più parlato dell’accaduto di quella notte. Lui era popolare, bello, capitano della squadra di football, fidanzato di qualsiasi cheerleader presente nella scuola, non aveva mai parlato con Spencer prima di quell’accaduto, o con persone appartenenti al suo “rango sociale”. Voleva zittirla, facendo in modo che non ne avrebbe mai parlato con nessuno, se i popolari avessero scoperto che lui aveva avuto un rapporto con una mai emersa… lo avrebbero esiliato. Ma era troppo tardi, Josh sapeva. Se lei fosse morta, il suo migliore amico avrebbe fatto onore al suo nome, prima però doveva sapere tutta la storia completa.  Ma ultimamente Josh era irrintracciabile! Dove era finito? Anche lui poteva essere un sospettato riflettendoci. La ragione per cui aveva infastidito Sean era che voleva vedere cosa si provava a perdere qualcuno d’importante, ma era arrabbiato perché a lui non importava di Crystal. Ma insomma, era impossibile.
Spencer lo conosceva, non era il motivo che fosse gay a renderlo un sospettato meno accreditato degli altri. Lei sapeva che non avrebbe mai fatto male a una mosca.
Forse l’assassino era Spencer, la sua mente malata si era divisa in due personalità perché non veniva mai calcolata da tutti e faceva sempre delle figure da sfigata. Uccideva senza saperlo, non era mai stata attaccata da nessuno e sfruttò la storia del maniaco evaso dal manicomio solo per coprirsi.
A dirla tutta però questa ipotesi suonava veramente da film horror di serie B. Era molto improbabile che potesse succedere sul serio.
-Sembra di essere in un cavolo di film horror- iniziò Spencer filmandosi con la webcam, il video terminato sarebbe stato caricato sul suo blog –Non so più a cosa pensare, credevo che l’assassino fosse il maniaco scappato dall’istituto. Suonava folle, ma non è già tutto molto folle? In un paese schifoso come il nostro non è mai capitato che qualcuno fosse stato ucciso da un “serial killer”. Doveva proprio morire Crystal? Se lo meritava sul serio? Da grande avrebbe avuto una famiglia e magari sarebbe diventata una buona madre… Se non ce la farò ragazzi, dovete sapere la vera storia subito, immediatamente- stava per farlo. Stava per dire a tutti che era andata a letto con Sean Connelly. Non le importava se lui avrebbe avuto una vita tormentata, la sua era schifosa, dopotutto se lo meritava.
-Io sono…- prese un enorme respiro.
-Io sono andata a letto con Sean Connelly- boom. La bomba era stata sganciata.
-E’ successo alla sua festa di capodanno, eravamo tutti e due ubriachi comunque… o almeno credo- la sua voce si fece più interrogativa –Io ero “piuttosto” ubriaca, ma non ero sicura che lui lo fosse, ubriaco. Doveva badare la casa comunque, quando entrò nella camera da letto era preoccupato per il casino che stavano facendo tutti. Non avevo mai fatto caso a questo particolare fino a ora, dopotutto, qualsiasi cosa è lecita quando non si ha più niente per cui lottare penso- le sue parole erano tristi come lei. Aveva perso la sua dignità? No, ma era quello che lei pensava. Era diventata una prostituta in una botta.
-Se dovessi morire ricordatevi di me, lo farete vero?- Si asciugò le lacrime, sentiva gli occhi gonfi, pesanti dalla sera prima- Ciao ragazzi- schiacciò il cerchio rosso per terminare la registrazione, ma al click del pulsante… la registrazione iniziò!
-Porca…- Il momento strappalacrime era finito, e lei non aveva intenzione di ripetere quello che aveva detto.
Le sue dita s’irrigidirono formando quello che sembrava il corpo di un ragno. Gli occhi erano spalancati. Se avesse voluto, avrebbe spaccato il computer con una testata.
-Andatevene tutti a fan-!- la frase fu terminata dal click del mouse. Eccolo il suo video.
Il video della vera Spencer Matthews!
-Non ho intenzione di stare qui a fare la ragazza depressa. Non sono mica Kristen Stewart, cristo*- e pubblicò il video che testimoniava la sua ripresa. E la sua resurrezione.
*riferimenti a Kristen non diffamatori :=)

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Capitolo 6
*** Non sono chi tu pensi che io sia. ***


E’ vero che Spencer non aveva più rivelato la verità, ma nonostante questo, dopo cinque minuti il suo video divenne molto popolare e tutti iniziarono a ripubblicarlo e a scrivere che Spencer Matthews era viva ed era sopravvissuta due volte.
Non sapeva come facessero a sapere che fosse stata attaccata due volte, ma non le importava veramente.
Finalmente tutti sapevano che non era morta.
Scese in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, quando si accorse di un particolare che non aveva notato quando era tornata a casa in fretta. La casa era in perfetto ordine.
Il divano era pulito per la prima volta da quando Spencer era nata, la cucina era profumata e il frigorifero era in ordine.
-E’ un sogno?- chiese vedendo sua madre seduta sulla poltrona accanto al divano.
-Io so di non essere stata una buona mamma- Lauren si alzò in piedi e si avvicinò alla figlia –Ma sto cercando di smettere di bere, so che sarà difficile e vorrei che tu mi aiutassi- sembrava che parlasse seriamente.
- Ok- questa era l’unica parola che la figlia seppe dire.
- Ok- ripeté la madre sorridendo.
Si poteva avvertire il bisogno di alcool del suo organismo.
Si poteva avvertire il dolore, ma la forza di volontà della figlia doveva essere stata pur tramandata da qualcuno.
Alla fine tutt’e due cedettero e si abbracciarono.
-Non va tutto male dopotutto- disse sua madre rincuorandola, mentre le accarezzava la testa.
-Ti voglio bene mamma- disse Spencer, piangendo.
-Anche io tesoro- quello fu l’unico momento bello dell’ultima settimana che la ragazza riuscì ad avere.
Erano le tre del pomeriggio, dopo che Spencer si fece un riposino. Sua madre stava tentando di trattenersi dall’andare a comprare qualche bottiglia di alcool, chiudendosi a chiave in camera con delle bottiglie d’acqua.
-Tutto ok mamma?- chiese la figlia, nonostante sapesse che per lei era molto difficile resistere.
-Si, grazie per l’interesse!- la madre sembrava stare bene.
-Mi fai un piacere? Puoi andare a fare la spesa?- chiese dall’interno della stanza, senza neanche aprire la porta.
-Certo, torno subito- Spencer andò al supermercato distante dieci minuti da casa sua, in bicicletta.
Quando entrò, prese il carrello e si diresse verso il reparto carne, poi in quello verdura, dolci, e prese quello che serviva disperatamente a casa: cibo.
Non poté fare a meno di notare che tutti i ragazzi la guardavano, parlando tra di loro sottovoce.
Ciò che successe quella mattina era lo scoop di quel giorno. Spencer era per la prima volta nella sua vita, conosciuta.
Pagò alla cassa e caricò la spesa sul cestino della bicicletta.
Mentre tornava a casa, rifletté su quello che sarebbe accaduto fra tre giorni. Se lei fosse sopravvissuta fino all’uscita del film, il killer se la sarebbe presa con tutti i ragazzi e avrebbe fatto una strage nel cinema?
Forse era troppo avventato, ma per fare qualcosa di veramente tragico era abbastanza.
Spencer si chiese cosa stesse facendo in quel momento il killer. La stava osservando? Era nascosto da qualche parte pronta ad attaccarla? Pensava anche lui a quello che sarebbe successo se non fosse stato abbastanza furbo da ucciderla?
Spencer tornò a casa sana e salva. Sistemò tutta la spesa, poi riuscì a far mangiare anche sua madre, che non era messa bene. Però dopo aver mangiato molto bene, Lauren cominciò a sentirsi meglio, forse era solo una bugia, o un tentativo del suo cervello per non farla impazzire.
-Ripulisco io, tu va a riposarti- disse Spencer incitandola a tornare nel letto.
-No, non ho fatto niente tutto il giorno, lascia ripulire a me-
-Come vuoi, comunque sono abituata- ribatté la figlia sorridendo.
-Lo so…- sua madre si alzò e cominciò a sistemare.
Spencer rimase immersa nei suoi pensieri per un po’, poi chiese –Mamma, chi era mio padre?- era una domanda rischiosa, ma lei doveva pur sapere chi fosse, nonostante parlare di lui era una cosa insolita.
-Un’idiota- rispose la madre.
-Questo lo immagino ma, è veramente morto in guerra?- c’era un briciolo di speranza nella sua voce.
-Certo che no… lo dicevo solo per farti stare zitta- rispose sorridendo Lauren. Spencer rimase colpita dalla risposta, così sparò la domanda da un milione di dollari.
-Mamma… papà è morto?- rimasero in silenzio per un po’, quando sua madre si voltò.
-Lo vuoi sapere sul serio?- Spencer pensò che non era la risposta che si aspettava.
-Si- rispose senza neanche riflettere.
-Tuo padre è diventato famoso come attore, e ci ha abbandonate qui in questa città. Ovviamente ci ha sempre mantenute, dandoci il minimo indispensabile per sopravvivere, ma da allora per me è morto.- la ragazza non sapeva cosa pensare.
-Sul serio?- chiese dopo aver ingerito la dura verità.
-Si e ti dirò chi è, se vuoi, anche se preferirei che tu non cercassi di contattarlo-
-Lo giuro, dimmi solo chi è mio padre- la verità stava per essere svelata definitivamente.
-Tuo padre è Michael Raynee- l’attore più conosciuto del momento, e protagonista nei primi due Die Bitch.
-Fai sul serio?- chiese Spencer esterrefatta –Non so che dire- era come se le avessero appena rivelato che Crystal Shaye non era mai morta. Era uno shock.
-Mi dispiace di avertelo tenuto segreto, ma era meglio per tutt’e due- rivelò la madre.
-Penso che andrò a letto, grazie...- concluse Spencer.
Se né andò prima che la madre potesse aggiungere qualcos’altro.
Passò tutta la notte a guardare immagini di Michael Raynee, ma non riusciva a capacitarsi di pensare che fosse “sul serio” suo padre.
Ora non era del tutto sfigata, ma chi le avrebbe mai creduto? Forse Josh, o perlopiù lo sperava.
-Ciao papà- disse toccando lo schermo come se gli stesse sul serio accarezzando il viso.
Spencer si addormentò sapendo che suo padre era vivo, ed era un attore famoso.
Fece dei bei sogni quella notte, sogni che la vedevano in una famiglia felice, in una casa bellissima, la vita perfetta.
La mattina seguente si svegliò con un sorriso.
C’era un regalo sul comodino.
Spencer si alzò velocemente e pensando che fosse stata la madre, iniziò a scartarlo.
Era una foto piegata, e quando la ragazza spiegò la carta, scoprì quello che era il suo “regalo”.
Nella foto c’era Josh legato a una sedia, sanguinante.
-Josh!- l’assassino lo aveva preso.
-Mamma!- non arrivava nessuno.
-Mamma dove sei?- urlò mentre scendeva in camera di sua madre.
Quando aprì la porta, trovò la camera inzuppata di sangue, e Lauren con la gola tagliata.
-Mamma!- l’urlo fece esplodere le finestre. Controllò la madre, ma era morta, o almeno lo credeva.
-Non sono chi tu pensi che io sia.- pronunciò la sua bocca, mentre gli occhi deceduti rimanevano chiusi.
Dalla gola iniziò a spruzzare sangue sul volto della figlia traumatizzata.
Spencer corse in camera sua con le mani e il volto macchiati di sangue, quello che vide fu inquietante.
Stava dormendo, ma allo stesso tempo si stava osservando.
Fece un urlo e si gettò su se stessa prima di essere catturata dal killer che comparve alle sue spalle.
Alzandosi di schiena si sveglio di colpo!
-Mamma!- l’incubo era stato più reale che mai.
Lauren soccorse la figlia, portandola in bagno e sciacquandole la faccia.
-E’ tutto ok! Non è reale, è solo un brutto sogno!-
-Eri morta! Eri piena di sangue- Spencer era ancora a metà tra la finzione e la realtà, e voleva subito abbandonare la dimensione parallela di ciò che stava accadendo.
-Non ti preoccupare amore, io sono qui adesso- la ragazza si tranquillizzò e si fece preparare un thè caldo dalla madre.
-E’ stato orribile, qualcuno aveva rapito Josh e tu non mi rispondevi, quindi sono venuta a svegliarti ma eri morta- Spencer racconto l’incubo in attesa che il suo thè si rinfrescasse. Sudava freddo dalla faccia, ma stranamente quella sensazione non le dava fastidio.
-Non avevo dubbi che avresti avuto degli incubi, con tutto quello che sta succedendo- la madre era in buone condizioni, nonostante la riabilitazione.
-Non ce la faccio più mamma, non lo sopporto proprio più- aveva ragione, era troppo per una sedicenne.
-Passerà, amore, arresteranno quell’uomo- le sue parole sembravano convincenti.
Il giorno seguente Spencer stava sicuramente meglio di quello prima, avendo recuperato il sonno perduto.
Si svegliò alle nove e mezzo del mattino.
Il tempo non prometteva ancora bene, pioveva ma la nebbia se n’era andata, anche se non si sapeva per quanto.
Era Martedì, e Spencer non poteva fare a meno di pensare che Giovedì sarebbe uscito Die Bitch 3, perciò le restavano solo quarant’otto ore per sopravvivere.
Decise che era meglio andare a casa di Josh, per scoprire come mai non si faceva più sentire, quindi prese il giubbotto e si avviò in bicicletta, lasciando un biglietto alla madre.
Era in arrivo una probabile tempesta che avrebbe terminato il brutto tempaccio, ma fino ad ora c’era solo una gran quantità d’acqua che continuava a cadere.
Per via della pioggia che la rallentava Spencer arrivò a casa del suo amico con qualche minuto di ritardo rispetto al solito orario.
Appoggiò la bicicletta vicino alla porta d’ingresso, e suonò il campanello.
Siccome nessuno le rispose la ragazza chiamò al telefono Josh, che fece partire la segreteria.
-Ma dove sono finiti?- chiese irritata fra se e sé.
Andò a scuola, il posto meno probabile in cui qualcuno potrebbe andare se la sua vita facesse schifo.
Invece Spencer entrò nella fontana. L’acqua era freschissima, anzi, fredda. Se non si fosse ammalata dopo ciò che aveva fatto, allora sarebbe stata fortunata.
S’immerse completamente. Persino con la testa.
Non pensava in quel momento, o forse sì, a quanto figo fosse quello che stava facendo. Le sembrava di vivere in un film horror. Non Scream o cose del genere, era più un Teen Drama prodotto da qualche compagnia (esperta) canadese.
Sotto la barriera che la separava dal mondo, osservava la superficie dell’acqua, la luce fiacca che penetrava con i suoi raggi.
Era una cosa spettacolare a dirla tutta.
Spencer riuscì finalmente a sentirsi fortunata, in realtà non credeva di essere se stessa.
Non ricordò un momento in cui si sentì così tranquilla, perché di certo la sua vita non era stata un granché. Ripensandoci, questa cosa dell’assassino le serviva per smuovere un po’ la sua monotona vita.
L’unica volta in cui pensò di aver provato queste emozioni fu quando fece sesso con Sean. Si era illusa che sarebbe veramente diventata una cosa seria, tra loro due.
Nonostante sapesse, nel profondo del suo cuore, che lui le avrebbe spezzato il cuore.
Potresti anche ritornare in superficie, non sei mica un pesce.
Disse la coscienza, sua migliore amica e confidente.
Proprio mentre Spencer decise che era meglio seguire il suo consiglio, qualche forza la teneva stretta al fondale della fontana. Aprì gli occhi di scatto, appena avvertì la sensazione che qualcuno la stava tenendo stretta e salda.
Da quello che riusciva a vedere, oltre l’acqua mossa dalle impetuose lacrime del cielo, non era sola.
L’assassino l’aveva trovata, o forse l’aveva sempre seguita.
Ora la teneva ferma in acqua, mentre lei si dimenava per liberarsi.
Tentò di urlare, dimenticandosi che era scientificamente impossibile, perciò uscirono solo bolle. Bolle che le sarebbero costate la vita.
- No- biascicò con un tono a metà tra una balena e uno slow motion.
Bisognava essere esperti nel leggere il labiale di una persona per capire quello che stava tentando di dire.
Sentiva la gola stringersi, e il cuore iniziò a bruciarle.
Aveva immediatamente bisogno di emergere dall’acqua.
Tentò di urlare: non respiro più, ho bisogno di ossigeno, ma era più che inutile.
Dovette semplicemente accettare l’idea che sarebbe morta nel giro di pochi secondi.
Mi fa male la testa… dove sono? Che cosa sta succedendo?
Stava iniziando ad andarsene. Mi fa male lo stomaco!
Il suo corpo era in spegnimento, e se dio non avesse tentato di aiutarla, nessuno avrebbe potuto farci niente.
Qualcuno mi salvi, pensò, non avendo la possibilità di dirlo.
Conta le pecorelle che saltano. Una voce che la incoraggiava, sembrava sorriderle, anche se non poteva vederla; era una donna. Devi solo contarle mentre saltano.
Spencer visualizzò le pecore che saltavano un recinto di legno. Ecco… così… uno, due, tre, quattro, cinque… sei… se… sette… ot…otto. La ragazza chiuse gli occhi.
Brava Spencer, non sentirai più dolore così… starai meglio.
L’assassino allentò la presa, questa fu l’ultima cosa che la ragazza riuscì a sentire.
Poteva vedere il buio attenuarsi, e la luce accrescere.
L’acqua assunse improvvisamente un colore azzurrino.
C’erano pesci che le giravano attorno, accarezzandole lievemente la pelle con le loro code arancioni.
Spencer… era morta.

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Capitolo 7
*** I sogni malati di Spencer Matthews. ***


Quello che vide era impossibile. Non poteva essere!
Crystal la stava guardando, oltre l’acqua.
Cosa? Pensò Spencer, vedendo che la ragazza le allungava la mano.
Accolse il suo aiuto, e si fece sollevare.
-Ma tu, non sei morta?- chiese spalancando gli occhi a Crystal.
-Ma certo che no- disse tranquillamente la ragazza.
-Invece credo proprio che tu sia morta- la corresse Spencer.
-Ti ho detto di no- rispose fermamente Crystal.
-Ok, scusa- era pentita di averle detto quella cosa.
-E per quale motivo?- chiese come se non fosse successo niente.
-Perché ho detto che sei morta? Sai, nella mia dimensione tu sei stata sgozzata- non riuscì a terminare la frase perché venne interrotta dallo strattone brusco di Crystal.
-E andiamocene!- soppresse l’urlo che aveva in programma.
-Dove ci troviamo?- chiese Spencer guardandosi intorno.
Stavano camminando su di un pavimento che sembrava ricoperto di enormi marshmallows bianchi, ma si rese conto che in realtà quelle su cui stava camminando erano nuvole.
-Siamo nell’aldilà- pronunciò solennemente Crystal, la cui pelle scintillava come un cristallo.
-Wow, non mi aspettavo che fosse così- Spencer era attratta dalla bellezza del paradiso.
-L’aldilà assume le sembianze di ciò che noi desideriamo di più- quel commento, blocco la ragazza.
-Scusami? Vuoi dire che io sono un suino ciccione che mangia solo schifezze?- Spencer si sentiva offesa da quello che la “ragazza perfetta” le aveva appena rivelato, ma era chiaramente esagerata.
-No!- disse sospirando Crystal – intendevo che il paradiso di ognuno varia a seconda di ciò che egli desidera!- detto in questo modo non assumeva un aspetto diverso per Spencer, ma erano comunque “parolone” quelle utilizzare da Crystal.
-Ti tengo d’occhio- l’avvertì conducendo prima le dita verso i suoi occhi, poi rivolgendole a lei.
-Fai come ti pare- e così dicendo, Crystal riprese la ragazza e continuarono il loro cammino.
-Se tu sei qui è per un motivo, lo sai?- iniziò a dirle Spencer -Per questo motivo sono qui anch’io, giusto?- si fece triste.
-Si, e a dirla tutta potevi stare più attenta! Andare a fare un bagnetto nella fontana della scuola durante una tempesta, con un serial killer sulle tue tracce non è proprio il massimo della sicurezza - la rimproverò Crystal.
-Ehi, avevo bisogno di pensare!- ribatté Spencer.
-Non potevi pensare sotto la doccia di casa tua? Come una qualsiasi persona normale?- neanche lei però aveva tutti i torti.
-Avevo bisogno di sentirmi speciale, ok?-
-Beh, ora si che sei speciale, "specialmente morta".- questa era stata una risposta tosta.
-Non c’è bisogno di comportarti come facevi tutte le volte che mi vedevi Crystal- la rimproverò anche Spencer.
-Scusa, ma il mio programma di vita non includeva “la morte”- probabilmente il programma di tutt’e due non comprendeva quell’ingiusto destino, ma più ci pensavano, più diventava doloroso.
-Senti, mi dici in quale luogo mi stai portando?- chiese Spencer impaziente –O vuoi mantenermi la sorpresa?-
-Che sorpresa, stai andando alla roulette, a me piace chiamarla così- cosa intendeva Crystal?
-Come? Roulette? Di cosa stai parlando?-
- La roulette è dove verrà deciso se andrai in paradiso, o se andrai all’inferno- stava parlando sul serio? C’era qualcosa di così commerciale per decidere la tua sorte?
-Wow, questo si che è malato…- replicò Spencer.
Chissà cosa avrebbe avuto in serbo il destino per Spencer Matthews. Che ingiustizia! Proprio ora che stava diventando famosa, pensò bene di farsi ammazzare.
-Senti, io non so se riesco a farcela- iniziò a spiegare la ragazza –Sono troppo giovane per morire!-
-Perché io non ero giovane!?- l’urlo di Crystal fece sobbalzare Spencer.
-Non intendevo dire quello, è ovvio che anche tu non meritavi di morire, ma se solo potessi tornare indietro… farei giustizia a tutt’e due. Fidati di me Crystal!- la stava implorando.
-Allora fallo, torna indietro- sembrava seria –Ognuno può scegliere se tornare indietro, ma la maggior parte di loro fa la scelta giusta-
-Perché, scegliere di vivere non è abbastanza giusto?-
-Non è questo, Spencer, là fuori non c’è niente per noi- e dicendolo indicò il mondo sotto di loro.
-Beh, non m’importa, perché io ucciderò quell’assassino-
Spencer salutò la ragazza "morta" che le stava davanti, e tornò da dove era venuta.
La realtà intorno a lei iniziò a svanire, sentì i polmoni riempirsi, e la gola iniziare ad appesantirsi.
I suoi occhi si chiusero, ma appena riuscì ad aprirli, scoprì di essere ancora immersa nella fontana della scuola.
Strizzò le palpebre e afferrò stringendo saldamente le braccia del killer.
Spencer riuscì a scivolare via, nuotò lontano da lui ed emerse fuori dall’acqua fredda.
La sua testa fece esplodere l’acqua, mentre saltava fuori, prendendo profondi respiri.
Non ebbe il tempo di prendere qualche altro respiro che il killer saltò in acqua e la prese per i capelli, l’accetta rimase incastrata nella statua al centro della fontana.
-Maledizione!- urlò l’uomo prostituta mentre strappava qualche ciocca dai capelli di Spencer.
-Avanti!- ripeté ad alta voce liberando la presa dai suoi capelli, per staccare l’accetta dal marmo.
La ragazza saltò sul bordo della fontana, e aggrappandosi saltò fuori. Si sentiva pesante, i suoi vestiti erano completamente fradici e la rallentavano.
-Cavolo!- Spencer vide che le ruote della sua bicicletta erano state squarciate, per evitare la sua fuga.
La sua unica possibilità era di iniziare a correre, mentre l’assassino stava scavalcando la fontana.
Non sapeva dove altro andare, se non a casa di Sean, che era il più vicino.
La pioggia non cessava e ogni tanto Spencer rischiava di scivolare.
Giunse alla casa dopo qualche giro di strade, l’assassino era nelle vicinanze.
Cominciò a suonare il campanello ma non arrivava nessuno.
-Dai, dai!- cominciò a vedere la sagoma del killer, che si dissipava dall’ombra.
Spencer fece lo stesso che successe nel suo incubo, aggirò la casa e scavalcò la recinzione di legno.
Dalla piscina riscaldata fuoriusciva del vapore caldo.
Doveva fare silenzio. Forse il killer non l’aveva vista entrare nella casa, ma se la conosceva, sapeva che era la sua unica possibilità di salvezza.
Il vapore della piscina faceva sudare Spencer, nonostante piovesse a dirotto.
-Sean- cominciò a chiamare a bassa voce –Sean!- non ottenne risposta, la piscina si era evidentemente guastata.
La porta scorrevole era aperta.
-Sean? Sei qui?- fece un passo nella casa.
-Entra!- urlò il ragazzo silenziosamente, spingendola nella casa.
La porta scorrevole venne chiusa a chiave.
-Sean, cosa succede?- chiese Spencer confusa.
-Ha ucciso la mia famiglia! I miei genitori!- dalla sua pancia usciva del sangue.
-Cosa?- la ragazza perse un po’ di equilibrio.
-E’ entrato, e li ha sgozzati! Io ho finto di essere morto- disse indicando la ferita.
-E’ tutta colpa mia, lui era venuto per me- si tirò indietro i capelli - Dobbiamo chiamare la polizia! Dov’è il telefono?- chiese iniziando a cercare in giro per il salotto-.
-Lui l’ha distrutto! Ha distrutto tutti i telefoni…-
-Deve esserci qualcosa, pure qualcosa!- Spencer entrò nella camera dove ebbe il rapporto con Sean e inorridì alla vista dei cadaveri dei suoi genitori con il collo sgozzato.
Ciò che le venne in mente al primo impatto fu che la sua prima volta avvenne nella camera dei genitori di Sean.
Uscì dalla stanza ed entro in quella che pareva essere la camera del ragazzo.
C’era una felpa nera sul letto marrone, che si scorgeva a malapena, accanto a quella c’era un cellulare.
-Ho trovato un telefono Sean!- il ragazzo non rispose –Sean!- non ottenne risposte perciò, con il telefono in mano, andò in salotto.
-Sean, ma cosa succede?- chiese vedendo il ragazzo seduto su una sedia.
-Sean- e voltandolo a lei, vide puntarsi un coltello insanguinato in faccia.
-Eccomi, prostituta- lei cadde per terra, mentre cercava di indietreggiare.
-Sei sorpresa?- Sean aveva un sorriso maligno stampato sulla faccia.
-Come puoi? E’ una cosa malata!- Spencer era stata colta alla sprovvista.
 Lui iniziò a slacciarsi la cintura. Lei assunse un’espressione disgustata.
-Non hai sempre voluto farlo con me?- chiese lui ironicamente.
-Lo abbiamo fatto idiota, e ora lo rimpiango!-
-Non raccontare bugie a me!- probabilmente Sean Connelly non aveva una buona memoria.
-La notte di capodanno testa di-!- luì le si avvicinò.
-Eri tu la ragazza che mi sono portato a letto quella notte?- i suoi occhi si fecero lucidi.
-Esatto, deficiente- Spencer si alzò, abbassando la mano con il coltello di Sean.
-Non sai per quanto tempo mi sono chiesto chi fosse quella ragazza…- oltre che a un film horror sembrava che si ritrovassero in una commedia.
-Sei un lurido maiale! Mi fai schifo, la vedi la mia gamba?-indicò lo squarcio cicatrizzato -Hai rovinato una bellissima gamba innocente!-.
-Io…- in quel momento era Sean che indietreggiava - Ora si che meriteresti di morire! Hai ucciso la tua famiglia, te ne rendi conto? Sei uno squilibrato!- dopo l’ultima frase luì alzò il pugno pronto ad accoltellarla –Brutta…stron!…- si accorse che c’era qualcosa che mancava.
-Cerchi forse qualcosa?- Spencer fece cenno con gli occhi alla sua mano, che brandiva il coltello insanguinato del ragazzo.
Lui rabbrividì, mentre lei lo accoltellava “sul serio”.
-Mi aspettavo che dicessi una frase tipo “questo è sciroppo, non sangue”! Ma diciamo che ne sono uscita bene anch’io-
Spencer lasciò la presa e vide Sean Connelly morire davanti ai suoi occhi.
-Ora non sei più il ragazzo più popolare della scuola- intonò mentre lui la guardava male.
-Non ho… neanche avuto.. il tempo.. di giocare la finale..!-
-Battitore?- Spencer gli diede un calcio che gli spezzò la mascella! E quello fu il suo momento “fatality”, perché si sentiva bene dopo che lui esalò il suo ultimo respiro -Anche io...-
La ragazza chiamò infine la polizia.
Tutti scoprirono che Sean Connelly aveva ucciso Crystal e la sua famiglia, ma non c’era riuscito con Spencer, la ragazza sopravvissuta.
Al termine della serata Spencer riuscì finalmente a ritornare a casa, accompagnata da sua madre, che si era ripresa dalla sua dipendenza per l’alcool.
-Mi sento meglio ora- le disse la figlia.
-Posso immaginarlo, ma per favore- e le sorrise –Non farti più ammazzare da nessuno!- ne erano certe, non sarebbe più successo niente di brutto.
-E a casa ti aspetta una sorpresa - disse la madre sorridendo nuovamente.
-Un'altra? Signore no!- arrivate a destinazione, le due parcheggiarono e poi entrarono finalmente in casa.
Spencer poteva sentire le voci di qualcuno che ravvivavano il salotto. Diede uno sguardo interrogativo alla madre, poi vide due persone voltate di schiena.
-Eccoci qui!- disse la madre sorridendo, mentre abbracciava la figlia.
Il primo a voltarsi fu… Josh! Non se lo aspettava, ma fu comunque una bella sorpresa rivederlo dopo così tanti giorni.
-Ehi! Perché non ti sei fatto più sentire?- lui l’abbracciò.
-Mi dispiace, sono dovuto andare fuori città perché mio padre ha avuto un infarto. Sono tornato questa mattina- a Spencer non importava molto sapere perché l’avesse ignorata per quattro giorni, ora era lì, in carne e ossa.
-Come stai?- chiese la ragazza eccitata.
-Io… bene! Tu? Come stai? Cos’è successo?- ribatté lui.
-Ah, ora sto bene. Sai com’è, ho ucciso Sean Connelly- quando Spencer lo disse, Josh deglutì.
-Co…come?- era esterrefatto.
-Era lui l’assassino!- l’amica non si chiedeva troppo perché lui rimase scioccato, ma si ricordò che c’era qualcun altro nella stanza.
-E lui, chi è?- chiese rivolgendosi all’uomo di spalle.
-Tesoro, lui è…- la madre era incerta se terminare la frase.
-Tuo padre- aggiunse l’uomo per finire la frase di Lauren. Si voltò, ed era lui. Michael Raynee.
-Papà?- Spencer era senza parole alla vista dell’uomo che per sedici anni era sempre rimasto morto in guerra. Lui era lì a rassicurarla ora. A dirle che andava tutto bene.
Spencer aprì gli occhi in un letto a lei estraneo.
La testa le faceva un male pazzesco.
-Dove… sono?- chiese sperando che qualcuno le rispondesse.
-Ehi… amore, sei in ospedale- la madre di Spencer sembrava speranzosa, il motivo era ancora incerto.
-Cos’è successo? Dov’è papà? Josh?- sua madre assunse un’espressione confusa.
-Tuo padre? Oh, sapevo che non avrei mai dovuto dirtelo… riguardo a Josh, non lo so, dove si trovi- Lauren le accarezzò il viso.
-Ma, come? Erano lì nel salotto! E Sean? Dov’è? E’ lui l’assassino!- la ragazza si agitò.
-Ma che dici Spenc? Forse sei confusa per via dei medicinali. Sean? Non è lui l’assassino! Domani sera darà una festa, e i medici dicono che entro stanotte potrai tornare a casa. Solo che per quella…- Lauren indicò la gamba di Spencer. -Non dirmelo- non voleva ottenere una risposta complicata -Mi sono rotta una gamba- perciò tentò all-in. -Il piede, per essere precisi- come? -Sei caduta in bicicletta, ti hanno ritrovata nella fontana della scuola?- la sua voce si fece interrogativa –Cosa ci facevi a scuola?- era tempo di trovare una scusa plausibile.
-Dovevo… andare a trovare Josh- rispose lei in fretta.
-E’ molto rischioso che tu vada in giro da sola, lo sai? Con quell’assassino in libertà bisogna stare attenti… soprattutto tu! Che sei il suo bersaglio…- sua madre non aveva tutti i torti.
-Uffa, quindi non si sa ancora chi è l’assassino?- chiese Spencer esausta.
-Purtroppo no… comunque avrai due poliziotti che ti sorveglieranno fino alla sua cattura- la rassicurò la madre.
-Perfetto- rispose la ragazza voltandosi –Che palle-.

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Capitolo 8
*** Una serie di sfortunati eventi ***


Sean ebbe la “geniale” idea di organizzare una festa per... “festeggiare” l’uscita di Die Bitch 3? Che cosa stava succedendo?
-Sul serio, io non capisco. Una persona come lui per quale motivo dovrebbe festeggiare l’uscita di un film come, quello?- disse Spencer puntando il dito contro il poster del film, che vedeva una ragazza bionda insanguinata, vestita da prostituta brandire un coltello –Che film orribile -.
-Non pensi di essere un po’ troppo severa?- disse una voce alle sue spalle.
-Josh!- il suo amico era finalmente tornato.
-Ciao Spenc- replicò lui sorridendo –Come stai?-
-Male! La mia gamba è completamente ingessata. Un assassino è sulle mie tracce e domani morirò “letteralmente” per l’uscita del film!- la sua vita era un disastro.
-Wow, devo dire che hai un bel programmino in atto per domani, potrei sapere perché comprende il tuo omicidio?- chiese lui ridendo.
-Perché l’assassino imita "l’ammazza prostitute" di Die Bitch, e dopo mille tentativi di uccidermi io sono ancora viva, quindi sospetto che domani mi voglia zittire una volta per tutte. Sarebbe inutile continuare a uccidere anche dopo l’uscita del film!- pensò Spencer.
-E come farai?- chiese Josh intenzionato ad avere una risposta seria.
-Non lo so- ma non la ebbe.
-A proposito di gente morta, si può sapere dov’eri finito? Ti ho praticamente cercato in ogni universo!- lo rimproverò l’amica.
-Ah… sono dovuto andare in ospedale perché mio padre- Spencer terminò la frase per lui.
-Ha avuto un infarto?- lui era rimasto con la bocca aperta.
Aggrottò la fronte e parlò –Come fai a saperlo?-.
-Vedi? Questa è un’altra cosa strana che testimonia la mia morte imminente!- era fuori di sé.
-Sei una veggente e non me l’hai mai detto? Oppure una maga? Posso farti una domanda? Com’è Hogwarts?- i due risero. Spencer dimenticò com’era ridere, quei pochi giorni che passò deprimendosi a cercare di rimanere in vita l’avevano prosciugata.
-Dopo un giorno in ospedale, imbottita di farmaci, questo è il minimo!- disse lei spiegando quelle sue stranezze.
-Rispondi a questa domanda: è vero che stasera andiamo alla festa di Sean?- quelle parole non le sembravano vere.
-Un’altra volta? Non ho voglia di farmi uccidere “veramente” questa volta, e poi l’unica occasione fortunata in cui sono andata a una delle feste “famose” di Sean ci ho fatto sesso selvaggio e sono entrata nella lista di un serial killer ammazza prostitute!- non aveva tutti i torti – Poi hai visto la mia gamba? Dico, è immensa! Con tutte queste imbottiture non mi riesco neanche a grattare, poi penso che quando me la caveranno la gamba sarà deforme perché con tutto questo caldo improvviso avrò perso venti chili solo con il sudore della fasciatura…- questo si che era disgustoso.
-Avanti! Ti prego!- era la terza volta in cui la implorava per portarla alla festa di Sean.
-Poi non lo sai che se sei nel mirino di un serial killer la cosa più indicata per farti ridurre in pezzettini è andare alla festa per festeggiare l’uscita del film per cui è così maniaco?- Josh trattenne l’istinto di darle uno schiaffo –Poi c’è sempre la questione dell’abito! Cosa indosserò di abbastanza sexy ma non troppo provocante? Come posso fare in modo che quest’enorme impalcatura non si veda? Perché sto pensando con la mentalità di una tro? O mio dio!- alla fine del suo enorme discorso si sentì realizzata –Sto diventando una tro…- e forse aveva ragione.
-Sei noiosa - concluse l’amico –Non fai mai niente per divertirti un po’ e pensi sempre in negativo!- su una cosa aveva ragione dopotutto.
-Scusami ca*zo se non voglio andare a una cavolo di festa dove birra e alcool sono all’ordine del giorno, insieme a cheerleader esaltate e a palestrati, assassini di prostitute!- non poterono fare a meno di ridere.
-Sei pazza- commentò Josh –Ah! Quasi mi dimenticavo, ho una sorpresa per te-.
-Eh no! Basta con questa maledette sorprese!- facevano tutti sul serio?
-Ti piacerà vedrai,  l’ho proprio qui con me- in mano teneva quello che sembrava un biglietto di carta –Ecco a te… la tua morte!-
Spencer osservò attentamente il biglietto.
-Sul serio? Dico, sul serio? Un biglietto per la proiezione notturna di Die Bitch?- era chiaramente il regalo meno adatto, ma lei l’apprezzò comunque –E’ un pensiero carino, grazie. Domani sera ci andremo se sopravvivrò- concluse felicemente.
Quando tornò a casa sua madre era felice.
-Ciao tesoro!- disse energicamente.
-Ehi, perché tutto questo brio?- insolito per lo più.
-Ti ho fatto un regalo!- ora era troppo.
-Un altro? Si può sapere che prende a tutti quanti? Continuate a farmi centinaia di regali che non chiedo neanche, e nonostante siano penosi, finisco sempre per rimetterci la pelle!- sbraitò Spencer.
-E’ un vestito- sussurrò silenziosamente Lauren, spostandosi per rivelare uno splendido vestito azzurro come l’acqua di qualche meraviglioso oceano.
-Oh… scusami mamma. Spero che capirai per quale motivo ho dato di matto- aveva sbagliato, e le sue scuse erano inutili per rimediare al cuore spezzato della madre.
-Ci sto provando Spencer, sto provando a essere una buona madre, è difficile però. Senza il sostegno della propria figlia- e se ne andò completamente rossa in viso.
-Scusami mamma!- possibile che nessuno provasse mai a mettersi nei suoi panni? Un assassino ha tentato, e ritenterà di ucciderla, mentre tutti sono tranquilli, e pretendono anche di sentirsi offesi! –Che palle che fate tutti- disse portando il vestito in camera sua.
-Die Bitch 4 lo gireranno di sicuro qui a Nastake Hill- Spencer anticipò una falsa notizia a Josh, in videochiamata.
-Si, e tu sarai la protagonista!- propose ridendo.
-Se non sarò morta…- divenne “profonda”.
-Smettila. Tu non morirai- Questo bastò a convincerla, detto dal suo migliore amico.
-Lo spero proprio, voglio avere dei figli in futuro- disse prevedendo una vita da madre ricca e sposata.
-Certo, sognare è lecito di tanto in tanto- replicò lui.
-Sognare prima di morire è stupendo, sai quante volte mi è capitato? A proposito, ho visto Crystal ieri… penso che quello fosse vero, o almeno credo… - la buttò lì con nonchalance, ma fu subito ripresa dall’amico.
-Di cosa stai parlando? E’ morta! Non puoi averle parlato-
-Invece si! Ero in una specie di aldilà, e lei era ancora la stronzetta di sempre e c’erano dolci ovunque e… lo sai che c’è una roulette che decide se andrai all’inferno o con Dio? Cose da pazzi- disse ridacchiando.
-Cosa ti sei fumata? Dimmelo perché ne voglio un po’ anch’io!- magari si fosse fumata qualcosa sul serio.
-Ah, devo andare, il corso sulla sessualità. Sai…- se la scuola era chiusa come faceva ad andarci?
-Ma dove si tiene?- chiese Spencer.
-In città, comunque non molto lontano. Entro il tardo pomeriggio sarò da te- disse tranquillizzandola.
-Ho sempre pensato che si tenesse a scuola… ok, buona giornata. Ciao!- la videochiamata terminò.
Abbassò lo schermo del computer, e si gettò sul letto, scompigliando le coperte ben piegate.
Si chiedeva ancora che ore fossero, ma non aveva avuto voglia di voltarsi a guardare i residui della sveglia “ancora” funzionante!
-Che bello- disse guardando l’orario. Era mezzogiorno, quindi, visto che non aveva fame, decise di farsi una bella dormita, che di sicuro male non le avrebbe proprio fatto.
Chiuse gli occhi e cadde subito in un sonno profondo.
Non sognò, e questo la fece sorridere mentre riposava, distaccata dalla realtà circostante.
Quando la svegliò tuonò, con un suono misto tra uno stridulo urlo e un lento lamento, erano le cinque del pomeriggio e Spencer si sentiva carica delle sue forze.
Si stiracchiò così tanto che il piacere era immenso, anche se per alzare la gamba le ci volle qualche secondo, per via dell’ingessatura.
-Uffa, sei cosi brutta, lo sai?- disse rivolgendosi alla sua gamba. Ironico il fatto che in una gamba aveva un enorme squarcio cicatrizzato, e in un’altra un’ingessatura che la faceva sembrare la donna bionica.
-Capitano sempre tutte a me, da sempre. Quel pugno del cavolo avrà milioni di visualizzazioni su Youtube!- disse fra se e sé, ridendo.
Si alzò, e zoppicando, scese le scale impiegando un tempo maggiore di quello che solitamente necessitava senza l’impalcatura.
Trovò sua madre sdraiata sul divano, che guardava la televisione.
-Ciao mamma- disse sedendosi accanto a lei.
-Ehi, dormito bene?- chiese, sapendo che si era riposata.
-Si, ma come fai a saperlo?-
-Non ti ho sentita trascinare quell’enorme imbragatura!- rispose ridacchiando.
-Molto simpatica-
-Lo so, grazie- disse abbracciando la figlia abbattuta.
-Qualche mese e sarai come nuova- la rassicurò la madre.
-Non è vero, rimarrà sempre storto- replicò inclinando leggermente la gamba.
-Vero?- chiese.
-Non è del tutto detto- rispose tranquillizzandola quel poco che le serviva per terminare tutte le sue paranoie.
-Stasera vai alla festa, vero?- chiese Lauren come se fosse la cosa più importante al momento.
-Non lo so… m’importa così tanto? Devo andarci per forza?- iniziò a spiegare Spencer.
-Solo se te la senti, ti farebbe bene divertirti- ribatté sua madre.
-Non è che me la sento proprio perfettamente, ma forse hai ragione. Mi farebbe bene andare a divertirmi a casa di un riccone playboy, ragazzo più popolare della scuola, con cui ho avuto un rapporto e che non mi ha mai più calcolata!-
-A proposito! Devi dirmi qualcosa?- chiese intendendo chiaramente… il “sesso”.
-Ops, forse ho dimenticato di dirtelo quando eri ubriaca fradicia! Era impossibile dirti qualcosa senza che tu iniziassi a bere come un’alcolizzata depressa-
-Ehi, adesso non esagerare! E, dimmi, come è stato?- chiese incuriosita la madre.
Spencer non sapeva che dirle.
-Francamente, è stato bello, per quello che ricordo- nella sua voce c’era un pizzico d’amore – Poi lui non mi ha più guardata, penso che non sappia neanche che ero io la ragazza con cui andò a letto la notte di capodanno-
-E’ triste, lo sai? Dovresti dirglielo stasera!- incitò la madre.
-Si, non penso proprio!- la neutralizzò subito la figlia.
-Perché? Tanto, cos’hai da perdere? Non hai pur detto che entro domani sarai morta?-
-Wow mamma, sono colpita da quanto tu sia intenzionata a volermi fidanzare con lui!- rispose dopo aver riflettuto Spencer.
 –Che pensi, vuoi che ci mettiamo insieme?- chiese sorridendo.
-Sto solo dicendo che non puoi tenerti per sempre quel segreto in fondo al cuore, dovrai liberartene alla fine…- aveva ragione, ancora.
-Grazie mamma, non pensavo che fossi capace di interessarti così tanto a me, ci avevo perso ogni speranza- le parlava con sincerità, quella che proveniva dal cuore.
-Mi piace parlare tra noi due! Mi piace sentire quello che hai da dire, sei una ragazza interessante, amore- si abbracciarono a metà frase.
Dopo quel momento amorevole, Spencer cominciò a prepararsi per la festa. Erano le sei di sera, e Josh sarebbe arrivato alle sette, insieme sarebbero andati a mangiare qualcosa in un ristorante, e poi dritti alla festa.
La ragazza non riusciva a capacitarsi della condizione del suo piede.
Più lo guardava, più le veniva voglia di strapparsi quell’impalcatura che le impediva di grattarsi, e quella era la parte più sadica. Chiunque portasse fasciature era sempre spinto dall’irrefrenabile bisogno di grattarsi, forse era uno scherzo del loro cervello crudele, ma a chi importava più, dopotutto? Chissà cosa sarebbe successo quella notte, chi sarebbe morto? L’assassino avrebbe mostrato la sua vera identità? Alla fine della serata lo avrebbe probabilmente scoperto. L’unica cosa che realmente le importava era che nessuno avrebbe dovuto farsi male, soprattutto Josh, sua madre, o Sean a questo punto. Le importava solo di loro tre, anche se del secondo era ancora incerta, provava dei sentimenti autentici. Le piaceva l’amore.
La faceva sentire viva e importante. Utile a qualcosa.
Avrebbe dovuto rivelare a Sean chi era lei veramente. In quel momento lo sapeva anche lei che era la cosa migliore da fare. Al diavolo le cricche e quello che pensa la gente! Urlò la coscienza. Se tu lo ami, è giusto che lui lo sappia.
-Cavolo, sta diventando un film romantico- Spencer aveva ragione, la piega che stava prendendo la sua storia aveva una vena di romanticismo.
L’orologio segnava le sei e mezzo.
-Vuoi sbrigarti?- chiese come se il tempo fosse umano, e la stesse ascoltando.
Il tempo era infinito negli ultimi giorni, le giornate passavano lentamente e sempre più dolorosamente.
-Cosa ti aspetti che faccia, eh?- era rivolta al killer –Pensi che cederò così facilmente? Allora non mi conosci proprio. Non sai quante ne ho dovute passare prima di arrivare a te, in confronto, mi viene da ridere!- questo era il tipo di atteggiamento da mantenere. Ma non poté fare a meno di piangere.
-Non voglio morire- disse lacrimando copiosamente.
Il mondo non dovrebbe andare così. Non dovrebbero esserci persone che ne uccidono altre, perché tutti dovrebbero essere fratelli, com’era stato scritto.
Un mondo senza violenza era ormai qualcosa d’impossibile da pensare.
-Sto diventando pazza- pensò Spencer.
Piango spesso e alterno momenti di tristezza a… attimi di felicità, in cui mi dimentico che c’è un assassino che vuole sventrarmi per dimostrare che non bisogna abusare del sesso.
La ragazza guardò l’orologio, che segnava le sette in punto.
Sorrise, ringraziandolo per aver ascoltato le sue suppliche.
-Ti sono infinitamente grata, signor Orologio-.
Era ufficialmente impazzita.

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Capitolo 9
*** Il segreto di Josh ***


Spencer e Josh non parlarono per tutto il viaggio in macchina, non sapevano cosa dirsi, e comunque preferivano non realizzare che quella sarebbe stata una delle ultime volte che avrebbero parlato più insieme.
Il ristorante distava ancora cinque minuti, quando Josh parlò.
-Sei preoccupata?- chiese mantenendo gli occhi saldi sulla strada.
-No, certo che no- rispose Spencer tentando di non lasciare intendere che era in corso una lotta dentro di lei.
-Non è detto, che tu debba morire per forza- replicò, senza speranza.
-Lo so… beh, se sono sopravvissuta fino ad ora, ci sono buone probabilità che la scampi un’altra volta- lo rassicurò Spencer.
-Hm… siamo arrivati- il ristorante era molto grande, dentro non c’erano tante persone a cenare, il parcheggio era spazioso abbastanza da contenere fino a venti macchine, probabilmente.
Parcheggiarono e Josh, da gentiluomo, aprì la porta per Spence –Prima le signore- disse sorridendole.
-Incantata- rispose lei ricambiando il sorriso.
Si sedettero vicino alla finestra del ristorante, da dove potevano vedere le persone che passavano e altre che si fermavano per mangiare.
-Come stai?- chiese la ragazza.
-Io bene, ho solo un po’ di caldo. Tu?-
-Bene, anche se ho iniziato a parlare da sola e... ehm, occasionalmente anche con gli oggetti- disse lei.
-Sul serio? Tutta questa storia dell’assassino ti ha letteralmente scombussolata! Vero?- chiese Josh scherzando.
-Si. Sono la maggior parte del tempo a metà tra la neutralità e la depressione totale, e mi chiedo se sia dovuto alla quantità di scoperte scioccanti che ho subito da quando Crystal Shaye è stata sbudellata- la sua indelicatezza era la cosa migliore di lei.
-Perfetto, iniziamo bene la serata- ribatté lui ridendo.
-Scusa- rispose lei sforzandosi di sembrare un minimo dispiaciuta.
-Stasera non vorrei parlare degli omicidi e della morte- il suo tono si fece più “sensuale” –Perché non parliamo di noi due, invece?- Spencer conosceva quel tono di voce, lo ricordava dall’enorme quantità di film romantici a basso costo visti da quando compì dieci anni.
-Di, noi due?- chiese lei per accertarsi di aver sentito bene.
-Si, perché non parliamo del nostro rapporto, ultimamente ho bisogno di parlare con qualcuno che amo veramente- Spencer deglutì.
-Ami? Come?- non era chiara di aver sentito bene.
-Si, sento che sei più importante anche dei miei genitori- la ragazza tirò un sospiro di sollievo –Odio quegli ipocriti. Mi trattano come se fossi “niente”- L’amica poteva sentire l’odio e la tristezza di un ragazzo che chiedeva solo l’amore dei genitori.
-Conosco quella sensazione- cominciò Spencer –Prima che mia madre capì di avere fatto schifo come mamma, non mi parlava mai e la maggior parte delle volte, i nostri ruoli s’invertivano- le loro vite non erano normali per niente, figuriamoci perfette come quella di Sean o della deceduta Crystal.
-Si ma, i miei non hanno mai accettato che io fossi…- Il ragazzo ebbe difficoltà a terminare la sua frase.
-Ok, basta parlare di cose tristi adesso!- in effetti, erano già successe già abbastanza “cose tristi” nel corso di quella settimana.
-Come sta ora tuo padre?- chiese Spencer.
-Avevi detto niente cose tristi!- e iniziarono a ridere.
Arrivò la cameriera e ordinarono qualcosa da mangiare che li riempisse per la serata.
-Hm, quest’insalata è buonissima- commentò Josh per colmare un silenzio imbarazzante.
-Già- ribatté l’amica, sorridendo.
Passò qualche minuto silenzioso. La ragazza guardava continuamente l’orologio che segnava le otto e mezzo, sperando che compiesse un altro miracolo.
-Spencer, devo dirti una cosa- pronunciò improvvisamente l’amico.
-Cosa?- chiese lei, stranamente agitata.
-Io… non so come spiegartelo- cominciò a parlare agitandosi leggermente.
-Avanti- lo rassicurò lei –Cosa ci sarà di male?- era quello che si stavano apparentemente chiedendo tutti e due.
-Io, non sono stato del tutto sincero con te, sin da quando ci siamo conosciuti- Spencer non ingoiò il boccone che aveva in bocca.
-Di cosa stai parlando?- farfugliò a bocca piena.
-Io… oddio è tutto così imbarazzante- Josh sembrava preoccupato per la reazione che l’amica poteva avere.
-Muoviti- disse lei ingoiando il cibo.
-Ok, posso farcela- la ragazza commentò quello che stava succedendo –Wow sembra davvero importante. Cos’hai fatto? Hai fatto sesso non protetto? A proposito. L’assassino uccide i ragazzi?- chiese, come se avesse avuto un’illuminazione. Bevette un sorso d’acqua.
-Non sono gay- disse lui facendole sputare tutta l’acqua che stava bevendo.
-Cosa?- ne era certa, non poteva non esserlo –Ma, io ti ho visto baciare dei ragazzi!- appunto.
-Lo so, ma all’inizio avevo paura di parlarti, perciò mi presentai per quello che apparivo di essere- spiegò lui.
-Qualche anno fa, gli altri pensavano che io fossi attratto dai ragazzi, perciò io li assecondai- da quando lo conobbe, Spencer non tentò mai, neanche una volta di convertirlo.
-Cavolo, è una cosa orribile.- commentò lei.
-Infatti, non sai quante volte avrei voluto dirtelo, ma non ero sicuro che fosse vero, dopo così tanto tempo passato a fingermi gay… pensai di esserlo diventato veramente!-
-Si, ma non capisco il motivo di tenermi all’oscurità, se siamo “veri” migliori amici, dobbiamo dirci tutto. Io ti ho raccontato subito di essere andata a letto con Sean- disse lei, un po’ irritata dal comportamento dell’amico. Ma poteva comprenderlo, d’altronde era anche colpa sua se lui finì per diventare qualcosa che non era.
Pensò a come si doveva essere sentito, isolato da tutti, costretto a essere quello che gli altri volevano che lui fosse.
-Sono davvero dispiaciuta di non essere stata capace di sostenerti-
-Fa niente, se sono debole, è solo colpa mia- stava cominciando a pensare come lei.
-Ma cosa dici? Tu non sei, debole! Io lo sono! O meglio, non proprio…- si stava contraddicendo da sola.
-Infatti, tu sei sfuggita da un assassino, centinaia di volte!- replicò Josh.
-Non parliamone più per favore, mi viene in mente che stasera morirò. Era tutto quello che mi dovevi dire?- chiese ansiosa.
-Sono follemente, incondizionatamente innamorato di te- ok, Spencer rimase a bocca aperta. Quella era la bomba più esplosiva che qualcuno avesse mai potuto lanciare.
-Ti prego dimmi che non fai sul serio- “implorò lei”.
-Sapevo che non avresti ricambiato- disse lui abbattuto.
-No! Cioè, aspetta un attimo. Io pensavo che… no, oddio non so più a cosa pensare!- ammise l’amica.
Con quest’uscita di Josh, Spencer era in una situazione spiacevole, non aveva ancora detto all’amico che si era resa conto di amare Sean, e che quella sera gli avrebbe detto che lei era la ragazza con cui andò a letto a capodanno.
Ora doveva scegliere, poteva fidanzarsi con Josh, ed evitare di dire a Sean riguardo a quella sera… oppure poteva fare l’opposto, con il solo fatto che molto probabilmente avrebbe perso il suo migliore amico.
-Sono per caso in un episodio di Friendzone?- chiese ironicamente Spencer.
-No, sono serio- rispose seriamente Josh.
-Ok, anch’io non sono stata sincera con te- stava per dirglielo –O almeno non ho avuto il tempo di dirtelo, sto iniziando a provare dei veri sentimenti per…- il volto dell’amico s’illuminò –Sean- ma si spense appena lei pronunciò quel nome, che lui tanto odiava.
-Oh, questo… è molto, imbarazzante- ribatté tristemente Josh –Ho, bisogno di prendere un po’ d’aria- disse, pagando per la cena e uscendo dal ristorante.
-Josh, io- non ebbe il tempo di completare la sua frase, perché il suo migliore amico era già uscito a prendere la sua macchina.
Fece retromarcia e attese l’arrivo di Spencer.
-Io…- non sapeva cosa fare, sarebbe stato imbarazzante rimanere in macchina con lui, e poi andarci insieme a una festa.
E deluso, di se stesso probabilmente. I suoi occhi erano lucidi, per le lacrime imminenti.
Spencer si alzò e uscì, lasciando la sua cena ancora a metà.
Si fermò a guardare Josh.
-Vuoi un passaggio a casa?- chiese lui tirando un sospiro -Non lo so…- e proprio mentre rispose alla proposta dell’amico un camion passò sopra alla sua macchina, distruggendola e spezzando le ossa del ragazzo.
-No!- Spencer urlò a lungo prima di accorgersi che era solo la sua immaginazione che tentava di mantenerla intera, per evitare la distruzione emotiva.
-Allora?- Ripeté lui.
Non ottenne risposta, quindi le lanciò un mezzo sorriso e partì con la macchina.
-Porca vacca- disse Spencer urlando.
-Io pensavo che gli piacesse la carota… non la patata- commentò stupidamente –Ok, devo tornare a casa-
Si avviò per la strada, quando ebbe un’illuminazione.
-Beh non ho preso questo vestito per sprecarlo. Poi come faccio a tornare con questo coso alla gamba?- il suo piede fasciato non era molto dolorante, ma non avrebbe potuto sopportare lo sforzo della camminata.
Prese la strada opposta, nel giro di una quindicina di minuti sarebbe arrivata a casa di Sean, e forse gli avrebbe rivelato la verità.
Gli hai spezzato il cuore, Spencer. Avresti dovuto esprimerti meglio. Avresti dovuto parlare con il tuo amico, calmarlo e spiegargli che non provavi quel tipo di sentimenti.
La sua coscienza la stava sgridando.
-Povero Josh, ma non è colpa mia se lui non si è mai rivelato- disse fra se e sé.
Spencer implorò dio che il suo amico non facesse stupidaggini.
Forse l’avrebbe trovato alla festa. Era sciocco andarci, ma dopotutto anche lei ci stava andando.
-Cosa sto facendo?- chiese guardando il cielo.
La strada era lunga, e buia.
Non le piaceva camminare per una strada solitaria da sola, e di notte. Se l’assassino l’aveva pedinata tutta la notte? Se aveva fermato Josh e l’aveva ucciso? Forse si sarebbero accordati per lavorare insieme, visto che Spencer l’aveva in sostanza, “rifiutato”.
Arrivò a casa di Sean in tempo per vedere le prime persone arrivare. Le macchine iniziavano già a parcheggiarsi ai lati della strada.
Fortunatamente Sean abitava distante dalla città, quindi non doveva preoccuparsi se il volume della musica era troppo alto, non c’erano vicini. E comunque la polizia era talmente pigra che non avrebbe avuto voglia di andare a multarlo per schiamazzo notturno.
Ci volevano almeno quindici minuti in velocità, per chiunque dovesse arrivare dalla città, il tempo necessario al killer per fare una strage, e uccidere Spencer.
La casa era molto grande, con le finestre coperte dalle tende interne, e il vialetto occupato da un’enorme Mercedes color platino.
Di mattina la casa sarebbe stata piena di gente addormentata e amanti chiusi in stanze da letto.
Spencer bussò alla porta, ad accoglierla fu Sean.
-Ciao- disse lei imbarazzata, mentre si faceva rossa in viso.
-Ciao, tu sei… la ragazza che mi ha tentato di colpire! E che tutti avevano dato per morta?- come presentazione lasciava un po’ a desiderare, ma in mancanza d'altro... –E che si è fatta un bagno nella fontana della scuola durante un temporale, rompendosi una gamba?- Spencer era, contro ogni previsione, conosciuta per le sue cavolate.
-Si, in realtà il piede! Ma non vorrei più parlarne- replicò con decisione.
-Entra! Ti devo presentare a un po’ di persone- disse lui, accogliendola in casa per la prima volta.
Mi vuole presentare a delle persone? La voleva sul serio far sembrare così importante?
-Chi… mi devi presentare?- chiese lei a bassa voce.
-Solo qualche amico, hai fatto scalpore lo sai?- oh, lo sapeva eccome.
Nel giro di qualche ora, la casa si era riempita di gente, e la ragazza aveva già fatto “amicizia” con alcuni palestrati e alcune cheerleaders. Decise di distaccarsi un attimo per andare a prendere una birra. Quei ragazzi erano dei totali deficienti! Non sapevano niente oltre ai termini delle loro attività e ai trend del momento, perciò parlare con quel tipo di persone non faceva per lei.
-Che gente- disse mentre apriva il frigo e stappava la birra.
Era stata a casa di Sean solo una volta, due se contava l’incubo, ma la ricordava piuttosto bene.
Mentre ritornava dagli altri ragazzi, vide qualcosa che la fece inclinare la testa.
C’era un ragazzo che stava baciando Johanna Sailor, che gli stava sopra, praticamente incollata.
I due per poco non si leccavano la faccia.
Il ragazzo, mentre si faceva baciare il collo, voltò la testa verso Spencer. Lei rimase scioccata quando vide che il ragazzo era Josh, che le sorrise malignamente.
-Pensi di farmi ingelosire così?- tentò di dire lei.
Lui la guardava e sorrideva, mentre emetteva versi di piacere quando Johanna muoveva il sedere avanti e indietro.
-Io ti odio- Spencer aveva il cuore spezzato, quello era il vero volto del suo migliore amico.
Indietreggiò quando vide che i due si alzarono, e le passarono accanto, dirigendosi verso le scale.
Josh le fece un occhiolino.
Spencer sapeva dove stavano andando, in qualche camera da letto si sarebbero divertiti di più. Soprattutto Josh, che lo faceva principalmente per ripicca nei confronti dell’amica che lo rifiutò alla sua confessione d’amore.
In quel momento, Spencer si sentiva un’assassina.
Sentiva, SAPEVA, che quella notte... sarebbe morto qualcun altro.
 

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Capitolo 10
*** La morte senza veli ***


La festa era uno schifo. Più Spencer pensava a quello che Josh le aveva fatto per vendicarsi, più le veniva da vomitare.
-Vai al diavolo- disse correndo in bagno, probabilmente per rimettere.
Aprì qualche porta, tranne quella “occupata” e poi trovo l’enorme e bellissima toilette della famiglia Connelly.
Si chiuse la porta alle spalle e s’inginocchiò davanti alla tazza del water.
-Non me lo meritavo- disse piangendo.
-Spero che tu ti stia divertendo là dentro!- urlò, sperando che Josh la potesse sentire –Perché io sto alla grande!- mentre faceva sesso con Johanna.
-State bene insieme! Due mostri uguali!- il primo conato arrivò in tempo per farla voltare sul water.
Per la seconda volta, aveva rimesso tutto il liquido che aveva bevuto.
-Ti senti bene? Chiese una voce alle sue spalle- per la fretta, Spencer non notò che Sean era sdraiato nella vasca da bagno.
-Ehm, no- rispose lei.
-Cosa ti è successo?- chiese il ragazzo come se all’improvviso iniziò a importargli di lei.
-Il mio migliore amico, mi ha rivelato di non essere gay e che è innamorato di me- ribatté Spencer.
-Wow, questa si che è una bella botta- disse lui ridendo.
-Come scusa?- replicò la ragazza, che aveva probabilmente frainteso il significato della frase.
-Niente, stavo solo cercando di capirti- disse lui con una voce sensuale.
-Sai, questa cosa fa molto film romantico, perciò farò finta di non aver sentito quell’orribile frase da rimorchio, neanche fossi un camion- commentò aspramente lei.
Sean rise, probabilmente Spencer non era l’unica ad apprezzare il suo umorismo.
-Questa da dove l’hai tirata fuori?- chiese sorridendo.
-Fa parte dell’essere Spencer Matthews. Hai sempre la battuta pronta- rispose lei.
-E’ bello, non trovi? Sapere sempre cosa dire, al momento giusto- era una conversazione piacevole dopotutto.
Le serviva a dimenticare ciò che Josh aveva fatto. Quando una persona che conosci per così tanti anni si rivela una serpe in grado di fare qualsiasi cosa per dolore, rimani scioccato. Questo sta a significare che non bisogna mai fidarsi “ciecamente” di nessuno.
-Più o meno, ripensandoci ci sono delle volte in cui avrei voluto eliminare ciò che avevo detto- con quella frase Spencer si riferiva a Josh –Le parole a volte infliggono più dolore di ogni ferita provocata da quel maniaco- la ragazza prese una rivista accanto alla vasca da bagno, c’era uno speciale su Die Bitch.
-Non vedono l’ora che esca eh? Mi chiedo come Timothy Richardson abbia potuto vederlo una settimana prima dell’uscita…- Sean guardò il soffitto – A tutti i recensori più popolari è stata offerta la possibilità di vederlo in anteprima-.
-Forte, cioè, non che m’importi tanto!- replicò accennando a una risata.
La conversazione che stavano avendo era carina e insolita. Spencer, prima di quella sera, non aveva mai rivolto parola a Sean.
-Non ho ancora chiesto cosa “tu” ci facevi qui- chiese, sospettosa.
-Non sopporto il casino che stanno facendo, sono impazziti!- rispose lui sbraitando.
Spencer non capiva. Se a Sean dava fastidio che i suoi “amici” rivoltassero la casa, perché faceva le feste?
-Allora per quale motivo organizzi questi, party scatenati? chiese la ragazza incuriosita.
-Perché è così che funziona. No?- Spencer non capiva –E’ chiaro che il capitano della squadra di football deve dimostrarsi all’altezza del suo ruolo, piacendo agli altri-
Era la prima volta che sentiva parlare Sean così. L’unica immagine che riusciva a ricordarglielo era quella di una scimmia che batteva i piatti. Ma ora era diverso, si era aperto con una ragazza che a malapena conosceva.
-Wow, non mi aspettavo che tu potessi essere, così- non sapeva quali parole utilizzare, senza cercare di farlo sembrare un piagnucolone.
-Non ti aspetti molte cose da me- disse alzandosi dalla vasca –Meglio tornare alla festa- ribatté sorridendole –Non vorrei dare l’impressione di essermela svignata-
Non ti aspetti molte cose da me. Spencer sorrise, era per caso un incitamento ad approfondire la sua conoscenza? Oppure qualcosa di più oscuro. Dopotutto era lui che si era rivelato l’assassino nel suo incubo. Poi si ricordò che molte volte gli incubi rispecchiano i propri timori e le preoccupazioni della vita reale, quindi Sean poteva essere solo la manifestazione dei suoi pensieri riguardo alla notte di capodanno, mischiati agli attacchi del falegname.
Guardando la rivista che approfondiva la trama di Die Bitch, vide che l’assassino era stato nominato, “il falegname”.
- Il falegname? Un nome un po’ più banale non potevano sceglierlo. D’altronde, anch’io sono banale- disse sciacquandosi la faccia.
Spencer lasciò il bagno, per dirigersi in una stanza da letto un po’ più comoda, la gamba iniziava a non reggere più.
-Ah! Non abbandonarmi dai!- aprì la prima porta che le sembrava di una camera, ed entrò.
L’interruttore della luce era da qualche parte nel muro, ma per il momento, era introvabile.
Spencer si gettò sul letto, sprofondando nel materasso. L’orologio luminoso segnava le undici, nel giro di un’ora il film sarebbe stato lanciato in tutto il mondo. A Nastake Hill sarebbe arrivato nel pomeriggio, e proiettato in prima serata.
Il letto era appiccicoso, e i capelli della ragazza sembravano incollati alla coperta.
-Ma che roba è?- chiese fra se e sé.
Tentò di far luce con il telefono ma non riusciva comunque a vedere granché.
Illuminò la parete e trovò l’interruttore. La lampada emetteva una luminosità fiacca, e ogni tanto andava a intermittenza.
-Per essere una casa di un riccone, le luci sono un po’ schifose- disse criticando l’impianto elettrico.
Si voltò per ritornare a sdraiarsi, quando si accorse che le sue mani erano completamente rosse.
Cominciò ad ansimare mentre riconobbe quella sostanza con cui spesso ebbe a che fare, ricoprirle gran parte del corpo. Per terra c’erano degli abiti gettati alla rinfusa, anch’essi erano sporchi di sangue.
-Oh no- dalle antine dell’armadio fuoriusciva altro sangue.
Spencer, seppur riluttante, si avvicinò. Doveva scoprire cos’era successo.
Aprì l’armadio velocemente, per evitare altre preoccupazioni, e qualcuno le si gettò addosso.
-Ahh!- urlò mentre cadeva a terra.
Era Johanna.
-Vieni! Dobbiamo scappare!- urlò afferrandole la mano.
-Ehi! Che cosa succede? Dov’è Josh?- era spaventata, e non capiva cosa stesse succedendo.
-E’ morto!- urlò piangendo.
-Come?- chiese Spencer bloccandosi.
La porta del bagno interno alla stanza si aprì e il falegname, vestito da prostituta, brandiva l’accetta.
-Corri!- urlò Johanna strattonandola fuori dalla camera.
Il sangue sul letto e sui vestiti era di Josh.
Le ragazze erano al piano di sopra, mentre tutti gli altri erano al piano inferiore, con la musica a tutto volume.
-Aiuto!!- urlarono mentre correvano per il corridoio.
L’assassino le braccava, bucando il pavimento con i tacchi affilati.
-Qui dentro!- disse Spencer spingendola nel bagno.
-Aiutami a spingere la porta!- lei e Johanna tennero bloccata l’unica via d’accesso per il loro rifugio.
-Siamo al sicuro qui?- chiese la ragazza spaventata.
-Non lo so- rispose Spencer –Forse se n’è andato-
Era un’ipotesi assurda, ma era altrettanto insensato andare a uccidere a una festa.
L’accetta del killer penetrò improvvisamente la testa di Johanna.
La finestra del bagno era aperta, come il volto della ragazza.
-No!- urlò Spencer indietreggiando.
Johanna era morta prima ancora di poter pronunciare un’ultima frase da cliché.
Il falegname ritirò la sua arma, macchiando il muro di sangue.
Spencer se l’era data a gambe.
-Cavolo!- era la seconda volta che camminava su un tetto, ma questa volta aveva una gamba ingessata, che inoltre le faceva male.
Il killer la seguì, chiudendosi la finestra alle spalle.
-Lasciami in pace!- gli urlò contro la ragazza.
Lui tentò di colpirla, squarciando l’aria con la lama della sua arma. Spencer soffriva evidentemente di vertigini, perché ogni volta che guardava giù dal tetto, vedeva distorto.
O forse era solo il panico che un assassino che la minacciava con un’accetta le provocava.
C’era un martello proprio accanto al suo piede. Lo raccolse, e si sentì allo stesso livello del suo aggressore.
-Non avvicinarti!- gli gridò contro, avvertendolo –Ti spacco la testa!-
L’assassino la guardava piegando la testa come un cane che non capisce quello che fa il proprio padrone.
Spencer lanciò il martello contro la gamba del killer, ferendolo.
Urlò dal dolore, e cadde nella piscina riscaldata, schiacciando chi c’era dentro.
I ragazzi accerchiarono la piscina, quando l’assassino riemerse dall’acqua, brandendo l’accetta.
-Vi uccido tutti!- gridò, squarciando gole di persone innocenti, e pugnalandone altrettante.
Spencer scese da un’impalcatura, che probabilmente si trovava lì per ricostruire una parte del tetto che lei trovò particolarmente fragile, dopo averci messo un piede sopra.
Le urla erano mischiate alla musica ad alto volume, e non sembravano comunque grida di dolore.
L’assassino stava velocemente facendo piazza pulita degli invitati.
Scappa Spencer! Ora è la tua occasione!
Questa volta la ragazza non sapeva se seguire l’istinto.
Poteva fuggire, ma l’assassino avrebbe continuato a uccidere. Oppure poteva resistere, tornare nella casa ad affrontare il suo destino.
Non essere stupida un’altra volta! Devi scappare, o morirai!
-Ormai tutti quelli cui tenevo veramente mi hanno abbandonata. Mia madre troverà il modo per sopportare il dolore- Spencer era intenzionata a rientrare nel luogo dove si stavano tenendo gli omicidi.
La porta d’ingresso era aperta, qualcuno era probabilmente riuscito a svignarsela in tempo. Per quanto riguardava gli altri, i loro corpi erano sparpagliati per la casa.
-Che puzza- l’odore che si stava diffondendo nell’ambiente era sgradevolmente ripugnante, sapeva di sangue e ruggine e… morte.
-C’è nessuno?- chiese a bassa voce.
Forse Sean si era salvato, forse era scappato in tempo e aveva abbandonato la propria casa, mentre l’assassino faceva piazza pulita degli invitati.
Improvvisamente i suoi capelli furono tirati all’indietro.
Era stata scoperta!
Le sue urla coprivano il rumore delle ciocche che si strappavano dalla testa, mentre si dimenava per liberarsi.
L’assassino cadde all’indietro, mentre Spencer scappava nel retro.
La piscina era ricoperta di sangue, quindi non riusciva a vedere se sotto a quello strato rosso, c’era qualche cadavere.
Decise di immergersi completamente, così che l’assassino non l’avrebbe vista sotto il liquido denso.
Il bendaggio intorno alla sua gamba cominciò a stringersi, quasi bloccandole la circolazione.
Trattenne il respiro a lungo, prima di poter uscire fuori dall’acqua.
Il killer non aveva neanche pensato di guardare lì dentro.
Spencer uscì dalla piscina e ritornò in casa.
Questa volta non chiese se c’era qualcuno, preferì non rischiare di essere attaccata per l’ennesima volta da quando Crystal Shaye fu uccisa.
Ironicamente però qualcuno le mise una mano attorno alla bocca e la trascinò dentro ad una stanza stretta.
-Sono io, Sean! Fai silenzio Spencer, potrebbe ritornare- c’era qualcosa di diverso nella sua voce, forse erano la paura e il terrore che provava nel vedere la sua casa piena dei cadaveri dei suoi amici.
-Ha ucciso tutti- replicò singhiozzando la ragazza.
-Lo so- rispose asciugandosi le lacrime Sean.
-Ti devo dire una cosa, prima che venga uccisa anche io- il suo tono si fece più singhiozzante –Sono io la ragazza con cui sei andato a letto a capodanno- il ragazzo si sbalordì.
-Sul serio?- in quel frangente la porta si spalancò, e Spencer fu strappata dalla sua presa e gettata a terra.
-Sean! No!- il killer lo trascinò fuori dall’armadio, tenendolo saldamente per la testa.
-Lascialo! Prendi me!- continuò a urlare lei mentre il falegname lo giustiziava.
-No!!- l’accetta gli penetrò nella carne, ferendolo mortalmente. Il ragazzo si rannicchiò sul pavimento, mentre emanava i suoi ultimi versi.
-Che cosa hai fatto?- pianse Spencer, mentre guardava il corpo del suo amore.
-Perché?!- era straziante, il dolore che la ragazza provava nel momento in cui perse la persona che amava.
Il suo sguardo era spento. Guardò l’assassino che la stava studiando, come se si aspettasse una sua mossa.
Non avrebbe più corso, non sarebbe più fuggita.
Improvvisamente Spencer ebbe un’illuminazione. Il tassello mancante degli omicidi venne riempito.
Chi era sempre nei paraggi mentre gli attacchi avvenivano? Chi aveva degli impegni mentre l’assassino la perseguitava?
Chi aveva un valido motivo per uccidere?
Lei lo sapeva, aveva già fatto delle ricerche per accertarsene.
Era prevedibile, ripensandoci. Questo era il cliché che ogni horror doveva avere per forza.
-Ti piace vedere il dolore che sto provando? Lo senti? Ti stai eccitando, vero?- chiese Spencer alzandosi in piedi, con lo sguardo infiammato.
-Sei felice ora, Josh?-
Il falegname stava in pedi davanti a lei, la guardava senza mai interrompere il contatto visivo.
Sembrava attratto dal dolore e dalla disperazione, mentre dondolava leggermente a destra e sinistra.
-Mi senti lì dentro? Ci sei?- chiese avvicinandosi al killer.
Prese il cappuccio e lo strappò via.
I suoi sospetti erano fondati. L’assassino aveva tutti i suoi validi motivi per uccidere. Vendicarsi di chiunque lo avesse privato di un’identità propria, vendicarsi delle persone che lo giudicarono uno sfigato, gli amici e i parenti.
La mente di Josh era completamente corrotta.
L’odio e la violenza avevano preso il sopravvento.
 

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Capitolo 11
*** Il confronto finale ***


-Sapevo che lo avresti capito, prima o poi- disse Josh, sorridendo -Eri sempre un passo avanti a me, più furba e intelligente-
-Sono tua amica, avevi già progettato la mia morte quando ci siamo conosciuti?- chiese Spencer arrabbiata.
-No. Io non sopportavo più la faccenda delle cricche. I mai emersi, i popolari, c’era bisogno di rinnovarsi a Nastake Hill. Crystal era una viziata opportunista, non sai quante volte copiava durante i test in classe. Io la odiavo, era la mia occasione per uccidere, potevo fingermi un fanatico di Die Bitch così avrebbero pensato che ci fosse uno psicopatico venuto da altrove. Preferibilmente dal manicomio, ma quando verificarono che il pazzo era morto durante la fuga, il terreno cominciò a crollarmi sotto i piedi- spiegò Josh.
-Non sono validi motivi per uccidere delle persone, meriti la loro stessa sorte. Sei uno psicopatico- il ragazzo le puntò l’accetta al collo.
-Lo so! Capii presto che provavo piacere nel dolore degli altri. Sean meritava di morire per non essersi preoccupato per Crystal, e tu meriti di morire per esserti preoccupata per lui. Dovevo essere io il tuo Sean, io dovevo averti.
Eravamo fatti per stare insieme! Potevamo vivere felici, ma tu ti sei dovuta fare lui!- disse indicando il corpo immobile di Sean –Sei una prostituta, e meriti di morire per questo! Stupida tro-
-Stai calmo cavolo! Smettila di darmi della tro, tu ti sei fatto Johanna- ribatté Spencer.
-Ma fammi il piacere! Mi sono “ucciso” appena ci siamo sdraiati a luci spente- prese a gesticolare, brandendo l’accetta –Anche Johanna meritava di morire, era tutta una scenata il dispiacere per la morte di Crystal-
-Sei così cattivo! Ti piace così tanto far soffrire gli altri?- chiese lei prendendolo in giro.
-Smettila! Stronza-
-No! Avanti signor’ cattiveria! Uccidimi! Fallo! Tanto è inutile continuare a vivere-
-No, io non ho bisogno di ucciderti, ora che ti ho rimosso ogni singola briciola di felicità e di amore, ho finito il mio lavoro-
-Sul serio? Era tutto questo il tuo scopo? Sopprimere le mie emozioni positive? Perché non completi veramente il tuo lavoro, squartandomi?- Spencer aveva intenzione di ucciderlo.
-Se proprio vuoi morire, allora!-Josh strinse l’accetta e gliela sfrecciò contro.
Spencer si gettò a capofitto sul pavimento, e strisciò lontana abbastanza velocemente da rialzarsi per fuggire.
-Torna qui! Spencer!- le urla del ragazzo risuonavano in tutta la casa.
Mentre lei saliva le scale, dalla porta d’ingresso entrò lo sceriffo.
-Nasconditi!- le ordinò.
Spencer fece come le era stato detto e si nascose in bagno, insieme al cadavere di Johanna.
-Ragazzo, posa l’arma- ordinò tranquillamente lo sceriffo a Josh.
-No! No!! Se ne vada via!- il ragazzo gli saltò addosso, pugnalandolo nella schiena con l’accetta.
-AH!- Spencer udì uno sparo, così decise di correre a vedere cosa era successo.
-Oddio, no- lo sceriffo era per terra, morto.
La ragazza controllò se l’uomo portava la pistola nella fondina, ma evidentemente ci aveva già pensato Josh a farla scomparire.
Mentre rivoltava il cadavere dello sceriffo, la sua mano fu trafitta dal tacco affilato di Josh.
-Ahh!!- il suo urlo non faceva altro che motivare lo psicopatico.
-E’ ora di morire! Brutta prostituta di merd-! – mentre caricava il colpo, qualcuno gli sparò.
Il buco nella sua testa iniziò a sanguinare.
Josh cadde in ginocchio sul pavimento, e poi si spense definitivamente.
Spencer non aveva ancora capito chi avesse sparato.
-E’ finita- quella voce, la riconosceva.
-Sean!- il ragazzo era miracolosamente ancora vivo.
Erano le quattro del mattino, mezz’ora dopo la morte di Josh, quando arrivarono le pattuglie della polizia.
Si erano tutti preoccupati quando lo sceriffo non rispose alla ricetrasmittente.
Era il primo che arrivò a casa di Sean, dopo che i giovani che erano scappati durante il bagno di sangue lo incontrarono lungo la strada.
Spencer era avvolta da una coperta, Sean era nell’ambulanza, sotto la cura degli infermieri che gli fasciavano le ferite dell’accetta.
-Come stai?- chiese la ragazza.
-Non proprio bene- rispose lui accennando a un sorriso.
-Ho creduto sul serio che tu fossi morto-
-L’ho creduto anch’io. Penso che per qualche istante sono morto sul serio- confessò il ragazzo.
-Beh, ora siamo qui. Tutti e due- Spencer sorrise.
-A proposito, cosa mi hai detto quando eravamo nello sgabuzzino? Ho paura di essermelo dimenticato…- la ragazza rifletté se fosse il momento giusto per dirglielo.
-Niente di che, ogni cosa a suo tempo. Giusto?-
Il regno di terrore che aveva creato Josh era finalmente terminato. Spencer era salva, anche se aveva sempre creduto che la sua fine fosse vicina.
Non si riservava più un futuro. Il suo migliore amico glielo aveva portato via.
Spencer si trasferì con la madre a Hollywood, dopo che era riuscita a mettersi in contatto con il padre.
Era tempo di andare avanti. Tempo di coltivare i propri sogni e di realizzarsi.
Per la prima volta nella sua vita, la ragazza si sentì felice sul serio. Pensò che anche la madre lo era, per lei. A poco Spencer avrebbe incontrato suo padre.
.....
Con la morte dell’assassino e la serenità di Spencer, non rimase niente d’importante a Nastake Hill.
Die Bitch 3 aveva incassato male per via degli omicidi, perciò fu ritirato dai cinema dopo una settimana.
Nella sua vecchia città natale, solo alcuni rimasero in attesa di una scintilla, che avrebbe dato inizio a qualcos’altro.
Un ragazzo stava leggendo la notizia della morte dell’assassino, rivelatosi Josh Richardson.
-Sapevo che avresti fallito- disse stringendo i pugni.
Si voltò al suo computer e iniziò a commentare gli avvenimenti.
Sul muro della stanza del ragazzo c’erano foto delle ragazze morte e di Spencer.
-Sarò io a portare a termine il lavoro Josh. Tu non sei mai stato all’altezza- ribatté voltandosi.
Josh era solo un subordinato, all’apice di tutto c’era una sola persona, che aveva controllato tutto dal primo omicidio.
Che aveva “realmente” dei motivi per fare uccidere quelle ragazze.
-E’ tempo di recensire un nuovo film- disse Timothy Richardson sorridendo.
-Spencer Matthews… tu morirai- concluse urlando.
Non era finita. Fino a quando il capo di tutto era vivo, Spencer non sarebbe mai stata al sicuro.
Era questione di anni, mesi, prima che gli omicidi sarebbero ricominciati.
Nastake Hill era una cittadina dimenticata da dio, nell’angolo più remoto degli Stati Uniti.
Dopo gli omicidi, i turisti iniziarono a visitarla, fecero film ispirati agli eventi e il paese divenne popolare e conosciuto in tutto il mondo.
Gli ultimi saranno i primi, dicevano.
Ogni cosa a suo tempo.




 

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Capitolo 12
*** La nuova vita ***


-Mamma non devi preoccuparti- disse Spencer rassicurando la madre, visibilmente turbata.
-Lo so, ma dopo tutto quello che è successo voglio essere sicura che non avrai problemi- il suo ragionamento era giusto, pochi mesi prima, il migliore amico della figlia aveva fatto strage dei teenager locali e per poco non prendeva anche lei.
-Beh, andrà meglio qui. Ne sono certa- concluse guardando sorridente la nuova scuola.
-Lexter High School è... un nome strano per una scuola- riprese Lauren.
-E’ più strano il fatto che sto parlando con mia madre da troppo tempo il primo giorno e tutti mi stanno fissando. Avanti mamma, sono la ragazza nuova! E’ già fin troppo dura- Spencer uscì dalla macchina augurando una buona giornata alla madre, fin troppo protettiva.
-Andrà bene- ripeté Lauren, per esserne maggiormente sicura.
-Speriamo che nessuno mi riconosca- sussurrò Spencer, mentre i ragazzi già cominciavano a squadrare la nuova arrivata. –Che cosa avete da guardare?- disse fra se e sé.
-Ciao!- una giovane ragazza bionda, le si parò di fronte. Probabilmente aveva diciassette anni anche lei.
-Ciao! Ehm, io sono Spencer- si presentò accennando a un saluto con la mano, passato di moda negli ultimi mesi.
-Spencer Matthews, diciassette anni, trasferita qui due mesi fa da una piccola cittadina sconosciuta, senza… un motivo apparente- al termine della frase le sue informazioni erano esaurite.
-Infatti. Io e mia madre volevamo cambiare aria- Spencer tentò di depistarla dal cercare informazioni su di lei.
-E’ un’enorme, cambiamento d’aria- la misteriosa ragazza che le faceva il terzo grado stava cominciando a seccarla.
-E tu sei?- chiese Spencer con fare interrogativo.
-Samantha Collins, sono capoclasse, rappresentante d’istituto e cosa di cui vado fiera- cos’altro poteva essere?
-Capo della squadra delle cheerleader!-
Il suo tono esaltato bastava a descriverla perfettamente.
La classica figlia modello, non troppo brava, ma neanche monella. Monella? Si può sapere che termini usi? Non siamo nel medioevo. Spencer era di fretta.
-Wow, sei proprio… tutto. Come riesci a fare tutte quelle cose?- Samantha Collins la squadrò da capo a piedi.
-Da dove vieni tu, non siete molto… come dire- Spencer tentò di indovinare la frase.
-Fantasiosi?- ma non era quella che Samantha intendeva.
-Alla moda. Non fraintendere ma, credo che dovresti sul serio rifarti il look, tesoro!- la Collins era partita con il piede sbagliato e non aveva riacquistato velocità durante l’intera conversazione, a dir poco imbarazzante.
-Per prima cosa, “tesoro”, io non sono un’acida stupida cheerleader bionda come te! Secondo, non me ne frega un cavolo di chi sei tu e di cosa fai, perché sono piuttosto sicura che dopo questo giorno non ci guarderemo mai più in faccia. Terzo!-Samantha la interruppe.
-Ok! Ho ricevuto il messaggio. Mi dispiace se ti ho offesa- queste erano probabilmente le scuse più sincere che una cheerleader avesse mai offerto a Spencer.
-Sul serio?- la ragazza annui –Grazie. Lo apprezzo-
-Mi assicurerò in futuro di non farti mai sentire a disagio. Ah! Puoi chiamarmi Sam- e facendole l’occhiolino se ne andò.
-Cosa? Mi liquidi così? Pensavo che avremmo cominciato una battaglia verbale su quanto siamo stronze a vicenda!- troppe domande per una persona che se n’era già andata.
-Battaglia verbale? Da dove vieni, dal Novecento?- in questo liceo erano tutti molto “aspri”, a quanto pare.
-E tu cosa vuoi?- chiese irritata Spencer.
-Di certo non l’amicizia di una come quella- erano tutti misteriosi in quella scuola.
-Posso almeno sapere chi sei tu?- la ragazza mora che le stava di fronte sorrise.
-Lisa, Lisa Sherwood. Mi sono appena trasferita! Se non sbaglio, anche tu sei nuova. Non ho potuto fare a meno di sentire la conversazione- la giornata stava prendendo una bella piega, Spencer non era sola e Lisa sembrava essere una buona amica.
-Oh! Non sai quanto sono felice di conoscerti. Piacere- le due si strinsero la mano.
-A quale piano sei?- chiese Lisa tenendo in mano un foglietto.
-L’ultimo- rispose Spencer indicando con il dito l’ultimo piano dell’edificio –Il mio preferito…-
-Hai detto qualcosa?- chiese Lisa.
-No! Niente- Spencer sorrise, doveva smetterla di parlare da sola.
In compagnia della sua “nuova amica” la ragazza fece meno fatica a situare il luogo dove si tenevano le lezioni quotidiane. Se lei non vedeva un’aula, di sicuro non poteva mancarla anche Lisa. A pranzo le due si sedettero insieme.
-Allora? Che cosa fai dopo la scuola?-chiese Spencer, prendendo l’iniziativa per la prima volta.
-Aiuto i miei con il camion dei traslochi- spiegò Lisa
–Abbiamo un sacco di lavoro da fare!-
-Wow, quindi tu ti sei proprio trasferita, di recente?- la ragazza annuì, mentre beveva l’acqua.
-Proprio due giorni fa- rispose sorridendo –Sono ancora una verginella!- Spencer rimase sbalordita.
-Come dici?- per poco non sputava l’acqua che sorseggiava. Quella era la frase meno azzeccata dopo tutto quello che lei aveva passato riguardo al sesso, ma non poteva raccontare a nessuno la sua situazione.
-Intendevo che non conosco ancora la città! Che hai capito?- Lisa rise.
-Ah! Lasciami perdere- Spencer cominciò a mangiare.
Dopo altre tre ore di lezione finalmente il primo giorno era andato.
Iniziare la scuola a Dicembre fu complicato, ma dopo aver sentito la storia di Spencer, il preside non poté negarle il diritto di andare a scuola.
Snowedge non era molto affollata, per niente. Lì faceva sempre molto freddo, e la neve aveva già iniziato a cadere.
Non a caso la città prendeva il suo nome. La polizia decise che era meglio per lei e sua madre andare in un luogo totalmente diverso da quello a cui erano abituate, così che nessuno sarebbe stato capace di riconoscerle.
-Dove vivevi prima?- chiese Spencer.
-Sono del Nevada, mio padre ha avuto un’offerta di lavoro perciò ci siamo dovuti trasferire- rispose la ragazza ammirando gli edifici.
-E tu dove vivevi prima?- chiese a Spencer sorridendo.
-Nastake Hill, un posto davvero orribile, non te la consiglio- rispose accorgendosi di aver rivelato un’informazione pericolosa.
-Non l’ho mai sentita nominare- ribatté Lisa.
-Infatti, non è neanche segnata sulle mappe, è proprio piccola e… beh, non molto interessante- non c’era molto da dire di Nastake Hill a parte il fatto che c’erano stati una serie di massacri e che un “presunto studente” gay ne era stato l’artefice.
-Cosa facevi lì per divertirti?- questa si che era una bella domanda.
-Beh, o andavo a qualche festa- dove nella maggior parte dei casi finiva a letto con qualcuno –O andavo a prendermi una bella cioccolata calda all’unico bar per giovani-
-Wow, chi organizzava le feste? Qualcuno di molto popolare immagino…- Spencer fece una piccola pausa per elaborare una risposta.
-Sean Connelly, il ragazzo più popolare della scuola… e il mio ragazzo- quell’affermazione era più strana di quanto sembrasse.
-Ah, non pensavo che fossi fidanzata!- Lisa rise.
-Come mai?- era ovvio, chi avrebbe mai pensato che “una come Spencer” fosse fidanzata con qualcuno?
-Non so, tu mi sembri molto una che non ha bisogno di qualcuno al suo fianco, soprattutto di un ragazzo- quella era la cosa più intelligente che Spencer si fosse mai sentita dire.
-Ti ringrazio per averlo pensato!- e abbracciò Lisa –In realtà hai ragione, non è una cosa fondamentale, sto molto bene anche da sola e dal momento che parlo anche con gli oggetti è anche meglio!- Lisa la guardò misteriosamente.
-Parli con gli oggetti? Wow!- Spencer rise.
-Occasionalmente- era vero, anche se aveva smesso di salutare gli orologi da quando viveva a Snowedge.
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Come ai vecchi tempi. ***


Era venerdì 13 Dicembre. La città emanava freschezza, il freddo gelo invernale aveva già iniziato a fare il suo effetto. I negozi di Snowedge stavano aprendo. I gestori probabilmente avrebbero incontrato qualche amico della stessa città. Quando Spencer arrivò a scuola, tutti parlavano di una festa a casa di un ragazzo.
-Ehi, che succede?- chiese Spencer a Lisa, vedendola salutarsi con qualcuno.
-Ah! Eccoti, guarda cosa ho preso!- levò due biglietti dalla borsa.
-Sono dei biglietti? Per cosa?- chiese Spencer afferrandone uno.
-La premiere di Die Bitch 3, quel film è da malati- la voce di Samantha mutò.
-Cos’hai detto?- Spencer alzò lo sguardo dai biglietti all’amica. Josh le stava davanti, i capelli da ragazza si ritraevano nei pori della pelle. Gli occhi cambiavano colore.
-Ci andiamo dopo la festa. A vedere Die Bitch, vero?- Spencer non riusciva ad aprire la bocca.
-Tu, non sei reale- o forse lo era –Sei morto-
-E allora chi ti sta davanti? Spencer, tu e io lo sappiamo. Io non sono morto- era un incubo? Era la realtà? Non si capiva più. –Co… come?- all’improvviso l'ambiente le esplose attorno.
-Si, per la festa di Christopher Maxwell. E’ un ragazzo dell’ultimo anno, e per festeggiare le vacanze di Natale organizza una festa a casa sua. Ehi, tutto ok?- Lisa sembrava eccitata, non era chiaro se fosse mai stata a una festa.
-Si, ho avuto solo un giramento di testa! E come mai i biglietti?- Spencer mentiva. D’altronde non poteva fare sapere a Lisa quello che le era successo. Non voleva.
-Qui si fa così, vai con il biglietto. Strano vero?- era interessante, al contrario.
-Da matti- rispose Spencer avviandosi in classe al suono della campanella.
La lezione di Inglese si svolse normalmente. Spencer andava bene a scuola, non che fosse una ragazza costantemente legata ai suoi libri, ma se la cavava.
Dopo Inglese c’era educazione fisica. Questa era una di quelle materie che la ragazza proprio non sopportava. Educazione fisica riusciva proprio a sfinirla, e se doveva andare ad una festa non poteva andarci addormentata.
-Salve professore- disse rivolgendosi al Professor. Jackson.
-E tu chi sei?- chiese lui aggrottando le sopracciglia. Sembrava un tipo simpatico, anche se un po’ strambo.
Era un uomo muscoloso, probabilmente alto un metro e ottanta.
-Sono la nuova arrivata, Spencer Matthews- possibile che nessuno l’aveva avvertito del suo arrivo? O forse lo sapeva.
-Ah giusto! Piacere di conoscerti!- ad ogni frase che diceva, il professor. Jackson alzava un po’ troppo la voce.
-E’ un piacere anche per me, senta ehm… io non- Spencer venne interrotta.
-Tu “non”? Non mi vorrai mica dire che non puoi giocare a pallavolo oggi, vero?- la ragazza voleva rispondere di si, voleva anche precisare che non ci avrebbe giocato per tutto l’anno, ma non poteva già presentarsi con il piede sbagliato.
-Io no niente! Sa, soffro ancora di un po’ di mal d’auto! Perciò dovrò sedermi- Spencer fuggì alle panchine.
-Cosa stai facendo?- la voce squillante di Samantha comparve dalle sue spalle.
-Oh signore! Mi hai spaventata!- Spencer si stava ancora riprendendo dallo shock mentre l’altra sorrideva.
-Perdonami, ma non posso fare a meno di pensare che sei molto buffa- ribatté Samantha.
Stava succedendo davvero? Fino ad ora nessuno le aveva mai detto una cosa simile. Non che non ne andasse fiera, ma Spencer si stava ancora chiedendo se Samantha fosse davvero il tipo di persona che lei immaginava di essere.
-Grazie mille per questa tua illuminazione. Hai altro da dire?- la ragazza era leggermente scocciata.
-Senti, Shellen- Spencer la fulminò con lo sguardo.
-E’ Spencer. E’ così difficile da comprendere per la tua stu- si fermò prima di concludere quell’affermazione. Samantha non sembrava il tipo di persona che reggeva gli insulti, soprattutto quelli riferiti alla sua intelligenza.
 -Perdonami. Spencer, io vorrei solo esserti amica, ma evidentemente i nostri caratteri sono troppo diversi per coesistere- ma cosa stava dicendo?
-Ehm, non credo di afferrare il concetto- Samantha le si parò di fronte, spingendola a sedere.
-E’ molto chiaro, vedi… se noi due non possiamo essere amiche, è chiaro che tu non puoi stare in questa scuola- ora stava diventando inquietante.
-Che cazzo stai dicendo scusa?- Samantha strinse i denti.
-Non pronunciare quella parola- era seria, non quanto Spencer forse.
-Quale parola? Cazzo?- lo disse come se niente fosse, ma proprio in quel momento il Professor. Jackson la sentì.
-Eih! Tu, ragazza nuova! In punizione- urlò puntandola con il dito.
Perfetto. Ci mancava solo questo, la punizione.
La punizione consisteva nello stare in un’aula fino alle tre del pomeriggio, facendo i compiti o annoiandosi.
Spencer aprì la porta e vide l’orologio.
Erano solo le undici, come avrebbe fatto a sopportare la punizione fino alle tre del pomeriggio?
-Oh no…- c’erano un ragazzo e due ragazze sedute a “scontare la loro pena”.
-Ed ecco un’altra birbante!- disse ridendo la signorina Melody Speck, a giudicare dal nome sulla scrivania.
-Come?- chiese Spencer guardando la donna attentamente.
-Silenzio! Non si parla durante la punizione. Voi siete dei “detenuti” qui dentro, perciò dovrete fare quello che i detenuti svolgono, “scontare la pena”.
Probabilmente Melody credeva di essere simpatica, ma a giudicare dal suo nome poteva aver avuto qualche trauma infantile che le aveva “seriamente” danneggiato il cervello.
-Ok, dove mi siedo allora?- chiese Spencer indicando i posti vuoti.
-Prenditi pure qualsiasi posto che ti pare- disse la signorina Speck poggiando i piedi sulla scrivania.
I suoi capelli scuri le arrivavano fino alle orecchie, dove portava degli enormi orecchini ad anello.
Indossava una gonna enorme e una giacca verde. Era una tipa stravagante.
Spencer si sedette due posti indietro al ragazzo che di nascosto utilizzava il cellulare “illegalmente”. Melody era troppo ingenua per scoprirlo.
La ragazza non poté fare a meno di controllare quello che stava guardando.
Si stava scrivendo con un amico, i due parlavano della festa, e da come si scrivevano Spencer realizzò che il ragazzo che le stava davanti era Cristopher Maxwell.
-Eih! Tu sei Cristopher?- chiese lei silenziosa.
Lui si voltò appena.
-Si, perché?- Spencer non sapeva che rispondere, in realtà si aspettava che lui le desse un altro tipo di risposta.
-Stasera vengo alla tua festa- quella era l’unica frase che era riuscita a formulare.
-Bene, allora ci vediamo lì- Cristopher si girò e le fece un occhiolino.
-Voi due- Melody si accorse della conversazione.
Assunse un’aria investigativa e iniziò a porre delle domande a Spencer.
-Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista prima d’ora- chiese stringendosi il mento.
-Si, esatto- rispose Spencer.
-E cosa pensi di questa città?- gente strana, poco simpatica e inquietante.
-E’ carina- nel complesso, era vero, ma se si scavava in profondità…
-Ok, c’è un motivo se questa si chiama punizione. Capito?- Spencer lo aveva capito, ma Melody lo ripeté una seconda volta con un tono più incisivo, giusto per essere sicura che tutti avessero chiaro il messaggio.
-Bene così- si risedette al suo posto, e cominciò a leggere un libro.
Spencer tornò a controllare quello che Cristopher scriveva.
Per un attimo non gli prese il telefono e lo gettò fuori dalla finestra. In alto, nella pagina web, c’era un articolo su Nastake Hill e su Spencer Matthews.
-Merda- disse a bassa voce mordendosi il pollice. Sperava che non aprisse quell’articolo.
Quando il suo dito fece un tocco sulla scritta, Spencer desiderò di non essere lì.
Chiuse gli occhi sperando che non se ne accorgesse, forse l’idea di cambiare i nomi non era tanto male.
Quando pensò che il peggio fosse passato, aprì gli occhi.
-Eh! Quello cos’è?- la voce della Speck risuonò nell’aula.
Cristopher non fece in tempo a nascondere il telefono che lei era già balzata in piedi dritta davanti alla scrivania.
-Dammi il telefono- probabilmente era seria ora.
-Quale telefono?- ma chi voleva prendere in giro? Certo che non lo era.
-Oh, pensavo che stessi facendo qualcosa di ‘illegale’- guardò la lavagna.
Regola numero uno: non usare il telefono in qualsiasi modo esistente possibile. Abbastanza chiaro a chiunque quindi.
Cristopher rimise il telefono in tasca. Melody si sedette sul banco, occupato momentaneamente da Spencer.
-Allora… voi di campagna non siete molto socievoli, giusto?- come faceva a sapere che la ragazza veniva da una zona di campagna? Soprattutto, come faceva a sapere che non erano molto socievoli?
-Cliché? Non credo proprio- rispose Spencer. La donna aggrottò la fronte.
-Cosa intendi dire?- replicò Melody. Spencer si raddrizzò con la schiena.
-Io credo solo che… voglio dire, in questo posto si fanno sempre tutti un’impressione sbagliata sulle altre persone- disse Spencer.
-Frena frena frena. Ho perso la concentrazione quando hai passato i tre puntini di sospensione- che diamine?
Melody Speck, finta professoressa durante la detenzione e donna di mezza età totalmente irrimediabile.
Quando la punizione terminò Spencer ebbe l’onore di lasciare la classe senza salutare nessuno. Quando Cristopher varcò la soglia che lo separava dalla punizione pareva aver già assunto un altro comportamento. Strano.
In attesa del suono della campanella, che decretava il termine del primo giorno di scuola, a Spencer era stato consigliato di sedersi e prendere qualche minuto per rilassarsi.
-Ti attendo al più presto zuccherino!- Melody si dondolava tenendosi alla porta.
-Alla prossima!- Spencer si alzò dalla sedia sottostante la segreteria scolastica.
La nuova scuola era più piccola di quella di Nastake Hill.
D’altronde Snowedge era anche un paesino dalle dimensioni ristrette e quindi anche la popolazione non si era insediata perfettamente.
Alta due piani, il cui secondo era pieno di classi e laboratori, sale conferenze, stanze tv e presidenza.
Il piano principale invece conteneva la segreteria, la detenzione, la palestra, la caldaia e la mensa.
Spencer camminava per il corridoio del piano terra, la detenzione era a quattro passi da lei e mentre si allontanava, la luce diminuiva in prossimità della porta con la scritta “caldaia”. La ragazza si voltò e osservò tutto ciò alle sue spalle svanire lentamente.
-Cosa?- Spencer era confusa, come sempre d’altronde.
Stava diventando cieca? Era vittima di allucinazioni? Non lo sapeva, ma ciò che voleva evitare era l’oscurità che la braccava.
Del fumo rosso iniziò a uscire dallo spiraglio della caldaia.
Cosa stava accadendo al di la di quella porta che pareva incandescente?
-Ehilà? C’è nessuno? Ma certo che non c’è nessuno..- Spencer si coprì la mano con la felpa e girò la maniglia della porta incandescente.
All’apertura si liberò una nube di fumo scuro. La ragazza tossì. Il vapore appariva ai suoi occhi come sangue aeriforme.
-Spencer, sei una prostituta- ella si pulì gli occhi intossicati e riuscì a mettere a fuoco una sagoma di persona.
-Chi sei?- la figura cominciò a farsi strada tra la nebbia, avanzando sempre di più verso la ragazza.
-Non avvicinarti! Vai via!- la sagoma svanì nel fumo.
C’era fin troppo silenzio, non si udiva neanche più il respiro di Spencer. Chiuse la porta ma sopra di essa non stava più la scritta “caldaia”, bensì c’erano delle lettere in continuo movimento, che improvvisamente si fermarono a comporre la parola…assassino.
Spencer cominciava a sudare, improvvisamente la temperatura si era fatta più violenta.
Cominciò a grattarsi la pelle, a urlare. Il caldo scioglieva la porta, le pareti e la carne della ragazza.
I pori della pelle si allargavano e poi da essi esplodevano rivoli di sangue. Le unghie erano coperte dalla carne decadente, gli occhi esplosero.
-Ahhh!- il falegname comparve mentre agitava l’accetta verso il collo di Spencer.
Una pioggia di sangue caldo.
L’iride della ragazza si dilatò completamente, aveva sognato o stava impazzendo? La scuola era tornata normale e centinaia di studenti le camminavano attorno.
-Eih, tutto bene? Come è andata in detenzione?- Lisa comparve dalle spalle di Spencer, che stava ancora elaborando la situazione.
-Spencer? Stai bene?- il volto di Lisa si offuscava, la messa a fuoco di Spencer cominciava a impazzire.
-Eih? Stai per svenire?- la ragazza stava dondolando lentamente, le gambe cedevano.
-Qualcuno chiami un’ambulanza!- le parole di Lisa risuonavano nella sua testa, come grida martellanti che tentavano di spappolarle il cervello.
Cadeva a terra mentre tutto diventava nero.

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Capitolo 14
*** Il passato ritorna ***


-Una, dammi una sola ragione per la quale dovremmo lasciare questo posto- disse Spencer a sua madre, mentre indicava a braccia aperte l’appartamento lussuoso finanziato dal padre.
-Te l’ho detto, non dipende da me tesoro. La polizia crede che è meglio per noi mantenerci un po’ alla larga da… tutti-
Da Nastake Hill a Hollywood c’era molta differenza, perché non andava bene?
-Ma qui non mi conosce nessuno! Chi vuoi che si renda conto che io sono Spencer Matthews?- e mentre disse questo bussarono alla porta.
-Un pacco per la signorina Spencer Matthews!- come non detto.
Il postino aveva depositato un pacco ai piedi della porta.
-Chi te lo ha mandato?- chiese la madre osservando la figlia che leggeva un biglietto appeso al pacchetto.
-Non lo so, qui c’è scritto semplicemente “Ogni cosa a suo tempo”- una scritta inquietante se si considerava che la ragazza era presa di mira da psicopatici che traevano piacere dal dolore altrui.
Scartato, il “dono” si rivelò una cosa orribile.
Composto con carne umana era il nome di Spencer. Il sangue ancora caldo.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, e Spencer e sua madre furono spedite a Snowedge, dove sarebbero state al sicuro.
La loro casa era vicina al bosco, circondata da una recinzione e munita di un sistema d’allarme molto sofisticato, così come quello di tutte le abitazioni.
L’abitazione si reggeva su due piani, il primo e il secondo, dove c’erano le stanze, così che madre e figlia potessero rimanere sempre in contatto. Le porte, blindate e anti panico, garantivano una totale sicurezza perché erano inoltre dotate di telecamere con sensori di movimento che si “accorgevano” se stava avvenendo un crimine.
Una piccola fortezza insomma.
Snowedge era il prodotto di una qualche casa di sicurezza che testò i suoi allarmi e metodi dando così vita a una città high-security.
La mente di Spencer fece un rewind alla giornata successiva alla morte di Crystal Shaye. A come lei si sentiva… altamente menefreghista.
Mentre tutti gli adolescenti piangevano la morte di una loro coetanea, fingendo di crederci sul serio, lei viveva la sua vita. All’immagine di un cielo azzurro, cominciava a sovrapporsi il volto della ragazza morta, che sembrava dire qualcosa, poi a lei si aggiunsero Johanna Sailor, Josh, e tutte le altre vittime dell’assassino.
Tutti pronunciavano le stesse parole, agghiaccianti e allo stesso tempo taglienti come una lama d’accetta.
“Assassina”.
-Sveglia!- una voce stridula e assordante cominciò a farsi strada nella mente di Spencer.
Chi le stava scombussolando il cervello mentre sognava?
-Ho detto sveglia!- sentì un colpo al petto, poi si accorse che le faceva male il seno.
Improvvisamente riacquistò coscienza.
-Ahi…- disse, ancora a occhi chiusi.
-Sapevo che questi rimedi indiani l’avrebbero risvegliata. Tutti fuori ora, non c’è niente da vedere! Se non una ragazza trash in piena crisi adolescenziale svenuta nel corridoio della scuola dove passano ogni giorno centinaia di giovani impiccioni e teste calde!- blaterò sottolineando le parole finali Melody Speck voltandosi nella direzione di Cade Hill, colto alla sprovvista dalla voce sospettosa della donna –Esatto! Sto parlando con te Cade!-
-Ma che?- il ragazzo aggrottò le sopracciglia.
-Fuori dalla mia vista!- ribadì lei, accavallandosi su Spencer.
-Non credo che stia ancora del tutto bene, forse dovremmo chiamare un’ambulanza- suggerì Lisa alla vista dell’amica stesa a terra a chiedere dove si trovasse.
-Lo dico io quando si chiama qualcuno e in questo momento non ho credito perciò ricorreremo alla vecchie maniere- dicendo questo alzò le mani strette in un pugno e le schiaccio violentemente sulla pancia di Spencer, che vomitò una pillola rossa.
-Ecco la causa della tua infermità mentale- sulla pillola era riportata la scritta “Muori Tro”.
-Non… credo di aver mai sentito parlare di un medicinale chiamato “Muori Tro”- spiegò Melody, e quando Spencer udì quella frase rabbrividì, tornando in sé.
-Oh, il mio corso di autocontrollo sta per cominciare- disse preoccupata la Speck –Ciao ragazzi, mi raccomando non svenite ancora. Questa te la lascio per ricordo- e appoggiò la pillola sulla fronte di Spencer, andandosene.
Lisa aiutò l’amica a rialzarsi, scrollandole la polvere di dosso.
-Certo che quella è proprio fuori, vero?- disse trattenendosi una risata.
-Per fortuna che non me ne sono accorta solo io!- le due scoppiarono a ridere, dimenticandosi di ciò che era appena successo.
Quando giunse la sera, le ragazze si fecero accompagnare dalla madre di Spencer a casa di Cristopher Maxwell.
Mentre erano in macchina, iniziarono una breve conversazione.
-Quindi, anche tu sei nuova di qui?- chiese Lauren riferendosi a Lisa.
-Esattamente, io e mio padre ci siamo trasferiti dal Nevada- rispose lei.
-E tuo padre che lavoro fa?- chiese Lauren mostrandosi interessata all’argomento.
-Lavora per un’associazione di sicurezza, sistemi d’allarme, stanze anti-panico… cose così- replicò Lisa mascherando un’evidente scarsa conoscenza dell’argomento.
 -Wow, dev’essere bello, d’altronde è anche grazie a lui se siamo tutti al sicuro nelle nostre case- le due si scambiarono un sorriso.
Spencer direzionò la testa versò il mare, ma non a guardare l’acqua cristallina, bensì ciò che stava al suo centro.
-Non scherzavano quando dicevano che lasciava a bocca asciutta- disse la ragazza sgranando gli occhi alla vista di casa Maxwell, un’imponente villa moderna sul mare, precisamente su di una piccola isola.
-Sicure di non soffrire di mal di mare?- chiese Lauren apparendo inquieta al pensiero che sua figlia si potesse trovare in mezzo al mare senza vie di fuga.
-Si! Ciao mamma!- le ragazze liquidarono la donna correndo verso un motoscafo pieno di ragazzi.
-Come non detto!- commentò lei, avviando la macchina.
Il motoscafo era quasi in sovrappeso dopo che entrò altra gente, perciò decisero di partire verso l’isola.
La brezza fresca dell’aria natalizia irradiava i corpi caldi che si muovevano e respiravano.
Spencer si sentiva bene, ma tutto d’un tratto le venne da pensare a quello che era scritto sulla pillola che vomitò lo stesso pomeriggio.
“Muori tro”. Qualcuno l’aveva avvelenata? Probabile, dato che l’unica persona che potesse usare quella frase era uno psicopatico. Ma Josh era morto. Spencer lo aveva visto morire, o forse era ancora vivo?
Tutti questi pensieri, quelle domande le balenavano nella testa, ma la sera della festa non avrebbe voluto pensarci.
Quando finalmente dopo dieci minuti arrivarono all’isola, la folla sembrava diminuita, probabilmente qualche incauto era caduto in mare.
Saliti fino alla casa, distante qualche chilometro dalla costa, l’ambiente era tutt’altro che festoso.
Sembrava una tipica serata da lord, con musica classica e chiacchiere intellettuali.
Tutto ciò non era da Spencer.
Un’altra cosa le venne in mente, tutta la faccenda dell’isola distante dalla città le ricordò di quando Sean fece l’ultima festa di Nastake Hill. Non avevano modo di chiedere aiuto, erano separati dal mondo, divisi dagli adulti.
Valarie All, una ragazza spensierata considerata da tutti un po’ svitata, sedeva in disparte bevendo un drink analcolico.
Spencer si avvicinò a lei pensando che fosse l’unica umana lì presente.
-Eih, ciao! Sono Spencer Matthews- lei la guardò.
-La nuova ragazza, è un piacere conoscerti- c’era un accenno di spensieratezza nelle sue parole, come se si trovasse in un altro mondo.
-Ti stai divertendo?- chiese l’altra cercando di avviare una conversazione.
-Sto provando le tue stesse emozioni- disse gettandosi con la testa sul pavimento–Una noia tremenda. A dir la verità non so neanche perché sono qui, stavo preparando un infuso di erbe quando mi sono ritrovata ad esaminare delle magnifiche achillee fuori da questa casa. Sono meravigliose- Spencer non capiva di cosa stesse parlando.
-Achillee? Che cosa sono?- chiese incuriosita.
-Piante curatrici, o almeno credo che lo siano. Mia madre le utilizzava quando la mia curiosità mi portava a compiere degli atti autolesionisti- il linguaggio della ragazza era veramente strano.
-Okay. Allora ti lascio ai tuoi pensieri- Spencer si alzò dalla sedia su cui era seduta e salutò Valarie.
-Ciao Spencer, è stato un piacere conoscerti- disse lei sorridendo.
-Ehi dov’eri andata? Ti cercavo ovunque- Lisa apparve con due drink in mano.
-Che roba è?- chiese Spencer scrutando il liquido arancione.
-Succo di banana- rispose Lisa bevendone un sorso.
Spencer glielo porse allontanandosi.
-Sono troppo matura per queste stronzate- disse avviandosi all’uscita.
-Spencer Matthews! La star del momento!- una voce estranea irruppe nella stanza.
-Cosa?- la ragazza si voltò, riconoscendo quel volto, associandolo a una persona.
-Credevi di poterci abbandonare tutti senza un saluto?-
Non poteva essere, nessuno a Nastake Hill aveva il minimo interesse per conoscere il luogo dove era Spencer.
Nessuno come lui! Non avrebbe dovuto a prescindere.
-Tu- il suo sguardo si accese di rabbia. Spencer si avviò infuriata verso il ragazzino esile che stava dall’altro lato della stanza, che l’aveva messa in vista.
Timothy Richardson trattenne una risata, mentre veniva sbattuto contro una porta che si aprì facendolo cadere a terra.
Spencer la richiuse alle spalle, assicurandosi che nessuno l’avrebbe disturbata.
-Ti farò delle domande molto semplici. Uno, che cosa ci fai qui? Due, come fai a sapere dell’esistenza di questo posto? Tre! Che cosa vuoi da me?- gli occhi della ragazza fissavano saldi l’esile ragazzo alzarsi dal pavimento.
-Ma come? Sono qui per te, per te Spencer! Tu, sei una celebrità- Timothy sembrava un bambino grasso che aveva appena trovato le caramelle.
-Tu, sei malato- Spencer fece due passi indietro.
-Io non sono, quello che è…- sembrava irritato.
-Sul serio Timothy, cosa ci fai qui? Non voglio più avere niente a che fare con Nastake- non poté terminare la frase che lui l’aveva modificata a suo piacimento.
-Nastake Hill! Che è la ragione della tua popolarità- parlava sul serio?
-La mia… tutto questo è ridicolo. Io non ero popolare a Nastake Hill, e ora sto cercando di rifarmi una vita- replicò infastidita Spencer.
-Beh ragazza, non lo sarai stata all’epoca degli… omicidi. Ma ora sei famosa in tutto il web, ci sono delle pagine che ti adorano come una dea!- tutto ciò era altamente improbabile.
-Ma se la storia non è neanche uscita da quella città, e l’unica persona lì in grado di poter creare delle pagine web sei tu, perciò non prendiamoci in giro Timothy Richardson- il tono della ragazza si fece accusatorio.
-Ok, devo ammettere che io ho dato un piccolo aiutino…- disse lui trattenendo una risata.
-Che cosa? Qual è il tuo problema? Perché sei così tanto fissato da me?- Spencer voleva risposte.
-Tu… saresti… dovuta… morire- le parole che uscirono dalla bocca di Timothy erano infondate.
-Che cosa hai detto?- Spencer aveva paura.
-M-O-R-I-R-E. Hai capito bene bella!- il ragazzo estrasse un coltello dalla tasca posteriore.
-Che diavolo stai facendo?- Spencer si allontanò velocemente da Timothy.
-E’ tempo di porre fine a!- qualcosa sembrò aver inceppato il ragazzo, ci fu un rumore di vetri infranti.
-Porre fine a?- Spencer si faceva domande.
All'improvviso Timothy cominciò a dondolare, si voltò verso la porta alle sue spalle e mostrò la schiena, trafitta da una freccia.
-Oh mio dio- Spencer era senza parole.
Il sangue del ragazzo iniziò a colorare il pavimento costoso della casa di Cristopher Maxwell.
Di colpo apparve un altro buco nella porta di vetro, provocato dalla seconda freccia che s’incastrò nel cranio di Timothy. Uno schizzo di sangue raggiunse la faccia di Spencer, che nel frattempo era giunta dietro il ragazzo.
Quando il suo corpo cadde a terra numerose frecce cominciarono a susseguirsi, tentando, una dopo l’altra, di colpire Spencer, in fuga verso la porta del salotto.
-Qualcuno mi aiuti!- gridò lei in preda al panico.
La porta fu trafitta da due frecce mentre la attraversava.
Nel soggiorno gli invitati cominciarono a chiedersi cosa stesse succedendo, e all’arrivo della ragazza che urlava a tutti di salvarsi perché c’era un assassino, si scatenò il panico.
Spencer cadde a terra, incapace di muoversi.
Negli istanti seguenti riuscì a vedere... Lily correre fuori dalla casa, spinta dagli altri ragazzi agitati.
Valarie sbattere contro il divano e cadere a terra. Samantha Collins lanciare all’aria il suo drink. Cristopher Maxwell prendere le chiavi del motoscafo, l’unica via di fuga.
Spencer mise tutte le sue forze per alzarsi e riprendersi dallo shock subito dalle sue ginocchia, che si erano spappolate al pavimento. Tutto le doleva, il corpo e la testa.
Doveva arrivare al motoscafo. Doveva assicurarsi che tutti arrivassero al motoscafo.
-Valarie! Alzati!- la ragazza si avvicinò alla giovane, stesa a terra.
-Cosa succede? Chi c'è in casa?- chiese Valarie cercando di riattivarsi.
-Non c’è tempo per spiegare. Dobbiamo andarcene!- l’orologio stava per raggiungere l’ora X.
Spencer diede un breve sguardo alla costa e vide i ragazzi che salivano sul motoscafo.
-Siamo in pericolo Valarie, non ti lascerò qui!- riuscì ad alzarla, a trascinarla alla porta d’ingresso.
Ci fu una lieve folata di aria calda. Aria bollente.
Spencer si voltò mantenendo la porta principale aperta con la mano. Dalla porta da cui era uscita in precedenza stava uscendo fumo, e l’interno era illuminato di giallo e rosso.
Tutto ciò le ricordava l’allucinazione a scuola. La caldaia.
Ma ora non si trovava a scuola, né alla caldaia. Era di fronte a una porta qualunque, che si era improvvisamente spalancata, e da essa era uscita una fiamma incandescente.
Il divano di pelle prese fuoco, la fiamma si ritrasse nel buco del lanciafiamme. La donna vestita da prostituta che lo reggeva fece una risata isterica, e dirigeva il colpo successivo verso Spencer, che era paralizzata alla visione di quella “prostituta” che minacciava di darle fuoco con un lanciafiamme.  

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Capitolo 15
*** La morte ti aspetta ***


I ragazzi scendevano la collina seguendo le scale in terracotta, che portavano ad un’ampia spiaggia.
Spencer spinse la porta principale con una spallata e si trascinò velocemente con Valarie verso la scalinata.
-Chi è quella donna?- chiese lei agitata.
-Non lo so! Dobbiamo andarcene, ce la fai a camminare?- rispose Spencer altrettanto agitata.
-Non penso, mi fa male la gamba!- il ginocchio della ragazza era tagliato da uno squarcio che produceva particelle di sangue in continuazione.
-La fiamma ti ha colpita, hai bisogno di cure- disse Spencer esaminando la pelle bruciata.
-Raggiungiamo la barca, è l’unica via per uscire da qui- Valarie indicò lo scafo che stava per partire, mentre gli ultimi invitati lasciavano la zona.
-Ehi! Aspettateci! Ehi!!- Spencer si sbracciò pur di farsi vedere, senza risultati. Cristopher Maxwell cominciava ad accendere il motore.
Per un attimo a Spencer sembrò che si fosse accorto di loro.
-Ho un’idea, ma dobbiamo nasconderci- disse lei adagiandosi con Valarie dietro ad un muretto sotto il portico dell’abitazione.
-Cosa vuoi fare?- chiese quest’ultima osservando l’altra prendere il telefono e selezionare il numero di Lisa Sherwood.
-Chiamo la mia amica Lisa, anche lei è venuta alla festa e se si trova su quel motoscafo può dire di aspettarci!- rispose Spencer.
Il telefono di Lisa squillava, ma nessuno rispondeva. Probabilmente le era caduto mentre fuggiva, oppure non riusciva a sentirlo squillare con tutto il trambusto provocato dalle urla dei ragazzi.
-Avanti Lisa… Perché non rispondi al telefono?- sospirò nervosamente Spencer, controllando di tanto in tanto che fossero sole sotto il portico.
-Posso farcela, se corriamo, almeno ci avvicineremo abbastanza da farci notare da loro!- suggerì Valarie sporgendosi in direzione del mare.
-Ma come facciamo? Se... quella pazza in casa si accorge di noi, di me, non ci penserà due volte prima di prepararci alla cottura- improvvisamente calò il silenzio. I grilli smisero di cantare. L’aria si fece pesante, il che era strano perché l’isola era situata su di un mare quasi ghiacciato. Spencer sbirciò oltre il muretto e violenti colori di fuoco si proiettarono sul suo volto, irritandole i capillari degli occhi.
-Vieni fuori marmocchia!- esclamò la prostituta a grandi gesti. 
-Valarie ora!- Spencer trascinò la ragazza per il braccio fino alle scale di terracotta.
-Dove pensate di andare voi due?!- la prostituta diresse il lanciafiamme verso di loro, e fece fuoco.
Le ragazze caddero rotolando giù per le scale.
-Valarie tutto ok?- Gridò Spencer stesa a terra, la gamba sbucciata e il braccio dolorante.
L’altra non rispose, restando perennemente immobile.
Spencer pensò che forse si era rotta il collo, oppure che avesse subito un trauma cranico.
L’enorme fiamma che divampava nel cielo si riassorbì lasciando una polvere di fumo nero nell’ambiente.
La prostituta scese le scale e afferrò la testa di Valarie, alzò il coltello che teneva in tasca e iniziò a squarciarle la gola.
Improvvisamente qualcuno gridò dallo scafo, e lei lo sentì.
Si voltò minacciosamente e prese a correre verso i ragazzi che cercavano di lasciare l’isola.
Spencer strisciò verso Valarie e le voltò la testa, il collo aveva solo subito un taglio leggero, che perdeva una modesta quantità di sangue.
-Oh, grazie a dio- disse la ragazza fra se e se, mentre trascinava Valarie dietro ad un cespuglio.
Improvvisamente un’enorme esplosione colpì Spencer violentemente, scaraventandola con una potente forza d’urto lontana dall’amica ferita.
Nubi di fuoco danzante si alzarono in cielo, il calore era come un’onda anomala che coinvolgeva tutto ciò che trovava.
Spencer non riusciva più a mettere a fuoco nulla, non capiva da dove provenisse quel fuoco, non realizzava se fosse la residenza che era esplosa… oppure lo scafo.
Presto le fu chiaro. La residenza Maxwell era distrutta, vomitava fiamme lucenti e crollava su se stessa.
............
L’aria divenne improvvisamente fredda.
Nonostante il fuoco stesse bruciando da quasi dieci minuti, il clima era mutato.
Spencer mosse leggermente le palpebre, la testa le pulsava, gli occhi bruciavano, e il respiro era affannoso.
Lo scoppiettio delle fiamme riempiva la radura con il suo rilassante rumore.
All’improvviso Spencer si sentì tirare per le gambe, si stava muovendo, la terra sotto di lei le scorticava le braccia.
Aprì gli occhi per rendersi conto di ciò che stava succedendo... e la vide.
La “prostituta” la stava trascinando verso la foresta, sul mare era accesa una grande fiamma rossa.
Svegliati… svegliati Spencer… SVEGLIATI DANNAZIONE!
La coscienza, o la forza di volontà parlava per lei.
-Dove… dove sono?- disse flebilmente.
La “prostituta” voltò la testa e la fissò brevemente.
-E’ giunto il tuo momento, Spencer Matthews- rispose con voce satanica.
-Ma che dici?- ribatté Spencer, infastidita –Sono stanca di queste idiozie- e tirò le gambe a se, lanciando la donna per terra.
Spencer si alzò di scatto e prese a correre verso la residenza.
E dove credi di andare una volta giunta lì? E’ distrutta.
Rifletté una frazione di secondo e svoltò per il mare.
Quell’enorme fiamma sullo scafo dei tuoi amici non ti dice niente? Che cosa farai, nuoterai nelle acque gelide fino a raggiungere la morte?
Spencer s’irritò.
-Dove posso andare?!- la prostituta si avvicinava brandendo un falcetto affilato.
-Merda!- esclamò Spencer, risalendo le scale della residenza in fiamme.
Il caldo vento rovente le soffiava contro, rendendo la salita più difficile.
La porta principale era più o meno rimasta intatta, le porte di Snowedge d’altronde erano blindate.
La forza d’urto dell’esplosione l’aveva aperta e a Spencer non restava altro che inoltrarsi nello scenario dell’apocalisse.
I margini dell’entrata bruciavano ed emanavano fumo nero. L’interno della casa era perso del tutto.
Un percorso che conduceva ad un grande buco nel muro guidò Spencer attraverso il soggiorno infuocato e fuori dalla casa. Davanti a un giardino con piscina comprendente macerie, si ergeva una piattaforma sorreggente un elicottero a strisce bianche, rosse e blu.
Spencer non aveva idea di come si pilotasse un elicottero ma pensò che al suo interno avrebbe potuto trovare un walkie talkie, oppure una pistola lancia razzi.
S’inoltrò nel giardino e saltò sulla piattaforma, raggiungendo la portiera d’entrata.
Nel frattempo, la prostituta fece il giro della casa per riapparire nel giardino attraverso i cespugli.
-Dove diavolo è? E’ possibile che non ci sia niente qui dentro?!- Spencer era agitata, metteva le mani ovunque in cerca di “qualcosa”, anche un semplice oggetto che la confortasse.
In fondo alla coda dell’elicottero trovo una pesante scatola di metallo, con la scritta “EMERGENZA”.
Spencer fece un urlo di gioia e tentò di aprire la cassetta, ma era bloccata da una serratura… che richiedeva una chiave, che lei non aveva.
-No… no! No! No!- lanciò la cassetta contro una parete e per la scossa cadde un paio di chiavi.
-Porca-!- fu interrotta dalla prostituta, che spingeva l’elicottero verso il baratro della foresta.
-Che diavolo stai facendo idiota?!- Spencer afferrò le chiavi in fretta e le inserì a fatica nella cassetta, sbloccandola.
Al suo interno c’era una pistola e dei razzi segnaletici.
La caricò e si gettò contro il finestrino.
La prostituta non era riuscita a far cadere l’elicottero.
-Non ti muovere lurida!- Spencer le puntava contro la pistola, mantenendo il dito minacciosamente sul grilletto.
-Fai un altro passo e sparo, e fidati che non ho alcun problema a farlo. Anzi, perché non ti muovi intenzionalmente? Mi divertirei a vederti bruciare…- la situazione aveva preso una svolta sorprendente.
Per una volta era Spencer a minacciare l’assalitore.
-Non sparerai sul serio Spencer, sappiamo tutti che non sai neanche utilizzare quella pistola- la prostituta avanzava.
-Ti avevo avvertito stronza- Spencer premette il grilletto.
La pistola fece schizzare una fiamma rosea verso la prostituta.
-Aah!- schivò il colpo con una giravolta verso Spencer.
-Mancata! Ah!- tentò di afferrare la pistola ma la ragazza si spostò velocemente.
-Mancata anche tu!- e le puntò ancora la pistola, un altro colpo schizzò via e questa volta la colpì nella gamba sinistra, bruciandole le calze a rete.
La pelle si liquefaceva in superficie mentre la prostituta gridava di dolore.
La pistola non aveva più colpi perciò Spencer la gettò a terra, mentre l’altra si contorceva dal dolore.
.....
Lily era al sicuro dietro ad una montagnetta di sabbia.
Insieme a lei c’era Valarie, che era riuscita a recuperare dalle scale, prima che diventasse un’altra vittima.
-Dov’è Spencer, Valarie?- le chiese poggiandole le mani sulle spalle.
-L’ho vista correre dentro la casa, non capisco perché, ma quella donna misteriosa la stava seguendo- rispose spensierata Valarie.
-Devo andare a prenderla, tu resta qui, ok?- Lily nascose la ragazza e corse verso la casa.
Il fuoco aveva raggiunto la porta, ma da lì la ragazza poteva vedere Spencer nel giardino.
Era troppo lontana per attirare la sua attenzione e il fuoco sovrastava i rumori.
-Merda, Spencer!- Lily si arrampicò su un albero e saltò sopra una fila di piante, portandosi a una collina che conduceva al giardino, circondato da una rete.
La prostituta si alzò ferocemente, il falcetto era caduto nel baratro e la pistola lancia razzi giaceva sull’asfalto.
Fece una mossa per prenderla e la caricò di un razzo che trovò dentro l’elicottero.
-Torna qui, prostituta!- gridò puntandola contro Spencer, che stava in prossimità della piscina, una volta scesa dalla piattaforma.
Lei si voltò di scatto.
-Spencer!!- urlò Lily saltando contro la rete che si sfondò sopra la prostituta.
Il colpo del razzo puntò alla testa di Spencer e la colpì di striscio, facendola crollare priva di sensi nella piscina.
La prostituta giaceva svenuta sul pavimento, Lily corse alla piscina, si gettò dentro e recuperò Spencer.
Le praticò la respirazione bocca a bocca e fece pressione sul suo petto. La ragazza si risvegliò vomitando acqua.
-Ce l’hai fatta! Ce l’abbiamo fatta…- Lily aiutò Spencer a rialzarsi e si fecero strada verso l’uscita…
.......
Giunte fuori dalla casa, le due si avviarono verso il mare.
-Grazie per essere tornata da me- disse Spencer a Lily –Sei la mia migliore amica, e io non ne ho mai avuta una!-
Lily l’abbracciò.
-Non potevo semplicemente abbandonarti, sei la persona più interessante di questo posto…- ribatté lei.
Le amiche risero, abbracciandosi forte.
Tutto d’un tratto Spencer fu trascinata sul pavimento da due mani apparse dal buio.
La prostituta era tornata. Lily rimase paralizzata, incapace di mettere a fuoco la situazione. Non aveva idea di come comportarsi.
-Non muori mai?!- urlò Spencer. La prostituta afferrò il falcetto, -Non oggi!- replicò, e strisciò la gola di Spencer.
-NO!!- Lily urlava in preda al panico.
-Smettila di recitare adesso- disse la prostituta.
-Ok, ok… ti ha ridotto male quella gamba. Ti fa male?- chiese Lily, la traditrice.
-Si che mi fa male. Mi ha sparato con una pistola lancia razzi!- rispose la prostituta.
-Togliti quella maschera adesso, ne ho abbastanza per oggi- il volto di Melody Speck era illuminato dalle fiamme della casa.
-Oh, quasi mi dimenticavo, ho nascosto Valarie dietro alle rocce là infondo. Se mi concedi l’onore…- Melody diede il falcetto a Lily.
-Non muovetevi!- gridò Cristopher Maxwell puntando una pistola contro le due assassine.
-Cris, avanti, è finita. Spencer è morta- disse guardandolo in faccia Lily.
-Ma c’eravamo messi d’accordo che anch’io avrei dovuto assistere mentre… la uccidevamo!- esclamò lui irritato.
-Placa le tue ire amore- Lily si avvicinò e posò le sue labbra su quelle del ragazzo. Lui le tastò il sedere.
-Ragazzi, potete evitare?- chiese Melody coprendosi gli occhi con la mano.
-Scusa… sorellona, sei gelosa?- Lily rise.
-Sei proprio una sgualdrina, lo sai? E tu Cris ci provi anche gusto! Mamma non sarebbe fiera di quello che state facendo, d’accordo la famiglia unita… ma questo!- Melody premeva sulla sua ferita insanguinata.
-Allora andiamocene, prima che arrivi la polizia- consigliò Cristopher.
I tre fecero il giro dell’isola e riesumarono un vecchio motoscafo.
-Speriamo che funzioni ancora- disse Cristopher.
-Non sai neanche se funziona?- esclamò Melody.
-Io e papà lo stavamo sistemando, se solo avessi aspettato un po’ per ucciderlo…- replicò lui.
-Meritava di morire, quel bastardo- Lily tossì –Un  giorno tentò di violentarmi- continuò.
-Sappiamo già questa storia Tracy- disse Melody.
-Non chiamarmi con quel nome orribile, Louise!- ribatté lei.
Un rombo tuonò nella quiete circostante.
-Funziona ragazze, il motoscafo funziona- Cristopher lo trascinò sull’acqua e insieme si avviarono lungo il mare.
-Quando torniamo ci sono un paio di cose, persone che vorrei sistemare- disse Tracy.
-Tipo quella Samantha della scuola?- chiese Melody.
-Esattamente- rispose la sorella.
-Tranquille, abbiamo tempo- intervenne Cristopher.
Il cielo s’irradiò di una luce rossa.
Dall’isola s’intravedeva una ragazza che manteneva le braccia alzate al cielo, stringendo qualcosa che emanava fumo. 
Stava lì, sapendo di avercela fatta.

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