Sogni perduti

di Mave
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuorigioco ***
Capitolo 2: *** Aerial ***
Capitolo 3: *** E la mia banda suona il rock ***
Capitolo 4: *** Vado al massimo ***
Capitolo 5: *** Alter ego ***
Capitolo 6: *** Un inizio difficile ***
Capitolo 7: *** Attrito ***
Capitolo 8: *** Il terzo giorno ***
Capitolo 9: *** La partita ***
Capitolo 10: *** (stra)ordinaria quodidianità ***
Capitolo 11: *** Cinema d'essai ***
Capitolo 12: *** Diritto alla normalità ***
Capitolo 13: *** Note liete e note stonate ***
Capitolo 14: *** Ognuno ha degli scheletri nell'armadio ***
Capitolo 15: *** Sogni perduti ***
Capitolo 16: *** La partita d'addio ***
Capitolo 17: *** Lavander's Blue ***
Capitolo 18: *** Staffetta ***
Capitolo 19: *** Rock Band ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Fuorigioco ***


Sfogliare quell'album, perdersi nei ricordi e nei rimpianti, era diventata quasi un'ossessione.

Era così che Leo passava tutti i suoi pomeriggi, ormai. Quel ragazzino fasciato in una maglietta troppo grande per lui con la zazzera scarmigliata dal vento e dal sorriso largo, con i denti a finestrella come conviene ad un bambino di otto anni, era diventato il suo unico compagno.

Sorrideva quel bambino, un piede su un pallone da calcio e una mano ad esibire, orgogliosa, una medaglia alla fotocamera che l'aveva immortalato. Forse quella foto era stata scattata in un polveroso campetto dell'oratorio, in un'afosa giornata d'estate nella quale ci si divertiva ad organizzare tornei amatoriali, di paese.

A nessuno importava chi avrebbe vinto perché quando si è bambini ci si diverte con poco. Si sogna e si sogna in grande immedesimandosi nei campioni più in voga e credendo di potere, un giorno, emulare le loro imprese sportive. E ci si convince pure di poterci riuscire mentre si corre, palla al piede, verso la porta difesa dal tuo amico che è più interessato a finire la sua merendina che la partita: quando si è bambini tutto sembra possibile, è facile sognare, tutto è speciale.

Questo ricordava a Leo quel bambino che gli sorrideva da un altro tempo. Dalla sua infanzia indimenticabile.

Leo aveva perseverato perché lui era uno che non si fermava davanti a niente: non lo abbatteva un rifiuto, non lo scalfivano le critiche, non lo illudevano le facili promesse. Voleva giocare a pallone, giocare sul serio e aveva passato ore, pomeriggi interi a fare della sua passione una vocazione finché la fortuna sembrava arridergli.

Alcuni osservatori di una squadra di serie B lo avevano visto giocare e gli avevano proposto di fare un provino. Certo non era una squadra dal nome altisonante o dal blasone affascinante ma sarebbe stato un buon trampolino di lancio.

La grande occasione, quella che capita una volta sola nella vita, l'occasione giusta per sfondare, era finalmente arrivata.

Ma si sa, la vita è infida e affonda i colpi peggiori proprio quando sembra che tutto andrà bene, che la strada sarà spianata.

Per Leo il colpo a tradimento il destino lo aveva sfoderato proprio nel momento più importante: quando il club aveva deciso di tesserarlo, di farlo crescere sportivamente nelle sue file, sua madre si era ammalata.

Allora era stato sul punto di rinunciare pur di stare accanto alla sua mamma. Era stata proprio la donna a non farlo demordere, ad invogliarlo a giocare, a migliorare e a vincere anche per lei.

E Leo si era impegnato, aveva lavorato in sordina, a testa bassa, purché la mamma fosse orgogliosa di lui. A lei aveva dedicato ogni gol segnato con la "Primavera", con i più giovani.

Ma non sempre le storie commoventi hanno un lieto fine e la storia di Leo presto si era trasformata in una tragedia nella tragedia.

Ricordava ogni minuto, ogni emozione di quel giorno: l'allenatore l'aveva convocato per aggregarsi alla squadra maggiore. Avrebbe potuto esordire in una partita vera, in un campionato vero, con tifosi veri. Se avesse giocato bene, magari, il suo nome sarebbe stato sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori l'indomani.... Era stato un attimo: un piede messo storto durante la seduta di rifinitura. Il medico sociale della squadra lo aveva portato in ospedale per una radiografia rassicurandolo lungo il tragitto: a tutti i professionisti capitavano infortuni come quelli.

Professionista! Leo era stato orgoglioso di sentirsi definire così. Probabilmente tutto si sarebbe risolto con una distorsione, un po' di gonfiore e la borsa del ghiaccio e il suo esordio in campionato sarebbe stato solo rimandato.

Se ne era convinto Leo quando il radiologo aveva detto che non c'era niente di rotto. Eppure avevano voluto sottoporlo, ugualmente, ad altri esami.

Leo non avrebbe mai dimenticato gli sguardi d'intesa tra i medici, l'espressione greve ed empatica della dottoressa che gli aveva dato la notizia.

La gamba non era rotta ma sarebbe stata una diagnosi dieci, cento, mille volte migliore di quella che lo avrebbe gelato, cambiato per sempre, da li a poco.

Tumore. Tumore alla tibia.

Cosa può esserci di peggio per un atleta, per un ragazzino che vuole solo continuare a sognare?

Per assurdo la prima cosa alla quale Leo aveva pensato era stata la regola del fuorigioco.

Il calciatore che si trova fuori posizione, che non può prendere parte al gioco, altrimenti la squadra avversaria riceverà un calcio di punizione a favore. Lui in quel momento era il giocatore tagliato fuori, messo k.o. non da un avversario sul campo ma da una subdola, terribile malattia.

E in quel momento, quando tutto il mondo gli era crollato addosso, sua madre, la donna che stava combattendo una battaglia analoga alla sua era diventato il suo fragile sostegno.

Quella battaglia parallela era troppo da gestire per Asia e per il loro papà e quando i medici avevano consigliato alla mamma di partire per tentare una nuova cura all'estero Leo ne era stato quasi sollevato e aveva insistito perché fosse il padre a partire con lei. Avere Asia era sufficiente per lui.

Così la famiglia si era smembrata: la mamma a combattere la sua battaglia lontano e Asia a crescere in fretta per sostituire quell'importante figura.

Leo chiuse con un tonfo l'album che raccontava di trionfi che aveva solo assaporato e mai vissuto. Fu un'ombra a distrarlo e quella dottoressa, la stessa che tempo prima gli aveva destinato quello sguardo empatico nel condannarlo, ora gli sorrideva.

"Su Leo me lo fai un sorriso? Le tue giornate da lupo solitario sono finite! Da domani avrai un compagno di stanza!"

Leo rispose con una smorfia infastidita. Non voleva scocciatori intorno.

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Capitolo 2
*** Aerial ***


Il viaggio in auto era stato tremendo. Nessuno aveva parlato all'interno dell'abitacolo e sincronizzarsi su qualsiasi stazione radio era un azzardo nemmeno da prendere in considerazione.

Erano state le ore più lunghe per Vale. Quelle fatte di dubbi, di speranze e di vane preghiere, quelle in cui la mente è focalizzata solo su quel pensiero fisso e fa mille congetture su come andrà, quelle in cui, quasi sempre, ci si aspetta il peggio e ci si tormenta rischiando quasi di impazzire. Erano state lunghissime quelle ore di attesa.

Attesa per cosa, poi? Per finire in ospedale.

Il ragazzo sorrise beffardo per la sua sorte mentre la madre, al posto di guida, svoltava l'angolo e già si intravedeva l'insegna luminosa, intimidatoria, del nosocomio.

Gioventù e malattia sono due parole che non dovrebbero mai stare nella stessa frase. E per lui, per lui che non aveva mai preso nemmeno un raffreddore, coniugare all'improvviso il verbo ammalarsi era stato spiazzante.

Lo aveva scoperto quasi per caso, per un dolore banale che si era rivelato qualcosa di più serio. Di molto più serio.

Da allora aveva messo tutto in stand by, si era ritrovato in un limbo indefinito, aveva smesso di ridere e di sognare.

Si era isolato da tutti e da tutto: la scuola, per lui che era sempre stato uno dei più bravi, era diventata una quisquilia, aveva fatto terra bruciata attorno a lui allontanando tutti gli amici, aveva chiuso il suo cuore ai genitori.

Aveva trascorso ore, pomeriggi interi in riva al mare. A contemplare quelle acque infinite che lo avevano fatto divertire, appassionare, sfidare con coraggio.

E lì, lì dove fino al giorno prima aveva legato i ricordi più belli e le prospettive più ambiziose per il futuro aveva, finalmente, trovato una sorta di sollievo.

Perché c'è una sorta di sollievo nel vuoto del mare. Né passato, né futuro.

E l'intravedere una distesa di acque azzurrognole lì a un tiro di schioppo da quel luogo d'inferno fu una sorpresa per Vale.

Continuò a fissare, dal finestrino, quello spettacolo inaspettato mentre sua madre parcheggiava.

Slacciò la cintura e scese dal posto passeggero come un automa, come ipnotizzato da qualcosa. Nora non ci fece caso mentre raggiungeva il cofano per recuperare il borsone: era abituata ormai ai silenzi di suo figlio.

Camminarono financo a fianco per qualche metro poi, quando avevano quasi raggiunto l'ingresso, Vale cambiò improvvisamente direzione.

Dapprima con andatura lenta, quasi vacillando, poi prendendo sempre più sicurezza fino a trasformare il passo esitante in uno veloce e, infine, in una corsa sfrenata.

Non sentiva i richiami di sua madre che gli correva dietro, l'obbligo impellente di rispettare le regole. Sentiva solo il vento sulla faccia e quel consueto sapore salmastro, di salsedine, che caratterizza tutte le città che si affacciano sul mare.

Si fermò, rosso in viso, solo quando i suoi piedi toccarono la sabbia. Non perse tempo a riprendere fiato ma, svelto, tolse le scarpe e riprese a correre sulla rena, fino a raggiungere la battigia.

Quello era il suo momento. Il regalo che il destino aveva voluto concedergli per incoraggiarlo.

L'acqua era ancora fredda ma non importava: bagnarsi, essere un tutt'uno con il mare che era stato suo amico e suo nemico, ricreare, un'ultima volta, quella simbiosi era l'unica cosa che contava.

Provava le stesse sensazioni di quando, sulla sua tavola da surf, aveva provato quella difficile manovra. Aerial la chiamavano gli intenditori.

Aveva cavalcato la cresta dell'onda fino a librarsi in aria, a uscire letteralmente dal mare, per pochi secondi, per poi rientrarci.

Stava succedendo la stessa cosa ora: quelli erano gli ultimi minuti di evasione, un fuori onda di breve durata. Si era librato in quella libertà che presto gli avrebbero strappato.

"Vale! Vale ma cosa ti è preso?"

Sua madre l'aveva raggiunto e ora aveva il fiatone. Lui non rispose, uscì dall'acqua e sedette sulla spiaggia giocando con i granelli di sabbia.

"Sei tutto bagnato!"

Notò con disappunto Nora.

"Lo odio!"

Era la prima lamentela, la prima accusa che sentiva uscire dalla bocca di Vale. Forse era uno sfogo che aspettava da tanto e fu quasi sollevata di sentirlo.

"Odio papà!"

Fu la successiva recriminazione che la spiazzò. Pensava che suo figlio si riferisse soltanto alla sua malattia.

"Ma perché dici queste cose? Papà ti vuole bene..."

"Non difenderlo, almeno. Se mi volesse bene ora sarebbe qui..."

La donna non seppe cosa replicare all'evidente verità.

"Lo odio. E mi odio. Odio questo fottuto tumore!"

Esplose all'improvviso come una bottiglietta con una bevanda gassata shakerata troppo a lungo. Si mise le mani sugli occhi e prese a singhiozzare come un bambino.

Dopo avergli dato qualche minuto per calmarsi, sua madre cercò di incoraggiarlo.

"Non voglio mai più sentirti parlare così. Nessuno può disprezzare mio figlio, nemmeno tu, intesi?"

Nora parlava dolcemente ma con determinazione.

Recuperò dalla borsa un foglietto di carta e una penna e li porse a Vale che la guardò interrogativo non sapendo cosa dovesse farsene.

"Scriverai un messaggio da mettere in bottiglia!"

Mostrò la bottiglietta che aveva a portata di mano.

"Un tuo sogno, un obiettivo da raggiunge, quello che vuoi e lo affiderai al mare. Il mare lo custodirà finché tu non avrai vinto la sfida più difficile. Perché tu vuoi farcela, vero tesoro?"

Solo ora Vale pensava che, in realtà, non si era mai posto quella domanda.

Annuì.

"Si mamma, voglio farcela. Voglio guarire!"

Disse determinato prima di scrivere il suo messaggio e lanciarlo nel vuoto del suo amato mare.

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Capitolo 3
*** E la mia banda suona il rock ***


Era sempre un risveglio in musica quello di casa Di Salvo. Le note soffuse e armoniose dal pianoforte in palissandro, pezzo pregiato dell'arredamento del soggiorno, si diffondevano per tutte le stanze.

Davide si ritrovava a sorridere quando Lilia lo svegliava a quel modo per poi accigliarsi e arrabbiarsi con sé stesso un attimo dopo: come poteva lasciarsi andare a tali sentimentalismi per quel mortorio di sonata?

Bach. Lilia diceva sempre che era l'ABC del pianoforte ed erano le opere del compositore tedesco che faceva suonare ai suoi studenti alle prime armi, così per fargli prendere dimestichezza con il piano.

Ci aveva provato anche con lui ma Davide aveva risposto picche. A lui non interessavano quei barbosi concerti classici, quei bigotti tutti infagottati nei loro abiti da sera che facevano follie per una serata all'opera, quei perbenisti che ti correggevano, ti criticavano e ti affossavano anche solo per una nota sbagliata.

No, davvero. A lui non interessava affatto far parte dell'élite della musica. Troppe regole, troppe cose da imparare...

Così aveva risposto alle insistenze di Lilia con un deciso :"no, grazie!" e la questione era stata chiusa per sempre.

Per lui fare musica doveva servire ad altro. A divertirsi e a cambiare il mondo.

E certe volte sognava fosse possibile fare entrambe le cose: forse ci sarebbe riuscito, forse, un giorno, avrebbe fondato la sua band.

Una rock band di tutto rispetto; un power trio: cantante-chitarrista, batterista e bassista.

Un trio delle meraviglie pronto a dare spettacolo negli stadi, nelle piazze, in tournee, a far cantare a squarciagola le sue hit di successo ai fans in delirio.

Dischi d'oro, di platino...e chissà quanti altri riconoscimenti!

Davide gongolava mentre fantasticava sul suo ambizioso progetto, mentre la mente ricamava le sue fantasie senza porsi limiti, senza tener conto delle difficoltà...Perché di difficoltà nel formare la band ce ne sarebbero state, anche più di una.

Innanzitutto doveva trovare gli altri componenti del gruppo. Impresa non semplice per uno che non aveva amici.

Questo era il paradosso della vita di Davide in quel momento: il ragazzo più popolare, più corteggiato, più imitato, più temuto e, diciamocelo pure, più stronzo della scuola non aveva amici.

Il suo gruppetto era composto per lo più da bulletti che poteva comandare come tante marionette e che gli obbedivano soprattutto per non avere rogne. O lo rispettavano o lo odiavano: non c'erano mezze misure tra i compagni di scuola.

Certo lui ci metteva del suo per non farsi sopportare, per risultare antipatico ai più con il suo carattere arrogante eppure era fermamente convinto che tiranneggiare fosse l'unico modo per non farsi prevaricare ma per prevaricare sugli altri. Era una specie di celebrità a scuola e questo bastava.

Si preparò per la scuola mentre risuonavano le ultime note di Bach. Appena Lilia lo intravide scendere le scale, smise di suonare per preparargli la colazione.

Voleva bene a Lilia. Non era la classica matrigna, quella arcigna e brutta delle favole.

No, Lilia gli voleva bene quasi fosse stata la sua mamma.

"Non faccio colazione. Non ho fame!"

Anticipò. In verità si sentiva strano quella mattina.

La donna lo guardò preoccupata.

"Prendi almeno una brioches. La mangerai per strada!"

Davide l'accontentò per non dare vita ad inutili interrogatori.

"Ti accompagno? Tra poco esco anche io?"

"No, vado a piedi!"

"A dopo, funghetto!"

Lo salutò Lilia scompigliandogli i capelli. Lo irritava quel soprannome ma detto da lei lo poteva anche sopportare.


Fu una mattinata come da copione a scuola: spiegazioni noiose, compito in classe, interrogazioni a sorpresa.

E sembrava avrebbe rispettato il copione anche l'ora di educazione fisica con il gruppetto capitanato da Davide pronto a prendere di mira il malcapitato Mirko, il compagno in sovrappeso, l'anello debole.

"Passa la palla, ciccione!"

Apostrofò il compagno e non si sarebbe stupito se quello l'avesse calciata con tanta foga da spedirgliela sullo stomaco.

Invece non fece in tempo a ricevere il passaggio. Le voci dei compagni divennero, all'improvviso, un suono indistinto; i loro volti si offuscarono e un dolore sordo al petto fu l'ultima cosa che sentì prima che tutto diventasse buio.

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Capitolo 4
*** Vado al massimo ***


Alla fine era successo. Si era avverata quella nefasta profezia che il nonno cercava sempre di scongiurare quando quell'imprudente aiutante si presentava in officina.

"Tony vai piano! Mani sul manubrio o non andrai lontano! Oh pensaci tu onnipresente San Gennaro!"

Erano le raccomandazioni e l'originale invocazione che il vecchio meccanico ripeteva giornalmente come ad investire una speciale protezione per quel nipote così dinamico.

D'altronde per Tony era impossibile star fermo così, presto o tardi, finiva sempre per cacciarsi nei guai.

Poteva sapere che un giretto in motoretta , su quel gioiellino che aveva rimesso in moto con le sue stesse mani sarebbe finito a quel modo, cacciandolo in guai serissimi ?

Non aveva frenato in tempo e, fortuna aveva voluto, si trovasse a guidare su una stradina di campagna, non asfaltata e polverosa ma poco trafficata se non da qualche trattore o camion di passaggio.

Tony aveva perso il controllo dello scooter ed era ruzzolato giù per una scarpata, non troppo in pendenza.

Uno di quegli incidenti spettacolari che si vedono le domeniche nei MotoGP: pilota da una parte e moto dall'altra. Solo che per Tony, senza protezioni, senza patente, senza esperienza, rimettersi in piedi sembrava un'impresa titanica. Guardò la gamba dove i pantaloni si erano strappati e pensò ci fosse qualcosa di rotto: faceva davvero, ma davvero, male!

"Tony! Tony! Benedetto ragazzo!"

Suo nonno gli era corso incontro come succedeva spesso quando le bravate di Tony si concludevano in maniera così grottesca. Un finale alla Wacky Races.

E questa volta la corsa pazza di Tony si era conclusa davvero in maniera tutt'altro che umoristica proseguendo su un'ambulanza che lo avrebbe portato in ospedale.

Beh, a dirla tutta, lui un giro in ambulanza non lo aveva mai fatto! Pensò lo scugnizzo capace di cogliere il lato positivo in ogni cosa, anche nelle disgrazie.

Frattura alla gamba, ustione al polso procuratasi mentre cercava di controllare la moto, e prognosi di quaranta giorni. Poteva andare molto peggio!

Gli disse il dottore che lo medicò al Pronto Soccorso.

Lo avrebbero tenuto in osservazione per qualche giorno, forse per qualche settimana.

E se i dottori lo tenevano in ospedale, lui doveva tenere la bocca chiusa: nessuno doveva scoprire, per nessuna ragione, come era maturato davvero il suo incidente.

Guida di minore.

Lavoro in nero.

Suo nonno rischiava denunce serie e addirittura di perdere la patria potestà.

"Non dire a nessuno che guidavi la moto, intesi Tony?"

Si era raccomandato più volte suo nonno. E il ragazzino aveva fatto giurin giurello.

"E questa è la tua stanza!"

Annunciò il medico che lo aveva visitato prima. A Tony non sembrava un vero medico ma decise di tenere per sé le sue impressioni.

Lì, in camera, steso su uno dei due letti c'era un altro ragazzino con le cuffie alle orecchie.

Tony lo squadrò per benino senza che quello battesse ciglio e poi tirò il dottor Carlo per il camice.

"A me pare che abbia tutto a posto...Non vedo ingessature."

"Questo non è il reparto di ortopedia, Tony. Diciamo che è un reparto per ragazzi. Lui, Davide, è arrivato questa mattina!"

"A me pare stia bene! Oh non sarà mica un finto malato come tu sei un finto dottore?"

Fece con arguzia.

"Beh io sono uno specializzando: tra poco sarò un dottore a tutti gli effetti. E Davide ha avuto un malore stamattina: non sappiamo ancora cos'abbia. Trattalo bene: è piuttosto suscettibile!"

Bisbigliò il dottor Carlo prima di dare una pacca a Tony e tornare ai suoi doveri.

Tony continuò a fissare, con insistenza, il compagno di stanza. Solo uno stupido non si sarebbe accorto che moriva dalla voglia di fare la sua conoscenza.

E Davide, che stupido non era ed era anche abbastanza irritato, si tolse le cuffie sbottando:

"Si può sapere che cavolo vuoi?"

"Mio nonno dice che è sempre buona educazione presentarsi!"

Fece Tony allungando la mano verso l'altro ragazzo.

"E sai a me che mi frega di quello che dice il tuo vecchio?"

Tony non se la prese, anzi.

"Io sono Tony!"

"Ma chi te la chiesto? Ma pensa te se in una giornata di merda come questa dovevo imbattermi anche in un rompipalle come te!"

Lo aggredì Davide.

"Hai un caratteraccio, te lo hanno mai detto. Comunque: scontroso è sinonimo di curioso, ricordatelo!"

Lo apostrofò il buon Tony. Ma come faceva a restare così calmo, disponibile e amichevole dopo il modo burrascoso in cui erano avvenute le presentazioni?

A scuola lo avrebbero mandato a quel paese o gli avrebbero voltato le spalle dopo appena due secondi.

"Beh non so cosa vai blaterando, comunque io mi chiamo Davide!"

Rispose, infilandosi le pantofole per uscire dalla stanza. Quel Tony gli risultava quasi simpatico: era riuscito a tenergli testa senza offenderlo.

******* *******

Ringrazio chi ha letto fin qui, chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Un grazie speciale ad angelobiondo99 per le recensioni^^ Se qualcun altro vuole seguire il suo esempio io non mi offendo mica :) Non siate timidi XD

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Capitolo 5
*** Alter ego ***


Asia passava tutte le mattine in ospedale per fare colazione assieme a Leo: un tazzone di latte, una fetta biscottata spalmata di marmellata, due chiacchiere per cominciare la giornata insieme. Per mantenere una parvenza di quella normale quotidianità andata perduta da quando Leo e la mamma si erano ammalati.

Facevano una telefonata alla mamma, si assicurava che a suo fratello non mancasse niente e poi, via, di corsa all'università.

Era una vita faticosa in cui barcamenarsi per una ragazza di diciannove anni ma Asia non si lamentava mai, anzi arrivava sempre con un sorriso radioso stampato in faccia e un regalo per il fratello. Quella mattina aveva portato la copia di un giornale sportivo.

"Oggi arrivano ospiti! Pare che avrò un nuovo compagno di stanza!"

Annunciò Leo gettando appena un'occhiata al giornale per poi arrotolarlo e posarlo a lato del letto.

Con tutti gli altri che erano transitati per quella stanza non era andata affatto bene. E anche stavolta non era troppo ottimista.

"L'ottimismo è il profumo della vita!"

Asia ripeté lo slogan di una vecchia pubblicità.

"Comunque se ti chiudessi di meno a riccio sono sicuro che riusciresti a farti degli amici anche qui dentro!"

Sentenziò la ragazza. Un tempo non era così: un tempo suo fratello era così socievole ed espansivo che era naturale vederlo attorniato sempre da tanti amici. Ovviamente pensò bene di tenere quell'osservazione per sé.

"E a che serve farsi degli amici qui dentro? Loro vanno e io resto. La storia finisce sempre così!"

Recriminò, realista, Leo.

Dopo aver avuto l'ultima parola, la colazione proseguì in silenzio.

Fu quando Asia aveva iniziato a riordinare le sue cose per andare via che il nuovo ragazzo arrivò.

Dapprima Leo riconobbe lo stridere della sedia a rotelle sul pavimento e si stupì nel vedere la carrozzina spinta da Jonny, uno degli infermieri, vuota.

"Ti ho portato un nuovo amico, Leo!"

Annunciò Jonny. Accanto a lui camminava una donna ben curata, con le braccia occupate da cartelle cliniche e borsone. Dietro ai due faceva capolino un ragazzino con i jeans, una t-shirt e un berretto da baseball in testa.

Un normalissimo teenager. Fu l'impressione di Leo.

Poi lo osservò più a fondo e quello che vide fu un tuffo nel passato: nello sguardo stanco, perso, smarrito di quello sconosciuto riconosceva un suo alter ego.

Fu un'altra cosa però a colpirlo: quel ragazzino indossava dei vestiti completamente fradici.

"Ciao Leo!"

Sorrise cordiale la donna che già si affaccendava a sistemare le cose del ragazzo. Probabilmente era sua madre.

Questa osservazione trovò conferma quanto lesse negli occhi di Asia la stessa nostalgia che aveva avvertito lui.

"Beh Leo è sempre popolare. Io sono Asia, la sorella della star!"

Cercò di mettere a proprio agio i nuovi arrivati la ragazza.

"Io sono Nora. Lui è Valentino!"

Rispose cordiale la donna stringendo la mano di Asia mentre il figlio si era avvicinato alla finestra, che affacciava sul mare, estraniandosi.

"Vale! Vale è sufficiente!"

Zittì sua madre pronunciando le prime parole.

"Hai deciso di fare la doccia con tutti i vestiti addosso prima di venire qua?"

Non poté fare a meno di provocarlo Leo ricevendo un'occhiataccia di rimprovero da parte di Asia, che ovviamente finse di non cogliere.

"Sono stato al mare!"

Non era una battuta. Leo lo capì appena Vale si voltò nel rispondere e vide i suoi occhi brillare di quello stesso scintillio che avevano i suoi quando parlava di calcio.

Capì che Vale, così impacciato e allo stesso tempo così determinato, era diverso da tutti quelli che erano passati da lì. Gli stava già addirittura quasi simpatico quel ragazzino.

"Io devo andare ora! Ci vediamo stasera!"

Salutò Asia che era già in ritardo. Nora si assentò assieme a lei: c'erano ancora delle formalità da sbrigare nelle carte del ricovero.

"Fossi in te toglierei quei vestiti bagnati: ti beccherai sicuramente un malanno! Guarda nell'armadietto dovrebbe esserci un pigiama!"

Il ragazzino lo guardò stranito, restio a cambiarsi.

"Beh guarda che quella è la mise più in voga per chi sta in ospedale!"

Cercò di scherzare Leo. Vale abbozzò un sorriso cercando una t-shirt asciutta nel suo borsone.

"Che malattia hai?"

Chiese a bruciapelo Leo. L'altro si drizzò e lo guardò dritto negli occhi.

"Ho un tumore!"

In fondo doveva aspettarselo eppure la notizia quasi impietosì Leo. Sapeva benissimo cosa quel ragazzino avrebbe dovuto passare.

"Lo hai scoperto da tanto?"

Vale si strinse nelle spalle.

"Da abbastanza per poter iniziare la chemio!"

Calò di nuovo il silenzio e quella distanza di fondo sembrò allontanare, di nuovo, i due ragazzi.

Fu Carlo, il simpatico ed empatico specializzando, a riavvicinarli involontariamente.

Dopo un simpatico siparietto con Leo che non si esimeva mai dallo sfottere il simpatico dottore, questi sganciò la notizia:

"Domani inizi la chemio, Vale!"

Il diretto interessato non batté ciglio e finse di essere preparato all'ovvio.

"Domani inizia il divertimento!"

Lo apostrofò, sarcastico, Leo quando rimasero nuovamente soli trincerandosi dietro la lettura del quotidiano che gli aveva lasciato Asia.

Vale gli destinò un sorriso tirato e restò sulle sue. Leo, sebbene fingesse indifferenza, poteva sentire il suo respiro irregolare e accelerato: Vale aveva paura, lo sentiva, lo percepiva, lo sapeva.

"Fa davvero così schifo come raccontano?"

Che Leo fosse capace di dargli delle rispose sincere era palese. Come evidenti erano i segni che i cicli di chemio avevano lasciato sul suo corpo.

Chiuse il giornale e si voltò verso il compagno di stanza. Ora Vale si era fatto più sicuro e non aveva remore a mettere in piazza le sue paure.

"Ho fatto delle ricerche su internet, ho cercato do documentarmi: la nausea, la caduta dei capelli...a queste cose sono preparato...O almeno credo...."

"Non si è mai pronti ad affrontare un tumore. Si è rassegnati, piuttosto. Sarà strano: durante le prime sedute potresti addirittura non accorgerti di niente poi più si va avanti più ci si sente peggio..."

Notò lo sguardo spaventato di Vale.

"Su non è detto che anche per te sarà così! I sintomi variano da persona a persona e magari sarai più fortunato di me! Credimi ne ho visti tanti nel reparto di oncologia e nessuna storia è uguale ad un'altra!"

Cercò di risollevargli il morale Leo, un incoraggiamento che, tuttavia, non giunse a Vale.

"Forse è come dici tu. Forse. Ma forse è meglio non ammalarsi mai!"

Concluse girandosi sulla schiena e fissando lo sguardo oltre la finestra. Oltre quello spazio chiuso, oltre quella prigione . Sull'azzurro del cielo e del mare, del suo mare che si fondevano in unica linea.

*** ***

Ringrazio quanti leggono questa storia, chi l'ha inserita tra le preferite e le seguite.

Un grazie speciale a Marty^^

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Capitolo 6
*** Un inizio difficile ***


C'erano due stanze per la chemio: una, più piccola, con sedie e lettini; l'altra, più spaziosa, arredata di alcune poltroncine e di un televisore con i pazienti ( poco pazienti, in verità) che bofonchiavano non trovandosi d'accordo sul canale sul quale restare sincronizzati.

Vale si affacciò a quel mondo nuovo con la stessa apprensione e l'inesperienza di chi si accinge a studiare qualcosa di sconosciuto.

Il fatto che quei malati si "azzuffassero" verbalmente per uno stupido programma in tv lo spiazzò. Nora, onnipresente, gli mise una mano sulla spalla in una sorta di cenno di incoraggiamento e lo esortò a farsi avanti.

L'inizio di quella giornata era già stato abbastanza difficile: suo padre gli aveva dato di nuovo forfait, aveva dovuto sostenere un colloquio con l'oncologo e un prelievo di sangue che era stato mandato immediatamente in laboratorio.

"Tu sei Valentino, giusto? Io sono Ester...vieni, puoi accomodarti qui!"

Un'infermiera dal sorriso gentile gli indicò una delle poltroncine. Vale esitò un attimo e poi, in una muta richiesta, si accertò che sua madre non lo lasciasse.

"Di solito non sono ammessi i parenti o gli accompagnatori durante le sedute ma la prima volta si fa sempre un'eccezione! La mamma può restare finché non ti rilasserai un po'..."

Il ragazzo non rispose. Come poteva rilassarsi se aveva i nervi a fior di pelle?

Sistemò lo zainetto che si era portato dietro ai lati della poltroncina: un lettore cd, un libro e il suo immancabile album con matita annessa. Lo avevano avvisato che la giornata sarebbe stata lunga!

"Hai fatto un'abbondante colazione prima di venire qui?"

Cibo leggero e asciutto. Niente da bere.

"Ci ho provato!"

"Beh bisogna essere a stomaco pieno! Hai portato qualcosa da sgranocchiare con te?"

Aveva un pacchetto di grissini. Ester lo informò che gli sarebbe potuta venire fame ma anche questa eventualità gli sembrò irrealizzabile.

Tre flaconi. Il primo per prevenire la nausea e per lavare la vena; il secondo la chemio vera e propria, il terzo lavaggio della vena.

Letto così, sugli opuscoli informativi, era sembrato un procedimento lungo, pedante ma, allo stesso tempo, impersonale.

Solo quando scoprì il braccio, Ester legò il laccio emostatico e iniziò a sbatacchiare per trovare la vena e inserire l'ago a farfalla, Vale realizzò: stava succedendo, era una cosa che stava vivendo sulla sua pelle per davvero.

Ingoiò la saliva e distorse lo sguardo per non mettersi a piangere come un bambino.

Ester regolò la flebo e si raccomandò di essere avvisata appena il flacone fosse arrivato a metà.

Nora passò una mano sui capelli del figlio.

"Tranquillo Vale!"

"La fate facile voi, voi che ve ne uscite sempre con queste frasi fatte; stai calmo, andrà bene...Ma come faccio a stare tranquillo con questo coso nel braccio e sapendo che chissà quanti altri giorni come questo dovrò sopportare?"

L'improvviso sfogo imbarazzo gli altri pazienti, quelli più vicini che avevano potuto raccoglierlo. Poteva sembrare un bambino capriccioso ma non gliene importava niente.

"Pensa a qualcosa di bello. Una vacanza, un gioco... Pensaci così intensamente finché non ti sembrerà di essere altrove...In un posto bellissimo e pieno di sole piuttosto che in questa stanza grigia!"

Anche Nora aveva le lacrime mentre proponeva quel gioco per distrarre il suo bambino.

Vale chiuse gli occhi e si sforzò: provò ad immaginare il mare, i suoni, il frusciare delle onde; i profumi e i rumori dell'estate soffiati in una conchiglia.

Una conchiglia. Una visione romantica, l'idea dello sciabordare delle onde in quella spirale mozzafiato.

"Puoi prendermi il mio album?"

Chiese a sua madre, colto da un'ispirazione improvvisa. Avrebbe saputo riprodurre le fattezze di quella struttura così affascinante anche ad occhi chiusi.

Nora lo accontentò e più la matita tratteggiava linee sempre più definite più Vale si estraniava, si concentrava fino ad essere assorto completamente dal disegno.

"Io vado a fare una telefonata a papà! Torno il prima possibile!"

Non lo spaventava più neanche restare da solo.

Intento nel suo lavoro non si fece distrarre dagli altri, da uomini e donne poco propensi a parlare, da un andirivieni ripetitivo e flemmatico.

Alcuni, quelli che la chemio aveva già fiaccato, si muovevano sulla sedia a rotelle perciò Vale non prestò particolare attenzione a un ragazzino che, proprio sulla carrozzina, gli si era avvicinato e fissava il suo disegno.

Istintivamente l'artista, geloso della sua creazione, sottrasse il foglio alla curiosità di quell'intruso.

"Ma lo sai che disegni da Dio! Non è che per caso ti chiami Vincenzo?"

Era un ragazzino dalla parlantina sciolta e dal colorito vivace: come malato era decisamente poco credibile.

"Perché?"

Chiese Vale, confuso da quella domanda insolita.

"Vincenzo come Van Gogh, poi perché gli olandesi lo chiamassero Vincent sono affari loro..."

Il ragazzo sulla poltroncina trattenne un risolino.

"No, io mi chiamo Valentino ma per gli amici facciamo Vale!"

Gli venne istintivo rivolgerglisi come se fosse stato un amico di vecchia data. Quel ragazzino esuberante e vitale gli ispirava ottimismo: allungò la mano per ovviare alle presentazioni.

"Ah come il mitico dottore!"

"Qui dentro c'è un dottore che ha il mio stesso nome?"

Si interessò Vale: quella conversazione inaspettata era un diversivo piacevole.

"No, non che io sappia. Io mi riferivo al mitico Vale...Valentino Rossi!"

Rispose euforico Tony stringendo i pugni come a mimare i manubri di una moto.

"E tu come ti chiami?"

"Io? Antonio...ma per te facciamo Toni....Come il mitico bomber in Germania 2006!"

Vale ci pensò su un attimo: il nuovo amico faceva dei paragoni davvero bizzarri eppure era proprio questo a divertirlo, a fargli scordare la chemio.

"Il calciatore? Ma non si chiamava Luca?"

Toni si strinse nelle spalle.

"C'avrà due nomi. Alcune persone, che ne so principesse, re e regine ne hanno perfino otto o dieci!"

Per la prima volta, dopo mesi, Vale scoppiò a ridere. Una risata di cuore, spontanea, insolita...così insolita che gli altri ricoverati si voltarono verso i ragazzi con aria di rimprovero.

"Perché sei qui? Non te la passi troppo bene, vero?"

La schiettezza e la semplicità di Toni arrivavano dritte al cuore. Vale torno serio e scosse la testa: non aveva bisogno di spiegare.

"E tu, tu perché sei qui? Non sembri affatto adatto a questo posto!"

"Toni quante volte devo dirti di non lasciare il tuo reparto per andartene a zonzo per l'ospedale? Non puoi stare qui!"

Ulisse che aveva cercato il ragazzo in lungo e largo li raggiunse con il fiatone.

"Cercavo un signore. Uno che una volta c'aveva un'officina: può trovarmi dei pezzi per la mia moto ma se n'è già andato!"

"Beh è ora che anche tu vada se non vuoi cacciarti nei guai!"

Stupide, pallose regole!

Pensò Vale indignato: non gli andava proprio di restarsene di nuovo da solo.

"Aspetta! Possiamo parlare insieme qualche altra volta?"

Lo frenò Vale appena Toni girò la sua sedia a rotelle per obbedire all'infermiere.

"Certo. Io sono uno spirito nomade, figurati se riesco a starmene zitto, buono e fermo nonostante l'ingessatura. Se mi dici qual è la tua stanza appena potrò sgattaiolare dalla mia verrò a trovarti!"

Vale si sentì alleggerito: gli diede le informazioni.

"Non mi hai nemmeno detto come ti sei fatto male!"

"Te lo racconterò la prossima volta. Ho tante storia da raccontare io, sai?"

Anticipò Toni salutandolo.

Vale sorrise e aveva quel bel sorriso stampato in faccia anche quando tornò Nora.

"Hai trovato un nuovo amico?"

Chiese la donna incuriosita da Toni.

"Forse!"

Si strinse nelle spalle Vale e lo strazio di quella giornata gli sembrò più tollerabile.

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Capitolo 7
*** Attrito ***


Il terrazzo che affacciava sul tetto dell'ospedale era il posto preferito di Leo: lì si rifugiava sempre quando doveva assorbire una brutta notizia, quando doveva riflettere o quando, semplicemente, voleva stare da solo.

Era stato arrangiato uno sgangherato campetto di calcio con delle reti di fortuna anche se erano pochi i giovani ricoverati che avevano voglia di giocare. Quel posto ricordava a Leo il suo passato, quello che sarebbe potuto diventare, i suoi sogni di gloria infranti troppo presto.

Si avvicinò al muretto e si sporse a guardare il panorama: i tetti delle case e il mare sullo sfondo la facevano da padrone.

Sembrava un mondo lontano, irraggiungibile, diverso e strano eppure era tutto ad un tiro di schioppo da lui: lui costretto in quella gabbia fatta di divieti, di controlli e costrizioni circondato dalla bellezza, dalla libertà, dal mondo vero!

La voglia di scappare, di correre per strada fregandosene di tutto e di tutti lo sopraffece : ogni volta quello spettacolo gli provocava emozioni forti.

Pensò alla promessa fatta alla mamma, la promesse reciproca: quella che sarebbero guariti entrambi.

Pensò a Vale e al momento da schifo che stava vivendo: certamente avrebbe avuto bisogno di lui.

Pensò alla sua gamba e a quel dannato tumore.

Come sempre accadeva quando pensava al perché si trova in ospedale si sentiva legato a quel posto a doppia catena. Scappare: per cosa? Per dove?

No doveva guarire. L'aveva promesso e lui era uno di quelli che non vengono meno ai patti.

Eppure c'era una nuova minaccia a scalfire i suoi buoni propositi, una probabilità che poteva concretizzarsi in una possibilità tremenda: il tumore stava regredendo, anzi stava diventando più aggressivo. E se le cose non fossero migliorate si profilava un'unica, crudele, opportunità per guarire completamente: amputare.

Leo sentì un brivido lungo la schiena mentre immaginava come avrebbe potuto essere la sua vita dopo e si chinò sul marmo con un sospiro.

Solo allora si accorse di non essere da solo. Dall'altro lato del terrazzo un ragazzino, dall'aria imbronciata e scontrosa, aveva iniziato a prendere a calci un pallone dimenticato lì chissà da chi: l'intruso se n'era restato in silenzio fino a quel momento per questo Leo era convinto di essere da solo. Sorpreso si imbambolò ad osservarlo mentre l'altro eseguiva una serie di palleggi.

A Davide non piaceva essere guardato e non fece molto per nascondere il suo fastidio.

"E te, con quella testa a lampadina, cos'hai da guardare? Fatti un po' gli affari tuoi!"

Una delle cose di cui anche Davide si rendeva conto e che cercava di smussare del suo carattere era il fatto che, oltre ad essere arrogante, spesso era anche offensivo nel mettersi sulla difensiva già al primo approccio verso gli altri.

"Ma chi t'ha chiesto niente! Questo è un luogo pubblico..."

"Allora circolare. Guarda quanto spazio che hai per farti le tue paranoie non c'è bisogno che te ne stai impalato a fissare me!"

A Leo quel tipetto non andava proprio a genio.

"Ma guarda te che soggetto! Senti bamboccio oggi non è aria: se sei incazzato con il mondo io lo sono più di te quindi vedi di andare a frignare da qualche altra parte!"

Davide non si era mai trovato a confrontarsi con qualcuno che gli tenesse testa e quella discussione che iniziava ad infiammarsi sarebbe certamente finita in zuffa se una dottoressa non fosse venuta a cercare Leo.

"Per oggi ti è andata bene!"

Rise sprezzante Davide, sicuro del fatto suo. Leo non replicò e si augurò, in cuor suo, di non dover avere mai più niente a che spartire con quello lì.


Non poteva assolutamente immaginare che, appena mezz'ora dopo, se lo sarebbe ritrovato nella sala per le TAC.

In verità gli fece un po' compassione quando lo vide esitare dinnanzi al contenitore con il liquido di contrasto.

"Se continui a fissarlo non caverai un ragno dal buco. Butta tutto giù d'un sorso!"

Suggerì volendo dimostrarsi gentile. Lui sapeva bene quanto fosse disgustoso quel primo assaggio.

"Ancora tu? Non ho bisogno dei tuoi suggerimenti, zio Fester!"

Ancora una volta Davide replicò con una battuta offensiva per poi pentirsene immediatamente appena vide Leo rabbuiarsi, spazientirsi, girare la sedia a rotelle con l'intenzione di non voler avere più nulla a che fare con lui.

In fondo, pensò, se non aveva amici la colpa era esclusivamente sua e del suo caratteraccio: quel ragazzo non stava bene, lo si vedeva benissimo, eppure aveva avuto la bontà di interessarsi a lui, di tentare un approccio amichevole dopo l'attrito avuto sul terrazzo.

Attrito: la resistenza che incontra un corpo rispetto ad un altro corpo con cui viene a contatto. Era fisica, era la sua vita.

Facendosi un bell'esame di coscienza passò la mezz'ora sotto la macchina che esaminava il suo cuore: l'impressione era che i medici non stessero capendo un accidente sulla natura del suo malore.

Doveva chiedere scusa al pelato. Sarebbe stato difficile ribassarsi a tanto ma sarebbe andato a cercarlo e avrebbe fatto quel primo, importantissimo passo.

Con questi buoni propositi Davide si avviò speranzoso a ritirare la sua Tac: avrebbe dovuta portarla lui in reparto per carenza di personale quel giorno. Alla reception trovò anche Leo che già aveva la sua busta in mano.

"Allora era buono il drink?"

Leo non sembrava più in collera con lui. Forse la sua domanda era solo un po' ironica ma non cattiva.

"Bleah!"

Fece Davide disgustato attirandosi una risata per risposta.

"Senti Caparezza mi dispiace per esserci andato giù pesante prima con te!"

Vuotò il sacco tutto d'un fiato Davide senza guardarlo negli occhi.

"Oh certo che a non essere stronzo non ci riesci proprio ma già il fatto di aver chiesto scusa è una gran cosa! Comunque non c'è bisogno che ti inventi un nome originale ogni volta che mi vedi, basta che mi chiami Leo!"

Il ragazzo tese la mano e Davide la strinse esitante.

"Davide!"

"Davide: dov'è Golia?"

"Chi è che adesso fa battute stronze?"

Scoppiarono a ridere seppellendo l'ascia di guerra.

"Senti Davide che ne dici di una gara? Vediamo chi arriva prima all'ascensore!"

Detto fatto si ritrovarono a premere il pulsante quasi contemporaneamente.

Dentro l'ascensore Davide continuava a fissare la busta con le sue analisi, tentato nell'aprirla.

"Perché sei in ospedale?"

Chiese Leo. Il riccio si strinse nelle spalle.

"Boh, sono stato male mentre giocavo a calcio a scuola ma i medici non ci capiscono un cazzo!"

Bonjour finesse! Avrebbe voluto stuzzicarlo Leo ma lasciò correre.

"Beh dai tempo al tempo. Vedrai che ti faranno uscire presto fuori da qui!"

"E te? Beh si intuisce perché sei qui..."

Divagò Davide appoggiandosi contro la parete.

"Già: tumore alla tibia. Qui dentro c'è il responso: avrò ancora due gambe, tra qualche mese, o no?"

Rispose ironico Leo ma gli si leggeva benissimo l'ansia in faccia.

"Cavoli: come fai a non voler sapere una cosa di queste? Io al posto tuo avrei già strappato quella busta da un pezzo!"

Davide aveva ragione e ora Leo non riuscì più a restare sulle spine.

"Facciamo così: al mio tre ognuno leggerà il proprio responso!"

Davide annuì convinto e, con uno strappo deciso, liberò dal plico gli esiti della sua Tac. Leo lo imitò.

"Uno...Due...Tre..."

Girarono il foglio e lessero con aria contrita e con il cuore in gola.

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Capitolo 8
*** Il terzo giorno ***


Leo sincronizzò le lancette del suo orologio da polso e decise: avrebbe atteso ancora un minuto e poi avrebbe bussato.

Era da un quarto d'ora buono che Vale era chiuso in bagno e non ci voleva nemmeno troppa fantasia per indovinarne il perché, soprattutto per lui che c'era già passato: sentì l'altro tossire, poi il rumore dello sciacquone, dell'acqua scrosciare dal rubinetto e poi silenzio. Un silenzio spettrale, di tomba, che lo impensierì: ruppe ogni indugio e, con due balzi, si ritrovò a bussare alla porta del bagno.

"Vale! Vale tutto bene?"

Nessuna risposta. Che non andasse bene niente lo sapeva benissimo.

"Dai Vale, aprimi. Sono Leo!"

Non si diede per vinto, cercando di persuaderlo con tono convincente: magari Vale aveva solo bisogno di una mano ma non sapeva come chiedere aiuto.

Finalmente, dopo attimi che parvero interminabili, sentì la serratura scattare e il viso, pietosamente pallido, dell'altro fece capolino. Vale sembrava di colpo più vecchio di dieci, se non addirittura, di vent'anni e, non riuscendo a reggersi in piedi si lasciò scivolare lungo le mattonelle a ridosso della parete interna.

"Non riesco a tornare a letto! Questi quattro passi sembrano un'impresa che se nemmeno dovessi scalare l'Everest!"

Articolò lentamente quasi che anche parlare fosse una faticaccia. Leo gli si accoccolò di fianco e fece per sorreggerlo con l'intenzione di farlo rimettere in piedi.

"Dai scemo, ti aiuto io! M'avessi chiamato da prima invece di startene rintanato qui da quasi mezz'ora!"

Disse con il sorriso migliore che riuscì a stamparsi in faccia. Ricordava bene tutto quello che stava passando adesso Vale e l'esito dell'ultima risonanza non gli dava grandi motivi per essere allegro. Nonostante questo voleva dimostrarsi ottimista con il suo compagno di stanza.

"No, no aspetta...Ho ancora la nausea! Mi sa che presto darò, di nuovo, di stomaco!"

Lo fermò Vale arrabbiato, stanco e vulnerabile. Si accorse che Leo non accennava ad allontanarsi.

"Non sei costretto ad assistere allo spettacolo!"

Cercò di scacciarlo avvertendo un nuovo conato salirgli, prepotente, alla gola.

"Non sono un tipo facilmente impressionabile!"

Cercò di rassicurarlo ma Vale era già piegato in due sul bordo del wc. Leo recuperò un asciugamano, lo bagnò, lo strizzò e glielo passò sulla fronte.

"Ti hanno parlato del terzo giorno?"

Indagò Leo. Lo dicevano tutti i pazienti chemioterapici che i primi, veri, fastidi di iniziavano ad avvertire dopo la terza seduta.

"Sì, al catechismo! Nostro Signore resuscitò!"

Rispose ironico Vale quando si riprese un po'. Il fatto che riuscisse a fare delle battute, pensò Leo, era un buon segno.

Riuscì a rimettersi in piedi e sostenendosi a Leo, che doveva quasi trascinarlo di peso, tornarono in stanza.

Sul tavolino mobile da usare per i pranzi trovò allineati diversi vasetti di yogurt, una brioche e qualche altra cibaria che non si sforzò di identificare. Guardò interrogativo Leo.

"Hai bisogno di recuperare le forze che la chemio distrugge!"

Spiegò Leo che, premurosamente, aveva imbandito quel tavolo.

"Toglimi qualsiasi cosa che sia commestibile davanti agli occhi se non vuoi che vomiti qui all'istante!"

Non si sentiva affatto meglio e aveva ancora lo stomaco sottosopra. Leo capì che era meglio non insistere perciò spostò tutto sul suo letto e aiutò l'amico a sdraiarsi.

Per qualche minuto restarono in silenzio.

"Non voglio farlo più. Non voglio fare più nemmeno una seduta di chemio! E non mi importa se continuano a ripetermi che è per il mio bene, che è l'unico modo per guarire..."

Si sfogò all'improvviso Vale, sul punto di esplodere.

"Lo so!"

Rispose accondiscendente Leo e quel suo tono pacato stupì Vale che si girò sul fianco:

"Non cerchi di persuadermi? Di infinocchiarmi con tutti i buoni propositi che mi ripetono i medici e i miei genitori?"

"No!"

Rispose Leo afferrando un "Topolino" dalla sua collezione e iniziando a sfogliarlo.

"Domani tornerai a fare la chemio. E dopodomani ancora. Farai tutte le sedute che ancora ti mancano perché la voglia di vivere prevale su tutto e, per quanto schifo possa fare, si è disposti a qualsiasi sacrificio pur di farcela! Io lo so!"

Vale non replicò a quel discorso improvviso ma voltò le spalle a Leo e cercò di addormentarsi.

Fu un movimento nel corridoio a distrarre Leo e, spiando con la coda dell'occhio, si accorse che qualcuno esitava a farsi avanti. Non gli fu nemmeno difficile capire di chi si trattava.

Davide era l'unico con cui condivideva il segreto, l'unico a sapere che avrebbe dovuto tentare una nuova operazione per scongiurare l'operazione.

"Dai entra! La porta non ti inghiotte mica se la varchi!"

Leo fece sussultare Davide che non si aspettava di essere scoperto.

"E chi t'ha detto che sia qui per te? Stavo facendo un giro!"

Mentì fingendosi disinvolto.

"Sì un giro di ricognizione delle cazzate che devi dire!"

Lo apostrofò scherzosamente Leo. Si accorse che Davide non era da solo: un ragazzino con l'aria curiosa di uno scoiattolo si guardava intorno impaziente di conoscere Leo.

"Lui è il mio compagno di stanza, il Mario Merola di noialtri ! Mi sta attaccato come una piattola!"

Spiegò seccato Davide ma Toni non badò al suo tono infastidito.

"Piacere, Toni!"

Disse con un largo sorriso, allungando la mano verso Leo già conquistato da quel tipetto.

Leo indovinò quale fosse il motivo della visita di Davide e cercò di deviare l'attenzione.

"Bene, posso offrirvi qualcosa? Tè, succo di frutta...birra?"

Chiese in tono scanzonato Leo.

"Per me un tè grazie...Birre?"

Rispose Toni che ci mise un po' per capire che Leo stesse scherzando. Davide, invece, era incuriosito da quell' altro che gli dava la schiena e sembrava sordo all'improvviso baccano.

"Che ha? Lo hanno mozzicato i vampiri o vive in un mondo tutto suo?"

Ecco che c'era ricascato: la gentilezza non era proprio il suo forte! Ma prima che Davide potesse pentirsi o Leo potesse ammonirlo, Vale si girò di scatto infuriato.

"Vincenzino!"

Esultò Toni come se avesse riconosciuto nello sconosciuto un vecchio amico.

"Veramente si chiama Valentino!"

Corresse Leo, confuso.

"Lo so, lo so. Ma sono cose nostre...Ci siamo visti l'altro giorno mentre faceva la chemio e disegnava da Dio!"

Continuò in maniera concitata Toni. La spiegazione non sfuggì a Davide: certo poteva essere anche il primo imbecille sulla faccia della terra ma ora intuiva a cosa fosse dovuto il pallore da zombie di Vincenzino...ah no di Valentino. Accidenti a Toni e alle sue bizzarrie!

"Ti senti meglio?"

Chiese Leo, convinto che il compagno avesse riposato fino ad allora. Vale scosse il capo.

"Vado in cucina e chiedo se possono darti qualcosa! Che so acqua e limone..."

"Hai della coca-cola?"

Lo frenò Davide.

"Sì!"

Rispose Leo frugando sul suo cabinet per poi porgergli una lattina con la bevanda gassata. Davide l'afferrò, la stappò, ne versò un bicchiere e la porse a Vale.

"Bevi. Mia madre me ne dava sempre un bicchiere ghiacciato quando vomitavo da bambino!"

Spiegò con un tono premuroso e malinconico che nessuno gli aveva mai sentito.

"Grazie!"

Disse Vale sorseggiando incerto la bevanda. In fondo anche quella era una parola che Davide non si sentiva rivolgere da tanto tempo.

*** /****

Ringrazio chi ha commentato il capitolo precedente, chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.

A presto

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Capitolo 9
*** La partita ***


Con la bandiera tricolore attorcigliata attorno al collo e la maglietta azzurra della Nazionale addosso, Tony entrò nel refettorio dell'ospedale con lo stesso entusiasmo di qualsiasi tifoso che avesse varcato i cancelli dello stadio.

"Italia! Italia!"

Iniziò il suo coro da sostenitore attirandosi le occhiate di tutti i ragazzi che si erano riuniti lì per vedere insieme la partita dei mondiali.

"Chi è quello svitato?"

Chiese Ruggero a Leo che gli sedeva di fianco mentre il signor Nicola se la rideva divertito da quella ventata di allegria che Tony aveva portato. Fu Davide a rispondere.

"È il mio compagno di stanza! Un tipo strano!"

"Si perché te sei normale!"

Lo apostrofò Leo. Una battuta che Di Salvo non apprezzò affatto e non fece niente per nascondere il suo disappunto a Leo che abbassò lo sguardo imbarazzato.

"Beh qua dentro nessuno è normale!"

Mise fine alla contesa Ruggero alzandosi per allontanarsi a fumare, di nascosto, una sigaretta.

"Vincenzino non viene?"

Tony si avvicinò a Leo e Davide, sorpreso di non vedere con loro anche Vale.

"Dice che il calcio non fa per lui!"

Rispose semplicemente Leo. Il compagno di stanza gli sembrava troppo timido, troppo chiuso in sé stesso, ma sapeva che ognuno ha i suoi tempi per aprirsi con gli altri e che un ambiente come un ospedale rende tutto più complicato.

Tony non parve appagato.

"Ma questi sono i mondiali...Non una partita qualsiasi!"

Leo si strinse nelle spalle e Tony si ritirò meditabondo per poi esultare come se l'Italia avesse già fatto gol prima ancora di entrare in campo.

"Ho un'idea! Ehi belloccio ce l'hai il tuo computer portatile?"

Si rivolse a Davide che gli rispose seccato.

"Lo sai benissimo che è in camera!"

"Bene. Possiamo seguire la partita in streaming da lì...Ti scoccia portarlo in camera di Leo e di Vincenzino?"

Davide alzò gli occhi al cielo anche se erano giorni che cercava l'occasione per parlare da solo, a quattrocchi con Leo, e quella gli sembrava una buona soluzione.

"Tanto hai già tutto bello e deciso te!"

Si arrese con Tony che batteva le mani per la contentezza.


Vale stava disegnando. In verità quel pomeriggio era poco ispirato e le linee continuavano a venirgli storte. Accolse con sorpresa l'arrivo degli altri tre: Leo sulla sedia a rotelle, Davide che camminava adagio, con tra le braccia il suo pc, come se portasse una reliquia preziosa e Tony che gli trotterellava dietro sventolando il tricolore.

"Già finita la partita?"

Chiese con poco interesse.

"Veramente deve ancora iniziare!"

Rispose distrattamente Davide cercando uno spinotto per mettere in carica la batteria per poi accendere il computer e dedicarsi alla ricerca del link che gli aveva suggerito Tony.

"E per spirito patriottico abbiamo pensato di guardare la partita tutti insieme!"

Gli andò dietro Tony.

"Ma io non capisco molto di calcio!"

Cercò di protestare Vale.

"E che significa! Tutti guardano i mondiali!"

Insistette Tony.

"Italia-Costa Rica...la sfida delle sfide!"

Ci si mise anche Leo caricando la voce di un tale pathos come se l'avversario fosse stato il Brasile o qualsiasi altra Nazionale titolata.

Il primo tempo fu giocato malissimo dall'Italia che si ritrovò in svantaggio allo scadere della prima frazione tra i mugugni di Tony, le imprecazioni di Davide e di Leo e il disinteresse di Vale.

Approfittando della pubblicità tra il primo e il secondo tempo Leo decise di andare a prendere da bere per tutti al distributore automatico. Con la scusa di aiutarlo, Davide lo seguì.


Rimasti soli, Tony studiò con circospezione Vale.

"Ma il calcio non ti piace nemmeno un pochino, pochino?"

"Beh sì...so le regole ma non ne vado pazzo!"

"A tutti i ragazzi piace fare sport. Beh ad esempio a me piacciono più le moto del pallone ma sempre adrenalina è! Che strano che a te piaccia una cosa tranquilla come il disegnare..."

Afferrò il disegno che Vale aveva abbandonato sul suo cabinet: un omino che cercava di cavalcare un'onda impazzita. Il legittimo proprietario cercò di rimpossessarsene infastidito da quella violazione di privacy.

"Bello questo disegno! Pensavo che un tipo tranquillo come te disegnasse solo paesaggi piatti e invece..."

Vale aveva bisogno di confidarsi con qualcuno perciò decise di svelare la sua rinuncia.

"Facevo surf prima di ammalarmi!"

"Forte!"

Commentò Tony ammirato.

"Quando starai bene potrai tornare ad allenarti!"

Vale lo guardò triste.

"Non credo proprio!"

Commentò amaro senza lasciar intendere se non avesse fiducia nel fatto di guarire o di tornare a fare quello che gli piaceva. Non diede tempo al nuovo amico di dire qualcosa di incoraggiante.

"Ma indossi la maglietta di...Toni?"

Lui scostò la bandiera che fino ad allora gli aveva fasciato le spalle per esibire il dietro della maglietta orgoglioso.

"Per uno che si chiama Tony quale maglietta sarebbe stata più appropriata? Se l'Italia vincerà i mondiali mi comprerò quella di Balotelli...ma per ora mi tengo quella del mio idolo!"

Spiegò il tifoso lisciandosi la maglietta. Vale rise.

"Beh allora la terrai ancora per tanto tempo! Io scommetto sulla Germania o sull'Argentina per la vittoria finale!"

Per uno che diceva non gliene fregasse niente si stava davvero appassionando.

"Io invece spero in una sorpresa...Olanda, Cile...E se continua così mi sa che la Costa Rica ci spedisce a casa!"

Disse la sua Tony trovando, finalmente, una speciale intesa con Vale.


Leo aveva appena premuto il pulsante per richiede una coca-cola quando una mano si poggiò sul distributore impedendogli di scappare via.

"Cosa dicono i medici?"

Andrò dritto al sodo Davide senza dargli scampo.

"Sei davvero carino a preoccuparti per me!"

Tergiversò Leo con la sua voce in farsetto.

"Ehi posso anche essere stronzo, ok...ma quando c'è di mezzo la salute non ci trovo niente da prendere in giro! L'ho imparato in questo postaccio!"

Leo chiese, con un'occhiata esplicita di farlo passare, ed andò a posizionarsi vicino alla finestra. Aprì la lattina e bevve un sorso prima di rispondere.

"Vogliono operarmi di nuovo! Tentare di rimuover il tumore e rimettermi in piedi ma...se non va come sperano...addio gamba!"

Diede una pacca all'arto destro inferiore.

"Quando ti opereranno?"

"Non hanno ancora deciso niente!"

Davide si poggiò alla parete e inspirò profondamente.

"Beh almeno sanno qual è il tuo problema! Con me non ci capiscono un cazzo!"

"Davvero?"

"Vogliono farmi altri test e io comincio ad essere stufo! Sono stato male solo una volta, ora sto bene, perché mi tengono qui?"

"Forse perché a trascurare le cose che non sono serie, alla fine, diventano serie veramente!"

Davide si mise a ridere.

"Sentilo, sentilo che filosofo!"

Si avviarono insieme per tornare da Vale e Tony e mentre passavano dal refettorio videro la tv sincronizzata sull'Arena Pernambuco di Recife. Leo si fermò con un miscuglio di sensazioni contrastanti da gestire.

"Merda! Come mi piacerebbe essere in Brasile in questo momento!"

Fantasticò Davide.

"A me piacerebbe essere su un campo da gioco qualsiasi!"

Disse Leo per poi precederlo. Trovarono Vale e Tony, distesi e concentrati, a fare pronostici.

"Bene eccovi tornati! Non volevate mica perdervi il secondo gol dei sudamericani?"

Chiese scherzoso Tony.

"Perché ce ne hanno fatto un altro?"

Si allarmò Davide.

"No...Non ancora!"

Rispose Vale per poi guardare complice Tony e scoppiare a ridere. Era di umore totalmente opposto a quando li avevano lasciati da soli.

Davide li guardò e scosse la testa mentre Leo si sforzò di sorridere: guardare una partita gli aveva fatto tornare la rabbia e l'agonismo di un tempo.

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Capitolo 10
*** (stra)ordinaria quodidianità ***


Ci mise meno di un secondo a riconoscerlo e quando fu evidente che quel ragazzino spaesato, con un pacco di cioccolatini in mano, era lì per lui; Davide balzò sul letto come una furia. Tony si distrasse dall'album sul quale stava attaccando, con meticolosa precisione, le figurine dei calciatori e seguì, attento, i movimenti del compagno di stanza che si precipitava in corridoio.

"E tu che cavolo ci fai qui?"

Mirko, il ragazzino vessato spesso da Davide, tremò nel sentirsi rivolgere quel ringhio, memoria del regime di terrore che Di Salvo aveva instaurato in classe.

"Io...Ecco volevo solo sapere come stavi!"

Balbettò il cicciottello, arretrando di un passo. Davide sorrise beffardo.

"Come vedi, per tua sfortuna, non sono ancora crepato!"

"No io non intendevo..."

Cercò di spiegarsi Mirko, temendo di essere stato frainteso, ma non riuscendo assolutamente a dichiarare la sua preoccupazione sincera.

"Senti ciccione presto tornerò a scuola e allora avrai ben ragione di tremare come una femminuccia!"

Sugli occhi dell'altro ballavano già le lacrime, di umiliazione o di ripensamento non lo sapeva. Mirko allungò i cioccolatini verso il compagno di scuola.

"Un pensiero!"

Biascicò prima di correre via. Ma Davide aveva pronta l'ultima mossa per offenderlo e di scansò appena perché la scatola si aprisse e il contenuto di sparpagliasse sul pavimento. Di Salvo sorrise compiaciuto finché, voltandosi, non incrociò il disappunto di Tony.

"E te che c'hai da guardare?"

"Se fossi in te mi vergognerei come una carogna a trattare a quel modo un mio amico!"

Davide sbuffò e si gettò panciolle sul letto.

"Ma di che ti impicci! E poi quello non è assolutamente un mio amico!"

Tony lo guardò, con sufficienza parve all'altro. Forse lo compativa anche un pochino.

"Peccato perché è l'unico che è venuto a trovarti da quando sei in ospedale! Ma, in fondo, tu carogna un po' lo sei e allora non mi stupisco più di tanto."

Gli voltò le spalle e si riconcentrò sul suo album. Non sapeva Tony di aver gettato il seme per il cambiamento di Davide.


*** *** ****

L'album giaceva sul fondo dello zaino: ormai Vale non si prendeva più nemmeno la briga di tirarlo fuori. Sapeva già che non sarebbe riuscito a tenere nemmeno la matita in mano.

Le sedute di chemio, ormai, erano diventate un'ordinaria quotidianità e lui le affrontava con rassegnazione.

Lo spaventava un po' il fatto che quell'ampia sala, dove ancora si bisticciava per i canali su cui sincronizzarsi, stava diventando odiosamente familiare.

Quella mattina non si sentiva affatto bene. Aveva le vertigini, aveva freddo e aveva perso ogni residuo di forze. Se ne stava con la testa ciondoloni, abbandonato sulla poltroncina, sprofondando quasi in uno stato di dormi-veglia.

Faticò un poco a mettere a fuoco la figura di Leo. Con gesti rallentati si tirò su e accettò il ghiacciolo che l'altro gli porgeva.

"Come ti senti?"

Leo sedette sulla poltroncina vuota accanto a lui.

"Ho avuto giorni migliori!"

Vale cercò di accompagnare la frase con un sorriso stentato.

"Questo ti aiuterà a controllare la nausea. Non so, però, se sarà efficace quanto la cola di Davide. Fatto sta che io, grazie a mia sorella Asia, me ne sono fatto una cura durante i miei cicli di chemio!"

Vale portò il ghiacciolo alle labbra, titubante. Leo aveva ragione: quella freschezza alleviò, in parte, i suoi fastidi.

Stettero qualche minuto in silenzio :Leo sedette in silenzio e Vale finì il suo ghiacciolo.

"Mi stanno cadendo i capelli. Ne trovo al mattino sul cuscino e, quando mi passo una mano in testa, vengono via a ciocche!"

Confidò mestamente Vale, quasi come se ne provasse vergogna. Sapeva, però, che Leo era la persona più adatta con cui aprirsi, quello che più lo avrebbe compreso.

Dal canto suo, Leo sospettava che i devastanti effetti della chemio non avrebbero tardato a farsi sentire.

Poggiò la sua mano su quella di Vale e lo guardò serio.

"Risolveremo anche questa, parola mia!"

Era così convincente che Vale fu portato a fidarsi e a sentirsi più tranquillo, meno diverso.

"Ma questi litigano per guardare la prova del cuoco?"

La constatazione di Leo, che aveva catturato due signori impegnati nella famigerata lotta al telecomando, fece, finalmente, sorridere Vale.

**** ****

La giornata per Davide era nata male e finita anche peggio. Aspettava, con il cuore trepidante, che suo padre venisse da lui.

Il signor Di Salvo, invece, aveva mandato Lilia in sua vece. Come sempre.

E nonostante la donna fosse così premurosa e materna con quel testone, Davide aveva finito per trattare male anche lei quel pomeriggio.

Ora, seduto sul letto, rigirava tra le mani i quattro biglietti per il cinema, regalo anticipato di suo padre per il compleanno.

In un gesto di dispettosa rivalsa fu tentato di strapparli. Tony, ignaro delle sue turbe, assaporava placidamente ogni boccone della cena.

"Bocconcini di mozzarella! Eh si sente che non è vera bufala!"

Si diceva dopo ogni assaggio, neanche fosse stato un esperto chef.

Fu allora, innanzi alla straordinaria semplicità di Tony, che a Davide venne l'idea.

"Senti un po' Maradona ti piacerebbe passare una giornata fuori da qui?"

Tony rizzò le orecchie.

"Certo che mi piacerebbe ma non vorrei passare altri guai! E poi, scapperemmo io e te da soli?"

Davide contò fino a dieci per non spazientirsi.

"Ce ne andremo al cinema e non faremmo niente di male. Io ho quattro biglietti!"

Tony sorrise, con l'espressione entusiasta di quello a cui si è appena accesa la lampadina, e schioccò le dita.

"Eh allora portiamoci anche Leoncino e Vincenzino con noi, no?"

Davide tastò i biglietti.

"Buona idea!"

*** ***

Ecco "rispolverata" questa storia dopo mesi di silenzio. Spero di avere l'ispirazione per riuscire a continuarla e di aggiornare più di frequente.

Grazie a chi non ha perso la pazienza di aspettarmi, di seguire le mie storie e di recensire :)

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Capitolo 11
*** Cinema d'essai ***


"Guardiani delle galassie! Questo è il film più decente che danno al cinema a quest'ora!"

Disse Davide mentre il gruppetto dei quattro ragazzi si avviava al botteghino.

Toni gli si avvicinò con insistenza per sbirciare la locandina: quell'umanoide dalla pelle blu e quelle rappresentazioni fumettistiche lo inquietavano un po'.

"Che c'è che non va adesso, Toni?"

Si spazientì l'altro.

"Io? Io non ho parlato!"

"Non ancora! Ormai lo so che quando fai quei sospiri devi sparare una delle tue stronzate!"

Toni si strinse nelle spalle distanziandosi da Davide per avvicinarsi a Leo e Vale che stavano pensando a far rifornimento di popcorn.

"No, niente, niente. Solo che non sono un tipo da film da fantascienza tutto qui!"

Davide sorrise beffardo.

"Scommetto però che i film d'azione ti piacciono! Secondo me il tuo film preferito è Fast and Furious!"

Preso in castagna! Anche Leo e Vale si unirono alla risata di Davide nel notare il luccichio negli occhi di Toni.

"Una saga cinematografica sulle corse e le battaglie di auto! Cosa si può desiderare di più!"

"Magari che quella strega della Lisandri non scomodi la polizia e i servizi sociali quando fai un innocente giretto in motorino?"

Leo si accodò allo scambio di battute tra Toni e Davide.

"Scommetto invece che il tuo film preferito è Sognando Beckham!"

Toni si avvicinò furbescamente a Leo, scrutandolo intensamente quasi che i suoi occhi gli avessero rivelato quella gran verità. Quasi che quello strano giochino avesse riaperto una ferita ancora non assorbita Leo distolse lo sguardo, schivando l'argomento.

"Peccato che Beckham ormai se ne stia più tempo in mutande che in tenuta da gioco!"

Osservò Davide, riferendosi al fatto che il famoso calciatore inglese fosse stato testimonial per una marca di slip. Quindi prelevò una manciata di popcorn dal contenitore di Leo. Gli altri risero.

"Ci voleva una giornata così ragazzi! Prendere l'autobus, andare al cinema e ridere...Credevo di aver dimenticato come siano le piccole cose a dare la maggior felicità. E dire che un tempo questa era la mia quotidianità..."

Meditò Leo. Vedendo i visi degli amici farsi affranti, quasi compassionevoli, aggiunse:

"Beh approfittiamone! Appena la Lisandri si accorge della nostra evasione ci sguinzaglia contro anche la CIA!"

Toni e Davide si misero a ridere mentre Vale camminava un passo dietro a loro. Preoccupato, Leo si voltò verso di lui.

"Stai bene?"

Quella era l'unica controindicazione che li aveva fatti tentennare prima di accettare l'invito di Davide. Con tutto quello che stava passando Vale sarebbe dovuto rimanersene, buono buono, a letto a riposare e non andare a zonzo per mezza città.

"Sì tutto bene, non preoccuparti. Solo: è la chemio che fa schifo!"

Lo rassicurò con un sorriso tirato che, in realtà, diceva tutt'altro.

Come colto da una folgorazione, Toni si arrestò di colpo tornando indietro verso Leo e Vale.

"Ehi Vincenzino ho trovato il film che fa per te!"

" Il tormento e l'estasi?"

Fece disinteressato Davide palesando, tuttavia, la sua ampia cultura cinematografica. Toni scosse la testa.

" Soul surfer! Sai, è la storia di quella surfista americana che continua a gareggiare benché uno squalo gli tranci di netto il braccio sinistro..."

A Davide si accapponò la pelle al riassunto delle trama mentre Vale sorrideva interdetto.

"Beh Toni per quanto ammiri il coraggio e la determinazione di Bethany Hamilton, ci tengo a preservare la mia gamba. E, magari, un giorno tornare a gareggiare con tutte e due..."

"Beh meglio andare o ci toccheranno i posti peggiori!"

Davide spronò gli altri a darsi una mossa. Erano quasi all'ingresso della sala quando Vale si fermò aggrappandosi a Leo. L'amico lo sostenne e lo guardò: era pietosamente pallido.

"Ho le vertigini!"

Gli sussurrò sperando che fosse solo un attimo e che, presto, si sarebbe sentito meglio. Non voleva rovinare quell'uscita anche agli altri.

Richiamati dal ritardo dei due, anche Davide e Toni temporeggiarono.

"Vale non si sente bene!"

Comunicò loro Leo.

"Voi andate pure ragazzi. Lo spettacolo sta per iniziare..."

Cercò di allontanarli Vale. Ma nessuno si mosse: ormai, nonostante si conoscessero da poco avevano condiviso tanto in quelle settimane e, indubbiamente, era nata una sorta di complicità tra loro.

"Vuoi che ti prenda qualcosa? Che so una bottiglia d'acqua?"

Chiese Davide facendosi per allontanarsi.

"No, no..."

Per cercare di fermarlo, Vale si era staccato da Leo che gli fungeva da sostegno. Un nuovo capogiro lo fece vacillare e gli fece perdere l'equilibrio.

Cascò in terra, svenuto, sotto gli occhi allarmati degli spettatori e quelli attoniti degli amici.

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Capitolo 12
*** Diritto alla normalità ***


Nora, l'onnipresente e apprensiva mamma di Vale, era rimasta al capezzale del figlio per tutte quelle ore.

E, in una certa misura, gli altri ragazzi avevano invidiato l'amico che stava male ma che, per lo meno, si sarebbe evitato il cazziatone della Lisandri.

A Leo, Davide e Toni sembrava di essere a scuola, nell'ufficio del preside, dopo aver rimediato una nota di richiamo. Invece sedevano, compunti ma non pentiti, nella stanza dei giochi e del ristoro. Mariapia Lisandri li scrutava biasimevole aspettandosi una parola di scuse che tardava a venire.

Alla fine sbottò.

"Ebbene non avete niente da dire a vostra discolpa?"

"Siamo già nell'aula di tribunale? Pensavo che la causa del mio affidamento fosse lontana dall'essere discussa!"

Azzardò Toni cercando, con quella mossa furba, di irretire la spazientita donna.

"Per favore Toni non è il caso di fare del sarcasmo. Anche perché questa, come vogliamo chiamarla...bravata, non gioca certo punti a tuo favore!

Il ragazzo si fece piccolo piccolo e capì che, per il quieto vivere suo e di suo nonno, fosse meglio non aggiungere altro.

"Se deve prendersela con qualcuno se la prenda con me: è stata una mia idea!"

Si fece avanti, sfrontato, Davide.

"Ma bene! E ne vai orgoglioso?"

"Orgogliosissimo! Finalmente un paio d'ore lontani da questo mortorio..."

"E al tuo cuore malandato ci hai pensato?"

"Che palle! Sempre a ricordarci di essere malati. Che male c'è se ce ne dimentichiamo per mezza giornata?"

Davide aveva alzato le braccia esasperato. Quell' arpia li stava trattando quasi come dei criminali quando l'unica loro pecca era stato il desiderio di riassaporare una parvenza di normalità.

"Davide ha ragione! Non mi dirà che è un delitto voler andare al cinema, prendere l'autobus, vedere un film...Le cose che i ragazzi come noi fanno tutti i maledetti giorni!"

Si era intromesso Leo dando manforte agli amici. Quelle frasi, quegli occhi stanchi e scostanti, quella riluttanza di fondo, Mariapia aveva imparato a conoscerle bene da quando aveva iniziato a curare i ragazzini.

Ammorbidendosi, la dottoressa Lisandri si sedette accanto a loro.

"Voi avete tutte le ragioni di questo mondo a pretendere cose normali, che dovrebbero essere un vostro diritto e non una conquista ma..."

"Ma non siamo come gli altri ragazzi?"

"Leo lo so che tutto questo fa schifo. Che sei stanco, abbattuto e impaurito...Davide, Toni, capisco anche le vostre paure benché cerchiate di mascherarle dietro ad una disinteressata strafottenza e a un astuto sorriso ma oggi vi siete comportati da incoscienti. Avete messo in pericolo le vostre vite..."

Gli aveva parlato con tono materno, quasi da amica.

"Suvvia dottoressa non esageri adesso! Addirittura in pericolo di vita!"

Cercò di glissare la gravità di quel discorso Leo.

"Leo tu più degli altri sei responsabile! Conoscevi benissimo le condizioni di Valentino e, nonostante questo, non hai fatto nulla per dissuaderlo o per dissuadere Davide..."

"Glielo abbiamo già spiegato e glielo ripeterò per l'ultima volta: volevamo solo prenderci il nostro diritto alla normalità!"

Leo si alzò afferrando le sue stampelle.

"E ora, se ha finito con il suo sermone, vorrei andare a vedere come sta Vale!"

Toni e Davide si alzarono contemporaneamente a lui ma mentre il primo avanzò con passo deciso, Davide esitò qualche momento.

Si sentiva strano. Aveva difficoltà a respirare e una sensazione di affanno.

Portò una mano alla gola e aprì la bocca come a voler incamerare, disperatamente, un filo d'aria.

La dottoressa Lisandri si accorse delle sue difficoltà e, tosto, si precipitò a soccorrerlo.

"Davide?"

Il ragazzino gli si avvinghiò al braccio guardandola con occhi imploranti.


****** ******

Grazie a chi continua a seguire questa storia e, soprattutto, a recensirla. A chi l'ha inserita tra le preferite e le seguite e a chi legge semplicemente! A presto

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Capitolo 13
*** Note liete e note stonate ***


Leo lo fissava con uno strano sguardo. Indagatore, dolce e sollevato al contempo. Vale si tirò su ricambiando quell'occhiata meticolosa.

"Devo aver dormito per un bel pezzo. Nel mentre ti sono rispuntati i capelli!"

Commentò. In effetti era la prima volta che notava la peluria bruna che stava ricoprendo il cranio dell'amico.

"È solo che sei più attento ai dettagli. Allora come ti senti?"

"Stordito!"

Leo tirò indietro una sedia e si accomodò con l'aria di chi aveva molto da raccontare.

"Beh sei stato più fortunato di noi. Ci siamo sorbiti una bella lavata di capo da parte della Strega e, dulcis in fundo, Davide c'ha quasi lasciato le penne."

"Caspita me ne sono perso di cose! Aspetta...Come sta Davide?"

Realizzando appieno l'ultima rivelazione, Vale si era scoperto per andare a sincerarsi, di persona, delle condizioni dell'amico. Appena si mise in piedi un capogiro lo fece vacillare.

"Ehi vacci piano. Non vorrai che ti ricordi anche io che non hai la salute di un pesce!"

Leo lo sostenne per il braccio.

"Comunque il nostro Bello si è ripreso piuttosto in fretta e ora, tutto sommato, sta abbastanza bene!"

Si sentirono dei passi. Probabilmente Nora o uno degli infermieri.

"Sì abbastanza bene!"

Recriminò una vocina polemica che conoscevano fin troppo bene. Quindi spalancò la porta e avanzò verso Leo.

"Se per bene puoi intendere essere collegato ventiquattro ore su ventiquattro a questi fili che sembro un robot!"

Davide mostrò gli elettrodi colorati applicati sul suo petto, quindi riabbassò la maglietta.

Lo avrebbero tenuto sotto costante controllo con quell'Holter cardiaco.

"Il dottor Alfieri dice che questo qua, questo Holter sarà una specie di microchip per non perdere mai d'occhio il tuo cuore. Holter sembra più nome per un giocatore di calcio che per un dottore."

Osservò Toni con i suoi modi buffi di esprimersi.

"Sì lo ha comprato il Napoli nell'ultimo calciomercato!"

Sbraitò Davide, infastidito dal dispositivo di controllo che era costretto ad indossare, quindi si lasciò cadere sul materasso di Vale.

"Non ti fa mica bene agitarti, lo sai!"

Lo ammonì Leo, con tono un po' ragguardevole e un po' canzonatorio.

"Tu non prendermi per il fondelli che se non era per il mio piccolo malore a quest'ora eravamo ancora tutti a rapporto dalla Lisandri!"

Il battibecco si interruppe lì. Toni si accorse che Vale stava tremando.

"Ehi Vincenzino non dirmi che hai freddo? Ci saranno forse venti gradi in questa stanza!"

"È un effetto della chemio."

Spiegò Leo che sospettava anche che l'altro avesse qualche linea di febbre.

"Peccato! Speravamo fossi dei nostri."

Commentò Davide con fare circospetto.

"Cosa vuoi dire?"

"Io e Davide volevamo fare un giro per l'ospedale, sai Leo, che praticamente ormai è di casa qui dentro, ci avrebbe fatto da Cesarone..."

"Cicerone, Toni. Si dice fare da Cicerone!"

"E vabbè che ho detto io..."

Vale si mise a ridere.

"Non vi bastano i guai in cui ci siamo cacciati oggi? Ne cercate degli altri?"

"Non faremmo niente di male e non supereremo il confine di sicurezza. Il tutto di nascosto...Ovviamente!"

Ci si mise anche Leo. L'ospedale, le loro malattie, non avevano assolutamente scalfito la tipica curiosità dei ragazzi e la propensione a sfidare i divieti, a cercare qualcosa di nuovo.

Quel brivido di pericolo riscosse Vale.

"Beh in questo momento ho solo un po' di freddo e con una felpa in più potrei sempre venire con voi!"

"E mamma-chioccia dove la metti?"

Vale guardò il tralice Leo.

"Mia madre non tornerà prima di domani mattina. L'ho convinta ad andare in albergo a riposare."

"Eh bravo Vincenzino!"


****** ***********

Dopo un po' ai ragazzi sembrò di essere tornati bambini e di giocare a nascondino. Era una bella impresa passare inosservati davanti ai medici e a tutto il personale ospedaliero ma, fino ad allora, erano passati inosservati giungendo fino al seminterrato.

"Via libera!"

Leo diede il segnale e gli altri, appaiati dietro la parete, corsero lungo il corridoio deserto fino a raggiungerlo.

"Non è che per di qua si va verso l'obitorio?"

Chiese Davide con una certa apprensione.

"Che c'è non ti fidi di me oppure c'hai un po' di fifa?"

"Chi io? Ma quando mai!"

Replicò orgoglioso Davide anche se l'Holter cardiaco che misurava i battiti del suo cuore avrebbe raccontato un'altra storia.

"E questa cos'è?"

Leo li aveva condotti in uno stanzone ricco di cianfrusaglie.

"Qui sono accantonate le cose vecchie o che non vengono usate più. Non sempre però sono malfunzionanti ma, spesso, vengono dimenticate qui perché hanno annoiato o sono passate di moda. Perciò ragazzi se c'è qualcosa di vostro gradimento: servitevi pure!"

Vale, Davide e Toni sfioravano e valutavano, dapprima con timore e poi sempre con maggiore interesse, quel piccolo Paese dei Balocchi.

Qualcosa in particolare aveva attirato l'attenzione di Davide: un piccolo complessino. Sicuramente gli strumenti, se ben accordati, funzionavano ancora.

Vedendolo così concentrato, gli amici lo avvicinarono.

"Ti piace la musica?"

"Mi piacerebbe fare musica. Ma non quel mortorio classico che insegna Lilia. Mi piacerebbe...Essere me stesso suonando!"

Scrollò le spalle: stava svelando una parte di lui che nessuno conosceva.

"Ah...Sto dicendo un mucchio di stronzate."

Fece per andarsene da lì.

"Io me la cavo con la chitarra!"

Lo fermò Leo.

"Io, quando ero più piccolo, ho preso qualche lezione al pianoforte. Con una tastiera credo che me la saprei ancora cavare!"

Aggiunse Vale stringendosi nella sua felpa.

"Io...beh io ho sempre sognato di imparare a suonare la batteria. Posso applicarmi se qualcuno mi insegna."

Anche Toni aveva capito e aveva deciso di dare il suo contributo. Finalmente avevano scoperto qualcosa in più di Davide, anche lui aveva un sogno e volevano aiutarlo a realizzarlo.

"Cosa vorreste dire? Che possiamo formare una band...La banda dei zombie viventi "

Davide ridacchiò ma ci mise meno di un attimo a capire quanto gli amici avessero preso sul serio quella sua confidenza.

Non poteva rimangiarsi tutto.

"Io posso suonare il basso. Ma qualcuno di voi deve fare il cantante: io sono stonato come una campana!"

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Capitolo 14
*** Ognuno ha degli scheletri nell'armadio ***


"È fatta. La Lisandri ci da il permesso di usufruire di uno dei magazzini dell'ospedale per tre pomeriggi alla settimana in modo che possiamo esercitarci. Le è sembrata una richiesta ragionevole purché ci teniamo fuori dai guai!"

Leo si gettò sul letto con un sorriso compiaciuto mentre Vale lo fissava scettico: tutto quel buonismo da parte della dottoressa gli puzzava.

"Cos'hai promesso in cambio?"

Quell'aria spavalda scomparve dal viso di Leo che si mise seduto.

"Quando saremo piuttosto bravini dovremmo fare un piccolo concerto per tutti i degenti."

"Tutti, tutti? Ma Leo...Sarà come stare alla Corrida!"

"E allora? Almeno faremo fare quattro risate a quei poveri afflitti come noi!"

L'altro sembrò convincersi.

"Si ma a Davide lo spieghi tu. Non ho voglia di sorbirmi i suoi insulti sboccati!"

"Oh guarda che ci stiamo sacrificando per aiutarlo a realizzare un suo sogno. Il signorino dovrebbe esserci riconoscente...Noi ci stiamo impegnando!"

Vale si riconcentrò sul suo disegno a carboncino: doveva dargli gli ultimi ritocchi.

"E tu ce l'hai un sogno, Leo?"

Il chiamato in causa si strinse nelle spalle sporgendosi per prendere un fumetto nel suo comodino.

"Ah Leo, giusto te cercavo. Volevo informarti che tra un'ora la radiologa ti aspetta: hanno fissato per oggi la tua PET!"

Ulisse si affacciò alla porta, comunicò l'informazione e corse via: aveva altre mille cose da fare.

Vale si accorse che l'amico si era accigliato.

"Problemi?"

"No: è solo un altro stupido esame per avere conferme di quanto sia malandata la mia gamba. Se solo si decidessero ad operarmi..."

Con un tonfo lasciò ripiombare il fumetto sulla superficie ferrea. Dalle pagine centrali scivolò una foto.

Per gentilezza, Vale si chinò per restituirla al proprietario.

Nella foto era ritratto un ragazzo molto giovane, con i folti capelli neri e la divisa da calcio. Somigliava in tutto e per tutto a Leo, eccetto quell'espressione felice rimasta congelata nel tempo.

"Questa è stata scattata il giorno del mio provino!"

Raccontò Leo, senza nessuna recriminazione.

"Oh!"

"Beh ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio!"

Tagliò corto Leo nascondendo di nuovo la foto.


*** *****

Un'ora dopo Vale si trovava a passeggiare con suo padre vicino all'albero secolare che abbelliva il giardino dell'ospedale.

"Io e la mamma abbiamo parlato con i medici. Dicono che sei un ragazzino molto coraggioso e forte e che le cure stanno funzionando."

Vale sapeva che era una mezza verità. Sapeva che ci sarebbe voluto più di un anno perché sconfiggesse del tutto la malattia: e poi c'era sempre la recidiva con cui fare i conti.

"Bene!"

Mormorò con voce piatta.

"Ehi non sei contento? Significa che presto potrai tornare a casa!"

"Certo, certo!"

"Vale sei strano. Cosa ti preoccupa?"

"No, è solo che Leo, il mio compagno di stanza, sta facendo un esame radiologico specifico in questo momento e..."

L'uomo si fermò e sorrise.

"Sempre a preoccuparti per gli altri tu, eh?"

Anche il ragazzo si fermò, poggiandosi contro il tronco dell'albero: non era da lui chiedere favori a suo padre ma quella volta avrebbe osato. In fondo non era per lui che lo avrebbe fatto...

"Papà hai ancora il numero di telefono di quel tuo amico? Quel procuratore sportivo?"

Era meglio mantenersi sul vago. Pensò.

L'uomo guardò il figlio incuriosito.

"Non è troppo presto per pensare a riprendere a fare sport?"

"Papà lo so benissimo che la mia resistenza fisica è disastrosa al momento e che il massimo lusso che posso permettermi è una partita di canasta con la nonna quando tornerò a casa. Il favore che ti sto chiedendo non è per me..."


****** *******

Grazie di cuore a chi continua a leggere e recensire. A chi ha inserito la storia tra le seguite, ricordate e preferite.

A presto!

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Capitolo 15
*** Sogni perduti ***


Davide e Tony se ne stavano nel giardino dell'ospedale in attesa, con quella spasmodica adrenalina che carica gli evasi o chi può assaporare, di nuovo, un po' di libertà.

Non era stato facile ottenere il permesso, soprattutto dopo la loro disastrosa uscita, ma alla fine la Lisandri aveva ceduto: sarebbero stati fuori dal nosocomio al massimo per due ore, il tragitto non era troppo impegnativo o distante e avevano accettato, di buon grado, i compromessi della dottoressa. E, soprattutto, stavano facendo tutto quello per aiutare un amico a realizzare un sogno.

Davide si mosse scoordinatamente: i dannati fili di quell'Holter che la dottoressa gli aveva imposto di portare con sé lo infastidivano e lo torturavano.

"Sembra quasi che ti abbiano invaso le formiche rosse!"

Osservò Toni. L'altro non fece in tempo a replicare con una delle sue gentilezze.

"Ragazzi, bene siete qui. Scusate il ritardo ma ho dovuto aspettare che Leo uscisse dalla stanza per non farlo insospettire!"

Lo spirito intraprendente di Vale non era l'unico cambiamento di quella mattina. Ce n'era uno ben più visibile che gli attirò gli sguardi un po' straniti e un po' incuriositi degli amici. Soprattutto Tony lo fissava intenerito.

"Non guardarmi come se fossi un extraterrestre, Tony. Lo so cosa vuoi sapere..."

"Io? Ma che dici Vincenzino?"

Si mise sulla difensiva Tony: mettere a disagio l'amico era l'ultimo dei suoi intenti. Con un sorriso rassegnato, Vale si levò il cappellino da baseball rivelando la sua testa calva.

"I capelli hanno iniziato a cadermi già da un po' di tempo. Ieri sera, finalmente, Leo mi ha aiutato a rasarli a zero!"

Notò l'espressione di dispiacere di Tony e di Davide. Probabilmente dovevano solo abituarsi a quella nuova immagine di lui: non era stato semplice nemmeno per lui guardarsi allo specchio appena Leo aveva finito la sua opera.

"Su, cosa sono quelle facce? Ricresceranno più forti di prima. Anche nella Russia zarista rasavano i capelli, addirittura alle ragazze, dopo malattie come il morbillo..."

"Beh direi che tu hai qualcosa di molto più serio del morbillo!"

Non poté esimersi dal commentare Davide.

"Allora le controindicazioni di alcuni farmaci non sono cambiate rispetto ad un secolo addietro."

Commentò disinvolto Vale mentre si avviavano alla fermata dell'autobus.

"Comunque per un po' di tempo dovrete abituarvi a questo mio nuovo aspetto da ET!"

"Senza offesa ma ET era molto più carino di te!"

Risero tutti e tre alla precisazione di Davide e poi Tony fu il primo a mettere il piede sul predellino dell'autobus.


Sul campo polveroso di periferia, in quelle assolate e tranquille ore antimeridiane, erano in corso gli allenamenti della squadra. Il padre di Vale aveva parlato con il suo amico e il procuratore, venuto a conoscenza della storia di Leo, si era detto pronto a dargli una mano e ad aiutarlo se non a realizzare completamente il suo sogno, almeno aiutarlo a viverne una parte.

I ragazzi avrebbero dovuto parlare con l'allenatore e convincerlo a far allenare Leo con quei professionisti almeno per un giorno.

Decisero di sedersi sugli spalti e di aspettare il momento propizio per parlare con il Mister.

Mentre il gioco in campo proseguiva, Davide sembrava il più interessato al gioco, il più desideroso di essere su quel rettangolo d'erba piuttosto che starsene buono, buono sulla gradinata.

"Ti piaceva giocare a calcio, vero?"

Vale intuì i suoi pensieri, notò le sue mani che formicolavano strette a pugno. Erano le sue stesse reazioni di quando vedeva qualcuno su una tavola da surf.

Beh mi piace ancora giocarci e, appena i medici rimettono in sesto il mio cuore malandato, tornerò a giocare con i miei amici. E proverò ad essere meno stronzo con gli avversari!"

"Quanti buoni propositi!"

Lo stuzzicò Tony che ancora non aveva dimenticato il trattamento da bullo che aveva riservato a Mirko, il compagno di classe, l'unico, che si fosse preso la briga di andargli a far visita da quando era in ospedale.

"Pensavo che fondare la band fosse il tuo sogno!"

Aggiunse quindi.

Vale si portò le gambe al petto e osservò la partitella a ranghi misti davanti a loro.

"Non c'è limite ai sogni, Tony. Ognuno di noi, tu, io, Davide, Leo, abbiamo i nostri sogni. Sogni perduti a causa di ciò che la vita ci ha dato da affrontare."

Era un discorso di chi è pronto ad alzare bandiera bianca e Davide non aveva affatto voglia di arrendersi. Non ancora.

"Forse i nostri sogni non sono perduti per sempre. Forse sono solo rimandati e se riusciamo a sudarceli, a conquistarceli nonostante tutto, allora sarà ancora più bello viverli!"

Tony e Vale furono profondamente colpiti da quelle parole.

"Forse hai ragione!"

Presto avrebbero avuto la loro occasione. Ora era il turno di Leo di avere ciò che il destino gli aveva negato o, forse, semplicemente rimandato.


******** *******

Grazie a chi continua a seguire questa storia!

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Capitolo 16
*** La partita d'addio ***


Leo sistemò il pallone sulla linea del centrocampo e si scambiò un cenno d'intesa con Vale, al suo fianco.

Era stato tassativo: appena si sarebbe sentito affaticato avrebbe dovuto chiedere il cambio. Quella che stava per iniziare non era una partita qualsiasi, anche perché nessuno dei partecipanti aveva una buona tenuta fisica.

Persino Davide, dopo suppliche e spergiuri, era riuscito a strappare al dottor Alfieri il permesso per scendere in campo per qualche spicciolo di minuti.

"Sarai il Julian Ross dell'ospedale!"

Lo aveva punzecchiato Toni, saltellando per riscaldarsi, fasciato nella sua immancabile maglietta con il numero di Luca Toni. Davide fece un eloquente gesto scaramantico.

"Non ci tengo proprio a stramazzare e a crepare in campo. A te invece come Benji Price non ti ci vedo proprio!"

Puntualizzò mentre Toni si sistemava tra i pali. Davide, infatti, aveva rifiutato categorico di fare l'estremo difensore anche se sarebbe stato il ruolo meno faticoso da ricoprire.

"Infatti, mi manca il cappellino!"

Toni ebbe un'intuizione. Si avvicinò a Vale e si fece imprestare quel cappello da baseball dal quale si separava con riluttanza da quando aveva la testa rasata.

Quindi corse di nuovo verso Davide.

"Quei due possono fare Tom e Holly!"

"La coppia d'oro?"

"No, la coppia oncologica!"

Rispose annoiato Davide per poi dirigersi verso la panchina a sentire, per l'ennesima volta, le scrupolose raccomandazioni del medico.

Sarebbe stata una partita anormale, di quarantacinque minuti soltanto: personale sanitario contro pazienti.

Quell'incontro era stato organizzato per Leo, per incoraggiarlo, poiché l'indomani sarebbe entrato in sala-operatoria. In verità il ragazzo aveva già avuto una grande e inaspettata sorpresa quando, grazie ai suoi amici, aveva passato una giornata intera ad allenarsi con una squadra professionista.

"Allora pronto alla mia partita d'addio?"

Leo si rivolse a Vale e questi poté cogliere quella sottile nota nostalgica nella sua voce.

"Le partite d'addio le giocano i grandi campioni, quelli che hanno vinto tutto. Tu non puoi dare l'addio a qualcosa che non hai ancora incominciato, non ti pare?"

Saggio Vale. Sempre capace di vedere il bicchiere mezzo pieno, di essere ottimista anche dove sembrava non ci fosse niente di positivo.

"Consideriamola una partita di iniziazione. La tua prima, vera, partita che ne dici? Anche se giocherai con noi che siamo delle mezze schiappe..."

Leo aveva un nodo in gola ma sorrise ugualmente.

"Sarete anche delle mezze schiappe ma siete i miei amici e non desidererei avere nessun altro con me in questo momento!"

Il dottor Carletto diede il fischio d'inizio. Leo era il più agile tra i suoi compagni e dopo un po' né Davide, né Vale riuscirono a stargli dietro passeggiando per il campo, più che correre. Solo Ruggero riusciva a seguire le azioni dell'amico più allenato e dopo un'entusiasmante uno- due, Leo fece carambolare la palla nella rete difesa dal dottor Alfieri.

Entusiasta per il gol si voltò per correre a far festa con la sua squadra ma quando scorse uno strano movimento sulle gradinate, il cuore rischiò di esplodergli nel petto.

"Mamma!"

Mormorò, con le lacrime che gli erano salite agli occhi, riconoscendo la minuta e provata figura di donna che Asia sorreggeva per un braccio.


******** ********

Grazie a chi non ha abbandonato questa storia. A chi recensisce, a chi la segue, a chi l'ha inserita tra le preferite!

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Capitolo 17
*** Lavander's Blue ***


Vale era scivolato fuori dalla stanza quasi in punta di piedi adducendo la scusa di passare un po' di tempo in camera di Toni e di Davide per fare un passo in avanti alla realizzazione della loro strampalata idea di formare una band.

Era una scusa e Leo lo aveva capito subito. Il timido e discreto Vale non voleva sentirsi di troppo in quell'agognato ricongiungimento della famiglia intera e Leo gliene era stato grato.

Aveva trascorso l'intera serata con la sua mano in quella esile della mamma mentre Asia raccontava degli ultimi esami dati all'università, mentre lui narrava la fantastica giornata passata ad allenarsi con calciatori professionisti, mentre papà ricordava un episodio accaduto a lavoro tanti anni prima e rideva in un modo che Leo non ricordava più.

A Leo quasi non sembrava di essere malato, di essere in ospedale. Stava vivendo uno di quei momenti anelati, cercati, sognati così tanto in quei mesi di lungo calvario che temeva il cuore gli sarebbe scoppiato di gioia.

"Beh ora dobbiamo andare. L'accordo alla Cenerentola che abbiamo strappato alla Lisandri è scaduto. Domani mattina alle otto in punto saremo qui: non crederai di poter entrare in sala-operatoria senza un in bocca al lupo speciale della tua sorellina?"

Asia aveva controllato l'orologio e visto che, ormai, era quasi mezzanotte raccolse la sua borsa e poi strinse Leo in un abbraccio.

"Tranquilla: lo so che di una rompiscatole come te non mi potrò mai liberare."

"Ma sentilo bell'irriconoscente. Mi sa che ti dai un po' di arie, eh?"

Scherzò Asia, congedandosi dal fratello con un bacio. D'altronde Toni aveva ragione: l'Asia non sarebbe più la stessa senza i Leoni. E poco importa se i leoni vivono in Africa!

Leo destinò uno sguardo perplesso, preoccupato, a sua madre che non si era incamminata con il resto della famiglia.

"Tu non vai a casa?"

La donna si sistemò sulla poltroncina accanto al letto del figlio.

"Dormo con te stanotte. Sarai super agitato e non me la sento proprio di lasciarti: siamo stati lontani per così tanto tempo. Abbiamo tanto da recuperare, Leo!"

Era visibilmente commossa ma la preoccupazione di Leo superava la sua gioia per aver lì la sua mamma.

"Si ma non voglio che ti stanchi. Non voglio che stai male per colpa mia."

"Ehi la mamma sono io, sono io che devo essere in pensiero e non il contrario. Sto discretamente, Leo. Le mie ultime analisi non erano tanto cattive perciò i miei dottori mi hanno permesso di tornare, di starti accanto."

Leo lasciò cadere la maschera di coraggio che era stato costretto ad indossare in quei mesi per sopravvivere alla malattia, alla solitudine.

"Puoi sdraiarti al letto accanto al mio. Conoscendo Vale sono certo che andrà a chiedere asilo a qualcuno stanotte pur di lasciarci soli!"

"Hai degli amici fantastici, Leo!"

Sua madre si fece spazio sul copriletto accanto al ragazzo e gli si sdraiò accanto, mettendogli una mano intorno alle spalle.

"Si sono un ragazzo fortunato anche se..."

"Anche se..."

Leo la fissò con i suoi occhi sinceri, occhi da uomo ormai.

"E se domani la fortuna dovesse abbandonarmi? E se non riuscissero a salvarmi la gamba?"

Sua madre gli posò un dito sulle labbra.

"Andrà tutto bene. Ti ricordi quando eri bambino e avevi paura del buio: pretendevi sempre che lasciassi una lucina accesa..."

"E che mi cantassi una ninna nanna finché non mi addormentavo."

La donna si schiarì la voce e quando sentì quella melodia per Leo fu un'esplosione di emozioni.

"Lavander's Blue, dilly, dilly, lavander's green..."

"When I am a King, dilly, dilly, you shall be queen..."

Quando lui e sua madre cantavano insieme quella ninna nanna erano invincibili. Niente sarebbe andato storto: ora Leo lo sapeva.


Grazie a chi continua a seguire e a recensire la storia.

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Capitolo 18
*** Staffetta ***


Dover usare la sedia a rotelle per un certo periodo era l'unica noia per Leo in quel periodo.

Sua madre era tornata, non gli avrebbero amputato la gamba e, dopo tanto tempo di solitudine in quell'ospedale, finalmente aveva trovato l'amicizia. Quella con la A maiuscola.

Anche quella mattina i quattro ragazzi si erano riuniti a far combriccola nella stanza di Leo e di Vale. Nell'aria c'erano sentimenti contrastanti, soprattutto in Toni che, ormai guarito, aveva avuto il nullaosta da parte dei medici per tornarsene a casa.

Certo in quei giorni aveva tanto aspettato il momento in cui avrebbe potuto nuovamente scorrazzare in moto e dare una mano al nonno in officina eppure nonostante tutto, nonostante l'ingessatura e le ossa rotte, nonostante le malattie a cui aveva assistito, in ospedale aveva vissuto anche tanti momenti indimenticabili.

E se il buon Toni si era presentato alla riunione con gli altri con lo spirito allegro di sempre, Davide sembrava di umore diametralmente opposto.

"Oggi non ci delizi con una delle tue pungenti battute?"

Lo punzecchiò Leo notando che era soprappensiero. Davide sembrava distratto, preoccupato da qualcosa.

"Non ho niente. Mi sono solo rotto di stare qui dentro, tu piuttosto pensa alla tua quattro ruote scassata con la quale dovrai correre per i corridoi nelle prossime settimane."

Cambiò discorso, indicando la sedia a rotelle sulla quale Leo era seduto. Davide non voleva che l'attenzione fosse accentrata su di sé.

Da quando la dottoressa ne aveva parlato con suo padre e con Lilia aveva chiesto loro di mantenere il segreto perché non voleva impensierire i suoi amici che di grane ne avevano già abbastanza.

"Mio nonno mi ha insegnato dei trucchi: se mi dai una chiave inglese e un giravite posso rendere quella sedia super-veloce!"

Gongolò Toni.

"Sì una sedia a rotelle Abarth!"

Ci scherzò sopra Vale, massaggiandosi i gomiti. Leo e Davide scoppiarono a ridere e, non passò troppo tempo, che anche Toni si unì a loro.

Quello era il momento giusto. Leo posò le sue mani sugli avambracci di Davide quasi per inchiodarlo al suo posto.

"Guardami negli occhi!"

Affermò poi seriamente. Era sempre stato convinto che gli occhi sono l'unica parte del corpo che non può mai mentire, lo specchio della verità.

"Tu stai per fare staffetta con me in sala-operatoria, vero?"

"Ma Leo non rompere. Lasciami in pace."

Cercò di sottrarsi a quel tartassamento Davide. Anche Toni e Vale ora lo fissavano, seriamente preoccupati.

"Perché vuoi nascondercelo?"

Ci si mise pure Vale.

"Oh certo che qui dentro a farsi gli affari suoi non è bravo nessuno!"

Sbraitò alla fine il diretto interessato.

"Non lo sai che chi trova un amico trova un tesoro? Tu ne hai tre che si preoccupano per te e ne sembri quasi infastidito!"

Lo incalzò ancora Toni.

"Ho capito. Qui è peggio di Beautiful. Sì è vero, finalmente hanno deciso di operarmi ma non se ne fa niente prima della prossima settimana!"

Ammise alla fine Davide. Era una mezza verità ma fu sufficiente ad allentare la pressione su di lui.

"Eh ci voleva tanto a dircelo? Staremo fuori dalla sala-operatoria a fare il tifo per te!"

Ammise Leo, con un largo sorriso.

"No vi prego, niente sviolinate o patetici in bocca al lupo. Niente frasi melense o pacche stucchevoli: queste cose diabetiche fanno male al mio cuore!"

"Che sei scemo!"

Vale gli lancio contro il suo cuscino e Davide, prontamente, glielo rispedì in faccia. Vedendoli divertirsi, anche Toni si unì a quella lotta a cuscinate.

Per qualche minuto Leo osservò gli altri tre in silenzio, sfiorando i braccialetti che aveva al polso. Poi, senza più remore, decise che era il momento di dividere con gli altri un pezzo della sua storia.

"Ragazzi non credete che la nostra amicizia abbia bisogno di essere suggellata con un simbolo?"

Li richiamò con quella domanda.

"Cosa intendi dire?"

Vale non capiva.

"Intendi un patto di sangue come quello che si fai nel film e nelle confraternite americane?"

Aggiunse Toni con un po' di preoccupazione.

"No, niente di troppo cruento Toni. Un simbolo come uno di questi braccialetti perché, una volta che le nostre strade si divideranno, ci basterà guardare ai nostri polsi per ricordarci che non siamo soli!"

"Mi piace!"

Toni accarezzò quell'idea entusiasta.

"Ci sto anche io!"

Anche a Vale piaceva.

"Davide? Ti sembra troppo sdolcinato?"

L'altro sospirò, si strinse nelle spalle, alzò gli occhi al cielo e alla fine accettò.

"E va bene facciamolo!"

Leo si sfilò, uno dopo l'altro, tre dei suoi braccialetti e li mise ai polsi degli amici.

"Watanka!"

"Cosa?"

"Niente cose mie. Una formula magica, come abracadabra o apriti sesamo!"


Poche ore più tardi mentre Davide era a fare un ecografia, Leo, Vale e Toni incontrarono Lilia.

Vennero così a sapere che l'intervento di Davide era fissato molto prima di quanto lui avesse detto, tra due giorni appena. Vennero anche a sapere che si trattava di un intervento molto rischioso e che a rischio c'era la stessa vita del ragazzino.

Turbati da quelle rivelazioni, i tre ragazzi si riunirono in giardino.

"Dobbiamo fare qualcosa per Davide. Per rendere speciali i giorni prima della sua operazione."

Propose Vale.

"Ma cosa possiamo fare? Non possiamo organizzare feste e non possiamo portarlo fuori di qui per farlo divertire un po'!"

Leo sembrava non avere idee. Toni si concentrò e alla fine, come al genio dei fumetti al quale si accende la lampadina, esultò fiero.

"Ho trovato! Davide vuole fondare una band, giusto? Beh direi che domani è il giorno adatto perché si esibisca la Band dei..."

Ci pensò su. Ogni Band che si rispetti deve avere un nome!

Poi diede uno sguardo al suo polso e sorrise.

"La Band dei Braccialetti Rossi!"

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Capitolo 19
*** Rock Band ***


"Credo di dover vomitare!"

Dopo aver dato una rapida occhiata al pubblico riunitosi nella sala-ristoro del reparto, Vale si portò le mani sulla pancia, dove era concentrato tutto il suo nervosismo.

"Sai che novità: non fai altro da settimane!"

Minimizzò Davide, pizzicando le corde del suo basso per fare una prova.

"In pratica hai le farfalle nello stomaco, la bocca secca e il cuore che sembra esploderti, ma non perché sei innamorato , e il panino con prosciutto che hai mangiato oggi a pranzo sta per tornarti indietro?"

Analizzò Toni, infierendo secondo Vale che, tuttavia, annuì.

"Ci sono cinque trucchetti per superare l'ansia da palcoscenico!"

Leo attirò l'attenzione degli altri che, a dirla tutta, avevano davvero bisogno di preziosi suggerimenti e iniziò a contare sulle dita:

"Uno: la respirazione!"

Ispirò ed inspirò profondamente e lentamente , venendo imitato da Toni.

"Due: concentrati sulla tua performance!"

"Sulla figura di merda che faremo, vorrai dire!"

Davide distrusse quella parte da psicologo in cui Leo si era divertito tanto a calarsi.

Il leader del gruppo ignorò volutamente la provocazione e proseguì.

"Ignora quella vocina malefica dentro di te che ti dice che farai schifo..."

"Quella non è la mia coscienza ma è Davide!"

"Vale ma se ti ci metti anche tu, qui non ne veniamo a capo! Tre: evita alcol o droghe."

"Su questo non ho problemi. A meno che i farmaci della chemio non siano considerate droghe!"

"Vincenzino ma lo sai che sei proprio pignolo!"

"Io direi che è una palla. Dai Leo vai avanti che abbiamo un concerto da fare..."

Gli fece pressione Davide che, anche se non lo avrebbe mai ammesso, stava trovando utili quei consigli.

"Quattro: provare, provare, provare..."

"Allora siamo spacciati. Abbiamo provato si e no cinque volte insieme. Opzione numero cinque?"

Leo si strinse nelle spalle e sorrise furbo.

"Non me lo ricordo Davide. Dai ragazzi che è ora di andare in scena e, come dicono in teatro, merda, merda, merda!"


La sala era davvero piena di persone: oltre ad altri degenti, agli infermieri, ai medici (inclusa quella Strega della Lisandri) c'erano anche diversi parenti.

Leo fu ben felice di vedere sedute, accanto al suo vecchio amico Nicola, sua madre e sua sorella Asia.

Toni era entusiasta del fatto che suo nonno lo avrebbe visto suonare la batteria per la prima volta.

Il padre di Davide e Lilia erano in prima fila e, con loro, c'era anche...

"Oh no che cavolo ci fa Mirko qui? Mi sputtanerà per tutta la scuola!"

Il ricciolino credette che la sua reputazione fosse rovinata per sempre. Toni gli si avvicinò, armeggiando con le bacchette, e gli cinse le spalle.

"Ma non è quel tuo amico buono come un panda? Quello cicciottello che tu hai preso a male parole? Se è qui vuol dire che ci tiene a te, nonostante tutte le tue vessazioni. E, secondo il mio modestissimo parere, se dici di voler cambiare davvero allora dovresti iniziare chiedendo scusa a questo Mirko!"

Davide ci rifletté su e poi, inaspettatamente, disse:

"Mi sa che hai ragione, Toni!"


Vale spostò, ancora una volta, lo spesso tendone che separava il piccolo complesso dal pubblico e tornò indietro, carezzando la pianola con un'espressione indecifrabile, forse felice.

"Problemi?"

Chiese Leo imbracciando la sua chitarra.

"No è solo che sono sorpreso che di là ci sia mio padre seduto accanto a mia madre. Non ha mai avuto troppo tempo per me ed ero sicuro che oggi lavorasse: credevo che avrebbe ritenuto la nostra esibizione una sciocchezza, qualcosa per la quale non valeva la pena rinunciare ai suoi impegni!"

Leo aveva ascoltato comprensivo. In parte capiva le paure, il distacco, del padre di Vale perché erano stare reazioni tipiche anche di suo padre quando lui si era ammalato.

"Beh forse la tua pelata e le tue braccia che sembrano un colabrodo lo hanno fatto ricredere e ha capito che hai bisogno di lui!"

Leo lo aveva detto serio ma, per non rendere il tutto eccessivamente drammatico, aveva passato una mano sulla testa dell'amico.

"Lo spero davvero."

"Allora Leo siamo pronti per andare in scena?"

Ruggero, che si era unito al gruppo per quell'esibizione, aspettò che gli dessero l'ok perché aprisse il sipario. Inoltre avevano trovato una ragazza niente male, con una melodiosa voce ed intonata, che aveva accettato di cantare: si chiamava Cris e stava già popolando molti sogni di Leo.

"Va bene si va in scena: è ora di realizzare il tuo sogno, Funghetto!"

Leo si rivolse a Davide con tono profondo e non c'era canzonatura in quel nomignolo. E, una volta tanto, Davide lasciò passare.

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Il mare piatto in bonaccia non era certo l'ideale per mettere la tavola da surf in acqua. Alla fine Vale aveva rinunciato e si era steso sulla sabbia lasciando che il vento caldo gli alitasse gentilmente sui capelli e sul viso.

Si stava così bene su quell'angolo di spiaggia che non gli pesava nemmeno il ritardo degli altri.

Quell'atmosfera pacifica fu disturbato da un rumore, simile al ronzio di uno stormo d'api, che invece si rivelò essere uno scooter rosso. Toni ne discese, togliendosi il casco e rivelando la sua zazzera disordinata.

"Vincenzino eccomi! Scusa il ritardo ma, ora che la scuola è chiusa, quando lavoro in officina il tempo vola e nemmeno me ne accorgo!"

"Non preoccuparti Toni. Piuttosto tuo nonno si è fidato a mandarti in giro per la città con una moto?"

"Beh dopo che ho preso il patentino e dopo le sue invocazioni a San Gennaro sta più tranquillo!"

Vale sorrise, accarezzando la tavola da surf abbandonata al suo fianco.

Qualcun altro, correndo scalzo sulla sabbia, raggiunse quel luogo appartato designato per quel ritrovo.

Leo era decisamente più alto e aveva messo su un bel tono muscolare dall'ultima volta che lo avevano visto. I capelli neri, portati un po' lunghi, gli si erano appiccicati in fronte dopo quella folle corsa.

"Ciao ragazzi! Ho fatto meglio che alla maratona di New York per essere qui in tempo ma..."

"Ma quando sei con la tua Cris ti dimentichi di tutto il resto!"

Lo apostrofò Vale con un sorrisino che fece arrossire l'altro, quindi si abbracciarono.

Era un periodo davvero sereno per Leo. Sua madre stava continuando le cure nella loro città e averla vicina aveva avuto un impatto positivo anche sul ragazzo nell'affrontare il suo male, aveva una fidanzata e...

"Forse mi prendono a giocare per una squadra dilettantistica. Non c'è ancora nulla di certo ma farò il provino tra qualche giorno!"

Comunicò agli amici visibilmente felice.

"Leo ma è fantastico!"

Vale non fece in tempo ad aggiungere altro, infatti i tre videro l'auto di Lilia allontanarsi e una figura camminare sulla rena, avvicinarsi sempre di più a loro.

"Ehi Funghetto non affaticarti. Il dottor Alfieri non ti ha detto che le alte temperature fanno male al tuo cuore?"

"Vaffanculo Leo. Credo proprio che studierai medicina e diventerai come la Strega da grande."

Rispose a tono Davide a quella punzecchiatura, dando poi il cinque agli altri ragazzi.

"Io da grande farò il calciatore, discorso chiuso!"

Sentenziò Leo, portandosi la mano sul cuore in una sorta di giuramento.

"Pensavo saresti diventato l'Eric Clapton della nostra band. Io, dopo questi due anni obbligatori di scuola superiore, vorrei andare al conservatorio...Anche per fare contenta quella poveraccia di Lilia che con me ha tanta pazienza!"

Ammise Davide che stava rivalutando il mortorio che insegnava la sua vice mamma ed era addirittura disposto a farsi dare qualche lezione da lei.

"Ma lo ricordate il nostro primo concerto? Credevo ci avrebbero tirato i pomodori addosso e, invece, ci hanno applaudito. Non riesco a credere che sia passato già un anno da allora!"

Fece Vale in parte sollevato e in parte nostalgico.

"La cosa più incredibile è che abbiamo cantato ancora insieme dopo quella volta!"

"Io non scorderò mai quel ritornello cretino che mi avete intonato appena mi sono risvegliato dall'anestesia. Se non fossi stato così male vi avrei preso a sprangate!"

Recriminò Davide.

"Cuore matto...Boom, boom

matto da legare...Boom, boom...

Intonarono goliardici gli altri tre, attirandosi una smorfia poco carina da parte di Davide.

"Siete pronti per Sanremo!"

"A me più che a Sanremo piacerebbe andare ad Ohau. Avete mai sentito parlare del Waimea Bay?"

Si espose Vale. Per un tipo come lui condividere un sogno custodito sempre tanto gelosamente era un gran passo.

"Cos'è una ballerina hawaiana?"

"No Leo. Lì si può cavalcare una delle onde più cattive e grosse del pianeta. Nei giorni di mare agitato si può sentire il rumore degli enormi blocchi di pietra che rotolano sul fondale..."

Raccontò raccogliendo alcuni granelli di sabbia per poi farli disperdere al vento.

"Insomma se non ti ha ammazzato il tumore ti farà fuori la tua grande passione!"

Disse filosofico Toni, battendo una mano sulla tavola da surf dell'amico.

"Non è detto che questo mio sogno si avvererà Toni ma in ospedale abbiamo imparato a non porci limiti, a lottare per i nostri sogni per quanto folli ed irrealizzabili sembrino."

"Vero. Io sogno un'officina tutta mia!"

"Va bene: Tom Curren, Cliff Burton, Jean Todt che ne dite di mettere da parte i vostri voli pindarici e di concederci un bel bagno in mare?"

Propose Leo, liberandosi della maglietta e correndo verso la battigia. Toni fu il secondo ad entrare in acqua e a cominciare a spruzzare l'amico.

Vale invece fu attratto da qualcosa che il mare sembrava aver rigettato indietro e che era finito proprio ai suoi piedi. Era una bottiglia di vetro ed esaminandola poteva vedere che c'era un messaggio custodito al suo interno.

Il messaggio che lui aveva affidato all'immenso mare prima di intraprendere la sua battaglia. Una battaglia che non era ancora finita ( lui e Leo avrebbero dovuto fare dei controlli periodici) e che aveva portato alla separazione dei suoi genitori ma che, alla fine, lo aveva reso più forte e pronto a parare i colpi della vita.

"Cos'è?"

Chiese Davide avvicinandolo. Vale rigirò la bottiglia tra le mani e poi la rilanciò lontana dove l'acqua era più profonda.

"Oh niente. Custodiva solo i sogni di un ragazzo...Sogni che credeva perduti e che ora ha ritrovato!"

Vale sorrise e, superando Davide, si tuffò in acqua.


*********

Grazie davvero di cuore a chi ha seguito la storia e mi ha permesso di arrivare fin qui. Grazie a chi ha commentato costantemente o saltuariamente, a chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate.

Questo finale è per voi...A presto

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