I don't lose. di iWantNiallsHug_ (/viewuser.php?uid=364029)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I hate reading. ***
Capitolo 2: *** Messages. ***
Capitolo 3: *** Ice-cream? ***
Capitolo 4: *** Vuoi un passaggio? ***
Capitolo 1 *** I hate reading. ***
1
I hate reading.
Stavo
vagando da una buona
ventina di minuti per la sezione ‘Romanzi rosa’
della biblioteca di Holmes
Chapel, alla ricerca di un libro con una trama la quale ne sarebbe
valsa la
pena leggerla. Ne intravidi uno dalla copertina interessante, dove
apparivano
in primo piano un paio di scarpe con i tacchi e il titolo scritto a
caratteri
cubitali. Allungai il braccio in avanti cercando di afferrare il libro,
ma
qualcuno fu più svelto di me nell’acchiappare
l’oggetto, levandomelo dalla
visuale. Accigliata, spostai lo sguardo sull’individuo che
aveva osato prendere
l’ultima copia del primo libro che mi avesse a prima vista
mai interessato.
Un
ragazzo alto, dai capelli
ricci e bruni stava tranquillamente in piedi davanti a me con il mio libro in mano mentre leggeva le
prime pagine di esso. Con espressione concentrata e fronte corrugata
sfogliava
i fogli di carta bianca, fin troppo velocemente per riuscirne ad
apprendere le
informazioni.
“Scusami?”
Chiesi al
misterioso ragazzo, che dopo aver sentito il mio richiamo
alzò lo sguardo dal
famoso romanzo, mostrandomi due occhi smeraldini fottutamente belli. Il
suo
sguardo confuso bastò a farmi capire che non recepiva il
motivo delle mie
parole, così mi sbrigai a continuare.
“Hai
preso il mio libro.” Gli
dissi chiara, lui corrugò nuovamente la fronte, guardando
prima il libro poi me,
per almeno un paio di volte. Forse stava elaborando mentalmente
qualcosa da
dire, meglio non interromperlo. Possibile che già mi
irritasse?
“Tuo?”
Domandò con una voce
roca e sensuale, più sensuale che roca.
“Già,
mio. Lo stavo per
prendere prima che arrivassi tu.” Dissi gesticolando e poi
puntandogli il dito
contro alla fine della frase. Alle mie parole la sua bocca si
incurvò in un
sorriso sghembo, ed una delle due sopraciglia si alzò
mostrando un espressione
da ragazzo trasgressivo, riuscita male, oltretutto.
“Non
mi sembra che tu l’abbia
pagato, o sbaglio? Quindi fino a prova contraria il libro è
di chi lo prende.”
Concluse con sguardo da chi la sapeva lunga, alquanto ridicolo per i
miei
gusti. Questo ragazzo lo conoscevo da si e no due minuti e
già mi faceva
saltare i nervi, alla prossima provocazione ero tentata di rispondere
con la
violenza.
“No,
non sbagli, ma lo stavo
per fare, o almeno prima che le tue manacce lo prendessero.”
Dissi acida in
risposta. Fanculo l’idea di avere una conversazione civile.
“Ci
saranno milioni di libri
in questa maledettissima biblioteca, perché vuoi proprio
questo?” Chiese con un
filo di esasperazione nella voce. Io scrollai le spalle, sicura di non
volergli
riferire alcuna minima informazione.
“Non
sono cazzi tuoi.” Esordii.
“E tu perché sei nel reparto femminile? Ti
intrigano smalti e decolté?”
Ridacchiò
leggermente alla
mia battuta mostrando due file di denti bianchi, assurdamente dritti.
Presi un
respiro profondo, Lo aveva capito che lo stavo insultando o forse
credeva che gli
stessi facendo un complimento?
“No,
ma mi piacciono i
romanzi.” Concluse con aria da superiore. Probabilmente si
credeva figo, ma i
suoi tentativi per esserlo si dimostravano vani.
Iniziai
a pregare mentalmente
sperando che un fulmine lo centrasse in pieno, almeno io avrei avuto il
mio
libro, e l’umanità sarebbe rimasta priva di questa
sottospecie di scimmia
antropomorfa, e tutti avremmo vinto, perlomeno io e il resto della
razza umana.
Oltretutto
il modo in cui mi
guardava mi dava solo che fastidio, i suoi occhi intrappolarono il mio
corpo, partendo dai
capelli ondulati e rossicci per
poi arrivare alle converse bianche che avevo ai piedi. Mi sentivo a
disagio ad
essere sotto gli occhi di un perfetto sconosciuto.
“Ti
propongo un patto.” Disse
ad un tratto.
“Spara.”
Continuai.
Diede
un’ultima occhiata al
mio fisico come per accertarsi che quello che stava per dire o per fare
sarebbe
andato a suo vantaggio, si grattò il retro della testa e con
una mano mi tese
il libro.
“Io
ti do il libro se tu mi
dai il tuo numero di telefono.”
Il
rumore che si sentì dopo
fu solo quello della mia risata che usciva forte dalla bocca, mi
trattenni la
pancia e poi con fare drammatico mi asciugai una finta lacrima dalla
guancia.
“Bella
battuta.” Dissi
continuando a ridacchiare.
“Ero
serio.” Disse
tranquillamente senza ombra di ilarità della voce. Feci uno
sguardo stupito
quando mi accorsi che in realtà lui non stava affatto
scherzando. Ma perché
questi soggetti li incontravo sempre io?
“Certo,
già che ci siamo vuoi
anche il mio indirizzo?” Chiesi retorica.
“Sarebbe
perfetto.” Ma mi
stava prendendo per il culo o cosa? Probabilmente cosa, ma tanto se
glielo
avessi detto non avrebbe capito la battuta.
“Sai,
sei più stupido di
quanto sembri.” Lo informai tranquillamente, tenendomi
teatralmente il mento
tra due dita ed emettendo la tipica posizione di chi pensa.
Dopodiché iniziai a
rigirarmi tra le dita un boccolo che era scappato dalla crocchia
malfatta,
guardando ogni tanto la punta di esso, aspettando che il ragazzo riccio
parlasse ancora.
“Secondo
me ti attiro.” Disse
infine interrompendo il silenzio che si era creato, tecnicamente quello
che ci
dovrebbe essere di norma in una biblioteca, ma non ero mai stata molto
attenta
alle regole e di certo non avrei iniziato in quel momento.
“Tutti
i giorni.” Dissi
annuendo falsamente. “ E visto che probabilmente non hai
capito il sarcasmo te
lo dico io, stavo scherzando.”
Alzò
gli occhi al cielo per
l’ennesima presa in giro che oltrepassò le mie
labbra quel giorno, scuotendo la
testa come se quella infantile fossi io.
“Hai
intenzione di continuare
ancora per molto?” Disse sbuffando leggermente, mentre io
ridacchiai per quel
filo di esasperazione che penetrava flebile dalla sua voce
così maledettamente
sexy.
“Finché
non avrò quel libro.”
Venticinque
minuti.
Altri
venticinque
fottutissimi minuti a discutere con quel cerebroleso.
Tra
insulti, prese in giro e
battute perverse non riuscivo più a capire se mi trovavo in
una cazzo di
libreria o in una puntata di Uomini e donne.
E
indovinate alla fine chi
aveva avuto la meglio?
Lui.
Mi
ritrovai a dettargli una
per una le cifre che componevano il mio numero di telefono mentre le
sue dita
slittavano veloci sul liscio touch-screen del cellulare.
Guardò soddisfatto lo
schermo mostrando un sorriso compiaciuto, poi subito dopo la sua
espressione
divenne confusa e non passò un secondo che alzò
lo sguardo dall’aggeggio per
poi guardarmi.
“Com’è
che ti chiami?”
Chiese, mentre io risi leggermente al pensiero che dopo circa
un’ora di
conversazione non ci eravamo ancora presentati.
“Holly.”
Dissi con non molta
fierezza.
“Holly?”
Chiese con
un’espressione talmente stupida che feci fatica per non
ridergli in faccia.
“Non
posso chiamarmi così?” Domandai
eloquente ottenendomi in risposta un segno di resa con le mani. Scossi
la testa
scrollando le spalle, ma questo ragazzo che problemi aveva?
Mi
ritrovai fuori dal
negozio, con una busta immancabilmente rosa tra le mani e una grande
incazzatura per la testa.
Ero
riuscita a cedere agli
sporchi ricatti di un ragazzo mai visto prima, per cosa poi? Per
riuscire ad
acquistare uno dei libri più stupidi che avessero mai
scritto. In effetti
leggere la trama dopo aver pagato il conto, e basandosi solo sui colori
accesi
della copertina non era stata una grande idea.
A
distrarmi fu la vibrazione
del cellulare, che tremò nella tasca dei miei jeans, lo
afferrai subito dopo
essermi liberata della busta che tenevo in mano per poi levare lo
sblocco e
leggerne il contenuto.
Da:
Sconosciuto.
“Io
odio leggere, e i romanzi non li sopporto,
a
proposito, mi chiamo Harry ;) x”
L’omicidio
è illegale, ma mi arresterebbero
se picchiassi a sangue qualcuno con un libro scadente? E casualmente
questo
qualcuno avesse i capelli ricci e gli occhi verdi?
Ciao! Leggete, è importante.
Inanzitutto saluto coloro che già conosco e chi è
nuovo!
Eccomi ritornata con una nuova storia, il primo capitolo fa
già capire molte cose ma i prossimi saranno ancora meglio!
Sono soddisfatta di questa storia e spero lo sarete anche voi!
Me la lasciate una piccola reecnsione? Grazie mille!
Se volete contattarmi:
Twitter: https://twitter.com/HazsConverse_
Vi voglio sentire in tante!
Asia;
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Capitolo 2 *** Messages. ***
2
Messages.
Mi
alzai goffamente dal letto
morbido, con la testa che dolorosamente pulsava per la stanchezza,
mentre con
passo felpato raggiungevo la porta ancora chiusa del bagno.
Di
certo passare una notte
praticamente in bianco per rispondere ai messaggi provocatori di un
semi-stalker non era la cosa più furba ed intelligente che
potessi fare. Quel
cellulare aveva avuto poche possibilità di arrivare sano e
salvo al mattino
successivo, ma alla fine il mio poco autocontrollo aveva avuto la
meglio contro
l’istinto omicida verso il marchingegno.
E
voi chiaramente vi
chiederete, ma non sarebbe bastato spegnerlo? Eh no, fin lì
il mio cervellino
pacato ci arrivava, il problema era che quella fottuta sveglia non si
sarebbe
azionata se il telefono non fosse stato acceso ed io non avrei sentito
la
suoneria se il suono non fosse stato al massimo, quindi oltre ad avere
uno
pseudo maniaco fissato con i messaggi avevo anche la tecnologia che si
rifiutava di aiutarmi.
...
Feci
ruotare le dita intorno
al lucchetto tondo e metallico dell’armadietto, aprendolo con
non curanza per
poi afferrare i libri che mi sarebbero serviti per la lezione di quel
giorno, successivamente
mi piegai in avanti per raccogliere alcuni fogli stracolmi di appunti
che erano
caduti pochi secondi prima, rimettendoli al loro posto nel quaderno ad
anelli.
Prima
ora, economia, bel modo
di iniziare una terrificante giornata.
Odiavo
l’aula, la materia e
soprattutto la professoressa che la insegnava, per questo entravo
appositamente
circa dieci minuti dopo lo squillo della campanella in classe, in modo
di far
pulsare la vena del collo di quella noiosa donna. Era divertente vedere
il suo
viso cambiare colore ogni volta che entravo con strafottenza dalla
porta e non
mi degnavo di darle spiegazioni. Esilarante.
Con
fare drammatico entrai in
classe, sbattendo la porta per informarla della mia presenza.
Girò,
in stile esorcista, la
testa verso la mia direzione scrutandomi da capo a piedi e, mentre con
una mano
si abbassava gli occhiali sul naso e con l’altra iniziava a
sfogliare il suo
prezioso registro, mi mostrò due occhi chiusi a fessura che
mi guardavano
minacciosi.
“Signorina
Starling.”
Commentò con disprezzo osservandomi. “Si rende
conto che la lezione è già
cominciata?” No, guardi. Pensavo
che tutti
gli studenti fossero già in classe per fare due chiacchere
con lei.
Sbuffai
piano cercando di non
farmi vedere, mentre le mie mani raggiunsero il loro posto
all’interno delle
tasche dell’enorme felpa grigia che faceva contrasto con i
jeans attillati.
“Si.”
Ammisi solamente.
“E
sa che sta disturbando i
compagni che vogliono ascoltare?” Riprese acida nei miei
confronti.
Ormai
facevo poco caso a
quello che diceva, la sua voce stridula mi entrava da un orecchio e mi
usciva
dall’altro, non che prestassi molta attenzione agli altri
professori, ma verso
la signora Stevenson avevo un odio particolare.
“Non
si perdono niente, si
fidi.” Sussurrai non troppo piano, facendo ridacchiare alcuni
ragazzi nelle
prime file di banchi che avevano sentito la mia provocazione.
“Come
scusi?” Chiese alzando
di poco la voce. Amplifon?
“Niente.”
Mi
ritrovai a passeggiare
senza una meta per i corridoi vuoti della Brixton
High School, mentre la lezione dell’aula 13 b procedeva senza di me. Ormai avevo
perso il conto delle volte che
quella vecchia donna mi aveva cacciato dalla classe senza un motivo
valido, beh
forse il motivo ce l’aveva, ma ero troppo orgogliosa per
ammetterlo.
Avevo
poco meno di un’ora per
fare quello che volevo senza rotture di scatole, anche se in una scuola
pressoché vuota le opzione non erano molto ampie.
Così mi lasciai guidare dai
miei piedi, che in poco tempo mi portarono davanti alla grande entrata
della
palestra, la quale si trovava nei sotterranei dell’istituto.
Feci rapidamente
mente locale degli orari scolastici della settimana per arrivare alla
conclusione che il lunedì mattina alla prima ora la
palestra, nonché il campo
da basket, era occupato dalla squadra maschile di pallacanestro della
scuola.
Senza
farmi vedere
dall’allenatore, che stava fischiando contro un ragazzo che
aveva commesso
fallo, sgattaiolai all’interno della sala, passando
attraverso un portellone
antincendio sul retro, con l’idea di sdraiarmi sopra i
materassi che usavano le
cheerleader per provare le loro stupide coreografie, ed ascoltare un
po’ di
buona musica.
Mi
lanciai a peso morto sul soffice
materiale di uno degli enorme tappeti di gommapiuma, mentre esso si
accasciava
leggermente a causa del mio peso, per poi iniziare a srotolare il filo
delle
cuffie, che come avevo previsto, si rifiutava di collaborare.
Mentre
sceglievo una canzone
dalla lunga lista del mio cellulare lanciai un’occhiata ai
tizi sudati e in
uniforme che saltellavano come le caprette di Heidi per il campo,
constatando
che facevano un esercizio dove a turno ognuno doveva fare canestro.
‘Cause with your hand in my
hand and a pocket full of soap
I can tell you there's no place we couldn't go
Just put your hand on the past
I'm here tryin' to pull you through
You just gotta be strong’**
Mi
feci avvolgere dalla melodia rilassante della canzone, chiusi gli
occhi, e lasciai vagare la mia mente per i più intersecati
pensieri. Ero
completamente persa nelle note musicali che mi accarezzavano da dentro
lasciandomi un senso di leggerezza, di serenità.
Ero
tranquilla, ovviamente troppo tranquilla
per i gusti degli altri.
‘BOOM’.
Massaggiai
con la mano il punto della fronte
appena colpito dalla pesante palla, imprecando a bassa voce contro
l’idiota che
me l’aveva lanciata, sicuramente in quel punto ci si sarebbe
formato un livido
non facile da coprire con il fondotinta.
Sembrava
quasi che se non mi vedevano incazzata
non erano contenti.
“Ma
la sai usare quella cazzo
di palla?!” strillai tenendomi saldamente il punto dolorante.
“Mi
dispiace tanto, non ti
avevo vista.” Decretò la voce familiare del
diretto interessato. Ottima scusa.
Alzai
istintivamente lo
sguardo per poter guardare in faccia il mio
“aggressore”, già dell’idea di
prenderlo a parolacce o peggio, ma mi dovetti fermare quando il suo
volto entrò
nella mia visuale. Rimasi letteralmente paralizzata per non so quanto
tempo,
mentre fissavo con uno sguardo misto tra lo stupito e il truce quel
ragazzo.
Non
ci potevo credere, no.
No. E no. Non era umanamente possibile che accadessero tutta a me in
quella
mattinata proprio di merda.
“Oh,
ma guarda chi si rivede.
Holly.” Annunciò fiero Harry mentre faceva roteare
su un dito la palla che poco
prima era entrata in collisione con la mia faccia. Il suo sorrisino da
superiore e i sopracigli alzati mi fecero venire voglia di prenderlo a
pugni,
ma visto che la sospensione era l’ultima cosa che mi serviva
per migliorare il
mio resoconto scolastico decisi di frenare i miei istinti, limitandomi
a sospirare
profondamente per far regnare quel briciolo di calma che avevo nel mio
corpo.
La mia pazienza non era mai stata troppo elevata, e
quell’episodio contribuì a
ricordarmelo.
“Ma
questa è una
persecuzione!” Dissi rivolta a nessuno buttando le braccia al
cielo e alzando
di un ottava la voce.
Cosa
diavolo era questo
ragazzo? Un fungo? Un giorno prima non esiste e quello dopo me lo
ritrovo
ovunque? No, non è possibile.
“Tu
la chiami persecuzione,
io la chiamo fortunata coincidenza. Questione di punti di
vista.” Continuò con
il suo tono saccente, mentre con un gesto delle mani si
portò all’indietro un
ciuffo di riccioli completamente bagnato di sudore. Sembrava un cane
che si
grattava cercando di levarsi le pulci, disgustoso.
“Ma
tu da dove diavolo salti fuori
eh? Vengo in questa fottutissima scuola da quattro anni e a meno che tu
non
avessi il mantello dell’invisibilità di Harry
Potter non ti ho mai visto!”
sbottai gesticolando e puntandogli un dito nel petto.
“Mi
sono appena trasferito in
questa scuola perché in quella in cui andavo io mi hanno
dato una borsa di
studio per il basket, ma visto che là la squadra
è al livello dei principianti
il mister mi ha consigliato di iscrivermi qui, perché sono
più ‘sportivamente
forniti’, come ha detto lui, e bla bla bla.”
Concluse il riccio.
“A
giudicare dai tuoi tiri mi
risulta difficile credere che tu abbia vinto una borsa di
studio.” Dissi
ironica riferendomi al colpo che, anche se non intenzionalmente, mi
avevo
colpito il volto, per poi alzarmi dal materasso e prendergli la palla
di mano.
“A
volte le apparenze
ingannano.” Disse sorridendo mentre mi guardava palleggiare e
provare un tiro a
canestro, oltretutto Chilometricamente sbagliato.
Approfittai
dell’assenza di
tutti gli altri giocatori, che probabilmente erano andati a farsi la
doccia,
per provare ancora un paio di tiri liberi, ma niente da fare, il basket
non
rientrava nelle mie doti. Quelle doti che anch’io dovevo
ancora scoprire.
Non
riuscii a fare un altro
lancio che da dietro due mani più grandi del normale mi
bloccarono i polsi,
impedendomi di tentare di fare canestro. Quelle braccia modellarono le
mie a
loro piacimento, mettendole in una posizione tendente
all’alto, dove un palmo
reggeva la palla da sotto e l’altro era appostato dietro in
modo da spingerla
più possibile.
“Prova
ora.” Mi sussurrò
Harry all’orecchio in modo sensuale, sfiorando con le labbra
il lobo e pressando
leggermente il suo torace contro la mia schiena incitandomi a tirare.
Con mia
grande sorpresa, quando riprovai il lancio, la palla andò
più dritta delle
precedenti volte, roteando intorno al cerchio metallico per poi finirci
completamente dentro, oltrepassando la retina che ad esso era attaccata.
Ripresi
l’oggetto sferico
dopo alcuni rimbalzi girandomi verso il ragazzo che stava in piedi con
le
braccia conserte e un sorrisino compiaciuto stampato in faccia.
“Dicevi?”
Mi provocò.
“Quindi
tu saresti una
sottospecie di Zac Efron?” Chiesi ignorando il suo commento.
Lo guardai
rifletterci un po’ su, mentre con fronte corrugata faceva
ricadere le braccia
lungo il busto.
“Diciamo,
ma molto più
bello.” Ridacchiai per l’assurdità
dell’affermazione per poi testare i suoi
riflessi visivi, lanciandogli senza alcun preavviso la palla, che lui
prontamente afferrò.
“E’
la convinzione che fotte
la gente.” Decretai facendo marcia indietro, con
l’idea di tornare in classe,
pregando mentalmente che la lezione di economia fosse terminata.
“E poi Zac
Efron è palesemente frocio.” Aggiunsi ghignando.
Ma
non feci in tempo a fare
più di tre passi che la mano di Harry afferrò il
mio braccio facendomi tornare
indietro e voltarmi verso di lui, inconsciamente mi ritrovai faccia a
faccia
con le sue labbra, nel mentre venivano bagnate dalla sua stessa lingua.
Premetti entrambi i palmi delle mani contro il suo petto, riuscendo a
percepire
il segno degli addominali ben definiti dal sottile tessuto
dell’uniforme, per
accentuare le distanze, ma la mia forza in confronto alla sua era
minima e
quindi non riuscii a spostarlo di un centimetro. Dovevo iniziare a fare
palestra.
“Dove
credevi di andare?”
Sussurrò con fare sexy. Quella vicinanza mi metteva a
disagio.
Ero
già dell’idea di centrare
il suo occhio con la mia saliva, ma sarebbe stato troppo facile, volevo
divertirmi e dovevo farlo soffrire come solo una ragazza sapeva fare.
Senza
pensare alle
conseguenza allungai il viso verso il suo, facendo combaciare le nostre
labbra
in un bacio improvvisato mentre con la lingua gli leccai il labbro
inferiore
chiedendo accesso alla sua bocca, che nell’attimo stesso mi
fu concesso. Mossi
il mio corpo verso il suo, facendo scontrare i nostri bacini, per poi
far
danzare le nostre lingue in un turbine di saliva ed eccitazione. Le sue
mani
afferrarono saldamente il retro delle mie cosce, facendo pressione e
alzandomi
da terra, in modo che i miei piedi non toccassero più il
pavimento. Gli
attorcigliai le gambe intorno al bacino mentre fasciai il suo collo con
le
braccia che, temerarie, si abbracciarono l’un
l’altra; successe nel momento in
cui scontrai la schiena contro il muro più vicino e in cui
arrivai alla
conclusione che non aveva intenzione di fermarsi ad un semplice bacio.
Passai
una mano nei suoi
capelli, tirando piano alcuni boccoli e ascoltando qualche suo piccolo
gemito
di apprezzamento. Qui qualcuno stava diventando vulnerabile, sorrisi
fra me e
me.
Ma
quando sentii la sua mano
sfiorare la cerniera dei miei pantaloni, cercando disperatamente di
slacciarla,
mi fermai e, contenta del risultato ottenuto, staccai la mia bocca
dalla sua,
scesi dalla sua presa e lo guardai con espressione di sfida.
“Ciao
ciao ricciolino.” Dissi
innocua prima di pulirmi la bocca con il dorso della mano ed uscire
dalla
palestra, lasciandolo da solo, con la bocca spalancata ed una
prominente
erezione fra le gambe.
Vendicarmi
per la notte in
bianco che mi aveva fatto passare? Fatto.
Heiii
Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo e come potete vedere
gli avvenimenti succulenti ci sono fin da subito!
Piaciuto il primo? Spero di si!
Se vi è piaciuto, o avete degli appunti da farmi, scrivetemi
una recensioni e spero siano parecchie perchè non penso che
continuerò la storia se continuerò a riceverne
poche.
un bacio
Asia;
|
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Capitolo 3 *** Ice-cream? ***
3
Ice-cream?
Vi
è mai capitato di fare
qualcosa e sapere che questa è maledettamente sbagliata, ma
continuate a farla
ugualmente perché è divertente?
Continuare
a stare al gioco
con Harry, rispondendo ad ognuno dei suoi messaggi provocatori era una
cosa talmente
stupida che era impossibile non farla. Adoravo il pensiero di averlo in
pugno
per la figuraccia che gli avevo fatto fare in palestra, per non parlare
dell’esilarante convinzione che aveva quando parlava di
vendicarsi nei miei
confronti.
Da:
Harry.
“Hai
da fare oggi?”
Fu
l’ultimo messaggio che
ricevetti quella mattina, e devo dire che rimasi piacevolmente
interdetta
quando lo lessi, tanto da rispondergli con una dolce affermazione.
A:
Harry.
“Se
hai intenzione di invitarmi ad uscire,
allora si, ho da fare.”
Sorrisi
mentalmente quando il
mio indice sfiorò il tasto di invio.
Da:
Harry.
“Non
avevo dubbi.”
Lessi
più volte quel
messaggio, se fosse stata una conversazione vocale avrei potuto capire
in che
tono lui intendeva quella frase, ma constatando che le parole erano
trascritte
solo su uno schermo decisi di evitare di pensare che fosse offeso.
Decisi
comunque di non farlo
soffrire troppo.
A:
Harry.
“A
meno che tu non abbia intenzione di portarmi
a prendere un gelato. Cambierebbe tutto.”
Il
mio stato sentimentale era
caduto a picco dopo la mia ultima relazione, da allora non avevo
onorato nessun
ragazzo permettendogli di diventare un mio ipotetico fidanzato.
L’istante
successivo il viso
di Harry mi entrò con forza della mente, ed io non potei
fare a meno di cercare
di ricordare i suoi lineamenti. Il fisico asciutto e slanciato, le
spalle non
troppo larghe ma comunque muscolose, il torace tonico e con degli
accenni di
addominali sul petto. Del viso, gli occhi erano la caratteristica che
mi aveva colpito
di più. Erano di un verde prato con uno strano effetto
ipnotico e, diversamente
dai miei, erano chiarissimi.
Poi
la bocca, beh quella me
la ricordavo bene. Le sue labbra erano morbide e l’alito
aveva il retrogusto di
menta, il mio gusto preferito.
Di
certo non si poteva
definire Harry un brutto ragazzo, anche se la sua presenza mi irritava
e non
poco, non potevo negargli di essere attraente. Ripensando appunto al
suo
fascino un’idea mi balenò in testa.
Se
davvero voleva vendicarsi,
perché non lasciarlo fare?
Magari
saremmo finiti a letto
e poi non ci saremmo mai più visti ne sentiti, ho già detto che mi irritava?
Da:
Harry.
“Se
accetti, Ti porto nel posto dove fanno la
vaniglia migliore dell’Inghilterra.”
Mi
lasciai cadere di schiena
sul letto, atterrando sulla morbidezza esauriente del materasso, per
poi
staccare il cellulare dal caricabatteria e controllare l’ora.
Le due meno venti
del pomeriggio.
Oh
si, mi sarei divertita con lui.
A:
Harry.
“Vieni
alla 43th della Hill Avenue tra un’ora.”
Misi
il silenzioso e lanciai
con delicatezza il telefono sulla scrivania, anche se questo ci
rimbalzò sopra
finendo rovinosamente per terra. Merda.
***
“Non
è male, te lo concedo.”
Dissi riferendomi al cono gelato che tenevo tra le mani, mentre
assaporavo due
gusti insieme facendomeli slittare sulla lingua, e nello stesso istante
in cui
lui fece una battuta squallida per il mio modo di mangiarlo. Idiota.
“Te
l’avevo detto.” Rispose
saccente con tono da chi la sapeva lunga, facendosi sprofondare il
cucchiaino pieno
di vaniglia fino in gola. Frenai l’impulso di prenderlo in
giro per l’azione
poco casta che quel gesto mi aveva ricordato, non sarei scesa ai suoi
livelli.
Si
pulì la bocca con il dorso
della mano libera per poi “Non mi è piaciuto il
tuo scherzetto dell’altro
giorno.” Dire.
Mi
trattenni dal non
scoppiargli a ridere in faccia quando ripensai alla sua faccia
disorientata
mostratasi nel momento in cui mi ero staccata dalle sue labbra.
“Ne
ero certa.” Proseguii
allegra prendendo a camminare sopra un basso muretto che costeggiava il
marciapiede. “Ma ero quello l’intento.”
Ridacchiò.
“Sai,
io sono Harry Styles.”
Wow, aveva persino un cognome. “E, anche se non mi conosci
ancora bene, sappi
che non lascerò correre.” Mi minacciò
senza rabbia nella voce.
“Dovrei
avere paura?” Chiesi
alzando un solo sopraciglio e cingendomi i fianchi con le braccia.
“Non
farei mai del male ad
una ragazza.” Lesse i miei pensieri, anzi pregiudizi. Che gentiluomo.
Che
cosa intendeva allora
quando aveva detto che non avrebbe lasciato correre? Probabilmente
voleva
ricambiare con la stessa moneta, magari baciandomi o seducendomi per
poi
lasciarmi lì, senza una spiegazione, proprio come avevo
fatto io.
Se
questo era il suo piano io
non avrei dovuto preoccuparmi, sapevo gestire i miei ormoni ed al
contrario suo
avevo dell’auto-controllo praticamente infallibile.
Non
mi sarei fatta
imbambolare da un bel faccino.
“Farò
solo in modo che la
prossima volta che mi bacerai non sarà per un fottuto
scherzo.” Era telepatico?
“Ma perché mi desideri.” Aggiunse.
Assottigliai
gli occhi a due
fessure analizzando mentalmente quelle due frasi, ripensai ad ogni
parola e
ricomposi il loro significato nell’arco di pochissimi
istanti. Voleva
intimidirmi.
“Cos’è,
una specie di regola
del codice dei comandamenti di Styles?” Chiesi retorica, ma
mi pentii subito di
aver utilizzato del sarcasmo, ricordando la sua difficoltà
nel capire le
battute. “Tutto e tutti non vincono al mio
fascino.” Lo presi in giro imitando
la sua voce roca.
“Diciamo
di si, dolcezza.”
Gli risi in faccia. Sia per l’appellativo con cui mi aveva
chiamata, che di
certo non si addiceva alla mia acidità, sia per
l’espressione convinta con cui
l’aveva pronunciata, come se bastasse uno stupido nomignolo
per farmi
innamorare di lui.
“Sei
pessimo.” Lo rimbeccai
ancora ridendo, lui, invece, alzò un sopraciglio e mi
scrutò con sguardo
suadente e sorrisino sghembo sul viso.
“Fidati,
non in tutti i
campi.” Annunciò. Raccolsi al volo il suo doppio
senso, sbuffando ad alta voce
e facendolo ridacchiare.
“In
effetti nel basket sei
abbastanza bravo.” Provai a stare al gioco, immancabilmente
provocandolo e
sfidandolo con lo sguardo.
“Ho
altre doti.” Si
pavoneggiò enfatizzando
l’ultima parola. Grugnii silenziosamente.
Diedi
un calcio ad un
sassolino che mi bloccava il passaggio, colpendolo con la punta della
scarpa e
facendolo rimbalzare fino alla strada circostante, per poi nascondere
le mani
nelle tasche della felpa.
“Mi
fido.” Decretai, evitando
vivamente di scendere nei particolari.
Con
un gesto veloce si scompigliò
i capelli, spostando i riccioli con una mano da una sola parte, facendo
danzare
quest’ultimi a ritmo della brezza primaverile che ci
inghiottiva.
Successivamente si inumidì le labbra secche e rosee
accarezzandole con la
lingua, mordendosi involontariamente il labbro inferiore e sbattendo le
lunghe
ciglia un paio di volte.
“Allora”
Prese a mordere il
biscotto dolce del cono, l’unica parte rimanente del suo
gelato. “Tu con chi
vivi?” Chiese masticando rumorosamente, tentando di fare
conversazione. Apprezzai
il suo squallido approccio.
“Con
mia madre.” Risposi
diretta. Un cipiglio si allargò nella sua fronte, mentre la
confusione gli si
leggeva negli occhi e la sua espressione si trasformava pian piano in
un punto
di domanda. Mi affrettai a precederlo prima che parlasse.
“Mio padre biologico
se ne è andato quando avevo tre anni.” Conclusi.
Si
schiarì la voce. “Oh.” Fu
tutto quello che riuscì a dire. “Mi
dis-“ Lo interruppi.
“Non
dirlo.” Smisi di
camminare e con un balzo scesi dal muretto, avvicinandomi a lui
più che potessi
e mettendomi in punta di piedi dal momento che la sua figura
torreggiava sulla
mia.
“Non
dire cosa?” Chiese
innocente. Sbuffai annoiata e mi richiesi mentalmente più
volte quali problemi
affliggevano quel ragazzo, e soprattutto se esistesse una cura per
riportarlo
tra noi. Scrollai la testa quando anche il mio subconscio rispose di no.
“Che
ti dispiace.” Spiegai.
“Odio essere compatita.”
Lo
guardai confusa quando la
sua bocca si allargò in un solare sorriso, mentre scoppiava
a ridere con ogni
fibra del suo corpo. Per qualche strana ragione, l’impulso di
lasciarmi andare
in una risata mi sorvolò i pensieri, in particolare quando
ammirai due
accentuate fossette scavargli le guance, non le avevo notate, erano
adorabili.
Scacciai l’idea all’istante.
“Stai
ridendo perché...” Feci
un gesto brusco con la mano intimandogli di continuare e quando
“Sei strana.”
Mi disse, la voglia di avere più dita medie del normale
crebbe in me.
“Disse
il ragazzo che
importuna ogni essere di sesso femminile nell’arco di un
metro di distanza.” Lo
schernii con poca ironia nella voce, lui comunque sorrise divertito e
mi
rivolse uno sguardo che probabilmente riteneva sensuale.
“Io
non importuno proprio
nessuno.” Ridacchiò e ripeté il gesto
per pettinarsi i capelli, per
poi legarsi una specie di sciarpa sottile
attorno a quest’ultimi. Sembrava appena uscito da un film di
pirati.
“E
poi, devo ricambiare un
certo favore.” La sua voce si mutò, la
tonalità venne più bassa mentre le
parole gli raschiavano in gola, emettendo dei sussurri rochi altamente
profondi.
Anche
se non lo avrei ammesso
nemmeno sotto tortura, trovai tremendamente attraente quel suo
cambiamento
vocale, e mi spaventai talmente tanto di quella strana sensazione che
mi
pervase la mente quando parlò, da fare due passi indietro
cercando di
allontanarmi. Cercai nuovamente di allungare la gamba dalla parte
opposta nel
tentativo di indietreggiare ancora, constatando che lui si
avvicinò
rispettivamente a me, ma il mio piede scontrò contro i
mattoncini del muretto alle
mie spalle. Cercai di riprendere equilibrio muovendo le braccia quando
inciampai, ma non ci riuscii, mi sbilanciai notevolmente verso il
piccolo muro,
che ci separava da un fossato alto almeno tre metri, e lanciai un urlo
strozzato quando ebbi la totale convinzione di cadere nel vuoto.
L’ultima
cosa che vidi furono
gli occhi di Harry spalancarsi, mostrando il bellissimo verde delle sue
iridi,
poi serrai i miei per la paura, premendo forte le palpebre
l’una contro
l’altra.
Un
braccio muscoloso mi
afferrò le spalle e un altro mi circondò la
schiena prima che precipitassi nel
fosso, non capii bene quello che successe però, dopo
pochissimi istanti, mi
sentii tirare verso il lato della strada.
Mi lasciai trasportare dal peso del mio salvatore, il mio baricentro si
spostò
bruscamente in avanti e così il mio equilibrio, urlai di
nuovo. Ben presto mi
ritrovai sdraiata sul tiepido marciapiede che il sole di maggio ci
aveva
riscaldato, schiacciata sotto il peso leggero ma allo stesso soffocante
di
Harry.
Lo
guardai stralunata e lessi
nei suoi occhi la stessa paura che probabilmente si leggeva nei miei,
la bocca
era semichiusa e il suo respiro usciva a sbuffi dalle labbra piene. Ci
guardammo per non so quanto mentre io combattei dentro me stessa per
decidere
se ringraziarlo o meno, di certo se lo sarebbe meritato ma ero troppo
scossa
per parlare e il ‘grazie’ che cercai di pronunciare
mi morì in gola.
“Va
tutto bene.” Mi
rassicurò, allungando timidamente una mano
verso la mia guancia, probabilmente incerto della mia approvazione. Io
lo
lasciai fare mentre con il palmo mi accarezzava piano la pelle
arrossata e
leggermente umida di lacrime, per poi chiudere gli occhi e cercare di
calmarmi.
Le altezze mi terrorizzavano.
“Non
tremare.” Sussurrò al
mio orecchio facendomi involontariamente svegliare, mentre io mugolai
qualcosa
di incomprensibile e con poca forza cercai di spingerlo via, in modo
che si
alzasse dal mio corpo. Quella vicinanza mi metteva a disagio.
Con
nonchalance fece leva
sulle braccia e si rimise in piedi, pulendosi i pantaloni dalla polvere
e
offrendomi una mano per aiutare ad alzarmi a mia volta, io riluttante
l’accettai. Quando però fui nuovamente retta dalle
mie gambe, un’ondata di
vertigini mi oltrepassò, facendomi girare la testa talmente
tanto da dovermi
poggiare all’avambraccio di Harry. Feci un respiro e poi,
nuovamente, mi
lasciai scivolare fino a toccare con il fondoschiena il cemento
granuloso, per
poi passarmi le dita tra i capelli ondulati.
Diedi
un’occhiata oltre il
muro e ripensai al fatto che se Styles non mi avesse prontamente
afferrato
sarei caduta di sotto, facendomi molto male probabilmente. Mi prese il
panico a
quel pensiero, avevo sempre avuto paura di cadere da un punto alto.
“Stai
bene?” Harry si
accovacciò accanto a me con aria preoccupata mentre io feci
un grande sforzo
per riuscire a guardarlo in faccia. “Grazie.”
Sussurrai, mettendoci tutta la
mia forza di volontà.
Lui
mi concesse un dolce
sorriso, e non uno di quei sorrisini sghembi e perversi che aveva
sempre
stampati sul viso e che io stavo cominciando ad odiare, ma un sorriso
sincero,
il primo che vidi sulle sue labbra. Ricambiai.
Nuovamente
mi aiutò ad
alzarmi, e quella volta fui abbastanza cosciente da rimanere in piedi
da sola.
Lo
guardai combattuto mentre
si morse il labbro incerto sul da farsi, e capii all’istante
il perché. Aveva
organizzato un’uscita per potersi vendicare dello scherzetto
della palestra, ma
a causa di quello che era successo e della mia reazione spaventata
aveva deciso
di lasciare perdere. Wow, aveva un cuore.
Mi
morsi il labbro anche io
e, non del tutto certa, mi avvicinai a lui mettendomi in punta di
piedi, per
poi lasciargli un casto bacio sulle labbra. Se lo era meritato.
“Grazie
Ricciolino.”
Lui
rimase interdetto ma
comunque sorrise per poi scuotere la testa ridendo. Risi anche io.
Per
oggi, basta con la
dolcezza.
#spazioautrice
Eccomi
ritornata!
Grazie mille per le recensioni che mi avete lasciato, davvero, ho
apprezzato
molto, anche se spero ancora che aumentino un pochino J
Nel
nuovo capitolo troviamo
una nuova faccia di Harry, ma non preoccupatevi, non durerà
molto.
Ormai penso che abbiate capito il genere di questa storia, lui il
classico
bellissimo ragazzo presuntuoso e lei ragazza tosta e che sa tenere
testa; ma
fidatevi, questa non è come le altre, ci saranno moltissimi
colpi di scena,
come l’arrivo di un nuovo personaggio. Secondo voi, chi
è?
Rispondete
in una recensione
e ditemi anche cosa ne pensate del capitolo. A voi non costa niente ma
per me
significherebbe molto!
Per
ogni chiarimento, su
twitter sono @HazsConverse_
Un
bacio e alla prossima!
Asia;
ps
vi amo immensamente.
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Capitolo 4 *** Vuoi un passaggio? ***
4
–Vuoi un Passaggio?
“Quel
ragazzo è fottutamente
sexy!” L’urlo stridulo di Mel mi fece ritornare con
i piedi per terra. Feci un
espressione disgustata riferendomi al suo commento poco discreto
riguardante
Harry non appena finì di pronunciare la frase.
“Non
esagerare, Mel.” La
schernii afferrando i libri dal mio armadietto. “E’
carino, estremamente
irritante, ma carino.”
Melissa
Apple, mia migliore
amica dalla seconda media, mi camminava affianco mentre entrambe ci
dirigevamo
a passo felpato verso l’aula di chimica. Preparai
già mentalmente la scusa
pietosa e commuovente che avrei dovuto rifilare alla professoressa
quando
sarebbe saltato fuori che non avevo aperto minimamente il libro.
I
capelli corvini della
ragazza al mio fianco ricaddero sulla sua spalla quando, con un gesto
esperto,
fece roteare il collo in modo da sistemarsi la chioma disordinata, per poi abbottonarsi
meglio la camicetta
accademica bianca e far schioccare le sue labbra una contro
l’altra cercando di
uniformare il rossetto viola. Gli occhi scuri e ipnotici guizzavano da
una
parte all’altra del corridoio, lo smalto acceso delle unghie
ben curate faceva
contrasto con il vestiario chiaro e la pelle già abbronzata
faceva invidia ad
ogni ragazza dalla carnagione normale. Mel era davvero bellissima.
Con
ancora le cuffie nelle
orecchie, dalle quali strimpellavano le chitarre di un gruppo rock, e i
pochi
quaderni sotto braccio, raggiungemmo la nostra classe
nell’arco di pochi
istanti. Mel entrò per prima, come da programma, mentre io,
fedele compagna
dell’ufficio del preside, aspettai che gli studenti pian
piano riempissero
l’abitacolo.
Mi
sciolsi la coda di
cavallo, scompigliandomi appositamente i capelli rossicci, pizzicandomi
anche
le guance in modo da farle arrossare e successivamente mi arricciai il
colletto
dell’uniforme, facendola sembrare sgualcita.
Feci
il mio ingresso, per
niente trionfale, tra i banchi rovinati della Brixton High School
imitando
quello che doveva sembrare un improvvisato ritardo. Ressi persino il
mio peso
poggiandomi le mani sulle ginocchia per rendere la messa in scena
più
realistica, per poi
avvicinarmi con fare
assurdamente drammatico alla cattedra, attirando subito
l’attenzione degli
alunni. Avrei potuto vincere l’Oscar.
La
vecchia si accorse della
mia presenza.
“Starling.”
Sputò la donna
seduta di fronte a me. “Qualche problema?”
mordicchiò la stanghetta degli
occhiali fuori moda.
“Professoressa
Jemis.” Feci
finta di riprendere fiato, come dopo una corsa, assumendo
l’espressione più
dispiaciuta che riuscissi a fare. “Non ho potuto fare quella
tesina della
settimana scorsa.” I miei occhi si inumidirono.
Lei,
rassegnata, scosse il
capo in segno di disapprovazione, mentre riguardava la mia media sulla
sua
preziosa agenda. “Per quale motivo stavolta?”
Chiese come da manuale.
“Mia
nonna è stata male.”
Ammisi abbassando lo sguardo, e non per sembrare ancora più
triste, ma perché
altrimenti non avrei resistito nel mantenere lo sguardo serio; feci
comunque
fatica a trattenermi quando “Povera donna, questa
è la quinta volta nell’arco
di tre giorni, dev’essere molto cagionevole.” Disse
aspramente con fare
ironico, facendo ridacchiare alcuni ragazzi nelle prime file.
“Oh
si.” Le confermai la
teoria. “Purtroppo non è un buon periodo, ma vedo
che lei, essendo
straordinariamente comprensiva, capisce
la mia situazione e quindi non le dispiacerà se le
porterò il compito la
settimana prossima quando...”
Stavo già
prendendo posto in ultima fila quando la sua voce gracchiante mi
interruppe.
“Non
prendiamoci in giro,
signorina Starling.” Stridette facendomi automaticamente
voltare. “Se quella
tesina non sarà sulla mia cattedra domani mattina
sarò costretta a rimandarla
nella mia materia, e ora si segga.” Sbuffai accasciandomi
sulla sedia.
…
La
campanella trillò troppo
tardi per i miei gusti, quando ormai la professoressa aveva terminato
di
spiegare la consistenza di un atomo di carbonio. Raccattai i quaderni
dal banco
passandomi la borsa a tracolla ed iniziandomi ad avviare verso la porta
della
classe.
Un’ondata
di disgusto mi
invase quando oltrepassai i margini del corridoio;
accanto
agli armadietti rossi
nella parte opposta della mia aula, Luke e Cole, entrambi giocatori
della
squadra di basket della scuola, se la stavano prendendo con un
ragazzino del
primo anno.
Il
malcapitato era stato
spinto brutalmente per terra da uno dei due idioti, i fogli dei suoi
appunti
erano sparsi per tutto il pavimento mentre Cole diede un calcio al suo
zaino
facendo ridere lui ed il resto della sua gang. Sbuffai.
Un
istinto omicida mi invase
il corpo nell’attimo in cui il calcio di Dylan, altro
giocatore della squadra,
si scagliò contro lo stomaco del povero ragazzo che,
sdraiato a terra, gemeva
per il dolore. Quest’ultimo si rannicchiò su
stesso sia per alleviare il male
alla pancia sia per provare a prevenire colpi futuri, provai pena e
rabbia per
lui, infatti bastarono le risate roche dei suoi aggressori per farmi
scattare
e, nell’arco di pochi istanti, i miei piedi presero a
muoversi verso il punto
in cui erano loro.
“La
volete smettere?” Sibilai
a pochi passi dai loro corpi, facendo ricadere i loro sguardi sulla mia
figura.
Cole
Mcdusty, Luke Buster e
Dylan Browned erano gli spacconi che da cinque anni a questa parte
prendevano
il sopravvento tra gli studenti di quel decadente istituto. Da sempre
erano
convinti che il mondo girasse intorno ai loro piccoli cervellini, anche
se in
effetti, le cheerleader dalle minigonne volgari e dalle quarte di seno
non li
aiutavano a convincerli del contrario; almeno un paio di puttanelle
bionde gli
giravano intorno ogni volta che oltrepassavano il confine della
palestra,
mentre queste, prive della dignità che una ragazza dovrebbe
avere, gli
correvano dietro sbavando come cagnolini.
Ero
convinta che se la loro
massa cerebrale fosse stata grande almeno la metà del volume
dei muscoli tesi
che gli copriva i corpi, sarebbero stati tutti Albert Einstein.
“Scusami?”
Cole mi schernì
avanzando di qualche centimetro e sfoggiando un sorrisino divertito che
avrei
volentieri cancellato con uno schiaffo. La tentazione era davvero forte
ma mi
trattenni.
“Oltre
ad essere dei
maledetti stronzi siete anche stupidi? Ho detto che dovete
piantarla.”
Incrociai le braccia al petto alzando le sopraciglia in segno chiaro di
sfida e
gustandomi la loro espressione stranita a causa della mia provocazione,
non se
l’aspettavano.
“La
principessina caccia gli
artigli, cosa vuoi, dolcezza?” Questa volta fu Dylan a
rispondermi e quasi mi
strozzai con la mia saliva quando utilizzò
quell’irritante nomignolo. Sviarono
il fatto che li avessi insultati come se si stessero rivolgendo ad una
bambina
che si era persa in un centro commerciale, ma non avevo intenzione di
farmi
mettere i piedi in testa da loro e oltretutto Steven, così
si chiamava il
ragazzo vittima della loro idiozia, era ancora dolorante sulle
piastrelle di
ceramica giallastre.
“Volevo
sapere solo se siete
nati coglioni oppure se lo siete diventati nel tempo.”
Sorrisi tra me e me non
appena pronunciai la frase mentre guardai come i loro ghigni gli
morirono sulle
labbra, non avevano più voglia di giocare, anche se io mi
stavo decisamente
divertendo
“Ascolta
ragazzina, siamo
quattro maschi contro una, non credo che tu sia nella posizione di fare
battute.” Il suo tono ricordava tanto una ferrea minaccia e,
constatando che si
trattasse di quei cerebrolesi con i bicipiti muscolosi, capii che non
si
sarebbero fatti tante storie a far del male ad una femmina.
“Non
mi interessa se siete
talmente meschini da... Harry?” Storsi il naso quando
riconobbi un paio di
jeans neri familiari e degli stivaletti vecchio stile scamosciati. Il
riccio
rimaneva in ombra dietro alla sagoma di Luke, talmente ben nascosto che
la sua
presenza mi era sfuggita, almeno fino a quel momento. “Cosa
ci fai qua?”
Chiesi.
“Tu
la conosci?” Replicò Cole
annoiato e irritato nel medesimo tempo.
Harry
fece un passo avanti
mostrandomi finalmente la sua chioma riccioluta ed i suoi occhi
verdastri così
simili ai miei, per poi schiarirsi la voce e parlare. “Emmh,
no.” Rispose con
nonchalance ma non troppo convinto delle sue parole.
Lo
fulminai con lo sguardo,
un misto di incazzatura e delusione mi si leggeva negli occhi, e non
perché
avesse detto di non avermi mai vista prima, sinceramente non mi
interessava, ma
perché se la faceva con dei montati come quelli. Per quanto
poco conoscessi Harry,
avevo creduto che fosse un tipo apposto, non di più e non di
meno di un ragazzo
strafottente e con gli ormoni a mille, ed anche se non aveva preso
parte al
pestaggio lui era lì con loro. Non aveva impedito ne a Cole,
ne a Luke e ne a
Dylan di prendersela con quel ragazzino che non aveva commesso nulla di
male,
ed in quel preciso istante lo stavo disprezzando più che non
mai.
Strinsi
le mani forte a pugno
facendole ricadere lungo il busto, le figure di tutti meno che quella
di Harry
si dissolsero dalla mia visuale quando agganciai le mie iridi alle sue.
Non
sembrava ne pentito ne deluso dalla mia scoperta, forse soltanto
leggermente
imbarazzato del fatto che stessi reagendo in quel modo davanti a lui e
a tutti
gli alunni della scuola; in effetti non avevo il motivo di attaccarlo
perché,
dopotutto, aveva il diritto di fare ciò che voleva, ma se
era convinto che
avrebbe avuto solo che una microscopica chance con me si sbagliava di
grosso. A
dire il vero non ce l’aveva mai avuta.
Ripensai
velocemente a pochi giorni
prima, a lui mi che mi aveva salvata prima che cadessi nel vuoto, ai
due baci
che gli avevo rifilato, e mi disgustai di me stessa quando le immagini
mi si
proiettarono in mente per essere caduta così in basso.
Non
gli avrei più permesso di
vendicarsi, se aveva davvero intenzione di uscire con certa gente io
gli starei
stata letteralmente alla larga.
Abbassò
lo sguardo non
reggendo più il mio, prendendo a mordersi
l’interno guancia per tenersi
occupato nel mentre di uno strano silenzio. Non aveva nemmeno le palle
per
guardarmi.
Scossi
la testa rattristata
dallo spettacolo, mormorai uno ‘scusa’ al ragazzo
ancora disteso a terra e
girai i tacchi propensa a lasciare quella scena disgustosa.
Non
appena mi voltai per
raggiungere l’uscita fui seguita subito da un paio di fischi,
qualche presa in
giro ed alcuni commenti poco garbati sul mio fondoschiena, in cambio,
gli
mostrai il dito medio e a quel punto fui sicura di non sentire
più loro
provocazioni.
Sorrisi
a me stessa per aver
saputo reggere la situazione e per non aver piantato una scenata in
mezzo al
corridoio a Styles, non era così importante per me da
meritarne una. A essere
sinceri io non lo conoscevo affatto, e da quanto avevo visto poco prima
non
avevo alcuna intenzione di fermarmi per assecondare i suoi stupidi
piani di
rimorchio.
Raggiunsi
velocemente il
parcheggio, dimenticandomi anche di passare a prendere Mel
nell’aula di
biologia, mi sarei scusata più tardi. Avevo troppi pensieri
in testa.
Camminai
a passo svelto fino
alla fermata dell’autobus, non prima però di aver
controllato gli orari e di
essermi accertata che il primo pullman passava dopo mezz’ora.
Perfetto, forse
aver saltato l’ultima ora di geografia non era stata una
grande mossa.
Mi
sedetti sulla panchina
devastata sotto la piccola tettoia della fermata, giocando con i lembi
sfilacciati della mia maglietta ed aspettando quei minuti che
sembravano ore.
Attesi
lunghissimi istanti,
eppure il tempo sembrava non passare mai, infatti l’ultima
volta che controllai
l’ora sul cellulare segnava che mancavano ancora 15 minuti
all’arrivo del mezzo
di trasporto che mi avrebbe riaccompagnata a casa.
Il
suono di un clacson mi
fece sobbalzare, alzai immediatamente lo sguardo incontrando la
fiancata destra
di un pickup nero metallizzato. Il finestrino oscurato di questo si
abbassò
lentamente ed io sbuffai senza neanche volerlo quando riconobbi il viso
del
guidatore.
“Ti
serve un passaggio?”
Harry mi sorrise e tirò il freno a mano del veicolo per
accertarsi che non si
sarebbe mosso dal punto in cui aveva accostato.
“Non
sei troppo impegnato a
picchiare qualcuno del primo anno?” Ghignai perfida.
“O forse hai intenzione di
rubargli i soldi del pranzo?” Conclusi gelida. Lui
sbuffò.
“Ti
sei offesa perché ho
detto di non conoscerti?” Chiese a sua volta sospirando.
Gli
avrei ficcato il pomello
della marcia nel naso.
“Offesa
perché un tizio che
nemmeno conosco dice di non sapere della mia esistenza? Sinceramente
l’idea che
mi salutassi calorosamente non mi era passata neanche per
l’anticamere del
cervello.” Presi aria. “Ma quello che mi da
fastidio è che, nonostante tutto,
tu sei qui, a chiedermi se mi serve un passaggio.”
Non
mi mossi di un millimetro
dalla panchina su cui ero appostata, anzi, mi accomodai meglio per
provocare la
sua rabbia, e quando vidi il cipiglio sulla sua fronte allargarsi capii
di
esserci riuscita.
“Primo,
io non ho picchiato
nessuno, e secondo volevo solo essere gentile.”
Brontolò passando un braccio
oltre il finestrino e guardandomi nel modo in cui aveva fatto la prima
volta
che ci eravamo incontrati nella biblioteca, e nonostante fosse passato
del
tempo, il suo sguardo mi metteva ancora in soggezione. Feci finta di
far
ricadere gli occhi su un oggetto oltre la sua macchina scura ma, quando
sentii
la sua risata flebile uscirgli dalla bocca, seppi per certo che aveva
capito il
mio pessimo tentativo di nascondermi dal suo giudizio.
“Il
gentile vallo a fare con
quelle sgualdrine che vi portate appresso tu e il resto del club dei
coglioni.”
Risposi acidamente incrociando le braccia sotto il seno mentre sul suo
viso si
dipinse uno di quei sorrisini che non mi piacevano, solo per il fatto
che
stavano a dimostrare che aveva una provocazione a fior di labbra.
“Gelosa?”
Domandò inarcando
un sopraciglio e spostando il viso in avanti. Alzai gli occhi al cielo
per
l’ennesima volta quel giorno.
“Ti
piacerebbe.” Risposi con
determinazione.
Strinsi
gli occhi quando
ripeté lo stesso solito gesto per sistemarsi i capelli e li
ridussi in fessure
quando si bagnò le labbra con la lingua, perché,
dopo aver combinato tutto quel
casino, cercava ancora di mostrarsi seducente. Non potei fare a meno di
ridacchiare per la sua spavalderia.
“Niente
bacino per me oggi?”
Fece labbruccio.
“Oh,
fottiti.”
Ora muoio,
so che è passato troppo tempo, davvero tanto, e ringrazio
chi sta leggendo
questo perché vuol dire che non mi ha dimenticato. Ecco il
nuovo capitolo,
lasciatemi tante recensioni dicendomi cosa ne pensate, un bacio e alla
prossima
;)
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