I don't lose.

di iWantNiallsHug_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I hate reading. ***
Capitolo 2: *** Messages. ***
Capitolo 3: *** Ice-cream? ***
Capitolo 4: *** Vuoi un passaggio? ***



Capitolo 1
*** I hate reading. ***


1 I hate reading.

Stavo vagando da una buona ventina di minuti per la sezione ‘Romanzi rosa’ della biblioteca di Holmes Chapel, alla ricerca di un libro con una trama la quale ne sarebbe valsa la pena leggerla. Ne intravidi uno dalla copertina interessante, dove apparivano in primo piano un paio di scarpe con i tacchi e il titolo scritto a caratteri cubitali. Allungai il braccio in avanti cercando di afferrare il libro, ma qualcuno fu più svelto di me nell’acchiappare l’oggetto, levandomelo dalla visuale. Accigliata, spostai lo sguardo sull’individuo che aveva osato prendere l’ultima copia del primo libro che mi avesse a prima vista mai interessato.

Un ragazzo alto, dai capelli ricci e bruni stava tranquillamente in piedi davanti a me con il mio libro in mano mentre leggeva le prime pagine di esso. Con espressione concentrata e fronte corrugata sfogliava i fogli di carta bianca, fin troppo velocemente per riuscirne ad apprendere le informazioni.

 

“Scusami?” Chiesi al misterioso ragazzo, che dopo aver sentito il mio richiamo alzò lo sguardo dal famoso romanzo, mostrandomi due occhi smeraldini fottutamente belli. Il suo sguardo confuso bastò a farmi capire che non recepiva il motivo delle mie parole, così mi sbrigai a continuare.

“Hai preso il mio libro.” Gli dissi chiara, lui corrugò nuovamente la fronte, guardando prima il libro poi me, per almeno un paio di volte. Forse stava elaborando mentalmente qualcosa da dire, meglio non interromperlo. Possibile che già mi irritasse?

“Tuo?” Domandò con una voce roca e sensuale, più sensuale che roca.

“Già, mio. Lo stavo per prendere prima che arrivassi tu.” Dissi gesticolando e poi puntandogli il dito contro alla fine della frase. Alle mie parole la sua bocca si incurvò in un sorriso sghembo, ed una delle due sopraciglia si alzò mostrando un espressione da ragazzo trasgressivo, riuscita male, oltretutto.

“Non mi sembra che tu l’abbia pagato, o sbaglio? Quindi fino a prova contraria il libro è di chi lo prende.” Concluse con sguardo da chi la sapeva lunga, alquanto ridicolo per i miei gusti. Questo ragazzo lo conoscevo da si e no due minuti e già mi faceva saltare i nervi, alla prossima provocazione ero tentata di rispondere con la violenza.

“No, non sbagli, ma lo stavo per fare, o almeno prima che le tue manacce lo prendessero.” Dissi acida in risposta. Fanculo l’idea di avere una conversazione civile.

“Ci saranno milioni di libri in questa maledettissima biblioteca, perché vuoi proprio questo?” Chiese con un filo di esasperazione nella voce. Io scrollai le spalle, sicura di non volergli riferire alcuna minima informazione.

“Non sono cazzi tuoi.” Esordii. “E tu perché sei nel reparto femminile? Ti intrigano smalti e decolté?”

Ridacchiò leggermente alla mia battuta mostrando due file di denti bianchi, assurdamente dritti. Presi un respiro profondo, Lo aveva capito che lo stavo insultando o forse credeva che gli stessi facendo un complimento?

“No, ma mi piacciono i romanzi.” Concluse con aria da superiore. Probabilmente si credeva figo, ma i suoi tentativi per esserlo si dimostravano vani.

 

Iniziai a pregare mentalmente sperando che un fulmine lo centrasse in pieno, almeno io avrei avuto il mio libro, e l’umanità sarebbe rimasta priva di questa sottospecie di scimmia antropomorfa, e tutti avremmo vinto, perlomeno io e il resto della razza umana.

Oltretutto il modo in cui mi guardava mi dava solo che fastidio, i suoi occhi intrappolarono il mio corpo,  partendo dai capelli ondulati e rossicci per poi arrivare alle converse bianche che avevo ai piedi. Mi sentivo a disagio ad essere sotto gli occhi di un perfetto sconosciuto.

“Ti propongo un patto.” Disse ad un tratto.

“Spara.” Continuai.

Diede un’ultima occhiata al mio fisico come per accertarsi che quello che stava per dire o per fare sarebbe andato a suo vantaggio, si grattò il retro della testa e con una mano mi tese il libro.

“Io ti do il libro se tu mi dai il tuo numero di telefono.”

Il rumore che si sentì dopo fu solo quello della mia risata che usciva forte dalla bocca, mi trattenni la pancia e poi con fare drammatico mi asciugai una finta lacrima dalla guancia.

“Bella battuta.” Dissi continuando a ridacchiare.

“Ero serio.” Disse tranquillamente senza ombra di ilarità della voce. Feci uno sguardo stupito quando mi accorsi che in realtà lui non stava affatto scherzando. Ma perché questi soggetti li incontravo sempre io?

“Certo, già che ci siamo vuoi anche il mio indirizzo?” Chiesi retorica.

“Sarebbe perfetto.” Ma mi stava prendendo per il culo o cosa? Probabilmente cosa, ma tanto se glielo avessi detto non avrebbe capito la battuta.

“Sai, sei più stupido di quanto sembri.” Lo informai tranquillamente, tenendomi teatralmente il mento tra due dita ed emettendo la tipica posizione di chi pensa. Dopodiché iniziai a rigirarmi tra le dita un boccolo che era scappato dalla crocchia malfatta, guardando ogni tanto la punta di esso, aspettando che il ragazzo riccio parlasse ancora.

 

“Secondo me ti attiro.” Disse infine interrompendo il silenzio che si era creato, tecnicamente quello che ci dovrebbe essere di norma in una biblioteca, ma non ero mai stata molto attenta alle regole e di certo non avrei iniziato in quel momento.

“Tutti i giorni.” Dissi annuendo falsamente. “ E visto che probabilmente non hai capito il sarcasmo te lo dico io, stavo scherzando.”

Alzò gli occhi al cielo per l’ennesima presa in giro che oltrepassò le mie labbra quel giorno, scuotendo la testa come se quella infantile fossi io.

“Hai intenzione di continuare ancora per molto?” Disse sbuffando leggermente, mentre io ridacchiai per quel filo di esasperazione che penetrava flebile dalla sua voce così maledettamente sexy.

“Finché non avrò quel libro.”

 

Venticinque minuti.

Altri venticinque fottutissimi minuti a discutere con quel cerebroleso.

Tra insulti, prese in giro e battute perverse non riuscivo più a capire se mi trovavo in una cazzo di libreria o in una puntata di Uomini e donne.

E indovinate alla fine chi aveva avuto la meglio?

Lui.

Mi ritrovai a dettargli una per una le cifre che componevano il mio numero di telefono mentre le sue dita slittavano veloci sul liscio touch-screen del cellulare. Guardò soddisfatto lo schermo mostrando un sorriso compiaciuto, poi subito dopo la sua espressione divenne confusa e non passò un secondo che alzò lo sguardo dall’aggeggio per poi guardarmi.

“Com’è che ti chiami?” Chiese, mentre io risi leggermente al pensiero che dopo circa un’ora di conversazione non ci eravamo ancora presentati.

“Holly.” Dissi con non molta fierezza.

“Holly?” Chiese con un’espressione talmente stupida che feci fatica per non ridergli in faccia.

“Non posso chiamarmi così?” Domandai eloquente ottenendomi in risposta un segno di resa con le mani. Scossi la testa scrollando le spalle, ma questo ragazzo che problemi aveva?

 

Mi ritrovai fuori dal negozio, con una busta immancabilmente rosa tra le mani e una grande incazzatura per la testa.

Ero riuscita a cedere agli sporchi ricatti di un ragazzo mai visto prima, per cosa poi? Per riuscire ad acquistare uno dei libri più stupidi che avessero mai scritto. In effetti leggere la trama dopo aver pagato il conto, e basandosi solo sui colori accesi della copertina non era stata una grande idea.

A distrarmi fu la vibrazione del cellulare, che tremò nella tasca dei miei jeans, lo afferrai subito dopo essermi liberata della busta che tenevo in mano per poi levare lo sblocco e leggerne il contenuto.

 

Da: Sconosciuto.

“Io odio leggere, e i romanzi non li sopporto,

a proposito, mi chiamo Harry ;) x”

 

L’omicidio è illegale, ma mi arresterebbero se picchiassi a sangue qualcuno con un libro scadente? E casualmente questo qualcuno avesse i capelli ricci e gli occhi verdi?














Ciao! Leggete, è importante.
Inanzitutto saluto coloro che già conosco e chi è nuovo!
Eccomi ritornata con una nuova storia, il primo capitolo fa già capire molte cose ma i prossimi saranno ancora meglio! Sono soddisfatta di questa storia e spero lo sarete anche voi!
Me la lasciate una piccola reecnsione? Grazie mille!

Se volete contattarmi:
Twitter: https://twitter.com/HazsConverse_

Vi voglio sentire in tante!
Asia;

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Capitolo 2
*** Messages. ***


2 Messages.

Mi alzai goffamente dal letto morbido, con la testa che dolorosamente pulsava per la stanchezza, mentre con passo felpato raggiungevo la porta ancora chiusa del bagno.

Di certo passare una notte praticamente in bianco per rispondere ai messaggi provocatori di un semi-stalker non era la cosa più furba ed intelligente che potessi fare. Quel cellulare aveva avuto poche possibilità di arrivare sano e salvo al mattino successivo, ma alla fine il mio poco autocontrollo aveva avuto la meglio contro l’istinto omicida verso il marchingegno.

E voi chiaramente vi chiederete, ma non sarebbe bastato spegnerlo? Eh no, fin lì il mio cervellino pacato ci arrivava, il problema era che quella fottuta sveglia non si sarebbe azionata se il telefono non fosse stato acceso ed io non avrei sentito la suoneria se il suono non fosse stato al massimo, quindi oltre ad avere uno pseudo maniaco fissato con i messaggi avevo anche la tecnologia che si rifiutava di aiutarmi.

...

Feci ruotare le dita intorno al lucchetto tondo e metallico dell’armadietto, aprendolo con non curanza per poi afferrare i libri che mi sarebbero serviti per la lezione di quel giorno, successivamente mi piegai in avanti per raccogliere alcuni fogli stracolmi di appunti che erano caduti pochi secondi prima, rimettendoli al loro posto nel quaderno ad anelli.

Prima ora, economia, bel modo di iniziare una terrificante giornata.

Odiavo l’aula, la materia e soprattutto la professoressa che la insegnava, per questo entravo appositamente circa dieci minuti dopo lo squillo della campanella in classe, in modo di far pulsare la vena del collo di quella noiosa donna. Era divertente vedere il suo viso cambiare colore ogni volta che entravo con strafottenza dalla porta e non mi degnavo di darle spiegazioni. Esilarante.

Con fare drammatico entrai in classe, sbattendo la porta per informarla della mia presenza.

Girò, in stile esorcista, la testa verso la mia direzione scrutandomi da capo a piedi e, mentre con una mano si abbassava gli occhiali sul naso e con l’altra iniziava a sfogliare il suo prezioso registro, mi mostrò due occhi chiusi a fessura che mi guardavano minacciosi.

 

“Signorina Starling.” Commentò con disprezzo osservandomi. “Si rende conto che la lezione è già cominciata?” No, guardi. Pensavo che tutti gli studenti fossero già in classe per fare due chiacchere con lei.

Sbuffai piano cercando di non farmi vedere, mentre le mie mani raggiunsero il loro posto all’interno delle tasche dell’enorme felpa grigia che faceva contrasto con i jeans attillati.

“Si.” Ammisi solamente.

“E sa che sta disturbando i compagni che vogliono ascoltare?” Riprese acida nei miei confronti.

Ormai facevo poco caso a quello che diceva, la sua voce stridula mi entrava da un orecchio e mi usciva dall’altro, non che prestassi molta attenzione agli altri professori, ma verso la signora Stevenson avevo un odio particolare.

“Non si perdono niente, si fidi.” Sussurrai non troppo piano, facendo ridacchiare alcuni ragazzi nelle prime file di banchi che avevano sentito la mia provocazione.

“Come scusi?” Chiese alzando di poco la voce. Amplifon?

“Niente.”

 

Mi ritrovai a passeggiare senza una meta per i corridoi vuoti della Brixton High School, mentre la lezione dell’aula 13 b procedeva senza di me. Ormai avevo perso il conto delle volte che quella vecchia donna mi aveva cacciato dalla classe senza un motivo valido, beh forse il motivo ce l’aveva, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo.

Avevo poco meno di un’ora per fare quello che volevo senza rotture di scatole, anche se in una scuola pressoché vuota le opzione non erano molto ampie. Così mi lasciai guidare dai miei piedi, che in poco tempo mi portarono davanti alla grande entrata della palestra, la quale si trovava nei sotterranei dell’istituto. Feci rapidamente mente locale degli orari scolastici della settimana per arrivare alla conclusione che il lunedì mattina alla prima ora la palestra, nonché il campo da basket, era occupato dalla squadra maschile di pallacanestro della scuola.

Senza farmi vedere dall’allenatore, che stava fischiando contro un ragazzo che aveva commesso fallo, sgattaiolai all’interno della sala, passando attraverso un portellone antincendio sul retro, con l’idea di sdraiarmi sopra i materassi che usavano le cheerleader per provare le loro stupide coreografie, ed ascoltare un po’ di buona musica.

Mi lanciai a peso morto sul soffice materiale di uno degli enorme tappeti di gommapiuma, mentre esso si accasciava leggermente a causa del mio peso, per poi iniziare a srotolare il filo delle cuffie, che come avevo previsto, si rifiutava di collaborare.

Mentre sceglievo una canzone dalla lunga lista del mio cellulare lanciai un’occhiata ai tizi sudati e in uniforme che saltellavano come le caprette di Heidi per il campo, constatando che facevano un esercizio dove a turno ognuno doveva fare canestro.

 

‘Cause with your hand in my hand and a pocket full of soap
I can tell you there's no place we couldn't go
Just put your hand on the past
I'm here tryin' to pull you through
You just gotta be strong’**


Mi feci avvolgere dalla melodia rilassante della canzone, chiusi gli occhi, e lasciai vagare la mia mente per i più intersecati pensieri. Ero completamente persa nelle note musicali che mi accarezzavano da dentro lasciandomi un senso di leggerezza, di serenità.

Ero tranquilla, ovviamente troppo tranquilla per i gusti degli altri.

 

‘BOOM’.

 

Massaggiai con la mano il punto della fronte appena colpito dalla pesante palla, imprecando a bassa voce contro l’idiota che me l’aveva lanciata, sicuramente in quel punto ci si sarebbe formato un livido non facile da coprire con il fondotinta.

 

Sembrava quasi che se non mi vedevano incazzata non erano contenti.

 

“Ma la sai usare quella cazzo di palla?!” strillai tenendomi saldamente il punto dolorante.

“Mi dispiace tanto, non ti avevo vista.” Decretò la voce familiare del diretto interessato. Ottima scusa.

Alzai istintivamente lo sguardo per poter guardare in faccia il mio “aggressore”, già dell’idea di prenderlo a parolacce o peggio, ma mi dovetti fermare quando il suo volto entrò nella mia visuale. Rimasi letteralmente paralizzata per non so quanto tempo, mentre fissavo con uno sguardo misto tra lo stupito e il truce quel ragazzo.

Non ci potevo credere, no. No. E no. Non era umanamente possibile che accadessero tutta a me in quella mattinata proprio di merda.

 

“Oh, ma guarda chi si rivede. Holly.” Annunciò fiero Harry mentre faceva roteare su un dito la palla che poco prima era entrata in collisione con la mia faccia. Il suo sorrisino da superiore e i sopracigli alzati mi fecero venire voglia di prenderlo a pugni, ma visto che la sospensione era l’ultima cosa che mi serviva per migliorare il mio resoconto scolastico decisi di frenare i miei istinti, limitandomi a sospirare profondamente per far regnare quel briciolo di calma che avevo nel mio corpo. La mia pazienza non era mai stata troppo elevata, e quell’episodio contribuì a ricordarmelo.

“Ma questa è una persecuzione!” Dissi rivolta a nessuno buttando le braccia al cielo e alzando di un ottava la voce.

Cosa diavolo era questo ragazzo? Un fungo? Un giorno prima non esiste e quello dopo me lo ritrovo ovunque? No, non è possibile.

 

“Tu la chiami persecuzione, io la chiamo fortunata coincidenza. Questione di punti di vista.” Continuò con il suo tono saccente, mentre con un gesto delle mani si portò all’indietro un ciuffo di riccioli completamente bagnato di sudore. Sembrava un cane che si grattava cercando di levarsi le pulci, disgustoso.

“Ma tu da dove diavolo salti fuori eh? Vengo in questa fottutissima scuola da quattro anni e a meno che tu non avessi il mantello dell’invisibilità di Harry Potter non ti ho mai visto!” sbottai gesticolando e puntandogli un dito nel petto.

“Mi sono appena trasferito in questa scuola perché in quella in cui andavo io mi hanno dato una borsa di studio per il basket, ma visto che là la squadra è al livello dei principianti il mister mi ha consigliato di iscrivermi qui, perché sono più ‘sportivamente forniti’, come ha detto lui, e bla bla bla.” Concluse il riccio.

“A giudicare dai tuoi tiri mi risulta difficile credere che tu abbia vinto una borsa di studio.” Dissi ironica riferendomi al colpo che, anche se non intenzionalmente, mi avevo colpito il volto, per poi alzarmi dal materasso e prendergli la palla di mano.

“A volte le apparenze ingannano.” Disse sorridendo mentre mi guardava palleggiare e provare un tiro a canestro, oltretutto Chilometricamente sbagliato.

Approfittai dell’assenza di tutti gli altri giocatori, che probabilmente erano andati a farsi la doccia, per provare ancora un paio di tiri liberi, ma niente da fare, il basket non rientrava nelle mie doti. Quelle doti che anch’io dovevo ancora scoprire.

Non riuscii a fare un altro lancio che da dietro due mani più grandi del normale mi bloccarono i polsi, impedendomi di tentare di fare canestro. Quelle braccia modellarono le mie a loro piacimento, mettendole in una posizione tendente all’alto, dove un palmo reggeva la palla da sotto e l’altro era appostato dietro in modo da spingerla più possibile.

“Prova ora.” Mi sussurrò Harry all’orecchio in modo sensuale, sfiorando con le labbra il lobo e pressando leggermente il suo torace contro la mia schiena incitandomi a tirare. Con mia grande sorpresa, quando riprovai il lancio, la palla andò più dritta delle precedenti volte, roteando intorno al cerchio metallico per poi finirci completamente dentro, oltrepassando la retina che ad esso era attaccata.

Ripresi l’oggetto sferico dopo alcuni rimbalzi girandomi verso il ragazzo che stava in piedi con le braccia conserte e un sorrisino compiaciuto stampato in faccia.

“Dicevi?” Mi provocò.

“Quindi tu saresti una sottospecie di Zac Efron?” Chiesi ignorando il suo commento. Lo guardai rifletterci un po’ su, mentre con fronte corrugata faceva ricadere le braccia lungo il busto.

“Diciamo, ma molto più bello.” Ridacchiai per l’assurdità dell’affermazione per poi testare i suoi riflessi visivi, lanciandogli senza alcun preavviso la palla, che lui prontamente afferrò.

“E’ la convinzione che fotte la gente.” Decretai facendo marcia indietro, con l’idea di tornare in classe, pregando mentalmente che la lezione di economia fosse terminata. “E poi Zac Efron è palesemente frocio.” Aggiunsi ghignando.

Ma non feci in tempo a fare più di tre passi che la mano di Harry afferrò il mio braccio facendomi tornare indietro e voltarmi verso di lui, inconsciamente mi ritrovai faccia a faccia con le sue labbra, nel mentre venivano bagnate dalla sua stessa lingua. Premetti entrambi i palmi delle mani contro il suo petto, riuscendo a percepire il segno degli addominali ben definiti dal sottile tessuto dell’uniforme, per accentuare le distanze, ma la mia forza in confronto alla sua era minima e quindi non riuscii a spostarlo di un centimetro. Dovevo iniziare a fare palestra.

“Dove credevi di andare?” Sussurrò con fare sexy. Quella vicinanza mi metteva a disagio.

Ero già dell’idea di centrare il suo occhio con la mia saliva, ma sarebbe stato troppo facile, volevo divertirmi e dovevo farlo soffrire come solo una ragazza sapeva fare.

Senza pensare alle conseguenza allungai il viso verso il suo, facendo combaciare le nostre labbra in un bacio improvvisato mentre con la lingua gli leccai il labbro inferiore chiedendo accesso alla sua bocca, che nell’attimo stesso mi fu concesso. Mossi il mio corpo verso il suo, facendo scontrare i nostri bacini, per poi far danzare le nostre lingue in un turbine di saliva ed eccitazione. Le sue mani afferrarono saldamente il retro delle mie cosce, facendo pressione e alzandomi da terra, in modo che i miei piedi non toccassero più il pavimento. Gli attorcigliai le gambe intorno al bacino mentre fasciai il suo collo con le braccia che, temerarie, si abbracciarono l’un l’altra; successe nel momento in cui scontrai la schiena contro il muro più vicino e in cui arrivai alla conclusione che non aveva intenzione di fermarsi ad un semplice bacio.

Passai una mano nei suoi capelli, tirando piano alcuni boccoli e ascoltando qualche suo piccolo gemito di apprezzamento. Qui qualcuno stava diventando vulnerabile, sorrisi fra me e me.

Ma quando sentii la sua mano sfiorare la cerniera dei miei pantaloni, cercando disperatamente di slacciarla, mi fermai e, contenta del risultato ottenuto, staccai la mia bocca dalla sua, scesi dalla sua presa e lo guardai con espressione di sfida.

 

“Ciao ciao ricciolino.” Dissi innocua prima di pulirmi la bocca con il dorso della mano ed uscire dalla palestra, lasciandolo da solo, con la bocca spalancata ed una prominente erezione fra le gambe.

Vendicarmi per la notte in bianco che mi aveva fatto passare? Fatto.













Heiii
Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo e come potete vedere  gli avvenimenti succulenti ci sono fin da subito!
Piaciuto il primo? Spero di si!
Se vi è piaciuto, o avete degli appunti da farmi, scrivetemi una recensioni e spero siano parecchie perchè non penso che continuerò la storia se continuerò a riceverne poche.
un bacio
Asia;

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Capitolo 3
*** Ice-cream? ***


3 Ice-cream?

 

Vi è mai capitato di fare qualcosa e sapere che questa è maledettamente sbagliata, ma continuate a farla ugualmente perché è divertente?

Continuare a stare al gioco con Harry, rispondendo ad ognuno dei suoi messaggi provocatori era una cosa talmente stupida che era impossibile non farla. Adoravo il pensiero di averlo in pugno per la figuraccia che gli avevo fatto fare in palestra, per non parlare dell’esilarante convinzione che aveva quando parlava di vendicarsi nei miei confronti.

 

Da: Harry.

“Hai da fare oggi?”

 

Fu l’ultimo messaggio che ricevetti quella mattina, e devo dire che rimasi piacevolmente interdetta quando lo lessi, tanto da rispondergli con una dolce affermazione.

 

A: Harry.

“Se hai intenzione di invitarmi ad uscire, allora si, ho da fare.”

 

Sorrisi mentalmente quando il mio indice sfiorò il tasto di invio.

 

Da: Harry.

“Non avevo dubbi.”

 

Lessi più volte quel messaggio, se fosse stata una conversazione vocale avrei potuto capire in che tono lui intendeva quella frase, ma constatando che le parole erano trascritte solo su uno schermo decisi di evitare di pensare che fosse offeso.

Decisi comunque di non farlo soffrire troppo.

 

A: Harry.

“A meno che tu non abbia intenzione di portarmi a prendere un gelato. Cambierebbe tutto.”

 

Il mio stato sentimentale era caduto a picco dopo la mia ultima relazione, da allora non avevo onorato nessun ragazzo permettendogli di diventare un mio ipotetico fidanzato.

L’istante successivo il viso di Harry mi entrò con forza della mente, ed io non potei fare a meno di cercare di ricordare i suoi lineamenti. Il fisico asciutto e slanciato, le spalle non troppo larghe ma comunque muscolose, il torace tonico e con degli accenni di addominali sul petto. Del viso, gli occhi erano la caratteristica che mi aveva colpito di più. Erano di un verde prato con uno strano effetto ipnotico e, diversamente dai miei, erano chiarissimi.

Poi la bocca, beh quella me la ricordavo bene. Le sue labbra erano morbide e l’alito aveva il retrogusto di menta, il mio gusto preferito.

Di certo non si poteva definire Harry un brutto ragazzo, anche se la sua presenza mi irritava e non poco, non potevo negargli di essere attraente. Ripensando appunto al suo fascino un’idea mi balenò in testa.

Se davvero voleva vendicarsi, perché non lasciarlo fare?

Magari saremmo finiti a letto e poi non ci saremmo mai più visti ne sentiti, ho già detto che mi irritava?

 

Da: Harry.

“Se accetti, Ti porto nel posto dove fanno la vaniglia migliore dell’Inghilterra.”

 

Mi lasciai cadere di schiena sul letto, atterrando sulla morbidezza esauriente del materasso, per poi staccare il cellulare dal caricabatteria e controllare l’ora. Le due meno venti del pomeriggio.

Oh si, mi sarei divertita con lui.

 

A: Harry.

“Vieni alla 43th della Hill Avenue tra un’ora.”

 

Misi il silenzioso e lanciai con delicatezza il telefono sulla scrivania, anche se questo ci rimbalzò sopra finendo rovinosamente per terra. Merda.

***

“Non è male, te lo concedo.” Dissi riferendomi al cono gelato che tenevo tra le mani, mentre assaporavo due gusti insieme facendomeli slittare sulla lingua, e nello stesso istante in cui lui fece una battuta squallida per il mio modo di mangiarlo. Idiota.

“Te l’avevo detto.” Rispose saccente con tono da chi la sapeva lunga, facendosi sprofondare il cucchiaino pieno di vaniglia fino in gola. Frenai l’impulso di prenderlo in giro per l’azione poco casta che quel gesto mi aveva ricordato, non sarei scesa ai suoi livelli.

Si pulì la bocca con il dorso della mano libera per poi “Non mi è piaciuto il tuo scherzetto dell’altro giorno.” Dire.

Mi trattenni dal non scoppiargli a ridere in faccia quando ripensai alla sua faccia disorientata mostratasi nel momento in cui mi ero staccata dalle sue labbra.

“Ne ero certa.” Proseguii allegra prendendo a camminare sopra un basso muretto che costeggiava il marciapiede. “Ma ero quello l’intento.” Ridacchiò.

“Sai, io sono Harry Styles.” Wow, aveva persino un cognome. “E, anche se non mi conosci ancora bene, sappi che non lascerò correre.” Mi minacciò senza rabbia nella voce.

“Dovrei avere paura?” Chiesi alzando un solo sopraciglio e cingendomi i fianchi con le braccia.

“Non farei mai del male ad una ragazza.” Lesse i miei pensieri, anzi pregiudizi. Che gentiluomo.

Che cosa intendeva allora quando aveva detto che non avrebbe lasciato correre? Probabilmente voleva ricambiare con la stessa moneta, magari baciandomi o seducendomi per poi lasciarmi lì, senza una spiegazione, proprio come avevo fatto io.

Se questo era il suo piano io non avrei dovuto preoccuparmi, sapevo gestire i miei ormoni ed al contrario suo avevo dell’auto-controllo praticamente infallibile.

Non mi sarei fatta imbambolare da un bel faccino.

“Farò solo in modo che la prossima volta che mi bacerai non sarà per un fottuto scherzo.” Era telepatico? “Ma perché mi desideri.” Aggiunse.

Assottigliai gli occhi a due fessure analizzando mentalmente quelle due frasi, ripensai ad ogni parola e ricomposi il loro significato nell’arco di pochissimi istanti. Voleva intimidirmi.

 

“Cos’è, una specie di regola del codice dei comandamenti di Styles?” Chiesi retorica, ma mi pentii subito di aver utilizzato del sarcasmo, ricordando la sua difficoltà nel capire le battute. “Tutto e tutti non vincono al mio fascino.” Lo presi in giro imitando la sua voce roca.

“Diciamo di si, dolcezza.” Gli risi in faccia. Sia per l’appellativo con cui mi aveva chiamata, che di certo non si addiceva alla mia acidità, sia per l’espressione convinta con cui l’aveva pronunciata, come se bastasse uno stupido nomignolo per farmi innamorare di lui.

“Sei pessimo.” Lo rimbeccai ancora ridendo, lui, invece, alzò un sopraciglio e mi scrutò con sguardo suadente e sorrisino sghembo sul viso.

“Fidati, non in tutti i campi.” Annunciò. Raccolsi al volo il suo doppio senso, sbuffando ad alta voce e facendolo ridacchiare.

“In effetti nel basket sei abbastanza bravo.” Provai a stare al gioco, immancabilmente provocandolo e sfidandolo con lo sguardo.

“Ho altre doti.” Si pavoneggiò enfatizzando l’ultima parola. Grugnii silenziosamente.

Diedi un calcio ad un sassolino che mi bloccava il passaggio, colpendolo con la punta della scarpa e facendolo rimbalzare fino alla strada circostante, per poi nascondere le mani nelle tasche della felpa.

“Mi fido.” Decretai, evitando vivamente di scendere nei particolari.

Con un gesto veloce si scompigliò i capelli, spostando i riccioli con una mano da una sola parte, facendo danzare quest’ultimi a ritmo della brezza primaverile che ci inghiottiva. Successivamente si inumidì le labbra secche e rosee accarezzandole con la lingua, mordendosi involontariamente il labbro inferiore e sbattendo le lunghe ciglia un paio di volte.

 

“Allora” Prese a mordere il biscotto dolce del cono, l’unica parte rimanente del suo gelato. “Tu con chi vivi?” Chiese masticando rumorosamente, tentando di fare conversazione. Apprezzai il suo squallido approccio.

“Con mia madre.” Risposi diretta. Un cipiglio si allargò nella sua fronte, mentre la confusione gli si leggeva negli occhi e la sua espressione si trasformava pian piano in un punto di domanda. Mi affrettai a precederlo prima che parlasse. “Mio padre biologico se ne è andato quando avevo tre anni.” Conclusi.

Si schiarì la voce. “Oh.” Fu tutto quello che riuscì a dire. “Mi dis-“ Lo interruppi.

“Non dirlo.” Smisi di camminare e con un balzo scesi dal muretto, avvicinandomi a lui più che potessi e mettendomi in punta di piedi dal momento che la sua figura torreggiava sulla mia.

“Non dire cosa?” Chiese innocente. Sbuffai annoiata e mi richiesi mentalmente più volte quali problemi affliggevano quel ragazzo, e soprattutto se esistesse una cura per riportarlo tra noi. Scrollai la testa quando anche il mio subconscio rispose di no.

“Che ti dispiace.” Spiegai. “Odio essere compatita.”

Lo guardai confusa quando la sua bocca si allargò in un solare sorriso, mentre scoppiava a ridere con ogni fibra del suo corpo. Per qualche strana ragione, l’impulso di lasciarmi andare in una risata mi sorvolò i pensieri, in particolare quando ammirai due accentuate fossette scavargli le guance, non le avevo notate, erano adorabili. Scacciai l’idea all’istante.

“Stai ridendo perché...” Feci un gesto brusco con la mano intimandogli di continuare e quando “Sei strana.” Mi disse, la voglia di avere più dita medie del normale crebbe in me.

“Disse il ragazzo che importuna ogni essere di sesso femminile nell’arco di un metro di distanza.” Lo schernii con poca ironia nella voce, lui comunque sorrise divertito e mi rivolse uno sguardo che probabilmente riteneva sensuale.

“Io non importuno proprio nessuno.” Ridacchiò e ripeté il gesto per pettinarsi i capelli,  per poi legarsi una specie di sciarpa sottile attorno a quest’ultimi. Sembrava appena uscito da un film di pirati.

“E poi, devo ricambiare un certo favore.” La sua voce si mutò, la tonalità venne più bassa mentre le parole gli raschiavano in gola, emettendo dei sussurri rochi altamente profondi.

Anche se non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, trovai tremendamente attraente quel suo cambiamento vocale, e mi spaventai talmente tanto di quella strana sensazione che mi pervase la mente quando parlò, da fare due passi indietro cercando di allontanarmi. Cercai nuovamente di allungare la gamba dalla parte opposta nel tentativo di indietreggiare ancora, constatando che lui si avvicinò rispettivamente a me, ma il mio piede scontrò contro i mattoncini del muretto alle mie spalle. Cercai di riprendere equilibrio muovendo le braccia quando inciampai, ma non ci riuscii, mi sbilanciai notevolmente verso il piccolo muro, che ci separava da un fossato alto almeno tre metri, e lanciai un urlo strozzato quando ebbi la totale convinzione di cadere nel vuoto.

L’ultima cosa che vidi furono gli occhi di Harry spalancarsi, mostrando il bellissimo verde delle sue iridi, poi serrai i miei per la paura, premendo forte le palpebre l’una contro l’altra.

Un braccio muscoloso mi afferrò le spalle e un altro mi circondò la schiena prima che precipitassi nel fosso, non capii bene quello che successe però, dopo pochissimi istanti,  mi sentii tirare verso il lato della strada. Mi lasciai trasportare dal peso del mio salvatore, il mio baricentro si spostò bruscamente in avanti e così il mio equilibrio, urlai di nuovo. Ben presto mi ritrovai sdraiata sul tiepido marciapiede che il sole di maggio ci aveva riscaldato, schiacciata sotto il peso leggero ma allo stesso soffocante di Harry.

Lo guardai stralunata e lessi nei suoi occhi la stessa paura che probabilmente si leggeva nei miei, la bocca era semichiusa e il suo respiro usciva a sbuffi dalle labbra piene. Ci guardammo per non so quanto mentre io combattei dentro me stessa per decidere se ringraziarlo o meno, di certo se lo sarebbe meritato ma ero troppo scossa per parlare e il ‘grazie’ che cercai di pronunciare mi morì in gola.

“Va tutto bene.”  Mi rassicurò, allungando timidamente una mano verso la mia guancia, probabilmente incerto della mia approvazione. Io lo lasciai fare mentre con il palmo mi accarezzava piano la pelle arrossata e leggermente umida di lacrime, per poi chiudere gli occhi e cercare di calmarmi. Le altezze mi terrorizzavano.

“Non tremare.” Sussurrò al mio orecchio facendomi involontariamente svegliare, mentre io mugolai qualcosa di incomprensibile e con poca forza cercai di spingerlo via, in modo che si alzasse dal mio corpo. Quella vicinanza mi metteva a disagio.

Con nonchalance fece leva sulle braccia e si rimise in piedi, pulendosi i pantaloni dalla polvere e offrendomi una mano per aiutare ad alzarmi a mia volta, io riluttante l’accettai. Quando però fui nuovamente retta dalle mie gambe, un’ondata di vertigini mi oltrepassò, facendomi girare la testa talmente tanto da dovermi poggiare all’avambraccio di Harry. Feci un respiro e poi, nuovamente, mi lasciai scivolare fino a toccare con il fondoschiena il cemento granuloso, per poi passarmi le dita tra i capelli ondulati.

Diedi un’occhiata oltre il muro e ripensai al fatto che se Styles non mi avesse prontamente afferrato sarei caduta di sotto, facendomi molto male probabilmente. Mi prese il panico a quel pensiero, avevo sempre avuto paura di cadere da un punto alto.

“Stai bene?” Harry si accovacciò accanto a me con aria preoccupata mentre io feci un grande sforzo per riuscire a guardarlo in faccia. “Grazie.” Sussurrai, mettendoci tutta la mia forza di volontà.

Lui mi concesse un dolce sorriso, e non uno di quei sorrisini sghembi e perversi che aveva sempre stampati sul viso e che io stavo cominciando ad odiare, ma un sorriso sincero, il primo che vidi sulle sue labbra. Ricambiai.

Nuovamente mi aiutò ad alzarmi, e quella volta fui abbastanza cosciente da rimanere in piedi da sola.

Lo guardai combattuto mentre si morse il labbro incerto sul da farsi, e capii all’istante il perché. Aveva organizzato un’uscita per potersi vendicare dello scherzetto della palestra, ma a causa di quello che era successo e della mia reazione spaventata aveva deciso di lasciare perdere. Wow, aveva un cuore.

Mi morsi il labbro anche io e, non del tutto certa, mi avvicinai a lui mettendomi in punta di piedi, per poi lasciargli un casto bacio sulle labbra. Se lo era meritato.

“Grazie Ricciolino.”

Lui rimase interdetto ma comunque sorrise per poi scuotere la testa ridendo. Risi anche io.

Per oggi, basta con la dolcezza.

 

 

 

 

 

#spazioautrice

Eccomi ritornata!
Grazie mille per le recensioni che mi avete lasciato, davvero, ho apprezzato molto, anche se spero ancora che aumentino un pochino
J

Nel nuovo capitolo troviamo una nuova faccia di Harry, ma non preoccupatevi, non durerà molto.
Ormai penso che abbiate capito il genere di questa storia, lui il classico bellissimo ragazzo presuntuoso e lei ragazza tosta e che sa tenere testa; ma fidatevi, questa non è come le altre, ci saranno moltissimi colpi di scena, come l’arrivo di un nuovo personaggio. Secondo voi, chi è?

Rispondete in una recensione e ditemi anche cosa ne pensate del capitolo. A voi non costa niente ma per me significherebbe molto!

Per ogni chiarimento, su twitter sono @HazsConverse_

Un bacio e alla prossima!

Asia;

ps vi amo immensamente.

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Capitolo 4
*** Vuoi un passaggio? ***


4 –Vuoi un Passaggio?

“Quel ragazzo è fottutamente sexy!” L’urlo stridulo di Mel mi fece ritornare con i piedi per terra. Feci un espressione disgustata riferendomi al suo commento poco discreto riguardante Harry non appena finì di pronunciare la frase.

“Non esagerare, Mel.” La schernii afferrando i libri dal mio armadietto. “E’ carino, estremamente irritante, ma carino.”

Melissa Apple, mia migliore amica dalla seconda media, mi camminava affianco mentre entrambe ci dirigevamo a passo felpato verso l’aula di chimica. Preparai già mentalmente la scusa pietosa e commuovente che avrei dovuto rifilare alla professoressa quando sarebbe saltato fuori che non avevo aperto minimamente il libro.

I capelli corvini della ragazza al mio fianco ricaddero sulla sua spalla quando, con un gesto esperto, fece roteare il collo in modo da sistemarsi la chioma disordinata,  per poi abbottonarsi meglio la camicetta accademica bianca e far schioccare le sue labbra una contro l’altra cercando di uniformare il rossetto viola. Gli occhi scuri e ipnotici guizzavano da una parte all’altra del corridoio, lo smalto acceso delle unghie ben curate faceva contrasto con il vestiario chiaro e la pelle già abbronzata faceva invidia ad ogni ragazza dalla carnagione normale. Mel era davvero bellissima.

Con ancora le cuffie nelle orecchie, dalle quali strimpellavano le chitarre di un gruppo rock, e i pochi quaderni sotto braccio, raggiungemmo la nostra classe nell’arco di pochi istanti. Mel entrò per prima, come da programma, mentre io, fedele compagna dell’ufficio del preside, aspettai che gli studenti pian piano riempissero l’abitacolo.

Mi sciolsi la coda di cavallo, scompigliandomi appositamente i capelli rossicci, pizzicandomi anche le guance in modo da farle arrossare e successivamente mi arricciai il colletto dell’uniforme, facendola sembrare sgualcita.

Feci il mio ingresso, per niente trionfale, tra i banchi rovinati della Brixton High School imitando quello che doveva sembrare un improvvisato ritardo. Ressi persino il mio peso poggiandomi le mani sulle ginocchia per rendere la messa in scena più realistica,  per poi avvicinarmi con fare assurdamente drammatico alla cattedra, attirando subito l’attenzione degli alunni. Avrei potuto vincere l’Oscar.

La vecchia si accorse della mia presenza.

“Starling.” Sputò la donna seduta di fronte a me. “Qualche problema?” mordicchiò la stanghetta degli occhiali fuori moda.

“Professoressa Jemis.” Feci finta di riprendere fiato, come dopo una corsa, assumendo l’espressione più dispiaciuta che riuscissi a fare. “Non ho potuto fare quella tesina della settimana scorsa.” I miei occhi si inumidirono.

Lei, rassegnata, scosse il capo in segno di disapprovazione, mentre riguardava la mia media sulla sua preziosa agenda. “Per quale motivo stavolta?” Chiese come da manuale.

“Mia nonna è stata male.” Ammisi abbassando lo sguardo, e non per sembrare ancora più triste, ma perché altrimenti non avrei resistito nel mantenere lo sguardo serio; feci comunque fatica a trattenermi quando “Povera donna, questa è la quinta volta nell’arco di tre giorni, dev’essere molto cagionevole.” Disse aspramente con fare ironico, facendo ridacchiare alcuni ragazzi nelle prime file.

“Oh si.” Le confermai la teoria. “Purtroppo non è un buon periodo, ma vedo che lei, essendo straordinariamente comprensiva,  capisce la mia situazione e quindi non le dispiacerà se le porterò il compito la settimana prossima quando...”  Stavo già prendendo posto in ultima fila quando la sua voce gracchiante mi interruppe.

“Non prendiamoci in giro, signorina Starling.” Stridette facendomi automaticamente voltare. “Se quella tesina non sarà sulla mia cattedra domani mattina sarò costretta a rimandarla nella mia materia, e ora si segga.” Sbuffai accasciandomi sulla sedia.

La campanella trillò troppo tardi per i miei gusti, quando ormai la professoressa aveva terminato di spiegare la consistenza di un atomo di carbonio. Raccattai i quaderni dal banco passandomi la borsa a tracolla ed iniziandomi ad avviare verso la porta della classe.

Un’ondata di disgusto mi invase quando oltrepassai i margini del corridoio; 

accanto agli armadietti rossi nella parte opposta della mia aula, Luke e Cole, entrambi giocatori della squadra di basket della scuola, se la stavano prendendo con un ragazzino del primo anno.

Il malcapitato era stato spinto brutalmente per terra da uno dei due idioti, i fogli dei suoi appunti erano sparsi per tutto il pavimento mentre Cole diede un calcio al suo zaino facendo ridere lui ed il resto della sua gang. Sbuffai.

Un istinto omicida mi invase il corpo nell’attimo in cui il calcio di Dylan, altro giocatore della squadra, si scagliò contro lo stomaco del povero ragazzo che, sdraiato a terra, gemeva per il dolore. Quest’ultimo si rannicchiò su stesso sia per alleviare il male alla pancia sia per provare a prevenire colpi futuri, provai pena e rabbia per lui, infatti bastarono le risate roche dei suoi aggressori per farmi scattare e, nell’arco di pochi istanti, i miei piedi presero a muoversi verso il punto in cui erano loro.

“La volete smettere?” Sibilai a pochi passi dai loro corpi, facendo ricadere i loro sguardi sulla mia figura.

Cole Mcdusty, Luke Buster e Dylan Browned erano gli spacconi che da cinque anni a questa parte prendevano il sopravvento tra gli studenti di quel decadente istituto. Da sempre erano convinti che il mondo girasse intorno ai loro piccoli cervellini, anche se in effetti, le cheerleader dalle minigonne volgari e dalle quarte di seno non li aiutavano a convincerli del contrario; almeno un paio di puttanelle bionde gli giravano intorno ogni volta che oltrepassavano il confine della palestra, mentre queste, prive della dignità che una ragazza dovrebbe avere, gli correvano dietro sbavando come cagnolini.

Ero convinta che se la loro massa cerebrale fosse stata grande almeno la metà del volume dei muscoli tesi che gli copriva i corpi, sarebbero stati tutti Albert Einstein.

 

“Scusami?” Cole mi schernì avanzando di qualche centimetro e sfoggiando un sorrisino divertito che avrei volentieri cancellato con uno schiaffo. La tentazione era davvero forte ma mi trattenni.

“Oltre ad essere dei maledetti stronzi siete anche stupidi? Ho detto che dovete piantarla.” Incrociai le braccia al petto alzando le sopraciglia in segno chiaro di sfida e gustandomi la loro espressione stranita a causa della mia provocazione, non se l’aspettavano.

“La principessina caccia gli artigli, cosa vuoi, dolcezza?” Questa volta fu Dylan a rispondermi e quasi mi strozzai con la mia saliva quando utilizzò quell’irritante nomignolo. Sviarono il fatto che li avessi insultati come se si stessero rivolgendo ad una bambina che si era persa in un centro commerciale, ma non avevo intenzione di farmi mettere i piedi in testa da loro e oltretutto Steven, così si chiamava il ragazzo vittima della loro idiozia, era ancora dolorante sulle piastrelle di ceramica giallastre.

“Volevo sapere solo se siete nati coglioni oppure se lo siete diventati nel tempo.” Sorrisi tra me e me non appena pronunciai la frase mentre guardai come i loro ghigni gli morirono sulle labbra, non avevano più voglia di giocare, anche se io mi stavo decisamente divertendo

“Ascolta ragazzina, siamo quattro maschi contro una, non credo che tu sia nella posizione di fare battute.” Il suo tono ricordava tanto una ferrea minaccia e, constatando che si trattasse di quei cerebrolesi con i bicipiti muscolosi, capii che non si sarebbero fatti tante storie a far del male ad una femmina.

“Non mi interessa se siete talmente meschini da... Harry?” Storsi il naso quando riconobbi un paio di jeans neri familiari e degli stivaletti vecchio stile scamosciati. Il riccio rimaneva in ombra dietro alla sagoma di Luke, talmente ben nascosto che la sua presenza mi era sfuggita, almeno fino a quel momento. “Cosa ci fai qua?” Chiesi.

“Tu la conosci?” Replicò Cole annoiato e irritato nel medesimo tempo.

Harry fece un passo avanti mostrandomi finalmente la sua chioma riccioluta ed i suoi occhi verdastri così simili ai miei, per poi schiarirsi la voce e parlare. “Emmh, no.” Rispose con nonchalance ma non troppo convinto delle sue parole.

Lo fulminai con lo sguardo, un misto di incazzatura e delusione mi si leggeva negli occhi, e non perché avesse detto di non avermi mai vista prima, sinceramente non mi interessava, ma perché se la faceva con dei montati come quelli. Per quanto poco conoscessi Harry, avevo creduto che fosse un tipo apposto, non di più e non di meno di un ragazzo strafottente e con gli ormoni a mille, ed anche se non aveva preso parte al pestaggio lui era lì con loro. Non aveva impedito ne a Cole, ne a Luke e ne a Dylan di prendersela con quel ragazzino che non aveva commesso nulla di male, ed in quel preciso istante lo stavo disprezzando più che non mai.

Strinsi le mani forte a pugno facendole ricadere lungo il busto, le figure di tutti meno che quella di Harry si dissolsero dalla mia visuale quando agganciai le mie iridi alle sue. Non sembrava ne pentito ne deluso dalla mia scoperta, forse soltanto leggermente imbarazzato del fatto che stessi reagendo in quel modo davanti a lui e a tutti gli alunni della scuola; in effetti non avevo il motivo di attaccarlo perché, dopotutto, aveva il diritto di fare ciò che voleva, ma se era convinto che avrebbe avuto solo che una microscopica chance con me si sbagliava di grosso. A dire il vero non ce l’aveva mai avuta.

Ripensai velocemente a pochi giorni prima, a lui mi che mi aveva salvata prima che cadessi nel vuoto, ai due baci che gli avevo rifilato, e mi disgustai di me stessa quando le immagini mi si proiettarono in mente per essere caduta così in basso.

Non gli avrei più permesso di vendicarsi, se aveva davvero intenzione di uscire con certa gente io gli starei stata letteralmente alla larga.

 

Abbassò lo sguardo non reggendo più il mio, prendendo a mordersi l’interno guancia per tenersi occupato nel mentre di uno strano silenzio. Non aveva nemmeno le palle per guardarmi.

Scossi la testa rattristata dallo spettacolo, mormorai uno ‘scusa’ al ragazzo ancora disteso a terra e girai i tacchi propensa a lasciare quella scena disgustosa.

Non appena mi voltai per raggiungere l’uscita fui seguita subito da un paio di fischi, qualche presa in giro ed alcuni commenti poco garbati sul mio fondoschiena, in cambio, gli mostrai il dito medio e a quel punto fui sicura di non sentire più loro provocazioni.

Sorrisi a me stessa per aver saputo reggere la situazione e per non aver piantato una scenata in mezzo al corridoio a Styles, non era così importante per me da meritarne una. A essere sinceri io non lo conoscevo affatto, e da quanto avevo visto poco prima non avevo alcuna intenzione di fermarmi per assecondare i suoi stupidi piani di rimorchio.

Raggiunsi velocemente il parcheggio, dimenticandomi anche di passare a prendere Mel nell’aula di biologia, mi sarei scusata più tardi. Avevo troppi pensieri in testa.

Camminai a passo svelto fino alla fermata dell’autobus, non prima però di aver controllato gli orari e di essermi accertata che il primo pullman passava dopo mezz’ora. Perfetto, forse aver saltato l’ultima ora di geografia non era stata una grande mossa.

Mi sedetti sulla panchina devastata sotto la piccola tettoia della fermata, giocando con i lembi sfilacciati della mia maglietta ed aspettando quei minuti che sembravano ore.

Attesi lunghissimi istanti, eppure il tempo sembrava non passare mai, infatti l’ultima volta che controllai l’ora sul cellulare segnava che mancavano ancora 15 minuti all’arrivo del mezzo di trasporto che mi avrebbe riaccompagnata a casa.

Il suono di un clacson mi fece sobbalzare, alzai immediatamente lo sguardo incontrando la fiancata destra di un pickup nero metallizzato. Il finestrino oscurato di questo si abbassò lentamente ed io sbuffai senza neanche volerlo quando riconobbi il viso del guidatore.

“Ti serve un passaggio?” Harry mi sorrise e tirò il freno a mano del veicolo per accertarsi che non si sarebbe mosso dal punto in cui aveva accostato.

“Non sei troppo impegnato a picchiare qualcuno del primo anno?” Ghignai perfida. “O forse hai intenzione di rubargli i soldi del pranzo?” Conclusi gelida. Lui sbuffò.

“Ti sei offesa perché ho detto di non conoscerti?” Chiese a sua volta sospirando.

Gli avrei ficcato il pomello della marcia nel naso.

“Offesa perché un tizio che nemmeno conosco dice di non sapere della mia esistenza? Sinceramente l’idea che mi salutassi calorosamente non mi era passata neanche per l’anticamere del cervello.” Presi aria. “Ma quello che mi da fastidio è che, nonostante tutto, tu sei qui, a chiedermi se mi serve un passaggio.”

Non mi mossi di un millimetro dalla panchina su cui ero appostata, anzi, mi accomodai meglio per provocare la sua rabbia, e quando vidi il cipiglio sulla sua fronte allargarsi capii di esserci riuscita.

“Primo, io non ho picchiato nessuno, e secondo volevo solo essere gentile.” Brontolò passando un braccio oltre il finestrino e guardandomi nel modo in cui aveva fatto la prima volta che ci eravamo incontrati nella biblioteca, e nonostante fosse passato del tempo, il suo sguardo mi metteva ancora in soggezione. Feci finta di far ricadere gli occhi su un oggetto oltre la sua macchina scura ma, quando sentii la sua risata flebile uscirgli dalla bocca, seppi per certo che aveva capito il mio pessimo tentativo di nascondermi dal suo giudizio.

“Il gentile vallo a fare con quelle sgualdrine che vi portate appresso tu e il resto del club dei coglioni.” Risposi acidamente incrociando le braccia sotto il seno mentre sul suo viso si dipinse uno di quei sorrisini che non mi piacevano, solo per il fatto che stavano a dimostrare che aveva una provocazione a fior di labbra.

“Gelosa?” Domandò inarcando un sopraciglio e spostando il viso in avanti. Alzai gli occhi al cielo per l’ennesima volta quel giorno.

“Ti piacerebbe.” Risposi con determinazione.

Strinsi gli occhi quando ripeté lo stesso solito gesto per sistemarsi i capelli e li ridussi in fessure quando si bagnò le labbra con la lingua, perché, dopo aver combinato tutto quel casino, cercava ancora di mostrarsi seducente. Non potei fare a meno di ridacchiare per la sua spavalderia.

“Niente bacino per me oggi?” Fece labbruccio.

“Oh, fottiti.”

 

 

 

 

 

Ora muoio, so che è passato troppo tempo, davvero tanto, e ringrazio chi sta leggendo questo perché vuol dire che non mi ha dimenticato. Ecco il nuovo capitolo, lasciatemi tante recensioni dicendomi cosa ne pensate, un bacio e alla prossima ;)

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