You Better Watch Out

di Horrorealumna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 24 Ragazzi, 24 Tributi ***
Capitolo 2: *** Casa Dolce Casa ***
Capitolo 3: *** Casa Dolce Casa (Seconda Parte) ***
Capitolo 4: *** Come Un Biglietto Può Condannare A Morte ***
Capitolo 5: *** Come Un Biglietto Può Condannare A Morte (Seconda Parte) ***
Capitolo 6: *** Ventitré Addii, Un Arrivederci ***
Capitolo 7: *** Ventitré Addii, Un Arrivederci (Seconda Parte) ***
Capitolo 8: *** Viaggio Senza Biglietto ***
Capitolo 9: *** Viaggio Senza Biglietto (Seconda Parte) ***
Capitolo 10: *** Lindi e Pinti ***
Capitolo 11: *** Lindi e Pinti (Seconda Parte) ***
Capitolo 12: *** La Notte Più Luminosa ***
Capitolo 13: *** Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? (Prima Parte) ***
Capitolo 14: *** Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? (Seconda Parte) ***
Capitolo 15: *** Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei ***
Capitolo 16: *** Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei - Le Reazioni ***
Capitolo 17: *** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Prima Parte) ***
Capitolo 18: *** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Seconda Parte) ***
Capitolo 19: *** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Terza Parte) ***
Capitolo 20: *** La Notte Porta Consiglio ***
Capitolo 21: *** Lacrime Di Sangue ***
Capitolo 22: *** Terrore, Vendetta e Bugie ***
Capitolo 23: *** L'Ascesa di Atropo ***
Capitolo 24: *** La Gloria e il Sangue vanno a Braccetto ***



Capitolo 1
*** 24 Ragazzi, 24 Tributi ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
24 RAGAZZI, 24 TRIBUTI


DISTRETTO 1

SOHPIA DEVIS

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DIEGO SALLEN
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DISTRETTO 2

LAVINIA HARMONIA
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BRANDON MAYERS
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DISTRETTO 3

INDIA EVEERY
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ESSIEN KONATE'
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DISTRETTO 4

ALEXANDRA RANGER
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XABER DAVIS
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DISTRETTO 5

CONNIE STEVENSON
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WILLIAM EBONY
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DISTRETTO 6

KATHERINE MOONSTONE
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TOM ALLIUS
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DISTRETTO 7

JOY SPARKS
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MARKUS SCHWARZ
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DISTRETTO 8

MEZZANOTTE SPIELBERG
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FELIX ANDERSEN
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DISTRETTO 9

BEATRIZ MOORE
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LIAM BURTON
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DISTRETTO 10

CHLOE MINNEL
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JAY CARTER
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DISTRETTO 11

ELIZAVETA POCHKA
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MIKE SALT
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DISTRETTO 12

ROSALIE WHITE
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NICHOLAS RAYAN
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Capitolo 2
*** Casa Dolce Casa ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

Casa Dolce Casa
 

Non c’è posto più accogliente di casa propria. Tra quelle mura ci si sente sicuri e protetti, si sta proprio bene. Sarebbe bello viverci per sempre; rivedere i posti familiari in cui si è vissuta l’infanzia, pieni di bei e brutti ricordi, ci dà davvero la sensazione di non essere soli. Mai.
Ma c’è sempre qualcosa, o qualcuno, che deve riportarti alla realtà, anche se non lo vuoi.
E così ci si ritrova nel vero mondo, un mondo molto più oscuro e lontano della dimensione quasi incantata in cui si cresce. E non sempre tornare nel “vecchio mondo” è ammesso.

 
 

DISTRETTO 1

 
Sophia Devis

 

Sophia non aveva chiuso occhio: aveva passato tutta la notte a fissare fuori dalla finestra l’andirivieni di gente sella strada su cui si affacciava la sua stanza.
Era il giorno della Mietitura: non era agitata e non aveva, giustamente, ragione di esserlo. Dopotutto, era nata per quello. Aveva atteso quel momento da quando era piccolissima.
Ridacchiò silenziosamente, ricordando che era sempre stato il suo desiderio più grande, far parte degli Hunger Games. Ma era stato alquanto infantile all'inizio, solo una strana pretesa di una bambina cresciutavelocemente tra coltelli e spade; suo padre era un uomo che ne sapeva di armi e massacri, il cui più grande sogno era vedere sua figlia vincere gli Hunger Games ad ogni costo: ne andava dell’onore dell’intera famiglia.
Anni e anni passati in accademia stavano per dare i loro frutti, finalmente.
Prepararsi tutta la vita, eppure, non basta: bisogna avere la forza di volontà. E Sophia ne aveva certamenre da vendere.
Ora, seduta davanti allo specchio, si spazzolava i lunghi e fluenti capelli color oro, fissando il suo riflesso con aria assente e sostenendo lo sguardo di quei due occhi azzurri.
Seducente.
Bella.
Ecco cos’era.
Sorrise a trentadue denti; poi tornò ad incupirsi.
Bella e letale...
L’avrebbe fatto: si sarebbe offerta volontaria! Non voleva deluderli!
Avrebbe dimostrato a tutta Panem, che oltre l’aspetto gradevole, c’era molto di più in lei: come una rosa, all’apparenza bellissima e attraente, che nasconde spine acuminate, lei avrebbe fatto colpo per poi “ferire”.
Lo faceva per gli altri, ma anche per sé stessa. Sapeva che non sempre si usciva da quell’arena ancora in vita, ma non era molto pessimista; pensare, però, alla sua vera migliore amica, uccisa a freddo lì e rispedita in una bara puzzolente l’anno prima, le faceva male.
"Sophia sarebbe tornata a casa!"
- Sophia! Scendi! La mietitura sta per cominciare!
 

 
Diego Sallen
 
- Come ti senti, figliuolo? Sei eccitato all’idea di questa Edizione? Io sì. Perché so che sarai tu il vincitore!
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, con la colazione ancora sul tavolo, perfettamente intatta e fredda.
Diego non ascoltava suo padre: cercava di tenere la mente rivolta altrove, di non pensare a quello che da lì a poche ore sarebbe accaduto davanti a milioni di persone e altri ragazzi come lui.
La Mietitura.
L’inizio degli Hunger Games.
 - ... ti vedrò tornare a casa famosissimo e forte. Proprio come me!
Il figlio sbuffò, concentrando ora l’attenzione sui lacci delle sue scarpe nuove.
- Mi stai ascoltando? Diego? DIEGO!
- Papà! - urlò il ragazzo spazientito al padre - Sì, sì!
L’omone riprese il suo discorso sulle armi, sull’importanza che un po’ d’acqua poteva avere e cose del genere. Essendo un esperto dei Giochi conosceva cosa voleva dire mettere tutto a repentaglio, nell’Arena. E aveva idee ben chiare sulla sorte del primogenito.
- Stronca i più deboli prima, capito? Magari i tipi solitari o i più piccoli. Poi occupati dei pezzi forti; non temere: alcuni si faranno a pezzi da soli. Uccidere deve essere la tua priorità, quindi racimola qualche spada o...  - ricominciò a borbottare l'ex vincitore, senza neanche prendere fiato.
Lui ne aveva abbastanza.
Diego si passò una mano tra i folti capelli biondi e sbuffò abbastanza forte da farsi ben sentire dal padre; poi disse:
- Papà... uccidere? Chi? Altri bambini?
- E’ lo spirito del gioco, Diego! O uccidi o muori! Tutto il Distretto conterà su di te - urlò l’uomo, alzando minaccioso le mani.
- Allora questo Distretto fa davvero schifo!
Si mise in piedi con uno scatto e corse verso la porta, diretto verso la piazza illuminata da un sole malato e coperto da un leggero velo di nebbia.
Non gli sarebbe importato niente: se doveva proprio offrirsi volontario non l’avrebbe fatto per suo padre, né per il Distretto 1.
- Mamma non avrebbe permesso tutto questo. Mai - sussurrò al vento.

 

 
DISTRETTO 2
 
Lavinia Harmonia
 
Una ragazza, Perla, dall’aspetto elegante e raffinato, stava parlando con una bambina.
- E cosa farai se ti chiameranno? Ti metterai a frignare?
La bambina in questione si chiamava Lavinia, aveva 13 anni... e tanta voglia di vincere. Sapeva di avere molte probabilità di accaparrarsi il favore del pubblico col suo tenero faccino e non aveva affatto paura dei Tributi e dell’Arena. Era pronta.
- No - ghignò la piccoletta alla sorellona - Non succederà!
Perla la squadrò da capo a piedi:
- Credi di poter vincere? Ti sei allenata, certo... ma resti pur sempre un’innocua tredicenne, mingherlina e fragile.
- Sono intelligente e conosco le piante commestibili e velenose. Non mi servirà la forza bruta: io non sono te!
Perla si accigliò: era stata la vincitrice degli Hunger Games l’anno prima e per fare fuori i suoi avversari si era data alla lotta corpo-a-corpo, senza dedicarsi troppo a nascondigli o trappole e mettendo da parte le buone maniere. Li aveva trucidati tutti, uno dopo l'altro, ed era tornata casa colma d’oro e popolarità.
- E poi...  - aggiunse Lavinia afferrando un coltello e facendo scorrere la lama tra il pollice e l’indice - sono bravissima coi pugnali.
Detto questo scattò: lanciò l’arma in avanti, facendola roteare e mandandola a ficcarsi nel muro, nell’esatto punto che intendeva colpire. Al sibilo, Perla ritrasse la testa per istinto. Non poteva negarlo: la sua sorellina era pericolosa quasi quando lei.
- Cosa farò, dici? Mi offrirò volontaria! - concluse Lavinia osservando il suo operato e sorridendo - E farò felice mamma.
- Ci saranno diciottenni pronte ad offrirsi. Come credi di... ? - ribatté la sorella.
- Sarò la prima a salire sul palco. Vincerò. E tu sarai la mia mentore, Perla.
 

 
Brandon Mayers
 
Era passata poco più di una settimana dal suo diciottesimo compleanno. Sarebbe stata l’ultima mietitura per Brandon.
Il ragazzo se ne stava seduto in soggiorno a confortare suo fratello minore, Renly, di tredici anni. Loro padre, sebbene li avesse iniziati in accademia non appena impararono a camminare, non aveva saputo smuovere abbastanza nessuno dei due figli. Il signor Mayers, infatti, aveva desiderato ardentemente far parte degli Hunger Games a suo tempo, ma il sempre elevato numero di volontari gli rese impossibile quell'agognato “privilegio”. Ora aiutava gli istruttori in Accademia; aveva cresciuto i suoi ragazzi con fermezza e impassibilità, come se fossero militari, preparando con assurda perfidia e rigidità soprattutto il primogenito.
Brandon non aveva mai accettato quell’idea che suo padre e l’intero Distretto 2 provavano per i Giochi della Fame. Onore. Gloria. Ricchezza eterna.
- E se mi estrarranno? - bisbigliò Renly fissando il fratello.
Renly non era il migliore dell’accademia, anzi: era relativamente fragile e pauroso. Era un bambino e anche il solo reggere un’arma era una cosa impossibile da imporgli.
- No. Non succederà - lo rincuorò Brandon.
- Ma papà dice che... - obiettò l’altro pensieroso.
- Lascialo perdere! Non ti prenderanno.
- Torna indietro solo uno. Io morirei se... ?
- Non pensarci, Renly. Non permetterò che succeda una cosa del genere. Mai. Vedrai: passerà anche quest’anno, come il precedente. E staremo ancora insieme.
Brandon era stanco del padre e del suo modo di vedere gli Hunger Games. Renly non doveva assolutamente seguire la sua strada. Ecco perché non si sarebbero mai offerti volontari.
Si sentì un singhiozzo provenire dalla cucina.
Due singhiozzi.
- Mamma? - sussurrò Brandon aguzzando lo sguardo per trovarla.
La signora Meyers si fece vicina ai figli, a passo lento. Le mani tormentavano un fazzoletto completamente zuppo di lacrime silenziose, che solo in quel momento ripresero a scendere, in un pianto disperato.
Si sedette accanto a Brandon e l’abbracciò. Il figlio, sorpreso da quel gesto che ricordava aver ricevuto solo quando era davvero piccolo, rimase immobile, perplesso e abbastanza spaventato.
- N-non vo-voglio... perdervi! - gemette lei in preda alla disperazione.
Non aveva mai pianto per una Mietitura!
- Perché... piangi, mamma? - chiese alle sue spalle Renly.
- Vostro padre... ha det-detto al Di-Distretto che... che... - singhiozzò la donna - Non... Se... se qualc-cosa dovess-se ac-cad-ere... non vi... uno... di voi... no! NO!
Renly le accarezzò le spalle e lui ricambiò finalmente la sua stretta.
- Papà?

 
 
DISTRETTO 3
 
India Eveery
 
- E’ il giorno, Anthea - annunciò mestamente India alla sua sorellina, che ancora dormiva beata.
Ci volle qualche bel minuto per convincere la piccola a scendere dal letto e a mandar giù qualcosa. Era nervosa. Tremendamente nervosa. Chi non lo era nel giorno della Mietitura?
- Cosa succederà in piazza, India? - chiese Anthea dopo essere riuscita a sgranocchiare qualche biscotto al cioccolato.
India alzò le spalle:
- Non preoccuparti. Vedrai i tuoi compagni di scuola e devi metterti in fila insieme a loro, quindi per qualche minuto non ci vedremo. Ah, i Pacificatori ti pungeranno il dito per registrarti.
La bambina sgranò gli occhi facendosi rigida.
- Dai! E’ solo una goccia di sangue - ribatté India divertita dall’espressione della sorellina.
Peccato che di divertente ci fosse davvero ben poco. Per i dodicenni la prima Mietitura era sempre un trauma. Aspettare in piedi, sotto lo sguardo di tutta Panem, che il tuo destino venisse irrimediabilmente decretato non era sicuramente mai ben interpretato dai più piccini.
- E’ vero che non verremo prese, India? La gente và, ma non torna più. Io voglio tornare a casa - chiese dolcemente Anthea.
- No, piccola. Stasera ci rideremo sopra.
Le sorelle sembravano davvero felici insieme.
- Papà verrà a vederci, India?
- No. Sai che non riesce neanche a stare in piedi, Anthea.
Loro padre stava ancora dormendo. India non voleva svegliarlo; sarebbe stato quasi angosciante per l’uomo accompagnare le figlie, soprattutto la più piccola, in piazza.
- Iniziamo a prepararci, che ne dici? - chiese India dopo qualche minuto si silenzio imbarazzante.
- - rispose la sorellina mettendosi in piedi.
- Ho un bellissimo vestito da mostrarti. Vieni qui.
Non aveva nascosto quell’abito ma sua sorella non ci aveva neanche fatto caso. Un candido vestito bianco, tutto pizzi e merletti, giaceva su una delle sedie del soggiorno.
- E’ per te - annunciò India pizzicando amichevolmente la guancia di Anthea - Quello l’ho indossato anch’io per la prima Mietitura e... indovina un po’? Anche la mamma.
Loro madre era morta dando alla luce Anthea, che quindi non l’aveva mia potuta conoscere; India la ricordava perfettamente invece.
- Grazie! E’ bellissimo. Mamma sarebbe stata felice d vedermi sol suo vestito?
- Felicissima.

 
Essien Konatè
 
L’orfanotrofio era pieno di bambini in lacrime; i diciottenni a stento riuscivano a trattenerle.
Essien e sua sorella Dalila erano seduti l’uno accanto all’altra e, silenziosi, aspettavano che l’addetto consegnasse loro i vestiti per la Mietitura, l’unico giorno in cui l’istituto “aveva a cuore l’aspetto dei loro ragazzi”.
Arrivato Micheal, il custode dei loro dormitori, lanciò ai fratelli delle camicie immacolate e ruvidi pantaloni grigi. Gli stessi di ogni santo anno!
I Konatè, poi, erano malvisti da tutti ed evitati se possibile.
Non erano neanche originari di Panem: venivano da quella che i loro antenati chiamavano “Africa”; a causa della guerra che uccise i loro genitori, decisero di scappare e rifugiarsi nel Distretto 3, in cui vivevano da quattro anni. Essendo troppo grandi per essere adottati furono subito messi a lavorare nelle fabbriche d’elettronica.
- Ci odiano, Dalila - si lasciò sfuggire il ragazzo.
- Chi? Noi due?
- No, non solo. Ci odiano tutti! Capitol ci odia, ecco perché in... - aggiunse abbassando la voce - in questo schifo di Paese mettono i ragazzi in un’Arena a combattere fino alla morte.
- In effetti è senza senso! - rispose la sorella - I Distretti non provvedono forse a moltissime cose e risorse utilizzate a Capitol City?
- Sì.
- E allora? Tutto questo solo per una ribellione? Che qualcuno si faccia avanti!
- Sei troppo ingenua, Dalila. Chi mai si farebbe avanti?
Silenzio.
Una ribellione? Era fuori discussione. C’erano i Pacificatori a togliere di mezzo i rivoltosi o i ribelli.
- Ti offrirai volontario, Essien? Questa è la tua ultima occasione. Sei bravo.
- Non lo so ancora, Dalila.
- Hai delle chance. Puoi vincere, se lo vuoi.
Si guardarono negli occhi. Li stessi.
- Può darsi - tagliò corto il ragazzo.
 

 
DISTRETTO 4
 
Alexandra Ranger

 
Alexandra era in riva al mare. Seduta sulla sabbia rovente aspettava il suo amichetto.
Ci fu un’onda più potente delle altre e la risacca mostrò alla ragazza il piccolo delfino, Liberty.
- Ciao, bello! - esclamò lei avvicinandosi all’animale e toccandogli il musetto.
Liberty si immerse, lasciando Alexandra con ancora la mano tesa.
Era stata lei a salvare quella creatura, finita per sbaglio nella rete di un pescatore e colpita più volte da una lancia. Aveva rimesso in sesto quella povera bestiolina e gli aveva dato quel nome.
Dopo averlo ridato all’oceano, Liberty non si era più allontanato dal Distretto 4. Anche gli altri pescatori si erano affezionati a lui e gli riservavano pesce a volontà.
Anche Alexandra voleva molto bene al “suo” delfino: gli portava da mangiare e a volte nuotava insieme a lui.
Dopo qualche minuto d’attesa Liberty sbucò accanto alla ragazza, con delle alghe tra i dentini affilati: segno che aveva fame.
- Non mi vedrai all’ora di pranzo, Lib. Non oggi. E non ho niente per te adesso - disse lei all’animale.
Liberty sibilò.
- Tra qualche ora ci sarà la mietitura, Liberty. E se vengo presa... tu...
L’animale sembrò quasi capire le parole dell’amica: chiuse il suo becco lungo e si fece piccolo piccolo, mettendo il musetto sott’acqua.
- Tornerò? E chi lo sa. Tu non hai di questi problemi, vero? - continuò Alex abbozzando un mezzo sorriso - Ma sai... io li ho visti nell’Arena. Sembrano più animali di voi. Ridicolo!
Cosa avrebbe fatto senza i suoi amici e la sua famiglia, nel bel mezzo dei Giochi?
Intonò un motivetto.
Alexandra adorava cantare. Quella che stava proponendo a Liberty era la sua ninna nanna, la sola canzone capace di renderla calma e di eliminare qualsiasi pensiero dalla sua testa. Se solo avesse potuto cantarla durante l’estrazione dei nomi...
- Alexandra! Alexandra! Alex, dove sei?
Era Hanna, sua sorella; troppo grande per la mietitura, aveva deciso di accompagnarla in piazza, giusto per non farla sentire solo in quel giorno così buio e triste.
- Cosa vuoi, Hanna? - urlò indietro Alex.
Si fece avanti una ragazza alta e formosa:
- Cosa voglio? Niente, tesoro. Sta solo iniziando la mietitura!
Alex spalancò la bocca per la sorpresa:
- Di già?!
- Sì, scemotta. Stai qui tutto il giorno a cantare e nemmeno sai che ore sono. Vuoi che vangano a prenderti i Pacificatori?
- No.
- E allora andiamo!
 
 
Xaber Dabis
 
- Sei bellissimo, tesoro! - disse la signora Dabis, mentre cercava di domare la chioma ribelle del figlio.
- Grazie - rispose cortese Xaber, sorridendo.
Poi si guardò nello specchio.
Le mani di sua madre tremavano; sembrava in preda ad una scossa elettrica.
- Hai... intenzione di andare da solo in... piazza, Xaber? - chiese lei. Anche la voce sembrava dover cedere da un momento all’altro.
- No, mamma. Andò con Skandar.
Erano anni che la signora Dabis non usciva di casa. Più precisamente dal giorno in cui sua figlia fu scelta per gli Hunger Games.
Si chiama Haylee, una ragazza dolcissima e generosa, che tutto il Distretto 4 conosceva e amava.
Fu sorteggiata parecchi anni prima e avrebbe anche potuto vincere... se non avesse deciso di suicidarsi nel bel mezzo dei Giochi. Per amore.
Riportarono alla famiglia il cadavere in una scatola di legno. Senza scuse. Senza sentirsi in colpa. Era morta, e non dovevano spiegare nient’altro alla famiglia avvolta nel dolore.
Da quel giorno i sorrisi erano diventati sempre più rari in casa.
Vedere il suo ultimo figlio, Xaber, partire per la Mietitura ogni anno, era diventata una tortura per lei. L’idea di perderlo come Haylee la devastava, anche se cercava di non darlo a vedere.
- Mamma? - sussurrò lui.
Lei continuò il suo lavoro senza fiatare.
- Mamma! Ascoltami - disse Xaber, fissando il suo riflesso - Non temere. Sai che non ho tessere in più. Ci sono centinaia di nomi lì, ed io ho solo dodici anni!
Silenzio.
- Mamma!
Xaber si allontanò di scatto dal pettine e la prese per le braccia, guardandola dritta negli occhi:
- Stasera tornerò. Staremo insieme ancora. E poi... sai che papà mi ha allenato per anni! Di cosa ti preoccupi?! Non morirò come mia sorella!
Sua madre aveva lo sguardo altrove, come se stesse osservando qualcosa che solo lei riusciva a vedere.
- Non morirò! Tornerò a casa! - urlò il ragazzino - Sii forte!
Si sentii bussare alla porta.
- Devo andare, mamma - riprese più calmo Xaber.
Pose un leggero bacio sulla guancia della donna immobile.
- Tornerò, lo giuro. Ciao, mamma.
 
 

DISTRETTO 5
 
Connie Stevenson

 
- Ci andiamo insieme? Alla Mietitura intendo? - chiese Matt a sua sorella.
- D’accordo - rispose Connie.
Era seduta sul letto, ad aspettare che arrivasse il momento di vestirsi e partire per la Mietitura. Non poteva negare di aver paura; ma non sarebbe stato quel patetico sentimento di impreparazione al futuro a impedirle di venire estratta.
- Come fai, Matt? Come fai a rimanere così calmo ogni anno? - chiese Connie , con una leggera nota d’ammirazione nella voce.
- Non ci penso più di tanto. E' il mio segreto. Mi aiuta a rimanere lucido - rispose lui semplicemente - Dopotutto... loro chiedono solo terrore e paura. Quindi provo a non pensarci su. Più hai paura, più li assecondi.
- Hai ragione.
- Lo so. Io ho sempre ragione - concluse lui, imitando la parlata tipica della gente della Capitale.
Connie scoppiò a ridere; in effetti era meglio riderci sopra, invece di piangere.
Solo in quel momento un’altra figura, minuta e fragile, entrò nella stanza.
Una bambina dai capelli rossi, identici a quelli di Connie, inarcò le sopracciglia sorpresa:
- Perché ridete? - chiese innocentemente.
- E’ vietato ridere oggi, Lisa? - chiese sarcastico Matt alla più piccola delle sue sorelle.
Lisa aveva solo nove anni, era perciò troppo piccola per partecipare alla Mietitura; eppure, anche lei sentiva che quello era un giorno speciale.
- Ve l’ho chiesto - si giustificò la piccola - perché prima mi ero affacciata alla finestra e ho visto dei ragazzi piangere. Ho chiesto a papà il perché... e mi ha detto che oggi è un giorno triste.
- No - rispose Connie - Non devi essere triste... tu. Lisa, non...
- Papà me lo ha detto. Ha detto che oggi è il Giorno della Mietitura - replicò Lisa.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
Anche se Lisa sapeva perfettamente cos’era la Mietitura non aveva la minima idea di cosa veramente attendesse i tributi; loro padre aveva sempre proibito alla figlia minore di guardare gli Hunger Games e lei non aveva mai fatto obiezioni di qualsiasi genere. Era troppo piccola e troppo innocente. Guardare il reality l’avrebbe traumatizzata.
- Anche se ci sarà la Mietitura... non bisogna mica piangere - tornò a ribadire Connie allargando le braccia che accolsero Lisa in un forte abbraccio - Bisogna essere forti. Come me e Matt. Ok?
Lisa annuì con aria solenne.
- Ti voglio bene.

 
William Ebony
 
- Mamma!? Sono pronto, posso anche cominciare ad avviarmi! - gridò Will a sua madre per avvisarla.
Mancava davvero poco alla Mietitura e non era il caso di fare tardi con uno stuolo di Pacificatori pronti a trascinarti in piazza se qualcuno avesse avuto la “brillante” idea di non presentarsi.
- Aspetta, Will! Vieni qua! - rispose la donna, dalla cucina.
William sbuffò e si diresse a grandi passi verso sua madre che lo attendeva appoggiata al tavolo da pranzo.
Lo squadrò da capo a piedi, con un occhio indagatore che solo una madre può avere nei confronti del figlio, e poi gli carezzò la guancia dolcemente:
- Il mio Will... Tuo padre sarebbe fiero di te, sai?
- Grazie, mamma - rispose lui con un grande sorriso.
- Anche tua sorella era bellissima... il giorno della sua ultima Mietitura.
Mikayla.
La dolce e bella Mikayla.
Fu estratta per gli Hunger Games sette anni prima, quando Will aveva solo nove anni. La vide partire, ma non tornare.
Solo col tempo capì che destino orribile la sorte avesse riservato a sua sorella.
Mikayla era arrivata in finale contro il maschio del Distretto 2.
Fu una lotta strepitosa. Ma il ragazzo prese il sopravvento e con un colpo seccò di sciabola la decapitò, in diretta, senza censure, davanti ai familiari.
Suo padre era ancora vivo, ma impazzì dopo quelle immagini e alla vista del cadavere marmoreo che portarono ai genitori finiti i Giochi.
Sua madre, invece, prese le redini dell’intera famiglia e dopo la morte di suo marito divenne la vera padrona di casa. Amava suo figlio, così somigliante a Mikayla. Lo crebbe con amore e non gli fece mai mancare niente. Proteggerlo dalle Mietiture, però, era un’impresa impossibile.
- Io ti raggiungerò tra un po’, Will - concluse mesta lei.
- D’accordo, mamma. Io vado. Mi staranno aspettando.
Will non voleva lasciare la madre sola, ma non poteva proprio aspettare. Avrebbe affrontato la sua quinta Mietitura come ogni anni.
Chissà se anche Mikayla quel maledetto giorno si sentiva così tranquilla e sicura...  

 
 
DISTRETTO 6
 
Katherine Moonstone

 
- In questa famiglia hanno vinto tutti tranne te, Kety. Perché non continui la tradizione di famiglia? - chiese sprezzante Fiammetta alla sorella.
Kety la guardò storto:
- Cosa cavolo stai dicendo?
- Mamma ha vinto, papà ha vinto, io ho vinto, tu... ah, no! Giusto, non ti sei mai offerta volontaria - rispose scontrosa la sorella.
- Perché dovrei offrirmi? Mica siamo nel due!
- Quanto sei ingenua, Katherine!
- Se permetti... ho ancora voglia di vivere!
Fiammetta rise spalancando la bocca.
Katherine non aveva mia sopportato gli Hunger Games, perché si sarebbe dovuta offrire volontaria e combattere fino alla morte, quando il suo più grande desiderio era... vivere!?
- Sembra quasi - disse Kety a bassa voce - che oltre che prepararti ai Giochi, i tuoi stilisti ti abbiano fatto un lavaggio del cervello gratuito. Bene, due problemi al prezzo di uno...
- Mi hanno fatta apparire potente! - rispose scontrosa l’altra - Sta tutto in quello, il divertimento!
- E nell’uccidere c’è divertimento? - chiese sprezzante - Quando abbiamo visto Angela morire come ti sei sentita?
Angela era la sorella gemella di Kety. Fu uccisa senza scrupoli dal maschio del Distretto 1. La sua fu una morte lenta e dolorosissima. Urlò aiuto per giorni e giorni, fino a quando finalmente spirò, dicendo addio alle sue sofferenze.
E Kety “sentii” il suo dolore. Impazzì e i suoi genitori la portarono a nella Capitale per curarla.
Fu un brutto periodo, anche se Capitol City si innamorò della “gemella da cuore spezzato” e della sua storia.
Anche per Fiammetta naturalmente fu un brutto colpo perdere sua sorella.
- La sorte non era a suo favore. Tutto qui - rispose fioca alla sorellina.
- Già... la sorte!
 
Tom Allius
 
- Quanto hai racimolato, figliolo?
- Un bel po’, papà. Sai, la gente in piazza si è già posizionata per i posti migliori.
Tom porse a suo padre un sacchetto di cuoio, pieno di monete e oggetti preziosi. Rubare era illegale, ma il trucco era non farsi scoprire. Tom era cresciuto proprio come un ladro: agile e preciso coi coltelli, tagliava borse e borsellini con una facilità impressionante ed era capace di finire il suo lavoretto senza neanche destare sospetti.
- Bravissimo, Tom - rispose il padre esaminando il bottino.
Il signor Allius lavorava come macchinista delle ferrovie, ma non guadagnava granché. Delle volte non avevano da mangiare per giorni. Né a lui, e nemmeno a Tom, piaceva rubare. Speravano che tutto quello sarebbe finito... un giorno.
- Devo prepararmi, papà. La Mietitura - disse piano il bambino.
- Non dovresti neanche andarci. Sei troppo piccolo.
Tom aveva solo dieci anni.
Alla nascita fu rifiutato dalla madre che lo affidò al marito e non volle saperne più niente. All’anagrafe del Palazzo di Giustizia del Distretto 6 riuscì a falsificare la sua carta d’identità, aggiungendo due anni in più.
Ora per tutti lui era Tom Allius,del Distretto 6, di dodici anni.
Il giorno del suo presunto “dodicesimo” compleanno, Tom si presentò al Palazzo e chiese sette tessere.
Il suo nome sarebbe stato ripetuto, perciò, otto volte nella boccia dei ragazzi, però avrebbe portato a casa qualcosa di commestibile.
Neanche rubare alla gente garantiva sempre un buon pasto sul tavolo.
- Tom... mi dispiace. Ti ho usato, lo so - si scusò il padre - ma ci saranno migliaia di biglietti là dentro. Non perdere la speranza.
- Sì, papà.
- Ti ho preparato i vestiti belli; sono nella tua stanza. Preparati, ti porterò io lì. Non ti lascio solo - continuò suo padre.
Tom non si era preoccupato molto degli Hunger Games, li vedeva come un concetto astratto, un qualcosa che non poteva mai capitargli. Perciò non era molto nervoso.
-
Vado, allora.
Cominciò ad incamminarsi verso la sua cameretta quando sentì il padre dirgli:
- Non avere paura.
Tom si fermò e, voltatosi, rispose tranquillo:
- Io non ho paura.
 

 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ciauuu :)
Sì, ce l’ho fatta e quasi non ci credo :D
Allora, autori, se c’è qualcosa che ho sfasato fatemelo sapere! Sono accetti anche i “Che schifo!” oppure i “Ma cosa hai fatto?!” XD
I prossimi dodici saranno pronti entro sabato si spera :) (si spera sempre) XD e spero di riuscire a pubblicarli entro domenica visto che lunedì non ci sarò.
Detto questo mi dileguo :) 
Ah, nelle rensioni voglio sapere solo della storia. Per alto, per correzioni eccc---> messaggio privato
Fatemi sapere! :D
Ciauzz :)
 

 
 

 

 

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Capitolo 3
*** Casa Dolce Casa (Seconda Parte) ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

Casa Dolce Casa - Seconda Parte
 

 


 
DISTRETTO 7

Joy Sparks

Dopo la morte di suo padre, Joy aveva promesso a sé stessa di essere forte: avrebbe aiutato la sua famiglia, avrebbe portato il pane in tavola, avrebbe avuto il comando e sarebbe andata a lavorare nei boschi. E ci era riuscita.
Ora stava tornando dalla sua amata foresta in anticipo, sotto stretto ordine del capo; in realtà era la Nazione a permetterle, per non dire obbligarla, di lasciare il turno prima: era il Giorno della Mietitura.
Arrivata a casa, filò subito in camera sua, dove l’aspettava, poggiato sul suo letto, un bellissimo vestito: sembrava fatto di veli sovrapposti, ognuno tinto di una tonalità diversa di verde.
- Mamma?! - urlò Joy - Cosa ci fa questo vestito in camera mia?
Non l’aveva mai visto prima, probabilmente era di sua madre. Ma era piccolo, adatto ad un fisico mingherlino e fragile... come lei.
Telia, sua madre, entrò nella stanza e disse:
- Ho pensato che ti sarebbe piaciuto; buon compleanno, Joy!
- Ah.
Era il suo compleanno e se ne era anche dimenticata! Sedici anni venivano una volta sola!
- E dove l’hai preso? Come, se non abbiamo soldi neanche per... ? - replicò la figlia.
- Ieri sera tuo fratello Peter è riuscito a vendere qualche vestito vecchio. E io stamattina sono andata a comprartelo.
Joy non aveva parole. Il vestito era splendido, non aveva mia indossato nulla del genere. Comunque non capiva una cosa: come mai i Distretti vedevano la Mietitura come una specie di festa?
Cercò di non pensarci: era il suo sedicesimo compleanno e un regalo, seppur costoso, se lo meritava.
Dopo un veloce bagno freddo, Joy si lasciò legare i lunghi capelli neri in una coda di cavallo da sua madre senza fiatare e indossò il vestito verde, pronta a dirigersi verso la piazza con la sua famiglia.

 
Markus Schwarz
 
- Potrei andarci, sai? - sussurrò il ragazzo.
- SEI IMPAZZITO?! Tu nell’Arena non ci metti piede! - urlò di rimando una donna.
Markus era seduto sul tavolo e con un coltello stava martoriando un pezzo di legno, cercando di dargli qualche forma. La donna che gli stava davanti era Marie, sua madre. In realtà non erano davvero imparentati: Markus era stato lasciato appena nato davanti alle porte dell’orfanotrofio del Distretto 7. Era cresciuto con una visione distorta dell’amicizia e dell’amore e la sua infanzia era stata un inferno. A otto anni, Marie lo adottò.
Non aveva mai avuto un padre, non sapeva cosa voleva dire un abbraccio, aveva pochi amici.
Il suo bell’aspetto - capelli neri e lisci e occhi blu chiaro - gli valsero una fidanzata Anna, era una ragazzina dolce, di quindici anni. Markus non la considerava più di tanto, eppure la ragazza non demordeva.
- Odio questo posto! Sarebbe meglio Capitol City... - continuò Markus in tono cupo.
- Ah! E quanto tempo pensi di trascorrere in Città se ti offri volontario, Markus? - tuonò Marie.
Lui alzò le spalle:
- Se non vuoi che io vada lì... significa che mi vuoi bene.
- Certo, ti voglio bene Markus - rispose lei - Non ho nessuna intenzione di vederti morire.
- E chi l’ha detto che morirò?
Silenzio.
- Cosa intendi... ?
- E se tornassi POTENTE?! Pensaci! - sibilò Markus.
Si alzò e, posato il pezzo di legno tra le mani della madre, si diresse verso la porta. Sentì Marie supplicare:
- Non ti offrire volontario, ti prego. Fallo per me.
Il ragazzo restò in silenzio; aprì la porta e corse via da quella casa, seguendo gli altri ragazzini diretti verso il Palazzo di Giustizia.



 
DISTRETTO 8
 

Mezzanotte Spielberg

 
- Io vado giù, mamma! - annunciò Mezzanotte, dando un bacino sulla sua guancia.
La madre, Shynelle, sgranò gli occhi, quasi incredula:
- Stai scherzando, Nott?
La ragazzina con un rapido gesto della testa fece vorticare i suoi lunghi capelli tendenti al blu e rispose semplicemente:
- No.
A quel punto parlò una’anziana signora, seduta su una sedia accanto a quello che sembrava essere suo marito:
- Tra qualche ora si va in piazza, Nott.
- Sì, nonna. Lo so, lo so. Ma non farò ritardo! Non voglio mica perdermi il noioso e schifoso discorso sui Giorni Bui - rispose la ragazza con evidente sarcasmo.
I presenti ridacchiarono e borbottarono; intanto Mezzanotte era già nel seminterrato di casa sua.
Adorava quel posto, anche se era pieno di ragnatele, polvere e puzzava di vecchio.
E lì, quasi coperto da scatoloni con vecchie foto o vestiti troppo piccoli c’era un pianoforte.
Il suo pianoforte.
Senza lezioni o maestri, Nott era riuscita a imparare a suonarlo e adorava quel suono alle volte dolce ed elegante, oppure forte e impetuoso. Riusciva quasi ad identificarsi in quell’oggetto.
Lo accarezzava per ore e ore, pulendolo e lucidandolo ogni giorno.
Anche suo padre sapeva suonare, ma dopo la sua morte prematura e improvvisa fu lasciato a sé stesso e spostato in cantina.
Arrivata davanti allo strumento musicale, Nott tirò fuori dalla camicetta il suo ciondolo, a forma di chiave di violino, ricevuto da sua nonna il suo sedicesimo compleanno; poi, sedutasi su uno sgabello tutto traballante adagiò le dita sui tasti del piano, pronta a suonare qualcosa.
Ma ci fu solo silenzio.
- Cosa... posso... ? - sussurrò ad un piccolo ragnetto che camminava tranquillo sul muro davanti a lei.
- NOTT, sali! E’ arrivato Ray! Dice che vuole accompagnarti in piazza!
 
Felix Andersen
 
Felix avrebbe tanto voluto incontrarsi con Sigmund, suo fidato amico, ma in quel momento la cosa sembrava alquanto impossibile.
Era seduto su uno sgabello in legno, nel bagno, e alla sue spalle una donna robusta lo pettinava con cura quasi maniacale.
- Silviette - chiamò flebilmente Felix.
- Sì, mi dica, signorino - rispose la balia.
- Posso vedere le mie sorelle o... ?
- No, no, no, no, no, signorino! Si stanno preparando per la Mietitura nelle loro stanze e sa benissimo che è altamente sconsigliabile farvi vedere dai vostri genitori scorrazzare per l’ala femminile.
Felix sbuffò. Essere il figlio del sindaco, vivere tra lusso, soldi, camerieri e stupide regole era davvero dura.
Jolanda, Ileana e Brianna erano le sue bellissime sorelle maggiori e probabilmente in quell’istante si stavano incipriando il naso, pronte per la Mietitura.
- E Joseph ?- chiese il piccolo Felix.
- Credo che per quest’anno i Pacificatori non faranno tante storie. Non riesce a camminare poverino! Non è in grado di partecipare ai Giochi.
Felix avrebbe dato tutto l’oro del mondo, pur di scappare dalle ruvide mani di quella donna. Il posto in cui adorava passare le giornate, dopo la scuola, era la fabbrica di tessuti. Rumorosa e puzzolente, quel posto significava tanto per il piccolo undicenne: qualche anno addietro ci entrò per caso -non aveva bisogno di lavorare, essendo il figlio (seppur adottato) del sindaco del Distretto- e fece amicizia con Sigmund, un piccolo bambino moro, che subito attirò la sua attenzione. Felix si offrì di aiutarlo coi noiosi movimenti meccanici che erano costretti a fare per dodici e più ore al giorno.
Fu la nascita di una meravigliosa amicizia.
- Siete bellissimo, signorino. Se non fosse per i vostri capelli indomabili... - commentò la balia osservandolo: un bambino dai capelli color avorio sparati in tutte le direzioni, le guance rosee e dei gli occhi color diamante, tirato a lucido e strigliato per bene, per la sua prima Mietitura.
- Sono pronto, Silviette? - chiese quasi non riconoscendosi più allo specchio.
- Sì, signorino. Siete pronto! - trillò felice la donna.
Avrebbe rivisto Sigmund alla mietitura ne era certo.

 

DISTRETTO 9
 
Beatriz Moore

 
- Sto divinamente. Vero, mamma? - annunciò all’intero soggiorno Beatriz scendendo le scale con lentezza sproporzionata.
Gli occhi dei suoi genitori erano su di lei.
Portava i singolari capelli viola raccolti in una elegante pettinatura e aveva una rosa bianca infilata tra i capelli. Il trucco aveva trasformato il suo volto da semplice diciottenne in quello di una foto-modella.
Indossava una camicia bianca e una gonna grigia, con scarpe in tinta. Non le piaceva non essere al centro dell’attenzione, ed era sicura che in piazza avrebbe avuto l’attenzione di tutti.
- Sei bellissima, tesoro - ammise il padre, Jonah, sorridendole gioioso.
Sua moglie invece arricciò il naso, infastidita:
- Dove vuoi andare così?
- Ovvio, mamma! Alla Mietitura! - rispose sua figlia divertita.
- Dai, Savannah! - disse Jonah alla moglie - E’ la sua ultima Mietitura! Lasciala.
- Ma così è troppo! - rispose infuriata la donna, avvicinandosi con passi veloci alla sua unica figlia.
Con un rapido gesto Savannah tolse il candido fiore dai capelli di Beatriz.
- Ma... Mamma! La mia rosa! - sbraitò la ragazzina.
- Quella è fuori discussione! - rispose sua madre - Ho dovuto lasciar perdere quei capelli... ma guardati! Sembri uscita da Capitol City! E poi la... rosa?! Vuoi farci arrestare tutti?! Oppure preferisci passare la tua esistenza come una senza-voce?! Jonah, diglielo anche tu!!
L’uomo, dopo un brevissimo contatto visivo con sua moglie, sospirò:
- In effetti... Triz... la rosa bianca è un po’... troppo...
- Solo perché la indossa quel vecchio bacu- - cominciò Beatriz.
- Shhhhhhhhhhhhhh!
- Shhhhhhhhhhh!
- Ok, ok. Niente rosa! Raggiungetemi, prima che una squadra di Pacificatori venga a fucilarmi per aver insultato quel grandissimo p-
- Shhhhhhhhh!
- ... grandissimo presidente che comanda Panem. Sì. Vai in piazza! - concluse Savannah con noncuranza, anticipando la frase della figlia.
- Certo! Possibile che per colpa sua non possa mettermi la rosa tra i capelli?!
 
Liam Burtom
 
- Andiamo?
- Sì, ho quasi finito, papà.
Liam era in bagno. Non stava facendo niente di particolare: era già pronto per la Mietitura e non aveva alcuna intenzione di far aspettare i suoi genitori, che avevano deciso d’accompagnarlo.
Ma c’era qualcosa...
In qualche modo...
Sentiva che lasciare quella casa era rischioso. Non che avesse paura dell’Arena o degli Hunger Games! Era cresciuto guardandoli!
Se ci fosse stato suo fratello, Charles, non avrebbe avuto così tanta paura? Non l’aveva mai conosciuto... eppure...
- Non ho paura, non ho paura! - sussurrò davanti allo specchio.
Charles non era morto per i Giochi: era stato arrestato con accusa di tradimento e ribellione quando Liam non era ancora nato. Senza nemmeno una sorta di processo, fu condotto a Capitol City dalle autorità, senza la sua famiglia, e venne impiccato in Città.
In realtà Charles non era un ribelle; doveva essere stato accusato ingiustamente da qualcuno.
Liam gli somigliava molto, ripeteva sempre suo padre.
Se solo l’avesse conosciuto...
- Stupida Capitol City; stupidi Hunger Games!
Non doveva piangere: così assecondava solo il predatore.
- Liam! - gridò sua madre.
- Arrivo!
- C’è Marina qui!
Marina?

 
DISTRETTO 10
 
Chloe Minnel

 
- Luce dei miei occhi! Sei bellissima! - esclamò Roseleen, appena scorse Chloe venirle incontro.
Le due si abbracciarono calorosamente.
- Grazie, Rosy - sussurrò Chloe al suo orecchio, gentilmente.
Una terza ragazza parlò:
- E io chi sono?! La ragazza invisibile?!
Chloe ridacchiò:
- No, Loucys! Sei splendida anche tu!
Le tre ragazza erano dirette verso la piazza del Distretto.
- I tuoi genitori non vengono alla Mietitura, Chloe? - chiese Roseleen dopo un po’.
- No, hanno il bar. Vorrebbero tanto comunque, ma non possono.
- Anche i miei non possono lasciare la fattoria - si intromise Loucys, prima di fermarsi di botto.
Le altre due, sorprese, l’osservarono curiose.
- Che ti succede?
- Stai male?
Loucys esibì una delle sue espressioni più tragiche e alzò il braccio destro, indicando qualcosa.
- Cosa c’è?! - chiese Chloe preoccupata scuotendola per una spalla.
- Q-q-quel... r-r-r-ra-r-ra... - balbettò l’altra, continuando a tenere il braccio teso.
- E parla bene, Lou! - sbottò Roseleen.
Loucys prese il respiro e disse velocemente:
- Quel ragazzo è Sam! Stava baciando quella ragazza lì! Che scoop!!
Le due amiche scoppiarono a ridere.
Chloe avrebbe dato di tutto pur di congelare quel momento, e quella felicità, per sempre. Ma la Mietitura le riportò velocemente alla tragica realtà che ogni anno si presentava, terribile e inevitabile.
 
Jay Carter
 
- Jay. Jay! Jay! Dov’è andata Sunset?
- E cosa ne so io, Rebekah! Si sarà infilata sotto il divano!
Jay vide sua sorella mettersi in ginocchio e sbirciare sotto il mobile, alla ricerca di Sunset, la sua bellissima gatta.
- Oppure - aggiunse Jay - dorme ancora.
- Andiamo a vedere! - esclamò la quattordicenne.
Jay aveva diciotto anni, perciò quella sarebbe stata la sua ultima Mietitura. Non era agitato o emozionato, era un giorno come gli altri. Seguiva gli Hunger Games sin da quando era bambino e li aveva sempre temuti, ma non aveva mai avuto tutta quella preoccupazione e quel terrore che gli altri suoi amici e compagni provavano nei confronti dei Giochi. Ciò, forse, era dovuto a sua nonna paterna, Melanie, che aveva la bellezza di 75 anni; la donna aveva vissuto in prima persona i Giorni Bui ed aveva passato momenti bruttissimi a causa di Capitol City. Non fu intaccata, però, dai Giochi, non ancora esistenti, e nessuno le tolse la voglia di vivere. Fu una dei ribelli ma, accettata la sconfitta, cercò di rimanere nell’anonimato insieme a suo marito, anch’egli un combattente. Distrutto il Distretto 13, le autorità arrestarono i rivoluzionari; Melanie non fu presa, ma suo marito fu deportato. Non rivide più sua moglie e non ebbe mai l’occasione di abbracciare il suo figlio, che Melanie portava ancora in grembo.
Questa tragica ma vera storia, fu raccontata milioni e milioni di volte a Jay, che ammirava molto sua nonna. Da bambino la considerava quasi una favola... peccato fosse vera.
- Jay! Jay! L’ho trovata! - sussurrò Rebekah tirando il braccio del fratello.
- Dov’era?
- Vieni.
La ragazzina condusse il fratello nella loro camera da letto.
Sunset ronfava beata accanto ad un meticcio, Carol, il cane di Jay.
- Come sono belli - bisbigliò dolcemente Rebekah - Li svegliamo? Verranno con noi in piazza, Jay?
- No, meglio lasciarli qui con nonna, visto che mamma e papà ci accompagneranno.
- Ok.
Jay cinse col braccio le spalle della sorellina, una semplice bambina terrorizzata dalla Mietitura... proprio quello che Capitol City voleva.

DISTRETTO 11
 
Elizaveta Pochka

 
Elizaveta strinse forte nel pugno destro il suo ciondolo a forma di quadrifoglio, un portafortuna avuto per il suo diciottesimo compleanno dallo “zio” Nikolai. Peccato che la fortuna non fosse mai stata a favore di quella ragazza!
“Strega” e “assassina”. Ecco come veniva chiamata da quasi tutto il Distretto 11.
Elizaveta viveva in una piccola casetta nel bosco, quasi al confine, da sola. I suoi genitori furono accusati di omicidio quando era davvero piccolissima e lei fu allontanata.
Non le interessava che la gente la considerasse pazza o strana: Elizaveta voleva vivere la sua vita in pace e, tra quelle mura, tra le teste delle sue prede, tra i paletti tombali che circondavano la casa e con suo zio, era relativamente felice.
Col tempo tutti suoi amici la dimenticarono; ma la ragazza non si sentiva mai sola: era come se i suoi genitori fossero ancora lì con lei sebbene, ne era certa, erano stati giustiziati a Capitol City. Il Distretto 11 non è molto tollerante di fronte a questi episodi, e non era neanche molto solidale nei confronti di un’orfana; lo stesso sindaco decise di lasciarla a sé stessa e prese persino parte alle razzie che si susseguirono nell’ormai casa abbandonata dei Pochka.
Ecco perché nei boschi nessuno l’avrebbe disturbata, la gente aveva paura di lei, la consideravano maledetta.
Toc toc
- Chi è? - chiese forte Elizaveta, anche se conosceva già la risposta.
- Sono io, Eliza. Posso... ?
La porta di aprì. Sulla soglia c’era un uomo sulla quarantina, ben piazzato e robusto, che indugiava, fissando la ragazzina.
- Entra, zio - disse piano lei.
Entrato in casa, Nikolai sospirò:
- Oggi niente lavoro, c’è la Mietitura. Vuoi che ti... accompagni?
Eliza alzò le spalle e con aria indifferente aggiunse:
- Se hai qualcos’altro da fare, non venire. Tanto durerà poco.
- Non hai paura... ?
- Degli Hunger Games? No. Anzi sono tranquilla - sorrise lei - Con tutto quello che mi hai insegnato... le corde, le trappole... so andare a caccia. Mi sento bene.
Sorrise anche lui: era una vita che non vedeva negli occhi di Eliza quella felicità e quella onestà che gli ricordavano una bambina.
Eliza non aveva molte occasioni di rapportarsi con altri essere umani, ma con lui si sentiva proprio bene. Forse perché era il suo unico parente ancora in vita.
- No, non intendevo quello - continuò Nikolai, tornando serio - Intendevo... non hai paura... della gente? Di quello che penseranno di te?
Lo sguardo di Elizaveta si fece duro e con strana e assoluta noncuranza rispose:
- No. Saranno loro ad aver paura di me.
Silenzio.
 
Mike Salt

 
- Mamma! Mamma! Io vado! - disse a bassa voce Mike, chinato sul letto di sua madre.
- Do-ve? - chiese lei.
- Oggi è il giorno della Mietitura, mamma!
- Ah...
La signora Salt non era stata più la stessa da quando suo marito morì. Rimase in uno stato di assoluta passività nei confronti della famiglia e non uscì più di casa, tanto che la gente iniziò a considerarla morta.
Mike, da quel momento, prese le redini del comando e portò avanti la famiglia lavorando come un pazzo. Nell’ultimo periodo una spaventosa febbre aveva colpito sua madre, che era stesa a letto da mesi e mesi, senza mangiare quasi niente e parlando poco.
La sorellina di Mike, Clara, di soli dieci anni, soffriva molto nel vedere sua madre in quello stato; perciò il suo unico punto di riferimento era il fratello quattordicenne.
- C’è Carl che mi aspetta. Vado - annunciò mestamente a sua madre.
- Vado... - ripeté la donna, incantata.
Mike si diresse verso la porta d’ingresso.
- Vai in piazza, Mike?
Una dolce vocina si fece largo nel silenzio: Clara.
- - rispose lui - Ma non preoccuparti, sarò a casa tra pochissimo. Tu rimani qui, intesi?
- Va bene. Torni, promesso? - continuò la piccola, agitando il mignolo destro verso il fratello.
- Certo - concluse Mike con un sorriso, stringendo il suo dito contro l’altro.
- L’hai promesso.
 

DISTRETTO 12
 
Rosalie White

 
Rosalie osservava i suoi fratellini, David e Robert, finire la colazione: uova e pezzi di mollica di pane, con qualche centilitro di latte appena barattato. Sarebbe stata una scena alquanto bella e solare... se non fosse per gli Hunger Games. Vincitori provenienti dal distretto 12 erano rarissimi ed offrirsi volontari era considerato un suicidio.
Per David e Robert sarebbe stata la prima Mietitura; Rosalie li aveva istruiti a dovere e quindi, a parte un leggero nervosismo, non avevano molta paura. Essendo gemelli, poi, i due bambini avrebbero trovato il modo di farsi forza a vicenda e non arrendersi.
- Passerà - osservò Rosalie rompendo il silenzio - Quest’anno passerà esattamente come gli altri, non dovete preoccupavi.
Non avevano tessere, per fortuna; era molto improbabile che i loro nomi venissero pescati... ma non sempre la sorte era dalla loro parte.
- Ehm... papà non viene insieme a noi, Rose? - chiese Robert.
- No. Non può alzarsi dal letto - rispose lei.
- Ah.
Il signor White era malato gravemente e stava ancora dormendo. Non riusciva a camminare, figuriamoci arrivare fino in piazza!
- Vorrei tanto che venisse - ammise sconsolato David tornando a giocherellare con la colazione dopo un fugace sguardo nei profondi occhi grigi della sorella.
La verità era che a nessuno dei tre ragazzi andava di mangiare. Persino Rosalie aveva la sensazione che avrebbe vomitato tutto in piazza, afflitta dalla tensione; per quanto un ragazzo potesse considerarsi temerario o coraggioso, non sarebbe mai rimasto lucido o totalmente calmo... soprattutto nel momento dell’estrazione dei nomi.
- Già - concordò il gemello.
- Anzi! - si corresse David - Vorrei che ci fosse anche la mamma ad accompagnarci...
La signora White morì dodici anni prima, di parto. I gemellini non l’avevano mai vista, ma l’amavano tanto, sebbene considerassero Rosa come una loro seconda mamma.
- Anch’io lo vorrei - sussurrò lei, afferrando le mani dei fratelli, e cercando di sorridere.
 
Nicholas Rayan

 
Appena Nicholas uscì di casa, diretto verso la piazza cittadina, fu attorniato da uno stormo di ragazze urlanti.
Una ragazza dalle treccine bionde si fece avanti per prenderlo per mano, ma fu presa a gomitate da un’altra che cercò in tutti i modi di guadagnarsi l’attenzione del ragazzo.
- Voglio venire con te! - urlò un’altra.
- Scherzi! Lui mi accompagnerà!
- Ma per favore! Sembri uno spaventapasseri, non ti sceglierà!
- Invece prenderà me!
- Nick, andiamo in piazza insieme!?
Essere circondato da ragazze che farebbero di tutto pur di toccarti era quasi una faccenda quotidiana per il ragazzo. Essendo abbastanza agiato, lontano anni luce dalla fame che affliggeva le zone più remote e povere del Distretto 12, e di bell’aspetto le ragazze cadevano letteralmente ai suoi piedi. Eppure Nicholas non aveva molti amici. E quelle ragazze non lo erano; alcune non le conosceva nemmeno.
Lo seguivano come un’ombra a lezione e cercavano di far colpo... senza successo.
Il diciassettenne non voleva certo stare dietro a quell’ammasso di galline, tutte belle e truccate come pagliacci. Se si sarebbe innamorato... voleva farlo con la ragazza giusta.
E poi, quello non era certo il momento di assecondare le “galline”: era il momento della Mietitura, la penultima volta per Nicholas. Voleva liberarsi in fretta di quel macigno! Voleva tornare a casa e non pensarci più.
- RAGAZZE! - urlò a squarciagola - FERME!
Come per magia, le ragazze si immobilizzarono: pendevano dalle sue labbra.
- Potreste... non so... lasciarmi in pace... ne parliamo dopo la Mietitura.
Loro si consultarono e subito si dispersero, in silenzio, per la strada, ma sempre tenendolo d’occhio.
Sarebbe stato un lungo tragitto.
E chissà... se la fortuna sarebbe stata a suo favore...
 

 
Note Autrice :D
Ce l'ho fatta! Ecco gli ultimi dodici, con i loro pre-Mietitura!
Belliiiii.... se c'è qualcosa che non và fatevi sotto!! XD No, ditemelo che provvedo subito a correggere ;)
E così... abbiamo i nostri bei tributi, tutti e 24 pronti e preparati!
Per Lovestory, alleanze o richieste particolari (che potete inziare a ipotizzare, visto che l'appello è finito!) che vedrò si esaudire... tutto via messaggio privato, mi raccomando ;) Si accettano scommesse!
Ditemi che ne pensate con le recenZioni :D mi raccomando!
Naturalmente il prossimo capitolo vedrà la loro Mietitura! ;) per eventuali volontari all'ultimo minuto, contattatemi. Dovrei postarlo tra circa una settimana visto che ho anche altre storie da portare avanti... e voi avete tutto il tempo di farvi sentire!
Detto questo miiiii diiissooolvooo :) 
Possa la fortuna essere sempre a vostro favoree... e anche ai vostri tributi!
A presto! :D

 

 
 

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Capitolo 4
*** Come Un Biglietto Può Condannare A Morte ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Come Un Biglietto Può Condannare A Morte

Durante le avversità... tutti sono più vicini a noi di quanto possiamo mai immaginare.
Nemici si trasformano in amici, sconosciuti ti dimostrano un bene che non avresti mai potuto neanche immaginare.
Si è tutti più uniti.
Ma basta una scintilla, una parola, un gesto... e quell’armonia si va a spezzare... a volte per sempre.
 

DISTRETTO 1
 
Samantha, scorta Sophia camminare in mezzo ai suoi genitori, le fece cenno di avvicinarsi.
- Mamma. Papà - disse piano la biondina ai genitori - Là c’è Samantha che mi aspetta per la registrazione: io vado.
- Mi raccomando, tesoro - squittì la signora Devis accarezzando la guancia della figlia - Mostra al mondo cosa sei capace di fare.
- Offriti volontaria, sarà il più grande onore che potrai mai avere, Sophia - concluse suo marito, ma Sophia era già partita verso l’amica e si era subito messa in fila per la puntura al dito.
- Ehi, bambolina! Paura di rovinarti il bel faccino?! - urlò un ragazzo da lontano.
Samantha si accigliò:
- Cosa vuole, si può sapere?
- Mi prende in giro. Veniva con me all’accademia e pensa che io non sia in grado di... di... offrirmi volontaria - rispose secca l’altra.
Samantha si zittì.
La piazza era ghermita da gente curiosa, genitori in pensiero e cameraman. La cerimonia stava già per iniziare: il sindaco aveva già cominciato il suo solito discorso e sul palco c’era uno strano tipo, vestito viola di tutto punto e con i capelli sparati in aria, color rosa-shocking, che sorrideva al pubblico.
- Ogni anno diventano sempre più cretini! - sospirò Sophia a Samantha, prendendo posto tra le altre sedicenni - E brutti.
- Questo sembra abbia avuto un incidente col chirurgo! Non riesce neanche a sbattere le palpebre!
I ragazzi e le ragazze attorno a loro iniziarono a sbadigliare e a lamentarsi, chiedendosi quanto sarebbe finita quella lagna che pareva quasi interminabile.
Ecco.
L’uomo, a passetti quasi patetici, si avvicinò al microfono e annunciò a gran voce:
- Benvenuti! Benvenuti! Felici Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore!
La piazza fu accolta da un rispettoso silenzio, non volava una mosca.
- Passiamo al filmato, e poi VIA con i nomi, ok?! - gridò alla folla senza abbandonare quello strano sorriso.
Per tutta la durata del video, Sophia scrutò tra la fila delle diciottenni: molte avevano intenzione di offrirsi volontarie... e nessuna di loro voleva essere da meno. Tutte belle e incipriate, con pettinature eleganti  e raffinate mandavano già i primi baci alla folla, spigliate e serene.
- Povere illuse - sussurrò Sophia, sorridendo e tornando ad osservare il palco.
Il filmato era finito.
Bene. Era ora.
Il capitolino infilò la mano nella boccia delle ragazze senza troppe altre storie. Appena tocco il biglietto scelto si levò una voce, alta e possente, ma orgogliosa:
- MI OFFRO VOLONTARIA!
Sophia Devis si fece largo tra le ragazze mandando spintoni a destra e a manca e, ancora prima che l’accompagnatore potesse ribattere, fu già sul palco al microfono:
- Mi chiamo Sophia Devis, Distretto 1. Non temete, vincerò io.
Tutti rimasero a bocca aperta.
Persino i suoi genitori, abbracciati l’uno all’altra, l’osservavano ad occhi sgranati.
 
 
- Che schifo... - sussurrò Diego osservando la ragazza salire sul palco con una prepotenza unica.
Non la conosceva di persona, ma l’aveva vista allenarsi nell’Accademia, ed era davvero bravina.
Ma...
Come si poteva decidere di porre fine alla vita di ogni giorno, così?!
“In effetti... cambiare non è così... orribile... ma... cosa l’ha spinta?”
- Ehm... bene... abbiamo una coraggiosa volontaria, qui - disse il presentatore, il cui sorriso si era leggermente affievolito - Passiamo ai ragazzi! Che bella edizione che sarà!
L’uomo fece ondeggiare la sua bizzarra chioma e si affrettò a raggiungere la boccia dei maschi. Il ragazzo poteva quasi sentire il fiato di suo padre sul collo.
Offrirsi volontario... al macello?
O offrirsi volontario... come eroe?
Eroe... o vigliacco?
Cosa avrebbe combinato suo padre vedendolo tornare a casa?
- Questo posto fa davvero schifo... la mentalità è assurda... - bisbigliò a sé stesso.
Capitol City e la sua politica del terrore, mascherata come reality show, gli davano la nausea. A causa della Guerra e delle armi disinnescate della Capitale perse sua madre e sua sorella, Maryl.
Uno scoppio... e Capitol City le portò via.
Il capitolino aveva già afferrato il biglietto e lo stava per scartare quando...
- ANCH’IO! MI OFFRO VOLONTARIO! IO!
L’aveva detto: era un tributo.
La ragazza, Sophia, alzò le sopracciglia sorpresa, mentre il suo nuovo compagno saliva lento le scale.
- Ma che tensione, eh? Non mi hanno fatto nemmeno leggere i biglietti, questi due giovanotti! - gongolò il presentatore - Come ti chiami, eh?
- Sono Diego Sallen.
- Ora stringetevi la mano, ragazzi!
Non lo faceva per suo padre. Né per il Distretto.
Solo e soltanto per Maryl e sua mamma. Avrebbe vinto, per loro!
 

 
DISTRETTO 2
 
Nella piazza c’era una confusione unica. Lavinia si era dovuta separare da Perla e si era diretta senza troppi indugi al banco della registrazione. Mostrò il dito al Pacificatore di turno e dopo aver lasciato che esaminassero la sua goccia di sangue, corse verso le panche riservate ai dodicenni. Molti di loro piangevano o tremavano, mentre Lavinia era calma e impassibile.
Sapeva tutto ciò che doveva fare, e non aveva per niente paura.
Agitò i lunghi capelli contro la faccia di una tredicenne piagnucolona e, dopo un lungo sospiro, rivolse lo sguardo verso l’accompagnatrice giunta da Capitol City per il Distretto 2. Era una donna ossuta e tutta pelle, con i capelli color acquamarina cortissimi e arruffati. Sembrava che nelle sue guance fossero incastonati piccoli diamanti.
La bambina si affaccio verso la fila dei maschi, sperando di scorgere John, suo migliore amico, senza successo.
Quando tornò a rivolgere lo sguardo sul palco, il filmato sui Giorni Bui era già finito.
- Allora, ragazzi. Pronti? Come sempre, prima le signore! - annunciò la capitolina, saltellando verso la boccia delle ragazze.
Pronta?
Afferrò il nome della predestinata; Lavinia si mise in piedi, sentendo tutte le telecamere puntarsi su di lei ed esclamò senza paura:
- Sono Lavinia Harmonia. E mi offro come tributo!
La gente sussultò: quel cognome non era nuovo per il Distretto 2, dopotutto sua sorella aveva vinto solo l’anno scorso e l’accompagnatrice se lo ricordò:
- Ahhhh! La sorella di Perla, giusto? Vieni su, bella!
 
- La conosco. Era una furia in Accademia... bhè, non quanto me - si ritrovò a sussurrare Brandon a nessuno in particolare. Renly era qualche fila più avanti di lui, tremava e si mordeva il labbro per la tensione.
Era solo un bambino.
- Bran! Bran!
Brandon si voltò indietro, per vedere chi lo stava chiamando. Un ragazzo dai capelli rossi l’osservava avido di parole. Si chiamava Brian, era un suo compagno di classe.
 - Cosa vuoi?
- Tuo padre, Bran. Tuo padre ha sparso questa voce... è vero? Che tu... se viene estratto tuo fratello... ?
Brandon rimase zitto per qualche secondo, poi sussurrò di rimando:
- Sì. Ma non l’ho deciso io, sia chiaro. Io non volevo... ma...
- E ADESSO I RAGAZZI! - urlò la presentatrice tuffando la mano nella boccia dei ragazzi.
Afferrato il bigliettino, si affrettò a leggere il nome.
Tutto il Distretto attese.
E...
- RENLY MAYERS!
Non ci fu un sussurro, né un sospiro di sollievo. Silenzio.
Ogni ragazzo si voltò... ma non per fissare il nominato.
Tutti gli occhi erano puntati su Brandon, che annunciò all’intera Panem:
- VENGO IO AL SUO POSTO! MI OFFRO VOLONTARIO.
Renly era scoppiato in un pianto disperato, di supplica.
I suoi lamenti rimbombarono per le strade e nelle televisioni della Nazione, mentre suo fratello maggiore si avvicinò a passo sicuro verso il palco.
 

 
DISTRETTO 3

- Ci vediamo Anthea. Non temere, presto sarà tutto finito e torneremo a casa da papà - annunciò India alla sorellina. Stavano camminando mano nella mano verso il banco della registrazione.
- Ti odio - sussurrò la dodicenne alla sorella.
- Perché?
- Perché non mi hai mai detto niente del... sangue! - sbottò la bambina svolazzando nel suo vestito bianco da cerimonia.
India sorrise:
- Vai a registrarti, è solo un pizzico! Ci vediamo dopo!
- Buona fortuna.
Dopo la puntura, la diciassettenne si diresse verso le sue coetanee  e prese posto accanto Zhanna, sua amica.
- Ciao India.
- Ciao.
- Hai lasciato andare tua sorella, vero? Si vede - ammise l’amica fissandola, perplessa e triste allo stesso tempo.
- Sì, è stata du-
In quel momento per tutto il Distretto risuonò la voce di una capitolina, vestita d’oro dalla testa ai piedi:
- Benvenuti e felici Huanger Games, possa la fortuna essere sempre vostro favore!
 - Sì, e possa anche l’udito essere sempre a nostro favore - bisbigliò Zhanna massaggiandosi le tempie - Credo di essermi giocata un timpano!
India ridacchiò e, quasi fosse un gesto involontario, afferrò la mano dell’unica amica, che ricambiò la stretta sorridendole serena.
- Andrà tutto bene, India. Il suo nome c’è una volta sola - sussurrò Zhanna, massaggiandole il palmo della mano destra. Era sempre un momento difficile... e nel giorno della Mietitura tutti si sentono più vicini.
- Prima le signore - trillò la donna sul palco affondando la mano nell’infinità di biglietti.
Ecco, ne aveva preso uno.
Silenzio e poi...
- INDIA EVEERY!
Il cuore della ragazza perse un colpo.
Zhanna ebbe uno spaventoso sussultò.
La sorteggiata sembrava muoversi come un manichino inanimato: a scatti si fece largo e a passi lenti ma decisi. Trasudava freddezza ma, se avesse potuto, si sarebbe messa a piangere e ad urlare.
- Abbiamo un bel tributo! Sì, sì!
Incrociò, solo per un secondo, lo sguardo di Anthea. La piccola era terrorizzata, più della stessa India.
Impotenza e terrore.
- Per mia madre... se vincerò... sarà per mia madre...
 
Essien tirò un sospiro di sollievo: sua sorella era stata risparmiata anche quest’anno.
Scorse il suo sguardo, profondo e felice, e lesse sulle sue labbra un “Sono salva”. Lui annuì, felice per lei. Ma ora toccava ai ragazzi, e nessuno poteva sapere se la sorte sarebbe stata a loro favore... almeno quel giorno... almeno in quel momento.
Essien riprese a respirare lentamente e a cercare di calmarsi.
- Bene, bene, bene - disse eccitata la presentatrice immergendo la mano nella boccia maschile - Tuffiamoci tra i nostri bei ragazzi adesso!
“Non verrò estratto”.
Un ragazzo, accanto a lui, iniziò a graffiarsi le braccia sporcandosi i vestiti di sangue.
“Non succederà”.
Una bambina tra la folla della ragazze scoppiò a piangere; doveva essere la sorellina di India.
“Non mi offrirò volontario”.
Il tributo femmina era sul palco, fissava il vuoto, ma sembrava stesse per piangere.
“E’ il mio ultimo anno, non... “
Pescato il biglietto, la donna tornò al microfono e, preso un lungo respiro, annunciò il nome:
- ESSIEN KONATE’!
- No!
Un grido disperato si unì al pianto della bambina dal vestitino bianco: Dalila si fece avanti, urlando a squarciagola; due Pacificatori la presero per le spalle e la portarono lontana dalla piazza.
- Essien? Dove sei? - chiamò la capitolina.
Il ragazzo mosse qualche passo e, in un secondo, tutta Panem lo ebbe davanti agli schermi.
“Sono un tributo... “
 

 
DISTRETTO 4

Alexandra e sua sorella si fecero largo tra la folla in tumulto.
- E non ti vengo a chiamare l’anno prossimo, intesi? - tuonò la sorella spingendola verso i Pacificatori per la registrazione.
- Grazie, so di poter sempre contare su di te! - ribatté sarcastica la ragazza - Hai visto Stephanie e Jenny?
- Le tue amiche? Sono già davanti al palco, scemotta! Sei tu quella che arriva sempre in ritardo, non loro. Ci vediamo dopo - rispose Hanna, dandole una pacca affettuosa sulla schiena.
Non fu difficile trovare le due ragazze tra la fila delle sedicenni e diciassettenni. La Mietitura era già iniziata: il sindaco stava dando la parola alla capitolina, una donna grassoccia, dai capelli lunghi e verdi.
- Ciao Alex - bisbigliò Stephanie abbracciandola forte e facendole spazio.
- Mi sono persa qualcosa di importante? - chiese.
- No, la solita rogna di ogni anno. Jenny è più avanti, tra le sedicenni.
- Ah.
- Non sta bene, Alexandra. Da quando ha... oh, ecco!
La donna si avvicinò a grandi passi verso i nomi delle ragazze; infilò la mano paffuta tra il mare di biglietti e, afferrato il prescelto, annunciò il nome:
- JENNY McGLENN
- Noooooooooooooooo! Non voglio andare via! No! NO!
Alexandra rimase pietrificata.
Due Pacificatori si avvicinarono di corsa a Jenny, prendendola per le braccia e trascinandola verso il palco. L’accompagnatrice era fuori di sé:
- No, lasciatela! Un attimo, un attimo... c’è qualcuno che si offre volontario?
Silenzio.
- Mi offro io - sussurrò Stephanie ad Alex - Saluta i miei.
- No - urlò Alex - Tu non ci vai!
- VOLONTARI, VOLONTARI! - trillò la capitolina impaziente.
- MI OFFRO IO! IO!
Quelle parole vennero fuori dalla bocca di Alexandra come un fulmine a ciel sereno, mentre era già diretta a liberare l’amica dalla presa dei Pacificatori. L’intero Distretto trattenne il respiro.
Se solo avesse potuto cantare...
 
Skandar dette una leggera gomitata a Xaber e disse divertito:
- Visto quante scene?!
- Non ci trovo niente di divertente! - lo rimproverò Xaber, ziettendolo.
Quella scena era stata davvero commovente e tutti i ragazzi ne stavano parlando, creando un brusio davvero fastidioso.
Xaber, seduto in prima fila, essendo un dodicenne, la vide bene: lei salì mesta sul palco e annunciò alla piazza il suo nome:
- Mi chiamo... Alexandra Ranger...
Le tremava la voce.
Aveva paura.
Non l’aveva mia vista in Accademia, perciò non poteva giudicarla. Eppure aveva qualcosa... oltre...
- Benissimo, il nostro incoraggiamento va tutto a te, cara - disse la donna allontanandosi verso la boccia dei maschi - Ma adesso vediamo chi ti farà compagnia!
- Tsk! Che ti farà compagnia o che ti farà la festa?! - borbottò Skandar.
Quel finto perbenismo lo faceva davvero infuriare!
Il biglietto del ragazzo era nelle mani della donna che, avida e sudaticcia, lesse il nome:
- XABER DABIS!
Skandar si voltò a fissarlo timoroso, ma il ragazzo, senza accenni di timore e paura, si incamminò verso il microfono e, senza preavviso, prese parola:
- Io vincerò, tornerò a casa!
- Quanta varietà! Che bei tributi!! - urlò al cielo l’accompagnatrice, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
 
 

DISTRETTO 5
 
- Il prossimo! - annunciò il Pacificatore addetto alla registrazione.
Connie si avvicinò timorosa all’arnese e senza storie si fece pungere il dito.
Procedura noiosa, discorso noioso, presentatrice noiosa... se non si finiva negli Hunger Games.
- Connie! - urlò Lisa tra il pubblico alla sorella - Connie! Connie, dov’è Matt? Perché non è con te?
- E’andato nella fila dei ragazzi, Lisa. Papà è con te? - rispose la rossa.
- Sì.
- Bene, non allontanarti da lui, capito? Stagli accanto!
Un uomo dai capelli bruni ai alzò in punta di piedi, per salutare Connie: era suo padre.
- Sii forte, piccina - sibilò.
Letto il labiale, la bambina si rasserenò e prese il suo posto tra le tredicenni.
Finito il filmato e il discorso del sindaco, la presentatrice si fece avanti: portava una parrucca gigantesca, color argento ed era vestita da un corto abitino, che sembrava fatto da pezzi di metallo raffinati.
Faceva quasi paura.
- Felice Hunger Games! E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!
Le ragazzine attorno a Connie erano avvolte in un muto patto di rispetto e fiducia: alcune si tenevano per mano, altre sussurravano quelle che sembravano essere preghiere, altre ancora ridacchiavano nervose e sembrano pazze.
“Non finirò come loro, sarò forte. Come Matt e papà”.
- Ecco il nome della giovane donna! Vediamo un po’ chi è...
Presi un lungo sospiro.
“Tra un minuto, o meno, sarà tutto finito”.
- CONNIE STEVENSON!
La piazza sembrava deserta.
Ora c’era solo Connie e il percorso che la stava separando lentamente dalla libertà.
 
Mikayla aveva passato, in quella piazza, gli ultimi istanti trascorsi nella sua casa, al Distretto 5.
Questo era il pensiero che si faceva largo, pian piano, nella mente di William, mentre contemplava Connie Stevenson dirigersi triste verso il palco.
- Ecco la nostra ragazza! Benissimo, passiamo al ragazzo! - esclamò la capitolina.
La boccia dei maschi traboccava di biglietti.
“Cinque sono miei” si ritrovò a pensare William mentre scrutava torvo la mano della donna mescolare e mescolare tra i nomi.
Com’era facile... trovare un biglietto... un nome... un tributo da mandare ad uccidere...
Anche se il lavoro di accompagnatore doveva essere davvero duro: veder passare tributi e tributi, magari anche affezionarsi a loro, per poi vederli morire nell’Arena non doveva essere facile. Ma questa era la realtà.
- Eccolo, qui! Il giovane uomo è...
“Non io”.
- è... WILLIAM EBONY.
La sentii.
La sentii.
Sentii il pianto di sua madre. Stava per perdere anche lui, in quell’Arena, così come vide Mikayla andar via e non tornare mai più?
Fu uno scatto: William corse, letteralmente, sul palco e afferrato il microfono tuonò:
- Non ho niente da dire... solo che... mamma, non perdere la speranza!
La presentatrice sembrò quasi commossa dalle parole del giovane:
- Oh, che bello! Una dedica! Bene, ragazzi, stringetevi la mano!
Un diciassettenne e una tredicenne a confronto; si strinsero forte la mano e si guardarono negli occhi, consapevoli del fatto che ognuno di loro avrebbe fatto di tutto pur di tornare a casa.
 

 
DISTRETTO 6

Per Angela. Solo per sua sorella gemella, morta.
Katherine osservò un rivolo di sangue colarle per il polso ed andare a macchiare la camicetta bianca che indossava. Attorno a lei c’erano un sacco di bambini piangenti e tremanti, lasciati a sé stessi dai genitori che non potevano sorpassare le transenne e i Pacificatori.
- Il prossimo, signorina si sposti - la esortò un agente, facendole cenno di allontanarsi.
Lei, quasi incantata, decise di spostarsi e di camminare leggera e con lo sguardo perso nel vuoto, tra le sue coetanee.
- Ti offri volontaria Kety? - chiese timorosa una ragazzina bionda.
- NO! NO! - tuonò Katherine, proprio nel momento in cui il sindaco fece il suo ingresso sul palco, uscendo fuori dalla porta del Palazzo di Giustizia - IO. VOGLIO. VI-VE-RE. CAPITO?
A filmato concluso, la ragazzina a cui Katherine aveva riservato quegli urli non aveva ancora smesso di tremare. Pareva in procinto di crollare a terra svenuta.
- Felici Hunger Games! - tuonò con voce possente l’uomo venuto da Capitol City, un tipo alto e snello, pieno di strani piercing - Possa la fortuna sempre essere a vostro favore! Dunque... iniziamo dalle ragazze!
L’uomo si fece vicino alla boccia di vetro e ci tuffò la mano dentro. Esitò un po’, ma alla fine estrasse il biglietto.
- Non sarò io, non mi sceglieranno mai. La sorte è... a mio favore - disse tranquilla. Quelle parole quasi non sembravano uscite dalla sua bocca.
- Venga sul palco la signorina... KATHERINE MOONSTONE!
Tutti gli occhi e tutte le telecamere si puntarono verso di lei, che rimase, per qualche secondo, impassibile e senza espressione.
- Vai... vai... - sussurrò una ragazzina.
“E’ la mia occasione”.
- Perché? - chiese ad alta voce Katherine, assumendo un’espressione abbastanza ebete - Hanno chiamato me? Oh, come siete stati attenti!
 
Tom osservò il tributo Katherine.
- Ma cosa... ? - sussurrò il bambino - Quella ragazza ha qualche problema... o è soltanto... molto... strana?
Due Pacificatori la presero per le spalle e la condussero verso l’accompagnatore, che era rimasto senza parole.
- Ahhh! Abbiamo una sognatrice come tributo, vero gente?! - ebbe il coraggio di sussurrare nervoso.
Il ragazzino tornò a fissare il palco: non era il suo posto quello, era troppo piccolo, non aveva l’età adatta. Dieci anni erano troppo pochi per poter... avere qualche speranza di vincere gli Hunger Games.
Ma Tom era un ladruncolo... qualche possibilità... ce le aveva.
- Salutiamo la nostra Katherine - annunciò il presentatore. Il pubblico si esibì in un educato applauso.
- Questo applauso è per me?! - gridò sorpresa la ragazza, ancora più suonata -Oddio! Che emozione!
- Ecco... passiamo al ragazzo. Qui finisco in analisi - borbottò il capitolino.
Preso il biglietto, l’intero distretto trattenne il fiato.
- TOM ALLIUS! - annunciò allegro.
Tom alzò innocentemente la mano.
Era colpa di suo padre, ma non voleva accusarlo di niente.
Semplicemente la fortuna non era dalla sua parte.
- Ma dove andiamo adesso? - squillò ancora Katherine indicando il presentatore - Dove ci porta questo bel signore?
 


NOTE AUTRICE:
Ok, fucilatemi se dovete.
Spero di postare i restanti tra un po', ma in caso di problemi di servizio XD ci vediamo domani mattina con gli altri Distretti ;)
Alla prossimaaa :D

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Capitolo 5
*** Come Un Biglietto Può Condannare A Morte (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Come Un Biglietto Può Condannare A Morte


DISTRETTO 7
 
Joy face svolazzare il suo bellissimo vestito, con una piroetta elegante, attirando su di lei lo sguardo di mezzo Distretto; era davvero stupenda.
Riuscii a portare un po’di vitalità e felicità anche in quel triste giorno, riuscii a far sorridere i ragazzi e far accigliare le altre, ma cosa le poteva mai importare.
Arrivata davanti ai Pacificatori e punto il dito, si lasciò trascinare dall’onda di sedicenni, che la spinsero al suo posto.
- Ciao, Joy. Emozionata? - disse flebilmente una ragazza dai lunghi capelli ricci.
- Un tantino, Greyta - rispose Joy.
- Ah, quasi dimenticavo. Buon compleanno, bella!
- Grazie!
Il presentatore fece il suo ingresso sul palco: era un uomo sulla trentina, dai capelli lunghissimi color pesca. Indossava uno smoking rivestito di pailette multicolori.
- Felici Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore!! - annunciò - Cominciamo subito, siamo in ritardo col programma. Quindi per quest’anno, niente filmato.
Un sospiro di sollievo pervase ogni ragazzo. L’uomo, perciò, si diresse senza indugi verso la boccia dei nomi delle ragazze e con un rapido e repentino gesto ne afferrò uno.
Joy si stava martoriando l’interno guancia.
- JOY SPARKS!
La ragazza sbarrò gli occhi dal terrore. Nessuna si offrì volontaria: era un tributo.
 
Markus osservò Joy salire lenta verso il palco, verso il patibolo.
L’aveva incontrata a scuola: era davvero una brava ragazza, ma non le aveva mia parlato. Ora sembrava spaventata. Indossava un grazioso vestito verde, che la faceva apparire più piccola e innocente di quanto potesse già sembrare.
Volse, poi, lo sguardo verso le altre ragazze: scorse Anna, che gli sorrideva, radiosa e brillante.
- Disgustoso... se si è felici per questo... - sussurrò alla ragazza, che evidentemente non comprese le sue parole perché accigliò lo sguardo e gli lanciò un’occhiataccia.
- Passiamo al maschietto! Dai, che siamo in ritardo - annunciò il capitolino.
Prese il primo biglietto che ebbe sottomano e lo lesse a voce alta, abbastanza velocemente:
- MARKUS SCHWARZ!
Ridacchiò.
Markus si fece largo tra i sedicenni e salì sul palco.
Quello che aveva detto si era avverato; nemmeno Marie avrebbe potuto fare qualcosa per risparmiarlo dai Giochi.
- Ecco i nostri tributi! Andiamo, andiamo, che siamo in super ritardo.
Appena l’inno cominciò a suonare, i ragazzi erano già dentro il Palazzo di Giustizia.
 

 
DISTRETTO 8
 
- Ti lascio nelle mani dei nostri competenti Pacificatori - sussurrò Ray nell’orecchio di Mezzanotte.
- Sì, quindi lasciami la mano, Ray! - ridacchiò lei, stampandogli un bacino sulla guancia e salutandolo mentre si dirigeva verso il banco di registrazione. Punto il dito nello strano arnese metallico, Mezzanotte si diresse verso le sue coetanee sedicenni.
- Ti abbiamo visto - le canticchiò allegra Theresa, una sua compagna di classe.
Mezzanotte la fissò:
- Cosa? Visto cosa?
- Te e Ray! E’ chiaro che ti ama! - continuò un’altra, Veronica, affiancando l’amica.
- Lui è... solo un... grande amico... e... - balbettò imbarazzata Nott.
- Sì, certo. Ma io non mi sbaglio quasi mai, dolcezza! Come ti guarda...
Proprio in quell’istante, la capitolina fece il suo ingresso con la consueta frase d’apertura:
- Benvenuti! Felici Hunger Games e possa la fortuna sempre essere a vostro favore!
Era una donna abbastanza giovane, dai capelli raccolti in uno chignon, decorato con fiori e farfalle che sembravano essere vive.
Fece partire il consueto filmato sui Giorni Bui e, dopo un centinaio di sospiri e sbadigli, si diresse verso la boccia delle ragazze; infilò dentro la mano e dopo qualche secondo di interminabile attesa, prese il foglietto e lesse il nome:
- MEZZANOTTE SPIELBERG! Oh che bel nome! Originale!
- Sono... io... - sussurrò la ragazza portandosi una mano al petto e afferrando il ciondolo a forma di chiave di violino.
- Vieni su! - trillò entusiasta la presentatrice.
- Sono... io... - disse ancora muovendo i primi passi.
 
Felix, per tutta la Mietitura, aveva avuto occhi solo per suo padre, il sindaco, che sedeva accanto a strana gente, sul palco. Anche lui incrociò lo sguardo del figlio, qualche volta. Eppure non trasudò emozioni, ne sembrava privo.
Probabilmente si comportava così per lavoro; in circostanze normali lo avrebbe salutato!
Le sue tre sorelle erano nella fila femminile e Felix le aveva incrociate soltanto durante la registrazione dai Pacificatori.
Ora la ragazza, Mezzanotte, era accanto alla capitolina che le batteva affettuose pacche sulla schiena.
Sembrava davvero una brava ragazza; stringeva nel pugno quello che sembrava un ciondolo.
Faceva un po’ di tenerezza e pietà.
- Ed ora estraiamo il giovane uomo! - annunciò la presentatrice.
Pescato il biglietto, incrociò le dita:
- Non voglio, non voglio. Voglio stare con Sam, con Silviette, con le mie sorelle... non...
- SIM-
Ma proprio in quel momento arrivò a colpire la piazza del Distretto una potente raffica di vento; la capitolina, colta alla sprovvista si lasciò sfuggire di mano il biglietto, che volò alto nel cielo per un bel po’ prima di sparire all’orizzonte, portato via dal vento... e dalla buona sorte.
- Oddio - gridò agitata la donna - Proprio a me... e adesso? Signor Sindaco? Prendo un altro?
Il sindaco stava ridacchiando sotto i baffi, per la figuraccia della donna che avrebbe fatto il giro di tutta Panem. Con aria indignata la capitolina ritornò alla boccia dei ragazzi e prese un altro foglietto.
- E questo non mi sfugge più - borbottò - FELIX J. ANDERSEN! Tu non ci scappi! Ahah, ma che nomi graziosi che danno qui!
Era finita.
Il bambino, fattosi piccolo piccolo e abbassato lo sguardo sentendosi puntato mille telecamere addosso, iniziò a camminare verso il palco. Le lacrime fecero di tutto pur di uscire a bagnare le sue guance.
Sorrise... non voleva mostrarsi debole e infantile.
La fortuna non era dalla sua parte.
 

 
DISTRETTO 9
 
Beatriz si fece pungere il dito, ma non tenne per sé il solito commento:
- Ogni anno con questa puntura, cavolo! Nel giro di un anno non si cambia il gruppo sanguineo!
Il Pacificatore di turno rimase esterrefatto davanti a quel coraggio e la lasciò subito andare a sedersi con le altre. La ragazza prese posto accanto alla sua amica del cuore, Clarisse.
- Giornata cupa, eh? - ironizzò Beatriz osservandola.
- Come ogni anno, Triz - concluse l’amica, prendendola per mano - Ma non avevi detto che dovevi metterti delle rose tra i capelli?
- Sì, quello era il piano! Ma i miei sono dei soldatini di quel... capito? - rispose contrariata.
Clarisse ridacchiò:
- Non ti preoccupare. I tuoi capelli viola stanno attirando lo sguardo di tutti!
Finito il filmato della Capitale, tutta l’attenzione riprese miracolosamente vita, per spostarsi su una ragazza, capitolina allo stato puro: aveva la pelle di uno strano colore azzurrino e i capelli color oro le ricadevano morbidi sulle spalle. I vestiti sembravano fatti di pezzi di vetro colorati.
Non era orribile... ma non era nemmeno uno spettacolo!
- Felici Hunger Games, ragazzi; possa la sorte essere sempre a vostro favore! - annunciò allegra alla piazza, senza distogliere per un secondo gli occhi dall’obiettivo delle telecamere.
- Fotogenica - commentò triste Beatriz - Troppo.
Dopo alcuni minuti di strane pose e facce inquietanti per l’intera Nazione, la capitolina si decise ad estrarre il nome della ragazza:
- BEATRIZ MOORE!
Silenzio.
- Sei... tu... - sussurrò nervosa Clarisse all’amica.
- LO SO CHE SONO IO! - urlò Beatriz.
“Basta giocare... qui la faccenda si fa seria...”
 
Ed ecco che Capitol City si portava con sé un’altra innocente ragazza: Beatriz Moore.
Liam si sporse per scorgere Marina, il suo amore segreto. Lei ricambiò lo sguardo abbozzando un mezzo sorriso, triste ma sincero allo stesso tempo: era felice di essere stata risparmiata, quell’anno, ma forse conosceva Triz e le piangeva il cuore vederla pallida e impotente sul palco, sotto lo sguardo di Panem.
La ragazzina era salita sul palco e con lo sguardo vuoto e vacuo osservava i ragazzi, forse in cerca dell’amato, o forse per osservare il volto del suo nuovo potenziale nemico.
Il ragazzo non ce la faceva più a stare in piedi: voleva solo riabbracciare Marina e tornare a casa, alla vita di tutti i giorni.
- Passiamo al maschio, ok? - riprese la capitolina.
Un altro biglietto.
Un altro nome.
Un altro ragazzo.
Un altro spettacolo.
Il nome rimbombò nell’aria e rimase sospeso:
- LIAM BURTON!
Gli altri ragazzi si voltarono a guardarlo. Liam deglutì sonoramente e , preso un lungo respiro, camminò verso il palco... verso gli Hunger Games, lontano da casa.
E da Marina.
E dalla sua famiglia.
 
 

DISTRETTO 10
 
Chloe perse le sue due amiche durante l’attesa per la registrazione: la gente, nervosa e frettolosa, le aveva separate e sarebbe stata un’impresa ritrovarle prima dell’arrivo dell’accompagnatore.
Effettuata la puntura, Chloe corse verso le altre diciassettenni, vagando con lo sguardo tra le facce disperate di quelle ragazze cercando di scorgere il viso di Loucys o di Roseleen. Ma non c’erano.
- Dove sono andate? - sussurrò Chloe, quasi perse le speranze - Voglio star loro vicina!
Si sentii un lungo sibilo acuto provenire dal microfono e un uomo vestito completamente di giallo fece il suo ingresso trionfale, ripetendo le solite parole di buona fortuna che ogni anno assillavano le menti dei ragazzi e delle ragazze tra i 12 e i 18 anni:
- Feeelici Hunger Games! Possa la sorte sempre essere a vostro favore! Piaciuto il filmato? Io lo adoro!
Chloe rinunciò alla ricerca: si sistemò tra due ragazze robuste e aspettò la fine della cerimonia.
- Stupida! Sono una stupida! Come ho potuto perderle... e se... venissero... no! Non devo pensarci! - bisbigliò cercando di calmarsi.
La ragazza alla sua destra parlò:
- Parli da sola? La Mietitura rende tutti così stupidi?
Chloe la guardò male.
L’annunciatore, intanto, aveva già affondato la mano nella boccia delle femmine ed estrasse il biglietto prescelto:
- Vediamo chi è... ehm... CHLOE MINNEL!
-  Cosa... ? Io?
Chloe, dopo quel sussurro, fu circondata da occhi indagatori e da telecamere. Doveva salire sul palco... e andare via dal Distretto... lasciare tutto... per combattere fino alla morte.
Sentii un brivido di freddo attraversarle la schiena... ed era pieno luglio.
Camminò verso il capitolino, lo sguardo incantato, le mani che tremavano.
 
La ragazza non era ancora salita accanto al presentatore, che già quello si era diretto ballonzolando verso la boccia dei ragazzi ed aveva già pescato il nome.
Jay era tranquillo, non sospettava minimamente quello che di lì a poco sarebbe accaduto.
Si volse a guardare sua sorella, Rebekah, nella fila delle quattordicenni, tirare un lungo e profondo sospiro di sollievo: era salva!
- Ed ora vediamo chi sarà il compagno della nostra Chloe, eh? - disse divertito l’uomo sul palco.
Fece per aprire il biglietto, mostrando un furbo sorrisino, per poi richiuderlo ed annunciare:
- Volete saperlo subito, o preferite aspettare un po’? Ehhh?
Tutti restammo in silenzio, ad aspettare.
- Ma cosa sta facendo? Pensa di divertirci? - sussurrò in modo stanco Jay a Gordon, il suo migliore amico, che gli stava accanto e che con aria stanca si grattava la tempia.
- Ok, volete saperlo ora! E... - ricominciò a dire il capitolino.
Finalmente!
- Vogliamo... JAY CARTER! Forza!
Le ultimi suoni che il ragazzo riuscì ad udire fu un sussurro da parte di Gordon... e un urlo.
Un urlo straziante.
Rebekah!
- Nessun volontario! Vieni su! - continuò allegro l’uomo tendendo una mano verso la sua direzione.
Il nuovo tributo attraversò in silenzio la piazza, calmo, e prese il suo posto, stringendo la mano a Chloe.
 
 

DISTRETTO 11
 

I ragazzi e le ragazze alla vista di Elizaveta si scansarono e la lasciarono passare avanti, verso i Pacificatori.
- Grazie - disse cortese la ragazza con un grande sorriso stampato in faccia, mentre si faceva punger il dito per la goccia di sangue.
Prima di prendere posto tra diciottenni, dette un’ultima occhiata verso la folla; scorse Nikolai, sorriderle e facendoli un gentile cenno d’incoraggiamento.
- Buona fortuna! - urlò l’uomo.
- Non ne avrò bisogno - rispose semplicemente la ragazza abbozzando un mezzo sorriso: era in pace con sé stessa, e le bastava solo questo. In più aveva suo zio... lui riusciva a capirla veramente... ed era fantastico.
Una donna dai capelli che somigliavano più ad un arbusto di rovi si avvicinò al microfono e gridò:
- Felici Hunger Games, possa la fortuna sempre essere a vostro favore!! Che emozione: nuovo anno, nuovi tributi! Vai col filmato!
Come sempre la piazza fu pervasa dalla noiosa e monotona voce del Presidente Snow che ricordava la Terribile Guerra che colpì il paese, la Nascita del Patto e degli Hunger Games e la fine dei Giorni Bui. Era sempre tutto così monotono... e noioso... e ripetitivo. Per fortuna sarebbe stato l’ultimo anno per Elizaveta.
- Ok! - annunciò la donna alla fine del filmato - Passiamo ai nostri due tributi! Che onore! E’ il mio primo anno!
Si avvicinò cauta alla boccia delle ragazze e dopo qualche bel giro e rigiro, pescò il biglietto predestinato e con uno scatto lo aprì, quasi fosse stato un cerotto:
- ELIZAVETA POCHKA!
L’intera piazza sembrò aver appena assistito all’apparizione di un fantasma: gli adulti cominciarono a bisbigliare e a farneticare, mentre i ragazzi sbarrarono gli occhi e si girarono verso la ragazza.
- Non temo la morte - sussurrò ai presenti Eliza, sforzandosi di rimanere impassibile e di raggiungere il palco il più in fretta possibile - Ho un conto da saldare con Lei. E non ho intenzione di mancare all’appuntamento.
Un rispettoso silenzio invase la gente.
Per la prima volta, davanti ad Elizaveta qualcosa si smosse dentro le persone, dentro il Distretto 11, che la considerava solo una strega... quella bambina angelica di tanti anni fa... che nessuno aveva mai dimenticato...
Al suo passaggio, quasi tutti i presenti le mormorarono parole d’affetto e le augurarono buona fortuna.
 
- Oh, ma che bel gesto! Adoro voi Distretti periferici! Riuscite sempre a stupirmi! - piagnucolò la capitolina accogliendo Elizaveta al suo fianco.
- Ha buone probabilità di vincere - sussurrò Carl a Mike, il suo miglior amico.
- Può darsi, hai visto che trappole sa fare?
- Sì. Mia madre dice che sa decapitare i conigli in meno di 2 secondi.
- Wow.
Eliza barcollava un po’ ma sembrava ancora tutta d’un pezzo.
- Ora andiamo a vedere il nostro maschietto! - disse felice la capitolina, dando un brusco strattone ai suoi capelli che si mossero quasi di vita propria; sembravano fatti di gelatina.
La mano della donna afferrò il biglietto e tornata al microfono, disse ad Eliza:
- Vuoi leggerlo tu, cara?
Per tutta risposta Elizaveta la fulminò con lo sguardo.
- Ok, lo faccio io! MIKE SALT! Visto, non era difficile!
Il ragazzino ebbe un fremito, ma dopo qualche secondo fu già in cammino, deciso, verso il palco.
- Eccoli qui! Eccoli qui! I nostri tributi! - esclamò la capitolina, sorridendo radiosa - Questi Hunger Games promettono bene, bene bene!
 
 

DISTRETTO 12
 

Rosalie aveva appena lasciato andare le mani dei suoi fratellini, per andare a registrarsi. I bambini si erano decisamente spaventati all’inizio: la folla, le telecamere, il Palazzo di Giustizia a fare da terribile sfondo...
Era tutto nuovo per loro.
Da brava sorella, aspettò che David e Robert avessero finito di farsi pungere il dito; poi si inginocchiò a loro fianco e disse piano:
- Sta per iniziare! Non abbiate paura! Dirigetevi verso gli altri bambini, ci vediamo dopo!
Sapeva di mentire ai suoi fratelli, i suoi piani erano altri: sarebbe andata nell’Arena, avrebbe fatto vedere a tutti chi era, e sarebbe tornata a casa ricca... per garantire alla sua famiglia un’esistenza più dignitosa.
- Sicura? - chiese incerto Robert, con gli occhi lucidi.
- Sì - rispose lei; dette un bacio a ciascuno e li condusse verso gli altri ragazzi.
- BENVENUTI! Benvenuti! Felici Hunger Games, possa la fortuna sempre essere a vostro favore - annunciò ai presenti una capitolina facendo la sua entrata in scena: portava una strana parrucca rossa ed era vestita con uno sontuoso abito in tinta.
Il filmato fu trasmesso sui maxi schermi, ma nessuno le seguiva veramente... tranne la presentatrice.
Rosalie scorse i suoi fratellini, mano nella mano, che si sussurravano qualcosa.
“Mi offrirò volontaria!”
- Passiamo alla giovane donna! Vediamo chi avrà questo onore! - trillò la donna pescando il nome della sfortunata ragazza.
“Devo alzare la mano”
- E...
“Devo farmi sentire!”
- Io mi... - cominciò Rosalie.
- ROSALIE WHITE!
L’aveva preceduta.
La sorte...
 
Nicholas squadrò la ragazza salire decisa sul palco. L’aveva vista a scuola, la conosceva abbastanza... ma non era una di quelle galline che lo seguivano ogni santo giorno. Sembrava una semplice ragazza.
- Che bella ragazza! - esclamò la capitolina aiutandola a salire sul palco.
Le orecchie del ragazzo recepirono uno strano suono disconnesso, davanti a lui.
Un pianto.
Dei dodicenni stavano piangendo: si tenevano stretti e tendevano le mani verso Rosalie, probabilmente loro sorella.
- Mi fanno pena... non meritano di soffrire così... - sussurrò il ragazzo.
Si sporse a guardare le altre ragazze: tutte si tenevano la mano all’altezza del cuore e respiravano affannosamente, salve... anche per quell’anno. Vide anche lo stuolo di ragazzine petulanti che lo seguivano, anzi pedinavano, appena potevano.
- Perché non è uscita una di loro... ?
- Ok, Rosalie. Vediamo chi andrà con te a Capitol City!! - annunciò la donna sfregandosi le mani.
Si tuffò verso la boccia dei maschi e, pescato il biglietto, lesse senza indugi il nome:
- NICHOLAS RAYAN, qui!
Il ragazzo sgranò gli occhi.
- Vincerò... vincerò... io non sono... - sussurrò muovendo i primi passi meccanicamente.
Sentì qualche strano sospiro provenire dalle file femminili, ma non gli importava granché.
- Stringetevi la mano!
Salito sul palco, guardò negli occhi la ragazza... si strinsero la mano con tutta la forza che potessero mai metterci... senza smettere di guardarsi negli occhi.
 

- E che la fortuna possa SEMPRE essere a vostro favore!


NOTE AUTRICE:
Fatto :D
Ora potete farvi anche una bella idea sulle loro Mietiture!
Mi connetto stasera, mi raccomando! Fatemi sapere! :D
Ah, eventuali comunicazione dell'ultima ora via messaggio privato!!
Il prossimo capitolo sarà sugli adii ;) 
Alla prossimaaaaa :D

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Capitolo 6
*** Ventitré Addii, Un Arrivederci ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ventitré Addii, Un Arrivederci - Prima Parte


"Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si meraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso."

(I promessi Sposi, Alessandro Manzoni)

 

SOPHIA DEVIS
 
- La mia bambina!! - esclamò la signora Devis entrando nella stanza del Palazzo di Giustizia dov’era seduta Sophia, in attesa degli addii di parenti e amici.
Insieme alla donna, c’era suo marito, che a stento riusciva a nascondere le proprie emozioni:
- Bravissima Sophia!
Sophia avrebbe dato tutto l’oro del mondo... pur di risparmiarsi quella sceneggiata struggente e abbastanza idiota; abbracciò, fingendosi felicissima e sull’orlo delle lacrime, i genitori e prese le mani della madre tra le sue, disse con fare dolce ma temerario:
- Io tornerò. Vincerò, giuro. Farò vedere cosa riesce a fare la “bambola dell’Accademia”.
A quelle parole, il signor Devis fu sul punto di crollare:
- E’ questo lo spirito giusto, Sophia. Mostra ciò che sei, per noi; tornerai a casa e sarai coperta di ricchezza e fama!
Sophia annuì sempre sorridente:
- E’ la mia occasione, la mia opportunità... e non me la farò sfuggire. Promesso... tornerò.
Sua madre afferrò delicatamente una ciocca di suoi capelli biondi e la arricciò con fare giocoso:
- Faremo il tifo... la fortuna sarà dalla tua parte... la mia piccina... è... diventata un TRIBUTO!
Scoppiò in un pianto isterico, sicuramente non per tristezza.
- Il tuo sogno, sin da quando eri piccolina, si sta per avverare! Coglilo al volo, tesoro - concluse il signor Davis dando pacche delicate sulla schiena della figlia.
Il tempo volò via.
Il resto dell’ora fu avvolta nel silenzio, interrotto solo dai singhiozzi orgogliosi della donna.

 
DIEGO SALLEN
 

Diego era seduto sul divano di velluto verde, in attesa.
In attesa di qualcosa. Ma perché... non succedeva niente?
I Pacificatori erano a guardia della porta... ma sembrava che a nessuno importasse del giovane Diego.
Neanche suo padre sembrava essersi fatto vivo, il che era strano visto che l’uomo aveva così tanto insistito nel dargli consigli sugli Hunger Games. Doveva farsi vedere... perché sarebbe stata l’ultima volta... forse.
Diego sbuffò e, dopo essersi messo in piedi con uno scatto involontario dovuto all’agitazione, comminciò a girare in cerchio dando calci a qualunque cosa gli capitasse sottopiede.
- Ma cosa mi è venuto in mente!? Offrirmi volontario... - sussurrò, con una strana nota tragica nella voce, mettendosi le mai tra i capelli - Mamma... Maryl... avrebbero voluto tutto questo? No, no, no, no! Lo faccio per loro due, Capitol la pagherà! Dimostrerò cosa sono capace di fare!
La porta d’ingresso della stanza si aprì lentamente.
- Papa... ?! - sospirò raggiante il ragazzo.
Forse, anche il solo vedere il volto dell’uomo che, dopotutto lo aveva cresciuto e si era visto portar via da una bomba la moglie e la figlia, gli avrebbe fatto bene... pur odiandolo a morte.
Ma alla soglia c’era un uomo, vestito di bianco: un Pacificatore.
- La tua ora è passata. Nessuno è venuto. Mi dispiace - disse l’omone corazzato incrociando lo sguardo di Diego.
- Non... fa niente - rispose l’altro sconsolato.
Vide l’uomo fargli cenno di avvicinarsi...
- Vincerò...

 

LAVINIA HARMONIA
 
Da fuori la porta della lussuosissima stanza in cui Lavinia era stata condotta provenivano urla quasi disumane; probabilmente, la gente faceva a botte per entrarci.
La tredicenne, tranquilla e composta, era seduta sul tavolino di cristallo, a gambe e braccia incrociate, aspettando che qualcuno entrasse e che la folla cessasse gli urli da stadio.
- Risparmiassero la voce per l’Arena... - sussurrò la bimba divertita dalla bizzarra situazione.
Qualche interminabile minuto dopo, i Pacificatori tennero a bada i più audaci e consentirono alla madre e alla sorella di visitare Lavinia.
- Mamma! - esclamò la giovane correndo nelle braccia di sua madre, Lory.
La donna le baciò affettuosamente la fronte e le prese le mani:
- Tu vincerai, come tua sorella.
Sembrava si stesse auto-convincendo... ma sembrava abbastanza sicura delle sue parole.
Perla era rimasta nell’angolo, fissando la sorellina con occhi curiosi:
- Pensi di farcela? - ridacchiò.
Lory si voltò verso la primogenita:
- Certo, Perla! Lei vincerà!
- Sarò una Favorita, la più spietata, e vincerò! - aggiunse Lavinia socchiudendo gli occhi con fare quasi malvagio - Li ucciderò e tornerò a casa!

 
BRANDON MAYERS

- BRAN! - urlò Renly entrando come una saetta nella stanza e aggrappandosi come una scimmietta al fratello.
Brandon gli accarezzò i morbidi capelli ramati e gli sussurrò parole d’incoraggiamento:
- Devi essere forte, capito? Io tornerò a casa, non temere. Prenditi cura della mamma, non ascoltare tutto ciò che dirà papà.
Renly scoppiò a piangere. Era solo un bambino che si vedeva portare via l’unico fratello, il suo punto di riferimento.
- Non credere a quello che ti diranno gli altri, alla TV... non arrenderti - continuò a sussurrare Brandon.
Non poteva scoppiare a piangere... non doveva: avrebbe fatto del male solo a suo fratello.
Altre braccia si unirono alla stretta fraterna: loro madre.
Anche lei piangeva, ma in silenzio.
- Tu... devi vincere... - sussurrò Renly con voce rotta dal pianto.
- Lo so. Tornerò a casa, giuro. Non... diment- - rispose Brandon incrociando per un secondo gli occhi azzurri di sua madre.
La donna gli prese il viso e gli baciò la guancia, per poi dirgli dolcemente:
- Vinci. Noi ti aspetteremo.
 


INDIA EVEERY
 
Nella stanza fecero il loro ingresso tre figure in preda ai singhiozzi.
La prima a buttarsi tra le braccia di India fu la sua sorellina Anthea, che la riempì di baci e carezze.
- Tu avevi detto che non ti avrebbero preso! - si lamentò la piccola.
- Shhh. Quel che è stato... è stato. Mi dispiace, amore - rispose India.
Affondò il viso tra i lunghi capelli della sorellina, e ne annusò il leggero profumo di fiori che caratterizzava Anthea da sempre. Quando avrebbe respirato ancora quella fragranza quasi paradisiaca? Cosa avrebbe fatto senza di lei?
E cosa avrebbe fatto la piccola senza India?
La seconda figura si rivelò essere Zhanna; prese le mani dell’amica disse piano:
- Non temere. Tu tornerai a casa.
- Vorrei essere anch’io certa... come lo sei tu. Ma siamo ventiquattro... e solo uno sopravvive.
- E sarai tu! Non temere mi prenderò cura io della tua famiglia.
- Grazie, Zhanna.
Le due si guardarono negli occhi... per un tempo che sembrò interminabile.
La terza figura si reggeva a malapena in piedi.
Era un uomo, dai capelli tendenti al grigio, alto ma non molto robusto.
India sentì un groppo in gola, quando lo riconobbe:
- Papà?
Non lo vedeva in piedi da anni, ma se era lì, per sua figlia...
- India... - sussurrò l’uomo con voce rauca, tendendo le braccia essendo rimasto appoggiato allo stipite della porta.
- Papà...
- Vinci... e torna a casa.
 

ESSIEN KONATE’
 

- Dalila! - esclamò Essien osservando la sorella aprire la porta con un tonfo e gettandosi tra le braccia del fratello.
- Dovevi aspettare! Scemo, dovevi aspettare! Qualcuno si sarebbe offerto volontario! - strillò Dalila.
Per quanto fragile fosse, la ragazza non sembrava aver versato più lacrime del dovuto; sembra soltanto isterica.
- Non si sarebbe offerto n- - cominciò Essien prendendole la mano, prima di essere bruscamente interrotto dalle urla della ragazza.
- NO! DOVEVI ASPETTARE!
- Shhhhhh! Zitta! Vuoi che entrino i Pacificatori? - sussurrò lui.
- No... ma sei stato scemo!
- Sono un tributo adesso!
Ci fu qualche inquietante minuto di silenzio; poi Dalila prese nuovamente la parola, moderando il tono di voce:
- Non voglio perderti.
- Neanche io.
- E come speri di vincere?
-... non lo so ancora... ma posso farcela. Dimostrerò a quella gente che non sono un loro giocattolino. Capisci? Darò loro un bello spettacolo.
 


ALEXANDRA RANGER
 

Nella testa di Alexandra rimbombavano ancora, inesorabili e terribili, le urla di Jenny, la vera sorteggiata.
- L’ho fatto... non posso tornare indietro...
Bam!
La porta si spalancò. Una ragazza dai fiammeggianti capelli rossi si fece largo buttando all’aria ogni tipo di oggetto presente nella stanza: Stephanie.
- Stephie! - gridò Alexandra prendendole le mani prima che l’altra buttasse all’aria una lampada abbastanza preziosa.
- Cos’hai fatto?! Te ne rendi conto!? - sbraitò la rossa.
- So cos’ho fatto! Ho salvato Jenny! E...
- E ti sei condannata a morte, da sola!!
- E chi l’ha detto?!
Nella stanza fece irruzione anche Hanna, sua sorella maggiore. Aveva le guance rigate di lacrime, ma ora cercava di sostenere lo sguardo di Alexandra.
- Jenny è a casa, l’ho portata via io. Era troppo scossa - disse Hanna, fissando il la poltrona alla sua sinistra.
- Salutatela, da parte mia. Vi prego - supplicò Alex mettendosi a sedere - E mamma e papà?
- Sono a casa, non potevano uscire... non credo stiano bene.
- Bhè, sta loro vicina, capito? E rassicurali. Bada anche a Liberty.
In silenzio, Hanna si fece avanti, ad occhi bassi, e strinse forte la sorellina:
- Torna a casa, Alex.
- Ci proverò - sospirò l’altra.
- No, devi giurarlo... per te stessa. Per mamma, papà, Stephanie, Jenny, me... pensa... pensa a quello che stai per vivere. Ma ricorda, non mollare. Ti rivogliamo a casa.
 

XABER DAVIS
 
Skandar non aveva lasciato andare nemmeno per un secondo il suo migliore amico. Aveva, di nascosto, seguito i Pacificatori ed era riuscito a sgattaiolare per il Palazzo di Giustizia del Distretto 4 senza essere sorpreso.
- Sono qui - annunciò mesto il ragazzino entrando nella stanza designata al tributo.
- Skandar - sospirò Xaber mettendosi in piedi ed abbracciandolo prima che potesse parlare - Mia madre...
- Non temere - rispose pronto l’amico sciogliendo la stretta - La mia famiglia l’aiuterà.
- E i miei fratelli?
- Credo arriveranno dopo. La gente non li lascia passare, non hai idea che confusione c’è là fuori.
- Credo sia a causa della ragazza... quella Alexandra...
- La tua nemica.
- Non lo so. Non voglio...
Skandar sbuffò, scocciato:
- Non vuoi cosa? Uccidere? Allora non vuoi nemmeno vincere!
- Cosa?! - chiese indignato Xaber accigliandosi.
- Non vuoi restarci secco nell’Arena, giusto? - continuò l’altro battendo un piede per terra nervoso - Hai idea di cosa succederebbe a tua madre?
- Non finirò come mia sorella, Skandar - ribatté - E’ stato diverso!
- NO! Tua sorella avrà detto le stesse tue parole... e poi?! Com’è finita? Suicidata, per cosa? Per debolezza! Perché si era innamorata! Perché non l’aveva ucciso, sin dall’inizio.
Xaber aveva le lacrime agli occhi.
Parlare di Haylee lo faceva star male... non quanto sua madre, però.
- Pensaci - concluse l’amico - E svegliati! O uccidi o sei ucciso, adesso sarà così.
 


CONNIE STEVENSON
 
Connie era seduta sul divano di velluto rosso, nell’elegante stanza. Anzi... in quella gabbia d’oro.
Piangeva copiosamente, gli occhi verdi avevano assunto una leggera sfumatura rossa, e i suoi singhiozzi riempivano quella prigione di malinconia e tristezza.
Persino i Pacificatori, preoccupati da quel trambusto o semplicemente dispiaciuti per la sorte della bambina, avevano aperto la porta e la fissavano impietositi.
La ragazzina non aveva smesso di piangere, neanche per un solo minuto.
Ben cinquantotto minuti passarono così... tra lacrime e singhiozzi
Fin quando...
- Piccola mia!
Suo padre, appena entrato, fu subito accanto alla figlia; prese ad accarezzarle i bellissimi capelli rossi e a piangere insieme a lei.
- Matt è a casa... non riesce a venire... e...
Connie interruppe per un attimo il pianto e disse gorgogliando lacrime:
- Salutalo...
- Non ti preoccupare, shh. Tranquilla, tornerai a casa. So che puoi farlo.
- E dov’è...? Non lasciare che veda ciò che...
- ...
Una bambina dagli stessi capelli color fuoco aspettava sulla soglia: Lisa.
Non aveva pianto. Fissò con sguardo curioso la scenetta per poi rivolgersi ad uno dei Pacificatori, con tono puro e innocente:
- Signore, adesso porti via mia sorella?
Il Pacificatore interpellato, che aveva avuto occhi solo per la povera e piccola figura piangente, abbassò il capo per poi togliersi lo strano casco protettivo... e allontanarsi a grandi passi da Lisa e da sua sorella Connie.
C’era chi giurò di averlo sentito piangere.

 
WILLIAM EBONY
 
William non aveva versato lacrime, non si era lasciato prendere da impulsi selvaggi e non aveva distrutto ancora niente. Era in piedi, col viso schiacciato contro il freddo vetro della finestra, accuratamente sigillata per evitare che qualche “spirito libero” possa mai desiderare di scappare.
- Mikayla... anche tu... eri in questa stanza?
Chissà...
- WILLIAM!
Il ragazzo si voltò di scatto, attirato dalla familiare voce proveniente dalle sue spalle: davanti a lui c’era Stacy, la sua bellissima fidanzata; aveva i capelli bruni raccolti in una graziosa treccia e gli occhi erano umidi di fresche lacrime.
La prima cosa che fecero fu baciarsi delicatamente sulle labbra. Poi si fissarono, come mai avevano fatto prima d’allora.
- Dove andrai? Come? Come farò senza di te? Will! - balbettò Stacy, ricominciando a lasciar correre le lacrime sul suo viso.
- Non ha importanza, non temere. Non sono spacciato, tornerò a casa, da te - la rassicurò il giovane.
- Come fai a saperlo! Sai benissimo che tipi di avversari ti troverai davanti? E i Favoriti... !
- Non morirò. Non come Mikayla; tornerò a casa per lei, per te e per mia madre. Per mio padre.
- Le starò accanto, Will. Promesso. Ti aspetterò.
- Ma dovè? Mia madre non è...
- Questo posto le provoca brutti ricordi, i miei genitori la stanno accompagnando a casa. Mi ha chiesto di salutarti.
- Non lasciare che-
Un Pacificatore entrò nella stanza:
- Tempo scaduto, deve uscire signorina! - tuonò.
- Sì, sì. Ricordati, ti aspettiamo. Ritorna.
- Promesso.
 


KATHERINE MOONSTONE
 
- Voglio uscireeeee! - cantilenò la ragazza rivolta ad un Pacificatore.
L’uomo, borbottata qualche sorta di commento poco opportuno, disse cercando di contenere la rabbia:
- Signorina Moonstone, non possiamo farla uscire.
- Quanto siete noiosi!
La ragazza si mise in piedi su un tavolino di cristallo, guardandosi intorno e facendo strane mosse alle spalle delle autorità.
- Quando arrivano le visite? - ricominciò.
Bam!
- Sorellina cara! Visto il destino ha voluto tutto questo! - esclamò Fiammetta entrando nella stanza con un saltello.
- Certo... - rispose sarcastica l’altra, saltando giù dalla sua stramba posizione.
- Credi che la gente sia stupida? - ricominciò.
- Sì - disse semplicemente Katherine.
- Kety! Togliti questa maschera, non mostrare al mondo ciò che non sei. Altrimenti... cosa penseranno? Come credi di guadagnarti sponsor? Penseranno che sei un’imbecille patentata!
- E’ proprio quello che voglio fare, sorellona! - ammiccò Katherine - Non finirò come Angela. Anzi! Io vincerò sarà solo per lei, non certo per la ricchezza e per l’onore. Farò pentire ai Favoriti di essere nati.
Fiammetta riprese:
- Fai quello che vuoi, non voglio perderti comunque. E smettila con la sceneggiata.
Katherine sbuffò:
- Ok, la vedi. Quella è la porta, esci! O stai zitta, o te ne vai! Io farò quello che voglio, è la mia vita, la mia occasione.
 

TOM ALLIUS
 
- Ti voglio bene, papà.
Tom era stretto tra le braccia di suo padre; sarebbe voluto rimanere così per ore e ore. Ma gli Hunger Games lo stavano chiamando... la sorte... non era dalla sua parte... per niente.
- Mi dispiace, figlio mio. E’ stata colpa mia.
- Io... non credo.
- Sì, invece! Ti ho condotto a questo... questo... macello, prima del tempo!
- Ma dovevi, altrimenti saremmo morti di fame.
- E’... tutta colpa mia!
Tom non aveva versato nessuna lacrima, a differenza del padre che sembrava sul punto di crollare.
Come avrebbe fatto il signor Allius senza suo figlio?
Il ladruncolo del Distretto 6 non ci sarebbe più stato.
- Riuscirai a perdonarmi, Tom? - implorò l’uomo, mettendosi in ginocchio, distrutto dal dolore.
- Io... ti perdono, papà. Ma pensa: cosa succederà se vincerò?
Il signore finì di frignare e incrociò i profondi e bellissimi occhi del figlio, occhi da bambino, occhi di un tributo.
- Vincerai? - sussurrò.
- Se vincerò tornerò a casa... ricco. Famoso. Avremo quello che non abbiamo mai avuto, e non dovremmo più rubare.
- Vincerai? - ripeté l’uomo accarezzando la guancia lentigginosa di Tom.
Silenzio.
- Tornerò a casa - sospirò deciso il bambino, dopo qualche minuto.

 
 



ANGOLO AUTRICE :D
Ecco gli addii dei primi dodici. Verso oggi pomeriggio dovrei postare il resto.
So... stay tuned!! ;D
Ah, se qualcosa non va ditemelo pure! Ed per eventuali ripensamenti per altri addii, tutti via messaggio privato, mi raccomando! Ah, e se volete mantenere la suspace ( certo, come no XD) non scrivete nelle recensioni i vostri alleati. Poi che gusto c’è? :D
A presto!!

 
 

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Capitolo 7
*** Ventitré Addii, Un Arrivederci (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ventitré Addii, Un Arrivederci - Seconda Parte


Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natia, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. (...) Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

(I promessi Sposi, Alessandro Manzoni)

 
 
JOY SPARKS
 
- Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri, cara...
Joy seduta sulla lussuosa poltrona blu, a braccia incrociate, attendeva che succedesse qualcosa, canticchiando il motivetto alle pareti tappezzate di quadri e bandiere.
Tremava, eppure faceva caldo.
Strani brividi di paura e agitazione la stavano assalendo.
Non c’era peggior modo di vivere il giorno del proprio sedicesimo compleanno.
- Joy! JOY! Figlia mia!
Eccola, sua madre entrò correndo nella stanza e abbracciò Joy, quasi stritolandola, mentre la figlia scoppiò in lacrime.
- Non voglio, non voglio vederti andar via - si lamentò angosciosa la donna.
- M-mamma, non... non dimenti-care, posso fa-farcela - balbettò Joy lasciando che una lacrima le scendesse lungo il collo, a bagnare il magnifico vestito che portava.
- Lo so, Joy. Ma...
- Mamma - riprese la ragazza ricomponendosi alla bell’e meglio - Sii forte, c’è Peter, con lui non soffrirai la fame.
- Voleva venirti a salutare, ma una ragazza si è sentita male, l’ha soccorsa. Greyta...
Joy alzò il capo, fissando la madre:
- Sta bene?
- Sì, non preoccuparti; pensa a te, Joy.
- Tornerò mamma, lo giuro. Non piangere... vi voglio bene.
Joy baciò la calda guancia di sua madre, prima di vedersela portar via da un Pacificatore.
Il peggiore dei compleanni.
 

MARKUS SCHWARZ
 
- Markus!
Anna entrò nella stanza come una furia, ma non gli andò subito incontro: si fermò sulla soglia, preoccupata, forse, di non essere accettata in quel momento, così duro e difficile.
Fu invece Markus stesso ad andarle incontro e ad abbracciarla calorosamente.
Anna, ricambiò, lasciandosi sfuggire qualche lacrima silenziosa:
- Perché? Perché a te?
- Era destino, Anna.
- C’è tua madre qui. Vuole...
Markus, lasciata la ragazza, diresse lo sguardo verso la porta, dove Marie attendeva una qualche reazione.
- Visto? - disse lui alla donna allargando le braccia - Non mi sono offerto volontario.
Marie si portò una mano alla bocca, come a voler reprimere un urlo esasperato e il pianto che sapeva di non riuscire a contenere ancora per molto:
- Ti ho sempre amato, sei la cosa più preziosa che ho Markus - gracchiò.
- Grazie - rispose lui dolcemente sorpreso.
- Torna a casa.
- Ci proverò, mamma. Siate forti, sarò qui ancora. Vincerò questi Giochi.
Marie si sentì avvolta dalle braccia del figlio... il suo primo abbraccio.
 
 

MEZZANOTTE SPIELBERG
 

- NOTT! NOTT!
Mezzanotte sentì la sua inconfondibile voce: Ray.
- RAY! - urlò disperata.
La porta si spalancò rivelando il bel ragazzo, che un secondo dopo era già nelle braccia della migliore amica.
Non ci furono pianti, né scenate, neppure una lacrima... solo parole d’incoraggiamento.
- Tu puoi vincere, Nott - sussurrava in continuazione Ray accarezzandole timidamente i lunghi capelli tendenti al blu.
- Lo so... no, no...
- Ehi, Pipistrello! - aggiunse lui accennando un mezzo sorrisino - Non farmi rimpiangere d’averti conosciuta.
- Questa non l’ho capita, cosa vuoi dire?
- Non ha importanza. Quello di cui ti devi preoccupare, adesso, è l’Arena.
- Non voglio uccidere nessuno. O almeno, il meno possibile.
- So che...
- La mia famiglia! Stanno bene, non sono venuti... - esclamò Mezzanotte, fissando la porta con aria malinconica - Staranno malissimo. Non volevo finisse così.
Ray mise la sua mano destra all’altezza delle spalle della ragazza... e sfilò la collana col pendente a forma di chiave di violino:
- Non potevi certo saperlo; ma loro sono qui, qui dentro. E anch’io. Torna a casa, Nott.
Mezzanotte affondò il viso sul suo petto, strusciandosi sulla sua camicia bianca e profumata:
- Promesso. Si stupiranno... è tutto qui: dare spettacolo e il più bravo torna a casa.
- Questa è la ragazza testarda che conosco. Sii forte e pronta.
- Aspettatemi. Tornerò a casa.

 
FELIX ANDERSEN

 
Il sindaco aveva fatto strada ai Pacificatori che stavano scortando Felix nella stanza d’attesa. Per tutto il tragitto, erano rimasti in silenzio, con gli occhi bassi, sapendo dentro loro che avrebbero avuto tutto il tempo di parlare dopo.
Arrivati nella stanza, appena chiusa la porta, l’uomo prese in braccio Felix che si aggrappò al padre più forte che poté.
- Il mio Felix...
- Non voglio andare via, papà. Non la prima Mietitura.
L’uomo era sul punto di piangere:
- Lo so, lo so. Non posso fare niente per impedirlo, piccolo.
- Non dovevo essere io! Hai visto, papà?! Non ero io! - balbettò il bambino sciogliendosi dalla stretta e tornando coi piedi per terra.
- Ho visto...
- Allora... era destino.
Sbam! Tre ragazze fecero il loro ingresso, quasi sfondando la porta d’ingresso: le sue tre sorelle, Jolanda la bruna, Ileana la bionda e Brianna la rossa, raggiunsero il fratellino e lo stritolarono tra abbracci, baci e carezze.
- Salutatemi tutti quanti - aggiunse Felix, rivolto a Jolanda, la più grande - Miguel e Silviette... Sigmund, Sam... gli altri... Joseph! Vi prego!
Jolanda lo avvolse tra le sue braccia, rassicurandolo e versando anche qualche lacrima.
- Prima che tu vada, Felix... ecco... devo dirti una cosa... darti qualcosa - aggiunse suo padre, con fare serio e deciso.
Prese dalla tasca della giacca una specie d’anello d’oro e lo porse al bambino che, raccolto l’oggetto, l’osservò con paura ed agitazione: era un bellissimo anello dorato e aveva la forma di un serpente che si attorcigliava letale e freddo sul dito del propretario.
- Per me? - chiese stupito Felix indossandolo - Non l’ho mai visto.
- Infatti - rispose malinconico l’uomo - Era di tua madre.
- Mamma?
- No, non la mamma che conosci. La tua vera mamma. La donna che... ti lasciò davanti alla nostra porta... tanti anni fa. Lo avevi stretto nel pugno... quel giorno.
Felix si pietrificò.
- Dovevo dirtelo, prima di... prima che fosse troppo...
Un Pacificatore entrò nella stanza:
- Signor Sindaco, la sua presenza è richiesta all’Ingresso. Ora.

 
 
BEATRIZ MOORE
 
La ragazza era presa dai suoi pensieri, mentre con le mani spennacchiava un fiorellino giallo trovato sopra uno scaffale.
Come poteva essere successo a lei?
- Ci sono visite! - annunciò un Pacificatore aprendo la porta, facendo entrare un ragazzo alto e muscoloso, dai capelli neri, e una ragazza dai corti capelli biondi: i suoi migliori amici, Ayrtron e Clarisse.
Il ragazzo si precipitò tra le braccia di Beatriz:
- Triz, stai bene?
- NO! Come credi che stia?! - sbottò la ragazza dando un leggero pungo sulla guancia di lui.
Ayrtron ridacchiò nervoso:
- Li farai tutti secchi. E tornerai da noi.
Clarisse si fece avanti, ma non da sola: dietro di lei c’erano i genitori di Beatriz; la madre era avvolta dal dolore, mentre suo marito aveva lo sguardo spento e vuoto.
L’amica trovò le mani dell’altra e la rassicurò per minuti interminabili.
- Mamma, papà. Non... perdete la speranza - annunciò Beatriz una volta conclusi gli addii ai suoi amici.
Fu suo padre ad intervenire, a nome di tutt’e due:
- Lo sappiamo che sei forte, tesoro. Ma fino a quanto... ? Non vogliamo perderti.
La signora Moore fu scossa da un inquietante singhiozzo.
- E non succederà, io tornerò a casa - rispose incerta il tributo.
- Non dimenticatevi, signori - aggiunse Ayrtron con un lieve sussurro - Vostra figlia è una forza della natura.
Clarisse e Beatriz sorrisero.
- Non dimenticatevi di quello che so fare. E non datemi per spacciata - concluse Beatriz prima di raggiungere le tremanti braccia di sua madre.

 
LIAM BURTON
 
- Mamma! Papà! Marina!
Le tre figure entrarono nella stanza, con passi lenti e scanditi.
La signora Burton, prese per le spalle suo figlio e gli baciò un centinaio di volte la fronte, lisciandogli i lunghi capelli scuri.
- Non voglio i soliti discorsi strappalacrime; non avete bisogno di versare altre lacrime - ammise Liam fissando uno ad uno i presenti.
Marina intervenne:
- Cosa stai dicendo, Liam? Non volevi vederci?!
- No - rispose lui, alzando le mani - Non voglio soltanto una nenia funebre.
Suo padre ebbe uno strano sussulto:
- Non siamo qui per questo, Liam. Volevamo... salutarti... non dirti “addio”.
Liam lo fissò intensamente, scrutando i suoi occhi profondi... gli stessi occhi di suo fratello, ucciso come ribelle da Capitol City.
Charles...
- Vincerò, non temete. Vendicherò Charles... e tornerò a casa... da voi, e da te - aggiunse il ragazzo rivolgendo le ultime parole a Marina, che gli sorrise radiosa, mentre lacrime d’argento cadevano dai suoi occhi neri.
- Allora, ti aspetterò Liam - sussurrò Marina, senza smettere di fissarlo con occhi umidi.
 

 
CHLOE MINNEL
 
Chloe stava tormentando una ciocca di suoi stessi capelli, quando una ragazza entrò e si diresse velocemente verso lei: sua cugina, Emma, diciotto anni, capelli lunghi e ramati, occhi blu... e una gamba ingessata.
- Chloe! Mi dispiace, tanto, tanto tanto! - ululò la ragazza abbracciando l’altra.
Chloe rimase a bocca aperta:
- Cosa? Che ci fai qui? Cosa... ? Perché ti stai scusando?
Emma, sciolto l’abbraccio, le afferrò le mani riscaldandole e sfregandole tra le sue:
- Volevo offrirmi volontario, al posto tuo! Ma...
- Stai scherzando?! Volevi suicidarti?!
- Perché? Preferisci andare tu al macello?
- No! Ma come pensavi di sopravvivere con una gamba fuori uso?! - urlò Chloe.
Silenzio.
- Comunque... le tue amiche non sono riuscite ad entrare. I loro genitori le hanno portate a casa... sembrano siano...
- Impazzite? - chiese Chloe, temendo il peggio.
- Sì... diciamo. Però i tuoi genitori stanno venendo, credo abbiano appena lasciato il negozio.
Chloe chiuse gli occhi, immaginandosi il terrore e l’angosci che in quel momento doveva star assalendo Loucys e Roseleen.
- Non lasciatele sole - sussurrò disperata Chloe - E qualunque cosa tu veda in TV...
- Lo so. Non sempre... apparirai te stessa. Immagino sia lo “spirito del gioco”. Insomma... gli Hunger Games...
- Cambiano... cambiano dentro - concluse ancora una volta Chloe mesta.
- Ricordati chi sei e vinci, bella!
- Lo farò.

 
JAY CARTER
 
Una fragile quattordicenne entrò piangendo nella stanza dove suo fratello era rinchiuso in attesa dell’arrivo del treno; Rebekah accompagnata dai suoi genitori, si gettò tra le braccia di Jay senza smettere di piangere.
- Ehi, Rebekah! - disse lui piano baciandola sulla fronte affettuosamente - Non piangere.
- Tu non dovevi! - piagnucolò lei.
- Non potevo farci niente, sono stato estratto... non potevo tirarmi indietro.
La ragazzina bagnò di lacrime bollenti la maglietta di Jay, che non finiva di consolarla.
- Devi essere forte! Cosa penserà la gente se vi date per vinti a Giochi non ancora iniziati? - continuava lui accarezzandola ma fissando i suoi genitori, che si tenevano per mano e tremavano entrambi.
- Volevo portare Carol... ma non me l’hanno permesso... - ammise triste Rebekah, riferendosi alla loro adorata cagnolina.
- Salutala tu, da parte mia; coccolala ogni giorno, mi raccomando. E salutami anche Gordon... sentirà la mia mancanza.
- Sì, ma non per molto - aggiunse il signor Carter lasciando per una attimo la moglie e dirigendosi verso i suoi figliuoli.
- Papà ha ragione - continuò sua sorella.
- Sì, prometto. Tornerò a casa, io vincerò - concluse Jay mettendosi in piedi e abbracciando i suoi genitori.
Arrivato a sua madre, le sussurrò dolcemente:
- Non piangere, mamma. Non disperarti. E non perdere mai la speranza.
- Amore mio...
 
 

ELIZAVETA POCHKA
 
- Zio! - esclamò la ragazza mettendosi in piedi con uno scatto e fissando Nikolai entrare lento nella lussuosa stanza del Palazzo di Giustizia.
L’uomo corse dalla ragazza e le prese le spalle, guardandola dritta negli occhi:
- Eliza! Eliza, ascolta! Devi...
- No... lo so cosa devo fare: sopravvivere, lo so. Sono brava in questo, zio, lo sai! - ribatté lei con tono annoiato, agitando il lungo vestito nero che portava; tutti i soliti consigli tipo “Fa’ attenzione”, “Trova l’acqua” o “Non avere pietà, trucidali dal primo all’ultimo” potevano essere capaci di darle il voltastomaco; uccidere conigli o cervi era una cosa... ma fare a pezzi un essere umano, con la propria storia e proprie emozioni e ambizioni...
Non era la stessa cosa. Semplicemente non lo era.
- No, no! Non intendevo quello! - continuò l’uomo interrompendola - Shhh! Ascolta!
Elizaveta tese l’orecchio: un rumore strano e disumano riempiva l’aria, attutito dalle spesse pareti; proveniva anche dalla finestra che dava sulla piazza del Distretto 11.
La folla gridava qualcosa.
Era un nome.
No, due nomi.
- Il Distretto 11, quest’anno, ha davvero le idee chiare - ammise Nikolai felice.
- Ci... stanno chiamando... me e... ? - balbettò la ragazza stupita.
- Non hai idea della confusione che si è creata in piazza. Sembra che la spensierata “bambina dei boschi” sia... davvero tornata a far breccia nel cuore della gente. Come tanti anni fa, d’altronde, giusto?
Non era stato proprio il peggiore dei giorni, dopotutto.
- Adesso... - riprese l’uomo - Che hai davvero un conto aperto con la Morte, ascoltami. Vinci, ce le puoi fare. Sai fare cose impensabili, ti ho vista.
Elizaveta sbuffò:
- Lo so! Te l’ho detto!... comunque hai ragione: sono in grado di sopravvivere.
- Ergo... di tornare a casa.
- Per trovare chi, o cosa? Tranne te, senza offesa.
- Il Distretto che ha imparato ancora a volerti bene. So che la tua vita è stata un inferno, e ti capisco. E’ questo che devi dimostrare! Eliza, dimostra che tutto questo, tutto quello che è successo, non ti ha intaccata. Mi capisci?
La ragazza annuì lentamente, per poi essere accolta nel familiare abbraccio dello zio.
Un gesto d’affetto... mancato per troppo tempo.
- Vincerò.

 
MIKE SALT
 
La piccola Clara, tutta sola e impaurita dall’aspetto imponente e massiccio dei Pacificatori, si rifugiò senza indugi tra le braccia del fratello Mike.
- Mike!!
- Clara! Dovevi rimanere a casa, me lo hai promesso! - la rimproverò Mike, squadrandola da capo a piedi.
- Lo so - si scusò lei - ma è arrivata zia Beth, mi ha detto di correre in piazza. Aveva detto che ti avevano preso. Ho visto anche il tuo amico, Carl. Piangeva.
Mike sbarrò gli occhi:
- E sei entrata da sola? Come mi hai... ?
- Ho seguito un signore strano e ti ho trovato - ammise sorridendo la piccola con sguardo furbetto.
Mike non poté fare a meno che ridacchiare, per poi tornare ad incupirsi.
- Ti portano a Capitol? - chiese timida Clara.
- Sì.
- Mangerai bene! Mangia un boccone anche per me, scommetto che là il cibo è delizioso.
- Non vado lì per una vacanza, Clara.
- E come farò con mamma?
- Chiedi a zia di restare a casa!
La bambina si avvicinò al fratello ancora di più, stampandogli un delicato bacio sulla guancia:
- Vai dove tutti muoiono? - sussurrò.
Mike l’abbracciò ancora:
- Sì, ma io torno a casa, Clara. Capito?
- Ho sentito che la gente ci entra... e non esce più. Ma se lo dici tu, che tornerai mi fido. Prometti? - chiese ingenuamente mostrando il mignolino verso di lui - Ma stamattina mi avevi già promesso... che saresti tornato. Ora manterrai la promessa, Mike?
Il ragazzo esitò per poi stringere il ditino della piccola e sussurrare:
- Questa volta è una vera promessa. Prenditi cura della mamma, e non guardare il programma. Intesi?
Carla annuì con fare solenne.
 
 

ROSALIE WHITE
 
Una Ghiandaia si era posata sul davanzale della finestra e fissava con fare curioso, zampettando a destra e a manca, Rosalie; aveva appannato il vetro col suo respiro e si era messa a pasticciare sulla superficie.
Aveva appena finito il suo pianto liberatorio, quando aveva notato quel grazioso uccellino fissarla con un’intensità mai vista.
- Rose!
- Rose!
La ragazza si voltò di scatto.
I suoi fratelli, i gemellini, si avvicinarono a lei di corsa e le circondarono il petto in una stretta incredibile.
- Non andare via, Rose!
- Resta con noi, ti prego!
Avevano pianto: li aveva visti tenersi la mano per tutta la Mietitura e piangere a dirotto appena nominata la sorella, la loro ancora di salvezza.
- Ascoltatemi, tutt’e due - cominciò Rosalie prima che le lacrime prendessero il sopravvento.
- Ti volevi offrire volontaria, vero? - chiese David, interrompendola, con le lacrime agli occhi.
- Sì... cioè... volevo solo... era per voi - si giustificò lei.
I fratellini rimasero in silenzio.
- Volevo farlo per darvi un futuro migliore; voi non meritate di soffrire la fame! Non meritate tutto questo! - continuò Rose lasciando cadere finalmente le lacrime.
Non voleva mostrarsi debole... ma lasciare i suoi fratelli... era una cosa impensabile ed inconcepibile.
- Vuoi aiutarci? - chiese Davis.
- Quindi vuoi vincere, tornerai a casa? - aggiunse Robert.
Rosalie li avvolse con le braccia e pose la sua testa accanto alle loro:
- Vincerò. Ma voi siate forti, chiamate papà e zio John. Sono sicura che vi aiuterà! Tornerò a casa... per voi, per mamma e per papà.

 
NICHOLAS RAYAN
 
I Pacificatori fuori dalla porta d’ingresso per la bellissima stanza assegnata a Nicholas stavano tenendo a bada uno stormo di galline: le sue “ammiratrici”.
- Fatemelo vedere!!
- Voglio solo salutarlo!
- Ahia! Non spingere!
- Prima io, prima io!
Il ragazzo, però, aveva avvisato gli agenti: nessuna ragazza petulante o cose del genere! E loro stavano svolgendo il proprio lavoro, per ora.
Quella... Rosalie... lei sembrava diversa, non l’aveva mai vista nel branco delle ragazze pazze d’amore; sembrava una tipa a posto... abbastanza normale. Andavano a scuola insieme, anche... ma non le aveva mai parlato: era una ragazza che sta sulle sue, senza pretese.
- Permesso! Permesso! Ma che modi! Io vengo da Capitol City, mica da... Ehi, signorina non spinga!
La familiare voce della capitolina ebbe la meglio; dopo qualche strana frase intimidatoria congedò tutte le ragazze ed entrò nella stanza.
Vestita di rosso dalla testa ai piedi, sembrava un pomodoro.
- Nicholas, caro? Sei pronto? Il treno è qui.
Il ragazzo sospirò:
- I miei genitori non sono ancora arrivati.
La donna si intristì:
- Ohhh, povero piccolo. Ma il tempo è scaduto, ti vedranno nel programma, non temere.
- Volevo dir loro...
- Lo so. E mi spiace. Ma abbiamo degli orari. Se vuoi seguirmi... potremo mandar loro una lettera... qualcosina.
Nick la seguì a malincuore, verso la stazione, insieme alla sua compagna di Distretto.
 

 
THE WORLD WILL BE WATCHING
 
 

ANGOLO AUTRICE:
Bu bu... settete!!
Eccomi, ancora, tanto per cambiare. Ecco la seconda scatenata dozzina.
Vi giuro... ogni addio... è diventato una parte di me. Sono tutti un po’ come miei fratelli e sorelle. I loro addii, strazianti, mi hanno davvero fatto penare l’anima.
Ma eccoli qui.
Come farò? D: Sono tutti troppo...
Vabbù, spero vi sia piaciuto. Non ho mai scritto capitoli più tristi e tragici di questi... credo di non riuscirci mai più. Poi io mi commuovo, sono una tipa dalla lacrima facile T_T
Ok, basta ora. Alla prossima!!

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Capitolo 8
*** Viaggio Senza Biglietto ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Viaggio Senza Biglietto - Prima Parte

Non si può più scappare.
Treni che partono, treni che arrivano.
Non sempre però con lo stesso carico.
Vite. Storie. Ricordi. Lacrime. Risate. Speranze. Promesse.
Diverse. Simili. Mia uguali, mai banali.
Si salutano i cari e gli amici, li si vede sparire lasciata la stazione. Si parte verso la morte, verso mete ancora ignote. Mete mai desiderate, purtroppo.
E si sa: tra tutti, solo un treno tornerà in quella stessa stazione, a casa, con lo stesso contenuto.
Ma forse con idee diverse.

 

 
SOPHIA E DIEGO - DISTRETTO 1

I due ragazzi sedevano l’uno di fronte all’altro. Il ragazzo non sosteneva lo sguardo incoraggiante di Sophia: se n’era da sempre restato sulle sue, con gli occhi fissi ad osservare la moquette rossa che ricopriva il treno.
Fu lei a rompere il ghiaccio, appena il treno sobbalzò, per la partenza:
- Guarda, quanta gente! - sorrise, abbastanza imbarazzata, accennando ai finestrini.
Diego si limitò ad annuire con lo sguardo basso.
In quel preciso momento, fece il suo ingresso il loro accompagnatore. Si chiamava Nevius, un tipo strano, con degli strani capelli rosa... sembrava fuori di sé.
- Ragazzi! Il pubblico già vi ama! - urlò - Non ci vorrà molto per arrivare a Capitol City, noi siamo i più vicini. Ma vi suggerisco comunque di darvi una bella pulitina; avete un vagone tutto vostro, naturalmente. Fate come se foste a casa vostra!
Detto ciò, sparì ancora, forse in cerca del mentore.
Il treno aveva acquistato un altro po’ di velocità, quando Sophia riprese, meno timida:
- Ci stai a creare il gruppo dei Favoriti?
Diego scrollò le spalle:
- I Giochi non sono manco stati inaugurati... e tu già ci pensi?
- Certo! - rispose secca.
Il ragazzo si portò una mano alla fronte, prima rispondere balbettando:
- Sì, va bene.
- Infatti! Non ci voleva molto! - sbottò Sophia - Non si è mai sentito di un ragazzo dell’1 che non entra nei Favoriti. Chissà chi si proclamerà leader...
- Io ne ho una vaga idea... - sussurrò a sé stesso lui.
- Cosa? Cos’hai detto? - chiese sincera la ragazza, sistemandosi la frangetta bionda.
- Niente.
Ripiombò il silenzio.
- Non sei un tipo molto loquace, eh? - bisbigliò la ragazza dopo qualche minuto.
Diego si concesse un timido sorrisino:
- Eheh... sono me stesso.
- E ti sei offerto volontario! - esclamò l’altra - Un tipo come te... non credo d’averlo mai visto in accademia.
- L’ho fatto per... questioni personali - si giustificò Diego, voltando il capo in direzione del finestrino.
Ora fu Sophia a rimanere senza parole.

 

LAVINIA E BRANDON - DISTRETTO 2

I tributi erano calmi. Calmissimi. Entrambi.
Lavinia aveva salutato e sorriso a tutta la gente accorsa alla stazione. Brandon, invece, sedutosi sulla tavola imbandita della carrozza, aveva atteso pazientemente che il treno corresse il più lontano possibile dal Distretto 2. Da Renly. Vederlo piangere... piccolo e indifeso... non aveva fatto che accrescere l’odio di Bran per suo padre... per gli Hunger Games.
Lavinia era quasi della stessa età di suo fratello; anche la ragazza ne era a conoscenza.
Quando il treno fu accerchiato da catene montuose, segno che Capitol si avvicinava, i due ragazzi presero a socializzare.
- Favoriti... - sospirò Lavinia con del succo di arance in mano - Il mio sogno si sta per avverare!
Brandon aveva fiducia in quella piccoletta, sebbene lei fosse un’autentica macchina da guerra:
- Sì.
- A proposito... alla Mietitura, per tuo fratello... offrirti volontario. E’ stato davvero un gesto coraggioso - disse stavolta lei, con tono sommesso.
- Grazie. Tu sembravi abbastanza convinta di quello che facevi, invece.
- Scherzi?! Ho aspettato tutta la vita questo momento! Sono eccezionale, sai. E io ti ho visto in Accademia... anche tu te la cavi abbastanza bene.
- Chissà se i Tributi dell’1 si stanno già mettendo d’accordo...
- Speriamo non sia difficile convincerli.
Un sibilo raggiunse le orecchie dei ragazzi: la gigantesca TV che quasi ricopriva metà vagone.
- Presto dovrebbero mostrarci gli altri ragazzi - mormorò Lavinia, sedendosi anch’essa.
 


INDIA ED ESSIEN - DISTRETTO 3

Avevano perso i loro cari. E in cuor loro sapevano che solo uno tra ventiquattro poteva tornare a casa.
India ed Essien non avevano fatto altro che pensarci, quasi ritirati in una specie di meditazione spirituale, ognuno seduto all’angolo opposto a dove si trovava l’altro.
Si poteva dire addio alla vita di un tempo, in un solo giorno? Forse nemmeno l’eternità sarebbe bastata.
In una sorta di muto accordo, i due non si erano scambiati una parola; solo un fugace sguardo era sfuggito al ragazzo, sulla via per la stazione.
Sembravano certi di quello che facevano. Non parlarsi.
Forse rimanere muti avrebbe fatto solo meglio.
Ma ci pensò la capitolina dorata a rompere il tetro silenzio:
- Ma... bella, tu stai piangendo? - disse con un filo di voce rivolta ad India.
La ragazza prese subito a nascondere le silenziose lacrime piante qualche minuto prima:
- Non è niente.
La donna si alzò, traballante con i trampoli che aveva al posto delle scarpe, e porse gentile un fazzoletto ricamato, uscito chissà dove, alla sua beniamina:
- Non facciamoci vedere così dalle telecamere, eh? - disse dolce.
La ragazza accettò il pezzo di stoffa e cercò di ricomporsi.
Essien provò quasi pietà per quella poverina. Doveva aver lasciato alle spalle qualcosa d’importante se aveva pianto, cercando di non farsi vedere. Intercettò lo sguardo della sua accompagnatrice e alzò le spalle:
- Le manca casa, è normale.
- Lo so, tesori. Ma guardatevi... io sono sempre stata contro la violenza. E trovo che sia violento straparvi dalla vostra vita quotidiana...
- Allora perché fa questo lavoro?
La capitolina lo fulminò con lo sguardo prima di rispondere calma:
- Perché sono originaria del Distretto 3, sapete.
Poi cominciò ad incipriarsi il naso e a ripassarsi lo strano rossetto dorato sulle labbra carnose.
 


ALEXANDRA E XABER - DISTRETTO 4

- Sto lasciando tutto. Tutto - bisbigliò mesta Alexandra con la fronte premuta sul finestrino, a salutare il mare. Casa.
Il ragazzo dai capelli scuri, seduto accanto a lei, Xaber, si teneva la testa tra le mani, con aria afflitta.
- Che sia un sogno. E’ solo quello che spero - continuò la ragazza, cercando di frenare le lacrime che minacciavano presto di scendere giù dai suoi occhi verdi.
- Anch’io speravo... quando ero piccino.
Xaber aveva parlato. Anzi sussurrato.
- Speravi?
- Speravo che mia sorella uscisse da quell’Arena, quando ci partì. E ce l’avrebbe fatta a tornare a casa, se non fosse stato per un ragazzo - continuò lui.
Alexandra staccò la fronte umidiccia dal vetro e prese a fissare il suo compagno di Distretto, che continuò a parlare:
- Era bellissima, forte. Avrebbe potuto anche vincere.
- Cosa successe? - chiese lei curiosa. Qualunque cosa pur di farle distogliere dalla testa l’immagine di sua sorella!
- Gli sponsor l’aiutarono. Restò col suo alleato, un ragazzo. Si amavano tanto. Ma... quando lui fu ucciso... preferì suicidarsi piuttosto che continuare gli Hunger Games. Ero piccolo, quando successe... ma la ricordo.
- Speranza... amore. Sono le stesse cose che provo io - aggiunse Alexandra decisa - Speranza di vincere... amore per la mia famiglia. Senza sei perduto.
- Mia sorella lo era... e pensava esattamente le stesse cose. Solo che si era invaghita per un...
- Allora non hai capito quello che provava veramente. Io la capisco, invece.
Silenzio.

 

CONNIE E WILLIAM - DISTRETTO 5

Dopo l’attacco di pianto precedente, Connie si era decisamente data una calmata. Sedeva accanto ad un  finestrino del lato sinistro, e al suo fianco era appollaiata la capitolina argentata.
William, seduto in disparte, piangeva in silenzio, con occhi bassi. Tra i suoi pensieri primeggiava Mikayla. Solo e soltanto lei. Su quello stesso treno, su quelle stesse carrozze.
- Siete così diversi -trillò all’improvviso l’accompagnatrice, quasi a confortarli - Ma così simili. Sono contenta di avere voi due, promettete davvero bene.
- Noi non lo siamo di certo. Contenti, intendo - si lasciò sfuggire Connie sfregandosi il naso lentigginoso.
William restò zitto, ma con l’orecchio ben teso.
La capitolina annuì comprensiva ma sorridente:
- Posso capire. Ma non temete. Noi faremo di tutto pur di tenervi in vita; tutto dipenderà soprattutto dalle vostre scelte e dalle vostre alleanze. Credo sia così... e accompagno tributi da anni ormai. Ne ho visti tanti salire su questo treno, e posso assicurarvi... che se giocate bene le vostre carte avete delle grandi possibilità.
I sue ragazzi presero a fissarla.
- Ehi! Non tutti gli accompagnatori sono suonati! - strillò ancora la donna, agitando le mani.
Connie non poté fare a meno che ridere: era abbastanza ridicola. Anche se continuava a pensare che dietro tutto quello, dietro la loro tristezza e malinconia, c’erano anche gli accompagnatori dietro.
Ma, d'altronde, si lascia una vita e se trova un’altra.
Sperando sempre di non incappare nella morte per tornare vincitori.
William tornò con la testa bassa, invece, a riflettere. A pensare. A sperare.
 


KATHERINE E TOM - DISTRETTO 6

Appena Katherine raggiunse quella specie di “vagone-ristorante”, pieno di tavoli, coppe e piatti colmi di pietanze all’apparenza squisite, lanciò un urlo talmente forte da far sobbalzare il piccolo Tom alle sue spalle:
- Ahhhhhhhhhh! Sogno o son desta? Sono in Paradiso!!
Prese per la mano il bambino e lo trascinò con la forza assieme a lei tra la moltitudine di cibo. Gli occhi del piccolo Tom luccicavano: non aveva mai visto tutto quel ben di Dio! Ed era tutto per loro! Incedibile. Avrebbe messo su peso per i Giochi.
Katherine, invece, abbastanza robusta -una di quelle ragazze che non aveva mai patito veramente la fame- sembrava avesse fame solo per il gusto d’esserlo. Ma era comunque emozionata. Come chiunque lo sarebbe stato.
- Dico, Tommy, hai mai visto tutto questo... - urlò lei mentre il treno prese a muoversi.
- Mi chiamo Tom - aggiunse lui, leggermente infastidito dalla stupidità della compagna.
- Ah, vabbè, quello che è! Ehm... dov’è quell’adorabile signore che dovrebbe... ?
Slam!
La porta del vagone si aprì: ed ecco spuntare il loro capitolino, un tipo con più piercing che capelli.
Katherine sorrise radiosa alla sua vista:
- Tom, che faccia fai? E’ solo un tizio bucherellato!
L’uomo sgranò gli occhi.
- Dovrà aver fatto male... - sussurrò Tom preoccupato per un’eventuale brutta reazione.
- Io lo trovo messo bene - squittì Kety, ammiccando al capitolino, che si lasciò sfuggire una risatina sguaiatamente isterica.
I tributi rimasero pietrificati.
 
 

ANGOLO D’AUTRICE
Ragazzuoliiii :D Sono qui! E presto arriveranno gli altri dodici.
Intanto, fatemi sapere... per il prossimo capitolo: preferite che mi concentri su stilisti e staff di preparatori, o passiamo direttamente alle sfilate? Fatemelo sapere con le vostre recensioni ;)
Spero di pubblicare il resto entro la serata, se non prima :D
A presto, quindi!
Baci!! :D




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Capitolo 9
*** Viaggio Senza Biglietto (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Viaggio Senza Biglietto - Seconda Parte


JOY E MARKUS - DISTRETTO 7

- Ecco che partiamo! - trillò sorridente il capitolino multicolore, facendo cenno ai due tributi di avvicinarsi ai finestrini. Ma nessuno dei due ragazzi sembrava rivolgere particolare attenzione all’uomo.
Joy era seduta su una morbida poltroncina bianca. Con i capelli sciolti dall’elaborata pettinatura creata da sua madre prima della Mietitura, e col viso triste, portava entrambe le mani sulla preziosa seta verde del suo vestito. Il suo regalo di compleanno.
Il ragazzo, Markus, era in piedi, a camminare in cerchio lentamente. Lo sguardo era rivolto ad una foto; cosa ci facesse nella tasca dei suoi pantaloni... o come ci fosse finita... era ancora un mistero. La rigirava tra le dita e l’osservava avido. L’immagine raffigurava Anna e Marie, sua madre. Doveva essere stata scattata un po’ di tempo fa... forse in occasione del suo compleanno. I genitori di Anna potevano permettersi una macchina fotografica, in effetti.
Quando il treno si fu allontanato un bel po’, l’accompagnatore ricominciò a parlare:
- Tra qualche minuto, secondo me, manderanno in onda le altre Mietiture. Volete... ?
- Non so... prima... dopo... qual è la differenza? - mormorò immobile Joy, schiudendo appena le labbra.
Markus si limitò a scrollare le spalle.
- Bè, almeno siamo in orario! Odio essere in ritardo! - concluse il capitolino versandosi uno strano liquido azzurrino in un bicchiere di cristallo. I ragazzi lo fissarono.
- Mi chiamo Crater - riprese dopo aver ingoiato l’ultima goccia - Vostro accompagnatore, tra un po’ dovreste conoscere anche il vostro mentore. Siamo qui... per rendervi... presentabili e pronti.
Joy inarcò le sopracciglia, sorpresa e curiosa.
Markus parlò:
- Presentabili?
Il capitolino ridacchiò:
- Vedrete... vedrete...



MEZZANOTTE E FELIX - DISTRETTO 8
 
Il treno, proprio in quell’istante si stava allontanando dalla stazione del Distretto 8. I tributi erano incollati ai finestrini. La scena era, a dir poco, commovente. Come poteva provare la capitolina loro accompagnatrice, letteralmente in lacrime, accanto ai ragazzi nel vagone.
I Pacificatori li avevano scortati senza troppi complimenti verso il treno, ma la gente faceva quasi a botte per dare un ultimo sguardo ai due e salutarli.
Un ragazzo, dai capelli biondi e gli occhi scuri, in prima fila, stava quasi per cadere sulle rotaie. Salutava con la mano, agitandola come un forsennato, la ragazza, Mezzanotte. Non poteva essere nessuno... tranne lui. Ray. Aveva seguito l’amica, mai persa di vista. Ed ora era lì a salutarla, con le lacrime agli occhi.
Anche Nott era sul punto di crollare. Mandava baci solo a lui, salutava solo per lui. Si ritrovò persino ad accarezzare il vetro del finestrino.
Vide il ragazzo muovere le labbra, scandendo ogni parola. Diceva qualcosa. Non qualcosa di lungo.
“Torna a casa”? “Vinci”? O... ? No... diceva... diceva... !
Gli occhi della ragazza si illuminarono e strariparono di lacrime bollenti.
- ANCH’IO! - strillò distrutta, sorridendogli. Anche lui ricambiò il sorriso. Mezzanotte sfiorò il ciondolo.
Felix era “spiaccicato” contro il vetro; salutava le tre sorelle, in lacrime. Anche Silviette era presente, col viso nascosto da un fazzoletto inzuppato d’acqua.
Mancava... il sindaco... suo “padre”.
- VI VOGLIO BENE! ANCHE A PAPA’! DITEGLIELO! - urlò il bambino iniziando a piangere e agitando la mano - DI-DITEGLIELO! NON LO ODIO! TORNERO’ A CASA!
Tutta la gente sembrava avvolta da quella pura e innocente tristezza... che quei due ragazzi riuscivano a trasmettere. Sarebbero stati i giorni più bui per il Distretto 8.
 

 
BEATRIZ E LIAM - DISTRETTO 9
 
- Avete un... ehm, foglio? Qualcosa su cui poter scrivere? - sussurrò Beatriz, rivolta all’accompagnatrice “aliena” e a Liam.
Sedevano tutti e tre attorno al tavolo imbandito di pietanze. C’era voluto un po’ a convincere i ragazzi ad abbandonare il nido che si erano creati da soli accanto ai finestrini, sin da quando il treno era partito. Ma dopo aver messo sotto i denti qualcosa, si sentivano meglio. Almeno per qualche minuto avevano dimenticato casa.
La capitolina, di nome Sagitta, scosse la testa, increspando le labbra dispiaciuta. Liam sussurrò un flebile “no”.
La verità era solo che la ragazza aveva bisogno di socializzare. Era forse il peggior momento della sua vita, e discutere poteva rivelarsi un perfetto rimedio per la malinconia. Liam, invece, aveva solo bisogno di pace, dopo una giornate intensa come quella. Stava andando a Capitol City! La città che aveva condannato suo fratello! Come poteva sentirsi bene? Se poi si aggiungeva il “Fattore Hunger Games”. Ecco perché il ragazzo non sopportava la capitolina, sebbene questa si risultava disponibile e dolce.
- Perché, bella, cosa avresti fatto? Scrivi? - chiese curiosa Sagitta, con una mano sotto al mento.
Triz sorrise:
- Scarico la tensione disegnando. Soprattutto vestiti.
- Oh, allora andrai d’accordo con gli stilisti! - cinguettò l’altra - E a te cosa piace fare Liam?
Interpellato, poteva sembrare scortese restarsene zitto; così il ragazzo sospirò:
- Io... corro.
- Corri?
- Per scaricare l’adrenalina.
- Che tributi! Quest’anno mi sento fortunata, sì, sì!
 

 
CHLOE E JAY - DISTRETTO 10
 
Chloe stava combattendo contro sé stessa. E contro le lacrime. Vedere alla stazione i suoi genitori e sua cugina Emma, abbracciati l’uno all’altra, a sussurrarsi parole di conforto... l’aveva fatta sentire male. Per due volte aveva singhiozzato così forte che aveva sentito lo stimolo del vomito.
Il ragazzo, Jay, notato lo stato pietoso della compagna, si era seduto accanto a lei e le massaggiava la spalla sinistra amorevole. Si conoscevano molto superficialmente, a malapena si parlavano a scuola. Ma adesso...
- Stai meglio? - chiese Jay chinandosi in avanti.
Chloe annuì debole.
- Ci stiamo lasciando tutto là dietro - continuò il ragazzo.
- Sì, dicono tutti così. Poi cercano di tagliare la gola al primo che passa nell’Arena - gorgogliò Chloe.
- Io non sono così.
- Certo! Ora, per esempio, stai pensando che io sia una stupidina piagnucolona! Ma...
- Non è vero! - ribadì Jay sbuffando - Io non giudico mai una persona prima di conoscerla veramente. Io... non sono un assassino, e non ti giudico per quella che appari. Che so... potrebbe esserci un mostro sotto quei capelli dorati.
Chloe si lasciò sfuggire un sorriso.
Anche Jay ricambiò:
- Allora non sei un mostro.
- No. E tu... chi sei?
- Te l’ho detto, non sono un assassino.
- Ma andiamo in un posto dove o uccidi o muori!
- Già, è proprio questo il bello.
Sorrisero entrambi. Chloe si sentiva decisamente protetta in sua presenza. E a Jay faceva piacere poter parlare con qualcuno. Cordialmente.
 

 
ELIZAVETA E MIKE - DISTRETTO 11
 
- Perché il Distretto continuava ad urlare i nostri nomi, prima, in piazza? - chiese innocentemente Mike ad Antilae, la capitolina.
- Perché siete fantastici! - urlò quella per tutta risposta agitando le mani al cielo.
Eliza era seduta accanto a lei. Era il ragazzo a starsene il disparte, dall’altra parte del tavolo. Sembrava non voler socializzare, o forse era solo assorto nei suoi dubbi e nei suoi pensieri. Fu la ragazza ad incoraggiarlo:
- Mike... giusto?
Il quattordicenne annuì impercettibilmente.
- Eliza. Senti... dovremmo... ? - cominciò Eliza prima di essere interrotta dalla capitolina.
- Oh, oh! Alleanze? Piani?! - strillò con gli occhi quasi fuori dalle orbite - Meglio se ne discutete col vostro mentore. Ed è meglio aspettare, quando vedrete gli altri ve ne farete un’idea.
Eliza si ritrasse:
- Hai ragione.
- Ho sempre ragione! - concluse Antilae - Ne ho visti di tributi. Erano come voi, quasi. Nel treno già pensavano di avere il mondo in mano! Poi hanno incontrato i Favoriti e... puf! Solo alla vista di quegli armadi avevano già perso le speranze di uscire vivi dal Bagno di Sangue.
Mike deglutì sonoramente.
- Sì, ma l’unione fa la forza - riprese Elizaveta - Se riuscissimo a...
- E’ troppo presto!
- NO! Meglio essere pronti. Io voglio tornarci a casa!!
L’accompagnatrice la fissò spaventata:
- E cosa intendi... fare? Un gruppo tutto tuo.
- Non ho detto questo! Una specie di...
Mike si intromise:
- Ho capito... e ci sto.
Elizaveta sorrise raggiante. Forse non tutto era perduto.
- Grazie.
 

 
ROSALIE E NICHOLAS - DISTRETTO 12
 
- Guarda quanto cibo! - esclamò Rosalie davanti al tavolo imbandito. Anche il suo compagno si stupì davanti a tutta quella ricchezza, che quasi sussultò solo alla vista.
- Già! - ammise sorridente la capitolina portandosi una mano alla strana pettinatura - Ed è tutto per voi!
Appena pronunciata quell’ultima frase, però, si rese conto che era troppo facile: i ragazzi erano già con le mani immerse nei piatti. Soprattutto lei, visto che comunque lui non aveva mai davvero sofferto la fame.
- Ragazzi. Ragazzi! RAGAZZI! LE MANIERE! O volete che tutta Panem vi riconosca per i ragazzi che mangiano con le mani?! - strillò l’accompagnatrice, come una gallina impazzita, muovendosi prima ad allontanarli dai piatti per poi spingerli lontani dalla carrozza-pranzo.
- Scusami - sussurrò Rosalie, con una mano sulla bocca.
Nicholas ridacchiò mentre cercava di nascondere una macchia di sporco sulla camicia buona:
- Sì, è stato quasi uno scatto.
Scoppiarono a ridere.
- Meglio togliervi queste brutte e rozze abitudini! Si stroncano sul nascere! - urlò la donna battendo un pugno sulla mano minacciosa.
- Dai! Tanto... non saranno certo le buone maniere a tenerci in vita nell’Arena, sai? - continuò lui.
- Qui si parla d’educazione! Volete o no avere sponsor?
I tributi del 12 annuirono.
- Bene, allora... avete bisogno d’un corso accelerato di buone maniere. Povera me! - concluse la capitolina, voltandosi e dirigendosi probabilmente nell’altro vagone, devastato dalla fame e dalla tensione dei ragazzi.
- I miei fratelli - si lasciò sfuggire Rosalie con un sorriso - si sarebbero fatti fuori tutto quel cibo in pochi minuti, sicuramente.
- E tu?
- No, io sono semplice. E so contenermi.
- Già, anch’io. Ne abbiamo dato prova prima, no? - sospirò ridacchiando Nicholas.
- Sì, certo! - concluse Rosalie , sarcastica, ricambiando il sorriso gentile del compagno.
 

 

ANGOLO AUTRICE:
Ecco gli altri dodici. Fatemi sempre sapere cosa ne pensate, e che capitolo vorreste fosse il prossimo!! Arriverà prestissimo!! Anche perchè non vedo l'ora dell'arrivo delle sfilate XD
A presto!! :D

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Capitolo 10
*** Lindi e Pinti ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Lindi e Pinti - Prima Parte

Tutta Capitol City stava impazzendo.
Le Mietiture e la partenza dei treni erano su tutte le televisioni, mandate in onda a ripetizione, senza stacchi. Tutti ne parlavano, e già si poteva sentire nell’aria l’eccitante fermento che precedeva tutti gli anni l’inizio dei Giochi.
Gli sponsor fremevano nel vedere, a pochi metri di distanza, i propri beniamini.
Avrebbero puntato sul più forte, o sul più furbo, sul più attraente... oppure avrebbero semplicemente scelto per simpatia, per incoraggiamento, o per travagliate esperienza passate.
Chissà chi bacerà la sorte...
Tutto per quella sera... una serata tutta per loro.
Ventiquattro stelle. Ventiquattro gioielli.
Ma si sa... i gioielli più preziosi devono essere tenuti bene. E devono dare una buona impressione, a primo impatto.
Ventiquattro tributi.
Ventiquattro stelle.
 

 
SOPHIA - LUSSO
 
La biondina era letteralmente nelle mani dei preparatori.
Soprattutto di quella che sembrava avere le redini di tutto, una capitolina di mezz’età, sicura di sé, con mani svelte e abili, che aiutavano i suoi colleghi abbastanza impacciati ma simpatici. La donna si chiamava Rupalia; i suoi capelli sembravano serpenti... ma, tolto quel particolare, Sophia non la trovava particolarmente brutta, anzi.
La verità era che la ragazza si sentiva imbarazzata, sia per tutte quelle cure e attenzioni... sia per la sfilata imminente di quella sera.
Ma la stilista sembrava avere idee ben chiare:
- Arricciatele ancora di più i capelli: sento che sarà perfetta con mezzi capelli al vento e il resto raccolti con questo fermaglio. Proviamo.
Per fortuna sorrideva, a volte... o le sue frasi potevano sembrare inquietanti.
Sembrava piacerle il suo lavoro, probabilmente.
- Ma... tremi? - chiese dopo qualche minuto fermando le sue operaie, notate le gambe nude della ragazza che nemmeno per un secondo avevano smesso di tremare per l’agitazione.
- No. P-perché? - sussurrò la ragazzina con un filo di voce.
La donna alzò un sopracciglio e accennò un sorrisetto:
- Ne ho visti tanti seduti là, a mangiarsi le unghie. E tu non sei da meno. Hai paura?
Sophia decise di sciogliersi: era pur sempre la sua stilista.
- Non ho paura! Ehm, è che... cosa succederà su quel carro? Capito... non... - mormorò.
Rupalia le rispose dolcemente:
- Oh, sii te stessa e andrà tutto bene, Favorita.
- Sophia. Su quel carro sarò Sophia.
- Una Sophia un po’agitata.
- Spero andrà tutto bene - concluse la ragazza.
Le due si guardarono intensamente negli occhi, in silenzio. Poi la stilista, con un rapido gesto, rimise al lavoro i preparatori e sorridente parlò ancora:
- Finiamo presto. Per il vestito.
 

DIEGO - LUSSO
 
- Sulla tua amichetta stanno già nel pieno dei lavori. Per te... vediamo un po’...
A parlare era stato il suo stilista, Spens. Era un capitolino dalla carnagione tendente al giallo, con strani tatuaggi multicolori sulla faccia. Un vero capitolino, insomma. Con tanto d’accento bizzarro.
Aveva lasciato per tutta la mattinata e il pomeriggio, il tributo, Diego, accerchiato dallo staff di preparatori, ed ora, a qualche ora dalla sfilata, lo squadrava per benino: gli girava attorno, scrutandolo dalla testa ai piedi, peggio di come avrebbe fatto un dottore. Delle volte parlava anche da solo.
Diego, calmo e tranquillo, li aveva tutti lasciati fare. Anzi, tutte quelle “coccole e attenzioni” lo avevano soltanto reso più attraente di prima: un punto a suo favore.
-Alto, di bell’aspetto. Fisico robusto, muscoloso. Ti avevo adocchiato dalla Mietitura. Sapevo che sarei stato il tuo stilista... e avevo già fatto i miei schizzi.
Diego ascoltava a bocca aperta.
Spens smise l’indagine sul corpo del giovane e si sedette, comodo, su una poltroncina bianca davanti a lui:
- Io e la mia collega, ci siamo messi d’accordo. Punteremo su giochi di luce - disse con un enorme sorriso - Pietre preziose, tanti riflessi... e incredibile bellezza e potenza a quanto vedo.
- Più o meno - ridacchiò timido l’altro.
- Ti ho capito subito, dal primo istante: non sei un tipo di molte parole, ma odi aver torto. E... sei un Favorito, no? Sei uno che non si fa mettere alle strette facilmente.
Diego annuì. Quell’uomo era straordinario.
- E alla tua amichetta, probabilmente non piacerà passare inosservata. Abbiamo pensato a tutto noi - continuò lo stilista.
- E cosa dovrei fare io? - chiese il tributo, alzando le spalle.
Anche l’uomo si limitò a copiarlo:
- Quello che vuoi, la scena è tua. Così come lo sarà per l’intervista. Siete il primo carro: dovete inaugurare la serata. Dovete perlomeno suscitare emozioni alle gente, no?
- Sì.
- Allora sei pronto, forza. Fammi vedere come stai!
 

LAVINIA - ARMI
 
- Non ci vengono proposte ragazze come te... non tutti gli anni.
- Già, di solito sono tutte delle pertiche accigliate. Non ci capitano bamboline come lei tutti i giorni.
- Sì, ricordate quella ragazza di tre anni fa? Oddio!
- Era un mostro!
Lavinia era stesa su un lettino, con degli strani prodotti applicati sulla faccia che le impedivano di aprire gli occhi. Nero. E Pettegolezzi.
Era infatti attorniata dallo staff di galline addette alla pulizia del corpo. Tutte a fare strani riferimenti alle imperfezioni della pelle e all’età di Lavinia, che comunque non rimaneva del tutto passiva alla conversazione:
- Sì, ma sarò letale quanto loro - aggiunse, non potendone più del ronzio nelle sue orecchie.
- Ah, non lo mettiamo in dubbio. Favorite e volontarie della tua età sono davvero rare - rispose una.
- Ecco perché sarò la novità - sorrise la bambina.
Le galline scoppiarono a ridere eccitate, forse, all’idea del sangue che da lì a qualche giorno avrebbe bagnato l’Arena.
- Dov’è il mio o la mia stilista? - chiese preoccupata Lavinia, dopo qualche altra ora di interminabile seduta di purificazione. Almeno adesso, poteva tenere gli occhi aperti.
- Il tuo stilista starà parlando con suo fratello per gli ultimi ritocchi sugli abiti - rispose una preparatrice, dalle unghie lunghissime e arcuate come gli artigli di un gatto.
- Suo fratello?-  chiese curiosa la ragazzina.
- Sì, sono due fratelli. Martio di solita si occupa delle ragazze, mentre l’altro, Titus, si prende cura dei maschi - rispose la stessa.
- Ah.

 
BRANDON - ARMI
 
Brandon era seduto davanti allo specchio con i capelli completamente bagnati.
Una donna grassottella, dai lunghi boccoli verdi, stava preparando qualche sorta di crema al suo fianco.
- Perché non mi sento sicuro? - disse con una nota di panico il ragazzo esaminata più da vicino la puzzolente schiuma giallastra che la donna stava mischiando a qualche altro prodotto, altrettanto sgradevole all’olfatto.
- Non ti preoccupare: questa non te la metto mica sulla pelle - lo rassicurò.
- Per fortuna.
La donna rise di gusto:
- Non lamentarti, Brandon. Sarai un figurino. Ora più di prima.
Il ragazzo tornò a fissare il grande specchio illuminato davanti a lui: lo staff lo aveva tirato a lucido, le imperfezioni e le macchie erano sparite. La sua pelle era liscia e morbida, come quella di un neonato. Presto lo avrebbero anche truccato, forse l’unica nota negativa della preparazione.
Come sarebbe uscito fuori da tutto quello?
- Con quel tuo fisico! - continuava sognante la donna - Ti allenavi, là, nel Distretto 2, immagino.
- Sì.
- Infatti si vede. E poi non sei un tipo che passa inosservato. Il tuo stilista, poi...
- Com’è?
- E’ un bravo ragazzo, insieme a suo fratello, da anni, si occupa degli abiti per i tributi del Distretto 2. Non hanno mai deluso un ragazzo!
Eccola.
Si avvicinò a Brandon, con lo strano miscuglio cancerogeno in una scodella, pronto all’utilizzo.
- E non muovere la testa come un pazzo! - si lamentò la capitolina infastidita dai ritmici e ribelli movimenti del capo dell’eccitato ragazzo.
- Voglio vedere il vestito!
- Fermo! O luminosi ti diventeranno altre parti del corpo!!
 

INDIA - TECNOLOGIA
 
- Sei il... mio stilista? - chiese timorosa India quando, nella stanza allora deserta, fece il suo ingresso un ragazzo. Portava dei lunghi capelli rossi legati in un codino, ed era vestito in uno strano smoking lilla.
Sembrava anche abbastanza giovane, per essere uno stilista: forse era stato appena assunto.
- Sì - disse sorridendo ad India, e stringendole amichevolmente la mano - Sono il tuo stilista, il mio nome è Hammil. E tu... devi essere India Eveery. Ho visto la tua Mieitura... le vostre: tua e del tuo compagno. Allora, sei... pronta?
India ricambiò il suo sguardo curiosa:
- Pronta alla sfilata?
- No! No, intendevo pronta a sapere cosa indosserai. Il che è tutto dire!
- Ok.
- Seguimi!
Dalla stanza ch era stata adibita ad ospitare lo staff e il tributo per il trucco, i due si spostarono in una sala più grande. Tre pareti erano state verniciate di uno strano colore verde; la quarta parete era fatta di vetro e dava su Capitol in fermento.
India, con addosso solo un accappatoio, mise da parte l’imbarazzo e aspettò che il ragazzo parlasse:
- Per te ed Essien abbiamo puntato sull’originalità, con un aiutino da parte del tuo distretto, India.
- Ah-ah.
- Sarete sotto gli occhi di tutti... e con le nostre idee, e l’aiuto del sapere, non passerete inosservati!

 
ESSIEN - TECNOLOGIA
 
Bellah, la stilista di Essien, gli girava attorno come una trottola impazzita, con l’enorme parrucca bionda che traballava pericolosamente sulla testa, sempre sul punto di cadere.
Annuiva sorridendo:
- Le nostre previsioni si sono avverate! - esclamò battendo le mani, una volta finiti i giri.
Essien chiese:
- E perché? Ci stavate aspettando o cosa?
- No. Io e il mio collega puntavamo sul diverso, ecco. Guardati: sei esotico! E la tua compagna... bellissima!
- E con ciò?
- Siete molto diversi, ragazzo mio! - disse lei, arruffandogli i corti capelli appena messi a posto dai preparatori - Ma non devi essere il solito damerino tu, eh?
- ... cosa intendevi prima... ?
Bellah sbuffò sonoramente, per poi aprirsi in un gran sorrisone:
- Intendevo dire che siete quasi gli opposti! Tu di carnagione scura, lei bianca. Capelli scuri e chiari. Puntiamo molto sull’immagine, io e il suo stilista, mio collega.
Essien, ancora abbastanza perplesso, mormorò:
- Ed è un bene?
- Sì, Essien. Sei nuovo! Sei anche straniero! Già... forse neanche meriti di stare qui...
-Ma non ha importanza adesso.
La donna si voltò, quasi rattristata. Si era, in effetti, affezionata ad Essien... e ora stava per renderlo una stella: era suo dovere dargli sicurezza e coraggio.
- Ma non è questo che conta: sei qui! Sali su quel carro e mostrati al pubblico. Vi adoreranno!
 

ALEXANDRA E XABER - PESCA
 
Non era mai successo, prima d’allora, che due tributi conoscessero contemporaneamente e insieme i propri stilisti. Ma quell’anno, chissà perché, si era fatta eccezione.
Nella stanza prestabilita all’incontro c’erano due donne, e due tributi... in accappatoio.
Xaber era davanti ad un fredda donna, di poche parole, ma capitolina al 101%: capelli mossi color acquamarina e abito lungo fucsia.
Accanto al tributo, Alexandra, cercava di coprirsi il più possibile con il telo. Era abbastanza imbarazzata e uno sguardo l’avrebbe tradita. Davanti a lei invece c’era una ragazza, vivace e spigliata, di qualche anno in meno dell’altra. Anch’essa capitolina e stilista di Alex, sorrideva ad entrambi e prese subito la parola:
- Salve. Io sono Flatia, tua stilista Alexandra. E lei è Savera, di Xaber. Siamo qui, insieme... perché... ehm...
Savera, che probabilmente aveva tra i denti qualcosa parlò al posto dell’amica, quasi senza battere ciglio ed inespressiva:
- Per rendervi presentabili.
Flatia sussultò:
- Esattamente. Grazie. Qualche volta mi sfuggono le parole di bocca, ahah! Comunque, ha ragione: abbiamo finito i vostri vestiti da tanto tempo. Quando eravate appena saliti sul treno erano già pronti, sapete.
I ragazzi ridacchiarono increduli:
- Wow... davvero? - sussurrò Alexandra.
- Caspita! - esclamò l’altro portandosi una mano al viso, quasi a coprire l’emozione.
Avrebbero avuto un abito che rispecchiava casa, il Distretto 4.
Indossare gliela avrebbe fatta ricordare tremendamente.
- Speriamo vivamente che vi piacciano. Noi li troviamo... - continuò Flatia prima di essere ancora...
- Stupendamente stupendi - finì l’altra capitolina.
- Certo, li hai disegnati tu! Forza provateli!
 

CONNIE - ENERGIA
 
- Sei una bimbetta vitale, Connie? - chiese curiosa una sua preparatrice, Grasy, un capitolina tutto “fumo e niente arrosto”, appena finita la ceretta.
- Perche me lo chiedi? - chiese la bambina tirando un sospiro di sollievo.
- No, così... mi dai di bambina-ribelle. I tuoi capelli rossi...
- Credo di essere... una di quelle tipe che non si fa notare - rispose sinceramente.
Grasy rise:
- E come pensi di farcela? Fatti notare, non hai niente da nascondere!
Connie si mise più composta sulla sedia imbottita e sospirò malinconica:
- Ma vuoi scherzare? Sono un cesso...
- Non dopo le mie sedute. E poi questi sono gli ormoni in subbuglio... in realtà sei dannatamente carina!! Guardati allo specchio! E, fatto il mio lavoro, uscirai da questa stanza che nemmeno ti riconoscerai più. Ma in fondo è anche questo lo spirito dei Giochi?
- Cosa? Cambiare e diventare qualcun altro, così da non riconoscersi quasi più?
- Oh non dire così. Ok, credo d’aver finito con i peli... grazie al cielo!
Altre addette alla sessione di bellezza, entrarono saltellando sui loro tacchi, con strane creme e bottigliette in mano.
- Chiudi gli occhi, Connie! - cinguettò una biondina, che dopo un millisecondo spruzzò sulla pelle della bambina uno strano gas.
- Ahhhhh! Oddio, BRUCIA! - urlò a squarciagola la tredicenne.
- Sì, lo sappiamo, ma serve a prevenire la ricrescita - si giustificò Grasy.
- Cielo, una volta sui più piccoli non si lavorava così tanto! - esclamò la stessa biondina di prima.
 

WILLIAM - ENERGIA
 

- Tu devi essere William, giusto? Piacere, sono il tuo stilista, il mio nome è Skene.
Il ragazzo si sedette, seguendo l’esempio dell’adulto. Ora era decisamente calmo: aveva escogitato nel treno un piano, rendendosi abbastanza iperattivo per far colpo. Non era nel suo stile. E quel posto gli ricordava incredibilmente sua sorella. Perciò...
Non si sentiva molto bene, anche dopo tutti i trattamenti ricevuti dalle mani esperte dei truccatori e preparatori.
- Che c’è? Non parli? Eppure qualche minuto fa ti ho sentito urlare, laggiù - continuò ridacchiando il capitolino.
William si lasciò sfuggire una risata:
- Credo che sia una cosa seria, se mi hanno fatto chiamare per incontrarla.
- Oh, dammi del tu - lo interruppe lui - Non mi piace essere troppo formale. Sei qui solo perché devo mostrarti il tuo abito per la sfilata.
Silenzio.
- Come hai intenzione di comportarti sul carro? - domandò Skene.
- Sarò me stesso. Felice. Iperattivo. Scatenato.
- Scatenato? - ripeté l’uomo contrariato.
- Esatto.
- Fa come desideri. La serata... è anche tua. Ricorda che dare nell’occhio ti procurerà più guai nell’Arena.
- Non m’importa! Allora, dov’è questo vestito? - chiese impaziente il ragazzo.
 

KATHERINE - TRASPORTI
 
- The Horn of Plenty for us all! Yeah!
Katherine continuava ad urlare a squarciagola, con quasi le lacrime agli occhi, l’inno di Panem, davanti ai preparatori, con quasi gli occhi fuori dalle orbite.
- Cantate con me! - li incoraggiò la ragazza.
Anche la stilista era presente nella stanza, anch’essa a bocca spalancata.
Si chiamava Pameline, una capitolina sulla trentina, dai capelli rosa raccolti in un’elegante crocchia. Era anche...
- THE HORN OF PLEEEEE-
- KATHERINE!
- Sì?
Finalmente, ad esibizione canore, bruscamente interrotta dall’urlo poderoso di Pameline, il tributo decise di prestarle ascolto. Tutto lo staff, mormorando lodi al cielo e massaggiandosi le tempie, uscì dalla stanza, lasciando sole le ragazze.
- Sono la tua stilista...
- Sì lo so.
- E tu mi sei stata assegnata.
- Già.
- Ma hai decisamente qualche rotella fuori posto.
- Come darti torto.
- Ecco perché ho deciso di aggiungerne un po’ al tuo vestito
.
 
TOM - TRASPORTI
 
- Tu devi essere il mio stilista, vero? - chiese Tom, all’uomo che entrò nella stanza una specie di sacco in mano.
- Sì, Tom. Piacere, Bice.
- Piacere.
Educatamente Tom, seguì lo stilista fino ad un piccolo salotto. Il piccolo, appena uscito da un’ardua sessione per estirpare anche l’ultimo pelo corporeo che nemmeno era cresciuto.
Dopotutto, Tom non aveva nemmeno undici anni.
Sebbene lo staff di preparatori, aveva notato la totale assenza di barba o brufoli, non si era espressa a riguardo. Si erano, più che altro, occupati a nascondere le sue lentiggini... cosa praticamente impossibile.
- Sono qui per- - cominciò l’uomo sorridente quando...
- THE HORN OF PLENTY FOR US ALL!
La stanza fu pervasa da un imbarazzante silenzio.
- E’ Katherine, la mia compagna - disse Tom ridacchiando. Quella ragazza, anche se più fuori di un balcone, gli stava davvero simpatica. Era impossibile non volerle bene.
- Ah... ok - sussurrò spaventato Bice - per fortuna che ho te. Ho il tuo abito.
- Davvero?!
- Sì. Tu e... la tua amichetta cantante, sarete bellissimi!
 


NOTE AUTRICE:
Come sempre ecco i primi 12 ;)
Domani, si spera, mattina il resto.
Allora, per evitare disguidi e discussioni, ricordo: se qualcosa non va col vostro tributo ditemelo il prima possibile, altrimenti è un casino!
Ok, alla prossima! :)

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Capitolo 11
*** Lindi e Pinti (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Lindi e Pinti - Seconda Parte



JOY - BOSCHI
 
Joy, seduta sulla sedia da cui non si era nemmeno mossa per quasi tre ore, ad occhi chiusi, si stava facendo toccare e ritoccare i capelli dal suo staff di preparatori. Anche la sua stilista era presente, nella stessa stanza, e osservava in silenzio.
Si era appena presentata: si chiamava Parrys, una capitolina abbastanza giovane e spigliata. La solita. Con capelli di strane tinte e abito esageratamente provocatorio... ma forse alla moda per gli standard di Capitol City.
- I capelli... oh, che bei capelli che hai, Joy - esclamò una donnetta - Asciughiamoli subito. Metti il dito qua!
Joy schiuse le palpebre, quasi accecata dalla luce dello specchio davanti a sé.
La capitolina che aveva parlato si trovava alla sua destra, con uno strano aggeggio munito di una strana apertura... collegato alla corrente.
- Avanti, mettici il dito! Non abbiamo tutta la serata! - intimò Parrys, battendo impaziente un piede a terra. Evidentemente, erano anche abbastanza in ritardo.
In verità, Joy non aveva nessuna intenzione di rimanerci folgorata, ma cos’altro poteva fare?
E poi insistevano tanto!
Infilò cauta l’indice nello strano apparecchio e... puff!
I capelli erano lisci e asciutti.
- Wow... - si lasciò sfuggire la ragazza - Posso rifarlo?
- Sì, se vuoi morire bruciata! - disse sarcastica la stilista, aiutandola a mettersi in piedi e a raggiungere la sala dove il suo vestito la stava aspettando.
- Poi torna subito qua, non abbiamo finito il trucco! - esclamò la donnetta.
- Questa città è strana... ma forte! - sussurrò la Joy passandosi una mano sui lunghi capelli ancora caldi.
 

MARKUS - BOSCHI
 
Markus era decisamente a posto. Lo staff era intervenuto per tutto il pomeriggio, mancava davvero poco all’inizio della sfilata. Tutti quanti, tributi compresi, percepivano questa frenesia degli ultimi minuti.
E volte risultava essere anche troppa.
La stilista di Markus, Birdie, lo aveva un attimo preso in disparte, strappandolo dalle mani dei truccatori.
- Cosa succede? - chiese Markus dopo le presentazioni.
- Niente. Sono qui, per parlarti dell’abito per la tua sfilata - ammise dolcemente la capitolina.
- Ok. Qualcosa non va?
- Tu, piuttosto. Cos’è un interrogatorio?
- No, sono solo curioso - disse sorridendo timidamente lui.
- Lo immagino. Dev’essere un nuovo mondo, questo?
Markus abbassò lo sguardo:
- In effetti... casa... cielo, non avrei mai pensato di dirlo... ma è tutto così diverso qui! Tutte queste attenzioni, queste cure... gli Hunger Games sono anche questo, e lo so. Non avrei mai pensato di dirlo... ma... casa mi manca. Almeno un po’.
Per tutto quel tempo, Birdie non aveva fatto altro che ascoltare, annuendo comprensiva e dispiaciuta.
Seguirono, poi, interminabili ma pochi minuti di silenzio tombale, rotto solo dal brusio in sottofondo delle strade di Capitol.
- Allora - cominciò con voce bassa e roca la donna - Credo... che dopotutto ti farà piacere indossare... qualcosa che rispecchi casa tua. Quello che ho per te e la tua compagna è un qualcosa di semplice, ma d’impatto.
Markus annuì.
Forse pensare a casa gli avrebbe procurato un po’ di dolore. Ma affrontando quei pensieri malinconici, in quella sfilata, e dare uno sguardo a quello che la città aveva da offrire a giovani tributi... forse il pensiero doloroso di parenti e amici a casa, che rimangono incollati allo schermo... sarebbe stato più sopportabile.
Forse...
 

MEZZANOTTE - TESSUTI
 
Lo staff era letteralmente in lacrime.
La storia dei tributi dell'8 li aveva profondamente colpiti. Soprattutto le signore capitoline si erano affezionate a quella ragazzina da capelli tendenti al blu, che alla partenza del treno aveva confessato il suo amore: Mezzanotte.
Ogni cinque minuti, infatti, le preparatrici si erano dovute fermare a versare qualche lacrima sui loro fazzoletti, per non rovinarsi il trucco... e per non allagare la stanza.
Se prima Nott ci aveva quasi riso sopra e aveva gentilmente risposto a tutte quelle capitoline che non facevano altro che chiedere dettagli su dettagli, ora si era davvero scocciata. Ci avevano messo quasi tre ore solo per la ceretta alla gambe, e non potevano continuare così.
Così, la ragazza decise di intrattenere le donne al lavoro, con storie divertenti e struggenti su Ray.
Proprio quello che volevano. Per fortuna, i trattamenti, di questo passo, sembrarono perlomeno accelerare.
- Quando vi ho visti... perché lo sapevo che avrei avuto te come tributo, Nott, mi sono davvero commossa. Il vostro è un amore puro. Anche se la dichiarazione è stata davvero in un momento tragico, direi.
Un uomo era entrato nella stanza. Tutti si voltarono a guardarlo.
Doveva essere originario di Capitol: capelli nerissimi e ricci... quasi innaturalmente ricci! E l’accento... sì, era di Capitol City.
- Sono Velax, il tuo stilista.
- Piacere - rispose educata Nott, stringendogli la mano.
Lo stilista esaminò il visino della ragazza, per poi ordinare allo staff:
- Ancora di più, più bianco. Più fondotinta e... occhiaie. Voglio giochi di ombre stratosferici, non deludetemi! Puntatemi i suoi occhioni!
Una di quelle rispose:
- Aspiravamo ad un trucco più infantile. Ma come dici tu sembrerà... ! - per poi essere interrotta sempre da lui.
- E’ quello che voglio. Il pubblico ha visto la dolce e innamorata Mezzanotte. Noi mostreremo l’altro lato: una nuova Nott.
 

FELIX - TESSUTI
 
- Felix, questo non ti piacerà - disse una capitolina addetta al trucco.
Il ragazzino assunse un aria afflitta:
- E’ arrivato il momento? Dei... trucchi?
- Dai, non essere così! Solo perché sei un ragazzo non significa che tu non debba truccarti... almeno un pochino, per non rovinare la pelle. Ma senza... NO!
- Ma questo... porterà a qualcosa di... ?
- Epico? Sì. Col tuo stilista, poi! Lui e il suo collega non lasciano mai niente al caso. Credo che il vostro carro sarà uno dei più belli.
- Lo spero.
La seduta di trucco durò più del previsto: come per Mezzanotte, la capitoline ci andarono giù col fonodtinta bianco... rendendo il povero bambino più morto che vivo.
Con strani prodotti e spray resero la pelle liscissima, quasi scivolosa ma profumatissima.
I capelli furono dolcemente arruffati.
Altre truccatrici, invece, si spostarono sugli occhi, quasi ingrandendoli con strane matite nere.
Resero, poi, quasi l’idea della fama, scavando con blush dai colori cupi le guance e creando delle tenebrose e inquietanti occhiaie marcate.
Per quanto macabro e tetro potesse sembrare il trucco... lo staff era entusiasta:
- Vi ameranno! Gli stilisti vogliono mettere in risalto il vostro lato nascosto!
Felix sbuffò guardandosi allo specchio: sembrava uno zombie.
- Secondo me si schiferanno fissandoci! - dichiarò sconsolato.
- Aspetta di vedere il vestito!

 
BEATRIZ - FRUMENTO
 
- Adoro i tuoi capelli.
Fu la prima frase che accolse Beatriz nella saletta dove la sua stilista la stava aspettando.
La ragazza sorrise, timida:
- Ehm... grazie.
- Mi chiamo Demitia, tu sei Beatriz - continuò la stilista.
Portava un corto vestitino, porpora, e in testa sembrava avere strani fiorellini fosforescenti. Strani.
- Allora... emozionata per la sfilata? - chiese la donna.
- Emozionata è dir poco, forse - mormorò sorridente Beatriz; quella capitolina sembrava infondere un po’di fiducia e speranza.
- Sarà la serata dei tributi, la città non parlerà altro che di voi! E continuerà a farlo. Meglio lasciare il segno, no?
Beatriz annuì.
- Distretto 9. Grano. Dev’esserci davvero tanto sole là...
- Perché? A Capitol City non sorge il sole, come nel resto del mondo? - chiese curiosa il tributo.
- Sì - ridacchiò Demitia - Noi stilisti non abbiamo molto tempo da passare all’aria aperta, in ogni caso. Però con tutti questi palazzi... voi riuscite a vedere il cielo. Ogni giorno. Hai idea di che bella sensazione sia?
Sole.
Vento.
Il frumento che ondeggia e brilla d’oro.
- Sì... bellissimo - sussurrò Triz.
- E’ quello che vogliamo trasmettere a questa gente. Questa sera brilleranno tante stelle, ma tu... e Liam... sarete una cosa sola: il sole!

 
LIAM - FRUMENTO
 
- Che bel giovanotto!
- Puoi dirlo!
- E che begli occhioni!
- Non lo trovate un bambolotto!
Per tutta la mattinata, fino al tardo pomeriggio, il povero Liam era stato accerchiato da una schiera di preparatrici incallite, pettegole e completamente fuori di testa: non facevano che fare complimenti, a congratularsi, ad augurare buona fortuna... quasi dimenticandosi che quello era il giorno delle sfilate! E se Liam non era pronto per il tramonto sarebbero stati guai amari.
In più, il suo stilista Avaris, un ometto mingherlino, capitolino fino al collo, era un imbranato di prima categoria: aveva mandato in frantumi una ciotola piena di un composto idratante per la pelle, e all’inizio stava per recidere il collo del poveretto col rasoio poggiato sul lavandino.
Era una situazione abbastanza comica, anche perché evidentemente Avaris aveva qualche problema di vista: al momento di mostrare il vestito a Liam aveva, accidentalmente, scambiato quello maschile con quello di Beatriz... creando una confusione inimmaginabile.
- Ma siete tutti così da queste parti? - sussurrò divertito Liam allo staff intento a creare un’altra spuma per i capelli, visto che la precedente era “misteriosamente” andata in frantumi.
- No, solo quando ci siete voi, ragazzo - ammise mesta una donna.
Forse era davvero dispiaciuta.
Ma in quel momento, davvero, restare tristi era impossibile.
 

CHLOE - ALLEVAMENTO
 
La stilista di Chloe, Briaria, era una donna robusta, biondissima, con gli occhi rosa. Già. E facevano anche abbastanza impressione, sembrava di fissare una bambola.
- Mi hai colpita molto, Chloe.
- Davvero? - chiese stupita la ragazza - Non sono niente di speciale.
- Affatto! Sei te stessa, e molti arrivati dove sei tu... non riescono ad esserlo. Questo può farti onore.
- Intendi... il treno?
La capitolina abbassò lo sguardo. Era un sì.
La ragazza scattò in piedi, furiosa con sé stessa:
- LO SAPEVO! Mi sono mostrata debole davanti a tutta Panem! Sono stata una stupida!
- Calmati: sei stata te stessa. Il Paese ti ha conosciuto per quello che sei. Una ragazza. Una bella ragazza.
- Mi sono condannata a morte da sola! - strillò Chloe.
- No. E noi siamo qui per aiutarti. Pensi che ad uno stilista, ad un mentore, o ad un accompagnatore, faccia piacere veder morire il ragazzo o la ragazza con cui hanno instaurato un rapporto? Anche noi siamo stati devastati, ad ogni morte, soprattutto quella dei nostri ragazzi! Ecco perché ogni anno ci ingegniamo, pensiamo a un modo per farvi tornare a casa. Noi facciamo di tutto per voi!
Aveva colto il punto.
Chloe si abbassò, a sedersi ancora, calma e composta, come se niente fosse successo. Timorosa, alzò lo sguardo ad incrociare gli occhi innaturali di quella stilista.
Non reagì male: sorrise nuovamente alla ragazzina e disse dolce:
- Vediamo come ti sta il vestito.

 
JAY - ALLEVAMENTO
 
- Ti piacciono gli animali? - chiese Dullick, un membro dello staff di preparatori, intento ad applicare uno strano unguento alle gambe di Jay, steso su un lettino.
- Altroché , li adoro! - rispose entusiasta il ragazzo, anche se in quel momento avrebbe tanto voluto urlare per il sollievo: estirpare i peli, all’inizio, non sembrava una cosa così dolorosa!
Parlare di casa e di argomenti familiari e allegri non poteva fare altro che farlo sentire meglio.
- Anche io - disse il capitolino - Avevo un barboncino gigante una volta. Era morbido e coccolone. Ma da quando ho deciso di tingergli il pelo color carota non è più stata la stessa, il mio cucciolo.
Jay sussultò lievemente, ma pensandoci doveva essere una cosa alquanto normale per i capitolini... tingere il cane di assurdi colori. Di certo un arancio non doveva attirare molti sguardi indiscreti, col tono di voce che usava l’uomo.
- E tu, cosa avevi in casa? - disse Dullick curioso.
Jay ridacchiò:
- Un cane ed un gatto. Bhè, il gatto, Sunset, è di mia sorella.
- Ah, sì, sì. L’ho vista alla tua Mietitura. Poveretta...
- Il cane è mio, invece. Carol.
- Di che razza è?
- Meticcio.
- Eh?
- Meticcio!!
L’uomo alzò lo sguardo, preoccupato:
- Mai sentito. E cosa sarebbe un ibrido?
Jay scoppiò a ridere. Questa gente era strana. Strana davvero.
 

ELIZA E MIKE - AGRICOLTURA
 
Così com’era successo per Alexandra e Xaber, del Distretto 4, anche i tributi dell’11 si trovavano insieme, davanti però ad un’unica stilista. La ragazza sembrava davvero giovanissima, ma se era arrivata fino lì, aveva sicuramente talento!
- Piacere - si presentò facendo accomodare i ragazzi - Mi chiamo Katri, sono la vostra stilista.
- Vostra? - ripeté perplesso Mike.
La capitolina annuì:
- Sembra che proprio il tuo, Mike, sia stato licenziato... ieri sera. E le nostre creazioni sono state distrutte.
Elizaveta si lasciò sfuggire un gridolino:
- Non andremo girando nudi, vero?
- Certo che no! - aggiunse l’altro - Spero.
Katri sorrise:
- E credete che vi avremmo lasciati così? No, no! Mi sono messa d’impegno, ho cercato di recuperare vecchi bozzetti... e ho realizzato i vostri abiti con i miei aiutanti questa notte.
I ragazzi rimasero a bocca aperta. Quella capitolina sapeva il fatto suo!
- Sapete... il mio collega era il genio della situazione. Io mi occupavo solo di piccoli dettagli... ma ci sono riuscita credo. E’ un progetto su cui abbiamo lavorato dall’Edizione precedente. Credo che lascerete tutti a bocca aperta con questi abiti - annunciò, senza mai perdere il sorriso.
Eliza rimase affascinata: era una donna decisa, forse diversa dalle altre capitoline.
- Non mi aspettavo... cioè - balbettò Eliza fissando la loro salvatrice, la loro stilista - Pensavo che arrivata qua avrei solo incontrato gente un tantino spocchiosa... con la puzza sotto il naso. Ma tu non sei così!
Mike annuì.
- Sarà... che stare a contatto con i Distretti... si cambia un pochino! - ammise Katri - Ma ora basta, chiacchiere! Vi mostro come funzionano i vostri vestiti!
- Funzionano? Cosa... ?- ripeté Mike.
- Se il vostro Distretto vi ha adorato prima... adesso, state certi, che anche Capitol City avrà occhi solo per voi - concluse la stilista.
 

ROSALIE - MINIERE
 
- Saremo orribili - disse sconsolata la ragazza mentre lo staff legava i suoi lunghi capelli biondi in due graziose tracce e posizionando pietroline preziose sul capo.
- No, perché dici così? - esclamò Laesly, la stilista del tributo, guardandola addolorata.
Era una capitolina di mezz’età che aveva probabilmente passato tutta la sua carriera a vestire e preparare le ragazze del Distretto 12. Eppure, non sembrava dispiaciuta del Distretto che le era stato assegnato.
Forse ci si era anche affezionata un po’.
Laesly aveva supervisionato tutto il lavoro dello staff, dando consigli e aiutini, e a volte appuntandosi qualcosa su un’agendina. Aveva anche discusso con Rosalie, della sua vita, della Mietitura... dei suoi fratelli.
La donna era rimasta colpita dalla determinazione della ragazza; ed era una cosa positiva: deprimersi solo per la provenienza non era certo il caso.
Ma ora... i dubbi iniziavano ad affiorare.
- Perché, almeno io, lo sono. Nicholas si salva... - borbottò Rosalie, imbronciata.
Tutti i truccatori e preparatori sospirarono rumorosamente.
Fu la stilista ad aprir bocca:
- Scherzi? Ma ti sei vista? Sei bellissima!
- Certo! E lo sarò anche con una tuta da minatore addosso! - esclamò sarcastica lei.
- Esattamente - riprese la capitolina - E poi non credere che non abbia aggiunto nemmeno un ritocchino. Ti renderemo graziosa e carina, anche con quella divisa. Che poi... col tuo amichetto...
Rosalie si accigliò:
- Cosa vuoi dire?
- Niente, niente...

 
NICHOLAS - MINIERE
 
Le capitoline avevano fatto quasi a botte, davanti al povero Nicholas, in attesa dell’arrivo del suo stilista.
Le donne, con parrucche variopinte e strani vestiti, avrebbero dato tutto quello che avevano, in quel momento, per poter coccolare ancora un po’ il giovane tributo.
Il ragazzo, per tutto il pomeriggio, era stato trattato come un bambolotto nelle mani di quelle strane tipe.
- Se pensavo che quelle del mio Distretto fossero insopportabili... queste galline sono anche peggio. E sono anche più grandi... - si ritrovò esasperato a sussurrare.
Aveva una tipetta tarchiata e grassottella che si occupava di aggiungere colpi di sole rossi sui suoi capelli biondissimi, un’altra che gli continuava a limare le unghie fino al sangue, una spilungona dalla faccia quasi aliena che si occupava del trucco...
Per fortuna lo stilista era un uomo.
- Ti hanno strapazzato per bene? - chiese il capitolino sorridendo, una volta incontrato Nick.
- Un bel po’, sono contento che sia finita - sospirò lui.
- Non temere: le rivedrai presto, per l’intervista!
Nicholas tornò a rabbuiarsi:
- Accidenti! - disse piano.
L’uomo rise. Dopo le presentazioni, chiese:
- Sai perché ti ho chiamato?
- Per rifilarmi quello stupido abito da minatore?
- Più o meno. Non abbiamo alcuna intenzioni di lasciarvi solo con quella strana tuta addosso. Io e la mia collega abbiamo deciso di... ma perché non vai a vederlo tu stesso?
Il ragazzo prese a muoversi verso un fagotto di tessuti, poco lontano da loro, poggiato su una sedia.
 

- Ricorda: il mondo starà a guardare!
 

 
NOTE AUTRICE:
Ecco i preparativi! Come promesso, presto presto! XD
Il prossimo capitolo sarà decisivo: le sfilate! *_*
Tutti conosceranno tutti... mentori e tributi.
Il meccanismo degli sponsor, quindi, vi verrà spiegato la prossima volta ;)
Vi ringrazio tutti, ragazzi! Senza di voi non avrei combinato niente! Siete grandi! :D
Alla prossima!!

 


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Capitolo 12
*** La Notte Più Luminosa ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
La Notte Più Luminosa

 
Oh Cornucopia!
Una Cornucopia sol per noi!
Ma se il pianto si alzerà,
L’audace alla chiamata risponderà!
E noi non vacillerem!
Una Cornucopia sol per noi!
 

Oh Cornucopia!
Oh, Cornucopia traboccante!
Ma se il pianto si alzerà,
L’audace alla chiamata risponderà!
E noi non vacillerem!
 

Oh Cornucopia!
Una Cornucopia sol per noi!
Oh, Capitol,
Tu, splendido diamante, brilli
Sul tributo per quei
Giorni Bui passati ormai!
Una Cornucopia sol per noi!

 
 
Caesar Flickerman e Claudius Templesmith si erano appena avvicinati alle loro postazioni, abbandonati dalle agitate capitoline munite di trucchi e consigli dell’ultimo secondo, quando l’intera Capitol City tremò, sotto le urla e le voci della gente.
Era uno dei più bei momenti dell’anno per i capitolini: presto i tributi sarebbero sfilati davanti a loro, bellissimi e fantastici, come stelle. Loro avevano, quasi, in mano la loro sorte. Gli sponsor e tutti quelli con qualche bel gruzzoletto da scommettere erano tra le prime file, accanto all’imponente Centro d’Addestramento, dove i ragazzi sarebbero stati istruiti in vista dell’inizio degli Hunger Games.
Era la loro notte.
Una notte dove un sorriso, un cenno del capo, un bacio poteva decidere tutto.
Vita e morte. Casa o bara.
Ma in quel momento a nessuno importava veramente: solo la parata dei carri avrebbe allietato le frementi anime, che con parrucche stratosferiche ed unghie simili ad artigli, si facevano spazio nello spazioso Anfiteatro cittadino, intimavano il silenzio o parlottavano emozionati.
Ora iniziavano i Pre-Hunger Games, dove tutto faceva la differenza.
 
Ed ecco.
 
Gli altoparlanti emisero un lungo rumore stridulo.
Tutto era pronto.
Il boato divenne ancora più forte di prima.
 
- Buonasera! Buonasera, signore e signori! - gridò al microfono Caesar rivolto all’intera Panem, quell’anno vestito d’arancione, con capelli in tinta. Il suo collega, Claudius, si limitava semplicemente a ridacchiare e a osservare curiosa i concittadini.
- Pronti? Pronti all’arrivo dei nostri magnifici tributi per questi quarantunesimi Hunger Games? - continuò il presentatore.
Il pubblico esplose.
- Benissimo! Allora... rifatevi gli occhi! Sarà uno spettacolo elettrizzante! Che entrino i ventiquattro tributi! Ahahahah!

 
Le grandi porte metalliche si aprirono.
L’inno di Panem risuonò dappertutto e i presenti, tutti in punta di piedi o con strani monocoli, aspettavano.
Eccoli!
 
Eccoli!
 
Il primo carro aprì la serata in bellezza.
Trainato da splendidi cavalli neri come la pece, fece il suo trionfale ingresso, accolto da una continua invocazione di nomi e nomi. I loro.
Sophia era semplicemente stupenda, anche se parecchio emozionata. Non salutava, ma sorrideva timorosa. I suoi capelli color dell’oro erano stati in parte raccolti in una elegante ed aggraziata pettinatura... ma era il vestito la cosa più bella e spettacolare di tutte: una specie ti tuta aderentissima e molto scollata sul petto, completamente nera, ma piena di giganteschi diamanti e pietre preziose, che non smettevano un attimo di brillare, alla luce della piazza. In più portava sulle spalle, un lungo mantello fluttuante, composto da fili intrecciati a perline di vetro.
Applausi, grida, urla... era il caos più totale.
Anche Diego giocò a meraviglia la sua parte, trascinandosi parecchi cuori di donne e ragazze, che ambivano solo ad un suo sguardo.
Il ragazzo rimaneva impassibile, con lo sguardo puntato verso il Centro. La mente era altrove...
I capelli erano spettinatissimi e laccati da paura. Come Sophia, anche lui portava un abito completamente nero, pieno di fulgidi rubini, diamanti e smeraldi. La tuta, sempre aderente, però, nel suo caso, era aperta sul petto, lasciandolo scoperto, mettendo bene in vista i muscoli: un bello spettacolo davvero.
Anche lui portava il mantello intrecciato.
Sophia, forse anche per paura di cadere dal carro aveva insistito che Diego le tenesse la mano, o come minimo il braccio, cosa che all’inizio si era categoricamente rifiutato di fare... invece ora le teneva a malincuore la mano, senza guardarla però, e senza sorriderle.
Le capitoline erano ai suoi piedi.
 
- Ahhhh - esclamò Caesar sfregandosi le mani - Ma che belli! Cioè... dico, potevamo iniziare la serata in maniera così bella, secondo voi? Ma guardateli! Fantastici, fieri! Dei tributi che guardano in faccia la realtà!
Claudius intervenne:
- Credo si riveleranno avversari validi!
- Giusto, giusto! Bene!

 
La piccola Lavinia e Brandon fecero il loro ingresso, accolti calorosamente, quanto i loro compagni.
La ragazzina sprizzava felicità da tutti i pori: dopotutto era sempre stato il suo sogno poter salire su quel carro, davanti alle telecamere, e mostrare la propria forza e la propria determinazione. E lei ne aveva da vendere, anche se piccola in confronto alle altre favorite prima di lei.
Sorrideva e salutava con la mano, cercando di colpire nel suo stupendo completo: portava una leggera gonnellina di pelle, tendente al giallo ocra, con un corpetto in tinta sfrangiato che le arrivava appena sopra l’ombelico. Strani tatuaggi neri le coprivano le braccia, come di strani nastrini di pelle e perle. Una piuma bianca primeggiava sui lunghi capelli rossi.
Al suo fianco, Brandon, sfoggiava sorrisini furbi, rivolti al pubblico e occasionalmente ammiccava o alzava la mano per salutare. Come Lavinia, portava vestiti in pelle, pantaloni lunghi, gialli e sfrangiati. Portava anche lui delle piume, incastrate alla perfezione dallo staff nei suoi capelli ribelli.
Erano due perfetti indiani.
Adorabili ma terribili, sotto quei sorrisi e quei saluti.
Gli occhi erano puntati su di loro.
 
- Questi mi piacciono, Ceasar! Spettacolari! - disse Claudius, senza smettere di ridacchiare-
- Puoi dirlo! E il pubblico sembra sia d’accordo! Che belli!
- Già! L’uso di questi... quasi, costumi antichi.
- Le origini! Guerrieri! Mi piace!

 
Poi fu la volta del carro di India ed Essien.
Stupendi e meravigliosi, come gli altri, catturarono la curiosità delle persone.
La dolce India, salutava spensierata, con un mezzo sorrisetto, ogni capitolino o capitolina si trovasse sotto gli occhi, magari urlante per un bacio o un cenno di saluto. Li mandò in delirio, poi, anche col vestito che portava, graziosa e “luminosa”: sì, era vestita di lampadine, che emettevano una luce non troppo abbagliante. ma che comunque conferivano un aspetto quasi angelico o ultraterreno alla ragazza. I suoi capelli mossi erano stati elegantemente raccolti con quelli che sembravano veri cavi elettrici.
Essie, suo compagno, le stingeva amichevolmente la mano, e con l’altra mandava saluti brevi e decisi, senza l’ombra di un sorriso. Il suo staff si era dato da fare per esaltare le sue origini quasi esotiche: gli occhi, ad esempio, gli erano stati quasi allungati grazie al sapiente trucco, conferendogli un misto di mistero e bellezza. La pelle e i capelli, entrambi scuri, rifulgevano alla luce del vestito di India. Il ragazzo, invece, vestiva di quello che sembrava un semplicissimo smoking blu... che, all’attivazione di un bottoncino, mutava il suo colore penetrante in un susseguirsi di immagini... come se indossasse una specie di televisione “mimetizzata” dagli stilisti. Ed ecco, quindi, comparire sul corpo di Essien fotografie, colorate e vivide, quasi reali... di casa... del Distretto 3. Lui ci aveva fatto l’abitudine, ed ora non sobbalzava più, ogni volta che le immagini prendevano a mutarsi... ma il pubblico era in visibilio.
 
- Wow! Caesar, hai visto!? Dico, hai visto?! - urlò Claudius, mettendosi dritto sulla sedia, affascinato dal ragazzo.
- Ho visto, sì, eccome! Come si fa a non notare una cosa del genere!? - rispose il maestro di cerimonie - E guardate che successo! E... anche lei... mi piace, mi piace!
- Sì.
- Questi ragazzi promettono bene! Come si fa... ogni anno, a ricreare sempre lo stesso spirito?
 

Distretto 4.
Il carro fu accolto da un grande urlo di gioia: eccoli, Xaber ed Alexandra, piccoli piccoli, in confronto alla grandiosità della Capitale e alla folla festante.
Il reality era solito svolgersi verso luglio, per loro fortuna... visto che i due ragazzi era più svestiti che coperti.
Il piccolo Xaber, sorrideva anche se un po’ emozionato, a forse uno dei suoi futuri sponsor, magari là, nascosto tra la gente. E lui, solo grazie a quei capitolini e alla buona sorte, sarebbe stato in grado di uscire vivo da quell’Arena, che paziente e spietata, stava solo attendendo di inghiottire i ventiquattro tributi.
Ma c’era ancora tempo per quello...
Il bambino aveva il petto coperto solo da una rete da pesca, creata però con fili d’oro. I pettorali, anche se non troppo scolpiti, avevano già catturato gli sguardi di molte ragazzine, quando Xaber alzò la sinistra che reggeva uno splendente tridente dorato. Classico, ma d’effetto. Dei pantaloncini azzurri, larghi ma fatti di qualche strana fibra capitolina, fluttuante, davano quasi l’impressione che fossero fatti d’acqua... cosa quasi impossibile da immaginare, ma bella a vedersi. I capelli erano circondati da una coroncina d’alghe.
Alexandra, alla sua destra, gli teneva affettuosamente la spalla... un po’perché si era affezionata a quel ragazzino, un po’ perché pensava che senza un supporto sarebbe cascata giù dal carro, magari sfracellandosi al suolo. Ma per ora... andava tutto liscio.
Bella e fulgida, come Xaber, portava vestiti fatti della stessa strana materia simile all’acqua, ma verdi. Come una perfetta ninfa, il petto era leggermente coperto da un sottile ma  coprente telo acquamarina, e la parte inferiore era coperta da una specie di gonna, che terminava con begli arricciamenti e... sembrava una creatura divina; lo sembravano entrambi, appena usciti dal più bel libro di favole del Distretto 4. I lunghi capelli biondi erano rimasti sciolti e liberi, sormontati solo da un grazioso diadema.
Lei, imbarazzata forse dall’estrema vita bassa della gonna, non salutava, ma si limitava a sorridere tremante. Con la mano destra, invece, teneva stretta la spalla del compagno. Sarebbe stato un bellissimo momento... se non stessero andando a morire.
 
- Ohhhh! Fantastici! - disse Caesar - Non ti sembra di sentire l’odore del mare, solo a guardarli?
Claudius rise goffamente:
- Tema abbastanza ricorrente per il distretto della pesca... ma quest’anno mi sono piaciuti. Tutti e due.
- Chissà... siamo ancora all’inizio... quante altre bellezza ci riserverà quest’edizione?
- E quante sorprese?
- Eheheheh!

 
Arrivarono i cavalli neri, trainandosi dietro il carro del Distretto 5 e i suoi due occupanti: Connie e William.
Come aveva promesso al suo stilista, il ragazzo era al settimo cielo... comportarsi così, nel treno, era stato uno sbaglio, ma adesso avrebbe mostrato a Panem chi era veramente.
Salutava allegramente la folla in tumulto, ammiccando e sorridendo spensierato. Delle volte agitava il pugno in aria e urlava incitamenti. La gente sembrava entusiasta di quel temperamento ribelle e spensierato.
William era vestito di un completo nero, in pelle, pieno di borchie argentate e strani oggettini taglienti, ma ben posizionati, sul petto, che si muovevano da soli, girando e vorticando, che producevano piccole scariche d’elettricità... o era tutta finzione? Comunque, zampilli di pioggia dorata venivano fuori da quelle metalliche protuberanze del vestito.
Anche la piccola e indifesa Connie si guadagnò l’attenzione del pubblico... e non solo.
La ragazzina, aveva avuto lo sguardo spento ma deciso per tutto il tempo, guardando davanti a sé con strana sicurezza... la classica ragazzina che... non ama essere sempre al centro dell’attenzione... e aveva notato che, davanti a lei, sul carro del Distretto 4, il ragazzo, Xaber, spesso si voltava, anche per nemmeno un secondo, a guardarla.
Eppure, il suo abito non era niente di speciale: come il compagno, l’abito era completamente in pelle, nero, con strane borchie e zampilli di luci e suoni, il miglior modo per rappresentare il Distretto dell’energia. Quindi quel ragazzino non aveva avuto mica occhi per il suo semplice vestito... che stesse cercando di attirare la sua attenzione? O guardarla negli occhi? I suoi capelli rossi non erano intrecciati in nessuna particolare acconciatura... quindi... a cosa... ?
Ecco a cosa aveva pensato Connie... tutto era ovattato attorno a lei... la folla sembrava sparita.
E rimaneva quello strano ragazzino...
 
- Spettacolare!
- Sì, Claudius. Quel ragazzo sprizza energia da tutti i pori.
- scommetto si rivelerà prontissimo all’Arena...
- Già... anche la piccina non è male! Queste Mietiture non potevano andare meglio, non credi?

 
Ed ecco, varcare le soglie delle pesanti porte metalliche, il sesto carro della serata, il carro del Distretto 6.
Katherine e il piccolo Tom.
La giovane aveva avuto un piccolo attacco di panico, prima d’entrare in scena, ma ora stava bene: raggiante e sorridente, salutava la gente e mandava dolci baci volanti rivolti a nessuno in particolare. I suoi capelli scuri erano raccolti elegantemente dietro la testa, con un grande fermaglio d’argento a forma di fiore a fermarli. Delicato ombretto rosa e rossetto in tinta avevano reso il suo volto più dolce e innocente di prima. Indossava un corto vestito, fatto di fili argentei intrecciati fra loro e uniti da cerchi giganteschi, multicolori, eleganti ma appariscenti.
Il pubblico già la conosceva, si erano affezionati tutti alla sua storia... e al suo strano carattere, che però in quell’occasione aveva deciso di non mettere troppo in mostra. Ma comunque la gente urlava il suo nome e alzava le braccia nella sua direzione, quasi a sperare di essere sfiorati da quel tributo.
Anche Tom portava un abito quasi identico: la camicia, semplice ma elegante, con grandi bottoni, di pro argento, era completamente rivestita di quelli che sembravano ingranaggi metallici veri e da cerchi colorati, simili a quelli della sua compagna. Sulla testa portava un piccolo berretto da ferroviere, in tinta.
Aguzzava lo sguardo, scrutava i capitolini in festa, con espressione curiosa e malinconica allo stesso tempo.
Non doveva essere su quel carro. Non doveva essere lì.
Ma... per suo padre...
Ne era certo... lo stava guardando.
Si sforzò di strappare alle telecamere un sorriso.
Non ci riuscì.
 
Claudius era emozionatissimo:
- Ah, eccoli qua! Sembra facciano quasi parte di... Oh! Ricordi la ragazza, Caesar?
- Come si fa a dimenticarsi una persona come lei, amico mio! Guardala... non vedo l’ora di conoscerla meglio. E il suo compagno...
- Già... quanto sembra piccolo! Ma il pubblico li ama lo stesso!

 
Il carro del Distretto 7 fu subito in pista, seguendo gli altri.
I due ragazzi, Joy e Markus, erano calmi e composti. Non esultavano, né salutavano... rimanevano aggrappati ai bordi del carro, saldi e tranquilli, guardando davanti, verso il Centro. La loro nuova casa e prigione per quelle settimane.
La dolce Joy, arrossita visibilmente anche sotto il trucco, cercava di mantenersi sicura di sé. Il pubblico continuava ad incitarla, a chiamarla, ma lei aveva occhi solo per il grande edificio bianco davanti a lei.
Portava un lungo vestito verde, riempito di grandi foglie argentate, arricciato sui seni e bello a vedersi. Sembrava quasi una creatura dei boschi... una fata...
Sui lunghi capelli scuri portava anche un’adorabile coroncina d’oro, lavorato in foglie in tinta. Era davvero stupenda.
Il suo compagno, inespressivo e con lo sguardo perso, era vestito di un abito abbastanza simile a quello di Joy: il suo vestito era composto unicamente da foglie verdi, i capelli scuri erano sparati in aria, leggermente tinti di verde... un perfetto folletto.
Ma la crème de la crème stava in un piccolo particolare, che accumunava Markus e la sua compagna di Distretto: la loro pelle era invasa di brillantini dorati, ne erano pieni, e brillavano quasi quanto tutti i riflettori che in quel momento li puntavano insistentemente.
Brillavano come stelle, e Capitol ne fu incantata.
 
- Particolarissimi, Claudius. Io quasi mi aspettavo i soliti noiosi costumi da albero! - esclamò il presentatore.
- Hai ragione, spero che questo look possa durare anche nelle prossime edizioni!
- Sì, perché questi due sono spettacolari.
- Già! Guarda come brillano!
- Ecco il prossimo carro!

 
Quando i Tributi del Distretto 8 fecero il loro ingresso, si sollevò un spaventoso boato, d’ammirazione, di felicità e di stupore. I neri destrieri tiravano il piccolo veicolo, drappeggiato di velluto nero.
In realtà... tutto in quel carro era nero.
La dolce Mezzanotte, conciata per bene, e il suo compagno, Felix, erano truccati allo stesso modo: i visi perlacei incorniciavano grandi occhi cerchiati di nero, d’occhiaie mai esistite.
La ragazza era uno spettacolo.
Tutti i capitolini, naturalmente, avevano visto e rivisto la struggente scena dell’innamorata in procinto di partire per i Giochi, che confessava il suo amore di sempre... e se ne erano affezionati. Perciò al suo arrivo ebbe gli occhi di tutti i presenti.
In più, il suo strano vestito non faceva che aumentare la moltitudine di occhi su di lei: un lunghissimo abito di seta e velluto fluttuante al vento, nero e senza maniche, con un enorme spacco che arrivava fino alla coscia sinistra. Il corpetto era coperto d’intrecci di tessuti e sul capo era posizionata una elegante coroncina, sempre tendente al nero. Sembrava la personificazione della notte... dopotutto, era o non era Mezzanotte?
Come aveva, quindi, annunciato il suo stilista, si era mostrato al pubblico il nuovo volto di quel tributo... e con successo!
Il piccolo Felix non era da meno: era vestito elegante, con una camicia bianca e pantaloni scuri. Dietro di lui, svolazzava il suo lungo mantello nero in seta, a fodera rossa-sangue. A intervalli abbastanza regolari, il ragazzino, con un sorrisino furbesco stampato in viso, se lo avvolgeva attorno al corpo, magari assumendo anche un’espressione tutt’altro che innocente, rivolto al pubblico. I capelli li erano stati lisciati e schiariti un po’... insieme al trucco, non poteva non assomigliare ad una specie di vampiro.
Inutile dire che si conquistò la simpatia dei capitolini e che riuscì a lasciar scappare qualche sorrisetto nervoso tra la folla.
Sembravano entrambi delle creature soprannaturali. E avevano conquistato il pubblico... e la notte.
 
Caesar intervenne, alzando le sopracciglia sorpreso, alle telecamere:
- Wow! Questi due mi fanno paura!
Claudius ridacchiò:
- Credo d’aver capito, credo d’aver capito! Ricordi tutte quelle storie antiche su quelle creature... ehm, quelle antiche, su cui si raccontavano leggende strane... ehm...
- Sì, come si chiamavano? Ehm... vanp- no, no. Vam-piri? Giusto?
- Ah, sì. Quelli! Già, mi ricordano loro. Poi, con la maestria che ha il Distretto con i tessuti...
- Sì, sarà così!

 
Beatriz e Liam fecero il loro trionfale ingresso, brillanti come i loro compagni.
Il pubblico li notò subito... perché risplendevano quasi più del sole!
Dopo la “notte”... spuntò l’ ”alba”.
Beatriz salutava sorridente la folla, anche se un po’ impacciata, e agitava entusiasta i capelli viola perdendo lo sguardo a incrociare le telecamere, non per esibizionismo... ma chissà, forse dall’altra parte di Panem, i suoi genitori la stavano guardando... e speravano.
Comunque, era bellissima: portava un corto vestitino dorato e splendente. Sul seno l’abitino presentava un’arricciatura più scura, con foglioline d’oro zecchino incastrate nel tessuto. Semplici ballerine gialle e un girasole tra i capelli. Bella e luminosa.
Liam, suo compagno, reggeva tranquillamente il confronto e non esitò minimamente a salutare gioioso e allegro Capitol City. La sua pelle era stata trattata con prodotti e prodotti, ma ora presentava eleganti spirali dorate, dipinte con maestria e precisione... ricordavano il grano ondeggiante al vento, uno spettacolo esotico e lontano per i capitolini indaffarati.
Le bianche labbra e gli occhi marcati di nero... i capelli spettinati e ribelli... era decisamente attraente.
Vestiva con una corta tunica, dalle fattezze antiche, color del sole, lunga fino ai ginocchi.
Quel carro trasportava il Sole, che andò quasi a rischiarare i toni cupi lasciati dal Distretto precedente, a portare quel raggio di vita che mancava in quel posto.
 
- Questa sera è piena di sorprese! - disse sorridente Claudius.
- Sì, guardali! Vestiti così luminosi non si vedono tutti i giorni!
- Tranne se non sei vestito di televisioni o lampadine, Caesar!
- Ahahah! In effetti hai ragione ma, guardali, questi sono quasi abbaglianti! Ahahahahah!

 
Poi fu il turno del carro del Distretto 10.
I due ragazzi sorridevano alla folla, ma non si mostravano entusiasti più di tanto: Chloe non esitava a guardare dritta nelle telecamere e a liberare qualche bel sorriso, mettendo da parte le sceneggiate di pianto che avevano caratterizzato in modo negativo, ma umano, la sua Mietitura e il suo viaggio in treno.
Portava un top di pelle incrociato sul petto, senza spalline, color nocciola chiaro, con una grande stella da sceriffo appuntata vicino al cuore. Sull’oro c’era inciso in numero 10. Casa. Inoltre indossava una gonna a balza, in jeans, molto chiara, lunga fino ai piedi, fermata anche da una sottile cinta sempre di pelle.
Tutto terminava con dolci stivaletti. I capelli biondi le erano stati raccolti in due piccole e sottili treccine che si univano dietro la nuca, elegantemente.
Era la solita ragazza, acqua e sapone, niente d’eccezionale, ma i capitolini l’adoravano lo stesso: era quello che ci voleva, dopo tributi abbastanza caratterizzati, e con una tipetta come Chloe non si poteva affermare di non esserne comunque attratti.
 Jay, bello ma semplice, era invocato a gran voce da un numero spropositato di capitoline su di giri: volevano solo guardarlo negli occhi... nei suoi grandi e penetranti occhi chiari. E lui le assecondava felice, incrociando quanti più sguardi possibili, lasciando sfuggire strilletti insulsi e dolci sospiri dalle bocche delle ragazze presenti tra gli spettatori.
Jay, come Chloe, era vestito in perfetta tenuta da cow-boy: grandi e larghi jeans, una camicia tendente all’azzurro, una splendente stella da sceriffo, un fazzoletto rosso attorno al collo e un cappello in pelle.
Semplice e intrigante.
Lo erano entrambi.
Ma attirarono tanti sguardi quanto gli altri.
 
- E anche per il Distretto 10 - annunciò Caesar - Niente mucche! Sì!
- In effetti, stanno meglio così.
- Senti le urla! Il pubblico li ama tutti, dal primo all’ultimo.
- Credo sarà faticoso vederli nell’Arena ma, ehi, sono i Giochi!
- Sono d’accordo! Andiamo avanti!

 
Il Distretto 11 si conquistò la simpatia di tutti, ed era solo un bene per Mike ed Eliza. Dopo la loro Mietitura, non avevano dubbi, qualcosa si era smosso là, a casa, tra i campi coltivati e le ghiandaie imitatrici.
Alla ragazza sembrava quasi di risentire il loro familiare richiamo, mentre si teneva aggrappata al carro per paura di cadere... e per paura di quello che lei e Mike da lì a poco avrebbero dovuto fare. Non sarebbero apparsi come semplici pedine, semplici marionette, semplici pedoni. Avrebbero lasciato il segno a Capitol, come nel Distretto 11.
I ragazzini si tenevano per mano, con Mike tramante di paura; non salutavamo , né sorridevano. Era un momento strano e difficile, quello.
Katri era stata abbastanza chiara: dovevano farlo... sarebbe stato meglio, dopo tutto il lavoro che aveva svolto per realizzare ancora quei progetti, perduti il giorno prima.
In quel momento, i due indossavano abiti molto simili.
Eliza portava un lungo vestito rosso con sfumature d’oro, lungo fino ai piedi. Sul petto erano intrecciati gialle spighe di grano, con in mezzo vere ciliegie. Sulla testa era posata una coroncina d’oro zecchino, un diadema pieno di ghirigori dorati. Mike aveva lo stesso tipo di tunica, ma sulle braccia nude gli erano stati dipinti intrecci e giochi di colori caldi, come il rosso e l’arancio.
- Pronto? - chiese agitate Eliza al compagno - E’ ora, siamo quasi a metà percorso...
Mike annuì.
- Ok.
Fu uno scatto, il pubblico si impressionò: i tributi avevano girato su loro stessi, prendendosi subito dopo per mano, col rischio di cadere dal carro in corsa. Anche i cavalli ebbero uno strano fremito, ma niente di strano. Anzi... qualcosa era successo...
Gli abiti di Eliza e Mike presero a mutare, sotto gli occhi di tutti: la tunica dai colori caldi andò, pian piano a sfumare in un tetro marrone, le ciliegie e le spighe caddero, la coroncina prese ad assumere un tono tetro, i colori sulla pelle del ragazzo diventarono man mano sempre più scuri... fin quando... come un lampo... tutto divenne azzurro e bianco.
Come se i loro vestiti fossero coperti di soffice neve, i ragazzi apparivano vestiti bianchi, con i rispettivi accessori azzurri.
Poi, con un altro rapido guizzo... nacque la primavera: le fredde tinte divennero rosee per lei, e verdi per lui. La coroncina divenne fatta di petali e fiori profumati, il braccio di Mike divenne colorato di stringhe bianche.
- Ce l’abbiamo fatta! - sorrise il ragazzino guardando la compagna, che ricambiò.
Si strinsero ancora più forti, e si guadagnarono l’ammirazione e lo stupore dell’intero Paese.
 
- Straordinario! E’ stato spettacolare... il rievocare delle quattro stagioni...
- Sì, poi loro sono il Distretto dell’agricoltura, mi sembra ovvio - ammise Claudius battendo le mani.
- Io sapevo che i modelli erano stati distrutti... come li avevano definiti?
- Troppo vistosi, Caesar, troppo vistosi.
- Ahhh, ecco. Ma... apprezziamo il lavoro della loro stilista. Sono stati stupendi, li ho adorati!
 

L’ultimo carro fu naturalmente quello del Distretto 12.
Non c’era mai niente di spettacolare d’aspettarsi per quegli ultimi ragazzi. Ma per fortuna, quell’anno, sulle strane tenute da minatore erano state apportate alcune modifiche.
Nicholas e Rosalie erano sul carro, vestiti in modo uguale. Un’aderente tuta da minatore, costellata di diamanti allo stato grezzo e pietre preziose.
Lei aveva i lunghi capelli mossi e biondi raccolti in due identiche trecce che le ricadevano sulla schiena; entrambi portavano anche un piccolo mantello, dai colori accesi come il rosso-fuoco e l’arancione.
Nicholas aveva notato, comunque, l’agitazione della compagna, che non salutava o sorrideva... sembrava entrata quasi in uno stato catatonico; così, presa la sua mano sinistra, la strinse forte, e dopo un breve incrocio di sguardi, lui sussurrò dolcemente:
- Sorridi per me, vedrai che ti ameranno.
Rose smise di tremare. Si guardò intorno... la folla e Nick...
Sorrise, sempre agitata... e quando il pubblico ricambiò le sue attenzioni, alzò il capo con coraggio e guardò dritta davanti a sé.
La mano ancora stretta...
Nick non aveva problemi, al contrario, a farsi piacere: praticamente le capitoline sembrassero avere strani istinti suicidi, solo ad un suo sorriso.
Proprio come immaginava... le galline erano dappertutto.
 
- Ohhh, ma che dolci! - esclamò il presentatore arancione - Guardali! Hanno conquistato tutti!
Claudius si sfregò le mani:
- E abbiamo finito! Che bei ragazzi, quest’anno possiamo davvero aspettarci di tutto.
- Già. Eccoli qua, proprio sotto di noi, tutti e ventiquattro.

 
I dodici carri raggiunsero la piazza davanti alla gigantesca residenza del Presidente Snow, un uomo mingherlino e basso, dai capelli e barba bianca. Dopo strani gesti di saluto, l’uomo si mise in piedi e diede il benvenuto ai ragazzi, mentre le loro immagini scorrevano negli schermi e l’inno di Panem scemava in un silenzio. Al microfono, solo il palloso discorso di Snow.
A cerimonia conclusa, i cavalli trainarono i carri dentro le porte del Centro.
 
I loro stilisti e mentori erano tutti là, ad attenderli, in lacrime. Ci furono abbracci, sospiri, risate, occhiate d’invidia.
 
- Hunger! Hunger! Hunger! Hunger!
 
Le urla dei capitolini erano chiarissime e penetranti.
 
Li invocavano. Li chiedevano.
Avevano sete di sangue.
Il loro.
 
 

ANGOLO D’AUTRICE:
Ecco le sfilatee! XD
Spero tutto vada bene e che non ci siano errori, io ci ho messo tutto il mio impegno! :D Per qualsiasi evenienza contattatemi.
Allora... li avete conosciuti, ora hanno sfilato per voi, che siete anche sponsor.
 
Ecco i punti:
- Non è consentito, naturalmente, sponsorizzare le proprie creature;
- Potete scegliere due ragazzi da sponsorizzare, che potete cambiare solo in caso di morti;
- Ogni recensione vale un punto (con annessi soldi), ma non posso ancora dirvi quanti soldini possedete XD ;
- Tutto verrà spiegato più avanti (prezzi, ecc.) e i doni si possono decidere solo a bagno di sangue concluso;
- Se volete sponsorizzare potete farlo solo con un mess. Privato... altrimenti niente! Quindi nelle recensioni no!
 
Ok, credo sia tutto.
Inoltre ecco la lista di mentori:
 
SOPHIA:  albakiara
DIEGO : Coral 97
LAVINIA: Calciatrice_2000
DIEGO: Hey There Delilah
INDIA: everdeen
ESSIEN: Elizha
ALEXANDRA: Keily Neko
XABER: AriiiC_
CONNIE: Alice Potter
WILLIAM: MiticaBEP97
KATHERINE: kety100
TOM: Peeta97
JOY: Erika May Mellark
MARKUS: Luna Evans
MEZZANOTTE: Leddy
FELIX: Martinachan97
BEATRIZ:  _ L a l a
LIAM: Nanu_san
CHLOE: darkangel98
JAY: IreTeamHPHG
ELIZAVETA: Martinachan97
MIKE: K_T_EVERDEEN
ROSALIE: Mixi_
NICHOLAS: BENNYloveEFP
 
Il prossimo capitolo tratterà dell’addestramento ;)
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, recensiscono, ecc... siete GRANDI!! :D
 
Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? (Prima Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? - Prima Parte

Ventiquattro ragazzi davanti a strumenti di morte e dolore.
Uno spettacolo abbastanza... triste? O intimidatorio? O patetico?
Dodici ragazzi che agognavano a raccogliere la spada e farsi valere... per tornare a casa.
Dodici ragazze che aspettavano solo di saltare dietro agli avversari e rompergli il collo... per tornare a casa.
Ragazzi, eppure, che avrebbero voluto tanto essere in qualunque altro posto... non lì, tra lame brillanti e una schiera di uomini che ti sorveglia e ti giudica per quello che si è in grado di fare.
E l’opprimente pensiero nelle loro menti: solo uno tra loro ce l’avrebbe fatta.
Ma pur di tornare a casa... tutto.

 
Come di consueto, dopo il lungo discorso introduttivo del capoistruttore, i ragazzi si dispersero nelle enormi sale, in cerca delle loro postazioni preferite, sia di combattimento che di sopravvivenza.
Per tutto il tempo, ognuno di loro aveva squadrato per bene i loro compagni, i loro nemici, quasi a valutarsi reciprocamente e con sospetto. E nessuno tardò a farsi le proprie idee, anche grazie alle istruzioni che i loro mentori avevano loro impartito.
Ed ecco, i ragazzi cominciarono a formare i primi gruppi, com’era normale.
 
Il gruppo dei Favoriti, ad esempio, fu il primo a concretizzarsi.
Si erano già conosciuti appena conclusa la sfilata del giorno prima, in realtà, ma era giunto il momento di mettersi al lavoro, non più solo il carisma o la bellezza, ma anche la bravura, perfezionata da anni e anni trascorsi in Accademia. Sophia, Diego, Brandon e Lavinia erano radunati attorno alla postazione dei coltelli e delle spade.
- E tu vorresti farci credere di essere una Favorita? - ridacchiò Sophia a Lavinia.
- Oh, non la stuzzicherei così! - la interruppe Brandon - Sul treno mi stava per lanciare addosso tutto il set di coltelli.
Lavinia sorrise, accarezzando, quasi con aria affettuosa, la lama seghettata del pugnale più lungo:
- Le apparenze ingannano, Sophia. Vuoi che te lo dimostri?
E con un fluido ed elegante gesto, fece roteare il pugnale verso il manichino, infilzando le testa. Un colpo mortale.
Il resto del gruppo l’ammirò a bocca aperta. Sophia, un po’ imbronciata, raccolse un coltello e lo mandò a schiantarsi contro la parete, ad una velocità straordinaria.
- Volevi lanciarlo al manichino? O hai... ? - sussurrò Brandon.
- NO! Volevo lanciarlo contro il muro! Non ho sbagliato mira - le rispose la biondina.
Diego non aveva ancora rivolto la parola al gruppetto e non aveva toccato arma.
Fu la piccola Lavinia a parlargli, mentre Sophia e Brandon continuavano la discussione:
- Qualcosa non va?
Diego scosse la testa.
- Ci stai, giusto? A far parte dei Favoriti? Sì? Allora datti da fare! - continuò.
- Preferisco... passare direttamente alle corde - le disse piano il ragazzo - So già lanciare spade e coltelli. Quindi...
- Le corde? Corde?
- Sì.
- Fa’ come vuoi. Sei strano, Diego. Sappilo...
 
Ma i Favoriti, in quell’istante, non erano del tutto soli.
Il piccolo dodicenne del distretto 8, li fissava. O più precisamente, fissava Lavinia intenta a combattere contro un assistente troppo lento per i suoi standard. Felix la osservava trasognante e pensieroso al tempo stesso.
Era come se fosse in un’altra dimensione.
Ma fu Brandon a riportarlo alla realtà: lo afferrò per il colletto della tuta e lo trascinò verso il resto dei ragazzi:
- Ma guardate, guardate chi ha deciso di venirci a dare un’occhiatina? Distretto 8, giusto?
I Favoriti lo squadrarono perplessi.
- Che ci fai qui, microbo? - chiese Sophia ridendo - Non vedi che la postazione è occupata?
- Scu-- scusate! - balbettò Felix cercando di liberarsi dalla stretta del Favorito.
- Che vuoi? Ti ho visto, sai? - continuò Brandon lasciandolo andare con una leggera spinta - La stavi guardando!
- Chi? - chiese Lavinia.
- TE! - urlò quello.
La bambina rimase un attimo sorpresa, con lo sguardo che saettava dal compagno di Distretto al povero Felix.
- Scusami... - sussurrò il bambino, massaggiandosi piano il collo e muovendo i passi lontano da quei ragazzi.
- Sì, bravo. Và via se ci tieni ad iniziarli questi Giochi - disse Sophia.
Scoppiarono tutti a ridere... tranne Lavinia, che continuò a seguire l’intruso, curiosa.
Per la prima volta... desiderò non averlo incontrato, per poi vederlo morire:
- Distretto 8... ?
 
 
Brandon si spostò verso la postazione di tiro con l’arco, mentre Diego a grandi passi arrivò nella sezione dedicata alle trappole. In quell’ultima c’erano anche Beatriz e India, intente ad annodare cime su cime.
Beatrzi notato il nuovo arrivato sussurrò:
- Sembra che qualcuno si sia perso.
- Non mi sono affatto perso; penso sia utile imparare anche questo, invece di concentrarsi solo sulle armi - ribatté il ragazzo.
- Ah, i tuoi amichetti Favoriti non sono molto d’accordo, direi - ridacchiò lei, scuotendo i freschi nodi per costatarne la robustezza.
- Allora sono diverso - tagliò il ragazzo raccogliendo una corda e avvicinandosi all’istruttore, con un mezzo sorrisetto in volto.
Liam si fece avanti:
- Triz, che voleva quello là? - chiese sospettoso.
- Oh, niente. Non preoccuparti. Voleva solo informazioni - sospirò Beatriz al lavoro.
India si schiarì la voce.
- Meglio, non mi fido dei Favoriti - concluse Liam, alzando le spalle.
 
Connie era alle prese con una spada più grande di lei. Letteralmente.
Non riusciva a maneggiarla con quella strana leggerezza che quasi solo i Favoriti sembravano possedere. In effetti, loro sembravano nati con le armi in mano; ma la povera Connie, abbandonata persino dall’istruttore, cominciava a demoralizzarsi un tantino. Come avrebbe fatto a sopravvivere nell’Arena? L’unica cosa capace di consolarla era osservare ragazzi messi peggio...
- Hai bisogno d’aiuto?
Mezzanotte si fece vicina alla rossa, con aria dolce.
- Ehm... no, va tutto bene - balbettò la ragazzina sorridendole cordiale.
Sembrava impossibile immaginarsele nemiche.
- Mi sembravi in difficoltà - spiegò Nott - E in questi casi credo che un aiuto farebbe comodo; e poi le postazioni più interessanti sono strapiene.
Connie arrossì:
- In effetti... ecco, un po’ di problemi con le spade li ho.
- Oh... ehm... perché non provi con le trappole o con i coltelli? Non sei una... tipa da spade... senza offesa - sussurrò l’altra.
- E tu? - sbottò Connie. Tutte quelle attenzioni cominciavano ad infastidirla: stava meglio da sola, per ora.
- Ho girato là, nell’area di mimetizzazione e... so usare la cerbottana, oltre che costruire trappole. Me la cavicchio anche col corpo a corpo. Merito di Ray.
Gli occhi di Connie si illuminarono:
- Sì, ho visto... il tuo ragazzo... siete stati dolcissimi.
Un’ombra si fece avanti, saltellando velocemente nella loro direzione: Joy che profumava ancora di alberi per la serata precedente. Disse sorridente:
- Romanticissimo.
Le altre due l’osservavano mentre raccolse un’ascia e la fece roteare a velocità stratosferica:
- Ah, salve! Joy - continuò ammiccando.
Rimasero zitte a fissarla, mentre colpì il manichino, squarciandolo in due con un baccano tremendo.
- Mi sono sfogata - annunciò soddisfatta facendone per andarsene, per poi aguzzare la vista ed esclamare - Oh, ecco che arriva lui.
In effetti, a grandi passi, sorpassando gli istruttori, il giovane Xaber si faceva sempre più vicino a Mezzanotte e a Connie con ancora la gigantesca spada in mano.
- Bisogno d’aiuto? - disse senza fiato alla bambina una volta raggiunta.
- No - rispose per lei Nott - Ci sono già io, e gli istruttori. Grazie.
Xaber abbassò lo sguardo, fino ad incrociare i verdi occhi della ragazzina di fronte.
- Oh, bhè - continuò - Guarda caso volevo fare pratica con le spade.
- E... guarda caso... me ne sto andando - bisbigliò Connie, prendendo coraggio ed accigliandosi.
Nott, capita la situazione, indietreggiò fino a raggiungere la postazione del fuoco. Conne e Xaber si guardavano negli occhi.
- Ehm... - cominciò lui.
- Mi hai fatta... agitare! - sbottò Connie posando la spada per dirigersi verso il tiro dei coltelli, postazione appena liberata da Sophia e Lavinia.
Xaber la seguì:
- Agitare? E dove?
- Sul carro, ieri sera. Ti sei bevuto il cervello? Mi stavi per far prendere un colpo!
Xaber si fermò perplesso ad esaminare il significato di quelle parole, e cercando di coglierne il senso.
- E non fare il finto tonto, belloccio! La gente non è stupida! - riprese Connie afferrando al volo un leggero coltellino e passandoglielo sotto il naso, per poi giocarci pigramente.
- Se mi giravo in continuazione, ci sarà un motivo.
- E guardavi me...
- Altro motivo.
I due ripresero a guardarsi.
- Connie. Giusto? - sussurrò Xaber dolcemente.
- Sì.
- Potremmo allenarci... assieme? O... sai... nell’Arena...
Connie si voltò di scatto:
- Vedremo... non so. Da quel momento, ieri, hai cominciato a farmi paura.
Xaber ridacchiò:
- Lo prendo come un “sì”?
- Lo prendi come un “vedremo”! - lo corresse lei.
 
- Penso che se il canto potesse uccidere... credo che avrei già la vittoria in tasca - rise Alexandra alla postazione di mimetizzazione, mentre esaminava i composti colorati posti su un lungo tavolo davanti a lei.
Katherine e Tom erano al suo fianco, ed ebbero occasione di interagire:
- Io - disse lei - se avessi la voce-killer me ne sarei accorta!
Tom represse un’assurda risatina infantile, consona visti i suoi 10 anni.
- Dicevo per scherzo - sussurrò Alexandra.
- Appunto - concluse Katherine, passandosi tempera verde sulle guance, disegnando stelline.
Era abbastanza ridicola.
- Vuoi? - chiese tendendo le mani verdi verso il visino di Tom.
- No, no, no! - rispose quello, alzandosi e dirigendosi verso il percorso ad ostacoli, dando prova delle sua spiccata agilità e dei suoi riflessi pronti.
Completò il percorso con grazia e velocità, concludendo con una impeccabile e perfetta capriola, atterrando in piedi.
- A quello bisogna fare attenzione - mormorò Kety, improvvisamente seria.
Alexandra l’osservò, annuendo, lontana e con la mente libera.
- Vado a prendere la spada per fare a pezzi quelli là! - riprese allegra Katherine ad Alex, accennando agli Strateghi, intenti ad osservare scrupolosi.
Alexandra sbarrò gli occhi: sentiva che quella ragazza ne poteva essere persino capace.
- Scherzavo. Dov’è finito il divertimento? Qualche Stratega mutilato non è mica la fine del mondo.
- Ma la fine della tua vita sì!
- Cento punti se becco il bicchiere di quello grasso! Ok, ok... me ne vado, che noia.
 
Rosalie e Nicholas erano concentrati sulla postazione del tiro con l’arco.
Tutta per loro.
Non si erano parlati molto, dopo la sfilata. Ma fu lui a rompere il silenzio e il sibilare delle piume delle frecce:
- Sai che la tua faccia non mi è nuova?
- Ci credo... - ridacchiò lei - Una settimana fa, o poco meno, eravamo a casa. E il Distretto 12 non è gigantesco. Incontrarsi prima o poi era inevitabile.
- Ma non mi dire. A scuola... sì mi ricordo. Ma non intendo quello.
- E cosa, allora, Nick?
- Stavi nel Giacimento? Io là non ci sono mai stato, ma so che la gente non se la spassa molto bene là? - chiese Nicholas sedendosi ad ammirare la precisa mira dell’amica.
- Là vicino sì.
- La tua faccia... sì, prima della Mietitura... non è che per caso cacciavi nei boschi?
Rosalie arrossì:
- Sì... perché?
- Anche io ci andavo. E ricordo... anni fa... di aver avuto una paura tremenda perché avevo visto un altro essere umano che girava tra gli alberi. Pensavo fosse un Pacificatore... e così scappai.
- E cosa ci facevi nei boschi, se non vivi nel Giacimento? Sei ricco...
- Ricco è una parola grossa; diciamo che il cibo non mi manca, certo. Andavo nei boschi per divertirmi. Tu per ragioni migliori... probabilmente.
Rose poggiò l’arco e la faretra su un ripiano e si stiracchiò:
- Due fratelli e un padre malato. Lo facevo per fame.
- E lo capisco. Credo che quel giorno... oh, forse eri tu.
- Perché no - rise lei - Probabile. Io non ti ho mai notato nei boschi.
Si sedette accanto a lui, specchiandosi nei suoi occhi:
- Allora, Nick, fammi vedere quello che sai fare!
Nicholas si alzò raggiante:
- Rimarrai stupita... per quanto sono scarso in confronto a te.
- Ahah, certo. Allora chiamo l’assistente - ridacchiò Rosalie facendo per alzarsi.
- No, dammi tu lezioni.
- L’arco non è il mio forte. Posso darti lezioni sui coltelli, se preferisci.
- Non fa niente, insegnami quello che sai e basta - concluse Nick agitando l’arco come un pazzo.
Lei sospirò:
- Sai arrampicarti?
- Credo - rise quello avvicinandosi a lei - Oddio, sei strana. Nessuna delle ragazze che conoscevo mi faceva queste domande.
- Siamo agli Hunger Games! E comunque... se frequentavi galline... - sospirò Rose.
- Non ero io a frequentarle. Erano loro a braccarmi a scuola... e fuori. Ecco perché mi piaci... - sussurrò lui, facendo sempre più ridotta la distanza.
- Perché... ?
- Perché sei diversa... e così. Ora... come si fa a fare centro con queste cose se...
 
AHHHHHH!
Un grido riecheggiò per tutto il centro. Proveniva dalla postazione delle spade.
Katherine era in lacrime, inginocchiata, con dietro i quattro Favoriti. Gli assistenti e il capoistruttore si fecero subito vicini, e tutto quel trambusto costrinse i ragazzi a fermarsi ad ammirare... lo spettacolo.
Qualche goccia di sangue era sul pavimento. Assieme ad una spada.
Katherine si teneva tutta tremante il polso sinistro.
- Cosa è successo?! Qualcuno ti ha attaccata? - disse un istruttore scuotendola per la spalle.
Lei negò piangente.
Sophia intervenì ridendo a più non posso:
- Stava facendo roteare le spade come se venisse dal circo. Una le è scappata! E si è tagliata il polso perché non è riuscita a riprenderla!
- Ok, tutti via. E’ ora di pranzo, muovetevi. E non c’è niente da vedere!
 
 
I ventiquattro ragazzi si riunirono nella sala accanto alla palestra, per mangiare.
Come previsto i Favoriti occuparono un intero tavolo, inserendo chissà come anche Alexandra tra loro, che né parlava né respirava: una sola parola o mossa falsa e li avrebbe avuti alle calcagna nell’Arena. Si limitava a mangiare e a canticchiare a bocca chiusa uno strano motivetto.
Dall’altra parte della sala, Elizaveta aveva radunato un bel gruppetto e ora pranzavano assieme: Mike, Rosalie, Nicholas, Chloe e Jay.
Ma con gli occhi, la biondina, teneva sotto controllo la ragazza del 4. L’avrebbe tanto voluta con lei, sembrava a posto.
Colse il motivetto che stava canticchiando, lo conosceva.
Era un’allegra canzoncina, una conta per bambini, e faceva così:
 
Ho un segreto,
Sai mantenerlo?
Giura, lo terrai in tasca!
Prometti di custodirlo per l’eternità
E di non dirlo mai a nessuno?
Dopo questo lo farai, se ti dico
Che solo i morti non possono?

 
In qualche modo, Eliza sospettava che quella canzoncina, lontana ed appena accennata, la riguardava.
Le avrebbe parlato subito.
Lontana dai Favoriti.
Quel pomeriggio.
 

 
ANGOLO AUTRICE
Eccomi!
E’ solo una parte del capitolo sul primo giorno d’addestramento. Il resto domani :D
E scusate la scarsa puntualità... ma l’importante è esserci.
E ricordate, chi non mi ha ancora mandato un messaggio privato con gli sponsor lo faccia! Tutti i dettagli sono nel capitolo precedente!
A domani!! :)


 

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Capitolo 14
*** Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ho Un Segreto, Sai Mantenerlo? - Seconda Parte


Ma le due ragazze non ebbero tempo per discutere, quel primo giorno d’addestramento.
Trascinate nei loro appartamenti, dormirono sonni tormentati da occhi indiscreti e corpi insanguinati.
Fu il secondo giorno, quello decisivo.
 
Come al solito i Favoriti avevano preso di mira le postazioni più gettonate. E tra loro spiccava la figura, quasi fuori luogo di Alexandra, tenuta stretta stretta da Sophia. Lavinia sembrava l’unico tributo tranquillo e rilassato della sala, senza occhiaie o tremori; scagliava i coltelli con padronanza e maestria, tanto che gli istruttori al suo confronto sembravano principianti. Diego faceva avanti e indietro, dalle postazioni di sopravvivenza a quelle di combattimento corpo a corpo. Anche Brandon, alla pari della sua compagna di Distretto, maneggiava ribelle e senza preoccupazioni qualsiasi tipo d’arma, non lasciandosi comunque andare troppo comunque alla frenesia, come altra gente sembrava fare.
Le due biondine stavano discutendo, intanto, aspettando il loro turno.
- Perché no? Con noi starai bene, Alexandra - le sussurrò Sophia all’orecchio.
Alexandra sfoggiò un sorrisino abbastanza falso:
- Lo so - rispose - So che mi troverei bene, ma non ho le doti per essere una di voi.
- Scherzi? - ribatté lei, spalancando incredula la bocca - Ti ho vista fabbricare le reti, in fondo, ieri mattina; sei forte, abbastanza robusta...
L’altra si limitò a ridacchiare.
- E poi lo sai che il Distretto 4 è sempre stato considerato un Distretto di Favoriti? - continuò Sophia - L’anno scorso, ad esempio, quella ragazza del 4 arrivò persino in finale!
- Lo so...
- Appunto... BRAN!
Brandon si girò contrariato verso l’alleata, squadrando le ragazze dall’alto, con aria infastidita.
- E’ vero che Alexandra può entrare nel nostro gruppo? - continuò Sophia sorridente.
- Fa’ quello che vuoi... tanto... - sibilò il ragazzo tornando a lanciare coltelli come un pazzo.
Sophia sorridentissima tornò a rivolgersi all’altra:
- Visto? Ci farebbe comodo una tipetta come te!
 
Proprio in quell’istante, a grandi passi si avvicinava Elizaveta, con sguardo di fuoco. Fu subito adocchiata da Sophia, che cercò di spingere via Alex, in modo tale che le due non potessero vedersi.
Ma la ragazza del Distretto 11 non si arrese; chiamò a gran voce:
- Alexandra? ALEXANDRA! ALEX!!
L’intero branco dei Favoriti si voltò alle sue grida, Alexandra compresa.
Silenzio.
- Posso parlarti un attimo? Ma se sei troppo impegnata... - continuò Eliza incrociando le braccia.
Il tributo del 4 le sorrise e scioltasi dalla presa della Favorita saltellò lontana dal gruppo:
- Cosa c’è, 11? - chiese.
- Mi chiamo Eliza - la corresse - Stai bene?
Alex annuì, ma quasi impercettibilmente.
- No, tu con quella gente non stai bene - ribadì Eliza prendendola per una spalla - Sei una ragazza a posto, ma mi stai nascondendo qualcosa?
- Ehm... - balbettò Alex facendosi seria - Non dovrei dirtelo... ma... quella... ragazza, Sophia, ti tiene d’occhio... dalla sfilata.
Elizaveta rilassò i muscoli facciali:
- Pensa le abbia rubato la scena?
- Credo... di sì.
- E fai il doppio gioco solo per quello?
- Quale doppio gioco? Non ho mai detto di voler entrare nei Favoriti... e la risposta è no.
- Bene... perché devo parlarti... di qualcos’altro.
Una voce, alle loro spalle:
- RANGER! ALEX, vieni, dai!
Era stata Sophia.
Alexandra abbassò lo sguardo e si voltò, riprendendo a sorridere:
- Arrivo. Scusa Sophia.
Ma la Favorita non aveva alcuna voglia d’aspettare: fu lei ad avvicinarsi ad Eliza e all’amica. Ma appena incrociò lo sguardo acceso della ragazza del Distretto 11, prese per mano Alex e con espressione gelida disse:
- Andiamocene da questa gente.
Eliza divampò:
- Cosa?! Stava parlando con me!
Sophia la squadrò da capo a piedi:
- Ah, eccola che interviene! Distretto 11, giusto?
- Esattamente - sibilò Elizaveta, senza espressione.
- Ah, ricordavo bene. Complimenti per la sfilata di avantieri, davvero impressionante, il tuo numero da circo! - continuò la Favorita - Cosa vuoi da lei? Da me?! Siamo Favorite! O... intendi unirti? Cosa sai fare... ?
L’altra ridacchiò:
- Preferirei che mi tagliassero la lingua, e che sia ridotta alla più misera senza-voce. Anzi, meglio essere morti! E quello che so fare... non ti interessa. Per quanto riguarda quello che so fare... aspetta l’Arena, bambolina!
Fu quel nomignolo a far diventare la povera Sophia più rossa di un pomodoro:
- AH! Ha parlato la contadina dodicenne! Che morirà al Bagno di Sangue, per mano mia!
- Non ho dodici anni, per tua informazione!
- Come credi di uscirne viva?!
- Come lo credi tu, lei, tutti.
- Uccidendo?
- Uccidendo!
Furono costrette ad essere separate dai Pacificatori, anche perché gridavano come della pazze e tutta la palestra non faceva altro che fissarle.
Ma se avrebbero potuto avrebbe continuato ad abbaiarsi contro come cani infuriati, pronte a scannarsi a vicenda.
 
Markus e Joy erano alle prese con i manichini... e con le asce.
- Guarda questa qui! - esclamò lui, mostrando alla compagna di Distretto la perfetta lama, liscia e brillante, dell’ascia da boscaiolo - Con questa un colpo ben assestato e spacchi il cranio come fosse gelatina!
- Interessantissimo - sospirò Joy, cercando di togliere l’ascia appena lanciata dalla pancia del fantoccio.
- Anche tu non te la cavi male.
-Vuoi scherzare?
Rimasero in silenzio, a far sibilare le lame nell’aria, per qualche minuto.
- Hai visto che discussione? - sussurrò Joy al compagno.
- Già. Io non me li faccio tutti questi problemi.
Altra ascia scagliata.
Collo tagliato e complimenti dell’istruttore.
- Che vuoi dire? - chiese Joy, curiosa - Scusa se entro nei tuoi affari, sono così.
Markus non parlò, riflettendo sul peso che forse le sue prossime parole potevano assumere per una ragazza come Joy. Ma non c’era niente di male nel parlarne; prima o dopo l’inizio dei Giochi, se rimaneva in vita, ne sarebbe venuta comunque a conoscenza.
- Sai già con chi allearti? - continuò Joy.
- Credo di sì - rispose lui, sfregandosi le fredde mani e scrocchiandosi le dita intorpidite.
- Ah, buon per te.
- Per me basta, Joy. Non ci tengo a dare spettacolo davanti ai Favoriti - concluse.
- Ti hanno per caso chiesto di unirti? Sei bravo... hai...
- Sì, ma ho rifiutato.
- Oh.
- Visto, te l’ho detto, io non mi faccio tanti problemi.
 
Chloe era intenta a costruire un lazo. Era un’esperta, dopotutto proveniva dal Distretto 10. Mostrato il suo lavoro all’istruttrice di turno, lo fece roteare a mezz’aria con delicatezza, per poi aumentare la velocità e a lanciare il cappio verso il manichino più lontano.
Lo prese per il collo e con un morbido ma deciso gesto strinse il nodo.
- Ok - dichiarò l’istruttrice correndo verso il fantoccio intrappolato - Vediamo cosa è successo.
Tolta la spessa corda constatò quanta forza la ragazza avesse adoperato; aveva lasciato un segno sul collo della “vittima”, deformandone la forma umana. Ora le sta non si reggeva più.
- Con quella stretta sei capace di compere colli con non molto sforzo - disse chiaramente, con un sorriso rivolto a Chloe.
- Bravissima!
Alle sue spalle comparve Jay.
- Grazie - replicò sorpresa la ragazza lasciando cadere a terra la fune e fissando il ragazzo - Novità dai nostri mentori.
Il ragazzo alzò le spalle:
- Siamo rimasti d’accordo che sarà la scelta migliore. Certo che potevi anche restare per cena invece di andare a dormire senza nemmeno avvertirci.
- Avevo sonno. E... quindi?
- Quindi a pranzo ne parliamo. Come abbiamo ribadito con Eliza.
- Eliza, Eliza... si vede che quella lì ti piace.
- Cosa dici?
- Ti ho visto?
- E anche se fosse?
Chloe gli passo un pezzo di corda:
- Fammi vedere quello che sai fare?
- No. Con queste cose non me la cavo molto bene. Ma se vuoi dimostrazioni pratiche con spade e coltelli, sarò felicissimo di mostrarti cosa so fare.
 
Xaber aveva appena completato per la decima volta il percorso ad ostacoli ed ora si era avvicinato a Felix. Quest’ultimo era poggiato alla parete e sembrava non possedere più lucidità: si guardava intorno con sospetto, per poi tornare a fissare Lavinia, e distogliere lo sguardo per completare un esercizio...
Come il giorno prima sembrava caduto in un’altra realtà.
Xaber gli schioccò le dita della mano destra davanti alle orbite per aiutarlo a tornare alla realtà:
- Ehi, bello! Sveglia!
Il piccolo Felix sbatté velocemente le palpebre e scosse la testa violentemente:
- Eh? Cosa? - sussurrò confuso.
Xaber sospirò comprensivo:
- Ti capisco.
- Per cosa, scusa?
- Ti capisco - ripeté Xaber mettendogli una mano sulla spalla.
- Io non capisco - sussurrò ancora il piccolo Felix abbastanza inquietato.
- Soffri. Vorresti essere in un altro posto, in un mondo diverso... come me, d’altronde. Ma poi, chi non lo vorrebbe - continuò il ragazzino, portandosi una mano al petto, con espressione tragica.
- ...
- Soffriamo. Per amore. Credi non abbia visto la scenetta di ieri. Tua e di Lavinia? E’ carina... in un modo tutto suo, anche se mette paura. Cioè guardala!
Lavinia infilzò un manichino con la spada gridando come una furia.
- A me fa paura, però i gusti sono gusti - disse ancora Xaber annuendo solenne - Io preferisco quella lì. Meno istinti omicidi.
Indicò Connie intenta ad accendere un fuocherello.
- Ma... l’amore troverà la via! Eppure... siamo agli Hunger Games. Riesci ad immaginare due innamorati che vincono assieme? Ahahahah!
- Ah-ah-ah - ridacchiò nervoso Felix. Quella conversazione stava assumendo una brutta piega.
- Pazzesco, credo di stare sognando. E’ lei a farmi questo effetto, penso.
- Ma pensa un po’...
- Ma se poi ci penso... no, no, meglio non deprimersi ancora di più a giochi nemmeno iniziati. Siamo sulla stessa barca, io e te. E credimi, io vengo dal Distretto 4 e di barche me ne intendo.
- ...
- Comunque se la “dolcissima” Lavinia non ricambia, c’è posto per te nella nostra alleanza.
- Vedrò, Xaber.
- Ok. Che dolce sofferenza la nostra... un frenesia... una febbre?
- Ehm, credo che andrò nel reparto-trappole! - insistette Felix sciogliendosi dalle braccia di Xaber.
- Sì, vai. Falle vedere chi sei! ... aspetta! “Reparto”...?
 
- Sei William, giusto? - chiese Essien avvicinandosi all’altro ragazzo.
- Sì - confermò Will con un sorriso - E tu sei Essien Konatè.
- Esatto. Cosa stai... ?
William si alzò raggiante da terra:
- Esaminavo queste soluzioni chimiche.
- Chimiche?
- Esatto. Perché qualcosa non va?
- No, no, niente. Pensavo solo... dove le trovi le sostanze chimiche nell’Arena e... a cosa servono?
- A fare il botto...
Essien rise:
- Immagino. Quindi... è un po’ come le bombe tecnologiche, penso? Sai, quelle piene di sostanze e con un pulsante o uno stimolo...
- Più o meno... - riprese William, mostrando al compagno un composto acquoso - Vedi questo? Questa soluzione è fatta da elementi ricavabili dalla natura e da minerali. Un solo sorso e non ti risvegli più. Inoltre funge da urticante.
- Caspita... come sapevi queste cose? Vieni dal 5...
- Libri... alcune cose però le ho imparate ieri - continuò William rimettendosi a lavorare sotto gli occhi dell’istruttore - E tu?
- Oh, io vado per le lance e la tecnologia.
- Cosa abbastanza differenti.
- Le lance le lanciavo da bambino insieme a mia sorella in Africa.
- Ah, dimenticavo... tu vieni da lontano...
- Un po’ ci assomigliamo.
- Hai ragione - concluse William senza staccare gli occhi dal composto.
 
All’ora di pranzo Elizaveta e Sophia si rifecero vive; presero ognuna lo stesso posto del giorno prima e restarono zitte.
 
- Cosa succede? - chiese Jay fissandola - Sembri appena uscita da un libro di storia dei Giorni Bui.
- Divertente - sibilò Eliza - Almeno ho dimostrato chi sono a quella Favorita.
- E abbiamo Alexandra con noi - continuò Jay - Ma cosa avete fatto fino ad ora.
- Ci hanno fatto la paranoia i mentori. Tanto per cambiare - continuò lei, afferrando con uno scatto le posate - Insieme!
- Mi dispiace. Ora - disse piano Alex - Puoi dirmi la cosa importante o no?
- Sì - rispose Eliza mettendosi dritta e iniziando a tormentare il cestino del pane davanti a lei - Come probabilmente i vostri mentori vi avranno accennato... ho intenzione di creare un...
A quel punto la ragazzina si voltò, fino a fissare la lunga capigliatura bionda della Favorita dell’1.
Mike prese la parola:
- Ci pensavamo già dalla partenza del treno. Dopotutto l’unione fa la forza... e noi siamo perfetti.
- Ma per cosa? Continuo a non capire - ammise a bassa voce Alexandra sostenendosi la testa con la mano.
Elizaveta riprese sicura:
- Vi ho scelto... perché con voi... vorrei creare un’alleanza... speciale. Saremo l’opposto dei Favoriti, e ci aiuteremo da bravi alleati... siamo tutti credo.
- Ci state? - chiese Mike sorridente.
Alexandra annuì. Chloe e Jay alzarono la mano all’unisono.
- Noi ci siamo, certo - disse calmo Nicholas - Vero, Rose?
La biondina annuì decisa:
- Certo! Meglio che rimanere in balia dei Favoriti da soli.
Jay sospirò rivolto ad Eliza:
- E a quanto pare sarà un’Edizione movimentata.
- Farebbero meglio a guardarsi le spalle, in mia presenza - gli rispose Elizaveta sorridendogli.
 
- Chi si crede di essere quell’oca?! - borbottò Sophia agli altri Favoriti.
- Hanno in mente qualcosa, si vede lontano un kilometro - ammise Lavinia sbirciando al loro tavolo.
- L’unica cosa su cui possono discutere è quanto tempo impiegherà il loro cadavere a tornare a casa - continuò scontrosa la Favorita battendo la mano sul tavolo - Vi avverto, ragazzi: quella dell’undici è mia! Chiaro?
Brandon annuì distratto, concentrandosi sul pranzo.
- Si è presa tutto alla sfilata! E voi non muovete dito!? Diego! Brandon! E’una minaccia! - continuò iniziando a tremare.
- E lasciala stare, fino dove può arrivare una contadina? - bisbigliò Brandon.
- Oh, non hai idea di cosa so sul suo conto! Il Distretto la ama! La vedono quasi come un martire!
- Vengono sempre considerati così, vengono dai Distretti più poveri, è normale. Nell’Arena poi è un’altra storia - sussurrò Diego.
- Non mi interessa cosa succederà... ricordatevi quello che vi ho appena detto!
- Sì, sì...
- Io continuo a pensare che quella ragazza ha in mente qualcosa di grosso... per radunare tutti quelli... e Alexandra... pensavo fosse dalla nostra parte - continuò scoraggiata la piccola Favorita.
- Oh, tutti loro sono nostri nemici. Non vedo l’ora di andare a caccia di quei mocciosetti e dare a Capitol un bello spettacolo! Mi hanno fatto infuriare! - concluse Sophia.
 
Gli altri tributi si erano ritagliati il loro angolo personale e mangiavano in silenzio...
Pensavano.
Tre giorni dopo sarebbero stati catapultati in un’Arena a combattere per le loro vite, come gladiatori. Uno sarebbe tornato a casa ricoperto di gloria. Il resto sarebbe morto.
Ma non era quello il problema principale.
Il giorno dopo, verso il primo pomeriggio, gli Strateghi avrebbero chiamato uno ad uno i Tributi e li avrebbero osservati, avrebbero scoperto i loro talloni d’Achille e le loro specialità.
E un numero.
Da 1 a 12.
Più alto era il numero più il pubblico si sarebbe aspettato grandi cose.
Ma chissà...
Un giorno in più... anche più vicino alla morte.
 
 

ANGOLO AUTRICE:
Allooora... credo di aver dato spazio a tutti i tributi.
Naturalmente, i mentori che mi avevano spronato anche a questa formazione di “cricche” hanno notato che ho ritagliato più spazio ai loro tributi. Anche perché mi ricoprivano d’idee e di consigli.
Ma vi adoro tutti! Come voglio bene ai 10 che preferiscono, ai 2 che ricordano e ai 13 che seguono e a tutti quelli che continuano a sostenermi... ok adesso basta XD
Ehm... STRATEGHI!! I Giochi stanno per cominciare ma non è per l’Arena che vi reclamo XD
Stanno per arrivare le sessioni Private... meglio tenerci in contatto, dunque :) 
Continuate a sponsorizzare, per chi non l’ha fatto... mi raccomando, altrimenti alla prima necessità i tributi creperanno o soffriranno XD Perciò, mi raccomando...
Detto questo, mi dileguo...
Continuate a farmi sapere sul capitolo e per qualsiasi evenienza, tutto via messaggio privato!
A presto!! :D
Bacini bacini! :3
 
 

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Capitolo 15
*** Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei ***


PICCOLA NOTICINA XD
Lo so, vi ho fatto dannare l’anima per l'attesa... so che sono in super ritardo... e so che posso farmi perdonare con questo mega capitolo.
Gli ultimi voti sono in fase di verifica; perciò... domanda del secolo a voi lettori:
Preferite che posti un altro capitolo solo coi voti, più qualche reazione da parte dei tributi, o modifico la pagina con tutti i risultati in futuro?

Io opto per la prima scelta XD
Non sarà chissà qualche capitolo... sarà mini mignon XD
Ora vi lascio! :) Fatemi sapere chi sponsorizzate se ancora non l'avete fatto e... buona lettura! :D

 
YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei

 
Chi non sceglie, non vive.
Ogni anno, ventiquattro ragazzi... strappati dalle loro case e famiglie... gettati in un’Arena.
Ma prima...
E’ solo un reality.
Un mortale reality.
Sangue...
Carne...
Vendetta...
Odio...
Lame...
Dolore...
Che abbiano il loro divertimento! Dopotutto Capitol City attende i Giochi come una festa, la più importante dell’anno... uno spettacolo.
Ecco, forse solo questo la differenzia dalle bestie, assetate, come loro, di sangue.

 

A mezzogiorno, del terzo giorno d’allenamento, i tributi vennero condotti in una lunga saletta, in fila per ordine di Distretto, pronti a mostrare agli Strateghi le loro abilità.
 
- Diego Sallen!
Il ragazzo dell’1 si alzò, leggermente scosso, muovendo i passi verso la palestra senza voltarsi ad incontrare ventitré paia di occhi su di lui. Respirò profondamente ed entrò. Come durante quei giorni, gli Strateghi erano su un piano rialzato rispetto al pavimento e agli attrezzi; vestiti di viola scuro, seduti, abbastanza interessati... dopotutto il Distretto 1 non aveva mai deluso le aspettative di Capitol e del pubblico, regalando ogni anno un bello spettacolo, insieme agli altri Distretti favoriti.
All’ingresso di Diego, ogni bisbiglio o sussurro cessò.
Il ragazzo prese, quindi, subito posto, davanti al percorso ad ostacoli.
E scattò come un felino, saltando ed evitando gli ostacoli. Non aveva avuto modo d’allenarsi bene, davanti agli altri, ma ora avrebbe mostrato a quella gente chi era veramente. Siccome era già la terza volta che Diego completava il percorso, ogni volta sempre più agile e veloce, fece amichevolmente segno a due istruttori armati d’avvicinarsi.
Gli uomini gli furono addosso in pochi secondi, ma correndo più veloce, Diego riuscì ad atterrarli e, afferrate due spade, le puntava contemporaneamente alle gole dei “nemici”.
Aveva il fiatone, ma non gli importava: non gli rimaneva molto tempo probabilmente. Scattò velocissimo verso la postazione di tiro con l’arco, scagliando una freccia dritto all’altezza del petto della sagoma umana. Mentre era ancora in volo, scagliò anche un leggerissimo pugnale, che andò a conficcarsi in mezzo agli occhi.
Gli Strateghi rimasero senza parole, fino a quando il Capo disse pacato:
- Benissimo, signor Sallen. Può andare.
Diego corse verso l’ascensore, lasciandosi alle spalle le voci dei Favoriti, proprio mentre nella saletta tuonò un altro nome...
 
- Sophia Devis!
La biondina si alzò leggiadra, scrocchiandosi le dita e arricciandosi i lunghi capelli con le dita. Saltellò contenta nella palestra, sorridendo agli Strateghi, che sembrarono molto apprezzare quel gesto cordiale.
Scossa la chioma, Sophia camminò decisa e senza abbandonare quel sorrisino gentile verso la postazione del tiro dei coltelli. Passò qualche secondo a farli rotare abilmente tra le dita, cogliendone la forma e il peso con maestria e sapienza. Poi, con tre pugnali nella mano, si avviò verso la parete sussurrando qualcosa all’istruttore più vicino a lei, che uscì dalla stanza per tornarci, qualche secondo dopo, con delle gabbie.
Erano due: in una vi era quella che sembrava una ghiandaia chiacchierona, nell’altra due conigli bianchi come la neve. Al cenno del capo della ragazza, gli animali furono liberati nella palestra.
La ghiandaia volò altissima verso il soffitto, cinguettando, o meglio urlando, ma Sophia mise fine a quello strazio: uno dei pugnali andò a conficcarsi nel petto dell’uccellino che dopo un lamentoso gemito cadde pesante ai piedi della ragazza.
Ma non era finita: i due conigli erano corsi in due direzioni differenti.
Il più grande dei due, stava balzando dietro un fantoccio per nascondersi, ma anche per lui l’arma andò a trafiggere il cuore, uccidendolo all’istante. Il coniglio più piccolo e mingherlino, ma più veloce era corso verso Sophia, senza paura, per poi virare velocemente a destra. La ragazza, quindi, non eseguì un colpo perfetto: il suo pugnale andò a colpire la zampa del mammifero, che non riusciva più a correre. La ragazza si avvicinò all’animale, lo prese dolcemente tra le braccia, sentendone il calore, la puzza di sangue e il respiro corto e affannato... il respiro del condannato.
Ma non lo finì. Si diresse invece davanti alla postazione di sopravvivenza e afferrata una o due strane sostanze ed erbe, creò un miscuglio medico che spalmò sulla ferita del coniglietto. Quello prese a dimenarsi, terrorizzato, ma in pochi secondi fu come nuovo: sulla zampa solo un’insignificante cicatrice.
Sophia aveva finito. Si inchinò davanti agli Strateghi e posto il coniglio tra le braccia dell’istruttore, uscì dalla stanza, calpestando le ali insanguinate della ghiandaia.
 
- Brandon Mayers!
Brandon si alzò riluttante e chiusi gli occhi si mosse verso la palestra, mentre Sophia si allontanava, facendogli l’occhiolino. La prima cosa che colpì il giovane fu la tremenda puzza di sangue e erba; Sophia doveva aver combinato un’esibizione coi fiocchi. Quando lui entrò due senza-voce stavano trasportando due sacchi insanguinati in tutta fretta.
Gli Strateghi spostarono la loro attenzione al ragazzo, facendogli cenno di procedere.
Bran deglutì a fatica; non aveva motivo d’avere paura. Ma gli sembrava di essere nel posto sbagliato... al momento sbagliato, davanti a quella gente pronta a giudicarti che qualche giorno dopo avrebbe avuto a cuore solo metodi ti morte e spettacolo, e non la sicurezza. Erano gli Hunger Games, dopotutto.
Incredibilmente nervoso, arrivò davanti all’arco. Lo accarezzò con cura e messa in spalla la leggerissima faretra, svoltò verso il percorso ad ostacoli.
L’aveva fatto così tante volte, in Accademia. Non era così diverso.
Doveva solo dimenticarsi di essere a Capitol, di essere osservato. Avrebbe invece immaginato suo fratello, aldilà di quelle armi, ad incitarlo.
E funzionò.
Brandon scattò come una saetta, con l’arco in mano, superando egregiamente il percorso ad ostacoli e scagliando frecce verso i manichini. Non aveva tempo per controllare il risultato.
Quando le frecce finirono e gli ostacoli pure, Bran terminò la sua esibizione con una perfetta capriola in avanti, atterrando in piedi sul materassino e lanciando l’arco in aria.
L’arnese d’argento si alzò leggero e lento, mentre il ragazzo correva al manichino davanti a lui, ad estrarre un’ultima freccia. Quando l’arco planò a terra, il ragazzo lo afferrò abilmente e in meno di un secondo aveva già la freccia incoccata, rivolta verso gli Strateghi.
Il “pubblico” sembrò apprezzare quel temperamento, così ribelle e spigliato, e congedarono il tributo con cenni d’assenso e soddisfazione.
 
- Lavinia Harmonia!
La ragazzina si alzò raggiante, dando il cinque a Brandon ancora scosso per la sua stessa esibizione. Al rimbombare di quel dolce nome nella stanza, gli occhi bassi di Felix si alzarono, assetati di un suo sguardo. Ma non ci fu niente e non poteva far altro che capirla. Per una Favorita come lei quel momento era cruciale: era scegliere come giocarsi l’intera edizione, come giocarsi la vita.
Fece il suo ingresso, senza prestare attenzione agli Strateghi, come se non la stessero osservando e soppesando.
Lavinia si diresse senza indugi verso la postazione di tiro di coltelli. Ne afferrò uno, lanciandolo in aria ridendo e riafferrandolo come se niente fosse, per poi scagliarlo verso il manichino più lontano. L’arma saettò velocemente e si conficcò con un leggero tonfo nel cuore del nemico. Ma tanta fu la potenza del lancio, che il manichino si sradicò e il pezzo di legno imbottito cadde a terra.
Ma Lavinia non aveva ancora finito: dal polso sfilò un fazzoletto rosso che legò decisa sugli occhi. Incerta ma veloce si fece avanti di qualche metro e proprio in quell’istante, i fantocci davanti a lei presero a muoversi. Cogliendo gli spostamenti d’aria e i rumori circostanti, scagliò alla cieca i coltelli. Una volta finiti ammirò la sua opera: ogni arma aveva colpito i bersagli in mezzo agli occhi.
Lavinia sorrise soddisfatta e finalmente rivolse l’attenzione agli Strateghi eseguendo un elegante inchino per poi uscire decisa senza ripensamenti.
 
- Essien Konatè!
Essien si alzò con uno strano scatto, procedendo diretto tra la rete di sguardi degli Strateghi. Arrivato là, davanti a quelle persone, in mezzo alla palestra fredda e buia, riuscì quasi a dimenticarsi cosa aveva imparato in quei giorni.
Non incrociò gli occhi indagatori degli Strateghi e si avviò verso la postazione del tiro delle lance.
Davanti a lui il manichino più lontano, a quasi trenta metri di distanza.
Essien prese fiato, chiuse gli occhi... e quando li riaprì... era a casa... no, non il Distretto 3. La sua vera casa.
L’Africa. Immerso nella pace della savana, di quel poco che restava. Davanti alla gazzella, nascosto nell’erba alta. La lancia dalla punta aguzza puntata verso la velocissima preda.
Uno...
Due...
E...
Tre!
La lancia venne scagliata ad una velocità impressionante. Andò a colpire e conficcarsi nella testa del manichino, ma contemporaneamente un’altra asta aveva attraversato lo stomaco, dilaniando la figura umana.
Ridacchiò soddisfatto. E tornò a Capitol, nella fredda e silenziosa palestra.
Salutò gli Strateghi e uscì contento, cercando di non perdere quella “visione” e affiggerla nel cervello.
 
- India Eveery!
India si alzò, rincuorata dalla vista del suo compagno di Distretto sorridente, appena uscito dalla sua prova. Ora toccava a lei: legò i lunghi capelli biondi in una dolce coda, lasciandoli cadere sulla spalla sinistra, e, raccogliendo tutto il suo coraggio, si fece avanti ed entrò nella palestra.
Li trovò, tutti lì, gli Strateghi... ad osservarla interessati.
- Niente paura... - sussurrò la ragazza a sé stessa, camminando velocemente verso il tavolo che raccoglieva i colori per il mimetismo.
Lì afferrò decisa una lunga corda, robusta e usata spesso per l’arrampicata.
Ma non era quello il motivo per cui India l’aveva raccolta: con l’oggetto stretto al petto, corse verso i manichini. Con non poche difficoltà, visto che di forza bruta ne era quasi priva,spostò ben cinque fantocci, uno dietro l’altro, al suo fianco.
Poi, dopo qualche minuto passato a trafficare con strani nodi per la fune, lanciò il pezzo di corda verso il soffitto. Rimase impigliato su un’asse di ferro... ma era proprio quello che voleva. Lasciata cadere il resto della corda attorcigliata, spinse i manichini creando quasi un “effetto domino”. La corda alla base dei manichini si tese improvvisamente, e i fantocci rimasero penzolanti, col collo stretto dalla corda, a mezz’aria.
- Grazie, signorina. Può andare - disse uno strano Stratega, congedando la ragazza, che corse via dalla palestra.
 
- Xaber Dabis!
Il ragazzino, spettinatisi i capelli per il nervoso, camminò a grandi passi verso la porta della palestra, lasciandosi dietro lo sguardo perso di Connie, anche lei nervosissima.
Gli Strateghi stavano bisbigliando tra loro e non si accorsero dell’arrivo del piccoletto.
- Ehm... - borbottò Xaber, schiarendosi la voce per attirare l’attenzione.
E finalmente la ebbe.
Si diresse verso la postazione delle spade, con non poca titubanza. Forse gli Strateghi si aspettavano che adoperasse i soliti trucchetti del Distretto 4, come l’utilizzo delle reti, ma non era per lui. Afferrò una spada, dalla lama ricurva e abbastanza corta, molto simile ad una falce.
Un istruttore si fece avanti e il combattimento cominciò. Il ragazzo sembrava avere la meglio, grazie alla sua statura minuta e ai suoi riflessi pronti. Ma nel mezzo di una schivata gli venne un’idea.
Prese a correre lontano dall’uomo, quasi in ritirata... solo per afferrare una lancia e ficcarci sulla punta un fiocina da pesca da cinque punte aguzze.
Una volta tornato al combattimento, con un agile sgambetto atterrò l’avversario e gli puntò minaccioso l’arma letale in direzione del cuore.
Col fiatone Xaber guardò gli Strateghi, sorridendo loro, con assoluta naturalezza e divertimento; dopotutto, combatteva da quando aveva compiuto sei anni e per lui era sempre stato divertente... un gioco, quasi.
- Bene. Signor Dabis, può andare.
Il ragazzo lasciò cadere le armi e sfregandosi le mani uscì dalla palestra, incrociando gli occhi dei compagni e sussurrando a Connie:
- Facile come bere un bicchier d’acqua!
 
- Alexandra Ranger!
La ragazza rivolse un’occhiata preoccupata verso i suoi alleati, ma non poteva tirarsi indietro e le parole d’incoraggiamento, come quelle false, l’avrebbero fatta sentire ancora più strana e preoccupata di prima. Quindi non ora. Era l’ultima cosa da pensare...
Si alzò, sospirando rumorosamente, e cominciò a sudare freddo. Appena vide gli Strateghi, rilassati e spaparanzati sui loro divani di velluto rosso, provò il repentino bisogno di vomitare. Per fortuna non aveva ancora pranzato...
Alexandra si diresse calma e senza movimenti bruschi ad afferrare una corda. Raccolse la più lunga che trovò e subito si mise al lavoro: sciolse tutti i nodi in pochi secondi e poi prese ad intrecciare con maestria la corda, sfilandola e tirandola, a formare una perfetta rete da pesca. Non aveva avuto molte occasioni per lanciare reti al suo Distretto, visto che il suo lavoro era raccogliere le perle, ma aveva comunque preso lezioni da sua sorella.
A rete conclusa, l’attorcigliò svelta ad un gancio di metallo, e dopo varie giravolte, controlli e prove, posizionò un manichino sotto il pezzo di ferro.
Con l’apice della fune in mano, Alex fece vicina vicina al manichino, sotto la sua stessa trappola.
Aveva le idee chiare...
E...
Lasciò andare la corda... la rete scese su lei e sul fantoccio...
Ma proprio un nanosecondo prima che la sua stessa trappola la catturasse, la ragazza eseguì una spettacolare capriola all’indietro, atterrando accovacciata lontana dal manichino sospeso in aria dando prova della sua spiccata agilità.
Si rialzò, sbalordita di quello che era riuscita a fare, si inchinò agli Strateghi con grazia e lasciò la palestra, con la bocca semi-spalancata per lo stupore.
 
- William Ebony!
William si mise subito in piedi, con uno spaventoso scatto velocissimo, che fece sussultare la piccola Connie seduta al suo fianco. Il ragazzo corse eccitato verso gli uomini vestiti di viola, squadrandoli dal primo all’ultimo, e fermandosi col collo teso.
Il Capo-Stratega gli fece cenno di proseguire e così fece: William si guardò attorno incerto da dove iniziare e cosa mostrare.
- Vebbè... vedrò se riesco a fare un po’ tutto - sussurrò incamminandosi verso la postazione di tiro con l’arco. Per quanto si sforzasse nessuna delle frecce che scagliò andò a colpire il manichino, anche quello più vicino.
Gli Strateghi sembrarono sorpresi.
William corse verso il lancio dei coltelli e delle lance... fu un disastro: le armi volavano in ogni direzione possibile e per sbaglio una lancia era andata a colpire la piattaforma dove gli Strateghi l’osservavano, tenendosi una mano sul petto e scambiandosi occhiate fugaci e terrorizzate.
Il mimetismo andò a farsi benedire, quando l’intero barattolino di tempera verde cadde a terra sporcando il tributo.
- Ehm... - sussurrò William vedendo sfumare la possibilità d’impressionarli giocando al “piccolo chimico” - ... faccio una cosa, poi vado via, giuro.
Uno degli Strateghi, quello che si era visto passare tutta la vita davanti insieme alla lancia precedentemente  scagliata, scivolò dalla poltrona con un sospiro di sollievo.
William afferrato il concetto corse come un pazzo verso i pesi. Ne valutò la consistenza e afferrò quello che sembrava il più pesante. Riuscì a scagliarlo davvero lontano e a velocità impressionante, a diversi metri di distanza, facendo rimbombare il pavimento sotto il peso del metallo e del colpo.
Gli Strateghi ritrovarono la lucidità e lo congedarono senza storie.
 
- Connie Stevenson!
Erano passati ben trenta minuti dall’ingresso di William; ora finalmente tornava balzellando e correndo verso l’ascensore... coperto di colore verde. Connie lo lasciò passare e, timida, corse verso la palestra senza cerimonie o ricerche d’attenzioni. Dei senza-voci erano impegnati a pulire la postazione di mimetismo, a raccogliere le armi, a far rotolare i pesi...
Connie si trovò davanti la palestra sottosopra.
- Non si preoccupi! - tuonò il Capo-Stratega - Proceda!
Al suono di quella parole Connie corse a raccogliere una corda, tremante e impaurita. Gli occhi, anche mentre sfilava la fune, erano fissi a scrutare una senza-voce vicino a lei, dai capelli scuri, vestita di rosso carminio, lo sguardo basso e la pelle pallida. Al solo pensiero di vivere senza la propria lingua, Connie se la sfregò avida sui denti bianchi, cercando di non dare nell’occhio.
Quanta ingiustizia... forse quella ragazza non doveva essere lì, a servire il più...
La corda fu posta in cima ad un ramo di un albero finto e legata ad una delle sue radici più robuste. Come gli altri, posizionò il manichino più alto in direzione della sua trappola e poi corse a prendere una spada. La fece roteare sicura e poi, con un gesto secco ma preciso andò a tagliare la fune, impiccando il fantoccio.
Gli Strateghi annuirono soddisfatti.
Connie, senza smettere di tremare, si inchinò e sussurrò:
- Ar-rivederci...
Poi, quasi pentendosi di sé stessa, corse via come una saetta.
 
- Tom Allius!
Il più piccolo dei tributi si alzò, dando il cambio a Connie. Chiuse gli occhi, quella strada la conosceva bene e sentiva che se avrebbe incrociato gli sguardi degli Strateghi gli sarebbe venuto da piangere. E a dirotto. Visto che non doveva essere lì. L’allenamento o la presenza divertente della sua compagna di Distretto non erano riusciti a fargli passare quella terribile sensazione... quella sensazione di condanna che pendeva sulla sua testa, pronta a cadere su di lui.
Ma non tutto era perduto...
Col capo chino il bambino si avviò verso la moltitudine di spade e coltelli che attendevano solo di essere usati. Prese un’arma di dimensioni medie, si fece vicino al manichino più robusto e imbottito che riuscì a trovare.
Dopo vari tentativi e finte, Tom con un urlo conficcò l’arma dritta nel cuore dell’omino. Fece affondare la lama tagliente in profondità, fino a farla sbucare dalla schiena. Poi prese a colpire la testa e con un ultimo potente slancio recise il collo.
Il manichino era irriconoscibile.
Tom lo calciò via, per poi rincorrerlo e continuare a torturarlo; furono gli “spettatori” ad interromperlo, terrorizzati e con una certa fretta lo congedarono.
Tom saltellò via da quel macabro ma strano spettacolo.
 
- Katherine Moonstone!
La ragazza dai capelli lunghi legati dietro la schiena si alzò inespressiva, tenendosi stretta il polso bendato con l’altra mano. Quella spada le aveva quasi tagliato le vene, per fortuna era tutto passato... ma Katherine aveva deciso di tenersi le bende. Non aveva parlato con nessuno per tutta l’attesa, né aveva sfornato una delle sue perle di saggezza.
Era semplicemente rimasta lì a pensare, con la cicatrice che tirava e prudeva.
Ma ora toccava a lei...
Doveva tornare alla realtà.
Appena gli Strateghi la scorsero entrare in palestra, sorrisero e uno persino applaudì lievemente. Per tutta risposta, il tributo sollevò la mano destra, agitandola in segno d’amichevole saluto, con un sorrisone sulle labbra rosse.
Fermatasi, si guardò intorno. Partì con la postazione delle spade, anche se non fece molto: ne afferrò cautamente una, prendendola persino male e agitandola come una pazza davanti a un fantoccio, senza mai colpirlo però. Passò quasi cinque minuti a massaggiarsi il polso destro, che ricominciò a farle male, per poi optare per qualcosa di più tranquillo: il mimetismo.
Si mise seduta sul tavolo e si spalmò dell’abbondante colore marrone sulle mani, riuscendo a farle confondere abbastanza bene col terriccio. Si diresse, piena di colori, accanto all’area adibita all’accensione del fuoco, ma gli Strateghi la fermarono, forse preoccupati che riuscisse a bruciarsi qualche arto... o l’intero Palazzo.
- Va bene, può andare! - tuonò uno di loro alzandosi di scatto.
Katherine li fissò, con aria sorpresa; si inchinò educatamente e disse forte, andandosene:
- Pensavo avreste voluto vedere quanto sono brava a dare fuoco all’intera Capitol City.
Gli Strateghi si pietrificarono... all’ultimo secondo, la ragazza finì, sorridendo innocentemente:
- Scherzavo! Che tipi...
 
- Markus Schwarz!
Il tributo nominato era già in piedi, nervoso. Aveva sfilato avanti e dietro per tutti gli ultimi minuti, stranamente agitato.
Eppure Markus non aveva ragione per esserlo: era pronto, preparato e capace di dimostrare cosa aveva imparato in quei giorni d’addestramento. In più era letale con un’ascia in mano.
Al suono del suo nome, si fermò pensieroso per qualche secondo, ma poi si diresse zitto verso gli Strateghi in sua attesa. Doveva essere la pausa dei “giudici” perché molti di loro erano in piedi a chiaccherare allegramente con altri; giusto pochi erano ancora seduti, con la testa penzolante a fissare il nuovo tribtuo appena arrivato.
Markus scosse la testa, decise di lasciar perdere quegli uomini; lui avrebbe mostrato cos’era in grado di fare, con o senza la loro attenzione.
Si incamminò senza paura verso le asce, messe in fila davanti a lui, in attesa di essere usate, per spaccare, per distruggere e uccidere. Afferrò la più pesante e letale e corse velocissimo verso una fila di manichini. Senza grande sforzo e con una precisione innaturale li decapitò tutti; le teste erano sparpagliate a terra rendendo quasi impossibile il passaggio senza scivoli.
Per completare la sua opera lanciò l’arma in aria, altissima, per poi riprenderla con un’elegante giravolta ed un inchino rivolto agli Strateghi; poi, scagliò l’arma lontano e si diresse verso l’uscita con un sorrisetto stampato in volto... per essere tornato al centro dell’attenzione nella palestra.
 
- Joy Sparks!
Joy sussultò lievemente al suono del suo nome; si alzò con movimenti quasi meccanici e privi d’umanità. Aveva la mente altrove... pensava alla sua famiglia. A sua madre... tutto ciò che si era lasciata alle spalle per il suo compleanno. Non era passato molto tempo, ma avrebbe dato qualunque cosa solo per riuscire a tornare a casa, anche solo per qualche minuto.
Non trovava pace e difficilmente dormiva di notte... ecco perché l’unico modo per lasciar correre la rabbia e la nostalgia era dare il meglio nell’addestramento.
Se non avesse già saputo tirare coll’arco e usare l’ascia sarebbe sicuramente stata penalizzata alla sessione privata; ma ora, là, davanti agli Strateghi avrebbe dato il meglio di sé.
Arrivata in palestra non degnò di uno sguardo quelle persone e corse ad afferrare l’arco e parecchie frecce. Catturata l’attenzione degli uomini, Joy andò verso i manichini e ne allineò dieci. Messo l’arco in spalla corse poi a prendere un’ascia. Ne valutò il manico e si posizionò in fila ai fantocci.
E... concentrata... col respiro corto...
Tirò l’ascia, come se fosse un boomerang... tagliando a metà tutti e dieci i bersagli.
Le metà cominciarono a scendere, a cadere... ma prima che toccassero terra, furono tutte trafitte dalle frecce di Joy.
La ragazza osservò soddisfatta il suo lavoro e, dopo aver salutato allegramente gli Strateghi, uscì dalla stanza.
 
- Felix Andersen!
Il ragazzino si mise subito in piedi, seppur tremante e impaurito. Aveva già qualche idea per la sua sessione privata ma... non si era certo immaginato la totale assenza di Strateghi nella palestra.
Eppure... erano lì solo qualche secondo fa.
Felix sgranò gli occhi incredulo:
- Non ci credo... dove sono finiti? - sussurrò nervoso.
Probabilmente avevano bisogno di una pausa... o di mangiare... non potevano aver mollato!
Comunque Felix decise di sfruttare il tutto a suo vantaggio: corse verso il tavolo pieno di tempere per il mimetismo e si tinse ogni centimetro di pelle con del color argento.
Ora sembrava un robot.
Approfittando dell’assenza degli Strateghi, si mise in spalla una balestra e qualche freccia, una strana pasta gialla trovata vicino alle tempere e una lunga corda. Poi, quatto quatto si arrampicò, simile ad una piccola scimmietta per gli appigli della parete, fino ad arrivare sul soffitto ed appollaiarsi come un falco in attesa dell’arrivo della preda.
Proprio in quell’istante una marea di uomini e donne vestiti di viola entrò nella palestra, da un’entrata nascosta, per salire sulla piattaforma insieme a qualche senza-voce , ed accomodarsi sui morbidi divani con bicchieri in mano.
Il Capo-Stratega si rivolse ai colleghi:
- Il ragazzo del 9... dov’è?
Gli altri alzarono le spalle, negando d’averlo visto.
- L’avete chiamato? - riprese.
- Sì... doveva essere qui... ad aspettarci... - rispose un ragazzo mentre faceva strani gesti al senza-voce.
- Forse si è mimetizzato...
- Vado a controllare.
Un ometto sulla quarantina scese dalla piattaforma e cauto camminò in mezzo alla palestra.
In quel momento, Felix prese coraggio e mirò la balestra verso i manichini che circondavano l’uomo e...
Lanciò. Lanciò. E lanciò. Colpendoli dritti in testa.
Il povero stratega era rimasto stupito...
- Scacco! - gridò Felix rivelando la sua posizione, nascosto dalla tempera grigia e dalle ombre. Attaccò la pasta gialla sulla punta di una freccia che scagliò verso un fantoccio. La pasta doveva essere di natura esplosiva perché scatenò una strana reazione a catena di forti botti, seppur non mortali.
Come una saetta, Felix creò un lazo con la corda e tirò su il povero Stratega, che si era preso una paura tremenda che stava per essere colpito dai botti. L’aveva salvato, in un certo senso.
Ci volle un bel po’ liberare lo Stratega... seriamente scosso.
I suoi colleghi invece sembravano entusiasti e spaventati allo stesso tempo.
- Questo gioco mi è piaciuto... tanto - sussurrò il tributo uscendo soddisfatto dalla palestra.
 
- Mezzanotte Spielberg!
La ragazza prese a tremare, nervosa come non mai. Ancora più nervosa della Mietitura.
Ora si parlava di armi e sangue, non di nomi e biglietti. C’era in gioco tutto e non poteva permettersi errori a questo punto.
Mezzanotte respirò profondamente l’aria fresca della palestra. Notò che gli Strateghi erano un tantino scossi; uno di loro barcollava e si teneva una mano sulla tempia.
Ridacchiò a quello strano spettacolo.
Non aveva la più pallida idea di cosa combinare... ma uno scintillio, sul tavolo vicino agli attrezzi per il fuoco, catturò la sua attenzione. Si avvicinò e capì: un ago chirurgico, per i punti di sutura. Era molto simile a quello per cucire. E se... ?
Nott lo afferrò velocemente e guardandosi intorno notò una piccola cerbottana, mai usata e senza proiettili.
La fece sua, per poi correre verso il tavolo delle piante velenose ed immergere l’ago nella sostanza più letale che conoscesse. L’ago bagnato venne infilato nell’arma.
Puntò un manichino abbastanza lontano...
Ma prima di lanciare... cantò. Davanti agli Strateghi, col mirino davanti agli occhi.
Cantò.
Una canzone che usava mormorare insieme a Ray, tutte le volte che insieme ammiravano il sole sorgere all’alba...
 
“Never thought that I’d be leaving you today
So alone and wondering why I feel this way
So wide the world…
Can love remember how to get me home to you… someday?
 
We’ll be together again
All just a dream in the end
We’ll be together again”
 
E tirò.
Il manichino ricevette l’ago dritto in faccia, un colpo mortale, più il veleno.
Morte sicura.
Si inchinò agli Strateghi e uscì di corsa dalla sala... cercando di non pensare...
 
- Liam Burtom!
Il ragazzo scattò in piedi velocissimo. Si passò una mano sudata tra i capelli scuri, prese un lungo e profondo respiro e ad occhi bassi entrò nell’enorme palestra. Non voleva guardare gli Strateghi, non aveva voglia di incrociare i loro sguardi: il suo unico desiderio era quello di tornare nel suo appartamento, magari anche da solo, e restare in silenzio senza l’incombenza della morte accanto.
Camminò comunque spedito verso il centro della sala, ad aspettare... qualcosa, per poi camminare veloce verso la postazione del lancio dei coltelli.
Ne raccolse cinque.
Poi, afferrato anche un pezzo di stoffa, se lo legò stretto davanti agli occhi, bendandosi. Respirando profondamente, rigirò i coltelli nella mano destra e...
Ne lanciò tre in aria. I pugnali volteggiarono letali in alto, sopra la testa di Liam. Contemporaneamente il tributo scagliò in avanti gli altri due, che andarono a colpire un unico manichino. Il resto dei pugnali cadeva. Liam li afferrò percependo i minimi spostamenti d’ari a e li mandò a scagliarsi nella stessa direzione, su un fantoccio.
Non sbagliò: il manichino era infilzato.
Si tolse veloce la benda, chinò il capo rivolto agli Strateghi e lasciò veloce la palestra.
 
- Beatriz Moore!
La ragazza si alzò con un grande balzo, raggiante. Scosse i lunghi capelli viola verso il resto dei ragazzi, senza smettere di sorridere, poi saltellò allegra e serena verso la palestra, incrociando gli occhi con quelli di Liam.
Gli Strateghi vedendola entrare sorrisero compiaciuti, anche colpiti dalla capigliatura di Beatriz, più simile a quella di una capitolina che a quella di un tributo del Distretto 9.
Beatriz si diresse decisa, senza mai smettere di sorridere, verso il bancone che raccoglieva le piante commestibile e non. Ne afferrò alcune, più bacche nere e bianche, e poi si affrettò verso la postazione del fuoco. Riuscì ad accenderne uno e in una specie di pentolino immerse i frutti e il fogliame.
Intanto andò a raccogliere una spada dalla lama seghettata e ricurva. Si posizionò davanti a un manichino e prese a tagliargli gli arti e la testa.
Continuò così per qualche minuto; poi, sempre con l’arma in mano, tornò davanti al piccolo focolare e immerse nella scodella la punta della lama della spada. Quando la ritrasse, la punta acuminata era sparita... si era sciolta.
Gli Strateghi l’osservavano curiosi e interessati, mentre posava l’arma e, dopo un grazioso inchino, uscì sorridente dalla palestra, senza smettere di sorridere.
 
- Jay Carter!
Il biondino si alzò sospirando. Rivolse una fugace occhiata ad Eliza, del Distretto 11... e lei ricambiò sorridente, facendogli un amichevole cenno con la testa.
Appena entrato nella palestra, Jay si incamminò verso il ripiano delle spade e dei coltelli. Prese la spada che gli sembrò più letale e affilata, per poi dirigersi di corsa, come una furia, addosso ai manichini, riducendoli in pochissimo tempo in semplici busti decapitati.
Un istruttore provò alcune mosse contro Jay, fallendo miseramente e trovandosi la lama dell’arma a pochi millimetri dall’occhi destro.
Finito l’incontro, Jay corse ad accendere un braciere, con molta facilità.
Con la punta della lama luccicante di un pugnale infilzò un braciere ardente, creando un’arma micidiale; siccome non poteva certamente usarla contro gli addestratori, corse ancora verso i manichini. Lungo il tragitto, abbastanza lunghetto, lanciò alto l’arma che lasciò dietro di sé una scia di scintille, segno che il braciere continuava a bruciare.
Riafferrato il pugnale con bravura ed agilità, si lanciò contro un fantoccio. La lama entrò nel “cranio” e il fuoco e il calore cominciarono a deformare la testa del manichino.
Jay non sorrise, né guardò gli Strateghi: quello era solo un pezzo di plastica con le sembianze di una persona, non soffriva o provava alcun dolore. Ma quel “trattamento”, su una persona vera, sarebbe stato letale e terribile.
Uscì dalla sala senza guardarsi indietro, portandosi dietro gli sguardi degli Strateghi.
 
- Chloe Minnel!
Chloe era già in piedi, da parecchi minuti poggiata allo stipite della porta che conduceva alla palestra. Dopo aver salutato amichevolmente Jay, si rimise dritta ed entrò decisa nella silenziosa sala.
Gli Strateghi bisbigliavano tra loro, altri guardavano il soffitto, altri ancora bevevano.
Chloe li guardò schifata per qualche secondo... poi mosse i passi più rumorosamente che poté verso un istruttore. L’uomo, colte l’intenzioni del tributo, si fece avanti coi pugni tesi.
Lo scontro ebbe inizio e gli Strateghi non poterono più ignorare le urla e le mosse dei due duellanti.
Lei partì svantaggiata, ma si riprese in un batter d’occhio: mostrò le sue tecniche di difesa egregiamente e riuscì a piantare un poderoso pugno della pancia dell’avversario, facendolo accasciare a terra.
Un suo collega si fece avanti minaccioso e lo scontro assunse una svolta più intensa e dinamica: era un susseguirsi di schivate, pugni al vento, rotolamenti e capriole evasive.
Ma, alla fine, Chloe con una presa alle spalle, riuscì a mettere KO anche lui.
Gli Strateghi annuirono in cenno d’incoraggiamento; Chloe si mise al centro della sala, si inchinò e uscì dalla palestra, con ancora i due uomini che si massaggiavano i lividi.
 
- Mike Salt!
Eliza dette una leggera pacca sulla spalla dell’amico, quando il suo nome risuonò minaccioso nel corridoio quasi deserto. Il piccolo Mike era stato a tremare tutta l’attesa e sarebbe sicuramente crollato se i suoi alleati non fossero stati accanto a lui.
Si alzò e camminò lento verso la palestra, con la faccia di un condannato a morte.
Gli Strateghi gli rifilarono qualche breve sguardo curioso, mentre si affaccendava con diversi coltelli. Ne afferrò tre, tra i più leggeri ma affilati, e li lanciò improvvisamente deciso verso un’unica sagoma umana riuscendo a colpire stomaco, collo e testa.
Abbastanza stupito di sé stesso e del risultato ottenuto, corse a prenderne altri tre, migliorando decisamente la mira: tutte le armi si ficcarono all’altezza del cuore.
Mike, voltatosi verso la moltitudine di spade, ne scelse una e caricò verso i manichini, tagliando la testa di netto, con un colpo preciso e perfettamente verticale.
Un colpo letale...
Poteva bastare.
Il quattordicenne guardò la platea di Strateghi e salutati con un piccolo e veloce inchino, si congedò dalla palestra.
 
- Elizaveta Pochka!
La ragazza si alzò leggera e con uno strano sorrisetto stampato sulle labbra; saltellò spensierata e dolce nella palestra... trovando gli Strateghi completamente distratti.
Corse il più vicino che poté e si presentò:
- Distretto 11! - urlò decisa, con l’eco nella testa.
Il Capo-Stratega la osservò per un attimo, con gli occhi ridotti ai fessure; fece cenno ai colleghi di abbassare la voce e a annuì incoraggiante alla ragazza.
Elizaveta sorrise, compiaciuta per quel briciolo d’attenzione.
- Prego, signorina... - disse uno Stratega impaziente e piuttosto affamato, concentrato più sull’arrosto alle sue spalle che ad altro.
Il tributo mostrò agli uomini una corda, abbastanza sottile, poco robusta. Fu subito all’opera: con le mani rigirò e rigirò l’oggetto, lo strinse, l’allentò... ma doveva fare in fretta! Quell’ultimo atto d’interesse nei suoi confronti stava già scemando.
Dopo preziosissimo tempo, Eliza mostrò il suo lavoro: una rete, fitta ma piccola, abbastanza da essere racchiusa nelle mani.
Gli Strateghi rimasero zitti.
L’opera venne imprigionata tra le dita della ragazza...
Chiuse gli occhi e... quando riaprì i pugni... due bellissime e bianchissime colombe, vive, sbucarono... dal nulla...
Gli abitanti di Capitol City adoravano quel tipo d’intrattenimento; tutti gli Strateghi scoppiarono in urletti o esclamazioni sorprese... tutti tranne il Capo-Stratega, che era rimasto immobile e osservava dritta negli occhi la ragazza.
Eliza sospirò, lasciando volare gli uccellini:
- Naturalmente, non mi servirà nell’Arena, penserete, signori? Ma...
Richiuse la mani... la ragnatela di corda era sparita.
- ... passiamo ad altro.
Portò le mani completamente vuote al petto, incrociando le dita.
Tre lance, come animate di vita propria, fluttuarono per poi scagliarsi contro altrettanti manichini, colpendoli dritti nel cuore. Contemporaneamente, tre asce seguirono, decapitando i fantocci; dal collo dei pupazzi sembrò scaturire un liquido scarlatto... simile a...
Ora il Capo-Stratega era in piedi... e regnava il silenzio.
Eliza non si inchinò. Lasciò semplicemente la stanza, dopo aver rivolto un grande sorriso ai giudici e aver sussurrato tra sé e sé:
- Per casa...
 
- Nicholas Rayan!
Il biondino si alzò sorridendo alla compagna, lasciandole dolcemente cadere la mano sul fianco e facendole un veloce occhiolino. Camminò veloce verso la palestra, incrociando Eliza e sorridendole amichevole.
Notò, appena entrato, che gli Strateghi borbottavano tra loro, anche abbastanza forte e si guardavano attorno, come preoccupati per qualcosa; esaminato il ragazzo, gli fecero cenno di proseguire.
Nicholas non aveva la più pallida idea di cosa avesse combinato Eliza, ma sembrava qualcosa di grosso.
Non fece caso più di tanto ai manichini decapitati e a delle lance per terra: corse a raccogliere l’arco e alcune frecce, mettendosi a quasi 35 metri di distanza dal manichino; prima di scoccare, fece cenno ad un istruttore di muovere il bersaglio. L’uomo azionò un pulsante e le figure presero a muoversi veloci, a destra e a sinistra.
Il ragazzo sistemò la freccia. La scagliò lontana, ma quella andò a colpire proprio la testa del manichino. Nick aveva calcolato tutto e il suo tempismo gli era valso un colpo perfetto.
Continuò così, fino a consumare le frecce.
Corse ad afferrare due lance, e le scagliò contemporaneamente: i colpi centrarono la pancia della sagoma, completamente piena d’armi.
Nicholas aveva dimostrato la sua agilità e la sua bravura; salutò gli Strateghi e raggiunse Rose.
 
- Rosalie White!
La ragazza era in piedi con le mani nelle mani di Nicholas, lo sguardo basso e le ginocchia che le tremavano.
- Non è come pensi... non te ne accorgi nemmeno - le sussurrò il ragazzo spingendola dolcemente verso la palestra - Ti aspetto qui... vai.
Lei, abbastanza rincuorata, camminò lontana dal corridoio, nella palestra, davanti agli Strateghi. Solo due o tre, compreso il Capo, si accorsero dell’entrata di Rosalie, ma lei non ci fece caso.
Si guardò intorno, con indecisione, ma poi optò per il percorso ad ostacoli che le ricordava tanto le corse che faceva da ragazzina nella foresta, proprio dietro il Giacimento.
Con gli istruttori che brandivano spade e pezzi di plastica per aumentare la difficoltà del percorso, Rosalie si fece largo con velocità impressionante, scavalcando, saltando e superando tutti gli ostacoli.
Una volta terminato, si diresse alla postazione di tiro con l’arco. Intanto altri due istruttori si fecero avanti, lanciandole pugnali. Lei li scansò con agilità e grazia, come se fosse stato il più piccolo dei problemi.
Un coltello le saettò accanto alla guancia sinistra, senza scalfirla però.
Presa da un attacco di adrenalina, scagliò tre frecce verso gli istruttori.
Riuscì a colpirne uno alla ginocchiera; l’altro le scansò con non poche difficoltà.
La faretra era vuota.
Rose gettò l’arco verso l’addestratore, che non le prestava attenzione, colpendolo in piena faccia sotto le risate degli Strateghi. Si inchinò e lasciò la palestra gettandosi tra le braccia di Nicholas, camminando felice verso l’ascensore.
 

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Capitolo 16
*** Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei - Le Reazioni ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Mostrami Cosa Fai E Ti Dirò Chi Sei - Le Reazioni


Come ogni anno, Caesar era davanti alle telecamere in diretta, poco lontano dagli appartamenti dei ventiquattro tributi, per comunicare all’intera Panem il loro punteggio per le sessioni private con gli Strateghi avvenute di mattina.
- Come sempre - disse Caesar al pubblico - Ricordiamo il grande impegno dei nostri ragazzi con questi voti, dall’1 al 12, che, dopo  l’attenta valutazione e consultazione tra gli Strateghi, segneranno il loro futuro e come ben sapete, l’arrivo degli sponsor. Cominciamo!
Diego Sallen, con un punteggio di... 10.
Sophia Devis, con un punteggio di... 11.
Brandon Mayers, con un punteggio di... 11.
Lavinia Harmonia, con un punteggio di... 10.
Essien Konatè, con un punteggio di... 8.
India Eveery, con un punteggio di... 6.
Xaber Davis, con un punteggio di 8.
Alexandra Ranger, con un punteggio di... 7.
William Ebony, con un punteggio di... 4.
Connie Stevenson, con un punteggio di... 6.
Tom Allius, con un punteggio di... 6.
Katherine Moonstone, con un punteggio di... 4.
Markus Schwarz, con un punteggio di... 7.
Joy Sparks, con un punteggio di... 9.
Felix Andersen, con un punteggio di... 10.
Mezzanotte Spielberg, con un punteggio di... 8.
Liam Burtom, con un punteggio di... 7.
Beatriz Moore, con un punteggio di... 8.
Jay Carter, con un punteggio di 7.
Chloe Minnel, con un punteggio di... 7.
Mike Salt, con un punteggio di... 9.
Elizaveta Pochka, con un punteggio di... 11.
Nicholas Rayan, con un punteggio di... 8.
E, per finire, Rosalie White, con un punteggio di... 7.
E... l’elenco di tributi finisce qui! Complimenti a tutti voi, ragazzi. Non vedo l’ora di conoscervi meglio. Buonanotte!
 
I Favoriti erano tutti riuniti, negli appartamenti del Distretto 2, seduti, insieme a mentori e stilisti a guardare i risultati delle loro “performance”.
Diego sorrise imbarazzato così come Sophia alle acclamazioni dei compagni alla vista dei loro voti alti. Ai due undici di Sophia e Bran tutti i presenti li applaudirono gioiosi e si complimentarono.
- Non stai bene, Sophia? - chiese Brandon dopo le congratulazioni.
- Perché me lo chiedi? - chiese lei arrossendo.
- Mi aspettavo che lanciassi un urlo, che facessi la pazza...
- Non dire sciocchezze! - concluse la ragazza dandogli un colpetto sulla spalla.
Diego tornò a sedersi con un bicchiere offerto dal suo mentore sul divano, a guardare annoiato il resto dei tributi. Anche all’annuncio del 10 di Lavinia ci fu un boato di congratulazioni ed esclamazioni, a cui la bambina prese subito parte, felicissima. Perla, sua sorella e sua mentore, però, sembrava l’unica non soddisfatta dai voti dei ragazzi. Il perché si trovava sei piani sopra di loro.
 
India e Essien erano seduti vicini, coi loro rispettivi staff. Essien, sentito il suo voto, sospirò felice, insieme sl mentore. Ma il sei di India, costrinse i mentori e gli accompagnatori a non dilungarsi molto nei festeggiamenti.
- Dai, cara! - disse allegro Hammil, suo stilista - Non buttarti giù. Ti farai valere una volta scesa nell’Arena.
India gli sorrise e annuì confortata. Essien, scattato in piedi, raggiunse la sua stanza. Degli altri, per ora, non gli importava; non se la sentiva di restare solo con India. Non in quel momento.
 
Alexandra era stata chiamata al super-attico del palazzo; con delle patetiche e velocissime scuse, era stata trascinata in ascensore... e Xaber era rimasto solo soletto, seduto davanti allo schermo, in attesa di sapere il suo voto.
Quando vide l’otto lampeggiare davanti a lui, sulla sua foto, sbarrò gli occhi incredulo. Rimase immobile, ad assaporare quel momento... e a capire davvero cosa quell’otto poteva significare.
Dopo pochi secondi, chiuse gli occhi, sorrise e sussurrò:
- Otto... wow.
Con uno scatto felino salì sul divano, con ancora le scarpe addosso, levò i pugni al soffitto, dove probabilmente Connie attendeva di sapere il suo risultato, assunse un’espressione concentrata e, quasi sentendo una strana musica di carattere epico nelle orecchie, esclamò:
- Ora il “forse” è un “sì”, Connie! Ahahahah! Ci scommetto!
Ritornò seduto sorridente.
 
Connie e Will sedevano ai due estremi del lungo divano bianco del loro appartamento.
William alla vista del suo voto, ridacchiò, davanti alle facce stupite degli altri.
- Che cosa c’è? Mai visto un quattro in vita vostra? - rise il tributo - Lo trovo un bel numero.
Connie distolse lo sguardo dal suo compagno di Distretto solo per vedere il suo risultato: un sei.
Alzò le mani, sorridente:
- Io sto bene col mio sei - ammise.
Skene, loro stilista, li guardò con la bocca spalancata, incredulo:
- Ragazzi! Non sono il vostro mentore, non so  come va a finire, ma ne ho visti molti morire là dentro. E sapete il motivo? Gli sponsor. Come credete che vi guarderanno, ora. Datevi da fare nell’intervista, sarà la vostra ultima possibilità prima dei Giochi.
I mentori annuirono severi.
 
Anche Tom era abbastanza soddisfatto del suo sei.
Era caduto in preda ad uno strano istinto in quella palestra, e aveva rischiato di mandare tutto a monte.
- Sei, Tom! - esclamò la sua compagna di Distretto, abbracciandolo senza apparente motivo.
- Sì...
- Sei fortunato... chissà io...
Il quattro della ragazza fece capolino nello schermo davanti alla sua foto.
Ci fu un momento d’imbarazzante silenzio. La ragazza era immobile... sembrava che non respirasse nemmeno. Tom la scosse delicatamente per la spalla.
E funzionò:
- Oddio! Un quattro! Tom! Un quattro! Ero più brava a scuola! - esclamò sorridente - Ah! Chi l’avrebbe mai detto... ho sonno.
Si alzò di scatto e camminò lenta verso la sua stanza.
Appena la porta si chiuse alle sue spalle, uno strano sorriso si arricciò tra le sue labbra.
 
Joy, all’udire il suo voto, inaspettatamente urlò di sorpresa. I mentori e gli stilisti, quasi più sorpresi di lei, brindarono allegri e si congratularono con lei.
Markus non si alzò, né dette segno di felicità alla notizia. Rimase seduto... a pensare invece al voto ch e lui aveva ottenuto.
Il resto l’aveva notato, ma decisero di lasciarlo ai suoi pensieri... fino a quando il tributo esclamò:
- Cosa festeggiate? Andiamo a morire! Non a divertirci!
Tutti si immobilizzarono.
- Sì, Joy, continua a rallegrarti! - continuò - La tua famiglia starà festeggiando? Tra due giorni andiamo al macello. E poi... un sette! Un sette!
Lasciò la sala, sbattendo la porta della sua camera.
 
Mezzanotte e Felix si tenevano la mano stretta. Avevano appena sentito i loro voti e si erano avvicinati da soli, come fossero calamite, esattamente come successe alla sfilata, così in sintonia.
- Bravissimo! - esclamò Nott sorridendogli - Un dieci non è cosa da poco.
- Neanche un otto - ammise Felix.
- Ma guardati le spalle... un dieci può significare l’arrivo di un esercito di favoriti arrabbiati - continuò.
- Non preoccuparti...
Nott gli sorrise ancora più radiosa:
- Scommetto ch e Ray starà facendo i salti di gioia a casa... - sussurrò.
- Oh, all’intervista parlerai di lui, cara? - chiese la sua truccatrice prima di scendere con ascensore.
La ragazza abbassò lo sguardo e senza rispondere tornò a guardare la televisione.
 
- Wow! Un otto! - esclamò Triz portandosi una mano sulla bocca per reprimere un urlo.
Liam, con suo soddisfacente sette, la guardò sorridente:
- A quanto pare non siamo passati inosservati.
Si scambiarono un’occhiata.
- O meglio dire... tu non sei passata inosservata, Beatriz - concluse Liam.
- Non lo sono mai stata - sorrise lei, accennando ai capelli viola - Ma sono felice.
- Anch’io. Mi accontento del mio sette.
- Sarà un’Edizione movimentata, da quel che hanno avuto gli altri...
- Già...
 
Chloe, Jay, Eliza, Mike, Rose, Nick e Alexandra erano al piano del Distretto 12 incollati allo schermo.
All’arrivo del voto di Alexandra i ragazzi esplosero in abbracci e complimenti; la timida ragazza accettò i consigli di quella strana ma numerosa compagnia, ringraziando a destra e a manca.
Alla volta del Distretto 10, e dei due sette di Jay e Chloe, l’atmosfera si fece tesa. Come potevano essere “paragonati” ai Favoriti con degli umili ma buoni voti.
- Non mi interessa - esclamò divertito Jay ed Elizaveta - Non si guarda al singolo, giusto?
- Giusto - assentì la ragazza arrossendo.
Mike al suo risultato spalancò la bocca, compiaciuto, con mille mani dietro di lui a tirargli pacche d’incoraggiamento:
- Non mi aspettavo un... nove. Cosa li avrà... ?
Ma fu il voto di Elizaveta a sorprendere tutti: un undici.
Eliza sbarrò gli occhi:
- Non ci credo...
Alexandra e Rose esclamarono all’unisono:
- Ma cosa hai fatto?!
- Niente di speciale, qualche trappola... non se ne sono nemmeno accorti che le montavo. Avranno creduto fossi una strega!
Ricevette abbracci e complimenti; Jay le sussurrò all’orecchio:
- Posso già sentire le urla isteriche di Sophia.
Infine arrivò il turno di Rosalie e Nicholas. Sorpresero ancora le aspettative coi loro voti, abbastanza inusuali per l’ultimo dei Distretti. Erano stati tutto il tempo mano nella mano, accoccolati e piccoli piccoli, come colombine innamorate.
- E bravi i nostri piccioncini! - esclamò Alexandra, che per tutta risposta ricevette un morbido cuscino sulla testa, facendo scoppiare il putiferio sotto gli occhi disgustati dei capitolini che vedevano i costosi cuscini volare per la stanza con sottofondo le risate dei ragazzi. 


 

NOTE D'AUTRICE:
Ecco i voti :)
E non dite che siamo stati troppo buoni. Tutto è stato deciso in base alle vostre descrizioni, ecc...
Comunque, questi erano i voti. Ora, ho anche il numero di sponsorizzazioni.
Dai, che ancora non l'ha fatto... può darsi una mossa XD


DIEGO: 2
SOPHIA: 2
BRANDON: 3
LAVINIA: 4
ESSIEN: 2
INDIA: 2
XABER: 8
ALEXANDRA: 5
WILLIAM: 1
CONNIE: 3
TOM: 1
KATHERINE: 1
MARKUS: 1
JOY: 0
MEZZANOTTE: 3
FELIX: 3
LIAM: 0
BEATRIZ: 2
JAY: 1
CHLOE: 1
MIKE: 1
ELIZAVETA: 9
NICHOLAS: 1
ROSALIE: 1


Per i soldi vi dirò tutto nel prossimo capitolo. Qui aggiornerò se ci saranno nuove sponsorizzazioni.
Fatevi sentire e... alla prossima ! :D

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Capitolo 17
*** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Prima Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ave Caesar! Morituri Te Salutant! - Prima Parte
 

Al tempo degli antichi Romani, la gente chiedeva solo due cose: “Panem et Circenses”
“Pane e Divertimenti”.
In fondo, cosa c’era di meglio?
Pane... sostentamento, pace, pancia piena, felicità e abbondanza.
Divertimenti... come gli scontri tra gladiatori... schiavi rinchiusi in un’Arena a combattere per la vita davanti al pubblico.
Si dice che i combattenti, prima degli scontri con belve e avversari, gridassero all’imperatore:
- Ave, Caesar! Morituri te salutant!
“Ave, Cesare! Coloro che andranno a morire ti salutano!"
E ora...

 
Appena il magnifico palcoscenico televisivo esplose in un tripudio di infinite luci multicolori, il pubblico cominciò ad agitarsi: i ventiquattro tributi sarebbero presto sfilati, uno ad uno, davanti a loro, prima dell’inizio dei Giochi. L’intervista col famosissimo Caesar Flickerman era considerata uno dei momenti più cruciali per il tributo; fare colpo era una prerogativa, naturalmente, e ognuno di loro continuava a ripeterselo.
Ma più quella poltrona si faceva vicina, più i pensieri si offuscavano, e frasi pianificate e ripetute migliaia di volte sembravano vuote e senza senso. L’emozione aveva preso il sopravvento di futuri vinti e vincitori.
Chissà quanti ne erano passati, poi.
 
Per la quarantunesima edizione degli Hunger Games, Caesar era vestito completamente d’arancione, proprio come alla sfilata dei carri; lo smoking arancio era  contornato da una marea di pailette che lo facevano brillare sotto la luce dei riflettori. Con i capelli in tinta, sembrava una carota umana.
Fu annunciato, come di consueto, e al suono del suo nome si avvicinò al pubblico mentre la sigla del suo programma risuonava nello spazioso studio gremito di capitolini e fotografi e le telecamere cominciavano a trasmettere le immagini in tutta Panem in diretta.
- Buonasera! - esclamò Caesar sorridendo e salutando in tutte le direzioni.
Il pubblico esplose in grida e applausi.
- Buonasera! - ripeté ridendo - Dunque, sapete cosa sta per succedere, no?! Tra qualche minuto, vedremo i ventiquattro ragazzi, i tributi di quest’anno, di questi spettacolari Hunger Games! La sfilata e i voti non bastano, signori miei; passiamo alla “créme de la crème” dei nostri... Pre-Giochi. Li vedremo qui... e sentiremo cos’hanno da dirci. Non vedo l’ora. E voi tutti?
Il baccano riuscì a far quasi tremare le attrezzature sceniche.
Caesar scoppiò a ridere:
- Lo sapevo! E allora... perché aspettare? So che non vedete l’ora. Un bell’applauso per la nostra Sophia Devis, dal Distretto 1! - gridò rivolto alla gente e allungando una mano verso le quinte.
 
Sophia, splendente e bellissima come il sole, salì i tre gradini che la separavano dal palco, lasciandosi dietro i ventitré compagni. I riflettori puntarono su di lei, come fosse stata una diva dello spettacolo.
Per la serata, Sophia indossava un lungo ma leggero vestito completamente nero; il tessuto e le cuciture mettevano in risalto il suo bel corpo atletico. I capelli le erano stati raccolti in un’elegante pettinatura con l’ausilio di fermagli brillanti e piccoli diamanti incastrati nelle ciocche bionde.
Brillava. Con la mano destra salutava raggiante il pubblico, l’altra era impegnata ad allisciare una piega del vestito.
- Ahh! - sospirò Caesar vedendola arrivare e prendendola per mano; la accompagnò con dolcezza alla poltroncina e aspettò che si accomodasse, prima di iniziare a parlare.
- Salve. Salve a tutti! - ridacchiò la ragazza, senza smettere di sorridere.
- Allora... Sophia - attaccò Caesar - Ma che bella ragazza. Non potevamo cominciare meglio la nostra serata. Stupenda... brilli! Se avevi intenzione di accecarmi... ci sei riuscita.
- Oh, lo so. Grazie, comunque, sono brava anche a fare altro - scherzò lei.
- Ahahah! Ci scommetto! Un undici non arriva senza un valido motivo. Li hai sorpresi? Dicci...
Sophia respirò profondamente:
- Spero di sì. Ho dato il mio meglio, anche se il bello deve ancora venire. Sono pronta. Preparata.
Il pubblicò applaudì; riprese parola:
- Non crederete che mi sia guadagnata l’undici per il mio bel faccino?! Ci vuole altro.
- Decisamente - concordò Caesar.
- Potrò sembrare la bambolina, la solita oca senza un briciolo di cervello...  - continuò rivolta direttamente agli spettatori - Ma se davvero lo pensate, siete sulla strada sbagliata.
Caesar la fissava sorridente; in effetti, era tutto spettacolo.
- Scommetto che il tuo Distretto, starà tifando per te. Ti starà guardando... e tiferà per te. Cosa... ? - chiese l’uomo prima di essere ancora interrotto.
- Guardatemi... ero la bambolina incapace di tirare un coltello! E ora... - disse Sophia alle telecamere, abbassando la sua “barriere” e abbandonando il tono superbo - Sono qui. Mi metto in gioco... solo per vincere.
- E sono sicuro. Ci stupirai.
Il segnale acustico risuonò nello studio e, dopo un leggero e raffinato baciamano, Caesar gridò:
- SOPHIA DEVIS!
 
- E ora - annunciò il presentatore - Salutiamo il nostro secondo tributo dal Distretto 1. Diego!
Il ragazzo salì i gradini e sorrise prima che le telecamere si puntassero sul suo viso. Strinse forte la mano a Caesar e osservando stupito il pubblico prese posto, accavallando le gambe rilassate. Per l’intervista Diego indossava pantaloni e camicia nera, con sopra un soprabito giallo, che metteva in risalto l’oro dei suoi capelli arruffati.
- Diego, eccoti qui!
Il ragazzo osservò l’eccentrico uomo alla sua destra, pronto a rispondere alle sue domande.
- Grazie Caesar, sono felicissimo di essere qui. E anche emozionato - ammise il tributo.
Caesar batte amichevolmente sulla spalla del ragazzo:
- Emozionato? Tu?! Non si direbbe: sembra che tu sia nato per i riflettori. Insomma... come anche la tua compagna... volontari.
Diego appoggiò rilassato le spalle sul basso schienale imbottito:
- Emozionato, sì. Ma Caesar... anche prontissimo! Sono pronto all’azione - disse calmo - Voglio entrare in quell’Arena, e mostrare al mondo il mio valore. Perché voglio tornare a casa!
Il pubblico gridò esclamazioni dietro a quell’ultima frase, alzando le mani e battendole. Era spettacolo.
- Sicuramente. I vostri Distretti non ci deludono mai - ammise l’uomo allungando le mani alle telecamere.
- Posso vincere. E non mi fermerò davanti a nulla - continuò il ragazzo, sicuro di sé, senza mai abbandonare quel sorriso - Signori, questi Hunger Games saranno eccitanti. Unici.
Ancora applausi.
Diego fissò la telecamere più vicina... riuscendo quasi a vederci dentro il viso di suo padre, che da casa lo incitava inutilmente.
- Vincerò... - sibilò a sé stesso.
- E sono sicuro che darai prova del tuo coraggio - rispose Caesar. Si udì lo strano segnale acustico. I due si alzarono con un balzo - DIEGO SALLEN!
 
- E adesso, accogliamo con un forte applauso la nostra piccola volontaria, Lavinia Harmonia!
La sala esplose in un fragoroso applauso, quando la piccola figura di bambina si avvicinò saltellando sorridente verso il presentatore.
- E’ un piacere, un vero piacere - disse Caesar lasciandola accomodare.
Lavinia portava un vestitino corto, di colore azzurro; all’altezza dello stomaco un tripudio di brillanti e diamanti impreziosivano la stoffa. I capelli erano lisci e sciolti, con qualche fermaglio celeste qua e là. La ragazzina si mise a suo agio e agitò la mano al pubblico.
- La nostra piccola Favorita... presumo - disse l’uomo.
Lavinia annuì contentissima.
- Come ti senti? - chiese continuando.
- Preparata e pronta, come i miei compagni, del resto - disse dopo una breve esitazione - Non lascerò che nessuno mi intralci il cammino!
Caesar le sorrise raggiante:
- Questo è lo spirito giusto. Ora senti, Lavinia. Le voci girano... e io adoro il gossip.
La bambina sbarrò gli occhi... e attese.
- Gossip, vero gente? - esclamò il presentatore - Lo. Adoro. E ho sentito che tra le mura del Centro... è sbocciato l’amore. Giusto, stiamo parlando di un certo ragazzino dal Distretto 8. Dicci, Lavinia.
Il tributo era rimasto a bocca aperta. Non riusciva a parlare. E già sentiva lo sguardo truce di sua sorella attraversare le quinte.
- Parlacene, Lavinia - la incitò Caesar, con tono persuasivo.
E pensare a Brandon... Perla... Felix... la indusse a rispondere tremante:
- Quel ragazzino dell’8? Non è nessuno. Come ho detto, sono pronta e nessuno mi impedirà di tornare a casa e vincere. Non un ragazzino immaturo come lui. Io sono una Favorita. Non ho bisogno di lui.
La risposta secca e fredda gelò anche il pubblico.
Ci furono secondi di silenzio, prima che il suo turno finisse.
Caesar riprese parola:
- Un forte applauso! LAVINIA HARMONIA, Distretto 2!
 
- Ora accogliamo il nostro Brandon! Distretto 2!
Il ragazzo non era rimasto a vedere le interviste dei propri compagni, visto che il suo staff di preparatori stava avendo un po’ di problemi nel domare la sua chioma ribelle rossa. Non avevano ancora finito che il tributo sentì Caesar chiamarlo dai microfoni; abbandonò lo “studio” e si precipitò sul palco proprio mentre dietro di lui sentiva una capitolina urlare di aggiustarsi la cravatta scura.
Brandon indossava una giacca nera, sopra la camicia bianca e cravatta. Pantaloni neri e scarpe in tinta.
Fu accolto dalle grida capitoline e dalla risata di Caesar:
- Benvenuto! Parliamo, Brandon! - disse mentre il ragazzo agitò la testa scompigliandosi i capelli.
- Grazie, è un onore - disse il ragazzo sorridendo alla gente.
- Oh, è un onore per noi avere qui un ragazzo degno del suo undici - rispose Caesar - Come gli altri. Ma sai... voi siete i primi, voi accendete la serata! Ahahah!
- E’ un onore in ogni caso, quindi! - tagliò corto Brandon ridendo.
- Sì. Parliamo del tuo undici. Le sessioni private sono segrete, a noi basta questo. Ma sembri un tipo sveglio, un ottimo conversatore. E un ottimo tributo, immagino.
- Grazie - sussurrò Bran, passandosi una mano fra i capelli.
- Quindi... cosa significa, per un volontario e un Favorito come te... quel numero? Facci capire, vogliamo entrare nella tua testa...
Il ragazzo prese un profondo respiro, ma siccome non riusciva a prendere abbastanza fiato e uno strano mal di stomaco lo stava colpendo, si allentò il nodo della cravatta, sotto i bisbigli delle capitoline:
- Che significa? Ti dirò... mi alleno da tutta la vita. La prima volta che ho toccato un’arma vera avevo meno di sette anni. Non ero nemmeno bravo all’inizio, e un bambino non sa perché viene mandato in Accademia. Ricordo... una volta un istruttore, mi disse che se un giorno sarei voluto tornare a casa e rivedere mia madre e mio fratello, avrei dovuto imparare a difendermi e a combattere. Per vincere gli Hunger Games.
Il pubblico e il presentatore erano ammutoliti.
Bran continuò deciso:
- Odiavo rimanere in palestra fino a notte inoltrata; ma se volevo la cena dovevo rifare e rifare il percorso ad ostacoli, mille e mille volte, perfettamente. Ci crescono così, nel mio Distretto. La nostra infanzia passa mentre immaginiamo di portare in capo la corona del vincitore dei Giochi; siamo Favoriti, e la gente lo sa ancor prima della nostra venuta al mondo. I volontari che ho lasciato a casa... li capisco, perché non volevano certo buttare al vento anni e anni di sacrifici e allenamenti. Ma io mi alleno da undici anni per tornare a casa. Voglio scoprire come sarà tra un mese e, ora, mi sento così vivo che pensare cosa potrei perdermi se morissi, fa troppo male.
Il ragazzo sorrise mestamente:
- In altre circostanze - continuò - Io e quei ragazzi saremmo potuti diventare amici. Domani, però, ci vedrete spargere sangue. Bello. Per quell’undici, devo ringraziare mio fratello perché pensavo a lui in quell’istante. Ha bisogno di me, e quell’undici mi avvicina a lui.
Il segnale acustico suonò e un forte applauso, vero e sincero, riempì lo studio.
- Sei stato fantastico! - gridò Caesar, pallidissimo -BRANDON MAYERS!
 
- E’ il turno della nostra India Eveery!
La biondina si avvicinò a passo incerto verso il centro del palco, dove Caesar l’aspettava. Le baciò la mano e l’aiutò a sedersi, anche perché la ragazza sembrava sul punto di svenire per l’emozione o la paura.
La bella India indossava un abito lungo fino alle ginocchia, di tulle color rosso. I lunghi capelli ricci erano raccolti da un fermaglio di rubini in una cosa particolarmente aggraziata.
Esprimeva mansuetudine: salutava timidamente con la mano e non guardava mai le telecamere; la sua faccia cominciava a d assumere quasi la stessa tonalità del suo abito.
- Bene, bene, bene. India! - chiamò il presentatore sorridente.
La ragazzo cominciò a fissarlo, pensando a qualche bell’argomento da tirare in ballo per intrattenere il pubblico.
- India... ho assistito alla tua Mietitura, qualche giorno fa - annunciò lui - Ma qualcosa, alla fine, mi ha costretto a rivederla. E ancora, e ancora.
La ragazza arrossì.
- Tu... hai lasciato tutto. In quella piazza, quel giorno. Mi ha davvero commosso... una bambina, delle prime file. Una dodicenne. Vi siete anche scambiate un addio.
- E’ mia sorella, Anthea - sussurrò il tributo. Nell’aria poté quasi percepire l’odore di fiori tipico della sua sorellina - La cosa più preziosa che la vita mi ha donato.
Caesar annuì comprensivo:
- Mi ha davvero colpito. Uno sguardo... e sembravate aver capito tutto. Lei, soprattutto, anche se piccola.
- Le ho promesso...  che sarei tornata da lei. E non mi importa del voto che ho ottenuto. Non sarà un sei, un undici o qualsiasi altro voto a strapparmela via. Io... cercherò di tornare a casa. Da lei e mio padre.
- Una promessa... è una promessa - ripeté Caesar - Sono sicuro che darai  il meglio in quell’Arena.
- Lo spero anche io - sorrise India, finalmente, rivolgendo lo sguardo alle telecamere. Più precisamente a Zhanna, suo padre e Anthea - Se vincerò sarà per lei, e mia madre.
- Metticela tutta.
Il segnale acustico risuonò.
- Signore e signori, dal distretto 3, INDIA EVEERY!
 
- E ora tocca al nostro Essien! Un bell’applauso!
Il ragazzo prese un lungo e profondo respiro e, accecato dalle luci del palcoscenico, si fece vicino al presentatore. I due si strinsero la mano, sorridendosi a vicenda e accomodandosi davanti all’intera Panem.
- Che bel giovane! - esclamò Caesar - Questa Edizione è piena di bei ragazzi. Spero anche che dietro l’attrattiva visiva... ci sia di più. Giusto, signori, noi amiamo lo spettacolo!
La gente scoppiò a ridere. Essien li osservò curioso; esaminò ogni viso, ogni sorrisetto falso. Si limitò ad annuire, seppure assente.
Il ragazzo indossava un completo blu elettrico, che in qualche modo ricordava l’elettricità... il Distretto 3, casa sua.
- Non direte sul serio? - disse il ragazzo sorridente all’uomo - Ci sono tributi molto migliori di me!
- Oh! - sospirò Caesar, rattristandosi - Ascolta, Essien: pensare di essere spacciati è il primo passo per perdere questi Giochi. Tu non vuoi perderli, vero?
- Assolutamente no - rispose secco - Ce la metterò tutta. Voglio tornare da mia sorella.
Il capitolino annuì comprensivo:
- Tua sorella? Come si chiama?
- Si chiama Dalila. E io sono tutto quello che le rimane in questo mondo.
Il pubblico si incantò, a quelle parole.
- E sarà fiera di te, scommetto - continuò Caesar - Per il tuo otto, nelle sessioni con gli Strateghi.
- Lo spero.
- Vuoi... dirle qualcosa? Ti starà guardando...
Essien chiuse i pesanti occhi scuri e disse piano ma deciso:
- Non perdere la speranza. Ti ho promesso che tornerò. E così sarà.
Il pubblico si alzò, commosso, dalle morbide poltroncine e applaudì forte fino a quando il segnale non risuonò nell’aria.
- Bellissimo! - disse Caesar afferrandogli la mano, alzandola al cielo per gridare a squarciagola: ESSIEN KONATE’!
 
- Accogliamo con un bell’applauso, Alexandra Ranger, Distretto 4!
La ragazza salì incerta i gradini e lasciò le quinte al suono del suo nome. Per l’intervista, Alexandra non era stata truccata quasi per niente: lo staff aveva optato per un look acqua e sapone che le si addiceva in particolare. Indossava un vestito corto, fatto di pailette color acqua-marina che le mettevano ancora di più in luce gli occhi verdi. I capelli erano stati raccolti in un fiocco dietro la nuca; il resto le cadeva sulle spalle a morbide onde. Un nastro verde le era allacciato in vita e la spalla destra era scoperta.
Proprio come era successo per la sfilata dei carri, Alexandra non si sentiva a suo agio in quell’abito e in quelle scarpe dal tacco vertiginoso. Fu un sollievo, quindi, sedersi accanto a Caesar e riposare i piedi doloranti.
Era tesa, ma sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisetti enigmatici e rivolse le attenzioni al pubblico, Caesar parlò:
- Uno più bello dell’altro. Volete farmi prendere un colpo?!
Altra risata del pubblico.
- Alexandra, è un piacere averti a Capitol City. Iniziamo con le nostre domande... ehm - continuò il presentatore piegandosi in avanti curioso - Parlaci della tua Mietitura.
- La mia? - disse dolcemente lei - Io mi sono offerta volontaria. L’ho fatto per Jenny.
- Chi è?
- Jenny è una mia amica. Un’altra ragazza che conoscevo aveva intenzione di prendere il suo posto, ma l’ho fermata - rispose Alex, calma, mentre le urla di quel maledetto giorno le risuonavano nella testa.
- Mh-mh. Commovente. E’ vera amicizia. Dunque... veniamo a noi.
Alex si mise dritta sulla sedia, pronta alla domanda successiva, sempre sorridente.
- Parliamo del tuo punteggio - proseguì l’uomo - Un sette... per il tuo Distretto, uno dei Favoriti, potrebbe sembrare un numero un po’ basso, non credi? Che ci dici?
- Dico che, molto probabilmente, gli Strateghi non avranno tenuto conto che l’arguzia e l’istinto che ho dimostrato davanti a loro saranno fondamentali per la mia sopravvivenza nell’Arena. Del voto, sinceramente, mi importa poco.
- Ah-ah, abbiamo una guerriera qui! - rise l’altro - Non vorrei essere nei loro panni, Alexandra. Ah, ultima cosa, visto che ci rimane un po’ di tempo. Un uccellino mi ha detto che tu adori cantare, non è così?
Il tributo si ritrovò a scuotere freneticamente la testa, imbarazzato.
- Dai. Chiudi gli occhi - insistette Caesar - E allietaci la serata, Alexandra!
Senza un invito al silenzio, la sala si fece calma e immobile.
Cos’altro le rimaneva da perdere? Alexandra chiuse gli occhi. Rivide il mare, casa sua, sua sorella... tutto quello che sembrava perso.
E la canzone arrivò così, improvvisa e spontanea.
 
C’era un uomo così bello
Che perfino la luce ne provava timor;
Lui sarebbe rimasto così,
Bello ancor più dell’alba e del sol...
Libero come il mare e ha ragione di esserlo...
Io l’ho visto,
Pensarlo scendere nell’oceano mi fa...
 
Il segnale acustico scattò esattamente nel momento in cui il pubblico applaudì alla ragazza. Alexandra aprì gli occhi; era in piedi, la mano alzata con Caesar al suo fianco che gridava:
- ALEXANDRA RANGER! Distretto 4!
 
 
- Ecco a voi, il nostro giovane tributo del Distretto 4! Xaber Davis!
Il giovane ragazzo corse sul palco, provocando un boato da parte del pubblico e dallo stesso Caesar. Xaber indossava semplici jeans, e il petto nudo era coperto solamente dalla giacca dello smoking blu. Riscosse un impetuoso apprezzamento soprattutto dalle giovani figlie di futuri scommettitori, che cominciarono a lanciagli baci volanti e urletti striduli.
- Wow! - disse Caesar - Senti caldo, Xaber?
Il ragazzo sorrise divertito e annuì all’uomo, sventolandosi la mano davanti al viso:
- Tu stai bene, Caesar? - chiese sedendosi.
- In effetti, sento caldo... - disse piano quello - Ma non vorrei che, togliendomi la camicia, ti rubassi la gloria!
Tutti scoppiarono a ridere spensierati:
- Ahahahah! Hai ragione! - sospirò Xaber accavallando le gambe.
- Allora, bello... pronto per questi Giochi?
- Nato pronto - disse il tributo oscillando la testa.
- Con te è davvero un immenso divertimento parlare, Xaber - notò Caesar interrompendo il discorso sugli Hunger Games.
- Per me è lo stesso, Caesar.
- Credo che al nostro pubblico piaccia sapere più di te... vieni da Distretto 4... qualcuno ti aspetta?
- Oltre i miei amici e la mia famiglia? - chiese - Nessun’altro.
- E... ?
- “E” cosa?
- C’è una fanciulla nel tuo cuore?
- Sì. Si chiama Connie Stevenson e viene dal Distretto 5. Non è molto lontana da noi, probabilmente pochi metri ci separano... e ho appena confessato a tutta Panem il mio amore per lei. Mi sento bene.
Il pubblico sembrò impazzire; oltre alle figliole dei capitolini, un’altra ragazza, un tributo, meditava di suicidarsi. La telecamera corse dietro le quinte e scoprì Connie seduta, in attesa del suo turno, con gli occhi sbarrati e pallida più di un cadavere.
Il segnale acustico salvò Xaber in calcio d’angolo.
- Ahahah! Il nostro ammaliante Xaber si è appena confessato! XABER DAVIS!
Lo congedò in fretta. Era ora di sentire cosa aveva da dire la piccola Connie, ancora immobile e uno strano tic nervoso alle dita della mano destra.
 

ANGOLO D'AUTRICE:
No! Non sono morta, per fortuna. Sono solo sommersa da una montagna di libri ma sto bene XD
In questo capitolo ho trattato solo dei primi 8 tributi, perchè ho intenzione di dividere l'intervista in tre parti - prendedeli come stacci pubblicitari XD - quindi non prendetevela con me. Chiedo pietà... perchè è da un secolo che non aggiorno ma molti autori ancora non mi hanno inviato le descrizioni dell'intervista, perciò... MUOVETEVI XD
Per chi non ha ancora votato i 2 tributi, aspetto il messaggio.
A prestissimo, con gli altri 8 tributi, prometto che non vi farò aspettare secoli XD
Alla prossima! :)
Baci!

 

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Capitolo 18
*** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Seconda Parte) ***


YOU BETTER WATCH OUT
I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ave Caesar! Morituri Te Salutant! - Seconda Parte


- E allora chiamiamola! Signore e signori... CONNIE STEVENSON!
La piccoletta si alzò riluttante e con passi lenti e incerti arrivò sul palco, acclamata dal pubblico e dal presentatore. Prese posto davanti alle centinaia di telecamere con sguardo vuoto e assente, pronta per quella che si preannunciava una delle più grandi figuracce della sua vita.
Connie si sistemò bene l’orlo del suo corto vestitino di raso, color acquamarina e rivolse un fragile e falso sorriso di tranquillità a Panem. Ora lei era desiderabile. Doveva solo dimostrarlo.
- Quante sorprese - sussurrò Caesar accomodandosi - Un’intervista così... ehm, come dire... spettacolare... degna di un’Edizione della Memoria. Comunque... Connie! Ci incontriamo!
Il tributo annuì tremante, ma senza perdere il sorrisetto dovuto ai pensieri omicidi nei confronti di Xaber che affioravano nella sua testa.
- Sembra che qualcuno sia cotto di te! - continuò l’uomo.
- L’avevo capito - rispose semplicemente quella - Ma non mi aspettavo certo che lo sbandierasse stasera!
Le ultime parole generarono un attimo di felicità nel pubblico che prese a ridacchiare.
- L’avevi capito?
- Sì... non è un ragazzo che sta sulle sue - disse Connie accigliandosi ed assumendo anche un’aria buffa - Mi ha seguito per tutto il tempo e ricordo che, durante la sfilata dei carri, continuava a fissarmi, col rischio di cadere per strada.
Caesar le sorrideva raggiante: quel tipo di rivelazione era il suo pane quotidiano.
Connie riprese più decisa di prima:
- Non nego che sia carino e tutto il resto... ma... non mi aspettavo lo rivelasse all’intervista. Mi ha... sorpresa.
Caesar le afferrò la delicata manina e la baciò delicatamente, mentre il segnale rimbombò nello studio segnando la fine dell’intervista:
- Sono sciuro - le sussurrò - Che renderete i Giochi indimenticabili. CONNIE STEVENSON!
 
- Ed ora è la volta di William Ebony!
Il ragazzo scattò in piedi e raggiunse di corsa il pubblico lasciando le quinte con uno strano sorrisetto soddisfatto sul viso; per poco non travolse la pallida Connie di ritorno dall’intervista. Il suo arrivo scatenò, come sempre, un’ondata di urli e applausi di gente entusiasta, che già cominciava a contare le ore che avrebbero separato quel momento dalla diretta sull’Arena.
William si presentò a Panem vestito elegante, di tutto punto. La camicia azzurra era coperta da una giacca nera, i pantaloni aderenti invece erano di un blu chiaro. Portava anche dei mezzi guanti rossi, così come una piccola fascia dello stesso colore tra i capelli. Strinse la mano a Caesar e si accomodò.
Senza essere interpellato, cominciò a parlare, stupendo tutti:
- Che bello! Sono proprio felice di essere qui. Mi sento bene e sono pronto, ma anche emozionato. Ho voglia di combattere; non vedo l’ora, poi, di scoprire dove ci porterà l’Arena di quest’anno. Spero sia un bel posto, sì, proprio bello. I grandi hanno bisogno anche di una bella atmosfera per la vittoria, non credi Caesar? Naturalmente spero di vincere io. E non ho paura di ammetterlo. Degli altri invidiosi non mi importa niente e...
Caesar, sudaticcio e pallido visto che il ragazzo davanti a lui aveva preso in mano le redini della serata, alzò le mani e lo guardò dritto negli occhi:
- William! - lo interruppe - Solo una cosa.
Il tributo si fermò e scosse incoraggiante la testa verso Caesar:
- Sì? Cosa... ?
- Volevo dirti... CIAO! - urlò Caesar scoppiando a ridere e trascinandosi con sé gli spettatori di mezza Nazione. Anche William si ritrovò a ridacchiare.
- Scusa, Caesar - sussurrò.
- Sei uno di quelli che quando mette il turbo non riesce più a fermarsi? - chiese quello sarcastico.
- Direi di sì!
Altre risate.
- Volevo dirti una cosa, William, prima che il tempo finisca - continuò dopo un po’ Caesar facendosi subito serio - Ho saputo che un tuo parente ha partecipato ai Giochi, vero? Tua sorella?
William sospirò:
- Mia sorella. La persona più carina... e gentile che io abbia mai conosciuto - disse con voce tremula - Forse è per questo che ha perso.
- Sì, Will, capisco. C’è, infine, qualcosa che vorresti dire... per casa, al tuo Distretto?
- Sì, grazie. Per mia madre - disse il tributo - e alla mia ragazza. E a quegli stupidi che mi prendevano in giro. A tutto il mio Distretto, casa mia. Non temete: tornerò, lo giuro. Anche per Mikayla, anche per te.
Il segnale acustico suonò proprio quando i capitolini cominciarono ad applaudire forte. Caesar sollevò sorridente il braccio del ragazzo ed escalmò:
- WILLIAM EBONY!
 
- L’aspettavate, eh? Ecco a voi, Katherine Moonstone!
Correndo in modo abbastanza strano, la figura di Katherine venne illuminata da decine e decine di riflettori. Lei rispose alle urla del pubblico che ormai aveva imparato ad amare il suo carattere con grandi baci volanti e occhiolini degne di una diva del Distretto 1.
- Benvenuta, cara! - esclamò Caesar sedendosi insieme a lei.
- Ma ciao anche a voi! - trillò felice la ragazza, spensierata e raggiante.
Indossava un abito particolare. Era un lungo vestito, leggero, di chiffon verde, con scarpe in tinta, non troppo alte. Uno spacco nel tessuto faceva intravedere l’intera gamba sinistra, fino alla coscia. Era decisamente provocante. I capelli le erano stati lasciati sciolti e liberi sulle spalle.
Caesar ricordava bene quel vestito; infatti la prima domanda riguardò proprio il suo abbigliamento:
- Katherine! Sei splendida.
- Grazie, Caesar.
Il presentatore si chinò in avanti, curioso, a studiare bene ogni cucitura e ogni particolare riguardante il vestito; alla fine constatò:
- Io questo vestito l’ho già visto - disse - E ne ho visti tanti... troppi. Poi scoprendo il tuo cognome ho capito. Tu mi hai capita, Katherine?
Il tributo perse il sorriso e annuì calma:
- Mia sorella, Fiammetta, ha indossato lo stesso abito - disse soffiando quella parole con un misto di rabbia e scontento nella voce.
Caesar aprì la bocca, accennando un sorriso soddisfatto:
- Ahh, ecco qua. Fiammetta Moonstone. Come dimenticarla... ha vinto i nostri Giochi non molto tempo fa. E indossò un vestito uguale a questo... ma rosso.
- Giusto.
- E lo stesso vestito lo indossò... un’altra Moonstone se ben ricordo, ma il tessuto era azzurro.
- Era mia sorella Angela - continuò Kety. Il pubblico a quelle rivelazioni rimase zitto, forse ricordando il modo orribile con cui la gemella di Kety fu lasciata morire nell’Arena, senza sponsor e senza alleati, agonizzante per giorni e giorni senza cibo né acqua e ferita a morte.
- La ricordo bene - sibilò Caesar.
- Ma ora basta essere tristi - ricominciò la ragazza sfoggiando il suo solito sorriso, anche se con un po’ di difficoltà - E’ ora di accettare la sorte. Non so come andrà a finire, ma darò tutto per tornare a casa. Io voglio vivere.
Il pubblico era ancora muto.
- Non credete anche voi - riprese Katherine - che una ragazza della mia età desideri vivere? Ho ancora un mondo da scoprire e tante cose da capire! Ce la metterò tutta!
Sfortunatamente, o forse no, le ultime parole del tributo furono coperte dal segnale acustico; il pubblico l’applaudì a lungo, gettò baci verso di lei e incoraggiamenti prettamente capitolini.
- KATHERINE MOONSTONE! - urlò Caesar facendola alzare.
 
- E ora diamo il benvenuto a Tom Allius, Distretto 6!
Il bambino si fece piccolo piccolo quando il suo nome risuonò per la sala dove il resto dei tributi aspettava il proprio turno. Chiuse gli occhi mentre salì le scale, sentendo il viso scottargli e diventare rosso quasi quanto i suoi capelli. Indossava un semplice smoking azzurro, in fondo per i maschi la scelta non era molto  vasta e gli stilisti si erano adattati. In più, Tom presentava una corporatura esile e fragile, difficile da modellare perfino da più esperto preparatore o truccatore di Panem.
- Sei piccolo... troppo piccolo, Tom - disse Caesar, squadrandolo sorridente.
Tom smise di tremare e rispose:
- Non si mangia molto dalle mie parti.
- E sei un dodicenne abbastanza mingherlino - rifletté ad alta voce. Naturalmente nessuno sospettava che quella creatura seduta sotto i riflettori non aveva affatto dodici anni, ma dieci. Sembrava che niente riuscisse a fargli assumere anche solo un particolare che lo rendesse più grande di quello che sembrava. La scusa del cibo poteva essere degna dei Distretti ancora più poveri, ma Tom aveva davvero capito cosa voleva dire andare a dormire con la pancia vuota, visto che si era ridotto a fare il ladruncolo.
- Già - disse Tom accennando un mezzo sorriso - o una mezza smorfia - E questo può essere si un vantaggio che uno svantaggio, immagino.
- Mai dire mai - lo rincuorò Caesar - Sei piccoletto, ma potresti nasconderci un bel po’ di cose. E chissà... potresti anche sorprenderci.
- Lo spero davvero - rispose Tom annuendo.
Il pubblico interruppe il dialogo, applaudendo incoraggiante.
- Non ti preoccupare: ho visto dodicenni tornare su questo palco con un corona sulla testa, Tom. Tu potresti essere uno di quelli - continuò Caesar posando una mano sul suo ginocchio e battendolo amichevolmente per infondere coraggio.
- Io non ho paura.
Le parole con cui lasciò il padre, prima della Mietitura.
- Tornerò a casa.
Il segnale si fece sentire e subito i due si misero in piedi. Come dopo un’ardua prova, Tom si sentiva libero e leggiero. Un’intervista di tre minuti non era poi tanto terribile come poteva sembrare.
- TOM ALLIUS! - gridò Caesar all’intera Panem, battendo le mani.
 
- Ora un applauso per il nostro tributo, Joy Sparks!
La ragazza non era spaventata, né troppo emozionata. Lasciò i compagni per dirigersi verso l’accecante bagliore delle mille luci del palco. Era tutto così luminoso, in confronto alle quinte, che la ragazza quasi non aveva punti di riferimento; solo quando vide la strana figura arancione umanoide di Caesar riuscì a distinguere il suo posto a sedere. Quasi non ci sentiva per il fracasso del pubblico, ma quando finiro, finalmente, i due poterono cominciare l’intervista.
La ragazza indossava per l’occasione un bellissimo vestito blu, dal corpetto aderente e brillante e le maniche di velluto, proprio come la gonna lunga fino ai piedi, a balze e leggera, che oscillava quasi come fosse acqua ad ogni suo minimo movimento.
- Joy, benvenuta.
- Grazie.
- Allora... come trovi Capitol City? - chiese Caesar curioso, mettendosi comodo.
Il tributo alzò le sopracciglia, pensieroso, poi disse piano:
- Un paradiso. Voglio dire... qui c’è tutto. Ed è una città fantastica. Come la gente.
- Ahhh... si rivolge a me, naturalmente - sussurrò Caesar al pubblico, passandosi una mano sui capelli, con aria fintamente vanitosa.
- Ricordo che prima della sfilata ho infilato il dito in uno strano apparecchio e i miei capelli bagnati sono tornati lucidi e asciutti, pettinati e perfetti - rise la ragazza ripensando a quello strano momento nel suo primo giorno da tributo.
- Io adoro quegli aggeggi - rivelò il presentatore - Se vinci puoi sempre portartene uno a casa. Credo che se fossi la vincitrice ti regalerebbero tutto quello che desideri.
- Sarebbe fantastico. Vedremo...
- Cosa?
- Vedremo cosa ha in riserbo il destino per me - disse piano Joy.
- Allora aspettiamo... tutti. Impazienti - concluse lui.
Il segnale suonò tra lo scontento generale mentre la figura leggiadra e dolce di Joy salutò un’altra volta il pubblico adorante.
- JOY SPARKS, Distretto 7!
 
- Adesso, sul palco, Markus Schwarz!
Il ragazzo arrivò sul palco, con camminata tranquilla e leggera, un sorriso sfacciato sulle labbra e gli occhi spalancati verso i capitolini in fermento, soprattutto le ragazze, quasi tutte in piedi, che lanciavano strilletti e grida, emozionate nel vedere dal vivo i più carini tributi dell’Edizione.
- E’ un piacere essere qui! - disse il ragazzo a Caesar dopo la stretta di mano.
- E per noi è un piacere averti come tributo. Un valido tributo, voglio sperare.
- Puoi starne certo. Non dovete avere dubbi su di me.
- Allora, Markus... la tua compagna ha avuto un nove, tu un sette. Giusto? Cosa ne pensi? Di solito questi voti sono abbastanza bilanciati. Soprattutto quest’anno. Ma... tu?
- Il mio sette... lo tengo. Lo accetto - rispose tranquillo quello facendo spallucce - Non dovevo certo prendermela, ma non capivo: cos’altro potevo fare per avere un voto migliore? Cos’altro dovevo dimostrare agli Strateghi?
- Hm-hm. Capisco, Markus. I voti vengono dati alla riunione degli Strateghi.
- Lo so.
- Forse potevi dimostrare qualcos’altro... un qualcosa che ti può essere sfuggito - ribatté Caesar - Un qualcosa di fondamentale da mostrare nell’Arena.
- Non so. Non credo - continuò mesto - E non mi interessa. Ho dimostrato il meglio. E non ho paura dell’Arena. E neanche di quei tributi. Non mi importa... posso essersi allenati per decenni, ma è meglio non mettersi contro di me. Favoriti o no. Non ho paura. E vincerò, lo so.
Silenzio.
- Attenta a te, Capitol City! - disse sorridendo, quasi in modo malvagio verso le telecamere. Ogni capitolino, Caesar compreso, sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Il segnale suonò, e con un po’ di contegno il presentatore annunciò:
- MARKUS SCHWARZ!
 
- E adesso... shhh-shhh! Signore e signori, la ragazza della stazione... la ricordate? Sì, Mezzanotte Spielberg!
Mezzanotte si sentì davvero male al suono di quella voce. Non perché Caesar fosse il suo idolo televisivo o cose del genere. Piuttosto le sue parole l’avevano colpita... e non positivamente.
Comunque rimanere nascosta non sarebbe servito a niente; uscì allo scoperto sull’immenso palco pieno di luci e suoni. Scosse i capelli e si diresse con passo incerto verso il centro, dove la candida poltroncina girevole l’attendeva.
Per l’intervista, Mezzanotte portava un cortissimo vestitino bianco di seta, senza maniche, con un grande fiocco grigio all’altezza del diaframma, stretto così forte dallo staff che si sentiva mancare il fiato. Come avrebbe fatto ad articolare anche un minimo discorso con la pancia stretta così, secondo l’ultima moda tra le capitoline?
Una volta seduti, infatti, la pressione si fece sentire ancora di più.
- Mezzanotte... un bel nome - disse Caesar rilassato e tranquillo.
- Grazie - riuscì a sibilare il tributo.
- Bene. Parliamo un po’ di te. Prima di tutto - continuò l’uomo - Complimenti per l’otto. Un... bel voto. Ne sei stata felice?
- Sì - rispose Nott di getto - Pensavo di meritare meno ma...
- Ma qualcosa ti ha fatta arrivare dove sei in questo momento - la interruppe Caesar - Il pubblico si è molto affezionato a te, ancora prima che tu arrivassi in città.
Nott, per qualche secondo, sembrò accigliarsi, senza riuscire a capire come poteva aver fatto colpo sulla gente anche se non aveva avuto alcun trattamento particolare, non proveniva nemmeno dai Distretti Favoriti. La risposta però dovette darsela da sola quando questa risultò più che ovvia.
- Ray... - sussurrò la ragazza con lo sguardo fisso sul lucido pavimento.
Il pubblico pendeva dalle sue labbra.
- Alla stazione - continuò piano la ragazza; soffriva... ma come potevano saperlo, seduti comodi sulla poltrona o davanti alle proprie televisioni?
- Vorresti... dirgli qualcosa? - azzardò Caesar - Personalmente, Mezzanotte, credo che dovresti, anche per noi. Ci hai fatti innamorare, quella mattina alla stazione, di una ragazza.
Il ciondolo a forma di chiave di violino premeva freddo e col suo peso sul petto della ragazza; lo percepì, fatale e triste quasi quanto lo sguardo dell’amico in quel momento, quando alzò lo sguardo verso le telecamere e disse piano e dolcemente:
- Ray... promettimi che dimenticherai.
Rimase mesta con lo sguardo vuoto, il pubblico che non capiva il significato di quelle parole. Ma cosa poteva importare più: il segnale risuonò e il presentatore, sbigottito e confuso, le baciò delicatamente la mano per poi esclamare:
- MEZZANOTTE SPIELERG!
 
- Ora voglio sentirvi gridare il suo nome, eh! Ecco a voi, Felix Andersen!
Il dodicenne aveva lo sguardo vuoto e pieno di tristezza. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a sorridere, né ad accennarne uno, seppure falso. Sembrava che i muscoli della bocca e delle guance gli si fossero bloccati o pietrificati; da quando Lavinia era uscita velocemente dallo studio di Capitol City, il ragazzino aveva seriamente pensato di tornarsene nel suo appartamento, dormire e svegliarsi preparato per l’Arena. Purtroppo non era possibile, così si vide costretto ad aspettare che il presentatore chiamasse il suo nome. Ora l’aveva fatto. Toccava a lui.
Felix indossava una semplice e candida camicia bianca, arricciata sul colletto, con una giacca scarlatta e pantaloni in tinta. Si sentiva a disagio, soprattutto con mille occhi puntati su di lui e probabilmente anche di  qualche scommettitore con la puzza sotto il naso, prettamente capitolino.
- Felix... hai avuto fortuna con le sessioni private e ora? - disse piano Caesar, imbronciandosi, una volta seduti entrambi - Ne parliamo?
- Ok - sibilò il bambino ricomponendosi un po’, togliendosi finalmente dalla faccia l’espressione da pesce lesso.
- So... che non stai bene - disse l’adulto, accolto da un mormorio proveniente dal pubblico.
- Non sono il ritratto della felicità... credo si noti... un po’ - sibilò l’altro.
- E Lavinia non ha usato parole di miele per riferire al pubblico i suoi pensieri - ribadì Caesar.
Il ragazzino alzò le spalle, sospirando tranquillamente, come se in fondo si aspettasse una reazione così dalla Favorita del Distretto 2. Lei sembrava provenisse da un’altra dimensione.
- Come... stai? - chiese cauto Caesar.
“Era ora di liberarsi, per sentirsi liberi e per aiutarsi una volta nell’Arena” pensò Felix; prese fiato e disse forte, in modo che tutti lo potessero sentire, persino Lavinia, dovunque si trovasse:
- Sto... benissimo. Vuoi la verità? Perché essere distrutti? Anzi, avrei dovuto saltare di gioia alla sua intervista. E sai perché? Perché domani parteciperò agli Hunger Games! In confronto, l’idea di stare con Lavinia è mille volte meglio che andare incontro alla morte nell’Arena. Ma non è più un mio problema. Vado ad uccidere quelle persone, la ragazza per cui avevo una cotta mi ha rifiutato in diretta mondiale. Una bellissima serata, e che nottata che mi aspetta! Ditemelo... me la sono andata a cercare: innamorarsi di una Favorita? Cos’altro potevo aspettarmi? Chi mi assicura che abbia un cuore e non sia una bestia assetata del mio sangue dietro il viso di una bambina? Puoi assicurarmelo tu? Se puoi spiegamelo.
Il segnale suonò insieme ad un meno fragoroso applauso.
Caesar gridò:
- FELIX ANDERSEN!
 
E mentre scendeva nelle quinte, davanti alle coppie degli ultimi Distretti, verso l’ascensore, sentì l’impulso di piangere. Le lacrime di un normale bambino di dodici anni. Normalissime lacrime per il tributo che non pensava davvero quello che aveva raccontato davanti all’intera Panem.
 
 


ANGOLO AUTRICE:
Ta dannn! Super ritardo? Lo so, ma meglio tardi che mai. E se la notizia vi conforta vi dico che la terza parte è già in bozza u_u non aspetterete tanto, lunedì se tutto va bene potrò pubblicarla.
Dai, dai che l’ultima notte sta per avere fine (non so se esserne felice o no D:)
Non temete, non so se fare un capitolo sull’ultima notte o no. Sarà tipo le reazioni: un unico mini capitolo.
E... che altro? Ah, chi ancora non ha sponsorizzato i 2 tributi lo facesse, non costa niente :)
Ogni recensioni vale un bel gruzzoletto ma i prezzi, ecc. li saprete solo dopo il bagno di sangue.
Ok, mi scuso se ho sfasato dei tributi, ma alcuni di voi autori non mi avete risposto e questo capitolo voleva vedere la luce XD
Comunque, alla prossima!
:D baci!

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Capitolo 19
*** Ave Caesar! Morituri Te Salutant! (Terza Parte) ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 
Ave Caesar! Morituri Te Salutant! - Terza Parte

- Un forte applauso per la nostra Beatriz Moore!
L’interpellata sfoderò il suo più magnetico sorriso e si diresse velocissima verso il presentatore, camminando con disinvoltura sui tacchi vertiginosi delle scarpe color oro. Il vestito di Beatriz era decisamente provocante: un abito rosso, corto, che le arrivava quasi a metà coscia e una cintura di pelle sulla vita, che come fibbia aveva un piccolo teschio pieno di brillanti. Una profonda scollatura sul petto fece girare molto le teste di alcuni capitolini, comunque abituati a spettacoli come quelli... o peggiori, dettati dalle ferree regole dell’abbigliamento del momento.
I capelli viola erano raccolti in due grandi chignon, il colore di Capitol City, dell’abbondanza e anche di molti stilisti o stiliste che al suo ingresso sgranarono gli occhi sorpresi dal vivace colore.
- Benvenuta Beatriz - disse il presentatore facendola sedere.
La ragazza scosse la testa, fiera ed altezzosa:
- Grazie, sono onorata di essere qui, Caesar - trillò dolcemente, ammiccando verso il pubblico che scoppiò in un altro fragoroso applauso.
- Sei incantevole, gli stilisti hanno dato davvero il meglio - disse lui.
- Sì... ma oltre l’aspetto c’è di più, Caesar.
- Naturalmente.
- Quell’otto l’ho avuto con sudore e fatica.
Dopo quell’ultima frase il sorriso cominciò ad affievolirsi: il solo pensiero di cosa l’attendeva il giorno dopo la faceva star male. L’idea di morire la spaventava, ma chissà come il nefasto pensiero si insinuava dentro di lei, anche quando meno se lo aspettava... come in quel momento.
- Un bel voto - continuò Caesar - Comunque... non si possono non notare, Beatrzi, ma... i tuoi capelli! Fantastici! Ricordatevelo, il prossimo anno li voglio anche io di quel colore! Farò un figurone.
Beatriz rise piano:
- Sì, lo so. Sono... speciali. Non per voi quanto per il mio Distretto. Loro non capiscono. Non volevano farmi indossare una rosa nei capelli durante la Mietitura.
Il pubblico rimase zitto: non sapeva cosa fare. Ridere per l’incredulità della situazione significava... forse, insultare le rose in generale? Perché l’immagine della rosa, soprattutto quella bianca, non era associata al più buono o gentile degli uomini...
Per sua fortuna il segnale acustico interruppe quel flusso di strani pensieri. Caesar le alzò il braccio e urlò:
- Dal Distretto 9, BEATRIZ MOORE!
 
- Adesso è il turno di Liam Burtom! Ahahah!
Il ragazzo, deciso e stranamente tranquillo, fece il suo ingresso; con quasi la mente libera dai pensieri e dalle preoccupazioni per il giorno dopo, salutava con la mano la folla festante, stupendosi di quanto chiasso la gente era capace di creare. Erano gli ultimi tributi, ed era tradizione tra i capitolini riunirsi nelle strade dopo l’intervista a bere e a festeggiare, a ultimare le scommesse e ad assecondare le richieste dei bambini che chiedevano di decidere chi sponsorizzare o che desideravano restare alzati fino a notte fonda solo per guardare il tributo favorito fronteggiare gli avversari. Una festa... la più lunga e sanguinosa di tutte.
- Eccoci! - sussurrò Caesar stingendogli forte la mano.
- Salve - disse timidamente il ragazzo, vestito di un semplice smoking nero.
- Liam! - esclamò - Io... non so chi sei.
Silenzio.
- Un sette dagli Strateghi. Un bel faccino. Una sfilata mozzafiato. Ma chi sei in realtà? - chiese Caesar.
- Credevo lo sapeste. Sono un tributo, sorteggiato non molti giorni fa. Ho lasciato dietro tutto: casa, Marina, i miei amici. Sono nel luogo dove mio fratello Charles fu ammazzato quando non ero nemmeno nato. Non per i Giochi. E io vado incontro alla morte, proprio come lui - disse forte, abbandonando la timidezza.
Ancora ingenuo silenzio.
- Ecco chi sono - concluse, tornando a rilassarsi.
- Toccante - ammise Caesar - Chi è Marina? Tua sorella?
- No - rispose l’altro - E’ la persona a cui voglio più bene al mondo. Una ragazza speciale. Che mi sta aspettando. Non le ho detto addio, nel Distretto. L’ho salutata. Perché tornerò da lei.
- Vorresti... dirle...
- Sto per tornare a casa - disse scandendo le sillabe Liam; poggiò le dita della mano destra sulle labbra, sfiorandole, poi distese il braccio verso l’orizzonte... verso il Distretto, casa.
Da Marina, dai suoi genitori.
Il segnale acustico si fece sentire ma il pubblico era in piedi. L’applaudiva, alcuni guardavano in direzione del bacio... come se sperassero che fosse rivolto ad uno di loro. Ingenui...
- LIAM BURTOM! - esclamò Caesar alle telecamere.
 
- Ed ecco arrivare Chloe Minnel! Un applauso!
La biondina era già pronta: aveva fatto girare la testa agli altri tributi in attesa, col suo andirivieni per il corridoio, tanto che persino i senza voce al suo passaggio chiudevano gli occhi. Alla chiamata, finalmente, la ragazza si fermò e corse senza dire niente verso le scale del palco. Arrivata al centro della “scena”, illuminata dalla luce dei riflettori e circondata da applausi e grida, strinse sicura la mano di Caesar prima di sedersi e rilassarsi, cercando di non pensare di essere in diretta nazionale.
- Siamo quasi agli sgoccioli - ammise Caesar al pubblico - Ma le sorprese sembrano non finire mai. Allora, Chloe. Chloe. Il nome mi piace. Devi essere una ragazza timida, da quello che ho saputo.
- Timida? Delle volte... sicuramente nell’Arena no - rise la ragazza.
- Sì, farai meglio a non esserlo - ribadì Caesar - Ora sembri sciolta, rilassata. Tranquilla? So che voi Distretti periferici non siete pratici... di interviste o cose del genere.
- No, hai ragione. Non lo siamo affatto.
Il vestito simile ad un tutù di ballerina, completamente blu, brillava come illuminato da mille stelle; il colore, in più, metteva in risalto il biondo acceso dei suoi capelli, raccolti in parte in uno chignon, mentre il resto era sciolto ai lati del viso.
- Non sembra - disse Caesar - Allora... raccontaci... c’è qualcuno del tuo Distretto che vorresti salutare? Qualcuno che vorresti salutare?
Chloe prese un altro profondo respiro, chiuse gli occhi per qualche secondo, poi ruppe il silenzio carico di tensione:
- Sì. Prima di tutto, i miei genitori... vi voglio bene. E Loucys e Roseleen. Non le ho viste più da quella mattina, non sono potute passare nemmeno a salutarmi ma... voglio che sappiate, che non vi odio per questo. Voglio bene anche a voi.
Caesar annuì velocemente, prima che Chloe riprendesse:
- Non sarei qui se mia cugina, Emma, non si fosse rotta una gamba.
- Chi è Emma? - chiese il presentatore.
- Emma sembra nata nel Distretto sbagliato, si sarebbe offerta volontaria. E invece... il destino aveva in serbo per me quello.
Nella sala risuonò il segnale.
- E sono sicuro che ci stupirai, proprio come avrebbe fatto Emma. Gente, CHLOE MINNEL! - disse Caesar.
 
- Accogliamo adesso il nostro Jay Carter!
Il ragazzo fu subito sul palco, sorridente anche se un po’ teso. Alzò la mano in segno di saluto verso il pubblico in piedi per il suo ingresso prima di stringerla con quella di Caesar. Semplice ma attraente, il ragazzo del Distretto 10 indossava uno completo nero, con camicia tendente al verde chiaro. I capelli, ricci e perfetti, gli incorniciavano il viso truccato e lucido.
- Benvenuto, ragazzo! - lo accolse l’uomo arancio mettendosi a sedere insieme all’ospite.
- Grazie, è un onore.
- Questa serata sta per volgere al termine, ma non finite mai di stupirmi. Succede sempre così - sussurrò Caesar - Raccontami di te, Jay.
- Ehm... che dire... vengo dal Distretto 10... ho lasciato tutto... ma non voglio perdere niente. E mi sento fiducioso, anche se so che vincere significherà anche veder soccombere ragazzi e ragazze con sogni, ambizioni, proprio come me... questo pensiero fa male, Caesar - disse calmo Jay, torturandosi la mano destra con le unghie della sinistra.
- Sì - disse il presentatore - Capisco... non deve essere facile. Come abbiamo visto, sembra che questa Edizione sia all’insegna delle coppie. Tu che ci dici? Una ragazza di aspetta a casa?
Il ragazzo scosse impercettibilmente la testa, arrossendo lievemente:
- No, non direi. Non sono il tipo.
Caesar sbuffò divertito, poi si rivolse al pubblico:
- Gente, lo giuro: ogni volta che arrivo agli ultimi Distretti trovo i ragazzi più belli e più modesti che abbia mai intervistato. Ma al 90% dei casi, i ragazzi hanno trovato una ragazza e possono continuare a negarlo, ma oramai non ci credo più! Arrivo qua e so cosa chiedervi. Quindi... Jay, parliamone, da uomo ad uomo: c’è una ragazza che ti interessa? Sii sincero.
Il pubblico aveva occhi solo per  una sua reazione; Jay si era appoggiato contro lo schienale, con una mano poggiata sulla tempia... preoccupato ma dopo qualche secondo la risposta arrivò:
- Sì, c’è una ragazza che mi interessa.
- LO SAPEVO! - urlò Caesar - Visto, avevo ragione? Chi è? Salutala.
Il segnale acustico soffocò le speranze del presentatore, ma proprio quando la sala si riempì di applausi, Jay urlò, sempre sorridente:
- Vado a salutarla: sta per salire sul palco!
L’applauso e le grida aumentarono, mentre Caesar, dopo una risata meravigliata ma leggermente isterica, urlò:
- Sì, JAY CARTER! Distretto 10!
 
- Vieni, vieni! Sul palco, Elizaveta Pochka!
La ragazza era stordita e quando vide Jay scendere dalle scale, verso l’ascensore, provò l’impulso d’abbracciarlo, di stritolarlo. Ma si limitò a sussurrargli, mentre il pubblico invocava il suo nome:
- E’ vero?
Jay annuì, ammiccandole , prima di sparire dietro l’angolo.
Ora, solo ora, poteva salire sul palco col cuore in pace. I riflettori l’abbagliarono, mentre quella con un sorrisone si avvicinò a Caesar, raggiante. Il pubblico, una folla di capitolini, pronti a tutto, tendevano le mani verso di lei, gridavano frasi strane, o semplicemente la guardavano invidiosi... tutto per lei. E ad Eliza quello bastava.
Si sedette, attenta a non rovinare al grazioso abito che indossava: un vestito corto, bello e semplice, non molto diverso da quello che molte ragazze indossavano alla Mietitura, di un verde acceso, con mezze maniche. Elegante ma non vistoso.
- Benvenuta, cara! - sospirò Caesar - Vi siete messi d’accordo?
- Per cosa? - chiese ingenuamente lei.
- Tutte queste rivelazioni... abbiate pietà! - esclamò Caesar suscitando un applauso spontaneo - Non credo si fosse mai visto, comunque, che un diciottenne come Jay si innamorasse di una dodicenne come te.
Elizaveta rise forte:
- Ma io non ho dodici anni, Caesar! Sono diciottenne!
Una serie di “Ohhh” o “Ahhh” attraversò gli spettatori, convinti che quella ragazza minuta e ingenua fosse una dodicenne. Anche Caesar ne fu sorpeso:
- Si vede che non ho studiato? - sussurrò l’uomo, portandosi divertito una mano sul viso.
- Non importa - disse piano Elizaveta - E’ un errore... in cui inciampano molti... che forse non sanno con chi hanno a che fare.
- Dobbiamo aspettarci sorprese... da te?
- Preparatevi: credo che rinuncerete a dormire... anche se non nego d’avere un po’ di paura. Ma sono pronta. Basta tenere gli occhi aperti - rispose semplicemente lei.
- La ragazza del Distretto 11... uscita dalle sessioni private con un 11... con un ragazzo, Jay... - disse sognante Caesar, alzando lo sguardo - Come hai fatto a prendere un voto così alto. So che sono cose da non chiedere, Eliza, e probabilmente non puoi mostrarci niente. Ma... un’idea... ?
- Se ho preso quel voto... devo dedurre che qui a Capitol City siete davvero molto, molto impressionabili - disse il tributo, tendendo il pungo destro verso Caesar e soffiandoci contro liberando una marea di brillantini che andò a colpire dolcemente il presentatore proprio mentre il segnale acustico determinò la fine dell’intervista.
Caesar era entusiasta visto che era diventato ancora più appariscente con quel sapiente tocco:
- Ahahahahah! Fantastico! ELIZAVETA POCHKA!
 
- Ora, invece, diamo il benvenuto a Mike Salt!
Il ragazzino era prontissimo per l’intervista; saltò i gradini del palco e arrivò saltellando al fianco del presentatore che gli strinse forte la mano, salutandolo. Mike rivolse, poi, un grande sorriso al pubblico in festa, guardando dritto nelle telecamere, quasi con l’ingenua speranza di poter scorgere gli occhi di Clara e di sua madre. Per infondere loro coraggio... per far capire loro che stava bene, che non avevano niente da temere... per ore.
Il ragazzo indossava un completo blu elettrico, con un piccolo papillon in tinta sul collo. I capelli biondi era stati tirati a lucido e cadevano lisci sulla fronte di Mike, dandogli anche un po’ di fastidio.
- Allora... Mike... parto subito col sodo: hai una spasimante o spasimi per qualcuno? - chiese Caesar divertito.
- No, Caesar, questo genere di cose non mi riguarda - disse impreparato il tributo facendo spallucce, tranquillo di non avere intrecci amorosi con nessuno.
- Ok, quanti anni hai? Giusto per non sbagliarmi? - continuò divertito Caesar.
- Quattordici, quattordici anni - rispose.
- Bene... sei tranquillo, Mike - aggiunse l’uomo - Sarai così anche domani?
Mike spalancò gli occhi sorpreso: come si potevano fare certe domande?
- No, Caesar. No - disse duro, dopo pochi secondi di silenzio e sgomento - Non sarò così, neanche tra cinque minuti lo sarò più, e credo sia normale. Domani andrò a morire insieme ad altri ventidue ragazzi. Non nego d’avere paura... ma sono felice dei miei alleati.
- Alleanze... uuhh! - lo interruppe Caesar - Dicci di più... se puoi.
- Non so... vi chiedo solo di aspettare qualche altra ora, non di più - rispose semplicemente il quattordicenne - Sappiate solo che, se cercate spettacolo... l’avrete.
Il fastidioso suono metallico si propagò nell’aria, mentre Caesar alzò la mano del ragazzo, in piedi, e urlò al pubblico:
- MIKE SALT, Distretto 11!
 
- Ora, invece, dal Distretto 12, Rosalie White!
La ragazza era insieme a Nicholas, come sempre. Erano rimasti solo loro due e la paura aveva preso il sopravvento; una pacca da parte del compagno la riportò alla realtà e la spinse ad avvicinarsi al pubblico, a Capitol City e all’ammaliante presentatore arancione.
Indossava un semplice abito lungo, senza spalline, che si allacciava attorno al collo, lasciando la metà schiena scoperta. Era fatto di seta di colore azzurro, pieno di piccole pailette e pietre preziose, che l’avevano caratterizzata proprio come alla sfilata. I capelli erano sciolti e cadevano tutti sulla spalla sinistra, mossi.
Seduta insieme a Caesar, rivolse un mezzo sorrisetto alle telecamere puntate su di lei e sul pubblico.
- Splendente ma semplice, proprio come la sfilata, vero? - disse il presentatore.
- Sì, è proprio quello che volevo trasmettere - sussurrò lei - E gli stilisti sono stati magnifici.
- Lo vedo. Ho seguito con interesse la tua Mietitura. Spiegaci cosa è successo.
Rosalie piegò la testa fino sentire i capelli solleticarle la guancia:
- Volevo offrirmi volontaria, lo volevo davvero. Per aiutare la mia famiglia - rise ricordando la sua strana determinazione di andare contro la morte quella mattina maledetta - Ma sembra che la sorte mi abbia preceduta. Farò di tutto per tornare a casa dai miei fratelli.
- E la sorte... - disse Caesar dolcemente - Ti ha aiutata, so, anche in fatto di amicizie e relazioni.
- Decisamente.
Ora sorrideva spontaneamente. Pensare a quel ragazzo la faceva sentire così.
- E’ il ragazzo che verrà dopo di te - sussurrò Caesar sorridendole - Nicholas. Lo conoscevi già? So che il vostro Distretto è molto piccolo, perciò...
Non poteva certo rivelare le sue scappatelle nel bosco... ma non poteva mentire. Non per lui, e non così.
- Sì e lo conoscevo come il ragazzo circondato da oche starnazzanti - disse semplicemente - Ma viviamo un po’ lontani. Le uniche occasioni in cui potevo incontrarlo erano le Mietiture e a scuola. E ora... gli Hunger Games.
- Non sai, vero, se essere felice o no d’averlo qui - notò l’uomo.
- Se me l’avessi chiesto qualche settimana fa, ti avrei risposto che nemmeno m’interessava - rispose sinceramente - Ma questa esperienza ci ha avvicinati; non lo lascerò. La sorte... e chissà cosa ci riserverà il futuro.
Il suo tempo terminò. Caesar le baciò delicatamente la mano e l’alzò al cielo:
- Ecco ROSALIE WHITE!
 
- E concludiamo con NICHOLAS RAYAN!
Mentre saliva sul palco, Nicholas incrociò lo sguardo di Rosalie, bella e splendente come lui... e la baciò piano sulle labbra. Davanti a telecamere, a Caesar in preda a strani spasmi dovuti all’emozione, e al pubblico che a quel gesto rimase stupito e contento.
Quando le labbra si staccarono da quelle della ragazza, Nick si fece vicino a Caesar, gli stinse la mano come se non fosse successo niente e si accomodò davanti a mille telecamere. Rosalie intanto era scesa nelle quinte, ad aspettarlo insieme ai loro stilisti e mentore.
- Vogliamo proprio lasciare il segno! -urlò Caesar - Eh, Nicholas? Bello e attrante, hai scelto lei...
- La amo - disse semplicemente lui - Quanto la mia famiglia. Lei, qui, lontano da casa, rappresenta ciò che voglio. Un’amica, una compagna... la migliore.
- Dolcissimo - ammise l’altro - La mia teoria non si smentisce mai.
Il ragazzo vestiva molto simile a Rosalie: uno smoking azzurro pieno di brillanti e pietre luminose sotto la luce dei riflettori.
- Comunque, parlami... a casa sei circondato da “oche”, a detta di Rosalie?
- Sì - si liberò finalmente lui - Ora andranno a cercarsi qualcun altro. Non ce la facevo più. Era una tortura anche uscire di casa. Rose non era una di quelle.
- E la tua famiglia?
- Siamo una di quelle famiglie con sempre il pane sulla tavola, Caesar. E mi sento male solo al pensiero che famiglie, proprio come quelle della mia compagna, non avevano niente. Prometto che se tornerò a casa farò in modo che tutti riescano a mangiare.
Caesar sospirò:
- Un pensiero davvero nobile.
- Anche se tornare a casa significherà qualcosa di spaventoso... - notò a malincuore Nick - Non si è mai sentito di due ragazzi vincitori dei Giochi. Ma per ora, la cosa che mi interessa, è stare con la ragazza che amo.
Silenzio. Il pubblico era incantato dalle sue parole di miele.
Continuò, prima che il segnale riecheggiasse, decretando la fine della serata:
- La ragazza che sfortunatamente domani mattina entrerà con me nell’Arena.
Caesar si alzò in piedi con uno scatto, afferrando la mano del ragazzo, alzandola al cielo e urlando a Panem:
- NICHOLAS RAYAN! Distretto 12!
 

Lontano da quel trambusto, a bordo di un hovercraft, uomini e donne vestiti di tutto punto, eleganti e belli d’aspetto, solcavano i cieli. Camminavano in un lungo corridoio, insieme, con i passi quasi sincronizzati, e col rumore degli stivali che riecheggiava forte nel silenzio più assoluto.
Uno di loro, un uomo, parlò, senza smettere di muoversi:
- Le interviste devono essere appena finite. Ora la gente si raccoglierà in piazza: comincia la festa.
La donna che apriva la macabra processione svoltò, entrando in una sala buia, seguita dal resto del gruppo.
- Accendete la luce... signori, ora vi mostrerò le nostre nuove armi.
L’uomo che aveva parlato prima ordinò agli altri di fermarsi e andò ad accendere la semplice lampada elettrica che pendeva da traballante soffitto.
Tutti gli altri, esclusi loro due, serrarono le palpebre per qualche secondo... e quando le riaprirono molti barcollarono all’indietro... spaventati e terrorizzati... da quello che si ergeva davanti a loro.
La ragazza sorrise alla reazione delle persone; poi aggiunse all’uomo:
- Mi è giunta voce... che ci sono molte, molte alleanze. Sarà un’Edizione speciale.
Lui annuì, sorridendole.
- Ma la gente vuole spettacolo... - disse.
- Se le cose cominciano a rallentare, credo proprio dovremo. Non voglio una strage... solo divertimento. I ragazzi si divertiranno, quasi più di noi, ne sono sicura.
 

 

NOTE D’AUTRICE:
Eccomi con la fine delle interviste e... con un piccolo assaggio di... qualcosa che nemmeno io so cosa sia XD Ma a buon intenditore poche parole, e non spaventatevi cari mentori, che adoro tutti voi e tutti i vostri personaggi ;)
Fine delle interviste... ultima notte di pace... poi cominciano i Giochi.
Mi raccomando: fatemi sapere che ne pensate e soprattutto chiunque volgi sponsorizzare può farlo se vuole, siete ancora in tempo :)
Alla prossima belli - vedo se per il 14 riesco a concludere qualcosa :D
Ciau ciau
 

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Capitolo 20
*** La Notte Porta Consiglio ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

La Notte Porta Consiglio


“So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è incominciata.”

Ernest Hemingway

 
 
Sophia era seduta sulle soffici e bianche lenzuola del suo letto, con le gambe incrociate e i capelli biondi che le cadevano sul viso, sfiorandole il naso ad ogni respiro. Avrebbe tanto voluto addormentarsi, dimenticare quello a cui era destinata e soprattutto... sognare. Chissà se ne avrebbe ancora avuto l’occasione, una volta scesa nell’Arena. Si sentiva lo stomaco in subbuglio, sebbene non avesse toccato cibo; gli occhi si fermavano di tanto in tanto sulla finestra che dava sulla città ancora sveglia. Tanta confusione, tanto chiasso... come avrebbe fatto ad addormentarsi con quel trambusto?
Le sembrò di essere tornata bambina, quando aveva visto sfilare tante volte i vincitori delle Edizioni precedenti in piazza, quando anche lei con la sua famiglia, piccola e felice, lanciava brillanti o fiori sul tributo che era riuscito ad uscire dall’Arena, il più delle volte proveniente dal suo Distretto.
Immersa nei suoi pensieri e nei suoi ricordi, la ragazza quasi non notò l’ombra che intanto le si era avvicinata.
- Sophia? - sussurrò l’intruso.
Era Diego. Vestito ancora di tutto punto e coi capelli pettinati perfettamente. Riuscì a “risvegliare” la compagna, che gli fece cenno di sedersi accanto con un piccolo movimento della testa.
- Non riesci a dormire? - disse lei con voce rauca.
- Affatto. E tu?
Sophia si mise dritta, saettando gli occhi in direzione di Capitol City:
- Sono loro che non mi fanno dormire, ma ho sonno.
- Domani... sarà meglio essere in forma - riflette Diego ad alta voce, attirandosi nuovamente il suo sguardo.
- Ci sei ancora? - sussurrò incerta Sophia - Ci sei ancora, Diego?
Per risposta, il tributo annuì, lasciando la testa dondolargli inerte sul collo.
Immagini. Casa. E davanti ai suoi occhi, il viso di sua madre e della dolce sorellina.
- Ero venuto a controllare che stessi bene - tagliò corto alzandosi dal letto e dirigendosi barcollante verso la porta - Vado a dormire.
- A domani.
- Già.
 
Buio e silenzio.
Brandon non stava bene: sedeva accanto alla finestra, incantato dal viavai dei capitolini, degli scommettitori e dei cameraman. Così piccoli, ma così definiti, con quelle strane corazze sulle spalle, pronti a captare anche il minimo spostamento di qualsiasi tributo. Ma non c’era spettacolo per loro, a quell’ora, finite le interviste, a notte fonda.
Seduta davanti a lui, con le gambe strette al petto e i capelli lunghi raccolti con un fermaglio brillante, Lavinia tremava, contemplando lo stesso triste e strano spettacolo sotto di loro.
- Ho paura - sibilò, senza nemmeno rompere quel magico silenzio.
Il ragazzo rispose, senza smettere di fissare la città:
- Una Favorita come te... che ha paura? - sussurrò - Non dicevi di essere pronta?
Lavinia gli ricordava terribilmente il suo fratellino, Renly; avevano la stessa età, per giunta, e ora la bambina confessava di temere qualcosa... proprio come il piccoletto confessò a Brandon di aver paura della Mietitura.
- Non è la paura che intendi tu, Brandon. Ho paura per una persona - continuò lei.
- E’ per quel dodicenne dell’8? - chiese lui dopo qualche secondo di silenzio - Ma se all’intervista hai detto che...
- So benissimo cosa ho detto! - si lamentò Lav, affondando il viso tra le manine - Ma non ero io.
Buio.
- Era mia sorella, non io.
- Ti porterà solo guai, Lav - le sussurrò Brandon, tornando a guardare fuori.
Ma lei sapeva. Sapeva che quello che stava succedendo in lei, per quel ragazzino, andava contro gli anni d’addestramento e di preparazione. Non era sicura di cosa stesse facendo, né dove sarebbe finita per quel ragazzino. Perla non l’avrebbe mai perdonata: per lei, l’amore l’avrebbe portata alla pazzia e al ritornare a casa in una bara.
- Non faresti lo stesso, se ci tenessi ad una persona? - domandò dolcemente Lavinia, facendo riaffiorare gli occhi a guardare il compagno.
Brandon non rispose. O fece finta di non sentire.
 
L’ultima cosa che India avrebbe voluto fare era addormentarsi con la consapevolezza del non proprio radioso mattino che l’attendeva. Ma non aveva fatto i conti con la stanchezza e con l’ansia. Ben presto Essien la trovò addormentata sul divano, con i mentori e i preparatori impegnati a bere uno strano liquido lilla. L’aveva presa in braccio e, con poche difficoltà, trasportata nella sua camera, messa sotto le coperte e lasciata in pace a dormire; la bocca semichiusa, sembrava tornata una bambina.
Dopo il lavoro, Essien fu trascinato in camera dagli accompagnatori, con un cesto di frutta nel caso dovesse venirgli fame e un secondo cuscino, meno imbottito, visto che a Capitol City la gente sembrava dormire su materassi e cuscini più duri dei sassi.
- Forse è per tenervi svegli - cinguettò una truccatrice - Ecco perché la ragazza si è appisolata sul divano. E’ mille volte più comodo!
Essien, comunque, non dormì. Era stanco, ma il massimo che fu capace di fare fu schiacciare un sonnellino di pochi minuti. L’emozione, la paura e il baccano infernale... e il ricordo di quelli che forse stavano aspettando di vederlo morire, di Delila che sicuramente avrebbe passato la notte insonne, proprio come lui.
E sicuramente non poteva osservare il cielo, chiusa nell’orfanotrofio.
Ma le stelle sono sempre quelle, così come il manto nero che impreziosiscono. Il cielo stellato è sempre quello. Quello di Capitol City, come quello del Distretto 3. Questo pensiero gli dette coraggio e forza, fino all’alba.
 
Alexandra aveva cordialmente baciato sulle guance Xaber e stava per augurargli una notte serena. Il ragazzino, ancora gasato per la dichiarazione d’amore, la vide sparire nella sua stanza, con grazia ed eleganza, nell’abito da notte bianco come il latte e con i capelli biondissimi sciolti e liberi, balzellanti ad ogni suo leggero passo.
- Buonanotte, Xaber - sussurrò infine - Ci vediamo domani mattina.
- Sì, a domani - concordò lui. Tanto non aveva altra scelta: domani avrebbe proprio visto tutti, Connie compresa.
- E dormi! - raccomandò Alex infine.
- Certo! - rise il ragazzo, vedendola definitivamente sparire nel buio della sua stanza; quando la porta si chiuse con un piccolo tonfo Xaber continuò, rivolto a nessuno in particolare - Chi dorme non pigli pesci!
Corso nella sua stanza, si piegò sulle ginocchia e strisciò verso il letto. Sussurrò, poi:
- Puoi uscire, bello!
Un ragazzino biondo uscì da sotto il mobile, tossendo per la polvere e per la poca aria assunta. Felix Andersen, Distretto 8, era stato quasi strappato dalle cure e dalle premure di Mezzanotte e si era ritrovato a nascondersi da mentori e stilisti, solo perché Xaber lo voleva. Non sapeva nemmeno il perché, ma conoscendo il ragazzo del 4, aveva già una vaga idea...
- Mi dispiace, ma sappi che tifo per voi - sospirò Xaber dopo diversi minuti di conversazione al chiaro di luna e con le grida degli scommettitori in sottofondo - Per l’intervista, riguardo Lavinia. Mi ha leggermente... spiazzato.
- A chi lo dici... - ammise Felix sconsolato e parecchio assonnato.
- L’amore non è cosa per noi, Felix. Siamo ragazzi, vero, ma dobbiamo mettere sottochiave gli impulsi adolescenziali.
- Tu ci riesci?
Xaber sorrise:
- Ma cosa importa?! E’ finita: mettici una pietra sopra e... lasciala scuoiare persone in santa pace. Anzi, spera di non diventare la sua ranocchia da dissezionare, altrimenti... “Addio, amore mio. Risparmia il cuore: nel Distretto ne faranno una reliquia”.
- Wow - sussurrò il dodicenne rabbrividendo.
- Ti ho spaventato? - chiese innocentemente Xaber mettendosi a posto i capelli arruffati. Vide l’amico scuotere la testa, titubante, poi riprese - Sei proprio cotto. Si vede, perché non sai proprio che pesci pigliare. Io invece pesco da tutta la vita. Coi pesci ci so fare.
- Non voglio entrare in quell’Arena - disse piano il biondino. Non voleva veder morire nessuno, ma tornare indietro non era più possibile. Casa sembrava mai qualcosa di lontano e irraggiungibile, così come gli amici e la famiglia.
- Anche io - lo interruppe Xaber, facendosi serio - Ma la sorte ha scelto noi. Un motivo ci sarà.
- E spero che il motivo sia valido. Ho paura. Paura per lei... so che non devo temere niente, Xaber, ma continuo ad immaginarmela... morta, sfigurata...
- O che ti punta addosso un coltello... - sibilò Xaber.
Proprio in quell’istante un forte bussare, riscosse gli animi afflitti ed innamorati dei due e la voce alterata di Alexandra li raggiunse, forte più di un tuono:
- XABER! Ma sei diventato sonnambulo o parli da solo?! C’è una ragazza che vorrebbe dormire qui! Oh!
Quando i passi veloci della ragazza si allontanarono, Xaber sussurrò preoccupato, con ancora il sangue raggelato per la paura:
- Ora dovresti proprio tornare nel tuo appartamento. E come farai? Sai, arrampicarti per il grattacielo sarebbe pericoloso perché se cadi finisci dritto dritto nell’Anfiteatro, sulle teste dei capitolini. Però pensaci: almeno cadrai sul morbido... diciamo... pensa se sotto di noi c’era l’appartamento del Presidente!
- Preferisco l’ascensore...
- E se si blocca?
 
William e Connie erano rimasti nelle proprie stanze, separati dopo le interviste, e condotti verso una notte senza sogni.
La bambina, a intervalli regolari batteva il piede sul pavimento, così forte da farsi male al tallone. Lo faceva per rabbia, per sfogarsi e soprattutto per Xaber. Pensare che quello strano ragazzo era là, a qualche metro sotto di lei, sembrava farla andare in bestia. Eppure, non lo odiava. Lo ammirava: non era da tutti confessarsi e almeno lui era stato sincero.
Comunque, quando la rossa sentì una voce femminile, provenire dal piano inferiore, dai due del Distretto 4, proprio sotto di lei, esprimersi in un grido disumano, capì che forse la sua stanza era proprio sopra quella di Alexandra, che ancora non era riuscita a prendere sonno. Smise così di battere il piede e si dedicò ad allisciare dolcemente le lenzuola del suo enorme letto. Il giorno seguente non avrebbe mica trovato un morbido letto e del buon cibo. Tutto era in dubbio.
Era meglio godersi quello che c’era... finché poteva. E anche William Ebony ne era convinto. Faceva continuamente su e giù per la stanza, lento e pensieroso, e delle volte azzardava a lanciare uno sguardo alle fioche luci della città. Provò a guardare più in là in direzione della stazione, quasi come se sperasse di scorgere casa, i monti... anche il mare, un ambiente a lui non familiare, gli avrebbe fatto ricordare casa.
Qualunque cosa, ma non quei pazzeschi grattacieli, alti quasi fino alla luna.
Alla fine, la stanchezza e il sonno lo costrinsero a fermarsi. In fondo ci era già passato, ogni notte, anche da piccolo, quando sapeva di svegliarsi il giorno dopo per andare a scuola, magari affrontare un’interrogazione sulla Storia di Panem ed essere sbeffeggiato dai compagni di classe.
Ancora...
 
Tom si era creato una specie di rifugio sotto le coperte e, anche se l’ossigeno scarseggiava, il piccolo non aveva intenzione d’uscire. No, non per affrontare la cruda realtà che da lì a poco l’avrebbe inghiottito. Era già in quelle maledette spire, imprigionato, lontano da suo padre, ma con la speranza di vincere solo per vederlo sorridere come faceva anni fa.
In fondo , Tom, era il più piccolo. Ingiustamente condotto nell’Arena a causa dell’uomo più vicino a lui, il suo papà, e anche se non ne aveva colpa... come poteva avere la coscienza a posto?
Ben presto, il ragazzino si ritrovò a piangere. Grossi lacrimoni bollenti gli scesero sulle guance, fino a cadere dolcemente nella bocca aperta per trovare respiro; lasciò che gli occhi si bagnassero completamente, lasciò lacrimare anche i brutti ricordi di una vita passata rubando, così come il pensiero che suo padre, pur involontariamente, l’aveva portato verso la morte.
Cercò di non pensare ai Favoriti e alla Cornucopia. Il buio lo spinse a chiudere le palpebre e dopo qualche minuto, sempre più triste ma anche agitato, il sonno lo prese. Il piccolo Tom crollò sfinito dal pianto in una notte senza pensieri.
Katherine lo aveva sentito, ma non aveva avuto il coraggio di consolarlo; anche lei ci era andata vicina, ma aveva ricacciato le lacrime indietro, e soffiato il naso più e più volte aveva cercato di fare finta di stare bene.
Poi, cosa avrebbe potuto dire al piccolo? Non era più il tempo delle false promesse e degli incoraggiamenti, perché non l’avrebbero salvato dalla mattina che tra poche ore sarebbe arrivata a trasportare in ventiquattro ragazzi verso un viaggio dove solo uno poteva tornare.
Quello che le due sorelle provarono, ora, era parte anche di Katherine, rinchiusa nella sua stanza, in piedi davanti a Capitol City. Nessuno sarebbe venuta a salvarla; era ora di mostrare cosa era capace di fare...
 
Markus si sentiva riposato e pronto per l’inizio del Bagno di Sangue, anche se mancava ancora tanto. Seduto nella sua stanza, davanti ad un piccolo tavolino, stringeva tra il pollice e l’indice la lama di un coltello da carne che aveva chiesto ad un senza voce di passaggio per il suo piano. Il servo aveva obbedito e ora il tributo passava la punta del metallo in mezzo alle dita. Non era un’ascia, ma andava bene lo stesso. Guardava sorridente la lama, quasi incantato dal riflesso della luna su di essa. Luccicante e letale.
Pensare a casa l’avrebbe indebolito, rimuginare su cosa avrebbe potuto fare, di quante cose si stesse perdendo... erano cose inutili in quel momento. Dolore e paura erano da cancellare, in quella notte.
E quell’oggetto, piccolo ma mortale, sembrò ricordargli tutto questo.
Continuò a giocarci per diversi minuti, contemplando l’arnese da ogni angolo possibile... mentre un paio di occhi celesti, paralizzati dal terrore osservavano tutto da una fessura lasciata dalla porta non completamente chiusa. Joy non tremava ma dentro di lei uno strano e forte sentimento simile al terrore le impedivano di compiere anche il minimo movimento.
Cosa stava combinando Markus?
Lui e il coltello. E Joy, ad osservarlo accarezzare l’arma, che cercava di contenere un grido o un’imprecazione. L’Arena era capace di cambiare a tal punto una persona? Era capace di cancellare qualsiasi briciolo di umanità e compassione, forse, per sempre?
Il coltello continuava a riflettere il pallore lunare, che presto sarebbe tramutato nei primi raggi dell’alba, facendo terminare quella strana, nuova ed ultima notte di pace ma ti tormento al tempo stesso.
 
Mezzanotte aveva aiutato Felix a sgattaiolare nell’ascensore senza essere visto. Ed ora non era ancora tornato; la ragazza era rimasta sola, ma era meglio così. Almeno Felix non l’avrebbe vista piangere come una fontana.
Silenziosa, nascosta nel buio, Nott piangeva. Cos’altro poteva fare?
Lontana da casa, dagli amici e dalla famiglia, piangere somigliava tanto a qualcosa di alieno a Capitol City. Le ricordava casa. Stranamente, piangere la faceva sentire meglio. Ecco perché sorrideva, col pugno stretto attorno al ciondolo a forma di chiave di violino.
Guardava lontano, verso l’orizzonte, quando notò che il nero del cielo stava mutando in un azzurrino infantile, segno che l’alba era alle porte. I Distretti stavano per svegliarsi, Capitol City lo era sicuramente da molto prima.
La ragazza cercò di non pensarci; immaginò la mamma e i nonni già incollati alla televisione. Così come Ray. Le mancava da morire. Menzionarlo nell’intervista si era rivelato un errore. Ora si sentiva in colpa.
Accanto al letto, poggiata sulla sedia, la tuta che di lì a poco avrebbe indossato per entrare nell’Arena, tirata fuori di proposito dal pacco dallo stilista. Una semplice maglietta nera di tessuto traspirante, con stampato sopra il numero del Distretto, pantaloni e scarponi, più un giacchino leggero dalla fodera blu molto lungo.
Le lacrime continuarono a scendere fino al petto, bagnandolo di dolci lacrime gelate.
- Perdonami... perdonami... - sussurrò Nott chiudendo gli occhi.
Ray non meritava di soffrire in questo modo. Perché lui era sincero...
Entrata nell’Arena, cosa avrebbe assicurato il ragazzo innamorato del Distretto 8, che aspettava di vedere l’amica tornare sana e salva a casa, che lei sarebbe rimasta la ragazza di sempre, colei che aveva sempre conosciuto? Quella che lui diceva d’amare?
Quando riaprì gli occhi, il primo raggio di sole le colpì la pupille destra, accecandola e annunciando a tutta Panem che i Giochi stavano per avere inizio.
 
Liam stava ancora sognando casa. Tranquillo e beato, per lui addormentarsi fu definitivamente più facile del previsto; crollò subito dopo cena, dimenticandosi degli Hunger Games e rivolgendo un ultimo saluto invisibile alla sua famiglia. Sognò il Distretto 9, e anche Marina e Beatriz.
Era su un treno, diretto verso casa insieme alla sua compagna di Distretto e alla ragazza che amava.
Il più bel sogno...
Fu un boato a riportarlo alla realtà. La notte era passata, troppo velocemente, ed era ora di prepararsi. Beatriz lo andò a svegliare, mesta e con gli occhi rossi.
Seduta al suo fianco, lo scosse numerose volte, sempre più forte, gridandogli di aprire gli occhi; perciò il ragazzo fu sbalzato con urla e ruggiti fuori dal letto.
Triz indossava un abito azzurro, semplice e delicato. I capelli scompigliati danzavano insieme a lei.
- Liam? - disse lei piano al compagno assonnato - Non volevi proprio svegliarti, eh?
Il ragazzo sorrise:
- Stavo sognando... un sogno bellissimo.
- Almeno tu ce l’hai fatta ad addormentarti... meglio sbrigarci: Demitia mi vuole vedere, così come il tuo stilista.
I capelli colorati della ragazza erano raccolti in una semplice coda, puliti e pettinati; presto anche il compagno sarebbe stato preparato a dovere. Pronti per il macello, così come gli altri tributi. Non che l’aspetto servisse molto, adesso, dopo i pre - Hunger Games erano terminati; chissà cosa li avrebbe attaccati nell’Arena... la loro bellezza ed innocenza sfigurata... bambole in mezzo alla polvere e al fango.
Sole, freddo, fame, sporco... sangue...
Perso nel suo sogno, irraggiungibile ma bellissimo, ancora col dolce viso dell’amica, Marina, davanti agli occhi. Probabilmente quel visino si sarebbe contorto dall’ansia, dal dolore e dalla stessa speranza che le consentiva di non piangere.
 
Chloe e Jay si erano svegliati molte ore prima dell’alba e avevano letto l’uno negli occhi dell’altra che avevano condiviso la stessa notte insonne, quando i loro sguardi si incrociarono nel piccolo ma confortante soggiorno del piano numero dieci. Stilisti, mentori, accompagnatore e staff. Erano tutti lì.
Capitol City fremeva: il reality più atteso stava per iniziare.
I Distretti tremavano: il macello dei loro figli stava per cominciare.
Il ragazzo sorrise debolmente all’ingresso della ragazza, ma lei sembrò non ricambiare, né vederlo. Gli occhi lucidi ma spenti riflettevano quello che da lì a poco li avrebbe inghiottiti. Lei si muoveva lenta, a scatti, e quando lo staff le chiese come avesse passato la notte restò muta. Paura o inadeguatezza? Le certezze della “sera delle stelle” erano finite visto che si stava per giocare con la vita; sopravvivere, solo sopravvivere...
Jay non aveva fatto altro che pensare a come radunare il gruppo durante il fatidico e pericolosissimo Bagno di Sangue, ma era arrivato alla conclusione che prima avrebbe dovuto trovare un modo per sfuggire dai Favoriti e poi  raggiungere Elizaveta... ma ogni altra sorta di piano, ogni progetto, calò insieme alla luna e lasciò il posto all’indecisione.
- Chloe? - trillò l’accompagnatore, giallo più di un canarino proprio come il giorno della Mietitura - Cara? Non ti senti bene? Sei decisamente pallida...
La ragazza scosse la testa con decisione:
- Sto bene... come dovrei stare? - disse con voce rauca.
- Abbiamo un bel po’ di tempo - la tranquillizzò Briaria, la sua stilista dagli occhi rosa, passandole un braccio attorno al collo, come se fossero migliori amiche - Rilassati e scaccia i brutti pensieri. Funziona, credimi.
La portò sul divano e le sussurrò qualcosa nell’orecchio.
Chloe restò lì, con la capitolina, per molti minuti, ad ascoltare consigli, avvisi o raccomandazioni.
- Preparati a qualche notte gelida... attenzione al fumo... quando corri, pensa solo a quello... trova l’acqua...
Consigli di chi, anni addietro, portò alla morte di tantissimi ragazze e ragazzi, per una guerra senza senso. Una guerra persa... simile alla guerra dei due tributi, contro quella orribile realtà, per ritrovare i bei ricordi, per ritrovare la strada di casa.
 
- Ehi... andrà tutto bene - sussurrò Elizaveta al compagno. Erano entrambi seduti sul morbido divano, davanti alla televisione accesa, che proprio in quel momento stava trasmettendo in replica le Mietiture di quell’anno.
Il quattordicenne sospirò rumorosamente, stanco ma pronto.
Katri, loro stilista, uscì proprio da quel momento dall’ascensore, lasciando la cabina ancora prima che le porte si aprissero completamente, con due morbidi pacchi in mano; disse che si trattava delle uniformi per l’Arena e poi andò subito a lasciarle nelle stanze.
- Forse era meglio non vedersi. Primi - sussurrò Mike chiudendo gli occhi. Attorno a loro c’erano mille bisbigli, tonfi provenienti dai piani adiacenti e rumore di passi veloci. Erano circondati ancora prima di salire sulla piattaforma, ancora prima dell’Inizio e della Fine.
- Andrà tutto bene - ripeté la ragazza quasi meccanicamente, massaggiandosi nervosa il palmo della mano.
- Vorrei poterti credere... almeno stavolta.
Silenzio.
Elizaveta odiava il silenzio, poiché le ricordava il triste e lugubre passato, la sua tormentata infanzia; per anni aveva vissuto nella foresta... e in quel luogo magico, tutto suo, il silenzio non esisteva. Il canto degli uccellini, il fruscio delle foglie mosse dal vento e magari lo scroscio di qualche ruscello nascosto alla vista. Vita e natura. Cose che in quel momento sembrava mancare in quell’immensa città o forse in tutta Panem?
- Anche io ho un po’ di paura - ammise lei infine, rompendo la maledizione del vuoto e del silenzioso presagio di morte. Afferrò la mano di Mike, la strinse forte e gli sorrise - Non devi temere niente in mia presenza. Poi, noi e gli altri ci proteggeremo a vicenda.
- E dopo? Se rimarremo solo noi?
Nessuno ancora conosceva la risposta a quella domanda.
Nessuno dei ventiquattro tributi.
Nessuno...
Così ritornò il silenzio.
E la consapevolezza che il giorno era ormai sorto, così come il sole. Forse l’ultimo vero sole...
 
E finalmente i tributi furono presi dai loro rispettivi stilisti e mentori per essere condotti verso il tetto, un Distretto alla volta, dal primo all’ultimo.
Nicholas e Rosalie avevano dormito insieme, sul pavimento, mano per la mano, in pace e tranquilli, con le teste premute contro il freddo vetro della camera da letto della ragazza. Presto addormentati, felici per quell’istante di pace e riposo.
Ma poi, con l’arrivo del sole, i due furono silenziosamente separati e nessuno dei due tributi si svegliò per sentire un paio di mani separarli e trasportarli lontani.
E quando aprirono gli occhi, pronti ad affrontare le paure della sera precedente, si sentirono vuoti. Entrambi. Insieme.
Furono incitati dagli stilisti a sbrigarsi e una volta lavati e vestiti furono lasciati salire sul tetto.
Là, in attesa dell’hovercraft del ragazzo, i due tributi poterono incrociarsi, inaspettatamente. Rosalie, l’ultima arrivata, appena scorto il profilo del ragazzo, gli saltò addosso, lasciando dietro di sé le facce sbalordite degli stilisti e dei mentori. Lo baciò, lo abbracciò forte e a stento trattene le lacrime. Sarebbe stata dura, per i due, vedere l’altro su una piattaforma esplosiva, per 60 secondi... che li separavano dal sangue, dalla morte e dal dolore.
Nicholas le bisbigliò un incoraggiamento e poi la rassicurò:
- Una volta là, la prima cosa che farò sarà venirti a prendere... prometto. Non ti lascio, capito? Poi raggiungiamo gli altri.
La poverina ascoltò tremante, agitata e spaventata; non lo lasciò nemmeno quando l’ombra del hovercraft li avvolse nelle tenebre. Una scaletta venne calata, pronta per raccogliere il ragazzo che a malincuore si staccò da Rose. La baciò un’ultima volta sulla fronte e si allontanò, salì sul mezzo per trovarci solo facce ostili e una siringa e un microchip tutti per lui.
Un boato raggiunse il tetto. Il boato della folla in attesa alla vista dei dirigibili sopra il Palazzo. Segno che i Giochi erano alle porte. Finalmente.
E quel fracasso immobilizzò il tributo femmina del Distretto 12, che aveva ancora lo sguardo perso al cielo, rivolto a quel puntino che si avvicinava verso di lei, a portarla in una dimensione oscura e funesta.
E nel cuore solo tristezza.
Probabilmente i suoi familiari dovevano essere già col naso a pochi centimetri dalla televisione, o in piazza, incoraggiati dagli altri cittadini.
 
Avevano vinto ancora una volta: come ogni anno i perdenti vedevano dei bambini, dei ragazzi, i loro figli, andare a morire per dello sporco divertimento. Creature innocenti strappati dalle loro case, famiglie e realtà, costrette a combattere l’uno contro l’altro, a morire di fame o di freddo, perdendo innocenza ed umanità.
Ancora una volta.
 

 
ANGOLO AUTRICE:
E ancora una volta... eccomi qui! E' stata una tortura ma sono qua!
Abbiamo finito, ragazzi. L'Arena è pronta, i tributi pure... che i Giochi abbiano inizio. Mi sono divertita tantissimo, ma è il momento di scendere in campo. E sarà dura per tutti noi, credo; perchè il lavoro dello Stratega non è mica facile U_U
Comunque... ho deciso anche di pubblicare il mio orrendo banner. No, vabbè, non sono un genio in queste cose, ma è accettabile, credo XD Fatemi sapere cosa ne pensate. Per chi non mastica il latino, il sottotitolo vorrebbe dire "Da una sola scintilla, a volte nasce un incendio". Non l'ho detto io, comunque XD E' un po'alla Katniss-style ma fa niente.
Ok, prossimo capitolo. Il Bagno di Sangue. Ancora non ho il cuore di estrarre i morti... perciò devo sbrigarmi XD
Ah, qualsiasi informazione, dichiarazione, cambio di programma, semplice domanda stupidina, sponsor ecc... sono a vostra disposizione. Naturalmente evito gli spoiler, altrimenti che gusto c'è? ^__^
Get ready, guys!
Ci vediamo nell'Arena.
E possa la fortuna essere sempre a vostro favore! Sul serio... 
:D 

PS: Non disperatevi se i vostri tributi moriranno. Per ognuno di loro dedicherò un capitolo con foto e tutto il resto, ci metterò l'anima ve lo assicuro... perchè so cosa si prova T_T


 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Lacrime Di Sangue ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

Lacrime di Sangue

“Il peggior sporco è quello morale: istiga ad un bagno di sangue”    
Stanislaw J. Lec

 
- Signore e signori... che i quarantunesimi Hunger Games abbiano inizio!
Le ventiquattro piattaforme simili a ristrettissimi ascensori portarono i Tributi in superficie. Una salita che sembrò durare un’eternità, ma allo stesso tempo meno di un secondo. Il tempo di sbattere le palpebre e... la luce. E il suono celestiale del canto di mille uccelli, mille volatili variopinti sopra di loro.
Caldo.
Quella fu la loro prima sensazione.
Paura.
Il loro primo sentimento.
E la Cornucopia, davanti a loro, completamente d’oro, rifletteva la luce “solare” quasi accecandoli; piena di zaini e armi di ogni sorta, funi o giubbotti. Era un sogno raggiungerla, ma un incubo uscirne vivi. Attorno a loro, diverse direzioni.
Dovevano trovarsi in cima ad una collina, ma voltarsi indietro non era un’idea allettante in quell’istante.
 
I ventiquattro ragazzi sentirono la piattaforma sotto i loro piedi tremare e capirono che il sistema di autodistruzione si era attivato, se uno di loro avesse avuto la sciagurata idea di scendere prima del minuto previsto, che li avrebbe fatti morire, ancora prima che i Giochi iniziassero.
I primi a cercarsi, tra la moltitudine di chiome scosse dalla brezza e gli sguardi preoccupati, furono Nicholas e Rosalie del Distretto 12, posti ai lati opposti del cerchio, quasi coperti dall’imponente Cornucopia. Per i Favoriti invece fa facilissimo localizzare gli altri, osservare i gesti di uno e dell’altro; Lavinia aveva alla sua destra Felix, il suo “spasimante”. Il bambino provò a catturare la sua attenzione, a farle distogliere l’avido sguardo dai pugnali.
- Lavinia! Lavinia! - sussurrò con gli occhi sbarrati.
Proprio in quell’istante, con uno strano effetto sonoro, il numero sessanta venne proiettato al centro della Cornucopia, alla vista di tutti. E un brivido scorse nelle loro vene, ancora più orribile di quello provato alla Mietitura; non c’erano vie di scampo, un minuto e tutto sarebbe stato in gioco. Sopravvivenza o morte. Cornucopia o fuga.
Nessuno sorrideva.
Le interviste erano state semplici illusioni.
 
60 secondi.
Elizaveta rivolse gli occhi verso Sophia, del Distretto 1, che le sorrise orribilmente.
55 secondi.
Connie cominciò a tremare come l’ultima foglia di un albero agitata dal vento autunnale.
50 secondi.
William chiuse gli occhi. Contando i secondi a mente, visto che la vista della Cornucopia lo faceva star male.
45 secondi.
Xaber sorrise ad Alexandra che ammiccò verso di lui, mimando con le labbra “Andrà tutto bene”.
40 secondi.
Brandon e Diego si scambiarono uno sguardo di intesa, rivolgendo piccoli gesti alla Cornucopia.
35 secondi.
Mezzanotte aveva occhi per solo un ragazzo: l’osservava e ne studiava i lineamenti, mentre Beatriz e Markus incrociarono i loro sguardi per meno di un attimo.
30 secondi.
Stava finendo. Essien e Joy erano concentrati sulle armi.
25 secondi.
Anche India, alla pari di Connie, cominciò ad agitarsi, tanto che dovette trattenersi dallo scendere dalla piattaforma per calmarsi.
20 secondi.
Mike, Chloe e Jay stavano gesticolando impercettibilmente verso Eliza.
15 secondi.
Liam e Tom si misero in posizione di partenza, senza muoversi troppo.
10 secondi.
Lavinia, ad occhi sbarrati, ascoltò le suppliche di Felix e lo guardò negli occhi. Gli sussurrò qualcosa, ma il dodicenne non capì per via del trambusto degli ultimi secondi.
5 secondi.
Katherine sembrava avere gli occhi lucidi mentre fissava l’orizzonte, in cerca di un bosco, un albero... ma intorno a loro c’era solo l’azzurro del cielo sereno.
 
Un boato.
 
Il tempo era trascorso.
E nulla fu più come prima; i Tributi dissero addio alla loro vecchia vita: dapprima accolti dal lusso sfrenato di Capitol e dalle telecamere, ma ora presi, come tanti prima di loro, dalla voglia di sangue e di combattimento. Vedere un figlio ucciderne un altro: era questo il vero divertimento. E se qualcuno provava a fare lo spiritoso o ad andare “troppo oltre” era un soggetto da eliminare, in un modo o nell’altro.
Vince l’ultimo ancora in vita.
 
Tutta Panem trattenne il fiato.
 
I tributi scesero dai loro cerchi metallici, innocui oramai.
Gli Strateghi esultarono per la contentezza.
Tutti gli schermi, di tutta la nazione, da Capitol all’ultimo Distretto, proponevano lo stesso tremendo spettacolo.
 
Il mondo li stava a guardare.
 
I quattro Favoriti, Diego, Lavinia, Sophia e Brandon, corsero velocissimi in direzione della Cornucopia.
- Prendiamo tutto quello che possiamo! - urlò Sophia ai compagni - Veloci! Voglio prenderne un po’! Prima i più piccoli!
Lavinia si gettò a raccogliere uno zaino e un paio di grossi e pesanti pugnali, dalla lama seghettata e letale, mentre Brandon le dava una mano, afferrando un arco e qualche provvista. Diego intanto si era allontanato e, afferrata una spada, si diresse a grandi passi verso gli altri Tributi.
Elizaveta si trovava in difficoltà: correva come un fulmine da una parte e dall’altra, col fiatone per l’eccessivo caldo, ma senza avvicinarsi più di tanto alla Cornucopia, ormai di proprietà dei Favoriti. Cercava di ritrovare i suoi alleati, e per fortuna riuscì a portare con sé Rosalie.
- Vieni qua! - le urlò afferrandola per il gomito - Scendi giù dalla collina!
- Prendi gli altri! Gli altri! Nick! - le sussurrò Rosalie agitata - Se lui non c’è, io non vado via!
La ragazza del Distretto 11 continuò a trascinarsi l’amica come fosse stata un pupazzo da gettare, inanimato ma tremante. Continuò a dimenarsi, ma dovette fermarsi poco dopo, al suono di un urlo animalesco e infernale.
 
India aveva le mani immerse in una specie di rete e cercava di tirare fuori un pugnale, ma un’ombra si avventò su di lei troppo velocemente per essere intercettata e fu sopraffatta. Seduto sulle ginocchia della giovane, Diego le puntava divertito la spada alla gola. Le lacerò la pelle e India prese a scalciare furiosamente, agitando braccia e testa nella speranza di togliersi di dosso quel Favorito.
- Ciao, biondina! - la canzonò il ragazzo, osservando le gocce di sangue tingerle il petto.
Un altro strillo e un movimento brusco non aiutarono la giovane ragazza: la lama sporca del suo stesso sangue andò a colpirle il petto e a trafiggerlo. Dalla bocca di India uscì solo un patetico rantolo, consapevole di quello che la spada cercava.
Essien, spuntato lì dal nulla e con un’asta in mano, caricò Diego facendolo sbalzare via dalla ragazza ancora viva.
Cercò di salvarla.
Il Favorito, appena tornato in sé, fu attaccato per la seconda volta dal ragazzo, in vantaggio.
- SOPHIA! BRAN! - urlò disperato rivolto alla Cornucopia.
Essien continuò: prese a pugni il ragazzo, buttandolo a terra e ferendolo con la lancia, ma quando l’ingombrante arma gli volò via dalle mani a causa della spada del Favorito, si ritrovò disarmato e impotente. Un pugnale, proprio in quell’istante, volò a tutta velocità verso di lui dalla Cornucopia, andando a colpire la nuca del ragazzo e perforandogli il cranio, uccidendolo all’istante.
Sophia era arrivata in soccorso a Diego.
Il primo sparo dell’Edizione rimbombò per tutta l’Arena.
 
Quel rumore richiamò all’attenzione anche Mezzanotte e Katherine, intente a lottare per una cerbottana d’argento, posizionata strategicamente dagli Strateghi abbastanza lontana dalla Cornucopia, nascosta da un ciuffo d’erba.
- E’ mia! - strillò la ragazza del 6, ridicolmente.
La teneva stretta come fosse stato qualcosa di estremamente prezioso, quasi più della sua stessa vita.
- Mollala! - gemette Nott, strappandogliela di mano con un potente strattone. Le due si ritrovarono sedute per terra, coi sederi doloranti per la caduta; ma Katherine non rinunciò così facilmente all’ambita arma: saltò addosso alla compagna, strillando e cercando il suo collo.
Mezzanotte si trovò immobilizzata, ma con ancora la cerbottana stretta al petto.
Quando...
- Lasciala stare!
Un ragazzo si era avvicinato alle due combattenti e aveva scoccato una freccia al braccio di Katherine; gemente per il dolore, la ragazza scivolò via da Mezzanotte, liberandola e facendole tirare un sospiro di sollievo. Cadde poi su un fianco, mentre un’altra freccia la colpì al collo. Fiumi di sangue sgorgarono dalla ferita, ma Katherine continuava a respirare.
La gola le si riempì di sangue, tanto che fu costretta a sputarne un bel po’.
Nott venne aiutata a rialzarsi da... Brandon. Le sorrideva e la teneva stretta.
- Stai attenta - le intimò, per poi dirigersi alla Cornucopia, in aiuto di Diego.
L’aveva risparmiata.
La ragazza, senza parole, si voltò spaventata verso Katherine che intanto sorrideva.
- Non vedo nessun tunnel... ma so che sto morendo - gemette ridendo.
Altro sangue.
- Voi due non andrete lontano... - sussurrò, cambiando espressione.
Sospirò... per l’ultima volta.
E il cannone sparò per la seconda volta.
 
Nicholas e Jay correvano verso Rose ed Eliza; quest’ultima era riuscita a raccattare un piccolo zainetto e qualche coltello, mentre i ragazzi arrivarono completamente disarmati.
Le due coppie si abbracciarono velocemente, consapevoli che anche un secondo poteva fare la differenza.
- Troviamo gli altri. Alex è in difficoltà! - urlò Jay all’amica per poi rivolgersi agli innamorati del 12 - Voi due andate via!
- E come?! - strillò Rose.
Nicholas, per tutta risposta, la spinse violentemente giù per la collina, fecendola scivolare per il pendio, in direzione di una zona verde a valle. Divertito, anche lui si buttò, dopo aver urlato:
- Ci vediamo dopo!
Ma Eliza e Jay erano già diretti verso il resto dei Tributi.
 
Alexandra aveva ingaggiato una lotta contro Markus, non andata a buon fine; e ora combatteva a mani nude, disperata. In più William aveva afferrato una piccola spada e si avvicinava sempre di più.
La prontezza di un quattordicenne, però, lo mise al tappeto: il piccolo Mike, per aiutare l’alleata, si buttò sopra il ragazzo del Distretto 5, prendendolo a pugni e a graffi.
Markus, si bagnò le labbra con la lingua, e sorrise divertito:
- Non sai più difenderti, Ranger?
Xaber, che fino a quel momento aveva vagato a vuoto, cercando di decidere dove andare, notò l’amata compagna in difficoltà... e in un primo momento pensò di lasciarla perdere. Ma sentite le sue urla di terrore... rivide sua sorella.
In fondo cosa gli costava lanciare anche solo una pietra verso Markus per distrarlo? Ma la vista di Connie che scappava giù per la collina, a tutta velocità, con uno zainetto rosso in spalla, lo costrinse a perdere di vista quella scena.
La rossa ragazzina inciampò su un sasso e si ritrovò sdraiata sull’erba, col mento e i palmi delle mani graffiati e profumati di finta rugiada. Si era fatta anche parecchio male, ma non aveva il tempo di rimuginare sul dolore e sul sangue che adesso le colava tra le dita; si rimise in piedi in un lampo e riprese a dirigersi verso est. Xaber ridacchiò a quella buffa visione, prima che una mano lo costrinse a ritornare coi piedi per terra: Mezzanotte, con sguardo dolce, gli sussurrò in fretta:
- Tu sei l’amico di Felix?
Xaber capì dove voleva andare a parare quella misteriosa ragazza, perciò annuì e continuò:
- Devo trovarlo.
 
Ma Felix non poteva certo saperlo.
Diego, tornato alla carica anche se pieno di graffo, in cerca di nuove prede continuava a braccarlo; riuscì persino a farlo cadere diverse volte.
- Diego! Lascialo a me! Voglio ammazzarlo io! Io! - gridò Lavinia avvicinandosi con un pugnale al biondino indifeso, caduto a terra, e con un taglio alla coscia sinistra. Diego sembrò rasserenarsi e corse via da Felix e la Favorita, tornando indietro. Quando, nel suo tragitto di morte, notò che India, sporchissima di sangue e rantolante, era ancora in vita, la colpì ancora con la spada , sul petto. Fu il colpo decisivo per l’innocente India.
Lanciò un urletto sputando sangue al sole... poi il cannone sparò.
- Lavinia... - supplicò Felix, portandosi le mani al viso, quando vide la bambina avvicinarsi sadica verso di lui - Ti prego...
La Favorita alzò l’arma minacciosa, poi si abbassò... ma non arrivò nessun colpo, anche se il povero Felix fu costretto urlare per la paura. Nessun colpo di cannone. Lavinia, sopra di lui, martoriava l’erba verde accanto all’orecchio del giovane:
- Unisciti - gli sussurrò piano, coi capelli a coprirle il viso.
- Cosa?!
- Unisciti ai Favoriti, potrò proteggerti e-
Ma il dardo avvelenato di Mezzanotte, caricato a dovere e sparato con maestria della ragazza, costrinse Lavinia a fermarsi. Non fu colpita, ma si ritirò allarmata, lasciando Felix solo con Xaber e Mezzanotte che lo aiutarono a mettersi in piedi e scappare dalla collina.
 
- Avanti! Canta adesso! - urlò Markus ad Alexandra, andandole addosso con una pietra in mano; cercò di spaccarle la testa più volte, ma il risultato fu solo una brutta ferita in sulla tempia, che le sporcò di rosso i lucidi capelli biondi. Le girava la testa e non capiva dove fossero finiti gli altri, visto che in quel momento esisteva solo il ragazzo con la sua pietra.
Provò a reagire, bloccando la vista all’avversario e coprendogli gli occhi con le dita. Cercò persino di cavargli fuori un occhio ma il risultato fu positivo lo stesso: Markus infastidito e in preda a dolore e furia lasciò Alexandra e cadde all’indietro sul terreno.
Era l’occasione giusta: la ragazza si alzò, confusa e dolorante. Ebbe la possibilità di ucciderlo, ma lo risparmiò quando vide una goccia di sangue colargli sulla guancia.
Si allontanò da Markus, verso Eliza che le faceva segno di sbrigarsi, zoppicante e con le lacrime agli occhi.
- Ranger! Ranger!! - urlò il ragazzo del 7, sempre contorcendosi a terra.
 
William e Mike stavano lottando da un bel po’.
Mike era in vantaggio: aveva raccolto da terra un pugnale lanciato a vuoto e ora lo brandiva con maestria verso il ragazzo che lo incitava a battersi. Con un urlo, Mike gli fu addosso, col pugnale teso verso la sua carne in cerca di un suo punto debole.
Will schivò ogni suo tentativo con agilità, ma quella situazione non poteva andare aventi per sempre. I Favoriti non avevano lasciato ancora il campo di battaglia. Sophia urlava qualcosa, mentre gli altri ritornavano alla Cornucopia, forse a prendere qualcos’altro; ma presto sarebbero corsi ad uccidere altri, era solo questione di minuti... secondi...
Con una potente rincorsa e un urlo disumano, Mike ricaricò William. Coi denti stretti, si avventò su di lui, che gli bloccò le braccia e gli stritolò i polsi, costringendolo a lasciare le armi. Gemente, Mike fissò il ragazzo che gli sussurrò:
- La tua amichetta ce l’ha fatta anche senza il tuo aiuto.
E Mike si voltò: Alexandra era sparita, così come Markus. Elizaveta non c’era...
Bastò una testata di William per tramortire Mike, che cadde svenuto; il ragazzo, ancora in piedi, afferrò una liscia pietra bianca e la gettò, preso dall’adrenalina, sul volto del quattordicenne. Sfigurò il suo viso, preso dalla rabbia e dai graffi che quel ragazzo privo di coscienza qualche minuto fa gli aveva inflitto. Lo ripagò con la stessa moneta.
- MIKE!
Chloe, la ragazza del Distretto 10, corse in difesa dell’alleato, ma William fu più veloce: la lapidazione non era ancora finita. Un sasso, appuntito, di forma triangolare, andò a scagliarsi in mezzo agli occhi e per Mike fu troppo. Forse non si accorse di essere morto. Il cannone sparò per lui.
La ragazza, impallidita e impaurita, lasciò quel macabro teatrino, scendendo velocissima giù per la collina verso Alexandra ed Elizaveta.
 
Joy e Beatriz erano lontanissime dalla Cornucopia; correvano a pochi metri di distanza ma nessuna delle due se ne accorse. Spaventate dai colpi di cannone e dalle urla non badavano a niente. Tutto era il nulla per loro.
Alleati vivi o morti, dovevano prima di tutto sopravvivere.
La prima aveva una un pacco di fiammiferi in mano, la seconda un sacca leggera.
Erano dirette lontano da Eliza e gli altri, verso una strana radura. Crescevano piante, doveva esserci acqua. La Cornucopia e il Bagno di Sangue erano un brutto ricordo... almeno per quel momento.
 
Il più piccolo dei Tributi, Tom, era nascosto all’interno della Cornucopia e abbracciava dolcemente uno zainetto, l’ultimo rimasto. Ne tastava il tessuto e il contenuto.
I Favoriti erano alle prese con l’ultimo ragazzo, rimasto ancora alla Cornucopia. La sua colpa, la sua condanna: non essere riuscito a scappare insieme agli altri.
Lavinia rise alla vista di Liam, che tentava di scappare:
- Ahahah, ragazzi! Guardate quello. Scommetto che un colpo e lo becco dritto al cuore.
Liam, all’udire quelle minacciose e terribili parole, si dette alla fuga, scivolando con le ginocchia giù dal pendio, verso ovest... prima che la lama affilatissima e seghettata del pugnale della bambina non gli recidesse l’aorta. Morì, abbandonando il corpo in un lago di sangue. Non riuscì nemmeno a sentire il colpo, fu un lampo.
E l’emorragia? Lavinia non sbagliava mai: semplice e letale.
Non ebbe il tempo di versare una lacrima, né di chiedere pietà.
Tom, inorridito, sentì il respiro diventare sempre più corto. E la gola sempre più secca.
Il caldo che li aveva accolti mutò in una leggera brezza fresca, pur impercettibile vicino a lui, nella bocca della Cornucopia d’oro.
Ma...
- E qui chi abbiamo? - trillò Diego - Cucù!
Tom sobbalzò per la sorpresa e per il terrore. Era tutto finito. Fu afferrato per la collottola e gettato fuori dal suo nascondiglio, in bella vista, davanti a tutti.
- Avevamo un ladruncolo a due metri di distanza e non ce ne siamo accorti - sussurrò Sophia.
Tutto...
- Chi si “offre volontario”? - continuò il ragazzo sorridendo, imitando lo strano accento capitolino.
Sophia si fece avanti, con passo felpato, alzando una mano come se si trovasse alla Mietitura. Lasciò cadere gli zaini e le armi e afferrò Tom per il collo; poi, con uno scatto, lo spinse sul metallo incandescente della Cornucopia, il suo ultimo rifugio, e gli batté violentemente la testa, fino a sentire il cranio dell’undicenne spaccarsi e l’ultima supplica di Tom arrivare al cielo. Le sue ossa non avevano retto; ora giaceva con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, sull’oro.
Il cannone sparò.
Il Bagno di Sangue era finito.
 
- E’ stato bellissimo - sospirò Diego.
Brandon e Lavinia osservavano il sole calare sull’Arena, dopo essersi appostati accanto alla traboccante Cornucopia; Lav prese la parola:
- Laggiù - disse puntando l’ovest - Deve esserci qualcosa.
In effetti, uno strano bagliore illuminava uno strano paesaggio, fatto di rocce e pietra.
- Per stanotte basta avventure - rispose Sophia scuotendo i capelli - Uno di noi monta la guardia e gli altri si riposano. Vi va bene?
Tutti annuirono, soddisfatti della proposta.
E l’inno di Panem riecheggiò limpido, una volta arrivate le stelle.
E i volti dei morti al Bagno di Sangue comparirono, splendenti e senza espressione, quasi a osservare chi li aveva privati della vita.
 
 

ANGOLO AUTRICE:
Ragazzi... sono depressa T___T
Perché?! Perché il Bagno di Sangue ha mietuto le sue vittime. Mi scuso con gli autori/mentori:
everdeen, Elizha, kety100, peeta97, Nanu_san e K_T_EVERDEEN... I’m so sorry Y_Y
Le uccisioni sono avvenute tramite i bigliettini (maledetti), quindi è stata solo sfortuna. Mi scuso ancora, mi ero affezionata a quei piccoli. Ma non temete, avranno un capitolo tutto per loro! ;) Non sono mica buttati nel dimenticatoio! Ognuno di loro avrà una canzone e su questa si baserà il capitolo :)
Il link è questo qua:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1676974&i=1
Ora: chi ha sponsorizzato i tributi morti può sceglierne altri. E i mentori dei morti potranno comunque continuare a recensire (non odiatemi T.T) e aiutare i loro beniamini.
Vi chiedo ancora scusa.
Finiti i tributi per i tributi morti (wow, sono bravissima a trovare sinonimi...), vi manderò via mp il numero di soldini da usare per i “paracadutini” e regalini da mandare ai ragazzi, con listino prezzi annesso XD
Ah, dimenticavo: non ho parlato molto dell’Arena... ma avete già qualche idea? ;)
Alla prossima!
 
Ancora scusa... li ho amati, e giuro che uccidendoli mi stavo per mettere a piangere...
 
 

 


Ordine delle Morti:
Essien Konatè (3)
Katherine Moonstone (6)
India Eveery (3)
Mike Salt (11)
Liam Burtom (9)
Tom Allius (6)


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Capitolo 22
*** Terrore, Vendetta e Bugie ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

Terrore, Vendetta e Bugie

“Perfino l’ingegno degli animali si aguzza considerevolmente con il bisogno, cosicché in casi difficili essi fanno cose che ci stupiscono; quasi tutti, per esempio, considerano più prudente non darsi alla fuga, se credono di essere stati visti: ecco perché il coniglio si acquatta nel solco del campo e lascia che il cacciatore lo sfiori nel passare oltre; mentre gli insetti, quando non hanno via di scampo, fanno finta di essere morti”    

Arthur Schopenhauer


La notte del terrore, del sangue e del freddo piombò senza preavviso, dopo un breve e insignificante tramonto scarlatto, proprio come i capelli di Connie Stevenson, la ragazzina proveniente dal Distretto 5. Lo zainetto scarlatto che aveva rimediato alla Cornucopia, proprio sotto i baffi del gruppo di Favoriti, si era rivelato una vera a propria perdita di tempo, ed energie. Quando prese ad esaminarlo, nell’oscurità, illuminata solo dai volti dei Tributi ammazzati, e constatò che era completamente vuoto, maledisse sé stessa e la sua stupidità.
Era corsa in direzione sud, senza voltarsi indietro, ed aveva raggiunto un grazioso boschetto, apparentemente privo di pericoli.
Si era arrampicata su un pino abbastanza basso, ma sicuro, e aveva cercato di sistemarsi come meglio poteva, accoccolandosi su sé stessa per trattenere il calore, con ancora l’inutile zainetto stretto tra le braccia; davanti a lei, un intero ramo cosparso di pigne sembrava chiamarla. Ci avrebbe messo un po’ per raggiungere i pinoli... ma erano pur sempre semi commestibili! Cibo. E la povera Connie aveva davvero fame.
Guardò il cielo, un’ultima volta, quasi a scrutare gli spettatori che in quel momento avevano gli occhi puntati su di lei; poi, scossi i lunghi capelli rossi, si sporse, tendendo le mani verso il ramo.
 
Anche William era in fuga ma, al contrario della compagna di Distretto, non aveva ancora trovato un rifugio sicuro. Aveva infatti scoperto che, procedendo in direzione est, con alle spalle il sole calante, si arrivava in una specie di radura, spoglia ma accogliente. E del tutto scoperta.
Non era certo quello che stava cercando.
Per di più, faceva fatica a camminare.
Aveva le mani sporche ancora di sangue, ma l’arma gli era caduta subito dopo lo scontro con Mike. Non era in lui. Non avrebbe mai fatto del male a quel ragazzino. Non sapeva cosa gli era preso.
Era semplice sete di sangue... o qualcos’altro?” si chiese quando le tenebre si fecero più minacciose che mai; voleva tornare a casa, salvarsi era uccidere. Non avrebbe aspettato che qualche Stratega gli dichiarasse la fine della sua vita, magari con qualche ibrido o qualche strana trappola... ma era il prezzo da pagare se qualcuno avesse avuto l’idea di opporsi alle leggi di Capitol City o agli Hunger Games stessi.
Ogni passo era un avvicinarsi alla vittoria.
Alle sue spalle, la Cornucopia brillava. Il riflesso della luna e lo scoppiettare di un fuoco lontano la designavano come preda ambita, ma già occupata dai Favoriti. Poteva quasi sentirli ridere di gusto, raccontandosi delle vittime mietute quella mattina.
Non riusciranno a vedermi... ma devo stare comunque attento.”
Camminò... camminò... fino allo sfinimento. Fino quando sorse il sole...
Davanti a lui, vi era un intero campo di olivi... e le rovine di una città...
- Cos’è... ?
 
Chloe era stata designata come sentinella per tutta la notte. Ciò voleva dire che aveva passato la nottata vigile e pronta all’attacco, mentre i suoi alleati dormivano sogni tormentati.
E non aveva mai smesso di piangere.
E quando i suoi singhiozzi svegliarono Alexandra, che si offrì gentilmente di prendere il suo posto anche se il sole era già sorto, lei rifiutò, agitando la testa; non era stata mai molto legata a Mike Salt, ma era pur sempre un suo alleato. E vederlo morire per salvare un’amica le aveva letteralmente spezzato il cuore.
- Potevo salvarlo, capisci?! - pianse silenziosamente, confidandosi con l’alleata, nel silenzio del bosco, all’alba.
- Saresti morta - cercò di spiegarle la ragazza del Distretto 4, non facendo altro che suscitare ulteriori singhiozzi - Mi ha salvata... ha cercato di salvarmi.
Si erano accampati in una grotta naturale, scoperta sotto un letto di foglie secche. Le pareti di pietra garantivano protezione e frescura. Dopo aver visto i volti dei morti, gli alleati si addormentarono, ognuno procurandosi un proprio spazietto e cercando di far assomigliare quell’ammasso di foglie, sporcizia e sassi ad una specie di giaciglio... ad eccezione di Rose e Nicholas che dormivano abbracciati l’uno all’altro, caldi e tranquilli, e Elizaveta e Jay che sprofondarono nel sonno tenendosi per mano.
Per cuscini avevano zainetti e funi.
Non era certo il massimo, ma almeno erano al sicuro.
E fino a quando sarebbero stati al sicuro, quella sarebbe stata la loro tana.
- Anche Elizaveta ci è rimasta malissimo, per Mike - continuò Alex, sentendo movimenti dietro di sé, e provando un briciolo d’invidia per i suoi compagni - Ma dobbiamo andare avanti.
- Credi che... ce l’avrà con noi?
- Di cosa ti preoccupi? - rispose con tono composto l’altra, mostrando una grossa cicatrice all’altezza della tempia - Sono io quella che ha ricevuto un sasso in testa... e che si è fatta un nuovo letale nemico.
Chloe tremò lievemente a quell’affermazione, osservando Jay mettersi in piedi e stiracchiarsi.
- Sono di-strut-to! - disse forte dopo aver salutato le mattiniere, aver afferrato uno zaino; rivolto poi ad Alexandra aggiunse - E ho sognato il tuo compagno di Distretto. Quello strano.
Le orecchie di Alexandra si drizzarono, come quelle dei gatti:
- Xaber?
- Sì. Ho sognato che girava in tondo come un pazzo... non so per quale motivo... mi ha ricordato molto quella del 6... Katherine... - ammise il biondino, ridacchiando - E’ stato abbastanza divertente.
 
E in effetti, dalla parte opposta dell’Arena della quarantunesima Edizione degli Hunger Games, Xaber Davis stava davvero saltellando in cerchio. E sembrava parecchio confuso.
Felix e Mezzanotte lo osservarono con finto stupore: cose del genere non erano assolutamente inusuali per un ragazzo come lui. Ma questa volta sembrava serio.
- Non le sentite? - continua a dire, girando come una trottola.
-Cosa!? -gli chiese Mezzanotte esasperata.
- Le voci! - rispose il ragazzo sicuro di sé - Mi stanno chiamando.
Camminavano su resti di case e su colonne bianche come la neve, distrutte dal tempo e dalle intemperie. Erano sulle rovine di un’antica città che, a giudicare dall’aspetto delle case e dalla desolazione che li circondava, doveva essere stata, un tempo, bella, grande e florida.
Ora sembrava vuota... ma nessuno di loro avrebbe giurato che un paio di occhi verdi erano puntati su di loro.
- Possiamo andare? -chiese ingenuamente Felix all’alleata - Questo posto non mi piace.
- Chiedilo a lui - rispose lei indicando Xaber e muovendo qualche passo in direzione opposta.
- Là! Mezzanotte! Là -tuonò il ragazzo indicando un punto proprio al fianco della ragazza - Le voci arrivano da quella parte.
Mezzanotte lo squadrò per benino, non pienamente convinta della sua sanità mentale, quando, improvvisamente, la terra cominciò a tremare. I sassi e i mattoni in pietra oramai distrutti presero a danzare a ritmo di quella spaventosa “melodia”. Felix si era aggrappato alla sua compagna, guardandosi intorno con preoccupazione.
- Si sono arrabbiati! - urlò Xaber, finalmente raggiungendo il gruppo, terrorizzato - Li sento. Le sento...
 
Lavinia urlò per la sorpresa, mentre riposava tranquilla all’interno della cornucopia che prese a muoversi gravemente:
- Diego! Sophia! Sophia!! Terremoto!
Si mise a gattoni, setacciando ancora assonnata i morbidi zaini e qualche barattolo pieno di strisce di carne secca, la loro cena, frutto della caccia alle provviste del giorno prima, tagliandosi anche un dito al contatto con il suo pugnale.
Temette davvero per la propria vita, quando si rese conto che i suoi compagni erano vittima di un sonno troppo profondo per essere interrotto dagli scossoni dell’Arena.
Il primo che individuò fu Diego; si avvicinò a lui e cominciò a prenderlo a schiaffi, dopo avergli saggiamente strappato via la spada di mano, per evitare un “incidente”:
- Qui crolla tutto! SVEGLIA! - urlò la bambina - SALLEN!
Brandon fu messo in piedi dal calcio ben assestato della compagna, dritto al petto. E dopo un breve attimo di smarrimento strascinò l’ancora assopito Tributo del Distretto del Lusso fuori dalla Cornucopia, seguito da Lavinia che gridò:
- Sophia! Sophia?!
- Doveva stare lei di guardia! - le rispose Bran - Ma è sparita!
Rannicchiati l’uno accanto all’altro, sembravano tornati i bambini spaventati che avevano varcato per la prima volta i cancelli dell’Accademia: guardavano il cielo, udivano boati infernali e il canto spaventato di mille pennuti. Il sole brillava alto e cocente, affannando i Tributi.
Lavinia cercò le braccia di Brandon. Era preparata a tutto, uccidere, nascondersi, imbrogliare e incantare la gente... ma in quell’istante non sapeva cosa fare.
Diego, finalmente ripresi completamente i sensi, si lasciò scappare una brutta parola, preso dalla sorpresa e dal panico, e cercò di aggrapparsi al suolo; afferrò l’erba, graffiandosi le mani e sporcandosi le curate unghie di terra, nel tentativo di trovare equilibrio e di non muoversi troppo.
La terra continuava a tremare.
- E ora? - sussurrò Lavinia ai compagni. Aveva ancora gli occhi lucidi di sonno, ma era sveglia come non mai.
- Giuro che quando quella pazza ritorna qua... se ritorna... l’ammazzo! - borbottò Diego, guardando il cielo cercando di non pensare alle scosse sotterranee.
- Smettila! - gli rispose Brandon, intimandogli il silenzio - Sophia avrebbe fermato il terremoto se fosse rimasta?!
- Ma è andata a caccia senza di noi! E se fosse rimasta ci avrebbe svegliati in tempo! - gli fece il verso l’altro.
La Cornucopia sembrava muoversi verso di loro... sempre più lentamente... sempre più lentamente... fino a quando, dopo diversi minuti di rombi e tremiti, la terra si fermò insieme all’oggetto dalle dimensioni gigantesche, che brillò, come prima, di sangue ed oro. Tutto tornò come prima. I cinguettii delle ghiandaie ritornarono a farsi sentire.
I tre Favoriti si misero in piedi, guardandosi intorno con aria smarrita e col terrore ancora dipinto sui volti.
Quel posto era maledetto...
Ma loro avevano la Cornucopia, avevano cibo e armi...
 
Markus era il Tributo che si era più addentrato verso i confini dell’Arena, sempre sotto gli occhi degli Strateghi. Camminare in direzione ovest... ecco cosa aveva fatto per tutto il tempo. Teneva nella mano una rudimentale accetta, costruita da lui stesso con un pezzo di legno e un pietra affilata, legati da un piccolo elastico per capelli blu. All’inizio, quando se lo era ritrovato attaccato alla propria giacca a vento, non era pienamente sicuro di come gli fosse capitato tra le mani... solo una volta alle porte di quella “città fantasma” e decadente e, dopo aver adocchiato il vecchio scheletro di una fontana in pietra, vuota, ricordò di averlo visto addosso ad Alexandra Ranger.
Era stata la ragazza che lo aveva storpiato.
Sì.
Storpiato.
Pensava di averla avuta in pugno. L’aveva già colpita. Al Bagno di Sangue, era vicinissimo dall’ucciderla.
Eppure, non ricordava di come fosse avvenuta la loro colluttazione: rimembrava solo i suoi capelli biondi riflettere il sole, di averla vista raccogliere provviste e scappare... e di averla fermata.
Perché per vincere bisognava uccidere.
E lei sembrava la preda perfetta: sola, spaesata quanto gli altri e sensibile.
Ma lei... la Ranger... lo aveva distratto e aveva portato le dita fino al suo volto, spingendo gli occhi del ragazzo verso l’interno del cranio. E ci era riuscita, per metà: Markus, al posto dell’occhio destro, aveva una massa di gelatina scarlatta e informe. Invece il sinistro era rimasto intatto.
 L’elastico di Alexandra doveva esserle caduto quando il ragazzo prese a colpirla con le pietre... anche lui le aveva fatto male...
Per tutta la durata del terremoto, Markus si era rifugiato tra i resti della città, in un piccola abitazione di rudimentali mattoni, sistemato in un angolino sicuro.
Continuava a vederla...
Poteva sentirne il profumo del mare e della loro terra. Un odore, a detta di molti, piacevole e inebriante. Ma che il ragazzo non aveva mai conosciuto. Sapeva che il mare nascondeva pericoli... un qualcosa di nascosto, dietro il dolce profumo e il rumore delle onde.
Lui invece conosceva la foresta, i cervi, gli scoiattoli e gli alberi.
 Mare e boschi...
Alexandra...
Rise, il ragazzo, ripensando a quello che le aveva procurato. Senza un occhio, avrebbe pianto solo per metà. In un certo senso, le aveva fatto un favore: il cervo, anche se ferito, continua ad attaccare il nemico.
- Presto... l’acqua si colorerà di rosso - ridacchio, avvertendo il terremoto diminuire di intensità e forza. Roteò l’ascia, fendendo l’aria, l’occhio verde ben spalancato.
 
Beatriz osservava l’immenso lago che si presentava, fresco e invitante, davanti a lei. Strani fiori rosa e bianchi galleggiavano sulla superficie placida e immobile, profumando l’aria di un odore pungente ma dolce ed eccitante allo stesso tempo.
Si era spinta troppo ad est, lo sapeva, e quel luogo non era riparato abbastanza: se fossero arrivati i Favoriti, l’avrebbero circondata e fatta fuori in meno di un minuto, ma quella era una strana visione per la ragazza. Fresco... ci voleva proprio con quel caldo...
Ma...
- Forse mi sto immaginando tutto - rimuginò perplessa muovendosi verso l’acqua. Prima di berla, forse, avrebbe dovuto purificarla bollendola. Ma accendere un fuoco avrebbe potuto farla scoprire.
E quando la punta degli scarponcini toccò la superficie, creando strani cerchi e muovendo il liquido, non resistette: si tolse la giacca, poggiandola su una roccia, insieme alle scarpe e ai calzini, in modo che rimanessero asciutti.
Perché ci hanno dato tutti questi vestiti? Giacche, pantaloni pesanti, scarponi... ? Di certo non soffriremo il freddo”.
I fiori, simili a quelli di loro, sembrarono brillare di luce propria.
La ragazza sospirò di sollievo quando i polpacci furono completamente immersi nell’acqua; il fondale era composto da ciottoli lisci e levigati...
Non c’erano ruscelli. O fiumi.
Probabilmente la sorgente era...
- ... sotterranea?
Il Tributo sapeva benissimo che l’acqua pura è quella della sorgente:
- Che ci sia qualcosa sotto l’Arena? Forse... la causa del terremoto?
 
Joy non poteva più resistere.
Aveva seguito di soppiatto Beatriz, non avendo idea di dove andare, e quando aveva visto scappare il gruppo di Xaber verso la sua direzione aveva optato per continuare da sola. E ora anche lei si trovava sulla sponda del lago opposta a quella di Beatriz.
Riusciva a vederla: si stava rinfrescando, dopo il terremoto, bagnandosi i polsi e i polpacci quasi con foga, cercando di rinfrescarsi. In effetti, l’acqua ai suoi piedi era invitante e pulita. Era coperta da un cespuglio di mirto, grande abbastanza per nasconderla agli occhi della nemica.
Comunque, era finito il tempo di riposo. Invidia...
Voleva rinfrescarsi anche lei, dato che la bottiglietta che aveva accaparrato nel Bagno di Sangue, insieme a dei fiammiferi, era finita da un pezzo. Si sporse di qualche centimetro, tendendo la mano destra verso l’acqua e con la sinistra stretta al cespuglio.
Era piacevole... l’acqua la fece rinascere e Joy sorrise, senza quasi accorgersene.  Giocherellò, muovendo la mano a destra e a sinistra, facendola sguazzare come un animaletto, e schioccando le dita, così che gli schizzi le bagnassero il viso sudato ma rilassato. Fu un toccasana.
Chiuse gli occhi e assaporò quel momento, fino a quando qualcosa di soffice e morbido le sfiorò le sue dita bagnate, ancora immerse: un bellissimo fiore rosso le era capitato nella mano, trasportato forse dalle dolci onde che lei aveva creato. Era strano... non aveva scatenato una tempesta, ed era sicura che il fiore si trovasse dalla parte di Beatriz.
Rosso come il sangue, dalle sfumature bianche e rosa, i petali grandi quando la sua mano erano delicati come pochi. Profumava. Era un qualcosa di bellissimo... piacevole quanto l’acqua su cui si era posato.
Sembrava invitante e persino commestibile.
Perché no?” pensò la ragazza, accarezzando il fiore. Ricordava di averne visto uno molto simile al Centro d’Addestramento di Capitol City. Non avendo armi, cacciare poteva rivelarsi più complicato del previsto.
Buttò un occhio verso Beatriz. Era uscita dall’acqua, felice e non ancora vestita. Era impossibile non adocchiarla con quella sua chioma viola, tanto vivida e luccicante.
Poi... Beatriz alzò lo sguardo. La vide! Vide Joy col fiore in mano!
Furono entrambe prese dal panico. Mentre Beatriz cominciò a rimettersi i vestiti ad una velocità sconvolgente, scambiando la scarpa sinistra con quella destra e viceversa, Joy tornò dritta, lasciò la povera pianta di mirto e corse lontana da lei.
E solo quando pensò di essere al sicuro, stremata, priva di energie per la notte passata senza cibo, senza pensarci, staccò il petalo più grande del fiore e lo infilò in bocca. Lo masticò per bene, assaporandolo e continuando la fuga: era dolcissimo...
Buono, quasi caramelloso. Melenso...
Joy non aveva mai assaggiato qualcosa del genere.
Sentiva Beatriz correrle dietro...
Dolce più di qualsiasi ciliegia, dolce quanto una caramella...
Joy chiuse gli occhi, con la pancia che le brontolava, il fiore stretto al petto, e prima che se rendesse conto cadde a terra. Ma il cannone non si fece sentire.
 
Elizaveta aveva rinunciato a mangiare gli schifosi pezzi di carne essiccata. Non erano semplicemente per lei, così aveva deciso di uscire insieme a Jay, in cerca di selvaggina. Compito che non ottenne abbastanza consensi dai compagni: Nicholas e Rose decisero di restare nella grotta, cercando di capire come usare l’acciarino, Alex preferì restare a riposare, con la testa ancora dolorante, e Chloe era troppo debole persino per muoversi di qualche metro.
La grotta li teneva in ombra, al riparo, ma una volta usciti i due vennero catapultati in un forno. Nemmeno le fronde degli alberi potevano mantenerli al sicuro dal sole e dai suoi raggi forti e bollenti.
- Ancora nessun morto, nonostante quella scossa di prima - commentò Jay aiutando la ragazza a districare una trappola venuta male.
- E non so se esserne contenta o meno... - commentò Eliza, sprezzante.
- Katherine... Mike... quel bambino... ehm, Tom, sì... - contò lui - I Giochi...
Una volta finita l’opera, Elizaveta alzò lo sguardo, il volto teso; se fosse stato un cane le sue orecchie si sarebbero rizzate per la curiosità:
- Jay... ? Senti anche tu? Li senti? Le voci?
- No. Che ti prende? - le chiese il ragazzo cingendole le spalle con fare affettuoso. La ragazza scosse la testa, con noncuranza, supponendo di essersi immaginata di sentire strane voci di bambini. Si guardarono negli occhi, sempre stretti l’uno all’altro... ma non andarono oltre, e una volta sciolto l’abbraccio ritornarono a concentrarsi sulla foresta.
- Se acchiappiamo un coniglio sarò la ragazza più felice del mondo. Almeno monterò la guardia a pancia piena - commentò con un sorriso la ragazza, in cerca di tracce di animali - E non farò la fine di Chloe.
Era sicura di sentirsi osservata. Osservata, però, da un essere umano, oltre Jay naturalmente.
- Poveraccia...
- Mike era mio compagno di Distretto, Jay - riprese lei - Come credi mi sia sentita quando ce lo ha detto ieri mattina? E quando ho visto il suo volto, stanotte?
Silenzio.
- Aveva le carte in regola per vincere... - continuò Eliza con voce incrinata dall’emozione. Il suo ricordo più felice era quella di Mike, vestito come lei, sul carro, col sorriso in volto e il pubblico che lo adorava.
Jay la guardò accovacciarsi per terra e iniziare a scavare una buca nel terreno.
- Stasera, quando comincerà a fare buio, posso andare a vedere se la trappola ha funzionato - cmabiò velocemente discorso il ragazzo, avvicinandosi.
Elizaveta gli sorrise, mettendosi in piedi con un energico balzo:
- Allora torniamo dagli altri, alla grotta. Questo posto non mi piace.
- E chi lo scuoia, poi, l’animale?
- Io!
Si avviarono verso il rifugio, asciugandosi il sudore con la manica della loro tuta aderente, col numero di Distretto stampato sopra. Ma prima di lasciare quel luogo, Eliza si voltò, ricominciandosi a sentire osservata. E scorse due occhi, grandi, belli e blu fissarla da dietro un albero.
Era sicura di sapere di chi fossero.
Ma si sentì confusa...
Perché non l’ha fatto... ?” continuava a rimbombarle nel cervello, ma il suo alleato non poteva certo saperlo.
Erano stati appena stanati.
 
Il sole brillava alto nel cielo. La sua proiezione era perpendicolare al suolo, quindi doveva essere circa mezzogiorno e le pance dei Favoriti cominciarono a brontolare. Lavinia aveva lasciato la Cornucopia, in esplorazione e ben armata; il suo obiettivo, naturalmente non era semplice voglia d’avventura: lasciare quei pazzi si era rivelato migliore per la sua sanità mentale e la sua pazienza, e poi aveva tanta voglia di rincontrare quello strano ragazzino... Felix.
Lo sentiva in difficoltà e, chissà perché, sentiva che lui doveva restarle vicino.
La ricerca, si era comunque rivelata vana e stressante. Così, per quel momento, la bambina si era seduta sotto un cespuglio verde, al fresco, non molto lontano dalla Cornucopia, quando vide arrivare incontro una figure ben nota.
La bionda Favorita si era finalmente decisa a tornare.
- Ma guarda chi si vede... - canticchiò Lavinia, accarezzando i suoi pugnali.
- Visto un fantasma, Harmonia? - le chiese Sophia, sarcastica.
- Ti stanno aspettando... pronta per il benservito?
Non le rispose più. Sophia accelerò il passo, verso la Cornucopia e i suoi compagni. Brandon, seduto all’ombra, aveva in grembo almeno tre zainetti pieni, e ne esaminava il contenuto; comunque, quando la vide arrivare, si fermò e le urlò:
- Bentornata!
Sophia gli sorrise, alzando la mano e posando la propria sacca. Reggeva un arco nella mano...
- Ci eravamo messi d’accordo, se non sbaglio? - continuò Brandon, alzandosi - Quell’arco... quelle frecce... sono mie. Ho la mira migliore e lo sai. I tuoi coltelli e le tue spade sono là dentro.
Sophia tirò le armi addosso al ragazzo:
- Tieni! - sbottò lei.
- Credi sia un gioco? Stiamo giocando a fare i bravi bambini? O no? - gli urlò il compagno, parecchio infastidito. Stringeva l’arco e la faretra tra le braccia.
- Sì!
- Dovevi rimanere di guardia! Cosa sarebbe successo se ci avessero fatto fuori?!
Sophia non aveva voglia di litigare, soprattutto contro quello strano ragazzo, e stava per gettare la spugna e non dargli più conto  quando si sentì spingere fino all’incandescente Cornucopia. Infatti Diego, dietro di lei, l’aveva messa alle strette, tanto che oramai non aveva più via di scampo. Non fece in tempo a schivare un primo poderoso schiaffone che il compagno di Distretto gliene assestò un altro sulla guancia sinistra.
Quell’ultimo colpo fu talmente forte da farla vacillare e lo schiocco sembrò essere mille volte più forte del normale.
Sophia boccheggiò, incredula; Diego prese parola:
- Divertita? O non hai sentito la terra tremare? Ci hai lasciati scoperti, addormentati. Mentre tu!? Andavi in giro alla ricerca di... ?
Sophia lo guardò in cagnesco, un rivolo di sangue che le colava dalla bocca:
- Non azzardarti a toccarmi ancora... o giuro che sarà l’ultima cosa che farai in vita tua! - ringhiò a voce altissima.
Allungò la mano. Fu lei, questa volta, a colpirlo. Ma Diego non si smosse: accettò il colpo, senza nemmeno battere ciglio e continuò, ancora più furioso:
- Non ho sentito nessun cannone sparare! Questo vuol dire che ti sei fatta una passeggiata... o magari cospiri contro di noi.
- Vai tu! Valli a prendere. Fai una strage! - lo sfidò la ragazza, rossa in viso. Non perdeva facilmente le staffe; non avrebbe mai fatto queste cose, ma quei tipi la rendevano così. O forse era il caldo. O il cinguettare delle ghiandaie imitatrici, sopra di lei - So più cose di te!
Brandon si intromise:
- Che vuoi dire?
- Ha trovato qualcuno... chi?! - chiese agitato Diego, lasciandola muovere liberamente, indietreggiante.
- Non so quanti ne ho trovati... - spiegò la biondina, asciugandosi il sangue - So che sono molti. E si nascondono a nord. Nel bosco a nord. Ho visto il ragazzo del 10... e poi... poi...
Diego continuò, riflettendo, cogliendo la strana esitazione della compagna:
- Starà insieme a quella dodicenne... quella dell’11...
- Diciottenne... - lo corresse Bran.
- Come se me ne importasse davvero qualcosa!! Non li hai uccisi. Perché?
- Perché, se ne avessi ucciso uno, con l’arco, l’altro sarebbe già scappato... se è sangue quello che ti interessa vai a prenderli... ma senza di me non li troverai - si giustificò Sophia, abbassando lo sguardo.
Diego prese a camminare velocemente verso la Cornucopia urlando:
- Non hai capito che io cerco di tornare a casa?!
Brandon, sicuro che Diego non fosse alla portata delle loro parole, le sussurrò piano:
- La foresta del nord. Ti hanno visto?
Sophia non gli rispose. Camminò verso Lavinia, ad avvisarla. Qualcuno sarebbe dovuto restare di guardia alla Cornucopia, alle provviste e alle armi. Non sapeva se Diego avrebbe cominciato la caccia... ma era meglio frenare strani pensieri e riflettere coscienziosamente: li aveva trovati... lo avrebbero saputo... sarebbero scappati... e la vera sfida sarebbe iniziata.
O forse, pensavano di sconfiggere i Favoriti?
Avrebbero avuto tutti loro... la ragazza del 4, o del 10, e i loro compagni... ma l’11 era sua. Forse.
 
Rose era seduta al confine della grotta e osservava Nick raccogliere strani fiori viola e bacche blu. Li intrecciava l’uno con l’altro per poi lanciarli alla compagna, creando una strana corda floreale, bella ma fragile, profumata di fresco e primavera.
- Così, stanotte, ti legherai i capelli con questi. Ho visto molte ragazze della mia classe farlo, e sembra che funzioni - le suggerì lui, sorridendole.
- Fantastico - sussurrò Rosalie, sfinita dal caldo e dal misero pranzo - Avrei voluto uscire a caccia anche io.
- Perché non l’hai fatto? Elizaveta te lo ha chiesto, no?
- Forse la rallenterei... e poi sono insieme a te.
Nicholas le si avvicinò e le accarezzò i capelli. Uno sbuffo, alle sue spalle, confermava la presenza di Alexandra, che si girò dall’altro lato, e continuò a parlare con Chloe.
Anche Roselie la notò e ridacchiò divertita, innocentemente, dallo strano comportamento dell’amica che si limitò a sussurrare lievemente alla coppia:
- Ok. Fate come se non ci fossimo!
Rosalie gli stampò un timido bacino sulla guancia, guardandolo negli occhi per poi iniziare a giocherellare con quella “corda di fiori”. Accarezzò le corolle campanulate, contando per ciascun fiore cinque petali; sfiorò anche le bacche, ma decise che era meglio non affidarsi troppo ai frutti di quello strano bosco.
Proprio in quel momento, scorse la muscolosa figura di Jay e quella di Eliza di ritorno, a mani vuote, ancora, dalla caccia. Lei sembrava aver visto un fantasma. La salutò con gentilezza, ma lei non le prestò ascolto.
Doveva essere successo qualcosa...
 

ANGOLO AUTRICE (quanto mi mancava T_T ) ( "Vai Snow, attacca!" *we are the champions dei Queen in sottofondo* u__u, "grazieee, ora torna nel trailer di Catching Fire")
Sìììì, perchè non sono morta :) Non so che dire... la scuola, negli ultimi mesi soprattutto, mi ha sfiancata come non mai. E ora si è messo pure questo caldo... quindi se nel capitolo avete trovato continui rimandi al caldo, al sudore, e allo sfinimento, sappiate che sono anche miei, non solo dei Tributi. XD 
E sono stata buona, anche se non tanto.
Non ho ucciso nessuno, ma non potevo fare un capitolo tutto rose e fiori... i misteri, i tradimenti e cose così ci sono sempre. E mi è anche dispicaciuto... anche per voi, mentori, autori e tributi... perchè abbiamo tante alleanze, ancora TAAANTi colpi di scena e tanti... tanti...
Ahahah, ok, vedrò di non farvi andare in panico prima del tempo xD Altrimenti è troppo.

Ah, miei Strateghi... se ci siete battete un colpo! Appena posso, devo mandarvi una mappa di questa Arena. Non sono il massimo in disegno, ma ci proverò quindi aspettatevi qualche mio messaggio molto presto. E state attenti a non farvi "sgamare" ;) tutto via personale! :)
Allora... come sapete, grazie alla lista dei prezzi che vi ho mandato, tutti gli oggetti sono aumentati di prezzo. 10 $ in più :)
Tutto nel messaggio che vi mandai... quella che sembra la lista della spesa. Anzi, credo di averla chiamata proprio così...
Vabbè :) Grazie ancora a tutti quelli che leggono, recensiscono e recensiranno. Fatevi sentire :) Questa Edizione andrà avanti! :D E avrà un o una vincitore o vincitrice!
A presto! :D Vi aspetto... confusi, credo, dopo questo capitolo ;)
Baci, bacini e bacetti :*

PS: Ecco i guadagni relativi ai vostri Tributi. La lista potrebbe aggiornarsi da un momento all'altro, dateci un'occhiata ;)
Elizaveta guadagna 20$
Alexandra guadagna 10$
Connie guadagna 10$
Beatriz guadagna 5$
Felix guadagna 5$
Xaber guadagna 15$
Lavinia guadagna 5$
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Capitolo 23
*** L'Ascesa di Atropo ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

L'Ascesa di Atropo

 
"Noi, quali le foglie che la stagione di primavera dai molti fiori genera non appena crescono ai raggi del sole, ad esse simili godiamo per il tempo di un cubito dei fiori di giovinezza, dagli dei non sapendo né il bene né il male; ma già ci stanno vicino le nere Parche, reggendo l’una il termine dell’odiosa vecchiaia, l’altra quello della morte: il frutto della giovinezza dura un attimo, quanto sulla terra si diffonde il sole. Ma quando il termine di questa stagione sarà passato oltre, allora l’esser morto è meglio della vita."

Mimnermo

 
 

- Dobbiamo andarcene da questo posto - continuava a mormorare Elizaveta ai suoi compagni, il pomeriggio del loro vero primo giorno nell’Arena - Giuro di sentire il loro respiro dietro il collo. Ci stanno dando la caccia, ci scommetto.
Jay le stava accanto, come sempre, annuendo vigorosamente con la testa agli altri. Alexandra aveva suggerito al gruppo di parlare di questo tipo di argomenti lontano dal bosco che li circondava: se davvero i Favoriti erano alle loro calcagna, avrebbero dovuto cercare nascondiglio, o almeno non far sentire quello che stavano dicendo.
- Allora dove andremo? - chiese piano Nicholas, avvicinandosi alla ragazza e lasciando Rosalie a giocherellare con le bacche nere e le corolle campanulate dai vividi colori. Chloe le stava accanto, ascoltando attentamente ciò che gli alleati stavano progettando.
- Non lo so, Nicholas! - sibilò Eliza, accigliandosi - Ma sento che non siamo al sicuro qui.
- Ha ragione - si intromise Jay a bassa voce.
- No. Se ci muoviamo... intendo... come facciamo a sapere dove siamo diretti!? Questa Arena è enorme. Qui siamo al sicuro. Abbiamo cibo e per ora non possiamo... - continuò imperterrito l’altro ragazzo, curvandosi all’indietro e prendendo un lungo respiro.
- Tu non capisci: io me ne vado, che a te piaccia o no! - protestò Eliza.
Un’ombra avvolse il ragazzo del Distretto 12; Rose gli massaggiò piano la schiena con una mano, in modo affettuoso, e disse:
- Fa’ come ti dice lei, Nick.
 
Sophia ripercorreva i suoi passi con estrema cautela e con un silenzio degno di una regina del crimine, insieme alla sua piccola alleata. Lavinia Harmonia sospirò, nel bosco:
- Siamo arrivati?
- Shhh! - la zittì la Favorita - Siamo QUASI arrivati... erano a pochi metri da qui, probabilmente a cercare cibo. Quei due...
- Uccidiamoli senza pensarci su - suggerì la bambina, certa che le telecamere l’avrebbero  inquadrata all’istante, dopo quella spietata affermazione - Tagliamo la gola a tutti quei luridi ragazzini.
- Questo, mia cara, non è possibile. “Attenetevi al piano” ha detto Diego. E non ci tengo ad essere di nuovo picchiata da quell’odioso ragazzo. Ora, stai zitta.
La grotta fu subito davanti ai loro occhi.
- Guarda un po’ - gongolò Sophia, sorridente - I topolini sono in trappola.
- E presto i gatti avranno di che divertirsi - rise Lavinia alla compagna, passando nella mano destra il pugnale che aveva portato con sé. Il piano che i Favoriti avevano escogitato alla Cornucopia, dopo le notizie di Sophia, aveva acceso i loro animi e ridato un po’ di brio al Gioco. Non si prevedevano, per il momento, spargimenti di sangue e uccisioni. La loro era simile alla politica del terrore: spaventarli... e spaventarli fino...
Diego aveva detto agli altri di non preoccuparsi. “Saranno loro a venire da noi, a trovare la morte”. Il loro attacco sarebbe stato preciso e terribile; su questo nessuno aveva dubbi.
Le ragazze erano state mandate per un’ultima breve perlustrazione, proprio dove le loro vittime si trovavano; Sophia aveva memorizzato la strada, battendo i tronchi che sorpassava con un colpo di spada, proprio come i cervi marcavano il loro dominio. E proprio come una creatura della foresta, si era acquattata insieme alla Bambina dei Coltelli - come era conosciuta nel Distretto e in quasi tutta Panem - dietro un masso, non molto lontana dalla banda di Eliza. C’era qualcosa, in quella strana ragazza, che l’aveva fatta andare tutt’altro che in brodo di giuggiole. Era bella quanto lei, popolare - stranamente - come lei e aveva messo su la sua strana combriccola di “AntiFavoriti”. L’aveva minacciata, per l’alleanza con Alexandra. E lei l’aveva vinta.
Si rassomigliavano parecchio però... anche nell’aspetto. Dopotutto non sarebbero mai andate d’accordo: solo gli opposti si attraevano, no?
- Vai, Lavinia - sussurrò Sophia, immersa nei suoi pensieri - E attenzione alle foglie secche. Ricordati cosa ti ha detto Diego e non fare niente di stupido.
Lavinia si esibì nella sua migliore boccaccia e, dopo una risatina infantile, partì, verso l’entrata della caverna; il pugnale nella mano... fu poi piantato in una fessura delle rocce, silenziosamente, in modo che nessuno se ne fosse accorto. Colse brevi strani spezzoni di un loro discorso, ma non capì granchè.
- Pssst! - le fece cenno la compagna, per ritornare indietro.
Alla Cornucopia.
Pronti.
 
- Il terremoto è cessato - affermò Felix, seduto tra Mezzanotte e Xaber, sotto un’abitazione in cemento, semi-diroccata. Avevano corso davvero tanto, arrivando a superare persino uno strano pozzo grande il quadruplo di loro e senza fondo. Xaber era stato il più provato dalla vicenda: si teneva la testa tra le mani, gli occhi sbarrati dal terrore e la bocca socchiusa. Per quanto l’alleata avesse provato a calmarlo non ci era pienamente riuscita; il ragazzo continuava ad ansimare e a sussurrare parole senza senso.
- Come sta Xaber? - chiese dopo qualche minuto di silenzio il giovane.
- Ce la fai a parlare, ora? - chiese Mezzanotte all’amico, battendogli piano la schiena, come una madre fa al proprio bambino dopo aver mangiato.
- Come... come avete fatto... non sentire... tutte quelle grida... ? - borbottò incredulo Xaber tremante - Continuavano a chiamarmi... disperate...
- “Disperate”? - ripeté Nott, curiosa e preoccupata allo stesso tempo.
- Erano voci... voci di donne... donne... - riprese Xaber - E non chiamavano solo me...
- Non pensarci ora - lo rassicurò Felix. Si mise in piedi, carico di forza, sebbene soffrisse la fame - Non ti riconosco più. Dov’è finito quel ragazzo che ho conosciuto a Capitol City. Sei più forte di un mucchio di vocine... sei Xaber. Alzati, e sii te stesso. Ancora.
Non sapeva da che angolo remoto dell’anima quelle parole erano uscite. Ma vide un debole sorriso comporsi sul volto dell’amico, che smise di tremare e chiuse gli occhi, placido.
 
William e Markus, intanto, seppur inconsapevolmente, giravano sperduti nella stessa città, a due poli diversi. Forse in cerca di risposte. Ma come potevano non capire in che luogo gli Strateghi li avevano abbandonati a loro stessi? L’intera Arena... le rovine... il bosco... la piantagione di olivi... il sole cocente e gli strani volatili...
Furono investiti, a metà giornata, da un’ondata di caldo torrido e da una strana visione.
Una collina, poco meno grande e alta di quella che aveva come cima la Cornucopia e il rifugio dei Favoriti si ergeva in mezzo ad una città fantasma, fatta di casette piccole e semplici, di strade battute e di desolazione. E sopra di essa... vi era quello che aveva tutta l’aria di assomigliare ad un tempio.
William era alle porte della città... nervoso... teso... pronto a tutto. Quella non era un’Arena come tutte le altre. Infatti, superato il campo coltivato, diretto a quella meravigliosa e strana collina, fece uno spiacevole incontro. Un incontro non del tutto umano. Alla porta delle mura della città, altissime e imponenti vi erano due strane creature. Creature simili a grossi gatti pelosi e dai denti appuntiti. Due leoni. Alle porte di una città... due leoni... proprio due enormi, spaventosi e affamati leoni.
Alla vista di William, le bestie presero ad agitarsi come pazzi e a tirare fuori gli artigli e i denti, ruggendo forte, costringendo il ragazzo a trovare un’altra via. Le catene che li tenevano ancorati alle alte mura di pietra cingevano il loro collo, bloccandogli anche la respirazione e rendendoli solo più nervosi.
- Cosa diavolo ci fanno due leoni qui! Porco... - imprecò William allontanandosi dai felini.
In compenso, Markus, che non era entrato in città per i campi coltivati aveva evitato quell’incontro ravvicinato coi leoni. Si aggirava per la città, con l’arma nella mano e promesse di vendetta per la testa. Ma la sua attenzione, invece di essere proiettata sulla strana agorà che si trovava davanti, fu catturata... ammaliato da uno strano pozzo, che sembrava chiamarlo...
Markus... Markus... Markus... Markus...
Dolci... soavi... limpide... sensuali voci...
Il pozzo era abbastanza profondo. Provò a tirarci giù un sasso e non lo sentì atterrare, né sull’acqua, né su altro.
Profondo... ma quelle voci dovevano pur avere un’origine...
Per un attimo, gli sembrò, tra quella moltitudine di voci e richiami, di suoni e canzoni, di aver riconosciuto il tono di Alexandra. Ciò gli aveva fatto salire il sangue al cervello. Sorrise, calmo, affacciandosi alla sporgenza del posso, gridando. L’eco sembrò non cessare mai.
 
- Usciremo stanotte... senza ombra di dubbio - sussurrò Alexandra ad Eliza, una volta conclusa la discussione. E l’amica sembrava parecchio arrabbiata.
- Non mi importa... se qualcuno non è d’accordo viene lasciato indietro. Non possiamo rischiare tutti la nostra vita, per la salvaguardia di una sola. O si adatta o è finita - sospirò lei - Ho creato questo gruppo insieme a Mike... lui avrebbe voluto che rimanessimo uniti.
- E’ il cuore che lo spinge a parlare così. Così come il tuo cuore ti esorta a stare insieme a Jay - l’ammonì Alex, assumendo uno strano cipiglio e camminando cauta verso l’entrata della grotta - Anche io proteggerei la persona che occupa i miei pensieri.
- Jay non occupa i miei pensieri... non più di tanto, Alex! Parli in modo strano... Rose ti ha contagiata?
La ragazza rise all’affermazione dell’amica e la precedette, per poi affacciarsi insieme a lei, a scrutare la foresta.
- Io ti seguirò Eliza - rifletté solennemente.
- Grazie... lo faccio per proteggervi - le rispose - Non intendo venire infilzata da qualche Favorita.
- E anche Jay e Chloe non ci abbandoneranno...
Ma Elizaveta non le prestava più ascolto. I suoi occhi erano puntati al cielo e, dopo un secondo carico di tensione e di silenzio, venne accecata da un bagliore, proveniente dalla roccia che li avvolgeva, all’entrata della caverna. Un pugnale, di ottima fattura, dal manico tempestato di topazi e rivestito d’oro, era piantato nella roccia. In quel momento, l’immagine della minuscola e letale Favorita del Distretto 2 si impresse nella sua mente. Il suo piccolo e sadico sorrisetto, seppur immaginario, bastò a procurarle un brivido involontario.
Il sole stava tramontando.
Le tenebre stavano calando, così come l’ombra dei Favoriti.
Il cielo rosso fuoco sembrava macchiato di sangue.
- Eliza... ? - la chiamò piano Jay.
Ma lei rimase immobile, mentre sentiva Alexandra indietreggiare tremante al sicuro. No. Non erano al sicuro.
- Ce ne andiamo. Ora - sussurrò tesa Eliza afferrando la mano del ragazzo e correndo a prendere il necessario per la precipitosa fuga.
 
Beatriz aveva fame. Davvero fame. E sete.
Se aveva pensato che quei fiori fossero stati commestibili... si era davvero sbagliata. Ora si trovava accanto a Joy. Lo era sempre stata.
La ragazza del Distretto parlava nel sonno, sul prato, con petali bianchi e rosa di fiori nella mano destra e uno zainetto nella sinistra.
Non ho il cuore di ucciderla” pensò Triz osservandola pietosa “Non se ne accorgerebbe nemmeno”.
La ragazza dai fulgidi capelli scuri era stata troppo precipitosa. Forse. O anche per lei, la fame aveva preso il sopravvento persino sulla ragione.
- Mi chiamano... mi chiamano - si lamentò spaventosamente Joy, sudando copiosamente, mentre il sole accennava a tramontare -  Basta. Mamma... falli smettere! Mi sono addosso... ahhh!
Si contorceva disperata, come una formica in trappola, e un rivolo di sangue era preso a scendere dal suo naso; gli occhi chiusi... la carnagione pallida. Qualunque cosa avesse mangiato non doveva averle fatto bene. E non accennava nemmeno a risvegliarsi.
- Non posso... - gemette Beatriz. Osservò la ragazza, incosciente e lamentosa.
- Sorelle? Sorelle? Dove siete! Salvatemi! - gridò l’ossessa.
Il lago.
Dietro di lei.
E una ragazzina dai lunghi capelli rossicci.
Con una pietra in mano.
Alle sue spalle.
Connie Stevenson, debole per l’intera giornata passata vagando e con una manciata di pinoli come pranzo, senza una meta precisa, sola e senza alcun conforto, era proprio a pochi metri da quella scena. Era arrivata tardi però, e pensò ingenuamente che Joy fosse appena stata stordita dalla ragazza dai capelli viola. Non esitò a lanciarle un sasso, indirizzato verso la testa, per paura che quella si rivoltasse anche contro di lei. Il masso, più simile ad un mattone, era stato raccolto dalla bambina non molto lontano da là, preso ai piedi di un enorme pozzo, sulla sponda sud del lago. Accanto alla scena del “crimine”.
L’oggetto colpì Beatriz, cogliendola di sorpresa, ma non le arrecò gravi danni. Solo un bernoccolo sulla nuca.
- Ehi! - esclamò Triz osservando la piccola ragazzina alle sue spalle, che si dileguò in tutta fretta, paurosa della sua ira, sbattendo per sbaglio contro il pozzo e rischiando di cascarci dentro.
 
Xaber, per la gioia di Capitol e degli alleati, era tornato quello di un tempo, simpatico e solare: le voci, a parer suo, erano svanite e aveva ripreso a fare ciò che sapeva fare meglio. Sperare. E la sua gioia fu immensa, più di quella di Nott e Felix, quando, dal cielo, vide cadere un minuscolo paracadute, con un enorme “4” stampato sulla tela.
- Sì! Sì!! Finalmente il cibo! - gridò euforico, evidentemente affamato dopo quella brutta esperienza. E, dato che era il crepuscolo, un leggero languorino aveva colpito tutto il gruppo - Cibo! Cibo! Grazie, mio mentore! Grazieeee!
Anche Mezzanotte sorrise all’oggettino:
- Ok, ma non gridare così. Vuoi che ci scoprano?
- Che mi importa!? Ahh! - esclamò il ragazzo fortunato - Non sapete che bontà... il cibo del mio Distretto. Spero che venga da là.
Ma purtroppo, lo stomaco dei tre dovette ancora aspettare. Perché il pacco che il paracadutino trasportava, lungo e affusolato, non aveva l’aria di contenere qualcosa di commestibile.
- Forse - suppose innocentemente Felix - E’ una specie di panino...
- Formato famiglia? - rise Mezzanotte, sarcastica.
No.
Non lo era affatto.
Era una lancia, il regalo degli sponsor. Dalla punta acuminata a letale.
Annesso un minuscolo bigliettino recava scritto:
 

“L’arma ce l’hai, la gente ti ama.
Vedi di tirare fuori i coglioni!
-T “
 

- Potevi risparmiarcela... la lettura a voce alta, Xab - lo ammonì Mezzanotte sfiorando la lancia.
- Viene dalla mia mentore - disse lui - “Tirare fuori i coglioni”?
- Non letteralmente - rifletté Felix, piccolo piccolo.
- Questo lo sapevo, genietto!
 
- Non vedo l’ora di affondare la lama dentro le viscere di uno di quei polli! - esclamò Diego, all’interno della Cornucopia, a Brandon, che come lui aveva montato la guardia sulle provviste e che aspettava che le ragazze avessero finito di riposarsi, magiare e pulirsi.
- Già...
- La notte ci aiuterà a mimetizzarci. Sophia, ricordati di legarti i capelli. E portate le armi che più sapete maneggiare.
- Sarà... - azzardò Brandon.
- Sarà senza ombra di dubbio la caccia più emozionante della nostra vita.
Prendere di mira uno per volta, ucciderlo e passare all’altro. Più ne crepavano, meglio era, per loro. I superstiti sarebbero stati una preda agile; “il lupo” aveva detto Diego, in uno dei suoi momenti più filosofici “non attacca mai da solo... accerchia il nemico, lo intrappola, gli nega le vie di fuga, ci gioca un po’ e poi lo attacca alla gola, dritto e sicuro, a recidergli il collo e a vederlo morire”.
- Stanotte... noi siamo i lupi!
Brandon rimase zitto. Quasi inorridito... e non se lo aspettava.
 
Un pianto disperato e un urlo colpirono le orecchie di Jay, subito dopo l’avvertimento di Eliza. Proveniva dall’interno.
Nicholas era chino su un incosciente Rosalie, con accanto una pallidissima Chloe, che piangeva a dirotto.
- Che succede, Nick? - chiese Alexandra, avvicinandosi preoccupata.
- Non lo so - pianse il ragazzo - Ha iniziato a respirare a fatica... e dopo un po’ mi ha anche sussurrato che le bruciava la gola. Oddio... Rose... Rose! Sveglia! Svegliati!
Chloe continuava a piangere.
I lunghi capelli biondi di Rosalie White furono messi ai lati della fronte e una mano si avvicinò a controllarle la temperatura corporea. Fu Jay, solo toccandole la mano, che esclamò:
- E’ bollente! Cazzo...
Eliza si avvicinò furtiva al corpo della poveretta; in effetti, sembrava lei stessa emanare calore. Le palpebre rivelavano appena orbite vuote e striate di rosso. Nelle mani stringeva un mucchio di fiorellini e qualche bacca, racchiuse in campanule bianche e viola. Ne aveva un po’ sparsi tra i capelli, un altro po’ sul petto, all’altezza della gola, dove minuscole bolle e chiazze bianche affioravano velocemente.
- Atropa - sussurrò pensierosa.
- Che... ? - chiese Jay.
- BELLADONNA! ATROPA BELLADONNA! Una delle piante più velenose di questo mondo, Jay!
Alexandra trattenne rumorosamente il respiro, allontanandosi dalla ragazza e dall’innamorato.
- No. Non può essere! - sussurrò Nick nervoso.
Rose cominciò a farfugliare qualcosa. Parole senza senso. Poi il suo respiro si fece più corto. Sempre di più...
- Non ti avvicinare! - lo avvertì Eliza - La belladonna è letale anche se non ingerita!
La bocca era secca. Ma non sudava.
Il cuore le batteva troppo forte.
Poi le convulsioni presero il sopravvento del suo corpo.
- No... non può essere... le avevo dato io quei fiori.
Nick la scosse, la baciò, la chiamò forte. Un rivoletto di liquido rosso le cadde dalla bocca fino al mento e poi scese lentamente verso il petto di Rose.
Poi il suo respiro gracile e leggero cessò, dopo aver sussurrato inconsciamente il nome dell’amato più volte. Infatti il suono, all’esalazione dell’ultimo respiro fu un semplice e tragico...
- Ni-cholas...
E il cannone sparò, mentre un urlo sconvolse l’Arena.
 
 

 

ANGOLO AUTRICE
Ti prego, Mixi non odiarmi. D:
Ho davvero amato Rose, veramente. E quando l’ho pescata poche settimane fa mi si è spezzato il cuore e non volevo farla soffrire più di tanto. E’ una specie di capitolo solo per lei, questo, dato che sembra che una specie di guerra sia alle porte. Un capitolo sull’altra mia fic arriverà senza indugi, promesso.
Ed eccoci qua :) Sono stata buona, solo un morto.
Ma i prossimi faranno meglio a guardarsi le spalle e voi tenetevi pronti a qualche bella sorpresa. Sorpresona! Come sapete i prezzi sono aumentati di 10 $.
E dato che Rosalie è morta,
K_T_EVERDEEN, puoi scegliere un altro da sponsorizzare e a cui, con recensioni, darai una mano.
Non mi resta altro che salutarvi... anche perché sono distrutta xD
Scusate eventuali errori di battitura o cose del genere, se ci dovessero essere e... a presto! :)
Roooar! Gruppo Fb: https://www.facebook.com/groups/105660009631170/

 
Ordine delle Morti:
Rosalie White (12)
 
Requiescat in pace...
 

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Capitolo 24
*** La Gloria e il Sangue vanno a Braccetto ***


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I Nostri 41esimi Hunger Games

 
 

La Gloria e il Sangue vanno a Braccetto

 

Hai bevuto come se il mondo stesse per finire,
Ma non è successo...
Hai ricevuto un occhio nero dal pugno del tuo migliore amico,
Chi l’avrebbe mai immaginato?
E’ chiaro che qualcuna debba andare,
Lo vogliamo, ma promettiamo, non siamo cattivi.
 
E un pianto si alza, ma loro perdono la testa per noi e il nostro Gioco,
Ma ora siamo nell’Arena e siamo venuti qui per sangue...

 


Rose non era altro che un guscio vuoto, una marionetta a cui sembravano esserne stati recisi i fili, i suoi occhi avevano finito di luccicare; eppure ancora una sottile fredda lacrima scendeva per la sua guancia, a rigarle e bagnarle il volto per l’ultima volta. La bocca era ancora socchiusa e le sue gote esangui furono sfiorate dall’innamorato, con un’ultima carezza e un bisbiglio d’amore perduto.
Il gruppo intero era scosso, messo in pericolo come non mai e quasi del tutto vulnerabili; e la notte era scesa, la luna era pallida e falsa, proprio come le stelle sembravano solo minuscoli punti, troppo lontani e disinteressati a ciò che accadeva a quei ragazzi.
- Belladonna... be-bella... – sussurrava ancora Nicholas, tremante di rabbia e frustrazione mentre teneva stretto, tra le forti ma fredde braccia, il corpo dell’amata. Attorno a lui, intanto, la situazione sembrava essersi scaldata: Eliza e Alexandra stavano raccattando nel minor tempo possibile tutto il necessario e qualche avanzo di cena da terra, mentre Chloe attendeva rannicchiata all’entrata della minuscola e gelida grotta. Quest’ultima di teneva la testa tra le mani, la pelle sudaticcia e gli occhi quasi fuori dalle orbite, iniettati di sangue e bagnati di lacrime bollenti, sussurrando il nome “Roseleen”, insieme a quello di un certo “Sam”, sua vecchia cotta. Probabilmente, anche lui, incollato ad uno schermo, come la sua famiglia, a pregare per il suo ritorno e la sua vittoria, aggrappato solo a mere immagini e al suono del suo affannoso respiro.
- Non abbiamo t-tempo! – sbottò piano Alex buttando nello zaino un ultimo pezzo di pane mezzo mangiucchiato trovato ai suoi piedi.
- Lo so. Ci prenderanno... – fece Elizaveta alzandosi di scatto e afferrando il braccio di Chloe, intimandola ad alzarsi e partire. L’altra, invece, si avvicinò cautamente a Nicholas e al corpo esanime dell’ex-alleata. Il suo sguardo vitreo e senza espressione era stato celato per sempre, da un’ultima carezza dell’amato, che non accennava a lasciarla andare.
- Io la porto con me – disse piano ad Alex, una volta vicina.
- Come? – disse lei stupita e incredula – Ma lei... è...
- SO CHE È MORTA! – urlò il ragazzo – Non posso lasciarla... a quei mostri!
Una vocina, flebile e debole, così diversa da quella del tributo, riecheggiò, quasi più terribile e letale del precedente grido.
- Eliza, credo di essere avvelenata... i-io...
Era stata la bionda Chloe a parlare: le sue labbra tremavano e aveva anche un  po’ di moccio che le colava giù dal naso. Allo stesso momento, un rumore improvviso di passi pesanti e veloci, fuori dalla grotta, colpì le orecchie di Eliza, che agilmente raccolse la loro misera arma, un semplice ma lungo coltello e lo puntò in direzione dell’oscurità notturna.
- Dobbiamo scappare! – urlò un ragazzo – Ora!
Al suono della voce familiare, la ragazza dell’Undici abbassò l’arma e tirò un sospiro di sollievo, mettendosi in spalla lo zainetto raccattato alla Cornucopia. Jay, suo amico ed alleato, che si era allontanato per controllare la situazione, la prese forte per mano e fece per scappare.
- Aspetta, Jay! – lo ammonì lei, liberandosi dalla presa e aiutando Chloe a mettersi in piedi – Va’ da Nicholas. Ha bisogno di una mano...
Alexandra guardò l’alleata con occhi sbarrati:
- Vuoi portarla con noi!? Vuoi portare Rosalie... ? – boccheggiò confusa.
- Avremmo fatto lo stesso per te... e voi tutti... – sussurrò Elizaveta indicando gli altri presenti – Sarà un suo problema ma, per il momento, pensiamo a farla riposare in pace.
Silenzio.
- E a scappare – borbottò Jay – Ci sono alle calcagna, i Favoriti ci hanno stanati.
- Devono solo provarci a prendere... – mormorò lei.
 
Lavinia guardava le stelle con sguardo assonnato. E ciò non era assolutamente da lei, ma ascoltare i noiosissimi elogi alla guerra improvvisati da Diego l’annoiava tremendamente; sbadigliare le era diventato quasi doloroso: non vedeva l’ora di finirla e mettere qualcosa sotto i denti. Se solo Sophia non avesse appositamente nascosto tutte le riserve di cibo, lontano dalla bocca della Cornucopia...
La bionda del Distretto 1 aveva scelto, appositamente per lo scontro imminente, come lei, i migliori e più appuntiti pugnali; era stato quasi divertente scegliere quelli più belli e dal manico meglio intagliato, tanto che persino Lavinia ci aveva messo del suo, proponendo un bellissimo pugnale dal manico placcato d’oro e una lancia per Brandon. Le aveva ricordato un vecchio episodio della sua infanzia: doveva aver avuto più o meno due o tre anni, quando, un fresco pomeriggio d’autunno, sua sorella Perla l’aveva portata di nascosto in un bellissimo negozietto, gestito da un rinomato giocattolaio e venditore di bambole di porcellana, originario del Distretto 1; ricordò che si era divertita moltissimo, dato che in casa i giocattoli scarseggiavano – rimpiazzati da armi e robe simili – e le era davvero piaciuto poter, anche solo per qualche istante, scegliere il cappello più adatto al visino perfetto della bambola prescelta, il collarino con la pietra più luminosa, il vestito più elaborato e colorato, le scarpe più lucide e intonate con il pizzo dell’abitino... non era poi così diverso da quella situazione.
- Perla... – sussurrò tristemente Lavinia, continuando a fissare il cielo. Poi, improvvisamente, l’immagine di sua sorella si tramutò in quella dello sdolcinato Felix Anderson, tributo, come lei. Di come, il giorno delle interviste...
- Lavinia... ?
La tenera e calda voce di Brandon la riportò alla realtà, ridestandola dal sogno con estrema delicatezza e dolcezza. Si era, come lei, distante da Diego e Sophia, intanto indaffarati in qualche strategia d’accerchiamento, e sedeva accanto alla bambina, guardandola come un padre apprensivo farebbe con la propria figlioletta.
- Ti manca, eh? – le sussurrò.
- È così evidente? – biascicò Lavinia sostenendo il suo sguardo, illuminata dalla luce lunare.
- Solo un po’. Ma è evidente... – continuò lui - ... che sembri tenere anche a qualcun altro in questa Arena...
Lavinia sentì la propria temperatura corporea salire velocemente e senza alcun preavviso, lasciandola con le gote simili a due rosse ciliegie; con occhi socchiusi, mormorò al compagno:
- E anche se fosse... ? Mi lasceresti andare? Lo permetteresti?
Brandon sembrava dover ribattere qualcosa, ma al contempo nascondere altro. E forse, una parola di più avrebbe potuto tradirlo; il problema, probabilmente, non era che lo fosse venuto a sapere Lavinia... il problema era il pubblico. Ma, dopotutto, gli sarebbe davvero importato più di tanto... ?
- Non diventerei... una tua nemica... ? – mormorò cautamente Lavinia a Brandon, mentre questo distoglieva per un attimo gli occhi da lei, per rivolgerli all’orizzonte, verso altri ragazzi, altri tributi... – I-io sono o no una Favorita? Bran?
- Sei abbastanza grande... – sussurrò lui, con uno strano luccichio nello sguardo – Per capire chi sono i tuoi veri nemici.
La rossa ragazzina si mise velocemente in piedi. In mano un pugnale.
- Va’ – fece poi, Brandon – Corri, è il tuo momento.
Lavinia apriva inutilmente la bocca, senza emettere suoni. Confusa. Cosa voleva dire?
- Aspetta... aspetta ancora un po’...
 
Connie era scappata da Beatriz e dall’incosciente Joy, correndo giù per il pendio e mantenendosi sempre al limitare del bosco. Con la notte le sarebbe stato quasi impossibile orientarsi nella fitta vegetazione, dopotutto avrebbe preferito non rischiare di andare a sbattere contro qualche Favorito assetato di sangue. In più, era vulnerabile e davvero affamata: i pinoli le avevano fatto venire molta sete e la sua misera scorta d’acqua era già terminata da un pezzo; non c’era nessuno a proteggerla, e ciò la rendeva particolarmente nervosa e suscettibile. Ecco  il perché del sasso scagliato contro la ragazza dai capelli rosa del Distretto 9. Doveva pur difendersi e offendere il nemico, no?
Eppure, quei pensieri e ragionamenti, assunsero una piega più oscura e tetra con il calar delle tenebre.
E se non ce l’avesse fatta?
E se non avesse mai più avuto la chance di riabbracciare la sua sorellina e di riascoltare la rassicurante voce del fratello maggiore? E se non avesse mai più rivisto i brillanti occhi di quell’impertinente ragazzo del Distretto 4? Xaber. E se non fosse mai più riuscita a correre spensierata sotto il sole, a mangiare il suo piatto preferito, a ricantare una ninnananna... ?
Un sordo ruggito lontano e un eco lontano, di un terremoto già avvenuto... il panico prese controllo delle sue gambe e la spronò a scappare. Correre più veloce, come mai aveva fatto in vita sua. Per cosa... per dove... ancora da definire. Sta di fatto che, all’improvviso, un intenso dolore l’assalì e le avvolse il piede e il ginocchio sinistro; capì di aver urtato l’arto a qualcosa di duro, frastagliato e appuntito...
Non ebbe il tempo di invocare aiuto.
Un lampo rosso, suscitato dai suoi lunghi capelli le oscurò la vista, mentre precipitava nell’oscurità. Era caduta dentro qualcosa e continuava a precipitare, inesorabilmente, verso un inferno freddo e gelido come l’abbraccio della morte... anche ad occhi ben aperti, durante il rapido volo, tutto ciò che vedeva era offuscato dall’oscurità. Poteva essere... un pozzo?
Il cinguettio di qualche uccello notturno, lontano e flebile, fu l’ultima cosa che la ragazza udì... prima di cadere in acqua.
Sentì ogni pelo del corpo rizzarsi per la bassissima temperatura dell’acqua, sensazione provata dopo solo qualche secondo completamente immersa e senza ossigeno. Connie mosse le braccia, agitata e in preda ad un angoscioso senso di paura: non provenendo dal Distretto 4, non aveva idea di cosa stesse facendo, ma l’istinto le suggeriva di salire in superficie, ad ogni costo, prendere aria e riordinare i pensieri.
Annaspò tossendo l’acqua sporca che si ritrovò in bocca, una volta a galla, mentre strani flutti le colpivano gli occhi, facendoglieli bruciare; avrebbe, comunque, giurato di aver avvertito qualcosa solleticarle la gamba sommersa.
- Ah... ahh... – gemette la ragazza, notando poi un rivolo di sangue scenderle dal naso a causa, forse, della caduta precipitosa. Non c’erano appigli? Nessuno... oltre lei? Era sola... sola... e persa...
Cercò di alzare la testa, in cerca del buco da cui era cascata, ma il buio l’avvolgeva come un cupo e tetro mantello; bollenti lacrime cominciarono a scenderle sul viso, per poi cadere e perdersi nelle torbide acque contro cui Connie combatteva. I piedi, però, cominciavano a dolergli, pesanti come macigni...
Pesanti... ?
Il livello dell’acqua era salito... o era lei a precipitare verso il fondo?
- Cosa... ?
Aveva difficoltà persino a respirare... e in men che non si dica, la ragazza fu sott’acqua. Lottando contro il bruciore agli occhi e la sporcizia, la rossa spostò il suo sguardo ai suoi piedi e, per la sorpresa emise un urlo, tramutato in una marea di mute bollicine: attaccate ai suoi piedi, quasi abbracciate ai polpacci esili, c’erano due ragazze completamente svestite. Quella a destra aveva lunghissimi capelli biondi, mossi continuamente dai suoi movimenti e l’altra, a sinistra, li aveva ricci e tendenti ad un rosa sporco. Entrambe avevano lo sguardo vacuo ma divertito, le bocce piccole e ricurve in un sorrisino, le mani palmate... tagli all’altezza della gola... e...
Connie spalancò gli occhi, annegando verso il buio, attratta da quella bella visione e con una strana melodia nelle orecchie... dolce, soave... a dir poco, meravigliosa...
- Tu... non sei mia sorella... ?
 
Joy aveva riaperto gli occhi, svegliata, forse, a causa di uno strano boato; in più, uno strano fastidioso ronzio invadeva la fresca e inquieta aria notturna, tanto che, solo per qualche secondo, pensò di essere tornata a casa, nel suo Distretto d’appartenenza, sotto qualche albero a godersi una sera estiva insieme ai suoi amici...
Il Distretto... gli amici...
Invece Beatriz era stata in disparte tutto il tempo, fino al calar delle tenebre, dopo la rocambolesca comparsa di Stevenson Connie e del suo patetico tentativo di ferirla. Aveva atteso, senza ben sapere il motivo, che Joy riaprisse gli occhi e tornasse in sé, ammazzando il tempo esaminando i fiori trovati vicino al laghetto, luogo del ritrovamento.
- C-cosa... mi è successo? – fece piano Joy mettendosi lentamente e cautamente a sedere sui sassolini, una mano immersa nell’acqua, un'altra con un fiore stretto saldamente tra le dita, e guardandosi attorno con circospezione.
Beatriz, zitta e senza troppi movimenti bruschi, con le mani strette a pugno pronta a difendersi da qualsiasi tentativo di offesa, le fu alle spalle, silenziosa, ma l’altra se ne accorse: Joy aveva un aspetto spettrale, quasi sinistro, così diverso da prima che svenisse a causa del morso al fiore rosso ma, perlomeno, respirava ancora e, a quanto pareva, regolarmente e senza fatica. I capelli corvini, ormai, non erano più in ordine e fili d’erba le “coronavano” il capo disordinatamente; l’immagine ricordava molto il copricapo che i suoi stilisti le diedero da indossare per la sfilata celebrativa di quella Edizione degli Hunger Games, insieme all’abito che la fece sembrare una ninfa dei boschi o qualche creatura incantata per favole di bambini.
- Dove mi trovo... ? – fece poi, guardandosi attorno, una mano sulla testa dolorante.
Poi, dopo qualche secondo di silenzioso smarrimento, la mora si mise in ginocchio, accarezzando con inanimata passione il fiore rosso, orecchie tese e ramoscelli sul capo; l’aria sembrò gelarsi, le tenebre calare più fitte, il respiro diventare sempre più irregolare. Ogni movimento avrebbe potuto tradirle.
Ci volle qualche minuto a Joy per capire che un’altra persona la stesse osservando svegliarsi. Il volto scattò, lo sguardo si infiammò e in un attimo la mora era sopra Beatriz, a serrarle la gola con le nude mani. Spinse forse le dita sulla pelle sudaticcia, a cercare il canale dell’aria, a sentire la debole trachea dell’altra schiacciarsi sotto la pressione eccessiva.
Spinse, lasciava la presa per qualche secondo e spingeva ancora più forte.
- Cosa vuoi!? – gridava Joy in preda al panico, spaventata ma arrabbiata allo stesso tempo; il fiore rosso giaceva al loro fianco, mentre la notte si riempiva degli inutili gemiti e dei colpi di tosse soffocati del tributo. L’aveva presa alla sprovvista, velocemente; non era riuscita neppure ad alzare le braccia per respingere quel doloroso “abbraccio”... e ora, la ragazza del Distretto 7, con saliva alla bocca, gli occhi iniettati di sangue e le guance così pallide da sembrare perennemente bagnate di luce lunare, stava privando il tributo femmina del Distretto 9 di vitale ossigeno.
Spinse e ancora, spinse più forte...
- Cosa vuoi da me!? Chi sei, eh?! Cosa volevi farmi?
Quelle domande fecero strabuzzare gli occhi di Beatriz...
- Non ti conosco! Chi sei?! Dimmi chi sei! E dove mi trovo! EH?!
Il cannone sparò, avvolto da un ultimo rantolo disperato e da una risposta mai pronunciata. “Siamo agli Hunger Games, tu sei un Tributo, sei qui con altri ragazzi... e solo uno di questi tornerà a casa... “.
Joy lasciò la presa solo dopo diversi istanti – e dopo aver anche sobbalzato per l’improvviso suono del cannone; poi, ricomposta e seduta sulle ginocchia, il fiore rosso sempre vicino, sussurrò alla luna:
- Ma... io chi sono?
 
Markus sobbalzò al suono del cannone, ma non ci fece abbastanza caso. Era impegnato ad osservare due magnifici esemplari di leoni, accovacciati dormienti accanto ad un muro in mattoni. In realtà, si trattava di leonesse, dato che erano prive di pellicce o di qualsivoglia attributo maschile, e riposavano beate, mugolando o muovendo la zampa artigliata di tanto in tanto nel sonno.
Era seduto abbastanza distante dalle bestie, ma il loro odore era comunque forte e abbastanza pungente, sebbene le fiere sembrassero pulite; l’occhio destro non esisteva più, per colpa di Alexandra, ma ormai il dolore era passato con, a rimpiazzarlo, una strana sensazione di vuoto, di sangue... un mancanza che, forse, nemmeno il più bravo chirurgo della Capitale avrebbe potuto “colmare”... ma, mai dire mai.
Un fruscio di erba selvatica e qualche germoglio dormiente, provocato da una improvvisa folata di vento, arrivò alle sue orecchie... insieme ad uno strano rumore di passi pesanti, ma lontani, in direzione della foresta a nord. Probabilmente un animale... o un’altra specie di “preda”.
La testa gli doleva. In un primo momento incolpò l’orbita ricolma di liquido scarlatto, la guancia bagnata di sangue seccato e un labbro spaccato, ma dopo poco tempo intuì si trattasse di qualcosa di molto più serio. Un coro di voci acute, distorte, come quelle che un televisore rotto avrebbe fatto udire ai suoi spettatori, gli riempiva il cervello; non poteva trattarsi di un’allucinazione... ma attorno a lui, tutto taceva. Voci indistinte, insulsi gridolini e risatine ingenue, tutte femminili e puerili, lo tormentavano senza sosta, provocandogli frequenti ma brevi giramenti di testa; giurò, persino di riconoscere una ben più familiare e odiata vocina, un’insistente urletto degno di un’ochetta come lei; il culmine lo raggiunse quando un sottile e unico rivolo di sangue gli colò dal naso e scese veloce verso il mento.
- Dannazione! – imprecò il ragazzo, pulendosi con l’orlo della manica della giacca a vento – Di questo passo morirò dissanguato!
Chissà se i leoni, seppure nel sonno, fiutarono per un attimo l’odore acre del suo sangue...
 
- Spera che i gattini non ti abbiano visto...
Il sussurro accennato arrivò dalla bocca di un altro ragazzo che, silenzioso quanto la notte, fissava Markus del Distetto 7 pulirsi il sangue dal naso, allo stesso modo di un bambino che aspetta pazientemente che i genitori si allontanino dalla dispensa per sgraffignare dei dolciumi. Accucciato per terra, accanto ad un pozzo di pietra, all’apparenza innocuo, teneva sotto controllo il rivale, senza farsi notare e senza rumore. Aveva deciso di passare inosservato là la notte, riposare un po’ contro il muretto a secco di cui era pieno lo scenario a ovest, simile ad antiche rovine di città perdute.
Una delle leonesse mosse pigramente la zampa nel sonno e spalancò controvoglia le fauci, ad occhi chiusi, probabilmente sognando, e William finalmente decise di abbassare la testa e cercare la migliore posizione per riposare.
Il mattino, si augurò malinconicamente, sarebbe arrivato presto; dopotutto i cannoni avevano già sparato il loro funesto colpo e presto ognuno avrebbe deciso sul da farsi. Anche lui avrebbe fatto meglio a pensarci su... ma non aveva armi, né provviste... quanto altro tempo avrebbe dovuto passare rannicchiato a terra per resistere ai morsi incessanti della fame. Guardò speranzoso a nord, verso la coltre di arbusti e verdeggianti foglie, che probabilmente doveva nascondere pur qualcosa di commestibile!
Ci avrebbe pensato una volta riposato... era stata una dura giornata...
Si adagiò per terra, seduto, le ginocchia al petto, le mani incrociate al petto e chiuse dolcemente gli occhi, con l’immagine della falsa luna a bruciargli gli occhi e lasciargli quella fastidiosa ombra sulla retina di entrambi gli occhi.
- Notte... – si disse da solo, accoccolandosi ancora di più. Ma all’improvviso, quello che aveva tutta l’aria di sembrare un tremendo muggito bovino sconvolse l’aria e gli animi. Il suono era grave, prolungato e così intenso da fargli dolere i timpani e, come se non fosse bastato ad atterrire i presenti, un tremendo terremoto scosse il suolo, aggiungendo altri boati alla notte e incutendo ancora più paura.
 
- Stanotte si uccide! – urlò compiaciuto Diego a Sophia, scendendo lungo il pendio, a caccia di Tributi. Come Favorito, non era questo il suo dovere, dopotutto? Più di ogni altra cosa, lui voleva tornare a casa, come vincitore. Ne andava del suo onore... della sua vita.
- Puoi dirlo forte! – rise la bionda Favorita seguendolo a ruota, con dietro i meno entusiasti Lavinia e Brandon; il più grande le stringeva delicatamente la mano disarmata.
Erano tutti pronti alla più emozionante caccia della loro vita: Diego armato di un lungo coltello e una piccola spada alla cintura, Sophia e Lavinia avevano entrambe un set di pugnali nascosti all’interno della giacca leggera, mentre Brandon stringeva il suo arco e la faretra piena di frecce piumate era allacciata alla sua spalla.
Lavinia, di tanto in tanto, mandava fugaci sguardi al proprio compagno, camminando lentamente al suo fianco. I capelli rossi, notò Brandon, erano legati in con un piccolo elastico bianco, dandole un’apparenza più matura e vissuta, eliminando l’assassina dolcezza dei suoi occhi da dodicenne.
L’improvviso terremoto spaventò, comunque tutti e quattro i predatori; la confusione, il boato proveniente dal sotto suolo e l’inaspettata perdita di equilibrio, per un attimo li rese vulnerabili quanto le loro prede. Diego e Sophia ebbero solo qualche secondo per mettere entrambe le mani davanti al viso, cadendo al suolo come pesi morti, ed evitare ferite di alcun genere; Brandon afferrò al volo il polso della bambina rossa, cercando di tenerla precariamente su due piedi e forzandosi di restare lucido, nonostante la pericolosa situazione. Neanche dopo pochi secondi, strattonò con potenza il suo braccio facendola ruzzolare rovinosamente per terra.
 
Mezzanotte era seduta tra le figure dormienti di Xaber e di Felix. Il piccolo biondino, alla sua sinistra, aveva il viso sudaticcio e la bocca semiaperta, immerso in un sonno privo di sogni, ma incredibilmente pacifico. Finalmente riposava a dovere. Xaber, invece, aveva avuto sogni parecchio tormentati dalla prolungata scossa del terreno e dalle presunte voci che arrivavano alle sue orecchie; si era addormentato molto tempo dopo l’amico e stringeva la lancia ricevuta tramite gli sponsor al petto, come una madre tiene il proprio bambino. Il lato negativo della cosa, comunque, era che la punta era indirizzata pericolosamente verso il collo della loro “baby-sitter”, che senza troppe pretese si era offerta di fare da cuscino per i due.
Ridacchiò leggermente alla loro vista, poi, cercò di prendere sonno e risvegliarsi il giorno dopo.
Era relativamente tranquilla: la sua testa volgeva verso l’imponente collina della Cornucopia, lontana ma torreggiante su tutto lo scenario, che risplendeva alla luce della luna. Erano preparati: avevano armi, provviste e un posto silenzioso e indiscreto dove potersi nascondere e poter dormire; avevano gli sponsor dalla loro parte  e, per di più, due divertenti compagni di avventura. O di morte.
Sapeva che presto, si sarebbero dovuti separare: ogni colpo di cannone le ricordava dov’erano realmente, cosa stavano facendo e, in particolare, che il mondo li stava a guardare. Guardare morire e uccidersi a vicenda... come gladiatori antichi, come lei aveva letto tempo fa in un libro di sua nonna.
- Dio... ci piacciono veri arcaici metodi di divertimento... ! – esclamò incredula della sua situazione. Tra tutte le ragazze possibili, era stata scelta lei.
Passò con delicatezza una mano sul mento, per poi scendere con calma sul collo e petto. Lì, le dita incrociarono la fredda sagoma del ciondolo a forma di chiave di violino, regalo dei suoi sedici anni, portato di nascosto nell’Arena e nascosto sotto gli indumenti. La luna vi era riflessa sopra e guardarlo le trasmetteva malinconia e tristezza.
Ripensò a casa, a sua madre, all’adorata nonna, alla Mietitura... a Ray e al suo doloroso addio, seguito da una dichiarazione d’amore in diretta, su tutte le televisioni della Nazione e la sua risposta.
Anch’io... “ aveva urlato alla stazione, rivolta a lui e in lacrime.
Ehi, Pipistrello!” le sembrò quasi di sentirlo là, con quel nomignolo spiritoso che le affidò da bambina “Tirati su e fammi sentire qualcosa al tuo pianoforte. Sai che adoro la tua musica...
Mezzanotte non trattenne più le lacrime, e fu felice di sapere che nessuno la stesse osservando in quel momento così imbarazzante; quando proruppero i singhiozzi, cercò di pacarli il più possibile, per non svegliare i due amici.
All’improvviso, uno strano vento gelido si alzò, proprio come durante l’ultimo recente terremoto, gelandole i lacrimoni sulle guance pallide mentre uno strano rumore di passi in corsa si faceva sempre più forte e udibile. Il panico si impossessò di lei e, abbandonata ogni sorta di delicatezza, si mise in piedi, puntando la cerbottana nel buio. Le erano rimasti solo due aghi velenosi, per il resto era vulnerabile.
Intanto...
- Nott! Avvertimi quando hai finito di ballare la macarena! – si lamentò Xaber ad occhi chiusi, non accortosi della situazione letale in cui si trovavano e accoccolandosi in posizione fetale sulla roccia su cui avevano precedentemente poggiato la schiena per sedersi. Invece, il meno preparato Felix cadde con un leggero tonfo per terra, di lato, con la guancia a sfiorare qualche ciuffo d’erba, ma ancora sorprendentemente addormentato.
Due figure si avvicinavano alla ragazza, e di corsa: doveva pensare in fretta.
- Mezzanotte! Mezzanotte! – una voce maschile la chiamò – Sveglia il biondo! Abbiamo poco tempo, ora!
Era la voce di Brandon Mayers, il Favorito del Distretto 2, suo salvatore al Bagno di Sangue. Ma come poteva essere possibile?
- Cosa... ?
 
Eliza e Jay erano in testa al gruppo, si facevano spazio in corsa nella foresta di pini e altre conifere, aprendosi velocemente la strada con le nude mani. Lei si era, poi, parecchio fatta male nello spostare un ramo caduto che ostruiva il passaggio, graffiandosi il palmo della mano sinistra, niente di grave, in ogni caso; dietro di lei, Alexandra e Chloe saltellavano, di tanto in tanto, per evitare di inciampare su massi occasionalmente sparsi su radure o per scansare radici d’alberi emerse in superficie.
Dietro tutti loro, Nicholas correva veloce, seppure con in braccio la esanime Rosalie, con la testa che ciondolava da un lato all’altro per lo sforzo.
Era stata una sua idea, se ne sarebbe preso le responsabilità.
Appena il gruppo udì il terremoto e lo strano muggito, furono travolti dall’agitazione e nella fretta di scappare e mettersi al riparo lasciarono anche un po’ di provviste nella grotta. Alcuni alberi erano crollati, impedendo ai ragazzi di ricorrere a migliori vie di fuga e ogni punto di riferimento con buio era andato perso. Erano semplici prede, in balia della natura e del nemico.
E mentre l’oscurità li inghiottiva, la risata di Diego echeggiò tra gli alberi, costringendoli alla ritirata rocambolesca fuori dalla vegetazione fitta; quella sarebbe stata la loro tomba, se il buon senso non li avesse fatti correre via.
Ora, i biondi Favoriti erano alle loro calcagna, armati e parecchio arrabbiati, assetati del loro sangue e desiderosi di vendetta; Sophia sfrecciava agile e veloce davanti a Diego, che era appesantito dalle numerose armi e non aveva il fisico snello della compagna.
Avevano adocchiato il più lento, Nick, e li pedinavano con ostinata insistenza.
- Lancia un pugnale, prendine uno, Sophia! – urlò rabbioso Diego a lei, facendo riferimento alla sua scorta di coltelli. Lei fece come le era stato suggerito: ne lanciò, uno... due... tre... nel buio, fino a quando il quarto, lanciato lontano, sembrò fare centro, perché un urletto spaventato femminile si levò nella fuga.
Era stata Alexandra a gridare di dolore, un pugnale conficcato nel suo polpaccio sinistro.
La ferita sanguinava copiosamente e correre era diventato sempre più difficile... gridò, per attirare l’attenzione degli alleati e ottenere appoggio, ma in quel momento la cosa sembrava impossibile; in più, come se bastasse, nella testa della bionda del Distretto 4, delle strane voci femminile gridavano e si lamentavano con suoni terribili. Era troppo da sopportare e quando ci furono solo pochi metri a separarla dai Favoriti, tutto sembrò spacciato.
La vista era sfocata... tutto vorticava attorno a lei e il dolore diventava sempre più intenso... quando una forte mano le prese improvvisamente il braccio, trascinandola con velocità...
Alexandra sapeva di poter resistere alla ferita, non era la prima volta che le capitava di star male, ma in quel momento non riusciva a non pensare alle lame delle spade di Diego ad infilzarle l’addome...
Non fu certa di capire cosa le stesse succedendo... ma riuscì, a occhi chiusi, dopo interminabili minuti di panico, a sentire persone parlottare in agitazione.
- Scendiamo, ti dico!
- E’ un pozzo, dove condurrà!?
- Potrebbe essere una trappola!
- Non si vede il fondo...
Poi tutto diventò nero e Alexandra perse i sensi, abbandonando le membra pesanti e ferite.
 
- Pensaci... con me sarai al sicuro – disse piano Lavinia a Felix, ormai sveglio – Voglio... tenerti accanto a me. Non avrai nulla da temere...
- E dov’è la fregatura? – azzardò Xaber, che era stato zitto fino ad allora.
- Non sto parlando con te! – lo fulminò la bambina – Ho rischiato tutto per venirvi a trovare e dirvi questa cosa; non potete rifiutare... è una scelta tua, però, Andersen.
Mezzanotte non poteva crederci: Lavinia si stava offrendo di allearsi con Felix... e quindi, seppur indirettamente con lei e con Xaber... a patto che il biondino la seguisse nella schiera dei Favoriti.
- Io – disse forte Brandon – Mi fido ciecamente di Lavinia. Sono pronto anche io ad affrontarne le conseguenze. Mezzanotte...
Il Favorito fece cadere a terra il proprio arco e la faretra con un gesto secco ma liberatorio al tempo stesso, guardando i presenti dritti negli occhi e respirando pesantemente. Per un secondo, il suo occhio cadde sul ciondolo di Mezzanotte; poi, guardata la luna, abbassò nuovamente lo sguardo, come in attesa di qualche parola.
- Io... – balbettò Felix, combattuto.
- Non ti preoccupare... non lascerò che ti facciano del male... è il nostro patto, quei due non lo sapranno mai – disse velocemente Lavinia, avvicinandosi a lui e scuotendo i capelli rossi.
- Io starò con voi e non dovrete temere la mia compagna in nessun modo – continuò fermamente Bran, rivolto a Xaber e Nott, sfiorando dolcemente la mano di lei – E vi proteggerò.
Felix si guardò intorno.
Incontrò lo sguardo di Xaber e poi quello di Mezzanotte, che gli disse accennando un doloroso sorriso, tormentata dal pensiero, forse, di non riuscire mai più a vederlo:
- Fai quello che ritieni più giusto... e quello che ti suggerisce il cuore...
Fu un leggero spifferò d’aria a rispondere, segno che l’alba era finalmente vicina.
Poi...




- Accetto.
 
 

 

 

 

Potrai anche provare a prenderci,
Ma noi siamo i Gladiatori.
Tutti sembrano istigatori
Ma in realtà sono salvatori...
Gloria e Sangue vanno a braccetto,
Ecco perché lo specifichiamo:
Puoi anche provare a prenderci,
Ma la vittoria è contagiosa.


 


Angolo Autrice:
E così si conclude, decisamente, il mio nuovo capitolo preferito.
Mi sono divertita tanto a descrivere queste situazioni adrenaliniche, visto che non sono proprio il mio genere ma che comunque mi piacciono tanto. Ma, soprattutto, ho sofferto tantissimo ad estrarre i morti di questo capitolo. Il titolo rimanda ad una canzone a tema “Hunger Games”, probabilmente i più appassionati l’avranno riconosciuta, insieme alle parole della strofa e del ritornello, abbastanza adatte in questa occasione :3 Sparse per il capitolo vi sono continui rimandi al lyric della canzone, sareste capaci di trovarli tutti?
Eh, bhè, non mi dilungo troppo, altrimenti potrò sembrare troppo entusiasta per un capitolo con ben due morti e... parecchi misteri svelati.
Mi dispiace alle mentori, davvero, ma purtroppo il Gioco è così e la fortuna non è stata a vostro favore (o meglio, i bigliettini non lo sono stati).
Al prossimo capitolo e ai tributi per Connie e Triz.
Alla prossima :D

PS: Auguri a Tu-Sai-Chi :P

 


 

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