How to be brave [traduzione di Ellipse]

di stillaseeker
(/viewuser.php?uid=692786)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note della traduttrice: Buonsalve a tutti! Per chi non mi conoscesse sono Ellipse, affetta da compulsione alla traduzione XD nell’attesa che vengano aggiornati gli altri racconti di cui mi occupo, non ho potuto fare a meno di dedicarmi a una storia che è tra le mie preferite e che spero possa piacere anche a voi. L’autrice, la meravigliosa stillaseeker, è stata così gentile da accordarmi il permesso di tradurla per Efp (link all’originale qui).

In questa fic John e Sherlock, ancora studenti universitari, si sono lasciati.

La narrazione è svolta dal punto di vista di John, e sinceramente credo di aver letto davvero molte poche storie in cui questo pov è gestito così bene, non solo per come l’autrice riesce a rendere il personaggio in sé, ma anche per il modo in cui descrive tutti gli stati d’animo e i momenti che John affronta. Come vedrete non ci saranno grandi misteri sui motivi della sua rottura con Sherlock, nessun evento rocambolesco: è una storia alternativa, in cui a fare da protagonista sono le emozioni.

La storia è composta da quattro capitoli, è già completa e non troppo lunga, quindi la aggiornerò piuttosto in fretta, e tranquilli, è a lieto fine XD ma a quello arriveremo poi. Nel testo sono presenti alcuni riferimenti a note che troverete in fondo alla pagine e che spero possano chiarire alcuni punti della lettura. Come sempre, se doveste avere suggerimenti o notaste degli errori, non esitate a farmi sapere ^_^

Grazie mille per la pazienza di aver letto fin qui <3 Vi lascio al capitolo, buona lettura e a prestissimo!

Ellipse

 

PS: ripetizioni, uso dei tempi presente/passato/ecc. alternati sono voluti

 

 

HOW TO BE BRAVE

 

 

Ci sono cose che John non desidera ricordare.

Per la maggior parte sono piccolezze – cose abbastanza infinitesimali da essere spazzate come polvere sotto il tappetino della sua coscienza, dove giacciono inermi e tranquille, brillando appena nel buio. Cose mezze dimenticate che sapeva prima, come il fatto che i capezzoli di Sherlock sono sensibili al freddo, e il ricordo del loro contorno attraverso la sua t-shirt grigia preferita lavata troppe volte. Come il fatto che i capezzoli di Sherlock sono più rosei che marroni, con le punte che si drizzano per l’aria fredda ogni volta che lui, mezzo addormentato, esce barcollando dal bagno dopo la sua doccia mattutina, con l’asciugamano avvolto intorno alla vita.

Questi ricordi vanno − bene. John può infilarli tutti in una cartellina mentale etichettata come Baker Street, e può più o meno ignorarne la presenza fino a che qualcosa non li metta fuori posto. Come il fruscio di un cappotto costoso in un corridoio affollato, o il taglio degli zigomi di un modello su un qualche cartellone pubblicitario, o qualcuno con indosso una t-shirt sbiadita, proprio di quella sfumatura di grigio. Quando succede, i ricordi si rimescolano, le loro pagine pizzicano come i tagli che ci si fa con la carta, prima di ritornare al loro posto, ben nascosti.

Alcuni sono più facili da ignorare rispetto ad altri. John era andato a rileggere dei vecchi messaggi, cercando un riferimento a un documento che aveva menzionato il professor Higgleston e che Mike gli aveva mandato via sms, quando aveva avvertito un colpo allo stomaco.

Non dimenticare il latte. Compra anche i cerotti alla nicotina. – SH

Uno stupido messaggio. Uno che era stato trascurato nel corso della Grande Pulizia[1], quando John si era costretto a cancellare ogni singolo messaggio che Sherlock gli avesse mai mandato, scorrendo indietro fino al primo; quello che aveva dato inizio a tutto.

221 Baker Street. Alle 19. Non fare tardi. – SH

Era ridicolo, ridicolo che un sms riguardo al latte, fra tante cose, potesse far sentire John come se qualcuno gli avesse ficcato una mano nel petto e gli avesse strappato il cuore. Aveva dovuto chiudere gli occhi – lì, proprio in mezzo al dipartimento di anatomia – e prendere un respiro. Il dolore – la sofferenza – si erano attenuati dopo un minuto o due. Era spuntato fuori Bill Murray, dandogli una pacca sulla spalla e dicendo un qualcosa sul prendersi una pinta insieme dopo le lezioni, e John era riuscito a controllare la propria espressione per renderla quasi compiacente e a cancellare il messaggio, le dita che armeggiavano sui tasti.

Un giorno per volta. Quello era stato il motto del nonno, e il nonno era stato un veterano della seconda guerra mondiale. John può sopravvivere a molto più che a questo.

Ci sono alcuni ricordi, certo, a cui John non si accosta mai, mai e poi mai. Pensieri da cui si tiene lontano, anche quando è rintanato al sicuro nella sua nuova camera, sdraiato al buio sul materasso rigido e con le bozze del suo letto singolo. Quando non riesce a dormire – quando sente che gli manca l’aria.

Il fumo, che si arriccia dalle labbra di Sherlock, bello come una fotografia in bianco e nero.

Il sollevarsi incerto e sghembo della bocca di Sherlock ogni volta che John riusciva a sorprenderlo - per farlo sorridere.

Il sapore indescrivibile di nicotina e catrame mischiato a qualcosa di dolce in modo stuzzicante, come il miele.

Come appariva tutta quelle pelle chiara, allungata su un divano di pelle scura.

Quella spolverata di peli, che si fanno più scuri verso l’inguine di Sherlock.

Come ansimava Sherlock, con l’arco della bocca che si spalancava, quando John-

Basta. Smettila. Smettila e basta.

John chiude con forza gli occhi, volta la testa contro il cuscino e respira.

 

::

 

Si era trasferito, ovviamente. Davvero, non c’era stata alternativa.

Si era accampato sul divano di Mike, poi su quello di Bill, poi di Sarah. Era diventato disperato abbastanza da pensare di chiamare Harry – col cuore a sprofondargli nel rendersi conto di avere a malapena un centinaio di sterline che gli sarebbero dovute bastare fino alla fine del semestre – quando era comparso Mycroft.

John non aveva mai propriamente capito il suo rapporto con Mycroft. Aveva sentito che erano stati alleati, per un po’. Due soldati impegnati nella guerra più inutile al mondo – la lotta per il benessere di Sherlock. Mycroft aveva persino cominciato a piacergli – il modo in cui sorrideva con le sopracciglia, non con gli occhi; il tono condiscendente che usava quando era affettuoso ma non voleva che Sherlock lo capisse; persino quel suo gesto plateale e drammatico con l’ombrello, a picchiettare sul loro pavimento.

John non aveva previsto come la vista di Mycroft potesse strappargli l’aria dai polmoni, e sembrare tanto simile a una sconfitta.

Non riesce a ricordare bene la loro conversazione, ora, ma ricorda il disinvolto suggerimento di Mycroft sul prendere una camera nello studentato – abbandonata all’ultimo minuto, il tipo se n’è andato in Brunei per studiare gli oranghi nella foresta pluviale del Borneo, la stanza è già pagata, ovviamente – e la sensazione travolgente nel proprio petto quando aveva accettato.

Mycroft non aveva detto una parola riguardo a Sherlock, ma le sue sopracciglia sembravano indicare che si era reso conto della condizione di John – jeans più larghi del normale (troppo magro), borse sotto agli occhi (difficoltà a dormire), tre punti sfuggiti alla rasatura (distratto), braccio ancora fasciato.

John non si era guardato indietro.

Se lo avesse fatto, avrebbe potuto vedere qualcosa che non avrebbe mai pensato potesse attraversare il volto di Mycroft – qualcosa di abominevolmente simile a dispiacere.

 

::

 

Il tempo passa, ovviamente.

Prima che John se ne accorga è trascorso un mese, poi tre mesi, poi sei. Si butta sui corsi, ed è un caso fortuito che non si sia mai ritrovato tanto impegnato in tutta la sua vita. I suoi compagni di corso brontolano, ma lui si fa carico degli oneri aggiuntivi della sua facoltà senza l’ombra di una protesta, e cerca di dare il massimo in ogni prova. I suoi professori lo notano.

I suoi amici lo criticano dicendogli che è un secchione e un leccapiedi, ma un paio di weekend giù al pub, bevendo più di tutti loro, pone rimedio a quelle sciocchezze. Osservando attorno a sé quella cerchia di facce allegre – il sorriso timido di Mike mentre si china verso una moretta con gli occhiali e il viso dolce, e il brutto muso di Bill, che canta You’ll never walk alone quando la sua squadra del cuore vince una partita contro l’Arsenal – John si sente… meglio. Ride quando Bill rovescia un boccale addosso ad Anderson, e sghignazza con Dimmock quando Sally perde il suo tempo con un tipo che non capisce il concetto di spazio personale. Si butta nella mischia quando il pub esplode in una rissa, gli studenti di medicina contro i ragazzi viziati di città che non riescono ad accettare un “no” come risposta, e trattiene un ragazzo panciuto dall’abito su misura mentre Sally gli dà una ginocchiata alle gonadi. Lo fa con un sorrisetto sulla faccia.

Sono quasi otto mesi, e John ancora non riesce a dormire, ma le cose stanno migliorando, lui sta migliorando, quando rivede Sherlock.

 

::

 

C’è un Tesco[2] aperto 24 ore su 24 a circa quindici minuti di camminata dallo studentato di John.

A volte, quando se ne sta sdraiato al buio per ore e sente di non riuscire a respirare, come se stesse soffocando nell’aria ferma e pesante del suo dormitorio, John si mette il cappotto sopra al pigiama e afferra il portafogli, le chiavi. Il silenzio di Londra alle tre del mattino lo calma sempre, anche quando viene spezzato dalle risate ubriache di studenti che barcollano per strada dopo un’uscita, dalle ruote degli autobus notturni e delle macchine che superano i semafori troppo in fretta, e dalle immancabili ombre nei vicoli, che si trascinano verso di lui offrendogli funghi o eroina. Londra alle prime ore del mattino è una creatura ambigua, spogliata degli ornamenti che ha di giorno e di quella patina amichevole. È la Londra spogliata fino alle ossa dopo una giornata trascorsa a fingere – freddamente noncurante, pronta a mostrare tutti i propri spigoli. John non è immune alla sua bellezza, proprio come non è mai stato immune al fascino delle cose pericolose.

Se ne sta nel corridoio di un reparto, intento a decidere con gli occhi appannati fra latte scremato e parzialmente scremato, quando vede quella familiare sagoma ricurva. I ricci neri sopra a un colletto tirato su. Le mani infilate mollemente nelle tasche del cappotto.

Si volta, istintivamente.

Sherlock sembra – praticamente sempre lo stesso. Forse più magro di qualche chilo, ma è difficile a dirsi con indosso quel cappotto. I suoi occhi vagano rapidi sugli scaffali del supermercato con quel fare calcolatore e concentrato che significa che sta pensando alla velocità della luce, facendo triangolazioni e riferimenti incrociati, tracciando senza sforzo mappe di costellazioni fra una miriade di punti fissi in cui John vede solo delle stelle. A John si ferma il respiro nel petto.

Di tutti posti in cui imbattersi nel suo ex, doveva essere da Tesco mentre indossa il suo maledetto pigiama. Alle cazzo di tre del mattino.

Sherlock non lo ha visto – John è mezzo nascosto dietro al cartellone alto due metri di un nuovo yogurt da bere al melograno. John si sente arrossire in viso – è come se tutti i suoi ricordi accuratamente archiviati si siano riversati sul suo volto, il modo in cui Sherlock infila i suoi piedi gelati nello spazio fra le cosce di John, facendolo squittire; il verso che fa Sherlock quando John gli mordicchia quel punto sul collo, proprio dove si trova il suo neo; il modo in cui Sherlock dice “John” quando ─

“John.”

Gli occhi di John si sollevano, incontrando quell’indimenticabile sguardo grigio-azzurro, ed è come guardare dritto nel cielo di Londra. Del chiaro macchiato di nuvole. Ha sempre amato quel colore.

Per un attimo, non fanno nient’altro che fissarsi l’un l’altro.

Ora che John può vedergli il viso, i cambiamenti sono più evidenti. Le grinze intorno agli occhi di Sherlock sembrano un po’ più accentuate, come se Sherlock li avesse tenuti affondati senza tregua nel suo microscopio. La sua sciarpa – quel pezzo di tessuto blu morbido e logoro – gli pende un po’ più liberamente dal collo; ha decisamente perso un po’ di peso. Probabilmente approfittando del fatto di non avere più John attorno, ad assillarlo perché mangi a intervalli regolari.

John sussulta, di riflesso.

Gli occhi di Sherlock diventano illeggibili. Il suo volto, che non è mai stato un libro aperto, si fa cautamente indifferente.

Con sorpresa di John, è Sherlock il primo a interrompere il contatto visivo. Abbassa gli occhi sui propri piedi, ancora lo stesso paio di eleganti mocassini italiani che gli ha regalato Mycroft per lo scorso Natale – ma non se ne va. Rimane lì, a fissare il pavimento come una statua nel corridoio del supermercato. Di tutte le volte in cui John ha desiderato che Sherlock fosse più confacente alle norme sociali, non avrebbe mai pensato che sarebbe capitato così – Sherlock che prova l’imbarazzo del trovarsi faccia a faccia con un ex ragazzo dopo la rottura.

La cosa è talmente inaspettata da paralizzare John sul posto. Esita per un attimo, i pensieri a rimbombargli nella testa, ma a quanto pare a lungo abbastanza perché Sherlock arrivi a una qualche conclusione in quella sua mente geniale e idiota. Sherlock si volta, il cappotto che si solleva attorno a lui in un modo che fa dolere il petto a John, e sta già avanzando a grandi passi verso l’uscita quando John riesce a raggiungerlo.

“Sherlock. Sherlock – aspetta.”

John allunga una mano per afferrarlo per una spalla, ma si ricorda giusto a un pelo di distanza prima che le sue dita lo tocchino: Lui non è tuo, non puoi toccarlo. Non più.

Alza lo sguardo sul viso di Sherlock. Ogni angolo è dolorosamente familiare, e freddamente inscrutabile. Sono proprio accanto all’uscita; la cassiera li sta osservando con interesse da dietro la sua copia della rivista Heat.

“Io – volevo solo dirti.” John si schiarisce la gola, si sforza di farsi uscire le parole di bocca. “È – bello vederti. Ti trovo – a posto. Voglio dire… bene. Ti trovo bene.”

L’angolo della bocca di Sherlock si incurva in maniera impercettibile verso l’alto.

“Volevo solo che tu sapessi che-“ Cristo, perché sto ancora balbettando? “Che – eravamo amici prima di ogni cosa, prima di tutto quanto. E – io lo apprezzerò sempre.” Un respiro profondo. John chiude gli occhi. “Tu eri – il migliore amico che io avessi mai avuto.”

Gli occhi di Sherlock sembrano più azzurri che grigi, quando John trova finalmente il modo di aprire i propri. Anche se la sua espressione non è cambiata, anche se non si è miracolosamente ritrasformato nello Sherlock che conosceva - c’è un accenno di morbidezza, ora, nella linea della sua mascella, della sua bocca.

“Ben articolato come sempre, John.”

Quella profonda voce baritona – sentirla di nuovo è come una scarica di adrenalina. In modo perverso, a John fa venir voglia di ridacchiare. Di prendere un respiro profondo e di respirare.

“C’è posto per un solo genio nel supermercato.”

È incredibilmente facile sorridere a Sherlock. In fondo a tutto quanto – in fondo a tutto lo schifo che hanno attraversato insieme, John non può fare a meno di provare un senso d’affetto. Ha amato questo ragazzo, un tempo; forse – Dio non voglia – lo ama ancora. Tutto quello che sa è che è terrificante quanto lui voglia far sorridere Sherlock di nuovo.

“Bè.” John china la testa, facendo cenno al proprio cestino della spesa, con tre soli prodotti – sedano, fagioli e marmellata di ciliegie. “Non ti trattengo. So quanto tu sia – quanto tu sia impegnato di solito.”

Il silenzio torna a farsi impacciato, e John decide che quando è troppo è troppo. “Ti – lascio fare, allora.”

Si costringe ad allontanarsi, avvertendo lo sguardo di Sherlock su di sé ad ogni passo.

Non si guarda indietro.

 

::

 

La volta successiva in cui John vede Sherlock è a malapena una settimana dopo.

Ha trascorso troppo tempo in laboratorio, col suo studio sulla virologia delle cellule molecolari, e adesso è in ritardo di dieci minuti al suo turno alla libreria dell’UCL[3]. Miss Bowen, il capo-bibliotecaria, è terribilmente irascibile; John non può permettersi di inimicarsela, non quando si sente ancora a due passi dal ritrovarsi a vendere il Big Issue[4] o – peggio – a implorare Harry per avere dei soldi. Sta correndo lungo Gower Street, lo zaino a rimbalzargli contro la schiena, quando cadono le prime, grosse gocce di pioggia.

La pioggia sta giusto iniziando a prendere intensità – fantastico, è il rombo di un tuono, quello? - quando John si scontra con una figura alta, snella e familiare. Cadono entrambi sull’asfalto bagnato, le scarpette di John che gli slittano sotto ai piedi.

John sussulta per le abrasioni sulle proprie mani. Grandioso, i suoi jeans sono completamente bagnati; questo era l’ultimo paio pulito. Si alza tremante, appoggiandosi sulle ginocchia con le mani. “Cristo, stai bene – Sherlock?”

“John?”

I capelli di Sherlock sono fradici, appiccicati in ciocche umide sulla sua fronte. Sta proprio piovendo a dirotto. La sua pelle sembra pallida; i suoi occhi affondano in quelli di John. John non riesce a ricordare quand’è stata l’ultima volta in cui ha visto Sherlock tanto sorpreso.

“Sherlock, stai bene?”

Sherlock fa cenno di sì con la testa. John lo aiuta a rimettersi in piedi, il cuore che gli martella nel petto mentre tocca il braccio di Sherlock, tirandolo su. Non riesce proprio a frenare l’impulso di dargli una controllata, notando che le sue braccia sembrano più magre di prima, anche attraverso la lana pesante del suo cappotto. Dà un’inutile spazzolata allo sporco che ha macchiato la camicia bianca di Sherlock, che già si sta facendo trasparente per la pioggia, prima di ricordare.

Cristo.

La sua faccia si arrossa. Ritrae le dita richiudendole sul palmo.

Sherlock lo sta ancora guardando mentre John si volta per raccogliere i libri bagnati che sono caduti sul marciapiede. Ovviamente Sherlock, il grandissimo stronzo, non lo aiuta.

“Bene. Mi – dispiace.” Buon Dio, quando la finirà di essere così imbarazzante? John evita gli occhi di Sherlock mentre si getta di nuovo lo zaino sulle spalle. Cazzo, ora dev’essere in ritardo di almeno venti minuti. “Ehm – passa una buona giornata.”

Passa una buona giornata? John resiste all’impulso di battere la testa contro il marciapiede.

È quasi a cinque metri di distanza, ancora intento a evitare lo sguardo di Sherlock e imponendo al proprio viso di smettere di imitare un pomodoro, quando sente la risposta di Sherlock al di sopra del picchiettio del pioggia.

“Ci si vede in giro, John.”

 

::

 

Dopo quell’episodio, sembra che John veda Sherlock ovunque.

Non è un idiota – chiaramente Sherlock non lo avrebbe sopportato per una settimana, figurarsi per diciotto mesi, se le sue facoltà mentali fossero state pari a zero – ma ancora non riesce a capire per quale ragione Sherlock dovrebbe andarsene in giro a cercarlo, dopo tutto quel che è successo. E comunque non è che si parlino.

Qualunque cosa rimanga, per quanto improbabile, deve essere la verità. Sherlock deve aver smesso di evitarlo deliberatamente, ecco tutto. Sono sopravvissuti allo shock del rivedersi; Sherlock deve aver deciso che astenersi dall’andare nei posti che frequenta John non merita più spazio nel suo hard disk mentale. Non è una conclusione improbabile a cui arrivare – fanno la stessa università, anche se Sherlock sta già facendo il dottorato e John si sta ancora trascinando nel suo terzo anno di Medicina. Il fatto che Sherlock sia di un anno più giovane di John e che abbia già una laurea di primo livello in Chimica intascata a Cambridge prima che lo cacciassero – quello non ha importanza.

John vede Sherlock allo studentato, mentre sfoglia alcuni libri di storia dell’università. Lo sorprende mentre mangiucchia un muffin al Costa di Waterstone’s[5], mentre fissa intensamente – Cristo, sono macchie di sangue quelle? Ma che diavolo? Sherlock che attraversa a grandi passi il cortile interno dell’università, il cappotto che svolazza dietro di lui, le mani in tasca. Sherlock che aspetta l’autobus a Tottenham Court.

Ogni volta che si incrociano, John ne avverte lo shock come se gli trapassassero il petto con una lancia. Anziché sbiadire col tempo, i ricordi sembrano vorticargli tutt’attorno come fumo che esce da un portello, facendosi più vividi ogni volta che lo vede. Sherlock che striscia a letto di primo mattino dopo aver finito uno dei suoi esperimenti, gettando un braccio attorno al petto di John e intrecciando le loro dita sotto alle coperte. Il modo in cui, quando è di cattivo umore, si raggomitola a mo’ di palla sul divano in pelle, avvolto nella sua vestaglia blu preferita, ma solleva comunque il viso per un bacio. Il suono del suo violino – armonioso, bello in modo struggente, suonato con quel lieve arricciarsi delle sue labbra –

Una volta, col cuore che si ferma, gli sembra di vedere Sherlock in una discoteca, proprio prima dell’orario di chiusura, quando la ragazza con cui ha ballato svogliatamente fino a quel momento si arrende e raggiunge di nuovo le sue amiche. John ha appena dato le spalle al bar, tracannando dell’acqua per togliersi il sapore di burro-cacao dalle labbra, quando vede una testa ricciuta e mora che si china verso un’altra. Le bocche che si muovono in sincronia, prese da un bacio appassionato.

Si sente come tramutato in pietra. Stordito. Il sangue che corre alle orecchie.

Non è Sherlock, ovviamente. Salta fuori che è quel tipo idiota di Geografia, che ficca la lingua in gola fino alle tonsille a una qualche ragazza che John ricorda vagamente di aver visto allo studentato. Ma da una certa distanza – Cristo. Cristo santissimo.

John fugge nel vicolo fuori della discoteca, accovacciandosi fra i mozziconi di sigarette gettate a terra, evitando accuratamente di pensare all’inevitabile odore di piscio e tabacco. Si tiene la testa fra le mani, respirando dal naso.

Devo dimenticarlo.

È ingiusto – incredibilmente, maledettamente ingiusto – come quel pensiero lo faccia sentire come se il cuore gli si stesse spezzando, ancora una volta.

 

::

 

 

 

Note alla traduzione:

[1] Con “Grande Pulizia” si intende, nel caso non si capisse bene, quell’operazione che bene o male mettono in atto quasi tutti dopo una rottura, cioè l’eliminare tutti i messaggi/foto/ecc della persona con cui ci si è lasciati dal proprio cellulare. Rilassa i nervi, fidatevi u.u

[2] Tesco è una catena di supermercati molto diffusa e dai prezzi relativamente bassi.

[3] UCL sta per University College London.

[4] Il Big Issue è un giornale di strada edito in otto nazioni, scritto da giornalisti professionisti e venduto da persone senza fissa dimora. Fondato da John Bird e Gordon Roddick nel settembre 1991, è una delle maggiori società cooperative di interesse collettivo nel Regno Unito. La sua ragione d'essere è offrire ai senzatetto l'opportunità di guadagnare un salario legittimo e aiutarli nel contempo a reintegrarli nella società (fonte: Wikipedia).

[5] La Costa Coffee è una società di caffè del Regno Unito, in cui gestisce circa 665 negozi. Waterstone’s è una catena britannica di librerie, con attualmente 200 negozi nel Regno Unito.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Note della traduttrice: Eccoci qua con il secondo capitolo! Prima di tutto un grazie a quanti hanno letto e/o recensito, trovo che questa storia sia infinitamente dolce per cui è bello sapere che viene apprezzata anche da altri ^_^ Questo capitolo, in particolare, a suo tempo è riuscito a ridurmi il cuoricino in brandelli nella parte finale XD (capirete perché), quindi cos’altro posso aggiungere?

Buona lettura, grazie mille e a prestissimo <3

Ellipse  

 

 

CAPITOLO 2

 

 

 

 

 

È Mike a organizzare tutto.

È ironico, in un modo che a John non interessa esaminare in maniera troppo approfondita, perché è stato sempre Mike a fargli notare l'annuncio per gli alloggi per studenti due anni fa. Quello che diceva – Suono il violino quando rifletto. A volte non parlo per giorni interi. Contattatemi a vostro rischio. Non sprecate il mio tempo. L'ultimo “non era stato sottolineato e cerchiato con uno spesso pennarello nero – John aveva inarcato le sopracciglia quando lo aveva visto per la prima volta, a metà fra le risate e un crescente senso d'attrazione.

Non aveva mai smesso di essere sbalordito da Sherlock. Forse parte del problema era stato quello.

John si guarda allo specchio con una smorfia, indossando il suo unico blazer elegante. Tenta persino di acconciarsi meglio i capelli – Bill si fida ciecamente di questo gel. I suoi compagni sono al settimo cielo per il fatto che lui voglia di nuovo uscire con qualcuno; Sarah ha persino cercato di portarlo a fare compere, anche se lui ha puntato i piedi di fronte a qualunque cosa che avrebbe intaccato i suoi risparmi. Ora è in attivo, finalmente, e punta a restarci.

Mary è adorabile. John è stupito dal fatto che non sia già stata accalappiata da un qualche tipo intraprendente. Il viso le brilla al lume di candela del tranquillo ristorante vietnamita che ha scelto lei stessa, gli occhi le si increspano di malizia mentre racconta qualche barzelletta spinta con una voce impassibile che fa piegare John dalle risate. La sua mano è minuta in quella di John mentre passeggiano per Chinatown e Soho, ammirando le lanterne rosse, come grandi semi di melograno, di cui è disseminata Gerrard Street, luminose contro il cielo notturno. È una novità curiosa il girare la testa verso qualcuno che ti cammina accanto anziché continuare a guardar dritto. Qualcosa nel petto di John gli provoca una fitta a quel pensiero.

La accompagna fino al suo appartamento universitario, proprio dietro a Russel Square. Ha la sensazione di poter ottenere un bacio, se volesse, ma si sente inspiegabilmente esitante. Le dà un bacio leggero da galantuomo sulla guancia, invece, sorridendo e promettendo di mandarle un messaggio. Il profumo di Mary è un soffio tiepido di un qualcosa di dolce e floreale, come di tuberosa e di spezie, quando lei lo avvolge in un abbraccio, sussurrandogli una battutina osé all'orecchio.

Lui arrossisce, e si impone di rimanere fermo e di aspettare la chiave di Mary che gira per chiudere la porta e il rumore del lucchetto prima di incamminarsi di nuovo, un piede dopo l'altro.

I suoi passi sono senza meta. John non riflette con troppa attenzione sul dove stia andando. Respira gli odori di Londra di notte, i fumi del traffico, il take away e quella fragranza dolce-salata, come di giunchiglie fresche, marcio e acqua di fiume, e cerca di guardare la città con occhi nuovi; cerca di non vedere il fantasma di Sherlock nascosto in ogni angolo, coi suoi vivaci occhi argentei, mentre corre qua e là, preso da uno dei suoi esperimenti, abbagliante come una cometa, con John incapace di far altro che non sia seguire la sua scia. La città di SherlockeJohn – le sue strade, il suo battito, che a Sherlock è familiare come i ritmi del proprio corpo, il sangue di Londra a pulsargli nelle vene.

Non è sorpreso, davvero, quando si ritrova a Baker Street. C'è qualcosa di ovattato nella notte – è solo l'una passata, sta camminando in tondo da ore – e John si sente improvvisamente e incredibilmente stanco. Gli sembra di sentire le note di un violino che si affievoliscono.

John chiude gli occhi, appoggiandosi alla vetrina scura dello Speedy's Cafè.

È passato quasi un anno.

Non dovrebbe sentirsi ancora così.

John non vuole far altro che scivolare per terra e seppellirsi la testa fra le braccia. Vuole serrare gli occhi fino a che quel maledetto dolore nel suo petto non si placherà. Cristo.

La porta del 221B si apre con un cigolio, e John sussulta. Alza lo sguardo, dritto sulla faccia di Sherlock. La luce di un lampione lì vicino colpisce per obliquo gli zigomi di Sherlock, mettendoli in netto risalto.

Per un attimo, John si chiede se non stia sognando. Sherlock indossa la sua vestaglia blu e i pantaloni del pigiama. Quella vista è così familiare che John si ritrae, il corpo che istintivamente si prepara a parare un colpo. Sherlock è a torso nudo; i suoi capezzoli – quelle innocue punte scure – si stanno già indurendo per l’aria fredda di Londra.

John balbetta qualcosa. È piuttosto certo che le orecchie gli siano arrossite, prima di distogliere lo sguardo dal petto di Sherlock.

“John?”

“Dio. Merda, cazzo, cazzo.” John si affretta a raddrizzarsi. “Scusa. Mi dispiace, Sherlock.”

Sherlcok inclina la testa. I suoi occhi stanno valutando, spogliando John fino alle ossa in un unico, freddo sguardo – su, poi giù. John si sente completamente e assolutamente distrutto.

“Mi dispiace. Non dovrei essere qui. Non so cosa io stessi pensando. Ho solo iniziato a camminare…Io…” Cristo, perché non riesco a smettere di parlare? “Me ne vado e basta.”

John resta a bocca aperta quando, invece di sbattergli la porta in faccia, Sherlock gli si avvicina di un passo. È scalzo, il gigantesco idiota. Scalzo e sul punto di mettere piede su un marciapiede di Londra – probabilmente la superficie meno igienica al mondo.

“Sherlock – fermo. Che stai facendo? Solo – fermati lì, va bene?”

Senza pensare, John fa un passo avanti per posare una mano sul petto di Sherlock, impedendogli di varcare la soglia. In un attimo sono pelle contro pelle, dentro l’ambiente sicuro di Baker Street per la prima volta da – da quel giorno. John rimane ammutolito. Sherlock sembra congelato sul posto, mentre fissa la mano dell’altro. John riesce a sentire il battito del suo cuore.

Oh Cristo santo.

John ritrae bruscamente la mano. Resiste all’impulso di strapparsi i capelli con le mani.

È ufficiale. Sto legittimamente impazzendo.

La bocca di Sherlock si arriccia in maniera curiosa verso l’alto. Sono ancora fin troppo vicini l’uno all’altro – vicini abbastanza perché John possa vedere le ombre gettate dalle ciglia di Sherlock.

“Ti andrebbe di salire?”

John non riesce a costringersi a dire di no.

::

Baker Street sembra quasi esattamente la stessa.

È ancora un pandemonio, certo. L’amato set di chimica di Sherlock è ancora sparso su tutto il tavolo della cucina. La carta da parati è orribile. Anche il teschio di Sherlock è nello stesso punto di prima sul caminetto, girato così da essere rivolto in maniera disinvolta verso la poltrona di Sherlock. John si chiede se Sherlock abbia mai ripreso a parlare col teschio ora che lui se n’è andato; si chiede se Sherlock consideri il teschio un miglioramento.

John deve impedirsi fisicamente di dirigersi in cucina per mettere a bollire l’acqua per il thè – l’abitudine è radicata in lui in modo così profondo.

Invece, indugia con fare incerto sulla porta. Essere salito di sopra comincia a sembrare una decisione sempre meno buona.

Sherlock lo sta ancora guardando, catalogando ogni suo tic e movimento facciale. È come ritrovarsi al sole dopo un interminabile e deprimente tempaccio – come se ogni parte della vita quotidiana di John, della monotonia, stesse venendo bruciata dall’intensità dello sguardo di Sherlock.

John interrompe il loro contatto visivo, osservando il resto dell’appartamento.

Si era aspettato – non lo sa. Più cambiamenti, forse? Decisamente più cose di Irene lì attorno – anche se la maggior parte delle sue cose probabilmente sarà ancora a Cambridge. Non aveva pensato che lei potesse sopportare il disordine di Sherlock, però. Aveva pensato che Irene avrebbe puntato i piedi e che non avrebbe permesso a Sherlock di scavalcarla, come aveva fatto John.

John chiude gli occhi.

Sherlock si è spostato davanti alla finestra. C’è un’energia curiosa nei suoi movimenti, quasi come se fosse nervoso.

“Com’è andato il tuo appuntamento?”

Gli occhi di John tornano di scatto su quelli di Sherlock.

“Il mio appuntamento?”

“Sei uscito, ovviamente.” Sherlock agita una mano. “Ti sei acconciato i capelli. Il taglio più lungo ti dona, ti addolcisce la mandibola. Ti sei comprato delle scarpe nuove – non un paio costoso, ma più eleganti delle tue solite scarpe da ginnastica. Non puoi averle scelte da solo – devi essere stato aiutato. Probabilmente da quel gruppetto confusionario di studenti di medicina che tu chiami amici. Indossi il tuo blazer preferito, quello che hai messo per il nostro primo anniversario, quando mi hai portato a vedere l’Orchestra filarmonica reale ad Albert Hall. Acconciatura nuova, scarpe nuove, abbigliamento più elegante del solito – sei stato a un appuntamento.”

John si sente senza fiato, come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno allo stomaco.

“Io – è –“ John si schiarisce la gola, la voce del tutto roca. “L’appuntamento è andato – bene. Lei era molto carina.”

Sul volto di Sherlock scorre qualcosa di strano; i suoi occhi passano da un azzurro chiaro a una sfumatura più scura, come un’ombra che passa sott’acqua. John non è mai stato veramente in grado di leggerlo.

John fa un passo verso la propria vecchia poltrona. Qualcosa di caldo gli freme nel petto quando nota che Sherlock ha tenuto il suo cuscino della Union Jack – un acquisto fatto di getto quando hanno fatto una gita di un giorno a Brighton durante la scorsa Pasqua. Sherlock aveva voluto studiare le differenze tra il fango di Londra e del Sussex, e John aveva voluto pranzare con fish and chips sulla spiaggia. Era stata una splendida giornata che si era conclusa con un bel po’ di sbaciucchiamenti in riva al mare e molti meno campioni di fango di quanti Sherlock avesse pianificato.

“E – tu?” John costringe le parole a uscirgli di bocca. “Come sta – Irene? Quest’anno finirà a Cambridge, non è vero?”

“Irene?” Sherlock dà del tutto le spalle alla finestra, voltandosi verso John. “Io – presumo stia bene. Perché lo chiedi?”

John cerca di sorridere. Immagina che sia un sorriso stentato quanto gli sembra che sia. “È – educato, no? Io-“ John prende un profondo respiro. “Mi farebbe piacere sapere che stai bene. Che – entrambi voi state bene.”

C’è un solco fra le sopracciglia di Sherlock. Quel gran cervellone probabilmente sta venendo messo in moto a calci. Sono dati nuovi, questi – come fare conversazione col tuo ex.

“Stiamo entrambi – bene.” Le parole sembrano stranamente incerte, provenienti dalla bocca di Sherlock.

“Grandioso. Magnifico. Stellare.” Oh mio Dio. John si sforza di stare zitto. Ignora la sensazione di vuoto che sembra allargarsi nel suo petto.

Cristo, cosa ci faccio qui.

“Sherlock, penso–”

“John, cosa–”

Entrambi si interrompono balbettando, guardandosi l’un l’altro. John si sente di nuovo senza respiro, vedendo Sherlock bagnato dal bagliore dei lampioni che filtra dalle finestre. Sherlock, a Baker Street. In un qualche modo, la realtà supera di gran lunga i suoi ricordi – si era dimenticato la sfumatura precisa della pelle di Sherlock, quel color panna vellutato e tangibile sull’esilità del suo torso. La straordinaria bellezza del suo profilo – la linea del suo collo che si incurva verso la mandibola; l’arco sensuale, vulnerabile della sua bocca; la sporgenza di quei maledetti zigomi.

“Farei meglio ad andare.”

Sherlock non dice una parola. Nei suoi occhi è spuntata una nuova luce – qualcosa di curiosamente vivace. È come se avesse appena condotto un esperimento lungo e complesso, e potesse adesso studiarne i risultati, ripercorrendo ogni anello della catena di causa-effetto in una sequenza perfetta.

“È – è stato bello vederti.” John si costringe a voltarsi, ad allontanarsi da lui. È più difficile di quanto si aspettasse. È come se qualcosa – un qualche uncino – si fosse aggrappato ai resti del suo cuore e adesso a ogni passo per allontanarsi gli stesse scavando uno strappo ancora più profondo nel petto.

Riesce quasi ad arrivare alla porta quando lo sente.

“John.”

Nel corso dei loro diciotto mesi insieme, John ha sentito Sherlock dire il suo nome in innumerevoli modi. C’è il blando, quasi sprezzante Passami il telefono, John. L’irritato e incupito Noia! Mi annoio, John. Fa’ qualcosa di interessante. Il carezzevole e dolcemente esigente Dov’è la mia tazza di thè, John?, simile ma non esattamente identico al John detto a voce bassa che Sherlock usa quando si sente affettuoso, per chiedere attenzioni, cercando un bacio – quello è più calmo, più basso, e fa venire voglia a John di avvolgergli il volto con le mani e di baciarlo fino allo sfinimento.

Questo è diverso.

Gli fa pensare a quelle tarde notti e mattine presto a letto, il John che Sherlock usa quando John si spinge dentro di lui, insinuandosi nella sua apertura. Quando sono così vicini da essere inseparabili, un’unica entità che respira e ondeggia insieme, quando John si sente così immerso in Sherlock – felice in maniera tanto trascendentale – che potrebbe piangere. Quando Sherlock inarca la schiena, perdendo ogni singolo pensiero in quel suo super cervello e John è l’unica parola che ricorda.

Il passo di John vacilla.

Sherlock gli si avvicina, la vestaglia blu che sferza nell’aria dietro di lui. Prima che John abbia tempo di prendere un altro respiro, Sherlock lo sta baciando.

::

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Note della traduttrice: Eccoci qua! Capitolo breve ma fondamentale ai fini della storia, come leggerete fra poco :D si tratta di un flashback volto a spiegare esattamente cos’è successo fra Sherlock e John, dopodiché non rimarrà che un ultimo capitolo per il gran finale.

Grazie davvero a quanti hanno letto e/o commentato fin qui, spero che non vogliate troppo picchiare Sherlock una volta arrivati a fine pagine XD

Un abbraccio e alla settimana prossima con l’ultimo capitolo!

 

Ellipse <3

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

 

 

Quello di cui John si ricorda di più è la pioggia.

 

Spesse, incessanti sferzate di pioggia, che si trasformano in grandi lacrime mentre scivolano contro le finestre del 221, e il rombo di un tuono che scuote i paralumi. Di notte, la pioggia diviene un sussurro, filtrando tra le ombre della loro camera da letto – può essere ancora chiamata la loro camera se Sherlock non c'è? - un gentile accompagnamento per il rigirarsi inquieto di John, la testa sul cuscino di Sherlock, non abituato al silenzio di Baker Street senza Sherlock lì dentro.

 

Come la maggior parte delle cose con Sherlock, era iniziata con un messaggio.

 

Sono a Cambridge a trovare un'amica. Ci resterò per un mese. Somministra 20 ml di iodio alle dita in congelatore ogni 4 giorni. - SH

 

Aveva pensato che fosse uno scherzo, all'inizio. Sherlock – via per un mese? A trovare un'amica? Nel corso della loro relazione, aveva sentito Sherlock menzionare Cambridge solo due volte – una volta per ricordarne i laboratori meglio attrezzati, e un'altra quando aveva accennato, in modo molto contorto, al fatto che gli sarebbe piaciuto portare John in barca sul Cam[1]. Per la scienza, naturalmente. Per valutare la distribuzione ideale del peso di due persone e i tempi di percorrenza fra i tratti in cui si naviga più facilmente dove il fiume è meno profondo...smettila di sorridermi, John. Smettila. Smetti- mi fai il solletico! John!

 

Sherlock non aveva mai menzionato alcun amico. John non aveva pensato che ne avesse avuti – cosa per cui si era rimproverato subito e con vergogna.

 

Sherlock non scopre mai le proprie carte – John lo sa, e lo ama per questo. Non hanno bisogno di dirsi delle parole per dimostrare cosa sono l'uno per l'altro. Solo perché stanno insieme da più di un anno non significa che John abbia bisogno di conoscere ogni aspetto della vita di Sherlock. Sherlock è brillante in modo eccezionale e stupefacente, dotato di una genialità che un po' abbatte John ogni volta che ci riflette troppo – è così sorprendente che anche qualcun altro a Cambridge lo apprezzi?

 

Dopo una settimana, la regolarità dei messaggi di Sherlock diminuisce. Messaggi ridicoli, come cifrati, che danno indizi a John sull'incognita che sono i giorni di Sherlock - “Ogni travestimento è un autoritratto, John” … “Ho appena cercato 'La frusta'[2] su Google. Un affascinante spaccato sulla depravazione umana” - pian piano si riducono a otto al giorno, a quattro, a due... a uno solo un giorno sì e uno no.

 

John cerca di non prendersela a male. Sherlock si distrae con facilità. Sembra preso da un qualche sperimento con la sua amica – o amici? Più di uno, forse? - e John è abbastanza sicuro del suo rapporto con lui per non invidiare il fatto che Sherlock si stia divertendo. Sembra interessato, impegnato. La cosa fa sorridere John, accoccolato nella penombra della loro camera da letto, mentre pensa alla familiare faccia da Sono nel bel mezzo di un esperimento, va' via, John di Sherlock, ascoltando il lieve picchiettio della pioggia alla tenue luce dell'alba.

 

Poi – un giorno, John riceve un messaggio da un numero sconosciuto.

 

Allora. Tu sei John.

 

Chi sei? JW

 

Il 'ragazzo' di Sherlock. Che cosa adorabile.

 

John stringe le dita a pugno. Attorno a sé, può sentire i familiari rumori dell'atrio che si svuota, ma si sente come gelato sul posto.

 

Sei tu la persona che Sherlock è andato a trovare a Cambridge? JW

 

A trovare. È così che si dice a giorno d'oggi?

 

John sa di avere un caratteraccio. Come il perclorato di sodio, il suo temperamento irascibile divampa all'improvviso, in maniera esplosiva – una conflagrazione che muore rapidamente, lasciandolo di solito con una lieve nausea. Gli fa venire in mente suo padre.

 

Chi sei? JW

 

Tornando al menù dei messaggi, John scrive un nuovo sms.

 

Sherlock, stai bene? Scrivimi quando ricevi questo messaggio.

 

Il suo telefono vibra. John guarda il numero sconosciuto sullo schermo, lo stomaco che gli si attorciglia.

 

Scommetto che il tuo 'ragazzo' scopa in maniera incredibile. Non riesco a farlo stare zitto.

 

John, in maniera confusa, si accorge che Mike gli sta dicendo qualcosa – devono andare alla prossima lezione, il professor Kwan è piuttosto severo per quanto riguarda i ritardi – ma ogni cosa sembra svanire di fronte al battito incessante del suo cuore.

 

Ha una costrizione al petto. Per un assurdo momento, John si chiede se nella stanza si sia materializzato un elefante che si  sia seduto su di lui.

 

Il suo cellulare vibra di nuovo. È Sherlock.

 

Smettila di seccarmi, John. Sono occupato. - SH

 

All'improvviso John sente di non riuscire a respirare.

 

 

::

 

 

Cambridge è più verde di quanto John si aspetti. La città è immersa nella luce rossastra del tramonto, coi grandi prati e i cortili attraversati dalle ombre allungate di olmi secolari e di ciliegi.

 

John non riesce a ricordare una singola cosa del viaggio in treno da Londra. Non riesce neppure a ricordare cos'ha detto a Mike e Billy – qualcosa su Sherlock, e Ho bisogno di vederlo, probabilmente. Si chiede che aspetto debba aver avuto – Sarah continuava a chiedergli se si sentiva bene.

 

I suoi due messaggi successivi a Sherlock sono stati privi di risposta.

 

Sa dove alloggia Sherlock – Sherlock si è fatto inviare un pacco che è arrivato a Baker Street la settimana scorsa. L'indirizzo lo porta a uno dei college lungo il fiume. John ferma alcuni studenti, chiedendo la direzione per Cripps Court.

 

Non riesce ad arrivarvci – qualcosa, un qualche istinto interiore, gli fa alzare lo sguardo dalla sua conversazione con un nervoso studente del primo anno, e intravede una mano grande e dall'ossatura sottile, avvolta intorno alla guancia di qualcun altro. Una testa ricciuta dolorosamente familiare, fronte a fronte con qualcuno dai capelli altrettanto scuri, in un angolo di un cortile illuminato dagli ultimi raggi del tramonto.

 

John serra gli occhi.

 

Per un attimo, il mondo rimane lo stesso – è ancora un mondo che conosce.

 

Quando riapre gli occhi, Sherlock – il suo Sherlock – è abbracciato a una ragazza, il corpo intrecciato al suo, e stanno ridendo, le teste piegate l'una verso l'altra. John non ha mai sentito Sherlock fare quel particolare tipo di risata – è bassa, seducente, quasi predatoria; l'equivalente uditivo della mano di Sherlock, che sta giocando con il bordo della gonna della ragazza, accarezzandole la coscia con piccoli movimenti circolari.

 

“Sherlock.” La parola gli esce di bocca, quasi senza suono. In un qualche modo, è a meno di cinque metri di distanza, vicino quanto basta per vedere dei riflessi ramati sulle ciocche della nuca di Sherlock.

 

Sherlock non lo sente, ma la ragazza sì. I suoi occhi blu si spalancano quando vede John. Le sue braccia, avvolte mollemente attorno al collo di Sherlock, si abbassano.

 

Sherlock si volta, le sopracciglia leggermente aggrottate, e poi – in una frazione di secondo che spezza il cuore a John – il suo volto si illumina di gioia. “John!”

 

C'è un lieve alone di rosso intorno alla bocca di Sherlock, dell'esatto colore del rossetto della ragazza.

 

“Perché te ne sei andato da Londra? Cosa ci fai qui?” È la prima volta da un mese che John sente quella voce, e chiude le mani a pugno per contrastare l'impulso di crollare in ginocchio. “Chi – chi è questa?”

 

“Oh! Irene. Abbiamo lavorato insieme per il mio ultimo progetto prima che io me ne andassi.” La felicità svanisce, poco a poco, dal volto di Sherlock. Dopo un attimo di silenzio, Sherlock si morde il labbro inferiore, uno dei suoi segnali di nervosismo. “È piuttosto brava in chimica.”

 

John sente il proprio viso torcersi in un sorriso. “Ci scommetto.”

 

“John -” Sherlock sgrana gli occhi, dalle iridi di un chiaro e incredibile blu-verde. “Perché sembri-”

 

John lo interrompe. “E cosa ci fai con lei, qui a Cambridge? A cosa ti serve...” John respira, la voce che si fa più fievole, più bassa “un intero mese?”

 

Irene fa un passo avanti. Con l'angolo dell'occhio, John la vede aprire bocca, e sbatte un pugno contro il muro di mattoni.

 

“STA' ZITTA.”

 

La folla attorno a loro ha smesso di parlare – piccoli gruppi di persone, che stringono le loro cartelle coi libri, paralizzate dallo stupore. Si sta facendo buio; John riesce a sentire il vento che si alza.

 

“John-” La voce di Sherlock si è ridotta a un sussurro. “Ti sanguina la mano.”

 

“Dimmi, Sherlock.” John quasi non riesce a sopportare di guardarlo, di guardare il panico che fiorisce sul volto di Sherlock. Batte le palpebre, ingoiando il groppo che ha in gola. “Avanti.”

 

“È solo un esperimento, John.” La bocca di Sherlock trema, incerta, prima di distendersi in uno di quei suoi sorrisi automatici; il lieve, incontenibile arricciarsi di labbra che usa quando vuole convincere John a prendere parte a un qualche piano avventato e cervellotico. Non essere noioso, John.

 

John non riesce a farne a meno – ride.

 

“È tutto un esperimento per te, non è vero? Maledetto robot.”

 

“John, per favore-” Sherlock fa un passo verso di lui, solleva una mano come per toccarlo, e John non può sopportarlo. Non può sopportare tutto questo. C'è una furia che sta montando dentro di lui, una furia che si riverserà su Sherlock se John lo tocca, e John non riesce a sopportarne il pensiero. Gira su se stesso, evitando del tutto Sherlock, e schianta il pugno contro il muro. Sente un suono scricchiolante, qualcosa che d'istinto riconosce come non buono, per niente buono. Sbatte le nocche contro il muro – ancora, e ancora.

 

“Solo – vattene.” John non riconosce la propria voce. È irregolare, interrotta da respiri ansanti, come singhiozzi. “Vattene, Sherlock.”

 

L'ultima cosa che ricorda di quel giorno è il volto di Sherlock, e l'espressione di incredulità sconvolta, perplessa e angosciata su di esso, come un cuore completamente spaccato.

 

 

 

::

 

 

 

Note della traduttrice:

 

[1] Il Cam è il fiume che collega Cambridge con il Mare del Nord.

[2] Fate la prova e cercate anche voi La frusta, o meglio, The whip hand su Google. A me sono usciti millemila risultati oltre al cortometraggio di MacMackin XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Note della traduttrice: Si è fatto un po’ attendere causa altre traduzioni, ma alla fine eccoci al capitolo conclusivo della storia. Grazie per l’attesa paziente, per le splendide recensioni e per aver seguito questo racconto. Pur non avendo una trama avventurosa o complicata l’ho sempre apprezzato per come tratta i sentimenti di John, e devo dire che l’autrice in questo ultimo capitolo non delude ^_^ spero che possa coinvolgervi come ha fatto con me, ma nel frattempo buona lettura <3 se notate errori o avete suggerimenti sulla traduzione, non esitate a farmi sapere!

 

Grazie di nuovo e alla prossima traduzione!

 

Ellipse

 

 

 

 

CAPITOLO 4

 

 

Sherlock ha lo stesso sapore che John ricorda – di fumo, e di qualcosa di dolorosamente, vagamente dolce. C’è una punta acre in fondo, come del gusto amaro del catrame e del 70% di cioccolata fondente che Sherlock ama mangiucchiarsi nel bel mezzo della notte.

 

John sente qualcosa pizzicargli dietro alle palpebre.

 

Sherlock gli toglie il blazer, i palmi delle mani che salgono ad avvolgergli il viso, i pollici che accarezzano una, due volte la superficie delle guance di John. La schiena di John sbatte contro il muro – riesce a sentire i ghirigori in rilievo della loro carta da parati anche attraverso la camicia e il maglione mentre Sherlock si preme contro di lui, la bocca che si muove contro quella di John con una familiarità devastante.

 

John si sente come se stesse annegando. Solleva le mani e le affonda nei capelli di Sherlock, le dita che si intrecciano nella morbidezza dei suoi riccioli. Quella sensazione – la travolgente vertigine dell’avere di nuovo Sherlock così vicino – lo fa gemere, un suono profondo soffocato contro la bocca di Sherlock mentre prende quel ridicolo labbro inferiore fra i denti, succhiandolo al ritmo sordo del proprio battito. È tenero e morbido come ricorda, e John ci fa scivolare sopra la lingua, sfiorandolo, accarezzandolo e mordicchiandolo fino a che Sherlock non geme, lasciandosi andare con tutto il proprio peso contro John come se le ginocchia non lo reggessero più. John avverte un’ondata di calore risalirgli dall’addome quando Sherlock si preme contro di lui, insinuando una coscia fra quelle di John, mentre ansimano l’uno contro l’altro, respiri spezzati e intervallati da lingue, morsi, strofinii, quasi strappando la carta da parati mentre vi si spingono contro per la forza del loro bacio.

 

Gesù Cristo Santissimo.

 

“Fermo.”

 

John si scansa, usando la propria presa sulla testa di Sherlock per tenerlo immobile. Ha la bocca inumidita; non riesce a prendere abbastanza aria. Sente Sherlock piegare la testa, strofinare la fronte contro la sua guancia. “Sherlock – fermo.

 

Gli occhi di Sherlock – pupille dilatate circondate da quell’indimenticabile verde-azzurro, stupendo e misterioso come il lato nascosto della luna – fanno sobbalzare il cuore di John.

 

“Le persone…” John deglutisce per mandar giù il nodo che ha in gola, il sapore di Sherlock sulla propria lingua “Le persone sono fragili, Sherlock. Devi stare attento con loro, con i loro sentimenti.” Fa scivolare una mano lungo la nuca di Sherlock, avvolgendo la curva lunga e sinuosa del suo collo. “Non puoi fare questo ad Irene.”

 

Sherlock chiude gli occhi. “John-

 

“No. Lasciamelo dire – solo una volta, Sherlock.” La seta della vestaglia di Sherlock si spiegazza fra le sue dita mentre John sospira, un lungo respiro vacillante che si dissolve in un qualcosa che assomiglia a una risata. “Io- in un qualche modo l’ho sempre saputo, in fondo, sai? Che un giorno avresti deciso che ne avevi abbastanza. Voglio dire-” John deglutisce di nuovo, scostandosi dal muro, la testa che segue la curva del profilo dell’altro fino a che non sta premendo ogni parola contro la gola di Sherlock, dove c’è il suo battito, rapidissimo. “Sono assolutamente ordinario. Perché qualcuno – qualcuno di brillante come te dovrebbe stare con John Watson? È – è semplicemente assurdo.”

 

Con gentilezza, John preme un bacio a labbra chiuse sulla fossetta della clavicola di Sherlock. “Io ti amavo – così tanto. Stavamo benissimo insieme. Io non-” si schiarisce la voce, passando un pollice sulla guancia di Sherlock. “Non ti incolpo.”

 

“John” La voce di Sherlock è roca, come se gli fosse stata strappata a forza dalla gola. “John, sta’ zitto.”

 

“Dico davve-”

 

No.” Le unghie di Sherlock affondano nei bicipiti di John. Si aggrappa a lui come se si stesse reggendo a una corda di salvataggio. “Ti sbagli – ti… sbagli in maniera imperdonabile. Come puoi anche solo pensare – io non sto con Irene. Non ci sono mai stato.”

 

John scuote la testa. “Non c’è bisogno che tu-”

 

“Ascoltami, John.” Sherlock scivola a terra, fino a trovarsi in ginocchio. Afferra i fianchi di John, seppellendo il viso nella sua pancia. “Ti prego, ti prego, John. Ti prego ascoltami.”

 

I respiri di Sherlock – caldi, umidi sbuffi d’aria intermittenti – increspano la superficie del maglione di John con la loro forza.

 

“Irene… la sua è una famiglia di proprietari terrieri. Sono tipi tradizionalisti; conservatori. Lei non otterrà la sua parte di soldi fino al suo prossimo compleanno. Suo padre fino ad allora può ancora cambiare i termini di quel che le spetta, e lei non può fare un solo passo falso.”

 

Sherlock deglutisce; John riesce a sentire la sua gola fare su e giù mentre le sue dita rafforzano la presa, stringendosi con foga al maglione di John. “Il padre di Irene… lui non approverebbe mai se sapesse che lei è lesbica. Irene ha dovuto essere molto cauta, nelle sue relazioni. Lei – lei mi invidiava, per il fatto che io potessi…” La sua voce si spezza “Che io potessi stare con te… e che la mia famiglia – i miei genitori, e anche Mycroft – non avessero nulla da ridire a riguardo. La sua famiglia non voleva capire che lei era diversa.”

 

John si abbassa lentamente, facendo scivolare il proprio corpo nello stretto cerchio delle braccia di Sherlock, fino a che non si trova di nuovo alla sua stessa altezza. John lo accarezza sotto le guance, non osando battere le ciglia mentre gli occhi cerchiati di rosso di Sherlock affondano nei suoi.

 

“Irene diceva che suo padre era diventato sospettoso. La sua ragazza – Kate – non erano state abbastanza attente. C’erano delle voci… gli amici dei suoi genitori hanno dei figli lì a Cambridge – è un’enorme discarica di pettegolezzi. Irene aveva bisogno di qualcosa di credibile per negarle. Lei sa – sa cosa mi piace. Sfide, esperimenti. Mi ha detto che avremmo potuto fingere di essere una coppia in pubblico; che poteva essere un nuovo esperimento, uno per verificare se le persone mi avrebbero creduto il suo ragazzo, per un mese. Abbastanza perché le voci su lei e Kate non circolassero più.”

 

“Lei ha detto-” John china la testa, facendo scontrare le loro fronti, ansando le parole successive nella bocca di Sherlock. “Ha insinuato… di star venendo a letto con te.”

 

Sherlock fa un verso debole, spezzato.

 

“A lei – piace fare dei giochetti. Ha un crudele senso dell’umorismo. A parte te, le persone a cui piaccio ce lo hanno spesso. Mi stava stuzzicando. Io non riuscivo-” Sherlock chiude gli occhi. “Non riuscivo a smetterla di parlare di te.”

 

“Oh, Dio, Sherlock.”

 

John non può farne a meno – lo bacia agli angoli delle palpebre, portando via coi baci le tracce umide che si sono raccolte sulle ciglia dell'altro in piccole gocce disperate che migrano lentamente lungo la meravigliosa topografia del volto di Sherlock.

 

“Perché non me l’hai detto? Perché- perché non mi dici mai queste cose…?”

 

Sherlock seppellisce il volto contro la guancia di John. “Ti prego, John.” Le loro gambe sono intrecciate in maniera inestricabile, e John smania per avvicinarsi di più, per respirare ogni particella di Sherlock. “Ti prego, perdonami… per tutto il dolore che ti ho causato.”

 

John sussurra le proprie parole fra i capelli di Sherlock. “Ti sei comportato… da grande stronzo, lo sai.” Gli punteggia la fronte di baci, dando piccoli colpetti alla punta del suo naso.

 

“Ho bisogno di te. Sono – perso senza di te.” Sherlock afferra le spalle di John, le lunghe dita che si rifiutano di lasciarlo andare. “Ho persino cominciato a seguirti. Ti ho seguito ovunque. Tu non hai mai osservato. Non riuscivo – non riuscivo a capire se tu fossi ancora arrabbiato con me. Fino a quella notte al Tesco.”

 

John ride, i respiri che si scontrano con la linea aguzza della mascella di Sherlock, facendolo rabbrividire.

 

“Mi sono chiesto cosa tu stessi facendo in un Tesco a Camden, quando vivi a Baker Street.”

 

John lascia dei lenti baci lungo il collo di Sherlock, leccando la sporgenza gloriosa della sua clavicola, scendendo lungo il suo petto per far scorrere con forza e giocosità la lingua contro i capezzoli di Sherlock che si stanno indurendo. Sherlock geme, gettando la testa all’indietro in un arco istintivo e voluttuoso, lasciando che le proprie gambe si aprano così che John possa sistemarsi più comodamente fra le sue ginocchia sollevate.

 

“Sei la persona più… straordinaria che io abbia ma conosciuto” ansima John, gli occhi fissi in quelli di Sherlock, che sono diventati di un azzurro puro e limpido “Ma se lo faremo, se staremo insieme” John pizzica i capezzoli di Sherlock con le dita, facendoli arrossare rispetto al loro rosa scuro, lambendone prima uno con la lingua, poi anche l’altro, fino a che Sherlock non lancia un gemito – un lungo singulto senza fiato, con le mani che corrono senza tregua fra i corti capelli di John “Dovrai promettermi una cosa. Non puoi andartene in giro a baciare altre persone, Sherlock. Non ci sto. Mi fa-” John si trascina su per il corpo di Sherlock, facendo scivolare la lingua nella sua bocca “Assolutamente… completamente… impazzire”

 

John.”

 

John non si stancherà mai di sentire Sherlock pronunciare il suo nome.

 

“Promettimelo, genio. Promettilo, e ti perdonerò.”

 

John tira Sherlock più a sé, fino a che i loro petti non sono a un soffio l’uno dall’altro. Sherlock strattona con impazienza l’orlo del maglione di John, con le pupille dilatate, la bocca inturgidita dai baci. Ha un aspetto – devastante. È irrevocabilmente, inesorabilmente di John, illuminato da dietro dal fuoco del camino, con la pelle chiara arrossata e luccicante – come il desiderio più bello e profondo del cuore di John, steso lì per lui, al riparo nelle stanze sicure di Baker Street.

 

La bocca di Sherlock si solleva in un angolo, arricciandosi in un piccolo sorriso terribilmente familiare – quello che solo a John è concesso vedere.

 

“Lo prometto… se tu mi prometti di essere di nuovo il mio John Watson.”

 

John ride, una risata che gli risale dal centro del petto e che si dissolve in risatine incontrollate, e mordicchia il suo punto preferito – l’oltraggioso arco del labbro superiore di Sherlock – fino a che Sherlock non sta ansimando.

“Sei un idiota.”

 

Gli occhi di Sherlock stanno brillando.

 

“Sono sempre stato il tuo John Watson.”

 

 

::

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2638914