Tutta Colpa di Cenerentola

di Eleanor S MacNeil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 ***
Capitolo 12: *** Cap.11 ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




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Prologo







«È sempre così, ogni volta che troviamo un uomo iniziamo a farci strani filmini mentali. Pensiamo: ci siamo, finalmente abbiamo per le mani il Principe Azzurro. Poi, come nelle peggiori barzellette, finiamo col sedere a terra e una bruciante delusione amorosa. Non è colpa nostra, non siamo noi, è tutta colpa di Cenerentola.»

New Orleans accoglieva il pomeriggio con messaggi simili. Le donne ascoltavano la radio dalle quindici alle sedici di ogni pomeriggio solo per sentire Charlotte Ray Sinclair disquisire sulle relazioni sentimentali e demolire l'immaginario collettivo di amore romantico e da favola. Era cinica, schietta, non risparmiava nessuno, tanto meno gli ascoltatori polemici. Aveva sempre una risposta pronta e mai nessuno che fosse riuscito a farla stare zitta.

«Siamo state cresciute nell'assoluta convinzione che il Principe Azzurro esiste, che prima o poi lui arriverà galoppante sul suo cavallo bianco e ci porterà nel suo regno. Adesso che ci penso, esiste una moderna Cenerentola: quel gran culo di Kate Middlenton, lei sì che ha avuto fortuna. Un bel giorno la figlia di borghesi ha iniziato la scuola e si è trovata come compagno di studi lui: il principe William.»

E continuava Charlotte, parlando di come le favole non fossero realizzabili, di come i sogni romantici fossero solo chimere irraggiungibili e che la realtà era solo una e una soltanto.

«Ma guardiamo in faccia la realtà: il Principe Azzurro non esiste. Noi siamo solo delle povere donzelle che credono ancora nelle favole. Da bambine ci raccontavano di Biancaneve, Cenerentola, Aurora, Raperonzolo e noi, ogni volta, restavamo ferme, di fronte alla finestra, con i nostri occhioni sognanti ad immaginare come sarebbe stato vivere in una favola. Crescendo abbiamo cercato di farla avverare, ma diciamocelo: che cazzo di favola vogliamo realizzare?»

Come detto: schietta e cinica.

«Insomma, quelle storielle parlavano di povere fanciulle innocenti e zuccherose, che si cacciavano nei guai in continuazione, attendendo di essere salvate. Sveglia! Ora la favola non esiste più, siamo donne in gamba, piene di talento, con i contro-coglioni. In realtà non abbiamo bisogno di essere salvate, ma restiamo sempre ferme, nella convinzione che il Principe Azzurro verrà. Magari non su un cavallo bianco, ma siamo sempre convinte che lui esista, che sia da qualche parte. Ma se non alziamo i nostri bei culetti non possiamo di certo aspettare che arrivi da solo, giusto? Perché è questo che le favole ci hanno insegnato. Prima o poi lui arriverà, mentre noi staremo ferme, nella nostra torre, a filare lana o a sfornare dolci per i nostri amici. Quante stronzate!»

Ormai la sua voce alla radio teneva compagnia nei saloni di bellezza, nelle boutique d'abbigliamento o nelle cucine di casa. Sì, molte donne l'ascoltavano. Cercavano in lei quella forza di dire basta e di smetterla d'inseguire l'idea romantica di vivere una favola.

Alcune idee di Charlotte erano sbagliate, ma era forse giusto aspettare il Principe Azzurro mentre di fronte a loro la vita passava senza sosta?

Charlotte Ray Sinclair era la donna che nessun uomo voleva avere accanto, o forse no?

«Il nostro credere che lui ci sia, che un giorno verrà, è solo una porcata inculcataci quando eravamo piccole. È tutta colpa di Cenerentola!»




Angolo Autrice:

Eccomi di nuovo tra voi. Per chi segue Babington, voglio assicurare che la storia proseguirà, devo solo rimettere insieme le idee, intanto sto revisionando i capitoli già pubblicati per correggere e sistemare alcune lacune.

Come dicevo, nuova storia!

Per alcuni versi mi sono ispirata a diverse atmosfere di alcune commedie romantiche, come “Un marito di troppo”, “Amici di letto”, “Pretty Woman” ed anche dal libro "Tutta colpa di Cenerentola". Ci tengo a precisare che il titolo della storia non nasce dal libro di Fabiola Danese, all'inizio volevo intitolarla "Tutta colpa di Raperonzolo" ma Cenerentola suonava meglio. Volevo che la protagonista fosse il più simile possibile alle donne che vediamo oggi in giro, semplice e con i piedi ben puntati a terra. Spero che l'idea piaccia e, per qualsiasi cosa, sono a vostra disposizione.

Come detto nell'introduzione, saranno presenti alcuni cliché, minimi, ma comunque visibili.

La storia si svolge a partire del novembre 2013, otto anni dopo l'uragano Katrina, quindi verrà menzionato il disastro e alcuni fatti reali.

La trama in sé è nata da un vecchio articolo scritto quando avevo diciotto anni e pubblicato sul mio vecchio blog che ora non esiste più.

Altra cosa che vorrei aggiungere: ho subito alcuni plagi da quando ho ripreso a pubblicare, quindi se qualcuno oserà di nuovo plagiare una sola delle mie storie non mi limiterò a segnalare la cosa all'amministrazione, ma passerò direttamente per vie legali!

Buona lettura e al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***





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Capitolo 1

New Orleans

Stevie Nicks – New Orleans






«A cosa serve l'amore romantico? A farci sentire complete? Io non credo. Per sentirsi completa una donna dovrebbe, prima di tutto, sentirsi realizzata.»

Era sempre la sua voce. Non accoglieva telefonate. Semplicemente parlava, faceva il suo monologo, a volte lasciava che qualche ospite le facesse delle domande, che cercasse di metterla in difficoltà, ma Charlotte era sempre da sola.

Parlava, parlava, parlava e le donne l'ascoltavano. Naturalmente c'erano quelle che non erano d'accordo con lei, ma alla ventisettenne non interessava, a lei bastava esporre la sua opinione e sfogarsi perché, alla fine, la radio era la sua valvola di sfogo.

Era figlia di divorziati, viveva nel suo piccolo appartamento in centro a New Orleans; era una come tante, ma una delle poche a credere che le favole fossero solo favole e che l'amore romantico non fosse degno di nota. E così Charlotte, chiamata da molti Charlie, figlia di una psicologa e di un Capitano della polizia con la passione per il pugilato, si dilettava tra la composizione dei suoi monologhi e le uscite con le amiche.

«Come fai a mangiare tutta quella roba e non ingrassare?»

Charlotte alzò un sopracciglio, scuotendo il capo. «Perché faccio una cosa chiamata attività fisica, ti suona famigliare?»

Era sempre sarcastica. Charlotte e le sue battute al vetriolo a volte risultavano divertenti, altre la facevano sembrare presuntuosa e superba, ma questo non disturbava Karen, la quale alzò gli occhi scuri al cielo, tornando a concentrarsi sulla sua insalata, disgustata dalla vista dell'amica che addentava il suo doppio cheeseburger.

«Vado a correre ogni sera perché la mattina adoro dormire, mi faccio un'ora di palestra serale due volte la settimana e così brucio queste calorie» specificò Charlotte, portandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio.

«Non ti preoccupa il colesterolo?»

«E a te non preoccupa l'effetto serra?» sempre sarcastica, sempre con una risposta pronta. A volte Karen si domandava dove le andasse a prendere.

Si conoscevano dalla culla, le loro madri si erano incontrate nel reparto maternità del Ochsner Hospital di New Orleans. Charlotte era nata alle ventitré del 15 febbraio, mentre Karen aveva visto la luce alle due del mattino del 16 febbraio. Poche ore le avevano separate e, dopo ventisette anni, quasi ventotto, erano ancora insieme. Vicine di culla appena nate, vicine di banco a scuola, compagne di stanza al college e vicine di casa nel presente. Presto sarebbero perfino diventate cognate.

«Come vanno i preparativi?» domandò Charlotte, cambiando discorso e concentrandosi sul matrimonio tra l'amica e James, suo fratello.

«Abbiamo finalmente una data!»

«Sentiamo.»

«Ci sposeremo il 7 giugno!» esclamò Karen, battendo le mani allegramente. Mancavano sette mesi al grande evento, per alcuni molti, per altri pochi.

Charlotte sorrise, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. La prospettiva di presenziare al matrimonio di suo fratello con la sua migliore amica era esaltante, ma c'era un piccolo particolare che la disturbava. «Spero vivamente di non vedere Robert al matrimonio.»

«Sarà il testimone di James, quindi le tue speranze volano fuori dalla finestra.»

Gli occhi verdi di Charlotte si rivolsero al soffitto mentre la consapevolezza di dover sopportare il don Giovanni della situazione la esasperava.


***


«Io non capisco.» l'agente di polizia si girava tra le dita la partecipazione, osservando con i suoi occhi azzurri l'amico.

«Cosa non capisci, Robert?» seduto alla scrivania di fronte a quella di Robert, James sbuffò, alzando lo sguardo dal verbale che stava compilando.

«Perché devi sposarti?»

Giusta domanda. Robert Connor Goodwin odiava i matrimoni, era uno scapolo accanito, da sempre sfuggiva a qualsiasi relazione amorosa, giustificandosi con la classica frase “non esiste una donna che sappia stare zitta e sopportarmi senza problemi”.

James scosse il capo, ormai sconsolato. L'amico di sempre si stava rivelando un osso duro. «Sai, tu e mia sorella potreste andare d'accordo, se foste disposti a sotterrare l'ascia di guerra!»

«Certo, come no!» esclamò Robert, gettando sulla scrivania la busta della partecipazione e alzandosi per andare a versarsi del caffè.

La centrale di polizia era tranquilla, più del solito, e i due detective avevano appena concluso un arresto per furto. Erano assegnati al settimo distretto, una delle aree più colpite dall'uragano Katrina. Nonostante fossero trascorsi ormai tredici anni, c'era ancora molto da fare. Case da ricostruire, vite da rimettere in sesto; Katrina era ancora un ferita aperta per la città.

Robert guardò alcune fotografie scattate durante le missioni di soccorso. La casa dei suoi genitori era andata distrutta e lui si era ritrovato ad occupare un bilocale in centro, troppo distante dalla centrale di polizia, mentre suo padre aveva preso la decisione di trasferirsi a Shreveport. «I tuoi nonni abitano ancora vicino alle paludi?»

James annuì. «Sai come sono fatti, è difficile sradicare le radici profonde. Quella casa è stata costruita negli anni venti, mia nonna è nata e cresciuta lì.»

«La stanno ancora ricostruendo?»

«Già.»

Era strano parlare di quel disastro, di come le vite di tutti loro fossero state prese e gettate in un vortice senza avviso. Avevano visto la morte in faccia, nessuno escluso, ed ora New Orleans era una sopravvissuta.

«Sai, esiste una cosa peggiore di Katrina» cambiò discorso Robert, grattandosi la barba di qualche giorno.

«E sarebbe?» di nuovo James alzò lo sguardo verde sull'amico, aggrottando la fronte.

«Tua sorella Charlotte...dovevano dare il suo nome all'uragano!»

Robert e Charlotte non erano mai andati d'accordo. Di quattro anni più vecchio, da sempre lui non aveva fatto altro che renderle la vita imprevedibile. Da bambini le bruciava i capelli ed ora, da adulti, adorava punzecchiarla e darle il tormento.

«Ah, l'amore!» esclamò James, sorridendo e provocando in Robert un moto di fastidio e rigetto.

«Io non provo nulla per lei, solo ribrezzo» Robert rimase sulla difensiva, avvicinandosi alla scrivania e sedendosi. «Allora, ci sono serial killer e poi c'è Hannibal Lecter, giusto?»*

«Giusto.»

«La stessa cosa avviene per lei: ci sono donne e poi c'è tua sorella.»

James non sapeva più se ridere o piangere. Era cresciuto con due sorelle minori; ormai Allison era sposata e aveva due figli, un chirurgo neonatale in carriera e sempre all'opera, aveva avuto la fortuna d'incontrare Luke, un vigile del fuoco, e trovare in lui l'uomo della sua vita. Per Charlotte era stato tutto diverso. La più piccola della famiglia, la più sovversiva e la più caparbia; da bambina aveva amato le favole, soprattutto Cenerentola, ed ora odiava quello stereotipo di donna sorridente e zuccherosa sempre in attesa del Principe Azzurro. Forse era stato il divorzio dei genitori a cambiare la sua prospettiva, oppure le relazioni fallite dove lei aveva dato anima e cuore e si era vista gettare via come fosse uno straccio usato. Era diventata brusca, dura con il mondo, ma sorrideva nonostante tutto.

Robert, al contrario, aveva scelto di essere menefreghista e donnaiolo. Amava la vita e le donne e nessuno poteva fargli cambiare idea. Niente legami, niente sentimenti, solo sesso e nient'altro.

Se non fossero stati due testoni patentati, potevano essere buoni amici, ma quei due avevano il cervello scollegato e il cuore chiuso a chiave e non c'era verso di farli andare nella stessa direzione.

«Sai, Charlotte sarà la damigella d'onore di Karen e tu il mio testimone, sarete costretti a sedervi allo stesso tavolo, parlare ed anche ballare insieme.» James affondò il dito nella piaga con tale forza che Robert prima fece una faccia sconvolta e poi cominciò a sbattere la fronte contro il piano della scrivania.

Si coprì la testa con entrambe le mani, ormai prossimo ad una crisi di nervi. «Perché?»

«Perché la mia fidanzata è anche la migliore amica di mia sorella? Sembra tanto la trama di una soap.»

«Sembra tanto la mia condanna a morte!»

«Se vuoi posso chiedere a qualcun altro di farmi da testimone» sospirò James,

Di risposta Robert alzò di scatto la testa, guardandolo stranito. «No, assolutamente no. Ti sto organizzando l'addio al celibato da quando mi hai detto che ti saresti sposato!»

«Bene, allora stasera andiamo al pub a bere qualcosa, ci saranno anche Charlie e Karen.»

«Tu mi vuoi vedere morto, vero?»


***


«Il presupposto di poter vivere un amore romantico è solo un miraggio. Certo, qualcuna riesce a trovarlo, a viverlo, a sentirlo, ma poi? Quando il romanticismo finisce che cosa resta? Solo il miraggio di ciò che si ha avuto e la sensazione di vuoto. S'inizia a cercare qualcosa di più per ritrovare quel romanticismo, ma sono le favole quelle che finiscono sempre con un “e vissero per sempre felici e contenti” non la vita reale.»

Karen alzò gli occhi al cielo, osservando Charlotte leggere gli appunti per un nuovo intervento. «Sei una guastafeste!» esclamò, sorseggiando il suo cosmopolitan.

«E tu una rompiscatole, lasciami finire di scrivere.» Charlotte pronunciò quelle parole senza staccare gli occhi dal foglio. La penna scorreva sul quadernino che la donna portava sempre con sé; ogni spunto era buono per scrivere nuove frasi, nuovi interventi, come ogni singola parola di Karen riguardo al matrimonio.

«Io ti parlo di quanto sono elettrizzata all'idea di sposare l'uomo della mia vita e tu ci scrivi un articolo?»

«Sei tu quella che crede nel romanticismo, cara amica mia.» Charlotte alzò finalmente lo sguardo verso l'amica, riponendo tutto nella borsa. «Io vivo nella convinzione che non si può vivere una favola, la si può solo immaginare.»

«Ed io credo che il romanticismo possa durare. Io e tuo fratello ne siamo la prova!»

«Questo perché non vivete insieme. Aspetta di condividere con lui gli stessi spazi ogni giorno e poi mi darai ragione.»

Karen sbuffò, arrendendosi alla testa dura di Charlotte. Ormai aveva perso la speranza di poterle far cambiare idea. Era un causa persa. Si stava quasi per strappare i capelli, quando vide James entrare nel locale accompagnato da Robert. «Dalla padella alla brace, molto bene.» sussurrò, immaginandosi la reazione di Charlotte alla vista dell'odiato “nemico”.

Difatti l'amica s'irrigidì all'istante, stringendo nel pugno la bottiglia di birra che stava bevendo.

«Ecco le mie donne!» esclamò James allargando le braccia, baciando Karen sulle labbra e poi Charlotte sulla fronte. «Sorellina, visto che ti ho portato un amichetto con cui bisticciare?»

«Ho notato» rispose lei a denti stretti, scrollandosi di dosso James. «Robert.»

«Charlotte» la salutò con freddezza Robert, senza però guardarla. Continuava a far vagare lo sguardo intorno a sé, come se non volesse guardarla.

«Ehi, non so te, ma mia madre mi ha insegnato che è buona educazione guardare le persone in faccia mentre si parla con loro.»

James alzò gli occhi al cielo, sua sorella sapeva essere più acida del solito quando si trovava di fronte a Robert. «Vado a prendere da bere.»

Si prospettava una serata piuttosto animata dato che i due non sembravano voler stare tranquilli e provare ad andare d'accordo. Erano sempre pronti a rispondere l'uno all'altra con frecciatine e battute piuttosto allusive. Ogni volta che Robert provava un approccio con una donna, Charlotte lo rimproverava su ogni cosa e, ogni volta che Charlotte faceva una qualche battuta sarcastica, Robert la scherniva per il suo carattere troppo spigoloso.

«Sai, non ti farebbe male fare sesso una volta ogni tanto!» esclamò Robert dopo l'ennesima battuta della donna.

«Uomini, pensate sempre e solo al sesso!»

«Da questa nota acida, deduco che tu non abbia ancora trovato un uomo che ti scopi!»

«Se devo essere sincera, ho un vibratore nel cassetto, quindi non ho bisogno di un uomo e delle sue manie di grandezza» rispose semplicemente Charlotte. «E poi, se devo aggiungere altro, tu sei l'ultimo a potermi fare battute riguardanti il sesso. Ti sei scopato praticamente mezza popolazione femminile di New Orleans ed ora non ti resta altro che l'altra metà, formata da minorenni e donne troppo anziane. Non hai altra possibilità che passare alle donne sposate o dare una seconda botta alle sfortunate che non hanno fatto altro che aspettare una tua telefonata. Se andrai da loro hai due probabilità: se sono talmente stupide e insicure probabilmente te la daranno ancora, altrimenti ti ritroverai con uno schiaffo o un calcio nei coglioni. Scegli tu!»

James scoppiò a ridere, ricevendo in cambio un'occhiata raggelante di Robert.

«Quindi, se devo fare una classifica di chi sta peggio, perdonami, ma tu sei al primo posto.»

«Ti sei scordata delle turiste, Charlie» la incalzò Robert, troppo orgoglioso da lasciar perdere il discorso.

Charlotte fece spallucce. «Se ti vanno bene le ragazzine venute ad assistere alle riprese di The Originals, o le donne in viaggio di nozze, fai pure. Ti ricordo che New Orleans non è una meta caraibica dove ci vengono le divorziate per dimenticare gli ex mariti. Ricordati che se ti trovi una turista, quella ti starà incollata per tutta la durata del suo viaggio e, magari, hai talmente culo da scovare una sognatrice che crede ancora nel Principe Azzurro e ti prenderà per l'uomo della sua vita, tanto da scattare foto con te e postarle su facebook e twitter!»

Ormai la donna aveva deciso di iniziare la sua guerra personale contro Robert e non c'era verso di farla stare zitta. Più lui rispondeva, più lei rincarava la dose.

James si portò una mano al volto, per una volta aveva sperato di poter trascorrere una serata tranquilla, ma quei due erano una causa persa. «Ho capito, serata finita!»

«Lo credo anch'io» lo seguì Karen, alzandosi e lasciando che il compagno le circondasse le spalle con il braccio.

Le lotte erano quotidiane e i due nemici si stavano facendo la guerra da troppo tempo e, se qualcuno non interveniva, la cosa poteva finire molto male, soprattutto se Charlotte iniziava a boicottare tutti gli appuntamenti di Robert; l'ultima volta che l'aveva fatto era finita con un setto nasale rotto e una crisi isterica. Un bollettino di guerra niente male.

«Meglio andare a casa» disse Karen sconsolata, cercando le chiavi dell'auto nella borsa.

«Guido io!» Charlotte, all'improvviso, infilò la mancina nella borsa di Karen, afferrando prima di lei le chiavi. Guidare era un'azione che l'aiutava a sfogarsi.

«James, avvisa la stradale, pericolo pubblico in circolazione!»

La battuta di Robert fece ridere James, ma lo sguardo omicida di Charlotte spense quel sorriso, facendolo tornare serio. «Andiamo a casa.»

La serata era finita e l'umore dei partecipanti era al limite dell'esasperazione. Karen e James non sapevano più come comportarsi, se Robert e Charlotte non fossero riusciti ad andare d'accordo, al matrimonio si sarebbero dovuti munire di caschi e protezioni per evitare qualsiasi ferita causata da oggetti volanti.

Avevano sette mesi di tempo per riuscire a convincere due persone completamente discordi a trovare un punto d'incontro e sistemare quelle divergenze che li rendevano insopportabili.

E mentre Charlotte guidava come un'ossessa, schiacciando il pedale dell'acceleratore, Karen prese il cellulare, componendo un messaggio e inviandolo a James: “Che i giochi abbiano inizio!”

La risposta non tardò ad arrivare: “Andiamo in onda!”






*la battuta è tratta dal film “The Wedding Party”


Angolo Autrice:

Ecco il nuovo capitolo, spero sia di vostro gradimento. Come noterete Charlotte e Robert proprio non si sopportano. Abbiamo fatto la conoscenza di Karen, James e il famoso Robert, ma state tranquilla, non è il principe azzurro e questa non è una favola.

Il Cliché al quale mi riferivo nell'intro è proprio il coinvolgimento di due amici, in questo caso James e Karen, che cercano di farli mettere insieme, combinando incontri e tanto altro. Solo che, nella nostra situazione, i due cercheranno solo di farli solo andare d'accordo, non puntano alla relazione tra i due. E, comunque, non sarà quel tipo di storia dove i due amici ci mettono lo zampino e s'innamorano. State certe, quei due sono moooooolto lontani da avere una storia d'amore!

Ho inserito qualche particolare della tragedia di Katrina proprio per renderla più reale, volevo dare un po' di spazio alla sofferenza dei suoi abitanti.

Come detto, la storia inizia nel novembre 2013, quindi a New Orleans sono ancora in corso le riprese della serie tv The Originals, ho voluto nominarla per dare un tocco ancora più reale. Quante ho detto il termine”reale”?

Gli aggiornamento verranno effettuati ogni dieci giorni, quindi ci vediamo sabato 21 giugno!

Vi lascio i link del mio profilo FB e del gruppo dedicato alle mie originali Lettere d'inchiostro, Parole d'amore.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***





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Capitolo 2

The Name of the Game

Abba – The Name of the Game













Come ogni anno la cena del ringraziamento si teneva in casa di Jack Sinclair. Lui e la ex moglie si erano lasciati in buoni rapporti, tanto che ancora trascorrevano le festività tutti insieme nella casa dove i figli erano cresciuti; il pomeriggio lui, James, Charlotte, Luke e nonno Joseph si godevano la partita di football, mentre Allison, Victoria e nonna Rose si prodigavano nella preparazione del tacchino, rigorosamente comprato già spennato. I primi anni, quando James era piccolo, Jack lo portava a caccia e il tacchino lo uccidevano loro, ma Victoria era fortemente contraria a qualsiasi forma di cacciagione, così l'uomo aveva presto deciso di abbandonare le tradizioni e abbassarsi all'acquisto di un animale già morto e spennato. Ma il Capitano Sinclair non aveva di certo accantonato la passione per la pesca, tanto da trasmetterla ai figli e ai nipoti.

Molti paragonavano James e Charlotte a lui, sia come carattere che come aspetto. Avevano tutti gli occhi verdi, lo sguardo attento e la passione per gli sport. Se non fosse stato per i capelli biondi, ereditati dalla madre, forse James sarebbe stato identico al padre; ma era Charlotte la preferita dell'uomo, la cucciola di casa.

Se si guardava in giro per casa, si potevano notare le fotografie di tutti i suoi figli, ma la maggior parte ritraevano Charlotte in braccio al padre. Lei era il suo orgoglio, testarda e schietta proprio come lui.

Era un uomo freddo con gli altri, ma affettuoso con la famiglia.

Victoria, al contrario, era sempre stata una donna solare, aperta con tutti, forse per la sua professione di psicologa era sempre propensa al dialogo, soprattutto con le figlie, cosa che le riusciva difficile con la minore, sempre pronta a contestarla e ad andare contro corrente.

Era Allison, per alcuni AJ, la figlia di mezzo, quella chi più ritraeva la madre sia nei modi che nell'aspetto, eccettuati i capelli che, come la sorella e il padre, erano castani. Posata, riflessiva e precisa in tutto quello che faceva; a volte Charlotte la giudicava noiosa, ma il rapporto tra le due era forte e complice, ogni tanto si lanciavano frecciatine, ma le sorelle si comportavano in maniera serena, tanto che Allison era l'unica, in tutta New Orleans, che poteva chiamarla Lottie.

Ma c'erano una cosa che contraddistingueva i figli di Jack e Victoria Sinclair. Tutti, nessuno escluso, portavano almeno un nome di un pugile famoso. James, per esempio, era stato chiamato così in onore di James Braddock, il famoso Cinderella Man, ed anche il suo secondo nome era un tributo ad un camoione del mondo: George Foreman.

Allison e Charlotte, invece, avevano solo il secondo nome ispirato ad un pugile. Alla prima era stato dato il nome di Jersey Joe Walcott, mentre alla minore era stato posto quello del pugile preferito del padre: Sugar Ray Robinson.

Ormai era ovvia la passione di Jack per il pugilato; del resto lui stesso era stato un pugile amatoriale da giovane ed aveva scelto per i figli dei nomi incisivi e forti perché si ricordassero sempre una lezione molto importante: la vita non regala mai nulla e, se si vuole qualcosa, bisogna lottare con i pugni e i denti per ottenerlo.

I coniugi, nonostante tutto, avevano sempre messo i figli al primo posto. Prima delle carriere, prima dei soldi, prima di loro stessi. Forse era stato proprio l'attenzione maniacale verso i figli a distoglierli dal matrimonio e dal loro amore. Era la costante domanda che si ponevano entrambi ogni giorno: perché tra di loro era finita?

Quando Victoria entrò in casa dell'ex marito, si aspettava di trovarlo in cucina a preparare qualche sandwich o le solite schifezze da ingurgitare durante la partita, ma quando varcò la soglia del salotto lo trovò seduto sul divano a fissare il televisore spento. «Ciao Jack!»

«Vicky!» esclamò lui, voltandosi e invitandola a sedersi accanto a lui.

Un po' titubante la donna lo assecondò fissandolo con i suoi occhi grigi. La barba di un giorno, i capelli grigi, era un bell'uomo di cinquantasei anni con ancora il fisico di un quarantenne.

«Ricordi quando ci siamo conosciuti?»

«Oh no, stai ricominciando» Victoria alzò gli occhi al cielo.

«Anche allora strabuzzavi gli occhi. Ma erano così belli, così luminosi» sospirò Jack, sistemandosi meglio sul divano. «Ricordo di aver pensato: quella ragazza sarà mia, costi quel che costi.»

Victoria non aveva mai scordato l'assidua corte alla quale Jack l'aveva sottoposta. Si erano conosciuti da ragazzi, al liceo e, da allora, erano stati una delle coppie più invidiate della scuola. Si erano innamorati giovani e, altrettanto giovani, si erano sposati. Avevano avuto una vita felice, un matrimonio quasi perfetto. Erano divorziati da così tanti anni che ormai aveva scordato il motivo della loro separazione.

«Ricordo che tuo padre mi disse che se ti avessi fatta soffrire mi avrebbe rincorso per tutta New Orleans con il fucile in mano.» Jack rise, pensando a Joseph. «Dopotutto abbiamo avuto una bella vita.»

«Cosa ci è successo, Jack?» Se lo domandava spesso Victoria nell'ultimo periodo ed ogni volta la risposta era sempre la stessa.

«Abbiamo fatto diventare il nostro matrimonio una routine» risposte Jack con calma, abbozzando un sorriso tirato.

L'amore non poteva sopravvivere alla routine, si sciupava, diventava qualcosa di annacquato e privo di vita, fin quando non svaniva nell'ombra dei ricordi e, tutto quello che restava, non erano altro che sbiadite rimembranze di ciò che era stato.

Purtroppo il momento di tranquillità finì ben presto, interrotto dalle urla strepitanti di una furiosa Charlotte. «Potevi almeno avvisarmi!»

«Scusa, non pensavo potesse darti così fastidio!» esclamò James seguendola all'interno dell'abitazione.

I due fratelli gesticolavano, urlando come pazzi l'uno verso l'altra. Karen li seguiva, tenendo le braccia conserte e sbuffando.

«A che razza di gioco stai giocando?» sbraitò Charlotte. «A volte mi chiedo se siamo veramente fratelli!»

Victoria scosse il capo, alzandosi e rivolgendosi a Karen. «Che succede?»

«James ha invitato Robert a cena.»

Bastò solo quella semplice frase e Jack scoppiò a ridere. I figli si zittirono all'istante, attirati dalla risata sguaiata del padre che, lentamente, si alzò, avvicinandosi a loro e abbracciandoli. «Ah, i miei figli!»

Quella che si prospettava era una giornata molto lunga e fastidiosa per Charlotte. La domanda che si ponevano le persone quando conoscevano lei e Robert era sempre la stessa: perché quei due si odiavano?

La risposta non era una sola, ce n'erano molte. Avevano iniziato ad odiarsi da quando erano solo bambini e la cosa era andata avanti per anni. Dai semplici bisticci alle litigate furibonde. Il loro era un risentimento covato nel tempo, portato avanti dai loro caratteri scorbutici e testardi.

Non c'era un vero e proprio motivo per cui Charlotte e Robert si odiavano, erano solo un uomo e una donna dai caratteri troppo simili ma, al contempo, troppo diversi. Charlotte detestava i modi da don Giovanni di Robert e Robert odiava il cinismo di Charlotte, oppure non sopportava la verità. Lui aveva scelto una vita senza legami sentimentali, lei aveva tagliato fuori gli uomini per colpa di maschi come lui: infedeli e incapaci di amare.

Nemmeno di fronte alla televisione, con la partita in atto, Robert e Charlotte riuscivano a trovare un punto d'incontro, il che era strano, data la passione per lo sport che entrambi condividevano.

Seduto al centro del divano, tra i due litigiosi, James si sentiva quasi in colpa. Che cosa gli era saltato in mente? Aveva deciso d'invitare Robert per senso d'amicizia, in fondo erano amici e lui non voleva lasciarlo da solo quel giorno; aveva pensato di poter prendere due piccioni con una fava, approfittando del clima di festa e dell'amore di Charlotte per il football. Doveva aspettarsi che il suo comportamento sarebbe stato scorbutico e fuori luogo.

La sentiva rigida accanto a lui, silenziosa e pronta a qualsiasi evenienza; lo stesso Robert, con la mano stretta intorno alla bottiglia di birra e la gamba sinistra sempre in movimento. Per non parlare degli sguardi del padre, seduto sulla poltrona; quel giorno non sembrava tanto interessato alla partita. Il Capitano era il loro diretto superiore alla centrale, ma quel giorno era solo un padre che osservava la figlia cercare d'ignorare quello che lui riteneva un buon agente ma un uomo poco affidabile. Ad aggiungersi all'uomo c'era anche Luke, il marito di Allison, seduto sull'altra poltrona; nemmeno lui aveva molto interesse verso la partita date le occhiate che, di tanto in tanto, lanciava verso il divano per poi sorridere. Chissà perché, ma i Raiders ed i Cowboys quel giorno non riscuotevano molto successo in quella casa di tifosi dei New Orleans Saints. Forse gli unici interessati erano i figli di Allison, Liam e Cory di nove e sei anni.

«In che cazzo di casino mi sono messo?» sussurrò James, portandosi una mano al volto, rivolgendo poi uno sguardo a Luke il quale, sorridendo, alzò la bottiglia di birra al cielo in segno di sostegno morale.

«Allora, qualcuno vuole commentare la partita?» domandò James, rompendo il silenzio che si era creato. «Charlie?»

«Vado a prendere dell'altra birra!» esclamò lei, alzandosi e dirigendosi in cucina. Sorpassò nonno Joseph appena entrato in casa con nonna Rose, rivolgendo loro un saluto appena accennato.

L'uomo si grattò la barba, guardando gli uomini in salotto. «Che mi sono perso?»

In cucina sembrava fosse esplosa una bomba di nome Charlotte. Era entrata come un treno, seguita da Rose, aprendo il frigo con una tale forza da far cadere il barattolo sopra di esso. No, lei non era per niente contenta della presenza di Robert e le donne presenti in cucina lo sapevano perfettamente.

«Lottie» le si avvicinò Allison, posandole una mano sulla spalla.

«Non ora AJ, sto cercando di calmarmi.»

«Che succede?» fu la domanda che Rose rivolse alla figlia. Le due donne erano talmente simili che nessuno poteva scambiarle per estranee, si vedeva subito che lo stesso sangue scorreva nelle loro vene.

Victoria scosse il capo. «James ha invitato a cena Robert e Charlotte non l'ha presa molto bene.»

«Possibile che tu non riesca a dare a quel povero ragazzo una possibilità?» Rose era sempre stata una donna schietta, difatti la giovane aveva ereditato da lei quella parte del suo carattere.

«È uno stronzo, perché dovrei provare ad andare d'accordo con lui?»

«Perché siete fatti della stessa pasta?» fu la risposta/domanda di Rose.

Bastarono quelle semplici parole a zittirla. Sei semplici paroline magiche che costrinsero Charlotte a prendere la sua birra e a dirigersi all'esterno dell'abitazione. Se fosse esistito un premio per la donna più sincera del mondo, di sicuro sua nonna l'avrebbe vinto in ogni edizione.

Si sedette sull'altalena che suo padre aveva costruito per lei da bambina, sorseggiando la sua birra. Se doveva dirla tutta, non odiava Robert, solo non sopportava gli uomini come lui e, di conseguenza, riportava tutta la rabbia sul primo stronzo che le capitava a tiro e Robert era sempre lì.

«Posso sedermi?» fu la domanda di Joseph, ma non attese risposta, sedendosi accanto

«Sei qui per dispensarmi consigli da nonno?»

L'uomo la guardò con un cipiglio severo, senza mai abbandonare la maschera di duro e forte. «Forse dovresti accantonare, solo per stasera, le tue divergenze con Robert e provare a divertirti» disse lui. «Ti stai comportando come una bambina.»

Charlotte guardò il nonno negli occhi, quelle calde, sincere, profondità castane. «E se non volessi?»

«Ti pongo io una domanda: perché lo odi così tanto?»

«Io non...lasciamo perdere, nonno!» esclamò lei alzandosi e rientrando in casa. Senza dire altro si sedette sul divano accanto al fratello, scegliendo semplicemente d'ignorare la presenza di Robert nella casa dove era cresciuta.

La cena proseguì senza troppi intoppi, i due litigiosi avevano semplicemente scelto la via del silenzio stampa, sorridendo e parlando solo con le altre persone, evitandosi a vicenda e di fare battute o mandarsi frecciatine. Ma la resa denti conti giunse quando dovettero tornare a casa e, James, decise di fare un'altra mossa.

«Riaccompagni tu Charlie? Io e Karen dobbiamo andare a vedere un ristorante per il matrimonio.»

Robert aggrottò la fronte, non riuscendo a credere fino in fondo alla scusa dell'amico. «Un ristorante? A mezzanotte?»

«Certo!» esclamò James, prendendo la giacca e uscendo velocemente di casa per evitare qualsiasi altra domanda. Lui e Karen avevano iniziato un gioco dove Robert e Charlotte erano i partecipanti primari e loro volevano a tutti i costi far dissipare qualsiasi incomprensione.

Robert sospirò, voltandosi verso la donna che si stava infilando il cappotto. «Va bene.» Si prospettavano quindici minuti di silenzio o d'insulti, dipendeva dall'umore di Charlotte.

«Buon ringraziamento, Capitano!» esclamò Robert, salutando Jack. Sebbene fossero fuori servizio, l'uomo restava pur sempre il capitano del suo distretto, quindi un'autorità da rispettare sempre e comunque.

«Buona serata ragazzi e...Robert» chiamò Jack, facendo cenno all'uomo di avvicinarsi e mettendogli una mano sulla spalla. «Vedi di farla arrivare a casa sana e salva.»

«Sì, signore.»

Jack sapeva intimidire con un solo sguardo, soprattutto gli uomini che giravano intorno alla figlia minore, sebbene lui non fosse minimamente attratto da lei. Metteva paura a volte, in particolare quando si trattava di proteggere la sua famiglia e Robert lo sapeva perfettamente.

La casa dove era cresciuto distava a pochi metri da quella dei Sinclair e, di conseguenza, era praticamente cresciuto insieme alla famiglia del Capitano. Era figlio unico ed i bambini in quel quartiere non erano molti e lui aveva sempre adorato la torta di mele che nonna Rose portava ogni domenica a casa Sinclair. Era di famiglia, ma non abbastanza perché Jack si fidasse completamente di lui. Era un buon detective, ma pessimo nelle relazioni personali.

Di tanto in tanto Robert lanciava qualche sguardo a Charlotte, seduta sul sedile del passeggero. Era troppo tranquilla per i suoi gusti. «Allora» cominciò Robert. «Partita interessante.»

«Possiamo non parlare?» sbottò Charlotte aspramente, zittendolo all'istante.

«Ai suoi ordini, Cenerentola.»

«E non chiamarmi Cenerentola!»

Mai provocarla. Era la prima regola per riuscire a tenere una conversazione civile con Charlotte, ma Robert la ignorava completamente. Sembrava provarci gusto. «Come siamo acide.»

«Sei tu che mi provochi queste reazioni.»

«E tu sei bravissima a provocarmi il mal di testa, lo sai?»

Charlotte sbuffò dal naso, trattenendosi dal dargli un pugno. «Tu sei uno stronzo!»

«E tu una zitella acida e immatura.»

«Da che pulpito arriva la predica. Io immatura? Ha parlato l'uomo con un handicap sentimentale che si scopa qualsiasi donna gli capiti a tiro.»

«Sei gelosa di non rientrare nella lista di donne che sono venute a letto con me?»

Mai provocarla, prima regola ignorata completamente.

«Ne sono orgogliosa perché, a loro confronto, io ho una dignità, aspetto morale che tu ignori completamente!» esclamò lei, gesticolando animatamente. Era furiosa, fuori di sé, troppo orgogliosa per darla vinta a Robert e troppo alterata per concludere la litigata. «Fammi un favore, evita di parlarmi d'ora in poi.»

Robert strinse la mascella, accostando l'auto. «Sarai accontentata!»

Per fortuna quel piccolo viaggio in macchina finì lì e Charlotte scese sbattendo la portiera. Robert conosceva quella donna fin troppo bene e, sapeva, nulla poteva farla tornare in sé. Ripartì sgommando e abbassando il finestrino, sperando che l'aria fredda della notte di novembre potesse aiutarlo a calmarsi. Eppure, ogni volta che litigava con Charlotte, in qualche modo si sentiva quasi bene, come se quelle discussioni fossero risolvibili in qualsiasi momento. Di sicuro doveva essere ubriaco o pazzo, ma Robert interpretava quelle liti come semplici bisticci tra fratelli. Si sarebbero ancora rivolti la parola e, come ogni volta, ci sarebbe stato un alterco, forte o leggero, avrebbe avuto luogo per sommo divertimento di Robert. Era tutto un gioco per lui e nulla di più.






Angolo Autrice:

Nuovo capitolo, nuovi alterchi. Quei due sembrano proprio fatti per litigare e iniziamo a capire perché lo fanno.

Robert per divertimento, Charlotte perché non sopporta gli uomini come lui.

Karen e James hanno attuato il loro piano. Prima l'invito a cena e poi la scusa del ristorante per farli stare da soli. E adesso? Che altro s'inventeranno?

Siamo solo all'inizio, ma presto le acque inizieranno a smuoversi. In questo capitolo abbiamo conosciuto più a fondo la famiglia Sinclair, nel prossimo scopriremo qualcosa di più su Charlotte e perché odia i donnaioli come Robert.

Prossimo aggiornamento 1 luglio!



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Capitolo 4
*** Cap. 3 ***






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Capitolo 3

Where does the good go?

Tegan and Sara – Where does the good go?











C'era sempre qualcosa che andava storto. Ogni volta che iniziava bene la giornata, Charlotte sapeva che prima o poi qualcosa le avrebbe rovinato tutto e, quel giorno, quel qualcosa aveva volto e nome: Robert Goodwin.

Era dal giorno del ringraziamento che continuava a trovarselo di fronte, come se qualcuno ce lo mettesse, come se ci fossero persone che cercassero di farli incontrare a tutti i costi. Alla partita di baseball di Liam, oppure alla caffetteria prima di andare alla radio. Quell'uomo era sempre sulla sua strada, pronto a criticarla e a punzecchiarla. Lui e il suo aspetto prestante e le spalle larghe, il fisico atletico di un ex giocatore di football e gli occhi azzurri che attiravano le donne come una carta moschicida, odiava trovarselo di fronte con quel suo sorrisino idiota e strafottente.

E così, come ogni lunedì mattina, Charlotte, con il suo pitbull Hannibal, era andata a casa di sua madre cercando un po' di sostegno femminile, ma quello che aveva trovato non era affatto sostegno.

«Lui ti piace.»

Con quelle tre semplici parole sua madre era riuscita ad innervosirla, certo non che le riuscisse difficile, la innervosiva da quando aveva cinque anni, tutta colpa di quei vestitini rosa e dei suoi tentativi di farla assomigliare ad una femmina, quando lei voleva solo giocare a football con il fratello.

«Come fa a piacermi, lo detesto!»

«Sai, Charlotte, a volte amore e odio viaggiano sullo stesso piano» Victoria aveva sempre quel modo pacato di parlarle che spesso la faceva addormentare, ma non quella volta.

Charlotte scosse il capo, cercando di mantenere la calma. «Ed anche tu mi dirai che tra odio e amore il confine è sottile come ha fatto nonna Rose?»

«Tu sei rimasta nella convinzione che l'amore non esiste, solo perché io e tuo padre abbiamo divorziato quando eri in età adolescenziale.»

E, come ogni volta, sua madre smetteva di farle da madre ed iniziava ad essere la sua psicologa. Perché non era nata in una famiglia normale?

Come se non bastasse ci si metteva pure sua sorella all'ora di pranzo nella caffetteria dell'ospedale. «Magari ti sta corteggiando.»

«Corteggiando? Secondo te il suo modo di comportarsi è in realtà una maniera contorta di dimostrarmi il suo affetto?» Charlotte non riusciva a credere alle parole della sorella. Possibile che si fosse bevuta il cervello? Forse troppi interventi in un giorno le avevano dato alla testa.

«Oppure c'è sul serio qualcuno che cerca in ogni modo di farvi incontrare per chissà quale motivo.»

«Preferisco questa opzione!» esclamò lei, infilandosi in bocca un pezzo di carne alla griglia.

«Magari è James» propose Allison, pensando a chi potesse essere così folle da combinare quegli incontri casuali.

Ma Charlotte scosse il capo. «Se ci tiene alla sua salute mentale e fisica, non credo che sia in grado di architettare una cosa del genere.»

«Karen?»

«Sa che sono intrattabile dopo che vedo Robert, quindi eviterebbe di farci incontrare solo per non dovermi sopportare dopo.»

«Papà?»

Charlotte rise, pensando alla possibilità che dietro a quegli incontri “casuali” ci fosse il padre. No, lui era l'ultima persona in grado di poter complottare un simile piano. Abbassò lo sguardo, osservando il muso di Hannibal. Forse era l'unico in grado di capirla, sebbene fosse solo un cane di due anni. Accarezzò il manto marroncino, sorridendo quando l'animale, istintivamente, si mise sulla schiena per poter ricevere un grattino sulla pancia. Di sicuro era meglio lui di qualsiasi altro uomo avesse mai frequentato.


***


«Sospettano qualcosa secondo te?»

Karen corrugò la fronte, sedendosi sulla scrivania di James. «Non credo.»

«Mia sorella è furba, per non parlare di Robert.» Per fortuna Robert non era nei paraggi, ma James si guardò lo stesso intorno, abbassando la voce; la centrale era piena di telecamere, magari lui ne stava guardando una. «Comunque, ho un piano.»

Aveva uno sguardo divertito il suo uomo e Karen non poté fare a meno che piegarsi verso di lui e invitarlo a proseguire.

«Invitiamoli al pub stasera.»

«E tu lo chiami piano?»

«E poi gli daremo buca.» aveva una strana luce negli occhi e lei non poté fare altro che sorridere compiaciuta e battere il cinque col fidanzato.

Quei due, insieme, erano peggio di qualsiasi mente diabolica in circolazione.


***


Voodoo era il pub frequentato solitamente da molti agenti di polizia e vigili del fuoco. Il proprietario era stato soprannominato Ozzy non solo per la somiglianza col noto cantante ma anche per il nome del locale. Lo stesso Sam, il titolare, aveva ammesso di averlo scelto non solo per la posizione dove aveva aperto il pub, a pochi isolati dal quartiere dove, si diceva, fosse vissuta la nota Marie Laveau, regina del voodoo di New Orleans, ma anche per una canzone dei Black Sabbath: Voodoo.

Sam era un fanatico della musica rock e metal, a tal punto da tappezzare il pub con locandine di concerti, chitarre firmate e foto con autografi di noti cantanti e musicisti dell'ambiente. Quella di cui andava più orgoglioso, di fatti, era una fotografia che lo ritraeva accanto a Ozzy Osborne e, quando qualcuno la osservava, a volte li scambiava per gemelli.

Quella sera Karen aveva dato appuntamento a Charlotte al Voodoo, ma quando la donna entrò e si diresse al bancone, non c'era né l'amica né il fratello, bensì quel coglione di Robert.

Sconsolata, immaginando che avrebbe trascorso la serata anche con lui, gli si sedette accanto, sbuffando. «Fammi indovinare, ti ha invitato mio fratello!»

«Fammi indovinare, hai di nuovo bevuto l'aceto!»

Charlotte alzò gli occhi al cielo, cercando di non rispondere all'uomo. Ordinò una birra, continuando a guardare la porta d'ingresso nel tentativo d'ignorare Robert, ma lui non le rendeva facile lo sforzo.

«Mi sono sempre chiesto come faccia un bravo ragazzo come James ad avere una sorella, fuori di testa come te.»

«Io, invece, mi sono sempre chiesta come mio fratello sia diventato amico di una stronzo come te!»

Era sempre un tira e molla, una battuta dietro l'altra e il loro continuo non sopportarsi, ma l'attesa diventava snervante e, per smorzarla, i due iniziarono a bere una birra dietro l'altra. Ben presto divenne evidente che James e Karen avevano dato buca ai due amici per chissà quale motivo e il tasso alcolico nel sangue di Charlotte e Robert iniziava ad essere alto.

Alla quinta tequila, dopo altre due birre, Robert decise di porre una domanda che da anni lo opprimeva. «Perché ci odiamo?»

«Credo che tu conosca la risposta!» esclamò Charlotte, ingollando la tequila che Sam le aveva appena servito. «Tu sei tu ed io sono io.»

Robert alzò un sopracciglio mentre il malcapitato Sam riempiva i loro bicchieri. «Sei già ubriaca?»

«Per tua informazione, mister provolone, io reggo gli alcolici meglio di te.»

«Ok, allora puoi rispondere alla mia domanda?»

«L'ho appena fatto!» strabuzzò gli occhi Charlotte.

Robert non sapeva se ridere o piangere. Quella donna era la quintessenza del cinismo, un concentrato di sarcasmo pungente e acidume che poteva far scappare qualsiasi uomo. Eppure lui era rimasto in quel pub, con lei.

«Tu sei un don Giovanni, ci provi con qualsiasi donna ti capiti a tiro e non hai il coraggio di provare a far funzionare una relazione.» Charlotte l'aveva guardato negli occhi, portandosi una mano al fianco. «Tratti le donne come oggetti di piacere, ti diverti a spezzare loro il cuore e a mollarle dopo una sola notte di sesso.»

«Mi odi per solidarietà femminile?»

«Una specie» disse Charlotte, facendo spallucce.

Ma Robert sentì che c'era altro, qualcosa che Charlotte stentava a dire. Poi il ricordo di una conversazione lo fece sorridere. «Tu mi odi per colpa di Eric!»

La donna s'irrigidì all'istante. Erano anni che nessuno nominava Eric. «Che cosa?»

«Eric, quel fighetto che ti ha mollata al ballo del liceo per farsi Pamela Williamson» ricordò Robert. «Sì, quanti anni avevi, sedici, diciassette? Stavate insieme ma poi avevi scoperto che ti tradiva con mezza squadra di cheerleaders!»

«Punto primo: io non ti odio per colpa di una storiella adolescenziale finita male» Charlotte agitò l'indice di fronte al volto di Robert, ormai furiosa. «Punto secondo: tu non sai cosa sia veramente successo. Punto terzo: sei un coglione!»

Robert rimase interdetto dalla collera dimostrata da Charlotte, tanto che rimase immobile mentre lei usciva dal locale completamente fuori di sé. No, non poteva finire lì. Spinto da uno strano senso di protezione e curiosità verso la donna, pagò e uscì, inseguendola per strada. Camminava dietro di lei, senza dire nulla, con le mani nelle tasche e l'alcool in corpo che gli faceva girare la testa. «Charlie, mi dispiace!»

«Ti dispiace?» si voltò lei furiosa. «Ti dispiace?»

Robert deglutì, alzando le mani in segno di resa, mentre lei gli puntava il dito al petto. Certo che l'alcool le faceva uno strano effetto.

«Tu non sai nulla di me. Sin da bambini non hai fatto altro che tormentarmi. I capelli bruciati, le bambole seppellite in giardino» urlava Charlotte, incurante dei passanti che la guardavano straniti. «Al liceo spargevi voci fasulle sul mio conto ed ora, da adulti, continui a tormentarmi ripetendomi quanto sia inadeguata e acida per una relazione stabile. Ma tu che ne sai di cosa vuol dire amare qualcuno e dargli tutto: cuore, corpo, anima...che ne sai della sofferenza, di cosa significa essere usati e poi gettati via come spazzatura. Tu non sai nulla!»

«Ora stai esagerando» disse lui a denti stretti, prendendola per le spalle, strattonandola e guardandola negli occhi.

E tutto si era ridotto a quell'insignificante particolare, quei semplici occhi azzurri che l'avevano incatenata e fatta sentire minuscola e fragile.

Mai nella sua vita aveva provato un tale senso di impotenza dinnanzi ad un uomo; sin dall'infanzia, dopo aver imparato a sopravvivere, non aveva mai permesso a nessuno di farla sentire sottomessa o senza forza. Lei non era una donnina che si lasciava dominare, era un uragano in piena attività che nessuno poteva fermare.

«Ti accompagno a casa.» si riprese Robert. Era stato un attimo, ma quel semplice sguardo li aveva calmati entrambi.

Camminavano in silenzio, immersi nei loro pensieri. Robert si sentiva quasi in colpa per aver riportato a galla una vecchia ferita, per lui Charlotte era una specie di sorella minore acquisita, certo si detestavano, ma quando dormiva era sopportabile.

Però, per lui, quel silenzio era insostenibile, molto più della parlantina di Charlotte. «Allora, come sono andate le cose?»

«Chiudi il becco!»

«Hai detto che non so nulla, quindi mettimi al corrente di quello che è successo fra te ed Eric, magari possiamo organizzare insieme il suo omicidio.»

Era una battuta macabra, ma fece comunque ridere Charlotte e questo bastò a Robert. Non era facile farla ridere, ma doveva ammettere che quel sorriso era splendido.

«Uccidere Eric per un fatto avvenuto quando ero un'adolescente?»

«Certe persone uccidono per molto meno» fece spallucce Robert. «Sono un poliziotto, potrei aiutarti a fare piazza pulita di tutti quegli ex che ti hanno ferita.»

«Sai, questa mentalità non è da te.»

«Non è da noi parlare senza litigare, ma credo che per stasera abbiamo fatto il pieno, quindi...che è successo?»

Charlotte si fermò, guardandosi le punte degli stivali. Non era da lei aprirsi con Robert, ma l'alcool e quella sensazione di agio la fecero aprire. «Eric mi ha usata.»

Merito dell'alcool.

«Lui mi ha presa in giro, voleva solo una cosa e, quando l'ha ottenuta, mi ha piantata.» Charlotte riprese a camminare. Sentiva lo sguardo di Robert su di sé ma, a differenza delle altre volte, non la infastidiva. «Sono stata una stupida e quell'errore l'ho ripetuto tante altre volte. Eric non è il solo, lui è stato il primo di una lunga lista di stronzi che sono entrati nella mia vita.»

Robert ascoltava e si sentiva quasi un fratello maggiore, come se stesse ascoltando le confidenze di una sorellina in difficoltà. Dopo anni di litigi era bastata una sola sbronza a calmare gli animi. Se solo ci avesse pensato prima.

«E tu?» domandò all'improvviso Charlotte. «Cosa ti ha reso un don Giovanni incapace di legarsi ad un altro essere umano?»

L'uomo fece una smorfia, portandosi l'indice alla bocca, come se stesse pensando. «Nulla!»

«Nulla?»

«Nulla!»

«Quindi hai un handicap sentimentale di natura» sbottò Charlotte, ridendo e dandogli una spallata.

Robert annuì, stringendo gli occhi a due fessure. «Diciamo che non ho ancora incontrato una donna in grado di farmi dimenticare tutte le altre donne.»

«Questo conferma che sei uno stronzo di natura.»

«E tu sei complicata, Charlotte.»

Charlotte rise, annuendo e fermandosi di fronte alla palazzina dove abitava. «Arrivata.»

«Perché non parliamo mai in questo modo?»

Quella domanda la colse di sorpresa, ma lei conosceva la risposta. Piegò leggermente la testa, dando una pacca sul braccio a Robert. «Perché normalmente siamo sobri!»

Lui annuì, osservandola salire i gradini ed entrare nell'edificio. Che cosa stava succedendo tra loro due? Era forse quella la loro partenza buona?





Angolo Autrice:

Il pub Voodoo non esiste, me lo sono inventato.

Ed ora abbiamo scoperto alcuni altarini e le delusioni di Charlotte, ma non fatevi ingannare da questo lampo i benevolenza nei due, perché tra loro non sarà così facile.

Quindi restate in allerta e aspettate di vedere che combinano!

Teoricamente, dovrei aggiornare l'11, ma dato il matrimonio di mia cugina, aggiornerò il 14!








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Capitolo 5
*** Cap. 4 ***






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Capitolo 4

That's Life

Frank Sinatra – That's Life















La voce di Frank Sinatra riempiva la tavola calda Seven. Era accogliente, tranquilla, come i ricordi della sua infanzia. Charlotte ricordava le corse dietro al bancone e le risate in cucina con nonno Joseph; era praticamente cresciuta in quel locale.

Il Seven era stato fondato alla fine degli anni '20 dai suoi bis nonni: Julianna e Victor Lebeau, genitori di sua nonna Rose. I due erano di estrazioni sociali diverse. Julianna una nobile inglese e Victor un inserviente di colore. Lei aveva rotto le regole innamorandosi di un semplice cameriere di razza diversa. Era andata contro tutto e tutti, ma alla fine aveva vinto, riuscendo a sposarlo e, insieme, a fondare la tavola calda.

Da bambina Charlotte aveva ascoltato per ore intere quella storia, sospirando ogni volta, sognando di poter vivere un amore intenso e duraturo come il loro. Sua nonna era nata da quell'unione che andava contro le regole di quei tempi, era cresciuta come figlia mulatta, ma sempre orgogliosa di avere sangue misto. La sua pelle color caffè latte ed i suoi occhi azzurri ereditati dalla madre, in contrasto con la carnagione ed i capelli castani, erano il segno di ciò che era: la figlia di due culture.

Charlotte sentiva sempre quell'atmosfera nel Seven, era come se ogni parete urlasse per raccontare dell'amore che aveva spazzato via ogni pregiudizio perché la felicità potesse prevalere. Peccato che amori simili ormai si contavano sulle dita di una mano.

Seduta al solito tavolo, scriveva senza sosta, preparando l'ennesimo intervento radiofonico che avrebbe tenuto centinaia di donne incollate alla radio.

«Che cosa ti preoccupa?»

Quella voce calda la fece sobbalzare. Sua nonna la stava osservando dall'alto con la brocca del caffè in mano e un sopracciglio inarcato.

Sbatté le palpebre un paio di volte, non riuscendo a capire il senso di quella domanda. «Come nonna?»

Con un sospiro la donna le si sedette di fronte. «Sei qui da tre ore e hai bevuto solo caffè. Solitamente ordini sempre pancakes e muffin la mattina, ma oggi no, quindi qualcosa ti preoccupa.»

«Solo perché non ho fame non vuol dire che qualcosa mi preoccupi.»

«Charlotte, tu hai sempre fame.»

Che cosa doveva fare? Dire solo la verità. Con nonna Rose non c'era scampo, quella donna aveva le antenne per captare qualsiasi emozione o quant'altro.

«Si tratta di Robert?»

«Come fai a saperlo?»

«Sono tua nonna, io so sempre tutto!»

Charlotte sospirò, portandosi le mani al volto e sfregandosi gli occhi. «Non capisco più nulla.»

Si sentiva confusa e frastornata. La sera prima lei e Robert avevano parlato come se tra loro tutto fosse sempre andato bene; riportare a galla la storia di Eric aveva riaperto vecchie ferite, ma era stato il comportamento di Robert a metterla in soggezione. Perché l'aveva ascoltata senza punzecchiarla? Forse aveva bevuto troppo.

«Non fate altro che litigare, magari è giunto il momento di fare pace» disse Rose. «Magari lui potrà aiutarti ad essere più aperta.»

«Nonna, ho studiato psicologia come la mamma e capisco quando una persona cerca di aggirarmi e farmi fare quello che vuole» sospirò Charlotte, alzando nuovamente la solita barriera immaginaria. «E tu stai cercando di spingermi verso Robert da anni!»

Rose rise, scuotendo il capo. «E cosa c'è di male?»

Come a darle man forte, Hannibal abbaiò, facendo sobbalzare Charlotte. «Grandioso, ora ti ci metti anche tu?»

«Robert è l'unico uomo, al di fuori della famiglia, col quale hai un rapporto d'amicizia. Hai chiuso fuori gli altri uomini per impedire a te stessa di soffrire, ma facendolo hai lasciato alle tue spalle quelli che potevano darti molto...Robert compreso.»

«Quante volte devo dirti che tra me e Robert non accadrà mai nulla, nemmeno se viene giù Domineddio in persona!»


***


«Che ti prende stamattina?»

«Come?» Robert si riscosse, sentendo la voce di James accanto a lui. Seduto in macchina non si era reso conto di essersi perso nei suoi pensieri.

«Hai la testa altrove. Posso conoscerne il motivo?» domandò con insistenza James, continuando a guidare.

La verità era che nemmeno lui sapeva cosa gli stava prendendo. Era tutto così strano, Charlotte che si apriva con lui, la loro chiacchierata tranquilla, il sapere perché da bambina sognatrice e innamorata della favola di Cenerentola era divenuta una donna cinica e acida l'aveva leggermente lasciato basito. Aveva trascorso la notte a guardare il soffitto, meditando il da farsi.

Poi, in quell'istante, un'idea gli balenò in mente. «Sai se Eric Anderson vive ancora qui?»

«Perché mi chiedi di quel coglione?» aggrottò la fronte James. Ricordava il modo in cui, anni prima, quel pidocchioso stronzo aveva illuso e abbandonato sua sorella. «C'entra per caso Charlie?»

«Tu rispondi alla mia domanda!»

James rimase interdetto, ma sapeva che se Robert si metteva in testa una cosa difficilmente cambiava idea, esattamente come Charlotte. «So che ha fatto carriera come chirurgo plastico. Ha uno studio privato in centro.»

«Sposato?»

«No, ama la vita da single come te. Credo ti faccia concorrenza!» esclamò James. «Ma perché tutto questo interesse verso un coglione che ha solo usato mia sorella?»

«Nulla. Mi sono ricordato di come l'avevi gonfiato dopo aver saputo cosa aveva fatto.»

James rise. Aveva rotto il setto nasale a Eric quando, dopo molti tentativi, era riuscito a scoprire cosa quell'essere aveva fatto a Charlotte. Ricordava di essere andato con Robert al campo di football dove di solito Eric portava le sue conquiste e, trovato dietro le tribune con Pamela Williamson gli si era scaraventato contro, colpendolo al volto con un destro ben assestato.

«Quel naso se l'è fatto ricostruire, sai?»

«Ma nessuno ha ricostruito l'orgoglio ferito di Charlie» bofonchiò Robert, guardando fuori dal finestrino.

«Cosa è successo tra voi due ieri sera?»

«Abbiamo parlato» affermò Robert. «Solo parlato.»

Era un passo avanti, pensò James, sorridendo e sperando che quella semplice chiacchierata tra i due non producesse dei danni collaterali a sfavore di Eric, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto fargliela pagare ancora un po'.

«Di preciso, cosa accadde?» domandò all'improvviso Robert, sorseggiando il caffè che avevano preso poco prima.

«Tra Charlie ed Eric?»

Robert annuì, curioso come una pettegola. Charlotte aveva parlato per enigmi, ma nonostante gli anni, ancora non sapeva cosa fosse realmente successo.

«Charlie era vergine e lui le girò intorno per parecchio, si misero insieme e sembrava che l'amasse, che fossero una bella coppia poi...poi lei, beh, perse la verginità con lui ed Eric dopo quella sera iniziò a trattarla come tutte le altre» James strinse il volante lasciando che le nocche sbiancassero. «Fece lo stronzo e la piantò la sera prima del ballo per poi presentarsi alla serata con Pamela Williamson. Charlie non volle dirmi cosa fosse successo e poi scoprii che lui l'aveva lasciata per quell'altra. Non ci misi molto a fare due più due.»

«E mi hai trascinato a spaccargli il naso.» sorrise Robert e, inconsciamente, strinse il pugno talmente forte che tremò. Non sapeva da dove veniva tutto quel senso di protezione verso quella donna che definiva la sua spina nel fianco, ma aveva una gran voglia di rompere nuovamente quel naso rifatto con tutte le sue forze.

Poteva capire il tradimento, dopotutto Eric era un donnaiolo come lui, ma illudere una ragazza, usarla e abbandonarla era da infame.

«Da ragazzo si faceva di erba...chissà, il lupo perde il pelo ma non il vizio.»

Male, molto male. Quando Robert guardava James con quello sguardo risoluto e folle al tempo stesso, l'uomo sapeva che stava tramando qualcosa ma, quel giorno, bastarono solo quelle parole per convincerlo ad assecondare i suoi piani diabolici.

E pensare che Robert e Charlotte erano più simili di quanto potessero immaginare. Potevano essere una bella coppia, ma quei due erano più ottusi di un mulo.


***


«Toc! Toc!»

Se c'era una cosa che Charlotte adorava fare dopo colazione era andare a trovare il padre in centrale. Da bambina si rifugiava spesso in quell'ufficio, sedendosi sulla poltrona per osservare le fotografie sulle scrivania. Amava suo padre, era l'uomo più retto ed onesto che avesse mai incontrato. L'aveva sempre utilizzato come misura per valutare gli uomini che la circondavano ma nessuno era mai riuscito ad eguagliarlo; ai suoi occhi nessuno poteva essere migliore di Jack Sinclair.

«Chucky!» l'accolse Jack, alzandosi per abbracciarla. S'illuminava sempre quando la vedeva. La figlia prediletta, la principessa da proteggere e la donna forte che ormai era diventata. «Che ci fai qui?»

«Passavo da queste parti.»

«È successo qualcosa?» domandò scrutando la figlia attentamente. I suoi occhi non sapevano mentire, erano in grado di dirgli la verità molto prima che lei potesse anche solo mentire e Charlotte lo sapeva.

Lentamente sganciò il guinzaglio di Hannibal, lasciando che il cane saltasse sul divanetto dell'ufficio mentre lei faceva spallucce. «Ieri ho avuto una conversazione civile con Robert. La prima in diversi anni e...e mi è piaciuto.»

Jack non apprezzava i modi di fare di Robert. Lo reputava un buon agente, ma un uomo che nessun padre voleva vedere accanto alla figlia. Era bravo, simpatico, ma non adatto alle relazioni sentimentali; troppo preso dalle convinzioni che uscire con donne diverse fosse meglio che stare con una sola per tutta la vita.

«Per non parlare del modo in cui mi ha guardata dopo che gli ho raccontato come sono andate le cose con Eric» proseguì Charlotte, sedendosi sulla sedia, imitata dal padre che la osservava attentamente. «Per la prima volta da anni mi sono sentita impotente.»

«Provi qualcosa per lui.»

«Lo detesto!»

«Questo è risaputo» sbuffò Jack. «Ma tu e tua madre avete questa sindrome della crocerossina. Volete a tutti i costi sperare che i cattivi ragazzi possano redimersi ma...»

«Io non voglio redimere Robert, io voglio che stia alla larga dalla mia vita!»

«Ma?»

C'era sempre un ma quando si trattava di Robert. Charlotte sapeva di non poter evitare l'uomo, ma poteva benissimo tenerlo alla larga dal suo cuore. Aveva conosciuto troppi uomini narcisisti e casanova come lui, questo la spingeva a detestarlo, ma era successo qualcosa su quel marciapiede, qualcosa che la stava spingendo a domandarsi se fosse possibile essere amici e non nemici. In fondo erano abbastanza simili, entrambi disprezzavano l'amore, magari potevano fare di quel pensiero il loro punto d'incontro.

«Non lo so. So solo che sono confusa.»

Jack annuì, baciandole la fronte. «Lo capirai da sola, Chucky!»

Stava per aggiungere altro, ma degli schiamazzi all'esterno dall'ufficio attirarono la loro attenzione. Robert e James stavano trascinando un uomo in manette, urlante e furioso per chissà cosa.

«Ma che diavolo?» Jack andò loro in contro. «Si può sapere che cavolo succede?»

«Eric Anderson, Capitano» rispose Robert.

«L'abbiamo trovato con questa addosso.» James prese dalla tasca una bustina di plastica.

Jack l'aprì, annusandone il contenuto. «Marjuana.»

«Non è mia!» esclamò Eric, agitandosi mentre Charlotte osservava la scena divertita.
Si sentiva quasi soddisfatta a vederlo in manette, era come una rivincita per lei. Quell'arresto non la convinceva, soprattutto quando incrociò lo sguardo di Robert, decisamente poco professionale. Quell'arresto puzzava di bruciato, ma suo padre non oppose resistenza, né sollevò obbiezioni.

«Portatelo in cella!» si limitò ad urlare, sorridendo dietro ai baffi. Di certo, anche lui, provava soddisfazione come la figlia.

La vita era proprio strana, Eric forse non era stato l'unico stronzo nella lista dei ragazzi di Charlotte, ma quel giorno era certamente il capro espiatorio.

Sinatra aveva proprio ragione: è la vita, è quello che dicono tutti.






Angolo Autrice:

Ed ecco questo capitolo che, spero, vi sia piaciuto.

Charlotte inizia a sentirsi confusa, Robert ha propositi di vendetta che non dovrebbe avere e abbiamo conosciuto meglio nonna Rose e papà Jack.

Per non parlare di Eric, arrestato per vendetta. James e Robert sono terribili insieme, ma aspettate il prossimo capitolo, ne vedremo delle belle!

Un bacione, ci vediamo tra dieci giorni!







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Capitolo 6
*** Cap. 5 ***









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Capitolo 5

If Everyone Cared

Nickelback – If everyone cared









«Ad Eric!»

Un brindisi alzato al cielo insieme alla musica rock che suonava nel pub Voodoo. Dopo l'arresto poco chiaro di Eric, Charlotte si era sentita euforica, tanto che aveva festeggiato per tre giorni di seguito. Quello era il quarto durante il quale, finalmente, era riuscita a convincere il padre a lasciare a James e Robert una serata libera.

Per punirli Jack aveva assegnato loro turni notturni. Sebbene anche lui avesse gioito di quell'arresto, non poteva farla passare liscia ai due che, aggirando le regole, avevano finto di trovare nella tasca di Eric un sacchetto di erba, estorto poco prima ad un loro informatore. Non si erano mai abbassati ad utilizzare il distintivo come arma per una vendetta personale, ma per una volta avevano scelto di fare un'eccezione. Fortunatamente non c'erano testimoni che potessero avvalorare la tesi del povero malcapitato, così Eric se l'era cavata con una notte in cella e un'uscita su cauzione, per non parlare del processo per possesso di stupefacenti al quale sarebbe presto andato in contro. Era la sua parola contro quella dei due detective.

Ah, la vita iniziava ad essere bella per Charlotte, ma qualcuno aveva altre intenzioni quella sera e il destino aveva deciso di metterci lo zampino. O meglio, Karen e James.

Il telefono della donna squillò all'improvviso costringendola ad allontanarsi per qualche secondo, tornando poi con uno sguardo decisamente aggressivo. «Mia madre ha un'altra crisi isterica!»

«Ti accompagno.»

Fu questa frase di James la parte strana della conversazione. Lui non sopportava la madre di Karen e le sue crisi di pianto isterico. Le capitava qualche volta, quando guardava le fotografie della figlia da piccola; all'improvviso piangeva e si disperava per il matrimonio imminente e lei era costretta ad andare a trovarla per tranquillizzarla e dirle che niente sarebbe cambiato. Solitamente James le girava al largo, ma quella sera no.

Certo, se Charlotte e Robert li avessero seguiti al parcheggio, avrebbero notato i sorrisi e le risate vittoriose dei due, comprendendo che era tutto un piano per lasciarli da soli. Ma non lo fecero, restarono semplicemente seduti al tavolo, in silenzio, troppo tesi per parlare tra di loro.

Charlotte, alla fine, si decise a interrompere quel silenzio. «Ehi, nessuna donna da puntare?»

Una bionda era appena passata accanto a loro e Robert non si era voltato per guardarla. Strano, lui aveva un debole per le bionde.

«Nessuna» affermò lui, tenendo la testa bassa. «Come mai sei così gentile stasera?»

Era sospetto quel suo comportamento troppo tranquillo nei suoi confronti. Normalmente l'avrebbe evitato come la peste, invece quella sera si era seduta di fronte a lui senza fare battutine o osservazioni sui suoi comportamenti troppo maschilisti.

«Ho come la sensazione che dietro al piano di arrestare Eric non ci sia mio fratello ma te!»

«Te lo giuro, ha fatto tutto James!» esclamò lui alzando le mani.

Ma Charlotte rise, scuotendo il capo e piegandosi leggermente verso di lui. «In ogni caso, grazie.»

Perché doveva sorridergli a quel modo? Robert aveva un debole per quel sorriso. Se fosse rimasta cinica e rompiscatole sarebbe stato facile detestarla, ma quella sera non ci riusciva.

Dannato alcool!

Una birra, poi un'altra, la tequila e ben presto abbandonarono il locale. New Orleans iniziava a vestirsi delle luci natalizie, ormai mancavano due settimane alla festività e tutti, intorno a loro, sembravano in festa.

«Quando avevo sedici anni presi di nascosto l'auto di mia madre per andare ad una festa. Al ritorno ero talmente fatta da immaginare un alligatore in mezzo alla strada» rise Charlotte, iniziando a ricordare le sue scorribande da adolescente.

Aveva avuto quella che si poteva definire un'adolescenza piuttosto movimentata. Non era mai stata una ragazza tranquilla o timida, certo aveva trascorso gran parte di quegli anni a credere nelle favole, ma aveva smesso dopo i quindici anni, quando i genitori divorziarono.

Robert rideva di gusto, immaginando la scena. «Ricordo quella sera, James ed io eravamo all'accademia quando tua madre lo chiamò per chiedere se sapeva dove ti trovassi.»

«Ah, io non ricordo molto, so solo che al ritorno sbandai e uscii di strada, finendo nella proprietà del vecchio Abe!» esclamò Charlotte, abbassando poco dopo lo sguardo. «Quando arrivai in centrale e vidi lo sguardo di mio padre mi sentii colpevole. Mi lasciò in cella tutta la notte ed io, durante quelle ore, non riuscii a chiudere occhio. Mi giravo e rigiravo su quella branda continuando a pensare alla delusione che avevo letto nei suoi occhi.»

Camminavano l'uno di fianco all'altra, costeggiando la riva del Mississipi. Ridevano come se nulla tra loro fosse mai successo, come se fossero sempre stati amici.

«E tu? Qualche scheletro nell'armadio?» domandò Charlotte, dandogli una spallata.

Robert sorrise, infilandosi le mani nelle tasche della giacca di pelle per sfuggire al freddo di dicembre. «A quindici anni mia madre mi sorprese mentre...beh, mentre mi masturbavo.»

Se non ci fosse stata la penombra, probabilmente Charlotte avrebbe potuto notare il rossore sulle guance di Robert, ma era troppo intenta a ridere per riuscire a farci caso.

«Questa batte qualsiasi momento imbarazzante!»

«Non me lo ricordare» sbuffò Robert. «Subito dopo mi dovetti sorbire una predica di dimensioni epocali. Immaginati se mi avesse beccato in piena attività con una ragazza.»

«Ti avrebbe fatto la predica su quanto sia importante il sesso sicuro o l'astinenza fino al matrimonio.» Charlotte rise, fermandosi per riprendere fiato a causa delle troppe risate. Era così strano divertirsi con Robert, camminargli accanto; sembrava quasi un appuntamento.

Poi sospirò, mordendosi il labbro inferiore e ponendo quella domanda che gli ronzava nella testa da giorni. «Perché?»

Robert corrugò la fronte, guardandola dall'alto. Era più alto di lei di almeno dodici centimetri. «Come?»

«Perché hai arrestato Eric?» era il momento migliore per chiederlo. Grazie all'alcool nei loro corpi, entrambi erano più sinceri e propensi a raccontarsi la verità.

Difatti Robert deglutì, stringendosi nelle spalle. «Sarò anche uno stronzo, ma non sopporto vedere altri uomini trattarti male.»

Erano le parole di un uomo sbronzo, ma lo era anche Charlotte ed i freni inibitori erano andati a quel paese alla quarta birra. «Quindi vuoi essere l'unico a potermi trattare male?»

«Diciamo che io mi comporto da stronzo con le donne, ma Eric si è comportato da vero bastardo con te e non volevo che la passasse liscia!»

«Anche se è successo più di undici anni fa?»

«Esattamente!» esclamò Robert dandole le spalle e avviandosi.

Sorridendo, però, Charlotte gli corse dietro, saltandogli sulla schiena, rischiando di far cadere entrambi. «Allora mi vuoi bene!»

«Voglio bene alla Charlotte ubriaca, non alla Charlotte sobria.» Robert sistemò la donna sulle sue spalle, portando le braccia sotto le sue ginocchia e lasciando che lei gli cingesse il collo con le braccia. Poteva sentire il suo mento sfiorarlo e questo lo fece sorridere mentre si avviava con lei in spalla verso casa. Sentiva la testa leggera e uno strano senso di felicità in corpo attribuibile alle birre e alla tequila.

Erano così ubriachi da faticare ad inserire la chiave nella toppa della porta e, una volta entrati, dovettero reggersi l'una all'altro per non cadere. Se prima Robert era riuscito a portarla in spalla, ora il tasso alcolemico iniziava a farsi sentire, costringendolo a lasciarsi andare sul divano, riconoscendo l'appartamento di Charlotte.

«Dovrei andare a casa» biascicò lui.

Charlotte si sedette accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla. «Dovresti.»

Lei cercava di mantenere gli occhi aperti, ma tutto intorno a lei vorticava velocemente e il senso della realtà iniziò a vacillare. Il suo autocontrollo non esisteva più, sentiva solo il forte profumo di Robert inebriarle i sensi. Aveva un debole per quell'aroma di muschio e ambra, quella nota pungente che l'attraeva come un'ape verso il fiore più prelibato.

«E se non volessi?» domandò allora Robert, guardando Charlotte in maniera strana, avvicinandosi lentamente al suo viso. Una parte di lui gli urlava di fermarsi, ma l'altra era completamente succube dell'alcool, tanto da mandare a quel paese ogni freno inibitore insieme a quello che rimaneva del suo orgoglio.

La donna era ipnotizzata da quegli occhi azzurri, tanto da non riuscire a staccare lo sguardo da essi. «Mi gira la testa.»

«Anche a me.»

«Forse non dovremmo.»

«Hai ragione.»

Ma i loro volti erano fin troppo vicini e Charlotte si sentiva completamente in balia di quelle mani che correvano sul suo corpo privandola della giacca; troppo presa da quegli occhi che la stavano spogliando con lo sguardo. «Domani ce ne pentiremo.»

«Lo penso anch'io.» Robert non sapeva che cavolo gli stesse dicendo la testa, ma c'era qualcosa che lo spingeva ad accarezzare quel viso ovale che fin troppe volte aveva visto infuriato. Era bella, non come le donne che solitamente frequentava, bionde e alte, ma aveva un suo fascino. Forse erano gli occhi dolci e luminosi, o il carattere spigoloso e sarcastico che la distingueva da tutte quelle che aveva conquistato e lasciato nell'arco di una notte. Oppure erano le birre che aveva ingerito. Non lo sapeva, ma sentiva di volerla ad ogni costo.

A nessuno dei due importava delle conseguenze, tanto meno a lui; voleva assaporare quelle labbra, quel corpo a lui sconosciuto. La desiderava senza nemmeno saperlo, senza averlo mai pensato. A pochi centimetri da lei provò a desistere ma, alla fine, decise di gettare via quel poco di lucidità che gli era rimasta, baciando Charlotte con frenesia e passione.

Un bacio e poi un altro, era come se qualcosa li costringesse a continuare. Non era istinto, nemmeno disinibizione, era pura e semplice attrazione.

I loro corpi si stringevano tra loro come a non voler mai lasciarsi. Le mani frenetiche spogliavano e accarezzavano mentre le labbra si saziavano del sapore dell'altro. Era come se quello che stavano facendo l'avessero atteso e desiderato per anni e anni senza mai riuscire ad esprimersi. I fumi dell'alcool avevano abbattuto le barriere e mandato a quel paese i freni inibitori, si volevano e quando riuscirono ad aversi fu solo sentimento e nessuna logica.









Angolo Autrice:

Ve l'avevo detto che il capitolo cinque riservava una piccola sorpresa.

Eh, l'ho sempre detto di non bere alcolici col nostro peggior nemico, si finisce sempre per fare la pace in maniere poco consone!

Quasi mi dimenticavo di specificare un piccolo particolare: ogni capitolo porta il titolo di una canzone.

Prossimo aggiornamento domenica 3 agosto, buona lettura!

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Capitolo 7
*** Cap. 6 ***









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Capitolo 6

I'm Gonna Be (500 Miles)

The Proclaimer – I'm gonna be (500 miles)











Che cavolo aveva fatto?

Nulla era più umiliante e degradante di ritrovarsi a letto, completamente nuda, avvinghiata al corpo altrettanto nudo di Robert Goodwin.

Aveva un terribile mal di testa e la bocca impastata, ma tutto ciò non le impedì di andare completamente nel panico. Che cosa aveva fatto la sera prima? Ricordava di aver lasciato il Voodoo con Robert e di aver camminato e riso con lui e più cercava d ricordare, più il mal di testa saliva.

Silenziosamente si alzò, cercando di coprirsi con i vestiti sparsi a terra. Voleva piangere, ma tutto quello che riuscì a fare fu entrare in bagno e chiudersi dentro a chiave. Seduta sulla tazza del water, Charlotte cercò di fare mente locale per riuscire a slegare quella matassa di ricordi che aveva nella mente.

Poi ricordò un bacio, Robert che le accarezzava la schiena e lei che lo spogliava. Non poteva crederci, aveva fatto sesso con Robert!

«Stupida!» esclamò dandosi uno schiaffo in fronte. «Stupida. Stupida. Stupida!»

Che doveva fare? All'improvviso si rese conto che lui stava ancora dormendo nel suo letto e che, di lì a poco, si sarebbe svegliato. No, non poteva affrontare quella situazione. Cercando di fare meno rumore possibile si sciacquò la faccia e i denti, uscendo in punta di piedi per vestirsi, arraffando indumenti puliti dall'armadio e prendendo le chiavi dell'auto. Non lasciò biglietti o saluti, si limitò a darsela a gambe.

Aveva lasciato Hannibal a suo padre, come accadeva ogni volta che usciva per diverse ore, così si diresse da suo padre, cercando di non piangere durante il tragitto. Si sentiva confusa, disorientata, come se tutto il suo mondo le fosse crollato addosso. Come aveva fatto a cacciarsi in una situazione del genere? Perché aveva ceduto a quella tentazione? E, soprattutto, che cosa le aveva impedito di urlare e aggredire Robert con qualsiasi oggetto le capitasse a tiro?

Parcheggiò nel vialetto, spegnendo l'auto e poggiando la fronte sul volante. «Charlie, sei fottuta!»

Prendendo un respiro profondo scese dall'auto, entrando in casa del padre accolta da Hannibal, ma quando varcò la soglia del salotto si trovò di fronte ad una scena che mai si sarebbe aspettata di vedere.

«Oh mio Dio!» esclamò, voltando le spalle ai genitori in piena attività sul divano.

Jack cadde a terra, spinto da Victoria sotto di lui. «Charlie, tesoro, non è come sembra.»

«Quindi tu e la mamma stavate solo facendo ginnastica?» domandò Charlotte restando di spalle. Li sentiva affrettarsi per rivestirsi e questo la mandava in estrema confusione. «Non eravate divorziati?»

Prima la notte passata con Robert ed ora trovava i suoi genitori nudi, sul divano, che facevano sesso. La sua giornata non poteva cominciare in maniera peggiore. Cosa diceva sua nonna in certi casi? Se le cose ti vanno male, pensa che potrebbero andare peggio.

Decisamente stava andando tutto a rotoli!

Jack le andò di fronte, mettendole le mani sulle spalle. «Sai, siamo adulti e vaccinati, non servono sentimenti per fare sesso.»

«Ok, papà, non dire quella parola» disse Charlotte, scrollandosi dalla presa del padre e avviandosi verso la porta seguita dal fedele Hannibal.. «Mi ci vorranno anni di psicanalisi per rimuovere questo trauma!»

C'era da dire, però, che se qualcuno avesse notato la sua faccia sconvolta, avrebbe potuto usare come scusante la visione dei suoi genitori divorziati intenti a fare sesso sul divano, senza dover mettere in piazza l'errore più grande della sua vita.

La vicenda prendeva un risvolto del tutto inatteso.


***


Robert aveva l'aria stralunata quando entrò in centrale. Senza salutare nessuno si diresse nel salottino, versandosi subito del caffé. Aveva vaghi ricordi della sera precedente, ma abbastanza per rendersi conto di aver fatto una grandissima cazzata.

Portarsi a letto Charlotte non era stato un colpo di genio, tutta colpa della birra e della tequila, non c'erano altre spiegazioni. Per fortuna, quando aveva aperto gli occhi, Charlotte era già uscita, si era risparmiato una sfuriata degna di nota con tanto di piatti e oggetti lanciati contro la sua persona.

«Buongiorno raggio di sole!» James sembrava felice quando entrò nel salottino, con tanto di sorriso stampato in faccia. «Anche se, data questa citazione in giudizio, dovrei definirla una pessima giornata, ma fa niente.»

«Che intendi dire?»

James lo guardò stranito. Robert aveva una faccia da funerale e lo sguardo perso di chi aveva non solo bevuto troppo, ma commesso la cazzata più grande della sua vita. «Che succede?»

«Ho bevuto troppo. Di che citazione in giudizio stai parlando?»

«Oh no, tu non lasci morire il discorso così, adesso mi spieghi per quale motivo hai quell'aria da cane bastonato!»

E cosa bisognava fare quando James Foreman Sinclair insisteva tanto? O si diceva la verità, oppure si raccontava una menzogna colossale.

«Ho fatto sesso con una che, stamattina, si è scoperta fidanzata. Per poco il fidanzato non mi faceva finire in ospedale.»

Altrimenti si racconta una menzogna colossale credibile.

Abbastanza credibile da convincere James che, piegato in due, scoppiò a ridere. «Amico, sei proprio fottuto.»

«Già.»

Quanto aveva ragione James. Robert era un uomo morto, perché se il Capitano Sinclair fosse venuto a sapere dell'accaduto, non solo poteva dire addio ai gioielli di famiglia, ma anche alla vita.

Mai toccare la figlia di Jack, si finiva solo male.


***


«Erano a letto insieme...mamma e papà!»

Dopo aver stressato pesantemente Karen al telefono, Charlotte era uscita, anticipando la corsa nel parco. Solitamente andava a correre nel primo pomeriggio, ma quella mattina era troppo agitata e il bisogno di scaricarsi e rilasciare le endorfine che le avrebbero indotto il buon umore era troppo forte. Così, con l'auricolare all'orecchio e Hannibal al guinzaglio, parlava con Allison al telefono mentre la sorella lavorava.

Non aveva raccontato nulla di quanto accaduto la sera precedente, e di certo non sarebbe andata mai sul discorso, ma più ci pensava più sentiva una gran voglia di prendere a pugni Robert. Ecco che, finalmente, usciva il suo essere manesca, cosa che appena sveglia non era emerso.

«Stavano facendo sesso sul divano...il divano dove guardiamo le partite la domenica!»

«Sei più sconvolta di quanto pensassi. È accaduto qualcos'altro oltre ad aver sorpreso i nostri genitori mentre facevano sesso?»

Charlotte si fermò subito, il cuore batteva forte ma non per la corsa. Allison era come sua nonna, sapeva quando qualcosa non andava, quando qualcuno le mentiva o le nascondeva qualcosa. Forse perché era una mamma e comprendeva le bugie dei suoi figli, oppure per il semplice fatto che le voleva bene. Ma Charlotte rimase spiazzata ugualmente, deglutendo e piegandosi con le mani sulle ginocchia. «No!»

Allison sospirò, riconoscendo all'istante quel finto tono sorpreso. Stava nascondendo qualcosa di grosso che la preoccupava. «Hai litigato con James?»

«No.»

«Con Robert?»

Silenzio. Charlotte non sapeva mentire e, quando veniva messa alle corde, taceva ed ormai Allison sapeva stanarla e portare i suoi sentimenti in superficie. Doveva fare la psicologa come la madre, non il chirurgo.

«Cosa è successo?»

«Nulla!» La sua voce aveva un tono stridulo nonostante il fiatone per colpa della corsa. «Ora devo andare.»

Allison non riuscì a ribattere, la sorella chiuse la telefonata prima ancora che lei potesse anche solo salutarla.

E come ogni mattina, Charlotte si diresse verso la tavola calda della nonna per fare colazione. Non fece in tempo a varcare la soglia che, all'improvviso, si trovò di fronte all'ultima persona che voleva incontrare.

«Robert» sussurrò semplicemente. Per fortuna il tintinnio dei campanelli all'ingresso coprirono quel lieve bisbiglio e nessuno, tanto meno sua nonna, notò la sorpresa nella sua voce. Doveva ammettere che vederlo con la pistola al fianco era piuttosto affascinante. Ma che cavolo di pensieri faceva, era forse impazzita? Probabilmente non aveva ancora smaltito l'alcool della sera precedente.

I due si guardarono per un lungo istante, non sapendo come comportarsi o cosa dire. Robert si aspettava una scenata, urla, oggetti volanti, Charlotte che lo accusava di aver approfittato di lei, ma non accadde nulla di tutto questo, solo un imbarazzante silenzio tra loro, interrotto dal repentino intervento di James.

«Sorellina, dormito bene?» domandò lui, affiancando Robert con due caffè da portar via tra le mani.

Charlotte s'irrigidì, lanciando un'occhiata torva a Robert per poi rivolgersi al fratello. «Perché?»

«Sembri sconvolta!»

Charlotte si rilassò, per un attimo aveva temuto che Robert avesse rivelato a James cosa fosse successo tra loro, ma per fortuna si era sbagliata.

E come ogni volta indossò la sua maschera di strafottenza e sarcasmo, fingendo che nulla fosse successo. «Lo saresti anche tu se ti fossi trovato di fronte alla scena di mamma e papà che fanno sesso sul divano.»

Ma James non sembrava sorpreso o sconvolto, bensì divertito. Scoppiò a ridere, battendo la mano sulla spalla di Robert, il quale non si mosse, né si scompose. Sembrava un pezzo di ghiaccio e lo stesso Charlotte.

«Meglio che andiamo.» Fu repentino Robert, tanto da far terminare la risata di James.

Che cosa stava succedendo?

Era incuriosito il maggiore dei Sinclair, tanto da seguire Robert fuori dalla tavola calda salutando distrattamente la sorella minore. C'era qualcosa tra quei due, qualcosa che entrambi non volevano raccontare, ma non fece domande.

Attese qualche minuto, giusto il tempo di salire in macchina e immettersi nel traffico. «Posso sapere cosa sta succedendo?»

«Che intendi dire?»

James alzò gli occhi al cielo, il suo migliore amico era uno zuccone al pari di sua sorella. «Fra te e Charlie. Insomma, lei arriva e tu te ne vai senza nemmeno sfotterla come fai di solito. Sembra che vi stiate evitando.»

«Non è successo niente!»

«Vi siete baciati?»

«Ripeto: non è successo niente!» Robert scandì bene le parole, senza mai staccare lo sguardo dalla strada e James capì che quel niente voleva dire tutto.


***


L'appartamento di Charlotte era in disordine, non che fosse strano, quella donna odiava riassettare, era capace di tenere nel frigo cibo avariato per settimane, senza avere il minimo interesse a gettarlo nella pattumiera. A volte si dimenticava di fare il bucato o di rifare il letto e quando le si faceva notare la confusione, lei rispondeva seccamente “Io amo il mio caos!”.

Non era strano entrare e trovare i piatti sporchi nel lavandino, ma mai Karen aveva visto vestiti sparsi in giro per il salotto o scarpe lasciate all'ingresso con noncuranza. Charlotte amava le scarpe ed erano le uniche cose in quell'appartamento ad essere sempre riposte metodicamente nell'armadio, di solito in ordine cromatico e di modello. Come per i vestiti, quelli sporchi riposti nei vari cesti della biancheria e quelli puliti nel guardaroba oppure sulla sedia in camera sua, mai in giro per casa.

«Che succede?» domandò Karen, posando la borsa sulla poltrona e sedendosi accanto a Charlotte sul divano.

Capelli raccolti completamente sopra la testa, felpa larga, leggings, calzettoni e una bottiglia di vino bianco mezza vuota sul tavolino, qualcosa non andava ed i vestiti gettati alla rinfusa sul tavolo da pranzo lo testimoniavano apertamente.

Difatti la donna osservava apatica lo schermo del televisore e quando Charlotte guardava una soap il sabato sera, invece di riguardarsi la puntata di Grey's Anatomy, non era un buon segno.

«Niente, ho solo visto i miei genitori a letto insieme.» Charlotte fece spallucce, senza staccare lo sguardo dalla televisione.

Karen sapeva che vedere i propri genitori divorziati fare sesso fosse sconvolgente, ma fino ad un certo punto. «E quindi ti guardi le repliche di Beautiful al posto di rifarti gli occhi su Patrick Dempsey in camice medico?»

Ma Charlotte non rispose, così Karen prese il telecomando, spegnendo il televisore. Odiava quando l'amica si comportava da bambina, aveva già un gran da fare durante il giorno con i suoi alunni dell'asilo, non aveva alcuna intenzione di fare da bambinaia anche a Charlotte in crisi esistenziale. Sapeva quando qualcosa non andava e conosceva abbastanza quella testarda da capire che c'era altro.

«Ripeto: cosa è successo?»

Stranamente la donna non protestò, semplicemente bevve un lungo sorso di vino. «Ho combinato un casino.»

«Non è una novità!»

«Sono stata a letto con Robert.»

Non sapeva che reazione manifestare, una parte di lei stava esultando, mentre l'altra era sconvolta per la tempistica. Così Karen si limitò ad un'espressione basita mentre si sistemava meglio sul divano e prendeva dalle mani di Charlotte il bicchiere di vino, svuotandolo completamente. «Avevate bevuto?»

«Parecchio.»

«E lui come ha reagito stamattina?»

Charlotte fece spallucce. «Non lo so, me la sono data a gambe appena sveglia e quando ci siamo incontrati per caso alla tavola calda lui non ha detto nulla, se l'è svignata.»

«Tipico degli uomini!»

Ma Charlotte sembrava troppo tranquilla, perché non urlava e gesticolava per casa come una furia, fantasticando piani di vendetta contro Robert? Era strana quella sua compostezza, magari era la calma prima delle tempesta, oppure c'era qualcos'altro sotto?

«Che altro?»

«Ero ubriaca ma...»

«Ma?»

«Mi è piaciuto.»







Angolo Autrice:

Ed ecco qui, scusate il ritardo ma ho avuto alcuni problemi in queste settimane, comunque eccolo qua, il sesto capitolo.

Charlotte e Robert si evitano, lei sembra più sconvolta di quanto ci si aspettasse e lui evita qualsiasi discorso a riguardo. Diciamocelo, quei due hanno ancora molta strada ma chissà cosa ha in serbo per loro la mia mente malata?

Vi avverto, ci sarà una reazione a scoppio ritardato...state in allerta!

Il prossimo aggiornamento è previsto per il primo settembre, mi prendo una meritata vacanza. Per chi volesse, lascio il link del gruppo dedicato alle mie storie dove pubblicherò alcuni spoiler in attesa di settembre. Buone Vacanze!


Lettere d'Inchiostro, Parole d'Amore

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Capitolo 8
*** Cap. 7 ***









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Capitolo 7

It Is What It Is

Lifehouse – It is what it is










Charlotte adorava il Natale, era la sua festività preferita insieme ad Halloween, ma quell'anno non era riuscita a goderselo come al solito.

Robert era partito per trascorrere le festività con i suoi genitori e, dalla fatidica notte, non si erano rivolti la parola. Da una parte Charlotte ne era riconoscente, almeno non aveva dovuto affrontarlo e, per sua fortuna, Karen non aveva raccontato a James cosa era realmente successo. Chissà come avrebbe reagito suo padre alla notizia di quel disastro?

Aveva trascorso le vacanze come al solito, il cenone della vigilia, il pranzo di Natale, l'addobbo dell'albero con suo padre e, stranamente, quell'atmosfera di serenità tra Jack e Victoria non le era dispiaciuta. Sembrava che il sesso senza sentimenti fosse un toccasana per loro due, l'importante era che non decidessero di tornare insieme, non avrebbe potuto sopportare un'altra separazione.

Poi era giunto l'anno nuovo e, mentre i fuochi d'artificio avevano colorato il cielo di New Orleans, Charlotte aveva sperato che il 2014 portasse con sé la tranquillità che in quell'ultimo mese le era mancata.

Speranza vana.

Con il ritorno di Robert tutto tornò come prima, o forse doveva dire che le cose stavano peggiorando. Perché il bell'imbusto che odiava tanto aveva deciso di pedinarla, o meglio, di seguirla per poterle parlare, cosa alla quale lei non era disposta.

Non solo doveva sopportare una forte nausea e i continui mal di testa, ma anche l'uomo con il quale era finita a letto e che minacciava di renderle la vita un vero inferno. Lo trovava alla tavola calda, al supermercato, a casa di suo fratello, ma quel giorno non aveva fatto in tempo ad entrare nella palazzina dove abitava che lo trovò davanti al portone, seduto sui gradini ad aspettarla con il casco tra le mani e la sua Harley poco distante. Aveva la barba lunga, probabilmente non si rasava da almeno un paio di settimane e, doveva ammetterlo, quell'aspetto trasandato era piuttosto sexy, ma doveva resistere.

«Ma cosa sei? Uno stalker?» Charlotte stava combattendo per non scivolare sulla lastra di ghiaccio creatasi sul marciapiede con l'ultima nevicata, tanto da rischiare di cadere insieme alle buste della spesa. Fortunatamente Robert riuscì a tenerla, passandole un braccio intorno alla vita.

«No, sono un poliziotto!»

«Simpatico!» esclamò lei, liberandosi e avviandosi verso l'interno del palazzo.

Robert era strano, non la guardava negli occhi, nemmeno in faccia, sviava sempre lo sguardo e a Charlotte non dispiacque. Se lui non la guardava allora lei non rischiava d'incappare in quegli occhi chiari che riuscivano a farla tremare.

«Possiamo discutere di quello che è successo?» Era calmo, pacato, mentre salivano al piano in ascensore, al contrario di lei che batteva il piede freneticamente.

«Neanche se tu fossi Captain America!» esclamò Charlotte uscendo dall'ascensore, seguita a ruota da Robert. Voleva lasciarlo fuori dalla sua vita il più velocemente possibile, così frugò nella borsa freneticamente, arraffando le chiavi.

«Possiamo almeno seppellire l'ascia di guerra?»

«Scordatelo!» urlò lei, sbattendo la porta in faccia a Robert, il quale strinse la mascella, sbuffando dal naso.

«Charlie, per favore.»

Di tutta risposta Charlotte aprì di scatto la porta, guardandolo con occhi furenti. «Vuoi discutere? Mi hai portata a letto dopo avermi fatta ubriacare, sei sparito per settimane, ma che dico? Un mese, e poi ti ripresenti a casa mia con la tua Harley e la barba di qualche giorno, guardandomi con occhi da cane bastonato e pretendi che io sia disposta ad un dialogo civile?»

Era furiosa e Robert sapeva che trattare con lei in quelle condizioni non era la migliore delle idee, ma non aveva altra scelta. Voleva risolvere la situazione, cercare di appianare le loro divergenze, ma Charlotte non sembrava volerlo ascoltare.

«Ti ricordo che eravamo entrambi ubriachi» sottolineò lui. «Vuoi addossarmi tutta la colpa? Va bene, ma almeno riconosci che anche tu hai avuto una parte in tutto questo.»

Charlotte fece per chiudere la porta, ma Robert la bloccò con un piede.

«Brava, continua a scappare, non hai fatto altro da quando è successo.» Adesso era Robert quello furioso. «Sei scappata quella mattina senza affrontarmi, scappi ogni volta che mi vedi, ma non puoi farlo in eterno.»

«Certo che posso!» Con una forte spinta, Charlotte sbatté la porta, costringendo Robert ad arretrare per non rischiare di rompersi il piede.

«Charlie, non costringermi a sfondare la porta!»

«Provaci e ti ritroverai con il fucile di mio padre puntato alla tempia!»

«Apri!»

Ma Charlotte non aprì. Si lasciò andare a terra con la schiena contro la porta, ascoltando le urla di Robert ed i colpi dei suoi pugni. Poi sentì i passi pesanti dell'uomo allontanarsi e una piccola lacrima le rigò il viso mentre Hannibal le andava in contro per leccarle la guancia.


***


«Posso sapere cosa le hai fatto per farla incazzare così tanto?»

Robert alzò lo sguardo dalla tazza di caffè, trovandosi di fronte James che lo guardava con fare curioso. Non aveva voglia di rispondere a delle domande o di vedere qualcuno, si era rifugiato alla tavola calda nella speranza di vedere Charlotte per poterle parlare. Con le altre donne si comportava da stronzo, non le richiamava e nemmeno s'interessava a chiedere loro scusa per averle usate, ma Charlotte era la sorella del suo migliore amico, erano cresciuti insieme; in un certo senso si sentiva in colpa.

«Santo cielo, amico, hai l'aria distrutta!» James si sedette di fronte a Robert. Da quando era tornato, due settimane prima, aveva notato un certo cambiamento, era diventato più silenzioso, si stava facendo crescere la barba, sembrava perennemente in procinto di chiedere scusa.

«Non è successo niente.»

«Lo ripeti da quando sei tornato...anzi, in realtà da prima di Natale.» James ordinò un caffè, aspettando che l'amico parlasse.

«Sono solo stanco.»

«Stanco? Direi che sembri tormentato da qualcosa, o qualcuno» disse James, cercando il modo giusto per iniziare il discorso “Charlotte”. «So che tu e Charlie avete discusso piuttosto animatamente questa mattina.»

«Te l'ha detto lei?»

Stranamente Robert non si mise sulla difensiva, semplicemente tenne lo sguardo basso e le spalle curve. Era proprio uno straccio, che aveva combinato?

«Charlie che mi racconta i suoi segreti? Sei pazzo? È stato il portiere, vi si sentiva urlare per tutto il palazzo.»

«Non è successo niente.»

Quella frase iniziava a stargli sui nervi e James stava perdendo la pazienza. «Beh, amico, quel niente l'ha fatta infuriare a tal punto che oggi la trasmissione radiofonica sembrava un attacco a tutto l'universo maschile. Ha praticamente riversato anni di veleno e odio nei tuoi confronti concentrandoli in un'ora di monologo incandescente e cinico.»

«Ho sentito.»

Effettivamente, quel pomeriggio Charlotte era andata in onda con un monologo incentrato sugli uomini approfittatori e stronzi. Aveva dato sfogo ad anni di risentimenti e guerre private solo per il gusto di demolire qualcuno.

Per James era stato ovvio a chi si riferisse e, finita la trasmissione, era andato a cercare il diretto interessato. Poteva passare il suo giorno libero a sistemare la sua futura casa, ma aveva preferito impicciarsi negli affari di sua sorella e Robert per il semplice fatto di voler scoprire che cavolo stava accadendo tra i due. Aveva sperato che le cose migliorassero, invece erano peggiorate.

«Cosa le hai fatto?» domandò James. «E smettila di dire che non è successo niente perché non è così! Karen sa qualcosa ma non vuole dirmelo, quindi tocca a te svuotare il sacco!»

Robert alzò finalmente lo sguardo sull'amico, soppesando i fatti e cercando le parole giuste per dirgli la verità. Se Karen sapeva, allora Charlotte si era confidata e questo lo metteva nella posizione di poter raccontare al suo migliore amico la verità senza sentirsi in colpa per aver spifferato la faccenda.

«Non mi ucciderai, vero?»

«Perché dovrei ucciderti? Cosa avrai fatto di così terribile da far incazzare mia sorella a tal punta da...» James si fermò di colpo, sbarrando gli occhi mentre comprendeva cosa era realmente accaduto. «Tu e Charlie? Ecco perché Karen non voleva dirmi nulla!»

«È successo solo una volta, eravamo ubriachi ed è stato un errore» disse Robert repentino.

«Stai cercando di pararti il culo?»

«No, sto solo cercando di scusarmi.»

James fece spallucce. «Non è con me che dovresti scusarmi, ma con lei.»

L'amico sembrava comprensivo, ma da come stringeva il pugno, Robert comprese che si stava trattenendo da spaccargli il naso. «Se vuoi prendermi a pugni fallo, ma credimi, mi sento un perfetto idiota e stronzo in questo momento. Stamattina sono andato a casa sua per parlarle ma è stato tutto inutile.»

«Hai solo peggiorato le cose.» James si lasciò andare contro lo schienale, diminuendo la tensione del pugno e aprendo la mano. Si stava calmando.

Non poteva addossare tutta la colpa a Robert solo perché Charlotte era sua sorella. Dato l'aspetto e l'aria sconvolta, l'amico si sentiva veramente in colpa. Forse i suoi tentativi di appianare le divergenze dei due avevano solo peggiorato le cose, oppure erano state le circostanze ad influire e non i suoi gesti.

«Tu e mia sorella» rise James, ormai divertito. «Sei fottuto, amico.»

«Già, sono fottuto!»


***


Stava andando tutto a rotoli. Se prima era solo una giovane donna sarcastica, ora stava diventando una rancorosa zitella inacidita.

Charlotte aveva deciso di uscire a correre dopo la trasmissione, un po' per scaricare la tensione e un po' per riflettere sul da farsi. La nausea che da una settimana la tormentava sembrava non volerla abbandonare, ma non era troppo forte e riusciva a sopportarla, per non parlare dei seni doloranti e la voglia irrefrenabile di cioccolata, cose normali, probabilmente era colpa del ciclo.

Poi un dubbio la costrinse a fermarsi e prendere il cellulare dalla tasca della felpa. Guardò il calendario, soffermandosi sul mese di dicembre dove mancava la consueta bandierina rossa. Probabilmente si era dimenticata di metterla, ma più ci pensava, più sentiva che non era stata una dimenticanza.

«Non può essere» bisbigliò, poggiando la schiena contro un albero del parco, spostando poi lo sguardo sconvolto su Hannibal.

Se non fosse stato per il freddo pungente di metà gennaio, probabilmente Charlotte sarebbe rimasta in quella posizione per ore intere, ma il dubbio doveva essere chiarito e, correndo, entrò nella prima farmacia, uscendone poco dopo come una furia per poter tornare a casa.

Nel panico totale, la donna non tolse nemmeno il guinzaglio al cane, dirigendosi frettolosamente in bagno con quelle scatoline chiare in mano e la paura di essere veramente nei guai. Si costrinse a non piangere a convincersi che era tutto un falso allarme, ma più scatoline apriva, più la consapevolezza di essere fottuta si faceva largo.

In quel momento il suo futuro venne decretato da cinque bastoncini di plastica che confermavano quei sospetti. Non poteva essere vero.

«Oh cavolo!» Avrebbe voluto piangere, urlare come un'isterica, ma il campanello cominciò a suonare e lei fu costretta a fingere che quegli ultimi minuti non fossero mai stati vissuti.

Con passo vacillante si avvicinò alla porta, sbirciando dall'occhiello. «Fantastico.»

Non voleva aprire, non voleva affrontare Robert di nuovo, ma doveva. Aprì la porta prendendo un respiro profondo. «Che vuoi?»

«Parlarti, solo parlarti e poi ti giuro che sparirò dalla tua vita.»

«Un po' difficile visto che sei il migliore amico di mio fratello.»

«Sai cosa intendo.»

Charlotte sbuffò, battendo il piede. Poteva parlare, ma di certo non l'avrebbe fatto entrare. «Sto ascoltando.»

«Mi dispiace, sono stato uno stronzo a partire senza venire a scusarmi» cominciò Robert e, questa volta, la guardò negli occhi. «Ma, vedi, quello che è successo è stato solo un grave errore che non si ripeterà. Eravamo ubriachi e abbiamo lasciato che l'alcool ci guidasse. Con questo non voglio giustificarmi, dico solo che sei la sorella del mio migliore amico, siamo cresciuti insieme e, per quanto il nostro rapporto non sia rose e fiori, non sopporto l'idea di averti ferita così profondamente. Mi dispiace.»

Charlotte ascoltava e quelle parole le ricordarono solo quello che aveva appena scoperto. Non poteva piangere di fronte a lui, non in quel momento, soprattutto mentre sentiva quelle scuse. Rimase in silenzio, abbassando il volto per non guardarlo negli occhi. Se avesse parlato Robert avrebbe sentito la sua voce tremare e non voleva, non poteva.

«Io ora vado. Buona serata, Charlie.»

Ascoltò i passi allontanarsi, chiudendo la porta e lasciandosi andare contro di essa. Si ritrovò a terra con il volto bagnato e le mani tremanti. Che cosa doveva fare?

Lentamente si rialzò, tornando in bagno per osservare di nuovo quei cinque bastoncini di plastica. Non poteva essere successo veramente, non con Robert, non in quel modo.

Avrebbe tanto voluto chiudere e riaprire gli occhi per scoprire che era stato tutto un sogno, la notte con Robert, la tequila, i cinque test di gravidanza positivi, ma non era possibile.

Purtroppo, era quello che era.





Angolo autrice:

ed ecco il cliché!

Non crediate che di punto in bianco quei due decidano di mettersi insieme e di avere una relazione. No, Charlotte e Robert ne hanno ancora di strada.

Robert le ha chiesto scusa, è vero, ma lei non si butterà tra le sue braccia o scopriranno di essere innamorati di punto in bianco. La strada è lunga e quei due devono ancora odiarsi per moooooolto tempo. Quindi mettetevi comode e aspettate altre sclerate da parte di Charlotte!

Prossimo aggiornamento previsto per venerdì 12 settembre.

Buona lettura!


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Capitolo 9
*** Cap. 8 ***










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Capitolo 8

What About Now?

Chris Daughtry – What about now?
















Quando Karen aveva ricevuto quel messaggio di aiuto da parte di Charlotte, aveva pensato di dover affrontare una crisi isterica o furiosa dell'amica, ma quando arrivò a casa sua, rimase del tutto sorpresa. Aveva lo sguardo spento, i capelli raccolti in una treccia scomposta e l'espressione di una che aveva trascorso il pomeriggio in un bar scolandosi da sola un'intera bottiglia di tequila, per poi farsi una lavanda gastrica.

«Sei consapevole di avere un aspetto orribile?»

«Sei consapevole di essere inopportuna?»

Karen alzò le mani in segno di resa, entrando nell'appartamento. Una volta in salotto, si bloccò di fronte al tavolino, indicando quello che vi era poggiato sopra. «Quelli cosa sono?»

«Se la memoria non m'inganna sono cinque bastoncini di plastica sui quali ho fatto pipì.»

«Sono test di gravidanza?»

«Ed io che ho detto?»

Non sapeva se ridere o piangere per lo strano sangue freddo che l'amica stava dimostrando, oppure era panico mascherato da sicurezza?

«Chi è il padre?» domandò, scoprendo che tutti e cinque i test erano positivi.

All'improvviso il volto di Charlotte si rabbuiò, mentre lei crollava seduta sul divano, imitata poco dopo da Karen. «Robert.»

«Robert Goodwin?»

Charlotte annuì.

«Robert Connor Goodwin? Lo stesso Robert che da bambino ti bruciava i capelli e che tu non sopporti a prescindere da ogni cosa che lui fa?»

«Perché devi sempre specificare le cose?»

«Lui lo sa?»

«No» affermò Charlotte. «E prima che tu aggiunga altro, voglio solo che tu sappia che glielo dirò una volta sicura di essere veramente incinta.»

«Perché, cinque test di gravidanza positivi non sono sufficienti?»

«Diciamo che voglio ancora sperare in un errore ormonale. Quindi domani verrai con me dalla ginecologa e dopo mi procurerai del veleno per suicidarmi!»

Karen rimase allibita, sbattendo un paio di volte le palpebre. «Se hai fatto il test oggi, come hai fatto ad ottenere così presto un appuntamento dalla ginecologa?»

«Karen, mia sorella è la mia ginecologa.»


***


Giorno nuovo, vita nuova. Era il motto che Robert aveva recitato quella mattina dopo essersi svegliato accanto all'ennesima donna conosciuta poche ore prima. Aveva deciso di non avere rimpianti, di tornare ad essere l'uomo senza sentimenti che usava le donne solo per il proprio piacere personale. Così aveva trascorso la mattinata alla centrale, fingendo che tra lui e Charlotte non fosse successo nulla; era stato facile, James non aveva ancora tirato in ballo il discorso, ma sapeva che, prima o poi, avrebbe cominciato a fare domande e dato opinioni per nulla richieste. Lo conosceva da una vita, sapeva che era un tipo molto socievole e ficcanaso, soprattutto quando si trattava della sorella minore e della sua vita sentimentale.

«Sei andato al pub ieri sera?»

Più prima che poi.

Seduto al tavolo del Seven, Robert annuì, attendendo la seconda domanda di James.

«Hai anche rimorchiato?»

«Vuoi farmi una paternale?»

«No, voglio solo dirti che sei incredibile!» James alzò le braccia al cielo. «Ti sei portato a letto mia sorella più di un mese fa, ieri sera ti sei scusato e subito dopo hai cercato una donna con cui dimenticare l'accaduto.»

«Sono uno stronzo, lo so. Ma cosa pretendi, che io corra dietro a Charlie?»

«Sì!» James aveva pronunciato quella parola con tale enfasi da far voltare alcuni clienti della tavola calda.

«E per quale motivo dovrei farlo?»

«Perché, per quanto detesti parlare della vita sessuale di mia sorella, so che ti è piaciuto e che è piaciuto anche a lei.»

Robert scoppiò a ridere, piegandosi in avanti con le mani intrecciate sul tavolo. «Posso rivelarti un segreto?»

James annuì, avvicinandosi all'amico per ascoltare cosa stava per dirgli. «Parla.»

«Non mi è piaciuto per niente!» scandì bene l'uomo, tornando poi seduto composto, aspettando l'arrivo della sua ordinazione. Ormai quando entravano le cameriere e nonna Rose sapevano già cosa servire loro.

James, però, non sembrava tanto convinto di quell'affermazione. Più osservava Robert, più sentiva che gli stava nascondendo qualcosa. Stava mentendo e questo era fin troppo chiaro, perché, anche se Charlotte e lui si conoscevano sin da bambini, uno stronzo di grandezza epocale come lui non si sarebbe minimamente preoccupato di chiedere scusa, anzi, avrebbe proseguito per la sua strada come se non fosse mai accaduto.

Qualcosa bolliva in pentola e James conosceva abbastanza Robert da poter affermare che la notte trascorsa nel letto di Charlotte gli era rimasta talmente impressa da cercare di dimenticarla tra le braccia di altre donne.

«Lei ti piace.»

«Non dire cazzate!» esclamò Robert voltando lo sguardo verso la finestra per guardare fuori. Gli piaceva Charlotte? Litigare con lei era divertente, ridere insieme era fantastico, ma farci sesso era stato l'errore più grande della sua vita, uno di quelli che si sarebbe portato dietro per i prossimi vent'anni, o forse di più.

L'importante era non far sapere dell'accaduto a Jack Sinclair, se non si voleva incorrere nella sua ira e nella sua mira a dir poco infallibile.


***


Allison non aveva fatto domande esplicite, limitandosi a visitare la sorella per poi procedere con l'ecografia non necessaria. Solitamente non la faceva prima dell'ottava settimana, ma Charlotte era quel tipo di donna che necessitava di dissipare qualsiasi dubbio.

«Ecco, lo vedi?» Allison indicò lo schermò, puntando il dito verso una macchia scura.

Stesa sul lettino, la giovane donna osservava il monitor e quel piccolo esserino crescere dentro di lei. Prese un respiro profondo, stringendo la mano di Karen e trattenendo il bisogno di piangere.

«Dalla grandezza del feto direi che sei di cinque, sei settimane.» Allison la stava guardando con uno strano sguardo di disappunto, fermando l'immagine e stampandola, mentre Charlotte si sistemava meglio, togliendo i piedi dai supporti e sedendosi.

La testa le girava e la nausea non aiutava per niente, voleva urlare, rompere qualcosa, ma riuscì solo a prendere l'ecografia, fissandola con occhi vuoti.

«Chi è il padre?»

Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata, ma quando udì la voce della sorella pronunciarla, fu come una doccia fredda.

«Robert.»

Allison si mise seduta, sbattendo le palpebre. «R-Robert?» balbettò. «Robert Connor Goodwin?»

«Conosciamo altri Robert?» domandò Charlotte stizzita, ormai sull'orlo di una crisi di nervi. «Per carità, non guardarmi così!»

Sua sorella continuava a fissarla sorpresa e sbalordita, spostando di tanto in tanto lo sguardo su Karen, silenziosa e ferma.

Non poteva crederci, Charlotte e Robert. Certo era una notizia scioccante, ma una parte di lei era divertita. Sorrise, prendendo la cartella clinica della sorella e iniziando ad appuntare i risultati dell'ecografia. «Vuoi parlare delle altre possibilità?»

Quella domanda. Obbligatoriamente Allison era tenuta a farla in certe situazioni, ma mai Charlotte si sarebbe aspettata che la ponesse a lei.

Boccheggiò, tornando a guardare l'ecografia, sentendo la mano di Karen posarsi sulla sua spalla. «No, non adesso.»

«Sai che hai tempo fino all'ottava settimana, poi l'intervento sarà più invasivo e...»

«Ho detto che non ne voglio parlare!»

Allison annuì. Se s'infuriava così tanto voleva dire che la decisione era già stata presa, solo non ne era ancora sicura. «Ok, allora ci rivediamo il 27 gennaio per l'ecografia dell'ottava settimana. Fino ad allora cibi sani, niente stress e, soprattutto, devi dirlo a Robert.»


***


«Quindi hai chiesto scusa a Charlie e lei non ha detto nulla.»

«Possiamo non parlare di Charlie per il resto della giornata?» Robert era ormai esasperato da quella conversazione. James non faceva altro che parlare di quello successo e di Charlotte, ma ormai ne aveva piene le tasche. Quei monologhi, dato che parlava solo l'amico, si erano protratti per la durata del pranzo e, ormai, si sentiva messo all'angolo.

«In quante lingue devo dirti che tra me e tua sorella non ci sarà mai nulla se non l'odio reciproco?»

«E lei ti ha perdonato?»

«Non lo so.»

«Forse ha solo bisogno di tempo.»

«È meglio se torniamo al lavoro. Paghi tu!» Robert, ormai esasperato, si alzò dal tavolo, infilandosi la giacca, mentre James pagava il conto. Stava per avvicinarsi all'uscita quando si ritrovò di fronte all'argomento del giorno. Charlotte.

Sembrava stanca, pallida, sconvolta, come se avesse trascorso la notte in bianco e, in qualche modo, si sentì responsabile ed impaurito per quello sguardo furente che gli stava rivolgendo.

«Ciao.»

«Tu, vedi di starmi alla larga!» esclamò Charlotte, puntando il dito contro Robert. Strinse gli occhi a due fessure, sorpassandolo e lasciando lui e James basiti.

«Non domandate» fece spallucce Karen, seguendo l'amica. «Giornata storta.»

James, scosse il capo, dando una pacca sulla spalla di Robert. «Le passerà!»

Ma Robert non ne era tanto convinto. Sospirò, scuotendo il capo e, portandosi le mani ai fianchi, voltò leggermente la testa per lanciare uno sguardo mesto a Charlotte, ormai seduta al tavolo che sembrava volesse ucciderlo da un momento all'altro.

«Meglio sparire, prima che ci lanci contro le posate o ti cavi un occhio con la forchetta!» esclamò James, uscendo dalla tavola calda seguito dall'amico.

Robert aveva sperato che le sue scuse fossero bastate a far tornare le cose come prima di quella notte, ma a quanto pareva si era sbagliato. Forse James aveva ragione, serviva solo più tempo.


***


Dirlo a Robert, come faceva?

Aveva trascorso il resto della giornata a pensare ai modi adatti per dirlo, sebbene ci fosse una parte di lei poco convinta della scelta. Non poteva tacere la cosa, prima o poi l'avrebbe scoperto da solo e, lei, non voleva ferire nessuno. In fondo erano adulti e vaccinati, potevano affrontare la situazione con maturità. L'alternativa era fuggire in Canada e cambiare nome, ma non era molto fattibile. Doveva dirglielo il prima possibile.

Con l'ecografia in mano, prese il telefono, cercando nella rubrica il numero di Robert e, dopo aver tratto un respiro profondo, premette il tasto della chiamata.

Nel frattempo, Robert era seduto sul divano, con una bottiglia di birra nella mancina e il telecomando nella destra; di tanto in tanto lanciava occhiate al cellulare sul tavolino, trattenendosi. La voglia di chiamare Charlotte per sapere come stava era forte, ma doveva desistere per mantenere la facciata di stronzo narcisista. Se l'avesse chiamata avrebbe fatto intendere di essere interessato a lei e questo non doveva accadere.

Lui era uno stronzo e lei era troppo fragile, non voleva ferirla come aveva già fatto. Per quanto forte potesse sembrare, Charlotte ne aveva passate troppe e meritava qualcosa di meglio di un menefreghista come lui. E poi, all'infuori dell'amicizia, non provava nient'altro; lei era un'acida sarcastica che odiava gli uomini come lui, non potevano di certo andare d'accordo.

Tornò a concentrarsi sul telegiornale, ma il cellulare squillò all'improvviso e quando vide sullo schermo il nome di Charlotte sentì un nodo alla gola. «Pronto?»

«Dobbiamo parlare.»

Le uniche due parole che, dette insieme, avevano il sapore di una condanna a morte, soprattutto se a dirle era una donna del calibro di Charlotte.

«Vengo da te?» domandò lui, sentendo il silenzio all'altro capo del telefono.

«No, vediamoci al parco.»

Senza salutarlo Charlotte riattaccò, lasciando Robert perplesso. Che era successo? Forse voleva parlargli riguardo a quello accaduto a dicembre?

Erano le nove di sera e, con il tramonto, il centro di New Orleans si riempiva di colori e suoni. Le luci si specchiavano sulla superficie del Mississipi, tanto da farlo sembrare una seconda città.

In sella alla sua Harley, Robert sfrecciava per le strade della città, osservando le persone raggrupparsi sui marciapiedi fuori dai ristoranti, dai pub, domandandosi per quale motivo Charlotte avesse voluto vederlo al parco e non al pub. A quell'ora c'era il rischio d'imbattersi in qualche borseggiatore o malfattore. Per fortuna aveva portato con sé la sua pistola d'ordinanza e il distintivo. Era come uno scudo per lui, quel semplice pezzo di metallo che rappresentava la sua autorità lo faceva sentire meglio.

Parcheggiò di fronte all'ingresso del parco cittadino dove Charlotte andava a correre quasi tutti i pomeriggi e, come da copione, la trovò in piedi ad aspettarlo.

Sembrava nervosa, teneva le braccia strette intorno al busto, camminando avanti e indietro. Era preoccupata per qualcosa e Robert si sentì quasi in colpa.

«Ehi, tutto bene?»

«No.» Era decisamente preoccupata per qualcosa.

Robert le andò di fronte, vista con la luce dei lampioni e lo sguardo perso, sembrava quasi una bambina impaurita e smarrita. Le mise una mano sulla spalla sentendola tremare. «Stai tremando.»

Charlotte annuì, entrando nel parco e sedendosi sulla prima panchina. Non sapeva come iniziare, Robert la fissava in attesa che parlasse, ma la sua voce tardava ad arrivare.

«Charlie, è successo qualcosa?»

«Sono incinta!» Non c'era un modo meno traumatico per dirlo, così aveva semplicemente sputato il rospo. «Ed è tuo.»

Robert rimase per qualche istante in silenzio, cercando di metabolizzare la notizia ma, alla fine, dovette arrendersi alla situazione. «Ho bisogno di sedermi.»

Charlotte lo osservò sedersi sulla panchina e coprirsi il volto con le mani. In che razza di situazione si era cacciata?

«Ne sei sicura?» fu la domanda di Robert. L'aveva espressa con un tono strano, quasi terrorizzato, come se temesse la risposta.

Senza proferire parola, lei aprì la borsa, estraendo l'ecografia per mostrargliela.

«Oh cazzo!» Robert si alzò di scatto, cominciando a camminare avanti e indietro, agitando le braccia e farfugliando. Lui non voleva figli, non voleva responsabilità, voleva semplicemente essere libero di godersi la vita senza legami. «Ma come diavolo è potuto accadere?»

«Non dirmi che non ti hanno mai raccontato la verità su come nascono i bambini!»

«Certo che lo so, solo...solo mi chiedo come sia potuto accadere» urlò Robert non facendo caso ai passanti che lo osservarono straniti. «Credevo prendessi la pillola!»

«Non l'ho mai detto.»

Robert non sapeva se urlare o prendere a pugni il tronco di un albero, ma sarebbe stato tutto inutile, la situazione non sarebbe cambiata. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi e, una volta tornato a sedere, cominciò a ragionare sul da farsi. «Siamo fottuti!»

«Stranamente sono d'accordo con te!» esclamò Charlotte. «Che facciamo?»

«Io non ti sposo!» Robert lo disse con schiettezza, lasciandosi andare verso lo schienale, osservando il volto di Charlotte accigliarsi.

«Non intendevo questo!»

«Lo so» sbuffò lui, grattandosi la testa. «Lo vuoi tenere?»

Era quella la domanda che si aspettava Charlotte. Tenerlo o non tenerlo? Aveva trascorso la giornata cercando una soluzione, ma ogni volta che pensava all'eventualità di abortire sentiva come uno strano nodo alla gola un peso sul petto. Le sembrava quasi di soffocare alle volte. «Credo di sì.»

Robert non disse nulla, si limitò ad annuire. «Ora dobbiamo dirlo alle nostre famiglie.»

«Adesso siamo fottuti!»

Robert realizzò solo dopo pochi minuti cosa intendesse dire Charlotte. «Sono un uomo morto!»

Jack 'avrebbe ucciso a sangue freddo.

E adesso? Che dovevano fare?






Angolo autrice:

Povero Robert, gli hanno appena dato la notizia più sconvolgente della sua vita.

Chissà come la prenderà papà Jack, è talmente protettivo verso Charlotte che potrebbe dare di matto alla notizia di questa gravidanza. Ma bando alle ciance e passiamo al capitolo.

Le cose iniziano a complicarsi per questi due testoni, un figlio non è certo una responsabilità leggere, senza contare che Robert non è il tipo da pappe e pannolini. Per dirla tutta lui non vuole per niente diventare padre, come viene detto nel capitolo, ma chissà cosa ha in serbo per lui e Charlotte questo folle destino...

Prossimo aggiornamento lunedì 22 settembre. Buona lettura!

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Capitolo 10
*** Cap. 9 ***










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Capitolo 9

It's Time

Imagine Dragons – It's time












Quel giovedì mattina era iniziato male. Robert si era svegliato con gli occhi gonfi e la faccia sconvolta.

Ancora stentava a credere a quello che Charlotte gli aveva detto la sera prima. Possibile che fosse stato così stupido da dimenticarsi una cosa che usava abitualmente? Girava sempre con tre preservativi in tasca, come aveva potuto scordarsi di averli nel portafogli? A quanto pareva l'alcool era sconsigliato quando si faceva sesso.

Come affrontare quella nuova situazione? Stavolta non si parlava di una notte trascorsa con Charlotte, ma di una conseguenza ben più drastica che rischiava di sconvolgergli la vita. Anzi, non rischiava, lo stava già facendo.

Un figlio. Non riusciva a pensare ad altro. Mentre faceva la doccia, mentre si vestiva, mentre andava in centrale. Come aveva potuto essere così stupido?

Ed ora? Che doveva fare?

Con Charlotte aveva pattuito di dire ogni cosa alle famiglie il prima possibile. Lei voleva tenerlo, ma lui?

Lui era uno scapolo incallito, un figlio significava dire addio a quella libertà. Voleva dire avere un legame con Charlotte, un impegno permanente con lei. Come si sarebbero comportati? Avrebbero cresciuto insieme quel bambino stando separati?

Di certo non aveva alcuna intenzione di sposarla, ma era stato cresciuto in un certo modo e doveva prendersi le sue responsabilità.

«Le responsibilità sono una gran rottura» disse tra sé mentre prendeva il cellulare e componeva il numero dei suoi genitori.

Doveva farlo prima di entrare in centrale e rischiare di essere ucciso da Jack che, probabilmente, era già a conoscenza della novità.


***


«Tu e quel...quel. Come ha potuto fare questo alla mia bambina?»

Sicuramente Jack era riuscito a mettere in allerta mezzo vicinato con quell'urlo disumano. Camminava avanti e indietro, gesticolando come un ossesso, rivolgendo di tanto in tanto uno sguardo alla figlia, seduta sul divano accanto alla madre.

«Papà, per favore.»

«Sarà un buon agente, ma resta un don Giovanni da strapazzo che ha messo incinta la mia Chucky!»

«Jack, come ben sai queste cose si fanno in due» s'intromise Victoria, cercando di calmare l'uomo senza riuscirci.

Difatti Jack si voltò velocemente verso la figlia, con gli occhi sbarrati. «Quanto avevi bevuto?»

«Abbastanza per ricordare poco.»

«Ti ha violentata!»

«Papà, era ubriaco anche lui e poi...non farne un dramma!»

«Sei incinta, per l'amor del cielo, questo è un dramma!»

Charlotte non sapeva più che pesci pigliare. Suo padre era sul piede di guerra, sua madre la guardava come per dirle “te l'avevo detto” e non osava immaginare il resto della sua famiglia. Ma nessuno si era ancora fermato a chiederle come stava.

Poi Jack le s'inginocchiò di fronte, guardandola dolcemente. «Come ti senti?»

Finalmente, pensò lei, rispecchiandosi in quegli occhi gemelli. Suo padre, per quanto burbero e scontroso con il mondo, aveva sempre avuto un occhio di riguardo per lei. Era un uomo che sapeva leggerle l'anima e comprendere quando qualcosa non andava.

«Come vuoi che stia?»

«Ascoltami, Chucky, io sono qui. Per qualsiasi cosa, aiuto economico o per sventrare Robert, io sarò sempre qui per te.»

Sventrare Robert, non era una cattiva idea, ma non poteva farlo senza rischiare un ergastolo o la condanna a morte. Ma pensandoci bene, con suo padre Capitano e suo fratello detective, poteva trovare un modo per farla franca. Probabilmente Jack aveva già pensato a centouno modi per uccidere Robert senza essere scoperto, magari stava già studiando come metterli in pratica.

«Vuoi che lo uccida e nasconda il cadavere?»

Come volevasi dimostrare. Il connubio Jack e armi era fin troppo pericoloso. Mira da cecchino, sguardo assassino, suo padre poteva essere stato un killer professionista in una vita passata, chissà.

Quanto voleva rispondere con un sì a quella domanda.

«Vado al lavoro.»

«Jack!» lo chiamò Victoria, alzandosi e avvicinandosi a Jack pronto ad uscire. «Promettimi che non farai nulla di avventato.»

«Per esempio?»

«Prendere a pugni Robert. So che non ti piace, ma adesso è il padre del tuo futuro nipote e non vorrai che quel bambino cresca senza padre?»

«Con un padre come Robert? Gli farei un favore uccidendolo.» Jack si chiuse la porta alle spalle, lasciando Charlotte e Victoria da sole.

Sapevano entrambe che Robert correva un grosso rischio, ma entrambe le donne confidavano nella razionalità di James e nel suo sangue freddo. Forse lui poteva tenere a bada il malumore del padre.


***


«Posso sapere che cavolo ti prende stamattina?»

Poteva mentire al suo migliore amico? Robert non sapeva se doveva essere lui a dare la notizia a James, oppure se aspettare che fosse Charlotte, ma ormai non poteva nascondergli nulla.

«Perché?»

«Perché sei strano. Hai la faccia di uno che non ha dormito a causa di una donna e non parlo di una notte di passione.»

Robert sospirò, cercando le parole giuste per dare quella notizia. Quando aveva chiamato sua madre era stato facile, sebbene lei non avesse compreso fino in fondo la situazione. Insomma, pensava che lui e Charlotte stessero insieme. Non aveva avuto il coraggio di smentirla, semplicemente aveva lasciato che lo credesse per non ascoltare una qualche crisi isterica o un sermone sulle responsabilità e cose del genere.

Forse il chiasso che regnava in centrale e il fatto di essere in mezzo ad altre persone poteva attutire qualsiasi reazione dell'amico e anche impedirgli di ucciderlo. James, quando si trattava di sua sorella, diventava stranamente protettivo e impulsivo, esattamente come Jack Sinclair, forse di meno.

Stava per dirgli la verità quando, all'improvviso, la voce del Capitano, fin troppo agitata, li richiamò all'ordine, facendo voltare tutti i presenti. Appena arrivato e già si sentiva con un piede nella fossa.

«Goodwin, Sinclair, nel mio ufficio. Adesso!» esclamò Jack camminando a passo spedito verso il suo ufficio.

Robert e James si guardarono. Il primo sapeva esattamente il motivo per cui Jack aveva utilizzato quel tono rabbioso e infuriato, ma l'altro no.

Dirigersi verso l'ufficio del Capitano fu come percorrere il famigerato miglio, la distanza che solitamente percorreva un condannato a morte per raggiungere la sala dell'esecuzione e ricevere l'iniezione letale. Fu l'ultimo ad entrare, chiudendosi la porta alle spalle.

Jack camminava avanti e indietro per l'ufficio, decisamente fuori di sé. «Mi auguro che tu non sia uno di quegli uomini che mettono incinta una donna e poi spariscono.»

«No, Signore.»

«Quindi ti prenderai le tue responsabilità?»

«Sì, Signore.»

James non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Robert aveva lo sguardo colpevole e, pensandoci, era tutta la mattina che sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.

«Posso sapere che cosa sta succedendo?»

«Il tuo amico ha messo incinta tua sorella.» Jack lo disse senza staccare lo sguardo da Robert, in piedi di fronte alla scrivania oltre la quale il Capitano gli lanciava sguardi infuriati. Per fortuna non aveva una qualche arma in mano.

«Charlie è...cosa?» domandò James. Perché non se n'era reso conto prima? Sua sorella si comportava in maniera strana da giorni e lui non si era accorto di nulla?

«Capitano, le assicuro che non era mia intenzione mancare di rispetto a Charlie. Ci siamo lasciati andare ed è successo, ma le garantisco che farò tutto ciò che è necessario per...»

«Per cosa? L'hai disonorata!»

Quella frase lasciò perplessi i due agenti, soprattutto James che scoppiò a ridere. «Disonorata? Papà non siamo mica nel Medioevo!»

«Tu stai zitto! Sapevi che si era portato a letto tua sorella e non hai fatto nulla.»

«Che dovevo fare, mandarlo alla gogna? O, perché no, al rogo!»

Suo padre stava esagerando. Andava bene essere protettivi, ma non fino a quel punto. Robert aveva sbagliato, ma anche Charlotte non era una santa. Entrambi avevano bevuto ed entrambi non si erano fermati quando avrebbero dovuto.

«In fin dei conti, non è successo nulla di così grave» aggiunse James. «Sono adulti e vaccinati, vedrai che se la caveranno a meraviglia.»

Ma Jack non lo ascoltò. Continuava a guardare Robert con occhi pieni di rabbia. «Ascoltami bene, biondo.»

«Tecnicamente Robert non è biondo, il suo lo definirei un castano chiaro dorato.» E di nuovo James s'intromise. Certo che non sapeva proprio starsene zitto un secondo. «E poi perché lo chiami biondo? Mi pare abbia nome, cognome e secondo nome.»

«James, un'altra parola e ti diseredo!»

«Ok.»

«Ascoltami bene, Robert» proseguì Jack. «Ti ho sempre reputato un ottimo poliziotto, ma pessimo nelle relazioni personali, perciò ti darò una sola possibilità. Fallisci e ne pagherai le conseguenze, chiaro?»

«Più chiaro di così!» esclamò James, intromettendosi per l'ennesima volta.

Jack guardò il figlio, digrignando i denti. «Fuori di qui!» esclamò. «Entrambi.»

Non se lo fecero ripetere due volte. Robert uscì dall'ufficio seguito da James, il quale gli diede una pacca sulla spalla divertito.

«Non farò l'offeso e non m'incazzerò come mio padre, ma sappi che mi devi delle spiegazioni» disse lui, sedendosi alla scrivania. «E una birra.»


***


Charlotte aveva deciso di svagarsi e andare con la sorella ed i nipoti allo zoo. Allison aveva l'abitudine di non mandare i bambini a scuola quando aveva il giorno libero, solo per poter passare più tempo con loro. Quel giorno Liam e Cory avevano insistito per andare a vedere i pinguini e i piccoli di foche appena nati. Correvano a destra e a manca, da una gabbia all'altra per osservare gli animali con occhi sognanti.

Charlotte guardava i bambini e sua sorella, sembrava tutto così facile per Allison, essere madre le usciva naturale, ma lei? Poteva essere una brava mamma?

Quella mattina si era svegliata con la nausea e la consapevolezza che la sua vita stava drasticamente cambiando. Un figlio era una grossa responsabilità e probabilmente sarebbe stato tutto più semplice se il padre non fosse stato Robert, o forse no?

«Come ti senti?» le domandò Allison, notando che non aveva ancora toccato cibo.

Charlotte sbuffò. «A parte la nausea, sto bene.»

«Papà come l'ha presa?»

«Male, James mi ha mandato un messaggio poco fa. Dice che era infuriato e parlava come uno del medioevo.»

«Tipico di papà.» Allison rise, piegando la testa di lato.

Sedute sulla panchina, le due sorelle tenevano sotto controllo i bambini che mangiavano i loro panini poco distanti. Charlotte avrebbe voluto urlare per la frustrazione, tutto nella sua vita stava andando a rotoli e quella gravidanza era stata la goccia di troppo.

«Robert era sconvolto e non posso dargli torto.» Già, come poteva. Anche lei era rimasta sconvolta alla vista dei test positivi, figuriamoci un uomo adoratore della sua solitudine e per nulla propenso ad avere una relazione stabile con una sola donna.

«Vedrai che andrà tutto bene. Magari questo bambino gli farà mettere la testa a posto.»

«Come se fosse possibile» sorrise Charlotte. «In questo momento vorrei solo prenderlo a pugni in faccia!»

Charlotte aveva sempre voluto diventare madre, ma non con un uomo come lui. Dopo le batoste ricevute, si era messa in testa di ricorrere all'inseminazione artificiale, quindi quando guardava al suo futuro si vedeva sempre come mamma single e non come madre di un bambino nelle cui vene scorreva anche il sangue di Robert Goodwin.

Lui era il classico stronzo della porta accanto, irresponsabile e donnaiolo. Tra di loro non c'era un vero e proprio rapporto, ma adesso si ritrovava a sperare che, per il bene del bambino, riuscissero a trovare un compromesso per non sbranarsi a vicenda. Forse un figlio non era poi una tragedia.

«Quindi hai deciso di tenerlo.»

«Ho ancora dei tentennamenti ma...sì, voglio tenerlo!» esclamò Charlotte, sorridendo mentre Allison le passava un braccio intorno alle spalle, baciandole la testa.

«Ottimo!»


***


«Tu e mia sorella...ancora stento a crederci!» esclamò James, colpendo la numero nove e mandandola in buca.

Dopo il lavoro lui e Robert erano andati al Voodoo per fare una partita a biliardo. C'era da dire che James non sembrava per nulla sconvolto da quella notizia così insolita. Strano!

«Non sei furioso?»

«E perché dovrei?»

Robert era sorpreso, non si aspettava una reazione così calma quando aveva deciso di dire al suo migliore amico la verità. James era da sempre molto protettivo verso la sorella e pensava di osservare in lui una reazione furiosa alla notizia della gravidanza di Charlotte.

«Ho messo incinta tua sorella» affermò Robert, guardando James girare intorno al tavolo da biliardo, piegarsi e colpire la numero cinque, non riuscendo a mandarla in buca.

«Charlotte è la mia sorellina, ma sinceramente sono solo sorpreso.»

«Non capisco.»

«Tu e lei non vi sopportate da quando eravate piccoli. Sul serio, eravate sempre intenti a litigare tra di voi ed ora» sorrise James, scuotendo il capo. «Ora avete una sorta di strana relazione basata sui litigi e sul sesso.»

«È successo solo una volta.»

«E lei adesso è incinta. Magari è la volta buona!»

Robert batté le palpebre non riuscendo a comprendere la battuta. «La volta buona? James, sei forse impazzito?»

«Sono solo realista» James si sollevò, guardandolo negli occhi. «Tu non vuoi avere una relazione seria, mia sorella non crede nel romanticismo e nell'amore duraturo. Il semplice fatto che siate uguali ma diversi fa di voi la coppia perfetta.»

«Chi è il tuo spacciatore?»

La risata di James scoppiò fragorosa; l'uomo si piegò in avanti, reggendosi alla stecca. «Se avessi saputo che fingendo un impegno improvviso tu e Charlie vi foste ubriacati finendo poi a letto insieme, l'avrei fatto molto tempo fa!»

«Cosa?» Robert era incredulo, non riusciva a credere che il suo migliore amico fosse stato l'artefice di quella nottata disastrosa, ma poi sorrise. «Sai che cosa ti farà Charlie quando lo saprà?»

E la risata di James si spense all'istante, mentre rifletteva sulle possibili reazioni della sorella, ma una sola era fattibile. «Credo che dovrò correre ai ripari.»

«Ti prenderà a pugni.»

«Prenderà a pugni anche te se non la smetti di guardare tutte le bionde sexy che incontri per strada.»

Era forse giunto il momento di mettere la testa a posto e di sistemarsi? No, Robert non avrebbe cambiato il suo tenore di vita per nessun motivo al mondo, per quanto l'arrivo di un figlio fosse un avvenimento del tutto drastico nella sua quotidianità.

Il tempo di prendersi le sue responsabilità era giunto e lui non era affatto convinto di volere quelle modifiche permanenti nella sua vita.







Angolo Autrice:

Robert, mentre si dirige nell'ufficio di Jack, si sente come un condannato a morte. Ci tengo a precisare che tale pena è prevista dalla corte suprema nello stato della Louisiana ed è, quindi, attualmente applicata a New Orleans ed eseguita tramite iniezione letale.

Chiedo venia, non sono riuscita a rispondere alle recensioni,spero che il capitolo possa compensare questa mia mancanza!

Allora, abbiamo visto la reazione di papà Jack, ma non dovete pensare che sia tutto qui, il nostro caro paparino troverà un modo per farla pagare a Robert, dopotutto, dovrà aver preso da qualcuno Charlotte, no?

Capitolo noioso? Aspettate di leggere cosa avverrà nei prossimi capitoli e vedrete, qui ci sarà da piangere (per Robert) e ridere (per Charlotte).

Al prossimo capitolo, il 3 ottobre.

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Capitolo 11
*** Cap. 10 ***










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Capitolo 10

Closing Time

Semisonic – Closing Time













«Stamattina sono andata a fare shopping e, in un negozio, ho visto una maglietta piuttosto controversa. La scritta diceva: “Aspetto il Principe Azzurro”.» La trasmissione era iniziata come ogni giorno alle quindici e la voce di Charlotte Sinclair stava già attirando le sue ascoltatrici. «A chi ha comprato una maglia simile ho solo una cosa da dire: l'attesa non serve a niente. Il Principe Azzurro non esiste, è solo uno stereotipo antico e con il mantello stinto. Più che azzurro si potrebbe definire grigio stinto.»

Ironica e sopra le righe. Così veniva definita dalle sue ascoltatrici, con la lingua affilata e la risposta sempre pronta. Charlotte sapeva il fatto suo e, alla centrale del settimo distretto di New Orleans, gli agenti ascoltavano la sua voce in sala relax, del tutto discordi con la donna.

«Ragazze, voi non avete bisogno del Principe Azzurro, ma di uno psicologo. Perché continuare a credere in qualcosa che non esiste? Siamo tutte donne in gamba, capaci e indipendenti, perché desiderare un uomo perfetto?»

In pochi sapevano della gravidanza di Charlotte, al di fuori delle famiglie e di qualche amico, nessuno era a conoscenza che lei e Robert erano stati a letto insieme concependo un figlio. Se gli agenti della centrale fossero venuti a conoscenza di tale notizia, probabilmente il malcapitato futuro padre sarebbe diventato una specie di zimbello per loro. Il donnaiolo e la donna impossibile, una bella coppia.

«Per non parlare del fenomeno editoriale del momento: cinquanta sfumature di grigio. Ho visto donne sbavare per Christian Grey, definirlo l'Adone del ventunesimo secolo e poi ho letto il libro e...ragazze, se dovessi scegliere tra un uomo possessivo, maniaco del controllo che mi dice quando devo o non devo mangiare, dominatore e con il pallino per il sadomaso e tra il Principe Azzurro slavato, beh, preferisco il donnaiolo della porta accanto.»

Almeno Charlotte non dava nulla a vedere, cercava di nascondere la gravidanza meglio che poteva, almeno fin quando non fosse stata certa del da farsi e di cosa voleva Robert. Non erano una coppia, ma adesso avevano un figlio in comune e dovevano trovare un punto d'incontro, che lo volessero o meno.

«Uomini come Christian Grey non esistono. Non esistono uomini bellissimi, affascinanti, ricchi e che si prendono subito una sbandata per la sfigata di turno la quale viene poi avviata alla cultura del sadomaso. È il classico stereotipo letterario e cinematografico propinatoci per vendere più copie e biglietti, con l'aggiunta di dettagli sessuali degni di un film porno di bassa categoria. Donne, datevi una svegliata e cominciate ad amare voi stesse, prima di amare un uomo che non esiste!»

E poi aveva sempre la trasmissione che l'aiutava a sfogarsi. Poteva dire ciò che pensava senza remore, conscia che molti non la pensavano come lei ma consapevole di essere seguita da un piccolo gruppo che condivideva i suoi pensieri. Robert poteva essere insicuro sulla gravidanza, ma lei aveva ormai preso la sua decisione e non sarebbe tornata indietro.

«Sono Charlotte Sinclair e avete ascoltato Tutta colpa di Cenerentola.»

«Sono Charlotte Sinclair, la frigida di New Orleans» scimmiottò uno degli agenti, spegnendo la radio, causando l'ilarità generale.

«Ma voi l'avete mai vista dal vivo?»

«No, perché?»

«Ogni tanto viene a trovare il Capitano e, credetemi, è uno schianto!»

Gli agenti ridevano tra loro, a volte si lasciavano andare in certi discorsi fin troppo spinti, apprezzamenti che se giunti alle orecchie sbagliate potevano risultare compromettenti e far scattare una severa punizione.

«Se solo non fosse la figlia del Capitano, l'ammanetterei al letto e le insegnerei io un po' di “romanticismo”.»

Di nuovo le risate riempirono il salottino, seguite da un battito di mani lento e ritmato. In piedi, appoggiato allo stipite della porta, Robert li osservava con il sopracciglio alzato. Era un uomo che amava cambiare donna ogni sera, ma non sopportava che qualcuno parlasse a quel modo di Charlotte. Era insopportabile, ma era pur sempre la bambina gracile e con l'apparecchio con cui era cresciuto.

«A volte mi chiedo come possa Charlie dire certe cose, poi voi aprite le vostre bocche e comprendo che, in fin dei conti, non ha tutti i torti a definire noi uomini animali senza sentimenti.»

«Ammettilo, Goodwin, se potessi anche tu ti faresti un giretto con lei.»

Robert guardò l'agente che aveva parlato, lo stesso che aveva fatto la battuta delle manette. Quell'uomo non aveva idea di quanto fosse andato vicino alla verità. «Curtis, pensa ad ammanettare al letto tua moglie e lascia stare le altre donne. Charlotte Sinclair non è alla portata di nessuno di voi!»

«Ora la difendi?»

«A dire la verità, no. Ma qualcuno dovrà pur chiudervi le bocche prima che lo faccia il Capitano!»

Detto ciò Robert diede loro le spalle, allontanandosi e stringendo il pugno. Lo irritava sentire certe battute sulle donne. Per quanto fosse stronzo e donnaiolo, rispettava il gentil sesso a tal punto da odiare qualsiasi frase troppo spinta nei loro confronti, ed ora che Charlotte era incinta, la cosa era ancora più accentuata.

«Io vado al poligono» annunciò raggiunta la sua scrivania, guardando James. «Vieni con me?»

James non fece domande. Conosceva Robert e il suo carattere impulsivo. Quando decideva di recarsi al poligono per sparare, il più delle volte era per scaricare la rabbia e, dallo sguardo infuriato, era proprio come pensava.


***


Non vedeva Robert dal giorno in cui gli aveva detto di essere incinta. Si erano sentiti per messaggio, ma mai di persona. Nemmeno una telefonata e, di certo, lei non l'avrebbe cercato.

Era il 27 gennaio, il famigerato giorno della prima ecografia ufficiale. Charlotte aveva ormai le idee ben chiare su ciò che voleva e volente o nolente Robert doveva prendersi le sue responsabilità a fare da padre a quel bambino che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di avere.

«Robert?» fu la domanda di Allison quando vide che la sorella era da sola in sala d'aspetto.

Charlotte fece spallucce, seguendola nello studio. Si svestì aspettando una qualche frase da parte di Allison.

«Lo sapeva almeno che avevi l'ecografia?»

E quella non tardò ad arrivare.

«Sì» rispose Charlotte, stendendosi sul lettino e poggiando i piedi sui sostegni, rilassandosi. «Doveva lavorare.»

«La classica scusa dell'uomo che non vuole fare il padre.»

«Credi che non lo sappia?» Charlotte cominciò ad irritarsi. «Robert è l'ultimo uomo col quale mi aspettavo di avere un figlio, ma a quanto pare sono sfortunata e mi tocca tenermi lui. Ora vuoi dirmi se il mio bambino sta bene?»

Senza ribattere, Allison cominciò, osservando il monitor con un sorriso. Ecco il motivo per cui aveva scelto chirurgia ginecologica e neonatale, per poter osservare quei piccoli miracoli crescere fino alla loro nascita.

Anche Charlotte guardava suo figlio, stavolta con meno terrore negli occhi. Sorrise quando sentì il suo piccolo cuore battere, quella era musica per le sue orecchie e si rese conto che tenerlo era la sola ed unica scelta, non ne esistevano altre. Si era arresa all'evidenza e, doveva ammetterlo, quel piccolino era la cosa migliore che le potesse capitare, scartando il fatto che il padre fosse Robert. Le favole non esistevano, ma suo figlio sì, ed era bellissimo.

«Battito cardiaco regolare, placenta in sede. Il piccolo sta bene.»

«Bene!»

«Ti stampo una copia in più, nel caso tu voglia darla a Robert.»

Ma Charlotte sospirò, rimettendosi seduta, osservando sua sorella compilare la cartella clinica. «Non credo servirà a molto.»

«Allora dalla a papà, scommetto che gli passerà l'incazzatura appena vedrà il suo nipotino!»

Forse Allison aveva ragione. Diceva sempre che l'ecografia di un feto fosse in grado di calmare gli animi. Magari non aveva tutti i torti.

«La nausea dovrebbe sparire al termine del primo trimestre, ma se sei come me e la mamma, potresti smettere di soffrirne molto prima» continuò Allison. «Ti senti fiacca, giramenti di testa?»

«Stanchezza e gambe pesanti.»

«È normale, soffri di anemia sideropenica da quando eri ragazza e la gravidanza tende ad accentuarla. Ti prescrivo delle vitamine prenatali ad alto contenuto di ferro, ti aiuteranno.»

«Ero ragazza? Perché adesso sono vecchia?»

«Sai cosa intendo, Lottie!»

Charlotte sorrise, il primo sorriso sincero da quando aveva scoperto di essere incinta e Allison se ne rallegrò. Per quanto sarcastica fosse, era pure sempre la sua piccola Lottie e non poteva vederla triste.

«Comunque, voglio rivederti tra quattro settimane per un'altra ecografia.»

«Mi tieni controllata?»

«Sei mia sorella.»

«Ma non esiste un codice etico che v'impedisce di curare i vostri parenti?»

«In certi casi possiamo fare un'eccezione alla regola. Nel caso le cose si mettessero male puoi sempre cambiare ginecologo, ma vorrei essere io a far nascere il mio primo nipotino!»


***


Come suo solito, James aveva deciso d'intromettersi nella vita di sua sorella e, di conseguenza, anche in quella di Robert. L'alcool li aveva fatti finire a letto insieme ed ora quei due si ritrovavano in una situazione per la quale necessitavano aiuto, così aveva deciso di fare un'uscita a quattro. Tecnicamente non era una vera e propria uscita, dato che quel lunedì sera avrebbero guardato una replica dei play-off di football in preparazione al super bowl. Lo facevano ogni anno nella settimana della grande partita, ogni sera pizza e una partita a scelta e, quel lunedì, aveva vinto il primo incontro dei New Orleans Saints ai play-off, disputato contro i Philadelphia Eagles. Abitualmente James e Charlotte facevano quel piccolo rituale insieme, solo loro due, ma quella sera lui aveva voluto fare uno strappo alla regola.

Aveva finto di non notare la freddezza che regnava tra Robert e sua sorella, ma non poteva di certo ignorare il comportamento strano di lei. Apriva e chiudeva il frigorifero, oppure le ante della cucina cercando qualcosa da mangiare. Sembrava una che non mangiava da secoli.

Poi, finalmente, arrivò il fattorino con le pizze e, al suono del campanello, Charlotte scattò come una molla, correndo alla porta per arraffare le scatole, lasciando a James l'onore di pagare la cena.

Karen la guardò stralunata mentre apriva una delle scatole per annusare quel buon profumo fragrante e caldo.

«Amo follemente l'eroico uomo delle pizze!» esclamò Charlotte dopo aver respirato il profumo della pizza calda.

«Si chiama fattorino, Charlie.»

«Per me sarà sempre l'eroico uomo delle pizze!» esclamò lei, di risposta alla frase di Karen.

Robert, però, non rise come gli altri, si limitò a lanciare un'occhiata fugace al frigorifero dove Charlotte aveva attaccato l'ecografia con una calamita e James lo notò.

«È il mio nipotino?» domandò prendendo l'ecografia tra le dita e sorridendo.

«O nipotina.»

«Vuoi una femmina Charlie?»

«Voglio solo che sia sano o sana.» Charlotte ancora si sentiva strana all'idea di avere una piccola vita dentro di sé. Era una sensazione di paura e dolcezza.

«Speriamo almeno che non erediti il tuo caratteraccio» aggiunse James, sedendosi al tavolo con gli altri, passando a Robert l'ecografia. «Guarda tuo figlio, amico!»

«Lo vedo.» Ma Robert non aveva guardato nulla, si era semplicemente limitato a sorseggiare la birra dalla bottiglia. «Mangiamo?»

Non era ben chiaro cosa passasse per la testa di Robert. Per tutto il resto della serata rimase in silenzio, ogni tanto lanciava qualche sguardo fugace a Charlotte, seduta accanto a James e questo venne notato dall'amico. Una cosa era certa, però, quella gravidanza non era una benedizione per lui.

Forse Charlotte era quella che cercava di viverla il più serenamente possibile, malgrado tutte le tensioni e il rapporto poco amichevole con Robert, però ci provava e sembrava riuscirci. Difatti, a fine partita, sembrava serena, calma, come se fosse tutto normale. Salutò perfino Robert quando uscì, dicendogli di farsi sentire di tanto in tanto, era pur sempre il padre di suo figlio. Certo, la frecciatina era stata lanciata, ma nessuno aggiunse altro.

Ma Robert non era per nulla tranquillo. Ormai a casa, nel suo letto, non faceva altro che osservare il soffitto, immerso in quei pensieri contorti e preoccupati. Non aveva guardato l'ecografia non per ferire Charlotte, ma per evitare a sé stesso di provare sentimenti. Non era pronto per essere padre e, si disse, non lo sarebbe mai stato.

Lui che aveva fatto della sua libertà una ragione di vita, ora si trovava a dover fare i conti con un neonato in arrivo e sua madre non era di certo la donna che voleva al suo fianco. A dire il vero non voleva proprio una donna fissa.

Il cellulare suonò in maniera fastidiosa, talmente tanto che Robert lo prese stizzito, rispondendo senza guardare chi fosse. «Pronto.»

«Prendi nota: voglio un frullato alla fragola molto denso con tanta schiuma, poi...»

La voce dall'altra parte della cornetta era inconfondibile, non aveva nemmeno salutato.

«Charlie?» domandò, guardando l'orologio. «Sono le tre di notte!»

«So che ore sono ho un orologio anch'io!» precisò Charlotte. «Ho fame e tu hai detto di volerti prendere le tue responsabilità e visto che fuori fa freddo, io non ci penso minimamente a mettermi in macchina per andare da Burger King, quindi ci andrai tu.»

«Tu sei pazza!»

«Tu mi hai messa incinta ed ora ne paghi le conseguenze.»

Robert sbuffò, ormai conscio che Charlotte avrebbe continuato a perseguitarlo se avesse riattaccato. Era questa la sua vendetta per il comportamento adottato quella sera?

Sconsolato si alzò dal letto, stiracchiandosi e ascoltando le richieste della donna che, a dirla tutta, sembrava stesse ordinando cibo per dieci persone. E pensare che aveva mangiato una pizza gigante da sola poche ore prima.

Così prese la moto, andando a prendere quello che Charlotte aveva ordinato. Non era entusiasta, ma in fin dei conti se l'era cercata. Perché non aveva avuto il buon senso di utilizzare un preservativo? Si sarebbe risparmiato quella tortura e quei sensi di colpa.

Prese tutto, controllando che non mancasse nulla, sapeva che se qualcosa non fosse stato in quella busta, probabilmente, Charlotte sarebbe andata su tutte le furie e lui non aveva alcuna intenzione di assistere ad una sua sfuriata. Faceva paura a volte!

Giunto a casa del suo incubo peggiore, bussò e Charlotte non tardò ad aprirgli.

«Era ora!» esclamò lei, togliendogli dalle mani la busta con la sua ordinazione.

«Chiedo venia, vostra maestà, ma ci sono le strade ghiacciate.»

«Spiritoso.»

Robert alzò gli occhi al cielo, entrando e poggiando il cellulare e le chiavi sul tavolino per poi togliersi la giacca e sdraiarsi sul divano. «Hai una coperta?»

«Cosa intendi fare?»

«Dormire.»

«Questo l'ho capito, ma perché ti sei sdraiato sul divano?» Charlotte lo guardò sbalordita, addentando il doppio cheesburger che aveva in mano.

«Non ho intenzione di tornare a casa, ho troppo sonno e, visto che il motivo per cui non ho potuto proseguire la mia nottata di sonno sei tu e il bambino, mi pare logico che tu voglia sdebitarti lasciandomi dormire sul tuo divano.»

«Sei incredibile.»

«E tu insopportabile. Siamo pari!»

Charlotte si arrese, non voleva ma le toccò. Casa sua non aveva un orario di chiusura come i negozi e sbattere fuori l'uomo che le aveva portato il cibo e messa incinta le costava troppa fatica.

Perché non aveva chiamato James?





Angolo autrice:

L'anemia sideropenica è meglio nota come carenza di ferro. Molto comune nelle donne, soprattutto durante la gravidanza.

La stagione di football in America dura da settembre a dicembre, le otto squadre vincenti finiscono ai play-off che durano tre settimane alla fine dei quali le due squadre restanti vanno al super-bowl. Quest'anno i Play-off si sono tenuti dal 4 al 19 gennaio ed hanno visto i Seahawks di Seattle ed i Broncos di Denver uscire vincitori. Come molti ben sapranno il super-bowl si è poi svolto il 2 febbraio e si è concluso con la vittoria dei Seahawks.

Ho aggiornato in anticipo perché non sono certa di poter essere puntuale con i prossimi capitoli, causa vacanza da alcuni parenti a Lindos, sull'isola di Rodi. Starò via tutto il mese di ottobre e, purtroppo, a casa dei miei zii la connessione internet non è delle migliori, ma prometto che farò il possibile per aggiornare!

Quindi, bando alle ciance, se riesco posterò il nuovo capitolo il 15 ottobre.

Un bacione carissimi e alla prossima!

Ele.

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Capitolo 12
*** Cap.11 ***










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Capitolo 11

Lonely is the Night

Lonely is the night – Billy Squier











Il compleanno di Charlotte.

Solitamente James si preparava all'evento giorni prima, comprando come minimo tre regali, di cui uno da condividere con Karen. I loro compleanni cadevano in due giorni consecutivi, difatti l'anno precedente aveva regalato alle due un fine settimana in una SPA, da trascorrere in totale relax tra amiche.

Per i loro ventotto anni aveva pensato di organizzare una sessione di arrampicata, ma la gravidanza di Charlotte aveva stravolto i suoi piani, quindi aveva scelto di iscrivere la sorella e la fidanzata a yoga. Forse quella disciplina poteva aiutare entrambe a distendere i nervi ed a rilassarsi, data la situazione di Charlotte e i preparati per il matrimonio che stavano mandando fuori di testa Karen. Si era informato e, secondo quanto detto da Allison, lo yoga in gravidanza era un toccasana sia per la madre che per il bambino.

Come diceva sempre: aveva preso due piccioni con una fava.

«Hai preso un regalo a Charlie?»

«Dovrei?» domandò Robert senza alzare lo sguardo dal verbale che stava compilando.

Si era completamente scordato del compleanno di Charlotte, ma in ventotto anni non le aveva mai fatto un regalo, perché cominciare proprio ora?

«Certo che dovresti, è incinta!» esclamò James. «Potresti regalarle qualcosa per il bambino. Mia sorella ha intenzione di prenderle la carrozzina, hai presente quelle che diventano passeggino e seggiolino per auto?»

«No, non le ho presente.» Sembrava quasi che non gli importasse di nulla, come se quell'argomento non lo toccasse. In realtà Robert cercava di mantenersi il più distante possibile da quella situazione. Aveva promesso di prendersi le sue responsabilità, ma questo non lo obbligava a preoccuparsi di qualsiasi aspetto della gravidanza. Avrebbe riconosciuto il figlio e contribuito alla sua crescita ed educazione, mantenendo il suo tenore di vita libertino.

«Charlie ha ragione, sei proprio uno stronzo!»

Finalmente Robert alzò lo sguardo. «Mi dispiace, ma non sono adatto a fare il padre. Aiuterò Charlie economicamente e sarò presente per il bambino, ma non puoi chiedermi d'interessarmi alle faccende della gravidanza o ai passeggini e lettini» sbottò, guardando James negli occhi. «E se continui a insistere affinché io e Charlie diventiamo una coppia, scoprirai che non è l'opzione migliore. La farei solo soffrire e lei non lo merita.»

Forse quello era il primo discorso del tutto non egoistico che Robert faceva. Aveva paura di far soffrire Charlotte e questo lo teneva lontano da lei e da qualsiasi sentimento di amicizia e affetto che poteva provare nei suoi confronti.

James avrebbe voluto fare qualcosa, ma si rese conto che ogni sua azione poteva solo peggiorare le cose. Stava a quei due testoni decidere cosa era meglio per loro.

«Sinclair e Goodwin. Quanto tempo.» Voce fastidiosa, acqua di colonia troppo forte e portamento da riccone che portava il nome ed il cognome di Eric Anderson.

«Anderson, ti mancava la tua cella?» lo salutò James spavaldo, alzandosi per guardare l'uomo negli occhi. Ancora si chiedeva come era riuscito ad incantare sua sorella molti anni prima.

«Il mio avvocato sta parlando con il vostro Capitano in questo momento» proseguì Eric, guardando distrattamente il suo rolex, come per mostrare ai due quanti soldi possedeva. Che avesse fatto fortuna come chirurgo plastico lo sapevano tutti, ma con i suoi gesti era come se volesse costantemente ricordarlo a chi lo circondava.

«Sapete, ci sono voci in città, piccoli pettegolezzi che mi hanno incuriosito, mi chiedevo se fossero vere» continuò. «Si dice che Charlie sia incinta e che il figlio sia tuo, Goodwin.»

«Non sono affari tuoi, Anderson.» James si mise subito sulla difensiva, stringendo il pugno quanto bastava per far sbiancare le nocche. Odiava quel vanesio e la voglia di spaccargli la faccia era sempre più forte.

«Deduco sia così.» Eric puntò lo sguardo su Robert. «Povero bambino, con una madre acida e scontrosa come Charlie non avrà di certo un carattere docile.»

«Se è diventata così, la colpa deve essere di qualcuno.»

La frase di Robert non sembrò toccare Eric, dato che proseguì il suo discorso senza batter ciglio, cambiando argomento. «So che avete infilato nella mia tasca la droga per vendicare la vostra piccola Charlie, quindi sappiate che non la passerete liscia.»

«Ci stai minacciando?» Robert si alzò, voleva mantenere la calma, ma quell'uomo lo stava istigando.

«No, ma volevo solo assicurarvi che tutte le persone coinvolte riceveranno notizie dal mio avvocato e, per tutte, intendo anche la vostra protetta.»

«Stai lontano da mia sorella.»

Ma Eric non si fece intimidire, spostò lo sguardo su Robert, guardandolo come fosse un pezzente. «È stata brava a letto, Goodwin?»

«Io ti ammazzo!» James non ci vide più. Il suo pugno colpì il naso di Eric, talmente forte da farlo sanguinare abbondantemente. Se non ci fossero stati Robert e altri agenti, probabilmente l'avrebbe picchiato fino a farlo svenire. Ci vollero tre uomini per allontanarlo da Eric e tenerlo fermo.

«Osa solo ad avvicinarti a mia sorella e ti giuro, Anderson, ti farò pentire di averle anche solo respirato vicino!»

«Sto tremando, Sinclair.»

Robert non resistette. Era rimasto calmo per poter trattenere James dal fare fuori Eric, ma la sola vista di quell'espressione strafottente lo mandava in bestia. Si avvicinò ad Eric, ancora a terra con il naso sanguinante. «Ora stammi a sentire, figlio di puttana, stai alla larga da Charlie e da mio figlio, altrimenti non te la caverai con solo un naso rotto» disse, guardandolo dritto negli occhi. «Non tollero che qualcuno minacci me o le persone a cui tengo, sono stato chiaro?»

I suoi occhi azzurri parevano cubetti di ghiaccio da quanto odio e freddezza imprimeva in quelle parole. Robert era un libertino, ma teneva a Charlotte abbastanza da diventare protettivo nei suoi confronti, soprattutto quando a minacciarla era un uomo come Eric Anderson.

«Che diavolo succede qui?» Fortunatamente Jack intervenne, prima che uno solo dei suoi uomini potesse fare qualcosa di avventato. Guardò torvo Eric, spostando poi lo sguardo su James tenuto fermo da tre agenti e poi su Robert, visibilmente teso e infuriato.

«Nulla Capitano» disse Robert, aiutando Eric ad alzarsi. «Il signor Anderson è solo caduto.»

«Caduto?» Quella scusa faceva acqua da tutte le parti, ma Jack non volle approfondire; Eric Anderson non faceva innervosire solo James e Robert.

Purtroppo le cose non potevano essere risolte con semplici bugie campate per aria, soprattutto se era presente anche l'avvocato dell'aggredito.

«Caduto? È evidente che il mio cliente è stato aggredito.»

«Aggredito?» E Jack non era tipo che si faceva intimidire da un avvocato, era lui che intimidiva gli altri. Si portò le mani ai fianchi, guardando gli agenti presenti. «È vero che il signor Anderson è caduto?»

Tutti annuirono. Lavoro di squadra, che bella definizione.

Jack guardò così l'avvocato, senza dire nulla. Era ovvio che si trattava della loro parola contro quella di Eric e per quanto l'avvocato fosse un barracuda, data la sua reputazione di legale in grado di scagionare anche Satana in persona, quando si trovava nel distretto di Jack doveva fare attenzione a non provocare lo squalo, si finiva solo male.


***


Charlotte non sopportava gli sguardi delle persone. I vicini di casa di suo padre avevano saputo della gravidanza e, dal loro modo di bisbigliare, probabilmente sapevano anche chi era il padre. Per non parlare di alcuni clienti della tavola calda di sua nonna. Le voci correvano anche in una grande città come New Orleans, soprattutto quelle riguardanti una conduttrice radiofonica allergica all'amore ed un detective di polizia farfallone.

Sperava di poter vivere la gravidanza il più serenamente possibile, per quanto le circostanze lo permettessero, ma a quanto pareva i gossip erano come miele per le api nel suo quartiere e in radio non facevano altro che fissarla. Almeno la nausea iniziava a svanire gradualmente e riusciva a godersi il risveglio senza dover correre al bagno a vomitare ogni tre secondi o ogni volta che sentiva odore di cibo.

Stava per appisolarsi sul divano, dopo essere tornata dagli uffici dell'emittente radiofonica, quando qualcuno bussò alla porta. Sbuffando andò ad aprire, alzando gli occhi al cielo quando si trovò di fronte Robert.

«Che cosa vuoi?»

«Ciao anche a te.» Robert la rimbeccò, sorpassandola ed entrando nell'appartamento. «Potresti essere più gentile, sai? Sono pur sempre tuo amico.»

«Amico? Per come la vedo io sei solo il rompiscatole che mi ha messa incinta.»

«Ti preferisco quando dormi.»

«Ed io quando non ci sei.»

«Buon compleanno.» Robert le porse una scatolina rettangolare, sedendosi sul divano e poggiando i piedi sul tavolino. «E poi non dire che sono uno stronzo.»

«Uno spray al peperoncino?» Rimase sorpresa quando, aprendo il regalo, si trovò di fronte ad una bomboletta anti-aggressione. Corrugò la fronte, non riuscendo a capire il senso di quel dono.

«Quello all'aglio era finito.»

«No, sul serio...uno spray al peperoncino?»

«Eric minaccia di fare causa al dipartimento. Oggi è arrivato in centrale con il suo avvocato, dice che cercherà di farcela pagare, te compresa.»

Sul serio si stava preoccupando per lei?

«Per la storia della droga?»

«Io e James abbiamo esagerato ma, credimi non mi pento di averlo incastrato.»

Charlotte sorrise debolmente, quando voleva Robert sapeva essere gentile a suo modo. «Grazie.»

«Ah, e James gli ha rotto il naso...di nuovo.»

«Oh, i miei cavalieri dall'armatura luccicante» disse lei in tono scherzoso, sbattendo le ciglia con fare teatrale, sedendosi sul divano accanto a Robert.

Era una delle poche volte in cui riuscivano a parlarsi senza litigare o ricorrere alle maniere forti. Forse potevano trovare un modo civile per convivere ed essere buoni amici.

Robert sorrise, guardandola e, per la prima volta da quando aveva scoperto della gravidanza, s'interessò a lei. «Come ti senti?»

«La nausea è sparita, in compenso ho sempre più fame, che ne dici di portarmi un cheeseburger e una mega confezione di patatine fritte?»

«Sei una spina nel fianco, Charlie» sbuffò Robert. «Peggio di un gatto attaccato ai coglioni!»

«Anzi, ho voglia di una pizza con tanta mozzarella, funghi e salsiccia...e ali di pollo croccanti con purè di patate, ma quello che fa mia nonna con le patate, non quello liofilizzato del supermercato.»

«Sei sicura di essere incinta di un essere umano e non di un tritarifiuti?»

«Vai a prendermi da mangiare oppure vuoi che ti castri sul posto?»

Meglio non contraddire Charlotte quando aveva fame, si rischiava di finire male.

«Va bene, ma prima ho bisogno di sapere una cosa.»

«Cosa?»

«Quando scade il termine?» Era la prima volta che Robert s'interessava alla gravidanza, il che era strano, dato il suo menefreghismo verso ogni argomento inerente alla gestazione.

Charlotte alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sotto al seno. «Perché lo vuoi sapere?»

«Lo vuole sapere mia madre, mi ha lasciato un messaggio in segreteria stamattina e prima di richiamarla voglio avere le informazioni che ha chiesto.»

«Sono di undici settimane e tuo figlio dovrebbe nascere all'inizio di settembre» specificò lei. «Comunque è gentile da parte tua questo interessamento, pensavo non te ne fregasse nulla!»

Ma ormai Robert si era alzato e diretto alla porta. Non disse nulla, si limitò a farle un cenno con la mano, per poi uscire e lasciare Charlotte ancora più infuriata di prima.


***


Robert non era forse l'uomo ideale con il quale mettere al mondo un figlio, ma dopo quanto le era stato riferito dal fratello al telefono, Charlotte si rese conto di quanto sapeva essere protettivo l'uomo.

Sorrise accarezzandosi il ventre lievemente accennato. La gravidanza iniziava a farsi vedere, ma ad un occhio poco attento poteva ancora passare inosservata. Ormai la voce stava prendendo piede e, prima della fine di febbraio tutti avrebbero saputo che aspettava un figlio da Robert.

Seduta sul divano con il portatile sulle gambe, Charlotte cercava di scrivere il prossimo intervento alla radio, ma non riusciva a concentrarsi a causa di quanto stava accadendo nella sua vita. Le minacce di Eric potevano essere solo parole al vento, ma conosceva abbastanza quell'uomo da sapere che non parlava solo per dare aria alla bocca. Robert e James potevano rischiare il posto o la sospensione temporanea, magari una causa per diffamazione. Era preoccupata per loro, in fondo avevano agito a quel modo per proteggerla.

Poi la porta si aprì e la voce di Robert le fece capire che la sua ordinazione era arrivata. Si alzò, pronta a criticarlo per fargli notare il ritardo, ma quando lo vide al telefono si fermò, cercando di capire con chi stava parlando.

«Ehm, abbiamo un problema!» esclamò Robert, dopo aver riattaccato il telefono. «I miei genitori vengono a trovarmi.»

«Questo è un tuo problema, non mio!»

«Sanno che sei incinta e che il bambino è mio, ma non sanno il resto.»

Charlotte aggrottò la fronte, cercando di capire cosa stesse cercando di dirle Robert, ma non aveva una sfera di cristallo né, tanto meno, facoltà da veggente. «E quindi?»

«Quindi non sanno che tu ed io, insomma, non siamo una coppia. Loro credono che tu ed io stiamo insieme.»

«E perché lo credono?»

«Conosci i miei, quando hanno saputo che sarei diventato padre hanno subito chiesto quando ti avrei sposata e, sai com'è mia madre.»

«Ed io che cosa dovrei farci?»

«Dovresti reggermi il gioco, almeno per il prossimo fine settimana. Vieni a stare da me, gli facciamo credere che stiamo insieme, che siamo una coppia.»

Charlotte voleva comportarsi da persona seria, ma la cosa la divertì a tal punto da farla scoppiare a ridere. Lei e Robert una coppia? Non esisteva nemmeno la minima probabilità che fra di loro potesse nascere qualcosa, a parte un figlio e, a quello, non si poteva di certo porre rimedio.

«Perché non dici semplicemente come stanno le cose? Sono certa che capiranno la situazione.» Charlotte aprì la busta del cibo, prendendo un'ala di pollo.

«È complicato. Vedi, ho provato a dir loro che tu ed io non stiamo insieme, ma quando ho detto che tra di noi le cose non andavano molto bene, mia madre è scoppiata in lacrime, ha cominciato a singhiozzare e non sono riuscito a dirle la verità.»

«Che pappamolla!» esclamò lei addentando un'ala di pollo.

«Senti, loro vivono a Shreveport, vengono per il fine settimana e poi ripartono, potresti fingere di volermi bene almeno per quei tre giorni? Se mio padre scopre che ti ho messa incinta e che non ti sposo, finisce male!»

«Non siamo al liceo!»

«Prova a spiegarlo a quei tradizionalisti dei miei genitori. Hanno una mentalità vecchio stile, se metti incinta una donna te la devi sposare!»

Charlotte alzò le mani, stringendo gli occhi a due fessure. «Per caso credono che ci sposiamo?»

«No, credono che stiamo insieme e che ci sposeremo quando il bambino sarà nato e abbastanza grande per camminare e portare le fedi all'altare.»

«Sei un coglione!»

Era ufficiale, Robert Connor Goodwin aveva compiuto la cazzata più grande della sua vita, oltre ad averla messa incinta.

Charlotte si portò le mani nei capelli, desiderano intensamente di tornare indietro nel tempo per fermare la sé stessa del passato ed impedirle di ubriacarsi con Robert. Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutti quei casini?







Angolo autrice:

Lo yoga è ideale soprattutto in gravidanza. Migliora la circolazione, distende i muscoli ed i nervi e, soprattutto, è una pratica molto importante per la preparazione al parto.

Robert l'ha fatta grossa, ma sembra tenerci a Charlotte, tanto da regalarle una bomboletta al peperoncino. Intanto Eric sembra avercela con James, Robert e Charlotte, minacciandoli. Che accadrà?

Beh, lo scoprirete nei prossimi capitoli. Sappiate che nel prossimo vedremo i genitori di Robert.

Scusate se non ho risposto alle recensioni dello scorso capitolo, purtroppo ho avuto parecchio da fare!

Prossimo aggiornamento giovedì 20 novembre!

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Capitolo 13
*** Cap. 12 ***










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Capitolo 12

I don't want to be

I don't want to be – Gavin DeGraw













I genitori di Robert erano arrivati il venerdì sera e lei, come da copione, si era ritrovata a dover fingere una relazione che mai sarebbe potuta iniziare. Alla fine avevano stabilito di stare a casa sua e non nel piccolo appartamento dell'uomo. Se volevano fingere dovevano farlo in maniera adeguata e l'appartamento di Charlotte era più grande e accogliente rispetto a quello di Robert.

Certo, se non fossero stati due persone con caratteri opposti, sarebbe stato più semplice fingere simpatia verso Robert di fronte ai genitori di lui. Non erano fastidiosi, Patrick era un uomo silenzioso, l'ultimo dei suoi problemi, ma Lauren era fin troppo espansiva per i suoi gusti, proprio come se la ricordava. Protettiva e materna, l'esatto opposto del figlio.

In che cavolo di situazione si era cacciata?

«Potresti evitare di fare tutto questo rumore?» mugugnò lei, muovendosi sotto le coperte.

Non era facile lavarsi e vestirsi in silenzio, soprattutto con Charlotte che, a causa della gravidanza, aveva il sonno leggero. Le donne incinte di solito non dormivano ad ogni ora del giorno?

«E potresti vestirti in bagno?»

Robert guardò in basso, indossava solo un asciugamano intorno alla vita, non era nudo. «Non c'è niente che tu non abbia già visto. Ricordi? Ti ho messa incinta.»

«Evita anche di ricordarmelo, vorrei dimenticare quella squallida notte!»

Robert non rispose, si limitò a vestirsi, lasciando che Charlotte lo insultasse per bene. Non era una passeggiata vivere con lei, dormirci era anche più difficile se si contava il fatto che Hannibal, quel bestione, passava la notte sdraiato tra loro due, con il muso sulle gambe della padrona.

«Ho perso il sonno.» Charlotte si alzò, sbuffando.

«Credo sia fuggito insieme alla tua gentilezza, cosa che non credo tu abbia mai avuto.»

Era sempre così tra loro; un continuo punzecchiarsi che non finiva mai. Ma questo si verificava solo quando erano soli, lontani dagli sguardi dei signori Goodwin. In loro presenza loro dovevano sembrare una coppia felice. Cosa alquanto impossibile nella vita reale.

Una volta vestito e diretto in cucina, Robert si sedette al tavolo per fare colazione, per fortuna c'era sua madre, altrimenti poteva scordarsi che Charlotte cucinasse per lui. Se l'avesse fatto, probabilmente, sarebbe morto per avvelenamento.

Bevve il suo caffè sotto lo sguardo indagatore della madre, perché doveva essere così ficcanaso? «Che succede?»

«Dovrei farti io questa domanda.»

Ma Robert non disse niente, limitandosi a mangiare le uova strapazzate nel suo piatto, mentre Charlotte si dirigeva verso il frigo per prendere una bottiglietta d'acqua.

«Esco, vado a correre!»

«Non mangi nulla, Charlotte?» Lauren si portò una ciocca castana dietro l'orecchio, sbattendo un paio di volte le palpebre. Era incredibile come quegli occhi azzurri fossero uguali a quelli di Robert.

Charlotte sorrise alla donna, agganciando il guinzaglio al collare di Hannibal. «Grazie, Lauren, ma se mangio prima di correre rischio di stare male.» Detto questo uscì senza salutare Robert e Lauren capì che qualcosa non andava tra i due.

«Avete litigato?»

«Litighiamo ogni giorno da quando siamo piccoli» disse Robert. «Nulla che non possa essere risolto.»

Ma Lauren non ne era tanto convinta. I due sembravano in procinto di azzannarsi a vicenda come cani rabbiosi, altre volte erano in sintonia a tal punto da dare l'impressione di essere insieme da sempre.

L'unico perennemente in silenzio era Patrick, troppo concentrato sulla pagina sportiva per rendersi conto di cosa stava succedendo accanto a lui. Ah, beata tranquillità!

«Ho visto sul calendario che oggi avete un'ecografia» cambiò discorso la donna. «Sarai emozionato.»

Ma Robert rispose con tono piatto e non curante, come se fosse un appuntamento dal dentista. «Devo lavorare.»

«E chi va con Charlotte?»

«Karen.»

«Sai, da quando siamo arrivati non ti ho mai visto sfiorarle la pancia o anche solo interessarti alla gravidanza. Che razza di figlio ho cresciuto?»

«Lei non sopporta che le si tocchi la pancia, se solo ci provo rischio di restare senza mano.»

Lauren strabuzzò gli occhi. La sera precedente Charlotte aveva lasciato che lei le sfiorasse il pancino, ridendo e parlando di quanto fosse tutto strano. Le si erano illuminati gli occhi quando le aveva dato il libro dei nomi, sebbene avesse fatto intendere di averne già un paio in mente.

«Robert Connor Goodwin, se non ti conoscessi direi che tu non vuoi questo bambino.»

E quando Robert la guardò negli occhi, Lauren capì che la situazione era critica. Suo figlio non voleva diventare padre.

«Devo andare, ci vediamo stasera.» Detto ciò, Robert uscì, lasciando Lauren basita e senza parole.

Era un silenzio desolante quello che regnava in quell'appartamento, interrotto solo dal frusciare della pagine del giornale di Patrick.

«Lascialo stare, deve abituarsi all'idea di diventare padre e, per nostro figlio, non è una cosa facile.»

C'era da dire che, nonostante fosse un uomo taciturno, Patrick sapeva vedere ben oltre le apparenze. Con una sola frase aveva fatto centro.


***


Non era un compito facile. Fingere di amare Charlotte non si stava dimostrando un piano geniale.

Per non parlare degli sguardi che James gli lanciava di tanto in tanto. Il suo migliore amico aveva criticato quel piano in tutte le maniere; l'aveva definito stupido ed egoistico, esattamente le stesse parole usate da Charlotte. Quei due o avevano parlato al telefono, oppure erano veramente fratello e sorella. E pensare che Robert aveva sperato fino all'ultimo che tra quei due non ci fosse un legame genetico.

«Ok, tu ora devi fare una cosa per me» esordì James, dopo aver parcheggiato l'auto di fronte all'ospedale. «Abbiamo un'ora di permesso. Adesso entri e vai a tenere la mano a Charlie se non vuoi finire con una pallottola firmata Jack Sinclair in fronte.»

Si erano messi tutti contro di lui. L'universo intero sembrava volerlo costringere a partecipare all'ecografia. Sua madre che gli teneva il fiato sul collo, Jack che lo minacciava di morte certa e James che, praticamente, lo stava trascinando nell'edificio.

Ma per quale insano motivo doveva entrare in quell'ospedale e osservare un monitor?

«Mio padre è pronto a spararti. Credimi, ha la pallottola in canna e sai che ha una mira infallibile.»

Ecco il motivo: la furia di Jack Sinclair.

La giornata era iniziata male, ma stava proseguendo nel peggiore dei modi.


***


«È un emerito idiota!»

Charlotte era fuori di sé, si sfogava mentre la sorella la visitava e Allison non poteva fare altro che ascoltarla.

Aveva anticipato di un paio di giorni l'ecografia a causa di alcuni interventi che non poteva posticipare. Avrebbe preferito farla il lunedì 24, senza i genitori di Robert in giro per casa, ma forse averli intorno non era così male. Magari poteva essere una nota positiva e spingere così Robert ad affrontare la gravidanza in maniera più rilassata e meno menefreghista.

«Questo l'hai già detto» disse la donna, misurando la pressione della sorella.

«Non fa altro che girare per casa, la mia casa, e fingere. Lo odio!»

«Anche questo l'hai già detto.»

«E russa...russa peggio di papà.»

Allison ascoltava impassibile, sospirando di tanto in tanto. Possibile che quei due testoni non riuscivano a riconoscere il fatto che erano più simili di quanto pensassero? Continuavano a farsi la guerra e litigare senza sosta e, purtroppo, tiravano in mezzo altre persone.

«Almeno è temporaneo, devi solo resistere in questi giorni.»

«Resistere?» domandò con voce stridula Charlotte. «Allison, è il padre di mio figlio, dovrò sopportarlo fin quando sarà in vita.»

«Pensi di vivere più a lungo di Robert?»

«Certo che sì!»

Allison sorrise. «Però, sei ottimista.»

«Sono realista. Potrei avvelenarlo con l'arsenico, di certo papà mi fornirebbe un alibi e copertura per occultare il cadavere.»

«Guardi troppe serie tv poliziesche.»

Charlotte sospirò. Che cosa aveva fatto di male per meritare tutto quello? Si lasciò andare sul lettino negando col capo. «Perché sono stata così stupida? Non dovevo bere in sua presenza.»

«Pensa al lato positivo: almeno sei rimasta incinta di un uomo che conosci» affermò Allison. «Se fossi rimasta da sola in quel bar avresti bevuto e, forse, saresti finita a letto con uno sconosciuto che, magari, si sarebbe scordato del preservativo e tu ti saresti ritrovata a crescere questo figlio da sola.»

«Meglio sola che con Robert.»

Allison voleva dire qualcosa, ma sapeva che quando la sorella era infuriata bisognava solo lasciarla sfogare, le sarebbe passato tutto.

La porta si aprì e l'infermiera entrò. «Dottoressa Sullivan, c'è il signor Goodwin per sua sorella.»

«Parli del diavolo» sospirò Allison, facendo cenno all'infermiera di far entrare Robert. «Appena in tempo Robert, stavamo per fare l'ecografia!»

Charlotte non lo guardò, limitandosi ad osservare il soffitto mentre lui si sedeva accanto a lei. «Che ci fai qui?»

«Sostituisco Karen.»

«Veramente era Karen che sostituiva te.»

«Vuoi litigare, oppure vuoi che mi prenda le mie responsabilità?»

Charlotte non disse nulla, si limitò a tenere lo sguardo fisso sul soffitto. Lo sentì accanto a lei, fermo, immobile. Aveva il respiro pesante, poteva sentire il suo corpo teso e impassibile. Di certo era nervoso, molto più di lei alla prima visita.

Rimase ferma ad aspettare di sentire l'unico suono in grado di calmarla: il battito del cuore di suo figlio. Era rilassante e dolce, una droga della quale non riusciva a farne a meno. Stava diventando madre e non c'era nulla di più bello che poteva capitarle; l'unica nota negativa di quella gravidanza era l'uomo che aveva donato parte del codice genetico. Al termine della visita si sentiva talmente euforica da non riuscire a dare contro al padre di suo figlio.

Rimasta sola con Robert nella saletta, con l'ecografia in mano, Charlotte cercò il suo sguardo e vide solo la paura. «Tu non vuoi farlo, vero?»

«Cosa?»

«Tu non vuoi essere padre» sussurrò Charlotte, guardando l'ecografia. «Se vuoi fare marcia indietro sei libero di farlo, non voglio obbligarti.»

«Fosse così facile.» Robert era sempre stato un uomo sicuro di ciò che voleva. Nessun legame, nessuna donna fissa, solo lui e la sua libertà. Poi Charlotte era rimasta incinta e quello da cui fuggiva si era materializzato sulla sua strada.

«Posso farcela anche da sola.»

«E le nostre famiglie? Tuo padre mi ucciderebbe, il mio gli darebbe man forte, per non parlare di James, cercherebbe di castrarmi.»

«È solo per questo che hai scelto di prenderti le tue responsabilità? Per quello che gli altri potrebbero fare o pensare di te?»

«No.» E per la prima volta Robert la guardò negli occhi, mettendosi di fronte a lei e puntando le mani sul lettino, vicino ai suoi fianchi. «Non meriti di affrontare tutto da sola. È vero, non voglio essere padre, ma questo bambino è pur sempre mio figlio e non voglio che cresca pensando che suo padre l'abbia abbandonato prima ancora che nascesse.»

Robert era uno stronzo, ma Charlotte sapeva che quando si trattava della famiglia diventava un'altra persona. Forse non ci si poteva fidare di lui come compagno, ma come padre sapeva che sarebbe stato fantastico.

«Per quale motivo sei così accondiscendente e gentile?» domandò lui, sorpreso dal comportamento calmo e per nulla aggressivo di Charlotte.

Lei sorrise, facendo spallucce. «Saranno gli ormoni.»


***


Aveva trascorso il resto della giornata con l'ecografia in tasca. Non l'aveva guardata, si era semplicemente limitato a infilarla nella tasca posteriore dei jeans, fingendo che non ci fosse.

Forse era questo il modo giusto per affrontare la situazione: far finta che non fosse successo nulla; ma non poteva andare avanti per molto. La pancia di Charlotte cresceva e quella mattina aveva visto la donna specchiarsi in bagno, sfiorandosi il ventre lievemente pronunciato.

Che cosa doveva fare?

Finito il turno rientrò a casa, sentendo il profumo della cena e la televisione accesa. Suo padre guardava il notiziario, sua madre cucinava e Charlotte apparecchiava mentre Hannibal mangiava dalla sua ciotola.

«Ciao.» Si avvicinò a Charlotte, baciandole i capelli solo per fare scena. Quella mattina aveva rischiato di far saltare i suoi piani, non poteva mandare tutto a rotoli in poche ore. Eppure quel semplice gesto gli venne spontaneo, come se fosse stato dettato dal suo cuore e non dalla ragione.

Charlotte non disse nulla, si limitò ad un sorriso tirato, sentendosi strana. «Ciao.»

Sapeva che quel bacio era stato un modo per far credere ai genitori di Robert che tutto andava bene, ma come mai sentiva uno strano formicolio al petto? Deglutì, continuando ad apparecchiare. Quella situazione stava diventando decisamente pesante e fuori dal comune. No, lei e Robert non sarebbero mai stati una coppia. Troppo diversi, troppo scontrosi e con troppi trascorsi.

Trascorsero il resto della serata nella totale finzione. Charlotte si sentiva quasi soffocare dalla gentilezza di Lauren e Robert non era totalmente consapevole di quanto stava accadendo intorno a lui. Non si rese nemmeno conto di essere in camera da letto pronto per andare a dormire.

Sdraiato a pancia in su osservava il soffitto, sentendosi lo sguardo di Charlotte addosso. La donna era seduta sul letto accanto a lui, con il testone di Hannibal sulle gambe.

«È incredibile come una semplice ecografia sia riuscita a sconvolgerti così tanto!»

«Non sono sconvolto.»

«Stai cercando di convincere me o te stesso?»

La cosa incredibile non era l'effetto che quella semplice ecografia gli aveva fatto, ma quanto insistente e rompiscatole fosse Charlotte ad una certa ora della sera.

«Sto cercando di capire cosa voglio.»

Charlotte annuì, sospirando. «Beh, cerca di farlo in silenzio e alla svelta.»

«Sei incinta per la miseria!»

«Te ne sei reso conto solo adesso?»

«Beh, prima era più facile fingere che fosse tutto uno scherzo, ma quella cazzo di ecografia mi ha riportato con i piedi per terra.»

Non aveva mai fatto i conti con la realtà. Non si era mai fermato a pensare seriamente a quello che stava accadendo, troppo impegnato a fingere che la gravidanza fosse solo frutto di un brutto scherzo e che nulla di quanto accaduto a dicembre fosse mai successo. Poi l'ecografia ed era stato come fare una doccia gelata. Che fregatura!

«La realtà fa schifo, vero?» fu la domanda di Charlotte. Sembrava quasi compassionevole e docile.

«Odio darti ragione.»

«Rilassati, la gravidanza non è una fede al dito o un contratto matrimoniale, puoi continuare a fare il lurido porco in giro per New Orleans!»

Robert alzò un sopracciglio, voltando la testa verso Charlotte. «Io sarei un lurido porco?»

«Scusa, non volevo offendere la tua sensibilità. Diciamo che sei un donnaiolo.»

«Sentimi, mi piace essere libero, mi piace non dover rendere conto a nessuno delle mie scelte e, soprattutto, mi piace non avere una donna che mi chiama per sapere a che ora rientrerò per cena e il non avere a che fare con una che ogni mese, per cinque o sei giorni, diventa isterica e intrattabile» sbottò Robert. «Tu sei peggio, sembra che hai il ciclo trecentosessantacinque giorni all'anno.»

«Ti sembra questo il modo di trattare la madre di tuo figlio con i tuoi genitori nella stanza accanto che, ci tengo a precisare, credono che noi stiamo insieme?»

«Ho bisogno di una boccata d'aria.»

«Ecco, bravo, scappa come è tuo solito, tanto sei capace solo a fuggire!»

Ma ormai Robert non la sentiva più. Uscì dalla camera, dirigendosi verso il salotto e poi sul balcone, forse l'aria della sera riusciva a schiarirgli le idee; si sedette su una delle sedie, cominciando a ragionare. Perché diavolo era entrato nella sala delle visite? Poteva semplicemente sedersi in sala d'aspetto e fingere di aver partecipato all'ecografia, ma la paura di essere ucciso o, peggio, castrato da Jack era stata più forte del timore di diventare padre.

«Sei terrorizzato.»

Perché sembrava che tutti sapessero cosa provava prima di lui?

Robert guardò suo padre dal basso, prendendo la birra che gli stava offrendo. «È stata la stessa cosa anche per te?»

«Figliolo, ti rivelerò un segreto» disse Patrick, sedendosi sulla sedia accanto al figlio, guardando le luci di New Orleans illuminare la notte. «Quando tua madre mi disse di essere incinta me la feci nei pantaloni.»

«Non oso immaginare» scoppiò a ridere, prendendo dalla tasca dei pantaloni della tuta l'ecografia, passandola al padre.

Patrick la guardò con un sorriso orgoglioso, sembrò quasi che i suoi occhi scuri s'illuminassero. «Non smetterai mai di avere paura, anche quando il bambino sarà nato. Avrai paura che si faccia male, o che cada per le scale. Temerai che possa ammalarsi o che si rompa un braccio correndo.»

«Credevo fosse una prerogativa della donne.»

«Siamo così anche noi uomini, soprattutto quando abbiamo a che fare con le figlie femmine.»

«Io non ho sorelle, quindi come fai a dirlo?»

«Perché sono un padre e conosco Jack. Hai mai notato come è particolarmente protettivo verso Charlie?»

«Quando ha saputo della gravidanza voleva mettermi alla gogna e fustigarmi.»

«L'avrei fatto anch'io, ma è una prerogativa dei padri. Come vogliamo proteggere i maschi, a maggior ragione vogliamo proteggere le figlie femmine perché conosciamo i pensieri degli uomini» disse Patrick. «Jack vuole proteggere sua figlia perché sa che al mondo esistono veri e propri bastardi che potrebbero spezzarle il cuore o farle del male.»

«Ed uno di quei bastardi le ha già spezzato il cuore.»

«Cuore che potresti riparare, se solo riconoscessi il fatto che siete fatti della stessa pasta.»

«Che intendi dire?»

«Intendo dire che non sono nato ieri. Forse tua madre ci sarà cascata, ma io no. So che tu e Charlie state fingendo di essere una coppia e, notizia del giorno, siete due pessimi attori!»

Robert s'irrigidì, guardando il padre con preoccupazione. «La mamma lo sa?»

«No, grazie al cielo, altrimenti si sarebbe messa a piangere come una fontana. Robert, non ti ho cresciuto per essere un donnaiolo impenitente, ti ho cresciuto per essere un uomo e Charlie è la donna che fa per te. Non fartela sfuggire!»

Robert annuì, restando immobile con quell'ecografia tra le dita. Suo padre aveva capito tutto, ma come poteva anche solo pensare che lui potesse essere un bravo padre. Non era adatto a quel ruolo, nemmeno a quello di compagno per Charlotte. No, lei meritava di meglio, ed anche suo figlio.

Lui non voleva essere padre. O forse sì?





Angolo autrice:

scusate il ritardo, purtroppo ho avuto problemi con la linea internet, ma ce l'ho fatta, sono riuscita ad aggiornare! Questo capitolo è uscito leggermente più lungo, ma credo che non vi dispiaccia.

Abbiamo fatto la conoscenza, seppur lieve, dei genitori di Robert. Nel prossimo li vedremo ancora. Intanto sappiamo che Patrick non ha creduto per un solo istante alla farsa, ma mammina Goodwin sì!

Robert ha i primi scontri con la realtà. Se prima era freddo e distaccato, ora è impaurito e confuso. Non sa cosa fare e cosa vuole. Quell'ecografia l'ha proprio sconvolto, ma non pensate che, dall'oggi al domani, si renda conto di amare Charlotte e le dichiari il suo amore. Assolutamente NO!

Quei due sono ancora lontani dall'essere una coppia, quindi restate in attesa e ne vedrete delle belle!

Vi ricordo il mio gruppo su FB “Lettere d'inchiostro, parole d'amore” dedicato a tutte le mie originali. Vi chiedo solo un favore, quando inviate la richiesta, potreste gentilmente inviarmi un messaggio privato qui o su FB dove mi dite chi siete sul sito e quale mia storia seguite? Grazie!

Al prossimo capitolo mie care, previsto per sabato 6 dicembre!


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Capitolo 14
*** Cap. 13 ***











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Capitolo 13

Let Her Go

Let her go - Passenger









C'erano solo due cose che Jack adorava: la sua famiglia e la vendetta.

Nulla era meglio di un pranzo condito con delle punzecchiate pesanti a Robert. Quell'uomo era diventato il suo giocattolo preferito. Così, quando aveva saputo che i signori Goodwin erano in città e che Robert aveva lasciato credere loro che lui e Charlotte stavano insieme, ne aveva approfittato per metterlo sotto pressione organizzando un pranzo di famiglia.

Tutti insieme appassionatamente, come aveva simpaticamente esclamato James, avrebbero trascorso una pacifica, se così potevano definirla, domenica in famiglia.

«Perché devi guidare tu?» E Charlotte aveva iniziato a dare i numeri ancora prima di arrivare a destinazione. «Sono perfettamente in grado di guidare.»

«Possibile che tu non riesca a stare zitta?» Ma questi battibecchi innocenti potevano passare come semplici litigi tra innamorati agli occhi di Lauren, la quale, seduta sul sedile posteriore dell'auto, sorrideva amabilmente.

«Possibile che tu sia sempre così scontroso la domenica mattina?»

Robert non rispose, si limitò a sospirare e stringere il volante, ma guidare non era facile, soprattutto con Charlotte che, dal sedile posteriore, gli dava calci.

«Vuoi schiacciare quel pedale? Devo fare pipì!»

«Se tu la smettessi di darmi calci, forse andrei più veloce!»

Ed i loro battibecchi sembravano divertire entrambi i signori Goodwin. Per fortuna giunsero a destinazione nel giro di pochi minuti. Parcheggiata l'auto, Charlotte non perse tempo per i convenevoli. Entrò in casa, correndo in bagno. «Ciao a tutti!»

«Spero per te che non ci sia quello spiantato di Goodwin!» esclamò Jack dal divano, sfogliando il giornale della domenica.

«Mi spiace signore, ma ci sono anch'io.»

«Peccato, speravo che il tuo invito fosse andato perso.»

«Jack, vecchia volpe!» s'intromise Patrick, avanzando e porgendo la mano verso Jack. I due si conoscevano da anni e, per loro, ritrovarsi era una specie di riunione di classe.

Trascorrere il pranzo domenicale in casa Sinclair non era di certo in cima alla lista dei desideri di Robert, ma doveva mantenere la facciata per sua madre, lei ancora credeva alla sua relazione con Charlotte. Così, suo malgrado, dovette sorbirsi quel pranzo in famiglia, tra le frecciatine di Jack e le battute di James, cominciò a sentirsi quasi a casa.

«Cosa farete nel pomeriggio?» Victoria cercò di smorzare la tensione che Jack emanava.

Lauren trillò tutta contenta, sorridendo amorevolmente. «Sono riuscita a convincere Charlotte a cominciare con le compere per il bambino. I due ometti dovranno abbassarsi e seguirci nei negozi per neonati.»

La faccia di Charlotte parlava chiaro. Non aveva alcuna voglia di fare shopping, tanto meno Robert, ma quando Lauren Goodwin si metteva in testa una cosa, era peggio di lei. E Jack si rilassò all'istante, non si sarebbe preso la briga di torturare nessuno quel giorno, ma avrebbe lasciato che sua figlia lo facesse al posto suo. Aveva capito dal suo tono che quel pomeriggio non avrebbe risparmiato colpi, Charlotte si sarebbe cimentata nello shopping, ma alle sue regole e tormentando per benino Robert.

Che grande soddisfazione, constatare quanto la sua piccola Chucky gli somigliava sotto quel punto di vista.


***


Per fortuna il pranzo passò velocemente e senza troppi intoppi, ma per Robert era arrivata la parte peggiore della giornata lo shopping con sua madre e Charlotte.

Suo padre se ne stava in disparte, guardando distrattamente alcuni oggetti, senza mai dare una vera e propria opinione, era sua madre il tornado in quel negozio per bambini. Girava da una corsia all'altra riempiendo il carrello di tutine e oggetti per neonati. L'idea di diventare nonna la elettrizzava, in fondo era il suo primo nipotino, come poteva non essere più contenta?

Charlotte sembrava condividere il suo umore. Appariva stanca e frastornata, come se tutti quei colori la nauseassero. Insomma, Lauren stava prendendo cose sia per maschi che per femmine, e ancora non sapevano il sesso del bambino.

«Ma, Lauren, è troppo per un bambino solo, senza contare che se nasce un maschio le cose da femmina non le utilizzeremo e viceversa!»

«Non preoccupatevi, quello che non usate per questo bambino, lo userete per il prossimo.» Lauren ormai aveva perso ogni freno, sembrava una bambina nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.

«Per quanto deve durare questa sceneggiata?» domandò Charlotte a denti stretti, fermandosi.

Robert sospirò, osservando distrattamente la culla davanti la quale si era fermata Charlotte. «Fin quando non se ne saranno andati.»

«E poi? Quando sarà nato il bambino che gli dirai?»

«M'inventerò qualcosa.» Robert fece spallucce, osservando il prezzo della culla e sbarrando gli occhi. «Cosa? Ma stiamo scherzando?»

Charlotte fece finta di nulla, prendendogli il mento con una mano e costringendolo a guardarla negli occhi. «Vedi di fare la persona matura una volta ogni tanto e cerca di dire ai tuoi genitori la verità!»

«Verità? Riguardo a cosa?» la voce di Lauren li fece sobbalzare, costringendo Charlotte a voltarsi verso di lei.

La donna li fissava con un sorriso materno in volto, così felice all'idea di diventare nonna, che Robert ebbe paura di vederlo svanire. «La verità? Non possiamo permetterci di spendere così tanto per una culla.»

E Charlotte capì che non solo Robert era un immaturo cronico, ma anche un bugiardo di serie A. «Codardo» sibilò tra i denti, allontanandosi per poter prendere aria. Odiava quella situazione, il dover fingere di essere innamorata di Robert. Era una tortura, se poi ci si aggiungevano i dolori alla schiena, poteva tranquillamente trasferirsi in uno dei gironi dell'inferno.

Fortunatamente quella tortura finì presto e lei poté rientrare a casa con la consapevolezza che la recita stava per terminare. Ancora poche ore e avrebbe potuto dare un bel calcio in culo a Robert. Ma, c'era sempre un ma con lui, uno di quelli che poteva portare una persona alla disperazione oppure alla rabbia, e quello era proprio il caso di Charlotte.

«Chi diavolo me l'ha fatto fare?» fu la frase di Robert, una volta rientrati in casa e messe le buste degli acquisti sul letto. Era stato più un sospiro che una frase a voce alta, ma lei l'aveva sentita ugualmente.

«Certo, perché sei stato costretto a mettermi incinta, vero?» In un primo momento Charlotte aveva pensato si riferisse alla recita con i suoi genitori, ma poi un campanello d'allarme l'aveva fatta ricredere, portandola alla sola conclusione: la gravidanza indesiderata. Se fosse stato per i genitori, probabilmente se la sarebbe presa con sé stesso, era stato lui a decidere di mettere in piedi quella sceneggiata, non altri, perciò, andando ad esclusione, non poteva che trattarsi del bambino che lui non voleva.

«Cosa?»

«Chi diavolo te l'ha fatto fare, ti sei domandato...questo intendo.»

«Non mi stavo riferendo alla gravidanza.»

«Strano, a me sembrava il contrario!»

Robert sbuffò, ormai consapevole di avere le spalle al muro. «Hai ragione, chi diavolo me l'ha fatto fare di metterti incinta?»

La sua stupidità a volte superava qualsiasi suo gesto avventato e irresponsabile. Era un bambino che voleva le caramelle e, una volta avuto il mal di pancia a causa dei troppi dolci, incolpava gli altri per le sue pene. Un classico cliché hollywoodiano da copione.

«Beh, notizia del giorno, nessuno ti ha costretto, hai fatto tutto da solo!»

«Da solo, svegliati, bella addormentata, c'eri anche tu quella notte!»

«Lo so, purtroppo.» Per fortuna avevano la porta della camera chiusa e tenevano le voci abbastanza moderate, altrimenti addio recita natalizia.

«Ok, eravamo ubriachi, ce la siamo spassata ed io sono rimasta incinta, ma nulla di tutto questo sarebbe successo se tu fossi stato più attento» sbottò Charlotte, osservando Robert mettersi le mani sui fianchi. «Smettila di farlo.»

«Fare cosa?»

«Smettila di metterti le mani sui fianchi, lo fai sempre quando sei agitato o incazzato.»

«Sono incazzato perché nulla va come dovrebbe andare!» urlò Robert, dando sfogo a tutti i sentimenti repressi nelle ultime settimane. «Sono sempre stato attento. Ho sempre usato il preservativo e poi che succede? Una distrazione, una sola distrazione ed ecco che vengo fregato!»

«Fregato?»

«Sai cosa intendo. Sempre attento ed ora tu sei incinta!»

«Sei...sei...»

«Cosa? Uno stronzo?»

«Tu sei un furbastro e attraente maniaco sessuale che deve scoparsi tutte per provare di essere all'altezza, ecco cosa sei!»

«E tu un'acida zitella che per stare bene deve insultare tutti gli uomini pubblicamente!» Robert la guardò dall'alto, ormai stanco di quella situazione. «Fra tutte le donne, proprio te mi dovevo scopare quella notte. Ed ora sei incinta...il mio problema sei tu!»

Charlotte si sentì ferita, non tanto per le parole, ma per quello sguardo di risentimento e collera che Robert le stava rivolgendo, come se fosse lei la colpevole in tutta quella situazione. «Sai qual è il problema? Non sono io e nemmeno il fatto di essere rimasta incinta. Il problema è che io aspetto un figlio da te.» cominciò a dare sfogo alla rabbia. Parlare in trasmissione non serviva a granché, ora doveva dire le cose in faccia. «Tu...tu sei il problema, non la gravidanza. Tu credi che questo bambino sia uno sbaglio, un errore di distrazione...»

«Non ho detto questo.»

«Non lo dici apertamente, ma lo pensi. Sei un libro aperto Robert, ma lo stupido non sei tu, ma io. Ho sbagliato a pensare, ma che dico, a sperare che per una volta nella tua insulsa e patetica vita tu potessi mettere da parte il tuo egocentrismo e la tua insicurezza patologica per pensare ad un altro essere umano all'infuori di te stesso! Tu diventerai padre, ma non sono io il problema, o questo bambino, ma tu. Tu sei il tuo problema!»

«Io non sono insicuro!»

Charlotte scosse, il capo, pizzicandosi la radice del naso con due dita. «Di tutto quello che ti ho detto, hai ascoltato solo la parte in cui ti davo dell'insicuro.»

Robert non riusciva a capire cosa stava provando. La confusione ormai era all'ordine del giorno da quando Charlotte era rimasta incinta, ma in quel momento sentì una strana morsa allo stomaco, un senso di colpa profondo e radicato in lui da chissà quanto tempo.

«Sai che ti dico? Vai al diavolo!» esclamò Charlotte, dandogli le spalle e uscendo con passo svelto.


***


Come sempre, ad ogni crisi esistenziale o affettiva, Charlotte si rifugiò dall'unica persona di cui poteva fidarsi in quel momento: Allison.

Sua sorella era l'unica che poteva capire la sua situazione fino in fondo. Anche lei, alla prima gravidanza, aveva affrontato una crisi coniugale senza precedenti. La nascita di Liam aveva portato scompiglio nella coppia. Allison, all'epoca, era una specializzando di chirurgia e la gravidanza rischiava di compromettere il duro lavoro che l'aveva portata ad essere una delle migliori dell'ospedale. Fortunatamente i due erano riusciti a superare la crisi, facendo collimare tutti i loro impegni con la vita famigliare e l'essere genitori.

Charlotte, però, non aveva problemi a livello professionale, il suo lavoro le permetteva di fare sia la madre che la speaker radiofonica, lei si sentiva pronta a tutto quello, perfino ad essere una mamma single, ma il pensiero che Robert stentava ad accettare la gravidanza la faceva impazzire. Come poteva crescere suo figlio sapendo che il padre era uno sprovveduto patentato con la licenza di casanova senza discernimento?

Non poteva. Sarebbe stato tutto più facile se il padre fosse stato un sconosciuto incontrato per caso e che mai più avrebbe rivisto, ma, per sua sfortuna, Robert non era nulla di tutto questo. Perché aveva bevuto e fatto sesso con il migliore amico di suo fratello?

E così, seduta sul divano di sua sorella, con una vaschetta di gelato tra le mani, cercava un modo per vendicarsi, magari tagliare il pene di Robert poteva aiutarla.

«Che cosa ti ha detto di preciso?»

«Non sono state le sue parole più che altro quello che ha fatto. Sappiamo tutti che lui non vuole questo bambino e che cerca di essere presente solo per paura di papà, ma...ma non si sforza minimamente di accettare questa gravidanza!» esclamò Charlotte. «Sembra che mi dia la colpa di tutto e so che quella notte è stata uno sbaglio, un tremendo e imbarazzante sbaglio, ma...»

«Un figlio non è mai un errore, né una colpa. Un figlio arriva quando deve arrivare e non perché lo si cerca o lo si vuole, ma perché è destino. Se tu e Robert siete in questa situazione è perché doveva accadere, punto e basta!» esclamò Allison, passandole un braccio intorno alle spalle. «E poi, ho sempre pensato che fosse un buon partito per te. Bello, fisico atletico, intelligente quanto basta, con sani valori del sud.»

«Adesso mi dirai che siamo una coppia perfetta?»

«La perfezione non esiste, Lottie, siamo noi che rendiamo le cose perfette, siamo noi che le rendiamo speciali, tutto qui!»

«Sei peggio della mamma, lo sai?»

«Lo so.» Allison le sorrise, facendole l'occhiolino. «Robert si abituerà. È un playboy, per lui il libertinaggio è il suo pane quotidiano e ritrovarsi di punto in bianco con un figlio in arrivo non deve essere facile.»

«Stai prendendo le sue parti?»

«Dagli tempo, Lottie, gli uomini sono lenti quando si parla di paternità e sentimenti.»

«Ma io non voglio avere una relazione con lui.»

«Sei stata tu a parlare di relazione, mica io.»

E Charlotte, per la prima volta nella sua vita, rimase senza parole. No, era impossibile provare qualcosa per uno come Robert. Il disgusto era un sentimento fattibile, ma l'attrazione e l'affetto restavano fuori discussione per lei.


***


Cosa doveva fare? Charlotte l'aveva insultato, umiliato e fatto infuriare nel giro di pochi minuti e lui non aveva fatto altro che prendere una birra dal frigo e restare fermo sul balcone. Non aveva rivolto una sola parola ai genitori, aspettando solo che se ne andassero, non voleva dare spiegazioni o affrontare la situazione, era troppo incazzato per farlo.

Guardò la birra che teneva in mano, ripensando a tutte quella parole. Forse aveva ragione lei, forse era lui che cercava di rendere la sua vita un inferno. Stava cercando di farsi male da solo, ma per quale motivo? E pensare che tutto era partito da una semplice frase detta per stanchezza e rassegnazione. Charlotte era pazza, ma la gravidanza l'aveva resa una psicopatica.

Robert sbuffò, sentendo la portafinestra aprirsi ed i passi di sua madre avvicinarsi. «Io e Charlie non stiamo insieme.»

«Credevi che non lo sapessi?» cominciò Lauren sedendosi accanto a lui. «Siete così testardi da non vedere oltre il vostro naso.»

«Che intendi dire?»

«Siete fatti per stare insieme, Robert, ma siete talmente orgogliosi da non volerlo ammettere» sorrise. «Quando mi hai chiamata per dirmi che Charlotte era incinta, sapevo che le cose non erano facili per voi due. Ne ho avuto la conferma quando sono arrivata qui ed ho visto voi due insieme. Siete una coppia che non vuole ammettere di esserlo.»

«Lei mi odia e io non sopporto il suo caratteraccio.»

«Vi siete fatti la guerra sin da quando eravate bambini, ma quella lotta si è tramutata in scherzo e lo scherzo in affetto e, sono più che convinta, quell'affetto diventerà amore.»

Ma Robert alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Stai prendendo un abbaglio, mamma!»

«Come ti sei sentito quando è uscita da quella porta e ti ha rivolto quegli insulti?»

«Ferito.»

«L'amore fa male, Robert, ma ricorda sempre che porta anche una gran felicità quando chi si ama decide di farlo con sincerità» Lauren Sorrise. «E poi, il modo in cui hai detto che tu e Charlotte non state insieme la dice lunga.»

«Che intendi dire?»

«Sei triste e ti guardi le punte dei piedi, vuol dire che ci tieni a lei.»

«Come un gatto attaccato ai coglioni!»

«Sai, tuo nonno mi diceva sempre che la casa non è mai una cosa materiale, spesso è la persona con la quale condividi molte cose e molti interessi. Casa è dove risiede il cuore» sorrise Lauren. «Io credo che Charlotte sia la tua casa. Non lasciare che finisca.»

Non poteva lasciare che finisse tutto, ma doveva lasciarla andare a aspettare che le acque si calmassero. Le voleva bene, abbastanza da capire che cercare un riavvicinamento così presto poteva solo peggiorare la situazione.

Doveva lasciala stare per qualche tempo e vedere come andavano le cose.






Angolo autrice:

Eccomi di ritorno, vi sono mancata? Anzi, riformulo la domanda, vi sono mancati questi due testoni?

Scusate per la lunga attesa, ma prima ho avuto un blocco dello scrittore pauroso, poi il computer si è guastato, facendomi perdere alcuni file, ma ce l'ho fatta a tornare da voi.

In questo capitolo abbiamo avuto la prima lite seria tra questi due e qualcosa inizia a smuoversi. Robert si sta facendo un esame di coscienza, Charlotte comincia a fare i conti con quello che prova e tutto si mischia fino a farli arrivare ad un punto di svolta. Ce la faranno i nostri eroi a convivere con questa situazione?

E, soprattutto, ce la farà Robert ad accettare l'idea di diventare padre?

Al prossimo capitolo e, anticipazioni...scopriremo il sesso del nascituro nel capitolo 15!

Ci vediamo tra dieci giorni!


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Capitolo 15
*** Cap. 14 ***











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Capitolo 14

Don't Ever Let It End

Don't ever let it end - Nickelback







«La vita non è una favola. Se perdi una scarpa a mezzanotte, il giorno dopo non busserà alla tua porta il principe azzurro ma avrai un grandissimo cerchio alla testa e passerai la mattina in bagno a vomitare l'anima a causa di tutta la tequila che hai ingurgitato.»

Marzo. Odiava il mese di marzo, non sopportava il tempo incerto, un giorno pioggia il giorno dopo sole. Ma quello che più Charlotte odiava era il fatto che da quando lei e Robert avevano litigato, lui era praticamente sparito.

Nessuna telefonata, nemmeno un messaggio. Sapeva che si teneva informato tramite James, ma questo comportamento non faceva altro che farla imbestialire. Cercava di fingere che questo non la turbasse, ma la cosa non era semplice, soprattutto perché riversava tutto il suo risentimento nella trasmissione radiofonica. Forse non era totalmente un male, gli ascolti nelle ultime settimane erano saliti.

Tre settimane e un giorno. Era il tempo trascorso dal loro litigio. Tre fottutissime settimane e uno stramaledettissimo giorno. Perché si era fermata a contarli? Ah, il bambino, e il conteggio della gestazione. Ormai era alla quindicesima settimana, la pancia era evidente e presto avrebbe saputo se aspettava un maschio o una femmina.

Erano iniziate le scommesse, nella sua famiglia ormai avevano puntato perfino dei soldi, chissà chi avrebbe vinto. Suo padre che aveva puntato cento dollari sul fiocco rosa, o suo fratello e suo nonno, che facevano il tifo per un maschietto?

«Quindi, ragazze, smettetela di sperare nel Principe Azzurro e vivete nel mondo reale. Le favole non si avverano e la vita...la vita fa schifo. Perché se la sera bevi e la mattina dopo ti svegli accanto ad un uomo che odi, tornare indietro non è facile, soprattutto se il test di gravidanza diventa positivo e ti ritrovi con un figlio da crescere ed un uomo immaturo che si comporta da bambino.»

Come detto, riversava tutto nella trasmissione, con il rischio di sembrare patetica. E lo era. Lei era patetica. Perché si trovava a struggersi per un uomo per il quale provava solo un grandissimo senso di nausea ogni volta che ricordava di esserci andata a letto.

«Che gran fregatura, vero? Beh, per oggi abbiamo finito, io sono Charlotte Sinclair e avete ascoltato Tutta Colpa di Cenerentola!»


***


«Potresti chiamarla.»

«Sto cercando di darle i suoi spazi.»

Era inutile, James non mollava. Era stato lui a spingere Robert e Charlotte in quella direzione, non poteva fare altro che tentare l'impossibile. «Hai appena sentito la radio, Charlie è incazzata con te!»

«Lo so, grazie.»

«Prego!»

«Ascolta, so che non capisci perché mi comporto così, ma ho le mie ragioni. Ho bisogno di capire cosa voglio, di dire addio a tutte le mie donne.»

«Che cazzone.»

«Diventare padre non è una passeggiata!» protestò Robert, cercando di mantenere il tono basso. La centrale era piena di agenti e molti sapevano della gravidanza di Charlotte, ma solo pochi conoscevano il nome del padre. «E lei non aiuta di certo. Continua a mettermi in difficoltà ed io...»

«E tu ti senti messo alle strette» concluse per lui James. «Conosco mia sorella, castra gli uomini. In senso metaforico, ovvio.»

Charlotte sapeva essere perfida e castigatrice, ma Robert aveva visto una parte di lei che nessuno conosceva. La prima volta che James e Karen avevano dato loro buca al pub, avevano bevuto e, riaccompagnandola a casa, lei si era leggermente aperta, raccontandogli fatti dei quali non era al corrente. Quella donna sapeva nascondere bene il suo lato fragile, e lui l'aveva visto. Come poteva odiarla? In fondo era la madre di suo figlio, poteva almeno fare uno sforzo e cercare di esserle amico, per il bene del bambino.

«Quando hai intenzione di parlarle?»

«Ancora? Te l'ha mai detto nessuno che sei più impiccione delle zitelle che guardano Beautiful?»

«Beh, almeno non tratto le donne come oggetti sessuali!»

Colpito e affondato. Se Robert si era chiesto come facessero James e Charlotte ad essere fratello e sorella, ora ne aveva le prove, quei due a volte erano tali e quali, perfino nelle frecciatine acide e sarcastiche.


***


Gelato, telefilm, serata di sole donne. Così trascorreva il martedì sera, con sua madre, sua sorella e Karen. Solitamente guardavano un qualche film per lei troppo strappalacrime che, alla fine, le causava solo un attacco diabetico, ma quella sera avevano scelto di cimentarsi nell'organizzazione del matrimonio, in particolare le partecipazioni.

Karen aveva la fissazione del fai-da-te. Brutta cosa, soprattutto quando si lasciava andare alle sue manie di controllo che la portavano a comportarsi come un generale dell'esercito in piena guerra, ma quella sera il gelato stava aiutando, se solo avesse potuto bere vino.

«Quando ero incinta riuscivo ad avere orgasmi multipli, sai?»

Poi c'era sua sorella che si metteva a parlare di gravidanze e parti.

«Durante la gravidanza una donna può avere orgasmi multipli perfino standosene semplicemente seduta. Insomma, con il doppio del sangue che circola nell'utero e nella vagina.»

«Beh, io non ho bisogno di essere incinta per averli, mi basta guardare Slash suonare la chitarra!» esclamò Charlotte, alludendo al video di November Rain che, in quel momento, veniva trasmesso alla tv. «Soprattutto quando lo si vede percorrere la navata ed uscire dalla chiesa, un vero e proprio spettacolo!»

Victoria scoppiò a ridere. «Le mie figlie, quanto vi adoro. Spero tanto che questo piccolo fagiolo sia una femmina, ci vuole un po' di rosa in questa famiglia.»

«Scusate, potremmo tornare alle mie partecipazioni? Mancano solo tre mesi al mio matrimonio!»

Karen sapeva mettere paura. Tutta dolce e gentile, ma quando s'impuntava su qualcosa diventava inquietante, soprattutto quando guardava le persone con quello sguardo diabolico e alienato.

«Te l'ha mai detto nessuno che quando ti arrabbi sembri Joffrey di Game of Thrones?» Charlotte ormai era diventata una serie tv dipendente, ne seguiva talmente tante che spesso usava paragonare le persone reali a personaggi di finzione. La gravidanza faceva brutti scherzi.

«Stai zitta e lavora!»

E Karen era una vera e propria schiavista.

«A proposito di zittire, Robert si è fatto sentire?» domandò all'improvviso Victoria, lanciando una strana occhiata maliziosa alla figlia minore.

Charlotte strinse i denti, stringendo il fiocco della partecipazione. «No!»

«Tu l'hai chiamato?»

«No!»

«Lasciali fare, mamma, sappiamo tutti che prima o poi quei due si ritroveranno inesorabilmente a fare coppia» s'intromise Allison, facendo innervosire Charlotte.

«Voi due da che parte state?»

«Ci sono schieramenti? Non ero stata informata di questo» la rimbeccò sua madre. «Qui si tratta di far entrare un po' di buon senso nelle vostre zucche vuote, non di fare il tifo per qualche squadra.»

«Non è quello che pensa papà.»

«Tuo padre cerca di proteggere sua figlia, senza rendersi conto di precluderle la possibilità di vedere e capire cosa sia giusto e sbagliato.» Victoria abbandonò il tono scherzoso, assumendo uno strano sguardo calmo e placido. Quella che doveva essere una ramanzina in piana regola, si stava rivelando un semplice consiglio oppure una perla di saggezza degna di nonna Rose?

«Robert è un donnaiolo, ama la sua libertà ed io non posso impedirgli di essere qualcuno che non è.»

Era senz'altro un pensiero razionale e giusto, il primo detto da Charlotte, ma era anche vero che non poteva crescere da sola il bambino che aspettava. «Charlotte Ray Sinclair, non ti sto dicendo di costringere Robert a stare con te, ma di trattarlo meglio di come lo stai trattando!»

«Adesso sarei io quella che sbaglia?»

«Quello che la mamma sta cercando di dirti» s'intromise Allison. «È che non puoi trattarlo male ogni volta, ma allo stesso tempo devi fargli capire che non può fingere che questa gravidanza non ci sia.»

Charlotte sbuffò, gettando il nastro sul tavolo e lasciandosi andare contro la sedia. «Ok, lo tratto male, ma lui non fa nulla per evitare che lo faccia. Basta solo che mi guardi e mi sale l'avada kedavra!»

Ed era anche appassionata di Harry Potter.

«Hai un carattere di merda, Charlie, lasciatelo dire!» e finalmente Karen disse quello che tutti pensavano.


***


Non c'era nulla da fare, quella sera il suo cervello non voleva smettere di pensare. Robert aveva trascorso tutto il tempo rintanato al pub, con un birra davanti e lo sguardo perso chissà dove. Nemmeno l'arrivo di Becky, una delle sue tante avventure, era riuscita a distrarlo.

Ma che cavolo gli stava succedendo? Forse Freud poteva aiutarlo, ma quell'uomo era morto da decenni e nessuno era in grado di dargli spiegazioni, solo lui poteva trovarle.

Senza dire nulla, pagò la birra, uscendo dal pub e salendo in sella alla moto. Girò per le strade della città senza una meta, lasciando che l'aria notturna gli rinfrescasse le idee, ma nulla, la mente tornava sempre alla litigata con Charlotte.

Sapeva che aveva ragione, che con quelle parole aveva toccato il punto giusto, ma non sapeva come fare per recuperare la situazione senza offendere o ammettere davanti a lei di avere torto. Mai dire a Charlotte Ray Sinclair che aveva ragione, se non si voleva subire un'umiliazione decennale.

Senza rendersene conto si trovò di fronte all'ingresso del parco, dove Charlie gli aveva dato la notizia più sconvolgente della sua vita. Fermò la moto, guardando l'arco di pietra che segnava l'entrata. Stava per ripartire, quando scorse una figura seduta su una delle panchine a qualche metro dall'ingresso. Poteva riconoscere ovunque quel profilo dolce.

Spense la moto e, senza fare rumore, le si avvicinò, tenendo le mani nelle tasche della giacca di pelle. «Non te l'ha mai detto nessuno che il parco di notte è pericoloso?»

Charlotte si riscosse dai suoi pensieri, alzando lo sguardo e sussultando. «Che ci fai qui?»

«Credo per il tuo stesso motivo» disse Robert, sedendosi accanto a lei sulla panchina. «Cerco di riflettere.»

Da quanto tempo non riuscivano ad iniziare una conversazione con tanta tranquillità?

Robert prese un respiro profondo, guardando il cielo. «Come stai?»

«Non lo so.»

Sul serio, in tanti anni i due non avevano mai instaurato una conversazione pacifica da sobri, per riuscire a parlarsi tranquillamente servivano litri di tequila e birra.

«Il bambino?»

Charlotte si accarezzò la pancia, abbozzando un sorriso dolce. «Lui è l'unico a stare bene, ancora non ha idea del casino in cui verrà al mondo.»

«O lei, magari è femmina.»

«Vorresti che fosse femmina?»

«Un donnaiolo come me basta e avanza, diciamo che una figlia sarebbe più facile da gestire.»

Charlotte si rilassò, sentiva una strana calma pervaderla, come se tutte le tensioni e gli attriti fra loro fossero solo acqua passata, ma non era così. Sentì un nodo alla gola, mentre guardava Robert, un'amarezza che la costrinse fargli quella domanda. «Non ti sei più fatto sentire, perché?»

E Robert capì che non si poteva tornare indietro, doveva affrontare le sue responsabilità e prendere una decisione. «Volevo darti il tuo spazio.»

«Il mio spazio?» commentò acidamente Charlotte. «Senti chi parla, mister non voglio responsabilità!»

Ed ecco che dopo la calma arrivava la tempesta. Era chiaro che quei modi affabili dovevano finire e Charlotte aveva un grado di pazienza molto basso.

«Charlie.»

«No, stammi bene a sentire. Sei sparito, non una ma ben tre volte. La prima dopo avermi portata a letto, la seconda dopo aver saputo della gravidanza e la terza qualche settimana fa.» Charlotte esplose. Era logico che non riuscisse a tenersi tutto dentro, era una mina vagante che attendeva solo di esplodere. «Hai idea di quello che sto passando?»

Robert sbuffò, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia. Perché si era cacciato in quel guaio? «Sei come un gatto attaccato ai coglioni.»

«Come scusa?» domandò Charlotte interdetta.

«Tu sei esattamente così! Infili i tuoi artigli nella carne e stringi, cerchi di staccarmi le palle, di privarmi della mia mascolinità!» esclamò lui, alzandosi e guardandola.

«Questa è nuova, io che tento di privarti della tua...ma ti stai ascoltando?»

«Certo che mi sto ascoltando, ma ogni volta che tento di parlare sento solo la tua voce che mi urla contro. Se stessimo insieme ci sarebbe una lotta di potere, litigheremmo perennemente per decidere chi dei due debba comandare. Tu sei una donna con le palle e, credimi, non è piacevole stare con te.» Robert sapeva di rischiare, ma preferiva ritrovarsi con una forchetta conficcata nella mano, piuttosto che dormire con un occhio aperto. «Sei una grandissima rompicoglioni. Passi la maggior parte del tempo a stressarmi, escogitando sempre nuovi modi per rovinarmi la vita e spingermi ad odiarti, ma vedi, ormai è inutile.»

Nessuno le aveva mai parlato a quel modo. Robert le stava riversando addosso anni di lotte e liti, ma perché?

«Mesi fa, prima di tutto questo, tu hai fatto una cosa, mi hai mostrato una parte di te che pensavo non esistesse, ed ho trascorso gli ultimi tempi a scervellarmi per capire quale fosse l'insano motivo che ti spingeva a nasconderti dietro la facciata di acida zitella. Tu allontani tutti gli uomini, li castri psicologicamente per punirli, per farla pagare a qualcuno che ti ha fatta soffrire.»

«Se ti stai riferendo ad Eric...»

«Io mi riferisco a tutti gli stronzi che hai incontrato, alla sfiga che hai avuto a conoscere uomini che non ti hanno rispettata o amata» sbottò Robert, portandosi le mani ai fianchi. «Puoi continuare a farlo per tutta la vita, se vuoi, puoi continuare a darmi dello stronzo donnaiolo o del figlio di buona donna, ma ricordati che sono l'unico uomo all'infuori della tua famiglia che riesce a sopportarti.»

«Ti sbagli!»

«Tu odi essere vulnerabile, odi che le persone pensino che tu sia debole e bisognosa di affetto. Odi tutto questo e pensi che mostrandoti acida e perfida tu riesca a sviarli e proteggerti!»

Charlotte scosse il capo, incrociando le braccia sotto il seno. «Sei un idiota!»

«E stai zitta una buona volta! Sto cercando di fare un discorso serio e tu non fai altro che interrompermi. Tu mi hai mostrato il tuo lato vulnerabile, quello che nascondi sotto tonnellate di cattiveria gratuita e acidume, ed è iniziato tutto allora. Tu hai la capacità di serrare le palle di un uomo e staccargliele a morsi e, forse sono un pazzo a dirlo, ma nonostante tutto, nonostante il tuo caratteraccio, voglio provarci.» Robert capì cosa voleva, per la prima volta si rese conto di ciò che desiderava.

«A fare cosa, a stare insieme?»

«Ad essere amici, ad andare d'accordo.» Robert prese un lungo respiro liberatorio, abbassando lo sguardo, finalmente l'aveva detto. «Hai detto che non voglio essere padre, che questo bambino per me era uno sbaglio. Charlie, io non sono l'uomo della porta accanto, quello da presentare a mamma e papà. Non sono quel tipo di uomo, ma posso essere un bravo padre. Io voglio essere un bravo papà.»

Silenzio. Nessuno dei due parlava o aggiungeva altro. C'era solo il respiro affannoso di Robert e lo sguardo fermo di Charlotte. Quello che le aveva appena detto l'aveva lasciata interdetta e senza parole, ma qualcosa doveva dire. Almeno doveva riconoscergli che aveva fatto un enorme passo avanti, ammettendo quello che voleva, ma lei? Cosa voleva?

«Mi hai dato della rompicoglioni» disse alla fine, cercando si smorzare la tensione, senza però ammettere nulla.

Robert sorrise, scuotendo il capo, avvertendo la voce tranquilla e divertita di Charlotte. «Sei incredibile, lo sai?»

«Sono anche fantastica, ma di questo nessuno se ne rende conto.»

Era così facile trattare con lei? L'aveva insultata, eppure non lo stava sbranando o ricoprendo di mille epiteti spiacevoli. Charlotte era una vera e propria miniera di sorprese.

«Quindi, amici?» le domandò Robert, sedendosi accanto a lei e porgendole la mano.

«Ancora mi chiedo come sia possibile essere tua amica, ma ci proveremo» disse lei, stringendogli la mano e sorridendo.

Robert si sentì sollevato, scrutando quel dolce sorriso sincero e affettuoso. Come poteva una cinica e bastarda come Charlotte essere anche fragile e dolce? Come aveva già detto, era una miniera di sorprese e lui non poteva lasciare che finisse tutto, non così, non senza aver tentato ogni strada, ogni opzione. Voleva fare qualcosa di significativo della sua vita, essere un uomo migliore di un semplice donnaiolo che correva dietro ad ogni gonnella, come adorava definirlo Charlotte. Poteva farcela, doveva solo trovare un modo per sopportare il caratteraccio e le manie di controllo di quella pazza che aspettava suo figlio.

Che brutti scherzi faceva il destino!





Angolo Autrice:

Eccomi di ritorno, purtroppo la regolarità degli aggiornamenti è ancora compromessa, lavoro e famiglia non vanno molto d'accordo con la scrittura, ma prometto di fare di meglio.

Il capitolo vi mostra un lato di Robert e Charlotte che avevamo già visto, i due cercano un punto d'incontro e Robert ha scelto di prendere la situazione di petto, dicendo a Charlotte tutto quello che pensa. É stato rischioso, ma gli ormoni della gravidanza a volte aiutano e lei non l'ha preso a manganellate, per fortuna.

La conversazione è partita bene, niente insulti, e scommetto che vi sarete chieste “Ma cosa?” poi Charlotte ha tirato fuori gli artigli e da lì siamo tornati sulla strada giusta. Insomma, non sarebbero Charlotte e Robert se non litigassero di tanto in tanto, giusto?

Per tutte coloro che si preoccupano di quello che potrebbe succedere, o per meglio dire, dei cambiamenti che potrebbero avvenire nel caso i due facessero coppia fissa, voglio solo dire...non preoccupatevi! Il bello di Robert e Charlotte è che hanno quel rapporto odio/amore che li porta a litigare e fare pace. I due, nell'eventualità di una relazione, non saranno la classica coppia da rivista, si scanneranno a vicenda ancora per mooooooolto tempo, almeno fino alla laurea del figlio/a.

Detto questo, vi lascio al capitolo, spero di riuscire ad aggiornare entro dieci giorni, in caso contrario non disperate, il nuovo capitolo verrà pubblicato appena possibile, se volete nelle mie note personali c'è il link del mio gruppo su fb dedicato alle mie storie. Quando chiedete l'iscrizione, per favore mandatemi un messaggio privato dove mi dite chi siete su fb, altrimenti non accetterò l'iscrizione.

Alla prossima!


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Capitolo 16
*** Cap. 15 ***











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Capitolo 15

I'd Come For You

I'd come for you - Nickelback











«Hai la più pallida idea di cosa si provi a portare nell'utero un altro essere umano che di notte inizia a scalciare per la prima volta?»

«Ciao anche a te!» esclamò Robert, rispondendo al telefono. Charlotte lo chiamava almeno una volta al giorno solo per rompergli le scatole oppure per mandarlo a comprare del cibo per saziare le sue voglie assurde, ma quella mattina aveva avviato la telefonata per riferirgli una cosa importante. «Allora si è mossa.»

«Perché continui a dire che è femmina, magari è maschio!»

Sentiva rumori di auto e clacson in sottofondo, probabilmente stava camminando per strada, mentre lui entrava in centrale. «Uno dei due ha ragione, ma preferirei essere io questa volta.»

«Maschi.»

«Stai andando a ritirare la macchina?»

«Veramente non l'ho ancora portata dal meccanico, il tempo scarseggia, ma la porterò più tardi, dopo l'ecografia.»

Robert alzò gli occhi al cielo. L'auto di Charlotte, una Jeep Wrangler blu, da qualche giorno aveva iniziato a dare segni di malfunzionamento, probabilmente erano gli iniettori da cambiare, ma lei continuava a rimandare il meccanico con la classica scusa della mancanza di tempo.

Tipico di Charlotte.

«Comunque, stanotte ha iniziato a dare calci ed ha continuato fino a stamattina.»

«Speriamo non erediti il tuo carattere scorbutico!»

«Senti chi parla!» esclamò Charlotte dall'altro capo del telefono.

«Tu non te ne rendi conto, ma hai una caratteraccio.» Robert salì gli ultimi gradini del distretto, entrando negli uffici e avviandosi verso la sua scrivania. «Toglimi una curiosità, di quanto sei?»

«Venti settimane, idiota!»

«Mi mancava l'insulto mattutino.»

«A me mancava la tua mancanza di tatto. Sia benissimo che oggi entro nella ventesima settimana.»

Aveva ragione, sapeva perfettamente di quanto era, ma adorava farle perdere le staffe. Charlotte aveva evidenziato e segnato sul calendario ogni tappa della gravidanza, perfino le settimane di gestazione, e pensare che a lui bastava sapere in che mese era. Quando quella mattina aveva guardato che giorno era, diciotto aprile, aveva anche visto il numero venti scritto accanto. Quella donna stava cercando in tutti i modi di renderlo partecipe, ma gli stava troppo addosso.

«Comunque, verrai oggi?»

«Che succede oggi?»

«Sei il solito idiota!» Charlotte riattaccò il telefono e Robert si ritrovò a ridere, sedendosi alla scrivania sotto lo sguardo indagatore di James.

«Charlie ti saluta.»

«Che succede oggi?» domandò James, facendogli eco alla domanda che poco prima aveva posto a Charlotte.

«Ecografia. Si dovrebbe vedere se è maschio o femmina.»

«Prega che i tuoi amichetti abbiano fatto un buon lavoro, perché se non è maschio ti strangolo» lo minacciò James, puntandogli contro la matita che teneva in mano. «Ho scommesso duecento dollari!»

«Non posso mica comandare ai miei soldati portatori del cromosoma X di starsene in panchina solo perché tu vuoi vincere una scommessa. E poi, se devo essere sincero, preferire fosse femmina.»

«Finalmente dici una cosa sensata, Goodwin!» Jack comparve alle spalle di Robert, mettendogli una mano sulla spalla. «Ho scommesso trecento dollari sul fiocco rosa!»

Era per caso diventato un business?


***


Odiava le persone. Charlotte detestava tutti quelli che le toccavano la pancia, come se portasse fortuna. Perché era andata a trovare sua nonna? Sapeva che i clienti della tavola calda avevano preso l'abitudine di toccarla solo per il gusto di sentire quella protuberanza ormai marcata.

Quella notte il piccolo aveva iniziato a muoversi. All'inizio aveva sentito un leggero sfarfallio, come dei piccoli gattini che le camminavano sulla pancia, poi era diventato più intenso ed aveva capito. Aveva sorriso, prendendo in mano il telefono, pronta a chiamare Robert, ma poi aveva rinunciato. Si era convinta che il solo motivo per cui non l'aveva fatto era l'ora tarda, ma sapeva perfettamente che la sua era semplice paura di sentirsi rifiutata.

Come poteva comportarsi a quel modo? Si sentiva una ragazzina in piena cotta estiva, confusa e stordita. Avrebbe voluto prendere Robert e picchiarlo, per come la faceva sentire, ma la colpevole era lei. Stava permettendo a sé stessa di lasciarsi andare e non poteva, non con Robert.

«Si è mossa?»

«Nonna, anche tu credi che sia femmina?»

«Io non lo credo, lo so!» Rose le sorrise amorevolmente, mettendole davanti un piatto colmo di pancakes e una bella tazza di caffè fumante.

«Allison dice che non dovrei bere caffè.»

«Ah, tua sorella ha bevuto caffè per nove mesi, dille di non predicare bene e razzolare male!»

Charlotte adorava sua nonna. Aveva la lingua biforcuta e pronta a dire ciò che pensava. Proprio come lei. «Oggi ho l'ecografia.»

«Robert verrà?»

«Non credo» rispose Charlotte, addentando un pezzo di pancakes. «Per il momento partecipa in maniera discontinua. Mi porta il cibo quando ho le voglie, guarda le ecografie, ma non ha più partecipato ad una visita, da quella volta. Ha bisogno dei suoi tempi, giusto?»

«Tesoro mio, da come ne parli sembri innamorata persa di lui.»

E le parole di nonna Rose furono come un pugno allo stomaco. No, lei non poteva essersi innamorata di Robert, era matematicamente e sentimentalmente impossibile.

«Nonna, ti consiglio di andarci piano con la cannabis terapia!» esclamò Charlotte, prendendo la borsa e facendo ciò che le riusciva meglio: scappare. Fuggire, andarsene, fingere che nulla fosse successo. Le riusciva bene. Lei era una che scappava, che cercava la via più facile senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato.

Lei innamorata di Robert. Che assurdità. Le importava solo per il bene di suo figlio, per dare a lui un padre presente e amorevole, non per dare a sé stessa un uomo.

Lei non voleva innamorarsi, non voleva avere una relazione, voleva semplicemente starsene per conto suo, vivere e continuare a divertirsi. Ma quel pensiero egoistico, sapeva, era lo stesso di Robert. Entrambi testardi e desiderosi di non impegnarsi per non perdere quella libertà acquisita e per non soffrire. Lei fuggiva dall'amore, lui dalle responsabilità.

Alla fine sua nonna aveva ragione, erano uguali. Lei e Robert erano due egoisti patentati, solo che lei stava cercando di mettere da parte l'orgoglio per il bene di quel bambino che, purtroppo, era anche figlio di Robert. Che bel casino.


***


«Allora andrai?»

Robert sospirò, scuotendo il capo per l'insistenza di James. Possibile che non sapesse farsi gli affari suoi? «No, dobbiamo fare questo appostamento, ricordi?»

«Posso farlo anche da solo!»

Seduti nell'auto di James, Robert ed il collega erano appostati sul ciglio della strada, intenti a tenere sotto controllo l'appartamento di un sospettato. «Bisogna essere in due, è il protocollo.»

«E da quando segui il regolamento?»

«Da quando abbiamo rischiato una causa da un milione di dollari con quel coglione di Eric Anderson.»

«Quel figlio di buona donna...ancora devo capire perché ha ritirato le accuse, sembrava piuttosto convinto ad affossarci.»

James aveva ragione. Prima il chirurgo plastico che avevano mandato in galera per una notte con l'accusa di possesso e spaccio di droga faceva causa a loro e al dipartimento di polizia e poi, tutto ad un tratto, ritirava le accuse e lasciava cadere la storia nel dimenticatoio. Insomma, aveva lanciato minacce pesanti sia a loro che a Charlotte.

Eric Anderson, l'uomo che anni prima aveva usato e scaricato Charlotte come una bambola di pezza, ora sembrava voler tornare a far parte di un passato da dimenticare. Che strano.

Per fortuna era quasi l'ora del cambio di guardia, questo voleva dire che non si sarebbe perso la partita dei Pelicans.


***


Tutto come aveva previsto. Robert le aveva mandato un messaggio in cui si scusava per la sua assenza. Come al solito l'aveva scaricata, che perdita di tempo. Così aveva fatto l'ecografia senza di lui ed ora stava tornando a casa.

Sospirò, ormai doveva esserci abituata, sapeva che tipo di uomo era, eppure le dava fastidio quel suo comportamento a volte presente altre menefreghista. Non era giusto.

Si ritrovò a giocare con il braccialetto che portava al polso destro, un insieme di ciondoli regalatele o comprati nel corso della sua vita. Tutti diversi. C'era una chiave, un lucchetto, una coccinella, un campanellino, perfino il numero sette, il suo numero fortunato. Però stava giocherellando con il cuore spezzato. A dire il vero era la metà di un cuore, l'altra non esisteva, un regalo di sua nonna per il suo ventottesimo compleanno. Nel donarglielo aveva sorriso, dicendole “l'altra metà la devi ancora trovare”. Enigmatica e complessa sua nonna, ma l'idea di donarle solo un pezzo di un cuore l'aveva trovata carina. In fondo un cuore intero voleva dire amore e lei fuggiva da quel sentimento da sempre.

Abbassò il finestrino dell'auto, facendo entrare l'aria della sera. Aprile era un bel mese, rispetto a marzo. Certo, anche questo non scherzava con il tempo ballerino, ma almeno i fiori cominciavano a sbocciare e le peonie di sua madre, il suo fiore preferito, adornavano il giardino dove era cresciuta. Per non parlare dei glicini che lei e sua nonna avevano piantato quando aveva sei anni. Profumavano il gazebo del giardino di nonna Rose da ormai ventidue anni.

Aprile. E lei, che adorava la primavera, si sentiva sempre più spenta. Forse era la stanchezza della gravidanza, oppure era Robert che le portava via energia? Rincorrerlo per riuscire a renderlo partecipe la sfiniva a tal punto che, presto, si sarebbe ritrovata ad aggredirlo di nuovo e lei non voleva. Voleva evitare di picchiarlo o tirargli addosso qualcosa, ma la sua discontinua presenza la stava facendo innervosire.

Anche l'auto.

All'improvviso la sua amata Jeep iniziò a fare uno strano rumore, seguito da colpi e ticchettii. Accostò appena in tempo.

«Fantastico!» esclamò quando l'auto si spense. Perché non l'aveva portata dal meccanico quando le era stato detto? Ah, sì, era stato Robert a consigliarlo e lei aveva finto di non sentirlo perché era una dannata orgogliosa troppo presa ad odiarlo per seguirne i consigli. «Ottimo lavoro Charlotte, e adesso?»

Adesso doveva chiamare qualcuno. Ma chi?

Cominciò a scorrere la rubrica del cellulare. Erano le sei, probabilmente Allison era ancora in ospedale, difatti non rispose. Provò suo padre, segreteria telefonica. Sua madre era Dallas per una convention. James suonava a vuoto, probabilmente aveva il silenzioso e Karen era imbottigliata nel traffico di punta. Così attese che qualcuno la richiamasse.

Dannazione a lei e alla sua idea di prendere quella stramaledettissima scorciatoia che passava in mezzo ad un'altura poco trafficata. Il tutto per evitare il traffico di punta. Che bellezza!

Per ingannare il tempo chiamò il carro attrezzi, ma anche quello sembrava non volere arrivare. Era buio, faceva freddo e lei era sola.

«Grazie tante universo!» esclamò, quando si rese conto che la sua ultima boa di salvataggio era Robert.

Compose il numero, aspettando che rispondesse. Uscì dall'auto, appoggiandosi al cofano. Da quel punto poteva vedere New Orleans specchiarsi nel Mississipi, se non fosse stato per le circostanze poco gradevoli e l'isolamento di quella zona, si sarebbe soffermata ad ammirare la vista, ma era da sola, nel bel mezzo del nulla, incinta e in una strada deserta. Voleva solo tornarsene a casa.

«Se mi hai chiamato per dirmi che è maschio hai sbagliato momento!» esclamò Robert, rispondendo al telefono.

«L'auto mi ha lasciata a piedi.»

«E perché chiami me?»

«Razza d'idiota!» esclamò Charlotte fuori di sé. «Forse perché nessuno mi risponde?»

«James, guarda il tuo cellulare.»

Charlotte sentì il fratello fare domande e poi imprecare. Aveva finalmente guardato il cellulare. «Qualcuno può venirmi a prendere?»

«Hai chiamato il carro attrezzi?»

Perché doveva fare tutte quelle domande? Non poteva semplicemente prendere la sua cavolo di moto e venirla a prendere? «Certo che l'ho chiamato, ma arriverò tra un'ora. Karen è imbottigliata nel traffico, papà ha la segreteria telefonica e James si è temporaneamente scordato di avere una sorella incinta!»

Era arrabbiata, spaventata e frustrata, e lui trovava il tempo di farle domande idiote. Che razza di uomo era? Rimase in silenzio, ad ascoltare Robert e James discutere su chi dovesse venirla a prendere.

«Ok, adesso calmati, sto venendo a prenderti.»

Riattaccò il telefono, ricordandosi poco dopo di non aver detto ai due idioti dove si trovava, non aveva voglia di risentire di nuovo le loro voci, così si limitò a mandare un messaggio, sperando che l'imbecille di turno lo leggesse, sempre se ne era in grado.

Charlotte si sedette in auto, cercando di calmarsi, ma il tempo sembrava non voler scorrere. Prese a camminare avanti e indietro come una forsennata, massaggiandosi la schiena, ma la creaturina che aveva in grembo era più agitata di lei, si muoveva e, anche se era troppo piccola per darle fastidio, quelle piccole capriole la facevano agitare ancora di più.

«Sh, calmati tesoro, presto torneremo a casa.»

Guardò l'orologio, erano passati venti minuti, ma le sembrava un secolo. Stava per urlare, ma dei fanali in lontananza la fecero zittire all'istante. Cominciò a sperare quando l'auto rallentò fino a fermarsi vicino alla sua, poi quelle speranze si affievolirono.

«Così le voci sono vere.»

Quella voce, non l'aveva dimenticata. Certo ora aveva un tono più maturo, ma rimaneva pur sempre la voce roca di Eric, che ora camminava verso di lei, debolmente illuminato dai fari delle loro auto.

Charlotte si portò istintivamente le mani alla pancia, facendo qualche passo indietro, sentendolo ridere. Era proprio lui. «Che ci fai qui?»

«Passavo per caso, ho visto l'auto e ti ho riconosciuta» disse lui. «Allora è vero che sei incinta.»

«Già.» Charlotte manteneva un'aria diffidente. Non aveva dimenticato il dolore e il suo cuore spezzato, come poteva? «Beh, grazie di esserti fermato, ma sta per arrivare il carro-attrezzi ed ho avvisato la mia famiglia, quindi puoi anche andare.»

«E lasciarti qui da sola, di sera, nel mezzo del nulla, con tutta la bella gente che circola?» sogghignò Eric, allungando una mano per sfiorarle il viso, ma lei si ritrasse. «Non credo proprio dolcezza.»

«Non chiamarmi dolcezza!»

«Il tuo fidanzato come ti chiama?»

«Non sono affari tuoi!»

«E come stanno tuo fratello ed il suo amico, Robert? Ho sentito dire che è lui quello che ti ha messa incinta, lo stesso che mi ha infilato della marijuana in tasca e mi ha arrestato.»

Charlotte deglutì. Non le piaceva quel tono accusatorio e quel fare losco che Eric stava adottando. Si sentiva in trappola e sola, vulnerabile e impaurita. Odiava sentirsi così. «Non so niente di questa storia.»

«Certo, fai pure la finta tonta, tanto sappiamo entrambi che quei due l'hanno fatto per te.»

Charlotte strinse la mascella, indietreggiando mentre Eric continuava ad avanzare verso di lei. L'ultimo passo la portò a sbattere contro l'auto e lo sguardo dell'uomo non era molto rassicurante. Perché aveva lasciato la borsa sul sedile del passeggero insieme al suo spray al peperoncino?

Era a pochi centimetri da lei, pronto a fare qualsiasi cosa avesse in mente, ma il rombo di una moto lo fece fermare. Charlotte tirò un respiro di sollievo quando riconobbe la Harley di Robert.

«È arrivata la cavalleria!» esclamò Eric, osservando Robert avvicinarsi a loro a grandi passi con lo sguardo puntato su Charlotte.

«Stai bene?» Sembrava preoccupato mentre prendeva la donna per le spalle, fissandola intensamente negli occhi.

Lei annuì con un sorriso tirato, sentendosi al sicuro con lui.

«Certo che non l'avrei mai detto, voi due insieme.» La voce di Eric era sprezzante, tanto che Robert strinse un pugno talmente forte da far sbiancare le nocche. Lo avrebbe preso a cazzotti se Charlotte non l'avesse trattenuto per un braccio.

«Che ci fai qui, Anderson?» gli domandò, cercando di mantenere il controllo. Odiava quella faccia da faina e quel ghigno strafottente.

«Come ho detto a Charlie, passavo di qui per caso e l'ho riconosciuta, così mi sono fermato per vedere se aveva bisogno di aiuto.»

«Come vedi ci sono io adesso, quindi puoi anche andartene» specificò Robert, facendo un passo in avanti per mettersi tra Eric e Charlotte, portandosi le mani ai fianchi e scostando la giacca quel tanto che bastava per mostrare pistola e distintivo. «E, per la cronaca, per te lei non è Charlie, ma Charlotte, vedi di ricordartelo.»

Eric alzò le mani in segno di resa, arretrando leggermente «Beh, tolgo il disturbo allora. Ci vediamo, Charlotte.»

Ma Robert non aveva finito, non voleva che un uomo del suo calibro girasse intorno a Charlotte o a suo figlio.

«Anderson» lo richiamò. «Sappi che se ti vedo ancora girare intorno a Charlie o a mio figlio, non mi farò problemi a togliermi il distintivo e a finire quello che io e James abbiamo iniziato anni fa.»

Charotte rimase in silenzio, ascoltando il respiro pesante di Robert mentre Eric si allontanava in auto. Chissà per quale motivo, ma con lui si sentiva al sicuro. Forse era merito del distintivo.

«Ti avevo detto di far controllare l'auto» sbottò all'improvviso Robert senza guardarla negli occhi.

Charlotte rimase spiazzata. «Non ho avuto tempo!»

«Invece il tempo di cacciarti nei guai lo trovi sempre!»

«Adesso sarebbe colpa mia?»

Le loro voci erano alte, gesticolavano animatamente, sembravano in procinto di prendersi a pugni a vicenda.

«E che fine ha fatto il tuo spray al peperoncino?»

«In borsa!» esclamò Charlotte, indicando la borsa sul sedile del passeggero.

Robert si portò le mani ai fianchi, scuotendo il capo. «Ti ho regalato quella bomboletta perché tu la tenessi sempre con te, non in borsa e fuori portata!»

«Regalata? Che gesto nobile da parte tua, proprio un regalo fatto col cuore.»

«Sai, forse non sarebbe male se ti lasciassi qui ad aspettare da sola il carro-attrezzi.»

«Fantastico, vattene, non so che farmene di un uomo capace solo di urlarmi contro per una dimenticanza!»

Poi il silenzio. Robert la guardava negli occhi, consapevole che quella litigata era stata solo uno sfogo e nulla di più. Quando aveva ricevuto la sua telefonata era andato in panico e si era precipitato da lei senza però darlo a vedere, poi la vista di Eric gli aveva mandato il sangue al cervello e la tensione era salita. Urlare contro Charlotte era l'unico modo a lui conosciuto per sfogare la sua rabbia. Quello o sparare ad Eric, ma visto che l'atto era punibile dalla legge, si era dovuto limitare alla prima opzione.

«Stai bene?» le domandò una volta calmato, allungando la mano e sfiorandole il braccio.

«Sì, adesso sì.» Charlotte gli sorrise. Quella sfuriata aveva fatto bene anche a lei.

«Il bambino?»

«Bambina» lo corresse Charlotte, guardandolo negli occhi. «È una bambina, lo sapresti se fossi venuto con me oggi.»

Una femmina. Una figlia. Robert si portò le mani alla barba, deglutendo rumorosamente. Charlotte lo fissava in attesa di una qualsiasi opinione o altro, ma lui non riusciva a pensare ad altro che ai problemi futuri.

«Speriamo non erediti il tuo caratteraccio.»

«Grazie tante!»

«Avanti, dillo!»

Charlotte sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Avevi ragione tu!»

«Te l'avevo detto che era femmina!»

Durante il tragitto per tornare a casa nessuno dei due disse nulla. Charlotte restava avvinghiata al torace forte di Robert, sentendo i muscoli tesi, mentre lui guidava la moto con responsabilità, senza superare i limiti. Che strano.

Arrivati a casa, Charlotte scese dalla moto, stringendosi nelle spalle e guardandosi intorno. Non sapeva spiegarselo, ma l'incontro con Eric l'aveva scombussolata. Era stato così strano e inquietante da farla rabbrividire. Non se la sentiva di stare da sola.

«Robert, ti va di fermarti da me?» domandò. «Non mi sento al sicuro con Eric in circolazione. Aveva uno strano sguardo negli occhi.»

Robert rimase impassibile, facendo spallucce e spegnendo la moto. «Ok.»

Non fece domande, si limitò a seguirla con il casco in mano mentre telefonava a James per rassicurarlo sulla situazione. Entrati in casa Hannibal corse subito a salutare la sua padrona, annusando poi le mani di Robert senza abbaiare. Ormai era di casa.

«Stai meglio?» le domandò, osservandola appendere l'ecografia al frigorifero. Non voleva dare a vedere la sua preoccupazione, ma quel silenzio lo faceva innervosire.

«Adesso sì.»

«Femmina allora. Non abbiamo mai parlato dei nomi.»

Charlotte corrugò la fronte. Non era da Robert interessarsi così tanto della bambina, ma il suo tentativo di distrarla dall'incontro con Eric era lodevole. Quasi tenero.

«Mi piace il nome Julie.»

«É troppo scontato!» esclamò Robert, aprendo il frigorifero alla ricerca di una birra, trovando solo acqua e thè. «Il settanta percento della popolazione femminile americana si chiama Julie!»

«Volevo chiamarla così in onore della mia bisononna, Julianna.»

«Oh!» Robert annuì, togliendosi dalla cintola il distintivo e la pistola, poggiandoli sulla penisola della cucina. «Chiamiamola Julianna, allora.»

Sapeva quanto Charlotte tenesse al ricordo della sua bisnonna. Quella donna aveva le palle quadrate, insomma, aveva sfidato le convenzioni sociali sposando un uomo di colore in un epoca dove le differenze razziali e sociali dividevano la popolazioni di categorie. Una nobildonna bianca che sposava un cameriere nero non era di certo una cosa ben vista negli anni venti.

«Ma Julie è più carino.» Si stava imponendo, ma con dolcezza e questo era strano, soprattutto per Charlotte.

Robert aggrottò la fronte, guardandola allibito. «Dove è la Charlotte spacca palle che conosco? Questa versione 2.0 non mi piace molto, è troppo fuori dal personaggio!»

«Sei un coglione, lo sai?»

«Charlie, dove ti eri cacciata?»

«Il divano è tutto tuo.» Charlotte fece per allontanarsi, ma Robert la richiamò

«É stato un piacere salvarti, dolce donzella!»

«Fottiti idiota!» rispose lei a tono, alzando il dito medio.

«Ma da solo non c'è gusto, mi dai una mano?»

«Vaffanculo!» esclamò Charlotte, allontanandosi e avviandosi in camera sua con Hannibal al seguito.

Trascorse la notte sul divano, guardando il soffitto con una strana agitazione dentro. Femmina, avrebbero avuto una figlia. Una bambina che doveva proteggere da uomini come lui. Sospirò, voltandosi verso l'orologio sulla parete. Le tre del mattino. Erano già trascorse tutte quelle ore?

Silenziosamente si alzò, avviandosi verso la camera di Charlotte, trovandola distesa sul fianco. Si appoggiò allo stipite della porta, osservando la donna. Doveva ammettere che quando dormiva non sembrava la castra-uomini che conosceva, anzi, pareva quasi angelica, ma sapeva che di paradisiaco non aveva nulla, solo gli occhi.

Quella donna l'avrebbe mandato al manicomio prima o poi e non sarebbero serviti a nulla i suoi tentativi di mettere paletti e barriere tra loro. Non poteva fuggire, c'era una figlia di mezzo, ma poteva comunque provare ad andare d'accordo con lei. Quindi doveva smetterla di fingere disinteresse proprio quando cominciava ad avvicinarsi, oppure allontanarsi ogni volta che si sentiva soffocare da quella situazione. Doveva fermarsi e capire che cosa voleva, chi voleva e perché.

Si avvicinò al letto, inginocchiandosi proprio all'altezza della pancia di Charlotte, accarezzandola lievemente.

«Ehi, ciao piccola» bisbigliò, per non farsi sentire da Charlotte e da Hannibal sdraiato vicino alle gambe della padrona. «Siamo messi male, vero? Io non avrei mai pensato di diventare padre così e nemmeno tua madre. Anzi, se avesse potuto scegliere, non avrebbe di certo scelto me, ma è successo ed ora siamo noi. Lei non mi sopporta, a dirla tutta mi riesce difficile sopportare lei, ma per te farò uno sforzo quindi, dato che io cercherò di andare d'accordo con tua madre, che ne pensi di metterci una buona parola per me? Sai, potresti convincerla a darmi una possibilità. Questo renderebbe la tua vita e la mia meno turbolente.»

Charlotte mugugnò nel sonno, muovendosi leggermente, costringendo Robert a fermarsi per evitare che si svegliasse. Attese qualche secondo, prima di riportare il volto a pochi centimetri dalla pancia, accarezzandola lievemente. «Allora, affare fatto?»







Angolo Autrice:

Capitolo abbastanza intenso, che ne dite? Charlotte comincia a farsi delle domande, cerca di capire la natura dei suoi sentimenti verso Robert, ma, come abbiamo visto, non smette di prendere a parole il poveretto.

Ah, quei due sono troppo fuori di testa!

Ed è femmina! Fiocco rosa in casa Sinclair/Goodwin! Ed i nomi iniziano ad arrivare, vedremo più avanti come si evolverà la gravidanza, fino ad arrivare alla soluzione finale. Quei due capiranno mai i loro sentimenti? Lo vedremo!

Prossimo aggiornamento giovedì 9 luglio!

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Capitolo 17
*** Cap. 16 ***













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Capitolo 16

Just a Dream

Just a dream - Nelly










Il tempo passava così in fretta, tanto che Charlotte non si rese conto di essere ormai al sesto mese di gravidanza. Maggio stava scivolando via come se niente fosse, portandosi via l'umidità della primavera e delle sue piogge, lasciando così spazio al sole che annunciava l'arrivo di giugno.

Mancavano due settimane al matrimonio, il sette giugno incombeva e Karen diventava isterica, molto più di lei. Questo divertiva particolarmente Charlotte, vedere suo fratello girovagare per casa rispondendo agli ordini che la fidanzava gli urlava era uno spasso. Stranamente si sentiva tranquilla, quando aveva scoperto di essere incinta pensava di diventare una specie di mostro urlante in preda a crisi ormonali che la rendevano una vera e propria arpia, invece si stava comportando bene. Si sentiva quasi un agnellino, tanto da non aver insultato Robert per una settimana intera. Facevano progressi.

«Pensi che mio fratello riuscirà a tirare fuori le palle?»

«Non saprei, ultimamente sembra che siano state schiacciate in una morsa.»

Ormai sembravano amici. Charlotte se ne stava sdraiata sul divano di James, con un piatto di patatine fritte sulla pancia e Robert accanto a lei, con i suoi piedi sulle ginocchia. Entrambi osservavano James, seduto in poltrona, con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava uno zombie.

«Potrebbero prenderlo per fare uno dei morti viventi di The Walking Dead.»

«Stai guardando troppe serie tv, Charlie!»

«Sono incinta, la televisione e lo yoga sono le mie distrazioni.»

«Chi cazzo me l'ha fatto fare?» sospirò James all'improvviso, con tono melodrammatico.

«Amico, te l'avevo detto che il matrimonio ti avrebbe distrutto.»

«Robert, non infierire, non vedi come è ridotto?» Charlotte gli diede una piccola spinta col piede, ridendo. «Piuttosto, pensate a come mi sentirò io, i vestiti delle damigelle sono corti ed io ho delle caviglie che sembrano meloni!»

«Perché devo preoccuparmi di te? Sono io quello che si sposa!»

«Ed io quella incinta» ribatté Charlotte, provocando la risata di Robert.

«Se vogliamo proprio discutere su chi sta peggio, pensa a quel povero Cristo seduto accanto a te.» James indicò con il mento l'amico, il quale aggrottò la fronte incuriosito.

«Che ha fatto?»

«Ti ha messa incinta, ecco cosa ha fatto!»

«Adesso è lui quello messo male?»

«Sì, perché ci vogliono dei coglioni grandi come il Texas per sopportarti da normale, figurati ora che hai gli ormoni impazziti. Dovrebbero usarti come arma di distruzione di massa!»

Era divertente, osservare i due fratelli litigare, si sentiva a casa quando era con loro, soprattutto quando era Charlotte a coinvolgerlo, ma più lei si avvicinava, più lui si sentiva soffocare da tutte quelle responsabilità, da quei sorrisi e da quei sentimenti.

«Va bene, abbiamo capito, ora riaccompagno a casa la donna incinta.» Robert aiutò Charlotte ad alzarsi, lasciando poi una pacca sulla spalla di James. «Vieni a farti una birra stasera?»

«Credo che mi suiciderò!»

«Ci vediamo alla solita ora.»


***


«Tuo fratello è un idiota!»

«L'hai scoperto solo ora?»

Poteva sperare di trascorrere una serata in completa tranquillità? Robert e James erano andati al pub e lei aveva deciso di trascorrere una seratina fatta di serie tv e patatine fritte. Sua figlia le aveva concesso una tregua, dormiva beata nella sua pancia.

Karen si lasciò cadere sul divano accanto a Charlotte, sbuffando. «Ci sono i posti da organizzare e lui se ne va fuori con Robert.»

«Lascia svagare i maschietti. Patatine?» le domandò Charlotte, porgendole il piatto di patatine fritte.

«La gravidanza ti fa male.»

«Dici? Io credo che mi faccia bene, soprattutto perché ho tutti ai miei piedi che cercano di soddisfare i miei bisogni per non farmi incazzare.»

«Ecco perché sei così di buon umore ultimamente!»

Charlotte fece spallucce, tornando a guardare la tv. «Allora, i sigilli sono stati spezzati?»

«Di che parli?» domandò Karen, aggrottando la fronte e guardando l'amica, la quale, impassibile, continuava a guardare Supernatural.

«I sigilli per liberare Lucifero dalla gabbia e dare il via all'apocalisse» disse Charlotte.

«Per apocalisse, intendi il mio matrimonio?»

«A che altro dovrei alludere?»

«Sul serio, tu guardi troppa tv!»

Charlotte sorrise, lanciando uno sguardo alla piantina dei tavoli per il matrimonio. «Ah, consiglio, non mettere zio Albert vicino a zio Roger, rischi di trovarti con un morto al ricevimento!»


***


«Perché siamo qui?» James sbuffò, entrando al Voodoo, Robert l'aveva costretto a seguirlo al pub per distarlo, ma tutto quello che voleva fare era sdraiarsi nel letto in posizione fetale e rimpiangere il giorno in cui aveva chiesto a Karen di sposarlo. Quella donna sembrava Hulk in versione femminile quando s'impuntava su qualcosa, peggio di sua sorella.

«Perché hai bisogno di uscire e farti una birra in compagnia!» esclamò Robert, indicando il bancone, ma quando James alzò lo sguardo non si trovò di fronte il proprietario, ma una bionda sexy con tanto di divisa da poliziotta. Robert aveva organizzato il suo addio al celibato.

C'erano tutti i colleghi della centrale, pure suo padre e suo nonno bevevano birra ad uno dei tavoli mentre spogliarelliste vestite da poliziotte intrattenevano gli invitati.

«Non era più semplice portarmi in uno strip club?»

Robert fece spallucce. «E farti rischiare la gogna? Sappiamo tutti che Charlie avrebbe scoperto dove stavo organizzando l'addio al celibato, così ho giocato d'anticipo ed ho fatto un accordo con Sam, ho affittato il Voodoo e fatto pensare a Charlie ed a Karen che il tuo addio al celibato sarebbe stato un semplice ritrovo tra colleghi e amici, condito da birra e poker!»

C'era da dire che Robert si era messo d'impegno. Probabilmente erano state assunte nove spogliarelliste, tutte vestite uguali, con tanto di manette e tacchi vertiginosi. Robert non aveva badato a spese. Per fortuna Karen e sua sorella erano impegnate a finire di organizzare i posti a sedere.

«Amico, ti voglio bene!» esclamò James, abbracciando Robert. Aveva bisogno di svagarsi e quell'addio al celibato era arrivato al momento opportuno.


***


Charlotte era andata a dormire da un paio d'ore, finalmente sua figlia si era addormentata, smettendo di scalciare come una matta, quando il cellulare squillò all'improvviso. Guardò l'ora, erano le quattro del mattino.

«Chiunque tu sia sappi che se non è un'emergenza sei morto!» rispose con voce assonnata. All'altro capo risate e musica alta, ma riuscì a riconoscere la voce di suo fratello.

«Charlie, Charlie, Charlie.»

«James, sei ubriaco?»

«No...forse...sì.» Era ubriaco fradicio, a tal punto da biascicare le parole.

«Che cosa vuoi?» sbuffò Charlotte, cercando di trattenere l'insulto che aveva in gola.

«Mi vieni a prendere?»

«Puoi chiamare Karen.»

«Ehm, no.»

«Per quale motivo?»

«Perché mi troverebbe in una situazione equivoca e non posso chiedere a nessuno perché sono tutti ubriachi più di lei...no, scusa, di me.» James biascicava le parole.

«Per fortuna doveva essere un addio al celibato tranquillo, accompagnato solo da birre, sigari e poker.»

«Ehm...Robert ti ha mentito.»

«Che novità.» Charlotte alzò gli occhi al cielo. «Puoi chiamare un taxi o farti riaccompagnare dal tuo amicone bugiardo!»

«No, niente ta...ta...quel coso giallo. Non ho contanti e di conseguenza dovrei pagare con la carta di credito e se Karen vede l'estratto conto capisce subito che sono ricorso al...al...insomma, a quel coso giallo, perché ero, sono, ubriaco.»

«Però, quel coso giallo?»

«Non prendermi per il culo, tu hai fatto cose peggiori da ubriaca.» specificò James. «Ed una di queste ce l'hai nella pancia!»

«E il tuo amicone è più ubriaco di te?»

«Sì...forse...non lo so, non lo vedo da...che ore sono?»

«Le quattro del mattino, idiota.»

«Di già?» James rise. «Comunque, non vedo Robert da almeno un'ora, credo.»

«Va bene, sto arrivando.» Charlotte riattaccò il telefono, sbuffando sonoramente. «Ci mancava solo James ubriaco.»

Si vestì velocemente, prendendo le chiavi della macchina. Voleva tornare a letto, ma la voglia di prendere a schiaffi sia suo fratello che Robert era troppo forte. Mentre percorreva la strada chiamò suo padre al cellulare, scoprendo che lui era già rientrato a casa, anche lui completamente ubriaco, accompagnato dal nonno che, grazie al cielo, era rimasto sobrio, ma troppo stanco e messo all'angolo da nonna Rose per riuscire ad andare a prendere James. Allison era di turno in ospedale e sua madre fuori città per una covention. Non restava altro che lei.

Scese dall'auto, trovando diversi colleghi del fratello fuori dal Voodoo, completamente ubriachi, in attesa di un taxi. Entrò, trovando diverse spogliarelliste intente a ballare e a strusciarsi contro qualche partecipante alla festa. Poi vide suo fratello, seduto al bancone, con la testa fra le mani e lo sguardo perso.

«Robert?» chiese semplicemente, sbattendo il palmo della mano sul bancone.

«Sorellina!» ma James non rispose, le gettò le braccia al collo, barcollando, rischiando di far cadere anche lei.

«Dov'è Robert?»

«Non lo so.» James sorrise. «Ma so dove sei tu.»

«Ma davvero? E sai dove sarai tu fra poco?»

«Ehm...a casa tua?»

«No, tra le grinfie della tua fidanzata.»

Quale minaccia. James sbarrò gli occhi, gettandosi a terra in ginocchio, abbracciando le gambe della sorella disperato. «Ti prego no!» esclamò, piagnucolando. «Non portarmi da lei, mi ammazzerà!»

«Che grande perdita!»

«Farò qualsiasi cosa, ti prego. Ti pagherò, ti terrò la mano in sala parto, sarò il tuo schiavetto per il resto della mia vita, ti accompagnerò alle prossime lezioni del corso pre-parto, accontenterò le tue voglie ad ogni ora del giorno, ti farò da baby-sitter, cambierò tutti i pannolini di mia nipote, ma ti prego non portarmi da quella iena assetata di sangue!»

«Non fare il bambino e alzati.» Charlotte lo guardò torva. «Andiamo a casa, questa musica alta mi urta i nervi.»

Come un cagnolino barcollante, James seguì la sorella fuori dal pub, salutando con enfasi i colleghi in attesa del taxi, salendo in macchina. Si addormentò durante il tragitto, ma Charlotte era incazzata.

Continuava a chiamare Robert al cellulare ma dava sempre segreteria telefonica. Al locale non l'aveva visto e il sospetto che le palesò in mente la disgustò a tal punto da costringerla a voler trovare qualsiasi scusa plausibile per non averlo visto.

«Forse era al bagno» disse fra sé e sé. «Oppure è tornato a casa quando ha capito di essere troppo ubriaco, insomma, non c'era la moto nel parcheggio.» ma più cercava di convincersi che non fosse vero, più sentiva che quella sola spiegazione che non osava formulare era vera. Senza riportare a casa James, ormai immerso in un sonno profondo, si diresse a casa di Robert. Con la speranza di avere torto salì al terzo piano della palazzina, imboccando il corridoio stretto dalle pareti bianche e il pavimento rivestito di moquette verde scuro. Pregò, sperò, di avere torto, di trovarlo con una borsa del ghiaccio sulla testa ed una sbronza colossale da smaltire. Cominciò a bussare con forza alla porta, lo chiamò per nome, sentendo un nodo alla gola e, quando finalmente la porta si aprì, le sue paure si rivelarono fondate.

«Sì?» una ragazza bionda, alta, bella e semi nuda la stava guardando dalla porta. Indossava la maglietta dei Black Sabbath di Robert, quella che lei gli aveva regalato al compleanno per farsi perdonare di tutte le volte che lo chiamava nel cuore della notte in preda alle voglie gravidiche.

Senza dire nulla entrò, dando una spallata alla giovane, trovandosi di fronte Robert intento ad infilarsi i jeans.

Lui rimase immobile, la guardò, aspettandosi di sentirla urlare, insultarlo, oppure di vedersi tirare dietro tutto quello che le capitava per mano, ma ciò che vide sul volto di Charlotte gli fece più male di qualsiasi insulto o ferita. Era delusa, arrabbiata, sconvolta e triste.

Quel silenzio, rotto solo dalla voce di Holly o Ally, non ricordava nemmeno il nome di quella ragazza, era più devastante di un qualsiasi rumore acuto e fastidioso. Non poteva nascondersi dietro a nessuna scusa o bugia, la situazione parlava chiaro e lui non aveva giustificazioni da dare. Era colpevole e non poteva nascondere la testa sotto terra come uno struzzo.

Charlotte girò i tacchi, uscendo senza dire nulla, sentiva quella ragazza chiedere cosa stesse succedendo, chi lei fosse, poi chiese a Robert se lei era la sua ragazza, ma tutto quello che lui disse fu solo il suo nome. «Charlie!»

Charlotte salì in ascensore, osservando Robert arrivare proprio mentre le porte si chiudevano. Quella discesa le sembrò infinita, ma quando uscì dalla palazzina Robert la stava rincorrendo, affannato dopo aver fatto di corsa le scale.

«Charlie!»

«Lasciami stare!»

«Ti prego, lasciami spiegare.»

«Non c'è nulla da spiegare, te la sei spassata con quella, buon per te.»

«Non significa nulla.» Robert ne era convinto, ma sapeva che a Charlotte non importava.

Charlotte si fermò davanti all'auto, voltandosi di scatto. «Come quando sei venuto a letto con me, vero?»

«Non era questo che intendevo.»

«Sono stata una stupida!» esclamò, guardandolo negli occhi. «Come ho potuto pensare anche solo per un istante che tu fossi diverso da tutti gli altri stronzi della mia vita?»

«Ora mi paragoni ad Eric?»

«No, ti paragono ad un imbecille che mi ha messa incinta per poi andarsene in giro a scoparsi tutte le altre donne di New Orleans e dintorni!»

Robert si alterò. Non c'era nessun contratto tra di loro, nessun accordo che gli impedisse di uscire con altre donne. «Noi non stiamo insieme, non siamo una coppia ed io non sono obbligato al celibato!»

«È così che ti giustificherai a tua figlia quando ti chiederà perché sei poco presente nella sua vita? Cosa le dovrò dire quando salterai un saggio a scuola per uscire con una donna?»

«Oh, adesso sono il cattivo della tua favola?»

«Questa non è una favola, Robert, è la vita reale, è la nostra vita e quella di nostra figlia.»

«Sul serio? A me sembra tanto una scenata di gelosia.»

Charlotte deglutì. Aveva ragione, ma non poteva dirgli che il motivo principale di quella scenata erano i suoi sentimenti, di sicuro le avrebbe riso in faccia. «È vero, sono gelosa. Gelosa del fatto che tu preferisca una bionda rifatta alla sistemazione della cameretta di tua figlia, oppure che reputi più interessante passare da un letto all'altro piuttosto che accompagnarmi ai corsi pre-parto. Mi hai delusa perché pensavo che tu fossi diverso, che quei piccoli gesti protettivi e gentili fossero un segno del tuo vero carattere. Ma a quanto pare mi sbagliavo.»

«Cristo, Charlie, si può sapere cosa vuoi da me?» urlò Robert, aprendo le braccia. «Vuoi che venga ai corsi pre-parto? Vuoi che ti tenga la mano quando nascerà la bambina? Oppure vuoi un marito che si sottometta a te? Vuoi questo da me?»

«Io non voglio obbligarti ad essere quello che non sei, non lo farei mai, ma devi scegliere Robert» disse Charlotte. «Devi scegliere chi vuoi essere.»

Robert le vide. Lacrime salate che le rigavano il viso tirato e triste. Erano come piccole gemme che le adornavano le guance.

«Fai la tua scelta Robert.»

«Charlie...»

«Io non ho bisogno di un marito o di un compagno, Robert, ho bisogno di qualcuno che mi accetti per come sono. Ho bisogno di un amico e pensavo che potessi essere tu, ma mi sbagliavo.» Si voltò, stavolta per sempre, non si sarebbe voltata, non avrebbe più lottato, salì in macchina, partendo. Era stanca di essere delusa dagli altri, stufa di credere nelle persone per poi ritrovarsi con le lacrime agli occhi. Eric, Thomas, Matthew, uomini ai quali aveva dato il suo cuore per poi vederselo calpestare senza ritegno, senza sentimenti. Possibile che non aveva ancora imparato la lezione?

Mai e poi mai fidarsi di chi ti promette il mondo.

La sua prima regola, il suo primo promemoria. Aveva sperato che almeno Robert fosse diverso, si era aggrappata alla convinzione che potesse essere un buon padre ed un buon amico, ma si era sbagliata. Eppure lo conosceva, sapeva di che pasta era fatto, conosceva i suoi interessi, le sue debolezze e, nonostante tutto, si era illusa che fosse solo una maschera.

Ma se era preparata ad una simile rivelazione, perché faceva così male? Perché si sentiva le gambe cedere e l'aria mancare?

Accostò l'auto, guardando il fratello ancora addormentato.

Lacrime e solo lacrime, non c'era altro. Charlotte aveva di nuovo dato il suo cuore all'uomo sbagliato e si era vista restituire solo dolore. Lei non era delusa, era innamorata e faceva male, perché sapeva che Robert non sarebbe mai stato suo. Una figlia li legava, ma non ci sarebbe stato altro che incontri fugaci e litigate per decidere quali fine settimana lui avrebbe dovuto tenere la piccola.

Pianse di disperazione, lasciandosi andare a quella sofferenza che le artigliava il cuore. Voleva scappare e dimenticare ogni cosa, fingere e indossare la sua maschera d'indifferenza per poter dire al mondo che stava bene mentre dentro era vuota. L'amore era solo sofferenza e le favole solo mere illusioni che mai si sarebbero potute avverare.

Da bambina ci aveva creduto, aveva amato quelle principesse che venivano salvate, aveva indossato la sua coroncina aspettando il suo Principe Azzurro. Crescendo si era resa conto che quella coroncina era solo un pezzo di plastica e che quel principe non sarebbe mai arrivato.

L'amore non esisteva e lei ne aveva avuto la prova anno dopo anno, uomo dopo uomo. I suoi genitori, le sue storie fallite, ora non le restava altro che sua figlia e la consapevolezza che a lei non avrebbe mai raccontato favole di principi e principesse, di fanciulle da salvare o di incantesimi da spezzare con un bacio.

Si portò le mani al pancione, alzando lo sguardo, sperando che fosse tutto un sogno, ma si rese conto di amarlo e che il suo cuore era ormai in frantumi.

James aprì gli occhi e quando vide la sorella in lacrime non gli importò del mal di testa o del senso di nausea. L'abbracciò, cercando di consolarla. In quel momento non erano necessarie le spiegazioni, avrebbe chiesto cosa fosse successo dopo, una volta calmata. Ora, in quell'istante, Charlotte aveva bisogno della sua spalla, del suo sostegno e nulla poteva farlo muovere da quella posizione.


***


Ne vale la pena?” pensò Robert. “Vale la pena rinunciare a tutto questo per lei?”

Le notti trascorse con donne diverse, la sua libertà, il non avere responsabilità o legami che lo costringessero ad essere un uomo maturo e con la testa sulle spalle.

Valeva la pena mettere via la sua agenda di numeri e pensare ad una sola donna per sempre?

Aveva guardato negli occhi Charlotte e vi aveva letto la delusione e il disprezzo, mai come allora lei l'aveva guardato a quel modo. Si sentiva un completo idiota.

La sera in cui gli aveva detto di essere incinta era stata la più lunga della sua vita e aveva pensato che nessuna notizia potesse sconvolgerlo più di quella, nessun avvenimento, nessun cambiamento come quello. Poi aveva incontrato gli occhi lucidi di Charlotte e la consapevolezza di averla persa per sempre era stata come una pugnalata nello stomaco.

Perché a lei importava così tanto che lui non uscisse con altre donne? Non stavano insieme, non avevano una relazione, erano solo due persone che, sfortunatamente, si erano ritrovati con un figlio in arrivo senza volerlo.

Aveva impiegato mesi per accettare la gravidanza di Charlotte e, di conseguenza, il dover essere padre. Per mesi si era comportato bene, evitando qualsiasi altra donna, cercando di essere l'uomo che Charlotte si aspettava che fosse, ma non c'era riuscito.

Eppure faceva male.

Faceva male sapere di averla ferita. Faceva male sapere di averle spezzato il cuore. Faceva male sapere di aver perso l'unica donna per la quale aveva provato qualcosa.

Esattamente. Quella notte, quando avevano concepito la bambina, Robert aveva avvertito qualcosa, un sentimento, uno strano senso di felicità che l'aveva portato a stringere Charlotte e baciarla con dolcezza, con flemma. L'aveva accarezzata e posseduta come fosse stata una vergine e gli era piaciuto. Avevano fatto l'amore, non sesso, e quel sentimento era rimasto in lui assopito, trepidante, in attesa di uscire allo scoperto.

Prese il cellulare, aprendo la galleria per scorrere le fotografie. Si fermò poi a quella scattata qualche giorno prima. Era Charlotte di profilo, di fronte allo specchio. Gliel'aveva scattata senza dirle nulla, così, senza nemmeno sapere perché voleva una sua foto. E lei era lì, con le mani sul pancione intenta a spalmarsi la crema per le smagliature, troppo presa per notare che la stava immortalando in quello scatto.

Ne valeva la pena?

Valeva la pena rinunciare ad essere un donnaiolo per lei?

«Ne vale la pena» disse con un sorriso, rendendosi conto di aver fatto la sua scelta.

Ma come poteva recuperare i rapporti, parlarle e dirle finalmente quello che provava?

L'amava? Non ne era sicuro, ma voleva provarci. Voleva tentare e vedere se poteva esserci qualcosa di più di un'amicizia, qualcosa che lo facesse sentire completo anche senza frequentare diverse donne contemporaneamente.

Voleva provarci e, magari, essere felice. Non come quelle fottute favole che sua madre gli raccontava da piccolo, ma sapere di avere accanto una donna vera, reale, capace di tenergli testa e sostenerlo al tempo stesso; una donna senza peli sulla lingua e sincera.

Non si era mai reso conto che l'unica con tutti quei requisiti era sempre stata ad un tiro di schioppo da lui. Fredda e caparbia come poche ma dolce quando voleva.

Aveva sempre voluto Charlotte e se ne rendeva conto solo in quel momento. Solo ora quando ormai lei se n'era andata e lui l'aveva persa, aveva mandato tutto a puttane. O forse era ancora in tempo?

Magari non era il tipo da matrimonio e cene di coppia, ma aveva rovinato qualcosa che poteva essere importante e voleva porvi rimedio. Lei era solo un sogno? No, lei era reale, era la sua vita, il suo cuore, era la donna dalla quale stava scappando e voleva smettere di farlo. Voleva fermarsi e voltarsi, tornare indietro per prenderla e farla di nuovo sua, per sempre. L'amava? Ancora non lo sapeva, ma solo una persona poteva aiutarlo a capire e, ormai, l'aveva ferita più di chiunque altro. Si era comportato esattamente come tutti gli altri uomini dai quali si era ripromesso di proteggerla, eppure non era riuscito a farne a meno. Era fuggito, come suo solito, ed ora ne pagava le conseguenze.

Charlotte non meritava di soffrire, non meritava un uomo come lui, ma qualcuno migliore, qualcuno in grado di renderla felice e, si rese conto, voleva essere quell'uomo. Lei era la sua favola, il suo sogno.









Angolo Autrice:

Ebbene, siamo alla resa dei conti, quei due stanno venendo a patti con i loro sentimenti. Mentre Charlotte ha capito di essere innamorata di Robert, lui deve ancora comprendere la natura dei suoi sentimenti, ma è sulla strada giusta e dal prossimo capitolo lo vedremo maturare e crescere.

Sono stata in pausa per fin troppo tempo ma, sebbene non possa aggiornare con regolarità, cercherò di non farvi aspettare molto tra un capitolo e l'altro perché, ormai, manca poco alla conclusione, quindi a presto e buona lettura!




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