Tutta Colpa di Cenerentola di Eleanor S MacNeil (/viewuser.php?uid=4019)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 ***
Capitolo 12: *** Cap.11 ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
«È
sempre così, ogni volta che troviamo un uomo iniziamo a farci
strani filmini mentali. Pensiamo: ci siamo, finalmente abbiamo per le
mani il Principe Azzurro. Poi, come nelle peggiori barzellette,
finiamo col sedere a terra e una bruciante delusione amorosa. Non è
colpa nostra, non siamo noi, è tutta colpa di Cenerentola.»
New
Orleans accoglieva il pomeriggio con messaggi simili. Le donne
ascoltavano la radio dalle quindici alle sedici di ogni pomeriggio
solo per sentire Charlotte Ray Sinclair disquisire sulle relazioni
sentimentali e demolire l'immaginario collettivo di amore romantico e
da favola. Era cinica, schietta, non risparmiava nessuno, tanto meno
gli ascoltatori polemici. Aveva sempre una risposta pronta e mai
nessuno che fosse riuscito a farla stare zitta.
«Siamo
state cresciute nell'assoluta convinzione che il Principe Azzurro
esiste, che prima o poi lui arriverà galoppante sul suo
cavallo bianco e ci porterà nel suo regno. Adesso che ci
penso, esiste una moderna Cenerentola: quel gran culo di Kate
Middlenton, lei sì che ha avuto fortuna. Un bel giorno la
figlia di borghesi ha iniziato la scuola e si è trovata come
compagno di studi lui: il principe William.»
E
continuava Charlotte, parlando di come le favole non fossero
realizzabili, di come i sogni romantici fossero solo chimere
irraggiungibili e che la realtà era solo una e una soltanto.
«Ma
guardiamo in faccia la realtà: il Principe Azzurro non esiste.
Noi siamo solo delle povere donzelle che credono ancora nelle favole.
Da bambine ci raccontavano di Biancaneve, Cenerentola, Aurora,
Raperonzolo e noi, ogni volta, restavamo ferme, di fronte alla
finestra, con i nostri occhioni sognanti ad immaginare come sarebbe
stato vivere in una favola. Crescendo abbiamo cercato di farla
avverare, ma diciamocelo: che cazzo di favola vogliamo realizzare?»
Come
detto: schietta e cinica.
«Insomma,
quelle storielle parlavano di povere fanciulle innocenti e
zuccherose, che si cacciavano nei guai in continuazione, attendendo
di essere salvate. Sveglia! Ora la favola non esiste più,
siamo donne in gamba, piene di talento, con i contro-coglioni. In
realtà non abbiamo bisogno di essere salvate, ma restiamo
sempre ferme, nella convinzione che il Principe Azzurro verrà.
Magari non su un cavallo bianco, ma siamo sempre convinte che lui
esista, che sia da qualche parte. Ma se non alziamo i nostri bei
culetti non possiamo di certo aspettare che arrivi da solo, giusto?
Perché è questo che le favole ci hanno insegnato. Prima
o poi lui arriverà, mentre noi staremo ferme, nella nostra
torre, a filare lana o a sfornare dolci per i nostri amici. Quante
stronzate!»
Ormai
la sua voce alla radio teneva compagnia nei saloni di bellezza, nelle
boutique d'abbigliamento o nelle cucine di casa. Sì, molte
donne l'ascoltavano. Cercavano in lei quella forza di dire basta e di
smetterla d'inseguire l'idea romantica di vivere una favola.
Alcune
idee di Charlotte erano sbagliate, ma era forse giusto aspettare il
Principe Azzurro mentre di fronte a loro la vita passava senza sosta?
Charlotte
Ray Sinclair era la donna che nessun uomo voleva avere accanto, o
forse no?
«Il
nostro credere che lui ci sia, che un giorno verrà, è
solo una porcata inculcataci quando eravamo piccole. È tutta
colpa di Cenerentola!»
Angolo
Autrice:
Eccomi
di nuovo tra voi. Per chi segue Babington, voglio assicurare che la
storia proseguirà, devo solo rimettere insieme le idee,
intanto sto revisionando i capitoli già pubblicati per
correggere e sistemare alcune lacune.
Come
dicevo, nuova storia!
Per
alcuni versi mi sono ispirata a diverse atmosfere di alcune commedie
romantiche, come “Un marito di troppo”, “Amici di
letto”, “Pretty Woman” ed anche dal libro "Tutta colpa di Cenerentola". Ci tengo a precisare che il titolo della storia non nasce dal libro di Fabiola Danese, all'inizio volevo intitolarla "Tutta colpa di Raperonzolo" ma Cenerentola suonava meglio. Volevo che la protagonista
fosse il più simile possibile alle donne che vediamo oggi in
giro, semplice e con i piedi ben puntati a terra. Spero che l'idea
piaccia e, per qualsiasi cosa, sono a vostra disposizione.
Come
detto nell'introduzione, saranno presenti alcuni cliché,
minimi, ma comunque visibili.
La
storia si svolge a partire del novembre 2013, otto anni dopo
l'uragano Katrina, quindi verrà menzionato il disastro e
alcuni fatti reali.
La
trama in sé è nata da un vecchio articolo scritto
quando avevo diciotto anni e pubblicato sul mio vecchio blog che ora
non esiste più.
Altra
cosa che vorrei aggiungere: ho subito alcuni plagi da quando ho
ripreso a pubblicare, quindi se qualcuno oserà di nuovo
plagiare una sola delle mie storie non mi limiterò a segnalare
la cosa all'amministrazione, ma passerò
direttamente per vie legali!
Buona
lettura e al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 1 ***
Capitolo
1
New Orleans
Stevie
Nicks – New Orleans
«A
cosa serve l'amore romantico? A farci sentire complete? Io non credo.
Per sentirsi completa una donna dovrebbe, prima di tutto, sentirsi
realizzata.»
Era
sempre la sua voce. Non accoglieva telefonate. Semplicemente parlava,
faceva il suo monologo, a volte lasciava che qualche ospite le
facesse delle domande, che cercasse di metterla in difficoltà,
ma Charlotte era sempre da sola.
Parlava,
parlava, parlava e le donne l'ascoltavano. Naturalmente c'erano
quelle che non erano d'accordo con lei, ma alla ventisettenne non
interessava, a lei bastava esporre la sua opinione e sfogarsi perché,
alla fine, la radio era la sua valvola di sfogo.
Era
figlia di divorziati, viveva nel suo piccolo appartamento in centro a
New Orleans; era una come tante, ma una delle poche a credere che le
favole fossero solo favole e che l'amore romantico non fosse degno di
nota. E così Charlotte, chiamata da molti Charlie, figlia di
una psicologa e di un Capitano della polizia con la passione per il
pugilato, si dilettava tra la composizione dei suoi monologhi e le
uscite con le amiche.
«Come
fai a mangiare tutta quella roba e non ingrassare?»
Charlotte
alzò un sopracciglio, scuotendo il capo. «Perché
faccio una cosa chiamata attività fisica, ti suona
famigliare?»
Era
sempre sarcastica. Charlotte e le sue battute al vetriolo a volte
risultavano divertenti, altre la facevano sembrare presuntuosa e
superba, ma questo non disturbava Karen, la quale alzò gli
occhi scuri al cielo, tornando a concentrarsi sulla sua insalata,
disgustata dalla vista dell'amica che addentava il suo doppio
cheeseburger.
«Vado
a correre ogni sera perché la mattina adoro dormire, mi faccio
un'ora di palestra serale due volte la settimana e così brucio
queste calorie» specificò Charlotte, portandosi una
ciocca di capelli castani dietro l'orecchio.
«Non
ti preoccupa il colesterolo?»
«E
a te non preoccupa l'effetto serra?» sempre sarcastica, sempre
con una risposta pronta. A volte Karen si domandava dove le andasse a
prendere.
Si
conoscevano dalla culla, le loro madri si erano incontrate nel
reparto maternità del Ochsner Hospital di New Orleans.
Charlotte era nata alle ventitré del 15 febbraio, mentre Karen
aveva visto la luce alle due del mattino del 16 febbraio. Poche ore
le avevano separate e, dopo ventisette anni, quasi ventotto, erano
ancora insieme. Vicine di culla appena nate, vicine di banco a
scuola, compagne di stanza al college e vicine di casa nel presente.
Presto sarebbero perfino diventate cognate.
«Come
vanno i preparativi?» domandò Charlotte, cambiando
discorso e concentrandosi sul matrimonio tra l'amica e James, suo
fratello.
«Abbiamo
finalmente una data!»
«Sentiamo.»
«Ci
sposeremo il 7 giugno!» esclamò Karen, battendo le mani
allegramente. Mancavano sette mesi al grande evento, per alcuni
molti, per altri pochi.
Charlotte
sorrise, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. La
prospettiva di presenziare al matrimonio di suo fratello con la sua
migliore amica era esaltante, ma c'era un piccolo particolare che la
disturbava. «Spero vivamente di non vedere Robert al
matrimonio.»
«Sarà
il testimone di James, quindi le tue speranze volano fuori dalla
finestra.»
Gli
occhi verdi di Charlotte si rivolsero al soffitto mentre la
consapevolezza di dover sopportare il don Giovanni della situazione
la esasperava.
***
«Io
non capisco.» l'agente di polizia si girava tra le dita la
partecipazione, osservando con i suoi occhi azzurri l'amico.
«Cosa
non capisci, Robert?» seduto alla scrivania di fronte a quella
di Robert, James sbuffò, alzando lo sguardo dal verbale che
stava compilando.
«Perché
devi sposarti?»
Giusta
domanda. Robert Connor Goodwin odiava i matrimoni, era uno scapolo
accanito, da sempre sfuggiva a qualsiasi relazione amorosa,
giustificandosi con la classica frase “non esiste una donna
che sappia stare zitta e sopportarmi senza problemi”.
James
scosse il capo, ormai sconsolato. L'amico di sempre si stava
rivelando un osso duro. «Sai, tu e mia sorella potreste andare
d'accordo, se foste disposti a sotterrare l'ascia di guerra!»
«Certo,
come no!» esclamò Robert, gettando sulla scrivania la
busta della partecipazione e alzandosi per andare a versarsi del
caffè.
La
centrale di polizia era tranquilla, più del solito, e i due
detective avevano appena concluso un arresto per furto. Erano assegnati
al settimo distretto, una delle aree più colpite dall'uragano
Katrina. Nonostante fossero trascorsi ormai tredici anni, c'era
ancora molto da fare. Case da ricostruire, vite da rimettere in
sesto; Katrina era ancora un ferita aperta per la città.
Robert
guardò alcune fotografie scattate durante le missioni di
soccorso. La casa dei suoi genitori era andata distrutta e lui si era
ritrovato ad occupare un bilocale in centro, troppo distante dalla
centrale di polizia, mentre suo padre aveva preso la decisione di
trasferirsi a Shreveport. «I tuoi nonni abitano ancora vicino
alle paludi?»
James
annuì. «Sai come sono fatti, è difficile
sradicare le radici profonde. Quella casa è stata costruita
negli anni venti, mia nonna è nata e cresciuta lì.»
«La
stanno ancora ricostruendo?»
«Già.»
Era
strano parlare di quel disastro, di come le vite di tutti loro
fossero state prese e gettate in un vortice senza avviso. Avevano
visto la morte in faccia, nessuno escluso, ed ora New Orleans era una
sopravvissuta.
«Sai,
esiste una cosa peggiore di Katrina» cambiò discorso
Robert, grattandosi la barba di qualche giorno.
«E
sarebbe?» di nuovo James alzò lo sguardo verde
sull'amico, aggrottando la fronte.
«Tua
sorella Charlotte...dovevano dare il suo nome all'uragano!»
Robert
e Charlotte non erano mai andati d'accordo. Di quattro anni più
vecchio, da sempre lui non aveva fatto altro che renderle la vita
imprevedibile. Da bambini le bruciava i capelli ed ora, da adulti,
adorava punzecchiarla e darle il tormento.
«Ah,
l'amore!» esclamò James, sorridendo e provocando in
Robert un moto di fastidio e rigetto.
«Io
non provo nulla per lei, solo ribrezzo» Robert rimase sulla
difensiva, avvicinandosi alla scrivania e sedendosi. «Allora,
ci sono serial killer e poi c'è Hannibal Lecter, giusto?»*
«Giusto.»
«La
stessa cosa avviene per lei: ci sono donne e poi c'è tua
sorella.»
James
non sapeva più se ridere o piangere. Era cresciuto con due
sorelle minori; ormai Allison era sposata e aveva due figli, un
chirurgo neonatale in carriera e sempre all'opera, aveva avuto la
fortuna d'incontrare Luke, un vigile del fuoco, e trovare in lui
l'uomo della sua vita. Per Charlotte era stato tutto diverso. La più
piccola della famiglia, la più sovversiva e la più
caparbia; da bambina aveva amato le favole, soprattutto Cenerentola,
ed ora odiava quello stereotipo di donna sorridente e zuccherosa
sempre in attesa del Principe Azzurro. Forse era stato il divorzio
dei genitori a cambiare la sua prospettiva, oppure le relazioni
fallite dove lei aveva dato anima e cuore e si era vista gettare via
come fosse uno straccio usato. Era diventata brusca, dura con il
mondo, ma sorrideva nonostante tutto.
Robert,
al contrario, aveva scelto di essere menefreghista e donnaiolo. Amava
la vita e le donne e nessuno poteva fargli cambiare idea. Niente
legami, niente sentimenti, solo sesso e nient'altro.
Se
non fossero stati due testoni patentati, potevano essere buoni amici,
ma quei due avevano il cervello scollegato e il cuore chiuso a chiave
e non c'era verso di farli andare nella stessa direzione.
«Sai,
Charlotte sarà la damigella d'onore di Karen e tu il mio
testimone, sarete costretti a sedervi allo stesso tavolo, parlare ed
anche ballare insieme.» James affondò il dito nella
piaga con tale forza che Robert prima fece una faccia sconvolta e poi
cominciò a sbattere la fronte contro il piano della scrivania.
Si
coprì la testa con entrambe le mani, ormai prossimo ad una
crisi di nervi. «Perché?»
«Perché
la mia fidanzata è anche la migliore amica di mia sorella?
Sembra tanto la trama di una soap.»
«Sembra
tanto la mia condanna a morte!»
«Se
vuoi posso chiedere a qualcun altro di farmi da testimone»
sospirò James,
Di
risposta Robert alzò di scatto la testa, guardandolo stranito.
«No, assolutamente no. Ti sto organizzando l'addio al celibato
da quando mi hai detto che ti saresti sposato!»
«Bene,
allora stasera andiamo al pub a bere qualcosa, ci saranno anche
Charlie e Karen.»
«Tu
mi vuoi vedere morto, vero?»
***
«Il
presupposto di poter vivere un amore romantico è solo un
miraggio. Certo, qualcuna riesce a trovarlo, a viverlo, a sentirlo,
ma poi? Quando il romanticismo finisce che cosa resta? Solo il
miraggio di ciò che si ha avuto e la sensazione di vuoto.
S'inizia a cercare qualcosa di più per ritrovare quel
romanticismo, ma sono le favole quelle che finiscono sempre con un “e
vissero per sempre felici e contenti” non la vita reale.»
Karen
alzò gli occhi al cielo, osservando Charlotte leggere gli
appunti per un nuovo intervento. «Sei una guastafeste!»
esclamò, sorseggiando il suo cosmopolitan.
«E
tu una rompiscatole, lasciami finire di scrivere.» Charlotte
pronunciò quelle parole senza staccare gli occhi dal foglio.
La penna scorreva sul quadernino che la donna portava sempre con sé;
ogni spunto era buono per scrivere nuove frasi, nuovi interventi,
come ogni singola parola di Karen riguardo al matrimonio.
«Io
ti parlo di quanto sono elettrizzata all'idea di sposare l'uomo della
mia vita e tu ci scrivi un articolo?»
«Sei
tu quella che crede nel romanticismo, cara amica mia.»
Charlotte alzò finalmente lo sguardo verso l'amica, riponendo
tutto nella borsa. «Io vivo nella convinzione che non si può
vivere una favola, la si può solo immaginare.»
«Ed
io credo che il romanticismo possa durare. Io e tuo fratello ne siamo
la prova!»
«Questo
perché non vivete insieme. Aspetta di condividere con lui gli
stessi spazi ogni giorno e poi mi darai ragione.»
Karen
sbuffò, arrendendosi alla testa dura di Charlotte. Ormai aveva
perso la speranza di poterle far cambiare idea. Era un causa persa.
Si stava quasi per strappare i capelli, quando vide James entrare nel
locale accompagnato da Robert. «Dalla padella alla brace, molto
bene.» sussurrò, immaginandosi la reazione di Charlotte
alla vista dell'odiato “nemico”.
Difatti
l'amica s'irrigidì all'istante, stringendo nel pugno la
bottiglia di birra che stava bevendo.
«Ecco
le mie donne!» esclamò James allargando le braccia,
baciando Karen sulle labbra e poi Charlotte sulla fronte. «Sorellina,
visto che ti ho portato un amichetto con cui bisticciare?»
«Ho
notato» rispose lei a denti stretti, scrollandosi di dosso
James. «Robert.»
«Charlotte»
la salutò con freddezza Robert, senza però guardarla.
Continuava a far vagare lo sguardo intorno a sé, come se non
volesse guardarla.
«Ehi,
non so te, ma mia madre mi ha insegnato che è buona educazione
guardare le persone in faccia mentre si parla con loro.»
James
alzò gli occhi al cielo, sua sorella sapeva essere più
acida del solito quando si trovava di fronte a Robert. «Vado a
prendere da bere.»
Si
prospettava una serata piuttosto animata dato che i due non
sembravano voler stare tranquilli e provare ad andare d'accordo.
Erano sempre pronti a rispondere l'uno all'altra con frecciatine e
battute piuttosto allusive. Ogni volta che Robert provava un
approccio con una donna, Charlotte lo rimproverava su ogni cosa e,
ogni volta che Charlotte faceva una qualche battuta sarcastica,
Robert la scherniva per il suo carattere troppo spigoloso.
«Sai,
non ti farebbe male fare sesso una volta ogni tanto!» esclamò
Robert dopo l'ennesima battuta della donna.
«Uomini,
pensate sempre e solo al sesso!»
«Da
questa nota acida, deduco che tu non abbia ancora trovato un uomo che
ti scopi!»
«Se
devo essere sincera, ho un vibratore nel cassetto, quindi non ho
bisogno di un uomo e delle sue manie di grandezza» rispose
semplicemente Charlotte. «E poi, se devo aggiungere altro, tu
sei l'ultimo a potermi fare battute riguardanti il sesso. Ti sei
scopato praticamente mezza popolazione femminile di New Orleans ed
ora non ti resta altro che l'altra metà, formata da minorenni
e donne troppo anziane. Non hai altra possibilità che passare
alle donne sposate o dare una seconda botta alle sfortunate che non
hanno fatto altro che aspettare una tua telefonata. Se andrai da loro
hai due probabilità: se sono talmente stupide e insicure
probabilmente te la daranno ancora, altrimenti ti ritroverai con uno
schiaffo o un calcio nei coglioni. Scegli tu!»
James
scoppiò a ridere, ricevendo in cambio un'occhiata raggelante
di Robert.
«Quindi,
se devo fare una classifica di chi sta peggio, perdonami, ma tu sei
al primo posto.»
«Ti
sei scordata delle turiste, Charlie» la incalzò Robert,
troppo orgoglioso da lasciar perdere il discorso.
Charlotte
fece spallucce. «Se ti vanno bene le ragazzine venute ad
assistere alle riprese di The Originals, o le donne in viaggio di
nozze, fai pure. Ti ricordo che New Orleans non è una meta
caraibica dove ci vengono le divorziate per dimenticare gli ex
mariti. Ricordati che se ti trovi una turista, quella ti starà
incollata per tutta la durata del suo viaggio e, magari, hai talmente
culo da scovare una sognatrice che crede ancora nel Principe Azzurro
e ti prenderà per l'uomo della sua vita, tanto da scattare
foto con te e postarle su facebook e twitter!»
Ormai
la donna aveva deciso di iniziare la sua guerra personale contro
Robert e non c'era verso di farla stare zitta. Più lui
rispondeva, più lei rincarava la dose.
James
si portò una mano al volto, per una volta aveva sperato di
poter trascorrere una serata tranquilla, ma quei due erano una causa
persa. «Ho capito, serata finita!»
«Lo
credo anch'io» lo seguì Karen, alzandosi e lasciando che
il compagno le circondasse le spalle con il braccio.
Le
lotte erano quotidiane e i due nemici si stavano facendo la guerra da
troppo tempo e, se qualcuno non interveniva, la cosa poteva finire
molto male, soprattutto se Charlotte iniziava a boicottare tutti gli
appuntamenti di Robert; l'ultima volta che l'aveva fatto era finita
con un setto nasale rotto e una crisi isterica. Un bollettino di
guerra niente male.
«Meglio
andare a casa» disse Karen sconsolata, cercando le chiavi
dell'auto nella borsa.
«Guido
io!» Charlotte, all'improvviso, infilò la mancina nella
borsa di Karen, afferrando prima di lei le chiavi. Guidare era
un'azione che l'aiutava a sfogarsi.
«James,
avvisa la stradale, pericolo pubblico in circolazione!»
La
battuta di Robert fece ridere James, ma lo sguardo omicida di
Charlotte spense quel sorriso, facendolo tornare serio. «Andiamo
a casa.»
La
serata era finita e l'umore dei partecipanti era al limite
dell'esasperazione. Karen e James non sapevano più come
comportarsi, se Robert e Charlotte non fossero riusciti ad andare
d'accordo, al matrimonio si sarebbero dovuti munire di caschi e
protezioni per evitare qualsiasi ferita causata da oggetti volanti.
Avevano
sette mesi di tempo per riuscire a convincere due persone
completamente discordi a trovare un punto d'incontro e sistemare
quelle divergenze che li rendevano insopportabili.
E
mentre Charlotte guidava come un'ossessa, schiacciando il pedale
dell'acceleratore, Karen prese il cellulare, componendo un messaggio
e inviandolo a James: “Che i giochi abbiano inizio!”
La
risposta non tardò ad arrivare: “Andiamo in onda!”
*la
battuta è tratta dal film “The Wedding Party”
Angolo
Autrice:
Ecco
il nuovo capitolo, spero sia di vostro gradimento. Come noterete
Charlotte e Robert proprio non si sopportano. Abbiamo fatto la
conoscenza di Karen, James e il famoso Robert, ma state tranquilla,
non è il principe azzurro e questa non è una favola.
Il
Cliché al quale mi riferivo nell'intro è proprio il
coinvolgimento di due amici, in questo caso James e Karen, che
cercano di farli mettere insieme, combinando incontri e tanto altro.
Solo che, nella nostra situazione, i due cercheranno solo di farli
solo andare d'accordo, non puntano alla relazione tra i due. E,
comunque, non sarà quel tipo di storia dove i due amici ci
mettono lo zampino e s'innamorano. State certe, quei due sono
moooooolto lontani da avere una storia d'amore!
Ho
inserito qualche particolare della tragedia di Katrina proprio per
renderla più reale, volevo dare un po' di spazio alla
sofferenza dei suoi abitanti.
Come
detto, la storia inizia nel novembre 2013, quindi a New Orleans sono
ancora in corso le riprese della serie tv The Originals, ho voluto
nominarla per dare un tocco ancora più reale. Quante ho detto
il termine”reale”?
Gli
aggiornamento verranno effettuati ogni dieci giorni, quindi ci
vediamo sabato 21 giugno!
Vi
lascio i link del mio profilo
FB e del gruppo dedicato alle mie originali Lettere
d'inchiostro, Parole d'amore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cap. 2 ***
Capitolo
2
The
Name of the Game
Abba
– The Name of the Game
Come
ogni anno la cena del ringraziamento si teneva in casa di Jack
Sinclair. Lui e la ex moglie si erano lasciati in buoni rapporti,
tanto che ancora trascorrevano le festività tutti insieme
nella casa dove i figli erano cresciuti; il pomeriggio lui, James,
Charlotte, Luke e nonno Joseph si godevano la partita di football,
mentre Allison, Victoria e nonna Rose si prodigavano nella
preparazione del tacchino, rigorosamente comprato già
spennato. I primi anni, quando James era piccolo, Jack lo portava a
caccia e il tacchino lo uccidevano loro, ma Victoria era fortemente
contraria a qualsiasi forma di cacciagione, così l'uomo aveva
presto deciso di abbandonare le tradizioni e abbassarsi all'acquisto
di un animale già morto e spennato. Ma il Capitano Sinclair
non aveva di certo accantonato la passione per la pesca, tanto da
trasmetterla ai figli e ai nipoti.
Molti
paragonavano James e Charlotte a lui, sia come carattere che come
aspetto. Avevano tutti gli occhi verdi, lo sguardo attento e la
passione per gli sport. Se non fosse stato per i capelli biondi,
ereditati dalla madre, forse James sarebbe stato identico al padre;
ma era Charlotte la preferita dell'uomo, la cucciola di casa.
Se
si guardava in giro per casa, si potevano notare le fotografie di
tutti i suoi figli, ma la maggior parte ritraevano Charlotte in
braccio al padre. Lei era il suo orgoglio, testarda e schietta
proprio come lui.
Era
un uomo freddo con gli altri, ma affettuoso con la famiglia.
Victoria,
al contrario, era sempre stata una donna solare, aperta con tutti,
forse per la sua professione di psicologa era sempre propensa al
dialogo, soprattutto con le figlie, cosa che le riusciva difficile
con la minore, sempre pronta a contestarla e ad andare contro
corrente.
Era
Allison, per alcuni AJ, la figlia di mezzo, quella chi più
ritraeva la madre sia nei modi che nell'aspetto, eccettuati i capelli
che, come la sorella e il padre, erano castani. Posata, riflessiva e
precisa in tutto quello che faceva; a volte Charlotte la giudicava
noiosa, ma il rapporto tra le due era forte e complice, ogni tanto si
lanciavano frecciatine, ma le sorelle si comportavano in maniera
serena, tanto che Allison era l'unica, in tutta New Orleans, che
poteva chiamarla Lottie.
Ma
c'erano una cosa che contraddistingueva i figli di Jack e Victoria
Sinclair. Tutti, nessuno escluso, portavano almeno un nome di un
pugile famoso. James, per esempio, era stato chiamato così in
onore di James Braddock, il famoso Cinderella Man, ed anche il suo
secondo nome era un tributo ad un camoione del mondo: George Foreman.
Allison
e Charlotte, invece, avevano solo il secondo nome ispirato ad un
pugile. Alla prima era stato dato il nome di Jersey Joe Walcott,
mentre alla minore era stato posto quello del pugile preferito del
padre: Sugar Ray Robinson.
Ormai
era ovvia la passione di Jack per il pugilato; del resto lui stesso
era stato un pugile amatoriale da giovane ed aveva scelto per i figli
dei nomi incisivi e forti perché si ricordassero sempre una
lezione molto importante: la vita non regala mai nulla e, se si vuole
qualcosa, bisogna lottare con i pugni e i denti per ottenerlo.
I
coniugi, nonostante tutto, avevano sempre messo i figli al primo
posto. Prima delle carriere, prima dei soldi, prima di loro stessi.
Forse era stato proprio l'attenzione maniacale verso i figli a
distoglierli dal matrimonio e dal loro amore. Era la costante domanda
che si ponevano entrambi ogni giorno: perché tra di loro era
finita?
Quando
Victoria entrò in casa dell'ex marito, si aspettava di
trovarlo in cucina a preparare qualche sandwich o le solite schifezze
da ingurgitare durante la partita, ma quando varcò la soglia
del salotto lo trovò seduto sul divano a fissare il televisore
spento. «Ciao Jack!»
«Vicky!»
esclamò lui, voltandosi e invitandola a sedersi accanto a lui.
Un
po' titubante la donna lo assecondò fissandolo con i suoi
occhi grigi. La barba di un giorno, i capelli grigi, era un bell'uomo
di cinquantasei anni con ancora il fisico di un quarantenne.
«Ricordi
quando ci siamo conosciuti?»
«Oh
no, stai ricominciando» Victoria alzò gli occhi al
cielo.
«Anche
allora strabuzzavi gli occhi. Ma erano così belli, così
luminosi» sospirò Jack, sistemandosi meglio sul divano.
«Ricordo di aver pensato: quella ragazza sarà mia, costi
quel che costi.»
Victoria
non aveva mai scordato l'assidua corte alla quale Jack l'aveva
sottoposta. Si erano conosciuti da ragazzi, al liceo e, da allora,
erano stati una delle coppie più invidiate della scuola. Si
erano innamorati giovani e, altrettanto giovani, si erano sposati.
Avevano avuto una vita felice, un matrimonio quasi perfetto. Erano
divorziati da così tanti anni che ormai aveva scordato il
motivo della loro separazione.
«Ricordo
che tuo padre mi disse che se ti avessi fatta soffrire mi avrebbe
rincorso per tutta New Orleans con il fucile in mano.» Jack
rise, pensando a Joseph. «Dopotutto abbiamo avuto una bella
vita.»
«Cosa
ci è successo, Jack?» Se lo domandava spesso Victoria
nell'ultimo periodo ed ogni volta la risposta era sempre la stessa.
«Abbiamo
fatto diventare il nostro matrimonio una routine» risposte Jack
con calma, abbozzando un sorriso tirato.
L'amore
non poteva sopravvivere alla routine, si sciupava, diventava qualcosa
di annacquato e privo di vita, fin quando non svaniva nell'ombra dei
ricordi e, tutto quello che restava, non erano altro che sbiadite
rimembranze di ciò che era stato.
Purtroppo
il momento di tranquillità finì ben presto, interrotto
dalle urla strepitanti di una furiosa Charlotte. «Potevi almeno
avvisarmi!»
«Scusa,
non pensavo potesse darti così fastidio!» esclamò
James seguendola all'interno dell'abitazione.
I
due fratelli gesticolavano, urlando come pazzi l'uno verso l'altra.
Karen li seguiva, tenendo le braccia conserte e sbuffando.
«A
che razza di gioco stai giocando?» sbraitò Charlotte. «A
volte mi chiedo se siamo veramente fratelli!»
Victoria
scosse il capo, alzandosi e rivolgendosi a Karen. «Che
succede?»
«James
ha invitato Robert a cena.»
Bastò
solo quella semplice frase e Jack scoppiò a ridere. I figli si
zittirono all'istante, attirati dalla risata sguaiata del padre che,
lentamente, si alzò, avvicinandosi a loro e abbracciandoli.
«Ah, i miei figli!»
Quella
che si prospettava era una giornata molto lunga e fastidiosa per
Charlotte. La domanda che si ponevano le persone quando conoscevano
lei e Robert era sempre la stessa: perché quei due si
odiavano?
La
risposta non era una sola, ce n'erano molte. Avevano iniziato ad
odiarsi da quando erano solo bambini e la cosa era andata avanti per
anni. Dai semplici bisticci alle litigate furibonde. Il loro era un
risentimento covato nel tempo, portato avanti dai loro caratteri
scorbutici e testardi.
Non
c'era un vero e proprio motivo per cui Charlotte e Robert si
odiavano, erano solo un uomo e una donna dai caratteri troppo simili
ma, al contempo, troppo diversi. Charlotte detestava i modi da don
Giovanni di Robert e Robert odiava il cinismo di Charlotte, oppure
non sopportava la verità. Lui aveva scelto una vita senza
legami sentimentali, lei aveva tagliato fuori gli uomini per colpa di
maschi come lui: infedeli e incapaci di amare.
Nemmeno
di fronte alla televisione, con la partita in atto, Robert e
Charlotte riuscivano a trovare un punto d'incontro, il che era
strano, data la passione per lo sport che entrambi condividevano.
Seduto
al centro del divano, tra i due litigiosi, James si sentiva quasi in
colpa. Che cosa gli era saltato in mente? Aveva deciso d'invitare
Robert per senso d'amicizia, in fondo erano amici e lui non voleva
lasciarlo da solo quel giorno; aveva pensato di poter prendere due
piccioni con una fava, approfittando del clima di festa e dell'amore
di Charlotte per il football. Doveva aspettarsi che il suo
comportamento sarebbe stato scorbutico e fuori luogo.
La
sentiva rigida accanto a lui, silenziosa e pronta a qualsiasi
evenienza; lo stesso Robert, con la mano stretta intorno alla
bottiglia di birra e la gamba sinistra sempre in movimento. Per non
parlare degli sguardi del padre, seduto sulla poltrona; quel giorno
non sembrava tanto interessato alla partita. Il Capitano era il loro
diretto superiore alla centrale, ma quel giorno era solo un padre che
osservava la figlia cercare d'ignorare quello che lui riteneva un
buon agente ma un uomo poco affidabile. Ad aggiungersi all'uomo c'era
anche Luke, il marito di Allison, seduto sull'altra poltrona; nemmeno
lui aveva molto interesse verso la partita date le occhiate che, di
tanto in tanto, lanciava verso il divano per poi sorridere. Chissà
perché, ma i Raiders ed i Cowboys quel giorno non riscuotevano
molto successo in quella casa di tifosi dei New Orleans Saints. Forse
gli unici interessati erano i figli di Allison, Liam e Cory di nove e
sei anni.
«In
che cazzo di casino mi sono messo?» sussurrò James,
portandosi una mano al volto, rivolgendo poi uno sguardo a Luke il
quale, sorridendo, alzò la bottiglia di birra al cielo in
segno di sostegno morale.
«Allora,
qualcuno vuole commentare la partita?» domandò James,
rompendo il silenzio che si era creato. «Charlie?»
«Vado
a prendere dell'altra birra!» esclamò lei, alzandosi e
dirigendosi in cucina. Sorpassò nonno Joseph appena entrato in
casa con nonna Rose, rivolgendo loro un saluto appena accennato.
L'uomo
si grattò la barba, guardando gli uomini in salotto. «Che
mi sono perso?»
In
cucina sembrava fosse esplosa una bomba di nome Charlotte. Era
entrata come un treno, seguita da Rose, aprendo il frigo con una tale
forza da far cadere il barattolo sopra di esso. No, lei non era per
niente contenta della presenza di Robert e le donne presenti in
cucina lo sapevano perfettamente.
«Lottie»
le si avvicinò Allison, posandole una mano sulla spalla.
«Non
ora AJ, sto cercando di calmarmi.»
«Che
succede?» fu la domanda che Rose rivolse alla figlia. Le due
donne erano talmente simili che nessuno poteva scambiarle per
estranee, si vedeva subito che lo stesso sangue scorreva nelle loro
vene.
Victoria
scosse il capo. «James ha invitato a cena Robert e Charlotte
non l'ha presa molto bene.»
«Possibile
che tu non riesca a dare a quel povero ragazzo una possibilità?»
Rose era sempre stata una donna schietta, difatti la giovane aveva
ereditato da lei quella parte del suo carattere.
«È
uno stronzo, perché dovrei provare ad andare d'accordo con
lui?»
«Perché
siete fatti della stessa pasta?» fu la risposta/domanda di
Rose.
Bastarono
quelle semplici parole a zittirla. Sei semplici paroline magiche che
costrinsero Charlotte a prendere la sua birra e a dirigersi
all'esterno dell'abitazione. Se fosse esistito un premio per la donna
più sincera del mondo, di sicuro sua nonna l'avrebbe vinto in
ogni edizione.
Si
sedette sull'altalena che suo padre aveva costruito per lei da
bambina, sorseggiando la sua birra. Se doveva dirla tutta, non odiava
Robert, solo non sopportava gli uomini come lui e, di conseguenza,
riportava tutta la rabbia sul primo stronzo che le capitava a tiro e
Robert era sempre lì.
«Posso
sedermi?» fu la domanda di Joseph, ma non attese risposta,
sedendosi accanto
«Sei
qui per dispensarmi consigli da nonno?»
L'uomo
la guardò con un cipiglio severo, senza mai abbandonare la
maschera di duro e forte. «Forse dovresti accantonare, solo per
stasera, le tue divergenze con Robert e provare a divertirti»
disse lui. «Ti stai comportando come una bambina.»
Charlotte
guardò il nonno negli occhi, quelle calde, sincere, profondità
castane. «E se non volessi?»
«Ti
pongo io una domanda: perché lo odi così tanto?»
«Io
non...lasciamo perdere, nonno!» esclamò lei alzandosi e
rientrando in casa. Senza dire altro si sedette sul divano accanto al
fratello, scegliendo semplicemente d'ignorare la presenza di Robert
nella casa dove era cresciuta.
La
cena proseguì senza troppi intoppi, i due litigiosi avevano
semplicemente scelto la via del silenzio stampa, sorridendo e
parlando solo con le altre persone, evitandosi a vicenda e di fare
battute o mandarsi frecciatine. Ma la resa denti conti giunse quando
dovettero tornare a casa e, James, decise di fare un'altra mossa.
«Riaccompagni
tu Charlie? Io e Karen dobbiamo andare a vedere un ristorante per il
matrimonio.»
Robert
aggrottò la fronte, non riuscendo a credere fino in fondo alla
scusa dell'amico. «Un ristorante? A mezzanotte?»
«Certo!»
esclamò James, prendendo la giacca e uscendo velocemente di
casa per evitare qualsiasi altra domanda. Lui e Karen avevano
iniziato un gioco dove Robert e Charlotte erano i partecipanti
primari e loro volevano a tutti i costi far dissipare qualsiasi
incomprensione.
Robert
sospirò, voltandosi verso la donna che si stava infilando il
cappotto. «Va bene.» Si prospettavano quindici minuti di
silenzio o d'insulti, dipendeva dall'umore di Charlotte.
«Buon
ringraziamento, Capitano!» esclamò Robert, salutando
Jack. Sebbene fossero fuori servizio, l'uomo restava pur sempre il
capitano del suo distretto, quindi un'autorità da rispettare
sempre e comunque.
«Buona
serata ragazzi e...Robert» chiamò Jack, facendo cenno
all'uomo di avvicinarsi e mettendogli una mano sulla spalla. «Vedi
di farla arrivare a casa sana e salva.»
«Sì,
signore.»
Jack
sapeva intimidire con un solo sguardo, soprattutto gli uomini che
giravano intorno alla figlia minore, sebbene lui non fosse
minimamente attratto da lei. Metteva paura a volte, in particolare
quando si trattava di proteggere la sua famiglia e Robert lo sapeva
perfettamente.
La
casa dove era cresciuto distava a pochi metri da quella dei Sinclair
e, di conseguenza, era praticamente cresciuto insieme alla famiglia
del Capitano. Era figlio unico ed i bambini in quel quartiere non
erano molti e lui aveva sempre adorato la torta di mele che nonna
Rose portava ogni domenica a casa Sinclair. Era di famiglia, ma non
abbastanza perché Jack si fidasse completamente di lui. Era un
buon detective, ma pessimo nelle relazioni personali.
Di
tanto in tanto Robert lanciava qualche sguardo a Charlotte, seduta
sul sedile del passeggero. Era troppo tranquilla per i suoi gusti.
«Allora» cominciò Robert. «Partita
interessante.»
«Possiamo
non parlare?» sbottò Charlotte aspramente, zittendolo
all'istante.
«Ai
suoi ordini, Cenerentola.»
«E
non chiamarmi Cenerentola!»
Mai
provocarla. Era la prima regola per riuscire a tenere una
conversazione civile con Charlotte, ma Robert la ignorava
completamente. Sembrava provarci gusto. «Come siamo acide.»
«Sei
tu che mi provochi queste reazioni.»
«E
tu sei bravissima a provocarmi il mal di testa, lo sai?»
Charlotte
sbuffò dal naso, trattenendosi dal dargli un pugno. «Tu
sei uno stronzo!»
«E
tu una zitella acida e immatura.»
«Da
che pulpito arriva la predica. Io immatura? Ha parlato l'uomo con un
handicap sentimentale che si scopa qualsiasi donna gli capiti a
tiro.»
«Sei
gelosa di non rientrare nella lista di donne che sono venute a letto
con me?»
Mai
provocarla, prima regola ignorata completamente.
«Ne
sono orgogliosa perché, a loro confronto, io ho una dignità,
aspetto morale che tu ignori completamente!» esclamò
lei, gesticolando animatamente. Era furiosa, fuori di sé,
troppo orgogliosa per darla vinta a Robert e troppo alterata per
concludere la litigata. «Fammi un favore, evita di parlarmi
d'ora in poi.»
Robert
strinse la mascella, accostando l'auto. «Sarai accontentata!»
Per
fortuna quel piccolo viaggio in macchina finì lì e
Charlotte scese sbattendo la portiera. Robert conosceva quella donna
fin troppo bene e, sapeva, nulla poteva farla tornare in sé.
Ripartì sgommando e abbassando il finestrino, sperando che
l'aria fredda della notte di novembre potesse aiutarlo a calmarsi.
Eppure, ogni volta che litigava con Charlotte, in qualche modo si
sentiva quasi bene, come se quelle discussioni fossero risolvibili in
qualsiasi momento. Di sicuro doveva essere ubriaco o pazzo, ma Robert
interpretava quelle liti come semplici bisticci tra fratelli. Si
sarebbero ancora rivolti la parola e, come ogni volta, ci sarebbe
stato un alterco, forte o leggero, avrebbe avuto luogo per sommo
divertimento di Robert. Era tutto un gioco per lui e nulla di più.
Angolo
Autrice:
Nuovo
capitolo, nuovi alterchi. Quei due sembrano proprio fatti per
litigare e iniziamo a capire perché lo fanno.
Robert
per divertimento, Charlotte perché non sopporta gli uomini
come lui.
Karen
e James hanno attuato il loro piano. Prima l'invito a cena e poi la
scusa del ristorante per farli stare da soli. E adesso? Che altro
s'inventeranno?
Siamo
solo all'inizio, ma presto le acque inizieranno a smuoversi. In
questo capitolo abbiamo conosciuto più a fondo la famiglia
Sinclair, nel prossimo scopriremo qualcosa di più su Charlotte
e perché odia i donnaioli come Robert.
Prossimo
aggiornamento 1 luglio!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cap. 3 ***
Capitolo
3
Where
does the good go?
Tegan
and Sara – Where does the good go?
C'era
sempre qualcosa che andava storto. Ogni volta che iniziava bene la
giornata, Charlotte sapeva che prima o poi qualcosa le avrebbe
rovinato tutto e, quel giorno, quel qualcosa aveva volto e nome:
Robert Goodwin.
Era
dal giorno del ringraziamento che continuava a trovarselo di fronte,
come se qualcuno ce lo mettesse, come se ci fossero persone che
cercassero di farli incontrare a tutti i costi. Alla partita di
baseball di Liam, oppure alla caffetteria prima di andare alla radio.
Quell'uomo era sempre sulla sua strada, pronto a criticarla e a
punzecchiarla. Lui e il suo aspetto prestante e le spalle larghe, il fisico atletico di un ex giocatore di football e gli occhi azzurri che attiravano le donne come una carta moschicida, odiava trovarselo di fronte con quel suo sorrisino idiota e strafottente.
E
così, come ogni lunedì mattina, Charlotte, con il suo pitbull
Hannibal, era andata a casa di sua madre cercando un po' di sostegno
femminile, ma quello che aveva trovato non era affatto sostegno.
«Lui
ti piace.»
Con
quelle tre semplici parole sua madre era riuscita ad innervosirla,
certo non che le riuscisse difficile, la innervosiva da quando aveva
cinque anni, tutta colpa di quei vestitini rosa e dei suoi tentativi
di farla assomigliare ad una femmina, quando lei voleva solo giocare
a football con il fratello.
«Come
fa a piacermi, lo detesto!»
«Sai,
Charlotte, a volte amore e odio viaggiano sullo stesso piano»
Victoria aveva sempre quel modo pacato di parlarle che spesso la
faceva addormentare, ma non quella volta.
Charlotte
scosse il capo, cercando di mantenere la calma. «Ed anche tu mi
dirai che tra odio e amore il confine è sottile come ha fatto
nonna Rose?»
«Tu
sei rimasta nella convinzione che l'amore non esiste, solo perché
io e tuo padre abbiamo divorziato quando eri in età
adolescenziale.»
E,
come ogni volta, sua madre smetteva di farle da madre ed iniziava ad
essere la sua psicologa. Perché non era nata in una famiglia
normale?
Come
se non bastasse ci si metteva pure sua sorella all'ora di pranzo
nella caffetteria dell'ospedale. «Magari ti sta corteggiando.»
«Corteggiando?
Secondo te il suo modo di comportarsi è in realtà una
maniera contorta di dimostrarmi il suo affetto?» Charlotte non
riusciva a credere alle parole della sorella. Possibile che si fosse
bevuta il cervello? Forse troppi interventi in un giorno le avevano
dato alla testa.
«Oppure
c'è sul serio qualcuno che cerca in ogni modo di farvi
incontrare per chissà quale motivo.»
«Preferisco
questa opzione!» esclamò lei, infilandosi in bocca un
pezzo di carne alla griglia.
«Magari
è James» propose Allison, pensando a chi potesse essere
così folle da combinare quegli incontri casuali.
Ma
Charlotte scosse il capo. «Se ci tiene alla sua salute mentale
e fisica, non credo che sia in grado di architettare una cosa del
genere.»
«Karen?»
«Sa
che sono intrattabile dopo che vedo Robert, quindi eviterebbe di
farci incontrare solo per non dovermi sopportare dopo.»
«Papà?»
Charlotte
rise, pensando alla possibilità che dietro a quegli incontri
“casuali” ci fosse il padre. No, lui era l'ultima persona
in grado di poter complottare un simile piano. Abbassò lo
sguardo, osservando il muso di Hannibal. Forse era l'unico in grado
di capirla, sebbene fosse solo un cane di due anni. Accarezzò
il manto marroncino, sorridendo quando l'animale, istintivamente, si
mise sulla schiena per poter ricevere un grattino sulla pancia. Di
sicuro era meglio lui di qualsiasi altro uomo avesse mai frequentato.
***
«Sospettano
qualcosa secondo te?»
Karen
corrugò la fronte, sedendosi sulla scrivania di James. «Non
credo.»
«Mia
sorella è furba, per non parlare di Robert.» Per fortuna
Robert non era nei paraggi, ma James si guardò lo stesso
intorno, abbassando la voce; la centrale era piena di telecamere,
magari lui ne stava guardando una. «Comunque, ho un piano.»
Aveva
uno sguardo divertito il suo uomo e Karen non poté fare a meno
che piegarsi verso di lui e invitarlo a proseguire.
«Invitiamoli
al pub stasera.»
«E
tu lo chiami piano?»
«E
poi gli daremo buca.» aveva una strana luce negli occhi e lei
non poté fare altro che sorridere compiaciuta e battere il
cinque col fidanzato.
Quei
due, insieme, erano peggio di qualsiasi mente diabolica in
circolazione.
***
Voodoo
era il pub frequentato solitamente da molti agenti di polizia e
vigili del fuoco. Il proprietario era stato soprannominato Ozzy non
solo per la somiglianza col noto cantante ma anche per il nome del
locale. Lo stesso Sam, il titolare, aveva ammesso di averlo scelto
non solo per la posizione dove aveva aperto il pub, a pochi isolati
dal quartiere dove, si diceva, fosse vissuta la nota Marie Laveau,
regina del voodoo di New Orleans, ma anche per una canzone dei Black
Sabbath: Voodoo.
Sam
era un fanatico della musica rock e metal, a tal punto da tappezzare
il pub con locandine di concerti, chitarre firmate e foto con
autografi di noti cantanti e musicisti dell'ambiente. Quella di cui
andava più orgoglioso, di fatti, era una fotografia che lo
ritraeva accanto a Ozzy Osborne e, quando qualcuno la osservava, a
volte li scambiava per gemelli.
Quella
sera Karen aveva dato appuntamento a Charlotte al Voodoo, ma quando
la donna entrò e si diresse al bancone, non c'era né
l'amica né il fratello, bensì quel coglione di Robert.
Sconsolata,
immaginando che avrebbe trascorso la serata anche con lui, gli si
sedette accanto, sbuffando. «Fammi indovinare, ti ha invitato
mio fratello!»
«Fammi
indovinare, hai di nuovo bevuto l'aceto!»
Charlotte
alzò gli occhi al cielo, cercando di non rispondere all'uomo.
Ordinò una birra, continuando a guardare la porta d'ingresso
nel tentativo d'ignorare Robert, ma lui non le rendeva facile lo
sforzo.
«Mi
sono sempre chiesto come faccia un bravo ragazzo come James ad avere
una sorella, fuori di testa come te.»
«Io,
invece, mi sono sempre chiesta come mio fratello sia diventato amico
di una stronzo come te!»
Era
sempre un tira e molla, una battuta dietro l'altra e il loro continuo
non sopportarsi, ma l'attesa diventava snervante e, per smorzarla, i
due iniziarono a bere una birra dietro l'altra. Ben presto divenne
evidente che James e Karen avevano dato buca ai due amici per chissà
quale motivo e il tasso alcolico nel sangue di Charlotte e Robert
iniziava ad essere alto.
Alla
quinta tequila, dopo altre due birre, Robert decise di porre una
domanda che da anni lo opprimeva. «Perché ci odiamo?»
«Credo
che tu conosca la risposta!» esclamò Charlotte,
ingollando la tequila che Sam le aveva appena servito. «Tu sei
tu ed io sono io.»
Robert
alzò un sopracciglio mentre il malcapitato Sam riempiva i loro
bicchieri. «Sei già ubriaca?»
«Per
tua informazione, mister provolone, io reggo gli alcolici meglio di
te.»
«Ok,
allora puoi rispondere alla mia domanda?»
«L'ho
appena fatto!» strabuzzò gli occhi Charlotte.
Robert
non sapeva se ridere o piangere. Quella donna era la quintessenza del
cinismo, un concentrato di sarcasmo pungente e acidume che poteva far
scappare qualsiasi uomo. Eppure lui era rimasto in quel pub, con lei.
«Tu
sei un don Giovanni, ci provi con qualsiasi donna ti capiti a tiro e
non hai il coraggio di provare a far funzionare una relazione.»
Charlotte l'aveva guardato negli occhi, portandosi una mano al
fianco. «Tratti le donne come oggetti di piacere, ti diverti a
spezzare loro il cuore e a mollarle dopo una sola notte di sesso.»
«Mi
odi per solidarietà femminile?»
«Una
specie» disse Charlotte, facendo spallucce.
Ma
Robert sentì che c'era altro, qualcosa che Charlotte stentava
a dire. Poi il ricordo di una conversazione lo fece sorridere. «Tu
mi odi per colpa di Eric!»
La
donna s'irrigidì all'istante. Erano anni che nessuno nominava
Eric. «Che cosa?»
«Eric,
quel fighetto che ti ha mollata al ballo del liceo per farsi Pamela
Williamson» ricordò Robert. «Sì, quanti
anni avevi, sedici, diciassette? Stavate insieme ma poi avevi
scoperto che ti tradiva con mezza squadra di cheerleaders!»
«Punto
primo: io non ti odio per colpa di una storiella adolescenziale
finita male» Charlotte agitò l'indice di fronte al volto
di Robert, ormai furiosa. «Punto secondo: tu non sai cosa sia
veramente successo. Punto terzo: sei un coglione!»
Robert
rimase interdetto dalla collera dimostrata da Charlotte, tanto che
rimase immobile mentre lei usciva dal locale completamente fuori di
sé. No, non poteva finire lì. Spinto da uno strano
senso di protezione e curiosità verso la donna, pagò e
uscì, inseguendola per strada. Camminava dietro di lei, senza
dire nulla, con le mani nelle tasche e l'alcool in corpo che gli
faceva girare la testa. «Charlie, mi dispiace!»
«Ti
dispiace?» si voltò lei furiosa. «Ti dispiace?»
Robert
deglutì, alzando le mani in segno di resa, mentre lei gli
puntava il dito al petto. Certo che l'alcool le faceva uno strano
effetto.
«Tu
non sai nulla di me. Sin da bambini non hai fatto altro che
tormentarmi. I capelli bruciati, le bambole seppellite in giardino»
urlava Charlotte, incurante dei passanti che la guardavano straniti.
«Al liceo spargevi voci fasulle sul mio conto ed ora, da
adulti, continui a tormentarmi ripetendomi quanto sia inadeguata e
acida per una relazione stabile. Ma tu che ne sai di cosa vuol dire
amare qualcuno e dargli tutto: cuore, corpo, anima...che ne sai della
sofferenza, di cosa significa essere usati e poi gettati via come
spazzatura. Tu non sai nulla!»
«Ora
stai esagerando» disse lui a denti stretti, prendendola per le
spalle, strattonandola e guardandola negli occhi.
E
tutto si era ridotto a quell'insignificante particolare, quei
semplici occhi azzurri che l'avevano incatenata e fatta sentire
minuscola e fragile.
Mai
nella sua vita aveva provato un tale senso di impotenza dinnanzi ad
un uomo; sin dall'infanzia, dopo aver imparato a sopravvivere, non
aveva mai permesso a nessuno di farla sentire sottomessa o senza
forza. Lei non era una donnina che si lasciava dominare, era un
uragano in piena attività che nessuno poteva fermare.
«Ti
accompagno a casa.» si riprese Robert. Era stato un attimo, ma
quel semplice sguardo li aveva calmati entrambi.
Camminavano
in silenzio, immersi nei loro pensieri. Robert si sentiva quasi in
colpa per aver riportato a galla una vecchia ferita, per lui
Charlotte era una specie di sorella minore acquisita, certo si
detestavano, ma quando dormiva era sopportabile.
Però,
per lui, quel silenzio era insostenibile, molto più della
parlantina di Charlotte. «Allora, come sono andate le cose?»
«Chiudi
il becco!»
«Hai
detto che non so nulla, quindi mettimi al corrente di quello che è
successo fra te ed Eric, magari possiamo organizzare insieme il suo
omicidio.»
Era
una battuta macabra, ma fece comunque ridere Charlotte e questo bastò
a Robert. Non era facile farla ridere, ma doveva ammettere che quel
sorriso era splendido.
«Uccidere
Eric per un fatto avvenuto quando ero un'adolescente?»
«Certe
persone uccidono per molto meno» fece spallucce Robert. «Sono
un poliziotto, potrei aiutarti a fare piazza pulita di tutti quegli
ex che ti hanno ferita.»
«Sai,
questa mentalità non è da te.»
«Non
è da noi parlare senza litigare, ma credo che per stasera
abbiamo fatto il pieno, quindi...che è successo?»
Charlotte
si fermò, guardandosi le punte degli stivali. Non era da lei
aprirsi con Robert, ma l'alcool e quella sensazione di agio la fecero
aprire. «Eric mi ha usata.»
Merito
dell'alcool.
«Lui
mi ha presa in giro, voleva solo una cosa e, quando l'ha ottenuta, mi
ha piantata.» Charlotte riprese a camminare. Sentiva lo sguardo
di Robert su di sé ma, a differenza delle altre volte, non la
infastidiva. «Sono stata una stupida e quell'errore l'ho
ripetuto tante altre volte. Eric non è il solo, lui è
stato il primo di una lunga lista di stronzi che sono entrati nella
mia vita.»
Robert
ascoltava e si sentiva quasi un fratello maggiore, come se stesse
ascoltando le confidenze di una sorellina in difficoltà. Dopo
anni di litigi era bastata una sola sbronza a calmare gli animi. Se
solo ci avesse pensato prima.
«E
tu?» domandò all'improvviso Charlotte. «Cosa ti ha
reso un don Giovanni incapace di legarsi ad un altro essere umano?»
L'uomo
fece una smorfia, portandosi l'indice alla bocca, come se stesse
pensando. «Nulla!»
«Nulla?»
«Nulla!»
«Quindi
hai un handicap sentimentale di natura» sbottò
Charlotte, ridendo e dandogli una spallata.
Robert
annuì, stringendo gli occhi a due fessure. «Diciamo che
non ho ancora incontrato una donna in grado di farmi dimenticare
tutte le altre donne.»
«Questo
conferma che sei uno stronzo di natura.»
«E
tu sei complicata, Charlotte.»
Charlotte
rise, annuendo e fermandosi di fronte alla palazzina dove abitava.
«Arrivata.»
«Perché
non parliamo mai in questo modo?»
Quella
domanda la colse di sorpresa, ma lei conosceva la risposta. Piegò
leggermente la testa, dando una pacca sul braccio a Robert. «Perché
normalmente siamo sobri!»
Lui
annuì, osservandola salire i gradini ed entrare nell'edificio.
Che cosa stava succedendo tra loro due? Era forse quella la loro
partenza buona?
Angolo
Autrice:
Il
pub Voodoo non esiste, me lo sono inventato.
Ed
ora abbiamo scoperto alcuni altarini e le delusioni di Charlotte, ma
non fatevi ingannare da questo lampo i benevolenza nei due, perché
tra loro non sarà così facile.
Quindi
restate in allerta e aspettate di vedere che combinano!
Teoricamente,
dovrei aggiornare l'11, ma dato il matrimonio di mia cugina,
aggiornerò il 14!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cap. 4 ***
Capitolo
4
That's
Life
Frank
Sinatra – That's Life
La
voce di Frank Sinatra riempiva la tavola calda Seven. Era
accogliente, tranquilla, come i ricordi della sua infanzia. Charlotte
ricordava le corse dietro al bancone e le risate in cucina con nonno
Joseph; era praticamente cresciuta in quel locale.
Il
Seven era stato fondato alla fine degli anni '20 dai suoi bis nonni:
Julianna e Victor Lebeau, genitori di sua nonna Rose. I due erano di
estrazioni sociali diverse. Julianna una nobile inglese e Victor un
inserviente di colore. Lei aveva rotto le regole innamorandosi di un
semplice cameriere di razza diversa. Era andata contro tutto e tutti,
ma alla fine aveva vinto, riuscendo a sposarlo e, insieme, a fondare
la tavola calda.
Da
bambina Charlotte aveva ascoltato per ore intere quella storia,
sospirando ogni volta, sognando di poter vivere un amore intenso e
duraturo come il loro. Sua nonna era nata da quell'unione che andava
contro le regole di quei tempi, era cresciuta come figlia mulatta, ma
sempre orgogliosa di avere sangue misto. La sua pelle color caffè
latte ed i suoi occhi azzurri ereditati dalla madre, in contrasto con
la carnagione ed i capelli castani, erano il segno di ciò che
era: la figlia di due culture.
Charlotte
sentiva sempre quell'atmosfera nel Seven, era come se ogni parete
urlasse per raccontare dell'amore che aveva spazzato via ogni
pregiudizio perché la felicità potesse prevalere.
Peccato che amori simili ormai si contavano sulle dita di una mano.
Seduta
al solito tavolo, scriveva senza sosta, preparando l'ennesimo
intervento radiofonico che avrebbe tenuto centinaia di donne
incollate alla radio.
«Che
cosa ti preoccupa?»
Quella
voce calda la fece sobbalzare. Sua nonna la stava osservando
dall'alto con la brocca del caffè in mano e un sopracciglio
inarcato.
Sbatté
le palpebre un paio di volte, non riuscendo a capire il senso di
quella domanda. «Come nonna?»
Con
un sospiro la donna le si sedette di fronte. «Sei qui da tre
ore e hai bevuto solo caffè. Solitamente ordini sempre
pancakes e muffin la mattina, ma oggi no, quindi qualcosa ti
preoccupa.»
«Solo
perché non ho fame non vuol dire che qualcosa mi preoccupi.»
«Charlotte,
tu hai sempre fame.»
Che
cosa doveva fare? Dire solo la verità. Con nonna Rose non
c'era scampo, quella donna aveva le antenne per captare qualsiasi
emozione o quant'altro.
«Si
tratta di Robert?»
«Come
fai a saperlo?»
«Sono
tua nonna, io so sempre tutto!»
Charlotte
sospirò, portandosi le mani al volto e sfregandosi gli occhi.
«Non capisco più nulla.»
Si
sentiva confusa e frastornata. La sera prima lei e Robert avevano
parlato come se tra loro tutto fosse sempre andato bene; riportare a
galla la storia di Eric aveva riaperto vecchie ferite, ma era stato
il comportamento di Robert a metterla in soggezione. Perché
l'aveva ascoltata senza punzecchiarla? Forse aveva bevuto troppo.
«Non
fate altro che litigare, magari è giunto il momento di fare
pace» disse Rose. «Magari lui potrà aiutarti ad
essere più aperta.»
«Nonna,
ho studiato psicologia come la mamma e capisco quando una persona
cerca di aggirarmi e farmi fare quello che vuole» sospirò
Charlotte, alzando nuovamente la solita barriera immaginaria. «E
tu stai cercando di spingermi verso Robert da anni!»
Rose
rise, scuotendo il capo. «E cosa c'è di male?»
Come
a darle man forte, Hannibal abbaiò, facendo sobbalzare
Charlotte. «Grandioso, ora ti ci metti anche tu?»
«Robert
è l'unico uomo, al di fuori della famiglia, col quale hai un
rapporto d'amicizia. Hai chiuso fuori gli altri uomini per impedire a
te stessa di soffrire, ma facendolo hai lasciato alle tue spalle
quelli che potevano darti molto...Robert compreso.»
«Quante
volte devo dirti che tra me e Robert non accadrà mai nulla,
nemmeno se viene giù Domineddio in persona!»
***
«Che
ti prende stamattina?»
«Come?»
Robert si riscosse, sentendo la voce di James accanto a lui. Seduto
in macchina non si era reso conto di essersi perso nei suoi pensieri.
«Hai
la testa altrove. Posso conoscerne il motivo?» domandò
con insistenza James, continuando a guidare.
La
verità era che nemmeno lui sapeva cosa gli stava prendendo.
Era tutto così strano, Charlotte che si apriva con lui, la
loro chiacchierata tranquilla, il sapere perché da bambina
sognatrice e innamorata della favola di Cenerentola era divenuta una
donna cinica e acida l'aveva leggermente lasciato basito. Aveva
trascorso la notte a guardare il soffitto, meditando il da farsi.
Poi,
in quell'istante, un'idea gli balenò in mente. «Sai se
Eric Anderson vive ancora qui?»
«Perché
mi chiedi di quel coglione?» aggrottò la fronte James.
Ricordava il modo in cui, anni prima, quel pidocchioso stronzo aveva
illuso e abbandonato sua sorella. «C'entra per caso Charlie?»
«Tu
rispondi alla mia domanda!»
James
rimase interdetto, ma sapeva che se Robert si metteva in testa una
cosa difficilmente cambiava idea, esattamente come Charlotte. «So
che ha fatto carriera come chirurgo plastico. Ha uno studio privato
in centro.»
«Sposato?»
«No,
ama la vita da single come te. Credo ti faccia concorrenza!»
esclamò James. «Ma perché tutto questo interesse
verso un coglione che ha solo usato mia sorella?»
«Nulla.
Mi sono ricordato di come l'avevi gonfiato dopo aver saputo cosa
aveva fatto.»
James
rise. Aveva rotto il setto nasale a Eric quando, dopo molti
tentativi, era riuscito a scoprire cosa quell'essere aveva fatto a
Charlotte. Ricordava di essere andato con Robert al campo di football
dove di solito Eric portava le sue conquiste e, trovato dietro le
tribune con Pamela Williamson gli si era scaraventato contro,
colpendolo al volto con un destro ben assestato.
«Quel
naso se l'è fatto ricostruire, sai?»
«Ma
nessuno ha ricostruito l'orgoglio ferito di Charlie» bofonchiò
Robert, guardando fuori dal finestrino.
«Cosa
è successo tra voi due ieri sera?»
«Abbiamo
parlato» affermò Robert. «Solo parlato.»
Era
un passo avanti, pensò James, sorridendo e sperando che quella
semplice chiacchierata tra i due non producesse dei danni collaterali
a sfavore di Eric, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto fargliela
pagare ancora un po'.
«Di
preciso, cosa accadde?» domandò all'improvviso Robert,
sorseggiando il caffè che avevano preso poco prima.
«Tra
Charlie ed Eric?»
Robert
annuì, curioso come una pettegola. Charlotte aveva parlato per
enigmi, ma nonostante gli anni, ancora non sapeva cosa fosse
realmente successo.
«Charlie
era vergine e lui le girò intorno per parecchio, si misero
insieme e sembrava che l'amasse, che fossero una bella coppia
poi...poi lei, beh, perse la verginità con lui ed Eric dopo
quella sera iniziò a trattarla come tutte le altre»
James strinse il volante lasciando che le nocche sbiancassero. «Fece
lo stronzo e la piantò la sera prima del ballo per poi
presentarsi alla serata con Pamela Williamson. Charlie non volle
dirmi cosa fosse successo e poi scoprii che lui l'aveva lasciata per
quell'altra. Non ci misi molto a fare due più due.»
«E
mi hai trascinato a spaccargli il naso.» sorrise Robert e,
inconsciamente, strinse il pugno talmente forte che tremò. Non
sapeva da dove veniva tutto quel senso di protezione verso quella
donna che definiva la sua spina nel fianco, ma aveva una gran voglia
di rompere nuovamente quel naso rifatto con tutte le sue forze.
Poteva
capire il tradimento, dopotutto Eric era un donnaiolo come lui, ma
illudere una ragazza, usarla e abbandonarla era da infame.
«Da
ragazzo si faceva di erba...chissà, il lupo perde il pelo ma
non il vizio.»
Male,
molto male. Quando Robert guardava James con quello sguardo risoluto
e folle al tempo stesso, l'uomo sapeva che stava tramando qualcosa
ma, quel giorno, bastarono solo quelle parole per convincerlo ad
assecondare i suoi piani diabolici.
E
pensare che Robert e Charlotte erano più simili di quanto
potessero immaginare. Potevano essere una bella coppia, ma quei due
erano più ottusi di un mulo.
***
«Toc!
Toc!»
Se
c'era una cosa che Charlotte adorava fare dopo colazione era andare a
trovare il padre in centrale. Da bambina si rifugiava spesso in
quell'ufficio, sedendosi sulla poltrona per osservare le fotografie
sulle scrivania. Amava suo padre, era l'uomo più retto ed
onesto che avesse mai incontrato. L'aveva sempre utilizzato come
misura per valutare gli uomini che la circondavano ma nessuno era mai
riuscito ad eguagliarlo; ai suoi occhi nessuno poteva essere migliore
di Jack Sinclair.
«Chucky!»
l'accolse Jack, alzandosi per abbracciarla. S'illuminava sempre
quando la vedeva. La figlia prediletta, la principessa da proteggere
e la donna forte che ormai era diventata. «Che ci fai qui?»
«Passavo
da queste parti.»
«È
successo qualcosa?» domandò scrutando la figlia
attentamente. I suoi occhi non sapevano mentire, erano in grado di
dirgli la verità molto prima che lei potesse anche solo
mentire e Charlotte lo sapeva.
Lentamente
sganciò il guinzaglio di Hannibal, lasciando che il cane
saltasse sul divanetto dell'ufficio mentre lei faceva spallucce.
«Ieri ho avuto una conversazione civile con Robert. La prima in
diversi anni e...e mi è piaciuto.»
Jack
non apprezzava i modi di fare di Robert. Lo reputava un buon agente,
ma un uomo che nessun padre voleva vedere accanto alla figlia. Era
bravo, simpatico, ma non adatto alle relazioni sentimentali; troppo
preso dalle convinzioni che uscire con donne diverse fosse meglio che
stare con una sola per tutta la vita.
«Per
non parlare del modo in cui mi ha guardata dopo che gli ho raccontato
come sono andate le cose con Eric» proseguì Charlotte,
sedendosi sulla sedia, imitata dal padre che la osservava
attentamente. «Per la prima volta da anni mi sono sentita
impotente.»
«Provi
qualcosa per lui.»
«Lo
detesto!»
«Questo
è risaputo» sbuffò Jack. «Ma tu e tua madre
avete questa sindrome della crocerossina. Volete a tutti i costi
sperare che i cattivi ragazzi possano redimersi ma...»
«Io
non voglio redimere Robert, io voglio che stia alla larga dalla mia
vita!»
«Ma?»
C'era
sempre un ma quando si trattava di Robert. Charlotte sapeva di non
poter evitare l'uomo, ma poteva benissimo tenerlo alla larga dal suo
cuore. Aveva conosciuto troppi uomini narcisisti e casanova come lui,
questo la spingeva a detestarlo, ma era successo qualcosa su quel
marciapiede, qualcosa che la stava spingendo a domandarsi se fosse
possibile essere amici e non nemici. In fondo erano abbastanza
simili, entrambi disprezzavano l'amore, magari potevano fare di quel
pensiero il loro punto d'incontro.
«Non
lo so. So solo che sono confusa.»
Jack
annuì, baciandole la fronte. «Lo capirai da sola,
Chucky!»
Stava
per aggiungere altro, ma degli schiamazzi all'esterno dall'ufficio
attirarono la loro attenzione. Robert e James stavano trascinando un
uomo in manette, urlante e furioso per chissà cosa.
«Ma
che diavolo?» Jack andò loro in contro. «Si può
sapere che cavolo succede?»
«Eric
Anderson, Capitano» rispose Robert.
«L'abbiamo
trovato con questa addosso.» James prese dalla tasca una
bustina di plastica.
Jack
l'aprì, annusandone il contenuto. «Marjuana.»
«Non
è mia!» esclamò Eric, agitandosi mentre Charlotte
osservava la scena divertita. Si sentiva quasi soddisfatta a
vederlo in manette, era come una rivincita per lei. Quell'arresto non
la convinceva, soprattutto quando incrociò lo sguardo di
Robert, decisamente poco professionale. Quell'arresto puzzava di
bruciato, ma suo padre non oppose resistenza, né sollevò
obbiezioni.
«Portatelo
in cella!» si limitò ad urlare, sorridendo dietro ai
baffi. Di certo, anche lui, provava soddisfazione come la figlia.
La
vita era proprio strana, Eric forse non era stato l'unico stronzo
nella lista dei ragazzi di Charlotte, ma quel giorno era certamente
il capro espiatorio.
Sinatra
aveva proprio ragione: è la vita, è quello che dicono
tutti.
Angolo
Autrice:
Ed
ecco questo capitolo che, spero, vi sia piaciuto.
Charlotte
inizia a sentirsi confusa, Robert ha propositi di vendetta che non
dovrebbe avere e abbiamo conosciuto meglio nonna Rose e papà
Jack.
Per
non parlare di Eric, arrestato per vendetta. James e Robert sono
terribili insieme, ma aspettate il prossimo capitolo, ne vedremo
delle belle!
Un
bacione, ci vediamo tra dieci giorni!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Cap. 5 ***
Capitolo
5
If
Everyone Cared
Nickelback
– If everyone cared
«Ad
Eric!»
Un
brindisi alzato al cielo insieme alla musica rock che suonava nel pub
Voodoo. Dopo l'arresto poco chiaro di Eric, Charlotte si era sentita
euforica, tanto che aveva festeggiato per tre giorni di seguito.
Quello era il quarto durante il quale, finalmente, era riuscita a
convincere il padre a lasciare a James e Robert una serata libera.
Per
punirli Jack aveva assegnato loro turni notturni. Sebbene anche lui
avesse gioito di quell'arresto, non poteva farla passare liscia ai
due che, aggirando le regole, avevano finto di trovare nella tasca di
Eric un sacchetto di erba, estorto poco prima ad un loro informatore.
Non si erano mai abbassati ad utilizzare il distintivo come arma per
una vendetta personale, ma per una volta avevano scelto di fare
un'eccezione. Fortunatamente non c'erano testimoni che potessero
avvalorare la tesi del povero malcapitato, così Eric se l'era
cavata con una notte in cella e un'uscita su cauzione, per non
parlare del processo per possesso di stupefacenti al quale sarebbe
presto andato in contro. Era la sua parola contro quella dei due
detective.
Ah,
la vita iniziava ad essere bella per Charlotte, ma qualcuno aveva
altre intenzioni quella sera e il destino aveva deciso di metterci lo
zampino. O meglio, Karen e James.
Il
telefono della donna squillò all'improvviso costringendola ad
allontanarsi per qualche secondo, tornando poi con uno sguardo
decisamente aggressivo. «Mia madre ha un'altra crisi isterica!»
«Ti
accompagno.»
Fu
questa frase di James la parte strana della conversazione. Lui non
sopportava la madre di Karen e le sue crisi di pianto isterico. Le
capitava qualche volta, quando guardava le fotografie della figlia da
piccola; all'improvviso piangeva e si disperava per il matrimonio
imminente e lei era costretta ad andare a trovarla per
tranquillizzarla e dirle che niente sarebbe cambiato. Solitamente
James le girava al largo, ma quella sera no.
Certo,
se Charlotte e Robert li avessero seguiti al parcheggio, avrebbero
notato i sorrisi e le risate vittoriose dei due, comprendendo che era
tutto un piano per lasciarli da soli. Ma non lo fecero, restarono
semplicemente seduti al tavolo, in silenzio, troppo tesi per parlare
tra di loro.
Charlotte,
alla fine, si decise a interrompere quel silenzio. «Ehi,
nessuna donna da puntare?»
Una
bionda era appena passata accanto a loro e Robert non si era voltato
per guardarla. Strano, lui aveva un debole per le bionde.
«Nessuna»
affermò lui, tenendo la testa bassa. «Come mai sei così
gentile stasera?»
Era
sospetto quel suo comportamento troppo tranquillo nei suoi confronti.
Normalmente l'avrebbe evitato come la peste, invece quella sera si
era seduta di fronte a lui senza fare battutine o osservazioni sui
suoi comportamenti troppo maschilisti.
«Ho
come la sensazione che dietro al piano di arrestare Eric non ci sia
mio fratello ma te!»
«Te
lo giuro, ha fatto tutto James!» esclamò lui alzando le
mani.
Ma
Charlotte rise, scuotendo il capo e piegandosi leggermente verso di
lui. «In ogni caso, grazie.»
Perché
doveva sorridergli a quel modo? Robert aveva un debole per quel
sorriso. Se fosse rimasta cinica e rompiscatole sarebbe stato facile
detestarla, ma quella sera non ci riusciva.
Dannato
alcool!
Una
birra, poi un'altra, la tequila e ben presto abbandonarono il locale.
New
Orleans iniziava a vestirsi delle luci natalizie, ormai mancavano due
settimane alla festività e tutti, intorno a loro, sembravano
in festa.
«Quando
avevo sedici anni presi di nascosto l'auto di mia madre per andare ad
una festa. Al ritorno ero talmente fatta da immaginare un alligatore
in mezzo alla strada» rise Charlotte, iniziando a ricordare le
sue scorribande da adolescente.
Aveva
avuto quella che si poteva definire un'adolescenza piuttosto
movimentata. Non era mai stata una ragazza tranquilla o timida, certo
aveva trascorso gran parte di quegli anni a credere nelle favole, ma
aveva smesso dopo i quindici anni, quando i genitori divorziarono.
Robert
rideva di gusto, immaginando la scena. «Ricordo quella sera,
James ed io eravamo all'accademia quando tua madre lo chiamò
per chiedere se sapeva dove ti trovassi.»
«Ah,
io non ricordo molto, so solo che al ritorno sbandai e uscii di
strada, finendo nella proprietà del vecchio Abe!»
esclamò Charlotte, abbassando poco dopo lo sguardo. «Quando
arrivai in centrale e vidi lo sguardo di mio padre mi sentii
colpevole. Mi lasciò in cella tutta la notte ed io, durante
quelle ore, non riuscii a chiudere occhio. Mi giravo e rigiravo su
quella branda continuando a pensare alla delusione che avevo letto
nei suoi occhi.»
Camminavano
l'uno di fianco all'altra, costeggiando la riva del Mississipi.
Ridevano come se nulla tra loro fosse mai successo, come se fossero
sempre stati amici.
«E
tu? Qualche scheletro nell'armadio?» domandò Charlotte,
dandogli una spallata.
Robert
sorrise, infilandosi le mani nelle tasche della giacca di pelle per
sfuggire al freddo di dicembre. «A quindici anni mia madre mi
sorprese mentre...beh, mentre mi masturbavo.»
Se
non ci fosse stata la penombra, probabilmente Charlotte avrebbe
potuto notare il rossore sulle guance di Robert, ma era troppo
intenta a ridere per riuscire a farci caso.
«Questa
batte qualsiasi momento imbarazzante!»
«Non
me lo ricordare» sbuffò Robert. «Subito dopo mi
dovetti sorbire una predica di dimensioni epocali. Immaginati se mi
avesse beccato in piena attività con una ragazza.»
«Ti
avrebbe fatto la predica su quanto sia importante il sesso sicuro o
l'astinenza fino al matrimonio.» Charlotte rise, fermandosi per
riprendere fiato a causa delle troppe risate. Era così strano
divertirsi con Robert, camminargli accanto; sembrava quasi un
appuntamento.
Poi
sospirò, mordendosi il labbro inferiore e ponendo quella
domanda che gli ronzava nella testa da giorni. «Perché?»
Robert
corrugò la fronte, guardandola dall'alto. Era più alto
di lei di almeno dodici centimetri. «Come?»
«Perché
hai arrestato Eric?» era il momento migliore per chiederlo.
Grazie all'alcool nei loro corpi, entrambi erano più sinceri e
propensi a raccontarsi la verità.
Difatti
Robert deglutì, stringendosi nelle spalle. «Sarò
anche uno stronzo, ma non sopporto vedere altri uomini trattarti
male.»
Erano
le parole di un uomo sbronzo, ma lo era anche Charlotte ed i freni
inibitori erano andati a quel paese alla quarta birra. «Quindi
vuoi essere l'unico a potermi trattare male?»
«Diciamo
che io mi comporto da stronzo con le donne, ma Eric si è
comportato da vero bastardo con te e non volevo che la passasse
liscia!»
«Anche
se è successo più di undici anni fa?»
«Esattamente!»
esclamò Robert dandole le spalle e avviandosi.
Sorridendo,
però, Charlotte gli corse dietro, saltandogli sulla schiena,
rischiando di far cadere entrambi. «Allora mi vuoi bene!»
«Voglio
bene alla Charlotte ubriaca, non alla Charlotte sobria.» Robert
sistemò la donna sulle sue spalle, portando le braccia sotto
le sue ginocchia e lasciando che lei gli cingesse il collo con le
braccia. Poteva sentire il suo mento sfiorarlo e questo lo fece
sorridere mentre si avviava con lei in spalla verso casa. Sentiva la
testa leggera e uno strano senso di felicità in corpo
attribuibile alle birre e alla tequila.
Erano
così ubriachi da faticare ad inserire la chiave nella toppa
della porta e, una volta entrati, dovettero reggersi l'una all'altro
per non cadere. Se prima Robert era riuscito a portarla in spalla,
ora il tasso alcolemico iniziava a farsi sentire, costringendolo a
lasciarsi andare sul divano, riconoscendo l'appartamento di
Charlotte.
«Dovrei
andare a casa» biascicò lui.
Charlotte
si sedette accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Dovresti.»
Lei
cercava di mantenere gli occhi aperti, ma tutto intorno a lei
vorticava velocemente e il senso della realtà iniziò a
vacillare. Il suo autocontrollo non esisteva più, sentiva solo
il forte profumo di Robert inebriarle i sensi. Aveva un debole per
quell'aroma di muschio e ambra, quella nota pungente che l'attraeva
come un'ape verso il fiore più prelibato.
«E
se non volessi?» domandò allora Robert, guardando
Charlotte in maniera strana, avvicinandosi lentamente al suo viso.
Una parte di lui gli urlava di fermarsi, ma l'altra era completamente
succube dell'alcool, tanto da mandare a quel paese ogni freno
inibitore insieme a quello che rimaneva del suo orgoglio.
La
donna era ipnotizzata da quegli occhi azzurri, tanto da non riuscire
a staccare lo sguardo da essi. «Mi gira la testa.»
«Anche
a me.»
«Forse
non dovremmo.»
«Hai
ragione.»
Ma
i loro volti erano fin troppo vicini e Charlotte si sentiva
completamente in balia di quelle mani che correvano sul suo corpo
privandola della giacca; troppo presa da quegli occhi che la stavano
spogliando con lo sguardo. «Domani ce ne pentiremo.»
«Lo
penso anch'io.» Robert non sapeva che cavolo gli stesse dicendo
la testa, ma c'era qualcosa che lo spingeva ad accarezzare quel viso
ovale che fin troppe volte aveva visto infuriato. Era bella, non come
le donne che solitamente frequentava, bionde e alte, ma aveva un suo
fascino. Forse erano gli occhi dolci e luminosi, o il carattere
spigoloso e sarcastico che la distingueva da tutte quelle che aveva
conquistato e lasciato nell'arco di una notte. Oppure erano le birre
che aveva ingerito. Non lo sapeva, ma sentiva di volerla ad ogni
costo.
A
nessuno dei due importava delle conseguenze, tanto meno a lui; voleva
assaporare quelle labbra, quel corpo a lui sconosciuto. La desiderava
senza nemmeno saperlo, senza averlo mai pensato. A pochi centimetri
da lei provò a desistere ma, alla fine, decise di gettare via
quel poco di lucidità che gli era rimasta, baciando Charlotte
con frenesia e passione.
Un
bacio e poi un altro, era come se qualcosa li costringesse a
continuare. Non era istinto, nemmeno disinibizione, era pura e
semplice attrazione.
I
loro corpi si stringevano tra loro come a non voler mai lasciarsi. Le
mani frenetiche spogliavano e accarezzavano mentre le labbra si
saziavano del sapore dell'altro. Era come se quello che stavano
facendo l'avessero atteso e desiderato per anni e anni senza mai
riuscire ad esprimersi. I fumi dell'alcool avevano abbattuto le
barriere e mandato a quel paese i freni inibitori, si volevano e
quando riuscirono ad aversi fu solo sentimento e nessuna logica.
Angolo
Autrice:
Ve
l'avevo detto che il capitolo cinque riservava una piccola sorpresa.
Eh,
l'ho sempre detto di non bere alcolici col nostro peggior nemico, si
finisce sempre per fare la pace in maniere poco consone!
Quasi
mi dimenticavo di specificare un piccolo particolare: ogni capitolo
porta il titolo di una canzone.
Prossimo
aggiornamento domenica 3 agosto, buona lettura!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Cap. 6 ***
Capitolo
6
I'm
Gonna Be (500 Miles)
The
Proclaimer – I'm gonna be (500 miles)
Che
cavolo aveva fatto?
Nulla
era più umiliante e degradante di ritrovarsi a letto,
completamente nuda, avvinghiata al corpo altrettanto nudo di Robert
Goodwin.
Aveva
un terribile mal di testa e la bocca impastata, ma tutto ciò
non le impedì di andare completamente nel panico. Che cosa
aveva fatto la sera prima? Ricordava di aver lasciato il Voodoo con
Robert e di aver camminato e riso con lui e più cercava d
ricordare, più il mal di testa saliva.
Silenziosamente
si alzò, cercando di coprirsi con i vestiti sparsi a terra.
Voleva piangere, ma tutto quello che riuscì a fare fu entrare
in bagno e chiudersi dentro a chiave. Seduta sulla tazza del water,
Charlotte cercò di fare mente locale per riuscire a slegare
quella matassa di ricordi che aveva nella mente.
Poi
ricordò un bacio, Robert che le accarezzava la schiena e lei
che lo spogliava. Non poteva crederci, aveva fatto sesso con Robert!
«Stupida!»
esclamò dandosi uno schiaffo in fronte. «Stupida.
Stupida. Stupida!»
Che
doveva fare? All'improvviso si rese conto che lui stava ancora
dormendo nel suo letto e che, di lì a poco, si sarebbe
svegliato. No, non poteva affrontare quella situazione. Cercando di
fare meno rumore possibile si sciacquò la faccia e i denti,
uscendo in punta di piedi per vestirsi, arraffando indumenti puliti
dall'armadio e prendendo le chiavi dell'auto. Non lasciò
biglietti o saluti, si limitò a darsela a gambe.
Aveva
lasciato Hannibal a suo padre, come accadeva ogni volta che usciva
per diverse ore, così si diresse da suo padre, cercando di non
piangere durante il tragitto. Si sentiva confusa, disorientata, come
se tutto il suo mondo le fosse crollato addosso. Come aveva fatto a
cacciarsi in una situazione del genere? Perché aveva ceduto a
quella tentazione? E, soprattutto, che cosa le aveva impedito di
urlare e aggredire Robert con qualsiasi oggetto le capitasse a tiro?
Parcheggiò
nel vialetto, spegnendo l'auto e poggiando la fronte sul volante.
«Charlie, sei fottuta!»
Prendendo
un respiro profondo scese dall'auto, entrando in casa del padre
accolta da Hannibal, ma quando varcò la soglia del salotto si
trovò di fronte ad una scena che mai si sarebbe aspettata di
vedere.
«Oh
mio Dio!» esclamò, voltando le spalle ai genitori in
piena attività sul divano.
Jack
cadde a terra, spinto da Victoria sotto di lui. «Charlie,
tesoro, non è come sembra.»
«Quindi
tu e la mamma stavate solo facendo ginnastica?» domandò
Charlotte restando di spalle. Li sentiva affrettarsi per rivestirsi e
questo la mandava in estrema confusione. «Non eravate
divorziati?»
Prima
la notte passata con Robert ed ora trovava i suoi genitori nudi, sul
divano, che facevano sesso. La sua giornata non poteva cominciare in
maniera peggiore. Cosa diceva sua nonna in certi casi? Se le cose
ti vanno male, pensa che potrebbero andare peggio.
Decisamente
stava andando tutto a rotoli!
Jack
le andò di fronte, mettendole le mani sulle spalle. «Sai,
siamo adulti e vaccinati, non servono sentimenti per fare sesso.»
«Ok,
papà, non dire quella parola» disse Charlotte,
scrollandosi dalla presa del padre e avviandosi verso la porta
seguita dal fedele Hannibal.. «Mi ci vorranno anni di
psicanalisi per rimuovere questo trauma!»
C'era
da dire, però, che se qualcuno avesse notato la sua faccia
sconvolta, avrebbe potuto usare come scusante la visione dei suoi
genitori divorziati intenti a fare sesso sul divano, senza dover
mettere in piazza l'errore più grande della sua vita.
La
vicenda prendeva un risvolto del tutto inatteso.
***
Robert
aveva l'aria stralunata quando entrò in centrale. Senza
salutare nessuno si diresse nel salottino, versandosi subito del
caffé. Aveva vaghi ricordi della sera precedente, ma
abbastanza per rendersi conto di aver fatto una grandissima cazzata.
Portarsi
a letto Charlotte non era stato un colpo di genio, tutta colpa della
birra e della tequila, non c'erano altre spiegazioni. Per fortuna,
quando aveva aperto gli occhi, Charlotte era già uscita, si
era risparmiato una sfuriata degna di nota con tanto di piatti e
oggetti lanciati contro la sua persona.
«Buongiorno
raggio di sole!» James sembrava felice quando entrò nel
salottino, con tanto di sorriso stampato in faccia. «Anche se,
data questa citazione in giudizio, dovrei definirla una pessima
giornata, ma fa niente.»
«Che
intendi dire?»
James
lo guardò stranito. Robert aveva una faccia da funerale e lo
sguardo perso di chi aveva non solo bevuto troppo, ma commesso la
cazzata più grande della sua vita. «Che succede?»
«Ho
bevuto troppo. Di che citazione in giudizio stai parlando?»
«Oh
no, tu non lasci morire il discorso così, adesso mi spieghi
per quale motivo hai quell'aria da cane bastonato!»
E
cosa bisognava fare quando James Foreman Sinclair insisteva tanto? O
si diceva la verità, oppure si raccontava una menzogna
colossale.
«Ho
fatto sesso con una che, stamattina, si è scoperta fidanzata.
Per poco il fidanzato non mi faceva finire in ospedale.»
Altrimenti
si racconta una menzogna colossale credibile.
Abbastanza
credibile da convincere James che, piegato in due, scoppiò a
ridere. «Amico, sei proprio fottuto.»
«Già.»
Quanto
aveva ragione James. Robert era un uomo morto, perché se il
Capitano Sinclair fosse venuto a sapere dell'accaduto, non solo
poteva dire addio ai gioielli di famiglia, ma anche alla vita.
Mai
toccare la figlia di Jack, si finiva solo male.
***
«Erano
a letto insieme...mamma e papà!»
Dopo
aver stressato pesantemente Karen al telefono, Charlotte era uscita,
anticipando la corsa nel parco. Solitamente andava a correre nel
primo pomeriggio, ma quella mattina era troppo agitata e il bisogno
di scaricarsi e rilasciare le endorfine che le avrebbero indotto il
buon umore era troppo forte. Così, con l'auricolare
all'orecchio e Hannibal al guinzaglio, parlava con Allison al
telefono mentre la sorella lavorava.
Non
aveva raccontato nulla di quanto accaduto la sera precedente, e di
certo non sarebbe andata mai sul discorso, ma più ci pensava
più sentiva una gran voglia di prendere a pugni Robert. Ecco
che, finalmente, usciva il suo essere manesca, cosa che appena
sveglia non era emerso.
«Stavano
facendo sesso sul divano...il divano dove guardiamo le partite la
domenica!»
«Sei
più sconvolta di quanto pensassi. È accaduto
qualcos'altro oltre ad aver sorpreso i nostri genitori mentre
facevano sesso?»
Charlotte
si fermò subito, il cuore batteva forte ma non per la corsa.
Allison era come sua nonna, sapeva quando qualcosa non andava, quando
qualcuno le mentiva o le nascondeva qualcosa. Forse perché era
una mamma e comprendeva le bugie dei suoi figli, oppure per il
semplice fatto che le voleva bene. Ma Charlotte rimase spiazzata
ugualmente, deglutendo e piegandosi con le mani sulle ginocchia.
«No!»
Allison
sospirò, riconoscendo all'istante quel finto tono sorpreso.
Stava nascondendo qualcosa di grosso che la preoccupava. «Hai
litigato con James?»
«No.»
«Con
Robert?»
Silenzio.
Charlotte non sapeva mentire e, quando veniva messa alle corde,
taceva ed ormai Allison sapeva stanarla e portare i suoi sentimenti
in superficie. Doveva fare la psicologa come la madre, non il
chirurgo.
«Cosa
è successo?»
«Nulla!»
La sua voce aveva un tono stridulo nonostante il fiatone per colpa
della corsa. «Ora devo andare.»
Allison
non riuscì a ribattere, la sorella chiuse la telefonata prima
ancora che lei potesse anche solo salutarla.
E
come ogni mattina, Charlotte si diresse verso la tavola calda della
nonna per fare colazione. Non fece in tempo a varcare la soglia che,
all'improvviso, si trovò di fronte all'ultima persona che
voleva incontrare.
«Robert»
sussurrò semplicemente. Per fortuna il tintinnio dei
campanelli all'ingresso coprirono quel lieve bisbiglio e nessuno,
tanto meno sua nonna, notò la sorpresa nella sua voce. Doveva
ammettere che vederlo con la pistola al fianco era piuttosto
affascinante. Ma che cavolo di pensieri faceva, era forse impazzita?
Probabilmente non aveva ancora smaltito l'alcool della sera
precedente.
I
due si guardarono per un lungo istante, non sapendo come comportarsi
o cosa dire. Robert si aspettava una scenata, urla, oggetti volanti,
Charlotte che lo accusava di aver approfittato di lei, ma non accadde
nulla di tutto questo, solo un imbarazzante silenzio tra loro,
interrotto dal repentino intervento di James.
«Sorellina,
dormito bene?» domandò lui, affiancando Robert con due
caffè da portar via tra le mani.
Charlotte
s'irrigidì, lanciando un'occhiata torva a Robert per poi
rivolgersi al fratello. «Perché?»
«Sembri
sconvolta!»
Charlotte
si rilassò, per un attimo aveva temuto che Robert avesse
rivelato a James cosa fosse successo tra loro, ma per fortuna si era
sbagliata.
E
come ogni volta indossò la sua maschera di strafottenza e
sarcasmo, fingendo che nulla fosse successo. «Lo saresti anche
tu se ti fossi trovato di fronte alla scena di mamma e papà
che fanno sesso sul divano.»
Ma
James non sembrava sorpreso o sconvolto, bensì divertito.
Scoppiò a ridere, battendo la mano sulla spalla di Robert, il
quale non si mosse, né si scompose. Sembrava un pezzo di
ghiaccio e lo stesso Charlotte.
«Meglio
che andiamo.» Fu repentino Robert, tanto da far terminare la
risata di James.
Che
cosa stava succedendo?
Era
incuriosito il maggiore dei Sinclair, tanto da seguire Robert fuori
dalla tavola calda salutando distrattamente la sorella minore. C'era
qualcosa tra quei due, qualcosa che entrambi non volevano raccontare,
ma non fece domande.
Attese
qualche minuto, giusto il tempo di salire in macchina e immettersi
nel traffico. «Posso sapere cosa sta succedendo?»
«Che
intendi dire?»
James
alzò gli occhi al cielo, il suo migliore amico era uno zuccone
al pari di sua sorella. «Fra te e Charlie. Insomma, lei arriva
e tu te ne vai senza nemmeno sfotterla come fai di solito. Sembra che
vi stiate evitando.»
«Non
è successo niente!»
«Vi
siete baciati?»
«Ripeto:
non è successo niente!» Robert scandì bene le
parole, senza mai staccare lo sguardo dalla strada e James capì
che quel niente voleva dire tutto.
***
L'appartamento
di Charlotte era in disordine, non che fosse strano, quella donna
odiava riassettare, era capace di tenere nel frigo cibo avariato per
settimane, senza avere il minimo interesse a gettarlo nella
pattumiera. A volte si dimenticava di fare il bucato o di rifare il
letto e quando le si faceva notare la confusione, lei rispondeva
seccamente “Io amo il mio caos!”.
Non
era strano entrare e trovare i piatti sporchi nel lavandino, ma mai
Karen aveva visto vestiti sparsi in giro per il salotto o scarpe
lasciate all'ingresso con noncuranza. Charlotte amava le scarpe ed
erano le uniche cose in quell'appartamento ad essere sempre riposte
metodicamente nell'armadio, di solito in ordine cromatico e di
modello. Come per i vestiti, quelli sporchi riposti nei vari cesti
della biancheria e quelli puliti nel guardaroba oppure sulla sedia in
camera sua, mai in giro per casa.
«Che
succede?» domandò Karen, posando la borsa sulla poltrona
e sedendosi accanto a Charlotte sul divano.
Capelli
raccolti completamente sopra la testa, felpa larga, leggings,
calzettoni e una bottiglia di vino bianco mezza vuota sul tavolino,
qualcosa non andava ed i vestiti gettati alla rinfusa sul tavolo da
pranzo lo testimoniavano apertamente.
Difatti
la donna osservava apatica lo schermo del televisore e quando
Charlotte guardava una soap il sabato sera, invece di riguardarsi la
puntata di Grey's Anatomy, non era un buon segno.
«Niente,
ho solo visto i miei genitori a letto insieme.» Charlotte fece
spallucce, senza staccare lo sguardo dalla televisione.
Karen
sapeva che vedere i propri genitori divorziati fare sesso fosse
sconvolgente, ma fino ad un certo punto. «E quindi ti guardi le
repliche di Beautiful al posto di rifarti gli occhi su Patrick
Dempsey in camice medico?»
Ma
Charlotte non rispose, così Karen prese il telecomando,
spegnendo il televisore. Odiava quando l'amica si comportava da
bambina, aveva già un gran da fare durante il giorno con i
suoi alunni dell'asilo, non aveva alcuna intenzione di fare da
bambinaia anche a Charlotte in crisi esistenziale. Sapeva quando
qualcosa non andava e conosceva abbastanza quella testarda da capire
che c'era altro.
«Ripeto:
cosa è successo?»
Stranamente
la donna non protestò, semplicemente bevve un lungo sorso di
vino. «Ho combinato un casino.»
«Non
è una novità!»
«Sono
stata a letto con Robert.»
Non
sapeva che reazione manifestare, una parte di lei stava esultando,
mentre l'altra era sconvolta per la tempistica. Così Karen si
limitò ad un'espressione basita mentre si sistemava meglio sul
divano e prendeva dalle mani di Charlotte il bicchiere di vino,
svuotandolo completamente. «Avevate bevuto?»
«Parecchio.»
«E
lui come ha reagito stamattina?»
Charlotte
fece spallucce. «Non lo so, me la sono data a gambe appena
sveglia e quando ci siamo incontrati per caso alla tavola calda lui
non ha detto nulla, se l'è svignata.»
«Tipico
degli uomini!»
Ma
Charlotte sembrava troppo tranquilla, perché non urlava e
gesticolava per casa come una furia, fantasticando piani di vendetta
contro Robert? Era strana quella sua compostezza, magari era la calma
prima delle tempesta, oppure c'era qualcos'altro sotto?
«Che
altro?»
«Ero
ubriaca ma...»
«Ma?»
«Mi
è piaciuto.»
Angolo
Autrice:
Ed
ecco qui, scusate il ritardo ma ho avuto alcuni problemi in queste
settimane, comunque eccolo qua, il sesto capitolo.
Charlotte
e Robert si evitano, lei sembra più sconvolta di quanto ci si
aspettasse e lui evita qualsiasi discorso a riguardo. Diciamocelo,
quei due hanno ancora molta strada ma chissà cosa ha in serbo
per loro la mia mente malata?
Vi
avverto, ci sarà una reazione a scoppio ritardato...state in
allerta!
Il
prossimo aggiornamento è previsto per il primo settembre, mi
prendo una meritata vacanza. Per chi volesse, lascio il link del
gruppo dedicato alle mie storie dove pubblicherò alcuni
spoiler in attesa di settembre. Buone Vacanze!
Lettere
d'Inchiostro, Parole d'Amore
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Cap. 7 ***
Capitolo
7
It
Is What It Is
Lifehouse
– It is what it is
Charlotte
adorava il Natale, era la sua festività preferita insieme ad
Halloween, ma quell'anno non era riuscita a goderselo come al solito.
Robert
era partito per trascorrere le festività con i suoi genitori
e, dalla fatidica notte, non si erano rivolti la parola. Da una parte
Charlotte ne era riconoscente, almeno non aveva dovuto affrontarlo e,
per sua fortuna, Karen non aveva raccontato a James cosa era
realmente successo. Chissà come avrebbe reagito suo padre alla
notizia di quel disastro?
Aveva
trascorso le vacanze come al solito, il cenone della vigilia, il
pranzo di Natale, l'addobbo dell'albero con suo padre e, stranamente,
quell'atmosfera di serenità tra Jack e Victoria non le era
dispiaciuta. Sembrava che il sesso senza sentimenti fosse un
toccasana per loro due, l'importante era che non decidessero di
tornare insieme, non avrebbe potuto sopportare un'altra separazione.
Poi
era giunto l'anno nuovo e, mentre i fuochi d'artificio avevano
colorato il cielo di New Orleans, Charlotte aveva sperato che il 2014
portasse con sé la tranquillità che in quell'ultimo
mese le era mancata.
Speranza
vana.
Con
il ritorno di Robert tutto tornò come prima, o forse doveva
dire che le cose stavano peggiorando. Perché il bell'imbusto
che odiava tanto aveva deciso di pedinarla, o meglio, di seguirla per
poterle parlare, cosa alla quale lei non era disposta.
Non
solo doveva sopportare una forte nausea e i continui mal di testa, ma
anche l'uomo con il quale era finita a letto e che minacciava di
renderle la vita un vero inferno. Lo trovava alla tavola calda, al
supermercato, a casa di suo fratello, ma quel giorno non aveva fatto
in tempo ad entrare nella palazzina dove abitava che lo trovò
davanti al portone, seduto sui gradini ad aspettarla con il casco tra
le mani e la sua Harley poco distante. Aveva la barba lunga,
probabilmente non si rasava da almeno un paio di settimane e, doveva
ammetterlo, quell'aspetto trasandato era piuttosto sexy, ma doveva
resistere.
«Ma
cosa sei? Uno stalker?» Charlotte stava combattendo per non
scivolare sulla lastra di ghiaccio creatasi sul marciapiede con
l'ultima nevicata, tanto da rischiare di cadere insieme alle buste
della spesa. Fortunatamente Robert riuscì a tenerla,
passandole un braccio intorno alla vita.
«No,
sono un poliziotto!»
«Simpatico!»
esclamò lei, liberandosi e avviandosi verso l'interno del
palazzo.
Robert
era strano, non la guardava negli occhi, nemmeno in faccia, sviava
sempre lo sguardo e a Charlotte non dispiacque. Se lui non la
guardava allora lei non rischiava d'incappare in quegli occhi chiari
che riuscivano a farla tremare.
«Possiamo
discutere di quello che è successo?» Era calmo, pacato,
mentre salivano al piano in ascensore, al contrario di lei che
batteva il piede freneticamente.
«Neanche
se tu fossi Captain America!» esclamò Charlotte uscendo
dall'ascensore, seguita a ruota da Robert. Voleva lasciarlo fuori
dalla sua vita il più velocemente possibile, così frugò
nella borsa freneticamente, arraffando le chiavi.
«Possiamo
almeno seppellire l'ascia di guerra?»
«Scordatelo!»
urlò lei, sbattendo la porta in faccia a Robert, il quale
strinse la mascella, sbuffando dal naso.
«Charlie,
per favore.»
Di
tutta risposta Charlotte aprì di scatto la porta, guardandolo
con occhi furenti. «Vuoi discutere? Mi hai portata a letto dopo
avermi fatta ubriacare, sei sparito per settimane, ma che dico? Un
mese, e poi ti ripresenti a casa mia con la tua Harley e la barba di
qualche giorno, guardandomi con occhi da cane bastonato e pretendi
che io sia disposta ad un dialogo civile?»
Era
furiosa e Robert sapeva che trattare con lei in quelle condizioni non
era la migliore delle idee, ma non aveva altra scelta. Voleva
risolvere la situazione, cercare di appianare le loro divergenze, ma
Charlotte non sembrava volerlo ascoltare.
«Ti
ricordo che eravamo entrambi ubriachi» sottolineò lui.
«Vuoi addossarmi tutta la colpa? Va bene, ma almeno riconosci
che anche tu hai avuto una parte in tutto questo.»
Charlotte
fece per chiudere la porta, ma Robert la bloccò con un piede.
«Brava,
continua a scappare, non hai fatto altro da quando è
successo.» Adesso era Robert quello furioso. «Sei
scappata quella mattina senza affrontarmi, scappi ogni volta che mi
vedi, ma non puoi farlo in eterno.»
«Certo
che posso!» Con una forte spinta, Charlotte sbatté la
porta, costringendo Robert ad arretrare per non rischiare di rompersi
il piede.
«Charlie,
non costringermi a sfondare la porta!»
«Provaci
e ti ritroverai con il fucile di mio padre puntato alla tempia!»
«Apri!»
Ma
Charlotte non aprì. Si lasciò andare a terra con la
schiena contro la porta, ascoltando le urla di Robert ed i colpi dei
suoi pugni. Poi sentì i passi pesanti dell'uomo allontanarsi e
una piccola lacrima le rigò il viso mentre Hannibal le andava
in contro per leccarle la guancia.
***
«Posso
sapere cosa le hai fatto per farla incazzare così tanto?»
Robert
alzò lo sguardo dalla tazza di caffè, trovandosi di
fronte James che lo guardava con fare curioso. Non aveva voglia di
rispondere a delle domande o di vedere qualcuno, si era rifugiato
alla tavola calda nella speranza di vedere Charlotte per poterle
parlare. Con le altre donne si comportava da stronzo, non le
richiamava e nemmeno s'interessava a chiedere loro scusa per averle
usate, ma Charlotte era la sorella del suo migliore amico, erano
cresciuti insieme; in un certo senso si sentiva in colpa.
«Santo
cielo, amico, hai l'aria distrutta!» James si sedette di fronte
a Robert. Da quando era tornato, due settimane prima, aveva notato un
certo cambiamento, era diventato più silenzioso, si stava
facendo crescere la barba, sembrava perennemente in procinto di
chiedere scusa.
«Non
è successo niente.»
«Lo
ripeti da quando sei tornato...anzi, in realtà da prima di
Natale.» James ordinò un caffè, aspettando che
l'amico parlasse.
«Sono
solo stanco.»
«Stanco?
Direi che sembri tormentato da qualcosa, o qualcuno» disse
James, cercando il modo giusto per iniziare il discorso “Charlotte”.
«So che tu e Charlie avete discusso piuttosto animatamente
questa mattina.»
«Te
l'ha detto lei?»
Stranamente
Robert non si mise sulla difensiva, semplicemente tenne lo sguardo
basso e le spalle curve. Era proprio uno straccio, che aveva
combinato?
«Charlie
che mi racconta i suoi segreti? Sei pazzo? È stato il
portiere, vi si sentiva urlare per tutto il palazzo.»
«Non
è successo niente.»
Quella
frase iniziava a stargli sui nervi e James stava perdendo la
pazienza. «Beh, amico, quel niente l'ha fatta infuriare a tal
punto che oggi la trasmissione radiofonica sembrava un attacco a
tutto l'universo maschile. Ha praticamente riversato anni di veleno e
odio nei tuoi confronti concentrandoli in un'ora di monologo
incandescente e cinico.»
«Ho
sentito.»
Effettivamente,
quel pomeriggio Charlotte era andata in onda con un monologo
incentrato sugli uomini approfittatori e stronzi. Aveva dato sfogo ad
anni di risentimenti e guerre private solo per il gusto di demolire
qualcuno.
Per
James era stato ovvio a chi si riferisse e, finita la trasmissione,
era andato a cercare il diretto interessato. Poteva passare il suo
giorno libero a sistemare la sua futura casa, ma aveva preferito
impicciarsi negli affari di sua sorella e Robert per il semplice
fatto di voler scoprire che cavolo stava accadendo tra i due. Aveva
sperato che le cose migliorassero, invece erano peggiorate.
«Cosa
le hai fatto?» domandò James. «E smettila di dire
che non è successo niente perché non è così!
Karen sa qualcosa ma non vuole dirmelo, quindi tocca a te svuotare il
sacco!»
Robert
alzò finalmente lo sguardo sull'amico, soppesando i fatti e
cercando le parole giuste per dirgli la verità. Se Karen
sapeva, allora Charlotte si era confidata e questo lo metteva nella
posizione di poter raccontare al suo migliore amico la verità
senza sentirsi in colpa per aver spifferato la faccenda.
«Non
mi ucciderai, vero?»
«Perché
dovrei ucciderti? Cosa avrai fatto di così terribile da far
incazzare mia sorella a tal punta da...» James si fermò
di colpo, sbarrando gli occhi mentre comprendeva cosa era realmente
accaduto. «Tu e Charlie? Ecco perché Karen non voleva
dirmi nulla!»
«È
successo solo una volta, eravamo ubriachi ed è stato un
errore» disse Robert repentino.
«Stai
cercando di pararti il culo?»
«No,
sto solo cercando di scusarmi.»
James
fece spallucce. «Non è con me che dovresti scusarmi, ma
con lei.»
L'amico
sembrava comprensivo, ma da come stringeva il pugno, Robert comprese
che si stava trattenendo da spaccargli il naso. «Se vuoi
prendermi a pugni fallo, ma credimi, mi sento un perfetto idiota e
stronzo in questo momento. Stamattina sono andato a casa sua per
parlarle ma è stato tutto inutile.»
«Hai
solo peggiorato le cose.» James si lasciò andare contro
lo schienale, diminuendo la tensione del pugno e aprendo la mano. Si
stava calmando.
Non
poteva addossare tutta la colpa a Robert solo perché Charlotte
era sua sorella. Dato l'aspetto e l'aria sconvolta, l'amico si
sentiva veramente in colpa. Forse i suoi tentativi di appianare le
divergenze dei due avevano solo peggiorato le cose, oppure erano
state le circostanze ad influire e non i suoi gesti.
«Tu
e mia sorella» rise James, ormai divertito. «Sei fottuto,
amico.»
«Già,
sono fottuto!»
***
Stava
andando tutto a rotoli. Se prima era solo una giovane donna
sarcastica, ora stava diventando una rancorosa zitella inacidita.
Charlotte
aveva deciso di uscire a correre dopo la trasmissione, un po' per
scaricare la tensione e un po' per riflettere sul da farsi. La nausea
che da una settimana la tormentava sembrava non volerla abbandonare,
ma non era troppo forte e riusciva a sopportarla, per non parlare dei
seni doloranti e la voglia irrefrenabile di cioccolata, cose normali,
probabilmente era colpa del ciclo.
Poi
un dubbio la costrinse a fermarsi e prendere il cellulare dalla tasca
della felpa. Guardò il calendario, soffermandosi sul mese di
dicembre dove mancava la consueta bandierina rossa. Probabilmente si
era dimenticata di metterla, ma più ci pensava, più
sentiva che non era stata una dimenticanza.
«Non
può essere» bisbigliò, poggiando la schiena
contro un albero del parco, spostando poi lo sguardo sconvolto su
Hannibal.
Se
non fosse stato per il freddo pungente di metà gennaio,
probabilmente Charlotte sarebbe rimasta in quella posizione per ore
intere, ma il dubbio doveva essere chiarito e, correndo, entrò
nella prima farmacia, uscendone poco dopo come una furia per poter
tornare a casa.
Nel
panico totale, la donna non tolse nemmeno il guinzaglio al cane,
dirigendosi frettolosamente in bagno con quelle scatoline chiare in
mano e la paura di essere veramente nei guai. Si costrinse a non
piangere a convincersi che era tutto un falso allarme, ma più
scatoline apriva, più la consapevolezza di essere fottuta si
faceva largo.
In
quel momento il suo futuro venne decretato da cinque bastoncini di
plastica che confermavano quei sospetti. Non poteva essere vero.
«Oh
cavolo!» Avrebbe voluto piangere, urlare come un'isterica, ma
il campanello cominciò a suonare e lei fu costretta a fingere
che quegli ultimi minuti non fossero mai stati vissuti.
Con
passo vacillante si avvicinò alla porta, sbirciando
dall'occhiello. «Fantastico.»
Non
voleva aprire, non voleva affrontare Robert di nuovo, ma doveva. Aprì
la porta prendendo un respiro profondo. «Che vuoi?»
«Parlarti,
solo parlarti e poi ti giuro che sparirò dalla tua vita.»
«Un
po' difficile visto che sei il migliore amico di mio fratello.»
«Sai
cosa intendo.»
Charlotte
sbuffò, battendo il piede. Poteva parlare, ma di certo non
l'avrebbe fatto entrare. «Sto ascoltando.»
«Mi
dispiace, sono stato uno stronzo a partire senza venire a scusarmi»
cominciò Robert e, questa volta, la guardò negli occhi.
«Ma, vedi, quello che è successo è stato solo un
grave errore che non si ripeterà. Eravamo ubriachi e abbiamo
lasciato che l'alcool ci guidasse. Con questo non voglio
giustificarmi, dico solo che sei la sorella del mio migliore amico,
siamo cresciuti insieme e, per quanto il nostro rapporto non sia rose
e fiori, non sopporto l'idea di averti ferita così
profondamente. Mi dispiace.»
Charlotte
ascoltava e quelle parole le ricordarono solo quello che aveva appena
scoperto. Non poteva piangere di fronte a lui, non in quel momento,
soprattutto mentre sentiva quelle scuse. Rimase in silenzio,
abbassando il volto per non guardarlo negli occhi. Se avesse parlato
Robert avrebbe sentito la sua voce tremare e non voleva, non poteva.
«Io
ora vado. Buona serata, Charlie.»
Ascoltò
i passi allontanarsi, chiudendo la porta e lasciandosi andare contro
di essa. Si ritrovò a terra con il volto bagnato e le mani
tremanti. Che cosa doveva fare?
Lentamente
si rialzò, tornando in bagno per osservare di nuovo quei
cinque bastoncini di plastica. Non poteva essere successo veramente,
non con Robert, non in quel modo.
Avrebbe
tanto voluto chiudere e riaprire gli occhi per scoprire che era stato
tutto un sogno, la notte con Robert, la tequila, i cinque test di
gravidanza positivi, ma non era possibile.
Purtroppo,
era quello che era.
Angolo
autrice:
ed
ecco il cliché!
Non
crediate che di punto in bianco quei due decidano di mettersi insieme
e di avere una relazione. No, Charlotte e Robert ne hanno ancora di
strada.
Robert
le ha chiesto scusa, è vero, ma lei non si butterà tra
le sue braccia o scopriranno di essere innamorati di punto in bianco.
La strada è lunga e quei due devono ancora odiarsi per
moooooolto tempo. Quindi mettetevi comode e aspettate altre sclerate
da parte di Charlotte!
Prossimo
aggiornamento previsto per venerdì 12 settembre.
Buona
lettura!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Cap. 8 ***
Capitolo
8
What
About Now?
Chris
Daughtry – What about now?
Quando
Karen aveva ricevuto quel messaggio di aiuto da parte di Charlotte,
aveva pensato di dover affrontare una crisi isterica o furiosa
dell'amica, ma quando arrivò a casa sua, rimase del tutto
sorpresa. Aveva lo sguardo spento, i capelli raccolti in una treccia
scomposta e l'espressione di una che aveva trascorso il pomeriggio in
un bar scolandosi da sola un'intera bottiglia di tequila, per poi
farsi una lavanda gastrica.
«Sei
consapevole di avere un aspetto orribile?»
«Sei
consapevole di essere inopportuna?»
Karen
alzò le mani in segno di resa, entrando nell'appartamento. Una
volta in salotto, si bloccò di fronte al tavolino, indicando
quello che vi era poggiato sopra. «Quelli cosa sono?»
«Se
la memoria non m'inganna sono cinque bastoncini di plastica sui quali
ho fatto pipì.»
«Sono
test di gravidanza?»
«Ed
io che ho detto?»
Non
sapeva se ridere o piangere per lo strano sangue freddo che l'amica
stava dimostrando, oppure era panico mascherato da sicurezza?
«Chi
è il padre?» domandò, scoprendo che tutti e
cinque i test erano positivi.
All'improvviso
il volto di Charlotte si rabbuiò, mentre lei crollava seduta
sul divano, imitata poco dopo da Karen. «Robert.»
«Robert
Goodwin?»
Charlotte
annuì.
«Robert
Connor Goodwin? Lo stesso Robert che da bambino ti bruciava i capelli
e che tu non sopporti a prescindere da ogni cosa che lui fa?»
«Perché
devi sempre specificare le cose?»
«Lui
lo sa?»
«No»
affermò Charlotte. «E prima che tu aggiunga altro,
voglio solo che tu sappia che glielo dirò una volta sicura di
essere veramente incinta.»
«Perché,
cinque test di gravidanza positivi non sono sufficienti?»
«Diciamo
che voglio ancora sperare in un errore ormonale. Quindi domani verrai
con me dalla ginecologa e dopo mi procurerai del veleno per
suicidarmi!»
Karen
rimase allibita, sbattendo un paio di volte le palpebre. «Se
hai fatto il test oggi, come hai fatto ad ottenere così presto
un appuntamento dalla ginecologa?»
«Karen,
mia sorella è la mia ginecologa.»
***
Giorno
nuovo, vita nuova. Era il motto che Robert aveva recitato quella
mattina dopo essersi svegliato accanto all'ennesima donna conosciuta
poche ore prima. Aveva deciso di non avere rimpianti, di tornare ad
essere l'uomo senza sentimenti che usava le donne solo per il proprio
piacere personale. Così aveva trascorso la mattinata alla
centrale, fingendo che tra lui e Charlotte non fosse successo nulla;
era stato facile, James non aveva ancora tirato in ballo il discorso,
ma sapeva che, prima o poi, avrebbe cominciato a fare domande e dato
opinioni per nulla richieste. Lo conosceva da una vita, sapeva che
era un tipo molto socievole e ficcanaso, soprattutto quando si
trattava della sorella minore e della sua vita sentimentale.
«Sei
andato al pub ieri sera?»
Più
prima che poi.
Seduto
al tavolo del Seven, Robert annuì, attendendo la seconda
domanda di James.
«Hai
anche rimorchiato?»
«Vuoi
farmi una paternale?»
«No,
voglio solo dirti che sei incredibile!» James alzò le
braccia al cielo. «Ti sei portato a letto mia sorella più
di un mese fa, ieri sera ti sei scusato e subito dopo hai cercato una
donna con cui dimenticare l'accaduto.»
«Sono
uno stronzo, lo so. Ma cosa pretendi, che io corra dietro a Charlie?»
«Sì!»
James aveva pronunciato quella parola con tale enfasi da far voltare
alcuni clienti della tavola calda.
«E
per quale motivo dovrei farlo?»
«Perché,
per quanto detesti parlare della vita sessuale di mia sorella, so che
ti è piaciuto e che è piaciuto anche a lei.»
Robert
scoppiò a ridere, piegandosi in avanti con le mani intrecciate
sul tavolo. «Posso rivelarti un segreto?»
James
annuì, avvicinandosi all'amico per ascoltare cosa stava per
dirgli. «Parla.»
«Non
mi è piaciuto per niente!» scandì bene l'uomo,
tornando poi seduto composto, aspettando l'arrivo della sua
ordinazione. Ormai quando entravano le cameriere e nonna Rose
sapevano già cosa servire loro.
James,
però, non sembrava tanto convinto di quell'affermazione. Più
osservava Robert, più sentiva che gli stava nascondendo
qualcosa. Stava mentendo e questo era fin troppo chiaro, perché,
anche se Charlotte e lui si conoscevano sin da bambini, uno stronzo
di grandezza epocale come lui non si sarebbe minimamente preoccupato
di chiedere scusa, anzi, avrebbe proseguito per la sua strada come se
non fosse mai accaduto.
Qualcosa
bolliva in pentola e James conosceva abbastanza Robert da poter
affermare che la notte trascorsa nel letto di Charlotte gli era
rimasta talmente impressa da cercare di dimenticarla tra le braccia
di altre donne.
«Lei
ti piace.»
«Non
dire cazzate!» esclamò Robert voltando lo sguardo verso
la finestra per guardare fuori. Gli piaceva Charlotte? Litigare con
lei era divertente, ridere insieme era fantastico, ma farci sesso era
stato l'errore più grande della sua vita, uno di quelli che si
sarebbe portato dietro per i prossimi vent'anni, o forse di più.
L'importante
era non far sapere dell'accaduto a Jack Sinclair, se non si voleva
incorrere nella sua ira e nella sua mira a dir poco infallibile.
***
Allison
non aveva fatto domande esplicite, limitandosi a visitare la sorella
per poi procedere con l'ecografia non necessaria. Solitamente non la
faceva prima dell'ottava settimana, ma Charlotte era quel tipo di
donna che necessitava di dissipare qualsiasi dubbio.
«Ecco,
lo vedi?» Allison indicò lo schermò, puntando il
dito verso una macchia scura.
Stesa
sul lettino, la giovane donna osservava il monitor e quel piccolo
esserino crescere dentro di lei. Prese un respiro profondo,
stringendo la mano di Karen e trattenendo il bisogno di piangere.
«Dalla
grandezza del feto direi che sei di cinque, sei settimane.»
Allison la stava guardando con uno strano sguardo di disappunto,
fermando l'immagine e stampandola, mentre Charlotte si sistemava
meglio, togliendo i piedi dai supporti e sedendosi.
La
testa le girava e la nausea non aiutava per niente, voleva urlare,
rompere qualcosa, ma riuscì solo a prendere l'ecografia,
fissandola con occhi vuoti.
«Chi
è il padre?»
Sapeva
che quella domanda sarebbe arrivata, ma quando udì la voce
della sorella pronunciarla, fu come una doccia fredda.
«Robert.»
Allison
si mise seduta, sbattendo le palpebre. «R-Robert?»
balbettò. «Robert Connor Goodwin?»
«Conosciamo
altri Robert?» domandò Charlotte stizzita, ormai
sull'orlo di una crisi di nervi. «Per carità, non
guardarmi così!»
Sua
sorella continuava a fissarla sorpresa e sbalordita, spostando di
tanto in tanto lo sguardo su Karen, silenziosa e ferma.
Non
poteva crederci, Charlotte e Robert. Certo era una notizia
scioccante, ma una parte di lei era divertita. Sorrise, prendendo la
cartella clinica della sorella e iniziando ad appuntare i risultati
dell'ecografia. «Vuoi parlare delle altre possibilità?»
Quella
domanda. Obbligatoriamente Allison era tenuta a farla in certe
situazioni, ma mai Charlotte si sarebbe aspettata che la ponesse a
lei.
Boccheggiò,
tornando a guardare l'ecografia, sentendo la mano di Karen posarsi
sulla sua spalla. «No, non adesso.»
«Sai
che hai tempo fino all'ottava settimana, poi l'intervento sarà
più invasivo e...»
«Ho
detto che non ne voglio parlare!»
Allison
annuì. Se s'infuriava così tanto voleva dire che la
decisione era già stata presa, solo non ne era ancora sicura.
«Ok, allora ci rivediamo il 27 gennaio per l'ecografia
dell'ottava settimana. Fino ad allora cibi sani, niente stress e,
soprattutto, devi dirlo a Robert.»
***
«Quindi
hai chiesto scusa a Charlie e lei non ha detto nulla.»
«Possiamo
non parlare di Charlie per il resto della giornata?» Robert era
ormai esasperato da quella conversazione. James non faceva altro che
parlare di quello successo e di Charlotte, ma ormai ne aveva piene le
tasche. Quei monologhi, dato che parlava solo l'amico, si erano
protratti per la durata del pranzo e, ormai, si sentiva messo
all'angolo.
«In
quante lingue devo dirti che tra me e tua sorella non ci sarà
mai nulla se non l'odio reciproco?»
«E
lei ti ha perdonato?»
«Non
lo so.»
«Forse
ha solo bisogno di tempo.»
«È
meglio se torniamo al lavoro. Paghi tu!» Robert, ormai
esasperato, si alzò dal tavolo, infilandosi la giacca, mentre
James pagava il conto. Stava per avvicinarsi all'uscita quando si
ritrovò di fronte all'argomento del giorno. Charlotte.
Sembrava
stanca, pallida, sconvolta, come se avesse trascorso la notte in
bianco e, in qualche modo, si sentì responsabile ed impaurito
per quello sguardo furente che gli stava rivolgendo.
«Ciao.»
«Tu,
vedi di starmi alla larga!» esclamò Charlotte, puntando
il dito contro Robert. Strinse gli occhi a due fessure, sorpassandolo
e lasciando lui e James basiti.
«Non
domandate» fece spallucce Karen, seguendo l'amica. «Giornata
storta.»
James,
scosse il capo, dando una pacca sulla spalla di Robert. «Le
passerà!»
Ma
Robert non ne era tanto convinto. Sospirò, scuotendo il capo
e, portandosi le mani ai fianchi, voltò leggermente la testa
per lanciare uno sguardo mesto a Charlotte, ormai seduta al tavolo
che sembrava volesse ucciderlo da un momento all'altro.
«Meglio
sparire, prima che ci lanci contro le posate o ti cavi un occhio con
la forchetta!» esclamò James, uscendo dalla tavola calda
seguito dall'amico.
Robert
aveva sperato che le sue scuse fossero bastate a far tornare le cose
come prima di quella notte, ma a quanto pareva si era sbagliato.
Forse James aveva ragione, serviva solo più tempo.
***
Dirlo
a Robert, come faceva?
Aveva
trascorso il resto della giornata a pensare ai modi adatti per dirlo,
sebbene ci fosse una parte di lei poco convinta della scelta. Non
poteva tacere la cosa, prima o poi l'avrebbe scoperto da solo e, lei,
non voleva ferire nessuno. In fondo erano adulti e vaccinati,
potevano affrontare la situazione con maturità. L'alternativa
era fuggire in Canada e cambiare nome, ma non era molto fattibile.
Doveva dirglielo il prima possibile.
Con
l'ecografia in mano, prese il telefono, cercando nella rubrica il
numero di Robert e, dopo aver tratto un respiro profondo, premette il
tasto della chiamata.
Nel
frattempo, Robert era seduto sul divano, con una bottiglia di birra
nella mancina e il telecomando nella destra; di tanto in tanto
lanciava occhiate al cellulare sul tavolino, trattenendosi. La voglia
di chiamare Charlotte per sapere come stava era forte, ma doveva
desistere per mantenere la facciata di stronzo narcisista. Se
l'avesse chiamata avrebbe fatto intendere di essere interessato a lei
e questo non doveva accadere.
Lui
era uno stronzo e lei era troppo fragile, non voleva ferirla come
aveva già fatto. Per quanto forte potesse sembrare, Charlotte
ne aveva passate troppe e meritava qualcosa di meglio di un
menefreghista come lui. E poi, all'infuori dell'amicizia, non provava
nient'altro; lei era un'acida sarcastica che odiava gli uomini come
lui, non potevano di certo andare d'accordo.
Tornò
a concentrarsi sul telegiornale, ma il cellulare squillò
all'improvviso e quando vide sullo schermo il nome di Charlotte sentì
un nodo alla gola. «Pronto?»
«Dobbiamo
parlare.»
Le
uniche due parole che, dette insieme, avevano il sapore di una
condanna a morte, soprattutto se a dirle era una donna del calibro di
Charlotte.
«Vengo
da te?» domandò lui, sentendo il silenzio all'altro capo
del telefono.
«No,
vediamoci al parco.»
Senza
salutarlo Charlotte riattaccò, lasciando Robert perplesso. Che
era successo? Forse voleva parlargli riguardo a quello accaduto a
dicembre?
Erano
le nove di sera e, con il tramonto, il centro di New Orleans si
riempiva di colori e suoni. Le luci si specchiavano sulla superficie
del Mississipi, tanto da farlo sembrare una seconda città.
In
sella alla sua Harley, Robert sfrecciava per le strade della città,
osservando le persone raggrupparsi sui marciapiedi fuori dai
ristoranti, dai pub, domandandosi per quale motivo Charlotte avesse
voluto vederlo al parco e non al pub. A quell'ora c'era il rischio
d'imbattersi in qualche borseggiatore o malfattore. Per fortuna aveva
portato con sé la sua pistola d'ordinanza e il distintivo. Era
come uno scudo per lui, quel semplice pezzo di metallo che
rappresentava la sua autorità lo faceva sentire meglio.
Parcheggiò
di fronte all'ingresso del parco cittadino dove Charlotte andava a
correre quasi tutti i pomeriggi e, come da copione, la trovò
in piedi ad aspettarlo.
Sembrava
nervosa, teneva le braccia strette intorno al busto, camminando
avanti e indietro. Era preoccupata per qualcosa e Robert si sentì
quasi in colpa.
«Ehi,
tutto bene?»
«No.»
Era decisamente preoccupata per qualcosa.
Robert
le andò di fronte, vista con la luce dei lampioni e lo sguardo
perso, sembrava quasi una bambina impaurita e smarrita. Le mise una
mano sulla spalla sentendola tremare. «Stai tremando.»
Charlotte
annuì, entrando nel parco e sedendosi sulla prima panchina.
Non sapeva come iniziare, Robert la fissava in attesa che parlasse,
ma la sua voce tardava ad arrivare.
«Charlie,
è successo qualcosa?»
«Sono
incinta!» Non c'era un modo meno traumatico per dirlo, così
aveva semplicemente sputato il rospo. «Ed è tuo.»
Robert
rimase per qualche istante in silenzio, cercando di metabolizzare la
notizia ma, alla fine, dovette arrendersi alla situazione. «Ho
bisogno di sedermi.»
Charlotte
lo osservò sedersi sulla panchina e coprirsi il volto con le
mani. In che razza di situazione si era cacciata?
«Ne
sei sicura?» fu la domanda di Robert. L'aveva espressa con un
tono strano, quasi terrorizzato, come se temesse la risposta.
Senza
proferire parola, lei aprì la borsa, estraendo l'ecografia per
mostrargliela.
«Oh
cazzo!» Robert si alzò di scatto, cominciando a
camminare avanti e indietro, agitando le braccia e farfugliando. Lui
non voleva figli, non voleva responsabilità, voleva
semplicemente essere libero di godersi la vita senza legami. «Ma
come diavolo è potuto accadere?»
«Non
dirmi che non ti hanno mai raccontato la verità su come
nascono i bambini!»
«Certo
che lo so, solo...solo mi chiedo come sia potuto accadere» urlò
Robert non facendo caso ai passanti che lo osservarono straniti.
«Credevo prendessi la pillola!»
«Non
l'ho mai detto.»
Robert
non sapeva se urlare o prendere a pugni il tronco di un albero, ma
sarebbe stato tutto inutile, la situazione non sarebbe cambiata.
Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi e, una volta tornato
a sedere, cominciò a ragionare sul da farsi. «Siamo
fottuti!»
«Stranamente
sono d'accordo con te!» esclamò Charlotte. «Che
facciamo?»
«Io
non ti sposo!» Robert lo disse con schiettezza, lasciandosi
andare verso lo schienale, osservando il volto di Charlotte
accigliarsi.
«Non
intendevo questo!»
«Lo
so» sbuffò lui, grattandosi la testa. «Lo vuoi
tenere?»
Era
quella la domanda che si aspettava Charlotte. Tenerlo o non tenerlo?
Aveva trascorso la giornata cercando una soluzione, ma ogni volta che
pensava all'eventualità di abortire sentiva come uno strano
nodo alla gola un peso sul petto. Le sembrava quasi di soffocare alle
volte. «Credo di sì.»
Robert
non disse nulla, si limitò ad annuire. «Ora dobbiamo
dirlo alle nostre famiglie.»
«Adesso
siamo fottuti!»
Robert
realizzò solo dopo pochi minuti cosa intendesse dire
Charlotte. «Sono un uomo morto!»
Jack
'avrebbe ucciso a sangue freddo.
E
adesso? Che dovevano fare?
Angolo
autrice:
Povero
Robert, gli hanno appena dato la notizia più sconvolgente
della sua vita.
Chissà
come la prenderà papà Jack, è talmente
protettivo verso Charlotte che potrebbe dare di matto alla notizia di
questa gravidanza. Ma bando alle ciance e passiamo al capitolo.
Le
cose iniziano a complicarsi per questi due testoni, un figlio non è
certo una responsabilità leggere, senza contare che Robert non
è il tipo da pappe e pannolini. Per dirla tutta lui non vuole
per niente diventare padre, come viene detto nel capitolo, ma chissà
cosa ha in serbo per lui e Charlotte questo folle destino...
Prossimo
aggiornamento lunedì 22 settembre. Buona lettura!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Cap. 9 ***
Capitolo
9
It's
Time
Imagine
Dragons – It's time
Quel
giovedì mattina era iniziato male. Robert si era svegliato con
gli occhi gonfi e la faccia sconvolta.
Ancora
stentava a credere a quello che Charlotte gli aveva detto la sera
prima. Possibile che fosse stato così stupido da dimenticarsi
una cosa che usava abitualmente? Girava sempre con tre preservativi
in tasca, come aveva potuto scordarsi di averli nel portafogli? A
quanto pareva l'alcool era sconsigliato quando si faceva sesso.
Come
affrontare quella nuova situazione? Stavolta non si parlava di una
notte trascorsa con Charlotte, ma di una conseguenza ben più
drastica che rischiava di sconvolgergli la vita. Anzi, non rischiava,
lo stava già facendo.
Un
figlio. Non riusciva a pensare ad altro. Mentre faceva la doccia,
mentre si vestiva, mentre andava in centrale. Come aveva potuto
essere così stupido?
Ed
ora? Che doveva fare?
Con
Charlotte aveva pattuito di dire ogni cosa alle famiglie il prima
possibile. Lei voleva tenerlo, ma lui?
Lui
era uno scapolo incallito, un figlio significava dire addio a quella
libertà. Voleva dire avere un legame con Charlotte, un impegno
permanente con lei. Come si sarebbero comportati? Avrebbero cresciuto
insieme quel bambino stando separati?
Di
certo non aveva alcuna intenzione di sposarla, ma era stato cresciuto
in un certo modo e doveva prendersi le sue responsabilità.
«Le
responsibilità sono una gran rottura» disse tra sé
mentre prendeva il cellulare e componeva il numero dei suoi genitori.
Doveva
farlo prima di entrare in centrale e rischiare di essere ucciso da
Jack che, probabilmente, era già a conoscenza della novità.
***
«Tu
e quel...quel. Come ha potuto fare questo alla mia bambina?»
Sicuramente
Jack era riuscito a mettere in allerta mezzo vicinato con quell'urlo
disumano. Camminava avanti e indietro, gesticolando come un ossesso,
rivolgendo di tanto in tanto uno sguardo alla figlia, seduta sul
divano accanto alla madre.
«Papà,
per favore.»
«Sarà
un buon agente, ma resta un don Giovanni da strapazzo che ha messo
incinta la mia Chucky!»
«Jack,
come ben sai queste cose si fanno in due» s'intromise Victoria,
cercando di calmare l'uomo senza riuscirci.
Difatti
Jack si voltò velocemente verso la figlia, con gli occhi
sbarrati. «Quanto avevi bevuto?»
«Abbastanza
per ricordare poco.»
«Ti
ha violentata!»
«Papà,
era ubriaco anche lui e poi...non farne un dramma!»
«Sei
incinta, per l'amor del cielo, questo è un dramma!»
Charlotte
non sapeva più che pesci pigliare. Suo padre era sul piede di
guerra, sua madre la guardava come per dirle “te l'avevo detto”
e non osava immaginare il resto della sua famiglia. Ma nessuno si era
ancora fermato a chiederle come stava.
Poi
Jack le s'inginocchiò di fronte, guardandola dolcemente. «Come
ti senti?»
Finalmente,
pensò lei, rispecchiandosi in quegli occhi gemelli. Suo padre,
per quanto burbero e scontroso con il mondo, aveva sempre avuto un
occhio di riguardo per lei. Era un uomo che sapeva leggerle l'anima e
comprendere quando qualcosa non andava.
«Come
vuoi che stia?»
«Ascoltami,
Chucky, io sono qui. Per qualsiasi cosa, aiuto economico o per
sventrare Robert, io sarò sempre qui per te.»
Sventrare
Robert, non era una cattiva idea, ma non poteva farlo senza rischiare
un ergastolo o la condanna a morte. Ma pensandoci bene, con suo padre
Capitano e suo fratello detective, poteva trovare un modo per farla
franca. Probabilmente Jack aveva già pensato a centouno modi
per uccidere Robert senza essere scoperto, magari stava già
studiando come metterli in pratica.
«Vuoi
che lo uccida e nasconda il cadavere?»
Come
volevasi dimostrare. Il connubio Jack e armi era fin troppo
pericoloso. Mira da cecchino, sguardo assassino, suo padre poteva
essere stato un killer professionista in una vita passata, chissà.
Quanto
voleva rispondere con un sì a quella domanda.
«Vado
al lavoro.»
«Jack!»
lo chiamò Victoria, alzandosi e avvicinandosi a Jack pronto ad
uscire. «Promettimi che non farai nulla di avventato.»
«Per
esempio?»
«Prendere
a pugni Robert. So che non ti piace, ma adesso è il padre del
tuo futuro nipote e non vorrai che quel bambino cresca senza padre?»
«Con
un padre come Robert? Gli farei un favore uccidendolo.» Jack si
chiuse la porta alle spalle, lasciando Charlotte e Victoria da sole.
Sapevano
entrambe che Robert correva un grosso rischio, ma entrambe le donne
confidavano nella razionalità di James e nel suo sangue
freddo. Forse lui poteva tenere a bada il malumore del padre.
***
«Posso
sapere che cavolo ti prende stamattina?»
Poteva
mentire al suo migliore amico? Robert non sapeva se doveva essere lui
a dare la notizia a James, oppure se aspettare che fosse Charlotte,
ma ormai non poteva nascondergli nulla.
«Perché?»
«Perché
sei strano. Hai la faccia di uno che non ha dormito a causa di una
donna e non parlo di una notte di passione.»
Robert
sospirò, cercando le parole giuste per dare quella notizia.
Quando aveva chiamato sua madre era stato facile, sebbene lei non
avesse compreso fino in fondo la situazione. Insomma, pensava che lui
e Charlotte stessero insieme. Non aveva avuto il coraggio di
smentirla, semplicemente aveva lasciato che lo credesse per non
ascoltare una qualche crisi isterica o un sermone sulle
responsabilità e cose del genere.
Forse
il chiasso che regnava in centrale e il fatto di essere in mezzo ad
altre persone poteva attutire qualsiasi reazione dell'amico e anche
impedirgli di ucciderlo. James, quando si trattava di sua sorella,
diventava stranamente protettivo e impulsivo, esattamente come Jack
Sinclair, forse di meno.
Stava
per dirgli la verità quando, all'improvviso, la voce del
Capitano, fin troppo agitata, li richiamò all'ordine, facendo
voltare tutti i presenti. Appena arrivato e già si sentiva con
un piede nella fossa.
«Goodwin,
Sinclair, nel mio ufficio. Adesso!» esclamò Jack
camminando a passo spedito verso il suo ufficio.
Robert
e James si guardarono. Il primo sapeva esattamente il motivo per cui
Jack aveva utilizzato quel tono rabbioso e infuriato, ma l'altro no.
Dirigersi
verso l'ufficio del Capitano fu come percorrere il famigerato miglio,
la distanza che solitamente percorreva un condannato a morte per
raggiungere la sala dell'esecuzione e ricevere l'iniezione letale. Fu
l'ultimo ad entrare, chiudendosi la porta alle spalle.
Jack
camminava avanti e indietro per l'ufficio, decisamente fuori di sé.
«Mi auguro che tu non sia uno di quegli uomini che mettono
incinta una donna e poi spariscono.»
«No,
Signore.»
«Quindi
ti prenderai le tue responsabilità?»
«Sì,
Signore.»
James
non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Robert aveva lo sguardo
colpevole e, pensandoci, era tutta la mattina che sembrava sull'orlo
di una crisi di nervi.
«Posso
sapere che cosa sta succedendo?»
«Il
tuo amico ha messo incinta tua sorella.» Jack lo disse senza
staccare lo sguardo da Robert, in piedi di fronte alla scrivania
oltre la quale il Capitano gli lanciava sguardi infuriati. Per
fortuna non aveva una qualche arma in mano.
«Charlie
è...cosa?» domandò James. Perché non se
n'era reso conto prima? Sua sorella si comportava in maniera strana
da giorni e lui non si era accorto di nulla?
«Capitano,
le assicuro che non era mia intenzione mancare di rispetto a Charlie.
Ci siamo lasciati andare ed è successo, ma le garantisco che
farò tutto ciò che è necessario per...»
«Per
cosa? L'hai disonorata!»
Quella
frase lasciò perplessi i due agenti, soprattutto James che
scoppiò a ridere. «Disonorata? Papà non siamo
mica nel Medioevo!»
«Tu
stai zitto! Sapevi che si era portato a letto tua sorella e non hai
fatto nulla.»
«Che
dovevo fare, mandarlo alla gogna? O, perché no, al rogo!»
Suo
padre stava esagerando. Andava bene essere protettivi, ma non fino a
quel punto. Robert aveva sbagliato, ma anche Charlotte non era una
santa. Entrambi avevano bevuto ed entrambi non si erano fermati
quando avrebbero dovuto.
«In
fin dei conti, non è successo nulla di così grave»
aggiunse James. «Sono adulti e vaccinati, vedrai che se la
caveranno a meraviglia.»
Ma
Jack non lo ascoltò. Continuava a guardare Robert con occhi
pieni di rabbia. «Ascoltami bene, biondo.»
«Tecnicamente
Robert non è biondo, il suo lo definirei un castano chiaro
dorato.» E di nuovo James s'intromise. Certo che non sapeva
proprio starsene zitto un secondo. «E poi perché lo
chiami biondo? Mi pare abbia nome, cognome e secondo nome.»
«James,
un'altra parola e ti diseredo!»
«Ok.»
«Ascoltami
bene, Robert» proseguì Jack. «Ti ho sempre
reputato un ottimo poliziotto, ma pessimo nelle relazioni personali,
perciò ti darò una sola possibilità. Fallisci e
ne pagherai le conseguenze, chiaro?»
«Più
chiaro di così!» esclamò James, intromettendosi
per l'ennesima volta.
Jack
guardò il figlio, digrignando i denti. «Fuori di qui!»
esclamò. «Entrambi.»
Non
se lo fecero ripetere due volte. Robert uscì dall'ufficio
seguito da James, il quale gli diede una pacca sulla spalla
divertito.
«Non
farò l'offeso e non m'incazzerò come mio padre, ma
sappi che mi devi delle spiegazioni» disse lui, sedendosi alla
scrivania. «E una birra.»
***
Charlotte
aveva deciso di svagarsi e andare con la sorella ed i nipoti allo
zoo. Allison aveva l'abitudine di non mandare i bambini a scuola
quando aveva il giorno libero, solo per poter passare più
tempo con loro. Quel giorno Liam e Cory avevano insistito per andare
a vedere i pinguini e i piccoli di foche appena nati. Correvano a
destra e a manca, da una gabbia all'altra per osservare gli animali
con occhi sognanti.
Charlotte
guardava i bambini e sua sorella, sembrava tutto così facile
per Allison, essere madre le usciva naturale, ma lei? Poteva essere
una brava mamma?
Quella
mattina si era svegliata con la nausea e la consapevolezza che la sua
vita stava drasticamente cambiando. Un figlio era una grossa
responsabilità e probabilmente sarebbe stato tutto più
semplice se il padre non fosse stato Robert, o forse no?
«Come
ti senti?» le domandò Allison, notando che non aveva
ancora toccato cibo.
Charlotte
sbuffò. «A parte la nausea, sto bene.»
«Papà
come l'ha presa?»
«Male,
James mi ha mandato un messaggio poco fa. Dice che era infuriato e
parlava come uno del medioevo.»
«Tipico
di papà.» Allison rise, piegando la testa di lato.
Sedute
sulla panchina, le due sorelle tenevano sotto controllo i bambini che
mangiavano i loro panini poco distanti. Charlotte avrebbe voluto
urlare per la frustrazione, tutto nella sua vita stava andando a
rotoli e quella gravidanza era stata la goccia di troppo.
«Robert
era sconvolto e non posso dargli torto.» Già, come
poteva. Anche lei era rimasta sconvolta alla vista dei test positivi,
figuriamoci un uomo adoratore della sua solitudine e per nulla
propenso ad avere una relazione stabile con una sola donna.
«Vedrai
che andrà tutto bene. Magari questo bambino gli farà
mettere la testa a posto.»
«Come
se fosse possibile» sorrise Charlotte. «In questo momento
vorrei solo prenderlo a pugni in faccia!»
Charlotte
aveva sempre voluto diventare madre, ma non con un uomo come lui.
Dopo le batoste ricevute, si era messa in testa di ricorrere
all'inseminazione artificiale, quindi quando guardava al suo futuro
si vedeva sempre come mamma single e non come madre di un bambino
nelle cui vene scorreva anche il sangue di Robert Goodwin.
Lui
era il classico stronzo della porta accanto, irresponsabile e
donnaiolo. Tra di loro non c'era un vero e proprio rapporto, ma
adesso si ritrovava a sperare che, per il bene del bambino,
riuscissero a trovare un compromesso per non sbranarsi a vicenda.
Forse un figlio non era poi una tragedia.
«Quindi
hai deciso di tenerlo.»
«Ho
ancora dei tentennamenti ma...sì, voglio tenerlo!»
esclamò Charlotte, sorridendo mentre Allison le passava un
braccio intorno alle spalle, baciandole la testa.
«Ottimo!»
***
«Tu
e mia sorella...ancora stento a crederci!» esclamò
James, colpendo la numero nove e mandandola in buca.
Dopo
il lavoro lui e Robert erano andati al Voodoo per fare una partita a
biliardo. C'era da dire che James non sembrava per nulla sconvolto da
quella notizia così insolita. Strano!
«Non
sei furioso?»
«E
perché dovrei?»
Robert
era sorpreso, non si aspettava una reazione così calma quando
aveva deciso di dire al suo migliore amico la verità. James
era da sempre molto protettivo verso la sorella e pensava di
osservare in lui una reazione furiosa alla notizia della gravidanza
di Charlotte.
«Ho
messo incinta tua sorella» affermò Robert, guardando
James girare intorno al tavolo da biliardo, piegarsi e colpire la
numero cinque, non riuscendo a mandarla in buca.
«Charlotte
è la mia sorellina, ma sinceramente sono solo sorpreso.»
«Non
capisco.»
«Tu
e lei non vi sopportate da quando eravate piccoli. Sul serio, eravate
sempre intenti a litigare tra di voi ed ora» sorrise James,
scuotendo il capo. «Ora avete una sorta di strana relazione
basata sui litigi e sul sesso.»
«È
successo solo una volta.»
«E
lei adesso è incinta. Magari è la volta buona!»
Robert
batté le palpebre non riuscendo a comprendere la battuta. «La
volta buona? James, sei forse impazzito?»
«Sono
solo realista» James si sollevò, guardandolo negli
occhi. «Tu non vuoi avere una relazione seria, mia sorella non
crede nel romanticismo e nell'amore duraturo. Il semplice fatto che
siate uguali ma diversi fa di voi la coppia perfetta.»
«Chi
è il tuo spacciatore?»
La
risata di James scoppiò fragorosa; l'uomo si piegò in
avanti, reggendosi alla stecca. «Se avessi saputo che fingendo
un impegno improvviso tu e Charlie vi foste ubriacati finendo poi a
letto insieme, l'avrei fatto molto tempo fa!»
«Cosa?»
Robert era incredulo, non riusciva a credere che il suo migliore
amico fosse stato l'artefice di quella nottata disastrosa, ma poi
sorrise. «Sai che cosa ti farà Charlie quando lo saprà?»
E
la risata di James si spense all'istante, mentre rifletteva sulle
possibili reazioni della sorella, ma una sola era fattibile. «Credo
che dovrò correre ai ripari.»
«Ti
prenderà a pugni.»
«Prenderà
a pugni anche te se non la smetti di guardare tutte le bionde sexy
che incontri per strada.»
Era
forse giunto il momento di mettere la testa a posto e di sistemarsi?
No, Robert non avrebbe cambiato il suo tenore di vita per nessun
motivo al mondo, per quanto l'arrivo di un figlio fosse un
avvenimento del tutto drastico nella sua quotidianità.
Il
tempo di prendersi le sue responsabilità era giunto e lui non
era affatto convinto di volere quelle modifiche permanenti nella sua
vita.
Angolo
Autrice:
Robert,
mentre si dirige nell'ufficio di Jack, si sente come un condannato a
morte. Ci tengo a precisare che tale pena è prevista dalla
corte suprema nello stato della Louisiana ed è, quindi,
attualmente applicata a New Orleans ed eseguita tramite iniezione
letale.
Chiedo
venia, non sono riuscita a rispondere alle recensioni,spero che il
capitolo possa compensare questa mia mancanza!
Allora,
abbiamo visto la reazione di papà Jack, ma non dovete pensare
che sia tutto qui, il nostro caro paparino troverà un modo per
farla pagare a Robert, dopotutto, dovrà aver preso da qualcuno
Charlotte, no?
Capitolo
noioso? Aspettate di leggere cosa avverrà nei prossimi
capitoli e vedrete, qui ci sarà da piangere (per Robert) e
ridere (per Charlotte).
Al
prossimo capitolo, il 3 ottobre.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Cap. 10 ***
Capitolo
10
Closing
Time
Semisonic
– Closing Time
«Stamattina
sono andata a fare shopping e, in un negozio, ho visto una maglietta
piuttosto controversa. La scritta diceva: “Aspetto il Principe
Azzurro”.» La trasmissione era iniziata come ogni giorno
alle quindici e la voce di Charlotte Sinclair stava già
attirando le sue ascoltatrici. «A chi ha comprato una maglia
simile ho solo una cosa da dire: l'attesa non serve a niente. Il
Principe Azzurro non esiste, è solo uno stereotipo antico e
con il mantello stinto. Più che azzurro si potrebbe definire
grigio stinto.»
Ironica
e sopra le righe. Così veniva definita dalle sue ascoltatrici,
con la lingua affilata e la risposta sempre pronta. Charlotte sapeva
il fatto suo e, alla centrale del settimo distretto di New Orleans,
gli agenti ascoltavano la sua voce in sala relax, del tutto discordi
con la donna.
«Ragazze,
voi non avete bisogno del Principe Azzurro, ma di uno psicologo.
Perché continuare a credere in qualcosa che non esiste? Siamo
tutte donne in gamba, capaci e indipendenti, perché desiderare
un uomo perfetto?»
In
pochi sapevano della gravidanza di Charlotte, al di fuori delle
famiglie e di qualche amico, nessuno era a conoscenza che lei e
Robert erano stati a letto insieme concependo un figlio. Se gli
agenti della centrale fossero venuti a conoscenza di tale notizia,
probabilmente il malcapitato futuro padre sarebbe diventato una
specie di zimbello per loro. Il donnaiolo e la donna impossibile, una
bella coppia.
«Per
non parlare del fenomeno editoriale del momento: cinquanta sfumature
di grigio. Ho visto donne sbavare per Christian Grey, definirlo
l'Adone del ventunesimo secolo e poi ho letto il libro e...ragazze,
se dovessi scegliere tra un uomo possessivo, maniaco del controllo
che mi dice quando devo o non devo mangiare, dominatore e con il
pallino per il sadomaso e tra il Principe Azzurro slavato, beh,
preferisco il donnaiolo della porta accanto.»
Almeno
Charlotte non dava nulla a vedere, cercava di nascondere la
gravidanza meglio che poteva, almeno fin quando non fosse stata certa
del da farsi e di cosa voleva Robert. Non erano una coppia, ma adesso
avevano un figlio in comune e dovevano trovare un punto d'incontro,
che lo volessero o meno.
«Uomini
come Christian Grey non esistono. Non esistono uomini bellissimi,
affascinanti, ricchi e che si prendono subito una sbandata per la
sfigata di turno la quale viene poi avviata alla cultura del
sadomaso. È il classico stereotipo letterario e
cinematografico propinatoci per vendere più copie e biglietti,
con l'aggiunta di dettagli sessuali degni di un film porno di bassa
categoria. Donne, datevi una svegliata e cominciate ad amare voi
stesse, prima di amare un uomo che non esiste!»
E
poi aveva sempre la trasmissione che l'aiutava a sfogarsi. Poteva
dire ciò che pensava senza remore, conscia che molti non la
pensavano come lei ma consapevole di essere seguita da un piccolo
gruppo che condivideva i suoi pensieri. Robert poteva essere insicuro
sulla gravidanza, ma lei aveva ormai preso la sua decisione e non
sarebbe tornata indietro.
«Sono
Charlotte Sinclair e avete ascoltato Tutta colpa di Cenerentola.»
«Sono
Charlotte Sinclair, la frigida di New Orleans» scimmiottò
uno degli agenti, spegnendo la radio, causando l'ilarità
generale.
«Ma
voi l'avete mai vista dal vivo?»
«No,
perché?»
«Ogni
tanto viene a trovare il Capitano e, credetemi, è uno
schianto!»
Gli
agenti ridevano tra loro, a volte si lasciavano andare in certi
discorsi fin troppo spinti, apprezzamenti che se giunti alle orecchie
sbagliate potevano risultare compromettenti e far scattare una severa
punizione.
«Se
solo non fosse la figlia del Capitano, l'ammanetterei al letto e le
insegnerei io un po' di “romanticismo”.»
Di
nuovo le risate riempirono il salottino, seguite da un battito di
mani lento e ritmato. In piedi, appoggiato allo stipite della porta,
Robert li osservava con il sopracciglio alzato. Era un uomo che amava
cambiare donna ogni sera, ma non sopportava che qualcuno parlasse a
quel modo di Charlotte. Era insopportabile, ma era pur sempre la
bambina gracile e con l'apparecchio con cui era cresciuto.
«A
volte mi chiedo come possa Charlie dire certe cose, poi voi aprite le
vostre bocche e comprendo che, in fin dei conti, non ha tutti i torti
a definire noi uomini animali senza sentimenti.»
«Ammettilo,
Goodwin, se potessi anche tu ti faresti un giretto con lei.»
Robert
guardò l'agente che aveva parlato, lo stesso che aveva fatto
la battuta delle manette. Quell'uomo non aveva idea di quanto fosse
andato vicino alla verità. «Curtis, pensa ad ammanettare
al letto tua moglie e lascia stare le altre donne. Charlotte Sinclair
non è alla portata di nessuno di voi!»
«Ora
la difendi?»
«A
dire la verità, no. Ma qualcuno dovrà pur chiudervi le
bocche prima che lo faccia il Capitano!»
Detto
ciò Robert diede loro le spalle, allontanandosi e stringendo
il pugno. Lo irritava sentire certe battute sulle donne. Per quanto
fosse stronzo e donnaiolo, rispettava il gentil sesso a tal punto da
odiare qualsiasi frase troppo spinta nei loro confronti, ed ora che
Charlotte era incinta, la cosa era ancora più accentuata.
«Io
vado al poligono» annunciò raggiunta la sua scrivania,
guardando James. «Vieni con me?»
James
non fece domande. Conosceva Robert e il suo carattere impulsivo.
Quando decideva di recarsi al poligono per sparare, il più
delle volte era per scaricare la rabbia e, dallo sguardo infuriato,
era proprio come pensava.
***
Non
vedeva Robert dal giorno in cui gli aveva detto di essere incinta. Si
erano sentiti per messaggio, ma mai di persona. Nemmeno una
telefonata e, di certo, lei non l'avrebbe cercato.
Era
il 27 gennaio, il famigerato giorno della prima ecografia ufficiale.
Charlotte aveva ormai le idee ben chiare su ciò che voleva e
volente o nolente Robert doveva prendersi le sue responsabilità
a fare da padre a quel bambino che nessuno dei due si sarebbe mai
aspettato di avere.
«Robert?»
fu la domanda di Allison quando vide che la sorella era da sola in
sala d'aspetto.
Charlotte
fece spallucce, seguendola nello studio. Si svestì aspettando
una qualche frase da parte di Allison.
«Lo
sapeva almeno che avevi l'ecografia?»
E
quella non tardò ad arrivare.
«Sì»
rispose Charlotte, stendendosi sul lettino e poggiando i piedi sui
sostegni, rilassandosi. «Doveva lavorare.»
«La
classica scusa dell'uomo che non vuole fare il padre.»
«Credi
che non lo sappia?» Charlotte cominciò ad irritarsi.
«Robert è l'ultimo uomo col quale mi aspettavo di avere
un figlio, ma a quanto pare sono sfortunata e mi tocca tenermi lui.
Ora vuoi dirmi se il mio bambino sta bene?»
Senza
ribattere, Allison cominciò, osservando il monitor con un
sorriso. Ecco il motivo per cui aveva scelto chirurgia ginecologica e
neonatale, per poter osservare quei piccoli miracoli crescere fino
alla loro nascita.
Anche
Charlotte guardava suo figlio, stavolta con meno terrore negli occhi.
Sorrise quando sentì il suo piccolo cuore battere, quella era
musica per le sue orecchie e si rese conto che tenerlo era la sola ed
unica scelta, non ne esistevano altre. Si era arresa all'evidenza e,
doveva ammetterlo, quel piccolino era la cosa migliore che le potesse
capitare, scartando il fatto che il padre fosse Robert. Le favole non
esistevano, ma suo figlio sì, ed era bellissimo.
«Battito
cardiaco regolare, placenta in sede. Il piccolo sta bene.»
«Bene!»
«Ti
stampo una copia in più, nel caso tu voglia darla a Robert.»
Ma
Charlotte sospirò, rimettendosi seduta, osservando sua sorella
compilare la cartella clinica. «Non credo servirà a
molto.»
«Allora
dalla a papà, scommetto che gli passerà l'incazzatura
appena vedrà il suo nipotino!»
Forse
Allison aveva ragione. Diceva sempre che l'ecografia di un feto fosse
in grado di calmare gli animi. Magari non aveva tutti i torti.
«La
nausea dovrebbe sparire al termine del primo trimestre, ma se sei
come me e la mamma, potresti smettere di soffrirne molto prima»
continuò Allison. «Ti senti fiacca, giramenti di testa?»
«Stanchezza
e gambe pesanti.»
«È
normale, soffri di anemia sideropenica da quando eri ragazza e la
gravidanza tende ad accentuarla. Ti prescrivo delle vitamine
prenatali ad alto contenuto di ferro, ti aiuteranno.»
«Ero
ragazza? Perché adesso sono vecchia?»
«Sai
cosa intendo, Lottie!»
Charlotte
sorrise, il primo sorriso sincero da quando aveva scoperto di essere
incinta e Allison se ne rallegrò. Per quanto sarcastica fosse,
era pure sempre la sua piccola Lottie e non poteva vederla triste.
«Comunque,
voglio rivederti tra quattro settimane per un'altra ecografia.»
«Mi
tieni controllata?»
«Sei
mia sorella.»
«Ma
non esiste un codice etico che v'impedisce di curare i vostri
parenti?»
«In
certi casi possiamo fare un'eccezione alla regola. Nel caso le cose
si mettessero male puoi sempre cambiare ginecologo, ma vorrei essere
io a far nascere il mio primo nipotino!»
***
Come
suo solito, James aveva deciso d'intromettersi nella vita di sua
sorella e, di conseguenza, anche in quella di Robert. L'alcool li
aveva fatti finire a letto insieme ed ora quei due si ritrovavano in
una situazione per la quale necessitavano aiuto, così aveva
deciso di fare un'uscita a quattro. Tecnicamente non era una vera e
propria uscita, dato che quel lunedì sera avrebbero guardato
una replica dei play-off di football in preparazione al super bowl.
Lo facevano ogni anno nella settimana della grande partita, ogni sera
pizza e una partita a scelta e, quel lunedì, aveva vinto il
primo incontro dei New Orleans Saints ai play-off, disputato contro i
Philadelphia Eagles. Abitualmente James e Charlotte facevano quel
piccolo rituale insieme, solo loro due, ma quella sera lui aveva
voluto fare uno strappo alla regola.
Aveva
finto di non notare la freddezza che regnava tra Robert e sua
sorella, ma non poteva di certo ignorare il comportamento strano di
lei. Apriva e chiudeva il frigorifero, oppure le ante della cucina
cercando qualcosa da mangiare. Sembrava una che non mangiava da
secoli.
Poi,
finalmente, arrivò il fattorino con le pizze e, al suono del
campanello, Charlotte scattò come una molla, correndo alla
porta per arraffare le scatole, lasciando a James l'onore di pagare
la cena.
Karen
la guardò stralunata mentre apriva una delle scatole per
annusare quel buon profumo fragrante e caldo.
«Amo
follemente l'eroico uomo delle pizze!» esclamò Charlotte
dopo aver respirato il profumo della pizza calda.
«Si
chiama fattorino, Charlie.»
«Per
me sarà sempre l'eroico uomo delle pizze!» esclamò
lei, di risposta alla frase di Karen.
Robert,
però, non rise come gli altri, si limitò a lanciare
un'occhiata fugace al frigorifero dove Charlotte aveva attaccato
l'ecografia con una calamita e James lo notò.
«È
il mio nipotino?» domandò prendendo l'ecografia tra le
dita e sorridendo.
«O
nipotina.»
«Vuoi
una femmina Charlie?»
«Voglio
solo che sia sano o sana.» Charlotte ancora si sentiva strana
all'idea di avere una piccola vita dentro di sé. Era una
sensazione di paura e dolcezza.
«Speriamo
almeno che non erediti il tuo caratteraccio» aggiunse James,
sedendosi al tavolo con gli altri, passando a Robert l'ecografia.
«Guarda tuo figlio, amico!»
«Lo
vedo.» Ma Robert non aveva guardato nulla, si era semplicemente
limitato a sorseggiare la birra dalla bottiglia. «Mangiamo?»
Non
era ben chiaro cosa passasse per la testa di Robert. Per tutto il
resto della serata rimase in silenzio, ogni tanto lanciava qualche
sguardo fugace a Charlotte, seduta accanto a James e questo venne
notato dall'amico. Una cosa era certa, però, quella gravidanza
non era una benedizione per lui.
Forse
Charlotte era quella che cercava di viverla il più serenamente
possibile, malgrado tutte le tensioni e il rapporto poco amichevole
con Robert, però ci provava e sembrava riuscirci. Difatti, a
fine partita, sembrava serena, calma, come se fosse tutto normale.
Salutò perfino Robert quando uscì, dicendogli di farsi
sentire di tanto in tanto, era pur sempre il padre di suo figlio.
Certo, la frecciatina era stata lanciata, ma nessuno aggiunse altro.
Ma
Robert non era per nulla tranquillo. Ormai a casa, nel suo letto, non
faceva altro che osservare il soffitto, immerso in quei pensieri
contorti e preoccupati. Non aveva guardato l'ecografia non per ferire
Charlotte, ma per evitare a sé stesso di provare sentimenti.
Non era pronto per essere padre e, si disse, non lo sarebbe mai
stato.
Lui
che aveva fatto della sua libertà una ragione di vita, ora si
trovava a dover fare i conti con un neonato in arrivo e sua madre non
era di certo la donna che voleva al suo fianco. A dire il vero non
voleva proprio una donna fissa.
Il
cellulare suonò in maniera fastidiosa, talmente tanto che
Robert lo prese stizzito, rispondendo senza guardare chi fosse.
«Pronto.»
«Prendi
nota: voglio un frullato alla fragola molto denso con tanta schiuma,
poi...»
La
voce dall'altra parte della cornetta era inconfondibile, non aveva
nemmeno salutato.
«Charlie?»
domandò, guardando l'orologio. «Sono le tre di notte!»
«So
che ore sono ho un orologio anch'io!» precisò Charlotte.
«Ho fame e tu hai detto di volerti prendere le tue
responsabilità e visto che fuori fa freddo, io non ci penso
minimamente a mettermi in macchina per andare da Burger King, quindi
ci andrai tu.»
«Tu
sei pazza!»
«Tu
mi hai messa incinta ed ora ne paghi le conseguenze.»
Robert
sbuffò, ormai conscio che Charlotte avrebbe continuato a
perseguitarlo se avesse riattaccato. Era questa la sua vendetta per
il comportamento adottato quella sera?
Sconsolato
si alzò dal letto, stiracchiandosi e ascoltando le richieste
della donna che, a dirla tutta, sembrava stesse ordinando cibo per
dieci persone. E pensare che aveva mangiato una pizza gigante da sola
poche ore prima.
Così
prese la moto, andando a prendere quello che Charlotte aveva
ordinato. Non era entusiasta, ma in fin dei conti se l'era cercata.
Perché non aveva avuto il buon senso di utilizzare un
preservativo? Si sarebbe risparmiato quella tortura e quei sensi di
colpa.
Prese
tutto, controllando che non mancasse nulla, sapeva che se qualcosa
non fosse stato in quella busta, probabilmente, Charlotte sarebbe
andata su tutte le furie e lui non aveva alcuna intenzione di
assistere ad una sua sfuriata. Faceva paura a volte!
Giunto
a casa del suo incubo peggiore, bussò e Charlotte non tardò
ad aprirgli.
«Era
ora!» esclamò lei, togliendogli dalle mani la busta con
la sua ordinazione.
«Chiedo
venia, vostra maestà, ma ci sono le strade ghiacciate.»
«Spiritoso.»
Robert
alzò gli occhi al cielo, entrando e poggiando il cellulare e
le chiavi sul tavolino per poi togliersi la giacca e sdraiarsi sul
divano. «Hai una coperta?»
«Cosa
intendi fare?»
«Dormire.»
«Questo
l'ho capito, ma perché ti sei sdraiato sul divano?»
Charlotte lo guardò sbalordita, addentando il doppio
cheesburger che aveva in mano.
«Non
ho intenzione di tornare a casa, ho troppo sonno e, visto che il
motivo per cui non ho potuto proseguire la mia nottata di sonno sei
tu e il bambino, mi pare logico che tu voglia sdebitarti lasciandomi
dormire sul tuo divano.»
«Sei
incredibile.»
«E
tu insopportabile. Siamo pari!»
Charlotte
si arrese, non voleva ma le toccò. Casa sua non aveva un
orario di chiusura come i negozi e sbattere fuori l'uomo che le aveva
portato il cibo e messa incinta le costava troppa fatica.
Perché
non aveva chiamato James?
Angolo
autrice:
L'anemia
sideropenica è meglio nota come carenza di ferro. Molto comune
nelle donne, soprattutto durante la gravidanza.
La
stagione di football in America dura da settembre a dicembre, le otto
squadre vincenti finiscono ai play-off che durano tre settimane alla
fine dei quali le due squadre restanti vanno al super-bowl.
Quest'anno i Play-off si sono tenuti dal 4 al 19 gennaio ed hanno
visto i Seahawks di Seattle ed i Broncos di Denver uscire vincitori.
Come molti ben sapranno il super-bowl si è poi svolto il 2
febbraio e si è concluso con la vittoria dei Seahawks.
Ho
aggiornato in anticipo perché non sono certa di poter essere
puntuale con i prossimi capitoli, causa vacanza da alcuni parenti a
Lindos, sull'isola di Rodi. Starò via tutto il mese di ottobre
e, purtroppo, a casa dei miei zii la connessione internet non è
delle migliori, ma prometto che farò il possibile per
aggiornare!
Quindi,
bando alle ciance, se riesco posterò il nuovo capitolo il 15
ottobre.
Un
bacione carissimi e alla prossima!
Ele.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Cap.11 ***
Capitolo
11
Lonely
is the Night
Lonely
is the night – Billy Squier
Il
compleanno di Charlotte.
Solitamente
James si preparava all'evento giorni prima, comprando come minimo tre
regali, di cui uno da condividere con Karen. I loro compleanni
cadevano in due giorni consecutivi, difatti l'anno precedente aveva
regalato alle due un fine settimana in una SPA, da trascorrere in
totale relax tra amiche.
Per
i loro ventotto anni aveva pensato di organizzare una sessione di
arrampicata, ma la gravidanza di Charlotte aveva stravolto i suoi
piani, quindi aveva scelto di iscrivere la sorella e la fidanzata a
yoga. Forse quella disciplina poteva aiutare entrambe a distendere i
nervi ed a rilassarsi, data la situazione di Charlotte e i preparati
per il matrimonio che stavano mandando fuori di testa Karen. Si era
informato e, secondo quanto detto da Allison, lo yoga in gravidanza
era un toccasana sia per la madre che per il bambino.
Come
diceva sempre: aveva preso due piccioni con una fava.
«Hai
preso un regalo a Charlie?»
«Dovrei?»
domandò Robert senza alzare lo sguardo dal verbale che stava
compilando.
Si
era completamente scordato del compleanno di Charlotte, ma in
ventotto anni non le aveva mai fatto un regalo, perché
cominciare proprio ora?
«Certo
che dovresti, è incinta!» esclamò James.
«Potresti regalarle qualcosa per il bambino. Mia sorella ha
intenzione di prenderle la carrozzina, hai presente quelle che
diventano passeggino e seggiolino per auto?»
«No,
non le ho presente.» Sembrava quasi che non gli importasse di
nulla, come se quell'argomento non lo toccasse. In realtà
Robert cercava di mantenersi il più distante possibile da
quella situazione. Aveva promesso di prendersi le sue responsabilità,
ma questo non lo obbligava a preoccuparsi di qualsiasi aspetto della
gravidanza. Avrebbe riconosciuto il figlio e contribuito alla sua
crescita ed educazione, mantenendo il suo tenore di vita libertino.
«Charlie
ha ragione, sei proprio uno stronzo!»
Finalmente
Robert alzò lo sguardo. «Mi dispiace, ma non sono adatto
a fare il padre. Aiuterò Charlie economicamente e sarò
presente per il bambino, ma non puoi chiedermi d'interessarmi alle
faccende della gravidanza o ai passeggini e lettini» sbottò,
guardando James negli occhi. «E se continui a insistere
affinché io e Charlie diventiamo una coppia, scoprirai che non
è l'opzione migliore. La farei solo soffrire e lei non lo
merita.»
Forse
quello era il primo discorso del tutto non egoistico che Robert
faceva. Aveva paura di far soffrire Charlotte e questo lo teneva
lontano da lei e da qualsiasi sentimento di amicizia e affetto che
poteva provare nei suoi confronti.
James
avrebbe voluto fare qualcosa, ma si rese conto che ogni sua azione
poteva solo peggiorare le cose. Stava a quei due testoni decidere
cosa era meglio per loro.
«Sinclair
e Goodwin. Quanto tempo.» Voce fastidiosa, acqua di colonia
troppo forte e portamento da riccone che portava il nome ed il
cognome di Eric Anderson.
«Anderson,
ti mancava la tua cella?» lo salutò James spavaldo,
alzandosi per guardare l'uomo negli occhi. Ancora si chiedeva come
era riuscito ad incantare sua sorella molti anni prima.
«Il
mio avvocato sta parlando con il vostro Capitano in questo momento»
proseguì Eric, guardando distrattamente il suo rolex, come per
mostrare ai due quanti soldi possedeva. Che avesse fatto fortuna come
chirurgo plastico lo sapevano tutti, ma con i suoi gesti era come se
volesse costantemente ricordarlo a chi lo circondava.
«Sapete,
ci sono voci in città, piccoli pettegolezzi che mi hanno
incuriosito, mi chiedevo se fossero vere» continuò. «Si
dice che Charlie sia incinta e che il figlio sia tuo, Goodwin.»
«Non
sono affari tuoi, Anderson.» James si mise subito sulla
difensiva, stringendo il pugno quanto bastava per far sbiancare le
nocche. Odiava quel vanesio e la voglia di spaccargli la faccia era
sempre più forte.
«Deduco
sia così.» Eric puntò lo sguardo su Robert.
«Povero bambino, con una madre acida e scontrosa come Charlie
non avrà di certo un carattere docile.»
«Se
è diventata così, la colpa deve essere di qualcuno.»
La
frase di Robert non sembrò toccare Eric, dato che proseguì
il suo discorso senza batter ciglio, cambiando argomento. «So
che avete infilato nella mia tasca la droga per vendicare la vostra
piccola Charlie, quindi sappiate che non la passerete liscia.»
«Ci
stai minacciando?» Robert si alzò, voleva mantenere la
calma, ma quell'uomo lo stava istigando.
«No,
ma volevo solo assicurarvi che tutte le persone coinvolte riceveranno
notizie dal mio avvocato e, per tutte, intendo anche la vostra
protetta.»
«Stai
lontano da mia sorella.»
Ma
Eric non si fece intimidire, spostò lo sguardo su Robert,
guardandolo come fosse un pezzente. «È stata brava a
letto, Goodwin?»
«Io
ti ammazzo!» James non ci vide più. Il suo pugno colpì
il naso di Eric, talmente forte da farlo sanguinare abbondantemente.
Se non ci fossero stati Robert e altri agenti, probabilmente
l'avrebbe picchiato fino a farlo svenire. Ci vollero tre uomini per
allontanarlo da Eric e tenerlo fermo.
«Osa
solo ad avvicinarti a mia sorella e ti giuro, Anderson, ti farò
pentire di averle anche solo respirato vicino!»
«Sto
tremando, Sinclair.»
Robert
non resistette. Era rimasto calmo per poter trattenere James dal fare
fuori Eric, ma la sola vista di quell'espressione strafottente lo
mandava in bestia. Si avvicinò ad Eric, ancora a terra con il
naso sanguinante. «Ora stammi a sentire, figlio di puttana,
stai alla larga da Charlie e da mio figlio, altrimenti non te la
caverai con solo un naso rotto» disse, guardandolo dritto negli
occhi. «Non tollero che qualcuno minacci me o le persone a cui
tengo, sono stato chiaro?»
I
suoi occhi azzurri parevano cubetti di ghiaccio da quanto odio e
freddezza imprimeva in quelle parole. Robert era un libertino, ma
teneva a Charlotte abbastanza da diventare protettivo nei suoi
confronti, soprattutto quando a minacciarla era un uomo come Eric
Anderson.
«Che
diavolo succede qui?» Fortunatamente Jack intervenne, prima che
uno solo dei suoi uomini potesse fare qualcosa di avventato. Guardò
torvo Eric, spostando poi lo sguardo su James tenuto fermo da tre
agenti e poi su Robert, visibilmente teso e infuriato.
«Nulla
Capitano» disse Robert, aiutando Eric ad alzarsi. «Il
signor Anderson è solo caduto.»
«Caduto?»
Quella scusa faceva acqua da tutte le parti, ma Jack non volle
approfondire; Eric Anderson non faceva innervosire solo James e
Robert.
Purtroppo
le cose non potevano essere risolte con semplici bugie campate per
aria, soprattutto se era presente anche l'avvocato dell'aggredito.
«Caduto?
È evidente che il mio cliente è stato aggredito.»
«Aggredito?»
E Jack non era tipo che si faceva intimidire da un avvocato, era lui
che intimidiva gli altri. Si portò le mani ai fianchi,
guardando gli agenti presenti. «È vero che il signor
Anderson è caduto?»
Tutti
annuirono. Lavoro di squadra, che bella definizione.
Jack
guardò così l'avvocato, senza dire nulla. Era ovvio che
si trattava della loro parola contro quella di Eric e per quanto
l'avvocato fosse un barracuda, data la sua reputazione di legale in
grado di scagionare anche Satana in persona, quando si trovava nel
distretto di Jack doveva fare attenzione a non provocare lo squalo,
si finiva solo male.
***
Charlotte
non sopportava gli sguardi delle persone. I vicini di casa di suo
padre avevano saputo della gravidanza e, dal loro modo di
bisbigliare, probabilmente sapevano anche chi era il padre. Per non
parlare di alcuni clienti della tavola calda di sua nonna. Le voci
correvano anche in una grande città come New Orleans,
soprattutto quelle riguardanti una conduttrice radiofonica allergica
all'amore ed un detective di polizia farfallone.
Sperava
di poter vivere la gravidanza il più serenamente possibile,
per quanto le circostanze lo permettessero, ma a quanto pareva i
gossip erano come miele per le api nel suo quartiere e in radio non
facevano altro che fissarla. Almeno la nausea iniziava a svanire
gradualmente e riusciva a godersi il risveglio senza dover correre al
bagno a vomitare ogni tre secondi o ogni volta che sentiva odore di
cibo.
Stava
per appisolarsi sul divano, dopo essere tornata dagli uffici
dell'emittente radiofonica, quando qualcuno bussò alla porta.
Sbuffando andò ad aprire, alzando gli occhi al cielo quando si
trovò di fronte Robert.
«Che
cosa vuoi?»
«Ciao
anche a te.» Robert la rimbeccò, sorpassandola ed
entrando nell'appartamento. «Potresti essere più
gentile, sai? Sono pur sempre tuo amico.»
«Amico?
Per come la vedo io sei solo il rompiscatole che mi ha messa
incinta.»
«Ti
preferisco quando dormi.»
«Ed
io quando non ci sei.»
«Buon
compleanno.» Robert le porse una scatolina rettangolare,
sedendosi sul divano e poggiando i piedi sul tavolino. «E poi
non dire che sono uno stronzo.»
«Uno
spray al peperoncino?» Rimase sorpresa quando, aprendo il
regalo, si trovò di fronte ad una bomboletta anti-aggressione.
Corrugò la fronte, non riuscendo a capire il senso di quel
dono.
«Quello
all'aglio era finito.»
«No,
sul serio...uno spray al peperoncino?»
«Eric
minaccia di fare causa al dipartimento. Oggi è arrivato in
centrale con il suo avvocato, dice che cercherà di farcela
pagare, te compresa.»
Sul
serio si stava preoccupando per lei?
«Per
la storia della droga?»
«Io
e James abbiamo esagerato ma, credimi non mi pento di averlo
incastrato.»
Charlotte
sorrise debolmente, quando voleva Robert sapeva essere gentile a suo
modo. «Grazie.»
«Ah,
e James gli ha rotto il naso...di nuovo.»
«Oh,
i miei cavalieri dall'armatura luccicante» disse lei in tono
scherzoso, sbattendo le ciglia con fare teatrale, sedendosi sul
divano accanto a Robert.
Era
una delle poche volte in cui riuscivano a parlarsi senza litigare o
ricorrere alle maniere forti. Forse potevano trovare un modo civile
per convivere ed essere buoni amici.
Robert
sorrise, guardandola e, per la prima volta da quando aveva scoperto
della gravidanza, s'interessò a lei. «Come ti senti?»
«La
nausea è sparita, in compenso ho sempre più fame, che
ne dici di portarmi un cheeseburger e una mega confezione di patatine
fritte?»
«Sei
una spina nel fianco, Charlie» sbuffò Robert. «Peggio
di un gatto attaccato ai coglioni!»
«Anzi,
ho voglia di una pizza con tanta mozzarella, funghi e salsiccia...e
ali di pollo croccanti con purè di patate, ma quello che fa
mia nonna con le patate, non quello liofilizzato del supermercato.»
«Sei
sicura di essere incinta di un essere umano e non di un
tritarifiuti?»
«Vai
a prendermi da mangiare oppure vuoi che ti castri sul posto?»
Meglio
non contraddire Charlotte quando aveva fame, si rischiava di finire
male.
«Va
bene, ma prima ho bisogno di sapere una cosa.»
«Cosa?»
«Quando
scade il termine?» Era la prima volta che Robert s'interessava
alla gravidanza, il che era strano, dato il suo menefreghismo verso
ogni argomento inerente alla gestazione.
Charlotte
alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sotto al seno.
«Perché lo vuoi sapere?»
«Lo
vuole sapere mia madre, mi ha lasciato un messaggio in segreteria
stamattina e prima di richiamarla voglio avere le informazioni che ha
chiesto.»
«Sono
di undici settimane e tuo figlio dovrebbe nascere all'inizio di
settembre» specificò lei. «Comunque è
gentile da parte tua questo interessamento, pensavo non te ne
fregasse nulla!»
Ma
ormai Robert si era alzato e diretto alla porta. Non disse nulla, si
limitò a farle un cenno con la mano, per poi uscire e lasciare
Charlotte ancora più infuriata di prima.
***
Robert
non era forse l'uomo ideale con il quale mettere al mondo un figlio,
ma dopo quanto le era stato riferito dal fratello al telefono,
Charlotte si rese conto di quanto sapeva essere protettivo l'uomo.
Sorrise
accarezzandosi il ventre lievemente accennato. La gravidanza iniziava
a farsi vedere, ma ad un occhio poco attento poteva ancora passare
inosservata. Ormai la voce stava prendendo piede e, prima della fine
di febbraio tutti avrebbero saputo che aspettava un figlio da Robert.
Seduta
sul divano con il portatile sulle gambe, Charlotte cercava di
scrivere il prossimo intervento alla radio, ma non riusciva a
concentrarsi a causa di quanto stava accadendo nella sua vita. Le
minacce di Eric potevano essere solo parole al vento, ma conosceva
abbastanza quell'uomo da sapere che non parlava solo per dare aria
alla bocca. Robert e James potevano rischiare il posto o la
sospensione temporanea, magari una causa per diffamazione. Era
preoccupata per loro, in fondo avevano agito a quel modo per
proteggerla.
Poi
la porta si aprì e la voce di Robert le fece capire che la sua
ordinazione era arrivata. Si alzò, pronta a criticarlo per
fargli notare il ritardo, ma quando lo vide al telefono si fermò,
cercando di capire con chi stava parlando.
«Ehm,
abbiamo un problema!» esclamò Robert, dopo aver
riattaccato il telefono. «I miei genitori vengono a trovarmi.»
«Questo
è un tuo problema, non mio!»
«Sanno
che sei incinta e che il bambino è mio, ma non sanno il
resto.»
Charlotte
aggrottò la fronte, cercando di capire cosa stesse cercando di
dirle Robert, ma non aveva una sfera di cristallo né, tanto
meno, facoltà da veggente. «E quindi?»
«Quindi
non sanno che tu ed io, insomma, non siamo una coppia. Loro credono
che tu ed io stiamo insieme.»
«E
perché lo credono?»
«Conosci
i miei, quando hanno saputo che sarei diventato padre hanno subito
chiesto quando ti avrei sposata e, sai com'è mia madre.»
«Ed
io che cosa dovrei farci?»
«Dovresti
reggermi il gioco, almeno per il prossimo fine settimana. Vieni a
stare da me, gli facciamo credere che stiamo insieme, che siamo una
coppia.»
Charlotte
voleva comportarsi da persona seria, ma la cosa la divertì a
tal punto da farla scoppiare a ridere. Lei e Robert una coppia? Non
esisteva nemmeno la minima probabilità che fra di loro potesse
nascere qualcosa, a parte un figlio e, a quello, non si poteva di
certo porre rimedio.
«Perché
non dici semplicemente come stanno le cose? Sono certa che capiranno
la situazione.» Charlotte aprì la busta del cibo,
prendendo un'ala di pollo.
«È
complicato. Vedi, ho provato a dir loro che tu ed io non stiamo
insieme, ma quando ho detto che tra di noi le cose non andavano molto
bene, mia madre è scoppiata in lacrime, ha cominciato a
singhiozzare e non sono riuscito a dirle la verità.»
«Che
pappamolla!» esclamò lei addentando un'ala di pollo.
«Senti,
loro vivono a Shreveport, vengono per il fine settimana e poi
ripartono, potresti fingere di volermi bene almeno per quei tre
giorni? Se mio padre scopre che ti ho messa incinta e che non ti
sposo, finisce male!»
«Non
siamo al liceo!»
«Prova
a spiegarlo a quei tradizionalisti dei miei genitori. Hanno una
mentalità vecchio stile, se metti incinta una donna te la devi
sposare!»
Charlotte
alzò le mani, stringendo gli occhi a due fessure. «Per
caso credono che ci sposiamo?»
«No,
credono che stiamo insieme e che ci sposeremo quando il bambino sarà
nato e abbastanza grande per camminare e portare le fedi all'altare.»
«Sei
un coglione!»
Era
ufficiale, Robert Connor Goodwin aveva compiuto la cazzata più
grande della sua vita, oltre ad averla messa incinta.
Charlotte
si portò le mani nei capelli, desiderano intensamente di
tornare indietro nel tempo per fermare la sé stessa del
passato ed impedirle di ubriacarsi con Robert. Cosa aveva fatto di
male per meritarsi tutti quei casini?
Angolo
autrice:
Lo
yoga è ideale soprattutto in gravidanza. Migliora la
circolazione, distende i muscoli ed i nervi e, soprattutto, è
una pratica molto importante per la preparazione al parto.
Robert
l'ha fatta grossa, ma sembra tenerci a Charlotte, tanto da regalarle
una bomboletta al peperoncino. Intanto Eric sembra avercela con
James, Robert e Charlotte, minacciandoli. Che accadrà?
Beh,
lo scoprirete nei prossimi capitoli. Sappiate che nel prossimo
vedremo i genitori di Robert.
Scusate
se non ho risposto alle recensioni dello scorso capitolo, purtroppo
ho avuto parecchio da fare!
Prossimo
aggiornamento giovedì 20 novembre!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Cap. 12 ***
Capitolo
12
I
don't want to be
I
don't want to be – Gavin DeGraw
I
genitori di Robert erano arrivati il venerdì sera e lei, come
da copione, si era ritrovata a dover fingere una relazione che mai
sarebbe potuta iniziare. Alla fine avevano stabilito di stare a casa
sua e non nel piccolo appartamento dell'uomo. Se volevano fingere
dovevano farlo in maniera adeguata e l'appartamento di Charlotte era
più grande e accogliente rispetto a quello di Robert.
Certo,
se non fossero stati due persone con caratteri opposti, sarebbe stato
più semplice fingere simpatia verso Robert di fronte ai
genitori di lui. Non erano fastidiosi, Patrick era un uomo
silenzioso, l'ultimo dei suoi problemi, ma Lauren era fin troppo
espansiva per i suoi gusti, proprio come se la ricordava. Protettiva
e materna, l'esatto opposto del figlio.
In
che cavolo di situazione si era cacciata?
«Potresti
evitare di fare tutto questo rumore?» mugugnò lei,
muovendosi sotto le coperte.
Non
era facile lavarsi e vestirsi in silenzio, soprattutto con Charlotte
che, a causa della gravidanza, aveva il sonno leggero. Le donne
incinte di solito non dormivano ad ogni ora del giorno?
«E
potresti vestirti in bagno?»
Robert
guardò in basso, indossava solo un asciugamano intorno alla
vita, non era nudo. «Non c'è niente che tu non abbia già
visto. Ricordi? Ti ho messa incinta.»
«Evita
anche di ricordarmelo, vorrei dimenticare quella squallida notte!»
Robert
non rispose, si limitò a vestirsi, lasciando che Charlotte lo
insultasse per bene. Non era una passeggiata vivere con lei, dormirci
era anche più difficile se si contava il fatto che Hannibal,
quel bestione, passava la notte sdraiato tra loro due, con il muso
sulle gambe della padrona.
«Ho
perso il sonno.» Charlotte si alzò, sbuffando.
«Credo
sia fuggito insieme alla tua gentilezza, cosa che non credo tu abbia
mai avuto.»
Era
sempre così tra loro; un continuo punzecchiarsi che non finiva
mai. Ma questo si verificava solo quando erano soli, lontani dagli
sguardi dei signori Goodwin. In loro presenza loro dovevano sembrare
una coppia felice. Cosa alquanto impossibile nella vita reale.
Una
volta vestito e diretto in cucina, Robert si sedette al tavolo per
fare colazione, per fortuna c'era sua madre, altrimenti poteva
scordarsi che Charlotte cucinasse per lui. Se l'avesse fatto,
probabilmente, sarebbe morto per avvelenamento.
Bevve
il suo caffè sotto lo sguardo indagatore della madre, perché
doveva essere così ficcanaso? «Che succede?»
«Dovrei
farti io questa domanda.»
Ma
Robert non disse niente, limitandosi a mangiare le uova strapazzate
nel suo piatto, mentre Charlotte si dirigeva verso il frigo per
prendere una bottiglietta d'acqua.
«Esco,
vado a correre!»
«Non
mangi nulla, Charlotte?» Lauren si portò una ciocca
castana dietro l'orecchio, sbattendo un paio di volte le palpebre.
Era incredibile come quegli occhi azzurri fossero uguali a quelli di
Robert.
Charlotte
sorrise alla donna, agganciando il guinzaglio al collare di Hannibal.
«Grazie, Lauren, ma se mangio prima di correre rischio di stare
male.» Detto questo uscì senza salutare Robert e Lauren
capì che qualcosa non andava tra i due.
«Avete
litigato?»
«Litighiamo
ogni giorno da quando siamo piccoli» disse Robert. «Nulla
che non possa essere risolto.»
Ma
Lauren non ne era tanto convinta. I due sembravano in procinto di
azzannarsi a vicenda come cani rabbiosi, altre volte erano in
sintonia a tal punto da dare l'impressione di essere insieme da
sempre.
L'unico
perennemente in silenzio era Patrick, troppo concentrato sulla pagina
sportiva per rendersi conto di cosa stava succedendo accanto a lui.
Ah, beata tranquillità!
«Ho
visto sul calendario che oggi avete un'ecografia» cambiò
discorso la donna. «Sarai emozionato.»
Ma
Robert rispose con tono piatto e non curante, come se fosse un
appuntamento dal dentista. «Devo lavorare.»
«E
chi va con Charlotte?»
«Karen.»
«Sai,
da quando siamo arrivati non ti ho mai visto sfiorarle la pancia o
anche solo interessarti alla gravidanza. Che razza di figlio ho
cresciuto?»
«Lei
non sopporta che le si tocchi la pancia, se solo ci provo rischio di
restare senza mano.»
Lauren
strabuzzò gli occhi. La sera precedente Charlotte aveva
lasciato che lei le sfiorasse il pancino, ridendo e parlando di
quanto fosse tutto strano. Le si erano illuminati gli occhi quando le
aveva dato il libro dei nomi, sebbene avesse fatto intendere di
averne già un paio in mente.
«Robert
Connor Goodwin, se non ti conoscessi direi che tu non vuoi questo
bambino.»
E
quando Robert la guardò negli occhi, Lauren capì che la
situazione era critica. Suo figlio non voleva diventare padre.
«Devo
andare, ci vediamo stasera.» Detto ciò, Robert uscì,
lasciando Lauren basita e senza parole.
Era
un silenzio desolante quello che regnava in quell'appartamento,
interrotto solo dal frusciare della pagine del giornale di Patrick.
«Lascialo
stare, deve abituarsi all'idea di diventare padre e, per nostro
figlio, non è una cosa facile.»
C'era
da dire che, nonostante fosse un uomo taciturno, Patrick sapeva
vedere ben oltre le apparenze. Con una sola frase aveva fatto centro.
***
Non
era un compito facile. Fingere di amare Charlotte non si stava
dimostrando un piano geniale.
Per
non parlare degli sguardi che James gli lanciava di tanto in tanto.
Il suo migliore amico aveva criticato quel piano in tutte le maniere;
l'aveva definito stupido ed egoistico, esattamente le stesse parole
usate da Charlotte. Quei due o avevano parlato al telefono, oppure
erano veramente fratello e sorella. E pensare che Robert aveva
sperato fino all'ultimo che tra quei due non ci fosse un legame
genetico.
«Ok,
tu ora devi fare una cosa per me» esordì James, dopo
aver parcheggiato l'auto di fronte all'ospedale. «Abbiamo
un'ora di permesso. Adesso entri e vai a tenere la mano a Charlie se
non vuoi finire con una pallottola firmata Jack Sinclair in fronte.»
Si
erano messi tutti contro di lui. L'universo intero sembrava volerlo
costringere a partecipare all'ecografia. Sua madre che gli teneva il
fiato sul collo, Jack che lo minacciava di morte certa e James che,
praticamente, lo stava trascinando nell'edificio.
Ma
per quale insano motivo doveva entrare in quell'ospedale e osservare
un monitor?
«Mio
padre è pronto a spararti. Credimi, ha la pallottola in canna
e sai che ha una mira infallibile.»
Ecco
il motivo: la furia di Jack Sinclair.
La
giornata era iniziata male, ma stava proseguendo nel peggiore dei
modi.
***
«È
un emerito idiota!»
Charlotte
era fuori di sé, si sfogava mentre la sorella la visitava e
Allison non poteva fare altro che ascoltarla.
Aveva
anticipato di un paio di giorni l'ecografia a causa di alcuni
interventi che non poteva posticipare. Avrebbe preferito farla il
lunedì 24, senza i genitori di Robert in giro per casa, ma
forse averli intorno non era così male. Magari poteva essere
una nota positiva e spingere così Robert ad affrontare la
gravidanza in maniera più rilassata e meno menefreghista.
«Questo
l'hai già detto» disse la donna, misurando la pressione
della sorella.
«Non
fa altro che girare per casa, la mia casa, e fingere. Lo odio!»
«Anche
questo l'hai già detto.»
«E
russa...russa peggio di papà.»
Allison
ascoltava impassibile, sospirando di tanto in tanto. Possibile che
quei due testoni non riuscivano a riconoscere il fatto che erano più
simili di quanto pensassero? Continuavano a farsi la guerra e
litigare senza sosta e, purtroppo, tiravano in mezzo altre persone.
«Almeno
è temporaneo, devi solo resistere in questi giorni.»
«Resistere?»
domandò con voce stridula Charlotte. «Allison, è
il padre di mio figlio, dovrò sopportarlo fin quando sarà
in vita.»
«Pensi
di vivere più a lungo di Robert?»
«Certo
che sì!»
Allison
sorrise. «Però, sei ottimista.»
«Sono
realista. Potrei avvelenarlo con l'arsenico, di certo papà mi
fornirebbe un alibi e copertura per occultare il cadavere.»
«Guardi
troppe serie tv poliziesche.»
Charlotte
sospirò. Che cosa aveva fatto di male per meritare tutto
quello? Si lasciò andare sul lettino negando col capo. «Perché
sono stata così stupida? Non dovevo bere in sua presenza.»
«Pensa
al lato positivo: almeno sei rimasta incinta di un uomo che conosci»
affermò Allison. «Se fossi rimasta da sola in quel bar
avresti bevuto e, forse, saresti finita a letto con uno sconosciuto
che, magari, si sarebbe scordato del preservativo e tu ti saresti
ritrovata a crescere questo figlio da sola.»
«Meglio
sola che con Robert.»
Allison
voleva dire qualcosa, ma sapeva che quando la sorella era infuriata
bisognava solo lasciarla sfogare, le sarebbe passato tutto.
La
porta si aprì e l'infermiera entrò. «Dottoressa
Sullivan, c'è il signor Goodwin per sua sorella.»
«Parli
del diavolo» sospirò Allison, facendo cenno
all'infermiera di far entrare Robert. «Appena in tempo Robert,
stavamo per fare l'ecografia!»
Charlotte
non lo guardò, limitandosi ad osservare il soffitto mentre lui
si sedeva accanto a lei. «Che ci fai qui?»
«Sostituisco
Karen.»
«Veramente
era Karen che sostituiva te.»
«Vuoi
litigare, oppure vuoi che mi prenda le mie responsabilità?»
Charlotte
non disse nulla, si limitò a tenere lo sguardo fisso sul
soffitto. Lo sentì accanto a lei, fermo, immobile. Aveva il
respiro pesante, poteva sentire il suo corpo teso e impassibile. Di
certo era nervoso, molto più di lei alla prima visita.
Rimase
ferma ad aspettare di sentire l'unico suono in grado di calmarla: il
battito del cuore di suo figlio. Era rilassante e dolce, una droga
della quale non riusciva a farne a meno. Stava diventando madre e non
c'era nulla di più bello che poteva capitarle; l'unica nota
negativa di quella gravidanza era l'uomo che aveva donato parte del
codice genetico. Al termine della visita si sentiva talmente euforica
da non riuscire a dare contro al padre di suo figlio.
Rimasta
sola con Robert nella saletta, con l'ecografia in mano, Charlotte
cercò il suo sguardo e vide solo la paura. «Tu non vuoi
farlo, vero?»
«Cosa?»
«Tu
non vuoi essere padre» sussurrò Charlotte, guardando
l'ecografia. «Se vuoi fare marcia indietro sei libero di farlo,
non voglio obbligarti.»
«Fosse
così facile.» Robert era sempre stato un uomo sicuro di
ciò che voleva. Nessun legame, nessuna donna fissa, solo lui e
la sua libertà. Poi Charlotte era rimasta incinta e quello da
cui fuggiva si era materializzato sulla sua strada.
«Posso
farcela anche da sola.»
«E
le nostre famiglie? Tuo padre mi ucciderebbe, il mio gli darebbe man
forte, per non parlare di James, cercherebbe di castrarmi.»
«È
solo per questo che hai scelto di prenderti le tue responsabilità?
Per quello che gli altri potrebbero fare o pensare di te?»
«No.»
E per la prima volta Robert la guardò negli occhi, mettendosi
di fronte a lei e puntando le mani sul lettino, vicino ai suoi
fianchi. «Non meriti di affrontare tutto da sola. È
vero, non voglio essere padre, ma questo bambino è pur sempre
mio figlio e non voglio che cresca pensando che suo padre l'abbia
abbandonato prima ancora che nascesse.»
Robert
era uno stronzo, ma Charlotte sapeva che quando si trattava della
famiglia diventava un'altra persona. Forse non ci si poteva fidare di
lui come compagno, ma come padre sapeva che sarebbe stato fantastico.
«Per
quale motivo sei così accondiscendente e gentile?»
domandò lui, sorpreso dal comportamento calmo e per nulla
aggressivo di Charlotte.
Lei
sorrise, facendo spallucce. «Saranno gli ormoni.»
***
Aveva
trascorso il resto della giornata con l'ecografia in tasca. Non
l'aveva guardata, si era semplicemente limitato a infilarla nella
tasca posteriore dei jeans, fingendo che non ci fosse.
Forse
era questo il modo giusto per affrontare la situazione: far finta che
non fosse successo nulla; ma non poteva andare avanti per molto. La
pancia di Charlotte cresceva e quella mattina aveva visto la donna
specchiarsi in bagno, sfiorandosi il ventre lievemente pronunciato.
Che
cosa doveva fare?
Finito
il turno rientrò a casa, sentendo il profumo della cena e la
televisione accesa. Suo padre guardava il notiziario, sua madre
cucinava e Charlotte apparecchiava mentre Hannibal mangiava dalla sua
ciotola.
«Ciao.»
Si avvicinò a Charlotte, baciandole i capelli solo per fare
scena. Quella mattina aveva rischiato di far saltare i suoi piani,
non poteva mandare tutto a rotoli in poche ore. Eppure quel semplice
gesto gli venne spontaneo, come se fosse stato dettato dal suo cuore
e non dalla ragione.
Charlotte
non disse nulla, si limitò ad un sorriso tirato, sentendosi
strana. «Ciao.»
Sapeva
che quel bacio era stato un modo per far credere ai genitori di
Robert che tutto andava bene, ma come mai sentiva uno strano
formicolio al petto? Deglutì, continuando ad apparecchiare.
Quella situazione stava diventando decisamente pesante e fuori dal
comune. No, lei e Robert non sarebbero mai stati una coppia. Troppo
diversi, troppo scontrosi e con troppi trascorsi.
Trascorsero
il resto della serata nella totale finzione. Charlotte si sentiva
quasi soffocare dalla gentilezza di Lauren e Robert non era
totalmente consapevole di quanto stava accadendo intorno a lui. Non
si rese nemmeno conto di essere in camera da letto pronto per andare
a dormire.
Sdraiato
a pancia in su osservava il soffitto, sentendosi lo sguardo di
Charlotte addosso. La donna era seduta sul letto accanto a lui, con
il testone di Hannibal sulle gambe.
«È
incredibile come una semplice ecografia sia riuscita a sconvolgerti
così tanto!»
«Non
sono sconvolto.»
«Stai
cercando di convincere me o te stesso?»
La
cosa incredibile non era l'effetto che quella semplice ecografia gli
aveva fatto, ma quanto insistente e rompiscatole fosse Charlotte ad
una certa ora della sera.
«Sto
cercando di capire cosa voglio.»
Charlotte
annuì, sospirando. «Beh, cerca di farlo in silenzio e
alla svelta.»
«Sei
incinta per la miseria!»
«Te
ne sei reso conto solo adesso?»
«Beh,
prima era più facile fingere che fosse tutto uno scherzo, ma
quella cazzo di ecografia mi ha riportato con i piedi per terra.»
Non
aveva mai fatto i conti con la realtà. Non si era mai fermato
a pensare seriamente a quello che stava accadendo, troppo impegnato a
fingere che la gravidanza fosse solo frutto di un brutto scherzo e
che nulla di quanto accaduto a dicembre fosse mai successo. Poi
l'ecografia ed era stato come fare una doccia gelata. Che fregatura!
«La
realtà fa schifo, vero?» fu la domanda di Charlotte.
Sembrava quasi compassionevole e docile.
«Odio
darti ragione.»
«Rilassati,
la gravidanza non è una fede al dito o un contratto
matrimoniale, puoi continuare a fare il lurido porco in giro per New
Orleans!»
Robert
alzò un sopracciglio, voltando la testa verso Charlotte. «Io
sarei un lurido porco?»
«Scusa,
non volevo offendere la tua sensibilità. Diciamo che sei un
donnaiolo.»
«Sentimi,
mi piace essere libero, mi piace non dover rendere conto a nessuno
delle mie scelte e, soprattutto, mi piace non avere una donna che mi
chiama per sapere a che ora rientrerò per cena e il non avere
a che fare con una che ogni mese, per cinque o sei giorni, diventa
isterica e intrattabile» sbottò Robert. «Tu sei
peggio, sembra che hai il ciclo trecentosessantacinque giorni
all'anno.»
«Ti
sembra questo il modo di trattare la madre di tuo figlio con i tuoi
genitori nella stanza accanto che, ci tengo a precisare, credono che
noi stiamo insieme?»
«Ho
bisogno di una boccata d'aria.»
«Ecco,
bravo, scappa come è tuo solito, tanto sei capace solo a
fuggire!»
Ma
ormai Robert non la sentiva più. Uscì dalla camera,
dirigendosi verso il salotto e poi sul balcone, forse l'aria della
sera riusciva a schiarirgli le idee; si sedette su una delle sedie,
cominciando a ragionare. Perché diavolo era entrato nella sala
delle visite? Poteva semplicemente sedersi in sala d'aspetto e
fingere di aver partecipato all'ecografia, ma la paura di essere
ucciso o, peggio, castrato da Jack era stata più forte del
timore di diventare padre.
«Sei
terrorizzato.»
Perché
sembrava che tutti sapessero cosa provava prima di lui?
Robert
guardò suo padre dal basso, prendendo la birra che gli stava
offrendo. «È stata la stessa cosa anche per te?»
«Figliolo,
ti rivelerò un segreto» disse Patrick, sedendosi sulla
sedia accanto al figlio, guardando le luci di New Orleans illuminare
la notte. «Quando tua madre mi disse di essere incinta me la
feci nei pantaloni.»
«Non
oso immaginare» scoppiò a ridere, prendendo dalla tasca
dei pantaloni della tuta l'ecografia, passandola al padre.
Patrick
la guardò con un sorriso orgoglioso, sembrò quasi che i
suoi occhi scuri s'illuminassero. «Non smetterai mai di avere
paura, anche quando il bambino sarà nato. Avrai paura che si
faccia male, o che cada per le scale. Temerai che possa ammalarsi o
che si rompa un braccio correndo.»
«Credevo
fosse una prerogativa della donne.»
«Siamo
così anche noi uomini, soprattutto quando abbiamo a che fare
con le figlie femmine.»
«Io
non ho sorelle, quindi come fai a dirlo?»
«Perché
sono un padre e conosco Jack. Hai mai notato come è
particolarmente protettivo verso Charlie?»
«Quando
ha saputo della gravidanza voleva mettermi alla gogna e fustigarmi.»
«L'avrei
fatto anch'io, ma è una prerogativa dei padri. Come vogliamo
proteggere i maschi, a maggior ragione vogliamo proteggere le figlie
femmine perché conosciamo i pensieri degli uomini» disse
Patrick. «Jack vuole proteggere sua figlia perché sa che
al mondo esistono veri e propri bastardi che potrebbero spezzarle il
cuore o farle del male.»
«Ed
uno di quei bastardi le ha già spezzato il cuore.»
«Cuore
che potresti riparare, se solo riconoscessi il fatto che siete fatti
della stessa pasta.»
«Che
intendi dire?»
«Intendo
dire che non sono nato ieri. Forse tua madre ci sarà cascata,
ma io no. So che tu e Charlie state fingendo di essere una coppia e,
notizia del giorno, siete due pessimi attori!»
Robert
s'irrigidì, guardando il padre con preoccupazione. «La
mamma lo sa?»
«No,
grazie al cielo, altrimenti si sarebbe messa a piangere come una
fontana. Robert, non ti ho cresciuto per essere un donnaiolo
impenitente, ti ho cresciuto per essere un uomo e Charlie è la
donna che fa per te. Non fartela sfuggire!»
Robert
annuì, restando immobile con quell'ecografia tra le dita. Suo
padre aveva capito tutto, ma come poteva anche solo pensare che lui
potesse essere un bravo padre. Non era adatto a quel ruolo, nemmeno a
quello di compagno per Charlotte. No, lei meritava di meglio, ed
anche suo figlio.
Lui
non voleva essere padre. O forse sì?
Angolo
autrice:
scusate
il ritardo, purtroppo ho avuto problemi con la linea internet, ma ce
l'ho fatta, sono riuscita ad aggiornare! Questo capitolo è
uscito leggermente più lungo, ma credo che non vi dispiaccia.
Abbiamo
fatto la conoscenza, seppur lieve, dei genitori di Robert. Nel
prossimo li vedremo ancora. Intanto sappiamo che Patrick non ha
creduto per un solo istante alla farsa, ma mammina Goodwin sì!
Robert
ha i primi scontri con la realtà. Se prima era freddo e
distaccato, ora è impaurito e confuso. Non sa cosa fare e cosa
vuole. Quell'ecografia l'ha proprio sconvolto, ma non pensate che,
dall'oggi al domani, si renda conto di amare Charlotte e le dichiari
il suo amore. Assolutamente NO!
Quei
due sono ancora lontani dall'essere una coppia, quindi restate in
attesa e ne vedrete delle belle!
Vi
ricordo il mio gruppo su FB “Lettere
d'inchiostro, parole d'amore” dedicato a tutte le mie
originali. Vi chiedo solo un favore, quando inviate la richiesta,
potreste gentilmente inviarmi un messaggio privato qui o su FB dove
mi dite chi siete sul sito e quale mia storia seguite? Grazie!
Al
prossimo capitolo mie care, previsto per sabato 6 dicembre!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Cap. 13 ***
Capitolo
13
Let
Her Go
Let
her go - Passenger
C'erano
solo due cose che Jack adorava: la sua famiglia e la vendetta.
Nulla
era meglio di un pranzo condito con delle punzecchiate pesanti a
Robert. Quell'uomo era diventato il suo giocattolo preferito. Così,
quando aveva saputo che i signori Goodwin erano in città e che
Robert aveva lasciato credere loro che lui e Charlotte stavano
insieme, ne aveva approfittato per metterlo sotto pressione
organizzando un pranzo di famiglia.
Tutti
insieme appassionatamente, come aveva simpaticamente esclamato James,
avrebbero trascorso una pacifica, se così potevano definirla,
domenica in famiglia.
«Perché
devi guidare tu?» E Charlotte aveva iniziato a dare i numeri
ancora prima di arrivare a destinazione. «Sono perfettamente in
grado di guidare.»
«Possibile
che tu non riesca a stare zitta?» Ma questi battibecchi
innocenti potevano passare come semplici litigi tra innamorati agli
occhi di Lauren, la quale, seduta sul sedile posteriore dell'auto,
sorrideva amabilmente.
«Possibile
che tu sia sempre così scontroso la domenica mattina?»
Robert
non rispose, si limitò a sospirare e stringere il volante, ma
guidare non era facile, soprattutto con Charlotte che, dal sedile
posteriore, gli dava calci.
«Vuoi
schiacciare quel pedale? Devo fare pipì!»
«Se
tu la smettessi di darmi calci, forse andrei più veloce!»
Ed
i loro battibecchi sembravano divertire entrambi i signori Goodwin.
Per fortuna giunsero a destinazione nel giro di pochi minuti.
Parcheggiata l'auto, Charlotte non perse tempo per i convenevoli.
Entrò in casa, correndo in bagno. «Ciao a tutti!»
«Spero
per te che non ci sia quello spiantato di Goodwin!» esclamò
Jack dal divano, sfogliando il giornale della domenica.
«Mi
spiace signore, ma ci sono anch'io.»
«Peccato,
speravo che il tuo invito fosse andato perso.»
«Jack,
vecchia volpe!» s'intromise Patrick, avanzando e porgendo la
mano verso Jack. I due si conoscevano da anni e, per loro, ritrovarsi
era una specie di riunione di classe.
Trascorrere
il pranzo domenicale in casa Sinclair non era di certo in cima alla
lista dei desideri di Robert, ma doveva mantenere la facciata per sua
madre, lei ancora credeva alla sua relazione con Charlotte. Così,
suo malgrado, dovette sorbirsi quel pranzo in famiglia, tra le
frecciatine di Jack e le battute di James, cominciò a sentirsi
quasi a casa.
«Cosa
farete nel pomeriggio?» Victoria cercò di smorzare la
tensione che Jack emanava.
Lauren
trillò tutta contenta, sorridendo amorevolmente. «Sono
riuscita a convincere Charlotte a cominciare con le compere per il
bambino. I due ometti dovranno abbassarsi e seguirci nei negozi per
neonati.»
La
faccia di Charlotte parlava chiaro. Non aveva alcuna voglia di fare
shopping, tanto meno Robert, ma quando Lauren Goodwin si metteva in
testa una cosa, era peggio di lei. E Jack si rilassò
all'istante, non si sarebbe preso la briga di torturare nessuno quel
giorno, ma avrebbe lasciato che sua figlia lo facesse al posto suo.
Aveva capito dal suo tono che quel pomeriggio non avrebbe risparmiato
colpi, Charlotte si sarebbe cimentata nello shopping, ma alle sue
regole e tormentando per benino Robert.
Che
grande soddisfazione, constatare quanto la sua piccola Chucky gli
somigliava sotto quel punto di vista.
***
Per
fortuna il pranzo passò velocemente e senza troppi intoppi, ma
per Robert era arrivata la parte peggiore della giornata lo shopping
con sua madre e Charlotte.
Suo
padre se ne stava in disparte, guardando distrattamente alcuni
oggetti, senza mai dare una vera e propria opinione, era sua madre il
tornado in quel negozio per bambini. Girava da una corsia all'altra
riempiendo il carrello di tutine e oggetti per neonati. L'idea di
diventare nonna la elettrizzava, in fondo era il suo primo nipotino,
come poteva non essere più contenta?
Charlotte
sembrava condividere il suo umore. Appariva stanca e frastornata,
come se tutti quei colori la nauseassero. Insomma, Lauren stava
prendendo cose sia per maschi che per femmine, e ancora non sapevano
il sesso del bambino.
«Ma,
Lauren, è troppo per un bambino solo, senza contare che se
nasce un maschio le cose da femmina non le utilizzeremo e viceversa!»
«Non
preoccupatevi, quello che non usate per questo bambino, lo userete
per il prossimo.» Lauren ormai aveva perso ogni freno, sembrava
una bambina nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.
«Per
quanto deve durare questa sceneggiata?» domandò
Charlotte a denti stretti, fermandosi.
Robert
sospirò, osservando distrattamente la culla davanti la quale
si era fermata Charlotte. «Fin quando non se ne saranno
andati.»
«E
poi? Quando sarà nato il bambino che gli dirai?»
«M'inventerò
qualcosa.» Robert fece spallucce, osservando il prezzo della
culla e sbarrando gli occhi. «Cosa? Ma stiamo scherzando?»
Charlotte
fece finta di nulla, prendendogli il mento con una mano e
costringendolo a guardarla negli occhi. «Vedi di fare la
persona matura una volta ogni tanto e cerca di dire ai tuoi genitori
la verità!»
«Verità?
Riguardo a cosa?» la voce di Lauren li fece sobbalzare,
costringendo Charlotte a voltarsi verso di lei.
La
donna li fissava con un sorriso materno in volto, così felice
all'idea di diventare nonna, che Robert ebbe paura di vederlo
svanire. «La verità? Non possiamo permetterci di
spendere così tanto per una culla.»
E
Charlotte capì che non solo Robert era un immaturo cronico, ma
anche un bugiardo di serie A. «Codardo» sibilò tra
i denti, allontanandosi per poter prendere aria. Odiava quella
situazione, il dover fingere di essere innamorata di Robert. Era una
tortura, se poi ci si aggiungevano i dolori alla schiena, poteva
tranquillamente trasferirsi in uno dei gironi dell'inferno.
Fortunatamente
quella tortura finì presto e lei poté rientrare a casa
con la consapevolezza che la recita stava per terminare. Ancora poche
ore e avrebbe potuto dare un bel calcio in culo a Robert. Ma, c'era
sempre un ma con lui, uno di quelli che poteva portare una persona
alla disperazione oppure alla rabbia, e quello era proprio il caso di
Charlotte.
«Chi
diavolo me l'ha fatto fare?» fu la frase di Robert, una volta
rientrati in casa e messe le buste degli acquisti sul letto. Era
stato più un sospiro che una frase a voce alta, ma lei l'aveva
sentita ugualmente.
«Certo,
perché sei stato costretto a mettermi incinta, vero?» In
un primo momento Charlotte aveva pensato si riferisse alla recita con
i suoi genitori, ma poi un campanello d'allarme l'aveva fatta
ricredere, portandola alla sola conclusione: la gravidanza
indesiderata. Se fosse stato per i genitori, probabilmente se la
sarebbe presa con sé stesso, era stato lui a decidere di
mettere in piedi quella sceneggiata, non altri, perciò,
andando ad esclusione, non poteva che trattarsi del bambino che lui
non voleva.
«Cosa?»
«Chi
diavolo te l'ha fatto fare, ti sei domandato...questo intendo.»
«Non
mi stavo riferendo alla gravidanza.»
«Strano,
a me sembrava il contrario!»
Robert
sbuffò, ormai consapevole di avere le spalle al muro. «Hai
ragione, chi diavolo me l'ha fatto fare di metterti incinta?»
La
sua stupidità a volte superava qualsiasi suo gesto avventato e
irresponsabile. Era un bambino che voleva le caramelle e, una volta
avuto il mal di pancia a causa dei troppi dolci, incolpava gli altri
per le sue pene. Un classico cliché hollywoodiano da copione.
«Beh,
notizia del giorno, nessuno ti ha costretto, hai fatto tutto da
solo!»
«Da
solo, svegliati, bella addormentata, c'eri anche tu quella notte!»
«Lo
so, purtroppo.» Per fortuna avevano la porta della camera
chiusa e tenevano le voci abbastanza moderate, altrimenti addio
recita natalizia.
«Ok,
eravamo ubriachi, ce la siamo spassata ed io sono rimasta incinta, ma
nulla di tutto questo sarebbe successo se tu fossi stato più
attento» sbottò Charlotte, osservando Robert mettersi le
mani sui fianchi. «Smettila di farlo.»
«Fare
cosa?»
«Smettila
di metterti le mani sui fianchi, lo fai sempre quando sei agitato o
incazzato.»
«Sono
incazzato perché nulla va come dovrebbe andare!» urlò
Robert, dando sfogo a tutti i sentimenti repressi nelle ultime
settimane. «Sono sempre stato attento. Ho sempre usato il
preservativo e poi che succede? Una distrazione, una sola distrazione
ed ecco che vengo fregato!»
«Fregato?»
«Sai
cosa intendo. Sempre attento ed ora tu sei incinta!»
«Sei...sei...»
«Cosa?
Uno stronzo?»
«Tu
sei un furbastro e attraente maniaco sessuale che deve scoparsi tutte
per provare di essere all'altezza, ecco cosa sei!»
«E
tu un'acida zitella che per stare bene deve insultare tutti gli
uomini pubblicamente!» Robert la guardò dall'alto, ormai
stanco di quella situazione. «Fra tutte le donne, proprio te mi
dovevo scopare quella notte. Ed ora sei incinta...il mio problema sei
tu!»
Charlotte
si sentì ferita, non tanto per le parole, ma per quello
sguardo di risentimento e collera che Robert le stava rivolgendo,
come se fosse lei la colpevole in tutta quella situazione. «Sai
qual è il problema? Non sono io e nemmeno il fatto di essere
rimasta incinta. Il problema è che io aspetto un figlio da
te.» cominciò a dare sfogo alla rabbia. Parlare in
trasmissione non serviva a granché, ora doveva dire le cose in
faccia. «Tu...tu sei il problema, non la gravidanza. Tu credi
che questo bambino sia uno sbaglio, un errore di distrazione...»
«Non
ho detto questo.»
«Non
lo dici apertamente, ma lo pensi. Sei un libro aperto Robert, ma lo
stupido non sei tu, ma io. Ho sbagliato a pensare, ma che dico, a
sperare che per una volta nella tua insulsa e patetica vita tu
potessi mettere da parte il tuo egocentrismo e la tua insicurezza
patologica per pensare ad un altro essere umano all'infuori di te
stesso! Tu diventerai padre, ma non sono io il problema, o questo
bambino, ma tu. Tu sei il tuo problema!»
«Io
non sono insicuro!»
Charlotte
scosse, il capo, pizzicandosi la radice del naso con due dita. «Di
tutto quello che ti ho detto, hai ascoltato solo la parte in cui ti
davo dell'insicuro.»
Robert
non riusciva a capire cosa stava provando. La confusione ormai era
all'ordine del giorno da quando Charlotte era rimasta incinta, ma in
quel momento sentì una strana morsa allo stomaco, un senso di
colpa profondo e radicato in lui da chissà quanto tempo.
«Sai
che ti dico? Vai al diavolo!» esclamò Charlotte,
dandogli le spalle e uscendo con passo svelto.
***
Come
sempre, ad ogni crisi esistenziale o affettiva, Charlotte si rifugiò
dall'unica persona di cui poteva fidarsi in quel momento: Allison.
Sua
sorella era l'unica che poteva capire la sua situazione fino in
fondo. Anche lei, alla prima gravidanza, aveva affrontato una crisi
coniugale senza precedenti. La nascita di Liam aveva portato
scompiglio nella coppia. Allison, all'epoca, era una specializzando
di chirurgia e la gravidanza rischiava di compromettere il duro
lavoro che l'aveva portata ad essere una delle migliori
dell'ospedale. Fortunatamente i due erano riusciti a superare la
crisi, facendo collimare tutti i loro impegni con la vita famigliare
e l'essere genitori.
Charlotte,
però, non aveva problemi a livello professionale, il suo
lavoro le permetteva di fare sia la madre che la speaker radiofonica,
lei si sentiva pronta a tutto quello, perfino ad essere una mamma
single, ma il pensiero che Robert stentava ad accettare la gravidanza
la faceva impazzire. Come poteva crescere suo figlio sapendo che il
padre era uno sprovveduto patentato con la licenza di casanova senza
discernimento?
Non
poteva. Sarebbe stato tutto più facile se il padre fosse stato
un sconosciuto incontrato per caso e che mai più avrebbe
rivisto, ma, per sua sfortuna, Robert non era nulla di tutto questo.
Perché aveva bevuto e fatto sesso con il migliore amico di suo
fratello?
E
così, seduta sul divano di sua sorella, con una vaschetta di
gelato tra le mani, cercava un modo per vendicarsi, magari tagliare
il pene di Robert poteva aiutarla.
«Che
cosa ti ha detto di preciso?»
«Non
sono state le sue parole più che altro quello che ha fatto.
Sappiamo tutti che lui non vuole questo bambino e che cerca di essere
presente solo per paura di papà, ma...ma non si sforza
minimamente di accettare questa gravidanza!» esclamò
Charlotte. «Sembra che mi dia la colpa di tutto e so che quella
notte è stata uno sbaglio, un tremendo e imbarazzante sbaglio,
ma...»
«Un
figlio non è mai un errore, né una colpa. Un figlio
arriva quando deve arrivare e non perché lo si cerca o lo si
vuole, ma perché è destino. Se tu e Robert siete in
questa situazione è perché doveva accadere, punto e
basta!» esclamò Allison, passandole un braccio intorno
alle spalle. «E poi, ho sempre pensato che fosse un buon
partito per te. Bello, fisico atletico, intelligente quanto basta,
con sani valori del sud.»
«Adesso
mi dirai che siamo una coppia perfetta?»
«La
perfezione non esiste, Lottie, siamo noi che rendiamo le cose
perfette, siamo noi che le rendiamo speciali, tutto qui!»
«Sei
peggio della mamma, lo sai?»
«Lo
so.» Allison le sorrise, facendole l'occhiolino. «Robert
si abituerà. È un playboy, per lui il libertinaggio è
il suo pane quotidiano e ritrovarsi di punto in bianco con un figlio
in arrivo non deve essere facile.»
«Stai
prendendo le sue parti?»
«Dagli
tempo, Lottie, gli uomini sono lenti quando si parla di paternità
e sentimenti.»
«Ma
io non voglio avere una relazione con lui.»
«Sei
stata tu a parlare di relazione, mica io.»
E
Charlotte, per la prima volta nella sua vita, rimase senza parole.
No, era impossibile provare qualcosa per uno come Robert. Il disgusto
era un sentimento fattibile, ma l'attrazione e l'affetto restavano
fuori discussione per lei.
***
Cosa
doveva fare? Charlotte l'aveva insultato, umiliato e fatto infuriare
nel giro di pochi minuti e lui non aveva fatto altro che prendere una
birra dal frigo e restare fermo sul balcone. Non aveva rivolto una
sola parola ai genitori, aspettando solo che se ne andassero, non
voleva dare spiegazioni o affrontare la situazione, era troppo
incazzato per farlo.
Guardò
la birra che teneva in mano, ripensando a tutte quella parole. Forse
aveva ragione lei, forse era lui che cercava di rendere la sua vita
un inferno. Stava cercando di farsi male da solo, ma per quale
motivo? E pensare che tutto era partito da una semplice frase detta
per stanchezza e rassegnazione. Charlotte era pazza, ma la gravidanza
l'aveva resa una psicopatica.
Robert
sbuffò, sentendo la portafinestra aprirsi ed i passi di sua
madre avvicinarsi. «Io e Charlie non stiamo insieme.»
«Credevi
che non lo sapessi?» cominciò Lauren sedendosi accanto a
lui. «Siete così testardi da non vedere oltre il vostro
naso.»
«Che
intendi dire?»
«Siete
fatti per stare insieme, Robert, ma siete talmente orgogliosi da non
volerlo ammettere» sorrise. «Quando mi hai chiamata per
dirmi che Charlotte era incinta, sapevo che le cose non erano facili
per voi due. Ne ho avuto la conferma quando sono arrivata qui ed ho
visto voi due insieme. Siete una coppia che non vuole ammettere di
esserlo.»
«Lei
mi odia e io non sopporto il suo caratteraccio.»
«Vi
siete fatti la guerra sin da quando eravate bambini, ma quella lotta
si è tramutata in scherzo e lo scherzo in affetto e, sono più
che convinta, quell'affetto diventerà amore.»
Ma
Robert alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Stai prendendo
un abbaglio, mamma!»
«Come
ti sei sentito quando è uscita da quella porta e ti ha rivolto
quegli insulti?»
«Ferito.»
«L'amore
fa male, Robert, ma ricorda sempre che porta anche una gran felicità
quando chi si ama decide di farlo con sincerità» Lauren
Sorrise. «E poi, il modo in cui hai detto che tu e Charlotte
non state insieme la dice lunga.»
«Che
intendi dire?»
«Sei
triste e ti guardi le punte dei piedi, vuol dire che ci tieni a lei.»
«Come
un gatto attaccato ai coglioni!»
«Sai,
tuo nonno mi diceva sempre che la casa non è mai una cosa
materiale, spesso è la persona con la quale condividi molte
cose e molti interessi. Casa è dove risiede il cuore»
sorrise Lauren. «Io credo che Charlotte sia la tua casa. Non
lasciare che finisca.»
Non
poteva lasciare che finisse tutto, ma doveva lasciarla andare a
aspettare che le acque si calmassero. Le voleva bene, abbastanza da
capire che cercare un riavvicinamento così presto poteva solo
peggiorare la situazione.
Doveva
lasciala stare per qualche tempo e vedere come andavano le cose.
Angolo
autrice:
Eccomi
di ritorno, vi sono mancata? Anzi, riformulo la domanda, vi sono
mancati questi due testoni?
Scusate
per la lunga attesa, ma prima ho avuto un blocco dello scrittore
pauroso, poi il computer si è guastato, facendomi perdere
alcuni file, ma ce l'ho fatta a tornare da voi.
In
questo capitolo abbiamo avuto la prima lite seria tra questi due e
qualcosa inizia a smuoversi. Robert si sta facendo un esame di
coscienza, Charlotte comincia a fare i conti con quello che prova e
tutto si mischia fino a farli arrivare ad un punto di svolta. Ce la
faranno i nostri eroi a convivere con questa situazione?
E,
soprattutto, ce la farà Robert ad accettare l'idea di
diventare padre?
Al
prossimo capitolo e, anticipazioni...scopriremo il sesso del
nascituro nel capitolo 15!
Ci
vediamo tra dieci giorni!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Cap. 14 ***
Capitolo
14
Don't
Ever Let It End
Don't
ever let it end - Nickelback
«La
vita non è una favola. Se perdi una scarpa a mezzanotte, il
giorno dopo non busserà alla tua porta il principe azzurro ma
avrai un grandissimo cerchio alla testa e passerai la mattina in
bagno a vomitare l'anima a causa di tutta la tequila che hai
ingurgitato.»
Marzo.
Odiava il mese di marzo, non sopportava il tempo incerto, un giorno
pioggia il giorno dopo sole. Ma quello che più Charlotte
odiava era il fatto che da quando lei e Robert avevano litigato, lui
era praticamente sparito.
Nessuna
telefonata, nemmeno un messaggio. Sapeva che si teneva informato
tramite James, ma questo comportamento non faceva altro che farla
imbestialire. Cercava di fingere che questo non la turbasse, ma la
cosa non era semplice, soprattutto perché riversava tutto il
suo risentimento nella trasmissione radiofonica. Forse non era
totalmente un male, gli ascolti nelle ultime settimane erano saliti.
Tre
settimane e un giorno. Era il tempo trascorso dal loro litigio. Tre
fottutissime settimane e uno stramaledettissimo giorno. Perché
si era fermata a contarli? Ah, il bambino, e il conteggio della
gestazione. Ormai era alla quindicesima settimana, la pancia era
evidente e presto avrebbe saputo se aspettava un maschio o una
femmina.
Erano
iniziate le scommesse, nella sua famiglia ormai avevano puntato
perfino dei soldi, chissà chi avrebbe vinto. Suo padre che
aveva puntato cento dollari sul fiocco rosa, o suo fratello e suo
nonno, che facevano il tifo per un maschietto?
«Quindi,
ragazze, smettetela di sperare nel Principe Azzurro e vivete nel
mondo reale. Le favole non si avverano e la vita...la vita fa schifo.
Perché se la sera bevi e la mattina dopo ti svegli accanto ad
un uomo che odi, tornare indietro non è facile, soprattutto se
il test di gravidanza diventa positivo e ti ritrovi con un figlio da
crescere ed un uomo immaturo che si comporta da bambino.»
Come
detto, riversava tutto nella trasmissione, con il rischio di sembrare
patetica. E lo era. Lei era patetica. Perché si trovava a
struggersi per un uomo per il quale provava solo un grandissimo senso
di nausea ogni volta che ricordava di esserci andata a letto.
«Che
gran fregatura, vero? Beh, per oggi abbiamo finito, io sono Charlotte
Sinclair e avete ascoltato Tutta Colpa di Cenerentola!»
***
«Potresti
chiamarla.»
«Sto
cercando di darle i suoi spazi.»
Era
inutile, James non mollava. Era stato lui a spingere Robert e
Charlotte in quella direzione, non poteva fare altro che tentare
l'impossibile. «Hai appena sentito la radio, Charlie è
incazzata con te!»
«Lo
so, grazie.»
«Prego!»
«Ascolta,
so che non capisci perché mi comporto così, ma ho le
mie ragioni. Ho bisogno di capire cosa voglio, di dire addio a tutte
le mie donne.»
«Che
cazzone.»
«Diventare
padre non è una passeggiata!» protestò Robert,
cercando di mantenere il tono basso. La centrale era piena di agenti
e molti sapevano della gravidanza di Charlotte, ma solo pochi
conoscevano il nome del padre. «E lei non aiuta di certo.
Continua a mettermi in difficoltà ed io...»
«E
tu ti senti messo alle strette» concluse per lui James.
«Conosco mia sorella, castra gli uomini. In senso metaforico,
ovvio.»
Charlotte
sapeva essere perfida e castigatrice, ma Robert aveva visto una parte
di lei che nessuno conosceva. La prima volta che James e Karen
avevano dato loro buca al pub, avevano bevuto e, riaccompagnandola a
casa, lei si era leggermente aperta, raccontandogli fatti dei quali
non era al corrente. Quella donna sapeva nascondere bene il suo lato
fragile, e lui l'aveva visto. Come poteva odiarla? In fondo era la
madre di suo figlio, poteva almeno fare uno sforzo e cercare di
esserle amico, per il bene del bambino.
«Quando
hai intenzione di parlarle?»
«Ancora?
Te l'ha mai detto nessuno che sei più impiccione delle zitelle
che guardano Beautiful?»
«Beh,
almeno non tratto le donne come oggetti sessuali!»
Colpito
e affondato. Se Robert si era chiesto come facessero James e
Charlotte ad essere fratello e sorella, ora ne aveva le prove, quei
due a volte erano tali e quali, perfino nelle frecciatine acide e
sarcastiche.
***
Gelato,
telefilm, serata di sole donne. Così trascorreva il martedì
sera, con sua madre, sua sorella e Karen. Solitamente guardavano un
qualche film per lei troppo strappalacrime che, alla fine, le causava
solo un attacco diabetico, ma quella sera avevano scelto di
cimentarsi nell'organizzazione del matrimonio, in particolare le
partecipazioni.
Karen
aveva la fissazione del fai-da-te. Brutta cosa, soprattutto quando si
lasciava andare alle sue manie di controllo che la portavano a
comportarsi come un generale dell'esercito in piena guerra, ma quella
sera il gelato stava aiutando, se solo avesse potuto bere vino.
«Quando
ero incinta riuscivo ad avere orgasmi multipli, sai?»
Poi
c'era sua sorella che si metteva a parlare di gravidanze e parti.
«Durante
la gravidanza una donna può avere orgasmi multipli perfino
standosene semplicemente seduta. Insomma, con il doppio del sangue
che circola nell'utero e nella vagina.»
«Beh,
io non ho bisogno di essere incinta per averli, mi basta guardare
Slash suonare la chitarra!» esclamò Charlotte, alludendo
al video di November Rain che, in quel momento, veniva trasmesso alla
tv. «Soprattutto quando lo si vede percorrere la navata ed
uscire dalla chiesa, un vero e proprio spettacolo!»
Victoria
scoppiò a ridere. «Le mie figlie, quanto vi adoro. Spero
tanto che questo piccolo fagiolo sia una femmina, ci vuole un po' di
rosa in questa famiglia.»
«Scusate,
potremmo tornare alle mie partecipazioni? Mancano solo tre mesi al
mio matrimonio!»
Karen
sapeva mettere paura. Tutta dolce e gentile, ma quando s'impuntava su
qualcosa diventava inquietante, soprattutto quando guardava le
persone con quello sguardo diabolico e alienato.
«Te
l'ha mai detto nessuno che quando ti arrabbi sembri Joffrey di Game
of Thrones?» Charlotte ormai era diventata una serie tv
dipendente, ne seguiva talmente tante che spesso usava paragonare le
persone reali a personaggi di finzione. La gravidanza faceva brutti
scherzi.
«Stai
zitta e lavora!»
E
Karen era una vera e propria schiavista.
«A
proposito di zittire, Robert si è fatto sentire?»
domandò all'improvviso Victoria, lanciando una strana occhiata
maliziosa alla figlia minore.
Charlotte
strinse i denti, stringendo il fiocco della partecipazione. «No!»
«Tu
l'hai chiamato?»
«No!»
«Lasciali
fare, mamma, sappiamo tutti che prima o poi quei due si ritroveranno
inesorabilmente a fare coppia» s'intromise Allison, facendo
innervosire Charlotte.
«Voi
due da che parte state?»
«Ci
sono schieramenti? Non ero stata informata di questo» la
rimbeccò sua madre. «Qui si tratta di far entrare un po'
di buon senso nelle vostre zucche vuote, non di fare il tifo per
qualche squadra.»
«Non
è quello che pensa papà.»
«Tuo
padre cerca di proteggere sua figlia, senza rendersi conto di
precluderle la possibilità di vedere e capire cosa sia giusto
e sbagliato.» Victoria abbandonò il tono scherzoso,
assumendo uno strano sguardo calmo e placido. Quella che doveva
essere una ramanzina in piana regola, si stava rivelando un semplice
consiglio oppure una perla di saggezza degna di nonna Rose?
«Robert
è un donnaiolo, ama la sua libertà ed io non posso
impedirgli di essere qualcuno che non è.»
Era
senz'altro un pensiero razionale e giusto, il primo detto da
Charlotte, ma era anche vero che non poteva crescere da sola il
bambino che aspettava. «Charlotte Ray Sinclair, non ti sto
dicendo di costringere Robert a stare con te, ma di trattarlo meglio
di come lo stai trattando!»
«Adesso
sarei io quella che sbaglia?»
«Quello
che la mamma sta cercando di dirti» s'intromise Allison. «È
che non puoi trattarlo male ogni volta, ma allo stesso tempo devi
fargli capire che non può fingere che questa gravidanza non ci
sia.»
Charlotte
sbuffò, gettando il nastro sul tavolo e lasciandosi andare
contro la sedia. «Ok, lo tratto male, ma lui non fa nulla per
evitare che lo faccia. Basta solo che mi guardi e mi sale l'avada
kedavra!»
Ed
era anche appassionata di Harry Potter.
«Hai
un carattere di merda, Charlie, lasciatelo dire!» e finalmente
Karen disse quello che tutti pensavano.
***
Non
c'era nulla da fare, quella sera il suo cervello non voleva smettere
di pensare. Robert aveva trascorso tutto il tempo rintanato al pub,
con un birra davanti e lo sguardo perso chissà dove. Nemmeno
l'arrivo di Becky, una delle sue tante avventure, era riuscita a
distrarlo.
Ma
che cavolo gli stava succedendo? Forse Freud poteva aiutarlo, ma
quell'uomo era morto da decenni e nessuno era in grado di dargli
spiegazioni, solo lui poteva trovarle.
Senza
dire nulla, pagò la birra, uscendo dal pub e salendo in sella
alla moto. Girò per le strade della città senza una
meta, lasciando che l'aria notturna gli rinfrescasse le idee, ma
nulla, la mente tornava sempre alla litigata con Charlotte.
Sapeva
che aveva ragione, che con quelle parole aveva toccato il punto
giusto, ma non sapeva come fare per recuperare la situazione senza
offendere o ammettere davanti a lei di avere torto. Mai dire a
Charlotte Ray Sinclair che aveva ragione, se non si voleva subire
un'umiliazione decennale.
Senza
rendersene conto si trovò di fronte all'ingresso del parco,
dove Charlie gli aveva dato la notizia più sconvolgente della
sua vita. Fermò la moto, guardando l'arco di pietra che
segnava l'entrata. Stava per ripartire, quando scorse una figura
seduta su una delle panchine a qualche metro dall'ingresso. Poteva
riconoscere ovunque quel profilo dolce.
Spense
la moto e, senza fare rumore, le si avvicinò, tenendo le mani
nelle tasche della giacca di pelle. «Non te l'ha mai detto
nessuno che il parco di notte è pericoloso?»
Charlotte
si riscosse dai suoi pensieri, alzando lo sguardo e sussultando. «Che
ci fai qui?»
«Credo
per il tuo stesso motivo» disse Robert, sedendosi accanto a lei
sulla panchina. «Cerco di riflettere.»
Da
quanto tempo non riuscivano ad iniziare una conversazione con tanta
tranquillità?
Robert
prese un respiro profondo, guardando il cielo. «Come stai?»
«Non
lo so.»
Sul
serio, in tanti anni i due non avevano mai instaurato una
conversazione pacifica da sobri, per riuscire a parlarsi
tranquillamente servivano litri di tequila e birra.
«Il
bambino?»
Charlotte
si accarezzò la pancia, abbozzando un sorriso dolce. «Lui
è l'unico a stare bene, ancora non ha idea del casino in cui
verrà al mondo.»
«O
lei, magari è femmina.»
«Vorresti
che fosse femmina?»
«Un
donnaiolo come me basta e avanza, diciamo che una figlia sarebbe più
facile da gestire.»
Charlotte
si rilassò, sentiva una strana calma pervaderla, come se tutte
le tensioni e gli attriti fra loro fossero solo acqua passata, ma non
era così. Sentì un nodo alla gola, mentre guardava
Robert, un'amarezza che la costrinse fargli quella domanda. «Non
ti sei più fatto sentire, perché?»
E
Robert capì che non si poteva tornare indietro, doveva
affrontare le sue responsabilità e prendere una decisione.
«Volevo darti il tuo spazio.»
«Il
mio spazio?» commentò acidamente Charlotte. «Senti
chi parla, mister non voglio responsabilità!»
Ed
ecco che dopo la calma arrivava la tempesta. Era chiaro che quei modi
affabili dovevano finire e Charlotte aveva un grado di pazienza molto
basso.
«Charlie.»
«No,
stammi bene a sentire. Sei sparito, non una ma ben tre volte. La
prima dopo avermi portata a letto, la seconda dopo aver saputo della
gravidanza e la terza qualche settimana fa.» Charlotte esplose.
Era logico che non riuscisse a tenersi tutto dentro, era una mina
vagante che attendeva solo di esplodere. «Hai idea di quello
che sto passando?»
Robert
sbuffò, piegandosi in avanti e poggiando i gomiti sulle
ginocchia. Perché si era cacciato in quel guaio? «Sei
come un gatto attaccato ai coglioni.»
«Come
scusa?» domandò Charlotte interdetta.
«Tu
sei esattamente così! Infili i tuoi artigli nella carne e
stringi, cerchi di staccarmi le palle, di privarmi della mia
mascolinità!» esclamò lui, alzandosi e
guardandola.
«Questa
è nuova, io che tento di privarti della tua...ma ti stai
ascoltando?»
«Certo
che mi sto ascoltando, ma ogni volta che tento di parlare sento solo
la tua voce che mi urla contro. Se stessimo insieme ci sarebbe una
lotta di potere, litigheremmo perennemente per decidere chi dei due
debba comandare. Tu sei una donna con le palle e, credimi, non è
piacevole stare con te.» Robert sapeva di rischiare, ma
preferiva ritrovarsi con una forchetta conficcata nella mano,
piuttosto che dormire con un occhio aperto. «Sei una
grandissima rompicoglioni. Passi la maggior parte del tempo a
stressarmi, escogitando sempre nuovi modi per rovinarmi la vita e
spingermi ad odiarti, ma vedi, ormai è inutile.»
Nessuno
le aveva mai parlato a quel modo. Robert le stava riversando addosso
anni di lotte e liti, ma perché?
«Mesi
fa, prima di tutto questo, tu hai fatto una cosa, mi hai mostrato una
parte di te che pensavo non esistesse, ed ho trascorso gli ultimi
tempi a scervellarmi per capire quale fosse l'insano motivo che ti
spingeva a nasconderti dietro la facciata di acida zitella. Tu
allontani tutti gli uomini, li castri psicologicamente per punirli,
per farla pagare a qualcuno che ti ha fatta soffrire.»
«Se
ti stai riferendo ad Eric...»
«Io
mi riferisco a tutti gli stronzi che hai incontrato, alla sfiga che
hai avuto a conoscere uomini che non ti hanno rispettata o amata»
sbottò Robert, portandosi le mani ai fianchi. «Puoi
continuare a farlo per tutta la vita, se vuoi, puoi continuare a
darmi dello stronzo donnaiolo o del figlio di buona donna, ma
ricordati che sono l'unico uomo all'infuori della tua famiglia che
riesce a sopportarti.»
«Ti
sbagli!»
«Tu
odi essere vulnerabile, odi che le persone pensino che tu sia debole
e bisognosa di affetto. Odi tutto questo e pensi che mostrandoti
acida e perfida tu riesca a sviarli e proteggerti!»
Charlotte
scosse il capo, incrociando le braccia sotto il seno. «Sei un
idiota!»
«E
stai zitta una buona volta! Sto cercando di fare un discorso serio e
tu non fai altro che interrompermi. Tu mi hai mostrato il tuo lato
vulnerabile, quello che nascondi sotto tonnellate di cattiveria
gratuita e acidume, ed è iniziato tutto allora. Tu hai la
capacità di serrare le palle di un uomo e staccargliele a
morsi e, forse sono un pazzo a dirlo, ma nonostante tutto, nonostante
il tuo caratteraccio, voglio provarci.» Robert capì cosa
voleva, per la prima volta si rese conto di ciò che
desiderava.
«A
fare cosa, a stare insieme?»
«Ad
essere amici, ad andare d'accordo.» Robert prese un lungo
respiro liberatorio, abbassando lo sguardo, finalmente l'aveva detto.
«Hai detto che non voglio essere padre, che questo bambino per
me era uno sbaglio. Charlie, io non sono l'uomo della porta accanto,
quello da presentare a mamma e papà. Non sono quel tipo di
uomo, ma posso essere un bravo padre. Io voglio essere un bravo
papà.»
Silenzio.
Nessuno dei due parlava o aggiungeva altro. C'era solo il respiro
affannoso di Robert e lo sguardo fermo di Charlotte. Quello che le
aveva appena detto l'aveva lasciata interdetta e senza parole, ma
qualcosa doveva dire. Almeno doveva riconoscergli che aveva fatto un
enorme passo avanti, ammettendo quello che voleva, ma lei? Cosa
voleva?
«Mi
hai dato della rompicoglioni» disse alla fine, cercando si
smorzare la tensione, senza però ammettere nulla.
Robert
sorrise, scuotendo il capo, avvertendo la voce tranquilla e divertita
di Charlotte. «Sei incredibile, lo sai?»
«Sono
anche fantastica, ma di questo nessuno se ne rende conto.»
Era
così facile trattare con lei? L'aveva insultata, eppure non lo
stava sbranando o ricoprendo di mille epiteti spiacevoli. Charlotte
era una vera e propria miniera di sorprese.
«Quindi,
amici?» le domandò Robert, sedendosi accanto a lei e
porgendole la mano.
«Ancora
mi chiedo come sia possibile essere tua amica, ma ci proveremo»
disse lei, stringendogli la mano e sorridendo.
Robert
si sentì sollevato, scrutando quel dolce sorriso sincero e
affettuoso. Come poteva una cinica e bastarda come Charlotte essere
anche fragile e dolce? Come aveva già detto, era una miniera
di sorprese e lui non poteva lasciare che finisse tutto, non così,
non senza aver tentato ogni strada, ogni opzione. Voleva fare
qualcosa di significativo della sua vita, essere un uomo migliore di
un semplice donnaiolo che correva dietro ad ogni gonnella, come
adorava definirlo Charlotte. Poteva farcela, doveva solo trovare un
modo per sopportare il caratteraccio e le manie di controllo di
quella pazza che aspettava suo figlio.
Che
brutti scherzi faceva il destino!
Angolo
Autrice:
Eccomi
di ritorno, purtroppo la regolarità degli aggiornamenti è
ancora compromessa, lavoro e famiglia non vanno molto d'accordo con
la scrittura, ma prometto di fare di meglio.
Il
capitolo vi mostra un lato di Robert e Charlotte che avevamo già
visto, i due cercano un punto d'incontro e Robert ha scelto di
prendere la situazione di petto, dicendo a Charlotte tutto quello che
pensa. É stato rischioso, ma gli ormoni della gravidanza a
volte aiutano e lei non l'ha preso a manganellate, per fortuna.
La
conversazione è partita bene, niente insulti, e scommetto che
vi sarete chieste “Ma cosa?” poi Charlotte ha tirato
fuori gli artigli e da lì siamo tornati sulla strada giusta.
Insomma, non sarebbero Charlotte e Robert se non litigassero di tanto
in tanto, giusto?
Per
tutte coloro che si preoccupano di quello che potrebbe succedere, o
per meglio dire, dei cambiamenti che potrebbero avvenire nel caso i
due facessero coppia fissa, voglio solo dire...non preoccupatevi! Il
bello di Robert e Charlotte è che hanno quel rapporto
odio/amore che li porta a litigare e fare pace. I due,
nell'eventualità di una relazione, non saranno la classica
coppia da rivista, si scanneranno a vicenda ancora per mooooooolto
tempo, almeno fino alla laurea del figlio/a.
Detto
questo, vi lascio al capitolo, spero di riuscire ad aggiornare entro
dieci giorni, in caso contrario non disperate, il nuovo capitolo
verrà pubblicato appena possibile, se volete nelle mie note
personali c'è il link del mio gruppo su fb dedicato alle mie
storie. Quando chiedete l'iscrizione, per favore mandatemi un
messaggio privato dove mi dite chi siete su fb, altrimenti non
accetterò l'iscrizione.
Alla
prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Cap. 15 ***
Capitolo
15
I'd
Come For You
I'd
come for you - Nickelback
«Hai
la più pallida idea di cosa si provi a portare nell'utero un
altro essere umano che di notte inizia a scalciare per la prima
volta?»
«Ciao
anche a te!» esclamò Robert, rispondendo al telefono.
Charlotte lo chiamava almeno una volta al giorno solo per rompergli
le scatole oppure per mandarlo a comprare del cibo per saziare le sue
voglie assurde, ma quella mattina aveva avviato la telefonata per
riferirgli una cosa importante. «Allora si è mossa.»
«Perché
continui a dire che è femmina, magari è maschio!»
Sentiva
rumori di auto e clacson in sottofondo, probabilmente stava
camminando per strada, mentre lui entrava in centrale. «Uno dei
due ha ragione, ma preferirei essere io questa volta.»
«Maschi.»
«Stai
andando a ritirare la macchina?»
«Veramente
non l'ho ancora portata dal meccanico, il tempo scarseggia, ma la
porterò più tardi, dopo l'ecografia.»
Robert
alzò gli occhi al cielo. L'auto di Charlotte, una Jeep
Wrangler blu, da qualche giorno aveva iniziato a dare segni di
malfunzionamento, probabilmente erano gli iniettori da cambiare, ma
lei continuava a rimandare il meccanico con la classica scusa della
mancanza di tempo.
Tipico
di Charlotte.
«Comunque,
stanotte ha iniziato a dare calci ed ha continuato fino a
stamattina.»
«Speriamo
non erediti il tuo carattere scorbutico!»
«Senti
chi parla!» esclamò Charlotte dall'altro capo del
telefono.
«Tu
non te ne rendi conto, ma hai una caratteraccio.» Robert salì
gli ultimi gradini del distretto, entrando negli uffici e avviandosi
verso la sua scrivania. «Toglimi una curiosità, di
quanto sei?»
«Venti
settimane, idiota!»
«Mi
mancava l'insulto mattutino.»
«A
me mancava la tua mancanza di tatto. Sia benissimo che oggi entro
nella ventesima settimana.»
Aveva
ragione, sapeva perfettamente di quanto era, ma adorava farle perdere
le staffe. Charlotte aveva evidenziato e segnato sul calendario ogni
tappa della gravidanza, perfino le settimane di gestazione, e pensare
che a lui bastava sapere in che mese era. Quando quella mattina aveva
guardato che giorno era, diciotto aprile, aveva anche visto il numero
venti scritto accanto. Quella donna stava cercando in tutti i modi di
renderlo partecipe, ma gli stava troppo addosso.
«Comunque,
verrai oggi?»
«Che
succede oggi?»
«Sei
il solito idiota!» Charlotte riattaccò il telefono e
Robert si ritrovò a ridere, sedendosi alla scrivania sotto lo
sguardo indagatore di James.
«Charlie
ti saluta.»
«Che
succede oggi?» domandò James, facendogli eco alla
domanda che poco prima aveva posto a Charlotte.
«Ecografia.
Si dovrebbe vedere se è maschio o femmina.»
«Prega
che i tuoi amichetti abbiano fatto un buon lavoro, perché se
non è maschio ti strangolo» lo minacciò James,
puntandogli contro la matita che teneva in mano. «Ho scommesso
duecento dollari!»
«Non
posso mica comandare ai miei soldati portatori del cromosoma X di
starsene in panchina solo perché tu vuoi vincere una
scommessa. E poi, se devo essere sincero, preferire fosse femmina.»
«Finalmente
dici una cosa sensata, Goodwin!» Jack comparve alle spalle di
Robert, mettendogli una mano sulla spalla. «Ho scommesso
trecento dollari sul fiocco rosa!»
Era
per caso diventato un business?
***
Odiava
le persone. Charlotte detestava tutti quelli che le toccavano la
pancia, come se portasse fortuna. Perché era andata a trovare
sua nonna? Sapeva che i clienti della tavola calda avevano preso
l'abitudine di toccarla solo per il gusto di sentire quella
protuberanza ormai marcata.
Quella
notte il piccolo aveva iniziato a muoversi. All'inizio aveva sentito
un leggero sfarfallio, come dei piccoli gattini che le camminavano
sulla pancia, poi era diventato più intenso ed aveva capito.
Aveva sorriso, prendendo in mano il telefono, pronta a chiamare
Robert, ma poi aveva rinunciato. Si era convinta che il solo motivo
per cui non l'aveva fatto era l'ora tarda, ma sapeva perfettamente
che la sua era semplice paura di sentirsi rifiutata.
Come
poteva comportarsi a quel modo? Si sentiva una ragazzina in piena
cotta estiva, confusa e stordita. Avrebbe voluto prendere Robert e
picchiarlo, per come la faceva sentire, ma la colpevole era lei.
Stava permettendo a sé stessa di lasciarsi andare e non
poteva, non con Robert.
«Si
è mossa?»
«Nonna,
anche tu credi che sia femmina?»
«Io
non lo credo, lo so!» Rose le sorrise amorevolmente, mettendole
davanti un piatto colmo di pancakes e una bella tazza di caffè
fumante.
«Allison
dice che non dovrei bere caffè.»
«Ah,
tua sorella ha bevuto caffè per nove mesi, dille di non
predicare bene e razzolare male!»
Charlotte
adorava sua nonna. Aveva la lingua biforcuta e pronta a dire ciò
che pensava. Proprio come lei. «Oggi ho l'ecografia.»
«Robert
verrà?»
«Non
credo» rispose Charlotte, addentando un pezzo di pancakes. «Per
il momento partecipa in maniera discontinua. Mi porta il cibo quando
ho le voglie, guarda le ecografie, ma non ha più partecipato
ad una visita, da quella volta. Ha bisogno dei suoi tempi, giusto?»
«Tesoro
mio, da come ne parli sembri innamorata persa di lui.»
E
le parole di nonna Rose furono come un pugno allo stomaco. No, lei
non poteva essersi innamorata di Robert, era matematicamente e
sentimentalmente impossibile.
«Nonna,
ti consiglio di andarci piano con la cannabis terapia!» esclamò
Charlotte, prendendo la borsa e facendo ciò che le riusciva
meglio: scappare. Fuggire, andarsene, fingere che nulla fosse
successo. Le riusciva bene. Lei era una che scappava, che cercava la
via più facile senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato.
Lei
innamorata di Robert. Che assurdità. Le importava solo per il
bene di suo figlio, per dare a lui un padre presente e amorevole, non
per dare a sé stessa un uomo.
Lei
non voleva innamorarsi, non voleva avere una relazione, voleva
semplicemente starsene per conto suo, vivere e continuare a
divertirsi. Ma quel pensiero egoistico, sapeva, era lo stesso di
Robert. Entrambi testardi e desiderosi di non impegnarsi per non
perdere quella libertà acquisita e per non soffrire. Lei
fuggiva dall'amore, lui dalle responsabilità.
Alla
fine sua nonna aveva ragione, erano uguali. Lei e Robert erano due
egoisti patentati, solo che lei stava cercando di mettere da parte
l'orgoglio per il bene di quel bambino che, purtroppo, era anche
figlio di Robert. Che bel casino.
***
«Allora
andrai?»
Robert
sospirò, scuotendo il capo per l'insistenza di James.
Possibile che non sapesse farsi gli affari suoi? «No, dobbiamo
fare questo appostamento, ricordi?»
«Posso
farlo anche da solo!»
Seduti
nell'auto di James, Robert ed il collega erano appostati sul ciglio
della strada, intenti a tenere sotto controllo l'appartamento di un
sospettato. «Bisogna essere in due, è il protocollo.»
«E
da quando segui il regolamento?»
«Da
quando abbiamo rischiato una causa da un milione di dollari con quel
coglione di Eric Anderson.»
«Quel
figlio di buona donna...ancora devo capire perché ha ritirato
le accuse, sembrava piuttosto convinto ad affossarci.»
James
aveva ragione. Prima il chirurgo plastico che avevano mandato in
galera per una notte con l'accusa di possesso e spaccio di droga
faceva causa a loro e al dipartimento di polizia e poi, tutto ad un
tratto, ritirava le accuse e lasciava cadere la storia nel
dimenticatoio. Insomma, aveva lanciato minacce pesanti sia a loro che
a Charlotte.
Eric
Anderson, l'uomo che anni prima aveva usato e scaricato Charlotte
come una bambola di pezza, ora sembrava voler tornare a far parte di
un passato da dimenticare. Che strano.
Per
fortuna era quasi l'ora del cambio di guardia, questo voleva dire che
non si sarebbe perso la partita dei Pelicans.
***
Tutto
come aveva previsto. Robert le aveva mandato un messaggio in cui si
scusava per la sua assenza. Come al solito l'aveva scaricata, che
perdita di tempo. Così aveva fatto l'ecografia senza di lui ed
ora stava tornando a casa.
Sospirò,
ormai doveva esserci abituata, sapeva che tipo di uomo era, eppure le
dava fastidio quel suo comportamento a volte presente altre
menefreghista. Non era giusto.
Si
ritrovò a giocare con il braccialetto che portava al polso
destro, un insieme di ciondoli regalatele o comprati nel corso della
sua vita. Tutti diversi. C'era una chiave, un lucchetto, una
coccinella, un campanellino, perfino il numero sette, il suo numero
fortunato. Però stava giocherellando con il cuore spezzato. A
dire il vero era la metà di un cuore, l'altra non esisteva, un
regalo di sua nonna per il suo ventottesimo compleanno. Nel
donarglielo aveva sorriso, dicendole “l'altra metà la
devi ancora trovare”. Enigmatica e complessa sua nonna, ma
l'idea di donarle solo un pezzo di un cuore l'aveva trovata carina.
In fondo un cuore intero voleva dire amore e lei fuggiva da quel
sentimento da sempre.
Abbassò
il finestrino dell'auto, facendo entrare l'aria della sera. Aprile
era un bel mese, rispetto a marzo. Certo, anche questo non scherzava
con il tempo ballerino, ma almeno i fiori cominciavano a sbocciare e
le peonie di sua madre, il suo fiore preferito, adornavano il
giardino dove era cresciuta. Per non parlare dei glicini che lei e
sua nonna avevano piantato quando aveva sei anni. Profumavano il
gazebo del giardino di nonna Rose da ormai ventidue anni.
Aprile.
E lei, che adorava la primavera, si sentiva sempre più spenta.
Forse era la stanchezza della gravidanza, oppure era Robert che le
portava via energia? Rincorrerlo per riuscire a renderlo partecipe la
sfiniva a tal punto che, presto, si sarebbe ritrovata ad aggredirlo
di nuovo e lei non voleva. Voleva evitare di picchiarlo o tirargli
addosso qualcosa, ma la sua discontinua presenza la stava facendo
innervosire.
Anche
l'auto.
All'improvviso
la sua amata Jeep iniziò a fare uno strano rumore, seguito da
colpi e ticchettii. Accostò appena in tempo.
«Fantastico!»
esclamò quando l'auto si spense. Perché non l'aveva
portata dal meccanico quando le era stato detto? Ah, sì, era
stato Robert a consigliarlo e lei aveva finto di non sentirlo perché
era una dannata orgogliosa troppo presa ad odiarlo per seguirne i
consigli. «Ottimo lavoro Charlotte, e adesso?»
Adesso
doveva chiamare qualcuno. Ma chi?
Cominciò
a scorrere la rubrica del cellulare. Erano le sei, probabilmente
Allison era ancora in ospedale, difatti non rispose. Provò suo
padre, segreteria telefonica. Sua madre era Dallas per una
convention. James suonava a vuoto, probabilmente aveva il silenzioso
e Karen era imbottigliata nel traffico di punta. Così attese
che qualcuno la richiamasse.
Dannazione
a lei e alla sua idea di prendere quella stramaledettissima
scorciatoia che passava in mezzo ad un'altura poco trafficata. Il
tutto per evitare il traffico di punta. Che bellezza!
Per
ingannare il tempo chiamò il carro attrezzi, ma anche quello
sembrava non volere arrivare. Era buio, faceva freddo e lei era sola.
«Grazie
tante universo!» esclamò, quando si rese conto che la
sua ultima boa di salvataggio era Robert.
Compose
il numero, aspettando che rispondesse. Uscì dall'auto,
appoggiandosi al cofano. Da quel punto poteva vedere New Orleans
specchiarsi nel Mississipi, se non fosse stato per le circostanze
poco gradevoli e l'isolamento di quella zona, si sarebbe soffermata
ad ammirare la vista, ma era da sola, nel bel mezzo del nulla,
incinta e in una strada deserta. Voleva solo tornarsene a casa.
«Se
mi hai chiamato per dirmi che è maschio hai sbagliato
momento!» esclamò Robert, rispondendo al telefono.
«L'auto
mi ha lasciata a piedi.»
«E
perché chiami me?»
«Razza
d'idiota!» esclamò Charlotte fuori di sé. «Forse
perché nessuno mi risponde?»
«James,
guarda il tuo cellulare.»
Charlotte
sentì il fratello fare domande e poi imprecare. Aveva
finalmente guardato il cellulare. «Qualcuno può venirmi
a prendere?»
«Hai
chiamato il carro attrezzi?»
Perché
doveva fare tutte quelle domande? Non poteva semplicemente prendere
la sua cavolo di moto e venirla a prendere? «Certo che l'ho
chiamato, ma arriverò tra un'ora. Karen è imbottigliata
nel traffico, papà ha la segreteria telefonica e James si è
temporaneamente scordato di avere una sorella incinta!»
Era
arrabbiata, spaventata e frustrata, e lui trovava il tempo di farle
domande idiote. Che razza di uomo era? Rimase in silenzio, ad
ascoltare Robert e James discutere su chi dovesse venirla a prendere.
«Ok,
adesso calmati, sto venendo a prenderti.»
Riattaccò
il telefono, ricordandosi poco dopo di non aver detto ai due idioti
dove si trovava, non aveva voglia di risentire di nuovo le loro voci,
così si limitò a mandare un messaggio, sperando che
l'imbecille di turno lo leggesse, sempre se ne era in grado.
Charlotte
si sedette in auto, cercando di calmarsi, ma il tempo sembrava non
voler scorrere. Prese a camminare avanti e indietro come una
forsennata, massaggiandosi la schiena, ma la creaturina che aveva in
grembo era più agitata di lei, si muoveva e, anche se era
troppo piccola per darle fastidio, quelle piccole capriole la
facevano agitare ancora di più.
«Sh,
calmati tesoro, presto torneremo a casa.»
Guardò
l'orologio, erano passati venti minuti, ma le sembrava un secolo.
Stava per urlare, ma dei fanali in lontananza la fecero zittire
all'istante. Cominciò a sperare quando l'auto rallentò
fino a fermarsi vicino alla sua, poi quelle speranze si
affievolirono.
«Così
le voci sono vere.»
Quella
voce, non l'aveva dimenticata. Certo ora aveva un tono più
maturo, ma rimaneva pur sempre la voce roca di Eric, che ora
camminava verso di lei, debolmente illuminato dai fari delle loro
auto.
Charlotte
si portò istintivamente le mani alla pancia, facendo qualche
passo indietro, sentendolo ridere. Era proprio lui. «Che ci fai
qui?»
«Passavo
per caso, ho visto l'auto e ti ho riconosciuta» disse lui.
«Allora è vero che sei incinta.»
«Già.»
Charlotte manteneva un'aria diffidente. Non aveva dimenticato il
dolore e il suo cuore spezzato, come poteva? «Beh, grazie di
esserti fermato, ma sta per arrivare il carro-attrezzi ed ho avvisato
la mia famiglia, quindi puoi anche andare.»
«E
lasciarti qui da sola, di sera, nel mezzo del nulla, con tutta la
bella gente che circola?» sogghignò Eric, allungando una
mano per sfiorarle il viso, ma lei si ritrasse. «Non credo
proprio dolcezza.»
«Non
chiamarmi dolcezza!»
«Il
tuo fidanzato come ti chiama?»
«Non
sono affari tuoi!»
«E
come stanno tuo fratello ed il suo amico, Robert? Ho sentito dire che
è lui quello che ti ha messa incinta, lo stesso che mi ha
infilato della marijuana in tasca e mi ha arrestato.»
Charlotte
deglutì. Non le piaceva quel tono accusatorio e quel fare
losco che Eric stava adottando. Si sentiva in trappola e sola,
vulnerabile e impaurita. Odiava sentirsi così. «Non so
niente di questa storia.»
«Certo,
fai pure la finta tonta, tanto sappiamo entrambi che quei due l'hanno
fatto per te.»
Charlotte
strinse la mascella, indietreggiando mentre Eric continuava ad
avanzare verso di lei. L'ultimo passo la portò a sbattere
contro l'auto e lo sguardo dell'uomo non era molto rassicurante.
Perché aveva lasciato la borsa sul sedile del passeggero
insieme al suo spray al peperoncino?
Era
a pochi centimetri da lei, pronto a fare qualsiasi cosa avesse in
mente, ma il rombo di una moto lo fece fermare. Charlotte tirò
un respiro di sollievo quando riconobbe la Harley di Robert.
«È
arrivata la cavalleria!» esclamò Eric, osservando Robert
avvicinarsi a loro a grandi passi con lo sguardo puntato su
Charlotte.
«Stai
bene?» Sembrava preoccupato mentre prendeva la donna per le
spalle, fissandola intensamente negli occhi.
Lei
annuì con un sorriso tirato, sentendosi al sicuro con lui.
«Certo
che non l'avrei mai detto, voi due insieme.» La voce di Eric
era sprezzante, tanto che Robert strinse un pugno talmente forte da
far sbiancare le nocche. Lo avrebbe preso a cazzotti se Charlotte non
l'avesse trattenuto per un braccio.
«Che
ci fai qui, Anderson?» gli domandò, cercando di
mantenere il controllo. Odiava quella faccia da faina e quel ghigno
strafottente.
«Come
ho detto a Charlie, passavo di qui per caso e l'ho riconosciuta, così
mi sono fermato per vedere se aveva bisogno di aiuto.»
«Come
vedi ci sono io adesso, quindi puoi anche andartene» specificò
Robert, facendo un passo in avanti per mettersi tra Eric e Charlotte,
portandosi le mani ai fianchi e scostando la giacca quel tanto che
bastava per mostrare pistola e distintivo. «E, per la cronaca,
per te lei non è Charlie, ma Charlotte, vedi di ricordartelo.»
Eric
alzò le mani in segno di resa, arretrando leggermente «Beh,
tolgo il disturbo allora. Ci vediamo, Charlotte.»
Ma
Robert non aveva finito, non voleva che un uomo del suo calibro
girasse intorno a Charlotte o a suo figlio.
«Anderson»
lo richiamò. «Sappi che se ti vedo ancora girare intorno
a Charlie o a mio figlio, non mi farò problemi a togliermi il
distintivo e a finire quello che io e James abbiamo iniziato anni
fa.»
Charotte
rimase in silenzio, ascoltando il respiro pesante di Robert mentre
Eric si allontanava in auto. Chissà per quale motivo, ma con
lui si sentiva al sicuro. Forse era merito del distintivo.
«Ti
avevo detto di far controllare l'auto» sbottò
all'improvviso Robert senza guardarla negli occhi.
Charlotte
rimase spiazzata. «Non ho avuto tempo!»
«Invece
il tempo di cacciarti nei guai lo trovi sempre!»
«Adesso
sarebbe colpa mia?»
Le
loro voci erano alte, gesticolavano animatamente, sembravano in
procinto di prendersi a pugni a vicenda.
«E
che fine ha fatto il tuo spray al peperoncino?»
«In
borsa!» esclamò Charlotte, indicando la borsa sul sedile
del passeggero.
Robert
si portò le mani ai fianchi, scuotendo il capo. «Ti ho
regalato quella bomboletta perché tu la tenessi sempre con te,
non in borsa e fuori portata!»
«Regalata?
Che gesto nobile da parte tua, proprio un regalo fatto col cuore.»
«Sai,
forse non sarebbe male se ti lasciassi qui ad aspettare da sola il
carro-attrezzi.»
«Fantastico,
vattene, non so che farmene di un uomo capace solo di urlarmi contro
per una dimenticanza!»
Poi
il silenzio. Robert la guardava negli occhi, consapevole che quella
litigata era stata solo uno sfogo e nulla di più. Quando aveva
ricevuto la sua telefonata era andato in panico e si era precipitato
da lei senza però darlo a vedere, poi la vista di Eric gli
aveva mandato il sangue al cervello e la tensione era salita. Urlare
contro Charlotte era l'unico modo a lui conosciuto per sfogare la sua
rabbia. Quello o sparare ad Eric, ma visto che l'atto era punibile
dalla legge, si era dovuto limitare alla prima opzione.
«Stai
bene?» le domandò una volta calmato, allungando la mano
e sfiorandole il braccio.
«Sì,
adesso sì.» Charlotte gli sorrise. Quella sfuriata aveva
fatto bene anche a lei.
«Il
bambino?»
«Bambina»
lo corresse Charlotte, guardandolo negli occhi. «È una
bambina, lo sapresti se fossi venuto con me oggi.»
Una
femmina. Una figlia. Robert si portò le mani alla barba,
deglutendo rumorosamente. Charlotte lo fissava in attesa di una
qualsiasi opinione o altro, ma lui non riusciva a pensare ad altro
che ai problemi futuri.
«Speriamo
non erediti il tuo caratteraccio.»
«Grazie
tante!»
«Avanti,
dillo!»
Charlotte
sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Avevi ragione tu!»
«Te
l'avevo detto che era femmina!»
Durante
il tragitto per tornare a casa nessuno dei due disse nulla. Charlotte
restava avvinghiata al torace forte di Robert, sentendo i muscoli
tesi, mentre lui guidava la moto con responsabilità, senza
superare i limiti. Che strano.
Arrivati
a casa, Charlotte scese dalla moto, stringendosi nelle spalle e
guardandosi intorno. Non sapeva spiegarselo, ma l'incontro con Eric
l'aveva scombussolata. Era stato così strano e inquietante da
farla rabbrividire. Non se la sentiva di stare da sola.
«Robert,
ti va di fermarti da me?» domandò. «Non mi sento
al sicuro con Eric in circolazione. Aveva uno strano sguardo negli
occhi.»
Robert
rimase impassibile, facendo spallucce e spegnendo la moto. «Ok.»
Non
fece domande, si limitò a seguirla con il casco in mano mentre
telefonava a James per rassicurarlo sulla situazione. Entrati in casa
Hannibal corse subito a salutare la sua padrona, annusando poi le
mani di Robert senza abbaiare. Ormai era di casa.
«Stai
meglio?» le domandò, osservandola appendere l'ecografia
al frigorifero. Non voleva dare a vedere la sua preoccupazione, ma
quel silenzio lo faceva innervosire.
«Adesso
sì.»
«Femmina
allora. Non abbiamo mai parlato dei nomi.»
Charlotte
corrugò la fronte. Non era da Robert interessarsi così
tanto della bambina, ma il suo tentativo di distrarla dall'incontro
con Eric era lodevole. Quasi tenero.
«Mi
piace il nome Julie.»
«É
troppo scontato!» esclamò Robert, aprendo il frigorifero
alla ricerca di una birra, trovando solo acqua e thè. «Il
settanta percento della popolazione femminile americana si chiama
Julie!»
«Volevo
chiamarla così in onore della mia bisononna, Julianna.»
«Oh!»
Robert annuì, togliendosi dalla cintola il distintivo e la
pistola, poggiandoli sulla penisola della cucina. «Chiamiamola
Julianna, allora.»
Sapeva
quanto Charlotte tenesse al ricordo della sua bisnonna. Quella donna
aveva le palle quadrate, insomma, aveva sfidato le convenzioni
sociali sposando un uomo di colore in un epoca dove le differenze
razziali e sociali dividevano la popolazioni di categorie. Una
nobildonna bianca che sposava un cameriere nero non era di certo una
cosa ben vista negli anni venti.
«Ma
Julie è più carino.» Si stava imponendo, ma con
dolcezza e questo era strano, soprattutto per Charlotte.
Robert
aggrottò la fronte, guardandola allibito. «Dove è
la Charlotte spacca palle che conosco? Questa versione 2.0 non mi
piace molto, è troppo fuori dal personaggio!»
«Sei
un coglione, lo sai?»
«Charlie,
dove ti eri cacciata?»
«Il
divano è tutto tuo.» Charlotte fece per allontanarsi, ma
Robert la richiamò
«É
stato un piacere salvarti, dolce donzella!»
«Fottiti
idiota!» rispose lei a tono, alzando il dito medio.
«Ma
da solo non c'è gusto, mi dai una mano?»
«Vaffanculo!»
esclamò Charlotte, allontanandosi e avviandosi in camera sua
con Hannibal al seguito.
Trascorse
la notte sul divano, guardando il soffitto con una strana agitazione
dentro. Femmina, avrebbero avuto una figlia. Una bambina che doveva
proteggere da uomini come lui. Sospirò, voltandosi verso
l'orologio sulla parete. Le tre del mattino. Erano già
trascorse tutte quelle ore?
Silenziosamente
si alzò, avviandosi verso la camera di Charlotte, trovandola
distesa sul fianco. Si appoggiò allo stipite della porta,
osservando la donna. Doveva ammettere che quando dormiva non sembrava
la castra-uomini che conosceva, anzi, pareva quasi angelica, ma
sapeva che di paradisiaco non aveva nulla, solo gli occhi.
Quella
donna l'avrebbe mandato al manicomio prima o poi e non sarebbero
serviti a nulla i suoi tentativi di mettere paletti e barriere tra
loro. Non poteva fuggire, c'era una figlia di mezzo, ma poteva
comunque provare ad andare d'accordo con lei. Quindi doveva smetterla
di fingere disinteresse proprio quando cominciava ad avvicinarsi,
oppure allontanarsi ogni volta che si sentiva soffocare da quella
situazione. Doveva fermarsi e capire che cosa voleva, chi voleva e
perché.
Si
avvicinò al letto, inginocchiandosi proprio all'altezza della
pancia di Charlotte, accarezzandola lievemente.
«Ehi,
ciao piccola» bisbigliò, per non farsi sentire da
Charlotte e da Hannibal sdraiato vicino alle gambe della padrona.
«Siamo messi male, vero? Io non avrei mai pensato di diventare
padre così e nemmeno tua madre. Anzi, se avesse potuto
scegliere, non avrebbe di certo scelto me, ma è successo ed
ora siamo noi. Lei non mi sopporta, a dirla tutta mi riesce difficile
sopportare lei, ma per te farò uno sforzo quindi, dato che io
cercherò di andare d'accordo con tua madre, che ne pensi di
metterci una buona parola per me? Sai, potresti convincerla a darmi
una possibilità. Questo renderebbe la tua vita e la mia meno
turbolente.»
Charlotte
mugugnò nel sonno, muovendosi leggermente, costringendo Robert
a fermarsi per evitare che si svegliasse. Attese qualche secondo,
prima di riportare il volto a pochi centimetri dalla pancia,
accarezzandola lievemente. «Allora, affare fatto?»
Angolo
Autrice:
Capitolo
abbastanza intenso, che ne dite? Charlotte comincia a farsi delle
domande, cerca di capire la natura dei suoi sentimenti verso Robert,
ma, come abbiamo visto, non smette di prendere a parole il poveretto.
Ah,
quei due sono troppo fuori di testa!
Ed
è femmina! Fiocco rosa in casa Sinclair/Goodwin! Ed i nomi
iniziano ad arrivare, vedremo più avanti come si evolverà
la gravidanza, fino ad arrivare alla soluzione finale. Quei due
capiranno mai i loro sentimenti? Lo vedremo!
Prossimo
aggiornamento giovedì 9 luglio!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Cap. 16 ***
Capitolo
16
Just
a Dream
Just
a dream - Nelly
Il
tempo passava così in fretta, tanto che Charlotte non si rese
conto di essere ormai al sesto mese di gravidanza. Maggio stava
scivolando via come se niente fosse, portandosi via l'umidità
della primavera e delle sue piogge, lasciando così spazio al
sole che annunciava l'arrivo di giugno.
Mancavano
due settimane al matrimonio, il sette giugno incombeva e Karen
diventava isterica, molto più di lei. Questo divertiva
particolarmente Charlotte, vedere suo fratello girovagare per casa
rispondendo agli ordini che la fidanzava gli urlava era uno spasso.
Stranamente si sentiva tranquilla, quando aveva scoperto di essere
incinta pensava di diventare una specie di mostro urlante in preda a
crisi ormonali che la rendevano una vera e propria arpia, invece si
stava comportando bene. Si sentiva quasi un agnellino, tanto da non
aver insultato Robert per una settimana intera. Facevano progressi.
«Pensi
che mio fratello riuscirà a tirare fuori le palle?»
«Non
saprei, ultimamente sembra che siano state schiacciate in una morsa.»
Ormai
sembravano amici. Charlotte se ne stava sdraiata sul divano di James,
con un piatto di patatine fritte sulla pancia e Robert accanto a lei,
con i suoi piedi sulle ginocchia. Entrambi osservavano James, seduto
in poltrona, con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava uno zombie.
«Potrebbero
prenderlo per fare uno dei morti viventi di The Walking Dead.»
«Stai
guardando troppe serie tv, Charlie!»
«Sono
incinta, la televisione e lo yoga sono le mie distrazioni.»
«Chi
cazzo me l'ha fatto fare?» sospirò James all'improvviso,
con tono melodrammatico.
«Amico,
te l'avevo detto che il matrimonio ti avrebbe distrutto.»
«Robert,
non infierire, non vedi come è ridotto?» Charlotte gli
diede una piccola spinta col piede, ridendo. «Piuttosto,
pensate a come mi sentirò io, i vestiti delle damigelle sono
corti ed io ho delle caviglie che sembrano meloni!»
«Perché
devo preoccuparmi di te? Sono io quello che si sposa!»
«Ed
io quella incinta» ribatté Charlotte, provocando la
risata di Robert.
«Se
vogliamo proprio discutere su chi sta peggio, pensa a quel povero
Cristo seduto accanto a te.» James indicò con il mento
l'amico, il quale aggrottò la fronte incuriosito.
«Che
ha fatto?»
«Ti
ha messa incinta, ecco cosa ha fatto!»
«Adesso
è lui quello messo male?»
«Sì,
perché ci vogliono dei coglioni grandi come il Texas per
sopportarti da normale, figurati ora che hai gli ormoni impazziti.
Dovrebbero usarti come arma di distruzione di massa!»
Era
divertente, osservare i due fratelli litigare, si sentiva a casa
quando era con loro, soprattutto quando era Charlotte a coinvolgerlo,
ma più lei si avvicinava, più lui si sentiva soffocare
da tutte quelle responsabilità, da quei sorrisi e da quei
sentimenti.
«Va
bene, abbiamo capito, ora riaccompagno a casa la donna incinta.»
Robert aiutò Charlotte ad alzarsi, lasciando poi una pacca
sulla spalla di James. «Vieni a farti una birra stasera?»
«Credo
che mi suiciderò!»
«Ci
vediamo alla solita ora.»
***
«Tuo
fratello è un idiota!»
«L'hai
scoperto solo ora?»
Poteva
sperare di trascorrere una serata in completa tranquillità?
Robert e James erano andati al pub e lei aveva deciso di trascorrere
una seratina fatta di serie tv e patatine fritte. Sua figlia le aveva
concesso una tregua, dormiva beata nella sua pancia.
Karen
si lasciò cadere sul divano accanto a Charlotte, sbuffando.
«Ci sono i posti da organizzare e lui se ne va fuori con
Robert.»
«Lascia
svagare i maschietti. Patatine?» le domandò Charlotte,
porgendole il piatto di patatine fritte.
«La
gravidanza ti fa male.»
«Dici?
Io credo che mi faccia bene, soprattutto perché ho tutti ai
miei piedi che cercano di soddisfare i miei bisogni per non farmi
incazzare.»
«Ecco
perché sei così di buon umore ultimamente!»
Charlotte
fece spallucce, tornando a guardare la tv. «Allora, i sigilli
sono stati spezzati?»
«Di
che parli?» domandò Karen, aggrottando la fronte e
guardando l'amica, la quale, impassibile, continuava a guardare
Supernatural.
«I
sigilli per liberare Lucifero dalla gabbia e dare il via
all'apocalisse» disse Charlotte.
«Per
apocalisse, intendi il mio matrimonio?»
«A
che altro dovrei alludere?»
«Sul
serio, tu guardi troppa tv!»
Charlotte
sorrise, lanciando uno sguardo alla piantina dei tavoli per il
matrimonio. «Ah, consiglio, non mettere zio Albert vicino a zio
Roger, rischi di trovarti con un morto al ricevimento!»
***
«Perché
siamo qui?» James sbuffò, entrando al Voodoo, Robert
l'aveva costretto a seguirlo al pub per distarlo, ma tutto quello che
voleva fare era sdraiarsi nel letto in posizione fetale e rimpiangere
il giorno in cui aveva chiesto a Karen di sposarlo. Quella donna
sembrava Hulk in versione femminile quando s'impuntava su qualcosa,
peggio di sua sorella.
«Perché
hai bisogno di uscire e farti una birra in compagnia!» esclamò
Robert, indicando il bancone, ma quando James alzò lo sguardo
non si trovò di fronte il proprietario, ma una bionda sexy con
tanto di divisa da poliziotta. Robert aveva organizzato il suo addio
al celibato.
C'erano
tutti i colleghi della centrale, pure suo padre e suo nonno bevevano
birra ad uno dei tavoli mentre spogliarelliste vestite da poliziotte
intrattenevano gli invitati.
«Non
era più semplice portarmi in uno strip club?»
Robert
fece spallucce. «E farti rischiare la gogna? Sappiamo tutti che
Charlie avrebbe scoperto dove stavo organizzando l'addio al celibato,
così ho giocato d'anticipo ed ho fatto un accordo con Sam, ho
affittato il Voodoo e fatto pensare a Charlie ed a Karen che il tuo
addio al celibato sarebbe stato un semplice ritrovo tra colleghi e
amici, condito da birra e poker!»
C'era
da dire che Robert si era messo d'impegno. Probabilmente erano state
assunte nove spogliarelliste, tutte vestite uguali, con tanto di
manette e tacchi vertiginosi. Robert non aveva badato a spese. Per
fortuna Karen e sua sorella erano impegnate a finire di organizzare i
posti a sedere.
«Amico,
ti voglio bene!» esclamò James, abbracciando Robert.
Aveva bisogno di svagarsi e quell'addio al celibato era arrivato al
momento opportuno.
***
Charlotte
era andata a dormire da un paio d'ore, finalmente sua figlia si era
addormentata, smettendo di scalciare come una matta, quando il
cellulare squillò all'improvviso. Guardò l'ora, erano
le quattro del mattino.
«Chiunque
tu sia sappi che se non è un'emergenza sei morto!»
rispose con voce assonnata. All'altro capo risate e musica alta, ma
riuscì a riconoscere la voce di suo fratello.
«Charlie,
Charlie, Charlie.»
«James,
sei ubriaco?»
«No...forse...sì.»
Era ubriaco fradicio, a tal punto da biascicare le parole.
«Che
cosa vuoi?» sbuffò Charlotte, cercando di trattenere
l'insulto che aveva in gola.
«Mi
vieni a prendere?»
«Puoi
chiamare Karen.»
«Ehm,
no.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
mi troverebbe in una situazione equivoca e non posso chiedere a
nessuno perché sono tutti ubriachi più di lei...no,
scusa, di me.» James biascicava le parole.
«Per
fortuna doveva essere un addio al celibato tranquillo, accompagnato
solo da birre, sigari e poker.»
«Ehm...Robert
ti ha mentito.»
«Che
novità.» Charlotte alzò gli occhi al cielo. «Puoi
chiamare un taxi o farti riaccompagnare dal tuo amicone bugiardo!»
«No,
niente ta...ta...quel coso giallo. Non ho contanti e di conseguenza
dovrei pagare con la carta di credito e se Karen vede l'estratto
conto capisce subito che sono ricorso al...al...insomma, a quel coso
giallo, perché ero, sono, ubriaco.»
«Però,
quel coso giallo?»
«Non
prendermi per il culo, tu hai fatto cose peggiori da ubriaca.»
specificò James. «Ed una di queste ce l'hai nella
pancia!»
«E
il tuo amicone è più ubriaco di te?»
«Sì...forse...non
lo so, non lo vedo da...che ore sono?»
«Le
quattro del mattino, idiota.»
«Di
già?» James rise. «Comunque, non vedo Robert da
almeno un'ora, credo.»
«Va
bene, sto arrivando.» Charlotte riattaccò il telefono,
sbuffando sonoramente. «Ci mancava solo James ubriaco.»
Si
vestì velocemente, prendendo le chiavi della macchina. Voleva
tornare a letto, ma la voglia di prendere a schiaffi sia suo fratello
che Robert era troppo forte. Mentre percorreva la strada chiamò
suo padre al cellulare, scoprendo che lui era già rientrato a
casa, anche lui completamente ubriaco, accompagnato dal nonno che,
grazie al cielo, era rimasto sobrio, ma troppo stanco e messo
all'angolo da nonna Rose per riuscire ad andare a prendere James.
Allison era di turno in ospedale e sua madre fuori città per
una covention. Non restava altro che lei.
Scese
dall'auto, trovando diversi colleghi del fratello fuori dal Voodoo,
completamente ubriachi, in attesa di un taxi. Entrò, trovando
diverse spogliarelliste intente a ballare e a strusciarsi contro
qualche partecipante alla festa. Poi vide suo fratello, seduto al
bancone, con la testa fra le mani e lo sguardo perso.
«Robert?»
chiese semplicemente, sbattendo il palmo della mano sul bancone.
«Sorellina!»
ma James non rispose, le gettò le braccia al collo,
barcollando, rischiando di far cadere anche lei.
«Dov'è
Robert?»
«Non
lo so.» James sorrise. «Ma so dove sei tu.»
«Ma
davvero? E sai dove sarai tu fra poco?»
«Ehm...a
casa tua?»
«No,
tra le grinfie della tua fidanzata.»
Quale
minaccia. James sbarrò gli occhi, gettandosi a terra in
ginocchio, abbracciando le gambe della sorella disperato. «Ti
prego no!» esclamò, piagnucolando. «Non portarmi
da lei, mi ammazzerà!»
«Che
grande perdita!»
«Farò
qualsiasi cosa, ti prego. Ti pagherò, ti terrò la mano
in sala parto, sarò il tuo schiavetto per il resto della mia
vita, ti accompagnerò alle prossime lezioni del corso
pre-parto, accontenterò le tue voglie ad ogni ora del giorno,
ti farò da baby-sitter, cambierò tutti i pannolini di
mia nipote, ma ti prego non portarmi da quella iena assetata di
sangue!»
«Non
fare il bambino e alzati.» Charlotte lo guardò torva.
«Andiamo a casa, questa musica alta mi urta i nervi.»
Come
un cagnolino barcollante, James seguì la sorella fuori dal
pub, salutando con enfasi i colleghi in attesa del taxi, salendo in
macchina. Si addormentò durante il tragitto, ma Charlotte era
incazzata.
Continuava
a chiamare Robert al cellulare ma dava sempre segreteria telefonica.
Al locale non l'aveva visto e il sospetto che le palesò in
mente la disgustò a tal punto da costringerla a voler trovare
qualsiasi scusa plausibile per non averlo visto.
«Forse
era al bagno» disse fra sé e sé. «Oppure è
tornato a casa quando ha capito di essere troppo ubriaco, insomma,
non c'era la moto nel parcheggio.» ma più cercava di
convincersi che non fosse vero, più sentiva che quella sola
spiegazione che non osava formulare era vera. Senza riportare a casa
James, ormai immerso in un sonno profondo, si diresse a casa di
Robert. Con la speranza di avere torto salì al terzo piano
della palazzina, imboccando il corridoio stretto dalle pareti bianche
e il pavimento rivestito di moquette verde scuro. Pregò,
sperò, di avere torto, di trovarlo con una borsa del ghiaccio
sulla testa ed una sbronza colossale da smaltire. Cominciò a
bussare con forza alla porta, lo chiamò per nome, sentendo un
nodo alla gola e, quando finalmente la porta si aprì, le sue
paure si rivelarono fondate.
«Sì?»
una ragazza bionda, alta, bella e semi nuda la stava guardando dalla
porta. Indossava la maglietta dei Black Sabbath di Robert, quella che
lei gli aveva regalato al compleanno per farsi perdonare di tutte le
volte che lo chiamava nel cuore della notte in preda alle voglie
gravidiche.
Senza
dire nulla entrò, dando una spallata alla giovane, trovandosi
di fronte Robert intento ad infilarsi i jeans.
Lui
rimase immobile, la guardò, aspettandosi di sentirla urlare,
insultarlo, oppure di vedersi tirare dietro tutto quello che le
capitava per mano, ma ciò che vide sul volto di Charlotte gli
fece più male di qualsiasi insulto o ferita. Era delusa,
arrabbiata, sconvolta e triste.
Quel
silenzio, rotto solo dalla voce di Holly o Ally, non ricordava
nemmeno il nome di quella ragazza, era più devastante di un
qualsiasi rumore acuto e fastidioso. Non poteva nascondersi dietro a
nessuna scusa o bugia, la situazione parlava chiaro e lui non aveva
giustificazioni da dare. Era colpevole e non poteva nascondere la
testa sotto terra come uno struzzo.
Charlotte
girò i tacchi, uscendo senza dire nulla, sentiva quella
ragazza chiedere cosa stesse succedendo, chi lei fosse, poi chiese a
Robert se lei era la sua ragazza, ma tutto quello che lui disse fu
solo il suo nome. «Charlie!»
Charlotte
salì in ascensore, osservando Robert arrivare proprio mentre
le porte si chiudevano. Quella discesa le sembrò infinita, ma
quando uscì dalla palazzina Robert la stava rincorrendo,
affannato dopo aver fatto di corsa le scale.
«Charlie!»
«Lasciami
stare!»
«Ti
prego, lasciami spiegare.»
«Non
c'è nulla da spiegare, te la sei spassata con quella, buon per
te.»
«Non
significa nulla.» Robert ne era convinto, ma sapeva che a
Charlotte non importava.
Charlotte
si fermò davanti all'auto, voltandosi di scatto. «Come
quando sei venuto a letto con me, vero?»
«Non
era questo che intendevo.»
«Sono
stata una stupida!» esclamò, guardandolo negli occhi.
«Come ho potuto pensare anche solo per un istante che tu fossi
diverso da tutti gli altri stronzi della mia vita?»
«Ora
mi paragoni ad Eric?»
«No,
ti paragono ad un imbecille che mi ha messa incinta per poi andarsene
in giro a scoparsi tutte le altre donne di New Orleans e dintorni!»
Robert
si alterò. Non c'era nessun contratto tra di loro, nessun
accordo che gli impedisse di uscire con altre donne. «Noi non
stiamo insieme, non siamo una coppia ed io non sono obbligato al
celibato!»
«È
così che ti giustificherai a tua figlia quando ti chiederà
perché sei poco presente nella sua vita? Cosa le dovrò
dire quando salterai un saggio a scuola per uscire con una donna?»
«Oh,
adesso sono il cattivo della tua favola?»
«Questa
non è una favola, Robert, è la vita reale, è la
nostra vita e quella di nostra figlia.»
«Sul
serio? A me sembra tanto una scenata di gelosia.»
Charlotte
deglutì. Aveva ragione, ma non poteva dirgli che il motivo
principale di quella scenata erano i suoi sentimenti, di sicuro le
avrebbe riso in faccia. «È vero, sono gelosa. Gelosa del
fatto che tu preferisca una bionda rifatta alla sistemazione della
cameretta di tua figlia, oppure che reputi più interessante
passare da un letto all'altro piuttosto che accompagnarmi ai corsi
pre-parto. Mi hai delusa perché pensavo che tu fossi diverso,
che quei piccoli gesti protettivi e gentili fossero un segno del tuo
vero carattere. Ma a quanto pare mi sbagliavo.»
«Cristo,
Charlie, si può sapere cosa vuoi da me?» urlò
Robert, aprendo le braccia. «Vuoi che venga ai corsi pre-parto?
Vuoi che ti tenga la mano quando nascerà la bambina? Oppure
vuoi un marito che si sottometta a te? Vuoi questo da me?»
«Io
non voglio obbligarti ad essere quello che non sei, non lo farei mai,
ma devi scegliere Robert» disse Charlotte. «Devi
scegliere chi vuoi essere.»
Robert
le vide. Lacrime salate che le rigavano il viso tirato e triste.
Erano come piccole gemme che le adornavano le guance.
«Fai
la tua scelta Robert.»
«Charlie...»
«Io
non ho bisogno di un marito o di un compagno, Robert, ho bisogno di
qualcuno che mi accetti per come sono. Ho bisogno di un amico e
pensavo che potessi essere tu, ma mi sbagliavo.» Si voltò,
stavolta per sempre, non si sarebbe voltata, non avrebbe più
lottato, salì in macchina, partendo. Era stanca di essere
delusa dagli altri, stufa di credere nelle persone per poi ritrovarsi
con le lacrime agli occhi. Eric, Thomas, Matthew, uomini ai quali
aveva dato il suo cuore per poi vederselo calpestare senza ritegno,
senza sentimenti. Possibile che non aveva ancora imparato la lezione?
Mai
e poi mai fidarsi di chi ti promette il mondo.
La
sua prima regola, il suo primo promemoria. Aveva sperato che almeno
Robert fosse diverso, si era aggrappata alla convinzione che potesse
essere un buon padre ed un buon amico, ma si era sbagliata. Eppure lo
conosceva, sapeva di che pasta era fatto, conosceva i suoi interessi,
le sue debolezze e, nonostante tutto, si era illusa che fosse solo
una maschera.
Ma
se era preparata ad una simile rivelazione, perché faceva così
male? Perché si sentiva le gambe cedere e l'aria mancare?
Accostò
l'auto, guardando il fratello ancora addormentato.
Lacrime
e solo lacrime, non c'era altro. Charlotte aveva di nuovo dato il suo
cuore all'uomo sbagliato e si era vista restituire solo dolore. Lei
non era delusa, era innamorata e faceva male, perché sapeva
che Robert non sarebbe mai stato suo. Una figlia li legava, ma non ci
sarebbe stato altro che incontri fugaci e litigate per decidere quali
fine settimana lui avrebbe dovuto tenere la piccola.
Pianse
di disperazione, lasciandosi andare a quella sofferenza che le
artigliava il cuore. Voleva scappare e dimenticare ogni cosa, fingere
e indossare la sua maschera d'indifferenza per poter dire al mondo
che stava bene mentre dentro era vuota. L'amore era solo sofferenza e
le favole solo mere illusioni che mai si sarebbero potute avverare.
Da
bambina ci aveva creduto, aveva amato quelle principesse che venivano
salvate, aveva indossato la sua coroncina aspettando il suo Principe
Azzurro. Crescendo si era resa conto che quella coroncina era solo un
pezzo di plastica e che quel principe non sarebbe mai arrivato.
L'amore
non esisteva e lei ne aveva avuto la prova anno dopo anno, uomo dopo
uomo. I suoi genitori, le sue storie fallite, ora non le restava
altro che sua figlia e la consapevolezza che a lei non avrebbe mai
raccontato favole di principi e principesse, di fanciulle da salvare
o di incantesimi da spezzare con un bacio.
Si
portò le mani al pancione, alzando lo sguardo, sperando che
fosse tutto un sogno, ma si rese conto di amarlo e che il suo cuore
era ormai in frantumi.
James
aprì gli occhi e quando vide la sorella in lacrime non gli
importò del mal di testa o del senso di nausea. L'abbracciò,
cercando di consolarla. In quel momento non erano necessarie le
spiegazioni, avrebbe chiesto cosa fosse successo dopo, una volta
calmata. Ora, in quell'istante, Charlotte aveva bisogno della sua
spalla, del suo sostegno e nulla poteva farlo muovere da quella
posizione.
***
“Ne
vale la pena?” pensò Robert. “Vale la pena
rinunciare a tutto questo per lei?”
Le
notti trascorse con donne diverse, la sua libertà, il non
avere responsabilità o legami che lo costringessero ad essere
un uomo maturo e con la testa sulle spalle.
Valeva
la pena mettere via la sua agenda di numeri e pensare ad una sola
donna per sempre?
Aveva
guardato negli occhi Charlotte e vi aveva letto la delusione e il
disprezzo, mai come allora lei l'aveva guardato a quel modo. Si
sentiva un completo idiota.
La
sera in cui gli aveva detto di essere incinta era stata la più
lunga della sua vita e aveva pensato che nessuna notizia potesse
sconvolgerlo più di quella, nessun avvenimento, nessun
cambiamento come quello. Poi aveva incontrato gli occhi lucidi di
Charlotte e la consapevolezza di averla persa per sempre era stata
come una pugnalata nello stomaco.
Perché
a lei importava così tanto che lui non uscisse con altre
donne? Non stavano insieme, non avevano una relazione, erano solo due
persone che, sfortunatamente, si erano ritrovati con un figlio in
arrivo senza volerlo.
Aveva
impiegato mesi per accettare la gravidanza di Charlotte e, di
conseguenza, il dover essere padre. Per mesi si era comportato bene,
evitando qualsiasi altra donna, cercando di essere l'uomo che
Charlotte si aspettava che fosse, ma non c'era riuscito.
Eppure
faceva male.
Faceva
male sapere di averla ferita. Faceva male sapere di averle spezzato
il cuore. Faceva male sapere di aver perso l'unica donna per la quale
aveva provato qualcosa.
Esattamente.
Quella notte, quando avevano concepito la bambina, Robert aveva
avvertito qualcosa, un sentimento, uno strano senso di felicità
che l'aveva portato a stringere Charlotte e baciarla con dolcezza,
con flemma. L'aveva accarezzata e posseduta come fosse stata una
vergine e gli era piaciuto. Avevano fatto l'amore, non sesso, e quel
sentimento era rimasto in lui assopito, trepidante, in attesa di
uscire allo scoperto.
Prese
il cellulare, aprendo la galleria per scorrere le fotografie. Si
fermò poi a quella scattata qualche giorno prima. Era
Charlotte di profilo, di fronte allo specchio. Gliel'aveva scattata
senza dirle nulla, così, senza nemmeno sapere perché
voleva una sua foto. E lei era lì, con le mani sul pancione
intenta a spalmarsi la crema per le smagliature, troppo presa per
notare che la stava immortalando in quello scatto.
Ne
valeva la pena?
Valeva
la pena rinunciare ad essere un donnaiolo per lei?
«Ne
vale la pena» disse con un sorriso, rendendosi conto di aver
fatto la sua scelta.
Ma
come poteva recuperare i rapporti, parlarle e dirle finalmente quello
che provava?
L'amava?
Non ne era sicuro, ma voleva provarci. Voleva tentare e vedere se
poteva esserci qualcosa di più di un'amicizia, qualcosa che lo
facesse sentire completo anche senza frequentare diverse donne
contemporaneamente.
Voleva
provarci e, magari, essere felice. Non come quelle fottute favole che
sua madre gli raccontava da piccolo, ma sapere di avere accanto una
donna vera, reale, capace di tenergli testa e sostenerlo al tempo
stesso; una donna senza peli sulla lingua e sincera.
Non
si era mai reso conto che l'unica con tutti quei requisiti era sempre
stata ad un tiro di schioppo da lui. Fredda e caparbia come poche ma
dolce quando voleva.
Aveva
sempre voluto Charlotte e se ne rendeva conto solo in quel momento.
Solo ora quando ormai lei se n'era andata e lui l'aveva persa, aveva
mandato tutto a puttane. O forse era ancora in tempo?
Magari
non era il tipo da matrimonio e cene di coppia, ma aveva rovinato
qualcosa che poteva essere importante e voleva porvi rimedio. Lei era
solo un sogno? No, lei era reale, era la sua vita, il suo cuore, era
la donna dalla quale stava scappando e voleva smettere di farlo.
Voleva fermarsi e voltarsi, tornare indietro per prenderla e farla di
nuovo sua, per sempre. L'amava? Ancora non lo sapeva, ma solo una
persona poteva aiutarlo a capire e, ormai, l'aveva ferita più
di chiunque altro. Si era comportato esattamente come tutti gli altri
uomini dai quali si era ripromesso di proteggerla, eppure non era
riuscito a farne a meno. Era fuggito, come suo solito, ed ora ne
pagava le conseguenze.
Charlotte
non meritava di soffrire, non meritava un uomo come lui, ma qualcuno
migliore, qualcuno in grado di renderla felice e, si rese conto,
voleva essere quell'uomo. Lei era la sua favola, il suo sogno.
Angolo
Autrice:
Ebbene,
siamo alla resa dei conti, quei due stanno venendo a patti con i loro
sentimenti. Mentre Charlotte ha capito di essere innamorata di
Robert, lui deve ancora comprendere la natura dei suoi sentimenti, ma
è sulla strada giusta e dal prossimo capitolo lo vedremo
maturare e crescere.
Sono
stata in pausa per fin troppo tempo ma, sebbene non possa aggiornare
con regolarità, cercherò di non farvi aspettare molto
tra un capitolo e l'altro perché, ormai, manca poco alla
conclusione, quindi a presto e buona lettura!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2640444
|