Little Talks

di Achernar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


little talks 1

(Sì, lo so cosa vi state chiedendo: sì, è il titolo della canzone di qualche anno fa. No, non ha senso. Almeno non più)

E la Ache ritorna all'attacco! Avevo detto che mi sarei rifatta viva prestissimo e infatti.... (tutto mi si può dire tranne che io non sia puntuale)

A quanto pare questa storia è fatta per essere legata ai compleanni (e chi ha da intendere intenda) infatti oggi cos’è? *rullo di tamburi* Tantissimi auguri Yugi!! Spero festeggerai alla grande col tuo altro te stesso *oh, quanto mi piacerebbe presenziare ma, ahem, sorvoliamo...*. Ordunque, questa storia è dedicata al nostro simpatico nanerottolo, ma conoscendomi sapevate che ci avrei ficcato anche il faraone. E con questo sancisco il mio ritorno al genere humor, ho riempito la sezione di angst ultimamente, meglio variare ^^

E dal momento che mi sono accorta che le mie OS superlunghe non riscuotono molto successo (in effetti mi rendo conto che può essere scoraggiante aprire un link e ritrovarsi una storia praticamente infinita davanti) ho deciso, anche se questa non è fra le più lunghe che ho scritto (vedi rettile), di dividerla in tre shot: una a settimana a partire da oggi. Grazie come sempre a La_Fe10 per il suo aiuto

Buonissima lettura, buonissimo compleanno a Yugi e buonissimo giugno a tutti!

 

 

“Ok, spiegami ancora perché siamo qui”

“E dai, non è la fine del mondo no?”

“No! Ma tutto questo è semplicemente ridicolo: perché dobbiamo stare qui a parlare dei fatti nostri con un perfetto estraneo che-“

“Ahem” tossicchiò la donna seduta con le gambe elegantemente accavallate sulla poltrona in similpelle. Strinse contrariata la presa sul taccuino che teneva in mano.

“Oh, mi scusi” fece Atem abbassando lievemente il capo. “Dicevo, aibo, con una perfetta estranea che li scribacchia su foglietti volanti per poi farne chissà che cosa. Sai quante altre belle cose potremmo stare facendo in questo momento?” aggiunse con tono allusivo.

Yugi arrossì lievemente. “Ricorda per chi lo stiamo facendo, dai”.

“Ah ecco: e ti spiacerebbe anche spiegarmi ancora per chi lo stiamo facendo? Perché se è per noi due, allora c’è qualcosa che non va, dal momento che io passerei volentieri oltre a questa simpatica seduta dallo ps-, psec-, pisi-“

Psicologa” intervenne acida la donna.

“Ah sì giusto, grazie signorina” sorrise il faraone per poi tornare a rivolgersi al proprio aibo come se l’altra fosse trasparente. “Se è per te allora è un’altra cosa, sai che farei di tutto per renderti felice. Ma-“ Atem si interruppe udendo lo ‘scrib, scrib’ di una penna nera sul taccuino. Si girò di scatto, accigliato.

“Scusi lei, cosa sta facendo?”

“Il mio lavoro no?” rispose stizzita la dottoressa.

“E sarebbe?” fece lui scettico e sospettoso “Che fa: mette per iscritto le cose che dico al mio aibo? Ma non sa che è roba privata? Cos’è lei: una specie di poliziotta che fa il verbale? Beh, io ho la coscienza a posto ormai: salvando il mondo due volte e sopportando Kaiba da anni ho sicuramente fatto ammenda per tutte le persone mandate all’altro mo-“

“-Momento!” lo interruppe brusco Yugi piazzandogli una mano sulla bocca. “Un momento mou hitori no boku, calma. La signorina vuole solo aiutarci”.

“Che?” fece l’antico faraone.

“Gli psicologi fanno questo: ascoltano i problemi della gente, prendono appunti per capire la soluzione di questi problemi e aiutano le persone a superarli”.

“Cioè in pratica si fanno i fatti di tutti e vengono pure pagati”.

Yugi facepalmò.

La psicologa decise che ne aveva abbastanza di quel siparietto. Si alzò e si andò a piantare davanti al faraone con le mani sui fianchi, alla Perpetua, e lo sguardo torvo.

“Senta un po’ lei, sottospecie di punk abbronzato: io ho ben altro da fare che stare qui tutto il giorno a sentire le sue lamentele! Per grazia del cielo ho abbastanza di che vivere da non dovermi andare a cercare i clienti in giro per la strada, quindi se lei è qui adesso ci è venuto di sua spontanea volontà e non l’ha costretta nessuno. Perciò ora mi faccia il santissimo piacere di piantarla una buona volta con le sue lagne su una povera libera professionista e si comporti da paziente! Altrimenti quella è la porta!” sbraitò indicando la suddetta con un gesto plateale della mano.

Atem, nella sua faraonica e regale compostezza, non si mosse di un centimetro. Solo gli occhi si ridussero a fessure: in testa stava già cercando di ricordare qualche antica formula in ieratico per tramutare gli psicologi petulanti in girini, o meglio ancora per incenerirli all’istante. Sì: lui adorava i falò!

Yugi, come avesse presagito quanto stava per accadere, si affrettò a fare da paciere.

“Nonononono, per carità! Va tutto benissimo, il mio ragazzo è solo un po’ scettico, tutto qua ahahah” ridacchiò nervoso. Poi si rivolse ad Atem e sussurrò a denti stretti. “Piantala.subito”. Lui gli rispose con uno sguardo eloquente come a dire ‘piantala cosa, aibo?’. Il più piccolo gli lanciò una stilettata e mimò con la bocca ‘no mind crush’. L’altro sbuffò: Yugi gli toglieva sempre tutto il divertimento.

“Allora” continuò il ragazzino dai capelli a stella. “Credo che siamo partiti col piede sbagliato. Perché non cominciamo con le presentazioni eh?”.

“Lasci fare a me il mio lavoro” fu la glaciale risposta della psicologa. Yugi ammutolì. “O-ok, certo, mi scusi. Faccia pure”.

“Dunque” fece quella sfogliando la sua agenda, poggiata sulla scrivania alle sue spalle. “Qui leggo che siete venuti per una consulenza di coppia: cos’è, la vostra vita sentimentale non funziona?”

“La nostra vita sentimentale non funziona??” gridò Atem tutto allarmato rivolto verso di Yugi, afferrandolo per le spalle. “Dimmi cosa sbaglio aibo, dimmelo: cambierò, te lo giuro, ma tu non lasciarmi ti prego!”.

“A-Atem, è tutto a posto, davvero. È stato solo un consiglio della mamma, ricordi?”. Pausa. “O forse non te ne ho parlato?” aggiunse pensoso.

“Vuoi dire che non piaccio a tua madre?”

“Non mi sorprenderebbe” fu il commento della psicologa. Atem per il momento la ignorò.

“No, aspetta: ho capito. È come in quei telefilm, quando una madre non si rassegna al fatto che il figlio sia gay e allora tenta di riportarlo sulla retta via-“

“Un classico” commentò di nuovo quella guardandosi le unghie con aria annoiata. Atem questa volta le lanciò un’ occhiataccia.

“Ma tu non  tornerai sulla retta via, vero aibo? Non mi abbandoni, vero?”.

“Beh” fece Yugi levandosi le mani del ragazzo dalle spalle e spolverandosi la maglietta. “Tanto per cominciare io non sono gay ma bisessuale, e poi mamma non ha nessun problema con te, ti adorano tutti a quanto pare-“

La psicologa si schiarì la voce.

“Ahem, quasi tutti. Beh, comunque era solo preoccupata perché ci vedeva sempre insieme, incollati, e dice che questo non è un rapporto sano, così ci ha consigliato di parlare un po’ di noi a uno psicologo per vedere se dobbiamo cambiare qualcosa nella nostra relazione”.

“A me piace così com’è” disse l’altro mettendo il broncio.

“Può essere, ma si può sempre migliorare no? E poi mamma lo ha detto per il nostro bene, almeno facciamola contenta” aggiunse con un sorriso dei suoi, di quelli a cui Atem non aveva mai imparato a resistere. Niente da fare allora: avrebbe dovuto affrontare quella benedetta seduta dallo ops- dalla psicologa, raccontarle tutti i loro fatti privati per poi andarsene da lì con le idee più confuse di prima. Sigh. Tanto valeva cominciare. 

End of part one! Come vi sembra? spero vi abbia incuriosito almeno un po', ci vediamo (o meglio 'leggiamo') mercoledì prossimo con la seconda parte!

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Capitolo 2
*** 2 ***


little talks 2

Sapevo che sarebbe stata una settimana densa di avvenimenti, ma sinceramente sono successe più cose in questi 7 giorni che negli ultimi mesi! Sono commossa, veramente: ci sono così tante persone che vorrei ringraziare per tutti i momenti speciali e le bellissime sorprese... (a volte ho il bisogno di fare un po' di rambling anche io, che volete farci) Vista la sede però, posso ringraziare anche voi, che trovate il tempo di leggere le mie storielle; e tanto per dirne una non avrei mai pensato che lo scorso capitolo potesse suscitare tanto successo: grazie di cuore (ora la Ache si commuove sul serio, non badatele: è una sentimentalista). 

Ok, prima che voi andiate avanti ci tengo a informare di una cosa importante: non ho idea di come funzioni una seduta dalla psicologa, non ci sono mai stata. Perdono quindi per tutte le inaccuratezze e le stupidaggini che potrei aver scritto: bear with me, 

Buona lettura!

 

“Allora, avete finito il vostro siparietto? Perché io qui ho un sacco di cose da fare e alla fine dell’ora di appuntamento io me ne vado: ho il pranzo, e non intenzione di trovare la pasta tutta incollata al piatto perché voi dovevate capire cosa pensava la mamma”.

“Sì, sì, proceda pure, non ci saranno più interruzioni, glielo garantisco” la rassicurò cortesemente Yugi. La donna, che finalmente poteva esercitare il suo mestiere senza intoppi, sembrò cambiare umore. Inforcò gli occhiali e si risedette a gambe incrociate sulla poltrona, il taccuino ben saldo in mano.

“Allora, cominciamo questa seduta con le domande di rito, tanto per restare sul facile. È la prima volta che venite dallo psic- sì, direi di sì” si rispose prima che ancora potessero aprire bocca. “Io sono la dottoressa Lawren, ma chiamatemi pure Susan, e lei sarebbe?” disse rivolta ad Atem, come se fosse la prima volta che lo incontrava e non avessero passato gli ultimi dieci minuti a bisticciare. Quello rimase un po’ interdetto, senza contare il fatto che Yugi aveva pronunciato il suo nome diverse volte: possibile che la donna non lo avesse ancora imparato?

“Su,” fece Yugi dandogli una leggera spallata “Rispondi”.

“Atem” disse secco. Il minimo indispensabile: il primo nome.

“E io mi chiamo Yugi, Yugi Mutou. Molto piacere, Susan”.

“Bene, almeno a questo la risposta è stata più o meno” terminò la frase rivolta ad Atem “esauriente”.

“Ma cominciamo. Allora, raccontatemi un po’ di voi: da quanto tempo vi conoscete?”

“11 anni!”

“4 anni!” risposero quasi all’unisono. La donna sgranò gli occhi.

“Perdonate: e voi quanti anni avreste?”

“19” rispose prontamente Yugi.

“3000 e qualcosa, mi scusi se ho perso il conto. Ma me li porto piuttosto bene no? Sembra quasi che non abbia se non qualche annetto di più della prima volta che sono morto: e lì erano solo 16.” Fece Atem tutto fiero  “Insomma, lei quanti me ne dà?”

“U-una ventina” balbettò quella.

“Vedi aibo, l’ho detto che invecchio bene”. L’altro roteò gli occhi.

“Ahem, ok, allora diciamo che siete coetanei” deglutì la dottoressa “E... come vi siete conosciuti?”

“Beh, è una cosa piuttosto inusuale” disse Atem sorridendo dolcemente. Poi si girò verso il suo Yugi.

“Io e aibo eravamo destinati, sin da quel lontano giorno di tremila anni fa, sin nel momento in cui venni rinchiuso nella mia prigione di buio e solitudine. Sapevo che qualcuno mi avrebbe salvato, sapevo che prima o poi avrei sentito quelle mani delicate e tenaci scorrere sulla superficie liscia e lucente del puzzle. Era questione di tempo, era stato scritto dagli dei che noi due ci incontrassimo, che Yugi fosse la mia luce, la mia salvezza, la mia ancora per tornare nel regno dei vivi”. Yugi prese la mano del faraone fra le sue.

“E io non potrò mai dimenticare la felicità immensa che ho provato quando ho inserito l’ultimo pezzo nella piramide. È stato per forza il destino a guidare la mia mano quella sera, impietosito dai miei otto anni di tentativi a vuoto di ricomporre quel rompicapo. E non dimenticherò mai la prima volta che ho potuto parlarti veramente, che ho potuto vedere i tuoi bellissimi occhi scintillare come pozze di rubini infuocati, che ho potuto sentire la tua voce così melodiosa e antica, toccare la tua mano e sapere che le nostre anime erano una sola”.

I due avevano preso a guardarsi con occhi dolci e languidi, le loro mani erano intrecciate l’una nell’altra e i visi di entrambi stavano già pericolosamente avvicinandosi quando la psicologa decise di intervenire.

“A-hem” tossicchiò.

Subito i ragazzi si bloccarono e rivolsero la loro attenzione di nuovo a lei.

“Non sono sicura di aver capito bene come vi siete conosciuti, ma mi sembra una cosa decisamente carina, sì”. Atem stava per avventarsi contro di lei: come osava quella donna definire carina la sua prigionia millenaria e gli otto anni di sforzi terribili del suo aibo?!

“Andiamo avanti allora” continuò scribacchiando qualcosa sul suo taccuino. “Vi chiederei quando vi siete resi conto che eravate innamorati l’uno dell’altro, ma mi pare di aver capito che il vostro è stato un colpo di fulm-“

“Oh no, tutt’altro!” la interruppero all’unisono.

“Come, prego?” fiatò allibita. Possibile che non riuscisse a indovinare nulla su quella strana coppia di eccentrici?

“Yugi era terrorizzato da me” prese la parola Atem. “E anche io lo sarei se dovessi conoscere il me stesso di qualche anno fa. Voglio dire: ho mandato a fuoco una persona! Certo, era un ergastolano, ma sempre di fuoco si trattava. Per non parlare di quella volta che ho fatto esplodere nitroglicerina in faccia a uno studente la notte prima della fiera scolastica...” continuò il suo elenco. “Poi c’è stato il tizio degli orologi, i bulletti nel labirinto in fiamme, il ragazzo quasi avvelenato dal cloroformio, Kaiba- o santo Ra: Kaiba! Quella volta per poco non lo uccidevo. Di nuovo! Non che la prima volta, con il mindcrush intendo, fosse proprio morto eh, ma vede: un anno di coma in fondo è molto simile alla morte, e se aibo quella volta sulla torre del castello di Pegasus non mi avesse fermato, non so proprio come sarebbe andata a finire.

“La verità è che sono un’anima terribile, marcia e scellerata. Solo Yugi poteva vedere la piccola scintilla che brillava ancora tenue al di sotto di tutte quelle ombre, avere fiducia in lei e coltivarla. È solo grazie a lui che sono diventato quello che sono oggi.” Fece una pausa. Yugi lo guardava sbattendo le ciglia.

“Eppure tutte quelle vendette e quei delitti erano solo per lui, perché, vede signorina psicologa” disse mettendosi comodo sulla sua poltrona, con le gambe incrociate, gesticolando eloquentemente: “In effetti un colpo di fulmine c’è stato: il mio. Provi lei a immedesimarsi in me: rinchiuso per tremila anni, dico: tremila, mica un paio di giorni, in un oggettino grande più o meno come una tazza per la minestra, completamente circondato da ombre e spettri, privo di qualunque ricordo e cognizione di sé stesso e del mondo, in completa e assoluta solitudine. Per tre millenni interi! Senza sapere neanche il proprio nome, senza neanche poterlo gridare e maledire all’interno di quel carcere fatto di porte e scale infinite che non conducono da nessuna parte e in cui l’unico suono udibile è il grido straziante di un’anima disperata e persa, completamente persa.” Yugi si stava asciugando una lacrima, la psicologa gli passò un fazzolettino di carta.

“G-grazie” mormorò soffiandosi il naso.

“Allora, riesce a immaginarselo?”. Lei annuì un po’ forzatamente: il tipo era evidentemente pazzo da legare e si sa che i matti vanno sempre assecondati. Ora la donna provava pena per il suo fidanzato. Tuttavia come racconto era senz’altro suggestivo. Privo di senso, ma suggestivo.

“Ecco, poi all’improvviso, quando ogni speranza è ormai svanita, oh Ra, neanche sapevo cosa fosse la speranza: un sentimento così remoto e lontano... Quando ogni illusione e ogni sogno ormai sono talmente distanti, dicevo, da non essere più neanche un ricordo o una chiazza confusa, s’immagini un sottile e flebile raggio di luce squarciare le tenebre. E questo raggio si allarga, si allarga sempre di più, giorno dopo giorno e anno dopo anno: dapprima sottile come un capello, poi abbastanza ampio da poter ardire sbirciare fuori, in un mondo che neanche si credeva esistesse, un mondo popolato e in cui regna la luce. E sa cosa vidi in quel mondo per me nuovo ma che in realtà avrebbe dovuto sembrarmi antico? Vidi due occhi viola, gli occhi di un bambino che con una tenacia e una forza di volontà prive di paragone per una persona di quell’età, tentavano disperatamente di rimettere insieme i pezzi infranti della mia anima.”

Yugi tirò su col naso.

“E quando finalmente, dopo otto anni di attesa, quel bambino, ormai un ragazzo, posò finalmente l’ultimo pezzo del puzzle al suo posto e io vidi finalmente la luce, conobbi di nuovo cosa voleva dire vivere, e tutto questo grazie a lui, al mio salvatore. Che altro avrei potuto fare se non innamorarmi di lui, signorina? E quando si ama si fa di tutto per rendere l’altro felice, non è così? È per questo motivo che ho fatto quello che ho fatto: ho fatto del male a delle persone è vero, ma persone che avevano fatto del male al mio aibo, al mio altro me stesso, che lo avevano fatto soffrire. E finché mi resterà un briciolo di fiato in questo mio nuovo corpo, io giuro che non lascerò mai, mai e poi mai che il mio Yugi soffra, farò tutto quanto è in mio potere per impedirlo” concluse trionfalmente.

La donna era scossa. Quel ragazzo era tanto squilibrato quanto eloquente era il suo modo di parlare. Dovette controllarsi: una lacrimuccia stava per fare capolino anche dal suo di occhio, rischiando di scioglierle il mascara. Che racconto bellissimo e intenso. Un amore così profondo...

“Beh, dovete amarvi davvero molto allora” commentò “così tanto che non avete bisogno di essere gelosi l’uno dell’altro...”

“Ah, e qui si sbaglia” fece Yugi passandosi una mano sugli occhi ancora lucidi. “Non si lasci ingannare dai racconti strappalacrime e terribilmente dolci del mio mou hitori no boku, anche se sa che mi stringe il cuore ogni volta che dice queste cose: mi sento così fortunato ad averti con me...” disse tirando su col naso “Ma anche lui ha i suoi difetti, parecchi anzi. E uno di questi è appunto la gelosia”.

“Ora non esageriamo” borbottò Atem.

“Non esageriamo?” rimbeccò Yugi.

“Sono solo protettivo, ecco tutto: non voglio che ti succeda niente di male, non ci vedo nulla di sbagliato”.

“Ah sì? Beh, lasci che le spieghi, signorina Susan, cosa vuol dire per il mio 'dolce tesorino' essere protettivo. Deve sapere infatti che la gelosia di Atem è piuttosto diversa da quella normale”.

La donna annuiva piano, decisamente curiosa, pronta ad annotare altre stramberie.



End of part two! Preparatevi a un terzo capitolo all'insegna del demenziale (ho aggiunto un paio di gag, masy) anche se mi tocca sperare che i prossimi sette giorni siano un po' più tranquilli o il breackdown emotivo sarà tale che non riuscirò ad aggiornare xD (ok, ancora una volta non badatele). Spero comunque che quest'altro capitoletto vi sia piaciuto: a mercoledì (studio e feelings permettendo)!

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Capitolo 3
*** 3 ***


little talks 3

Ora che ho riletto la storia credo che Atem sia uscito fuori un po' OOC, chiedo perdono: a mia discolpa posso dire che è una comica ^^' (nelle introspettive sono sempre molto più attenta alla caretterizzazione, nelle comiche invece mi faccio prendere la mano...). Sono in anticipo di un giorno ma domani molto probabilmente non avrò tempo di pubblicare (e anche i giorni seguenti) quindi faccio oggi. 

Buonissima lettura e spero che questa ultima parte vi piaccia ;)


"Deve sapere infatti che la gelosia di Atem è piuttosto diversa da quella normale” rimbeccò Yugi. La donna annuiva piano, decisamente curiosa, pronta ad annotare altre stramberie.

“Gli altri fidanzati infatti sono gelosi perché hanno paura di venire traditi. Con Atem non funziona così, insomma: sa che non potrei mai tradirlo, e per quanto riguarda lui sarà meglio che non ci provi neanche a tradire me” fece lanciandogli una stilettata.

“Vorrai scherzare, vero aibo? Come potrei mai anche solo pensare-“

“Sì, sì, lo so, era per dire: repetita iuvant, no? Comunque dicevo: lui non vuole proprio che io mi avvicini agli altri! Non è protettivo, è ossessivo!”

Atem sbuffò.

“Può farmi qualche esempio?” chiese la dottoressa.

“Ma certamente, quanti ne vuole. Giusto il mese scorso un turista olandese mi aveva gentilmente chiesto indicazioni su quale fosse la fermata dell’autobus più vicina per arrivare in centro. E sa che ha fatto questo tomo qui?” disse indicando il faraone al suo fianco con sguardo accusatorio, “Lo ha mindcrushato! Un povero turista del nord Europa! Che non aveva fatto assolutamente niente di male per-”

A quel punto il faraone in questione, che durante tutto il dialogo fra la psicologa e Yugi aveva tamburellato le dita sul bracciolo della sedia con fare disinteressato e seccato, sbottò all’improvviso. “Come sarebbe a dire ‘niente di male’???” urlò “Tu, mio caro aibo, hai taciuto un particolare importantissimo: quel tipo ha osato toccarti! Ti ha toccato capisci?”

“Mi ha sfiorato la spalla con l’indice per richiamare la mia attenzione! Dov’è il tuo problema??” rispose Yugi esasperato.

“Il mio problema è che quell’essere, le cui mani erano probabilmente lerce e sudice e portatrici di chissà quali terribili malattie, non mi ha neanche chiesto il permesso prima di rivolgerti la parola, e soprattutto di toccarti!” E detto questo si accoccolò sulla sedia con il broncio e le braccia conserte.

“Come sarebbe non ti ha chiesto il permesso? Non era a me che avrebbe dovuto chiederlo semmai?” Ma Atem non sembrava più interessato ad approfondire la questione. Per lui la faccenda era conclusa, e ovviamente la ragione era dalla sua parte: quell’uomo aveva soltanto ricevuto la giusta punizione per il suo misfatto.

Visto quanto si era animata la discussione in così poco tempo, la psicologa preferì non fare domande su cosa fosse un mindcrush, ma dal nome non prometteva niente di buono. Quell’Atem non solo era pazzo, era pure pericoloso! Mentre si chiedeva cosa avesse fatto di male nella vita per dover assistere a certe scene, la donna rivolse di nuovo la parola a Yugi, il faraone non sembrava più disponibile a collaborare.

“E saprebbe farmi altri esempi, magari riguardanti la vostra vita quotidiana e non un singolo episodio...” chiese timidamente, il volto seminascosto dal taccuino.

“Certamente” rispose quello tirando un profondo respiro e riguadagnando la sua compostezza. “Per esempio: io non posso mai prendere i mezzi pubblici. Ho dovuto farmi la patente e comprare la macchina perché secondo Atem gli autobus sono un posto troppo pericoloso e affollato-“

“Non lo dico solo io, lo dicono tutti quanti. Potresti venir derubato, sommerso dalla folla, pestato, investito, arrestato per non aver pagato il biglietto, taglieggiato, spintonato, soffocato, a-“

“Sì, certo, rapito dagli alieni e portato su Marte”.

“Adesso non veniamo a ipotesi improbabili: io nominavo solo eventualità plausibili”.

“Infatti erano tutte molto plausibili, certo. Ma non è tutto dottoressa, si figuri che non mi lascia nemmeno andare al bagno da solo! Sempre perché ha paura che mi succeda qualcosa! E non le nascondo quanto la cosa sia imbarazzante, insomma: sarà pure il mio mou hitori no boku, sarà pure il mio ragazzo, e non è che non mi abbia mai visto, come si dice, in maniche di camicia. Ma santo cielo! È il bagno!”

“Ma io mica ti guardo: ti accompagno e basta, e poi solo a scuola e nei luoghi pubblici, a casa è abbastanza sicuro per lasciarti andare da solo”.

“Abbastanza sicuro per- Oh!” esclamò Yugi facepalmando. “Ma lo sente quello che dice? Dove ti credi che viviamo: in Palestina? Che ci sono i terroristi che si fanno saltare in aria per strada o che piazzano bombe nei bagni??”

“La prudenza non è mai troppa”.

“O per l’amor di Ra-“

“Scusate” interruppe un attimo la psicologa mentre controllava gli appunti presi sul suo taccuino. “Ho notato che vi riferite spesso l’un l’altro con nomignoli e soprannomi come aibo e mou hitori no boku: cos’è, una specie di vezzeggiativo?”

“Vorrà scherzare! È roba seria!” intervenne Atem.

“Lascia, spiego io: tu sei troppo agitato” fece Yugi trattenendo l’altro per il braccio. “Cercherò di spiegarglielo brevemente perché è una faccenda piuttosto complicata. Il fatto che lui mi chiami aibo, cioè partner, infatti non c’entra niente con l’aspetto erotico o amoroso del rapporto-“.

“Beh, aspetta-“ lo interruppe Atem ghignando. Yugi gli mollò uno schiaffo in testa.

All’inizio almeno non c’entrava niente. Insomma, io ero il suo partner nel suo viaggio alla ricerca del suo passato, ero io il suo compagno di avventura, colui che percorreva la strada insieme a lui, pronto ad aiutarlo a ogni ostacolo e a lottare al suo fianco verso un obbiettivo che in realtà era comune, perché io volevo vederlo felice e se vederlo felice voleva dire che doveva riavere i suoi ricordi allora questi erano ciò che cercavo anche io”. Fece una pausa. “Poi” riprese “non potrei che chiamarlo mou hitori no boku perché io non avevo idea che lui non fosse me: i primi tempi credevo di soffrire di un qualche sdoppiamento di personalità e poi si scopre che invece a possedere il mio corpo era proprio un’altra persona. Comunque essendo convinto che lui fosse me era naturale che lo chiamassi ‘altro me’, come altri avrei dovuto chiamare me stesso? Chiaro?”.

‘Come una notte buia’ avrebbe voluto rispondere la donna, ma si limitò ad annuire piano.

Voleva, o meglio, doveva fare almeno un’altra domanda, ne andava della sua etica professionale, anche se in quanto a materiale per iniziare una ’terapia di coppia’ ne aveva fin troppo!

Diede un’occhiata al suo taccuino: era pieno di appunti e scarabocchi vari, uno più privo di senso dell’altro. ‘Crede di essere un ex fantasma’, ‘Ragazzo abusato’, ‘Puzzle d’oro’, ‘Bisessualità’, ‘Disturbo di personalità e/o schizofrenia’, ‘Ra’, ‘Violenze’, ‘Mindcrush’... Non sapeva da che parte cominciare: era sicuramente il caso di coppia più malata che avesse mai incontrato!

Deglutì. Non voleva sapere che risposta avrebbero potuto dare a un‘ altra domanda. Come fare?

“Beh, signori” in un disperato tentativo di salvezza lanciò un’occhiata all’orologio, magari se era sufficientemente tardi se la sarebbe cavata con una battutina e un arrivederci. Le lancette parlavano chiaro: il cielo non l’aveva abbandonata, in soli cinque minuti l’orario della visita sarebbe finito. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo.

“Oh, santo cielo com’è tardi! Dovrei farvi qualche altra domanda prima di analizzare nel concreto i vostri problemi come coppia, ma purtroppo sono costretta a pregarvi di andarvene: come sapete ho la pasta che mi aspetta di sotto e-“

“E non vuole che si incolli, capisco” terminò Atem. “Comunque mi dispiace di averla giudicata male, in fondo quello che abbiamo fatto è stato semplicemente chiacchierare un pochino, e mi ha fatto davvero piacere ricordare alcuni momenti passati accanto ad aibo” poi si rivolse al diretto interessato: “non so se è possibile, ma credo di volerti ancora più bene”. L’altro sorrise, gli occhi color mora che scintillavano.

“E da quando saresti diventato così smielato?”.

“Bada a come parli davanti a un faraone” lo ammonì il ragazzo dagli occhi rubino, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti.

‘Bene, anche le manie di grandezza adesso’ mormorò fra sé e sé la donna: sul suo taccuino ce n'era abbastanza per scrivere un intero libro di psicanalisi... si alzò tremolante e si avviò verso la porta.

“Ma, dottoressa” la chiamò Yugi. “Non ci dice nulla? Com’è andato l’appuntamento, dobbiamo tornare, ha qualche consiglio? Non parlava di altre domande prima?”.

“S-sì, ecco... probabilmente... devo rivedere i miei appunti. Così alla luce di quanto ho scritto ascoltando la bellissima storia del vostro rapporto potrò rendermi conto se avete bisogno del mio aiuto. Vi contatterò io, non preoccupatevi, il mio segretario ha il suo numero signor Muto, no? Le prometto che non mi farò scrupoli a chiamarla” disse colmando a falcate furtive la distanza fra lei e l’uscio.

“E non sa dirci niente prima? Siamo piuttosto occupati di solito, io ho l’università e i miei tornei di carte, beh, in realtà anche Atem li ha, solo che preferisce stare a battibeccare con Kaiba tutto il tempo invece che focalizzarsi sul gioco-“.

“Ehi!” fece il diretto interessato. Yugi lo ignorò.

“Quindi, ecco... non saprei se riusciremo a trovare un pomeriggio o una mattina per un altro appuntamento in tempi brevi. Perciò se vuole dirci qualcosa credo sia meglio lo faccia adesso” terminò sorridendo.

La psicologa sbiancò. Ma poi, pensando che con buona grazia del cielo non li avrebbe mai più rivisti, riacquistò di colpo il colorito. Sfogliò le sue pagine di appunti facendo finta di leggerli con aria professionale.

“In realtà credo sia tutto a posto, se posso essere sincera siete una delle coppie più affiatate con cui abbia mai avuto il piacere di parlare. Vi consiglierei semplicemente di cercare di rispettare un po’ di più gli spazi l’uno dell’altro, ecco tutto. Ora scusate ma ho un pranzo che mi aspetta, devo portare a spasso il cane, andare a prendere il nipotino a scuola, ritirare le elemosine in parrocchia, guardare Uomini e Donne in tv... un mucchio di roba! Èstatounpiacereconoscerviapresto!” disse con sorprendente rapidità, schizzando fuori dalla porta.

I due ragazzi si guardarono l’un l’altro confusi. Poi Yugi si schiarì la voce. Atem colse l’allusione e impallidì.

“Questo vuol dire che dovrei lasciare che tu prenda l’autobus?”

“E che la gente possa chiedermi informazioni senza rischiare di morire, che possa scaldarmi un bicchiere di latte nel microonde da solo, allacciarmi le scarpe, rammendarmi le magliette e buttare finalmente tutte quelle odiose forbici dalla punta arrotondata!”

“No, quelle no!!”

“Oh sì, comincerò oggi stesso a esercitare i miei diritti” disse deciso.

“Ma ti farai male, perché devi farmi soffrire in questo modo? Io penso solo alla tua sicurezza non-“

“Altolà, questo discorso è vecchio: l’hai sentita la psicologa, ho bisogno dei miei spazi. Da oggi si cambia vita”.

Sembrava davvero risoluto con quelle braccia incrociate al petto, il mento levato in alto, la postura eretta e tutto. Se aveva intenzione di non dargliela vinta, il faraone sapeva che sarebbe dovuto ricorrere al piano B.

Atem si avvicinò di più al ragazzo dagli occhi viola, poi un altro po’ e un altro po’ ancora, finché non colmò quasi del tutto la distanza fra di loro e soprattutto fra i loro volti.

“Però,” cominciò a mormorare “Non mi sembra che tu ti sia mai lamentato quando invado così i tuoi spazi...” disse prendendogli una ciocca tra i capelli e iniziando a giocherellarci. Yugi deglutì.

“Q-questo è diverso, sai cosa intendevo prima”.

“Ah sì?” soffiò l’antico sovrano sulle sue labbra, prima di avvolgere le braccia intorno alla vita dell’altro. “Spiegamelo”.

 
Owari

 

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