Outside Broadcast di nainai (/viewuser.php?uid=11830)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Attenzione: il presente scritto ha per
protagonisti persone reali e personaggi di pura fantasia. Le vicende
narrate sono frutto della fantasia dell'autrice e non c'è
alcun intento di verità nè di verosimiglianza.
Non s'intende offendere nessuno, i diritti legalmente tutelati spettano
ai rispettivi titolari e nessun diritto s'intende leso.
Fissava
il mazzo di rose con sospetto. Appoggiato all’indietro contro
il bancone
ingombro di trucchi e spazzole sbuffava il fumo, studiando il
proliferare di
petali rossi di sottecchi, come non fosse cosa sua.
In
realtà lo era eccome.
Appena
entrato in camerino uno Stefan alquanto infastidito gli aveva additato
l’elegante – inappropriato
– bouquet
sul tavolino al centro della stanza, accompagnando il gesto con un
sibilo
incattivito con cui gli notificava la sua destinazione – a lui – ma non la provenienza.
Quella se ne stava chiusa e
custodita nel bigliettino cartonato che pendeva da un lato della
raffinata
confezione in carta di riso color carta di zucchero - un’assonanza
accattivante. Doveva ammettere che lo svolazzare delle
lettere sulla busta lo aveva incuriosito, ma non abbastanza da
abbandonare la
prima reazione che i fiori gli avevano suscitato: una risatina
divertita ed
irriverente ed una battuta volgare su quanto inopportuno fosse regalare
dei fiori ad un uomo. La seconda
reazione, poi, era stata un misto di sospetto e disagio che gli prudeva
dietro
la nuca e lo teneva con il sedere incollato al bancone del camerino e
con le
dita ad una sigaretta che si consumava ignorata, mentre lui
mordicchiava
nervoso lo smalto nero che le corde della chitarra avevano
già scrostato.
Stefan
non aveva detto altro, si era seduto sul divano che dominava il
tavolino, aveva
afferrato una rivista ed aveva ostentato tutta la propria indifferenza
nell’ignorare caparbiamente il mazzo di rose ed il suo
destinatario. Steve non
c’era nemmeno, da qualche parte a
“reidratarsi” senza aspettare che i due
compagni andassero a tenergli compagnia.
Brian
era formalmente solo con le proprie domande, il disagio ed un mazzo di
rose
rosse confezionato elegantemente in carta di riso color carta di
zucchero.
Un’assonanza accattivante…
Buttò
la sigaretta a terra spegnendola rumorosamente con un colpo del tacco
della
scarpa.
-Ci
sono i posacenere.- provò a fargli notare il suo bassista
sollevando per un
attimo lo sguardo.
Nemmeno
lo ascoltò. Si mosse con una risolutezza ingiustificata
verso il divano, ci si
lasciò cadere con ben poca grazia scomodando
l’altro occupante e maneggiò le
rose in punta di dita per sfilare esclusivamente il bigliettino
appuntato di
lato.
-Che
cosa idiota!- ribadì intanto in un borbottio scocciato.
Stefan mise via la
rivista e lo osservò sbrindellare la bustina di carta per
tirare fuori il
cartoncino.- Cosa sono? una soubrette da operetta?! Pensavo fosse ormai
démodé
regalare fiori ad una donna, figuriamoci ad un maschio!- si
lamentò.
-Magari
chi te li manda non lo sa. Che sei maschio, intendo.- lo prese in giro
Stefan,
venendo fulminato da un’occhiataccia.
Brian
non perse comunque tempo a rispondergli. Venne a capo del cartoncino e
lo
lesse, mettendoci qualche momento a decifrare le righe stringate che
componevano il messaggio all’interno. Poi la firma informale
più sotto.
Un’espressione
genuinamente stupita gli si dipinse in viso, cancellando in meno di un
istante
tutto l’astio di pochi momenti prima. Stefan non
poté impedirsi di provare un
moto di curiosità autentica che mise a freno velocemente,
mordendosi la lingua.
-Merda!-
fu il commento inelegante con cui esordì il cantante,
abbassando il biglietto
per fissarlo ad occhi spalancati e bocca aperta.- Lo sai chi
mi manda questi cosi?!
La
risposta era implicita nello sguardo interrogativo di Stefan, ma Brian
non
glielo disse comunque. Si alzò in piedi con una
velocità nervosa che sfoggiava
sempre quando qualcosa lo colpiva – e
a
lui non piaceva che qualcosa lo colpisse – e
rigirò su se stesso come una
trottola impazzita.
-Brian…tutto
ok?- si ritrovò a chiedere lo svedese, pur sapendo che non
era una buona idea.
Siccome, però, l’altro continuava a non
rispondergli, Stef cominciò a
preoccuparsi davvero.- Andiamo! Chi accidenti ti manda quei fiori?!
Qualche fan
fuori di testa? se devo essere onesto li attiri tutti tu i maniaci di
questo
Stato…
-David
Bowie.
-Ad
esempio quel servizio fotografico che hai fatto,
l’ultimo...se continui ad
atteggiarti a quel modo farai una brutta fine, credi a me!
-I
fiori li manda David Bowie.- specificò Brian
all’ottusità dell’altro.
-Certo.-
annuì Stefan senza soluzione di continuità.- O
lui o la Regina Elisabetta.
Brian
sollevò un sopracciglio, posò una mano sul fianco
con aria di sfida e gli allungò
il biglietto con l’altra.
Nota di fine capitolo
della Nai:
Progetto nuovo.
Sono mancata per un casino di tempo (con tutto quel che ne consegue) e,
allo stato, la mia vita è incasinata di brutto e
comprende un numero spropositato di progetti da portare a termine.
Quindi! non garantisco nulla sui tempi di aggiornamento nè
sugli esiti di questa storia, che "macera" già da un
pò e alla fine vuol vedere la luce.
Una piccola "dedica" mi sento di farla a Stregatta, perchè
lei è la prima ad aver scritto di certe coppiette...
See you, space cowboys!
MEM
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Capitolo 2 *** 1. ***
Outside Broadcast
Vorrei
avere il
senso delle parole abbastanza a fondo
da rendere tutta
la poesia del suono e delle immagini.
E, invece, sono
solo una puttana dello scrivere.
Si
erano ritrovati nella merda senza nemmeno accorgersi che stesse
succedendo. Un
paio di giorni prima avevano un’agenda fitta di impegni ben
collaudati. Un paio
di giorni dopo il tour manager li guardava con aria afflitta, le
lacrime agli
occhi e l’espressione di un uomo infelicemente
sull’orlo di una crisi isterica.
David
Robert Jones – conosciuto al secolo come David Bowie - odiava
le crisi
isteriche. Sarà stata la sua
origine
inglese.
Il
tour manager, comunque, ci aveva tenuto a rassicurarli che avrebbe
pensato a
tutto lui e che, tempo poche ore, avrebbe trovato una valida
alternativa.
David
Bowie aveva inarcato un sopracciglio, si era voltato sulla poltrona
fino ad
incontrare lo sguardo altrettanto perplesso di Brian
Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno
– per ovvie
ragioni, meglio noto come Brian Eno – ed aveva sospirato in
modo speculare
all’amico. Grazie a Dio, anche
Brian Eno
era inglese.
E
grazie a Dio, la loro sintonia era sempre stata
perfetta.
O
quasi.
Ad
esempio, lui – David – li aveva amati fin dal
primo momento in cui li aveva ascoltati. E sì, sapeva che
tanto doveva
dipendere dal fatto che quel ragazzino
– si chiese distrattamente che età potesse avere,
ma ogni risposta che si dava
lo qualificava invariabilmente come pedofilo e non gli piaceva
granché – fosse
non solo bello in un modo doloroso, ma anche ammiccante, volgare,
intrigante
come la peggiore battona di strada che Londra potesse offrire. Ma
sapeva anche
che non tutto dipendeva da questo.
Brian
no. Brian continuava a parlargli in un
orecchio, elencando nomi che lui ascoltava solo in parte e date che
ricordava a
memoria e non era importante, quindi, ascoltasse.
-Mi
piacciono.- provò a notificare sperando di
arginare il fiume in piena che gli sedeva accanto nella luce soffusa
del
locale.
In
parte ci riuscì. L’amico e produttore storse il
naso e sollevò il viso.
-Beh,
sì, eravamo qui per loro, ma secondo me hai
preso un granchio.- commentò stringato e palesemente
infastidito.
David
gli ricambiò lo sguardo con aria di sfida: lui
prendere un granchio? Se diceva che
gli piacevano – e no, non parlava solo della gambe magre del ragazzino da sotto il vestitino da donna
– era perché gli piacevano e tanto voleva dire che
erano bravi.
-Mi
ricorda me.- ribatté.
-No,
tu avevi talento.- scoccò impietoso Brian,
riabbassando gli occhi sul proprio cocktail.
-Ce
l’ha anche lui…
-Sì,
ma di un genere
soltanto, Dave. E non capisco, sinceramente, perché tu ti
stia ostinando tanto!
I gruppi che abbiamo contattato sono sufficienti.
David
si voltò. Brian Eno sfoggiava un atteggiamento
di chiusura che lo rendeva detestabile, braccia conserte, viso
imbruttito da
una smorfia sarcastica ed aria di aperta sfida. Gettò
un’occhiata ancora, in
tralice, al moccioso sul palco, allo spilungone che suonava il basso e
al tizio
corpulento che li accompagnava alla batteria. Soppesò se
valevano la pena di
uno scontro al vertice di quella portata, ma non era più
abituato a sentirsi
dire di “no” e non avrebbe fatto eccezione per un
amico.
-Li
voglio in tour.
-Lo
vuoi nel letto.- lo corresse l’amico,
implacabile e rabbioso.- Vai di là, nel camerino, scopatelo
contro un muro e
facciamola finita.- gli ringhiò contro.
David
non si arrabbiò – intanto,
era parzialmente vero - in compenso, però, rise e
si alzò.
Quando Brian Eno lo vide imboccare l’uscita del locale invece
che la porta del
backstage, capì che quei tre sarebbero irrimediabilmente
finiti nel baraccone
assieme a loro. E si diede dello stupido per averlo permesso.
L’idea
era venuta ad entrambi quasi simultaneamente,
non c’era Morrisey che tenesse: l’Outside Tour
aveva preso la propria strada e,
che quel pagliaccio volesse o meno percorrerla con loro, né
David Bowie né
Brian Eno intendevano dargliela vinta ed arrendersi davanti ai suoi
“impegni
più pressanti che un tour in Europa”.
Così, quando il cantante degli “Smith”
li
aveva lasciati in tredici senza fornire alcuna spiegazione plausibile
– e
davanti al rischio concreto di una crisi isterica del proprio tour
manager – i
due colleghi ed amici avevano rispolverato quel po’ di
pazienza e voglia di
fare che ancora avevano e trovato una soluzione rapida e indolore.
Niente
Morrisey? Avrebbero dato la possibilità a
qualche talentuosa e giovane band locale di promuoversi un
po’ appiccicando il
proprio nome accanto a quello di qualche pezzo grosso della musica
pop-rock
dell’ultimo ventennio. Sapevano entrambi che non avrebbero
fatto grossi sforzi
per trovare dei rimpiazzi validi e, quindi, non si erano lasciati
scoraggiare
nemmeno dalla prospettiva un po’ noiosa di girare in lungo e
in largo concerti
e locali in cerca di giovani emergenti.
I
“Placebo” a stretto rigore non rientravano nemmeno
nella categoria. Giovani erano giovani, ma con un album già
all’attivo, non
erano esattamente gli esordienti completi che erano, invece, parsi a
Brian Eno
a sentirli dal vivo. Niente di che, li aveva liquidati con una
scrollata di
spalle ed un verso annoiato, mentre l’amico Dave
si fissava negli occhi il viso del cantante e nelle orecchie il timbro
impossibile della sua voce.
Lui
si chiamava Brian Molko. Aveva 26 anni, due
occhi grigi che cambiavano colore con la luce o con l’umore,
i capelli scuri e
disordinati, la voce altissima e nasale. Era troppo magro, decisamente
strafottente, per lo più ubriaco o fatto anche sul palco e
durante gli show,
irriverente, arrabbiato, volutamente maleducato, sciatto e
spudoratamente
volgare ed allusivo. Era la negazione di ogni classe e savoir fair, non
sapeva
comportarsi con il pubblico, non era presentabile ad un party, era
ingiustificatamente crudele con i giornalisti, riusciva a farsi odiare
nel giro
di pochissimi istanti ed era intollerabile anche – soprattutto – per chi lavorava
con lui. Aveva già fatto fuori il
proprio batterista per sostituirlo con un altro, un gigante tutto
muscoli che
accanto a lui, nanetto e magrolino, ed a quello spilungone senza
spessore del
suo bassista sembrava ancora più grosso e minaccioso.
Era
odioso.
E
bellissimo.
Magari
qualche sbattimento di ciglia c’entrava pure,
si confessò David portando alle labbra un flute pieno di
bollicine dorate.
Dall’altro
lato della sala, impacciato come una ragazzina,
un improvvisamente ammansito
Brian Molko girava attorno gli occhi, spalancati ed attenti in maniera
quasi
ridicola, presumibilmente cercando proprio lui. Non sapeva cosa avrebbe
suscitato nel mandargli quei fiori in camerino; David lo aveva studiato
per un
po’, seguito, osservato, interrogato discretamente le persone
che lo
frequentavano più da vicino, ma nonostante questo la
decisione di mandargli le
rose era stata istintiva e non ponderata. Dopo giorni sapeva di volerlo
conoscere,
di volerci parlare direttamente, ma non sapeva ancora che per farlo
avrebbe
usato un trucco di altri tempi, dal sapore retrò, che
avrebbe dovuto stonare
con gli atteggiamenti incivili della sua controparte e che, invece, gli
era
parso così perfetto a
fronte di
quegli occhi come gemme, di quella bocca da baciare e di quegli accenni
di
eleganza aristocratica che, con tutta la propria buona
volontà, il ragazzetto
non riusciva a mascherare del tutto.
Non
si era stupito particolarmente nello scoprire che
no, non aveva a che fare con un più o meno innovativo
giovanotto sbucato dalla
periferia industriale d’Inghilterra per dire loro cosa fosse
giusto pensare.
Del resto, le canzoni di Brian non parlavano affatto di disagi sociali
e grandi
stravolgimenti politici, le canzoni di Brian parlavano di Brian e basta
e che
le rivoluzioni le facessero gli altri, i morti di fame e non gli eroi.
Sorrise
nel bicchiere. Il ragazzo si era ripulito
per fargli una buona impressione – certo, entro dei limiti
invalicabili che gli
permettessero di far credere che non gli interessasse “fare
buona impressione”
– si era cambiato pur senza abbandonare le associazioni
discutibili di capi di
abbigliamento e colori, si era truccato di nuovo, con gli occhi
cerchiati in
modo da essere due fanali brillanti su un viso troppo pallido e smunto
ed il
rossetto acceso a disegnare la bocca in modo netto e preciso. Teneva le
mani in
tasca ed aveva l’atteggiamento imbronciato di chi stia
cercando di allontanare
il mondo da sé pur desiderando disperatamente che il mondo,
invece, lo abbracci
per dimostrargli che è importante. Piccoli tocchi di
fragilità che
difficilmente gli altri captavano appieno, interessarsi ad una creatura
come
quella significava comunque farsi carico di un bagaglio emozionale
dalla
complessità eccessiva, la maggior parte delle persone tirava
dritto dando una
pedata al randagio che gli intralciava la strada.
Posò
il bicchiere sul tavolo dietro di sé, si
sistemò la giacca e si fece avanti, deciso a sottrarre il
ragazzino alla difficoltà
in cui annaspava spaurito.
-Brian
Molko?- lo chiamò per primo.
Lo
vide voltarsi di scatto, riconoscendolo già solo
dalla voce. Ne fu compiaciuto, così come si compiacque non
poco del suo
momentaneo boccheggiare: una genuina reazione da ventiseienne davanti
al
proprio idolo che – ne era sicuro – non si sarebbe
ripetuta.
Brian,
infatti, raccolse a due mani il coraggio,
richiuse la bocca e, non certo della propria voce, si limitò
ad annuire
spiccio, prima di schiarirsela per tirare fuori un tono convinto da
“uomo di
mondo”.
-David
Bowie.- asserì, mani ancora nelle tasche,
sfidandolo apertamente con gli occhi.- Devo ringraziarti per i fiori.-
aggiunse
subito dopo, senza nascondere affatto il disappunto per quel regalo
insolito.
David
rise, captando il suo fastidio e trovandolo
divertente.
-Non
hai idea del perché te li abbia mandati, vero?
-Umorismo
di dubbio gusto.- ritorse pronto Brian.
L’altro
apprezzò tanta iniziativa.
-No…è
qualcosa in te.- confessò senza sapere bene
come spiegarsi.- Ma in fondo credo di non sapere nemmeno io cosa.-
aggiunse
subito dopo.
Brian
sorrise ironico, inclinando la testa di lato
in una posa che David gli aveva visto assumere spesso e che lo rendeva
incredibilmente accattivante.
-Umorismo
di dubbio gusto.- ripeté più lentamente.
Gliela
concesse con una risatina sinceramente
divertita e commentò solo che “aveva comunque
avuto l’effetto sperato”. Brian
stette zitto e David pensò che sapeva comportarsi, quando
voleva. Gli indicò
con un cenno un separé ed il più giovane gli
andò dietro senza commentare.
-Così
potremo parlare senza il baccano del locale.-
si giustificò David quando approdarono ad un ambiente
decisamente più piccolo,
in cui due divani di pelle bianca, enormi e identici, facevano sfoggio
di sé
attorno ad un tavolo basso in cristallo.
Brian
si lasciò cadere per primo su uno dei due
sedili e David, sempre sorridente, si accomodò dal lato
opposto del tavolo,
ricevendo in cambio un’occhiata scettica.
–
Sei una persona interessante, Brian Molko.- iniziò
ignorando l’espressione sul viso del ragazzo.
-Non
è il complimento che ricevo più spesso.- derise
lui.
-Parlami
di te.
La
richiesta cadde nel vuoto. Complice anche
l’arrivo pronto di un cameriere, che raccolse le loro
ordinazioni con composta
eleganza. David chiese dell’altro champagne, Brian
ordinò il cocktail più forte
di cui riuscì a ricordare il nome e poi si diede mentalmente
dello stupido per
questo.
-Allora
parlerò io.- riprese Bowie quando rimasero
nuovamente da soli.- Ma poi non lamentarti dei vaneggiamenti di questo
vecchietto!- lo redarguì affabile.
-Tu
non sei vecchio!- sbottò Brian raccapricciato da
quell’affermazione. Arrossì fino alla punta dei
capelli, rendendosi conto di
aver parlato senza pensarci.
David
rise ancora.
-Ho
il doppio dei tuoi anni, ragazzino, direi che
posso anche arrendermi all’idea di esserlo.
-Non
lo sei per me.- rispose Brian con una sincerità
meno impulsiva.- …ero…sono un tuo
fan…praticamente da sempre.- biascicò a
disagio.
-Beh,
questo mi lusinga. Io temo di essere diventato
un fan dei Placebo piuttosto di recente, invece.- asserì
David.
-…un
nostro fan?- ripeté Brian poco convinto.
-Un
tuo fan, per maggior precisione, e no, non è
come pensi.- lo prevenne David.- Mi piace quello che dici e come lo
dici.
-…neanche
questo è il genere di complimento che
ricevo più spesso.- affermò Brian dopo qualche
attimo in cui ponderò le parole
dell’altro.
-Sbagli
già nel dare per scontato che lo sia.-
ritorse David.- Ma sono certo che determinati difetti svaniranno con
l’età: l’entusiasmo
tende a bruciarsi in fretta, quello che resta è di solito
una maggiore
concretezza. O il niente.
-Parli
per esperienza personale?- chiese Brian con
un sorriso sghembo, molto più rilassato.
-Oh,
no. Io sono ancora qui.- fece notare
cortesemente il suo interlocutore.
-E
allora quale sarebbe l’atteggiamento giusto?-
continuò imperterrito il ragazzino, spingendosi in avanti
sulle ginocchia per
avvicinarsi a lui.
David
realizzò il sottile cambiamento
nell’atteggiamento del più giovane, si accorse con
facilità di come, con la dimestichezza,
Brian stesse riacquistando anche i propri modi da puttanella
ammiccante. Valutò
la cosa. E poi decise che andava bene così; il suo era tutto
meno che un
interesse prettamente artistico, tanto valeva non trincerarsi dietro
finzioni
inopportune.
-Devi
credere solo a quello che pensi tu, di te
stesso.- gli rispose.
Lo
sentì ridere in un modo cattivo che lo sorprese.
Brian si lasciò cadere all’indietro contro lo
schienale del divano,
sprofondando fino ad assumere una posa sbracata e vagamente oscena,
oltre che
maleducata; intrecciò le dita ai capelli neri,
spettinandoli, ridiventando in
un momento l’esatta creatura beffarda che aveva studiato in
quei giorni.
-Mio
padre diceva la stessa cosa.- notificò
provocatorio.
Ma
David non si lasciò spiazzare ed allargò il
sorriso, paziente.
-Beh,
ti avevo detto che non ti saresti dovuto
lamentare se avessi lasciato a me la parola.- lo rimproverò
pacato.
Il
cameriere intervenne, stavolta a salvare il più
giovane, riapparendo sulla soglia con una bottiglia costosa e due
bicchieri per
David e con un cocktail dall’aria scura e densa che Brian
accolse con una
smorfia. David lasciò che l’uomo posasse tutto sul
tavolo e lo fermò un istante
prima che iniziasse a versare lo champagne nei flute, congedandolo con
un cenno.
Il cameriere posò la bottiglia nel cestello del ghiaccio e
sparì sempre nello
stesso silenzio discreto.
-Quella
roba ti rovina il fegato e la capacità di
giudizio.- notò David prontamente, additando il bicchiere di
Brian mentre
armeggiava personalmente con lo champagne per riempire entrambi i flute.
-Il
che potrebbe avere dei risvolti positivi, per
te.- accennò allusivo il ragazzo.
David
storse il viso in una smorfia, lasciandosi poi
andare ad un sorriso sincero.
-Non
stasera.- concesse blando. Sollevò nuovamente
lo sguardo nel suo, sostenendo l’intensità di
quegli occhi cangianti e
trovandoli piacevoli nonostante tutta la diffidenza e il sarcasmo che
ci
leggeva dentro. No, decisamente l’idea di avere davanti un
“idolo” non riusciva
a creare soggezione alcuna in quel ragazzetto.- Ti ho invitato qui con
uno
scopo, Brian.- gli disse allungandogli il flute. Prima di cedergli la
battuta,
proseguì con tranquillità studiata.- In
realtà, volevo farti una proposta di
lavoro.
Brian
ristette, colpito, mettendo da parte per un
istante sia diffidenza che sarcasmo – nonché il
superalcolico nel proprio
bicchiere – per sporgersi verso di lui con interesse genuino.
David, però, si
prese tempo.
-Hai
mai bevuto champagne?- interrogò con il solo
scopo di provocarlo.
Lo
vide arricciare le labbra, sdegnato, e ridacchiò
aspettando tranquillamente la risposta velenosa del ragazzo.
-Certo.-
scandì brusco e secco.
Piccoli accenni di eleganza
aristocratica, quella voglia di rimarcare la
distinzione sociale rispetto ai propri interlocutori. Brian era il prodotto raffinato
di una cultura eccellente, nascosto
abilmente sotto le paillette di una drag-queen sgualdrina in un
bordello di
periferia. Un bel contrasto.
-Si
tratta di questo.- riprese Bowie, archiviando la
questione “bere” con la stessa indifferenza con cui
l’aveva tirata in mezzo.-
Saremo in tour in Europa per tutto questo mese ed il prossimo ed
abbiamo
bisogno di giovani band da utilizzare come apripista negli show.
Così ho
pensato a voi.- affermò stringato, prima di bere un lungo
sorso al solo scopo
di dare modo a Brian di rielaborare quei concetti e farli propri.
E
la testolina mora davanti a lui doveva starsi
dando un gran daffare, considerò osservando il muso del
ragazzo chiuso in un
mutismo assorto e indecifrabile. Brian non lo guardava, il suo
nervosismo era
evidente nel modo in cui stringeva il flute, possessivo, rischiando
quasi di
spezzare il sottile gambo di cristallo tra le dita.
David
schioccò la lingua sul palato, assaporando il
retrogusto aromatico della bevanda e richiamando allo stesso tempo
l’attenzione
del suo interlocutore su di sé.
-Ho
sentito qualche canzone del vostro vecchio
album.- ricominciò ad illustrare.- Quella…
“Nancy Boy”? –
domandò educatamente.- ha un suo
“perché”.- Brian rise e
David lo guardò di sottecchi, interpretando quella risata.-
Sminuisci il tuo
lavoro.- constatò.
-No,
cerco di prendere le cose con il giusto
realismo.- lo sconfessò candidamente Brian.- Ma continua, ti
prego, essere
adulati da David Bowie è apprezzabile anche quando sta
mentendo.
Fu
il turno del più anziano di ridere, ma con
sincerità autentica nel constatare come
l’intelligenza di quel ragazzetto
riuscisse a stuzzicare le sue voglie
perfino più del suo aspetto androgino e bellissimo. Non era
una bambola da
liquidare con una scopata e un’alzata di spalle, e lui era
sempre più convinto
della propria scelta nell’imporsi su Eno e sulla produzione
del tour.
-So
che adesso state per uscire con un nuovo lavoro
e sono certo che non ti sfuggirà
l’utilità di una promozione come questa: associare
il nome dei Placebo a quello di David Bowie significa fare
“il salto di
qualità”.
-Dovrei
comunque parlarne con gli altri…
-Non
prendermi in giro.- ritorse educatamente
David.- Tu non sei quel genere di
leader. Ti ho osservato, Brian, e credo di poter dire con certezza che
mi sono
rivisto in te, in certi tuoi atteggiamenti. Credimi, io non avrei mai
accettato
di doverne “parlare con gli altri”, mi sarei
limitato a prendere le mie
decisioni e comunicarle.- spiegò pazientemente.- Ed
è pur vero che questa è una
delle ragioni per cui non lavoro con una band, - concesse ancora, con
un’alzata
di spalle sbrigativa – ma sono sicuro che un loro
“no” non cambierebbe le tue
decisioni in merito. Così come sono sicuro che non glielo
chiederai neppure.
Brian
lo osservò. Di nuovo chiuso in un silenzio
carico di sottintesi e domande non espresse. David non lo invidiava,
doveva
essere estremamente complesso per lui scegliere in che modo percorrere
la linea
sottile che divideva i suoi sogni di quando ragazzino
lo era davvero, dalla realtà più
complicata e meno piacevole che gli stava
mettendo di fronte. Lo vide mandare giù d’un fiato
tutto il contenuto del
proprio flute, sorrise nell’osservarlo, posò una
guancia contro la mano e
continuò a scrutarlo aspettando e godendosi lo spettacolo
del suo viso
leggermente arrossato dall’alcool trangugiato di fretta e
dall’imbarazzo dei
suoi occhi sulla pelle.
-Sei
molto generoso-
cominciò a dire, calcando bene quella parola
perché il senso non sfuggisse a
nessuno dei due.- nell’offrirci il tuo sostegno, David. Non
posso che dirmene
onorato e, chiaramente, assicurarti…la mia
disponibilità, in cambio.
David
Bowie lo aveva riaccompagnato a casa in
macchina.
Aveva
una Mercedes enorme con autista, ovviamente,
una macchinona nera che gli ricordava un po’ quelle con cui
girava suo padre
quando venivano a prenderlo dalla Banca. Era stato delizioso per tutto
il tempo
– Brian si sentiva un po’ alticcio, aveva bevuto
troppo champagne ed aveva
comunque finito il proprio cocktail ed ordinatone un altro –
aveva parlato
praticamente da solo, accontentandosi delle sue risatine stupide e di
qualche
battuta a mezza voce, tenendo banco con una grazia e
un’eleganza così
invidiabili e perfette da farlo regredire d’un colpo ad
almeno dieci anni
prima, quando quell’uomo era il suo mito
vivente e lui restava affascinato davanti alla radio o alla
tv ad
ascoltarlo parlare in un’intervista o cantare in un live.
David era perfino
arrivato a chiedergli se volesse che Jeff, il suddetto autista, lo
accompagnasse fino a sopra quando si erano fermati davanti al
portoncino del
palazzo dove abitava. Aveva scosso la testa e si era morso la lingua di
domandargli per quale motivo non fossero da tutt’altra parte
– tipo a casa sua, di David, e non stessero discutendo
dell’opportunità che Jeff lo
accompagnasse fino al suo letto… - ancora una
volta impareggiabilmente
signore David lo aveva preceduto, stringendolo in un abbraccio che per
la prima
volta aveva annullato la distanza fisica
tra loro e scoccandogli un bacio rovente sulla fronte.
Brian
avrebbe voluto morire.
-Aspetto
una tua chiamata, dunque.- lo aveva
salutato il più vecchio da dietro il finestrino
dell’auto, mentre lui sostava
con le chiavi in mano fuori del portone, senza decidersi ad aprirlo e
prendere
la scala fino al terzo piano.
-Mh.-
aveva ribattuto lui.
Jeff
aveva messo in moto, David aveva chiuso il
finestrino scuro e Brian non gli aveva voluto lasciare la soddisfazione
di
mollarlo lì, sul marciapiede, da solo, e si era finalmente
voltato a cercare la
serratura.
-Stefan!-
chiamò bruscamente entrando nella camera
ed accendendo la luce in un unico gesto.
Dal
letto in cui stava dormendo, l’altro gli rispose
con un verso a metà tra il risentito e il sofferente,
rivoltandosi tra le
lenzuola per tirare su le coperte fino in cima alla testa in un vano
tentativo
di rifuggire la luce.
Brian
non si lasciò impietosire. Tolse il giubbino
leggero che indossava lasciandolo su una poltrona, scalciò
via gli stivaletti
che portava ai piedi e si arrampicò indifferente al lato del
corpo arrotolato
nel letto, battendogli ritmicamente contro un fianco per indurlo a
spostarsi e
fargli spazio con una serie concitata di grugniti e sbuffi.
-…bbbriaaan!-
biascicò alla fine il ragazzo,
emergendo nuovamente dalle lenzuola in uno sbuffo disordinato di arti e
coperte.
Il
soggetto chiamato in causa non se ne diede
preoccupazione, si accomodò alla meglio contro il muro alle
proprie spalle e lo
guardò finché gli occhi assonnati
dell’altro non si aprirono lentamente,
sbattendo ripetutamente le ciglia al chiarore eccessivo della luce
artificiale.
-Che
cazzo di ora è?- s’informò aspro il
bassista.
-Le
cinque e mezza. E credo di essere ubriaco.- lo
informò Brian diligentemente.
-Non
me ne fotte un accidenti! Vai nel tuo
letto!- gli ringhiò contro, provando
a girarsi di nuovo per rimettersi a dormire.
Implacabile,
Brian gli tirò una manata nello
stomaco.
-Ho
da dirti una cosa importante.- riferì secco.
Stefan sbuffò, saltellando fino ad arrotolarsi in una palla
nel tentativo di
sottrarsi alle angherie dell’altro.- Lo sai che voleva David
Bowie?- gli
chiese.
-Fare
sesso con te.- lo sentì biascicare Brian.
A
questo non rispose.
Stefan
sospirò profondamente, prendendo atto nel
silenzio della risposta implicita; si srotolò
come la coperta in cui era avvolto e tornò a stendersi sulla
schiena, fissando
il soffitto a dita incrociate sulla pancia.
-Ti
ascolto.- annunciò piatto.
-Ci
offre di partecipare ad alcune date dell’Outside
Tour in Europa.- comunicò il cantante, più o meno
nello stesso tono.
-In
cambio…?- suggerì ancora Stefan, fastidiosamente
insistente.
Brian
sbuffò, schioccando la lingua contro il palato
e mugugnando qualcosa all’indirizzo dell’altro che
suonò molto come una critica
affatto velata dei suoi “stupidi
pregiudizi”.
-Intanto
sono qui!- esclamò poi, spiccio, saltando
giù dal letto con la stessa velocità con cui ci
era salito.
Stefan
ne approfittò per sistemarsi su un fianco, la
testa appoggiata alla mano e il gomito piantato nel cuscino, sfoggiando
un’espressione sinceramente stupita nel guardarlo, ritto in
piedi al centro
della camera con le mani ai fianchi.
-Già.-
convenne.- Non ti ha fatto neanche dormire
con lui?- indagò vagamente seccato.
Brian
scosse la testa, sospirando in direzione del
lampadario.
-Dio,
dammi la forza!- invocò in un eco sarcastica
dei suoi trascorsi da bravo cristiano. Stef rideva e a Brian venne
seriamente
la tentazione di prenderlo a schiaffi.- Cretino! E no, non ci ho fatto
sesso!-
informò stringato e arrabbiatissimo.
-O.k.,
o.k.! Non fare la vergine offesa, Brian, sei
pessimo in quel ruolo.- lo rintuzzò l’altro.
-E
tu sei pessimo nel ruolo di migliore amico.-
accusò gratuitamente il brunetto, voltandogli le spalle in
tempo per non
cogliere la sua espressione ferita e dirigendosi brusco alla poltrona.
Mentre
lui si sistemava tra i cuscini dopo aver
“sfrattato” il proprio giubbotto, Stefan ingoiava
amaro e riacquistava una
parvenza di compostezza nel fronteggiare il suo sguardo con un
sorrisino debole
e scialbo.
Brian
ci pensò su. Arrotolato sulla seduta della
poltrona, con una mano reggeva le ginocchia ossute e con
l’altra arrotolava una
ciocca scurissima di capelli ribelli attorno alle dita.
Nell’osservarlo Stefan
vide che il trucco era in disordine ma solo perché era
passato un sacco di
tempo da quando lo aveva applicato, nessuna sbavatura che potesse smentire le parole di Brian circa il
modo in cui aveva passato la serata. Fu una consolazione magrissima, ma
pur
sempre una consolazione – sebbene
pensare
che Brian non sentisse nemmeno la necessità di mentirgli, non potesse essere certo il balsamo
più indicato per le
ferite che gli infliggeva ogni volta…
Chiuse
gli occhi, quando li aprì Brian ricominciò a
parlare.
-…dice
che gli piacciono le mie canzoni.- sussurrò
in tono flebilissimo. Stefan fu costretto a sporgersi in avanti per
afferrare
il resto, Brian non lo guardava nel parlare, fissava un punto a terra e
continuava ad arrotolare ciocche istericamente, come un Linus macabro
– Che gli
piaccio per quello che dico e per come lo dico. Che ha ascoltato
“Nancy Boy” e
che non dovrei…sminuire il mio
lavoro.-
citò, lasciandosi scappare allo stesso tempo una risatina di
scherno che gli
restituì parte della propria sfrontatezza.
Raddrizzò
la schiena e tornò a puntargli addosso gli
occhi, isterico e cattivo come sempre. Stefan si disse che avrebbe
preferito
mille volte quel Brian a qualunque versione di lui fragile e insicuro
gli
avessero messo davanti.
Anche se significava meno abbracci
e meno baci.
-Ma
questo non ci interessa, no?- cercò il suo
sostegno in tono di sfida.- Tutto quello che vogliamo-
e quel plurale pesò sulla coscienza di Stefan come un
macigno, tanto da costringerlo a chiudere gli occhi.- è che
David Bowie sdogani
definitivamente i Placebo.- scandì Brian con la sicurezza
arrogante di sempre.-
E al diavolo tutto il resto!
Avrebbe
voluto rispondere che non voleva affatto
mandare “al diavolo” niente
di tutto
il resto. Soprattutto visto che il resto erano loro – loro due – e lui alla pelle, al
cuore, ai muscoli ed ai polmoni
teneva ancora.
Però
non lo disse.
Sussurra.
Sussurra sulla mia pelle.
Insegnami ad ascoltare il vento
ascoltandone il riflesso nelle tue parole
Brian
Eno li tollerava a stento.
Brian
Molko ne fu consapevole il secondo successivo
a quello in cui misero piede all’interno
dell’elegante sala dove si sarebbe tenuto
il briefing per definire gli ultimi accordi prima della partenza.
Era
tutto fissato a due giorni dopo, l’Italia li
aspettava, loro erano impazienti e lui, nello specifico, terrorizzato a
morte.
Tanto che Stefan aveva avuto il suo bel da fare nel tenerlo lontano da
alcool e
droga la sera prima; se fosse stato per Brian, si sarebbe presentato a
quell’incontro stravolto dopo una notte di scaramantici
eccessi a cancellargli
di dosso la tensione che avvertiva a fior di pelle.
Non
era bravo in quel genere di situazioni. Non come
lo era stato nel
“tête-à-tête” con
Bowie, la loro…piccola…“trattativa
privata”
aveva degli schemi in cui si muoveva con agilità. Perfino
nel ruolo scomodo di
giovane star emergente con una passioncella nemmeno troppo segreta per
il suo
idolo incarnato. Sapeva che gli accordi che avevano preso in separata
sede
mettevano lui e la band al sicuro dallo sguardo minaccioso di Eno, ma
quello
che avvertiva a livello emozionale era più forte e lo
spingeva ad agitarsi nervosamente
sulla sedia, assumendo pose sempre più scomposte con il
progredire noioso di
una riunione priva di qualsiasi sostanza.
Se
non fosse stato proprio per lo sguardo di
disapprovazione del produttore, lui avrebbe ritenuto interamente spazzatura la propria presenza a
quell’incontro: c’erano dei manager,
c’erano persone appositamente pagate per
dirgli dove stare, per mettergli in mano gli strumenti musicali e per
ordinargli di suonare. Punto.
Invece,
lui ed il suo omonimo finirono per
trasformare quell’ora e mezza in un serrato e silenzioso
scontro, volutamente
ignorato da chi stava loro intorno se si faceva eccezione per lo
sguardo
disperato di Stefan che, ogni tanto, tentava di richiamare
all’ordine il
proprio cantante.
Brian
uscì da lì quasi di corsa, precedendo
maleducatamente ogni altra persona nella stanza. Mise una sigaretta in
bocca
prima ancora di essere completamente nel corridoio, accendendola subito
dopo in
barba ai cartelli di vietato fumare. Steve lo afferrò per il
gomito,
trascinandolo via dalla soglia e, rapidamente, verso la porta a vetri
che dava
ad un terrazzo esterno.
La
risata di David Bowie li fermò a metà del
tragitto.
Brian
si voltò. Quasi inconsapevole del sorriso
divertito che gli aveva già tirato le labbra. Al centro del
corridoio Bowie
rideva ancora, la testa rovesciata all’indietro, le mani in
tasca, complice di
quell’atto di ribellione infantile.
Steve
rinunciò a proseguire verso l’uscita e si fece
da parte quando il cantante tornò sui propri passi per
raggiungere il collega
più anziano.
Brian
Eno uscì veloce dalla sala e si fiondò agli
ascensori senza degnare nessuno di loro di una seconda occhiata.
-Nervosetto,
il tuo amico.- commentò Brian a voce
abbastanza alta da essere sentito da tutti, interessato compreso.
David
seguì il suo sguardo, puntando gli occhi sulla
schiena rigida del produttore, ma non commentò in nessun
modo.
-Hai
impegni a pranzo?- chiese, invece.
Brian
sorrise, ammiccante.
-Niente
che non possa essere rimandato…se ne vale la
pena.- aggiunse maliziosamente.
Anche
il sorriso sul volto di David si allargò,
rimanendo tuttavia gentile ed affabile.
-Reputi
che io possa valerne la pena?- insistette.
Una
risatina, uno sguardo obliquo, sorriso sghembo.
-Potresti.
-Allora,
se mi permetti, mi piacerebbe invitarti a
pranzo.- concluse galantemente Bowie.
Brian
scoccò un’occhiata distratta al di sopra della
propria spalla, fingendo un’indifferenza ammirevole mentre
cercava con gli
occhi la figura alta e allampanata del proprio bassista, individuandolo
in
silenziosa attesa al fianco di Steve. Riportò gli occhi su
David in pochi
momenti.
-Volentieri.-
accettò elegantemente.
Stefan
Olsdal lo aspettava alzato nonostante fossero
quasi le due di notte.
Brian
si accorse della luce nella sua stanza quando
entrò. Posò le chiavi sul mobile
all’ingresso e camminò in punta di piedi fino
alla soglia della camera dell’altro, giusto per evitare di
svegliarlo qualora
si fosse comunque addormentato.
I
loro occhi s’incrociarono a metà del tragitto,
come in un tacito accordo. Quello di Stefan era già pregno
di una domanda che
non formulò a voce alta, quello di Brian un po’
colpevole, nonostante non ci
fossero motivi per sentirsi in colpa.
-Ciao.
Non dormi? Domani abbiamo un mucchio di cose
da fare.- Una smorfia infastidita a colorare la frase, si
sfilò la giacca di
dosso.
-Pranzo
lungo.- osservò a mezza voce Stefan.
-Cosa
vuoi sapere?- scoccò implacabile Brian, brusco
e stizzoso come sempre.
-Nulla.-
mentì il bassista, spalle strette in un
gesto di noncuranza fasulla.- Divertito?
-Sì,
certo. Se no, tornavo prima.
Brian
chiuse la discussione a quel modo, lasciando
la stanza senza degnarlo di un’ulteriore occhiata e
dirigendosi alla porta di
fianco, quella della propria camera, che si richiuse alle spalle giusto
per
fargli capire che non gradiva compagnia.
Stefan
non lo stava giudicando. Era solo…curioso?
Boh.
Brian
buttò il giubbotto sulla sedia della
scrivania; la mancò, ma prese in pieno la scrivania stessa,
un mucchio di fogli
e penne rotolò a terra.
Ma
poi non c’era nulla che dovesse raccontargli.
Avevano chiacchierato, lui e Bowie. Avevano chiacchierato un sacco, di
un
mucchio di cose.
Quando,
dopo pranzo, verso le quattro e mezza, il
proprietario del ristorante aveva cortesemente fatto notare che
dovevano
proprio chiudere, si erano alzati ed erano usciti a passeggiare per le
strade
di Londra. Erano rimasti uno accanto all’altro, ad una
distanza…confacente. Non
si erano toccati neppure
per sbaglio, non si erano sfiorati nemmeno quando si erano salutati ore
dopo,
dopo aver cenato qualcosa di veloce in un piccolo caffè che
Brian non conosceva
ma di cui David doveva essere un frequentatore abituale.
Ad
un certo punto gli aveva chiesto se davvero
uno come lui riusciva a
ritagliarsi un intero pomeriggio da trascorrere a zonzo. Voleva
sentirsi
lusingato, sentirlo dire che aveva messo da parte i propri impegni per
lui.
David aveva riso, facendogli capire che era stato facilmente
smascherato; Brian
si era chiesto se lo avrebbe assecondato comunque ma la risposta era
stata
sincera.
-Quando
sei David Bowie, sei tu che stabilisci
“quando” e “dove”.
Brian
aveva stretto forte le labbra e mandato giù un
groppo. Un desiderio bruciante di fare a cambio di vita con
l’altro gli aveva
fatto stringere lo stomaco in una morsa d’invidia. Era stato
volutamente
cattivo, dopo. Offensivo fino all’inverosimile. Aveva
volutamente tirato in
ballo la loro differenza di età, stuzzicandolo su
quell’aspetto, stuzzicandolo
sull’ambiguità di un’eventuale approccio
tra di loro. David aveva fatto cadere
tutte le sue allusioni, ma non senza coglierle, non senza fargli
intendere
velatamente la correttezza delle stesse.
Eppure
non si muoveva. Lo lasciava giocare a quel
modo senza andargli dietro, Brian poteva offrirgli “il
pagamento” del loro
accordo, ma lui non sembrava intenzionato a prenderselo.
Non
lo capiva.
Alla
fine aveva ceduto. Mentre l’altro gli
raccontava aneddoti più o meno divertenti della propria
vita, infilandoci in
mezzo consigli e suggerimenti dati con la maestria di un attore
navigato, Brian
si era riscoperto incapace di proseguire oltre in quella specie di
provocazione
a metà. Aveva messo da parte sia i modi da puttanella che
l’astio rancoroso del
ragazzino cattivo e si era limitato ad ascoltare, a fare le domande che
gli
venivano in mente, a ridere quando qualcosa lo divertiva.
Non
si era nemmeno accorto di quanto tardi si fosse
fatto.
Si
erano lasciati dalle parti di una stazione della
metro. Un saluto cordiale. Brian si era infilato sotto terra
sforzandosi di non
voltarsi a guardare cosa l’altro stesse facendo.
Nel
treno si era appeso ad uno dei sostegni
laterali, sfiatando aria come se avesse nuotato trattenendo il respiro.
…che schifo di
situazione era, quella?!
Un
bussare leggero alla porta richiamò la sua attenzione
al presente.
-Entra,
Stef.- sbrigativo.
Si
tolse la maglietta, rimanendoci incastrato dentro
mentre la porta veniva aperta e richiusa delicatamente. Nessun passo.
Quando
riemerse dalla stoffa, vide Stefan, impacciato, evitare il suo sguardo
sulla soglia
della stanza.
-Scusa.
Non voglio farmi i fatti tuoi.- esordì
spiccio il bassista.
-Mh.-
si avvicinò alla scrivania e sistemò giubbotto
e maglietta sulla sedia. Sul letto ne prese una pulita che usava in
casa, per
dormire, e la infilò dalla testa. Era enorme ma era di suo
fratello.- Comunque,
non è successo niente.- precisò a quel punto.
-Non
te l’ho chiesto.
-Non
a voce alta, questo è sicuro!- lo derise Brian.-
Senti, qual è il tuo problema?- attaccò subito
dopo, spiccio- Cioè, parliamone
adesso e mettiamolo da parte, perché dopodomani partiamo in
tour con quel tizio
e, se hai un problema con lui…o con questa cosa, meglio
saperlo adesso, ok?
-Quale
cosa?
-Non
il fatto che io possa scopare con lui, Stefan!-
sfiatò Brian, stancamente.- O è questo?-
indagò.
-Ho
paura che possa approfittarsene e basta.
-C’è
il rischio.- convenne brevemente l’altro. Si
arrabattò nella stanza, mettendo in ulteriore disordine cose
che non erano in
ordine da un pezzo, gettando alla rinfusa nell’armadio
vestiti sgualciti.
Stefan seguiva distrattamente i suoi movimenti, solo per leggerci
dentro con
facilità il nervosismo strisciante della sera prima.-
E’ ovvio che non è quello
il mio obiettivo.- scrollò le spalle.
Stefan
annuì breve. All’improvviso condivideva con
Brian l’irrefrenabile bisogno di rompere degli schemi
monotoni. Era tardi, a
quell’ora era tardi per qualsiasi cosa, ma non potevano
semplicemente rimanere
in casa, andare a dormire e fare finta di niente.
-C’era
una festa da Andy.- buttò lì con
casualità.
Brian
si voltò di scatto, il viso illuminato da una
luce nuova, quasi spiritata. Sorrise in un modo che Stefan
giudicò spaventoso,
ma poi si lasciò contagiare dal suo entusiasmo.
-E
noi che ci facciamo ancora qui?!- esclamò il
cantante, afferrando dall’armadio ancora aperto il primo paio
di pantaloni e la
prima maglietta che riuscì a raggiungere.
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Capitolo 3 *** 2 ***
Sussurra
nello specchio
riflesso di città
incantate.
Sospeso nel tempo. Sospeso.
8 Febbraio 1996
Milano (Italia) – Palatrussardi
L’Italia.
Non
ricordava nemmeno un motivo valido per volerci essere. Nemmeno uno.
L’Italia
non gli piaceva. Non gli era mai piaciuta. Non gli sarebbe piaciuta
fino alla
fine dei suoi giorni. La gente faceva casino – feeesta!
– era invadente, impicciona, chiacchierava troppo e lui si
sentiva…aggredito. Come
se da un
momento all’altro dovessero saltargli addosso, spogliarlo,
violentarlo nel
corpo, oltre che nell’anima.
Sotto
il palco dei loro concerti c’era sempre qualcuno che pensava
a lui come ad una
puttana. Ne era consapevole. Non è che non si rendesse conto
dei rischi che
assumeva su di sé nel presentarsi in un “certo
modo”. Nell’ultimo anno la sua
vita era stata talmente condizionata da quella semplice
verità, che anche a
volerla ignorare gli si sarebbe incollata addosso come le gocce di
sudore che
gli impregnavano i vestiti.
Eppure
c’era una logica anche in quel gioco sporco, delle regole da
seguire e che le
persone attorno a lui conoscevano bene tanto quanto lui stesso.
Finché
giocavano secondo le regole era ok. Fastidioso ma ok.
Ma
gli italiani…quelli non avevano idea di quando piantarla, di
dove fermarsi!
La
folla oceanica all’interno del palazzetto aveva riscaldato
l’aria fino a
renderla incandescente. I Placebo si erano trovati davanti un popolo
curioso e
attento, che aveva sollevato in su sguardi carichi di aspettative.
Qualcuno li
conosceva e aveva accennato il ritornello delle canzoni, strappando a
Brian e
Stefan un sorriso compiaciuto. Qualcuno li scopriva quella sera per la
prima
volta, gli sguardi si allargavano, brillanti, le bocche si aprivano su
“o”
stupite ma già stregate. Brian, sudato e soddisfatto,
allungava verso di loro
braccia magre, promettendo abbracci che non avrebbe mai concesso ma che
facevano fremere comunque il corpo di chi, naso
all’insù, osservava la sua
figura minuta saettare impazzita da un angolo all’altro del
palco. Parole
avvelenate sulla bocca di una bambolina di porcellana delicata, un
azzardato
mix che poteva ugualmente far rabbrividire animi conformisti o
suscitare sussurri
lascivi nei più audaci.
Dietro
le quinte David sollevò il mento, fieramente, e si
voltò verso Eno per
incrociarne lo sguardo corrucciato alla vista dello spettacolo che il
brunetto
stava dando di sé sul palcoscenico. Silenziosamente, il
cantante cercò il suo
assenso, una muta ammissione di sconfitta davanti alla
capacità eccezionale di
quella band di ragazzini di attirare l’attenzione su di
sé in modo complesso.
Il produttore non gliela concesse; braccia strette in una posa rigida,
gli girò
le spalle per tornare all’interno del backstage.
David
ridacchiò e tornò a guardare lo show.
Eric
Carlsen era un gigante biondo di circa novanta chili. Alto quasi due
metri. Largo dai cinque ai sei.
…Brian
valutò meglio quell’ultima misura, inclinando il
capino di lato in quella posa
ambigua e sfrontata che strappava consensi con la facilità
con cui avrebbe
strappato ceffoni ad un genitore arrabbiato.
Eric,
però, rise.
Nella
traiettoria dello sguardo del cantante, il bestione biondo occupava
buona parte
della visuale, impedendogli di cercare con gli occhi Stefan e Steve che
lo
avevano preceduto all’after show e dovevano essersi
già imboscati da qualche
parte in compagnia di alcool e cosce nude in egual misura.
-Sei
una forza della natura, ragazzino!- affermò Eric baldanzoso.
Quando
gli si fece ulteriormente addosso, Brian realizzò che la
larghezza doveva
essere più sui due metri e mezzo.
-Una
vera forza della natura!- ribadì l’altro.
Un
braccio attorno alle spalle esili di Brian, il peso di quei muscoli
tatuati lo
schiacciò a terra molto più di quanto avrebbe
gradito. Eric puzzava di birra e
di fumo.
…l’odore del fumo
convinse Brian
che poteva tollerarlo.
E
poi, l’ampiezza della cassa toracica dell’altro si
era ridotta ad un metro e
settanta.
-Uno
come te farà strada! Per Dio! non mi è capitato
spesso di vedere troiette
altrettanto brave a muovere il culo sul palco!
Brian
tirò la bocca in un sorriso cattivo, incassando male il
commento e desiderando
ferocemente liberarsi dal peso opprimente del braccio
dell’uomo. Resistette a
quell’impulso solo perché non era il caso di
litigare con uno così grosso
quando non c’era Steve a coprirgli la ritirata.
-Immagino
che sia un modo contorto per farmi un complimento.- miagolò
stizzito.
Eric
rise, battendo con il palmo aperto contro le sue scapole.
Lasciò lì la mano,
spingendolo leggermente – a Brian
sembrò
di essere investito da una carica di rinoceronti incazzati
– e
direzionandolo verso l’interno della sala, la musica, il bar
e mucchi di corpi
accaldati e scalmanati.
-Ti
meriti una bella bevuta, ragazzino! E ti meriteresti anche una bella
scopata.-
ci aggiunse dopo un istante.
Brian
valutò se la sua fosse una proposta, rabbrividendo di orrore
all’idea, ma Eric
non lo guardava nemmeno e sembrava solo sinceramente divertito da tutta
quella
situazione. Quando poi approdarono al banco del bar e il bestione ebbe
catturato una bionda tutta curve che presentò come
“una sua carissima amica di
cui non ricordava il nome”, Brian si rilassò. La
groupie – perché tale
era e c’erano pochi cazzi al riguardo –
gli sorrise
ammiccante e lui la valutò con un’occhiata
d’insieme, giudicando che fosse
forse un po’ troppo finta, ma decisamente passabile per la
serata. Intravide i
movimenti di Eric come in un flash, la bustina trasparente che lui
ficcò in
mano a lei prima che si arrampicasse agilmente sullo sgabello di fianco
a
quello occupato dal cantante. Le gambe sinuose della ragazza invasero
per
intero il suo sguardo e Brian si ricordò della bustina solo
un’oretta più
tardi, quando ricomparve magicamente dal reggiseno di lei mentre erano
chiusi
nella sua stanza in albergo.
Brian
osservò la tipa preparare con cura le strisce bianche sul
ripiano del comodino
accanto al letto e si disse che Eric era proprio un bravo ragazzo.
9 Febbraio 1996
Bologna (Italia) – Palasport
Eno
li raggiunse prima del sound check. Con lui c’era un uomo che
Brian, Stefan e
Steve avevano intravisto il giorno prima dietro le quinte e che,
adesso,
scherzava e rideva con il produttore con una familiarità che
strappò al
cantante un moto di stizza. Cercò di farsela passare prima
che i due li
raggiungessero ma, per sicurezza, si allontanò al loro
arrivo con la scusa di
andare a cercarsi una bottiglietta d’acqua.
Quando
tornò, il tizio stava chiacchierando con Stefan e Steve, e
tutti e tre
sorridevano, tanto.
-Brian.-
lo apostrofò Eno come se, davvero, lo avesse visto in quel
momento per la prima
volta.- Lui è Levi.- presentò.
Tizio
gli allungò la mano e Brian fece tanto da stringerne la
punta delle dita con la
propria, come se un contatto maggiore non fosse pensabile.
Tizio
fece finta di non accorgersene – un
punto
per lui – Eno storse il naso ed ingollò
un commento (meno trecento punti per lui, ma
Brian sospettava che il proprio posto
nella classifica personale del produttore stesse rapidamente peggiorando).
-Vi
ho visti, ieri sera. Grande show!- si complimentò Levi,
ignorando la reazione
del produttore.
Brian
scoccò ad Eno un’occhiata trasversale,
soddisfatta, e poi sorrise amabilmente
all’uomo.
-Sì.
Grazie.- fece le fusa, con il medesimo tono che avrebbe usato per dire
“ahah,
niente che non sapessi”. E in effetti, fu chiaro a tutti che
era esattamente il
significato che attribuiva a quel ringraziamento.
Brian
Eno scalpitò, strisciando la suola delle costose scarpe
italiane a terra e
richiamando così la loro attenzione.
-Beh,
Levi è il vostro tecnico.- scoccò brusco.
Brian
lo fissò interrogativamente, ma fu Stefan a chiedere di che
“tecnico” stessero
parlando.
-Dave
vuole che abbiate un tecnico del suono per voi. Uno che vi segua in via
esclusiva.- spiegò rapido l’uomo. Levi sorrise di
rimando a Brian quando lui si
voltò a fissarlo, ancora perplesso.- Levi è
quello che ha più esperienza e
Dave…noi –
corresse a malincuore,
confessando di aver comunque preso parte a quella scelta.- pensiamo che
potrebbe aiutarvi a sistemare le cose in modo che funzionino.
-Sarà
un vero piacere lavorare con voi.- si affrettò a
rassicurarli Levi.
Brian
annuì; all’improvviso l’astio di Eno non
era più così importante e il sorriso
nuovo che rivolse al tecnico era sincero in modo disarmante, tanto che
l’uomo
tentennò nel ricambiare la stretta di mano autentica che lui
gli offrì.
-Grazie
fin d’ora, Levi. Siamo felici di poter contare sulla tua
esperienza.- ammise
caldamente.
Brian
aspettò che David e la sua band finissero di esibirsi.
Dalla
platea salivano le urla isteriche dei fan e una cascata di flash
accompagnò il
saluto teatrale con cui il “Duca Bianco” si
accomiatò dal pubblico. Il suo
sorriso aveva un ché di magnetico, considerò
Brian affascinato: quando David
Bowie si voltò verso il backstage i loro sguardi
s’incrociarono a metà strada,
in uno spazio trasparente fatto di irrealtà che avvolse i
sensi di Brian
ottenebrandoli parzialmente. Per un secondo o due fu certo in modo
istintivo
che quello scintillio soddisfatto e accogliente negli occhi
dell’uomo fosse per lui.
Fu una sensazione tanto
improvvisa quanto fugace. L’attimo dopo i passi di David
avevano raggiunto il
primo dei pochi gradini che portavano giù dal palco e, ai
piedi di quella corta
scalinata, Eno lo aspettava a braccia spalancate.
Avrebbe voluto ringraziarlo
personalmente.
Brian
lo pensò.
Levi si era rivelato un aiuto
prezioso e per loro era stato un piacere collaborare con una persona
tanto
competente ed accorta. Era stato immergersi in un mondo completamente
diverso,
fatto di una professionalità autentica che un po’
gli mancava, ancora...
Guardò
il produttore e il cantante mentre si avviavano assieme verso i
camerini. Il
ristretto gruppo di musicisti che suonavano con Bowie li seguiva da
presso, con
loro c’era un giornalista e il tour manager. Quando sparirono
nel corridoio,
Brian si staccò dal muro che lo sorreggeva, sciolse le
braccia e cercò Stefan.
Era
al sesto o settimo giro quando Eric comparve nella sua visuale.
Brian
incespicò sui proprio piedi, non troppo stabile
né sufficientemente sobrio, e
sollevò la testa a rallentatore, percependo quel movimento
con precisione: le
ossa e i muscoli del collo e delle spalle che si tendevano
dolorosamente per
accompagnarlo, la nuca, umida di sudore, che urtava contro la pelle
nuda intorno
alla maglietta scollata… Scostò un ciuffo di
capelli dagli occhi per
assicurarsi che il sorriso dentato fosse proprio quello che ricordava e
si
tolse ogni dubbio quando la mano dell’altro gli si
abbatté rumorosa e pesante contro
la schiena.
-Ragazzino!-
lo apostrofò con la solita malagrazia il gigante biondo.
Brian
storse il naso. Forse doveva comunicargli quanto fastidio gli desse
essere
chiamato “ragazzino”.
Si astenne
quando lui gli fece scivolare in mano un sacchettino pieno di pillole
colorate.
-Fatti
un giro e divertiti.- gli strinse l’occhio il bestione.
Brian
tentennò. Poi ricambiò il suo sorriso.
Corri.
Corri.
…corri, corri, corri!
A
Lione arrivarono con un giorno d’anticipo.
Anche
se era Febbraio li accolse un sole talmente intenso che venne loro
voglia di
sostare nel piazzale dell’albergo.
Eric
e gli altri della crew erano con loro, qualcuno mise in mezzo
l’idea di andare
a fare un giro e gli altri la recepirono con entusiasmo. Mentre
camminavano in
cerca di un posto dove sbronzarsi alle quattro del pomeriggio, si
resero conto
che Lione era un posto di merda e che nessuno di loro ci teneva davvero
a fare
il turista.
Videro
la limousine di Bowie ed Eno passare sulla strada principale. Stefan
diede un
colpetto alla spalla di Brian perché si voltasse, lui
lasciò perdere la vetrina
del negozio in cui si stava specchiando e girò lo sguardo
verso l’auto nera che
sfilava lenta ed elegante. La trovò pacchiana, ma poi
qualificò il nodo nel
proprio stomaco come sana gelosia e la cosa lo mise in allarme molto
più di
quanto si sentisse pronto ad ammettere.
Da
quando erano partiti non c’era stata occasione di incrociare
David se non per
sbaglio e nessuna di parlargli da solo.
…per
la verità, nessuna di parlargli
e
basta.
A
Brian stava cominciando a dare noia.
In
fondo avevano un patto, loro due, e il non sapere che gioco stesse
giocando
l’altro cominciava a disorientarlo. Se, poi, c’era
qualcosa che non tollerava
bene, era il sentirsi spiazzato a quel modo.
-Eric.-
chiamò mentre il gruppo riprendeva a muoversi pesante,
vagabondando sbandato
senza una meta precisa.
Il
bestione si girò e con lui Stefan. Brian si
sforzò d’ignorare gli occhi del
proprio bassista e si concentrò sullo sguardo azzurro e
acquoso del gigante
biondo.
-Tu
sai perché David e gli altri non si fanno mai vedere?-
chiese, accostandosi
all’altro in modo da poter tenere un tono abbastanza basso da
non essere udito
dagli altri.
La
mandria procedeva a passi strascicati e tra risate sguaiate. Steve
afferrò
Stefan per il polso e, gridando qualcosa di volgare, lo
trascinò in mezzo al
gruppo. Lo svedese fece finta di prendere parte al loro gioco e Brian
se ne
disinteressò.
-Ah,
ma loro fanno sempre così!- esclamò Eric, senza
mostrare altrettanta
discrezione ma alzando il tono un po’ troppo.- Mica ci
stanno, con noi altri!
Siamo feccia per quelli… L’hai visto che muso del
cazzo ha Eno?! Un testa di
cazzo simile difficilmente la si becca in giro!- gli toccò
una spalla. Brian si
scostò malamente, ma lui non ci fece caso.- Dai retta a me,
Brian, tu sei
meglio di quelli.
Pensò
che aveva ragione, anche se lui glielo diceva per i motivi sbagliati.
L’orgoglio gli pungolò la pancia alla stessa
altezza della gelosia. Intascò le
mani nei jeans e allungò il passo per raggiungere il gruppo.
-Pensavamo
di scendere in centro per andare a farci un hamburger e una birra tutti
assieme. Charles ha detto che c’è un posto dove
andare a ballare, più tardi.
Brian
annuì senza ascoltarlo davvero. Stefan se ne accorse e
sbuffò, richiamando la
sua attenzione su di sé.
-Che
c’è?!- sbottò il cantante stizzito,
allargando gli occhi.
-C’è
che faccio prima a scriverti una cartolina se voglio parlarti!- ritorse
nervosamente il bassista.
-Non
dire stronzate…
-Non
dico stronzate, Brian! E’ da stamattina che praticamente non
caghi né me né
Steve e passi tutto il tempo con quella testa di cazzo di Eric!-
replicò
Stefan, seccamente.
Brian
si innervosì.
-Sei
geloso, Olsdal? Non mi parevi particolarmente dispiaciuto mentre facevi
la
checca in calore con Tecofski.- lo
aggredì prontamente.
Stefan
si fermò al centro del corridoio. Brian due metri
più
avanti. Si voltò. Lo sguardo del bassista era sinceramente
ferito. Sinceramente era un
avverbio che su
Stefan stava drammaticamente bene e questa era una cosa che mandava
Brian in
bestia in modi paurosi. Odiava il fatto che Stefan fosse sempre sinceramente qualcosa; avrebbe preferito
averlo decisamente più stronzo e meno sensibile alle sue
parole.
-Adesso
non cominciare!- provò a scuoterlo, sollevando gli occhi
al soffitto in modo teatrale.
-…sei
proprio una merda.- chiosò Stefan freddamente.
In
due passi lo aveva superato. Brian sospirò pesantemente
osservando la sua schiena allontanarsi lungo il corridoio.
-Stef.
Piantala di fare la femmina mestruata!- lo richiamò
svogliato.
Quando
non ottenne alcuna risposta, si strinse nelle spalle.
‘Fanculo! se la sarebbe fatta passare o al diavolo!
Afferrò
la maniglia della porta della propria camera tirando con
forza mentre ancora la chiave era nella toppa. Per poco non la
spezzò
all’interno della serratura. Si lasciò scappare
una bestemmia, poi sbatté
violentemente il battente alle proprie spalle e scalciò via
le scarpe,
camminando a piedi nudi sulla moquette rossa. Stava ancora sbuffando
stizza e
cercando di stabilire se volesse o meno concedersi una doccia quando
sentì
bussare delicatamente. Convinto fosse Stefan in preda al pentimento
spalancò la
porta con un sorriso enorme e vittorioso sul volto.
Lo
sguardo profondo e calmo di David lo inchiodò
sull’uscio,
raggelandogli il sangue come una doccia fredda.
Era
troppo che non si trovavano così vicini. Brian
avvertì il
profumo costoso dell’altro investirlo e si sentì
improvvisamente inadeguato nei
propri jeans neri e maglietta corredata da una scritta stupida e
infantilmente
provocatoria. Cercò in fondo al proprio stomaco un
po’ di coraggio e fece
sparire il sorriso, per rivestirsi di una strafottenza ostentata che,
in parte,
rifletteva la delusione che realmente provava in
quell’istante.
-Ah.-
scoccò blando.- Sei tu.
La
constatazione asettica fu accompagnata dallo scivolare delle
dita lungo la maniglia. Brian si fece indietro con indifferenza
studiata, lasciando
la porta aperta e camminando all’interno della camera
ignorando volutamente
l’altro. Gli occhi di David gli bruciavano la schiena ad ogni
passo, ma
resistette all’impulso di voltarsi, accontentandosi di
avvertire “a pelle” che
lui era ancora lì.
Quando
il battente si richiuse con un click soffocato ne fu
certo e si girò.
-Brian.-
lo salutò David accondiscendente ai suoi modi
capricciosi.
-Dave.-
soffiò lui, accomodandosi sul piano della scrivania
accostata al muro opposto.
Aspettò,
senza desiderare rendergli in alcun modo il compito più
facile.
La
sua unica mancanza, si disse, fu il lasciarsi sfuggire
un’inappropriata occhiata al letto a due piazze che
troneggiava di fianco a
loro: David seguì il suo sguardo e Brian ebbe il sospetto
che la sua
espressione assumesse una sfumatura divertita che non gli piacque
affatto.
Fu
solo un istante, comunque. Quello successivo i loro sguardi
si sostenevano con una tranquillità meramente apparente.
-Solo
Brian…intendo Eno, mi chiama “Dave”-
osservò Bowie
pigramente.
Un
sorriso a mezzo incattivì l’espressione del
più giovane.
David lo ignorò e ignorò anche la circostanza che
la propria notazione fosse
caduta nel vuoto.
-Come
vi trovate?
-Benissimo,
grazie.- ribatté Brian, pronto ed impeccabile.
-Ne
sono felice.
-E’
reciproco.
Silenzio.
David
Bowie si spostò nella camera, raggiunse il salottino in un
angolo, scostò la poltrona e si accomodò. Brian
gli ruotò addosso lo sguardo
senza perderlo di vista un solo istante.
-Mi
ha detto Levi che state lavorando molto bene assieme.
-Molto.
-Trovo
che siate stati incredibili in Italia.
-Troppo
buono.
-Intendi
continuare a lungo?
-A
fare cosa?
L’ingenuità
perfetta nel porre quell’ultima domanda strappò a
Bowie una risata istintiva e genuina. Il modo di Brian di scivolare tra
le
espressioni con naturalezza ma, allo stesso tempo, con tanto
esibizionismo era
sconvolgente, incredibile. Lo trovava una delle cose più
affascinanti con cui
avesse mai avuto modo di interagire.
-Ero
venuto ad invitarti a cena.
-A
cena…- ripeté Brian senza fare
alcunché per incoraggiarlo
neppure stavolta.
-Sì.
Solo noi due, s’intende.
-Oh!-
Una “o” meravigliosamente tonda atteggiò
quella boccuccia
pronunciata che, perfino senza rossetto, manteneva intatta la propria
carica di
malizia sfrontata. Gli occhioni sbatterono le ciglia lunghe e nere un
paio di
volte, poi Brian sorrise.- Quel
tipo
di cena.- considerò.
Cercò
in tasca le sigarette, lasciando a David il tempo di
soppesarlo con lo sguardo, libero dall’essere a sua volta
sottoposto allo
stesso esame: in qualche modo, questo costituiva un punto per Brian e
Bowie lo
sapeva.
-Se
dicessi di no?
-Allora
non saprei davvero cosa
dovremmo fare a cena da soli, io e te.- rispose seccamente lui,
sollevando la
testa troppo rapidamente per essere davvero indifferente alla cosa come
tentava
di mostrarsi.
Ogni
tanto dimostrava ancora la propria inesperienza.
-Parlare.-
ribatté David scrollando le spalle.
-Parlare!-
ripeté Brian ironico.- Non hai avuto molto da dirmi
da quando siamo partiti.
-No,
infatti.- assentì quietamente l’altro.
Brian
avvampò. Non voleva farlo, ma all’improvviso la
gelosia e
l’orgoglio ci si erano messi di mezzo in modo non previsto.
-Bene.
Felice di sentirtelo dire!- sibilò rabbioso.
David
non si lasciò impressionare, affrontando con
tranquillità
il suo sguardo.
-C’è
qualcosa che non va, Brian?- lo interrogò.
L’autorità
nel suo tono, sebbene pacato, era tale che Brian si
sentì nuovamente un moccioso inadeguato. Quella sensazione
bastò a strozzargli
in gola le parole velenose che un attimo prima stava pensando e che,
invece, si
trasformarono in un nervoso mordicchiare di labbra ed un biascichio
stizzoso ma
ammansito.
-No.
Niente.- Si prese qualche momento prima di capitolare, ma
lo fece perché, in realtà, non desiderava altro.
David
Bowie lo tirò d’impaccio intervenendo prima che si
dovesse
arrendere esplicitamente.
-Quindi…mi
permetterai di invitarti a cena?- insistette
galantemente.
-Quel
ragazzino va addomesticato.
-Non
è un gatto randagio!
David
considerò seriamente l’osservazione di Eno prima
di
rispondere. Osservò l’altro versarsi da bere da
una bottiglia sfaccettata,
accomodato tronfio dietro il bancone del mobile bar che troneggiava nel
salotto
della suite.
La
stanza di Bowie aveva le dimensioni di un appartamento e lo
sfarzo di una reggia, ma la cosa più incredibile di tutte
era l’assoluta
mancanza di interesse che l’occupante di quella camera
mostrava per tutto
questo. Se fosse stato per David avrebbe scelto una camera molto
più modesta.
-In
un certo qual senso…- ridacchiò alla fine.
Eno
gli scoccò uno sguardo da sopra l’orlo del
bicchiere. Il
whisky scivolò rapido giù per la gola, bruciando
la lingua e il palato;
riscaldò la pancia ma provocò anche una fitta
bruciante, rammentandogli che
l’ora di cena si avvicinava e che lui non mangiava da troppo
per potersi
concedere di bere.
-Perché
sei così ostile verso di lui?- indagò David
pacatamente.
-Perché
non ha alcun talento.- fu la risposta pronta del
produttore.
-Io
penso che tu lo stia valutando superficialmente, che ti stia
facendo condizionare da quello che vedi senza capire che ha un
significato più
profondo di quanto appare…
-Dave!-
soffiò affranto Eno. Posò il bicchiere prima di
finirne
il contenuto, l’acidità di stomaco era veramente
troppa per voler tentare la
sorte.- Parliamoci chiaramente.- invitò, mani aperte contro
il piano di radica
del mobile bar.- E’ un tuo clone mal riuscito. Ci sono
centinaia di mocciosi
come lui pronti a vestirsi di strafottenza e tutine con le paillettes.
Non ci
vuole molto a cantare quanto si è trasgressivi quando sei
certo che questo ti
farà guadagnare rapidamente un posto nel cuore di tanti
ragazzini insicuri.
-Non
mi imita affatto!- osservò David sinceramente stupito,
sollevando le sopracciglia su un’espressione perplessa che
strappò una risata
all’altro.
-Ti
prego!- ironizzò Eno.
-Non
mi credi?
-Guardalo,
Santo Cielo! Posso capire che i tuoi sensi
siano…confusi, ma Dio,
Dave!
-Non
tutto ciò che è ambiguo è
riconducibile a me.- osservò
Bowie con una punta di stizza autentica nel tono.
Eno
si chiese pigramente se non avesse esagerato, finendo per
offendere l’amico. Valutò la cosa mentre si
spostava verso il salottino, in
mano un portasigarette d’argento da cui estrasse una
sigaretta preparata a
mano, la posò tra le labbra ma si prese tempo prima di
accenderla. Trovò posto
tra i cuscini multicolore di un divano foderato di seta verde e
sollevò gli
occhi sull’altro, che sostava pigramente di fianco ad una
finestra ampia,
braccia al petto, attendendo di capire come si sarebbe ulteriormente
evoluta la
discussione.
-Che
cos’è che ti affascina tanto di lui?- decise di
ritorcergli
contro il produttore.
Bowie
sollevò le sopracciglia, stupito dalla domanda ma anche
dal non saper fornire una reale risposta. Su questo Eno aveva ragione,
in
qualunque altra circostanza l’accordo tra lui e il ragazzino
sarebbe già stato
saldato mentre con Brian Molko David non provava alcuna fretta di
riscuotere la
sua parte. Ed effettivamente, ci teneva che i Placebo facessero la loro
figura
sul palco e che riuscissero a strappare l’ombra di un
consenso anche all’ottuso
amico che sedeva nel suo salotto.
-Cosa
c’entra questo, adesso?!- borbottò contrariato,
senza
rispondere.
-Vorrei
capire quanto sei condizionato nel valutare questa
situazione…- fu la quieta ammissione di Brian Eno.
-Oh,
Santo Cielo!- sfiatò Bowie.
-Dave.
Non ti sto impedendo niente, ho accettato che li portassi
con noi anche se mi è sembrato eccessivo, ma non capisco
davvero cosa tu riesca
a vedere in loro.
-In
lui.- corresse David spiccio.
-…in
lui.- gli concesse l’altro.- Cerco solo di capire se
davvero mi sto sbagliando.
-Temo
sia troppo complicato.
-Quello
che è complicato si vende molto male!- ironizzò
Eno
ridacchiando e rilassandosi all’indietro contro lo schienale
del divano.-
Dovresti rifletterci.
David
Bowie annuì. Ciondolò fino al centro della stanza
e da lì
al mobile bar, dove indugiò davanti alla bottiglia di
whiskey ancora aperta.
Stabilì che poteva aspettare che si facesse più
tardi e tornò a guardare
l’altro.
-E’…un
controsenso. E’ tutto un controsenso, in lui. E’
come se
nascondesse in bella vista tutto quello che vorrebbe che gli altri non
trovassero mai e poi mai, il suo io più vero.-
mormorò con difficoltà
evidente.- Sto ipotizzando!- esclamò subito dopo, quasi a
ritrattare la
profondità della sua prima analisi. Gesticolò nel
farlo, giocando
distrattamente con il tappo a diamante della bottiglia sfaccettata: era
brutto.- Ne so quanto ne sai tu o chiunque altro, su di lui, e posso
assicurarti che non è facile superare quella barriera
di…come l’hai definito?-
sghignazzò divertito, ritrovando in un momento la
complicità e l’intesa con la
sua controparte razionale; anche Eno si concesse una risatina.-
“un ragazzino
vestito di strafottenza e paillettes”! Beh,- riprese
muovendosi anche lui verso
il salottino per accomodarsi a sua volta- sono convinto che ci sia
altro oltre
le paillettes e sono curioso di vedere cos’è.
Brian
Eno accese la sigaretta e fece il primo tiro, godendosi il
voluttuoso piacere del fumo caldo che scendeva lungo la gola. Lo
fissò di sbieco,
sornione, deciso a non lasciargli il campo senza averlo preso in giro
– e in
contropiede – almeno un po’.
-Ammetti
che quello che vuoi…scoprire
si trova sotto il vestitino nero che gli hai visto addosso la prima
sera.-
pretese.
David
rise. Ma non rispose affatto.
Come
per il loro primo incontro, la soluzione che David Bowie
aveva adottato implicava il giusto grado di riservatezza. Il ristorante
era
lussuoso quanto basta ma non troppo famoso e, comunque, frequentato da
una
clientela che non aveva alcuna attitudine al jet-set. Il locale era
dotato di
un grazioso giardino d’inverno, nascosto nella parte
più interna della sala,
che era stato interamente riservato all’illustre ospite e la
cui unica porta di
accesso era rigorosamente sorvegliata da un omone in abito scuro che
Brian
riconobbe all’istante: Jeff, il corpulento autista di Londra.
Evidentemente,
anche in tour Bowie preferiva non rinunciare alla discrezione di un
personale
rigidamente selezionato e, quindi, fidatissimo.
Il
bestione lo accolse con un cenno del capo a mo’ di saluto.
Brian fu indeciso se rispondergli, per mera cortesia, ma
mancò i tempi quando
l’altro si affrettò ad aprirgli la porta per farlo
passare. Così rinunciò a
sembrare meno scortese e s’infilò attraverso il
battente.
Il
giardino d’inverno era completamente chiuso; su tre lati era
circondato
da serre trasparenti, strette, in cui fiorivano orchidee fuori stagione
e
banani di dimensioni ridottissime. Un unico tavolo apparecchiato era
appoggiato
contro una delle serre; le porcellane, i cristalli, le posate, la
biancheria…tutto aveva la stessa compostezza, elegante e
sobria. David Bowie
era in piedi e gli dava le spalle, sostando vicino ad una colonna che
reggeva
un unico vaso in cui un ciliegio bonsai sfoggiava fiori rosa
decisamente in
anticipo sui tempi. Le mani dell’uomo erano intrecciate
dietro la schiena,
arricciando sui muscoli tesi, leggermente piegati in avanti per
permettergli di
annusare il ciliegio, le code di una giacca dal taglio formale ma
realizzata in
un tessuto di un grigio cangiante. Se si era accorto
dell’arrivo di Brian,
David lo mascherò bene, rimanendo in quella studiata posa
per il tempo
sufficiente al più giovane a riempirsi gli occhi di lui e
sentire il proprio
corpo prendere dolorosamente coscienza dell’attrazione che
esercitava.
Brian
si obbligò a riprendere in fretta il controllo di nervi e
sensi e, quando David Bowie si voltò, il suo viso era una
maschera impassibile
ed indecifrabile come sempre.
L’uomo
più anziano sorrise.
Brian
si accorse che era stato attento a curare tutti i
particolari del proprio aspetto. Appariva riposato, in forma, rilassato
e, in
accordo a quanto li circondava, sufficientemente elegante pur
nell’estrosità
dell’abbigliamento. Sciolse le mani ed allargò un
braccio, cedendogli con un gesto
galante il passo per prendere posto al tavolo.
-Sono
felice che tu abbia accettato di cenare con me,- esordì
banalmente il suo ospite quando si furono entrambi seduti.- anche se
sospetto
di averti contrariato in qualche modo…- suggerì
dopo con casualità studiata.
Brian
valutò la possibilità di rispondergli
sinceramente e
dirgli quanto fastidio provava nell’essere trascurato e
lasciato da solo in
mezzo “alla marmaglia”. Poi giudicò che
sarebbe stato troppo infantile perfino
per lui e non voleva, comunque, dargli la soddisfazione di sapere
quanto poco
gli ci volesse per ferirlo. Quindi non rispose affatto.
David,
chiaramente, non insistette. Il resto della loro
conversazione si svolse in piacevoli facezie e disquisizioni
superficiali
riguardo il lavoro, il tour, i colleghi…
La
cena fu servita senza che nessuno venisse a prendere le loro
ordinazioni. Brian immaginò che l’altro avesse
dato disposizioni su ciò che
avrebbero mangiato quando aveva prenotato la sala e si
limitò a gustare le
portate che gli venivano servite da silenziosi camerieri in livrea.
Ogni
piatto, squisito esempio della migliore cucina francese, era
accompagnato da un
vino adeguato e Brian fece il tragico errore di non prendere esempio
dal
proprio ospite e di dedicarsi con maggiore devozione al vino di quanto
non fece
con il cibo.
Per
la fine della serata era drammaticamente brillo, ma,
insolitamente per i suoi standard, l’alcool aveva avuto lo
spiacevole effetto
di intontirlo senza trasmettergli neppure un po’ della solita
euforia malsana che
accompagnava le sue sbronze.
David
lo guardò mentre finiva in pochi sorsi una coppa di
champagne che aveva accompagnato fragole provenienti da
chissà quale clima più
mite di quello nord europeo. Il viso arrossato e accaldato, gli occhi
liquidi e
brillanti…si rese conto di quanto Brian apparisse
più giovane perfino della
propria età e di quanto potesse risultare visivamente
fragile, in un eco
sincera di un Io che aveva crepe enormi a renderne instabile la
superficie.
Per
un attimo quella sera era stato tentato di reclamare il proprio
pagamento. Era
certo che non avrebbe incontrato alcuna ritrosia, aveva fatto in modo
che Brian
si sentisse corteggiato, lusingato e coccolato come era giusto che
fosse. Era
certo, anche, che il più giovane fosse sinceramente attratto
da lui. In questo
momento, tuttavia, David non provava che un ricordo sbiadito del
desiderio con
cui lo aveva accolto ore prima al suo arrivo a quella cena.
Sapeva
che il mutare dei propri sentimenti non dipendeva dal fatto che lo
trovasse
meno desiderabile o bello. Né da un improvviso scrupolo di
coscienza ad
approfittarsi di lui in un momento in cui non fosse stato completamente
padrone
di sé: Brian non era così
ubriaco da
non essere in grado di decidere se volere o meno qualcosa.
…per
cui…la sua decisione doveva dipendere da altro. Ma cosa? Questo non era completamente
capace di stabilirlo.
Sapeva
anche che avere Brian davanti a sé che rispondeva
svogliatamente alle sue
domande e appariva assente, frastornato, malinconico gli pungeva
fastidiosamente
la bocca dello stomaco. Avrebbe voluto vederlo sorridere. Sorridere
davvero.
Era curioso di scoprire che colore prendessero quegli occhi cangianti
quando li
rischiarava una luce autentica, spontanea. Inoltre si sentiva
stupidamente
protettivo.
“E’ la vecchiaia, mio
caro”, si prese in
giro mentalmente, terminando anche lui lo champagne nel proprio
bicchiere.
-Hai
mangiato pochissimo.- osservò d’impulso dopo aver
posato rumorosamente la coppa
sul tavolo. Brian si voltò sorpreso a ricambiare il suo
sguardo; David per
primo fu stupito di come il proprio tono fosse risultato
fastidiosamente
giudicante. Smorzò la cosa assumendo i modi affabili e
lusinghieri di sempre e,
sorridendogli, aggiunse quietamente – Devo dedurre che tu non
abbia gradito…
-Era
tutto squisito.- ammise Brian, invece.
David
aspettò per capire se avrebbe giustificato in qualche modo
il proprio
comportamento, allora. Ma il ragazzo non aggiunse una parola di
più.
Evidentemente,
quando si addentrava su sentieri che avvertiva scoscesi, stava anche
attento a
non esporsi troppo. Si chiese di quanti strati potesse essere
costituita la
corazza che Brian indossava per tenere lontano il mondo e si disse
anche che,
per quanti strati fossero, doveva essere abbastanza facile arrivare a
ferirlo
lo stesso. Solo che poi, quando
sanguinava, non ti dava modo di accorgertene e non ti dava modo di
medicarlo…
-…cos’è
che ti disorienta?- provò a chiedere. Lo fece in modo
incerto, la sua voce si
mantenne incredibilmente bassa, quasi avesse paura che anche solo la
domanda
bastasse a far scappare la creatura che aveva davanti a sé.
Ma
Brian non scappò.
Rimase
seduto composto al proprio posto, lo sguardo basso sulle bollicine
rimaste
incastrate sul fondo del bicchiere e le dita che giocherellavano
distratte con
lo stelo sottilissimo.
-Perché
dovrei risponderti?- ritorse velenosamente, all’improvviso.
Gli alzò gli occhi
addosso, incattivito.- Si può sapere cosa vuoi da me?-
sbottò allo stesso
modo.- Perché siamo qui?! Che diavolo
stiamo facendo?
David
aprì al bocca per rispondergli ma il suono sferzante della
risata sarcastica di
Brian gli fece morire quella risposta sulle labbra.
-Oh
sì, certo!- lo prevenne ironicamente.- Stiamo cenando.-
motteggiò.- E parlando,
anche!
Bowie
gli ricambiò lo sguardo, glaciale. Non ribatté
subito. Aspettò che Brian si
calmasse, che ritornasse in sé e si rendesse conto che,
probabilmente, aveva
appena varcato una sottile linea di confine che non gli era permesso
superare.
Brian
dovette capirlo. Lasciò perdere il bicchiere e smise di
inveirgli contro, ma
non chiese scusa. Chiedere scusa sarebbe stato troppo per lui.
-Direi
che siamo entrambi molto stanchi.- chiuse la serata David Bowie.
Posò il
tovagliolo appallottolato sulla tavola.- Jeff ti
accompagnerà in hotel. Io
preferisco rientrare a piedi e approfittarne per fare una passeggiata e
schiarirmi le idee. Immagino di aver bevuto troppo.
Non
aspettò la sua replica. Si stava alzando già
mentre lo informava degli
immediati programmi. Brian lo seguì con lo sguardo quando,
senza voltarsi, lasciò
la sala sfilando a passo svelto e composto di fianco al tavolo.
Bene,
era appena riuscito a tirare un poderoso calcio a quella che
presumibilmente
sarebbe stata la più grande botta di fortuna della sua vita.
Sospirò.
Ora doveva trovare la voglia di alzarsi anche lui e tornare in albergo.
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Capitolo 4 *** 3 ***
Sei
come porcellana.
Fragile e bianca.
14
Febbraio 1996
Zurigo
(Svizzera) – Hallenstadion
I
fan sembravano impazziti. Avevano ricoperto il palco di stupidi
pupazzetti di
peluche. Erano dappertutto!
Brian
guardava David mentre salutava e ringraziava il proprio pubblico:
sorriso
smagliante, inchino profondo, quell’attimo di commozione che
appariva quasi
sincero. Fece perfino lo sforzo di raccogliere un paio di quei
giocattoli
inutili da terra, ignorando elegantemente i molto più
appetibili reggiseni in
pizzo che spuntavano qua e là. Un altro inchino, si
voltò dopo aver presentato
la band con un ampio gesto delle braccia e lasciò
rapidamente la scena a loro e
ai tecnici venuti a smontare l’attrezzatura.
Brian
lo vide sfilare in direzione dei camerini.
Si
lasciò scappare una smorfia. Dalla cena a Lione, quattro
giorni prima, loro due
non si erano più visti o parlati. L’unico dato
positivo era stato che anche Eno
sembrava aver perso interesse in Brian e la sua band e li lasciava
lavorare in
pace. Con l’aiuto di Levi, il terzetto dei Placebo aveva
raggiunto un ottimo
livello di esibizione e la risposta del pubblico era andata migliorando
di
spettacolo in spettacolo. Lione, Ginevra e, quella sera,
Zurigo… Stefan aveva
superato la ritrosia iniziale per quel tour e si era lanciato a
capofitto nel
lavoro, impegnandosi con un entusiasmo che aveva travolto in fretta
anche
Steve.
Brian
rispondeva con più svogliatezza; ai concerti continuava a
preferire gli after
show e la compagnia di Eric e delle sue “scorte
personali”, elargite sempre con
una certa generosità, e in un paio di occasioni si era
ritrovato chiuso in
bagno, prima o subito dopo l’esibizione, a vomitare per il
nervosismo che gli
attanagliava lo stomaco.
Adesso
stabilì di potersi concedere una sigaretta prima di
raggiungere gli altri alla
discoteca dove si sarebbe tenuta la festa di quella sera.
Uscì indisturbato sul
retro del palazzetto e si appoggiò ad uno dei camion del
tour, al riparo dagli
occhi della piccola folla di curiosi che, lì fuori,
attendeva l’uscita del
proprio idolo. Brian sapeva che Jeff avrebbe portato via David
utilizzando una
strada alternativa, la sicurezza che sorvegliava
quell’ingresso era uno
specchietto per le allodole; gli venne l’infantile desiderio
di andare da quei
ragazzi e spiegare loro come raggiungere Bowie. Sorrise.
-Cosa
c’è da ridere?
Brian
si voltò.
Poco
più a sinistra, vicino a lui, un’ombra filiforme e
più scura si nascondeva,
accucciata al suolo, nell’ombra tozza del rimorchio.
Qualcosa
si allungò nella sua direzione, la pelle pallida di un polso
balenò nello
spazio illuminato di fianco al camion, una cicatrice quasi trasparente
segnava
il punto in cui quel polso si congiungeva ad una mano lunga, che si
aprì con il
palmo rivolto nella sua direzione.
-Offrimi
una sigaretta.- ordinò la stessa voce di prima.
Brian
rimase interdetto.
Era
una ragazza. Doveva essere anche abbastanza giovane, perché
la sua voce era
fresca e pulita. Ma c’erano nel suo tono una
perentorietà ed una sicurezza che
lasciavano poco spazio ad esitazioni. Si ritrovò a mettere
mano alla tasca dei
jeans ed al pacchetto quasi senza rendersene conto.
-C’è
da ridere- rispose avvicinandosi a lei per offrirle quanto richiesto.-
che
resteranno a prendersi freddo lì fuori per niente.
-Oh,
lo sanno.- ritorse lei quietamente. Le dita spettrali afferrarono con
delicatezza il filtro, sfilando la sigaretta dal pacchetto con grazia.
Poi la
mano tornò a sparire nel buio fitto.- Non è
importante.- aggiunse.
Brian
fece scattare l’accendino. Quando lo avvicinò a
lei, intravide un volto
allungato, capelli nerissimi e lisci, occhi di un colore indecifrabile
che lei
socchiuse rapidamente impedendogli di leggere la sua espressione.
Avvicinò le
labbra dal rossetto nero, già ornate dalla sigaretta, alla
fiammella
tremolante, accese e spirò il primo tiro quasi nello stesso
momento.
Lui
spense l’accendino e lei scomparve di nuovo.
-Sei
una groupie?- chiese sfrontatamente.
-Che
cos’è? un club segreto per adepte del cazzo e
della chitarra?- ribatté lei. Il
tono asettico svuotava le sue parole di qualsiasi volgarità.
Poi,
lui non era certo il tipo che si scandalizzasse per così
poco! Si appoggiò con
la spalla al rimorchio del camion e appuntò lo sguardo nella
sua direzione.
-No,
era solo un modo per capire se sarei riuscito a scoparti.-
confessò in tono
piano.
-Per
una sigaretta, mi pare un po’ eccessiva come richiesta.
Non
sembrava offesa.
Brian
finì di fumare e schiacciò il mozzicone sotto la
suola degli anfibi.
-Comunque,
sembri più te il tipo che preferisce cazzo e chitarra.-
commentò lei blanda.
Lui
rise ma non la smentì.
David
Bowie fumava seduto in un angolo del privè che gli era stato
riservato. Dalla
sua posizione poteva sorvegliare quasi per intero la sala davanti a
sé e
sicuramente aveva libera visuale sull’ingresso e sulla pista
da ballo. Aveva
già individuato da un po’ il batterista dei
Placebo che si scatenava in pista
con un paio di ragazzine di almeno dieci anni più giovani di
lui e, dopo
qualche minuto, aveva intercettato anche il bassista, seduto come lui
in un
angolo del locale, beveva nervosamente e fissava con ansia evidente il
lungo
corridoio che portava alla hall all’ingresso della discoteca.
Evidentemente non era l’unico a
stare aspettando…
Sbuffò
il fumo. Fece girare la sigaretta accesa sull’orlo del
bicchiere, la cenere
cadde nei resti del suo mojito. La rossa che gli sedeva affianco disse
qualcosa
di spiritoso che sentì solo in parte, rise piano per
educazione, socchiudendo
gli occhi. Quando tornò ad aprirli sulla sala, era tutto
uguale a prima; la
rossa parlava con Eno e lui incrociò di nuovo nel proprio
campo visivo la
figura lunga e magra del bassista dei Placebo.
Era
stato sinceramente indeciso su come comportarsi con Brian Molko per
giorni.
La
loro ultima conversazione gli aveva fornito elementi in più
su di lui, ma gli
aveva anche detto molto su di sé e sull’interesse
che provava. Con quel
ragazzino era fin troppo facile perdere il controllo. Quando lo aveva
visto la
prima volta e, cautamente, gli si era avvicinato in una progressione
lenta,
David era convinto che Brian Molko sarebbe stato il gioco stuzzicante
di
qualche settimana, forse un paio di mesi. Il fascino che
l’altro esercitava –
innegabile – lo rendeva una preda appetibile e, senza dubbio,
da non poter
liquidare con una scopata veloce come avrebbe voluto Eno. Ma
sicuramente,
quando aveva iniziato a corteggiarlo, la sua attenzione per
l’altro non si
spingeva oltre una sana curiosità ed un indiscusso
desiderio.
Dopo
quell’ultima cena “di coppia”, invece, si
sentiva molto più che curioso.
Provava l’impulso fastidioso di conoscere qualcosa in
più della vita dell’altro.
Quell’istinto di protezione che aveva avvertito la sera della
cena e
qualificato come un seccante strascico dell’età
non era sparito come avrebbe
voluto. Se si era tenuto a distanza di sicurezza da Brian, del resto,
era stato
soprattutto per fare chiarezza con se stesso; temeva un po’
che cercare di
schiarirsi le idee sarebbe stato impossibile con quegli occhi cangianti
fissi
nei suoi e pronti a giudicarlo ad ogni minimo errore…
La
rossa si stava alzando e con lei la buona parte dei suoi
“invitati”. David
rivolse loro brevi cenni di saluto e sorrisi vuoti, di circostanza,
tornando
subito a scrutare con avidità la figura magra e nervosa di
Stefan Olsdal in
lontananza. In pochi minuti lui e Brian Eno rimasero soli, con la
compagnia
esclusiva l’uno dell’altro e di una bottiglia di
brandy semivuota.
-Che
succede?- lo interrogò immediatamente il produttore,
intuitivo come sempre.
David
storse il naso, stizzito. Per una volta avrebbe preferito non avere con
lui
tanta familiarità. Si voltò a guardarlo per
scoprirlo impegnato a versare da
bere ad entrambi.
-La
tua preda è scappata?- ridacchiò ancora Eno. Gli
porse il bicchiere pieno con
un’occhiata di paziente attesa, accettando implicitamente che
lui non
rispondesse alla sua domanda.
E
questo lo convinse che non c’era nulla di male ad essere
sincero.
-Non
ne ho idea!- sbuffò senza celare affatto il proprio
malcontento.- Non l’ho
visto da quando è finito lo show…
-Pare
che sia uscito a fumare. Un paio di ragazzi lo hanno visto andare via
con
Emily.- lo informò l’altro.
David
non fece nulla per mascherare la sorpresa.
-Con
Emily?- ripetè, sillabando quel nome come se avesse
difficoltà a pronunciarlo.-
E chi gli ha presentato Emily?
-Non
c’è stata alcuna necessità di
presentarli. Il tuo ragazzetto è perfettamente in
grado di rimorchiare da sé una groupie, non ha bisogno di
assistenza al
riguardo.- Eno finì in un sorso solo il proprio brandy,
facendo poi roteare nel
bicchiere i resti di un paio di cubetti di ghiaccio mentre studiava
attento le
reazioni sul viso dell’amico.- Peraltro, se ce ne fosse stata
necessità,
immagino che Eric avrebbe provveduto a fare le dovute presentazioni.-
aggiunse.
Lo
stupore di David si trasformò in qualcosa di molto simile a
rabbia trattenuta.
-…Eric.-
sfiatò basso.
-I
vizi del ragazzino sono del tipo che Eric ama.- spiegò Eno.
-Come
mai sei così informato?- scoccò gelido Bowie.
-Perché,
a differenza tua, tengo occhi e orecchie aperti riguardo Molko.
David
si raddrizzò sulla poltrona, così da fronteggiare
lo sguardo dell’altro.
-E
perché non hai ritenuto di dirmi prima queste stesse cose?
-Perché
non sembravi interessato a conoscerle e perché, comunque,
non ritengo utile per
te curarti troppo di quel ragazzino.
-Questo
dovresti lasciarlo decidere a me.
-Che
è il motivo per cui mi sono deciso a dirtele.
Un
silenzio pesante e rancoroso scese tra i due a quell’ultima
affermazione. David
spostava lo sguardo da Eno ad Olsdal, indeciso su come comportarsi.
Capiva fin
troppo bene che l’amico si era mosso nel suo esclusivo
interesse e che non
sbagliava nel dirgli di non stare troppo vicino a Brian ed alla fonte
inesauribile di guai che sembrava rappresentare.
Ma
forse era un po’ troppo tardi per porsi il problema.
Posò
il bicchiere di brandy senza averlo toccato e si alzò in
piedi, battendo
rumorosamente le mani contro le cosce fasciate dai jeans chiari e
sdruciti. Eno
lo osservò attraversare a grandi passi la sala da ballo,
fendendo una folla
che, adorante, gli si stringeva addosso ma non osava nemmeno sfiorarlo.
Lui
sorrideva a tutti, vuoto e falso ma apparentemente così
partecipe da lasciarli
incantati, ed il produttore si ritrovò ad ammirarlo per
l’ennesima volta. Era
un’incredibile bestia da palcoscenico, quell’uomo!
David
Bowie approdò incolume di fianco al separé che
ospitava parte dei musicisti del
suo show e vide gli occhi enormi e stupiti di Stefan sollevarsi ad
incrociare i
suoi.
-Stef,
giusto?- chiese educatamente.- Ti va di fare due chiacchiere?
-E
così sei una groupie.
A
differenza di qualche ora prima, stavolta non era una domanda.
Lei
rise.
Brian
aveva scoperto, con la luce dei lampioni per strada, che aveva capelli
nerissimi, che era magra, alta e spigolosa – più
alta e più spigolosa di lui – che aveva
poche tette, che vestiva
di jeans, che lo smalto sulle unghie era screpolato come il suo dopo un
concerto, che il rossetto nero aveva un sapore orrendo, che il suo
corpo era
sempre teso, come se dovesse spiccare un salto, anche quando lo
accarezzavi,
che le sue gambe ti si attorcigliavano attorno ai fianchi e sembravano
volerti
stritolare. Ma queste ultime cose le aveva scoperte in ascensore mentre
salivano nella sua camera. E poi le aveva confermate a letto.
Non
aveva scoperto come si chiamava.
-E
tu sei un musicista.- ritorse lei.
-Non
ero un adepto di cazzo e chitarra anche io?- sorrise Brian, cattivo.
La
cosa che più gli piaceva era che lei riusciva a sostenere il
suo sguardo senza
esserne minimamente impressionata. Negli occhi azzurrissimi che lo
affrontavano
non c’era niente. Non c’era ammirazione,
né soggezione, né curiosità. Erano
disinteressati. Lo guardava come avrebbe guardato un programma noioso
alla
televisione, senza prestargli alcuna attenzione.
Si
chiese perché fosse andata a letto con lui, ma non fece lo
sforzo di domandarlo
a lei perché era certo che non avrebbe ottenuto risposta.
-Le
due cose non si escludono. E tu lo sai bene.- disse lei.- Offrimi
un’altra
sigaretta.- ordinò poi.
Brian
ubbidì silenziosamente, esattamente come aveva fatto solo
qualche ora prima. Si
allungò oltre il bordo del letto e cercò tra i
propri vestiti fino a trovare i
pantaloni e, nella tasca, il pacchetto e l’accendino. Le
porse entrambi.
Lei
si rigirò tra le coperte, assestandosi con la schiena contro
la spalliera del
letto. I capelli, leggermente arruffati, umidi, ricaddero a ciocche sul
suo
petto nascondendo i capezzoli scuri. Posò il filtro tra le
labbra, accese e
fece un tiro, passandogli poi la sigaretta che Brian
accettò. Poi accese per
sé. Il pacchetto e l’accendino furono posati sul
comodino di fianco al letto,
lei guardò la punta della sigaretta bruciare e fece il
secondo tiro.
-Come
mai eri nel backstage?
-Che
cazzo di domanda è?- piatta.
Brian
si corresse.
-Chi
ti ha fatto entrare?
-Mi
fanno entrare tutti. David ha detto loro che io posso andare dove
voglio.
Silenzio.
Lei
si voltò verso di lui.
-Sei
stupito?
-…un
po’.
-Non
sei l’unico ad avere qualcosa che gli interessa.
-Non
ho mai pensato di esserlo.
Lui
aveva di nuovo perso interesse agli occhi di lei. La osservò
sbuffare una
nuvola densa con voluttà, assaporava il fumo come non aveva
assaporato i suoi
baci mentre scopavano. C’era qualcosa di incredibilmente
attraente in lei…
-Come
hai fatto?
-A
fare che?
-A
farti desiderare da lui.
Per
la prima volta gli occhi di lei lo videro davvero. Lo fissò
con un misto di
curiosità autentica e di derisione bruciante, ma lo vide.
Brian la osservava da
sotto in su, steso su un fianco, la mano a sorreggere la testolina
bruna e la
sigaretta abbandonata lungo il fianco coperto dal lenzuolo.
-Che
vuoi dire?
-Che
non lo capisco.- ammise Brian piano, a voce bassa.- Che non so cosa
voglia.
-Perché
te lo chiedi?- ritorse lei.- Non dovrebbe interessarti.
Brian
non ribatté. Effettivamente, si disse, non avrebbe dovuto
interessarlo. Quello
che voleva, lo aveva ottenuto: lui li aveva presi con sé in
tour, i Placebo
stavano facendo faville e la gente lo guardava ad ogni show con lo
stesso
sguardo stupito e adorante. La risposta del pubblico era
l’unica cosa che
avrebbe dovuto risvegliare il suo interesse, in quel momento, e quella
della
critica, che pure li stava accogliendo positivamente a giudicare dalle
recensioni che circolavano già sui giornali musicali.
Eppure
continuava a volergli…piacere. Sì, voleva che
fosse lui a guardarlo con
ammirazione e desiderio e si riscopriva disposto a mettersi in gioco
una volta
di più pur di ottenere il proprio risultato. A
mutare nuovamente pelle al solo scopo di apparire anche per lui
qualcosa che potesse volere per sé.
Lei
dovette intuire i suoi pensieri nonostante non li avesse espressi ad
alta voce.
La semplice domanda che le aveva posto l’aveva già
allertata. Nel suo sguardo
lesse una punta di compassione che la vide soffocare in fretta ma che,
comunque, risvegliò in lui l’orgoglio. Si
scostò bruscamente da lei, scalciando
via le coperte e tirandosi in piedi con gesti nervosi.
-Comunque
che diavolo lo chiedo a fare, a te?!- sbottò aspro,
raccogliendo dal pavimento
i propri vestiti.- Non è che ci voglia molto a capire
perché tu possa averlo
interessato.
Le
scoccò un’occhiata veloce da sopra la spalla
mentre tirava su ed agganciava il
bottone dei jeans. Lei aveva nuovamente quell’espressione
disinteressata e
piatta con cui lo aveva affrontato per tutta la sera.
-Sei
uno svuota-coglioni come un altro.- affermò a quel punto,
volutamente cattivo.
Infilò la maglietta e si diresse a passi veloci verso la
porta della stanza.-
Vedi di non farti trovare per quando sarò tornato.-
ordinò uscendo.
-Sei
innamorato di lui.
Non
era una domanda. Non avrebbe dovuto rispondere. Però si
voltò a guardarlo,
smarrito, lo stesso.
David
gli offrì una delle sigarette nel pacchetto che aveva con
sé, Stefan l’accettò
dopo un momento di esitazione e lasciò che lui gliela
accendesse.
-Del
resto…innamorarsi di lui non deve essere poi troppo
complicato.
-Lo
è enormemente, invece.- borbottò Stefan, senza
guardarlo.
David
si spostò nuovamente verso il locale, accomodandosi su uno
dei pochi gradini
che congiungevano la porta di servizio, utilizzata da lui e Stefan per
uscire,
con l’interno di un corridoio buio e rumoroso. Stefan gli
andò dietro e si
sedette un gradino più in basso, fumando in silenzio e
fissando davanti a sé la
strada immersa nella notte.
-Brian è incredibilmente
complicato.-
spiegò breve.
-Sì,
lo avevo intuito.
-Averci
a che fare può essere devastante. Insomma…lui non
è come appare…non è… Lui
è
molto più fragile di come sembri.
-Sembra
fragile.
Stefan
si voltò. Bowie era la prima persona, a parte lui e Steve, a
rendersi conto a
pelle di come dietro la maschera “Brian Molko” ci
fosse, in realtà, un’anima
incredibilmente delicata e che rischiava, da un momento
all’altro, di spaccarsi
in mille pezzi. La maggior parte delle persone credeva che anche quello
facesse
parte del personaggio, che quando Brian cantava il proprio dolore
stesse semplicemente
recitando la parte che aveva scritto per sé.
-Non
dovrei dirti queste cose.- considerò lo svedese a voce bassa.
David
rise sommessamente.
-Non
stai svelando nessun trucco, tranquillo. E comunque, non pensavo di
dirgli di
questa nostra chiacchierata. Sono quasi certo che ne sarebbe geloso e
tu ne
pagheresti il prezzo.
Strappò
al ragazzo più giovane un sorriso sincero, anche se incerto.
-In
ogni caso, volevo parlarti di una cosa.
-Riguarda
Brian?
-Riguarda
Brian.- annuì Bowie- O meglio…riguarda alcune
frequentazioni di Brian, di cui
sono stato informato stasera.
-Eric?-
chiese Stefan con intuito ammirevole.
David
lo soppesò con lo sguardo, poi assentì con un
cenno silenzioso del capo.
-Non
è colpa di Eric se Brian è
com’è o fa le cose che fa.- lo
giustificò Stefan,
stringendosi nelle spalle.
-Non
sto dicendo questo. Ma sicuramente non avere Eric attorno farebbe a
Brian un
gran bene. Il resto della crew è più o meno
pulito,- spiegò David
pazientemente.- trovarsi in un ambiente abbastanza sano potrebbe essere
positivo per lui.
-Se
vuoi tenerlo lontano da Eric, devi pensarci tu.- ritorse Stefan
spiccio.- A me
non da ascolto, non ho nessun ascendente su di lui.
-…perché
pensi che io lo abbia?
-Perché
sei la ragione per cui siamo qui.- si strinse nelle spalle Stefan,
semplicemente.
Ed
io sono pazzo di te.
Giuramelo.
Sono pazzo di te.
Stefan
camminava nel corridoio facendo attenzione a non fare rumore. Gli
sembrava che
i propri passi, sebbene attutiti dalla moquette, dovessero rimbombare
contro le
pareti e trovava quegli spazi troppo angusti, soffocanti. Si ripeteva
meccanicamente che l’intero piano dell’hotel era
stato riservato allo staff
dell’Outside e, quindi, non c’era davvero il
rischio di svegliare qualcuno: chi
non era ancora al party after-show, era comunque troppo ubriaco o fatto
per
rendersi davvero conto di qualsiasi cosa.
Lui
stesso non si sentiva troppo in sé.
Dopo
che David Bowie era tornato a rifugiarsi nel proprio angolo privato,
lui era
andato nuovamente a sedersi, aspettando inutilmente la comparsa di
Brian. Per
ingannare il tempo aveva trangugiato senza troppe domande ogni
bicchiere che,
solerte, gli era stato messo davanti. Adesso sentiva la testa leggera,
un vago
senso di nausea che non sapeva se ricondurre al dispiacere o alla
sbronza e la
voglia infinita di infilarsi sotto una doccia per lavare via il senso
di disgusto
che provava per se stesso.
Inserì
a tentoni la chiave nella serratura, sbagliando almeno un paio di volte
prima
di riuscire nell’intento. La porta cigolò
sinistramente ruotando sui propri
cardini, si chiese, ozioso, se lo avesse fatto anche quel pomeriggio ma
non
riusciva a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore se non il
senso di
vuoto che gli sembrava di provare da sempre. Non accese la luce.
Avanzò nella stanza
utilizzando come unica indicazione la sottile lama che
l’illuminazione del
corridoio produceva, rischiarando le assi del parquet fino al letto.
Ignorando
il fatto di stare lasciando la camera aperta, si spostò
lungo il muro per
raggiungere la porta del bagno e lì, finalmente, si decise
ad accendere la
luce.
Lo
specchio gli rimandò un’immagine di sé
che trovò più spettrale del solito: magro,
pallido e sfatto. Distolse lo sguardo immediatamente.
Si
spogliò accatastando i vestiti per terra di fianco alla
doccia, aprì l’acqua
ruotando il rubinetto fino ad ottenere un getto gelato e ci si
infilò sotto con
una risoluzione cocciuta ed ostinata. Il freddo lo scosse fin dentro le
ossa.
Era una sensazione dannatamente positiva, lo svegliò di
colpo, cancellando con
un gesto deciso ogni residuo di quel torpore velenoso che strisciava
nelle vene
con l’alcool.
Quando
fu certo di aver riacquistato completamente il controllo di
sé e delle proprie
emozioni, Stefan tirò su il viso, regolò la
temperatura e cercò il bagnoschiuma
che aveva lasciato sul piatto della doccia prima di uscire per il sound
check.
Si concesse perfino il lusso di canticchiare tra sé e
sé il ritornello del loro
ultimo singolo, sorridendo perché eguagliare la voce di
Brian era impossibile.
Quando
si rese conto di essere riuscito a pensare all’altro senza
che questo gli
provocasse una fitta dolorosa allo stomaco, capì di potersi
permettere anche
una dormita decente. Chiuse l’acqua ed uscì dalla
doccia, avvolgendosi
nell’accappatoio e tornando in camera da letto.
Lasciò aperta la porta del
bagno perché fosse la luce in quella stanza a dirigerlo.
Chiuse il battente che
dava sul corridoio, facendo scattare la serratura, e
frizionò i capelli con un
asciugamano mentre si avviava a piedi nudi verso il letto.
Fu
alzando gli occhi sul materasso che la sensazione di piacevole
rilassatezza
lasciatagli dalla doccia svanì con la stessa
rapidità con cui era arrivata.
Brian dormiva raggomitolato tra
le sue coperte.
Stefan
immaginò che fosse entrato mentre era in bagno,
approfittando della porta
aperta.
Il
suo primo ed immediato istinto fu quello di cacciarlo fuori di peso:
afferrarlo
per il collo della maglietta, tirarlo in piedi e lanciarlo in corridoio
per
chiudergli la porta in faccia e non occuparsene più fino al
giorno dopo. Si
disse che questo sarebbe stato giusto e corretto
nei propri confronti. Brian non poteva
semplicemente rubargli ogni singolo istante di serenità che
lui riusciva a
ritagliarsi.
Chiaramente,
quel primo istinto non arrivò mai a prendere la consistenza
di un’azione
concreta.
Stefan
sospirò pazientemente. Lasciò cadere
l’asciugamano umida sul comodino e, con
ancora l’accappatoio addosso, si ritagliò un
minuscolo spazio a sedere sul
materasso, proprio di fianco al cuscino ed al volto addormentato
dell’altro.
Brian
mormorò qualcosa nel sonno, rannicchiandosi più
strettamente attorno al
guanciale.
-…Bri.-
lo chiamò Stefan a mezza voce.
Non
ottenne risposta se non un sospiro profondo, mentre il corpo magro del
cantante
si rilassava progressivamente sotto i suoi occhi.
Stefan
allungò una mano a sfiorargli la spalla.
-Brian.-
ripeté con maggiore decisione, scuotendolo appena.
Questa
volta gli occhi grigi si aprirono su di lui, socchiusi e acquosi, e lo
misero a
fuoco con difficoltà.
-…’ef.-
mormorò Brian riconoscendolo. Si premette una mano sulla
tempia, mugolando nel
rigirarsi tra le coperte per voltarsi sulla schiena.- Malditesta.-
borbottò
soffocato con una smorfia di dolore.
-Hai
preso qualcosa?- lo interrogò Stefan, osservandolo
criticamente.
Brian
soppesò la domanda prima di rispondere. Lasciò
ricadere la mano sullo stomaco
con un tonfo leggero, spalancando, poi, gli occhi sul soffitto. Il suo
sguardo
brillava nel buio, il riflesso della luce che scivolava attraverso la
soglia
del bagno si rifletteva pigramente nelle iridi chiare, le pupille
dilatate.
Stefan non ebbe davvero bisogno di una risposta.
-Eric.-
annuì Brian, comunque.
Il
bassista sospirò.
-Bri…-
esitò. Si morse le labbra, contando mentalmente fino a
dieci.- Quel tizio non
mi piace.- si decise ad ammettere.
Brian
lo scrutò in silenzio.
-E’
a posto.- ritorse spiccio, senza nessuna inflessione. Di Eric non
gliene
fotteva un cazzo, ma della roba che gli passava sotto banco
sì e non intendeva
farne a meno.
-Non
hai bisogno di quella merda…- mormorò Stefan
senza troppa convinzione.
Lo
sguardo dell’altro si allargò a dismisura,
rendendo la sua espressione grottesca
e ridicola perfino nella semioscurità della stanza, e Brian
scoppiò a ridere
istericamente, rotolandosi tra le coperte in modo scoordinato.
-Che
cos’è?!- sbottò
all’improvviso riportando su di lui uno sguardo acceso e
folle.- Ti sei bevuto il cervello tutto in una volta, Olsdal?! Certo
che non abbiamo bisogno di quella
merda,-
ribatté divertito, tirando volutamente in mezzo Stefan. Lui
si ritrasse
d’istinto, colpevole, ma Brian finse di non accorgersene e
proseguì nello
stesso modo – possiamo smettere quando vogliamo!-
sogghignò- Se prendiamo
quella roba, è solo perché ne abbiamo voglia. Ed
Eric è a posto.- ribadì con
più forza.
Stefan
annuì meccanicamente, sconfitto. Non che si aspettasse
qualcosa di diverso, era
più o meno consapevole della propria sudditanza psicologica
nei confronti di
Brian e, se aveva detto a Bowie che era meglio che ci pensasse da
sé a tirare
fuori l’altro da un certo giro di frequentazioni, era in
virtù di quella
consapevolezza.
Brian
gli sorrideva, adesso. Il suo sorriso aveva una sfumatura lasciva che
gli fece
accapponare la pelle sotto l’accappatoio umido. Vide come a
rallentatore la
mano dell’altro risalire lenta lungo la sua gamba,
accarezzandolo da sopra la
stoffa.
-Perché,
invece di dire stronzate e pensare ad Eric, non ti togli questa roba di
dosso?-
mormorò il cantante rocamente.- Non vorrai prendere un
brutto raffreddore?!
Stefan
deglutì a vuoto.
-…non
avevi malditesta…?- replicò a mezza voce.
Il
sorriso di Brian divenne più ampio, tanto ampio che
sembrò divorare per intero
il suo volto nascosto tra le ombre della camera.
-Dicono
che le endorfine fanno benissimo al malditesta.
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Capitolo 5 *** 4 ***
Afferrerò
la tua mano e non la lascerò andare mai più.
Non
desidero perderti.
Ti
terrò stretto a me finché avrò respiro.
I
bagagli di tutta la crew e degli artisti aspettavano di essere
caricati sui bus ed erano accatastati sul piazzale del parcheggio
dell’albergo. La maggior parte dei pullman era arrivata e
qualcuno
aveva già cominciato a portare via qualche valigia, alla
spicciolata, mentre voci ed ordini si rincorrevano disordinatamente
tra le persone che si affaccendavano per la partenza.
Brian
sedeva svogliato sul proprio trolley, un paio di occhiali neri
giganteschi a coprirgli gli occhi e, quasi per intero, il viso.
Nonostante quelli, i suoi tratti scavati ed il pallore cadaverico
della pelle risultavano esaustivi del suo stato fisico e mentale dopo
il trip
della notte prima.
Si
era addormentato tra le braccia di Stefan subito dopo aver finito di
scopare. Non aveva veramente voglia,
all’inizio, ma aveva pensato che l’altro lo avrebbe
mandato via,
altrimenti, e aveva ancora meno voglia di tornare a dormire nella
propria stanza, tra lenzuola che avrebbero puzzato del sesso
consumato con una groupie senza nome.
Quel
mattino, svegliato dal senso di nausea, era corso in bagno a
vomitare. Stefan lo aveva seguito più lentamente,
scrutandolo dalla
soglia del bagno, e il suo atteggiamento compassionevole aveva urtato
i nervi di Brian molto più della pessima nottata.
Così gli aveva
urlato contro per tutto il tempo che ci aveva messo a recuperare i
propri vestiti ed a rimetterseli addosso – adesso
non avrebbe neanche saputo dire di
cosa, esattamente, lo
avesse accusato – e
poi si era precipitato nella propria stanza per afferrare gli oggetti
e gli abiti sparpagliati in giro e lanciarli nelle valigie.
Stefan
gli si teneva prudentemente a distanza. Brian aveva spiato di
sottecchi il bassista un paio di volte. Steve aveva provato
inutilmente a strappare ad entrambi una spiegazione su quanto fosse
accaduto e sul perché quel mattino non si parlassero
neppure. Alla
fine era stato Levi a trovare un modo per ridurre la tensione che
avvertiva nell’aria, coinvolgendo il bassista ed il
batterista in
un’animata discussione a tre che portava fino a Brian
l’eco delle
loro risate.
Si
strinse arrabbiato nel proprio giubbotto.
Non
si accorse neppure di David Bowie quando gli si avvicinò.
L’uomo
gli arrivò alle spalle silenziosamente, ma lì si
fermò e
tossicchiò discreto per richiamare la sua attenzione. Brian
sollevò
il volto per vedere il viso dell’altro incombere su di
sé; quindi,
si voltò di scatto.
-Buongiorno.-
salutò con un sorriso il più anziano. Se si era
accorto delle
condizioni fisiche di Brian, fu bravo a mascherarlo.
Brian
annuì, perplesso, in risposta. Credeva che Bowie fosse
ancora
arrabbiato con lui dopo la cena a Lione, ma sul viso
dell’uomo non
c’era ombra di rancore, solo la quieta accoglienza che Brian
aveva
imparato a conoscere bene.
-Volevo
chiederti se ti andava, invece di viaggiare con gli altri sul
tourbus, di accompagnare me ed Eno.- continuò Bowie fingendo
di non
essersi accorto del mancato saluto dell'altro.
Brian
sforzò un sorriso che apparve più come una
smorfia.
-Mi
va di dividere lo spazio con Eno, quanto può andarmi una
seduta dal
dentista senza anestesia.- scoccò lapidario, stringendosi
ancora di
più nel giubbotto come a voler ribadire la propria
intransigente
presa di posizione.
Si
pentì dopo dieci secondi di averlo detto ad alta voce.
Nell’esatto
momento in cui si ricordò che questo era il primo scambio di
battute
che aveva con David Bowie dopo la frettolosa chiusura della loro
serata a due. Sperò, quindi, di non aver aggravato troppo la
propria
posizione visto che, ancora una volta, il più anziano si
stava
mostrando anche il più maturo tra loro, offrendogli una
rapida
conciliazione che gli permettesse di mantenere intatto il suo
orgoglio viziato. Invece di apprezzare i gesti di Bowie, Brian finiva
per passarci su con un’arroganza che, presto o tardi, gli
sarebbe
costata carissima.
Lesse
le medesime considerazioni nell’indurirsi dello sguardo
dell’uomo.
Per un minuto o due si aspettò che lui gli voltasse
semplicemente le
spalle e tornasse da dove era venuto, senza neppure degnarlo di una
risposta. Se lo sarebbe meritato. Invece, non successe, anche se la
voce di Bowie, quando parlò di nuovo, suonò molto
più impostata,
fredda e metallica di quanto l’avesse mai sentita.
-Possiamo
rimediare a questo.- concesse. Gli costò un po’
farlo, Brian lo
capì dalla difficoltà con cui
pronunciò quelle semplici parole.-
Manderò Jeff a chiamarti quando saremo pronti a partire.
Porta con
te lo stretto indispensabile, il resto potrà arrivare con
gli altri
bagagli.- lo istruì.
Non
gli chiese di nuovo se avesse intenzione di viaggiare con lui. Brian
intuì che lo desse per scontato, dopo che aveva acconsentito
al suo
capriccio di lasciare “a piedi” Brian Eno. Per cui
s’impose di
starsene zitto per evitare di tirare troppo una corda che sembrava,
comunque, sull’orlo della rottura.
Jeff
venne a chiamarlo poco prima che Stefan, Steve e Levi si imbarcassero
su uno dei tourbus. Il bassista gli lanciò
un’occhiata da lontano
mentre Brian si alzava e recuperava il manico del trolley, la domanda
muta nei suoi occhi era sufficiente ma il cantante fece finta di non
vederla e voltò loro le spalle, seguendo a passi svelti
l’autista
di Bowie verso la limousine nera parcheggiata davanti
l’uscita
dell’Hotel.
Quando
entrò nello spazio confortevole dell’abitacolo,
scrutò con
apprensione intorno a sé per assicurarsi che,
effettivamente, Eno
fosse stato lasciato indietro.
David
Bowie, seduto sul sedile di fronte al suo, se ne accorse e rise
piano.
-Possiamo
permetterci una seconda limousine.- annunciò divertito.-
Anche se,
sicuramente, non stai facendo nulla per risultare simpatico ai miei
amici.- lo redarguì.
-Neanche
loro per stare simpatici a me.- ritorse Brian spiccio, rilassandosi
contro il sedile.
Si
sfilò di dosso il giubbotto con gesti accorti. Nonostante
l’auto
fosse enorme,
trovava comunque scomodo operare quei movimenti all’interno
dell’abitacolo. Quando si voltò, dopo aver
sgraziatamente
appallottolato l’indumento in un angolo del sedile, sorprese
David
Bowie con gli occhi ancora fissi su di lui ed un’espressione
intensa che non tardò troppo a classificare.
L’uomo
più anziano lo
desiderava.
Brian
comprese in un flash come tutte le proprie preoccupazioni al riguardo
fossero state inutili; l’altro lo trovava sufficientemente
attraente da studiare con attenzione ed ingordigia anche i suoi gesti
più ordinari e privi di implicazioni. Semplicemente, il
controllo
che Bowie esercitava su di sé andava ben oltre quello di
chiunque
altro Brian avesse cercato di sedurre.
…ma
c’era da dire che con lui non si era neanche impegnato
troppo,
considerò con un
sorrisetto soddisfatto.
Quella
scoperta cancellò in fretta il disagio che
l’incontro con la
groupie di Bowie della notte prima e il litigio con Stef di quel
mattino avevano creato. Si sentì improvvisamente e
nuovamente sicuro
di sé e, in qualche modo, padrone della situazione. Il
gioco tornava nei suoi schemi.
Nel
rilassarsi nuovamente contro il sedile, Brian assunse volutamente una
posa molto più sfacciata, allungando il corpo magro contro
la pelle
morbida dello schienale e della seduta e quasi stendendosi nel
poggiare la schiena contro la fiancata dell’auto.
Gli
occhi dell’altro non lo lasciarono un secondo.
-Perché
mi hai chiesto di accompagnarti?- mormorò Brian, allargando
il
proprio sorriso, in tono basso e morbido.
David
focalizzò la propria attenzione su di lui, traendosi da
quella sorta
di stordita trance in cui l’idea
di lui lo aveva
improvvisamente fatto scivolare. Si diede mentalmente dello sciocco,
perché era chiaro dal cambio di atteggiamento del
più giovane che
Brian era perfettamente consapevole di ciò: stava
letteralmente
“facendo le fusa”, adesso. E solo fino ad un
momento prima,
sembrava più pronto a sfoderare artigli e graffiare come era
già
accaduto alla loro cena. Si voltò ad armeggiare con il
mobile bar
nascosto all’interno dell’auto. Allargò
un tavolino nascosto che
si frappose tra i due sedili contrapposti e vi posò sopra i
flute di
cristallo in cui versò generosamente un vino bianco italiano
che
Brian non aveva mai sentito nominare prima.
-Assaggia.
E’ un regalo di un mio ammiratore, me lo hanno consegnato
quando
siamo stati a Bologna.- invitò porgendogli uno dei bicchieri.
Brian,
sinceramente incuriosito, dimenticò per un attimo la propria
recita
e si sollevò a sedere composto, allungando le dita a
catturare il
flute. Prima di bere inspirò a fondo l’aroma
raffinato del vino,
avvertendolo pungente e forte già a quel primo
“assaggio”. Il
vino si rivelò molto più intenso di quanto Brian
avesse percepito,
con un gusto deciso anche se fine e dissimile da qualunque altro
bianco avesse mai assaggiato prima.
-Falanghina.-
lo presentò David, accostando poi il calice alle proprie
labbra.-
Una meraviglia.- aggiunse, contemplando soddisfatto il bicchiere dopo
aver sorseggiato il vino a propria volta.
-Non
è originario del bolognese…
-No.-
annuì Bowie riportando su di lui la propri attenzione.-
E’ un vino
della Campania, sud dell’Italia. Il mio ammiratore viene da
lì; è
lui a produrre il vino.
Brian
sorrise, divertito.
-Hai
ammiratori molto interessanti!- fece notare.
Bowie
ricambiò il suo sorriso. Appariva leggermente più
rilassato di
quanto non fosse sembrato quando aveva rivolto a Brian il proprio
invito ad accompagnarlo. A quella considerazione, il più
giovane si
sentì istintivamente sollevato – dispiacendosi
un po’ per la facilità con cui si lasciava
condizionare dall’umore
dell’altro.
-L’adorazione
delle folle è qualcosa di inebriante, te ne accorgerai in
fretta,-
iniziò pacatamente David, catturando in meno di un istante
l’attenzione di Brian.- ma è quando arrivi ad
interessare persone
raffinate, colte e che possano tranquillamente tenerti testa, che ti
senti davvero realizzato. La consapevolezza di suscitare
l’ammirazione di uomini straordinari, ti fa sentire a tua
volta
fuori dal comune.
-Non
sono neanche sicuro che riuscirò mai a provare una simile
sensazione.- ritorse Brian con pacatezza.
Non
c’era risentimento nella sua voce ed anche la quieta
malinconia che
la colorava era, in fondo, troppo stemperata per allarmare davvero
Bowie. Si disse che stava semplicemente aggiungendo un tassello in
più ad un puzzle complesso: la fragilità emotiva
e l’insicurezza
di fondo, che aveva avvertito nel ragazzo la prima volta che si erano
incontrati e parlati e che, da allora, era stata una piccola costante
di sottofondo nella sua percezione dell’altro, non era
fittizia.
-Ti
ho osservato in questi giorni.- ribatté David senza enfasi.
Si
allungò a riempire nuovamente il bicchiere di Brian e lui
ringraziò
con un cenno del capo.- Vi
ho osservati.- corresse con un breve sorrisetto che fece ridacchiare
anche il ragazzo.- Siete una formula complessa e per questo non
attirate la simpatia di tutti, ma siete una formula che funziona.
Brian
osservò il proprio vino ruotare delicatamente nel flute,
oscillando,
poi, al movimento morbido dell’auto sull’asfalto.
Considerò che
Jeff era un ottimo autista.
-Questo
può voler dire sia che pensi che avremo un grande successo,
sia che
pensi che accadrà l’esatto opposto.-
affermò quietamente,
sollevando di nuovo gli occhi sul proprio interlocutore.
David
scosse la testa.
-No.
Questo vuol dire che penso che avrete una carriera tutt’altro
che…semplice o lineare, ma sicuramente avrete qualcosa da
dire e
avrete più di una persona disposta ad ascoltarvi.
-Eno
non la pensa come te.
-Eno
vi sottovaluta.- ammise David tranquillamente.- Ed io credo che si
sbagli.- aggiunse, sorseggiando poi quanto restava del vino nel
proprio bicchiere.
Brian
sorrise scettico, ma non ribatté ed accettò il
sottile complimento
insito in quel commento con un grazioso cenno del capo, che
strappò
al più anziano uno sbuffo divertito.
“E’
quando susciterai l’ammirazione di uomini straordinari, che
ti
sentirai davvero realizzato”.
La
sua camera di albergo ad Amnéville era di fianco a quella di
David
Bowie.
Brian
lo seppe nel momento in cui, scortati da Jeff e da un valletto in
livrea blu, arrivarono all’ultimo piano dell’hotel
e lui fu
salutato da un sorridente Bowie che si fermò davanti la
porta
esattamente quattro passi dopo quella che il valletto in livrea aveva
cerimoniosamente aperto per Brian stesso.
-Cenerai
con me, questa sera?- chiese il più anziano.
Era
una domanda solo fino ad un certo punto. Brian intuì che il
cambiamento percepito nei modi dell’altro era
più…stabile di
quanto avesse ritenuto sulle prime. Evidentemente, nel chiedere che
Eno fosse allontanato aveva esaurito del tutto la riserva di pazienza
di David Bowie. Ne prese mentalmente nota.
-Certo.-
acconsentì docile, prima di spingere il battente della
propria
camera e scomparirvi all’interno.
La
sua camera di albergo ad Amnéville, oltretutto, era una
suite.
Non
lussuosa come avrebbe potuto desiderare, ma decisamente più
di
quanto lo fossero state le precedenti stanze di cui aveva usufruito
nel corso di quel pezzo dell’Outside Tour.
La
porta d’ingresso dava su un salottino le cui vetrate
affacciavano
direttamente sul giardino e sul parco termale di cui l’hotel
era
fornito. Fuori c’era la neve e questo rendeva il paesaggio
meno
interessante di quanto Brian avrebbe gradito, per cui si
stancò in
fretta di contemplare gli alberi innevati e si limitò a
chiudere le
tende per evitare che il sole inondasse la stanza. Passò,
quindi, ad
ispezionare la camera da letto, che era ampia, leggermente spoglia e
dotata, tuttavia, di un bagno con vasca idromassaggio di marmo bianco
abbastanza ampia da contenere facilmente due persone. Quando
rientrò
nella stanza da letto per sistemare i bagagli, Brian scoprì
l’esistenza di un’altra porta, chiusa a chiave.
Valutò la
collocazione del battente per concludere che si trattava quasi
certamente di una porta comunicante con la camera di David Bowie.
Registrò
anche quella informazione, accantonandola subito dopo insieme con il
brivido che aveva avvertito percorrergli la schiena a quella
consapevolezza.
Peraltro,
non aveva ancora stabilito esattamente come comportarsi arrivati a
questo punto.
La
discussione avuta la sera prima con la groupie di Bowie gli aveva
lasciato un gusto amaro attaccato al palato. Da una parte, sentiva
forte l’impulso di ribellarsi al suo primo istinto ed a
quello che
aveva implicitamente ammesso con lei: ossia di essere disposto a
qualsiasi compromesso pur di compiacere il suo…patrono?
Dall’altra
parte, il suo “io” più genuino gli
confidava, dolcemente, che la
propria attrazione per l’uomo era più sincera di
quanto non
volesse lui stesso ammettere.
Sbuffò
la propria insoddisfazione. Ritto al centro della camera da letto,
spostò nervosamente lo sguardo dalla valigia abbandonata sul
materasso alla porta aperta del bagno.
Mancavano
circa tre ore per la cena, giudicò con un’occhiata
all’orologio
al proprio polso. Non aveva modo di sapere dove fossero Stefan, Steve
e gli altri, arrivando non aveva neanche visto i bus del tour e
potevano tranquillamente trovarsi in un diverso albergo. Lui aveva
ben poco da fare se non riposarsi e, poi, prepararsi per scendere a
cena con Bowie.
Stabilì
che, per prima cosa, aveva bisogno di un bagno.
Sulla
vasca erano sistemati tre diversi flaconcini. Uno conteneva sali da
bagno delicatamente profumati, il secondo ed il terzo saponi con base
termale ed essenza di talco. Gli ricordarono sua madre. Sparse il
contenuto della boccetta con i sali sul fondo della vasca di marmo,
aprendo, poi, l’acqua e regolandone la temperatura. Mentre
aspettava che il livello si alzasse, tornò in camera e si
mise a
rovistare nella propria valigia, indeciso su cosa indossare.
Tornò
in bagno senza aver preso nessuna decisione, ma con
un’angoscia
latente e fastidiosa localizzata al livello dello stomaco. La carezza
morbida dell’acqua attorno al suo corpo lenì in
parte quelle
sensazioni spiacevoli.
Brian
si lasciò sprofondare nel profumo dei sali, distendendo il
corpo
nello spazio ampio della vasca e scoprendo con piacere che il bordo
inclinato della stessa gli permetteva di reclinare completamente la
testa e chiudere gli occhi, lasciandosi cullare dal tepore del bagno.
“Quando
susciterai l’ammirazione di uomini
straordinari…”
Bowie
lo ammirava?
Glielo
aveva detto fin dal loro primo incontro. Brian, allora, aveva creduto
che fosse un modo come un altro per lusingare la sua vanità
e farlo
cedere più facilmente alle avances dell’uomo. Ma
poi non c’erano
state vere avances a cui cedere.
Il
comportamento del più anziano lo disorientava. Come si era
accorto
già in macchina, David Bowie lo voleva con la stessa
– e forse
maggiore – forza e determinazione con cui Brian desiderava
lui, ma
non faceva assolutamente niente per dare seguito al proprio desiderio
ed, anzi, sembrava tenerlo a distanza proprio per impedire a se
stesso di cedervi. Brian dubitava che la ragione fosse da ricollegare
ad una qualche forma di…rispetto per lui. C’era
qualcos’altro.
Qualcosa che, cominciava a credere, sfuggiva anche all’altro.
E
lui? Lui aveva creduto che il loro fosse un semplice “accordo
commerciale”. Un accordo che trovava vantaggioso sotto
innumerevoli
punti di vista e senza che la sensazione di essere trattato come una
puttana qualunque intaccasse più di tanto i vantaggi che
quella
transazione presentava. Ma poi c’era stata il distacco che
David
aveva preso da loro…da
lui. E c’era stato
lo spazio che aveva dato loro durante il tour e la decisione di
mandare Levi ad aiutarli. C’erano i complimenti che gli aveva
ribadito in auto quel giorno… C’era perfino il
modo in cui gli
somministrava consigli, abilmente mascherati sotto forma di aneddoti
sulla propria vita giusto per essere certi che Brian non reagisse
arroccandosi su posizioni intransigenti ed infantili.
Ah
sì. C’era, anche, quella pazienza nel maneggiare i
suoi scatti
d’ira.
Prese
fiato profondamente.
Quando,
la notte prima, la ragazza gli aveva detto di essere l’amante
di
Bowie era stato geloso.
Non
era un discorso prettamente romantico, non si aspettava di essere
“l’unico”, tanto più che
l’altro era sposato da tempo con
una donna di cui era pazzamente innamorato.
La
sua gelosia era stata esclusivamente per le attenzioni che lei poteva
aver ricevuto, per quel suo “David
ha detto loro che io posso andare dove voglio”
che implicava la posizione di preminenza che lei aveva solo per il
fatto che lui la degnava della propria attenzione.
Brian
cos’era? Bowie lo aveva imposto ad Eno e lui ed i Placebo
erano nel
baraccone dell’Outside. Ma altri gruppi erano lì,
altri artisti
seguivano Bowie e per ragioni esclusivamente connesse alle proprie
abilità. Brian no. Nel modo in cui Eno lo guardava, ogni
volta che
faceva tanto da avvicinarglisi, era chiaramente scritto che la
ragione per cui si trovava lì non aveva niente a che vedere
con il
suo talento, vero o presunto che potesse essere. Il produttore li
trattava…lo
trattava esattamente come la puttana che Brian sapeva di essere
ritenuto, da lui e, probabilmente, da tutti gli altri.
In
tutto questo, non essere neanche presi in considerazione da Bowie
aveva un che di esilarante e ridicolo!
Si
alzò a sedere di scatto. Nuovamente innervosito.
L’acqua era
diventata quasi fredda e Brian si lavò in fretta, con gesti
nervosi,
desiderando uscire da lì il più in fretta
possibile. Tornò in
stanza avvolto nell’accappatoio. Non ci pensò
troppo, stavolta,
afferrò dalla valigia jeans neri ed una maglietta attillata
dello
stesso colore, li indossò rapidamente e passò
nuovamente nel bagno
portando con sé la trousse di trucchi da cui non si separava
mai.
Nel
fissare la propria immagine riflessa allo specchio, non si piacque.
Aveva sul viso i segni evidenti della notte prima, dell’ansia
nervosa che lo pungolava adesso e dell’indecisione in cui
quello
stato di cose lo gettava. Incanalò l’astio che
provava per sé e
per il proprio riflesso fino a sostituirvi completamente i pensieri
nei confronti di David Bowie. Con cura studiò il proprio
makeup,
applicandosi alla sua realizzazione con accortezza fino a raggiungere
esattamente il risultato che aveva stabilito.
Quando
tornò a guardarsi, sorrise. Chi lo fissava attraverso il
vetro era
il suo “Io” migliore, un essere creato ad arte per
essere
adorato.
E
scivolerò lungo superfici riflettenti,
che
tu avrai creato solo per nasconderti a me.
Non
riuscirò a trovarti. Vederti sarà come cercare di
vedere attraverso
il sole.
Jeff
venne a chiamarlo per accompagnarlo al ristorante.
Brian
ebbe modo di testare su di lui l’effetto che suscitava il suo
aspetto: quando aprì la porta, l’espressione di
quieta efficienza,
che l’uomo sfoggiava sempre, sparì per un tempo
sufficientemente
lungo da dare modo a Brian di ridere di lui.
Jeff
incassò, a disagio, e si schiarì la voce
forzatamente.
-Il
Sig. Bowie mi ha mandato a prenderla.- informò.
Il
suo nervosismo nel pronunciare quella semplice frase lusingò
l’ego
di Brian e contribuì a migliorarne notevolmente
l’umore. Recuperò
da una poltrona del salotto il proprio giubbotto e sfilò
davanti a
Jeff, ondeggiando ammiccante i fianchi magri nei jeans neri. Fu
certo, anche senza voltarsi, che lui avesse seguito tutti i suoi
movimenti.
Questa
volta - si rese conto quando arrivò al locale - David Bowie
aveva
operato una scelta molto diversa e Brian non fu accolto in un
lussuoso ristorante, ma in una graziosa locanda, piuttosto rustica e
spartana. Jeff ebbe un atteggiamento molto più amicale
nell’accompagnarlo all’interno del locale, ma Brian
immaginò che
fosse dovuto al bisogno di non farsi notare troppo, visto che la sala
principale della locanda era gremita di avventori. La saletta che
Bowie aveva scelto, invece, era riservata solo a loro due. Jeff
salutò educatamente e tornò sui propri passi.
Bowie
aveva adottato un look estremamente informale, con pantaloni di
velluto a coste e maglione a collo alto che si sposavano benissimo
all’ambiente altrettanto informale che li ospitava. Il tavolo
della
cena era apparecchiato in un angolo; la saletta era piccola,
riscaldata da un camino di pietra davanti a cui era sistemato un
microscopico salotto formato da due poltrone ed un tavolino da
tè.
Il suo ospite lo aspettava accomodato in una delle due poltrone e
sorseggiando un vino da aperitivo. Brian richiamò la sua
attenzione
schiarendosi la gola e rimase fermo per poter studiare a fondo la
reazione dell’altro quando si voltò a guardarlo.
Se
era impressionato da ciò che vedeva, Bowie era anche troppo
abituato
a mascherare i propri pensieri.
Non
batté ciglio. Tutta la sicurezza di cui Brian si era
rivestito andò
in frantumi davanti all’atteggiamento cortesemente distaccato
con
cui lui lo accolse.
-Prego.-
lo invitò con un gesto, indicando la poltrona davanti a
sé.- Fuori
fa freddo?- s’informò, poi, con disinteresse
evidente.
Brian
si tolse il giubbotto e lo appese ad un sostegno di ferro battuto che
affiancava l’arco di accesso alla saletta.
-Non
più di questo pomeriggio.- rispose nello stesso e identico
tono
piatto dell’altro.
Ubbidì
comunque alla sua richiesta e si sedette di fronte a lui, accettando
il bicchiere di bianco che gli veniva offerto.
-Sarà
l’unico vino che berremo stasera.- ci tenne ad informarlo.
Brian
si accigliò. Cos’era? Un rimprovero per il
comportamento che aveva
avuto la sera della loro ultima cena a due? Non gli piaceva essere
rimproverato.
Mandò
giù un commento velenoso insieme con il vino.
-Essere
in Francia e fare gli astemi…- scoccò, tuttavia,
quando abbassò
il bicchiere, accompagnando la battuta con un sorriso accattivante.
Non
ci teneva, in ogni caso, a contrariarlo di nuovo.
David
Bowie lo osservò in silenzio. Sotto il suo sguardo attento
Brian si
sentì improvvisamente esposto. Si rifugiò nel
bicchiere,
terminandone troppo in fretta il contenuto.
-Ti
piace la Francia?
-Sono
in parte francese.- ribatté Brian senza rispondere.
L’altro
rise.
-Non
è quello che ho chiesto.- osservò, appunto,
seccamente.
Spalle
al muro.
Sì,
i modi di Bowie erano completamente mutati.
-La
conosco poco.- provò ancora Brian. Lo guardò di
sottecchi e si
accorse che non aveva intenzione di riprendere a parlare
finché lui
non si fosse arreso e gli avesse risposto.- Mi piace la Francia.-
concesse a quel punto.- Molto.
-Cosa
ti piace?- insistette Bowie.
Brian
si agitò a disagio nella poltrona. Quel gioco non gli
piaceva
neanche un po’. Evitò il suo sguardo.
-L’idea.-
mormorò alla fine. Guardò il fondo del proprio
bicchiere nel
rispondere, cercando inutilmente qualcosa che potesse distrarlo.
La
sua “buona volontà” fu ricompensata:
Bowie versò altro vino per
entrambi, ma attese che lui continuasse, esplicitando il proprio
pensiero.
Brian
prese un respiro profondo.
-Ho
un’idea precisa della Francia. L’idea di
una…donna che da
giovane è stata incredibilmente bella. L’idea di
qualcosa di
nostalgico e profondamente malinconico, nascosto sotto la cipria, i
profumi, i pizzi. Di qualcosa che abbia il suono delle canzoni
francesi degli anni ’30, il colore delle pellicole di film
muti ed
il profumo di una giornata di pioggia.
-E
in tutto questo, tu che ruolo hai?
L’interesse
autentico che adesso colorava il tono di David Bowie, così
come la
delicatezza di quello stesso tono, erano sufficienti, in parte, a
quietare il suo disagio nell’esprimere a voce alta i propri
pensieri. Brian si rese conto di quanto più vulnerabile si
sentisse
quando non poteva, semplicemente, vomitarli da sopra un palco su una
folla di sconosciuti che, per quanto si allungassero verso di lui,
non avrebbero mai potuto sfiorarlo.
Sollevò
gli occhi in quelli dell’altro uomo, affrontandoli con
orgoglio
ritrovato ma senza arroganza.
-Di
spettatore, immagino. – ipotizzò.
Bowie
soppesò quella risposta, facendo oscillare il vino nel
bicchiere ed
osservando nel frattempo le fiamme nel camino davanti a sé.
-No,
non credo. – negò con un cenno assorto del capo.-
No. Hai un ruolo
ben definito, invece.
Il
suo sguardo rimase fisso sul fuoco, mentre inseguiva
un’immagine
che si formava lenta e piacevole nella sua mente.
-Sei
come l’amante troppo giovane di quella donna che una volta
è stata
bella e di cui tu riesci…riusciresti
a vedere ancora la bellezza ed a farla rifiorire.- sussurrò
più a
se stesso che a lui.
Brian
strinse le labbra. Le parole dell’altro avevano accarezzato
per un
istante la sua anima, trasmettendole un brivido dolce, indefinito,
che si sposava esattamente con la malinconia assorta del concetto che
aveva espresso lui stesso poco prima.
Lo
sguardo di Bowie si sollevò nel suo quasi di scatto,
incatenandolo e
strappandogli il respiro con la propria intensità. Il modo
in cui lo
guardò fece sentire Brian come il centro
dell’Universo ed era
molto meglio
e molto di più
di qualsiasi sguardo di cieca e lasciava adorazione avesse mai
ricevuto prima.
-Sarebbe
così facile per la Francia arrivare ad adorarti.- sorrise
David con
dolcezza.- Dovresti costringerla a farlo,- aggiunse divertito,
strappando anche a Brian un sorriso incerto- costringerla a renderti
un po’ di quella poesia che suscita in te.
-…trovi
davvero che quello che ho detto sia…
“poetico”?- mormorò il
più giovane.
Il
sorriso di David non vacillò.
-Tutto
quello che dici è poetico. Alcune cose lo sono nel modo
cattivo
degli adolescenti, lo stesso modo cattivo che permette loro di vedere
il mondo con una crudezza che gli adulti non avranno mai; altre cose
lo sono con la delicatezza di un uomo innamorato,- aggiunse piano
–
la stessa delicatezza con cui guardi la Francia.- precisò,
allargando il sorriso.
Mentre
cenavano, quella sera, Brian non sentì neppure una volta il
bisogno
di essere…perfetto.
David era sinceramente interessato a quello che lui gli diceva, lo
ascoltava come non accadeva quasi mai che qualcuno facesse, senza
rivestirlo di aspettative ed, insieme, senza trascurare o
sottovalutare nulla delle sue parole. Annuiva fissandolo intensamente
quando era d’accordo ed interveniva con educazione quando
voleva
dissentire o precisare qualcosa o anche solo rappresentare il proprio
punto di vista. Gli raccontò ancora aneddoti sulla propria
vita e ci
mascherò ancora dentro i propri consigli, ma spesso si
limitò solo
a dirgli qualcosa che gli faceva piacere condividere con lui, come se
fossero amici e basta.
Brian
rideva delle sue battute e non poteva neppure immaginare quanto il
suo viso in quel momento splendesse, privato com’era di ogni
malizia e costruzione. David lo trovava molto più bello di
quanto
una persona potesse tollerare, molto più bello di chiunque
altro
avesse mai incontrato sulla propria strada. Voleva dirglielo, ma allo
stesso tempo aveva paura di infrangere quel momento di
autenticità
riportando l’attenzione di Brian su di sé,
facendogli capire che
si era esposto molto oltre il proprio personaggio. Aveva paura che
quel personaggio tornasse e non perché non lo trovasse
attraente –
era la bambola Lolita che prometteva il Paradiso ad averlo stregato
–
ma perché trovava ciò che aveva davanti bellissimo.
Alla
fine la sensazione di stupore prese comunque il sopravvento.
-Mi
piacerebbe mostrarti Parigi.- mormorò subito dopo che la
voce di
Brian si fu spenta sull’eco leggera di una risata.
Gli
occhi grigi ed enormi di lui si spalancarono ad inghiottirlo,
brillanti. Bowie rimpianse di aver optato per una cena
“astemia”,
in quel momento – pensò – il vino
sarebbe stata una rapida
soluzione per spegnere la voglia che aveva di baciarlo. Si
accontentò
dell’acqua, nascondendosi nel bicchiere.
-Conosco
Parigi.- rispose Brian – A volte ci andavo con mio padre
quando
viaggiava per lavoro.
-Intendevo
dire che mi piacerebbe mostrarti la mia
Parigi. Credimi, non ha nulla a che vedere con quella che puoi aver
visto con tuo padre.- Sorrise, posando il bicchiere sul tavolo.- Ma
in fondo, suoneremo anche lì.- rifletté a voce
alta.
Fu
il turno di Brian di sentirsi a disagio. Non era tanto per
ciò che
David gli diceva, ma per la circostanza che nuovamente, dopo una cena
in cui si era sentito inaspettatamente “al sicuro”,
percepì come
un soffio che l’offerta dell’altro aveva
implicazioni molto più
profonde di quanto stesse dicendo. Non implicazioni del tipo che
Brian si sarebbe aspettato, ma comunque sufficienti a fargli
avvertire ancora una volta la sensazione di essere vulnerabilmente
esposto sotto lo sguardo attento di Bowie.
Mentre
abbassava gli occhi su ciò che restava della propria cena,
riprendendo a mangiare in silenzio, si chiese seriamente quanto la
consapevolezza di quella che, in fondo, appariva come una propria
debolezza gli rendesse spiacevole accettare la compagnia
dell’altro,
ma scoprì in fretta che, invece, si sentiva, se possibile,
quasi
felice di non dover sollevare con David schermi che lo proteggessero
dalle proprie emozioni più autentiche. Si
abbandonò a quella
consapevolezza e sollevò nuovamente gli occhi a sostenere
quelli
azzurrissimi che lo fronteggiavano, ricambiando con il proprio
sorriso quello che lo attendeva pazientemente.
***
David
Bowie salutò Brian Molko nel corridoio
dell’albergo, mentre
entrambi sostavano sulla soglia delle rispettive camere. Lesse una
punta di delusione nello sguardo dell’altro, ma la
ignorò -
sebbene dovette farsi forza per farlo - ed aprì il
battente
rifugiandosi all’interno della suite.
Ristette
sulla porta, stupito, nel realizzare che la luce all’interno
del
soggiorno era accesa, così come anche la camera da letto era
illuminata e socchiusa ad attenderlo e, quando entrò,
avvertì
distintamente una voce femminile, sommessa, accennare le parole di
“Changes” oltre il battente del bagno.
Le
labbra sottili di lei, prive di trucco, lo accolsero con un sorriso
pieno e malizioso, spezzando a metà la strofa allo
schiudersi della
porta. David Bowie si appoggiò allo stipite, spiando con
soddisfazione ed altrettanta malizia il corpo lungo, snello e
spigoloso nell’acqua, sotto un velo impalpabile di schiuma
rosata.
La vide sporgere verso di lui il flute pieno di champagne, in un
brindisi silenzioso, e poi riprendere la canzone da dove si era
interrotta, soffusa e morbida, mormorando le parole con un suono
gutturale che rimaneva incastrato a fior di labbra.
-Buonasera,
Emily.- la salutò. Non le chiese come fosse entrata,
immaginò che
lei avesse chiesto semplicemente alla reception di aprirle la porta.
La
vide prendere un sorso lungo dal bicchiere e poi posarlo accanto a
sé
sulla vasca.
-Buonasera
a te, David.- Una gamba si sollevò, lasciando scivolare
rivoli di
acqua chiara e limpida sulla pelle bianchissima.- Credevo non saresti
arrivato più.- Il tallone ad agganciare il bordo della
vasca, un
piedino sottile che roteò leggero nell'aria, invitandolo ad
avvicinarsi.
David
sedette sullo stesso bordo, prendendo in grembo quel piedino delicato
per massaggiarlo gentilmente tra le mani. Emily sospirò di
soddisfazione, scivolando all'indietro, gli occhi chiusi ed
un'espressione estatica sul volto.
Nuda
e struccata, quella figura longilinea godeva di un'eleganza e di una
grazia che, durante il giorno, nascondeva con accortezza. David si
prese tutto il tempo per rimirarla.
-Mia
cara,- sussurrò poi per richiamare la sua attenzione. Gli
occhi blu
si puntarono su di lui, accesi e divertiti.- so che hai conosciuto
Brian.
Il
sorriso si accentuò.
-Carino.-
ammise lei.
-Ah,
direi qualcosa in più!- la corresse David.
Ed
Emily non lo smentì. Sfilò con delicatezza il
piede ancora tra le
mani dell'uomo e si mosse lentamente nell'acqua per raggiungerlo e
posare il viso sul bordo accanto alle gambe di lui.
-Perché
non ti spogli e mi raggiungi?- invitò maliziosamente.- Avrai
accumulato così tanta tensione a gestire quel ragazzino,-
cinguettò
premurosamente – meriti che qualcuno si prenda cura di te...
David
si piegò a baciare quella bocca sottile, che gli venne
prontamente
offerta. Sorrise nel tornare a guardarla.
-Ma
certo, mia cara.- acconsentì.- Non vorrei mai essere
così scortese
da lasciarti tutta sola in quella vasca!- esclamò,
strappandole una
risata.
Più
tardi, lei se ne stava in piedi, fumando, appoggiata al vetro della
finestra della sua stanza da letto, ancora completamente nuda.
Faceva
un piacevole contrasto contro lo sfondo innevato che scorgeva fuori.
David,
steso tra le lenzuola nell'enorme letto, pensò che era una
creatura
incredibile nel suo essere così ordinaria
e così speciale ad un tempo. Le forme acerbe di Emily, quel
seno
quasi piatto, i fianchi stretti, le avrebbero dovuto conferire un
aspetto androgino che, tuttavia, il suo viso, la morbidezza delle sue
gambe tornite, finivano per smentire. E lui adorava i suoi colori.
E poi, lei non aveva nessun
pudore.
Emily si sentì il suo sguardo
addosso, tanto da voltarsi a cercarlo attraverso lo spazio vuoto
della camera; la sigaretta abbandonata contro il fianco, il suo corpo
disegnò un arco color cipria che si allungava dal vetro,
reso opaco
dal fiato nel punto dove aveva respirato fino ad un istante prima.
-Credo si stia innamorando di
te.- annunciò all'improvviso lei, dopo averlo valutato in
silenzio
per qualche istante, immersa in quel pensiero.
-Che idea sciocca!- si rifiutò
di accettare David, distogliendo lo sguardo, lievemente a disagio.
Emily lo soppesò con gli occhi.
Tornò verso il letto, arrampicandosi agilmente ed in modo
vagamente
osceno ai piedi del materasso e gattonando fino a lui solo per
lasciarsi cadere, pancia all'aria, sul copriletto, proprio al suo
fianco.
-Non capisco cosa tu ci possa
trovare di sciocco. O di strano.- precisò, fissandolo dritto
negli
occhi.
-Brian potrebbe avere chiunque.
-Ma vuole te.
-...questa è una tua illazione.
-Certo!- sbuffò lei divertita,
sollevando gli occhi al soffitto. Prese un tiro dalla sigaretta e
tornò a guardarlo.- E ti segue perché ha del
tempo libero da
dedicare ad un nuovo tipo di ricerca spirituale.- lo prese in giro.
-Mi segue perché abbiamo un
accordo. Lui vuole che io promuova la sua band.- ammise David
semplicemente.
Emily non insistette. Lo squadrò
con attenzione, facendolo nuovamente sentire fuori luogo. E
sì che
credeva di essere ormai in grado di gestire la ragazza...
-Sai...-
mormorò lei, senza distogliere gli occhi.- io credo anche
che sia il
tipo che tu potresti
amare.
Fu il turno di David di
deriderla. Inarcò un sopracciglio e le rivolse un'occhiata
superba:
Ci sei stata a letto una volta e pensi già di conoscerlo?!
Emily non si lasciò intimidire.
Sorriso enorme e sguardo sornione sibilò compiaciuta: Oh, tu
meglio
di me sai quante cose si scoprono tra le lenzuola.
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Capitolo 6 *** 5 ***
Eccomi
Incarnerò
tutti i tuoi
sogni,
come
la più dolce delle
amanti.
-Brian!
L'esclamazione
di Stefan suonò molto come un sospiro di sollievo.
Così come lo
sguardo dello svedese su di lui, quando apparve nella sala dove
avrebbero suonato quella sera, sembrò a Brian terribilmente
simile a
quello che gli avrebbe rivolto sua madre nel vederlo tornare da una
di quelle “festicciole” che amava frequentare da
ragazzino.
Tutto
perfettamente normale.
Ma
Brian era quasi certo che Bowie si fosse preoccupato di far avere
notizia ai suoi amici di dove lui fosse e con chi, per cui Stef
avrebbe anche potuto farla più semplice!
Stava
anche per dirlo ad alta voce, quando si rese improvvisamente conto di
non averne nessuna voglia. Si sentiva stranamente sereno e poco
incline alla provocazione, per la verità. Si
ritrovò a sorridere al
bassista molto prima di rendersene conto, facendo spallucce davanti
alla sua preoccupazione eccessiva.
-Ehi,
guarda che Dave non mi mangia mica!- esclamò con leggerezza.
Se in
altri momenti quell'affermazione – ne era sicuro –
avrebbe
suscitato battutacce oscene, adesso cadde in un silenzio
inspiegabile.
Brian
girò lo sguardo da Stefan a Steve, che fissava con
apprensione il
bassista, ed infine a Levi, che era l'unico a ricambiare con
altrettanta tranquillità il suo sorriso.
-E'
successo qualcosa mentre ero via?- chiese a questo punto.
Steve
scosse la testa, dedicandogli solo una brevissima occhiata, e Stefan
si sforzò di sorridere a sua volta.
-No.
Figurati.- mormorò.- Stai bene?
Brian
annuì soltanto, stabilì che fosse abbastanza
inutile continuare a
cercare di capire cosa fosse successo a quei due in sua assenza e si
concentrò sul lavoro in programma per quel giorno.
-Allora!-
esordì spiccio, facendo per arrampicarsi per primo sul palco
enorme
che torreggiava alle loro spalle.- Ci diamo da fare?
Le
prove andarono meglio del solito. Il buon umore evidente di Brian non
poté che influenzare positivamente il resto del gruppo e
Levi si
sperticò in lodi riguardo l'energia travolgente che il
cantante
riusciva a tirare fuori “quando era in buona”.
Brian rise, batté
una pacca sulla spalla del tecnico e si allontanò in cerca
di una
bottiglia di acqua.
Quando
tornò, Levi era scomparso e Steve e Stef erano da soli,
seduti
dietro la batteria, e parlavano fitto tra loro, premurandosi di
mantenere un tono basso.
A
Brian sembrò che si stessero nascondendo da lui.
Rimase
in disparte, valutando se fosse il caso di raggiungerli e,
addirittura, di cercare di avvicinarsi senza farsi sentire per
ascoltare cosa stessero dicendo. Non gli era mai piaciuto essere
oggetto delle chiacchiere degli altri, nonostante ci avesse fatto il
callo secoli prima, meno che meno se si trattava
dei suoi
migliori amici. Qualcosa, però, glielo impedì.
La
faccia di Stef, per la precisione.
Non
ricordava di aver mai visto il batterista così affranto. Per
qualche
assurda ragione, Brian si convinse che Steve stesse cercando
di...consolarlo o rassicurarlo e sentì che sarebbe stato
cattivo ed
inopportuno intromettersi.
...lui
non era mai stato bravo ad offrire a Stef lo stesso sostegno che
l'altro dava a lui ogni volta che si sentiva semplicemente incapace
di andare avanti.
Era
un pensiero abbastanza triste, ma realistico. Difficilmente Brian
faceva sconti a sé stesso se doveva considerare i propri
limiti e
non aveva difficoltà a riconoscere di essere un pessimo
amico per
Stefan. O anche per Steve. La maggior parte delle volte aveva
rappresentato solo un grosso guaio da gestire.
Tornò
sui propri passi assicurandosi che loro non lo vedessero. Le prove
erano andate abbastanza bene da potergli concedere ancora qualche
minuto.
Mentre
vagava con un caffè recuperato da una delle macchinette
posizionate
lungo i corridoi interni, Brian fu intercettato da un ragazzo dello
staff ristretto di Bowie ed avvisato che lui lo cercava;
così buttò
il caffè e cambiò strada e, invece di tornare dai
propri compagni
di band, si avviò ai camerini. Bussò
discretamente per annunciarsi,
ma non aspettò la risposta ed entrò
immediatamente dopo nella
stanza riservata alla star.
Sentì,
quindi, le ultime battute di quella che appariva come una lite
furibonda tra lui ed Eno.
-Mi
sembra la più grande stronzata che tu
abbia mai pensato,
Dave! E ne hai pensate tante nella tua carriera!- stava affermando
con veemenza il produttore.
-Sai
perfettamente che questo non cambierà di una virgola le mie
decisioni.- ascoltò rispondere ad un Bowie pacato ma
inflessibile.
-Oooh!
Se avessi anche solo sperato di farti cambiare decisione, col
cazzo che quel moccioso sarebbe qui adesso!
Quando
si voltò per imboccare la porta, lo sguardo del produttore
si
incastrò perfettamente in due occhi grigi, enormi, che lo
fissavano
con un'espressione tanto innocua ed ingenua quanto fasulla. Brian Eno
provò l'impulso fortissimo di tirargli un ceffone.
-Mi
chiedo davvero come i tuoi genitori siano riusciti a non strangolarti
nella culla.- sfiatò, esausto.
Brian
sbatté gli occhioni, inclinando il capino di lato.
-La
mia mamma mi adorava.- affermò
leziosamente.
Il
produttore lo superò di slancio, si gettò a
capofitto nel corridoio
e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo tanto violento che il
vetro della toilette oscillò rumorosamente.
David
Bowie e Brian Molko si guardarono attraverso la stanza. Il
più
anziano con le mani sui fianchi ed un'espressione stanca sul viso
tirato. Il più giovane mantenendo la posa composta assunta a
beneficio del terzo attore appena uscito di scena: braccia dietro la
schiena, visino pulito e sorrisetto innocente.
Poi
scoppiarono a ridere all'unisono.
-Tu
sarai la mia rovina!- esclamò David riprendendosi per primo
e
camminando velocemente in direzione del tavolo da toilette.
Si
versò da bere da una bottiglia di champagne che qualcuno gli
aveva
consegnato prima e che era già per buona parte vuota,
notò Brian.
Si chiese se fosse lui la ragione di quel bisogno di
tranquillità
alcolica. In ogni caso, nonostante le parole appena dette, l'altro
non sembrava davvero preoccupato.
-Sì,
ne sembra convinto anche Eno.- considerò ironicamente il
ragazzo.
-E
forse dovrei seriamente ascoltarlo.- insinuò Bowie,
osservando
attentamente la sua reazione.
-Dovresti.-
acconsentì Brian senza alcuna difficoltà
– Sono davvero
un'inesauribile fonte di problemi, io!- riconobbe lamentevole.
-Piantala
di recitare questa parte!- lo rimproverò il più
anziano.
E
Brian si rese conto che scherzava solo a metà; ma era vero
che
l'incontro con Eno era riuscito a riportare a galla il suo bisogno di
nascondersi dietro maschere più familiari e confortevoli.
David
dovette seguire in qualche modo il filo dei suoi pensieri
perché gli
sorrise con affetto e versò da bere anche per lui. Brian
accettò
con un ringraziamento a fior di labbra, ma si limitò a bere
un sorso
e mise via il flute quasi intonso.
Stava
bene, lì.
Vedere
David litigare con Eno e scherzare con lui restituiva anche all'uomo
un po' di umanità più autentica, privandolo per
un istante di
quell'alone di perfezione e superiorità che, comunque, aveva
sempre
mantenuto nel loro rapporto. Effettivamente, gli sembrava di vedere
per la prima volta un Bowie meno plastificato, ingessato e
irraggiungibile. E non era male. Non era per niente male. La
stanchezza sul viso dell'altro, mentre raggiungeva il divano al
centro della stanza e ci si lasciava cadere con un sospiro pesante,
le braccia sullo schienale imbottito ed il capo reclinato
all'indietro, lo rendeva più...bello. Brian si concesse il
lusso di
guardarlo mentre David se ne stava immobile ad occhi chiusi,
canticchiando a labbra serrate qualcosa che lui non riconobbe se non
dopo un po', rimanendone stupito.
-...è
“I Know”!
Lui
lo guardò con un sorrisetto divertito che spense quasi del
tutto
l'entusiasmo di Brian nell'aver riconosciuto la propria canzone.
-Credo
sia la mia preferita.- spiegò David, terminando in un sorso
lo
champagne e posando il bicchiere sul bracciolo accanto a
sé.- Dai,
vieni qui.- lo invitò poi, battendo una mano sul posto vuoto
accanto
a sé.
La
semplicità di quell'invito colse del tutto impreparati
entrambi.
Brian
rimase esattamente dove si trovava, fissandolo stupito, e David
stesso sollevò lo sguardo di scatto subito dopo averlo
detto, come
non credesse lui per primo al modo in cui si stava comportando quel
mattino.
Brian
considerò le proprie opzioni.
Pensò
che doveva inventarsi una scusa e uscire da lì
immediatamente.
“Ho
da finire le prove”. “I ragazzi mi
aspettano”...
…
“stai diventando sentimentale, Dave?!”.
Un
po' di sano sarcasmo avrebbe rimesso le cose nella giusta
prospettiva. Distacco, controllo...
Quando
si accoccolò sul divano, sfilando le scarpe e ritirando le
gambe
sotto il sedere, David gli passò un braccio attorno alle
spalle e
Brian pensò che non era l'unico a starsi arrendendo al corso
imprevedibile degli eventi. Respirò piano l'odore dell'uomo
affianco
a sé e si sentì incredibilmente bene. Sicuro,
come non si sentiva
da tempo.
-Fai
un buon profumo.- riconobbe Brian a voce bassa, senza guardarlo.
Dave
gli scoccò un'occhiata divertita che lui non vide e, poi,
tornò a
chiudere gli occhi, sospirando soddisfatto.
-E tu
sei morbido.- ridacchiò stupidamente.
-...che
cosa idiota!- esclamò Brian sollevando gli occhi al cielo e
fingendosi esasperato.
David
non gli credette e continuò a ridere.
-Sul
serio! Fai e dici solo cose idiote!- insistette Brian proseguendo
nello stesso tono eccessivo - Come quei dannati fiori la prima sera!
Come accidenti puoi aver pensato di regalarmi dei
fiori?!
-Sai
che non lo so ancora...- mentì David.
-Perché
sei idiota.- confermò il più giovane,
cattedratico.
-Ma
voi “Brian” dovete per forza essere stronzi?
Dopo
il concerto, Brian vide David Bowie puntare dritto nella sua
direzione, ignorando palesemente la piccola folla di tecnici,
musicisti, giornalisti e fan che lo aspettava giù dal palco.
Pensò
che aveva voglia di scomparire sotto terra.
Solo
che non fece a tempo a scavare una buca abbastanza profonda.
-Bri.-
lo chiamò Bowie, utilizzando con facilità un
diminuitivo che lui
non lo aveva mai autorizzato nemmeno a pensare.- Ti
unisci a
noi stasera?- lo invitò fermandosi giusto davanti a lui.
Brian
boccheggiò. Dietro di sé aveva Steve e Stefan in
attesa della sua
risposta. Alle spalle di Bowie c'era un'intera folla di curiosi che
allungava il collo nella loro direzione.
“Ok,
adesso lo ammazzo”, pensò serenamente la parte del
suo cervello
ancora in grado di razionalizzare la situazione.
Eno,
in mezzo alla folla dei curiosi, stava letteralmente diventando
paonazzo. La parte razionale di Brian cambiò direzione ai
propri
pensieri.
-Certo.-
rispose con una spavalderia che non credeva di avere.
“Wow!
Certo che sei figa, Parte Razionale!”. Poi,
considerò che, tanto,
non veniva in suo soccorso troppo spesso. Quindi, meglio non farci
affidamento.
-Stupendo!-
stava commentando Bowie allegramente, già voltandosi in
direzione
della propria corte in attesa.- Faccio una doccia e ci vediamo alla
macchina.- lo istruì andando via.
Brian
si voltò in tempo per vedere la delusione sul viso di Stef
prima che
lo svedese la sostituisse con un sorriso incerto e spento.
Lungo
la strada per raggiungere la location dell'after show Brian si rese
conto di una cosa che gli era sfuggita fino a quel momento.
Fissò
l'uomo seduto sul sedile di fronte al suo e che non lo guardava, gli
occhi puntati sulla strada che scorreva fuori dai finestrini
oscurati.
Erano
soli. Questa volta David non gli aveva nemmeno chiesto se volesse o
meno la presenza di altri con loro, si era limitato a prenotare una
seconda ed una terza limousine che portassero alla festa Eno ed il
resto della crew più ristretta. Poi, lui e Brian erano
saliti
sull'auto guidata da Jeff.
-Lo
hai fatto apposta, vero?
David
si voltò verso di lui, fissandolo interrogativo.
-Ho
fatto apposta cosa?- chiese tranquillamente quando Brian, sorridendo
sornione, continuò a fissarlo senza parlare.
-Stamattina.
Mi hai fatto cercare perché ti raggiungessi nel tuo camerino
quando
c'era Eno.
David
non rispose subito.
-Sì.
-Vuoi
che lui mi odi o c'è altro?- ridacchiò Brian,
senza apparire
eccessivamente preoccupato.
-No,
non voglio che lui ti odi.- scosse la testa David, prendendo la cosa
più seriamente di quanto l'altro avrebbe pensato.- Vorrei
che lui ti
vedesse come ti vedo io.- ammise, invece. Per poi aggiungere in tono
più leggero- Anche se diventerei estremamente geloso.
-E se
mi fossi arrabbiato? Se mi avesse dato fastidio che tu e lui stesse
lì a parlare di me a mia insaputa?!
-Non
era a tua insaputa, ti ho fatto chiamare perché lo sapessi!-
osservò
Bowie, divertito.
-Oooh!
Piantala!- sbuffò Brian, infantilmente.
-Non
lo so perché ti ho fatto chiamare, ma so che volevo che
fossi lì
mentre gli dicevo che non l'avrebbe spuntata.- ammise David con
più
sincerità.
Brian
rimase in silenzio. David ricominciò a guardare la strada
fuori dal
finestrino, considerando tra sé e sé che stava decisamente
esagerando. Non sapeva come riuscisse quel ragazzino a fargli
ammettere con tanta semplicità debolezze che nemmeno
sospettava di
poter avere.
Eno,
quel mattino, lo aveva raggiunto per sapere come fossero andate le
cose il giorno prima. Era sinceramente preoccupato per lui e David si
era sentito un po' in colpa. Gli aveva raccontato brevemente della
cena, ma non aveva fornito dettagli. La sua evasività, il
fatto che
sembrasse molto contrariato all'idea di parlare di Brian con lui,
avevano allarmato ancora di più l'amico. Aveva insistito nel
dire
che avrebbe fatto bene a portarselo a letto, togliersi lo sfizio e
rispedirlo a casa quanto prima, perché stava diventando una
fissazione senza senso.
A
David, questa volta, aveva dato molto fastidio sentirlo parlare in
quei termini del più giovane ed aveva reagito malissimo,
informandolo stringatamente che, al momento, non solo non era sua
intenzione rispedire Brian dove lo aveva trovato, ma intendeva
passarci molto più tempo assieme.
Da
qui il litigio.
-Grazie.
David
non fu certo, all'inizio, di averlo davvero sentito dire quella
parola. Lo guardò e l'espressione tranquilla ma intensa di
Brian lo
rassicurò che sì, lui lo aveva davvero
ringraziato. E che mai come
in quell'istante, probabilmente, era stato onesto nel dirgli
qualcosa.
Così
lo ripagò allo stesso modo.
-Non
mi devi nulla, Brian. Non vi sto regalando niente. È la
vostra
musica quella che portate sul palco tutte le sere e quella musica mi
piace davvero.
Quando
arrivarono al locale, Brian non ebbe nessuna esitazione nel seguire
David all'interno del privé che gli era stato riservato,
né
nell'affrontare il fuoco incrociato degli sguardi e dei sorrisini
della crew. Sedette affianco al più anziano senza che lui
facesse
alcunché per metterlo in imbarazzo, limitandosi a trattarlo
allo
stesso identico modo in cui trattava tutti gli altri, con rispetto e
cortesia impeccabili. David mandò a chiamare anche Stefan e
Steve
perché si unissero a loro e si accorse che la cosa fece a
Brian
molto piacere, perché assunse immediatamente un tono allegro
e
disinvolto e, quando i due amici arrivarono, si buttò loro
addosso
con una felicità infantile e spensierata che lo fece
sorridere di
nascosto.
Se
Stef era ancora deluso o arrabbiato, Brian non se ne accorse neppure.
Gli rimase appiccicato tutta la sera, scherzando con lui e
obbligandolo ad andare in pista a ballare ogni volta che mettevano su
una canzone che gli piacesse o che piacesse al bassista. Dopo un paio
di ore, il clima teso di quel mattino era solo un brutto ricordo.
-E'
davvero bello.
David
spostò lo sguardo da Brian, che ballava al centro della
pista appeso
al corpo magro e sudato di Stefan, ad Eno, seduto accanto a lui nel
privè ormai vuoto. Qualcosa nel tono dell'altro gli fece
capire che
quella era un'offerta di pace, per cui decise di lasciare da parte le
loro divergenze ancora una volta.
-Non
è una grande osservazione!- lo prese in giro, rilassandosi
contro lo
schienale del divano mentre il produttore versava da bere per
entrambi.
Eno
gli scoccò un'occhiataccia e Bowie rise.
-Emily
dice che finirai per innamorarti di lui.
-Temo
che Emily sia in ritardo sui tempi, con le sue previsioni.- ammise
ingenuamente il cantante.
-...non
hai nemmeno idea di chi sia davvero.
David
annuì, sospirando faticosamente mentre si faceva avanti.
Prese il
bicchiere che gli veniva passato dall'amico e bevve.
-Non
è solo perché è bello.-
considerò Eno a voce alta.- Hai avuto di
meglio...puoi avere qualsiasi donna...o uomo tu voglia...!
-Quindi,
non è perché è bello.- convenne David
pianamente.- Lo hai detto
tu.
-Non
è...stabile! Gli manca qualche venerdì o... E'
fuori di testa!
-E'
solo molto fragile.
-Non
hai già abbastanza problemi?!
-Non
vorresti impedire che qualcosa di bellissimo vada distrutto?
Lo
zittì.
-Sì.-
rispose dopo qualche momento Eno.- Quindi, vedi di non farti male.
***
-Buonanotte,
Brian.
Si
sentì afferrare per il bavero della camicia e riportare
indietro di
peso.
Si
ritrovò a meno di mezzo metro da due occhi brillanti, che,
nella
luce tenue del corridoio dell'hotel, apparivano blu e profondi come
un cielo d'estate. Lo inchiodarono lì nonostante tutti i
propri
buoni propositi.
Brian
gli sorrise. Le sue labbra, umide e gonfie, si tesero in quel sorriso
perfetto, ammiccante, allusivo, che avrebbe fatto impazzire l'uomo
più inflessibile del mondo.
E
lui
era tutto meno che inflessibile.
-No,
stanotte niente “buonanotte”, Dave.-
sussurrò il suo aguzzino,
continuando a tenerlo per la camicia nonostante lui non accennasse
affatto ad andarsene.
Appoggiato
contro il battente della propria stanza, Brian occupava lo spazio
stretto del vano della porta, protendendosi verso di lui in modo fin
troppo esplicito.
-Sei
ubriaco.- provò David senza nessuna convinzione.
-Non
ho toccato un goccio di alcol e tu lo sai!- lo rintuzzò
Brian,
ridendo divertito.- Non provarci.- intimò subito dopo.
-...sono
ubriaco io.
-Meglio.
Mi renderà tutto più facile.- sussurrò
suadente l'altro, senza
farsi scoraggiare.
Poi
lo guardò con una serietà ed
un'intensità che resero nuovamente
luminosi i suoi occhi, quasi intollerabili da sostenere...o
impossibili da eludere.
-Sono
stanco di rincorrerti.- ammise con una dolcezza improbabile nella
voce.
David
sentì il terreno mancargli sotto i piedi. Scosse la testa,
provando,
senza intenzione reale, a farsi indietro. Si ritrovò ancora
più
vicino a quel corpo magro di quanto non fosse prima e non seppe
nemmeno come fosse successo.
-Non
sei obbligato.- ci tenne a precisare.
Brian
stabilì che fosse il caso di smorzare il tono serioso
dell'altro e
osservò divertito: Certo che no! Abbiamo firmato un
contratto con il
tour manager!
Mentre
Brian apriva la porta, David stava già assaggiando il sapore
intenso
di quella bocca carnosa per scoprirlo molto più dolce di
quanto
avesse immaginato.
Era
così facile arrendersi ai propri desideri!
Brian
non faceva altro che assecondarlo. Lo guidò al buio verso la
camera
da letto, abbandonando la presa sui suoi vestiti e le sue labbra solo
quando ne ebbero raggiunto la soglia. David avvertì quasi
dolorosamente la sua assenza quando Brian si scostò per
raggiungere
il letto ed accendere una delle abat-jour sui comodini. La luce fioca
gli sembrò impossibile da sostenere, in quella
luminosità aranciata
Brian gli apparve come uno spettro pallido, che si
arrampicò, lento
ed invitante, sul materasso enorme.
In
ginocchio al centro del letto, Brian lo chiamò
perché lo
raggiungesse.
David
ciondolò fino a lui, prendendosi tutto il tempo di cui aveva
bisogno
per osservare i contorni sfuggenti di quella figura farsi
più nitidi
nella sua mente ancor prima che nel suo sguardo.
-Sei
così bello.- sfiatò quando fu arrivato ai piedi
del letto.
Brian
sorrise. Non c'era alcuna malizia in quel sorriso, era la cosa
più
autentica ed innocente che David ricordasse di avergli visto fare.
-Io?-
si schernì divertito. Si sollevò per arrivare
nuovamente al
colletto della camicia dell'uomo ed al suo viso – Tu
sei
David Bowie.- gli ricordò, come se fosse sufficiente a
racchiudere
qualsiasi altro complimento.
Quando
si baciarono di nuovo, David seppe che era davvero sufficiente.
L'adorazione di Brian era evidente nella devozione con cui gli si
offriva, arrendevole eppure affamato. Lo trascinò con
sé, su di
sé, abbandonandosi morbidamente sotto il suo
corpo. Gli lasciò
tutto il tempo del mondo perché potesse scoprire lentamente
e
assaporare in punta di polpastrelli e sulla bocca le forme allungate,
magrissime di quel fisico minuto; e si prese a sua volta tutto il
tempo che gli serviva per accarezzare il corpo snello e tonico
dell'uomo.
David
pensò, qualche ora dopo, che c'era qualcosa di magico nel
modo in
cui Brian poteva incastrarsi alla perfezione nella sua vita, nei suoi
pensieri ed ora anche nel suo letto. Avvolto in un profumo
completamente estraneo che scoprì assolutamente inebriante,
ripensò
ai suoi sospiri profondi, alla sua voce che sussurrava parole oscene
con la grazia di un adolescente mentre si inarcava per assecondare le
sue spinte, e capì che no, non sarebbe stato affatto facile
lasciarlo andare.
Ma
tu, in cambio, sarai
in grado di tenere la mia mano?
Non
ti chiedo che
questo,
non
lasciare le mie dita
-E
sarà tutto come prima?
-...tu
come vorresti che fosse?
Silenzio.
Dalle
finestre entrava l'alba. Aveva un colore opaco. Come la neve nel
giardino.
-...non
lo so...
Silenzio
ancora.
Fruscio
di lenzuola. Faceva freddo e le coperte furono tirate su, fin sotto
il mento. Due occhi brillanti, verdissimi, si fissarono in alto,
contro il soffitto, e poi tornarono giù, dentro ai suoi.
C'era
qualcosa di troppo giovane in quel viso.
Non
sapeva se erano gli occhi. Se era la bocca. Se era il colorito
pallidissimo o forse quei capelli neri, che, disordinati, sfuggivano
dentro e fuori le coperte.
-Hai
paura?
-Non
credi che sia quel genere di domanda che non si
dovrebbe
fare?!
-Ho
difficoltà a capirti.- Pausa.- Per la verità, ho
difficoltà enormi
a gestirti.- Una risatina leggera in risposta, soffocata dalla
stoffa.- Immagino che tu ti sia reso conto di riuscire piuttosto
facilmente a disorientarmi.
-“Facilmente”...no.
-Non
ti sto lusingando a caso.
-Ah,
erano lusinghe?!
Stavolta
fu lui a ridere, di gusto. Gli piaceva un sacco quando metteva su
quell'atteggiamento vezzoso, da Lolita impudente.
-Sarai
la mia rovina!- sfiatò, continuando a ricambiare senza
alcuna
esitazione lo sguardo vivace che lui gli rivolgeva.
-Questo
lo hai già detto ieri...
Si
voltò a baciarlo in mezzo alle coperte, scomparendo con lui
in quel
mare soffice e caldo che cacciava via ogni voglia di alzarsi dal
letto ed uscire a ritrovare un mondo in cui, nonostante i buoni
propositi, sarebbero stati necessariamente più lontani di
così.
E
non
solo in senso fisico.
-E,
dunque, di cosa dovresti avere paura?- gli chiese a fior di labbra
quando si separarono.
Il
sorriso che ricambiò il suo era ancora incredibilmente
autentico ed
innocente.
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Capitolo 7 *** 6 ***
Saremo
gli acrobati del
nostro circo
e volteggeremo fino a
schiantarci al suolo
-Stef.
Il
bassista si voltò in direzione della voce che lo chiamava.
-Ciao,
Steve.- rispose svogliatamente.
L'altro
gli fu accanto in poco più di due passi. Stefan si accorse
che aveva
una sigaretta spenta tra le dita, ma fu l'espressione vigile e
preoccupata che catturò davvero la sua attenzione.
Steve
lo scrutò qualche momento in un silenzio denso di parole
inespresse.
Stefan cercò inutilmente rifugio nell'occupazione che lo
aveva
impegnato fino all'arrivo dell'amico, ma sospettava che entrambi
fossero consapevoli che stava fissando, senza vederla, la stessa tab
da almeno dieci minuti.
-Come
va?- si decise a chiedere il batterista.
Stef
sospirò, mise definitivamente via gli spartiti
scarabocchiati e
sollevò gli occhi a ricambiare quella domanda.
-Bene.-
mentì stringendosi nelle spalle.- Come sempre.- aggiunse. E
suonò
molto come una correzione della sua prima risposta.
Steve
sbuffò un sorriso sarcastico: Non prendiamoci per il culo!-
sbottò
tra i denti.
Stefan
provò ad interromperlo prima che continuasse, ma venne
malamente
zittito da un gesto brusco dell'altro.
-No!
Ora mi ascolti.- lo rintuzzò Steve.- Ti ho mollato ieri sera
con
Brian ed eri al settimo cielo; ti ritrovo oggi di umore anche
peggiore di quello che avevi ieri mattina...! Quanto ancora pensi di
andare avanti?
A
Stefan venne voglia di rispondergli sinceramente, ma sospettava che
Steve non avrebbe preso troppo bene un “finché
avrò respiro”
che, pur suonando adeguatamente drammatico, era certo non avrebbe
incontrato il favore di un tipo pragmatico ed affatto romantico come
l'amico.
E da
lì si aprivano interessanti prospettive. La migliore delle
quali, lo
vedeva incassare un calcio nel sedere che avrebbe ricordato per il
resto della propria esistenza.
-Steve,
senti...- provò con un approccio più dialogante.
L'espressione
scettica che ottenne in cambio era quantomai esaustiva dell'opinione
che il batterista avrebbe avuto delle ennesime scuse che Stef sarebbe
riuscito a tirare fuori dal cappello.- Ok.- cambiò tattica.-
Ok, lo
so. Tu hai ragione. Contento?- provò a quel punto, tentando
subito
dopo di portarsi fisicamente fuori portata dell'altro, ma fallendo
miseramente quando fu trattenuto al proprio posto dalla presa ferrea
dell'amico.
-Stefan,
sai che accidenti me ne faccio della ragione degli stronzi?!
-Non
ti sto dicendo che devi fartene qualcosa...
-No,
mi stai dicendo che devo educatamente girarmi dall'altro lato. E la
cosa mi fa incazzare anche di più.
-Senti...
-Non
sento un cazzo, Stef. Ne ho sentite abbastanza. Da te e pure da
quell'altro.
Silenzio.
Stefan
si appoggiò alla cassa su cui aveva abbandonato le tab.
Steve
giocherellò con il filtro della sigaretta, schiacciandolo e
chiedendosi, poi, se sarebbe stata ancora buona una volta che si
fosse deciso a prendersi la pausa che si meritava e ad uscire a
fumare in grazia di Dio.
-Non
pensi che sarebbe il caso di parlargli?- chiese quando si rese conto
che Stefan non avrebbe aggiunto altro.
Stef
scattò nervosamente. La sua prima tentazione fu di urlargli
contro
tutta la propria frustrazione, sfogandosi con l'unica persona che
sembrava in grado di accorgersi realmente di quanto stesse male. Ma
stabilì subito che, oltre che ingiusto, sarebbe stato
sufficientemente inutile.
-Credo
di avere paura della sua reazione.- ammise, a quel punto. Lo fece in
un tono neutro e piano che stupì lui per primo e gli fece
comprendere fino in fondo il livello di rassegnazione a cui era
arrivato.
Ne
ebbe paura.
-Andiamo!-
stava protestando, intanto, Steve- Voi due state insieme...da quanto,
ormai?! Due anni?!
-Due
anni, tre mesi e diciannove giorni.- confermò Stefan con
precisione,
sorridendo amaramente e sentendosi ridicolo come non mai.
-...ma,
dico, ti senti?- sussurrò Steve, continuando a fissarlo con
la
stessa intensità con cui avrebbe studiato le crepe che si
allargavano sulla superficie di un oggetto particolarmente fragile.
Oh,
sì. Si era sentito eccome!
Si
accomodò meglio sulla cassa, decidendosi per la prima volta
dall'inizio di quella conversazione ad affrontare davvero il suo
interlocutore.
-Se
ti dicessi che la nostra relazione si basa su degli accordi precisi
presi fin dall'inizio?- ritorse fingendo una sicurezza che non
sentiva affatto.
-Ti
risponderei che gli accordi si prendono in due, non si subiscono
passivamente.- rispose Steve immediatamente.- E sono quantomai sicuro
che tu li stia solo subendo.
Stefan
non negò.
-Ascolta,
Stef.- ricominciò Steve, dopo aver tirato un respiro
profondo.- Tu
sai bene che io non sono un...moralista e che,
tendenzialmente, preferisco farmi i cazzi miei piuttosto che
impicciarmi di cose che non mi riguardano direttamente.
Era
vero, per cui il bassista non pensò che fosse necessario per
lui
confermarlo.
-Il
punto qui, però, è duplice. Anzitutto, non
sopporto più di vederti
in queste condizioni. E se devo essere sincero, - aggiunse dopo un
istante di riflessione – non sopporto più nemmeno
tanto di vedere
Brian trattarti a questo modo. Ma, poi, questa cosa mi tocca
direttamente. Perché, te lo dico onestamente, Stef, se voi
due non
trovate un equilibrio di qualche tipo, io dubito che i Placebo
sopravviveranno alla vostra storia.
18
Febbraio 1996
Rennes
(Francia) – Salle Expos-Aeroport
Nonostante
le fosche previsioni di Steve, quella sera lo spettacolo fu
semplicemente travolgente.
Brian
si era presentato alle prove in preda all'euforia, aveva spinto al
massimo fino a quando tutto non era stato perfetto e, salito sul
palco, era stato frizzante ed energico come non mai. Aveva finito per
trascinare l'intera band in quel mood, tanto che perfino Stefan
sembrava aver dimenticato qualunque problema tra loro e rispondeva,
complice, agli scherzi ed alle improvvisazioni dell'altro sul palco.
La loro sintonia era evidente a chiunque li guardasse.
Poi,
nella pausa tra una canzone e la successiva, Brian si
avvicinò
ridendo al microfono. Il suo sguardo brillava vivido di malizia e
cattiveria sottile. Steve e Stefan lo guardavano senza sapere cosa
aspettarsi, ma lui li ignorò. Spinse indietro con grazia una
ciocca
di capelli scura e accostò le labbra fin quasi a sfiorare la
superficie del microfono.
-La
prossima canzone ha una dedica speciale, stasera.- lo sentirono dire.
Il pubblico, sotto il palco, smise immediatamente di rumoreggiare, in
attesa. Il sorriso di Brian si allargò- Voglio, infatti,
dedicarla
ad una persona, se fosse dipeso dalla quale non saremmo qui oggi.
Steve
trattenne il fiato. Stef si voltò di scatto a cercarlo con
uno
sguardo terrorizzato.
A
nessuno dei due venne in mente di fermare il cantante prima che
aggiungesse altro.
-E'
tutta tua, Brian!- esclamò gioiosamente quest'ultimo.- Vedi
se ho
riassunto abbastanza bene il tuo pensiero, oltre al mio.
Quando
la chitarra attaccò “Nancy Boy” era
troppo tardi per cercare di
riparare e Steve e Stefan si limitarono ad andare dietro alla
più
effervescente, ambigua e sensuale esibizione che Brian
regalò al
proprio pubblico quella sera.
Dietro
le quinte, David Bowie sorrise mentre, accanto a lui, Brian Eno
fremeva d'indignazione trattenuta a stento.
-...stavolta
ha davvero superato il limite!- ringhiò tra i denti il
produttore.
Bowie
si schiacciò una mano sulla bocca per impedirsi di ridere,
gli occhi
incollati su Brian, che piroettava sul palco vomitando
oscenità con
l'elegante grazia di sempre.
Davanti
al suo silenzio, Eno insistette.
-Dave.-
richiamò brusco. Lui si voltò a guardarlo,
recuperando al meglio il
proprio contegno.- Non posso pensare che a te stia bene che mi tratti
a questo modo davanti a tutta la crew. Chi accidenti
crede di
essere?!
-Brian,
...ammetterai che l'hai provocato più di una volta...-
provò a
fargli notare Bowie conciliante.
-No,
Dave.- lo fermò subito il produttore, con una
perentorietà che mise
in allarme l'amico.- O gli dici di stare al suo posto o questa non
l'accetto.- scandì allo stesso modo.- Adesso abbiamo
superato il
limite.- ribadì un istante prima di girare sui tacchi senza
lasciare
modo a Bowie di replicare.
L'uomo
sospirò e tornò a fissare Brian e gli altri
Placebo sul palco.
Beh.
Forse era meglio mettere davvero un punto a quella storia, prima che
il ragazzino si bruciasse la carriera per aver pestato i piedi alla
persona sbagliata.
Quando
scesero dal palco, David Bowie li stava aspettando per complimentarsi
con loro. Steve e Stefan sorrisero e ringraziarono, imbarazzati,
correndo via non appena ne ebbero l'occasione e lasciando con il
collega più anziano solo Brian.
-Piaciuto?-
s'informò il ragazzo, sorridendo maliziosamente ma solo per
scoppiare in una risatina sottile ed insinuante un secondo dopo.
David
pensò che sapeva esattamente a cosa si riferisse la domanda
di
Brian. Cercò di assumere la propria aria più
severa. Da lontano,
vide Eno spiare la loro conversazione.
-Brian,-
esordì, attingendo ad un tono molto serio.- spero che tu ti
renda
conto che quello che hai fatto va ben oltre l'accettabile.
-...quando
vuoi fare la paternale a qualcuno, cerca di non ridere.
-Sono
serio.
-...no...-
osservò Brian.
David
scosse la testa, sospirando.
-Come
faccio a farti capire che sei stato veramente inopportuno?!-
soffiò
fuori sconsolato.
-Inopportuno
io?!- sbottò Brian sorpreso.
-Ok.-
cambiò tattica Bowie, tornando a puntare gli occhi in quelli
verdissimi del ragazzo davanti a sè.- Fammi un favore, cerca
di non
dare ulteriori ragioni a Brian per volerti fuori da questo tour.
-E'
lui che mi odia senza ragione! - scattò l'altro arrabbiato,
indicando l'uomo in piedi a qualche metro da loro. David non si
voltò.- Non gli ho fatto niente! Come accidenti posso non
dare
ragioni ulteriori perché mi odi?!
Riesce benissimo a trovarle
da sé!
-Brian.
Te l'ho chiesto come favore.- insistette David in
modo
categorico.
Brian
rimase in silenzio per un istante, scrutando con attenzione la sua
espressione.
-Come
favore?- ripeté poco convinto.
-Sì.
Come favore.- annuì David Bowie, cercando di suonare
più
accondiscendente.
-D'accordo.-
fu l'assenso spiccio che ricevette in cambio.
Brian
sorrise nuovamente e in un modo che a David non piacque affatto. Il
ragazzo si sporse verso di lui nel passargli rapido di fianco e Bowie
lo sentì sussurrare direttamente al suo orecchio.
–Sta
a guardare, perché sarà una performance da oscar.
In
pochi passi veloci aveva già raggiunto Eno che,
rocambolescamente,
si era affrettato ad iniziare una conversazione con alcuni dei
tecnici del suono lì di fianco. Brian aveva ignorato la cosa
e gli
si era piazzato davanti. David non poteva vedere la sua espressione e
Brian non poteva vedere lui, ma era sicuro che lo stesse fissando e
che fosse anche sufficientemente in apprensione per l'esito di
qualunque cosa avesse in mente.
-Brian,
posso parlarti?- chiese educatamente, rivolgendosi al produttore.
Lui
si voltò, squadrandolo con aperta ostilità ma
senza rispondere né
in un senso né in un altro.
Brian
prese fiato vistosamente e, imbarazzato, ammise mestamente: Devo
scusarmi con te.- Vide lo sguardo dell'uomo farsi più
attento e
vagamente stupito, tuttavia era ancora piuttosto guardingo.- David mi
ha fatto notare quanto io sia stato inopportuno e, mi rendo conto
adesso, che effettivamente non avrei mai dovuto fare un'uscita
così
davanti a tutti...
-No.
Non avresti dovuto.- scandì lento il produttore,
assottigliando lo
sguardo.
-Sono
davvero mortificato... E' che mi piacerebbe moltissimo che noi due
riuscissimo a collaborare!- esclamò accoratamente.- Insomma,
chi non
vorrebbe poter dire di aver lavorato con Brian Eno?! Se tu potessi
mettere da parte le nostre divergenze e la mia stupidità...-
suggerì
subito dopo – mi farebbe davvero piacere ricominciare da capo.
Eno
annuì. Brian rimase remissivamente in silenzio mentre lui
portava a
termine un esame silenzioso delle sue parole e di quel nuovo
atteggiamento. Alla fine il produttore sembrò rilassarsi
appena.
-Ok.-
annuì.- Sono disponibile a darti una seconda
possibilità, ma vedi
di non sprecarla.
-Sarò
la persona più educata, professionale e morigerata che tu
abbia mai
conosciuto.- promise solennemente Brian.
Il
produttore annuì di nuovo. Appariva ancora un po' perplesso
da quel
cambio di rotta, ma anche visibilmente compiaciuto.
-Bel
concerto, comunque.- disse indicando il palco alle spalle di Brian
Lui
sorrise entusiasta: Grazie!
Eno e
i tecnici del suono si allontanarono riprendendo la chiacchierata.
Brian
sentì i passi di Bowie alle proprie spalle e si
voltò con un
sorriso ironico sulle labbra.
-Se
avessi saputo che bastavano due moine per metterlo a tacere, avrei
provveduto dall'inizio!- sghignazzò.
-...tu
sei una piccola peste.- lo rimproverò David senza suonare
affatto
minaccioso. Intascò le mani e gli si affiancò.-
Vedi di non farlo
arrabbiare di nuovo.
Brian
lo fissò scandalizzato.
-Ho
promesso di essere la bimba più brava di tutto il collegio!-
affermò
offeso, portandosi una mano al cuore.
Bowie
scoppiò a ridere nonostante tutti i propri buoni propositi e
Brian
si addolcì ma senza mettere da parte quella malizia che gli
faceva
brillare deliziosamente gli occhi truccati di nero. David
pensò che
era davvero bellissimo.
-Devo
salire sul palco. Augurami “buona fortuna”.-
esigette.
Il
sorriso del ragazzo si allargò. Sporse le braccia verso di
lui,
intrecciandole dietro la sua testa. Un secondo dopo lo stava baciando
con una passione che gli fece tremare le gambe.
Dimenticava
di dire che era anche “suo”.
E
questo lo inorgogliva parecchio.
Ricambiò
la stretta, afferrandolo per la vita sottilissima e stringendoselo
addosso. Brian scivolò con le labbra fino al suo orecchio.
-Farò
di meglio.- sussurrò suadente.- Ti aspetterò nel
tuo camerino.
Il mio
è l'equilibrio
della follia.
Tu lo hai creato e tu lo
puoi distruggere.
Tuttavia,
quando David arrivò in camerino, ciò che lo
aspettava era un po'
diverso da ciò che avrebbe immaginato.
Brian
era effettivamente lì. Sedeva sul tavolo del trucco, in
mezzo ad una
confusione disordinata di accessori, e fumava nervosamente,
mordicchiando con insistenza lo smalto, già rovinato, sulle
unghie.
Bowie
si chiuse la porta alle spalle per essere certo che nessuno venisse a
disturbarli e attese sulla soglia che il ragazzo più giovane
desse
segno di essersi accorto della sua presenza.
Davanti
al mutismo pensieroso di Brian, però, fu costretto a
prendere
l'iniziativa.
-Bri?-
lo chiamò in tono leggero. Lui si voltò come un
automa,
mostrandogli un viso inespressivo su cui si spalancavano occhi
enormi, in grado di inghiottire l'Universo e divorarlo in un solo
sguardo.- ...è tutto a posto?- s'informò
gentilmente.
-Sì.-
risposta istintiva, quasi evasiva. Brian si corresse l'istante
successivo - ...no.- Prese un respiro profondo, fece un tiro dalla
sigaretta e schiacciò il mozzicone assieme ad altri simili
sul fondo
di un astuccio da cipria vuoto.- Dave...ti...spiacerebbe troppo se
stasera non venissi con te all'after?- chiese esitante.
Il
suo primissimo istinto fu essere molto sincero e molto più
egoista e
rispondere che “sì, gli sarebbe spiaciuto
abbastanza da non
volergli permettere di scaricarlo a quel modo”. Ma qualcosa
nel
tono di voce di Brian lo fermò. David venne avanti nella
stanza,
raggiungendolo al tavolo e servendosi da bere da una bottiglia
d'acqua di fianco al ragazzo.
-Ovviamente
puoi fare ciò che vuoi.- rispose con accortezza.- Ma
è tutto ok?-
insistette.
Brian
gli ricambiò lo sguardo e sembrò considerare
l'opzione di
rispondergli sinceramente o rifilargli una storiella comoda, di
circostanza. David sperò che scegliesse la prima opzione,
perché
non era certo di essere in grado di mandare giù la seconda.
...rendersi
conto di quanto fastidio potesse dargli la decisione di Brian di
allontanarsi, anche solo per poche ore, lo spaventò a morte.
-Onestamente...-
iniziò Brian in tono flebile – ho avuto
l'impressione che ci sia
qualche problema...nella band.- spiegò con una certa dose di
ansia.
-Nella
band?
Brian
sospirò e voltò il viso per portare lo sguardo
lontano da lui,
fissandolo sul muro vuoto che lo fronteggiava.
-Lo
sai che puoi parlarmi liberamente, piccolo.- sorrise David,
dolcemente. Decise in quel preciso istante di cambiare tattica e
mettere, ancora una volta, da parte i propri istinti primari.
Brian
annuì. Si grattò la testa, agitandosi a disagio.
-Stamattina
mi è sembrato che Stef non fosse troppo in forma.-
cominciò a
raccontare spiccio.- Ho provato a chiedere a Steve, stasera, dopo che
sei entrato in scena, e mi ha risposto, piuttosto...scocciato!-
ironizzò con uno sbuffo affatto divertito.- che se davvero
me ne
fregava qualcosa, era meglio che gli parlassi.
-Capisco.
-Solo
che Stefan mi ha evitato per tutto il tempo ed io ho pensato che,
magari, se andassi alla festa con loro...
“Con
lui”, pensò David mentre una fitta di gelosia gli
colpiva lo
stomaco con forza.
-Riuscirei
a capirci qualcosa, a parlargli...e a sistemare le cose.-
continuò
Brian senza accorgersi di nulla.
-Certo.-
convenne piatto Bowie.
Non
disse altro.
-...sei
arrabbiato?
David
misurò le parole. Prese spazio e tempo, allontanandosi
fisicamente
da lui per trovare posto sul divano al centro della stanza. Da
lì,
tornò a ricambiare il suo sguardo per trovarlo insicuro, in
attesa
di una sua risposta.
-No.-
mentì, pazientemente.- Certo che no. Sono un po'...deluso.-
ammise,
invece, cercando di non caricare troppo quell'affermazione.- Speravo
avremmo passato del tempo insieme, stasera.
Brian
si morse le labbra. Scivolò giù dal tavolo,
raggiungendolo in pochi
passi morbidi e lenti. La sua grazia felina era qualcosa che riusciva
ad incantare Bowie ed a fargli dimenticare completamente qualunque
stizza avessero potuto risvegliare le sue parole. Quando Brian gli si
sedette in braccio, passandogli le gambe attorno alla vita e
spingendo il bacino verso il suo, David annegò piacevolmente
in
quello sguardo cangiante, che gli sorrideva a pochi centimetri dal
suo volto.
-Prometto
che mi farò perdonare.- sussurrò dolcemente
Brian, soffiando quelle
parole sulla sua pelle, sulla bocca e sul collo quando si
piegò a
baciarlo.
Eccolo
lì!- rise Bowie, mentre si abbandonava al tocco delicato
delle
labbra che lo esploravano – “Due moine”,
si prese in
giro da solo facendo eco a Brian stesso, ed il ragazzino la spuntava
con facilità!
Sollevò
di scatto le braccia a circondare la vita sottile di Brian per
rovesciarlo sul divano, sotto di sé. Lui si
lasciò maneggiare,
arrendevole ed accondiscendente come sempre, sorridendogli ancora
quando Bowie gli si scivolò addosso raggiungendo il suo
volto con il
proprio.
-Dovrai
farti perdonare, adesso.- pretese. Salvo addolcire
il tono ed
i modi subito dopo, baciandolo con delicatezza per sentirlo
rispondere con passione.- Mi mancherai infinitamente, ragazzino.- gli
garantì a fior di labbra.
Brian
ridacchiò, appena appena inorgoglito: Farò in
modo che sembri che
io non me ne sia mai andato.- ricambiò
***
Brian
trovò il camerino, che era stato riservato ai gruppi di
supporto,
completamente vuoto. Rimase interdetto sulla soglia, fissando la
stanza quasi a volersi sincerare di non essersi sbagliato.
In
realtà, era davvero stupito: aveva espressamente chiesto a
Stefan e
Steve di aspettarlo finché non li avesse raggiunti per
andare
insieme al party after show.
Il
rumore di passi nel corridoio silenzioso lo riscosse. Si
voltò e
riconobbe Levi venirgli incontro, mani nelle tasche, fischiettando un
motivetto orecchiabile che faticava a ricondurre ad una canzone in
particolare.
-Levi.-
chiamò.
-Ciao,
Brian.- salutò lui, dirottando i propri passi nella sua
direzione.
-Dove
sono tutti?
-Ah.
Sono andati via con il pullman.- spiegò Levi, con
semplicità.-
Andavano al locale tutti assieme.
-...e
tu?
-Io
sono in auto.- Lo guardò ed indicò la porta del
salone dietro di
sé.- Vuoi un passaggio? Stavo andando anche io, ma devo
tornare un
attimo in albergo prima.
-Sì.
Sì, grazie.- ribadì Brian, respirando
profondamente. Aveva una
sensazione spiacevole che gli tormentava lo stomaco, adesso, e
sperava che restare in compagnia di qualcuno lo avrebbe aiutato a non
lasciarsi sopraffare.- Credevo che Steve e Stef mi avrebbero
aspettato.- sbuffò ad alta voce, con molta più
acredine di quella
che avrebbe voluto.
Levi
finse di non accorgersene e ricominciò a spostarsi verso
l'uscita,
seguito da Brian.
-Avranno
pensato che li raggiungessi con Bowie.- provò a
giustificarli.
Brian
si morse le labbra per evitarsi di rispondere.
Qualche
minuto più tardi, seduto nell'auto a noleggio parcheggiata
sotto
l'hotel mentre aspettava che Levi scendesse, fumò
nervosamente
l'ultima sigaretta del pacchetto e ne aprì uno nuovo senza
soluzione
di continuità. Ripeteva gesti meccanici per ovviare
all'impressione
di soffocare, mentre nella sua testa si dava mentalmente dell'idiota
per non aver affrontato Stefan immediatamente.
Levi
entrò in macchina, sorridendogli con entusiasmo appena i
loro
sguardi s'incontrarono, e Brian si sentì istintivamente
sollevato.
Ricambiò il sorriso, Levi gli piaceva ogni giorno di
più.
-Senti...-
esordì, mentre l'altro metteva in moto e usciva dal
parcheggio
dell'albergo.- Ti dispiace se fumo?- s'informò subito dopo,
cambiando rapidamente rotta ai propri pensieri.
-Aehm...no,
ma la macchina è noleggiata...
-Giusto.-
Brian spense la sigaretta e buttò fuori dal finestrino
quanto ne
restava. Si sentì un po' in colpa al pensiero delle altre
due che
aveva fumato nell'attesa.- Comunque, volevo chiederti una cosa.
-Certo.
-Stavo
pensando che, a parte una data, ormai il tour è concluso.
Levi
lo guardò sorpreso. Evidentemente non ci stava pensando.
-Davvero!
-Sì.
Va bene, comunque.- annuì Brian.- Insomma, dobbiamo anche
metterci a
lavorare per l'uscita del nuovo album.
In
realtà, si disse Brian, non andava bene affatto. Nel
pronunciare ad
alta voce quella semplice verità, ne aveva preso atto lui
stesso per
la prima volta e il senso di fastidiosa inquietudine era tornato. Non
era sicuro di voler tornare alla propria vita...non era sicuro di
voler tornare ad una vita senza Bowie.
Scacciò
a forza quel pensiero e prese un respiro profondo, tornando a
guardare Levi, ancora in attesa della sua domanda.
-Mi
piacerebbe molto che valutassi, una volta finito questo lavoro, la
possibilità di un contratto con noi.- propose discorsivo.
Il
sorriso di Levi si allargò.
-Ne
sarei felicissimo!- esclamò.- Mi piace molto la vostra
musica.
-...lo
dici per lusingarmi?- insinuò Brian sospettoso.
Levi
rise: Non hai bisogno di lusinghe!- lo prese in giro allegramente.
Gli scoccò un'occhiata divertita di traverso e
continuò con
tranquilla sfacciataggine – Direi che il tuo ego sta
benissimo
anche senza.
Brian
s'indispettì. E, poi, subito dopo, scoprì che,
invece di
rispondergli a tono, aveva una gran voglia di ridere. Così
lo fece.
Levi
gli andò dietro quasi subito e Brian si ritrovò a
considerare che
sì, aveva ottimi motivi per pensare che lui gli piaceva. E
lo voleva
in squadra!
-Allora,
ci penserai?- insistette quando furono tornati seri entrambi.
-Scherzi?!
Contami pure tra i vostri.- garantì Levi.
Brian
si rilassò contro il sedile, pensando vagamente che
“quella” era
andata meglio di quanto si aspettasse.
Ora
doveva solo arrivare al locale, parlare con Stef e scoprire se, dopo
quel tour, ci sarebbe stata ancora una band con cui promuovere il
nuovo album...
Si
accese la quarta sigaretta di quel breve viaggio praticamente senza
neanche accorgersi di averlo fatto.
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Capitolo 8 *** 7 ***
Siamo
fiori al termine
della primavera.
Siamo esposti ad un
vento implacabile
La
risata di Stefan fu come uno schiaffo in pieno viso.
Brian
rimase immobile, congelato, senza sapere esattamente come reagire.
...non
era qualcosa che gli succedesse spesso. Steve considerò la
sua
espressione con preoccupazione autentica, perché Brian
appariva
semplicemente incapace di razionalizzare quanto
stava
accadendo.
Il
bassista, intanto, non pago, stava proseguendo in un personalissimo
show di dubbio gusto.
-Togliti
quell'aria schifata dalla faccia, Brian!- esclamò con un
misto di
insensata euforia e più reale fastidio.- Marcian potrebbe
pensare di
starti poco simpatico.
Afferrò
per un braccio la persona che aveva presentato come
“Marcian”
meno di due minuti prima e che, ora, cercava inutilmente di
nascondersi dietro un sorrisino timido, di circostanza, davanti allo
sguardo feroce di Brian Molko. Stefan, insensibile a quel tentativo,
lo tirò su di peso e se lo strinse addosso con una bramosia
fin
troppo esplicita.
-Non
ti piace Marcian, Brian?- insistette.- E' così...autentico!-
calcò entusiasta, un momento prima di gettarsi sulle labbra
del
ragazzo.
Lui
rispose al bacio con la medesima passione disperata che Stefan
sembrava metterci e Brian, nella propria testa, riavvolse rapido il
nastro dei pochissimi minuti trascorsi dal proprio arrivo al locale.
Stef
era già ubriaco. Brian lo aveva capito nell'istante esatto
in cui
aveva messo un piede nel privè e l'altro gli aveva alzato
addosso
due occhi acquosi, appannati da qualcosa di indecifrabile ma che,
alla vista del ragazzo biondo che gli si stendeva praticamente
addosso, Brian temeva di poter etichettare facilmente come lussuria.
Aveva deglutito un nodo stretto di bile e ansia, cercando di capire
come comportarsi, ma Stefan non appariva affatto intenzionato a
dargliene il tempo e, sotto lo sguardo vigile di Steve, si era
sollevato di scatto per acclamare il suo ingresso e fare, con le
dovute cerimonie, le presentazioni ufficiali tra il cantante e il
ragazzo biondo di nome “Marcian”.
Adesso,
Levi superò Brian. Il cantante sentì la mano
dell'altro toccargli
piano il polso, quasi a volergli consigliare di riprendere in fretta
il controllo di sé.
Brian
si rese conto di quanto poco sicuro si sentisse in quel momento anche
solo all'idea di aprire la bocca e rispondere qualcosa al proprio
bassista. Ma lui, tanto, non sembrava particolarmente interessato a
ricevere una replica. Gli diede le spalle senza aggiungere un'altra
parola e, senza degnarlo di uno sguardo ulteriore, si lasciò
cadere
a sedere sul divanetto nel punto esatto che aveva occupato fino al
suo arrivo e si tirò nuovamente dietro Marcian, che sembrava
una
graziosa bambola di pezza nelle sue mani e si lasciava maneggiare con
l'arrendevolezza di un cagnolino ben addestrato.
A
Brian salì un conato di vomito.
-Scusate.-
sillabò, a voce così bassa che lui stesso fece
fatica a sentirsi.
Nessuno,
comunque, si preoccupò di lui, quando girò sui
tacchi senza
aggiungere altro e uscì dal privè. Gli unici
occhi che seguirono
quelle rapide manovre furono quelli di Steve, ma - considerò
il
batterista - Brian un po' se lo meritava.
***
Quella
sera David Bowie non era particolarmente bendisposto verso la propria
crew. La maggioranza di loro capì in fretta l'antifona e,
altrettanto rapidamente, si dileguò per lasciargli la sua
privacy.
Il cantante si ritrovò, così, a dividere con una
bottiglia di
bourbon lo spazio enorme riservatogli in fondo al locale, la musica
che arrivava attutita dalle pareti di vetro satinato che lo
circondavano.
Non
era un brutto locale, considerò oziosamente mentre si
versava da
bere, il management aveva scelto un posto di classe, una volta tanto.
Certo...nei limiti in cui una stupida discoteca potesse essere un
posto di classe!
Quella
considerazione lo indispettì. Valutò la
possibilità, per la data
di Parigi, di scegliere una location meno frivola per il party di
chiusura, poi ricordò che Eno aveva già riservato
il salone di un
hotel in centro e si rilassò nella certezza che l'amico
avesse fatto
esattamente la stessa scelta che avrebbe operato lui stesso.
-Non
pensavo che quel ragazzino riuscisse a ridurti in questo stato tanto
rapidamente, comunque.
Lei
aveva la capacità tutta personale di piombare nel mezzo di
un
pensiero con la scioltezza di un discorso ben avviato.
David
rise nonostante tutto, senza riuscire a provare autentico fastidio
per quell'intrusione. Quando si voltò verso di lei, Emily si
era già
accomodata scompostamente su una delle poltrone dorate che
circondavano il divano che lui stesso occupava, le gambe lunghe,
nude, abbarbicate su un bracciolo, la gonna leggera del vestito a
balze – nero, chiaramente – che scivolava
languidamente sulle
cosce ed un bicchiere da cocktail appoggiato tra le dita smaltate con
cura. Considerò che quella sera lei era più
“femminile” di
quanto le fosse usuale, truccata con più grazia e abbigliata
in modo
che appariva maggiormente ricercato. Non gli dispiacque.
-Emily,
cara...perché salti tanto facilmente a conclusioni?- la
interrogò,
tentando di mantenere un tono neutro, ma fallendo quando si rese
conto che, comunque, una punta di astio sincero era serpeggiata sul
fondo di quella domanda.
-Perché
dubito che la sua assenza dipenda dalla tua noia e dubito anche che
la tua solitudine dipenda da esigenze di riflessione sui grandi
misteri della vita.- ritorse lei in modo piano.
Lui
la squadrò attentamente, insensibile all'idea di poter
risultare
offensivo. Ma lei, del resto, non batté ciglio.
-Ti
ha già scaricato?- chiese, invece.
David
valutò la possibilità di arrabbiarsi e cacciarla.
Alle sue parole
un moto d'orgoglio gli aveva solleticato l'animo, portandolo a
raddrizzarsi istintivamente sul divano quasi avesse bisogno di
riaffermare fisicamente la propria supremazia. Poi parve vederla di
nuovo, per la prima volta, e capì che non gli serviva
affatto
mentire a lei, che era solo il prolungamento troppo saggio del suo
ego.
-Esattamente.-
affermò, quindi.
Emily
rise. Non davvero, no. La sua risata era come tutto in lei, piatta e
vuota e senza sentimento se non quella durezza spigolosa con cui fare
i conti. Si alzò agilmente dalla poltrona e gli si
affiancò sul
divano, la coscia nuda ora a contatto con la sua, gli occhi dipinti
di nero puntati sul bicchiere di bourbon nuovamente vuoto. Fu lei a
rempirglielo.
David
si ritrovò a guardare la sommità di quella
testolina su cui i
capelli, rovinati dalle troppe tinte, si ribellavano malamente
all'acconciatura accurata che lei aveva realizzato. Pensò
che aveva
voglia di chiederle se quella “nuova” immagine
fosse opera sua o
se fosse passata dal backstage, a farsi dare una mano da qualcuna
delle costumiste o delle truccatrici. Poi decise che non gli andava
di rovinare il piccolo incantesimo che, con tanta cura, lei aveva
intessuto: mancavano pochissimi giorni alla fine del tour, Emily
–
come tutto il baraccone – sarebbe sparita fino al prossimo
disco,
lui sarebbe tornato alla splendida routine di una vita perfetta, lei
sarebbe stata il ricordo piacevole di qualche notte solitaria... Era
quasi...corretto che la ragazza si fosse impegnata
tanto per
lui.
-Mi
sei mancata.- confessò a quel punto.
Lei
alzò il viso verso il suo. Nella sua espressione, Bowie
lesse
chiaramente lo scetticismo con cui aveva accolto quelle poche parole.
Non che pensasse che lui le stesse mentendo, piuttosto Emily sapeva
esattamente cosa lui stesse dicendo.
“Mi
sei mancata” come può mancarmi un
giocattolo dimenticato sul
fondo di un cassetto, quando, all'improvviso, lo ritrovi e ricordi
quanto ti sei divertito a giocarci. Non importa in che stato sia
quello stesso giocattolo, importa solo che è di nuovo tuo.
Lui
sapeva che la vita di lei sarebbe sempre scorsa indipendentemente
dalla sua presenza. Forse Emily era innamorata di David Bowie, ma
entrambi sapevano bene che differenza correva tra David Bowie e
l'uomo che in quel momento le sedeva accanto. E lei e quell'uomo non
avevano assolutamente nulla in comune. Era il motivo per cui non
aveva mai paura di ferirla. L'esatto opposto di Brian, lei era
così
radicalmente consapevole di sé da essere totalmente
indifferente
agli altri. Cosa l'avesse forgiata a quel modo era un segreto che
David non le aveva mai chiesto, se non di rado, e che lei non gli
aveva mai rivelato, se non in parte. Le cicatrici bianche sui suoi
polsi parlavano molto più di quanto fosse disposta a fare
lei
stessa.
-Beh,-
mormorò adesso. David la vide sollevarsi in un movimento
fluido e
aggraziato, le sue gambe lo circondarono e lui se la ritrovò
seduta
in grembo, a cavalcioni, le braccia ricoperte di bracciali che
tintinnavano ai lati della sua testa e quegli occhi magnetici puntati
dritti nei suoi.- non è bene che tu rimanga da solo,
stanotte.-
terminò ad un passo dalle sue labbra.- Non sarò
la tua bambolina
maledetta, ma confido di poterlo sostituire abbastanza bene!- rise
leggera, un istante prima di annullare anche quella distanza.
***
Alla
fine non era riuscito ad ignorare la cosa come avrebbe voluto.
Brian
sedeva da solo al bancone del bar, quando Steve lo raggiunse. Fumava,
un bicchiere alto pieno di un qualche cocktail dall'aria non
identificabile davanti a lui sul piano lucente. Il batterista aveva
visto un paio di persone provare ad avvicinarlo solo per essere
ricacciate in malo modo e questo gli era stato sufficiente per capire
che l'umore dell'altro era, a dir poco, funereo.
Prese
posto al suo fianco senza chiedergliene il permesso. Brian si
voltò
come una serpe, poi lo riconobbe e si sgonfiò come un
palloncino,
afflosciandosi su sé stesso.
Steve
si accese una sigaretta anche lui.
-Posso
farti una domanda?- chiese dopo qualche minuto di silenzio totale.
Prima
che Brian gli rispondesse, una delle ragazze al banco venne a
prendere la sua ordinazione. Steve chiese una bionda qualsiasi, la
ragazza si prese qualche istante per descrivergli le qualità
della
birra che gli aprì davanti, lui non la ascoltò
affatto e, quando
lei si allontanò con un sorriso compiaciuto,
tornò a girarsi verso
il proprio cantante.
Brian
non aveva cambiato posizione di un centimetro e non aveva dato segno
alcuno di aver anche solo fatto caso a quanto accaduto o alla sua
domanda.
-Bri.-
lo chiamò Steve per essere certo di avere i suoi occhi
puntati su di
sé. A quel punto, tornò ad incalzarlo.- Posso
chiederti una cosa?-
ribadì.
-Certo.-
fu la risposta piatta che ne ottenne in cambio.
-E'
una questione di mero orgoglio o c'è altro?
Lo
spiazzò. Brian non lo diede a vedere apertamente, si
ostinò ad
adottare quell'aria apatica, assente, ricambiandogli uno sguardo
spento. Ma sobbalzò impercettibilmente sul proprio posto,
arricciandosi ancora più in se stesso.
Steve
sospirò.
-Parliamoci
chiaramente, Brian.- ricominciò, sforzandosi di non suonare
troppo
giudicante per paura che l'altro si limitasse ad alzarsi e andarsene
come aveva già fatto nel privè.- Sei tu che hai
spinto Stef a
comportarsi così con te. Lui è...pazzo
di te!- soffiò con
enfasi, schiacciando con violenza il mozzicone della sigaretta nel
posacenere davanti a loro.- Si getterebbe nel fuoco, se glielo
chiedessi. Ma tu?
-Io
cosa?
-Ti
importa qualcosa di Stefan?- scoccò Steve lapidario.
Vide
Brian deglutire a vuoto, con fatica. Fu l'unico segno di debolezza
che gli mostrò; il suo viso rimase impassibile, freddo e
inespressivo.
In
ogni caso, non gli rispose e per Steve era già una conferma
sufficiente.
-E'
terrorizzato dall'idea di perderti. - confessò il
batterista,
ignorando volutamente la circostanza di stare fornendo all'altro
informazioni ricevute nell'ambito di confidenze riservate.- Ti ha
visto con quello.- Un cenno rapido in direzione dell'area riservata
in fondo al locale, dietro pareti di vetro opaco.- Non è
stupido, sa
riconoscere la tua adorazione per un altro. Qualcuno che non
è lui.
-Io
non...!- iniziò Brian rocambolescamente.
Steve
si lasciò scappare uno sbuffo di amaro divertimento:
l'orgoglio
sembrava risvegliare i sentimenti di Brian Molko molto più
dell'idea
che la persona a cui era più legato potesse prendere
definitivamente
le distanze da lui.
-E'
geloso di Bowie.- proseguì spiccio il batterista.-
Semplicemente.
Follemente geloso di lui, della possibilità che tu possa
perdere la
testa e seguirlo in capo al mondo, lasciarci indietro pur di farlo...
-Siete
la mia unica famiglia.- lo interruppe bruscamente Brian.
Lo
fece con una forza ed una convinzione così evidenti che
Steve fu
tentato di credere che fosse sincero.
Lo
guardò.
-Se è
davvero così, dimentica quello che hai visto stasera e torna
da
lui.- suggerì. Scivolò giù dallo
sgabello e recuperò la bottiglia
di birra da sopra il bancone- Potrebbe non essere facile come ogni
altra volta, Brian. Ma devi decidere tu se ne vale la pena.
Quando
Steve fu scomparso nuovamente nella confusione rumorosa del locale,
Brian tornò a voltarsi verso il proprio bicchiere e si
accese
un'altra sigaretta.
Doveva
fare come gli aveva suggerito l'amico? Tornare da Stefan, tapparsi
naso e bocca e aspettare pazientemente che il bassista si stancasse
di quella patetica scenata di gelosia?
...sì. Doveva.
…aveva
voglia di farlo? No.
No,
più onestamente non aveva le forze per farlo. Non pensava
davvero di
provare così tanta paura nel vedere Stef tra le braccia di
qualcun
altro.
Intendiamoci!
Non aveva mai preteso la fedeltà del bassista a fronte della
propria
infedeltà totale e lampante. E Stef, infatti, non si era mai
fatto
mancare occasioni per cercare altrove compagnia, quando lui aveva di
meglio con cui intrattenersi. Ma non glielo aveva mai sbattuto in
faccia a quel modo e, sopra ogni cosa, tutte le volte in cui Brian
aveva cercato lui, tutte le volte in cui gli aveva fatto intendere
che aveva bisogno di lui, Stef era lì.
Non importava chi
stesse occupando il posto di Brian in quel momento, doveva alzarsi e
sparire senza una parola, perché lui veniva prima di
chiunque altro.
Quindi,
cosa stava andando storto quella sera? Stefan lo aveva evitato tutto
il giorno, se si faceva eccezione per la brevissima parentesi sul
palco in cui, più che altro, aveva la sensazione che lui si
fosse
lasciato trasportare dall'energia indiscutibile della loro
esibizione. Dopo lo show, quando aveva provato ad avvicinarlo per
capire cosa non andasse, Brian era stato malamente allontanato senza
nessuna spiegazione reale: o Stefan lo ignorava apertamente o gli
rispondeva in modo brusco, ironico ed offensivo. Aveva
chiesto
espressamente a lui e Steve di aspettarlo per andare a quel
dannato party! E per tutta risposta era stato mollato da solo, ad
arrangiarsi per raggiungerli al locale. E poi...
“Marcian”. Il
più insulso, inutile e scialbo ragazzetto che Stefan avrebbe
potuto
raccattare in giro e con il quale si atteggiava come se fosse il
centro intero dell'Universo.
Era
geloso di Bowie?! Almeno era David Bowie e non...marcian!
Ingollò
rabbiosamente l'intero contenuto del bicchiere, bevendolo tutto d'un
fiato fino a quando non rimasero solo i cubetti di ghiaccio sul
fondo, scuriti dalla liquirizia contenuta nel cocktail. Posò
secco
il contenitore vuoto e saltò giù dallo sgabello,
la sigaretta che
pendeva tra le labbra su cui il rossetto era ormai una traccia
sbiadita. Prima di allontanarsi ordinò un secondo giro, poi
si voltò
con il bicchiere in mano, prendendo il coraggio a due mani, e fece a
ritroso la strada verso il privè.
La
brina del mattino
congela sui nostri petali,
spezza il nostro respiro
Brian
sedette tra Levi e Steve, proprio di fronte a Stefan ed al suo
giocattolo di quella sera.
Marcian
impallidì leggermente. Brian si lasciò scappare
un sorrisetto
cattivo e si rilassò contro lo schienale del divanetto,
allargando
le gambe ed assumendo volutamente una posa sciatta e volgare. Stefan
gli scoccò un'occhiata in tralice e non riuscì a
reprimere una
smorfia disgustata.
-Certo
che stasera avete fatto furore!- stava, intanto, affermando con
enfasi uno dei presenti.
Brian
spostò l'attenzione su di lui per rendersi conto, solo in
quel
momento, di come la maggior parte delle persone al tavolo fossero
membri della band di Bowie. Ad aver parlato, per la precisione, era
il suo chitarrista, che ora lo fissava con autentico interesse,
aspettando la sua risposta.
Brian
si inorgoglì.
-Grazie,
Reeves.- sussurrò, assumendo istintivamente un atteggiamento
molto
più civettuolo e suadente.- E' sempre un piacere ricevere
dei
complimenti da una persona di talento ed esperienza come te.
Stefan
fremette visibilmente per quei modi da gattino. Brian lo vide finire
in un sorso unico il contenuto del proprio bicchiere e voltarsi
istintivamente verso Marcian, che si prodigava generosamente per
richiamare la sua attenzione.
-Sul
serio...riesci ad essere...- cercò di argomentare il
chitarrista,
fallendo miseramente nel tentativo di definire l'altro.
Brian
rise.
Gail,
la bassista, prese la palla al balzo per terminare la frase:
Conturbante ed offensivo allo stesso tempo.- classificò in
tono
piano.
Il
cantante si accigliò. Non tanto per quanto l'altra aveva
appena
detto – in realtà, era esattamente il genere di
reazione che
sperava di suscitare – quanto per la circostanza che non ne
sembrasse affatto impressionata.
Valutò
la risposta migliore da darle, ma la sua concentrazione fu dissipata
in meno di un istante quando sentì la risatina sottile di
Stef
insinuarsi nel mezzo dei suoi pensieri. Ruotò appena la
testa,
pensando che l'altro volesse fare dell'ironia spicciola sulle parole
della donna, ma si accorse in fretta di non essere affatto tra gli
interessi del proprio compagno di band, impegnato in più
piacevoli
passatempi con un Marcian che tentava, nemmeno troppo discretamente,
di infilargli una mano nei pantaloni.
Brian
sentì un conato di vomito risalirgli lo stomaco.
-...immagino
sarebbe meglio essere insignificanti, ordinari e scontati come
qualsiasi moccioso che si possa incontrare in un locale qualunque!-
sibilò in risposta a Gail, ma tenendo lo sguardo fisso sul
proprio
bassista e sul suo accompagnatore.
Stef
alzò la testa di scatto e si voltò verso di lui.
Marcian stesso
capì come le parole di Brian non si riferissero certo ad
un'esibizione musicale e si raddrizzò con un'esclamazione di
protesta.
-...certo
che no.- affermò lentamente Gail, senza capire del tutto
quanto
stava succedendo.- Ma ammetterai che anche il tuo atteggiamento alla
lunga rischia di diventare un cliché.
Brian
le scoccò uno sguardo furente.
-Non
si tratta di una maschera!- sfiatò velenosamente.- Questo
sono io! È
quello che penso!
Marcian,
stupidamente, intervenne: Di essere una troia a buon mercato.-
commentò acido.
-Marcian...-
lo richiamò a voce bassa Stefan, allarmato.
-Sai,
non sono poi così stupito che tu possa aver completamente
frainteso
il messaggio delle mie canzoni.- ritorse Brian, tranquillamente.- Non
credo che Stefan ti abbia scelto perché ha voglia di
intrattenere
una conversazione di qualche tipo con te.
-Oh,
invece con te chissà quali discussioni filosofiche
intrattiene!-
ironizzò Marcian.
Brian
si voltò verso Stefan, sfoggiando l'espressione
più dolce che
riuscì a fingere: Ma quant'è tenero, Stef!-
commentò divertito.-
Il mio esatto opposto!
-...magari,
con tutto il veleno che ho già ingoiato con te, ormai sono
assuefatto agli stronzi.- sfiatò rocamente il bassista,
prendendo
fisicamente le distanze da Marcian tanto quanto da Brian.
-Con
una differenza fondamentale, - sottolineò quest'ultimo - io
non
fingo per farmi portare a letto.
-E
perché dovresti?! Portarti a letto è praticamente
l'unica cosa che
chiunque vorrebbe fare con uno come te!
Brian
sentì distintamente Steve uscirsene con un “oh,
cazzo!” che
riassunse in pieno la situazione. Eppure, un secondo prima di poter
rispondere a Marcian e finirlo deliberatamente con la battuta
più
crudele che fosse riuscito ad escogitare, si rese conto di una cosa
che congelò definitivamente ogni sua capacità di
reazione.
Stefan
se ne restava in disparte. Adesso sedeva lontano da lui e dall'altro
ragazzo, ma era solo a lui che rivolgeva uno sguardo spento, gravido
di una rassegnazione ubriaca. Stef non era mai stato uno
“combattivo”
nel senso più basso del termine, ma vederlo svuotato anche
dell'orgoglio che lo aveva spinto alla stupida ribellione di quella
sera...
Si
sentì sinceramente in colpa e sinceramente spaventato dal
male che
sembrava in grado di fargli.
Quando
guardò nuovamente Marcian lo vide ricambiare il suo sguardo
con un
misto di rabbia e insicurezza. Si aspettava di farsi male in quello
scontro, ma non voleva accettare passivamente i suoi insulti e non
era una cosa così strana. Strano era l'atteggiamento di chi,
come
Stefan, abbassasse la testa sempre e comunque davanti alla sua
cattiveria.
...il
conato di vomito tornò prepotente. Brian lo
soffocò spingendo il
dorso della mano contro la bocca, ma quando provò a
deglutire si
rese conto del nodo alla gola ed allo stomaco. Si alzò di
scatto,
senza aggiungere altro, e corse fuori dal privè per la
seconda volta
in quella serata.
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Capitolo 9 *** 8 ***
E'
come se i nostri
mondi collidessero.
Il mio sta implodendo
e tu resti a guardare.
Vomitò
tutto quello che aveva bevuto nelle ultime due ore.
Vomitò
anche tutto quello che aveva masticato, ingoiato e non digerito. La
bile, la rabbia, la paura...Vomitò quel senso di
inadeguatezza che
gli aveva serrato lo stomaco davanti allo sguardo di Stefan, al
coraggio stupido di Marcian Lo Sconosciuto, all'indifferenza di Gail
per quel messaggio che lui si ostinava a portare in scena ogni sera.
Si
chiese cosa ci fosse di sbagliato in lui. Cosa impedisse alla gente
di capire davvero. Quello che provava, quello che
cercava di
dire loro in ogni modo, in ogni singolo gesto, parola, grido
disperato da quel maledetto palco!
Si
accasciò a terra, le braccia sorrette solo dalla ceramica
sudicia
del cesso davanti a lui. In quel momento si faceva talmente schifo da
non trovare nemmeno così orrendo starsene lì sul
pavimento, in
mezzo al lerciume, ad aspettare che il cuore smettesse di correre
come un pazzo nel suo petto, la testa di pulsare e quel dannato
sapore di ristagnargli in bocca con tanta ostinazione.
Spinse
indietro i capelli, sperando che non si fossero macchiati ma senza
forze per sincerarsene davvero; li avvertiva umidi e appiccicosi, ma
non gli importava, a condizione che non gli ricadessero sulla fronte
sudata.
L'idea
di uscire da quel cubicolo e tornare nella confusione del locale lo
terrorizzava a morte. Sentiva la musica rimbombare ossessivamente
perfino da lì. Non c'era nessun posto in cui nascondersi, in
mezzo a
quella confusione: inevitabilmente lo avrebbero cercato, lo
avrebbero visto e lo avrebbero giudicato. Non importava chi
fossero “loro”. Non avevano un nome o una faccia,
erano le
centinaia di persone senza nome e volto che si erano girate nella sua
direzione quando avevano incrociato la sua strada, nel corso
lunghissimo di quella vita di merda che continuava a sfuggirgli dalle
dita. Doveva pur esserci un senso da qualche parte! Perché
solo lui
sembrava incapace di vederlo?
La
porta di legno, a cui era appoggiato con la schiena, venne spalancata
di colpo. Brian si considerò fortunato ad essere ancora
accasciato
contro il water o niente lo avrebbe salvato dal ritrovarsi steso a
terra a fissare dal basso il volto arrossato del gigante biondo che
occupava adesso la soglia. Senza muovere un muscolo, gli rivolse
un'occhiata stanca.
-...non
si bussa, Eric?- borbottò piatto, svogliato.
Lui
non gli prestò attenzione. Il suo sguardo vigile lo studiava
analiticamente e lo fece sentire incredibilmente nudo ed esposto.
Brian
si alzò di scatto, scavando dal fondo del proprio ego quanto
restava
del proprio coraggio e orgoglio. Spinse di lato Eric, che lo
lasciò
fare, e passò oltre, uscendo nel bagno e raggiungendo il
lavandino.
L'immagine spettrale allo specchio lo salutò con un paio di
occhiaie
verdi e labbra così livide da sembrare appena scappate
all'inferno.
Nonostante il trucco! Brian aprì l'acqua e la raccolse sui
palmi a
coppa, poi infilò il viso tra le mani e grattò
via ciò che restava
del make up, strofinando con ostinazione la pelle fino a renderla
rossa e dolorante. La faccia che lo accolse, quando
raddrizzò la
schiena, non era migliore di quella di pochi istanti prima. Adesso,
al posto delle occhiaie verdi, c'erano le scie scure di mascara,
matita ed ombretto, che segnavano con prepotenza il solco profondo
sotto i suoi occhi, rendendoli più brillanti, vividi e
irreali del
solito. Sembrava una maschera su cui qualcuno avesse praticato dei
fori in corrispondenza di pupille di vetro colorato.
Vide
Eric alle proprie spalle. Lo vide sempre nel riflesso, non appena
scelse di distogliere l'attenzione da se stesso e puntarla su quella
figura enorme che sorrideva ironicamente dietro di lui.
-Che
diavolo vuoi?!- lo apostrofò, cercando di suonare minaccioso
ma
risultando soltanto sfinito.
Lui
sbuffò una risatina e gli andò incontro.
Istintivamente Brian si
ritrasse contro il lavandino, voltandosi nello stesso momento, sulla
difensiva. Mai come in quell'istante Eric gli era sembrato
minaccioso, ma sospettava fosse solo lui a sentirsi particolarmente
fragile.
Il
gigante lo ignorò. Aprì il rubinetto e
c'infilò sotto le mani per
sciacquarle.
-Brutta
serata, ragazzino?- s'informò in modo quasi gentile.
Brian
capì a quel punto che lui lo doveva aver sentito mentre
rimetteva
anche l'anima in quel cesso di merda. Si morse le labbra fino a farle
sanguinare, cercando di calmare il dannato battito impazzito
all'altezza dello stomaco.
-Senti,
chiariamo una cosa.- sbottò aspro.- Noi due non siamo
amici...
-Ah,
questo lo so!- rise Eric, apertamente.
Brian
si perse a metà del proprio discorso, spiazzato da quella
reazione
tanto neutrale alle sue parole. Lasciò ricadere
“l'intimidatorio”
dito che aveva sollevato verso di lui e si rilassò contro il
sostegno di porcellana alle proprie spalle.
-...ma
mi dici che diavolo vuoi da me?- sussurrò in tono appena
udibile,
senza preoccuparsi, stavolta, di suonare meno stanco e debole di
quanto si sentisse davvero.
Eric
chiuse l'acqua, si voltò verso di lui e sollevò
un sopracciglio.
-Perché
pensi che voglia qualcosa da te?- ritorse spiccio. Strappò
dal
rotolo lì di fianco alcuni tovaglioli e si
asciugò le mani, per poi
gettarli nel cestino vicino al muro. Quando tornò a
guardarlo, Brian
era ancora in attesa di una spiegazione.- Ragazzino, te l'ho detto la
prima sera: mi piaci.
-La
gente che dice questo, poi cerca di infilarmi le mani nei pantaloni.-
affermò pianamente Brian.
Eric
rise di nuovo. Scavò nella tasca dei jeans e tirò
fuori una bustina
trasparente simile alle altre svariate bustine trasparenti che, in
quel tour, erano passate dalla sua mano a quella di Brian.
Lui,
però, sentì che avrebbe fatto bene a voltarsi ed
andarsene.
-Vuoi
che ti infili le mani nei pantaloni?- ironizzò Eric.
“...piuttosto
preferirei la castrazione chimica...”
Non
ebbe la prontezza di spirito di rispondere, comunque. E questo era
abbastanza insolito da aumentare fortemente quel senso di
straniamento e disagio che avvertiva. Adesso come adesso, voleva solo
uscire da lì e tornare in Hotel per rinchiudersi in camera
fino alla
fine dei giorni.
Eric
avanzò verso di lui, colmando la distanza di sicurezza
– già
breve – che Brian aveva mantenuto fino a quel momento.
Fortunatamente si limitò a posare sul piano in ceramica il
sacchetto
e a farsi indietro con la stessa ironia beffarda ancora dipinta in
viso.
-Sai
ragazzino...non posso dire che l'idea non mi intrighi,- ammise
semplicemente.- ma continuo a pensare che resterei molto deluso di
scoprire cosa c'è lì sotto!-
esclamò accennando un gesto
tanto eloquente quanto volgare.- Quindi, non seccarti, ma mi limito a
dirti che mi piaci e che mi piace fare regali agli amici.
Evidentemente
aveva del tutto ignorato il fatto che Brian ci avesse tenuto a
specificare che loro due non era affatto amici.
-E
poi, questo tour è una tale rottura! Tu sei una delle poche
cose
interessanti che sia successa da quando è iniziato.-
confessò
candidamente, reinfilando le mani in tasca per lasciarcele, stavolta.
- Mi piace l'idea di movimentarti un po' una serata, che sembra
proprio ti stia andando di merda!
-Non
sai quanto.- concordò Brian brevemente, evitando il suo
sguardo.
Finì per incocciare di nuovo nella propria immagine riflessa
ed ebbe
serie difficoltà a riconoscersi.-Cristo!-
sfiatò stravolto.
Eric,
intanto, sembrava essersi stancato di lui e stava già
tornando verso
la porta del bagno.
-Se
vuoi un consiglio, ragazzino,- annunciò la voce roboante del
gigante, senza attendere che lui chiedesse effettivamente che gli
fosse dato qualche discutibile consiglio - lascia perdere tutti
quelli che non sono abbastanza furbi da capire quanto vali e cerca
altrove.
Eric
scomparve dietro il battente, che si richiuse da sé, e Brian
si
ritrovò solo in compagnia di un sacchettino di pillole di
LSD.
...beh...prenderne
una, dimenticarsi in fretta di quanto successo ed uscire a cercare
compagnia non sembrava affatto un brutto programma.
Le
sue dita saettarono istintivamente verso il sacchetto, afferrandolo
con forza. Brian si tirò dritto, rassettò i
vestiti sgualciti e,
infilate in tasca le pillole, uscì rapidamente dal bagno.
-Brian!-
Alzò ulteriormente il tono quando l'uomo si voltò
verso di lui, per
essere certo che lo sentisse, nonostante la musica e nonostante a
separarli ci fosse quasi per intero il bancone del bar.-
Dov'è
David?!
Eno
si strinse nelle spalle. A Brian fu chiaro che era molto più
interessato alle tette della tizia con cui stava chiacchierando al
suo arrivo, che a dargli indicazioni su dove avrebbe potuto trovare
il cantante.
Sbuffò
infastidito.
Il
sacchetto trasparente nella sua tasca posteriore pesava come un
macigno. Brian fissò intensamente il bicchiere alto che era
appena
stato servito alla donna accanto a lui e si chiese se fosse il caso
di ordinare da bere o se fosse meglio uscire da lì prima di
ritrovarsi a soffocare per la voglia di farsi e
quella di
sparire in un buco profondo chilometri. Si accorse solo quando lei
parlò, che la donna era di nuovo Gail.
-Guarda
che David è appena uscito.- gli disse. Brian
sollevò lo sguardo
verso di lei, una luce bramosa negli occhi.- Se ti sbrighi, lo trovi
sul retro. Jeff stava andando a prendere la macchina.
-Grazie.
Quasi
corse via. Sentendosi un po' stupido nel farlo e non sapendo nemmeno
bene per quale ragione, invece di cercare un facile rifugio nella
droga, stava preferendo cercarlo tra le braccia di Bowie. La cosa lo
spaventava a morte, in realtà. Mentre usciva dalla sala da
ballo,
lasciandosi alle spalle la confusione e il rumore, sentiva nuovamente
il cuore prendere a rimbalzare impazzito nella cassa toracica,
spingendo giù, giù sullo stomaco!
Nel
giro di pochi giorni, Bowie sarebbe scomparso completamente dalla sua
esistenza.
...o
forse sarebbe stato Brian a scomparire dall'esistenza di David Bowie.
Non aveva ben chiaro se l'essere una star e un'icona decennale
comportasse di ridurre tutti gli altri a comparse anche nella propria
vita, quando avevano la sorte di incontrarti sul loro cammino.
In
ogni caso, lui sarebbe stato un punto passato su una linea retta
verso un futuro incerto. Aggrapparsi a quel punto poteva significare
cambiare totalmente il corso della propria vita: Steve gli aveva
detto chiaramente che Stefan era geloso di Bowie, che temeva le
scelte di Brian, che Brian avrebbe fatto fatica a riguadagnare la sua
fiducia...cosa sarebbe stato di tutti loro una volta che il Duca
Bianco fosse sparito e loro tre si fossero trovati a dover fare i
conti con i Placebo e nient'altro?
No,
rifugiarsi tra le braccia di Bowie non sembrava affatto la scelta
saggia. E, per assurdo, appariva più saggio tornare
indietro,
ordinare qualcosa al bar e mandare giù una o due di quelle
pillole
magiche che Eric aveva dispensato con tanta generosità.
Ma,
poi, Brian uscì all'aria aperta. Un vento gelido gli
rimbalzò
addosso, cercando inutilmente di ricacciarlo dentro il locale, fece
sbattere la porta alle sue spalle, Brian la guardò e poi si
girò ad
allargare lo sguardo all'intero spazio del parcheggio sul retro.
Riconobbe David immediatamente. Era una macchia chiarissima in un
cielo nero, punteggiato di lampioni. Sorrideva. Il suo viso appariva
disteso e sereno e Brian poteva sentire un eco lontana delle sue
parole, dolci, morbide come sempre, scivolare fino a lui sulle tracce
di quel vento.
Lo
calmò in un momento. Brian provò la stessa
sensazione di
tranquillità e sicurezza che aveva avvertito quando, quel
mattino,
si era svegliato accanto a lui. Fino a quel momento, era sembrata
passata un'eternità da allora, ma adesso si rese conto che
erano
solo poche ore che lui e David si erano separati e che tutto quello
che voleva in quell'istante era tornare con lui in
Hotel e
chiudersi con lui nella propria camera, fino alla fine dei giorni.
Brian
iniziò a camminare in direzione dell'uomo. Lo spirito
decisamente
più leggero ed i passi più sicuri e meno
affrettati. E poi la vide.
Emily
era un'elegante curva nera e bianca sullo spaccato monocromatico
della notte.
Lei e
Bowie non si sfioravano nemmeno. In piedi uno davanti all'altra. Lui
un punto di luce nel cappotto bianco, lei un angelo nero con il
vestito a balze che scivolava sul vento, da sotto il giubbino di
pelle troppo corto.
Brian
s'immobilizzò. Nessuno dei due sembrava essersi accorto di
lui,
Bowie parlava ancora, con quella sua voce calda e rasserenante, lei
oscillava leggermente, come fosse incorporea, un'apparizione
spettrale. La limousine dell'uomo arrivò in silenzio dal
fondo del
parcheggio e fermò davanti a loro. Jeff scese ad aprire la
portiera,
il braccio di Bowie si sollevò a circondare le spalle magre
di
Emily, la strinse a sé con affetto e senso di protezione
evidenti
perfino a quella distanza, le sussurrò qualcosa all'orecchio
o forse
le diede un bacio in quello spazio piccolo, intimo, tra il lobo ed il
collo. Sparirono nell'auto ancora abbracciati.
Brian
sentì distintamente il suono della crepa che si era appena
allargata, perfetta e precisa, nel suo piccolo mondo disastrato.
Perché
non mi hai detto
quello che sentivi?
Perché hai voluto che
scoprissi da solo quanto a fondo eri spezzato?
Stefan
si era annoiato in fretta di Marcian tanto quanto della propria
personalissima ribellione senza senso.
Vedere
uscire Brian a quel modo, per non vederlo più tornare, gli
aveva
lasciato un senso di vuoto così persistente che non era
bastato
tutto l'alcool che era riuscito ad ingoiare per sedarlo.
Marcian
era stato congedato in malo modo, dopo che aveva tentato inutilmente
di farsi portare in albergo dal bassista. Stef era uscito dal
privé
dichiarando che andava a prendere una boccata d'aria e, invece, si
era diretto al bar a caccia del proprio cantante, ma senza avere
fortuna.
Appoggiato
di spalle al bancone, tentava adesso di capire se sarebbe stato in
grado di individuare Brian nella piccola folla che ancora occupava il
locale. Nonostante l'ora tarda, la maggior parte degli invitati alla
festa era ancora lì, complici i pochi giorni di pausa che li
separavano dalla data successiva e la voglia di far festa a ridosso
della conclusione del tour.
Stefan
riconobbe un paio di figure familiari che bevevano sedute a pochi
passi da lui. Si voltò da quella parte.
-Revees!-
gridò attraverso il rumore. Il musicista si voltò
insieme con
Gail.- Avete visto Brian?
Revees
scosse la testa. Gail, al suo fianco, si sporse sul bancone e gli
rispose: Credo sia andato via con David!- urlò.- Lo stava
cercando
prima! Penso siano tornati in albergo assieme!
Stefan
soffocò bruscamente il senso di abbandono che gli
risalì addosso
con ferocia. Annuì senza aprire bocca. Si staccò
dal bancone con un
gesto rapido e scoordinato, sentiva solo il bisogno urgente di uscire
davvero da lì, allontanarsi da quella sensazione spiacevole
di aver
perso qualcosa di troppo importante.
Steve
lo intercettò sulla soglia del corridoio che portava
all'esterno. Si
accorse facilmente del suo stato d'animo, ma, del resto, lo aveva
seguito apposta per assicurarsi che fosse tutto a posto.
-Stef!-
lo chiamò inutilmente.
Lui
si voltò, lo vide e poi lo ignorò e corse fuori,
inseguito dai
passi del batterista. Steve lo raggiunse all'uscita posteriore del
locale; sbucarono entrambi nel parcheggio silenzioso, la porta che
sbatteva con violenza alle loro spalle.
-Che
succede?- chiese immediatamente Steve, piazzandoglisi di fronte.
Stefan
non rispose. Cercò di calmare i nervi e riprendere il
controllo,
evitando accuratamente di incrociare lo sguardo dell'amico.
Cavò di
tasca le sigarette, se ne accese una e, poi, si lasciò
cadere a
sedere per terra, spalle al muro del locale dietro di sé. Da
lì gli
alzò in faccia gli occhi, con una rassegnazione evidente
perfino
nella semioscurità che li circondava.
-Non
avrei dovuto comportarmi come ho fatto.- mormorò angosciato.
Steve
sospirò. Con fatica si sistemò al suo fianco,
appoggiando anche lui
la schiena al muro umido e bestemmiando mentalmente contro quegli
idioti dei suoi migliori amici che lo obbligavano a simili
sciocchezze nel cuore della notte e nel mezzo di una festa.
Non
disse niente del genere.
-Se
vuoi la mia opinione spassionata, per quanto tu sia stato orrendo
e vagamente ridicolo, Brian se l'è meritata tutta.
-Certo!-
sbuffò Stefan, amaramente.- E cosa ci ho guadagnato?! Che
lui è
tornato esattamente dove non volevo che fosse: con Bowie!
Steve
sospirò di nuovo. Tirò su le ginocchia, ci
appoggiò un gomito,
s'inclinò in avanti e si grattò pensieroso la
testa, studiando da
sotto in su l'espressione di pura disperazione che Stefan rivolgeva
adesso al parcheggio vuoto.
-Non
credo che essere gentile e carino con lui ti avrebbe portato
vantaggi, sotto questo profilo.- considerò pianamente.- Al
massimo,
Brian avrebbe passato la notte con te e domattina sarebbe tornato da
Bowie.
Stefan
non disse nulla. Tanto, sapevano entrambi che sarebbe sarebbe andata
esattamente così e non avevano davvero bisogno di dirselo ad
alta
voce. Il punto, molto più banalmente, era che a Stefan
sarebbe anche
stato bene: non voleva perdere Brian e, se questo significava
continuare ad essere una seconda scelta, lo svedese stava scoprendo
tristemente in fretta quanto fosse disponibile ad esserlo.
Steve
lo sapeva anche senza che Stef glielo dicesse. Era tragicamente
consapevole delle dinamiche sbagliate che animavano la coppia che lui
e Brian formavano, tragicamente consapevole di come quest'ultimo ci
riversasse dentro buona parte del veleno che lo alimentava. Stefan
era un'ancora di salvezza? Brian poteva insistentemente rosicchiare
la corda che li univa nonostante sapesse che sarebbe andato alla
deriva senza possibilità di recupero.
-...Stef...-
Lui lo guardò.- Lascialo andare quanto prima.-
consigliò a voce
bassissima. Faceva fatica a dirlo, aveva paura quanto Stefan che, il
giorno in cui si fosse trovato davvero da solo, Brian avrebbe finito
per autodistruggersi. Era come una stella pericolosamente vicina al
termine del proprio ciclo vitale – Lascialo. Almeno uno di
voi due
deve uscire da questa storia ancora vivo.
***
Gail
rideva ad una sua battuta. Brian Eno pensava che sarebbe stato il
caso di chiederle, una volta in Hotel, se avesse voglia di fermarsi a
bere un “bicchiere della staffa” da lui. Gli altri
intorno a loro
non sembravano nemmeno essersi accorti del clima di
complicità che
intercorreva con la donna.
La
limousine nera si fermò silenziosamente a pochi passi dal
punto cui
approdarono. Eno, cavallerescamente, aprì la portiera per
far salire
la bassista bruna; l'autista, sceso dalla macchina per aprire anche
l'altro sportello, si voltò, invece, verso di loro.
-Mr.
Eno!- lo chiamò con urgenza.
Brian
Eno si voltò senza capire cosa potesse esserci di tanto
pressante:
l'uomo aveva un'espressione preoccupata che era decisamente fuori
luogo come finale di una serata tanto piacevole e divertente.
-C'è
un cadavere all'ingresso del parcheggio!- esclamò l'autista.
Il
tempo si fermò. Diverse paia di occhi attoniti si girarono
in
direzione dell'uomo. Brian Eno, sfoggiando un autocontrollo
impeccabile, chiuse educatamente la portiera, nonostante Gail fosse
ancora in piedi di fianco a lui, e si voltò nella direzione
dell'autista.
-Spiegati.-
ordinò in tono fermo e pacato.
-Puoi
andare ad aprire tu, tesoro?
Emily
non gli rispose. Mise da parte il libro che stava leggendo e, in
mutande e con solo una maglietta di Bowie a coprirle il seno e la
pancia, saltò agilmente giù dal letto e
puntò alla porta della
suite. Nel bagno della camera, Bowie fischiettava allegro uno dei
propri singoli più vecchi.
Emily
ricambiò l'espressione preoccupata di Eno, fuori della
stanza, con
la propria curiosità più ingenua e sfrontata. Il
produttore la
ignorò.
-David?
-In
bagno.
Eno
annuì.
-Abbiamo
un problema.- annunciò subito dopo.
Quando
Bowie uscì dal bagno, la sua camera da letto era decisamente
più
affollata di quando l'aveva lasciata.
Il
cantante girò lo sguardo da Eno ad Emily a Revees e
ritornò a
puntarlo su Eno. Poi si accorse, senza bisogno che l'altro aprisse la
bocca, della figura bruna, pallida e sfatta che occupava il suo
letto.
Si
accigliò.
-Brian!-
sfiatò incredulo.
Si
precipitò da quella parte, scostando di peso Eno per poter
raggiungere il letto.
-Che diavolo succede?!-
ringhiò, facendosi spazio accanto al ragazzo, sul materasso,
e
posandogli affannosamente una mano sulla fronte.
Brian era gelido. Un
sudore ghiacciato appiccicò i polpastrelli della mano di
Bowie alla
sua pelle pallida. Il respiro del ragazzo era talmente flebile che
David dovette spostare la mano sul petto per assicurarsi che fosse
presente.
Per assurdo, quelle
constatazioni lo calmarono, ridandogli in un secondo la
lucidità
necessaria per agire. Si voltò verso Emily.
-Chiama la hall, dì che
mandino immediatamente il medico dell'Hotel.- ordinò.
La ragazza scattò verso
il telefono, lo afferrò e camminò lontano da loro
per poter
chiamare senza essere disturbata.
Eno si affiancò a Bowie.
-Era nel parcheggio della
discoteca.- cavò di tasca una bustina trasparente che
conteneva
ancora un paio di pillole colorate. Bowie le guardò senza
vederle.-
Non penso sia niente di serio,- cercò di rassicurarlo
l'amico.- ha
bevuto un po' troppo e l'alcool e queste non vanno d'accordo, lo sai.
Lo sguardo di David era
tagliente come una lama, il suo viso era totalmente inespressivo ma
Brian Eno avvertì distintamente la rabbia serpeggiare sotto
quella
calma apparente.
-Voglio che licenzi
Eric.- affermò Bowie con fermezza, ma senza che il suo tono
assumesse alcuna inflessione particolare.- E quando dico che voglio
che sia licenziato,- aggiunse allo stesso modo – intendo dire
che,
da domani, il suo unico modo per entrare ad un concerto
dovrà essere
pagando un biglietto.
Eno prese mentalmente
nota di quella disposizione, annuendo senza ribattere. David perse
interesse; tornò a concentrarsi su Brian, per rendersi conto
di non
essere stato neppure capace di allontanare da quel corpo sottile la
mano che ancora premeva contro il suo petto...aveva quasi paura che,
facendolo, Brian avrebbe semplicemente smesso di respirare.
-Il medico sta
arrivando.- annunciò Emily, riapparendo accanto a loro.
David sollevò gli occhi
su di lei. Appariva preoccupata almeno quanto lui ed era
così strano
vederla alterata per qualcosa che avvertì immediata
l'empatia che li
legava in quell'istante. Annuì silenziosamente, a mo' di
ringraziamento, e tornò a guardare Brian. Cauto e lento,
spostò la
mano, raddrizzando la schiena e cercando di riacquistare
completamente il controllo di sé e delle emozioni che lo
attraversavano in quel momento come una tempesta.
Brian respirava piano, ma
respirava. Al caldo della camera stava lentamente riacquistando un
colorito più salutare, la sua espressione sembrava
distendersi
lentamente, come se fosse immerso in un sonno appena più
profondo di
quanto usuale.
David si voltò verso
Eno.
-I suoi amici erano
ancora alla festa?
-Credo fossero rientrati
anche loro, perché non lo ho visti...
-Ok.- Bowie si voltò
verso Reeves.- Ti spiace andare a chiamare Stefan Olsdal e Steve
Hewitt?
Reeves si limitò ad
assentire brevemente ed uscì rapido dalla suite.
-David.- chiamò Eno,
approfittando di un momentaneo allontanamento di Emily, a caccia
delle proprie sigarette.- Starà bene.- promise quietamente,
quando
gli occhi dell'amico furono nei suoi.- E' un ragazzino, è
forte...e
se avessi pensato che era qualcosa di grave, lo avrei portato di
filato in ospedale, lo sai.- Sorrise.- Ne abbiamo viste di peggio,
noi due!- esclamò con finta allegria, cercando di smorzare
la
tensione almeno un po'.
Bowie annuì con un
sorriso incerto.
-...mi sento
responsabile.- ammise a voce bassissima.
Eno sbuffò, infastidito.
-Non sei suo padre! E'
comunque un adulto.- osservò brusco.
David si chiese come fare
per spiegargli esattamente il senso delle proprie parole. Si sentiva
responsabile di Brian, aveva la sensazione di avergli fatto un
qualche tipo di promessa, quel mattino, e di averla appena infranta,
lasciandolo solo con dei demoni che lui faceva fatica anche a
scorgere davvero. Non capiva ancora del tutto quali fossero le ombre
nelle quali Brian si dibatteva, cosa lo spaventasse da renderlo tanto
insicuro di sé. Lui...chiunque
vedeva solo un essere divino, una creatura perfetta nelle sue
imperfezioni, bella come poche cose al mondo e pronta a conquistare
l'anima di chiunque con un sorriso, una parola, un semplice cenno.
Brian no. Brian allo specchio vedeva qualcos'altro. Vedeva qualcun
altro. Qualcuno che, David aveva appena scoperto, era pronto a
saltare fuori e divorare il suo ragazzino tutto in una volta.
Nota di fine
capitolo della Nai:
Buongiorno
a tutti!
Penso
si sia intuito ma, come l'Outside Tour vole alla sua conclusione,
anche la storia sta per finire. Penso manchino pochi capitoli, di
fatto, e, purtroppo, al momento un po' di impegni pressanti, un po'
di confusione mentale, un po' di bisogno di prendere una pausa da
questa storia hanno fatto mancare l'ispirazione per completarla.
Non
vuol dire che l'abbandonerò! Ma sappiate che
riprenderò la
pubblicazione solo dopo aver scritto tutti i
capitoli che ne
compongono il finale.
Vi
ringrazio per essere stati presenti fino a qui e vi do appuntamento a
prestissimo.
MEM
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