Nonsense blossom

di j3nnif3r
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rivalità diverse ***
Capitolo 2: *** Crescita ***
Capitolo 3: *** Punti di vista ***
Capitolo 4: *** Una notte ***
Capitolo 5: *** Come bambini ***
Capitolo 6: *** Intermezzo (1): Verso il sole ***
Capitolo 7: *** Domande ***
Capitolo 8: *** Risposte ***
Capitolo 9: *** Erba al sole ***
Capitolo 10: *** Donne ***
Capitolo 11: *** Un bel sogno ***
Capitolo 12: *** Intermezzo (2) : Nomi ***
Capitolo 13: *** Vivere ***
Capitolo 14: *** Cucchiai e coltelli ***
Capitolo 15: *** Una bambina ***
Capitolo 16: *** A volte succede ***
Capitolo 17: *** Non importa ***
Capitolo 18: *** Intermezzo (3) - Ovviamente ***
Capitolo 19: *** Senza parole ***
Capitolo 20: *** Epilogo - Lettere ***



Capitolo 1
*** Rivalità diverse ***


Note dell'autrice: Salve! XD
Non sono abituata a scrivere delle note, prima (o dopo) il testo delle mie fiction. Questa volta, però, lo faccio perchè lo ritengo necessario. Cercherò di essere breve.
Questa è, sostanzialmente, una yuffientine, ovvero una storia che ha come pairing Yuffie x Vincent. Questo pairing, ad essere sincera, non mi ha mai convinto molto. Nel primo FFVII dubito ci sia alcun accenno alla cosa, e direi che pensarli insieme lì suona un po' ridicolo. Ma, dopo aver preso coraggio ed essermi sorbita TUTTE  e dico TUTTE le cutscene di "Dirge of Cerberus" su Youtube, (non potevo giocarci, ragazzi, davvero... XD Uno sparatutto no... ma ero curiosa...) ho avuto l'impressione che la cosa non fosse poi così impossibile. In DOC, infatti, il personaggio di Vincent viene approfondito parecchio, cosa che nel VII manca. E quindi, nonostante io DETESTI con tutte le mie forze le boiate che stanno creando intorno a FFVII, guardando DOC come una sorta di film sono riuscita persino ad apprezzarlo. I flashback sul passato di Vincent sono utilissimi per capirlo meglio (era così timido e goffo, caro... <3), e anche se avrei gradito una parte maggiore per Yuffie, va anche bene così. La storia, dunque, è ambientata un anno dopo le vicende di DOC.
Ma... c'è un ma.
Nonostante il pairing mi sembri verosimile grazie a quel gioco, allo stesso tempo mi sembra che non possa essere un amore puccioso e semplice. Specialmente perchè, ragazzi, c'è Shelke. E non intendo dire che voglio far diventare Vincent un pedofilo, ma che quella mocciosetta ha inevitabilmente un ruolo, nella faccenda. E' ciò che gli rimane di Lucrecia, e dubito che Vincent se ne separerebbe tanto facilmente.
Dunque, questa longfic (che non sarà di dieci capitoli, ma chissà di quanti... XD) potrebbe in un certo senso essere identificata con il pairing "yuffientinelke", anche se non nel solito modo in cui un pairing si intende.
Se non avete idea di chi cavolo sia Shelke, prima di leggere vi consiglio di giocare a DOC, o (meglio) di guardare le cutscene su Youtube come ho fatto io. Se proprio siete pigri, almeno leggete il suo profilo su Wikipedia, insomma. XD Sarò a disposizione per chiarimenti sulla sua identità, se vorrete. Se temete gli spoiler, sappiate che in pratica non ce ne saranno, Shelke a parte. Anche perchè della trama di DOC in se', a me, non importa un fico. XD

E ora basta blaterare! Silenzio, si comincia! >.<

 

 

1. Rivalità diverse

 

"Dici che ne sarà felice?" domandò Tifa, sistemando la tavola con cura. In mezzo a tutti quei palloncini, con in mano il vassoio dei rustici, Yuffie la guardò e sorrise.

"Certo che lo sarà. Perchè non dovrebbe? Una festa di compleanno è la cosa più bella che possa esistere! E dubito che ne abbia avuta una come si deve, da... molto, molto tempo!"

"E' solo che, ecco... Vincent non mi sembra molto il tipo da feste. Tutto qui."
"Oh, dai. Non esiste nessuno a cui non piacciano le feste!"

Tifa abbassò lo sguardo sulle caramelle che stava posizionando. A lei, ad esempio, le feste non piacevano molto. Si sentiva sempre triste quando partecipava, finiva per rimanere isolata fra lo starnazzare della folla allegra.

Ma questa era una di quelle cose che Yuffie non avrebbe mai potuto capire.

E vederla così pimpante, così luminosa, le faceva piacere.

Da quando per l'ennesima volta le cose si erano calmate, il gruppo si era diviso. Cid era tornato a Rocket Town, lei e Cloud erano rimasti lì a fare piccole cose per andare avanti, Barret si faceva vivo ogni tanto per salutarli, Yuffie aveva trascorso molto tempo a Wutai, di Red e Caith Sith si erano perse le tracce, ma scrivevano spesso. Vincent era scomparso per mesi, ed era poi riapparso dal nulla come se niente fosse.

E mentre Midgar rifioriva, senza che se ne rendessero conto era passato un altro anno.

"Come sta questo, qui?" chiese Yuffie, sollevandosi in punta di piedi e cercando di attaccare un festone al muro.

Erano le piccole cose come quella, che rendevano Tifa malinconica. I piccoli gesti che sarebbero diventati ricordi. Li riconosceva, li accoglieva con un sorriso e cercava di conservarli intatti, di non farli sbiadire una volta passati.

Le andò incontro per aiutarla, ed insieme attaccarono una decina di festoni ridicoli.

Sarebbero stati quasi tutti di nuovo insieme, per un po'.

Insieme, come ai vecchi tempi.

Cloud fece sbattere la porta, entrando. Si fermò al centro della stanza, si guardò attorno. "Cos'è questa roba?"

"I preparativi per la festa di Vincent!" strillò Yuffie, saltellando.

"Sembra un compleanno di un bambino. E' tremendo." disse lui, togliendosi la borsa dalle spalle e posandola a caso sul tavolo, rischiando di far cadere un vassoio.

"Non vuoi aiutarci a finire?" chiese Yuffie, e gli si mise davanti. Cloud tentò di scansarla, e iniziarono un buffo balletto accompagnato dalle risate di Tifa in sottofondo.

"Molto divertente, Yuffie. Davvero."

"Come sei noioso!"

"Dai, ti aiuto io a finire, Yuffie. Lascia in pace Cloud, sarà stanco." disse Tifa, mettendole una mano sulla spalla.

"Non è mica giusto che Cloud non faccia mai nulla, però..."
"Io non faccio mai nulla? E chi è che porta i soldi, qui?"
Yuffie gli rivolse una linguaccia, strizzando gli occhi. Poi si voltò verso Tifa. "Allora, i regali sono pronti?"

 

Vincent e Shelke camminavano per le strade di Midgar. Il vento gonfiava il mantello e scompigliava i capelli di lei, che si ostinava a riavviarli con gesti nervosi.

"Siamo arrivati?" gli chiese.

Vincent le aveva preso la mano, per evitare che insistesse sui capelli. "Non ancora. Manca poco."
"Quanto, di preciso?"
"Poco."
"Sono stanca."
Era spesso stanca, la piccola Shelke. Vincent l'aveva presa in spalla, e lei si era un attimo agitata scalciando, poi si era accomodata sulla sua schiena ed era rimasta in silenzio.

Era una strana bambina, e ogni giorno di più Vincent si chiedeva come considerarla. Il suo corpo aveva iniziato a crescere in fretta, come se volesse rifarsi del tempo perduto. Stava diventando più alta, il suo viso stava perdendo i lineamenti infantili, gli occhi si facevano sempre più trasparenti, lontani dal Mako che li aveva resi di un blu brillante.

Le era stato vicino durante le prime crisi. L'aveva ritenuto necessario, dopo la morte di Shalua. Non poteva abbandonarla al suo destino, non adesso che i dati immagazzinati andavano scomparendo. Shelke ricordava ogni giorno qualcosa in meno, dei flashback inquietanti che gli aveva fatto rivivere. Eppure c'era qualcosa in lei, come se sapesse, come se i ricordi perduti le appartenessero ad un livello più nascosto, ormai indelebile.

Come se fosse davvero... lei.

Come se Lucrecia rivivesse davvero in quel corpo prostrato dal Mako, che ora si affannava a riprendersi e a fiorire.

I primi mesi erano stati davvero difficili, e Vincent aveva temuto che sarebbe morta. Senza più esposizioni, era diventata più pallida e di umore instabile. Passava intere notti in lacrime, ricordando sentimenti che non sospettava di avere, mentre lui era rimasto a stringerla senza poter fare altro che sperare.

Si era aspettato di vederla diventare un'altra persona, una che non conosceva, invece era rimasta la stessa. L'unica differenza era lo sguardo, che si era fatto più consapevole e profondo. E la fame, una fame che sembrava dilaniarla, fame di cibo, di affetto, di sapere.

Avevano parlato a lungo del passato, di ogni dettaglio, di Shalua, delle memorie infantili che affioravano man mano.

E quando Vincent l'aveva portata nella caverna, Shelke aveva allungato le mani verso la figura incastonata in quella prigione verde acqua, e sfiorandola aveva pianto.

Era come se fossero depositari di un unico segreto, e Vincent aveva quindi deciso di prendersene cura. In memoria degli errori passati, per alleviare il suo senso di colpa, e perchè, in fondo, le voleva bene.

"Siamo arrivati?" chiese, di nuovo.

"Quasi."
Dopotutto, non era che una bambina.

 

Spingendo la porta del 7th Heaven, Vincent si trovò al buio. Sentì Shelke fremere sulle sue spalle e strinse le dita sull'impugnatura del fucile, d'istinto. Un momento di immobile, lungo silenzio, poi sobbalzò nel sentire un coro esplodere in un grido.

"AUGURI!"

Qualcuno accese la luce, Tifa e Barret sollevarono in fretta le tapparelle. Erano tutti lì, dietro ad un tavolo imbandito con tonnellate di cibo, sotto un'infinità di festoni strambi. Al centro del tavolo una torta con il suo nome sopra, e accanto alla torta Yuffie con un cappellino a punta trattenuto da un elastico.

Vincent lasciò scendere Shelke, che si precipitò a prendere una pizzetta.

"Ma cosa..."
"Tanti auguri, Vincent!" urlò Yuffie, correndo ad abbracciarlo.

"Veramente... non credo sia il mio compleanno, oggi..."
"Non ha importanza!" Lo guardò dal basso, continuando a stringerlo. "Volevamo fare qualcosa di speciale per te!"

"Ha organizzato tutto Yuffie!" disse Tifa, battendo le mani.

"La nostra piccola principessa è stata davvero brava!" aggiunse Barret. Cloud si limitò ad annuire, distratto.

"E il cibo è fottutamente buono..." disse Cid, azzannando una tartina.

"Cid! Non dovevi mangiarlo subito!"
"Ma la bambina sta mangiando!"

"Appunto, è una bambina..." Tifa si chinò su Shelke, che aveva la bocca sporca di salsa. "Tieni." Le porse un tovagliolo, e lei lo prese senza dire nulla, fissandola.

"Allora? Sei contento?" chiese Yuffie, e lo lasciò andare. "Abbiamo passato tutto il giorno a preparare, quindi è meglio che tu lo sia!"

"Grazie." disse Vincent. Era piacevole, sì, essere di nuovo tutti insieme.

"Cavoli, scoppia di felicità!" esclamò Cid, continuando a mangiare la tartina con Tifa che lo guardava male.

"E allora, che inizi la festa!" Yuffie saltellò fino allo stereo, sistemato in un angolo per l'occasione, e fece partire la musica.

 

Mangiarono e chiaccherarono fino a notte fonda. Cid e Barret, un po' ubriachi, si erano seduti su una panca e avevano iniziato a raccontarsi barzellette. Cloud aveva cercato di mostrarsi interessato, ma Yuffie aveva notato che stringeva sotto il tavolo la mano di Tifa. Erano talmente carini, quei due. Shelke si era ingozzata all'inverosimile, pulendosi la bocca con il tovagliolo dopo ogni portata, ed osservandoli tutti come se fossero alieni.

Perchè Vincent aveva portato anche lei?

Accorgendosi che lui era uscito dalla porta sul retro, Yuffie l'aveva raggiunto approfittando della confusione che si era creata dentro. Con le spalle al muro e il capo sollevato, Vincent stava guardando il cielo.

"E' una bella notte, vero?" gli aveva chiesto, arrivando silenziosa.

"Sì." aveva risposto lui, senza sorprendersi.

"Ti annoi?"
"No, affatto. E' stata una bella sorpresa."
"E allora perchè sei qui fuori?"
"Avevo bisogno di un po' d'aria."
"Ah. Anch'io." Gli saltellò davanti, con le mani dietro la schiena. "Ci sei mancato un sacco, sai? Dove sei sparito?"

"Avevo delle cose da fare."
"Ah sì? Tipo?"
"Shelke... aveva bisogno d'aiuto."
"Oh."

Nel minuto di silenzio che seguì, Yuffie cercò le parole giuste. "Mi chiedevo... come mai te la porti dietro?"
Ok, forse non erano proprio le migliori.

"Pensi che avrei dovuto abbandonarla a se stessa?"
"No, ma... potevi lasciarla qui. Tifa si sarebbe presa cura di lei."

"Aveva bisogno di tranquillità."
"Beh, qui c'è molta tranquillità... Troppa tranquillità! Una montagna di tranquillità!" disse lei, allargando le braccia con il suo solito fare esagerato.

"Ho ritenuto giusto fare così."
"...Ok."
Un altro minuto di silenzio imbarazzante.

Era sempre così, con Vincent. Non si preoccupava minimamente di far proseguire la conversazione. Era difficile anche per lei, riuscire a comunicare.

E c'erano tante cose, così tante cose che avrebbe voluto dirgli.

"E con i ... dati ... come va? Ha recuperato la sua personalità?"
"Più o meno."

"Vincent... il motivo per cui ti ostini ad aiutarla è per caso..." Poteva buttarla sul ridere, forse sarebbe stato meno patetico. "...E' per caso che ti ricorda qualcuno?" chiese, sorridendo e annuendo come per prenderlo in giro, indicandolo.

"Che vuoi dire?"
"Oh, beh... Sai, i ricordi... quel discorso lì..."
Vincent aveva guardato da un'altra parte, accigliandosi. "No. Non è per quello."
"Allora potresti farla rimanere qui con noi, adesso. Potresti rimanere anche tu!" Si era portata nella traiettoria del suo sguardo, con un saltello. "Sarebbe bello, no?"
Lui si era voltato dall'altra parte, e lei l'aveva seguito ancora. E di nuovo.

"Smettila."

"Eh?"
Vincent l'aveva afferrata per le spalle, immobilizzandola. Sentendo il metallo freddo dei suoi guanti sulla pelle, Yuffie aveva quasi urlato.

"Stai ferma."

"...Scusami."
La lasciò andare, e lei abbassò lo sguardo, sfiorandosi le labbra con le dita.

Non si sarebbe mai comportato così, con quella bambina odiosa.

"E' che io..." iniziò Yuffie, a voce bassa. "...non posso. Non riesco a sopportarlo." Lo guardò, e Vincent la stava fissando, severo. "E' vero, è solo una bambina che non ha colpa, ma è come se fosse lei. E sapendo quello che ti ha fatto, io... non posso fare a meno di odiarla. Anche se è solo una bambina."

"Questa è una cosa che non ti riguarda. E non è esattamente una bambina, lo sai."
"Lo so. Ha la mia stessa età, più o meno. Ma..." Si morse le labbra, perchè sapeva che lui non avrebbe mai accettato quelle parole. "Ma ho l'impressione che stia approfittando di te. Come fece in passato. E... sono preoccupata. Non posso non esserlo, Vin."

"Puoi. So badare a me stesso."
"Certo!" esclamò, stringendo i pugni. "Lo so! Ma so anche che tieni a lei, perchè ti ricorda Lucrecia. E in un certo senso è l'unica cosa che rimane di lei. Ha tentato di ucciderci, ed è colpa sua se Shalua è morta! E' egoista e strana, come puoi non rendertene conto? Potrebbe essere un pericolo... Non sappiamo quali siano gli effetti del Mako, potrebbe succedere qualsiasi cosa, potresti anche ammalarti!"

"Questi pericoli non ci sarebbero ugualmente, se la lasciassi qui?"
"Sì, ma... almeno saremmo tutti insieme..."
"Saprò affrontarli da solo, se si presenteranno."
Sconfitta, Yuffie sospirò. "Volevo solo... dirtelo."
"L'hai fatto. Bene. Ne prendo atto."

Vincent rientrò, senza aggiungere altro, lasciandola lì con le braccia lungo i fianchi e tanta voglia di prenderlo a pugni.

"Eccoti, Vincent!" sentì dire a Tifa, dall'interno. "Dormi qui stanotte, vero? Siamo tutti un po' stanchi, ma ho preparato un letto per ciascuno!"

Prima di seguirlo, con in sottofondo le risate sguaiate di Cid e Barret, Yuffie vide che Shelke la stava guardando da dietro il vetro della finestra. Probabilmente, aveva sentito. Incontrando il suo sguardo scomparve, e Yuffie rientrò con una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Come se avesse bisogno di qualcosa.

 

Era vero?

Era per questo, che voleva aiutarla?

Solo per questo?

Nel silenzio assordante della notte, Vincent era rimasto sveglio.

Forse era vero.

Forse il suo eterno tentativo di rimediare alle colpe commesse in passato, in quella che sembrava ormai un'altra vita, non era concluso.

Forse era davvero colpa sua se quella bambina aveva dovuto rinunciare alla sua vita. Se avesse fermato tutto in tempo... se solo avesse preso più coraggio... Se solo...

Se solo le avesse urlato in faccia ciò che pensava davvero.

Se l'avesse strappata dalle mani di Hojo per portarla lontano, in un luogo dove far nascere suo figlio ed allevarlo come una madre qualsiasi.

Erano pensieri inutili.

Fra le mani, adesso, non gli rimaneva nulla se non rimpianti.

E Shelke.

Shelke che non aveva colpe, che non aveva fatto nulla. Che non era cresciuta perchè qualcuno l'aveva deciso per lei. Che si ritrovava confusa e immobile in un corpo da bambina, dopo vent'anni di vita.

Se lui avesse fatto qualcosa, in quei momenti, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Probabilmente, sarebbe morto come qualsiasi essere umano. Forse, con lei accanto.

Con lei, Lucrecia, che l'aveva condannato ad una giovinezza eterna priva di ogni significato. E che ancora lo faceva sentire come se qualcuno gli strappasse il cuore dal petto, ogni volta che il suo nome veniva pronunciato, pensato.

Era come una seconda possibilità, Shelke. Questa volta poteva salvarla.

 

Yuffie era ad occhi spalancati nel buio, ad ascoltare il respiro regolare di Tifa. L'aveva sentita sgattaiolare via dalla stanza delle "ragazze", come l'aveva chiamata lei stessa, e aveva finto di dormire profondamente. Sapeva dove stava andando, e non voleva disturbarli, ecco. Se per qualche ragione volevano tenere nascosto quel che facevano, erano affari loro.

Ma quando Tifa si era infilata di nuovo sotto le coperte, aveva iniziato ad aspettare che dormisse.

Era una notte troppo bella per trascorrerla in quel letto improvvisato e scomodo. Si era infilata le scarpe, cercando di non fare rumore, e aveva preso sottobraccio i suoi vestiti. Un po' d'aria, ecco cosa ci voleva. Lontano da chiunque. Per far riprendere colore alle idee, tutto qui. Non perchè era triste. Non lo era. Nessuno stava dicendo che fosse triste. Nessuno.

E dormire accanto a quella mocciosa, poi, non era il massimo.

Si era appoggiata sul parapetto, ed aveva iniziato a guardare le stelle. Vincent le fissava sempre, come se sognasse di raggiungerle. E con quel cielo così limpido, era impossibile non sognarlo.

Dopo qualche minuto aveva sentito dei passi avvicinarsi e si era voltata. Shelke, piccola piccola nella camicia da notte che Tifa le aveva prestato, decisamente non della sua taglia, le era arrivata silenziosamente alle spalle.

"Il mio corpo sta crescendo." disse.

Yuffie la guardò, scocciata. "Ah sì?" disse con il tono che chiunque avrebbe usato con una bambina che diceva assurdità.
"Sì. Tu forse mi consideri una bimba, ma non lo sono. Ho la tua età. Non importa se la mia vita è stata strana. Non sono davvero rimasta indietro, ho vissuto. Venti anni. E non sono pochi."

"Oh, certo." Yuffie aveva appoggiato la schiena sul parapetto, incrociando le gambe. "E come mai non stai dormendo?"
"E' seccante che tu non mi prenda sul serio." La fissava, e Yuffie notò che sembrava davvero più grande. Le avrebbe dato quindici anni, adesso. "I dottori hanno detto che il mio corpo si sta riprendendo in fretta. E' probabile che io raggiunga presto l'aspetto che dovrei avere. E lui lo sa."
Yuffie spalancò gli occhi. Iniziava a capire dove voleva arrivare. "Lui...?"
"Quando avrò l'aspetto giusto per la mia età, le cose saranno diverse. Non ti permetterò di portarmelo via."
"Portartelo via?" Yuffie si sforzò di ridere. "Ma che dici?"
"Io ho qualcosa che tu non hai, Yuffie."
Lucrecia.

Alla fine, tutto conduceva ancora a lei.

A quella donna maledetta, che era la causa di tutto.

"Non capisco che vuoi dire. Mi spiace."

"Lo capisci perfettamente. Vincent mi ha insegnato cosa vuol dire voler bene ad una persona. Darei la vita per lui. E' l'unico essere umano di cui mi importi. E non ti lascerò allontanarlo da me."

"Dovresti andare a dormire." Yuffie fece per rientrare, e Shelke le afferrò un braccio con forza. No, non ne aveva ancora abbastanza per bloccarla, ma Yuffie si fermò ugualmente.

"Lui ha bisogno di me. Lo capisci?"

"No!" Scostando con impeto la sua mano, Yuffie le si parò davanti. "Non capisco! Non so come tu possa parlare in questo modo, come se lui fosse... un trofeo! E' una sua scelta, quello che farà. Non puoi deciderlo tu! E sono stufa del fatto che tutti ti trattano bene solo perchè sembri una bambina!"

"Tutto quello che devi capire è che io sono necessaria a lui, e lui a me. Sarà sempre così."

"Non credo proprio. Potrebbero passare anni, prima che il tuo aspetto cambi radicalmente. Che ne sai? Non ci sono casi simili da confrontare!"
"Anche se passassero degli anni..." Shelke sorrise, abbassando lo sguardo. I capelli le coprirono il viso. "Vincent non invecchia. Non lo hai notato?"

"Certo che l'ho notato."
"Condividiamo anche questo. Lui vive da sessant'anni, eppure è come se ne avesse ancora meno di trenta. Non abbiamo età, noi due. Ed io... io sarei anche disposta a sottopormi ancora al Mako, se questo volesse dire poter rimanere giovane per lui. E tu, Yuffie? Tu cosa sei disposta a fare, per lui?"

Yuffie aveva esitato, solo un istante.

Quella stupida non poteva capire. Non poteva. Non sapeva nulla della vita, lei. E non ne avrebbe mai saputo nulla, finchè qualcuno non si fosse deciso a darle un po' d'educazione.

"Non mi importa di quello che dici. Non sei che una ragazzina pestifera."

E, allora, il viso di Shelke si era trasformato. La sua tipica espressione spenta aveva lasciato il posto ad uno sguardo severo, che la faceva sembrare adulta. Gli occhi trasparenti si erano socchiusi in una smorfia di rabbia. Sollevò una mano, e prima che Yuffie se ne accorgesse la calò su di lei, dandole uno schiaffo secco, con un rumore che la fece rimanere sgomenta.

"Come ti permetti?" strillò Yuffie, e la afferrò per una spalla. Shelke si ritrasse, cercando di divincolarsi, ma Yuffie fu più veloce e le restituì lo schiaffo.

Subito dopo, se la vide strappare dalle mani.

Vincent l'aveva tirata a se', sotto il mantello, dove Shelke si era rifugiata con sollievo.

"Si può sapere cosa stai facendo?" le chiese lui, e Yuffie agitò le mani tentando di spiegarsi.

"Non è come sembra, lei... E' stata lei ad iniziare!"

Vincent si chinò su Shelke, le accarezzò una guancia. "Vai a letto, su. E' tardi, non riuscirai ad alzarti." La piccola aveva annuito e, dopo aver lanciato uno sguardo a Yuffie, era corsa dentro.

"Quella bambina è... odiosa!" aveva esclamato Yuffie, facendo un passo in avanti. "Come fai a non accorgertene?"

"Non provare mai più a toccarla."
"Mi ha dato lei uno schiaffo per prima."
"Immagino... ti avrà fatto un male tremendo."
"Non è quello il punto, Vin!" Yuffie gli andò incontro, provando a mantenere un tono conciliante. "Se davvero vuoi tenerla con te, dovresti almeno provare ad educarla... A punirla, quando fa una cosa sbagliata! Ed è stata lei a provocarmi, che motivo avrei di mentire?"

Vincent si voltò a guardare la porta, per assicurarsi che Shelke fosse entrata. Poi si rivolse di nuovo a lei. "Non capisco perchè ti comporti così."
"Non capisci?" Yuffie aveva lasciato cadere le braccia, sconfitta. "Te l'ho ripetuto mille volte, da quando Shelke è entrata nella tua vita. Devi lasciartela alle spalle, Vin. Non puoi continuare così... come se... come se fosse sul serio lei. Non lo è."
"Mi sembri confusa. Prima dicevi che è come se lo fosse..."
"Beh, non lo è. Il fatto che io la detesti perchè me la ricorda è diverso, non c'entra."
"Tu non l'hai mai conosciuta."
"Ma me ne hai parlato tu. E quella donna ti ha fatto del male, in ogni modo in cui è possibile farne! Possibile che, dopo tutti questi anni, tu ancora..."

Vincent le aveva dato le spalle ed era rientrato, semplicemente. Era rimasta a fissare la porta che si richiudeva, e con un sospiro aveva alzato gli occhi al cielo.

Possibile che ancora non riuscisse a dimenticarla?

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Capitolo 2
*** Crescita ***


2 - Crescita

Non che fosse riuscita a dormire molto, quella notte.

Quando la luce arrivò fino al cuscino, Yuffie si girò dall'altra parte. Sentì le coperte di Tifa che venivano scostate, i suoi passi che si allontanavano leggeri sul legno del pavimento. Aprì gli occhi, e vide Shelke che dormiva ancora.

Non aveva intenzione di spiarla, ma era, beh, capitato. Si era soffermata sulla sagoma sotto il lenzuolo, composta, minuta. Il letto sembrava appena fatto. Non si era mossa molto, nel sonno. Lei si muoveva sempre, e infatti il suo letto era un campo di battaglia. Scalciando per risistemare le coperte, continuò a fissarla.

Una bambina, eh?

Forse doveva arrendersi. Forse non era davvero colpa di Shelke, tutto ciò che era successo. Forse se Vincent teneva così tanto a lei, avrebbe dovuto accettare la sua presenza.

Forse.

Si mise a pancia in su, allargando le braccia sul pavimento freddo. Certo, era così carina, Shelke. Dolce. Nessuno si era chiesto se fosse un bene, evitare di mollarla a qualcuno e non pensarci più. Dovevano provare pietà per lei, povera bimba dall'infanzia negata. E se si fosse trattato di una bambina come le altre, anche Yuffie si sarebbe impietosita.

Ma non lo era, che diamine. Possibile che non lo vedesse nessuno?

Shelke si mosse e Yuffie si sforzò di chiudere gli occhi. Dall'altra stanza iniziava a sentire le voci degli altri, Cid che imprecava per il mal di testa post-sbornia, Barret che rideva.

Forse era sbagliato, incredibilmente sbagliato, ma tutto ciò che Yuffie desiderava era che Vincent si sentisse felice.

Sentirlo ridere, per una volta. Una risata vera, non uno di quegli sbuffi strozzati.

Un altro movimento, il fruscio delle coperte. Shelke si era messa a sedere, strofinandosi gli occhi.

"...Vincent?" aveva mormorato, e si era guardata attorno. Yuffie si era morsa le labbra coprendo la faccia con il lenzuolo.

Poi, silenzio.

Aveva sporto un po' la testa, giusto per cercare di capire cosa stesse facendo quella strana bambina. L'aveva vista a sedere, lo sguardo fisso fra le sue gambe, immobile.

"Shelke...? Tutto ok?" aveva chiesto, sollevandosi.

"Sto morendo." aveva risposto lei, con voce atona. "E' successo qualcosa."

Yuffie si era alzata di scatto, facendo volare via la coperta. "Che cosa?"
Shelke l'aveva guardata, aggrottando la fronte. "Sei stata tu, non è vero?"

"A fare... cosa?"
"Sei stata tu! Come hai potuto?" Shelke si era alzata, barcollando, lasciandole vedere che il letto era sporco di sangue.

"Ma che..."

Alle sue spalle era arrivata Tifa, con in mano il vassoio della colazione. "Ehi ragazze, che ne dite di..." Aveva visto il letto, si era fermata, aveva posato il vassoio sul pavimento. "Che succede?"

"E' stata lei! Mi ha colpito mentre dormivo! Vuole... vuole uccidermi!" aveva urlato Shelke, indicando la macchia rossa sul bianco del lenzuolo.

"Io non ho fatto assolutamente niente!" aveva risposto Yuffie alzando la voce. "Non so di cosa stia parlando!"

"Shelke..." Tifa si era abbassata sul letto, l'aveva guardato meglio, poi aveva guardato lei. "Nessuno vuole ucciderti. E' tutto a posto."
"Ma non vedi? Sanguino!"
"E'... è una cosa normale."
"Normale?" Confusa, Shelke aveva fatto qualche passo indietro, aveva inciampato in una sedia ed era caduta in avanti, sulle mani.

"Il tuo corpo sta recuperando, no? Beh, questa è una cosa che succede... quando si cresce."

Yuffie aveva portato una mano alla bocca. "Oh... le è venuto il ciclo!"
"Il COSA?" Shelke aveva guardato Tifa, e gli occhi le si erano riempiti di lacrime. "Cosa state dicendo? Non capisco!"
Tifa si era alzata, trattenendo un sorriso. "Yuffie, vado a prenderle degli assorbenti. Spiegale qualcosa, su."

Quando era uscita dalla stanza, Yuffie si era rivolta verso Shelke che aveva sollevato una mano, come per fermarla. "Non provarci nemmeno."

"Eh?"

"Non voglio spiegazioni da te."
Yuffie si alzò, con le mani sui fianchi. "Beh, penso che una spiegazione ti serva, signorina. E visto che ci sono io, qui..."
Shelke si era messa le mani sulle orecchie, ancora seduta sul pavimento. Indispettita, Yuffie cercò di toglierle e ne venne fuori un parapiglia in cui entrambe si trovarono a gambe in aria.

"Lasciami!"

"Uff..." A guardarla così, con gli occhi lucidi, sembrava quasi una bimba come tante. "Senti, Shelke..." disse, sedendosi sui talloni. "Non possiamo proprio farla funzionare, questa cosa?"

"Quale... cosa?"
"Di me e te. Io voglio bene a Vincent, proprio come gliene vuoi tu. Non possiamo evitare di litigare? Per lui... ok?"
"No." Shelke tirò al petto la coperta, imbronciata. "Hai detto che mi odi. Non vedo perchè dovrei far finta di essere tua amica."

"Oh, santa pazienza..." sbottò Yuffie mentre Tifa rientrava nella stanza, con in mano un pacco di assorbenti.

"Eccoci." Ne porse uno a Shelke, con un sorriso un po' imbarazzato. "Ti mostro come si mettono?"

Lei si lasciò prendere per mano, si sollevò e seguì Tifa verso il bagno, senza voltarsi.

"Ah, Yuffie... potresti risistemare i letti, per favore?" disse Tifa scomparendo dietro la porta.

Certo, come no. Con gesti pieni di rabbia iniziò a togliere le coperte, ammassandole di lato.

Ci aveva pure provato, ad essere gentile.

 

"Buongiorno!"
Vincent sbattè le palpebre nella luce accecante che era esplosa nella stanza, quando Yuffie aveva spalancato le finestre.

"Unh... ‘giorno..."

"Sei rimasto l'ultimo, a letto! Così ho pensato di portarti la colazione... Per farmi perdonare." Gli posò sulle gambe un vassoio, con sopra delle fette biscottate, della marmellata e un caffè. "Cioè, ha preparato tutto Tifa... ma ciò che conta è il pensiero, no?"

"Yuffie..."
"Sì?"
"...Non mi piace il caffè."
"Oh..." Sollevò la tazzina, bevve in un solo sorso, e con una smorfia gli rivolse un sorriso. "Fa lo stesso. A me sì."

Vincent si mise a sedere lentamente, e lei si sedette a lato del letto. "Certo che non è giusto... Tifa ti ha riservato il posto migliore! Noi abbiamo dormito sul pavimento..."
"Come mai sei qui?"
"Te l'ho detto, no? Volevo farmi perdonare." Iniziò a giocherellare con le mani. "Sai... penso di essere stata troppo dura con Shelke. Voglio provare a diventare sua amica."

Vincent spinse il vassoio ai piedi del letto. "Dubito che accadrà. Oggi ce ne andremo."
"Non penso, Vin."
"Yuffie... ti ho già detto che..."
"A Shelke è venuto il ciclo, poco fa."
"Cosa?"

Yuffie rise, coprendosi la bocca con le mani. "Adesso è con Tifa, le sta spiegando tutto lei. Non preoccuparti, non dovrai fare la parte del paparino."

"Ah..." Vincent scostò le coperte e si alzò. "Allora ci fermeremo finchè non starà meglio."

"Già." annuì lei, con un sorrisetto trionfante. "E la marmellata? Non la vuoi?"

"Vado a fare una doccia."

Facendo spallucce, Yuffie tuffò un dito nella marmellata e lo succhiò.

 

Tifa aveva un tocco dolce, e un sorriso materno. Qualcosa che Shelke ricordava appena, come se le immagini provenissero da un altro pianeta. Come se non avesse mai vissuto il legame sottile con una madre. Le aveva mostrato come sistemare quel rettangolo di plastica, l'aveva aiutata a ripulirsi senza smorfie di disgusto, senza commenti che sarebbero stati fonte di vergogna.
Shelke l'aveva fissata tutto il tempo, limitandosi ad annuire quando era necessario. Non voleva sembrare stupida e non voleva mostrarsi troppo interessata, anche se questa strana novità era terribilmente interessante.
Nessuno le aveva mai detto che un giorno avrebbe iniziato a sanguinare.
"Ecco, è tutto a posto. Sei fresca e pulita. Dovrai cambiarlo spesso, a seconda dell'intensità del ciclo. Hai capito bene tutto?"
"Sì."
"Se hai bisogno di altri assorbenti, o di un consiglio... Vieni pure da me, ok?"
"Certo."
"Bene." Tifa si era lavata le mani dandole le spalle, e a Shelke era venuto da piangere. Così, senza una valida ragione.
Le capitava spesso, ultimamente.
"Ah." aveva aggiunto Tifa, continuando ad insaponarsi le mani. "Magari sentirai di avere qualche piccolo sbalzo di umore, in questi giorni. Anche quello è normale. Non preoccuparti."
Normale.
Era strano, pensare di esserlo.
"Perchè succede?"
"Il ciclo, intendi?"
"Sì. Perchè?"
"Vuol dire che sei diventata donna." Tifa si voltò verso di lei, si chinò per accarezzarle i capelli. "E' un evento importante, nella vita di una ragazza."
"Io... sono una ragazza?"
"Beh... Visto che hai il ciclo, diciamo che non puoi più essere considerata solo una bambina."
Shelke l'aveva guardata con i suoi occhioni chiari, con uno sguardo che sapeva di supplica. "E cosa cambia?"
Tifa aveva ricordato, in modo vago, le urla e i pianti e i pugni dati al muro quando era capitato a lei. Quando il seno aveva iniziato a diventare ingombrante. Quando aveva smesso di accettarsi, e tutti le dicevano con gioia che era, finalmente, diventata una signorina.
In un certo senso, diventare donna significava iniziare a odiarsi. Era stato così per lei, ma non poteva raccontarlo a quel piccolo essere tremante che aveva davanti. "Quando viene il ciclo... significa che puoi avere dei figli, ad esempio."

"Io?" Shelke guardò il proprio corpo, passò le dita sui piccoli seni doloranti e lungo i fianchi ancora troppo stretti. "Io posso avere dei figli?"
"Non lo so, Shelke. Non so che effetti abbia il Mako su questo..." Tifa le aveva circondato le spalle con le braccia e aveva sorriso. "Ma è una cosa che scoprirai, prima o poi. Non pensarci adesso, ok?"

"Tifa?" aveva detto Vincent, da dietro la porta.
"Oh, siamo quasi pronte! Usciamo subito!" Rivolgendosi verso Shelke, Tifa le aveva riavviato i capelli con un gesto veloce e le aveva sollevato il viso. "Pronta?"
"Sì."

Avvicinandosi un po' di più, le aveva sussurrato: "Dillo anche a lui. Sarà contento di sapere che stai crescendo davvero."
Prima che avesse il tempo di rispondere, e voleva assolutamente sottolineare come non le sembrasse il caso di gridare ai quattro venti che aveva iniziato a sanguinare, la porta venne spalancata. Il viso di Vincent, in un misto di preoccupazione e perplessità, le comparve davanti.

"Tutto bene, Shelke?"
"Sì." Abbassò gli occhi, si strinse nelle spalle. "Mi ... mi è venuto il ciclo. E' una cosa normale."
"Lo so."

"Io..." Le sfuggì un singhiozzo, e con terrore cercò di non scoppiare in lacrime come una frignona. Non poteva. Doveva mantenere un certo contegno, davanti a tutti. "Io non sapevo che succedesse una cosa simile."
"Mi dispiace, avrei dovuto parlartene. Ma... non pensavo che ..."
"Non è colpa di Vincent." disse Tifa. "E' una cosa da donne, Shelke."

"Ma... ci sono altre cose che non so?"

Nella stanza accanto, continuando a mangiare marmellata, Yuffie seguiva il discorso.

"Probabilmente, molte. Le scoprirai man mano." le rispose Vincent, in tono paziente.

"Cosa sono questi comizi, di prima mattina?" esclamò Cid sullo sfondo, accendendosi una sigaretta. "Io avrei mal di testa!"
"E' vero che posso avere dei figli?" chiese Shelke, e nell'aria fu percepibile un irrigidimento generale. "Come si fa?"
Cid diede una lunga boccata alla sigaretta e si allontanò lentamente, retrocedendo, verso il corridoio.

"Sarà meglio parlarne in un altro momento, quando saremo tutti più calmi." disse Tifa, guardando Vincent. Lui annuì. "Se volete restare qui per un po', non ci sono problemi. C'è spazio per tutti."

Yuffie aveva esultato in silenzio, lasciandosi cadere sul letto di schiena.

"Dai, ora lasciamo che Vincent si sistemi." continuò Tifa, e con gentilezza prese Shelke per mano e la condusse nell'altra stanza. "Ti rifarò il letto, così potrai riposare ancora un po'."

 

Forse aveva davvero sottovalutato la situazione.

Forse portarsela semplicemente dietro, senza domandarsi cosa lei volesse, cosa pensasse, in che modo riuscisse a percepire un mondo che le si mostrava per la prima volta, non era una grande idea.

Da egoisti, probabilmente.

Da idioti.

Quello che, dopotutto, era sempre stato.

Forse Yuffie aveva ragione, e lasciarla lì con loro sarebbe stato meglio. Avrebbe potuto crescere. Normalmente.

Dimenticare.

Posando i pantaloni con cui aveva dormito sulla sedia, accanto alla doccia, Vincent sospirò.

Era esattamente ciò che non voleva.

Che dimenticasse.

 

Rimasta finalmente sola, Shelke si era seduta sulla panca. L'ingombro nuovo dell'assorbente fra le gambe la faceva sentire goffa. Tifa le aveva chiesto, con quella gentilezza esagerata, se avesse bisogno di qualcosa, e lei aveva risposto di no. Voleva solo un po' di silenzio, e rimase ad osservare i saluti e gli abbracci quando Cid e Barret andarono via.

Tutte quelle persone appartenevano ad un gruppo di cui lei non faceva parte.

In un certo senso, comprendeva come mai Vincent non volesse fermarsi troppo. Nemmeno lui era adatto alle riunioni fra amici, e di certo non si sentiva davvero del gruppo.

Nemmeno lei si era mai sentita a suo agio, in queste cose. Anche... prima. Ma era triste notare come tutti, lì, la trattassero con distacco.

Tifa era dolce perchè pensava che ne avesse bisogno, non perchè voleva esserlo.

Provavano pietà, non interesse.

Vincent era l'unico che poteva capirla. Che aveva scelto di starle vicino, solo perchè lo desiderava.

"Ciao." Yuffie la sorprese mettendo il viso di fronte al suo, strappandola alle riflessioni. "Che fai?"

"Aspetto che Vincent sia pronto."
Le si era seduta accanto, e Shelke si era scostata verso il muro.

"Ci metterà un po', credo. Mi sono sempre chiesta quanto ci metta ad asciugare i capelli... o se usi del balsamo..." Non ottenendo risposta, Yuffie le si era avvicinata. "I tuoi capelli sono cresciuti. Stai molto bene."
"Perchè fai così?"

"...Come?"

"Perchè fai finta di voler essere mia amica?"
"Io non faccio finta, Shelke. Non è proprio possibile andare d'accordo?"

"No."
"Uhm..." Yuffie aveva appoggiato le spalle al muro, guardando il soffitto. "Beh, pensavo... Visto che dovremo vivere qui insieme per un po', magari potremmo smettere di darci addosso in continuazione, ecco!"

"Non è necessario."

"Dici? Pensi che a Vincent non farebbe piacere?"
"Penso che non gliene importi per niente."
Yuffie rise. "In effetti... Ma sai, lui non è così barboso come sembra. Secondo me gli importa. Siamo entrambe sue amiche, no?"

"Tu non lo conosci."
"Non lo conosco? Veramente lo conosco da molto più tempo di te..."

"Non conosci certe cose di lui."
"Ehm... certe cose?"
"Sì."

"...Ad esempio?"

Ad esempio, c'era l'espressione con cui la guardava, alcune volte.

Ammirazione e paura.

Il fremito delle mani che si avvicinavano.

I sorrisi timidi e il calore degli sguardi appena accennati.

Il modo in cui l'aveva pregata di non farlo.

Le parole che aveva scelto per giustificare un pisolino al sole.

I gesti con cui le faceva capire come ogni momento con lei era importante.

Tutte cose che, Shelke lo sapeva benissimo, non le appartenevano. Ma c'erano.

E non le conosceva nessuno, se non lei.

"Ti riferisci ai ricordi?" chiese Yuffie.

"Sì."

"Io... non penso che tu possa dire di conoscerlo solo per quello."

"Era diverso." Dicendolo, Shelke aveva provato un'enorme tristezza. Rimorso. Brandelli di sensazioni che pensava fossero ormai scomparse. Senza che se ne accorgesse, aveva iniziato a piangere. In silenzio.

Yuffie le aveva tenuto le mani, e Shelke aveva deciso di non ritrarsi.

"Non possiamo... parlarne? Credo che ti sentiresti meglio."

"Tu non sei affatto interessata a parlarne con me."

"Se non lo fossi, starei guardando la tv!"

Shelke le aveva lasciato le mani, e si era voltata dall'altra parte. "Sai benissimo cosa voglio dire."

"Oh, non puoi semplicemente spiegarmelo?"

Senza rispondere, era scivolata via da sotto il tavolo e si era precipitata fuori, di corsa.

Non le interessavano quelle attenzioni false.

Non ne aveva bisogno.

 

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Capitolo 3
*** Punti di vista ***


3 - Punti di vista

"Non la sopporto più!"

Yuffie aveva dato un calcio ad una pietra, davanti alla porta. La pietra era finita dentro, slittando, fino ai piedi di Tifa che l'aveva presa in mano e subito gettata nella spazzatura.

"Stai esagerando, secondo me."

"Esagerando? Non faccio che tentare di essere carina con lei, e guardala... La principessina non mi considera nemmeno! E dice che fingo, per giunta! Come se non avessi di meglio da fare che rivolgerle la parola!"

"Vuoi dire che sei davvero interessata a lei?" Tifa aveva immerso le mani nella schiuma, facendo scontrare piatti e pentole con quel rumore che Yuffie detestava.

Era troppo, troppo.

Non si era mai sforzata di fare amicizia con qualcuno. Era sempre successo, in modo naturale. Come dovrebbe essere. Le era capitato di avere a che fare con persone tristi o problematiche, ma nessuno l'aveva respinta in quel modo.

Essere respinta era irritante. Decisamente.

"Secondo te lo faccio perchè sono masochista?"

"Secondo me lo fai per Vincent."

"Beh, questo è un altro discorso."

"Ah, davvero?"

"Certo! Potrebbe comunque avere un po' di rispetto."

"Shelke? O Vincent?"
"Tutti e due!" Yuffie si sedette pesantemente sulla panca, facendola sobbalzare. "Sono due asini, ecco cosa sono! Entrambi!"

Tifa la guardò, con le mani insaponate. Tirandole fuori dall'acqua con uno schizzo sorrise e la indicò. "C'è qualcuno molto, molto arrabbiato, qui."
"Ovvio che sono arrabbiata! Tu non saresti arrabbiata?"
"Certo che sarei arrabbiata."
"Ecco. E allora non c'è niente di male, se sono arrabbiata!"
"Però così tu rimani arrabbiata, e loro rimangono due asini. Fattelo dire da un'esperta."

"Oh, che palle. Sono stanca di fare la brava."
"Pensaci. Shelke dice che ti interessi a lei solo per finta. Forse non è proprio così, ma sei certa che il tuo sia un interesse sincero? Se lei non avesse nulla a che fare con Vincent, le parleresti?"
"No. La prenderei a sassate, credo."
"Ecco. E allora non ha un pizzico di ragione? Solo un po'?"

"Mmh..." Yuffie appoggiò il viso sulle mani. "Forse. Ma non sono cose che la riguardano. Dovrebbe essere gentile lo stesso."

"Mah, questo mi sembra un ragionamento un po' sciocco."

"E allora sarò sciocca, ma lei rimane un'asina."

Tifa rise.

La luce del mattino inondava la stanza, faceva luccicare i piatti ancora bagnati. Era piacevole perdersi in quel calore, respirare l'odore del sole. Yuffie adorava i giorni luminosi, quelli così bianchi da far male agli occhi. Le facevano venir voglia di correre, di saltare, di urlare con le braccia spalancate verso il cielo.

E invece eccola lì, su una panca, a parlare di asini.

"Devo assolutamente uscire, o diventerò un fossile." disse, secca.

"Cloud ha detto che in città hanno organizzato un mercato interessante. Vendono di tutto a poco prezzo. Potresti fare un giro."

"Oh, è un'ottima idea!"

"Sai cosa potresti fare?" Tifa le si avvicinò a passi volutamente esagerati, con le maniche tirate su e le mani ancora coperte di sapone. "Potresti portare Vincent con te! Sono certa che non gli dispiacerà poter comprare qualcosa di utile spendendo poco!"

Yuffie annuì con energia, e Tifa le sfiorò il naso lasciandolo ricoperto di schiuma. "Forza, corri a chiederglielo!"

 

Aveva provato a svegliarla, ma Shelke si era rotolata fra le coperte dicendo di avere mal di pancia. Le aveva chiesto se c'era qualche problema, e lei l'aveva guardato solo un attimo per poi tornare a fissare il muro.

Cose da donne, forse. Vincent non aveva mai avuto occasione di confrontarsi molto con quel genere di questioni, e non voleva sembrare insistente. L'aveva lasciata sola, e si era semplicemente sdraiato sul letto.

Avrebbe potuto passare giornate intere, così. Senza fare nulla. In fondo non c'era nulla che volesse o dovesse fare, al momento.

Nulla che avesse senso.

Che significato può avere il susseguirsi di ventiquattro ore, quando il tempo si è fermato per sempre?

Yuffie entrò spalancando la porta, e Vincent si mise a sedere di scatto.

"Oh... scusa, forse avrei dovuto bussare." disse lei, mettendo una mano fra i capelli.

"Direi di sì. Ma non preoccuparti."

Lei si era guardata intorno. "Non apri la finestra? C'è aria viziata, qui. E buio. Fuori c'è un sole splendido!"

"Non ci ho pensato."
"Beh, per fortuna ci ho pensato io!" Corse a tirare le tende, ad aprire ganci e sollevare tapparelle. "Guarda che giornata!"

Vincent aveva portato una mano davanti al viso, per proteggere gli occhi dalla luce. "Sì, vedo."

"Non puoi rimanere chiuso qui, Vin. Cloud e Tifa dicono che c'è un mercato molto conveniente, oggi. Ti va di farci un salto?"

Cercando delle parole gentili per rifiutare ed ottenere la conseguenza dell'essere lasciato in pace, Vincent si era lasciato sfuggire "Beh..."

"Sono contenta che tu abbia accettato!" squittì Yuffie con un saltino, e si voltò verso il letto. In controluce, la sua sagoma scura si distingueva solo per i contorni. "Allora vado a prepararmi, e quando sarai pronto andremo. Sbrigati, ok?"

Uscì dalla stanza di corsa, mentre Vincent la seguiva con lo sguardo.

Che strana ragazza, quella. Davvero.

Bastava starle vicino un attimo per rimanere invischiati nella sua carica di spontanea confusione, in un vortice di caos e tenera intraprendenza.

Si era osservato un momento nel riflesso dello specchio, giusto per controllare.

Ogni volta che si guardava, rimaneva perplesso. Per un po' non riusciva a riconoscersi, e come se il vetro gli desse l'immagine di un altro si studiava incuriosito.

Quando era diventato quell'uomo bizzarro?

Era veramente successo?

Come poteva, Yuffie, trattarlo come una persona normale? Era evidente che non lo fosse, vestito in quel modo.

Non l'aveva nemmeno deciso lui, di vestire così.

Da tanti anni, ormai, aveva smesso di prendere decisioni.

Guardandosi, gli era venuta voglia di strappare il mantello, di aprire un armadio e rubare un vestito normale, qualcosa che lo facesse confondere fra la folla, che non attirasse ogni sguardo per strada. Qualcosa che si addicesse al suo desiderio di essere invisibile, totalmente, a chiunque. Ma era rimasto calmo e si era riavviato i capelli. Troppo lunghi. E di tagliarli non gliene importava niente.

Quando aveva vent'anni, usava prendere in giro chi li portava lunghi.

Aveva mai avuto vent'anni? La sua carne era mai stata colorita e tiepida? Non era forse tutto un sogno, un ricordo distorto?

Si era trascinato fuori dalla stanza, senza aver alterato nulla del suo aspetto. Yuffie aveva fatto lo stesso, e dopo quei preparativi intensi erano andati incontro alla luce del sole.

Lei non smetteva più di emettere urletti eccitati, che riuscivano a metterlo un po' in imbarazzo. La gente si voltava a guardarla, si chiedeva cosa avesse.

E lei non lo notava nemmeno.

China su un oggetto che aveva attirato la sua attenzione, lo sfiorava con la punta delle dita e lo fissava con impegno. Come se dovesse carpirne il segreto, per ricostruirlo da sola. Si era portata dietro tutti i suoi soldi, guadagnati chissà come, e aveva comprato delle sciocchezze che Vincent non solo non avrebbe mai barattato con del denaro, ma che non avrebbe mai nemmeno notato fra le cianfrusaglie in esposizione. Dopo aver buttato via le sue monete in quel modo, sollevava l'oggetto al sole e sorrideva soddisfatta.

"Questo dovrebbe piacerle, non credi?" gli chiese. Vincent strinse gli occhi nella luce accecante e annuì confuso. "Mi ascolti? A Tifa, dico. Costa poco, potrei farle un regalo!"

Era una sciarpa che Tifa non avrebbe mai messo in tutta la sua vita.

Yuffie aveva questo problema, con i regali. Non poteva trattenersi dal farne, quando le veniva voglia, ma riusciva inevitabilmente a scegliere quelli più sbagliati. Perfino lui, che non aveva mai regalato nulla ad una ragazza, si rendeva conto che Tifa si sarebbe strozzata con quel pezzo di stoffa, piuttosto che uscirci.

"Allora? Dammi un'opinione!"

"E'... un po' troppo colorata, credo."
Yuffie lo guardò, parandosi gli occhi con una mano. "Dici? A me piace!"

"Comprala per te, allora."

Aveva ricominciato a rovistare fra la roba della bancarella, mentre lui si guardava intorno. Adocchiò un banchetto di armi a metà prezzo e si avvicinò. Yuffie se ne accorse, lo seguì in fretta, iniziò a tastare la merce.

"Vincent, Vincent! Guarda questo!" strillò Yuffie saltellando e indicando un fucile di scarsa qualità, ma che per qualche ragione doveva sembrarle bellissimo. "Costa così poco! Lo vuoi? Te lo regalo!"

E per qualche motivo, gli era sembrata bella. Nel modo più semplice.

Come se avesse scoperto qualcosa solo in quel momento, di lei.

Fra la folla che si stringeva intorno alle bancarelle, fra le urla dei venditori e delle donne che strappavano stoffe dalle mani di altre, Vincent aveva sorriso lentamente.

Come se avesse ricordato, finalmente, che era possibile tornare a sorridere.

 

Shelke si era girata nel letto e aveva iniziato a sentire troppo caldo. Non poteva rimanere tutto il giorno sdraiata, lo sapeva. Si sarebbero preoccupati e le avrebbero fatto delle domande. Così aveva fatto uno sforzo per alzarsi, nonostante il suo corpo la implorasse di continuare a riposare.

Non aveva mai provato un dolore così fiacco, così inutile. Si sentiva talmente rammollita da vergognarsene, da desiderare che nessuno potesse vederla in quello stato. Come poteva essere una cosa normale? Che esseri assurdi erano le donne?

Facendo attenzione a non fare troppo rumore, si era infilata in bagno e aveva lasciato scorrere l'acqua tiepida, dopo essersi assicurata di aver chiuso bene a chiave la porta. Infilarsi sotto il getto era un sollievo, e chiuse gli occhi per goderne a pieno.

L'ondata di nervosismo e tristezza stava andando via. Sola, bagnata e sanguinante, si sentiva finalmente a suo agio.

Con i capelli ancora bagnati, era entrata nella stanza di Vincent e l'aveva trovata vuota. Si era chiusa la porta alle spalle. Raggomitolarsi nel suo letto e aspettarlo le sembrava la scelta migliore, ma sarebbe stato patetico. E di lui, lì, non c'era nulla. Sicuramente era uscito, e nella stanza accanto ci sarebbe stata Tifa con il suo sorriso e le sue mani calde.

Non le andava di vederla.

Si avvicinò ai vestiti sulla sedia, li toccò. Rimase lì seduta, con un mantello fra le mani e gli occhi sulle assi del pavimento.

 

Quando erano rientrati, Tifa li aveva sentiti da lontano. Il fracasso di Yuffie era impossibile da ignorare. La porta si era spalancata sbattendo contro il muro, e la sua vocina aveva riempito le stanze.

"Abbiamo comprato un sacco di cose!" aveva urlato, come se stesse parlando di un tesoro.

Tifa aveva alzato lo sguardo verso il viso di Cloud, che dormiva ancora come un bambino. Svelta, si era rivestita e aveva risistemato la coperta su di lui. Sapeva bene come Yuffie poteva entrare senza avvertire, e non voleva che li sorprendesse.

Non che si vergognasse di... loro. Solo, preferiva non sbandierarlo troppo.

Era uscita in corridoio e le era andata incontro, regalandole grandi sorrisi quando aveva iniziato a mostrarle ogni cosa.

"Guarda questo!" Yuffie si era immersa in un lungo pezzo di stoffa gialla, una roba che solo lei poteva trovare bella, e aveva volteggiato al centro della stanza rischiando di colpirla.

"Avete speso tutto, eh?"

Vincent era pieno di pacchi e sacchetti, e l'aveva guardata con un'espressione complice. Ovviamente, aveva scelto tutto Yuffie.

"Vado a provarmi i vestiti nuovi!"

Ascoltando i passi veloci che si allontanavano, Tifa aveva riso. "E' un tornado, vero?"

"Eh già." Vincent aveva posato tutto sul tavolo. "Non ne hai idea."

"Oh, credo di averla, invece."

"E Shelke, come sta?"

"Non la vedo da stamattina. E' rimasta a letto, penso sia un po' abbattuta."

"Va bene."

Era andato anche lui, e Tifa era rimasta sola con tutti quei sacchi strapieni che davano un'aria festosa al tutto.

Era così, quando c'era Yuffie. Come un'eterna festa da liceali.

 

Il problema, in realtà, erano i ritorni.

Tornare in quel posto quasi per caso, e scoprire che il viso dell'unica donna che avesse mai amato in vita sua era ancora bello come un tempo. Intatto. Tornare in una stanza in cui si è rimasti chiusi per troppo tempo. Tornare alla Shinra Mansion e rivedere quella bara, le assi di legno che hanno perso colore, l'odore del tempo che è rimasto chiuso lì dentro.

Nulla di ciò che ricordava era sbiadito, nonostante gli anni. E per ricordare non aveva una fotografia piena di ditate, una lettera con l'inchiostro sciolto o una ciocca di capelli ingialliti.

Era crudele come fosse riuscito a non scordare nulla.

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Capitolo 4
*** Una notte ***


4 - Una notte

Quella stanza, a tarda sera, diventava fresca. Vincent l'aveva notato con sollievo. Dopo una giornata passata con Yuffie, un po' di riposo era necessario. Si era gettato sul letto, e aveva respirato con piacere l'odore di fresco delle coperte pulite. Quando stava per prendere sonno, aveva sentito lo scricchiolio della porta e si era sollevato a guardare.

In piedi nella luce del corridoio, Shelke aveva inclinato il capo e gli aveva sorriso timidamente. "Ciao."

"Ciao." le rispose, rimettendosi sdraiato.

 "Posso... posso dormire con te?"

Dopo un breve silenzio, Vincent decise di annuire. Perchè no, in fondo. Avevano dormito stretti, sotto le stelle. Non era come viziarla, perchè Shelke non era mai stata viziata, che lui sapesse. E poi, non era di certo suo padre.

Si era intrufolata sotto il suo braccio, spingendo con la testa come un gattino. Senza guardarlo. Sporgeva appena dalle coperte. Vincent aveva sentito il calore delle gambe che si intrecciavano, quel piccolo corpo che gli si stringeva contro.

"Hai freddo?" le aveva chiesto, e lei aveva scosso la testa con decisione. "Stai meglio?"

"Sì. Un po' meglio."

"Bene."

"...Vincent?"
"Sì?"
"Vi siete divertiti?"

"Eh?"
"Tu e Yuffie, oggi. Ho sentito che siete stati al mercato."
"Ah... sì, è stata una giornata piacevole."
"Mh."

Si era irrigidita, poteva sentirlo. Come una piccola fidanzata gelosa. Gli era scappato da ridere, ma si era mantenuto serio carezzandole i capelli.

"Ti infastidisce?"
"Che cosa?"
"Che io mi diverta con Yuffie."

"Perchè? Dovrebbe?"

"No, ma sembra che ti infastidisca. Ti sta antipatica?"
"Mi sta antipatica perchè sta simpatica a te."
"Non è una bella cosa, questa."
"No?" Shelke aveva sollevato il viso per guardarlo. "Non è bello, desiderare che una persona cara sia... soltanto tua?"

"Non è così semplice."
"E com'è?"
Vincent sospirò. Non si sarebbe mai aspettato di dover dare consigli sentimentali ad un'adolescente spaventata. "Beh... Quando vuoi bene ad una persona, così tanto da desiderare che sia soltanto tua, devi lasciarla libera di decidere. Di conoscere chi vuole, di divertirsi con chi vuole. E soprattutto, non puoi inimicarti chiunque le stia vicino. Non è giusto."

"E perchè non è giusto? Se lo si fa per quella persona..."
"E' tardi, Shelke. Dormiamo."

"Ma io lo voglio sapere!"

"Sono cose da adulti."
"Io sono adulta!"
"Non cominciamo, ok? Buonanotte."

Vincent aveva chiuso gli occhi, deciso a tagliare la discussione. Non perchè non volesse aiutarla a capire, ma perchè si sentiva la persona meno adatta a spiegare quel genere di cose. Doveva scoprirle, come una ragazza normale. O, al massimo, sentirle dire da Tifa.

"Vincent?"
Riaprì gli occhi, e Shelke lo stava fissando. "Che c'è?"

"Tu puoi avere figli?"
"Eh?" Vincent si allontanò dal suo viso per guardarla meglio. "Che cosa?"

"Tifa ha detto che il ciclo serve ad avere figli, o qualcosa del genere. Ma che forse il Mako non fa funzionare bene la cosa. E... tu, puoi averne? O anche il tuo ciclo è stato compromesso?"
"Shelke, non lo ripeterò. Buonanotte."

"Perchè non vuoi spiegarmi le cose?"
"Non sono cose di cui parlare prima di dormire!"
"Perchè?"
"Perchè no! Adesso dormi!"
"Me lo spiegherai domani?"
"Certo domani. Ok."
"Ok."
Shelke si agitò per sistemarsi meglio, e Vincent tirò un sospiro di sollievo.

Con le donne, lui, non ci aveva mai saputo fare.

Quando aveva ventisette anni, riusciva a ridere per una battuta idiota. Forse era un po' per cortesia che deformava il volto in quella smorfia che tutti chiamano sorriso, ma lo faceva e spesso diventava piacevole. Un collega che rispondeva alla sua ilarità, uno sguardo che lo ringraziava per l'empatia, una chiaccherata veloce prima del caffè.

Quando aveva ventisette anni, gli capitava spesso di sentirsi triste e stupido. Insufficente. Non bastava a se stesso, e non poteva per questo bastare a chiunque altro.

Poi era arrivata lei, come per caso. Lei, che usava i sorrisi come se non avessero significato. Che aveva quell'aria sempre persa nei progetti fondamentali a cui stava lavorando. Che l'aveva lasciato entrare, passo dopo passo, sempre più in fondo nel suo mondo fatto di niente.

Eppure, a lei quel mondo piaceva così tanto.

Lucrecia.

Lucrecia che con una piroetta diffondeva un profumo di fiori, che si voltava a guardarlo e ad accoglierlo, perchè a sentirsi accolti con lei bastava un movimento. Lucrecia che scriveva alla sua tastiera mentre lui la osservava, tutta presa e seria. La piega del suo collo e le mani affusolate sui tasti. Le cene fatte davanti ai computer, un panino e una birra, l'imbarazzo di rispondere alle sue domande.

Lucrecia che era bella e che era stata convinta a diventare altro.

Quando aveva ventisette anni, gli era sembrato giusto rimanerne fuori. Perchè quella donna non poteva essere sua, era una speranza troppo grande. Poteva solo guardarla, rimanere un passo indietro.

Lucrecia, che un giorno gli aveva detto che si sarebbe sposata con Hojo. E gliel'aveva detto stringendo le labbra, come se fosse una colpa. Come se non fosse libera di farlo, visto che lui non aveva mai provato a raggiungerla, a prenderla per mano e tirarla via da tutto quel macello.

Come se avesse desiderato spingerlo ad iniziare.

Vincent strinse gli occhi. Non doveva entrare nemmeno un po' di luce. Sentiva solo buio, dentro.

 

Quando si sentì abbastanza decisa da provare a farlo davvero, tutta la casa dormiva da un pezzo. Protetta sotto la coperta, immersa nel suo pigiama nuovo, Yuffie si mise a sedere e sistemò i capelli con una mano.

Stare con lui era strano. La rendeva euforica. Le faceva sentire voglia di ridere in continuazione come una stupida. Una specie di solletico eterno.

Eppure, erano così lontani.

Non si era mai fatta strane idee su Vincent, nonostante lui fosse carino da far girare la testa. Ma poi, standogli accanto, era iniziato il solletico. La voglia di esplodere. Di essere guardata. Quella gioia immotivata che non aveva mai provato con altri ragazzi carini. I fidanzati che ricordava erano diventati noiosi in fretta, e le storie erano finite in sordina, lentamente. Niente di cui valesse la pena di parlare. Non aveva mai avuto bisogno di impegnarsi troppo, era facile notarla, e se piaceva piaceva. Non aveva mai pianto per amore, non si era mai disperata per una rottura, non si era mai sentita l'eroina di uno shojo. E forse non si era mai davvero innamorata, perchè tutte quelle complicazioni le sembravano ridicole.

Ma Vincent era diventato importante, come una novità ritrovata. Con quell'espressione perennemente triste, le faceva venir voglia di farlo ridere. Farlo morire dal ridere. Fargli tenere la pancia dalle risate.

Era così difficile?

Aveva pensato di entrare nella sua stanza, svegliarlo e parlare. Temeva che Shelke si sarebbe ripresa in fretta, che non avrebbero avuto il tempo di dirsi nulla. Se ne sarebbe andato di nuovo e basta, tutto finito. Nessuna speranza.

E non le piaceva, non avere speranze. Mai piaciuto. Proprio no.

Così, eccola nel corridoio in punta di piedi per paura di svegliare qualcuno.

Aprì piano la porta, appena uno spiraglio, sentendo il cuore accellerare. Pulsava in gola, come se volesse fuggire. Costrinse gli occhi a guardare nella stanza, sentendo affiorare la voglia di scoppiare a ridere e tornare a letto.

E Vincent era lì, fra le lenzuola.

Con Shelke.

Yuffie richiuse la porta, senza rumore, e vi si appoggiò di schiena.

Qualcosa con cui non poteva competere.

Qualcosa che non poteva essere cancellato.

Qualcosa che non sapeva come gestire.

Lucrecia. Ancora. Per sempre.

 

"Vincent? ... Vincent...?"
"Mh?"
"Stai dormendo?"
"Ora no."
"Ho sentito un rumore."
"Non è niente, dormi."
"Mi è passato il sonno..."
"A me no."
"Ma ti sei svegliato anche tu, no?"
"No."
"Come no? Stai parlando!"
"Smetterò presto."
"Dai, ti prego, non riesco più a dormire!"
"Shelke..."
"Non puoi spiegarmi adesso quello di cui parlavamo prima?"
"..."
"Vincent? Ehi! Non fare finta di dormire!"

 

Tornare a letto, velocemente. Come se non fosse successo nulla. Per non farlo sapere a nessuno. Chiudersi la porta alle spalle, poggiandola appena, e poi un tuffo nel letto disfatto. Come non essersi mai alzate.

Niente, niente. Tutto ok. Silenzio. Il soffitto bianco e le luci provenienti da chissà dove che scorrono.

Prevedibile. Era ovvio. Che idiota.

Quello stupido non si sarebbe mai liberato di Shelke, di Lucrecia, di niente. E di certo, anche se miracolosamente un colpo in testa l'avesse fatto rinsavire, non avrebbe guardato lei.

Era possibile arrivare ad essere così stupide?

Poteva anche portargli la colazione a letto ogni mattina come una crocerossina premurosa, poteva imbottire il reggiseno o farsi le codine, visto che gli piacevano tanto le bambine, ma... non ci sarebbe stato alcun cambiamento. L'avrebbe sempre guardata come un accessorio del gruppo, qualcuno che poteva anche non esserci. Non era cambiato niente da quando le rivolgeva appena la parola. Ora forse ricordava il suo nome, ma che altro?

Che altro sapeva, Vincent, di lei?

Chi era lei, quella allegra? Quale stereotipo le aveva appiccicato addosso?

Yuffie si sdraiò sulla pancia, abbracciando il cuscino.

Cosa voleva dirgli, poi? Oh ciao Vincent, dormivi? Volevo solo... parlare.

Parlare di che?

No, non era successo assolutamente niente. Quella piccola scintilla che le era sembrato di provare andava soffocata, e basta. Non aveva certo intenzione di star male per quello scemo. Un sessantenne, che idea! Solo a lei potevano venire certe fissazioni.

Non era successo niente e andava tutto bene.

Certo. Tutto perfetto.

Non voleva mica molto, lei. Giusto un contatto. Qualcosa. Sapere che lui la vedeva. Provare com'era vederlo iniziare una conversazione, invece di essere sempre lei a dire la prima parola.

Che rabbia.

 

"Vincent?"

"Mmh?"
"Dormi?"
"Cosa c'è?"
"Credi che quando starò bene dovrò restare qui?"
"Non lo so, Shelke. Vorresti restare qui?"
"Tu resteresti?"
"Non credo."
"Allora no."
"Non possiamo deciderlo domani?"
"Io non voglio restare in un posto dove non resti anche tu."

Si era stretta a lui e Vincent l'aveva circondata con le braccia, senza rispondere, finchè il respiro regolare non gli aveva assicurato che dormisse.

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Capitolo 5
*** Come bambini ***


5 - Come bambini

I suoi ricordi, sostanzialmente, consistevano in una primavera fresca. Un prato immenso, forse un po' diverso da com'era in realtà, e l'odore soffocante dei fiori gialli. Chissà perchè, ogni volta che ci pensava quel panorama veniva accompagnato da una musica. Una canzone sussurrata, dolce. Come una ninnananna.

Ricordava di aver stretto un fiore fra le dita e di aver pensato di essere incredibilmente piccola, rispetto a quel prato, al cielo, a tutto. Aveva chinato il capo e si era guardata, cercando di comparare le sue dimensioni a quelle del mondo.

Una cosa stupida, ma in fondo era solo una bambina.

Lo ricordava nei momenti più strani. Le venivano in mente quelle immagini, come un sogno ad occhi aperti.

Un giorno Vincent l'aveva portata in un prato colmo di fiori e lei era rimasta immobile a fissarlo, aveva temuto che un passo avrebbe infranto tutto.

Lo temeva sempre, ormai.

Nella sua testolina confusa, tutto era appeso ad un filo. Poteva sfuggirle di mano da un momento all'altro, e bisognava fare attenzione. Bastava poco per commuoverla. Un suono, un odore che le sembrava di aver già sentito. Il calore della zuppa di Tifa fra le mani, nella scodella. Il vapore che ne usciva, il gusto tiepido e accogliente. Shelke viveva in un eterno déjà vu, e ad ogni nuovo frammento del passato si sentiva un po' diversa.

Più grande, o forse ancora più piccola.

"Sarebbe meglio." diceva Tifa sottovoce, sicura che Shelke non potesse sentire. Lei continuò a sorseggiare la zuppa, facendo finta di nulla.

"Ne sono sicuro." rispose Vincent con il suo solito tono serioso. Lei sorrise di nascosto. Era come se parlasse sempre di cose della massima importanza. Che carino.

"Non è un problema, per noi. Possiamo tenerla per tutto il tempo che serve."

"Bene."
"E tu? Rimani?"
Pausa. Come sempre, prima di una risposta. Shelke bevve un altro sorso dal cucchiaio, facendo volontariamente rumore per sembrare molto assorta nella sua zuppa.

"Devo ancora decidere."
"Puoi rimanere anche tu, Vincent. C'è anche Yuffie per ora, sarà divertente avervi tutti qui!"

Yuffie, Yuffie, Yuffie. Cosa ci fosse di divertente in quella, Shelke non l'aveva ancora capito.

"A proposito, sta ancora dormendo?"
"Penso di sì. Vuoi andare a svegliarla?"
"No, no. Pensaci tu. Io esco a fare un giro."
Aveva preso l'ultima cucchiaiata e l'aveva mandata giù, godendo del tepore che scendeva lungo tutto il corpo. Era proprio buona, quella zuppa.

"Ehi, piccola!" la salutò Tifa passandole accanto. "Sazia?"
"Sì, grazie!"

"Basta con le zuppe al mattino però, ok? O ingrasserai come un maialino!" Di fronte all'espressione imbronciata che prese Shelke, a Tifa scappò una risata. "Ma dai, scherzo... Devi crescere, è normale che tu abbia tutta questa fame!"

Normale. Tifa non faceva che ripeterle quella parola. Era difficile da capire. Ma aveva intuito che fare domande in continuazione non era considerato da adulti, così non le aveva chiesto niente.

Aveva detto, piuttosto: "Se Vincent non rimane, non rimango nemmeno io. Che sia chiaro." E con una dedizione che aveva del tenero aveva svuotato la ciotola di ogni residuo.

"Rimarrà anche lui, vedrai."

A quello Shelke aveva sorriso, con le labbra ancora sporche di zuppa. Non le sarebbe dispiaciuto poi tanto, rimanere lì.

Come se tutto fosse... normale. Già.

A parte, ovviamente, qualche piccolo dettaglio.

"Buongiorno!" disse Yuffie strofinandosi gli occhi. Fece un grande sbadiglio, poi si sedette di fronte a Shelke. "Ma cosa le hai fatto mangiare, Tifa? Un minestrone? Alle nove?"

"Io mangio quello che voglio!" iniziò Shelke, ma la voce di Tifa coprì la sua.

"Aveva fame, ha bisogno di mangiare!"

"Beh, anch'io! Che mi prepari? Niente minestre, però." Tifa aprì il frigo e le lanciò una merendina, che Yuffie prese al volo con aria sconsolata. "Pensavo a delle frittelle..."

"Puoi cucinare, se vuoi."
"Uff, sei davvero poco materna con me!" Iniziò a litigare con la confezione, che non voleva saperne di aprirsi. "E i nostri uomini, dove sono?"

"Già usciti. Cloud è in giro a lavorare, Vincent è andato a fare un giro."

Shelke si alzò, portando in mano la scodella, e si avvicinò a Tifa. "Posso aiutarti a lavare i piatti?"
"Oh, certo!"

"Potremmo fare un bel picnic, invece di toglierci la salute con queste schifezze!" mormorò Yuffie continuando ad armeggiare con la merendina.

"Mi sembra una bella idea!" disse Tifa. "Appena torna Cloud gli chiedo se..."
"No, no. Iniziamo a preparare adesso, dai! Così non potranno rifiutare!"

Un altro piano per stare con Vincent. Come se non fosse evidente. Shelke iniziò a strofinare una pentola, accigliata.

"Ma... Cloud potrebbe essere stanco e..."
"Appunto! Cosa c'è di più rilassante che un picnic?"

Era così, Yuffie. Trovava un'idea, e si entusiasmava così tanto che, anche se si fosse trattato di fare un enorme salto per raggiungere un altro pianeta, nessuno avrebbe potuto scoraggiarla. L'aveva capito persino lei, che non la conosceva affatto.

Tifa si massaggiò il mento con le dita, pensierosa. "Uhm, dove avrò messo la tovaglia?"
"A scacchi, vero? Non è un vero picnic, senza una tovaglia a scacchi rossi!"

"Shelke, ti va di venire?" le chiese Tifa, voltandosi verso di lei.

"Ok."

"Bene!" Yuffie diede un pugno all'aria sopra di lei e fece un salto. "Iniziamo, allora! Ah, Tifa, cucini tu?"

"I panini non si cucinano..."
"Facciamo una crostata di mele!"
"Una crostata? Ora? Ma..."
"Dai, se iniziamo ora riusciremo a finirla in tempo! Ti aiuto!"

Un po' pentita di aver scelto di lavare i piatti, Shelke le aveva osservate mentre tiravano fuori gli ingredienti. Yuffie aveva combinato un gran casino, prendendo un sacco di farina dal lato sbagliato e finendo per diventare totalmente bianca.Tifa aveva riso fino alle lacrime e poi si era arrabbiata. L'aveva spedita a fare una doccia veloce, e Yuffie era tornata mentre Tifa iniziava ad impastare, brontolando che la farina era una trappola mortale, se provavi a bagnarla.

Mentre impastavano, avevano riso tanto. Yuffie aveva provato un sacco di volte a mangiare pezzetti d'impasto, e la mattina si era tinta di divertimento. Senza quella piccola novità sarebbe stata noiosa, come tutte le altre.

Shelke finì di asciugare l'ultima tazza, poi si avvicinò a loro che stavano per infornare.

Yuffie si era chinata su di lei (non che ce ne fosse bisogno, erano quasi alte allo stesso modo). "Mi aiuti a preparare i panini?"

E Shelke, senza far notare troppo che era contenta di far qualcosa, aveva annuito con serietà.

Le avevano fatto lavare le mani, le avevano spiegato come dividere le porzioni, come avvolgere il pane nei tovaglioli colorati. Il cestino era enorme, pesante, e colmo di cibo profumato.

Non aveva mai fatto un picnic, in vita sua.

Probabilmente Cloud e Vincent si erano incontrati all'entrata, perchè tornarono insieme. Come se stesse seguendo la scena su uno schermo, Shelke li osservò. Tifa corse incontro a Cloud, lo abbracciò con addosso l'energia della mattina trascorsa a ridere, e lui le sorrise con dolcezza. Yuffie si avvicinò a Vincent, con il cestino dietro la schiena, poi lo mostrò all'improvviso facendolo quasi spaventare.

Quell'atmosfera familiare le sfuggiva, non riusciva a farne parte.

 

"Me ne dai un'altra fetta?"
"Cloud, ma è la terza! Ti verrà mal di pancia!"

"E' buonissima, che ci posso fare?"

"Dai, Tifa, non fare storie e dagliela! Tieni, Cloud..."

"Grazie Yuffie."
"Se stanotte vieni da me a lamentarti per il mal di pancia, ti butto fuori dalla stanza!"
"Vorrà dire che andrò a lamentarmi da un'altra!"
"Che cosa?"

"Scherzo, scherzo! Metti giù la forchetta!!"

C'erano formiche e una varietà inquietante di insetti, su quel prato appena fuori Midgar. Shelke aveva tentato di sistemarsi sul cuscino senza lasciar fuori un solo centimetro del suo corpo, e si sentiva un po' nervosa. Cloud e Tifa si erano seduti su un'unica coperta, Yuffie aveva dimenticato il suo cuscino ma si era messa sull'erba senza tante storie, Vincent era ovviamente seduto sul mantello.

Aveva finito la sua fetta di torta, e aveva posato il piatto sulla tovaglia. "Era ottima."

"Grazie!" le rispose Tifa, prendendo il piatto e riponendolo insieme agli altri. "Se ne vuoi ancora, dillo pure!"

"Ah, lei può dirlo e io no?" fece Cloud, quasi ridendo. Tifa gli diede un buffetto sulla spalla e risero insieme.

"Ragazzi, è assolutamente necessario un discorso!" disse Yuffie alzandosi in piedi. Aveva tutte le gambe verdi, ma sembrava non pensarci. "Volevo dirvi che..."
"Discorso! Discorso!" urlarono Cloud e Tifa all'unisono.

"...Che sono davvero felice di essere qui con voi, oggi! Vi prometto che mi troverò un lavoro e smetterò di essere il vostro parassita, ma nel frattempo spero che passeremo tantissime giornate come questa, con sole, cibo, erba e risate!"

"E' questo, il tuo discorso?" disse Cloud.

"Perchè? Qualcosa da ridire?"
"Beh, è troppo corto."

"La parte del lavoro mi è piaciuta molto." commentò Tifa, riempiendo un bicchiere. "Chi ha sete?"

Shelke si alzò. "Vado a fare una passeggiata in giro." disse, e senza aspettare un consenso si allontanò.

Yuffie percepì che Vincent si era irrigidito e si voltò verso di lui. "Dai, non preoccuparti. Le farà bene respirare un po' d'aria fresca."

"Mh... va bene."

Tifa alzò in alto il bicchiere, che luccicò al sole. "A noi!"

Dopo aver finito tutto il contenuto del cestino, pieni da scoppiare, si sdraiarono a pancia in su. Yuffie chiuse gli occhi nel sole e respirò l'aria, con quel sapore fragrante di natura, quello che le piaceva tanto. Si rilassarono per un tempo che sembrò infinito, senza parlare.

Dopo chissà quanto, Yuffie riaprì gli occhi alla voce di Vincent che diceva "Da quanto è via, Shelke?"

"Oh, dai, non fare il paparino apprensivo..." Si mise a sedere, Tifa fece lo stesso. "Sarà in giro a correre fra i fiori!"

"In effetti è un po' che manca... non conosce la zona, potrebbe perdersi!" disse Tifa.

"Sa combattere?" chiese Cloud.

Vincent si alzò. "Vado a cercarla."

"Ci dividiamo, così la troveremo più in fretta." disse Cloud, sollevandosi. Tifa lo imitò annuendo.

"Ok, ok..." Yuffie infilò tutto dentro il cestino e si mise in piedi. "Vengo con te, Vin."

 

Vincent camminava a passo fin troppo spedito. Si guardava intorno, voltandosi in continuazione.

"Sei in ansia?" gli chiese, e nel momento in cui lo fece si sentì stupida perchè era ovvio, che lo era. "Vedrai che si è solo fermata in un punto, e si è dimenticata del tempo. Sarà tutto a posto."

"Potrebbe essere stata aggredita." disse lui.

"Beh, mi pare che sappia difendersi..."
"E' pericoloso lo stesso."

"Dici?" Yuffie si grattò la testa continuando a fare grandi passi per stargli dietro. "Secondo me è capace di sopravvivere da sola."

"Potrebbe star male."
"Oh, Vin, ok, ha il ciclo, ma non è che sia..." Si fermò un attimo. "Ah, ma intendi per il Mako?" Vincent non rispose. "Le capita ancora di star male per quello?"

"Può capitare."

E Yuffie si accorse che erano soli, non c'era nessuno all'orizzonte, e che se voleva parlargli un po' quello era forse l'unico momento possibile.

Non il migliore, magari. Ma possibile.

"Tu sei stato male, dopo...?"

Lo guardava di schiena, il mantello che svolazzava, l'affanno del ritmo che doveva sostenere per non farlo allontanare.

Era come un simbolo, quella scena.

"Sì." disse semplicemente lui, troncando ogni possibile conversazione.

"Ah."

Senza guardare dove metteva i piedi, si concentrò sulla sua schiena.

Non doveva innervosirsi. Vincent era così, lo sapeva. Se voleva farlo parlare, ci voleva molta pazienza.

All'improvviso, mentre lo fissava, lui scomparve.

Così, nel nulla.

Prima che avesse il tempo di fermarsi, di chiedersi che cavolo era successo, Yuffie si sentì mancare il terreno sotto i piedi e cadde.

Un dolore acuto ad una gamba, ad una spalla, alla testa. Si sentì sbattuta con violenza, poi si ritrovò a terra.

"Ma che..." disse, e alzò lo sguardo.

Erano caduti in un fosso.

Individuò Vincent accanto a lei, che si stava rialzando con un po' di fatica. Tentò di fare lo stesso, ma una fitta alla gamba la fece ricadere.

"Ahia..."

"Tutto bene?" le chiese Vincent, avvicinandosi alla parete e toccandola con una mano. "Siamo caduti, è molto profondo... Come abbiamo fatto a non vederlo?"

"Eri davanti a me, non guardavo dove camminavo!"

Vincent si voltò verso di lei e si chinò a guardare la gamba. "Sei ferita?"
"No, è solo... un graffio... che sanguina molto. No problem."

"Siamo stati fortunati a non battere la testa." Vincent strappò un lembo del mantello e lo usò come benda, legandola attorno alla ferita.

"Ma no, il tuo mantello! Non era necessario!"

"Cerchiamo di non farla infettare, no?"

Yuffie si arrese e si lasciò medicare. Era bravo, a farlo. Non aveva stretto troppo, ma abbastanza da fermare il sangue. Si morse le labbra quando fece un po' male.

"Grazie..."
"Quando inizierai a mettere dei pantaloni? Si sarebbero strappati, ma ti avrebbero protetto."

"Mi piacciono i pantaloncini..."
Vincent si rimise in piedi e iniziò a tastare la parete di roccia e terra, mentre lei lo seguiva con lo sguardo. "Sarà difficile risalire. Sembra una buca scavata intenzionalmente."

"Ci dev'essere un modo!" Si sollevò a fatica, appoggiandosi ad una roccia. "C'è sempre, un modo."

"Io non lo vedo."

Yuffie guardò in alto, parandosi dal sole con una mano. In effetti la scalata era lunga e praticamente impossibile. "Sai..." iniziò, guardandolo con un accenno di sorriso. "Mi ha sempre innervosita un sacco trovare degli ostacoli. Un cancello dalle sbarre troppo strette, un muro troppo alto, un monte troppo aspro... Mi sembra assurdo, ogni volta, che non si possa superarli. Trovarsi davanti ad un muro e pensare di non poterlo saltare... Potrebbe essere difficile, complicato, ma impossibile no. Non lo accetto."

"Potremmo metterci ad urlare." disse Vincent incrociando le braccia.

"Potremmo. Ma potremmo anche tentare di risalire. Se facciamo attenzione a dove mettere i piedi..." Yuffie tentò di fare leva con un piede, incastrandolo fra due rocce che sembravano stabili.

Vincent la fermò, tirandola giù. "No! Se sali troppo e cadi dall'alto, ti farai male."

"E allora che facciamo? Non ho intenzione di morire qui!"

"Non moriremo."
"Facile dirlo, per te!" Yuffie si buttò a sedere, facendosi anche un po' male. "Sei immortale, no? O qualcosa del genere..." Vincent continuò a studiare la parete. "Insomma, magari tu puoi sopravvivere senza cibo, senza acqua... io no!"
"Chi ti ha detto che io sia immortale?"

"Beh..." Yuffie iniziò a giocherellare con un sassolino, mentre lui le dava le spalle. "Non invecchi."

"Ho fame come chiunque altro."

"Ma se non mangi, muori?"

"Non ho mai provato a lasciarmi morire di fame, veramente."
"Dovresti provare, per curiosità! Essere immortale sembra interessante..."

"Vuoi aiutarmi a trovare un modo per uscire, o hai intenzione di continuare con questi discorsi assurdi?"
Yuffie si alzò e cercò di imitarlo, tastando la roccia. Le sembrava una cosa piuttosto inutile, visto che era evidente come fosse difficile salire. Così riprovò ad incastrare un piede, facendo forza e aggrappandosi con le mani. Salì di un paio di metri, poi una roccia che la sosteneva si staccò dalla parete e la fece precipitare a terra con un grido. Vincent si voltò.

"Che fai?"
"Cado! Non si nota?"

"Non sei molto d'aiuto."

Yuffie incrociò le braccia e si accigliò. "Beh, non vedo appigli. E' inutile toccare in giro, proviamo!"

"Dal tuo tentativo direi che abbiamo ottime possibilità..."

"Almeno io provo!"

Si misero entrambi a tastare e a tentare, ricadendo ogni volta.

"Questa faccenda dell'immortalità... è proprio vera?" chiese lei dopo un po'.

"Ti ho detto che non lo so." rispose Vincent, senza smettere di provare, strisciando inesorabilmente fino a terra.

"Perchè se lo fosse... sarebbe triste, no? Saresti condannato a vedere tutti i tuoi cari invecchiare e morire, e rimarresti così per sempre."
"Non è una cosa di cui mi importa."

"Come no?" Yuffie si fermò e gli si avvicinò. "E Shelke? Non ti importa nemmeno di lei?"

"Forse questa roccia è stabile..." mormorò lui, ignorandola totalmente.

"Sto parlando con te, non ti interessa di Shelke?" disse Yuffie mettendogli una mano sulla spalla e facendolo voltare. "Perchè sai, tutta questa faccenda di Lucrecia è molto romantica, ma Shelke non ha colpe. Non puoi farle credere di volerle bene se poi non te ne frega niente di lei!"

"Non sono cose che ti riguardano, Yuffie."
"Oh, lo so, lo so!" Alzò le mani al cielo e le lasciò ricadere sui fianchi. "Ma non puoi venirmi a dire che non te ne importa di nessuno! Dovresti proprio smetterla di fare il bel tenebroso, Vin. Sta diventando noioso."

"Shelke non c'entra niente con... lei."
"Lei? Lei chi?" Yuffie gli si parò davanti, con le mani sui fianchi. "Dillo, il suo nome. Dillo. Non succede niente."
"Stai esagerando."
"Io!" Una risata amara. "Tu torni portandotela dietro come se fosse una specie di figlia incestuosa, poi mi dici che non ti importa di lei e io sto esagerando!" Vincent non rispose e le diede le spalle. Yuffie sbuffò. "Sai che ti dico, Vincent? Sei un idiota. Ok, ti sei innamorato di una donna che ha fatto una brutta fine. Ok, ti senti in colpa. Ok, ti sei ritrovato in mezzo ad un casino incredibile e non sai nemmeno tu come andrai a finire. Ma, che diamine, cerca di capirci qualcosa! Non puoi solo respirare e respirare per sempre, mentre chi ti vuole bene si preoccupa per te! Guardati, sessant'anni e ancora non riesci nemmeno a pronunciare il suo nome! E la povera Shelke, te la porti pure a letto, la stringi, e poi dici che non te ne frega niente!"

"Come lo sai, che abbiamo dormito insieme?"
"Eh?" Yuffie si massaggiò la testa, abbassando lo sguardo. "Beh, l'ho... l'ho immaginato! Solo uno come te potrebbe comportarsi così!" Lo guardò di sfuggita per vedere se l'aveva bevuta, e notando che non sembrava reagire continuò. "Forse le cose potevano andare diversamente. Ma sono andate come sono andate. Ora sei qui, sei vivo, cerca di superare la cosa! Esistono altre persone, potresti anche innamorarti di nuovo!"
"Non succederà."

"Perchè?"
"Perchè no!"

Aveva alzato la voce, e Yuffie aveva instintivamente fatto un passo indietro. Che ricordasse, non l'aveva mai visto arrabbiato. Dopo un silenzio che era sembrato eterno, Yuffie aveva detto sottovoce "Scusami. Forse ho esagerato davvero."

"No... no, hai ragione."
"Ah... davvero?"
"Sì. Davvero." Vincent si era seduto, lentamente. "La persona che ero... è come se fosse morta. Al suo posto ci sono io, ma ho l'impressione di non essere niente."
"Io la vedo, quella persona." Yuffie si chinò su di lui, sedendosi sui talloni. "Altrimenti non starei qui a parlarti, ti avrei già picchiato!"

Un sorriso, lieve, appena accennato. Un senso di vittoria che si diffuse caldo, che fece sorridere anche lei.

"E' che io... sento la sua voce... la sogno... la ricordo." La guardò, con un'espressione vagamente colpevole. "Lucrecia, intendo."

"Puoi chiedere aiuto."

"...Aiuto?"
"Certo. Alle persone che ti stanno intorno. A noi. A me."

E guardandolo, non sembrava più così sbagliato volergli bene.

Con quella faccia confusa, nella posizione chiusa in cui si metteva sempre, era come un bambino.

"Proverò." disse, con una decisione un po' eccessiva, e Yuffie rise.

Perchè forse qualcosa, qualcosa di molto bello e diverso dal solito, poteva anche cominciare.

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Capitolo 6
*** Intermezzo (1): Verso il sole ***


6 - Intermezzo (1): Verso il sole

Respirare.

L'aria è come vetro. Taglia. Ne segui il percorso fino ai polmoni, puoi sentirlo come se stessi deglutendo frammenti appuntiti di qualcosa. Il respiro forma nuvole sulle labbra e ti chiedi come possa diventare vapore, quella cosa tangibile che senti scorrere. Il dolore diventa un pulsare sordo che riesci ad ignorare per qualche istante, prima di perdere conoscenza per riprenderla subito dopo desiderando un altro svenimento.

Fa male.

Un dolore mai immaginato. Un dolore che credevi non esistesse.

Nei rari momenti in cui ricordi chi sei, cerchi di ricomporre i pezzi. Da quanto non mangi? Da quanto non ti lavi? Dove sei? Quello che facevi sempre, le abitudini ancora incollate addosso, qualsiasi cosa possa tenerti vivo.

Vorresti essere morto eppure ancora respiri, un ostinato tentativo che intraprendi per istinto, senza deciderlo.

Provi a camminare, a fare un percorso sensato, a trovare un angolo che servirà da rifugio per la notte. E' notte, adesso? E' giorno? Che ore sono? Cosa stavi facendo?

Dove sei? Cosa accidenti  è successo?

Cammini, fa freddo e hai bisogno di coprirti. Piove. Un tempo saresti scappato dalla pioggia, un tempo avevi un posto in cui tornare. Un tempo, bagnarsi significava poter prendere un raffreddore e la cosa ti preoccupava. Sorridi al ricordo.

Un tempo eri vivo, ora sei morto.

Eppure, ancora respiri.

Guardi il sole sorgere, chino per riprendere fiato. Hai corso. Eri stanco di vedere solo il verde all'orizzonte, volevi raggiungere qualcosa. In cima ad una collina senza nome, continui a vedere solo verde ma sta arrivando il sole. Sollevi il viso verso il cielo e chiudi gli occhi nella luce che arriva, lenta. Illumina una pozzanghera in cui hai tuffato le mani (le tue mani, cosa è successo alle tue mani?) e ti vedi riflesso.

Quell'immagine azzera i pensieri e ti fa dimenticare che devi respirare, che non sopravviverai se non lotti ancora e che devi sopravvivere, perchè è così. Tossisci con violenza, sorpreso, e il mantello si inzuppa nell'erba bagnata, diventa freddo e rigido come una frusta.

Devi alzarti.

Devi camminare.

Devi respirare.

I muscoli tirano, emanano note dolenti come fossero arpe. Ti sollevi e riprendi, un piede davanti all'altro, il paesaggio che scorre. Dove andrai, per superare un altro giorno?

 

Da quando tutto era passato, Vincent riviveva ogni notte quei momenti. Al risveglio, ritrovandosi in un letto caldo o in un sacco a pelo all'aperto, temeva che non fosse finita. Che il tempo si fosse fermato. Che, di nuovo, avrebbe dovuto strisciare verso il sole.  

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Capitolo 7
*** Domande ***


7 - Domande

Tifa aveva preparato una cioccolata calda per tutti. In silenzio al tavolo, non si guardavano fra loro. Yuffie osservava il colore rassicurante del cioccolato fumante, stando attenta a non piegare troppo la gamba.

Shelke ci era rimasta un po' male, non intendeva provocare quel guaio. Era solo andata a guardarsi intorno, e non si era accorta del tempo. Sì, in effetti se non fossero venuti a riprenderla probabilmente non sarebbe stata capace di tornare indietro, ma non l'avrebbe mai ammesso. Per fortuna, cercandola, Cloud e Tifa avevano trovato la buca ed erano andati a prendere una corda.

Era finito tutto bene, in fondo. Shelke non capiva perchè tutti fossero così silenziosi, perchè Yuffie non facesse chiasso come sempre, e soprattutto perchè Vincent si ostinasse a non rispondere ai suoi sguardi.

Erano così strane, le dinamiche fra persone. Fragili.

 

"Tifa?"
"Mh?"

Yuffie si teneva il viso con le mani, sdraiata a pancia in giù sul letto. Tifa era seduta accanto a lei, e aveva appena finito di rifarle la medicazione alla gamba. "Cosa ne pensi, tu, di Vincent?"
"In che senso?"
"In tutti i sensi."
"Beh, non è proprio il mio tipo."

"Oh, non in quel senso!"
"Hai detto in tutti..."

"Voglio dire, come lo consideri?"
"E' un amico."
Yuffie la guardò, seria. "Davvero?"
"Mah, non so. E' difficile dare un giudizio su di lui, in realtà."

"Appunto."
"Cosa vuoi sapere, di preciso?"

"Non lo so." Rotolò finendo a pancia in su. "Quello che pensi. In generale."

"Penso che sia una persona molto triste."
"Questo non è un giudizio. Essere tristi non è una caratteristica, è uno stato momentaneo."
"Per Vincent, mi sembra che sia una caratteristica."

"E se smettesse di essere triste? Dici che non sarebbe più ... lui?"
"Boh, secondo te?"

"Te lo sto chiedendo proprio perchè non lo so!"
"Yuffie, perchè dovrei saperlo io?"

Lei sbuffò e si mise a sedere, contraendosi un istante per aver scordato di non piegare la gamba. "Volevo solo una tua opinione."

"E' difficile. Non è che non mi piaccia, ma... sembra che non gliene importi. Di niente. Non so."

Tifa si mise in piedi, ponendo fine con quel gesto alla discussione.

A volte somigliava un po' a Vincent.

Non poteva credere, però, che a lui non importasse di nulla. Impossibile. Certo, era una di quelle persone insondabili che non immagineresti mai ridere, fare una battuta idiota o inciampare. Una di quelle persone tanto diverse da lei. Il tipo che Yuffie aveva sempre guardato con una curiosità quasi morbosa, chiedendosi se ogni tanto piangevano senza motivo o si trovavano mai in una situazione imbarazzante.

Aveva sempre concluso, in realtà, che doveva proprio succedere. Forse quelle persone preferivano chiudere una porta a chiave prima di lasciarsi andare alle emozioni, o stringere i denti e fare finta di niente di fronte alla vergogna. Ma non poteva esistere qualcuno che sapeva mantenersi al di sopra di tutto.

In un modo o nell'altro, anche Sephiroth ogni tanto doveva pur andare in bagno.

Soffocò una risata fra le dita, e Tifa la guardò con il capo inclinato. "Che c'è?"

"Pensavo."
"Pensi troppo, in questo periodo." Le aveva sfiorato la guancia, con quell'aria materna che ormai le si era appiccicata addosso. Era da quando stava con Cloud, nel silenzio di quel segreto che solo loro ritenevano tale.

Mentre Tifa usciva dalla stanza, Yuffie l'aveva osservata. Era diventata più bella. La pelle era come luminosa. Si truccava, poco ma bene, sceglieva i vestiti con cura, la sua voce somigliava ad una canzone.

Era innamorata.

Ed era bello, esserlo.

Con un sospiro si mise in piedi.

Era innamorata, lei?

Qualunque fosse la risposta, non voleva smettere di provare.

 

Shelke stava seduta alla scrivania della stanzetta che le avevano riservato. Aveva aperto la finestra, perchè le piaceva il vento che scorreva lungo il corridoio, poderoso.

Era perplessa. Tifa le aveva mostrato l'armadio, dicendole che poteva mettere lì tutta la sua roba. Ma non ne aveva. I vestiti che portava addosso, il pigiama che Tifa le aveva regalato, un paio di ricambi. E basta.

Le ragazze, forse, davano importanza ai vestiti. Alle collane, agli orecchini. Si sfiorò i lobi delle orecchie, intatti. Era tardi? Doveva saltare quella parte e iniziare a sentirsi una donna, o poteva agire come un'adolescente? E come avrebbe fatto a sapere come un'adolescente doveva agire?

Il ciclo era finito, e con sollievo aveva riposto gli assorbenti in quell'armadio vuoto. Voleva riempirlo. Voleva guardarsi allo specchio e sentirsi carina. Come chiunque altro.

Sentì Yuffie camminare fuori dalla porta, corse verso di lei.

"Yuffie!"

"Sì?"

Le tirò i pantaloncini con una mano, per portarla in camera.

"Senti... Come si comprano i vestiti?"
"Con i soldi!" rispose Yuffie. "Perchè?"

"E come si ottengono i soldi?"
"Beh..." Fece una smorfia che Shelke non seppe decifrare. "Lavorando, di solito."

"Mh... e come..."
"...Per lavorare bisogna essere assunti da qualcuno. E per essere assunti bisogna fare un colloquio. Per fare un colloquio bisogna..."
"Non prendermi in giro!"
Yuffie sorrise, e si abbassò coprendo la bocca con le mani per sussurrarle qualcosa. Shelke le si avvicinò, titubante. "Posso prestarti un po' di soldi, se vuoi. Ma non ne ho molti. Lo farò, però, solo se accetti di fare una cosa per me."
"E cosa?"
"Questo te lo dirò dopo."
"Mh..." Shelke incrociò le braccia sul petto. "Vuoi fregarmi. Non sono scema."
"No, no! E' una cosa da nulla, davvero! E poi hai bisogno di qualcuno che ti accompagni, no? Non vorrai chiederlo a Vincent!"

"Non verrebbe?" chiese Shelke abbassando lo sguardo."
"Direi di no. Gli uomini odiano accompagnare le donne a fare spese."

"Ah."
"E' un accordo equo. Ci guadagnamo entrambe. Ti va?"

"Tifa mi accompagnerebbe senza chiedermi niente."
"Tifa non ha soldi."
Shelke alzò le spalle e annuì. "Va bene..."

"Grande!" Yuffie le prese le mani, scuotendole un po'. "Allora prendo i soldi e andiamo!"

La mollò lì scappando via, e Shelke attese con la sensazione di aver accettato troppo facilmente.

 

"Prova questo!"

Una valanga rosa la colpì in pieno viso. Shelke la afferrò boccheggiando, mentre Yuffie continuava a rovistare fra i banconi pieni di stoffa.

"Non mi piace il colore."

"Questo?" Yuffie si posò addosso un vestito verde acqua, volteggiando. Le commesse la fissavano preoccupate.

"Scelgo io, grazie."

"Volevo solo aiutarti!"

"Scegli colori assurdi!"

"Assurdi?" Yuffie guardò il vestito che aveva in mano, poi lo posò. "Ok, fai tu..."

La osservò, mentre Shelke vagava fra gli scaffali con passo leggero e allungava il viso verso le stoffe, odorandole appena, saggiandone la consistenza con le dita. Yuffie non aveva mai scelto un abito in quel modo. Comprava roba simile a quella che già aveva. Comoda. Semplice. Impiegava poco tempo per trovarla, pagava e andava via.

Shelke aveva le guance accese dall'interesse, stava attenta a non mettere in disordine la merce, aspettava paziente che le altre clienti si scostassero da un bancone interessante.

Era un piccolo essere delizioso e fragile. Forse, Vincent la vedeva così.

"Guarda, Yuffie!" squittì Shelke con un tono che non le aveva mai sentito fare. "Guarda questo, è troppo carino! Provalo!"

"Io? Pensavo dovessi comprare tu..."
"Dai, ti prego!" Le porse un vestito, lungo, bianco. "E' grande per me, ma è così bello! Costa poco!"

Yuffie lo prese, non troppo convinta. Era soffice, setoso. E si sarebbe sporcato subito. "Ok... lo provo..."

"Bene!" Shelke le sorrise e tornò a cercare.

Una commessa la guidò al camerino, le disse di chiamarla se aveva bisogno di qualcosa e sparì. Yuffie scostò la tenda, entrò in quel quadrato in penombra. Non provava gli abiti, di solito. Conosceva bene la sua misura, e non era necessario. Non sapeva nemmeno perchè si era lasciata convincere. Forse Shelke, con quell'eccitazione, le aveva fatto venire voglia.

Si sfilò la maglietta in fretta, lasciandola cadere sullo sgabello, e tolse i pantaloncini. Il vestito entrò alla perfezione. Si osservò nello specchio, inclinando la testa.

Era carina.

Tolse calze e scarpe, perchè non c'entravano nulla, e si guardò ancora.

Carina, sì.

Diversa.

Il vestito le accarezzava i fianchi, scendeva dolce a coprire le ginocchia, finiva con una specie di volant bianco. Le stava bene, il bianco. Era tutta un'altra cosa, rispetto ai colori accesi che sceglieva di solito. Rendeva il suo corpo più pieno, più femminile.

Vincent amava questo tipo di donna? Una donna che accentuava i suoi pregi con dei pezzi di stoffa, che colorava il viso, che usava creme profumate? Era questo, che voleva?

Non era lei.

Yuffie sapeva benissimo di non essere brutta. Conosceva lo sguardo degli uomini, sapeva ciò che lo attirava. Era cosciente di avere un bel corpo, di poterli attrarre inclinando il bacino, inarcando la schiena. Sapeva di poter sedurre, non era un territorio sconosciuto.

Yuffie non indossava abiti semplici perchè non poteva o non sapeva indossarne altri. Li indossava perchè voleva essere così.

Non aveva alcuna intenzione di cambiare le sue abitudini per qualcuno. Per essere notata. Per cancellare la sensazione dolorosa di non ritrovarsi riflessa negli occhi di Vincent.

Si sfilò il vestito in fretta, si rivestì osservando ogni movimento nello specchio.

Era lei, quella. Non poteva essere altro.

Scostò la tenda, fiera di se stessa e della propria determinazione. Gli occhi cercarono Shelke e la trovarono subito. Aveva indossato un vestito simile a quello, di un colore perlato. Un vestito che, a vederlo su uno scaffale, avrebbe giudicato ridicolo e pomposo.

Le stava bene.

Circondata da commesse ansiose di vendere, che appuntavano spilli e le sorridevano, sollevava le braccia per lasciarsi misurare, con un'espressione seria e dolce.

Era bella, Shelke.

Guardandosi alle spalle, Yuffie si vide ancora riflessa. In quegli abiti che per un attimo, solo per un attimo, le sembrarono odiosi e inutili. Non servivano ad esprimere qualcosa, solo a coprirla.

"Il vestito non va bene?" chiese la commessa, facendole voltare il viso di scatto.

"No." rispose, gettandolo nelle sue mani. "Non va bene per niente."

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Capitolo 8
*** Risposte ***


8 - Risposte

Seduta sull'erba con addosso uno dei suoi vestiti nuovi, con le dita intrecciate ed i capelli al vento, Shelke sembrava una bambola. Una di quelle bambole dall'espressione adulta, ma con un corpo troppo piccolo, troppo sottile. "Cosa volevi, in cambio?" chiese, senza guardarla.

Yuffie sorrise all'orizzonte, scostandosi una ciocca dal viso. "Solo farti qualche domanda."

"Domanda? Su che cosa?"
"Su di lui. Su quello che ricordi."
"Oh." Shelke sospirò. "Ricordo sempre meno."

"Non ha importanza. Dimmi tutto quello che ricordi."

"Perchè?"

Si guardarono, e Yuffie si sentì incredibilmente stanca. Non sapeva perchè, non voleva parlare dei suoi motivi. "Abbiamo fatto un patto, no? Rispettalo. Parlamene. Voglio solo questo."

Shelke guardò l'erba, il sole che la faceva luccicare. Iniziò ad accarezzarla, lentamente. "Era un uomo molto... timido. Impacciato."
"Timido?"
"Sì. Lucrecia sentiva i suoi passi che si avvicinavano, quando stava per entrare nella stanza. Camminava in modo pesante, come se non riuscisse ad avanzare senza far rumore. Quando si fermava, incrociava le braccia al petto ed abbassava lo sguardo. Era timido. Non parlava spesso."
"E' così anche ora, mi sembra."
"No. Ora è diverso." Strappò un ciuffo d'erba, lo disperse al vento. "Adesso sa essere silenzioso e leggero. E la sua non è timidezza, non più. Allora era... pieno di vergogna per ogni suo gesto. Si riusciva a percepirlo, guardandolo. Lucrecia non riusciva a credere che fosse la sua guardia del corpo. Non sembrava nemmeno forte."

"E lo era?"
"Oh, sì. Lo era. Le sue mani erano gentili, ma essere sfiorati da lui trasmetteva strane sensazioni."
"Che vuoi dire?"
"Lucrecia rabbrividiva, quando lui la sfiorava. Succedeva di rado, per sbaglio, ma quelle volte era strano. Lei non capiva e lui si ritraeva immediatamente, come se avesse fatto una cosa brutta."
Yuffie sorrise, si sdraiò sulla schiena e si riparò dal sole con una mano. "E' normale. Le piaceva. E lei piaceva a lui."
"Lucrecia non sapeva questo. Riusciva a capire solo che Vincent era interessante. La attraeva in un modo che lei non aveva mai conosciuto."
"Perchè, allora?"
"Cosa?"
"Perchè è successo tutto quel casino?"

Shelke si morse le labbra. Rimase in silenzio qualche istante. "Non è facile, spiegarlo. E non sono sicura di saperlo del tutto."

"Lo amava? Lei lo amava?"

"Sì. Desiderava solo stargli vicino. Ma..."
"Se lo amava, come ha potuto lasciare che gli accadesse qualcosa? Come ha potuto lasciare che..."
"Lucrecia era una donna stupida." Shelke sorrise appena, in modo amaro. "Avrebbe dato la vita per i suoi studi. Avrebbe sacrificato qualsiasi cosa. Si era sacrificata da sempre per quello. Non riusciva ad immaginarsi felice, sposata, madre. Tutte quelle cose non avevano importanza. Ma quando Vincent cadde per mano di Hojo, cambiò tutto. Lucrecia iniziò a pensare solo a come salvarlo. A come tenerlo in vita. Posso sentire ancora la confusione della sua mente, in quel periodo. Passava le giornate ad osservarlo attraverso il vetro, a pregare. Ad odiare se stessa."
"Credevo che si fosse innamorata di Hojo, prima."
"No. Non ha mai amato quell'uomo disgustoso. Ma... voleva che Vincent si allontanasse. Che la lasciasse in pace. Era confusa, era spaventata. Sapeva che starle vicino era pericoloso, che Vincent aveva già perso il padre a causa sua. Sapeva che Vincent era un uomo semplice. Avrebbe desiderato stare con lei, nel modo in cui stanno insieme tutte le coppie. Non avrebbe mai ammesso che un bambino fosse la cavia dei suoi esperimenti, o che lei continuasse a condurre quegli studi assurdi. L'avrebbe portata lontano da tutto ciò che amava."
"Ma se amava lui..."

"Amava anche lui. Ma più di tutto, più di qualsiasi cosa, amava i suoi esperimenti. Non era cattiva. Era solo..."
"...Idiota?"
"...triste."
"Triste?" Yuffie si rimise a sedere, indignata. "Essere triste non può essere una giustificazione. Ha combinato solo un sacco di guai. Era pazza! Non riesco a capire perchè non si sia fermata, perchè si sia messa con Hojo, io... non riesco!"

Shelke non la guardò. Continuò a giocare con l'erba. "Una notte, prima che tutto succedesse, Vincent e Lucrecia si erano trovati insieme nel laboratorio. Non so perchè successe, non ricordo bene, ma Lucrecia lo guardò e sentì una tenerezza immensa. Sentì di amarlo e di volerlo, e allo stesso tempo sapeva che non sarebbe potuto succedere. E... gli si avvicinò. Lo guardò negli occhi, sperando di cogliere qualcosa che l'avrebbe distratta, che le avrebbe fatto cambiare idea. Ma Vincent la amava, con quell'ingenuità di cui era capace allora. Era rimasto immobile, quasi tremante, con una speranza nello sguardo. E lei non poteva deluderlo, non poteva sfuggire alla voglia di averlo. Anche solo per un momento. Anche solo per quella notte."

"Vuoi dire che..."

"Fecero l'amore. Sì."

Yuffie fissò lo sguardo sulle dita di Shelke nell'erba. Si chiese come fosse, nella mente di quella che era una bambina, il ricordo di una notte di passione. Riusciva a capire? Ne aveva paura? Le piaceva?

"E poi?"
"Poi si addormentarono insieme, nel letto dove Lucrecia dormiva quando rimaneva tutta la notte al laboratorio. E, quando si svegliò, Lucrecia sapeva di aver commesso un errore enorme. Di averlo illuso."
"Non capisco." la interruppe Yuffie. "Parli di Vincent come se fosse un bambino. Ma era adulto. Non poteva essere così ingenuo."
"Lo era. Non capisci?" Shelke lasciò andare l'erba, rimise le mani in grembo. "Era quello che lo rendeva diverso. Era pulito, dolce. Intatto. Così pensava Lucrecia."
"Poteva stare con lui. Poteva continuare a lavorare anche stando con lui."
"No. Lui avrebbe desiderato altro. Non le avrebbe permesso di..."
"Se la amava, si sarebbe trovato un compromesso!"
"Non lo so. Lucrecia non lo credeva. Pensava solo che non era possibile."
"Ma perchè? E perchè era necessario tutto questo? Non ha pensato alle conseguenze? Non ha pensato che Vincent poteva soffrirne tanto da impazzire, dopo i trattamenti con il Mako? Se lo amava, come ha potuto fargli ciò che ha fatto? E' incredibile!"

Shelke la guardò con un'espressione severa. "Io non sono lei. Non lo so. So solo ciò che pensava. E la capisco, perchè riesco a vedere i suoi pensieri, le sue emozioni. Ma non posso spiegarti questo."

"Vedi i suoi pensieri, la capisci, e non puoi spiegarmi perchè l'ha fatto?" disse Yuffie. La voce si era alzata senza che se ne accorgesse.

"Io non lo so!" Shelke si mise in piedi, il vestito le danzò intorno ai fianchi. Con i pugni chiusi, si rivolse verso di lei. "Perchè non la smettete, di considerarmi la reincarnazione di Lucrecia? Io non sono lei!" urlò. "Sono solo me stessa, perchè mi dai la colpa? Non ho fatto niente!"

"Lo so!" urlò Yuffie di rimando. "Ma come faccio a non chiederti spiegazioni? Guarda com'è adesso Vincent, guarda cos'ha fatto quella donna!"
"Perchè te ne lamenti? Ti interessa solo perchè è così."

"Non è vero!"
"No?" Riabbassando la voce, Shelke le diede le spalle e strinse le mani dietro la schiena. "Ne sei sicura, Yuffie? Sei sicura che gli vorresti bene, se fosse com'era prima?"

"Certo che lo sono."
"Io posso esserlo. So com'era. E anche se non ricorderò più nulla, ricorderò di aver ricordato. E' come se lo avessi incontrato. E' come se, quella notte, ci fossi stata io con lui. Anche se lui non lo sa. Anche se non gli importa. Ed io non sono Lucrecia. Non farò i suoi errori. E' come se li avessi già fatti, è come... una seconda possibilità senza le conseguenze della prima." Si voltò a guardarla, dall'alto. "Io lo amo, Yuffie. E non perchè ricordo. Lo amo perchè lo conosco."
Yuffie si alzò. "Sei una bambina viziata. Nient'altro."

"Oh, ti sbagli." Shelke abbassò il capo per guardare se stessa, poi tornò con gli occhi nei suoi. "Sto diventando una donna, ricordi?"
"Tutto questo è... incredibilmente fastidioso!" Yuffie si portò una mano alle tempie, sospirando. "Non mi interessano questi discorsi. Voglio solo capire... Solo questo."
"A che ti serve? Lui non ti sceglierà."

"La scelta è sua. Non tua."

"Certo. Ma io la conosco."
"Non è questo che mi importa!" gridò Yuffie con tutto il fiato che aveva. "Dici di non essere lei, ma sei egoista come lei! Io voglio solo aiutarlo, stargli vicino, capirlo! Tu cosa vuoi, invece? Vuoi amarlo, vuoi che ti faccia sentire una donna, ma ti sei chiesta se ne sarebbe felice? A me non interessa se non mi sceglierà, voglio solo..." Abbassò la voce. "...vederlo sorridere."

Shelke la fissava, non diceva nulla. Yuffie si gettò a sedere, si lasciò invadere dal calore del sole. Accanto a lei, dopo qualche momento, Shelke lasciò scorrere una lacrima sulla guancia e la asciugò con un gesto goffo.

"E' quello che voglio anch'io." disse finalmente Shelke. "Davvero. Voglio solo questo."

Rimasero sedute vicine, zitte, a fissare il sole che iniziava a tramontare.

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Capitolo 9
*** Erba al sole ***


9 - Erba al sole

Aveva pensato di dirlo almeno a Tifa, ma sapeva che lei sarebbe riuscita a convincerla. Non voleva essere convinta a rimanere, non più. Vincent non avrebbe nemmeno tentato di trattenerla, quindi non c'era motivo di dirlo a lui. Sarebbe stato umiliante. Aveva chi tenesse a lui, ormai, no? A che serviva restare? Trovarsi un lavoro noioso e andare avanti giorno dopo giorno, nella mediocrità in cui Tifa e Cloud sembravano sguazzare felici? Non era una cosa per lei.

Yuffie infilò i vestiti che le era sembrato di odiare (ma che ora, pochi e sottili, le ricordavano i motivi per cui li sceglieva) nello zaino, insieme a pochi ninnoli. Avrebbe continuato a viaggiare, avrebbe trovato da fare così tanta roba che non ci avrebbe più pensato, ecco. Era proprio stufa di quegli sbalzi d'umore, della sensazione dolorosa di inutilità. Era tutto difficile, troppo. Vincent non aveva intenzione di starle vicino, non gli interessava la sua vicinanza, lei non serviva.

Aveva Shelke, lui.

In punta di piedi, richiuse la porta dopo essere uscita. La notte era limpida, le strappò un sospiro. Avrebbe scritto a Tifa, poi. Le avrebbe spiegato qualcosa. E avrebbe spedito dei soldi, per ringraziarla di averla ospitata.

In piedi, di spalle, poco sotto le scale c'era Vincent.

Yuffie arretrò di un passo, e con le spalle al muro si fermò a guardarlo. Oh, merda. Ma non dormiva mai? Che faceva? Guardava le stelle? Si voltò per cercare un'alternativa alle scale, ma non c'era. Avrebbe dovuto saltare il parapetto, ed il rumore l'avrebbe fatto voltare. Non poteva che passargli accanto. Provò a farlo, lenta, leggera. Ovviamente, Vincent si accorse di lei e la guardò.

Una domanda silenziosa.

"Stavo... andando a fare un giro." disse lei, fermandosi accanto a Vincent. E si rese conto che, dopo quella scusa, non poteva sparire nel nulla. Gli sarebbe sembrato di esserne il motivo. Non poteva più. Sbuffando, si sedette sulle scale. "E tu perchè non dormi?" chiese.

"Pensavo." rispose Vincent.

Ah, pensava. "Si può pensare anche a letto!" esclamò Yuffie seccata.

"Ti infastidisce, che io stia qui?"
"No, no, è solo che... prenderai freddo. E poi dovrai pur dormire, ogni tanto!"

"Non ho sonno."

Yuffie scosse il capo, sorridendo. "Ok. A che pensavi, allora?"

"Dovrei seppellirla."

Alzò lo sguardo su di lui. "Eh?"

"Forse dovrei farlo. E' ancora lì. Qualcuno potrebbe trovarla. Non ha senso che rimanga lì. E'... morta."

Yuffie si rialzò, lentamente, e gli posò una mano sulla spalla. Era così freddo, il mantello. "Sì, penso che dovresti farlo."

Vincent era serio, guardava avanti con le labbra serrate. Il freddo lo rendeva pallido, come un fantasma.

Un tempo, quell'uomo scuro aveva tremato di fronte ad una donna, una come tutte le altre. Aveva tremato solo perchè la amava. Si era lasciato uccidere per lei, si era lasciato imprigionare per sempre. Per quella donna.

"Verrai?" disse Vincent. Aveva un tono freddo. Era come un rimprovero, quella domanda. E Yuffie riusciva a capire perchè, quanto fosse pesante farla per lui. Quanto aveva dovuto tormentarsi e riflettere prima di formularla. Una di quelle cose che Vincent doveva fare solo dietro una porta chiusa, da non mostrare a nessuno.

E lo stava mostrando a lei, per una volta.

"Verrò." mormorò facendo scivolare la mano nella sua, lunga e sottile. Non sapeva che reazione aspettarsi, ma Vincent non reagì affatto. Lasciò che lei stringesse, che lo riscaldasse un poco. "Se vuoi, possiamo andare subito."

"Deve esserci anche Shelke."

Oh, già. Shelke.

"Perchè? Forse non capirebbe..."

"Ne ha diritto. Riguarda anche lei."

"Ne sarà confusa, Vin. Non so. Credo sia stufa di questa storia. Vuole essere solo se stessa. Forse è meglio non dirle niente, e tornare qui al mattino. Senza dirlo a nessuno. Ci riusciremo, faremo in tempo. Possiamo noleggiare un..."
Vincent si voltò verso di lei, lasciandole la mano di scatto. "Non so come comportarmi con Shelke, Yuffie. Non so se considerarla mia figlia, qualcosa del genere, o se dimenticare che ricorda e guardarla per quello che è."

Le aveva detto che ci avrebbe provato, a confidarsi. E lo stava facendo. Manteneva la promessa. Eppure era talmente strano, che non potè non fissarlo con gli occhi sgranati. Lui tornò a guardare l'orizzonte e Yuffie gli si mise di fronte, nervosa. "A questo puoi pensare man mano. Non c'è fretta, le cose si stanno ancora aggiustando. Andrà sempre meglio, vedrai! E capirai come considerarla. Questo, quello che vuoi fare ora... è magnifico. E' giusto. Sono felice che tu lo abbia deciso, davvero!"

"Tu volevi andar via."

"No, io..."

"Stavi per andartene."

Yuffie sorrise, imbarazzata. "Beh, sì, ok. Volevo andarmene. Ma non so, pensavo di... essere d'impiccio. Shelke ci tiene così tanto a te, e... penso mi consideri... un'avversaria. Anche se io..."

"Non devi sforzarti di esserle amica, se non vuoi."

"Non è che io non voglia... E' lei che non vuole. Mi detesta."
"Credi?"

"E' così, credimi. Pensa che io voglia allontanarti da lei."

Vincent si sedette su uno scalino, pensieroso. "E' così confusa. Ha bisogno di me."

Non voleva parlare di Shelke. Fu colta da un certo disgusto, all'idea. Lucrecia, Shelke. Sempre loro due, sempre. Gli tese la mano. "Andiamo, dai. O non faremo in tempo."

Vincent la prese, la strinse forte.

 

Sebbene avesse già visto quel corpo incastonato nel verde, guardarlo ancora fu strano. Perfettamente integra, come se fosse viva. E se avesse respirato, una volta liberata? E se avesse aperto gli occhi? Con un brivido, Yuffie entrò nella caverna augurandosi il meglio.

Spaccare quella sostanza durissima fu difficile. Vincent, lei lo vide, si accaniva con tutte le forze. Avevano pensato a portare degli attrezzi, noleggiati anche quelli (siano benedetti i negozi aperti la notte!), ma Yuffie si sentì certa che li avrebbero distrutti. Sembrava impossibile.

E Vincent tirava colpi senza ansimare, con gli occhi fissi sulla figura gentile dentro quella prigione.

Un passo avanti. Decisamente.

Quando fu possibile prenderla, Vincent la sollevò fra le braccia e la posò sulla pietra, con una delicatezza forse eccessiva, per una morta.

Sì, lo era. Morta davvero. Yuffie si chinò ad osservarla, per la prima volta. Poteva vedere il rossore delle guance, un colore che sarebbe svanito presto senza più alcuna protezione.

Lucrecia aveva le labbra rosse e gli occhi stanchi, chiusi. Doveva riposare, finalmente. Scacciò un vago senso di colpa. Era giusto, no? Stavano facendo la cosa giusta.

Vincent la guardò, e lei annuì decisa. Doveva esserlo, per lui.

Scavarono una buca poco distante, in un angolo che nessuno avrebbe mai scoperto. Forse credeva che Vincent avrebbe pianto. Che avrebbe urlato. Che seppellirla avesse un significato talmente grande che sarebbe impazzito di dolore o di sollievo. Invece si mantenne impassibile, osservando, scavando e poi adagiando il corpo fra la terra e l'erba.

"Sai, ti ho mentito." disse Vincent, quando Lucrecia giaceva ormai sottoterra e si erano seduti accanto alla sua tomba, ad osservare l'alba.

"Mi hai mentito?"
"So che se non mangio, non muoio. Lo so."

"Ah..."
"Sono rimasto a dormire per anni, in quella bara. E non mi sono nutrito. Non ho fatto nulla. Eppure sono ancora vivo, il mio corpo non è cambiato affatto."
"E' vero." Yuffie si abbracciò le ginocchia. "Quindi non puoi morire."
"Non lo so. Dopo esserne uscito, ho ricominciato a nutrirmi normalmente. Sento la fame, il sonno, la sete... e li soddisfo. Ma so che, se non lo facessi, sarebbe lo stesso."

"Soffriresti, però."
"Forse."
"Hai sofferto, nella bara?"
"No. O meglio, soffrivo per altre ragioni."

Yuffie si sentiva incredibilmente sciocca, quando le rispondeva in quel modo. Una sofferenza così grande da far dimenticare la fame, la sete... Come poteva, lei, sperare di capirla?

"Adesso non hai più motivo di soffrire, Vin. Va tutto bene."

"Quando abbiamo combattuto..." deglutì un attimo "temevo che Sephiroth potesse essere mio figlio. Non ho mai saputo se lo era o no. Ero terrorizzato all'idea. Pensavo che... beh, che sarebbe stato brutto uccidere mio figlio. Che avrei provato qualcosa. Invece non è stato così. Forse non lo era."
"Non ha più importanza, ormai."
"E' vero. Non ne ha." Le fece un sorriso stanco. "Penso che il mio corpo riprenderà ad invecchiare, prima o poi. Come succede a Shelke. Forse un giorno mi sveglierò e sarò vecchio. O morto. Chissà."

"Potremmo consultare dei dottori!" esclamò Yuffie, fiera dell'idea. "Di certo, nel mondo, qualcuno saprà quali sono gli effetti del Mako!"

"Non voglio diventare una cavia."
"Non lo diventerai, sarai un paziente."
"Non voglio essere nemmeno un paziente."

"Uhm..."  Yuffie si mise in piedi, strappò in fretta diversi ciuffi d'erba sopra il cumulo di terra in cui giaceva Lucrecia. "Sai cosa devi fare, ora? Devi lasciar andare tutto. Tutto quanto." Vincent la guardò, perplesso. "Sì. Questa sofferenza eterna, la paura di avere delle colpe a cui non puoi rimediare... devi lasciarlo andare via. Guarda il sole, Vin. Guarda l'alba. Hai un mondo davanti. Hai una marea di possibilità. Puoi decidere cosa fare del tuo futuro, non è una cosa straordinaria?" Gli sorrise, con il sole alle spalle che saliva lentamente.

Per la prima volta dopo tanti, tanti anni, Vincent si sentiva privo di difese. Plasmabile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di dimenticare quel dolore. Avrebbe dato retta a quella ragazza stramba che per qualche motivo si interessava a lui.

Yuffie gli porse l'erba, lui la prese.

"Alzati." gli disse, e lui lo fece. "Guarda."

L'alba era stupenda. Lo era sempre stata, naturalmente, ma lui non se ne accorgeva più.

"Non devi dimenticare, Vin." disse Yuffie a bassa voce. "Devi ricordare quello che hai dimenticato. La bellezza di tutto questo. La bellezza della tua vita."

E Vincent capì cosa intendeva. Si avvicinò al precipizio, tanto che Yuffie ebbe paura per un istante, poi alzò le braccia, le mani verso quel sole immenso.

Lasciò andare l'erba, che volò via in ciuffi disordinati.

E mentre il sole finiva di sorgere, mentre Yuffie rideva con l'erba che le volava intorno al viso, sentì che le cose potevano ancora cambiare.

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Capitolo 10
*** Donne ***


10 - Donne

Dal modo in cui respirava, Tifa capì che Cloud era sveglio. Si stirò, allungando le braccia fino a toccare la spalliera del letto, e lui aprì gli occhi.
“Dovremmo comprare un letto a due piazze.” disse. Ah, era così da lui iniziare la giornata con una frase del genere!
“Vuoi dire che dormi male, con me?”
“No, no. Ma non vedo perchè non comprarlo. Ormai dormiamo sempre insieme.”
Gli sorrise. Affondò la faccia nel suo petto, lo strinse forte. Suo. Totalmente, completamente suo. “Lo compreremo.”
“Se smettiamo di ospitare gente che non contribuisce, magari...”
”Dai, che cattivo! Sono amici!”
“Potresti trovare un lavoro anche tu.”
Tifa si accostò a lui, godendo di quel tepore che il suo corpo emanava. Era incredibile, non pensava che dormire accanto a qualcuno potesse essere così piacevole. “Lo troverò.”
”Ah. Davvero?”
”Basta pensare ai soldi! E’ ora di fare colazione!”
”Ecco.” Cloud si mise a sedere, strisciando sotto le coperte, facendole aggrovigliare. Era un’altra cosa che Tifa aveva imparato: gli uomini (tutti? Forse no) sembravano avere la capacità di rendere indecente un letto. Solo muovendosi un po’. “Non c’è molto, oggi. Dovremmo fare la spesa. Dubito che la roba rimasta basterà per me, per te, per Yuffie, per ...”
“La preparo solo per noi due. Vincent e Yuffie non ci sono, e Shelke dorme ancora.”
”Non ci sono? E come lo sai, se dormivi fino a poco fa?”
Tifa rise, gli sfiorò il naso con un dito e si alzò. “Io so tutto, mio caro!” gridò quando era ormai in corridoio. Cloud, ancora a letto, scosse il capo divertito.
Lui non sapeva che Tifa rimaneva sveglia, ogni tanto. Che lo fissava per ore, solo per il gusto di farlo, perchè non riusciva a credere che le cose si fossero messe in quel modo. Che la notte poteva diventare una prigione, in cui i pensieri più scuri e brutti la tormentavano rendendole impossibile il riposo.
Forse, semplicemente, non era abituata alla serenità.
Forse, se non aveva cercato un lavoro, se si era dipinta addosso la faccia di quella sorridente, era perchè voleva che tutto rimanesse così.
Svegliarsi insieme, fare colazione, ritrovarsi a cena, fare l’amore, baciarsi di nascosto come ragazzini.
Così. Giorno dopo giorno, per l’eternità.

 

Era il sole ad arrivargli sulla pelle, a fargli socchiudere gli occhi anche se non voleva? Era il vento a scostare le ciocche, a circondarlo di fiori e polline? Era ciò che aveva intorno che lo rendeva in quel modo, un modo nuovo, un modo che non era abituata a vedere? Perchè quegli attimi le sembravano un’eternità crudele. Costretta ad osservarlo, com’era sempre stata, come se toccandolo si fosse sgretolato e avesse mostrato qualcosa di diverso e scostante. Da lontano, Vincent, sembrava quasi vero. Come un uomo che osservava l’alba, come se nulla fosse successo prima. Tranquillo, con un sorriso accennato sulle labbra secche, così secche. Sarebbe stato piacevole sfiorare quelle labbra, o si sarebbe tirata indietro per paura di spaccarle? Se sorrideva troppo, Vincent, sanguinavano, forse? Era condannato a non poter sorridere di più, mai pienamente, perchè gli avrebbe fatto male?
Avvicinarsi avrebbe avuto un senso? Forse Yuffie aveva sognato qualcosa di facile. Non noioso, ma facile. Lineare. Ordinato. Immaginarsi felice, completa con un uomo accanto. Tutta da ridere, insomma. Mano nella mano giocando a braccio di ferro, una sfida continua e allegra, un ragazzo dai capelli folti e dal sorriso luminoso. Se lo era immaginato, a volte, l’uomo della sua vita. Un punto fermo che non le impedisse di sentirsi libera, di esserlo sempre. Non era più una bambina, giusto? Doveva trovare qualcuno, no? Solo... per sentirsi sicura, ancora di più.
E Vincent, lui era lì. In piedi immobile, come se il tempo non passasse. Come se qualcuno a casa non potesse svegliarsi e scoprire la loro assenza. Come se le cose normali, quelle quotidiane, quelle che erano la vita di tutti, non lo sfiorassero. Come se esistesse lui da solo, ogni tanto. Escludendo qualsiasi altra cosa. Anche lei.
Escludendo anche lei.
Era questo? Lo voleva? Voleva cercarlo? Le sarebbe piaciuto accarezzargli il viso pallido, sentire il sangue scorrergli dentro, farlo entrare in lei ed osservare quanto era bello toccarlo per un momento per poi tornare lontani?
Perchè era così, Vincent. E se non fosse stato così, non le sarebbe piaciuto.
Forse, soltanto, non voleva essere solo serena.

 

Forse, soltanto, voleva esserlo.
I capelli erano lunghi, così lunghi. Bisognava tagliarli. Ma a Cloud piacevano così, selvaggi, tanto che ormai finiva per inciamparci. Una donna schiava dei desideri di un uomo, anche se quell’uomo non le imponeva nulla. Una donna talmente sciocca che, quando tutti distoglievano gli occhi per un po’, i suoi si facevano tristi. Senza motivo. Così idiota da non riflettere abbastanza nei momenti giusti, e lasciare che la realtà scorresse fra le dita senza afferrare nulla.
Cosa le sarebbe rimasto, un giorno? Cosa sarebbe cambiato, prima o poi? Come avrebbe potuto sopportare l’assenza, se si abbandonava fino a questo punto?
Era quello che voleva? Era quello che sperava? Era quello che la bambina di un tempo avrebbe ammirato, ciò che era diventata?

 

Essere una bambina, di certo, non può essere divertente. Forse un tempo lo avrebbe pensato, ma ora tutto era irritante e nuovo.
Shelke si infilò le calze bianche, pigra, lenta. C’era aria di pioggia e le giornate come quella alleviavano il suo perenne senso di colpa nei confronti del mondo.
Non era il suo posto, quello.
Non c’era un posto che era il suo. Tutto qui. Che colpa poteva averne?
L’unico posto, l’unico su tutto il pianeta, era Vincent. Nonostante fosse una persona. Era lui. L’unica speranza, l’appiglio, la meta.
Osservando allo specchio quel corpo ormai estraneo, che ogni mattina le rivelava una fetta malata della sua crescita, si palpò i seni. Facevano male, accidenti. Tanto male. Tutto spingeva per crescere e crescere. E lei avrebbe voluto contenersi, stringersi forte e fermare tutto. Non poteva solo rimanere com’era? Non poteva andare tutto bene, ogni tanto?
Gliel’avrebbe detto. Gli avrebbe confessato cosa sentiva. Era l’unica possibilità. Voleva appartenergli, perchè non appartenere a niente pesava.

 

Era bello, il sole.
Mentre mordevano le labbra, ad occhi socchiusi, iniziava un giorno nuovo. Come se fosse l’ultimo.

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Capitolo 11
*** Un bel sogno ***


11 - Un bel sogno

 

"Non ho voglia."

Shelke posò di scatto il quaderno sul tavolo, con un'espressione risoluta. Yuffie continuò a giocherellare con una penna, tentando di restarne fuori.

"Devi. E' importante." disse Vincent scandendo le parole. "Non sei mai stata a scuola. Vuoi rimanere un'ignorante?"
"Ho imparato dalla vita, io."
A Tifa, che aveva finto di non ascoltare seduta sul divano, scappò una risata.

"Certo, è vero. Ma ci sono altre cose da imparare." continuò Vincent con pazienza ammirevole. "La matematica, ad esempio. Quella non si impara dalla vita."
"Già, perchè non serve a niente!" sbufffò Shelke. "Tu conosci la matematica? Yuffie la conosce, forse?"
"Cosa c'entro io? E poi la conosco, se proprio vuoi saperlo!"

"Immagino!"

"Io conosco la matematica." disse Vincent lanciando ad entrambe un'occhiataccia. "Le basi, almeno. Sono cose necessarie, perchè ti aprono la mente e..."

"Guarda che la mia mente è aperta. Spalancata!" Shelke si alzò, con tanta enfasi da far cadere la sedia. La guardò un attimo e poi, forse per non perdere l'atmosfera, se ne andò sbattendo la porta.

"Non c'è verso, eh?" disse Yuffie dopo un silenzio teso. "Ma in fondo, proprio la matematica..."

"Dovrei mandarla a scuola." disse Vincent. "Si comporta così perchè non è abituata alle regole, alle buone maniere..."

"Ma tu non sei suo padre. Sai quanto la innervosisce essere trattata come una mocciosetta. Penso che, in fondo... potresti limitarti ad insegnarle le buone maniere senza matematica, ecco!"
Vincent posò i gomiti sul tavolo, sospirando. "Sì, forse è così. Vorrei solo fare la cosa giusta."

 

Non c'era niente, niente di giusto.

Shelke si sedette pesantemente sull'erba, ed iniziò ad arrotolare una ciocca di capelli con le dita. Aveva assunto quell'espressione, quella che faceva stringere gli occhi a Vincent e sospirare Yuffie. Quella da ragazzina viziata, che aveva riservato ai momenti di rabbia.

La faceva arrabbiare, vedersi riflessa nei suoi occhi e trovarsi inutilmente piccola.

Aveva indossato il vestito migliore, per quella lezione. Aveva sognato di posare i gomiti sul tavolo, con grazia e decisione. Di alzare gli occhi lenta, e fissarlo mentre lui sfogliava le pagine con quelle dita infinite.

Le dita che voleva sue.

Le dita che avrebbero potuto sfiorarla, renderla adulta. Solo da lui si sarebbe lasciata toccare. Le mancava il respiro al pensiero. Si sfiorò la gola con un sorriso. Era emozione, quella? Desiderio?

Un colpo di tosse. Shelke si sollevò un po', tossì ancora sull'erba, strinse i pugni nella terra umida. Non riusciva a respirare. Si colpì il petto, forte, più volte, mentre continuava a tossire. Non riusciva a respirare! Ad occhi spalancati vide una macchia rossa sul verde acido del prato.

Era normale, quello? Era un altro tipo di ciclo? Perchè non sapeva cos'era normale, maledizione?

Si alzò, barcollando. Doveva tornare in casa. Non respirare significava morire, questo lo sapeva anche lei. Si asciugò la bocca con il dorso di una mano sporca d'erba, camminando più in fretta che poteva. Aveva corso. Era lontana. Troppo. Accellerò ancora, le girava la testa, tossiva. Si guardò le mani ed erano verdi e rosse, e non sapeva perchè. Doveva cercare aiuto.

"Vin..." disse, ma la voce era troppo flebile per essere udita da qualcuno. "Vincent!" gridò, e nella gola sentì come se ci fosse fuoco, e tossì ancora cadendo. Si rialzò. Aveva strappato il vestito. Iniziò a correre, usando tutta la forza che aveva. Gli occhi sembravano volersi chiudere da soli, e dopo qualche passo aveva perso il controllo su tutto, su ogni cosa. Dov'era la casa? Dov'era? Stava correndo nella direzione giusta?

Sarebbe morta lì, così, senza un motivo?

Cadde di nuovo, e si arrese. Era troppo difficile correre senza respirare. Si sforzò di aprire gli occhi, e accanto al suo viso c'era un fiore rosa.

Era triste morire così all'improvviso.

Allungò una mano verso il fiore, e prendendolo lo sporcò d'erba e di sangue. Lo strinse fra le dita, chiuse gli occhi e perse i sensi.

Era a pochi metri dalle scale.

 

"E' il medico migliore che sono riuscita a trovare. Si è già occupato di casi da avvelenamento da Mako. Ce ne sono più di quanto si pensi, in questo periodo..."

Tifa gli aveva messo una mano sulla spalla, e Vincent aveva annuito nervoso come per dirle che non era necessario consolarlo.

"Le darà una cura, vedrai. E starà bene. E' una ragazzina, migliorerà." disse ancora, poi lo lasciò solo, perchè era meglio così.

Quando la casa era rimasta in silenzio, Vincent era entrato nella stanza dove avevano sistemato Shelke. Yuffie, nonostante le proteste, era finita a dormire sul pavimento di quella accanto, più piccola. Quasi uno stanzino. Perchè beh, le stanze non erano infinite.

Shelke dormiva.

C'era buio, ma Vincent era abituato al buio, gli era familiare. Riusciva a vederla.

Era già successo che stesse male all'improvviso. Che si appendesse a lui e implorasse un aiuto. Era debole. Aveva bisogno di lui. E forse sarebbe stato così, una coppia ridicola. L'immortale e l'eterna bambina. Si era illuso che tutto potesse cambiare, che stare in mezzo agli altri l'avrebbe aiutata a diventare una persona normale. Una di quelle che può rimanere da sola senza che accada niente di spiacevole.

Si era sbagliato.

Shelke dipendeva da lui, era una sua responsabilità.

E sarebbe stato così per sempre.

Non sapeva se poteva sopportarlo. Non sapeva se la vita di quella strana, piccola creatura bisognosa potesse trovare conforto in lui. Ma sapeva di non potersi allontanare.

A passi lenti, immerso nel buio come se fosse una protezione che lo rendeva sicuro, richiuse la porta e ne aprì un'altra.

L'unica che poteva illuderlo di trovare sollievo.

 

Yuffie dormiva nel suo solito modo, a pancia sotto con una gamba sollevata. L'avevano sempre presa in giro per quell'abitudine, come per i pigiamoni che adorava. Non le piaceva quella biancheria ridicola e incredibilmente scomoda che usavano le donne per sembrare attraenti. Se qualcuno l'avesse vista bella, cavolo, avrebbe dovuto farlo nonostante le posizioni strane o i pigiami in pile. Che c'era di sbagliato nel voler stare comoda? Che c'era di sbagliato nell'essere se stessa?

Tifa aveva liberato lo stanzino dalle scatole, ma l'aria puzzava un po' di polvere. Era comunque riuscita ad appisolarsi, maledicendo Shelke e i suoi malanni. Oh, che fragile bambina indifesa, ficchiamo Yuffie nello sgabuzzino per farle posto! Bah.

In fondo, una che vomitava l'anima su un qualsiasi mezzo di trasporto non poteva essere sensuale e femminile come Tifa, facendo svolazzare tette e capelli al vento in modo poetico.

Forse era solo nervosa.

Si grattò la testa, e mugugnando si mosse per stare più comoda.

La porta, vicino ai suoi piedi, si aprì cigolando. Pensò fosse parte del sogno, e abbracciò il cuscino in modo più saldo.

Vincent, come un serpente, come una stoffa di seta che scivola, le fu accanto.

Oh, almeno era un bel sogno.

Yuffie aprì gli occhi, nel buio completo. La coperta venne scostata, con lentezza. Se ne accorse perchè la sentiva venir via. I capelli di Vincent (era lui, era lui, lo poteva dire dall'odore) le fecero il solletico al naso, al collo, si posarono su di lei e le sembrò di esserne avvolta. Le sue mani (le sue! Quelle che non l'avevano mai toccata, mai in quel modo delicato e rispettoso) a contatto con la stoffa del pigiama (oddio il pigiama, non doveva vederlo, perchè non era andata a letto con qualcosa di decente?) e un corpo caldo (il suo! Ma era troppo, troppo per pensarci in un solo momento) che le si avvicinava.

"Che fai?" chiese. Se ne pentì. Sembrava un momento così magico, e se era un sogno poteva almeno sforzarsi di non rovinarlo.

"Chiedo aiuto."

Ed era la sua voce. La sua voce vera. Yuffie era sveglia e indossava un pigiama ingombrante pieno di maialini e Vincent si era infilato nel suo letto in piena notte senza che ci fosse un motivo razionale.

Non poteva chiudere gli occhi. Il buio entrava, la invadeva come se fosse solido, avrebbe disperatamente voluto vederlo quando aveva infilato le dita fra un bottone e l'altro della casacca e aveva spinto, forse perchè non sapeva come slacciare un bottone, forse perchè quel gesto, inaspettatamente, l'aveva portata a desiderare che li strappasse. Avrebbe voluto fargli mille domande, bombardarlo di domande, tutto era diventato una domanda, in un modo tale che dalla bocca le era uscito solo un punto interrogativo che non aveva suono.

Non era un sogno, perchè le mani di Vincent erano gelide e lei non poteva saperlo, non l'aveva mai toccata così. I pantaloni del pigiama le erano scivolati via, sembrava fosse per sbaglio, ma era stato lui a far leva e lei non l'aveva impedito. Non le era mai successo di essere sfiorata così, con quella dolcezza, da mani così fredde da sembrare morte ma animate da qualcosa di vivo. Sembrava che non volesse fare sesso con il suo corpo, ma cercarla e prendere lei. Ed era bello.

Tutto ciò che riusciva a pensare era questo.

Poi Vincent aveva accostato le labbra al suo collo, e si era perduta. Forse era davvero un vampiro come sembrava, voleva solo succhiarle via l'anima, e lasciarla morta su quel letto sfatto.

Forse ne sarebbe valsa la pena.

 

Al mattino, quando la luce sostituì il buio ancora timida, Yuffie spalancò gli occhi e saltò a sedere.

Le coperte erano sparse sul pavimento, il suo pigiama aperto e spiegazzato in un angolo, i capelli arruffati.

Si era portata una mano al collo, sfiorando dove lui l'aveva baciata, e si era chiesta se in fondo non fosse stato soltanto un bel sogno.


 

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Capitolo 12
*** Intermezzo (2) : Nomi ***


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12 – Intermezzo (2): Nomi

Verde.

Era tutto ciò che vide, quando si svegliò. L’ombra di un ricordo le suggerì che lo vedeva ad ogni risveglio, e ad ogni risveglio aveva dimenticato chi era.

Non si sentiva agitata. Quel vuoto mentale era rilassante. Non poteva preoccuparsi di nulla, perchè era semplicemente vuota. Non sapeva di essere una persona, di avere un nome, che esistessero dei motivi per la sua presenza lì. Sapeva solo che intorno c’era il verde e questo la faceva sorridere, mentre sfiorava con le mani il vetro tentando di guardare fuori.

Non c’era nulla di cui preoccuparsi, finchè non si aveva nome.

Nulla.

 

“Shelke!”

Le bastava che ci fosse lui, quando avrebbe aperto gli occhi dopo una crisi.

Anche se il suo corpo avesse deciso di star male per sempre, di morire lentamente o di esplodere da un momento all’altro, voleva poterlo vedere chinato su di lei, sentirne il respiro e rivedere i suoi occhi così rossi e cupi.

Vincent aveva mani grandi, gelide. Sulla sua pelle bollente erano come ghiaccio. Ormai, al risveglio, sapeva bene chi era. Un fardello troppo pesante per le sue spalle. Ma Vincent aveva spalle forti e la sollevava come se non pesasse.

 

“Perchè i tuoi occhi sono rossi, e non blu come i miei?” gli aveva chiesto una sera.

“Non lo so.”

“Credevo che il mako li rendesse blu.”
”E’ così.”
”E allora perchè tu sei diverso?”
Vincent aveva spostato il peso sulle mani, si era inarcato verso il cielo. “Lo sono sempre stato.”
E lei non capiva, quando parlava così. Con quel tono malinconico. I ricordi non bastavano a riempire i vuoti che quell’uomo sembrava portar dentro.

Lo sapeva anche lei, che le stava accanto solo perchè non poteva fare altro. Che non era possibile sperare altro.

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Capitolo 13
*** Vivere ***


13 - Vivere

La casa si svegliò come aveva fatto per anni. Come se non fosse successa una cosa straordinaria, come se lei non avesse passato le ultime ore a fissare il soffitto riflettendo. In effetti, pensava Yuffie, è ingiusto. I piccoli uomini si danno così tanto da fare, eppure il mondo va avanti sempre allo stesso modo. Come se nulla fosse. Come se non avesse importanza.

"Sarà il caso di vestirsi, invece che pensare a queste stronzate..." disse a se stessa, a bassa voce. Il letto (un futon improvvisato) era un disastro. Lei era un disastro. Tutto era un disastro e ricadde fra le coperte con uno sbuffo rassegnato.

Poteva dormire ancora un po', in fondo.

Poteva evitare le conseguenze della cosa ancora per un po'.

Poteva nascondere la testa sotto il cuscino e fingere di essere morta, magari. O morire sul serio. Giusto per evitare di doverlo vedere e dover chiedere che cazzo gli era successo.

Perchè ovviamente non era possibile una cosa del genere.

Ovviamente Vincent non poteva desiderare lei, c'era qualcosa di profondamente sbagliato in una cosa così, forse aveva bevuto ed era ubriaco fradicio o voleva dimostrare a se stesso di non essere gay, anche perchè un po' si era sempre chiesta se non lo fosse... Troppo bello per essere etero, eh sì. Eppure faceva sesso da etero, e ommiodio l'aveva fatto con lei. E beh, sì, era etero. Decisamente. Allora forse era solo un'abitudine degli emo, quella di fare sesso casuale con chiunque capiti a tiro. Insomma, non poteva averla scelta. Si sarebbe infilato nel letto di Tifa, piuttosto. Tifa e Vincent? Naaaa... Impossibile. Proprio impossibile. Ma, Vincent e lei? Le scappò una risata che trattenne con una mano. Che assurdità. Si decise a sollevarsi, indossò in fretta il sopra del pigiama e andò in bagno.

Era tempo di svegliarsi.

 

Quando Shelke aprì gli occhi, c'era lui.

Era diventata una costante averlo davanti dopo essere stata male. Si sarebbe stupita del contrario.

In fondo, se ne era dipendente, era colpa di Vincent.

"Ciao." gli disse, con un sorriso appena accennato, strofinandosi gli occhi.

"Come ti senti?" La luce entrava ancora timida dalla finestra, e lui sembrava uno spettro.

"Bene. E' passato."
"Che è successo?"

"Non lo so, come al solito mi sono sentita male all'improvviso."

"Era da un po' che non succedeva."
"Già."

"Tifa dice che dovresti vedere dei medici più spesso."

Shelke si imbronciò. "Non è necessario. Sto bene."
"Potresti stare peggio di così. Potresti morire, non sappiamo cosa potrebbe succedere."

E anche se fosse?

Shelke sapeva che erano parole brutte, quelle. Tutti avevano il terrore della morte. Anche lei, soffocando, l'aveva provato. Ma ora, calma e calda nel suo letto, le sembrava ridicolo.

"Tu non vuoi che io muoia?" gli chiese.

"No, non voglio."
"E perchè?"

"Mi dispiacerebbe."
"Quindi non vuoi che io muoia perchè non vuoi sentirti dispiaciuto. Per te, non per me."

"Anche per te. Non c'è motivo per cui dovrei lasciarti morire."

"Non capisco." Shelke si guardò le mani, cercando di trovare le parole giuste. "Ci sono così tante cose che non capisco..."

"Lo so."
"Allora spiegamele!"
"A volte non le capisco nemmeno io..." Vincent sorrise, poi iniziò a ridere.

Shelke lo fissava.

Gli esseri umani, pensò, sono assurdi. Perchè per quel sorriso, per quella risata, sentì che avrebbe voluto vivere ancora.

 

Aprendo la porta della stanza centrale, Yuffie rimase un attimo interdetta.

Cavolo. C'era lui. Cavolocavolocavolo.

Ovviamente bloccarsi in quel modo non era d'aiuto per mascherare l'imbarazzo, così camminò verso il frigo e prese uno yogurt. Vincent era seduto sulla panca, ad occhi bassi, e non si mosse.

Funzionava così, eh? E ora? Non si sarebbero più parlati?

"Buongiorno." disse Yuffie, in tono un po' seccato. Perchè, beh, era proprio uno stronzo a non tentare nemmeno di aiutarla. Vincent continuò a non dire nulla, e lei si avvicinò. "Ho detto buongiorno."

Si sentiva sempre più arrabbiata.

Vincent alzò lo sguardo e annuì, come a ricambiare.

Che idiota.

"Potresti rispondere, almeno!" esclamò Yuffie agitando il vasetto di yogurt e facendone cadere un po'. Sul pavimento si aprì una macchia scura.

"Scusa."

"Oh, certo. Ovvio."

Vincent aggrottò la fronte. Ma non diceva nulla, dannazione, era impossibile comunicare, come poteva fargli le domande che voleva fargli, come poteva capire? Era solo uno scemo incapace, ecco cos'era! E lei si era lasciata toccare da un uomo che, l'indomani mattina, invece di portarle la colazione a letto dimenticava di salutarla.

Di fronte a questa consapevolezza, Yuffie sbuffò e si sedette sulla panca accanto a lui a mangiare la colazione.

Era lei ad averlo permesso.

Era lei ad aver sospirato.

Era lei ad essersi lasciata intrappolare, ad avegli detto di poter chiedere aiuto.

"Non fai colazione?" gli chiese.

"No. Non ho fame."
"Vuoi uno yogurt?"
"Non ho fame."
"Ah. Ok."

"Grazie, comunque."
"Prego. Se vuoi c'è del latte..."
"No."
"Dovresti proprio prendere qualcosa."
"Non ho fame."
"L'ho capito... ma dovresti."
"Sto bene così."
"E' una bella giornata, vero?"
"..."
"Perchè sei venuto a letto con me?"
L'aveva chiesto continuando a fissare lo yogurt che si scioglieva sul cucchiaino.

"...Yuffie..."
"No, scusa, ma vorrei saperlo."

"Preferirei che non ne parlassi agli altri."
"Ne sto parlando con te, non con gli altri."
"Sì, ma..."
"E poi che significa, è un segreto?"

"Vorrei che lo fosse. Se non ti dispiace."

"E perchè?"

Vincent sospirò. Oh certo, povero. Lo irritava dover dare tutte quelle spiegazioni. Doveva proprio essere stancante!

"Non volevo confonderti." disse dopo un minuto buono di silenzio.

"E che volevi farmi?" Yuffie si voltò a guardarlo, e lui abbassò gli occhi. "Non ti capisco, Vin. Davvero. E mi dispiace."

"Dispiace anche a me."
"Ok." Yuffie posò con forza il cucchiaino sul tavolo. "Mi è passata la fame." Si alzò e uscì, sbattendo la porta.

Vincent rimase a fissarla, come se così, chiusa, significasse qualcosa.

 

Shelke si era alzata a fatica, ancora debole. Tutti, quando si sentivano ancora addormentati, prendevano il caffè. A lei l'avevano vietato, erano proprio convinti che avesse quattro anni, evidentemente. Poteva farselo da sola. Da dietro la porta del corridoio sentì che qualcuno stava parlando, e si fermò ad ascoltare.

"No, non ho fame." aveva detto Vincent.

"Vuoi uno yogurt?"
Shelke pensava che la voce di Yuffie fosse sgradevole. Troppo acuta. E poi che scema, non capiva che Vin non amava mangiare? Non lo conosceva?

"Non ho fame." ripetè Vincent, e Shelke soffocò una risata. Era così carino, nella sua compostezza assurda.

"Dovresti proprio prendere qualcosa." Yuffie non avrebbe mai capito. Mai.

"E' una bella giornata, vero?" Oh certo. Ora tentava pure di fare conversazione. Che stupida. Shelke strinse le labbra in una smorfia di disgusto.

"Perchè sei venuto a letto con me?"

Dopo quelle parole, Shelke non sentì più niente.

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Capitolo 14
*** Cucchiai e coltelli ***


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14 - Cucchiai e coltelli

Gli adulti non urlano fino a sentire la gola bruciare, non scalciano finchè le gambe diventano insensibili, non si strappano la faccia con le unghie, non distruggono le case quando sono arrabbiati. O almeno, così lei credeva. Quindi, per evitare di non sembrare adulta, era uscita dal retro. Sapeva che avrebbe sporcato la camicia da notte camminando fra l'erba, ma non aveva importanza. Poteva rimanere calma, poteva sempre respirare, e forse quel senso di oppressione sarebbe passato.

Shelke si era seduta il più lontano possibile dalla casa, aveva abbracciato le ginocchia ed era rimasta lì a fissare il cielo. Era così che gli adulti si calmavano? Era così che, quando l'uomo che si amava faceva sesso con una ragazzetta antipatica, brutta, odiosa, inutile,      un' adulta poteva sentirsi meglio?

Strinse i pugni. Non voleva piangere. Mettersi a piangere era proprio la cosa più infantile che potesse fare. Ma qualcosa era esploso, lo sentiva dentro, era peggio della tosse. Nauseante. Poteva far perdere il controllo. Ma lei non doveva perderlo.

Affondò la faccia fra le ginocchia.

No. Niente lacrime.

Ti prego. Niente lacrime.

Non c'era niente da piangere, era una cosa normale, Vincent era un uomo, gli uomini fanno sesso con le donne, non con le ragazzine intossicate dal Mako. Vincent non avrebbe mai fatto sesso con lei, non avrebbe mai desiderato toccarla, avrebbe solo pensato a portarla dai dottori, come se non bastasse starle vicino ed essere lì alla fine delle crisi. Come se non bastasse stringerla, dirle che tutto sarebbe andato bene. Non aveva detto che gli sarebbe dispiaciuto saperla morta? E questo non significava che gli era indispensabile? Non significava nulla?

No, no, meglio non pensarci, niente lacrime.

Era tutta colpa di quella lì. Era lei ad averlo sedotto, ne era certa. Vincent non era tipo da provarci. Era lei.

Era lei che doveva essere punita.

 

Il mercatino era pieno di sole e di voci. Yuffie girava fra le bancarelle con un'espressione scocciata, sfiorando le stoffe e i colori. Era tutto troppo allegro per come si sentiva. Forse avrebbe dovuto vestirsi anche lei come quell'idiota, un bel mantello lungo e scuro e strane robe sulle dita.

Le dita che, nude, potevano essere delicate.

Le dita che, nude, l'avevano percorsa.

Si era tolto quelle strane zanne prima di toccarla. Ci aveva pensato, o era stato un gesto casuale? Aveva pensato di poterla graffiare? Aveva pensato che l'avrebbe ferita comunque, perchè anche senza guanti le sue dita sapevano ferire? Gli importava qualcosa di questo?

Oh no, basta pensare a lui!

Scosse la testa con violenza (qualcuno la guardò in modo strano) e continuò a camminare.

Vincent non si meritava un pensiero, visto che non ne aveva per lei.

Visto che avrebbe potuto almeno dirle ehi, volevo scopare, tutto qua. Magari si sarebbe preso un pugno, ma le avrebbe fatto capire.

 

Quel giorno la casa rimase stranamente silenziosa. Shelke aveva accettato di svolgere gli esercizi di matematica senza una parola, e Tifa l'aveva assistita cercando di non chiedersi cosa fosse successo. Cloud era stanco ed era andato a letto presto, Vincent era scomparso in camera, Yuffie era tornata con tante buste e aveva cenato in silenzio. Prima di tornare in camera aveva preso un cucchiaio di legno, e se l'era portato a letto. Mancava anche un coltello.

"C'è qualcosa che non va." Tifa iniziò a giocare con una ciocca di Cloud, arrotolandola fra le dita. "Sono tutti troppo strani."
"Chi, Vincent? Te ne accorgi ora?"
"Anche Shelke, e Yuffie."
"E beh..."

"No, ma... dico più del solito!"

"Sarà un'impressione." Cloud la abbracciò, tirandola a sè e stringendola.

"No, non lo è! Yuffie si è portata un cucchiaio in camera! Ti pare normale?"
"Mh..." Le sfilò la maglietta, facendole alzare le braccia.

"E poi..." continuò Tifa, mentre Cloud gettava la maglietta in un angolo e si metteva su di lei "chi ha preso il coltello?"

"Non pensarci..." Le slacciò la gonna, e iniziò a tirarla giù lungo le gambe.

"Cosa ci farà mai col cucchiaio?" Tifa si ritirò su la gonna. "Dici che non dovrei preoccuparmi?"

"Dico di no. Decisamente." Cloud le spinse i polsi sul cuscino e tirò giù la gonna di nuovo.

"Secondo te ha intenzione di picchiare qualcuno? E se avesse preso anche il coltello?"

"Affari suoi." Cloud infilò le dita sotto la stoffa della biancheria.

"Io penso che dovremmo rimanere svegli, stanotte."
"Anch'io..."
"Dai, Cloud! Sto dicendo sul serio!"

"Va bene. Rimarremo svegli e vigili. Non ti farò chiudere occhio un solo istante. Quando starai per addormentarti, farò così..."
"Aah! Smettila!" Tifa rise sottovoce, e lo spinse via. "Sei un maiale!"

"Il tuo maiale!"
"Scemo!"
"Vieni qui..."
Ed era bello abbandonarsi, se Cloud apriva le braccia e la stringeva al petto in quel modo. Mezz'ora dopo, fra le lenzuola scomposte, Tifa e Cloud stavano profondamente dormendo.

 

Dormiva anche Yuffie, con il cucchiaio stretto fra le dita. Oh certo, di armi ne aveva, ma non voleva certo ferirlo, nel caso in cui gli fosse venuto in mente di tornare. Voleva solo picchiarlo con il cucchiaio di legno e fargli capire che non poteva usarla in quel modo.

Ma Vincent non era venuto.

Se n'era sentita così convinta da rimanerci male. Allora era una cosa di una notte? Allora non sarebbe venuto? Forse fra cinque minuti, forse fra un'altra ora... Si era sdraiata solo un momento, per far riposare gli occhi.

Non era venuto ed era passato un giorno in cui non si erano detti quasi nulla.

Ma poi la porta aveva urtato lo scatolone che aveva messo davanti proprio per sentirne il rumore, e lei era scattata a sedere con il cucchiaio ben saldo in mano. Alla porta, però, c'era Shelke.

"Oh, sei tu." Aveva detto, e Shelke si era avvicinata di corsa. Per riflesso, aveva parato con il cucchiaio un movimento veloce appena avvertito. Solo dopo si era resa conto che Shelke aveva in mano un coltello, e che aveva cercato di colpirla.

"Ma sei impazzita?" aveva urlato, facendo un passo indietro.

"Non ho intenzione di sopportare oltre."

"Oh, tu sei completamente folle!" Yuffie si era messa sulla difensiva. "Cosa pensi di fare?"

"Come hai potuto?"
"Eh?"

"Come hai potuto farlo!" Shelke aveva gli occhi lucidi, il mento le tremava. Ma non avrebbe pianto, oh no.

"Di che parli? Non capisco!"

"Pensi di poter fare quello che vuoi senza conseguenze?"
"Shelke..." Yuffie si era avvicinata con cautela, lenta. "Dai, dammi quel coltello. E' assurdo, che vuoi fare?"

"Stai ferma!"

"Pensi di poter entrare in camera di qualcuno in piena notte e ucciderlo perchè ti è antipatico? Tu sei fuori di testa!"

"Sì, sono fuori di testa, ok?"

"Dammi quel coltello!"

"Prendilo, se ci riesci!"

Yuffie scattò in avanti, le afferrò il polso e la tirò verso di sè. Shelke riuscì a sgusciare via. "Shelke, vedi di smetterla! Cosa credi che dirà Vincent?"
Nel corridoio, dei passi si avvicinavano.

Shelke tentò di nuovo di colpirla, e Yuffie si scansò. Le fece lo sgambetto, e Shelke saltò.

"Lo so cosa vuoi fare!" gridò Shelke tentando ancora. "Vuoi portarmelo via, è stato così dal primo giorno!"

"Secondo me hai bisogno di uno psicofarmaco!"

"Pensi che io non possa fare sesso con lui?"

Yuffie quasi si fece colpire. "Che cosa??"

"Solo perchè hai fatto sesso con lui..."

Le facce di Tifa e Cloud, confuse ed assonnate, comparvero dietro di lei.

"Solo perchè hai fatto sesso con Vincent non significa che io abbia perso!"

Yuffie rimase così, con il cucchiaio in mano e il braccio alzato, mentre Shelke si accasciava sul pavimento piangendo e Tifa e Cloud si guardavano fra loro.

Tifa si avvicinò a Shelke, la fece alzare e lei le si aggrappò con forza. "Vieni a letto, dai." le disse togliendole di mano il coltello e portandola via. Cloud diede un'occhiata preoccupata a Yuffie, poi le seguì.

E dietro c'era Vincent.

Yuffie sospirò, lasciò andare il cucchiaio e abbassò le braccia.

"Ti ha fatto male?" chiese Vincent.

"Sì."

Vincent si avvicinò, le sollevò il viso con una mano. "Non mi sembra."

"No, non mi ha ferita. Figurati se mi faccio ferire così."

"Mi dispiace."

"Non fa niente." Yuffie allontanò la sua mano, senza guardarlo. "Va tutto bene."

"Non è colpa sua, è..."
"Lo so."
"Bene."
"E' tua, la colpa."

Vincent sorrise. "Sì, hai ragione."

Yuffie si chinò a riprendere il cucchiaio, e lo picchiò piano. "Sei un cretino, ecco cosa sei!"

"Ti eri portata il cucchiaio per picchiare me?"

"Dovresti andare da lei, sarà molto triste e arrabbiata."
"Come l'ha scoperto?"
"Non ne ho idea."
"Mi dispiace."
"L'hai già detto."
"Pensavi che sarei tornato?"
"...No."
"E allora perchè il cucchiaio?"
"Per precauzione."
Quando Vincent sorrideva, era strano guardarlo. Almeno quando lo faceva in quel modo. "E' proprio da te, portarti un cucchiaio per precauzione!"
"Ora vorrei tornare a dormire, se qualcuno non tenta di uccidermi ancora."

"Vuoi che me ne vada?"
"Devi andare da Shelke. Consolarla."

"E se volessi restare?"
Yuffie lo guardò, perplessa. "Ah, beh... come vuoi."

"Mi picchierai con il cucchiaio?"
"Può darsi. Te lo meriteresti."
Vincent si sedette sul futon. Yuffie gli si mise accanto, con gesti un po' incerti. "Vuoi fare sesso?"
"No."
"E allora che vuoi?"
"Mi dispiace per quello che è successo..."
"Se lo dici un'altra volta riprendo il cucchiaio."
"Va bene, scusa."
"..."
"Cioè, ok. Non lo dico."
"Mh."

"E' che Shelke..."
"Smettila."
"Cosa?"
"Non voglio parlare di lei."
"Ok."

"Dovresti chiedermi di cosa voglio parlare, allora."
"Dovrei?"
"Eh sì. Funziona così, sai... le conversazioni..."
"Non sono bravo in queste cose."
"L'ho notato."
"Ma non voglio nemmeno parlare."
"Ah."
"Vorrei solo rimanere qui. Dormi pure."
"..."

"Che c'è?"
"Sei un cretino."
Vincent si sdraiò.

Tutto era calmo e silenzioso e buio.

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Capitolo 15
*** Una bambina ***


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15 – Una bambina

“Apri la bocca... così, brava...”

Il dottore aveva le mani troppo calde.

“Vediamo un po’ la temperatura...”
Shelke lo fissava, ne studiava i movimenti, mentre in canottiera e mutande sedeva su quel tavolino di metallo. Quando lui si allontanava per prendere un nuovo strumento per misurarla, faceva dondolare le gambe avanti e indietro con un movimento lento e ripetitivo, fissando il pavimento. Le avevano legato i capelli sulla nuca, qualche ciocca era sfuggita all’elastico e le dava un’aria da casalinga sciatta. Odiava sentirsi così, nuda di fronte ad uno sconosciuto, disordinata, all’oscuro di cosa le stesse facendo. Tifa, per consolarla, le aveva prestato un lucidalabbra, ma quello strano liquido appiccicoso era andato via subito lasciandole le labbra secche.

Il dottore le sfilò il termometro da sotto il braccio. “Bene, temperatura normale.”

Aveva accettato di sottoporsi a quelle cure, forse, per chiedere scusa. Più che altro a Tifa, che l’aveva tenuta stretta tutto il tempo in cui le lacrime non si potevano fermare, l’aveva trattenuta fra i singhiozzi ed era rimasta nel letto con lei finchè non si era addormentata. Sapeva di aver esagerato, riusciva a capire che gli sguardi sorpresi avevano ragione. Adesso, calma e arrendevole, non capiva come mai avesse provato a fare una cosa così assurda.

Sulla porta, Tifa le sorrideva e agitava la mano ogni volta che la guardava. Cloud si guardava intorno, doveva essere nervoso ed annoiato, infastidito. Erano così ridicoli, pensò Shelke. Giocavano a fare i genitori con lei. Nessuno sembrava ricordare che, nonostante il suo corpo ed i suoi istinti, non era affatto una bambina.

Eppure il loro calore le piaceva.

“Abbiamo finito.” disse il dottore prendendole la mano. “Adesso dovremo aspettare i risultati delle analisi, e poi vedremo come aiutarti, va bene?”
”Sì.”
La aiutò a scendere e le porse i vestiti, che Shelke infilò lì senza tanti complimenti.

“Sei stata bravissima!” disse Tifa venendole incontro.

“Posso parlarvi?” chiese il dottore, facendo un cenno verso Shelke.

“Vorrei sentire anch’io, se non le dispiace.” disse lei, e Tifa annuì.

“Oh, d’accordo. Lo sviluppo è normale, sta procedendo veloce. Il corpo tenta di adattarsi alla situazione, ma dobbiamo ricordare che gli effetti dell’intossicazione non sono prevedibili. La salute è stabile, sta bene, ma potrebbe avere altre crisi proprio a causa della crescita improvvisa. Non è naturale.”
”Ma si normalizzerà? Arriverà ad avere l’aspetto dell’età che ha e passerà tutto?”
”E’ difficile dirlo.”
”Posso avere dei figli?” chiese Shelke. Ogni volta che prendeva la parola tutti la guardavano come se fosse un’aliena. Come se dovesse tacere, ascoltare senza capire.

Il dottore si schiarì la voce. “Di solito, chi subisce un’intossicazione da Mako perde questa possibilità, ma non c’è nulla di sicuro.”

Cloud fece un sospiro profondo e uscì dalla stanza.

“Va bene, allora aspettiamo i risultati. Grazie, dottore.” disse Tifa, prendendo Shelke per mano. “Arrivederci.”
Mentre uscivamo, Shelke si fermò e alzò lo sguardo verso Tifa. “Anche Cloud è stato a contatto con il Mako, vero?”

“Sì, è successo, ma in un modo diverso dal tuo.”
”Nemmeno lui potrà avere figli.”

“Può darsi, ma non è una cosa poi così importante. Dai, andiamo.”
”Dovresti dirglielo, che non è importante.”

“Ma lui lo sa.”
Shelke fece spallucce, e riprese a camminare. Forse c’erano cose che Tifa non poteva capire.

 

Vincent si era svegliato da solo, quella mattina. Non per la luce, che nello stanzino non entrava, ma per il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva. Si era trascinato in bagno, aveva fatto una lunga doccia e, visto che in casa non c’era nessuno, aveva preso qualcosa a casaccio dal frigo e aveva mangiato. Il suo corpo si era stretto intorno a quel cibo, ne aveva avvertito il piacere, la soddisfazione di pienezza. Yuffie aveva ragione, doveva riprendere l’abitudine di mangiare normalmente. Era bello.

C’erano tante cose belle che si stava perdendo.

Aveva rigirato fra le mani il cornetto al cioccolato, vecchio di un giorno e un po’ secco, osservandolo.

La gente, semplicemente, si costruisce intorno il proprio mondo rassicurante. Ha i propri cari che ne fanno parte, le abitudini, il lavoro, una casa, un posto fisso in cui tornare. A pensarci bene, lui non l’aveva mai fatto. Il suo mondo era sempre stato instabile, ed era spesso crollato per un soffio di vento. Il suo mondo era un castello di carte, fragile. E ora che l’idea di rimanere lì, sempre, fra amici, con una donna, di trovare un lavoro normale, di andare avanti giorno per giorno come facevano tutti diventava possibile, gli dava la nausea. Era forse giusto cercare di coinvolgere altre persone in quel suo castello di carte?

Yuffie era diversa da lui. E questo era chiaro. Molto diversa. Yuffie era capace di sorridere per un nonnulla, di scoppiare in risate fragorose, di correre e saltare senza motivo. Il suo corpo era sempre in movimento, il suo gesticolare quando parlava la faceva sembrare una ragazzina nervosa.

Yuffie era limpida, diceva ciò che pensava, era capace di parlare come lui non aveva mai saputo fare.

Yuffie sarebbe rimasta travolta dal crollo continuo del suo mondo fragile, ne sarebbe rimasta ferita. E non era ciò che voleva. Lui avrebbe desiderato vederla sorridere, ogni giorno, ma sapeva di essere incapace di far felice qualcuno.

In fondo, era stato incapace di far felice lei.

Quando le si era avvicinata e gli si era consegnata fra le braccia, non sapeva di poterle fare male.

Quando ne aveva desiderato il sorriso, non poteva immaginare cosa sarebbe successo.

Ed ora poteva? Sarebbe andata di nuovo così, e avrebbe dovuto vedere Yuffie spegnersi ed allontanarsi?

Girandosi verso la finestra, la vide tornare. Aveva fatto la spesa, ecco perchè era uscita così presto. Sembrava che se ne fregasse di fare l’eterno ospite in casa di Cloud e Tifa, invece si dava da fare. Camminava a piccoli passi svelti, con le braccia tese nel reggere le buste, un’espressione vaga guardando avanti.

Era una ragazza, normale, allegra, bella.

Per aprire la porta, Yuffie girò la maniglia con un mignolo e la spinse con un calcio. Posò le buste sul tavolo e la richiuse con una spinta brusca.

“Ah, ciao!” gli disse. “Oh, sapessi che cose buone ho comprato! Guarda!” Iniziò a tirar fuori biscotti, dolci, bustine di cibo precotto.

Vincent aggrottò la fronte scorrendo con gli occhi tutta quella roba forse buona, ma fondamentalmente inutile.

“Stamattina non potrai fare a meno di far colazione!” squillò Yuffie sollevando una confezione di tiramisù.

“Veramente ho già mangiato.”
”Ah, e cosa?”
”Un... cornetto, credo.”
”Quello di ieri? Ma che schifo, era vecchio!”
”Non era male.”
Yuffie, con un broncio esagerato, iniziò a mettere tutto nel frigo. “Avevo comprato queste cose per te... Volevo farti mangiare qualcosa di buono...”

Vincent sfiorò con le dita la busta dei biscotti, troppo colorata. “Potrei mangiare un paio di questi, magari.”

Yuffie prese la bustina, la aprì e si sedette di fronte a lui. “Ok, ne prendo un po’ anch’io.”

La bustina faceva un rumore di carta spessa, ogni volta che ci tuffavano le mani. Le dita si sfioravano, imbarazzate, si ritraevano senza un suono e si rituffavano nella confezione.

“Grazie.” disse Vincent. Il sole inondava la stanza.

 

Il seno stava crescendo. Guardandosi di profilo nello specchio, Shelke sorrise. Era bello, il suo seno. Morbido, chiaro. E nessuno l’aveva mai sfiorato, se non il dottore. Ma lui non contava, era anche brutto. Aveva convinto Tifa a comprarle altra biancheria, più carina, e la indossò facendo confusione per agganciare il reggiseno.

Poteva essere una dolce adolescente tutta rosa e merletti, con il mento sollevato e gli occhi socchiusi.

Poteva essere una misteriosa fanciulla in boccio con biancheria nera e seriosa, o innocente in bianco.

Poteva increspare le labbra in un bacio all’aria, o stringere le spalle per guadagnare una taglia.

Poteva essere bella. Era un potere su cui non aveva mai riflettuto, in fondo. Erano le ossa a crescere, ne era convinta. Le sue ossa si allungavano ad ogni minuto, le sembrava di sentire la pelle tirare, di vedere il mondo da qualche centimetro in più ad ogni ora.

Poteva essere, allora, una donna.

Shelke raccolse la roba lasciata sul pavimento, perchè le donne dovrebbero essere ordinate, e la ripose nell’armadio. Il completino rosa era il suo preferito, e l’avrebbe tenuto indosso. Sarebbe stato lì, sotto la gonnellina a pieghe e la maglietta. Un piccolo nucleo di potere nascosto.

Era così per Tifa? Se l’era chiesta facendo capolino nel corriodio, mentre Cloud usciva dal bagno in accappatoio ed entrava in camera. Era così che gli si avvicinava, usando i colori e le forme, usando il suo sguardo per sentirsi viva?

Era così che Yuffie si era avvicinata a Vincent?

Il suo seno, pensò Shelke abbassando lo sguardo, era più grande di quello di Yuffie. Lei era proprio piatta, non avrebbe attratto nessuno solo con quello. O forse cambiava in base all’uomo da sedurre? Forse Vincent preferiva quelle piatte?

Cloud aveva lasciato la porta aperta, appena accostata. Shelke si avvicinò senza far rumore, e si accovacciò per spiare.

Sotto i vestiti, il corpo di Cloud le era sempre sembrato troppo compatto. Non era alto come Vincent, ed era meno sottile. Quando l’accappatoio scivolò, e con un gesto lui lo gettò sul letto, quel corpo le sembrò bello.

Molto bello.

Forse per la sorpresa di quelle strane sensazioni, Shelke si mosse e fece cigolare la porta. Cloud si voltò di scatto, la vide.

Per un attimo si fissarono, sgomenti.

Cloud prese in fretta l’accappatoio e lo rimise. Si avvicinò alla porta, ci appoggiò una mano sopra. “Beh?”

“...Scusa. Passavo.”

Le chiuse la porta in faccia, lasciandola lì con le guance rosse e tanta voglia di ridere.

 

“Com’è andata dal dottore?”
”Bene. Ha detto che sto benissimo e che sto crescendo.”
”Ti ha dato qualcosa da prendere?”
”Non ancora, dobbiamo aspettare i risultati.”
”Ah.”
”Vincent?”
”Mh?”
”Posso dormire con te?”
”Che c’è che non va nella tua camera?”
”Non ci sei tu.”
Vincent si mosse sulla sedia. “Sarebbe meglio se dormissi da sola.”
”Perchè?”
”Devi abituarti.”
”E perchè devo abituarmi?”
”Se stai crescendo, non puoi dormire sempre con me. Lo fanno solo le bambine.”
”Ah.”
”...”
”Ma tu hai dormito con Yuffie, però.”
”Quello è diverso.”
”Perchè?”
”Sai che anche chiedere sempre il perchè delle cose è da bambine?”

“Ma alle bambine rispondono, a me non risponde mai nessuno... Quindi come faccio a capire?”

“Beh... è diverso perchè io e Yuffie siamo adulti.”
”Ma io ho la stessa età di Yuffie!”
”...”
”Vincent?”
”Mh?”
”Te ne andrai, non è vero?”
”Che vuoi dire?”
”E’ per questo che devo abituarmi a dormire da sola. Sceglierai lei.”
”...dai, vai in camera. E’ tardi.”

“Vuoi vedere la mia biancheria?”

“Eh??”

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Capitolo 16
*** A volte succede ***


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16 - A volte succede

Non gli capitava spesso di rimanere sveglio e guardarla dormire.

Da quando stavano insieme, anche se in uno strano modo non ufficiale e imbarazzato, Tifa aveva iniziato a comprare strane camicie da notte. Prima non ne aveva di così sensuali, di quelle che hanno un laccio da tirare per diventare niente. Non che gli dispiacessero, ovviamente. Su quel corpo, qualsiasi cosa sarebbe stata deliziosa.

Da quando stavano insieme, Tifa era diventata dolce. Aveva per lui mille premure, gli faceva trovare la vasca piena di acqua calda al rientro dal lavoro, gli preparava pasti incredibili, gli si sedeva sulle ginocchia e rideva, le sue mani che finivano ovunque e i suoi capelli che si incastravano sotto le spalle. Quei capelli dal profumo indescrivibile, che rimaneva sui vestiti e fra le lenzuola dopo che facevano l'amore.

E quando le cose vanno così bene, che succede?

Non significa forse stabilità, tutto questo? Non dovrebbe avere un seguito naturale?

E se lui non avesse potuto davvero avere figli, o se fosse morto giovane a causa di quel maledetto Mako, o se fosse successo qualcosa?

Era per questo che preferiva addormentarsi e non rimanere sveglio a fissarla. Non voleva pensare troppo.

Lentamente, per non svegliarla, scivolò via e si infilò i pantaloni. I piedi nudi sul pavimento avevano un rumore secco. Cloud si voltò un'ultima volta per assicurarsi che Tifa dormisse, poi si chiuse la porta alle spalle.

Poteva sempre farsi un panino, anche se alle due di notte era un po' strano. Si passò una mano fra i capelli aprendo il frigo e guardando quel che c'era. Yuffie era incredibile, capace di spendere quanto una famiglia di sette persone avrebbe speso per una settimana e comprare solo dolci. Prese il vassoio del tiramisù, sentendosi già un po' in colpa, ed un cucchiaio.

Quando si voltò chiudendo il frigo con il piede, seduta sulla panca c'era Shelke.

Cloud non era mai stato un granchè nel socializzare, ma rapportarsi a quella (che cosa? Ragazza? Donna? Bambina?) non gli sembrava proprio possibile. Non aveva nemmeno capito bene che ci facesse lì, in casa sua.

"Che fai ancora in piedi?" chiese, senza sedersi e tuffando il cucchiaio nel dolce.

"Non riuscivo a dormire, e Tifa era con te."
"Vincent dorme?"
Shelke fece una faccia scocciata. "Non sono un'appendice di Vincent, io."

"Ah no?"

"Ho sentito che eri sveglio e volevo parlare con te."
Cloud aggrottò la fronte, continuando a masticare. Si chiese come mai quella ragazzina (in quel momento lo sembrava, così sottile nella penombra, con i capelli scombinati e il viso pallido), invece di dormire, passasse la notte ad ascoltare i rumori della casa.

"Ti senti bene?"
"Sì, benissimo."

"E che cosa..." Cloud posò il vassoio sul tavolo, porgendole un altro cucchiaio. "...volevi dirmi?"

Shelke lo prese, ingoiò un po' di tiramisù. "Mangiare questa roba di notte non deve fare molto bene."
"Oh, tanto siamo già fottuti. Cioè, uhm..." Le si sedette vicino. "Tu starai meglio, ovvio. Ne sono sicuro."

"Tu come mai sei stato esposto al Mako?"
"E' una storia lunga. Non mi piace parlarne."
"A nessuno piace parlare, qui." Shelke prese una cucchiaiata enorme e la mise in bocca, tirando fuori il cucchiaio lentamente. "Ma io ho voglia di parlarne, invece. Vincent non vuole, mai. Pensavo che tu volessi."

"Non sono bei ricordi, sai. Non devono esserlo nemmeno per te."

"Tifa mi considera sua figlia, credo."

Cloud posò il cucchiaio sul tavolo, rassegnato alla chiaccherata. "Ma no. Vuole solo essere gentile."
"Forse le piacerebbe avere dei figli." Shelke lo guardò di nascosto, con una punta di malizia.

"E' probabile."
"A te piacerebbe?"
"Sai cosa penso?" disse lui alzandosi. "Penso che puoi dormire con Tifa, per stanotte, se ti fa sentire meglio. Io ormai non ho sonno."

"Io ho bisogno di parlarne!" Shelke aveva afferrato i suoi pantaloni, con forza. "Ti prego! Ho bisogno che qualcuno mi parli come un suo pari, non come una bambina che non capisce niente!"
Cloud si sedette.

"Ma tu, in un certo senso, lo sei. E' questo il problema."
"Io non mi sento una bambina. Capisco tutto. E ho voglia di fare sesso." Alzò gli occhi per spiare la sua reazione, e vide un Cloud molto perplesso. "Nel senso che... ragiono come un'adulta, non sono una bambina."
"Un'adulta non direbbe queste cose."
"Che cosa?"
"Che hai... insomma, quello che hai detto!"

"Ho capito." Shelke sorrise. "Gli adulti hanno paura di parlare di sesso. Ce l'ha anche Vincent, non mi vuole mai spiegare..."
Cloud rise in silenzio. "Lo so che ti ha sconvolto che... beh, l'incontro fra Yuffie e Vincent. Ma questo non significa che devi farlo anche tu, è una cosa che verrà quando sarà il momento."
"E quando sarà il momento?"

"Lo saprai quando arriverà." C'era qualcosa, in Shelke, che faceva venir voglia di proteggerla. Qualcosa di tenero, di innocente. Cloud le mise una mano sulla spalla, e lei lo guardò. "E non sarà con Vincent, ma con uno che non ti tratti come una bambina."

Era proprio lui a dire quelle parole così sensate?

"Forse è vero, sai." disse dopo il silenzio. "Tifa ti vede un po' come una figlia da accudire. E' facile vederti in questo modo. E in certi momenti forse si ha bisogno di trattare qualcuno così. Fa sentire meglio."

"Quindi io vi faccio sentire meglio."
"Sì."

"Mi piace."
"Vuoi ancora tiramisù?"
"No, basta, mi sta venendo la nausea... Vorrei un caffè."
"Un caffè! Ma è notte, e poi ti fa male..."
"Anche il tiramisù di notte mi fa male."
"Hai ragione. Ma se ti faccio un caffè, chi la sente Tifa?"
"Non glielo diciamo!"
"Mh, non è male come soluzione."
"Io sono sicura che andrà bene fra voi due, sai? Forse potrai avere dei figli. Ma anche se non ne avrai..."
Cloud fissava il vassoio, improvvisamente serio.

"...anche se non ne avrai, lei non si allontanerà da te. Credo che per te sia il momento."
"Che momento?"
"Quello che mi hai detto prima!"
"...quello di fare sesso?"
"Ma no, insomma, quello in cui si trova una persona speciale."
"Oh. Sì."

Shelke gli fece un sorrisone. Le pareva di aver capito qualcosa in più, anche se non sapeva cosa di preciso. "Bene. Io me ne vado a letto."
"E il caffè?"
"Il caffè mi fa male!" disse allegramente, allontanandosi.

In fondo quella strana ragazza non era poi così male.

 

Era giusto che fosse la sera, il momento in cui sentirsi vivi?

Era giusto ritrovarsi in quel letto che era come soffocante, nel buio che premeva intorno?

Era giusto che la luna sembrasse così enorme, così vicina? Sotto i suoi raggi deboli gli occhi di Vincent sembravano gemme rosse, come se non riuscissero ad assorbire la luce ma potessero solo rifletterla.

Era così, no? La luce non faceva per lui. E impedendole di penetrarlo poteva diventare abbagliante.

Un piccolo uomo timido in giacca e cravatta che diventava un immortale triste e solitario.

Proprio romantico.

"Ecco, è questo." Yuffie gli era stata accanto per tutto il giorno, ed era come se aspettassero qualcosa. Dopo aver esaurito le cose da dire, si era ricordata di volergli mostrare un libro. "Dovrebbe essere del periodo in cui tu eri bambino."
Sulla copertina c'era un Chocobo squillante ma ormai sbiadito. Era un'immagine familiare. Vincent lo prese, lo aprì, e le pagine sembrarono suggerirgli di essere già state lette.

"Lo conosco."
"Davvero?" Yuffie rise, battè le mani. "Lo sapevo! L'ho preso per questo! Il tizio della bancarella mi ha assicurato che all'epoca tutti i bambini lo leggevano!"

Era un libro di favole e Vincent, da bambino, lo aveva letto mille volte. Seduto sul pavimento di fronte alla finestra della sua stanza, solo, come sempre.

"Sì, è vero. E' un libro molto famoso."
"E non ti fa piacere rivederlo? Sai, io sono sempre felice quando rivedo qualcosa che mi era familiare nell'infanzia! Così pensavo... che magari ti avrebbe fatto piacere."

Gli ricordava la solitudine, un sapore amaro sulle labbra.

Gli ricordava il dolore, la paura.

Gli ricordava il sentirsi indifeso e la timidezza che bloccava ogni tentativo.
"E' una sensazione piacevole."

Yuffie puntò le mani sui fianchi. "No, non è una ‘sensazione piacevole' " disse imitando il tono spento di Vincent. "E' una figata. Potresti essere un po' più contento, è una cosa carina!"

La guardò senza dir nulla.

"Uf." Yuffie si buttò a sedere sul pavimento, mentre lui seduto sul letto sfogliava il libro. "Possibile che niente ti renda felice?"

Felice?

Che significava, felice?

Vincent si fermò alla pagina in cui un bambino, nell'illustrazione, pettinava il suo Chocobo giallo e gli diceva che gli voleva bene, molto bene.

Cosa avrebbe potuto renderlo felice?

"Voglio dire..." continuò Yuffie " Se non te ne frega niente del libro, potrebbe farti piacere che io abbia pensato a portartelo. Le persone sono felici di cose del genere. Di essere pensati. Che a qualcuno importi di loro, non so."

"A te importa di me?"
"Certo." Yuffie si alzò, gli diede uno scappellotto in testa, per gioco. "Testone!" Si voltò per andarsene. Le sembrava una bella uscita, quella. Un'atmosfera giocosa che poteva rimanere nell'aria, e coprire il nulla che Vincent si ostinava ad emanare.

Vincent le afferrò un braccio, la trattenne.

"Non andare."
Il libro cadde sul pavimento. Yuffie si voltò, il volto di Vincent che nella penombra sembrava chiamarla, sembrava vederla e non schivarla come sempre, il mantello che in un attimo le fu intorno e si ritrovò sul letto.

"Vin..."

Lui le era sopra, i suoi capelli le sfioravano le spalle. Vincent aveva un odore così caldo, come di una cosa antica e preziosa. Il suo viso era così vicino, eppure non si muoveva.

Yuffie rimase immobile, respirando velocemente. "Che..."
"A me importa di te."

Le teneva i polsi con forza, forse troppa. Faceva paura, essere stretta così. Ed era anche eccitante, sentire che le sue mani erano forti e che non l'avrebbero lasciata andare.

Ma nel modo sbagliato.

"Vincent... lasciami..."
"Tu non capisci la paura che ho, anche solo nel pronunciare certe parole..."

Che stava succedendo? Cosa voleva fare? Cos'era successo?

"Mi fai male, Vincent..."
Aveva stretto ancora di più, strappandole un gemito. "Tu credi sia facile come un gioco, invece per me è un incubo."

Vincent aveva scavalcato le sue gambe con un ginocchio, rimanendo su di lei senza farle avvertire il peso, ma trattenendola immobile. Yuffie aveva chiuso gli occhi e voltato la faccia, sentendo un misto di rabbia, paura e piacere.

"Non sai cosa sia per me avvicinarmi alla tua felicità e sapere di poterla distruggere, o di doverne fare a meno."

"Cosa stai facendo??"

"Voglio solo esprimerti..." Si avvicinò ancora di più, le labbra che la sfioravano. "...il mio disappunto."

Perchè doveva essere così freddo?

Perchè doveva essere così strana e perversa, qualsiasi cosa avesse a che fare con lui?

Perchè le piaceva, in fondo?

"Se non ti piace questo, perchè vuoi che mi avvicini a te? Pensaci, Yuffie: stai solo giocando?"

"Non è divertente, smettila adesso, mi fai male..."

Vincent posò il corpo sul suo, lento, senza far male. "Se non è un gioco per te, forse non ti sei resa conto di ciò che sono."

"Sei uno stronzo!" Yuffie si agitò, tentò di muovere le gambe, ma non poteva.
"Se pensi che basti un sorriso e un regalo per cambiare le cose, ti sbagli."
"Lasciami!"
"Se pensi che l'allegria e la spensieratezza possano salvarmi, ti sbagli."
"Vincent!"
"Se pensi che potresti aiutarmi senza essere coinvolta, ti sbagli. Allora, Yuffie, sei ancora sicura di volermi?"

La lasciò all'improvviso, semplicemente aprendo le mani e sollevandosi appena. Rimase a fissarla, con un'espressione strana.

Di scherno.

Cattiva.

Si liberò e corse via. Vincent riprese il libro, lo chiuse e lo posò sul comodino.

 

Perchè le cose si rompono.

Anche se ci tieni più della tua stessa vita, anche se ne hai cura e le proteggi, anche se le avvolgi e le custodisci e le nutri, a volte si rompono.

Si frantumano.

In mille pezzi.

E a volte, a romperle, sei tu.

A volte sei tu che hai le mani taglienti, come mille lame, e sai bene che toccare le cose che ami significa ucciderle.

Distruggerle.

Farle sanguinare, farle piangere.

E anche se decidi di non toccarle per questo, anche se te ne allontani perchè vuoi che rimangano intatte, sai benissimo che saranno in pericolo per sempre.

Ed il pericolo sei tu.

 

"Ce ne andiamo."

Shelke alzò lo sguardo. Vincent era strano, i capelli non erano a posto come al solito, ed il mantello era spiegazzato. "Mh?" chiese, con un cucchiaino in bocca.

"Forza, sistema le tue cose. Stiamo andando via."

"Che succede?" chiese Tifa.

"Stavamo facendo merenda..." disse Shelke, mettendo via il cucchiaino. "Sai, Tifa mi ha insegnato a cucire! Ora posso rammendare i..."
"Non hai sentito?" Vincent aveva alzato la voce. Era la prima volta che glielo sentivano fare.

Tifa diede un'occhiata a Cloud.

"Noi, uhm, dobbiamo andare di là. A fare una cosa." disse Cloud, prendendola per mano e tirandola via. "Voi rimanete pure a chiaccherare."

"Che significa, Vin?" Shelke si alzò, gli andò davanti.

"Non ha senso rimanere ancora qui. Andremo via subito."
"Ma... perchè? Io..."

"Non c'è da discutere, Shelke. Sbrigati. Ti aspetto fuori."

"No, un momento!" Shelke incrociò le braccia, indispettita e confusa. "Non capisco. Fino a stamattina dovevo andare a scuola e seguire le cure dei dottori, e adesso questo? Che succede?"

Vincent sospirò. "Non ho voglia di discutere."
"Io sì! Vin..." Lo tirò a sedere, e si misero sulla panca. "Stava andando bene. Mi sto impegnando, sto facendo quello che mi hai detto... Perchè ora vuoi andar via? Stiamo bene, qui... Va tutto bene..."

"Non vuoi venire, insomma?"
"Ma..." Shelke fece spallucce. "Mi trovo bene con Tifa e Cloud. Mi piace, qui. Sto imparando tante cose, mi sto curando..."

"Non vuoi venire?"

"E' successo... qualcosa... con lei?" Vincent si alzò di scatto, strattonando la stretta di Shelke sul mantello. Lei lo riprese, lo tirò forte. "Aspetta!"

"Non intendo discuterne!" gridò Vincent. "Vuoi venire o no?"
"Io, veramente..." Shelke abbassò gli occhi, si strinse nelle spalle. "Vorrei rimanere qui, se non ti dispiace. Cioè, sempre. Finchè non starò meglio. Ma pensavo... pensavo fosse ciò che volevi anche tu."

"Capisco."

Vincent la costrinse a lasciarlo. L'aveva fatto con troppa forza, con una foga che Shelke non conosceva in lui. Era uscito dalla cucina a passi nervosi, e aveva una strana luce negli occhi.

Per la prima volta, le era sembrato vivo.

Tifa fece capolino dalla porta.

"E' andato in camera." disse Cloud sottovoce, ma Shelke lo sentì.

"Sssh!"
"Io non intendo nascondermi e parlare sottovoce in casa mia, cazzo!"
"Zitto, dai, ci sente!"

"Potete entrare..." disse Shelke.

"Ehi." Tifa le andò incontro con un sorriso falsissimo ma pieno di buone intenzioni. "Tutto ok? Che succede?"

"Vincent vuole andar via..."

"E perchè?"
"Non lo so." Shelke riprese il cucchiaino, e lo tuffò nel vasetto di yogurt. "Forse è colpa di Yuffie. Come al solito."

 

"Tu credi sia facile come un gioco, invece per me è un incubo."

Non era quello che voleva.

Non era quello che aveva cercato di fare.

Non era quello che sarebbe dovuto succedere.

"Non sai cosa sia per me avvicinarmi alla tua felicità e sapere di poterla distruggere, o di doverne fare a meno."

Non pensava che fosse così.

Non sapeva che fosse così.

Non voleva che fosse così.

"Se non ti piace questo, perchè vuoi che mi avvicini a te? Pensaci, Yuffie: stai solo giocando?"

Non stava solo giocando.

Non voleva giocare.

Proprio no.

"Se non è un gioco per te, forse non ti sei resa conto di ciò che sono."

Doveva esserlo per forza?

E lui si era reso conto di ciò che lei era, o pensava che potesse solo giocare?

Lui si era reso conto?

Lui si era reso conto?

"Se pensi che basti un sorriso e un regalo per cambiare le cose, ti sbagli."

Faceva male, questo.

Perchè lei non voleva cambiare le cose, voleva solo fargli piacere.

Perchè lei veniva da un mondo in cui i sorrisi ed i regali sono cose gradite.

Perchè forse, in fondo, lei non riusciva a capire.

"Allora, Yuffie, sei ancora sicura di volermi?"

...

 

Perchè a volte, le cose si rompono. Anche se non lo si vuole.

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Capitolo 17
*** Non importa ***


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17 - Non importa

Doveva essere facile, per gli altri.

Avvicinarsi, lasciarsi andare, innamorarsi, essere felici e contenti come nella più sciocca delle favole.

Come in quelle favole che leggeva da bambino, e che l'avevano solo fatto illudere, l'avevano convinto che era necessario cercare la propria metà e che tutto sarebbe andato bene.

Oh sì, dovevano proprio considerarlo facile.

Non aveva importanza. Andava tutto bene. Perfetto. Se Yuffie non poteva capire, se Shelke non voleva seguirlo, se Tifa e Cloud lo guardavano come se fosse pazzo, non aveva importanza.

Anzi, era meglio.

Era meglio che rimanessero lontani.

Era meglio che nessuno tentasse di sfiorarlo.

Era meglio che fosse solo, com'era sempre stato.

Avvicinarsi significava illudersi che potesse andare bene. Significava rischiare di ferire ed essere feriti.

Perchè lui non era quel che Yuffie vedeva, ne era certo. Yuffie che era una ragazza, Yuffie che avrebbe potuto riportarlo alla vita ma che era una ragazza e le ragazze devono avere accanto un ragazzo normale, allegro, vivo, reale.

Uno che invecchi e muoia, prima o poi.

Uno che si nutra e che rida e che pianga e che componga poesie sdolcinate.

Un bravo ragazzo, si dice.

Lui non era un bravo ragazzo, decisamente no. Non era un ragazzo, non era nulla.

Lui non era.

Lui avrebbe solo potuto farle del male come aveva appena fatto. Perchè era nella sua natura farlo e perchè non era un bravo ragazzo.

Aveva smesso di esserlo.

Aveva smesso di indossare abiti stirati e grigi.

Aveva smesso di balbettare e di pensare troppo prima di aprire bocca, l'aveva semplicemente chiusa.

Aveva smesso di credere che qualcosa, qualunque cosa per lui fosse possibile.

Perchè lui viveva per sopravvivere, per trascinarsi un giorno e poi il giorno dopo senza illudersi che qualcosa, lungo il cammino, potesse farlo sorridere.

Forse Yuffie ci era riuscita, per un po'. Forse mangiare biscotti e comprare vestiti strambi e ridere del niente era stato piacevole, per lui. Forse aveva desiderato (un attimo, solo un instante) di continuare. Di prenderle la mano e dirle delle parole già mille volte usate da miliardi e miliardi di uomini a miliardi e miliardi di donne, le parole che erano la bugia più grande, le parole che non significavano nulla.

Forse si era convinto (giusto un po', solo in quei momenti) che Yuffie potesse renderlo ancora vivo, come un tempo, come se niente fosse successo, come se seppellire il corpo di Lucrecia o curare Shelke potesse in qualche modo riparare agli errori, potesse in qualche modo cancellare gli anni e le ore, le ore passate al buio nella bara, le ore in cui la morte era la salvezza, le ore in cui sentiva di impazzire lentamente.

Era impazzito, forse?

Era diverso da loro (da Tifa e Cloud, dalle loro mani intrecciate e dai loro sospiri che la notte attraversavano le pareti) perchè era impazzito?

Forse.

Ma non aveva importanza.

 

"Mi ami?"
Cloud aprì gli occhi all'improvviso, la guardò sorpreso. "Uh?"
"Perchè fai quella faccia?" Tifa si girò dandogli le spalle, borbottando fra sè.

"Ehi, che c'è?"
"Potresti dirmelo, ogni tanto."
"Tifa, è tardi, stavo dormendo..."
"E ti pare una giustificazione?"

"...Scusa... Dai, girati..."

Tifa fece resistenza, scrollando le spalle. "A volte ho paura."
"Di cosa?"

"Di te."

"Di me?"
"Di noi."
Cloud le guardò la schiena. Le pieghe dolci della sua carne, che ormai conosceva bene. Le spalle che si muovevano appena seguendo il respiro. I capelli sparsi sul cuscino.

"A volte guardo Vincent e ho paura di quello che i silenzi possono fare. Capisci?"

La voce piena, forte, che Tifa aveva. L'orecchio che tante volte aveva mordicchiato giocando, il gomito che si incurvava e il braccio appena visibile in quella posizione, stretto al seno che poteva farlo impazzire.

"E' solo ogni tanto, ma mi spaventa. Vorrei che..."
"Ti amo."
La abbracciò, stringendo con delicatezza.

"Davvero?"
"Sì. Ti amo, Tifa. Non c'è niente di cui devi aver paura."

E, improvvisamente, non c'era.

 

Forse era solo una scusa, quell'amore di cui tanto parlavano tutti.

Era colpa sua, se ne era rimasto escluso?

Era colpa sua, se non riusciva a capirlo?

Era colpa sua, se era successo ciò che era successo e adesso non poteva fingere di non ricordarlo?

Che piacere poteva mai dare, l'appoggiarsi a qualcuno in quel modo? Era disgustoso.

Era strano.

Era sbagliato.

Se era vivo lo doveva solo a se stesso e agli eventi. Era capitato. Nessuno gli aveva teso la mano per aiutarlo.

Solo Yuffie, ma Yuffie l'avrebbe fatto con chiunque.

Yuffie pensava che tendere la mano fosse normale, una cosa priva di conseguenze.

Yuffie pensava che la vita fosse facile e piena di sole.

Yuffie pensava che lui l'avrebbe amata, dopo averla toccata in quel modo. Pensava che ci sarebbero stati baci e carezze, che il dolore si sarebbe sciolto come neve e tutto sarebbe finito, per sempre.

Yuffie pensava che le avrebbe regalato un anello scialbo e che avrebbero corso mano nella mano nei prati in fiore.

Come se potesse succedere.

Come se lui potesse farlo.

Come se avrebbe avuto un senso.

Yuffie non pensava che lui poteva essere viscido come catrame e oscuro, non pensava che lui potesse fare del male a qualcuno, non pensava che dopo avere amato il suo corpo l'avrebbe trattata in quel modo.

Yuffie non pensava che ad ogni sorriso qualcosa gli moriva dentro.

Yuffie non pensava a quanto potesse far male essere felici, se poi si tornava al proprio mondo. Non pensava di essere per lui come una finestra, che prima o poi andava chiusa.

Yuffie non pensava che poteva essere difficile.

L'aveva preso per un ragazzino, forse? Pensava fossero problemi ormonali, i suoi? Che si potesse risolverli così?

Ma in fondo tutto questo non aveva importanza.

 

"Si può sapere cosa hai fatto?"

Yuffie maledisse se stessa per non aver chiuso la porta a chiave. Shelke era entrata, in silenzio come faceva sempre, senza farsi notare.

"Io non ho fatto nulla, veramente."
"Vin è furioso. Qualcosa dev'essere successo."
"Vin è uno stronzo e faresti bene a stare attenta."
Shelke si inginocchiò a terra con lei, piegò la testa per guardarla negli occhi. "E questi?" chiese, indicando le sacche che Yuffie stava riempiendo.

"Questi cosa?"
"Cosa sono?"
"Borse."

"Eh, ma perchè le riempi?"
"Domani mattina andrò via."
"Dove?"
"Non posso rimanere qui per sempre."
"E dove vai?"
"Sono rimasta solo per vedere come stavi, ma ora stai bene. Quindi posso andare."
"Ma dove?"
Yuffie si alzò, posò una borsa sul letto. "Non importa."
"Credi sia una cosa verosimile, che tu sia rimasta per me?"

"Volevo solo essere gentile."
"Lo so."
Si alzò anche Shelke. Ormai era alta come lei. Yuffie la guardò un attimo, poi riprese a sistemare i bagagli.

"Mi dispiace per com'è andata. Io..." Shelke iniziò a giocherellare con il manico di una borsa. "Ero confusa. E spaventata."
"Me ne rendo conto. Non fa niente."
"E ti odiavo."

"L'ho notato."
"Ti odiavo perchè lui non odia te. Perchè lui..."
"Non è necessario, questo. Davvero."
"...lui ti vede in un modo diverso dagli altri."
"Shelke, ti prego. Non è vero."
"Io non so cosa sia successo, ma è così. E se tu adesso te ne vai, non cambierà. So quanto può essere difficile stare con Vincent, sai?"
"Non credo."
"Avevo solo lui, Yuffie. E lui non mi ha mai fatto una carezza, non mi ha mai dato un bacio. E' allo stesso tempo mio padre e l'uomo che amo, e non mi ha mai baciata. Neanche una volta."
"Scusa, ora devo finire di sistemare."
"Invece con te l'ha fatto. Ha bisogno di te. Voglio solo che tu..."
"Ora basta!" Yuffie la spinse via, poi si portò una mano alla testa. "Sono stufa di te. Vattene. Per favore."

"Io voglio solo che tu capisca!"

"Non c'è niente da capire!"
"Yuffie, ti prego..."
La spinse oltre la porta, e Shelke si lasciò spingere anche se avrebbe potuto far resistenza. Yuffie la chiuse, con un tonfo.

Shelke sospirò, e ci appoggiò sopra una mano.

 

Nulla poteva cambiare, nonostante tutti sembrassero pensarlo.

Nulla sarebbe cambiato. Mai.

Le speranze e le gioie e l'allegria erano bugie inventate per illudere e consolare.

E a pensarci si sentiva pieno di rabbia, perchè per pochi istanti ci aveva creduto e non era sopportabile.

Quando alle cinque del mattino si avvicinò alla finestra e vide Yuffie correre via trafelata, sentì che qualcosa non andava.

Qualcosa di profondo, che aveva provato a seppellire per anni, ma che in realtà non si era spento.

Qualcosa che forse avrebbe potuto cambiare, se avesse iniziato a correre e l'avrebbe afferrata.

Se le avesse detto che non voleva.

Non voleva che andasse via.

Non voleva ferirla.

Non voleva nasconderle ciò che era e ciò che pensava.

Non voleva costringerla a stargli accanto.

Non voleva mentire e ridere per forza.

Non voleva fingere.

Non voleva parlare a lungo e sentirla parlare, ma solo averla accanto.

Non voleva pensare che lei non capisse.

Non voleva essere ciò che era.

Non voleva non aver nulla da dire.

Non voleva che lo lasciasse, ma non voleva che rimanesse per pietà.

Non voleva doverla trattenere.

Ma se gli avesse chiesto cosa voleva, allora, non avrebbe saputo rispondere.

Vincent appoggiò le spalle al muro, chiuse gli occhi e pensò che, in fondo, non aveva importanza.

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Capitolo 18
*** Intermezzo (3) - Ovviamente ***


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18 - Intermezzo(3) - Ovviamente

Se non gli si era avvicinata fin dall'inizio, era perchè non lo credeva possibile.

Erano tutti diversi da lei in qualche modo, ma lui lo era di più.

Le era sembrato spaventoso, all'inizio. Era troppo grottesco, quasi ridicolo, con quei vestiti e quella voce cupa. Sembrava una caricatura. Non si era sorpresa del fatto che le rivolgesse appena la parola, perchè andava bene, lo preferiva.

Poi aveva iniziato ad incuriosirla.

Yuffie era curiosa di natura e aveva iniziato a desiderare di capire perchè un uomo potesse diventare così. Ma era solo curiosità, allora. Una curiosità forse crudele, perchè lei non c'entrava nulla e non avrebbe nemmeno dovuto sapere.

Loro due, in fondo, erano sempre stati accumunati da qualcosa. Erano i due che potevano anche non esserci, quelli che erano rimasti coinvolti più per caso che per altro.

Quando Yuffie seppe di Lucrecia, iniziò a capire.

La curiosità si era trasformata in rabbia. Come si poteva tener dentro un dolore del genere per così tanto? Vincent aveva il viso di un angelo, ma si ostinava a nasconderlo. Vincent aveva un tocco gentile, un tono pacato, e lei era certa che non potesse aver causato alcun male volontariamente.

Quel tono e quel tocco avevano iniziato ad affascinarla, anche se non l'avrebbe ammesso.

Ma ancora non lo riteneva possibile, e così non aveva fatto nulla per avvicinarsi.

Quando le capitava di stargli accanto, mentre il gruppo si riuniva, lo guardava di nascosto. C'era molto che avrebbe voluto dirgli, ma si mordeva la lingua e si ripeteva che lui non l'avrebbe mai ascoltata.

Perchè Vincent, beh, non sembrava nemmeno vederla.

Com'era successo, esattamente, che avessero iniziato a lavorare insieme, poi? Gli si era ritrovata vicino.

Più vicino.

Tanto che a volte, nella stanza, erano soli.

Tanto che era costretto ad ascoltare.

 

Si era innamorata? Non sapeva deciderlo.

Quello che per Vincent si poteva provare non era l'amore tenero e dolce fra Cloud e Tifa.

Non era la disperazione immobile che si poteva sentire per Aeris.

O l'affetto forte e carnale che Barret aveva per Marlene.

O il timido e segreto sentimento di Cid per Shera.

No, era diverso.

Vincent non si poteva amare come chiunque altro, per lui bisognava immergersi in qualcosa di nero che faceva paura.

Qualcosa che non prevedeva un futuro, o almeno non uno pieno di coccole e delle cose che fanno gli innamorati.

La paura non se n'era andata, ma Yuffie aveva iniziato a desiderarlo, semplicemente.

Senza pretendere che cambiasse.

E lui non aveva capito, ovviamente.

 

Mentre andava via, Yuffie si voltò a guardare la casetta che l'aveva ospitata per settimane. Forse voleva che qualcuno sbucasse dalla porta e la trattenesse, forse voleva accertarsi che non sarebbe successo.

Se tutto ciò che poteva dargli era il terrore, quel panico che gli aveva visto negli occhi, era meglio di no.

Yuffie aveva rinunciato, non perchè non volesse ma per lui.

E lui non aveva capito, ovviamente.

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Capitolo 19
*** Senza parole ***


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19 - Senza parole

"Sei soddisfatto?"

Cloud era rimasto in silenzio, per un po', appoggiato al muro con le mani nelle tasche del pigiama. Una figura appena visibile nel buio.

Era quasi l'alba.

"Allora?"

Non gli aveva risposto subito, perchè desiderava essere solo. Rimbalzare i tentativi che le persone intorno a lui facevano per comunicare, di solito, funzionava.

Adesso non poteva funzionare, Vincent lo sapeva. Yuffie era andata via ed improvvisamente tutti si erano alzati, tutti si sentivano stanchi e scocciati della situazione, ed era colpa sua.

Per questo era costretto a rispondere.

"No."

Tifa si teneva le mani strette al petto, con il viso contratto in una smorfia di disapprovazione. Anche lei, che sembrava sempre così persa nel suo mondo interiore, forse non riusciva a comprendere. Shelke si era poggiata al muro come ad imitare Cloud. Era così tenera, Shelke. Le mancava ancora qualcosa di soltanto suo, ma ce la stava mettendo tutta per trovarlo. Gli sfuggì un sorriso.

"Se ci dicessi cos'è successo, forse..." disse Tifa.

"Prima o poi sarebbe successo comunque."

"Ma se n'è andata di nascosto, di notte... E' una cosa così... triste!"

"Se fosse andata via di giorno, sarebbe meno triste?"

Tifa abbassò lo sguardo. "Penso di sì. Almeno l'avremmo saputo, e magari... le avremmo parlato."

"Ha solo deciso ciò che voleva. Non vedo perchè cercare di convincerla del contrario."

"Quindi a te va bene così?"

Vincent guardò fuori dalla finestra, dove la luce iniziava ad inondare il prato.

Era così stanco.

 

Quando rimasero soli, dopo che Tifa aveva convinto Shelke (che non aveva detto nulla, e si era limitata a fissarlo tutto il tempo con uno sguardo triste) a tornare a letto, Cloud si era seduto.

Erano rimasti in silenzio per molto tempo.

Era strano, in un certo senso, trovarsi Cloud davanti. Vincent non gli aveva mai parlato sul serio, forse non aveva mai parlato sul serio con nessuno. Nel gruppo erano come amici, ma da soli non erano nulla.

Quel nulla si avvertiva nel silenzio, pesante.

"Lo so che non sono affari miei." aveva iniziato Cloud all'improvviso, come se per tutto il tempo stesse pensando a cosa dire. "Ma secondo me stai sbagliando."

Non lo guardava mentre parlava. Entrambi guardavano fuori.

"So di non essere nessuno per dirtelo. Anche io ho fatto degli errori. Molti."

Ma era diverso. Così diverso che parlarne non ne valeva la pena.

"Se ci pensi, però, c'è come un parallelismo fra noi."
Un parallelismo? Vincent si voltò a guardarlo, con aria sorpresa.

"Entrambi abbiamo amato una donna che è morta. Entrambi siamo intossicati dal Mako, e ne subiamo le conseguenze. Entrambi abbiamo rischiato di perdere una persona importante per la paura di lasciarci andare."

Sembrava così giovane, Cloud, alla luce dell'alba. Forse non capiva ciò che diceva.

O forse, in fondo, aveva un senso.

"Solo che io" continuò "ho smesso di avere paura, ad un certo punto. Ho capito che non serve. Che stavo rischiando di perdere tutto, ed è quello di cui dovresti aver paura."

"Io non ho paura per me, Cloud."

"Yuffie ci tiene davvero a te."

"Lo so. Ma è perchè non mi conosce sul serio."
"E come dovrebbe fare a conoscerti, se non le permetti nulla?"

"Non è necessario che mi conosca."
"Decidi tutto tu, quindi."
"E cosa pensi possa succedere?" Vincent tenne la voce bassa, anche se avrebbe voluto urlare. "Pensi che possa... fidanzarmi? Ma lo vedi come sono? Lo vedi cosa sono?"

"E cosa sei, Vincent? Sei un uomo." Cloud incontrò i suoi occhi. Era serio, il tono severo e fermo. "Chi pensi di essere? Un mostro?"

"In un certo senso, sì."
"E cosa hai fatto per essere un mostro? Se lei è morta, Vincent..." Chiuse gli occhi un istante, come se ricordasse qualcosa all'improvviso. Scosse il capo, li riaprì. "Se lei è morta, non è colpa tua. Non fa di te un mostro."
"Non è solo quello."
"E allora cosa?" Cloud spalancò le braccia. "Che cosa? Cos'hai che non va? Qual'è il tuo problema?"

Vincent si voltò e non disse nulla.

"Non sarà solo una scusa?"

"..."
"Non sarà che è solo la paura? In fondo chi ti credi di essere, Vincent? Yuffie ci ha provato. Ha fatto di tutto per avvicinarsi a te. Non so come possa aver avuto tanta pazienza. E tu come la ripaghi? Negandole la possibilità anche solo di conoscerti, per motivi che nemmeno tu conosci! Quanti anni hai, dodici o sessanta?"

"Le farei solo male."

"E non può essere lei a decidere? Non l'hai obbligata, no? La stai solo obbligando a lasciarti stare. Se ti andasse bene, non direi nulla. Ma sai cosa penso? Penso che te ne pentirai. E tanto."

"Ma che ne sai, tu?"
"Io lo so. Perchè stavo per fare la stessa cosa. E ora, invece..."
"Invece? Cos'hai? Vuoi farmi credere che non pensi più ad Aeris, che stai vivendo una favola?"

"Io amo Tifa, Vincent. La amo. Tutto qui. Non esistono le favole, ma si può star bene lo stesso."

"Ed è giusto? E' giusto così?"

"Non so se sia giusto, per me lo è. Ma, spiegami... davvero non ti importa di Yuffie? Se è così, perchè l'hai lasciata avvicinarsi, perchè quella notte..."
"Ho sbagliato."
"No, non è vero."
"..."

"Insomma, non puoi rimanere lì così! Se lei vorrà allontanarsi, sarà lei a sceglierlo, non tu! Così non ha senso!"

"Cloud..."
"Mh?"
"Perchè ti interessa tanto?"

Cloud fece un sospiro profondo. "Tifa ci sta male. E non mi va. Anche Shelke, poi. Perchè volevi portartela via? Sta bene qui. Sta meglio. E ha bisogno di staccarsi da te, dannazione. Non lo capisci?"

Vincent si mosse, accavallò le gambe.

"Se vuoi..." disse Cloud, posando una guancia sulla mano. "non è partita da molto. Potresti ancora raggiungerla."

"E cosa dovrei dirle?"
"Potresti chiederle scusa."
"E... poi?"
"E poi vedrete."
"Non mi sembra un'idea brillante."
"Fai come vuoi. Io te l'ho detto." Cloud si alzò. "E sia chiaro, io e te non abbiamo mai avuto questa chiaccherata. Ci manca solo che si sappia, ho una reputazione, io." Uscì a passi lenti. "Ah, e comunque se intendi rimanere qui trovati un lavoro, almeno! Io non sono ricco!"

Il sole stava sorgendo.

A Vincent non piaceva uscire nel momento in cui sorgeva, gli sembrava una minaccia.

Doveva?

Poteva?

Poteva ancora...?

 

L'erba era morbida, lo sentiva nonostante quelle strane scarpe di metallo.

Poteva sempre sceglierne altre, in seguito.

Il sole gli feriva gli occhi, non era più abituato ad averlo in faccia. Era enorme, di fronte a lui, e saliva sempre di più.

Stava correndo verso il sole, ancora una volta.

Lei poteva essere andata in qualsiasi direzione, poteva aver corso, poteva aver usato un mezzo di trasporto. Forse non era più possibile, forse avrebbe dovuto smettere di correre e arrendersi, forse...

Ma correva, il fiato iniziava a mancare.

Le strade si svegliavano, la gente lo urtava e gli gettava maledizioni che riusciva appena ad udire. Aveva fatto cadere una cesta di frutta al mercato, e la donna che la vendeva l'aveva guardato mentre fuggiva via veloce, uno sguardo come una fotografia.

Era davvero possibile?

Aveva saltato sui palazzi per vedere meglio. Di lei non c'era l'ombra. Chissà se era ormai lontana, chissà cosa pensava.

Vincent correva e ad un certo punto aveva sbottonato il mantello per correre meglio, l'aveva lasciato cadere e una ragazza l'aveva preso al volo, stupita.

Doveva trovarla, anche solo per farsi mandare a quel paese.

Forse non avrebbe funzionato, ma per una volta voleva provarci.

Aveva visto un caschetto nero e si era avvicinato, ma non era lei. Il volto della ragazza sconosciuta l'aveva sorpreso, si era scusato balbettando, era corso via.

Era arrivato in mezzo al nulla, e si era seduto sulle ginocchia. Era esausto. Non c'era alcun motivo per sperare che Yuffie fosse lì vicino. Poteva anche essere andata dall'altra parte.

Non poteva trovarla così.

Senza rendersene conto, aveva preso la direzione per Wutai. Dove poteva voler andare, altrimenti? Ma l'aveva immaginata triste e afflitta.

Forse non lo era.

Forse non le importava nulla.

Forse stava meglio così, e lui doveva rinunciare.

Vincent si voltò e vide che fra l'erba e i fiori, con in mano un cestino da picnic e sparsi intorno bottiglie e pacchetti di cibo, c'era lei.

Era la strada giusta, allora. Ed era lì. L'aveva trovata.

Quanto aveva corso? Ore?

Era una coincidenza? Poteva essere una coincidenza?

Yuffie non lo vide, era di spalle. Canticchiava una melodia malinconica, e mangiava. Vincent rimase ad osservarla.

Era una ragazza.

Una ragazza normale.

Poteva diventare... sua?

Poteva diventare qualcosa di bello, per lei?

"Yuffie." disse, semplicemente. E lei si voltò di scatto, lo guardò esterrefatta, la bocca aperta e gli occhi sgranati.

"...Vin?"

Vincent guardò l'erba, guardò i fiori gialli che riempivano il terreno.

Il silenzio che seguì, lo sentiva come un'accusa.

Non poteva essere perdonato, solo con una parola.

Non poteva rimediare, solo con una parola.

Non si sarebbe risolto nulla.

Poi sentì un gran dolore a un polpaccio, fece un balzo indietro con un grido.

"Perchè ci hai messo così tanto??" esclamò Yuffie.

"Oh, io..."
"Stavo quasi pensando che non saresti più venuto! Sei il solito testone..."

"Sapevi... sapevi che sarei venuto?"

Yuffie gli rivolse uno sguardo di sfida. "Ne ero sicura."

"Yuffie, io..." Vincent si riavviò i capelli con una mano, confuso.

 

Sembrava un ragazzino, imbarazzato in quel modo.

Yuffie non pensava che l'avrebbe visto così, un giorno. Si poteva quasi dire che fosse arrossito in silenzio, mentre ad occhi bassi cercava le parole.

Sembrava una persona qualunque, una persona che ha sbagliato e cerca di scusarsi ma non ci riesce.

Ma lei sapeva che non lo era. Lo sapeva.

"Non c'è bisogno di chiedere scusa." disse, e lui non alzò gli occhi, non la guardò, non si mosse.

"E' che non so cosa dire."

"Potresti dire quello che stai pensando."
I suoi sorrisi erano sempre così amari, così pieni di significati muti. Vincent aveva accennato un sorriso, fissando i fiori. "Sarebbe complicato."
"E allora perchè sei venuto?"

"Non volevo che te ne andassi così."
"Perchè?" Yuffie gli afferrò la blusa, lo scosse e lo costrinse a guardarla. "Spiegami perchè, spiegami che cosa vuoi da me se non hai intenzione di aprirti nemmeno un po'!"

Lei non pensava che sarebbe stato facile, oh no. Non credeva che tutto si sarebbe risolto con un bacio, con un abbraccio o con una parola.

Forse ci aveva sperato per un momento, ma non l'aveva mai creduto.

"Io non posso essere diverso da quello che sono."
"Io non voglio che tu sia diverso."
"Ma se non sarò diverso, non potrò mai..."
"Io ho deciso di starti vicino così come sei."
"Sono belle parole, ma sai che non è possibile."
"Perchè non lo è? E' così difficile?"
"Tu sei..."

Vincent le prese la mano, e la scostò con dolcezza dalla blusa. Yuffie lo lasciò fare, la lasciò nelle sue.

"...tu sei bella. Una persona viva, piena di passione. Pensi davvero di voler..."

"Sì."
"Ma io non..." Le lasciò la mano, Yuffie la riprese e la strinse. "Io non so come fare."
"Posso insegnartelo io, se vuoi."
"Puoi?"
"Sì."

"E come posso..."
Lei gli posò un dito sulla bocca, con un gesto rapido. "Ssh. Basta parlare. Basta pensare."

 

Yuffie si sollevò sulle punte. Gli occhi di Vincent colsero il movimento, fissarono i talloni sollevarsi, le sue dita che scendevano sul collo, il viso teso verso il suo.

Non c'era più bisogno di parole.

Quando le labbra di Yuffie sfiorarono le sue, così dolci e senza domande, Vincent la strinse.

Forse, qualcosa poteva ancora cominciare.



 

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Capitolo 20
*** Epilogo - Lettere ***


20 - Epilogo - Lettere

Caro Vincent,

finalmente vi siete fatti sentire! Iniziavo a preoccuparmi!

Sono molto felice di sapere che vi siete stabiliti da qualche parte, pensavo che avreste passato tutta la vita a vagare... Io vivo sempre a Midgar, solo che ora, sai, ho una casa tutta mia! Ho iniziato a risparmiare subito dopo che siete andati via, e da pochi giorni mi sono trasferita lì. Non sai che divertimento arredarla!

Sì, non preoccuparti, Tifa e Cloud si sono presi cura di me. Sono andata a scuola, mi sono diplomata con il massimo dei voti e ho continuato a seguire le cure. Ormai non ho più crisi da anni, quindi penso siano passate. E sapessi come sono cresciuta! Tifa dice che sembro più grande di lei, ormai. Sono cambiate così tante cose...

E sai perchè mi sono trasferita in fretta e furia? Beh, Tifa si arrabbierà di sicuro perchè voleva essere lei a darvi la notizia, ma non posso non dirtelo! Lei e Cloud aspettano un bambino, ormai da almeno sei settimane! Avresti dovuto vedere Cloud quando gli abbiamo dato la notizia, che carino! Davanti a me non voleva mostrarsi troppo felice, ma penso abbia anche pianto! Sono felicissima per loro e penso vogliano sposarsi, anche se Cloud è un po' restio riguardo a questo argomento, ma sai com'è fatto. Tifa mi ha già promesso che potrò fare da babysitter al piccolo, quando nascerà! Cloud non è d'accordo nemmeno su questo, ma non importa, lo convinceremo.

Non devi scusarti per essere andato via di corsa. Lo capisco. E poi ormai è passato tanto di quel tempo... In fondo io lo sapevo, che te ne saresti andato via con Yuffie. Te lo dicevo, no? Sì, lo so, all'inizio sono stata un po' isterica, ma ero giovane! Lo ero, uhm, anche un po' troppo... Anzi, scusami tu per come mi sono comportata. E vorrei anche ringraziarti. Senza di te, Vin, adesso non sarei qui. Hai visto che non sai solo combinare guai?

Vorrei chiederti, se non ti scoccia, di scrivermi spesso. No, non ti preoccupare, non sono più la ragazzina pestifera di un tempo che ti sta appiccicata! Vorrei solo mantenere un contatto con te perchè, sai, sei un po' come un padre per me. Immagino che a Yuffie non dispiaccia, visto che ti ha portato via e ormai non ho più possibilità!

Dai, scherzo... Mi dispiace anche per come mi sono comportata con lei. Ero un po' gelosa, lo ammetto, ma ora capisco perchè. Ero confusa, Vin. Perdonami.

Ah, sai, anch'io ho un ragazzo adesso! E' poco più grande di me, ha un lavoro ed è carinissimo! La mia vita sta andando alla grande, tutto va in una direzione che mi piace. Sto bene! Quindi non preoccuparti, ok?

Beh, scusa se ho scritto così tanto, ma spero di poterti scrivere ancora e che verrete a vedere il bambino di Tifa e Cloud, fra qualche mese!

Ti mando un abbraccio fortissimo e mando un bacio anche a Yuffie.

A presto!

 

Shelke

 

PS: Ah, comunque avresti proprio dovuto spiegarmi come si fanno i bambini! E' toccato a Cloud e, sai, è stato un vero casino...

 

 

 

 

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E' finitaaaaaaaaaaaaaaa! :O

Grazie, GRAZIE, G R A Z I E a tutti quelli che mi hanno seguito! ^___^ E' stata la fiction più difficile che io abbia scritto finora, perchè Vincent è un asino e Shelke è un'adorabile isterica. XD Mentre scrivevo ho attraversato momenti strani, e posso dire che il suo corso ne sia stato influenzato... per questo le sono affezionata.

Vorrei spendere due parole sul titolo: non so se sia proprio corretto in inglese, ma dovrebbe significare "Bocciolo senza senso" o qualcosa del genere. L'ho usato perchè i tre personaggi principali, ovvero (spero si sia capito, insomma XD) Shelke, Yuffie e Vincent, mi sembravano come incompleti. Tutti e tre. Spero di aver accompagnato Shelke ad una maturazione che nell'aborto di gioco che l'ha creata non c'era affatto, di aver fatto felici gli amanti del paring yuffentine e nel contempo di non aver reso le cose troppo semplici. Perchè se sono semplici dov'è il bello? E poi, non è mica detto che rimangano insieme per sempre... insomma, io li ho avvicinati, il resto è una loro responsabilità! XD

Ora, visto che penso ne abbiate abbastanza delle mie idiozie, ecco qualche "papera" che mi sono segnata nel corso del processo di scrittura... Ovvero, delle cose che volevo mettere ma poi non ho messo, con i miei commenti in corsivo. Purtroppo non le ho segnate fin dall'inizio, quindi sono poche... ;.; Ma penso dia un'idea di quanto sono idiota e possano strappare un sorriso, quindi eccole. XD

Mi raccomando, leggete anche le mie altre fanfiction! ^____^

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Stare con lui era... come dire? Come un coito interrotto.

(Doveva essere un pensiero di Yuffie nei confronti di Vincent... ma mi è sembrato un paragone troppo, uhm, idiota! Anche se, in fondo... XD Ho avuto l'idea di segnarmi ‘ste cose a partire da qui, era un peccato perdere una frase come questa...)

 

Cloud riprese l'accappatoio con un gesto veloce, e nel farlo inciampò nella stoffa...

(Non ho mai finito di descrivere la scena, ma immaginare Cloud che cade nudo come uno scemo era veramente troppo... Mi sarebbe piaciuto creare un siparietto comico, e a dirla tutta all'inizio pensavo di far denudare Shelke di fronte a lui... ma era una cosa talmente improbabile che ho lasciato perdere.)

 

"E quando sarà il momento?"

"Lo saprai quando arriverà."
"E se fosse...adesso?"
Shelke si protese verso di lui, e...

( O.o Uddio, no, aspetta, Shelke che seduce Cloud in una scena da shojo proprio no... XD Ma perchè mi ero fissata nel volerla far provare? >.> Dopo averlo scritto ho fissato un attimo lo schermo e poi ho detto: "Naaaaaaaaahhh..." XD Ringraziate il mio buon senso! XD)

 

16 - ???

Cloud si fa i complessi, Vin fa lo stronzo, Yuffie giustamente si inca**a.

(questo era l'appunto preso per come sviluppare il capitolo 16... XD A volte mi rileggo e muoio dalle risate da sola...)

 

Yuffie si voltò, il volto di Vincent che nella penombra sembrava quasi avere un'espressione.

(XDDDD Ehm, ok, Vincent sarà pure un po' ciocco di legno ma così sembra che non abbia MAI un'espressione, di solito... Dopo aver scritto questa frase ho riso, e la cosa non si addiceva al momento...)

 

17 - Non importa

(In realtà non ci sono "papere" che riguardano questo capitolo, anzi... L'ho scritto tutto d'un fiato senza riflettere troppo. Ma volevo parlarne, perchè è stato davvero DIFFICILE pensare come Vincent. Io lo odio! >.< Ogni volta che devo descrivere ciò che pensa o ciò che fa entro in crisi, e nonostante mi piaccia come personaggio devo dire che è stata un'impresa caratterizzarlo. Quindi sfrutto questo spazio per dire: Vin, mavaff... XD
No, vabbè, dai, in fondo gli voglio bene... <3 E' il mio emo preferito!)

 

18 - Intermezzo(3) - ???

Yuffie, quando alla fine di FFVII Vincent non c'è e bla bla bla. <3

(Volevo solo farvi notare quanto sono poetici i miei appunti su quello che devo scrivere... ^^' - sì, poi ho praticamente scritto tutt'altro...)

 

"Insomma, non puoi rimanere lì così! Se lei vorrà allontanarsi, sarà lei a sceglierlo, non tu! Così non ha senso!"

"Cloud..."
"Mh?"
"Questa conversazione è profondamente gay."

(Ehm, ecco, è che un po' lo sembra... XDD Avevo seriamente intenzione di inserire questa frase nel dialogo, però, ehm... meglio di no, dai. XD Non ce lo vedo proprio Vincent a dirlo!)

 

 

 

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