Blue is still the warmest colour

di yayo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Adele spegne la sigaretta sotto la suola della scarpa. È un’abitudine strana, che ha preso senza nemmeno accorgersene.
Ha cominciato a rendersene conto quando si è trovata un mucchio di scarpe rovinate. Ma non ci ha fatto molto caso. Non ci ha mai fatto molto caso.
Così come non ha mai fatto caso ai suoi capelli, al suo modo di vestire, alla sua vita in generale.
Non ha nemmeno mai avuto una filosofia di vita, e forse questo può sembrare triste.
Le cose le ha sempre vissute senza pensarci troppo,
buttandosi in ogni situazione senza riflettere sulle conseguenze,
inebriandosi degli istanti che le scorrevano tra le dita come l’acqua del mare in un giorno d’estate, all’alba, quando ancora non c’è nessuno e l’intero mondo è solamente tuo.
Adele ha trentasei anni.
Non si sente vecchia,
almeno non il giovedì alle cinque o il sabato prima del tramonto.
Ha come l’impressione ch+e la parte migliore della sua vita sia inevitabilmente andata perduta in un vortice di anni e di scelte sbagliate.
Molte notti non riesce a dormire. E allora pensa.
Ricorda.
Progetta.
Fa lunghe passeggiate, attraversando una città deserta che a tratti le appare ostile, a tratti accogliente. A volte si spaventa, a volte si nasconde, a volte urla che vuole e può sfidare tutto e tutti. Che vincerà.
Alcune volte riesce a crederci.
Adele sorride poco, ma quando lo fa è capace di rischiarare la giornata a chi le sta vicino.
Adele piange quando è sola.
Adele non ama più da un po’ di tempo, non ha preso sistematicamente conto dei giorni passati a non amare, ma è sicura che siano molti.
Adele guarda la figlia Méloée che impara a leggere, scrivere, camminare, vivere, essere felice o disperarsi per una puntata del suo cartone preferito, e pensa che è tutto così confuso.
Non sa dare né nome né titolo a niente.
Si lascia scivolare nell’esistenza sperando che qualcosa la salvi. Ha bisogno di essere salvata, di questo ne è certa, ma non sa da cosa o da chi o perché o come o quando.
A volte scrive un diario.
A volte ride perché si dimentica di tutto quanto.
A volte parla con Louis e pensa che sì, forse qualcosa tra di loro -un tempo- c’è stato. E loro, ubbidienti, hanno lasciato che le cose andassero come dovevano andare,
ed era nata Méloée.
 
Lei e il padre letteralmente stravedevano l’uno per l’altra.
Vivevano in una sorta di simbiosi. Parlavano per ore, per quanto le conversazioni tra un quarantenne e una bambina di sei anni possano essere profonde e interessanti.
Uscivano per interi pomeriggi e tornavano con una luce negli occhi che faceva venire, ad Adele, una stretta allo stomaco.
Lei li osservava, un po’ incuriosita, un po’ arrabbiata, un po’ triste, un po’ indifferente.
Non capiva i loro messaggi in codice, i loro sguardi, i loro scherzi stupidi.
Ne sorrideva e faceva finta di comprendere ogni cosa. Faceva finta che fossero davvero una famiglia e pensava che andasse tutto bene.
In fondo, in fondo va tutto bene, si ripeteva stoicamente fumando una sigaretta dopo l’altra, sotto lo sguardo di disappunto di Louis.
Mi dispiace, ma non so cos’altro posso fare.
Mi dispiace, io ce la sto mettendo tutta, ma forse non è abbastanza.
Aveva pensato varie volte di andare da uno psicanalista, da uno psicologo, insomma da qualcuno che la ascoltasse senza riserve e le facesse pagare cento euro all’ora per una soluzione fatta e finita, chiusa in un delizioso pacchetto regalo.
Poi pensava anche che se ne sarebbe vergognata, che lei non era così, che lei non ne aveva bisogno, che lei stava bene, che loro stava bene.
Ma chissà se.
Chissà se lei stava bene.
Lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei lei.
Certi giorni scriveva il suo nome centinaia di volte su un foglio che poi bruciava, sentendosi un po’ la protagonista di un libro dell’Ottocento.
Qualsiasi cosa facesse, qualsiasi cosa pensasse, qualsiasi cosa vivesse, respirasse, mangiasse, sognasse, lei c’era sempre.
Come marcata a fuoco sulla pelle, incisa sulle sue ossa, impigliata tra i capelli o tra i vestiti.
Era il suo pensiero costante, la sua ossessione disperata, il suo bisogno soffocante e tremendo che non la faceva dormire.
Emma.
Emma.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Sono passati così tanti anni.
Così tanti anni.
Quando Adele ci pensa, si sofferma su ogni singola parola di quell’espressione.
Accarezza il suono che assumono, ne sfiora i contorni labili, respira la sensazione che quell’ammasso di lettere le procura.
Ne sorride, anche.
Era così piccola, allora. Piccola.
Lei non si era mai sentita piccola. Mai. Forse perché non lo era mai stata davvero. Anche se ora, a pensarci a distanza di anni, anni, tutto sembra così piccolo e sfocato.
Così…così lontano.
Privo di significato.
 
Il tempo cancella tutto.
Ed è triste pensare a quanto questo sia crudele. A quanto facilmente le persone vengano soffiate via, e le loro facce assomiglino sempre più ad una tavolozza di colori sbiaditi e mescolati fra loro.
Aveva fatto così tanti errori.
Così tante parole sbagliate, così tante giornate storte, azioni insensate, emozioni taciute.
Mai niente era stato facile. Non per lei.
A combattere, prima, con un intero mondo che le ruotava ostinatamente contro.
A cercare di demolire, dopo, ogni suo demone che la tormentava ogni giorno e ogni ora. Sussurrandole quanto fosse una persona priva di individualità, inutile, tristemente intrappolata in una casa con pareti troppo azzurre e linguaggi misteriosi che lei non riusciva a capire.
A giustificarsi.
A combattere e perdere ogni volta.
A dire “basta, mi arrendo” e poi non arrendersi. Perché il pensiero di lasciarsi scivolare nel nulla era troppo spaventoso, e lei non era coraggiosa.
 
C’erano giorni in cui Méloée le regalava dei disegni.
Amava disegnare, e aveva un grande talento.
Adele ne aveva messi da parte una trentina. Nel terzo cassetto dell’armadio bianco, in fondo. Sotto le calze, le magliette vecchie e sformate, bigiotteria finita lì in mancanza di altro spazio.
Io li tengo per te, io li tengo per quando ci rivediamo. Mi dovrai dire cosa ne pensi. Mi dovrai dire se secondo te ha talento. Mi dovrai dire tante cose.
-Mamma dove li metti i miei disegni? Papà ha detto che ne vorrebbe uno da portarsi in ufficio.
-Fagliene uno tutto suo. Così è più bello.
-Ma ora non so cosa disegnare…
-Ti verrà in mente qualcosa. Sei così brava.
-Non è vero, Annabelle disegna molto meglio di me.
-Annabelle? Quella smorfiosa? Non ci credo. Una così antipatica non può disegnare bene.
Raramente diventano complici e scherzano su qualcosa.
Raramente perché il loro è un rapporto complicato, e Adele spesso si dice che è davvero una cosa ridicola, perché la parte complicata doveva ancora arrivare.
Adele dovrebbe amarla profondamente, senza riserve, sin dal profondo dell’anima, come ogni madre dovrebbe fare. Ma non può.
La sveglia al mattino, le prepara la colazione, le sintonizza la televisione sul suo canale preferito, la porta a scuola e le racconta qualcosa a caso, la va a prendere ogni giorno all’una, le chiede come è andata la giornata, se ha compiti, la aiuta in matematica anche se non è mai stato il suo forte, le corregge gli esercizi di francese, a volte parlano di una cosa buffa che è successa a scuola, aspettano che arrivi papà, Adele si ritira nell’ombra.
Fa tutto quello che fa una mamma normale. Ogni giorno.
Ma è più un obbligo che reale intenzione.
Tanti anni prima aveva detto,
mi sembra di fare finta. Mi sembra di fare finta su tutto.
E ora, a distanza di un milione di secoli, dopo terremoti, eruzioni vulcaniche, sfollamento di continenti, scoperte di Americhe, pandemie, viaggi nel tempo, le cose sono esattamente come prima.
“Oh Adele, tu non cambi proprio mai” le dicevano quando era una ragazzina, con quel tono tra il divertito e l’arrabbiato, come a dire sei un caso senza speranza, però vai bene così.
“Oh Adele, ma perché cazzo non cambi mai”.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Lei e Louis non ne hanno mai parlato direttamente.
Alcune volte lui aveva tentato di saperne di più, sondando l’argomento in maniera delicata e nascosta, senza dare l’impressione di essere invadente o voler sapere troppo,
senza dare l’impressione di volerla giudicare in qualsiasi modo e costringerla a giustificarsi.
Voleva solamente sapere come erano andate le cose. La sua era solo curiosità.
Quel tipo di curiosità morbosa e malsana per le cose che insieme attraggano e respingono.
Ma Adele non ne parla.
Non ne parla mai, con nessuno.
Non ne scrive nemmeno più.
Non è vergogna, la sua. Non è il maldestro tentativo di nascondere qualcosa che reputa “uno stupido errore di gioventù”.
È dolore.
Sarebbe dolore, se rendesse partecipe qualcuno di quel suo passato.
Non ha il coraggio di pronunciare il suo nome, dire a qualcuno come si sente a riguardo, ricordare quei pomeriggi, quelle notti, quelle parole, quelle dissertazioni filosofiche a cui lei partecipava con un mezzo sorriso, come a dire “tanto queste cose io non le so, è inutile che insisti, però mi piace guardarti parlare”.
Ha seppellito quegli anni nel profondo di sé stessa, nel profondo di un labirinto senza vie di uscita, senza speranze, senza luce.
A volte le sembra di non aver mai vissuto davvero niente.
A volte le manca così tanto che si sente sparire, e quelli sono i momenti peggiori.
Louis non ha idea di tutto questo.
Lui lo reputa, appunto, uno stupido errore di gioventù. Uno di quelli a cui pensi quando a letto non riesci a dormire, dicendoti che avresti anche potuto evitare.
Uno di quelli di cui non conservi più nemmeno una foto, una lettera scritta di corsa una notte qualsiasi, una parola che ti rimane impressa nel cuore e sulle cornee, come un’immagine impossibile da accartocciare e buttare via.
E Adele lo lascia nelle sue convinzioni.
Va bene così.
 
-Me ne parlerai mai?- le aveva chiesto per l’ennesima volta in una notte nuvolosa, nel silenzio banale di una pubblicità senza volume.
-Non ce n’è motivo, Louis. Non capisco perché questo accanimento.
-Non è accanimento. È solo…non so niente di quella te. A volte mi sembra di non sapere niente di Adele. E questo mi fa male. Non so cosa devo fare per…non lo so, per…
-Non c’è niente che tu debba fare, è solamente…è solamente passato. E il passato non esiste più. Quella persona non esiste più.
-Stai parlando di te? O di lei?
-Di entrambe.                              
-L’hai più sentita? O vista?
-No. Saranno almeno otto…nove…dieci anni che non la vedo. Ho perso il conto. Probabilmente non la riconoscerei nemmeno più- mente.
Le capita spesso di dire bugie.
Non è cattiveria, è solo un tentativo di difesa.
L’aveva vista, sì, tre anni prima.
Da lontano, per strada, una mattina.
Aveva una maglietta blu, gli occhi gentili, i capelli spettinati.
Faceva freddo, si erano scambiate uno sguardo un po’ distratto e un po’ molte altre cose.
Non fa più male, non fa più male.
 

Ciao a tutti :) ho cominciato a scrivere questa fanfiction perché ho davvero adorato il film, e soprattutto perché ho visto che nessuno ancora aveva scritto una storia su Emma e Adele. Non so a voi, ma a me il finale ha lasciato con l'amaro in bocca. Apprezzo la mancanza del solito finale scontato, sì, ma sono fermamente convinta che la loro storia non dovesse finire così. E a volte capita, a distanza di anni, che certi finali vengano riscritti, o se non migliorati almeno cambiati.
Voi cosa ne pensate? Mi farebbe piacere un vostro pensiero, anche sul film in generale :)

 

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